L.E. MODESITT Jr. SCETTRI (Scepters, 2004) In memoria di mio padre, eroe e maestro
... Il coraggioso, il vile, colui a...
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L.E. MODESITT Jr. SCETTRI (Scepters, 2004) In memoria di mio padre, eroe e maestro
... Il coraggioso, il vile, colui al quale non importa, ciascuno si guarderà indietro con timore, e non vedrà, sia esso ricco o povero, giovane o vecchio e debole, ciò che era, ciò che è, e ciò che ancora essere dovrà. Di qui a molti anni verrà un tempo,
in cui qualcuno troverà gli scettri del giorno, gli scettri che non sono ciò che sembrano, e con i quali controllare tutto quanto intorno. In quel tempo, giungerà una guida, a reclamare la gloria e i fasti del passato, e a ridare agli scettri il perduto splendore, affinché il loro potere non venga cancellato. Poi, anche il lamaro si presenterà, dove nessuno sospetta né osa pensare, e la dualità della radiosa e giusta promessa con le sue infide gesta cercherà di troncare. Poiché, dunque, chi vivrà, e chi prospererà? Chi sulle terre potrà regnare, con la fiducia o la slealtà? Colui che chiamano lamaro o colui che chiamano eroe, poiché uno perseguirà il trionfo, l'altro la verità. Estratti da: L'eredità del Duarcato I LO SCETTRO DEL PASSATO 1 Hyalt Lanachrona La luce cadeva sul sacerdote. Quell'unico raggio luminoso, che filtrava attraverso l'antico lucernario magistralmente intagliato nel soffitto della cappella lunga e stretta, ricavata dalla rossa roccia della montagna, illuminava l'officiante. La tunica e i pantaloni verdi dai profili viola scintillavano. Così come il pallido belletto traslucido che gli ricopriva il volto. I fili blu-argento della corta parrucca scura catturavano quella luminescenza, creandogli un'aureola intorno al capo. Anche gli stivali neri, dai soprattacchi interni, riflettevano la luce, quasi fossero specchi bruniti. Un lungo accordo echeggiò attraverso il tempio, ma il sacerdote non parlò finché non ci fu assoluto silenzio.
«Quando i nostri antenati volsero le spalle al Vero Duarcato, Colui che È se ne andò e lasciò che il Cataclisma si abbattesse su Corus...» La voce del celebrante sembrava provenire da ogni angolo della cappella e da nessuno in particolare. Oltre un centinaio di fedeli era là riunito, in piedi, col capo chino e coperto da sciarpe nere da lutto. Pochi osavano alzare lo sguardo sulla parte anteriore del tempio. «Il Cataclisma non sarebbe dovuto avvenire. Il dolore e la sofferenza non avrebbero dovuto abbattersi sull'uomo. E perché, invece, tutto ciò è accaduto? Come ha potuto un così gran numero di persone essere cieco fino a tal punto?» L'unica risposta alle sue domande fu il silenzio. «Per intere generazioni, il Duarcato di Corus assicurò la pace e la prosperità a tutte le terre. Mai ci fu regno più equo o mondo più giusto. Né popoli tanto fortunati e colmati da così enormi benefici. Poi, in un attimo, tutto svanì...» Nella penultima fila di fedeli spiccava una figura, un uomo dai capelli neri e dall'abito grigio. Era più alto di tutti gli altri e il suo viso era di un pallore estremo. Il tessuto di lana del suo mantello da viaggio sembrava in qualche modo di qualità superiore. Teneva il capo meno piegato rispetto a quanti lo circondavano e i suoi occhi non abbandonavano il celebrante. Un impercettibile accenno di sorriso gli compariva di tanto in tanto agli angoli della bocca sottile. «... come proclama il Mantra del Lutto... Il ghiaccio cadde dai cieli. L'aria, che era stata così mite e profumata, si fece rarefatta e aspra come l'aceto. Il letto di ruscelli e fiumi si prosciugò e l'acqua smise di scorrere... Tutto quello che era stato bello e grande si deteriorò e andò perduto. E per quale ragione?» Dopo una breve pausa, il sacerdote proseguì: «Perché la gente era egoista e pensava solo a se stessa. Ripudiò il Vero Duarcato e, nel fare questo, ripudiò anche Colui che E... giacché il Duarcato era una Sua creazione... «... in questo mondo di gloria effimera, in cui i condottieri e le battaglie si succedono a ritmo incessante e il male lascia il posto ad altro male, noi dobbiamo persistere. Dobbiamo avere fede in Colui che È. Dobbiamo seguire il cammino della rettitudine per ristabilire le verità di un tempo. Giacché solo tramite il Vero Duarcato saremo redenti. Solo ripristinando la vera creazione di Colui che È rivedremo la pace e la prosperità, la fede e la lealtà...».
Lo sconosciuto dall'abito grigio annuì con aria di apprezzamento e rimase in ascolto. «... persino ai giorni nostri i problemi continuano. Le colline a nord e a ovest sono talmente aride da non lasciar crescere altro che alberi contorti e cespugli dalle spine acuminate, eppure gli scettici si rifiutano di vedere. Persino qui a Hyalt, dove tutto è così ovvio, essi non vedono... «... in un mondo in cui l'unica divinità è rappresentata dal denaro, l'unica regola dal potere, l'unica legge è quella stabilita dalla spada più lunga, dal fucile più letale, nessun uomo è al sicuro, né può trovare tranquillità. Non esistono forme d'arte, né palazzi raffinati, né parole meravigliose, nulla se non denaro e sangue...» Il viaggiatore continuò ad ascoltare finché, alla fine, non venne cantato il ritornello conclusivo di un inno: «... per la bellezza dei cieli e del mare, per il ritorno della perfetta armonia per la benedizione del Vero Duarcato, e per Colui che È e sempre sarà!». Al termine dell'inno, il sacerdote si rivolse ai fedeli. «Sia lode a Colui che È! E alla creazione del Duarcato!» «E alla creazione del Duarcato!» ripeté la congregazione. «Lode a Colui che È! Poiché di nuovo tornerà nella gloria!» «Poiché di nuovo tornerà nella gloria!» «Sia lode a Lui e al Vero Duarcato! Per tutto ciò che era e sarà!» «Per tutto ciò che era e sarà!» Il raggio di luce svanì e il tempio piombò nella totale oscurità per un lungo momento. Poi, piano piano, un chiarore meno diretto cominciò a filtrare dal lucernario, mentre i pannelli che lo ricoprivano venivano rimossi. La parte anteriore della cappella, dove prima si trovava il sacerdote, adesso era vuota. Lo sconosciuto dall'abito grigio si fece avanti e si diresse verso la porticina laterale che immetteva nella stanza riservata al celebrante. Le sue dita sfiorarono brevemente il rigonfiamento del pesante borsello di cuoio colmo di monete d'oro, nascosto sotto il mantello. 2
Il vento gemeva sulla cima della Cresta dell'Ovest, sibilando attraverso i cespugli di quarasote che erano cresciuti in seguito al Cataclisma e che erano giunti a dominare le aride terre delle Valli del Ferro nelle decine di secoli successive. Alucius si alzò a metà sulle staffe per sgranchirsi le gambe. Poi si risistemò in sella al suo cavallo grigio, inalò l'aria fresca e secca del mattino e sorrise tra sé. Guardò verso nordest, oltre il profilo montuoso che aveva davanti e la deserta distesa di terra rossa e sabbiosa in cui c'erano solo quarasote e predatori e prede, questi ultimi entrambi invisibili a tutti tranne a chi conosceva bene le Valli del Ferro o possedeva Talento sufficiente a percepire i fili vitali che avvolgevano il mondo in un unico intreccio. Una bella mattina d'estate, pensò, chinandosi ad accarezzare il cavallo sul collo. «Abbiamo parecchia strada da fare.» Nonostante si fossero allontanati appena di quattro vingti dalla fattoria, il montone guida si trovava già più avanti di cinquecento iarde - un quarto di vingt - rispetto all'ultima pecora del gregge. L'impercettibile lampo di tenue luminescenza verde raggiunse Alucius, facendolo girare sulla sella. Un'ariante se ne stava sospesa nell'aria verdeargento del mattino, le ali luccicanti contro lo sfondo del cielo e dei ripidi bastioni rocciosi dell'Altopiano di Aerlal a est. Gli occhi del pastore si fissarono su quella figura femminile, poi tornarono quasi immediatamente a controllare il gregge. Alucius non vedeva arianti da quasi due anni, da quando, cioè, aveva lasciato la città nascosta. E neppure ne aveva percepito la presenza con i Talento-sensi. Ma, ogni volta che una di quelle figure alate gli era apparsa, erano quasi sempre intervenuti cambiamenti tali da comportare problemi. Formulò silenziosamente una domanda. Che succede? L'ariante svanì senza rispondere. L'attimo prima era là, quello dopo era già sparita. Benché gli fosse parso di non conoscerla, Alucius non aveva avuto tempo o modo di osservarla abbastanza da poter dire con certezza se si trattasse della stessa creatura che si era occupata di lui durante la sua breve permanenza forzata nella città nascosta. Sfiorò con la mano l'impugnatura della sciabola nel fodero e abbassò lo sguardo sul fucile, che teneva nella custodia di cuoio assicurata alla sella. Nonostante le grosse cartucce usate dai pastori - con bossoli che superavano in dimensioni quelle del pollice di un uomo robusto - di solito quell'arma non era efficace nel contrastare il genere di difficoltà preannunciate
dall'ariante. I fucili si dimostravano più utili, anzi necessari, contro i lupi della sabbia e, a volte, contro i sabbiosi, giacché entrambi quegli esseri selvaggi erano soliti assalire gli elementi isolati del gregge... soprattutto le pecore e gli agnellini. I fucili erano invece inefficaci contro gli ifrit, ma Alucius non ne aveva mai avvistati nelle vicinanze della fattoria. Il che non lo stupiva, dato che, nel corso della sua breve esistenza, ne aveva visti solo due o tre, contando anche la Matride, che pure non poteva affermare di avere visto davvero. Un'ariante sulla Cresta dell'Ovest di mattina, si disse Alucius, era un'apparizione così infrequente che provò quasi il desiderio di tornare indietro per dirlo a Wendra. Ma, del resto, cosa avrebbe potuto raccontare alla moglie, se non che era comparsa un'ariante, quasi subito svanita senza una parola né un gesto? Fuori dai confini delle Valli del Ferro, nella maggior parte delle terre di Corus, le arianti - e persino i sabbiosi - erano già diventate figure leggendarie ed erano citate nei racconti fantastici che narravano dei Mirmidoni e degli alettri dell'ormai scomparso Duarcato: il millennio considerato quasi da tutti un periodo di pace e di prosperità. Come Alucius aveva avuto modo di scoprire quando aveva combattuto nelle Guardie del Nord, la durata di quel regno, la ricchezza e la giustizia del Duarcato altro non erano che crudeli menzogne ed esagerazioni. Ma poiché non poteva provarlo - se non rendendo manifesto il proprio Talento in un mondo che si dimostrava timoroso e diffidente nei confronti di tale dote - quella confortevole favola di un aureo passato continuava. Alcuni, soprattutto i sapienti di Tempre, sostenevano che le arianti non erano mai esistite ed erano solo miraggi creati dalla luce e dalle sottili e sfavillanti particelle di polvere sollevate dalle continue raffiche di vento che spazzavano gli affioramenti di quarzo dell'Altopiano di Aerlal. Alucius sapeva bene che non era così. E lo sapeva anche l'esiguo numero di pastori che abitava le terre attorno a Punta del Ferro. Mentre riportava lo sguardo sul gregge, Alucius annuì tra sé. Due montoni nerini stavano avanzando lentamente l'uno verso l'altro. Le scure corna ricurve - tanto forti da piegare la lama di una sciabola e le cui estremità erano affilate come coltelli - scintillavano al sole. Gli occhi rossi brillavano, creando un netto contrasto con i musi neri; e il vello dello stesso colore, che era più resistente del cuoio e più prezioso dell'oro e che ricopriva i corpi lunghi un paio di iarde e le ampie spalle, conferiva loro un aspetto massiccio e minaccioso. Un montone nerino era in grado di sventrare un
lupo della sabbia, sebbene questi animali fossero persino più grossi e muniti di zanne di cristallo della lunghezza di oltre una spanna. Ma i lupi della sabbia erano soliti cacciare in branco e preferivano assalire le pecore o gli agnellini, oppure i montoni più vecchi e deboli rimasti isolati dal resto del gregge. Uno dei montoni raspava il terreno e Alucius percepì l'antagonismo tra i due maschi. Fece avanzare il grosso cavallo grigio verso di loro e cercò di proiettare con il Talento un senso di disapprovazione per tenerli separati. Entrambi gli animali sollevarono il capo e ubbidirono, sebbene egli avvertisse la loro frustrazione. Fare il pastore di pecore nerine comportava difficoltà e imprevisti e spesso rischi fatali, se non si era dotati di Talento sufficiente a imporre la propria volontà. Alucius era fortunato a possedere quel genere di Talento, anzi, più che fortunato, giacché quel tipo di vita gli si confaceva. Anche di questo era consapevole. Con un sorriso storto sulle labbra, proiettò la propria impazienza verso il gregge, incitandolo a proseguire verso est. Era necessario che lo portasse a pascolare nelle terre vicino all'Altopiano di Aerlal - quanto più vicino possibile - se voleva che la qualità della lana fosse migliore. Lo strato interno del vello di montone nerino superava in morbidezza il piumino d'oca, era più fresco del lino in estate e più caldo della lana di pecora in inverno, ma più resistente del ferro, una volta subito il processo che lo trasformava in seta nerina. Lo strato esterno veniva usato per confezionare giacche più robuste e flessibili - e di gran lunga più leggere - delle cotte di maglia. Se sottoposto a pressione, il tessuto si consolidava e diventava duro come l'acciaio, così da poter essere usato come una specie di corazza, sebbene la sua relativa finezza non impedisse al corpo che ne era protetto di essere esposto a traumi: come Alucius aveva avuto modo di scoprire per esperienza personale, durante il periodo in cui aveva servito nella Milizia e nelle Guardie del Nord. La lana proveniente dalla tosatura degli agnelli o delle pecore era ugualmente morbida, ma non altrettanto compatta, e veniva utilizzata per confezionare gli indumenti delle signore di città, quali Borlan, Tempre, Krost e Porta del Sud. I pastori di Punta del Ferro potevano indubbiamente permettersi un tenore di vita alquanto confortevole, sempre che le pecore nerine o i loro predatori non li uccidessero prima. Alucius spronò il cavallo verso est, attraverso il terreno sul quale non crescevano altro che quarasote, i cui germogli più teneri servivano da nutrimento alle pecore nerine. Dopo il primo anno quei germogli si induriva-
no e, dopo il secondo, neppure un'ascia dalla lama affilata avrebbe potuto intaccarne la dura corteccia, mentre le spine lunghe un dito che si formavano a partire dal terzo anno erano capaci di lacerare il cuoio di qualsiasi stivale. Nei cespugli di quattro anni spuntavano minuscoli fiori color verde-argento, i quali si trasformavano poi in baccelli che esplodevano durante il gelo dell'inverno, facendo cadere i semi nel suolo sabbioso. Quindi i cespugli morivano, lasciando dietro di sé steli rinsecchiti, troppo ricchi di silice per poter essere bruciati, spezzati o tagliati. Eppure, essi venivano a poco a poco distrutti dalla terra e dagli scarabei dal guscio, che li divoravano. Tali erano le severe condizioni di vita nei territori circostanti l'altopiano e il motivo per cui ben pochi, nemmeno tra coloro che vi abitavano, amavano quei luoghi. Alcuni si lamentavano del vento, di come soffiasse violento e caldo per tutta l'estate e freddo e pungente nel corso dell'inverno. Alcuni affermavano anche che esistessero diversi tipi di vento, ma nessuno di cui ci si potesse fidare. Altri si lagnavano del clima secco, poiché ben poche forme di vegetazione, all'infuori dei quarasote e di qualche ginepro stento, crescevano nelle Valli del Ferro. Le stesse persone brontolavano perché in inverno il sole non trasmetteva calore, se non quando i suoi raggi si posavano sul fondo in durapietra della strada principale che correva da Glacenda, all'estremo nord, giù attraverso Chiusa dell'Anima e Punta del Ferro, e poi Dekhron e il fiume Vedra, fino ad arrivare a sud di Lanachrona. C'erano anche altre strade principali che, sebbene assiduamente percorse ai tempi del Duarcato, non avevano ora che un limitatissimo traffico di mercanti e viaggiatori. A circa trenta vingti a est si trovava l'Altopiano di Aerlal i cui bastioni rocciosi si ergevano in verticale per seimila iarde, o forse più. Tutti coloro che avevano tentato di scalarlo erano stati costretti a rinunciare ben prima di raggiungere la cima. Molti di essi erano scomparsi e le loro ossa venivano ritrovate di tanto in tanto da Alucius o da qualche altro pastore. Negli ultimi anni del Duarcato, i Duarchi avevano relegato i dissidenti e i malfattori a Punta del Ferro, destinandoli al lavoro nelle miniere e nel grosso stabilimento di frantumazione, dove venivano sorvegliati dai Cadmi, armati delle loro spade dalla lama a forma di saetta. In seguito, dopo il Cataclisma e la caduta del Duarcato, le miniere si erano esaurite nel corso dei millenni e Punta del Ferro, da quella piccola città che era, si era via via ridotta, fino a diventare un modesto paese sempre in lotta per la sopravvivenza. Poi, per molto tempo, le sue uniche fonti di sostentamento erano
state costituite dai pastori che abitavano i territori a nord, dalle segherie di Procellaria e dallo stabilimento dei gatti della polvere. Era lì che gli scorritori di Gortal raccoglievano la speciale forfora prodotta da questi animali e la trasformavano in polvere per sognare, polvere che veniva venduta a un prezzo ben superiore a quello della seta nerina nelle città lanachroniane del sud e che aveva un valore ancora più alto, quando veniva portata a oriente dai pochi mercanti che si spingevano lungo le antiche strade fino a Lustrea. Mentre si chiedeva come mai gli fosse sembrato che l'ariante guardasse proprio lui e se anche Wendra, alla fattoria, ne avesse avvertito la presenza, Alucius riportò l'attenzione sul montone che guidava il gregge. Con un mesto sorriso, scosse il capo e incitò il cavallo a proseguire, scrutando i cespugli e le collinette per individuare eventuali tracce di lupi. I sabbiosi, invece, non lasciavano né orme né segni visibili del loro passaggio. Mentre avanzava verso est, Alucius rivolse lo sguardo alla lunga cresta che lo separava dalla fattoria e da Wendra. Erano ormai sposati da più di tre anni e, sebbene lei fosse abile e ugualmente dotata di Talento, Alucius si preoccupava ancora ogni volta che la lasciava. 3 Dekhron, Valli del Ferro I due uomini erano seduti su poltroncine di legno davanti allo scrittoio di uno studio. Boccali di birra, colmi a metà, erano posati sul tavolino in mezzo a loro. Benché il caldo sole dell'estate picchiasse attraverso i vetri della finestra chiusa, entrambi gli uomini indossavano casacche e calzoni di pesante tessuto. «Quel pastore continua a preoccuparmi», dichiarò il mercante dal viso paffuto e dalla casacca azzurra con profili grigio scuro. Parlava a voce talmente bassa che chiunque si trovasse a più di una frazione di iarda da lui avrebbe fatto fatica a udire le sue parole. «Sai che ne è stato di lui, Tarolt?» «Dopo essere tornato alla fattoria due anni fa, si è dedicato alla moglie, alla famiglia e ad accrescere il suo gregge. Ha per caso mostrato di interessarsi anche solo una volta a ciò che succedeva fuori dalla sua proprietà e da Punta del Ferro?» replicò l'uomo più anziano, in tono altrettanto basso. «No, ma è stato capace di eliminare la Matride, oltre che Aellyan Edyss e più di dieci pteridon. Ha viaggiato attraverso le Tavole e ha ucciso uno
dei nostri, è tornato e ha distrutto la Tavola di Tempre, che comunque era già destinata a sparire. Dopodiché ha ucciso da solo più di venti sicari che gli avevano teso un agguato. E che erano stati pagati quattrocento monete d'oro...» «Erano solo spiccioli, Halanat, una miseria se paragonati a ciò che abbiamo guadagnato e che guadagneremo.» L'uomo dai capelli bianchi atteggiò la bocca a un freddo sorriso. «Credo proprio che abbia recepito il messaggio. Ha impiegato più di un mese a riprendersi e, come hai avuto modo di notare, in questi due anni ha a malapena messo fuori il naso dalla fattoria. E durante tutto questo tempo noi abbiamo realizzato molte cose. Disponiamo di un gruppo di lavoro qui e di una nuova Tavola perfettamente funzionante a Salaan. Abbiamo aiutato la Reggente della Matride a trovare alcuni informatori, anche se lei non lo sa. Abbiamo sempre più seguaci o, se preferisci, nostalgici del Vero Duarcato. Adarat sferrerà ben presto il primo attacco a sud. Il numero dei seguaci aumenterà, creando diversivi e scompigli in tutti i luoghi di Corus in cui noi non operiamo. Inoltre, le trattative con Adarat ci hanno procurato un buon tornaconto. Tra non molto saremo persino in grado di controllare la Reggente della Matride. Tutto ciò consentirà la costruzione di altre Tavole e la traslazione di un numero sempre maggiore di veri efrani, e questo mondo sarà di nuovo nostro, come avrebbe dovuto esserlo nell'ultimo millennio.» «E che succede se il pastore scopre quello che abbiamo realizzato? L'installazione della Tavola a Salaan ha richiesto un grosso dispendio di energia vitale, e non abbiamo ancora consolidato...» «Quando mai si è spinto più a sud di Punta del Ferro nel corso degli ultimi due anni? Questo è uno dei motivi per cui abbiamo fatto avere nuove ordinazioni di barili al padre di sua moglie. I suoi sono migliori e meno cari di quelli che i nostri mercanti comperano qui e, nel contempo, questo aiuterà la ragazza a starsene tranquilla e a non insistere affinché il marito trovi un'alternativa per aiutare il padre. E poi, chi o che cosa potrebbe richiamare la sua attenzione su di noi? Soprattutto adesso, con tutti i problemi che stanno venendo fuori a Corus?» La risata di Tarolt lasciava trasparire una punta di ironia. «Gli antichi abitanti potrebbero farlo, quelli della città nascosta. O gli effetti collaterali delle traslazioni. O la pura e semplice sfortuna.» «Ben pochi tra coloro che si sono nascosti sono sopravvissuti e, col passare del tempo, sono sempre meno numerosi. Tra qualche anno, saranno scomparsi del tutto.» Tarolt si accigliò. «Per quanto riguarda gli effetti
collaterali... c'è ben poco che possiamo fare, anche se vorrei, poiché ciascuno di essi equivale a una traslazione non riuscita. C'è sempre la possibilità che, essendo quelle creature attratte dal Talento, possano trovare il nostro pastore. Tuttavia... lui, che si è già imbattuto in sabbiosi, arianti e lupi della sabbia, potrebbe anche non trarre le dovute conclusioni, se ne incontra uno. O che si limiti ad aspettare. Se ben ricordi... è il tipo che fa ciò che è necessario, ma solo quando vi è costretto. È una delle sue più grandi debolezze. Noi dobbiamo solo fare in modo che non si senta obbligato ad agire. Ecco perché abbiamo evitato attività nelle vicinanze delle fattorie dei pastori.» «Ma come è possibile continuare a impedirgli di agire?» domandò Halanat. «Soprattutto quando intorno a lui avvengono sempre più traslazioni? Dobbiamo chiedere a Efra un appoggio maggiore. Ma come fare, con lui così vicino all'altopiano e con quel ficcanaso di Kustyl?» «Kustyl può essere tolto di mezzo.» «Così facendo, però, spingeremo il pastore a intervenire. Kustyl è il nonno della moglie.» Tarolt scosse il capo. «Hai ragione. Togliere di mezzo Kustyl servirebbe solo a mettere in guardia il pastore. Mi sa che tu hai in mente qualcos'altro. Di che si tratta, esattamente?» Halanat sorrise. «Il Signore-Protettore è sempre più preoccupato per la situazione che si è venuta a creare a Lanachrona. La Reggente della Matride sta riconquistando le città più meridionali intorno a Porta del Sud. Inoltre a Deforya la situazione è critica, e tra una stagione, a dir tanto, il governo del Landarco verrà rovesciato... Waleryn potrebbe lasciar intendere al Signore-Protettore che un comandante più abile sarebbe in grado di soffocare la rivolta a Hyalt. Un comandante particolarmente abile.» «Ma perché dovremmo mandare il pastore a combattere contro ciò che stiamo cercando di costruire laggiù? Non ha senso.» «Sai che non è rilevante il fatto che Adarat e i Duarchisti riescano a mettere in piedi una rivolta contro il dominio del Signore-Protettore. Ciò che ha importanza è l'entità della devastazione e dello scompiglio che si verranno a creare laggiù. Sensat si era impossessato di Adarat, quando questi si era recato a Hyalt l'anno scorso, e adesso lui è convinto di venire da Efra. E crede fermamente che nessun governante di Corus, neppure uno dotato di Talento, possa avere la meglio su di lui.» «E quindi?» chiese Tarolt. «Il Signore-Protettore penserà di trovarsi di fronte a una rivolta locale.
La Reggente vi scorgerà l'opportunità di indebolire Lanachrona e, con Adarat e il pastore impegnati sui due fronti, ci saranno disordini ancora maggiori...» «E questo potrebbe contribuire a tenere lontano il capitano pastore dalle Valli del Ferro e a diminuire il rischio che si renda conto di che cosa sta succedendo, dato che sarà impegnato a soffocare la rivolta e a pensare alla moglie lontana. Inoltre, il fatto che sia così a sud, renderebbe difficile agli antichi abitanti cercare di raggiungerlo, pochi e deboli come sono.» Tarolt si accigliò. «Ma il Signore-Protettore non darà ascolto al Nobile Signore Waleryn, e anche se lo facesse, esiterebbe a credergli. Se poi sapesse che lui non è più suo fratello ma un efrano-ombra, non gli crederebbe per niente.» «Ma non lo sa e non lo saprà mai. Waleryn può fare in modo che i messaggi e le informazioni raggiungano il maresciallo Frynkel e il maresciallo Alyniat. Può dire loro che il Signore-Protettore ha richiesto l'intervento del capitano maggiore affinché, con il grado di maggiore, assuma il comando dell'esercito per porre fine alla rivolta di Hyalt. Il capitano maggiore è noto per riuscire a ottenere grandi risultati con poco e questo piacerà al maresciallo Wyerl.» «Però tu non vuoi che Waleryn parli direttamente a Wyerl, vero?» «Non mi va che Waleryn passi troppo tempo con qualunque maresciallo, ma con Wyerl proprio non si deve incontrare. È troppo perspicace», replicò Halanat. «È anche probabile che il capitano maggiore si imbatta nei marescialli. E noi non vogliamo che sospetti una qualche... interferenza, specialmente con Wyerl.» «Credi che il capitano pastore sia così ricettivo?» «Anche di più, temo, ma se si incontra con i marescialli e non si accorge di niente...» «Allora non intuirà la nostra influenza.» Tarolt annuì. «C'è anche la possibilità che non riesca a sconfiggere Adarat, ma se ci riesce, lo scompiglio che si verrà a creare sarà solo a nostro vantaggio. E a quel punto sarà troppo tardi perché lui possa cambiare qualcosa. Se invece fallisce, avremo ancora meno problemi.» «Proprio così.» 4 Quando Alucius fece dirigere di nuovo il gregge verso la Cresta dell'O-
vest, il sole era praticamente arrivato a toccare l'orizzonte a ovest, oltre le distese di quarasote, illuminando con la sua vivida luce radente i fabbricati in pietra dai tetti ricoperti d'ardesia della fattoria, così che i muri, anziché la solita tonalità rossastra, avevano assunto un colore quasi grigio, mentre le lastre che fungevano da tegole da grigie erano diventate nere. Per mezzo del Talento, Alucius era in grado di percepire l'intreccio dei vari fili vitali: le sottili linee grigio scuro delle pecore nerine, quella giallo-dorata del suo cavallo e gli esili fili sparsi che denotavano la presenza delle glandarie grigie e degli scricci. Con un cenno di assenso, quasi a confermare a se stesso che tutto era come avrebbe dovuto essere, Alucius spinse il gregge verso l'ovile. Dopo aver sistemato le pecore al riparo per la notte e chiuso l'uscio con il catenaccio, condusse il cavallo nel secondo recinto, all'interno della stalla. Mentre finiva di governarlo nel tenue chiarore del crepuscolo - chiarore che però non gli impediva di vedere bene come in pieno giorno, grazie alla vista particolarmente acuta di cui i pastori erano dotati - venne raggiunto da Wendra. «Com'è andata la tua giornata?» le chiese, avvertendo il verde brillante del filo vitale di lei ancora prima che la sua sagoma si stagliasse in controluce sulla porta. «Le filiere si sono bloccate due volte. Ma ho sprecato solo una iarda di filato. Tua madre le ha controllate. Può darsi che durino fino al termine dell'estate, ma dovremo sostituire le valvole di controllo prima della stagione del raccolto. Se l'avessimo saputo prima...» «Avreste potuto chiedere al nonno di ordinarle, già che si trovava in città?» Wendra annuì. Alucius uscì dal recinto, chiuse il cancelletto e abbracciò a lungo la moglie sentendo, nel farlo, la lieve protuberanza del suo addome. «È sempre bello vederti. Sarò contento quando le operazioni di filatura saranno finite e tu potrai uscire con me a condurre le pecore al pascolo.» «Dopo ci sarà la tessitura», gli fece notare lei quando si sciolsero dall'abbraccio. «E non so per quanto tempo potrò ancora cavalcare per tutto il giorno.» «Almeno per un'altra stagione, stando a quanto dice mia madre. E poi io sono in grado di capire se ci sono problemi.» Rise. «E anche tu, ricordi? Senza contare che, durante le fasi della tessitura, potrai benissimo prenderti un giorno di riposo di tanto in tanto. L'aria fresca farà bene sia a te sia al
bambino. Lo so che adesso non puoi lasciare la filatura: ci vuole qualcuno che controlli sempre il filo.» Fece una pausa e aspettò che lei uscisse dalla stalla. Poi chiuse la porta con il chiavistello. «Come va con i solventi?» «Dovrebbero bastare per quest'anno.» «Ma tu non...» «Tua madre non mi lascia neanche avvicinare alla stanza dei solventi.» «Bene», commentò in tono fermo Alucius, prendendole il braccio. Insieme, si incamminarono verso la veranda che si trovava sul lato della fattoria rivolto a est. Alucius diresse lo sguardo a oriente, sull'Altopiano di Aerlal, e osservò gli affioramenti di quarzo dell'alta cresta occidentale che riflettevano i raggi del sole al tramonto. Proprio al di sopra della cima, pressoché invisibile in quel bagliore, si trovava il piccolo punto verde e luminoso di Asteria, la luna dell' antica dea cavallo, anche conosciuto come l'astro dell'infelicità. Selena, la luna più grande, non era ancora comparsa in cielo. «Esattamente in che punto pensi che si trovi la città nascosta?» domandò Wendra. «Da qualche parte lungo la costa occidentale, ma potrebbe essere tanto a sud, sulla dorsale vicino a Emal, quanto a nord, su quella rivolta su Chiusa dell'Anima, o addirittura su Glacenda. Faceva freddo lassù, ma forse perché era molto in alto.» «Riesce difficile crederlo», rifletté Wendra. Risultava difficile crederlo anche ad Alucius che lassù era rimasto relegato, mentre si rimetteva in forze dopo essere stato praticamente ucciso dagli ifrit e mentre veniva addestrato dalle arianti a comprendere e a utilizzare meglio il proprio Talento. «È difficile, finché...» «Lo so», disse lei stringendogli la mano. «Cosa abbiamo per cena?» «Le rimanenze di ieri. Abbiamo preparato uno sformato di pollo con ciò che è avanzato dalla cena di ieri sera.» «Non le avrai lasciato mettere...» Wendra scoppiò a ridere. «Non ci sono punte di quarasote, se è questo che vuoi sapere. Ci sono molte altre cose, ma non quello.» «Grazie.» «Lo so che non ti piacciono.» Salirono i gradini della veranda dirigendosi verso la porta d'ingresso a nord e poi verso la stanza da bagno. Alucius azionò la pompa a mano e riempì una bacinella d'acqua per Wendra, quindi, dopo che lei fu uscita per
finire di aiutare a preparare la cena, si lavò a sua volta. Guardò la propria immagine riflessa nello specchio, notando gli occhi grigio-argento screziati di verde e i capelli color grigio scuro: particolare, quest'ultimo, che l'aveva contraddistinto fin dalla nascita. Quando giunse in cucina, tutti gli altri erano già seduti a tavola e anch'egli si affrettò a prendere posto. «Chi di voi due vuole...?» chiese Lucenda, rivolgendosi al figlio e poi a Wendra. «Wendra», suggerì Alucius. Wendra sorrise al marito con aria di finta mestizia e scosse lievemente il capo, agitando i lucidi capelli castani. I quattro chinarono la testa. Wendra pronunciò la preghiera con voce chiara. «Nel nome di Colui che Era, È e Sarà, ti ringraziamo per ciò che abbiamo e per ciò che ci viene dato, e per questo cibo dinanzi a noi. Possa questa benedizione raggiungere coloro che lo meritano e che non lo meritano, e possano tutti impegnarsi a fare del bene in questo mondo e nell'altro.» Una volta finito, Wendra si alzò e cominciò a servire lo sformato di pollo porgendo i piatti, prima a Royalt, poi a Lucenda e ad Alucius e infine prendendone uno per sé. «Il pane è appena sfornato», dichiarò Lucenda. «Wendra ha insistito perché ci fosse almeno qualcosa di fresco questa sera.» «In ogni caso, non ce ne sarebbe stato abbastanza per cena.» Gli occhi della giovane donna scintillarono, mentre guardava Royalt. «Al ritorno dalla città morivo di fame», disse il nonno di Alucius in tono rude. «Il viaggio è stato lungo e caldo. E non avevo mangiato niente da stamattina a colazione.» «Ha portato un mezzo barile di riso del sud», disse Lucenda. «Ci tornerà utile quest'inverno.» «E anche delle mele verdi, di quelle che si conservano bene», aggiunse Wendra. «Ferrat aveva pronte le lame di ricambio per le forbici da tosatura. Sono costate due monete d'oro ciascuna.» Royalt scosse il capo. «L'ultima volta ne costavano solo una.» «Ma è stato quasi quattro anni fa», gli fece notare Lucenda. «I prezzi non dovrebbero raddoppiare in quattro anni. Kustyl mi diceva che un gruppo di coltivatori ha quasi ucciso un usuraio a Dekhron. Non uno dei cugini di Mairee, un altro. Uno che imbroglia.»
«Ha tutta l'aria di essere Ceannon», osservò Lucenda. «Adesso che mi ricordo, è proprio lui», disse Royalt. «Ai vecchi tempi non abbiamo mai dovuto preoccuparci degli usurai. Quest'unione con Lanachrona avrebbe dovuto impedire un aumento delle tasse e del costo della merce.» «Il fatto che una delle due cose non sia aumentata è già un bene», disse Lucenda. «Il Signore-Protettore non ha ritoccato le tasse.» «È per merito di Alucius, non è vero?» se ne uscì Wendra come ponendo una domanda casuale. Alucius sapeva che la domanda, ben lungi dall'essere innocente, era un modo discreto di ricordare agli altri ciò che lui aveva fatto. Royalt scoppiò in una risata. «Non si può certo dire che non stia dalla tua parte, Alucius.» «E su chi altri dovrei contare, se no?» Alucius sogghignò, ma il sorriso gli svanì subito dalle labbra. «Pensi che la maggior parte dei prezzi sia aumentata così tanto?» «Sì», disse Royalt. «A noi non va poi tanto male. Non ancora, perlomeno. Le quotazioni di seta nerina stanno raggiungendo le venticinque monete d'oro a iarda.» Il che, ad Alucius parve di ricordare, era quasi il doppio rispetto alle quotazioni più alte di due anni prima. «A noi va bene», fece notare Lucenda, «ma che succederà a quelli come Kyrial?». E così dicendo, lanciò un'occhiata a Wendra. «È stata dura per mio padre. Korcler me lo diceva la scorsa settimana, quando ci ha aiutato a caricare i nostri mezzi barili sul carro. Korcler mi ha detto però che papà aveva un possibile acquirente.» Indugiò. «Se non fosse per i lavori di cucito della mamma...» Alucius annuì. Lui e Wendra avevano offerto di nascosto qualche moneta d'oro a Clerynda - la madre di Wendra - ma, a causa dell'incremento nei costi del solvente e dei macchinari, ciò che potevano fare e che sarebbero riusciti a fare in futuro era alquanto limitato. «Non capisco perché sta succedendo una cosa del genere», commentò Royalt. «Non ci sono state né guerre né battaglie. Nel corso degli ultimi due anni è piovuto poco, ma abbiamo visto tempi peggiori.» «Forse a causa di tante piccole cose messe insieme?» ipotizzò Alucius. «Forse», concesse l'uomo più anziano. «Kustyl ha detto che i lingotti di stagno gli sono costati il doppio della loro quotazione abituale - e hanno dovuto acquistare quelli di Lustrea - e che anche il colorante viola per tin-
ture, quello che viene da Dramuria, ha subito un aumento di prezzo. È del parere che tra i mercanti di Dekhron stia succedendo qualcosa di molto strano.» «Nonno Kustyl si preoccupa sempre di ciò che succede a Dekhron», fece notare Wendra. «Perché c'è sempre molto di cui preoccuparsi», disse Alucius. «Se non a causa dei mercanti, sicuramente a causa del colonnello Weslyn.» «Weslyn non ti è mai piaciuto, vero?» chiese Royalt. «Non particolarmente.» «Kustyl non si esprime in termini così gentili nei suoi confronti», replicò Royalt. «Dice che è un essere spregevole. Uno che ti sorride davanti e poi ti avvelena la birra alle spalle. È sempre stato convinto che dietro la morte di Clyon ci fosse il suo zampino.» «Non credo che vi fosse implicato, almeno non direttamente», ribatté Alucius. «È troppo codardo. Quando Weslyn è diventato vicecomandante, qualcun altro ha fatto avvelenare Clyon, poiché sapeva che Weslyn si sarebbe ben guardato dall'inimicarsi qualcuno, men che meno i mercanti.» «Potrebbe essere andata proprio così. In tal modo, nessuno avrebbe potuto minacciarlo, visto che non era coinvolto direttamente nella morte di Clyon. Ma se il vicecomandante fosse stato qualcun altro...» «Ai tempi della milizia, prima di lui c'era Dysar. Credi che sarebbe stato meglio?» Royalt scosse il capo. «I mercanti come Ostar controllavano Dysar vello e corna. Proprio come succede adesso con Weslyn.» «Ma a Ostar non era successo qualcosa?» «È morto, e la stessa sorte è toccata a parecchi mercanti nel corso di questi ultimi due anni: incendi, malattie, qualcosa come sei o sette mercanti. Ostar era tra questi. In effetti, la maggior parte dei sostenitori di Dysar è stata eliminata. Ma si tratta degli stessi che erano anche dalla parte di Weslyn. Ed è questo che Kustyl e io non riusciamo a spiegarci.» «Ne è rimasto ancora qualcuno?» «Dei vecchi? Tarolt, credo, e suo nipote Halanat. Anche se mi pare che Halanat sia più dell'età di Kyrial, ormai.» «Li conosci?» «Solo di nome. Kustyl mi diceva di avere incontrato Halanat molti anni fa. Non gli era andato a genio allora, e non c'era motivo per cui lo dovesse rivedere.» Alucius rise.
«Possiamo smettere di discutere di quanto sia corrotta Dekhron?» chiese Lucenda. «Non c'è molto che si possa fare stasera. È rimasta mezza torta di mele dalla cena di ieri.» Senza attendere risposta, cominciò a tagliare le fette e a disporle sui piattini, che passò agli altri. Dopo averne mangiato un boccone, Wendra alzò gli occhi. «Nonno Kustyl si è fermato da noi oggi.» Alucius bevve un sorso di birra e ridacchiò. «Mi sembra che si fermi da noi molto più spesso di quanto non fosse solito fare.» «Vuole assicurarsi che la sua nipotina si prenda cura di se stessa», disse Lucenda. «È ancora stupito per il fatto che sia diventata un vero pastore.» «E ora mi sta tenendo d'occhio come se fossi una pecora da competizione», aggiunse Wendra. «Tutti voi avevate capito che ero un pastore nato, tranne lui.» «È stato Alucius», precisò Royalt. «È stato lui a dirmi di portarti con me quando uscivo a pascolare il gregge.» «Sono contento di averlo fatto», affermò Alucius. «Non vantartene troppo», lo ammonì Lucenda. Anziché replicare, Alucius mangiò un altro boccone di torta. «Hai visto di nuovo l'ariante?» chiese Royalt dopo un po'. «L'ho vista solo quella volta, una settimana fa», rispose Alucius. «Ricordo che un tempo le cercavo. Adesso... non so più se voglio vederle», replicò l'uomo più anziano. «Anche se non vorrei che sparissero del torto. Non si vedono più neppure così tanti sabbiosi.» «Esiste un legame tra i due», disse Alucius. «Continui a dircelo», osservò Lucenda, «ma non ci hai mai spiegato in che cosa consista questo legame». «Il motivo è che non lo so, come del resto continuo a ripetere. Ci sono alcune cose che non conosco.» «Sono contento di saperlo», commentò secco Royalt. «Stavo cominciando a credere che ti stessi prendendo troppo sul serio.» Alucius si sentì avvampare. 5 Il Duarcato durò due volte cinquecento anni e durante tutto quel periodo le sue strade principali in durapietra attraversarono Corus da nord a sud e da est a ovest, lasciando fuori solo l'Altopiano di Aerlal e le Incudini di Geenna. Magnifici carri percorrevano quelle strade, trainati dagli instanca-
bili buoi della sabbia. E carri di mercanti, trainati anch'essi dai buoi della sabbia, colmi di merci di qualsiasi genere: scura seta nerina dai territori a nord di Glacenda, lisce tavole di lorken da Hafin e Fola, vini e spumanti da Vyan e arazzi dalla lontana e bella Alustre. I Mirmidoni della Dualità sfrecciavano nei cieli sui loro pteridon, portando messaggi da una parte all'altra di Corus e andando alla ricerca delle solitarie arianti, che mandavano a pattugliare gli spazi aerei e terrestri al fine di renderli sicuri per il bene comune. Gli Alettri di Giustizia regnavano sulle città, sui paesi e i villaggi, garantendo la pace, così che ogni uomo, donna o bambino potesse camminare per i viali e le strade, per i boschi e i luoghi isolati, senza mai temere per la propria incolumità. I Cadmi, con le loro spade dalla lama a forma di saetta, contrastavano i barbari delle isole e i piccoli malfattori. Le navi delfino del Duammiragliato mantenevano gli oceani e le coste liberi da conflitti, scorrerie di pirati e saccheggi. Il sole brillava nel cielo verde-argento e benediceva il Duarcato e tutte le genti che vivevano sotto i suoi duplici scettri. Poi, in un attimo, il Cataclisma si abbatté su Corus e, nel giro di una stagione o forse meno, i buoi della sabbia caddero malati e sparirono. Gli pteridon si ridussero in polvere e sparirono anch'essi. I fiumi divennero rossi di sangue. Il ghiaccio cadde dai cieli. L'aria che era stata così mite e profumata si fece rarefatta e aspra come l'aceto. Il letto di ruscelli e fiumi si prosciugò e l'acqua smise di scorrere. I venti soffiarono dall'Altopiano di Aerlal con tale violenza che tutti gli alberi a sud delle Scogliere Atre vennero spazzati via in un solo pomeriggio e seppelliti sotto cumuli di sabbia, e quelle terre diventarono le Lande del Passato. Le valli rigogliose si trasformarono negli Stagni dello Sconforto. La bella Elcien, capitale d'occidente, sprofondò per un centinaio di iarde nella Baia Lucente, lasciando sporgere dal fango che ricopriva tutto solo la punta delle torri. L'accogliente e animata Ludar svanì in un istante dentro le acque e nessuno dei suoi abitanti fu mai più visto, così come le sue mura, le torri e i giardini... Estratto da Il Mantra del Lutto 6 Il giorno di duadi, Wendra stava guidando il carro verso Punta del Ferro,
con Alucius seduto al suo fianco, intento a osservare la strada principale e le distese di quarasote al di là. Accanto a sé, riposto nella custodia, teneva il pesante fucile. Ogni volta che vedeva il grigio fondo in durapietra della strada, non poteva fare a meno di provare meraviglia di fronte alla portentosa tecnologia sviluppata dagli antichi abitanti - o dagli ifrit - che avevano creato quelle pietre, più resistenti di qualsiasi altro materiale e che, se danneggiate, avevano la capacità di rigenerarsi da sole entro poco tempo. «Stai pensando alla strada, non è vero?» gli chiese Wendra con un sorriso. «Perché lo faccio sempre? Ha qualcosa che mi affascina.» «Credo che, in un certo senso, sia viva», replicò Wendra. «Non me l'avevi mai detto.» «Non ci avevo mai pensato.» Che cosa mai poteva rendere viva una strada? Alucius pensò alle grandi strade principali, soprattutto a quella che attraversava le alture della Dorsale Superiore e portava a Deforya, dove gli Antichi avevano scavato un passaggio nella montagna, costruendo un canyon artificiale perfettamente diritto. D'un tratto, avrebbe voluto prendersi a calci, o sbattere la testa contro qualcosa. E tutto questo perché non aveva mai considerato il fatto che le vie di comunicazione in durapietra potessero avere in sé una qualche forma di vita. Ma, dopo essersene reso conto e avere ricordato ciò che le arianti gli avevano insegnato, la conclusione gli parve ovvia. «Sei turbato, o preoccupato», osservò Wendra. «Lo sento.» «Rammenti, quando ti dissi che alcune terre sembravano morte, soprattutto a Deforya? È lì che hanno quella lunga strada principale e il canyon...» «Oh!» Wendra si portò la mano alla bocca. «Tu credi che...» «Non potrei provarlo, ma scommetto che gli ifrit hanno risucchiato la vita stessa dalla terra, riversandola nella strada. Non possono avere operato così dappertutto, ma sono quasi certo che, se guardiamo bene, lungo i fianchi delle strade principali troveremo delle zone ancora morte, o che un tempo lo erano e che adesso presentano solo limitatissime forme di vita.» «Sono stati capaci di una cosa del genere?» «Come credi che abbiano fatto, altrimenti?» Alucius indicò il pinnacolo dell'antica torre che si scorgeva dinanzi a loro in lontananza, il cui rivestimento in pietra verde brillante era visibile oltre le basse colline a nord, già a parecchi vingti. «Come credi che abbiano creato strutture capaci di giungere fino a noi attraverso i secoli? Se di notte osservi con il Talento il fon-
do delle strade principali, puoi vedere il bagliore che emanano. È solo che non avevo mai riflettuto su tale aspetto in questi termini.» Avrebbe dovuto farlo, ma chi sarebbe andato a pensare che qualcuno aveva dissipato le forze vitali in quel modo, o che era stato addirittura in grado di realizzare una simile impresa? «E perché mai avresti dovuto?» chiese Wendra. «Noi non ragioniamo così.» Alucius si limitò a scuotere il capo, domandandosi quale altra cosa altrettanto ovvia gli fosse sfuggita. Inoltre, era ancora preoccupato per l'apparizione dell'ariante. Di lì a non molto, dopo aver superato parecchie basse collinette, videro comparire sul fianco est della strada i recinti che delimitavano i lunghi capannoni di legno dove venivano allevati i gatti della polvere, capannoni ermeticamente sigillati per impedire che la polvere prodotta da quegli animali, più preziosa delle stesse pietre preziose grazie ai suoi poteri afrodisiaci, potesse filtrare all'esterno. «Hai mai più visto Alyna?» chiese Alucius. «No. Fatico a credere che abbia accettato di diventare una scorritrice. Mi sembrava una ragazza intelligente. Persino il Palazzo del Piacere potrebbe rappresentare un'alternativa migliore al lavorare tra i gatti della polvere di Gortal. Ma, evidentemente, lei non la pensa così.» Wendra sospirò. «Com'è possibile che alcuni...» Le parole le morirono sulle labbra. Dopo aver superato l'allevamento, Wendra diresse il carro verso la torre verde, dall'interno completamente cavo, e verso l'edificio basso che si trovava appena poco più a sud. I muri esterni della torre erano rimasti intatti e apparentemente nuovi, non per scelta, giacché i materiali da costruzione scarseggiavano a Punta del Ferro, ma piuttosto perché gli Antichi - o meglio, gli ifrit, come Alucius aveva appreso - erano ricorsi a un procedimento, la cui tecnica era andata ormai perduta, in grado di saldare le pietre insieme, impedendo così a qualunque scalpello, martello o mazza, o persino a qualcuno provvisto di Talento, di scalzarle dal loro supporto in muratura. Se poi l'interno non avesse goduto di altrettanta protezione o fosse sempre stato vuoto, era un particolare che Alucius non conosceva. Sapeva solo che torri simili sorgevano in diversi punti di Corus, prive all'interno di qualunque struttura muraria, persino di scalini o sezioni divisorie tra i vari piani. Ciò che restava della torre era un guscio cavo che si innalzava, inutile, per quasi cento iarde nel cielo verde-argento. Il Palazzo del Piacere, chiamato così alcune generazioni addietro, era un
basso edificio in pietra. I suoi costruttori, ormai scomparsi da alcuni secoli, avevano tentato di creare una parvenza di motivo sulla facciata, alternando le pietre di colore azzurro a quelle di colore verde. Sfortunatamente, dopo aver completato le prime cinque file di rivestimento, le pietre verdi erano finite e i muratori erano stati costretti a usare quelle gialle da interno. Col passare degli anni, il giallo era sbiadito diventando un pallido beige dai contorni irregolari e creando un contrasto persino più stridente con le pietre verdi e blu, che invece avevano mantenuto tutta la loro brillantezza. Sebbene fosse mattina presto, la sbarra per legare i cavalli davanti alla facciata era vuota e il palazzo era silenzioso. Wendra guidò il carro lungo il tratto deserto di circa un vingt che li separava dalle prime case, inoltrandosi poi nel centro abitato di Punta del Ferro e passando oltre la fucina, con il suo frastuono prodotto dal battere dei martelli e con il suo odore di ferro caldo che invadeva la strada e il sottile fumo bianco che usciva dal comignolo. I fabbricati che circondavano la piazza centrale erano tutti di due o tre piani e, sebbene la maggior parte di essi fosse adibita a pensione, erano tutti sufficientemente ben tenuti, eccezion fatta per le imposte e le porte dalla vernice scrostata. Sul fianco occidentale della piazza si trovavano le botteghe del bottaio, del venditore di candele e dell'argentiere. All'angolo c'era una locanda, la cui insegna blu riproduceva la sagoma del vecchio stabilimento minerario, da lungo tempo ormai caduto in rovina. Wendra fece fermare il carro di fianco al negozio del padre e Alucius balzò a terra e legò i cavalli al palo vicino al piano di carico per le merci. Poi i due entrarono insieme nell'edificio, accolti da un misto di odori di vernice, olio e legno. «Wendra! Alucius!» esclamò Kyrial salutando la figlia con un largo sorriso. «Come sono contento di vedervi! Pensavo che sarebbe venuta Lucenda a ritirare i barili.» «Il nonno e la mamma sono stati così gentili da lasciar venire noi», spiegò Alucius. Clerynda si precipitò fuori dalla stanza sul retro, correndo incontro alla figlia. «Wendra! Lascia che ti guardi!» Wendra arrossì. «Sto bene.» «Vedo. Hai un così bel colorito. Spero che sia un maschio.» «Sarà una bambina», disse Alucius, «e sarà un pastore come sua madre». Per un attimo, Clerynda tacque. Poi sorrise e scosse il capo. «I pastori! Ti tolgono il gusto della sorpresa.» Kyrial ridacchiò. «Non direi. È solo che questi due preferiscono farcene
altre, di sorprese.» «Sembri contento, papà», osservò Wendra, cercando palesemente di cambiare argomento. Kyrial sorrise alla figlia. «E ho ben ragione di esserlo, Wendra, dopo l'ordinazione che ho ricevuto ieri. Cinquanta delle mie migliori botti di quercia. Cinquanta!» «Chi mai potrebbe ordinarne una tale quantità?» «Un tizio che fa da mediatore per un gruppo di mercanti di Dekhron. Mi ha già pagato la metà dell'importo in monete d'oro sonanti.» «La fama della tua bravura si sta finalmente diffondendo, papà», dichiarò Wendra. «Ciò vuol dire che la consegna dei nostri barili per il solvente subirà dei ritardi?» Il tono di Alucius era divertito. «Per tutti i sabbiosi, no. I vostri sono quasi pronti, e la tua famiglia è stata per anni uno dei miei clienti più fedeli. I mercanti non avranno bisogno della prima partita di botti che fra un paio di settimane, e Korcler sta diventando bravissimo ad aiutarmi.» Kyrial lanciò un'occhiata al ragazzo seminascosto in un grosso barile di legno di quercia, intento a usare con mano esperta una pialla curva per ritoccare l'interno delle assi di sostegno. Korcler distolse lo sguardo dal suo lavoro e sorrise timidamente. «Scusami, Wendra. Avevo paura che, se mi fossi fermato, non sarei più riuscito a raccapezzarmici.» «Non ti preoccupare.» «I cinque barili sono pronti. Sono quelli vicino all'uscio che dà sul piano di carico», disse Kyrial. «Avremo pronti i mezzi barili e quelli da un quarto tra una settimana a partire da quattri.» «Tanto vale che li carichi subito.» Alucius si girò. «Ti do una mano», si offrì Korcler. «Wendra non dovrebbe...» «Non sono di porcellana», replicò Wendra. «Almeno non per un'altra stagione o due, in ogni caso.» Alla fine, Korcler, Alucius e Wendra caricarono il carro. Dopo aver assicurato i barili con le funi al pianale del carro, Alucius e Wendra tornarono nella piazza per dare un'occhiata alle merci esposte e comperare ciò che serviva. Più tardi, avrebbero dovuto fare un salto al mulino. Mentre si allontanavano dalla bottega del bottaio, Wendra disse: «Mio padre era molto contento». «Ovvio che fosse contento», rispose Alucius. «Gli è mai capitato di ri-
cevere un ordine di quell'entità?» «Che io sappia, no. Non in questi ultimi cinque, o forse dieci anni, perlomeno.» «Eri tu che tenevi i libri contabili prima che ci sposassimo. Ed eri tu che registravi tutte le ordinazioni?» «Quasi tutte. A volte, verificavo su quelli vecchi per vedere come la mamma avesse registrato alcune vendite, soprattutto se si trattava di qualcosa che non avevo mai fatto.» Wendra si girò verso Alucius. «Sei preoccupato, non è vero?» «Non dovrei, ma lo sono. Non posso fare a meno di chiedermi come mai abbia ricevuto una commessa così importante proprio adesso. Ma suppongo che si tratti di una semplice coincidenza.» «Ma tu pensi che non lo sia.» «No. Anche se non ho motivo di credere il contrario», ammise Alucius. Dopo un po' sorrise. «Vediamo se hanno delle pesche tardive. Al nonno piacerebbero molto.» «E a te no, forse?» Alucius arrossì, poi si strinse nelle spalle. Wendra si protese verso di lui e lo baciò sulla guancia. 7 Hieron, Madrien La donna nuda dai capelli rossi guardò il cerchio di mattonelle color oro delimitate da un bordo nero. All'interno si innalzava una colonna di nebbia dalle sfumature rosso-violacee appena percettibili. Il cerchio nero-dorato spiccava nitido contro il verde opaco del resto del pavimento della camera da letto. Fece un respiro profondo. Quindi, con un movimento convulso, quasi dovesse,attraversare una barriera impossibile a vedersi, avanzò di un passo, poi di un altro ancora, fino a trovarsi al centro dell'anello. Immediatamente, l'intero suo corpo si contorse, come se venisse colpito da pugni invisibili. Sulla candida pelle ricoperta di efelidi comparvero lividi che si fecero via via sempre più marcati. La donna aveva il respiro affannoso, ma restò ferma al suo posto, le membra che si contorcevano, come quelle di una marionetta azionata da fili. Trascorse oltre un quarto di clessidra prima che si decidesse a uscire dal cerchio, per poi sostare, ansante e ripiegata su se stessa, al di là della linea
formata dalle mattonelle nere. Già mentre si avviava adagio verso la stanza del guardaroba, i lividi che le ricoprivano ogni parte del corpo cominciarono a svanire, così come le efelidi. E quando si fermò davanti al grande specchio a figura intera per osservarsi, la sua pelle era diventata simile all'alabastro: bianca e intatta. Gli occhi, che un tempo erano stati azzurri, avevano ora assunto una tonalità blu-violetta e i capelli rossi si erano scuriti fino a diventare un cupo color mogano, molto più vicino al nero. Un freddo sorriso di trionfo le attraversò le labbra. «Ha funzionato», mormorò. «Le antiche tavole dicevano la verità. D'ora in poi sarò la Reggente solo di nome.» Dopo essersi allontanata dallo specchio, si infilò gli abiti che aveva preparato in precedenza: la tunica e i pantaloni viola, gli stivali neri e, come tocco finale, la collana di smeraldi. 8 Alucius stava in piedi nell'ombra, accanto a una lunga tenda viola fissata da un lato a un pilastro che era d'oro massiccio, non solo ricoperto da stucco dorato. Al di sopra della sua testa, ad almeno cinquanta iarde di altezza, si incurvava un soffitto di marmo rosa, le cui lastre di copertura erano state disposte con precisione tale da non lasciare alcun segno di giunzione o di stucco tra l'una e l'altra. Lo stesso marmo rosa rivestiva le pareti. Il pavimento della sala, che si estendeva per un centinaio di iarde alla sua destra, era costituito da sezioni ottagonali d'oro brunito e di marmo verde e ciascuna porzione di marmo riproduceva il motivo di una stella dorata a otto punte, le cui estremità erano rifilate da un metallo lucente che non era né oro né ottone. Sulla pedana si trovava un uomo alto, dall'immacolata pelle d'alabastro, dai serici capelli neri e dai profondi occhi violetti. Indossava una tunica verde brillante profilata di viola scuro, con pantaloni dello stesso colore. Gli stivali neri erano talmente lucidi da produrre bagliori metallici. Due figure più piccole - un uomo e una donna - stavano davanti all'uomo, intenti ad ascoltarlo mentre parlava. Benché nessuno dei due fosse di bassa statura, al suo confronto parevano bambini. Alucius rimase in ascolto. «Non avete capito niente. Sono trascorsi più di duemila anni da quando ce ne siamo andati e non siete riusciti a costruire nulla in grado di compe-
tere con ciò che vi abbiamo lasciato. Non avete imparato niente, nemmeno dai duplici scettri, dai libri nelle biblioteche e dalle Tavole. Litigate tra di voi come bambini viziati. Eravate circondati da meraviglie, eppure avete trovato solo il modo di sprecare la vostra vita.» L'uomo sollevò la testa e parlò, ma Alucius non fu in grado di udire le sue parole. L'ifrit vestito di verde scoppiò a ridere, una risata lunga e melodiosa, poi scosse il capo. «In tutti i mondi dell'universo non esiste qualcosa come "diritto" intrinseco o giustizia. All'universo non importa. Le sue leggi ricompensano la capacità di sopravvivere e il potere. Se volete ciò che chiamate giustizia, dovete avere la forza e la volontà di crearla e di farla rispettare.» Anche la donna parlò e, di nuovo, Alucius non riuscì a sentire le parole. Prima di rispondere, l'ifrit sorrise con aria di condiscendenza. «Noi produciamo splendore, bellezza e grazia. Produciamo forme d'arte impareggiabili, laddove non ne esistevano. Dal fango e dallo squallore realizziamo le cose che avete visto. Tutto ha un prezzo. Un mondo può durare in eterno e valere meno di niente - o non avere eguali per arte e magnificenza - e brillare solo per un tempo limitato.» L'uomo disse qualcosa. «Vi era stata data l'opportunità e non avete saputo coglierla. Voi, come tutti quelli della vostra specie, avete sciupato ciò che vi era stato donato. Ci vuole ben più che non la semplice fortuna o la comune abilità per esercitare la volontà, per trasformare ciò che è degrado e squallore in valore e grandezza. Soprattutto in un mondo di uomini meschini e gelosi. Potevate scegliere tra l'essere i figli del Duarcato, coloro che l'avrebbero fatto rivivere, o dei lamari. Non avete intrapreso nessuno dei due percorsi, il che equivale a niente... e il niente non conduce a niente.» A quel punto, la grande sala cominciò a ruotare e le pareti ad avvicinarsi ad Alucius... sempre di più... sempre di più... Alucius balzò a sedere nell'ampio letto a due piazze, tremante e madido di sudore. Di lì a un attimo, si asciugò il volto grondante. Wendra gli mise una mano sulla spalla. «Era solo un sogno. Solo un sogno.» «Era uno di quei sogni», disse Alucius con voce roca. «Dove un ifrit spiega come mai noi - cioè io - abbiamo sbagliato. Non ne avevo più fatti... da quando... ero nella città nascosta, e anche prima.» «Era solo un sogno...» Ma la voce di Wendra lasciava trasparire una
punta di incertezza. 9 Alucius e Wendra scendevano a cavallo il fianco della collina, dirigendosi verso est, nel grigiore che precedeva l'alba di una mattina di fine estate, grigiore che ben presto sarebbe stato illuminato dai raggi verde-dorati del primo sole. A ovest, il mezzo disco di Selena stava impallidendo, mentre il cielo verde-argento si faceva più chiaro. Asteria era ormai tramontata da un pezzo. Per il momento, il gregge non si era troppo disperso, il che significava che Alucius e Wendra avrebbero potuto cavalcare vicini ancora per un po'. Ben presto, i montoni si sarebbero spinti più lontano per perlustrare il terreno tutt'intorno, mentre le pecore e gli agnellini più giovani si sarebbero attardati a brucare, restando distanziati dal resto del gruppo. In tal modo, sarebbero stati maggiormente esposti agli attacchi dei lupi della sabbia e dei sabbiosi, la cui presenza diventava più probabile a mano a mano che ci si allontanava dalla fattoria. Alucius guardò Wendra e non poté impedirsi di sorridere. Lei si girò. «Mi piace quando mi guardi così.» «Sono contento che ti piaccia.» Ma, d'altra parte, lui l'aveva sempre guardata in quel modo, sin da quando l'aveva vista la prima volta durante una festa, sulla veranda della fattoria del nonno, intenta a servire rinfreschi. Proseguirono per un altro centinaio di iarde, poi Alucius fece affiancare il suo cavallo grigio al sauro di lei. «Ricordi che ti avevo spiegato cosa avevo fatto con le cartucce utilizzate per uccidere gli pteridon?» disse Alucius. «Quelli nei quali ci siamo imbattuti dopo che avevamo lasciato Deforya.» «Certo», rispose Wendra. «E io ti avevo detto che l'ariante aveva insegnato anche a me qualcosa di simile. È da più di un anno che non ne parlavi. Perché tiri in ballo questo discorso proprio adesso? Si tratta forse del sogno che hai appena fatto?» «L'ultima volta che feci un sogno del genere fu appena prima di incontrare gli ifrit.» «Credi che possano ricomparire?» «Non lo so. Ma se così fosse, o se ci dovessimo imbattere in creature talentose... voglio essere certo che tu sappia bene come affrontarle.» «Ma l'ho già fatto... rammenti?»
«Sicuro», disse Alucius. «Ma... sono preoccupato. E avrei dovuto parlartene prima per togliermi questo pensiero.» Alucius aggrottò la fronte, poi proseguì: «Sai, quando ci penso, mi sento inquieto». «È forse perché ci serviamo dell'energia vitale?» «Sì. Non ne occorre molta e possiamo attingerne un po' qui e un po' là. Almeno credo, mi auguro che sia proprio ciò che ho fatto.» «Mostramelo. Starò a guardare.» Wendra lanciò un'occhiata al gregge, poi riportò lo sguardo su Alucius. Questi estrasse una cartuccia dalla cartucciera delle Guardie del Nord che quella mattina, per la prima volta dopo molto tempo, si era portato appresso. Tenne la cartuccia sul palmo della mano. Quindi cominciò a rivestirla con lo stesso tipo di oscurità che gli aveva permesso di abbattere gli pteridon. Non appena sentì che era carica, si protese verso Wendra e gliela porse. Lei la esaminò, poi gliela restituì. «Sembra che non ne sia servita molta, di energia.» Alucius passò alla moglie una seconda cartuccia. «Prova tu adesso.» Wendra la prese. Quasi senza sforzo apparente, infuse energia vitale nella cartuccia, assicurandosi che nemmeno un briciolo di essa andasse perduto in corrispondenza del bossolo o nella polvere da sparo. «Ti eri per caso già esercitata a farlo?» «Chi, io?» Gli angoli della bocca di lei tremarono nel tentativo di trattenere un sorriso. «Solo un paio di volte.» Alucius scosse il capo. «Sapevo che non avrei dovuto preoccuparmi.» «Mi fa piacere che tu ti preoccupi. Solo, non vorrei che tu stessi troppo in ansia per me.» Lui rise. «Sei molto brava a placare il mio orgoglio.» Lei ridacchiò. «E tu sei bravo a riconoscerlo.» Alucius non poté fare a meno di ridere a sua volta, mentre sperava con tutto il cuore che la moglie non dovesse sperimentare la propria abilità con le cartucce nell'immediato futuro. Ma sentiva, purtroppo, che quella era una vana speranza. Un lieve cipiglio gli attraversò la fronte. «Ho fatto qualcosa che non va?» chiese Wendra. «No. Stavo solo riflettendo. Sull'oscurità che assorbo, che assorbiamo.» «Credi che così facendo si rubi energia a qualche forma di vita? Riesci a capire se ne manca intorno a noi?» domandò Wendra. Alucius esaminò la zona circostante. Non percepiva alcuna differenza.
Poi si concentrò a rivestire la cartuccia che si trovava nella camera di caricamento del fucile con dell'altra oscurità, cercando di capire da dove l'attingeva. «Prendi energia un po' dappertutto», osservò Wendra. «Adesso provo di nuovo io e tu stai a guardare.» Mentre Wendra si accingeva a compiere l'operazione, Alucius osservò con attenzione. «Da quel che riesco a percepire», disse, «mi sembra che tu abbia ragione». «Il che significa che non dobbiamo preoccuparci. Non troppo, perlomeno. Scommetto che una parte dell'energia vitale che consumiamo si rigenera nel giro di qualche giorno, proprio come succede a noi quando lavoriamo troppo e ci stanchiamo e poi recuperiamo le forze col sonno e col cibo.» Alucius lanciò un'occhiata al montone guida e vide che il gregge si era mantenuto compatto. Guardò verso il fondo, ma le pecore non si erano allontanate. «Le creature talentose, però, risucchiavano energia vitale da ogni cosa. O almeno così sembrava.» «Forse perché non venivano da Corus? E quindi non erano collegate alla terra come noi, o come lo è tutto ciò che cresce qui.» «Può darsi.» L'osservazione di Wendra aveva una sua logica e Alucius non riuscì a trovare una spiegazione migliore. Quello poteva anche essere il motivo per cui gli ifrit erano così pochi. Ma l'ariante gli aveva fatto capire che, un tempo, dovevano essere stati molto più numerosi: centinaia, se non migliaia. Alucius si sentì tremare al pensiero degli ifrit e delle selvagge creature talentose venute da altri mondi a risucchiare tutte le energie vitali di Corus. Ma del resto cosa avrebbe potuto fare al momento? Non sapeva neppure se ne sarebbero comparse altre... o in quale parte di Corus sarebbero potute arrivare. Non c'era davvero ragione perché si presentassero alla fattoria, o si sbagliava? «Sembri preoccupato.» «Stavo pensando agli ifrit. Anche se, per ora, non possiamo fare niente.» Portò lo sguardo sul fronte del gregge e si alzò sulle staffe per vedere meglio. «Uno dei giovani montoni si è allontanato. Ti va di radunare le pecore che sono rimaste indietro?» «D'accordo, me ne occupo io.» Alucius incitò il cavallo ad avanzare. Gli ifrit e la Talento-energia a-
vrebbero dovuto aspettare. 10 Tempre, Lanachrona La calda luce dorata del sole del tardo pomeriggio si riversava attraverso le finestre rivolte a ovest del quartier generale delle Guardie del Sud. Tre uomini erano seduti intorno a un modesto tavolo rotondo. La superficie del tavolo mostrava il disegno a intarsio di un fiore di melopruno e l'unica gamba centrale che lo sosteneva era di legno di quercia stagionato e dorato. I due uomini più anziani indossavano le uniformi blu e panna delle Guardie del Sud. Il terzo uomo, più giovane e massiccio, portava una tunica marrone di taglio tradizionale bordata di nero. I capelli scuri erano pettinati all'indietro a lasciare scoperto il viso dalla carnagione pallida, e gli occhi, ugualmente scuri, fissavano ora l'uno ora l'altro ufficiale. «Ho sentito dire che a Hyalt ci sono stati... dei disordini. Non appena ne ho avuto notizia, ho chiesto di incontrarvi.» Il maresciallo biondo inarcò le sopracciglia. «Ho la netta impressione che siate stato informato dei... disordini di Hyalt contemporaneamente a noi, nobile Waleryn.» «Ho le mie fonti, maresciallo.» «E che cosa vi aspettate da noi?» chiese il maresciallo dai capelli più scuri, il cui occhio destro si contrasse un paio di volte in un tic. «Che ci congratuliamo con voi per queste fonti?» «Congratularvi per questa mia semplice abilità, maresciallo Frynkel? Sarebbe troppo presuntuoso da parte mia.» Waleryn sorrise mesto. «Che lo crediate o no, sono preoccupato per Lanachrona. È questo il motivo per cui ho chiesto di incontrarvi.» Nessuno dei due marescialli tentò di nascondere la propria incredulità. Waleryn scoppiò a ridere. «Vedete? Ora... se due valorosi ufficiali come voi si mostrano sorpresi di fronte alle mie preoccupazioni, come pensate che reagisca il Signore-Protettore mio fratello nell'udire quello che sto per raccontare? Sempre che acconsenta a concedermi udienza.» «Date le circostanze, forse dovremmo prima sentire ciò che avete da dire», suggerì Alyniat. «Vi dispiacerebbe illuminarci?» Le dita della mano destra battevano adagio sul piano del tavolo. «Mio fratello possiede un animo più nobile del mio. Tutti lo sanno. A
volte, persino troppo nobile.» Waleryn scosse il capo. «Non vi sto per proporre qualcosa di sconveniente. So che il vostro esercito è sottoposto a notevoli pressioni e che le Guardie del Nord possono offrire ben poco aiuto a quelle del Sud. E che un ulteriore reclutamento di uomini non sarebbe comunque in grado di fornire un numero sufficiente di cavalleggeri e di fanti per soffocare i disordini che si stanno verificando a Hyalt. E che non si riuscirebbe neppure a trovare mercenari fidati da arruolare, anche se ci fosse il denaro per farlo. Concordate con me?» «In linea di massima, sì», ammise Alyniat, «ma qualora ripeteste ad altri ciò che ci siamo appena detti, saremmo pronti a negarlo». «Non sto giocando con le parole, nobili marescialli. Non intendo usare le parole per ferire o causare problemi a mio fratello o a Lanachrona. Mi è venuto in mente che c'è il modo di gestire lo scontento che sta divampando a Hyalt, evitando al tempo stesso di indebolire le nostre forze impegnate nella difesa di Porta del Sud e dei territori di sudovest, o quelle di stanza ad Armonia.» «Oh?» l'esclamazione di Frynkel suonava molto dubbiosa. Il suo occhio destro si contrasse di nuovo. Alyniat non si curò neppure di commentare, ma il tamburellare delle dita rallentò. «Mio fratello non prenderebbe in considerazione una tale eventualità e ne comprenderete il motivo, quando ve l'avrò spiegato. Ricorderete sicuramente un certo capitano maggiore delle Guardie del Nord... colui che sconfisse diecimila nomadi con cinque sole compagnie, assumendone il comando dopo che tutti i suoi superiori erano stati uccisi in battaglia.» «Il capitano maggiore Alucius? Il Signore-Protettore lo congedò dal servizio in segno di gratitudine. Non può essere richiamato.» «Ciò che dite è giusto, maresciallo. Ma... che succederebbe se gli fosse chiesto di tornare in servizio? Come favore personale al SignoreProtettore. Magari con il grado di maggiore.» «E perché mai dovrebbe accettare?» Waleryn sorrise. «Perché, se le Guardie del Sud si devono occupare della rivolta di Hyalt, la difesa di Lanachrona contro la Reggente della Matride risulterà indebolita. E l'effettivo delle Guardie del Nord è già al limite. Le Valli del Ferro non sono in grado di fornire altri giovani uomini per costituire nuove compagnie, almeno non senza attingere ulteriormente dalle casse dei mercanti e degli artigiani e rompere le promesse fatte a suo tempo dal Signore-Protettore. Ora... non sto dicendo che mio fratello deb-
ba ignorare queste promesse. Il che sarebbe alquanto insensato, per molte ragioni. Ma di certo qualcuno potrebbe lasciar intendere al capitano pastore che il Signore-Protettore si trova a dover fronteggiare una situazione insostenibile...» Alyniat guardò Frynkel, che gli fece un impercettibile cenno di assenso. «Quello che possiamo promettere, nobile Waleryn», assicurò Alyniat, «è che prenderemo in considerazione il vostro suggerimento. E se, dopo averci riflettuto, riterremo che sia meritevole di essere messo in pratica, ne informeremo il maresciallo Wyerl». Waleryn si inchinò. «È tutto ciò che vi chiedo, marescialli, e non pretendo niente di più. Sono convinto che abbiate compreso le ragioni che mi hanno spinto a parlarvi. Volevo che questa proposta venisse valutata in base ai suoi meriti e non tenendo conto delle fonti dalle quali proviene.» «Ci rifletteremo», ripeté Alyniat. Dopo essersi prodotto in un altro inchino, Waleryn si girò e se ne andò. «Che ne pensi?» chiese Alyniat dopo che la porta dello studio si fu richiusa alle spalle di Waleryn. «Queste famose fonti mi preoccupano. Mi piacerebbe sapere chi sono.» «Credi che siano le stesse che forniscono informazioni alla Reggente della Matilde?» «Può darsi di sì, come può darsi di no. Non sappiamo.» Frynkel si strinse nelle spalle. Poi posò il palmo della mano sull'occhio destro, lasciandovelo a lungo. «E Waleryn ha la capacità di far sembrare diritta una strada tortuosa. Questo è vero. Tuttavia... non ha torto circa la situazione in cui ci troviamo. Anzi, direi piuttosto che sia ancora più difficile di quanto lui l'abbia descritta.» Alyniat lanciò un'occhiata attraverso la finestra, al sole ormai basso sull'orizzonte. «Un altro aspetto da tenere presente è che il capitano maggiore Alucius è conosciuto non solo per essere un eccellente comandante, ma anche come qualcuno in grado di istruire delle reclute in modo efficace e veloce. Alla forza che gli daremo in dotazione, potremmo affiancarne anche altre formate da uomini addestrati solo in parte...» «Dovremo ridargli il comando della sua compagnia.» «I suoi uomini saranno probabilmente contenti di servire sotto di lui.» «Ma lui sarà d'accordo a tornare in servizio? Seppure con la promozione al grado di maggiore?» «Non è uno stupido. Se deve scegliere tra proteggere le Valli del Ferro combattendo o lasciare che cadano nelle mani dei matriti, dopo tutto quello
che ha passato, accetterà. Magari la cosa non gli piacerà, ma dirà di sì.» «E il Signore-Protettore? Come faremo a convincerlo?» «Non saremo noi a farlo.» Alyniat scoppiò a ridere. «Lo farà Wyerl. Dovremo solo fornirgli le argomentazioni da presentare al SignoreProtettore.» Frynkel si unì alla risata dell'altro, ma da essa trasparì una punta di amara ironia. 11 Un'altra settimana era trascorsa dal viaggio di Alucius e Wendra a Punta del Ferro, dieci lunghi giorni di permanenza alla fattoria. La mattina di tridi si annunciò più grigia e fredda del normale, più simile a una giornata di fine stagione del raccolto o addirittura d'autunno, con nuvole scure che sopraggiungevano turbinando da nord, dalle Sabbie Gelate e dalle Lande del Passato, e si dirigevano a sud, nuvole pregne dell'acqua scagliata dall'oceano contro le Scogliere Atre e raccolta dal vento. Wendra era uscita una sola volta a pascolare le pecore con Alucius e già tra poco meno di due settimane sarebbe giunta la fine dell'estate. Mentre Alucius si allontanava a cavallo dalla fattoria dirigendosi verso nordest, su per il fianco in leggera salita della Cresta dell'Ovest, trovò difficile credere che fossero già passate un paio di settimane da quando aveva visto l'ariante. Neppure aveva scorto o percepito tracce di sabbiosi e, in base a ciò che gli aveva detto Kustyl, nessun altro ne aveva avvistati. Non solo era preoccupato circa il significato che la comparsa dell'ariante poteva avere, ma anche per il sogno che aveva fatto. Sebbene non ritenesse gli ifrit degni di alcuna fiducia, le parole del sogno lo inquietavano. Chissà se aveva davvero sciupato i suoi giorni, quando invece avrebbe dovuto fare qualcosa? Ma cosa? Non poteva certo andarsene in giro a cavallo per tutta Corus, usando il Talento per scoprire se i suoi abitanti fossero posseduti dagli ifrit. Non aveva né tempo né denaro da dedicare a una simile impresa. Se avesse posseduto una delle antiche Tavole, sarebbe stato diverso, ammesso che avesse osato correre i rischi che il loro utilizzo comportava. Poiché i temporali rendevano a volte più arditi i lupi della sabbia, Alucius aveva portato con sé due fucili, servendosi della doppia custodia da sella che aveva usato molto raramente da quando aveva lasciato le Guardie del Nord. Sperava di non dover ricorrere alle armi, ma preferiva saperle a portata di mano piuttosto che rimpiangere di non averle.
Ancora una volta, scrutò l'altopiano e le basse colline a nord. Per il momento, il vento era solo poco più di una lieve brezza, ma le nuvole scure che si stavano ammassando da quella parte lasciavano presagire un imminente cambiamento. Eppure, essendo ancora estate, non poteva non lasciar pascolare le pecore liberamente tra i cespugli di quarasote, se voleva che la loro seta nerina fosse di qualità superiore. Il vento continuò a soffiare leggero, persino dopo che Alucius ebbe condotto il gregge sul pendio orientale della Cresta dell'Ovest e si fu diretto a est, attraverso un pascolo per il quale non erano più passati da oltre un mese. Proseguì finché non ebbero percorso altri quattro vingti e, per tutto il tempo, non smise di controllare le nuvole e il vento, sia con il Talento sia con i sensi. Le pecore erano ferme a brucare i germogli più recenti dei quarasote da non più di mezza clessidra, quando il montone guida sollevò la testa. Alucius avvertì l'apprensione dell'animale e fece avanzare il cavallo, muovendosi con cautela attraverso l'ampio spazio lasciato tra un cespuglio e l'altro. Sebbene i getti fossero ancora abbastanza flessibili, le spine che vi si nascondevano alla base erano già in grado di lacerare la pelle e la carne di chiunque si fosse avventurato troppo vicino. Un secondo montone alzò la testa, imitato da parecchie pecore. Gli altri maschi del gruppo si fecero avanti, fianco a fianco, e si piazzarono accanto al montone guida, pronti ad abbassare le corna. Le pecore si strinsero alle loro spalle, spingendo con piccoli colpi del muso gli agnelli verso il centro del gregge. Un refolo di vento più freddo giunse da nord, per poi esaurirsi subito, ma la calma durò solo alcuni momenti. Le gelide raffiche ripresero vigore e il cielo si fece più scuro, mentre le nuvole si ammassavano e addensavano. Alucius si chiese se non fosse meglio tornare indietro. Di solito, era in grado di prevedere temporali di simile entità. Ma forse era stato tratto in inganno perché troppo assorto nei suoi pensieri? O si trattava di una finta tempesta indotta dal Talento di qualcuno? Il montone guida emise un richiamo basso, che ricordava quasi il suono di una tromba. Alucius percepì la presenza dei lupi della sabbia, una sfumatura grigiovioletta che proveniva da sud, altrettanto palpabile al Talento quanto il vento che sentiva sul viso. Fece girare il cavallo in quella direzione e si avviò verso il fondo del gregge. Un'improvvisa folata gli sollevò contro
una nuvola di terriccio sabbioso, ma Alucius prosegui. Nel frattempo, estrasse un fucile dalla custodia, lo armò e continuò a scrutare a sud e a est. Al di là della cortina di sabbia e polvere, a più di mezzo vingt di distanza a est, intravide le ombre furtive dei lupi della sabbia che si muovevano tra i cespugli di quarasote, a malapena distinguibili nell'aria cupa, più simile a quella del crepuscolo o dell'alba, piuttosto che di metà mattina. Le lunghe zanne di cristallo scintillavano, sebbene non riflettessero alcuna luce. Fermi! Alucius proiettò il comando verso il branco che si avvicinava. Alcuni membri del gruppo parvero rabbrividire e uno di essi emise un guaito, lasciandosi cadere accanto alle foglie argentee di un quarasote di tre anni. Il capobranco rallentò l'andatura, ma continuò ad avanzare verso il gregge. Di lì a poco, anche gli altri lo seguirono, seppure con maggiore cautela. Pericolo! Fermi! Alucius udì provenire da qualche punto imprecisato un altro guaito, come se le sue intimazioni avessero causato dolore, ma il branco - composto in tutto da otto lupi della sabbia - non accennò a fermarsi. D'un tratto, un giovane montone si frappose tra uno dei lupi all'estremità del gruppo e una pecora e, senza nemmeno raspare il terreno in segno di avvertimento, si lanciò contro l'avversario. Sorpreso dalla mossa inaspettata, il lupo della sabbia - uno degli animali più giovani del branco - tentò di schivare l'attacco, ma fu troppo lento e le nere corna del montone, taglienti come lame di rasoio, gli si conficcarono in profondità nel petto. Il lupo vacillò e le gambe gli cedettero. Approfittando di quella pausa, Alucius alzò il fucile e lo puntò sul capobranco. Bang! La pallottola centrò in pieno il torace. Bang! La seconda pallottola colpì un altro lupo, e Alucius riarmò rapido il fucile e mirò a quello successivo. Bang! Il terzo lupo della sabbia crollò a terra, poi rotolò su se stesso e tentò di rialzarsi. Un'ondata di odio, sete di sangue, rabbia e paura - tutti quei sentimenti e anche di più - investì il pastore. Il cavallo grigio scartò di lato, sbuffò e arretrò di un passo. Un lamento prolungato si levò da qualche parte, e Alucius sentì che il branco si fermava, seppure con riluttanza. «Buono... buono...» Alucius aveva già ricaricato il fucile. All'improvviso, sagome scure si riversarono tra i cespugli di quarasote,
dirigendosi verso Alucius e il gregge. Sagome simili ai sabbiosi, ma che sabbiosi non erano. Sagome dalle sfumature talentose, circoscritte da un'invisibile aura violacea e bluastra e prive di fili vitali. Alucius si fermò giusto il tempo di rivestire con l'oscurità le rimanenti cartucce nel caricatore, per poi fare fuoco. Ogni volta che una delle figure simili ai sabbiosi veniva colpita, esplodeva, bruciando della stessa fiamma azzurrognola che Alucius aveva avuto occasione di vedere solo due volte prima di allora: quando aveva combattuto a Deforya e quando ne era appena partito. Fece un rapido cambio di fucile, avvolgendo l'oscurità della vita attorno a un'altra serie di cartucce e svuotò anche quel caricatore. Era rimasto un solo sabbioso scuro, che si stava dirigendo a passo di carica verso di lui. Il pastore ripose il fucile nella custodia con la mano destra ed estrasse la sciabola con la sinistra. Mentre si lanciava in avanti, proiettò il Talento sulla lama, ricoprendola di oscurità dalle sfumature verdi e dorate, e vibrò un fendente. L'impatto che ne ricevette fu simile a un colpo inferto alla dura roccia, e l'intero suo braccio vibrò. Il sabbioso scuro sembrò accartocciarsi su se stesso. Alucius spronò il cavallo oltre la nera sagoma che stava collassando, giusto in tempo per evitare l'ondata di calore generata dall'esplosione che seguì. Mentre le fiamme svanivano lasciando solo alcune tracce untuose sul rosso terreno sabbioso, Alucius controllò il gregge. Una pecora - quella che si era allontanata dal gruppo - giaceva a terra morta. Così come il giovane lupo della sabbia aggredito dall'altrettanto giovane montone. Alucius si chiese se questi fosse uno dei discendenti di Agnellino. Riportò lo sguardo sulla pecora uccisa, richiamato dalla puzza improvvisa che scaturiva da quel corpo, che cominciò rapidamente a decomporsi sotto ai suoi occhi. Poi la carcassa venne avvolta da fiamme azzurrognole, e ben presto non rimasero che pochi residui untuosi. Alucius fece girare il cavallo e si diresse verso la testa del gregge, scrutando la distesa di quarasote con gli occhi e con il Talento. Non vide nulla di strano. Persino i lupi della sabbia erano fuggiti, lasciando dietro di sé cosa insolita per loro - i cadaveri degli animali uccisi. Lanciò un'occhiata al cristallo nero del para-polso d'argento da pastore, ma vide che non era né più caldo né più freddo del solito. Si chiese se Wendra avesse percepito qualcosa attraverso l'anello che portava, e che era collegato tramite il Ta-
lento al suo para-polso. Udì sopra la sua testa un forte fragore di tuono e vide che il cielo si era fatto ancora più cupo. Sottili gocce di pioggia simili ad aghi cominciarono a cadere quasi in orizzontale dalle nuvole basse, sferzandogli il viso. Alucius serrò le palpebre, rimpiangendo di non aver saputo prevedere la violenza di quel temporale. Si guardò intorno, socchiudendo gli occhi per proteggersi dalla pioggia e dal vento, la furia dei quali stava però già cominciando a placarsi. Là in alto, le nuvole, che prima erano scure, si stavano rapidamente assottigliando, lasciando intravedere alcuni frammenti di cielo terso color verdeargento. Alucius continuò a esaminare il terreno disseminato di cespugli che si stendeva a sudest, spingendo lo sguardo fino all'avvallamento nel quale i lupi erano spariti, e ricaricò entrambi i fucili. In tutti quegli anni, non gli era mai capitato di vedere nulla di simile alla scena cui aveva appena assistito. Naturalmente, se escludeva le battaglie combattute contro gli pteridon di Aellyan Edyss e le creature talentose che avevano assalito lui e i suoi uomini quando avevano lasciato Deforya. Si inumidì le labbra. Quell'attacco non aveva senso. Se gli ifrit avevano in mente di invadere di nuovo Corus, perché mai dovevano metterlo in allarme? Perché attirare l'attenzione di uno dei pochi pastori provvisti di vero Talento? O forse l'invasione si era spinta così oltre che essi non erano più in grado di controllare la comparsa delle Talento-creature? Alucius non voleva lasciare la fattoria. Non sapeva dove avrebbe potuto andare per fermare l'attacco e non c'era nessuno cui potesse rivolgersi per ricevere aiuto - se non la sua famiglia - e per tutti loro abbandonare la fattoria avrebbe significato la rovina. Lui e Wendra avrebbero potuto partire... se avessero saputo dove dirigersi, e cosa fare. Ma Wendra aspettava un bambino, e Alucius rabbrividiva al solo pensiero di chiederle di seguirlo da qualche parte, andando incontro a un pericolo ancora maggiore. Il cielo sopra di lui si stava facendo sempre più terso. Alucius guardò a est, verso l'Altopiano di Aerlal, ma non vide né percepì la verde luminosità dell'ariante, né altre cose strane. 12 Tempre, Lanachrona
Il Signore-Protettore abbassò lo sguardo sul neonato che riposava tranquillo nella culla. Un sorriso gli attraversò il volto e le rughe sulla fronte si distesero, mentre osservava il figlio. Senza far rumore, scivolò fuori dalla stanza e ritornò nel salotto, dove la moglie lo stava aspettando seduta al suo scrittoio. «Sta dormendo», disse lui. «Te l'avevo detto che stava dormendo.» La voce di Alerya suonava decisa, ma melodiosa. «Ti preoccupi troppo. Si tratta ancora di tuo fratello? O della Reggente della Matride? O di quella piccola rivolta a Hyalt? Oppure è qualcosa di completamente diverso?» «Si tratta di tutte queste cose insieme. Al posto mio, non saresti nervosa anche tu? Waleryn complottava con Enyll e, dopo che il capitano pastore ha ucciso quest'ultimo e ha distrutto la Tavola, mio fratello si è finto malato per quasi due mesi per evitare di parlare con me. E tuttora mi evita ogni volta che gli è possibile. Con la Tavola fuori uso, non riesco più ad avere un controllo tempestivo su quanto accade. Mi devo accontentare di ricevere rapporti scritti, vecchi di settimane e mesi, per sapere quello che succede. E, il più delle volte, i miei interventi sono tardivi. Inoltre, ho l'impressione che una buona metà delle mie lettere arrivi fino alla Reggente della Matride. E poi c'è questa rivolta a Hyalt. Per il momento pare circoscritta, ma è scoppiata senza preavviso e, a meno che non mi decida a fare qualcosa, la situazione non potrà che peggiorare. Questi Veri Duarchisti sembrano moltiplicarsi in tutti gli angoli di Lanachrona. Ho sentito dire che ce n'è un altro gruppo sulle colline a est di Syan, ma nessuno sa esattamente dove. E poi dove trovo un esercito in grado di soffocare i disordini di Hyalt? O di Syan, se si estendono fin là? Se richiamo una parte delle compagnie da Porta del Sud, è probabile che i matriti se la riprendano. Insomma, non so cosa succede finché non è troppo tardi.» «Ti manca il supporto della Tavola, non è vero? E cominci a mettere in dubbio ciò che il capitano maggiore ti ha detto.» «Non dubito delle sue parole o di ciò che ha fatto. Ma perché mai gli strumenti più utili si rivelano anche i più pericolosi? Sono certo che Enyll ci avrebbe presto uccisi.» «Ne sei davvero certo, Talryn? O lo dici per convincere te stesso?» Il Signore-Protettore emise un sospiro. «Entrambe le cose, credo. Senza la Tavola, con questa rivolta in atto e con i lancia-proiettili di cristallo dei mattiti - come siano riusciti a costruirne due, proprio non so - dovremo adattarci a una situazione non proprio ideale, e anche velocemente. A me-
no che...» Scosse il capo. «A meno che... cosa?» «Wyerl mi ha suggerito di chiedere al capitano maggiore Alucius di riprendere servizio nelle Guardie del Nord e di conferirgli almeno il grado di maggiore. Al comando di una delle sue vecchie compagnie e di alcune compagnie delle Guardie del Sud, già parzialmente addestrate, potrebbe riuscire a soffocare i disordini di Hyalt.» «Perché dovrebbe farlo?» chiese Alerya. «Voleva tornare a fare il pastore.» «Be', se devo far spostare la cavalleria a Hyalt, le Guardie del Nord avranno difficoltà a difendere i territori settentrionali...» «Talryn! Questo è un ricatto!» «È vero. Ma non posso reclutare altri cavalleggeri nelle Valli del Ferro. E neppure nel resto di Lanachrona. Abbiamo già chiamato alle armi tutti gli uomini in grado di prestare servizio. E mi troverei in difficoltà a pagare dei mercenari, ammesso di trovarne degni di fiducia. Cosa devo fare?» «Credi davvero che la Reggente della Matride...» «Sì. Siamo al limite delle forze, e non solo a causa di Madrien. I dramuriani hanno assalito una delle nostre navi a Porta del Sud. Ho ricevuto un dispaccio stamattina. Oggi pomeriggio ho scoperto che i proprietari terrieri di Deforya hanno rovesciato il governo del Landarco e l'hanno rimpiazzato con il Consiglio dei Cinque. Inoltre, hanno deciso di aumentare ulteriormente i pedaggi sulle strade che conducono a Lustrea. Sostengono che il Landarco era troppo accomodante. Il che, in realtà, significa che non vogliono pagare di tasca propria e preferiscono imporre nuove tasse e opprimere la propria gente, come fanno ormai da generazioni. Le continue scaramucce tra i nomadi di Ongelya e di Illegea rendono insicure le principali vie di comunicazione a sud. Quindi, l'unica alternativa è la strada che attraversa Deforya e il Passo Settentrionale, il che ci riporta alla medesima situazione di due anni fa. In poche parole, un aumento delle tasse anche qui da noi. Ma, se non intervengo, subiremo perdite ben maggiori, fosse anche solo per il commercio dei vini a est. Se vogliamo garantire sicurezza ai nostri traffici commerciali, evitando di pagare pedaggi esagerati, sarò costretto a invadere Deforya e ad annetterla a Lanachrona. Ma dove trovo i soldati di cavalleria e di fanteria in grado di farlo, quando non posso nemmeno mettere insieme una forza a difesa di Porta del Sud senza perdere Hyalt?» «Allora, fai ciò che devi fare. Ma mostrati generoso nei confronti del ca-
pitano pastore. Offrigli qualcosa che va al di là del semplice aumento di grado.» Alerya inclinò il capo. «Fai appello alla sua generosità, offri gratitudine, onore e uno stipendio alla famiglia per tutto il periodo della sua assenza. Dichiarati disposto a corrisponderglielo di persona.» Talryn rise piano. «Vedo che sai essere cattiva quanto me.» «Ognuno fa quello che deve.» Alerya si alzò. Talryn inarcò le sopracciglia. «Adesso che hai deciso il da farsi, hai qualche altro impegno stasera?» «No.» Talryn sorrise con aria timida. «In tal caso, ci gusteremo la cena che Feylish ci ha preparato. Mia madre ci ha mandato anche un po' del miglior vino ambrato delle sue cantine.» «Una buona cenetta è proprio quello che ci vuole...» 13 Finalmente le operazioni di filatura giunsero quasi al termine e il duadi della seconda settimana della stagione del raccolto Wendra poté uscire con Alucius per condurre le pecore al pascolo. Dopo l'episodio con i sabbiosi scuri, ogni volta che si allontanava dalla fattoria, Alucius aveva preso l'abitudine di portarsi dietro non solo i due fucili, ma anche la cartucciera che aveva avuto in dotazione quand'era in servizio nelle Guardie del Nord. Fino a quel momento non aveva dovuto fare uso nemmeno del fucile, visto che la situazione nei dintorni si era mantenuta tranquilla. Ma ciò era altrettanto preoccupante dell'eventualità di molteplici attacchi di lupi della sabbia. Tuttavia, era felice di essere fuori con Wendra, soprattutto in quella giornata calda e soleggiata con appena un accenno di brezza a mitigare l'eccessivo calore dei raggi del sole. Al tempo stesso, però, provava un'ansia persistente. Dopo la precedente esperienza con gli pteridon selvatici, aveva il diritto di chiedere a Wendra di uscire con lui? «Stai pensando a quelle creature scure, non è vero?» chiese Wendra. «Mi sto domandando se ho fatto bene a chiederti di accompagnarmi», confessò lui. «Sono stata in pensiero ogni volta che hai portato fuori il gregge da solo», ribatté lei. «Quando sei stato assalito dai sabbiosi scuri, il mio anello non mi ha nemmeno fatto capire che ti trovavi in difficoltà.» «In effetti, non lo ero», replicò Alucius. «Ecco perché non hai sentito niente.»
«Ma con due pastori è più sicuro.» Aveva ragione, Alucius lo sapeva, ma non riusciva a impedirsi di preoccuparsi per lei. Poiché a metà mattina si trovavano già a più di dieci vingti a est della fattoria, permisero al gregge di rallentare l'andatura e di fermarsi a brucare qua e là. «Come ti senti?» chiese Alucius a Wendra, che si trovava a una cinquantina di iarde da lui. «Sto bene. È stupendo essere qui fuori.» A quelle parole Wendra fece seguire un sorriso. «Mi spiace davvero di non poter venire domani.» «Devi restare a casa per terminare la filatura?» «Tua madre e tuo nonno vogliono andare in città. Sono settimane che non mettono piede fuori dalla fattoria. Come potevo dire di no?» «Conoscendoti bene, di certo non potevi», commentò ridendo Alucius. Dopo un'altra clessidra, Alucius e Wendra incitarono le pecore, che nel frattempo si erano sparpagliate, a raggrupparsi di nuovo e a dirigersi più a est, verso una zona dove i cespugli di quarasote crescevano più fitti. Quando le pecore si fermarono di nuovo a brucare, Alucius aggrottò la fronte. Avvertiva qualcosa - quasi un senso di tristezza o di dolore - a malapena percepibile dai Talento-sensi. Poi la sensazione svanì. Si portò verso il fondo del gregge, dove fece riunire al resto del gruppo due pecore che si erano attardate, poi avanzò lungo il fianco per raggiungere Wendra, lasciando che gli animali si nutrissero dei nuovi getti di quarasote. Di lì a un'altra mezza clessidra si spinsero ancora più a est, poiché Alucius non voleva sfruttare troppo un'unica zona. Mentre cavalcava adagio, in direzione dell'Altopiano di Aerlal, Alucius si accorse che la sensazione di dolore avvertita in precedenza si stava facendo più forte. Non aveva più provato nulla del genere da quando aveva lasciato Dereka, due armi prima, e si chiese se quella sensazione avesse a che fare con i suoi sogni, o con l'attacco dei sabbiosi scuri. Sebbene non avesse più sognato scene così vivide come quella in cui gli era apparso l'ifrit, aveva continuato a vedere nel sonno frammenti di immagini che mostravano uomini dalla pelle d'alabastro e donne che li dominavano, e tutti lo rimproveravano per la sua mancanza di comprensione riguardo al loro diritto di governare e facevano un lungo elenco dei suoi errori. Guardò dall'altra parte del gregge, dove si trovava Wendra, e la salutò
con la mano. Lei gli sorrise e la sua espressione lo riempì di calore, ma solo per un attimo, poiché un'improvvisa ondata di dolore - seguita dalla fin troppo familiare sfumatura violacea - lo travolse. «Wendra!» gridò Alucius. «Prendi il fucile e rivesti le cartucce con l'oscurità. Sta per accadere qualcosa!» Dopodiché spronò il cavallo alla massima velocità consentitagli dalle spine dei quarasote in direzione della moglie, con l'unico pensiero di raggiungerla al più presto. «Di cosa si può trattare?» «Di qualcosa che somiglia ai sabbiosi scuri», disse Alucius, mentre si fermava a una iarda da Wendra e controllava i suoi due fucili. Poi cominciò a ricoprire le cartucce di ogni caricatore con lo stesso tipo di oscurità che gli aveva permesso di abbattere gli pteridon negli anni passati, e i sabbiosi scuri poche settimane prima. Si augurava soltanto che questa volta l'espediente funzionasse altrettanto bene contro qualunque cosa stesse per arrivare. Dopo essersi accertato che ogni pallottola fosse carica, cominciò a scrutare il cielo e la distesa di cespugli intorno a sé, alla ricerca della malvagia creatura violacea che sembrava sul punto di balzare fuori da qualche luogo non ben identificato. «Sento qualcosa laggiù», mormorò Wendra. Mentre aspettavano, la gelida presenza avvolta dalla sfumatura violacea si fece sempre più opprimente, simile a un invisibile muro di pietra, una valanga che si trasportava dietro sciagure, sul punto di cadere su di loro per trascinarli via con sé. Ma, del resto, cos'altro potevano fare se non restare in attesa, pronti ad agire? Non avevano idea del posto da cui sarebbe giunto l'attacco, e non sapevano nemmeno se ci sarebbe stato. Ritirarsi senza scoprire prima di quale nemico talentoso si trattasse sarebbe stato peggio. «Sento qualcosa di maligno, come una gelida entità violacea», mormorò Wendra. «Cosa pensi che stia per arrivare?» «Forse qualche creatura volante, come gli pteridon selvatici, ma potrebbe anche trattarsi di buoi della sabbia, o di altri animali che non ho mai visto.» Con un improvviso schianto, la superficie verde-argento del cielo stesso sembrò piegarsi - e in qualche modo aprirsi - lasciando apparire azzurre figure volanti a meno di cinquanta iarde a nordest dai due pastori. Il gruppo di esseri che volteggiava nell'aria era composto da una decina circa di
pteridon violacei, di dimensioni più piccole di quelli usati dai nomadi e privi di cavaliere. Gli artigli di colore azzurro metallico che sporgevano all'estremità delle zampe scintillavano, taglienti come lame di rasoio. «Comincia a sparare!» Alucius alzò il pesante fucile e centrò in pieno petto il primo pteridon del branco. Il predatore ondeggiò, poi stramazzò a terra avvitandosi su se stesso. Il fucile di Wendra fece fuoco una volta, una seconda e una terza, prima che uno pteridon cadesse in mezzo a un cespuglio di quarasote. Entrambi, pteridon e cespuglio, vennero avvolti dalle fiamme. I restanti animali si disposero in formazione a cuneo e si diressero più in alto, come per prepararsi a piombare in picchiata sui due pastori. Alucius sparò altri due colpi. Il primo mancò completamente il bersaglio. Il secondo colpì di striscio uno pteridon che si scrollò, quasi ad attutite l'impatto. Una delle creature alate ignorò la formazione e si tuffò verso uno dei montoni guida. Questi sollevò il capo, nel tentativo di bloccare l'assalitore, con le corna che emettevano bagliori. Entrambi esplosero in una fiammata azzurrognola. Alucius fece fuoco altre due volte, abbattendo un altro pteridon. Poi si rese conto di un particolare. Quegli esseri talentosi, inizialmente, non stavano dando la caccia a loro. Tant'è che a tutta prima erano sembrati sorpresi e stupiti, concedendo così a lui e a Wendra un certo vantaggio nei loro confronti. Ciò non toglieva che fossero comunque animali pericolosi. Un altro pteridon puntò verso Wendra. Alucius sparò rapidamente due colpi, ferendolo con il secondo sulla punta di un'ala. Lo pteridon precipitò cadendo a spirale su una delle pecore e rimase infilzato nelle sue corte corna, esplodendo in una colonna di fiamme bluastre che avvolse entrambi gli animali. Alucius era rimasto con una sola cartuccia nel fucile, quando si accorse che il cielo era vuoto. Aveva la fronte madida di sudore. Si voltò verso Wendra. «Ottima mira, mia cara.» «Non buona come la tua, ma credo di esserti stata utile.» «Più che utile.» Alucius proiettò tutt'intorno il suo Talento. Quella sensazione violacea era scomparsa, lasciandosi dietro solo un residuo di dolore. Corrugò la fronte. «Sarà meglio che controlliamo il resto del gregge.» Wendra annuì. Da ciò che poterono vedere mentre completavano il loro giro d'ispezione, avevano perso solo il giovane montone e una pecora. Benché fossero dispiaciuti per quelle morti, pensarono che il danno avrebbe potuto essere
ben più grave. Anche se, di quel passo, rifletté Alucius, perdere una pecora nerina la settimana avrebbe potuto essere tanto disastroso quanto rimetterci tutto il gregge in una sola volta. Degli pteridon selvatici non era rimasta alcuna traccia, se non qualche macchia nera e untuosa in corrispondenza dei punti in cui gli animali erano caduti e avevano preso fuoco. Non c'erano nemmeno ossa o squame carbonizzate... nulla, tranne i resti delle violente fiammate. Alucius avvertiva però qualcos'altro, anzi, la mancanza di qualcosa. Nella distesa sottostante la porzione di cielo in cui erano comparsi gli pteridon era sparita ogni forma di vita. Persino i cespugli di quarasote, ancora verdi, erano morti e sarebbero rinsecchiti nel giro di qualche settimana, se non addirittura di qualche giorno. Ed era da lì che proveniva il senso di dolore che aveva percepito. «È morta, non è vero?» chiese Wendra. «La terra qui intorno.» Alucius annuì. «Perché è successo proprio qui?» chiese di nuovo lei. «È a causa della nostra presenza?» «Vorrei che non fosse così», replicò Alucius, «ma temo che la ragione sia proprio questa. Non ne capisco il motivo però, a meno che il mio precedente combattimento contro gli pteridon abbia reso loro più facile rintracciarmi. Ma perché adesso? È successo due anni fa. E poi perché coinvolgere anche te? Non ti avevano mai vista». «Devi essere tu», disse Wendra. «È la seconda volta che accade nel giro di un mese.» «Già, ma perché adesso?» si domandò nuovamente Alucius. Si guardarono l'un l'altra. Nessuno dei due era in grado di dare una risposta. 14 Salaan, Lanachrona L'uomo dal fisico ossuto e dalla tunica color viola scuro si protese sulla Tavola dell'Archivista e ne scrutò la superficie trasparente, spessa appena alcune spanne, eppure così profonda che la nebbia purpurea attraverso cui stava guardando pareva fitta parecchie decine di iarde. La Tavola trasudava antichità, quasi fosse una della ventina o poco più di Tavole che un tempo avevano fatto da collegamento tra i vasti territori del Duarcato di Corus. Solo la rifinitura liscia e scintillante dei pannelli laterali di lorken
scuro indicava che era di fattura più recente. «Cosa vedete?» chiese il mercante dal viso paffuto e dalla tunica grigia e blu. «Parecchi anni fa a Corus, da qualche parte all'interno dei vecchi confini del Duarcato, nacque un lamaro. Potrebbe trattarsi del vostro capitano pastore.» «Ma non siete in grado di stabilirlo con certezza? Per quale motivo? Avevate detto che possedeva il Talento.» «Lo sapete bene, Halanat. Tutti i pastori ne sono provvisti. Questo è il motivo per cui sono capaci di gestire le greggi di pecore nerine», replicò l'uomo dalla pelle diafana e dagli occhi che emanavano bagliori violacei. «È una cosa risaputa. Poiché la Tavola è stata costruita con l'aiuto del Talento, non è in grado di mostrare coloro che lo possiedono, una volta che hanno cominciato a esercitarlo. Del resto, non vi piacerebbe che altri se ne servissero su di noi, giusto? In tal modo, una Tavola può registrare tutti coloro che nascono con un potenziale per il Talento - o persino per un suo utilizzo più grande, come un lamaro o un eroe - anche se Enyll non ha mai registrato queste nascite, se non nella Tavola di Tempre...» «Eroi e lamari, che sciocchezze», replicò il mercante. «Sono anch'essi solo Talento-principianti.» «Certo, sì... sono solo leggende e sciocchezze, create per mantenere il mistero da Archivisti come me, trasportati fin qui da Efra con il preciso intento di rimanere nell'ombra. La Volta era una leggenda, come pure gli pteridon che annientarono le legioni del Pretore, così come i Duplici Scettri.» Lo scherno nelle parole dell'Archivista era così palese che Halanat abbassò lo sguardo. L'Archivista sollevò gli occhi dalla foschia cristallina della Tavola e li puntò dritti sul mercante. La nebbia che si muoveva vorticosa attorno alla scena descritta nella Tavola svanì, lasciando all'interno della liscia cornice nera solo quello che sembrava un normale specchio, che però appariva più levigato e riflettente di qualunque altro specchio fabbricato in secoli recenti a Dekhron, a Tempre o in qualsiasi altra città di Corus. «Tutto quanto», continuò l'Archivista dopo un lungo silenzio, «è ricomparso, tranne gli scettri. Per ragioni meglio conosciute dagli antichi abitanti, non ci fu registrazione della loro precisa collocazione, né mai siamo riusciti a trovarne una, benché gli scettri non fossero una leggenda e avessero assolto un'importante funzione. Quanto al lamaro di cui si fa menzio-
ne nell'Eredità dei Duarchi, egli resterà nascosto finché il conflitto non avrà inizio. Questo almeno è ciò che affermano le parole scolpite un tempo nella Volta. Se poi gli Antichi le avessero scritte perché servissero da monito o da profezia, non ci è dato sapere. Ma dovete tenere bene a mente che i possessori di Talento possono diventare ben più che non semplici Talento-principianti e questo è qualcosa che noi - che voi - dovremo impedire». «La Tavola non ci potrà essere d'aiuto.» «Esatto. Questo è compito vostro. O l'avete dimenticato?» L'Archivista sorrise indulgente. «No, onorevole Trezun.» Il mercante cominciò a mordicchiarsi il labbro, poi si fermò e chiese: «E che mi dite di questo nuovo Pretore?». «Il giovane Tyren? Non dovete preoccuparvi di lui. Presto Waleryn verrà inviato la per tenerlo d'occhio. E per organizzare la prossima traslazione completa.» «Ma potete farlo comparire sulla Tavola?» Il mercante dal viso paffuto parlava in tono formale, rigido, senza preoccuparsi di nascondere la sua freddezza. Quando tacque, il suo viso assunse un'aria impenetrabile. La Tavola si animò di nuovo ricoprendosi di nebbia purpurea, quindi mostrò l'immagine di un uomo dai capelli chiari, poco più che un ragazzo, con indosso un luccicante abito argento e nero, che stava Camminando lungo un ampio corridoio fiancheggiato da alte colonne dorate. Un alone argenteo lo circondava. «E quell'alone intorno a lui?» «Significa che potrebbe servirsi del Talento, ma che non l'ha mai usato.» «Che tipo di Talento possiede? È possibile saperlo?» L'Archivista si strinse nelle spalle. «La Tavola non lo rivela. Speriamo che il ragazzo non lo scopra finché Waleryn non sarà riuscito a cooptarlo. Con la traslazione e con Tyren, potremo contare su due punti di forza in termini di potere e di influenza.» Nel chinarsi a osservare l'immagine sulla Tavola, il mercante serrò le labbra. «Siete in grado di dirmi dove si trova?» «Basandomi solo sui particolari che compaiono sulla Tavola, sembrerebbe Alustre, ma non ne sono certo. Anche se, dalle colonne e dal colore della pietra...» «La vostra Tavola può dire se è lui l'eroe di cui si parla nella profezia? O se reclamerà i Duplici Scettri?» L'Archivista degli Atti sorrise ironico. «Tutti i conquistatori del millennio passato hanno sostenuto di essere quell'eroe, o negato di esserlo. Alcu-
ni hanno affermato di portare lo scettro o i Duplici Scettri. Altri hanno negato persino che esistessero. Alla fine, tutto questo ha fatto ben poca differenza. Ciò che dovrà essere sarà.» «Questo è un sentimento che vi fa onore», disse piano il mercante, «ma nemmeno in veste di mercante mi sarà possibile girare per Corus per inseguire delle voci. Se questo Tyren è in possesso di quelli che sostiene essere gli scettri, la situazione diventerà ancora più difficile, poiché la gente comune crede che gli scettri siano dotati di un certo potere. Grande potere, e non soltanto una visione offuscata in uno specchio. Persino la fede negli scettri conferisce potere». «La Tavola offre ben più di una semplice visione offuscata del potere, come dite voi. Ci sono ancora molte cose che non comprendete e, per essere una semplice traslazione-ombra, siete assai presuntuoso. Per quanto riguarda poi la gente comune, si comporterebbe comunque allo stesso modo, se chi governa è davvero potente. Questo Tyren potrebbe essere l'eroe, così come potrebbe esserlo qualunque conquistatore.» Il tono di voce dell'Archivista si fece più freddo. «In ogni caso, una distanza enorme lo separa da noi e non rientra tra i vostri compiti intraprendere un viaggio fino a Lustrea. La vostra missione vi porterà più vicino. La cosiddetta Reggente della Matride possiede due lancia-proiettili di cristallo ed è in procinto di riconquistare Porta del Sud e tutte le terre a nord della Costa Arida. Il Signore-Protettore ha perso la sua Tavola e perderà ben di più. Voi dovrete portare a termine il vostro lavoro a Hyalt e a Dekhron prima che giunga quel giorno, anche se è probabile che giunga prima del previsto.» Gli occhi grigio-violacei dell'Archivista si fissarono in quelli segnati da pesanti occhiaie del mercante. Dopo un po', Halanat distolse lo sguardo. 15 Wendra, Alucius, Lucenda e Royalt erano seduti attorno al tavolo da cucina nella luce crepuscolare di una sera d'inizio stagione del raccolto. «... e che tutti possano impegnarsi a fare del bene in questo mondo e nell'altro.» Alucius finì di recitare la preghiera. Wendra e Lucenda si alzarono e servirono nei piatti lo stufato di montone insieme ai panini caldi. Alucius prese subito un po' del miele nuovo dal vaso. «Non crescono mai», commentò Lucenda rivolgendosi a Wendra. «Metti
solo un po' di miele a tavola ed ecco che tornano bambini.» «E a voi non capita mai di tornare bambine?» domandò Alucius. «Mai!» rispose Wendra, gli occhi che le brillavano. «Non riuscirai a spuntarla su questo argomento, Alucius», gli fece notare Royalt. Alucius sorrise, dichiarandosi tacitamente d'accordo con il nonno. Royalt sollevò il proprio bicchiere e bevve un sorso di birra. «Proprio quel che ci voleva dopo una giornata così lunga.» «Cosa sei riuscito a sapere da Kustyl?» chiese Lucenda, rivolgendosi al padre. «Dopo la brutta avventura corsa da Alucius con i sicari appena fuori Sudon», disse Royalt, «Kustyl ha sempre tenuto le orecchie bene aperte». Alucius annuì. «Mi aveva detto che probabilmente dietro all'aggressione c'era un mercante di nome Halanat. Ma aveva anche aggiunto di aver conosciuto Halanat anni prima e che non gli era sembrato furbo a sufficienza da architettare una cosa del genere. Perciò pensava che qualcun altro dovesse avergli dato l'imbeccata. Non è mai riuscito a scoprire altro, però.» «E tu non hai voluto tornare a Dekhron», gli fece notare Royalt. «No», ammise Alucius. «E nemmeno adesso lo voglio. Si tratta di un'eredità, come si usa dire, di cui farei volentieri a meno. Quel posto è come un secchio di catrame. Se ci ficchi dentro un dito, prima che te ne renda conto, ti ci ritrovi invischiato fino al collo. La mia esistenza è già stata sconvolta troppe volte da quel genere di cose.» Si voltò a guardare Wendra. «E non nutro particolare interesse a finire in un posto dove sarei costretto a indossare di nuovo l'uniforme. Soprattutto non adesso.» «Che cosa aveva da dire nonno Kustyl al proposito?» chiese Wendra dolcemente. «Aveva parecchio da dire.» Royalt rise. «Ha sempre molto da dire.» «Ma vale la pena di ascoltarlo», aggiunse Lucenda, guardando il figlio. «La nostra vita qui è troppo condizionata da Dekhron, come qualcuno ebbe occasione di dirmi tempo fa.» Alucius si sentì trasalire, ma si limitò a sorridere. Wendra gli lanciò un'occhiata e Alucius vide che lei capiva come doveva sentirsi. «Be'...» Royalt indugiò. «Kustyl mi diceva che i mercanti di Dekhron sono diventati molto più astuti. Ricordi l'ordinazione di barili che avevano fatto a tuo padre, vero Wendra?» La giovane donna annuì.
«Il fatto è che si erano guardati un po' in giro, informandosi sui prezzi e sulla qualità dei prodotti di tutti i bottai nel raggio di cinquanta vingti da Dekhron. E tuo padre è risultato essere il migliore.» «Lo è», affermò Wendra. «È ciò che sostiene anche tuo nonno. Nel corso della sua lunga esistenza, non aveva mai visto una sola volta i mercanti di Dekhron comportarsi con tanta intelligenza. Affidavano sempre le ordinazioni ad amici o a cugini. Si sono comportati allo stesso modo con i barcaioli, verificando i costi di trasporto delle chiatte. Ma... il fatto più impressionante si è verificato il mese scorso. Un lanachroniano che lavorava come mediatore nel campo dei tessuti aveva deciso di aprire un'attività a Dekhron per dedicarsi al commercio della seta nerina...» Alucius ebbe la netta sensazione che ciò che il nonno stava per dire non gli sarebbe piaciuto. «... poco prima che il negozio fosse completato, prese fuoco e il mediatore morì nell'incendio. Kustyl cominciò a chiedere in giro, senza dare nell'occhio. Nell'ultimo anno e mezzo ci sono stati altri cinque incendi come quello.» «Sembrerebbe quasi che i mercanti si siano organizzati per togliere di mezzo tutti quelli che sono di intralcio», commentò Alucius. «Ma del resto, per loro, i soldi sono sempre passati in primo piano rispetto alla vita delle persone. È per questo che siamo finiti sotto il dominio di Lanachrona.» Royalt scosse la testa. «Non è la stessa cosa. Hanno cercato di governare Dekhron a modo loro, sprecando a volte anche del denaro. Adesso hanno smesso di agire in modo sconsiderato, e c'è di più. Hanno istituito una corsa di carri in cooperativa fino a Boriati, e poi giù, lungo la strada principale, fino a Krost. Forse anche più in là. E dividono le spese di trasporto. Così possono permettersi di acquistare i vini delle colline di Vyan a un prezzo ridotto per poi rivenderli a Dereka, una volta ogni stagione.» «Se fossero stati altrettanto accorti cinque anni fa...» cominciò a dire Lucenda. «Non avrebbe funzionato, visti i dazi che c'erano da pagare tra le Valli del Ferro e Lanachrona», commentò Wendra. «Mio padre si era interessato, poiché aveva sentito dire che a Borlan e a Salaan i prezzi dei barili erano esagerati. E aveva scoperto che l'importo dei dazi superava quello del costo dei barili.» «Kustyl mi ha detto anche dell'altro», disse adagio Royalt. «Parecchi
mercanti della vecchia corporazione sono morti nel corso dell'anno passato. Ben tre di essi sono morti nel sonno. Kustyl ha detto che la faccenda puzzava di losco.» Alucius sapeva che, quando un pastore dice che una cosa non lo convince, la maggior parte delle volte ha ragione. E Kustyl, per quanto anziano, non era certamente uno sciocco. «Qualcuno sta forse cercando di assumere il controllo del vecchio Consiglio dei Mercanti?» domandò Lucenda. «Kustyl non lo sa», ammise Royalt. «Dice solo che in città si respira un'aria strana.» Alucius si sentì stringere lo stomaco in una morsa, ma non fece commenti. Erano troppe le cose che sembravano strane nelle Valli del Ferro. Royalt finì di masticare un grosso boccone di stufato, poi si rivolse ad Alucius. «Lucenda mi ha detto che avete portato lontano il gregge, verso est. Avete visto altre creature talentose?» «Nemmeno l'ombra. È tutto tranquillo, da più di una settimana. Te l'avevamo detto.» «Già, ma il fatto è che non avevamo mai incontrato creature talentose da queste parti, all'infuori di arianti e sabbiosi.» Royalt aggrottò la fronte, poi chiese: «Com'erano i germogli là?». «Discreti. Non abbiamo visto neppure sabbiosi o lupi della sabbia», continuò Alucius. «Dovremmo tornarci più spesso nelle prossime settimane.» «Buona idea, ma sarà meglio che usciamo in coppia.» Royalt annuì. «Mi sa che anche questo prossimo inverno sarà secco. Ce ne sono stati un po' troppi, ultimamente.» «Come sta l'agnellino?» si informò Alucius, rivolgendosi alla madre. «Per essere un agnellino nato fuori stagione da una pecora che non può allattarlo, direi che sta bene. Ti spiacerebbe prepararmi ancora un po' di quarzo in polvere domani mattina? Dovrà essere molto fine. Altrimenti non mangia.» «Non ti preoccupare», la rassicurò Alucius. «Gli do io da mangiare domani mattina», promise Wendra. «Voi due non volevate partire di buonora per andare in città?» «In effetti, preferiremmo», ammise Lucenda. «I restanti barili dovrebbero essere pronti, così Royalt e io potremo passare al mulino per farne riempire uno di farina...» Vedendo che la conversazione tornava a incentrarsi sulle pecore e sulla fattoria, Alucius si sentì più rilassato.
Poco meno di una clessidra più tardi, dopo aver aiutato a rigovernare la cucina e dopo aver ricontrollato l'ovile e la stalla, Alucius si chiuse l'uscio della camera da letto alle spalle e si tolse la giacca da pastore foderata di seta nerina, appendendola sull'attaccapanni nell'angolo. Wendra sedeva sul bordo del letto e alzò lo sguardo sul marito. «Sei preoccupato, non è vero?» «Sì. L'ultima volta che le cose avevano cominciato a non girare per il verso giusto, ho finito col passare quattro anni nella Milizia e nelle Guardie del Nord.» «Non hai detto molto sul fatto che le cose andassero male fino a questo punto», gli fece notare lei. «Nemmeno stasera a tavola. Perché?» «Il motivo lo conosci, mia cara», rispose Alucius teneramente. «D'un tratto compaiono creature talentose e arianti. Erano anni che non ne vedevamo, e alcune di queste creature sono di un tipo che non avevamo mai incontrato prima. Inoltre... a Dekhron sta accadendo qualcosa di strano, di una stranezza diversa, però.» «Pensi che le due cose siano collegate?» «Sento che lo sono, ma non so il perché.» «E poiché non ne conosci la ragione... credi che tutto si risolva senza alcun intervento?» chiese di nuovo Wendra con dolcezza. «No. Le cose di questo genere non si risolvono da sole. Ma non ho risposte. L'ultima volta, quando i matriti invasero le nostre terre, almeno potevamo vedere in faccia quale fosse il problema. Non sono stato molto intelligente, allora. Pensavo che avrei salvato le Valli del Ferro diventando un eroe e che tutti mi avrebbero rispettato. Be', mia madre aveva ragione. In un certo senso ero diventato un eroe, e più mi prodigavo più la gente voleva togliermi di mezzo. Sono stato lontano da te per quasi tutto il periodo in cui ho servito nella Milizia e nelle Guardie del Nord. Ho rischiato di venire praticamente ucciso almeno in cinque occasioni, e Dysar voleva farmi giustiziare per diserzione perché non mi ero suicidato dopo essere stato ferito e catturato dai matriti. Credo anche di essere preoccupato perché mi sento un egoista. Fare il pastore mi piace e vorrei poterlo fare a lungo e passare tutta la mia vita con te. Non ho più alcun interesse a essere un eroe.» «Non avresti potuto trascorrere tutto questo tempo con me», disse lei piano, «se non avessi fatto ciò che hai fatto. Saremmo diventati tutti schiavi di quegli... ifrit...». Wendra indugiò. «Pensi che ci possano essere loro dietro a questo?»
«Io...» Alucius fu quasi sul punto di dire che non lo sapeva, ma sarebbe stato inutile, poiché il Talento di Wendra le avrebbe fatto capire che mentiva. «... temo di sì.» Si strinse nelle spalle. «Sento anche che dovrei fare qualcosa, ma... cosa? Precipitarmi dal colonnello Weslyn dicendogli che c'è un problema, e infilarmi in fretta e furia un'uniforme? A che scopo? Tra l'altro, non sono sicuro che Weslyn non faccia parte del problema. Di certo, non farebbe nulla per risolverlo, per paura di costringere i suoi amici mercanti a spendere denaro.» «Forse potresti andare a Dekhron con nonno Kustyl per dare un'occhiata in giro. Potrebbe aiutarti a capire qualcosa.» «Già, potrei», concesse Alucius, sfilandosi la camicia. «Potrei venire con te, se...» «No! Devi pensare...» così dicendo, lanciò un'occhiata all'addome di lei. «La prossima volta che tuo nonno passa dalla fattoria, vado con lui. Te lo prometto.» «Ma tu non...» Poi Wendra scoppiò in una risata. «A volte è difficile, vero?» «Stai parlando di quando non si vuole dire la verità? Mentre sai che l'altro è in grado di capire se stai mentendo?» chiese Alucius. «Sì, può essere difficile.» Lei si alzò con un movimento aggraziato e si avvicinò ad Alucius ponendogli le mani su ciascuna guancia, quasi a stringergli il viso in un gesto protettivo. «Non possiamo evitare per sempre il mondo là fuori, tesoro mio.» «Che ne dici se ci proviamo solo per stanotte?» Alucius si chinò e la baciò. 16 Dekhron, Valli del Ferro Il colonnello in piedi dietro l'ampia scrivania aveva spalle larghe, capelli biondi che stavano ormai ingrigendo e rughe sottili che gli segnavano gli angoli degli occhi. Le rughe divennero più evidenti mentre osservava il mandato scritto che teneva in mano, un mandato che portava la firma e il sigillo dorato del Signore-Protettore di Lanachrona. Dopo aver esaminato il documento, si schiarì piano la voce e alzò lo sguardo sull'ufficiale anziano che indossava l'uniforme di maresciallo delle Guardie del Sud. «Signore, il messaggio è alquanto... esauriente.»
«Sì. Il Signore-Protettore è sempre molto preciso», replicò il maresciallo Frynkel. «Pensa che, così, si crei meno confusione, colonnello Weslyn.» «Già, questa sua caratteristica è nota a tutti», temporeggiò Weslyn. «Perché non vi accomodate?» suggerì il maresciallo, indicando la poltroncina del colonnello e prendendo anch'egli posto sulla sedia di legno dallo schienale rigido che si trovava di fronte alla scrivania. «Ah... sì, signore.» Il colonnello posò il documento davanti a sé e si sedette. «Il Signore-Protettore desidera che non si generi confusione, colonnello Weslyn. Avevate riferito di non essere in grado di mettere insieme altri soldati di cavalleria o di fanteria alle condizioni stabilite e, tenendo conto della situazione critica in cui si trova Lanachrona, egli ha pensato che un giro d'ispezione sia il modo migliore per confermare il vostro rapporto. Per mettere a tacere qualunque sospetto possa sorgere tra i lanachroniani del sud, mi capite?» Il tic all'occhio destro di Frynkel si accentuò. «Comprendo, certo. Soprattutto visto che l'unione dei nostri due territori non è di così lunga data. La scelta del momento, però, mi ha... colto di sorpresa.» Weslyn si affrettò ad aggiungere: «Anche qui a nord siamo preoccupati circa l'utilizzo che viene fatto delle Guardie del Nord... e del prezzo che ciò comporta». «Me ne rendo conto. Nei momenti di difficoltà, tutti noi dobbiamo pagare un prezzo. Il mandato, come sta scritto, è uno di questi prezzi da pagare. In circostanze diverse non sarebbe stato necessario, e il Signore-Protettore avrebbe preferito non dovervi ricorrere. Ma se avesse inviato un messaggero e aspettato la risposta... non c'era tempo, a maggior ragione ora, che prevediamo un'offensiva da parte dei matriti non più tardi del prossimo inverno. Questo è un altro dei motivi che giustificano i poteri di cui sono stato investito. Il Signore-Protettore non voleva che, nell'esercizio di queste funzioni, dovessi dipendere da messaggeri. Ecco perché il mandato mi conferisce la sua piena e incondizionata autorità. Incondizionata», ripeté Frynkel sottolineando quella parola. «Se mi è permesso chiedere...» cominciò il colonnello. «Vi è permesso», replicò il maresciallo con un sorriso. «Come vi ho spiegato, sono qui per un giro d'ispezione. Visiterò alcune postazioni, compresa questa, quella in allestimento a Procellaria, e forse quelle di Chiusa dell'Anima e sulla strada di mezzo. Non ho ancora deciso se ispezionare quelle più a nord e a ovest. E non so nemmeno se deciderò di modificare le assegnazioni dei vari contingenti. Tutto dipenderà da quello che
trovo.» «Capisco, signore.» «Ne sono certo.» «Avete portato con voi più di un'intera compagnia.» «È vero. Non vogliamo pesare più del necessario sulle Guardie del Nord.» «Molto sensibile da parte vostra.» «Abbiamo cercato, per quanto possibile, di non crearvi disagi.» Frynkel sorrise di nuovo. «E già che ci siamo, bando alle formalità. Per cominciare, vorrei avere la situazione delle postazioni di tutte le compagnie delle Guardie del Nord e dei loro ufficiali.» «Adesso?» «Adesso.» Frynkel si appoggiò allo schienale della sedia. «Mentre aspettiamo che ci portino gli schedari, ci sono alcune cose di cui vorrei discutere.» 17 Alucius si voltò e si appoggiò al parapetto della veranda, quella rivolta a est, verso la Cresta dell'Ovest e l'Altopiano di Aerlal, che sembrava molto vicino benché si trovasse a più di trenta vingti di distanza. Sebbene le ombre del crepuscolo fossero già scese sulle Valli del Ferro, una luminosità sfumata di verde si irradiava dagli affioramenti di quarzo che ricoprivano le ripide pareti dell'estremità occidentale dell'altopiano. «Che bello», disse Wendra, accanto al marito, mentre posava la sua mano su quella di lui. «Bello... e triste, in un certo senso», disse Alucius con aria assorta. «Se pensi che lassù da qualche parte c'è una città, quasi deserta e sul punto di morire. Potrebbero persino essercene altre, ma sono pronto a scommettere che sono deserte e in rovina.» «Allora non credi che ci fosse solo la città che hai visto?» «No. L'ariante emanava una tristezza troppo profonda, e sicuramente non aveva motivo di ingannarmi su questo. E poi, anche se adesso sono davvero poche le arianti che ci appaiono, non bisogna dimenticare che sono parte della nostra storia. Perché mai, allora, ci sarebbe una regina delle arianti nel gioco dei leschec?» «Come tu dici, si tratta di un gioco. Se è per quello, c'è anche un re dei sabbiosi, e nessuno ha mai pensato che i sabbiosi fossero abbastanza intel-
ligenti da ricoprire un tale ruolo.» «Ma tutti gli altri pezzi del gioco esistono. Tu stessa li hai visti.» Wendra inclinò il capo. «Tanto per cominciare, non ho mai visto un alettro.» Un leggero sorriso le attraversò le labbra. Alucius scosse il capo. «È meglio che non mi lasci andare a dichiarazioni che potrebbero compromettermi.» «Questo vale per tutti. Ma hai ragione. Nei vecchi libri di storia si parla degli alettri.» «Hai mai letto qualcosa?» chiese lui. «Una volta. Nonno Kustyl ne possiede un intero scaffale. Erano libri che agli altri non interessavano. Non l'ho detto a nessuno che li ho letti, solo al nonno.» Alucius sorrise. Era sposato con Wendra da quasi cinque anni, erano insieme da più di tre, e lei non gliene aveva mai parlato. Chissà se succedeva così in tutti i matrimoni e c'era sempre da scoprire qualcosa di nuovo? «E in questi libri si parlava anche di arianti?» «No. Non menzionavano le arianti o i sabbiosi. Gli scrittori parlavano dei Mirmidoni, degli alettri, dei buoi della sabbia, degli pteridon... persino dei Cadmi. Ho sempre pensato che fosse strano, soprattutto quand'ero più piccola. Avevo visto arianti e sabbiosi, che non venivano citati nei libri, mentre le creature descritte erano quelle che non avevo mai visto.» Alucius le strinse dolcemente la mano. «Alcuni dei libri che ho letto quando mi trovavo a Madrien affermavano che le arianti erano creature mitiche inesistenti. Mi chiedo se fosse perché non avevano l'abitudine di vivere al sud.» «Mi sa che preferiscono il freddo.» «Già, non credo che amino i luoghi caldi e umidi.» «Non devono mai essere state molto numerose, vero?» chiese Wendra. «L'ariante che avevo incontrato nella città nascosta mi disse che, un tempo, il clima di Corus era più freddo e secco. Probabilmente, allora saranno state più numerose di adesso. Nelle poche occasioni che ebbi di uscire dalla mia stanza, vidi abbastanza da capire quanto la città fosse vuota. Non ne avrebbero costruita una, però, se non ci fosse stato un numero sufficiente di arianti per abitarla.» Ma chissà, poi, se aveva davvero visto abbastanza? O solo quello che l'ariante intendeva fargli vedere? «Ti ha mai detto perché si stanno estinguendo?» «No... disse solo che erano rimaste in poche, e che tra non molto avrebbero cessato del tutto di esistere.»
«Un'ariante vive a lungo. Perciò potrebbe ancora trascorrere parecchio tempo prima che questo succeda.» D'un tratto, un'intensa luce verde - una sottile striscia - si staccò dall'altopiano attraversando il cielo e, per un attimo, mentre guizzava in direzione del piccolo disco verde di Asteria, fu più vivida di quanto non lo fosse stato il sole al tramonto una frazione di clessidra prima. «Cos'era?» domandò Wendra. «Non lo so. Non ho mai visto niente del genere.» «Credi... come tua nonna... come i pastori?» «La morte di un'ariante?» ipotizzò Alucius. «Può darsi. Non so perché celebrino l'evento allo stesso modo nostro. Noi lo facciamo quando c'è Selena nel cielo, mentre adesso si vede solo Asteria...» Nel pensare a ciò che l'ariante gli aveva detto anni prima, le parole gli morirono sulle labbra. «Che c'è?» «Le arianti hanno contribuito a farci diventare quello che siamo. Potresti avere ragione. Può darsi che siamo noi a seguire il loro esempio, tranne che nella scelta della luna.» «Asterta è verde. E anche le arianti lo sono», gli fece notare Wendra. «Almeno lo sono i loro fili vitali e la luminosità che emettono.» «Mi chiedo...» rifletté Alucius. «Se tutti i pastori sono figli delle arianti? Tu lo sei.» «Anche tu», osservò lui. «Tutti coloro che possiedono Talento, in definitiva.» Wendra continuò a osservare l'altopiano, ma la striscia verde era sparita e il parapetto cristallino dell'imponente montagna era ora ammantato dalle ombre e aveva cessato di riflettere i raggi del sole. Anche Alucius rimase a guardare e, per un attimo, sulla veranda regnò il silenzio. «Mi chiedo...» Alucius fece una pausa. «L'ariante mi raccontò che siamo stati portati qui dagli ifrit. Te l'avevo detto?» «No. Vuoi dire la gente? Non noi in particolare, ma la nostra razza, molto tempo fa?» «Sì. Disse che noi rappresentavamo per gli ifrit ciò che il bestiame rappresenta per noi, cioè un mezzo di sostentamento.» «E da dove hanno preso quella gente?» «Non me lo disse. Parlò solo di questo e io non feci domande. Forse avrei dovuto.» «Mi sembra che tutto abbia un senso», rifletté Wendra. «Gli ifrit si nu-
trono dell'energia vitale, o almeno se ne servono.» «Esatto.» «Quello che non capisco è... be'... il filo vitale della maggior parte delle persone è marrone chiaro o scuro, tranne quello dei pastori, che è nero con sfumature verdi. Tu ce l'hai verde, e anch'io. Ma non l'abbiamo sempre avuto di quel colore, vero?» «No», ammise lui. «Il tuo era nero screziato di verde. Allora non ero in grado di vedere il mio, ma immagino che fosse uguale al tao.» «Ma adesso il tuo è diventato verde. Perché?» «Perché... in qualche modo, un uso più massiccio di Talento trasforma il filo vitale da nero a verde. Bada bene, si tratta di una semplice congettura, anche se mi pare corretta. I pastori dotati di una maggiore dose di Talento hanno i fili vitali più verdi. Forse perché c'è un legame più profondo con ogni parte di Corus. Le arianti sono sempre state qui... almeno, per lungo tempo. E sono verdi.» «E i sabbiosi?» chiese Wendra. «Non li ho mai osservati da vicino, ma ho sempre pensato che la loro aura fosse rosso-violetta.» «E gli ifrit emanano un colore viola?» «Entrambi si nutrono dell'energia vitale», meditò Alucius. «Non avevo considerato la questione sotto tale aspetto.» Scosse di nuovo la testa. «Ma, d'altra parte, ci sono molte cose alle quali non avevo mai pensato prima di incontrare te.» Si girò a guardarla dritto negli occhi con un largo sorriso. «Già, dev'essere proprio così», replicò Wendra arrossendo. «Voi due là fuori, la cena è pronta», la voce di Lucenda li chiamò dalla cucina. «Arriviamo subito», disse Alucius, lanciando un ultimo sguardo all'altopiano e chiedendosi quali altri misteri vi fossero nascosti e cos'altro avrebbe potuto chiedere all'ariante quando l'avesse incontrata di nuovo. 18 Tempre, Lanachrona Mentre prendeva posto sulla sedia di fronte al divano dov'era seduta la moglie, il Signore-Protettore guardò il neonato che stava poppando attaccato al seno di lei. Non poté fare a meno di sorridere. «Sembra felice.» «Diciamo soddisfatto. Non era così tranquillo fino a poco fa. Proprio per niente», replicò Alerya. «Come sono andati i tuoi incontri?»
«Né meglio né peggio di quanto mi aspettassi.» Talryn scosse il capo. «È difficile costringere la gente a raccontarti cose spiacevoli.» «Sei molto preoccupato, o sbaglio?» «Più di quanto non oserei ammetterlo con nessun altro, se non con te, mia cara. Sembra che niente vada per il verso giusto. Stiamo per perdere Porta del Sud. Le Guardie del Nord sono state respinte verso Armonia. I mercanti hanno già cominciato a seppellirmi di petizioni riguardo all'aumento dei dazi deciso dal Consiglio di Deforya. A Hyalt prosegue la rivolta e alcuni di quei fanatici hanno fatto la loro comparsa anche a Syan. I nomadi di Ongelya hanno massacrato una carovana di mercanti. E poi c'è questa faccenda di Waleryn. Il rapporto tra di noi è sempre stato difficile. Ricordi il suo complotto con Enyll? E adesso, con tutto quello che sta succedendo, mi manda un messaggio per informarmi che si sta recando a Lustrea travestito da mercante e che, al suo ritorno, mi farà piacere sentire cos'ha scoperto.» Talryn sbuffò. «Non sarei sorpreso di sapere che dietro a tutto quanto c'è anche il suo zampino e che ha deciso di partire proprio ora per evitare di essere smascherato.» «Ma come potrebbe?» chiese Alerya. «Non lo so. Però so che se la cosa fosse appena possibile, lui ci sarebbe invischiato.» Talryn si alzò e si avvicinò alla credenza, prese una bottiglia e si riempì a metà un bicchiere. «Ne vuoi un po'?» «Tu però l'allunghi con l'acqua...» Alerya fece una smorfia. «Lo so, ma troppo vino...» Talryn versò il vino dai riflessi color rubino in un secondo calice, poi aggiunse l'acqua - che era stata fatta bollire e poi raffreddare - dalla caraffa di cristallo. «Tieni.» «Mettilo qui sul tavolo, per favore.» Talryn posò il vino della moglie su un angolo del tavolo, poi, reggendo il proprio bicchiere, si sedette di fronte a lei. «Hai avuto notizie da Frynkel? In merito al capitano maggiore?» domandò Alerya. «Non credo che si faccia vivo tanto presto. È un viaggio così lungo.» «Pensi che il capitano maggiore accetterà la tua richiesta?» «Lo spero. Soprattutto adesso. Ho concesso a Frynkel una certa libertà d'azione in ciò che gli potrà offrire.» «Tipo?» «Alcune condizioni che mi potrebbero essere di grande aiuto.» Talryn sorrise, ma non aggiunse altro. «A volte sei impossibile, Talryn.» Alerya gli restituì il sorriso. «Ma lo
sono anch'io, del resto, a modo mio. Può darsi che il piccolo Talus abbia bisogno di me stanotte.» «Questo è...» «Un ricatto?» Alerya sorrise con aria sbarazzina. «Ebbene, sì.» Talryn scoppiò a ridere. Poi si bloccò e aggiunse con un largo sorriso: «Suppongo di essermelo meritato». «In effetti, è proprio così.» Lei inarcò le sopracciglia. «Quali condizioni?» «Oh, il colonnello Weslyn non si è dimostrato molto capace e, inoltre, diciamo che non gode esattamente della mia fiducia. Ho consigliato a Frynkel di offrire ad Alucius il comando delle Guardie del Nord, una volta che avrà sedato la rivolta a Hyalt.» «Sei un vero cospiratore, amore mio.» Alerya scosse il capo. «Sai bene che il povero capitano maggiore - o maggiore - sarà costretto ad accettare, se non altro per salvare la sua gente.» Si accigliò. «Se riesce nella sua missione, manterrai la promessa?» «Con molto piacere. Per il momento, avrà il grado di maggiore e, se avrà successo, lo farò riaccompagnare a Dekhron da un'intera compagnia di Guardie del Sud. Nessuno si potrà lamentare - non troppo, almeno - se concedo una promozione al più grande eroe che le Guardie del Nord abbiano mai avuto. Senza contare che il suo esempio è di stimolo per i suoi uomini e ufficiali, mentre Weslyn non lo è per nessuno, se non per quei mercanti di Dekhron che complottano con lui. Per quanto Alucius sia giovane, sarà di gran lunga meglio di Weslyn.» «E tu ti ritroverai con un esercito di Guardie del Nord più desideroso di collaborare. O almeno con un esercito meglio gestito e più ragionevole?» «È ciò che ho pensato. Un esercito "meglio gestito" sarebbe già un notevole miglioramento.» Il sorriso di Talryn si fece più ampio. «Mi avevi chiesto di essere generoso. Spero che anche tu vorrai esserlo.» Alerya scoppiò a ridere. Dopo un attimo, Talryn si unì a lei. 19 Nel tardo pomeriggio di octdi, sotto un'alta nuvolaglia grigia, Wendra e Alucius si stavano avvicinando con il gregge al fianco orientale della Cresta dell'Ovest, sulla via del ritorno alla fattoria. Wendra cavalcava in testa, mentre Alucius era in fondo, occupato a radunare le pecore che si erano
attardate. Benché negli ultimi tre giorni egli avesse sempre tenuto lo sguardo vigile, né lui né la moglie avevano scorto traccia di creature talentose o di lupi della sabbia. E nemmeno ne aveva visti Royalt durante la sua unica uscita. I soli esseri viventi, oltre le pecore, a essere avvistati erano stati glandarie, scricci e uno o due serpenti della sabbia. Ma, rifletté Alucius, adesso erano pronti a fronteggiare uno di quegli incontri, mentre, di solito, i pericoli e le difficoltà maggiori insorgevano quando uno meno se lo aspettava. Del resto, così sembrava andare il mondo. «Alucius!» lo chiamò Wendra. Alucius girò lo sguardo verso la moglie, poi vide poco più in là a ovest, appena al di sotto della cresta, il nonno che stava scendendo a cavallo nella loro direzione a un'andatura molto più sostenuta del solito. Dopo qualche istante, fu chiaro che il pastore più anziano si stava dirigendo proprio verso di lui. Era forse successo qualcosa a sua madre? Alucius si costrinse a concentrarsi sulle pecore che stava incitando ad avanzare perché si unissero al resto del gruppo, così da non doversene poi occupare se avesse dovuto far tornare il gregge in tutta fretta alla fattoria. Per il momento non poteva fare altro, almeno finché non avesse sentito ciò che il nonno aveva da dirgli. Mentre si avvicinava, Royalt fece cenno a Wendra di raggiungerli. Cosa che lei poté fare, visto che ormai il montone guida aveva imboccato il sentiero che li avrebbe condotti a casa e all'ovile. A quel punto, le uniche pecore che rischiavano un assalto da parte dei lupi della sabbia sarebbero state quelle rimaste indietro, sebbene fosse alquanto improbabile che si verificassero attacchi nelle immediate vicinanze della fattoria con ben tre pastori presenti. Mentre Royalt si accostava ad Alucius, affiancando il suo cavallo a quello del nipote, Wendra si affrettò nella loro direzione. «Che è successo?» chiese Alucius. «È accaduto qualcosa alla fattoria? Alla mamma?» «Non è successo niente a nessuno, ma le cose non sembrano... mettersi molto bene», rispose Royalt. «Vorrei che anche Wendra sentisse quello che ti devo dire.» Alucius si trattenne dal fare altre domande, benché si chiedesse per quale motivo il nonno aveva deciso di non informarlo subito, per poi mettere al corrente anche Wendra, quando si fosse unita a loro. I due pastori continuarono a spingere le pecore su per il fianco dell'altura, finché Wendra non
li ebbe raggiunti. «Che succede?» chiese Wendra. «È una faccenda che riguarda Alucius, ma pensavo che doveste essere avvisati entrambi. Alla fattoria c'è un ufficiale delle Guardie del Sud che ha chiesto di parlare con te, Alucius. È accompagnato da un'intera compagnia di Guardie del Sud e da un paio di ricognitori delle Guardie del Nord. Dice di essere un maresciallo, il suo nome è Frynkel.» Royalt lanciò un'occhiata al nipote. «Lo conosci?» Alucius si irrigidì, ma cercò di parlare con calma. «Ho conosciuto un maresciallo Frynkel. Be', era un aiuto-maresciallo allora. Avevo persino cenato con lui e con il comandante in capo del Signore-Protettore, il maresciallo Wyerl, che, suppongo, ricopra ancora tale carica.» «No...» mormorò Wendra, ma così piano che Alucius la udì a malapena, benché la postura del suo corpo fosse più esplicita di qualunque parola. «È peggio di quanto pensassi», disse Royalt. «Non mi piace che abbiano mandato fin qui da Lanachrona un maresciallo, uno che conosci personalmente per di più. I marescialli non hanno l'abitudine di viaggiare giorni o settimane per vedere dei pastori. A meno che non abbiano un buon motivo, ed è questo motivo che io non vorrei proprio conoscere.» Anche Alucius era certo di non voler sapere ciò che Frynkel era venuto a dirgli, perché di sicuro qualcuno voleva qualcosa, ed era probabile che questo qualcuno pensasse che lui avrebbe accettato, di qualunque cosa si trattasse. «Ti sei fatto qualche idea circa la ragione di questa visita?» chiese Royalt. «Immagino che siano nei guai. Ma perché mai sarebbero venuti a cercare proprio me?» «Perché sei uno dei migliori comandanti del nord, e perché Weslyn è troppo stupido per capirlo.» «Non è troppo stupido. Lo sa. È solo che non gli importa. E i mercanti che lo appoggiano non hanno simpatia per i pastori.» «È la stessa cosa. Un ufficiale che si fa influenzare dai propri sentimenti personali è un ufficiale di second'ordine. Come minimo.» «Weslyn non è con lui?» «No. Non ho visto nessun ufficiale delle Guardie del Nord.» Il che significava che il Signore-Protettore voleva qualcosa e che, di qualunque cosa si trattasse, non voleva che il comandante delle Guardie del Nord ne fosse informato a priori. In tal modo, Alucius si sarebbe trova-
to in una situazione molto difficile nei confronti di Weslyn, a meno che il Signore-Protettore non volesse far entrare Alucius in servizio nelle Guardie del Sud, eventualità che sembrava ancora peggiore. I tre si divisero per controllare meglio il gregge lungo l'ultimo vingt che li separava dalla fattoria, attraverso la sommità della Cresta dell'Ovest e poi giù per il versante occidentale. Nel giungere ai piedi dell'altura, Alucius scorse il blu delle divise dei cavalieri delle Guardie del Sud schierati in formazione nello spazio aperto delimitato dalla casa e dai fabbricati esterni della fattoria. Quando furono a poche centinaia di iarde dai soldati, Royalt si avvicinò al nipote. «Wendra e io penseremo al gregge. Tanto vale che tu vada subito a sentire cosa vuole il maresciallo.» Alucius annuì e diresse il proprio cavallo verso i quattro cavalieri in testa allo schieramento. Si fermò a parecchie iarde di distanza e salutò con un lieve cenno del capo. «Maresciallo Frynkel, sono onorato e sorpreso di vedervi qui.» «Sicuramente più sorpreso che onorato», replicò Frynkel. «Desidererei parlarvi da solo, se non vi dispiace.» «Visto che siete venuto così da lontano, sarò lieto di concedervi tutto il tempo che riterrete necessario.» Alucius indicò la casa. «I vostri uomini potranno riposarsi un po'. C'è acqua in abbondanza per i cavalli negli abbeveratoi e le pompe nel cortile sono in grado di fornire acqua potabile per le borracce.» Sorrise ironico. «Non posso offrire da mangiare a tutti, almeno non con un preavviso così breve.» «Apprezzeremo molto la vostra acqua.» Frynkel si rivolse al capitano a cavallo di fianco a lui. «Volete occuparvene, con tutte le attenzioni del caso, capitano Geragt?» «Sì, signore.» Alucius si diresse verso i due pali posti accanto ai gradini che conducevano alla casa, smontò e legò il cavallo. Frynkel lo seguì senza parlare. Alucius si voltò verso la veranda, dove scorse Lucenda, in piedi che li guardava, con un'espressione sul viso che le aveva visto una sola volta prima di allora e che aveva sperato di non vederle più. Anche Frynkel era sceso di sella e aveva raggiunto Alucius. Alucius alzò appena il tono di voce. «Maresciallo Frynkel, vi presento mia madre, Lucenda. Mamma, questi è il maresciallo Frynkel. Se le cose non sono cambiate, è uno dei marescialli con maggiore anzianità di servizio a Lanachrona.»
Frynkel inclinò il capo. «Molto onorato. Vostro figlio è il miglior comandante in campo di tutta Corus, e uno degli ufficiali più leali che abbia mai avuto il privilegio di conoscere.» Le parole di Frynkel contribuirono ben poco a placare l'ansia di Alucius. «Ciò che dite è molto gentile, maresciallo», rispose Lucenda. «Vi lascio alle vostre questioni.» Con un cenno del capo, si voltò e lasciò la veranda. «Capitano maggiore Alucius», disse Frynkel, «il Signore-Protettore mi ha pregato personalmente di rivolgervi una richiesta». «Perché non entriamo?» propose Alucius. «Potremo parlare dentro.» Salì gli scalini e tenne aperta la porta d'ingresso al maresciallo. Dopo averlo seguito nel vestibolo, lo condusse in soggiorno. «Prima che cominci», disse il maresciallo, porgendo una cartella ad Alucius, «vi prego di verificare le mie credenziali. Leggete con attenzione». Alucius prese la cartella, cercando di ignorare il tic all'occhio destro di Frynkel ed esaminò il mandato che accordava al maresciallo i pieni poteri, i diritti e i privilegi di operare nelle Valli del Ferro per conto dello stesso Signore-Protettore. Il secondo documento era una lettera recante il sigillo di quest'ultimo, la quale dichiarava che il maresciallo era investito del diritto e dell'autorità di trattare come meglio riteneva e nel più grande rispetto che conveniva a un certo Alucius, ex e attuale capitano maggiore delle Guardie del Nord. Dopo un po' Alucius restituì la cartella. «Se volete accomodarvi...» «Grazie.» Frynkel prese posto nella poltrona che era stata la preferita dalla nonna di Alucius. «Molto comoda.» «Questa poltrona è sempre piaciuta alla mia famiglia. Soprattutto alla nonna.» «Ottima scelta.» Frynkel sorrise e si protese in avanti, gli occhi fissi su Alucius. «Sapete che il Signore-Protettore vi deve molto e nutre per voi il più profondo rispetto.» L'occhio destro si contrasse nel solito tic. «Deve trovarsi proprio alle strette per avervi mandato fin qui», replicò Alucius. «Ha una richiesta da farvi. Si tratta di una richiesta, badate bene, poiché egli è un uomo d'onore e vi aveva promesso che non vi avrebbe richiamato in servizio, né ordinato di tornare. Ma la situazione è molto grave ed egli mi ha pregato di illustrarvela, così che possiate giudicare l'urgenza di tale richiesta.» Frynkel si ravviò distrattamente i radi capelli scuri sul cranio ormai prossimo alla calvizie e si premette per un attimo il palmo della mano sull'occhio destro.
«Continuate.» Alucius si sentì invadere da una sensazione di gelo. Qualunque cosa fosse, le poche creature talentose comparse nelle vicinanze della fattoria impallidivano di fronte a quello che stava per accadere. Ciò che lo preoccupava di più era il senso di franchezza e di onestà che traspariva dal maresciallo. Quello era l'aspetto davvero spaventoso. «Probabilmente sapete che la Reggente della Matride ha fatto costruire un secondo lancia-proiettili di cristallo. Il che significa che adesso ne hanno uno piazzato ai confini settentrionali di Madrien e un altro a sud...» Alucius non ne era al corrente ed era sicuro che Frynkel lo sapesse. «... le Guardie del Nord si stanno battendo per difendere i territori conquistati ai matriti a settentrione. Secondo i rapporti del colonnello Weslyn, sono ben pochi gli uomini ancora arruolabili nelle Guardie del Nord.» «Da quel che so, è vero. Ulteriori reclutamenti produrrebbero gravi danni alle Valli del Ferro. Ci sono già molti artigiani rimasti senza i figli maschi e, per quanto le mogli e le figlie femmine possano aiutarli nel lavoro, se il fenomeno si dovesse allargare, non ci sarebbe più nessuno a cui trasmettere le conoscenze del proprio mestiere.» Frynkel annuì. «Le ricerche che ho condotto in questo senso me l'hanno confermato. Purtroppo, gli eventi si stanno rivelando molto sfavorevoli. Il Landarco di Deforya è stato deposto dai grossi proprietari terrieri che, al suo posto, hanno istituito il Consiglio dei Cinque. Tale Consiglio ha raddoppiato le tariffe dei dazi da pagare nelle terre a est. Le continue guerriglie tra Illegea e Ongelya hanno interrotto la principale via di transito meridionale e molti convogli sono stati depredati delle loro merci e i mercanti uccisi. La Reggente della Matride ha riconquistato Fola e Dimor e sta incalzando a sud. Circa tre settimane fa è scoppiata una rivolta a Hyalt.» «E la richiesta del Signore-Protettore?» chiese Alucius, temendo di conoscere la risposta. «Per quanto siamo certi di poter difendere Porta del Sud con le forze di cui già disponiamo, non saremo in grado di dislocare a Hyalt più di una compagnia o due per soffocare la rivolta. Pensavamo di trasferire laggiù soltanto una compagnia di Guardie del Nord, affiancandole due, forse tre, compagnie di Guardie del Sud, tra quelle che stanno completando il loro addestramento. Se ne trasferissimo di più...» Frynkel allargò le braccia. «Ma se non prendiamo provvedimenti, la rivolta si può estendere, arrivando a bloccare le grandi vie di traffico.» «Non mi avete ancora detto ciò che il Signore-Protettore desidera da me», gli fece notare Alucius.
«Vorrebbe che tornaste in servizio con il grado di maggiore al comando delle forze che verranno inviate a sedare la rivolta di Hyalt. I disordini sono stati fomentati da un gruppo che invoca il ritorno del "Vero Duarcato", qualunque cosa esso sia. La maggior parte dei mercanti e degli artigiani - di quelli che potevano farlo perlomeno - è fuggita e ha supplicato il Signore-Protettore di ristabilire l'ordine in città e nei territori vicini.» «Comprendo bene quale vantaggio il Signore-Protettore trarrebbe dal mio intervento», replicò adagio Alucius, «e sarebbe poco sollecito da parte mia non apprezzare la gentilezza con cui mi ha fatto pervenire la sua richiesta. Tuttavia, egli chiede molto, non solo a me, ma anche a mia moglie e alla mia famiglia». «Il Signore-Protettore ne è consapevole. La sua necessità è grande, ma lo è anche la sua gratitudine. Vi concederebbe non solo il grado e la paga di maggiore anziano, ma sarebbe anche disposto a corrispondere a vostra moglie uno stipendio equivalente per tutto il periodo in cui presterete servizio lontano dalle Valli del Ferro. Si propone di pagare lui personalmente questo stipendio. Inoltre, vi offre tutta la sua riconoscenza.» Alucius annuì. Ci doveva essere dell'altro. Perciò attese. Frynkel si protese un poco in avanti, abbassando la voce. «È anche molto in ansia riguardo al futuro delle Guardie del Nord. Se risolverete la questione di Hyalt, vi sarebbe estremamente grato se voleste accettare il comando delle Guardie del Nord.» «Io?» «Voi.» Frynkel tirò fuori una busta più piccola dalla giacca e gliela porse. «Questa è per voi.» Alucius prese la busta come se contenesse una condanna a morte, ruppe il sigillo ed estrasse cautamente il singolo foglio. Caro capitano maggiore Alucius, come avrete capito, in questi ultimi tempi si stanno addensando grandi pericoli che minacciano noi tutti, altrimenti non avrei inviato il maresciallo Frynkel a chiedervi di tornare in servizio. So che preferireste continuare a fare il pastore. Durante il nostro ultimo incontro foste molto chiaro. Anch'io preferirei che così fosse, piuttosto che inoltrarvi questa mia richiesta. Tuttavia, non sempre ci è permesso scegliere, e le circostanze del momento impongono anch'esse degli obblighi. Le Guardie del Nord non sono gestite in modo soddisfacente. Se accettate la mia proposta, vi sarà data ancora una volta l'opportunità di
distinguervi ricoprendo un grado che non consentirà ad alcuno di interferire nella vostra nomina a comandante delle Guardie del Nord, una volta che avrete portato a termine la vostra missione. Questa lettera, che vi suggerisco di lasciare nelle mani della vostra famiglia, costituisce un impegno scritto della fiducia e della riconoscenza che nutro nei vostri confronti... La firma era quella di Talryn, Signore-Protettore di Lanachrona e, da ciò che Alucius ricordava delle firme sui suoi ordini di congedo, era indubbiamente autentica. Alucius ripiegò la lettera e la rimise nella busta. Per un attimo fu incapace di nascondere la forte emozione che provava e tacque finché non ebbe ripreso il controllo. «La situazione è disperata fino a tal punto?» «Potrebbe anche essere peggiorata dopo che ho lasciato Tempre», replicò Frynkel. «Una cosa è certa: non può essere migliorata.» Alucius si chiese se avesse scelta. Una scelta reale. Ma gli parve di no. Infine annuì e domandò: «Quale compagnia delle Guardie del Nord?». «La Quinta, sotto il comando del capitano maggiore Feran. È la compagnia che raggruppa anche gli uomini rimasti della Ventunesima.» Di lì a poco, Frynkel proseguì. «Il Signore-Protettore vi conferirebbe anche il grado di maggiore anziano delle Guardie del Sud. Così, nessuno potrebbe mettere in discussione la vostra autorità sui soldati di entrambi gli eserciti.» «Ma in tal modo sarò anche soggetto all'autorità delle Guardie del Sud», gli fece notare Alucius. Frynkel rispose con una mesta risatina. «Se accettate l'incarico, lo sareste comunque.» «Questo è vero», ammise Alucius. «Potreste dirmi qualcosa di più circa l'attuale situazione?» Frynkel si schiarì la voce. «La Reggente della Matride ha ulteriormente accresciuto il suo potere...» Mentre il maresciallo lo metteva al corrente dei vari problemi, Alucius rimase in ascolto, lasciando però che i suoi pensieri vagassero qua e là. A essere sinceri, non aveva del tutto capito come mai la situazione militare di Corus avesse potuto peggiorare così tanto nei due anni o poco più da quando aveva lasciato l'esercito. Era forse possibile che gli ifrit avessero trovato il modo di tornare, contribuendo così a quei cambiamenti? Oppure la natura umana si era semplicemente limitata a seguire il suo corso?
Atteggiò le labbra a un sorriso di disappunto. La cosa aveva davvero importanza? «... e per questa serie di motivi, il Signore-Protettore ha deciso con riluttanza di farvi questa richiesta. La prenderete in considerazione?» Alucius rimase per un po' in silenzio. Infine parlò. «Mi sembrate sincero, e da quel che ho potuto vedere, il Signore-Protettore è un uomo d'onore. Solo qualcuno cieco e sordo potrebbe pensare che egli avesse un'altra scelta. Poiché io non sono né l'uno né l'altro, accetterò, ma non sarò in grado di partire prima di qualche giorno.» Alucius udì provenire un singhiozzo soffocato dalla cucina, da sua madre. «L'avevamo messo in conto. In ogni caso, dovrò organizzare il rientro della Quinta Compagnia da Procellaria. Se ben ricordo, era stata mandata là di recente per rafforzare le difese attorno ad Arwyn.» Alucius annuì e attese di sapere cos'altro avesse da dirgli Frynkel. «Anche il colonnello Weslyn dovrà essere informato della richiesta e degli ordini del Signore-Protettore, ma me ne occuperò io personalmente e con piacere.» Frynkel sorrise freddamente. «Il compito richiederà una certa... fermezza. Ma Weslyn non verrà messo al corrente dell'obiettivo finale del Signore-Protettore. Solo quest'ultimo, il maresciallo Wyerl e io - e adesso anche voi - ne siamo e ne saremo a conoscenza, finché non sarà giunto il momento di comunicarlo agli altri.» Ad Alucius parve di capire che a Frynkel non importasse molto del colonnello Weslyn. Si rendeva anche conto che l'aver accettato la richiesta del Signore-Protettore era una decisione assurda e pericolosa, soprattutto perché lo avrebbe fatto diventare rivale e nemico di Weslyn, sebbene Frynkel non avesse ancora intenzione di informarlo circa la decisione del Signore-Protettore di nominarlo comandante delle Guardie del Nord. La «richiesta» del Signore-Protettore era eccessiva. E il fatto che le alternative fossero peggiori non serviva a mitigarne la gravità. 20 Alucius rimase sulla veranda a guardare, mentre le Guardie del Sud si avviavano lungo il viottolo in direzione di Punta del Ferro, o forse di Procellaria. Wendra e Royalt erano fermi accanto al recinto sul fianco nord dell'ovile principale, a osservare anch'essi i cavalieri dalle uniformi blu che si allontanavano. Distrattamente, Alucius si accorse che Wendra o Royalt
si erano già presi cura del suo cavallo e l'avevano sistemato nella stalla. «Alucius...» Si voltò a fronteggiare la madre. «Come hai potuto?» esclamò questa, fissando il figlio. «Non hai già fatto abbastanza?» «Non avevo scelta», replicò lui. «Le Guardie del Nord non riusciranno a opporsi alla Reggente della Matride senza l'aiuto delle Guardie del Sud e del Signore-Protettore, ed essi non sono in grado di fornirlo.» «Non sono in grado... o non vogliono?» «Fa qualche differenza?» ribatté lui. «Sarà sempre così? Ti prenderai sempre carico di ciò che gli altri dovrebbero fare?» Alucius non aveva risposte, almeno nessuna a cui potesse dare voce. Già una volta in passato ci aveva provato, e non era stato di grande aiuto. Perciò si limitò a fissare la madre. Dopo un attimo, lei abbassò gli occhi. In silenzio, mentre il sole tramontava a occidente, dietro la distesa di terreno sabbioso disseminata di quarasote, Alucius e la madre rimasero a guardare gli ultimi soldati delle Guardie del Sud che sparivano alla vista, in attesa che Wendra e Royalt li raggiungessero. Nessuno parlò finché tutti e quattro non si trovarono riuniti sul lato sud della veranda, appena fuori dalla porta d'ingresso. «Cosa voleva il maresciallo?» chiese Royalt. «Il Signore-Protettore mi ha pregato di tornare in servizio, me lo ha chiesto come un favore personale», rispose Alucius. «Mi promuoveranno maggiore, maggiore anziano.» «Maggiore anziano? Devono proprio volerti a tutti i costì», commentò Royalt. «Hai accettato, non è vero?» la voce di Wendra suonava attutita. «Come avrei potuto non accettare?» replicò Alucius. «Se avessi rifiutato, tra non molto me l'avrebbero richiesto, in modo meno gentile, e mi sarei trovato a dover combattere in condizioni sicuramente meno vantaggiose e senza l'appoggio del Signore-Protettore.» «La situazione è davvero così brutta?» domandò Royalt. «Peggio di quanto tutti noi pensassimo, persino di quanto pensasse Kustyl. La Reggente della Matride ha chiamato a raccolta tutte le sue truppe e ha fatto costruire un altro lancia-proiettili di cristallo...» Mentre gli altri ascoltavano, Alucius riassunse ciò che il maresciallo Frynkel gli ave-
va detto prima. «... e ovunque ci sono problemi. Nessuno sarà disposto ad aiutare le Valli del Ferro finché non avranno risolto le loro questioni interne. La situazione non mi piace per niente, ma si tratta dell'eredità lasciataci dal vecchio Consiglio e dai mercanti di Dekhron, e dobbiamo affrontare la realtà come ci si presenta, e non come vorremmo che fosse.» «Le cose sono sempre andate così.» Royalt scosse il capo adagio. «E sarà sempre così. I pastori sono troppo pochi, e gli altri non se ne preoccupano.» «Finché non vengono toccati direttamente, in ogni caso», fece notare Alucius. «E poi c'è un altro problema che non devi sottovalutare», disse Royalt. «Questa rivolta a Hyalt. Chiunque la soffocherà, o cercherà di farlo, non godrà certo del pubblico favore. Soprattutto se verranno uccise molte persone. Può darsi che il Signore-Protettore o qualche suo ministro abbia fatto qualcosa che non andava per fomentare lo scontento. E può darsi che ora lui voglia servirsi di qualcuno che viene da fuori per sedare i disordini.» «È possibile», ammise Alucius. Tutto era possibile. Gli era già capitato di vedere ufficiali bravi e meno bravi nelle Guardie del Sud, e alcuni di quelli meno bravi erano stati almeno altrettanto riprovevoli di Dysar, che era in assoluto il peggior ufficiale delle Guardie del Nord che Alucius avesse mai incontrato. Inoltre, era assai probabile che la rivolta fosse stata causata da una cattiva amministrazione o da un aumento eccessivo delle tasse. Ma per capirci qualcosa di più non gli restava che aspettare. «Ricorda che, per ogni uomo che ucciderai, te ne troverai davanti due desiderosi di vendicarlo. Questi uomini del sud sono fatti così. Hanno fuoco nelle vene, ma non hanno molto cervello», disse Royalt. Ci fu un altro lungo silenzio. «Sarà meglio che prepari qualcosa per cena. È già tardi.» Lucenda si rivolse a Wendra. «Non occorre che mi aiuti, per il momento.» «Vi raggiungerò tra poco», rispose "Wendra, mentre Lucenda si avviava verso la cucina chiudendosi la porta d'ingresso alle spalle. «Vado a dare un'occhiata alle pecore», disse Royalt. «Con tutta questa confusione, non sono certo di avere chiuso bene dappertutto.» Si voltò e scese i gradini della veranda dirigendosi verso i fabbricati esterni e lasciando soli Alucius e Wendra. La giovane donna guardò Alucius, fissando gli occhi verdi dalle pagliuzze dorate in quelli grigio-argento di lui. Dopo, un momento disse: «So che lo devi fare. Lo sento».
«Non voglio farlo», disse lui, prendendole la mano. «È solo che...» «... non hai scelta. Non puoi combattere da solo i soldati della Matride, ma se aiuti il Signore-Protettore, può darsi che quest'eventualità non si presenti.» «Eventualità: ecco un modo elegante di presentare le cose.» Alucius emise un suono che era una via di mezzo tra una risata e un lamento. «Ho visto di quanti soldati dispongono i matriti. Non so come abbia fatto questa nuova Reggente della Matride ad avere il sopravvento, ma c'è riuscita, e senza l'aiuto del Signore-Protettore per fermarla, Madrien sarebbe in grado di impadronirsi delle Valli del Ferro nel giro di una stagione. Ogni anno che passa siamo sempre di meno e con meno denaro...» Scosse il capo. «Pensi che gli ifrit abbiano a che fare con questo ulteriore deterioramento della situazione?» domandò Wendra. «Non posso dirlo con certezza. Non lo so.» «Ma cosa senti?» insistette lei. «Non so spiegarne il motivo, ma sento che c'entrano.» «Anch'io. Non voglio che tu parta. Lo so che devi farlo, ma...» Wendra aveva gli occhi lucidi. Alucius portò lo sguardo sull'Altopiano di Aerlal, una massa grigia, confusa tra nuvole dello stesso colore che le giravano intorno vorticose. «Vorrei saperne di più.» «Non ci riusciamo mai.» Era vero, rifletté Alucius. Ed era stato così tutta la sua vita. «Quando partirai?» chiese Wendra. «Londi. Il maresciallo Frynkel si occuperà degli altri dettagli.» «Come informare il colonnello, per esempio?» «Tra le altre cose.» Alucius prese la busta dalla giacca da pastore in seta nerina che non si era ancora tolta e la porse a Wendra. «Devi leggerla. È del Signore-Protettore.» Si alzò e attese che lei aprisse la busta e leggesse il messaggio. Alla fine, lei sollevò lo sguardo. «Comandante delle Guardie del Nord? Perché?» «Perché le cose stanno andando peggio di quanto non sembri.» Lei si limitò a fissarlo. «Accetterai anche quest'ultimo incarico?» «È una strada ancora lontana da raggiungere, almeno per il momento.» Si sforzò di sorridere. «In ogni caso, significherebbe che me ne starò a Dekhron, e i comandanti non intraprendono missioni rischiose.» Lei inarcò le sopracciglia. «Il colonnello Weslyn no di certo. Ma il co-
lonnello Clyon era solito farlo. Chi era il migliore dei due?» Alucius trattenne una smorfia. «Quella strada può aspettare. In ogni caso, può darsi che non ci voglia molto per risolvere la questione di Hyalt.» La risata di lei fu simile a un breve latrato. «E allora? Il SignoreProtettore vorrà qualcos'altro... oppure sarai troppo impegnato a cercare di riorganizzare le Guardie del Nord.» «Credi che avrei dovuto rifiutare?» chiese lui piano. «No. Non sarebbe stato giusto. Non so se ciò che farai sarà giusto o meno, ma ho visto le creature talentose e tu non puoi startene qui facendo finta che non esistano o che la vita continui come prima. E anche se queste non c'entrano, il colonnello Weslyn è quasi altrettanto pericoloso. Vorrei solo che non fossi tu quello che deve sistemare le cose.» «Lo so, e può anche darsi che mi mandino nel posto sbagliato...» «Può darsi», dichiarò Wendra sorridendo controvoglia. «In tal caso, toccherà a me fare ciò che avresti fatto tu.» «Ci sono ancora alcune cose che ti devo mostrare.» Lei si limitò ad annuire, poi gli si fece più vicina e lo abbracciò. «Lo puoi fare... domani.» 21 Hieron, Madrien La Reggente era seduta al tavolo rotondo di ebano, nello stesso posto in cui era solita sedere la Matride prima di lei, con le ampie finestre alle spalle. Il viola profondo della tunica non era esattamente della stessa tonalità dei suoi occhi, ma la collana di smeraldi scintillava quasi di luce propria, mettendo in risalto la candida carnagione del collo. Si protese in avanti, intenta ad ascoltare la donna-ufficiale seduta dall'altra parte del tavolo. «Il Signore-Protettore si sta esponendo troppo, soprattutto al nord», disse la donna-maresciallo dai capelli biondi. «Abbiamo respinto le Guardie del Nord da Arwyn e potremmo essere in grado di riconquistare Armonia entro la fine dell'inverno.» «Immaginavo che fosse possibile.» «A me riesce difficile crederlo, Reggente. Soprattutto così presto dopo... il disastro. Persino con i programmi di addestramento e le altre... informazioni che avete ottenuto.» La Reggente sorrise, il viso atteggiato a un'espressione fredda e calcolatrice, ma cordiale al tempo stesso. «Il denaro procura molte informazioni,
specialmente quando viene offerto a coloro i cui sogni eccedono le loro possibilità.» «Quanti sono in tutta Lanachrona? Se posso chiedere...» «Non molti. Non è gente che si noti. Si tratta di maggiori e di ufficiali di pari rango, con un grado alto quanto basta per conoscere ciò che ci occorre sapere, ma sufficientemente basso da non destare troppi sospetti.» «Non riesco ancora a credere...» «Il lamaro è sparito», replicò la Reggente. «Sospettiamo che si trattasse del capitano maggiore che aveva sconfitto i barbari a Deforya, anche se non ne siamo certi. Sappiamo invece con certezza che non fa più parte delle Guardie del Nord. I nostri informatori presumono che sia tornato a fare il pastore e che non abbia alcun interesse a tornare a combattere, a meno che le Valli del Ferro non vengano minacciate. E quello è un errore che non ripeteremo. Chiunque le abbia attaccate, senza preoccuparsi di rimuovere prima tutte le altre minacce, l'ha rimpianto amaramente.» La collana scintillò e la Reggente rise piano, lasciando però trasparire una punta di asprezza nella voce. «Persino ai tempi del Duarcato, le Valli del Ferro furono le ultime a sottomettersi e le prime a ribellarsi, e la cosa si ripeterà di nuovo. Perciò ci limiteremo a riprenderci Armonia, ma solo se lo potremo fare con cautela e con un numero limitato di forze. Siete in grado di mandare altri soldati di cavalleria a sud?» «Alcune compagnie regolari oltre ad alcune di ausiliari.» «E il secondo lancia-proiettili di cristallo?» «Volete che lo si usi contro Porta del Sud? Farebbe aumentare il rischio che le Guardie del Nord mandino dei rinforzi.» «Dove credete che li trovi il colonnello Weslyn? Il Signore-Protettore gli ha proibito di reclutare soldati tra i pastori, e i mercanti si faranno sentire, se si rivolge a loro per arruolarne altri.» «Perciò, dopo tutto, non disporrà di molti rinforzi.» «Proprio così.» La Reggente aggiunse: «Questo vi metterà in condizione di usare entrambi i lancia-proiettili di cristallo contro Porta del Sud». «Ma potremo utilizzarne solo uno alla volta.» «Lo so. Però uno sarà posizionato sul fianco nord e l'altro su quello est...» Il maresciallo Aluyn annuì. «Non volete proprio lasciare alcuna via di scampo alle truppe del Signore-Protettore?» «Quanti più nemici eliminiamo, meno saranno quelli che torneranno a invadere Madrien. La stessa cosa vale, in minor misura, per le Guardie del
Nord.» «Avete rischiato parecchio, Sulythya... Reggente.» Gli occhi di Aluyn si posarono sui capelli scuri della Reggente, capelli che un tempo erano stati di un rosso intenso. «Non quanto dovrei, Aluyn. Maresciallo. I tempi stanno cambiando, e dobbiamo tenerci pronti.» «Ma sono cambiati così tanto, Reggente? O vediamo solo i cambiamenti che desideriamo vedere?» «I tempi cambieranno, maresciallo, più di quanto possiamo immaginare. Neanche lontanamente immaginare.» Un lieve cipiglio comparve sul viso di Aluyn, per poi svanire quasi subito, ma lei non replicò. 22 Nella luce grigia che precedeva l'alba, Alucius e Wendra uscirono di casa diretti verso il più piccolo dei due ovili, quello destinato a ospitare gli agnellini nati da poco. «Sta molto meglio. Tra poco sarà in grado di stare con tutti gli altri», disse Wendra. «Anche se dovrò sorvegliarlo un po' di più.» «Non portarlo con te quando esci da sola con il gregge», le raccomandò Alucius. «Almeno, non finché sarà diventato più robusto. Avrai già altre cose di cui preoccuparti.» «Starò attenta.» Wendra fece scorrere il chiavistello negli anelli e aprì la porta dell'ovile. «Non suonava esattamente come una promessa», osservò Alucius. «No, non lo era.» Wendra gli fece un largo sorriso. «Se tu stai per andartene in giro per il mondo a fare ciò che credi sia meglio, non puoi pretendere che io me ne stia qui con le mani in mano. Giusto?» Alucius scosse il capo con aria mesta e chiuse l'uscio. «Coraggio», disse Wendra, «cosa volevi mostrarmi all'insaputa di tuo nonno?». «Lui non è in grado di fare quello che sto per mostrarti.» «E io lo sarei?» «Dovresti. Sei già capace di percepire i fili vitali. E anche l'energia vitale.» «Lo so, e mi riesce difficile credere che lui non possa.» «La maggior parte dei pastori non può.» Per quanto Alucius ne sapeva,
lui e Wendra erano gli unici a poterlo fare, ma forse perché le arianti avevano insegnato a lui come fare, e lui a sua volta aveva istruito Wendra. Non si trattava di una conoscenza che lui fosse disposto a condividere con altri senza sentirsi a disagio. «È qualcosa che ti posso spiegare, e in un certo senso mostrare, ma non c'è modo di fartelo provare.» «Fai sembrare tutto così misterioso.» «Vorrei che tu osservassi quel piccolo montone laggiù... con il Talento. Esamina il suo filo vitale, con molta attenzione.» Alucius concentrò il proprio Talento, in modo da poter percepire il filo vitale nero-rossastro del montone, il quale li stava guardando dal suo recinto. Sulla fronte si intravedevano già le protuberanze delle corna, che sarebbero diventate armi ricurve e affilate come una lama di rasoio. Nel corso di quelle ultime settimane, il suo filo vitale si era ispessito e rafforzato, tanto che adesso sembrava quello di un piccolo normale, non fosse per il fatto che era nato fuori stagione, il che significava che aveva dinanzi un duro inverno da affrontare. «E allora?» «Vedi i filamenti più piccoli?» Wendra corrugò la fronte. «I filamenti più piccoli?» «Il filo principale è costituito da filamenti più piccoli intrecciati insieme. C'è un punto più spesso, appena fuori dal corpo, simile quasi a un cordone ombelicale.» «Mi pare di percepirlo, quasi di vederlo, per la verità, quel punto più spesso.» «Quello è un nodo. Se tu formi una specie di sonda di energia vitale, proprio come fai con l'oscurità, tranne che questa deve essere più verde...» «Così?» Una sonda nero-verdognola e tremolante apparve, allungandosi da Wendra. Alucius la bloccò con uno scudo. «Perché?» «Perché», rispose lui, «se avessi toccato quel nodo con la tua sonda, avresti potuto recidere il suo filo vitale e ucciderlo». «Tu puoi uccidere in questo modo?» «Oh, sì.» Alucius indugiò. «Ma è molto stancante. È ciò che sono stato costretto a fare con l'Archivista degli Atti a Tempre, quello posseduto dall'ifrit, ed ero talmente sfinito da riuscire a malapena a muovermi. Se vai avanti per troppo tempo corri il rischio di morire. Il più delle volte sono meglio le pallottole, soprattutto con le creature talentose.»
«Allora perché vuoi che impari?» «Perché le pallottole non sono sempre efficaci contro gli ifrit. L'altra cosa che stavo cercando di dirti è che gli ifrit possono anche bloccare la tua sonda, se la usi solo come se fosse una spada o una lancia. Proprio come ho fatto io, tranne che loro sono più forti. In questo caso, non ti rimarrà che usarla per sciogliere il loro filo vitale in corrispondenza di un nodo, dato che in quel punto i fili sono più sottili e fragili.» Wendra rabbrividì. «Perciò, anche loro possono farci la stessa cosa?» «Immagino di sì, anche se non ci hanno mai provato.» Alucius aggrottò la fronte, tentando di ricordare cosa fosse successo quando si era imbattuto negli ifrit. No, non avevano mai provato a disfare il suo filo vitale, avevano solo tentato di schiacciarlo o di colpirlo. «Può darsi che non sappiano come fare o che non si siano mai preoccupati di tale eventualità.» «Propenderei per la seconda ipotesi», replicò Wendra. Anche Alucius la pensava così. Si schiarì la voce. «Ecco. Voglio dire... questo è ciò che volevo mostrarti. Ci avevo già pensato, ma allora non mi sembrava che tu ne potessi avere bisogno. E poi, qui alla fattoria, non serviva...» Le parole gli morirono in gola. Wendra si fece avanti e lo baciò sulla guancia. «Capisco.» Alucius se lo augurava. Avrebbe davvero dovuto mostrarglielo prima, ma gli accadeva spesso di rendersi conto con molto ritardo che avrebbe dovuto fare qualcosa già parecchio tempo avanti. 23 Dekhron, Valli del Ferro Due uomini erano seduti a un tavolo d'angolo del «Montone Rosso». Uno era il colonnello Weslyn, con indosso la divisa nera profilata di azzurro delle Guardie del Nord, mentre l'altro era il mercante Halanat, dalla faccia paffuta e dalla tunica blu e grigia. «Non mi piace», disse Weslyn posando il boccale sul tavolo. «Non mi piace.» «Perché no?» chiese Halanat. «Alucius sta per essere inviato a Hyalt, che si trova quanto più lontano si possa pensare dalle Valli del Ferro. È probabile che ci procuri meno problemi laggiù di quanti potrebbe crearcene qui.» «Non ci stava causando proprio nessun problema», replicò Weslyn. «Era contento di essere tornato a fare il pastore, e questo mi andava bene. Era il
tipo a cui importavano più i risultati immediati che non ciò che sarebbe accaduto più tardi. Il genere d'individuo che nutriva ideali a breve termine, senza preoccuparsi delle conseguenze.» «I giovani ufficiali sono spesso fatti così.» «Non riesco a capire perché mai il Signore-Protettore abbia insistito così tanto per inviare un maresciallo fin quassù a richiamare in servizio un capitano maggiore e promuoverlo al grado di maggiore. Lui e i suoi marescialli non agiscono mai senza motivo, soprattutto quando possono trarne benefici. Tutto questo non ha senso.» «Sembra averne molto dal loro punto di vista», disse il mercante. «Come?» «Il Signore-Protettore si trova a dover fronteggiare una rivolta. Che impressione darà, se manda le sue Guardie del Sud a placare i disordini?» «La rivolta deve essere soffocata. Persino io sono in grado di capirlo.» «È vero, ma nessuno vuole pagarne il prezzo. Perciò chiede a un maresciallo di recarsi fin quassù. Il maresciallo Frynkel non aveva detto di stare compiendo un giro d'ispezione? In tal modo il Signore-Protettore potrà dichiarare di avere inviato uno dei suoi più alti ufficiali a cercare rinforzi. Senza contare che potrà sempre far ricadere la colpa su Frynkel.» «La colpa di che?» «Questo Alucius non è particolarmente... efficiente? Non avevate detto una volta che aveva eliminato un'intera banda di briganti, circa un centinaio, uccidendoli fino all'ultimo uomo? Al Signore-Protettore potrebbe servire quel tipo di efficacia. Perché mai dovrebbe accollare la responsabilità di un tale massacro a uno dei suoi promettenti ufficiali delle Guardie del Sud? Se le cose dovessero andare male, potrà incolpare questo Alucius senza intaccare la reputazione dei suoi uomini.» Halanat sollevò il boccale e bevve un piccolissimo sorso. «Tutto questo ha senso; ciò non toglie che mi causerà comunque dei problemi. Tanto per cominciare, sarà promosso maggiore, superando così ufficiali di pari grado ben più esperti.» Weslyn aggrottò la fronte, poi si pizzicò il mento. «Diventerà uno dei pochi ufficiali anziani delle Guardie del Nord, e non ha ancora compiuto trent'anni. Anzi, probabilmente è più vicino ai venticinque.» «In tal caso, se è così inesperto, incontrerà molte difficoltà nel gestire una rivolta a Hyalt. Se dovesse fallire o compiere azioni inopportune, le conseguenze non si ripercuoteranno negativamente su di voi.» «E se è tanto fortunato da portare a termine il compito che gli è stato af-
fidato?» «Allora voi vi prenderete il merito di aver saputo riconoscere fin dall'inizio le sue capacità e di averlo raccomandato al Signore-Protettore. Farete notare, in modo molto garbato, che la scelta di lasciare le Guardie del Nord fu sua, non vostra. Se decide di rimanere in servizio, gli affiderete il comando delle compagnie impegnate nei territori settentrionali di Madrien. Mi diceste che non era stato molto bravo a sbaragliare i matriti, quando combatté contro di loro la prima volta.» «A quei tempi era un ricognitore. Non posso negare che sia un ottimo comandante sul campo di battaglia.» Weslyn scosse il capo. «Avete detto che la sua famiglia è abile negli affari. Che succede se finisce qui, al quartier generale? Se mette le mani sui registri contabili...» «Allora, tenetelo occupato in battaglia, lontano da Dekhron. La sua fortuna non potrà durare per sempre, ma se così fosse, tra altri dieci anni potrebbe diventare il vice di Imealt. In tal caso, toccherà a quest'ultimo vedersela con il capitano maggiore. «Sempre che sopravviva», continuò Halanat «Le rivolte sono faccende imprevedibili. Non si sa mai da che parte arrivano le frecce, o gli spari.» «Molto imprevedibili.» Weslyn convenne. «Almeno, fintantoché si troverà a sud del fiume Vedra, non costituirà più un problema per me, e saranno le Guardie del Sud a pensare alla sua paga e a quella della Quinta Compagnia. Questo ci sarà di aiuto, perlomeno.» Fece una pausa. «La vera perdita sarà il capitano maggiore Feran. Bravo ufficiale, molto solido...» 24 Nel tardo pomeriggio di decdi, Royalt fermò Alucius mentre quest'ultimo stava uscendo dall'ovile dopo aver rinchiuso le pecore per la notte. Il nipote lo salutò con un cenno. «Sembri preoccupato. Va tutto bene?» «Tutto bene, qui. Ho riflettuto. Visto che parti domattina, volevo parlare un po' con te.» Royalt indugiò. «Non ti dispiace, vero?» «Hai visto più cose tu di quante non ne abbia mai viste io», rispose Alucius. «Qualunque consiglio non potrà che essere il benvenuto.» Fece scorrere l'ultimo chiavistello al suo posto, quindi si avviò verso casa. «E di solito ne hai da dare.» Royalt gli si affiancò. «Ti mandano a soffocare una rivolta. Questo almeno è ciò che il maresciallo ha detto. Ed è venuto fin qui da Tempre. Non ti sembra un po' strano tutto questo?»
Alucius rise. «Sai bene che lo è, e lo so anch'io. Ma non credo che avrei potuto rifiutare.» «Hai ragione.» Royalt fece una pausa, poi chiese: «Ti sei mai chiesto i motivi per cui la gente ricorre alle armi, soprattutto quando chi è al governo non è poi così male?». «Be', può darsi che le amministrazioni locali non abbiano fatto bene il proprio lavoro o che si siano create delle incomprensioni... o che non si tratti per niente di questioni locali e che qualcuno stia agitando le acque per far nascere dei disordini.» «Potrebbero essere tutte e tre le cose», disse Royalt. «Prima di cominciare a sparare a questi cosiddetti ribelli, sarà bene che tu scopra da cosa è stato originato il malcontento. Sai, una delle ragioni che innescò tutti quei problemi con i furidi, e magari contribuì anche a provocare la morte di tuo padre, fu che il Consiglio e il colonnello Dyalar non cercarono mai di capire cosa avesse reso tanto insoddisfatte quelle popolazioni. Dyalar non si preoccupò neppure di indagare, ma si limitò a inviare contro di essi alcune compagnie con l'ordine di uccidere i dissidenti. Questo è uno dei modi di soffocare una rivolta: ammazzare tutti, fino all'ultimo uomo. Il fatto è che se qualcuno sfugge, è probabile che torni e cerchi di far fuori te e quelli che stanno dalla tua parte. E così si crea una spirale senza fine. A volte, con certa gente, non ci sono alternative. Immagino che al SignoreProtettore importi poco come tu gestirai la faccenda, purché alla fine l'ordine venga ristabilito.» «Quasi certamente è così», convenne Alucius. «Ma non avrebbero chiamato te, se la situazione non fosse stata così difficile. Il che significa che sanno che un po' di gente ci rimetterà la pelle. E potrebbe essere proprio questo ciò che vogliono.» «Credo che il Signore-Protettore si stia adoperando in tutti i modi per mantenere la pace il più a lungo possibile e che non sapesse bene a chi altri rivolgersi. Questo non vuol dire che le Guardie del Sud condividano la sua scelta. Sono pronto a scommettere che non vogliono semplicemente utilizzare i loro contingenti impegnati altrove, e vedersi attribuire la responsabilità di quello che accadrà.» «Mi fa piacere vedere che hai afferrato la situazione.» Royalt si lasciò andare a una breve risata dal suono raschiante. «Se riesci nell'intento senza causare troppe perdite, tutti diranno che chiunque sarebbe stato capace di fare la stessa cosa. Se ucciderai molte persone, le Guardie del Sud sosterranno che non avresti dovuto farlo, e per un po' tutti se ne staranno buoni
per paura che tu possa tornare. Il Signore-Protettore ti ringrazierà e ti rimanderà a casa. La fama di Macellaio di Hyalt ti accompagnerà per tutta la vita e, finché sarai vivo, nessuno a Hyalt oserà contrariare il SignoreProtettore. Ma sta sicuro che individui di ogni risma giungeranno fin quassù per cercare di fartela pagare.» «Non mi stai semplificando le cose.» «Può darsi che non ti abbia detto niente che tu già non sapessi, ma qualcuno doveva farlo, nel caso tu non ci avessi pensato.» «In effetti, ci avevo già riflettuto, almeno in parte. Ma non immaginavo che potrebbe esserci gente pronta ad ammazzarmi, quando tutto sarà finito.» «Alucius, niente è mai finito del tutto. Niente», ripeté Royalt in tono fermo. Alucius si sentì risuonare quelle parole «niente è mai finito del tutto» nella testa, mentre rientrava in casa e continuava a prestare ascolto a ciò che il nonno diceva. 25 Il londi mattina, ben prima dell'alba, Alucius si girò verso Wendra, coricata accanto a lui nell'ampio letto, e l'abbracciò un'ultima volta prima di mettersi lentamente a sedere. Guardò di nuovo la moglie, cercando di imprimersi nella mente i lineamenti del suo volto e il calore che sembrava emanare da lei. Deglutì, pensando a ciò che lo aspettava. Lei gli si sedette accanto, appoggiandosi contro la sua spalla per un attimo, mentre Alucius accostava il capo a quello di lei. Infine, si girò e la baciò di nuovo. «Sarà meglio che mi prepari.» Lei sorrise. «L'avevi già detto prima.» «Lo so. Ma adesso è ancora più tardi.» Alucius si alzò, uscì dalla camera da letto e si diresse verso la stanza da bagno al di là del corridoio. L'acqua era fredda, ma non quanto lo sarebbe diventata una volta che l'autunno avesse preso il posto della stagione del raccolto, e soprattutto quando il gelido inverno del nord sarebbe calato sulla fattoria. Dopo che si fu lavato e fatto la barba, tornò in camera e indossò gli indumenti di seta nerina e l'uniforme nera profilata di azzurro di ufficiale delle Guardie del Nord, che aveva ancora applicate le insegne d'argento di capitano maggiore, poiché non gli erano ancora state consegnate quelle di maggiore. Wendra si era già vestita e lo aveva preceduto in cucina, dove, insieme a
Lucenda, gli aveva preparato la colazione. «Ci sono dei soldati a cavallo sul viottolo», disse Royalt, mentre faceva il suo ingresso in cucina. «Questa volta avrai una scorta.» «Vogliono assicurarsi che non cambi idea», commentò Lucenda in tono duro. «Per quanto sia certo che non lo farà.» «Andiamo... Lucenda», dichiarò Royalt. «Non aveva altra scelta. E neppure noi, di questi tempi.» «Lo so. Ma non per questo la cosa mi deve piacere.» Poi si voltò verso Alucius e la voce le si addolcì. «Sarà meglio che mangi qualcosa. Ti aspetta un lungo viaggio.» «Più lungo di quanto non voglia», ammise lui, sedendosi all'estremità del tavolo, dando le spalle al passaggio a volta che conduceva in soggiorno. Wendra annuì e prese posto alla sua destra. Alucius mangiò rapido e in silenzio le uova strapazzate con pane tostato, lanciando di tanto in tanto un'occhiata di sottecchi a Wendra, la quale sembrava consumare la sua colazione quasi meccanicamente. «È chiaro che vogliono che tu arrivi a sud il più presto possibile», disse Royalt dopo aver inghiottito un boccone del suo prosciutto. «Il SignoreProtettore deve avere per le mani parecchi problemi urgenti da risolvere.» «Avrebbe dovuto cercare di evitarli», replicò Lucenda seccamente. «Per quanto sia triste ammetterlo», ribatté Royalt, «stiamo meglio con lui che non con il nostro vecchio Consiglio». «Un branco di rubasoldi egoisti, e questi non erano che i meno peggio della banda.» «Noi pastori ce n'eravamo accorti anni fa. Solo che nessuno ci aveva dato ascolto.» Royalt bevve un sorso di sidro. «Succede sempre così. L'avidità ha la meglio sul buonsenso.» «Non si può nuotare nelle acque tumultuose se si indossa una corazza d'oro», aggiunse Lucenda. Alucius e Wendra si scambiarono un' occhiata d'intesa. Royalt lasciò che Lucenda si girasse verso la stufa e ammiccò nella loro direzione. Quando ebbe finito, Alucius si alzò e si avvicinò alla finestra. «Sarà meglio che prenda le mie cose.» Si girò e si avviò verso il retro della casa, seguito da Wendra. Nella relativa intimità della loro camera, Alucius baciò la moglie ancora una volta, indugiando in un lungo abbraccio. «Abbi cura di te», sussurrò. «Di te e di Alendra.»
«Ssst...» Alucius conosceva la vecchia superstizione secondo la quale non si doveva pronunciare il nome di un bambino non ancora nato, ma sentiva di dover dar voce a quel nome almeno una volta prima di partire. «Abbi cura di entrambe.» «Anche tu.» Con riluttanza, si sciolse dall'abbraccio e si mise a tracolla le bisacce, nelle quali aveva sistemato una maglia di seta nerina, una giacca, un cambio di uniforme e i suoi effetti personali, oltre alla maschera proteggi-capo che si era rivelata così utile in passato. Quando Alucius tornò in cucina con Wendra, Lucenda si era dileguata, cosa che del resto lui si aspettava, ben sapendo quanto la madre odiasse vederlo partire. Era sempre stato così, fin dalla prima volta in cui era stato arruolato. Royalt gli fece un cenno del capo. «Ricordati solo di riflettere a fondo sulla questione.» «Farò il possibile.» Alucius salutò il nonno con un sorriso, quindi raccolse entrambi i fucili e, con Wendra al fianco, uscì di casa e si diresse verso la stalla. Il soldato in testa alla colonna di Guardie del Sud si trovava a meno di un centinaio di iarde. Alucius sellò il suo cavallo grigio con movimenti rapidi ma precisi, assicurò le bisacce alla sella e sistemò i fucili nella doppia custodia. Poi si girò verso Wendra. Ancora prima di abbracciarla, si trovò le braccia di lei strette intorno al collo. «Ti amo», sussurrò lui. «Abbi cura di te e della bambina.» «Ti amo anch'io. Aspetteremo il tuo ritorno.» Di lì a poco, dopo un tempo che gli era parso fin troppo breve, Alucius condusse fuori il cavallo nel mattino nuvoloso. Wendra rimase sulla soglia della stalla. Il drappello, che sembrava composto da due squadre di Guardie del Sud, stava aspettando in formazione dietro a due ufficiali: il capitano Geragt e il maresciallo Frynkel. Quest'ultimo si fece avanti, fermandosi a poca distanza da Alucius. «Ho pensato che non foste riuscito a procurarvi queste», disse tendendo una mano verso di lui. «Grazie.» Alucius prese le insegne con il grado di maggiore, se le mise un attimo in tasca mentre toglieva quelle vecchie e poi se le appuntò sulla divisa. Quindi balzò in sella. «Magari i vostri uomini desiderano fare ab-
beverare i cavalli...» «Ah... ci siamo già presi la libertà di farlo. Ero certo che non avreste avuto nulla in contrario», disse Frynkel in tono di scusa. «Perfetto.» Alucius annuì. «Allora, siamo pronti.» Frynkel fece un cenno a Geragt e si affiancò con il cavallo a quello di Alucius. «Ottava Compagnia!» ordinò il capitano. «Avanti!» Alucius tenne gli occhi fissi su Wendra finché non si furono portati oltre la stalla e non gli fu più possibile vederla, a meno di non girarsi completamente sulla sella. Quando raggiunsero il viottolo, diretti verso la strada principale, Frynkel posò lo sguardo su Alucius e sulla doppia custodia che conteneva i due fucili. Poi lo spostò sulle bisacce fissate dietro la sella. «Non è che per caso c'è anche una cartucciera lì dentro?» «Direi proprio di sì, signore.» Alucius sorrise. «La Quinta Compagnia delle Guardie del Nord avrebbe dovuto arrivare a Dekhron ieri sera. Il capitano maggiore Feran vi manda i suoi saluti.» Frynkel ridacchiò. «Mi ha anche detto che sperava che questa campagna sarebbe stata meno avventurosa di quella precedente.» «Speriamo di non imbatterci negli pteridon e nelle lance cosmiche», disse Alucius. «Ma mi piacerebbe sentire il vostro parere su questa rivolta. Da ciò che ho potuto vedere, il Signore-Protettore mi è sembrato un buon sovrano. Perché allora il popolo insorge contro di lui?» «Non lo sappiamo. Almeno non con certezza. Si tratta di ribelli che vivevano tra le colline a sudovest di Hyalt. Sono comparsi l'alba di una mattina di decdi, in groppa ai loro cavalli e armati di tutto punto, e hanno attaccato le due squadre di Guardie del Sud di stanza laggiù, sterminandole fino all'ultimo uomo. Alcuni tra i mercanti e gli artigiani più abbienti sono riusciti a fuggire. Hanno riferito che gli insorti, o per meglio dire gli invasori, erano più di trecento, tutti provvisti di armi. Tra di essi ci sono molti seguaci di un culto che professa il ritorno del Vero Duarcato, o di qualunque cosa questo nome possa significare.» «Un nuovo duarcato sotto la loro guida», ipotizzò Alucius. «Potrebbe essere.» «Ma a Hyalt non c'era una postazione fortificata?» Alucius ricordava di avere fatto colazione, alcuni anni prima, con un capitano maggiore temporaneamente dislocato a Hyalt. L'ufficiale gli era parso un brav'uomo, e il suo Talento difficilmente si sbagliava.
«In precedenza, non c'era mai stato il minimo accenno di disordini. I cancelli della postazione erano spalancati da anni. E lo erano anche quella mattina», disse Frynkel, stringendosi nelle spalle. Il nonno aveva ragione, rifletté Alucius. «E che tipo di aiuto riceverò dalle Guardie del Sud?» «Vi verranno assegnate due o tre compagnie di reclute che hanno appena concluso l'addestramento, insieme ad alcuni esperti comandanti di squadra e ad alcuni giovani capitani, uno dei quali non è mai stato in battaglia. Si uniranno a voi a Krost.» «Mi onorate di grande fiducia.» «Da quel che ho sentito dire riguardo alle vostre gesta ai tempi della guerra contro i mattiti, foste voi a prendere il comando di un'intera compagnia di reclute che erano state fatte prigioniere, ad addestrarle e ad avere la meglio su quattro tra le più esperte compagnie nemiche. Per un ufficiale che è stato in grado di compiere un'impresa del genere, questa missione non dovrebbe essere così difficile.» Un sorriso aleggiò sulle labbra del maresciallo. «Ma può anche darsi che non ricordi bene quanto mi è stato detto.» «Ricordate abbastanza bene. Tranne che le compagnie nemiche non erano quattro: riuscimmo a eluderne due e ad attaccare le altre due. Lottammo quel tanto che bastava per aprirci un varco e poter raggiungere le Valli del Ferro.» «Un ufficiale che non presta ascolto alle storie che si raccontano su di lui è ancora più raro di un bravo comandante sul campo di battaglia, e voi siete entrambe le cose.» «Mi sono limitato a fare il mio dovere», disse Alucius. «Questo è ciò che i bravi comandanti sono soliti dire.» «Se è per quello, anche i meno bravi», replicò l'ufficiale più giovane. Frynkel scoppiò a ridere e proseguì in tono loquace. «Ho chiesto un po' in giro, maggiore, e mi è stata riferita un'altra storia interessante. Dopo che foste congedato, durante il viaggio di ritorno a casa, veniste attaccato da una banda di briganti. Erano circa una ventina. Un comandante di squadra anziano mi ha raccontato che foste ferito gravemente, ma che riusciste a ucciderli tutti. Non ne lasciaste vivo nemmeno uno, mi ha detto.» Il maresciallo fissò Alucius. «Quanta verità c'è in tutto questo?» Alucius si strinse nelle spalle. «Ne uccisi parecchi. Non so se ce ne fossero altri, dato che, quando lo scontro giunse al termine, non ero nelle condizioni migliori per saperlo.»
«È una storia sorprendente. Qualcuno ha mai cercato di scoprire perché venti briganti vi avessero assalito?» «Non che io sappia. A quel punto, mi stavo rimettendo in forze e volevo solo tornare a casa. Non si è mai più verificato un fatto del genere. Non c'era motivo per agitare ulteriormente le acque.» «E nessuno ve ne ha più parlato? Seppure in modo indiretto?» «Nessuno, tranne la mia famiglia alla fattoria, naturalmente.» «Uhm... Non avete mai sentito nulla al riguardo da parte del colonnello Weslyn?» «No, signore. A quei tempi, non prestavo più servizio attivo. E sono certo che il colonnello avesse altre faccende urgenti che sollecitavano la sua attenzione. Come vi è sembrato?» «Si è mostrato molto cordiale, per quanto un po' stupito dal mio giro d'ispezione. Quella era un'altra delle ragioni che mi hanno portato fino nelle Valli del Ferro.» «È sempre stato molto cordiale», disse Alucius in tono garbato. «Per quanto ne so, non ha mai avuto il comando durante azioni di guerra.» «Non ne ero al corrente.» «Aveva servito nell'esercito per due anni con il grado di capitano, parecchio tempo fa», continuò Frynkel, «quindi aveva lavorato come capoguardia per un mercante, Halanat, mi pare che si chiamasse. Dopo la morte del maggiore Dysar - della quale, a quel che mi risulta, sapete qualcosa - il Consiglio dei Mercanti riuscì a convincere il colonnello Clyon a nominarlo vicecomandante. Pare anche che alcune irregolarità circa quella nomina siano state poi rimosse dagli archivi dell'esercito. Immagino che il resto lo conosciate». «La strana malattia e la morte del colonnello Clyon? Sì.» Alucius si chiese di quali irregolarità si trattasse. «Durante il mio servizio nelle Guardie del Nord come capitano non mi era giunta notizia che a Dekhron si fossero verificate delle anomalie.» «Eravate senza dubbio occupato in questioni più urgenti, come ad esempio sopravvivere agli assalti dei predoni. Ho ragione di credere che un giovane mercante sia morto in circostanze misteriose subito dopo la morte della figlia minore del colonnello Clyon.» «E il giovane mercante era figlio di Halanat?» «No. Era il figlio di un uomo chiamato Ostar.» Alucius annuì tra sé. Nessuna meraviglia che le Valli del Ferro fossero
state costrette ad accettare l'annessione alle terre di Lanachrona. Il Consiglio dei Mercanti non aveva praticamente altro interesse se non i propri complotti e intrighi personali. Ma, del resto, anche il Signore-Protettore e le Guardie del Sud agivano in base ai propri complotti e intrighi personali, anche se Alucius si augurava che perseguissero un fine un po' più nobile. «Non ho prestato molta attenzione a quello che è successo fuori dai confini delle Valli del Ferro», disse Alucius. «Se non vi dispiace, visto che avremo tempo durante il viaggio, vi pregherei di dirmi qualunque cosa possa avere a che fare con la missione che mi è stata affidata...» Frynkel si girò sulla sella, rivolgendosi al capitano alle loro spalle. «Geragt... avvicinatevi. Non vi nuocerà sentire quello che sto per raccontare.» Quindi si schiarì la voce e cominciò. «Il modo più semplice di iniziare è... Non c'è niente che stia andando per il verso giusto. Non che siano successe cose terribili, almeno non ancora. Inizierò col parlarvi dei territori a oriente. Sporadici rapporti ci informano che il Pretore di Alustre sta rafforzando il suo esercito...» Alucius ascoltò con molta attenzione, sperando di cogliere qua e là qualche accenno che si rivelasse più utile di quanto non fosse nelle intenzioni di Frynkel. 26 Il viaggio verso Dekhron era lungo, persino sulle strade principali costruite dagli Antichi, tanto che le due squadre furono costrette a fermarsi a Sudon la prima notte, per poi proseguire alla volta di Dekhron la mattina successiva. Al campo reclute di Sudon solo pochi ufficiali e comandanti di squadra conoscevano personalmente Alucius, ma tutti avevano sentito parlare di lui e delle sue imprese. Così, il mattino di duadi, quando ebbe finalmente terminato di far colazione, il maggiore di fresca nomina provò un certo sollievo nel risalire a cavallo e riprendere il cammino. Le nuvole di londi erano sparite e il cielo era di un terso colore verdeargento. Un vento fresco ma leggero soffiava da nordest, incurvando appena le spighe dorate nei campi a ovest della strada in durapietra. Né Alucius né Frynkel parlarono molto, finché non furono a circa cinque vingti da Sudon, di nuovo sulla strada principale. «Ancora oggi godete di una certa reputazione», osservò il maresciallo. «Molto interessante.» «Perché pensate che sia interessante, signore?» chiese Alucius.
«Se tutti compiono imprese onorevoli ed eroiche, ben pochi si meriteranno la reputazione di eroe, e ancora meno saranno le storie che ne raccontano le gesta. Tali gesta verranno narrate in modo sobrio, quasi fossero ritenute necessarie, dopodiché ognuno se ne andrà per la propria strada a fare ciò che deve.» «Sembrate voler dire che non ci sono sufficienti atti eroici nelle Guardie del Nord.» «Non esattamente, maggiore. I veri eroi sono quelli che fanno il proprio dovere, con il cuore colmo di paura e la piena consapevolezza delle probabilità e dei rischi cui vanno incontro. Questo è ciò che voi avete fatto, e sono pronto a scommettere che la maggior parte dei vostri soldati si è comportata allo stesso modo. Quando foste decorato dal Landarco di Deforya, se ben ricordo, sceglieste di non portare la Stella del Coraggio, né la portate adesso. E nemmeno la Stella dell'Onore.» «Erano in molti tra i miei uomini a meritare quelle decorazioni, maresciallo. Molti di essi non sono sopravvissuti, ma ne avevano diritto quanto me.» «L'avevate detto al Signore-Protettore, non è vero?» «Sì, signore.» «E i vostri uomini cosa raccontavano delle vostre imprese?» «Mi pare che non abbiano mai detto molto, signore. Perlopiù non desideravano parlarne.» «È proprio quello che intendevo dire. Quando un esercito si volta indietro a guardare solo alle gesta eroiche del passato e non all'operato e alle incombenze del momento, vuol dire che c'è sicuramente qualcosa che non va.» «E che mi dite delle Guardie del Sud?» «Temo che anche da loro siate considerato un eroe, sebbene non così popolare.» Frynkel rise sommessamente. «Tuttavia, è raro incontrare un uomo considerato un eroe in ben tre paesi diversi prima ancora che abbia raggiunto il suo trentesimo anno di età, ed è persino più raro che quest'uomo sia riuscito a sopravvivere.» «Ho avuto molta fortuna.» Nel rispondere, Alucius non poté fare a meno di chiedersi cosa fosse successo nel corso degli ultimi due anni e come mai Lanachrona fosse venuta a trovarsi in una simile situazione. «Indubbiamente, e speriamo che tale fortuna continui. Ne trarremmo tutti vantaggio.» Frynkel sorrise. «Adesso dovrei fornirvi qualche dettaglio sulla conformazione delle colline a sudovest di Hyalt.»
Alucius annuì e si accinse ad ascoltare. 27 Alustre, Lustrea L'uomo che sedeva sulla semplice sedia d'argento posta sulla pedana indossava la giacca nera e argento di Pretore e pantaloni della stessa tinta. Dal giovane volto traspariva un cipiglio che, anziché farlo sembrare più vecchio, lo rendeva solo più brutto. Sebbene scuotesse appena il capo, i corti capelli biondo chiaro non si muovevano per niente. E neppure si muovevano gli occhi neri, fissi sui due individui che portavano tuniche da Ingegneri Pretoriani. «Avete lavorato quasi due anni a Prosp e non siete in grado di riferirmi altro che questo?» disse, sollevando un sottile foglio di carta. «Onorevole Pretore Tyren», replicò l'ingegnere più alto e robusto, tenendo lo sguardo basso, «c'è voluto oltre metà anno per ripulire tutte le macerie, signore. Ci avevate chiesto di procedere con molta cautela e di cercare di recuperare tutto ciò che era possibile. Abbiamo fatto tutto con la massima cura». «Nessun segno di Vestor?» «Be', i suoi vestiti e le cose che gli appartenevano erano là, sul pavimento, quasi fosse svanito lasciandoli là, a terra. C'era anche un'arma che non avevamo mai visto e che ricordava nella forma una pistola. Era tutta a pezzi e abbiamo cercato di vedere se fosse possibile farne una copia.» «Perché non ripararla, semplicemente?» La voce di Tyren lasciava trasparire un evidente sarcasmo. «Era stata danneggiata a un punto tale che sarebbe stato impossibile ripararla.» Per un attimo ci fu silenzio, poi il Pretore parlò di nuovo. «Nel vostro rapporto, affermate che la Tavola non era rotta. Com'è possibile, visto che ben due piani del palazzo le sono crollati addosso, seppellendola sotto un cumulo di macerie?» «Signore, è ciò che abbiamo trovato. La Tavola risultava intatta. I sassi che le sono caduti addosso si sono frantumati, ma la sua superficie non ha neppure un graffio. Secondo le vostre istruzioni, le abbiamo ricostruito intorno la struttura originaria, rinforzandola in vari punti. «Siete riusciti a far funzionare la Tavola?» «No, signore. Al buio emana un lieve bagliore, ma non siamo in grado di
trovare né la fonte di tale bagliore né una spiegazione del fenomeno.» «Non esiste un archivio delle ricerche compiute da Vestor?» «Ah, sì, onorevole Pretore. Ha lasciato alcuni documenti e delle note», replicò l'ingegnere più magro e basso di statura. «E perché allora non li avete usati per decifrare i segreti della Tavola?» «Non siamo riusciti a leggerli», confessò sempre il secondo ingegnere. «Pare che siano scritti nell'antica lingua del Duarcato, e non c'è nessuno in grado di decifrarla.» «Ma se non c'è nessuno che la conosce, come aveva fatto Vestor a impararla tanto da poterla scrivere?» «Non lo sappiamo, signore», ammise il primo ingegnere. «Non parlava mai con nessuno di quello che faceva. Ci sono alcuni quaderni con appunti, molto vecchi, che risalgono a parecchi anni fa e che furono scritti in lustreano, che abbiamo utilizzato per ricostruire la vasca dei cristalli. Siamo anche riusciti a fabbricare una lama di luce simile a quelle usate con successo contro gli pteridon e i nomadi.» «Con parziale successo», lo corresse Tyren. «Sì, Pretore.» «Se voi siete degli ingegneri», commentò Tyren in tono sarcastico, «allora i miei collaboratori sono uno degli Scettri del Duarcato. L'abito non fa il monaco. Potete andare. Ma, per favore, cercate di imparare qualcosa di più da quella Tavola. E continuate a costruire altre lame di luce». «Sì, onorevole Pretore.» Nessuno dei due ingegneri osò incontrare lo sguardo del Pretore. Entrambi fecero un inchino e uscirono dalla sala delle udienze. 28 Sotto un limpido cielo verde-argento, con il sole quasi allo zenit, Frynkel, Geragt e Alucius procedevano fianco a fianco in groppa ai loro cavalli sulla strada in durapietra che li avrebbe portati a Dekhron. Dietro, seguivano due squadre di Guardie del Sud. Avevano appena superato il segnale stradale che indicava due vingti a quella che era stata la capitale delle Valli del Ferro, prima dell'annessione a Lanachrona. «Maggiore?» disse Frynkel. «Sì, signore?» «Dovrete presentarvi al colonnello Weslyn. Poiché ora rispondete al Signore-Protettore e siete sotto il mio diretto comando, si tratta di una pura e
semplice formalità, di un atto di cortesia, dettato però dalla prudenza. Come vi ho già anticipato, una volta partiti da Dekhron, la vostra paga e quella degli uomini ai vostri ordini, compresi quelli della Quinta Compagnia, saranno gestite dalle Guardie del Sud, così come la distribuzione dei viveri e degli approvvigionamenti.» «Il colonnello non sarà dispiaciuto per questa soluzione.» Frynkel abbozzò un sorriso che gli contorse la bocca. «Per il denaro che non dovranno più sborsare le Guardie del Nord, sicuramente. Mentre invece è probabile che sia assai poco contento di sapere che uno dei suoi capitani maggiori non in servizio sia stato promosso a uno dei gradi più alti senza la sua approvazione, e che quello stesso ufficiale sia ora gli ordini di ufficiali anziani delle Guardie del Sud. Ma, d'altra parte, avrà anche pensato che la vostra reputazione è inappuntabile oltre che inattaccabile.» «In altre parole», replicò Alucius, «si comporterà con gentilezza e cortesia, ma è indubbio che non avrebbe niente in contrario se un fulmine mi colpisse o se qualche altra improbabile calamità si abbattesse su di me». «È un'ipotesi plausibile, tuttavia, se è davvero il tipo di persona che mi sono raffigurato, probabilmente si augurerà che non succeda niente, finché non avrete concluso la vostra missione a Hyalt.» Alucius lo capiva fin troppo bene, visto che il Signore-Protettore avrebbe potuto benissimo portare avanti l'operazione avvalendosi del contributo di Feran, il cui successo - oltre che la lunga carriera nell'esercito - lo avrebbe reso una minaccia ancora più grave per il colonnello. Di lì a non molto raggiunsero la periferia di Dekhron. La città in sé pareva poco cambiata dall'ultima volta che Alucius l'aveva vista, più di due anni prima. Le case, ammassate l'una a ridosso dell'altra, erano state costruite generazioni addietro utilizzando le pietre più svariate, provenienti da fabbricati ancora più vetusti. Il numero di imposte e di porte dipinte era davvero esiguo e più della metà aveva la vernice crepata o scrostata, o entrambe le cose. Dalle vie laterali, la maggior parte delle quali era in terra battuta, si levavano mulinelli di polvere rossa. Solo il fondo in durapietra della strada principale sembrava integro e recente, anche se polveroso, sebbene fosse più antico di tutto il resto. Mentre si avvicinavano al quartier generale delle Guardie del Nord, Alucius si raddrizzò sulla sella. In tutta onestà, non poteva certo dire di essere impaziente di rivedere il colonnello Weslyn. Anche quel complesso era rimasto immutato; non che Alucius si fosse aspettato il contrario, visto che erano trascorsi solo due anni. Le mura di
pietra racchiudevano un quadrato, lungo circa mezzo vingt su ogni lato. Le scuderie, le baracche per i soldati e gli alloggiamenti per gli ufficiali al suo interno erano tutti imbiancati a calce, con tetti ricoperti da tegole di ardesia, mentre i cortili erano tutti lastricati. Nel vedere la colonna avvicinarsi, i due soldati di sentinella scattarono sull'attenti. «Maresciallo, maggiore... benvenuti al quartier generale delle Guardie», li salutò il soldato più anziano. «Grazie», risposero quasi simultaneamente Frynkel e Alucius. «... era il maggiore?» mormorò la sentinella più giovane, a voce quasi troppo bassa perché si potesse udire chiaramente. «L'ufficiale dai capelli grigio scuro? È il capitano maggiore Alucius. Pare che sia diventato maggiore, adesso. È quello che ha ucciso da solo un migliaio di barbari, e che poi ci ha quasi rimesso la pelle in un'imboscata, dove ha fatto fuori cinquanta briganti, per poi cavalcare dieci kelbi con una mano sulla pancia per impedire che gli uscissero le budella. Mio fratello ha servito sotto di lui. Il miglior comandante che sia mai...» «Oh...» Quando Alucius si fermò davanti al fabbricato del quartier generale un sorriso gli incurvava le labbra. I briganti dell'imboscata erano solo venti e gli ci erano volute settimane per guarire. «Siete assai famoso, Alucius», bisbigliò Frynkel sorridendo. «Il fatto impressionante è che quasi tutto corrisponde a verità.» «Forse solo una parte.» Il maresciallo scosse il capo. «Andate pure a fare visita al colonnello. Lo andrò a trovare dopo, mentre voi sistemerete le cose con il capitano maggiore Feran e la Quinta Compagnia.» Alucius scese di sella e legò il cavallo al palo di pietra, prima di aprire la vecchia porta di quercia ed entrare nell'anticamera che dava sugli alloggi del colonnello Weslyn. Il soldato dietro la scrivania alzò il capo, colto momentaneamente di sorpresa, e osservò l'uniforme e le mostrine da maggiore. «Oh, signore, dovete essere il maggiore Alucius.» «Esatto. Vorrei vedere il colonnello Weslyn.» «Sono certo che sarà lieto di ricevervi, signore. Questo pomeriggio dovrebbe incontrarsi con il nuovo Consiglio dei Mercanti e sperava che arrivaste in tempo.» Il soldato si alzò. «Se volete aspettare un attimo, signore, lo avviso che siete qui.» «Grazie.» Alucius lo ringraziò con un sorriso, cercando di non mostrarsi
stupito di fronte a tanta deferenza. Chissà se derivava dal fatto che lo si credeva in stretti rapporti con il Signore-Protettore? Il soldato sgusciò nello studio del colonnello chiudendosi la porta alle spalle, ma ne riemerse quasi subito. «Prego, signore, entrate.» Alucius annuì ed entrò, chiudendo a sua volta la porta dietro di sé. Il colonnello dall'alta statura e dalle ampie spalle lo aspettava in piedi dietro la scrivania. «È trascorso un po' di tempo, maggiore», lo salutò, indicandogli una delle sedie di fronte a lui e rimettendosi a sedere. «Vi trovo bene... e in ottima forma.» «Grazie.» Alucius si accomodò. Notò che i folti capelli del colonnello erano adesso più grigi che biondi e che una sottile rete di rughe si dipartiva dagli angoli degli occhi. I Talento-sensi gli mostrarono che il filo vitale dell'altro era normale: lo stesso marrone ambrato, privo del secondo filo violaceo che contraddistingueva chi era posseduto da un ifrit. Tuttavia, si scorgeva un lievissimo accenno di quel colore, come se Weslyn avesse incontrato un ifrit o ne avesse subito l'influenza. Quella percezione colpì Alucius come un muro di acqua ghiacciata, lasciandolo senza parole per un lungo momento. Ma c'era ben poco che potesse fare in proposito, almeno non subito. Non aveva alcun modo di scoprire se Weslyn avesse semplicemente incontrato un ifrit, senza neppure sapere chi fosse, o se invece egli fosse un agente marginale di quegli esseri. D'altronde, lui cosa avrebbe potuto fare? Raccontare a Frynkel che gli ifrit esistevano e che, poiché Weslyn ne aveva avvicinato uno, lui Alucius, avrebbe dovuto rinunciare alla sua missione a Hyalt? Tentò di ricorrere al proprio Talento per avere una migliore comprensione di quella vaga sfumatura violacea sospesa attorno al filo vitale di Weslyn, ma questa era talmente impercettibile che non ebbe modo di capire né da dove provenisse né se Weslyn fosse consapevole di subire una qualche influenza. «Il Signore-Protettore Vi ha incaricato di una missione assai importante», disse infine Weslyn, «il cui buon esito si rifletterà sicuramente su tutte le Guardie del Nord». Il sorriso del colonnello era caloroso e professionale, e ispirava poca fiducia ad Alucius. «Me ne rendo conto, ed è qualcosa su cui ho dovuto riflettere. Ma se avessi rifiutato una richiesta da parte del Signore-Protettore», replicò Alucius, «il mio comportamento non avrebbe deposto a favore delle Valli del Ferro, né tanto meno delle Guardie del Nord». Così dicendo, si strinse nel-
le spalle ed esibì un sorriso disarmante. «Perciò ho pensato che la soluzione migliore fosse accettare.» «Ah, certamente. Se ci si trova a fronteggiare situazioni difficili è sempre meglio tentare e magari non riuscire, piuttosto che non tentare del tutto.» «Ma è molto meglio tentare e riuscire», aggiunse Alucius garbatamente. «Questo è il mio obiettivo. Come d'altra parte lo è sempre stato.» «La fortuna vi ha sempre favorito, e noi ci auguriamo che non vi venga a mancare adesso.» Alucius si rese conto che Weslyn, quasi a indispettirlo, stava lasciando intendere che i precedenti successi di Alucius fossero da attribuire alla sua buona stella. Ragion per cui si costrinse a sorridere di nuovo. «Di certo, non volteremo le spalle alla fortuna, ma non ci faremo troppo affidamento. Così, sarà più sicuro.» «Già. Speriamo comunque che anche la sorte vi sia favorevole.» Alucius fece una pausa, poi domandò: «Posso chiedere come sta andando la campagna del Signore-Protettore nei territori occidentali?». Weslyn inclinò il capo, producendosi in un sorriso cordiale, quel sorriso falso che ad Alucius non era piaciuto sin dai tempi del loro primo incontro. «La campagna sta procedendo come previsto. Sono certo che il maresciallo vi fornirà tutti i dettagli che vorrete durante il vostro viaggio verso Tempre. Suppongo che tornerà laggiù insieme a voi.» In poche parole, pensò Alucius, l'avanzata delle Guardie del Nord si trovava a un punto morto a nordovest e Weslyn non aveva idea di cosa stesse accadendo a sudovest, sebbene non intendesse ammettere nessuna delle due cose. «Mi fa piacere saperlo.» Sorrise di nuovo educatamente. Weslyn gli restituì il sorriso. «Sono contento che vi siate fermato a salutarmi.» «Non avrei potuto fare di meno», replicò Alucius. «Non per un comandante che mi è sempre stato così di aiuto e che ha sempre parlato in modo tanto eloquente nell'interesse delle Guardie del Nord.» Tale era la veemenza con cui pronunciò quelle parole, che quasi gli mancò il respiro, sebbene intendesse davvero alla lettera ciò che aveva detto. Weslyn indugiò prima di riprendere, come se non si fosse aspettato una risposta del genere. «Vi auguriamo di riuscire nella vostra impresa a Hyalt. Non voglio trattenervi oltre. So che avete molto da fare», concluse alzandosi in piedi. Alucius lo imitò prontamente. «Grazie.» Subito dopo chiese rapidamen-
te: «Ho sentito che avete una riunione con il Consiglio dei Mercanti. C'è dunque un nuovo Consiglio? Pensavo che quello precedente...». Non terminò la frase. «Oh... si tratta semplicemente di un gruppo di mercanti che ha deciso di incontrarsi di tanto in tanto perché sentiva l'esigenza di costituire una specie di cooperativa, data la difficile situazione che stiamo attraversando.» «Vi ringrazio. Non ne sapevo niente.» Alucius piegò brevemente il capo in segno di saluto. «Con il vostro permesso, signore...» Weslyn annuì, e Alucius uscì dalla stanza chiudendosi piano la porta alle spalle. Feran si trovava proprio fuori dall'ufficio del colonnello, intento a parlare con il maresciallo Frynkel. «... qualcuno era preoccupato per le munizioni... difficile spingersi a sud del fiume Vedra... di calibro più grosso...» «A quello abbiamo provveduto...» Entrambi tacquero e si voltarono verso Alucius. Feran non sembrava troppo invecchiato, almeno non agli occhi di Alucius. Aveva gli stessi capelli scuri, forse con qualche filo grigio in più, le stesse rughe profonde che si irradiavano dagli angoli degli occhi, occhi grigi che conservavano ancora un accenno di malizia e che parevano non prendere niente troppo sul serio, tranne, naturalmente, ciò che era davvero importante. Il viso gli si illuminò in un caloroso sorriso. «Alucius... o dovrei forse dire "maggiore"?» «Feran, sono contento di vederti. E tu sei diventato capitano maggiore.» L'altro scoppiò in una risata. «Non molto prima che tu diventassi maggiore, suppongo.» Alucius guardò il maresciallo Frynkel. Questi annuì. «Gli è stato conferito anche il grado temporaneo di capitano maggiore delle Guardie del Sud. Giusto per non creare confusione nella gerarchia di comando.» Il che, agli occhi di Alucius, sembrava rivestire una certa logica, oltre a lasciar presagire una campagna difficile. «Dopo che voi e il capitano maggiore Feran vi sarete occupati del necessario e io avrò scambiato qualche parola con il colonnello Weslyn, potremo andare a cena con il capitano Geragt al "Montone Rosso"», propose il maresciallo. «Diciamo, tra circa una clessidra?» Alucius lanciò un'occhiata a Feran, il quale annuì. «Sì, signore», rispose a Frynkel. «Vi aspetto fuori dagli alloggi degli ufficiali anziani, allora.» Frynkel si
voltò e si diresse verso lo studio di Weslyn e, senza consultare il soldato di guardia, apri la porta ed entrò. Feran trattenne un sorriso. «Perché non usciamo?» propose Alucius. «Signore? Maggiore Alucius?» li interruppe il soldato. «Vi è stata assegnata la seconda camera negli alloggi degli ufficiali anziani, quella che si trova tra quelle del maresciallo e del capitano maggiore Feran.» «Grazie.» Alucius non disse altro finché non furono usciti dall'edificio, non ebbe slegato il cavallo e non si furono avviati verso le scuderie. Poi guardò Feran. «Cosa sta succedendo davvero a ovest?» «Stiamo per rimetterci le chiappe, a meno che l'inverno non arrivi prima del previsto.» Feran scosse il capo. «La maggior parte degli uomini ha tirato un respiro di sollievo nel sentire che veniva mandata a sud.» «Ma questa... Reggente è davvero così esperta come comandante? Non riesco a credere che tutti i soldati un tempo muniti di collare abbiano accettato di combattere...» «Abbiamo invaso le loro terre. Il passato si dimentica facilmente quando il nemico è alle porte. Ci considerano lanachroniani, adesso. Il che non aiuta.» «Credi che i collari funzionino di nuovo?» Alucius non capiva come ciò fosse possibile, dato che aveva distrutto il cristallo gigante che li controllava, ma, d'altra parte, si stavano verificando le cose più strane. E la Reggente doveva senz'altro aver fatto qualcosa per chiamare a raccolta tutta Madrien. «Non abbiamo combattuto tanto vicino da scoprirlo. Li portano ancora. Ma non si sa se funzionano.» Feran si strinse nelle spalle. «La Quinta Compagnia è al completo?» domandò Alucius. «Fino all'ultimo soldato. I cinque che mancavano sono arrivati da Sudon stamattina.» «Quanti hanno appena terminato l'addestramento?» «Neanche tanti. Dodici, che ho distribuito in tutte e cinque le squadre. Tutti i comandanti di squadra sono bravi.» Rise. «Devono esserlo per forza. Ne hai addestrati tu almeno la metà.» Alucius guidò il cavallo verso la porta aperta delle scuderie. Uno stalliere arrivò di corsa. «Signore, posso aiutarvi?» «Tra un attimo, dopo che l'avrò sistemato nel suo recinto e avrò tolto i finimenti e le bisacce.» Alucius sorrise al giovane stalliere. «È possibile
avere del foraggio in più? Ha fatto un lungo viaggio.» «Sì, signore. Possiamo provvedere. Ah, il vostro è il terzo recinto, da questa parte, signore.» Mentre parlava con Feran, Alucius tolse la sella al cavallo e finì di governarlo. «Ho sentito dire che c'era un altro di quei lancia-proiettili di cristallo...» «... ci trovavamo sulla strada di mezzo... ci hanno detto che l'avevano usato per respingere l'attacco di Arwyn. Questa è un'altra delle ragioni per cui gli uomini non sono così dispiaciuti di dirigersi a sud e di non dover affrontare le forze della Reggente.» «Che mi dici dei comandanti di squadra della vecchia Ventunesima Compagnia? Egyl e Faisyn...» Feran sorrise. «Egyl è il comandante di squadra anziano della Quinta Compagnia, Faisyn ha la prima squadra e Zerdial la quinta. Sawyn è stato assegnato all'Ottava Compagnia, e se la cava bene. Anslym era stato assegnato alla Dodicesima, che è stata colpita di brutto ad Arwyn. Lui... non ce l'ha fatta.» «Mi dispiace.» «Eravamo tutti dispiaciuti. Il problema è che Dyabal non era poi granché come capitano.» Alucius aggrottò la fronte. «Dyabal?» «Il fratello minore di Dysar, fratellastro per la verità.» Alucius annuì. In un certo senso, tutto questo aveva una sua logica. In breve tempo, o almeno così gli parve, Alucius sistemò i propri effetti personali nella seconda stanza al piano superiore degli alloggi ufficiali, la stessa che aveva occupato in precedenza. Si trattava di un locale di sei iarde per quattro, ammobiliato con un letto doppio, un grande scrittoio, due lampade da parete, un armadio, una rastrelliera per le armi e un calzastivali, e dotato di una stanza da bagno attigua. Era tutto ben diverso rispetto a quando, anni prima, aveva iniziato come recluta e aveva dormito in una lunga baracca insieme a più di un centinaio di altri soldati. Feran lo stava aspettando fuori, dopo che Alucius ebbe finito di darsi una rinfrescata. «È la prima volta che vengo alloggiato nei quartieri alti», disse Feran. «Per me è solo la seconda volta, qui.» «Ma con te è d'obbligo», gli fece notare Feran. «Sai che sei il quarto ufficiale in ordine di importanza, come grado, di tutte le Guardie del Nord?» «Quarto?» «Ci sono Weslyn, il suo vice...»
«È ancora Imealt?» Feran annuì e proseguì: «E c'è il maggiore Lujat. È lui che ha il comando delle truppe nella zona settentrionale di Madrien». «Che tipo è? Non l'ho mai incontrato.» «Non male. Non è bravo quanto te nel sentire il ritmo della battaglia, ma è uno che presta ascolto ai suoi capitani e comandanti di squadra, soprattutto ai comandanti anziani, visto che i capitani non sono granché.» «Per quale motivo?» «Per il semplice motivo che li ha scelti Weslyn», rispose Feran in tono asciutto. «A ogni modo, il maggiore Lujat è in grado di capire molto bene qual è la compagnia più adatta a svolgere un certo compito.» «Ed è ancora al comando?» «Il colonnello deve riferire gli esiti al Signore-Protettore», spiegò Feran. «E al maggiore Lujat mancano appena tre anni prima di andare in pensione. Ha detto chiaro e tondo che non gli interessa prestare servizio a Dekhron.» «Un tipo intelligente», mormorò Alucius. «Credevo lo fossi anche tu, finché non ho sentito che avevi accettato di svolgere questa missione», commentò Feran, con un accenno di sorriso negli occhi. «Non avevo altra scelta. Se il Signore-Protettore deve far spostare...» «Lo so. Gira e rigira, è sempre la stessa storia. Nessun supporto, e l'esercito che si ritira a difendere la sezione meridionale delle Valli del Ferro. Voi pastori che vi trovate di nuovo intrappolati nel mezzo.» Di lì a un attimo, Feran domandò: «E tua moglie?». «Meravigliosa... mi è di grande aiuto ed è più abile di quanto pensassi.» Alucius era stato quasi sul punto di dire che Wendra possedeva più Talento di quanto avesse pensato. Decisamente, doveva ritornare alla vecchia abitudine di tenere la bocca chiusa, adesso che era lontano dalla fattoria. «Mi pare di capire che non ne sei per niente innamorato.» Alucius si sentì arrossire. Feran scoppiò a ridere. «Scommetto che hai portato carta e penna.» «Non ti consiglio di scommettere. Spero solo di avere tempo per scrivere.» E che i messaggi vengano recapitati a Wendra, si disse Alucius mentalmente. «Ecco il maresciallo.» Alucius si voltò. Benché Frynkel sorridesse, al pari di Geragt, Alucius avvertì in lui della collera repressa.
«È stata una giornata molto lunga, molto lunga», disse Frynkel. «È ora di bere una buona birra.» «Sono d'accordo», replicò Alucius. Si trovò a camminare di fianco al maresciallo, che non era chiaramente desideroso di chiacchierare, con Feran e Geragt al seguito. Situato in un angolo, a poco meno di un centinaio di iarde a sud della postazione, il «Montone Rosso» era un vecchio edificio di pietra rossa, dalle finestre strette e di forma antiquata. Elyset, la proprietaria dai capelli ormai quasi completamente grigi, li stava aspettando sulla soglia, le labbra atteggiate a un sorriso professionale. Alucius inclinò il capo verso di lei, proiettando un senso di calore e di amicizia, come già aveva avuto occasione di fare anni prima. «Sono contento di rivedervi», disse, regalandole un generoso sorriso. «La volta scorsa mi avevate consigliato le quaglie. Sono ancora il vostro piatto forte?» Elyset scoppiò a ridere. «Maggiore o no, siete rimasto un soldato. Oggi non abbiamo quaglie. E neppure fagiano, ma le tagliatelle e il pollo non sono niente male.» Poi si rivolse a Frynkel con un sorriso: «Non capita spesso di vedere marescialli da queste parti, e devo dire che nel corso di quest'ultima settimana, ho ricevuto parecchie volte la vostra gradita visita. Sarà meglio che entriate e vi accomodiate». Li condusse verso un tavolo accanto al camino, che era spento e protetto da un paravento di vimini. «Stasera, sarete più tranquilli qui.» Frynkel prese posto nell'angolo, Alucius sedette alla sua sinistra di fronte a Feran. Elyset si fermò a prendere direttamente le ordinazioni, senza neppure chiamare una cameriera. «Immagino che sappiate cosa c'è da bere: birra chiara, birra scura e vino. Da mangiare, abbiamo come al solito dello stufato. Poi cotolette d'agnello e del pollo alla Vedra con le tagliatelle integrali. E anche del lymbyl.» «Per me birra scura e lymbyl», ordinò Frynkel. «E del pane nero.» Ad Alucius non era mai piaciuto il lymbyl, un pesce simile all'anguilla. «Birra scura... e mi avevate consigliato il pollo con le tagliatelle. Si tratta del pollo alla Vedra?» «Esatto. Prendete quello?» «Sì, e anche per me del pane nero.» Feran e Geragt decisero entrambi ugualmente per il pollo, e Feran prese la birra scura, mentre Geragt optò per il vino. Le bevande furono servite quasi subito da una donna alta e di giovane
aspetto. Frynkel alzò il suo bicchiere. «A una campagna vittoriosa.» «A una campagna vittoriosa», ripeterono gli altri. Mentre pronunciava il brindisi, Alucius si chiese in base a quali parametri si potesse definire vittoriosa una campagna condotta contro dei rivoltosi, ma si limitò a sorseggiare la sua birra e rimase in attesa di sapere cos'altro aveva da dire il maresciallo. «Come avrete sicuramente già immaginato, questa non sarà la solita campagna», disse Frynkel dopo un altro lungo sorso di birra. «Suppongo di no», replicò Alucius. «I morti non pagano le tasse, e se le convinzioni che animano i ribelli sono ben radicate occorrerà ucciderne pochissimi oppure eliminarli tutti.» Sul viso di Geragt comparve un'espressione di fugace perplessità. Feran abbozzò un sorriso divertito. Frynkel ridacchiò. «Vedo che avete riflettuto.» Si voltò verso Geragt. «Ha ragione. Se i ribelli sono convinti che il Signore-Protettore abbia torto o che si sia comportato crudelmente nei loro confronti, per ogni uomo ucciso dal maggiore, ce ne saranno due che impugneranno le armi contro di lui. Questo perché quelle morti dimostreranno agli altri che il SignoreProtettore è davvero un sovrano malvagio.» «O qualcosa del genere», mormorò Feran sottovoce. «Inutile dire che la rivolta è scoppiata nel momento peggiore, ed è forse per tale motivo che è stata fomentata», aggiunse il maresciallo, appoggiandosi la mano destra sull'occhio per calmarne il tremito. «Non solo dobbiamo combattere la Reggente, ma anche gli assalti delle navi dramuriane su Porta del Sud, e lo scontento dei nostri stessi mercanti, i quali chiedono una riduzione dei dazi, visto che i prezzi delle merci fuori dei confini di Lanachrona sono aumentati. È ovvio che abbiamo dovuto alzarli proprio per proteggere i mercanti e i commercianti, ma loro non lo vogliono capire.» «Per quale motivo sta succedendo tutto proprio adesso?» chiese Feran. «Perché la gente si approfitta della debolezza altrui, suppongo», replicò Frynkel. «I Veri Duarchisti hanno predicato contro il Signore-Protettore per generazioni. Quando il bisnonno del Nobile Talryn era SignoreProtettore, a Hyalt si era già verificata una piccola rivolta. Hanno aspettato che i tempi fossero maturi, e cioè che l'attuale Signore-Protettore fosse impossibilitato a concentrare laggiù troppi uomini. Magari credevano che lui si limitasse a ignorare la cosa, visto che la città si trova un po' fuori
mano.» «E perché non l'ha fatto, signore?» insistette Feran in tono educato. «Fuori mano o no, darebbe comunque l'esempio. I mercanti di spezie della terraferma di Soupat potrebbero decidere di volere l'indipendenza. O gli abitanti delle montagne vicino a Indyor. Il Consiglio di Deforya ha già stabilito di imporre dazi esagerati ai nostri mercanti. E chissà cosa potrebbe succedere tra non molto?» «Come hanno fatto a trovare il denaro per armi e munizioni?» chiese Alucius. «Qualcuno è riuscito a scoprirlo?» «No», ammise Frynkel. «Abbiamo controllato tutti i registri di commercio, ma non ne è emerso niente.» «Chiaramente qualcuno voleva nascondere la provenienza di quei soldi», commentò Alucius. «Oppure le armi sono state introdotte di contrabbando da Madrien.» «In effetti, la distanza tra Hyalt e Madrien è breve e la Reggente della Matride farebbe qualunque cosa pur di indebolire Lanachrona», rimuginò tra sé il maresciallo. «Ma questi Veri Duarchisti accetterebbero armi matriti?» domandò Feran. «E chi dice che essi sappiano da dove vengono le armi? Sono simili alle nostre - non pesanti come quegli aggeggi mostruosi che portate voi delle Guardie del Nord - e potrebbero essere state fabbricate da qualsiasi armaiolo. Dubito che ai Duarchisti importi molto.» Frynkel fece seguire quelle parole da una secca risata. Maggiore era la quantità di informazioni che Alucius metteva insieme più tutto sembrava assumere un senso logico, e più gli pareva di non riuscire a cogliere un particolare importante. Perciò decise di seguire ancora una volta il consiglio del nonno, restando il più possibile in ascolto e dicendo il minimo indispensabile. Bevve un altro piccolo sorso di birra. Quella almeno era buona. 29 Il tridi, di buonora, subito dopo l'adunata mattutina delle Guardie del Nord, Alucius sedeva in groppa al suo cavallo grigio, mentre la Quinta Compagnia si disponeva in formazione sul lato nord del cortile. L'Ottava Compagnia delle Guardie del Sud si stava raggruppando sull'altro lato del cortile, a sud dell'edificio del quartier generale.
Alucius rimase a guardare e ad ascoltare Feran che si rivolgeva ai soldati. A cavallo, accanto a Feran, ma un poco più indietro, c'era il comandante di squadra anziano, Egyl, che era già stato comandante di squadra di Alucius dopo la morte di Longyl nella battaglia contro i nomadi di Aellyan Edyss. Alucius si chiese quanti altri uomini avrebbe riconosciuto. «... partiremo tra poco, ma adesso il maggiore Alucius farà una breve ispezione. Disporsi in riga!» «Disporsi in riga!» ripeté Egyl, con voce stentorea. «Pronti per l'ispezione!» «La Quinta Compagnia è pronta per l'ispezione, signore», riferì Feran. «Grazie, capitano maggiore.» Alucius fece avanzare il cavallo lungo la prima riga della prima squadra, con Feran ed Egyl al seguito. Subito lo sguardo gli cadde sul ricognitore dalla mascella squadrata. «Waris, sei pronto per una nuova missione?» «Sì, signore!» Anche il quinto soldato era un viso noto. «Skant. Ti va di andare in un posto più caldo di Emal?» «Sì, signore, purché non sia troppo caldo.» Mentre proseguiva attraverso le file di soldati, Alucius cercò di ricordarsi quanti più nomi possibile, abbinandoli a fatti o a incidenti, non tralasciando neppure quello di Reltyr, che aveva attraversato momenti difficili a causa di una moglie infedele, ai tempi in cui la Ventunesima Compagnia era di stanza a Emal, prima dell'annessione. Benché il giro d'ispezione sembrasse aver richiesto parecchio tempo, in realtà era trascorsa appena mezza clessidra quando Alucius riprese il suo posto di fronte alla Quinta Compagnia. «Niente male, maggiore», disse Feran sottovoce. «Te li sei ricordati quasi tutti.» «E quei pochi che non mi sono ricordato si chiederanno come mai li ho dimenticati.» «Meglio che se lo chiedano loro piuttosto che tutti pensino che non ti ricordi di nessuno.» Alucius si augurò che fosse davvero così. Cominciò a muovere il cavallo. «Faccio sapere al maresciallo che siamo pronti.» Feran si produsse in un largo sorriso. «Maggiore, stando al regolamento, dovresti chiedermi di mandare qualcuno ad avvisarlo.» Alucius si strinse nelle spalle con aria impotente. «Devo riabituarmi a fare l'ufficiale e dimenticarmi il pastore.»
Il capitano maggiore si girò. «Egyl, manda un ricognitore a informare il maresciallo che il maggiore Alucius e la Quinta Compagnia sono pronti a partire.» «Sì, signore.» Alucius gettò un'occhiata verso l'edificio del quartier generale, ma non vide traccia del colonnello Weslyn. Il che non lo sorprese. Senza dubbio, il colonnello si trovava sul lato sud a salutare il maresciallo Frynkel. Alucius non poté fare a meno di chiedersi se Weslyn fosse consapevole del fatto che Frynkel non nutriva né considerazione né rispetto nei suoi confronti. Immaginò di sì. Weslyn era troppo astuto nel gioco delle correnti politiche per non saperlo. Quello era uno degli aspetti nella vita di un ufficiale delle Guardie del Nord al quale Alucius avrebbe volentieri rinunciato, benché il suo Talento gli fornisse notevoli vantaggi da quel punto di vista. «Staranno aspettando», disse Feran. «Sicuramente. È probabile che non abbiano nemmeno fatto l'ispezione, anche se il maresciallo non è tipo da transigere su una cosa del genere.» «Lo penso anch'io.» Quasi subito dopo il ritorno di Waris, dal lato opposto del cortile giunse il comando: «Ottava Compagnia! Avanti!». «Aspetteremo finché l'Ottava Compagnia non avrà oltrepassato i cancelli», disse Alucius. Feran annuì. Di lì a poco, Alucius fece un cenno a Feran. «Quinta Compagnia! Avanti!» Mentre lui e Feran procedevano alla guida della Quinta Compagnia, appena dietro agli ultimi cavalleggeri dell'Ottava, Alucius sentì muoversi le ruote dei carri delle provviste sul selciato. Il rumore prodotto dai cerchioni in ferro sulla pietra si attenuò quando i carri superarono i cancelli e si immisero sul viale dal fondo in terra battuta che portava a est e alla strada in durapietra che li avrebbe condotti a sud, attraverso Dekhron. Gli edifici della città erano simili a quelli di Punta del Ferro, perlopiù costruiti con pietre di recupero e con tetti coperti da tegole o da lastre d'ardesia. Moltissime persiane avevano la vernice scrostata o ne erano del tutto prive. Sebbene alcune tra le abitazioni più vecchie nei pressi del molo fossero alte due o persino tre piani, il loro aspetto era ancora più trasandato, quasi fossero utilizzate per ospitare i lavoratori più indigenti, quelli impiegati nei lavori più umili, nei dock sul fiume. I palazzi dei commercianti vicino al centro di Dekhron erano conservati
meglio, e parecchi sfoggiavano imbiancature recenti e finestre dai vetri scintillanti. Tuttavia, la città sembrava più tranquilla di quanto Alucius ricordasse e i passanti per strada erano pochissimi, particolare che lo sorprese, poiché Kyrial e Kustyl gli avevano detto che il commercio era in netta ripresa. Giunta in fondo al viale, l'Ottava Compagnia si diresse a sud e imboccò la strada principale sopraelevata in durapietra che portava fuori città; Alucius e la Quinta Compagnia seguivano a breve distanza, superando proprio in quel momento gli ultimi isolati di case prima di arrivare al ponte sul fiume. La sopraelevata ricordò ad Alucius Hieron, perché anche questa strada doveva essere stata progettata in epoca antecedente alla costruzione del settore commerciale più in basso, lungo il fiume. Ed era probabilmente per collegare tale settore con la via maestra che, in tempi successivi, erano stati costruiti innumerevoli raccordi. Mentre Alucius proseguiva lasciandosi Dekhron alle spalle, gli zoccoli dei cavalli dell'Ottava Compagnia davanti a lui produssero un rumore amplificato, nel tratto in cui il selciato era fiancheggiato dai parapetti in pietra dell'antico ponte eretto all'epoca del Duarcato. Si trattava di un'opera che in passato Alucius avrebbe potuto definire maestosa, con quella sua linea arcuata che si proiettava sul fiume, stagliandosi contro le basse case di Salaan, sulla sponda meridionale. Ma dopo aver ammirato la struttura massiccia e aggraziata del ponte sul Vedra a Hieron, o il canyon scavato nella roccia delle montagne della Dorsale Superiore, quel ponte gli appariva solo come una delle meraviglie architettoniche di quell'insieme di vie di collegamento passate indenni attraverso migliaia di anni; una meraviglia dal significato tenebroso, visto che lui era uno dei pochi a conoscere il prezzo pagato da Corus per tali realizzazioni. Il ponte aveva una duplice corsia, larga il doppio rispetto a quella della strada principale, ma priva del divisorio centrale che Alucius aveva notato sui grandi ponti di Madrien. La guardiola in pietra sulla sponda meridionale non era stata rimossa - a differenza di quella di Emal, che era stata fatta togliere da Feran più di due anni prima - e anche quel particolare fu motivo di preoccupazione per Alucius. Secondo lui, i resti delle antiche e più o meno evidenti ostilità tra le Valli del Ferro e Lanachrona avrebbero dovuto sparire il più presto possibile. Appena oltre l'estremità meridionale del ponte, a sinistra, un tempo sorgeva il forte delle Guardie del Sud. Alucius gettò un'occhiata da quella parte. Il fabbricato principale, le baracche e le scuderie erano ancora là, ma
le finestre erano prive di vetri e le pietre che componevano parte del muro delle scuderie erano state portate via. Distolse lo sguardo, scrollando il capo. «Che succede?» chiese Feran. «Le Guardie del Sud si sono limitate a fare i bagagli e ad abbandonare il forte. Tra un anno o poco più non sarà rimasto nulla, tranne macerie. Mi sembra un tale spreco.» «Non vogliono spendere denaro per la sua manutenzione. Ma poi, chi lo comprerebbe?» «Lo so.» Quello era un altro particolare che inquietava Alucius. Troppe cose stavano andando in rovina. Ma non c'era niente che potesse fare. Portò allora lo sguardo sulla strada principale, il cui percorso si discostava gradualmente dal fiume, che invece si dirigeva a sudovest, e pensò al lungo viaggio che aveva davanti, mentre ogni clessidra lo avrebbe portato sempre più lontano dalla fattoria, da Wendra e dalla loro bambina non ancora nata. 30 Un paio di giorni più tardi le due compagnie arrivarono al punto in cui il fiume Vedra si avvicinava di nuovo alla strada principale. «Il maresciallo ha accelerato l'andatura», commentò Feran. «Siamo ad appena una clessidra dalla postazione.» Alucius esaminò le fattorie e i campi e osservò i due fiumi: il Vyana alla sua sinistra, che scorreva verso sudest attraverso le basse distese di campi, e il Vedra alla sua destra. Di lì a poco, nonostante la densa cortina di polvere sollevata dall'Ottava Compagnia, sul fianco destro della strada principale, videro comparire le mura della postazione di Borlan, situata sul triangolo più alto di terra al congiungimento dei fiumi Vedra e Vyana. La Quinta Compagnia seguì l'Ottava lungo la strada laterale dal fondo pieno di buche che portava alla postazione, poi rallentò e si fermò appena fuori dai cancelli, cancelli privi di guardie, come ebbe modo di notare Alucius. Da un punto imprecisato davanti a sé Alucius udì provenire un saluto. «Maresciallo Frynkel, benvenuto alla postazione di Borlan! Siamo onorati dalla vostra visita e faremo quanto è in nostro potere per rendere più gradevole il vostro viaggio.» Ad Alucius tornarono in mente parole simili, pronunciate nello stesso
tono, e si domandò se il maggiore Ebuin fosse ancora là. Frammenti della risposta di Frynkel gli giunsero all'orecchio. «... ringraziamo per l'accoglienza, maggiore... la vostra cortesia e collaborazione... molto gradite... due intere compagnie... il maggiore Alucius... Guardie del Nord... ricorderete... il capitano maggiore Feran...» Il maggiore biondo - che risultò essere davvero Ebuin - restò fuori dall'edificio del quartier generale, in attesa di Alucius e della Quinta Compagnia, mentre il maresciallo e l'Ottava proseguivano verso le scuderie. «Maggiore.» Alucius inclinò il capo e fermò di nuovo il cavallo. «Sono contento di vedervi. Vi presento il capitano maggiore Feran, al comando della Quinta Compagnia.» «Sono lieto di rivedervi, maggiore, e di fare la vostra conoscenza, capitano maggiore.» Feran fece un cenno di saluto con la testa. «Siete il comandante della postazione, adesso?» chiese garbatamente Alucius. Ebuin annuì. «Sì. Il capitano-colonnello Yermyn è andato in pensione la primavera scorsa, e la postazione di Borlan diventerà una stazione intermedia al comando di un capitano alla fine dell'anno. Rimarrò qui fino al passaggio delle consegne.» Alucius non aveva immaginato che l'annessione delle Valli del Ferro potesse produrre cambiamenti sostanziali anche a Lanachrona, ma di certo non aveva senso mantenere un'importante postazione come Borlan, adesso che la sponda settentrionale del Vedra faceva parte di Lanachrona. In effetti, mentre ci rifletteva, si chiese come mai tali trasformazioni non fossero state fatte prima. «Conoscete la vostra prossima assegnazione?» Ebuin si strinse nelle spalle. «Sarà meglio che facciate sistemare i vostri uomini.» A un suo cenno, un soldato delle Guardie del Sud si fece avanti. «Il comandante di squadra Henthyn farà da guida ai vostri. Voi sapete dove si trovano le scuderie riservate agli ufficiali. Il maresciallo Frynkel occuperà gli alloggi del comandante, mentre voi potrete occupare le stanze nell'ala riservata agli ufficiali in visita. «Grazie.» Alucius e Feran si diressero alle scuderie, dove tolsero le selle ai loro cavalli e li governarono. Quindi, Alucius - portando con sé i due fucili e le bisacce - guidò Feran verso il fabbricato dietro al quartier generale e lo condusse su per le scale, fino al primo piano. Come ricordava, i loro alloggi erano quelli in fondo, con il bagno in comune.
Alucius aveva l'ultima camera, appena più spaziosa dell' altra, seppure ugualmente modesta, ammobiliata con un letto singolo, uno scrittoio, una rastrelliera per i fucili, un porta-stivali e uno stretto armadio. Mentre Feran si assicurava che la Quinta Compagnia avesse ricevuto un'adeguata sistemazione, Alucius approfittò della stanza da bagno per rinfrescarsi e lavare l'uniforme e la biancheria di seta nerina che aveva indossato durante il viaggio. Dopo essersi infilato l'altra uniforme pulita, si apprestò a scendere. Ma si fermò di botto. Cos'aveva in mente di fare? Avrebbe solo intralciato il lavoro di Feran, il quale conosceva bene i suoi doveri, probabilmente molto meglio di quanto non li conoscesse lui in quel momento. Ritornò quindi nel suo alloggio provvisorio e si sedette allo scrittoio. Eccolo là, un maggiore al comando di una compagnia, che ben presto sarebbero diventate tre o quattro, e ancora non aveva un'idea chiara su come portare avanti le cose. Non aveva ricevuto istruzioni o consigli, né dal maresciallo né dal colonnello Weslyn, ed era necessario che elaborasse un programma per gestire tutte quelle compagnie, senza però coinvolgere troppi soldati. Stava ancora prendendo appunti quando Feran bussò alla porta. «Maggiore... il maresciallo ci ha chiesto di unirci a lui per cena...» Alucius si alzò rapido. Aveva quasi finito di mettere a grandi linee le sue idee nero su bianco, anche se non ne aveva molte. «Cosa stavi facendo?» domandò Feran, mentre Alucius usciva. «Stavo cercando di capire come gestire tre o quattro compagnie senza dover passare tutto il mio tempo a cavallo dall'una all'altra.» «L'hai già fatto altre volte.» «Andare a cavallo? Di sicuro, parecchie volte.» Feran aggrottò la fronte. «Al ritorno da Deforya, avevi il comando di tutte le compagnie.» «Ma non dovevamo fare granché, tranne cavalcare verso ovest lungo la strada principale», osservò secco Alucius, scendendo le scale che portavano al piano inferiore. «Non ci voleva una grande abilità. Qui, invece, dovremo cercare di soffocare una rivolta, il che immagino voglia dire dislocare ogni compagnia in un posto diverso.» «Allora, cos'hai in mente?» «C'è un ordine gerarchico da rispettare, e tu vieni subito dopo di me, come grado. Frynkel ha fatto in modo che tu ricopra una carica sia nelle Guardie del Nord che del Sud.» Nell'avvicinarsi al locale che ospitava la
mensa tacque. «Ne parliamo più tardi.» Feran annuì. Il maresciallo e il capitano Geragt erano in piedi nella piccola mensa dotata di soli tre tavoli, intenti a discorrere a bassa voce con Ebuin, quando Feran e Alucius fecero il loro ingresso. «... il tipo che farà ciò che deve essere fatto...» «... sembrava così anche prima...» Frynkel si interruppe e si schiarì la voce. «Adesso che ci siamo tutti...» Ebuin si rivolse a Frynkel. «Maresciallo, qui non amiamo essere formali. Volete fare gli onori di casa?» Con un cenno di assenso, il maresciallo si accomodò al grande tavolo rotondo, l'unico apparecchiato. Anche Alucius prese posto, imitato da Ebuin, Feran e Geragt. «Come ho avuto modo di dire tempo fa al maggiore Alucius», disse Ebuin, «la birra è buona. È uno degli aspetti migliori del pasto, ed è per tale motivo che ce ne sono due brocche sul tavolo». Ne prese una e riempì il bicchiere al maresciallo. Ebuin teneva lo sguardo puntato su Frynkel, e Alucius percepì che, nonostante la sua apparente cordialità, il maggiore era preoccupato per qualcosa. Un inserviente posò due grossi vassoi al centro del tavolo. Il primo conteneva delle fette di carne coperte da una salsa scura e guarnite con spicchi di lime. Nel secondo c'era del riso glassato e fritto. «Porcellino delle praterie?» chiese Alucius, benché fosse quasi certo di riconoscere il piatto. Feran guardò Alucius con aria perplessa. «È una delle specialità di Borlan», rispose l'altro maggiore. «Sono animali simili agli scricci, solo più grossi e mansueti, e la loro carne ha il sapore di quella del pollo.» Il maresciallo si servì, imitato a turno dagli altri. Mentre mangiava, Alucius decise ancora una volta che, nonostante le affermazioni di Ebuin, il porcellino delle praterie non era buono come il pollo e, soprattutto, non era neanche lontanamente buono quanto il pollo alla Vedra del «Montone Rosso», benché fosse molto meglio della maggior parte dei cibi che aveva assaggiato in tutti quegli anni. «Avete ricevuto qualche messaggio interessante da Krost o da Tempre?» domandò Frynkel rivolgendosi a Ebuin. «Ne sono arrivati pochi. Il comandante in capo Wyerl ritirerà le Guardie
del Sud da tutti gli avamposti lungo il fiume Vedra a est di Tempre, tranne Borlan, entro la fine dell'anno.» «Andranno tutti a ovest?» ipotizzò Alucius. «È più che probabile», replicò Frynkel. «Anche se nessuno me l'ha ancora detto. C'è dell'altro?» «A tutti i cavalleggeri delle Guardie del Nord e del Sud il cui periodo di leva dovrebbe concludersi entro la fine dell'inverno o della primavera è stata prolungata la ferma per un'altra stagione, finché altri soldati non avranno terminato l'addestramento. Laddove possibile, verranno loro offerti incarichi di istruttori delle reclute.» Feran si accigliò, al pari di Geragt. Alucius dubitava fortemente che tali incarichi venissero davvero offerti, soprattutto ai cavalleggeri delle Guardie del Nord. «Che notizie confortanti», commentò Frynkel con aria ironica. «Come stanno andando i raccolti qui a Borlan?» «Non saprei, signore. Anche se mi pare che non ci sia motivo di lamentarsi.» Il maresciallo si rivolse ad Alucius. «Maggiore, avete sentito che il Landarco di Deforya è stato deposto dai proprietari terrieri, non è vero? Voi siete sicuramente uno degli ufficiali con più esperienza ad avere servito in quelle terre da molti anni a questa parte. Che ne pensate?» Prima di rispondere, Alucius bevve un piccolo sorso di birra. «Il Landarco stava cercando di barcamenarsi tra le necessità della sua terra e le richieste dei proprietari terrieri. Avrete forse letto il mio rapporto sulla struttura gerarchica dei Lancieri deforyani. La maggior parte dei loro capitani maggiori è costituita dai figli cadetti dei grossi proprietari terrieri. I soldati con il grado di tenente e di capitano provengono invece da famiglie più modeste, di artigiani e di mercanti. Ciò significa che i ricchi esercitano il controllo sulle forniture d'acqua per mezzo degli acquedotti, sui lancieri per mezzo dei loro ufficiali, sul commercio e sugli affari in generale per mezzo del loro denaro.» «Allora perché il governo del Landarco non è caduto anni fa?» domandò Ebuin. «Si tratta solo di una supposizione, ma direi che il suo potere si basava sulla lunga tradizione del Landarcato e sulla diffidenza esistente tra i vari proprietari terrieri. Essi sentivano la necessità di qualcuno che provasse riconoscenza nei confronti di tutti quanti e di nessuno in particolare.» «E perché credete che il suo governo sia caduto proprio adesso?» La
domanda di Frynkel lasciava trasparire una blanda curiosità. «Sarete sicuramente più al corrente di me riguardo all'attuale situazione», replicò Alucius, «ma suppongo che il Landarco sia stato deposto perché aveva capito quello che stava succedendo e che stesse cercando di fare in modo che Deforya affrontasse i vari problemi, mentre i proprietari terrieri si opponevano ai cambiamenti...». «Continuate», lo incoraggiò Frynkel. Alucius si strinse nelle spalle. «Non lo so con certezza, ma solo pochissimi tra gli ufficiali anziani dei Lancieri deforyani mi sono sembrati aperti alle novità e ai cambiamenti. Avrebbero potuto coltivare una maggiore quantità di terra, invece davano l'impressione di voler costringere la gente a vivere tutta ammassata a Dereka, quasi preferissero tenerla nella miseria. Avevano rifiutato di credere nell'esistenza degli pteridon, finché questi non cominciarono a incenerire migliaia di lancieri. A Corus, sono in atto delle trasformazioni. Il Pretore di Lustrea si stava preparando a conquistare le terre dei nomadi, e ora che Aellyan Edyss è morto e che i nomadi si sono frammentati in vari gruppuscoli e stanno impedendo il passaggio dei convogli commerciali sulle vie di transito meridionali, probabilmente ripeterà il tentativo. In tale evenienza, il Landarco avrebbe potuto aumentare leggermente i pedaggi in corrispondenza del Passo Settentrionale, pur essendo consapevole del malcontento suscitato nelle vicine popolazioni. Ai proprietari terrieri, invece, tutto ciò non interessa. Vedrebbero solo l'opportunità di togliersi dalle spalle l'onere di altre tasse scaricandolo su quelle altrui.» Alucius fece una pausa e si concesse un altro sorso di birra. «Si tratta solo di una supposizione, e probabilmente anche sbagliata.» Frynkel annuì adagio, poi lanciò un'occhiata a Feran. «E voi, capitano maggiore, che ne pensate?» «Penso che il maggiore Alucius abbia espresso un giudizio troppo benevolo. I proprietari terrieri succiderebbero la vita stessa dalle rocce delle montagne e dall'erba delle pianure se vedessero l'opportunità di guadagnare una moneta di rame in più. I loro figli trattano gli ufficiali di grado inferiore come se fossero tanti bifolchi, quando questi invece sanno molte più cose di loro.» «Maggiore Ebuin?» sollecitò Frynkel. «Per quanto riguarda la situazione di Deforya sono molto meno al corrente di questi validi ufficiali...» «Ma vi sarete pur fatto un'opinione.» Ebuin inclinò il capo, riflettendo un attimo. «È sempre facile dare la col-
pa a qualcun altro. La Matride dava la colpa a Lanachrona. Adesso sono i dramuriani a incolparci. La situazione economica di Deforya è andata pian piano deteriorandosi. Direi che era più semplice per i proprietari terrieri addossare tutte le colpe al Landarco. L'unico modo di impedirgli di confutare le loro accuse era rovesciarlo prima che potesse farlo. Questo è ciò che penso, signore.» «Voi maggiori siete molto prudenti. Il capitano maggiore Feran è stato più esplicito.» Frynkel fece una risata sommessa. «Più si sale di rango e più si diventa cauti. Il che non è sempre una virtù.» Rise di nuovo. «L'ho imparato a mie spese, molti anni fa, quando ero un capitano maggiore al comando di una piccola postazione di confine vicino a Chronant...» Alucius si sforzò di ascoltare con attenzione. Molto più tardi, dopo che il maresciallo ebbe raccontato parecchie altre storie ed Ebuin si era lasciato andare a raccontarne una, Alucius fece ritorno ai suoi alloggi per la notte. Dopo avere chiuso la porta con il catenaccio, usò il suo acciarino tascabile per accendere la lampada a muro sopra lo scrittoio. Mise da parte i fogli sui quali aveva steso i suoi appunti e si accinse a scrivere una lettera a Wendra. Quando ebbe terminato, oltre una clessidra più tardi, rilesse rapidamente ciò che aveva scritto. Mia cara, ti sto scrivendo da Borlan. Come senza dubbio saprai, il mio viaggio fin qui si è svolto fortunatamente in modo tranquillo. A Dekhron ho incontrato il colonnello Weslyn, e l'ho trovato come al solito molto gentile e cortese. Mi ha fatto piacere rivedere Feran e alcuni degli uomini che avevano servito sotto di me anni fa... Partiremo domattina per Krost, dove ci uniremo al resto delle truppe che comanderò. Non abbiamo ricevuto altre notizie di ciò che può essere successo a Hyalt o altrove... Vorrei che le cose non stessero così e che fossimo insieme alla fattoria. Non vedo l'ora di portare a termine la mia missione per poter tornare da te. Dopodiché firmò e sigillò la lettera. La mattina seguente avrebbe fatto in modo che venisse recapitata a Punta del Ferro da uno dei consueti messaggeri. Ovviamente, gli sarebbe costato mezza moneta d'argento e non aveva la certezza matematica che venisse consegnata, ma valeva la pena di tentare. Ricordava fin troppo bene il dispiacere che aveva provato quando, pri-
gioniero dei mattiti, non era riuscito a scrivere neppure una sola lettera alla sua famiglia. 31 Dekhron, Valli del Ferro L'uomo tarchiato voltò la testa dagli scaffali della biblioteca nel sentire la porta che si apriva per lasciar entrare un vecchio dai capelli bianchi e dall'abito nero. «Tarolt.» «Vedo che stai consultando nuovamente i libri. Immagino che tu stia cercando qualche riferimento sugli scettri», disse questi. «Pensavo che, dato che ne avevo l'opportunità, non avrebbe fatto male guardare. Ho portato a termine gli altri miei incarichi. Almeno quelli che mi è stato possibile svolgere al momento.» «Gli scettri potrebbero risultare utili, Sensat, ma hanno già realizzato un migliaio di anni fa ciò che era necessario.» Il tono di voce di Tarolt era freddo e deciso. «Siamo certi che quelle tensioni siano ancora indispensabili? Senza i localizzatori...» «Sicuramente, altrimenti nessuna delle Tavole avrebbe funzionato durante tutti questi anni. Ho tarato la nuova Tavola e Trezun ha verificato nuovamente le misurazioni. È proprio così: gli scettri non ci servono.» «Ma ci sono ancora in giro dei lamari - Tyren ad Alustre e il pastore - e se trovano gli scettri...» Tarolt zittì Sensat con un gesto della mano. «L'unico che possiede un po' di vero Talento e del quale dobbiamo preoccuparci è il pastore. In questo momento, si trova sulla strada per Hyalt. Adarat è stato avvisato che l'ufficiale dai capelli grigio scuro che viene dal nord è il lamaro. Questo infiammerà ancora di più gli animi dei rivoltosi e il pastore avrà il suo da fare, visto che sono anni che non presta servizio nell'esercito e che non lo ha mai fatto in situazioni del genere.» «Ma se viene a sapere degli scettri?» «Come potrebbe venire a sapere degli scettri e di ciò che rappresentano? E poi, è improbabile che gli antichi abitanti siano in grado di aiutarlo, una volta che sarà a Hyalt, o che comunque ci provino. Tuttavia, non sarebbe male riportare alla luce gli scettri. Senza che questo, però, vada a scapito del tuo lavoro», disse Tarolt, fissando Sensat con sguardo duro. «Che mi dici dei progressi compiuti fin qui?»
«Adarat si è occupato dell'organizzazione di tutta l'area di Hyalt e la tiene sotto stretto controllo. Cinque compagnie di Cadmi stanno già seguendo l'addestramento. Ai seguaci del Vero Duarcato è stato detto che un uomo proveniente dal nord è stato mandato a combatterli, un lamaro che li ucciderà per impedire il ritorno di Colui che È e la pace del Duarcato. È stato loro assicurato che sono i prescelti, destinati a ristabilire il Duarcato ed eliminare tutti coloro che si opporranno al ritorno della speranza nelle terre di Corus», dichiarò l'uomo tarchiato dal pallido incarnato e dall'abito marrone. «Adarat ha anche inviato delle armi a Syan, anche se là possiamo contare su un minor numero di proseliti.» «E di chi è la colpa?» chiese Tarolt. «Siamo ancora in pochi laggiù. Tutto questo ha richiesto notevoli sforzi e una buona dose di programmazione, dato che a Tempre e a Hyalt non ci sono più Tavole e non siamo ancora riusciti a rimettere in funzione quella di Soupat. Quando avremo portato a termine un'altra traslazione, sarà tutto più facile.» «Lo è sempre, in presenza di un numero più cospicuo di efrani, ma le traslazioni complete sono ancora difficili e pericolose, e ben pochi a Erra vogliono correre il rischio. Troppo pochi, e non si rendono conto che ci potrebbero essere pericoli più gravi. Al pari di tutti quelli che vivono circondati dalle comodità, essi si rifiutano di capire. Ma questo è il motivo per cui tu avevi accettato di venire trasportato fin qui», replicò Tarolt. «Per assisterci come richiesto e creare sufficiente scontento e confusione da far sembrare il ritorno di un nuovo Duarcato un paradiso, al confronto. E per preparare la strada alla ricostruzione della rete. Non dimenticartelo.» «Sì, Maestro.» «Tarolt... chiamami sempre Tarolt.» Sensat inghiottì a vuoto prima di replicare. «Sì, Tarolt.» 32 Due giorni e mezzo erano trascorsi da quando i quattro ufficiali e le due compagnie di cavalleggeri avevano lasciato Borlan e imboccato la strada in durapietra che portava a Krost. Benché fosse solo primo pomeriggio, la luce era fioca, dato che il sole era nascosto dietro una densa nuvolaglia grigia fin dal mattino. L'assenza di vento contribuiva a rendere ancora più cupa quella giornata che, agli occhi di Alucius, non prometteva niente di buono. Ma, del resto, cosa mai sarebbe potuto accadere? Le due compa-
gnie procedevano verso sud attraverso basse colline ondulate, sui fianchi delle quali sorgevano floride fattorie e alcune piccole città. L'eventualità di imbattersi in nemici era quasi nulla, dato che le forze più vicine, cioè quelle della Reggente, si trovavano a oltre trecento vingti più a ovest - in linea retta - e circa il doppio attraverso le strade principali. Poi, all'improvviso, il para-polso di Alucius gli comunicò un senso di vuoto purpureo. Egli abbassò involontariamente lo sguardo. Si trattava di Wendra? Cosa poteva essere successo? Ma il para-polso mantenne il suo normale calore e non fornì altre indicazioni. Alucius aggrottò la fronte e scrutò la strada dinanzi a sé. Tentò di ricorrere al Talento per sondare il cristallo del bracciale, ma riuscì solo a capire che Wendra era viva e stava bene: segno che non doveva essere successo niente a lei o ad Alendra, la bimba che doveva nascere. D'un tratto, Alucius si sentì quasi rabbrividire, benché non avesse davvero freddo. Aveva indosso gli indumenti di seta nerina e la giacca, e si era in piena stagione del raccolto, che a Lanachrona era calda, soprattutto quando non c'era vento. Percorsero un altro quarto di vingt e il para-polso non segnalò nulla di strano. Poi la Quinta Compagnia seguì l'Ottava attraverso un varco scavato nei fianchi di una collina secoli prima. Persino i muri che lo fiancheggiavano erano in durapietra e, nel punto in cui la strada percorreva il centro della cresta, sopravanzavano di oltre tre iarde la testa di Alucius. Mentre questi si avvicinava all'estremità sud del passaggio si lanciò un'occhiata alle spalle, notando che l'altura su cui si trovavano, a differenza delle altre, pareva estendersi a perdita d'occhio, sia a nordovest sia a sudest. Quando i muri si abbassarono a livello della strada, un altro senso di vuoto purpureo, ben più violento, si abbatté su Alucius, ma questa volta non sembrava provenire dal para-polso. Era una sensazione percepibile solo attraverso il Talento, ed era lo stesso vuoto che aveva avvertito sulla strada del ritorno da Dereka. Si girò verso Feran, che gli cavalcava al fianco. «Ordina di stare pronti con i fucili.» Feran trasalì, ma solo per un attimo, prima di rispondere. «Sì, signore», poi si rivolse a Egyl. «Fucili pronti! Passa parola.» «Ah... sì, signore. Fucili pronti. Quinta Compagnia! Fucili pronti!» Alucius aggiunse: «Di' ai tuoi quattro migliori tiratori scelti di portarsi avanti». «Egyl...» si apprestò a dire Feran.
«Waris, Makyr, Solsyt, Tonak, avanti!» «Fanne piazzare due su entrambi i lati della strada, circa tre iarde davanti a noi.» Alucius non aveva idea di cosa stava per accadere, sapeva solo di avere avvertito quella sensazione rosso-violacea talentosa che gli ricordava fin troppo gli pteridon selvatici, e non aveva intenzione di starsene ad aspettare con le mani in mano. Se non fosse successo niente, avrebbe fatto passare quella manovra come una semplice esercitazione. Ma non pensava che sarebbero stati tanto fortunati. Nel frattempo, rivestì le cartucce dei suoi fucili con l'oscurità, come pure quelle nella cartucciera. Aspettò a parlare finché i quattro tiratori scelti non li ebbero raggiunti. «Vorrei che voi quattro vi posizionaste davanti alla colonna. Tenetevi pronti a fare fuoco al mio comando.» «Sì, signore.» «Due su ciascun lato», aggiunse Feran. «Sì, signore.» Mentre i quattro li superavano, Alucius cominciò a infondere Talento nelle loro cartucce, ricoprendole dello stesso tipo di oscurità già usato con le sue. A mano a mano che la compagnia avanzava verso sud, il senso di gelo e di vuoto rosso-violaceo si fece sempre più opprimente. Ad Alucius parve che una valanga invisibile, un flusso di qualcosa di indefinito pronto a colpirli, fosse in agguato dietro le grigie nuvole del cielo e in procinto di abbattersi su di loro. Ma, del resto, cos'altro poteva fare? Comunicare al maresciallo che c'era un pericolo imminente, che però lui non era in grado di descrivere, né di identificare, né tanto meno di spiegare? Tutto quello che poteva fare era tenersi pronto con il fucile e rivestire poco alla volta le cartucce dei soldati della prima squadra con l'oscurità. Più di tanto non poteva, se non scrutare il cielo davanti a sé e il terreno tutt'intorno, mentre proseguiva. Ciò nonostante, dopo aver attinto a una quantità così grande di energia dentro di sé, si sentì pervadere da una grande debolezza. Erano avanzati appena qualche centinaio di iarde, quando il cielo intero esplose in un lampo viola, percepito solo dai Talento-sensi di Alucius, mentre una serie ininterrotta di saette scure si abbatteva sui fianchi della strada per poi svanire. A est, Alucius vide comparire dieci creature che sembravano uscite da un incubo, o dal luogo da cui venivano gli ifrit. Ciascuna di esse era quattro volte più grande di un cavallo da tiro, con spalle massicce, un lungo corno triangolare e luccicanti squame viola. Le fauci
enormi mostravano zanne di cristallo della lunghezza di una iarda. «Fottuti mostri!» «Per tutti i ventri di una scrofa!» «... ce ne sono altri laggiù...» Alucius scrutò a ovest, dov'era comparso un altro gruppo di quelle creature, poi imbracciò il fucile. «Quinta Compagnia! Alt! Schierarsi in linea obliqua, prepararsi a fare fuoco. Fuoco!» «Quinta Compagnia! In linea obliqua! Fuoco a volontà!» gli fecero eco Feran ed Egyl. Alucius puntò la sua arma verso est, poiché gli sembrò che le creature talentose provenienti da lì fossero più vicine, e centrò in piena fronte l'orribile bestia a un corno solo che stava nel mezzo. Mentre l'animale crollava a terra con un tonfo che fece tremare il terreno tutt'intorno e si trasformava in una colonna infuocata, alle sue spalle comparve all'improvviso un altro essere. Questo assomigliava vagamente a un gatto della polvere, tranne che aveva un lucido mantello nero, era molto più agile ed era provvisto di zanne e artigli più pronunciati. Il secondo colpo di Alucius lo mancò e il terzo lo colpì solo alle zampe posteriori, non impedendogli però di avanzare, emettendo una specie di sibilo, finché la pallottola di qualcun altro non lo trasformò in una minuscola pira di fiamme azzurrognole. I restanti unicorni talentasi - o buoi della sabbia selvatici - chinarono minacciosi la testa e continuarono a marciare verso i soldati producendo un rumore sordo, che faceva vibrare il terreno circostante. Alucius sparò l'ultima pallottola del primo fucile contro quello che si trovava davanti al gruppo, il quale crollò esanime a terra, mentre lingue di fuoco bluastre si sprigionavano dalla sua ferita. Ma da dietro comparvero altre due di quelle creature simili a gatti della polvere neri. I quattro tiratori scelti davanti ad Alucius spararono senza esitare, e uno dei felini esplose producendo ugualmente una fiammata bluastra, ma l'altro si avventò a un'incredibile velocità contro Tonak. Quasi per miracolo, questi riuscì a colpirlo a bruciapelo, a una distanza talmente ravvicinata che, per un attimo, parve anche lui prendere fuoco. «Ottava Compagnia! Avanti!» Mentre le Guardie del Sud tentavano di sottrarsi all'attacco, tre buoi della sabbia selvatici si lanciarono contro i soldati della retroguardia. Si videro corpi volare in tutte le direzioni, ciascuno avvolto da fiamme azzurrognole.
Poiché non poteva fare nulla per le Guardie del Sud senza rischiare di colpirli, Alucius cambiò fucile e lo puntò a ovest, mirando a un altro bue della sabbia, e poi al gatto della polvere nero che gli era comparso dietro. Quindi si fermò un istante per rivestire di oscurità le cartucce del fucile di Waris, che questo stava ricaricando. Dopodiché riprese a fare fuoco sull'animale più vicino. Mentre la pallottola andava a segno e una fiammata bluastra si sollevava dalla spalla del mostro, questi scartò bruscamente e avanzò incespicando verso l'ultima fila dell'Ottava Compagnia, coinvolgendo nell'esplosione due uomini. Alucius mirò a un altro bue della sabbia, e lo centrò. Una vampata investì il fianco sinistro della prima squadra della Quinta Compagnia. Sebbene Alucius ne avvertisse il calore, le fiamme si estinsero ben presto a poca distanza dai soldati. Poi rivolse il fucile verso altri due gatti, ma riuscì a colpire il secondo soltanto dopo tre tentativi. «Fate attenzione ai gatti!» avvertì Alucius, cercando di infondere ulteriore oscurità alle cartucce dei tiratori scelti e di quanti lo circondavano e di ricaricare nel frattempo il suo fucile. Un altro unicorno talentoso esplose, proprio ai bordi della carreggiata, ma alle spalle dell'Ottava Compagnia. Alucius sparò rapido un altro colpo e venne prontamente gratificato da un'esplosione bluastra. Poi si concentrò sui tre gatti che stavano avanzando a grandi balzi verso la prima squadra. L'ultimo fu bloccato bruscamente a poco meno di una iarda dal fianco occidentale della strada e si incendiò. Ancora prima che le fiamme svanissero, altri gatti neri apparvero e si accanirono ad attaccare la colonna da tutte le parti, avvicinandosi bassi per colpire con i loro artigli le gambe di cavalli e soldati. Alucius si costrinse a concentrare la propria attenzione su due cose: sui propri spari e sul continuare a rivestire con l'oscurità le cartacce di quanti lo circondavano. Dopo qualche tempo - la cui durata Alucius non fu in grado di quantificare - anche l'ultimo gatto della polvere fu ucciso ed egli poté finalmente abbassare il fucile. Nonostante la confusione e i furiosi attacchi sferrati dai gatti, Alucius vide che erano pochi gli uomini rimasti colpiti, almeno per quanto riguardava la Quinta Compagnia. Spinse lo sguardo più avanti e contò invece, su un tratto di mezzo vingt, i corpi carbonizzati di quasi due intere squadre di soldati e cavalli delle Guardie del Sud. Scrutò i campi su entrambi i lati della strada. In alcuni punti, gli steccati
di legno apparivano completamente bruciati, in altri semplicemente rotti. Delle creature talentose non era rimasta alcuna traccia, se non grosse chiazze di erba bruciata e fumo nero che si innalzava in sottili spirali in corrispondenza dei punti in cui erano cadute. «Chiedi a Egyl di verificare le nostre perdite e di riferire», ordinò Alucius a Feran. «Sono certo che il maresciallo vorrà conoscerle, quando li avremo raggiunti.» «Egyl?» «È già andato a controllare, signore», disse Elbard. «Grazie.» Feran guardò Alucius e disse sottovoce: «È stato ancora peggio di quando lasciammo Deforya». Alucius annuì con aria tetra. «I buoi della sabbia erano più numerosi, e poi non avevo mai visto niente di simile a quei gatti.» «Sembravano gatti, non è vero?» Feran inarcò le sopracciglia. «Gatti della polvere neri.» Alucius si costrinse a ricaricare entrambi i fucili, cercando di controllare il tremito delle mani. Solo dopo aver riposto le armi nelle loro custodie si concesse un lungo sorso d'acqua dalla borraccia. Solo allora si rese conto di sentirsi stordito e molto stanco. Cercò di ignorare la stanchezza. «Speravo di aver solo a che fare con contadini arrabbiati e fanatici religiosi», disse Feran, «e non con altre creature talentose dei tempi del Duarcato». «Il maresciallo mi aveva detto che i ribelli intendevano ripristinare il Vero Duarcato», commentò Alucius. «Mi auguro che quanto abbiamo appena visto non fosse quello che avevano in mente di fare.» Feran emise una specie di grugnito. «La gente non capisce quando sta bene.» Dopo un attimo, aggiunse: «Credi davvero che quanto è appena accaduto abbia a che fare con la rivolta di Hyalt?». «Non lo so. Non so come potrebbe, ma questi ribelli hanno dei sacerdoti che li spalleggiano, e Aellyan Edyss aveva scoperto il modo di richiamare in vita gli pteridon. Forse anche questi ribelli sono in grado di farlo.» Alucius si strinse nelle spalle e si girò sulla sella a guardare a nord, lungo la strada. Vide Egyl venire verso di loro. «Maggiore, sai che non mi è mai piaciuto sentirti dire cose di questo genere, soprattutto dopo l'ultima volta che ti era stata affidata una missione impossibile.» «Lo so, Feran. Neanche a me piace. Ma perché mai qualcuno dovrebbe aizzarci contro creature talentose nel bel mezzo di Lanachrona? Se la Reg-
gente fosse in grado di richiamarle dal passato, sono certo che le utilizzerebbe contro gli eserciti che hanno invaso le terre di Madrien.» «Lo stesso si potrebbe dire del Consiglio deforyano o del Pretore», gli fece notare Feran. Alucius non accennò all'altra possibilità - e cioè che la colpa fosse degli ifrit - perché non era neppure in grado di provare la loro esistenza. Tuttavia, tale eventualità era altrettanto probabile di quella che vedeva implicati i sacerdoti del Vero Duarcato. Egyl fece fermare il cavallo accanto a lui. «Signore, maggiore... abbiamo perso quattro soldati della quinta squadra, nella retroguardia, e altri due della seconda. Dieci dei nostri uomini hanno riportato ustioni, ma ce la faranno.» «I cavalli?» chiese Feran. «I carri delle provviste?» «Non hanno attaccato i carri, e ogni volta che hanno colpito un soldato, hanno ucciso anche il suo cavallo.» «Fai quello che devi fare e avvisami quando saremo pronti a proseguire», disse Feran. «Non ci vorrà molto, signore. Non è... be'... rimasto molto degli uomini uccisi. Solo delle macchie scure e untuose.» Alucius scrutò di nuovo la strada dinanzi a sé, verso sud. Gli parve che l'Ottava Compagnia si fosse fermata circa un vingt più avanti e si stesse rimettendo in formazione. Mentre guardava, vide un cavaliere staccarsi dalle Guardie del Sud e dirigersi verso la Quinta Compagnia. «Credo che andrò a trovare il maresciallo», disse Alucius a Feran. «Non appena avrete sistemato le cose, raggiungeteci.» «Sì, signore», rispose Feran producendosi in un sorriso tirato. «Non vorrei essere al tuo posto.» «Grazie tante per l'incoraggiamento», replicò secco Alucius, incitando il cavallo a muoversi. Mentre si dirigeva verso sud, Alucius sbocconcellò una galletta, che lo aiutò a ridurre un po' il senso di stordimento che avvertiva. Sul selciato in durapietra e ai margini della carreggiata, contò più di venti chiazze carbonizzate, ma, come già era accaduto in precedenza con la pecora uccisa dagli pteridon, i corpi dei soldati e dei cavalli erano spariti o si erano inceneriti completamente. Alcuni soldati delle Guardie del Sud gli lanciarono un'occhiata mentre li superava per portarsi in testa alla colonna, ma rimasero in silenzio, come sbigottiti.
«Maresciallo, signore», disse Alucius, fermandosi a due iarde dall'ufficiale più anziano. «Maggiore», Frynkel annuì e indugiò prima di chiedere: «A quanto ammontano le vostre perdite?». «Sei uomini uccisi, dieci ustionati, ma non gravemente.» «L'Ottava Compagnia ha perso almeno trenta soldati, perlopiù tra quelli che componevano le ultime due squadre.» Lo sguardo del maresciallo si fissò su Alucius. «Ho notato che non avete ordinato ai vostri uomini di attaccare quegli animali. Perché non l'avete fatto?» «Avevamo già visto in precedenza che la cosa non funziona. Sulla via del ritorno da Deforya. Era scritto nel mio rapporto, signore. Se vengono a contatto con un uomo, di solito lo inceneriscono. Non è bene avvicinarli troppo. E sono anche più veloci dei cavalli. Il fuoco concentrato dei fucili è più efficace», spiegò Alucius. «Immaginavo che si trattasse di qualcosa del genere.» Frynkel serrò le labbra. «Dite alla vostra compagnia di raggiungerci. Mi farete rapporto stasera, dopo il nostro arrivo alla stazione intermedia di Ghetyr.» «Sì, signore.» Alucius diresse il cavallo verso nord per tornare alla sua compagnia, procedendo lungo il margine est della strada e superando l'Ottava Compagnia. Non era particolarmente ansioso di discutere i vari aspetti dell'attacco con il maresciallo. Proprio per niente. Ed era ancora preoccupato per Wendra e si chiedeva per quale motivo avesse percepito quel lampo purpureo subito prima della comparsa delle creature talentose. 33 Nord di Punta del Ferro, Valli del Ferro Wendra fece fermare il cavallo sulla sommità di una piccola altura. Le leggere nuvole in cielo filtravano in parte il calore del sole pomeridiano, ma, poiché non c'era vento, lei aveva lasciato aperta la giacca da pastore. A ovest, a quasi quindici vingti di distanza, si vedevano i fianchi dell'Altopiano di Aerlal. La vetta era nascosta da una coltre di nubi. Quelle particolari condizioni atmosferiche, soprattutto quelle che preannunciavano una tempesta, spesso incoraggiavano i lupi della sabbia ad attaccare le pecore, ma in quel caso le nuvole erano troppo inconsistenti. Tuttavia, Wendra continuava a tenere d'occhio il lieve pendio sotto di lei, in special modo la palude più lontana, a sudest. La maggior parte del gregge si trovava una cinquantina di iarde più in
basso rispetto al punto in cui era lei. Poco più a nord, tre giovani montoni si stavano azzuffando, non per stabilire chi fosse il più forte, ma semplicemente per fare un po' di pratica per quando fosse giunto il momento di combattere sul serio, sempre che Wendra o Royalt non li fermassero prima. Dopo essersi accertata che si trattasse di un innocente bisticcio, Wendra si girò ed esaminò il tratto in pendenza alla sua destra, dove alcune pecore più anziane, impegnate a brucare, stavano avanzando lentamente verso il resto del gruppo. D'un tratto, una tremolante scia color rosso-violaceo lampeggiò alla sua sinistra. Wendra non la vide davvero con gli occhi, la percepì soltanto, e si piegò sulla sella per estrarre il fucile dalla custodia. Mentre incitava il cavallo ad avanzare, con altrettanta rapidità, rivestì di oscurità le cartucce nel caricatore. Quattro sagome scure comparvero sulla cresta a nord, muovendosi in fila veloci e frapponendosi tra Wendra e i tre giovani montoni. Quasi avessero avvertito la presenza nero-violacea dei sabbiosi, mascherati da un'invisibile cortina azzurra e privi di fili vitali, i tre montoni si girarono e si disposero a formare una V, con la punta rivolta a fronteggiare l'imminente pericolo. Wendra prese la mira con cura e fece fuoco contro il sabbioso in testa alla fila. Lo centrò, e sparò subito al secondo, ma l'improvvisa fiammata che scaturì dal primo spinse l'altro da parte. A quel punto, i tre sabbiosi superstiti si lanciarono correndo verso Wendra. Lei sparò un terzo colpo, seguito subito da un quarto, e il secondo sabbioso cadde. Il quinto colpo abbatté il terzo del gruppo. Ma l'ultimo sabbioso si trovava adesso a meno di venti iarde da Wendra, rendendole quasi impossibile ricaricare in tempo il fucile. In preda alla disperazione, lei proiettò verso di lui un lampo di fuoco talentoso. La creatura barcollò, ma rimase in piedi. Wendra gli scagliò contro una seconda saetta infuocata, ma l'altro continuò ad avanzare. Wendra si chiese se fossero indispensabili le pallottole per combattere quella tenebrosa energia vitale. Con il sabbioso a meno di dieci iarde da lei, Wendra formò un'altra Talento-sonda, rivestendola di quanta più oscurità possibile, e la scaraventò con tutte le sue forze contro la malvagia creatura. Nel farlo, si disse che la cosa doveva funzionare, altrimenti sarebbe stata trasformata in una massa di fiamme bluastre. Quando fu a meno di una iarda di distanza, il sabbioso scuro si fermò,
come se si fosse trovato davanti un muro, rabbrividì e subito parve raggrinzirsi. Wendra fece allontanare il cavallo dalla forma che si stava accartocciando adagio su se stessa per poi prendere fuoco improvvisamente. Si sentì investire tutta la parte sinistra del corpo da un'ondata di calore, calore che si attenuò mentre lei e il cavallo si portavano più in là. Si fermò poco distante a scrutare il fianco dell'altura. Si accorse che stava tremando e aveva il respiro affannoso, ma non scorse né lupi della sabbia né altri sabbiosi scuri, solo quattro spirali di fumo denso, che si innalzavano nell'aria calma del pomeriggio dalle chiazze dei neri resti oleosi rimasti sul rosso terreno sabbioso. In ritardo e rimproverandosi tra sé per essere stata così lenta, Wendra ricaricò il fucile. Mentre introduceva l'ultima cartuccia nel caricatore, un altro intenso lampo violaceo proveniente da un punto imprecisato le sfrecciò davanti e svanì. Wendra si guardò rapidamente intorno, ma la leggera nuvolaglia in cielo era rimasta immutata. I tre giovani montoni si erano riuniti al resto del gregge e, insieme ai montoni più anziani, si erano disposti a formare una specie di fascia irregolare ai margini del gruppo. Anche le altre pecore si erano avvicinate. Per quanto riusciva a vedere o a percepire con i Talentosensi, non c'erano in giro né sabbiosi, né arianti, né lupi della sabbia. E neppure altre strane creature talentose. Continuò a scrutare, con tutti i sensi all'erta, ma non successe niente, e le pecore nerine ricominciarono a brucare tranquille, seppure con una certa cautela. Wendra si chiese allora perché mai avesse avvertito quel lampo violaceo dopo aver ucciso i sabbiosi scuri. Dopo un momento, si sfilò il guanto sinistro ed esaminò il cristallo nero dell'anello da pastore. Non sentì nulla, ma lei sapeva di avere sentito qualcosa. O magari era stato Alucius ad avere avuto quella percezione? Il cristallo era caldo, e non emanava alcun senso di pericolo o dolore, come era invece accaduto quando Alucius era stato ferito. Wendra si infilò di nuovo il guanto e osservò il gregge. Alucius stava bene. Ne era certa. Ma era ancora preoccupata, per lui e per i sabbiosi scuri, e si chiese perché avessero cercato di assalirla. Forse perché stavano prendendo il posto dei sabbiosi più antichi, quelli di colore verde-giallastro? O forse perché lei era diventata più abile nell'usare il Talento? O per entrambe le ragioni?
34 Prima di cercare il maresciallo per fargli rapporto, Alucius si assicurò che la Quinta Compagnia avesse trovato adeguata sistemazione all'interno della stazione intermedia di Ghetyr: due fabbricati recintati da una staccionata, provvisti di un pozzo e di abbeveratoi per i cavalli. La baracca dei soldati era costituita da un lungo capanno con pagliericci disposti su tavole. All'estremità ovest si trovavano gli alloggi per gli ufficiali: sei cubicoli privi di porta. Ciascuno di essi era dotato di una tavola con relativo pagliericcio, di una sedia e di due assi fissate a supporti a muro, che fungevano da scrittoio. L'altra costruzione ospitava le stalle ed era coperta da un tetto che doveva aver visto tempi migliori e che probabilmente lasciava filtrare l'acqua quando pioveva. Dopo aver governato il cavallo e depositato i suoi effetti personali in uno dei cubicoli, Alucius andò in cerca del maresciallo Frynkel, ma non lo trovò né nelle baracche né nelle stalle. Infine lo vide, in compagnia del capitano Geragt, nell'angolo nordest della staccionata, in piedi nell'ultima luce del sole al tramonto, lontano da tutti. Alucius si fermò a cinque iarde abbondanti di distanza. «Maggiore, unitevi a noi», lo invitò Frynkel. «Non vorrei disturbare, signore.» «Non disturbate affatto. Stavamo parlando di quelle... creature.» «Buoi della sabbia selvatici. O buoi della sabbia talentosi», disse Alucius mentre raggiungeva gli altri due. «Lo credete davvero?» «Sono simili a quelli raffigurati negli antichi dipinti, tranne per il corno», spiegò Alucius. «Sembrano anche più grossi.» «Vi eravate già imbattuto prima in questi animali?» «No, signore. Eravamo stati attaccati da pteridon e da buoi della sabbia selvatici sulla via del ritorno da Deforya. Fino a oggi, però, non mi era mai capitato di vedere quei gatti neri giganti.» «Hanno, come dire... un aspetto familiare», disse pensoso Frynkel. «Assomiglierebbero ai gatti della polvere, se questi avessero una corporatura più sviluppata, il mantello nero, e anche artigli più lunghi.» «Grazie. Sapevo di averli visti in un disegno o da qualche parte», annuì Frynkel, dimostrandosi quasi sollevato di avere notato la somiglianza. «Per quale motivo pensate che quelle creature siano dotate di Talento o di poteri
magici, o di qualunque altra diavoleria?» «Be'...» Alucius indugiò prima di continuare. «Perché hanno un'aria simile, ma non uguale, alle arianti e ai sabbiosi, e agli pteridon di Aellyan Edyss. E quando vengono uccisi, si comportano come questi ultimi, esplodendo in una fiammata azzurrognola.» Inclinò il capo. «Potrebbe trattarsi di qualcos'altro. Non lo so con certezza, ma a me sembra che sia così.» «Devo confessarvi che, quando lessi il vostro rapporto alcuni anni fa, nutrii forti dubbi in merito a ciò che vi accadde sulla via del ritorno da Dereka.» Frynkel si produsse in una risata dal suono aspro. «Avrei preferito non dover confermare di persona l'esistenza di tali creature.» Geragt annuì, deciso a corroborare l'affermazione del maresciallo. Frynkel si rivolse al capitano delle Guardie del Sud. «Vi spiace sentire se i cuochi pensano di preparare qualcosa da mangiare o se dovremo accontentarci delle nostre razioni da campo?» «Sì, signore. Vado.» Con un sorriso di sollievo, Geragt fece un cenno con la testa, poi si girò e si allontanò. Il sollievo provato da Geragt nell'andarsene fece capire ad Alucius che Frynkel non doveva essere stato molto tenero con lui riguardo a qualcosa, probabilmente al suo modo di gestire l'attacco delle creature talentose. Frynkel attese che l'altro si allontanasse, prima di rimettersi a parlare. «Maggiore, come vi avevo già detto prima, ho notato che voi e i vostri uomini sembravate pronti a rispondere all'assalto. Ho anche notato che gli spari dell'Ottava Compagnia sembravano meno efficaci dei vostri.» «Sì, signore. In parte è dovuto al fatto che io sono un pastore. Impariamo a prestare ascolto alle nostre sensazioni. Sentivo che stava per accadere qualcosa, anche se non avrei saputo dire cosa. Perciò ho dato ordine ai miei uomini di disporsi in una formazione che avevo già avuto modo di sperimentare con successo durante la campagna di Deforya. Vale a dire, piazzare i tiratori scelti sul davanti della colonna. Inoltre, direi che il motivo per cui i nostri spari sembravano più efficaci è da attribuire alla maggiore circonferenza delle nostre cartucce. Non raggiungono distanze notevoli come quelle delle Guardie del Sud, ma, a Dereka, hanno dimostrato di essere adeguate a combattere gli pteridon.» Frynkel ridacchiò. «Perché ogni vostra spiegazione dà l'impressione di essere sempre perfettamente logica, eppure mi lascia con l'idea che non vogliate raccontarmi la storia per intero?» «Perché in effetti non ve la racconto», ammise Alucius. «Non posso spiegarvi perché sento ciò che sento.» Il che era assolutamente vero, ma
non nel modo che Alucius sperava di dare a intendere a Frynkel. «Credo che nessun pastore potrebbe spiegarvi perché prova certe sensazioni. Dobbiamo la nostra capacità di sopravvivere a questa nostra abilità. Ed è una delle ragioni per cui le Guardie del Nord hanno utilizzato per generazioni i pastori per fare le ricognizioni. Non si tratta però di una capacità utilizzabile su vasta scala. Riuscite a immaginarmi mentre cerco di spiegarvi che provo delle sensazioni a cui dovreste dare ascolto? Nel bel mezzo di una battaglia?» Questa volta, la risata del maresciallo fu ancora più forte. «Capisco. E capisco anche perché il Signore-Protettore vi voleva al comando di un esercito. A voi serve una certa libertà d'azione per seguire il vostro intuito, mentre a lui fa comodo non essere ritenuto direttamente responsabile per ciò che succede.» Dopo una pausa, Frynkel chiese: «Come ve la siete cavata con il maggiore Draspyr?». Per un attimo Alucius non riuscì a inquadrare bene la domanda, ma poi comprese il nesso tra il discorso appena fatto e il maggiore che era al comando della spedizione combinata a Deforya, quella a cui aveva preso parte qualche anno prima. «Cercavo prima di agire e poi di spiegarne il motivo. Al maggiore Draspyr interessavano i risultati, signore.» «Suppongo che sia per questo...» Frynkel si interruppe. «Non ha importanza. Siete in grado di spiegarmi perché quelle creature sono sbucate nel bel mezzo di Lanachrona e ci hanno attaccato?» «Spiegare? No, signore. È possibile che i sacerdoti, o chiunque si nasconda dietro ai ribelli del Vero Duarcato, abbiano trovato il modo di far rivivere quegli esseri orribili e di mandarceli contro. Di come abbiano fatto a sapere dove ci trovavamo, non ne ho la più pallida idea.» Alucius, per la verità, un'idea ce l'aveva, ma nutriva forti dubbi che potesse essere la ragione, o l'unica ragione, dell'apparizione degli animali talentasi. Inoltre, non capiva perché gli ifrit li avessero mandati a combattere proprio lui, che era al comando di un esercito forte a sufficienza da distruggerli. «Neppure io, ma l'ipotesi che avete azzardato sembra avere una certa logica. La cosa non mi piace, e piacerà ancora meno al Signore-Protettore.» Alucius se lo poteva ben immaginare. Il Signore-Protettore aveva già abbastanza problemi. «Questo però non spiega perché tutto ciò sta succedendo adesso. Qual è la vostra opinione, maggiore?» «Qualcosa sta sicuramente succedendo. Sin da quando hanno fatto la loro comparsa Aellyan Edyss e gli pteridon, o addirittura da prima, anche se
il fenomeno è diventato più evidente nel corso di questi ultimi anni. C'erano gli pteridon di cui si è servito Edyss e quelli che ci hanno attaccato dopo la partenza da Deforya. I pastori delle Valli del Ferro hanno riferito la presenza di strani sabbiosi nei pressi delle fattorie. La Reggente della Matride si è ripresentata con un altro lancia-proiettili di cristallo. Ci sono probabilmente altre cose di cui non sono al corrente. Stando a quanto si afferma nei libri di storia, nessuno di questi eventi si era più verificato dai tempi del Cataclisma.» Alucius si strinse nelle spalle. «Tutto ciò significa qualcosa. Ma non so cosa.» Ancora una volta diceva la verità. Non sapeva, anche se aveva la sensazione che tutto fosse collegato agli ifrit. «Mi parlavate di sensazioni, maggiore. Che cosa sentite?» Alucius rifletté un attimo. «Può darsi che i Veri Duarchisti abbiano ragione, che i tempi stiano di nuovo cambiando e che stia per instaurarsi un nuovo Duarcato.» «È questo ciò che sentite?» Alucius si costrinse a sorridere. «Sento che i tempi stanno cambiando. Questo è ciò che sento. Come o perché... non saprei dire.» Frynkel annuì adagio. «Ci sono limiti alle percezioni dei pastori.» «Sì, signore. Ecco perché non amiamo parlarne.» «Capisco.» «Signore», chiamò Geragt. «I cuochi stanno preparando uno stufato, ma ci vorrà più di una clessidra prima che sia pronto.» «Bene, unitevi a noi. Tanto vale che parliamo del viaggio che ci attende domani.» Alucius non si faceva illusioni circa la temporanea rinuncia del maresciallo a capire se gli sarebbe stato possibile servirsi delle sue percezioni di pastore per scoprire di più sui pericoli che minacciavano Lanachrona e il Signore-Protettore. Frynkel non era tipo da rinunciare. 35 Su esplicita richiesta del maresciallo Frynkel, a metà mattina di londi, Alucius si era portato alla testa della colonna e cavalcava accanto al maresciallo. Un piacevole venticello caldo soffiava da sudovest. Asterta si trovava ben al di sopra dell'orizzonte, ma appena visibile nella luminosità del cielo. Frynkel parlò piano, senza guardare Alucius. «Qualche anno fa, in occasione di una cena a casa del comandante in capo Wyerl, ebbi modo di di-
scorrere con un capitano maggiore delle Guardie del Nord. Sembrava intelligente, volenteroso, perspicace ed estremamente abile nell'uso delle armi. Era pieno di tatto e capace di dissentire con cortesia tale che era difficile arrabbiarsi con lui. Poi fu ricevuto in udienza dal Signore-Protettore e sparì. Non mi piace ammetterlo, ma si sa che questo accadde. Il fatto è che il Signore-Protettore non sembrò sollevato, ma tacitamente preoccupato. Parecchie settimane più tardi l'ufficiale ricomparve, con la barba lunga e i vestiti in disordine, e si verificò tutta una serie di eventi. In primo luogo, ci fu un'esplosione della stanza dell'Archivista degli Atti, e questi morì. In secondo luogo, la salute della moglie del Signore-Protettore migliorò all'improvviso a dispetto di qualunque previsione medica e, infine, il capitano maggiore venne premiato e congedato, come aveva chiesto.» Alucius rimase in silenzio, chiedendosi dove Frynkel intendesse andare a parare. «Il Signore-Protettore si è detto dispiaciuto del mancato funzionamento della Tavola, ma non ha espresso più di un semplice disappunto, per quanto tale mancanza gli abbia procurato innumerevoli problemi. Adesso, dopo tutte queste manifestazioni talentose nei vari angoli di Corus, il SignoreProtettore ha accolto il suggerimento di chiedere a quell'ufficiale delle Guardie del Nord di tornare in servizio...» Suggerimento? Chi poteva averlo dato? si chiese Alucius, poi decise di tentare. Si girò sulla sella. «Perché gli avete suggerito di richiamarmi in servizio?» Frynkel sorrise. «Qualcun altro l'ha fatto. E io mi sono ritenuto sufficientemente saggio da riconoscere la saggezza del consiglio. Ha importanza sapere da chi è partita l'idea?» «Potrebbe averne», replicò Alucius, cercando di riflettere sulla situazione. Né il Signore-Protettore né il comandante in capo avrebbero potuto avere bisogno di raccomandare qualcosa a Frynkel, e chi altri poteva anche solo essere a conoscenza di ciò che era successo? «Anch'io l'avevo pensato, ma il maresciallo Alyniat e io abbiamo esaminato la questione a fondo e siamo giunti alla conclusione che si trattasse di un suggerimento valido e che valeva la pena di renderne partecipe il comandante in capo.» Alucius si sentì quasi raggelare, mentre pensava alla persona più probabile. «Sembrate un po'... pensieroso, maggiore», commentò Frynkel, lasciando trasparire una nota ironica dal suo tono di voce.
Prima di parlare, Alucius concentrò tutti quanti i suoi sensi e il Talento sul maresciallo. «Posso chiedervi se chi ha dato il suggerimento era Waleryn, il fratello del Signore-Protettore?» «Perché mai avrebbe dovuto venire da noi?» replicò Frynkel. Perché Waleryn mi voleva sicuramente lontano dalle Valli del Ferro, fu sul punto di dire Alucius, il che significava che il fratello del SignoreProtettore era ben più profondamente coinvolto nella faccenda degli ifrit di quanto lui avesse immaginato. Anziché esternare le sue supposizioni, si limitò a dire: «Dovreste saperlo meglio di me, maresciallo». «E ho dovuto chiedere a me stesso», continuò il maresciallo, come se non fosse intervenuta alcuna interruzione, «perché il Signore-Protettore si fosse aggrappato così prontamente alla semplice speranza di far tornare in servizio un ufficiale relativamente sconosciuto, al punto tale da chiedere a un maresciallo di compiere un viaggio di circa cinquecento vingti». Alucius aspettò che l'altro continuasse e fece correre lo sguardo sulla strada lunga e diritta dinanzi a lui e sul ricognitore che li precedeva a mezzo vingt di distanza. Frynkel si girò sulla sella, fissando i suoi profondi occhi neri su Alucius. «Non si trattava di una speranza, maresciallo», rispose Alucius. «Se vogliamo essere onesti, devo dire che sarebbe stato sciocco, se non addirittura stupido da parte mia rifiutare una tale richiesta. Lo sapete bene, così come lo so io.» «Ah...» proseguì Frynkel. «A maggior ragione. E come fa a saperlo un ex ufficiale che ora fa il pastore?» «Perché è un pastore. Perché i prezzi della seta nerina rivelano molte più cose che non qualunque chiacchiera di ufficiale o funzionario. I prezzi e le tendenze del mercato non mentono.» Non a lungo, pensò tra sé Alucius. Per un po' anche Frynkel rimase in silenzio. «La gente tende a dimenticare che i pastori non si occupano solo di animali, ma svolgono un'attività che si basa anche su procedimenti e macchinari dai costi molto elevati. Dobbiamo sempre agire in previsione delle stagioni e degli anni a venire. Se un pastore non lo fa, rischia di perdere tutto quello che possiede.» «In tal caso, sia come pastore sia come ufficiale, a cosa attribuite la vostra presenza qui? E la mia?» «Parecchie persone influenti devono aver auspicato la mia presenza qui», replicò Alucius. «Questo appare molto chiaro e non occorre alcuna particolare capacità di prevedere le cose.»
«E perché dovrebbero volervi qui?» insistette Frynkel. «Il Signore-Protettore e, suppongo, il comandante in capo desiderano la mia presenza perché sono convinti che io sia in grado di gestire la rivolta senza indebolire le difese di Lanachrona contro la Reggente della Matride.» «E che mi dite degli altri? Del nobile Waleryn, ad esempio, visto che lo avete menzionato?» «Lui mi vuole qui per i suoi scopi personali, che sono differenti da quelli del Signore-Protettore.» «Vedo che condividete l'alta opinione del nobile Waleryn con alcuni altri.» Alucius non ribatté, visto che non gli era stata propriamente rivolta una domanda. «Quali scopi potrebbero essergli attribuiti?» «Qualunque cosa in grado di accrescere la sua posizione o il suo potere.» «Credete quindi che lui vi auguri di fallire nella vostra missione?» «Può darsi, ma credo che lui preferisca che io abbia successo e che pensi che tale successo permetta di realizzare i risultati da lui auspicati.» «Per essere un ufficiale relativamente giovane, siete cinico, maggiore. Ma c'è un'altra questione che mi preoccupa. Quella della Tavola. La Tavola sembrava indistruttibile. Se i documenti conservati negli archivi dicono il vero, nel corso dei secoli, in ben più di un'occasione, gli edifici in cui era conservata le sono crollati addosso, senza tuttavia danneggiarla. Poi, per nessuna ragione apparente, all'improvviso è esplosa. E voi avete fatto ritorno a palazzo. E il fatto che mi colpisce di più è che il Signore-Protettore ha reagito con molta calma alla distruzione della Tavola.» Alucius si strinse nelle spalle. «Ho solo incontrato il Signore-Protettore per alcuni brevi momenti, ma mi ha dato l'impressione di essere una persona che non spreca il suo tempo a tormentarsi o ad arrovellarsi per qualcosa che non è in grado di controllare.» A quel punto si augurò - ma ebbe il sospetto che la sua speranza fosse vana - che il maresciallo non continuasse a fargli domande inquisitrici per tutto il resto del viaggio verso Tempre. «È probabile, ma quale ruolo avete svolto nella distruzione della Tavola?» «Come avrei potuto distruggere qualcosa che aveva resistito attraverso i secoli?» Alucius scoppiò a ridere. «Mi sopravvalutate, maresciallo. Non sono altro che un pastore. Me ne intendo un po' di Talento, come tutti i
pastori, ma non so nulla del funzionamento della Tavola e, a essere sincero, prima di arrivare a Tempre non sapevo neppure che esistesse un simile strumento.» «Speravo invece che lo sapeste. In base a ciò che venne riferito, foste voi a trascinare in salvo il nobile Waleryn quando la Tavola esplose.» «Devo dirvi in tutta onestà», replicò Alucius, «che non so come funziona una Tavola. L'unica cosa che vi posso dire è che ho promesso al Signore-Protettore di non fare parola con nessuno della missione che mi aveva affidato e che comunque non aveva nulla a che fare con la Tavola o con il suo funzionamento». «Quindi vi aveva assegnato un compito.» Alucius annuì. «E non direte altro in proposito?» «A meno che non me lo chieda lo stesso Signore-Protettore in persona.» «Siete davvero cinico, maggiore.» Frynkel scosse il capo, poi indicò la lunga distesa di prati ondulati alla sua sinistra, dove l'erba era ancora verde nonostante fosse già la stagione del raccolto. «Vediamo... sapete perché quella distesa alla nostra sinistra è chiamata "Gli ovili"?» «Non avevo mai sentito questo nome, signore.» «È chiamata così perché nei primi anni di Lanachrona tutti i pastori erano soliti condurvi a svernare le loro greggi...» Alucius si trattenne dal fare un profondo respiro. La cavalcata verso Krost era lunga, e si stava prospettando ancora più lunga. 36 Alucius trascorse almeno la metà dei quattro giorni di viaggio successivi a cavallo in compagnia del maresciallo, il quale aveva escogitato centinaia di modi diversi di porre la stessa serie di domande, e cioè in cosa consistesse la missione svolta da Alucius per conto del Signore-Protettore e se avesse a che fare con la distruzione della Tavola. A sud di Borlan, la pianura aveva lasciato il posto a colline ondulate, coperte da una vegetazione molto più rigogliosa, e nei tratti in piano tra una collina e l'altra i prati erano ancora verdi, benché si fosse già all'inizio della stagione del raccolto. Nei campi si vedevano coltivazioni di fagioli, di mais e di colza, e i fianchi delle colline mostravano vingti ininterrotti di mandorli. I fabbricati in legno delle fattorie e gli edifici annessi erano ben tenuti e numerosi, come Alucius ricordava, e il traffico sulla strada princi-
pale era persino più intenso. A causa del clima più caldo e umido, Alucius aveva ripreso l'abitudine di attingere sempre più alle sue scorte d'acqua, tanto che, a fine pomeriggio, la sua uniforme era ben più impregnata di sudore di quanto non avesse voluto. Nel tardo pomeriggio di quinti, Alucius, Feran e la Quinta Compagnia, al seguito dell'Ottava, giunsero in prossimità della periferia nord di Krost e dell'avamposto dove avrebbero dovuto unirsi a loro altre due compagnie di reclute fresche di addestramento. A sudest di Krost sorgevano colline coperte da una distesa verdeggiante di viti: si trattava della parte più settentrionale delle Colline di Vyan, famose per il loro vino. Subito davanti a loro si trovava l'incrocio in corrispondenza del quale si intersecavano le due vie di comunicazione principali. Era lì che avrebbero dovuto imboccare la strada diretta a ovest, all'avamposto di Krost. «Quanto credi che siano valide queste reclute?» domandò Feran. «Non quanto dovrebbero esserlo», replicò Alucius. «E neppure quanto lo diventeranno dopo il nostro intervento.» Sogghignò, girandosi a metà sulla sella. «E dopo quello di Egyl.» «Signore...» protestò il comandante di squadra anziano. Alucius scrollò platealmente le spalle, per poi voltarsi di nuovo a guardare Feran. «Mi sa che avrete anche un altro problema... signore», azzardò Feran. «Il modo cerimonioso in cui ti sei rivolto a me, capitano maggiore, lascia intendere che non si tratta di un problema da poco. Avanti, parla», lo esortò sorridendo Alucius. Feran gli restituì il sorriso. «Sono poco più che reclute. Non sanno un dannato sabbioso di niente. Gli è stato insegnato per anni che le Guardie del Nord non sono altro che una manica di pastori cenciosi che hanno dovuto essere riscattati dal Signore-Protettore.» Feran alzò una mano per bloccare ogni obiezione da parte di Alucius. «Sappiamo bene che non è vero e probabilmente chi li ha addestrati in questi ultimi tempi si è ben guardato dal dire una cosa del genere, ma scommetto che pensano proprio questo di noi.» «Forse hai ragione. Ho riflettuto sulla questione. Sarà dura per queste reclute, ma sistemeremo le cose.» «Ah, davvero? Così, semplicemente?» «Già, proprio così», replicò Alucius. «Faremo un po' di esercitazioni mettendo a confronto le varie compagnie e usando bastoni di malacca al
posto delle spade vere, e tu, o Egyl e gli altri comandanti di squadra, direte agli uomini della Quinta Compagnia cosa si devono aspettare.» Feran fece una smorfia. «E poi sfiderò in combattimento chiunque penserà di essere la lama più provetta di tutte le reclute.» «Che succede se te ne capita uno davvero bravo, un duellante esperto?» «Dubito che succeda. Uno così bravo non avrebbe avuto bisogno di seguire un corso di addestramento. Se invece lo fosse davvero, ricorrerei a qualcuno dei miei trucchi», dichiarò Alucius senza mezzi termini. «Anche se non glielo farei capire.» «Che ne è stato di quel giovane ufficiale innocente, convinto che si dovesse sempre agire con correttezza?» «Sono ancora convinto che si debba agire correttamente. Spero solo di non essere più così ingenuo.» Alucius diresse lo sguardo verso sud e osservò le tre alte ciminiere dello stabilimento del vetro, poi a sudest, oltre l'altra strada principale, soffermandosi a guardare la collina dalla strana forma appiattita, dalla quale veniva ricavata la sabbia utilizzata nello stabilimento. «Allora, c'è ancora un po' di speranza per tutti noi.» Feran rise con aria beffarda. Poco più avanti, il maresciallo e l'Ottava Compagnia avevano ormai raggiunto l'incrocio e stavano per svoltare verso ovest. La Quinta Compagnia li seguì, lungo la strada che passava in mezzo a vecchi edifici, alcuni dei quali alti ben quattro piani. Il maresciallo doveva avere sicuramente inviato qualcuno ad annunciare il loro arrivo, perché, dopo aver oltrepassato l'ampio ingresso, affiancato da pilastri di pietra, della postazione di Krost, furono ricevuti da un'intera squadra perfettamente schierata, con il comandante in testa, a dare loro il benvenuto. Alucius, Feran e la Quinta Compagnia avevano appena attraversato i cancelli che tre ufficiali con l'uniforme blu e panna si precipitarono nel cortile e si irrigidirono sull'attenti davanti al maresciallo Frynkel. Con quasi altrettanta rapidità, un giovane capitano delle Guardie del Sud si affrettò a mettersi sull'attenti davanti ad Alucius. «Capitano Zenosyr, signori. Il capitano-colonnello mi ha chiesto di occuparmi della vostra sistemazione e di quella dei vostri uomini.» «Il capitano-colonnello Jesopyr?» chiese Alucius. «No, signore. Lui si trova a Madrien, al comando di tre compagnie. Il capitano-colonnello Jorynst è il comandante della postazione.»
«Sono il maggiore Alucius, e questi è il capitano maggiore Feran, che è al comando della Quinta Compagnia.» «Maggiore, capitano maggiore.» Zenosyr chinò brevemente il capo, poi sorrise e fece un gesto con la mano. «Dovete aver fatto un lungo viaggio. Potrete sistemare i vostri cavalli nella parte anteriore delle scuderie. Vi accompagno. Non è lontano.» Alucius si trattenne dal dire che era già stato a Krost e si limitò ad annuire. La Quinta Compagnia seguì il capitano verso l'imponente fabbricato che poteva ospitare almeno quattrocento cavalli. Alucius vide che era decisamente più affollato dell'ultima volta e che solo un quarto circa dei recinti era vuoto. Mentre Feran dava istruzioni ai comandanti di squadra, Alucius prese i finimenti e le bisacce e seguì il giovane capitano verso un lungo edificio in pietra grigia a due piani e salì al piano superiore, dov'erano situati gli alloggi per gli ufficiali. Zenosyr aprì la terza porta. «Sono gli alloggi riservati ai colonnelli, ma, in qualità di comandante di più compagnie, ne avete diritto. Fatemi sapere se vi occorre qualcosa.» «Grazie, capitano, ma credo proprio di no.» «Il capitano-colonnello sarà lieto di avervi ospiti alla cena in onore del maresciallo tra una clessidra e mezzo circa.» «Non mancherò.» Dopo che l'ufficiale si fu allontanato, Alucius si fece pensieroso. Era ovvio che il capitano non aveva idea della persona con cui aveva a che fare, a parte il fatto che si trattava di un maggiore. Benché Alucius sapesse bene che la fama era veloce a svanire, si sarebbe comunque aspettato che qualcuno avesse avvisato il capitano, e si chiese come mai ciò non fosse avvenuto. Lanciò un'occhiata alla stanza - che misurava oltre dieci iarde per quattro - ammobiliata con un antico scrittoio, un letto matrimoniale anch'esso antico, un doppio armadio, una rastrelliera di legno intagliato per i fucili e un calza-stivali. Ampie finestre munite di imposte e una stanza da bagno attigua completavano l'insieme. Avrebbe potuto trattarsi della stessa camera che gli era stata assegnata in precedenza, anche se gli sembrava di ricordare che quella fosse più vicina al quartier generale. Decise che, mentre rifletteva sulla stranezza della situazione, si sarebbe dato una rinfrescata. Per prima cosa sistemò le armi nella rastrelliera, appese gli abiti e i finimenti, poi si avviò verso la stanza da bagno nella quale
faceva bella mostra di sé una vasca dotata di rubinetto in grado di erogare abbondante acqua tiepida. Dopo che ebbe finito, Alucius lavò l'uniforme impolverata e gli indumenti di seta nerina, quindi si rivestì e si sedette all'antico scrittoio. Durante l'ultimo suo soggiorno alla postazione, aveva trovato solo una compagnia e mezza, anziché le dieci-quindici compagnie che questa avrebbe potuto ospitare. Ora, ce n'erano più della metà, ma lo schietto capitano-colonnello Jesopyr era stato distaccato altrove. Chissà se tutti gli ufficiali erano stati trasferiti? Questo poteva spiegare perché nessuno lo conoscesse. D'un tratto, scoppiò a ridere. Perché mai qualcuno avrebbe dovuto conoscerlo? «Ti stai prendendo troppo sul serio», si disse a bassa voce. Con un sorriso, si mise al lavoro per prendere appunti sulle esercitazioni cui aveva intenzione di sottoporre le Guardie del Sud che avrebbe avuto sotto il suo comando. Era ancora intento a scrivere, quando udì bussare alla porta. «Alucius?» chiamò Feran dalla soglia. «Vieni avanti.» L'ufficiale più anziano entrò nella stanza. «Non male. È circa due volte la mia dispensa.» Fece una pausa. «Siamo qui perché altre due compagnie dovrebbero unirsi a noi, giusto? Non mi avevi detto così?» «Questo almeno è ciò che mi ha detto il maresciallo.» «Il comandante di squadra anziano voleva sapere se siamo stati mandati a ovest a combattere contro i matriti. Ho risposto che ci era stata affidata un'altra missione e lui si è limitato ad annuire.» «Mi è parso che il capitano Zenosyr non sapesse né chi fossi né per quale motivo siamo venuti qui. Non gliel'ho detto. Pensavo che sarebbe stato più interessante vedere cosa succederà durante la cena.» Alucius chiuse la cartellina che conteneva gli schemi del suo programma di addestramento, spinse indietro la sedia e si alzò. «Non mi è mai piaciuta quella parola», replicò Feran. «Interessante?» «Intorno a te succedono sempre cose interessanti. Senza offesa, onorevole maggiore, ma troppe volte "interessante" è semplicemente stato sinonimo di "pericoloso".» «Lo so. Ma... se gli ufficiali qui non sanno un bel niente, ci dev'essere una ragione.» «Forse il maresciallo non voleva che si sapesse che le Guardie del Sud serviranno al comando di un ufficiale delle Guardie del Nord. Però mi sen-
tirei meglio se conoscessi il motivo di tale decisione.» «Ti sentiresti meglio?» Alucius inarcò le sopracciglia, poi scoppiò a ridere. «Sappiamo a malapena che ci mandano a sedare una rivolta. Potremmo scoprire qualcosa di più nel corso della cena.» «Non ci giurerei.» «Neppure io, ma non dobbiamo far aspettare il capitano-colonnello e il maresciallo.» Alucius seguì Feran fuori dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Zenosyr li aspettava nel cortile, davanti all'edificio che ospitava sia gli alloggi sia la mensa degli ufficiali. Per quanto il capitano gli sembrasse giovane, Alucius si rese conto di essere appena di qualche anno più anziano, ammesso che lo fosse. I due ufficiali delle Guardie del Nord seguirono la loro guida attraverso le doppie porte di legno di quercia e si inoltrarono lungo un breve corridoio dalle piastrelle di marmo blu e bianche che riproducevano dei motivi a losanga. Benché il locale adibito a mensa potesse contenere almeno venti tavoli, videro solo un'unica grande tavolata, ricoperta da una candida tovaglia e apparecchiata di tutto punto per almeno quindici persone. Il maresciallo era attorniato da una decina di ufficiali delle Guardie del Sud, intenti a chiacchierare a bassa voce. Solo uno di essi, un maggiore, il cui aspetto parve ad Alucius vagamente familiare, si voltò verso i nuovi arrivati, per poi distogliere subito lo sguardo. «Capitano-colonnello Jorynst, ecco i nostri ufficiali delle Guardie del Nord», disse il maresciallo a voce più alta, mentre si voltava verso Alucius. «Il maggiore Alucius e il capitano maggiore Feran.» «Benvenuti alla postazione di Krost», li salutò il capitano-colonnello Jorynst, un uomo dalla faccia squadrata, dai capelli castani e gli occhi verde chiaro. «Mi scuserete se non vi presento subito tutti.» Alucius si limitò ad annuire, sorridendo educatamente, e disse: «Siamo lieti di essere qui». «Adesso che ci siamo tutti...» Jorynst indicò il posto a capotavola. «Se volete onorarci, maresciallo... maggiore Alucius?» Il colonnello indicò la sedia alla sinistra del maresciallo, mentre lui prendeva posto alla destra di quest'ultimo. L'altro maggiore si sedette vicino a Jorynst, mentre Feran si sistemò alla sinistra di Alucius, accanto e di fronte ad altri tre capitani maggiori. Per ultimi venivano i capitani. Alucius notò che Zenosyr era il più giovane tra i capitani e sedeva in fondo, sul lato sinistro del tavolo.
«Proseguendo la nobile tradizione stabilita dal mio predecessore», esordì Jorynst, alzandosi e avvicinandosi al mobile a ridosso della parete alle sue spalle, «ho il piacere di offrire uno dei nostri vini bianchi migliori, cioè, il migliore che possiamo permetterci». Con una risata, stappò un paio di bottiglie dal liquido ambrato e riempì a metà il calice del maresciallo. Poi tese le bottiglie a un inserviente vestito di bianco, che servì gli altri. Quando tutti i calici furono colmi, il colonnello guardò il maresciallo. Frynkel sorrise educatamente e alzò il proprio bicchiere. «Agli ufficiali delle Guardie del Sud e del Nord, e ai loro trionfi, ovunque essi avvengano.» Alucius partecipò al brindisi e sorseggiò un po' del suo vino. Era molto meglio di qualunque altra cosa avesse assaggiato dall'ultima volta che era stato nella «vecchia» Lanachrona. Nella sala comparvero tre soldati in giacca bianca, che posarono rapidamente dei piatti davanti a ciascun commensale. Su ogni piatto c'erano sottili filetti di pesce coperti da una gelatina gialla. Come Alucius aveva previsto, la prima portata era costituita da regaleco al limone con guarnizione di mandorle. «Maggiore Alucius», disse Jorynst dopo un momento di silenzio, «vi presento il maggiore Fedosyr, il mio vice. Oltre a essere molto efficiente e organizzato, è anche molto bravo nell'uso della sciabola e delle altre armi». Fedosyr, ora Alucius ricordava: era capitano maggiore ai tempi in cui lui era passato per la prima volta da Krost. Perciò la sua faccia gli era sembrata familiare e, da quel che aveva potuto appurare dopo avere osservato discretamente tutti gli altri, era anche l'unico ufficiale che avesse già incontrato. «Ci siamo incontrati brevemente qualche anno fa, quand'eravamo entrambi capitani maggiori. Sono contento di rivedervi.» «Anch'io», replicò Fedosyr. Alucius percepì una punta di tenebrosità nell'altro, tenebrosità che gli parve celasse una sfumatura violacea, talmente impercettibile da fargli dubitare persino che esistesse. Era certo, però, di non averla avvertita durante il loro precedente incontro. Allo stesso tempo, il colonnello non emanava né un'aura di oscurità né di luce, e neppure un barlume di Talento. Era solo un ufficiale anziano, probabilmente al suo ultimo incarico. «Il colonnello ha parlato della vostra efficienza. Ne deduco che siate il responsabile dell'addestramento delle reclute», azzardò Alucius. «Il colonnello mi permette di fare ciò che posso...» «Sciocchezze!» interloquì Jorynst. «È bravo e si occupa di tutto. E io ne
sono pienamente soddisfatto. A che servono i bravi ufficiali se non vengono utilizzati per i compiti in cui riescono meglio?» «Precisamente», disse Frynkel. «Proprio in questo consiste la natura del comando: servirsi degli strumenti più adatti a ogni compito.» Così dicendo, si rivolse ad Alucius. «Voi, il colonnello e io ci incontreremo domattina per discutere di queste importanti questioni. Per il momento possono aspettare.» Sollevò il proprio calice. «Nel frattempo, direi che questo vino è un ottimo strumento per garantirci la qualità della cena.» Rise e bevve un sorso. Un sorso molto piccolo, notò Alucius, che ben si adattava all'effettivo divieto di discutere il motivo della sua visita alla postazione di Krost. Il regaleco fu seguito da agnello marinato cui le spezie conferivano però un sapore di fondo troppo simile alle punte di quarasote perché Alucius lo potesse gustare, soprattutto accompagnato com'era da patate pasticciate al formaggio, oltremodo indigeste. Quei piatti pesanti si abbinarono a una conversazione leggera, una conversazione che evitò persino di alludere al motivo della presenza di Alucius. «... dicono che questo Consiglio di Deforya non durerà a lungo...» «... può darsi... che ne sperimentino parecchi prima di rendersi conto...» Alucius comprendeva bene la situazione. Il Consiglio non aveva voluto accettare la realtà e aveva rovesciato il governo del Landarco. Se i suoi membri adesso l'avessero fatto, sarebbero stati a loro volta spodestati. Nel caso contrario, sarebbe stata la realtà a forzare loro la mano e a farli cadere, magari dopo qualche tempo. Le labbra gli si incurvarono in un sorriso ironico, ma continuò ad ascoltare più che parlare. «... il cugino di Denorst dice che la qualità dell'uva sarà la migliore mai avuta da anni...» «... mi piaceva quel rosso che abbiamo assaggiato l'ultima volta che siamo stati là...» «... sono convinto che i cavalli bai siano più resistenti al freddo... il mantello è più folto...» «... difficile trovare un buon maniscalco...» Dopo un intervallo di tempo relativamente accettabile, il maresciallo si alzò e si congedò. Poco dopo, se ne andarono anche Alucius e Feran. Nessuno dei due parlò finché non ebbero raggiunto la porta della camera di Alucius ed egli non l'ebbe aperta. «Che cosa è successo?» chiese piano Feran, mentre entrava e chiudeva la porta. «Il maresciallo ci ha praticamente ordinato di non accennare al
motivo per cui siamo qui.» «Non lo so», confessò Alucius. «Ma non mi andava di discutere, visto che il maresciallo e il capitano-colonnello non ne volevano parlare.» «Capisco perfettamente. Ma perché?» «C'è qualcosa che non va qui, e...» Alucius era stato quasi sul punto di dire che, secondo lui, il problema era rappresentato dal maggiore Fedosyr, sebbene non sapesse spiegarsi il perché. «Credo che nessuno voglia affrontare il problema. Può darsi che si siano risentiti per la mia intrusione, e che la considerino un po' come il classico schiaffo sulla guancia.» «Non dovrebbe essere così», disse Feran, «ma la cosa non è stata gestita bene». «O qualcuno non la vuole gestire bene», ipotizzò Alucius. «Pare che siano in molti a non volerlo fare», gli fece notare Feran. «Persone così ci sono sempre state. Abbiamo visto cos'è successo nella Milizia, persino quando Clyon era ancora colonnello. La gente vuole fare a modo suo, anche se questo modo non è necessariamente il migliore.» Alucius scosse il capo e rise piano, con sarcasmo. «Senza parlare del fatto che sarebbe difficile anche solo sapere qual è il modo migliore.» «Hai proprio ragione.» «Non arriveremo a capo di niente stasera. Domattina dovrei incontrare il maresciallo e il colonnello. Forse non hanno voluto parlare perché non si sono ancora incontrati. Ti lascio il comando. Vorrei che conducessi entrambe le Compagnie delle Guardie del Sud al campo delle manovre una clessidra dopo l'adunata. Dovrei esserci anch'io; in caso contrario, informa tutti che quelli sono i miei ordini e che arriverò appena possibile.» «E la Quinta Compagnia?» «Di' loro di prendersi un giorno libero, ma di controllare le armi e di rimettere in ordine le loro cose. I cavalli hanno comunque bisogno di un po' di riposo. Ci potranno raggiungere alle esercitazioni il giorno di septi. Ed è allora che si guadagneranno la paga.» «Hai intenzione di usare il pugno di ferro?» «Preferirei andarci più cauto, ma non funzionerebbe. Perciò... quello che ho in mente di fare sarà più semplice che non cercare di convincere tutti a collaborare. Mi sembra di capire che nessuno degli ufficiali sia nello spirito adatto per farlo. Quindi, prima di tutto, stabiliamo chi comanda, poi pensiamo a ottenere la loro collaborazione.» «Magari fosse così semplice.» Anche Alucius lo sperava.
37 Hieron, Madrien La Reggente era in piedi, nello spazio compreso tra il tavolo delle riunioni e le ampie finestre che si affacciavano sui quartieri meridionali di Hieron e su una parte del parco appartenuto alla residenza della Matride. Gli occhi dalle sfumature violette seguirono il tracciato della strada principale orientale fino al punto in cui svaniva, inghiottita dalla foschia. Poi si posarono sulla donna-maresciallo. «Avete detto che il secondo lanciaproiettili di cristallo dovrebbe avere ormai raggiunto le compagnie che si stanno dirigendo a sud di Dimor?» «Sì, Reggente», replicò il maresciallo Aluyn. «A meno che non si sia verificato un contrattempo, dovrebbero essere pronti a lanciare l'attacco.» «Non sarei per niente contenta se fosse successo qualcosa.» «Neppure noi, Reggente. Anche se sappiamo quasi con certezza che il Signore-Protettore non è in grado di muovere altre truppe in quella zona.» «Non è in grado o non lo farà?» chiese la Reggente. «Se lo fa, rischia di perdere ancora più rapidamente i territori conquistati al nord o persino le sue regioni meridionali. Se la rivolta di Hyalt si estende a Syan, Soupat verrà tagliata fuori, impedendo così ai lanachroniani di rifornirsi del piombo destinato sia alle munizioni sia alla loro produzione di cristalli.» «A che punto siete con la rivolta?» «Altri convogli carichi di armi si stanno dirigendo alla volta di Hyalt attraverso i vecchi sentieri delle Montagne della Costa, e sappiamo che laggiù i disordini continuano a crescere.» La Reggente annuì, poi chiese: «E i collari? Quanti di essi sono stati di nuovo rimessi in funzione?». «Abbiamo lavorato su quelli degli ex prigionieri e degli abitanti di Hieron e dintorni.» «Quanti sono, Aluyn?» «Meno di un quarto. Ci vuole tempo. Disponiamo solo di pochi ufficiali davvero provvisti di Talento. Il nuovo cristallo non è così potente, perlomeno non ancora. Non ci fidiamo a far allontanare troppo gli ex prigionieri freschi di addestramento dai nostri ufficiali talentosi.» «Il cristallo diventa sempre più potente ogni giorno che passa.» «Gli ufficiali talentosi lo hanno notato, ma voi ci avevate ordinato di
concentrare tutti gli sforzi nella riconquista del sud.» «Certo, certo.» La Reggente annuì. «Potete andare. Tenetemi al corrente dei vostri progressi.» La donna-maresciallo si inchinò per accomiatarsi. «Sì, Reggente.» Quando la porta della sala delle riunioni si richiuse alle spalle dell'ufficiale, la Reggente tornò alla finestra. Nella luce dorata che precedeva il tramonto, diresse lo sguardo verso sud. Le sue dita sfiorarono gli smeraldi verde scuro della collana. A quel tocco, le gemme emisero profondi bagliori e il sorriso le si indurì. 38 La mattina di sexdi, immediatamente dopo la colazione e l'adunata, Alucius era nello studio del capitano-colonnello Jorynst in compagnia del maresciallo Frynkel. I tre sedevano attorno al tavolo rotondo in un angolo della stanza delimitato da due scaffali ad altezza d'uomo stipati di volumi rilegati in cuoio. Mentre si sistemava meglio sulla sedia di legno, Alucius non poté impedirsi di notare che tutti i libri, al pari degli scaffali su cui poggiavano, erano coperti di polvere. «Il maresciallo mi stava dicendo che siete stati attaccati da strane creature sulla strada che porta a Krost», disse il colonnello. «Non avevo mai sentito una cosa simile.» Così dicendo, fissò lo sguardo su Alucius. «È stata una sorpresa anche per noi», replicò questi. «Non mi era mai giunta notizia che attacchi del genere avvenissero su una strada così frequentata. E di certo, non nel cuore di Lanachrona.» «È successo solo a voi e a nessun altro», dichiarò il colonnello. «Non avete avuto molto successo nel proteggere l'Ottava Compagnia, almeno non quanto ne avete avuto nel proteggere i vostri soldati. Avere il comando non significa occuparsi solo di una parte dei tuoi uomini, ma gestire tutte le compagnie come una sola.» «Ciò che dite è vero, colonnello», replicò Alucius con quanto più garbo possibile, a dispetto della rabbia che si sentiva crescere dentro. Perché mai Jorynst stava cercando di punirlo? «In quel momento ero solo al comando della Quinta Compagnia e non avevo ricevuto alcun ordine dal maresciallo Frynkel.» «Non avevate bisogno di ordini per quello. Il vostro compito era proteggere il maresciallo.» Alucius si chiese per un attimo se fosse il caso di far notare che egli non
si trovava, né si era mai trovato sotto il comando del colonnello. Decise di lasciar perdere e si costrinse a rispondere con voce pacata: «Ed è ciò che abbiamo fatto. Abbiamo fronteggiato quelle creature e le abbiamo uccise tutte, così che nessuna di esse potesse attaccare il maresciallo». «Ma non avete fatto molto per la quarta e la quinta squadra dell'Ottava Compagnia, non è vero?» Alucius non riusciva a capire perché il colonnello si stesse accanendo su di lui a quel modo - e per quale motivo il maresciallo lo lasciasse fare - se non che era ovvio che Frynkel aveva in mente qualcosa di preciso. Alucius tentò di nuovo di ribattere, mantenendo la voce ferma. «Abbiamo fatto del nostro meglio, signore, e abbiamo impedito che le altre squadre dell'Ottava Compagnia subissero perdite.» «Ciò nonostante, avete subito una trentina di perdite tra morti e feriti: quasi un terzo dell'intera compagnia.» Da quel che Alucius riusciva a percepire, il colonnello era arrabbiato, anche se lui non riusciva a spiegarsene il motivo, visto che Jorynst non era stato presente all'accaduto. In base a quanto gli aveva detto il maresciallo, l'Ottava Compagnia non faceva parte della postazione di Krost, ma di una di quelle situate appena fuori Tempre. Perciò Alucius si limitò ad aspettare, senza aggiungere altro. «Vi chiedo scusa, maresciallo», dichiarò Jorynst, facendo un cenno a Frynkel e rivolgendosi di nuovo ad Alucius, «ma attorno a voi sono accadute molte cose strane, maggiore, e avete subito un'alta percentuale di perdite. Farò come mi è stato ordinato e vi assegnerò il comando della Ventottesima e della Trentacinquesima Compagnia, ma sappiate che non ne sono contento. Non ne sono per niente contento e non riesco a capire perché si sia resa necessaria una tale misura. Tuttavia, poiché sono un ufficiale fedele, ubbidirò». Decidendo che l'insulto era durato abbastanza, Alucius si costrinse a sorridere educatamente prima di replicare. «In tal caso, colonnello, proviamo esattamente gli stessi sentimenti. L'ultimo ufficiale delle Guardie del Sud sotto il cui comando ho combattuto era riuscito a perdere quasi un'intera compagnia, non lasciandomi altra scelta se non stare a guardare, mentre venivano attuate strategie del tutto inadeguate. Sono riuscito a sconfiggere un nemico che poteva vantare un effettivo superiore al nostro nella proporzione di dieci a uno. È vero che abbiamo subito perdite che si aggiravano intorno al trenta o al quaranta per cento, ma era indubbiamente meglio del novantotto per cento totalizzato dal maggiore Draspyr. Sono qui su esplici-
to invito del Signore-Protettore. Non ho chiesto di venire qui, così come non ho chiesto di essere mandato a risolvere una rivolta interna, una rivolta con la quale le Valli del Ferro non hanno niente a che fare. Poiché anch'io sono un buon ufficiale farò, come sempre, tutto quanto è in mio potere per risolvere la questione. E devo dire che in passato ci sono riuscito molto meglio di quanto non abbiano fatto le Guardie del Sud.» Jorynst aveva gli occhi che gli sporgevano dalle orbite e aprì la bocca, per poi richiuderla subito. Infine parlò. «Voi... questa è... insubordinazione...» «Sì, signore», replicò Alucius. «Se raccontare i fatti come stanno costituisce insubordinazione, allora io sono insubordinato.» «Non posso credere che voi...» cominciò Jorynst. «Colonnello...» intervenne con voce ferma il maresciallo Frynkel. «Il maggiore Alucius è un ufficiale delle Guardie del Nord. La sua scheda di servizio è impeccabile. È stato l'unico uomo nella storia di Corus a ricevere contemporaneamente le massime decorazioni dai governi di Deforya, Lanachrona e delle Valli del Ferro. È stato l'unico ufficiale capace di organizzare una fuga da Madrien e di sconfiggere, con meno di una compagnia di reclute a malapena addestrate, qualcosa come cinque o sei compagnie esperte. Preferisce dire la verità senza tanti complimenti ed è solito esprimersi in modo più schietto dei subalterni ai quali siete abituato. Avrete notato che ha risposto con la massima cortesia ed educazione quando a più riprese lo avete attaccato e offeso. Voi invece vi siete risentito per ciò che ha detto, anche se temo che non lo possiate confutare.» Frynkel sorrise freddamente e si rivolse ad Alucius. «Quali sono i vostri programmi di addestramento, maggiore?» «I miei uomini hanno forse bisogno di essere addestrati ulteriormente?» chiese Jorynst. «La Ventottesima e la Trentacinquesima Compagnia non hanno fatto altro che esercitarsi, fin da quando abbiamo ricevuto la comunicazione dal comandante in capo.» Alucius non riusciva a credere che il colonnello stesse ancora opponendo resistenza. Possibile che fosse cocciuto fino a tal punto? O stava solo cercando di provocarlo? «Dovremo lavorare insieme parecchi giorni per valutare...» «Sono bravi soldati...» disse Jorynst. «Non lo metto in dubbio», interloquì il maresciallo, «ma il maggiore deve lavorare con loro per assicurarsi che la struttura di comando funzioni come si deve e per sapere come si comportano nelle varie situazioni, oltre
che far sapere loro come si comportano le Guardie del Nord nelle stesse situazioni». «Suppongo che sia così che si fa...» commentò il colonnello con astio. «Colonnello», disse Frynkel in tono quasi amabile, «il maggiore Alucius sa fare bene il suo lavoro. Lasciamoglielo fare. Nel frattempo, ci sono alcune questioni che desidero discutere con voi». Frynkel si rivolse ad Alucius: «Se non vi dispiace, maggiore». Dopo una brevissima pausa, gli tese una cartelletta. «Qui ci sono gli elenchi divisi per squadra e gli incarichi delle vostre due nuove compagnie. Da questo momento avete il comando.» «Sì, signore.» Alucius non accennò al fatto che probabilmente Feran aveva già assunto il comando. Si alzò. «Con il vostro permesso, maresciallo?» Evitò di rivolgersi a Jorynst. «Potete andare, maggiore.» Alucius uscì e si chiuse la porta alle spalle. Si fermò un attimo, ma non udì nulla, perciò proseguì, oltrepassando il soldato seduto alla scrivania nell'anticamera. Avrebbe voluto sapere che gioco stava giocando il maresciallo, anche se al termine dell'incontro gli era parso ben chiaro che questi lo aveva usato contro il colonnello e che era soddisfatto del risultato. Alucius non amava essere manovrato a quel modo, ma c'era ben poco che potesse fare finché non avesse ottenuto maggiori informazioni. Si diresse all'armeria per dare disposizioni affinché gli preparassero trecento bastoni di malacca, quali sostituti delle sciabole, entro la mattina successiva. Quindi si affrettò verso le scuderie, dove lo stava aspettando il suo cavallo grigio, già sellato. Si concesse un po' di tempo per studiare il contenuto della cartelletta, poi se la infilò nella casacca, condusse fuori il cavallo e montò in sella. Mentre usciva, passando in mezzo alle sentinelle di guardia che lo guardarono a malapena, gli parve che la postazione fosse tranquilla. Feran e i due capitani delle Guardie del Sud lo stavano aspettando ai margini del campo destinato alle esercitazioni, a ovest delle mura della postazione. «Capitano maggiore, capitani... mi scuso per il ritardo, ma il maresciallo aveva alcune questioni da discutere con me.» Alucius ostentò un sorriso che non sentiva. «Sono il maggiore Alucius e vedo che avete già conosciuto il mio vice, il capitano maggiore Feran.» «Sì, signore.» Alucius osservò i due capitani. Uno aveva i capelli scuri ed era terribilmente giovane. L'altro, che doveva avere almeno dieci anni di più, aveva un viso dai lineamenti marcati, corti capelli biondi e una sottile cicatrice
rossa che gli solcava la fronte. Alucius si rivolse al più anziano dei due: «Siete voi Jultyr?». «Sì, signore.» «Avete fatto parte di una delle compagnie assegnate al pattugliamento delle Montagne della Costa durante la guerra contro la Matride?» «Sì, signore.» Alucius avvertì un lieve stupore nella risposta del capitano, ma proseguì. «Vi siete mai chiesto per quale motivo i matriti non mandavano mai in perlustrazione pattuglie formate da meno di mezza squadra di uomini?» «Non ci avevo mai pensato, signore.» «Uno di questi giorni approfondiremo l'argomento, capitano.» Alucius fece un altro sorriso e proiettò un senso di calore e fiducia verso Jultyr. Poi si rivolse all'altro ufficiale. «Capitano Deotyr?» «Sì, signore.» «Da quanto tempo siete in servizio?» «Da un anno soltanto, signore.» «Bene», commentò Alucius in tono indecifrabile. «Mi sembra di capire che abbiate fatto parecchio addestramento con le vostre compagnie. Ma sospetto che nessuno di voi due sia troppo entusiasta di dover servire agli ordini di un comandante di cui conosce poco o niente. Qualcuno vi ha informati circa la nostra missione?» I due capitani si scambiarono una rapida occhiata. Jultyr irrigidì la mascella, ma non parlò. Dopo una pausa di silenzio, Deotyr si decise a intervenire. «Ci è stato detto che potremmo avere a che fare con la rivolta scoppiata a Hyalt.» «Esatto. Contrariamente alle chiacchiere che avrete sentito in giro», disse Alucius con naturalezza, «non ho alcun interesse a soffocare una rivolta provocando una carneficina. Lascerò questa soluzione come ultima risorsa. I morti non producono. Non pagano le tasse e i loro amici e parenti si ritroverebbero con ancora più motivi per ribellarsi e uccidere noi soldati. Ciò detto, sia chiaro che non esiterò a ricorrere alla forza qualora si rendesse necessaria, anche se preferirei adottare prima altre strategie». «Altre strategie, signore?» disse impulsivamente Deotyr. «Di queste discuteremo più avanti. Ne avremo tutto il tempo durante il viaggio verso Hyalt. Questa mattina ci dedicheremo ad alcuni esercizi per capire come si comportano le vostre compagnie e qual è il loro grado di abilità. Nel pomeriggio aggiungeremo alcune manovre e formazioni per squadra e per compagnia non molto usate dalle Guardie del Sud, ma che
potrebbero tornare utili a Hyalt. Domani cominceremo a fare un po' di addestramento squadra contro squadra con la Quinta Compagnia. Poiché la Quinta Compagnia è composta da soldati molto esperti, non possiamo rischiare che si verifichino gravi incidenti durante le esercitazioni. Perciò ho disposto affinché vengano usati bastoni di malacca al posto delle sciabole. Passerete a ritirarli in armeria domattina, dopo l'adunata.» «Bastoni di malacca», commentò Deotyr in tono sprezzante. «Capitano», replicò Alucius con pazienza. «Dovremo integrare le nostre rispettive tattiche, tecniche e procedure. Per quanto i comandi di base siano simili all'interno delle varie forze, non sono però identici, e le tattiche differiscono di parecchio. Tanto per cominciare, esiste una buona possibilità che si creino equivoci, e gli equivoci quando si ha a che fare con le armi non sono mai auspicabili. Inoltre, nessuno esegue esercizi di valutazione o di addestramento con le spade senza usare le spade.» «Sì, signore.» «Nelle esercitazioni di questa mattina seguirò il capitano Deotyr e la Ventottesima Compagnia.» Alucius si rivolse a Deotyr. «Vi comunicherò i comandi che dovrete trasmettere ai vostri uomini. Così vedrò come si comportano. Il capitano maggiore Feran farà la stessa cosa con il capitano Jultyr e la Trentacinquesima Compagnia. Adesso potete tornare alle vostre compagnie per istruire i comandanti di squadra.» Alucius rimase in sella al proprio cavallo accanto a Feran e usò il Talento per cogliere alcuni frammenti di frasi dei due capitani, mentre questi tornavano ai rispettivi schieramenti. «Bastoni di malacca...» mormorò Deotyr. «Da non crederci...» Da quel che Alucius riuscì a sentire, Jultyr non replicò. Dopo un po' Alucius guardò Feran. «Jultyr si è fatto un'idea di quello che sta per succedere», disse Feran. «L'altro...» Scosse il capo. «Lo so», rispose Alucius. «Lo so.» Dopo aver aspettato il tempo sufficiente a dar modo a Deotyr di informare i suoi comandanti di squadra, Alucius si diresse verso la Ventottesima Compagnia. Il resto della giornata fu un'immagine confusa di esercitazioni che si susseguivano le une alle altre, con un intervallo di un paio di clessidre solamente tra il turno del mattino e quello del pomeriggio. Quando Alucius congedò le due compagnie - poco dopo metà pomeriggio, giacché non aveva voluto affaticare troppo i cavalli - entrambe avevano imparato a
grandi linee lo schieramento in linea obliqua, con cui Alucius si era familiarizzato durante la sua prigionia a Madrien e che aveva poi ripreso e adattato alle esigenze delle Guardie del Nord, oltre ad alcuni altri schieramenti che erano stati utilizzati solo dalla Quinta e dalla Ventunesima Compagnia delle Guardie del Nord. Mentre si allontanava dal campo delle esercitazioni, Alucius sentì il desiderio di mandare una lettera a Wendra. Era l'unico modo di confermarle che pensava a lei e ad Alendra, ma aveva ancora molte cose da pianificare. Inoltre, era ben consapevole che qualunque messaggio avesse spedito dalla postazione di Krost avrebbe dovuto essere breve e dire molto poco, al di là delle sue espressioni di affetto. Mentre faceva ritorno alle scuderie, impolverato, stanco e con la voce roca, non poté fare a meno di chiedersi quale fosse stato l'oggetto di discussione tra il maresciallo e il colonnello e quali conseguenze ne sarebbero derivate. 39 La mattina di septi era grigia ma asciutta e mentre Alucius fermava il cavallo sul prato riservato alle manovre, in attesa del capitano Deotyr e del capitano Jultyr, percepì in modo quasi palpabile il risentimento di almeno alcuni dei soldati delle due compagnie di Guardie del Sud che si stavano schierando in formazione, con i bastoni di malacca in pugno. Non aveva parlato con il maresciallo Frynkel, dato che preferiva che fosse lui a cercarlo più tardi. Il mandato che gli era stato conferito non citava espressamente il giorno esatto in cui avrebbe dovuto partire per Hyalt, ed egli non intendeva lasciare la postazione finché non avesse potuto dedicare ancora un po' di tempo alle due nuove compagnie. Poco dopo venne raggiunto da Feran in groppa al suo cavallo. «La Quinta Compagnia è pronta.» «Grazie. Hai istruito bene i tuoi comandanti di squadra su quello che devono fare?» chiese Alucius a bassa voce. «È bastato dire loro che le Guardie del Sud non erano per niente impressionate dall'esperienza delle Guardie del Nord.» Il tono di voce di Feran era secco. «Ho anche aggiunto che le Guardie del Sud non sembravano capire che tu stavi cercando di proteggerle e che sarebbe stato saggio rinforzare un po' questo aspetto della questione. Dimostrare, cioè, a questi ragazzi del sud che hanno davvero bisogno di essere protetti.»
Alucius annuì adagio. «Bene. Avrei preferito un'altra alternativa, ma l'atteggiamento del colonnello Jorynst non ha certamente contribuito a semplificare le cose.» «Vuoi dire che lui non crede che noi del nord si possa essere capaci di comandare i validi soldati del sud?» Feran sogghignò. «Qualcosa del genere.» «Come pensi di procedere oggi?» chiese il capitano maggiore. «Tanto vale che cominciamo con le esercitazioni a squadre. Due squadre alla volta, così che gli altri possano guardare. Alternate. La tua prima squadra contro la prima squadra della Ventottesima Compagnia, la tua seconda squadra contro la seconda squadra della Trentacinquesima, finché non avremo fatto cinque turni. Quindi ci concederemo una pausa. Diciamo mezza clessidra, ma poi vediamo. Dopodiché invertiremo l'ordine: la tua prima squadra contro la prima della Trentacinquesima, il che significa che i tuoi uomini dovranno lavorare il doppio.» «Sono in grado di farlo.» Alucius restò in sella in attesa, mentre Deotyr e Jultyr raggruppavano le loro compagnie, poi si mosse. «Ventottesima Compagnia, presente e pronta, signore.» «Trentacinquesima Compagnia, presente e pronta, signore.» «Quinta Compagnia, presente e pronta, signore», aggiunse Feran. Alucius fece un cenno di assenso, poi disse: «Buongiorno, capitano maggiore, capitani». «Buongiorno, signore.» «Questa mattina ci dedicheremo agli esercizi a squadre...» Mentre spiegava, Alucius studiava i tre ufficiali. «... e quando avremo finito le prime cinque simulazioni di combattimento faremo una pausa, durante la quale vi renderò noto i miei commenti circa la prestazione di ogni squadra. Poi vi verrà concesso un po' di tempo per rielaborare i suggerimenti e metterli in pratica e infine faremo una pausa per il rancio. Dopodiché farete un'altra serie di esercizi a squadre...» Quando Alucius ebbe finito di illustrare il programma della giornata, gli parve che Jultyr mostrasse un misto di comprensione e di rassegnazione. Deotyr sembrava risentito e perplesso, mentre Feran cercava di nascondere il suo ironico divertimento. Dopo aver permesso ai capitani di allontanarsi per prepararsi, Alucius si spostò più al centro dell'area destinata alle manovre, per osservare più da vicino. «Prima squadra, Quinta Compagnia, pronta, signore!» dichiarò Feran.
«Prima squadra, Ventottesima Compagnia, pronta, signore!» «Cominciate l'esercitazione!» ordinò Alucius. Guardò attentamente, mentre la prima squadra della Quinta Compagnia compiva un'inversione e si portava verso la prima squadra della Ventottesima Compagnia. Nel giro di pochi attimi, la maggior parte dei soldati delle Guardie del Sud si ritrovò in equilibrio precario sulla sella, o senza il bastone di malacca, o ad aver subito colpi che avrebbero potuto produrre gravi mutilazioni se si fossero usate delle sciabole vere. Alucius aveva già messo in conto che si sarebbe reso necessario un ulteriore addestramento, ma non si era aspettato uno spettacolo così penoso. Lasciò che la schermaglia proseguisse per un altro po', abbastanza a lungo da capire che la quasi totalità degli inetti soldati della Ventottesima Compagnia rischiava l'annientamento. Poi si decise ad avanzare verso quella mischia turbinante e a ordinare con voce stentorea, proiettando nel contempo un senso di autorità: «Fermatevi! Subito!». «Riformarsi! Prima squadra, interrompete e riformatevi!» giunse il comando da Faisyn. «Riformarsi!» ripeté il comandante di squadra della Ventottesima Compagnia. Alucius lanciò un'occhiata agli uomini della Quinta Compagnia: quasi tutti sembravano impugnare ancora il loro bastone di malacca. Dopo che la polvere si fu un poco depositata e le prime due squadre ebbero lasciato libero il campo, Alucius ordinò: «Seconde squadre! Portarsi al centro del campo... Cominciare l'esercitazione!». Ancora una volta, i risultati del breve scontro furono decisamente a favore dei soldati della Quinta Compagnia, mentre la seconda squadra della Trentacinquesima Compagnia riuscì in linea di massima a reggere i bastoni, anzi, alcuni dei suoi uomini arrivarono persino a parare o a sferrare qualche colpo agli avversari. Col trascorrere delle clessidre, Alucius cercò di non mostrare la sua preoccupazione, ma lo schema delle prime due schermaglie si ripeté invariato per il resto della mattinata. La Ventottesima Compagnia venne miseramente sopraffatta, la Trentacinquesima mantenne invece un comportamento sufficientemente dignitoso. Come l'ultimo scontro volse al termine e i soldati delle quinte squadre si apprestarono a schierarsi di nuovo in formazione, Alucius scorse un ufficiale delle Guardie del Sud che si allontanava dal campo. Non ne fu certo,
ma gli parve che si trattasse di Fedosyr, e si chiese perché mai avesse voluto assistere alle esercitazioni. Mentre si avviava verso la Ventottesima Compagnia, disposta in ordine sparso nell'angolo nordovest del campo, Alucius si disse che avrebbe dovuto ricordarsi di questo particolare. Cominciò a esporre le sue osservazioni al capitano Deotyr e al comandante della prima squadra. «Capitano, comandante... la prima cosa che ho notato è che troppi soldati della vostra squadra erano sbilanciati in sella...» Dopo avere esaurito le considerazioni di carattere generale, affrontò i vari punti specifici. Quindi ripeté lo stesso procedimento con il capitano Jultyr. Subito dopo, Alucius ordinò una pausa. Tutte le compagnie smontarono da cavallo e legarono i loro animali alle recinzioni ai margini est e ovest del campo delle manovre. Alucius si diresse a nordest e si fermò all'estremità nord del recinto. Scese di sella e si concesse un lungo sorso d'acqua da una delle borracce. Poco dopo venne raggiunto da Feran. «Che ne pensi?» gli chiese Alucius. «La Trentacinquesima Compagnia la spunterà. Jultyr è resistente. Non eccezionale, ma resistente. La Ventottesima Compagnia...» Feran scosse il capo. «Ci hanno reso le cose più difficili», dichiarò Alucius. «Di solito, si prende una compagnia già esistente e la si rimpolpa con delle reclute. In questo caso, a parte i comandanti di squadra e i capitani, tutte e due le compagnie sono formate da sole reclute. Perciò sarà nostro compito istruirle a dovere, e quando tutto sarà finito le alternative saranno due: o si ritroveranno con due compagnie addestrate e valide, oppure non ci avranno rimesso una vera compagnia.» «Perché ci capitano sempre questi affari vantaggiosi?» «Perché parecchi ufficiali delle Guardie del Sud non nutrono molta simpatia per le Guardie del Nord. In passato, abbiamo ucciso molti dei loro soldati e ufficiali, e questo non l'hanno dimenticato, né perdonato.» «Perché noi l'abbiamo fatto?» interloquì Feran con una risata. «Neppure noi abbiamo dimenticato, ma mi auguro che abbiamo sufficiente buonsenso da lasciarci il passato alle spalle.» Alucius pescò un pezzo di galletta dura come un sasso dalla bisaccia e lo mordicchiò, chiedendosi quante altre difficoltà impreviste si sarebbe trovato a dover risolvere. Dopo la pausa di mezzogiorno, le esercitazioni del pomeriggio seguiro-
no più o meno l'andamento di quelle della mattina, tranne per il fatto che le prestazioni della Ventottesima Compagnia furono ancora peggiori, tanto che due soldati si fratturarono addirittura il braccio che impugnava il bastone. Tre squadre della Trentacinquesima Compagnia, invece, ottennero risultati migliori contro i loro avversari della Quinta Compagnia e riuscirono persino a mantenere una certa parvenza di schieramento ordinato. Alucius si dedicò a un'altra lunga serie di colloqui esplicativi con i capitani e i loro comandanti di squadra, ed era già pomeriggio inoltrato quando finì e ordinò alle compagnie di schierarsi in formazione. «Come pensi che reagiranno a quello che è successo oggi?» chiese Feran. «Probabilmente tu lo sai meglio di me», replicò Alucius. «Che ne dici?» «Credo che le reclute - o forse li dobbiamo chiamare soldati - stiano cominciando ad accettare il fatto di avere ancora qualcosa da imparare. Per quanto riguarda i capitani, non saprei. Deotyr ubbidirà agli ordini, ma non mostra molta attitudine al comando. Jultyr... probabilmente è in grado di comandare, ma quanto a renderti più facili le cose, questo non lo so.» «A te cercare di scoprirlo», disse Alucius. «Temevo che sarebbe finita così.» «Un'ultima cosa...» Alucius sorrise stancamente. «Quando tutti saranno schierati in formazione, annuncerò un'ispezione completa tra una clessidra circa. Compresa la Quinta Compagnia.» Feran gli restituì il sorriso. «La Quinta Compagnia dovrebbe essere pronta. Ne ho tenuta una proprio ieri, di ispezione.» «Anche gli altri potrebbero essere pronti, tuttavia...» «Tu non lo pensi.» «Vorrei poterlo pensare», disse Alucius. Aspettò ancora un attimo, poi ordinò. «Capitani, a rapporto!» I tre ufficiali si mossero dalla testa delle loro compagnie e si fermarono in riga a tre iarde da Alucius. «Capitani, capitano maggiore.» «Sì, signore.» «Voi e i vostri uomini avete una clessidra e mezzo per prepararvi a un'ispezione completa delle armi e dei cavalli fuori dalle baracche. Indosserete l'uniforme regolamentare da campo. Controllerò tutto l'equipaggiamento che avete in dotazione. Neppure gli ufficiali saranno esclusi.» «Sì, signore.» «È tutto.»
Dopo che i tre ebbero girato i cavalli, Alucius colse qualche brano di conversazione. «... crede di essere...» brontolò Deotyr. «... è lui che comanda, Deotyr... sarà meglio che te ne renda conto...» rispose Jultyr. «Ha un lavoraccio da fare, e noi siamo quelli...» Davvero un lavoraccio, rifletté Alucius, mentre dirigeva il cavallo verso le scuderie, ma sembrava che i lavoracci gli toccassero sempre in eredità. 40 La mattina di octdi, sotto un cielo nel quale nuvole impalpabili avevano preso il posto della fitta nuvolaglia del giorno precedente, Alucius condusse il cavallo fuori dalle scuderie. Prima di montare in sella, lui e Feran discussero sul programma della giornata. «Hai ancora intenzione di far esercitare la Ventottesima Compagnia?» chiese Feran. «Per il momento, direi di sì. Sembra che tu e Jultyr vi intendiate bene.» «Ha visto abbastanza da farsi una chiara idea della situazione. Mi ha anche chiesto di te. Gli ho detto che ti eri arruolato molto giovane e che avevi servito come ricognitore nella Milizia. Che poi eri stato catturato dai matriti e avevi finito per diventare un loro comandante di squadra... insomma, tutta la storia.» Feran sorrise. «Credo che l'abbia soprattutto impressionato il fatto che sei stato un comandante di squadra matrite e che sei riuscito a fuggire.» «Se questo è ciò che gli piace, per me va bene.» «Posso chiederti...» cominciò Feran, «... com'è andata l'ispezione?». «Allo stesso modo delle esercitazioni. La Ventottesima Compagnia si è distinta per la sua trascuratezza, mentre la Trentacinquesima rientra abbastanza negli standard.» Alucius sentì che qualcuno si stava avvicinando e si voltò: era il maresciallo Frynkel, che stava attraversando il cortile della postazione diretto verso di loro. Alucius rimase ad aspettarlo, nascondendo un sorriso mentre Feran si allontanava. «Maggiore?» «Signore?» «Ho parlato con il maggiore Fedosyr. Mi è sembrato piuttosto sconvolto per le esercitazioni di ieri. Anzi, direi parecchio sconvolto.» «Signore?» «Ritiene che sia scorretto contrapporre soldati appena usciti dall'adde-
stramento a veterani con una notevole esperienza sul campo di battaglia.» «Sono d'accordo con il maggiore, signore», replicò Alucius. «Il motivo per cui l'ho fatto è proprio questo. La guerra non ha niente a che vedere con la giustizia. Bensì con chi è più abile, meglio addestrato e guidato. Quanto prima queste reclute si renderanno conto di non essere all'altezza dei soldati più esperti, tanto più saranno disposte ad ascoltare e a imparare.» «Ho spiegato al maggiore il vostro ragionamento.» Un lieve sorriso attraversò il volto del maresciallo. «Pensa che voi consideriate tutte le Guardie del Sud meno... capaci.» Alucius evitò di dar voce alla perplessità che nutriva riguardo a quella dichiarazione. «Non credo di avere mai detto né accennato a una cosa del genere, signore.» «Ciò nonostante, il maggiore è molto preoccupato.» «Capisco le sue preoccupazioni, ma ho bisogno che questi soldati siano disposti a sottoporsi a un addestramento più rigoroso e a comprenderne la necessità.» «Infatti, il maggiore vorrebbe darvi una dimostrazione personale dell'abilità delle Guardie del Sud.» «È proprio necessario?» chiese cautamente Alucius. Sebbene, inizialmente, avesse accennato a Feran la possibilità di un tale confronto, visto l'andamento delle esercitazioni, aveva poi scartato l'idea. «Il maggiore ritiene sia necessario e poiché è probabile che molti condividano il suo parere, temo di dovermi adeguare.» «Come volete, signore. Quando dovrebbe avvenire questo confronto?» «Entro questa clessidra. Qui nel cortile. Il maggiore Fedosyr non vuole scombinare eccessivamente i vostri programmi, ma pensa che sarebbe poco saggio lasciarvi continuare con l'ombra del dubbio.» «Capisco, signore.» «Il maggiore Fedosyr è considerato uno dei migliori spadaccini delle Guardie del Sud e vorrebbe dimostrarvi che queste sono davvero abili nell'uso delle armi. Vorrebbe che tutti gli uomini fossero presenti al duello.» «Se lo ritenete necessario, sarò più che felice di sottopormi a una tale dimostrazione con il maggiore Fedosyr», replicò Alucius. «Durante le esercitazioni abbiamo usato bastoni di malacca...» «Credo che il maggiore Fedosyr giudichi queste armi... poco di suo gusto.» Frynkel si accigliò. «Tuttavia, mi spiacerebbe se non riusciste a portare a termine la missione che vi è stata affidata dal Signore-Protettore.»
Alucius ignorò l'implicazione di Frynkel. «Forse potreste suggerire al maggiore Fedosyr di cominciare con i bastoni di malacca e che, se li trova poco soddisfacenti, potremmo continuare con le sciabole.» «Dovrei riuscire a convincerlo. Tra mezza clessidra?» «Sì, signore.» Dopo che il maresciallo si fu avviato verso il fabbricato del quartier generale, Alucius condusse il cavallo nella stalla e lo governò. Feran lo seguì poco dopo con il suo cavallo. Alucius non tolse la sella, ma uscì dal recinto con il bastone di malacca in mano e, nel vedere Feran che si avvicinava, si fermò in mezzo al passaggio. «Fedosyr sta cercando una scusa per ucciderti o renderti invalido», disse Feran a bassa voce. «O quanto meno umiliarti.» «Cosa mai può averti condotto a pensare questo del nobilissimo maggiore?» «L'alta opinione che ho di lui, immagino», replicò Feran, mantenendo un'espressione impassibile. «Immaginavo che si trattasse di una cosa del genere.» «Che pensi di fare?» «Comincerò col comportarmi nel modo più corretto, dando per scontato che le sue intenzioni siano oneste. Dopodiché mi limiterò a mantenere solo una parvenza di correttezza e farò ciò che si renderà necessario.» «Hai detto un sacco di parole per esprimere un concetto molto semplice.» «Che ne dici di: "Aspetterò finché non cerca di fregarmi e poi lo frego prima io"?» «Mi piace di più», disse Feran. «Faccio un salto nei miei alloggi. Torno subito. Devo prendere delle cose.» «Ottima idea.» Alucius si affrettò verso la sua camera, dove si sfilò la tunica per indossare la maglia di seta nerina che gli era stata molto utile in passato. Al termine del duello sarebbe stato sicuramente bagnato fradicio, ma era un prezzo che era più che disposto a pagare, soprattutto vista la diffidenza che provava nei confronti di Fedosyr. Poi tornò alle scuderie. Feran non era là, ma ricomparve poco dopo. «Scommetto che hai indossato la tua maglia di seta nerina.» «Tu non l'avresti fatto al posto mio?» «Con tutti i serpenti della sabbia che girano qui intorno, sarebbe bene
portarla sempre.» Alucius scoppiò a ridere. «Ho chiesto a Deotyr e a Jultyr di far schierare i loro uomini in quadrato nel cortile per assistere all'incontro. Ho avvisato anche la Quinta Compagnia.» «C'è stata qualche reazione?» Le labbra di Feran accennarono un tremito. «Egyl ha detto che o al maresciallo non importa molto del maggiore Fedosyr, oppure non ha capito di che sono capaci i pastori.» «Potrebbero essere vere entrambe le cose. Staremo a vedere.» «Le altre compagnie - l'Ottava e le altre due di stanza qui - si stanno già raggruppando.» L'ultima cosa che Alucius voleva era un duello all'arma bianca davanti a cinquecento soldati, ma, dopo un'attenta riflessione, non poté certo dire di essere sorpreso. Il successivo quarto di clessidra si dedicò a fare esercizi di riscaldamento. Quindi prese il suo bastone di malacca e si diresse verso il luogo dell'incontro. Nel cortile della postazione erano schierate almeno cinque compagnie di cavalleggeri. Alucius si fermò al limitare dello slargo, sul lato sud, di fronte alla Quinta Compagnia. Nel fodero assicurato alla cintura portava anche la sciabola. I mormorii saturavano l'aria producendo un sordo brontolio di sottofondo. Il maggiore Fedosyr si trovava già nel cortile, in piedi accanto al maresciallo. Non appena questi scorse Alucius, disse alcune parole a Fedosyr, poi si portò al centro del quadrato. I mormorii si placarono. «Siamo molto fortunati ad avere due ufficiali così esperti alla postazione di Krost. Molti di voi conoscono il maggiore Fedosyr, famoso per la sua abilità con la sciabola e per il lungo e devoto servizio prestato nelle Guardie del Sud. Anche il maggiore Alucius delle Guardie del Nord è famoso e può vantare innumerevoli decorazioni. Questi due ufficiali vi daranno ora una dimostrazione di abilità nell'uso delle armi.» Il maresciallo fece un cenno con il capo e arretrò. Il bastone di malacca in pugno, Alucius avanzò, con il sorriso sulle labbra ma con l'orecchio teso a captare i bisbigli dei soldati. «Se non fosse per quei capelli grigi... sembrerebbe più giovane di un capitano di fresca nomina...» «... credi che sia davvero così bravo?» «... nessuno è bravo quanto il maggiore Fedosyr...» «... si dice che questo maggiore abbia ricevuto parecchie decorazioni per
il suo coraggio...» «... il che non necessariamente fa di lui un valente spadaccino...» Alucius era d'accordo, anche se il coraggio non rendeva neppure qualcuno uno spadaccino scadente. Poco dopo Fedosyr cominciò ad avanzare, spostandosi dal punto in cui era rimasto fermo accanto al maresciallo, sul lato nord del quadrato. Alucius lo studiò con attenzione. Fedosyr aveva un fisico imponente, era più alto di lui di una frazione di spanna, con muscoli ben sviluppati ma non grasso, e si muoveva con una certa agilità. Alucius appurò che non era posseduto da un ifrit, anche se individuò senza ombra di dubbio un'impercettibile sfumatura violacea nel suo filo vitale, così come l'aveva vista in quello del colonnello Weslyn. Eppure, era certo che i due non si fossero mai incontrati. Alucius si fermò a una iarda abbondante da Fedosyr e si produsse in un lieve inchino. «Maggiore.» «Devo elogiare la vostra prudenza nel consigliare i bastoni di malacca, maggiore, se non la vostra fiducia», disse Fedosyr. «In effetti sono molto prudente, maggiore», rispose garbatamente Alucius. «Questo è evidente.» Fedosyr alzò il suo bastone. Alucius lo imitò, concentrandosi nel cogliere la mossa successiva, anche con l'aiuto del Talento, e, nell'attimo stesso in cui Fedosyr si spostò di lato per attaccarlo sul fianco destro, egli si preparò a parare. All'inizio, Alucius si limitò a rispondere agli assalti e a osservare. Gli fu subito evidente che era più veloce dell'altro e capace di anticiparne i movimenti. Fedosyr parve inciampare e si piegò leggermente, quasi volesse chinarsi. Alucius capì la finta e accennò una mossa per testare il fianco meno protetto dell'avversario. Fedosyr si rialzò lanciandosi all'attacco, ma Alucius lo precedette e colpì. Il bastone di Fedosyr finì a terra. «Non sareste in grado di farlo con armi vere», lo sfidò l'ufficiale delle Guardie del Sud. «A dire il vero, con una sciabola sarebbe più facile», replicò Alucius. Immediatamente dopo aver pronunciato quelle parole, desiderò non averle mai dette, poiché si rese conto che Fedosyr, da quella testa calda che era, le avrebbe prese come una sfida. «In tal caso, dovremmo provare.» Prima ancora di finire di parlare, Fe-
dosyr aveva già posto mano alla sciabola che teneva al fianco. Calciò via il bastone, che un soldato si precipitò a raccogliere. Alucius indietreggiò, poi gettò a sua volta il bastone, facendolo scivolare attraverso il selciato del cortile in direzione di Feran, e impugnando quasi simultaneamente la sciabola con la mano sinistra. La lama di Fedosyr scintillò alla debole luce del mattino, liscia e affilata come un rasoio. La lama di un duellante, notò Alucius, mentre si metteva in guardia. Il maggiore delle Guardie del Sud attaccò, con furia ma con determinazione, tenendosi ben bilanciato. Alucius si mosse descrivendo un cerchio, parando o evitando i fendenti dell'altro, senza lasciargli alcuna apertura. «Vedete... non è così facile con le armi vere», mormorò Fedosyr. Non lo era, soprattutto se Alucius voleva evitare di uccidere l'avversario o anche solo di ferirlo. Così continuò a parare e a difendersi, opponendo con la propria lama una barriera che l'altro non riusciva a penetrare. A mano a mano che il tempo passava, gli attacchi di Fedosyr si fecero sempre più audaci. Poi, per un attimo, questi arretrò, portandosi fuori tiro. Si tamponò la fronte con la manica e lasciò cadere la mano alla cintura, come per asciugarsi il sudore sulla tunica. Ma Alucius intuì che Fedosyr teneva qualcosa in pugno. L'ufficiale delle Guardie del Sud tese la mano libera di lato, quasi volesse ribilanciarsi, poi si avventò con un balzo sul rivale. Alucius si accorse della polvere incolore che gli era stata gettata addosso nel momento stesso in cui l'altro l'aveva lanciata. Anziché parare o fermare la sciabolata di Fedosyr, Alucius scartò di lato, seppure per un attimo. Nonostante la sua prontezza di riflessi, avvertì un bruciore sul lato del collo, nel punto in cui la polvere l'aveva sfiorato. Fedosyr esitò un istante, come se stesse chiedendosi se la polvere aveva fatto effetto, e fu allora che Alucius sferrò il suo primo attacco. Sebbene all'ultimo egli avesse deviato la lama, la sua sciabola colpì di piatto il polso di Fedosyr, fratturandogli le ossa con un rumore sordo. L'arma scintillante dell'altro cadde sul selciato producendo un suono metallico. «Chiedo scusa, maggiore», disse Alucius sottovoce, «ma i trucchi da duellante non mi sono mai piaciuti». Fedosyr era sbiancato in volto. Si limitò a fissare Alucius con sguardo assente per qualche momento. Poi portò fulmineo la mano sinistra alla
cintura. Prima che Fedosyr riuscisse a sparare con la piccola pistola, Alucius si era portato avanti di due passi. La pallottola lo colpì sulla parte sinistra del torace, in prossimità della spalla, e lo fece barcollare, ma gli consentì di reggere la sciabola l'attimo necessario ad afferrarla con la mano destra, per poi assestare un fendente sul collo dell'avversario. Questi non si mostrò neppure sorpreso, mentre il suo corpo senza vita scivolava a terra. Alucius si costrinse ad abbassarsi e a ripulire la lama sulla tunica di Fedosyr. Poi si rialzò e infilò la sciabola nel fodero. Infine, si diresse con passo lento verso il maresciallo. «... merda... come ha potuto mancare il colpo?» «... non l'ha mancato... non hai visto che il maggiore Alucius ha vacillato...» «... s'è beccato una pallottola e poi ha ucciso Fedosyr... con l'altra mano...» «Dev'essere un esperto di duelli...» «... mai visto fare una cosa del genere...» Alucius si fermò a breve distanza dal maresciallo. Il viso dell'ufficiale più anziano era impassibile. «Signore, sono spiacente per la conclusione, ma non potevo lasciare al maggiore Fedosyr l'opportunità di sparare di nuovo. Se mi permettete, vorrei continuare con le esercitazioni.» «Continuate pure, maggiore. Farò in modo che i familiari del maggiore Fedosyr sappiano che è morto durante un'esercitazione, nel corso della quale ha agito in modo inconsulto, disubbidendo alle norme imposte dal regolamento.» «Fate ciò che vi sembra più opportuno, signore.» Alucius faticò a trattenere la rabbia che sentiva dentro e non fu neppure sicuro di esserci riuscito. Frynkel indugiò un attimo, poi disse: «Potete andare, maggiore». «Sì, signore.» Alucius si allontanò. Feran lo aspettava ai margini dello spiazzo. «Avevo dimenticato quanto eri bravo con entrambe le mani.» «A volte può tornare utile.» «Quanto...» Lo sguardo del capitano maggiore corse alla spalla di Alucius. «Avrò lividi su tutto il lato sinistro del torace», disse Alucius a bassa vo-
ce, «e probabilmente anche sul braccio, dal gomito alla spalla. È meglio che nessuno lo sappia». «La giornata sarà lunga.» «Lo è già stata. Fai montare a cavallo tutte e tre le compagnie e falle schierare qui in formazione.» Alucius si girò e si diresse verso le scuderie. Al suo passaggio, i soldati si scostarono creando un ampio corridoio. Solo dopo che li ebbe superati, ripresero i loro commenti bisbigliati. «... ha fatto fare la figura della recluta a Fedosyr...» «... capisco perché hanno richiesto il suo intervento...» «... ha pulito la lama sulla tunica...» «... sembrava che volesse uccidere anche il maresciallo...» Non appena giunto all'interno delle scuderie, Alucius si diede un'occhiata al torace. Gli indumenti di seta nerina avevano svolto egregiamente la loro funzione. Non aveva niente di rotto, ma già si vedevano i lividi. Dopo che si fu asciugato la fronte madida di sudore, ebbe bevuto un lungo sorso d'acqua da una delle borracce e si fu risistemato l'uniforme, Alucius si concesse ancora un quarto di clessidra prima di condurre il suo cavallo nel cortile, dove montò in sella e si diresse verso la testa della formazione. Una volta là, guardò Feran, il capitano Deotyr e il capitano Jultyr. Lasciò trascorrere qualche istante, poi cominciò a parlare a voce chiara affinché tutti potessero sentire. «Adesso ci dirigeremo verso il campo delle manovre, dove ci eserciteremo nel combattimento a coppie: reclute contro soldati della Quinta Compagnia. Useremo i bastoni di malacca, che vi procureranno un numero sufficiente di lividi da dimostrarvi che non sono giocattoli. Domani torneremo a lavorare con le squadre...» Mentre finiva di impartire le sue istruzioni, Alucius non poté fare a meno di chiedersi se non ci fosse un modo più facile di convincere la gente senza ricorrere alla forza. Sperò anche di riuscire a muoversi senza tradire il dolore e la rigidità che l'impatto della pallottola di Fedosyr gli stava causando. 41 Al termine delle esercitazioni di octdi, Alucius si incamminò rigido e dolorante verso il quartier generale. Il maresciallo gli aveva mandato un soldato con un messaggio in cui lo pregava di presentarsi da lui non appena avesse finito le manovre di addestramento della giornata. Alucius non si aspettava niente di buono da quell'incontro.
Una volta all'interno dell'edificio, si rivolse al soldato dietro la scrivania. «Il maresciallo mi ha mandato a chiamare.» Il soldato balzò in piedi. «Sì, signore. È nello studio del colonnello, signore. Vi sta aspettando, signore.» «Grazie.» Alucius dubitava che prima di allora una Guardia del Sud si fosse mai rivolta a lui chiamandolo «signore» per ben tre volte di seguito. Era davvero sorprendente ciò che una dimostrazione di forza e di abilità era in grado di fare, laddove il buonsenso e la cortesia non venivano presi in considerazione. Aprì la porta ed entrò nello studio, aspettandosi di vedere il colonnello e il maresciallo, ma quest'ultimo era solo. «Per favore, chiudete la porta e accomodatevi, maggiore.» Alucius si sedette con aria circospetta. Frynkel lo osservò dal suo posto dietro la scrivania del colonnello. «Il capitano-colonnello Omaryk mi disse una volta che non eravate solo un ufficiale, ma un condottiero.» Ad Alucius occorse un momento per ricordare che il colonnello Omaryk era stato uno degli ufficiali che lo avevano interrogato a Tempre anni prima. «Condottiero, signore?» Frynkel rise ironico. «Ecco perché combattete sempre alla testa dei vostri uomini.» «Troverei difficile comportarmi diversamente, signore.» «Tenete a mente solo questo, maggiore. Tutti i grandi condottieri guidavano i loro uomini in battaglia stando alla loro testa. Molti di essi hanno incontrato la morte. Pochissimi sono sopravvissuti e hanno fondato imperi e salvato nazioni.» Non c'era molto che Alucius potesse o volesse dire. Perciò rimase in silenzio. «Ho passato quasi tutto il giorno a cercare di rimediare al guaio combinato dal maggiore Fedosyr. O meglio, a spiegare la sua reazione spropositata. Ho trovato il sacchetto con la polvere contenente l'acido. Ne aveva dell'altra nei suoi alloggi. Come avete fatto a evitarla?» «L'avevo visto tirar fuori qualcosa e mi era parso ovvio che volesse gettarmelo in faccia.» «L'avete notato pur essendo impegnato nel combattimento?» «Sì, signore.» «Siete in grado di vedere molto più di quanto non lasciate intendere.» «È così per tutti, signore.» Frynkel scosse il capo.
«Non ho visto il colonnello», azzardò Alucius, tentando di cambiare argomento e di indagare al tempo stesso. «Ho i miei dubbi che lo possiate vedere, poiché ha lasciato la postazione di Krost diretto alla sua casa natale di Syan. Gli ho chiesto di rassegnare le dimissioni e le ho accettate. Aveva ormai raggiunto l'età giusta per la pensione.» «E vi siete servito di me per raggiungere il vostro scopo?» «Diciamo che avete facilitato le cose. È stato un bene far notare che Jorynst non riconosceva i vostri contributi passati. Ed è stato ancora meglio accennare alla sua mancanza di comprensione riguardo al divario esistente tra le varie perdite subite. Tutto questo ha fatto sì che mi rendessi conto che un ufficiale un tempo brillante sembrava afflitto da un'apparente incapacità mentale che lo portava a negare cifre e fatti reali e documentati.» Il sorriso che comparve sulle labbra di Frynkel era al tempo stesso amaro e freddo. «Ho fatto in modo di chiedere ad alcuni soldati di preparare delle copie di tali testimonianze per gli archivi e di inviare dei dispacci.» Alucius capiva perfettamente. Così, quegli stessi soldati avrebbero diffuso la notizia. Non c'era modo di bloccarla e, di certo, Frynkel non desiderava farlo. «E il maggiore Fedosyr? Faceva parte del piano?» «Il maggiore Fedosyr ha sempre avuto un'altissima opinione di sé e l'appoggio di numerosi amici in posizioni chiave a Tempre. Non mi ero reso conto che nascondesse una pistola e che fosse tanto sciocco da usarla. Se vi avesse ucciso, sarebbe stato giudicato da una corte marziale e giustiziato. Il che avrebbe risolto il problema, anche se avrei preferito sbarazzarmi di lui senza dover pagare un tale prezzo.» Frynkel fissò Alucius. «Non era necessario che lo uccideste. Avrebbe comunque dovuto affrontare la corte marziale. Perché lo avete fatto?» «Non sapevo di questo, e mio nonno mi ha sempre detto che chiunque offra a un sabbioso o a un serpente della sabbia una seconda opportunità non è altro che un pazzo, che si merita quello che gli succede. Il maggiore Fedosyr era un serpente della sabbia, e sentivo che se non avessi agito subito, probabilmente, avrebbe finito col cavarsela.» «Può darsi che abbiate ragione, anche se non lo sapremo mai.» Alucius non aveva intenzione di fargli notare che sarebbe comunque stato troppo rischioso lasciare in vita Fedosyr. «La vostra impresa ha colpito molto i soldati. Senza contare il fatto che avete stabilito uno standard personale difficile da eguagliare.» «Non posso certo dire di averlo preventivato, signore. Ho fatto solo ciò
che ritenevo giusto.» «Il Signore-Protettore mi aveva detto che di solito vi comportate così. Mi ha anche detto che ufficiali come voi vanno utilizzati con parsimonia. La giustizia è un'arma troppo potente per poterla usare troppo spesso.» Frynkel fissò a lungo Alucius. «Parto domani per Tempre. Il capitano maggiore Nybor assumerà temporaneamente il comando della postazione di Krost e gli ordinerò di offrirvi la sua assistenza incondizionata. Ma dubito che, anche in mancanza di mie disposizioni, avreste avuto problemi.» Frynkel si concesse una pausa. «Il vostro mandato vi consente una certa elasticità nel decidere la data di partenza. Quando ve ne andrete, vi dirigerete subito a Hyalt, senza passare per Tempre.» «L'avevo immaginato.» «Inoltre, a Hyalt potrete agire a vostra completa discrezione, il che significa che vi accollerete l'intera responsabilità di ciò che potrà accadere.» Alucius comprendeva bene anche quel messaggio. Hyalt gli avrebbe fornito un'altra opportunità di sperimentare il completo disastro personale. «Quando intendete partire?» chiese il maresciallo. «Londi. Pensavo di far viaggiare gli uomini ad andatura moderata, facendo fare alcune esercitazioni a cavallo ogni mattina e pratica individuale nell'uso delle armi ogni sera. In tal modo, non affaticheremo i cavalli, e se riesco a instillare nei soldati buone abitudini quando sono stanchi, sicuramente impareranno a tenere duro.» «Voi e il capitano maggiore Feran formate una buona squadra.» «È un ufficiale molto solido e pratico, signore.» «Sembrano qualità che contraddistinguono gli uomini del nord. Accompagnate da uno spietato idealismo accompagnato da un forte realismo.» «A essere precisi, signore, non sono stato io a chiedere di essere assegnato a questo incarico.» «Lo so. Dagli atti risulta che sono stato io a suggerirlo al SignoreProtettore. Se riuscirete nell'intento, entrambi ne trarremo beneficio.» Alucius non capiva in che modo prendere il posto del colonnello Weslyn avrebbe potuto risultare utile a lui o alla sua famiglia, o alla fattoria. Era in grado di vedere fin troppo facilmente i guai che sarebbero seguiti dopo la sua nomina a comandante delle Guardie del Nord, senza contare quelli che lo aspettavano se avesse fallito prima. «Sono stato troppo a lungo lontano da Tempre», proseguì Frynkel. «Il maresciallo Wyerl ha chiesto il mio ritorno, così che lui possa partire per assumere personalmente il comando delle forze del Signore-Protettore
destinate alla difesa di Porta del Sud e delle strade riservate al traffico commerciale.» Alucius annuì. «Vi faccio i miei migliori auguri, maggiore, per il mio e per il vostro bene, e sono certo che vi rivedrò a Tempre tra non molto a riferire della vostra vittoria contro i ribelli.» Alucius si rendeva conto che il maresciallo desiderava porre fine all'incontro, ma aveva ancora troppe domande senza risposta. «Signore, avrei alcune richieste...» «Sì?» «I rifornimenti. L'avamposto di Hyalt è in mano ai ribelli. Ed è poco probabile che si possa fare affidamento sugli abitanti del posto per ottenere il cibo, almeno non dopo che ci saremo spinti a sud di Tempre. Vorrei chiedere alcuni carri di viveri...» «A Lanachrona?»» «Soprattutto a Lanachrona, signore. Dubito che il Signore-Protettore voglia che saccheggiamo la sua gente.» Frynkel fece un respiro profondo. «Possiamo provvedere. Che altro?» «Ulteriori informazioni. Possediamo delle mappe, ma gli unici rapporti che abbiamo sono vecchi di mesi. Che tipo di armi e di cavalli hanno i ribelli? Quanti sono? Da dove vengono?» Frynkel scosse il capo. «Tutte le informazioni in nostro possesso vi sono state passate. Non c'è nessuno a Lanachrona che ne sappia di più. Avevamo inviato dei ricognitori, che non hanno più fatto ritorno. Dopo che i primi mercanti e artigiani sono fuggiti, nessun altro è più uscito da Hyalt.» «Nessuno?» «Proprio così.» «E voi vi aspettate che io, con l'aiuto di sole tre compagnie, sia in grado di gestire una cosa del genere?» «Non vi ho mai detto che sarebbe stato facile, maggiore. Il SignoreProtettore è a corto di uomini ovunque.» Quanto a corto di uomini fosse, Alucius se ne stava rendendo conto solo in quel momento. Cercò di respirare con calma. Alla fine passò un'altra mezza clessidra in compagnia del maresciallo, prima di salutarlo. «Grazie per il vostro aiuto, signore. Faremo il possibile.» Fece una pausa e chiese: «Ho il vostro permesso di congedarmi, signore?». «Avete il mio permesso e i miei migliori auguri.»
Alucius si alzò, cercando di camminare con movimenti fluidi, benché si sentisse tutt'altro che aggraziato. Mentre usciva dallo studio, Frynkel non aggiunse altro. Attraversò il cortile diretto agli alloggi degli ufficiali, immerso nei suoi pensieri. Frynkel si era servito di lui per risolvere la problematica situazione alla postazione di Krost, così come il Signore-Protettore pensava di servirsi di lui per risolvere la rivolta di Hyalt. Tutto ciò non faceva che mettere ancora più in evidenza la sua difficile posizione. Era necessario che, una volta a Hyalt, preparasse dei piani ben precisi in base ai quali agire senza limitarsi semplicemente a reagire agli attacchi del nemico, il che comportava un attento studio delle mappe della zona circostante la città. La mancanza di informazioni lo preoccupava, poiché era segno indiscutibile di un coinvolgimento da parte degli ifrit. Ma come stabilirlo con certezza? Sorrise debolmente, con ironia. Gli eventi di quella giornata avevano portato a una sola cosa positiva. Ora che Fedosyr e Jorynst avevano fatto la loro uscita di scena, Alucius avrebbe potuto terminare la lettera per Wendra e spedirla. Ancora una volta, ricacciò indietro l'ansia che provava per lei e la loro bambina non ancora nata. Dubitava che sarebbe riuscito a inviarle molti messaggi da Hyalt, e quella sera, per un paio di clessidre almeno, non voleva pensare troppo a ciò che lo aspettava in futuro, anche se poi avrebbe dovuto farlo nei giorni successivi. 42 Dekhron, Valli del Ferro Qui fa freddo persino durante la stagione del raccolto», osservò Sensat, chiudendo le imposte per lasciar fuori il crepuscolo. Si avvicinò alla stufa di ferro a ridosso della parete esterna dello studio, aprì lo sportello e vi gettò dentro una generosa palata di carbone, poi appoggiò la pala al muro, accanto al secchio. «Acorus è un mondo freddo», replicò Tarolt. «Questo lo sapevi.» «Un conto è saperlo, un altro è sentire il gelo che ti si insinua nelle ossa tutti i giorni dell'anno, tranne quelli più caldi dell'estate.» Sensat avvicinò una delle sedie alla stufa e si sedette. «Non si tratta solo del freddo. È un po' tutto.» Indicò gli scaffali e i libri che essi contenevano. «Questa... questa è una delle più grandi raccolte di quello che, in ogni angolo di Corus, viene considerato il sapere. I dipinti non sono altro che scarabocchi di
bambini. Le sculture sono primitive, rozze, incomplete. Gli edifici sono bassi e tozzi. All'infuori delle poche torri sopravvissute dai tempi del Duarcato, non c'è nulla che s'innalzi verso l'alto. Non c'è nulla che sembri sfidare l'occhio e lo spirito.» «Se Efra ti manca così tanto, potresti tornarci.» «E correre il rischio di diventare una traslazione non riuscita? Un trasferimento da un mondo all'altro nel corso di una vita è più che sufficiente.» Sensat fece un respiro profondo. «Non mi è permesso di sentire la mancanza delle torri svettanti di Deconar? O delle alte cupole di Peshmenat? Non mi è forse permesso di rimpiangere di non avere ascoltato con maggiore attenzione le allegre composizioni di Ghefari?» «Certo che sì. Anche a me mancano», replicò Tarolt. «Ma in futuro non ci saranno torri, né musica nei secoli a venire, né cupole che abbracciano i cieli... a meno che non completiamo la rete e la rafforziamo. E impediamo agli antichi abitanti e ai loro strumenti di contrastarci.» «Sempre questi antichi abitanti...» «Un tempo potenti pastori, che cercano di trasmettere la loro mancanza di ambizione a una massa di ottusi principianti.» Tarolt scosse il capo. «Principianti che non hanno il senso dell'arte, dell'architettura o della bellezza. Disposti a lasciare che il loro mondo rimanga un'informe palla di fango destinato a rinsecchirsi nell'eternità del tempo, incapaci di realizzare alcunché, solo buoni a lottare per niente, a diventare niente.» Sensat si alzò, si avvicinò alla stufa, aprì lo sportello e aggiunse altro carbone. «Hai ragione. Però ho ancora freddo.» «Ottusi principianti solo in grado di fornire energia vitale per grandi e gloriose imprese», disse piano Tarolt. «Ricordalo.» 43 Alla tenue luce della lampada a muro della sua camera, Alucius si appoggiò allo schienale della vecchia sedia di legno, incurante degli scricchiolii provocati dai suoi movimenti, e si asciugò la fronte. La notte era calda quanto un giorno di piena estate alla fattoria ed egli si chiese se si sarebbe mai abituato alle temperature del sud. Luoghi come Hyalt e Soupat - o Porta del Sud - erano persino più caldi. Gettò un'occhiata alla maschera proteggi-capo che giaceva piegata in un angolo dello scrittoio. Se l'avesse indossata con quel clima, fosse anche di notte, si sarebbe ritrovato in un bagno di sudore. Tuttavia... avrebbe potuto tornare utile.
Dopo aver bevuto un sorso d'acqua dalla borraccia, si rimise a studiare la mappa, seguendo l'itinerario delle stradine che si trovavano a ovest di Hyalt. La mappa non indicava l'altezza delle colline o quanto salissero verso le Montagne della Costa, ma a giudicare dalle curve descritte dalle strade, Alucius dedusse che il terreno fosse tutt'altro che piano. Dopo un po' prese il calibro e cominciò a misurare le distanze, annotandole su un foglio di carta marrone. Sperava solo che quelle mappe fossero accurate, o quanto meno non si discostassero troppo dalla realtà. Nel corso degli anni aveva avuto modo di imparare che ben poche di esse lo erano, ma se le strade che aveva individuato si fossero dirette davvero verso i punti indicati, gli sarebbe stato possibile mettere in atto la strategia che aveva in mente. In caso contrario, una volta giunto a Hyalt, avrebbe dovuto rivedere ogni cosa. Chissà se, una volta laggiù, si sarebbero imbattuti in altre strane creature talentose? Oppure la città si trovava troppo a sud? O quel particolare non era determinante? Sebbene le arianti non amassero i climi caldi, Alucius provava la netta sensazione che quegli esseri mostruosi associati agli ifrit non sarebbero stati condizionati dal caldo. Nessuno sembrava possedere molte notizie riguardo alla rivolta di Hyalt, se non che, una bella mattina, i seguaci del Vero Duarcato erano comparsi armati fino ai denti e avevano massacrato una piccola guarnigione di soldati, cogliendoli alla sprovvista. Alucius aveva deciso di compiere subito una completa ricognizione, avendo cura, nei primi tempi, di tenersi ben lontano dalla città. Più informazioni sarebbe riuscito a raccogliere prima di agire, meglio sarebbe stato. Le labbra gli si storsero in un mezzo sorriso. Già si era fatto la fama di essere impulsivo e spietato, anche se non era certo di meritarsi entrambe quelle etichette. Spietato? Gli ifrit sì che si erano dimostrati spietati. Fece una pausa. Chissà se ogni bravo ufficiale aveva l'abitudine di organizzare le operazioni in quel modo? E gli ifrit lo facevano? Più tardi, una volta finito di consultare le mappe, avrebbe scritto ancora un po' a Wendra. Era sempre piacevole concludere la giornata - o la serata - pensando a lei. 44 Alucius esaminò il piccolo locale in cui si trovava, una stanza vuota, della lunghezza di dieci iarde e della larghezza di cinque. Le pareti erano di
marmo rosa dalle sfumature viola e lungo il perimetro erano disposti, a intervalli di cinque iarde, dei mezzi pilastri fissati al marmo, o alla pietra sottostante, Alucius non avrebbe saputo dire. I pilastri erano tutti d'oro, non soltanto dorati esternamente. Sopra di lui, a poco più di cinque iarde d'altezza, s'incurvava un soffitto dello stesso marmo rosa. Tutte le lastre che lo rivestivano erano state posate con tale perizia che neppure il suo Talento riusciva a distinguere segni di giunture. Il pavimento era formato da sezioni ottagonali di lucido marmo verde e oro. Ogni sezione di marmo verde aveva raffigurata al suo interno una stella di marmo dorato a otto punte, profilata da una striscia sottile di un metallo brillante e sconosciuto. Mentre Alucius si guardava intorno, gli parve che le pareti si fossero accorciate. Nella stanza non c'era nessun altro e sui muri non figuravano tappezzerie o arazzi di alcun genere. A quel punto, rendendosi conto di non avere visto neppure una porta, si guardò indietro e constatò che, effettivamente, la stanza era priva di ingresso. Come aveva fatto a entrare? Non poteva neppure essere passato attraverso una Tavola, visto che là dentro non ce n'erano. Ebbe nuovamente l'impressione che le pareti si chiudessero su di lui e provò a capire cosa stesse accadendo. Esaminò il locale, che si era rimpicciolito e misurava solo otto iarde per quattro. Avanzò di due passi e si guardò intorno. Non era cambiato niente. Le pareti si spostarono di nuovo e adesso la stanza era lunga solo cinque iarde e larga due e mezzo, mentre il soffitto si trovava ad appena quattro iarde sopra la sua testa. Tese la mano e toccò il marmo: era freddo, ma non gelido. Mentre ritirava la mano, le pareti si mossero ancora una volta e poi quasi subito una seconda, così che Alucius si trovò in uno spazio più piccolo di quello di una cella, con muri che distavano meno di una iarda da lui. Cercò di proiettare il proprio Talento al di là, ma non percepì altro che pietra, solida pietra. La stanza si rimpicciolì nuovamente, tanto che si dovette girare di fianco. Aveva la fronte madida di sudore. Doveva cercare di uscire... in qualche modo. Doveva assolutamente... Alucius balzò a sedere nell'ampio letto della stanza riservata agli ufficiali. Quel movimento improvviso gli procurò fitte in tutto il corpo già dolorante. Il sudore gli stava realmente colando sulla faccia e sul petto. Mise i piedi giù dal letto e si alzò lentamente. Si accostò alla finestra e guardò fuori nell'oscurità, ma continuava a sentirsi in trappola. Perciò si avviò alla
porta. La spalancò e uscì all'aperto inspirando profondamente l'aria fredda. Dopo un po', ritornò in camera sua, chiudendosi piano la porta alle spalle. Raggiunse adagio il letto e si appoggiò con cautela sul bordo, fin troppo consapevole che molti dei suoi lividi avrebbero richiesto parecchio tempo prima di guarire del tutto. Mentre si sedeva, si passò il dorso della mano sulla fronte per detergersi il sudore ormai freddo. Non aveva mai sognato di trovarsi in un posto del genere, con le pareti che si richiudevano su di lui, anche se doveva ammettere che, in un certo senso, quella era la sensazione che aveva provato quando si era visto costretto ad accettare la «richiesta» del Signore-Protettore. Di lì a poco, si alzò e passeggiò per la stanza, cercando un po' di refrigerio e chiedendosi cos'altro potesse nascondersi dietro a quel senso di soffocamento. 45 Le tre compagnie lasciarono Krost subito dopo colazione, la mattina di londi, ancora prima che i soldati della postazione si ritrovassero in cortile per l'adunata. La maggior parte dei lividi di Alucius aveva assunto brillanti sfumature colore giallo e viola e, sebbene le atroci fitte fossero sparite, provava ancora una certa rigidità. Non aveva più sognato la stanza dalle pareti che lo imprigionavano, e di questo era ben lieto. Aveva preparato un elenco delle formule di comando più usate, con le relative spiegazioni, e aveva nominato i suoi tre ricognitori. Aveva esaminato attentamente le mappe delle zone intorno a Hyalt ed elaborato alcuni piani. Era persino riuscito a inviare un'altra lettera a Wendra, e non gli restava che augurarsi che tutto alla fattoria andasse bene. Il para-polso da pastore lo rassicurava sulle condizioni di salute di lei, e quello gli bastava. Dopo il suo ultimo incontro con il maresciallo, non solo aveva ottenuto le provviste, ma anche un'abbondante scorta di polvere da sparo, oltre ai carri e al personale addetto alla loro guida. Poiché aveva anche deciso di trascorrere parte di ogni giorno cavalcando insieme a ciascun comandante delle tre compagnie, si trovava in quel momento con Deotyr, alla testa della Ventottesima Compagnia e del resto della colonna, a percorrere la strada principale che si spingeva giù, fino alla costa e nelle terre di Madrien. Tra poco meno di una settimana, e prima di raggiungere le Montagne della Costa, per non dire Madrien, avrebbero dovuto deviare verso sud per immettersi sulla strada che conduceva a
Hyalt. Si era ormai a metà della stagione del raccolto, il cielo era velato e la mancanza di vento rendeva la giornata ancora più calda e polverosa di quanto in realtà non fosse. Tuttavia, uno dei vantaggi delle strade in durapietra era rappresentato dal fatto che si depositava poca polvere sul fondo stradale. Il che significava che la compagnia alla retroguardia non sarebbe stata costretta a respirare enormi quantità di polvere e terriccio, come sarebbe invece accaduto se avessero percorso una stradina secondaria. «Capitano», esordì Alucius, non appena ebbero stabilito una comoda andatura di marcia, «non ho avuto molte occasioni di parlare con voi e con il capitano Jultyr. Da dove venite?». «Da Cersonna, signore.» «Non conosco molto bene le città di Lanachrona, tranne Tempre, Krost e quelle sul fiume Vedra. Dove si trova esattamente Cersonna?» «Sulla strada principale che conduce a Indyor, appena a est del punto in cui questa attraversa il Vyana», replicò il giovane capitano dai capelli scuri. «Non c'è molto laggiù, solo prati e bestiame.» «Come mai vi siete arruolato nelle Guardie del Sud?» «Quando si viene da una famiglia di allevatori di bestiame e si è il più piccolo di cinque figli, non si hanno molte scelte.» Alucius annuì. «Non si può dividere la terra in mille pezzi e spartirsi una mandria.» «Soprattutto la terra, anche se da noi il clima non è così secco come a Soupat o a Hyalt, stando a quel che dicono. Un appezzamento di terra può servire da pascolo solo per un certo numero di capi. E col passare del tempo, se viene troppo sfruttato, a meno di non avere la fortuna di imbattersi in un inverno piovoso, ci si trova costretti a vendere il bestiame che, non avendo più nutrimento a sufficienza, comincia a deperire e magari anche a morire.» Deotyr indugiò prima di chiedere: «Voi siete un pastore. Non è la stessa cosa con le pecore nerine?». «Le pecore nerine brucano i quarasote, non l'erba, ma in un certo senso è la stessa cosa. Se non si nutrono dei cespugli migliori, la loro lana perde consistenza, il che incide sul suo valore senza però ridurre i costi di lavorazione. Probabilmente le pecore non morirebbero di fame, ma il loro pastore sì.» Di lì a un attimo chiese: «Qual è il pericolo più grave per il vostro bestiame? Da noi, bisogna sempre stare in guardia contro i lupi della sabbia e i sabbiosi, ma ho sentito dire che a sud del Vedra non ce ne sono molti».
«No, signore. Lì ci sono i serpenti, ma il vero problema è rappresentato dai cani delle praterie. Circolano in branco e sono capaci di uccidere in un attimo un animale isolato dal resto del gruppo.» Alucius rimase ad ascoltare, lasciando che Deotyr gli spiegasse come si svolgeva l'attività di allevatore di bestiame nei territori orientali di Lanachrona. Dopo un po' l'ufficiale più giovane guardò Alucius. «Signore... si dice che abbiate combattuto in ogni angolo di Corus e che siate stato ferito più volte...» «E voi volete sapere quanto sia vero di ciò che si dice in giro?» Alucius sorrise. «Ho iniziato come ricognitore nella Milizia delle Valli del Ferro...» Cercò di riassumere in breve le campagne alle quali aveva partecipato e le varie ferite riportate. «Credo di essere stato sul punto di morire per ben tre volte, mentre altrettante volte sono stato ferito meno seriamente. Ho combattuto in ogni territorio a occidente della Dorsale di Corus, tranne che a Ongelya.» Alucius non parlò delle quattro ferite gravi che gli erano state inferte dagli ifrit prima che l'ariante lo curasse o della sua breve permanenza a Lustrea, quando aveva lottato contro l'ingegnere posseduto dagli ifrit. Deotyr era silenzioso, tanto silenzioso che l'unico suono che si udiva era quello degli zoccoli sul selciato in durapietra. Alucius decise di non spingersi troppo oltre. Avevano davanti quasi due settimane di viaggio per arrivare a Hyalt. A un certo punto, il giovane capitano si schiarì la voce e domandò: «Signore, cosa dobbiamo aspettarci una volta a Hyalt?». «Guai», disse Alucius con una risata ironica. «Il genere di guai in cui ci si imbatte sempre quando la gente crede di essere talmente nel giusto da ritenere impossibile che qualcun altro possa avere ragione o fare meglio.» Aspettò un attimo prima di aggiungere: «Come il maggiore Fedosyr». «Il maggiore Fedosyr? Signore...» «Cosa c'entra, direte voi, il maggiore Fedosyr con una rivolta? È solo un esempio. Quando le Guardie del Nord combattevano contro Lanachrona l'hanno messa due volte in una situazione di stallo. È un dato di fatto. Le Valli del Ferro hanno accettato questa unione non perché fossero state sconfitte in battaglia, ma perché non avevano denaro sufficiente a pagare i soldati o a garantire loro gli approvvigionamenti. A causa di questi ultimi eventi, il maggiore si è ritenuto in diritto di pensare che le Guardie del Nord fossero scarsamente addestrate e poco esperte nell'uso delle armi. Non ha voluto nemmeno valutare l'ipotesi che le cose stessero diversamen-
te. E per tale motivo, durante il nostro scontro, ha infranto ogni regola. Mi ha persino buttato in faccia dell'acido in polvere. Le persone che non valutano le loro convinzioni sulla base di avvenimenti concreti sono molto simili al maggiore Fedosyr. I Veri Duarchisti credono che un governo ormai dissolto da migliaia di anni possa offrire una qualità di vita migliore di quella che può garantire loro il Signore-Protettore. Eppure, il SignoreProtettore è uno dei sovrani più illuminati e intelligenti di Corus. Basta solo visitare gli altri Paesi per rendersene conto. Ma i Veri Duarchisti non l'hanno fatto, ed è improbabile che lo vogliano fare.» «Pensavo che gli abitanti delle Valli del Ferro non nutrissero molta simpatia per il Signore-Protettore.» «A molti probabilmente non piace, ma è solo perché non conoscono le alternative. A Lanachrona ci sono problemi. Ovunque ci sono problemi, ma pare che ce ne siano molti meno qui che altrove. Questa è una delle ragioni per cui dovremo essere piuttosto prudenti nell'avvicinarci a Hyalt.» «Perché, non credete che laggiù ci sia stata una rivolta?» «Dai pochi rapporti che abbiamo ricevuto, non si tratta di una vera rivolta. È più simile a un'invasione a opera dei Veri Duarchisti. La maggior parte degli abitanti del posto ha dovuto fuggire, ma, dopo l'esodo iniziale, nessuno ha più lasciato la città. Il che fa pensare alla presenza di un notevole numero di ribelli armati o a un appoggio locale, o a entrambe le cose. I Duarchisti possedevano fucili e sciabole e sapevano come usarli. Hanno sferrato l'attacco nel momento più opportuno per cogliere di sorpresa gli uomini della guarnigione. Tutto questo non può essere stato generato dallo scontento popolare, ma piuttosto da qualcuno che ha tutto l'interesse a far sembrare una rivolta ciò che è successo.» «Ma chi potrebbe... la Reggente della Matride, credete?» «È l'eventualità più probabile, ma non lo sapremo finché non avremo indagato più a fondo.» Alucius non voleva rivelare la scomparsa dei ricognitori. Almeno non ancora. «Come... cosa pensate di fare?» «Esattamente quello che non si aspettano che facciamo, nel luogo e nel modo in cui non se lo aspettano.» «Sembra... difficile, signore.» «Lo è. Ma questo sarà molto meglio di altri metodi di difficile, se non impossibile, applicazione.» «Potreste darci almeno un'idea?» «Non ci avvicineremo alla città lungo la strada principale, almeno non
nell'ultima ventina di vingti o giù di lì. Cercheremo anche di creare dei dubbi riguardo alle capacità dei Duarchisti. Ogni genere di dubbio. Se ci riusciremo, il nostro compito ne risulterà facilitato.» Alucius sorrise educatamente. «Spiegherò tutti i dettagli quando saranno presenti anche gli altri ufficiali, una volta che saremo più vicini a Hyalt. Vi posso solo dire che alcune delle esercitazioni a cui ci sottoporremo durante il viaggio sono state concepite proprio per essere abbinate alla strategia che intendo applicare.» Deotyr annuì adagio, come se le parole di Alucius gli risultassero in parte nuove e necessitassero di qualche riflessione. Ma questo rientrava proprio nelle intenzioni di Alucius. Si sistemò meglio in sella, una sella che sarebbe diventata sempre più scomoda a mano a mano che si fossero avvicinati a Hyalt, e cercò la borraccia. Per quanto fosse relativamente presto, la giornata si preannunciava più calda di quanto Alucius avesse voluto. Ma, del resto, qualunque posto a sud di Dekhron era più caldo di quanto egli desiderasse. 46 A metà pomeriggio di tridi, Alucius si trovava alla testa della Trentacinquesima Compagnia, insieme al capitano Jultyr. Nei campi che si estendevano su entrambi i lati della strada, al di là delle staccionate di legno, c'erano intere famiglie di contadini e di braccianti intente a raccogliere i prodotti della terra: dal mais ai fagioli, ad alcuni baccelli di piante dai quali sì ricavava l'olio di semi. Tutti erano talmente indaffarati nel loro lavoro che solo alcuni ragazzini alzarono lo sguardo al passaggio dei cavalieri. «Avrete visto molte cose durante tutti questi anni passati con le Guardie del Sud», disse Alucius a Jultyr. «Avete cominciato dalla gavetta.» «Sì, signore.» Come la maggior parte delle volte in cui Alucius si era trovato ad affiancare l'ufficiale più anziano, Jultyr evitava di guardarlo negli occhi. «Quanto tempo avete combattuto contro i matriti?» «Circa quattro anni, signore.» «Che ne pensate delle loro capacità?» L'altro rimase un attimo in silenzio, prima di parlare. «Alcuni erano bravi. Qualche compagnia non era male. Ma la maggior parte non era alla nostra altezza.» «Vi siete chiesto per quale motivo?» Alucius si costrinse ad aspettare
con pazienza la risposta, mentre il capitano rifletteva. «Non saprei dire con certezza, signore, ma sembravano rendere al meglio quando lavoravano in squadra. Ho pensato che i loro comandanti di squadra fossero più esperti degli ufficiali di grado superiore. Anche alcune compagnie ausiliarie se la cavavano bene.» Jultyr guardò Alucius. «Credete che potesse essere quella la ragione?» «Nell'esercito matrite non ci sono ufficiali uomini. Il grado più alto a cui un soldato possa aspirare è quello di comandante di squadra. Ne ho conosciuto qualcuno molto capace. Quanto agli ufficiali superiori, ben pochi si distinguevano per la loro abilità e, di solito, i migliori venivano uccisi in battaglia. La loro strategia di guerra era in generale più raffinata di quella delle Guardie del Nord, ma le tecniche di combattimento e la qualità del comando lasciavano a desiderare.» «Pensate quindi che noi possediamo migliori ufficiali e tecniche di combattimento, mentre i matriti hanno migliori comandanti di squadra e strategie?» domandò Jultyr. «In generale... probabilmente. Anche se da entrambe le parti ci sono ufficiali bravi e meno bravi. Sappiamo che succede in tutti gli eserciti.» Jultyr assentì con il capo. «In base alla vostra scheda di servizio», disse Alucius, «pare che siate passato direttamente dal grado di comandante di squadra a quello di capitano. Non succede spesso». «Può succedere, signore.» «Lo so.» Alucius rise. «Anche se, quando è successo a me, non me l'aspettavo.» «Suppongo di averlo sperato», continuò Jultyr dopo un attimo di silenzio. «Non si pensa mai che possa toccare a te. Non è una cosa che si verifica spesso nelle Guardie del Sud.» «E neppure nelle Guardie del Nord. Il capitano maggiore Feran e io siamo praticamente gli unici ufficiali ancora in servizio, che hanno cominciato dalla gavetta.» «Il capitano maggiore ha detto che avete affrontato il vicecomandante in capo delle Guardie del Nord per difendere i vostri uomini. Da solo davanti a un'intera compagnia.» Alucius si chiese come potesse Feran essere al corrente di quel fatto, visto che lui non ne aveva mai fatto parola con nessuno, tranne che con la sua famiglia. «Mi sono limitato a fare ciò che ritenevo giusto.» Jultyr annuì. Seguì un'altra pausa di silenzio.
Alucius lanciò un'occhiata ai quattro carri di provviste che seguivano la colonna, ripensando al suo colloquio con Frynkel e si chiese se non avesse dovuto insistere per ottenerne di più. «Pensate che i Duarchisti siano in qualche modo collegati alla Reggente, signore?» «Non lo so», replicò Alucius, «ma sono certo che i matriti trarranno vantaggio dalla situazione in ogni modo possibile. Se non altro, credo che le armi siano state fornite da Madrien. Non vedo da quale altra parte siano potute arrivare». «A Hyalt ci potrebbero essere più soldati di quanto previsto», ipotizzò Jultyr. «Questo è il motivo per cui non ci dirigeremo là direttamente. Percorreremo le strade secondarie per aggirare la città. Prima di decidere la strategia finale di attacco è necessario che scopriamo qualcosa in più.» «Signore... tornando allo scontro con il maggiore Fedosyr, quand'è che avete capito di essere più bravo di lui?» «Cominciai a dubitare della sua abilità», rispose piano Alucius, «quando mi disse che era contrario all'uso dei bastoni di malacca». «Non aveva mai avuto intenzione di fare un combattimento dimostrativo.» «No.» «E voi lo sapevate?» «Non con certezza, finché non vidi la sua sciabola. Allora tutto divenne chiaro. La lama era affilata come un rasoio. Era la sciabola di un esperto duellante, non quella di un soldato che compie il proprio dovere.» Alucius fece una risata forzata. «Non ho prestato servizio a lungo come voi e Feran, ma queste cose le so, ed è per questo che cerco di prestare ascolto agli ufficiali e ai comandanti di squadra che hanno esperienza. Ma tutto il tempo in cui sono stato in servizio l'ho passato sul campo di battaglia. E lì si notano subito quali sono gli ufficiali che capiscono e quali no.» Per la prima volta, Jultyr si lasciò andare a una risata, bassa e breve. «Sì, signore.» Alucius continuò a fargli domande con discrezione, ricordando a se stesso di lasciare al capitano tempo per rispondere, senza sollecitarlo, e di evitare di raccontargli troppo del proprio passato. 47 Tempre, Lanachrona
Nella luce radente del tardo pomeriggio, i tre marescialli sedevano su sedie dal rigido schienale imbottito di colore blu con profili dorati. Di fronte ad essi, dietro alla severa scrivania di quercia scura, stava il Signore-Protettore. La lucida superficie della scrivania appariva completamente sgombra. «Perché non sappiamo niente di ciò che succede a Hyalt?» Lo sguardo del Signore-Protettore si spostò dall'uno all'altro ufficiale, passando da Frynkel a Wyerl, fino ad Alyniat, per poi puntarsi di nuovo sul comandante in capo. «Non abbiamo informazioni recenti, signore», ammise Wyerl. «Nessuno ha più lasciato Hyalt, da quando gli ultimi mercanti con le loro famiglie sono riusciti a fuggire quasi una stagione fa», aggiunse il biondo Alyniat. «Non che questo sia stato appurato, date le circostanze.» «E non avete inviato ricognitori?» «Ne abbiamo inviati parecchi», rispose adagio Wyerl. «Nessuno è tornato. Anche se avremmo preferito fornire al maggiore Alucius più informazioni, ci è parso poco prudente continuare a spedire uomini incontro a morte sicura senza ottenere niente in cambio. Tra l'altro, sono ben pochi i ricognitori esperti che ci sono rimasti.» «E voi volete farmi credere che non si è più allontanato nessuno da Hyalt? Da una stagione a questa parte?» «I ribelli hanno bloccato le vie d'uscita e d'accesso, e hanno eretto delle barricate. Quando l'abbiamo scoperto vi abbiamo informato. E voi avevate risposto di non mandare soldati per abbatterle, ma di lasciare che se ne occupasse il maggiore Alucius.» Wyerl lanciò un'occhiata in direzione di Frynkel. «Il maggiore Alucius non è ancora arrivato a Hyalt», dichiarò quest'ultimo. «Dovrebbe trovarsi a un giorno o due di viaggio dalla città, credo.» Entrambi gli occhi gli si contrassero in un tic, per un attimo, e Frynkel appoggiò il palmo della mano sul destro. «Dovrebbe... credo.» Il Signore-Protettore sbuffò. «Presumiamo, ma non sappiamo. Come potremo avere la meglio sui ribelli se sappiamo così poco? Non abbiamo nessuna Tavola. I vostri ricognitori non sono neppure in grado di riferirci ciò che succede nelle nostre terre, per non parlare delle notizie che ci giungono da Madrien quando oramai è troppo tardi per prendere provvedimenti.» «Questo è vero, signore», replicò Wyerl. «Verissimo.»
«Come posso governare questo Paese restando all'oscuro di tutto? Come potete decidere il piazzamento dei vostri soldati, quando non conoscete né la dislocazione dei nemici, né il loro numero?» «Conosciamo la posizione delle forze della Reggente», fece notare Alyniat, «e l'effettivo di ogni schieramento». Il Signore-Protettore ignorò quell'affermazione e si rivolse a Wyerl. «Quando partite?» «Domani, a meno che voi non desideriate altrimenti, signore.» «Tutto ciò che desidero è il vostro successo - e quello del maggiore Alucius - affinché Lanachrona torni a essere una terra non solo di prosperità, ma anche di pace.» «È probabile che il maggiore Alucius si trovi in svantaggio in quanto a numero di soldati rispetto al nemico, signore», disse Frynkel a voce bassa. «Piuttosto in svantaggio.» «Fortunatamente, questo aspetto non ha rappresentato un problema per lui in passato, e dobbiamo sperare che non lo diventi ora», commentò Wyerl. «Ha uno stile molto diverso di combattere.» «Non lo vedo così diverso», ribatté il Signore-Protettore. «Combatte solo quando deve, e fa del suo meglio per eliminare tutti i nemici, in modo da non essere costretto ad affrontarli di nuovo. Se fossimo stati capaci di agire allo stesso modo a Madrien, non staremmo qui a preoccuparci di dove e quando la Reggente colpirà.» I tre marescialli non replicarono, ma aspettarono che il SignoreProtettore riprendesse a parlare. Quando il silenzio si fu prolungato per un po', egli si alzò in piedi. «Vi prego di continuare a tenermi informato. Potete andare.» «Sì, signore.» I tre si alzarono contemporaneamente. Una volta rimasto solo nello studio, il Signore-Protettore si avvicinò alla finestra che si affacciava verso nordest e sulle torri gemelle verdi, un'eredità del Duarcato. «Chissà se tutti i governanti avevano sempre dovuto agire senza conoscere a fondo le circostanze?» rimuginò tra sé ad alta voce nella stanza vuota. A quella domanda non c'era risposta. 48 Per un'altra settimana - dieci lunghi giorni - Alucius e le tre compagnie
viaggiarono a cavallo. Durante i primi cinque giorni si diressero verso ovest, mentre i restanti cinque piegarono a sud, lungo la strada in durapietra che collegava Tempre con Hyalt. La notte dopo che si furono immessi sulla strada che portava a Hyalt, Alucius sognò nuovamente la stanza dalle pareti che gli si chiudevano addosso e ancora una volta si svegliò in un bagno di sudore. Ovviamente si sentiva in trappola, ma c'era ben poco che potesse fare, se non esserne consapevole e agire per il meglio. Il quattri, proprio mentre il sole raggiungeva il suo zenit, Alucius si rese conto di cosa l'avesse tormentato in quelle ultime clessidre. Per l'intera mattinata non avevano incontrato nessuno che si dirigesse a nord. Non un'anima. Sebbene quella strada fosse meno trafficata di altre, faceva comunque parte del «quadrilatero» commerciale di vie di comunicazione che collegavano cinque delle maggiori città di Lanachrona occidentale. Su entrambi i lati della carreggiata, per un tratto di circa un vingt, crescevano bassi cespugli, quasi nessuno dei quali superava l'altezza del ginocchio. Ciascun cespuglio era separato dagli altri da uno spazio vuoto di sabbia rossastra. Verso est, il cespugliame cedeva gradualmente il posto a prati ondulati, ma l'erba giallognola della stagione del raccolto era rada e in alcuni punti lasciava intravedere il rosso-marroncino della terra. Verso ovest, c'erano delle collinette, che si innalzavano non oltre un centinaio di iarde sul livello stradale. I loro fianchi erano coperti da un mosaico di sabbia rossastra, di cespugli e di alberelli di ginepro. L'ultima stazione intermedia di Guardie del Sud, nella quale era di stanza appena una mezza squadra di soldati, se l'erano lasciata alle spalle due giorni prima. Da allora, Alucius aveva regolarmente mandato i suoi ricognitori in perlustrazione, non solo più avanti sulla strada in durapietra, ma anche sulle poche stradine secondarie. Un altro paio di ricognitori, su entrambi i lati della strada, percorreva in parallelo l'itinerario da essa descritto, procedendo tra i cespugli alla distanza di circa mezzo vingt dal punto in cui si trovava il grosso della compagnia. Da quando avevano tolto l'accampamento quella mattina, nessuno dei ricognitori aveva avvistato anima viva. «Questa strada viene utilizzata per il traffico delle merci, non è vero?» chiese Alucius a Feran, che cavalcava accanto a lui. «Così dicono.» «Non abbiamo incontrato un solo mercante, né nessun altro. La strada da Salaan a Dereka era molto più affollata.» «Vuoi dire che più avanti ci sono guai», commentò Feran ridendo. «Si
sapeva già.» «Non si tratta solo di guai, ma del tipo di guai che ci aspettano. Ovunque ci sia capitato di combattere, la gente si muove. Alcuni arrivano attratti da facili guadagni, altri se la svignano. Il maresciallo Frynkel non è stato in grado di fornirci alcuna informazione riguardo a questa rivolta. Nessuno ha scoperto niente, dopo che i mercanti sono fuggiti, più di una stagione fa. Ti pare logico?» «Logico o no, onorevole maggiore, così stanno le cose.» «Esatto. Ma questo significa che dovremo cercare di saperne di più prima di arrivare a passo di carica a Hyalt.» Alucius portò lo sguardo sulla strada davanti a sé e sul ricognitore che stava tornando indietro al galoppo. Poi si rivolse a Dhaget, uno dei tre corrieri-messaggeri alla sua sinistra. «Di' a tutte le compagnie di fermarsi e fai venire da me il capitano Deotyr e il capitano Jultyr.» «Sì, signore.» Alucius si girò verso Feran. «Fai fermare la Quinta Compagnia e di' agli uomini di concedersi una pausa.» «Quinta Compagnia! Colonna alt!» «Compagnia alt!» Egyl ripeté il comando. Entrambi gli ufficiali aspettarono che Waris, il ricognitore, li raggiungesse. «Signore, più avanti c'è una barricata. Ci sono pietre e tronchi ammassati sui due lati della strada e un tronco di traverso a bloccare il passaggio. Ci sono anche soldati, o qualcosa del genere, con indosso delle divise marroni.» «Ti hanno visto?» chiese Alucius. «Non credo, signore.» «A quale distanza si trova il blocco?» «A circa tre vingti.» «Quanti soldati ci sono?» «M'è parso una mezza squadra, più o meno. Hanno anche dei carri, del tipo di quelli usati dai mercanti, ma non ho visto alcun mercante. Inoltre, c'erano dieci cavalli sellati, pronti a partire.» Alucius aggrottò la fronte. «Chiama gli altri ricognitori. Falli piazzare sulla strada un vingt più a sud e di' loro di stare di guardia, per il momento. Poi torna qui.» «Sì, signore.» Mentre Alucius aspettava che gli altri due ufficiali lo raggiungessero,
prese la mappa dalla bisaccia a sinistra della sella e la aprì per studiarla, verificando le distanze e alzando di tanto in tanto gli occhi per confrontare ciò che era indicato sulla carta con quello che aveva davanti, come del resto aveva continuato a fare regolarmente nel corso degli ultimi giorni. «Signore?» disse Jultyr, facendo fermare il cavallo sul bordo della strada, appena dietro a Feran. «Più avanti c'è una barricata. Non appena arriva Deotyr discuteremo il da farsi.» «Sì, signore.» Jultyr annuì. Di lì a poco, anche Deotyr li raggiunse. Alucius posò la mappa. «I ricognitori mi hanno riferito che sulla strada a circa tre vingti da qui c'è un blocco, pattugliato da una mezza squadra di uomini armati a cavallo. Non siamo in grado di stabilire se si tratta di soldati addestrati. Probabilmente, potremmo attaccarli ed eliminare il blocco senza riportare alcuna perdita. Ma ci troviamo a più di una ventina di vingti da Hyalt, e questo li informerebbe della nostra presenza. Preferisco che non sappiano niente finché non saremo in grado di attaccarli di sorpresa. «Perciò ripiegheremo a nord per circa cinque vingti. Più indietro abbiamo superato una strada, anzi, più un sentiero che una strada. Dovrebbe inoltrarsi a sud tra le colline che si trovano proprio a ovest di dove siamo noi, per poi proseguire tra quelle alture più elevate, laggiù. Lo percorreremo quel tanto che basta a trovare un posto adatto per allestire un bivacco. Dopodiché cominceremo seriamente a perlustrare la zona. Ve lo dico adesso perché possiate informare tutti i ricognitori. Le Guardie del Sud hanno perso parecchi dei loro ricognitori qui. Perciò, per il momento, non voglio che i vostri uomini si avvicinino troppo. Preferisco avere informazioni sommarie piuttosto che niente del tutto.» Deotyr lanciò un'occhiata a Jultyr, poi tornò a guardare Alucius. «Avete domande, capitano Deotyr?» «Non proprio, signore. Ah... è solo che... il nemico non dovrebbe sapere dell'esistenza di queste strade secondarie?» «Sono certo che alcuni di loro lo sappiano. Ma si aspettano che i soldati arrivino direttamente dalla strada principale. Il modo in cui è stata predisposta la barricata sta a indicare che l'intenzione non era quella di difendersi dall'attacco di una compagnia di cavalleggeri. Se mai ci sono altri sbarramenti difensivi, questi sono più a sud. Quella barricata, ammesso anche che riuscissimo a catturare tutti gli uomini di guardia e ad abbatterla, serve ad avvisarli del nostro arrivo. E io preferirei, per il momento, non far
sapere a nessuno della nostra presenza in zona.» «Ah, certo, sissignore.» «Se le vostre ipotesi sono corrette, capitano», proseguì Alucius, «e forse lo sono, potremmo imbatterci in un contingente di soldati nemici più numeroso sulle strade secondarie. Quindi... noi sappiamo che devono essere da qualche parte e che sono armati. Ma in questo momento loro sanno forse dove siamo noi?». «No, signore, probabilmente non lo sanno.» «Non ancora, spero», replicò Alucius. «Perciò, se incappiamo in un altro gruppo armato lungo le strade secondarie, di chi sarà il vantaggio della sorpresa?» Deotyr annuì, seppure controvoglia. «Se i nostri ricognitori sono bravi, potremmo anche riuscire a tendere loro un'imboscata.» Sempre che la fortuna fosse stata dalla loro parte, aggiunse tra sé Alucius. «Mentre torniamo verso l'imbocco del sentiero, la Ventottesima Compagnia si posizionerà alla testa della colonna e io cavalcherò accanto a voi. Il capitano maggiore Feran e la Quinta Compagnia staranno in retroguardia, nell'eventualità che ci abbiano scoperti. Non appena troveremo il punto adatto in cui stabilire l'accampamento, manderemo in perlustrazione i ricognitori, forse anche per parecchi giorni di seguito.» Alucius fece correre lo sguardo dall'uno all'altro ufficiale per poi tornare a posarlo su Deotyr. «È tutto chiaro?» «Sì, signore.» «Bene, allora muoviamoci.» Alucius fece cenno a Waris, che si era fermato a cinque iarde abbondanti da lui. «Tracce dei ribelli?» «No, signore. I ricognitori si sono piazzati dove avete ordinato.» «Prendine due e falli restare in fondo alla colonna, tu ed Elbard venite davanti con noi. Ci dirigeremo prima a nord e poi a ovest. Quando sarai tornato qui, ti spiegherò cosa fare.» «Sì, signore.» Waris spronò il suo cavallo. Almeno i ricognitori ubbidivano ai suoi ordini senza esitare. Alucius mantenne un sorriso forzato sulle labbra, mentre girava il cavallo e tornava indietro insieme al capitano Deotyr. 49 Alustre, Lustrea
Il forestiero dalla corporatura robusta e dai capelli neri, affiancato da due soldati della Guardia pretoriana, si inchinò dinanzi all'uomo seduto sul trono d'argento di semplice fattura collocato su una pedana. «Onorevole Pretore Tyren.» «Ci avete fornito del materiale piuttosto interessante, straniero.» «Waleryn, Pretore. Sono il nobile Waleryn di Lanachrona.» «Per quale motivo siete qui?» «Perché mio fratello mi teme, e un sovrano che ha paura del proprio fratello non è una persona accanto alla quale sia saggio restare.» «E io dovrei avere fiducia in un uomo capace di tradire il proprio fratello? Se davvero siete voi quell'uomo.» «Non sono venuto qui per tradire mio fratello. Sono qui perché lui non si fida di me, ed è mio desiderio lavorare con un sovrano in grado di mettere a frutto le mie conoscenze. Il che è ben diverso dall'offrirsi di tradire un fratello. Non farei mai una cosa del genere. A voi offro solo le mie conoscenze.» «E se io vi sottoponessi a tortura per costringervi a farlo?» «Sicuro, come ogni settimana è composta da dieci giorni, che perdereste ciò che ho da offrire... gratis.» Waleryn rise. «Quasi gratis.» «Quasi?» «Chiedo in cambio solo un buon alloggio e un modesto stipendio. Molto modesto. Inferiore a quello che riceveva il vostro ingegnere.» «Quale ingegnere?» «Quello che aveva creato per voi e vostro padre le lame di luce. Della cui fabbricazione conosco il segreto.» «Perché dovrei accettare?» «Perché è nel vostro interesse, Pretore, e perché non ci rimettete nulla a cercare di scoprire se sono effettivamente chi dichiaro di essere.» «Potete dimostrare ciò che avete affermato?» «Posso offrirvi più prove di quante ne vogliate.» Waleryn sorrise. «Le stanze dell'ingegnere sono rimaste intatte. Al loro interno si nasconde uno specchio simile alla Tavola. Io sono in grado di trovarlo e di richiamare una scena a vostro piacimento sulla sua superficie.» Fece una pausa. «Può bastare come prova?» «Vedremo.» Il giovane Pretore fece cenno alle guardie. «Conducetelo all'ingresso della stanza da lavoro di Vestor. Poi lasciate che sia lui a guidarci.» Mentre uscivano dalla sala delle udienze e si dirigevano verso l'ala sud
al secondo piano del palazzo pretorio, oltre alle due guardie che accompagnavano Waleryn, altre quattro affiancavano il Pretore. Il gruppetto si fermò davanti a una porta sormontata da un arco. Una delle guardie prese una chiave e la aprì. Una volta entrati, Waleryn si inoltrò nella stanza superando il grosso banco da lavoro e due vasche vuote e girando attorno alla seconda per avvicinarsi a un banco da lavoro più piccolo, seminascosto in un angolo della stanza: un banco un po' impolverato e chiaramente non usato da tempo. Waleryn lo esaminò per un momento, poi sollevò una lastra di quarzo verde rivelando un lucido cerchio di metallo argentato incassato nel legno di quercia che faceva da supporto alla lastra. «Questo è lo specchio di cui parlavo.» Una delle guardie si fece avanti e annuì in direzione del Pretore, che si era tenuto indietro accanto alle vasche. Il Pretore si fece avanti quanto bastava per vedere lo specchio. «Procedete.» Waleryn inspirò profondamente parecchie volte. Poi si concentrò, fissando con sguardo intento la nebbia purpurea frammista a sfumature viola e rossastre che si era formata in superficie. Di lì a poco, la nebbia si dissolse mostrando la sala delle udienze di Tempre, dove si vedeva il SignoreProtettore seduto su un candido trono di onice dall'alto schienale, al centro del quale, in cima a una specie di pinnacolo, brillava un cristallo blu. «Potete farci vedere un'altra scena?» Waleryn si concentrò di nuovo e questa volta fece comparire l'immagine della sala delle udienze dalla quale erano da poco usciti, dove si vedeva una delle guardie rimaste intenta a chiacchierare con un'altra. Un sorriso attraversò le labbra del Pretore. Il cristallo d'ambra fissato su un piccolo supporto di metallo accanto allo specchio cominciò a mandare bagliori e Waleryn arretrò. «È tutto, per ora.» L'immagine svanì, sostituita dalla liscia superficie metallica, che ora sembrava leggermente annerita, come se fosse stata sfiorata dal fuoco. «Perché non siete riuscito a mostrarci altro?» chiese il Pretore. «Questo è uno specchio, non una Tavola», spiegò Waleryn. «Se l'ingegnere avesse usato il vetro, anziché il metallo, la superficie sarebbe già andata in frantumi. Perché una Tavola sia in grado di funzionare, è necessario che sia collegata alla terra in profondità, come lo è quella di Prosp.» «Quella di Prosp? L'edificio che la ospitava crollò durante il terremoto e
distrusse la Tavola.» Waleryn sorrise. «Mettete in dubbio la mia affermazione?» «La Tavola che l'ingegnere aveva costruito a Prosp è stata sì sepolta sotto le macerie dopo il crollo dell'edificio, ma è rimasta intatta.» «Come può essere?» chiese il Pretore. «Le Tavole sono collegate alla terra. Finché i fili di collegamento sono integri, esse non subiscono danni.» Waleryn sorrise di nuovo. «Perché non mandate qualcuno a Prosp a verificare? Se già non l'avete fatto. Oppure, mandate anche me e accompagnateci.» Tyren aggrottò la fronte. «Non vorreste anche voi, come vostro padre, essere al corrente di tutto?» chiese Waleryn. «Vedere cosa succede in ogni angolo di Lustrea senza dover attendere giorni o settimane prima di ricevere i rapporti? Sapere cosa è successo realmente senza dover fare affidamento sugli altri, quando è così difficile stabilire chi è degno di fiducia? Questo è solo l'inizio di ciò che vi posso offrire. Solo l'inizio.» «E per voi chiedereste soltanto un modesto stipendio?» «E la possibilità di continuare il lavoro svolto in precedenza dall'ingegnere, affinché voi e Lustrea ne possiate beneficiare.» Waleryn chinò leggermente la testa. «E naturalmente anch'io, seppure in minima parte.» Dopo un momento, Tyren annuì. «Vi concederemo questi privilegi, ma per un po' vi terremo sotto sorveglianza. Stretta sorveglianza. Sono certo che comprendete.» Waleryn si inchinò di nuovo. «Sicuramente, onorevole Pretore. Come potrebbe essere altrimenti?» 50 Nel tardo pomeriggio Alucius esaminò il campo. Situato sulla cima di una bassa collina, si trovava più di cinque vingti a ovest della strada principale - in linea retta - e circa cinque vingti a sud del punto in cui i ricognitori avevano scoperto la barricata allestita dai ribelli. I fianchi settentrionali della collina erano coperti da un maggior numero di alberi, anche se gli abeti, i cedri e i ginepri che vi crescevano affondavano le loro radici in una ripida e irregolare parete rocciosa che rendeva difficile l'arrampicata, e su un largo tratto di terreno più in basso vi erano cespugli spinosi. A ovest si trovava una lunga dorsale in pendenza, perlopiù esposta, mentre a est un
promontorio si innalzava in verticale per quasi quindici iarde al di sopra di un piccolo torrente. A sud, il terreno scendeva più dolcemente verso la stradina, che era in terra battuta e consentiva a malapena il passaggio di due cavalieri affiancati. Dalla sommità della collina si godeva una buona visuale, così che le sentinelle là appostate sarebbero state in grado di scorgere la polvere sollevata dai cavalli dei ribelli anche a parecchi vingti di distanza. Una volta abbandonata la strada principale, sul fondo di terra di quella secondaria Alucius e i ricognitori avevano trovato pochissime tracce, perlopiù orme di singoli cavalieri e di ruote di carretti. Mentre procedevano verso sud e poi verso ovest avevano superato quasi una ventina di fattorie da lungo tempo abbandonate: il terreno sul quale erano situate, lungo il fianco delle colline, era troppo arido per consentire qualunque tipo di coltivazione. Mentre i suoi piazzavano l'accampamento, Alucius aveva inviato Elbard e Waris a perlustrare l'area più a sud e a est. Ma i due non avevano trovato alcun segno di cavalieri o di postazioni nemiche, né di spostamenti recenti di uomini o cavalli, nemmeno dopo essersi spinti avanti per tre o quattro vingti. Il che fece impensierire Alucius. Era stato troppo prudente? Avrebbe dovuto inoltrarsi più a sud? O aveva trascurato qualche particolare importante? Forse si trattava solo del fatto che le colline erano troppo aride e avrebbero offerto un nutrimento troppo scarso a un cospicuo numero di cavalli. Gli unici alberi esistenti erano bassi ginepri e cedri contorti che si alternavano a macchie più consistenti di cespugli spinosi, mentre l'erba, sebbene in certi punti fosse alta, appariva rada e di colore giallognolo, e di certo non sarebbe stata sufficiente a fornire sostentamento a più di trecento cavalli, e comunque non per lungo tempo. «Accendiamo dei fuochi?» chiese Feran, dal punto in cui si trovava, alla sinistra di Alucius. «Che siano piccoli e solo se si trova legna secca che non faccia troppo fumo», rispose Alucius. «Dillo anche a Deotyr e a Jultyr.» «D'accordo. Avevo già raccomandato loro più o meno la stessa cosa.» «Sei tu quello che dovrebbe avere il comando, qui.» Alucius fece un lieve sorriso. Sotto molti aspetti Feran era più preparato di lui. «No, grazie tante. Sono bravo nelle cose di tutti i giorni. In battaglia sei molto meglio tu.» Alucius nutriva qualche dubbio in proposito, ma si limitò a replicare: «Meno male che siamo qui entrambi, allora». Alzò lo sguardo verso sud-
sudest, in direzione di Hyalt, che doveva trovarsi a circa quindici vingti di distanza. Vide solo altre colline coperte di cedri e ginepri. Il Talento non gli rivelò alcuna presenza nei dintorni, se non quella dei propri uomini e di pochi animali: soprattutto glandarie grigie e roditori di vario tipo. «Sarebbe meglio che nessuno di noi due si trovasse qui», borbottò Feran, per poi aggiungere: «Signore». Si scostò dal viso una ciocca di capelli brizzolati. «Nemmeno io avevo molta voglia di andarmene in giro per mezza Corus. Ma le alternative erano decisamente peggiori.» «Perché deve essere sempre così?» «Non lo è», replicò Alucius ridendo. «Lo è solo per noi.» «Sei sempre così ottimista, caro il mio onorevole maggiore.» «Lo so.» Il tono di Alucius si fece di nuovo serio. «Quanti ricognitori davvero bravi abbiamo? Oltre a Elbard e Waris?» «Uno, forse due.» «Ce n'è qualcuno nelle altre compagnie?» «Jultyr ha detto che uno dei suoi sembra promettere bene. È cresciuto tra le colline di Vyan. Il padre lavorava come custode per qualche ricco proprietario terriero. Il figlio lo ha aiutato per un po' a cacciare i bracconieri.» «Nessun altro?» Feran rise. «In tal caso, faremo bastare quelli che abbiamo. Voglio che partano di buonora, ben prima dell'alba. Ci serve un quadro della situazione dei territori qui intorno, nel raggio di cinque-dieci vingti, non tanto vicino alla strada quanto lungo le colline. Nei pressi della strada dovrebbero esserci fattorie, ma noi dobbiamo sapere quello che succede più all'interno.» «Trovo preoccupante», disse adagio Feran, «il fatto che non ci sia nessuno in giro, sebbene ci siano strade». «Non saprei dire con certezza», replicò Alucius, «ma hai visto tutti quei posti abbandonati?». Feran annuì. «Un tempo, doveva esserci più gente qui. Come nei territori a nord. Scommetto che negli ultimi anni il clima è diventato talmente secco da costringere tutti ad andarsene. Hai notato i fianchi delle colline e quei tronchi tagliati? Stanno ancora disboscando e probabilmente la maggior parte delle strade viene usata per trasportare il legname.» «Tu credi?» «Non so cosa credere, ma mi pare che abbia un senso. Se poi io abbia o
meno ragione è un altro paio di maniche.» Alucius sperava solo di essere giunto a una conclusione corretta, e non solo riguardo allo stato di abbandono dei terreni sul fianco delle colline. Il tempo e i rapporti dei ricognitori gli avrebbero fornito una conferma. 51 I ricognitori partirono ben prima dell'alba, istruiti a dovere da Alucius, ed egli rimase in silenzio a osservare mentre si allontanavano a cavallo verso sud. Feran era in piedi accanto a lui e i due si limitarono a guardare, persino dopo che li ebbero visti sparire, inghiottiti dal grigiore che precedeva l'arrivo del giorno. «Preferiresti essere al loro posto, vero?» chiese Feran. «Trovo difficile stare a guardare.» Alucius gettò un'occhiata verso est, ma il cielo non lasciava ancora intravedere il chiarore che preannunciava il sorgere del sole. «Più difficile di quanto immaginassi.» «È uno degli aspetti problematici di quando si è al comando. E per te è ancora più arduo che per gli altri.» Alucius credette di sapere ciò che Feran stava cercando di dirgli, ma non era sicuro di volerlo ammettere. «Davvero?» «Come ricognitore, sei senz'altro meglio di chiunque altro. E anche come soldato e come capitano. Ma non sei sicuro di essere un bravo comandante. Ed è necessario che tu sia il migliore.» Feran scosse il capo. «Quanto a me... ciò che desidero è essere bravo quel tanto che basta per sopravvivere tutto d'un pezzo. Sono contento di stare con te perché non sei uno che agisce senza usare la testa e non fai correre ai tuoi uomini pericoli che tu stesso non saresti pronto ad affrontare. Senza contare che, di solito, hai una certa tendenza a far pendere la bilancia degli eventi a tuo favore.» «Le tue parole suonano molto incoraggianti, Feran.» «Ammettilo, maggiore.» Alucius scoppiò in una risata sarcastica. «Mi conosci troppo bene. Probabilmente, sono davvero meglio io come ricognitore. Sono un pastore e ho più esperienza della maggior parte degli altri ricognitori.» «Più esperienza di tutti, non solo della maggior parte. Hai combattuto e perlustrato palmo a palmo tutte le terre occidentali di Corus.» Alucius sapeva che era vero, ma sapeva anche che era il Talento a fare la differenza. Ricordava Geran, il ricognitore più anziano con cui era solito uscire in perlustrazione quando prestava servizio nella Milizia delle Valli
del Ferro. Geran non possedeva il Talento, ma era in grado di leggere anche il più piccolo indizio sul terreno come se si trattasse di un libro. Alucius, invece, doveva ricorrere alle proprie capacità talentose per riuscire a farlo. «Devi rammentarti una cosa, caro il mio maggiore.» La voce di Feran era bassa. «Che cosa?» «A prescindere da quanto tu sia bravo, non puoi occuparti di tutto. Non puoi uscire in ricognizione e comandare allo stesso tempo. Non puoi condurre la carica alla testa delle tue truppe e stare in disparte per capire dove piazzare le varie compagnie.» «Mi sa che avevo proprio bisogno di sentirmelo dire.» Ciò nonostante, Alucius continuava a desiderare di trovarsi là fuori insieme ai suoi ricognitori. «Grazie.» «Di niente, signore.» Feran gli restituì il sorriso ironico. Mentre Alucius tornava verso il centro dell'accampamento, si mise a riflettere. Come si faceva a capire quando si era raggiunto il limite delle proprie capacità? Il Signore-Protettore l'aveva scelto per le vittorie riportate ai tempi in cui era capitano di compagnia, quando si era trovato a operare da solo. Ma adesso, sarebbe stato davvero in grado di comandare in modo efficace tre compagnie? Fece un profondo respiro. Tutto ciò che poteva fare era ascoltare, imparare e fare del suo meglio. La luce cominciò a inondare la cima della collina e, per un attimo, l'orizzonte risplendette di un luminoso bianco argenteo prima che il cielo assumesse una brillante tonalità verde-argento priva di nuvole. Cosa piuttosto insolita per Lanachrona, non era caduta una sola goccia di pioggia da quando Alucius aveva lasciato Dekhron. Chissà se anche quello era un segno che i tempi stavano cambiando. O si trattava di una pura e semplice coincidenza? Si concesse una breve risata sommessa. Non tutto era legato agli ifrit o alle arianti. O almeno non pensava che lo fosse. Mentre aspettava il ritorno dei ricognitori, fece fare alcune esercitazioni alla Ventottesima e alla Trentacinquesima Compagnia. Nonostante l'addestramento e i successivi incontri esplicativi con i capitani, la mattinata trascorse lenta, senza alcun segno del passaggio di cavalieri sulle strade secondarie nei pressi dell'accampamento. Era già quasi mezzogiorno quando tornò il primo ricognitore. Si trattava di Rakalt, della compagnia comandata da Jultyr. Alucius scese di corsa il fianco meridionale della collina per incontrarlo
a metà strada. Aspettò che il soldato - un giovane slanciato, dai penetranti occhi verdi infossati in un viso sottile - scendesse di sella e si dissetasse, e che li raggiungessero gli altri ufficiali che aveva mandato a chiamare. Poi gli parlò. «Raccontaci un po' cos'hai trovato, Rakalt.» «Ho seguito la strada più ampia, a ovest, come mi avevate chiesto, signore.» Rakalt fissò lo sguardo in quello di Alucius, poi deglutì. «Prosegue verso ovest, come pensavate. A due o tre vingti da qui attraversa il letto di un torrente in secca, poi si dirige a nordovest. Circa un mezzo vingt più avanti, si biforca. Il tratto che va a nord mostra impronte di solchi, ma sono vecchie: si direbbe che nessuno sia passato di lì da parecchio tempo. Il tratto di sinistra invece va verso sudovest. Neanche là ho trovato molti segni di cavalieri o carri, anche se ci sono alcune tracce recenti nella polvere. Mi sono spinto avanti per quasi cinque vingti, come mi avevate ordinato, signore. Ma non c'è niente, solo colline nude. Tutti gli alberi sono stati tagliati e il terreno è pieno di buche. Ci potrebbero vivere a malapena topi e uccelli, o forse neanche. Sulla cima delle colline, sul fianco destro della strada, ho visto degli alberi, abeti e ginepri.» «E che mi dici della strada?» chiese Alucius. «Sei riuscito a capire da chi viene usata?» «Perlopiù da singoli cavalieri, sembrerebbe. Potrebbe anche trattarsi di pattuglie, ma le impronte degli zoccoli non erano tutte uguali, come le nostre.» Rakalt inclinò il capo. «Anche se credo fossero davvero pattuglie. Ho visto solo una serie di orme alla volta.» Alucius continuò a porre domande, aiutato di quando in quando da Feran. «Quanto erano ripide le colline sul fianco orientale della strada?» «Quanto erano robusti i ponti?» «Hai visto qualche abitazione o del fumo?» «Ti è sembrato che una di quelle colline fosse stata disboscata di recente?» Dopo un altro quarto di clessidra di domande - e di risposte da parte di Rakalt - Alucius si concesse una pausa, chiedendosi se ci fosse qualche particolare che aveva tralasciato di chiedere. Bevve un sorso d'acqua dalla borraccia, più che altro perché non era abituato a parlare così tanto e non perché la giornata fosse particolarmente calda. Guardò Feran. «C'è qualche altra cosa che vorresti chiedere?» «No, signore.» Il sorriso di Feran era nervoso. «Magari ci fosse.» Alucius si rivolse a Jultyr.
«Be'... sì, signore... solo un'ultima cosa.» «Coraggio», lo esortò Alucius. «Rakalt, la mia domanda ti sembrerà sciocca ma... hai sentito qualche odore strano da qualche parte?» Le parole di Jultyr suonavano decise. Il ricognitore socchiuse gli occhi e inclinò di nuovo la testa. «Odori? No, signore, non ricordo odori particolari o strani.» Alucius annuì. Avrebbe dovuto ricordarselo la prossima volta. La domanda era sensata. Mentre si girava verso il ricognitore, udì un grido provenire dal fianco meridionale della collina. «Maggiore! Vedo polvere sulla strada principale: ci sono molti cavalieri, signore!» Alucius si voltò scrutando verso sud. In effetti, dalla strada, si vedevano alzarsi due nuvole di polvere: una più piccola e a malapena visibile, a meno di un vingt dalla base del pendio che saliva all'accampamento, e una seconda più grossa, circa mezzo vingt più a sud dalla prima. Doveva trattarsi di un ricognitore inseguito da una squadra di soldati o di uomini armati a cavallo. Addio sorpresa! Pensò Alucius, mentre si apprestava a impartire ordini a voce alta. «Ventottesima Compagnia! A cavallo, in formazione dietro di me! Quinta Compagnia! A cavallo, affiancare la Ventottesima Compagnia a ovest! Trentacinquesima Compagnia! A cavallo e affiancare la Ventottesima a est.» Alucius, dopo essersi arrampicato di corsa su per la collina, verso la fune alla quale era legato il suo cavallo, era già in groppa e a metà della discesa prima ancora che i soldati della Ventottesima Compagnia avessero cominciato a raggrupparsi. Scrutò ancora una volta il fianco dell'altura, poi scese fino a trovarsi ad appena centocinquanta iarde dalla strada, su una piccola protuberanza che dominava il passaggio in basso. Quella posizione, come tutto del resto, costituiva un compromesso. Voleva che i suoi uomini fossero vicini a sufficienza da poter accogliere il nemico con un fuoco fulminante, ma in un punto tale che l'avrebbe obbligato a inerpicarsi se voleva condurre un attacco. «Disporsi in formazione!» gridò ai soldati. Feran e la Quinta Compagnia si erano già schierati leggermente più in alto, mentre le altre due compagnie si stavano disponendo a est della Quinta. «Avanzare e allinearsi con il maggiore!» ordinò Feran. Alucius riportò lo sguardo sulla strada. La seconda nuvola di polvere
stava guadagnando terreno, anche se c'erano buone probabilità per il ricognitore di riuscire a raggiungere l'accampamento prima che i suoi inseguitori arrivassero alla giusta distanza per una mira più accurata, il che era più che altro questione di fortuna, visto il percorso serpeggiante della strada e il suo fondo sconnesso. «Quinta Compagnia in posizione, signore!» «Trentacinquesima Compagnia, signore!» «Ventottesima Compagnia, signore!» Alucius si girò verso Feran. «Falli disporre scaglionati, di modo che tutti abbiano una chiara linea di tiro.» «Sì, signore.» Poi sì voltò verso Jultyr e ripeté il comando. In quel momento, anche Deotyr aveva finito di far allineare gli uomini della Ventottesima Compagnia. Alucius si rivolse anche a lui: «Capitano, fateli schierare scaglionati in formazione obliqua». «Sì, signore.» Deotyr ordinò: «Ventottesima Compagnia! Scaglionati in formazione obliqua!». Il comandante di squadra anziano ripeté il comando e la Ventottesima Compagnia si schierò in posizione di fuoco. Alucius si avvicinò con il cavallo a Deotyr. «Se il nemico dovesse ritirarsi, ordinerò alla vostra compagnia di inseguirli. Tenetevi pronti per tale evenienza.» «Sì, signore.» Poi Alucius si diresse verso il punto in cui la Quinta Compagnia si univa alla Ventottesima. Scrutò a ovest, lungo il tratto di strada sotto di loro e si apprestò ad aspettare. Rammentò a se stesso che i fucili lanachroniani erano dotati di un caricatore a dieci colpi e che avevano una portata di tiro superiore a quella dei fucili delle Guardie del Nord. Continuò a tenere d'occhio la strada e proiettò tutt'intorno i Talento-sensi. Non avvertì alcuna presenza talentosa, ma, d'altra parte, gli inseguitori erano ancora troppo lontani. Un altro quarto di clessidra trascorse. Infine, dalla curva sotto al punto in cui Alucius e i suoi erano appostati comparve un singolo cavaliere. «Tutte le compagnie!» ordinò Alucius. «Fronti con i fucili. Fuoco al mio comando.» «Fucili pronti.» Quando il cavaliere si trovò a meno di un centinaio di iarde dall'accampamento, Alucius riconobbe Waris, nonostante l'uniforme interamente
ricoperta di polvere. Alle sue spalle c'erano quasi due squadre di uomini armati, con indosso ampie casacche marroni. Di tanto in tanto, i ribelli facevano fuoco sul ricognitore, ma i colpi sembravano sempre mancare il bersaglio. Tuttavia, gli inseguitori guadagnavano terreno, tanto che, nel momento in cui Waris raggiunse i piedi della collina, essi si trovavano ad appena trecento iarde da lui. Il ricognitore spronò il cavallo su per il pendio, verso i suoi compagni. Alucius gli fece cenno di dirigersi oltre. «Prosegui.» Aspettò che il nemico si trovasse a sole cinquanta iarde dall'inizio della salita, poi ordinò: «Fuoco a volontà!». «Fuoco a volontà!» Una serie di rapidi bang venne sparata dalla Ventottesima Compagnia, seguita subito da un'altra serie di colpi della Trentacinquesima. Le detonazioni dal suono più profondo, provenienti dai pesanti fucili delle Guardie del Nord, suonarono più decise. Solo alcune pallottole della prima raffica andarono a segno. Alucius vide un ribelle che barcollava sulla sella e un altro che cadeva di lato. Alzò il proprio fucile e mirò con attenzione. Il primo colpo centrò un uomo alla spalla. Il secondo ne scaraventò un altro giù da cavallo. Un comandante di squadra cavalcava alla testa dei soldati dalla divisa marrone, agitando una spada dalla lama lunga una volta e mezzo quella delle loro sciabole. Nonostante il fuoco di fila delle forze lanachroniane, il comandante raggiunse i piedi della collina e cominciò a risalirla in direzione di Alucius. Quest'ultimo prese la mira e sparò: la prima pallottola colpì con forza l'avversario alla spalla sinistra. Il ribelle rimase in sella, brandendo la lunga spada. Alucius indugiò solo un istante prima di mandare a segno un altro colpo, questa volta nel torace del nemico, appena a sinistra dello sterno. Ancora con lo spadone stretto in pugno, l'uomo si trovava a meno di cinquanta iarde, quando l'ultima pallottola del maggiore andò a conficcarglisi in fronte. Con quanta più rapidità possibile, Alucius cambiò fucile e cercò di mirare sempre alla testa dei nemici. Sapeva di assistere a qualcosa che aveva dell'incredibile, ma sembrava davvero che nessun colpo fosse efficace, tranne quelli che andavano a segno nella testa. Ogni volta che ricaricava, aveva l'impressione di muoversi in modo maldestro, ma riuscì sempre ad avere il fucile pronto e a fare fuoco. Continuò a ricaricare e a sparare, guardando i ribelli cadere. A un certo punto
rimase con un solo colpo in canna, ma si rese conto che intorno a lui non c'erano più nemici. «Cessate il fuoco!» ordinò. «Cessate il fuoco!» Mentre gli spari dell'ultima raffica si affievolivano, Alucius si guardò intorno. Da ciò che vide, gli parve che solo pochi tra i suoi uomini fossero rimasti uccisi o feriti. Poi osservò la trentina di corpi che giacevano sparsi lungo il pendio. Nonostante ci fossero parecchi cavalli liberi e privi di cavaliere, nessuno dei ribelli aveva tentato di fuggire. Di lì a poco, Alucius scese adagio il fianco della collina, scuotendo il capo nel vedere le terribili ferite che ogni corpo esibiva. Eppure, riusciva a percepire appena una lieve sfumatura di Talento, di certo non sufficiente a spingere uomini morenti a proseguire l'attacco. Prima Feran era stato generoso nel suo giudizio, perché questa volta Alucius si era comportato da stupido. Era stato fortunato a perdere così pochi uomini. Avrebbe dovuto far scavare delle trincee o predisporre dei ripari, oppure far proteggere i soldati dietro agli alberi. Era convinto che gli attaccanti si sarebbero ritirati dopo aver visto che gli avversari erano più numerosi e aveva voluto essere pronto a inseguirli. Ma, d'altra parte, il terreno era così duro che sarebbe stato impossibile scavare delle trincee, anche se ciò non serviva a giustificare la stupidità della sua tattica. Una volta giunto quasi ai piedi della collina, girò il cavallo e si apprestò a risalire. «Capitano maggiore, capitani, a rapporto!» Si diresse verso Feran e la Quinta Compagnia, fermandosi accanto al capitano maggiore. Feran gli sorrise nervosamente. Alucius si strinse nelle spalle e aggiunse a voce talmente bassa che solo l'altro fu in grado di udirlo: «Questa volta abbiamo avuto fortuna. Non ho mai visto una cosa del genere». «Nemmeno io. Si sono serviti del Talento?» «Ne ho avvertito appena una traccia. Ma non avrebbe fatto molta differenza.» «È spaventoso», mormorò Feran. Alucius si dichiarò tacitamente d'accordo. Era stato necessario il fuoco concentrato di ben tre compagnie per quasi mezza clessidra per eliminare tutti i ribelli. Egyl si fermò in attesa. Entrambi gli ufficiali lo guardarono. «Due soldati uccisi, signore, e tre feriti.»
«Grazie, Egyl», rispose Alucius. «Signore.» Egyl fece girare il proprio cavallo. Benché il comandante di squadra non avesse espresso alcun rimprovero, Alucius si disse che avrebbe avuto tutto il diritto di farlo. «Prigionieri?» domandò di nuovo. «No, signore.» Alucius posò lo sguardo sui corpi dei ribelli uccisi e poi si rivolse a Feran. «Puoi occuparti dei morti? Falli frugare alla ricerca di qualche indizio che ci possa aiutare. Fai scavare due fosse, una per i cavalli e l'altra per gli uomini. Prendi dei soldati da ogni compagnia.» «Ci penso io.» «Grazie. Ci vediamo più tardi», disse Alucius, prima di girare il cavallo e dirigersi a est, verso la Ventottesima Compagnia. Deotyr e Jultyr lo stavano aspettando fianco a fianco. «Tre soldati uccisi, quattro feriti. Solo uno in modo grave, signore», riferì Deotyr. «Due feriti. Non gravi. Non ci trovavamo sulla linea di tiro, signore», dichiarò Jultyr. Della qual cosa Alucius fu grato. «Nessun superstite, prigionieri?» I due capitani si scambiarono un'occhiata, poi guardarono Alucius. «No, signore.» Alucius cercò di non mostrarsi contrariato. «Grazie. Il capitano maggiore Feran prenderà alcuni uomini da ogni compagnia per scavare delle fosse.» «Sì, signore.» «Occupatevi del necessario. Andate pure.» Alucius alzò la voce. «Tutte le compagnie, riposo, tranne i soldati addetti alle fosse.» Il primo scontro era fruito e Alucius avrebbe dovuto sentirsi sollevato. I suoi uomini avevano ucciso più di trenta ribelli e subito solo cinque perdite. Ma... si era fatto un'idea sbagliata della situazione, e se il numero degli attaccanti fosse stato il doppio rispetto a quello che era, il risultato sarebbe stato differente. Quella lieve sfumatura di Talento che aveva avvertito indicava un coinvolgimento diverso da quello degli ifrit, ma di che genere? Sporse le labbra con aria perplessa. Nessuno tra i nemici era sopravvissuto e nessuno aveva tentato la fuga. Era tutto quello che sapeva. Si guardò intorno in cerca di Waris per farsi raccontare ciò che il ricognitore poteva avere scoperto. Lo vide che governava il proprio cavallo
una cinquantina di iarde più in là. «Ufficiali a raccolta! A piedi.» Alucius si accostò con il cavallo a Waris. «Siamo pronti ad ascoltare il tuo rapporto, Waris.» Il ricognitore era ancora ricoperto di polvere dalla testa ai piedi e il suo cavallo aveva tutta l'aria di essere stremato, benché il suo padrone gli avesse spazzolato il mantello, che però era ancora lucido di sudore. Waris guardò Alucius. «Ho dovuto spronarlo a più non posso per scappare, signore. Mi ha salvato la pelle, mi ha salvato.» Dopo una pausa, aggiunse: «Sembra che neppure voi ve la siate passata troppo bene». «Già», replicò Alucius. «Ecco perché vorremmo sapere cos'hai scoperto. Ti aspettiamo laggiù, vicino a quel cedro.» «Sì, signore.» Alucius risalì la collina e legò di nuovo il cavallo alla fune. Poi la ridiscese in parte, fino a raggiungere la zona all'ombra del basso ma largo cedro che aveva indicato a Waris, e attese che gli altri si unissero a lui. Fece correre lo sguardo lungo il pendio, osservando i soldati che stavano radunando i cadaveri e li trascinavano a ovest, dove il terreno, in parte franato, costituiva il luogo ideale per seppellirli. Nel vedere arrivare i due capitani e Feran, alzò gli occhi. «Waris sarà qui tra poco.» «Elbard e Chorat non sono ancora rientrati», disse Feran. Alucius sperò che fossero solo in ritardo. Waris scese verso di loro e si fermò a pochi passi dal semicerchio formato dagli ufficiali. Dopo un momento, cominciò a raccontare. «Mi avevano mandato alle calcagna tre soldati, signore, e li ho fatti fuori tutti e tre. Ma non è servito. Non avevo fatto neanche un vingt che ne avevo dietro altri tre. Non ci capisco niente, signore: praticamente mezza squadra a inseguire un solo ricognitore?» Alucius indicò il fianco della collina alle loro spalle. «Hanno mandato una squadra e mezza contro tre compagnie. E nessuno è tornato indietro.» Waris scosse adagio la testa. «Se gli inseguitori erano così tanti», domandò Alucius, «come hai fatto a scappare?». Waris atteggiò la bocca a un largo sorriso. «Ho pensato che, una volta lontano dal loro accampamento, non avrebbero mandato nessun altro a inseguirmi. Così ho ammazzato tutti quelli che mi correvano dietro, uno
dopo l'altro. Mia nonna, che ha un braccio solo, è molto più brava di loro a sparare.» «Cosa sei riuscito a scoprire, prima che ti vedessero?» «Ho preso la stradina in terra battuta, come mi avevate ordinato, signore. A tre vingti da qui si divide in due. Da una parte va a sud, piegando un poco verso est, mentre dall'altra va a ovest. Ho trovato tracce su tutte e due, ma... be'... non saprei dire... ho pensato che avrei dovuto perlustrare prima il tratto che si dirige a ovest. Per quasi due vingti segue il contorno di una collina, attraverso gruppi di alberi sparsi, più o meno come qui. Ma è abbastanza diritta e va a finire in una radura. Per fortuna mi sono fermato al riparo degli alberi. Stavo cercando di capire cosa c'era dopo, quando, davanti a me, ho visto del fumo. Perciò ho girato attorno alla radura e ho risalito il fianco della collina. Non sono riuscito ad avvicinarmi troppo perché tutto il fianco è coperto da quei cespugli spinosi. Ma mi sono portato abbastanza in alto da avere una buona visuale. È quasi una postazione, signore. C'è un fabbricato lungo, tipo le nostre baracche, e ci sono anche le stalle. Il tutto si trova su un tratto in piano. Dietro, c'è una specie di caverna, scavata nella roccia della collina.» «Hai individuato punti da cui potremmo attaccare?» chiese Alucius. «Ce ne sono un paio», disse il ricognitore. «C'è un prato più in basso, a est della caverna, e ce n'è uno più in alto a sudovest. Si potrebbe anche salire sulla cima della collina, ma il fianco dall'altra parte è troppo ripido... bisognerebbe scendere a piedi. Sul lato ovest hanno anche piazzato delle pattuglie, con guardie ogni cento iarde all'incirca. È stato allora che mi hanno scoperto.» «Ci sono muri o palizzate?» «Non molti. Non ne hanno bisogno. C'è un cancello sulla strada che porta a Hyalt, almeno credo che si tratti di quella strada. È bella, ampia, dal fondo duro; il cancello è fiancheggiato da muretti per un buon centinaio di iarde. Al di là, c'è del terreno sconnesso, misto a tratti di cespugli spinosi. Se riesci a scampartela sulla strada, non hai comunque molte probabilità di cavartela dall'altra parte.» «Quanti uomini ci sono?» chiese Feran. «Non saprei dire di sicuro, signore. Forse due compagnie. Magari anche di più se ci sono altri alloggi nella caverna. Ma non dovrebbero essercene molti di più, anche perché tutti i cavalli sono nelle stalle, e là dentro ci stanno all'incirca trecento cavalli.» «Dobbiamo scoprire se hanno altre postazioni», disse Alucius a Feran.
«In qualche modo.» Si rivolse di nuovo a Waris. «Hai visto molti carri?» Trascorse quasi un'altra clessidra prima che Alucius si dichiarasse soddisfatto delle informazioni ottenute. Ma anche così, gli venne il dubbio di essersi lasciato sfuggire qualcosa. Una volta finito, Alucius e Feran salirono in cima alla collina, si sedettero su due massi tondeggianti e mangiarono gallette stantie e formaggio duro, cacciandoli giù con sorsi d'acqua delle borracce. «In un certo senso, sembra peggio di Deforya», rimuginò quasi tra sé Feran. «Là sapevamo contro cosa stavamo combattendo. Qui, invece...» Scosse il capo. «Più cose scopriamo e più la situazione si fa ingarbugliata. È questo che vuoi dire?» chiese Alucius. «Quell'attacco... i soldati che inseguivano Waris...» Feran sorrise debolmente. «Mi sembrava te quando raccontava dell'inseguimento. Forse è proprio questo che dobbiamo fare.» Alucius non se la sentiva di proseguire per quella strada. Non si poteva certo pensare di risolvere le cose uccidendo tutti i nemici che capitavano a tiro. «Dobbiamo a tutti i costi saperne di più. Spero che gli altri ricognitori riescano a scoprire qualcosa di più.» «È ancora presto, e ne sono già tornati due», disse Feran. «Ne mancano altri due. Elbard... e quel tuo ricognitore...» «Chorat. Mi aveva implorato di mandarlo in perlustrazione.» «Doveva coprire l'area a sud e a est di Hyalt.» «Credi che non tornerà?» «Vedremo.» Nel suo intimo, Alucius temeva che nessuno dei due tornasse. Non appena ebbero finito il loro pasto frugale, Feran scese a controllare che le operazioni di sepoltura procedessero come stabilito, mentre Alucius percorse il perimetro dell'accampamento, proiettando tutt'intorno i Talentosensi per accertarsi che nessuno si fosse appostato a spiarli. Ma poiché tutto era tranquillo, si portò una cinquantina di iarde più in basso, sul lato nord, per essere sicuro che nessuno si arrampicasse furtivamente su per il fianco più impervio, dove non erano state appostate sentinelle. Anche lì non avvertì alcuna presenza, tranne quella di qualche raro roditore e di pochi uccelli. A quel punto, si girò e cominciò a scendere. Nel sentire un soldato che si stava dirigendo di corsa verso di lui, sollevò lo sguardo. «Signore! Il capitano maggiore Feran ha chiesto di voi. Elbard è tornato ed è gravemente ferito, signore.»
«Dov'è?» Alucius si precipitò dietro al giovane soldato, risalendo di nuovo fino in cima e scendendo dall'altra parte. Elbard giaceva sopra un telo, a terra. Un soldato che Alucius non conosceva aveva fasciato la spalla e il torace del ricognitore. Accanto a lui stava Feran, il viso impassibile, intento ad ascoltare. Mentre ascoltava, Alucius proiettò il proprio Talento verso il ferito. «... un momento prima... stavo osservando la città... il momento dopo, stavo... quasi dormendo... tranne che ero sveglio, ma non ho sentito niente... non ho sentito lo sparo... il dolore del colpo... suppongo che mi abbia scosso dal torpore... solo un ragazzo... era là in piedi... con indosso una larga uniforme marrone... doveva essersi avvicinato a me... non più... cinquanta iarde... Sparato... non l'ho sentito... Faceva male come... sono riuscito a fare fuoco... non l'ho mancato...» Elbard fece una risata cupa. «Il ragazzo... sembrava sorpreso. Sono riuscito a salire a cavallo... Immagino... non avrei dovuto arrivare fino a Hyalt... dove la strada portava...» Adagio, Alucius estese il Talento, rafforzando il filo vitale del ricognitore e facendo del suo meglio per rinsaldare le ossa e i muscoli traumatizzati. Quando ebbe finito, aveva la vista appannata. Elbard sembrava dormire. «Credo che ce la farà», disse Alucius con la voce roca. Si rivolse al soldato che aveva fatto le fasciature. «Quando si sveglia, avvisa me o il capitano maggiore Feran.» «Sì, signore.» Alucius cominciò a scendere piano giù per il fianco della collina, allontanandosi dal gruppetto che si era radunato attorno a Elbard. Feran, che lo stava accompagnando, si voltò a guardare il ricognitore e riportò lo sguardo su Alucius. Parlò sottovoce. «Richiede un notevole dispendio di energie, non è vero?» Alucius fu lì lì per negare l'evidenza, poi scrollò le spalle con aria stanca. Feran lo sapeva già, l'aveva saputo per anni, anche se non ne avevano mai parlato. «Potrei solo curare una o due persone in un giorno, nient'altro. In battaglia, sarebbe inutile.» «Dicono che non si possa usare su di sé, vero?» «No. Credo di guarire più velocemente di altri, ma il Talento su di me non funziona.» «Perché...» «Perché è un bravo ricognitore e, inoltre, dobbiamo sapere cos'altro ha scoperto.» E anche perché, Alucius dovette ammettere, si sentiva colpevole di aver mandato Elbard allo sbaraglio. «Quello che gli è successo, sem-
bra quasi... una specie di Talento. Anche se non ho mai sentito niente del genere.» «Qualcosa che i pastori non fanno?» «Non che io sappia», ammise Alucius. «Questo spiegherebbe il mancato ritorno di tutti i ricognitori di Frynkel.» «Già.» «Credi che ci sia dell'altro?» chiese Feran. «Non lo so, ma...» «Non ci avrebbero mandati - soprattutto te - se non si fosse trattato di una situazione difficile», gli fece notare Feran. «C'è una cosa che non quadra. Weslyn era del tutto contrario alla mia missione.» Feran scoppiò in una risata. «Invece quadra perfettamente. Quando facevi il pastore, non eri più un soldato delle Guardie. Adesso sei un maggiore. Se risolvi questo problema, ti conquisterai i favori del Signore-Protettore. Persino io sono in grado di capire che il maresciallo Frynkel disprezza Weslyn, e...» «Sarà meglio che pensiamo piuttosto a risolvere il problema», lo bloccò rapido Alucius. «Domani manderemo un messaggero all'ultima stazione intermedia per informare il maresciallo di ciò che sta succedendo.» Avvertì una certa dose di riluttanza nella propria voce. «Dovremo anche chiedere altre munizioni.» «La cosa non ti piace», osservò Feran. «No, ma il maresciallo e il Signore-Protettore devono essere informati.» «Elbard è stato l'unico ad avere un'esperienza del genere. Sei sicuro?» «Abbiamo mandato fuori quattro ricognitori. Uno non è tornato. Due sono stati inseguiti, e uno è stato mezzo addormentato con il Talento e ferito. Frynkel deve averne mandati parecchi in perlustrazione. Nessuno è tornato. Cosa ti dice tutto questo?» Feran sorrise amaramente. «Che una specie di Talento li protegge. Non sei d'accordo anche tu con me?» «Cos'altro potrebbe essere, se no?» Di lì a un attimo, Alucius aggiunse: «A meno che non sia qualcosa di peggio». «Conosci qualcosa di peggio?» «Il ritorno del Vero Duarcato», Alucius disse con sarcasmo. Feran annuì. «Convochiamo i capitani e consultiamo le mappe.» Alucius si girò e si
diresse verso il punto in cui era legato il proprio cavallo per prendere le mappe dalla bisaccia. Mentre camminava, riesaminò mentalmente la questione. I ribelli sapevano dove si trovavano lui e le sue compagnie, almeno in linea di massima. Era probabile che non conoscessero il punto esatto, poiché non c'era stato alcun sopravvissuto agli scontri, ma uno dei loro ricognitori non aveva fatto ritorno ed era presumibilmente morto, un altro era stato ferito e un altro ancora aveva lasciato dietro di sé una lunga fila di cadaveri. Se fosse rimasto lì con le sue tre compagnie avrebbero dovuto organizzarsi e scavare delle trincee. Ma quel terreno non si prestava agli scavi. D'altra parte, lui possedeva scarsissime informazioni su quella terra e sulla sua gente, per non parlare di chi controllava cosa e come. Ogni mossa, ogni spostamento sarebbero avvenuti alla cieca. Ma, rifletté, da ciò che aveva potuto capire, i ribelli non erano molto bravi nell'uso delle armi. Erano solo dei fanatici. Solo? Rise tra sé sommessamente. Era molto più esperto nell'arte dell'attacco che non in quella della difesa, decisamente più esperto. Le sue compagnie avrebbero dovuto avanzare. 52 Alustre, Lustrea L'uomo dalla mantella d'argento e dai calzoni dello stesso colore salì la scala di pietra dell'antica arena coperta, verso quello che un tempo era stato il palco riservato ai Duarchi. Lo seguivano dieci guardie, con indosso pantaloni e casacche grigio-argento. Ciascuna portava una pistola a due colpi assicurata alla cintura e un gladio, una specie di spada corta a doppio taglio con lama larga. L'arena era fiocamente illuminata, poiché l'unica luce che vi penetrava era quella proveniente dalle sudice finestre ad arco. Un uomo dalla corporatura robusta e dall'abito blu scuro era in piedi accanto a un congegno simile per aspetto a un cannone, ma la cui bocca da fuoco era costituita da cristalli collocati in contenitori e collegati da un filo argentato e il cui affusto corazzato e squadrato, lungo tre iarde e largo poco meno di due, poggiava su quattro ruote con rinforzi in ferro, anziché sulle due abituali e sul vomere. L'uomo si inchinò. «Come avevate chiesto, è tutto pronto, Pretore.» «Funziona, Waleryn?» «Perfettamente, Pretore», rispose questi, atteggiando le labbra a un sorri-
so, sorriso che però contrastava con la freddezza degli occhi. «Vi prego di fornircene una dimostrazione, allora.» Il Pretore spostò lo sguardo sul centro dell'arena dov'erano state sistemate parecchie statue malconce. Un paio di esse erano state protette con armature. Oltre alle statue, si vedeva anche uno sbarramento di scudi, simile a quelli che formano i soldati in battaglia per ripararsi, tranne che questi scudi non erano impugnati da soldati bensì tenuti insieme da funi saldamente legate tra di loro. Waleryn si accostò al congegno e abbassò una leva. Si udì un ronzio impercettibile, sottile, acuto e talmente intenso che molte guardie si irrigidirono. Di lì a poco, una striscia verde-azzurra di fuoco - o piuttosto di luce fuoriuscì dalla bocca del cannone, una luce così vivida che costrinse il Pretore a chiudere gli occhi. Quando Tyren li riaprì, al centro dell'arena non era rimasto che un circolo di vetro fuso dal quale si innalzavano ondate di calore, simili a quelle che si vedono nei deserti del sud. Il Pretore trattenne un'esclamazione di stupore. «Impressionante. Fino a quale distanza può arrivare?» «Per ora, ha una portata di poco meno di un vingt: diciamo, circa milleottocento iarde.» «Con quale frequenza si può usare?» «Occorre circa un decimo di clessidra per ricaricarlo, ma se regolo l'apertura, è in grado di distruggere uno schieramento di soldati su un fronte di trecento iarde in lunghezza e di cinquanta in profondità.» «Cos'è che lo fa funzionare? Ma vi prego, questa volta, spiegatemelo in modo semplice.» «È l'essenza che sostiene il Talento, quella che pervade tutta Corus, oltre che gli oceani e l'aria stessa. Si tratta di un'energia simile al fuoco, anche se si può vedere solo attraverso le sue manifestazioni.» Waleryn si spazzò via un granello di polvere dalla manica con i guanti bianchi di pelle che teneva nella mano destra. «I cristalli all'interno della canna concentrano e trasformano quest'essenza in energia elementare, una specie di fuoco, che brucia qualunque cosa.» «Qualunque cosa?» Il Pretore scoppiò in una risata gelida e beffarda. «Non vi sembra di esagerare?» «Oh, può fare ben altro. Siccome l'apparecchio attira e concentra quest'essenza, può ridurre il potere di qualunque talentoso che decida di contrastare voi e il vostro esercito.» «Quante armi di questo tipo siete in grado di produrre?»
«I materiali sono molto costosi, come ben sapete.» «Avevate detto che sarebbe stato più facile, una volta create le prime.» «Più facile, sì... ma di certo non meno costoso.» «Uhm... costruitene altre cinque. Così, ogni esercito che attraverserà la Dorsale di Corus potrà contare su due.» Il Pretore sorrise. «Sono certo che sarete in grado di farlo, nobile Waleryn.» «Vostra Eccellenza è troppo gentile.» Waleryn fece un inchino esagerato, in risposta al tono canzonatorio che si avvertiva nelle parole del Pretore. «Se questi apparecchi si dimostrano efficaci nelle prossime campagne, aspettatevi grandi ricompense, magari persino la carica di Prefetto di Lanachrona.» Tyren annuì e si voltò. Due guardie rimasero accanto a Waleryn finché il Pretore non ebbe imboccato l'antica galleria che riportava alla strada rotabile sotterranea. Poi anch'esse si allontanarono, lasciandolo solo con la sua arma. Gli occhi del nobile lanachroniano si illuminarono di un momentaneo bagliore violaceo nell'osservare le guardie che se ne andavano, ma nemmeno una sillaba uscì dalla sua bocca. Dopodiché suonò il campanello accanto al congegno per convocare gli apprendisti-ingegneri. 53 All'alba di septi le tre compagnie avevano iniziato il loro viaggio verso ovest, lungo la strada percorsa da Rakalt il giorno precedente. Stando alle mappe e alle scoperte dei ricognitori, Alucius era quasi certo che l'accampamento dei ribelli fosse dislocato a est di quella strada, forse ad appena un vingt di distanza e di certo a non più di due. Sempre che le mappe fossero accurate, si disse, mentre cavalcava alla testa della colonna accanto a Feran. Sebbene Elbard viaggiasse in uno dei carri che trasportavano le provviste, stava meglio e aveva fornito ad Alucius e a Feran ulteriori informazioni, principalmente su Hyalt: un piccolo centro abitato più che una città, per metà deserto, con uomini armati dalla divisa marrone apparentemente di pattuglia in ogni strada, o almeno in quelle che il ricognitore aveva visto dal suo punto d'osservazione sulla collina, prima di essere scoperto e colpito da qualche sortilegio talentoso. Ad Alucius non sorrideva l'idea che i ribelli disponessero di così tanti uomini e si chiese da dove fossero venuti. A quella domanda, così come a molte altre, non c'era risposta.
La sera prima, egli si era dato da fare con Feran e con la quinta squadra della sua compagnia a riempire con polvere da sparo un certo numero di sacchetti confezionati con pezzi di tessuto recuperato dagli abiti dei ribelli uccisi. La polvere da sparo, grazie alle sue particolari proprietà, sarebbe servita a mettere in atto il piano che aveva in mente. Alucius aveva anche deciso di non mandare subito un messaggero a nord. Infatti, dopo aver riflettuto su ciò che avrebbe potuto riferire e chiedere, era giunto alla conclusione che nessuno l'avrebbe creduto e, anche in caso contrario, nessuno si sarebbe comunque reso conto del pericolo rappresentato dagli ifrit. «È senz'altro meglio agire, piuttosto che starsene seduti ad aspettare», disse Feran. «Anch'io lo preferisco, anche se mi piacerebbe saperne qualcosa di più sulla situazione», replicò secco Alucius. «A che serve se, persino quando sai, in realtà è come se non sapessi?» Probabilmente Feran aveva ragione anche su quell'aspetto, si disse Alucius. Molto spesso la conoscenza dei fatti era illusoria, soprattutto se non proveniva da fonte diretta. «Ho riflettuto sui ricognitori», continuò Alucius. «Che ne dici se ci limitiamo a mandare dei soldati di pattuglia sulle strade, magari un'intera squadra per ogni strada?» «Non pensi che possano essere individuati dai ribelli?» «Non subito. Dovrebbero mandare a loro volta degli uomini in perlustrazione su tutto il territorio. Vorrei saperne di più su questo posto.» «Se quello che hai programmato per oggi va a buon fine, potrebbero decidersi a farlo domani.» «E dove andrebbero?» chiese Alucius. «Anche se dispongono di altri due accampamenti e di sei compagnie, non hanno idea di dove ci troviamo esattamente. Se le loro forze sono composte tutte da soldati come quelli che ci hanno attaccato l'altro giorno, la strategia migliore da attuare è quella di colpire un po' qui e un po' là, dove capita. Potremmo condurre un assalto e poi ripiegare sulla stazione intermedia per rifornirci.» Avrebbe dovuto adottare fin dall'inizio quella tattica, ma non si era mai trovato ad affrontare una situazione simile. E dubitava che qualcuno prima di allora l'avesse mai fatto. Diresse lo sguardo sulle colline a nordovest. Il terreno disseminato di ceppi d'albero e di buche aveva un aspetto stanco, con quell'erba rada interrotta di tanto in tanto da macchie di bassi cespugli. Sembrava stanco anche ai suoi Talento-sensi. Ma la terra poteva sentirsi stanca? Stando a
ciò che gli aveva raccontato l'ariante anni addietro, interi mondi subivano questo processo di impoverimento, processo che poteva essere accelerato dall'intervento degli ifrit. Ma quanto durava l'esistenza di un mondo? Oppure i mondi continuavano a vivere come tanti grumi inerti, anche dopo che lo spirito vitale era esaurito? «Hai un'aria tetra», gli fece notare Feran con voce allegra. «Per il momento, non ci siamo imbattuti in nessun altro. Non è forse meglio che dover affrontare subito un secondo scontro?» «Stavo solo pensando.» «Pensare può essere pericoloso», disse Feran in tono leggero. Alucius ridacchiò, poi osservò: «Non ci sono stati superstiti. Nessuno ha tentato di fuggire. Non avevo mai visto una cosa del genere». «Neppure io. Ma le cose qui potrebbero andare in questo modo.» «Già.» «Non sembri convinto.» «E tu?» Feran scosse il capo. Dinanzi a loro, la strada descriveva un'ampia e impercettibile curva verso sud. A ovest, al di là delle basse colline, si scorgeva un'altra serie di alture più elevate e dai pendii ancora più aridi e rossastri e, in lontananza, a malapena visibili nella cupa foschia, i picchi delle Montagne della Costa, che segnavano il vecchio confine tra Lanachrona e Madrien. A est, ai piedi delle colline disseminate di ginepri e cedri, si estendevano dei prati dall'erba ugualmente rada. Mentre i soldati proseguivano verso sud e i primi raggi del sole si insinuavano al di sopra dei rilievi a oriente, Alucius continuava a scrutare la strada e la porzione di terreno che si trovava a est. Dopo altri due vingti, la strada piegava a sud per poi dirigersi bruscamente a ovest. Nell'avvicinarsi alla curva, Alucius si voltò a guardare Feran. «Ci fermiamo qui, in prossimità della curva.» «Colonna, alt! Passare l'ordine!» La Quinta Compagnia si fermò, imitata dalla Trentacinquesima e dalla Ventottesima. «Guiderai tu la squadra che andrà in missione, non è vero?» chiese Feran. Alucius aveva riflettuto sulla questione, chiedendosi se fosse o meno il caso di farlo. Alla fine aveva deciso per il sì, per un motivo molto semplice: qualora si fosse reso necessario, avrebbe sempre potuto ricorrere al
proprio Talento per far prendere fuoco alla polvere da sparo. «So che il piano funzionerà e che dovremmo riuscire tutti a tornare indietro.» Alucius sorrise. «Se tu pensassi che ho torto, me l'avresti detto.» «La cosa non mi piace, ma può darsi che tu abbia ragione.» Feran sbuffò. «Questa spedizione mi ha preoccupato fin dall'inizio e lo sono tuttora.» «Lo sono anch'io, ma è un' altra faccenda. Cercheremo di fare il più presto possibile.» Alucius girò il cavallo. «Quinta squadra, avanti!» I diciannove uomini guidati da Zerdial avanzarono lungo il bordo della stradina. Il comandante di squadra, dall'aspetto un tempo giovanile e dalla corporatura snella, era diventato ancora più vigoroso di quando Alucius gli aveva conferito la nomina anni prima e la sua magrezza si era trasformata in resistente spigolosità. «È pronta la tua squadra, Zerdial? Avete tutti i sacchi con la polvere da sparo?» «Sì, signore.» «Allora, lasciamo la strada e avviamoci lungo il sentiero fino a quell'altura a sudest. Manda un ricognitore duecento iarde più avanti.» «Sì, signore. Orlant, vai in ricognizione.» Non appena Orlant l'ebbe superato, Alucius imboccò lo stretto sentiero dietro di lui. Zerdial e il resto della quinta squadra lo seguirono. Per parecchie centinaia di iarde il sentiero proseguì quasi diritto. Poi si diresse a sud passando in mezzo a due cedri e tornò di nuovo a puntare verso est, risalendo gradualmente il fianco di una collina. Nonostante la copertura fornita da Orlant, Alucius non smise un attimo di scrutare la strada e la scarsa vegetazione circostante. Nel corso della prima mezza clessidra non riuscì ad avvertire nulla, tranne la presenza di glandarie e roditori. Mentre stavano per raggiungere la cima della prima collina, Alucius scorse attraverso gli alberi un sottile filo di fumo che si levava a est, contro il cielo mattutino, al di là di una serie di alture più consistenti. La squadra si fermò sulla cresta e, mentre Orlant e un altro ricognitore stavano di guardia un po' discosti, Alucius consultò le sue mappe, studiando i due stretti sentieri che aveva davanti. Poi annuì. «Quello di sinistra dovrebbe portarci sul lato nord dell'accampamento e, se quanto ha riferito Waris corrisponde al vero, dovremmo sbucare su un piccolo dosso.» Il sentiero proseguì in discesa, quindi risalì dirigendosi più a nord, prima di deviare nuovamente verso sudest. Per coprire una distanza che in linea retta corrispondeva a circa un vingt, Alucius e la quinta squadra dovettero percorrerne quasi tre, così che era già oltre metà mattina quando si ferma-
rono di nuovo. A sud, oltre la fitta cortina di ginepri dietro la quale Alucius aveva ordinato di fermarsi, e appena al di là della cresta sopra le loro teste, egli avvertì la presenza di persone e di qualcosa di assai simile a un ifrit, senza che però lo fosse: come una vaga sensazione di oscurità violacea. Ma cosa poteva assomigliare a un ifrit e al tempo stesso non esserlo? Alucius decise che quella domanda poteva aspettare. Mentre proiettava tutt'intorno il proprio Talento, consultò di nuovo le mappe - non che ne avesse bisogno - ma non voleva che gli altri intuissero certe sue capacità. Alzò lo sguardo su Zerdial. «L'accampamento si trova quasi a sud, al di là di quella cresta. Noi risaliremo il fianco al riparo degli alberi e ci fermeremo appena prima della cima. Quindi, io proseguirò da solo per farmi un'idea della situazione e tornerò a darvi le istruzioni su come muoverci.» «Sì, signore.» Zerdial si girò sulla sella. «Seguite il maggiore, in silenzio.» Alucius fece avanzare il cavallo, portandosi fuori dalla copertura dei cespugli, e si accinse a salire il pendio dal fondo irregolare, per poi fermarsi a circa venti iarde dalla sommità. Smontò e tese le redini a Orlant. Armato di un solo fucile, continuò ad arrampicarsi procedendo in senso obliquo finché non ebbe raggiunto la cresta, in prossimità di un vecchio cedro. Camminando basso, si mise al riparo del tronco dell'albero e studiò la scena più in basso. Parecchie glandarie emisero un rauco stridio e si alzarono in volo verso ovest. L'accampamento era praticamente come Waris l'aveva descritto, o meglio, la descrizione del ricognitore era stata accurata. Alucius esaminò con particolare attenzione la disposizione degli alberi e dei cespugli circostanti. Quasi tutti i punti strategici avrebbero potuto essere raggiunti stando al coperto e il vento, che soffiava da ovest, avrebbe dovuto spingere le fiamme giù per la collina, fino alle aree delimitate dai secchi cespugli spinosi. Alucius posò il fucile ed estrasse la mappa, segnandovi la collocazione assegnata a ogni coppia di soldati. Poi si concesse un altro po' di tempo per proiettare intorno i Talentosensi. Sulle alture tutt'intorno all'accampamento non avvertì alcuna presenza: non una sola pattuglia o sentinella. Il che significava una palese carenza di solido addestramento militare, oppure qualcos'altro. L'oscurità violacea, percepibile solo attraverso il Talento, sembrava concentrata in prossi-
mità della caverna che si trovava più a sud, alla sua destra, anche se su tutto quanto l'accampamento si avvertiva un sottile velo di influenza talentosa, segno inequivocabile di un sicuro coinvolgimento da parte degli ifrit. Ma Alucius non avrebbe potuto spiegare a nessuno quell'impalpabile presenza maligna, visibile solo a chi possedeva il Talento o agli alleati e servitori di quelle malvagie creature. Alla fine, si decise a tornare dalla squadra che lo aspettava. «Venite tutti qui.» Mentre gli uomini gli si radunavano attorno, Alucius cominciò a spiegare. «Ci troviamo a nord dell'accampamento, che è proprio sotto di noi, a ridosso di una curva della collina. Ciascuno di voi dovrà piazzare i sacchetti con la polvere da sparo in posizione tale da far prendere fuoco a tutto il tratto coperto dai cespugli. In tal modo, ridurremo le difese dei ribelli e saremo avvantaggiati quando li attaccheremo più avanti. Inoltre, questo li farà riflettere. Dopo che avrete appiccato il fuoco, tornate verso la macchia di ginepri qui in basso. Ci troveremo lì. Chiunque non faccia ritorno nel giro di una clessidra dovrà cavarsela da solo. È tutto chiaro? Ora spiegherò a ogni squadra qual è il suo obiettivo.» Servendosi della mappa, Alucius indicò i vari punti in cui ciascuna coppia di soldati avrebbe dovuto sistemare la polvere da sparo. Quando ebbe finito, si rivolse a Zerdial. «Andiamo.» Risalì in groppa al suo cavallo e si diresse a est, tenendosi al riparo della cresta, con i Talento-sensi all'erta. Avvertì la presenza di numerosi roditori, tra cui topi mattugi, di glandarie e di parecchi animali più grossi, compreso un gatto di montagna - o almeno così gli parve - e molti cervi, ma nessuna pattuglia o sentinella. La loro assenza continuava a preoccuparlo. Alucius si era riservato il compito più difficile, quello cioè si spingersi più lontano, a est, appena al di sopra di un largo tratto coperto dai cespugli spinosi, dove sarebbe stato esposto all'eventuale attacco dei nemici. Quello però era anche il punto più vicino all'accampamento e il solo nel quale avrebbe potuto incontrare pattuglie di guardia. Dopo aver percorso oltre un vingt in direzione sudest, Alucius fece fermare il cavallo appena prima della cima della collina che, a dire il vero, assomigliava più a un pianoro che terminava in una scarpata, il cui fianco era coperto da una vegetazione composta esclusivamente da cespugli spinosi. Da ciò che riuscì a sentire e a percepire con i Talento-sensi, c'era un'unica guardia, piazzata alla fine di una staccionata che partiva dal cancello d'ingresso situato in prossimità della strada orientale. Smontò e legò il cavallo a un albero solitario: un ginepro dal tronco con-
torto. Prese i suoi tre sacchetti contenenti la polvere da sparo e se li mise in spalla. Poi, fucile alla mano e procedendo carponi, si inerpicò su per il lieve pendio fino ad arrivare in cima. Percorse strisciando le ultime iarde e si nascose dietro un basso cespuglio. Dal suo punto d'osservazione, esaminò la scarpata che si trovava sotto di lui e la macchia di cespugli fino alla quale avrebbe dovuto spingersi. La distanza era maggiore di quanto aveva calcolato: oltre una cinquantina di iarde più a sud della base del piccolo dosso. Senza contare che avrebbe dovuto percorrere allo scoperto tutto il tratto in discesa del ripido terreno sabbioso e irregolare, disseminato di sporgenze rocciose. La sentinella non sembrava particolarmente attenta, anche se, di tanto in tanto, lanciava un'occhiata in direzione del nascondiglio di Alucius. Questi fece correre lo sguardo verso ovest, più in alto. D'un tratto, vide una sottile colonna di fumo, seguita da un'altra. Di lì a poco, ne comparve una terza. «Fuoco!» Il grido risuonò debole, ma giunse ugualmente all'orecchio di Alucius. Sollevò il fucile e aspettò. Alla fine, la sentinella si girò a guardare anch'essa verso ovest, uscendo dalla guardiola di quel tanto che consentì ad Alucius di godere di una buona visuale di tiro. A quella distanza, dovette sparare due volte prima di riuscire a colpirla, anche se, in mezzo al trambusto che si era generato nell'accampamento, nessuno se ne accorse e la sentinella crollò a terra scomparendo alla vista. Alucius si affrettò a posare il fucile e, dopo aver superato d'un balzo l'ultimo tratto del pianoro, cominciò a scendere aiutandosi con le mani lungo il sabbioso pendio disseminato di sassi, per poi correre al riparo della cortina naturale formata dai cespugli spinosi. Dopo avere estratto l'acciarino, diede fuoco alla miccia del primo sacchetto di polvere da sparo e lo scagliò verso sud. Il secondo venne lanciato verso sudovest e il terzo volò a ovest-sudovest. Alucius indugiò un attimo, per assicurarsi che tutti e tre i sacchetti prendessero fuoco e per capire se ci fosse qualcuno nei dintorni. Poi si inerpicò di nuovo su per il fianco della collina, recuperò il fucile e attraversò il tratto quasi pianeggiante che lo separava dal punto in cui aveva lasciato il cavallo. Una rapida occhiata verso ovest gli confermò che altri incendi stavano scoppiando attorno all'accampamento dei ribelli. Mentre slegava il cavallo e gli saltava in groppa, udì provenire da sud il
suono di una campana. Dopodiché cavalcò veloce verso ovest. Da sudest soffiava un vento leggero. Alucius non sapeva con certezza quali effetti il vento avrebbe avuto ammesso che ne avesse - ma vide che gli incendi si stavano estendendo ad altri punti e cominciò a sentire nell'aria l'odore di fumo. Mentre si avvicinava al luogo fissato per l'appuntamento, Alucius cominciò a sentire altri uomini che stavano arrivando da sud. Dovevano essere saliti direttamente dall'accampamento in basso, arrampicandosi su per la ripida parete che si innalzava in verticale per un centinaio di iarde. «Zerdial! C'è qualcuno lì?» «Sì, signore!» Alucius fu quasi sul punto di dare l'ordine di partire. Ma poi, rendendosi conto che circa mezza squadra di ribelli aveva già raggiunto la cima della collina e stava per scendere dalla loro parte, gridò: «In linea di tiro obliqua a sud! Subito!». Nonostante il comando inaspettato, la quinta squadra si schierò in formazione. «Fucili pronti!» Alucius tenne lo sguardo puntato sulla sommità dell'altura, dalla quale poco dopo sbucarono nove uomini in divisa marrone, che si diressero a passo di carica verso di loro, brandendo i fucili e puntandoli mentre si avvicinavano. «Fuoco a volontà!» Venti fucili spararono all'unisono. Quattro uomini caddero. Altri due, il volto coperto di sangue, proseguirono vacillanti. I restanti tre si avventarono contro i soldati di Alucius come se fossero invulnerabili, sparando all'impazzata. La quinta squadra continuò a fare fuoco. Alucius portò lo sguardo sulla cima della collina e vide che erano comparsi altri due uomini armati, che si precipitarono giù per il pendio, caricando nella sua direzione. Alzò il fucile, prese la mira e sparò. La pallottola centrò il primo sulla fronte, facendolo cadere in avanti. Il secondo venne colpito alla spalla, ma cercò ugualmente di puntare l'arma su Alucius finché una terza pallottola non lo abbatté. Alucius aveva pensato di catturare dei prigionieri, ma, visto il modo in cui si era svolto lo scontro, sarebbe stato un suicidio per chiunque ci avesse provato. Fece girare il cavallo verso la quinta squadra. Un soldato giaceva riverso a terra.
Zerdial scosse il capo. «Caricatelo sul suo cavallo», ordinò Alucius. «Dobbiamo andarcene di qui prima che ne arrivino altri.» Sentiva che altri ribelli si stavano arrampicando su per il ripido fianco della collina, ma calcolò che non sarebbero arrivati in cima prima di un quarto di clessidra. Il cielo si stava già velando a causa del fumo sprigionato dagli incendi più in basso e si sentiva l'odore acre dei cespugli bruciati. Nel giro di pochi attimi, il corpo del soldato ucciso - Hylik - venne assicurato alla sella e la quinta squadra fu in grado di rimettersi in marcia lungo il sentiero che l'avrebbe portata a ricongiungersi con il resto della compagnia. Mentre cavalcavano verso ovest, Alucius aggrottò la fronte, immerso nei propri pensieri. Che stava succedendo a Hyalt? Una cosa era quando un uomo solo e armato cercava di tendere un'imboscata o di contrattaccare se veniva costretto con le spalle al muro, ma da lì a gettarsi in una carica suicida, allo scoperto e contro dei soldati a cavallo, c'era una bella differenza. E che dire poi del gruppo che si era arrampicato per un centinaio di iarde su per la scarpata per poi assalire una forza di gran lunga superiore senza neppure cercare una copertura? Alucius vide che, alle sue spalle, i fuochi continuavano ad ardere, liberando alte colonne di fumo nel cielo e, da ciò che riuscì a capire, sembrava che alcuni degli incendi si fossero estesi anche alle macchie di cedri e ginepri. Oltre metà del pomeriggio era trascorso prima che Alucius e i suoi uomini si trovassero a percorrere l'ultimo centinaio di iarde che li separava dalla strada dove stava di guardia Waris. «Non si è visto nessuno da questa parte?» chiese Alucius. «No, signore. Nessuno sul sentiero, tranne voi, e nemmeno sulla strada. Preoccupante, oserei dire.» Più cose Alucius vedeva di Hyalt e più era preoccupato. Mentre si avvicinava a Feran, questi fece un gesto verso est. «Vedo che siete riusciti nell'intento.» «Abbiamo appiccato il fuoco, ma non ci siamo fermati a controllare che l'incendio avanzasse come programmato. Abbiamo fatto fuori quasi un'intera squadra di ribelli, che ci ha attaccati allo stesso modo della volta precedente, buttandosi contro di noi alla cieca e sparando all'impazzata. Abbiamo perso Hylik. Un colpo sfortunato, partito dal fucile di un ribelle che scendeva a tutta velocità verso di noi.»
«Non c'erano altri bravi tiratori?» «Tranne quello, no.» Alucius portò di nuovo lo sguardo a est, dove, dalle cime delle colline in fiamme, si levavano colonne di fumo grigio e nero verso il cielo. Quando gli incendi si fossero placati, la protezione fornita dai cespugli spinosi all'accampamento nemico nei confronti di eventuali incursioni da ovest e da nordest sarebbe venuta meno. E forse sarebbe sparita anche una parte della palizzata di tronchi che fungeva da muro, sebbene Alucius dubitasse che l'intensità delle fiamme fosse stata tale da attaccare i pesanti tronchi. 54 La notte di septi, le tre compagnie si erano accampate a circa cinque vingti a sudovest della postazione dei ribelli, mantenendosi però lontane quasi quindici vingti dalle strade, ammesso che le mappe fossero accurate. Nonostante la considerevole distanza, per lungo tempo dopo il tramonto il cielo era stato rischiarato dal bagliore degli incendi. La mattina di octdi si annunciò caliginosa, con l'aria ancora impregnata dell'odore del fumo, trasportato da una leggera brezza che soffiava da nord. Poco dopo l'alba, i soldati erano già sulla strada che piegava a sudest per girare intorno a Hyalt, a sud e quindi a ovest, sempre che le descrizioni della mappa fossero corrette. Fino a quel momento lo erano state e i rapporti dei ricognitori che pattugliavano la strada più avanti avevano confermato l'esattezza del percorso tracciato sulla carta, almeno per alcuni vingti ancora. Il fondo terroso e polveroso mostrava segni del passaggio di alcune pattuglie, composte solo di pochi cavalieri e non di squadre o di gruppi più numerosi. Mentre cavalcava alla testa della colonna accanto al capitano Jultyr, Alucius si chiese per quanto tempo le cose sarebbero andate avanti a quel modo. «Credete che i ribelli ci inseguano?» chiese Jultyr, quasi con noncuranza, come per dare inizio a una conversazione. «Dopo quello che avete visto finora... che ne pensate?» replicò Alucius in tono cortese. «Sembrano tanti calabroni. Sapete cosa voglio dire. Se colpite il nido, si alzano in volo tutti insieme. Non ho mai visto nessuno caricare come la squadra dell'altro giorno. Nemmeno i mattiti. E voi, signore?» «No.» Alucius scosse la testa. «Neppure i nomadi delle praterie si getta-
vano così alla cieca contro il nemico senza garantirsi un'eventuale copertura o creare un'azione diversiva.» «Si dice che dietro a tutto questo ci sia il Talento.» «C'è sicuramente. Sono un pastore e credo che qualunque pastore avvertirebbe ciò che ho avvertito io. In nessun altro posto dove sono stato ho mai assistito a qualcosa del genere.» Alucius si produsse in una risatina che suonò in parte forzata. «Ma questo non ha impedito che venissero uccisi.» Avrebbe voluto aggiungere altro, ma vide un ricognitore dirigersi quasi al galoppo verso di loro. Continuò ad avanzare, in attesa che il ricognitore - Hikal, impiegato solo nel pattugliamento delle strade - lo raggiungesse e lo affiancasse con il suo cavallo. «Signore...» «Ci sono soldati ribelli che si stanno dirigendo verso di noi?» chiese Alucius. «Sì, signore. Pare che ci sia un'intera compagnia più avanti - con le stesse uniformi marroni - che sta avanzando di gran carriera nella nostra direzione.» «Di gran carriera?» Il viso imberbe di Hikal si imporporò. «Al trotto veloce, ma hanno già i fucili in pugno, pronti a sparare.» «Quanto distano?» «Due vingti, signore. Sicuramente non più di tre.» «E che altro?» «Sono silenziosi, signore. Davvero silenziosi. Non parlano, non cantano. Si limitano a cavalcare. Sembrano strani.» «Ti hanno visto?» «Non credo, ma mi sono affrettato a tornare indietro.» «Hanno dei carri al seguito o soldati di fanteria?» «No, signore. Solo una compagnia di cavalieri. È tutto.» Per un attimo, Alucius studiò assorto il terreno tutt'intorno. A sinistra della strada c'era un avvallamento del terreno, che si sarebbe sicuramente trasformato in palude in presenza di abbondanti precipitazioni, e che forse lo era stato in passato. A destra si stendevano le stesse basse colline dai fianchi poco ripidi che avevano già osservato in precedenza, ricoperte però da un'erba più fitta. Una fila di ulivi spinosi che un tempo poteva aver svolto la funzione di siepe frangivento impediva una chiara visuale della strada a sud, ma non si vedeva più traccia della fattoria che probabilmente
era sorta nelle vicinanze. Alucius si girò verso Roncar, uno dei messaggeri, che cavalcava appena dietro. «Fai venire qui gli altri ufficiali.» «Sì, signore.» Mentre aspettava che Roncar avvisasse Feran e Deotyr, Alucius scrutò di nuovo il paesaggio tutt'intorno, cercando di combinare ciò che vedeva con quello che aveva in mente. Quando anche gli altri due arrivarono, Alucius ordinò alla colonna di fermarsi. Poi cominciò a spiegare ai tre ufficiali che aveva di fronte: «C'è una compagnia di ribelli che si sta dirigendo verso di noi. Indossano la divisa da battaglia e, a quanto mi hanno riferito i ricognitori, sono pronti a combattere. Noi li accontenteremo». Prima di continuare, Alucius si concesse una pausa, lasciando che le sue parole venissero assimilate. «Ci disporremo in formazione ad arco. La Quinta Compagnia si metterà davanti, al riparo di quegli alberi sulla destra. Poi ci sarà la Trentacinquesima, che coprirà il tratto che parte dal fianco della Quinta fino a raggiungere la distanza di venti iarde dalla strada. La Ventottesima si schiererà lungo le cinquanta iarde circa che attraversano la strada. I soldati si disporranno scaglionati, così che ognuno di loro abbia un'ampia visuale di tiro. Ciascuno mirerà alla sua controparte nemica: non voglio un centinaio di fucili puntati solo sulla prima fila. Quando i ribelli compariranno oltre la curva, tutte le compagnie apriranno il fuoco al mio comando. Cercheremo di far fuori quanti più uomini possibile prima che arrivino all'altezza degli alberi. Quando ordinerò il "cessate il fuoco" la Quinta Compagnia partirà alla carica. Se si rendesse necessaria una seconda carica, chiamerò la Trentacinquesima Compagnia. La Ventottesima resterà a difesa della strada e non permetterà il passaggio a nessuno dei nemici. Io affiancherò la Quinta Compagnia.» Alucius fece correre lo sguardo da Feran a Jultyr e infine a Deotyr. «È tutto chiaro?» «Sì, signore.» «In formazione.» Alucius e la Quinta Compagnia proseguirono per un altro centinaio di iarde lungo la strada, per poi fare una conversione a sud, su un tratto di terreno irregolare, che un tempo doveva essere stato usato come pascolo, ma che ora sembrava semplicemente abbandonato. «Colonna, alt! Schieramento obliquo a sinistra! Scaglionati!» ordinò Fe-
ran. «Fucili pronti!» La Quinta Compagnia si dispose secondo gli ordini e Alucius guardò dietro di sé per controllare che anche le altre due compagnie si fossero schierate correttamente. Quindi spostò lo sguardo a sudest, verso il punto in cui la strada curvava ulteriormente a est, appena oltre la siepe frangivento di ulivi spinosi. I ribelli non si scorgevano ancora, ma lui ne sentiva la presenza, in lontananza, con il Talento. Trascorse un quarto di clessidra. La percezione dei cavalieri che si stavano avvicinando si fece più forte e si mescolò a un senso di vaga sfumatura violacea. D'un tratto, all'inizio della curva, comparvero due uomini a cavallo, seguiti a breve distanza dall'avanguardia di una colonna di soldati in divisa marrone. Mentre avanzavano compatti, nessuno di essi lanciò un'occhiata verso il fianco della strada. Poi uno dei due cavalieri si fermò appena prima della siepe frangivento, mentre l'altro tornava indietro verso la testa della colonna. «Pensi che dovremo attaccare adesso?» chiese Feran sottovoce. «Si raggrupperanno e ci caricheranno», pronosticò Alucius. Invece, per almeno un decimo di clessidra, non accadde nulla. Il cavaliere che si era fermato rimase al suo posto in mezzo alla strada, guardando fisso verso la Ventottesima Compagnia, apparentemente ignaro della presenza delle altre due compagnie. I soldati della colonna continuarono ad avanzare in groppa ai loro cavalli, né troppo veloci né troppo lenti, finché non furono a poche iarde dall'estremità est della fila di ulivi spinosi. Poi venne impartito un singolo ordine simile a un latrato che Alucius non riuscì a decifrare e l'intera colonna, ancora in doppia fila, si lanciò al galoppo in direzione della Ventottesima Compagnia, sempre incurante delle altre due. «Prepararsi a fare fuoco!» Alucius aspettò che il nemico si trovasse alla giusta distanza. I ribelli erano giunti a cinquanta iarde dai primi soldati della Quinta Compagnia, quando Alucius impartì l'ordine: «Fuoco a volontà!». «Fuoco a volontà!» Il comando echeggiò lungo le varie file delle compagnie, seguito immediatamente dal rumore degli spari, dapprima da quello dei pesanti fucili della Quinta Compagnia, poi da quello più acuto dei fucili lanachroniani. Al termine della prima raffica, quasi una ventina di ribelli era caduta riversa sulle selle o crollata sulla strada polverosa, ma la colonna nemica
continuò ad avanzare, caricando oltre la Quinta Compagnia. Alucius fu quasi sul punto di sospendere l'attacco, mentre i veterani della Quinta Compagnia abbattevano un ribelle dopo l'altro. I colpi delle altre due compagnie contribuirono a decimarne le schiere. I superstiti - poco meno di una squadra - ora con le spade sguainate in pugno, si trovavano a un centinaio di iarde scarse dagli uomini della Ventottesima Compagnia. «Cessate il fuoco! Cessate il fuoco! Quinta Compagnia, carica!» Alucius ripose il fucile nella custodia ed estrasse la sciabola. Il suono degli spari svanì per essere sostituito dal martellare degli zoccoli dei cavalli sul terreno, mentre Alucius conduceva la carica sui ribelli rimasti. Si aspettava che gli nomini delle ultime file si voltassero a fronteggiare l'attacco, ma nessuno lo fece. Così, Alucius fu costretto suo malgrado a colpire alle spalle un paio di nemici, sentendosi rivoltare lo stomaco. Nel giro di qualche istante, non era rimasto un solo ribelle a cavallo. Uno di essi, col braccio maciullato, lottò per rialzarsi in piedi e, brandendo la spada, si avventò contro un soldato della Guardia che in quel momento si era girato. Bang! Un singolo sparo lo abbatté. Alucius vide Egyl, che teneva ancora imbracciato il fucile. Parecchi altri spari echeggiarono, uccidendo ribelli morenti che tentavano ancora di colpire gli avversari con la spada o con il fucile. Poi tutto tacque. «Quinta Compagnia! Riformarsi su di me!» ordinò Feran. Una trentina di cavalli rimasti senza cavalieri girava in tondo in mezzo ai cadaveri e ai soldati della Quinta Compagnia, mentre questi si spostavano sul fianco sudovest della strada. «Capitano Jultyr! Mandate qualcuno a catturare i cavalli!» ordinò Alucius. «Sì, signore. Terza squadra! Prendete quei cavalli e radunateli dietro alla quinta squadra.» Feran si accostò ad Alucius. «Uno dei nostri si è beccato una sciabolata di striscio. Non ci sono altri feriti.» «Nessun morto o ferito nella Trentacinquesima Compagnia», riferì Jultyr, mentre si avvicinava, dopo aver controllato tra le file dei suoi uomini. «Grazie.» Alucius fece una pausa. «Bel lavoro.»
Mentre la confusione cominciava a diminuire, Alucius fece correre lo sguardo dai corpi dei ribelli sparsi ovunque, ai loro cavalli, fino a fermarsi sul capitano Deotyr, che si stava avvicinando. «Due soldati uccisi, signore, e tre feriti. Nessun prigioniero.» «Grazie, capitano. Voi e i vostri nomini avete retto bene.» La Trentacinquesima e la Quinta Compagnia non avevano subito perdite. Nessuna. La Ventottesima aveva perso altri due soldati, mentre altri tre avevano riportato ferite non gravi. Alucius pensò che il suo esercito aveva sostenuto tre scaramucce, o forse una piccola battaglia e due scaramucce, e aveva perso qualcosa come dieci uomini, con un numero leggermente superiore di feriti, uccidendo però quasi duecento ribelli. E allora, perché era così preoccupato? Forse perché i ribelli si erano di nuovo battuti fino alla morte? Nella foga del combattimento, Alucius non se l'era sentita di ordinare ai suoi uomini di fare dei prigionieri, mettendo a repentaglio la propria vita nel tentativo di catturare uno di quei fanatici. Deotyr rimase immobile, lo sguardo fisso su Alucius. «Vi state chiedendo perché ho fatto schierare le compagnie a quel modo?» domandò Alucius. «No, signore... be'...» Deotyr evitò di guardarlo negli occhi. «Per molte ragioni. In primo luogo, la Ventottesima Compagnia era quella che aveva subito il maggior numero di perdite prima d'oggi.» Alucius fece una risata amara. «Vi ho fatti piazzare dopo la Trentacinquesirna Compagnia con la speranza che non subiste altre perdite. Avevo torto. Sembra invece che i ribelli preferiscano attaccare direttamente sulla strada.» «Credo che nessuno di noi avrebbe potuto prevederlo, signore.» Alucius avrebbe dovuto, ma aveva trascurato di farlo. «In secondo luogo, la Quinta Compagnia è più esperta e, infine, i vostri fucili hanno una portata di tiro maggiore.» «Una portata di tiro maggiore?» Alucius represse un sospiro. «Capitano, i vostri fucili sono dotati di una canna più piccola. Sono più accurati sulla lunga distanza e i vostri caricatori contengono il doppio delle cartacce dei nostri. Poiché i vostri soldati non sono molto abili, ho ritenuto opportuno farli posizionare in quel punto per controbilanciare la velocità del fuoco.» Deotyr annuì e Alucius vide che aveva capito. Il capitano fece girare il suo cavallo e tornò dai suoi uomini.
Alucius osservò di nuovo i cadaveri sulla strada. Avrebbero dovuto perquisirli, almeno in modo sommario, per recuperare le munizioni e i viveri e per cercare eventuali ordini scritti. Aveva intrapreso il viaggio verso Hyalt con l'intenzione di non spingersi subito all'interno della città, evitando così di uccidere gente fin dall'inizio. Trattenne un moto di disappunto. Non ci era riuscito. Era giunto nelle vicinanze della città e i ribelli o gli invasori, o qualunque cosa fossero, avevano cominciato ad attaccare i suoi uomini, non lasciandogli altra scelta se non il massacro. Ma perché? Non ne aveva idea, e di certo non gli sorrideva la prospettiva di essere stato messo nella posizione di non avere altra scelta che il massacro. Prima di imbarcarsi in un altro scontro doveva procurarsi in qualche modo un prigioniero. E non aveva dubbi che ci sarebbe stato un altro scontro. Riportò di nuovo lo sguardo sui corpi dei ribelli uccisi. 55 L'alba di octdi si annunciò nuvolosa, con una sottile pioggerella che bagnava a malapena la polvere del fondo stradale, ma sufficiente a rendere la temperatura di tarda stagione del raccolto insopportabilmente calda e afosa, almeno per quanto riguardava Alucius, che portava indumenti di seta nerina sotto l'uniforme. Nonostante la pioggia, l'aria era ancora pregna dell'odore acre e penetrante del fumo dei cespugli bruciati. Le sentinelle non avevano avvistato nessuno nei dintorni, né durante la notte né a quell'ora del mattino, ma Alucius era talmente preoccupato che aveva preferito partire entro la clessidra successiva all'alba di quella grigia giornata. Secondo quanto indicato sulla mappa, la strada che stavano percorrendo, dopo quattro o cinque vingti, si sarebbe congiunta con un'altra che, in base alle osservazioni e ai calcoli di Alucius, era probabilmente la stessa che veniva dall'accampamento dei ribelli al quale avevano dato fuoco. La nuova strada risultante da quella fusione si dirigeva poi a nordest, verso Hyalt. Per parecchi vingti non avevano visto nulla e le poche fattorie che avevano superato erano vuote e sembravano essere state abbandonate, non da pochi giorni, ma da molte settimane. Alucius si disse che l'intera situazione pareva capovolta. Lui e i suoi soldati erano lanachroniani, ma dovevano comportarsi come se fossero invasori nella propria terra, e chiunque si fosse allontanato dal grosso delle
truppe avrebbe corso il rischio di essere assalito. Ma il peggio era che Alucius sapeva ancora molto poco dei motivi che avevano causato l'evolversi degli eventi, se non che gli ifrit dovevano in qualche" modo essere coinvolti. Il che, per quanto gli era dato di capire, non aveva molto senso, dato che Hyalt era una delle città più lontane - forse con la sola eccezione di Soupat - dagli altri principali centri di Lanachrona. Non si trovava in corrispondenza di importanti vie di traffico, come ad esempio Borlan o Indyor, e nemmeno la Reggente della Matride avrebbe potuto raggiungerla direttamente attraverso una delle strade principali di quella parte di Corus. Non c'erano rovine di edifici costruiti dagli ifrit né, a quanto asserivano i libri di storia, si parlava dell'eventuale esistenza di una Tavola che avrebbe potuto essere usata dagli ifrit, a meno che non ce ne fosse una nascosta da qualche parte. Eppure le cose stavano così. Ciò che lo rattristava maggiormente era il fatto che i suoi tentativi di mandare in avanscoperta dei ricognitori gliene avevano fatto perdere uno, avevano causato il ferimento di un altro e l'inseguimento di un terzo per vingti e vingti. Per contro, ogni volta che avevano dovuto affrontare un numero più cospicuo di ribelli nel corso di una battaglia, al termine si erano sempre ritrovati senza alcun superstite, visto che quei fanatici si accanivano contro il nemico fino alla morte. Alucius si girò sulla sella verso Feran. «Vorrei mandare Waris in compagnia di qualche altro soldato in perlustrazione lungo la strada che porta all'accampamento dei ribelli - senza che si spingano troppo in là - per vedere se riescono a catturare uno dei loro messaggeri, sempre che ce ne siano.» «Catturare?» «Dobbiamo procurarci delle informazioni. Finora non ci siamo imbattuti negli abitanti del posto né ci sono stati superstiti da poter fare prigionieri nel corso degli scontri che abbiamo sostenuto. Se non catturiamo un messaggero, non ci resta altro che sperare di trovare una fattoria abitata sulla strada di Hyalt, per poter scoprire qualcosa.» «Il che non guasterebbe», concordò Feran, mentre si girava sulla sella. «Waris!» Di lì a poco il ricognitore li raggiunse e Alucius si spostò sul lato destro della carreggiata perché tutti e tre potessero procedere fianco a fianco. «Il maggiore ha un lavoro per te», disse Feran. «Sì, signore?»
Alucius si rivolse a Waris. «Si tratta di un compito abbastanza semplice, ma di difficile esecuzione. Ci serve un prigioniero - soldato o guerriero che sia - in discrete condizioni fisiche, perché possa rispondere alle nostre domande. Poco più avanti, a circa quattro vingti da qui, c'è un'altra strada che si immette su questa per proseguire poi fino a Hyalt. L'altra strada parte dall'accampamento nel quale ti eri recato in ricognizione. Immagino che, di tanto in tanto, debba essere percorsa da qualche messaggero. Se sono in molti, però, tornate indietro senza fermarli e tenteremo qualcos'altro. Portati dietro altri due o tre soldati affinché ti diano una mano.» Il ricognitore guardò Feran. «Capitano maggiore, signore?» «Scegli tu chi vuoi, tranne i comandanti di squadra o i feriti, naturalmente.» Poco meno di un quarto di clessidra più tardi, Waris e altri tre soldati si staccarono dal gruppo e si avviarono lungo la strada, superando i soldati dell'avanguardia. Trascorse più di una clessidra senza che i ricognitori tornassero e, nel frattempo, Alucius e il resto delle compagnie passarono vicino ad altre cinque fattorie, tutte ugualmente abbandonate. Poi, in lontananza, si scorse la sagoma di Waris seguito da altri quattro cavalli, tre dei quali erano montati da cavalieri, mentre sul quarto si intravedeva una figura legata di traverso sulla sella. «Colonna alt!» ordinò Alucius. «Colonna alt.» Il comando risuonò lungo la colonna. Waris avanzò adagio verso Alucius, fermandosi infine a pochi passi da lui. «Abbiamo un prigioniero, signore.» «È stato difficile?» «Non troppo.» Un sorriso stanco attraversò le labbra del ricognitore. «Abbiamo finito con l'ucciderne altri due. Questo, prima che riuscissimo a prendergli il fucile, ci ha rimesso il cavallo ed è stato colpito a una gamba. Ci sono voluti due di noi per disarmarlo e tutti e quattro per legarlo.» Alucius non ne fu sorpreso. Sgomento, ma non sorpreso, si disse, mentre osservava il prigioniero sdraiato di traverso sulla sella, con mani e piedi legati e la bocca imbavagliata. «Mi dispiace, signore. Abbiamo dovuto legarlo. Non la smetteva di mordere, di tirare calci, di fare di tutto...» «Mettetelo giù e fatelo sedere là, sui sassi.» Alucius indicò un mucchio di pietre che un tempo dovevano aver formato la base di un recinto ormai in rovina.
«Sì, signore.» Alucius smontò e porse le redini del suo cavallo a Fewal, uno dei messaggeri, poi attese che i tre soldati trasportassero il prigioniero sui sassi e lo facessero appoggiare contro un palo sbilenco del recinto. «Ha detto niente prima che lo catturaste?» «Niente. Forse non parla lanachroniano.» Alucius studiò il prigioniero. Ora che lo osservava più da vicino fu in grado di avvertire attraverso il Talento una specie di sottile rete violacea che sembrava rivestirlo come un guanto. Per qualche momento si limitò a esaminarla, finché non trovò i nodi che la tenevano insieme. Una volta trovati, fu questione di un attimo e la rete svanì. Il prigioniero perse conoscenza. «Signore?» «Tra poco si riprenderà. Potete togliergli il bavaglio, adesso.» Non ci volle molto prima che l'uomo riaprisse gli occhi e gli comparisse sul volto un'espressione di paura, nel vedere Alucius e l'uniforme che questi indossava. Alucius cercò di proiettare verso di lui la sensazione che dovesse rendersi utile... collaborare. Non percepì alcuna reazione di resistenza. Quindi gli chiese: «Potete dirmi come vi chiamate?». L'uomo fissò Alucius con gli occhi spalancati e abbassò lo sguardo. «Escadt, signore. Dei Cadmi.» «Cosa sono i Cadmi?» «Siamo noi. I Cadmi sono i soldati del profeta e del Vero Duarcato.» «Perché vi è stato ordinato di attaccarci?» «Perché siete i malvagi venuti dal nord. Voi impedirete il ritorno del Duarcato. Senza di esso, tutta la terra morirà e le nostre famiglie soffriranno la fame e soccomberanno.» Alucius lanciò un'occhiata a Feran. «Perché mai dovremmo commettere un crimine del genere? Facciamo anche noi parte di Lanachrona.» «Voi siete il lamaro del male, colui che ricorrerà al tradimento per distruggere tutto ciò che è buono.» «Chi vi ha detto questo?» «Il profeta Adarat. Lui è il servitore del Vero Duarcato. Ha detto che l'uomo dai capelli grigio scuro, colui che non è vecchio, è il lamaro. Adarat conosce ciò che è e ciò che sarà.» Alucius nutriva qualche dubbio al riguardo. «E chi ha detto questo ad
Adarat?» «Lui lo sa. Lui è il servitore del Vero Duarcato.» Insistere in quella direzione non sarebbe servito a nulla, concluse Alucius. «Da quanto tempo Adarat si trova a Hyalt?» «È sempre stato lì.» «Sempre?» Il ribelle si strinse nelle spalle. «Il tempio del Duarcato era lì fin da quando me lo ricordo, e c'è sempre stato un profeta, e il profeta è sempre stato Adarat.» Alucius ritenne inutile proseguire anche su quell'argomento. «Quanti accampamenti di uomini armati, o di Cadmi, ci sono intorno a Hyalt?» «Ho sentito dire che ce ne sono due. Ne conosco solo uno: il mio.» «Dove si trova l'altro?» «Non lo so di preciso.» «Dove pensate che sia?» Il ribelle si strinse di nuovo nelle spalle. «Dicono che si trovi sulla Collina dei Morti, a nordest di Hyalt.» «Quante compagnie ci sono là?» «Non lo so.» «Quanti soldati c'erano nel vostro accampamento?» «Non lo so.» «Quanti credete che ce ne fossero?» «Trecento. Prima che voi del nord ne uccideste parecchi.» «Finché non ci avete attaccato noi vi abbiamo lasciati in pace», gli fece notare Alucius. «Perché l'avete fatto?» «Perché voi siete malvagi e distruggerete il bene del Vero Duarcato.» Alucius si disse ancora una volta che non aveva senso insistere in quella direzione. «Cosa c'è nella caverna sul fianco della collina?» «Non è una caverna. È il tempio del Vero Duarcato.» «È lì che si trova Adarat?» «Non lo so.» «Possiede una Tavola?» «Non lo so.» «Avete mai visto una Tavola all'interno del tempio?» «No, signore.» «Quanta gente è rimasta a Hyalt?» «Non lo so.» Nemmeno dopo quasi mezza clessidra di interrogatorio Alucius era riu-
scito a ottenere altre informazioni. Il prigioniero pareva sapere assai poco, oltre al fatto di affermare la bontà del futuro Vero Duarcato e la malvagità di Alucius e dei suoi uomini «venuti dal nord». Alla fine, Alucius fece un cenno a Feran. «Per il momento può bastare. Tenetelo legato, ma non rimettetegli il bavaglio, a meno che non crei problemi.» «Egyl?» «Sì, signore. Ci penseremo noi.» Metà mattina giunse e passò e Alucius e i suoi soldati raggiunsero il punto in cui le due strade si congiungevano, ma non videro alcun segno della presenza di ribelli. L'aria si mantenne umida, più nebbiosa che piovosa. Nessuno dei ricognitori aveva scoperto tracce del passaggio di qualche contingente di nemici, così Alucius decise di continuare ancora per tre o quattro vingti, lungo quella strada in direzione nordest, verso Hyalt, finché non avessero raggiunto quello che sulla mappa era segnato come uno stretto sentiero che si collegava alla strada lungo la quale lui e le tre compagnie si erano accampati la prima volta a nord di Hyalt. Alucius non intendeva ripercorrere quella strada per tornare indietro, ma gli piaceva l'idea di poter contare su una via d'uscita qualora le circostanze lo richiedessero. A metà pomeriggio giunsero in vista della prima fattoria abitata e, nel giro di un quarto di clessidra, Alucius si trovò di fronte un uomo anziano dal viso tondo e dai grigi capelli ricciuti e indisciplinati, con spalle rese curve da anni di duro lavoro, un uomo presumibilmente sulla quarantina, che i ricognitori avevano condotto alla sua presenza. Il contadino tremava, in piedi accanto alla porta, e fissava Alucius. Il maggiore percepì la sua paura - come pure una lieve traccia della ragnatela violacea che sembrava avvolgere tutti gli abitanti di Hyalt - o almeno quelli con cui Alucius era finora venuto in contatto. Dopo che l'ebbe dissolta, cercò di infondere nel contadino un senso di fiducia per mezzo del Talento, ma questi cominciò a tremare più di prima. «È vostra la fattoria?» «Sì, signore.» «Ci abitate con la famiglia?» «Risparmiateli, signore... vi prego, risparmiateli.» «Non ho alcuna intenzione di fare del male né a voi né a loro. Sto solo cercando di scoprire cos'è accaduto a Hyalt nel corso di quest'ultimo mese.» Il contadino tacque.
«Allora, cos'è accaduto?» «Il profeta Adarat ha inviato i suoi discepoli a cacciare i soldati malvagi, che però si sono rifiutati di andarsene e sono stati uccisi.» «L'avete visto con i vostri occhi?» «È quello che ci ha riferito il profeta, e un profeta del Vero Duarcato dice sempre la verità.» «E i mercanti e gli artigiani?» «Alcuni sono fuggiti. Quelli che non volevano il ritorno del Vero Duarcato, anche se fuggire non servirà a nulla. Tra breve, tutta Corus prospererà di nuovo sotto il Duarcato.» «Perché non è più uscito nessuno da Hyalt durante quest'ultimo mese?» «Perché andarsene adesso che il Vero Duarcato sta per tornare?» Un'espressione di vago stupore attraversò il viso smunto dell'uomo. «Come lo sapete?» «Voi siete i malvagi venuti dal nord, voi impedirete il ritorno del Vero Duarcato. Senza di esso, tutta la terra morirà e le nostre famiglie soffriranno la fame e soccomberanno.» Alucius guardò Feran, poi di nuovo il contadino. «Come lo sapete? Come sapete che questo Adarat dice la verità? Oltre a lui, avete visto qualcun altro che afferma di voler ripristinare il Duarcato?» «Voi siete il lamaro del male, colui che ricorrerà al tradimento per distruggere tutto ciò che è buono.» «Avete visto qualcosa che provi quanto state dicendo?» «Io conosco ciò che so, e il profeta Adarat conosce ciò che è e ciò che sarà.» Alucius tentò di porgli altre domande, ma le risposte furono invariabilmente le stesse. Adarat era il profeta, e Adarat conosceva ciò che sarebbe stato. Alla fine, si rivolse ai soldati poco distanti, in attesa accanto allo steccato. «Riportatelo alla fattoria. Lasciatelo andare, ma fate attenzione.» «Sì, signore.» Il contadino non si voltò indietro mentre si allontanava sotto una bassa nuvolaglia che aveva lasciato presagire la pioggia, ma che aveva prodotto solo qualche sporadica gocciolina qua e là. «Nemmeno i soldati della Matride erano così cocciuti», borbottò tra sé Alucius. «Detto da te, maggiore», replicò Feran, «non mi fa sentire per niente bene». Alucius si diresse adagio verso il suo cavallo, lo slegò dallo steccato e
risalì in sella. Poi si rivolse a Feran. «Non credo che riusciremo a saperne di più, ma dovremmo comunque provare a interrogare altri contadini, o le loro mogli.» Il capitano maggiore annuì. Un paio di clessidre più tardi, dopo aver ottenuto quasi le stesse risposte da altri due contadini e dalla vedova di un terzo, Alucius fece fare una sosta ai suoi uomini e si accinse a scrivere un messaggio al maresciallo Frynkel per informarlo su quanto era accaduto fino a quel momento, soffermandosi soprattutto a descrivergli il fanatismo dei ribelli. Quindi ordinò a Hikal di dirigersi a nord con un paio di altri soldati, verso l'ultima stazione intermedia che si erano lasciati alle spalle, dalla quale i messaggeri avrebbero poi potuto portare la sua missiva fino a Tempre per consegnarla al maresciallo. Inoltre, raccomandò ai tre di fermarsi alla postazione finché tutti loro non li avessero raggiunti o fino al ricevimento di nuovi ordini, poiché non aveva idea di dove si sarebbero trovati di lì a qualche giorno. Dopo aver assistito alla loro partenza, fece dirigere le compagnie dapprima a ovest e poi a nordovest, lungo la strada che aveva individuato in precedenza sulla mappa. Feran, che procedeva a cavallo di fianco ad Alucius, si schiarì la voce. Alucius si girò sulla sella. «Ho un brutto presentimento», disse piano Feran. «Soprattutto quando spedisci via i messaggeri a quel modo.» «In tal caso, siamo in due.» Alucius osservò la strada che si allontanava da Hyalt curvando a nordovest. «Per il momento, eviteremo di entrare a Hyalt e cercheremo di accamparci sulla cima di una collina per la notte. Domani localizzeremo l'altra postazione dei ribelli.» Alucius non riusciva a chiamarli Cadmi, a prescindere da come essi stessi si potessero chiamare. «Poi vedremo cosa fare per eliminarle entrambe. Voglio prima scoprire qualcosa dell'altro accampamento e distruggere il tempio del Vero Duarcato, insieme a questo Adarat, prima ancora di entrare in città.» Feran annuì. «Mi sembra una decisione molto assennata.» Anche Alucius era di quel parere, ma se si trattasse della giusta strategia o meno era un altro discorso. 56 Nell'aria calda, umida e buia, Alucius se ne stava sdraiato sopra la coperta che aveva disteso sul materassino da campo. Era stanco, ma non aveva
sonno. O almeno non abbastanza da addormentarsi, a contatto così con la dura terra. I rami di cedro e di ginepro che aveva sistemato sotto il sottile materassino in qualche modo aiutavano, ma non erano sufficienti, soprattutto non con la miriade di pensieri che gli attraversava la mente. Piazzare un altro campo non era stato difficile e la cima di quella collina sembrava offrire maggiori garanzie di sicurezza dei posti precedenti. Il che era necessario, oltre che un bene, dato che si trovavano a meno di dieci vingti a ovest-sudovest di Hyalt. Tuttavia, dopo essersi imbattuti nella pattuglia con il messaggero che avevano catturato, non avevano incontrato altri ribelli e Alucius non aveva più avvertito presenze talentose dalle sfumature violacee, come invece era accaduto nelle vicinanze dell'accampamento nemico a nord. Adarat doveva essere un ifrit o avere stretti legami con quelle creature. Chissà se gli ifrit potevano essere uccisi con pallottole rivestite di oscurità, allo stesso modo in cui venivano abbattuti gli animali talentosi? O potevano solo essere eliminati tramite l'utilizzo diretto della Talento-energia, com'era accaduto con l'Archivista degli Atti o con l'ingegnere di Prosp? E chissà poi se doveva limitarsi ad attaccare il primo accampamento, o se doveva cercare di scoprire tutto ciò che era possibile sulle restanti postazioni dei ribelli? Per quale ragione gli ifrit stavano cercando di stabilire un punto d'appoggio a Hyalt? Qual era il ruolo svolto dalla Reggente della Matride? Quanti soldati nemici sotto l'influsso del Talento c'erano ancora? Cos'era successo davvero a Hyalt, visto che nessuno se n'era più andato? E a quale inganno talentoso era ricorso Adarat per far sì che i ribelli e i contadini credessero nel Vero Duarcato? Si trattava forse di un sortilegio che cambiava per sempre il modo di pensare della gente? Le domande che gli affollavano la mente sembravano non avere fine, e poi pensò a Wendra. Doveva sicuramente stare bene, altrimenti il parapolso da pastore gli avrebbe inviato dei segnali. Alla fine, dopo che si fu costretto ad ammettere di non avere risposte ai dubbi e alle preoccupazioni che lo assillavano, Alucius chiuse gli occhi e dormì un sonno inquieto. «Signore?» «Sì?» Alucius scrollò la testa e si mise a sedere. Non doveva aver dormito molto. Cercò di distinguere nell'oscurità il volto del soldato in piedi a circa una iarda da lui, mentre la sua vista notturna da pastore gli diceva che si trattava di Noer. «Che c'è?» «Il prigioniero si è suicidato.»
«Come?» Alucius sì irrigidì. «Era ancora legato, non è vero?» Il giovane soldato fece una smorfia. «Sì, signore. Con le mani dietro la schiena. Penso che abbia trovato un sasso affilato e che abbia continuato a strofinarci sopra i polsi mentre nessuno guardava. C'era sangue dappertutto. Non ha emesso un solo lamento. Non riusciamo a capire come abbia fatto.» Alucius rabbrividì. Come poteva un uomo agire in quel modo? Per quale motivo? Perché credeva ancora nel profeta? O perché si era reso conto di essere stato ingannato e di avere perso tutto? 57 Ad Alucius non sembrava di avere dormito affatto quando si alzò prima dell'alba, la mattina di novdi. Aveva fatto di nuovo il sogno della stanza dalle pareti che gli si chiudevano addosso, senza porte né finestre. Ancora una volta, si era svegliato nel cuore della notte in un bagno di sudore e gli ci era voluto un bel po' per rinfrescarsi e riprendere sonno, oltre a ricacciare la sensazione di essersi ficcato da solo in una trappola. Adesso, ogni parte del suo corpo era rigida e dolorante, o almeno aveva quell'impressione, mentre si alzava e si sgranchiva le gambe, facendo correre lo sguardo attraverso l'accampamento, dove la maggior parte degli uomini sonnecchiava ancora. Alzò gli occhi. Le nuvole e la pioggerella del giorno prima avevano lasciato il posto a un sottile strato lattiginoso di nebbia, che copriva a banchi il contorno e la cima delle colline, lasciando però intravedere al di là frammenti di cielo terso. Si era appena rassettato l'uniforme che udì echeggiare nell'aria un grido. «Ribelli sulla strada!» «Compagnie, in formazione! Disporsi in riga, a piedi!» ordinò Alucius. «Rivolti a sud!» A poco meno di dieci iarde di distanza, si imbatté in Feran. «Fai piazzare la Quinta Compagnia al centro, gli uomini della prima fila pancia a terra, quelli dietro in ginocchio. Così, costituiranno un bersaglio meno facile da colpire.» «Sì, signore.» Alucius capì che Feran si trovava d'accordo con lui su quella decisione e si limitò ad aggiungere: «Cercherò di trovare Deotyr e Jultyr. Se li incontri prima di me, riferisci loro i miei ordini».
«Sì, signore.» Alucius si imbatté subito dopo nei due capitani, che si stavano dirigendo verso di lui, e impartì loro lo stesso comando, concludendo: «La Ventottesima Compagnia si posizionerà sul fianco ovest, la Trentacinquesima su quello est. E dite ai soldati di tenersi bassi e di sparare solo a colpo sicuro». «Sì, signore.» Mentre le tre compagnie si schieravano, Alucius si piazzò al centro della formazione che seguiva la curva della collina. Aveva con sé entrambi i fucili e la cartucciera. Per quasi un quarto di clessidra dalla strada non giunse alcun rumore. Poi, attraverso la nebbia, si udirono echeggiare alcuni spari. Alucius sentì una pallottola conficcarsi nel tronco di un ginepro, poco più in alto e cinque iarde a destra del punto in cui stava lui. Non poteva certo dire di essere sorpreso del fatto che i ribelli stessero cercando di servirsi della nebbia come copertura per un attacco, ma non capiva perché venissero sparati così pochi colpi. I Talento-sensi gli dicevano che almeno una compagnia di ribelli stava risalendo a cavallo la collina, ma, essendo lo strato di nebbia più denso in basso, non li poteva vedere. Era solo contento di aver fatto appostare le sentinelle più lontano del solito, così che avevano potuto dare l'allarme per tempo. Si domandò se ci fossero altri ribelli in procinto di assalirli, ma i Talento-sensi gli confermarono che, all'infuori del gruppo che stava arrivando, non ce n'erano altri. A ogni buon conto si tenne pronto a fare fuoco, anche perché adesso le sue orecchie udivano lo scalpitio dei cavalli, apparentemente amplificato dalla nebbia. «Prepararsi a fare fuoco!» ordinò. «Prepararsi a fare fuoco!» A poco meno di cinquanta iarde più sotto rispetto al punto dove si trovava lui, su un tratto di terreno in cui la foschia si era diradata, apparve il primo soldato dall'uniforme marrone con il cavallo lanciato al trotto. «Fuoco a volontà!» Alucius mandò a segno il primo colpo e il ribelle cadde, scaraventato giù dalla sella dall'impatto con la pallottola del pesante fucile da pastore. Dai soldati appostati in attesa si udirono provenire alcuni altri spari, ma non molti. Poi, per circa un quarto di clessidra, sulla collina regnò un relativo silenzio. Alucius avvertiva, più sotto, la presenza dei ribelli disposti a formare uno schieramento approssimativo nella nebbia che si stava a poco
a poco diradando sotto i primi raggi del sole. Dopo aver approfittato di quella pausa per ricaricare il fucile, egli alzò lo sguardo e vide squarci di cielo verde-argento farsi sempre più frequenti al di sopra dei vapori che si alzavano da terra. Alucius percepì del movimento in basso. «Prepararsi a fare fuoco!» Il comando non era necessario, tecnicamente parlando, ma egli lo usò a mo' di avvertimento. «Prepararsi a fare fuoco!» L'eco dell'ordine ripetuto dagli ufficiali si era a malapena spento che i ribelli irruppero dalla foschia in groppa ai loro cavalli. Parecchi di essi non avevano neppure un fucile e caricarono su per la collina brandendo spade delle lunghezze più svariate. Il fuoco dei difensori si abbatté sugli attaccanti, uccidendoli uno dopo l'altro. Alucius sparò con metodo, scaricando prima l'uno e poi l'altro fucile, mentre le file nemiche si assottigliavano. Ricaricò rapido e fece appena in tempo ad abbattere con due colpi a bruciapelo un ribelle che si trovava a meno di dieci iarde di distanza. Da qualche parte in basso un uomo si stava lamentando, a ovest un cavallo stava nitrendo, probabilmente ferito. Alucius inghiottì a vuoto. Aspettò, e continuò ad aspettare, ma non comparve nessun altro. Adagio, proiettò il proprio Talento lungo il fianco della collina. Sentì, che, a parte alcuni uomini gravemente feriti, non c'era più nessuno. «Mantenere la posizione!» ordinò. Il tempo passò e la nebbia continuò a diradarsi sempre più rapidamente finché, mezza clessidra più tardi, ne rimasero solo alcuni frammenti, insufficienti a nascondere il massacro di uomini e cavalli che si parò dinanzi ai loro occhi. «Quinta Compagnia, avanzare sotto copertura! Cinque iarde alla volta!» Alucius sapeva che si trattava di un'inutile precauzione, ma non c'era altro modo di far capire ai soldati che il fianco della collina non presentava più alcuna insidia. Una clessidra più tardi Alucius era intento a controllare la propria cavalcatura e le armi, pronto a risalire in sella, quando udì avvicinarsi un cavallo. Si girò e vide Egyl fermarsi a pochi passi da lui, seguito da Feran. «Sì, Egyl?» «Abbiamo frugato rapidamente i cadaveri, signore, come ci avevate ordinato.» «Cosa avete scoperto?»
«Signore, parecchi di quei soldati erano poco più che ragazzi, o anziani. La maggior parte non aveva neppure il fucile e le spade erano perlopiù vecchie e dei tipi più disparati. Le divise, viste da vicino, erano una diversa dall'altra.» «I ribelli che avevano sferrato l'attacco precedente non erano così, vero?» chiese Alucius, sebbene conoscesse già la risposta. «No, signore.» «Credete che si trattasse di una finta?» Egyl lanciò uno sguardo ai piedi della collina. «Non so cosa pensare, signore.» «Grazie», disse Alucius. «Tenetevi pronti a partire.» «Sì, signore. Informerò gli altri.» Feran rimase, aspettando che Egyl si fosse allontanato un poco. «Pensi che li abbiamo già decimati a tal punto?» «No, ma non saprei dirti il perché», ammise Alucius. «Quei poveretti ci sono stati mandati contro per una ragione ben precisa, ma non riesco a capire quale. Ciò che maggiormente mi preoccupa riguardo a questo profeta è il fatto che sia disposto a sacrificare centinaia di uomini per qualche suo scopo. Chiunque si comporti così...» «Forse quello è il suo scopo», ipotizzò Feran. «Renderci colpevoli di un tale massacro, così da minare la credibilità del Signore-Protettore?» «Riesci a immaginare un'altra ragione?» L'unica ragione a cui Alucius era in grado di pensare si rivelava ancora peggiore. «Sarà meglio che ci muoviamo.» Niente sembrava andare secondo i programmi prestabiliti, ma del resto... cos'altro avrebbe potuto fare? Persino delle lame arrugginite e pochi fucili male assortiti avrebbero comunque ucciso troppi dei suoi soldati, se lui non avesse preso provvedimenti. E una ritirata senza opporre resistenza avrebbe indebolito la reputazione e l'autorità del Signore-Protettore ancora di più di quanto avrebbe fatto il massacro che Alucius era stato costretto a perpetrare. 58 Salaan, Lanachrona Tarolt e l'Archivista ossuto erano seduti l'uno di fronte all'altro al tavolo rotondo. Una caraffa contenente un liquido trasparente era posata su un
vassoio d'argento in mezzo a loro. L'Archivista bevve un sorso della bevanda e posò il calice di cristallo. «Mi manca Efra. Ancora più delle torri che si stagliano contro il cielo dorato o dei profumi dell'estate, mi manca il cibo. Era una vera e propria forma d'arte: code di lumina marinate nel vino di Serela e farcite di doflin, cotte alla perfezione sulla griglia, così che ogni boccone si sciogliesse piano in bocca...» «Sono molte le cose che mancano, ma sono ancora di più quelle destinate a sparire se non riusciremo nel nostro intento. Come sempre, dovremo creare una nuova e ancora più grande Efra.» L'Archivista annuì cupamente. «Che cosa mostra la Tavola degli eventi di Hyalt, Trezun?» chiese Tarolt, dopo un attimo di silenzio. Trezun accarezzò con le dita la base del calice, gli occhi dai riflessi violetti che spiccavano sul volto pallido. «Adarat ha assimilato l'ifrit-ombra con molto successo... o dovrei piuttosto dire che è stato l'ifrit-ombra a impossessarsi di lui con molto successo. Sta costringendo il maggiore ad assumere una posizione impossibile da sostenere. Infatti, anche se il maggiore Alucius riuscirà a sedare la "rivolta", l'autorità del Signore-Protettore ne uscirà gravemente indebolita, ed egli verrà considerato nient'altro che un brutale assassino.» «Oppure verrà condannato da tutta quanta Corus per aver sguinzagliato il macellaio del nord contro i disgraziati abitanti di Hyalt.» Tarolt scoppiò in una risata. «Persino quegli inutili disgraziati faranno la loro parte.» «Questo Alucius è un comandante molto migliore di quanto voi non immaginiate, Tarolt», osservò l'Archivista. «Potrebbe essere di ritorno a Dekhron prima della primavera, il che ci porrebbe dei problemi. La rete non sarebbe ancora del tutto ripristinata per quella data e noi non possiamo accettare traslazioni in massa senza una rete del tutto funzionante. Waleryn è costretto a procedere con maggiore cautela con il Pretore, e questo ritarderà la prossima traslazione.» «Ma sta procedendo, non è vero?» «Il suo lavoro sta andando bene, anche se non così velocemente come programmato.» «Quando si ha a che fare con dei Talento-principianti non lo è mai. Persino i nostri possessori di Talento traslati risultano spesso meno che soddisfacenti.» «Come va Halanat?» domandò Trezun.
«Meglio di molti altri e i suoi traffici commerciali ci procurano il denaro che ci serve.» Tarolt fece una pausa e bevve un sorso dal proprio bicchiere. «Potremmo però trarre vantaggio da altre situazioni. È probabile che la Reggente della Matride riesca a sfondare lo sbarramento difensivo dell'esercito del Signore-Protettore. Prima dell'inizio del nuovo anno, se non addirittura nel giro di qualche settimana, avrà conquistato Porta del Sud. E che succede se manda quella seccatrice del maresciallo Aluyn all'attacco di Tempre con uno di quei lancia-proiettili di cristallo?» «Credete che il Signore-Protettore ricorrerebbe al maggiore Alucius per contrastare quell'arma?» «Se Wyerl muore, che deciderà di fare il maresciallo Frynkel? Quale altra scelta avrà se non salvare Tempre?» Tarolt inarcò le candide sopracciglia. «O difendere Porta del Sud, se la Reggente non riuscirà subito nel suo intento.» «Vedrò cosa possiamo fare con il sottocristallo instillatore di pensieri», l'Archivista tacque. «Non riesco ancora a capire cosa l'abbia creato, ma possiamo usarlo come se fosse una Tavola.» «Questo è secondario rispetto al suo utilizzo... per ora.» «La Reggente è ormai quasi dei nostri e l'idea mi sembra sensata. Il Signore-Protettore rappresenterà sempre una minaccia per lei. La Matride non si era decisa ad attaccare Lanachrona, e guardate cosa le è successo. La Reggente farà questo ragionamento.» «Come tutti i Talento-principianti vedrà solo ciò che le sembrerà probabile», disse Tarolt. «Soprattutto se in tal modo potrà soddisfare le sue ambizioni più intime. Da che mondo è mondo, questa è la chiave usata per persuadere e manipolare le persone: fare leva sui loro desideri.» Le dita dell'Archivista sfiorarono la base del calice, ma i suoi occhi erano lontani. 59 Era appena oltre metà pomeriggio di un decdi nebbioso e più fresco, allorché la Ventottesima Compagnia, che in quel momento si trovava in testa alla colonna, imboccò la strada principale in durapietra che l'avrebbe condotta alla stazione intermedia situata a due giorni di distanza a nord. Non appena vi fossero giunti, Alucius voleva che i suoi uomini - e i cavalli - si prendessero un po' di riposo. Inoltre era impaziente di vedere se erano arrivate notizie fresche su ciò che stava accadendo nelle terre di Lanachrona.
Nel frattempo, era anche riuscito a ottenere dai ricognitori altre informazioni sulla città di Hyalt e sull'altro accampamento, senza subire ulteriori perdite. Waris aveva riferito che la città sembrava semideserta e Rakalt aveva confermato l'esistenza di un secondo accampamento a nordest di Hyalt, accampamento provvisto di stalle e baracche capaci di ospitare tre o quattro compagnie. Persino dopo aver riflettuto sui rapporti dei ricognitori, Alucius era rimasto in forse se allontanarsi da Hyalt o meno. Una parte di lui diceva che avrebbe dovuto insistere e attaccare i due accampamenti, l'altra invece lo faceva esitare, visto che i dati in suo possesso erano scarsi. La campagna non era iniziata male. Le sue tre compagnie avevano eliminato quasi quattro compagnie di ribelli, indebolito le difese della più importante postazione fuori città e individuato le basi delle forze avversarie con perdite relativamente lievi, se non in termini di munizioni. Alla fine, il fattore munizioni era stato determinante. Benché ne avessero a sufficienza per un paio di scontri ancora, Alucius dubitava che bastassero a portare a termine l'attacco contro i due accampamenti nemici. Per tale ragione, si era infine deciso a mandare un secondo messaggero direttamente a Tempre per chiederne altre e per fornire un rapporto più circostanziato sugli ultimi eventi e sulla situazione generale nella zona attorno alla città di Hyalt, in base alle osservazioni dei suoi ricognitori. Aveva anche al seguito una cinquantina di cavalli requisiti ai ribelli, alcuni dei quali, però, erano in condizioni talmente disastrose da risultare inutilizzabili, anche se forse avrebbero potuto essere venduti per altri scopi. Alucius era ancora preoccupato al pensiero dell'ultimo attacco dei ribelli, dove erano stati impiegati solo ragazzi e uomini anziani. Si trattava di un diversivo o la cosa era stata programmata, come aveva ipotizzato Feran, per indebolire il consenso nei confronti del Signore-Protettore? O per qualche altro scopo che non riusciva a immaginare? Serrò le labbra. Qualunque fosse lo scopo, il risultato era stato quello di rendere il suo compito ancora più difficile, poiché massacri di quel genere avrebbero fomentato la rabbia e il risentimento verso il Signore-Protettore. Ciò che lo preoccupava era il fatto che dietro a quella strategia doveva nascondersi anche dell'altro. Durante la mezza clessidra, o poco più, da quando avevano imboccato la strada verso nord, Alucius e Deotyr non parlarono molto. Un tempo, il terreno su entrambi i fianchi della strada doveva essere stato adibito a prati e pascoli, ma ora, essendo stato a lungo trascurato, era stato invaso da ce-
spugli spinosi che lasciavano poco spazio all'erba. D'altronde, rifletté Alucius, quel tipo di cespugli sembrava prediligere tutta l'area intorno a Hyalt. «Quanto ci fermeremo alla stazione intermedia, signore?» chiese infine Deotyr. «Quattro giorni. Almeno è quello che ho programmato, anche se dipenderà dal tempo che impiegheranno ad arrivare le munizioni.» «Ne avevamo un carro pieno, vero, signore?» «Già, ma una buona metà era destinata alla Quinta Compagnia, visto che le cartucce più grosse sono difficili da trovare a sud. Non ci sarebbero bastate per gli assalti ai due accampamenti, soprattutto se i ribelli continuano a combattere con la stessa tattica delle volte precedenti.» «Il modo in cui conducono i loro attacchi... è un suicidio», rifletté Deotyr ad alta voce. «Solo perché finora abbiamo avuto pallottole a sufficienza e mantenuto uno schieramento distanziato», ribatté amaramente Alucius. «Sono così numerosi che se combattessimo con la loro stessa tecnica rischieremmo il massacro, o sbaglio?» «Be'... no, signore.» «Maggiore!» Il grido proveniva da un soldato che stava avanzando lungo il fianco della strada, dal fondo della colonna. «Qui!» gli fece segno Alucius, anche se non era necessario, dato che era l'unico cavaliere, in mezzo a tutti gli altri, a indossare la divisa nera e blu delle Guardie del Nord. Quando il soldato si affiancò a lui, Alucius vide che si trattava di Skant. «Abbiamo avvistato dei cavalieri che si stanno avvicinando da sud, a tutta velocità, direi. Si trovano a meno di mezzo vingt da qui. Il capitano maggiore Feran desidera sapere se deve prepararsi all'attacco.» Alucius non rispose, ma portò lo sguardo a nord. Circa tre quarti di vingt più avanti, la strada attraversava un passo incassato tra le pareti rocciose di una modesta altura che si estendeva a perdita d'occhio sia a est che a ovest. Mentre tentava di capire cosa potesse trovarsi al di là, gli parve di percepire una lieve sfumatura violacea. Osservò il passo, poi si alzò in piedi sulle staffe e si girò per scrutare di nuovo verso sud. Su entrambi i lati della strada non si vedevano colline od ostacoli a bloccare la visuale, tranne i cespugli spinosi, che in quel punto erano alti fino alle ginocchia e persino più fitti di quelli che avevano visto nelle vicinanze di Hyalt. Pensò che le sue pecore nerine avrebbero di certo saputo cosa farne, anche se brucare quei cespugli non avrebbe aiutato a migliorare la qualità della loro lana.
Alucius si rimise a sedere in sella e si rivolse a Skant. «Di' al capitano maggiore che proseguiremo per un altro mezzo vingt e poi ci fermeremo. Digli di far spostare i carri a metà della colonna. Farò muovere la Trentacinquesima Compagnia su un fianco della strada per fornire un fuoco di copertura. Se ritiene che sia il caso, può rispondere all'attacco. La Ventottesima Compagnia resterà di riserva.» Un'espressione di stupore e preoccupazione comparve sul viso di Deotyr, ma il capitano non disse nulla. «Mezzo vingt più avanti ci fermiamo», ripeté Skant. «I carri nel mezzo. Può rispondere all'attacco e la Trentacinquesima Compagnia si sposta sul fianco della strada come copertura.» «Esatto, Skant.» «Sì, signore.» Il soldato fece voltare il proprio cavallo e si allontanò. Dopo un momento Deotyr chiese: «Signore?». «Volete sapere perché intendo utilizzare solo gli uomini della Trentacinquesima per un fuoco di copertura? Guardate più avanti. Non trovate strano che ci attacchino da sud proprio mentre ci stiamo avvicinando al passo?» «Ritenete che ci sarà un attacco anche da nord?» «Non lo so. Se non lo fanno, la Ventottesima avrà tutto il tempo di attraversare il passo. In caso contrario, però, se veniamo spinti in mezzo ai cespugli, sarà ben difficile rimetterci subito in formazione, soprattutto se i ribelli avanzano lungo la strada. Ma se non faccio disporre i soldati della Trentacinquesima lontano dalla strada non disporranno della giusta angolazione per garantire il fuoco di copertura.» Deotyr annuì. Dopo essere tornato indietro e avere impartito a Jultyr le necessarie istruzioni, Alucius si affrettò a raggiungere Deotyr e la Ventottesima Compagnia. Continuò a scrutare la strada a sud e a nord. Di lì a non molto avvertì la presenza di cavalieri che si avvicinavano da entrambe le direzioni: non più di una compagnia da ogni parte, però. Di nuovo gli parve che quella tattica non avesse molto senso, anche se Adarat o chiunque fosse al comando poteva pensare che la sorpresa di un tale attacco sarebbe stata sufficiente. Al pari di qualunque altro fatto che riguardava Hyalt, la situazione era preoccupante. Le tre compagnie lanachroniane avevano percorso altre mille iarde e ancora il nemico non si vedeva. Alucius le fece avanzare di altre trecento iarde, finché la colonna non raggiunse un punto in cui il terreno sui fianchi
della strada era un po' sopraelevato e quasi sgombro di cespugli. «Colonna, alt!» ordinò Alucius. «Trentacinquesima Compagnia! Portarsi fuori dalla strada!» Si voltò verso Deotyr. «Capitano, fate disporre la Ventottesima Compagnia a formare un fronte scaglionato che copra cinque iarde oltre il bordo della carreggiata su entrambi i lati. Se venite assaliti dai ribelli non aprite il fuoco finché non li avrete a un centinaio di iarde, a meno che non procedano al galoppo. In tal caso, sarà meglio che cominciate a sparare già quando sono a centocinquanta iarde. È chiaro?» «Sì, signore.» «Io mi piazzo al centro, così posso controllare quello che succede da tutte le parti.» «Sì, signore.» Non senza timore, Alucius si diresse verso il centro della formazione fino a trovarsi a pochi passi da Jultyr, sul terreno leggermente in rilievo oltre il margine est della strada. Una volta là, cercò di vedere e sentire con i Talento-sensi ciò che stava accadendo a nord e a sud. Feran fece schierare la Quinta Compagnia e aspettò che i ribelli si avvicinassero fino alla distanza di un centinaio di iarde. Poi ordinò ai suoi uomini di aprire il fuoco. Benché Alucius non potesse distinguere chiaramente, sentì le ondate di morte e il miasma violaceo che si dissolveva a ogni nemico abbattuto. Avvertì anche la presenza di forze ribelli a nord, che stavano avanzando verso di loro protette dall'avvallamento del passo, come pure quella di parecchi carri. La presenza di questi ultimi lo preoccupò, ma non riuscì a spiegarsene il perché né a capire cosa potessero contenere. «Ribelli a nord!» L'avvertimento venne lanciato da uno dei soldati della Ventottesima Compagnia che tornava al galoppo verso sud. «Ventottesima Compagnia, prepararsi alla difesa!» Giunse il comando di Deotyr. «Pronti a fare fuoco.» Alucius annuì tra sé. Notò, con i Talento-sensi, che i ribelli a nord si trovavano ancora a oltre quattrocento iarde di distanza. Poi rivolse di nuovo la propria attenzione verso sud. Questa volta, gli assalitori della Quinta Compagnia non proseguirono la loro carica frontalmente alla cieca. Dopo l'impatto delle raffiche iniziali, che avevano decimato le prime file, i ribelli fecero fare dietrofront ai propri cavalli e si sparpagliarono a est e a ovest, al di là della strada. Questa mossa impensierì Alucius, soprattutto quando vide che il nemico si stava raggruppando in formazione duecento iarde più lontano. Girò il cavallo e studiò la situazione a nord, dove i soldati dalle divise marroni si trovavano ora a meno di duecento iarde dalla Ventottesima Compagnia.
Sempre da quella parte, Alucius ebbe l'impressione di avvertire un lampo di vuoto purpureo, accompagnato da un brevissimo, ma intenso, senso di gelo. Immediatamente, senza neppure aspettare di estrarre il primo fucile dalla custodia, si diede a rivestire le cartucce di oscurità, mentre con gli occhi scrutava il cielo e il terreno sui lati della strada. Si impose anche di ignorare ciò che stava accadendo a nord, almeno per il momento. Uno pteridon selvatico apparve alto nel cielo a una settantina di iarde a sudovest. Ancora prima che la mostruosa creatura piegasse le ali, Alucius fu in grado di capire che si stava dirigendo verso di lui e si concentrò a sparare un primo colpo, poi un secondo. Lo pteridon esplose in una fiammata azzurrognola che ricadde sul gruppo di cespugli sottostante, incendiandoli. Alucius si girò subito, poiché aveva scorto qualcos'altro: un bue della sabbia provvisto di un corno solo, che avanzava con andatura caracollante verso il fianco est dello schieramento di Jultyr. Ad Alucius bastò un solo colpo per abbatterlo, ma l'essere talentoso si trovava così vicino all'ultimo soldato della fila che lo avviluppò nelle fiamme scaturite dallo scoppio. Le urla del malcapitato vennero subito soffocate, ma Alucius si sentì percorrere dai brividi. Mentre udiva il comando di Deotyr, non smise di scrutare il terreno circostante. «Ventottesima Compagnia! Fuoco a volontà!» I bang degli spari provenienti da nord e da sud echeggiarono attorno ad Alucius mentre egli cercava di individuare altri animali talentosi e quasi si lasciava sfuggire lo pteridon che si stava avvicinando da nord. «Attenzione!» gridò qualcuno. Alucius si girò sulla sella e usò le ultime due pallottole del primo fucile per abbattere la creatura volante, ma ancora una volta una saetta bluastra generata dal colpo andato a segno guizzò verso il basso andando a conficcarsi nel petto di un cavallo. Il suo cavaliere, con notevole prontezza di riflessi, balzò a terra, ma il nitrito di dolore del cavallo fu terribile. Con il secondo fucile imbracciato, Alucius scrutò il cielo e il terreno tutt'intorno, ma quel senso di vuoto violaceo, quel lascito dei Duarchi, era svanito. A nord, la compagnia ribelle continuava ad avanzare verso di loro, mentre i suoi uomini venivano falciati dalle raffiche sparate dai soldati di Deotyr, finché non si trovò a meno di trenta iarde dalla Ventottesima Compagnia. Proprio in quel momento si udì provenire da un punto imprecisato un lungo e solitario squillo di tromba. La singola nota vacillò, ma tenne. Qua-
si come un solo uomo, i ribelli voltarono i cavalli e tornarono indietro al galoppo lungo la strada in durapietra dalla quale erano venuti. «Inseguiteli!» ordinò Deotyr. Mentre la Ventottesima Compagnia si lanciava all'inseguimento, anche Alucius girò il cavallo, chiedendosi se non dovesse revocare l'ordine. Ma in che modo? Dal leggero rialzo sul bordo della strada, Alucius rimase a osservare la Ventottesima Compagnia che accorciava le distanze sul nemico, sentendo che qualcosa non andava. Perché mai stavano scappando, se non l'avevano mai fatto prima? Mentre i ribelli si avvicinavano al passo sulla collina, Alucius vide che in quel punto la strada era attraversata da una parte all'altra da una striscia simile a un cordone di terra secca, e che il fondo stradale dietro la striscia sembrava luccicare. Vide anche che gli zoccoli dei cavalli dei fuggitivi sollevavano schizzi al loro passaggio. Fu allora che capì. Si costrinse a ignorare le pallottole che fischiavano da sud e si concentrò, proiettando una sottile linea di fuoco verde-dorata verso nord e verso il liquido sparso sulla strada. La punta del suo Talentofuoco raggiunse il canale in miniatura proprio quando i primi soldati della Ventottesima Compagnia gli stavano arrivando sopra. Whhhssst! Una violenta fiammata si levò dal selciato in durapietra, avvolgendo almeno metà dei ribelli e dei loro cavalli e trasformandoli in torce umane. Anche le prime tre o quattro file di soldati della Ventottesima Compagnia furono raggiunte dalle fiamme. Alucius si sentì attorcigliare le budella. Ma gli restava ben poco da fare, adesso. Si girò sulla sella portando lo sguardo a sud, ma, nel vedere l'accaduto, il resto della compagnia nemica aveva girato i cavalli e se la stava dando a gambe. «Quinta Compagnia! Trentacinquesima Compagnia! Riposizionarsi in formazione! Avanti!» Alucius spronò il cavallo dirigendosi rapidamente a nord. Deotyr aveva fatto schierare i soldati della Ventottesima Compagnia a distanza di sicurezza dalla cortina di fuoco. I pochi ribelli superstiti si erano affrettati a fuggire verso est, lungo la dorsale della collina, e si trovavano già lontani un vingt quando Alucius raggiunse gli uomini di Deotyr. Il suoi Talento-sensi non percepirono nessun altro all'infuori dei suoi uomini: almeno nessuno che fosse ancora vi-
vo. Gli bastò un'occhiata verso il luogo dell'incidente per capire che era stata versata una quantità di olio - o di altro combustibile - sufficiente a ridurre in un mucchietto di cenere i cavalli e gli uomini, una volta che l'incendio si fosse spento, e che comunque i corpi sarebbero andati avanti a bruciare per almeno un'altra clessidra ancora. Alucius sentì un brivido incontrollabile percorrergli il corpo e la vista appannarsi. Si costrinse a calmare il tremito delle mani, mentre frugava nella bisaccia in cerca della borraccia per bere, e poi pescava una galletta e l'addentava. Cos'altro avrebbe potuto fare? Non aveva avuto alternative per fermare l'esplosione e se si fosse limitato ad aspettare avrebbe rischiato di perdere tutta la Ventottesima Compagnia. Perché non era stato in grado di prevedere ciò che sarebbe successo? Scosse il capo. Aveva capito che qualcosa non andava. Lui personalmente non avrebbe mai ordinato la carica, ma, come aveva detto Feran, non poteva essere dappertutto. Nessun altro sarebbe stato in grado di eliminare gli pteridon. Mentre mangiava un altro boccone di galletta, le mani gli stavano ancora tremando. Chissà se quel tremito era una reazione dovuta all'incidente? O a un uso eccessivo del Talento? Ma ne aveva davvero abusato? Dopo un'attenta riflessione Alucius giunse a concludere che lo sforzo compiuto aveva davvero richiesto un notevole dispendio di energia, ma che comunque non aveva avuto altre alternative. Quando finalmente raggiunse la Ventottesima Compagnia, il tremito e l'appannamento alla vista erano spariti. Mentre faceva fermare il cavallo accanto a Deotyr, cercò di mantenere sul viso un'espressione impassibile. La faccia del capitano era cadaverica. «Capitano?» «Sì, signore.» «Abbiamo subito perdite?» «Dodici uomini uccisi, signore, tre ustionati e due feriti.» Prima che Deotyr potesse aggiungere altro, Alucius lo interruppe. «Non ricordo di avere ordinato la carica. Ma ciò che è fatto è fatto. Ne discuteremo più tardi.» Alucius non volle aggiungere altro per paura che la rabbia che sentiva dentro di sé per la stupidità di Deotyr potesse affiorare. «Sì, signore.» «Finite di rimettervi in formazione. A questo punto, dovremo aggirare il passo a ovest. Probabilmente ci saranno problemi con i carri. Predisponete un gruppo di vostri uomini per dare una mano.» Alucius lanciò un'occhiata
alle fiamme che ancora si alzavano dal passo e ne avvertì il calore. Mentre faceva girare il cavallo per tornare da Jultyr e da Feran, si augurò che il puzzo di carne bruciata si disperdesse al più presto. Mentre si avvicinava al capitano più anziano, vide che questi lo scrutava e rimaneva in silenzio per un attimo, prima di riferire. «Un morto, signore. E un ferito, ma pare che ce la farà.» «Grazie. Avete gestito molto bene la situazione, capitano.» «Grazie, signore.» «Maggiore!» udì una voce che lo chiamava, quella di Feran. Alucius voltò il cavallo e aspettò che questi lo raggiungesse. «Solo due uomini feriti. Uno colpito alla spalla», riferì Feran. «L'altro al polpaccio.» «Anche la Quinta Compagnia si è comportata bene», disse Alucius. «Come sempre.» Sentì che un po' della sua collera stava svanendo. «La Ventottesima Compagnia ha perso dodici uomini e ha cinque feriti.» Le parole vennero pronunciate in tono piatto. «Fortuna vuole che i ribelli abbiano dato fuoco all'olio in anticipo», osservò Jultyr. «Probabilmente non l'avevano programmata così, la trappola», disse Feran guardando dritto Alucius negli occhi. Alucius si rese conto che Feran aveva capito e si limitò ad aggiungere: «Avrebbero dovuto farlo con anticipo ancora maggiore. La prima squadra della Ventottesima non si meritava quella fine». «Il capitano Deotyr?» domandò Feran. «Può darsi che abbia riportato qualche bruciatura, ma si trovava piuttosto lontano.» «Cos'era quel liquido? L'avete scoperto, signore?» chiese Jultyr. «Una specie di olio, del tipo che si trova in certe buche profonde. Era nero e lucente, ma non troppo denso. I loro cavalli ne avevano schizzato un po' prima che prendesse fuoco.» Alucius indicò la strada dinanzi a sé e la piccola altura. «Dovremo aggirare il passo. Ho chiesto al capitano Deotyr di formare un gruppo di soldati per dare una mano con i carri.» «Ehm... gli uomini...?» «Stanno ancora bruciando. Non rimarrà molto dei loro corpi se non un mucchietto di cenere. Non c'è niente che possiamo fare.» Jultyr scosse il capo. «Che modo orribile di andarsene!» Alucius era d'accordo, ma non era certo che ci fosse un modo buono per morire, nonostante tutte le storie che si raccontavano sulla gloria degli atti
di eroismo. La morte era la morte. 60 Nella luce fioca del crepuscolo Alucius e Deotyr erano fermi ai bordi dell'accampamento, costituito semplicemente da file di soldati e di materassini da campo, su una piccola altura situata circa una ventina di vingti a nord di Hyalt e a meno di mezzo vingt a ovest della strada principale. Tutto ciò che quel luogo poteva offrire era un ruscello dalle fredde acque chiare, che scorreva sul fondo dell'avvallamento a nord di dove si trovavano, a parte il fatto che gli uomini e i cavalli necessitavano di riposo e non avevano trovato niente di meglio nel raggio di alcuni vingti. In cielo a oriente, a metà strada dallo zenit, brillava il piccolo disco verde di Asteria: la luna delle avversità. Tale coincidenza pareva del tutto appropriata, benché il giovane capitano dai capelli scuri ne fosse ovviamente inconsapevole, mentre spostava il peso del corpo da un piede all'altro con aria impacciata. «Avevo detto che avremmo discusso più tardi ciò che è accaduto oggi pomeriggio. Non avevo detto che l'avremmo dimenticato.» Alucius cercò di mantenere un tono di voce neutro. «Perché avete ordinato la carica?» «Avevano buttato i fucili e si stavano ritirando in disordine, signore. Ho ritenuto che fosse la mossa più appropriata.» «Vi avevo forse ordinato di inseguirli?» «No, signore.» «Mi avevate sentito quando ho impartito gli ordini al capitano maggiore Feran, dandogli il permesso di attaccare?» «Sì, signore.» «Ho dato anche a voi un ordine simile?» «Be'... no, signore.» «Ma non vi ho neppure proibito di ordinare una carica», notò Alucius. «Questa è la prima lezione, capitano. La scelta è sempre a discrezione del comandante di compagnia, così come la responsabilità della scelta. Se decidete di ignorare gli ordini - e sono davvero poche le occasioni che giustifichino un tale comportamento - o se decidete di prendere un'iniziativa, dovete essere supportato da un'ottima ragione. Dovete avere un piano ben preciso riguardo a ciò che intendete fare e una conoscenza totale delle circostanze in cui vi trovate.» Alucius fece una breve pausa. «Spiegatemi per quale motivo l'inseguimento di quel particolare gruppo di nemici in fuga vi
è sembrato una buona tattica.» Ci fu un lungo silenzio. «Coraggio, capitano! Se non avevate una buona ragione quando avete ordinato la carica, e se non ne avete trovata una dopo averci riflettuto tutto il pomeriggio, ditemi, perché mai avete dato quell'ordine?» «Io... be', signore, sentivo che era la cosa giusta da fare. Non so spiegarvi il perché.» Alucius annuì lentamente. «È successo anche a me. Ma c'è un problema. Se non siete in grado di spiegare perché avete agito in un certo modo nemmeno in seguito, allora significa che non avevate un buon motivo per farlo. Ora, riflettete su questo. Abbiamo già avuto occasione di combattere contro questi ribelli. Prima di questo pomeriggio, si erano mai ritirati?» «No, signore.» «Non vi siete chiesto perché oggi si sono ritirati? Non si sono limitati a far fare dietrofront ai cavalli e a disperdersi. Si sono girati prima ancora di raggiungere la vostra compagnia, e l'hanno fatto dopo aver sentito lo squillo di tromba. Quel segnale da solo avrebbe dovuto farvi comprendere che era tutto preparato.» «Voi l'avevate capito, signore?» «Non appena ho udito il segnale. Ho capito che qualunque cosa stessero facendo era stato programmato, ma ero troppo lontano per revocare il vostro ordine, capitano. Ho pensato che farlo a così grande distanza avrebbe rischiato di creare una confusione ancora maggiore, rendendovi ancora più vulnerabili.» Alucius lasciò che il silenzio si protraesse per un po'. «Siete stato molto fortunato a perdere solo dodici uomini. Se avessero dato fuoco all'olio pochi istanti più tardi, la maggior parte della Ventottesima Compagnia sarebbe perita tra le fiamme.» Alucius evitò di infierire facendo notare che lo stesso Deotyr si sarebbe trovato tra le vittime. Né diede voce al rammarico che provava per non essere riuscito a intervenire in modo più efficace. «Dovete sempre essere consapevole di ciò che la vostra compagnia è in grado di fare. E di ciò che il nemico ha fatto, può e potrebbe fare.» «Sì, signore.» L'occhiata lanciata da Deotyr ad Alucius era quasi d'accusa, come se quest'ultimo fosse il responsabile di quanto era accaduto. In effetti, Alucius era responsabile. Non aveva dato a Deotyr ordini sufficientemente chiari, o che non potessero essere fraintesi. Ma sotto qualunque aspetto valutasse la questione, alla fine Alucius sarebbe comunque stato ritenuto responsabile di tutto ciò che era successo.
«Capitano, avrei potuto dirvi di aspettare nuovi ordini a prescindere da quanto sarebbe accaduto. E se fosse comparsa un'altra compagnia di ribelli? O se uno di quegli pteridon fosse caduto sul carro delle munizioni e l'avesse incendiato? Ogni comando è una questione di equilibrio. Un comando troppo preciso potrebbe essere altrettanto pericoloso di uno troppo vago.» «Pteridon?» «La Quinta e la Trentacinquesima Compagnia sono state attaccate dagli pteridon, oltre che dai ribelli. Ecco perché mi sono spostato a sud. Nel momento in cui questi animali vengono uccisi esplodono, generando micidiali fiamme azzurrognole. Chiedetelo a Jultyr.» Alucius non si era fatto ancora un'idea del perché gli pteridon fossero comparsi in quel momento o in numero più esiguo rispetto alle volte precedenti. Avrebbe voluto capire se anche altri eserciti o pastori erano stati attaccati, ma aveva la sgradevole sensazione che gli assalti da parte di quelle creature si limitassero alle occasioni in cui lui - o Wendra - erano presenti. D'altra parte, gli riusciva difficile credere che qualcuno potesse averli sguinzagliati contro una persona così poco importante come lui. Deotyr aggrottò la fronte. Alucius distolse i propri pensieri dagli pteridon e parlò adagio. «Tutti noi abbiamo qualcosa da imparare, e tutti impariamo dalle lezioni più svariate e, a volte, l'unico sistema per imparare può essere doloroso.» Questo lo sapeva fin troppo bene. «Vi porterete dietro il ricordo di quanto è accaduto. Sarebbe difficile dimenticarlo. Prendete solo l'abitudine di chiedere a voi stesso perché il nemico si comporta in un certo modo. O perché io prendo determinate decisioni. E in seguito potrete chiedermi di spiegarvene la ragione. Trarrete insegnamento da tutto questo e diventerete un ufficiale migliore. Ogni esercito valido si appoggia sulle capacità dei suoi ufficiali e queste capacità si ottengono con l'addestramento, con il saper imparare e migliorare.» Alucius sorrise, sperando di sembrare incoraggiante nonostante la tristezza che provava. «Nessuno di noi può cancellare ciò che è stato fatto. Possiamo solo imparare dalle esperienze vissute e andare avanti.» Nel rumore di sottofondo dei bisbigli e dei mormorii prodotti dalla conversazione degli altri soldati, simili quasi al vento della stagione del raccolto, Deotyr rimase in silenzio per un po', prima di decidersi a parlare. «Signore... è tutto... voglio dire... i ribelli...» Alucius rise pacatamente. «Non ho mai visto una cosa del genere. La
maggior parte degli eserciti contro cui ho combattuto erano composti da soldati molto più abili, che però si riuscivano a fermare. Questi ribelli continuano ad avanzare incuranti di tutto, finché non trovano la morte. È la prima volta che siamo a corto di munizioni pur avendo subito così poche perdite, ma, del resto, è il motivo per cui stiamo tornando: per rifornirci. Se non riceviamo altre munizioni non riusciremo ad attaccare le postazioni nemiche.» Dopo lo scontro di quel pomeriggio, Alucius era ancora più convinto della necessità di rifare la scorta di munizioni e, inoltre, pensava che non gli avrebbe fatto male riflettere un po' sulla situazione. Nello scoprirsi tanto cauto, quasi scoppiò a ridere fragorosamente. Il peso del comando produceva quei cambiamenti su coloro che un tempo erano stati giovani ufficiali impetuosi? 61 Tempre, Lanachrona La luce grigia del mattino non contribuiva a rischiarare l'atmosfera nello studio del Signore-Protettore, né i visi dei tre uomini che erano là riuniti. Il maresciallo Alyniat sedeva a un angolo della scrivania di quercia scura, le dita della mano sinistra che tamburellavano sulla sua superficie, mentre Frynkel stava seduto all'altro angolo. Un messaggio era posato sul lucido piano di legno, dove il Signore-Protettore l'aveva lasciato cadere. «Il maggiore Alucius è rimasto nella zona attorno a Hyalt per circa una settimana», disse piano il Signore-Protettore. «Ha annientato quattro compagnie di ribelli riportando perdite minime, ma restando a corto di munizioni. Il che era prevedibile.» «Questo è quanto riferisce», assentì Alyniat. «Ha inviato due messaggi.» «Se questo è ciò che riferisce», replicò freddamente il SignoreProtettore, «allora è davvero così. A differenza di quanto succede con i rapporti di altri ufficiali, ai suoi posso credere. E questo ci pone dinanzi a un altro problema». I due marescialli aspettarono che continuasse. «Come ha fatto, esattamente, questo profeta Adarat a piazzare due accampamenti militari e a rifornire di armi e uniformi più di quattro compagnie di guerriglieri senza che le Guardie del Sud se ne accorgessero, almeno finché i soldati di stanza alla guarnigione non sono stati sopraffatti e ammazzati?»
«Se conoscessimo la risposta, Signore-Protettore», replicò Alyniat in tono deferente, «tutto questo non sarebbe neppure successo». «In qualunque modo sia successo, io sento di avere perso. Il problema è solo stabilire l'entità di questa perdita. Se il maggiore riesce a eliminare questo profeta e i suoi seguaci, perdo solo la stima e la gratitudine di molti e verrò visto non come un sovrano equo, ma uno che bisogna temere. Credo che non serva dire cosa perderò se il maggiore fallisce nella sua missione.» Per un momento, nessuno dei due marescialli aprì bocca. Dopo che il silenzio si fu prolungato per un po', Frynkel si decise infine a parlare. «Di questi tempi, non è del tutto senza vantaggi essere considerato un sovrano da temere.» «Questo è vero», convenne Talryn. «Ma il fatto che si sia reso necessario ricorrere all'ufficiale pastore del nord per portare a termine tale missione va a credito delle Guardie del Sud?» Un altro silenzio riempì la stanza. «Rifornitelo di munizioni, mandategliele entro mezzogiorno, anche se doveste svuotare tutti gli arsenali e le postazioni di Tempre.» Il SignoreProtettore fece una pausa, poi domandò: «Come procede la difesa di Porta del Sud?». «Gli ultimi rapporti dicono che la difesa regge e che il maresciallo Wyerl ha respinto i soldati matriti a nord di Zalt. Non ci sono stati cambiamenti di posizione nelle forze dislocate tra Fola e Porta del Sud. Il che, date le circostanze, può essere accettabile.» Alyniat lanciò un'occhiata a Frynkel. «L'ultima compagnia proveniente da Borlan si trova tra Krost e qui e si unirà alle compagnie che vengono da Indyor. Così, avremo altre quattro compagnie di soldati di cavalleria che potranno essere impiegate contro la Reggente, a seconda delle necessità.» «E le reclute?» «A Krost abbiamo uomini sufficienti a formare quattro compagnie di reclute. In questo momento stanno seguendo il corso di addestramento. Hanno appena cominciato e sicuramente ne perderemo un buon quarto cammin facendo. Non saranno pronti a combattere prima della prossima primavera», replicò Frynkel. «A Krost, comunque, dovremmo avere meno problemi adesso.» «Della qual cosa dobbiamo di nuovo ringraziare il maggiore. Sto pensando che, se avrà successo a Hyalt, potrei promuoverlo a maresciallo.»
Un'impercettibile smorfia attraversò il viso di Alyniat e il picchiettio delle dita sulla scrivania cessò. «Oh... non temete», disse Talryn in tono beffardo. «È troppo intelligente per accettare e, se glielo offrissi, finirei per perdere metà dei miei ufficiali nel giro di un anno. Anche questo è un punto dolente.» Guardò Alyniat e aggiunse: «Soprattutto date le circostanze, maresciallo Alyniat. Sono certo che voi due continuerete ad adoperarvi per ovviare ai vari inconvenienti». Il viso di Alyniat si irrigidì un poco nel sentire il Signore-Protettore pronunciare la frase «date le circostanze». Infine, replicò: «Sì, signore». «Questo è tutto. Uno di voi mandi un messaggero per confermare che le munizioni sono per strada.» «Sì, signore.» Il Signore-Protettore si alzò. I due marescialli lo imitarono, si inchinarono e uscirono dallo studio. 62 Nel tenue chiarore della lampada a olio collocata sul supporto a muro, i cinque ufficiali sedevano attorno all'unico tavolo in quella che veniva considerata la mensa ufficiali della stazione intermedia di Ceazan. Quattro di essi facevano parte dell'esercito di Alucius. Il quinto era Korow, il tenente dalla barba grigia che era al comando di quella postazione. I suoi pallidi occhi verdi si spostavano lentamente da un ufficiale all'altro, ritornando però sempre a posarsi sul giovane Alucius dai capelli color grigio scuro. Quest'ultimo bevve un lungo sorso d'acqua dalla tazza di terracotta sbeccata. «Concederemo agli uomini ancora un paio di giorni per riposare e dare una controllata al loro equipaggiamento.» Non erano tanto gli uomini a necessitare davvero di riposo quanto i cavalli, ma a entrambi non avrebbe fatto male starsene un po' lontani dagli strani eventi che si stavano verificando intorno a Hyalt. Inoltre, Alucius pensava di lasciare i feriti più gravi, come Elbard, alla stazione intermedia per riprendere le forze. «Non avete detto molto, signore», disse Jultyr. «Almeno, non su quello che è successo a Hyalt.» «È vero.» Alucius indugiò. «Vorrei prima sapere cosa ne pensate voi. Poi vi dirò il mio parere.» Alucius vide un lieve sorriso increspare le labbra di Feran e capì che l'altro rideva perché lui non aveva mai avuto la fama di mostrarsi reticente a parlare quando si trovava in compagnia di altri ufficiali.
Per un po' nessuno aprì bocca. Poi Feran si schiarì la voce. «Sta succedendo qualcosa. Ed è qualcosa che non ha avuto inizio quando siamo arrivati vicino a Hyalt. E neppure quando abbiamo lasciato Dekhron. Più di tre anni fa, quando abbiamo combattuto contro i nomadi a Deforya, c'erano gli pteridon. La Matride aveva iniziato a servirsi del lancia-proiettili di cristallo ancora prima. Questa rivolta, qualunque cosa essa sia, fa parte di tutta questa serie di eventi. I ribelli non si comportano allo stesso modo dei soldati contro cui ho avuto occasione di combattere in qualunque altro posto.» Il capitano maggiore scrollò le spalle. «Questo è tutto.» Dopo un'altra pausa di silenzio, Alucius guardò Jultyr. «Non so che dire, signore. Non ho mai visto una cosa del genere. Non saprei dire da dove siano venuti questi ribelli. Non assomigliano né si comportano come gli altri lanachroniani, e io sono stato praticamente dappertutto in queste terre.» «Capitano Deotyr?» sollecitò Alucius. Il giovane ufficiale dai capelli scuri si inumidì le labbra. Alucius aspettò che parlasse. «Signore, da dove vengono tutti quei soldati? Noi... be'... il SignoreProtettore ha incontrato notevoli difficoltà a trovare uomini da arruolare, qui a Lanachrona, e noi dobbiamo averne uccisi... circa... qualcosa come cinque compagnie, eppure ce ne sono ancora tanti...» la voce di Deotyr venne meno. «Questa è una buona domanda», replicò Alucius. «Io mi sono fatto un'idea, ma non sapremo se è valida finché non avremo portato a termine la nostra missione.» Fece una pausa, poi proseguì. «I ricognitori mi hanno riferito che Hyalt è praticamente deserta. Noi stessi abbiamo visto molte fattorie abbandonate. Abbiamo catturato cavalli, benché molti fossero in condizioni pietose e alcuni avessero il mantello segnato da finimenti e da funi intorno al collo. Non sappiamo quanto vorrei, ma pare che questo profeta Adarat si sia servito di qualche forma di Talento per persuadere la gente a lasciare le loro case e fattorie per servirlo come soldati, e forse anche in altri modi.» «Ciò nonostante, se questo è vero», continuò Alucius, «di qualunque cosa si tratti, non la si può certo definire una ribellione o una rivolta. I ribelli non riescono a procurarsi uniformi tutte uguali nel giro di un paio di settimane. Non hanno soldati che continuano imperterriti a cavalcare incontro al nemico dopo essere stati feriti mortalmente. Non possono vantare pos-
sessori di Talento forti al punto da lanciare sortilegi a distanza sui nostri ricognitori». «Credete che si tratti di un'invasione?» chiese Deotyr. «Non lo so. Se dovessi tirare a indovinare, direi che si tratta di un'invasione talentosa da parte di possessori di Talento provenienti da qualche altro luogo, dal quale ricevono anche rifornimenti, ma che si servono della gente del posto come manovalanza.» «Chi può esserci dietro a tutto questo?» insistette Deotyr. «La Reggente?» ipotizzò Jultyr. «Può darsi», disse Alucius, benché ne dubitasse. Da quel che riusciva a capire, quella doveva essere opera degli ifrit, anche se non lo poteva dire chiaramente. «Ma non lo credi possibile, vero?» disse Feran. «Non so cosa ci sia dietro. Potrebbe essere la Reggente della Matride, ma ritengo che si tratti di qualcos'altro. Cosa sia questo qualcos'altro... non saprei dire, ma il modo in cui siamo stati aggrediti da creature talentose vicino a Hyalt e ancora prima a nord di Krost, e quella cappa di Talento che aleggia tutt'intorno a Hyalt...» Alucius scosse il capo. «Non credete che se la Reggente della Matride avesse quel tipo di potere, i nostri soldati sarebbero stati decimati a Madrien e sarebbero stati cacciati da Porta del Sud?» «Forse sta succedendo proprio questo», azzardò Jultyr. «E noi potremmo non esserne stati informati, vero?» Alucius si lasciò sfuggire una risata triste. «Potreste avere ragione. Noi potremmo non saperlo.» «Se è successo un fatto del genere, non può essere successo da troppo tempo», dichiarò Korow. «Qui alla postazione riceviamo i messaggi due o tre giorni dopo rispetto a Tempre. E nei messaggi non c'è niente. Non possono avercelo tenuto nascosto. Ma anche se l'avessero fatto, avremmo scoperto qualche indizio nel vedere i movimenti e i raggruppamenti delle varie compagnie.» Il capitano maggiore più anziano si bloccò e si accarezzò il mento. «Adesso che ci penso, uno dei messaggeri mi aveva detto che a Krost ci sono altre compagnie di reclute impegnate a seguire il corso di addestramento. E mi aveva anche detto qualcosa riguardo ad altre compagnie spostate da Indyor e inviate a ovest.» Alucius nutriva estrema fiducia nei messaggeri. Se c'era qualcuno in grado di sapere qualcosa, oltre ai marescialli e al Signore-Protettore, quelli erano i messaggeri.
«Se si tratta della Reggente, allora siamo isolati, non è vero, maggiore?» domandò Jultyr. «Questo lo sapevamo già», rispose Alucius seccamente. «Ma da dove ha preso tutto questo Talento la Reggente?» chiese Deotyr con un tono di voce che oscillava tra l'esasperazione e il fastidio. Alucius si strinse nelle spalle. «Non sappiamo cos'abbia causato il Cataclisma o la caduta del Duarcato. Non sappiamo neppure come fosse in realtà il Duarcato. Tutto ciò che sappiamo è che sta succedendo qualcosa di strano che sembra non essere mai successo prima, e che il fenomeno sta interessando tutta Corus. Il profeta può essere un possessore di Talento mezzo matto che ha convinto tutti, dai mercanti ai contadini del posto, che il Duarcato tornerà, inducendoli a procurarsi armi e uniformi. Il fatto che si proclami il ritorno del Vero Duarcato non significa necessariamente che questo tornerà, a prescindere da quanti abitanti di Hyalt ne siano convinti. Vista la situazione, la Reggente della Matride sarà stata ben lieta di rifornirli di armi per far sì che l'attenzione del Signore-Protettore e di Lanachrona rimanga rivolta altrove. Anche i Dramuriani potrebbero averlo fatto. Ma noi non dobbiamo occuparci della Matride o dei Dramuriani o di chiunque altro. Il nostro compito consiste nel porre fine a ciò che sta accadendo a Hyalt.» «Cos'hai in mente di fare?» domandò Feran. «In primo luogo, fare un'incursione nell'accampamento dove avevamo appiccato il fuoco all'inizio. Stando a ciò che abbiamo appreso finora, è probabile che sia il quartier generale dei ribelli. In secondo luogo, attaccare anche l'altro accampamento. Se distruggiamo le forze di questo cosiddetto profeta, ci sarà più facile colpire anche lui, ammesso che sia ancora vivo, una volta che avremo finito.» Alucius si schiarì la voce e bevve un altro sorso d'acqua. «Ho pensato che gli uomini avessero bisogno di una pausa prima di ricominciare. Dovremmo ricevere i rifornimenti domani, ma se non arrivano, prenderemo tutte le munizioni che Korow sarà in grado di procurarci e partiremo dopodomani mattina.» «Non volete aspettare, dunque?» chiese Deotyr. «Non più a lungo di quanto abbiamo già fatto», ammise Alucius. «Avevo pensato che, nel frattempo, avremmo potuto scoprire altre cose, ma non è successo. A volte, non è semplicemente possibile ottenere altre informazioni. In tal caso occorre agire, poiché non si saprà altro finché il nemico non attacca, ed è comunque meglio agire piuttosto che reagire.» «Continuo a pensare che sia tutto strano», rimuginò quasi tra sé Deotyr.
«Lo è. E potrebbe diventarlo ancora di più se non poniamo fine a questa situazione», gli fece notare Alucius. Evitò però di far notare che sarebbe stato meglio occuparsi del profeta prima che la Reggente della Matride si facesse coinvolgere ancora di più nella questione, ammesso che effettivamente fosse coinvolta. Se il profeta era un ifrit, era auspicabile agire con tempestività. Alucius si augurava solo che le munizioni arrivassero, e che arrivassero il più presto possibile. 63 Nord di Punta del Ferro, Valli del Ferro Mentre faceva fermare la giumenta fuori dalla stalla, nel tardo pomeriggio di una fredda giornata della stagione del raccolto, Wendra scese con grazia di sella, nonostante l'evidente ingrossamento dell'addome. «Non riuscirai ad andare avanti così ancora per molto», le disse Lucenda, che in quel momento usciva dal capannone adibito alla lavorazione della lana. «Almeno per un altro mese ancora, forse due», replicò Wendra, mentre conduceva la giumenta verso il secondo recinto nella stalla. «La bambina gode di ottima salute e voi sapete bene che quanto più a lungo potrò andare a cavallo, tanto più facilitato risulterà il parto.» Le fece un largo sorriso. «Siete stata voi a dirmelo.» «Non intendevo però dirti di passare l'intera giornata in sella. E non parlavo certo di portare le pecore al pascolo.» Lucenda osservò la giovane donna in fondo alla stalla. «Sembri stanca. Non dovresti uscire così spesso con il gregge.» «Esco solo a giorni alterni», disse Wendra. «Non si tratta di questo. Ho incontrato un paio di quelle... creature... quegli pteridon. Sono comparsi sulla strada del ritorno, circa due clessidre fa.» «Hanno...» «Li ho uccisi entrambi. Non sono riusciti ad arrivare alle pecore. Uno si era avvicinato a un agnello, ma l'ho colpito ed è caduto su un cespuglio di quarasote. Hanno preso fuoco lui e il cespuglio.» Wendra strofinò la sella e scosse il capo. «Non avrei mai pensato che ci fosse qualcosa in grado di bruciare un quarasote.» «Non mi piace l'idea di saperti là fuori, con quelle... creature.» Wendra fissò la donna più anziana, poi abbassò la voce. «Sapete che Royalt non è in grado di uccidere gli pteridon o i sabbiosi scuri. Tra l'altro,
non è che compaiano così spesso.» «Questa è la terza volta dall'estate.» «La quarta», confessò Wendra. «Ma ce n'erano solo un paio e adesso che porto due fucili è più facile.» «Stai ricevendo quel denaro dal Signore-Protettore. Grazie a quell'aiuto extra possiamo permetterci di perdere una o due pecore, non sarebbe la fine del mondo.» «Quei soldi sono utili, ma non bastano a ripagare la perdita di un montone», le fece notare Wendra. «Preferisco risparmiare adesso, se possibile, in previsione di momenti peggiori.» Lucenda fece un pallido sorriso. «Sei un pastore, proprio come tuo nonno. E come Alucius.» «Sono un pastore e non mi arrendo. Questo compito mi è stato affidato da voi e da Alucius e il gregge sarà qui, così come la fattoria, quando lui tornerà.» Fece una pausa. «So che sta bene, ma vorrei avere più spesso sue notizie. Sono passate due settimane dall'ultima lettera. Diceva che gli sarebbe stato difficile spedirne altre dopo aver lasciato Krost, ma sono ugualmente preoccupata.» «Conoscendo Alucius, anche lui sarà preoccupato per te.» «Non deve esserlo. È lui quello in pericolo.» Wendra continuò a strigliare la giumenta. «I ribelli tenteranno di ucciderlo.» «Mentre tu devi soltanto combattere contro creature talentose che non si erano più viste dai tempi del Cataclisma: un'altra eredità dei Duarchi», osservò Lucenda sbuffando. «I tempi stanno cambiando», disse Wendra. «Mi sembri Alucius.» «Lui ha ragione.» «Aveva quasi sempre ragione», disse Lucenda, il cui tono lasciava trapelare un misto di tristezza e rimpianto. «Ricordo quando si prese cura di Agnellino. Mi guardò e disse: "Starà bene. Vedrai, starà bene". E poi si addormentò.» «Alucius è fatto così.» «Per una madre è inquietante. Ha sempre visto cose che noi non vedevamo. Non si rendeva sempre conto del loro significato, ma le vedeva.» Gli occhi di Lucenda si fissarono in quelli di Wendra. «Tua figlia... anche lei sarà così, e allora capirai.» «L'avevo pensato», confessò Wendra. «Soprattutto quando mi svegliavo e osservavo Alucius che dormiva, così indifeso, come un bambino.»
Parve che Lucenda volesse aggiungere altro. Poi fece una risata sommessa. «Devo andare a preparare la cena. Vieni dentro, quando hai finito.» Dopo che Lucenda se ne fu andata, Wendra continuò a spazzolare la giumenta, lo sguardo perso in lontananza, verso sud. 64 La mattina di octdi trovò la colonna di soldati che cavalcava di nuovo verso sud lungo la strada principale, alla volta di Hyalt Sebbene non si aspettasse di imbattersi nei ribelli fino al giorno seguente, Alucius non la smetteva di scrutare con gli occhi e con il Talento la strada e il terreno circostante alla ricerca di qualunque traccia di emanazioni violacee in grado di segnalargli la loro presenza, o di eventuali nuvole di polvere sollevata da terra al loro passaggio, in quell'arida stagione del raccolto che avrebbe a giorni ceduto il passo all'autunno. Persino in quelle terre meridionali, la temperatura si sarebbe presto rinfrescata, anche se non sarebbe stata neanche lontanamente paragonabile a quella dell'autunno nelle Valli del Ferro. Per tutta la mattina, Alucius continuò ad avanzare con la Ventottesima Compagnia. A mezzogiorno, ordinò alla Trentacinquesima Compagnia di portarsi in testa alla colonna e venne affiancato da Jultyr. Avevano proseguito insieme per più di una clessidra, scambiandosi di tanto in tanto qualche parola, quando Jultyr si schiarì la voce come per iniziare un discorso. Alucius restò in attesa. «I marescialli sono stati davvero molto veloci a mandarci le munizioni, signore.» «Il mio messaggio spiegava bene le difficoltà in cui ci trovavamo, o perlomeno cercava di essere il più chiaro possibile.» «Ho visto colonnelli aspettare i rifornimenti più a lungo di voi, signore.» «Il Signore-Protettore ha un problema. Prima riceviamo le munizioni, prima lo risolviamo.» «Non credete che ci siano altri sistemi?» Alucius rise sommessamente. «Mi pare che i ribelli non ci lascino molta scelta. Sono stati loro ad attaccarci per primi in più di un'occasione. Siete del parere che avremmo dovuto comportarci altrimenti?» «No, signore.» «Pensate che dovremmo colpire subito l'accampamento sulla collina o quello a nordest della città?» Jultyr rifletté.
Alucius aspettò di nuovo. «Direi quello sulla collina, signore. È meno probabile che la notizia dell'incursione giunga subito fino in città. Se assalite prima l'altro, i ribelli avranno modo di prepararsi in previsione del secondo attacco. Senza contare che tutti gli abitanti di Hyalt potrebbero rifugiarsi nell'accampamento in collina insieme ai ribelli e noi correremmo il rischio di uccidere donne e bambini.» Jultyr si strinse nelle spalle. «Magari saremmo comunque costretti a farlo.» «Già.» «Non riesco ancora a capire per quale motivo non hanno simpatia per il Signore-Protettore. Non ha mai fatto nulla a quella gente. Nulla. I soldati di stanza a Hyalt erano più che altro quelli che avevano riportato menomazioni gravi in battaglia e che trascorrevano lì l'ultimo anno di servizio prima di andare in pensione.» Jultyr fece una pausa. «Questa faccenda del Vero Duarcato... chi ci dice che sia buono come quello precedente? Ma poi, quello vecchio era davvero buono? Tutto quello che ci è rimasto sono storie e leggende, e alcune strade e palazzi. Di certo non sufficiente a farci capire com'era la vita a quei tempi.» «Le leggende non raccontano tutto», replicò Alucius pacatamente. «La gente ricorda solo quello che vuole ricordare: tanto il bene quanto il male.» Jultyr piegò il capo, con aria pensosa. «Mio nonno era solito raccontare delle storie. Non ne ha mai raccontata una a lieto fine. Mia nonna, invece, non ne ha mai raccontata una che fosse triste. Eppure hanno vissuto quasi cinquant'anni insieme. È buffo... hanno vissuto la stessa vita. Ma è indubbio che vedevano le cose in modo differente, o le raccontavano in modo differente.» «La gente è fatta così.» Jultyr si accigliò. «Tranne questi ribelli. Si comportano tutti allo stesso modo. Le persone normali non fanno così.» «Questo profeta si serve di una specie di Talento per influenzare la loro mente.» «Sarà dura per quella povera gente, e anche per noi.» Alucius annuì. Qualunque cosa fosse successa, sarebbe stata dura per tutti. Scrutò ancora una volta la strada dinanzi a sé e le colline dai fianchi coperti di cespugli spinosi. 65
In un londi freddo e nuvoloso, poco dopo mezzogiorno, Alucius, Feran, Jultyr e Deotyr erano in piedi accanto alle ceneri di un fuoco da campo, a metà strada lungo il pendio della collina sulla quale si erano accampati, a meno di cinque vingti dall'accampamento occidentale dei ribelli. Di fronte a loro stavano Rakalt e Waris, gli ultimi due migliori ricognitori rimasti, se non si contava Elbard, che si trovava ancora alla stazione intermedia, ma ormai in via di guarigione. Visti i problemi verificatisi nel corso delle precedenti perlustrazioni, Alucius era contento e sollevato nel vedere che i due erano tornati. «Signore, rammentate che avevamo dato fuoco a tutti quegli alberi intorno al campo nemico, e anche a quei cespugli spinosi?» disse Waris. «Ero con voi», gli fece notare Alucius. «Gli alberi che abbiamo bruciato sono ancora neri, ma sui cespugli sono spuntati dappertutto nuovi germogli verdi, e sembrano persino più grossi.» «Ne siete certi?» chiese Feran. Jultyr e Deotyr si scambiarono un'occhiata. «Abbiamo tagliato un ramo. A fatica, perché sembrava bello robusto.» Waris mostrò un pezzo di ramo annerito lungo mezza iarda sul quale si intravedevano dei getti verdognoli. Mentre il ricognitore glielo porgeva, Alucius dovette reprimere un brivido davanti alla lieve sfumatura nera e violacea che il suo Talento percepiva. Qualcuno - un ifrit o un lanachroniano posseduto da un ifrit - si era impadronito dell'energia vitale della gente per stimolare la crescita innaturale di quei cespugli. «È così tutt'intorno al campo?» «Sembra proprio di sì, signore.» Waris lanciò un'occhiata a Rakalt. «Per quanto ho potuto vedere, lo confermo, signore», aggiunse il secondo ricognitore. «Che mi dite delle staccionate e delle mura? Sono state rinforzate?» «No, signore.» «E i cancelli sono chiusi, o qualche volta li aprono?» «Erano aperti i due della volta precedente, signore. Anzi, sembra che non vengano mai chiusi, tranne che di notte, o forse neanche.» «Avete visto altri soldati, oltre alle sentinelle?» «Ce n'era qualcuno in giro, signore, ma non abbiamo assistito a esercitazioni o ad altre cose del genere», replicò Waris. «E non hanno nemmeno un campo riservato alle manovre», aggiunse Rakalt. «L'unico posto in cui ho visto mucchi di terra o fossati simili a trincee è la strada.»
«Avete visto scavi, buche profonde, pali?» «No, signore, e tenuto conto di com'è fatto il terreno, sarebbe stato impossibile nasconderli.» «E la caverna?» «Non siamo riusciti a scoprire niente di nuovo, signore. Si vede solo una grossa apertura squadrata sul fianco della collina. Se tutti si rifugiano là dentro sarà difficile prenderli, anche se non sarebbero comunque in grado di spararci se non esponendosi al nostro fuoco. Oltre all'apertura non ci sono né feritoie né finestre.» «È una specie di lucernario in alto», aggiunse Waris. Feran e Alucius continuarono a porre domande, ma scoprirono che ben poco era cambiato, a parte l'anomala ricrescita dei cespugli. Il fatto che non vi fossero cambiamenti preoccupava Alucius, costringendolo a chiedersi quale particolare stesse trascurando. Alla fine, si schiarì la voce e disse ai ricognitori: «Grazie, se mi viene in mente qualcos'altro vi mando a chiamare». «Sì, signore.» Alucius aspettò finché i due si furono allontanati, poi parlò a voce bassa agli altri ufficiali. «Attaccheremo domattina all'alba, proprio come avevamo programmato. Avremo il sole alle spalle, mentre i ribelli faticheranno a vedere a causa del riverbero negli occhi.» «E che succede se ci attaccano prima loro?» chiese Deotyr. «In tal caso, faremo fuori tutti quelli che si presenteranno qui e attaccheremo gli altri domani mattina», replicò Alucius. «Il che significherebbe, per loro, rimanere anche con meno uomini. Tra l'altro, credo che un po' si siano già ridotti. Hanno perso qualcosa come cinque compagnie e non possono averne molte di più, a meno che non tengano i soldati stipati da qualche parte come tanti polli in una stia.» «È possibile, signore», replicò Feran in tono deferente. «Ho visto polli con più cervello di alcuni di questi ribelli.» Alucius cercò di non scoppiare a ridere, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Jultyr lo imitò, mentre Deotyr si limitò ad abbassare lo sguardo. «Piazzate due gruppi di sentinelle, uno a un vingt da qui, sulla strada che porta all'accampamento nemico. Il capitano Deotyr può avere ragione riguardo a un attacco serale o notturno. E dite agli uomini di dormire con le armi al fianco.» «Sì, signore.» Mentre gli altri ufficiali tornavano dai loro comandanti di squadra a im-
partire le istruzioni, Alucius prese il ramo che Waris gli aveva portato. Lo esaminò con aria disgustata, poi si servì adagio del Talento per separare dai germogli l'energia del filo vitale marroncino, che stava già svanendo. All'improvviso, l'intero ramo diventò nero e si ridusse a un mucchietto di cenere. Il maggiore annuì tra sé. Se fosse stato necessario avrebbe potuto distruggere i cespugli e, con qualche piccolo accorgimento, nessuno tranne Feran avrebbe capito cos'era successo. Sentì lo stomaco stringersi in una morsa. «Che è successo a quel ramo?» chiese Feran, nell'avvicinarsi ad Alucius. «Un attimo prima lo tenevi in mano e quello dopo è sparito.» «È morto.» Feran inarcò le sopracciglia, poi aggrottò la fronte. «Mi sembravi preoccupato quando Waris te l'ha mostrato. Una pianticella davvero resistente. O si tratta di qualcos'altro?» «Non è la pianta», replicò Alucius a voce bassa. «Le piante ricrescono dopo un incendio. È normale. Ma non ricrescono grosse il doppio su colline dove non piove che una volta ogni due settimane. Qualcuno deve essersi servito del Talento, e di parecchio anche.» Alucius non aveva intenzione di rivelare a Feran cos'altro gli avesse rivelato il suo, di Talento. «Servirsi del Talento per far ricrescere dei cespugli?» Feran assunse un'espressione accigliata, mettendo ancora più in risalto la sottile ragnatela di rughe attorno agli occhi. «Devono averne parecchi di possessori di Talento, qui. Pensi ancora che dovremo attaccare?» «Meglio adesso che dopo, quando potrebbero essercene ancora di più», replicò Alucius. La risata di Feran aveva un suono aspro. «Il mondo mi piaceva di più quando il Talento non aveva ancora cominciato a mostrarsi dappertutto.» «Mi domando se il Duarcato fosse davvero così nobile come lo dipingono le leggende.» «Se questo profeta ne è un esempio, riesco a immaginare come stessero prima le cose.» «Non credo che si possa tornare indietro», commentò Alucius seccamente. «Dici sempre cose del genere, onorevole maggiore», replicò Feran. «Sai cosa non mi va giù?» «Che cosa?» «Il fatto che tu di solito abbia ragione.»
Entrambi scoppiarono a ridere, Alucius tanto per l'ironia che traspariva dal tono di Feran quanto per il significato delle parole stesse. 66 Alucius era in piedi sulla cima della collina, come raggelato, le gambe ancorate al terreno sabbioso. Tentò di sollevarne una, poi l'altra, ma non si mossero. Il disco pieno a tre quarti di Selena proiettava una misteriosa luce bianco-violacea sul fianco dell'altura e Alucius si concentrò, tentando di percepire i rumori della notte. Ma non ne udì. Intorno a lui regnava un silenzio di morte. Una foschia rosso-violacea si mosse turbinando sulla strada, poco più di un sentiero in terra battuta ai piedi della collina, bloccando inizialmente e solo a tratti la visuale sul sentiero, ma poi addensandosi a un punto tale da impedirne del tutto la vista. Con estrema lentezza, la nebbia vorticosa si addensò sempre di più e si sollevò fino a oscurare tutto il fianco in basso, per poi nasconderlo completamente. Più la nebbia si alzava, avvicinandosi ad Alucius, più lui sentiva freddo. Alucius si svegliò bruscamente. Si guardò intorno, ma l'accampamento era tranquillo. Troppo tranquillo. Nemmeno i cavalli, assicurati alle funi sul perimetro occidentale del campo, si erano mossi, come invece i più nervosi del gruppo erano soliti fare se qualcosa non andava. Dopo un attimo si infilò gli stivali con movimenti maldestri, come se le mani e le gambe fossero ancora intorpidite dal sonno. Si alzò a fatica. Anche reggersi in piedi gli costava un grosso sforzo, sebbene a ogni movimento si sentisse un po' meno impacciato. Impacciato? Alucius scrollò la testa. Persino i suoi pensieri sembravano rallentati. Dovette costringersi a usare il Talento, cosa che da anni non succedeva, dato che il Talento era diventato a tal punto parte integrante di lui da essere utilizzato come se fosse uno dei cinque sensi. In qualche punto imprecisato più in basso c'era qualcosa... qualcosa impregnato di Talento, un Talento simile a quello degli ifrit, con le stesse sfumature violacee che li contraddistingueva. La prima reazione fu di dare l'allarme, ma ebbe un attimo di esitazione, mentre si chinava a prendere prima l'uno poi l'altro fucile dalla custodia. Lanciò un'occhiata alla sua destra, dove Feran stava ancora dormendo, il respiro così lieve che il torace si sollevava a malapena. Tenendo un fucile in ciascuna mano, Alucius gli si avvicinò. «Feran?»
Si chinò e ripeté: «Feran?». Il capitano maggiore non si mosse e Alucius avvertì la lieve nebbia violacea che gli circondava il capo. Subito, proiettò una Talento-sonda in quella direzione. Bastò un tocco e la nebbia si dissolse. «Feran?» «Cosa...» La voce dell'altro suonò roca, come se non venisse usata da molto tempo. «Stiamo per subire un attacco... sono stati tutti addormentati con il Talento.» «Talento?» Feran parve confuso, così come lo era stato Alucius immediatamente dopo il risveglio. «Talento, da parte del profeta», precisò Alucius. Feran si mise a sedere con gesti convulsi, calciando via la coperta e cercando a tentoni gli stivali. «Figlio di una scrofa bastarda!» «Dobbiamo svegliare gli uomini della Quinta Compagnia, ma senza far rumore. Ho paura che, se cerchiamo di svegliare tatti insieme, il nemico ci attacchi subito, e noi non saremmo ancora pronti a respingerlo.» «Hai fatto qualcosa con me prima, non è vero? Una di quelle cose da pastore.» Feran si infilò gli stivali. Alucius ignorò la domanda e ricorse al proprio Talento per individuare la posizione dei ribelli, che stavano in quel momento scendendo da cavallo nella strada più in basso, in un punto nascosto alla vista a causa della densa foschia. «Sei pronto?» Feran si alzò. «Andiamo.» I due cominciarono da Egyl, poi Alucius si limitò a sostare all'estremità di ogni fila di materassini, usando il Talento per dissolvere la nebbia violacea che si era formata attorno a ciascun soldato, mentre il comandante di squadra spiegava a bassa voce quello che stava accadendo. Dopodiché Alucius discese la collina insieme a Faisyn e alla prima squadra della Quinta Compagnia. «Saliranno a piedi su entrambi i fianchi», bisbigliò Alucius a Faisyn. «Evitiamo di fare fuoco finché non saranno vicini.» «D'accordo.» Alucius si appostò pancia a terra sul sentiero, affiancato da due soldati, mentre Faisyn si spostava silenzioso dall'uno all'altro dei suoi uomini, impartendo sottovoce le istruzioni. La seconda squadra li raggiunse prima che Faisyn avesse terminato il suo giro e Alucius ripeté gli ordini ai nuovi arrivati. Non aveva ancora
finito che, dal basso, comparvero alcune sagome indistinte. Non più di una ventina di ribelli, con indosso tuniche e pantaloni marroni, si stavano arrampicando in silenzio su per la collina, strisciando da un ginepro all'altro. Alucius si costrinse ad aspettare finché il primo attaccante non fu a meno di venti iarde da lui. Poi premette il grilletto e impartì il comando: «Adesso! Fuoco! Fuoco a volontà!». La collina fu tutta un balenio di spari. Almeno la metà degli assalitori venne abbattuta sotto le prime raffiche, sebbene molti di essi - anche se mortalmente feriti - lottassero per impugnare i fucili o le spade: alcuni avanzando carponi sul terreno, altri tentando di sollevare armi divenute ormai troppo pesanti. Alucius continuò a sparare. Chiunque rappresentasse un potenziale pericolo, ferito o no, veniva colpito. Nel giro di mezza clessidra, il fianco della collina era di nuovo tranquillo. Alucius proiettò tutt'intorno il proprio Talento cercando di capire se il nemico si stesse preparando a sferrare un altro assalto, ma, da ciò che poté sentire, non c'era nessun altro sulla strada in basso, tranne forse una squadra di cavalieri mezzo vingt più a sud, che si stava allontanando al galoppo verso l'accampamento dei ribelli. «Faisyn, di' alla prima squadra di stare all'erta ancora per un po'.» «Sì, signore.» Alucius si rialzò da terra guardandosi intorno alla ricerca di Feran e, dopo averlo individuato, una ventina di iarde più a ovest, si diresse verso di lui. «Non abbiamo subito perdite», disse Feran. «Sono preoccupato per le sentinelle.» «Anch'io. Ho mandato Egyl e la quarta squadra a dare un'occhiata.» Feran tossì. «Maledetto sortilegio... miserabile bastardo...» «Non si trattava proprio di un sortilegio...» «Qualunque cosa fosse, non cambia niente.» Alucius scrollò le spalle. Da un punto di vista pratico, Feran aveva ragione. Fece correre lo sguardo lungo il fianco della collina, dove, dopo l'uccisione dei ribelli e la partenza del profeta, o di chiunque avesse usato il Talento per creare quel sonno artificiale, quel terribile miasma violaceo aveva cominciato a dissiparsi, lasciando il posto ai normali rumori di un accampamento i cui soldati erano stati svegliati nel cuore della notte.
Feran si alzò in piedi stiracchiandosi. «Credi?» «Se ne sono andati. Di' pure che tornino a dormire, tranne gli uomini della prima squadra, che lascerei di guardia ancora una mezza clessidra. Se non sentiamo niente, potranno andarsene a riposare anche loro.» «D'accordo. Egyl è ancora fuori, a controllare le sentinelle.» Feran si era appena allontanato che Alucius venne avvicinato da Jultyr. «Signore, ho sentito degli spari... mi hanno detto che vi avrei trovato qui.» «Già. I ribelli hanno cercato di attaccarci. La Quinta Compagnia li ha respinti.» Jultyr sbadigliò. «Non mi era mai capitato prima... di dormire durante uno scontro a fuoco.» «Può darsi che qualcuno ci abbia dato una mano. Tutti quanti dormivano un sonno talmente profondo...» «Talento?» chiese il capitano più anziano. «Credo di sì.» «Maledetti bastardi! Non vedo l'ora che arrivi domani.» Nell'udire dei passi che si avvicinavano i due ufficiali si voltarono e videro Egyl che avanzava adagio verso di loro, uscendo dall'ombra dei radi cespugli di ginepro. «Abbiamo perso le sentinelle esterne. Hanno tagliato la gola a tutte e quattro.» «E le altre?» «Stanno ancora dormendo. Dovrebbe essere tutto a posto.» «Non piazziamole più così lontano. Non stanotte, perlomeno.» «Sì, signore.» Egyl si apprestò a risalire il fianco della collina. Jultyr guardò Alucius. «Non mi sono mai trovato a combattere una cosa del genere.» «Credo che nessuno lo abbia mai fatto.» Alucius si chinò a raccogliere i fucili, reggendone uno in ogni mano. «Ci vediamo domattina.» «Sì, signore.» Mentre si allontanava alla ricerca di un posto dove sedersi a riflettere, Alucius ripensò a ciò che era appena successo e ai suoi piani per il giorno dopo. Doveva ancora ordinare l'attacco all'alba? Il dubbio era se agire immediatamente o aspettare. A lui non era mai piaciuto aspettare, ma si chiese se il comandante dei ribelli non avesse puntato proprio su quello. D'altra parte, se non avesse attaccato, quanti altri uomini avrebbe rischiato di perdere nel corso di ulteriori incursioni notturne? E quante ore di sonno avrebbero perso lui e i suoi soldati per evitare di essere nuovamente colti di sorpresa?
Per il meglio o per il peggio, decise che avrebbe attaccato la mattina successiva. 67 Alucius non aveva dormito molto quando si sentì chiamare. «Signore? Mancano due clessidre all'alba.» «Grazie.» Rotolò stancamente fuori dal materassino da campo e si infilò gli stivali. Poi si alzò in piedi sbadigliando. La notte era stata troppo breve, ma, a meno di non fermare il profeta Adarat, ogni notte avrebbe potuto essere uguale a quella, finché a un certo punto non sarebbe stato troppo stanco per proteggere i suoi uomini... o se stesso. Dopo essersi lavato nell'acqua del secchio che aveva predisposto la sera prima, cercò di prepararsi alla giornata che aveva davanti, arrotolando la stuoia che fungeva da materasso e la coperta, per poi dirigersi verso il punto in cui erano legati i cavalli. Una volta là, mise la sella al suo cavallo grigio e, dopo aver controllato che entrambi i fucili fossero carichi, li ripose nelle custodie. Infine, prima di montare in groppa, si assicurò che la maschera proteggi-capo di seta nerina - ormai inutilizzata da anni - fosse ben ripiegata dentro la bisaccia. Non era quello un indumento che fosse solito portare quando guidava i soldati in battaglia, ma la sua protezione era risultata davvero provvidenziale durante la stagione fredda o le missioni di ricognizione in solitario, e in alcune altre occasioni. Dopodiché montò a cavallo e scese adagio lungo il fianco meno ripido della collina, fino a raggiungere l'avvallamento tra le alture dove passava la strada in terra battuta segnata dai profondi solchi delle ruote dei carri, lungo la quale le tre compagnie si stavano disponendo in formazione. Nel fioco chiarore che precedeva l'alba, Alucius si fermò sul bordo occidentale della carreggiata, tra l'odore della polvere e il profumo dei cedri, e rimase ad ascoltare alcuni frammenti di conversazione dei soldati. «... odio cavalcare così presto la mattina...» «Bakka, tu odi cavalcare e basta...» «... dopo questa fottuta notte senza fine... adesso dovremmo anche combattere?» «... se non lo facciamo, non ci saranno più lunghe notti...» «Quasi quasi preferirei farmi congelare le chiappe ad Armonia.» «Io no. I matriti sono bravi a sparare.» «... non c'è giorno che non ci provi, quel dannato talentoso...»
«... i ribelli mi spaventano... non mi sembra che ci stiano troppo con la testa...» «... meglio dei matriti, che invece con la testa ci stanno, eccome.» Alucius si augurava solo che quel soldato avesse ragione. Quando sentì che Feran stava raggiungendo la testa della colonna, uscì dall'ombra e diresse il cavallo verso di lui. «Buongiorno.» «Non è ancora giorno e non è così buono, signore», rispose Feran in tono allegro, benché le parole lo smentissero. «Abbiamo forse altri problemi di cui non mi hai parlato?» «Oltre a quelli della notte scorsa? Non ancora.» Feran ridacchiò cupo. «Tu sai quanto mi piaccia la mattina, e adesso non è nemmeno mattina. Non sono un pastore, io. Ho lasciato il piccolo podere di famiglia proprio per non dovermi alzare prima del sorgere del sole.» «Tra circa una clessidra sarà spuntato.» «Facciamo tra due. Questa è notte fonda, non mattina. Io non vedo al buio come voi pastori.» Benché Alucius scoppiasse a ridere nel sentire il tono afflitto di Feran, si chiese cosa significasse non riuscire a vedere di notte. Una cosa del genere l'aveva provata poche volte, quando gli era capitato di trovarsi in grotte o in luoghi del tutto privi di luce. Nell'udire qualcuno avanzare da nord lungo la strada, Alucius girò il cavallo. «Maggiore, signore?» «Eccomi.» «Il capitano Jultyr riferisce che la Trentacinquesima Compagnia è presente e pronta a partire, signore.» «Grazie. Di' al capitano che partiremo tra non molto.» «Sì, signore.» Mentre il soldato si allontanava, Feran tossicchiò, poi disse: «La Quinta Compagnia è pronta, signore. Forse avrei dovuto riferirtelo prima». «Voi siete sempre pronti.» «Con te ne vale la pena, caro il mio maggiore.» I due aspettarono a cavallo sulla strada, poco più a sud di dove si era schierata la Quinta Compagnia, in attesa che giungesse anche conferma dalla Ventottesima Compagnia. Quando finalmente dall'oscurità emerse un comandante di squadra, Alucius ebbe l'impressione che fosse trascorso un quarto di clessidra, anche se in realtà era passato molto meno tempo. «Ventottesima Compagnia, presente e pronta, signore.» «Bene. Partiamo subito.»
«Sì, signore.» Alucius si girò verso Feran. «Colonna, avanti!» Il comando echeggiò tra le file dei soldati, sostituito subito dal rumore degli zoccoli sul fondo in terra battuta, nel momento in cui le tre compagnie iniziarono a muoversi verso sud. Dovettero percorrere quasi tre vingti prima che si cominciasse a intravedere una sottile striscia di grigio al di sopra delle basse colline che si stendevano a est della strada. Durante il viaggio, Alucius sbocconcellò un po' di pane e formaggio, innaffiando il tutto con l'acqua della borraccia. Parecchi soldati della Quinta Compagnia seguirono il suo esempio. «Cosa pensi di fare riguardo a quei cespugli spinosi?» domandò Feran. «Niente. Ameno di non esservi costretto. Non credo che i ribelli si aspettino di venire assaliti all'alba. Tranne quella volta dell'incendio, non li abbiamo mai attaccati e nemmeno ci siamo avvicinati troppo a Hyalt. Inoltre, non sembra che stiano particolarmente all'erta. Se i cancelli sono rimasti aperti, ci limiteremo a eliminare le sentinelle e a entrare. Se invece sono chiusi, bruceremo qualche cespuglio qua e là e ci ritaglieremo un varco per sgattaiolare dentro.» «Tu credi davvero che non abbiano piazzato guardie lungo le mura?» chiese Feran. «Il guaio di avere troppo potere è che si finisce per farci un eccessivo affidamento.» «Parli di nuovo per enigmi.» «Quando iniziai a fare il ricognitore venni assegnato a un soldato più anziano. Non era un pastore e non possedeva la benché minima traccia di Talento. Ma era uno dei ricognitori più in gamba che abbia mai conosciuto, molto meglio di me. Lui prestava attenzione ai particolari, anche ai più insignificanti, e poi li collegava tutti quanti insieme. Qui sta il problema: questo profeta fa affidamento solo sul Talento e non ha alcun rispetto per i suoi uomini. Lo si capisce da come li manda a morire. La prima volta che ci siamo spinti fin là in perlustrazione, la difesa dei cancelli lasciava molto a desiderare, e sì che i ribelli erano già stati informati della nostra presenza nelle vicinanze. Scommetterei che la situazione è rimasta invariata», pronosticò Alucius. «Spero che tu abbia ragione.» Alucius non sapeva bene cosa augurarsi, poiché un numero esiguo di guardie ai cancelli poteva significare che il nemico si affidava a qualche altro sistema, presumibilmente più efficace, contro il quale lui non era si-
curo di volersi confrontare. Dopo che ebbero percorso un altro mezzo vingt, il cielo si schiarì abbastanza da permettere loro di individuare sul fondo polveroso della strada orme recenti di cavalli, orme che, a giudizio di Alucius, risalivano solo alla notte precedente. Infine, la colonna giunse in prossimità dell'ultima curva oltre la quale la strada si dirigeva a ovest, verso l'accampamento dei ribelli. «Colonna, alt!» Dopo che tutti si furono fermati, Alucius ordinò: «Tenersi pronti con i fucili. Avanzare in silenzio». Poi le file si divisero disponendosi su ciascun lato della carreggiata e lasciando sgombra la parte centrale. Procedettero ancora per un altro vingt, quindi si concessero un'altra sosta. I soldati alla testa di ogni fila si fermarono al coperto degli ultimi cespugli. Al di là, si stendevano i prati che arrivavano fino ai cancelli dell'accampamento, situati appena duecento iarde più avanti. I cancelli erano aperti. Feran si girò verso Alucius, che stava sull'altro lato della strada. Alucius si guardò alle spalle, in attesa, indicando con il dito a est. Feran annuì e insieme aspettarono che i raggi bianco-arancioni del sole cominciassero a filtrare all'orizzonte, al di sopra delle basse colline orientali, colpendo con il loro riverbero gli occhi della sentinella, sempre che fosse rivolta da quella parte. Alucius avanzò con il cavallo fino a superare di poco un cedro massiccio, oltre il quale iniziava il tratto di terreno scoperto. Poi si fermò, imbracciò il fucile e - aiutandosi con la vista e con il Talento - cercò di mirare alla guardia davanti a una delle due garitte che affiancavano i cancelli. Bang! Il ribelle cadde scomparendo all'interno della guardiola. Con quell'unico sparo come segnale e senza aspettare altri ordini, la Quinta Compagnia diresse i cavalli al passo veloce su per il sentiero, attraverso i prati, verso la palizzata. Le altre due compagnie seguivano. Al di là dei cancelli aleggiava un'oscurità violacea, presente e silenziosa, che non dava l'idea di essere in agguato, ma semplicemente là. Perciò Alucius, mentre procedeva alla testa dei suoi uomini, si tenne pronto sia con il Talento sia con il fucile. Con il Talento avvertì un altro soldato nella garitta di fronte, ma gli parve di capire che stesse dormendo. A ogni buon conto, tenne l'attenzione fissa su di lui e sul tracciato che portava all'interno dell'accampamento.
Passo dopo passo, i cavalieri si portarono sempre più vicino ai cancelli. Erano a meno di venti iarde, quando la sentinella balzò in piedi. Alucius era rimasto in attesa, pronto a sparare. Il primo colpo raggiunse il nemico alla spalla, il secondo lo centrò in pieno petto. La barra di metallo che questi teneva in mano produsse un clang smorzato mentre colpiva la campana di fianco al cancello. «Colonna, avanti!» ordinò Alucius, spronando il proprio cavallo. La Quinta Compagnia ubbidì all'istante e un attimo dopo anche le altre due seguirono. Mentre attraversava i cancelli, Alucius continuò a guardarsi intorno alla ricerca di eventuali ribelli, ma non ne vide. Perciò proseguì, seguito a breve distanza dalla Quinta Compagnia, lungo il sentiero in leggera salita che portava alla piccola altura dov'erano situate le baracche e le scuderie, su un tratto di terreno pianeggiante appena a est del tempio scavato nella roccia. Mentre si avvicinava, Alucius esaminò le baracche. Erano due fabbricati costruiti su un unico piano; ciascuno di essi era lungo cinquanta iarde e largo dieci, aveva muri grezzi e rivestiti da assi di legno ed era coperto da un tetto in pendenza che partiva dal muro posteriore, più alto, e scendeva fino a quello anteriore. Le poche finestre erano munite di imposte, non dipinte, ma erano prive di vetri. La campana ai cancelli cominciò a suonare, con insistenza, quasi disperatamente. «Soldati! Soldati all'interno dell'accampamento!» si udì qualcuno gridare. «Quinta Compagnia! Schierarsi in linea di tiro, in doppia fila!» ordinò Feran. Mentre i soldati si disponevano in formazione con i fucili puntati sulle baracche, Alucius continuò a scrutare il tratto pianeggiante e la caverna ricavata nella scoscesa parete rocciosa. Al suo interno doveva probabilmente trovarsi il profeta, a giudicare dalla nebbia violacea e turbinosa che aveva cominciato a uscire dall'ingresso squadrato scavato nella pietra rossastra. Un centinaio di uomini con indosso tuniche marroni uscì incespicando dalle rudimentali baracche. Un terzo di essi sembrava armato di fucili, il resto brandiva spade o lance. Tutti quanti erano avvolti da quell'esalazione violacea e tutti cominciarono a correre in direzione dei soldati a cavallo della Quinta Compagnia. «Quinta Compagnia! Fuoco a volontà!»
La prima raffica uccise circa un terzo degli attaccanti. Contemporaneamente, Alucius vide un buon numero di ribelli uscire dall'estremità ovest delle baracche e dirigersi di corsa verso l'ingresso del tempio. Poi si dovette concentrare sui sei uomini che stavano per assalirlo. Dovette fare fuoco due volte prima di centrare quello armato di fucile che stava in testa, visto che procedeva a zigzag. Fortunatamente, quell'incedere irregolare non solo gli rese difficile prendere la mira, ma impedì anche al ribelle di colpire lui o qualche altro soldato delle Guardie del Nord. Alucius ripose il primo fucile nella custodia ed estrasse il secondo, puntandolo contro un altro guerriero dall'imponente statura in procinto di aggredirlo. L'uomo cadde a terra a poco meno di cinque iarde da lui, ma lottò per rialzarsi, barcollando, il sangue che gli zampillava da una ferita all'addome. Alucius sparò di nuovo e lo uccise. Quindi abbatté un ribelle che stava per conficcare una lunga lancia nel fianco destro di Bakka, approfittando del fatto che quest'ultimo era impegnato ad assestare una sciabolata all'aggressore alla sua sinistra. Durante la mezza clessidra che seguì i fucili non smisero un attimo di sparare e le sciabole di sferrare fendenti a destra e a manca. Poi sul luogo dello scontro scese il silenzio. Da ciò che Alucius fu in grado di determinare con il Talento, gli unici uomini ancora in vita erano i suoi soldati e i ribelli che si erano rifugiati nel tempio. Mentre rifletteva sulla mossa successiva, dall'imboccatura del tempio guizzò fuori un miasma violaceo - invisibile, se non al Talento che andò a travolgere la quinta squadra, all'estremità nord dello schieramento. Quasi immediatamente, una decina di soldati cadde di sella. Alucius sentì che almeno uno, o forse due, erano morti. «Tutte le compagnie, portarsi indietro di cento iarde! Subito!» «Arretrare e riposizionarsi in formazione!» Gli ordini echeggiarono nello spazio aperto delimitato dalle baracche, dalle stalle e dalla parete rocciosa che ospitava il tempio. Alucius si avvicinò ai soldati che giacevano a terra: due di essi erano davvero morti. Feran lo raggiunse. «Talento, maggiore?» «Una forma malvagia di Talento.» Poi tutti e due con l'aiuto di Zerdial, il comandante della quinta squadra, riuscirono a trascinare i soldati uccisi e quelli svenuti, insieme ai loro cavalli, lontano dal tempio. Alucius guardò prima Feran, poi Deotyr e infine Jultyr. «Mi sembra di
capire che là dentro si trovi un centinaio di uomini all'incirca. Il capitano maggiore Feran penserà a organizzare i turni delle compagnie che staranno di guardia all'ingresso del tempio, laggiù. Direi che è sufficiente una sola compagnia per turno. Una seconda si terrà pronta a intervenire in caso di necessità, mentre l'altra farà un giro d'ispezione nelle baracche per vedere se ci sono provviste o munizioni.» «Sì, signore.» «Io vedrò cosa possiamo fare riguardo a questo profeta.» Alucius si avviò di nuovo a cavallo in direzione del tempio, fermandosi su un lato, in un punto in cui non potesse essere raggiunto da eventuali colpi sparati dall'interno, a meno che i ribelli non uscissero, esponendosi a loro volta. Quando una seconda ondata del miasma violaceo a forma di cono si riversò fuori dall'imboccatura della caverna, Alucius le contrappose uno scudo verde-dorato. Le due forze opposte si mescolarono, producendo una miriade di puntini luminosi che schizzarono in ogni direzione nell'aria mattutina e che vennero visti da tutti i soldati. Alucius aspettò che il profeta - o l'ifrit - sferrasse l'attacco successivo. La terza ondata si esaurì ad appena cinquanta iarde dall'ingresso del tempio, ben lontana dai soldati. Quasi certo che non si sarebbe verificato tanto presto un altro episodio del genere, Alucius esaminò l'arco squadrato che fungeva da apertura, sia con gli occhi sia con i Talento-sensi. Questa immetteva su un passaggio scavato nella roccia, lungo almeno quattro iarde, largo tre e alto altrettante, che poi proseguiva allargandosi in una specie di anticamera. I muri del corridoio erano lisci, privi di qualsiasi sporgenza o cavità. In fondo ad esso, si erano rifugiati i ribelli, appostati in attesa. Alucius non riuscì a percepire altre vie che consentissero l'accesso al tempio e garantissero una qualche copertura dal fuoco nemico. Inoltre, era da escludere la possibilità di piazzare delle cariche di polvere da sparo all'interno della caverna in modo da provocarne il crollo, poiché ciò avrebbe fatto correre seri pericoli a chi si fosse assunto quell'incarico. Alucius girò il cavallo e tornò da Feran. «Non possono uscire, ma noi non possiamo entrare», osservò il capitano maggiore. «Almeno non senza perdere molti dei nostri uomini.» Alucius fece cenno a Waris di avvicinarsi. Il ricognitore uscì dalla fila in fondo alla prima squadra e si diresse verso Alucius. «Signore?» «Tu sei stato qui due volte in ricognizione. C'è un altro passaggio che
porti dentro alla grotta, oltre all'ingresso principale?» «Non per le persone, signore. C'è un'apertura in alto su quella parete rocciosa in pendenza, signore», rispose Waris. «È una specie di lucernario. Da qui non si può vedere.» «Quant'è grande?» «È largo forse un terzo di iarda, mezza iarda a dir tanto, e lungo due iarde circa.» «Vediamo se riesco a salire fin lassù», disse Alucius. Feran inarcò le sopracciglia quasi a formulare una muta domanda. «Là dentro c'è un possessore di Talento. Se ce lo lasciamo, la situazione non cambierà rispetto a prima, né adesso né tra qualche settimana. Se cerchiamo di stanarlo, rischiamo di perdere più soldati di quanti ne abbiamo persi finora. Avrò bisogno di una corda e dell'aiuto di Waris e di Rakalt.» «Cosa... se mi è permesso chiedere...» disse Feran in tono deferente, «avete in mente di fare, maggiore?». «Pensavo di usare il fucile e le nostre grosse cartucce», replicò Alucius. «Dato che nessuno si immagina che ci sia qualcuno in grado di arrampicarsi fin lassù, posso almeno tentare di colpire il profeta cogliendolo alla sprovvista. Se poi non ci riesco, i miei spari potrebbero comunque seminare un po' di panico tra i ribelli costringendoli a uscire.» «Non credi che si arrenderanno?» «Qualcuno si è mai arreso, finora?» ribatté Alucius. «Non c'è nessun altro?» domandò adagio Jultyr. «Non ci sono altri pastori», spiegò Feran. Avete visto cos'è successo ai soldati troppo vicini al tempio. Il maggiore ha ragione nell'affermare di essere l'unico capace di azzardare un'impresa del genere.» Si udì un impercettibile «oh...» provenire da Deotyr. Alucius sperava che nessuno facesse domande sui ricognitori. Sebbene fosse in grado di assicurare loro una totale protezione, non voleva certo spiegare agli altri come avrebbe fatto. «Preferirei agire con rapidità. L'ultima scarica di Talento-energia prodotta dal profeta era più debole e vorrei colpirlo prima che recuperi le forze.» Così dicendo, estrasse dalla casacca la maschera proteggi-capo e la indossò. Feran chiamò Waris e Rakalt, che affiancarono Alucius, mentre questi girava il cavallo. «Da dove mi consigliate di salire?» «A destra, appena dopo quell'abete dalla forma strana», rispose Waris. «Ho portato con me della corda, una ventina di iarde. Basterà?»
«Dovrà bastare.» Alucius diresse il cavallo verso l'abete, con i due ricognitori al seguito. «Cosa sta facendo il maggiore?» «... cercando di catturare il profeta, dicono...» «... spero che lo becchi...» «... l'unico ufficiale che abbia mai visto adattarsi a fare il lavoro sporco...» «... se avessi io i suoi gradi, non ci proverei neanche...» «... sarà per questo che li ha ottenuti così giovane...» Può darsi, si disse Alucius, che si trattasse invece di pura e semplice stupidità. Ciò nonostante, doveva almeno arrampicarsi fin lassù per capire cosa si sarebbe potuto fare. Non poteva permettere che il profeta se ne stesse tranquillo nel tempio, quando lui e suoi uomini non disponevano né di tempo né di provviste sufficienti a un lungo assedio, soprattutto non avendo la minima idea di quanti viveri e munizioni fossero accumulati là dentro. E di certo non voleva sacrificare altri soldati, visto che il suo esercito era già fin troppo ridotto per il compito che gli era stato assegnato. Il che non gli lasciava molte scelte. Scese da cavallo tenendosi al riparo dell'abete e assicurò le redini a una robusta radice di cedro. Poi, il fucile in spalla, cominciò a salire insieme ai due ricognitori lungo il fianco dell'altura, troppo ripida per essere considerata una collina, ma non abbastanza elevata da essere chiamata montagna. La sabbia rossastra che colmava i vuoti tra una protuberanza rocciosa e l'altra rendeva precaria l'arrampicata, tanto che, più di una volta, Alucius fu sul punto di scivolare. D'altra parte, gli stivali da cavaliere non erano certo le calzature più adatte a una scalata. Si fermava a intervalli regolari, non solo a riprendere fiato, ma anche a verificare con il Talento i movimenti di Adarat. La presenza violacea che lo contraddistingueva rimase però all'interno della caverna. Alucius continuò a salire, palmo a palmo, aggrappandosi a radici e a sporgenze. Di tanto in tanto giungevano dal basso i colpi secchi degli spari, ma poiché sembravano provenire tutti dai fucili della Quinta Compagnia, Alucius pensò che Feran intendesse tenere puntata l'attenzione dei ribelli sulle Guardie del Nord appostate là fuori, per evitare che si accorgessero della sua impossibile impresa. «Signore», lo chiamò Waris da poco più indietro. «L'apertura è proprio lì davanti, oltre quella fila di sassi.» Alucius esaminò i sassi, rendendosi conto solo allora che erano stati col-
locati là di proposito e fissati con cemento mescolato a sabbia rossa per camuffarne l'origine artificiale. «Se non avete niente in contrario, signore, Rakalt e io saliremmo un po' più in su, fino a quella punta più alta. Se vi fissate la corda attorno alla vita...» «Così potete reggermi se la volta della caverna cede sotto il mio peso?» «O se vi dovesse accadere qualcos'altro, signore.» Come per esempio essere colpito, pensò tra sé Alucius. «Avete ragione. Vi faccio passare», disse mentre restava a guardare i due ricognitori che si arrampicavano verso di lui. Waris salì aiutandosi mani e piedi, scivolando e smuovendo una gran quantità di ghiaietto rossastro, finché non ebbe raggiunto un grosso masso scuro che si trovava a circa mezza iarda alle spalle di Alucius. Una volta lì vi si aggrappò e gli tese un'estremità della corda, che lui si assicurò attorno al torace per poi dire sottovoce: «Aspetterò finché non sarete in posizione». Waris annuì. Dopo che anche Rakalt si fu portato oltre, i due ricognitori si inerpicarono ancora per altre cinque iarde, quindi tagliarono diagonalmente verso ovest. Nel frattempo, Alucius usò il proprio Talento per esaminare l'area che aveva dinanzi. Non avvertì nulla di nuovo, ma l'atmosfera violacea che permeava il tempio sotto i suoi piedi sembrò farsi più nitida e vicina. Dopo circa un quarto di clessidra, Waris agitò la mano e diede un delicato strappo alla corda. Alucius gli rispose a sua volta con un cenno, poi avanzò verso la serie di sassi che il ricognitore gli aveva indicato in precedenza. Quando l'ebbe raggiunta, le labbra gli si incresparono in un lieve sorriso. I sassi erano stati disposti a formare una leggera sporgenza che si estendeva per un paio di iarde sopra il punto in cui si trovava lui. Perciò, prima di trovare un appiglio che gli permettesse di continuare la scalata verso l'alto, dovette fare una deviazione verso est, usando quasi tutta la lunghezza della corda a sua disposizione e lasciandosi praticamente penzolare nel vuoto. Poiché doveva prestare attenzione al fucile, oltre che alla corda, ogni passo gli costava fatica, tanto che aveva il respiro affannoso ed era zuppo di sudore quando finalmente giunse in prossimità del lucernario e poté sedersi a cavalcioni su quella barriera artificiale. Prima di penetrare all'interno della volta, Alucius trattenne il respiro. Anche i sassi che si trovavano sotto e al di là dello sbarramento erano stati
collocati là di proposito ed erano costituiti da sottili lastre di pietra disposte a formare un arco. Reggendosi con una mano a una sporgenza, Alucius posò un piede su una delle lastre più vicine. Sembrava solida. Fece un altro passo, ma non accadde nulla. Mentre avanzava lungo quel tetto arcuato, sentì che Waris teneva ben tesa la corda. Dovette arrivare praticamente sopra al lucernario prima di vederlo: era proprio come gli era stato descritto. Mentre si accovacciava, avvertì sotto di sé quella presenza violacea e le sfumature che essa emanava, sfumature che poté solo definire malvagie e che sembravano tante reti individuali collegate l'una all'altra da minuscoli nodi. Alucius proiettò il proprio Talento verso il basso e toccò uno di quei nodi con una punta talentosa verde-dorata da pastore, o da ariante. Solo grazie a una leggerissima pressione, la punta saltò da un nodo all'altro lungo tutta la rete finché, d'un tratto, questa non si ridusse in brandelli producendo un sibilo lacerante impercettibile all'orecchio umano. L'intero tempio vibrò, seppure in modo lieve, ma sufficiente perché Alucius sentisse muovere le pietre sotto i suoi piedi e perdesse l'equilibrio. Si rimise in equilibrio ed esaminò il lucernario. Si accorse che l'intelaiatura interna era munita di pannelli per la chiusura, probabilmente in caso di pioggia. Attraverso l'apertura, Alucius poté vedere dentro al tempio, nel quale era raccolto un centinaio circa di ribelli dalle divise marroni. All'estremità ovest della sala, a ridosso del muro, scorse una scala. Mentre guardava proprio da quella parte, il fucile stretto in pugno, vide un uomo che saliva gli ultimi gradini e si fermava su un pianerottolo - a poco più di cinque iarde al di sotto del punto in cui stava lui - dov'erano collocate una fune e una carrucola, presumibilmente destinate alla chiusura dei pannelli. L'uomo indossava un abito di seta marrone ed era circondato dallo stesso alone violaceo di un ifrit. Non appena cominciò a parlare, alzò lo sguardo. «Immaginavo che potesse esserci uno di quei lamari lassù. Hai avuto troppo ardire nell'insinuarti qui dentro, Talento-principiante. Non farai mai ritorno al nord, lamaro.» Una saetta di energia violacea venne scagliata in direzione di Alucius. Con un movimento maldestro, giacché si sentiva in equilibrio precario, questi oppose uno dei suoi scudi a deviare l'impatto. «Dannazione! Hai visto?» La voce di Rakalt suonava incredula. Un altro lampo violaceo si diresse verso Alucius, ma di minore potenza del primo. Mentre il bagliore svaniva, Alucius concentrò di nuovo i Talen-
to-sensi sul profeta. Adarat non era un ifrit come l'Archivista degli Atti di Tempre, né come l'ingegnere che aveva incontrato a Prosp. Di questo era certo. Il profeta era dotato di un solo filo vitale e non di quello doppio e tutto contorto degli altri due. Ma questo filo era diverso: aveva un colore marrone, ombreggiato di viola, un viola carico e forte. «Possiedi una certa abilità, Talento-principiante», disse Adarat. «Ma non basta.» «Perché li hai trasformati tutti in schiavi?» chiese Alucius, mentre si stava preparando a contrattaccare. «Schiavi? Sono al servizio del Duarcato, il cui ritorno è prossimo. Si tratta di una missione gloriosa!» Un fulmine violaceo ancora più intenso del primo scaturì da Adarat. Alucius lasciò che venisse deviato dal suo scudo. «Anche tu sei uno schiavo, proprio come loro.» «Mai! Io sono il profeta.» Adarat tese la mano ad afferrare un lungo tubo nero. Alucius non aveva idea di cosa si trattasse, ma aveva già avuto occasione di vedere alcune armi degli ifrit e non intendeva scoprirlo a proprie spese. Perciò proiettò la sua Talento-sonda, mirando al nodo in corrispondenza del punto in cui il corpo del profeta si univa al suo filo vitale. Adarat scagliò un altro dardo violaceo nel momento stesso in cui frammenti di filo vitale viola e marrone esplodevano tutt'intorno a lui. Il tubo nero gli venne sbalzato di mano e cadde ruotando su se stesso verso il pavimento. Alucius barcollò appoggiandosi sui talloni, poi si rimise in equilibrio. «Non riuscirete...» Le parole di Adarat suonarono forzate, quasi poco più di un bisbiglio. «Né tu né gli antichi abitanti riuscirete ad avere la meglio contro la gloria di Efra.» Efra? Come Alucius udì quelle strane parole, vide Adarat crollare a terra. Craammmpppttt! Sotto i suoi piedi ci fu un'esplosione che fece tremare l'intero fianco della collina. Sulle lastre di pietra rossastra su cui poggiava, Alucius vide formarsi delle crepe, mentre l'intelaiatura del lucernario cominciò a fendersi per poi frammentarsi. Schegge di roccia si staccarono e caddero all'interno del tempio. Egli si buttò di lato, aggrappandosi alla corda per allontanarsi dal centro della volta, cercando di balzare da una pietra all'altra a mano a mano che si
spaccavano, mentre porzioni sempre più consistenti di tetto sembravano essere inghiottite. Sentì che Waris e Rakalt stavano cercando di tirare verso di loro la fune alla quale era assicurato. Poi qualcosa si abbatté sulla sua spalla ed egli venne travolto dall'oscurità. 68 Nord di Punta del Ferro, Valli del Ferro Nel primo pomeriggio, i tre sedevano attorno al tavolo della cucina, incuranti del vento gelido che sferzava i muri di pietra della fattoria, facendo sbattere gli infissi delle persiane e delle porte. Le raffiche violente della prima vera bufera autunnale infuriavano sulla casa dalla notte precedente. Un calore piacevole si irradiava dalla stufa di ferro. Wendra si irrigidì, pallida in volto. «Ah...» «Sei troppo in anticipo», disse Lucenda. «Te l'avevo detto di non esagerare con le cavalcate.» «Non si tratta di quello. Io sto bene. Alucius... è stato ferito.» Royalt e Lucenda la fissarono entrambi. «È stata come una caduta... non c'entra il Talento... è vivo...» «È un cavaliere troppo esperto per rischiare di cadere da cavallo», disse Royalt, «a meno che non sia stato colpito, ma questo lo avresti sentito». «Potrebbero aver sparato al suo cavallo», azzardò Lucenda. Per qualche momento, nessuno parlò. «È vivo... ha ripreso conoscenza... ma è ferito. Gravemente ferito.» Le labbra di Wendra si serrarono. «Non può farcela da solo. Non può. Come posso aiutarlo, quando mi trovo qui, a cinquecento vingti di distanza?» «Lo stai aiutando occupandoti della fattoria», disse piano Royalt. «Se non fosse per te, non avrebbe nulla a cui tornare.» «Ha voi», ribatté adagio Wendra, mentre il pallore del viso si attenuava. Royalt scosse il capo. «Solo voi due - tu e Alucius - siete in grado di trattare con quelle nuove creature talentose. Mi trasformerebbero in un ammasso infuocato ancora prima di darmi il tempo di sparare due colpi, colpi che comunque non andrebbero a segno. Senza di te, Alucius non avrebbe più niente.» Per la prima volta, gli occhi di Wendra si riempirono di lacrime. Lei se li asciugò. «Non è come pensate. Non è così. Sono intrappolata. Se vado da
lui, potrebbe perdere la fattoria, cioè praticamente tutto. E, in un certo senso, io perderei lui. Se però non vado, rischio ugualmente di perderlo.» Royalt annuì lentamente. Wendra lo fissò per un attimo. Infine, fece un debole sorriso che le contorse i lineamenti del volto e si portò la tazza alle labbra. 69 Alucius aprì gli occhi. Sopra di sé vedeva il cielo stellato. Era stato colpito così forte? Con che cosa? Si sentiva tutta la schiena intorpidita, ma non avvertiva il dolore acuto di una ferita ben precisa. Gli parve di stare sdraiato su una specie di pagliericcio, ma non ne era sicuro. Socchiuse gli occhi. Le stelle si stagliavano contro il cielo scuro, nel quale brillava il mezzo disco di Selena. Giaceva a terra, sulla nuda terra, ed era notte. «Non muovetevi», disse una voce. «Non... mi muovo. Che è successo?» «L'intera caverna è esplosa e vi è franata sotto i piedi, signore. Pensavamo che foste caduto anche voi.» Alucius riuscì a distinguere il volto del soldato, ma non abbastanza da dargli un nome in quella luce fioca. O forse era stato ferito in modo talmente grave da non ricordare nomi e volti? «Come sta?» chiese un'altra voce, quella di Feran. «Non così male come pensi», replicò Alucius. «Ma neanche così bene», ribatté Feran spostandosi nel campo visivo di Alucius. «Perché sono qui all'aperto?» «Non abbiamo voluto muoverti. Tra l'altro, le baracche sono dei porcili. Non ho mai visto tanto sudiciume.» Il che non sorprese Alucius. La maggior parte dei ribelli, vittima com'era del sortilegio talentoso del profeta, non doveva avere molta iniziativa. Feran si chinò a esaminare Alucius. «Meno male che tu e Waris avevate pensato alla corda, tranne che, mentre eri là penzoloni nel vuoto, sei stato colpito in pieno da un mucchio di sassi. Alcuni erano ben più grossi di te. Waris e Rakalt hanno fatto del loro meglio, ma hanno faticato parecchio a portarti giù. Abbiamo anche perso alcuni soldati a causa dei frammenti di roccia scagliati tutt'intorno dallo scoppio. L'intera facciata del tempio è esplosa, scaraventando pietre dappertutto.» «A quanto ammontano le perdite?»
«In totale, a circa una trentina. Metà della Quinta e il resto della Trentacinquesima Compagnia. I ribelli scampati al massacro non bastano a formare una squadra. Abbiamo calcolato che ce ne fossero almeno una cinquantina, là dentro.» «Erano quasi centocinquanta, oltre al loro profeta. Che è morto. L'ho ucciso io.» Alucius non aveva intenzione di entrare nei dettagli. «È stato allora che si è verificata l'esplosione. In qualche modo il profeta si era collegato tramite il Talento a delle cariche esplosive e prima di morire le ha attivate. O forse è andata diversamente, anche se non saprei dire come.» Questo era ciò che aveva immaginato Alucius, ma non poteva provarlo, né dimostrare il contrario: non che la cosa avesse importanza. Il risultato non sarebbe cambiato. Malgrado fosse tutto finito, Alucius continuava a porsi domande su Adarat e sul genere di Talento di cui era dotato, ma a causa del dolore che lo attanagliava e non gli dava pace, perse ben presto di vista il motivo di quelle sue considerazioni. «Uno sporco bastardo fino alla fine», disse Feran. Alucius agitò le dita. Erano un po' intorpidite, ma si muovevano. Cercò di fare lo stesso con quelle dei piedi. Alzò il braccio sinistro. Era dolorante, ma anch'esso si muoveva. Provò con il braccio destro. Una fitta lancinante lo colpì, ed egli riuscì a malapena ad abbassarlo adagio, anziché lasciarlo cadere a terra di colpo, cosa che gli avrebbe provocato una sofferenza ancora maggiore. «Mi fa male dappertutto, ma non credo che ci sia qualcosa di rotto.» «Come fai a saperlo?» Invece di rispondere subito, Alucius esaminò il proprio corpo palmo a palmo con il Talento. Infine, il suo sguardo incontrò quello di Feran. «Non c'è niente di rotto. La schiena e il fianco destro sono tutti ammaccati. Dovrei girarmi, ho bisogno di aiuto.» «Ne sei sicuro?» «Non devo lasciare tutto il peso sui lividi.» «Ma la pressione potrebbe ridurre l'intensità del dolore.» «Dammi una mano a girarmi. A sinistra...» Feran gli si inginocchiò accanto. Mentre lo aiutava, un'altra ondata di dolore, più violenta della precedente, si abbatté su Alucius. Quando si risvegliò e si ritrovò disteso sullo stomaco, vide che Feran era seduto a terra e lo stava osservando. «Te l'avevo detto, maggiore.» Alucius sentì l'impulso di scoppiare a ridere. «Già... l'avevi detto.»
«Non andrai da nessuna parte tanto presto, anche se non hai niente di rotto.» «Lo so, ma guarisco in fretta. Tra una settimana sarò in grado di cavalcare.» «Credi che dovremo aspettare tanto a lungo per il prossimo attacco?» «No.» Alucius fece una pausa. «Visto che il profeta è stato eliminato, sarai perfettamente in grado di gestire da solo l'attacco all'altro accampamento nemico.» «Sei sicuro che non ci sia in giro un altro possessore di Talento?» «Non mi risulta, ma, se ci dovesse essere, aspetteremo.» «Anch'io come te, maggiore, vorrei finirla con questi ribelli prima che succeda qualcos'altro. Domani porterò con me la Ventottesima Compagnia, la Quinta e metà della Trentacinquesima e faremo piazza pulita dell'altro accampamento. Adesso che non c'è più il loro profeta a proteggerli, sarà un massacro. A meno che tu non abbia da ridire.» Alucius rifletté. Era chiaro che Feran voleva la sua approvazione, forse perché l'ufficiale più anziano credeva che lui fosse ferito più gravemente di quanto non volesse dare a intendere. «Innanzitutto, manda qualcuno in ricognizione. Poi, se sei ancora del parere di attaccare, procedi. In assenza del profeta, può darsi che si arrendano, ma dovrai fare molta attenzione. Prima spara, poi fai domande.» Stando disteso lì a terra, Alucius non si sentiva in una disposizione d'animo particolarmente caritatevole e provava ancora meno simpatia adesso per gli abitanti di Hyalt di quando era giunto per la prima volta da quelle parti. Non era ancora riuscito a capire esattamente chi o cosa fosse il profeta, tranne che non era un ifrit, anche se ne doveva avere sicuramente subito l'influenza. A quel punto, Alucius trovò difficile tenere gli occhi aperti e rimandò le proprie riflessioni a tempi migliori. Gli parve che Feran dicesse qualcosa, ma le parole scivolarono via, mentre un'oscurità grigiastra lo avvolgeva. 70 Quando Alucius ritornò cosciente era mattina, o almeno così gli parve. Era disteso su un pagliericcio in una piccola stanza, con la testa appoggiata su alcune coperte piegate. Un soldato era seduto accanto a lui su uno sgabello, il viso non esattamente atteggiato a un'espressione di noia, ma semplicemente impassibile a causa delle lunghe clessidre di inattività. La ma-
nica destra della sua casacca era stata tagliata e sull'avambraccio spiccava una vistosa fasciatura. «Quanto... a lungo?» tentò di dire Alucius con voce stridula. La testa gli doleva. A dire il vero, l'intero suo corpo altro non era che un ammasso dolorante. «Sì, signore... ah... è il giorno di quattri... circa metà pomeriggio.» Il soldato si alzò e si precipitò verso il pagliericcio, porgendogli un po' goffamente con la mano sinistra una borraccia. «È la vostra acqua, signore. Il capitano maggiore si è raccomandato di farvi bere il più possibile.» Alucius riuscì a tendere la mano sinistra al di sopra del corpo e a prendere la borraccia. Mentre beveva, se ne versò sul mento solo una piccola quantità. Il soldato rimase a guardare. Alucius allungò la mano e appoggiò la borraccia sul pagliericcio, di fianco alla gamba. «La tengo qui per un po'.» «Sì, signore.» «Il capitano maggiore Feran è partito stamattina?» «Sì, signore. Ha lasciato qui due squadre più i feriti. E i carri.» «C'erano superstiti tra i ribelli?» «Ne sono rimasti sette, signore. Ce n'erano di più, ma alcuni si sono comportati da pazzi, tagliandosi i polsi o la gola. Gli altri... be', il capitano maggiore li ha fatti legare per impedire loro di farsi del male. Ha detto che, non appena vi foste sentito meglio, avreste voluto interrogarli.» Alucius lanciò un'occhiata intorno a sé. Se muoveva il capo, il dolore pulsante, che pareva essersi attenuato dopo che aveva bevuto l'acqua, tornava intenso come prima. Il soldato seguì il suo sguardo. «Era il locale più pulito. Abbiamo solo dovuto rimuovere un po' di cianfrusaglie e dare una bella spazzata. Il resto delle baracche... be', tutti hanno preferito dormire fuori.» «È accaduto qualcosa di strano nel frattempo?» Il ferito piegò il capo di lato. «No, signore. Voglio dire, non si sono visti altri ribelli, e il tempo non è cambiato, forse si è rinforzato solo il vento.» Fece una pausa. «Castav... ha detto che tutti i germogli nuovi dei cespugli spinosi si sono anneriti, all'improvviso... forse erano rispuntati troppo in fretta. Ha detto di non avere mai visto dei cespugli cambiare aspetto con tanta rapidità.» Alucius conosceva bene la causa di quel cambiamento. La crescita era stata forzata e, dopo la morte di Adarat, non c'era più nulla che facesse
affluire energia vitale nei cespugli. Sollevò adagio la borraccia e bevve un altro sorso. Odiava essere ferito e non essere in grado di svolgere in modo autonomo le funzioni più elementari. E allora perché insisti nel fare cose dove l'eventualità di riportare ferite è molto alta? udì chiedere una vocina dentro la sua testa. Perché le alternative sembravano ancora peggiori, si rispose. Il problema stava nel fatto che era ricorso a quella risposta troppo spesso negli ultimi tempi. Troppo spesso. 71 A mezzogiorno di quinti Feran non era ancora tornato. Da ciò che Alucius fu in grado di vedere attraverso le imposte spalancate dell'unica finestra, il cielo era appena un po' offuscato e il vento quasi assente. Fortunatamente, era riuscito a usare da solo il vaso da notte improvvisato, a mangiare un po' di pane e formaggio e a muoversi, seppure con cautela. Ma il mancato ritorno dei soldati lo preoccupava. Chissà se avevano incontrato un altro possessore di Talento? O un esercito più esperto? Alucius non la finiva di crucciarsi e di stare in ansia. Quando il soldato che stava di guardia nella stanza uscì un attimo, dopo che lui l'ebbe rassicurato circa il fatto che non avrebbe avuto problemi a stare un po' da solo, Alucius si mise a sedere a fatica sul bordo del pagliericcio, poi si spostò pian piano finché non riuscì a raggiungere i vestiti e gli stivali. Infilarsi i calzoni non fu troppo difficile, ma quando passò agli stivali il discorso si fece più complicato. Era appena riuscito a mettersi il secondo che il soldato comparve sulla soglia. «Signore!» «Se sto qui sdraiato ancora un altro po', impazzisco», disse Alucius. «Puoi aiutarmi con la casacca?» «Ma... signore...» «Aiutami solo a indossare la casacca.» Dovette infilare per primo il braccio destro, giacché non poteva muoverlo troppo senza che gli causasse dolori lancinanti e, quando finalmente si avviò adagio verso l'uscita, aveva la fronte madida di sudore. Una volta fuori, scorse una panca poco distante, a ridosso del fianco di una delle baracche. Coprire quel breve tratto gli costò altrettanta fatica di quanta ne avrebbe provata se avesse dovuto percorrere di corsa una distanza dieci
volte superiore in condizioni normali. Parecchi soldati si voltarono a guardarlo. «... capisco perché... dicono che sia resistente come una roccia... ferito... nessuno sarebbe riuscito a sopravvivere. Un solo giorno, e già cammina...» «... sembra un po' malfermo sulle gambe...» «... al posto suo saresti lungo e disteso... gli è caduta addosso la montagna, e sta camminando... Provaci tu.» «... sopravvissuto... così?» «... lui è entrato nel tempio... c'erano centocinquanta soldati e il loro profeta.,. non so come, ma li ha uccisi tutti... Quanti altri comandanti avrebbero fatto una cosa del genere? Avrebbero mandato noi e ci avrebbero fatti ammazzare...» Può darsi, rifletté Alucius, ma sto cominciando a capire cosa intendeva dire Frynkel quando parlava di combattere alla testa dei propri uomini. Quante altre volte sarebbe riuscito a farlo e a salvarsi la pelle? Si sedette sulla panca, appoggiando la schiena al muro di assi, e si dispose ad aspettare. Si augurava solo di non dovere aspettare a lungo e che il resto dei soldati tornasse senza aver subito troppe perdite. I suoi pensieri riandarono ad Adarat, il profeta. Quell'uomo non assomigliava a nessun altro possessore di Talento incontrato fino ad allora e per quanto non sembrasse sapere ciò che stava facendo, era anche più forte di qualunque ufficiale talentoso della Matride. Eppure, era del tutto inconsapevole della vulnerabilità del proprio filo vitale, che comunque non era simile a quelli degli ifrit. Cosa mai poteva aver creato Adarat? Il pensiero che gli ifrit potessero creare, o trasformare, qualcuno in un Adarat lo rese ancora più ansioso. Sebbene il caldo pulsare del suo para-polso da pastore lo rassicurasse circa lo stato di salute di Wendra, Alucius non poté impedirsi di essere preoccupato per lei e per Alendra, e si chiese se sarebbe riuscito a sedare la rivolta e a tornare a Punta del Ferro prima della nascita della piccola. Nonostante tutte quelle preoccupazioni, doveva essersi probabilmente appisolato, poiché venne svegliato dal rumore degli zoccoli sul fondo in terra battuta della strada. Sperò solo che si trattasse dei suoi uomini, dato che non sarebbe neppure stato in grado di sollevare un fucile e, anche se lo fosse stato, non ne aveva uno a portata di mano. Feran avanzava alla testa della Quinta Compagnia, scrutando i pochi soldati feriti che assistevano al suo arrivo. Nel vedere Alucius, diresse il cavallo verso di lui. «Non appena ho fatto sistemare gli uomini, torno da
te. Non abbiamo subito perdite, ma ci aspetta un bel po' di lavoro.» «Fai con calma», rispose Alucius. Mentre i soldati gli sfilavano davanti, rimase a osservare. Moltissimi lo guardarono e parecchi, compresi Bakka e Waris, lo salutarono con un cenno del capo. Trascorse quasi mezza clessidra prima che Feran ricomparisse, uscendo rapido dalle stalle. Si fermò ad alcune iarde da Alucius e lo guardò attentamente. «Non dovresti essere in piedi», osservò. «Ho visto cadaveri abbandonati al sole per una settimana con un aspetto migliore del tuo, caro il mio maggiore.» «Restare sdraiato su quel pagliericcio ad arrovellarmi non mi faceva bene. Che è successo?» «Non molto. C'erano alcune sentinelle di guardia, ma non hanno fatto niente per scongiurare l'attacco. Avevamo già ucciso forse una cinquantina di ribelli, quando ci siamo resi conto che in realtà non stavano combattendo, così ho ordinato il "cessate il fuoco". E quello è stato un problema. La metà di quei soldati ubbidiva solo a ordini diretti, altrimenti si limitava a starsene là in piedi.» Feran scosse il capo. «Quando siamo arrivati... forse un'altra cinquantina, un quarto dei superstiti, si era già suicidata. Alcuni sono semplicemente morti, senza alcun segno di violenza sui corpi.» Alucius credette di indovinare il motivo per cui Feran era tornato così tardi. «E allora, cos'hai fatto?» «Cos'altro potevo fare? Non sarebbe servito a niente ucciderli. Ho mandato la Trentacinquesima Compagnia in città, raccomandando a Jultyr di stare attento. Non ce n'era bisogno. Quel posto è un macello. Sono rimaste soprattutto donne e ragazze, e bambini piccoli. E tutti sembrano affamati. Abbiamo fatto salire a cavallo i ribelli superstiti e li abbiamo condotti in città. Li abbiamo consegnati alle donne, chiedendo loro di assumere il controllo della situazione. Mi è sembrato che un paio di loro capisse.» «Dovremo aiutarli a organizzarsi meglio», disse Alucius. «Già.» Feran scosse il capo. «Hyalt non sarà mai più la stessa. Per parecchi anni, almeno.» «Può darsi. A Madrien le donne se l'erano cavata bene. Dobbiamo solo fare in modo di farle partire con il piede giusto. Accertarci che smantellino gli sbarramenti sulle strade e magari addestrarne sommariamente alcune perché costituiscano gruppi di pattuglia per mantenere l'ordine.» «Ma chi potrebbe creare problemi?» chiese Feran. «I forestieri», disse Alucius. «Dovremo anche sorvegliare affinché i no-
stri uomini non commettano abusi sulle donne.» Feran inarcò le sopracciglia. «Dopo tutto quello che è successo?» «Dopo tutto quello che è successo», disse Alucius, «se i nostri soldati usano violenza sulle donne, si penserà che il Signore-Protettore non solo ci abbia ordinato di massacrare gli nomini, ma anche di violentare le donne. Forse a qualcuno dei tuoi uomini piacerebbe essere chiamato lo "stupratore del nord"? Quanto a lungo credi che riusciremmo a restare nei territori meridionali di Lanachrona con quel genere di reputazione appiccicata addosso? E anche se potessimo tornare nelle Valli del Ferro perché tutte le Guardie del Sud sono impegnate contro le forze della Reggente, vorresti ugualmente correre dei rischi? Che ne sarebbe di quella pensione per la quale stai lottando?». «Non sono certo... uno o due casi...» disse Feran. «Se succede un paio di volte, pazienza, ma che non sia di più. Diciamocelo chiaramente. In primo luogo, è sbagliato. Ribelli o no, sono la nostra gente. In secondo luogo, abbiamo eliminato tutti i colpevoli. Far del male alle donne sarebbe punirle di nuovo per ciò che hanno fatto i loro mariti e figli, e sappiamo bene che ne soffriranno già le conseguenze negli anni a venire. In terzo luogo, se scopro che qualcuno disubbidisse ai miei ordini, lo uccido con queste mie mani, anche se sono così debole. E se qualcuno dei miei ufficiali chiude un occhio, lo mando dritto dal Signore-Protettore con la richiesta di radiarlo dall'esercito, se non peggio.» «Questo non cambierà comunque le cose per il Signore-Protettore», osservò Feran. «Probabilmente no», replicò Alucius. «Ma voglio che i miei soldati rimangano soldati e non diventino barbari. I miei ordini sono intesi più per il loro bene che non per quello dei poveri disgraziati rimasti a Hyalt.» «Non credi che avremo finito dopo aver portato a termine il nostro compito qui?» «No. Anche se torneremo nelle Valli del Ferro, dovremo sempre vedercela con la Reggente. E le due compagnie di Guardie del Sud verranno mandate subito a combattere nelle regioni di sudovest. Magari verrà loro concessa una settimana di licenza, se hanno fortuna.» «Vedo che sei ottimista come al solito», commentò Feran scoppiando in un risata aspra. «Immagino sia un buon segno.» «Domani ci trasferiamo a Hyalt e vediamo cosa saremo in grado di fare.» «Domani, caro il mio maggiore, noi ci sposteremo a Hyalt e tu ti limite-
rai a impartire gli ordini da lontano.» Feran sorrise. «Non devi fare ratto tu.» Non tutto, pensò Alucius, ma di certo più di quanto avesse mai voluto fare. 72 Alustre, Lustrea Waleryn era chino sul banco da lavoro nell'angolo, che tutti avevano ignorato fino al suo arrivo nel palazzo del Pretore. Dopo aver controllato lo specchio metallico nascosto che fungeva da schermo della Tavola, aprì il libro infilato nel vano segreto sotto lo specchio. Scorse rapido la prima pagina, annuendo tra sé, poi la seconda e la terza. Continuò a sfogliarlo finché non giunse quasi alla fine. Quando vide le annotazioni di Vestor, un sorriso gli attraversò le labbra. «Bene.» Dopo aver chiuso il libro e averlo riposto nella piccola cavità, si raddrizzò e si avvicinò alle vasche dei cristalli, tutte in funzione. Chiuse brevemente gli occhi, e l'aria intorno si colorò per un attimo di una sfumatura violacea. Poi si avvicinò all'ultima vasca ed estrasse da un altro nascondiglio un congegno simile a un'antiquata pistola. In realtà l'arma era stata realizzata su un progetto molto più antico ed era dotata di una canna che fungeva da regolatore di uscita dei cristalli e di una impugnatura destinata a ospitare le cariche a raggi di cristallo. Waleryn rimosse una delle piastrine che tenevano insieme l'impugnatura e inserì due piccoli cristalli d'ambra nei fusti, poi la rimise a posto e infilò la pistola nella fondina assicurata alla sua cintura. Quindi verificò le vasche a una a una, annuendo ogni volta tra sé. Infine si diresse in fondo al laboratorio, dov'era sistemato un treppiede sul quale poggiava un oggetto di forma rettangolare. Uno dei due lati più corti del congegno era provvisto di un paio di maniglie imbottite in mezzo alle quali, appena al di sopra, era collocato uno specchio metallico piatto, più piccolo del palmo di una mano. La faccia superiore dell'oggetto era dotata all'altra estremità di un cerchio di cristalli color arancio pallido, ciascuno dei quali sporgeva per circa un dito dal luccicante metallo argentato. «Che cos'è?» Tyren si era fermato a cinque iarde di distanza, tenendosi ben discosto da quella strana apparecchiatura. Il Pretore era accompagnato da quattro guardie, ciascuna delle quali armata di un gladio infilato nel
fodero sul fianco sinistro, e di una pistola a canna doppia riposta in una fondina su quello destro. «Non abbiate paura, Pretore», replicò allegro Waleryn. «Non è un'arma.» «E allora perché l'avete costruita?» chiese Tyren accigliandosi. «Le vostre creazioni mi costano parecchio.» «Per trovare un'arma ancora più potente. Questo congegno è stato ideato per inviare... vibrazioni, diciamo pure così. Queste vibrazioni fanno arrivare allo specchio un'immagine in grado di indicarmi esattamente dove si potrebbe trovare quest'arma del passato.» «Che genere di arma potrebbe essere più potente di quelle che voi e il vostro predecessore avete già ideato?» La voce del Pretore lasciava trasparire la curiosità. «Avrete sentito parlare degli Scettri del Giorno. Alcuni li chiamavano gli Scettri dei Duarchi. Ce n'erano due e uno di essi è nascosto da qualche parte a Lustrea. O almeno così si dice.» «Ma non si tratta solo di una leggenda?» «Qualcuno sarebbe pronto a giurare che tutto ciò che è stato creato prima dal vostro ingegnere, e adesso da me - altro non è che un'invenzione fantastica, giusto? Preferireste forse considerare le pistole a lama di luce una semplice leggenda e combattere affidando la vostra vita a lance e fucili poco precisi?» «Avete chiarito perfettamente il punto, Nobile Waleryn.» Il tono di Tyren era asciutto. «Ma quanto è potente questo scettro? E quanto mi verrà ancora a costare prima che lo troviate?» «Non vi costerà più niente. Userò questo congegno ogni volta che mi sarà possibile, quando sarò in viaggio. Non mi porterà via molto tempo. Alla potenza dello scettro si deve la creazione delle Tavole e anche l'instaurarsi del Duarcato. Non pensate che valga la pena di spendere un po' di tempo e di denaro per cercarlo? Tale indagine non mi impedirà di continuare a fabbricare armi persino più sofisticate.» «Se mi assicurate che sarà effettivamente così.» «Avete deciso se lasciarmi andare a Prosp per verificare se la Tavola è ancora in funzione?» Tyren annuì adagio. «Ci andrete con un distaccamento di Guardie pretoriale e mi terrete in tutto e per tutto informato dei vostri progressi.» Waleryn si inchinò. «Sarà un piacere, nel mio interesse e nel vostro.» «Già.» Tyren annuì bruscamente e si avviò verso l'uscita.
Waleryn attese che il Pretore si fosse allontanato, poi rivolse di nuovo lo sguardo dai riflessi violacei sul localizzatore. 73 Nemmeno il giorno di octdi Alucius fu in grado di camminare, per non parlare di andare a cavallo. L'intero suo corpo era dolorante e ammaccato e in troppi punti stava assumendo le più svariate sfumature di viola e di verde. Inoltre, avrebbe avuto un'altra cicatrice, questa volta sulla fronte. Non ricordava come se la fosse procurata, soprattutto visto che indossava la maschera proteggi-capo, ora nuovamente piegata e al sicuro all'interno della sua casacca. Insieme ai suoi ufficiali, aveva occupato una casa a un isolato dalla piazza principale di Hyalt, non uno degli edifici più grandi, ma di notevoli dimensioni e apparentemente vuota, come lo erano molte altre abitazioni in città. La casa era situata a meno di un centinaio di iarde dalla locanda dove Alucius aveva sistemato i soldati della Quinta Compagnia. Le due compagnie di Guardie del Sud erano al lavoro per rendere abitabile l'accampamento appena a nordest di Hyalt, dato che la vecchia postazione, a suo tempo occupata dalla guarnigione massacrata dai ribelli, era troppo piccola e in condizioni persino peggiori. Alucius era convinto che meno la popolazione locale avesse visto le Guardie del Sud, meglio sarebbe stato per il Signore-Protettore. Aveva anche inviato un messaggero a Tempre per riferire sugli esiti della campagna fino a quel momento e sulla loro sistemazione attuale, oltre che per comunicare che sarebbero trascorse parecchie settimane prima di poter lasciare Hyalt alla volta di Tempre. Dopo essersi occupato di tutte quelle incombenze, in quella tarda mattinata di octdi, Alucius faticò ancora parecchio a trattenere una smorfia di dolore nel montare in groppa al suo cavallo sotto un cielo plumbeo che minacciava pioggia. Una volta in sella, si diresse verso la piazza principale. Accanto a lui cavalcava Waris e subito dietro venivano altri quattro soldati. Feran gli aveva consigliato di farsi accompagnare da almeno mezza squadra, ma Alucius aveva deciso che cinque uomini sarebbero stati più che sufficienti, sia come ostentazione di forza sia per fornirgli l'eventuale protezione di cui avrebbe potuto necessitare nelle sue attuali condizioni. Nonostante l'accuratezza dei rapporti di Feran, Rakalt e Waris sullo stato in cui versava Hyalt, la loro descrizione non trasmetteva la «sensazione» che si provava nell'attraversarla.
Tutte le vie che portavano alla piazza principale erano lastricate, ma il viale che la percorreva da nord a sud, essendo parte dell'antica strada maestra, aveva il fondo in durapietra. Alucius aveva deciso di cominciare proprio da quel punto, per poi proseguire con un movimento a spirale verso l'esterno, in modo da osservare quante più cose possibile. La piazza principale era costituita da uno slargo di un centinaio di iarde per lato, pavimentato con lastre di pietra. Al centro, sopraelevata di una iarda rispetto alla superficie circostante, si trovava una piattaforma priva di qualsiasi muretto o recinzione. Il materiale utilizzato per la sua costruzione era simile a un marmo dalle sfumature dorate, con i contorni erosi dal tempo. La parte centrale della piazza e la piattaforma erano deserte, e nemmeno un cavallo era legato ai pali davanti ai fabbricati che vi si affacciavano. Mentre passava, Alucius rallentò l'andatura per poter esaminare a proprio agio ogni edificio. La bottega dell'argentiere aveva le finestre e la porta sprangate, così come quella adiacente del calderaio. L'uscio del piccolo cotonificio era socchiuso e ad Alucius parve di udire voci all'interno, ma una delle imposte era stata scardinata ed era caduta sullo stretto portico dell'ingresso. Più avanti, lungo il viale, si trovava un laboratorio di follatura della lana, ma era anch'esso chiuso. Subito dopo c'era un bottaio, dalla cui porta aperta Alucius sentì uscire l'odore del carbone che aumentava la fucina. «La maggior parte degli artigiani e dei mercanti se n'è andata», disse Waris. Alucius annuì. Tutto collimava con l'idea che si era fatto, e cioè che Adarat non fosse un ifrit e che a Corus non ci fossero tanti ifrit, anche se non riusciva ancora a capire che cosa essi avessero sperato di realizzare a Hyalt. Aveva però il presentimento che il suo giro di ricognizione della città non gli avrebbe fornito altri indizi, se non il quadro dello stato di necessità in cui versavano gli abitanti rimasti. La locanda era l'unico edificio della zona che mostrasse un certo grado di attività, ma ciò era dovuto al fatto che vi erano alloggiati i soldati della Quinta Compagnia. Alucius continuò la sua ispezione, cercando di ignorare il dolore che avvertiva in tutto il corpo. Dopo aver compiuto un secondo giro più ampio della piazza, fece rallentare il cavallo e si diresse verso il muro di una casa, che in passato doveva essere stato imbiancato a calce, ma che ora aveva urgente bisogno di ritocchi in vari punti e di una mano di intonaco. Dall'interno sentì provenire la voce di due donne. Una di esse singhiozzava.
Alucius usò il Talento per cogliere alcuni frammenti della conversazione. «Perché... perché... hanno ucciso i nostri mariti... i nostri figli... cos'avevano fatto?» «Che male aveva fatto il profeta?» Cosa avrebbe potuto replicare Alucius a quelle domande, se la gente stessa non sembrava in grado di capire l'evidenza dei fatti? Quando si crede fermamente in qualcosa, non si vede quello che succede in realtà, ma solo quello che si vuole vedere. «... abbiamo perso tutto... tutto... i cavalli, le pecore, le capre... i figli...» «... ha seguito il profeta e il lamaro l'ha ucciso... e noi non vedremo mai il ritorno del Vero Duarcato e le sue ricchezze...» «E non vedremo mai più i nostri figli, e questa è la sofferenza più grande...» Alucius trattenne un moto di disappunto. Aveva messo fine alla rivolta, o all'invasione, quale che fosse. E per farlo era ricorso all'unico sistema che avrebbe causato tensione, scontento e un odio duraturo nei confronti del Signore-Protettore. Ma non aveva avuto scelta, almeno non da quello che aveva potuto vedere. Fin dal giorno del loro arrivo, i ribelli non avevano fatto altro che attaccarli: i ribelli che, con la mente ottenebrata da un influsso malvagio, avevano combattuto con scarsa abilità, ma fino alla morte. E lui non aveva ancora capito quali fossero le dinamiche che avevano determinato tale comportamento, visto che un numero così cospicuo di morti avrebbe solo impoverito quelle terre e di certo non avrebbe portato la prosperità promessa dal profeta. L'unica cosa che Alucius aveva capito era contenuta nelle ultime parole di Adarat: «Né tu né gli antichi abitanti riuscirete a prevalere contro la gloria di Efra». Chissà se Efra era il vero nome del mondo da cui venivano gli ifrit? E quell'affermazione significava forse che in qualche altra parte di Corus aveva fatto la sua comparsa una diversa manifestazione di quegli esseri? Alucius continuò a cavalcare guardandosi intorno e prendendo mentalmente nota di ciò che vedeva, mentre sentiva aumentare la preoccupazione dentro di sé. 74 Salaan, Lanachrona
La Tavola mostrava l'immagine di una collina rossastra, il cui fianco orientale sembrava essere stato tranciato di netto e ridotto a un cumulo di sassi di arenaria di tutte le forme e dimensioni. A est di quell'ammasso di rovine si vedevano alcuni rozzi fabbricati lunghi e bassi. L'Archivista sollevò lo sguardo dalla Tavola e la scena che lui e Tarolt avevano osservato svanì. «Il maggiore ha sconfitto Adarat e i Cadmi.» «Che altro vi aspettavate, Trezun? Quei principianti non erano veri Cadmi. Adarat era solo un efrano-ombra, certamente in grado di gestire individui privi di Talento, ma quel maggiore è ben altra cosa. Eppure ha rischiato di morire. Non riuscirebbe a cavarsela contro un vero frano.» «Può darsi», replicò l'Archivista. «Il maggiore e il Signore-Protettore non hanno esattamente riportato un trionfo», osservò Tarolt. «Hyalt è un cumulo di macerie e noi abbiamo la maggior parte del denaro. Quasi tutti gli uomini, giovani e adulti, sono morti e anche negli angoli più sperduti di Corus si guarderà al SignoreProtettore come al macellaio di Hyalt. Faremo in modo che tutti quanti lo sappiano.» Con un sorriso, Tarolt si allontanò dalla Tavola. «E il maggiore? Se fa ritorno a Dekhron, e per di più con il grado di comandante delle Guardie del Nord?» «Abbiamo già preso provvedimenti contro una tale eventualità. È probabile che vada a Porta del Sud.» «Credete che il Signore-Protettore dia il suo benestare a questa nuova missione?» «Il Signore-Protettore non può opporsi a ciò che non sa. Il capitano maggiore Deen ci è stato di grande aiuto nel suggerire alcune idee ai marescialli. Crede di essere furbo, ma è così ingenuo: è il punto debole di molti abitanti di Corus. Ma il fattore più importante è che questo Alucius aveva già affrontato una volta, senza successo, il lancia-proiettili di cristallo e adesso, a Porta del Sud, i matriti ne hanno piazzati due. E mettiamo anche che riuscisse a organizzare un esercito e a sconfiggere la Reggente, cosa ne ricaverebbe?» «Un'importante vittoria», ipotizzò Trezun. «Il tipo di vittoria che si trasformerà in trionfo per noi. Il SignoreProtettore è rimasto con poco più della metà dei soldati rispetto a due stagioni fa. Dopo cinque anni di sanguinose battaglie, le regioni sudoccidentale di Corus sono indebolite e disposte ad accettare qualunque forma di pace. Il maggiore Alucius non potrà avere la meglio sui nemici senza causare altre morti e devastazioni, e questo ci preparerà la strada. La gente è
stanca di guerre gloriose e distruttrici. Vuole pace e prosperità e finché non saprà quale sia il prezzo da pagare, non si chiederà cosa potrebbe succedere domani.» «E Waleryn?» Tarolt si accigliò. «Gli interessi là sono grandi. Spero che la costruzione di quel suo localizzatore non interferisca...» «È una delle condizioni che gli ho posto.» «Voi e Sensat e la vostra ricerca degli scettri.» «Non ne abbiamo bisogno, ma se li troviamo prima noi, impediremo a qualche lamaro o antico abitante di servirsene», gli fece notare Trezun. «Può essere una ragione. Non una delle migliori, ma pur sempre una ragione, purché non rallenti la realizzazione del nostro piano e della prossima traslazione. Dobbiamo portare qui altri veri efrani... eppure sono così pochi quelli che vogliono correre il rischio!» «E vi sentite forse di biasimarli? Visto che circa un terzo di essi, per non dire la metà, muore durante il viaggio, o si trasforma in esseri ibridi perdendo del tutto la propria identità?» «Quando c'è di mezzo il nostro futuro? Ebbene sì, lo faccio e lo farò. Molti altri moriranno se non riceveremo maggiore sostegno. Invece, ognuno aspetta che sia l'altro a mettere a repentaglio la propria vita.» «Mi stavate spiegando in che modo ritenete che Waleryn possa produrre sostanziali cambiamenti», disse Trezun rapidamente. «Possiede le matriciombra di cui ha bisogno? Quella giusta per Tyren?» «Ne ha dieci, tre delle quali sembrano adattarsi alle caratteristiche del Pretore, almeno entro parametri accettabili. Waleryn ci ha anche riferito che Tyren si recherà a Prosp per ispezionare la Tavola, e da lì a Passera, dove organizzerà un esercito in vista dell'invasione di Deforya.» «Si tratta di Deforya, quindi. Il che basterà a creare sufficiente scompiglio per il prossimo anno almeno.» «Waleryn è a buon punto nel cercare di convincere il Pretore a chiedergli di utilizzare la Tavola. Non appena questo avverrà, il Pretore modificherà i suoi piani e si concentrerà sulla conquista di Deforya. I proprietari terrieri saranno costretti ad affrontarlo e perderanno. Dopodiché Tyren si dirigerà a sud, seminando il caos nelle pianure.» «Potrebbe anche rivolgersi a ovest e invadere le terre di Lanachrona.» «Potrebbe, ma se il maggiore Alucius sopravvive, assisteremo senza dubbio a una serie ancora più imponente e sanguinosa di battaglie.» «E che succede se... semplicemente se... il maggiore Alucius sopravvive
e acquisisce un potere sempre più grande? Sembra avere dalla sua la fortuna dell'eroe o del lamaro.» «Ah... qui sta il bello», replicò Tarolt. «La Reggente deve ancora reclamare il possesso di Armonia e di Lama. Il che significa altri disordini e distruzione. Tyren riunirà un esercito ancora più vasto e infurierà a occidente. Nel frattempo, pochi noteranno la nostra presenza e quello che facciamo, e non si renderanno conto che, così facendo, causeranno solo del male a se stessi. Lasciamo che combattano con i loro fucili e le loro spade. I loro deboli fucili e le loro fragili spade.» 75 La mattina di duadi comparvero nelle strade di Hyalt alcune persone, perlopiù donne, e qualche carretto di frutta e verdura. Le due barricate sulle strade principali erano state smantellate e Feran aveva cominciato ad addestrare un gruppo formato dalle donne più giovani e robuste per creare un nucleo addetto al pattugliamento a cavallo della città. Di cavalli disponibili ce n'era un discreto numero. A metà mattina, Alucius si trovava nella Sala del Consiglio di Hyalt, a un isolato dalla piazza principale, occupato a esaminare alcune donne che sembravano dotate di coraggio e intelligenza, cercando - anche con l'aiuto del Talento - di individuare quelle che sarebbero state in grado di risollevare le sorti della sventurata città. Dopo aver gettato un'occhiata a Bakka, munito di matita e con una minuscola pila di documenti davanti a sé sul tavolo, Alucius tentò con discrezione di mettersi seduto più comodo, prima di far entrare il gruppo successivo. Altre quattro donne fecero il loro ingresso nella sala, accompagnate da quattro soldati. Una di queste, già di una certa età e con i capelli grigi, non aveva smesso un attimo di fissare Alucius. Anche un'altra, una donna dai capelli biondi, gli teneva gli occhi puntati addosso, guardandolo però di sottecchi, a testa china. Una terza, una brunetta dai lineamenti graziosi e dalle labbra color rubino, regalò ad Alucius un sorriso. A differenza delle altre non aveva un aspetto denutrito. Alucius si schiarì la voce. «Qualunque cosa sia successa qui a Hyalt, adesso è finita. Non rimane che ricostruire la città e mantenere l'ordine. Grazie all'autorità che mi è stata conferita dal Signore-Protettore, sto selezionando chiunque sia in grado di aiutare nello svolgimento di questo
compito.» Smise di parlare e aspettò le reazioni del gruppetto. «Siamo davvero fortunate a beneficiare della vostra assistenza», esordì la donna dall'aspetto attraente. Alucius quasi trasalì nel percepire l'ipocrisia e la cupidigia che emanavano da lei, ma domandò in tono gentile: «Il vostro nome?». «Sanaval, signore.» Alucius si voltò verso le guardie. «Prendete Sanaval e rinchiudetela con gli altri in attesa di essere mandati a nord.» La donna spalancò la bocca, incapace di parlare, mentre due soldati la affiancavano. «Ogni sillaba di ciò che avete detto era falsa e ingannevole», replicò Alucius. «Hyalt non ha bisogno di gente come voi, in questo momento. Portatela via.» «Chi siete voi per giudicare?» chiese con espressione severa la donna dai capelli grigi. «Giudico perché qualcuno dovrà governare Hyalt, e dovrà essere qualcuno capace di farlo, visto che questo non rientrerà tra i nostri compiti.» «I vostri compiti si limitavano a portare la morte ai nostri mariti e ai nostri figli?» chiese la donna magra dai capelli rossi, pronunciando quelle parole quasi con un sibilo. Alucius si voltò verso di lei, gli occhi fiammeggianti. Tentò di impedire alla rabbia, che tutto a un tratto si sentiva dentro, di esplodere. «I vostri uomini sono stati tanto deboli da rinunciare alle loro famiglie, al loro lavoro, al loro cervello. Hanno assalito i ricognitori del Signore-Protettore. Hanno ucciso mercanti che portavano in città le loro merci, forse anche il cibo. Non siamo venuti fin qui a portare la morte, ma a scoprire per quale motivo gli abitanti di Hyalt scacciavano i mercanti e gli artigiani e uccidevano i forestieri. Al nostro arrivo, anche noi fummo attaccati, ma a differenza degli altri noi ci siamo difesi.» Lo sguardo di Alucius rimase puntato sulla donna, mentre proiettava verso di lei un senso di autorità e di rassicurazione e cercava di non lasciar trapelare la collera che sentiva. «Ci sono già stati morti a sufficienza. Ce ne sono stati troppi. Sto scegliendo - tra la vostra gente - chi dovrà prendersi carico di governare Hyalt. Oppure avete intenzione di scappare per la paura ogni volta che vedrete un uomo a cavallo, armato di spada o di fucile?» La donna indietreggiò e Alucius rivolse di nuovo la propria attenzione sulla sua compagna dai capelli grigi. «Si sono comportati come dei pazzi», ammise questa. «Ma questo vi da-
va il diritto di ammazzarli?» «Non finché non hanno cercato di ammazzare noi e chiunque altro venisse da fuori», replicò Alucius. «Non finché non hanno rifiutato il dialogo e si sono limitati ad attaccare. Ritenete che questo loro comportamento fosse corretto? Intelligente?» «No, ma io non sono che una venditrice di frutta e verdura.» «Avete ancora prodotti da vendere?» «Sì.» L'affermazione fu pronunciata in tono bellicoso. «Allora avete più buonsenso della maggior parte degli abitanti di Hyalt», rispose seccamente Alucius. «Qual è il vostro nome?» «Isaya.» Alucius fece un cenno d'assenso in direzione di Bakka, che scrisse il nome della donna su un foglio. «Dove abitate?» «In prossimità della strada che si dirige a nord. Dovreste saperlo. Sono stati i vostri soldati a trascinarmi praticamente fin qui.» «Siete in grado di occuparvi della gestione del mercato? Di fare in modo che la qualità dei prodotti in vendita sia buona?» «Dipende. Di certo però non posso stabilire io il prezzo delle merci.» «Ovviamente no. Il costo dei vari prodotti verrà stabilito dai venditori d'accordo con i clienti. Ma Hyalt non può permettersi carne avariata o cereali guasti spacciati per buoni.» «Dovrei riuscire a occuparmi di questo... se avremo le pattuglie di controllo che ci avete promesso...» Alucius annuì. Probabilmente la metà di ciò che stava cercando di fare non avrebbe funzionato, ma se fosse riuscito a mettere insieme una qualche organizzazione, forse le donne sarebbero riuscite a sistemare le cose da sole prima che giungesse l'inverno. Sapeva solo che doveva tentare e che, se avesse separato le mele marce dal mucchio, o ne avesse tolte quante più possibile, quelle donne avrebbero avuto qualche possibilità di farcela. Spostò lo sguardo sulla donna bionda dall'aria nervosa. «Che lavoro fate?» «Sono una cucitrice. O almeno lo ero...» Alucius si chiese quante altre clessidre e giorni avrebbe ancora dovuto dedicare al tentativo di rimettere in piedi quella città disastrata. Ci sarebbero volute intere stagioni per farlo bene, ma lui non disponeva di tutto quel tempo. E poi, alla fin fine, i risultati sarebbero dipesi dai pochi superstiti di Hyalt.
Ciò nondimeno, si sentiva ancora contrariato per la piega che avevano assunto gli eventi. 76 Il giorno di sexdi Alucius si sentiva un po' meglio, almeno abbastanza da fare una cavalcata fino all'accampamento a ovest della città e al luogo dove si trovavano le rovine del tempio del profeta. Feran insistette per accompagnarlo con la quarta e la quinta squadra della Quinta Compagnia. Al loro seguito c'era anche un carro pieno di asce, sbarre, martelli da roccia e altri attrezzi, oltre ad alcuni barili di polvere da sparo. Mentre superavano i cancelli meridionali dell'accampamento, aperti e incustoditi, sferzati da un freddo vento foriero d'autunno, Feran chiese ad Alucius: «Credi davvero che troverai qualcosa di utile sotto quelle rocce?». «Lo spero», ribatté Alucius. «Ti conosco. Deve esserci molto più che non la semplice speranza.» «C'è una questione che non abbiamo risolto e alla quale avrei dovuto pensare prima», disse Alucius quasi tra sé, mentre studiava con gli occhi il fianco della collina ingombro di detriti del tempio. «Soltanto una?» chiese Feran in tono asciutto. «Che fine ha fatto tutto il denaro di Hyalt? Nessuno sembra averne più, eppure le persone che sono fuggite devono avere abbandonato le loro case in fretta e furia. Altri hanno detto invece di avere affidato tutti i loro averi al profeta. Ma nessuno ha più lasciato Hyalt dopo le prime settimane e non abbiamo trovato nessuna cassaforte, niente di niente.» «Oh... tu credi?» «Non lo so, ma vale la pena di controllare. Se il Consiglio temporaneo che si occuperà della riorganizzazione della città disponesse di un po' di denaro, potrebbe usarlo per comperare un po' di generi alimentari.» «Perciò questi soldi non li consegneresti al Signore-Protettore?» «Per quale motivo? A che gli servirebbero? Se ne troviamo, li distribuiremo alle famiglie più bisognose. Questo non vuol dire che prima o poi non finiscano nelle tasche dei soliti approfittatori...» Alucius sbuffò: «Ma sarà senz'altro più utile se verrà distribuito qua e là». «Se ne troviamo in grande quantità, alcuni soldati penseranno di avere diritto a una parte, non credi?» «Ci penseremo quando arriverà il momento. Spero almeno che siano ri-
maste delle provviste, magari delle munizioni, della farina o della carne salata. Sono generi che possono sempre servire.» «Distribuirai anche quelli?» Alucius scosse il capo. «I soldati devono pur mangiare.» «Non stiamo affrettando un po' troppo le cose?» Il maggiore scoppiò in una risata. «Credi davvero che ci sia un favoloso tesoro sepolto là sotto, non è vero?» «Lo spero», replicò Feran amabilmente. «Vediamo, allora.» Alucius nutriva qualche dubbio in proposito, sebbene fosse convinto che qualcosa ci dovesse essere. Passarono oltre le baracche e il piccolo fabbricato in cui Feran aveva fatto sistemare Alucius dopo l'esplosione e si diressero verso la collina. Alucius fece fermare il cavallo quasi ai piedi del cumulo di sassi di arenaria che avevano costituito il tempio. Mentre i soldati della quarta squadra scaricavano gli attrezzi dal carro, lui esaminò le macerie con i Talento-sensi. Come aveva sospettato - o sperato - sentì che la sezione a sud di quella che era stata la navata principale conteneva qualcosa. Fece avanzare il cavallo di un'altra decina di iarde in quella direzione, poi fece segno a un soldato di salire su un mucchietto di sassi. «Cerca di sollevare quella lastra lì in cima.» Alucius esaminò la roccia, quindi annuì. «Vedi la lastra scura proprio lì?» Il soldato munito di martello e scalpello fece un cenno di assenso. «Infila sotto lo scalpello. No, un poco più a destra. Dovrebbe esserci una crepa da qualche parte.» Il soldato ci lavorò per almeno un decimo di clessidra, dopodiché si rialzò e fece un passo indietro. Con un lungo e lento craaacc, la lastra di arenaria si spezzò e la metà inferiore scivolò sui sassi dalle punte arrotondate che stavano poco più in basso, scheggiandosi in tanti piccoli frammenti. Proprio al di sotto della restante porzione di lastra, Alucius vide l'angolo squadrato di un passaggio. «Là!» indicò con la mano. «Come faceva a saperlo?» si udì qualcuno mormorare da un punto imprecisato. «Meglio non approfondire...» «Togliete le pietre dall'ingresso», ordinò Alucius. Benché l'impulso di aiutare fosse forte, si costrinse a restare a guardare i soldati che ripulivano la via d'accesso al tempio. Ci vollero più di tre clessidre per sgombrare l'intero passaggio e Alucius fu lieto che la giornata
fosse fresca e ventilata. La fatica dei soldati gli ricordò anche che scoprire qualcosa e farsi venire delle idee era molto più semplice che non svolgere poi l'arduo lavoro necessario alla realizzazione di tali idee. Non appena gli ultimi detriti furono rimossi risultò ben chiaro che il cunicolo che si addentrava nel fianco della collina non era stato toccato dagli effetti della deflagrazione provocata da Adarat. Alucius smontò di sella e fece un cenno ai soldati muniti di barra e martello. «Visto che siete stati voi a sobbarcarvi la fatica maggiore, entrerete insieme a me.» Si rivolse a Kasaff che, da solo, aveva spostato enormi pietre: «Vuoi fare gli onori di casa?». Kasaff gli fece un largo sorriso. «Visto che sarò io a fare da guida, mettete in conto di essere già arrivato, signore.» «Bravo, soldato», gli rilanciò Alucius. Tutta la squadra scoppiò a ridere. Alucius si addentrò nel passaggio, le cui pareti sembravano essere state scavate nella roccia parecchi anni addietro e si diresse verso un uscio alla sua sinistra. La prima stanza era solo piena a metà e conteneva parecchi barili di carne secca sotto sale, quasi dieci grossi cunei di formaggio stagionato e oltre una ventina di barili di farina. C'era anche un barile di frutta essiccata e un altro che sembrava contenere del vino. Com'era prevedibile, nella seconda stanza erano conservate casse di munizioni, ma non un solo fucile. La terza e ultima, in fondo al corridoio, aveva la porta chiusa da un pesante lucchetto. «Occorrerà un martello, ma che dico, l'armamentario di un'intera officina per aprirla», commentò Kasaff. Alucius estrasse il coltello dalla cintura e si avvicinò al lucchetto. «Può darsi che non sia necessario.» Si posizionò in modo tale che nessuno alle sue spalle fosse in grado di vedere cosa stava facendo e finse di armeggiare con la punta del coltello nella serratura del lucchetto, mentre in realtà cercava di aprirlo con il Talento. Quanto tempo avesse impiegato, non seppe dire, ma quando finalmente il lucchetto si aprì con uno scatto, Alucius grondava di sudore. Fece un passo indietro e porse il lucchetto a Quesal. Prima di abbassare la maniglia, proiettò all'interno della stanza una Talento-sonda, ma non percepì nulla che potesse assomigliare a una trappola. Poi spalancò la porta. La stanza era piccola, una specie di camera di sicurezza delle dimensioni
di non più di tre iarde per lato. Dentro c'erano tre piccole casse, collocate l'una accanto all'altra su una rozza panca che arrivava all'altezza dei fianchi. Le casse erano chiuse, ma prive di serratura. Di nuovo Alucius si fermò e proiettò il proprio Talento, ma, eccettuata una lieve sfumatura violacea, non percepì nulla se non legno e metallo. La prima cassa, piena a metà, conteneva circa mille monete d'oro. Ben poca cosa per essere il tesoro portato via a un'intera città. La seconda cassa conteneva monete d'argento, forse poco più di un migliaio. L'ultima era quasi vuota e al suo interno c'era solo un centinaio di monete di rame. Alucius rimase fermo accanto alle casse, consentendo a tutti i soldati che lo desideravano di avvicinarsi a dare un'occhiata. Alla fine, dopo che le casse furono trasportate all'esterno e caricate sul carro, riunì intorno a sé le due squadre e parlò loro. «Ho voluto che tatti vedeste le casse e il loro contenuto. Vorrei che raccontaste agli altri cosa abbiamo trovato, ma vorrei anche che comprendeste cosa non abbiamo trovato.» Fece una pausa. «Non abbiamo trovato tutto ciò che è stato rubato a Hyalt. Né lo troveremo, poiché sarà già sparso ai quattro angoli di Corus. Riflettete bene su questo.» «Quelle che abbiamo trovato sono solo le briciole. Sembra tanto, ma non lo è se si pensa alle ricchezze che dovrebbe possedere una grande città. Non basterebbe neppure a garantire la paga delle Guardie del Nord per un'intera stagione. E credo che non riuscirebbe neppure a coprire la paga di un mese delle Guardie del Sud. Senza questo denaro la gente di Hyalt morirà di fame durante l'inverno e molti moriranno comunque, nonostante questo piccolo aiuto. Le monete verranno restituite alle persone che ne sono state derubate e se noi ce ne appropriassimo non ci sentiremmo meglio di coloro che abbiamo sconfitto. Ma la cosa peggiore è che diventeremmo anche noi dei ladri. È tutto.» Girò il cavallo e fece un cenno a Feran. «Colonna! Avanti!» Dopo che ebbero oltrepassato i cancelli abbandonati, Feran guardò Alucius. «Ad alcuni la cosa non piacerà.» «Lo so.» «Diranno che sei un pastore ricco e che ti puoi permettere gesti altruistici, mentre loro non possono farlo.» La risata di Alucius aveva un fondo di amarezza, ma c'era ben poco che potesse dire per far sì che tutti comprendessero. Apparteneva a una famiglia agiata, ma non ricca. Era stato costretto con il ricatto a mettersi al co-
mando di un esercito per portare a termine una missione che non avrebbe goduto del favore popolare, lasciando che la sua famiglia se la vedesse contro creature talentose. Ma anche se avesse cercato di spiegare agli altri quelle circostanze non avrebbe convinto nessuno. Sapeva solo che far morire di fame della gente per riempire le tasche dei soldati sarebbe stato sbagliato. Con ogni probabilità, gli abitanti di Hyalt sarebbero morti lo stesso, ma lui non intendeva contribuire a peggiorare ulteriormente la situazione. 77 Alucius fece il suo ingresso nella Sala del Consiglio di Hyalt a metà pomeriggio di octdi. Le due donne e l'uomo dal fisico asciutto e dai capelli bianchi seduti su un lato del lungo tavolo alzarono lo sguardo su di lui. «Ho pensato di passare a vedere come vanno le cose», disse Alucius in tono garbato. «Quel denaro ci aiuterà», dichiarò Asala, la più giovane delle due donne, più o meno dell'età della madre di Alucius. «È tutto ciò che è rimasto?» domandò Birtraf. «Sono quasi sicuro che al profeta ne fosse stato consegnato molto di più.» «È tutto quello che abbiamo trovato. Suppongo che abbia dovuto sborsare parecchio per la fornitura di armi e munizioni, oltre che per le uniformi. Avevate notato la presenza di mercanti con grossi carri?» «Ne abbiamo visti molti. Venivano dalla strada che conduce a Syan e sui carri c'era il simbolo di una ruota d'argento. Prima della scorsa primavera, non ne avevo mai visti.» «Probabilmente, la maggior parte del denaro è andata a loro.» Mercanti provenienti da est o da nord? Mai visti prima? Chissà se si erano spinti fin là da Lustrea? O si trattava invece dei mercanti di Dekhron, di quelli che si diceva avessero incrementato il loro volume d'affari? Era stato Kustyl a dire che si erano fatti molto più intraprendenti. Potevano essere in qualche modo legati agli ifrit? Ma agli ifrit serviva denaro? «Maggiore, quanto pensate di trattenervi ancora qui a Hyalt?» «Non per molto, direi. Ho inviato il mio rapporto a Tempre una settimana fa. È una delle ragioni per cui abbiamo cercato di darci da fare il più in fretta possibile.» «Per essere un conquistatore, avete usato la frusta con mano leggera», dichiarò Asala. «Lo prendo come un complimento», rispose Alucius. «Io invece vorrei
solo che nessuno avesse seguito Adarat.» «Anche noi», replicò Birtraf, «ma dov'era il Signore-Protettore quando ci serviva il suo aiuto contro il falso profeta? Occupato a combattere un'inutile guerra a Madrien?». Alucius dovette trattenersi per non controbattere bruscamente. Fece una pausa, poi rispose: «I falsi profeti ci sono sempre e nessun sovrano è in grado di proteggere il suo popolo dalla stupidità». Si costrinse ad abbozzare un sorriso educato. «Se non avete altre domande da farmi...» Nessuno rispose. «Bene, buona giornata. Vi farò sapere quando partiremo.» Alucius salutò con un cenno del capo, si voltò e lasciò la sala. Perché mai la gente se la prendeva sempre con chi governava, benché pretendesse protezione contro la propria stupidità? Ma d'altra parte, rifletté Alucius, Adarat si era servito del Talento per costringere gli abitanti di Hyalt ad agire secondo il suo volere. E quale sovrano avrebbe mai potuto scoprire l'inganno, per non parlare di sventarlo? Alucius ritornò al quartier generale provvisorio il più rapidamente possibile. Non perché ci fosse una qualche urgenza, ma perché desiderava tenere in esercizio i muscoli doloranti del suo corpo, anche se la maggior parte dei lividi aveva ormai assunto pallide sfumature giallognole e violacee. Due soldati delle Guardie del Sud erano in attesa nell'atrio. Nel vederlo arrivare, entrambi scattarono sull'attenti. «Maggiore, signore!» disse il più anziano dei due, tendendogli una busta. «Un messaggio da parte del maresciallo Frynkel, signore.» Alucius prese la missiva, costringendosi ad abbozzare un amabile sorriso. «Grazie. Per il momento, gli alloggi dei soldati sono nella locanda sulla piazza. Dopo che avrò letto il messaggio, preparerò la risposta. La cosa potrebbe richiedere un po' di tempo.» «Sì, signore.» Il messaggero si schiarì la voce. «Ci è stato ordinato di aspettare.» «Sono sicuro che la vostra attesa risulterà più gradevole alla locanda. Avete fatto molta strada. Farò in modo che siate avvisati non appena avrò pronta la risposta.» «Bene, signore.» Nessuno dei due messaggeri aggiunse altro, nemmeno dopo che si furono avviati verso l'uscita. Alucius si incamminò con la busta sigillata lungo il passaggio a volta che portava nel soggiorno-studio situato sul davanti
della casa. Una volta là, si servì del coltello da cintura per lacerare la busta. Al suo interno c'erano due fogli. Il primo era un messaggio indirizzato a lui. Cominciò a leggerlo. Maggiore Alucius, vi inviamo le nostre congratulazioni e i più sentiti ringraziamenti per la vostra efficace azione. Il vostro rapporto riguardo alla risoluzione dei disordini di Hyalt è stato molto apprezzato dal SignoreProtettore, il quale mi ha pregato di farvi pervenire la sua immensa e profonda riconoscenza per gli sforzi compiuti. Alucius si irrigidì. Se qualcuno parlava di riconoscenza, voleva dire che c'erano problemi all'orizzonte o che lui avrebbe dovuto rileggere con estrema attenzione quelle parole. Riprese la lettura. Il Signore-Protettore è stato molto soddisfatto nell'apprendere che avete riportato un numero relativamente basso di perdite, per il quale vi trasmettiamo ugualmente il nostro encomio, poiché abbiamo estrema necessità di soldati qualificati. Devo purtroppo informarvi che la Reggente della Madide ha intrapreso un massiccio attacco contro le nostre forze schierate attorno a Porta del Sud e che il maresciallo Wyerl è rimasto ucciso in battaglia durante la difesa della città e del porto. Il maresciallo Alyniat ha assunto il comando e ha inviato laggiù tutti i soldati disponibili per contrastare le truppe nemiche e i lanciaproiettili di cristallo. In questi giorni critici, nei quali tutti i territori a est di Madrien sono minacciati, il Signore-Protettore vi chiede di completare nel giro di un paio di giorni ciò che avete intrapreso per riportare Hyalt alla normalità. Dopodiché vi sarebbe grato se conduceste i vostri uomini a Zalt e da lì direttamente a Porta del Sud, dove vi metterete agli ordini del maresciallo Alyniat, o del maresciallo in carica al momento del vostro arrivo. Naturalmente, solo se, in qualità di leale ufficiale delle Guardie del Nord, riterrete opportuna tale missione. Se accettate la richiesta, vi prego di leggere le formali istruzioni che vi allego, con facoltà di utilizzarle a vostra discrezione. Il messaggio portava la firma del maresciallo Frynkel, comandante in capo ad interim di Lanachrona.
Prima di scorrere una seconda volta tutta la lettera, Alucius rilesse le ultime parole. Poi prese l'altro foglio e lesse anche quello. Gli ordini dicevano di fare rapporto al maresciallo Alyniat o al maresciallo in comando al momento del suo arrivo. Qualora non ci fosse stato alcun maresciallo, gli si chiedeva di coordinarsi con l'ufficiale in carica, a sua discrezione. Il che era di per sé preoccupante. Il messaggio lo contrariò alquanto. Aveva una moglie che aspettava un figlio e lui veniva di nuovo costretto ad andarsene chissà dove per risolvere un'altra questione con la quale non aveva niente a che fare. E se non l'avesse fatto, Wendra e la sua piccola non ancora nata - così come la maggior parte degli abitanti delle Valli del Ferro - ne avrebbero sofferto le conseguenze. «Che succede?» Alucius alzò gli occhi e vide Feran fermo sulla soglia. «Ho sentito che sono arrivati due messaggeri», disse questi. «Speravo di ricevere notizie su quando avremmo potuto fare ritorno a Dekhron.» «Sarà un po' difficile», disse Alucius, «visto che ci è stato "chiesto" di recarci a Porta del Sud per cercare di salvare il Signore-Protettore». «Cosa? Ma lui non è laggiù, vero?» «No, ma la Reggente della Matride sta incalzando alle porte della città e il maresciallo Wyerl è stato ucciso. Alyniat ha preso il comando e adesso Frynkel è comandante in capo di Lanachrona.» «Tutto questo puzza più del ventre putrefatto di una scrofa», borbottò Feran. «Abbiamo forse qualche alternativa?» «Si tratta solo di una richiesta», disse Alucius in tono ironico. «Già, potremmo scegliere di ignorarla o di rifiutare. In tal caso, cosa succederebbe?» «Resteremmo vivi», disse Feran. «Non verremmo fatti a pezzi in una guerra che vede opposti su due fronti un sovrano disperato e una pazza.» «E che mi dici delle due compagnie di Guardie del Sud? Verrebbero subito mandate laggiù a farsi massacrare. E che fine farebbe la tua pensione se ti congedassero appena tornati a Dekhron?» «Ma tu potresti rifiutare... non ti serve la pensione», gli fece notare Feran. «Potrei, certo, e nulla impedirebbe al Signore-Protettore di inviare tutte le compagnie delle Guardie del Nord a difendere Porta del Sud o Tempre, se si dovesse giungere a tanto. Ed è probabile che ci si arrivi, poiché la Reggente possiede due lancia-proiettili di cristallo e li sta utilizzando en-
trambi laggiù. Così, nel giro di una stagione, se non addirittura di poche settimane, mi troverei senza famiglia né fattoria, vuoi perché saremmo sopraffatti dal nemico, vuoi perché non troveremmo nessuno a cui vendere la nostra seta nerina.» «Maggiore...» la voce di Feran lasciava trasparire una punta di rassegnazione dietro al tono ironico. «Chissà come, riesci sempre a mettere in evidenza queste cosucce sgradevoli. Perché non mi lasci per un attimo l'illusione che qualcuno mantenga la parola data o ci offra un'adeguata ricompensa per una missione portata a termine con successo?» «I sovrani ridotti alla disperazione non ricompensano nessuno.» «Lo so.» Feran scosse il capo. «Partiremo il giorno di decdi, allora.» «Londi. Stando alle istruzioni ricevute, disponiamo di due giorni interi per finire il nostro lavoro. E se ci dobbiamo dirigere a ovest, sarà meglio che impieghiamo ogni istante libero del nostro tempo a verificare se siamo pronti.» Alucius doveva ancora stilare un rapporto conclusivo sulla situazione di Hyalt e voleva anche accertarsi che il Signore-Protettore venisse informato riguardo ai mercanti con i carri che portavano l'emblema della ruota argentata e che avevano prosciugato i forzieri del profeta. Feran annuì lentamente. Alucius non aveva idea di cosa occorresse per prepararsi a combattere contro un'arma come il lancia-proiettili di cristallo, anche perché non gli era riuscito molto bene la prima volta che ci aveva provato. Ma d'altra parte, allora, non era molto esperto nell'uso del Talento. Chissà se ciò che aveva imparato gli sarebbe stato utile? Sicuramente l'avrebbe scoperto presto. Serrò le labbra e dovette fare un respiro profondo per rilassarsi un po'. La tensione non era l'ideale per i suoi muscoli doloranti. 78 Il mattino di londi era freddo, quasi gelido, accompagnato da una pioggerella sottile proveniente da nordovest, dalle lontane Montagne della Costa. Quattro soldati della Quinta Compagnia erano in attesa di fronte alla casa che aveva ospitato Alucius, mentre questi finiva di assicurare armi e bisacce alla sella e montava in groppa al suo cavallo grigio, per poi affiancarsi a Feran. Dopodiché i due si avviarono verso la piazza principale dove la Quinta Compagnia si stava già disponendo in formazione. Alucius, più per abitudine che per altro, proiettò i Talento-sensi a con-
trollare l'area circostante ma, sebbene la popolazione di Hyalt si fosse alquanto ridotta, c'era comunque troppa gente perché riuscisse a capire se qualcuno rappresentava un pericolo. Fu solo in grado di determinare che nella piazza non c'erano grossi assembramenti di persone all'infuori della Quinta Compagnia. «Sarei molto più contento di andarmene da qui se fossimo diretti a nord del fiume Vedra, in particolar modo a nord e poi a est», disse Feran a bassa voce. «Lo saremmo tutti quanti. La vita non è sempre così semplice.» «Vuoi dire che i sovrani non lo sono», replicò Feran. Alucius gli rispose con un sorriso amareggiato e un cenno di assenso. I due ufficiali aspettarono, all'estremità nord della piazza, che gli ultimi comandanti di squadra facessero rapporto a Egyl. «Quarta squadra, presente e pronta, signore.» «Quinta squadra, presente e pronta, signore.» Egyl si girò e percorse le poche iarde che lo separavano da Feran, davanti al quale si fermò a riferire: «Quinta Compagnia, presente e pronta a partire, signore». «Grazie», disse Feran, rivolgendosi ad Alucius. «Pronti a partire, maggiore.» «Andiamo.» «Quinta Compagnia! Per squadre, avanti!» La Quinta Compagnia uscì ad andatura moderata dalla piazza percorrendo l'antico fondo in durapietra della strada principale diretta a nord, verso Tempre. Dopo sei giorni di viaggio sarebbero giunti in corrispondenza dell'intersezione con la strada che conduceva a sudovest, a Zalt, e da lì a Porta del Sud. A un isolato dalla piazza, sul fianco destro dell'ampia via, si trovavano i tre componenti del Consiglio provvisorio, fermi in piedi a veder sfilare i soldati. Nessuno parlò o fece un cenno di saluto al passaggio della Quinta Compagnia. «Non sono troppo amichevoli», osservò Feran. «Non so se io lo sarei, al loro posto», commentò Alucius. «Abbiamo ucciso i loro mariti, figli e fratelli, a centinaia. Non è importante il fatto che non avessimo scelta.» «Immagino che neppure loro ne avessero.» Feran scosse il capo. «Da quel che ho potuto vedere, il Talento è stato utilizzato unicamente per compiere azioni malvagie. Sembra che solo tu e i pastori in generale lo
usiate a fin di bene. Chiunque se ne serve per uccidere qualcun altro, o per impadronirsene o renderlo schiavo. Che differenza c'è con voi pastori?» Prima di rispondere Alucius esaminò le case e le botteghe su entrambi i lati della strada. Più della metà davano l'impressione di essere ancora deserte, ma anche quelle abitate avevano un aspetto malconcio, con frammenti di stucco che si staccavano e muri lerci, dall'intonaco che aveva da lungo tempo assunto una colorazione bianco-giallastra o bianco-rossastra. Lo stato di abbandono risaliva chiaramente a parecchi anni addietro, ancora prima che il profeta si fosse impossessato di Hyalt. Chissà se il declino della città e la povertà latente avevano facilitato i tentativi del profeta? O forse lui era sempre stato là, a indebolirne le ricchezze? Oppure la colpa era da attribuire solo all'ultimo della serie? Se si chiamavano tutti Adarat, era difficile stabilire chi incolpare. Alucius non era stato in grado di ottenere una risposta chiara da nessuno e dubitava di riuscirci. O che chiunque altro ci riuscisse. «Non so se i pastori siano diversi dal resto della gente», disse piano Alucius. «Tranne che per una cosa. Amano la loro terra e amano sentirsi tutt'uno con essa. La terra è più importante della loro stessa vita. Forse è questo che fa la differenza: credere in qualcosa che sia più importante del denaro, della casa, o del potere sulla gente.» «Credi che questo valga per tutti i pastori?» «No», ammise Alucius. «Solo per quelli che sopravvivono facendo questo lavoro.» «Non hai mai voluto diventare un soldato, vero?» «L'ho fatto solo perché non volevo perdere la fattoria.» «Ecco su cosa fanno presa per avere il controllo su di voi: la terra.» «Per un pastore si tratta di una presa fortissima», gli fece notare Alucius. L'immagine dell'Altopiano di Aerlal che si innalzava a est, al di sopra degli interminabili vingti di terreno sabbioso e di quarasote, gli apparve nella mente ed egli desiderò essere là con Wendra, con il gregge e con la sua famiglia. Fece un respiro lento e profondo. Se nelle settimane seguenti non ce l'avesse fatta a portare a buon fine la sua nuova missione, non avrebbe mai più avuto quell'opportunità. «Se tutti i sovrani fossero pastori, forse non ci sarebbero tutte queste guerre», disse Feran in tono leggero, ma quasi del tutto privo di ironia. «Chi lo sa?» ribatté Alucius. «Ma non accadrà mai.» «Probabilmente no», convenne Feran. Alucius non rispose. Mentre cavalcava verso nord, attraverso la piogge-
rella sottile, diretto all'accampamento dove si sarebbero riuniti alle due compagnie di Guardie del Sud, non poté fare a meno di pensare a Hyalt e a ciò che era successo. Un uomo aveva fatto la sua comparsa, o forse non si trattava di un uomo ma di qualcosa di leggermente inferiore agli ifrit che aveva conosciuto, e aveva trasformato una città attiva - certamente non una delle più ricche, ma nemmeno la più misera - in un'accozzaglia di fanatici privi di volontà propria. Era forse a quello che portava la tentazione del Talento nelle sue estreme manifestazioni? 79 La pioggia leggera e la nebbiolina erano durate due giorni per poi svanire durante la mattina, dopo che le tre compagnie avevano lasciato la stazione intermedia di Ceazan, insieme a Elbard e ad alcuni dei feriti meno gravi, che probabilmente avrebbero del tutto recuperato le loro forze nel corso del viaggio verso Porta del Sud. Dalla stazione intermedia, Alucius aveva anche potuto inviare il suo rapporto conclusivo su Hyalt e una lettera di scuse a Wendra, in cui si limitava a spiegarle che gli era stato chiesto di occuparsi di altre questioni riguardanti il loro futuro e la loro sicurezza, e che era enormemente dispiaciuto di dover restare lontano dalla fattoria così a lungo. Quattro giorni più tardi si erano immessi sulla strada principale occidentale, che avevano lasciato dopo un'altra mezza giornata di viaggio per imboccare la strada diretta a sudovest: quella che li avrebbe condotti, attraverso le Montagne della Costa e i territori un tempo appartenuti a Madrien, fino a Zalt e poi a Porta del Sud. Due giorni dopo, sotto un debole sole autunnale, si stavano avvicinando al versante orientale delle Montagne della Costa. La Trentacinquesima Compagnia era in testa alla colonna, e Alucius cavalcava accanto a Jultyr. «Sapete, le cose a Hyalt sarebbero potute andare davvero male, soprattutto quella notte in cui il profeta si servì del Talento per far addormentare profondamente tutti i soldati.» Jultyr aggrottò la fronte. «Come avete fatto a svegliarvi, voi e il capitano maggiore?» «Avevo avuto un incubo e sognavo di non riuscire a muovermi», confessò Alucius. «C'è voluto parecchio tempo perché mi svegliassi, e ancora di più per svegliare un numero di soldati sufficiente a sventare l'attacco. Se i nemici avessero portato un'intera compagnia, le cose sarebbero davvero potute andare molto male.» Quanto male, Alucius se l'era chiesto più di
una volta. Si era anche chiesto come avrebbe potuto affrontare gli ifrit nel caso se ne fosse trovato davanti più di uno. «Per fortuna non è accaduto», dichiarò Jultyr. «Non posso certo dire di essere molto contento di dovermi dirigere a ovest così presto. Dopo quegli scontri con i ribelli, molti miei soldati si sono fatti un'idea sbagliata di ciò che significa combattere.» «Ogni medaglia ha anche il suo rovescio. I matriti sono più esperti dei ribelli nel combattere e possono contare su armi più efficaci e su un addestramento migliore, ma la maggior parte di loro non si ostinerà a caricare con il corpo squarciato dalle ferite.» «Questo è vero», rifletté quasi tra sé Jultyr. «E che mi dite di quei lancia-proiettili? Li avete mai visti?» «Sì, per la verità di tratta di congegni che scagliano piccole punte di lancia, una gran quantità di minuscole punte di cristallo, ciascuna della lunghezza di circa mezza iarda. Una volta, hanno tranciato via di netto una collina e sterminato un'intera compagnia di fanteria.» «Eravate presente?» «È successo quando hanno invaso le Valli del Ferro.» Alucius decise di non dilungarsi a spiegare che era stato ferito e catturato proprio nel corso della battaglia destinata a mettere fuori uso quell'arma e che aveva solo una vaga idea di come questa fosse stata distrutta. «Adesso ne possiedono due. Almeno è quello che ha detto Dostak. Scommetto che le hanno piazzate tutte e due nelle vicinanze di Porta del Sud.» «Meglio non scommettere.» «È il guaio di fare il soldato», proseguì Jultyr. «Fate bene il vostro lavoro, e cosa succede? Ve ne assegnano un altro peggiore.» Il capitano più anziano scosse la testa. «D'altra parte, non potete rischiare di farlo male perché potreste venire ucciso. Anche se a volte, ai soldati che sopravvivono pur non avendo compiuto il loro dovere, viene riservata una sorte migliore rispetto a quelli che invece il loro dovere l'hanno compiuto fin troppo. Vengono assegnati alle stazioni dove si svolgono gli scambi commerciali o nominati attendenti di qualcuno.» «C'è del vero in tutto questo.» Alucius si sistemò meglio sulla sella. Adesso, la maggior parte del tempo, non avvertiva più rigidità o dolore; solo, di tanto in tanto, qualche fitta gli ricordava che non si era ancora ristabilito del tutto. «Ce n'è parecchio», disse Jultyr. «Voi, ad esempio, che avete ricevuto
tutte le decorazioni possibili e immaginabili da ben tre Paesi diversi, siete qui, diretto a combattere contro i mattiti. Avete fatto troppo bene il vostro lavoro, signore. E guardate dove vi ha portato.» «Abbiamo concluso la nostra missione a Hyalt», replicò Alucius, ignorando i riferimenti alle sue precedenti imprese. «Ci sono volute tre compagnie per riuscirci. Una sola di meno, e il profeta avrebbe avuto la meglio su di noi.» «Non dovremmo avere a che fare con tutto quel Talento con i matriti, vero?» «In precedenza non ne possedevano molto. Possiamo solo sperare che le cose non siano cambiate.» I due lancia-proiettili di cristallo sarebbero stati più che sufficienti a causare morte e distruzione. Di questo Alucius era più che certo. 80 Tempre, Lanachrona Il Signore-Protettore superò i soldati di guardia ai suoi appartamenti privati e si chiuse la porta alle spalle con uno scatto, facendo scorrere il catenaccio. I tacchi dei suoi stivali risuonarono sul pavimento di marmo del vestibolo, precedendolo con il loro rumore nel salotto, dove Alerya era seduta con il piccolo Talus in braccio. Madre e figlio erano illuminati dalla calda luce delle lampade poste sui tavolini alle due estremità del divanetto. «Ecco papà... riesci a dire: "Pa-pà"?» Alerya si voltò verso il marito, ma non si alzò. Talus sorrise ed emise un gorgoglio. Il sorriso che era comparso sulle labbra di Alerya svanì nel vedere l'espressione di Talryn. «Mi dispiace. Di qualunque cosa si sia trattato, dev'essere stata una giornata terribile.» «Sono tutte terribili di questi ultimi tempi, tranne quando sto con te.» Il Signore-Protettore sorrise affettuosamente alla moglie e al figlio, per poi tornare serio. Si avvicinò al divanetto, si chinò e prese il figlio tra le braccia. «Come sta il mio bambino? Hai passato una buona giornata?» disse, stringendo il piccolo a sé. «Di solito è molto buono. Oggi era un po' nervoso. Credo che gli stia spuntando il primo dentino.» Alerya si alzò. «Ti va un po' di vino?» «Ne berrei una caraffa intera, ma dopo dovrei scontarne le conseguenze.» Talryn sorrise di nuovo a Talus. «Vero, giovanotto?» Poi si appoggiò
il bambino sulla spalla e gli diede dei colpetti sulla schiena. «È bello vedere che godi di ottima salute.» «Talryn... ha appena mangiato...» Alerya si interruppe di botto nell'udire il ruttino soddisfatto di Talus. «Che peccato... la tua casacca», disse Alerya, riprendendosi in braccio il figlio e porgendo un fazzoletto di cotone al marito. «Forse... se la pulisci subito...» Talryn rise, prendendo il fazzoletto e facendo del suo meglio per rimediare al danno. «Almeno lui è prevedibile. Al contrario dei miei marescialli e consiglieri.» Dopo aver ripiegato il panno sporco e averlo appoggiato sul tavolino più vicino, il Signore-Protettore si accostò alla credenza e si versò mezzo calice di vino rosso. «Non vuoi raccontarmi cos'è successo?» domandò Alerya. «E a chi altri lo potrei raccontare se non a te?» Bevve un sorso di vino. «Rammenti il maggiore Alucius?» «Il maggiore pastore, quello al quale dovrai essere eternamente debitore?» «Non ti stancherai mai di ricordarmelo, vero?» «No. E ho come l'impressione che gli dobbiamo molto di più, anche se non so spiegarmene il motivo. E non scordarti che per un sovrano non è saggio dimenticare i favori ricevuti e la persona che li ha fatti.» «Hai ragione, mia cara. Ecco perché sono di cattivo umore. Ho scoperto che Frynkel, quel modello di virtù, si è servito del mio sigillo per ordinare al maggiore Alucius di recarsi a Porta del Sud.» Talryn posò il calice sul tavolino. «Frynkel ha fatto cosa?» chiese Alerya. «Non posso credere che abbia inviato un ordine con il tuo sigillo senza la tua approvazione. Come ha potuto? Come ha osato?» «Non si trattava proprio di un ordine. È stato più astuto. Si trattava di una richiesta da parte mia, quasi di un'implorazione. Frynkel ne era molto fiero. Ah... le cose che a volte si devono sopportare!» «Cos'hai intenzione di fare?» «Quello che lui si aspetta che io faccia. Se il maggiore Alucius porterà a termine la nuova impresa, Frynkel riceverà un ammonimento ufficiale e verrà destituito. Se invece Alucius fallisce, il maresciallo verrà giustiziato.» «E lui se l'aspetta?»
«Può darsi di sì e può darsi di no. Il fatto che si sia comportato in questo modo è un chiaro sintomo indicatore della mia attuale situazione e delle condizioni in cui mi trovo. Ma, a prescindere dalla gravità del momento, Frynkel si merita una punizione. Vorrei almeno sentirmi libero di firmare personalmente le mie richieste e mettere in atto da solo i miei piccoli inganni», disse Talryn con voce fredda. «Tuttavia, se Frynkel dovesse mancare, non avrei nessun altro, neanche lontanamente così qualificato, su cui fare affidamento.» «Non puoi revocare l'ordine?» «Il maggiore Alucius dovrebbe quasi essere arrivato a Zalt. Lasciamo che succeda quello che deve succedere.» «Sei davvero disperato, non è vero, mio caro?» «Non dispongo di altri soldati di riserva. Ho perso il mio migliore maresciallo. Per quel che ne so, potrei avere già perso anche Alyniat.» «Non puoi far ripiegare semplicemente le tue forze lungo i vecchi confini?» «Potrei. Ma in tal caso dovrei farle combattere contro i matriti senza l'aiuto immediato del maggiore Alucius. E nel giro di qualche settimana, se la situazione precipita, avremmo quei lancia-proiettili di cristallo puntati su Tempre. La Reggente è molto peggio della Matride... molto peggio.» Talryn rise. «Ecco perché, quando si toglie di mezzo un sovrano, lo si fa a proprio rischio e pericolo. Non si può mai sapere chi gli succederà. Non che io abbia minimamente avuto a che fare con la misteriosa morte della Matride.» «È improbabile che il maggiore riesca nell'impresa, vero?» «Improbabile, sì, ma non impossibile. Ha già compiuto l'impossibile in precedenza. Più di una volta, credo. Ma noi non riusciremmo sicuramente a difendere Porta del Sud e la strada principale meridionale senza il suo aiuto. Ed è questo l'aspetto più sgradevole della "richiesta" che il maresciallo Frynkel ha mandato avanti con il mio sigillo. Sono arrabbiato tanto per la mia debolezza, quanto per ciò che lui ha fatto. Frynkel sa che cerco sempre di comportarmi in modo onorevole, ma sapeva anche che non potevamo sprecare altro tempo, se volevamo avere qualche possibilità di salvare Porta del Sud.» «È di così vitale importanza?» «Il Pretore di Lustrea sta organizzando un esercito per conquistare Illegea e Ongelya, e poi Deforya. O forse prima Deforya e poi le altre due. Quando sarà riuscito nel suo intento, non resteranno che due grandi regni a
spartirsi il controllo di Corus. Se non faremo parte di uno di questi, la nostra fine sarà certa.» Talryn si strinse nelle spalle. «Non sono stato io a determinare l'attuale stato delle cose. La Matride e il vecchio Pretore, e forse anche Aellyan Edyss, sono stati i primi a far cadere i sassi che hanno dato inizio alla valanga, quando ancora non ero Signore-Protettore. Io non ho fatto altro che destreggiarmi in questa situazione creata da loro, e le mie scelte sono sempre state limitate.» «Adesso sono tutti morti. La cosa non ti dice niente?» «Sì, mia cara. Mi dice che devo stare molto attento.» Prese di nuovo Talus tra le braccia. «Mi dice che devo godere degli affetti e delle gioie di ogni giorno, poiché ogni stagione potrebbe essere l'ultima.» Tenne a lungo il figlio stretto a sé, poi si raddrizzò e lo porse ad Alerya. «Credo che dovremmo mangiare qualcosa. Soffrire anche la fame non servirà a migliorare le cose.» «Talus resterà alzato ancora per un po'.» «Può stare con noi, non è vero?» Alerya sorrise dolcemente. «Certo.» I tre si diressero verso la piccola sala da pranzo privata. 81 Il pomeriggio di un septi, sette giorni dopo aver iniziato la traversata delle Montagne della Costa, Alucius cavalcava alla testa della colonna accanto a Feran. Le sue passate conoscenze dei sentieri e dei vecchi campi dei taglialegna disseminati tra le Montagne della Costa e le colline occidentali si erano dimostrate utili nel trovare luoghi in grado di fornire riparo e acqua. E ogni volta che aveva mandato in avanscoperta i ricognitori alla ricerca di uno di tali ricoveri, questi erano quasi sempre tornati confermando le sue supposizioni. In quel momento, la valle in cui sorgeva Zalt si spalancava dinanzi ai loro occhi, a ovest. «Puoi vedere la postazione di Senob, a destra della strada principale, appena prima dell'incrocio con la strada delle Montagne della Costa, quella che viene da nord. Senob era il nome con cui era chiamata allora la postazione, almeno.» Pur senza sollevarsi sulle staffe, Alucius era in grado di vedere le mura di pietra rossa, tanto alte da essere visibili ad almeno tre vingti di distanza. «La città si trova tutta nella zona a nordest del punto di intersezione delle due strade principali. La strada delle Montagne della
Costa termina un centinaio di iarde dopo quel punto. Mi sono sempre chiesto se i suoi costruttori intendessero proseguire verso sud e se fossero stati fermati dal Cataclisma.» Feran lo guardò. «Ero di stanza qui, una volta», disse Alucius. «Rammenti?» «Sapevo che eri diventato un comandante di squadra dopo essere stato fatto prigioniero dai mattiti, ma non sapevo dove.» «Sono stato qui e a Hieron, anche se là mi sono fermato poco tempo.» «Allora conosci bene i territori a ovest?» Alucius scosse il capo. «Conosco la maggior parte dei sentieri tra Zalt e il vecchio confine a est, ma non mi sono mai spinto più di pochi vingti a ovest di Zalt. Conosco la strada a nord di qui, ma non quella delle Montagne della Costa.» Si girò sulla sella. «Egyl? Tu sei sempre stato a nord?» «Sì, signore. Tranne quella volta in cui andammo ad Hafin. Per quanto ne so, nessuno dei veterani che tornarono con voi era mai stato a sud.» «Grazie.» Alucius tornò a rivolgersi a Feran. «Sei sicuro che non siano stati questi posti a farti venire i capelli grigi?» disse Feran con espressione e tono di voce neutri, anche se vi si percepiva una punta di divertimento. «No. Sono nato preoccupato. Come tutti i pastori, questo lo sai.» «Per essere un tipo così preoccupato, mi sembri stranamente desideroso di andarti a cacciare nelle situazioni sgradevoli.» «Solo per evitare quelle ancora più sgradevoli», ribatté Alucius divertito. «Vedo che sei il solito ottimista.» «Come sempre.» Nell'avvicinarsi alla vecchia postazione di Senob, la strada divenne pianeggiante ed essi superarono trincee in terra battuta disgregate dalle intemperie, un tempo base d'attacco delle Guardie del Sud, un luogo che Alucius conosceva fin troppo bene. Le labbra gli si incurvarono in un debole sorriso ironico. Di lì a poco giunsero in prossimità della postazione. Questa era recintata da mura che si estendevano per circa mezzo vingt su un lato e raggiungevano le quattro iarde in altezza. I pesanti cancelli di legno rinforzati da barre di ferro brunito erano aperti. Ciascuno di essi era largo appena tre iarde. Sui grossi cardini, ugualmente di ferro, si scorgevano lievi striature di ruggine. Il selciato del vialetto d'accesso e il cortile erano polverosi. Mentre Alucius attraversava la prima serie di cancelli, scrutò la seconda, più interna, concepita per essere chiusa facendo scorrere i pannelli di le-
gno, che costituivano lo sbarramento, entro scanalature scavate nel selciato. Adesso però le scanalature erano quasi completamente ostruite da sabbia e terriccio, mentre Alucius ricordava che, ai tempi in cui era comandante di squadra nell'esercito matrite, erano sempre state pulite. Si erano appena fermati nell'ampio cortile lastricato che quattro soldati e un colonnello dai capelli grigi si fecero loro incontro a passi veloci. Alucius riconobbe l'ufficiale. «Colonnello Jesopyr. Maggiore Alucius. Siamo diretti a Porta del Sud, per servire al comando del maresciallo Alyniat.» «Maggiore Alucius! Avevo sentito dire che sarebbero arrivati dei rinforzi diretti a Porta del Sud, ma non mi aspettavo di vedere voi. E siete diventato maggiore!» Jesopyr fece un largo sorriso. «Non che non siate il benvenuto. Anzi.» Alucius sorrise amaramente. «Ho con me tre compagnie, la Quinta delle Guardie del Nord, e la Ventottesima e la Trentacinquesima delle Guardie del Sud. Il Signore-Protettore è riuscito a convincermi.» «Già.» Jesopyr spostò lo sguardo su Feran per poi riportarlo su Alucius. «Voi e il vostro capitano maggiore sarete nostri graditi ospiti a cena. Sareste stati in ogni caso nostri ospiti, ma la vostra presenza sarà doppiamente gradita. Non succede tutti i giorni di avere con noi l'unico ufficiale decorato con le massime onorificenze da ben tre Paesi diversi e che sia sopravvissuto per raccontarlo. Mi sono rimaste persino alcune bottiglie di una buona annata.» «Accettiamo con piacere il vostro invito. Come vi ho detto, abbiamo con noi tre compagnie. Siete in grado di offrire loro una sistemazione?» «Per il momento siamo ridotti a tre squadre, dubito che ci siano problemi. Jeron e Ghujil, qui, aiuteranno i vostri uomini a sistemarsi. Gli alloggi degli ufficiali non sono male e si trovano nell'ala proprio davanti a noi. Non abbiamo alloggi per ufficiali anziani, perciò scegliete la camera libera che preferite.» «Grazie.» I due soldati della postazione si avviarono. «Le scuderie sono più avanti, sulla destra», disse Alucius. «Colonna, avanti!» Alucius lasciò che Feran e i capitani si occupassero dei soldati. Dopo aver tolto i finimenti al suo cavallo e averlo strigliato, si avviò verso gli alloggi ufficiali, dove scelse rapidamente una delle stanze libere, quella che - gli parve di ricordare - doveva essere appartenuta al capitano Dynae,
il comandante della Trentaduesima Compagnia, quando lui prestava servizio nell'esercito matrite. Dopodiché si diresse alla biblioteca con la speranza di trovare ancora alcune delle mappe che vi erano custodite, almeno le più vecchie. Mentre percorreva il corridoio non poté fare a meno di notare che il pavimento in pietra, come tutti quelli della postazione, era polveroso e aveva perso lo splendore dei giorni passati. La maggior parte dei supporti fissati alle pareti mancava delle lampade e sui muri si vedevano macchie e tracce di sporco che il capitano Hyrlui non avrebbe mai tollerato nei giorni in cui era al comando dell'avamposto. Alucius scosse il capo: era incredibile come le cose fossero cambiate nel corso degli anni. Arrivato in fondo al corridoio, si fermò e si diresse verso la porta che un tempo dava sulla biblioteca. Abbassò la maniglia e la aprì, poi entrò, chiudendosela alle spalle, e gettò intorno un'occhiata. Da ciò che poté vedere, la biblioteca era rimasta quasi come se la rammentava; c'era persino il ripiano d'angolo sul quale erano sistemate le mappe. Alcuni scaffali sembravano più vuoti, ma la maggior parte dei libri era ancora lì. Alucius trovò difficile credere che i matriti l'avessero abbandonata insieme al suo contenuto, ma d'altra parte, dovendo ripiegare in tutta fretta sotto l'attacco del nemico, sarebbe stato difficile bruciare i libri o trasportarli altrove. Inoltre, il fatto che si trattasse di volumi scritti tutti nella lingua di Madrien e che la biblioteca si trovasse adiacente agli alloggi degli ufficiali aveva scongiurato atti di vandalismo recenti. Alucius scoprì che in una delle lampade da parete c'era ancora dell'olio e, aiutandosi con il coltello da cintura e con il Talento, riuscì a ripulirla quel tanto che bastava a farla funzionare. L'appoggiò sulla mensola accanto al tavolo, lo stesso tavolo di cui si era servito anni addietro per consultare le mappe, e l'accese. Poi cominciò a cercare le informazioni che gli occorrevano, impilando da una parte le mappe e i libri da consultare. Per prima cosa doveva verificare se le stazioni intermedie sulla strada principale per Porta del Sud erano segnate. Quindi, doveva cercare le carte topografiche delle colline intorno alla città. Era quasi certo di trovarle, poiché un tempo esistevano mappe del genere per tutta Madrien, chiaramente copie di documenti più antichi, ma la maggior parte delle caratteristiche geografiche di una zona non cambiava tanto rapidamente. Erano trascorse quasi due clessidre, quando la porta si aprì. Feran si affacciò. «Qualcuno mi ha detto che forse ti avrei trovato qui. Cosa stai facendo?»
Alucius non alzò lo sguardo. «Sto esaminando le mappe delle zone a ovest.» «Come facevi... Conoscevi già questa biblioteca?» «Anni fa. Speravo che ci fosse ancora.» Feran prese uno dei volumi polverosi, lo aprì e lo posò subito. «È scritto nella lingua di Madrien... almeno credo.» «Tutti quanti lo sono», rispose Alucius con aria assorta, prendendo appunti sulle distanze esistenti tra le varie strade secondarie nel settore nordorientale della periferia di Porta del Sud. «Leggi anche questa lingua?» «L'ho imparata quand'ero qui.» «Avrei dovuto immaginarlo.» Feran scosse il capo. «Suppongo che tu li abbia letti tutti questi libri.» «No, solo alcuni. Quasi tutti i libri di storia e le mappe. E anche alcuni manuali di tattiche belliche.» «Tra poco dovremo andare a cena in mensa. Il colonnello sembra averti in simpatia.» «Anche lui mi piace. È una persona onesta e dice quello che pensa. È stata una decisione intelligente quella di affidargli il comando dell'avamposto.» Alucius annotò le ultime due cifre. «Magari prenderò qualche mappa. Pare che nessun altro sia al corrente della loro esistenza.» «E come potrebbero?» «Avrebbero potuto guardare», disse Alucius, alzandosi dal tavolo. «Fammi dare una rinfrescata e ti raggiungo tra un attimo.» «Tu continui a pensare che il resto di noi sia sveglio come te, caro il mio maggiore, che sai leggere e parlare tre lingue, e... chissà che altro...» Feran sbuffò. «Ma noi non lo siamo. Siamo solo dei poveri soldati diventati ufficiali, soldati che hanno scelto la vita militare perché non volevano continuare a fare gli artigiani o i contadini ed essere costretti a vivere fino alla fine una vita di stenti.» Alucius si fermò e guardò Feran. «Mi dispiace, non avrei dovuto essere così poco perspicace.» «Non sei poco perspicace, ma a volte dimentichi...» Feran lasciò la frase in sospeso. «Non ci metto molto.» Mentre si dirigeva verso la stanza da bagno, Alucius rifletté su quanto aveva detto Feran. Di certo non riteneva di essere molto più intelligente della maggior parte degli altri ufficiali. C'erano così tante cose che non
sapeva ed era logico che ne volesse imparare il maggior numero possibile prima che fosse troppo tardi. Ma certi vantaggi gli derivavano dalla nascita: il nonno, per citarne uno, e la madre. E un altro vantaggio gli veniva da Wendra. Feran aveva ragione. La maggioranza dei soldati aveva scelto di servire nelle Guardie del Nord o del Sud perché le altre alternative sarebbero state peggiori. La vita militare era molto meglio dell'esistenza che avevano condotto prima. Per Alucius invece rappresentava soltanto il mezzo per non perdere ciò che possedeva al di fuori di essa, ed era indubbio che la sua vita di pastore fosse migliore di quella di soldato. Si lavò rapidamente e, quando raggiunse Feran sulla porta della mensa, fu sollevato nel vedere che questi lo accoglieva con un sorriso. «Il colonnello non aveva parlato di buon vino?» chiese Feran. «Quando era al comando della postazione di Krost mi aveva offerto del vino davvero ottimo.» «Non ne disdegnerei un po'.» «Signori?» Alucius si voltò e vide Deotyr e Jultyr che si stavano avvicinando lungo il corridoio. I quattro entrarono in mensa e trovarono il colonnello Jesopyr e un altro capitano che li stavano aspettando. «Colonnello», salutò Alucius. «Maggiore. Questa è davvero un'occasione speciale per il capitano Kuttyr e per me», aggiunse il colonnello. «Di solito, in questi giorni, siamo soltanto noi due.» «Siamo lieti di dividere con voi la vostra tavola», dichiarò Alucius. «In effetti, pensavamo di trattenerci un giorno in più, se fosse possibile. Siamo rimasti sulle strade per quasi due settimane e...» «Non occorre che diciate altro! Voi e i vostri uomini siete più che benvenuti.» Jesopyr si diresse verso il tavolo contro la parete e prese una bottiglia tra la decina circa di quelle allineate sul fondo e contenenti un liquido dai riflessi ambrati. Avvitò il cavatappi ed estrasse il tappo. «Questo è uno dei rossi migliori. Cioè», aggiunse in tono di scusa, «uno dei rossi migliori che un ufficiale delle Guardie del Sud abbia potuto far arrivare fin qui». Stappò anche una seconda bottiglia, poi li invitò a prendere posto. «Prego, accomodatevi. Maggiore... qui, capitano maggiore... Voi capitani sedete dove preferite.» Jesopyr ritornò al loro tavolo e riempì a metà il semplice bicchiere di vetro posto davanti ad Alucius, poi riempì gli altri cinque, vuotando così la prima bottiglia. Quindi alzò il proprio bicchiere. «Ai nostri ospiti. Che
possano arrivare a Porta del Sud in buona salute e servire ancora una volta efficacemente e con successo la causa della libertà, e che possano tornare sani e salvi.» «Grazie.» Alucius sollevò a sua volta il bicchiere. «E alla vostra ospitalità.» Il vino era buono, ma persino Alucius fu in grado di capire che non era all'altezza di quello offertogli dal colonnello anni prima, a Krost. Però, era comunque meglio di qualunque altro assaggiato in tempi recenti, eccezion fatta per il vino bianco di Krost, che aveva bevuto durante il viaggio appena compiuto per raggiungere Hyalt. «Il cibo, qui, non è eccezionale», disse il colonnello. Una coppia di soldati in giacca bianca si avvicinò. I piatti che posero dinanzi a ogni commensale contenevano un'unica fetta rotonda di qualcosa coperto da una gelatina scura. «Cuore di cactus con gelatina di bacche», spiegò Jesopyr. «Nessuno a Madrien sa quanto sia buono, così ce lo teniamo tutto per noi.» Alucius si chiese se avesse lo stesso sapore delle punte di quarasote e ne assaggiò un minuscolo boccone, giusto per farsi un'idea. Sentì con sollievo che sapeva di melone, sebbene la polpa fosse più croccante. «Posso chiedervi, maggiore, se avete avuto occasione di fare sosta alla postazione di Krost?» «Sì, signore. È là che la Ventottesima e la Trentacinquesima Compagnia si sono unite alla Quinta. Ed è là che abbiamo fatto un po' di esercitazioni congiunte con il capitano Deotyr e il capitano Jultyr.» Alucius inclinò la testa in direzione dei due ufficiali. «Il colonnello Jorynst ci disse che eravate stato mandato a ovest, ma non sembrava sapere dove.» «Jorynst non saprebbe neppure dove ha la testa se non fosse attaccata al collo, e quel suo assistente, Fedosyr, non è molto meglio. A suo tempo avevo cercato di farlo congedare, ma qualcuno al quartier generale non ha voluto sentire ragioni. Aveva degli amici altolocati a Tempre, immagino. Non mi è mai andato giù.» Jesopyr emise una specie di grugnito. «Si considerava un esperto di duelli. Provocava sempre liti. Uno dei vantaggi di essere stato trasferito qui è costituito dal fatto che me lo sono tolto dai piedi.» Alucius si accorse che Feran faticava a trattenere un sorriso. «Avete visto Fedosyr?» chiese il colonnello, rivolgendosi ad Alucius. «Sì, signore.» «Ho come l'impressione di non aver afferrato qualcosa, maggiore. E, co-
noscendovi, deve trattarsi di qualcosa che mi potrebbe far piacere.» Jesopyr si girò verso Feran. «Il maggiore può dimostrarsi molto restio a parlare delle sue imprese. Magari voi sarete così gentile da illuminarmi.» Feran guardò Alucius e si strinse impercettibilmente nelle spalle. «Il maggiore Alucius era del parere che le due nuove compagnie non si rendessero pienamente conto delle capacità di una compagnia di cavalleggeri ben addestrati. Perciò aveva deciso di far fare alcune esercitazioni durante le quali tutti i soldati avrebbero dovuto usare bastoni di malacca al posto delle sciabole. Il maggiore Fedosyr si era detto offeso da tale decisione e aveva insistito per fornire una dimostrazione delle sue abilità di soldato delle Guardie del Sud in uno scontro diretto con il maggiore Alucius. Anche il maresciallo Frynkel, che era con noi alla postazione di Krost, si era dichiarato d'accordo con quella proposta. Il maggiore Alucius aveva disarmato piuttosto facilmente il maggiore Fedosyr. Ma questi aveva sostenuto che la colpa fosse del bastone di malacca e aveva voluto passare alle sciabole vere. Sennonché, il maggiore Alucius era riuscito ad avere la meglio su di lui persino più rapidamente di prima. Allora Fedosyr aveva estratto una pistola, che fino ad allora aveva tenuto nascosta, e aveva sparato al maggiore Alucius che, sebbene ferito, l'ha ucciso con una sciabolata.» «È la morte migliore che potesse capitare a quel serpente della sabbia», commentò Jesopyr. «Ufficiali di quella risma rovinano la reputazione delle Guardie. E dov'era, come si chiama - Jorynst - mentre succedeva tutto questo?» «Era assente», disse Alucius, «ma la mattina successiva il maresciallo Frynkel ha accettato le sue dimissioni». «Mi sarebbe piaciuto vederlo.» Il colonnello rise, ma tornò subito serio. «Quel Frynkel... se non fosse così devoto a Lanachrona, sarebbe tale e quale Fedosyr. Probabilmente ha architettato tutto quanto per liberarsi di entrambi e poter dichiarare agli amici di Fedosyr che quel rettile se l'era andata a cercare, la morte. Naturalmente, è proprio ciò che ha fatto. Da quel che ho sentito dire, non c'è ufficiale in grado di uguagliarvi in abilità, maggiore.» «Ho avuto fortuna», obiettò Alucius. «No, voi appartenete a quel genere di persone che si costruiscono da sole la propria fortuna. E, dopo che si sono sbarazzati di quella miserabile carcassa di Fedosyr, cos'è accaduto?» «Ci siamo diretti a Hyalt e abbiamo eliminato il profeta e i suoi seguaci», disse Alucius. «Stavamo cercando di ridare un minimo di organizza-
zione alla città quando ci è giunta la richiesta del Signore-Protettore. Perciò siamo qui.» «Così, semplicemente? Come quando vi eravate recato a Deforya e avevate ucciso quattromila nomadi?» «Con i ribelli è stato un po' più facile», ammise Alucius. Jesopyr guardò Feran. «Capitano maggiore?» «In effetti, con i ribelli è stato più facile, signore», replicò Feran. «Il maggiore ha fatto crollare su di loro una collina, ma per poterlo fare ha dovuto prima salirci sopra e... be', dopo il crollo è stato costretto a rimanere sdraiato immobile per un giorno o due. Non certo come quando aveva dovuto starsene a letto per un mese perché era stato raggiunto dalle fiamme degli pteridon che aveva ammazzato.» «Mi è sempre piaciuto vedere un ufficiale che sa combattere.» Per quanto Alucius gradisse la franchezza e l'ospitalità di Jesopyr, non vedeva l'ora di cambiare argomento. «Che notizie avete sui combattimenti nella zona di Porta del Sud? E su quelli di queste parti?» «Notizie non molto confortanti, anche se potrebbero essere peggiori.» Jesopyr attese che i servitori portassero via i piatti vuoti, li sostituissero con quelli puliti e sistemassero sul tavolo alcuni vassoi di vivande. «Ci dovremo accontentare dell'antilope delle montagne con contorno di riso e di qualcos'altro.» Conoscendo il colonnello, Alucius era certo che quel piatto fosse ben altro che non un semplice ripiego. «Stavate dicendo, signore?» «Oh... due compagnie di Guardie del Sud stazionate appena a sud di Dimor. I matriti hanno usato uno dei loro lancia-proiettili per abbattere i cancelli della postazione. Ma dopo che l'hanno riconquistata, pare che non sia successo quasi più niente. I matriti hanno riparato il presidio e hanno piazzato come rinforzo dei soldati di cavalleria e di fanteria, ma cos'abbiano poi fatto con quell'arma maledetta... chi può dirlo? Non so quanto a lungo quelle due compagnie saranno in grado di difendere la strada, dato che il maresciallo Alyniat ha inviato le altre quattro a Porta del Sud. Può darsi che anche la Reggente abbia lasciato appena una piccola guarnigione, sufficiente a difendere Dimor, e che abbia mandato a sud le restanti per conquistare Porta del Sud. Adesso che dispongono di quei dannati lanciaproiettili talentosi, sarà un disastro. Abbiamo dovuto ripiegare. Wyerl aveva occupato Fola, ma i matriti l'hanno attaccato di sorpresa con uno di quei lancia-proiettili abbattendo in un lampo lui e quattro compagnie. Si dice che tutta l'aria intorno fosse una nebbia rossastra a causa del sangue.»
Alucius aveva già visto scene del genere durante gli scontri per la difesa di Chiusa dell'Anima e si augurava di non dovervi più assistere. «... naturalmente, abbiamo dovuto ripiegare. Teniamo ancora la strada principale di sudovest, e adesso c'è Alyniat al comando. Gli ultimi rapporti dicono che i mattiti stanno richiamando la maggior parte dei loro soldati dal nord per farli dirigere a sud in previsione della battaglia per la conquista di Porta del Sud. Non conosciamo il numero esatto delle loro forze, ma è senz'altro superiore al nostro.» Jesopyr si strinse nelle spalle. «Almeno questo è quanto mi è stato riferito dai dispacci e dai messaggeri.» «Sapete per caso se tra di loro ci sono anche dei possessori di Talento?» chiese Feran. «Nessuno ci ha informato di una cosa simile. Perché?» «Be', sembra che ultimamente siano successe certe cose legate al Talento. Questo profeta di Hyalt era per l'appunto un possessore di Talento», spiegò Feran. «Ah... è per questo motivo che voi soldati del nord siete stati coinvolti. I pastori hanno più esperienza in questo campo. Di solito avete a che fare con quelle creature... come si chiamano?» «Lupi della sabbia e sabbiosi», rispose Alucius. «Il Talento non è una buona cosa.» Jesopyr bevve un sorso di vino e mangiò un boccone di antilope prima di continuare. «No, non abbiamo sentito dire che i matriti si servano del Talento. A meno che non lo usino per far funzionare quei lancia-proiettili.» «No», disse Alucius. «Sono tanto terribili da far pensare che vi sia coinvolto il Talento, ma in realtà si tratta di copie di armi antiche.» «Spero che non ne costruiscano altre. Quelle che ci sono causano già fin troppe morti.» Mentre Alucius beveva un altro sorso di vino e ascoltava parlare il colonnello, si disse tacitamente d'accordo con lui. 82 Prosp, Lustrea Nella fioca luce prodotta dall'unica lampada a olio posata su una mensola malconcia, l'uomo dalla corporatura massiccia e dall'abito blu scuro stava in piedi, intento a osservare la Tavola dalla forma rettangolare collocata in mezzo alla stanza sotterranea, stanza i cui muri di pietra erano stati rinforzati da pilastri ugualmente di pietra, ma dai riflessi dorati, recuperati
altrove. Poi le si accostò e aggrottò le sopracciglia. Un lieve bagliore violaceo, proveniente da una singola fonte di luce viola, comparve al centro della liscia superficie e si allargò fino a ricoprirla tutta. Waleryn fece un respiro profondo. Il bagliore svanì. Si asciugò la fronte madida di sudore e rimase fermo davanti alla Tavola, continuando a fare respiri profondi. Dopo un po', fissò di nuovo la sua superficie. Questa volta il bagliore si diffuse subito in modo uniforme. Con un'impercettibile sorriso sulle labbra, Waleryn si concentrò e vide comparire un reticolato di linee, alcune delle quali di colore viola, ma la maggior parte rossa. Egli le studiò con attenzione. Un'altra sezione di quella specie di griglia cambiò colore - da rossa a viola - e un attimo dopo l'intero tracciato era sparito. Waleryn annuì e fissò la superficie a specchio della Tavola, sulla quale si stava formando una foschia purpurea. Subito apparve un'immagine, quella di un uomo dai capelli neri e dalla carnagione pallida, circondato da un'aura violacea. L'immagine era quella di Trezun, il quale spalancò appena un po' di più gli occhi e sorrise. Waleryn rispose a sua volta al sorriso e tornò a concentrarsi. Una rappresentazione in miniatura della griglia evocata in precedenza ricomparve sulla Tavola, apparentemente sullo sfondo. Waleryn tenne gli occhi fissi su Trezun e accennò a un gesto. Questi annuì e tese la mano dalle lunghe dita. La griglia scintillò e si dissolse. Entrambi sorrisero. Poi la Tavola tornò a mostrare la sua vuota superficie a specchio. Waleryn fece un lungo e profondo respiro, si asciugò la fronte e si allontanò dalla Tavola, che continuò a emettere un lieve bagliore anche dopo che lui fu uscito dalla stanza. 83 Dopo essersi lasciati Zalt alle spalle, Alucius e le tre compagnie cavalcarono per altri cinque giorni. Mentre attraversavano le terre calde e aride a sudovest di Zalt, quasi simili a distese desertiche, Alucius fu ben lieto di aver insistito per fare riposare i suoi uomini e i cavalli un giorno di più alla postazione. Era anche contento di aver potuto consultare le mappe, così che durante il viaggio era stato in grado di programmare le soste approfittando delle vecchie stazioni intermedie abbandonate dai matriti, dov'era
possibile rifornirsi di acqua. Il che tornava soprattutto utile in quel periodo di inizio autunno durante il quale, Alucius ricordava, il clima era particolarmente secco. Le piogge sarebbero giunte solo in inverno, quasi alla fine dell'anno. Nella tarda mattinata di tridi, Rakalt li raggiunse galoppando lungo la strada principale e fece fermare il suo cavallo accanto a quello di Alucius. «Che succede?» domandò questi. «Sembra che stiano arrivando alcuni ricognitori delle Guardie del Sud, signore. Quasi un'intera pattuglia.» «È probabile che vadano in giro così numerosi perché temono di imbattersi nei mattiti. Sarà meglio che tiriamo fuori i nostri vessilli e li facciamo sventolare in testa alla colonna.» Alucius si voltò verso Feran. «Credo che sia più saggio far spostare la Quinta Compagnia al centro e la Trentacinquesima davanti, di modo che si vedano meglio le uniformi delle Guardie del Sud.» «Che ne è stato del giovane ufficiale fiducioso che conoscevo un tempo?» chiese Feran. «È sparito più o meno cinque ferimenti fa», replicò Alucius. «Inoltre, non è che mi fidi troppo della perspicacia di alcuni soldati delle Guardie del Sud.» «Il che è molto saggio.» «Colonna, alt!» L'ordine echeggiò fino alle ultime file. Di lì a poco, la Trentacinquesima Compagnia si portò in testa, e Jultyr affiancò Alucius. I due alfieri precedevano di una cinquantina di iarde la colonna, mentre i ricognitori erano stati fatti arretrare fino a trovarsi a sole duecento iarde dagli alfieri con i loro vessilli. Poco dopo, in lontananza, sulla strada principale, Alucius vide i cavalieri. Procedevano ad andatura lenta, con circospezione, tanto che trascorse più di mezza clessidra prima che il loro comandante di squadra si fermasse a poca distanza da Alucius che, a sua volta, aveva ordinato l'alt ai suoi uomini. L'ufficiale del drappello formato da una quindicina di uomini parve chiaramente confuso nel vedere insieme vessilli delle Guardie del Nord e del Sud e un maggiore delle Guardie del Nord in testa a un esercito di Guardie del Sud. «Sono il maggiore Alucius, comandante di squadra. Mi è stato chiesto espressamente dal Signore-Protettore di presentarmi al maresciallo Alyniat con queste tre compagnie.»
«Signore, sono certo che sarete il benvenuto.» «Ho combattuto in precedenza in queste terre. È una delle ragioni per cui il Signore-Protettore mi ha mandato qui», spiegò Alucius. La sua spiegazione non era molto accurata, ma non ritenne opportuno fornire ulteriori dettagli. «Sì, signore.» L'altro continuava ad avere sul volto un'espressione stupita. «Ho combattuto contro i nomadi delle praterie a Deforya, alcuni anni fa, affiancando le Guardie del Sud. Visto che al momento non ci sono altre compagnie disponibili, oltre alle due che vedete, il Signore-Protettore ha ritenuto opportuno inviare anche me.» Alucius proiettò verso l'altro il suo Talento per infondergli un senso di rassicurazione. Il comandante di squadra gettò un'occhiata a Jultyr e parve rilassarsi ancora prima che il Talento producesse il suo effetto. «Abbiamo appena soffocato la rivolta di Hyalt, Kisner», spiegò Jultyr. «Il maggiore ha eliminato da solo più di un centinaio di ribelli. Ha fatto crollare loro addosso una montagna. Ha piazzato le cariche esplosive e li ha fatti fuori tutti.» «Adesso la rivolta è finita?» «Già, e lo sono anche un migliaio di ribelli», aggiunse Jultyr. «Fa piacere sentire che almeno un problema è stato risolto», commentò Kisner. «Com'è la situazione più avanti?» chiese Alucius. «I matriti si stanno riversando a sud da tutte le parti.» «Dove si trova il maresciallo Alyniat?» «Siamo solo una pattuglia di guardia a questo tratto di strada, signore, per essere certi che nessuno passi da qui. L'ultima volta che ne abbiamo avuto notizia, il maresciallo si trovava al forte sulla strada principale di Fola, circa quindici vingti a nord della città.» Tredici vingti e mezzo, pensò Alucius, stando ai suoi calcoli. «Allora, è là che ci stiamo dirigendo. La strada di raccordo nordorientale è ancora libera?» Il volto del comandante di squadra mostrò di nuovo stupore. «Ah... sì, signore.» «Così sarà più facile raggiungere il maresciallo.» «Sì, signori.» Kisner fece un cenno con il capo. «Buona fortuna, signori. Noi dobbiamo spingerci più a est. La strada che conduce a Porta del Sud è sgombra. Almeno lo era fino a cinque vingti fa.»
«Grazie», disse Alucius. «Buona perlustrazione.» Dopo un ultimo cenno del capo, Kisner e la sua squadra si diressero a est, procedendo lungo il ciglio della strada fino a superare gli uomini delle tre compagnie. Dopo che si furono allontanati, Jultyr si schiarì la voce. «Chiedo scusa, signore, per aver fornito quella spiegazione supplementare. Mi è sembrato l'unico modo per semplificare le cose. Kisner è un brav'uomo, ma... è un soldato abituato a combattere. Lo conosco da anni.» Alucius comprendeva bene. «Grazie. In effetti, ha reso tutto più semplice.» Non aveva invece dubbi sul fatto che trattare con Alyniat sarebbe stato molto più difficile, soprattutto se voleva impedire che le sue compagnie fossero sacrificate in inutili combattimenti. 84 Il giorno di quattri, a metà mattina, Alucius e i suoi uomini giunsero all'accampamento di Guardie del Sud piazzato attorno al forte che sorgeva sulla strada principale di sudest. Durante il viaggio Alucius aveva deciso il da farsi. Non aveva alcun senso mettersi al servizio di qualche colonnello che avrebbe ordinato a lui e alle sue compagnie di eliminare quanti più matriti possibile. Almeno non finché fossero rimasti in funzione i lancia-proiettili di cristallo. In assenza di quelle armi, come già avevano dimostrato i fatti in precedenza, i matriti si sarebbero potuti gestire. Altrimenti c'erano troppe probabilità che i lanachroniani perdessero tutto e fossero respinti da Porta del Sud, se non massacrati quasi interamente. Perciò era necessario che Alucius e i suoi soldati distruggessero quei due congegni micidiali prima che questi distruggessero loro. Il che voleva dire avvicinarsi abbastanza da poterli mettere fuori uso. Ma come? Questo non lo sapeva, ma sapeva che i sabbiosi che avevano attaccato i matriti a Chiusa dell'Anima si erano serviti di un certo tipo di Talento per mettere fuori uso il primo lancia-proiettili. Quindi, la cosa era fattibile. Doveva restare aggrappato a quel pensiero. Grazie a tutto ciò che aveva imparato dalle arianti sarebbe stato molto più abile dei sabbiosi nell'esercizio delle arti talentose. Il solo problema stava nel fatto che non sapeva esattamente come fare, e che avrebbe dovuto scoprirlo procedendo per tentativi. In base a ciò che era indicato sulle mappe e sui libri che Alucius aveva
consultato, Porta del Sud era circondata da una corona irregolare di colline. I primi seltiri di Porta del Sud avevano sfruttato il lavoro degli schiavi per fortificare i passaggi più bassi e costruire una strada di raccordo lastricata che collegava i piccoli forti collocati a intervalli regolari sui fianchi di queste colline. C'erano due forti principali, uno nel punto di intersezione tra la strada principale di sudovest e quella di raccordo, e l'altro a ovest, dove la strada principale della costa - o di Fola - incrociava anch'essa quella di raccordo. Quando, a circa metà mattina, Alucius e i suoi uomini si avvicinarono a quella specie di anello che girava attorno a Porta del Sud, egli fu in grado di seguire nei dettagli i tracciati dei diversi itinerari. Alla sua destra, sulla collina, si trovava un forte in pietra di notevoli dimensioni. Alla sua sinistra, ce n'era uno più piccolo. Spesse mura partivano da entrambi i forti fino a raggiungere massicce porte rinforzate in ferro, che in quel momento erano aperte. Mentre la colonna si avvicinava, un soldato a cavallo avanzò verso di loro, fermandosi prima a parlare con gli alfieri che reggevano i vessilli, per poi proseguire verso Alucius e Jultyr. Si trattava di un comandante di squadra anziano, l'ansia del quale venne percepita da Alucius ancora prima che questi gli arrivasse vicino. «Colonna, alt!» Alucius si fermò ad aspettare. «Signore? Posso vedere i vostri ordini, signore?» Alucius fece fare un passo avanti al cavallo e gli porse il documento. L'ufficiale li lesse, poi glieli restituì. «Signore, dovete attendere un momento. Il tenente Gyrinst sarà qui tra poco.» «Abbiamo ancora un po' di strada da fare.» Alucius avvertì nell'altro un senso di apprensione e di tensione, nulla di pericoloso, ma questo non impedì che cominciasse a preoccuparsi. «Sì, signore. Lo so, signore.» Il comandante di squadra tornò nella direzione da cui era venuto e sparì oltre le mura. Le porte rimasero aperte. Alucius esaminò le colline che si stendevano su entrambi i lati della strada. Anche se non ci fossero state le mura, le colline stesse sarebbero sembrate bastioni. Quindi diresse la propria attenzione verso le porte, dalle quali, a un certo punto, emerse la figura solitaria di un tenente diretto verso di loro. «Qual è il vostro nome, signore?» «Sono il maggiore Alucius delle Guardie del Nord, al comando della
Quinta Compagnia, ugualmente delle Guardie del Nord, e della Ventottesima e Trentacinquesima delle Guardie del Sud.» «Posso vedere anch'io i vostri ordini, signore?» Cercando di nascondere la propria irritazione, Alucius porse di nuovo il documento in suo possesso. Il tenente lo lesse con attenzione, lo confrontò con qualcosa che aveva portato con sé, controllò i sigilli, poi glielo rese. «Chiedo scusa, signore, ma ho ricevuto istruzioni ben precise.» «Capisco.» Alucius si rendeva conto della necessità di prendere delle precauzioni, ma se lui o qualunque altro fantasioso comandante avesse voluto penetrare le difese lanachroniane, sarebbe ricorso a espedienti molto più semplici. La strada di raccordo era praticamente sguarnita lungo tutto il percorso, al contrario dei tratti fortificati in corrispondenza degli incroci con la strada principale. «Potete dirmi dove siete diretto, signore?» «Solo in linea di massima, tenente. Ci è stato ordinato di presentarci al maresciallo Alyniat, che dovrebbe trovarsi nel forte all'incrocio con la strada della costa, dove mi pare che si possa arrivare percorrendo il raccordo in direzione ovest.» «Sì, signore. Una volta superate le porte, proseguite per circa mezzo vingt, poi prendete la strada lastricata alla vostra destra, che va a sbucare su quella di raccordo proprio in cima alla collina. Lì, girate a sinistra, dirigendovi cioè a ovest, e proseguite diritti per... be', almeno quindici vingti.» «Grazie.» «Dovere, signore.» Alucius fece un cenno a Jultyr. «Colonna, avanti!» La Trentacinquesima Compagnia cominciò ad avanzare, seguita dalle altre due e dai carri con le provviste. Varcare quelle porte massicce fu quasi come addentrarsi in una trincea protetta da mura, tanto era il senso di oppressione che comunicava quell'antica muraglia, che doveva essere stata costruita secoli prima dai seltiri di Porta del Sud, se non addirittura dai sovrani dramuriani che avevano occupato la città prima ancora dei seltiri. Alucius avvertì la presenza di soldati appostati e armati di fucili e tirò un sospiro di sollievo quando lui e i suoi uomini si furono allontanati ed ebbero cominciato a risalire il fianco della collina. Una volta giunto in cima, Alucius si girò a esaminare i tracciati delle strade. Dall'anello di raccordo, sia a ovest che a est rispetto alle porte at-
traverso cui erano passati, si diramavano due strade. A est, una delle due strade conduceva a un piccolo forte situato sul fianco orientale della strada principale, l'altra scendeva gradualmente fino a incontrare di nuovo quest'ultima, oltre mezzo vingt più a sud. Uno schema identico si poteva osservare sul lato occidentale, quello dove si trovava Alucius, tranne che lì il secondo tratto di strada portava all'ingresso del forte più grande. La strada di raccordo aveva una larghezza di otto iarde e un fondo in pietra che mostrava i segni dell'età, consumato com'era in certi punti e segnato da solchi profondi lasciati dai cerchioni di ferro dei carri, in altri punti. Sul terreno pianeggiante, appena al di sotto della strada su cui si affacciava il forte più grande, si stendeva un accampamento con tende e funi tese per legare i cavalli, un accampamento che doveva ospitare qualcosa come quindici compagnie, o forse anche venti. Le colline sulle quali era stata costruita la strada di raccordo erano coperte di erba marrone, che ondeggiava alla leggera brezza, e da macchie occasionali di basse querce, anche se risultava chiaro agli occhi di Alucius che era stato fatto di tutto per impedire la crescita di alberi o di vegetazione più rigogliosa. Dopo l'interrogatorio cui Alucius era stato sottoposto da parte del tenente e grazie ai due vessilli che gli alfieri ostentavano in testa alla colonna, nessuno era uscito dal forte orientale per fermarli. Per quanto una piccola tregua sarebbe stata la benvenuta, egli era fin troppo consapevole che qualche colonnello avrebbe cercato quanto prima di farli dirigere dove non voleva. La strada di raccordo cominciò pian piano a curvare a ovest per scendere, dopo oltre dieci vingti, lungo una cresta, verso il forte posto a guardia della strada principale della costa che conduceva a Porta del Sud. Persino a un vingt di distanza, Alucius fu in grado di scorgere l'accampamento delle Guardie del Sud, piazzato sul fianco riparato della collina e nella valle a sud della strada di raccordo. «Ci devono essere almeno cinquanta compagnie accampate là, signore», osservò Jultyr, mentre procedeva alla sinistra di Alucius. «E venti a est.» Alucius bevve un lungo sorso dalla borraccia. Il sole del pomeriggio picchiava impietoso attraverso l'aria tersa, diffondendo un calore che gli ricordava quanto a sud si trovassero. Mentre si avvicinavano al forte, Alucius vide che la strada di raccordo seguiva lo stesso schema di quella che portava al forte più a oriente. Le spesse mura sovrastavano una specie di passaggio dove la strada principale proseguiva tra due fianchi di collina. Le fortificazioni che correvano lungo
il passaggio, fino alle porte massicce - al pari delle porte stesse - dovevano ovviamente essere state costruite in tempi successivi, dato che per nessuna di esse era stata utilizzata la durapietra. Alucius e i suoi uomini si trovavano a non più di duecento iarde dalle porte quando, dal tratto di strada che risaliva dall'accampamento, comparvero alcuni cavalieri: un capitano e un colonnello seguiti da due soldati. «Ci dobbiamo fermare, maggiore?» «Proseguiamo finché non si saranno avvicinati.» Avevano appena percorso altre cinquanta iarde quando Alucius ordinò: «Colonna, alt!». Poi attese che il colonnello facesse a sua volta fermare il proprio cavallo a cinque iarde da lui. «Sono lieto di vedervi, maggiore. Sono il colonnello Hubar. Sarete sotto il mio comando e...» «No, signore», rispose Alucius sorridendo educatamente. «I miei ordini specificano chiaramente che sarò sotto il comando diretto del maresciallo Alyniat e di nessun altro. Se il maresciallo non si trovasse qui o fosse impossibilitato a comandare, dovrei essere considerato di pari rango con l'ufficiale più anziano rimasto.» Alucius gli porse il suo documento. «Le istruzioni sono molto precise.» «Credo che non abbiate capito, maggiore. Tutti gli ufficiali devono riferire al maresciallo. Questo lo dovreste sapere. Ma essendo voi un ufficiale delle Guardie del Nord...» «Signore, vorrei suggerirvi di leggere questi ordini.» Alucius cercò di proiettare nell'altro un senso di ragionevolezza che non provava. «Maggiore, ho letto ordini per anni. Sono tutti uguali, e non ho tempo di stare qui a discutere. Siete sotto il mio comando.» «No, signore. Da noi, al nord, prima si leggono gli ordini e poi si decide.» Alucius gli regalò un altro amabile sorriso. «Maggiore, devo insistere.» «Colonnello, devo rifiutare. Io ho letto gli ordini mentre voi non l'avete fatto.» «Voi siete un mio subalterno... e pertanto dovete...» Alucius proiettò una Talento-sonda a sfiorare appena il filo vitale del colonnello. L'altro si fece rosso, per poi diventare cianotico. Di lì a un attimo guardò Alucius, un'espressione di paura mista a collera sul viso. «Non sto discutendo, colonnello. Ho con me gli ordini del Signore-
Protettore. Ora, siate gentile, ditemi dove posso trovare il maresciallo.» «Voi...» «Per quel che può servire, sappiate che, in ordine gerarchico, sono il terzo ufficiale anziano delle Guardie del Nord. Non abbiamo abbondanza di colonnelli e marescialli, noi. Il Signore-Protettore lo sa e mi ha personalmente chiesto di venire fin qui. Adesso... dove si trova il maresciallo Alyniat?» «Non potete prendere il comando delle Guardie del Sud.» «Occupo anche lo stesso grado nelle Guardie del Sud. Volete controllare?» La voce di Alucius era ghiaccio puro ed egli proiettò verso l'altro un assoluto senso di potere e di autorità. Il colonnello fissò gelido Alucius. «Immagino che abbiate una certa esperienza.» Alucius sospirò enfaticamente. «Sono il maggiore Alucius. Per quanto possa interessare, sono l'ufficiale che ha sgominato Aellyan Edyss e i suoi nomadi delle praterie e che è stato decorato con la Stella dell'Onore dal Signore-Protettore. E sono anche l'ufficiale che ha appena sedato la rivolta di Hyalt. E se sollevate ancora una sola altra obiezione, dovrete risponderne al maresciallo e al Signore-Protettore, sempre che di voi sia rimasto qualcosa.» Alucius non riusciva più a trattenere la collera, benché si sforzasse di mantenere un comportamento civile. Il viso del colonnello si era fatto grigio come la cenere. Per un attimo si limitò a deglutire. Infine parlò: «Chiedo scusa, maggiore. Ho parlato troppo in fretta. Siamo sottoposti a enormi pressioni, qui». «Capisco», replicò Alucius in tono più gentile. «È per questo che ci è stato chiesto di venire qui il più rapidamente possibile ed è per questo che abbiamo ricevuto un incarico speciale. Dubito che voi o i vostri uomini abbiate intenzione di ritardare il nostro incontro con il maresciallo Alyniat, non è vero?» «Lo troverete...» Il colonnello prese fiato. «Lo troverete al forte. Al secondo piano.» Mentre proseguiva con i suoi uomini, ad Alucius pervennero alcuni frammenti di conversazione dei due ufficiali, prima di tutto del capitano. «... chi... crede di essere?» «... semplicemente quello che ha detto di essere... e tra una settimana potrebbe essere o morto o intoccabile...» Alucius sospettava che la prima ipotesi fosse la più verosimile e di certo sarebbe stata la più concreta, se non si fosse attenuto ai suoi piani.
Poi udì qualche mormorio della Trentacinquesima Compagnia, parole pronunciate talmente a bassa voce che non gli sarebbe stato possibile coglierle senza il Talento. «... non ho mai visto una cosa del genere... il colonnello è diventato bianco come uno straccio...» «... sto cominciando a capire perché l'abbiano mandato...» «... il colonnello... non gliela perdonerà...» «... l'ultimo colonnello e l'ultimo maggiore che si sono scontrati con lui... uno è stato mandato in pensione... l'altro è morto...» Alucius si chiese come facessero i soldati a sapere che Jorynst era stato mandato in pensione, ma del resto anche lui quand'era soldato semplice era al corrente di molte più cose di quante non intendessero rendere note gli ufficiali. «Le Guardie del Nord non amano gli sciocchi, vero?» chiese Jultyr. «Ne abbiamo avuta la nostra parte», rispose asciutto Alucius. «Ecco perché non mi preoccupo di loro. Ed è anche per questo che ho lasciato il servizio.» «È vero che siete il terzo ufficiale delle Guardie del Nord, in ordine gerarchico?» «Per la verità ho parlato troppo in fretta», confessò Alucius. «Sono il quarto.» Jultyr ridacchiò. «Il che è paragonabile al grado di maggiore-colonnello o di aiuto-maresciallo nelle Guardie del Sud.» «Ma noi siamo in meno. Appena venti compagnie di soldati di cavalleria», disse Alucius. «Anche se la superficie delle Valli del Ferro era appena un quarto di quella di Lanachrona, prima dell'annessione.» Il forte sulla strada occidentale non era stato costruito per ospitare molte compagnie. Ancora prima di raggiungere le scuderie, Alucius aveva capito che esse non avrebbero potuto offrire riparo alle cavalcature di più di una compagnia e che le strette baracche non avrebbero potuto alloggiare oltre due compagnie di soldati. I muri erano di vecchia pietra grigia e in parecchi punti i blocchi che li costituivano erano stati sostituiti. Ma d'altra parte, Alucius ricordò, negli ultimi cinque secoli, a Porta del Sud si erano succeduti i governi di almeno tre Paesi diversi. Il cortile sembrava talmente piccolo che egli ordinò alla colonna di fermarsi fuori dai cancelli, mentre lui entrava accompagnato da Rakalt. Una volta dentro, scese di sella e porse le redini al ricognitore. Poi salì i due gradini e attraversò l'arco dell'ingresso.
All'interno, Alucius non aspettò che i due soldati di guardia gli si rivolgessero, ma ricorse subito al proprio Talento. «Sto cercando il maresciallo Alyniat. È al secondo piano, vero?» «Ah... sì, signore, ma...» «Grazie.» Alucius raggiunse il secondo piano, dove si trovava una lunga sala nella quale erano disposti vari tavoli attorno a cui stavano gruppi di ufficiali. Uno dei tavoli era coperto di mappe. Dopo un rapido controllo, Alucius vide che l'unica porta sorvegliata era quella a metà sala, sul lato ovest, perciò vi si diresse con passo sicuro. Era quasi giunto vicino ai due soldati di guardia che fu intercettato da un colonnello dai capelli biondi. «Il maresciallo è occupato, maggiore.» «Non lo dubito, colonnello.» Alucius si produsse in un amabile sorriso. «Mi chiamo Alucius. Il Signore-Protettore mi ha inviato qui come supporto speciale al maresciallo. Credo che dovreste accompagnarmi da lui.» Alucius proiettò verso l'altro un senso di amichevole fermezza e di autorità. «Vi avevo detto che è occupato.» L'impazienza trasparì dalle parole del colonnello e Alucius capì che l'uomo era infastidito dalla sua ostentazione di autorità. «I feldmaggiori riferiscono al colonnello Hubar.» «Non sono un feldmaggiore, colonnello», disse educatamente Alucius. «Sono stato inviato qui per ordine del Signore-Protettore per una missione speciale e mi devo presentare al maresciallo Alyniat», e così dicendo, gli mostrò gli ordini. «Ha detto che non voleva essere disturbato.» Il colonnello ignorò il documento. «Colonnello, perché non mi annunciate ugualmente, così vediamo.» Alucius non sapeva cos'altro tentare. Aveva fatto un lungo viaggio, nonostante la sosta di Zalt, e la sua mente non era in condizioni di pensare con la solita rapidità. Inoltre, cominciava a sentirsi ribollire il sangue nel trovarsi di fronte a un altro colonnello ostinato e dispotico. «Maggiore, potremmo essere attaccati domani, o al più tardi dopodomani.» «Un motivo in più per cui dovreste annunciarmi, colonnello.» Alucius stava cominciando a perdere la pazienza con questi colonnelli, ma si disse che probabilmente dovevano essere stanchi di maggiori arroganti e inopportuni. «Se non vi dispiace, per favore?» «Tornate più tardi, nel pomeriggio.»
«Non aspetterò così tanto, colonnello. Il maresciallo deve essere informato del mio arrivo e del perché sono qui. Non ci vorrà molto, ma lo deve sapere.» «Ho detto più tardi, maggiore.» Alucius toccò il filo vitale dell'uomo con forza sufficiente a farlo cadere a faccia in giù sul duro pavimento di pietra. Poi si rivolse alle due guardie. «Vi sarei molto grato se mi annunciaste.» I due soldati si scambiarono un'occhiata. «Maggiore Alucius, da parte del Signore-Protettore», precisò Alucius. «Ditegli solo questo. Se non mi vuole ricevere, me ne vado.» «Ah... signore. Sappiamo che avevate chiesto di non essere disturbato, ma c'è qui un certo maggiore Alucius. Delle Guardie del Nord, signore. Dice che viene da parte del Signore-Protettore.» «Fatelo entrare.» Alucius sorrise, ma si tenne pronto con il Talento, mentre oltrepassava la porta che l'attonito soldato gli teneva aperta. Stranamente, Alyniat era solo nella piccola stanza. Girò la testa dalla finestra e lo accolse con un sorriso. «Maggiore! Speravo tanto... Cos'è successo a Hyalt?» «Il profeta aveva con sé cinque compagnie. Abbiamo eliminato la maggior parte dei ribelli e messo fine alla rivolta. Abbiamo istituito un Consiglio composto da donne e da alcuni uomini anziani. Non che fossero rimasti in molti. Poi siamo ripartiti alla volta di Porta del Sud.» «Detto così sembra tutto così facile.» «Arrivare fin qui, dopo aver portato a termine la nostra missione a Hyalt, è stato facile. È stato difficile invece cercare di vedervi. Ho dovuto farmi strada a fatica attraverso ben due dei vostri colonnelli. Uno voleva incorporare me e il mio esercito nel suo.» «Esercito?» «Ho con me tre compagnie, ma siamo destinati a un incarico molto speciale.» Alyniat inarcò le sopracciglia. «La distruzione dei lancia-proiettili di cristallo.» Dopo una frazione di secondo, il colonnello cominciò a ridere, scuotendo il capo. «Voi da solo... un maggiore... a sfidare dei colonnelli...» Alucius sorrise. «Il Signore-Protettore ha dato ordini ben precisi. Devo riferire a voi solo. Se per caso dovesse succedervi qualcosa, dovrò essere considerato di grado pari a quello del vostro successore.» Alucius gli tese
il foglio con gli ordini. Alyniat lo lesse e glielo rese, annuendo pensieroso. «Qui non si parla della vostra missione.» «Credete che il Signore-Protettore, o il maresciallo Frynkel, volesse correre il rischio di mettere per iscritto una cosa simile? Il livello di autorità...» «Frynkel non ha mai amato le scartoffie, e date le circostanze...» Alyniat increspò le labbra e si passò le dita tra i capelli biondi che stavano ingrigendo. «Come pensate di svolgere questo vostro incarico?» Le dita della mano destra avevano cominciato a tamburellare sul tavolo, seppure a intermittenza. «Mi è stato detto che ci sono due lancia-proiettili di cristallo. Direi che dobbiamo prima di tutto eliminare quello che ci crea maggiori difficoltà. Ma... siamo appena arrivati e non ho proprio idea di come stiano le cose.» «Siamo rimasti in pochi. I matriti stanno scendendo per la strada che viene da Fola.» Alyniat tossì, poi si schiarì la voce. «Potrebbero attaccare già domani, o aspettare dei giorni. Io reputo possibile che attacchino il sexdi o il septi. Non hanno mai aspettato troppo a lungo in passato.» «Dovranno posizionare il lancia-proiettili. È pesante da muovere.» «Che mi potete dire di quest'arma?» chiese Alyniat. «I proiettili sono simili a piccole lance, lunghe circa mezza iarda, fatti di cristallo molto duro. Il congegno è capace di sparare in tutte le direzioni, ma in una sola direzione alla volta. Puntato su un campo di battaglia, è in grado di falciare tutto quello che si trova davanti, passando persino attraverso le trincee o i muri di pietra sottili. Anche se per farlo ci vuole tempo.» «Avete già combattuto contro quest'arma in precedenza, vero?» «Sì.» «Posso chiedervi come pensate di poter distruggere una cosa tanto spaventosa?» «Con molta cautela», replicò Alucius. «Per distruggerla, occorrerà che sia funzionante, il che significa che dovremo fare qualche giro di ricognizione per scoprire esattamente dove si trova e dove verrà collocata. Immagino che verrà utilizzata per condurre un assalto.» «E le tre compagnie, vi serviranno tutte quante?» «Volete che distrugga il lancia-proiettili, signore?» «Giusto.» Alyniat sollevò le sottili sopracciglia bionde. «Avete parlato di qualche problema con dei colonnelli. Di quali colonnelli si tratta, e di
quali problemi? È necessario che io lo sappia.» «Hubar è stato il primo. Era ostinato, ma quando gli ho spiegato... be'... chi ero e il motivo della mia visita è diventato più ragionevole. Non conosco invece il secondo. Un tipo alto, con i capelli neri. Continuava a dirmi che non dovevate essere disturbato. Gli avevo assicurato che me ne sarei andato se non aveste voluto ricevermi. Ma lui ha continuato a rifiutarsi di annunciarmi.» «E come mai alla fine ci siete riuscito?» «Perché è svenuto ed è caduto a terra. Può darsi che si sia rotto il naso.» «Tutto questo senza che voi lo toccaste?» «Sì, signore.» Non fisicamente, precisò Alucius tra sé. Il maresciallo scosse il capo. «Vi comportate duramente con i nostri ufficiali, maggiore.» «Solo con quelli stupidi, signore. Non abbiamo tempo per individui del genere.» «Voi non avete tempo. Noi lanachroniani meridionali dobbiamo sopportarne qualcuno, perché, se li eliminassimo tutti, adesso ci ritroveremmo ad avere gli alloggi ufficiali completamente vuoti. Già ci sono lamentele riguardo al fatto che ho promosso troppi comandanti di squadra anziani al grado di capitano. A me non ne verrà alcun vantaggio, però potrebbe essere di aiuto ai futuri marescialli. Ma basta parlare di questo.» Alyniat si diresse verso la porta senza aprirla del tutto. «Era il colonnello Sarthat che ha cercato di fermare il maggiore?» «Sì, signore.» «Se si è ripreso, mandatelo da me.» Trascorse un po' di tempo prima che la porta si riaprisse e Sarthat facesse il suo ingresso, premendosi un panno sul naso, un panno tutto insanguinato. Evitò di guardare Alucius. «Sarthat.» «Sì, signore?» «Avevate chiesto di vedere gli ordini del maggiore?» «No, signore.» «E perché no?» «Tutti i maggiori chiedono di parlare con voi, signore. Tutto è urgente...» «Quanti sono i maggiori delle Guardie del Nord che mi vogliono vedere?» Alyniat fece una pausa. «Ve lo dico molto chiaramente. Come di certo vi avrà spiegato il maggiore Alucius, egli è qui per una missione specia-
le. Il suo mandato gli assicura una posizione di grado pari a quella di tutti gli ufficiali di stanza al forte, tranne me. Dovrete fornirgli tutto il supporto di cui sarete capaci, indipendentemente dai vostri sentimenti personali. Questo non perché lo voglio favorire. Ma per il semplice fatto che se riesce nel suo incarico, noi vinceremo. Se fallisce, è probabile che ci rimetteremo la pelle, insieme ai nostri ufficiali e soldati. Nel caso abbiate bisogno di rinfrescarvi la memoria, fu proprio il maggiore Alucius a eliminare oltre un centinaio di compagnie di nomadi e quegli pteridon talentosi a Deforya, alcuni anni fa. Aveva assunto il comando dopo che tutti gli ufficiali di grado superiore erano stati uccisi in battaglia e riuscì a sconfiggere il nemico con l'aiuto di tre sole compagnie. Per quell'impresa gli fu conferita la Stella dell'Onore. Inoltre, ha appena messo fine alla rivolta di Hyalt, sempre con tre sole compagnie. È abituato a fare l'impossibile, anche se a volte i suoi metodi possono sembrare poco ortodossi, almeno secondo i parametri della nostra burocrazia militare. Non rendetegli le cose più difficili. Il SignoreProtettore, il maresciallo Frynkel e io ne saremmo molto dispiaciuti, sempre che sopravviviate tanto a lungo.» «Sì, signore.» Alucius osservò il colonnello, che nascondeva dietro ai lineamenti irrigiditi l'avvilimento e la rabbia. «Sono un pastore, colonnello. Sono in grado di percepire i vostri sentimenti prima ancora che li avvertiate voi. Non voglio rubarvi il posto. Non voglio la vostra autorità, né volevo davvero farvi del male. Ho percorso a cavallo oltre mille vingti durante le ultime due stagioni e l'ho fatto su richiesta personale del Signore-Protettore. Non ho alcun desiderio di rimanere in queste terre. Voglio solo portare a termine la missione che mi è stata affidata per potermene tornare alle Valli del Ferro e non preoccuparmi più della Reggente della Matride.» Un po' della rabbia di Sarthat si placò per lasciare il posto alla consapevolezza che forse non tutto era perduto. Almeno, questo era ciò che Alucius percepì. Alyniat si schiarì la voce. «Assicuratevi che le sue compagnie dispongano dello spazio sufficiente per accamparsi, di foraggio e acqua per i cavalli, oltre che di cibo per i soldati.» «Sì, signore.» «Non abbiamo una mensa, qui», aggiunse Alyniat, «ma il rancio per gli ufficiali viene distribuito prima dell'adunata del mattino e alla sesta clessidra del pomeriggio». «Grazie, signore.»
«Conoscete il capitano-colonnello Omaryk?» domandò il maresciallo. «Ho avuto occasione di conoscerlo in precedenza, signore.» «È a capo del servizio informazioni... il terzo tavolo nel salone. Farò in modo di fargli sapere che passerete a trovarlo. Quando pensate...?» «Il capitano maggiore Feran si potrà occupare della sistemazione dei soldati, signore. Non appena saprò...» Alyniat annuì. «Presentate il capitano maggiore al colonnello Sarthat e, quando tornerete qui, Omaryk vi riceverà.» «Sì, signore.» «E, maggiore, vorrei che mi faceste un breve rapporto ogni mattina, appena dopo l'adunata. Un rapporto molto breve.» «Sì, signore.» Alucius comprese il significato di quelle ultime parole e il motivo per cui il maresciallo le avesse dette. Lui e Sarthat uscirono dalla piccola stanza, attraversarono in silenzio il salone, scesero le scale e proseguirono fuori fino a raggiungere le tre compagnie che erano rimaste in attesa. Rakalt li seguì in groppa al suo cavallo, conducendo per le brighe quello di Alucius. Feran si era portato in testa alla colonna, di fianco a Jultyr. «Colonnello, vi presento il capitano maggiore Feran. Feran, il colonnello ci darà una mano a trovare una sistemazione per i soldati, cibo e acqua e qualunque altra cosa sia necessaria. Io adesso devo incontrarmi con il capitano-colonnello Omaryk.» «Sì, signore.» Alucius si rivolse a Sarthat. «Vi chiedo scusa, colonnello, e vi ringrazio per l'aiuto e la pazienza.» «Comprendo, maggiore. Siamo fortunati ad avervi qui.» Mentre Alucius tornava verso l'edificio principale, si rese conto fin troppo bene che la pazienza di Sarthat sarebbe svanita nel momento in cui lui si sarebbe mostrato vulnerabile. Con certe persone succedeva sempre così. Mentre risaliva le scale e attraversava il salone in cerca di Omaryk, sentì che le gambe gli facevano un po' male. Era stata una giornata molto lunga, l'ultima di una serie di giornate altrettanto lunghe. Il capitano-colonnello occupava il terzo tavolo a partire dall'estremità nord della sala. Alucius gli si avvicinò. «Ah... il capitano-guerriero.» Il capitano-colonnello Omaryk aveva ancora il viso lungo e magro disseminato di lentiggini, ma i capelli rossi si erano un po' diradati e stavano diventando grigi; inoltre, occhiaie scure spiccavano sotto gli occhi.
«Sono un semplice maggiore, signore.» «Voi non siete mai stato "un semplice" niente, maggiore. Tecnicamente parlando, con quel mandato, potreste essere un aiuto-maresciallo onorario. Ma torniamo al dunque: che genere di informazioni desiderate?» «Dove si trova il lancia-proiettili più vicino... quanti carri di sabbia ha al seguito e quali sono i punti dove è possibile rifornirsi di sabbia, non lontano dal luogo in cui ritenete che lo piazzino per sferrare l'attacco. Sono certo che avete già trovato una risposta a tutte queste domande.» «Per quanto mi è stato possibile. Sono domande che solo voi e il maresciallo mi avete posto.» Omaryk annuì pensoso. «La seta nerina vi proteggerà contro i proiettili di quell'arma?» «Da uno o due, forse, ma la violenza con cui vengono sparati e la loro velocità fa sì che di solito non si venga colpiti solo da uno o due. L'impatto probabilmente mi ridurrebbe in frantumi tutte le ossa del corpo.» Omaryk aprì sul tavolo una piccola mappa. «Pare che l'ultima posizione accertata dei carri - i ricognitori hanno dovuto usare uno specchio per riuscire a vedere - sia dieci vingti a nord di qui. Si sono fermati al torrente in secca indicato qui.» «Sabbia. Non ne avevo vista più a nord.» «Neppure noi. Ora, ci sono tre montagnole dove potrebbero piazzarsi per godere di una chiara linea di tiro verso il forte e le sue difese.» Nonostante la stanchezza e i dubbi che nutriva riguardo al fatto che i matriti attaccassero proprio dove le Guardie del Sud erano schierate, Alucius si costrinse ad ascoltare ogni parola di Omaryk e a prendere nota mentalmente delle varie posizioni sulla mappa. 85 Il giorno di quinti, dopo essersi alzato prima dell'alba, Alucius stava percorrendo a cavallo la strada di raccordo sul lato opposto della strada della costa e delle fortificazioni. Era uscito solo perché desiderava avere una migliore percezione delle caratteristiche del terreno, avvalendosi anche del Talento. Inoltre, aveva scelto di andare da solo perché in quegli ultimi tempi si era quasi sentito soffocare, attorniato com'era da tutti quei soldati e ufficiali, e anche a causa della situazione che stava vivendo e della sensazione di essere costretto, volente o nolente, verso qualcosa di indefinito. Rise sommessamente. In realtà, era stato lui a scegliere di essere costretto, sebbene avesse avuto poche possibilità di scelta. Forse era proprio quello
l'aspetto che lo disturbava: avere l'impressione che anche le sue scelte fossero obbligate, così da diventare non delle vere scelte, ma solo il dover optare per il minore dei mali. La prima percezione che ebbe mentre cavalcava fu il senso di morte che si nascondeva in profondità, nella terra. Il paesaggio che aveva davanti, i prati, gli animali, le loro forze vitali erano identiche a quelle di altri luoghi, ma se si scendeva due o tre iarde al di sotto della superficie, c'era poca vita, come se un tempo fosse stata spazzata via. Di qualunque cosa si fosse trattato, doveva essere successo molto tempo prima, almeno durante il periodo del Cataclisma, se non addirittura in uno precedente. Alucius avanzò adagio scrutando a nord e a nordest, ma, all'infuori delle pattuglie e delle sentinelle lanachroniane, vide poco. Qualcuno doveva aver diffuso la notizia del loro arrivo perché, sebbene i soldati lo guardassero, non era più stato fermato da nessuno. Neppure avvertì forme di Talento o i fili vitali di gruppi numerosi di soldati, se non quelli delle Guardie del Sud dislocate lungo la strada di raccordo. Questa era sempre lastricata, ma a meno di due vingti a sudovest dell'intersezione con la strada principale della costa, si restringeva da otto iarde a meno di sei. Alucius era ancora preoccupato perché i lanachroniani davano per scontato che i mattiti avrebbero attaccato in corrispondenza dei punti fortificati lungo la strada di raccordo. In un certo senso il ragionamento aveva una sua logica, ammesso che l'obiettivo del nemico fosse ridurre le fortificazioni e distruggere le forze lanachroniane. Se Alucius avesse dovuto programmare l'attacco, avrebbe semplicemente aggirato le fortificazioni, occupato la città e infine condotto un assalto dall'interno. I lancia-proiettili di cristallo risultavano poco utili per abbattere solide barriere di pietra, ma estremamente efficaci contro qualunque altra cosa. D'altra parte, rifletté, erano talmente pesanti che potevano essere spostati solo attraverso superfici piane e, sicuramente, non trainati su per ripide salite. Il che significava che i mattiti o si sarebbero serviti della strada principale o avrebbero cercato una strada laterale dal fondo in buone condizioni che permettesse loro di raggiungere una posizione dominante. Alucius trovò un punto ideale a quattro vingti a est dell'intersezione con la strada della costa. L'anello di raccordo era stato scavato attraverso una lunga dorsale che curvava a nordovest, scendendo poi gradualmente. Entrambi i lati della dorsale erano percorsi da profondi canaloni, che si estendevano per circa un vingt oltre la strada di raccordo, in prossimità della quale essi erano stati riempiti, così da creare una specie di muro a supporto
della strada stessa. La base della collina si trovava a tre vingti a nordovest ed era separata solo da alcune centinaia di iarde di terreno pianeggiante da uno stretto sentiero in terra battuta che sembrava allontanarsi di parecchi vingti a nord dalla strada principale della costa. Se i mattiti avessero percorso l'intera distanza di notte, avrebbero potuto assumere il controllo della strada di raccordo, ancora prima di essere scoperti, a meno che non fossero state appostate sentinelle sulla collina. Se avessero usato uno dei loro lancia-proiettili di cristallo per impedire il passaggio alle forze lanachroniane, avrebbero poi potuto conquistare palmo a palmo Porta del Sud ed eliminare la maggior parte delle Guardie del Sud o costringerle a ripiegare. Alucius trascorse quasi mezza clessidra a studiare la collina, cercando di capire in che modo i suoi uomini sarebbero stati in grado di contrastare un possibile assalto nemico, evitando però di diventare un bersaglio per il lancia-proiettili. Al ritorno si fermò sul fianco ovest della strada principale, in prossimità del tracciato che portava al forte. Per un po', rimase a osservare le massicce mura di pietra e le antiche porte rinforzate da barre di ferro e sentì crescere ancora di più in lui il dubbio che l'attacco potesse giungere da quella parte. Poi scese lungo il tratto di raccordo con la strada principale e risalì la traversa sul lato orientale, quella che portava al forte. Una volta giunto davanti all'edificio principale, legò il cavallo, entrò e salì le scale che portavano al salone del secondo piano, per poi dirigersi verso il piccolo studio occupato dal maresciallo Alyniat. «Maggiore Alucius a rapporto dal maresciallo Alyniat.» «Vedo se in questo momento è libero, signore.» La guardia entrò e riferì quanto le aveva detto Alucius, parola per parola. «Fatelo aspettare.» Le parole giunsero attutite dall'interno della stanza, ma il loro significato era chiaro. Sebbene Alucius non percepisse altre presenze nella stanza del maresciallo, finì per attendere oltre mezza clessidra. Pensò che, forse, dopo la sua esibizione del giorno prima, si era meritato un trattamento del genere, per quanto sciocco gli potesse sembrare. Nell'udire un colpo secco proveniente dall'interno, la guardia si rivolse ad Alucius. «Adesso vi riceverà, signore.» «Grazie.»
Alucius aprì la porta ed entrò, chiudendosela alle spalle. Il maresciallo alzò lo sguardo dal tavolo ingombro di carte e di mappe. «Avrei preferito ricevervi subito», disse con un sorriso caloroso e un'espressione divertita, «ma siamo a Lanachrona e se non vi avessi fatto aspettare un po', dopo tutto quello che è successo, gli altri ufficiali non si sarebbero fatti scrupolo di ricorrere alla vostra stessa tattica, maggiore». «Senza dubbio con qualche difficoltà, visto che nessuno di essi è un pastore.» Alyniat scoppiò a ridere. «Il che non avrebbe comunque impedito che ci provassero. E oggi era il giorno giusto per farlo, dato che i rapporti dei ricognitori dicono che i mattiti non raggiungeranno prima del tardo pomeriggio la zona che si trova a parecchi vingti dalla strada di raccordo.» «Sì, signore. Hanno anche avvistato i pesanti carri che trasportano i lancia-proiettili e la sabbia?» «Ho avuto anche quest'informazione. Ci sono due carri. Uno che sta scendendo lungo la strada di Fola. L'altro che si trova sulla strada che viene da Zalt. Devono avere fatto un percorso alternativo per aggirare le nostre forze. Il secondo lancia-proiettili è stato usato per massacrare una mezza compagnia dei nostri. Il capitano che la comandava era convinto di attaccare un convoglio che portava rifornimenti destinati ai matriti. Gli avrei fatto avere una nota di ammonimento per non aver seguito le istruzioni, ma visto che è morto, mi limiterò a comunicare la notizia durante l'adunata degli ufficiali che si svolgerà tra poco. Sarete presente anche voi. Per ora, assumerete il grado di maggiore-colonnello onorario.» Alyniat si girò verso il tavolo e prese due insegne con l'immagine della stella a quattro punte attraversata da una sciabola. «Queste sono insegne delle Guardie del Sud, dato che mi è consentito conferirvi solo i gradi del nostro esercito. La punta della sciabola va portata rivolta verso l'esterno.» «Grazie, signore.» «Sono certo che ne sarete all'altezza.» Il sorriso ironico di Alyniat svanì. «Non voglio che mi forniate i dettagli, ma suppongo che, come per le vostre precedenti imprese, vi occorrerà l'appoggio di tutti i vostri uomini per riuscire a fare ciò che deve essere fatto.» «In effetti... è così, signore.» «È uno degli aspetti del vostro comportamento che dovrete conservare, colonnello. Con l'indecisione non si ottiene niente, se non confusione. Vi servono particolari provviste?» «No, signore. Solo un po' di foraggio in più per i cavalli, se ne avete.
Hanno coperto una così grande distanza in un tempo così breve. Ma, signore, ho fatto qualche giro di perlustrazione e sarei portato a credere che i matriti non attaccheranno direttamente sulle strade principali.» «È probabile. Dove pensate che possano attaccare?» «Non conosco tutte le varie possibilità, signore, ma a circa quattro vingti a est dall'intersezione con la strada della costa c'è una collina. La sommità è ragionevolmente piatta e il terreno sufficientemente solido perché possano condurre l'attacco da quel punto.» «Quattro vingti? Conosco il posto. Dubito che si spingano così lontano dai forti. Non vogliono solo la città. Vogliono annientarci.» «Sì, signore.» «Mi sembrate poco convinto, colonnello. Facciamo una scommessa, fate piazzare qualcuno di guardia là. Ma io sono quasi certo che non vedrà un bel niente.» «Con il vostro permesso, signore, accetto la scommessa.» Alyniat rise. «Dirò agli altri colonnelli che state sorvegliando alcune zone per individuare movimenti insoliti da parte del nemico. Ma, se dovessimo venire attaccati altrove, voglio che i vostri uomini siano pronti a fornirci tutto l'appoggio necessario o a fare ciò che deve essere fatto per togliere di mezzo i lancia-proiettili di cristallo.» «Sì, signore. Ma tenete presente che potremo occuparci solo di un lancia-proiettili alla volta e che, una volta cominciato con uno, non potremo interrompere per dedicarci subito all'altro.» Alyniat aggrottò la fronte e annuì, facendo tamburellare per un po' le dita sul tavolo, prima di parlare. «Non posso certo rifiutarvelo. Mi auguro solo che la vostra presenza non sia necessaria in due posti contemporaneamente.» Anche Alucius se lo augurava. «Farò in modo che l'ufficiale addetto ai rifornimenti si occupi del foraggio. Visto che siete stato un po' in giro prima di venire qui, avete notato nient'altro?» «Non ancora, signore.» «Venite a rapporto da me ogni mattina finché non cominceremo a combattere. C'è dell'altro?» «No, signore.» «Potete andare. Ci vediamo all'adunata degli ufficiali.» «Sì, signore.» Poco meno di mezza clessidra più tardi, Alucius era all'estremità nord del salone, in prima fila con altri due ufficiali più anziani, di grado pari al
suo, che non aveva mai visto. Alyniat stava in piedi davanti a una cinquantina di ufficiali. Cominciò a parlare senza preamboli. «Innanzitutto, le forze matriti, a metà pomeriggio di ieri, si trovavano ancora a più di quindici vingti a nord e, stando agli ultimi rapporti, pare che siano avanzate meno di cinque vingti verso sud e che entrambi i lancia-proiettili di cristallo si spostino con loro. Il colonnello Alucius si è unito a noi insieme a tre compagnie addestrate per distruggere quelle armi... Lui e i suoi uomini vengono da Hyalt... sconfitto il profeta e soffocato la rivolta... le uniche truppe in grado di farlo, e possono solo occuparsi di un lancia-proiettili alla volta... dovremo intensificare i giri di ricognizione quando i matriti saranno più vicini... «Per il momento, questo è tutto. Colonnello Cyrosyr e colonnello Korynst, vi darò istruzioni subito dopo l'adunata. Ho già parlato con il colonnello Alucius.» Così, Alyniat aveva annunciato che Alucius era uno dei tre colonnelli più alti in carica tra le forze là presenti, senza neppure prendersi la briga di dirlo esplicitamente. Un lieve sorriso increspò le labbra di Alucius. La tattica di Alyniat gli ricordava che aveva ancora molto da imparare riguardo alla diplomazia militare lanachroniana, anche se non avrebbe dovuto preoccuparsi troppo di quegli aspetti, perlomeno finché non avesse tolto di mezzo i lancia-proiettili. Se invece avesse fallito, le strategie diplomatiche avrebbero di certo rappresentato l'ultimo dei suoi problemi. 86 Il giorno di sexdi fu più o meno simile a quello di quinti, e ancora non si videro segni dell'arrivo dei matriti lungo la strada di raccordo. Alucius verificò le sue mappe e inviò Waris, Elbard, Rakalt e Bakka a controllare il percorso per individuare altri possibili punti da cui i nemici avrebbero potuto attaccare. I ricognitori non ne scoprirono altri, ma non si spinsero più a est dell'incrocio con la strada per Zalt. Benché un secondo attacco avrebbe potuto essere sferrato più a est, ad Alucius sarebbe stato possibile coprire con i suoi uomini solo quel tratto di anello, partendo dal loro accampamento. Sperava solo che tale eventualità fosse preceduta da palesi movimenti di soldati nemici o da evidenti spostamenti dei lancia-proiettili. I rapporti ricevuti da Alyniat dicevano che il grosso dell'esercito matrite si manteneva in prossimità delle due strade principali. Alucius era convinto che la situazione potesse e dovesse subire dei cam-
biamenti, ma, fino ad allora, non vedeva motivo di far muovere i suoi soldati. Senza contare che sia gli uomini sia i cavalli avrebbero tratto beneficio da un'ulteriore giornata di riposo. Nel frattempo, Alucius aveva anche istituito dei giri di pattuglia lungo la dorsale delle colline ed elaborato un approssimativo schema d'attacco, qualora i matriti avessero messo in atto davvero ciò che lui aveva ipotizzato. Come Alyniat aveva previsto, il contingente nemico più grosso procedeva lentamente lungo le strade principali alla volta di Porta del Sud, così lentamente che nel tardo pomeriggio di sexdi si trovava ancora sulla strada principale della costa, a oltre sette vingti a nord dall'anello di raccordo. Un contingente minore di soldati si trovava invece sulla strada principale proveniente da Zalt, a sei vingti a nordest. Se Alucius avesse dovuto condurre un'azione del tipo che aveva immaginato, quel contingente si trovava ora molto vicino al punto che lui avrebbe scelto. Tuttavia, non c'era assoluta certezza che l'attacco si sarebbe svolto secondo i suoi piani o quelli di Alyniat, anche se Alucius era pronto a scommettere che i matriti non avrebbero esordito con un assalto diretto. Mentre gli altri due colonnelli anziani erano sistemati in un paio di piccole stanze all'interno del forte, Alucius aveva deciso di stare all'accampamento, così da tenersi pronto a partire con i suoi soldati in qualunque momento. Il suo piano si basava su ciò che aveva visto e avuto modo di imparare anni addietro. Il lancia-proiettili non emetteva alcun segnale percepibile dal Talento prima di essere messo in funzione, il che significava che lui non avrebbe potuto ricorrere alle proprie capacità talentose finché i matriti non avessero alimentato il micidiale congegno. Alucius non sapeva quando sarebbe accaduto, ma era probabile che l'arma venisse attivata solo dopo essere stata collocata vicino alla strada di raccordo. Si augurava solo che le sue supposizioni fossero corrette. Poiché era in base ad esse che aveva elaborato la sua strategia, sebbene non ne avesse condiviso con altri i dettagli e si fosse limitato a dire ai suoi ufficiali e comandanti di squadra che avrebbero tutti fatto parte di uno speciale reparto d'attacco. Di certo, non aveva intenzione di rivelare che, in realtà, il reparto d'attacco era lui. La sera di sexdi aveva ripassato con gli altri ufficiali il piano di battaglia fino ad accertarsi che tutti avessero capito bene. Almeno se lo augurava, benché nutrisse qualche dubbio riguardo a Deotyr. Alla fine, si coricò e dormì un sonno inquieto. A un certo punto, si svegliò a fatica, solo per trovarsi in una sala dalle pareti rivestite di marmo rosa dalle sfumature viola, interrotte a intervalli
regolari da mezzi pilastri di pietra dorata. Sopra la sua testa vide un soffitto ad arco rivestito dello stesso marmo. Le giunture tra una lastra e l'altra erano così perfette da non mostrare alcuna traccia di cemento. Abbassò lo sguardo a terra. Come se in qualche modo già lo avesse saputo, vide che il pavimento era costituito da sezioni ottagonali di lucido marmo verde e oro e che ciascuna sezione di marmo verde mostrava al centro il motivo dorato di una stella a otto punte. Nel sollevare di nuovo gli occhi, si accorse che le pareti si erano avvicinate. Si guardò intorno, ma era solo nella sala, una sala priva di arazzi... di porte... o di finestre. Fece un mezzo giro su se stesso, ma non scorse alcuna uscita. Era forse entrato attraverso una Tavola? Non ne vide alcuna, né la percepì. Le pareti si spostarono di nuovo verso di lui, rendendo più piccola la sala, che ora era lunga appena sette iarde e larga tre. Alucius fece un passo avanti e si lanciò di nuovo un'occhiata alle spalle. Non era cambiato niente e continuavano a non esserci porte. Le pareti si mossero ancora e la stanza si rimpicciolì: ora misurava meno di quattro iarde per due e mezzo, mentre il soffitto si trovava ad appena una iarda da lui. Alucius tese le braccia a toccare le fredde pareti marmoree. Prima che potesse abbassarle, le pareti si erano ulteriormente avvicinate, spingendogli le mani verso il corpo e confinandolo in uno spazio più piccolo di una cella, una cella dalle solide mura che si stavano contraendo su di lui. Proiettò il suo Talento all'esterno per cercare una via d'uscita, ma non avvertì altro che pietra, pietra massiccia che proseguiva all'infinito dietro lo strato visibile di marmo. La fronte gli si imperlò di sudore. Doveva uscire... in qualche modo. Doveva... Alucius balzò a sedere sul materassino da campo. Nonostante l'aria fredda della notte, era madido di sudore, quasi avesse la febbre. Si asciugò la fronte, poi scrutò rapidamente l'area circostante con i Talento-sensi. Qualcuno stava attaccando? Le sentinelle erano state colpite? Quando capì che, per il momento, tutto era tranquillo e che era circondato solo da soldati lanachroniani, il suo respiro tornò a farsi calmo. Perché di nuovo quel sogno ricorrente? Forse perché, ora più che mai, si sentiva prigioniero degli eventi?
Fece un lento e profondo respiro. Doveva rilassarsi e cercare di dormire un po'. Domani, o il giorno successivo, avrebbe dovuto sostenere una dura battaglia e non sarebbe stato in grado di farlo senza un adeguato riposo. Si sdraiò di nuovo sul materassino, sforzandosi di pensare a qualcosa che lo potesse calmare, alla fattoria... a Wendra. Ma questo non gli fu d'aiuto, poiché cominciò a inquietarsi per lei e per Alendra e avvertì sempre più forte la sensazione che non sarebbe riuscito a tornare a Punta del Ferro prima della nascita della bambina. Niente sembrava andare come aveva sperato, o come tutti avevano programmato. La consapevolezza che di solito la guerra fosse proprio così non lo aiutò a sentirsi meglio, almeno non mentre tentava di riprendere sonno. 87 Il suono di un corno echeggiò da qualche parte, come se fosse distante, eppure vicino al tempo stesso. Alucius si rigirò sul materassino, cercando di zittire quel suono. «Signore!» Alucius lottò per uscire dall'abisso della sua spossatezza. «Cosa...?» «Maggiore, anzi, colonnello. Bakka ci manda a dire che un gruppo di soldati matriti sta avanzando verso quella collina. Dice che sono una compagnia o forse più, con alcuni carri al seguito.» Alucius balzò di colpo a sedere. «Quanto manca...» «Circa due clessidre all'alba, signore.» «Sveglia i capitani e di' loro di allertare tutti. Dovranno essere tutti pronti a partire tra un quarto di clessidra.» «Sì, signore.» Nell'aria fredda e secca della notte, sotto un cielo terso nel quale brillava solo il mezzo disco di Asteria, Alucius si infilò gli stivali, frugò all'interno della camiciola di seta nerina ed estrasse la maschera proteggi-capo, che indossò. I suoi uomini l'avevano già vista e, inoltre, la sua protezione gli sarebbe servita per mettere in atto ciò che aveva programmato. Recuperò i fucili, sellò il cavallo e gli montò in groppa, quindi si diresse verso il punto in cui le compagnie si stavano raggruppando. Feran si trovava già sul posto. «Pensi che funzionerà?» chiese l'ufficiale più anziano. «Finché non avremo provato, non lo potremo sapere.» Feran rise sottovoce. «Sarà meglio che funzioni perché, in caso contra-
rio, dovrei essere io a spiegarlo ad Alyniat. O a Weslyn.» Nell'udire un rumore di zoccoli, entrambi si voltarono aspettandosi di vedere Jultyr o Deotyr. Comparve invece un capitano che non conoscevano, con indosso la divisa blu delle Guardie del Sud e illuminato dalla torcia che il cavaliere al suo fianco stava reggendo. «Cosa succede qui?» Alucius si fece avanti fino a portarsi nel cerchio di luce proiettato dalla torcia. «Siamo stati informati che il nostro bersaglio si sta avvicinando al punto stabilito. Quando ne avremo assoluta certezza, informeremo il maresciallo.» Gli occhi dell'ufficiale scorsero le insegne che luccicavano sul collo della casacca di Alucius, ma si soffermarono sulla maschera nera che gli ricopriva il volto. «Ah... sì, signore, colonnello. Scusate se vi ho disturbato, signore.» «Non c'è problema, capitano. Proseguite pure il vostro giro.» «Grazie, signore.» L'ufficiale di guardia era appena scomparso nell'oscurità che arrivarono Jultyr e Deotyr. «Non abbiamo molto tempo», li esortò Alucius. «Il piano è quello che abbiamo discusso ieri sera. Ci piazzeremo dove avevamo stabilito e aspetteremo che il nemico dia inizio all'attacco. Poi il nostro gruppo d'assalto si occuperà del lancia-proiettili. Se riusciremo nell'intento, il lancia-proiettili sarà distrutto. Solo allora verrà dato l'ordine di caricare il nemico.» «Signore?» chiese Deotyr. «Perché caricare dopo che l'arma avrà smesso di funzionare? Perché potrebbe essere riparata, e tra una settimana o un mese ci ritroveremmo nella stessa situazione e dovremmo fronteggiare un numero ancora maggiore di nemici. Quindi dobbiamo o impadronircene o assicurarci che venga distrutta ed è per questo motivo che abbiamo una mezza squadra munita di esplosivo. Ora, quando arriveremo sulla collina da cui lanceremo l'attacco, che non sarà quella sulla quale i matriti saranno saliti, ricordatevi di procedere nell'ordine seguente: Quinta Compagnia, Ventottesima e Trentacinquesima. Ed è questo l'ordine in cui ci disporremo adesso.» «Sì, signore.» A dispetto dell'impazienza di Alucius, ci volle quasi un decimo di clessidra prima che le tre compagnie raggiungessero la strada di raccordo, dopo averne risalito il tratto occidentale ed essersi dirette a ovest nell'oscurità. Avevano percorso poco più di un vingt, almeno così parve ad Alucius,
quando Waris comparve improvvisamente davanti a loro. «Signore!» Il ricognitore affiancò il suo cavallo a quello di Alucius. «Sì, Waris?» «È come sospettavate voi, signore. Hanno piazzato quattro compagnie lungo la strada principale della costa, all'imbocco con il sentiero in terra battuta.» «E il resto delle truppe?» «Pare che sia diretto a sud, oltre la collina.» La voce di Waris tradiva stupore. «Così a sud?» chiese Feran. «Potrebbe trattarsi di un'imboscata», ipotizzò Alucius. «I mattiti attaccano più a sud, come se volessero impadronirsi della città.» «E quando il maresciallo cerca di far muovere i suoi soldati...» suggerì Feran. «Il lancia-proiettili li falcia tutti quanti. Oppure potrebbero semplicemente tentare di prendere la città e servirsi del lancia-proiettili per impedire alle Guardie del Sud di avvicinarsi. Se il maresciallo non si serve dell'anello di raccordo ma della strada principale, i mattiti lo occupano e intrappolano tutte le Guardie del Sud al suo interno.» Alucius si girò verso Fewal, che si trovava dietro di lui, insieme a Dhaget e a Roncar. «Torna subito al forte. Informa il maresciallo Alyniat che i mattiti si stanno apprestando ad attaccare qui con il lancia-proiettili di cristallo e che un altro contingente sta proseguendo verso sud, fuori dalla strada di raccordo. Digli che noi ci stiamo dirigendo verso il lanciaproiettili con tutte e tre le compagnie.» «Sì, signore.» Dopo che Fewal si fu allontanato, Alucius si rivolse a Waris. «Tu e Rakalt scendete il fianco della collina - quella dove ci apposteremo - fino a mezza costa, appena prima dell'inizio del canalone, e tenete gli occhi bene aperti.» «Sì, signore.» Waris si allontanò subito a cavallo, raggiunto da Rakalt un centinaio di iarde più avanti, e venne inghiottito dal buio, sparendo dalla vista dei soldati, ma non da quella più acuta di Alucius. Mentre proseguiva verso ovest, Alucius proiettò tutt'intorno il proprio Talento per studiare l'oscurità a nord e a ovest. Quasi subito si irrigidì sulla sella, non perché avvertisse l'intrico dei fili vitali appartenenti ai soldati di entrambi i fronti, ma a causa di ciò che non si era aspettato. Sottili filamenti rossastri partivano dalle forze mattiti e si innalzavano nel cielo dirigen-
dosi verso nord, alla volta di Hieron. Benché Alucius avesse la sensazione che non tutti i soldati nemici indossassero il collare d'argento, ce n'erano comunque a sufficienza da formare un uniforme bagliore dalle sfumature violacee. Bagliore invisibile a tutti, tranne a chi era provvisto del Talento. Com'era già accaduto la prima volta in cui gli erano apparsi non solo i fili vitali, ma anche quelli emanati dai collari, Alucius rimase a lungo in silenzio a osservare il tessuto evanescente che pareva riempire tutto il cielo e la cui trama era costituita da intrecci di fili collegati strettamente tra di loro, dando però l'impressione di non toccarsi mai. Contrapposta alla morbida bellezza della rete di fili vitali, il reticolato rosso-violaceo sembrava terribilmente fuori posto, quasi fosse una catena opprimente che pesava sul filo vitale di ogni uomo o donna che portava un collare. Alucius si chiese come avesse fatto a sopravvivere così a lungo con indosso uno di quei cappi. Feran si schiarì la voce. «Sei preoccupato per qualcosa? Di che si tratta?» Alucius sorrise tristemente. L'espressione del viso doveva aver rivelato gran parte del suo stupore. «Sento qualcosa là fuori.» Sapeva di avere distrutto il cristallo che controllava i collari, e anche la Matride. O, piuttosto, era stata la distruzione del cristallo ad avere causato la morte della Matride. Possibile che la Reggente fosse venuta a conoscenza del segreto e avesse creato un altro cristallo? «E cosa senti esattamente?» domandò Feran. «Hanno ripristinato i collari, i collari d'argento della Matride. Sono in grado di percepirli da qui.» «L'avevo detto io che tutto questo faceva parte di qualcosa di più grosso», mormorò l'altro. «Anch'io lo pensavo.» Benché si fosse chiesto in che modo i matriti conducessero i loro attacchi, non era stato sfiorato dall'idea dei collari. Chissà se erano collegati agli ifrit? O era lui che insisteva nel cercare collegamenti che non esistevano? Proseguirono per un altro vingt, superando parecchi piccoli posti di guardia a ognuno dei quali Alucius dovette identificarsi, prima di raggiungere il tratto della strada di raccordo sul quale Bakka li stava aspettando. «Signore, Waris dice che non c'è nessuno più in basso. Dice anche che dovrete fare attenzione a scendere piano.» «Grazie, staremo attenti.» Alucius si girò. «In fila per uno! E in silenzio. Seguitemi!»
Portò il cavallo fuori dalla strada di raccordo e imboccò il ripido e stretto sentiero che si snodava verso nord, un sentiero difficile da percorrere anche in pieno giorno. Ma era proprio per questo motivo che lui si trovava in testa, si disse Alucius. Tuttavia, percorrerlo al buio, sotto la fioca luce delle stelle e del minuscolo mezzo disco di Asterta, era molto più sicuro che non restare in attesa sull'anello di raccordo e trovarsi a fronteggiare il lancia-proiettili. Mezza clessidra era già trascorsa e Alucius aveva coperto meno di un terzo della distanza che lo separava dal punto in cui il fianco della collina diventava piano e dove i suoi uomini avrebbero potuto spostarsi più rapidamente verso sudovest e verso la sporgenza coperta da un antico strato di lava, che li avrebbe nascosti alla vista dei matriti quando il cielo fosse diventato più chiaro. Si costrinse a mantenere la calma e ad avanzare. Un'altra mezza clessidra era passata e adesso Alucius era in grado di sentire le truppe matriti e i carri lungo la collina a sud, ma gli parve che stessero avanzando più lenti del previsto. Si augurò che lo spostamento del pesante congegno su per il pendio - per quanto il sentiero in terra battuta fosse solo in leggera salita - risultasse più laborioso di quanto i comandanti matriti avessero calcolato. Sentì anche il pesante carro, quello che trasportava il lancia-proiettili, seguito da quelli contenenti la sabbia che sarebbe servita ad alimentarlo. Tutti e quattro i carri si trovavano al di sotto del punto nel quale Alucius intendeva far appostare i suoi uomini. Una tenue sfumatura di grigio stava colorando il cielo sopra la strada di raccordo, quando anche l'ultimo soldato della Trentacinquesima Compagnia si fu sistemato in posizione dietro la sporgenza. Alucius si concesse un sospiro di sollievo. Per il momento, tutte le sue compagnie erano al riparo dal fuoco diretto del lancia-proiettili. In seguito, poiché i matriti si sarebbero trovati un po' più in alto rispetto a loro, seppure sulla collina attigua, i suoi uomini avrebbero dovuto scendere di altre duecento iarde per raggiungere il tratto pianeggiante che collegava le due alture, dove non avrebbero potuto usufruire di alcuna copertura. Alucius scese da cavallo e tese le redini a Dhaget, poi si voltò verso Feran, che si era sistemato in una rientranza della lava, da dove avrebbe potuto sorvegliare la sommità del poggio dei matriti. «Dovrai tenere d'occhio il lancia-proiettili. Nessuno dovrà muoversi finché non sarai sicuro che sia fuori uso.» «D'accordo.» «Bene.» Reggendo uno dei due fucili, Alucius cominciò a scendere un
altro centinaio di iarde, tenendosi sempre al riparo della sporgenza. Poi, reso invisibile dal Talento e dall'uniforme scura che indossava, si arrampicò su uno strato molto meno consistente di lava e si lasciò cadere dall'altra parte. Muovendosi carponi, cercò di scendere nel canalone per poi risalire dall'altra parte. Quando finalmente ci fu riuscito, era fradicio di sudore e aveva il respiro affannoso. Pensò che chiunque avrebbe potuto sentirlo a un vingt di distanza, ma non vide matriti nel raggio di cento iarde. Si costrinse a fermarsi un attimo a riprendere fiato, prima di ricominciare a salire nell'oscurità che si andava diradando, in direzione della piazzola in cui era stato fatto fermare il pesante carro. Avvertì intorno ad esso la presenza di un gruppo di ingegneri, impegnati a scavare sul fianco della collina, probabilmente per creare una stabile base d'appoggio per il lanciaproiettili. Alucius si chiese quanto vicino avrebbe dovuto portarsi prima di essere in grado di usare il Talento. E si chiese anche se quell'arma sarebbe stata alimentata da energia sufficiente perché lui lo potesse usare. Proiettò i Talento-sensi in quella direzione. L'arma era inerte, senza vita, spenta e ad Alucius risultò impossibile inviare energia talentosa o forza vitale verso l'insieme di cavi, di cristalli e di altri componenti la cui collocazione egli non riusciva né a descrivere né a comprendere. Poco più sotto, udì una voce. «Da qualche parte, quassù, c'è un possessore di Talento.» Alucius serrò le labbra. Avrebbe dovuto aspettarsela, la presenza di una donna-ufficiale matrite dotata di Talento. Se non altro, a protezione del lancia-proiettili. «Mira un po' più a destra. Fai fuoco su tutta quell'area.» Nell'oscurità, Alucius strisciò mani e piedi verso il ciglio del canalone, rannicchiandosi in una piccola depressione rocciosa, a pochi passi da un'altra ben più profonda. I lampi degli spari trafissero il grigiore che precedeva l'alba e Alucius sentì fischiare le pallottole ad appena una frazione di iarda sopra la testa. Accucciato là, mentre veniva sfiorato da altre pallottole, egli proiettò una Talento-sonda verso il basso, alla ricerca di un filo vitale più appariscente, quello che doveva appartenere alla donna-ufficiale talentosa. Ne percepì la presenza, mentre stava risalendo a cavallo il fianco della collina verso di lui, accompagnata da una piccola squadra alla quale stava
impartendo istruzioni. Le istruzioni erano fin troppo accurate. Alucius avrebbe preferito usare il fucile, ma gli spari del nemico risuonavano così vicini che alzare la testa per prendere la mira avrebbe potuto risultargli fatale. D'altra parte, se non avesse agito il più rapidamente possibile, avrebbe ugualmente rischiato la vita. Perciò allungò la sua Talento-sonda in direzione della donna-ufficiale cercando di individuare i nodi del suo filo vitale. Il nodo principale era privo di protezioni ed egli lo sottopose a una violenta torsione. Un invisibile spruzzo marrone e verde precedette la caduta di sella del corpo senza vita di lei. «Il possessore di Talento l'ha colpita!» «Continuate a sparare!» «Dove? Non si vede nessuno.» «Deve pur essere da qualche parte!» Una sventagliata di pallottole gli passò fischiando sopra la testa. Alucius ricacciò l'impulso di rispondere al fuoco e, tenendosi in equilibrio precario sul ciglio del canalone, cominciò a strisciare e poi ad arrampicarsi aiutandosi con le mani e con i piedi su per il pendio. Spostarsi piegato a quel modo risultò estremamente faticoso per le sue gambe, i suoi piedi e i suoi polmoni, tanto che continuò a fermarsi a riprendere fiato. Il fucile gli pesava e lo impacciava nei movimenti. Quando si fu arrampicato per altre trecento iarde, il cielo aveva cominciato a mutare colore, trasformandosi da profondo nero-verde in un cupo verde-argento. A quel punto, Alucius tentò di nuovo di esplorare con il Talento il lancia-proiettili, ma vide che era ancora spento. Inoltre, aveva provato notevole difficoltà nel riuscire a raggiungerlo con la sua Talento-sonda. La piccola squadra che accompagnava la donna-ufficiale talentosa aveva cominciato a spostarsi verso un punto appena al di sotto di quello dove Alucius era stato quasi colpito, ma i soldati procedevano con troppa cautela perché lo potessero scoprire prima che avesse raggiunto la posizione giusta per poter fare qualcosa contro il lancia-proiettili. Continuò ad arrampicarsi, salendo di altre cinquanta iarde, finché si trovò sull'orlo superiore del canalone, con il corpo incollato contro una sporgenza tanto ripida da fargli rischiare una rovinosa caduta se si fosse mosso incautamente o avesse perso i suoi appigli. Sebbene il Talento lo nascondesse alla vista del nemico più in basso, Alucius si sentiva terribilmente esposto. Fu allora che sentì diffondersi nell'aria un suono simile a un crac e per-
cepì l'energia crescente del lancia-proiettili, che era stato piazzato appena mezzo vingt più sotto rispetto alla strada di raccordo, con il formulatore di tiro puntato sulla strada stessa. «Eccoli!» Un unico squillo di tromba proveniente dalla strada di raccordo echeggiò attraverso la collina, e una compagnia di Guardie del Sud fece la sua apparizione caricando giù per il pendio. Alucius trasalì. Non aveva neppure cominciato a chiedersi come neutralizzare il congegno. Un alone di energia rossastra balenò intorno al lanciaproiettili, seguito da una specie di ronzio, che salì rapidamente di tono e si trasformò in un acuto lamento, per poi cessare bruscamente. In quel momento, a una iarda dall'estremità anteriore della canna, si formarono frecce di cristallo in miniatura che vennero scagliate in avanti a una velocità tale da sembrare tanti minuscoli raggi di sole che schizzavano via dal congegno, anziché proiettili di cristallo. Il getto micidiale andò a colpire il centro della compagnia di Guardie del Sud, facendola disintegrare in un gigantesco spruzzo rossastro. Alucius si costrinse a ignorare l'ondata di morte che lo travolse e si concentrò sull'arma, proiettando verso di essa una Talento-sonda. Sonda che però venne respinta dall'alone di energia rossastra che circondava il congegno a mo' di scudo. Alucius cercò di farvi passare attorno la sonda, ma l'unico punto non raggiunto dallo scudo protettivo era quello dove sembravano prendere forma le minuscole lance cristalline. Così, curvò la sonda e la fece arrivare oltre quel punto. Una scossa di energia pura si ripercosse lungo la sonda con tale violenza che Alucius fu costretto a lasciarla andare per cercare di non scivolare e cadere nel burrone alle sue spalle. Lo scudo che lo rendeva invisibile venne per un attimo a mancare. «C'è qualcuno lassù!» Subito si rimise in equilibrio e ripristinò lo scudo. «Là, appena sotto il lancia-proiettili, sul fianco.» Un altro gruppo di Guardie del Sud svanì in uno spruzzo rossastro, e il vuoto della loro morte si abbatté su Alucius, il quale deglutì e tentò di concentrarsi di nuovo. E se avesse usato il fucile, rivestendo le cartucce con l'energia vitale? Si arrampicò un po' più in alto, spostandosi leggermente in avanti, finché non riuscì ad appoggiare il fucile su una piccola sporgenza. Poi cominciò a rivestire le cartucce con l'energia vitale. Infine, lo puntò verso il lancia-
proiettili e premette il grilletto, una, due, tre volte. A ogni impatto con le pallottole si vedeva schizzare dal fianco del lancia-proiettili un breve lampo di energia, ma fu ben presto evidente che nessun colpo aveva prodotto un qualche effetto reale sull'arma matrite. Una sventagliata di proiettili andò a conficcarsi sulla roccia, a meno di cinque iarde sotto il punto in cui si trovava Alucius. Cosa poteva fare? Le arianti gli avevano detto che ogni oggetto aveva dei nodi. Ma sarebbe stato in grado lui di trovare qualcosa di simile a un nodo in un'arma, qualcosa che lo avrebbe aiutato a metterne fuori uso una parte essenziale? Allungò di nuovo la Talento-sonda, ma questa volta la mantenne flessibile. Non trovò nodi, almeno non come quelli degli ifrit. Ma scoprì dei puntolini talentosi, duri e scintillanti, simili a tanti diamanti che ruotavano in corrispondenza dell'area in cui si formavano i proiettili di cristallo. Alucius tentò di rallentarne il movimento rotatorio, ma fu come bloccare una grossa ruota di carro dal cerchione in ferro che stesse rotolando giù per un pendio. Se avesse opposto resistenza, ne sarebbe rimasto stritolato. Si chiese allora cosa sarebbe successo se avesse invece cercato di accelerarne il movimento. Perciò concentrò tutta la propria energia a tale scopo. D'un tratto, da uno di quei puntolini scintillanti penzolò un sottilissimo filamento, che Alucius si affrettò ad afferrare con la sua sonda e a tirare. Quella specie di nodo si sciolse, ma fu sostituito subito dal successivo, quasi questo volesse prenderne il posto, e comparvero altri minuscoli filamenti. Alucius sentì improvvisamente che il formulatore di tiro, fatto di duro cristallo inattaccabile, cominciava a piegarsi come se si stesse liquefacendo, e si servì della sonda per strappare un numero sempre maggiore di filamenti. Poi una travolgente ondata di energia, in apparenza proveniente da ogni parte, si riversò sul lancia-proiettili. Alucius lasciò cadere la sonda e creò uno scudo protettivo verde intorno a sé, appena in tempo per evitare lo scoppio e la fiammata che si sprigionarono dal congegno. Schegge di metallo e cristallo schizzarono in tutte le direzioni, falciando qualunque cosa si trovasse sulla loro traiettoria. Un numero talmente impressionante di morti seguì alla distruzione del-
l'arma che per un lungo momento Alucius fu incapace di muoversi e restò là immobile, sordo e cieco. Si limitò a tenersi rannicchiato sotto lo scudo protettivo, in attesa che la pioggia di frammenti cessasse. Dopodiché cominciò a strisciare palmo a palmo verso l'alto per portarsi al di là del bordo superiore del canalone. «Compagnie! Avanti!» Dal basso della collina adiacente si udì giungere l'ordine di Feran. Piano piano, Alucius si rialzò e osservò la piatta cima davanti a lui. L'esplosione aveva ucciso tutti i soldati matriti che si trovavano nelle vicinanze e i pochi sopravvissuti delle Guardie del Sud che avevano tentato di attaccare prima che lui riuscisse a disattivare il congegno. Deglutì più volte per cercare di trattenere i conati di vomito che lo assalivano. Ovunque si vedevano brandelli di cose: carne, legno, metallo, terra, e tutto quanto era ricoperto da una gelatinosa pellicola rossastra. Abbassò lo sguardo. Anche i suoi stivali erano ricoperti della stessa sostanza vischiosa. La distruzione aveva creato un cerchio di desolazione del diametro di circa un vingt, oltre il quale, più in basso, lungo il fianco della collina, si trovavano ancora un paio di compagnie nemiche. L'assalto di Feran le aveva sorprese mentre si stavano riprendendo dai postumi della conflagrazione. Fucile alla mano, Alucius cominciò a scendere lungo il pendio. Aveva percorso circa un centinaio di iarde, quando vide comparire tre cavalieri con il suo cavallo al seguito. In testa c'era Dhaget, che Alucius fu più che lieto di rivedere. «Signore! Ho pensato che vi sarebbe servito il cavallo.» Alucius balzò in sella, ma quando giunse in prossimità della battaglia, i pochi matriti sopravvissuti stavano già fuggendo al galoppo verso sud. Si sentì invadere da un senso di frustrazione e di rabbia. Avrebbe voluto prendere parte all'attacco, impugnare la sua sciabola, per quanto stanco si sentisse. Ma il nemico si era ritirato così velocemente che sarebbe stato sciocco cercare di inseguirlo. Inoltre, restava ancora un lancia-proiettili da distruggere. Feran aveva ordinato l'adunata e le tre compagnie si stavano schierando di nuovo in formazione, quando Alucius si avvicinò e si fermò a pochi passi dal capitano maggiore. Feran lo guardò. Alucius sapeva di costituire un bello spettacolo, con indosso ancora la nera maschera proteggi-capo e l'uniforme imbrattata di sangue e di altre sostanze. Jultyr e Deotyr sopraggiunsero di lì a poco. Tut-
ti e tre gli ufficiali lo fissarono. «Signore, abbiamo attaccato secondo gli ordini. Abbiamo tre morti e cinque feriti nella Quinta Compagnia.» «Signore, Trentacinquesima Compagnia, dieci morti, otto feriti.» «Ventottesima Compagnia, sette morti, sei feriti.» «Grazie. Adesso ci dirigeremo verso la strada di raccordo. Gli alfieri con i vessilli, in testa alla colonna.» «Vessilli in testa. Colonna, avanti!» Feran si affiancò ad Alucius. «Come hai fatto a uscirne vivo?» «Ero protetto dalla parete del canalone quando è esploso.» «Non ti chiederò altro, colonnello.» «Non ti andrebbe nemmeno di saperlo», rispose Alucius con voce stanca. Si rese conto, solo in quel momento, di non avere sparato neppure una pallottola contro i matriti, all'infuori dei tre inutili colpi contro il lanciaproiettili. «L'ho imparato molto tempo fa. Quante compagnie matriti c'erano lassù?» «Tre, forse quattro. C'era anche una compagnia di Guardie del Sud. La maggior parte dei soldati è stata uccisa prima...» Alucius scosse il capo, mentre prendeva il fucile e lo ricaricava. In effetti, avrebbe già dovuto farlo da un pezzo. Ancora una volta, si udirono provenire dalla colonna alle sue spalle dei mormorii. «... l'ha scampata...» «... tutto coperto di sangue... ma non suo...» Solo che, pensò Alucius, sono io il responsabile di tutto il sangue che è stato versato. 88 Ancora prima di raggiungere la sommità della collina e la strada di raccordo, Alucius mandò avanti Roncar, affinché andasse al forte principale a comunicare la notizia della distruzione del lancia-proiettili e l'eliminazione di tre compagnie matriti. Nel frattempo, si era anche sfilato la maschera proteggi-capo e l'aveva riposta all'interno della casacca. Una volta in cima, vennero avvicinati dal comandante di squadra del gruppo superstite facente parte della compagnia di Guardie del Sud falciata dal lancia-proiettili. «Signore?» Il comandante di squadra osservò le insegne sul colletto di
Alucius e la sua uniforme insanguinata. «Colonnello, signore?» «Sì?» «Avete ordini per noi, signore? Il maggiore Storynst e il capitano Chelopyr sono stati uccisi dal lancia-proiettili, e con loro la maggior parte della compagnia.» Strizzò un poco gli occhi, come per metterlo a fuoco. «Eravate voi sull'altra collina, signore?» «Ero io», replicò Alucius in fretta, mentre guardava l'esiguo numero di soldati rimasto: non più di due squadre di quelle che dovevano essere state due compagnie. «Per il momento, direi che sarebbe opportuno pattugliare questa zona. Vedete quel sentiero laggiù? Da lì i matriti potrebbero immettersi sull'anello di raccordo. Noi dobbiamo dirigerci a est per distruggere l'altro lancia-proiettili ed è necessario che qualcuno controlli che il nemico non si avvicini di nuovo da questa parte. Farò sapere al maresciallo che siete qui. Di quali compagnie fate parte?» «Diciassettesima e Diciannovesima, signore. O di ciò che ne è rimasto.» «Se avvistate truppe matriti, mandate un messaggero al maresciallo.» «Sì, signore.» Mentre finiva di parlare, Alucius si accorse che l'intero suo corpo era percorso dai tremiti. Dopo che i suoi uomini ebbero tutti raggiunto la strada di raccordo e formato una colonna diretta a est, fece in modo di bere un lungo sorso d'acqua dalla borraccia e di mangiare qualche galletta, insieme ad alcune mandorle salate che si era fatto dare dall'ufficiale addetto ai rifornimenti. Avevano percorso meno di un vingt, quando videro un drappello di cavalieri avvicinarsi al trotto. Nel frattempo, l'acqua e il poco cibo avevano rinvigorito Alucius quel tanto che bastava a far cessare il tremito. Di lì a poco, questi si trovò davanti il colonnello che guidava l'altro gruppo. «I matriti stanno attaccando sul tratto meridionale della strada di raccordo, su entrambi i lati», disse il capitano-colonnello, un ufficiale che Alucius aveva intravisto durante l'adunata degli ufficiali, ma che non gli era stato presentato. «Siete sicuro di volervi dirigere proprio a est, signore?» Alucius fissò l'altro con i suoi occhi grigio-argento, che si fecero duri come il metallo. «Siamo stati impegnati finora in un combattimento iniziato ben prima dell'alba, colonnello. Abbiamo distrutto uno dei lanciaproiettili di cristallo e stiamo andando a vedere cosa si può fare con l'altro, prima che provochi lo sterminio delle Guardie del Sud a difesa del fianco orientale della città.»
Il colonnello parve accorgersi in quel momento del sangue rappreso sulle uniformi delle Guardie del Nord, ed evitò di incrociare lo sguardo di Alucius. «Ah... sì, signore.» «Due compagnie di Guardie del Sud hanno attaccato prima del tempo il lancia-proiettili, quando ancora non l'avevamo messo fuori uso. Sono rimaste poco meno di due squadre. Stanno effettuando dei giri di pattuglia, più indietro, lungo l'anello di raccordo. Potrete farvi raccontare da loro tutti i dettagli, se lo desiderate. Più ci attardiamo, più Guardie del Sud moriranno. Buona giornata, colonnello.» «Buona giornata a voi, signore.» Alucius si spostò sul ciglio destro della carreggiata. «In fila per uno!» «In fila per uno.» Né Feran né Alucius parlarono finché non ebbero superato le quattro compagnie di Guardie del Sud. «Idioti...» borbottò infine Alucius. «L'avevo detto ad Alyniat che i matriti non avrebbero condotto un assalto frontale. Gliel'avevo detto che non avrebbero dovuto scagliarsi contro i lancia-proiettili. Non mi meraviglia che stiano perdendo ciò che avevano conquistato.» «Questo dovrebbe farci riflettere», disse Feran. «Credi ancora che sia una buona idea fornire il nostro appoggio al Signore-Protettore?» «Buona? No. Meglio di ratte le altre alternative? Sì.» «Ecco che ti ritrovo di nuovo ottimista, colonnello.» La voce di Feran lasciava trasparire una punta di ironia. «Devo esserlo. La Reggente è riuscita a rimettere in funzione i collari d'argento, il che è ben peggio di qualunque altra cosa possa succedere a Lanachrona.» «Se solo quegli stupidi mercanti di Dekhron fossero stati disposti a spendere poche migliaia di monete d'oro in più cinque anni fa! Scommetto che ancora adesso non hanno capito.» «Ma tu sei ancora vivo. Mentre la maggior parte dei mercanti è morta, in un modo o nell'altro.» «Si tratta di una ben magra soddisfazione», disse Feran con una specie di grugnito. «Siamo rimasti vivi, ma con un bel guaio da risolvere.» Proseguirono per un vingt e mezzo prima di incontrare un altro gruppo, apparentemente meno numeroso del primo, diretto anch'esso in tutta fretta verso sud. Il capitano maggiore alla testa del drappello guardò Alucius e inclinò il capo. «Ci accordate il permesso di passare, signore?»
«Permesso accordato, capitano maggiore», replicò Alucius. Mentre gli altri soldati li superavano, Alucius tenne il conto e, da quel che poté vedere, il capitano maggiore doveva avere con sé un paio di compagnie. Durante i due vingti successivi non incontrarono altre Guardie del Sud, tranne le pattuglie sparse che controllavano l'anello di raccordo. Quando Alucius e i suoi uomini raggiunsero la strada principale della costa, era ancora mattina presto. Persino dal punto in cui si trovavano, sul lato occidentale al di sopra della strada principale, Alucius capì che l'accampamento delle Guardie del Sud era vuoto, all'infuori di alcuni cavalieri e dei carri. I fuochi da campo erano spenti e anche nel forte sembravano essere rimasti pochi soldati. «Hanno mandato quasi tutti a sud», disse Feran. «Dove arriveranno esausti e subiranno inutili perdite.» Alucius si stirò, alzandosi sulle staffe. «Ci concederemo una clessidra di pausa. Assicurati che tutti i soldati ricevano qualcosa da mangiare e che i cavalli abbiano foraggio e acqua. Vedi anche se tu e i capitani riuscite a farvi dare delle provviste in più.» «Non starai pensando...?» «Sono ancora del parere che riusciremo a tirare fuori per il rotto della cuffia una qualche sorta di vittoria, anche se non sarà facile, e trovare altre provviste più tardi diventerà problematico.» «Lo sarà anche adesso, temo.» «Hai ragione», convenne Alucius. «Facciamo una pausa di una clessidra. Non più di una clessidra e mezzo, comunque.» Fermò il cavallo, cercando di non pensare a ciò che li aspettava a sudest. 89 Mentre le tre compagnie si riposavano e gli ufficiali cercavano di mettere insieme un po' di provviste, Alucius era andato a cercare il maresciallo Alyniat. Ma gli fu riferito che si era anch'egli recato a sudest per dirigere le operazioni, lasciando lì solo un aiuto-capitano e alcuni messaggeri, nel caso si fosse reso necessario trasmettere informazioni. Così, ben prima di metà mattina, Alucius e i suoi uomini erano di nuovo in sella, diretti a est, verso l'altra strada principale e il suo forte. Avevano trovato pochissime provviste, eccetto un po' di gallette, e una piccola scorta di munizioni per i fucili delle Guardie del Sud. Se avessero dovuto af-
frontare un altro paio di battaglie, la Quinta Compagnia si sarebbe ritrovata del tutto priva di cartucce, ma di questo Alucius si sarebbe preoccupato più avanti. L'aria ferma di prima mattina era stata sostituita da un vento fresco che soffiava da sudest, un vento che, nonostante la sua dolcezza, portava con sé un accenno dei rigori del tardo autunno o dell'inverno. Lungo l'intero tratto di anello di raccordo che collegava i due forti principali, non incontrarono nessuno, eccetto alcuni soldati di pattuglia, la maggior parte dei quali aveva l'aria preoccupata. Dopo essersi fermati a fare rifornimento di acqua e di altro cibo presso il forte orientale, ugualmente quasi deserto, attraversarono la strada principale di sudovest e seguirono la strada di raccordo, che descriveva una curva dirigendosi a sud. In lontananza a sudovest, Alucius vide addensarsi nuvole foriere di tempesta, che tuttavia non sembravano avanzare verso est, ma si limitavano a minacciare la costa. «Sapevi che non avrebbero attaccato i forti sulla strada, vero?» chiese Feran dopo una lunga pausa di silenzio. «Non lo sapevo. Lo ritenevo semplicemente probabile. I matriti non sono espertissimi nel combattere, ma da quel che ho avuto occasione di vedere, non sono neppure soliti lanciarsi in attacchi ovviamente stupidi. E lanciarsi subito all'attacco dei forti sulla strada sarebbe stato sia ovvio sia stupido.» «Stai cercando di diventare comandante in capo di Lanachrona?» Il tono di Feran era ironico. «Per tutte le eredità dei Duarchi, no! Voglio semplicemente sbarazzarmi dei lancia-proiettili e tornarmene alle mie Valli del Ferro. Prima è meglio è.» «E che succede se il Signore-Protettore ti fa un'altra delle sue "richieste"? Non mi sembra disposto a lasciarci andare tanto facilmente.» Alucius emise un gemito. «Dovrebbe avere una ragione molto valida per farmi restare o per far restare la Quinta Compagnia.» «Ti ricorderò queste parole, colonnello.» «Non avevo dubbi in proposito», replicò Alucius. «Bene.» Feran gli regalò un largo sorriso, che però svanì subito. Proseguirono per l'anello di raccordo per quattro clessidre prima di raggiungere la strada principale di sudest e un altro accampamento semideserto di Guardie del Sud. Dopo essersi concessi una pausa di mezza clessidra, continuarono verso sud per altre due clessidre, fino a raggiungere il peri-
metro di un accampamento piazzato tutt'intorno a un piccolo forte: una costruzione circolare in pietra, del diametro di non oltre dieci iarde e dalle mura non più. alte di tre. Un ufficiale dal viso imberbe era fermo sul lato nord dell'accampamento, in groppa al suo cavallo, e affiancato da due soldati. Uno di essi aveva in mano un sottile fascio di documenti. «Colonna, alt!» ordinò Alucius prima di avanzare verso i tre, tenendo gli occhi socchiusi per proteggersi dai raggi obliqui del sole del tardo pomeriggio. «Signore?» «Colonnello Alucius, con la Quinta Compagnia di Guardie del Nord e la Ventottesima e la Trentacinquesima di Guardie del Sud.» «Sì, signore.» Il capitano si rivolse al soldato che teneva i documenti. «Nero!» «Vi è stato assegnato il settore nero, colonnello. Avanti diritti, poi giù lungo il pendio a destra. Vedrete degli stendardi neri fissati in cima ai pali. Dovreste riuscire a trovare qualcosa da mangiare e dei barili con dell'acqua.» «Grazie.» Dopo che ebbero superato il capitano, Feran si voltò verso Alucius. «Non mi piace quando hanno tutto organizzato in questo modo. Mi fanno sentire come se avessero in serbo una sorpresa sgradevole. Anzi, più di una.» «Probabilmente è così.» «Ecco che torna a galla il tuo ottimismo, colonnello.» «Tutto merito della mia innata allegria.» Mentre scendevano il lungo e graduale pendio a ovest della strada di raccordo, seguendo un percorso tracciato dal passaggio recente delle centinaia di cavalli che li avevano preceduti, entrambi gli ufficiali videro lo spazio aperto, contrassegnato da quattro pali, in cima a ciascuno dei quali era stato assicurato un pezzo di panno nero. Su una tela stesa sul terreno era stato disposto quello che sembrava essere del cibo. La accanto, collocati a intervalli regolari, c'erano anche cinque grossi barili. Un unico soldato delle Guardie del Sud stava di sentinella. Alucius si era appena fermato al limitare della piazzuola e non era ancora sceso di sella, che vide Roncar dirigersi a cavallo verso di lui. Il volto magro del soldato apparve preoccupato e sollevato. «Signore!» «Che c'è, Roncar?»
«Il maresciallo Alyniat vi vuole vedere. Subito, signore.» «Dove si trova?» «Nella tenda, signore, là sulla collina, appena al di sotto del forte. Ha lasciato detto che vi voleva vedere non appena foste arrivato.» Alucius girò il cavallo. «Ricorda, colonnello», gli disse Feran. «Una ragione molto valida.» «Me ne ricorderò, capitano maggiore.» Roncar affiancò il suo cavallo a quello di Alucius. «I matriti si trovano a soli cinque vingti a sud di qui, signore. Hanno occupato l'intero tratto della strada di raccordo da qui all'oceano e si stanno spostando verso nord, poche centinaia di iarde alla volta. Si sono serviti dell'altro lancia-proiettili, grazie al quale non hanno subito molte perdite. I ricognitori del maresciallo dicono che non si sono ancora diretti verso la città, ma che lo potrebbero fare in qualsiasi momento. Dopo che voi avete distrutto l'altro lanciaproiettili, quello a ovest, le compagnie mandate dal maresciallo a difendere quel tratto di anello hanno impedito che il nemico lo occupasse. Per ora, quindi, non c'è pericolo di essere attaccati da nord o da ovest.» «Grazie. Sai a quanto ammontano le perdite delle Guardie del Sud?» «Nessuno ha saputo dirlo, signore. Oltre alle due compagnie che hanno perso sulla collina, corre voce che il colonnello Cyrosyr e il suo esercito di sei compagnie siano stati spazzati via praticamente fino all'ultimo uomo. Solo due squadre sono sopravvissute.» Il che non sorprese Alucius, anche se aveva sperato di non dover fronteggiare subito il secondo lancia-proiettili. Quella speranza, tuttavia, appariva sempre meno probabile. Si fermò a pochi passi dai soldati di guardia alla tenda, smontò e tese le redini a Roncar. Venne avvicinato da un tenente. «Colonnello Alucius?» Alucius annuì. «Siamo appena arrivati.» «Il maresciallo è nella tenda, signore. Andate pure. Aveva dato ordine di farvi entrare in qualsiasi momento foste arrivato.» «Grazie, tenente.» Mentre Alucius passava in mezzo ai soldati, udì i mormorii quasi impercettibili di quelli che stavano un po' in disparte. «... hai visto, tutto quel sangue...» «... cosa ti aspettavi? Un comandante che non si tira indietro quando c'è da combattere...» Un comandante stupido anche? Alucius si chiese, mentre sollevava un lembo della tenda ed entrava in uno spazio non più grande di tre iarde per
quattro. Alyniat era seduto su uno sgabello davanti a un piccolo tavolo ingombro di mappe. Una ciocca di capelli più grigi che biondi gli ricadeva sulla fronte e profondi cerchi scuri gli segnavano gli occhi. Alzò lo sguardo su Alucius e osservò l'uniforme insanguinata. «Signore», disse Alucius. «Ce l'avete fatta ad arrivare, colonnello. Ho ricevuto il vostro rapporto in cui mi dicevate che avevate distrutto il lancia-proiettili ed eliminato quattro o cinque compagnie matriti.» Alyniat indugiò. «Non vorrei sembrare irriconoscente, ma... non avreste potuto trovare il modo di impadronirvene, colonnello? Ci sarebbe stato estremamente utile, date le circostanze.» Per qualche motivo, quell'ultima frase «date le circostanze» irritò Alucius. «Non ho dubbi che lo sarebbe stato, signore», replicò, «ma non è stato concepito perché il nemico se ne impossessi». «Non è stato concepito?» «Non sono in grado di spiegarvelo, signore, ma quel congegno è simile a della polvere da sparo protetta da una cortina di fiamme. Se ci si introduce attraverso le fiamme, la polvere esplode.» «Forse si potrebbe usare l'equivalente dell'acqua...» «Potrei provare.» «Se vi limitate a distruggerli, cosa impedirà ai matriti di costruirne altri?» «Ci vogliono anni per farlo, signore, e credo che richieda anche molto denaro. Ammesso che essi ne siano capaci.» «Capaci?» Alyniat inarcò le sopracciglia. «L'ultima volta che ne venne distrutto uno, c'era un solo ingegnere in grado di ricostruirlo. Occorre del materiale speciale. E non so neppure se quell'ingegnere sia ancora in vita.» «Siete certo che non ci sia un modo per impadronirsene?» Alucius rifletté un momento. C'era un sistema per impedire alla macchina di funzionare? Un sistema per disattivarla soltanto? Infine, rispose: «Con il primo lancia-proiettili non ci sono riuscito. Quando ci occuperemo del secondo, terremo a mente anche questa possibilità, signore». «Vi sarei molto grato se tentaste. Abbiamo subito non poche perdite.» «Dove si trova il secondo?» «Oh... a circa cinque vingti da qui e sta avanzando verso di noi. Stiamo cercando di rallentare l'avanzata facendo fuoco sui matriti al riparo di trincee o sbarramenti di fortuna, ma il terreno qui è molto più piatto che non
sul fianco occidentale della città. Come ben sapete, un attacco frontale sarebbe sconsiderato e fatale. I matriti stanno venendo avanti lungo la strada di raccordo servendosi del lancia-proiettili come punta di lancia. Nessuna delle loro compagnie è ancora entrata a Porta del Sud, ma se arrivano fin qui, dovremo prendere in considerazione l'eventualità di doverci ritirare dalla città.» «Non appena i miei uomini e i cavalli avranno avuto cibo e acqua, ci dirigeremo a sud», disse Alucius. «Sarebbe meglio.» Meglio per chi? Per Lanachrona e forse per gli abitanti di Porta del Sud, ma non sarebbe stato facile per Alucius e i suoi soldati. «Sì, signore.» «Colonnello?» «Signore?» «Abbiamo perso così tanti uomini che, anche se eliminate altre cinque compagnie di matriti e distruggete il lancia-proiettili, non verrete di certo considerato un eroe.» «Signore, sono venuto qui perché mi era stato chiesto. Non perché mi si considerasse un eroe. E... signore, non ho preteso di esserlo neppure le tre volte precedenti in cui sono corso in aiuto di Lanachrona. Buona giornata, maresciallo.» Alucius si voltò e uscì dalla tenda. Mentre montava a cavallo e tornava verso i suoi soldati, si disse che non avrebbe dovuto reagire con tanta violenza, ma tutto ciò che voleva era distruggere il lancia-proiettili e fare ritorno alle Valli del Ferro. Persino fare il colonnello nelle Guardie del Nord sarebbe stato un piacere, se paragonato all'avere a che fare con gli intrighi di Lanachrona e delle Guardie del Sud. E se il suo comportamento nei confronti di Alyniat avesse compromesso la sua nomina a colonnello... be', tanto meglio. Stava ancora ribollendo di rabbia quando si fermò vicino a Feran e scese di sella, per poi appendere sotto il muso del cavallo il sacchetto con la biada, che questi gli aveva sollecitamente preparato. «Sembri in collera», osservò il capitano maggiore. «Che è successo?» «Il maresciallo ha detto che, anche se eliminiamo altre cinque compagnie di mattiti e distruggiamo il secondo lancia-proiettili, non verremo considerati degli eroi. Voleva anche sapere come mai non siamo riusciti a impadronirci del primo, anziché metterlo solo fuori uso. "Ci sarebbe stato così utile, colonnello".» L'ironia con cui Alucius riferì le parole del maresciallo aveva un tono tagliente. «E tu vuoi ancora continuare in quest'impresa?»
«Se non distruggiamo quell'arma, potremmo trovarci in un guaio ben più grosso, un guaio che, probabilmente nel giro di qualche settimana o di qualche mese, potrebbe costringerci a lottare per la nostra sopravvivenza all'interno delle Valli del Ferro.» Alucius prese la sua borraccia. Era vuota. «Per tutte le eredità dei Duarchi! Devo riempire le mie borracce e mettere qualcosa sotto i denti. Tra quanto potremmo essere pronti a ripartire?» «Non appena avrai riempito le tue borracce e il cavallo avrà bevuto», rispose Feran. «Waris è andato a curiosare un po' in giro e ha sentito dire che i matriti sono a meno di cinque vingti a sud di qui e che stanno avanzando compatti dietro al lancia-proiettili.» «È quanto ha detto anche il maresciallo.» «Signore!» Alucius si voltò e vide un soldato che si avvicinava con un barilotto. Si trattava di Skant. «Ho trovato questo. Prima c'era della birra, l'ho riempito d'acqua io stesso.» «Grazie, Skant. Ti sono molto grato.» Alucius si rivolse a Roncar. «Hai già riempito le tue borracce?» «Sì, signore, ma grazie comunque.» Mentre Skant reggeva il barilotto, Alucius riempì le sue tre borracce e le rimise nei loro contenitori. Dopo un quarto di clessidra, le tre compagnie si stavano dirigendo verso sud lungo la strada di raccordo. Nel frattempo, Alucius aveva tirato fuori le mappe e le aveva studiate di nuovo. A differenza dei trarli settentrionale, occidentale e sudoccidentale, quella particolare sezione di anello a est e a sud era molto più pianeggiante e si elevava per meno di dieci iarde al di sopra delle aride pianure ondulate che si estendevano a oriente. Persino le terre all'interno dell'anello erano quasi altrettanto piatte. Il che offriva uno straordinario vantaggio a chiunque avesse il controllo sulla strada. A prescindere da come Alucius considerasse il problema, soltanto uno dei piani che aveva elaborato sembrava fattibile. Si girò verso Feran. «Abbiamo ancora le vanghe?» «Una decina, nel carro delle munizioni.» «Basteranno.» «Le trincee di terra non terranno a lungo contro il lancia-proiettili. Questo lo sai.» «Lo so. Ma terranno per quel poco di tempo che ci serve.» Alucius andò avanti a illustrare il suo piano. «Voglio che un gruppo di soldati continui a
fare fuoco sui mattiti, di modo che questi non prestino attenzione verso il lato della strada che in apparenza sembrerà sguarnito.» «Pensi di esporti di nuovo in prima persona?» Alucius si strinse nelle spalle. «Non vedo alternative. E tu?» «Uno di questi giorni qualcuno ti sparerà.» «Lo hanno già fatto, se ben ricordi. Parecchie volte.» «Porresti non farcela, la prossima volta.» Alucius rise. «Qualunque altro piano mi avrebbe esposto a rischi ancora maggiori.» Avevano percorso poco meno di un vingt, quando videro una decina di soldati avanzare lentamente nella loro direzione, in fila per uno. Tutti avevano le divise macchiate di sangue e sembravano feriti. «Waris, fatti dire quanto dista il fronte della battaglia.» «Sì, signore.» Il ricognitore si diresse verso il gruppo dei soldati in ritirata e tornò di lì a poco a riferire, mentre questi proseguivano, passando oltre sul fianco ovest della carreggiata. «I matriti si trovano a poco più di tre vingti da qui», disse Waris. «Un vingt e mezzo più avanti, nelle vicinanze del prossimo posto di guardia, c'è un contingente di Guardie del Sud formato da circa quattro compagnie.» Alucius controllò sulla mappa. «Potrebbe andar bene.» Si domandò chi fosse al comando di quel contingente. Un vingt più avanti, lo scoprì. Il colonnello dai capelli neri che avanzò verso Alucius aveva un viso familiare: si trattava di Hubar. Alucius trattenne un sorriso rassegnato. Non avrebbe dovuto essere così duro con il colonnello. Adesso, probabilmente, gliel'avrebbe fatta pagare. Almeno non si trattava di Sarthat. Nel qual caso, la situazione sarebbe stata davvero problematica. «Colonnello Hubar.» Questi guardò Alucius, notando le insegne di maggiore-colonnello sul colletto della casacca. «Allora, siete convinto di riuscire a risolvere la questione, colonnello?» Il disprezzo nella voce dell'altro era a malapena velato. «Non lo saprò finché non avrò provato, che ne dite?» Alucius tacque un attimo, prima di aggiungere: «Abbiamo distrutto l'altro lancia-proiettili all'incirca all'alba di questa mattina, dopodiché ci siamo diretti subito qui». Hubar esaminò Alucius e la sua uniforme. «Suppongo che ciò giustifichi tutto questo sangue.» «Abbiamo anche eliminato cinque compagnie di mattiti, più o meno.»
Hubar fissò Alucius. «Cosa volete da noi? Preferirei non dovermi esporre nel condurre una carica frontale, signore.» «Nemmeno io. Rischieremmo solo di lasciarci la pelle.» Alucius indicò i piccoli casotti di pietra che fiancheggiavano la strada. «Scaveremo alcune trincee, qui, a dieci iarde da ciascun lato della carreggiata. Dei fossati profondi a sufficienza da proteggere i soldati dalle pallottole nemiche.» «Ma questo non...» «Lo so. Quando il lancia-proiettili si troverà a poche centinaia di iarde, non servirà a fermare i suoi colpi. Ma i miei soldati saranno schierati in posizione di fuoco molto più lontano.» Alucius si girò sulla sella e indicò una piccola altura a ovest, più arretrata di un quarto di vingt rispetto al punto dove si trovavano loro. «Vorrei che i vostri uomini si piazzassero su quella collinetta, in modo da poter essere visti ad almeno due vingti di distanza.» Hubar inarcò le sopracciglia. «Non voglio che attacchino. Voglio solo che i mattiti li vedano e che tengano la loro attenzione puntata da quella parte. E voglio che sparino contro i nemici finché i miei uomini non cominceranno a fare fuoco a loro volta. A quel punto, le vostre truppe potranno portarsi al coperto del fianco della collinetta, da dove potranno facilmente tornare sulla strada di raccordo, qualora si rendesse necessario. Se però riusciremo a mettere fuori uso il lancia-proiettili, dovranno invece tenersi pronte a unirsi alle nostre compagnie per portare a termine l'attacco contro i matriti rimasti. Visto che questi saranno sicuramente in preda alla confusione, più soldati abbiamo, meno superstiti nemici lasceremo.» «Meno superstiti?» La bocca di Hubar rimase leggermente aperta. «Non è intenzione del Signore-Protettore, né del maresciallo Alyniat né mia, dover combattere di nuovo questa guerra in un prossimo futuro. È difficile fare le guerre quando mancano i soldati.» «Sì, signore. Questo solo se voi e i vostri uomini riuscirete a distruggere o a mettere fuori uso il lancia-proiettili.» «Esatto. Potrete tenere d'occhio il capitano maggiore Feran, che darà il segnale di attacco.» «E voi?» «Faccio parte della squadra che si occuperà del lancia-proiettili. Occorre un pastore per riuscirci e si dà il caso che io sia l'unico nei dintorni.» Hubar annuì adagio. «Ci mettiamo subito in formazione.» «Grazie.»
Hubar rispose con un brusco cenno del capo e si diresse verso i suoi uomini. Poco dopo, cominciarono a dirigersi verso la piccola altura sul fianco occidentale della strada. Alucius si girò verso Jultyr e Deotyr. «Vedete cosa sta facendo il colonnello Hubar?» «Sì, signore.» «C'è una collina simile a quella a est, ma è un poco più avanti di dove ci troviamo adesso. Dovrete piazzare le vostre compagnie lassù, disposte scaglionate. Non appena i matriti si troveranno a portata di tiro, voglio che cominciate a fare fuoco. A quella distanza, so che non riuscirete a colpirne molti, ma dovrete ugualmente continuare finché non li vedrete dirigere la bocca del lancia-proiettili su di voi. A quel punto, ripiegate per circa mezzo vingt e mettetevi al riparo. Se tutto va come in precedenza, a quel punto, dovrebbe succedere qualcosa al lancia-proiettili, ed è allora che vi unirete alla Quinta Compagnia per attaccare i matriti rimasti. È tutto chiaro?» «Signore, quando parlavate di sterminarli, dicevate sul serio?» «Avrei dovuto essere più preciso. Lasciate perdere quelli a terra, disarmati e inermi. Concentratevi invece su quelli che combattono e uccideteli senza pietà. Non sarà necessario eliminare tutti indiscriminatamente.» «Sì, signore.» Deotyr parve sollevato. «Mi sono espresso in tal modo con Hubar perché, senza un ordine del genere, non sarebbe stato in grado di capire la gravità del momento. Coraggio, adesso portatevi su quell'altura e disponetevi in formazione.» «Sì, signore.» Jultyr e Deotyr, dopo aver risposto quasi all'unisono, girarono i cavalli e tornarono verso i loro uomini. «Ora», continuò Alucius, «mi servono due vanghe. Dhaget, prendile e vieni con me; Fewal e Roncar fino a quel punto laggiù un poco più a sud, sulla strada». Poi si rivolse a Feran. «Capitano maggiore, puoi far scavare delle trincee qui? Pensi che un paio possano bastare? Fai in modo che non siano allineate, per evitare che i soldati dietro colpiscano quelli che hanno davanti.» «D'accordo, signore.» «Non appena le compagnie di Guardie del Sud si ritireranno, comincerete a sparare, piano all'inizio. Voglio che i matriti si concentrino sul fuoco dei vostri fucili. Ma state attenti a ripiegare prima che il lancia-proiettili vi abbia sotto tiro.» «Sì, signore», replicò Feran. «Quanto tempo passerà dopo...» «Non lo so. Non conosco la portata di quell'arma. Dovrebbe essere meno
di un vingt, ma quanto si dovrà avvicinare, questo non lo so.» Alucius lanciò uno sguardo a sud, oltre le garitte del posto di guardia. «Sarà meglio che cerchiamo quello che ci serve.» Spronò il cavallo e avanzò un altro mezzo vingt verso sud, per poi fermarsi. Dal ciglio interno della strada studiò con il Talento il terreno fino a individuare - a circa venti iarde a ovest della carreggiata - un punto in cui questo si abbassava di tre o quattro iarde rispetto al livello stradale a formare un leggero avvallamento. Smontò, tese le redini a Fewal e si avviò giù per il pendio. Alla fine, annuì. Poco dopo Dhaget lo raggiunse con le vanghe. «Qui ci sono un po' di sassi, ma se scavate un poco più indietro dovrebbe andar bene. Mi occorre una fossa larga circa una iarda e mezzo e lunga due.» «Quanto dovrà essere profonda, signore?» chiese Roncar che, nel frattempo, era sceso da cavallo e si stava avvicinando ad Alucius con un'altra vanga in mano. «Almeno una iarda.» Mentre i ricognitori scavavano, Alucius scrutò la strada a sud dove, in lontananza, riuscì a distinguere uomini a cavallo che avanzavano e una macchia scura in cima a un carro: probabilmente il lancia-proiettili. Di tanto in tanto udiva qualche sparo, senza però riuscire a capirne la provenienza. Ci volle quasi mezza clessidra prima che la buca fosse pronta. Poi Alucius estrasse il primo fucile dalla custodia assicurata alla sella e si rivolse ai tre. «Facciamo come la volta precedente. Non appena il lancia-proiettili è fuori uso e il campo è un po' sgombro, vedete se riuscite a riportarmi il cavallo.» «Sì, signore.» «Adesso, dovete tornare indietro prima che i matriti si avvicinino troppo.» Alucius si accovacciò nella fossa e ascoltò il rumore degli zoccoli che si allontanavano. Per un quarto di clessidra rimase là fermo a osservare il cielo, ma la sua velata superficie verde-argento sembrava omogenea e le nuvole foriere di tempesta avvistate quella mattina a sud non si erano spinte oltre la costa. Poi si servì del Talento per esplorare il terreno tutt'intorno. Come aveva già avuto modo di scoprire in precedenza, a circa tre o quattro iarde di profondità c'era uno strato «morto», segno che il misterioso evento che aveva distrutto ogni cosa in quella zona doveva essere accaduto prima della co-
struzione della strada di raccordo, probabilmente centinaia se non migliaia di anni addietro. Dopodiché proiettò di nuovo il Talento verso l'esterno e sentì che le sue compagnie di Guardie del Sud, così come quelle del colonnello Hubar, erano già in posizione e che i matriti si trovavano a poco più di un vingt più a sud. Di lì a un attimo, i fucili della Ventottesima e della Trentacinquesima Compagnia cominciarono a sparare una serie compatta di raffiche. I matriti non risposero al fuoco, ma Alucius non percepì alcuna energia nel lancia-proiettili. Aggrottò la fronte. Chissà se se ne stavano servendo per finta? O se volevano semplicemente evitare di usarlo con troppa frequenza? I colpi di fucile delle due compagnie di Guardie del Sud continuavano e Alucius avvertiva di tanto in tanto la morte o il ferimento di qualche soldato nemico. Gli spari adesso provenivano anche dall'altura sulla quale erano piazzati Hubar e i suoi uomini, ma il lancia-proiettili rimase silenzioso. Le pesanti pallottole della Quinta Compagnia presero a sibilare sopra la testa di Alucius, mentre le truppe di Hubar si apprestavano a ritirarsi. Craaacc... L'energia cominciò a crescere rapidamente all'interno del lancia-proiettili. Alucius deglutì, augurandosi che Jultyr e Deotyr facessero in tempo a ripiegare prima che l'arma entrasse in funzione e i matriti la puntassero nella loro direzione. Sentì i soldati delle due compagnie di Guardie del Sud che stavano arretrando e il lancia-proiettili che dirigeva i suoi micidiali colpi verso di essi. Trasse un sospiro di sollievo nel percepire che la portata del tiro era troppo corta, o quasi troppo corta, e avvertì il vuoto della morte di un paio di soldati. Le Guardie del Sud di Hubar continuarono a retrocedere. A quel punto, Alucius si costrinse a dimenticare tutto il resto per concentrarsi sul congegno. Estese la sua Talento-sonda fino a evitare l'invisibile scudo protettivo di luce rossastra che rivestiva l'intera superficie del lancia-proiettili, all'infuori dell'estremità anteriore della canna, dove si formavano le minuscole punte di lancia, prima di essere scagliate a tutta velocità verso il bersaglio. Poi diresse la sonda verso i nodi, simili a tanti piccoli diamanti che ruotavano attorno a quel punto. Rammentandosi della promessa fatta ad Al-
yniat, cercò di spezzare uno dei filamenti che sapeva trovarsi all'interno dei nodi, ma questi rimasero compatti. Allora cercò di individuare l'energia che faceva girare i nodi, ma non scoprì alcun filo, o almeno nessuno che non fosse protetto dallo scudo rossastro. Tentò anche di torcere uno dei nodi, ma la Talento-sonda non riuscì a muoverlo. Tentò di aprirlo e disfarlo con l'aiuto dell' oscura energia vitale talentosa, ma il nodo continuò a girare, mentre di tanto in tanto una nube di proiettili di cristallo schizzava da qualche parte. In quel momento Alucius sentì che il lancia-proiettili si trovava a meno di cinquecento iarde e che cominciava a dirigere i colpi verso la Quinta Compagnia. A una distanza così ravvicinata, non sarebbe passato molto tempo prima che uno degli ufficiali talentosi nemici si accorgesse della sua presenza, e Alucius non poteva certo presumere che non ce ne fosse almeno uno a scortare quell'arma micidiale. Facendo un profondo respiro, tornò alla tattica già collaudata quella mattina e utilizzò la propria energia per accelerare il movimento rotatorio dei nodi scintillanti. Come in precedenza, dopo appena un paio di giri, cominciarono a sporgere dai nodi alcuni minuscoli filamenti. Alucius vi si aggrappò e tirò. Un primo nodo cominciò a disfarsi, per poi svanire in uno spruzzo abbagliante di filamenti. Un secondo nodo prese il suo posto, mentre anche dagli altri iniziarono a sporgere fili sottilissimi. Alucius li afferrò tutti insieme e diede uno strattone con quanta più forza talentosa possibile. Il duro e inattaccabile cristallo del formulatore di tiro collassò e un'energia rossastra cominciò a crescergli intorno, seguita da un'ondata ancora più travolgente di potenza, che si riversò nel lancia-proiettili. Alucius si appiattì sul fondo della buca e creò su di sé uno scudo verde di protezione. Il terreno circostante, lo scudo e il suo stesso corpo vennero squassati con violenza. Un'improvvisa fiammata gli passò sopra ruggendo, trasportando con sé frammenti di metallo e di cristallo che schizzarono da ogni parte nell'aria del tardo pomeriggio. Altra morte e distruzione seguirono. Per un po' Alucius giacque sul fondo del fosso, il corpo - o lo scudo - coperto di polvere e sabbia. Rimase là immobile finché non fu certo che la pioggia di detriti fosse cessata. Poi cominciò ad alzarsi adagio, proiettando tutt'intorno i Talento-sensi. Circa mezzo vingt a sud del luogo in cui era scoppiato il lancia-proiettili, c'erano ancora quasi due compagnie di matriti. Alucius percepì anche che oltre mezza compagnia delle Guardie del Sud di Hubar era stata abbattuta. Vista la gran quantità di terra che gli era caduta addosso, fu quasi co-
stretto a scavarsi un passaggio per uscire dalla fossa e dovette fare un paio di tentativi a vuoto prima di riuscire a emergere e scavalcare il bordo. Guardando a nord, vide che la Quinta Compagnia, già in formazione d'attacco, si stava dirigendo verso di lui. Si alzò in piedi e, mentre reggeva il fucile e osservava Dhaget che gli stava portando il cavallo, cercò di non pensare all'osservazione di Frynkel circa il condurre le battaglie dalla prima fila. «Ecco il colonnello!» Per quanto Alucius balzasse rapido in sella, il resto della compagnia era già un bel po' avanti quando anche lui finalmente si ritrovò sulla strada. Da est stavano sopraggiungendo la Ventottesima e la Trentacinquesima Compagnia, quest'ultima in testa di un centinaio di iarde. A sud, da ciò che fu in grado di vedere e di sentire, le forze matriti sembravano ancora più disorganizzate di quelle incontrate a ovest la mattina, ma erano anche più numerose. I soldati di Hubar stavano ancora girando disordinatamente in tondo, come se fossero rimasti privi di ufficiali in grado di impartire loro degli ordini. «Idioti!» borbottò tra sé. «Se ne stanno là a fare da bersaglio.» Mentre riponeva il fucile nella custodia e sguainava la sciabola, Alucius incitò il cavallo ad avanzare, portandosi dietro la quinta squadra della Quinta Compagnia. Sentiva che avrebbe dovuto condurre la carica in testa alle sue truppe, e non dal fondo. Avvertì l'impatto dello scontro, nel momento in cui le Guardie del Nord andarono a cozzare contro le forze nemiche, ancora praticamente immobili. Fece scartare il cavallo a sinistra e si trovò faccia a faccia con due mattiti. Alla semplice vista dei due assalitori, venne travolto da un'ondata di furia sanguinaria e accelerò. Scansò il primo fendente e contrattaccò con tale violenza che la sua sciabola sbalzò di mano l'arma dell'avversario e si andò a conficcare in profondità nel suo corpo. Alucius lo finì con un rapido affondo e si girò sulla sella giusto in tempo per parare la sciabolata di una robusta soldatessa che lo aveva attaccato mentre era ancora impegnato con il primo matrite. Quasi con sdegno e con una forza che non sapeva di possedere, deviò il colpo e le trapassò il collo con la punta della sua lama. Si portò più avanti nella mischia, abbattendo un altro matrite con un singolo affondo alla schiena proprio prima che questi uccidesse a sua volta una Guardia del Nord che gli voltava le spalle. Durante un relativo momento di calma, Alucius diresse lo sguardo a sudest e vide un'intera compagnia matrite caricare su per la collina verso la
retroguardia della Trentacinquesima Compagnia, occupata in un combattimento corpo a corpo contro i superstiti di un altro contingente nemico. Poi guardò a nord, dove due o tre squadre della Ventottesima Compagnia si stavano riposizionando in formazione, cosa che egli tacitamente approvò. Quindi scese in parte il leggero pendio che si trovava sul fianco della strada e gridò: «Ventottesima Compagnia! Raggrupparsi su di me!». «Raggrupparsi sul colonnello!» ripeté Deotyr. «Avanti!» Alucius spronò nuovamente il cavallo ad avanzare, mentre i soldati della Ventottesima Compagnia lo seguivano. Solo, in testa alle sue truppe e in procinto di attaccare, si sentì invadere da una rabbia violenta e la sua sciabola diventò uno scintillante vortice dispensatore di morte, tanto che i suoi avversari arretrarono di fronte a quella furia cieca. Dietro di lui e su entrambi i fianchi, la Ventottesima Compagnia si abbatté con forza sui matriti che, convinti di sorprendere gli uomini della Trentacinquesima, erano stati a loro volta colti di sorpresa, se non altro grazie alla velocità e alla foga di Alucius e di quelli che gli erano al seguito. In quel momento, risuonarono le note di un corno. Alucius si guardò intorno e si accorse di essere rimasto quasi solo a fronteggiare una squadra matrite, che aveva fatto la sua comparsa alla distanza di cinque iarde a est e si era fermata puntandogli contro i fucili. Ancora prima di udire il crepitio degli spari, egli aveva incitato il cavallo ad avanzare, brandendo con un moto istintivo la sciabola alta sopra la testa come per bloccare non si sa bene cosa, consapevole che quel gesto sarebbe stato inutile, mentre veniva colpito da un enorme martello invisibile che lo sbalzava di sella. Mentre veniva travolto dall'oscurità e lottava per non cadere, pensò che Frynkel aveva avuto ragione. Condurre una battaglia alla testa dei propri uomini prima o poi lo avrebbe ucciso. 90 Nord di Punta del Ferro, Valli del Ferro I tre erano seduti in soggiorno. Wendra sulla sedia a dondolo, la schiena appoggiata un po' indietro contro lo schienale e i piedi su uno sgabello. Lucenda occupava l'angolo del divano più vicino a Wendra. Sulle ginocchia teneva un libro, chiuso, con un segnalibro di cuoio tra le pagine.
Wendra fissava con sguardo assente la parete alla destra del camino. «Riesci a capire come sta?» chiese Lucenda. Wendra scosse il capo. «Avrei dovuto andare anch'io a sud. Avrei proprio dovuto.» «Partorirai tra poche settimane. Cosa avresti potuto fare?» disse Lucenda. «Certo, sei in grado di cavalcare. Nessuno può negarlo, ma partorire un figlio durante il viaggio non sarebbe sensato.» «Che cos'è sensato, di questi giorni?» Le labbra di Wendra si storsero in un cinico sorriso. «Alucius stava facendo del suo meglio. E adesso...» «Se è ancora vivo a distanza di tre giorni e il cristallo non ha perso il suo colore, vuol dire che guarirà», la rassicurò Lucenda. «Ho paura che resti... Alucius non sarebbe tipo da starsene seduto immobile.» «Non se ne resterà seduto immobile», interloquì Royalt, fermo sulla soglia del passaggio a volta che portava verso la cucina. «I pastori non ne sono capaci. Hulius aveva perso entrambe le gambe. Eppure, ha continuato a pascolare le sue pecore fino all'età di novant'anni. Fudault...» «Padre, sappiamo che siete tutti quanti indistruttibili, ma Wendra non deve pensare a queste cose. E poi Alucius guarirà. Ecco.» Lucenda si mise a sedere eretta. «Domani Kustyl ci porterà le capre, septi al più tardi», annunciò Royalt. «Non ci servono le capre», ribatté Lucenda. «Può darsi che sì, può darsi che no. Kustyl ha insistito. Si tratta di un regalo.» «Ma...» Lucenda gettò un'occhiata a Wendra. «La sua Mairee aveva avuto problemi con l'allattamento», disse Royalt. «Lui crede che Wendra non ne avrà, ma Mairee insiste. Dice che non si può mai sapere. Al limite, potremo usare il loro latte quando ci capiterà un altro agnellino senza mamma o una pecora con due piccoli.» «La nonna è sempre stata così», commentò Wendra. «Ecco perché la sua cantina è rifornita di ogni genere di provviste. Il nonno dice che preferisce comperare il superfluo piuttosto che stare a discutere con la nonna.» «È un uomo saggio», osservò Lucenda. Wendra si irrigidì. «Alucius?» chiese Lucenda. «Solo una piccola contrazione... la bambina si è mossa», la tranquillizzò Wendra. «Mi sembra che tutto proceda bene.» «Pensi ancora di chiamarla Alendra?»
«È il nome che Alucius e io avevamo scelto, e mi piace ancora», rispose Wendra, risistemandosi meglio sulla sedia. «Mi sento come una pecora gravida di due gemelli.» «La tua pancia non è poi così grossa. Quando aspettavo Alucius, la mia era così», disse Lucenda, ponendo una mano un terzo di iarda davanti al suo addome ancora snello nonostante l'età. «Lo so, ma mi sento enorme. Soprattutto quando scalcia.» «Sarà senza dubbio una bambina sana», commentò Royalt. «E sarà anche robusta», disse Wendra, «come Alucius». «Robusta o no, sarà comunque bella», aggiunse Lucenda. Lo sguardo di Wendra cadde sul cristallo nero dell' anello da pastore. «È ancora forte.» «Alucius è destinato a grandi cose», dichiarò Lucenda. «Tornerà, forte e vigoroso. È un figlio delle arianti.» «Ma ha già sofferto così tanto», disse piano Wendra. «Succede a tutti i grandi», commentò Royalt a bassa voce. Lucenda lanciò un'occhiataccia al padre, ma Wendra si limitò a sorridere tristemente, lo sguardo assorto che fissava un punto lontano, oltre la parete. 91 Una nebbia rosa-rossastra avviluppava Alucius. A tratti era di un rosso più intenso e più dolorosa, in altri momenti era soffusa e mescolata a una rinfrescante sfumatura verde-dorata. Poi la nebbia si fece soltanto rosa ed egli si sentì come se fosse stato esposto su una graticola al sole dell'estate, anziché essere arrostito su un fuoco da campo come in precedenza. Ogni volta che cominciava a sentirsi anche solo un po' più fresco, quel rosso accompagnato dal calore e dal dolore tornava ed egli era persino incapace di alzare un braccio a proteggersi da quei raggi invisibili e cocenti. Sentiva dell'acqua o del liquido scorrergli giù per la gola, ma anche quello gli procurava sofferenza e l'acqua non lo rinfrescava per niente. Col tempo, la nebbia si dissolse abbastanza da fargli distinguere una figura china su di lui. «Colonnello... Mi sentite?» «Sì...» disse Alucius, con voce debole e gracchiante. «Bene. Siete stato ferito gravemente, ma guarirete. Ci vorrà un po' di tempo. Cercate solo di riposare.»
Riposare? Quando i momenti in cui si sentiva il corpo pervaso dalle fiamme si alternavano a quelli in cui se lo sentiva semplicemente scottare? Persino quell'unico pensiero bastò a farlo ripiombare nella nebbia rossastra, quella nebbia che era giunto a odiare così tanto. Quando si svegliò di nuovo, fu in grado di vedere meglio le cose che lo circondavano. Si trovava in un letto abbastanza grande all'interno di una piccola stanza munita di finestra. Una pesante stecca era fissata al suo avambraccio destro. Al di là dei vetri il tempo sembrava grigio e piovoso, ma le pareti bianche della camera aiutavano ad allontanare quell'atmosfera cupa. Di lì a poco, una donna dai capelli grigi e dalla corporatura pesante, con indosso un abito grigio pallido, si avvicinò al letto. Per un attimo, tenne lo sguardo abbassato su di lui. Poi sorrise, quasi con tristezza. «Guarirete. Ci vorrà tempo.» Alucius non riuscì a distinguere il suo accento, né il modo di parlare. Era una via di mezzo tra il matrite e il lanachroniano. «Da quanto sono...?» «Siete qui da più di una settimana. Non pensavano che ce l'avreste fatta. Avete due costole rotte, due incrinate, un braccio fratturato e il vostro torace era ustionato così gravemente che era un'unica massa sanguinolenta dal collo alla vita. Così come la coscia destra. Nemmeno la seta nerina ha potuto fare molto.» «Mi state rincuorando», disse Alucius con voce stridente. «La maggior parte delle ferite si è già rimarginata. Non ho detto a nessuno quanto erano gravi le vostre condizioni.» «Grazie.» «Siete un figlio degli antichi abitanti. Erano anni che non ne vedevamo.» Gli porse una tazza. «Bevete. Vi aiuterà a guarire.» Alucius bevve fin quasi a finire il contenuto della tazza. «Siete di Porta del Sud?» chiese. «Vengo da Dramur, ma sono qui da molti anni. Ero la guaritrice del seltiro Benjir. Lui sapeva che non volevo tornare a Dramur, così, quando sono arrivati i lanachroniani, mi ha lasciata libera. Dovete riposare adesso. Avete parecchi vingti ancora da percorrere.» Dopo avergli regalato un altro triste sorriso, la donna si allontanò. Alucius sentì la nebbia rossastra serpeggiargli di nuovo addosso, ma questa volta non era così calda. I giorni seguenti li trascorse passando perlopiù dal sonno a brevissimi istanti di veglia.
Un pomeriggio si svegliò e scorse una figura con indosso l'uniforme delle Guardie del Nord seduta su uno sgabello accanto al letto. «Cosa... chi...» La voce gli uscì come se le sue corde vocali fossero piene di sabbia, sensazione che aveva avuto a ogni risveglio in quegli ultimi giorni. «Waris, signore. Siete stato ferito gravemente, a quanto dicono, ma pare che vi stiate rimettendo bene. I guaritori non riescono a spiegarsi la vostra straordinaria ripresa, ma non ha importanza.» «I matriti...?» «Li avete annientati, signore, voi e il capitano maggiore avete distrutto l'intero loro centro. Il capitano Deotyr non vi aveva mai visto combattere. Ha detto che voi da solo avete abbattuto un'intera squadra, quella che aveva assalito la Trentacinquesima Compagnia. Anche le altre compagnie di Guardie del Sud hanno recuperato abbastanza dopo il vostro intervento. Ne abbiamo uccisi la metà. Forse anche più. Il capitano Deotyr ha capito che vi avevano teso un'imboscata e si è battuto come un forsennato. Tutti i soldati della Ventottesima Compagnia hanno lottato: sono stati davvero bravi questa volta. Dopo averli visti a Krost, non avrei mai pensato che ne fossero capaci, invece non sono stati niente male. «Si dice che i matriti abbiano ripiegato su Hafin. Il colonnello Faurad ha anche riconquistato Dimor. Tutta la regione meridionale di Madrien è tornata sotto il controllo del Signore-Protettore. I matriti non sono molto efficaci senza i loro lancia-proiettili.» «Quello era... lo scopo.» «Il capitano maggiore Feran si è occupato di tutto. Ha persino fatto arrivare un carro con le munizioni per i nostri fucili, ieri. Eravamo un po' preoccupati. Non ne erano rimaste molte dopo quella grossa battaglia sulla strada di raccordo.» «Che si dice del vostro ritorno a casa?» «Non preoccupatevi, signore. Il capitano maggiore dice che non torneremo finché voi non sarete in grado di farlo. Tra l'altro, ci sono anche altri feriti che devono ancora rimettersi in forze. Parecchi, per la verità. Circa una ventina.» Alucius non se la sentiva quasi di chiedere notizie delle perdite subite. «In quanti non ce l'hanno fatta?» Waris distolse lo sguardo, poi tornò a guardare Alucius. «Tra tutte e due le battaglie abbiamo perso una trentina di uomini. La Trentacinquesima Compagnia trentacinque e la Ventottesima una quarantina.»
Alucius rabbrividì e si sentì attraversare il corpo da un'ondata di dolore. «Troppi...» «No, signore. Quasi tutte le altre compagnie di Guardie del Sud hanno perso cinquanta, sessanta soldati su cento. I matriti ottanta. Suppongo che noi siamo stati fortunati.» Waris si alzò. «La guaritrice mi ha detto di non restare troppo a lungo, signore, ma volevo che sapeste che ciascuno di noi si è detto contento che ci foste voi al comando e che tutti si augurano di vedervi presto ristabilito.» «Grazie.» «Abbiate cura di voi, signore.» Dopo che Waris se ne fu andato, Alucius spostò lo sguardo verso la finestra e la luce incerta che si intravedeva all'esterno. Chissà se a Porta del Sud in inverno qualche volta c'era il sole? Quindi, in definitiva, la Quinta Compagnia aveva avuto circa un quaranta per cento di perdite, ed era la percentuale più bassa. Che stava succedendo? Come avevano potuto il Signore-Protettore e la Reggente farsi trascinare a compiere un simile massacro? E per quale motivo? Il grigiore della giornata si mescolò a quello febbricitante del sonno prima ancora che Alucius potesse trovare una risposta. 92 Hieron, Madrien La Reggente era in piedi accanto al tavolo delle riunioni. A causa della pioggia che si vedeva cadere attraverso l'ampia finestra e della nebbiolina che essa generava, era visibile solo la parte più meridionale del parco all'interno della residenza della Matride. Gli occhi violetti della Reggente si fissarono sulla donna-ufficiale che aveva appena fatto il suo ingresso nella stanza. «Ho letto il vostro rapporto, maresciallo Benyal. Non sono per niente contenta. Abbiamo perso entrambi i lancia-proiettili?» «Non abbiamo più neppure i pezzi, Reggente», disse la donnamaresciallo in tono uniforme e pacato. Il suo sguardo incontrò quello della Reggente. «Come è potuto accadere? Come hanno fatto a esplodere entrambi nel corso della stessa campagna? Della stessa battaglia?» «Non lo sappiamo. Se ben ricordate, anche il primo era esploso dopo un po' che lo usavamo. Può darsi che quell'arma non sia fatta per resistere a
lungo.» «Mi riesce difficile crederlo. Un'arma i cui componenti sono durati oltre due millenni che esplode dopo poche settimane di utilizzo?» «Esiste un'altra possibilità. Sappiamo che alla battaglia prendeva parte anche una compagnia di Guardie del Nord. È la prima volta che le Guardie del Nord vengono mandate così a sud. Siamo quasi certi di avere ucciso il loro comandante.» «Che cosa ha a che fare tutto ciò con la distruzione del lancia-proiettili?» Dalla voce della Reggente traspariva una punta di scherno. «Solo questo. Il primo lancia-proiettili aveva smesso di funzionare ed era parzialmente esploso nella battaglia di Chiusa dell'Anima contro le Guardie del Nord, che allora erano ancora chiamate Milizia delle Valli del Ferro. Può darsi che tra i loro ufficiali ci sia un lamaro. Ed è per tale motivo che abbiamo cercato di eliminare quell'ufficiale a Porta del Sud. Anche se i lancia-proiettili erano ormai distrutti, non potevamo correre il rischio di lasciare in vita un lamaro.» «I lamari, c'è sempre un lamaro.» La Reggente fissò uno sguardo duro sulla donna-maresciallo. «E i pezzi? Che ne è stato dei pezzi?» «Tutti e due i lancia-proiettili si sono praticamente disintegrati. La loro esplosione ha ucciso quasi dieci compagnie e creato il vuoto tutt'intorno. I rapporti che abbiamo ricevuto dicevano che erano pochissimi i frammenti più grossi del palmo di una mano.» «Tra quanto saremo in grado di ricostruirne un altro?» «Non siamo in grado. Almeno non adesso. Gli schemi per l'assemblaggio del formulatore erano andati persi durante la rivolta.» «Una parte... ci mancano gli schemi di una parte e voi non potete fare niente. Non avreste potuto cercare di creare altri schemi?» «Avevamo due lancia-proiettili funzionanti. Se avessimo cercato di togliere quella parte per studiarla, avremmo corso il rischio di danneggiare il congegno nel rimetterla a posto, magari senza neppure riuscire a capire come fosse fatta.» «Vi procurerò io quegli schemi, maresciallo. E voi troverete un ingegnere capace di ricostruire una di quelle armi. E farete in modo che questa volta si disponga di tutto il necessario per ricostruirne altre in futuro. È tutto chiaro?» «Sì, Reggente. Perfettamente chiaro.» «Bene. Sono stanca di spiegare in continuazione ciò che dovrebbe essere ovvio.» Dopo una pausa, la Reggente la congedò con un cenno. «Potete
andare.» Benyal fece un inchino e si girò, il volto impassibile sotto i capelli grigi color dell'acciaio. 93 Alucius si risistemò meglio sulla sedia imbottita. Lo sguardo si posò sulla grossa stecca che gli immobilizzava il braccio destro. Non era ancora riuscito a capire come avesse potuto fratturarselo. Si ricordava di avere impugnato la spada con il braccio sinistro e di essere stato sbalzato di sella. Magari era successo durante la caduta? La guaritrice gli aveva detto che invece era stato a causa dei proiettili che l'avevano colpito e che erano stati fermati dagli indumenti di seta nerina. Ricordava di avere visto tutti i fucili puntati su di lui. Ma perché? Com'era possibile che i matriti sapessero che lui era là? O forse si limitavano a sparare a tutti i comandanti indiscriminatamente? Era per questo motivo che non erano più rimasti bravi comandanti nelle Guardie del Sud? Quel genere di strategia spiegava di certo molte cose. Cercò di ignorare le fitte che avvertiva in tutto il corpo. Se stava disteso, il torace non gli faceva molto male, ma quando tossiva non riusciva a respirare bene. Se si metteva a sedere su una sedia o sul letto, la situazione peggiorava. Qualunque posizione il suo corpo assumesse, sentiva dolore da qualche parte. Alla fine, aveva deciso che avrebbe sopportato le fitte al torace e che sarebbe rimasto seduto il più a lungo possibile. Cercava anche di alzarsi e camminare per la stanza almeno una volta ogni clessidra, ma stava ben attento ad appoggiarsi sempre con la mano per non rischiare di cadere. Quando cominciò a stare meglio, Alucius scoprì di essere stato alloggiato - insieme agli altri ufficiali feriti - in una villa che anni prima era appartenuta a un ricco amministratore di proprietà. Era uno dei pochi a poter disporre di una camera tutta sua e pensò che si trattasse di uno dei privilegi riservati agli ufficiali del suo rango. Stava leggendo - o tentando di farlo - la storia di Porta del Sud, anche se gli capitava di dover tornare più volte sulle stesse frasi per afferrarne il senso. Il che poteva essere dovuto al fatto che il libro era scritto in dramuriano, lingua che aveva alcuni punti in comune, ma non troppi, con quella di Madrien. Fuori splendeva il sole. Era il primo giorno di bel tempo da quando era uscito dal torpore continuo causatogli dalle ferite. Dalla fine-
stra socchiusa entrava una fresca brezza che portava via l'odore acre che penetrava nella camera di Alucius dalle altre stanze. Cercò di concentrarsi sulle parole che aveva dinanzi. ... ai tempi del seltiro Alijir, le mura del porto furono rafforzate e fortificate. Le colline intorno alla città, fino alla distanza di quindici vingti dalla piazza, furono livellate a un'altezza di trenta iarde sulle terre che si estendevano a ovest della strada principale della costa e di dieci iarde a est... «Hai un aspetto migliore», osservò Feran entrando nella piccola stanza dalle pareti bianche. «Migliore di quando?» «Sono venuto a trovarti parecchie volte, ma non eri nelle condizioni di ricordare.» «Immagino che sia stato durante le prime due settimane. Ancora una settimana e poi dicono che sarò in grado di spostarmi negli alloggi degli ufficiali anziani.» Feran prese posto sullo sgabello di fronte ad Alucius. «Vogliono semplicemente liberarsi di te.» «Come va con la Quinta Compagnia?» «Faccio esercitare gli uomini ogni giorno. E abbiamo coinvolto anche la Ventottesima e la Trentacinquesima Compagnia. Nessuno si era preso la briga di pensarci e sarebbe stato un peccato che dimenticassero tutto quello che avevano imparato.» «Vedo che condividi la mia alta opinione riguardo a certe pratiche in uso presso le Guardie del Sud», disse Alucius in tono allegro, cercando di ignorare le fitte al torace. «Sei stato fin troppo gentile, colonnello», rispose Feran con un grugnito. «Che succede?» «Niente. Questo è il problema. A questo punto, dovrebbero o cercare di concludere un qualche accordo di pace con la Reggente oppure conquistare Hafin e Salser. In tal modo, taglierebbero ai matriti la strada per i rifornimenti e renderebbero loro la vita difficile.» «E Lanachrona si impadronirebbe anche delle regioni più produttive di Madrien.» Alucius aggrottò la fronte. «Ma non mi sento di biasimare il Signore-Protettore. I matriti non implorerebbero mai la pace, né sarebbero disposti ad accettarla alle condizioni dettate da altri. Dubito che al Signore-
Protettore siano rimasti soldati sufficienti a condurre un altro assalto. Waris mi ha detto che le percentuali delle perdite subite dalle Guardie del Sud si aggirano intorno al cinquanta per cento.» «Proporzione ancora più alta per alcune compagnie. Al confronto, a noi è andata bene», disse Feran. Com'era possibile che le sue compagnie avessero la più bassa percentuale di perdite, pur superando il trenta per cento? «Nessuno può combattere a lungo con perdite così elevate.» «Pare che sia così già da un paio d'anni. Nessuna battaglia particolarmente importante, solo piccoli scontri, e tutti con quel genere di perdite.» «Questo dovrebbe influire ancora più seriamente sui matriti.» «Per quale motivo?» chiese Feran. «Perché nel loro esercito ci sono parecchie donne-soldato. Se queste muoiono, il tasso di natalità scende. Il che significa anche che potrebbero avere più problemi con gli uomini e che dovrebbero continuare a controllarli attraverso i collari.» «Mi sembra che siamo in una situazione di stallo», ipotizzò Feran. «Da una parte i lanachroniani, che devono spingersi più lontano e creare una più lunga catena di rifornimenti, oltre al fatto di ritrovarsi a combattere su un suolo meno familiare, ma che possono contare su di un esercito che sa combattere meglio. Dall'altra i matriti, che dovranno difendere un territorio più compatto e che sono meglio organizzati, ma che dispongono di soldati che non sono molto abili nel combattimento. Senza contare che i lanachroniani perderanno te quando tornerai a casa, e questo non sarà loro di aiuto.» «Perderanno anche te.» «Tutto ciò che ho imparato, l'ho imparato da te.» «Non è vero. E poi commetto ancora parecchi errori, come ad esempio finire in un'imboscata.» «È stata una stupidaggine», commentò Feran in tono affabile. «Proprio una stupidaggine», convenne Alucius. «No, da parte dei matriti. Dopo averti sparato, si sono trovati esposti al fuoco dei nostri come tanti bersagli di gesso. Credo che nessuno si sia salvato. Sono stati accerchiati e uccisi. La Ventottesima Compagnia li ha massacrati. E tu sei sopravvissuto.» «Non ne sono stato del tutto certo per un po'.» «Nessuno lo era, ma ho pensato che se fossi riuscito a superare i primi giorni non ti avremmo perduto.» «Ti sono grato per la fiducia.»
«Mi sono permesso di fare una cosa.» Feran abbassò lo sguardo. «Che cosa?» Alucius non aveva la minima idea di ciò che Feran intendesse dire. «Ho pensato che, poiché tu sei un pastore e tutto il resto, la tua Wendra avrebbe potuto sentire che eri rimasto ferito. Allora le ho mandato una lettera. Le ho detto che eri gravemente ferito, ma che sembrava proprio che ti saresti ripreso completamente. Le ho anche detto che eri stato nominato temporaneamente colonnello. Spero solo che la lettera le arrivi.» Alucius sorrise. «Grazie. Te ne sono molto grato. Non so dirti quanto.» «Sapevo che saresti stato in ansia. Tutte le volte che ne parlavi...» Feran pareva intimidito. «Tutte quelle lettere che le scrivevi... ho pensato che dovesse sapere.» «Non so come ringraziarti...» Alucius venne interrotto da un involontario sbadiglio. «È il segnale che devo andare.» Feran sorrise e si alzò. «Grazie per essere venuto.» «Abbiamo fatto i turni.» «Turni?» «Mentre eri privo di conoscenza, la prima settimana, uno di noi era sempre presente.» Alucius deglutì. «Sappiamo tutti che la maggior parte di noi ce l'ha fatta grazie a te. Tutti ne sono consapevoli.» Alucius rimase senza parole. «Cerca di riposare un po', colonnello.» Feran gli fece un largo sorriso e uscì dalla stanza. 94 Prosp, Lustrea Waleryn osservò l'immagine riflessa sulla lucida superficie della Tavola, la propria immagine, quella di un nobile lanachroniano con indosso l'abito da Ingegnere pretoriano. Le labbra gli si incurvarono in un sorriso sbilenco. Si rialzò e rimase in attesa. La stanza era stata ripulita di recente dalla polvere e dalle macerie, ma le pareti e i pilastri erano ancora spogli. All'infuori della Tavola, gli unici oggetti d'arredamento erano un banco da lavoro addossato alla parete, un alto sgabello e parecchie casse di legno.
«Ingegnere? Il Pretore sarà qui tra poco.» «Lo riceverò con piacere», replicò Waleryn, alzando lo sguardo dalla Tavola. Due soldati delle Guardie pretoriale entrarono nella stanza. Il più alto dei due passò attorno alla Tavola e aprì i cassetti del banco da lavoro, richiudendoli dopo avervi guardato dentro. L'altro sollevò i coperchi delle casse, a uno a uno, rimettendoli poi a posto. Una volta completato il giro d'ispezione, si piazzarono ai lati della porta. Waleryn rimase in piedi accanto alla Tavola. Trascorse un quarto di clessidra, poi un altro quarto, prima che un rumore di passi che calzavano stivali annunciasse l'arrivo del Pretore, preceduto dalle sue guardie. Altri due soldati entrarono nella stanza, seguiti da Tyren, che indossava un mantello grigio dai profili d'argento sopra la scintillante runica argentata di Pretore e pantaloni dello stesso tessuto. «Voglio credere che questo valga il lungo giro che ho dovuto compiere, Ingegnere.» Il tono di Tyren era asciutto. «Fateci vedere.» «Se vi avvicinate alla Tavola, onorevole Pretore», lo invitò Waleryn, «posso mostrarvi ciò che sta accadendo in questo preciso momento in ogni parte di Corus». «Forse... no, un uomo saggio non deve indagare troppo a fondo nella sua vita personale.» Tyren fece una risata. «È una tale tentazione, ma è meglio che resista. Mostratemi piuttosto qualcosa del cosiddetto Consiglio dei Cinque di Dereka. Se è possibile.» «È possibile.» Waleryn fissò la superficie della Tavola e il riflesso argenteo dei due uomini sparì per essere sostituito da una vorticosa nebbia color rubino. Quasi subito la nebbia svanì e lasciò il posto all'immagine di una sala delle udienze. Su una pedana situata a una delle estremità della sala vi era un tavolo semicircolare al quale avevano preso posto cinque uomini, su sedie dorate dall'alto schienale, di fronte a due ufficiali dalle elaborate uniformi cremisi e oro. La scena riprendeva gli ufficiali di spalle e i membri del Consiglio di faccia. Da tutti i volti emanava un'aria di scontento. «Non sono per niente soddisfatti.» La voce di Tyren suonò compiaciuta. «E non devono esserlo, adesso che le nostre legioni si stanno schierando a Passera, pronte a dare inizio alla campagna, non appena la neve sulle montagne della Dorsale di Corus consentirà di attraversarle.» Un velo di sudore si formò sulla fronte di Waleryn, mentre invisibili braccia violacee emergevano dalla Tavola e si avvolgevano adagio intorno
a Tyren. «Che cosa...» Tyren tacque di botto. «Il... Consiglio... sta minacciando qualche sanzione. È chiaro», dichiarò Waleryn. «Può darsi che non credano ai rapporti delle vostre legioni.» Lanciò un'occhiata alla figura immobile del giovane Pretore dai capelli biondi, le cui mani erano aggrappate ai bordi della Tavola. «Può darsi che... cerchino qualcuno da incolpare per la propria stupidità.» Il sudore sulla fronte di Waleryn si fece più evidente. Il Pretore rimase in silenzio, sebbene i lineamenti del volto si contorcessero e passassero rapidamente attraverso varie espressioni, mentre gli occhi sembravano quasi uscirgli dalle orbite. «Li... stanno lasciando andar via... Sì... come desiderate, Pretore», disse Waleryn. «Un'immagine del Signore-Protettore... Tra un attimo, dato che ci vuole un po' di tempo prima che una scena venga sostituita da un'altra.» All'improvviso, il volto del Pretore si distese e sulle sue labbra comparve un grande sorriso. «Sì... vediamo, Ingegnere. Dovrete tenere d'occhio da vicino il Signore-Protettore. Dopo Dereka, Tempre sarà la nostra prossima conquista.» La calorosa risata che seguì lasciò trasparire una punta di gelo. «E... dovrete venire con me fino a Vysta, per poi procedere verso Norda. Riceverete tutto il materiale necessario per costruire là un'altra Tavola.» «Sì, Pretore.» Waleryn chinò il capo, nascondendo un sorriso di trionfo. 95 Alucius era seduto di fronte alla finestra che si affacciava su un cortile dal selciato lucido di pioggia. Fuori, il cielo plumbeo rispecchiava il suo umore. Abbassò lo sguardo sul libro di storia che teneva sulle ginocchia. «Colonnello...» Alucius alzò gli occhi e vide Alyniat fermo sulla soglia. «Maresciallo, non mi aspettavo una vostra visita.» «Dopo quanto vi ho detto l'ultima volta che ci siamo visti, immagino di no.» Un sorriso sbilenco attraversò le labbra di Alyniat. «O dopo quello che vi ho detto io», aggiunse Alucius. «Le vostre parole erano giustificate. Le mie no. Devo ammettere di avere avuto torto, colonnello», disse Alyniat, con una traccia di sorriso ancora agli angoli della bocca. «Il che è difficile da ammettere per un maresciallo.» «Signore?»
«Il racconto delle vostre imprese è passato di bocca in bocca attraverso tutte le Guardie del Sud. Avete distrutto i lancia-proiettili esponendovi in prima persona, avete eliminato da solo cinque compagnie nemiche, ed è stata necessaria una scarica a bruciapelo di un'intera squadra di matriti per abbattervi.» Quella parte di resoconto, si disse Alucius, era l'unica che contenesse davvero un briciolo di verità. «Avete salvato due compagnie caricando da solo un esercito.» Alyniat si strinse nelle spalle. «Sono anche venuto a chiedervi scusa.» «Signore, voi avete fatto del vostro meglio, date le circostanze.» «Voi avete fatto di più, colonnello.» Alucius scoppiò a ridere. «Non sono stato così bravo. Ho quasi rischiato di venire ucciso in un'imboscata, della quale avrei dovuto accorgermi.» «Ma così facendo, avete permesso a cinque compagnie dei nostri di sbaragliarne almeno dieci nemiche e di ricondurre Porta del Sud sotto il controllo del Signore-Protettore. Dopo che avete distrutto il secondo lanciaproiettili, tutto è cambiato. Ho ricevuto un rapporto alquanto dettagliato dal capitano Vyarinst. Ha dovuto farsi raccontare l'accaduto da due intere squadre, poiché non riusciva a credere alle sue orecchie.» Alucius cercò di trattenere un sussulto. «Tutti hanno riferito la stessa cosa», continuò inesorabile Alyniat. «Il lancia-proiettili di cristallo è esploso e voi vi siete rialzato e siete montato a cavallo. Avete raggiunto la compagnia che vi aveva superato e ne avete chiamata a raccolta un'altra affinché vi seguisse nella carica. Da solo, avete sbaragliato un'intera squadra matrite, incassando colpi che avrebbero abbattuto chiunque.» «Le squadre matriti sono composte solo da otto soldati, signore.» «Non sono del tutto sicuro che questo cambi le cose, colonnello», replicò Alyniat, facendogli un largo sorriso. «Poi vi siete scagliato contro una squadra chiaramente mandata ad assassinarvi e avete ucciso due dei suoi componenti con una sciabolata, appena prima di venire colpito da una ventina circa di pallottole. Almeno, questo è il numero di bossoli che hanno trovato schiacciati nel tessuto di seta nerina dei vostri indumenti.» «Ho fatto solo il mio dovere.» «Volete dirmi come siete riuscito a distruggere quell'arma infernale?» «Diciamo solo che mi ero posizionato in modo da poterle lanciare contro delle cariche esplosive. Ecco perché avevo fatto scavare una specie di trincea.»
Alyniat scoppiò a ridere, poi scosse il capo. «È davvero un bene che in precedenza abbiate chiesto una scorta di esplosivo.» «Già.» «Colonnello, il vostro resoconto mi sembra perfettamente logico, mentre dubito fortemente che ciò che è realmente accaduto lo possa sembrare altrettanto, o possa rendere tutti più contenti. Il maresciallo Frynkel, il Signore-Protettore e io siamo grati a voi e ai vostri uomini per aver compiuto l'impossibile... ancora una volta. Non appena vi sarete ristabilito e sarete in grado di cavalcare, potrete tornare a Tempre per incontrare il SignoreProtettore, e tornare poi nelle vostre Valli del Ferro.» «Che ne sarà della Ventottesima e della Trentacinquesima Compagnia?» «La domanda vi fa onore, per quanto non sia che l'ennesima dimostrazione delle vostre doti.» Il sorriso di Alyniat si fece di nuovo sbilenco. «Non posso mandare anche loro nelle Valli del Ferro. Vi accompagneranno fino a Tempre. Entrambe le compagnie riceveranno un encomio per essersi distinte in battaglia e otterranno un mese di licenza premio più un altro mezzo mese di paga straordinaria. Più di questo non possiamo fare.» Alucius se ne rendeva conto. «Grazie. Hanno combattuto egregiamente e hanno imparato molto da questa esperienza.» «Così come i loro ufficiali.» Alyniat fece una pausa. «Il capitano Deotyr ha detto che, se ci foste voi al comando delle Guardie del Nord, il SignoreProtettore non dovrebbe preoccuparsi per la sicurezza dei confini settentrionali.» «Temo che mi abbia sopravvalutato», obiettò Alucius. «Il capitano è giovane. Ci sono molti altri validi ufficiali nelle Guardie del Nord e del Sud.» «Validi, sì. Ma non eccezionali.» Alucius non aveva intenzione di continuare su quell'argomento. «Solo per una questione di giustizia», aggiunse Alyniat, «la vostra paga è stata adeguata a quella di colonnello con valore retroattivo, e cioè a partire dalla data in cui il maresciallo Frynkel vi ha consegnato l'ordine di partire in missione per Porta del Sud. Date le circostanze, ci è sembrato il minimo che potessimo fare». «Grazie, signore.» «Grazie a voi, colonnello. Senza il vostro aiuto e quello dei vostri uomini, a quest'ora saremmo tutti in fuga verso Tempre. Sono più che lieto di ricompensare chi è stato in grado di sventare la minaccia della Reggente.» Alucius decise di non dire nulla riguardo al ripristino dei collari.
«Ci vedremo tra non molto, e prima del vostro ritorno a Tempre.» «Sì, signore.» Con un sorriso amichevole, il maresciallo lo lasciò. Alucius aveva percepito sincerità nella maggior parte di ciò che Alyniat aveva detto, ma aveva anche capito che il maresciallo si sarebbe sentito più sollevato dopo la sua partenza. Sarebbe sempre stato così? Sarebbe sempre stato attorniato da persone che volevano fargli compiere l'impossibile per poi essere contente di vederlo andare via? Alucius rivolse gli occhi verso la finestra. Gli avrebbero davvero permesso di tornare nelle Valli del Ferro? Senza che gli venisse fatta qualche altra imposizione camuffata da «richiesta»? Il Signore-Protettore avrebbe onorato la sua promessa di nominarlo comandante in capo delle Guardie del Nord? E lui lo desiderava veramente? Abbassò lo sguardo sul libro di storia che aveva sulle ginocchia, per poi portarlo di nuovo sul malinconico cielo invernale al di là dei vetri. Non aveva risposte, o almeno nessuna che gli fosse chiara. 96 Salaan, Lanachrona I due uomini si stavano dirigendo verso l'edificio situato sulle basse alture a sudest di Salaan, un edificio di recente costruzione mezzo scavato all'interno di una collina, solo una delle tante di una lunga serie di colline che si estendeva per vingti sia a nordest che a sudovest. «Nonostante tutti i vostri sforzi, il maggiore è sopravvissuto, tranne che adesso è diventato colonnello», osservò Trezun. «Mi avete detto che se l'è cavata per un pelo e che passeranno settimane, se non un'intera stagione, prima che possa lasciare Porta del Sud», replicò Tarolt, il suo compagno dai capelli bianchi e dalla carnagione pallida. «Con il Talento che possiede, gli occorrerà solo qualche settimana, e non una stagione, per tornare ancora più forte di prima.» «Di che vi preoccupate? Mi sembra che le ferite riportate dimostrino che è solo una creatura mortale. Deve ancora fronteggiare un vero frano.» Tarolt rise. «La devastazione e le perdite che ha causato non potevano capitare meglio. Hyalt non è più che l'ombra di se stessa. La Reggente sta dissanguando Madrien e il Signore-Protettore non si sta comportando molto diversamente nelle proprie terre. La gente è sempre più povera e insoddisfatta e non ha il coraggio di dare voce alla propria rabbia. Nessuno di
questi sovrani comprende ciò che sta accadendo. Ed è proprio quello che volevamo.» «Il maggiore, il colonnello Alucius, avrebbe già dovuto rimetterci la pelle almeno cinque volte. Nelle ultime due occasioni non c'erano neppure gli antichi abitanti a salvarlo.» «Mio caro Archivista, il colonnello ci è molto più utile da vivo, adesso. Dopo la morte di migliaia di persone, sta alimentando le speranze della gente. Cosa faranno dopo la sua partenza? Verranno privati di quella speranza.» «Nutro qualche dubbio in proposito.» Trezun fece il suo ingresso nell'atrio dell'edificio che ospitava la Tavola. «Hyalt si sta pian piano riorganizzando e, a meno che non vogliate mandarci Sensat per cercare un altro Talento-principiante di cui servirci, non vedo come trarne profitto.» «Oh... sì, invece. Tutta Lanachrona e una buona parte di Madrien sono già stanche di questa guerra e di quest'interminabile ecatombe. Alla fin fine, chi è rimasto a Hyalt che sia in grado di opporsi al nuovo Duarcato? Tutti desiderano solo tornare a occuparsi del proprio orticello in pace, e noi glielo consentiremo.» Tarolt seguì Trezun nella sala dov'era stato collocato il tavolo delle riunioni. «E Waleryn? È riuscito a scoprire gli scettri?» Il tono di Tarolt lasciava trasparire una punta di ironia. «Si è mosso con estrema rapidità. Dopo essere arrivato a Prosp e aver fatto ripulire dalle macerie il palazzo che ospitava la Tavola, è riuscito a riattivarla e a inserire la sua energia nella rete.» Trezun sorrise. «Ha appena mandato un messaggio. Ci siamo impossessati efficacemente del Pretore e adesso questi sta rifornendo Waleryn di tutto il materiale necessario, per poi inviarlo a Norda a ricostruire la Tavola.» «Ci vorrà un bel po'. Norda dista da Prosp tre settimane di viaggio, col tempo buono.» «Avevate detto che ci servivano più Tavole.» «Lasylt ha insistito tanto a questo proposito», ammise Tarolt. «E i Duarchisti di Dulka?» «Le cose procedono bene anche lì. In mancanza di un'altra Tavola in grado di fornire energia alla rete, saremo costretti a mandarci qualcuno attraverso le strade principali.» «Quando la Tavola di Norda sarà in funzione...» «Potrebbe servircene un'altra, però.» «L'avremo. Tutto sta andando secondo i piani e il colonnello non si muoverà nelle prossime settimane. E anche se dovesse ristabilirsi in fretta,
dovrebbe comunque affrontare un viaggio lunghissimo per tornare nelle Valli del Ferro.» «E poi? Che succederà se i timori di Weslyn si avverano e il maggiore verrà trasferito al quartier generale delle Guardie del Nord?» «Il maggiore... il colonnello Alucius non vuole continuare a servire nelle Guardie del Nord. È stata la paura di perdere la propria fattoria a causa della Reggente a spingerlo ad accettare la richiesta del Signore-Protettore e non il desiderio di diventare un maggiore o un colonnello. Indipendentemente da quello che accadrà, noi non perderemo. Se Alucius torna a fare il pastore, la situazione nel sud continuerà a peggiorare e il conflitto tra il Signore-Protettore e la Reggente andrà avanti tra alti e bassi con perdite ancora più gravi e scontento persino maggiore, e Alucius non potrà farci niente. Se diventa il vice di Weslyn, le Guardie del Nord si divideranno in due fazioni, il che causerà ancora più disordini a Dekhron e influirà negativamente sull'efficacia delle truppe che combattono nelle regioni settentrionali di Madrien. Se poi il nostro colonnello pastore dovesse prendere il posto di Weslyn, Halanat gli metterà contro i mercanti, provocando così il malcontento generale, che sfocerà in una rivolta.» Tarolt si strinse nelle spalle. «Il malcontento crescerà, e con esso il bisogno di pace e prosperità assicurato da un nuovo avvento del Duarcato.» «Guidato dal nostro Pretore-ombra?» «Sarebbe preferibile, ma la Reggente potrebbe risultare utile, se qualcosa non andasse per il verso giusto con Tyren. È sempre meglio tenere il piede in due staffe e servirsi di ciò che, al momento, è più a portata di mano. Se il maggiore finisce nel posto giusto, potremmo persino pensare di traslarlo e creare un Duarcato qui.» «Temo che questo sia improbabile.» «Improbabile? Sì, certo, ma sono successe cose ben più strane.» Tarolt sorrise. «Ben più strane.» 97 Un'altra settimana era trascorsa e Alucius era stato trasferito in una seconda villa, situata lungo la stessa strada della prima. La villa si trovava alla periferia di Porta del Sud, su una bassa collina. Dallo scrittoio posto dinanzi a una stretta finestra di una stanza al secondo piano sul retro, Alucius poteva vedere un grande cortile recintato da mura e una fontana ormai priva di acqua, oltre a vigneti e frutteti nel terreno subito adiacente. Gli
alberi di limone e di lime sembravano rigogliosi e avevano frutti sui rami. Le viti erano spoglie e senza grappoli, ma del resto si era appena all'inizio dell'inverno, anche se a Porta del Sud era improbabile che si verificassero grandi gelate. Da ciò che Alucius era in grado di vedere, i muri della villa e della cinta erano ricoperti di stucco e dipinti di un bianco-azzurrognolo che in alcuni punti era talmente sbiadito da essere diventato bianco-grigiastro. Mucchi di polvere grigia si erano ammassati negli angoli a nord del cortile. Nell'ennesimo pomeriggio nuvoloso, il giorno di tridi, Alucius era seduto davanti al piccolo scrittoio del suo modesto alloggio a godersi una breve pausa, lasciando vagare lo sguardo attraverso il cortile e poi verso il cielo, alle pesanti nuvole grigie, che erano troppo alte per minacciare pioggia. Dopo un po', fece un profondo respiro e riabbassò gli occhi sulle carte sparse sul piano di legno davanti a sé. Stava scrivendo un rapporto per il maresciallo Frynkel e il Signore-Protettore. Il maresciallo doveva sicuramente avere già ricevuto alcune relazioni, ma ad Alucius sembrava di avere capito che ci fossero ancora dettagli necessari al Signore-Protettore, che probabilmente non erano stati comunicati. Tuttavia, per quanto i rapporti fossero utili, il doverli scrivere non rappresentava certo un piacere per lui, soprattutto adesso che aveva il braccio destro ancora steccato. Usare la mano sinistra gli risultava più difficile, sebbene di solito si servisse indifferentemente di tutte e due le mani per svolgere le varie incombenze. Rilesse i passaggi importanti e i paragrafi conclusivi che chiudevano il suo resoconto su ciò che era accaduto dopo la partenza da Hyalt. ... i matriti evitano di attaccare postazioni fisse e lo fanno solo quando possono usufruire di armi adatte allo scopo o di altri vantaggi evidenti. Questa loro tendenza è stata apparentemente ignorata da molti ufficiali delle Guardie del Sud... «Lettere? O rapporti?» disse una voce proveniente dalla porta. Alucius si voltò. Feran era in piedi sulla soglia, con indosso un giaccone sopra l'uniforme. «Rapporti. Ho mandato ieri una lettera a Wendra.» «Almeno hai dato un giusto ordine alle priorità. Pensi di essere in grado di cavalcare?» «Per un po', sicuramente. E poi sarà bello uscire da qui.» «L'avevo immaginato. E ho pensato che sarebbe stato più facile se mi fossi già presentato con un cavallo.»
Alucius ordinò i fogli del suo rapporto non finito in una pila e ci appoggiò sopra il libro di storia di Porta del Sud, durante la lettura del quale si era posto molte domande. Quindi si alzò dirigendosi verso gli attaccapanni fissati alla parete imbiancata a calce dov'erano appesi i suoi pochi capi di vestiario. Prese il giaccone imbottito di seta nerina e se lo abbottonò con cura sopra la fascia che reggeva il braccio steccato, lasciando che la manica destra pendesse vuota verso il basso. «Sarò contento quando potrò togliere la stecca.» «La guaritrice ti ha detto quando?» «Non prima della prossima settimana. Mi ha anche detto che dovrò portare per un po' un bracciale di sostegno.» Feran scoppiò a ridere. «Certo che, per essere stato praticamente in punto di morte, hai un aspetto discreto.» «Le costole mi fanno ancora male.» Alucius si incamminò verso la porta. Poi seguì Feran giù per gli ampi scalini piastrellati della scala padronale che portava all'ingresso e uscì con lui nel cortile. Sebbene non piovesse, il pomeriggio era freddo e l'aria aveva un forte sentore di umidità e di vegetazione ammuffita. Il cavallo che Feran aveva condotto con sé per Alucius era un baio. Questi lanciò uno sguardo al capitano maggiore. «Il tuo vecchio cavallo», disse piano Feran, «ha beccato la tua stessa scarica di pallottole. Forse anche di più, e i cavalli non portano indumenti di seta nerina». Per un attimo, Alucius restò immobile, senza parlare. Poi montò in sella, agilmente, per quanto si aiutasse con una mano sola: un'altra abilità che lo contraddistingueva e per cui doveva ringraziare il nonno. Mentre si sistemava sulla sella, non poté impedirsi di pensare che era il terzo cavallo che perdeva in battaglia, in un modo o nell'altro. Tese una mano e carezzò il grosso baio. «Dove andiamo?» «Pensavo che ti sarebbe piaciuto fare un giro di Porta del Sud, visto che ci hai quasi rimesso la pelle per difenderla.» «Fammi da guida. Sicuramente la conoscerai meglio di me.» I cancelli della villa erano di legno segnato dalle intemperie, senza rinforzi in ferro, ed erano aperti. Nemmeno una delle due Guardie del Sud poste là di sentinella sollevò lo sguardo al passaggio dei due ufficiali. Feran svoltò a destra, dirigendosi a sud lungo una strada lastricata da pietre squadrate di colore rossiccio. Alucius seguiva, lanciando occhiate intorno a sé. Da quel che riusciva a
vedere, tutte le abitazioni erano simili alla villa in cui era alloggiato. Tutte quante erano circondate da muri imbiancati, così che la strada stessa pareva fiancheggiata da un'unica recinzione alta quasi tre iarde, prima della quale era stato costruito uno spazio rialzato riservato ai pedoni. Ma l'esigua larghezza di questi marciapiedi - appena una iarda - e della strada - che non raggiungeva le cinque iarde - associata all'altezza dei muri laterali, faceva sentire Alucius quasi in gabbia, sebbene la stesse percorrendo in groppa al cavallo. Le strade traverse, disposte a intervalli di un centinaio di iarde l'una dall'altra, erano altrettanto strette. «Sono tutte così le strade?» «La maggior parte, tranne quelle del centro e quelle della periferia, vicino alle mura della città.» «Quanto dista da qui la strada principale?» «Circa due vingti. Entrambe le strade principali terminano in corrispondenza delle mura. La più vicina è quella di sudovest. Si trova più o meno a due vingti da qui. La villa dove sei alloggiato tu dista meno di un quarto di vingt dalle mura settentrionali.» «Perciò le strade principali non attraversano la città?» «Per quanto ne sappia, no. Ma non ci avevo mai pensato. Mi chiedo perché», rimuginò tra sé Feran. Anche Alucius se lo stava chiedendo. «Le mura si trovano a circa dieci vingti all'interno della strada di raccordo e le strade urbane si fermano tutte in corrispondenza delle mura.» Feran annuì. Mentre si dirigevano a sud, superando edifici di dimensioni più ridotte, Alucius divenne consapevole di una sensazione che aveva già provato prima, tranne che adesso era assai più evidente. Sotto a ogni cosa si percepiva un diffuso senso di morte: la mancanza di vita tipica degli strati profondi del suolo. In quella giornata grigia e nuvolosa, la strada era deserta. Alucius avvertiva la presenza di persone nelle case, ma vide sui marciapiedi solo due passanti - due donne dai capelli bianchi con indosso giacche e pantaloni grigi dal taglio informe - e nemmeno un cavaliere. «Non c'è molta gente qui intorno.» «Non ce n'è mai molta. Forse un po' di più la mattina presto e nel giorno di mercato, il septi. Allora, la città assume un aspetto quasi normale.» La strada passava su un ponte di pietra dalla forma leggermente arcuata che attraversava un torrente quasi in secca e che, al momento, era percorso
solo da un rigagnolo di acqua fangosa. Il letto del torrente, dell'ampiezza di dieci iarde, era ricoperto da lastre di pietra. All'altra estremità del ponte le case erano ancora più piccole, con muri che confinavano direttamente con la strada, privi di finestre e dotati solo di strette porte di legno. I due ufficiali proseguirono per un altro paio di vingti, oltrepassando altre modeste abitazioni, frammiste ad alcuni piccoli negozi. Lì, Alucius vide parecchie persone, ma tutte sembravano evitare di guardare nella loro direzione. «Il centro di Porta del Sud è più avanti, al di là dell'anello interno», annunciò Feran. Anello interno? Alucius decise di non chiedere di cosa si trattasse, almeno finché non l'avesse visto. La strada lungo la quale stavano avanzando giunse in corrispondenza di una traversa, che doveva essere l'anello interno del quale Feran aveva parlato, giacché Alucius osservò che seguiva una traiettoria curva in entrambe le direzioni. Il fondo stradale era di liscio granito grigio e la sua larghezza, diversamente dalle altre strade, raggiungeva le trenta iarde abbondanti. Alucius lanciò un'occhiata in entrambi i sensi, ma non vide nessuno. Sull'altro lato della strada sorgeva un palazzo cinto da mura e ornato da quattro aggraziate torri di pietra collocate su ciascuno dei quattro angoli della costruzione a forma di trapezio. Alucius giudicò che la «base» del muro che gli stava di fronte dovesse essere lunga all'incirca mezzo vingt. Guardò a destra e a sinistra e vide che là intorno si innalzavano numerosi altri «palazzi» simili a quello. Ne contò undici e poi perse il conto. «Quanti ce ne sono?» «Tredici, mi dicono. Sono disposti a formare un cerchio attorno alla piazza centrale.» Feran e Alucius attraversarono. Mentre passavano accanto alle mura di pietra alte quattro iarde, Alucius sentì che all'interno non c'era vita. «Non ci abita più nessuno qui, adesso?» «No. Quando è stato chiaro che il Signore-Protettore avrebbe conquistato la città, i proprietari di questi palazzi li hanno svuotati per bene, hanno caricato tutto sulle navi e hanno fatto rotta verso Dramuria. Non hanno lasciato un solo oggetto prezioso o una statua, niente di niente. Almeno questo è ciò che Sholosyn mi ha detto.» «E hanno abbandonato la loro gente?» Feran annuì. Alucius esaminò le mura, sicuramente antiche, ma non in durapietra. Si
rese anche conto che il terreno attorno a ogni palazzo era di dimensioni enormi, visto che da un muro divisorio all'altro si estendeva uno spazio di quasi un vingt. Ciò significava che ogni costruzione trapezoidale misurava circa mezzo vingt sul lato più lungo, circa due quinti di vingt su quello più corto ed era profonda un vingt. «Si affacciano tutti sulla piazza, vedi?» La piazza centrale di Porta del Sud era... diversa. Quella fu l'unica parola che Alucius riuscì a farsi venire in mente. Tanto per cominciare, al centro era stata collocata una pietra circolare bianchissima, che si innalzava di un terzo di iarda al di sopra del selciato circostante di granito grigio e aveva un diametro più o meno di un centinaio di iarde. Tranne che per il colore, quella pietra era del tutto simile a quella grigia dell'anello, o così almeno parve ai Talento-sensi di Alucius. Sulla sua superficie non c'erano fregi o decorazioni. A dieci iarde dalla pietra circolare c'erano quattro stele, anch'esse di granito bianco, identiche tra loro come colore e dimensioni, ciascuna disposta in corrispondenza di uno dei quattro punti cardinali. Alucius girò il cavallo. Feran aveva ragione. Al centro della facciata di ogni palazzo prospiciente la piazza si trovavano delle porte sormontate da un arco. La maggior parte di esse era aperta o socchiusa. Dopo essersi guardato attorno, sopraffatto dalla vuota magnificenza dei palazzi abbandonati, Alucius diresse di nuovo il cavallo verso il centro della piazza, consapevole del fatto che lui e Feran erano gli unici ad aggirarsi in quella zona. Adagio, proiettò con cautela i Talento-sensi verso il cerchio di pietra bianca. Rabbrividì. La pietra era morta, morta come lo era lo strato di terreno sottostante Porta del Sud. Rivolse poi la sua attenzione alla stele più vicina, notando che su di essa compariva un'iscrizione. «Porta del Sud sembra una città molto antica, almeno a giudicare dall'aspetto di questi edifici», osservò Feran, mentre seguiva Alucius. «Molto antica.» Alucius si avvicinò alla lastra e vide che vi erano scolpite sopra una serie di scene. Si fermò a meno di una iarda e cominciò a esaminarle. Il primo gruppo di figure dal basso mostrava alcuni uomini al lavoro, impegnati nella costruzione di una casa, di una nave, o intenti ad arare un campo, probabilmente fuori dalle mura cittadine. Le tre immagini della seconda fila rappresentavano degli uomini a cavallo, a caccia o in battaglia. Sopra di esse c'era un unico bassorilievo più grande raffigurante tredici uomini seduti attorno a un tavolo, ciascuno con uno scettro in mano. Alucius osservò con maggiore attenzione. Proprio al centro e un po'
arretrata rispetto agli uomini seduti, si scorgeva una figura somigliante all'ifrit che Alucius vedeva spesso nei suoi sogni: aveva gli stessi lineamenti, tranne che la pietra non riproduceva il colore diafano del volto, né gli occhi violetti, né i capelli neri come l'ala di un corvo. Quella figura era in piedi, alle spalle del seltiro che occupava la posizione centrale, l'unico seduto su un sedile molto simile a un trono. L'ifrit non aveva un aspetto minaccioso né brandiva armi, ma si limitava a stare là, semplicemente. Alucius aggrottò la fronte. «Che succede?» chiese Feran. «Stavo solo riflettendo. Questa è una città antica, forse quanto Tempre o Dereka, o comunque come Punta del Ferro o Dekhron.» «Quasi tutte le città di Corus sono molto vecchie.» Feran rise. «Chi ha mai sentito parlare di città nuove?» «Questa però non ha strade in durapietra né torri verdi all'interno delle sue mura.» «E allora?» «Nominami un'altra città che ne sia priva. Persino Punta del Ferro ha la sua torre verde. Dekhron ha le strade in durapietra e il ponte. Tempre e Dereka hanno edifici e torri. Così come Krost. E tutte quante le altre hanno almeno le strade in durapietra che le attraversano.» Feran rimase in silenzio per un po'. «E in questa parte del centro non c'è nessuno», aggiunse Alucius. «Nemmeno un mendicante, né un ladro. Proprio nessuno.» «Tutto questo significa qualcosa, ma cosa? Che tutti odiavano talmente i seltiri da non voler neppure passare di qui? I palazzi dovevano sicuramente essere appartenuti ai seltiri. Può anche darsi che, come ci è stato raccontato, questi abbiano portato via tutto e non sia rimasto niente da rubare.» «Può darsi», convenne Alucius. Stava cominciando a sentirsi un po' stordito. Guardò Feran. «Dovremmo tornare.» «Ti senti bene? Sei un po' pallido. Forse non avremmo dovuto allontanarci così tanto.» «Sono solo pochi vingti. Va tutto bene.» Alucius girò il cavallo. Mentre riprendevano la strada del ritorno, Alucius si rese conto di essere più debole di quanto pensasse e che, probabilmente, si era allontanato più di quanto avesse dovuto. Ma, di certo, non avrebbe recuperato le forze standosene seduto a sonnecchiare. E, se c'era una cosa che odiava, era sentirsi debole. Si rendeva anche conto che Porta del Sud era molto di più - e di meno -
di quanto sembrasse, ma adesso era troppo stanco per cercare di capire quale particolare gli sfuggiva. Doveva dormirci sopra. «Sei stanco?» «Un poco», ammise Alucius. «Non è molto lontano.» Alucius cercò di sorridere. A prescindere da quanto stanco si sentisse, sarebbe tornato alla villa tenendosi ben dritto sulla sella. 98 Il giorno di quattri, nel tenue chiarore che precedeva l'alba, Alucius si svegliò bruscamente, avvertendo un dolore acuto che gli si diffondeva dal para-polso lungo tutto il braccio. Quella sensazione fu così improvvisa che lo lasciò disorientato. Dopo un attimo si svegliò del tutto e cercò di mettersi seduto, ma il dolore era svanito. Si toccò cautamente l'avambraccio, ma non sentì male, e poi non era quello il punto colpito più gravemente durante lo scontro. Stava riflettendo su quanto era successo, quando un'altra contrazione dolorosa si irradiò dal para-polso da pastore, seguita da un lampo di energia vitale del cristallo nero. Wendra... cosa le stava accadendo? Alucius deglutì. Doveva trattarsi proprio di quello: le doglie del parto. La sua bambina stava per nascere, e lui si trovava a mille vingti di distanza. Avrebbe invece dovuto essere là, vicino a lei. E avrebbe anche potuto esserlo, se solo non avesse pensato di non avere altre alternative. O se non fosse stato ferito. Un altro tra i molti rischi rappresentati dal combattere standosene alla testa dei propri uomini? O dal sentirsi indispensabile? Un'altra ondata di dolore gli percorse l'avambraccio, leggermente meno intensa, visto che ora aveva capito di cosa si trattava. Eppure, sebbene meno intensa, era ben lungi dall'essere gradevole, soprattutto se i suoi muscoli ancora pesti si contraevano in un movimento involontario. Se fosse stato vicino a Wendra, avrebbe saputo cosa fare nel caso ci fossero state complicazioni. Il Talento lo avrebbe aiutato. Ma... così lontano, non c'era nulla che potesse fare, se non aspettare e tenere d'occhio il cristallo, oltre a sperare che tutto procedesse bene per lei e Alendra. Scese dal letto e si avvicinò alla finestra, aprì le imposte e scrutò fuori nella semioscurità. Non vide niente, ma non ne aveva bisogno.
Tutto ciò che doveva fare adesso era aspettare e sperare. 99 Il mattino di octdi, mentre sedeva allo scrittoio cercando di scrivere una lettera a Wendra, Alucius era certo che la moglie stesse bene e, di conseguenza, anche la piccola Alendra. Si augurava solo che anche tutto il resto alla fattoria andasse come doveva andare. «Signore?» Un comandante di squadra delle Guardie del Sud aveva appena bussato alla porta ed era fermo sulla soglia. Alucius appoggiò la penna, si girò e si alzò. «Sì?» «Chiedo scusa, colonnello, il maresciallo Alyniat mi ha pregato di chiedervi se ve la sentite di raggiungerlo al quartier generale.» Alucius studiò il messaggero con i Talento-sensi, ma non avvertì in lui né intenzioni disdicevoli né inganno: solo apprensione. «Sarò lieto di vedere il maresciallo. Il mio cavallo si trova qui, nelle stalle, ma avrò bisogno di aiuto per sellarlo», disse, abbassando lo sguardo sul braccio tenuto fermo dalla stecca. «Sì, signore. Vi daremo una mano.» Una volta all'aperto, Alucius vide che una mezza squadra di soldati lo stava aspettando. Due di essi avevano già sellato il baio. «Abbiamo pensato che non avreste avuto niente in contrario, signore», disse il soldato che gli condusse il cavallo. «Non di questi giorni. Grazie.» Nonostante le ferite Alucius fu in grado di montare in sella con estrema agilità. Dopodiché il gruppetto uscì dai cancelli della villa e si dispose in doppia fila, con Alucius che cavalcava di fianco al comandante di squadra. «Avete avvistato altri matriti in quest'ultima settimana?» chiese Alucius dopo un po', mentre attraversavano le porte delle mura cittadine e si immettevano sulla strada principale per Fola - e per l'accampamento delle Guardie del Sud - ammesso che si trovasse ancora là. «No, signore. Non qui intorno, perlomeno. Dicono che abbiano ripiegato su Hafin e Salser. Ovvio, finché non avranno ricostituito le loro forze. Poi torneranno. È sempre stato così, comunque.» Alucius temeva che l'affermazione del comandante di squadra fosse persino troppo veritiera. «Già, sembra proprio che sia così.» Ancora in ansia per Wendra e la piccola Alendra, Alucius parlò poco nel percorrere i dieci kelbi o poco più che li separavano dal forte. La maggior
parte delle compagnie accampate là intorno era sparita. Alcune, come le tre di Alucius, erano alloggiate a Porta del Sud. Altre, immaginò, erano state dislocate a Zalt o in altri avamposti più vicini agli schieramenti nemici. Sul tratto di collina sottostante il forte, poté vedere solo un paio di compagnie. Si fermarono all'interno delle mura, appena fuori dall'ingresso del forte. «Aspetteremo qui, signore.» «Grazie.» Alucius scese da cavallo e superò le sentinelle. «... si fa fatica a crederci... dicono che abbia ucciso personalmente qualcosa come tremila uomini...» Alucius cercò di rimanere impassibile. Quel numero era decisamente troppo alto o troppo basso a seconda del significato che si voleva attribuire al termine «personalmente». Dovette salire le scale più lentamente del solito e, mentre attraversava il lato ovest del salone al primo piano, si sentì puntato addosso lo sguardo di tutti i presenti. Grazie al Talento, fu persino in grado di cogliere qualche frammento di conversazione. «... tre-quattro settimane, ha già ripreso a camminare...» «... Foysyr ha detto di aver visto cadaveri con un aspetto migliore... sangue dappertutto...» «... meno male che è dei nostri...» «... meno male per il maresciallo... altrimenti sarebbe finito anche lui come Wyerl...» Alucius si fermò davanti allo studio di Alyniat. «Un istante solo, signore.» Il soldato si sporse all'interno. «Il colonnello Alucius è qui, signore.» «Fallo entrare.» Nel vedere Alucius fare il suo ingresso, il maresciallo si alzò. «Colonnello. Prego, accomodatevi.» Alyniat non aveva più il viso segnato da occhiaie così profonde come la volta precedente e i capelli biondo-argentati erano più lunghi e scarmigliati. Mentre riprendeva il suo posto dietro a una pila di mappe, si scostò una ciocca dalla fronte. «Colonnello, avete un aspetto migliore.» «Grazie.» Alucius non aveva intenzione di dire che si sentiva ancora dolorante in parecchi punti del corpo, soprattutto in corrispondenza del torace. «Tra quanto sarete in grado di tornare a cavalcare?» «Sono venuto fin qui a cavallo», gli fece notare Alucius. «La guaritrice dice che potrò sostituire la stecca con un bracciale rigido all'inizio della
settimana prossima. Dopodiché sarò certamente in grado di cavalcare senza problemi. Anche se mi ci vorrà ancora un po' prima di poter maneggiare una spada o un fucile.» «Ma questo non vi impedirà di partire per Tempre la settimana prossima, giusto?» «Se non dovrò combattere.» Alucius sorrise educatamente. «State dicendo che potrò finalmente fare ritorno alle Valli del Ferro?» Alyniat si alzò e gli porse una busta sigillata. «È arrivata ieri sera tardi.» Alucius prese la busta, spezzò il doppio sigillo e cominciò a leggere. Colonnello Alucius, il Signore-Protettore è stato estremamente lieto di apprendere la notizia del successo da voi riportato nella distrazione dei lancia-proiettili matriti e si dichiara dispiaciuto per la gravità delle vostre ferite. Tuttavia, i recenti resoconti delle vostre migliorate condizioni di salute lo hanno enormemente rallegrato. Egli desidera ora estendere un invito a voi e alle vostre tre compagnie affinché lo raggiungiate a Tempre al più presto, senza però pregiudicare il vostro completo risanamento. Vi invia i suoi saluti personali e, al pari della Nobile Signora Alerya, spera in una vostra completa e rapida guarigione. Ancora una volta, al vostro arrivo a Tempre, vi saranno conferite delle onorificenze e il Signore-Protettore si augura che vogliate accettare un invito a cena nei suoi appartamenti privati... La lettera portava la firma di Frynkel e il suo sigillo, oltre a quello del Signore-Protettore. Alucius comprese chiaramente il significato implicito dell'ultimo paragrafo a proposito delle onorificenze e delle possibili condizioni che ne sarebbero potute derivare. Guardò il maresciallo. «Ho ricevuto anch'io una lettera in cui mi si informa della richiesta che vi è stata fatta di fare ritorno a Tempre con le vostre tre compagnie e delle onorificenze che vi attendono. È quanto si dice nella vostra?» «Sì, signore. Non appena mi sentirò in grado di intraprendere il viaggio.» Alucius sorrise debolmente. «Direi settimana prossima, quando mi avranno tolto questa pesante stecca dal braccio.» In realtà, non si trattava solo della stecca, ma anche delle costole, che sperava avrebbero cominciato a fargli meno male prima di allora. «Bene.» Alyniat fece una pausa. «Desidero offrirvi di nuovo i miei sen-
titi ringraziamenti, colonnello. Oltre ad aver distrutto i due lancia-proiettili, voi e i vostri uomini avete eliminato più di dieci compagnie matriti. Le vostre imprese hanno modificato l'intero equilibrio delle forze nei territori di sudovest. Per la qual cosa vi sono grato, sia dal punto di vista personale che professionale.» «Grazie, signore. Mi dispiace che non ci sia stato modo di impossessarci di una di quelle armi. Ma erano state costruite per essere distrutte, nel caso il nemico se ne fosse impadronito.» Alucius si schiarì la voce. «No, non è esatto. Avremmo potuto impadronircene, ma solo quando non erano in funzione. Purtroppo, quando erano disattivate, non siamo riusciti ad avvicinarci abbastanza e con un adeguato numero di uomini per poterle requisire.» «Credete che ne costruiranno altre?» «Credo che sia possibile. Ci vorrà almeno un anno, forse anche più, in base a ciò che so.» «Un anno...» rimuginò tra sé Alyniat. «Due a dir tanto.» «Potrete prepararvi...» «Come?» Gli occhi di Alyniat si fissarono su Alucius. «Il lancia-proiettili non è molto efficace contro la pietra. Fate rinforzare le porte dei forti principali così che non rimangano parti di legno. Magari potreste far innalzare un muro di pietra a circa dieci iarde dalle porte, ampio a sufficienza da non consentire un tiro angolato da parte del lanciaproiettili. Inoltre, l'utilizzo di queste armi richiede una grande quantità di sabbia. Il che vuol dire che esse saranno molto più efficaci al nord, durante il periodo caldo. Occorre poi tenere presente che i matriti non sono molto bravi nei combattimenti a piccoli gruppi. Perciò manderei alcune squadre a compiere delle incursioni nei loro territori, per eliminare quante più pattuglie possibile. Tanto più grandi sono le loro perdite adesso, quanto più tempo impiegheranno a costituire le forze necessarie alla protezione di un nuova lancia-proiettili, quando sarà in funzione.» Alucius fece il gesto di stringersi nelle spalle, ma si bloccò, sapendo che gli avrebbe procurato molto dolore. «Che altro?» «Se... se ne costruiscono un altro, ricordate che si tratta di una macchina pesante, non in grado di essere trasportata in modo veloce, se non attraverso le strade principali. Se piazzerete dei controlli lungo le strade principali a sud, potrete restringere il loro raggio d'azione.» Tutti quei suggerimenti sembravano semplici e facili da attuare.
Il maresciallo annuì. «È tutto molto semplice, ma efficace. Proprio come voi.» «Sono troppo giovane e inesperto come comandante per azzardarmi a fare qualcosa di terribilmente complicato.» Alyniat scoppiò a ridere. «Non fatelo, neppure quando avrete acquisito maggiore esperienza. I piani complicati hanno soltanto più possibilità di fallire.» Alucius era già giunto alla stessa conclusione, ma aveva deciso di non dirlo. «Non vi trattengo oltre, colonnello.» Alyniat tacque. «A proposito, sapete che siete il più giovane maggiore-colonnello nella storia delle Guardie del Sud?» «No, non lo sapevo.» Alucius non ne era sorpreso. Era troppo giovane per essere un colonnello, ma visto che il suo supporto era risultato indispensabile al maresciallo Frynkel e al Signore-Protettore, aveva fatto comodo a tutti - Alyniat compreso - che egli fosse indipendente. «Ma a voi va una grossa parte del merito.» «Già.» Un sorriso ironico comparve sulle labbra del maresciallo. «Promuovere voi è stato molto più facile che discutere e ha richiesto meno tempo. Ero certo che non ci avrei rimesso in nessun caso.» «Avrei potuto morire o riuscire nell'impresa. Se fossi morto, il grado non avrebbe avuto alcuna importanza, se invece avessi avuto successo, nessuno avrebbe osato controbattere la vostra decisione, giusto? E, in ogni caso, poiché sono un ufficiale delle Guardie del Nord, voi non avreste dovuto farvi carico di eventuali problemi futuri.» «Questo è uno degli aspetti della vostra personalità che apprezzo di più, colonnello.» Alyniat ridacchiò. «Siete un idealista, ma un idealista molto concreto.» Si diresse verso la porta. «Siete libero di scegliere quando partire, ma vi sarei grato se mi teneste informato.» Alucius si alzò a sua volta. «Ve lo prometto, maresciallo.» Sebbene il torace avesse ricominciato a fargli male, si costrinse a lasciare il forte con passo misurato, senza tradire la sofferenza che provava. Necessitava ancora di molto riposo, anzi parecchio. Mentre risaliva in groppa al baio, sperò di sentirsi più in forma quando sarebbe venuto il momento di partire. 100
La mattina del quinti successivo, due giorni dopo che la guaritrice ebbe sostituito la stecca con un bracciale rigido rimovibile, Alucius, Feran e i superstiti delle tre compagnie lasciarono Porta del Sud alla volta di Tempre. Nessuno li accompagnò e non ci furono fanfare di commiato o cerimonie simili, della qual cosa Alucius fu molto grato. Il para-polso gli diceva che Wendra stava bene. Benché sapesse che non c'era alcun modo di ricevere messaggi da parte di lei, avrebbe comunque desiderato avere notizie. Cinque giorni più tardi giunsero a Zalt, ma il colonnello Jesopyr era stato mandato a nord per occuparsi dei lavori di ricostruzione e fortificazione dell'avamposto di Dimor. Sebbene il capitano Kuttyr si dimostrasse molto cordiale e disponibile, Alucius dovette ammettere che Jesopyr gli mancava. Una settimana più tardi - dieci lunghi giorni - la colonna si trovava a meno di cinque vingti da Tempre, con Alucius che procedeva in testa, affiancato da Jultyr e seguito dalla Trentacinquesima Compagnia. Il giorno prima, Alucius aveva mandato Fewal e Rakalt al quartier generale delle Guardie del Sud con un messaggio che annunciava il loro imminente arrivo. L'ultima cosa che voleva era presentarsi all'improvviso con tre compagnie al seguito, senza che nessuno avesse potuto predisporre lo spazio necessario a ospitarli. Sebbene dubitasse che la cosa avrebbe rappresentato un problema, visto che la maggior parte delle altre compagnie era ancora impegnata nei territori di sudovest. Alucius non sapeva bene se riferirsi a quella zona chiamandola territori di sudovest, o Lanachrona sudoccidentale, o Madrien meridionale o anche vecchia Madrien, poiché aveva visto che tutti e quattro i termini venivano usati nei dispacci. Perciò, nei suoi rapporti al maresciallo Frynkel, aveva optato per un quasi neutro «sudovest». Alucius era stanco e il torace e il braccio avevano cominciato a pulsargli dolorosamente, come succedeva regolarmente a quell'ora della giornata sin da quando aveva intrapreso il viaggio. «Cosa credete che succederà a Tempre, signore?» chiese Jultyr. «Non molto. Il Signore-Protettore trasmetterà il suo particolare encomio a tutti quanti, mi ringrazierà personalmente, vi concederà una licenza e rimanderà me e la Quinta Compagnia nelle Valli del Ferro. Quanto a voi, vi forniranno i rimpiazzi, vi faranno fare un po' di addestramento e tra una stagione sarete di nuovo mandati a sudovest. Due al massimo, se siete fortunati.»
«Come dice il capitano maggiore Feran, siete sempre molto ottimista, signore.» «I sovrani hanno delle esigenze. A loro importa raramente sapere quali siano le nostre. Se sono dei bravi sovrani cercano di venirci incontro, ma qualunque cosa facciano, non lo faranno mai a loro scapito.» «Suppongo di no, signore.» «Non occuperebbero una posizione di dominio se non pensassero prima di tutto alle necessità del Paese.» Alucius si interruppe, dato che aveva scorto in lontananza alcuni cavalieri. Si trattava di quattro soldati delle Guardie del Sud, fermi in attesa sul fianco est della strada principale. I quattro, dopo aver visto gli stendardi, si raddrizzarono sulla sella e andarono incontro ad Alucius e a Jultyr. «Colonnello Alucius?» «Sì?» «Siamo stati mandati a ricevervi dal maresciallo Frynkel. I vostri alloggi sono pronti e il capitano Wasenyr vi metterà al corrente della cerimonia.» «Cerimonia?» chiese Alucius. «Sì, signore. Tutte e tre le compagnie riceveranno l'encomio solenne del Signore-Protettore.» Alucius sentì che Jultyr cercava di nascondere un'aria divertita. «Non succede spesso che qualcuno riceva un encomio solenne, signore. Anche perché viene accompagnato da due settimane di gratifica speciale per ogni soldato.» «Questo mi fa molto piacere», replicò Alucius. «Proseguiamo.» Mentre i quattro soldati si portavano alla testa della colonna, davanti agli alfieri con gli stendardi, Alucius si voltò verso Jultyr e si strinse nelle spalle. «Se la sono cavata a buon mercato», disse Jultyr in tono asciutto. «Gli uomini saranno contenti, però. Ovviamente, la gratifica ce la daranno prima che arrivino i rimpiazzi.» Alucius non poté fare a meno di sorridere all'osservazione del veterano. Il sole era già basso a occidente e i suoi raggi filtravano attraverso una coltre di foschia, offrendo solo un tenue calore, quando i quattro soldati di scorta e le tre compagnie lasciarono la strada principale per imboccare il Viale del Palazzo. Guardando in fondo, attraverso lo spazio delimitato dalle due torri verdi che risalivano ai tempi del Duarcato, Alucius fu in grado di vedere, al di là del fiume Vedra, la parte più meridionale delle Colline dell'Ovest. A diffe-
renza della parte settentrionale, dove la vegetazione era composta da uno scarso numero di pini e ginepri sparsi su un terreno roccioso misto a sabbia, gli alberi a nord di Tempre erano quasi esclusivamente conifere che crescevano in macchie molto più compatte. Mentre si avvicinavano al palazzo, costeggiando i giardini del SignoreProtettore cintati da muretti di pietra, i soldati svoltarono a destra nel viale su cui si affacciavano sia il palazzo sia il complesso del quartier generale delle Guardie del Sud. Alle spalle delle due costruzioni, a nord, si trovava una lunga dorsale che si estendeva fino al fiume a ovest e a perdita d'occhio a est. I due terzi superiori del fianco della dorsale erano del tutto privi di fabbricati. Alucius, che si sentiva sempre più indolenzito, si risistemò sulla sella, mentre si avvicinavano alle mura di granito del quartier generale, un complesso di dimensioni apparentemente modeste, se paragonato all'imponente sagoma delle basse colline contro cui si stagliava. Come in occasione della sua visita precedente, accanto ai pilastri dell'ingresso erano di guardia solo quattro soldati. Questi alzarono brevemente lo sguardo, forse sorpresi nel vedere una così lunga colonna di cavalieri. Alle loro spalle, il fabbricato principale si innalzava sul selciato del cortile con i suoi quattro piani di levigato marmo grigio. Tutti gli spazi calpestabili all'interno delle mura erano lastricati, eccezion fatta per il piccolo giardino davanti al portico squadrato che costituiva l'ingresso principale. I quattro soldati di scorta proseguirono, girando attorno all'ala orientale del fabbricato per immettersi in un cortile sul retro, uno slargo scavato nel fianco della collina, con le scuderie a destra e le baracche e gli alloggi subito dietro, a ridosso di un muro di pietra che si ergeva per quasi quindici iarde. Poi si diressero verso il portico che contrassegnava l'ingresso secondario. Sui gradini in prossimità dei pali per legare i cavalli, stavano in piedi diverse figure con indosso l'uniforme delle Guardie del Sud. Mentre si avvicinavano, Alucius riconobbe il maresciallo Frynkel, ma non il capitano che lo affiancava e nemmeno i soldati alle spalle dei due ufficiali. Al comando di Alucius le tre compagnie si fermarono. «Colonna, alt!» Frynkel si fece avanti. «Colonnello Alucius, capitano maggiore Feran, capitano Jultyr, capitano Deotyr e tutti i soldati della Quinta, Ventottesima e Trentacinquesima Compagnia, benvenuti a Tempre e al quartier generale delle Guardie del Sud. Le vostre gesta possono ben essere definite risolutive per quanto riguarda la salvezza di Lanachrona e per tale motivo si svolgerà una cerimonia ufficiale in vostro onore il giorno di duadi. Più tardi, il
capitano Wasenyr vi spiegherà tutti i dettagli.» Frynkel inclinò il capo verso il giovane capitano dalla barba nera un poco più arretrato, alla sua sinistra. «A nome del Signore-Protettore, desideravo dare a voi tutti il benvenuto a Tempre.» Con un cenno, il maresciallo fece capire di avere finito. Alucius rispose, chinando leggermente la testa. «Grazie a voi, maresciallo, e al Signore-Protettore. Siamo lieti di esserci resi utili.» Frynkel avanzò verso di lui. «Colonnello, posso avere l'onore di invitare voi e il capitano maggiore Feran a cena questa sera?» «Accettiamo con piacere.» «Bene. Il capitano Wasenyr vi fornirà i dettagli.» Il sorriso di Frynkel era caloroso, ma dietro a quell'espressione Alucius avvertì la stanchezza. «Adesso, lascio che voi e i vostri uomini vi sistemiate.» «Grazie, signore.» I quattro soldati di scorta proseguirono al passo. «Avanti», ordinò Alucius. Dopo che le tre compagnie si furono allineate davanti alle scuderie, Wasenyr e tre comandanti di squadra si avvicinarono. «Colonnello», disse il capitano dalla barba nera, «i comandanti di squadra mostreranno ai vostri uomini quale settore delle scuderie è stato loro assegnato e poi li condurranno alle baracche. Non appena avrete finito di occuparvi dei vostri cavalli, sarò lieto di scortare voi e i vostri ufficiali agli alloggi che vi sono stati riservati». A quelle parole seguì un sorriso sbilenco. «Avrete sicuramente notato che il nostro effettivo qui è decisamente ridotto rispetto al passato.» «Con un numero così cospicuo di compagnie impegnate nei territori di sudovest, l'avevo immaginato.» Alucius smontò di sella con una certa rigidità. «Vi serve...» «Sono solo un po' irrigidito a causa del lungo viaggio.» A parte la rigidità procuratagli dalla lunga cavalcata, Alucius sentiva che il torace aveva ricominciato a fargli male e che il duro bracciale che gli avvolgeva l'avambraccio, sotto la manica della casacca, gli stava martoriando la pelle. «Desidero informarvi che la cerimonia avrà luogo una clessidra dopo l'adunata mattutina di duadi, nel portico sul retro. Non durerà a lungo e andranno bene le uniformi da viaggio, ma non sarà necessario che i vostri uomini si presentino a cavallo. Un semplice schieramento a piedi sarà sufficiente. Se vi presenterete là un quarto di clessidra prima della cerimonia vi farò sapere se sono previsti dei cambiamenti.»
«Molto bene. C'è altro?» «Per ora no, signore.» Alucius annuì e condusse il proprio cavallo nelle scuderie. Quando ebbe finito di togliergli i finimenti e di governarlo, con più lentezza di quanto gli fosse abituale, raggiunse Feran e il capitano Wasenyr che stavano già aspettando fuori. «Nel frattempo, ho mostrato ai due vostri capitani i loro alloggi. Spero che non...» «Non c'è problema», rispose Alucius. Il percorso fino all'edificio principale parve persino più lungo di quanto Alucius ricordasse, soprattutto perché procedeva impacciato dalle armi e dalle bisacce. Una volta entrati, Wasenyr li condusse su per un'ampia scala di pietra. «I vostri alloggi sono al terzo piano. I vostri, capitano maggiore Feran, si trovano nell'ala est mentre i vostri, colonnello, sono in quella ovest. Accompagneremo prima il colonnello, se permettete, signore», disse Wasenyr rivolto a Feran. «Ma certo», rispose Feran rivolgendo ad Alucius un largo sorriso. Questi si chiese se gli fossero stati assegnati gli stessi alloggi della volta precedente. Giunti al terzo piano, voltarono a sinistra e superarono un paio di Guardie del Sud le cui divise erano contraddistinte da spalline azzurre, simili a quelle che portava Wasenyr. Quest'ultimo si fermò davanti alla penultima porta. La aprì con una scintillante chiave di ottone, che poi porse ad Alucius. Appena entrati, si trovarono in un vestibolo dal pavimento ricoperto da piastrelle blu e oro. Al di là di un passaggio a volta squadrato, si trovava un salotto di dieci iarde per quindici, con tre finestre disposte sul lato più lungo, tutte e tre che si affacciavano sul palazzo color panna dorato del Signore-Protettore. Il salotto era arredato con un divano imbottito blu scuro, due poltrone rivestite dello stesso tessuto e una scrivania in legno di ciliegio intagliato, collocata a ridosso della parete nord e provvista di una sedia ugualmente intagliata e dall'aria imponente. Cinque lampade a muro erano disposte a intervalli regolari lungo le pareti. Al centro della stanza, c'era un tappeto blu scuro decorato con un intreccio di stelle a otto punte profilate d'oro. Alucius vide che l'appartamento era l'esatta copia di quello in cui aveva soggiornato anni prima, con appena qualche lieve differenza nel!' arredamento.
«La camera da letto è per di qua...» Quest'altro locale era più piccolo, se paragonato al salotto. Anche da lì si godeva la vista sul palazzo. E il mobilio era composto da un letto mastodontico e da due armadi che ne riprendevano lo stile. Alucius posò a terra le bisacce e sistemò con un senso di gratitudine i fucili e la sciabola nella rastrelliera. Attigua alla camera c'era la stanza da bagno, la cui vasca era stata ricavata da un unico blocco di marmo e i cui rubinetti erano di bronzo lucente. «Suppongo che desideriate far ripulire le vostre uniformi. Se lo dite a uno degli inservienti, quando sarete tornato dalla cena di stasera, le riavrete lavate e stirate prima di domani pomeriggio.» «Lo apprezzerei moltissimo», rispose Alucius garbatamente. «Il maggiore Keiryn vi verrà a prendere per accompagnarvi a cena tra un paio di clessidre.» Wasenyr si guardò attorno. «Credo... Se non desiderate altro...?» «No. Mi siete stato di molto aiuto.» Alucius si rivolse a Feran. Il viso del capitano maggiore tradiva un'espressione stupefatta. «Ci vediamo più tardi, allora. Immagino che i tuoi alloggi siano simili a questi.» «Oh, sì, signore. Quasi uguali, tranne per la vista verso est.» Dopo che i due si furono allontanati, Alucius ritornò nella stanza da bagno e aprì uno dei rubinetti sperando che l'acqua fosse perlomeno tiepida. In effetti lo era, non proprio calda, ma poteva andare. Si lavò con cura, concedendosi il lusso di fare con calma, poi radunò da una parte gli indumenti destinati alla lavanderia. Dopo aver trascorso un'intera stagione sulle strade, intendeva trarre pieno vantaggio da tutte le comodità che gli venivano offerte. Il maggiore Keiryn - lo stesso Keiryn, alto e dai capelli rossi, che aveva già ricoperto in precedenza lo stesso incarico - si presentò quasi puntuale due clessidre dopo, accompagnato da Feran. I due vennero scortati giù per un paio di rampe di scale, verso l'ala est del quartier generale, fino alla stessa sala da pranzo privata dove Alucius aveva cenato tre anni prima assieme a Wyerl e ad Alyniat. L'unica tavola, di forma circolare, era coperta da una candida tovaglia di lino, con tovaglioli blu dello stesso tessuto. In corrispondenza del posto riservato a ciascun commensale erano stati sistemati in perfetta simmetria posate d'argento, piatti e vassoi di porcellana color panna dai profili blu e oro, oltre a due calici. Su un tavolino laterale facevano bella mostra di sé parecchie bottiglie contenenti un liquido ambrato.
«Il maresciallo Frynkel dovrebbe raggiungerci tra poco», disse Keiryn. «È l'unico rimasto a Tempre?» chiese Alucius. «Volevo dire, l'unico maresciallo?» «Sì, signore. È davvero uno dei pochi ufficiali anziani rimasti qui. Il maresciallo Alyniat ha portato con sé anche la maggior parte dei colonnelli anziani. Probabilmente, in questo momento, voi siete il terzo ufficiale in ordine gerarchico in tutta Tempre, dopo il maresciallo Frynkel e il maggiore-colonnello Dytryl.» E il colonnello più giovane di tutta Lanachrona, pensò Alucius, finché gli avessero consentito di conservare quel grado. «I marescialli non stanno promuovendo a colonnello molti maggiori, vero?» chiese Feran. Keiryn aggrottò la fronte, piegando un poco la testa e concedendosi una breve pausa prima di rispondere. «No. Credo che quella del colonnello Alucius sia stata l'unica promozione di cui ho sentito parlare durante quest'ultimo anno. Ricordo che il maresciallo Frynkel fece proprio questa osservazione quando ricevette il dispaccio dal maresciallo Alyniat.» Keiryn si produsse in un sorriso imbarazzato. «Non avrei dovuto parlarne, ma... è la verità.» «Scusate il ritardo», disse Frynkel dalla soglia, mentre faceva il suo ingresso nella piccola sala da pranzo. «Ho perso il senso del tempo.» Il maresciallo li salutò con un caloroso sorriso. «Non vi so dire quanto sia felice di rivedervi entrambi, specialmente voi, colonnello.» Alucius sentì che, sebbene Frynkel fosse sincero, ciò che in realtà provava era più sollievo che piacere. «Ho dovuto inviare un messaggio al Signore-Protettore per confermare il vostro arrivo e per informarlo della cerimonia di duadi.» Frynkel fece un cenno verso la tavola. «Prego, accomodatevi.» Non appena i quattro ufficiali ebbero preso posto, comparve un inserviente che versò subito un pallido vino ambrato da una delle bottiglie nei calici più piccoli posti davanti a ciascun commensale. Frynkel sollevò il suo bicchiere. «Ai nostri ospiti.» «Con tutta la nostra gratitudine per la vostra ospitalità», replicò Alucius, alzando a sua volta il bicchiere. Feran lo imitò. L'inserviente scomparve, per riapparire immediatamente portando dei piccoli piatti, che pose su quelli che erano già sul tavolo. I piatti contenevano una specie di sfoglia non più grande delle tre dita di una mano. «Pasta sfoglia con ripieno di funghi delle grotte. Molto delicato e sapori-
to», dichiarò Frynkel, mangiandone un boccone. Alucius non seppe dire se gli piaceva meno la pasta friabile o il ripieno, ma almeno i funghi erano meglio del cactus o delle punte di quarasote. Frynkel cominciò a parlare, senza però rivolgersi direttamente ad Alucius. «Dovremo incontrarci domani, Alucius, anche se si tratta di una pura formalità. Tuttavia, è necessario che vi faccia un po' di domande.» Sorrise. «In un certo senso, è un peccato che vi troviate qui in inverno. Voi sarete sicuramente abituati a climi più rigidi del nostro, ma i giardini non sono in fiore e il fiume è decisamente troppo freddo per fare una gita in barca.» Alucius capì perfettamente che Frynkel stava svolgendo al tempo stesso il suo ruolo di anfitrione ed evitando di discutere di qualunque cosa che avesse a che fare con gli avvenimenti di Hyalt e di Porta del Sud. Vista la stanchezza e i muscoli indolenziti, Alucius pensò che probabilmente fosse meglio. Così sorseggiò il suo vino e restò in ascolto. 101 Poco dopo la metà mattina di londi, Alucius si trovava seduto in una confortevole poltroncina di legno di fronte alla scrivania, dietro alla quale aveva preso posto il maresciallo Frynkel. Questi guardò Alucius. I suoi occhi erano di nuovo cerchiati e il destro era in preda al solito tic. Con aria assente, il maresciallo vi premette sopra il palmo della mano. «Incontrerete il Signore-Protettore domani pomeriggio, alla quarta clessidra. Il capitano Wasenyr vi accompagnerà.» «Sì, signore.» «Me l'ha chiesto lui espressamente. È rimasto molto colpito dalle vostre imprese.» Frynkel fece una pausa. «Nonostante i vostri successi, siamo ben lontani dall'aver vinto la guerra contro la Reggente della Matride. Suppongo che lo sappiate.» «Abbiamo riconquistato le terre che avevamo perso. Forse anche di più», interloquì Alucius. «La Reggente rappresenta ancora un problema. Avevamo proposto una tregua, ma lei ha rifiutato. Ha risposto che continuerà a combattere finché Porta del Sud e tutti i territori meridionali, oltre ad Armonia e a tutti i territori settentrionali, non saranno tornati in loro possesso. Ha anche avanzato la richiesta di ricevere subito un compenso di diecimila monete d'oro, quale risarcimento.»
«Ma Porta del Sud non è mai appartenuta a Madrien.» «La cosa non sembra rivestire alcuna importanza per lei.» Frynkel indugiò. «Cosa potete dirmi di questa Reggente?» «Quasi nulla.» «Noi ne sappiamo ancora meno di voi», disse Frynkel. «Voi perlomeno siete stato a Madrien per un po'. Lei era un maresciallo di nome Sulythya, al quale, a un certo punto, tutti hanno deciso di ubbidire. Non ne conosciamo il motivo. E voi?» «Sapete bene che sono fuggito da Madrien subito dopo la sparizione della Matride, al tempo in cui i collari smisero di funzionare. La Reggente, o qualche suo sottoposto, è riuscita ad attivarne di nuovo alcuni.» Frynkel fissò Alucius. Le contrazioni all'occhio destro si fecero più rapide. «È qualcosa di cui siete venuto a conoscenza tramite le vostre affinate capacità di pastore?» Alucius annuì. «Se mi avvicino ai collari ne percepisco l'energia.» «Pensate che sia in grado di farli riattivare tutti?» «Non lo so», confessò Alucius. «Mi ha colto di sorpresa.» «Mmm.» Frynkel aggrottò la fronte. «Il maresciallo Alyniat ne è al corrente?» «Potrebbe esserlo. O forse no. Non mi sono reso conto del significato della mia sensazione finché non mi sono trovato sulla via del ritorno verso Tempre», mentì Alucius. «Perciò ho pensato di dirvelo.» «Va bene», disse Frynkel. «Sicuramente saprete che non ero nelle migliori condizioni di salute dopo l'ultima battaglia e la mia mente era un po' offuscata», gli ricordò Alucius. «Abbiamo distrutto i lancia-proiettili.» «Sì, il maresciallo Alyniat ha notato la mia prudenza nel darvi solo ordini verbali al riguardo», replicò il maresciallo. «Ho pensato che tutti i nostri sforzi si dovessero concentrare sui compiti che gli altri soldati delle Guardie del Sud non erano in grado di svolgere, signore.» «La vostra iniziativa è stata davvero encomiabile.» La risata di Frynkel era quasi simile a un latrato. «Starete sicuramente meglio a Dekhron, colonnello.» «Se questo rispecchia i desideri del Signore-Protettore, maresciallo.» «Dubito che chiunque di noi lo desideri, colonnello. Ma ci rendiamo tutti conto che la vostra presenza a Dekhron sarà necessaria finché Madrien costituirà una minaccia.»
Alucius pensò tra sé che entrambe le terre, Lanachrona e Madrien, erano una minaccia per le Valli del Ferro, anche se Madrien rappresentava il pericolo più grave e immediato. «È quella l'unica minaccia?» «Onestamente... no», confessò Frynkel. «Ci è giunta notizia che il giovane Pretore di Lustrea sta radunando le sue forze. È probabile che cerchi di conquistare Deforya entro l'anno prossimo. O le terre di Illegea o di Ongelya, oppure tutte e tre. «Se decide di farlo e il Signore-Protettore non manda degli aiuti, ci riuscirà.» «Pensate che dovremmo aiutare Deforya?» «Non finché è in mano ai proprietari terrieri, che esercitano il controllo sulla popolazione tramite la distribuzione dell'acqua, oltre che con la paura, e che non sarebbero disposti a spendere una sola moneta per mettere insieme un esercito efficiente. Esercito che non sarebbero neppure in grado di comandare.» «Acqua? Come si può controllare un popolo per mezzo dell'acqua?» «Tutta l'acqua di Deforya viene erogata dagli antichi acquedotti. Chiunque possieda gli acquedotti controlla la distribuzione dell'acqua. Senza l'acqua...» Quel particolare aspetto risultava ovvio agli occhi di Alucius, così ovvio che egli era stato in grado di capirne l'importanza persino quando era un giovane capitano maggiore fresco di nomina, anni prima. «Mi fa piacere sapere che vi trovate d'accordo con le decisioni del Signore-Protettore.» «Non ero al corrente delle decisioni del Signore-Protettore», disse Alucius pacatamente, chiedendosi perché Frynkel nascondesse così tanta aggressività dietro alle sue domande. «Come avrei potuto? Conosco solo ciò che ho visto l'ultima volta che sono stato qui.» «Vi siete fatto carico di un'impresa enorme», dichiarò Frynkel. Alucius per un po' rimase in silenzio a riflettere. Infine replicò. «Non avevo molta scelta. Persino prima che mi presentassi a rapporto dal maresciallo Alyniat c'erano già colonnelli che volevano darmi ordini, cercando di farmi sacrificare i miei uomini in inutili azioni di attacco o di difesa.» «Inutili? La difesa di Porta del Sud era inutile?» «No, signore. Ma lo era qualsiasi attacco diretto contro un contingente matrite munito di lancia-proiettili, o un'eventuale azione difensiva nei confronti di una di quelle armi.» «E voi non avete attaccato direttamente, colonnello?» «No, signore. Abbiamo escogitato uno stratagemma per causare l'esplo-
sione dei lancia-proiettili.» Ciò che Alucius affermava corrispondeva in un certo senso a verità, anche se non era quella che voleva portare a conoscenza di Frynkel. «Come ci siete riuscito?» «Come è spiegato nel mio rapporto, signore.» Frynkel si premette la mano sinistra sull'occhio che aveva ripreso a contorsi. «Ah, sì, il vostro rapporto. Dovrò trovare il tempo di leggerlo.» Alucius era disorientato. Frynkel mentiva riguardo al rapporto. Ma se l'aveva letto, perché sosteneva di non averlo fatto? «Quale potenziale pericolo rappresentate nei confronti del SignoreProtettore?» gli chiese il maresciallo. Alucius scoppiò a ridere. «Non sono davvero un pericolo per lui. Il Signore-Protettore costituisce l'unica reale possibilità che noi pastori abbiamo di sopravvivere.» Frynkel annuì. «Quale pericolo rappresentate nei confronti delle Guardie del Sud, allora?» «Neppure per loro sono un pericolo. Sebbene alcuni ufficiali anziani possano pensare il contrario.» «Alcuni di essi apparentemente lo pensano. Il colonnello Hubar si è lamentato del vostro comportamento arrogante. Il colonnello Sarthat ha chiesto che veniate privato dei gradi e giustiziato per avere assalito un ufficiale anziano.» «Non ho mai alzato neppure un dito contro il colonnello», protestò Alucius. «Sostiene che abbiate fatto ricorso a qualche misterioso potere da pastore per gettarlo a terra e fargli rompere il naso.» «Allora ditemi esattamente quanti matriti ha ucciso il colonnello Sarthat? Quanti lancia-proiettili di cristallo ha distrutto? Quante pallottole si è beccato in corpo?» Le parole di Alucius si fecero gelide. «Mi diceste, signore, che voi e il maresciallo Alyniat e il Signore-Protettore avevate bisogno di risultati. Voi chiedeste e prometteste. Ho mantenuto la mia parola. Vi ho portato dei risultati. Quanti altri tra coloro che vi hanno fatto pervenire le loro lamentele vi hanno portato dei risultati?» Gli occhi di Alucius fiammeggiavano. Un sorriso riluttante apparve sul volto di Frynkel. «Nessuno, come ben sapete. Questo è il motivo per cui il maresciallo Alyniat vi ha promosso sul campo. E questo ha provocato anche delle proteste, che però sono state respinte. Mi piacerebbe molto spedire Sarthat a combattere contro i matriti,
non fosse per il fatto che, con lui, perderei sicuramente dei soldati. Hubar mi aveva inoltrato la sua nota di protesta prima di essere ucciso.» «E voi mi avete fatto tutte queste pressioni solo per vedere come avrei reagito?» «Più o meno. E per farvi capire quanto irragionevoli possano essere coloro che occupano posizioni di potere. Il che vale anche per i proprietari terrieri o per i mercanti. In futuro, in qualità di comandante delle Guardie del Nord, vi troverete a doverli fronteggiare.» Alucius annuì. Se il Signore-Protettore gli avesse confermato l'offerta per quella carica, lui avrebbe dovuto chiedergli ulteriori garanzie. «Ci sono ancora occasioni in cui ci si sente gratificati nel dire che si comprendono le preoccupazioni altrui e che si farà di tutto per alleviarle», disse Frynkel. «La maggior parte delle persone non è ragionevole. Pensa di esserlo e razionalizza ciò che vuole, ma in realtà è solo egoista. Noi tatti lo siamo. Colui che riconosce il proprio egoismo e lo mette da parte è un vero saggio.» «È difficile farlo.» «No. Per voi non lo è. In un certo senso, questa rappresenta anche una delle difficoltà maggiori con cui dovrete confrontarvi. Voi siete soggetto a meno delusioni della maggioranza della gente. Non credo che vi rendiate conto di quante delusioni siano capaci di provare le persone. Molte di esse sono più simili al maggiore Fedosyr che non a voi, sebbene di solito non arrivino al punto di incrociare le spade con chi non è della stessa opinione. La gente si crea un'immagine di se stessa ed è disposta a fare praticamente qualunque cosa per mantenerla. Non sarei sorpreso di venire a sapere che il colonnello Hubar ha fatto in modo di essere ucciso perché aveva irrimediabilmente danneggiato l'immagine che aveva di sé.» Quello era un aspetto che Alucius non aveva neppure preso in considerazione. «Ma veniamo al dunque: la cerimonia ufficiale avrà luogo domani, e io pronuncerò l'encomio a nome del Signore-Protettore e vi conferirò una decorazione.» Frynkel fece una pausa. «Questa decorazione la dovrete portare, colonnello, almeno quando indosserete l'alta uniforme. Nel tardo pomeriggio incontrerete il Signore-Protettore e poi cenerete con lui. Dopodiché...» Il maresciallo si strinse nelle spalle. «Non so che succederà. Sono certo che tornerete a Dekhron abbastanza presto, anche se questo dipenderà dal Signore-Protettore.» «Capisco.»
«È tutto.» Frynkel si alzò. «A proposito, il vostro grado di maggiorecolonnello delle Guardie del Sud è diventato permanente.» «Grazie, signore.» Alucius si alzò a sua volta. «Non ringraziatemi. Per quanto abbiate fatto per ottenerlo, sono certo che dovrete fare altrettanto per conservarlo. A domani.» Alucius lo salutò con un cenno del capo. «A domani.» Mentre lasciava l'ufficio di Frynkel, le parole dell'ufficiale più anziano continuarono a risuonargli nella mente. Sebbene dubitasse di poter ricevere più ferite di quelle che gli erano già state inferte e di sopravvivere, era certo che Frynkel non si riferiva a quello. In un certo qual modo gli era grato per ciò che aveva detto, poiché gli aveva fatto capire quanto una persona potesse improvvisamente cambiare nel vedere minacciato ciò che aveva di più caro. 102 Dopo che ebbe lasciato Frynkel, Alucius si incontrò con Feran e i due capitani della Ventottesima e Trentacinquesima Compagnia. Dopodiché trascorse la maggior parte della giornata a occuparsi degli approvvigionamenti: dai viveri per il viaggio, alle uniformi in sostituzione di quelle rovinate. L'impressione che ne ricavò fu che, per ottenere ogni singolo articolo, occorresse costantemente rivolgersi a qualche altro ufficio riempiendo formulari sempre diversi. La sera di londi, Alucius era esausto e il torace aveva ripreso a fargli male. Lui e Feran si concessero una cena tranquilla nella mensa riservata agli ufficiali anziani, dove invitarono anche Jultyr e Deotyr. Al termine, Alucius si scusò e si ritirò nei suoi alloggi. Là, scrisse una lunga lettera a Wendra e poi si arrampicò sul mastodontico letto. La giornata non era certo stata breve ed egli si addormentò in men che non si dica. Quando si svegliò era ancora buio. Scese dal letto e si diresse verso la stanza da bagno. Ma quando giunse sulla soglia si ritrovò nella sala dalle pareti di marmo rosa. I mezzi pilastri di pietra dorata sembravano ancora più grandi di prima e il soffitto, rivestito dello stesso marmo rosato, era più basso. Le lastre di marmo erano fissate insieme con tale abilità che, nemmeno con il Talento, Alucius era in grado di distinguere i segni di giunzione tra l'una e l'altra. I piedi nudi erano gelati sul lucido pavimento di pietra. Abbassò lo sguardo sulle sezioni ottagonali di marmo verde e sui motivi
a forma di stella a otto punte in marmo dorato, ma quando lo rialzò vide che le pareti si erano fatte più vicine. Ancora una volta, non trovò né finestre né porte che gli consentissero una via d'uscita. Le pareti di freddo marmo continuavano a stringersi inesorabilmente su di lui. Il sudore gli gocciolava sulla fronte. Doveva uscire di là... in qualche modo. Doveva... Alucius rabbrividì, e si ritrovò in piedi accanto al letto della sua camera. Aveva la fronte madida di sudore. In effetti, l'intero suo corpo era bagnato fradicio. Perché continuava a fare quel sogno ricorrente? Adesso era a Tempre e, presumibilmente, dopo la sua udienza con il Signore-Protettore, sarebbe tornato alle Valli del Ferro, a Dekhron o a Punta del Ferro. O forse perché temeva di doversi recare a Dekhron e di rimanere intrappolato là come colonnello? O perché, indipendentemente da quanto facesse, aveva l'impressione di non avere altre scelte, se non quelle che finivano per limitarlo ancora di più? Cosa avrebbe potuto fare per cambiare le cose? Avrebbe dovuto fare qualcosa. Doveva... assolutamente. Fece un respiro lento e profondo e si asciugò la fronte con il dorso della mano, ignorando le fitte al torace. 103 La mattina di duadi Alucius si trovava in piedi appena a nord del portico sul retro del quartier generale, alla testa dei soldati di tutte e tre le compagnie, in attesa dell'arrivo del maresciallo Frynkel. Gli altri tre ufficiali erano schierati alle sue spalle, con Feran al centro. Il capitano Wasenyr e il maggiore Keiryn erano in piedi sui gradini che conducevano al portico. «Pensi che dovremo aspettare molto?» chiese Feran. «Frynkel sarà puntuale», dichiarò Alucius. Proprio mentre Alucius finiva di parlare, il maresciallo comparve sulla soglia, attraversò il portico e si fermò in cima alla scala. Da lì osservò i soldati allineati in formazione nel cortile. «Le cerimonie non dovrebbero essere né troppo brevi né troppo lunghe», esordì Frynkel. «Se sono troppo brevi, l'importanza di ciò che intendono celebrare va perduta. Se invece sono troppo lunghe, quell'importanza viene banalizzata dalla noia.» Si concesse una pausa. «Cercherò quindi di non
essere né troppo breve né troppo lungo.» Alucius si domandò come si facesse a capire se si eccedeva troppo in un senso o nell'altro, e pensò che forse Frynkel avrebbe misurato le reazioni dei presenti a mano a mano che fosse andato avanti nel discorso. «Non accade spesso che tre compagnie vengano inviate a compiere una missione che altri avrebbero giudicato impossibile. Accade meno di frequente che esse riescano a portarla a termine con successo. Ed è ancora meno frequente il fatto che, dopo averla portata a termine, esse tornino. Inoltre, non si è mai sentito prima d'ora che tre compagnie abbiano realizzato un'impresa del genere per ben due volte e nel corso della stessa stagione.» Frynkel continuò il suo discorso, riassumendo le imprese di Hyalt e di Porta del Sud, chiaramente basandosi su quanto Alucius aveva scritto nei suoi rapporti. Quindi, aggiunse alcuni commenti sull'encomio solenne e sul numero esiguo di compagnie che l'avevano ricevuto prima di allora. «Queste non solo sono state imprese notevoli, ma assolutamente necessarie per garantire la pace e la prosperità nelle terre di Lanachrona, imprese degne di una speciale attenzione e meritevoli di essere onorate. Per tale ragione, tutti voi indiscriminatamente meritate l'encomio del SignoreProtettore e riceverete l'onorificenza. Inoltre, poiché i soldati non possono vivere di sole parole, essa sarà accompagnata da una speciale gratifica, corrispondente a due settimane di stipendio extra, che vi verrà corrisposta con la prossima paga.» Frynkel si concesse un sorriso. «E, per tener fede alla mia promessa di non essere troppo conciso o troppo prolisso, concluderò dicendo che sia io sia il Signore-Protettore abbiamo apprezzato i vostri sforzi e ci sentiamo enormemente onorati per il servizio che avete reso al Paese, per le vostre imprese e per il vostro attaccamento. Vi siete comportati egregiamente e con coraggio!» Frynkel salutò con un cenno del capo i soldati e gli ufficiali. «Rompete le righe.» Dopodiché si voltò e rientrò nell'edificio del quartier generale. Alucius si girò verso i suoi uomini. «Rompete le righe.» I tre ufficiali lo affiancarono. «Gli uomini apprezzeranno la gratifica», disse Deotyr. «La metà di loro l'avrà già spesa prima ancora di averla in tasca», dichiarò Jultyr. «Solo la metà?» chiese Feran con aria così divertita che gli altri scoppiarono a ridere. «Quando il denaro sarà finito, resterà loro la medaglia», osservò Alu-
cius, «ma per il momento lasciamo che si godano i soldi». «E lo faranno.» «Lo farò anch'io», esclamò Feran. «Riceveremo la stessa gratifica. Lo so, mi sono informato.» Alucius non poté impedirsi di sorridere. «Per ora è tutto. Saprò qualcosa di più su ciò che faremo nei prossimi giorni dopo il mio incontro con il Signore-Protettore questo pomeriggio. Vi metterò al corrente domani mattina, prima dell'adunata.» Feran aspettò che Jultyr e Deotyr si allontanassero, poi chiese: «Credi davvero che torneremo nelle Valli del Ferro?». «È molto probabile.» «Per quale motivo? Perché non riescono a mandare giù il fatto che li facciamo sfigurare così tanto?» «La Ventottesima e la Trentacinquesima Compagnia si sono comportate molto bene, ed erano formate da reclute fresche di addestramento. Non credo che i soldati delle Guardie del Sud non siano bravi. Non lo sono quanto i nostri, ma sono meglio di quelli di molti altri Paesi.» «Sai cosa stai dicendo, vero, onorevole colonnello?» Alucius inarcò le sopracciglia. «Che nelle loro file ci sono troppi ufficiali che si occupano di politica? Sì, è così. Il maresciallo Alyniat mi aveva detto di avere ricevuto molte critiche per avere promosso comandanti di squadra anziani al grado di capitano e per aver mandato in pensione colonnelli, senza promuovere alcun maggiore.» «Aveva le idee chiare. Se poi tutto ciò sarà destinato a durare quando lui non ci sarà più, è un altro paio di maniche.» Alucius assentì. Dopodiché i due si avviarono verso le baracche. Alucius effettuò un'ispezione informale, una prassi che aveva spesso seguito, anche se non in tempi recenti per ovvie ragioni. Quindi trascorse una clessidra abbondante nelle scuderie, in compagnia di Feran, per verificare le condizioni dei loro cavalli. Prima di incontrarsi con il SignoreProtettore, doveva farsi un'idea ben precisa di quali fossero le necessità della Quinta Compagnia. Infine, tornò ai suoi alloggi per prendere nota delle osservazioni e preparare un elenco approssimativo di ciò che sarebbe servito. Elenco che, con ogni probabilità, non avrebbe sottoposto direttamente al Signore-Protettore, ma al responsabile dell'approvvigionamento. Dopo un tempo che parve molto breve, giunse il capitano Wasenyr per scortarlo a palazzo e i due scesero le scale dirigendosi verso le scuderie.
«Che ne è stato del capitano Deen?» chiese Alucius, ricordandosi del verboso capitano dai modi affascinanti che l'aveva istruito in previsione dell'udienza durante la sua visita precedente. «Deen?» il capitano Wasenyr corrugò la fronte, poi annuì. «Adesso è diventato capitano maggiore ed è al servizio del maresciallo Ashynst. Chiacchiera con la gente, raccoglie idee... penso che faccia questo in linea di massima...» Deen era davvero molto abile nel parlare, ma Alucius dubitò che fosse altrettanto bravo nell'ascoltare. «Poiché avete già avuto un'udienza con il Signore-Protettore, colonnello, e siete nell'elenco delle persone estremamente gradite, non credo che vi servano ulteriori indicazioni su come comportarvi. Il capitano-colonnello Ratyf è ancora il responsabile degli incontri. Sapete che nella sala delle udienze non sono ammesse armi, tranne la sciabola, che è considerata un'arma da cerimonia. Vi è stata concessa un'udienza privata, come del resto lo sono quasi tutte quelle che il Signore-Protettore concede agli ufficiali delle Guardie in questi ultimi tempi.» Dopo che ebbero raggiunto le scuderie e sellato i cavalli, i due ufficiali si avviarono lungo l'ala orientale del quartier generale e uscirono dai cancelli. Poi svoltarono a destra, dirigendosi a ovest, verso il fiume e il Grande Porto, nel quale spiccavano le torri verdi che si trovavano alle spalle del palazzo del Signore-Protettore. Alucius lanciò un'occhiata ai giardini che fiancheggiavano il viale. Nonostante la stagione invernale, l'erba era verde, così come le siepi, persino quelle che riproducevano le forme di vari animali, ma i fiori che aveva ammirato la volta precedente non c'erano. Guardie dalle uniformi color panna sostavano a intervalli regolari lungo i bassi muretti di pietra che delimitavano il viale, mentre altre camminavano lungo i vialetti. Alucius ebbe però l'impressione che il loro numero fosse diminuito rispetto alla volta precedente. Inoltre, nei giardini, vide che passeggiavano solo una donna con una bambina e una coppia. Magari era a causa del freddo, ma quel luogo sembrava molto meno frequentato. «Conoscete i giardini del Signore-Protettore?» chiese il capitano Wasenyr. «Li ho visti in occasione della mia visita precedente. Mi sembrano altrettanto ben tenuti, anche se vedo molta meno gente in giro.» «Può darsi. Sono tempi difficili per tutti.» Dinanzi a loro, al di là dei giardini e del palazzo, le torri verdi erano
chiaramente visibili, con le loro strutture simili a quelle di Punta del Ferro e Dereka. Alucius gettò un'ultima occhiata alle aiuole, mentre proseguiva oltre il muro sul fianco destro del viale, un muro di pietra alto più di quattro iarde, che segnava l'inizio del terreno di proprietà del palazzo. Sul fianco sinistro, i giardini - sebbene divisi dal Viale del Palazzo che proseguiva in direzione nord - continuavano verso ovest fino al Grande Porto. «Per di qui, signore», il capitano Wasenyr gli indicò il primo ingresso. L'entrata al palazzo era costituita da un portico poco più grande di quello del quartier generale delle Guardie del Sud. Ad attenderli, trovarono una mezza squadra di guardie con indosso uniformi blu scuro profilate d'argento. Quando i due ufficiali fecero fermare i loro cavalli, sopraggiunsero anche due garzoni di stalla. In cima alla scala stava un altro capitano in attesa. Al pari del capitano Wasenyr, la sua divisa era contraddistinta da spalline azzurre. Ad Alucius parve di averlo già incontrato in occasione della visita precedente, ma non ne ricordava il nome. Il capitano Wasenyr non smontò da cavallo. «Vi lascio qui, signore.» «Grazie, capitano.» «Dovere, signore.» Alucius scese di sella e porse le redini del baio a uno dei garzoni di stalla. Il capitano dai capelli brizzolati scese la scala per accoglierlo. «Capitano Alfaryl, colonnello. Il capitano-colonnello Ratyf mi ha chiesto di scortarvi.» «Grazie.» Alucius era lieto che l'altro gli avesse detto il suo nome. «Sono passati più di tre anni, ma ricordo che mi avevate accompagnato anche la volta precedente, non è vero?» «Sì, signore. Credo di sì.» Alucius rise. «Probabilmente a voi capita di scortare centinaia di ufficiali e altre persone, mentre per me è solo la seconda udienza.» «È assai più di quanto molti marescialli possano vantare, signore.» Non sapendo cosa rispondere a quell'osservazione, Alucius seguì in silenzio Alfaryl attraverso i doppi archi in pietra ed entrò in un vestibolo quadrato di quindici iarde per lato e il cui soffitto si innalzava per oltre dieci. La luce si riversava all'interno da alti lucernari situati sul lato sud. Il pavimento di lucido granito presentava un intarsio di lunghe strisce di marmo blu che creavano un motivo a losanga. Il capitano Alfaryl condusse Alucius oltre un passaggio formato da tre
archi in un corridoio lungo una quarantina di iarde abbondanti. Dopo aver percorso poco meno di venti iarde, però, svoltarono a sinistra in un corridoio più corto, in fondo al quale c'era una serie di doppie porte. Davanti ad esse stazionavano quattro guardie con la divisa blu e argento. Senza far rumore, quella che stava al centro aprì una porta tenendola aperta per far entrare Alucius e il capitano. Altrettanto silenziosamente, la porta si richiuse alle loro spalle. Alucius si trovò in un'ampia sala, arredata da divani e poltrone imbottiti e da tende color blu e panna. Folti tappeti dello stesso colore ricoprivano il pavimento di granito. Alle pareti rivestite di pannelli di legno erano appesi parecchi ritratti, tutti di uomini, raffiguranti probabilmente i predecessori del Signore-Protettore. Nella sala non c'era nessuno, all'infuori di Alucius, del capitano Alfaryl e del capitano-colonnello che si stava avvicinando. «Capitano-colonnello Ratyf», presentò Alfaryl, «maggiore-colonnello Alucius». «Ah, certo. Sono lieto di rivedervi, signore. Il Signore-Protettore è molto ansioso si ricevervi. Gli dirò che siete qui.» Il capitano-colonnello sparì al di là di una porticina, per poi ricomparire quasi subito. «Prego signore, accomodatevi.» Alucius si voltò verso Alfaryl. «Grazie.» «È stato un piacere, signore.» Dietro invito di Ratyf, Alucius entrò dalla porta più grande, in fondo alla sala d'attesa. Il capitano-colonnello gliela tenne aperta, mentre annunciava con voce profonda: «Il colonnello Alucius delle Guardie del Nord». Dopo che ebbe fatto il suo ingresso, Alucius sentì la porta richiudersi alle sue spalle con un clic. Dall'ultima sua visita non era cambiato nulla. La stanza non era molto più grande del corridoio che conduceva alla sala d'attesa e le pareti di pietra dorata erano ricoperte dagli stessi sontuosi arazzi blu e profusamente rischiarate dalla luce delle torce. Il pavimento di lucido marmo bianco era impreziosito da intarsi del medesimo marmo blu dell'ingresso, solo che qui erano riprodotti piccoli rettangoli anziché losanghe. «Benvenuto, colonnello. Ancora una volta, avete compiuto l'impossibile.» Il Signore-Protettore si alzò dal bianco trono di onice, il cui alto schienale terminava in una specie di punta sulla quale scintillava una stella di cristallo blu. «Abbiamo fatto del nostro meglio per soddisfare le vostre richieste, si-
gnore.» Alucius si avvicinò, fermandosi a pochi passi dalla pedana sulla quale stava l'uomo snello, dai capelli neri e dalla tunica color blu-violetto dal taglio severo. «Pare che mi abbiate reso anche un altro servizio che non potrò ripagarvi appieno, visto che avete chiesto di non rendere nota la cosa, almeno non pubblicamente.» «Nessuno di noi aveva altra scelta, signore.» Il Signore-Protettore Talryn sorrise e proseguì, lasciando trasparire dalle sue parole una punta di sarcasmo. «Questa è una delle ironie che derivano dal potere e dal rango. Più questi sono elevati, minore è il numero delle scelte reali e intelligenti che si possono fare, sebbene la gente tenda a credere che chi esercita il potere e occupa una posizione importante abbia davanti a sé una serie infinita di possibilità.» Alucius gli restituì il sorriso. «In effetti, ha infinite possibilità di commettere errori.» Talryn si lasciò andare a una profonda risata. Infine scosse il capo. «Quando vi stavate dirigendo a Hyalt, lessi il rapporto del maresciallo Frynkel su ciò che era successo a Krost. Più tardi, le vostre informazioni su Hyalt mi aiutarono a capire meglio, così come i resoconti vostri e del maresciallo Alyniat sugli avvenimenti di Porta del Sud. «Mi piacerebbe molto poter usufruire dei vostri servizi qui a Tempre, ma non sarebbe saggio, per svariate ragioni. Lanachrona è troppo antiquata e le Guardie del Sud troppo conservatrici per un colonnello della vostra franchezza. Né le Valli del Ferro o le Guardie del Nord ne trarrebbero beneficio. Hanno bisogno di voi, e ne hanno bisogno sul posto.» Il SignoreProtettore gli tese una busta e due insegne. «Vi promuovo maggiorecolonnello delle Guardie del Sud e colonnello delle Guardie del Nord in modo permanente. La busta contiene il mio consenso alla richiesta di pensionamento del colonnello Weslyn, oltre al mandato che vi riconosce il grado di colonnello delle Guardie del Nord. Il mandato vi conferisce inoltre completa libertà di apportare tutti i cambiamenti che riterrete opportuni all'interno della struttura delle Guardie del Nord, ma non vi accorda poteri aggiuntivi per effettuare altri reclutamenti, né modifica i miei ordini riguardo alle limitazioni da osservare nell'arruolamento dei pastori.» «Signore...» Alucius tacque. Il Signore-Protettore aveva ragione. «Avete qualche richiesta da farmi?» «Sì, signore.» Alucius aveva riflettuto su una in particolare. Le sopracciglia del Signore-Protettore si alzarono con fare interrogativo.
«Ebbene?» «Ritengo che il quartier generale delle Guardie del Nord debba essere spostato da Dekhron. Quando Lanachrona e le Valli del Ferro si combattevano tra di loro, quella collocazione aveva un senso. Temo che per i prossimi anni la minaccia maggiore ci verrà dall'ovest.» «State forse pensando a Punta del Ferro? Un sorriso incurvò gli angoli della bocca del Signore-Protettore. «Sì, signore. Se questo dovesse far credere a una scelta di parte, allora suggerirei Procellaria. C'è già un avamposto lassù. Ma Punta del Ferro sarebbe meglio, visto che è situata nel punto di incontro tra le due strade principali, quella del nord e quella dell'ovest.» Il Signore-Protettore annuì. «Comprendo. E trasferireste l'intera Guardia da Dekhron?» «Sì, signore. Per molte ragioni.» «Ci vorrà parecchio denaro per farlo, colonnello.» «Sì, signore. All'inizio. Ma dopo costerà meno. Molto meno. E ho un'altra richiesta.» «Un'altra?» Il finto stupore lasciava trasparire una punta di divertimento. «Vorrei che emetteste un ordine per la chiusura dello stabilimento dei gatti della polvere a Punta del Ferro.» Questa volta sul viso di Talryn comparve una genuina perplessità. «Se dipendesse da me, chiuderei tutti gli stabilimenti del genere esistenti a Corus. Non fanno altro che incoraggiare una dipendenza sordida e degradante.» Alucius si strinse nelle spalle. «Ma non servirebbe. Rispunterebbero da qualche altra parte. Ma chiedere a Gortal di spostare i suoi traffici da Punta del Ferro, porrà fine a una parte del problema... e poi non vorrei che lo stabilimento si trovasse vicino al quartier generale delle Guardie del Nord.» «Come pensate di gestire la cosa?» «Se vengo investito dell'autorità necessaria, ci riuscirò», disse Alucius in tono fermo. «L'avrete, e per realizzare entrambi i progetti, ma a una sola condizione: che non ne parlerete fino all'inizio della prossima primavera. Nel frattempo, ci terremo in contatto epistolare per discutere su come procedere, mentre voi e il maresciallo Frynkel lavorerete sui dettagli.» Alucius annuì. «Sì, signore.» «Avete altre richieste ufficiali da farmi?» Alucius colse la leggera enfasi data alla parola «ufficiali».
«No, signore.» «Allora, avete il mio permesso di tornare a Dekhron quando lo riterrete più opportuno, ma entro una settimana a partire da oggi. Porterete con voi le due compagnie di Guardie del Sud, e vi sarò molto grato se farete in modo che ricevano un buon addestramento. Non appena sarete certo di avere assunto il pieno controllo delle Guardie del Nord, potrete rimandarle a Tempre.» Talryn increspò le labbra in un breve sorriso. «Potrete anche promettere loro un mese di licenza premio quando torneranno. Adesso...» Il Signore-Protettore tese la mano e suonò un campanello. «Ho la mia richiesta da farvi.» «Signore?» «La mia consorte e moglie, la Nobile Signora Alerya, mi ha pregato di invitarvi a cena. Immagino che sapeste già della cena, ma che non foste informato della fonte di quell'invito.» Talryn si alzò e annunciò all'apparentemente vuota sala delle udienze: «Per oggi, le udienze sono finite». Alucius seguì il Signore-Protettore nella saletta attigua e poi su per la scala circolare che portava al piano superiore e a una specie di pianerottolo. Di fronte c'era una doppia porta, davanti alla quale stazionavano due guardie. Talryn la apri e fece segno ad Alucius di entrare per primo. Oltre il vestibolo, al di là di un passaggio a volta, in quello che sembrava essere un salotto, c'era una giovane donna seduta su un divanetto affiancato da due tavolini. In braccio teneva un bambino, poco più che un neonato. Quando Alucius e il Signore-Protettore fecero il loro ingresso, si alzò. «Colonnello Alucius, vi presento mia moglie Alerya e mio figlio Talus.» Alucius fece un inchino alla giovane donna snella che teneva tra le braccia il piccolo, un bimbo di circa sei mesi, con gli stessi capelli e occhi scuri del padre. «Signora», disse, per poi raddrizzarsi. Alerya fissò Alucius dritto negli occhi, poi inclinò il capo e sorrise. «L'avevo immaginato. Non si è trattato di un sogno, vero?» Alucius sembrò incerto per un attimo, poi rispose: «No, signora, ma sarà meglio considerarlo tale. Pare che non si pensi un gran bene delle proprietà guaritrici dei pastori». Talryn guardò Alucius. «Voi...» «Avrei potuto negarlo e nessuno l'avrebbe mai saputo.» «Ma... potreste aiutare molti...» Alucius scosse il capo. «Pochissimi. Si tratta di una cosa che richiede molto tempo ed energia. Non la si può praticare di frequente e spesso non funziona. Voi siete stato magnanimo nei confronti delle Valli del Ferro e
dei pastori. Molto più di quanto non lo siano stati i mercanti di Dekhron. Considerate quello che ho fatto come una ricompensa ben meritata e io sarò lieto di esservi stato in qualche modo di aiuto.» Il Signore-Protettore rimase in silenzio, chiaramente sollevato e contrariato al tempo stesso. «Ha dato molto più di quanto non abbia ricevuto, Talryn. Molto di più. Non pretendere altro.» La voce di Alerya era dolce, ma Alucius sentì che dietro a quella dolcezza si nascondeva l'acciaio. Talryn rise sommessamente e con aria afflitta. «Il mio comandante del nord e la mia consorte. Sono davvero ben servito.» Inclinò il capo in direzione di Alucius. «Mia moglie ha ragione. Non potrò mai ripagarvi interamente, ma ascolterò con attenzione eventuali suggerimenti. Vi prego di non lasciarmi mai privo dei vostri consigli.» «I miei consigli non sono certo meglio di quelli di molti altri», replicò Alucius, «ma farò come mi chiedete». Talryn scoppiò di nuovo a ridere. «Sarà meglio che non chieda, ma che mi limiti a lasciarvi ragionare con la vostra testa.» «Prima di andare a tavola, devo farvi una domanda indiscreta», disse Alerya, «ma ve la devo fare». Alucius non poté fare a meno di provare rispetto verso la moglie del Signore-Protettore. «Risponderò per quanto mi sarà possibile.» «Talus... Voi siete...?» «No. Io vi ho guarita. Questo è tutto.» «Grazie.» Alerya gli fece un largo sorriso. Alucius avvertì un grande sollievo da parte di Talryn, e per quello egli provò una gratitudine ancora maggiore nei confronti della moglie per aver avuto il coraggio di chiarire la questione. «Posso chiedervi come ci siete riuscito?» «Potete chiedere, signore, ma posso solo dirvi che le condizioni di vostra moglie erano strettamente legate all'Archivista.» «Sarà meglio che andiamo a tavola, Talryn, prima che Talus diventi troppo agitato.» Alucius guardò il bambino e venne invaso da una lieve ondata di tristezza. Non aveva ancora visto la sua Alendra. «Già, sarà meglio.» Con un sorriso, il Signore-Protettore si avviò verso una porta aperta che dava su una minuscola sala da pranzo. Nell'entrare, Alucius non poté fare a meno di notare che la tavola era apparecchiata solo per tre. Alerya si sedette con Talus in braccio ed ebbe il
suo da fare per impedire al piccolo di afferrare e mordicchiare la tovaglia di lino blu che ricopriva la tavola. «Questa è una cena strettamente privata», disse Talryn. «Non ci sarà nessun Signore-Protettore né colonnello.» «E non si discuterà neppure di strategie militari.» Alerya sorseggiò il suo vino non appena l'inserviente l'ebbe versato nei bicchieri. «Spero che non vi formalizziate se io nel frattempo mi sono già servita, altrimenti non so quanto riuscirò a mangiare questa sera.» «Fai pure, mia cara.» «Prego», aggiunse Alucius. «Vedo che trascorrete molto tempo con vostro figlio.» «La maggior parte della giornata. Ho visto troppi bambini cresciuti da governanti e da servitori. E poi i genitori si chiedono come mai i figli non condividano i loro valori e le loro opinioni.» Bevve un altro sorso di vino rosso. «Io sono molto fortunata perché mio marito è molto comprensivo ed è una cosa che ci possiamo permettere.» «Tu te lo puoi permettere», disse Talryn. «Tu passi molto più tempo con lui di quanto non ne passasse tuo padre con te.» «Sei stata tu a darmi l'esempio, mia cara.» Talryn rise. «Talryn prima parlava dei pastori e del nord. Volete spiegarmi cosa significa davvero essere un pastore?» Alucius sorrise. «Posso spiegarvi cosa sento e alcune altre cose. Se vi spiegassi tutto impiegherei molto più tempo di quanto ne abbiamo.» «Vi prego, raccontatemi tutto ciò che vi è possibile.» «C'è qualcosa di speciale nell'essere un pastore, riguardo alla terra, al gregge. Uno dei ricordi più vividi della mia infanzia risale a quando mi presi cura di un agnellino abbandonato e riuscii a persuaderlo a nutrirsi. Ero molto piccolo, dovevo avere forse quattro o cinque anni...» Alucius continuò a raccontare la storia di Agnellino, ancora un po' meravigliato di essere seduto a tavola in compagnia del Signore-Protettore e della moglie. II LO SCETTRO DEL PRESENTE 104 Il sole del pomeriggio era in parte offuscato da una leggera nuvolaglia.
Un vento pungente soffiava da nordest e dall'Altopiano di Aerlal, mentre Alucius e i suoi uomini si avvicinavano ai confini meridionali di Salaan e alle capanne sparse dei miseri contadini che lottavano per tirare fuori di che vivere dalle aride colline a sud del fiume Vedra. Il viaggio di ritorno era stato lungo e gli unici suoi aspetti positivi consistevano nel fatto che, oltre a non essere stati attaccati da nemici o da creature talentose, Alucius aveva avuto tutto il tempo di guarire quasi completamente, benché portasse ancora il bracciale rigido all'avambraccio destro. Uno dei carri, insieme a una cassa di viveri, trasportava anche i forzieri contenenti la paga destinata alle Guardie del Nord per l'intera primavera, probabilmente perché il maresciallo Frynkel non aveva voluto lasciarsi sfuggire l'opportunità di usufruire della scorta di ben tre compagnie di soldati a guardia di una così ingente somma di denaro. Un altro carro portava barili di frutta essiccata, dono della moglie del Signore-Protettore per la Quinta Compagnia e le Guardie del Nord. Alucius era impaziente di rivedere Wendra, sebbene non avesse idea di quando ciò sarebbe stato possibile, visto che avrebbe anche dovuto rimpiazzare il colonnello Weslyn. Era certo che la consegna del messaggio da parte del Signore-Protettore sarebbe stata tutt'altro che piacevole. In passato, tuttavia, il colonnello si era sempre dimostrato cortese, anche se poi era ricorso a questo o a quel sotterfugio per trarne vantaggio. Dato lo stretto rapporto esistente tra Weslyn e i mercanti di Dekhron, Alucius non aveva dubbi che, dopo l'uscita di scena del primo, questi - o una buona parte di essi - gli avrebbero reso le cose difficili. L'eccessiva influenza esercitata dai mercanti costituiva un'altra delle ragioni che l'avevano spinto a chiedere di spostare il quartier generale delle Guardie del Nord a Punta del Ferro. Appena prima di lasciare Tempre, aveva finalmente ricevuto una lettera di Wendra in cui gli diceva che lei e Alendra erano in buona salute e che tutto alla fattoria procedeva bene. Aveva anche accennato al fatto che la paga supplementare che le veniva corrisposta per i servizi resi da Alucius era servita ad acquistare un montone e una pecora del gregge del cugino Kyrtus. Conoscendo Wendra, doveva aver sicuramente approfittato del debole che il cugino aveva per lei per ottenere un prezzo di favore. Strada facendo, Alucius le aveva inviato parecchie lettere dicendole che stava tornando, ma che avrebbe dovuto trascorrere alcuni giorni a Dekhron per parlare con il colonnello Weslyn, dietro espressa richiesta del SignoreProtettore. Questo era quanto aveva osato mettere per iscritto. Nei giorni precedenti la sua partenza da Tempre, Alucius si era incontra-
to parecchie volte con Frynkel, con il responsabile addetto all'approvvigionamento delle Guardie del Sud, oltre che con i propri ufficiali. Entrambi i capitani, al pari di Feran, non erano rimasti molto stupiti nell'apprendere la decisione del Signore-Protettore di nominare Alucius comandante in capo delle Guardie del Nord. I due capitani avevano invece mostrato sorpresa nel venire a sapere che lo avrebbero accompagnato a Dekhron e non se ne erano minimamente dispiaciuti, visto che, in tal modo, non sarebbero stati mandati a Porta del Sud o nei territori a ovest prima dell'inizio dell'estate, o forse anche dopo. Durante il viaggio verso Dekhron, Alucius aveva fatto un paio di volte il sogno della stanza che si richiudeva su di lui e si chiese se non c'entrasse la sua nomina a capo delle Guardie del Nord e il fatto che si sentisse in un certo qual modo in trappola. Ma per quale motivo, allora, la stanza sembrava quella del palazzo di un ifrit? In quel momento Feran cavalcava di fianco a lui. «Come pensi di comportarti con Weslyn?» «Penso che dovrà essere un'azione rapida e che dovremo assumere il controllo di tutto nel più breve tempo possibile.» «Tipo... tagliare in curva l'avversario?» «No, ma piazzare i nostri uomini nei punti chiave della postazione. Pensavo di farmi accompagnare da alcuni uomini armati. Non credo che Weslyn tenterà di fare qualcosa, ma...» Alucius si strinse nelle spalle. «È un serpente della sabbia e io mi terrò comunque pronto a intervenire con una squadra.» Alucius annuì. «Dopo che avrò consegnato il dispaccio del SignoreProtettore riuniremo gli ufficiali. Dopodiché penseremo a dare la comunicazione a tutti i soldati. Dovremo inviare messaggi alle varie postazioni e compagnie. Per il momento, tu mi farai da assistente. Poi sarai il mio vice.» «Non me l'avevi chiesto, signore.» «No, non l'ho fatto, per non darti la possibilità di rifiutare.» Alucius gli regalò un largo sorriso. «Tra l'altro, guadagnerai più soldi.» «Se vivrò abbastanza da godermeli.» «Sicuramente.» Mentre attraversavano Salaan, il vento si fece più freddo e prese a soffiare con maggiore violenza. Una volta che ebbero attraversato l'antico ponte in durapietra e fatto il loro ingresso a Dekhron, i lastroni di ghiaccio e la neve granulosa e sporca che si vedevano nei cortili, nelle strade e nelle
zone in ombra di fianco alle case confermarono loro che erano giunti al nord e che era inverno. Mentre Alucius dirigeva il cavallo verso ovest, lasciando la strada principale per immettersi su quella che li avrebbe condotti al quartier generale delle Guardie del Nord, lanciò un'occhiata a settentrione, dove nuvole scure nascondevano completamente alla vista l'Altopiano di Aerlal. Con quel vento proveniente da nordest, Dekhron avrebbe probabilmente visto altra neve nel tardo pomeriggio, sicuramente prima di notte. «Avevo dimenticato quanto fosse freddo, persino così a sud», osservò Feran. Alucius sorrise. Non temeva il freddo, almeno non quanto il caldo del meridione. «Voi pastori! Dovete avere del fuoco nelle vene!» Feran guardò davanti a sé, verso i cancelli aperti della postazione. «Sarà meglio che ci prepariamo.» Si girò sulla sella. «Quinta Compagnia, pronti con i fucili.» «Pronti con i fucili!» Il comando risuonò lungo la colonna di soldati. Le due sentinelle di guardia ai cancelli sollevarono lo sguardo nello scorgere le uniformi della Quinta Compagnia. Poi sbarrarono gli occhi nel vedere i fucili puntati e le due compagnie di Guardie del Sud che seguivano. «Colonnello Alucius, di ritorno da Tempre», annunciò Alucius. «Sì, signore.» Una volta nel cortile, i comandi si susseguirono. «Quinta squadra, circondare l'armeria!» «Sì, signore. Quinta squadra!» La voce di Zerdial si levò stentorea. «All'armeria.» «... Ventottesima Compagnia... circondare le baracche!» «Ventottesima Compagnia! Per squadre!» Feran fece un cenno a Faisyn, poi si protese verso il comandante di squadra e gli parlò sottovoce. Alucius si chiese cosa mai gli stesse dicendo, ma era troppo stanco e non voleva sprecare Talento-energia per ascoltare. Inoltre aveva piena fiducia in loro ed entrambi gli avevano salvato la vita in diverse occasioni. «I primi quattro con me, di scorta al colonnello», ordinò Faisyn scendendo da cavallo e legandolo a un palo. «Con le armi.» Alucius sorrise debolmente a Feran. «Così è più sicuro», replicò il capitano maggiore. Alucius scese a sua volta da cavallo e salì i gradini che portavano all'in-
terno del quartier generale, recando con sé gli ordini e il messaggio del Signore-Protettore. Faisyn e i quattro uomini della prima squadra lo seguivano, i fucili in pugno. Il soldato seduto alla scrivania appena fuori dallo studio del colonnello alzò il capo. Nel vedere Alucius, inghiottì a vuoto. «Maggiore... non sapevamo.» Alucius sorrise. «Sono colonnello, adesso.» L'altro impallidì. «Il colonnello Weslyn è nel suo studio?» «Ehm... sì, signore. Ma... be'... lui e il maggiore Imealt...» «Molto bene.» Alucius si diresse alla porta dello studio e la spalancò. Entrambi gli ufficiali erano seduti - Weslyn dietro alla scrivania, Imealt di fronte a lui - e tutti e due si voltarono. «Avevo chiesto di non...» Weslyn si interruppe nel vedere Alucius entrare nello studio lasciando la porta aperta. Questi tese la busta sigillata al colonnello dai capelli grigi. «Da parte del Signore-Protettore. Mi ha pregato di consegnarvela subito al mio ritorno.» «Oh... davvero?» Mentre prendeva la busta Weslyn non si alzò. Il suo sguardo si posò in ritardo sulle insegne che Alucius portava sul colletto. «Congratulazioni, colonnello.» «Sarebbe meglio che leggiate il messaggio del Signore-Protettore», disse Alucius. «Quando ne avrò il tempo. Adesso il maggiore Imealt e io...» «Ora.» Alucius sorrise educatamente. «Sono il vostro comandante.» «No, colonnello. Il Signore-Protettore ha accettato le vostre dimissioni.» Alucius sentì che la porta si apriva un po' di più alle sue spalle, ma sentì anche che era stato Faisyn a spalancarla. Imealt impallidì, lanciando un'occhiata furtiva da quella parte. «Ci sono dei soldati armati là fuori, colonnello.» «Si tratta solo di una precauzione», disse Alucius. «Ci sono anche due compagnie di Guardie del Sud, oltre alla Quinta Compagnia, nel cortile.» Weslyn osservò i sigilli sulla busta. «Se non foste stato voi a consegnarmela, colonnello, avrei dubitato dell'autenticità dei sigilli. Ma voi non vi abbassereste a tanto.» Le parole lasciavano trasparire una lieve collera. «Posso chiedere la ragione di tutto questo?» Alucius sorrise debolmente. «È stata una decisione del Signore-
Protettore.» Al che Weslyn scoppiò a ridere, una risata bassa, un po' triste e un po' amara. «Dev'essere così, vero?» Lacerò la busta, evitando con cura di strappare i sigilli, ed estrasse l'unico foglio riccamente adorno di ghirigori. Lesse adagio, con attenzione. Poi alzò lo sguardo. «Mi congratulo con voi, colonnello. Adesso avete il comando. Non è ciò che sembra, o ciò che pensate.» Alucius annuì. «Lo so da anni.» «Niente lo è. La seta nerina non offre protezione a quello che non riesce a coprire, colonnello.» E così dicendo, Weslyn estrasse una pistola e la puntò alla testa di Alucius. Un'altra pistola comparve nella mano sinistra di Imealt. Alucius arretrò, come se fosse meravigliato da quella reazione, ma cercò di spostarsi sulla sinistra. «Fuoco!» ordinò, mentre si tuffava di lato e si copriva il viso con il braccio sinistro. Qualcosa lo colpì con violenza nella parte superiore del braccio. Le pallottole gli fischiarono sopra la testa, a raffica. Imealt e Weslyn non avevano neppure avuto il tempo di mostrarsi sorpresi. Entrambi caddero in avanti, a faccia in giù. Poi Faisyn e due soldati si precipitarono nello studio. «Signore?» Alucius si alzò, adagio. Poteva a malapena muovere il braccio sinistro, ma non c'erano fratture. Lo sentiva. Fece un passo avanti e osservò i due ufficiali a terra. «Il braccio mi farà male per un po'.» Avrebbe voluto picchiare la testa contro il muro. Sapeva che Weslyn era un essere infido, così come ugualmente infido lo era stato Fedosyr. Aveva persino preso delle precauzioni per proteggersi. Eppure, quand'era entrato nello studio, non aveva pensato che Weslyn sarebbe ricorso immediatamente a qualche bieco stratagemma. Una reazione del genere se la sarebbe aspettata più in là nel tempo. Invece, avrebbe dovuto pensarci, anche se era convinto che un ufficiale non potesse abbassarsi a tanto. Aveva avuto torto. Feran comparve sulla soglia. «Stai bene?» «Sì. È solo che non riesco ancora a crederci.» Alucius indicò con il braccio destro i due ufficiali morti. «Hanno tirato fuori le pistole e hanno cercato di spararmi.» «Vi hanno sparato, signore», dichiarò Faisyn. «Senza la protezione della seta nerina...»
«Sarei ancora vivo, ma il mio braccio sinistro sarebbe alquanto malridotto», ammise Alucius. «Non riuscirò comunque a usarlo per qualche giorno.» Dopo essersi ripulito goffamente l'uniforme con la mano destra, osservò i due corpi distesi sul pavimento. «Lasciateli lì, per ora.» Si voltò e uscì dallo studio. Il soldato che prima era seduto alla scrivania, adesso era in piedi con le spalle al muro, guardato a vista da due uomini della prima squadra. «Temevamo che si comportasse come gli altri due rettili», disse Faisyn. «Qual è il tuo nome, soldato?» chiese Alucius. «Nadalt, signore.» L'uomo dalla faccia tonda continuava a far correre lo sguardo da Alucius ai due soldati con il fucile. «Di cosa poteva aver paura il colonnello, per cercare di spararmi?» «Non lo so, signore.» L'apprensione che traspariva dalla voce dell'uomo spinse Alucius a riformulare la domanda. «Di cosa pensi potesse avere paura il colonnello, Nadalt?» «Lui... lui... non ne sono sicuro, signore...» «Non ti ho chiesto di esserne sicuro. Oppure vuoi affrontare la corte marziale per aver preso parte a questo atto di ammutinamento?» «Ammutinamento? No, signore.» Alucius aspettò. «Non lo so, signore... tranne che... be'... durante gli ultimi due anni, il colonnello non ha mai vissuto nei suoi alloggi qui, al piano di sopra. Possedeva una grande casa alla periferia occidentale della città e... sua moglie, è morta più di tre anni fa e lui ha dovuto chiedere denaro in prestito per sistemare le cose. Poi due anni fa, quando il mercante Ostar è morto, si è comperato quella casa... che era la casa di Ostar...» «Quali altri ufficiali si trovano qui a Dekhron?» «Be', signore, c'è il capitano Yusalt. È al comando della Settima Compagnia, l'unica a essere di stanza qui in questi giorni. Il capitano maggiore Shalgyr è l'ufficiale addetto ai rifornimenti delle Guardie del Nord, ma credo di averlo visto scappare dai cancelli sul retro dopo il vostro incontro con il colonnello...» Nadalt fece una pausa. «Il capitano maggiore Sanasus, che coordina il traffico dei messaggeri e controlla il parco carri e cavalli in dotazione alle Guardie. Inoltre si occupa dell'invio delle paghe alle varie postazioni. Ah, e il tenente Komur, il responsabile della manutenzione e delle attrezzature, qui, al quartier generale e, suppongo, di tutto quello che non fanno gli altri.»
Mentre prendeva nota mentalmente dei nomi, Alucius aveva la netta sensazione che non avrebbe rivisto molto presto il capitano maggiore Shalgyr. Tra l'altro era fuggito dai cancelli posteriori, quelli che, tra tutti i luoghi di Dekhron, portavano proprio al «Montone Rosso». «Signore...?» Feran lanciò un'occhiata a Nadalt. «Rinchiudetelo da qualche parte finché non saremo riusciti a chiarire bene le cose», disse Alucius stancamente. «Tanto vale che chiamiamo subito gli ufficiali, quelli rimasti, e che li informiamo di ciò che è successo.» Si rivolse a Feran. «Sei tu il vice.» «Non mi lasci altra scelta.» «Non ora», disse Alucius. «Mi pare di ricordare che neppure io ne ho avute molte.» Feran proruppe in una risata simile a un latrato. «Faisyn, di' a Egyl di trovare i comandanti di squadra e di chiedere loro di far venire qui immediatamente gli ufficiali.» «Sì, signore.» Nadalt faceva correre lo sguardo da Alucius a Feran. Le sue spalle sembravano essersi incurvate. «Dov'è l'elenco di tutti i soldati di stanza qui?» chiese Alucius a Nadalt. «È là... la cartellina nera a destra, signore. Nelle prime pagine c'è l'elenco dei vari quartieri generali. Poi ci sono i nomi di tutti i soldati, divisi per postazione.» Alucius si avvicinò al tavolo stretto, prese la cartellina, la aprì e cominciò a leggere i nomi, contandoli. I nomi degli ufficiali concordavano con quanto aveva detto Nadalt. Sfogliò tutte le pagine e, quando arrivò in fondo, aggrottò la fronte. «Ci sono solo diciotto compagnie?» «Sì, signore. Il colonnello ha sciolto la Diciannovesima e la Ventesima all'inizio dell'autunno. Aveva detto che non c'era denaro a sufficienza per i rifornimenti e le paghe. Ma nessuno dei soldati ha lasciato il servizio. No, davvero. Sono stati solo trasferiti ad altre compagnie, e gli ufficiali ne hanno rimpiazzati altri.» «Il colonnello aveva informato il maresciallo Frynkel e il SignoreProtettore di questo cambiamento?» «Io... ehm... non saprei, signore.» «Siete al corrente di messaggi o dispacci inviati a tale proposito?» «No, signore.» «È possibile che non ne siate stato informato?» «No, signore.» La voce di Nadalt lasciò trasparire uno scoraggiamento
ancora maggiore. Alucius si voltò e vide sulla soglia un capitano maggiore dal fisico ossuto e dai capelli brizzolati. «Colonnello... colonnello Alucius?» Alucius riconobbe l'uomo più anziano, che doveva avere tra i quaranta e i cinquant'anni. «Sì, Sanasus. Sono tornato. Se volete aspettare solo un momento, finché non sono arrivati tutti gli altri.» «Sì, signore.» Alucius rivolse di nuovo la propria attenzione su Nadalt. «Perciò è alquanto improbabile che il colonnello Weslyn abbia informato Tempre circa la riduzione del numero di compagnie, giusto?» «Ehm... del tutto improbabile, signore.» «E aveva comunicato al Signore-Protettore che anche l'importo delle paghe doveva essere ridotto?» «Ah... non che io sappia, signore.» Alucius si girò, mentre gli ultimi due ufficiali facevano il loro ingresso nella stanza. Riconobbe il tenente Komur, dal fisico asciutto e dalla bassa statura, con un volto abbronzato e segnato dagli anni. L'ufficiale biondo e robusto dietro di lui doveva essere il capitano Yusalt, più giovane degli altri due, ma sicuramente di parecchi anni più anziano di Alucius. Questi, mentre cominciava a parlare, esaminò i tre con il Talento cercando di ricavarne una prima impressione. «Grazie per essere venuti subito. Non sarei sorpreso se le voci di quanto è accaduto stessero già circolando ma, in caso contrario, ho pensato che doveste essere messi al corrente dell'accaduto prima che io ne parli ai soldati. Il Signore-Protettore nutriva una forte preoccupazione sull'andamento delle cose qui, al quartier generale delle Guardie del Nord. Certamente ricorderete che il maresciallo Frynkel era stato qui per un giro d'ispezione all'inizio dell'autunno.» Alucius si concesse una pausa, lasciando che le sue parole facessero presa. Sanasus annuì impercettibilmente, imitato da Komur. Yusalt aveva l'aria confusa. «Saprete che mi era stato chiesto di recarmi a Hyalt per sedare una rivolta, portando con me la Quinta Compagnia e altre due delle Guardie del Sud. Dopo avere concluso quella prima missione, ci fu ordinato di dirigerci a Porta del Sud. Laggiù, le nostre tre compagnie sono riuscite a distruggere i due lancia-proiettili di cristallo e a respingere i matriti. Dopodiché siamo stati convocati a Tempre, dove abbiamo ricevuto l'encomio solenne del Signore-Protettore e siamo stati rimandati qui. A me personalmente era
stato ordinato di destituire il colonnello Weslyn dal suo incarico e di prenderne il posto. Quando ho consegnato al colonnello l'ordine del SignoreProtettore, questi e il maggiore Imealt hanno estratto le pistole e hanno cercato di uccidermi.» La confusione di Yusalt si trasformò in shock, mentre Sanasus annuiva di nuovo. Un lieve sorriso sbilenco comparve sul volto di Komur. «Fortunatamente, il capitano maggiore Feran si era mostrato meno fiducioso di me e mi aveva fatto scortare da alcuni soldati. Sono sopravvissuto per merito loro. Il colonnello e il maggiore sono rimasti uccisi. Il SignoreProtettore nutriva profonda preoccupazione riguardo ad alcune irregolarità nell'ambito delle Guardie del Nord. Credo che la reazione del colonnello confermi la fondatezza di tale preoccupazione. Devo inoltre comunicarvi che il capitano maggiore Shalgyr si è dato subito alla fuga, abbandonando la postazione.» «Ovvio che l'abbia fatto, signore», commentò Komur. «Non aveva mai permesso a nessuno di noi di avvicinarsi al registro dei conti. Non mi lasciava neanche comperare una punta di spillo da solo.» «Prima di proseguire, vorrei che tutti voi deste un'occhiata allo studio del colonnello e ai dispacci e agli ordini che avevo portato con me. Vi informo anche che mi sono state consegnate alcune casse con le paghe dei soldati per le prossime due stagioni. Le casse si trovano nei carri sorvegliati dalle guardie fuori nel cortile.» Il capitano maggiore Sanasus annuì. «Farò come avete suggerito, signore, ma non ho dubbi riguardo alla vostra descrizione dell'accaduto. Potrebbe essere stato addirittura peggio di come l'avete raccontato.» Alucius sentiva che Sanasus era convinto di ciò che diceva. «Ma... il colonnello Weslyn... era il comandante», protestò Yusalt. «Perché...» «Per coprire le spese di quella grande casa», ipotizzò Komur. «E di tutti quei vini da Vyan, oltre che per ripagare i mercanti suoi amici.» Alucius arretrò di un passo per lasciar entrare i tre ufficiali nello studio. Il fatto che due su tre sapessero che qualcosa non andava era incoraggiante. Il fatto che non fossero stati in grado di fare nulla per ovviare alla situazione - o non avessero osato - era più che scoraggiante. L'ultima cosa che Alucius avrebbe voluto fare era stabilire l'entità del danno e quanto mal approvvigionate e amministrate fossero le Guardie del Nord. Ma quello, purtroppo, rientrava invece tra i suoi compiti prioritari. Naturalmente, dopo essersi assicurato che tutti, nell'ambito delle Guardie,
sapessero del cambiamento avvenuto ai vertici. Gettò uno sguardo cupo verso la porta che dava sullo studio del colonnello. 105 Nord di Punta del Ferro, Valli del Ferro Wendra si sedette sulla sedia a dondolo, sistemata un po' obliquamente davanti alla stufa di ferro del soggiorno. Fuori il vento gemeva piano e, sebbene le finestre fossero chiuse, il pavimento era gelido a causa degli spifferi che penetravano da ogni fessura. «Signorina, adesso devi dormire.» Un minuscolo pugno si agitò, come per protesta. «Sicuro.» Wendra cominciò a dondolarsi dolcemente, guardando la figlia nella quiete della tarda sera. Poi cominciò a sussurrare la vecchia canzone, la filastrocca per bambini che aveva sempre preferito cantare, anziché recitare, quella che legava suo marito a sua figlia. «Il figlio di londi è chiaro in viso. Il figlio di duadi è molto deciso. Il figlio di tridi è assai giudizioso, ma quello di quattri è coraggioso. La figlia di quinti è risoluta, e quella di sexdi è avveduta. Il figlio di septi è generoso, ma quello di octdi è operoso. Il figlio di novdi dovrà stare attento, e quello di decdi è sempre contento. Ma è dell'ariante il figlio migliore, perché sui sabbiosi uscirà vincitore, e il perduto vessillo garrirà nel vento sotto il cielo color verde e argento.» Al termine della canzone, il pugnetto di Alendra era rilassato, gli occhi erano chiusi e il respiro si era fatto regolare. Wendra sorrise, mormorando piano: «Un'altra figlia dell'ariante...». Alzò lo sguardo verso est, in direzione dell'altopiano che non riusciva a vedere attraverso le pareti e le imposte sbarrate. Poi, adagio, si alzò dalla
sedia, facendo attenzione a non svegliare Alendra, e si avviò verso la culla. 106 Mentre cercava di chiarirsi le idee e di pensare a cos'altro avrebbe dovuto fare, Alucius si soffermò un attimo fuori dallo studio del colonnello. Poi si irrigidì e si rivolse a Dhaget: «Chiamami il capitano maggiore Feran». «Sì, signore.» Dhaget si diresse verso il cortile. «Nessun altro ha lasciato la postazione, eccetto il capitano maggiore Shalgyr?» domandò Alucius al soldato più vicino. Fewal lanciò un'occhiata a Roncar. «È difficile dirlo, signore. Non abbiamo un elenco.» Alucius annuì. Era stata una domanda stupida e avrebbe dovuto pensarci prima di farla. Doveva evitare quel genere di cose. I comandanti non facevano domande stupide, almeno non se volevano continuare a fare i comandanti. Feran arrivò di corsa. «Mi volevi?» Alucius guardò Sanasus. «Sapete dove si trova la casa del colonnello Weslyn?» Sanasus batté le palpebre. «La sua casa?» «Quella grande, di cui parlava il tenente Komur. Quella dove potrebbero trovarsi tutte le monete d'oro rubate alle Guardie.» «Sì, signore. Voglio dire, si trova a poco meno di un vingt da qui.» Alucius guardò Feran. «Credi che due squadre possano bastare?» chiese questi. «Dovrebbero. Ma dobbiamo sbrigarci, e procurarci un cavallo per il capitano maggiore Sanasus. Shalgyr potrebbe essere andato là. Magari no, ma non voglio rischiare di perdere tutti quei soldi se davvero si trovano nella casa.» Fece una pausa. «Sarà meglio che tu rimanga qui a occuparti del resto.» Feran annuì e si precipitò fuori. «Denaro? Voi pensate...?» Sanasus tacque. «Non lo so, ma se indugiamo ancora non lo sapremo mai.» Alucius si augurava solo che non fosse già troppo tardi. «Komur, voi aspettate qui. E voi, capitano maggiore, venite con me.» «Sì, signore.» Un tono di blanda rassegnazione traspariva dalla voce di Sanasus. Alucius si avviò di buon passo verso l'uscita e montò in groppa al suo
baio. «La terza e la quarta squadra ti accompagneranno, colonnello», annunciò Feran. «Holgart fungerà da comandante di squadra anziano.» «Signore, siamo pronti», disse Holgart. «C'è un cavallo in più per il capitano maggiore.» Sanasus saltò in sella con una rapidità tale che solo Alucius fu probabilmente in grado di avvertire invece la sua riluttanza. «Da che parte?» chiese Alucius. «Usciti dai cancelli, a destra, poi verso ovest al prossimo incrocio.» Il tragitto fu davvero breve, meno di tre quarti di vingt, calcolò Alucius, prima che si fermassero davanti a una grande casa a due piani, della larghezza di venti iarde abbondanti e quasi il doppio in profondità. Sulla destra, dietro all'edificio, c'era una stalla, mentre la facciata della casa era abbellita da un'ampia veranda protetta da un parapetto con colonne di legno intagliato e dipinto. Una breve scala portava dal vialetto di ghiaia fin sulla veranda, a metà della quale si trovava una maestosa porta a un battente con un inserto di vetro colorato. I muri della casa erano di pietra grigia, il tetto era coperto da tegole d'ardesia grigia, tutte le finestre erano ampie e le imposte, nere dai profili bianchi, erano spalancate. Da entrambi i camini usciva un sottile filo di fumo. Si trattava di un'abitazione sontuosa, pensò Alucius, soprattutto per il tenore di vita di un ufficiale delle Guardie del Nord. «Sarà meglio che lasciate bussare me, signore», suggerì Holgart. «Vi siete già beccato sufficienti pallottole.» «State attento.» «Non vi preoccupate.» Mentre il comandante di squadra sollevava il pesante batacchio di bronzo, quattro soldati tenevano il fucile puntato sulla porta. L'uomo tarchiato dai capelli biondi che aprì rimase per un attimo interdetto. Infine riuscì a chiedere: «Cosa... cosa significa tutto questo? Il colonnello userà la vostra miserabile pelle per farne tanti tappeti». «Non credo, signore», dichiarò Holgart, «visto che Weslyn, per ordine del Signore-Protettore non è più colonnello. Il colonnello Alucius è il nuovo comandante in capo delle Guardie del Nord. Siamo qui per recuperare i beni rubati». «Rubati?» L'uomo dai capelli biondi, presumibilmente il figlio di Weslyn, a giudicare dalla corporatura e dai lineamenti, fece per chiudere la porta.
Ma Holgart inserì nello spiraglio il grosso piede calzato dallo stivale e puntò il fucile contro il petto dell'altro. «Credo sia meglio che lasciate aperta la porta e che usciate sulla veranda.» L'uomo fece correre lo sguardo sulle due squadre di soldati schierati fuori e poi su Alucius, notando le insegne sul colletto. Così, lasciò aperta la porta e uscì. «Degurt, tu e gli altri perquisite la casa e tornate a riferire dopo che l'avrete fatto.» Alucius aveva già capito attraverso il Talento che non c'era nessun altro all'interno, ma non disse nulla. «Non c'è nessuno qui, tranne me.» L'uomo guardò Alucius, che nel frattempo era smontato e aveva salito i pochi gradini che portavano sulla veranda. «Tutto questo è davvero molto spiacevole. Mio padre è un uomo influente. Dovrete giustificare il vostro comportamento offensivo.» «Sicuro», concesse Alucius. «Ma dovrei giustificarmi ancora di più se non recuperassi tutto ciò che è stato rubato. Il Signore-Protettore non nutre grande simpatia per i furti commessi dagli ufficiali, soprattutto di questi tempi.» «Furti? È un'accusa grave, colonnello. Mio padre è un bravo ufficiale.» «Questo rimane da vedere. Se non troviamo niente, vi farò le mie più profonde scuse, ma prima dobbiamo controllare.» «Le vostre scuse? Le vostre scuse? Pretendo ben altro.» «Vorrei sapere il vostro nome, se non vi dispiace», disse Alucius. «Lynat.» «Lynat, se mi sbaglio, vi porgerò le mie scuse.» «Se vi sbagliate, e di certo vi sbagliate, mio padre avrà la vostra testa.» «È alquanto improbabile. Ha cercato di attentare alla mia vita in presenza di una decina di testimoni. Lui e il maggiore Imealt sono rimasti uccisi nel tentativo.» Lynat impallidì. «Signore, la casa è a posto.» «Bene.» Alucius si girò verso Lynat. «Farò in modo di recare il minore disturbo possibile. Accompagnateci, per favore.» Fece un cenno a Sanasus. «Anche voi, capitano maggiore.» Dopo aver usato il nettastivali e la spazzola, Alucius entrò nel vestibolo dal pavimento in ceramica ornato da motivi geometrici verde scuro, nero e argento. A sinistra della porta si trovava un cassettone in stile deforyano con uno specchio dai bordi dorati, mentre a destra c'era una serie di appen-
diabiti di bronzo con supporti di legno di quercia fissati alla parete. Il passaggio a volta sulla sinistra portava a uno studio. Alucius entrò, ricorrendo al suo Talento per cercare nella scrivania e negli armadietti, ma non trovò nulla, se non alcune carte. Lo scaffale sotto la finestra laterale conteneva quattro file di volumi rilegati in pelle. Alucius annuì e attraversò il vestibolo per dirigersi nel salotto sul davanti della casa, ammobiliato con due divanetti imbottiti, quattro poltrone e due credenze assortite, dal delicato disegno e dalla squisita fattura. Nella sala da pranzo troneggiava un lungo tavolo in legno di ciliegio con dodici sedie, completato da due credenze, una piccola e una grande, e da un tavolino di servizio per le pietanze. Le sedie avevano un'imbottitura di broccato blu e oro. Dietro alla sala da pranzo, sulla destra, la cucina ostentava una pompa per l'acqua e una grossa stufa di ferro, oltre a una dispensa della misura di tre iarde abbondanti per due. La lavanderia sul retro non conteneva molto al suo interno, tranne l'indispensabile per lavare. Alucius però notò l'esistenza di una porta che conduceva in cantina. «Esamineremo la cantina per ultima», disse calmo, osservando Lynat, e non fu per niente sorpreso nel vedere che l'altro aveva avuto una reazione di preoccupazione e paura. «Andiamo di sopra.» Alucius perquisì rapidamente le tre camere da letto più piccole. In una, quella che doveva appartenere a Lynat, regnava il disordine più completo. Le sole cose che Alucius trovò furono due sciabole delle Guardie e un paio di fucili. «Non propriamente impeccabile», commentò, mentre posava le armi sul fondo del letto sfatto, «ma di certo non è di questo che ci dobbiamo preoccupare». Si voltò verso Sanasus. «Tuttavia, vi dispiacerebbe prendere nota del numero di matricola delle armi?» «Sì, signore.» La camera da letto più grande era situata nell'angolo a nordovest. L'unico oggetto di interesse era un cofanetto sul cassettone. Alucius fece finta di prendere una chiave, mentre in realtà usava il Talento per forzare il piccolo lucchetto. «Dove avete preso...?» Alucius aprì il cofanetto. Al suo interno trovò una ventina di monete d'oro. «Capitano maggiore, prendete nota che ci sono venti monete d'oro in un cofanetto nella camera da letto del colonnello.» Lynat aggrottò la fronte, chiaramente meravigliato, mentre Alucius ri-
chiudeva il coperchio. Infine, quest'ultimo si diresse di nuovo verso la porta della cantina. Nel vedere che era chiusa a chiave, si rivolse a Lynat. «Vi dispiace aprirla?» «Non ho la chiave. Dovrete forzare il lucchetto.» La voce di Lynat lasciava trasparire un certo compiacimento. «Oh, non credo.» Di nuovo Alucius si fece avanti ed estrasse una chiave, quella della sua camera. Si accostò alla porta, facendo in modo che nessuno potesse vedere cosa faceva, e armeggiò aiutandosi con il Talento. Il lucchetto era pesante, tanto che Alucius era leggermente sudato quando infine riuscì ad aprire la porta. In basso era buio. Alucius fece avanzare Holgart con un acciarino, affinché potesse accendere la lampada a olio fissata alla parete. Quindi scese a sua volta la scala. Lynat lo seguì con una certa riluttanza. Su un lato del locale c'erano parecchie file di barili; ciascuno di essi portava una scritta a indicare che era di proprietà delle Guardie. Sull'altro lato, ordinatamente collocate su scaffali, c'erano più di duecento bottiglie di vino. «Capitano maggiore, prendete nota di tutti i barili e del loro contenuto.» «Sì, signore», replicò Sanasus. «E indicate anche la quantità di bottiglie.» Su una rastrelliera, a ridosso della parete ovest, c'erano quattro fucili, tutti recanti numeri di matricola delle Guardie del Nord, e altre quattro sciabole. Alucius esaminò con attenzione la stanza dal pavimento in terra battuta, facendo ricorso al proprio Talento. Poi annuì. I muri di pietra al centro, che servivano chiaramente da supporto ai camini di sopra, in realtà nascondevano un vano. Si avvicinò alle pietre fingendo di esaminarle, ma usando invece i Talento-sensi per individuare l'accesso invisibile. «Qui, certo.» La porta si aprì. In quel mentre, udì Lynat deglutire rumorosamente. All'interno del piccolo vano, a ridosso del muro, si trovava un armadietto sopra al quale c'erano due piccole casse chiuse da lucchetti. Prima di rivolgere la propria attenzione alle casse, Alucius verificò il contenuto del mobile. C'era tutta una serie di oggetti: una bussola di forma antiquata, alcuni bottoni d'argento anneriti, uno scrigno contenente una collana d'oro con pendente di smeraldi, due anelli d'oro e una spilla di forma quadrata, ugualmente d'oro, impreziosita da piccoli diamanti. Alucius rimise rapi-
damente lo scrigno al suo posto e, nel farlo, il suo pensiero corse a Wendra. Si raddrizzò e fece un respiro profondo. Non c'erano tracce di chiavi, perciò avrebbe dovuto usare di nuovo il Talento. Alla fine, le due cassette vennero aperte. Entrambe erano colme di monete d'oro, la maggior parte monete lanachroniane fresche di conio, simili a quelle che Alucius aveva portato con sé per pagare gli stipendi dei soldati. «Sanasus?» «Sì, signore.» «Volete per favore salire nello studio a firmare una ricevuta per Lynat, qui, per due casse contenenti monete d'oro lanachroniane, presumibilmente sottratte dal fondo delle Guardie del Nord, e requisite in attesa di ulteriori accertamenti?» «È meglio che le contiate, signore.» L'ultima cosa che Alucius avrebbe voluto fare era mettersi a contare le monete, ma capiva bene il punto di vista del capitano maggiore. «Avete ragione. Lynat, voi e io le conteremo, poi firmerete la ricevuta, quando avremo stabilito quante sono.» Lynat lo guardò come se intendesse protestare, ma si limitò solo ad annuire. Al termine del conteggio, risultò che in una cassa c'erano esattamente duecento monete d'oro, mentre nell'altra ce n'erano Centosessantuno, il che costituiva una somma enorme per un uomo che fino a sei anni prima non possedeva un soldo, e il cui stipendio mensile non superava le quattro monete d'oro. Sanasus aveva anche aggiunto una postilla al suo foglio di ricevuta, dichiarando che le Guardie avevano trovato, ma non requisito, sei fucili e sei sciabole, cinque barili di farina, due di riso, due di patate e tre di frutta essiccata e che le Guardie non avevano in alcun modo danneggiato o portato via dalla casa altri beni. Alucius firmò due copie della ricevuta, imitato da Lynat, poi ne lasciò una nelle mani del figlio di Weslyn. «Manderò un carro con dei soldati per portare via i barili dalla cantina. Vostro padre aveva il diritto di usarli finché era colonnello, ma adesso non gli appartengono più. Appartengono alle Guardie del Nord.» «Capisco, colonnello.» La voce di Lynat suonava gelida. «Fate ciò che ritenete sia vostro dovere.»
«Lo farò, ma avrei davvero preferito che non fosse necessario.» Lynat non replicò. Alucius annuì. «Non vi importuneremo più, tranne che per il ritiro dei barili.» L'altro lo salutò con un cenno impercettibile, poi rimase a guardare mentre i due ufficiali e i soldati si allontanavano. «Che ne pensate, Sanasus?» chiese Alucius, mentre si dirigevano a est, verso il quartier generale delle Guardie del Nord. «È peggio di quanto temevo, colonnello.» «Quelle monete potrebbero servirci ma aspetteremo, se possibile, finché non riceveremo una risposta dal maresciallo Frynkel e dal SignoreProtettore. Domani tornerete là per portare via i barili delle provviste. Sarebbe un peccato perderle, ma oggi non avevamo il carro.» «Sì, signore.» «Non preoccupatevi. Potrete portare con voi una squadra di soldati.» «Pensate che i barili ci saranno ancora?» «Se sono spariti, Lynat potrebbe trovarsi nei guai quanto il padre.» Se la situazione si inaspriva, Alucius vi si sarebbe adeguato. Perquisire un'abitazione privata per reclamarne dei beni non era esattamente il modo giusto per cominciare la propria carriera di comandante delle Guardie del Nord. Ma, d'altra parte, lasciare che trecentosessantuno monete d'oro sparissero non avrebbe certamente costituito una nota di merito a suo favore. In entrambi i casi, avrebbe avuto problemi. «Ah, e poi ci serviranno nuovi lucchetti per la camera di sicurezza, per mettere al sicuro le cassette con il denaro.» Durante il resto del tragitto verso il quartier generale nessuno parlò. Intanto, il cielo si era fatto scuro e avevano cominciato a cadere i primi fiocchi di neve. Quando Alucius arrivò, Feran era fuori ad aspettarlo. «Cos'hai scoperto?» «All'infuori di sei fucili e sei sciabole appartenenti alle Guardie del Nord, ad alcuni barili di farina, di riso, di patate e di frutta essiccata, non molto. Tranne due cassette contenenti qualcosa come trecentosessantuno monete d'oro, due terzi delle quali sono monete lanachroniane fresche di conio.» «Così tante! Mi sembra stupido.» «Erano nascoste in un vano segreto in cantina», aggiunse Alucius. Feran annuì. «Tu hai sempre avuto questa capacità di trovare stanze e
passaggi segreti.» Alucius fece per stringersi nelle spalle, ma il dolore al braccio glielo impedì. «Si fa quel che si può.» Il resto del pomeriggio passò in un lampo. Alucius e Feran finirono di istruire gli ufficiali sulle informazioni da fornire ai propri soldati. Poi Alucius parlò brevemente a questi ultimi, sottolineando non solo le irregolarità osservate dal maresciallo Frynkel, ma accennando anche alla sua passata carriera militare, fin da quando era ricognitore della Milizia, e della sua famiglia che viveva ancora a Punta del Ferro. Dopodiché i due ufficiali stabilirono nuovi turni di guardia alla postazione, incaricando alcuni dei soldati più fidati della Quinta Compagnia di prendere il posto di Nadalt. Infine, Alucius ispezionò l'intera postazione, palmo a palmo, trovando anche il tempo, tra un'incombenza e l'altra, di mangiare qualche galletta e del formaggio. Era già passato da un pezzo il tramonto quando Komur accompagnò Alucius agli alloggi del comandante. «Spero che non vi dispiaccia, signore», disse Komur nell'aprire la porta che conduceva all'appartamento del piano superiore, «ma mentre eravate impegnato a organizzare le cose, mi sono preso la libertà di chiedere ad alcuni dei miei uomini di impacchettare le poche cose del colonnello Weslyn e di dare una ripulita alle stanze. Non abbiamo potuto fare molto, visto il poco tempo a disposizione, ma le lenzuola sono pulite, anche se non sono nuove». Accese la lampada a olio nel vestibolo. Alucius l'attraversò ed entrò in un ampio salotto, dove una modesta e vecchia stufa a carbone emanava un piacevole calore. Anche lì Komur accese una lampada, una delle due collocate su un tavolino. A destra del salotto c'era uno studio, i cui scaffali di scuro legno di quercia incassati nella parete erano occupati per più della metà da libri. Il grande scrittoio era sgombro e disposto in modo da guardare sul cortile laterale. Alucius tornò sui suoi passi e, attraversando il salotto, raggiunse una spaziosa sala da pranzo, con un tavolo capace di ospitare dalle dieci alle quindici persone. Subito dietro c'era la cucina, con una nicchia nella quale era collocato un tavolo più piccolo e destinato a usi meno ufficiali. Una grossa stufa a carbone dominava il locale e irradiava calore tutt'intorno. Alucius scoprì con piacere che, in fondo, c'era anche una dispensa con un'uscita secondaria che dava su una scala sul retro. Tornò di nuovo nel salotto e si diresse verso una doppia porta, oltre la quale c'era un corridoio su cui si affacciavano
una piccola camera da letto, una stanza da bagno munita di latrina e una camera da letto più grande, delle dimensioni di cinque iarde abbondanti per otto. Su tutta la lunghezza della finestra erano drappeggiate tende scure che contribuivano a rendere più cupa l'atmosfera nella stanza, tanto che Alucius accese una lampada per ricavare un po' di calore dalla sua luce, sebbene fosse in grado di vedere discretamente nella penombra. Tutte le finestre erano provviste di imposte interne e di tende di colore blu scuro, che potevano essere tirate in modo da nascondere alla vista le finestre stesse. I pavimenti erano di lucido e scuro legno di quercia, coperti da grossi tappeti che sembravano di fattura dramuriana, a giudicare dai motivi geometrici e dai complicati intrecci. Alucius notò che, sia nel tappeto in camera da letto sia in quelli della sala da pranzo e del salotto, c'erano alcuni punti lisi e sfrangiati. Tuttavia, l'appartamento, dopo un'ulteriore ripulita, sarebbe stato molto meglio di qualunque altro posto nel quale Alucius aveva avuto occasione di soggiornare. Ovviamente, non era paragonabile alle stanze ampie e arieggiate della sua fattoria. Come aveva lasciato intendere Nadalt, Weslyn non doveva aver usato molto quell'alloggio. Il che risultava chiaro anche dal fatto che Komur avesse potuto rimuovere gli effetti personali del colonnello in così breve tempo. «Sembra sufficientemente confortevole», disse Alucius al tenente. «Vi sono molto grato per ciò che avete fatto, soprattutto tenendo conto delle circostanze.» Nel rendersi conto di avere usato la stessa frase di Alyniat, quella che l'aveva fatto irritare, si sentì pervadere da un fremito. «Chiedo scusa, colonnello, ma sarei stato disposto a fregare tutto il pavimento sulle ginocchia pur di avere di nuovo qui un comandante che sa come si combatte.» Alucius sorrise. «In quanto a combattimenti ne so qualcosa. Ma avrò bisogno del vostro aiuto per altre questioni. Ho pochissima esperienza nel gestire una postazione. Sono un po' più bravo nell'occuparmi di una fattoria, ma niente che abbia a che vedere con la conduzione di un quartier generale.» «Siamo qui per questo, signore.» «Bene.» Alucius gli offrì un sorriso gentile. «La vostra esperienza e i vostri consigli mi saranno di grande utilità.» Fece una pausa. «Vi ringrazio di nuovo.» «Lieto di esservi utile, signore. Domani faremo in modo che qui funzio-
ni tutto come si deve.» «Per ora, l'appartamento va bene così. Quello che mi preoccupa è la postazione, soprattutto se alcune vostre richieste non erano state prese in considerazione.» «In effetti, ce n'erano parecchie», affermò Komur con un sorriso sbilenco. «Ma per alcune siamo riusciti ad aggirare l'ostacolo.» «Parleremo domani delle altre», promise Alucius. «Sì, signore.» Komur si era appena chiuso la porta alle spalle, quando si udì bussare di nuovo. Alucius sentì che si trattava di Feran. «Entra pure.» L'ufficiale più anziano si affacciò e si guardò intorno. «Niente male. Non ero mai stato qui prima d'ora.» «Nemmeno io», disse Alucius. «Mi scuserai se mi siedo.» Dopo aver provato innumerevoli sedie, prese finalmente posto su una poltrona imbottita dall'aria scomoda, ma che invece si rivelò comodissima. Feran si sedette di fronte a lui su una sedia dal rigido schienale. «Cos'hai scoperto finora?» chiese Alucius. «Shalgyr teneva dei registri contabili che non si è portato via. Probabilmente è fuggito per salvarsi la pelle.» «Non lo avrei fatto uccidere», disse Alucius. «Lo so, e probabilmente lo sapeva anche lui, ma è scappato comunque», replicò Feran. «Perciò la situazione è ben peggio di quanto pensassimo e deve esserci coinvolto anche qualcun altro», rimuginò tra sé Alucius. Di lì a un attimo scoppiò a ridere. «Sono stanco. Ovvio che ci deve essere coinvolto qualcun altro, probabilmente uno dei mediatori o dei mercanti. O più di uno. Cercare di scoprire di chi si tratta non sarà difficile. Così come non lo sarà dimostrare che Weslyn era corrotto. Ma sono pronto a giurare che, qui alla postazione, non troveremo niente che punti il dito direttamente su qualcuno, all'infuori di Shalgyr e Weslyn. E scommetto anche che Shalgyr avrà già raggiunto Lanachrona o che è stato ucciso.» «Ha avuto la furbizia di scappare senza passare dalle stalle. In quattro e quattr'otto si sarà trovato al di là del fiume e diretto a sud.» «Dovremo riesaminare tutti i resoconti delle forniture, delle paghe... praticamente tutto. E verificare quello che è contenuto nella camera di sicurezza, facendone un elenco scritto», disse Alucius. «Questo, tanto per cominciare. Dovrò parlare con quei tre - Komur, Sanasus e Yusalt - ma pri-
ma volevo vedere le loro schede personali.» «Komur e Sanasus mi sembrano abbastanza fidati. Yusalt non deve sapere molto.» «Lo so. E questo mi preoccupa.» Alucius represse uno sbadiglio. «Ma prima che cominci, dovremo inviare dispacci a tutte le postazioni, informandole dell'accaduto e della diserzione di Shalgyr.» «Te l'avevo detto che fare il comandante sarebbe stato diverso da quello che uno può pensare», commentò Feran. «Sarà meglio che usi quel tuo Talento per guardarti alle spalle... e dappertutto.» «Guarda un po' chi è l'ottimista adesso!» «Ti dico solo quello che vedo», la risata di Feran aveva una punta di tristezza. «Hai ragione.» Alucius trattenne un altro sbadiglio. «Ho la mente un po' intorpidita. Ho bisogno di dormire. Ammesso di riuscirci.» Dopo che Feran l'ebbe lasciato, Alucius tolse i suoi effetti personali dalle bisacce e lavò le uniformi e gli indumenti sporchi. Era riuscito a trovare una tinozza polverosa e, fortunatamente, la cucina era dotata di una pompa per l'acqua. Solo dopo aver finito, si sedette allo scrittoio dello studio e si accinse a scrivere una lettera a Wendra. Carissima, finalmente sono tornato nelle Valli del Ferro e mi ritrovo a fare il colonnello e il comandante in capo delle Guardie del Nord. Temo che qui a Dekhron la situazione sia peggiore di quanto tutti noi pensassimo. Il colonnello e il suo vice sono morti. Avevano cercato di uccidermi quando ho consegnato loro la lettera del Signore-Protettore con le dimissioni del colonnello Weslyn. La loro reazione mi lascia alquanto preoccupato riguardo a quello che potrei scoprire nei prossimi giorni. Per quanto desideri con tutto me stesso venire a Punta del Ferro per abbracciare te e la piccola Alendra, lasciare Dekhron prima che tali questioni vengano risolte sarebbe impossibile, date le attuali circostanze. E non sarebbe saggio, né per le Guardie né per me. Avrò bisogno di tutti i suggerimenti e i consigli che potrò ottenere. Chissà se tuo nonno se la sentirebbe di venire fin qui per offrirmi il suo prezioso aiuto? Mi piacerebbe avere qui anche te, ma non a scapito della nostra bambina o della fattoria. Ti scriverò ancora presto, ma sappi che sei sempre nel mio cuore e nei miei pensieri.
Firmò la lettera e la sigillò, poi si alzò. Aveva bisogno di dormire, visto che il giorno successivo sarebbe stato molto lungo. 107 La mattina di quattri, prima ancora di mezzogiorno, Alucius era già riuscito a inviare al maresciallo Frynkel e al Signore-Protettore il suo rapporto, nel quale si menzionava anche l'esito della perquisizione effettuata nell'abitazione del colonnello Weslyn. Dopodiché dettò, rilesse e firmò gli ultimi messaggi indirizzati alle rimanenti postazioni di Guardie del Nord, quelle di Glacenda e di Lama. Sanasus le consegnò subito al messaggero che aspettava, pronto a partire. Ogni comunicazione aveva un identico contenuto: un breve accenno alle preoccupazioni del Signore-Protettore, un riassunto degli avvenimenti del giorno prima, inclusa la scoperta di abbondanti provviste e di monete d'oro appartenenti alle Guardie del Nord e ritrovate a casa di Weslyn, oltre a un messaggio di Alucius in cui egli confermava la propria fedeltà alle tradizioni di vecchia data delle Guardie del Nord e il suo impegno a seguire il fulgido esempio di alcuni comandanti del passato, quali il colonnello Clyon. Alucius non si sentì di promettere altro, almeno finché non si fosse fatto un'idea più precisa della situazione. Insieme alla copia del rapporto indirizzata al maresciallo Frynkel, inviò anche una nota in cui diceva che gli avrebbe fatto pervenire ulteriori informazioni non appena avesse scoperto altri particolari sugli intrighi messi in atto da Weslyn. Avrebbe voluto scrivere i messaggi personalmente, ma prima ancora di finire di firmarli si sentì le dita intorpidite, non a causa della loro quantità, bensì del dolore che avvertiva alla parte superiore del braccio. Era appena riuscito a guarire da una ferita che subito un'altra lo rendeva menomato, seppure in modo più lieve. Si alzò dalla scrivania che era stata di Weslyn, e di Clyon prima di lui. Alucius preferiva pensare che lo studio e i mobili fossero appartenuti a Clyon. Abbassò lo sguardo sulle quattro cartellette, quelle che contenevano i profili di Sanasus, Komur, Yusalt e Shalgyr. «Cosa intendi fare adesso?» chiese Feran. «Incontrare questi ufficiali. Comincerò da Yusalt. Qualcuno riesce a trovarlo e a mandarlo qui da me?» «Credo proprio che si possa fare.» Feran uscì dallo studio. Alucius prese il dossier in cima alla pila - quello di Yusalt - e cominciò a
leggerlo, ignorando il sibilo del vento e gli spifferi di aria gelida che filtravano dall'intelaiatura della finestra. Fiocchi di neve volteggiavano vorticosi nel cortile, andando ad aggiungersi a quelli della leggera nevicata della sera precedente. Yusalt veniva da Fiente, una città sulla riva settentrionale del fiume Vedra, a circa due terzi di strada da Emal. Non aveva cominciato come recluta, ma aveva subito servito nella Quindicesima Compagnia con il grado di tenente per due anni, poi aveva trascorso un altro anno nella Sesta Compagnia, ricoprendo lo stesso grado. Alucius aggrottò la fronte. Non poteva dire di ricordarsi di Yusalt, ai tempi in cui la Sesta Compagnia era di stanza a Pyret nel tentativo di bloccare la prima invasione matrite delle Valli del Ferro. Un anno e mezzo prima Yusalt era stato promosso capitano e aveva ottenuto il comando della Settima Compagnia, quando questa era stata dislocata, temporaneamente fuori servizio, a Chiusa dell'Anima, per essere poi spostata a Dekhron. Fiente? Alucius si era fatto qualche idea in proposito, ma voleva accertarsi di non essere giunto a conclusioni troppo affrettate. Continuò a leggere la scheda del capitano e alcune note aggiuntive, che dicevano molto poco, oltre al fatto che certificavano la sua presenza alla postazione o l'invio di un certo numero di rapporti. Di lì a poco, Yusalt comparve sulla soglia dello studio. Si irrigidì sull'attenti. «Signore? Mi avete fatto chiamare?» «Sì. Entrate e accomodatevi.» Alucius prese posto dietro alla scrivania. Attese che anche l'altro si fosse seduto, poi lo esaminò per un attimo. Non scorse alcuna traccia di influenze da parte di un ifrit. «A quanto vedo, venite da Fiente. Immagino che la vostra famiglia sia di quelle parti.» «Sì, signore.» Yusalt alzò brevemente lo sguardo su Alucius. «Che lavoro fanno?» «Be', mio padre è il proprietario dello stabilimento per la lavorazione dell'olio di semi.» Alucius annuì tra sé. Questo spiegava molte cose. «Avete fratelli?» «Sì, signore. Quattro.» «E voi siete uno dei più giovani?» «Sono il minore.» «Ce ne sono altri che hanno servito nella Milizia o nelle Guardie del Nord?» «Sì, signore. Aluard, il secondo. Si era arruolato circa dieci anni fa, quando il comandante era Clyon. Adesso fa il coltivatore e dà una mano
nello stabilimento.» «Ditemi, cosa ricordate degli scontri di Pyret, quand'eravate nella Sesta Compagnia?» Una breve espressione confusa attraversò il volto di Yusalt. «Ah, sì, signore. È passato qualche anno...» Alucius attese in silenzio. «Avevamo ricevuto l'ordine di recarci là. Io allora ero tenente. Il capitano Tregar era al comando, mentre il maggiore Dysar coordinava tutte le forze. Eravamo tutti ammassati in quella fattoria, a Pyret. Non la smetteva di nevicare. Lo ricordo bene. I matriti avevano quel lancia-proiettili che sembrava falciare via i soldati come se fossero tante piantine di colza. Immagino che fosse così che avevano respinto le altre compagnie da Chiusa dell'Anima e anche più a sud. Avevamo sferrato un attacco massiccio al loro accampamento, che prima era un avamposto della Milizia, e c'erano stati un sacco di morti. Ma siamo stati fortunati, perché quando l'assalto è finito il lancia-proiettili è esploso. Alcuni soldati dicevano di avere avvistato dei sabbiosi, là intorno, ma io non ne ho visti. Forse perché ero di pattuglia sulla strada, per evitare che i matriti ricevessero rinforzi da ovest. Dopo... be', ricordo che la temperatura è scesa ed è nevicato ancora, e loro non erano granché bravi a combattere con quel freddo, così siamo riusciti a respingerli fino alle Colline dell'Ovest prima della fine dell'inverno.» Yusalt si strinse nelle spalle. «Poi è tornato il caldo e la Matride ha mandato altri soldati. È stato allora che il capitano Tregar ci ha rimesso la pelle e che il capitano Cavalat lo ha rimpiazzato. A quel punto, avevamo di nuovo ripiegato su Chiusa dell'Anima e tutto è rimasto più o meno uguale per circa un anno. Ci siamo battuti un po', ma neanche tanto, e poi loro si sono ritirati. È successo quando tutti pensavano che la Matride fosse morta. Ma nessuno lo sapeva per certo.» «Il maggiore Dysar non aveva dei parenti o degli amici dalle parti di Fiente?» Alucius tirò a indovinare. «Sissignore. Lui e il colonnello Weslyn venivano spesso a trovare la mia famiglia. E conoscevano anche alcuni grossi coltivatori, come Dhafitt e Guiral, ad esempio.» «Cos'ha fatto la Sesta Compagnia dopo la ritirata dei matriti?» «Ci siamo spostati a ovest, nella postazione di confine - che era quella vecchia fattoria appena prima delle Colline dell'Ovest - con l'incarico di pattugliare la zona delle colline e la strada principale. Ma non abbiamo mai visto matriti.»
«Dopo aver servito nella Sesta Compagnia, siete stato promosso al grado di capitano e avete assunto il comando della Settima Compagnia. Com'è successo?» «Non posso dire di saperlo con esattezza. È stato dopo che il colonnello Weslyn - tranne che allora era maggiore - era diventato il vice di Clyon. Ricordo che fu lui a firmare l'ordine di promozione.» «Quindi conoscevate abbastanza bene il colonnello Weslyn.» «Nossignore. Lo avevo incontrato pochissime volte prima che diventasse vicecomandante. Era amico della mia famiglia, questo sì, anche se si trattava più che altro di un rapporto d'affari. Lui acquistava per conto di uno dei vecchi mercanti - Ostar, mi pare che si chiamasse - e poi forse Halanat, anche se credo che quest'ultimo si sia ritirato dall'attività. Comunque, noi vendevamo l'olio attraverso alcuni agenti. Lo facciamo ancora, ma non sono io a occuparmene.» Alucius annuì. Da ciò che aveva potuto capire e da ciò che il suo Talento gli aveva confermato, Yusalt era proprio quello che sembrava: il figlio minore, non troppo sveglio, sistemato al quartier generale proprio per quella ragione, e per fare un favore al padre o tenerlo buono. «Grazie, capitano. Apprezzo la vostra schiettezza.» Alucius si alzò. «Continuate pure a svolgere le vostre mansioni, per ora. Probabilmente in futuro ci saranno dei cambiamenti, ma ve lo farò sapere.» Preso alla sprovvista, Yusalt si alzò con un po' di ritardo. «Ah... sì, signore. Grazie, signore.» Rimase là impacciato a dondolarsi sui piedi. «Ehm... posso... cioè, cosa posso dire del colonnello Weslyn?» «La verità, direi. Finora ciò che sappiamo per certo è che il SignoreProtettore era a conoscenza di alcuni problemi e voleva far rimpiazzare il colonnello Weslyn, che quest'ultimo nascondeva denaro e provviste appartenuti alle Guardie del Nord nella sua abitazione e che ha tentato di uccidere l'ufficiale che lo doveva sostituire. Per quale motivo? Questa è una buona domanda. Forse perché dietro a tutto questo c'era qualcosa che Weslyn non voleva far venire a galla, anche se al momento non sappiamo di cosa si tratti.» Alucius fece un sorriso amareggiato. «Non appena lo scopriremo ve lo comunicherò.» «Sissignore.» «Potete andare, capitano.» «Oh, sì, signore.» Yusalt si inchinò e si precipitò fuori dallo studio. Alucius lesse rapidamente la scheda del capitano maggiore Sanasus prima che l'ufficiale brizzolato, responsabile delle comunicazioni e della logi-
stica, si presentasse davanti a lui. Sanasus si sedette, quasi in bilico sull'orlo della sedia e continuò ad arricciare le labbra, mentre aspettava che Alucius parlasse. «Mi interesserebbe sapere, Sanasus, se avete mai visto i registri contabili.» «No, signore. Non dopo che il colonnello Weslyn ha preso il comando. Aveva detto che stava riorganizzando le cose e che aveva incaricato Shalgyr di tutti i pagamenti, compresi quelli dei soldati. L'aveva fatto venire da Fiente. Non era mai stato nell'esercito, prima. Lo aveva nominato subito capitano, poi, l'estate scorsa, lo aveva promosso a capitano maggiore. Avevo protestato perché non lo ritenevo corretto, ma il colonnello mi aveva spiegato che i tempi stavano cambiando e che il Signore-Protettore desiderava tenere separata la logistica dar pagamenti. Non potevo certo protestare, visto che mi mancavano appena pochi anni prima di andare in pensione. Questa faccenda dei soldi a casa sua... non ne ero proprio al corrente. Avevo immaginato che magari ne facesse sparire un po', di tanto in tanto, ma non monete d'oro a centinaia.» Alucius sentiva che dietro le parole del capitano maggiore c'era l'assoluta verità, il che gli procurò sollievo e ansia al tempo stesso. «Credo che, dopo che avremo esaminato i registri contabili, dovrete prendervi nuovamente carico di entrambe le funzioni. Dubito che qui alla postazione ci sia qualcun altro in grado di farlo.» «Quali sono le disposizioni del Signore-Protettore?» «Per quanto ne so, non ci sono mai state disposizioni. E anche se ci fossero state, il mandato che mi è stato conferito mi consente di apportare qualunque cambiamento io ritenga opportuno alle procedure che hanno dimostrato di non funzionare. Non so esattamente cosa sia successo, ma il denaro nascosto, la reazione del colonnello Weslyn e la foga del capitano maggiore Shalgyr stanno chiaramente a indicare che le cose non andavano di certo come avrebbero dovuto.» «No, signore. Non ero in grado di dimostrarlo allora, ma avevo l'impressione che i rifornimenti costassero un po' troppo. E poi c'erano le paghe dei soldati. Il colonnello aveva sciolto le due compagnie, ma continuavamo a ricevere la stessa cifra da Tempre e, da quel che mi era dato di sapere, nel frattempo a nessuno era stata aumentata la paga.» Alucius si schiarì discretamente la voce. Aveva parlato più in quell'ultimo giorno che non in settimane alla fattoria. O quando era stato maggiore. «Potete consigliarmi su come organizzarci per fare in modo che eventuali
irregolarità emergano subito dai registri contabili?» «Sicuro. Era così che si lavorava con il colonnello Clyon, signore. Eccellente ufficiale e persona ancora migliore.» «Proprio così.» «Farete meglio a stare attento, signore. Almeno finché tutto non sarà stato portato allo scoperto. Non so bene chi ci sia implicato, ma credo che ci sia più di una persona a Dekhron che non ha interesse a che il SignoreProtettore venga a conoscenza di tutti questi intrighi.» «È uno dei motivi per cui gli abbiamo già inviato un primo rapporto.» «Non sarebbe una cattiva idea farlo sapere in giro.» Alucius sorrise. «Non posso dire molto al riguardo, ma di certo non mi dispiacerebbe se le voci corressero.» «Capisco, signore, e... be'... non è escluso che succeda.» Sanasus sottolineò le parole con un largo sorriso e fu la prima volta che quel suo viso sparuto e cupo si illuminò. Quando il capitano maggiore finalmente si fu allontanato, Alucius si voltò verso la finestra: la neve aveva smesso di cadere e aveva ricoperto di una bianca coltre sottile il cortile e i tetti dei fabbricati. Poi riportò la sua attenzione sull'ultima cartelletta, quella di Komur. Dopo l'incontro con il tenente, avrebbe dovuto mandare a chiamare Feran e Sanasus per verificare insieme quanto denaro fosse rimasto nelle casse della camera di sicurezza per la paga dei soldati. Quindi avrebbe dovuto chiedere a Sanasus di elaborare un bilancio, almeno per i mesi immediatamente successivi. Avrebbe anche dovuto verificare se i registri contabili potevano fornirgli qualche indizio sul sistema escogitato da Weslyn per ammassare tutto quell'oro. Inoltre, doveva ancora leggere tutti gli ultimi rapporti dei comandanti di compagnia e delle varie postazioni e farsi un quadro preciso sulle attuali dislocazioni delle compagnie e sull'organico delle Guardie del Nord. Parte di quei documenti avrebbe potuto esaminarli di notte. Anzi, avrebbe dovuto, e per un periodo più prolungato di tempo di quanto avesse immaginato. 108 Dekhron, Valli del Ferro Tarolt alzò lo sguardo nel vedere che la porta dello studio si apriva per lasciar entrare un mercante dal viso paffuto, avvolto in un pesante mantello invernale blu scuro, che si fermò ad appena una iarda dalla sua scrivania.
«Mi sembri piuttosto sconvolto, Halanat.» «Avevi detto che sarebbe andato tutto bene.» Halanat fissò con sguardo furioso l'uomo più anziano dai capelli bianchi. «Avevi detto che avrebbe fallito nell'impresa o che sarebbe rimasto ucciso nella rivolta o durante l'attacco a quel lancia-proiettili. Ma non è successo niente del genere. Adesso è qui e l'intera città è al corrente.» «Ha appena assunto il comando e, se ben ricordo, l'idea di farlo richiamare in servizio era stata tua.» «Non sei tu quello che stanno cercando.» «Oh... e cosa farà esattamente il colonnello Alucius? Non ha alcun potere su chi non fa parte delle Guardie del Nord. Non può toccarvi. Non ci sono prove, tranne la stupidità di Weslyn. Stupidità dimostrata in due occasioni. Non si punta mai un'arma contro un guerriero. È molto meglio lasciare che se ne occupi qualcun altro. Oppure, si cerca di spingerlo in una situazione in cui gli riesce impossibile vincere o si vede costretto a uccidere la persona sbagliata. Inoltre, non si deve mai sottovalutare un uomo onesto. Soprattutto un Talento-principiante onesto.» «Per te è facile parlare. A Dekhron sta già correndo voce che Weslyn si stava riempiendo le tasche e che altri potrebbero esservi coinvolti. Questo... colonnello Alucius ha anche scoperto una cassa con trecento monete d'oro a casa di Weslyn. Come può essere stato così sciocco? Che ne sarà di noi?» «Ciò che devi fare è chiedere ad Halsant di scrivere una lettera al neocolonnello in cui gli si dà il benvenuto e gli si promette la massima collaborazione nel fornirgli la merce ai prezzi più convenienti, dando anche a intendere che la sua fama di onestà e di franchezza gli tornerà utile.» «Nel giro di qualche settimana scoprirà l'inganno.» «Potrebbe scoprirlo nel giro di qualche clessidra o di qualche giorno. Ma che potrebbe fare? Dire che Halsant è un bugiardo? Il colonnello sarà anche una persona schietta, ma non è uno stupido. Non agirà pubblicamente e direttamente senza avere le prove. E se noi non gliele forniamo, può sospettare tutto ciò che vuole, ma non può intervenire. L'unica cosa che può fare è insistere per avere prezzi migliori sulla merce, il che non dovrebbe rappresentare un problema, almeno non per il poco tempo in cui sarà colonnello.» «Weslyn trarrebbe grande conforto dalle tue parole.» «Tu non sei Weslyn e non fai parte delle Guardie del Nord. Tutti i mercanti e i mediatori, e persino gli artigiani più importanti, terranno d'occhio
questo Alucius. È troppo giovane e arrogante. Ed è un pastore di pecore nerine. Nemmeno uno di questi attributi gli conquisterà la simpatia dei mercanti che lo dovranno rifornire e che vengono pesantemente tassati dal Signore-Protettore per mantenere lui e le Guardie del Nord. La sua insolente incursione a casa di Weslyn sarà la prima tra le molte sue azioni a procurargli dei guai.» «Ciò non toghe che sia capace di causare molto danno in poco tempo.» «Il che è tutto a nostro vantaggio. A Hyalt la gente sta già cominciando a mormorare che il Vero Duarcato non sembra poi così cattivo, visti i problemi che si trovano a fronteggiare adesso. Lo stesso si può dire per Porta del Sud, Zalt, Dimor e persino Arwyn. Se il nostro neocolonnello farà lo schizzinoso riguardo ai rifornimenti, accrescerà solo la rabbia e lo scontento. In caso contrario, perderà i favori di Tempre, dato che il SignoreProtettore si sta svenando per trovare il denaro che servirà a finanziare le sue guerre.» «E allora?» «Aspettiamo che commetta un errore. I giovani e brillanti ufficiali ne commettono sempre. È una delle loro più grandi debolezze. È inevitabile. Non si può diventare saggi se non si sbaglia. I giovani e brillanti ufficiali vengono promossi troppo rapidamente, senza che prima abbiano avuto il tempo di commettere quegli errori le cui conseguenze non sarebbero troppo gravi.» «Ma quale sbaglio potrebbe commettere?» «In particolare?» Tarolt sorrise. «Non ne ho idea, ma sarà sicuramente uno che avrà a che fare con la sua incapacità di comprendere che l'intelligenza e la bravura non sono in grado di risolvere tutti i problemi. A volte, nulla può sostituire l'astuzia e l'inganno.» Tarolt fece una pausa. «C'è dell'altro?» «Dell'altro...?» Halanat restò senza parole per un attimo. «Dell'altro?» «In tal caso, faresti meglio a tornare a casa per riflettere sul modo migliore di mettere in cattiva luce questo nuovo colonnello, facendolo sembrare un essere inflessibile e incurante delle più elementari necessità dei poveri mercanti oppressi di Dekhron.» Lo sguardo di Halanat si fissò nelle pupille viola del mercante dai capelli bianchi per poi abbassarsi di nuovo. «Ah, certo, mio signore.» 109
Alucius e Feran trascorsero la maggior parte della giornata di quinti alla ricerca di indizi utili, controllando schedari provenienti dai luoghi più svariati. Weslyn aveva chiaramente cercato di mantenere le informazioni il più possibile frammentarie, così da essere l'unica persona ad avere accesso a tutto. Il che costituiva un'ulteriore indicazione del fatto che la situazione fosse più complicata di quanto sembrasse a prima vista. Dato che la quantità di documenti da visionare era enorme, Alucius decise di soprassedere per un po' e dedicarsi a valutare la struttura bellica delle Guardie del Nord, per capire quali provvedimenti occorresse prendere subito. La mattina di sexdi, Alucius e Feran si trovavano nello studio intenti a classificare dispacci e mappe, alcuni dei quali non molto recenti, per cercare di stabilire la situazione strategica delle loro forze. Alucius sperava solo di ricevere rapporti aggiornati dal maggiore Lujat, che si trovava nei territori a ovest. Nel messaggio che lui aveva mandato al maggiore, gli confermava il suo pieno appoggio e la sua ammirazione per le efficaci azioni di guerra portate avanti in circostanze difficili. Alucius guardò Feran. «Non mi meraviglia che il maggiore Lujat sia a malapena in grado di difendere le sue posizioni. La metà dei suoi ufficiali è composta da capitani nominati da Weslyn nel corso degli ultimi tre anni. Nessuno dei quali con molta esperienza.» «Te l'avevo detto», disse Feran. «Già. Questo prima che io sapessi di dover risolvere il problema.» «Fa una bella differenza, vero, onorevole colonnello?» «Sì, la fa, onorevole futuro-maggiore.» «Non ho ancora detto di sì.» «Non accetterò un "no".» Alucius fece un respiro profondo. «Conosci qualche comandante di squadra anziano di queste compagnie?» «Qualcuno.» «Potremmo promuovere Egyl a capitano, se pensi che sia in grado di svolgere questa funzione, e se accetta», disse Alucius. «Affidagli il comando della Settima Compagnia e tra una settimana circa mandali a Sudon per fare un po' di addestramento, prima di dislocarli da qualche parte a ovest.» «Egyl sarebbe un bravo capitano», convenne Feran. «Faisyn potrebbe fare per un po' il comandante di squadra anziano della Quinta Compagnia. Poi, tra qualche mese, potresti promuoverlo a capitano e nominare Zerdial al suo posto.» «Direi più qualche settimana che non qualche mese per quanto riguarda
Faisyn. Non abbiamo tutto questo tempo. E siamo a due compagnie. Ci rimangono la Sedicesima e la Diciottesima, dopo che avremo ricostituito la Diciannovesima e la Ventesima.» «Hai ancora un paio di capitani accettabili. Koryt al comando della Terza e Cavalat a quello della Sesta.» «Che ne è stato di Vanas?» «È stato ucciso dai matriti in quella prima campagna. Dysar aveva mandato la Tredicesima allo sbaraglio contro tre compagnie matriti.» Alucius consultò l'elenco della Tredicesima Compagnia. «Adesso il capitano è Zaracar.» Fece passare i dossier degli ufficiali, che non erano molti, e sfogliò rapidamente quello di Zaracar. «È uno di quelli nominati da Weslyn, proprio l'anno scorso. È di Dekhron.» Alucius annotò il nome e il numero di compagnia sul suo blocco. «Non ne ho mai sentito parlare.» «Estepp è ancora in circolazione?» Alucius corrugò la fronte, poi si diede da solo una risposta. «Mi pare di aver visto il suo nome da qualche parte. Forse alla postazione di addestramento reclute di Sudon?» Consultò gli elenchi. «Sì, mi pareva di ricordare bene. Ha ancora il grado di comandante di squadra anziano. Sono anni che avrebbe già dovuto essere promosso a capitano.» «Magari era lui a non volerlo.» «E magari a Weslyn occorreva qualcuno che addestrasse i suoi soldati.» «Bravi soldati, ma capitani scadenti?» ipotizzò Feran. «La situazione in apparenza è questa, no?» «Cos'è successo al capitano maggiore Culyn?» «Il suo nome non è negli elenchi e non c'è alcun dossier su di lui. Il responsabile dell'addestramento a Sudon è il capitano maggiore Dezyn.» Alucius fece una pausa. «Mi ricordo di lui. Era qui a Dekhron quando siamo tornati.» «Ah... il capitano biondo. Un tipo come Yusalt: sembrava non sapere niente.» Feran e Alucius si scambiarono un'occhiata. «Forse dovremmo promuovere Estepp a capitano e lasciarlo per un po' di tempo al comando delle truppe da addestrare», suggerì Alucius. «Sarebbe meglio. Estepp sa quel che fa. Con la Reggente ancora al potere a Madrien, avremo bisogno di un numero sempre maggiore e più qualificato di cavalleggeri.» «Il numero non sarà così cospicuo», gli fece notare Alucius. «Speriamo
solo che Estepp possa continuare a darci almeno cavalleggeri qualificati. E anche qualche soldato di fanteria. Weslyn aveva ridotto le compagnie di fanteria a tre, e tutte sono state frazionate in squadre e dislocate nelle varie postazioni per occuparsi della loro gestione.» «Così non servono a niente.» Feran sbuffò. «Come la maggior parte di quei capitani. Probabilmente ci sono voluti anni perché Yusalt capisse da che parte andava imbracciato il fucile.» «È un bravo ragazzo, che non ha niente a che fare con le Guardie.» Inizialmente, Alucius aveva pensato che Weslyn cercasse di spremere quanto più denaro possibile dai suoi intrallazzi a scapito delle Guardie, ma adesso gli stava sorgendo un dubbio ben più inquietante, e cioè che Weslyn fosse stato manovrato dagli ifrit per indebolire, se non addirittura distruggere le Guardie del Nord. Ma non poteva certo mettersi a raccontare in giro questa storia. «È come se stesse cercando di distruggere le Guardie.» Feran annuì. «Già, sembra proprio così. Credi che i mercanti lo pagassero?» «Su questo non c'è dubbio. Sarà difficile dimostrarlo e capirne il motivo.» Anche se gli ifrit volevano indebolire le Guardie, perché mai avrebbero permesso ai matriti di impossessarsi di Dekhron? «Ma tutto questo non ha senso, visto che poi i matriti occuperebbero le Valli del Ferro e Dekhron.» «Può darsi invece che vogliano che nessuno abbia la meglio», ipotizzò Feran. «Finché la guerra va avanti, nessuno presterà attenzione ai loro intrighi.» «Il ragionamento ha una sua logica.» E anche sotto più di un aspetto, si disse Alucius. «Ma non possiamo permettere che continuino così.» «Sarà difficile fermarli. Sei solo il comandante delle Guardie. Sarai già occupato a sufficienza a sbrogliare i pasticci che ti ha lasciato Weslyn.» Alucius gli fece un largo sorriso. «Cosa vorresti dire con "sarai già"? Saremo già.» «Temevo che avresti detto una cosa del genere, onorevole colonnello.» Feran scosse il capo. «Credo che la prossima questione all'ordine del giorno sia la tua promozione. Visto che ti dovrai assumere l'onere dell'incarico, pensiamo anche ai soldi.» Feran sbuffò. «Non saranno comunque abbastanza.» «Non lo sono mai. Adesso, vediamo... riguardo a questa promozione...»
110 A metà pomeriggio di septi, Dhaget bussò alla porta dello studio di Alucius. Questi alzò gli occhi dalla bozza del piano di riorganizzazione delle Guardie del Nord sulla quale avevano lavorato lui e Feran. «Sì?» «È appena arrivata, signore.» Alucius prese la busta e la aprì. Dhaget uscì silenzioso. La busta conteneva un normale dispaccio e un altro foglietto piegato in quattro. Alucius lesse il dispaccio. Colonnello Alucius, in assenza del capitano Dezyn, riferisco che la compagnia di reclute di Sudon è stata informata del cambiamento avvenuto ai vertici del comando delle Guardie del Nord. Ho informato tutti i comandanti di squadra e i soldati e restiamo in attesa di ulteriori ordini. La firma era quella di Estepp. Alucius annuì e aprì il secondo foglietto. Conteneva appena poche parole e non era firmato. Siamo tutti con voi. Fatela pagare cara a questa banda di briganti, così come l'avete fatta pagare cara a quell'altra. Alucius sorrise tristemente. In quel dispaccio ufficioso riconosceva l'Estepp che ben ricordava. Mentre l'altro dispaccio, quello ufficiale, sarebbe stato l'unico che il capitano Dezyn avrebbe visto. Alucius ne era certo. Ed era anche certo del messaggio che Estepp aveva cercato di convogliare dietro a quelle parole. Si mise in tasca il foglietto. Feran avrebbe sicuramente voluto vederlo. Lanciò un'occhiata fuori dalla finestra, al cielo grigio che sembrava schiarirsi. Almeno, così si augurava. Poi si immerse di nuovo nello studio del suo programma di riorganizzazione. Il piano in sé non era complicato, avrebbe ancora dovuto lavorare sulle precedenze da dare ai trasferimenti di alcuni ufficiali e alle richieste di dimissioni di altri. Aveva deciso di completare il processo di ristrutturazione in due stadi. Inizialmente, lui avrebbe voluto fare tutto in un'unica soluzione, ma Feran gli aveva fatto notare che avere più della metà delle compagnie prive di capitano o con capitani provvisori avrebbe creato scompiglio.
E poi, avrebbe anche dovuto occuparsi dei problemi logistici. Sebbene Sanasus avesse messo a punto un nuovo sistema di registrazione, sarebbero comunque occorsi giorni, se non settimane, per rimettere in sesto i registri contabili. Nell'udire qualcuno che bussava alla porta, Alucius si interruppe di nuovo. Alzò lo sguardo. «Signore, ci sono alcune persone che desiderano vedervi», disse Fewal dalla soglia con un largo sorriso. «Pensavo che vi avrebbe fatto piacere saperlo. Hanno fatto un bel po' di strada.» Alucius scorse una figura femminile con un neonato in braccio e un uomo anziano. Balzò in piedi e si precipitò fuori di corsa, quasi facendo cadere Fewal, che stava ancora sorridendo. Per un tempo che gli parve infinito e che neppure lui fu in grado di quantificare, Alucius tenne strette a sé Wendra e la bambina. Mentre restavano così, tutti e tre allacciati, sentì i loro fili vitali intrecciarsi in un turbinio di verde. I suoi occhi si appannarono e Wendra tese la mano per asciugargli le lacrime. «Sono così contento che tu sia qui», le mormorò all'orecchio. «E io sono felice di vedere che sei sano e salvo.» Kustyl si schiarì la voce. Mentre si scioglieva dall'abbraccio, Alucius si sentì arrossire. Le lacrime rigavano le guance di Wendra, così come le sue. Alendra si limitava a emettere dei gorgoglii. «Non si ha davvero l'impressione che il ragazzo, qui, abbia sentito la tua mancanza», commentò Kustyl. Wendra chiese a bassa voce: «Hai un appartamento, qui? Il nonno mi ha detto di sì. Se non ti dispiace, salgo ad allattare Alendra. Tu e lui dovete parlare. Ha detto che è importante». Alucius annuì. «Fewal, per favore, accompagna mia moglie nei miei alloggi.» «Sì, signore. Con piacere.» Alucius e Wendra si scambiarono un sorriso prima che lei si allontanasse, poi lui si rivolse al pastore più anziano. «Avete delle informazioni da darmi, se ho capito bene?» «Sì, colonnello, è proprio così.» Gli occhi di Kustyl scintillavano mentre pronunciava la parola «colonnello» con una lieve enfasi. Alucius si soffermò un attimo a lanciare un'ultima occhiata a Wendra, poi gli fece strada verso il suo studio. Kustyl lo seguì e si chiuse la porta alle spalle. Alucius gli indicò una delle sedie.
«Spero che non ti. dispiaccia se sto in piedi, Alucius. Il viaggio è stato lungo e io non sono più giovane come una volta.» Alucius rise. «Spero che a voi invece non dispiaccia se mi siedo. Sono ancora dolorante in alcuni punti», e, così dicendo, prese posto sulla sedia dietro la scrivania. «Wendra non me ne ha parlato, ma mi sembra di capire che tu sia stato ferito gravemente, o sbaglio?» Kustyl serrò leggermente gli occhi. «Non ho voluto farla preoccupare scrivendoglielo. Il mio capitano maggiore ha detto che nessuno pensava che riuscissi a cavarmela.» «E adesso sei qui che te ne vai in giro.» «La seta nerina è stata molto utile.» «Ma non essenziale ai fini della tua sopravvivenza.» Kustyl sorrise. «Wendra ti ha portato dei nuovi indumenti di seta nerina. Ha detto che neppure il tessuto più resistente sarebbe stato in grado di reggere tutti i colpi che ti sei preso.» Esaminò Alucius con occhio attento. «Sembri quasi dell'età giusta per questo incarico. I capelli grigio scuro aiutano.» Poi sorrise. «Se ci fosse stato al tuo posto qualcuno più giovane sarebbe già morto, a causa di tutti i problemi che adesso ti trovi ad affrontare.» «Che cosa siete in grado di dirmi?» chiese Alucius. «Dimmi prima cosa sai tu e cosa vorresti sapere.» «Qui sta il problema. Sono sicuro che Weslyn si stava arricchendo, gonfiando i prezzi della merce destinata alle Guardie e intascandosi la differenza. Abbiamo trovato trecentosessanta monete d'oro nella sua cantina, la maggior parte del tipo che mandano da Tempre.» «Trecentosessanta? Quel serpente della sabbia aveva rubato così tanto?» «Non sono ancora in grado di mettere in relazione tutte le somme, ma sembra proprio che sia così. Aveva anche sostituito tutti gli ufficiali che avrebbero potuto fargli domande indiscrete con altrettanti figli di mercanti, fornitori abituali delle Guardie. Ah... e aveva anche smembrato la Diciannovesima e la Ventesima Compagnia, e credo che intascasse le loro paghe, anche se non ne sono sicuro. Non ho ancora avuto tempo di esaminare a fondo tutti i registri contabili. Per il momento, abbiamo solo provveduto a informare tutti del cambiamento intervenuto ai vertici, dicendo anche che Weslyn aveva cercato di uccidermi.» Indicò il grafico aperto sulla scrivania. «Il capitano maggiore Feran e io abbiamo cercato di capire quali ufficiali congedare e quali comandanti di squadra anziani promuovere al grado di capitano o di capitano maggiore, perché ne prendano il posto. Siamo riusciti a elaborare un primo schema, ancora privo dei nomi, che stabilisca
semplicemente come e in quale ordine fare gli spostamenti, in modo da avere le persone giuste nel posto giusto il più rapidamente possibile.» «Tuo nonno ha sempre pensato che tu fossi bravo a fare questo. Tua madre mi ha fatto promettere di non dirtelo.» Kustyl tossì. «Sei stato in grado di capire ciò che Royalt e io abbiamo sempre sospettato, ma ci sono alcune cose che dovresti sapere. Prima di tutto, i vecchi mercanti che appoggiavano la politica di Dysar, e poi di Weslyn, sono tutti morti tranne due. Uno è Halanat e l'altro Tarolt. Quest'ultimo non si vede mai in giro. Non si occupa più di operazioni commerciali e tutti i suoi affari vengono trattati dalla società di Halanat. Neppure questi si vede molto in giro. È il figlio, un giovane di nome Halsant, a occuparsi di tutto e a presiedere il nuovo Consiglio dei Mercanti. Probabilmente, è il più giovane dei suoi membri - avrà più o meno la tua età, forse trent'anni - ma gli altri gli ubbidiscono in tutto e per tutto. Può darsi che sia perché dietro ci sono Halanat e Tarolt. Non so per quale motivo siano così importanti, ma lo sono.» Alucius annuì. «Deve esserci qualche collegamento con Weslyn.» «Be', tutti sanno che erano amici. Mangiavano insieme, si vedevano anche al "Montone Rosso". Weslyn era il tipo che socializzava, usciva a cena con la maggior parte dei grossi mercanti. Qualcuno di loro dice già che sei stato mandato qui per smembrare la loro associazione, così che i mercanti di Tempre e di Borlan possano prenderne il posto.» Alucius emise una specie di grugnito. «Da ciò che ho avuto occasione di vedere, i mercanti del sud non sono neppure capaci di occuparsi di affari nelle loro terre. E quelli in grado di farlo si preoccupano di più per ciò che sta succedendo a Deforya e a Porta del Sud.» «Non ha importanza ciò che succede davvero, Alucius. Tu ti devi occupare di ciò che i mercanti di Dekhron pensano.» «Lo so. E allora, cosa posso fare? Avevo pensato di incontrarmi con loro per spiegare esattamente ciò che è successo.» Alucius fece un sorriso ironico. «Il problema è che non ho ancora scoperto tutto quanto.» «Stabilisci adesso un incontro, ma fissalo tra una settimana o più. In tal modo aspetteranno, prima di scagliarsi apertamente contro di te. Ne parleranno ancora, ma si chiederanno cos'hai da dire.» «Mi sembra una buona idea. Cosa pensate che cerchino di fare?» «Non lo so. Almeno non con certezza. Alcuni penseranno di assoldare dei sicari o qualcuno delle vecchie bande di furidi per farti fuori.» «Una prospettiva davvero consolante. E se invece riesco a liberarmi di loro, si dirà che sono l'arrogante macellaio inviato dal Signore-Protettore.»
«Dopo le tue imprese di Hyalt, lo stanno già dicendo.» «Come possono sapere cos'è successo esattamente a Hyalt?» «Non lo so, ma corre voce che hai massacrato migliaia di uomini e che hai affidato la conduzione della città alle donne.» «Il profeta si era servito del Talento per ridurre praticamente in schiavitù un migliaio di uomini e convincerli a combattere per lui. I ribelli non facevano che attaccarci e noi li uccidevamo. Ne abbiamo uccisi circa ottocento. Non più di mille. Siamo stati costretti ad affidare la città... be'... in realtà si tratta più di un grosso paese... abbiamo dovuto affidarlo alle donne. Gli unici uomini rimasti erano poco più che bambini oppure erano impazziti a causa di tutto quello che avevano passato.» «I dettagli non hanno importanza.» Alucius sospirò. «Lo so. Devo continuare a fare ciò che ritengo giusto, cercando di sopravvivere a un tentativo di assassinio dopo l'altro, oppure devo spazzare via tutti i mercanti di Dekhron per evitare che le Valli del Ferro vengano occupate dalla Reggente della Matride?» «Reggente?» «Adesso è lei al comando a Hieron. E da come si comportano i suoi soldati, deve essere ancora peggio della Matride. I collari sono tornati di nuovo in funzione. Abbiamo distrutto i loro lancia-proiettili e, per ora, il Signore-Protettore li ha respinti di nuovo a nord. Se riesco a riorganizzare le Guardie, potremmo essere in grado di tenerli sotto controllo.» «Sotto controllo?» «Con più della metà dei capitani a malapena capaci di svolgere la loro funzione e senza la Diciannovesima e la Ventesima Compagnia, sarò già fortunato se riuscirò a fare quello. Dezyn non è molto bravo nell'addestramento delle reclute. Sapete cosa sia successo al capitano maggiore Culyn?» «Si è parlato molto di lui circa un anno e mezzo fa. Lo avevano trovato morto, qui, al quartier generale. Sul corpo non aveva segni di violenza. Hanno pensato che il suo cuore si fosse semplicemente fermato.» Perché Alucius non ne aveva sentito parlare? O era talmente contento di non fare più parte delle Guardie che non vi aveva prestato attenzione? «Tu non credi che si sia trattato del cuore, vero?» chiese Kustyl. «Alla luce di quanto è successo ultimamente, no. Non più di quanto abbia creduto che Clyon fosse morto a causa di una forte febbre.» «Hai un bel po' di problemi per le mani.» Kustyl scosse il capo. «Tutti i pastori sono dalla tua parte, ma non ne sono rimasti molti.»
«Avete qualche altro suggerimento da darmi?» «Evita le strade strette e guardati sempre alle spalle. E se, per caso, qualcuno dei tuoi soldati muore di febbre o nel sonno, comincia le tue indagini da Halanat e da Tarolt.» Il vecchio pastore si strinse nelle spalle. «E non aspettare troppo. Loro non lo faranno. Questo è certo.» Kustyl lanciò un'occhiata alla porta. «Per il momento, è tutto quello che ti posso dire. Tranne di passare un po' di tempo con quella tua mogliettina.» «Non occorre che me lo ricordiate.» Alucius sorrise nell'alzarsi. «Me lo farete sapere se riuscite a scoprire qualcosa di più?» «Sicuro. Farò qualche chiacchierata con un po' di persone di cui mi fido, qui a Dekhron. Non che siano in molte, ma mi farò vivo domani.» «Avete un posto dove dormire? Potremmo...» Kustyl scosse il capo. «Vado da Renzor, il figlio del cugino di Mairee. Così è meglio.» Alucius gli aprì la porta. Dopo che Kustyl lo ebbe lasciato, Alucius riprese a esaminare i grafici e gli elenchi delle varie compagnie, ma si accorse di non riuscire a concentrarsi sui nomi. Perciò si alzò e uscì dallo studio. «Signore?» Dhaget alzò lo sguardo dalla scrivania dove stava sistemando le schede dei soldati, dividendole per compagnia. «Se torna il capitano maggiore Feran, digli che è arrivata mia moglie e che sono salito nel mio appartamento per aiutarla a sistemarsi.» «Sì, signore.» Dhaget trattenne un sorriso, ma non riuscì a nascondere il luccichio degli occhi. Alucius cercò di non precipitarsi su per le scale di corsa, ma non salì neppure troppo lentamente. Trovò Wendra seduta sul grande letto della camera matrimoniale, appoggiata a dei cuscini e intenta ad allattare Alendra. Alucius si protese verso di lei e le baciò il collo. Lei girò la testa e le loro labbra si incontrarono. Dopo un lungo momento, Wendra si scostò e si sistemò meglio Alendra in braccio. «Non devi comportarti come se ogni istante fosse l'ultimo», disse con un sorriso. «Mi fermerò un po' di giorni, forse anche più a lungo.» Il sorriso lasciò il posto a un'espressione preoccupata. «Come ti. sei procurato quella cicatrice?» «È stato il profeta.» «Non me l'avevi detto.» «Non mi sembrava importante.» Indugiò, quasi temesse di fare la domanda successiva, poiché desiderava così tanto che lei restasse a Dekhron
non solo per un pomeriggio o per un giorno. «E la fattoria?» La baciò di nuovo sul collo. «Farà a meno di me per qualche giorno. I primi tempi dopo la nascita di Alendra, tuo nonno ha dovuto occuparsi del gregge.» Wendra spostò la bambina nell'incavo del braccio sinistro e le offrì l'altro seno. «Ha avuto problemi?» «No. Non ha mai incontrato una di quelle creature talentose. Alucius, sembrano interessate solo a noi due. Dev'essere così. Sono mai apparse a qualcun altro?» «Be', c'erano gli pteridon di Aellyan Edyss, ma, per quanto riguarda gli pteridon selvatici, direi di no.» «Perché sono attratti dalla nostra presenza? Perché possediamo più Talento?» chiese Wendra, mentre si sistemava meglio Alendra in braccio. Alendra cominciò a succhiare risolutamente. Wendra fece una leggera smorfia. «È forte, ed è una piccola ingorda. Deve avere preso da te.» «Da me?» «Da te», rispose lei con fermezza. «Mi sai dire perché quelle cose compaiono quando ci siamo noi?» «Il fatto che abbiamo Talento può essere una delle ragioni, ma non la sola. Devono venire da qualche parte, forse dal luogo da cui vengono gli ifrit.» «E che posto è? Si tratta davvero di un altro mondo, come mi avevi detto?» «Deve essere così. A Corus non ci sono creature simili e non ci sono mai state, se non durante il periodo del vecchio Duarcato.» Alucius indugiò. «Eccetto forse gli animali che sembrano gatti della polvere neri.» Scosse il capo. «Sembra che niente abbia un senso logico. Ma le arianti avevano detto che gli ifrit venivano da un altro mondo e, finora, tutto quello che le arianti hanno detto si è dimostrato vero.» Alucius si protese a baciare il collo di Wendra, facendole scivolare un braccio attorno alle spalle. «Non adesso, mio caro. Dopo. Non quando ogni soldato si starà chiedendo cosa stiamo combinando. Dopo, quando anche Alendra si sarà addormentata. Mi sei mancato tanto e vorrei avere un po' più di tempo per noi due.» Così dicendo, gli offrì di nuovo le labbra. Alucius assaporò quel bacio - appassionatamente - pur sapendo che avrebbe dovuto tornare al suo grafico e ai suoi elenchi e a tutte le altre questioni. Ma solo per un altro po', e questa volta non avrebbe fatto tardi.
111 Hieron, Madrien La Reggente si alzò dalla poltroncina dietro al tavolo delle riunioni e si diresse verso la parete nord dello studio privato che un tempo era appartenuto alla Matride. Si fermò davanti agli scaffali incassati nel muro, colmi di antichi volumi che coprivano l'intera parete, ripiano dopo ripiano, partendo dal pavimento fino al soffitto alto quattro iarde. Una scaletta di legno di noce era appoggiata a metà della libreria e un singolo volume stava in equilibrio sul terzo scalino. Per un attimo, la Reggente osservò in silenzio i libri. Poi si girò e tornò al tavolo, rimettendosi a sedere. I suoi occhi violetti si fissarono sulla donna-maresciallo con indosso una divisa viola e verde seduta all'altro lato del tavolo. «Gli ingegneri hanno compiuto qualche progresso con gli schemi che avevo fornito?» «Devono ancora scoprire come fare a replicare i cristalli necessari all'accumulo di energia», disse la donna-ufficiale. «Allora non si meritano davvero di essere chiamati ingegneri.» «Hanno cominciato a coltivare i cristalli che si concentrano a formare le piccole punte di lancia. I cristalli per l'accumulatore sono più difficili da replicare. Sono molto più complessi di quelli delle torce a raggi di cristallo, e voi sapete quanto tempo c'è voluto e quanto è stato difficile crearli. Persino la...» La donna-maresciallo si interruppe. «Persino la Matride, stavate per dire?» «Sì, Reggente.» La Reggente esibì un freddo sorriso. «Suppongo che sia giusto. Lei aveva più esperienza di quanta non ne abbia io attualmente.» «Sapete come abbia fatto la Matride a diventare... la Matride?» «State cercando di cambiare argomento, vero, Aluyn?» «Sì, Reggente.» La voce di Aluyn lasciava trasparire una nota di tristezza. «Mi era parso più saggio.» La Reggente rispose con una risata acuta. «Siete sincera. Ho sempre ammirato questa qualità.» Aluyn rimase in attesa. «Immagino che non ci sia niente di male a dirvi ciò che so», proseguì la Reggente. «Avevo trovato alcune sue note. Non veniva da Madrien, era nata ad Aelta.»
«Era deforyana?» «Era una cortigiana del palazzo del Landarco, se ciò che aveva scritto corrispondeva a verità, poi si tagliò i capelli e diventò un soldato di cavalleria al tempo delle incursioni dei nomadi, le vecchie incursioni di quattro secoli or sono. Fu abbastanza abile nell'uso del fucile e della sciabola da sopravvivere. Poi, sempre stando a quanto ha scritto, scoprì il suo destino e lo portò con lei mentre si dirigeva verso ovest.» «Scoprì il suo destino», rimuginò tra sé l'altra, «e lo portò con sé. Quasi fosse una cosa che si poteva tenere in mano». «Sono certa che lei la vedeva così», replicò la Reggente. «A volte, il destino può avere davvero una forma tangibile.» «Un destino tangibile? E questo destino adesso è il vostro, Reggente? Sarete presto la nostra nuova Matride?» «C'è stata e ci sarà una sola Matride.» La Reggente dal viso diafano, dagli occhi violetti e dai capelli scuri sorrise enigmaticamente. «Lasciamo che le cose rimangano così. Quanto a voi, offrirete il vostro più grande incoraggiamento agli ingegneri, se desiderano rimanere tali.» «Sì, Reggente.» Aluyn chinò discretamente il capo. «Lo farò.» «Potete andare.» Solo dopo che la donna-maresciallo si fu allontanata dallo studio e dagli appartamenti privati, la Reggente si alzò. Lasciò la stanza, passò per il salotto principale e uscì nel giardino privato attraverso una portafinestra ad arco. Guardò le file di margherite, semplici piantine verdi che sarebbero fiorite solo di lì a qualche stagione, per poi rivolgersi verso l'alberello nano di porporina nell'angolo nordovest del giardino. I suoi occhi violetti si incupirono. D'un tratto, i piccoli fiori rossi avvizzirono, poi caddero sulla terra scura della piccola aiuola. A loro volta, le verdi foglioline appuntite dell'ulivo si fecero opache, poi nere e infine si staccarono dai rami. Il liscio tronco dalla corteccia marrone assunse anch'esso una colorazione brunastra, mentre fiamme azzurrognole lambivano per un attimo i resti anneriti dell'antico albero in miniatura. Nel giro di pochi istanti rimase solo un circoletto nero nel terreno. La Reggente sorrise freddamente, si voltò e lasciò il giardino. 112
Wendra aveva persuaso Alucius a farla restare per qualche giorno e a farsi dare una mano con i libri contabili. Lui non aveva protestato con eccessiva convinzione riguardo a entrambe le proposte e si era goduto enormemente il giorno di octdi, concedendosi una pausa più lunga di quanto avrebbe dovuto dalle incombenze che lo attendevano. Il novdi, quando egli salì nell'appartamento per un veloce spuntino, vide che Wendra aveva sistemato tre registri contabili sul divano, lasciandoli aperti in punti diversi. In quel momento, lei era seduta in una delle poltrone imbottite con Alendra in braccio, intenta a farle fare il ruttino. «Alucius, ho trovato delle irregolarità enormi in questi registri.» Wendra alzò lo sguardo verso di lui, uno sbaffo d'inchiostro sull'occhio sinistro. Si alzò, tendendogli la bambina. «Ti faccio vedere.» Alucius prese in braccio la figlia, ancora stupito per certe sue particolarità. Già il filo vitale di Alendra era verde quasi per metà: una sicura promessa di Talento. Eppure lei era così piccola, o almeno così gli sembrava, anche se Wendra continuava a dirgli che era una neonata di dimensioni notevoli per essere nata da poco meno di due stagioni. Poi c'erano i suoi occhi, di un verde profondo con pagliuzze grigie. Di tutti i bambini che Alucius aveva visto nel corso degli anni, non gli era mai capitato di vederne uno così piccolo con occhi di un colore così vivido e intenso. Wendra prese il primo registro e lo tenne in modo che Alucius potesse leggere con Alendra in braccio. «In questo ci sono i rendiconti, degli approvvigionamenti della postazione. Almeno, così sembra. Guarda un po' qui.» Alucius lesse: Botti, cinquanta botti finite (quercia). «Le botti... è questo che ha attirato la mia attenzione. Mio padre non fa mai pagare più di una moneta d'argento per articoli di questo tipo. Le Guardie hanno pagato due monete d'argento ad Halanat e Figli, mentre invece questi le hanno comperate da mio padre a meno della metà.» «Un bel guadagno: più di cinque monete d'oro solo per questa fornitura di cinquanta botti.» «Ma le cose stanno ancora peggio», disse Wendra. «Mio padre aveva chiesto di fare un'offerta alle Guardie per aggiudicarsi degli ordini, ma gli hanno sempre detto che i suoi prezzi erano troppo alti.» «Però le ha vendute ad Halanat a meno di dieci monete d'oro, mentre questo le ha rivendute al doppio?» Alucius sistemò meglio Alendra, appoggiandosela contro la spalla. «I registri non dicono quanto Halanat abbia incassato. Resta il fatto che
Weslyn e Halanat si sono arraffati più di cinque monete d'oro per questa commissione.» «Quante volte sarà successo?» «Ho riscontrato irregolarità del genere in ben cinque occasioni e non so nemmeno se sono tutte, o almeno una buona parte. Ci sono anche forniture di secchi e di farina, che sembrano ricalcare la stessa procedura. Ma sono solo in grado di verificare gli acquisti degli articoli di cui conosco il costo.» «Nondimeno, anche solo le cinque forniture di botti, il guadagno che ne hanno ricavato corrisponde quasi a mezzo anno di paga per un colonnello.» Wendra sogghignò. «Hai capito? Potremmo comperarci un altro montone.» «Tu non ricevi più il sussidio extra, vero?» Alucius non ne era certo, ma dubitava che il Signore-Protettore avesse continuato a versare a Wendra quel compenso. In effetti, adesso, lui era tornato a Dekhron, anche se quella città sembrava altrettanto pericolosa di un campo di battaglia. Aggrottò la fronte: forse stava esagerando un po' le cose. «Che c'è?» «Niente. Stavo solo pensando che... be'... a nessuno piacerà quello che sto scoprendo. Nemmeno dopo il ritrovamento delle monete d'oro nascoste da Weslyn.» Wendra posò il primo libro contabile e prese il secondo. «Tutto questo foraggio. Proviene da un coltivatore di nome Aluard, a Fiente. L'importo è il doppio rispetto a quello che paghiamo noi per le pecore eduli. E noi dobbiamo coprire anche le spese di trasporto, quando lo comperiamo a Punta del Ferro. Alle Guardie dovrebbe costare almeno la metà, visto che da Fiente a Dekhron la distanza non è grande. E gli acquisti di foraggio superano di gran lunga quelli delle botti.» Aluard: era il nome del fratello di Yusalt. O c'erano forse due coltivatori di nome Aluard a Fiente? Alucius era certo di no. «Weslyn aveva parecchi contatti a Fiente. Sono pronto a scommettere che anche le forniture di olio hanno seguito la stessa trafila.» «Che pensi di fare?» «Per il momento, mi incontrerò con i mercanti e li informerò sull'operato di Weslyn dicendo che, a quanto pare, il colonnello aveva intascato parecchi soldi che non gli appartenevano. Probabilmente, dovrò lasciare le cose come stanno, a meno di non trovare prove concrete.»
«Oh...» Wendra posò il registro. «Devi mangiare e io non ho preparato niente.» «Credo che ci sia del pane e un po' di formaggio, e forse qualcos'altro.» «Ma non basta.» «Andrà bene. Era quello che mangiavo di solito prima che arrivassi tu. E poi, quello che hai scoperto è molto più importante del cibo.» Alucius sorrise. «Così come lo è il fatto che tu sia qui.» «Sono felice di essere qui.» Alucius si protese verso di lei e le sfiorò il collo con le labbra. «Non sai quanto lo sono io.» Lei gli sorrise maliziosamente. «Me lo hai dimostrato ieri notte.» Alucius non poté impedirsi di arrossire. «Prima è passato nonno Kustyl.» La voce di Wendra era tornata seria. «Quando ripartite?» «Domani mattina. Non mi sembra giusto partire adesso, ma non mi sembra neppure giusto lasciare tutte le incombenze della fattoria a tuo nonno. Se deve portare il gregge al pascolo per più di due giorni di seguito, si stanca parecchio.» «Non me l'avevi detto.» «Hai già abbastanza problemi.» Questo era vero, ma adesso lo sapeva. «Ti preparo qualcosa da mangiare.» Wendra si girò. «Se tu ti occupi di Alendra.» Mentre seguiva la moglie in cucina, Alucius si sistemò meglio la figlia in braccio, appoggiandola contro la spalla. La piccola si dimenò, come per protestare per il cambiamento di posizione. Tuttavia, nel giro di mezza clessidra era già di ritorno nel suo studio, mentre Wendra gli avrebbe preparato un elenco di tutte le irregolarità che aveva riscontrato nei libri dei conti. Intanto Alucius aveva preparato la richiesta di un incontro con il Consiglio dei Mercanti per il sexdi successivo, per discutere questioni di reciproco interesse. Dopo aver firmato la lettera e apposto il sigillo sulla busta, la affidò a Fewal affinché la portasse ai magazzini di Halanat, dato che non aveva idea di dove avrebbe potuto altrimenti mandarla. Il messaggero tornò circa mezza clessidra più tardi a riferire che Halanat, dopo aver letto la lettera, si era degnato di rispondere con poco più di un cenno del capo. Kustyl giunse intorno alla prima clessidra del pomeriggio, mentre Alu-
cius era impegnato a scrivere lettere di richieste di dimissioni da parte di vari ufficiali, perlopiù capitani nominati da Weslyn. Nel frattempo, dettaglio non trascurabile, aveva ricevuto una lettera di dimissioni di Yusalt. Il che stava a indicare che qualcuno gli aveva dato l'imbeccata, oppure non era così sprovveduto come era sembrato all'inizio. Inoltre, lasciava intendere che il capitano era ben lungi dall'essere innocente. Kustyl entrò nello studio e si chiuse la porta alle spalle. Questa volta, prese posto sulla sedia di fronte alla scrivania. Sorrise. «Li hai fatti preoccupare. Questo è certo.» «Chi? I mercanti?» «Tutti quelli che possiedono quattrini. Persino a Renzor è giunta la voce, e lui è un semplice calderaio. Stanno parlando di come hai avuto la meglio su Weslyn. Alcuni sospettano che tu sia in parte un sabbioso e che la tua pelle sia altrettanto resistente. Dicono che nessuno avrebbe potuto sopravvivere con tutti i colpi che ti sei beccato. Due tizi hanno detto che Weslyn era un tiratore formidabile. Circa tre anni fa aveva ucciso un tagliaborse che stava scappando, colpendolo a trenta iarde di distanza, al buio. Naturalmente, nessuno aveva visto il tagliaborse e ci si basò solo sulle affermazioni di Weslyn.» «Qualcuno ne sapeva di più su quella faccenda?» «Alcuni capitani avevano detto che in realtà il tizio era un soldato di stanza al quartier generale che aveva disertato, ma non si scoprì nient'altro.» Alucius annuì. Al pari di tutto quello che aveva scoperto, anche questa notizia sembrava confermare i suoi sospetti, sebbene non ci fossero prove concrete. «E che altro?» «Per la verità, è quello che non sta accadendo a sembrare preoccupante. I prezzi sono fermi. Nessuno si sta rifornendo di merci e la gente dice che non resterai colonnello a lungo. Pensa che qualcuno ti ucciderà o che tornerai a fare il pastore, o che il Signore-Protettore ti manderà a ovest per combattere i mattiti.» «Tutto questo non mi piace.» «No. Ma non è neanche così negativo.» «Per quale motivo lo pensate?» «Se tutti facessero parte dell'intrigo, si vedrebbero succedere più cose, in un modo o nell'altro. Gente che si affretta ad abbandonare la città. Un aumento nelle vendite dei prodotti di consumo primari.» «O quello... oppure sono tutti quanti d'accordo.»
Kustyl scosse il capo. «C'è troppa gente che chiacchiera a Dekhron. Così come la vedo io, deve trattarsi solo di Tarolt e di Halanat, mentre tutti gli altri cercano di starne fuori.» «Che genere di prodotti trattano Halanat e Halsant?» chiese Alucius. «Quasi tutto, tranne la seta nerina. Ho sentito dire che ultimamente hanno spedito grosse quantità di vino del sud verso i territori a oriente, e zolfo a Deforya», disse Kustyl. «Lo zolfo lascia presagire problemi.» «Tuo nonno mi aveva detto che non avevi molta simpatia per il Landarco.» «Però non era corrotto come i nobili che lo circondavano e che adesso sono al potere. Tra non molto, il Pretore di Lustrea cercherà di conquistare Deforya. Anche al Signore-Protettore interesserebbero quelle terre, ma non ha soldati a sufficienza per poterlo fare.» «Non mi sembri molto ottimista di questi tempi.» «Voi lo sareste?» Kustyl rise. «Non lo sono mai stato. Mairee deve esserlo anche per me.» «Avrei bisogno che qualcuno del posto mi controllasse i registri dei conti. Qualcuno che sia onesto e non tragga vantaggio dalle informazioni su cui metterà le mani, ma anche qualcuno di cui la maggior parte dei mercanti si fidi.» «Non pretendi molto, vero?» «Come sempre», replicò asciutto Alucius. Kustyl rise di nuovo. «Potresti provare con Agherat. È il più onesto tra gli usurai di Dekhron.» «Un usuraio?» «Chi altri potrebbe conoscere meglio i libri contabili e il denaro? Ma a te non serve un usuraio, le Guardie non prendono soldi in prestito. Il che vuol dire che da questa collaborazione non guadagnerà molto. È un cugino di Mairee, lei ha un sacco di cugini. Posso chiedergli se gli va di occuparsene.» «Ve ne sarei grato. Lo potete fare davvero?» «Sicuro.» Kustyl si alzò. «Questo è quanto sono riuscito a sapere. Ho parlato con la tua Wendra. Te l'ha detto?» «Mi ha detto che pensate di partire domattina.» Alucius si alzò da dietro la scrivania. «Una bella tempra di ragazza, la mia nipotina.» «Più di quanto chiunque avesse immaginato», disse Alucius.
«Tranne te. L'avevi capito subito, non è vero?» «Mi piace pensare che sia così. Sentivo che era una ragazza speciale, ma non sapevo perché.» Kustyl annuì. «Sono contento che stia alla fattoria. È il miglior pastore di tutta la nostra famiglia ed è finita nella fattoria della tua, di famiglia. Però mi fa piacere che sia quella di tuo nonno. È quasi come se fossimo parenti.» «Sono contento che abbia funzionato.» «Tu e tutti quelli delle valli del nord! Ci vediamo domani mattina.» Kustyl aprì la porta e uscì. Alucius guardò le lettere incomplete che ingombravano la sua scrivania. A volte, mettere nero su bianco dopo aver preso una decisione sembrava tanto difficile quanto prendere la decisione stessa. 113 Nel grigiore che precedeva l'alba del giorno di decdi, Alucius uscì dall'appartamento. Portava le bisacce di Wendra, che contenevano i suoi vecchi indumenti di seta nerina, ma erano soprattutto traboccanti di cambi di biancheria per Alendra. Prima di allora non si era reso conto di quanto fosse problematico tenere pulito e asciutto un neonato durante la stagione invernale. Wendra lo seguiva, con Alendra confortevolmente rannicchiata e al caldo in una specie di marsupio fissato a una fascia che le attraversava il torace e le appoggiava leggermente sul fianco sinistro, di modo che non le avrebbe creato problemi a servirsi del fucile, qualora fosse stato necessario. Il loro fiato formava delle piccole scie di condensa, mentre scendevano gli scalini che portavano in cortile, dove Kustyl e la giumenta di Wendra erano in attesa. Alucius l'aveva già sellata prima. Il freddo intenso ricordava più quello di metà inverno che non di fine inverno ed era più tipico delle regioni del nord dove si trovava la loro fattoria che non di Dekhron. Ai piedi delle scale, Alucius abbracciò un'ultima volta Wendra, baciandola sulla guancia, e si chinò a dare un bacio sulla fronte della piccola Alendra. «Vorrei che tu restassi. O che i cambiamenti previsti fossero già in atto.» Alucius aveva detto a Wendra di aver chiesto al Signore-Protettore il permesso di spostare il quartier generale delle Guardie del Nord a Punta del Ferro e che questi stava valutando la questione. Wendra aveva capito che Alucius non desiderava entrare nei dettagli finché non avesse ricevuto
l'autorizzazione. «Anch'io vorrei restare. Ma sai che è meglio così.» Alucius lo sapeva. In un certo senso, Dekhron sembrava meno sicura della fattoria e poi c'era il problema di Royalt. Stando a quanto gli aveva raccontato Wendra, il nonno cominciava a mostrare gli acciacchi dell'età. Se fosse rimasto solo troppo a lungo a gestire la fattoria, l'impegno per lui sarebbe stato troppo gravoso e, alla fine, sia Alucius sia Wendra avrebbero finito col pagarne le conseguenze. Inoltre, visto tutto ciò di cui gli era debitore, Alucius non voleva caricarlo di un fardello troppo pesante. «Stai solo attenta per strada e alla fattoria.» «Sì, sto sempre attenta.» Wendra gli sorrise con affetto. Per un lungo istante i loro sguardi e i loro fili vitali si allacciarono. Poi Wendra si girò e, nonostante i suoi movimenti fossero in parte ostacolati dal marsupio, montò a cavallo con agilità. Dopo che lei si fu sistemata in sella, Alucius verificò i fucili, assicurandosi - ancora una volta che la canna fosse sgombra e ci fossero cartucce nei caricatori. Quindi fece un passo indietro. «Stai solo attenta», le disse nuovamente. «Andrà tutto bene.» Wendra lo guardò. «Sei tu quello che deve stare attento.» Kustyl si schiarì la voce. Alucius spostò lo sguardo sul pastore, che nel frattempo era montato in groppa al suo roano. «Agherat ha detto che sarà lieto di esserti di aiuto», disse Kustyl. «Non vuole soldi, il che è un fatto insolito per un usuraio. Ma ha detto che Weslyn non gli piaceva molto. Lo trovi nella casa di fronte alla bottega del droghiere, quella più vicina al ponte. Fuori c'è un'insegna con due monete.» «Grazie.» «Lieto di esserti stato utile.» Il pastore lanciò un'occhiata verso nord. «Freddo ma limpido. Wendra avrà cura di tutti e tre. È la migliore tiratrice che io conosca, eccetto forse te, Alucius.» «Speriamo che non debba dimostrare questa sua abilità durante il viaggio.» «Essere pronti a sparare è meglio che sperare di non doverlo fare», replicò Kustyl in tono ironico, incitando il cavallo a partire. Alucius camminò al fianco del cavallo di Wendra fino ai cancelli, dove stazionavano le sentinelle, poi si fermò e restò a guardare, mentre il gruppetto si dirigeva a nord. Alla fine, si diresse adagio verso i suoi alloggi.
Dietro di sé, udì le sentinelle scambiarsi commenti. «... la moglie del colonnello... molto graziosa...» «... un pastore come lui... in grado di gestire una fattoria da sola... quei fucili non sono solo per bellezza...» «... sentito dire che è brava a sparare quanto lui...» «... gente tosta quella che vive a nord...» «... ce ne servirebbe di più, soprattutto adesso.» Erano molte le cose che sarebbero servite, si disse Alucius, tranne mercanti disonesti e ifrit, e capitani incapaci. Immerso nelle sue riflessioni, proseguì verso lo studio. Una volta dentro - al freddo, perché la stufa a carbone in quell'ala del quartier generale non era stata accesa il giorno di decdi, visto che tutti i soldati erano in libera uscita - Alucius si sedette alla scrivania e si immerse nel suo lavoro. Aveva promosso parecchi comandanti di squadra anziani e adesso Egyl era al comando della Settima Compagnia. Feran li aveva condotti, insieme alle due compagnie di Guardie del Sud, a Sudon, con un altro ordine di promozione a capitano per Estepp e un ordine di dimissioni per il capitano Dezyn. La Settima Compagnia si sarebbe fermata, là per un periodo di addestramento intensivo. La Quinta Compagnia, con Faisyn in qualità di comandante di squadra anziano, era rimasta a Dekhron per fungere da eventuale supporto ad Alucius. Questi non aveva ancora ricevuto alcun messaggio dal maggiore Lujat riguardo alla situazione nei territori settentrionali di Madrien. Ma, d'altra parte, solo una metà circa delle postazioni a nord e a ovest aveva già risposto. Fortunatamente, per il momento, i rapporti erano stati tutti positivi e avevano espresso un'opinione favorevole verso i cambiamenti intervenuti ai vertici. Apprezzamento che non sarebbe durato a lungo, se le Guardie del Nord avessero dovuto fronteggiare un attacco matrite, proprio quando gli approvvigionamenti erano scarsi e il numero di ufficiali effettivi ancora troppo basso. Alucius fece un profondo respiro e guardò la pila di carte e di grafici davanti a sé. Si augurava solo che Sanasus avesse quasi finito di preparare i nuovi registri e di aggiornare i sistemi contabili. 114 Londi e duadi trascorsero senza incidenti e senza che arrivassero mes-
saggi. Alucius e Sanasus avevano verificato tutti gli inventari, confrontandoli con i libri contabili, poi avevano cominciato a scorrere i registri riga per riga, contrapponendo ciò che calcolavano fosse stato pagato ai vari artigiani, produttori e mercanti, a ciò che effettivamente era stato registrato. Avevano verificato solo le due ultime stagioni e il divario che ne era emerso era ben più grande di quanto Alucius avesse immaginato: oltre cento monete d'oro in soli quattro mesi. In base a quella percentuale, Alucius valutò una differenza di duecentocinquanta monete d'oro all'anno. Se Weslyn aveva sottratto così tanto, dove si trovavano le altre cinquecento monete d'oro che, grossomodo, erano state «addebitate» in più negli ultimi quattro anni? Erano finite nelle tasche di Halanat? Alucius aveva fatto venire Agherat nel tardo pomeriggio di duadi. Il vecchio usuraio aveva ridacchiato, borbottato e biascicato, per poi individuare almeno una decina di altre voci in cui Weslyn aveva fatto finire del denaro in più. «Non mi è mai piaciuto. Troppo gioviale. Il tipo che ti sorride mentre ti ruba il borsello.» Quelle furono le uniche parole pronunciate da Agherat nei confronti del precedente colonnello. Dopo la partenza dell'usuraio, Sanasus e Alucius tirarono entrambi un profondo sospiro. Alucius poteva anche avere dei sospetti, ma più indagavano a fondo e più era chiaro che i registri non contenevano prove che indicassero altri colpevoli, all'infuori di Shalgyr e Weslyn. Alucius era certo che altri vi fossero coinvolti, ma sapeva anche che non avrebbe trovato nulla in grado fornirgli degli indizi. Feran fece ritorno a Dekhron il giorno di tridi, a metà pomeriggio, e si diresse subito a grandi passi verso lo studio di Alucius, dove si lasciò cadere sulla sedia di fronte a lui. «Com'era Sudon?» chiese Alucius. Feran si produsse in un largo sorriso. «Estepp ha detto che eri l'unico colonnello ad avere avuto il coraggio di nominarlo capitano. Ha anche detto che si offrirebbe volontariamente di guidare una compagnia contro i mattiti se tu ne avessi bisogno.» «E Dezyn?» «Avrebbe dovuto aspettarci con una lettera di dimissioni.» Feran scoppiò in una risata aspra. «Invece ha chiesto quando sarebbe stato promosso a capitano maggiore, dato che tutti gli altri responsabili dell'addestramento reclute avevano già ricoperto quel grado in precedenza» «Come ha preso la notizia?»
«Non bene. Gli ho detto che si poteva reputare fortunato a non essere stato assegnato a condurre di persona un attacco suicida contro i lanciaproiettili, mentre gli davi la possibilità di rassegnare le sue dimissioni anziché essere cacciato o condannato da una corte marziale per incompetenza.» «Naturalmente, ha protestato. Quei tipi lì lo fanno sempre.» «Non troppo a lungo però. Avevo fatto in modo di promuovere prima Estepp, così gli ho chiesto di raggiungerci.» Il sorriso di Feran si fece più largo. «Non ho mai sentito un elenco più dettagliato di mancanze. Né avevo mai visto qualcuno fornito di credenziali migliori. Ho chiesto a Estepp di mettere tutto per iscritto e di farcelo avere.» «Di farlo avere a te, spero. Come vicecomandante.» Alucius porse a Feran un rotolo di pergamena e i nuovi gradi. «Adesso è ufficiale. Sei il numero due.» «Hai affrettato i tempi.» «No. Avrei dovuto farlo il primo giorno, ma ho fatto in modo che la promozione sia retroattiva, così riceverai il nuovo stipendio a partire da quella data.» Feran scosse il capo. «Tu sai quali sono le cose importanti per un soldato.» «Lo spero bene. Mettile.» «Qui?» «Qui.» Feran si tolse i galloni di capitano maggiore. Alucius ammirò i nuovi gradi di maggiore sul colletto dell'uniforme di Feran. «Ti stanno proprio bene. A differenza di alcuni, hai un aspetto sufficientemente maturo per essere un maggiore.» «Ecco un'altra eredità che dovrò portare», bofonchiò Feran. «La porterai bene», insistette Alucius. «Meglio di me.» «Non meglio, ma diversamente. Noi due insieme formiamo una bella squadra.» «Come squadra», cominciò Alucius, «dobbiamo ancora pensare a rafforzare le nostre linee difensive a occidente. Non abbiamo ancora ricevuto notizie da Lujat». «È prudente. Probabilmente, sta raccogliendo informazioni per conto suo, per assicurarsi che tu sia davvero al comando.» Alucius sperava che fosse così. Ancora una volta, stava spingendo troppo in là le sue speranze.
115 Entro la tarda mattinata di quinti i messaggi cominciarono ad arrivare in massa da tutte le postazioni e le compagnie. Alucius entrò nello studio di Feran e gliene porse ancora una manciata. «Credo che questi siano gli ultimi. Sembra quasi che abbiano voluto fare un controllo incrociato l'uno con l'altro.» «Forse hanno fatto proprio così. Quando hanno visto che i comandanti di squadra anziani venivano promossi e che i leccapiedi di Weslyn venivano cacciati, hanno capito che si trattava di una cosa reale. Estepp ha inviato un messaggio con il suo rapporto su Dezyn. Aveva ricevuto una nota da Sawyn - che è comandante di squadra anziano nella Dodicesima Compagnia - e che voleva sapere se tu eri davvero colonnello.» «Credi che Sawyn...?» Feran scosse il capo in segno di diniego. «Fallo restare comandante di squadra. È bravo a eseguire gli ordini, ma non ha mai avuto un'idea sua in tutta la vita. I capitani a volte devono saper usare la testa.» «Sarò contento quando avremo sistemato anche l'ultimo nuovo ufficiale.» «E quando tutto avrà cominciato a funzionare come si deve.» Feran lanciò un'occhiata ai rapporti. «Hai finito di verificare i registri contabili?» «Abbiamo dovuto controllare le irregolarità individuate da Agherat, ma, nel frattempo, sono saltate fuori anche altre discrepanze. Sanasus ha ancora qualche dettaglio in sospeso, ma il più è fatto. Almeno quello che siamo stati in grado di fare.» «E?» «Pensiamo - ma è solo una supposizione - che Weslyn abbia sottratto qualcosa come milleduecento monete d'oro. Chi abbia intascato le altre ottocento rimane un mistero. La casa è costata solo cinquanta monete d'oro e anche calcolando i due cavalli e la carrozza...» «Appena cinquanta monete d'oro per una casa? Pensa un po'. Dovrei mettere da parte persino tutte le monete di rame per tre anni per potermela permettere, anche con la generosa paga di maggiore.» «E poi c'era il vino. Agherat mi ha detto che alcune bottiglie costano una moneta d'oro. E abbiamo contato duecentocinque bottiglie.» «Sono un centinaio di monete d'oro in più», disse Feran. «Ne rimangono ancora settecento. Credi che si tratti di Halanat?»
«È solo una mia congettura, ma non c'è molto che si possa fare. Non esiste uno straccio di prova.» «Questo non ti ha mai fermato prima.» «Ma potrebbe fermarmi il fatto di non conoscere il motivo o la fine che hanno fatto tutti quei soldi.» Alucius si schiarì la voce. «Comunque, dovrò stare molto attento. Domani vedrò il Consiglio dei Mercanti. Ci incontreremo in un posto chiamato "Il Toro Bianco".» «Si tratta di una vecchia taverna sul fiume. Non è male. Ultimamente, le acque si sono un po' calmate. Se non accuserai nessuno, probabilmente se ne staranno tranquilli.» «Ed è questo che mi preoccupa. Ho ricevuto una lettera molto cordiale da Halsant, il quale mi promette la sua collaborazione. Sanasus dice che stiamo ricevendo offerte per forniture di farina e di foraggio a prezzi molto convenienti. È come se non fosse successo niente.» «Credi invece che qualcosa bolla in pentola?» «Sì. Può darsi che aspettino di sentire cosa ho da dire, come può darsi che stiano già architettando qualcosa.» Alucius fece una pausa. «Che ne pensi del rapporto del maggiore Lujat?» «Lui è del parere che i matriti stiano aspettando la bella stagione per attaccare di nuovo.» «Lo sono anch'io», replicò Alucius. «Spero solo che per allora tutte le compagnie siano state riorganizzate e che i nuovi capitani abbiano avuto tempo di acclimatarsi e di prepararsi a dovere.» «Lo stanno già facendo. Abbiamo dei bravi soldati di cavalleria. È incredibile quanto, in soli pochi giorni, sia cambiata la Settima Compagnia adesso che è sotto il comando di Egyl. Tra una settimana potremo mandarla a Procellaria, dove ci sarà molto utile.» «Quando pensa Estepp di poter disporre di reclute a sufficienza per ricostituire la Diciannovesima Compagnia?» «A metà primavera. Ho bisogno anch'io di tempo per trovare dei comandanti di squadra esperti e un nucleo di validi soldati dalle altre compagnie.» Alucius era ben contento di avere Feran come vice, giacché in tal modo gli poteva lasciare l'incombenza della riorganizzazione dell'esercito, mentre lui si sarebbe concentrato sulla risoluzione dei problemi logistici e contabili, sebbene dubitasse di riuscire mai a risolverli del tutto. 116
Il Toro Bianco» era davvero una vecchia taverna. Situata sul fiume e a meno di un quarto di vingt a ovest della strada principale e dell'antico ponte in durapietra sul fiume Vedra, era circondata da altre strutture ancora più vetuste. La facciata di legno era stata ridipinta così tante volte che i molteplici strati di vernice marrone erano sicuramente più resistenti del legno sottostante. Le finestre erano pulite, ma i vetri apparivano anneriti dal tempo, tranne nei pochi punti in cui erano stati sostituiti. Fewal e Roncar avevano accompagnato Alucius, ma rimasero ad aspettarlo a cavallo fuori dal locale. All'interno c'era una ventina di persone sedute ai tavoli. Quando Alucius fece il suo ingresso, tutti lo guardarono, ma nessuno disse una sola parola. Egli si concesse alcuni attimi per osservare i presenti, poi cominciò a parlare. «Sono lieto di avere la possibilità di incontrarvi. Mi dispiace che non ci conosciamo. Almeno, non mi pare di riconoscere nessuno di voi, e se invece dovrei, ve ne domando scusa.» L'uomo massiccio dai capelli color sabbia che si fece avanti per salutare Alucius sembrava avere molti anni in più dei trenta ipotizzati da Kustyl. Era avvolto dall'alone violaceo che denotava qualche contatto con gli ifrit, un alone ancora più marcato di quello che aveva circondato il colonnello Weslyn. Prima di parlare, scrutò Alucius. «Sono Halsant. Immagino... be', di solito è Tarolt che fa gli onori di casa, ma oggi non gli è stato possibile venire.» «Capisco. Sapete perché?» «No, colonnello. Non è mia abitudine mettere il naso negli affari privati degli altri mercanti.» Alucius esibì un sorriso. «Non intendevo dire questo. È solo che, a volte, le persone spiegano i motivi che le hanno trattenute. Non volevo davvero essere indiscreto. Se l'onorevole Tarolt non ha detto nulla, rispetto la sua privacy.» Halsant annuì. «Abbiamo sentito i racconti più svariati riguardo a ciò che sta accadendo all'interno delle Guardie.» «È una delle ragioni per cui ho suggerito questo incontro. Un'altra ragione è dovuta al fatto che prima la Milizia, poi le Guardie del Nord sono sempre state strettamente legate ai mercanti di Dekhron.» Alucius si girò un poco, in modo da essere rivolto anche verso gli altri mercanti. «Non so se Halsant vi abbia comunicato il contenuto della mia lettera. Per farla bre-
ve, io mi trovo qui dietro richiesta del Signore-Protettore, il quale era stato informato, a seguito di un'ispezione effettuata l'anno scorso da uno dei suoi ufficiali, dell'esistenza di gravi problemi all'interno delle Guardie del Nord.» Prese i fogli che aveva preparato e li posò su un grande tavolo rotondo alla sua sinistra. «Qui ci sono alcuni documenti che descrivono a grandi linee ciò che abbiamo scoperto finora. Consultateli pure liberamente.» Alucius tacque, sperando che qualcuno gli ponesse qualche domanda o si facesse avanti per esaminare i documenti. L'ultima cosa che desiderava era fare un monologo davanti a un pubblico silenzioso. «Qualcuno dice che vi era stato ordinato di occuparvi del colonnello Weslyn, togliendolo semplicemente di mezzo.» Alucius scosse il capo. «Sono stato mandato qui da Tempre per sostituire il colonnello. Le carte sul tavolo dicono chiaramente che non mi era stato ordinato di ucciderlo. Il Signore-Protettore aveva accettato le dimissioni del colonnello.» «Weslyn non aveva rassegnato le dimissioni.» Alucius sorrise cordialmente. «Si trattava di un'opportunità concessa dal Signore-Protettore al colonnello per salvare le apparenze. Se il SignoreProtettore avesse voluto agire più duramente, avrebbe potuto cacciare il colonnello o farlo giudicare da una corte marziale per prevaricazione.» «A noi piaceva il colonnello. Era molto simpatico», dichiarò un uomo dai capelli scuri in fondo al gruppo, che pareva non mostrare quasi traccia dell'alone violaceo. «Non lo metto in dubbio. Era molto cordiale. Ma non aveva un'esperienza diretta di battaglie né di strategie belliche, ed è per questo che alcuni ufficiali esperti di combattimento, sia delle Guardie del Nord che del Sud, hanno ritenuto che fosse necessario introdurre dei cambiamenti. Come la maggior parte di voi dovrebbe sapere, io non ho cercato di occupare il suo posto. L'ho solo accettato dietro insistenza e su richiesta personale del Signore-Protettore. L'ho accettato perché la guerra contro i matriti è ben lungi dall'essere finita e perché le Valli del Ferro soffrirebbero enormemente a causa delle disastrose condizioni in cui il colonnello ha lasciato le Guardie del Nord.» «Perché gli avete sparato?» La domanda veniva da un altro mercante, un uomo dalla barba rossa e dall'incipiente calvizie. «Non gli ho sparato. È stato lui a sparare a me. I miei uomini hanno fatto fuoco solo dopo che lui e il maggiore Imealt avevano cercato di colpirmi. Io non ero neppure armato. Alla scena erano presenti almeno dieci perso-
ne, alcune delle quali non erano neppure miei soldati, ma erano al servizio del colonnello.» «Deve aver avuto un motivo per comportarsi così.» «Ce l'aveva. Temeva che se avessi scoperto i suoi intrighi l'avrei fatto punire.» «Vi siete introdotto con la forza a casa sua. Perché?» «Per recuperare il denaro che aveva rubato alle Guardie del Nord.» «Stando a ciò che ha raccontato suo figlio Lynat, vi siete impossessato dei suoi risparmi.» «Abbiamo trovato una cassa con più di trecentocinquanta monete d'oro. Il colonnello Weslyn non veniva da una famiglia ricca. E neppure la moglie. Dopo aver lasciato una prima volta la Milizia, aveva lavorato come mediatore per Ostar e, in base a ciò che ci ha raccontato chi lo conosceva, quando è tornato a servire nell'esercito come vice del colonnello Clyon, non possedeva praticamente un soldo. Nei sei anni in cui è stato ufficiale della Milizia e poi delle Guardie del Nord, la sua paga totale ammontava a meno di centocinquanta monete d'oro. Forse qualcuno di voi è in grado di spiegarmi come abbia fatto un ufficiale senza quattrini a comperarsi una grande casa del valore di cinquanta monete d'oro, due cavalli e una carrozza e a mettere da parte una somma pari a più del doppio della sua paga?» Alucius fece correre lo sguardo attraverso la sala. Non uno dei mercanti sollevò lo sguardo. «Ciò che faceva, secondo quanto è emerso dai libri contabili, era aggiudicarsi forniture a basso costo, per addebitare poi alle Guardie quasi il doppio del prezzo e intascarsi la differenza. Ha smembrato due compagnie senza darne comunicazione al Signore-Protettore e ha tenuto per sé le paghe destinate ai soldati. A causa di tutto questo, lo stato in cui versano le Guardie del Nord è deplorevole. E non credo che i vostri affari vadano molto meglio.» «Perciò aumenterete i dazi?» disse Halanat. «No. Il Signore-Protettore è stato molto preciso. Io non dispongo di alcun potere oltre a quelli di cui era investito il colonnello Weslyn e la mia autorità non si estende al di là dei problemi che riguardano le Guardie del Nord. La questione dei dazi dipende dal Signore-Protettore.» «Perché mai noi dovremmo essere coinvolti? Sia come mercanti sia come abitanti delle Valli del Ferro?» interloquì l'uomo dai capelli neri in fondo al locale. «Ricorderete certo che alcuni anni fa la Matride invase le Valli del Ferro
e che fu molto difficile respingere i matriti. Ora, la Reggente della Matride ha rifiutato di firmare una tregua con Lanachrona e pretende di riavere le regioni meridionali e settentrionali che le erano state tolte, oltre a un risarcimento di diecimila monete d'oro. Immagino che, poiché le Valli del Ferro occupano una superficie pari a un ottavo di tutta Lanachrona e contano un decimo della sua popolazione, la nostra quota si aggiri intorno a mille o duemila monete d'oro. Che ci piaccia o no quello che è accaduto in passato, siamo coinvolti nostro malgrado e il problema è in che modo gestire la questione d'ora in poi.» Parecchi mercanti si scambiarono un'occhiata. «... non avremmo mai dovuto farci trascinare in questa situazione...» si udì qualcuno mormorare da uno dei tavoli in fondo. Alucius si trattenne dal far notare che, all'origine di tutto, era stata proprio la loro mancanza di volontà nel supportare la Milizia alcuni anni prima. «Abbiamo modificato il sistema dei libri contabili, ripristinandone uno simile a quello già in uso ai vecchi tempi, e nelle prossime settimane chiederemo ai mercanti di farci le loro offerte per le forniture. Abbiamo anche riorganizzato le nostre forze a occidente, poiché è probabile che i mattiti attacchino la primavera prossima. Come ho detto poco fa, il colonnello Weslyn si è davvero appropriato di parecchio denaro non suo. Ho chiesto a mercanti e ad artigiani fidati di verificare i libri contabili e di confermare le irregolarità che abbiamo scoperto. Tali irregolarità riguardano sicuramente anche alcuni vostri articoli, ma, a causa del sistema di registrazione adottato dal colonnello, non ci è stato possibile risalire al fornitore specifico.» Su quel punto Alucius mentiva, poiché c'erano chiari indizi, sia dalle indicazioni dei libri contabili sia dalla preoccupazione che sembrava trasudare da un nutrito numero di mercanti, che molti altri fossero coinvolti nell'imbroglio. Tuttavia, non poteva dimostrarlo ed era quasi certo che non sarebbe mai stato in grado di farlo, almeno non con prove concrete da sottoporre al vaglio di un giudice o del Signore-Protettore. «A meno che non insorgano altri problemi, non vedo il motivo di scavare nel passato. Di certo, non potremo recuperare il denaro già speso. Possiamo solo far sì che tutto proceda regolarmente in futuro.» Alucius sorrise. «Vi ringraziamo per la vostra disponibilità, colonnello», disse infine Halsant. Alucius percepiva la preoccupazione dell'altro, e anche un sentimento di paura che acuiva il malvagio alone violaceo che lo circondava.
«Dopo quello che ho detto», continuò Alucius, «sono sicuro che vorrete dare tutti un'occhiata ai documenti. Perciò aspetterò, nel caso abbiate domande da farmi». Come aveva sospettato, ci furono poche domande, ma più della metà dei mercanti si fermò a esaminare le carte. Nessuno gli chiese niente di nuovo. Poco meno di una clessidra più tardi, Alucius si trovava sulla strada del ritorno verso il quartier generale delle Guardie del Nord, intento a riflettere sull'incontro appena avvenuto e sul motivo per cui Halanat e Tarolt non erano intervenuti. Chissà se era perché, essendo intimamente collegati agli ifrit, non volevano essere scoperti? O forse perché non lo ritenevano degno di attenzione? O perché stavano tramando qualcosa contro di lui e non volevano che se ne accorgesse attraverso il Talento? Non aveva risposte e, durante il tragitto fino al quartier generale, non riuscì a trovare alcuna ragione plausibile. Ma doveva scoprirlo. Quel pensiero non lo abbandonò neppure mentre smontava da cavallo e porgeva le redini a Fewal. «Non credo che uscirò oggi pomeriggio.» «Bene, signore.» Alucius era tornato da appena mezza clessidra nel suo studio, quando Feran comparve sulla soglia ed entrò. «Lujat ha inviato un altro dispaccio», disse l'ufficiale più anziano, mentre si sedeva sul bordo della sedia di fronte a lui. «Riguardo a cosa? Alla mancanza di provviste, di soldi, di cavalli, di equipaggiamento, di soldati esperti?» replicò Alucius in tono asciutto. «Niente di così terribile. Dispone di denaro e cavalli a sufficienza. Ha anche espresso il suo apprezzamento per la recente riorganizzazione - così ha scritto - del corpo ufficiali. Ha detto anche che tutto questo tornerà molto utile, soprattutto se i matriti non attaccheranno entro le prossime settimane.» «Mi fa piacere sapere che qualcuno pensa che abbiamo fatto qualcosa di giusto.» «Ha anche scritto di avere trovato parecchi disertori matriti privi di vita, senza alcun segno apparente di violenza sui corpi.» «I collari. Li hanno rimessi in funzione, probabilmente tutti quanti.» «Non posso certo dire che la cosa mi piaccia.» Feran fece una pausa. «Com'è andato il tuo incontro con i mercanti?» «Suppongo di avere stabilito con loro una sorta di tregua silenziosa, tranne che con Halanat e Tarolt. Quest'ultimo era assente e Halsant parlava
anche a nome del padre.» «Credi che l'assenza dei due mercanti più vecchi abbia un significato particolare? Vuol forse farti capire che non vogliono accordarsi o incontrarsi con te? O che sono colpevoli e temono che, essendo tu un pastore, lo possa scoprire se li incontrassi?» «È ciò che sospetto. Se si fossero presentati, ero disposto a lasciar perdere, ma visto che non sono venuti...» «Puoi sempre andare a trovare Halanat per primo», suggerì Feran. «Da ciò che hai detto, è stato il più grosso fornitore delle Guardie del Nord. Se poi rifiutasse di incontrarti, potresti agire di conseguenza.» «Ci avevo già pensato, ma volevo sentire la tua opinione. Non mi piace l'idea che i due mercanti più influenti di Dekhron mi evitino, come se non esistessi, o come se le Guardie del Nord non fossero importanti.» «Probabilmente non lo sono, tranne che per il denaro che i due si prendono.» La risata di Feran era bassa e aspra. Alucius annuì. «Se ci vai, ti consiglio una scorta», aggiunse Feran. «Almeno quattro uomini.» «Sono troppi. Facciamo due. Con due darò semplicemente l'impressione di essere un ufficiale presuntuoso. Con quattro farei capire che ho paura, il che non andrebbe bene.» «La paura a volte è un sentimento saggio», disse Feran in tono paterno, prima che la sua espressione cupa si tramutasse in un sorriso. «Sono d'accordo con te, ma non sarebbe saggio mostrarla.» «Indossi ancora i tuoi indumenti di seta nerina, spero.» «Wendra me ne ha portati di nuovi. Ha detto che avevo consumato troppo quelli vecchi.» «Probabilmente è così.» Alucius annuì. Wendra gliene aveva dato una dimostrazione trapassando con la lama di un coltello il davanti di uno dei suoi vecchi indumenti. Poi li aveva impacchettati per bene in mezzo ai panni sporchi di Alendra, affinché lui non cedesse alla tentazione di rimetterseli. Aveva detto che avrebbe usato i pezzi ancora integri per fare una giacchettina per Alendra. Entrambi si erano detti d'accordo sul fatto che Wendra, di tanto in tanto, portasse la piccola con sé durante le sue uscite dalla fattoria, e Alucius era in ansia anche per quello. Gli pareva che, a mano a mano che gli anni passavano, le preoccupazioni non facessero che aumentare. «Quando cercherai di vedere Halanat?» chiese Feran.
«Domani. Prima scopriamo come realmente stanno le cose, prima riusciamo a elaborare un bilancio decente per quest'anno e per il prossimo.» «Mi fa piacere vedere che l'esperienza acquisita nella gestione della fattoria ti sta tornando utile.» Mentre si alzava, Feran scosse il capo. «È più semplice avere a che fare con i mattiti che non con i registri contabili. Almeno per quel che mi riguarda.» Sorrise un'ultima volta ad Alucius e uscì dallo studio. Questi riportò la sua attenzione sull'ammasso di carte che aveva davanti. Sperava di concludere nel giro di una settimana. Così avrebbe potuto dare una mano a Feran per cercare di apportare altre migliorie nella struttura delle Guardie del Nord. Ma, se non avessero prima definito la parte finanziaria, non avrebbero potuto fare niente. 117 La metà mattina di septi, sotto un limpido cielo verde-argento che preannunciava la primavera, Alucius uscì a cavallo dal quartier generale delle Guardie del Nord. Lo affiancavano Roncar e Dhaget. Avrebbe preferito essere solo, ma aveva promesso a Feran e a Wendra che si sarebbe fatto accompagnare da una scorta ogni volta che fosse stato possibile. Era contento di uscire e di poter cavalcare. Erano soltanto due settimane che ricopriva la carica di colonnello e già si sentiva irrequieto. Era troppo giovane per un lavoro sedentario? Aveva in sé troppo dello spirito libero del pastore per essere confinato dietro a una scrivania? Sbuffò. I montoni nerini avevano corna affilate? L'Altopiano di Aerlal era alto? L'inverno a Caponero era freddo? Nonostante la sua irrequietezza, tuttavia, aveva un lavoro da fare e se non l'avesse fatto - e, soprattutto, se non l'avesse fatto bene - non avrebbe mai più potuto tornare a fare il pastore. Si sistemò meglio sulla sella e proseguì in direzione del fiume. La sede dell'impresa di Halanat, così come i magazzini, si trovavano proprio di fronte al molo, quasi un vingt a ovest dal «Toro Bianco». Non sapeva se avrebbe trovato là Halanat, ma era probabile che, anche in sua assenza, avrebbe comunque capito qualcosa di più dopo aver visto i magazzini. Avrebbe persino potuto carpire altre informazioni da Halsant. Per quanto Alucius ne dubitasse, decise che valeva la pena di provare. I magazzini del mercante portavano bene in vista la scritta «Halanat e Figli» su un'insegna dipinta di recente, che spiccava sul vecchio ma ben
tenuto fabbricato. Un grosso carro era in procinto di essere scaricato sul lato ovest del molo. Sia l'insegna che il telone del carro mostravano l'immagine di una ruota argentata. Una ruota argentata, il simbolo di cui gli avevano parlato le donne di Hyalt. Questo particolare comunicò ad Alucius una sensazione di disagio, mentre si fermava di fronte all'edificio. «Volete che vi accompagniamo, signore?» chiese Fewal. «No. Aspettate qui. Non credo di metterci molto.» Alucius scese da cavallo e tese le redini a Fewal. Poi salì i pochi gradini che portavano a un portico stretto, aprì il pesante battente di quercia e indugiò un attimo. All'interno del cavernoso magazzino c'era poca luce, tranne quella proveniente dalla porta di carico sul fianco nord e dalle due finestrelle munite di sbarre ai lati del portone principale. Bancali, balle di tessuti e anfore erano sistemati in file ordinate sul pavimento di pietra, ma senza alcun cartello o etichetta. Sebbene nell'aria si avvertisse un lieve sentore di muffa, in giro c'era stranamente poca polvere. Alucius scorse un gruppetto di persone accanto alla porta di carico e si avviò in quella direzione, passando in mezzo a due file di balle. Due uomini stavano facendo rotolare verso l'interno del magazzino una grossa botte. Il terzo, che stava assistendo alle operazioni di scarico, si voltò: era Halsant. «Colonnello, non mi aspettavo una vostra visita. A meno che non siate venuto per affari, ma in quello non vi posso aiutare. Come sapete, non trattiamo seta nerina.» «Mi sembra di capire che non l'avete mai fatto», replicò Alucius. «Ma non sono qui per quello.» «Oh...?» «Sembra che le cose vi vadano bene di questi giorni.» Alucius indicò la merce impilata nel magazzino. «Meglio di quanto si possa sperare.» Dopo una pausa, Halsant chiese: «Cosa desiderate?». «A dire il vero, stavo cercando vostro padre.» «Sapete, ultimamente non si occupa molto degli affari.» Alucius sorrise garbatamente. «L'avevo capito. Ma alcune persone mi hanno consigliato di parlargli.» Gli occhi di Halsant corsero veloci da Alucius alla finestra, attraverso la quale si vedevano i due soldati di scorta, per poi tornare a puntarsi su Alu-
cius. «Oh?» «Già.» Questi aspettò. Il mercante scosse il capo e si strinse nelle spalle. «Se proprio volete parlargli, lo troverete nel suo studio, a casa.» «Grazie.» Alucius stava per andarsene ma si fermò. «Non ho voluto chiedervelo l'altro giorno, ma potreste dirmi qualcosa di più su questo Consiglio dei Mercanti? Per quale motivo è stato creato?» «Non c'è molto da dire. Dopo che il Signore-Protettore aveva sciolto il vecchio Consiglio nessuno di noi si era più incontrato. Ma, a un certo punto, abbiamo sentito l'esigenza di riprendere i contatti per tenerci al corrente di quanto accadeva, come fanno i mercanti delle regioni meridionali di Lanachrona. Altrimenti avremmo rischiato di intralciarci l'uno con l'altro, rimettendoci un sacco di denaro. È più una società di scambi che non un Consiglio.» «Mi sembra di capire che siate uno dei membri più rappresentativi, o sbaglio?» «Ho partecipato alle riunioni, come la maggior parte di noi. Probabilmente ho molte più cose da dire rispetto ad altri. Sapete, per essere competitivi, abbiamo dovuto spingerci sempre più lontano.» «Ho notato l'emblema della ruota d'argento. Appartiene solo a voi o viene usato anche dagli altri mercanti di Dekhron? Forse non ci ho fatto caso, ma mi pare di non averlo mai visto prima.» «È nostro, ma risale solo a qualche anno fa. Quando abbiamo cominciato a trattare con le regioni del sud, abbiamo pensato che ci servisse un emblema, qualcosa che ci rendesse facilmente riconoscibili. Non è un nome o qualcosa legato al nord, capite?» «Sì, certo», rispose Alucius. Halsant gettò un'occhiata verso il molo. «Se volete scusarmi...» Alucius sorrise. «Non conosco bene Dekhron. Ho trascorso la maggior parte del mio tempo a combattere per le Guardie e per la Milizia. Potete indicarmi dove si trova la casa di vostro padre?» «Oh... prendete il viale a nord di questo isolato, poi seguite la strada diretta a ovest quasi fino in fondo. Sulla targa accanto alla porta c'è il disegno di un carro.» Halsant gli fece un cenno di saluto e si allontanò. Alucius rimase un momento a guardare, poi riattraversò il magazzino e uscì. Fewal e Dhaget lo guardarono, mentre rimontava in sella. «Andiamo a casa del padre, un mercante di nome Halanat. Spero di tro-
varlo.» Alucius ripercorse il viale da cui erano venuti e imboccò la strada che si dirigeva a ovest. Questa si estendeva per oltre mezzo vingt in quella direzione, per poi finire. Persino a parecchie iarde di distanza, Alucius riuscì a percepire con il Talento la sfumatura violacea che sembrava avvolgere l'abitazione a due piani collocata un po' indietro rispetto alla strada e alle case circostanti. I rampicanti che fiancheggiavano l'ampia veranda sul davanti sembravano ricadere flosci, come se avessero sofferto il gelo dell'inverno. L'erba era rada e gialla, e non a causa del freddo. Poiché non vide pali per legare il cavallo, Alucius tese le redini a Dhaget. «Non dovrei trattenermi molto, ma credo che questo Halanat abbia più cose da dirmi del figlio.» I due soldati fecero un cenno di assenso. Alucius salì i due gradini che portavano alla veranda, lanciò uno sguardo alla targa accanto alla porta, poi sollevò il pesante batacchio d'ottone e lo lasciò ricadere. Il colpo secco echeggiò sgradevolmente nelle orecchie di Alucius. Dopo un bel po', la porta venne aperta da una donna dai capelli quasi completamente grigi e dal viso sottile, senza il duplice filo vitale, ma circondata da un pesante alone violaceo. Questa fissò Alucius con espressione corrucciata e interrogativa. «Mi chiamo Alucius, signora. Halsant mi ha detto che avrei trovato Halanat qui.» Si costrinse ad accompagnare le parole con un sorriso il più amichevole possibile. «Non si occupa più degli affari. Dovete rivolgervi ad Halsant, nel magazzino vicino al fiume.» «Non sono qui per trattare affari», replicò Alucius educatamente. «Vengo appunto dal magazzino e Halsant mi ha consigliato di parlare con suo padre.» «Se proprio dovete...» Con un sospiro di rassegnazione, la donna indietreggiò di un passo nel vestibolo e lo fece entrare, indicandogli con un cenno del capo la porta chiusa alla sua destra. «È lì dentro. Come sempre.» «Grazie.» Alucius si inchinò leggermente e si diresse verso la porta, dietro alla quale avvertì una voragine violacea. Per un attimo indugiò, poi abbassò la maniglia ed entrò, chiudendosi subito la porta alle spalle. Halanat sedeva dietro un'ampia scrivania ingombra di mucchi di pergamene e di carte. Davanti a sé il pastore non vide una, bensì due immagini. I suoi occhi distinsero un mercante dal viso paffuto e dai; capelli di un anonimo colore castano, con indosso una casacca grigio scura con vivaci pro-
fili blu. I suoi Talento-sensi gli mostrarono invece una figura completamente diversa: quella di un uomo il cui filo vitale era interamente posseduto da un ifrit. Esso, infatti, non era del normale colore marrone scuro o chiaro, o anche giallo, e neppure nero o nero con striature verdi come quello dei pastori, né tanto meno nero con sfumature violacee o rossastre, o formato dal doppio intreccio nero e rossastro che contraddistingueva chi portava il collare della Matilde. Era invece costituito da sottilissimi filamenti marroni, quegli stessi filamenti che formavano il filo vitale di Corus. Intrecciato saldamente ad esso c'era il grosso e pulsante filo violaceo di un ifrit, che si dirigeva verso sud per poi sparire in lontananza, sebbene Alucius sentisse che non doveva spingersi troppo lontano. Per quanto avesse sospettato una cosa del genere, Alucius dovette nascondere il proprio sbalordimento nel vedere il mercante ridotto in tali condizioni. «Siete coraggioso, colonnello, o preferite che vi chiami pastore?» «I nomi non hanno importanza. Dovreste sapere perché sono qui.» Una fugace espressione di stupore attraversò il volto di Halanat. «Devo dire che non riesco proprio a immaginarlo, soprattutto visto che siete solo e senza una compagnia di leali soldati delle Guardie del Nord a proteggervi le spalle.» «Ce ne sono parecchi qui fuori.» Alucius annuì adagio. «Devo essere prudente, dopo il vostro tentativo di alcuni anni fa.» Non aveva prove tangibili che il mercante fosse coinvolto nel tentativo di assassinio compiuto nei suoi confronti a opera di una ventina di sicari, un paio di anni prima, subito dopo il suo congedo dalle Guardie del Nord. Ma valeva la pena di provare. «Quale tentativo?» «Quello che vi costò più di duecento monete d'oro», replicò Alucius. «O avete dimenticato? Tutto quel denaro ha significato così poco per voi?» Un freddo sorriso increspò le labbra del mercante, ma lo sguardo rimase gelido. «E avete lasciato passare tutto questo tempo per comparire qui all'improvviso e accusarmi?» «Non sto accusando nessuno. Voi sapete bene cosa avete fatto e io ve lo sto solo dicendo.» «Potete affermare tutto quello che vi pare», dichiarò Halanat. «Ciò non significa che sia vero.» «È la verità, invece, e adesso ci sono pteridon selvatici che vagano attorno alle fattorie. Sicuramente è opera vostra, o di chi agisce al vostro fian-
co. Così come lo erano le armi che avete inviato al profeta e l'enorme quantità di monete d'oro che avete ricevuto in cambio.» «Si tratta di una somma ben guadagnata. Rifornire dei ribelli comporta una certa dose di pericoli, e dei costi aggiuntivi. Vi aspettate che un mercante corra un rischio del genere per una cifra irrisoria? Non siete così ingenuo, colonnello.» «E gli pteridon selvatici?» «I tempi stanno cambiando.» Halanat si alzò, con il freddo sorriso ancora stampato sulle labbra. «Volete andarvene? Potrete anche averla vinta qui, ma non riuscirete a impedire che accada ciò che deve accadere.» Alucius si sentì pervadere dal gelo. Quanti altri ifrit avevano invaso Corus? E in che modo? «Molto raramente qualcosa è inevitabile.» «Ah... l'arroganza della gioventù.» Halanat continuò a sorridere. Per quale motivo l'ifrit non l'aveva attaccato? Forse perché sapeva che lui avrebbe potuto avere la meglio? Perché stava aspettando aiuto? Alucius cercò di ricordarsi come si era comportato in precedenza in una simile occasione. Dopo una lieve esitazione, proiettò verso l'altro una sottile Talento-sonda, carica di quanta più energia possibile. Per tutta risposta, l'ifrit-Halanat gli scagliò contro una saetta di energia vitale violacea. Alucius la parò, allo stesso modo in cui avrebbe parato un colpo di sciabola. Il mercante gli scaraventò subito addosso un'altra saetta ancora più violenta. Di nuovo, Alucius la parò. Poi, ricordandosi di ciò che gli aveva insegnato l'ariante, si concentrò nel cercare di individuare i nodi che si nascondevano nel filo vitale dell'ifrit, quel filo vitale che si dirigeva a sud. Il mercante gli oppose uno scudo violaceo, bloccando la sua Talentosonda, e tese la mano verso un cassetto della scrivania. Alucius formò un triangolo di Talento vitale verde-dorato e lasciò che l'energia guizzasse intorno a lui, poi colpì di nuovo, mirando al nodo più evidente, a quello che sembrava collegare i fili vitali del mercante e dell'ifrit. Halanat si irrigidì per un attimo, mentre rivoli di sudore gli scendevano dalla fronte e schizzavano in tutte le direzioni. Alucius fece scivolare la sua sonda sotto lo scudo violaceo, torcendo e disfacendo i filamenti più piccoli all'interno del nodo. Nel farlo sentì un gran caldo e sulla fronte gli si formarono goccioline di sudore. Mentre la
sua Talento-sonda tranciava il nodo, gli parve che i suoi tentativi si fossero ridotti a un semplice annaspare e che il tempo avesse cessato di scorrere. All'improvviso, il filo vitale dell'ifrit svanì in uno spruzzo di sottilissimi filamenti violacei e Halanat rimase là, vacillante, gli occhi sbarrati. Le mani si tesero di scatto e afferrarono la pistola a canna doppia che si trovava nel cassetto, ora aperto. Incapace di raggiungere in tempo il mercante per impedirgli di sparare, Alucius scagliò un'altra Talento-sonda contro il rimanente nodo del filo vitale di Halanat, tenendosi saldamente al riparo dello scudo protettivo verde-dorato. In uno zampillo marrone e verde, Talento-fili e Talentoframmenti si dissolsero nell'aria. Nel cadere sul sontuoso tappeto hyaltiano, la pistola produsse un rumore sordo. Di lì a un attimo, Halanat si piegò in avanti e si accasciò sulla scrivania. Il suo corpo senza vita scivolò di lato e crollò sul tappeto, coprendo la pistola. Alucius rimase immobile, col respiro affannoso. Aveva dimenticato quanta energia richiedessero quei Talento-combattimenti. Prima di voltarsi adagio, fece ancora parecchi respiri profondi. Aprì cauto la porta che dava sul vestibolo, ma non c'era nessuno. Dopo essersi richiuso la porta alle spalle, lo attraversò rapido e uscì sulla veranda. Quindi scese i gradini di pietra e raggiunse i due soldati che lo aspettavano con il suo cavallo. «Signore?» «Avere a che fare con i mercanti può essere... spossante. Ragionano solo in termini di denaro. Ha ammesso di avere fornito le armi al profeta, anzi ne era molto fiero.» «Signore?» «Ha affermato che il guadagno è essenziale per un mercante. Ho dovuto dirgli di non aspettarsi più eccessivi profitti dalle Guardie. Non c'era molto altro che gli potessi dire.» Alucius si asciugò la fronte ancora sudata, poi prese le redini che Dhaget gli porgeva e montò a cavallo. «Era molto agitato quando l'ho lasciato. Agitatissimo.» Alucius si costrinse a fare un sorriso. «Era il minimo che potessi fare, date le circostanze.» Guidò il cavallo verso est, lungo la strada che sembrava non finire mai, dirigendosi al quartier generale delle Guardie del Nord. Per quanto l'idea non gli sorridesse, si disse che doveva trovare anche Tarolt prima che passasse troppo tempo, ma non sapeva bene da dove cominciare. Se qualcuno lo avesse accusato, avrebbe dovuto dichiarare che lui e Halanat avevano litigato e che quest'ultimo aveva impugnato una pistola, ma
che era talmente agitato che il cuore all'improvviso aveva ceduto. Alucius, però, aveva la netta sensazione che nessuno avrebbe detto niente riguardo all'accaduto. Fece un altro profondo respiro e si asciugò di nuovo la fronte. Sebbene avesse sperato il contrario, aveva sempre saputo che c'era la possibilità che gli ifrit tornassero. Ed era chiaro che il loro ritorno era legato al profeta e forse anche alla Reggente della Matride. Quello che non sapeva era quanti ifrit ci fossero, come avessero fatto ad arrivare a Corus e dove si nascondessero. 118 Nord di Punta del Ferro, Valli del Ferro Con indosso una tunica sopra una camicia dalle maniche lunghe e la biancheria di seta nerina,Wendra era in piedi nella stanza degli attrezzi, attenta a non sfiorare inavvertitamente una delle macchine con il marsupio che reggeva Alendra. Sollevò il coperchio del vetusto frantoio dal supporto e l'appoggiò con cautela, insieme allo stantuffo di ferro, sul banco da lavoro di legno di quercia, dall'aspetto altrettanto vetusto. Inclinando adagio la base del frantoio, fece uscire la sottile polvere granulare di quarzo che aveva appena macinato. Ne riempì mezza tazza e, aiutandosi con un imbuto, la versò nella bottiglia che si era portata dalla cucina. Avrebbe poi dovuto tornare in cucina per aggiungervi il latte di capra conservato nella ghiacciaia e riscaldare la bevanda così preparata, prima di farla bere all'agnellino orfano che stava belando lamentoso nel recinto attiguo al granaio principale. Nonostante il vantaggio di poter disporre di latte di capra - si trattava delle capre procurate da Kustyl - prendersi cura della povera bestiola era assai faticoso. Ma nessuno voleva lasciarla morire - per quanto nata prematura e fuori stagione - soprattutto non dopo aver perso quattro pecore nerine tra l'inizio dell'autunno e l'inverno. Il fatto che questo fosse il secondo agnellino a dover essere nutrito manualmente in meno di due stagioni non aiutava. Dopo avergli dato il latte, Wendra avrebbe dovuto controllare i fusi nella vasca di lavorazione e vedere se erano pronti per essere filati. Fuori della stanza degli attrezzi qualcuno stava bisbigliando. Wendra piegò la testa e restò in ascolto, chiedendosi se Lucenda fosse tornata indietro a prendere qualcosa. Royalt aveva condotto il gregge al pascolo, dopo un paio di giorni in cui l'aveva fatto lei.
Sorrise tra sé. Nessuno alla fattoria si sottraeva ai propri doveri, specialmente Alucius e, dopo aver vissuto con Lucenda e Royalt, Wendra capiva il perché. Girò il capo. C'era una luminescenza verde là fuori, simile a quella emanata da Alucius, e il silenzio di una giornata tranquilla, che risultava assai gradito dopo un lungo inverno burrascoso. «Sì, proprio così, piccolina», mormorò ad Alendra, che non stava dormendo ma non era neppure troppo sveglia, rannicchiata nel tepore del marsupio. Wendra rimise a posto lo stantuffo e il coperchio, prese la bottiglia e uscì, chiudendosi con cura la porta alle spalle. Visto che erano tutti fuori quella mattina, non poteva andarsene in giro lasciando le porte aperte. Non appena ebbe messo piede sulla veranda, le parve di sentire una canzone senza parole, un motivo che sembrava aleggiare attorno alle mura di pietra della casa. Si trattava proprio di una canzone, e non del vento. La melodia le era sconosciuta. Wendra guardò a est, socchiudendo gli occhi nella luce vivida della mattina. Royalt e il gregge erano già da tempo spariti alla vista, oltre le alture più vicine. Un luccicante lampo verde dorato, proveniente dalla sua destra, la investì. Si voltò e spalancò la bocca nel vedere un'ariante che si librava a mezz'aria in fondo alla veranda, vicina come non mai. Le ali dalle sfumature verdi offuscavano un po' quel luccicore, ali che a tratti sembravano cristalline e a tratti diafane. Il viso dell'ariante era simile a quello di una bambina dai lineamenti squisiti, incorniciato da corti capelli di un luminoso color oro. Un'espressione che avrebbe potuto essere un sorriso incurvava la piccola bocca. I suoi occhi verde-argento rimasero fissi su Wendra. L'ariante non indossava vestiti, ma la luminescenza dorata che avvolgeva la sua figura era sufficiente a nasconderle le spalle e il torace. Wendra aveva avuto occasione di vederne una soltanto prima di allora, alla distanza di poco meno di un vingt, e questa si trovava ad appena cinque iarde da lei! Una bella differenza. Perciò Wendra rimase a osservarla e ad ascoltare, mentre l'ariante si librava nell'aria. Era bella, non di una tipica bellezza femminile, ma di un genere tutto suo, e Wendra assaporò incantata quella bellezza. Per un lungo momento, restò là a guardare. Poi, come se sbucasse dal nulla, una mano le afferrò la spalla destra, una mano che sembrava fatta di roccia calda e che apparteneva a un essere tozzo, alto circa due terzi rispetto a lei. Il sabbioso era del colore del cuoio
ingiallito e la sua ruvida pelle mostrava in certi punti dei luccichii, come se appena sotto il primo strato vi brillassero dei diamanti o dei cristalli. Al pari di ogni persona, era dotato di due braccia e due gambe, di mani e piedi, di due occhi, di una bocca e di un naso. Nemmeno lui indossava vestiti. I sabbiosi erano sempre nudi. Wendra scartò di lato, cercando di liberarsi. Sebbene il sabbioso le arrivasse a malapena alla spalla aveva una presa potente e non la mollò. Lei tentò di colpirlo con il ginocchio, ma si sentì come se avesse cozzato contro un muro di pietra, mentre una fitta di dolore le percorreva simultaneamente la parte superiore e inferiore della gamba fino alla punta dei piedi. Wendra provò di nuovo a liberarsi, ma una seconda morsa di ferro le imprigionò la spalla sinistra. Un altro sabbioso era comparso dal nulla, apparentemente sbucato fuori dal terreno sabbioso e salito d'un balzo sulla veranda. «Cosa volete?» Né i sabbiosi né l'ariante risposero. «Perché mi state facendo questo?» Di nuovo, nessuno dei tre replicò. «Perché?» domandò Wendra. «Perché proprio a me?» Si concentrò sulla propria energia talentosa e cominciò a proiettare una Talento-sonda verso il nodo vitale di uno dei tre, come le aveva insegnato Alucius. Non... l'ariante avvolse attorno alla sonda di Wendra uno strato di energia verde. Non vogliamo farti del male, ma devi venire con noi. I due sabbiosi tacevano, ma Wendra non si era aspettata di sentirli parlare. Rimasero in silenzio anche quando la sollevarono e la trasportarono giù per gli scalini della veranda come se fosse un agnellino o un bambino. Si diressero a nordest - verso l'Altopiano di Aerlal - procedendo nella direzione opposta a quella presa da Royalt la mattina presto. Wendra non cercò nemmeno di gridare. Nessuno, nel raggio di vingti, avrebbe potuto sentirla. 119 Poco più di una clessidra dopo l'adunata mattutina di octdi, Alucius fece ritorno dalla camera di sicurezza dove lui e Sanasus avevano controllato e contato le paghe dei soldati. Quando la situazione fosse tornata alla normalità, quel lavoro sarebbe stato quasi interamente di competenza di Sanasus, ma, per il momento, Alucius sentiva il bisogno di comprendere meglio
alcuni dei meccanismi che gestivano l'andamento del quartier generale. Adesso capiva, e non certo per la prima volta, il motivo per cui Royalt non aveva mai accarezzato l'idea di fare carriera nell'esercito. Ovunque posasse lo sguardo c'erano rapporti e rendiconti. Non riusciva a sbrigare molte faccende da solo e doveva limitarsi a dare ordini, consigliare e aspettare... e sperare che le cose venissero fatte nel modo giusto. Con un profondo sospiro, prese il rapporto di Sanasus sulle esigenze logistiche relative alle due stagioni successive. Non aveva alcun desiderio di leggerlo, ma doveva sapere, soprattutto se voleva attuare il suo progetto di spostare il quartier generale delle Guardie del Nord a Punta del Ferro. Una fitta di freddo intenso attanagliò Alucius in corrispondenza del polso. Abbassò lo sguardo sul para-polso da pastore e studiò il cristallo nero con il Talento. Sebbene il bracciale rimanesse gelido, anche se non in modo insopportabile, sentì che Wendra stava bene. Perché allora quel gelo? Era forse accaduto qualcosa ad Alendra? Per un attimo si sentì incapace di respirare, ma si costrinse a ricacciare quel pensiero. Il senso di gelo doveva essere legato a Wendra. Inghiottì a vuoto. Era una sensazione simile a quelle avute quando aveva usato le Tavole degli ifrit. Ma nelle regioni settentrionali non c'erano Tavole. Oppure sì? Si limitò a tenere l'attenzione concentrata sul para-polso. Era ancora gelido. Il che gli fece capire che, qualunque cosa stesse succedendo, non doveva trattarsi di un viaggio attraverso una Tavola, dato che lo spostamento da un punto all'altro sarebbe avvenuto in modo più veloce. Ma cos'altro poteva essere? Rimase seduto alla scrivania a osservare il cristallo, ma il gelo continuava. Dopo un po', tentò di concentrarsi sul rapporto di Sanasus e sulla colonna di cifre che compariva in basso. Le lettere e i numeri gli danzavano davanti agli occhi privi di significato. Alla fine, si alzò e andò alla finestra a osservare il cielo fosco. D'un tratto, con la stessa rapidità con cui era venuto, il senso di gelo scomparve e il cristallo riprese a pulsare con forza tornando alla sua temperatura normale. Il che lo rassicurò solo in parte. Alucius studiò il para-polso, ma non ne ricavò alcuna indicazione, se non che Wendra godeva di ottima salute. Sentiva che, se fosse successo qualcosa ad Alendra, avrebbe percepito qualche segnale di sofferenza in Wendra.
D'altronde, non poteva andare a verificare di persona alla fattoria, non in un momento in cui qualunque cosa avesse fatto con le Guardie del Nord avrebbe avuto ripercussioni anche sul loro futuro. Senza contare il fatto che, anche se avesse potuto partire, gli ci sarebbe voluto tutto il giorno e una buona parte della notte per arrivare. E se Wendra era stata portata via attraverso una Tavola... tornare a casa non avrebbe potuto aiutarla. Ma quel senso di gelo e il suo significato nascosto continuarono a tormentarlo. 120 Dekhron, Valli del Ferro Nell'udire bussare alla porta, l'uomo dai capelli bianchi uscì dallo studio e attraversò il vestibolo. Quando vide attraverso la finestrella laterale la figura avvolta in un pesante mantello, corrugò la fronte. L'uomo più giovane entrò, portandosi dietro uno sbuffo della gelida aria invernale, e Tarolt chiuse la porta. Non si offrì di accompagnare il visitatore oltre il vestibolo. «Sì?» «Tarolt, lo so che avrei dovuto venire prima. Sentivo di dover venire», esordì Halsant, «ma... non l'ho scoperto che ieri notte sul tardi. Stavo lavorando sui registri contabili del magazzino, ed è stato solo quando sono tornato a casa e ho visto la lampada accesa. Sapete, mio padre si arrabbiava molto se qualcuno entrava nel suo studio. Non lo permetteva neppure a mia madre». «Halsant. Cos'è accaduto?» «Mio padre è morto. Deve essere successo dopo la visita del colonnello.» «Dopo la visita del colonnello? Potete dirmi per favore cos'è successo esattamente? Nell'ordine in cui sono avvenuti i fatti, se possibile.» Il tono risoluto di Tarolt assunse una sfumatura fredda e tagliente. «Il colonnello Alucius è venuto a trovarmi ieri mattina. Al magazzino, voglio dire. Stava cercando mio padre. Disse che parecchie persone gli avevano suggerito di parlare con lui, ma non specificò chi. Gli risposi che mio padre era a casa. Mi ringraziò e se ne andò.» Halsant si asciugò la fronte imperlata di sudore, nonostante la temperatura inclemente dell'esterno. «Mia madre ha confermato che lui - il colonnello - era effettivamente venuto a casa nostra e che non si era fermato molto. Aveva udito un tonfo, ma non ci aveva fatto molto caso, visto che mio padre a volte scara-
ventava contro la parete degli oggetti. Soprattutto quand'era arrabbiato. E il colonnello potrebbe far arrabbiare qualunque mercante in questi giorni. A ogni modo, mio padre non era più uscito dallo studio e lei era preoccupata, ma...» «Ma cosa?» «Non aveva il coraggio di entrare a vedere. Perciò l'ho fatto io. Era morto. Non aveva segni sul corpo. Credo che si sia infuriato per qualcosa che il colonnello deve avergli detto e che il cuore abbia ceduto. Sapete a quali terribili attacchi di collera fosse soggetto, a volte.» Halsant si tamponò di nuovo il viso. «Comunque, ho pensato che doveste esserne informato, ma era tardi ormai. Perciò sono venuto subito questa mattina.» Tarolt annuì adagio. «Vi ringrazio di essere venuto fin qui a dirmelo: Deve essere una perdita terribile per voi e vostra madre.» «Pare uscita di senno.» «Sono sicuro che vi potrete occupare voi di tutto nel modo più conveniente e sono pronto a offrirvi qualunque consiglio o aiuto di cui possiate aver bisogno.» «Grazie.» Tarolt guardò la porta. «Non voglio trattenervi oltre. La vostra famiglia avrà bisogno di voi. Potremo parlare quando sarete più tranquillo.» Una lieve espressione stordita comparve sul volto di Halsant nell'udire quelle ultime parole. «Naturalmente, mi consulterete prima di mettere mano ai documenti nel suo studio.» «Naturalmente.» «Adesso... dovete tornare dalla vostra famiglia.» «Devo tornare dalla mia famiglia.» Halsant annuì con aria imbambolata e si voltò per andarsene. Solo dopo aver visto ripartire il giovane mercante alla volta di Dekhron, Tarolt si decise a tornare nello studio. «Che è successo?» domandò l'uomo dalla carnagione pallida e dalla corporatura massiccia, con indosso una tunica marrone. «Abbiamo avuto un visitatore, Sensat. Doveva comunicarmi qualcosa. Della massima importanza.» Tarolt si guardò intorno nello studio dalle pareti rivestite di pannelli di quercia, facendo correre lo sguardo sulle centinaia di volumi disposti ordinatamente sui loro ripiani per poi riportarlo sull'ospite. «Hai scoperto qualcos'altro?» «No. Ne ero sicuro prima ancora che tu facessi arrivare tutti questi libri
da Borlan. Te l'avevo detto. Chi ha scritto i libri non sa dove si potrebbero trovare gli scettri. E neppure dove sono le vecchie mappe.» «Deve pur esserci un indizio, da qualche parte, riguardo a questi scettri.» «Mi avevi detto che non servivano. Se ben ricordo, ne eri anche piuttosto convinto.» «Non avevo detto proprio così, Sensat. Avevo detto che non ci sarebbero serviti se gli antichi abitanti e il colonnello pastore non fossero stati coinvolti in rutta questa faccenda. Per essere più precisi, gli scettri non ci servono, ma potrebbero rappresentare un pericolo se cadessero nelle mani del pastore.» Le sottili sopracciglia scure di Sensat si inarcarono, mentre inclinava la testa e posava il volume rilegato in cuoio rosso sul lungo tavolo accanto a sé. «E adesso, all'improvviso, ci si trovano coinvolti?» «Halanat è stato ucciso poche clessidre fa. Suo figlio e la vedova dicono che è successo subito dopo la visita del colonnello.» «L'assassinio è ancora un crimine. Questo ci permetterebbe di sistemare il colonnello una volta per tutte.» «Sarebbe difficile dimostrare che è stato lui. Il cuore di Halanat ha semplicemente smesso di battere. Non c'era alcun segno di violenza sul suo corpo. È stato vittima di un attacco cardiaco. Credono tutti che fosse talmente arrabbiato dopo la visita del colonnello che il suo cuore abbia ceduto.» «Non è successo così, ovviamente.» Tarolt emise una sorta di grugnito. «I suoi fili vitali sono stati recisi, ne sono certo. È ciò che il colonnello ha fatto anche a Enyll. Anche per un frano risulta difficile capirlo, a meno di non essere stati presenti al fatto. Le tracce sono deboli e svaniscono presto. Nessuno può dire niente tranne che il suo cuore si è fermato. È successo così, naturalmente, ma non in quest'ordine.» «Non credi che si sia trattato di uno degli antichi abitanti?» «No. Deve essere stato il colonnello. Me ne sarei accorto anche da qui se ci fosse stato un assorbimento di energia vitale da parte loro. Perciò deve essersi trattato di un semplice troncamento del filo vitale.» «Cosa pensi di fare? Andrai a trovare Trezun e ti servirai della Tavola?» «Credo che aspetterò finché il colonnello non verrà a farmi visita. Prima o poi verrà, ed è sempre meglio avere a che fare con il Talento quando si è in una posizione di forza.» «E se non si presenta nello stesso modo in cui si è presentato ad Hala-
nat?» «Allora andremo a Salaan e lo costringeremo a seguirci.» «Vuoi che scopra l'esistenza della Tavola di Salaan? Non ha motivo di sospettarlo, e tu vuoi che ne venga a conoscenza?» «Non possiamo credere che ne sia completamente all'oscuro, visto come stanno le cose», gli fece notare Tarolt. «Ha già distrutto una Tavola. E si accorgerà sicuramente che ce n'è un'altra qui vicino, il che, per lui, costituirà una grossa tentazione.» «Ha distrutto anche la Tavola di Tempre.» «Quella era molto vecchia, indebolita dagli anni e dal cattivo uso. Avremmo comunque dovuto sostituirla. Se non sbaglio, siete tu e Waleryn a dovervene occupare.» «Waleryn dovrebbe essere a Norda adesso, ma non ha ancora finito di ricostruire la Tavola lassù. Avevi detto che avrebbe dovuto pensare alla Tavola di Tempre, non appena avesse finito con quella di Norda.» «Tu speri che Waleryn sia a Norda?» «Non c'è modo di dirlo con certezza, Tarolt. Lo sai bene.» Tarolt atteggiò la bocca a un freddo sorriso. Sensat si accigliò. «Pensi sia saggio lasciare che il colonnello si avvicini a una Tavola? Potrebbe essere rischioso.» «Solo per lui. D'altra parte, dove potrebbe andare? A Prosp? O verso una delle Tavole non ancora funzionanti? Se lo facesse, potrebbe restare ucciso. In ogni caso un frano dovrebbe essere sufficiente persino a fronteggiare uno degli antichi abitanti. Preferirei affrontarlo qui, ma se non si dovesse far vedere è meglio non correre rischi. Potremo affrontarlo in condizioni più vantaggiose a Salaan.» Tarolt lanciò un'occhiata verso la porta dello studio. «Mentre aspettiamo, posso continuare a consultare i libri?» Sensat indicò i libri allineati sul tavolo. Tarolt scoppiò a ridere. «Hai tutto il tempo che vuoi. Il colonnello ha imparato a essere paziente, anche se questo non gli servirà a molto.» 121 La Città Nascosta, Corus Wendra si svegliò. Era distesa su un letto ampio a sufficienza per due, tutta rattrappita sul bordo, a guardare un soffitto di pietra color dell'ambra. Si rizzò a sedere a fatica, cercando Alendra. Il marsupio, fissato a una fa-
scia che le attraversava i fianchi, era vuoto. Si precipitò verso la porta, ma la maniglia d'argento non si mosse: era immobile, come se fosse stata ricavata da un unico blocco di pietra ambrata insieme alla porta stessa. Si voltò, costringendosi a osservare meglio la stanza. Le pareti erano dello stesso materiale del soffitto. Attraverso l'unica finestra si scorgeva il limpido cielo verde-argento di Corus. Per un attimo, Wendra restò a fissarla e si rese conto di non avere mai visto vetri tanto trasparenti, vetri che non erano fissati a un'intelaiatura di legno, ma a uno scintillante metallo argenteo, che però non poteva essere argento. Corse alla finestra, abbassò con una mano la leva piatta che si trovava su un lato e la aprì facendola scorrere. Una folata di gelida aria invernale la assalì come una sferzata, obbligandola a richiuderla con altrettanta rapidità. L'aria era così fredda che nemmeno i suoi indumenti di seta nerina, la camicia e il gilè le offrivano un'adeguata protezione. Ferma accanto alla finestra chiusa, Wendra guardò fuori. Si accorse subito di trovarsi in una specie di torre. In basso si vedevano altri fabbricati, che si estendevano per più di un vingt oltre il punto in cui sorgeva la torre. I fabbricati finivano a ridosso di un muro circolare, della stessa pietra ambrata. Al di là del muro c'era una distesa di sabbia bianca che luccicava sotto il sole pomeridiano. Più lontano, a est, dominava un bastione di roccia scura, sulla cima del quale si scorgevano affioramenti di cristallo dalla forma rettangolare che emanavano dei bagliori verdi. Wendra si allontanò dalla finestra e guardò di nuovo la stanza dall'insolita forma di cuneo e con una parete molto più stretta in corrispondenza della porta, verso la quale si diresse. Questa era costituita da un pannello di legno dorato, senza finestrelle o spioncini, ed era munita di un'unica maniglia dello stesso metallo dell'intelaiatura della finestra. Proiettando il suo Talento sulla porta, Wendra tentò di abbassare la maniglia, ma questa non si mosse. Chissà se all'esterno c'era un chiavistello? Alucius doveva aver accennato a qualcosa del genere. In quel momento avvertì una luminescenza verde alle sue spalle e si voltò. A poche iarde da lei era comparsa un'ariante. Il corpo dalle forme femminili era avvolto da un alone verde dorato che la ricopriva come un manto. Gli occhi, di un verde brillante, erano chiari e profondi: uno sguardo che tradiva una saggezza antica, talmente antica che Wendra indietreggiò di qualche passo senza volerlo, prima di accorgersi che l'ariante teneva tra le braccia una sorridente Alendra. Wendra capì subito, nel vedere il filo vitale della bambina, che questa stava bene ed era felice, ma si affrettò
comunque a prendersela tra le braccia. «Perché mi trovo qui? Perché?» Le parole di Wendra echeggiarono nella stanza. «Perché avevate portato via mia figlia?» La città nascosta non è per te. Non dopo che sarai pronta a fare ciò che deve essere fatto. Abbiamo portato via tua figlia solo perché si era svegliata prima di te e non volevamo che si agitasse. Benché l'ariante non avesse davvero pronunciato ad alta voce quelle parole, il loro significato giunse ugualmente nitido all'orecchio di Wendra. «Ma perché?» Perché è necessario. «Necessario?» Mentre il tuo compagno sarà impegnato a cercarti, ti insegneremo tutto ciò che abbiamo insegnato a lui. «Ma perché avete preso me?» Perché tu sei l'elemento chiave, colei che farà sì che il proprio popolo sopravviva. E noi vogliamo che voi sopravviviate, se non altro per soddisfare il nostro sciocco orgoglio. Una sarcastica ironia trasparì da quelle parole. L'orgoglio è una delle poche cose che ci sono rimaste. «Io? Come posso essere l'elemento chiave? È Alucius che possiede più Talento. Non io.» Tu possiedi la stessa sua potenzialità. Gli ifrit devono essere fermati. Non bisogna permettere loro di distruggere un mondo dopo l'altro. Il tuo compagno farà solo ciò che deve. Se noi non ti avessimo tolta a lui, non avrebbe agito con tempestività. «Questo non è bene...» protestò Wendra. Può darsi, ma è sicuramente meglio che stare a guardare il nostro - e il vostro - mondo mentre viene prosciugato fino a morirne. «E se non mi trova?» Non ti troverà. La certezza che traspariva dalle parole dell'ariante raggelò Wendra. Devi imparare a fare un uso migliore del tuo Talento. Noi cercheremo di insegnarti. Se impari, potrai raggiungerlo e aiutarlo a combattere gli ifrit. «Come fate a essere certe che li combatterà davvero?» Non ha scelta. «E se non riesco a imparare ciò che volete insegnarmi?» In tal caso, entro breve anche tu morirai, perché gli ifrit ti cercheranno e si serviranno del tuo corpo per distruggerti la mente. E più in là nel tem-
po, morirà anche tutto quello che conosci e ami. Wendra rimase in silenzio, mentre cercava di assimilare ciò che l'ariante le aveva appena detto. Se non avesse imparato, lei e tutto quello che amava sarebbero andati perduti? Ora ti insegneremo altre cose sui fili vitali e su come possono essere riparati e sciolti, e su come farlo velocemente. Wendra inghiottì. Ma rimase in ascolto, stringendo a sé Alendra. 122 Alucius non sentì alcuna notizia di Halanat il septi, né durante la giornata di octdi. E neppure era cambiata la sensazione che gli comunicava il suo para-polso. Si costrinse a smettere di camminare avanti e indietro in continuazione nel suo piccolo studio, ma non poté fare a meno di sentirsi in ansia per Wendra e preoccupato al riguardo di Tarolt, il mercante-ombra che tutti seguivano ma che nessuno vedeva mai. Alucius era quasi certo che Tarolt fosse un altro ifrit, ma provava una certa esitazione al pensiero di affrontarlo subito. Sentiva che l'incontro si sarebbe svolto più o meno con la stessa dinamica di quello con Halanat e che uno solo dei due ne sarebbe uscito vivo. Il fatto che non uno, ma ben due mercanti morissero in circostanze misteriose dopo essersi incontrati con lui lo rendeva esitante. Ma, del resto, le alternative erano anche peggiori. Al tempo stesso, si chiedeva con una certa apprensione cosa sarebbe potuto accadere se non avesse agito tempestivamente. Non se la sentiva di dover fronteggiare a distanza tanto ravvicinata un altro attacco della Reggente o qualunque altra cosa Tarolt potesse avere in serbo. Perciò si concentrò sull'interminabile serie di inventari, progetti e rapporti, mentre cercava di decidere come comportarsi con il mercante. Alla fine, nel tardo pomeriggio di octdi, dopo che Alucius si fu affacciato per la terza volta nel giro di una clessidra nello studio di Feran, vide che questi era tornato. «Sì?» disse l'ufficiale più anziano. «Hai bisogno di me? Ero andato da Faisyn a studiare il programma dei rimpiazzi da Sudon.» «Che ne dici di cenare al "Montone Rosso"? Come mio ospite?» «È un invito che mi riesce difficile rifiutare», replicò Feran con un sorriso, «neppure adesso che sono diventato un facoltoso maggiore». Posò il dispaccio che stava leggendo e si alzò. «Può aspettare. È un rapporto che viene da Chiusa dell'Anima e che ci racconta quanto freddo faccia lassù e
di come non sia successo niente sin dall'autunno scorso.» «Cosa vuole Sordet?» «Dei rimpiazzi per i soldati di cavalleria che hanno concluso il periodo di ferma e la conferma che due dei suoi comandanti di squadra potranno andarsene in pensione con lo stipendio assicurato.» «Il Signore-Protettore non ha sospeso i pagamenti, ma Frynkel ha posticipato di una stagione tutti i pensionamenti. Non ha specificato se la cosa riguarda anche noi. Non vorrei concedere...» «Ma ci stai riflettendo su?» chiese Feran. «Ho paura di non avere un numero sufficiente di comandanti di squadra esperti e che a quelli che abbiamo promosso al grado di capitano servano dei bravi comandanti di squadra per almeno un altro mese.» «Di modo che, appena prima dell'attacco dei matriti, ci sbarazziamo dei soldati che hanno raggiunto l'età della pensione?» Il tono di Feran era asciutto. «Proprio così. Credi che dovremo fare delle promozioni anticipate e sovrapporre uomini di pari grado?» «Potrebbe non essere una cattiva idea.» Feran prese il suo giaccone. «Sarà meglio che lo prenda anche tu. Fuori fa freddo come a Chiusa dell'Anima.» «Dovremmo essere alla fine dell'inverno ormai.» «Dillo al vento che soffia là fuori.» Alucius recuperò il suo pesante giaccone e i due si avviarono fuori dall'edificio del quartier generale, attraversarono il cortile e uscirono dallo stretto passaggio ad arco nelle mura meridionali, per poi svoltare a ovest in direzione della locanda. Nonostante l'insegna che riproduceva un montone, più simile a una pecora nerina dipinta in rosso che non a una pecora di città, la maggior parte degli ufficiali della Guardia si riferiva al vecchio fabbricato di pietra rossa come alla locanda di Elyset, dal nome della proprietaria. E proprio da lei vennero accolti Alucius e Feran al loro arrivo. I suoi occhi ebbero un luccichio quando scorsero i gradi sul colletto delle loro divise. Poi sorrise. «Vedo che avete fatto carriera, specialmente voi, colonnello. L'ultima volta eravate... maggiore?» «Già.» Alucius non poté impedirsi di risponderle con un sorriso. «L'ultima volta che sono stato qui mi avevate consigliato il pollo, anche se io speravo di avere le quaglie.» Elyset scoppiò a ridere, ma ritornò seria quasi subito. «Non ricordo l'ul-
tima vostra visita, ma so che siete stato voi a sconfiggere i nomadi a Deforya e a ricevere la decorazione dal Signore-Protettore. Non è vero?» «Purtroppo. Poi, dopo un paio d'anni, mi è stato ordinato di recarmi a sud e, in seguito, di tornare qui.» «Meno male. Non è che l'organizzazione delle Guardie abbia funzionato molto bene ultimamente.» «È quel che ho sentito dire.» Alucius fece una pausa, quindi aggiunse: «Magari sono solo io a pensarla così, ma sento la mancanza del colonnello Clyon». Elyset emise un gemito di scontento. «Manca anche ai pochi superstiti dei vecchi tempi. Corre voce che siano felici di avervi qui.» «Per il momento.» La locandiera si rivolse a Feran. «Avreste dovuto venire più spesso. Gheravia mi chiede spesso di voi.» «Adesso che sono diventato un maggiore, volete dire?» replicò scherzoso Feran. «Le piacevate quando eravate un capitano, maggiore.» Feran scosse il capo, quasi a voler negare quell'affermazione. «Proprio così, ma... sarà meglio che vi faccia accomodare. Elyset si voltò e li accompagnò a un tavolo d'angolo, accanto al camino, nel quale ardevano grossi ceppi su un generoso strato di brace. «È un buon tavolo per una serata fredda come questa.» Alucius prese posto su una delle quattro sedie di legno senza braccioli, quella delle due che offriva una buona vista sull'ingresso. Feran si sedette sull'altra. «Oggi non abbiamo le quaglie, ma le tagliatelle con il pollo sono buone. Le cotolette sono dure. Non le terrei neppure nella lista dei piatti del giorno se non ci fosse sempre qualche soldato che me le chiede. Sembra che non mangino altro, questi vecchi soldati.» «È una questione d'abitudine», commentò ridendo Alucius. Elyset si protese verso di lui e abbassò la voce. «Tarolt e Halanat parlavano di voi, credo... si riferivano al pastore che era diventato maggiore e poi colonnello. Non so per quale motivo, ma ho pensato che avreste dovuto saperlo.» «Grazie. Potete descrivermi l'aspetto di Tarolt?» chiese Alucius tenendo a sua volta la voce bassa. «Capelli bianchi, robusto, occhi quasi viola, pallido, con mani piccole e un sorriso cattivo. Si veste sempre di nero. Si è costruito una nuova casa,
sulla punta. Adesso che quella di Hanal è bruciata, la sua è l'unica abitazione della zona. Mi raccomando, io non vi ho detto niente.» Elyset scrollò le spalle e si raddrizzò. «Grazie per avermi detto delle cotolette», disse Alucius ad alta voce, strizzandole l'occhio e facendole scivolare nella mano una moneta d'argento. «Se non vi piace qualcosa, non tornate più. E noi vogliamo sempre che i nostri clienti tornino a trovarci.» Gli sorrise. «Anche se bisogna aspettare anni e una nomina a colonnello.» «Ma i clienti non vi dimenticano», replicò lui. «È ciò che speriamo. Grenna sarà da voi tra poco.» Nonostante il tono bonario con cui Elyset aveva pronunciato il suo avvertimento, quello scambio di battute lasciò una sgradevole sensazione nelle viscere di Alucius, soprattutto perché la locandiera non mostrava alcun segno di alone violaceo attorno alla sua persona. Egli si guardò in giro, ma solo un paio di altri tavoli erano occupati: uno da un artigiano dai capelli brizzolati in compagnia di una donna che chiaramente non doveva essere la moglie e l'altro da due individui dall'aria sospetta vestiti di marrone. «Cosa ti ha detto?» chiese Feran. «Mi ha detto che Tarolt e Halanat parlavano di me.» «A proposito di Halanat, ho saputo da Sanasus che è morto. L'hanno trovato la notte scorsa. Non eri andato a trovarlo ieri mattina?» «In effetti. Era lui il mercante, o meglio erano suoi i carri che avevano rifornito il profeta. Ho scoperto che avevano lo stesso simbolo della ruota argentata. Abbiamo scambiato qualche parola e poi me ne sono andato, ma non credo che fosse molto contento dopo la mia visita.» Ancora una volta, Alucius aveva raccontato la verità, anche se non tutta. «Mi sa che non lo era per niente. Corre voce che il suo cuore abbia cessato di battere.» «Non sarebbe potuto accadere più a proposito», commentò secco Alucius. «Non che la cosa impedisca al figlio di concludere lo stesso tipo di affari, se gli si presenta l'occasione. Credo che anche Tarolt sia coinvolto nella stessa faccenda, anche se non ho prove concrete. Dovrò verificare quanto prima.» «Ecco un altro degli innumerevoli fardelli che ti tocca di portare.» «Cosa prendete? Da bere abbiamo, come al solito, vino, birra chiara e birra scura. Oggi lo stufato è quello di maiale selvatico, migliore del solito.
Poi c'è il pollo alla Vedra con le tagliatelle integrali. Cotolette di agnello... e lymbyl.» Ad Alucius non piaceva il lymbyl. «Per me, birra scura e pollo con le tagliatelle.» «Anche per me», disse Feran. «E birra scura.» «Sono tre monete di rame per il pollo e una per la birra.» Alucius prese una moneta d'argento dal borsello e la posò sul tavolo.» «Torno subito con la birra, signori.» Con un cenno del capo, Grenna si allontanò. La giornata era stata lunga e Alucius era stanco. Il senso di gelo avvertito in corrispondenza del para-polso lo preoccupava, soprattutto perché non sapeva cosa significasse o cosa fosse successo. Neppure il silenzio che circondava la morte di Halanat lasciava presagire nulla di buono, pensò. E la primavera stava per arrivare, portando con sé tutti gli eventuali problemi di un attacco matrite. Abbassò lo sguardo sulla liscia superficie del tavolo. «Sbaglio, o mi sembri piuttosto assorto nei tuoi pensieri?» disse Feran. «Stavo riflettendo su parecchie cose.» Alucius indugiò. «Che ne pensi se spostiamo il quartier generale delle Guardie del Nord a Punta del Ferro?» «Vuoi portarti il lavoro vicino a casa?» sogghignò Feran. «In un certo senso, questo rende le cose ancora più difficili. Più che altro per il modo in cui sono cambiate le cose. Non dobbiamo più preoccuparci di difendere i confini al di là del Vedra, ma i messaggi dai territori a ovest impiegano un giorno in più ad arrivare fin qui, e i rifornimenti impiegano un giorno in più per arrivare là.» «E a Punta del Ferro non dovresti preoccuparti così tanto dei mercanti e dei loro intrighi.» «Non rimarrò colonnello per sempre», disse Alucius. «Renderei le cose più semplici a chiunque verrà dopo di me.» «Pensi di dare le dimissioni?» «No.» Alucius scosse il capo. «Sto solo cercando di far funzionare meglio le cose.» «Le vostre birre, signori.» Alucius alzò lo sguardo. Non aveva sentito tornare Grenna, il che era preoccupante. «Grazie.» Le porse la moneta d'argento. «Mi pagherete dopo che avrò portato anche il pollo.» Alucius bevve un sorso di birra. Non si era reso conto di essere così assetato finché non vide che il suo bicchiere era mezzo vuoto.
«Eravamo praticamente morti di sete», commentò Feran. Alucius guardò il bicchiere di Feran, anch'esso pieno a metà. Entrambi scoppiarono a ridere. Alucius vide che Grenna stava tornando e la osservò mentre posava davanti a lui e a Feran un piatto di terracotta contenente un intero mezzo pollo e una porzione abbondante di tagliatelle condite con un sugo cremoso, insieme a un cestino dentro al quale c'erano due piccole forme di pane appena sfornato. «Sono quattro monete di rame ciascuno, signori.» Alucius le porse con un sorriso la moneta d'argento. «Grazie, e altre due birre.» L'inserviente gli rese due monete di rame, che Alucius lasciò sul tavolo. Trovò il pollo squisito fin dal primo boccone e quasi dimenticò le sue preoccupazioni riguardo agli ifrit e a Tarolt. Il pensiero di Wendra tuttavia non lo abbandonò, e l'unica cosa che rendeva la sua inquietudine sopportabile era il fatto che il para-polso non indicava che le fosse stato fatto del male. Prima ancora che fosse arrivato a mangiare un terzo del pollo, Grenna portò le altre due birre. Alucius la accomiatò con cinque monete di rame. «Essere colonnello non è proprio come avevi immaginato, vero?» «Credo di averlo sempre saputo, ma quando ti ci trovi in mezzo è ben diverso.» «Sacrosanta verità», borbottò Feran. «Anche se qui il rischio di beccarsi una pallottola è minimo.» «Forse per te.» «Tu sei il tipo che si può beccare pallottole ovunque», osservò Feran. Poco dopo avevano finito entrambi di cenare. Mentre si alzava per apprestarsi a uscire dalla locanda, che si stava affollando di facce sconosciute, Alucius lanciò un'occhiata attraverso la stretta finestra che dava sulla strada e vide che stavano scendendo le fredde ombre della sera. Lasciò un'altra moneta di rame sul tavolo, poi si avviò verso l'uscita seguito da Feran. Inclinò il capo e si fece da parte per lasciar entrare due sconosciuti con indosso abiti di buona fattura. Elyset comparve in fondo all'atrio e sorrise ad Alucius. «Buona serata, colonnello.» Poi scoccò un sorriso ancora più smagliante a Feran. «Maggiore.» «Grazie, Elyset.» Entrambi gli ufficiali la salutarono con un cenno.
Mentre Alucius usciva, poté udire alcuni brani di conversazione provenienti dalla sala. «Colonnello, non mi aspettavo di vederlo qui... solo lui e il maggiore...» «... dicono che sia coraggioso...» «C'è chi è coraggioso e chi è solo imprudente...» Quelle parole non contribuirono a farlo sentire più sollevato, mentre si incamminava verso il suo appartamento troppo vuoto e verso una notte di sonno inquieto a dir poco, preoccupato com'era per un'infinità di cose, e soprattutto per Wendra. 123 Poiché novdi era l'ultimo giorno lavorativo della settimana, era previsto che al quartier generale si lavorasse solo mezza giornata, anche se Alucius si trovava ancora nel suo studio di primo pomeriggio. In precedenza, aveva ispezionato la Quinta Compagnia, le baracche e l'armeria, poi aveva trascorso un po' di tempo con Feran a discutere della possibilità di apportare qualche cambiamento nelle postazioni delle compagnie di Guardie del Nord, soprattutto in quelle nei dintorni di Armonia. Continuava a tenere d'occhio il para-polso. Da quel che riusciva a capire, Wendra stava bene, ma il dubbio lo tormentava. Nell'udire bussare contro lo stipite della porta che aveva lasciato aperta, Alucius sobbalzò. «C'è un giovanotto che chiede di voi, signore. Dice di chiamarsi Korcler», annunciò Dhaget dalla soglia. Alucius sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. «Fallo entrare subito.» Si alzò in piedi. Il ragazzo dai capelli castani, quasi in età da servizio di leva, si precipitò nello studio e cominciò a parlare ancora prima di fermarsi di botto davanti alla scrivania. «Ho detto che sarei venuto, Alucius. È da prima dell'alba che cavalco. Ho portato con me due cavalli. Tuo nonno ha insistito. Ecco perché...» «Cos'è successo a Wendra? Non saresti qui altrimenti, vero?» «No. Nessuno lo sa. È sparita, così, semplicemente. Royalt e nonno Kustyl l'hanno cercata dappertutto. Loro hanno detto che tu avresti saputo dire se stava bene.» «È viva e sta bene, ma ieri mattina è successo qualcosa», disse Alucius. «Poco prima di metà mattina. Nessuno ha idea di dove possa essere?»
«No. Tuo nonno era uscito a pascolare le pecore ieri», disse Korcler. «Wendra era andata nei due giorni precedenti. Aveva detto di non avere visto nessuno, nemmeno un lupo della sabbia. Tua madre si era recata in città. Quando è tornata, nel pomeriggio, Wendra non c'era più e nemmeno la piccola Alendra. Nessun cavallo mancava. Non c'erano tracce. L'unica cosa che hanno trovato era una bottiglia con della polvere di quarzo, per quell'agnello nato a metà inverno. Era stata lasciata sulla soglia della stanza degli attrezzi. Non c'era dentro latte di capra, solo polvere di quarzo.» Korcler si fermò a riprendere fiato. «Tuo nonno ha detto che di là non era passato nessuno. Altrimenti avrebbe visto delle orme. La sua giacca da pastore era ancora in casa. E lei era... sparita.» Alucius si avvicinò a Korcler e gli mise una mano sulla spalla. «Grazie. Ero preoccupato. Non sapevo. Ti ringrazio di aver fatto tutta questa strada per avvisarmi.» Non sapeva cos'altro dire. Wendra se n'era andata? Sparita? Senza lasciare tracce? Ma in che modo? Quelle domande gli giravano vorticose per la mente. «Non avrei voluto venire io, ma... non c'era nessun altro.» Korcler guardò Alucius, poi si frugò dentro la giacca ed estrasse un foglio sgualcito. «Tuo nonno mi ha chiesto di consegnarti questo.» Alucius prese il foglio e lo fissò per un attimo con sguardo assente, poi lo aprì e cominciò a leggere. Alucius, quando leggerai questa mia lettera, avrai già saputo da Korcler che Wendra è scomparsa. Volevo solo dirti che è improbabile che sia stata rapita o portata via da uomini a cavallo. Non abbiamo trovato impronte di zoccoli sulla neve o sulla terra, ma solo qualche macchia sul pavimento polveroso della veranda, dove pare sia svanita nel nulla. Non ci sono neppure impronte di stivali e dalla fattoria non manca niente. Non ti so dire dove cercarla, o in che modo, tranne che mi sembra improbabile che sia rimasta nelle vicinanze e che quasi certamente sarà necessario l'uso del Talento. Non so nemmeno se sarai in grado di abbandonare i tuoi impegni e se questo potrebbe risultare di qualche utilità. Temo che tutto sia collegato, anche se non so spiegarne il perché. Tutte le nostre speranze e pensieri sono con te, oltre che con lei e Alendra. La firma era quella di Royalt.
Alucius posò il foglio. «Che dice?» chiese Korcler. «Quello che mi hai raccontato», replicò Alucius, con voce grave. «Più o meno.» «Cosa pensi di fare?» «Ciò che ritengo giusto fare», rispose Alucius. «Per stanotte ti sistemerai nei miei alloggi. Tornerai a casa domattina, quando i cavalli saranno riposati.» «Non vuoi almeno dirmi cosa sai?» «No. Non ne sono sicuro nemmeno io.» Alucius si voltò, prese al volo dall'attaccapanni il pesante giaccone invernale, quello con il doppio rivestimento di seta nerina, e lo indossò. «Porteremo i tuoi cavalli nelle scuderie e sellerò il mio. Potrai dormire nella stanza degli ospiti.» «Posso venire con te.» «No. Non questa volta. I tuoi cavalli sono stanchi e non sarebbe una buona idea. Proprio per niente.» «Allora, dimmi qualcosa.» Alucius scosse il capo e fece segno a Korcler di uscire dallo studio. «Coraggio, esci. Vengo subito.» Nell'ingresso, si rivolse a Dhaget: «Dopo che avrò sistemato i cavalli del giovane Korcler, qui, nelle scuderie, salirò nel mio appartamento. È il fratello di mia moglie e passerà la notte da me prima di ripartire domattina. Puoi andare adesso». «Siete sicuro, signore?» «Hai già passato fin troppo tempo a fare la guardia a me.» Alucius abbozzò una risata forzata. «Vai.» Lui e Korcler condussero i cavalli in fondo alle scuderie riservate agli ufficiali e li sistemarono in un recinto fianco a fianco. Poi Alucius accompagnò il ragazzo nel suo appartamento, lo fece sedere a tavola e gli mise davanti del pane e formaggio con qualche fetta di prosciutto. Quindi andò in camera sua, dove indossò prima la biancheria di seta nerina e sopra l'uniforme da cavaliere. Prese anche il pesante giaccone, entrambi i fucili e la cartucciera. «Non vuoi che venga con te?» Korcler era fermo sulla soglia. «No. Potrebbe non essere pericoloso, ma potrebbe anche esserlo. Non sei addestrato per una cosa del genere.» Korcler abbassò lo sguardo. «Dovrei essere di ritorno verso il tramonto, credo, ma può anche darsi
che mi ci voglia più tempo. Tu riposati finché non torno. Se succede qualcosa e io non dovessi tornare, tu domani mattina parti per Punta del Ferro, a prescindere da tutto il resto. Capito?» Alucius proiettò verso il giovane cognato un senso di assoluta autorità. «Non parlare a nessuno dell'accaduto, tranne che con il maggiore Feran e con mio nonno. Nessuno tranne loro due.» Korcler arretrò di un passo. «Va bene. Lo farò.» «Bene. Adesso torna a tavola. Non hai mangiato abbastanza.» Mentre Korcler finiva di mangiare, Alucius scrisse un breve messaggio a Feran dicendo che sarebbe andato a indagare su qualcosa che aveva scoperto riguardo a Tarolt e che sperava di non metterci molto. Nel tornare alle scuderie, lasciò il messaggio sulla scrivania di Feran. Poi sellò il baio e dopo meno di un quarto di clessidra stava già varcando i cancelli della postazione. «Uscite solo, signore?» chiese la sentinella, un soldato della Quinta Compagnia che Alucius conosceva, ma di cui non ricordava il nome. «Solo per questo pomeriggio.» «Sì, signore.» Mentre si dirigeva a ovest, Alucius si chiese se non avesse dovuto lasciare a Korcler una nota per Royalt. Ma decise che era meglio così. Se Tarolt era davvero un ifrit, Royalt avrebbe potuto fare ben poco. In caso contrario, Alucius sarebbe tornato entro breve tempo. Non era certo sul da farsi, ma non poteva permettersi di indugiare oltre. Aveva già ritardato anche troppo. Più ci pensava e più era convinto che gli ifrit avessero a che fare sia con il profeta sia con i collari dei matriti, oltre che con la sparizione di Wendra. Il pensiero più inquietante era che, in qualche modo, lui stava all'origine del problema. La mattina dopo la morte di Halanat, Wendra era sparita. Era improbabile che si trattasse di una semplice coincidenza. Assai improbabile. Il che significava che doveva agire rapidamente. In base alle indicazioni di Elyset, sarebbe sicuramente stato in grado di trovare la casa di Tarolt, anche se poi non sapeva bene cosa avrebbe potuto fare. Non ne era certo, ma lo stupore mostrato da Halanat nel vederlo lasciava chiaramente intendere che il mercante non si aspettava la sua visita. Il che, a sua volta, stava a indicare che egli non sapeva nulla della scomparsa di Wendra. Ma non c'era dubbio che Halanat l'avesse riconosciuto. Per quanto riguardava invece Tarolt, Alucius non aveva idea se fosse davvero posseduto da un ifrit, per quanto tale eventualità gli sembrasse al-
quanto probabile. Inoltre tutte le informazioni raccolte facevano capire che era proprio lui l'eminenza grigia che si nascondeva dietro a ogni mossa dei mercanti. Il fatto che poi non avesse parlato con nessuno dei suoi piani riguardo alla sparizione di Wendra, né di qualunque altra cosa, non voleva certo escluderne il diretto coinvolgimento. C'erano troppe domande senza risposta. E se il tentativo di assassinarlo, anni prima, fosse stato architettato da più di un ifrit? E se anche Tarolt vi aveva preso parte? E se invece non era così? Chi altri avrebbe potuto essere e come avrebbe fatto Alucius a scoprirlo? E se i suoi sospetti circa la sparizione di Wendra erano infondati? Scrollò il capo. Ci doveva essere un collegamento... da qualche parte... in qualche modo. Magari avrebbe potuto saperne di più seguendo Tarolt, o spiando i suoi movimenti o quelli dei suoi servitori. Continuò a cavalcare verso ovest. Dopo circa un quarto di vingt, imboccò una strada sulla sinistra e proseguì verso sud. Aveva percorso meno di mezzo vingt, superando abitazioni e negozi dall'aspetto decrepito, quando sbucò sulla strada del fiume. Alucius la seguì verso ovest, lungo il margine meridionale del piccolo promontorio che si affacciava sul fiume Vedra. Di lì a poco, alla sua destra, le case in pietra lasciarono il posto a capanne di legno. Poi anche le capanne sparirono e si videro solo prati dall'erba stenta, chiazzati di neve qua e là e punteggiati di alberi radi, prati che a nord scendevano a formare piccole valli ondulate dall'aspetto desolato. Alla sua sinistra c'erano pendii irregolari e rocciosi che arrivavano fino al fiume. Quasi un vingt dinanzi a sé, Alucius scorse la punta di cui gli aveva parlato Elyset: un promontorio triangolare che sporgeva verso sud, direttamente sul fiume, così che questo descriveva una curva intorno a quella lingua di terra prima di riprendere il suo corso regolare verso ovest. La strada non proseguiva lungo il margine del promontorio, ma tagliava verso l'interno. Una seconda strada, più simile a un sentiero, si dirigeva a sinistra, verso una casa circondata da un semplice muro, situata poco più a nord dell'estremità della punta. Dal retro della sua casa, Tarolt doveva godere di una splendida vista sul fiume, che scorreva oltre cinquanta iarde più in basso, e sulle colline della riva opposta. Circa mezzo vingt più lontano, si scorgevano i resti carbonizzati di un'altra grossa costruzione. Mentre si avvicinava, Alucius si guardò intorno alla ricerca di un nascondiglio da cui poter sorvegliare il promontorio e la casa e dove far riposare il cavallo. Un centinaio di iarde più avanti, vide una fila di cespugli
stentati e di bassi alberi spogli, che sembravano delimitare i margini di una palude o del letto in secca di un torrente. Sebbene il posto si trovasse più discosto dalla casa di quanto Alucius avrebbe desiderato, nelle immediate vicinanze non c'era nient'altro che facesse al caso suo. La vegetazione che cresceva sul terreno coperto da sparse macchie di neve e di erba rinsecchita dal gelo invernale delimitava davvero il letto di un torrente, ampio circa dieci iarde in alcuni tratti e profondo tre o quattro iarde. Purtroppo, Alucius dovette risalirne il corso per quasi cinquanta iarde verso nord, fino a un ponticello di legno, prima di trovare una copertura adeguata per sé e per il cavallo. Dopo aver legato il baio a una grossa radice sporgente, Alucius bevve un sorso d'acqua da una delle borracce, poi estrasse uno dei pesanti fucili dalla custodia assicurata alla sella e tornò di nuovo verso sud, procedendo lungo il torrente. Una ventina di iarde a nord dalla strada principale, trovò un punto dal quale avrebbe potuto sorvegliare sia la casa di Tarolt sia la strada stessa, restando al riparo dei rami di una piccola quercia. Mentre esaminava la parte di edificio che sporgeva oltre il muro di cinta, Alucius avvertì una nebulosità nell'aria, una nebbia violacea invisibile agli occhi ma chiaramente percepibile dai suoi Talento-sensi. L'intensità di quella nebbia stava a indicare senza ombra di dubbio che Tarolt era posseduto da un ifrit, oppure lo era qualche altro occupante della casa. Dopo circa un quarto di clessidra, Alucius si sistemò meglio nel suo punto d'osservazione, chiedendosi se la sorveglianza avrebbe dato dei frutti e quanto a lungo avrebbe dovuto aspettare. Alla fine decise che, se nessuno fosse uscito, una volta calata la sera, si sarebbe avvicinato per vedere cos'altro avrebbe potuto scoprire. Proprio mentre stava prendendo quella decisione, vide che il cancello del muro di cinta si apriva per lasciare uscire quattro uomini a cavallo, per poi essere subito richiuso da due guardie a piedi. Alucius aspettò che i quattro cavalieri si dirigessero a nordest lungo il sentiero e poi svoltassero a est sulla strada che costeggiava il fiume, diretti verso Dekhron. Quando si avvicinarono al ponticello, attraverso il riparo dei rami, Alucius osservò che solo uno dei quattro era vestito di nero e aveva i capelli bianchi: presumibilmente si doveva trattare di Tarolt, sebbene il nero fosse quello del pesante mantello e non di un abito. Anche alla distanza di trenta iarde e con una rapida percezione dei Talento-sensi, Alucius capì che Tarolt non era un uomo posseduto da un ifrit. Egli era un ifrit. Non era dotato dei soliti due fili vitali, bensì di uno solo,
di un orribile colore viola scuro, che correva da qualche parte a sudest. Chissà se andava a collegarsi a qualche Tavola? Poiché era interamente concentrato su Tarolt, ad Alucius ci volle un momento prima che si rendesse conto di un altro particolare. Non solo Tarolt era un ifrit, ma lo era anche lo sconosciuto dai capelli scuri e dalla giacca marrone che gli cavalcava accanto. Al pari di Tarolt, anch'egli era dotato di un singolo filo vitale violaceo che si dirigeva verso sudest. Alucius strinse le dita sul fucile, ma non lo alzò, benché fosse tentato di farlo. Adesso, la sua assoluta priorità era trovare Wendra e non uccidere ifrit. Ammesso che fosse in grado di ucciderli. Dopo che il gruppetto l'ebbe superato, Alucius tornò al posto in cui aveva legato il cavallo. Prima di salire in groppa e apprestarsi all'inseguimento, aspettò ancora un po'. Era certo di non avere problemi a seguire le tracce, dato che la nebbia violacea era visibile a oltre un vingt di distanza. I quattro percorsero la strada costiera fino a Dekhron. Quando entrarono nei sobborghi della città, Alucius si avvicinò un poco, anche se temeva di essere scoperto. Tarolt e i suoi compagni proseguirono lungo la strada del fiume, superarono il molo e i magazzini, imboccando poi la sopraelevata che passava sul Vedra e portava a Salaan. Una volta attraversato l'antico ponte in durapietra, il piccolo gruppo oltrepassò la stradina sulla sponda meridionale, quella che portava al vecchio forte delle Guardie del Sud. Quando Alucius si trovò in corrispondenza della stradina, oltre mezzo vingt più indietro rispetto a Tarolt, lanciò un'occhiata alla sua sinistra, al forte abbandonato e in rovina. Mentre attraversava le vie di Salaan egli osservò le abitazioni dalle strette finestre ed ebbe l'impressione che, a ogni passaggio, le case apparissero sempre più misere e di certo erano più malridotte della prima volta in cui era passato di lì quasi tre anni prima, durante il viaggio che l'avrebbe condotto a Tempre e al suo precedente incontro con l'Archivista degli Atti posseduto da un ifrit. Appena poco più a sud, Tarolt svoltò a ovest, su una strada quasi altrettanto ampia di quella principale in durapietra, ma dal fondo in terra battuta indurita dal gelo dell'inverno. Seguendo quel percorso - ad Alucius parve di ricordare - si arrivava al promontorio sulla riva meridionale del fiume, dove si trovavano le case dei pochi artigiani di Salaan. Dopo aver proseguito per poco più di un vingt, i cavalieri svoltarono a sinistra, lungo un sentiero che attraversava un grosso frutteto di albicocchi, diretti verso una modesta altura a sud. Alucius aspettò un po' prima di se-
guirli. Quando ebbe finalmente raggiunto l'estremità del frutteto, fece fermare il cavallo al riparo di uno degli ultimi alberi e scrutò dinanzi a sé. A meno di un centinaio di iarde più avanti, dove la stradina si interrompeva, scorse una massiccia costruzione in pietra, situata in corrispondenza del punto più basso di una sella tra due piccole alture. Tracce di neve erano rimaste attaccate ad alcuni tratti del muro a nord e i grossi blocchi di pietra che lo formavano assumevano una sfumatura sempre più violacea, a ogni momento che passava. A nordovest sorgevano una stalla e una specie di capanno, entrambi costruiti con assi e tronchi di legno fissati insieme. Mentre osservava, sia con gli occhi sia con il Talento, Alucius vide una quinta persona uscire dalla costruzione in pietra e farsi incontro ai cavalieri. Tarolt fece un gesto brusco con la mano e il gruppetto si separò: i due ifrit e l'uomo appena uscito si diressero all'interno, le guardie si disposero ad aspettare vicino ai cavalli. Alucius sentì che almeno due dei fili vitali erano ancorati a qualcosa che stava dentro l'edificio. Il che significava che là ci doveva essere una Tavola. Ma l'edificio aveva un aspetto relativamente recente. Gli ifrit stavano dunque costruendo altre Tavole? Era forse attraverso una di queste Tavole che Wendra era stata catturata e portata via? Poiché non aveva risposte, Alucius continuò a osservare. In quel momento comparve un garzone, o uno stalliere, e le guardie lo seguirono, portando i cavalli all'interno della lunga stalla simile a una baracca. Di lì a poco i tre riemersero ed entrarono nel fabbricato adiacente. Nello slargo polveroso davanti all'edificio in pietra non era rimasto più nessuno. Alucius si risistemò meglio in sella. Aveva contato almeno sei uomini in tutto, due dei quali erano sicuramente degli ifrit, e gli ifrit si trovavano in un edificio che molto probabilmente conteneva una Tavola. Quindi... quale sarebbe stata la sua prossima mossa? 124 Salaan, Lanachrona I tre uomini erano seduti attorno a un tavolo rotondo nell'anticamera della saletta che ospitava la Tavola. Nonostante il gelo che si sprigionava dai muri rivolti a nord, il calore diffuso dalla stufa, collocata contro la parete esterna, rendeva il locale più che confortevole. Una caraffa contenente del vino e appoggiata su un vassoio d'argento si trovava a uguale distanza dai
calici posti di fronte a Tarolt e all'Archivista, mentre un grande piatto con diverse qualità di formaggi e frutta troneggiava proprio al centro del tavolo. Sensat, che aveva preso posto accanto a Tarolt, aveva anch'egli un calice davanti a sé. «Il pastore colonnello si trova da qualche parte qui vicino. Sento la sua presenza», disse Tarolt con voce pacata, fermandosi a sorseggiare ancora un po' di vino rosso. «Stava sorvegliando la casa sulla punta e poi ci ha seguiti.» «E tu l'hai lasciato fare?» chiese Sensat. «Avrebbe potuto spararci. Avrebbe potuto fare del male a qualcuno, o uccidere una delle guardie.» «Lasciato fare? Ho cercato di proiettare attorno a noi un sufficiente senso di vulnerabilità da invogliarlo a seguirci. Tra l'altro, se avesse deciso di attaccarci, avrebbe atteso fino a notte fonda per poi penetrare nella proprietà. Invece credo che volesse sapere dov'eravamo diretti e per quale motivo. La curiosità è un difetto fatale per la maggior parte di questi Talentoprincipianti.» «Il colonnello pastore potrebbe essere ben più di questo», ipotizzò l'Archivista. «È alquanto improbabile, mio caro Trezun», replicò Tarolt. «Siete certo che si tratti proprio di lui? Non potrebbe essere uno degli antichi abitanti? Anche i loro fili vitali sono verdi.» L'Archivista posò il bicchiere sulla liscia superficie del tavolo. «Gli antichi abitanti si spingono di rado così a sud. Ma che importanza ha? Dobbiamo comunque vedercela con entrambi, e abbiamo i mezzi per farlo adesso.» Sensat e Tarolt sorrisero, ma l'Archivista rimase serio. «Avete deciso se qualcuna delle Tavole inattive può essere rimessa in funzione?» domandò Tarolt qualche istante più tardi. «Quella di Caponero è in condizioni perfette. Basterà solo una traslazione da qui o da un'altra Tavola.» «Quella però serve a poco se non a rafforzare la rete dei nodi. E le altre?» si informò Tarolt. «Per la Tavola di Soupat è necessario che qualcuno si rechi là di persona, ma la sua riparazione dovrebbe richiedere tempi piuttosto brevi.» «Non possiamo tentare una traslazione?» propose Sensat. Trezun si strinse nelle spalle. «Potremmo, ma sarebbe rischioso per chiunque venisse traslato. Vorreste provarci voi?» «Ehm, forse è meglio organizzare un viaggio fin laggiù», replicò Sensat.
«Uno di questi giorni.» «Non mi va di mandare un frano in un momento in cui ci troviamo così sotto pressione.» Trezun aggrottò la fronte, mentre le sue dita carezzavano lo stelo di cristallo del calice. «Soprattutto adesso che Waleryn è solo a Norda e con una Tavola non del tutto funzionante.» «Pensavo che l'avesse già messa in funzione», interloquì Tarolt. «Si può comunicare attraverso, ma non effettuare delle traslazioni», spiegò Trezun. «Il freddo ha danneggiato alcuni cristalli. È questione di qualche giorno, ha detto.» «Vedete?» commentò Tarolt. «Waleryn sta utilizzando tutte le risorse che Lustrea gli ha messo a disposizione, eppure gli ci è voluto quasi un anno per riattivare una Tavola e ricostruirne un'altra. Questo è il motivo per cui vi ho chiesto delle Tavole inattive. Altrimenti, come potremmo costruire in tempi rapidi una rete di nodi perfettamente funzionante? Anche se ci volesse una mezza stagione, si farà comunque più in fretta che non a creare una Tavola dal nulla in corrispondenza di un'altra matrice nodale. Senza contare il tempo perso negli spostamenti.» Tarolt lanciò un'occhiata alla finestra sul lato nord della stanza. «Ma la Tavola di Soupat, al pari di quella di Caponero, servirà solo a rafforzare l'energia dell'intera rete», osservò Trezun. «Avremo bisogno di tutta l'energia che ci riuscirà di produrre», replicò Tarolt. «Ricordate: ci sono ventitremila efrani in attesa di essere traslati.» «La popolazione qui non è sufficiente a fornire il sostentamento per un numero così alto», mormorò Sensat. «A meno che non si attinga energia dal mondo stesso.» «I responsabili delle operazioni sanno già che il supporto limite si aggira tra i cinque e i settemila», replicò Tarolt. «Perciò vi potete ritenere fortunato di essere già qui.» Trezun annuì educatamente. «Qualunque sia il numero, noi saremo pronti.» «Per quale motivo le Tavole più facili da ripristinare sono anche quelle più difficili da raggiungere?» sbuffò Sensat, continuando a parlare senza che gli altri due potessero rispondere. «Lo so. Il motivo è proprio questo. Sono talmente lontane che nessuno sospettava della loro esistenza o del fatto che possedessero ancora energia.» «Esatto», convenne Trezun con una risata. «Adesso che la Tavola di Prosp è stata rimessa in funzione, se Waleryn riesce a ricostruire quella di Norda e se possiamo mandare qualcuno a riat-
tivare quella di Soupat, potremmo anche ripristinare la Tavola di Dereka, non è vero?» Sensat guardò Trezun. «Il posto dispone ancora di sufficiente energia e identificazione per essere un portale, anche se non è potente come quello di Hieron.» «Il portale di Hieron è un'anomalia. Come ben sapete, solo un vero frano lo può usare, e solo di tanto in tanto. Non possiamo sprecare sforzi ed energie sui portali, almeno non adesso che ci servono Tavole.» «Dobbiamo affrettarci, allora», aggiunse Sensat. «Affrettarci? È stato il nostro motto per anni.» «Disponiamo di meno tempo di quanto pensassimo», replicò Tarolt. «Il Maestro Lasylt, uno dei responsabili delle operazioni, ha calcolato che i condotti delle traslazioni non dureranno più di altri cinque anni a dir tanto. Cioè fino a quando le reti dei campi nebulari non raggiungeranno le linee sgombre del sottospazio che collegano Efra ad Acorus.» «Che siano ancora una volta maledetti gli antichi abitanti», borbottò Trezun. «Siamo stati fortunati che non fossero più forti», disse Tarolt. «Almeno adesso le barriere con cui ci avevano bloccato il transito si sono indebolite abbastanza da permetterci di riprendere il nostro lavoro. Vorrei che i nostri fratelli di Efra si rendessero conto dell'urgenza.» «Essi esitano ad abbandonare il calore e le comodità del loro mondo e non vogliono avere a che fare con il freddo e l'inciviltà di Acorus», osservò Trezun. «Lasciamo che sia qualcun altro a fare i sacrifici», sbottò Tarolt. «È così che la pensano. Noi invece abbiamo osato e raccoglieremo i benefici.» «E i condotti per Ejernyt?» domandò Sensat. «Ci vorranno almeno vent'anni a dir poco», interloquì Trezun. «Ejernyt non sarà pronta per la colonizzazione che tra altri cento anni, ma noi potremo continuare a occuparcene stando qui, ad Acorus.» «Il che significa snidare gli antichi abitanti ed eliminarli», disse Sensat. «E anche i loro strumenti, come quel colonnello là fuori», suggerì Tarolt con un freddo sorriso. «Cosa proponete di fare?» si informò Trezun. «Il colonnello dimostra una forte curiosità riguardo alle Tavole. Lasciamo che ne veda una funzionante, una dotata di un singolo condotto di traslazione diretto a Soupat.» Il mercante-ifrit dai capelli bianchi scoppiò in una risata. «Questo risolverà i nostri problemi.» Gli altri due annuirono e dopo un attimo un sorriso sbilenco comparve
anche sulle labbra dell'Archivista. 125 Alucius aveva legato il baio a uno degli alberi all'interno del frutteto, aveva preso uno dei suoi due fucili e aveva strisciato da un tronco all'altro fino a trovarsi dietro a quello più vicino all'edificio in pietra e ai fabbricati circostanti. Restò là in attesa per quasi mezza clessidra, ma lo slargo davanti alla costruzione principale rimase deserto e nessuno uscì dal suo interno. Ad Alucius non sorrideva l'idea di avvicinarsi all'edificio che conteneva la Tavola, soprattutto se c'erano degli ifrit nelle immediate vicinanze, ma forse avrebbe potuto ricavare qualche informazione dagli altri fabbricati, ascoltando magari la conversazione tra le guardie e lo stalliere. Avrebbe potuto aspettare in eterno, ma se degli ifrit stavano tenendo prigioniera Wendra, era meglio non indugiare oltre. Era probabile che quelle malvagie creature tentassero di impossessarsi di lei allo stesso modo in cui si erano impossessate di Halanat e dell'Archivista degli Atti, di Tempre. Alucius cercò di non pensarci, ma gli risultò difficile, dopo tutto quello che aveva visto in quelle ultime clessidre. Aspettò ancora un poco, poi proseguì strisciando verso ovest, nascondendosi dietro ai tronchi degli alberi e stando bene attento a non calpestare il terreno nei punti in cui c'era la neve, finché non si trovò davanti alla stalla. Dal suo attuale nascondiglio era certo che nessuno, uscendo dall'edificio in pietra, avrebbe potuto vederlo, dato che era riparato dagli altri due fabbricati. Fece un profondo respiro, poi si concentrò e rivestì le cinque cartucce nel caricatore con l'oscurità dell'energia vitale. Evitò di fare altrettanto con le rimanenti quindici cartucce nella cartucciera. Con la sciabola al fianco e il pesante fucile in mano, attraversò di corsa il prato d'erba ingiallita che lo separava dalla stalla. Il muro sul retro era privo di finestre ed era costituito da semplici assi dipinte. Finché nessuno fosse uscito dagli altri fabbricati, lui sarebbe stato al sicuro. Una volta raggiunto il muro restò in ascolto, ma non udì nulla, mentre si spostava verso ovest. Una volta raggiunta l'estremità della stalla, girò l'angolo e avanzò rapido sul tratto di terreno scoperto fino a portarsi sul retro della seconda costruzione, quasi una baracca, ma provvista di alte finestre. Alucius si mantenne vicino al muro di assi, tornando verso est e fermando-
si sotto una delle finestre, il cui vetro era appena accostato. Nell'udire alcune voci, rimase ad ascoltare, cercando di cogliere frammenti di conversazione. «... quanto pensi che dovremo aspettare?» «... forse un paio di clessidre... a volte anche meno...» «Ma cosa fanno là dentro?» «... non posso certo dire di saperlo. Perlopiù parlano. Ma non come la maggior parte della gente... usano parole che nessun altro conosce.» «Come i matriti o i nomadi delle praterie?» «No, non così. Parlano come noi e poi ci mettono in mezzo strane parole, che sembrano normali ma non lo sono.» «Per esempio?» «Come faccio a saperlo? Sono strane. Credetemi.» Si udirono delle risate. «... hai passato quasi tutto il tuo tempo con i cavalli...» «Sono una compagnia migliore di... quel Trezun... c'è qualcosa di strano anche in lui... adesso... quella giumenta... dovrebbe accoppiarsi con lo stallone di Durwad... il puledro non sarebbe... ho detto a Trezun... e lui mi ha risposto che la razza era importante in tutto... soprattutto nei prossimi anni... e ci ha fatto su una bella risata quando me l'ha detto. A me non sembrava che ci fosse niente da ridere...» «... quella ragazza... Kara... è più tornata?» Alucius continuò ad ascoltare, ma le guardie e lo stalliere non fecero altro che parlare di cavalli e di donne. Così, si portò sull'angolo del fabbricato, da dove lanciò un'occhiata all'edificio in pietra arenaria che, in base a quanto gli diceva il Talento, doveva ospitare una Tavola. L'edificio era stato scavato in parte all'interno della bassa collina e in parte costruito su di essa, al punto che i muri sul retro e il tetto coperto di tegole sporgevano di una iarda al di sopra della cima. Da ciò che aveva avuto occasione di imparare a Tempre, questo particolare non faceva altro che confermare l'esistenza di una Tavola al suo interno. Alucius rimase per un po' in osservazione, lanciando occhiate occasionali dietro l'angolo. Quasi una mezza clessidra più tardi, quando il sole era ormai prossimo all'orizzonte, la porta dell'edificio si aprì e ne emersero Tarolt e altri due ifrit. I tre si incamminarono lungo un sentiero che si dirigeva a nordovest, passando davanti agli altri due fabbricati, verso il fiume Vedra. Mentre si chiedeva dove fossero diretti e per quale motivo in una sera
così fredda, Alucius attese che il gruppetto si fosse allontanato di un centinaio abbondante di iarde, per poi concentrarsi e proiettare su di sé un velo invisibile che lo rendeva simile a una semplice brezza vagante. Dopodiché si avviò rapido verso l'edificio della Tavola. Non si udirono grida o segnali di allarme, e nessuno degli ifrit si voltò. Quando Alucius aprì la porta ed entrò, sentì subito la presenza della Tavola, una Tavola che doveva essere ben più potente di qualunque altra mai vista prima. Il fucile in pugno, si guardò intorno nell'ingresso. Si trattava di una stanza dalla forma esagonale - e vuota - con due doppie porte. Queste erano entrambe spalancate e Alucius si introdusse, attraverso quella sulla destra, in una sala delle riunioni. Un grande piatto con alcuni pezzetti di formaggio e mezza mela era rimasto al centro del tavolo, mentre su un lato c'era una caraffa piena a metà di vino rosso, insieme a tre calici di cristallo vuoti. Un piacevole tepore si irradiava dalla stufa a ridosso della parete, ma non c'era nessuno intorno. La presenza della Tavola, lì, era molto più forte e sembrava provenire dal passaggio a volta all'estremità della sala. Sulle pareti erano fissate torce a raggi di cristallo, non del tipo che risaliva ai tempi del Duarcato, ma di fattura recente. Alla loro vista Alucius si sentì raggelare. Aggirò il tavolo e si diresse verso il passaggio a volta, tutti i sensi all'erta, ma non udì né percepì alcunché. Mentre attraversava il passaggio, Alucius si trovò in un altro piccolo atrio dal quale partiva una scala che scendeva al piano inferiore. In fondo alla scala scorse una porta socchiusa, dietro la quale il suo Talento avvertì una voragine violacea, ma nessuna presenza di ifrit o di guardie. Dopo un attimo di esitazione, cominciò a scendere in silenzio, avendo cura di non produrre alcun suono con i pesanti stivali sui gradini di pietra. La stanza che ospitava la Tavola era vuota. Alucius entrò e la vide: una solida struttura quadrata ricoperta tutt'intorno da pannelli di legno scuro, delle dimensioni di una iarda abbondante su ogni lato e in altezza. Come aveva previsto, la superficie era costituita da un lucido specchio. La Tavola sembrava più grande di quelle che aveva visto in precedenza. Dopo essersi gettato una rapida occhiata alle spalle, Alucius si avvicinò per esaminarla con il Talento. A quella distanza, il potere e la presenza della Tavola erano di gran lunga superiori a quelli della Tavola di Tempre. Alucius aggrottò la fronte. La Tavola doveva essere nuova, o almeno costruita in anni recenti.
D'un tratto, avvertì la presenza di un ifrit, come se la stanza si fosse riempita di una sfumatura ancora più profonda di viola, per quanto fosse solo una sensazione percepita attraverso il Talento. Si girò velocemente. L'uomo dai capelli bianchi, di nome Tarolt, era fermo sulla soglia, quasi a bloccare l'unica via d'uscita con l'energia che emanava dalla sua persona, un'energia simile a uno scintillante mantello impregnato di un bagliore violaceo. «I vostri trucchi sono inutili.» Alucius si liberò dello scudo invisibile. «Pensavo che foste...» «Le apparenze ingannano. Proprio voi, tra tutti i Talento-principianti, dovreste saperlo.» L'aria tremolò attorno a Tarolt e all'immagine del vecchio mercante sì sovrappose quella di un ifrit, il cui aspetto ricordava i personaggi degli antichi dipinti di Deforya - o quelli visti in sogno da Alucius - una figura che lo superava di una testa in altezza, con carnagione d'alabastro, spalle ampie, lucidi capelli neri e occhi color viola profondo. Indossava una casacca e dei pantaloni di un verde brillante profilati di viola scuro e gli stivali parevano argento brunito, tanto erano sfavillanti. «Non avevo dubbi sulla vostra vera natura», replicò Alucius, pensando al modo migliore di gestire la situazione, una volta che l'ifrit gli avesse fornito le informazioni necessarie. «Ma anche ciò che sembra vero potrebbe ingannare», disse l'ifrit che un tempo era stato Tarolt. Una sezione di parete alla destra di Tarolt si aprì lasciando comparire un altro ifrit. «Voi che sapete così tante cose», dichiarò Alucius, «ditemi perché sono qui». «Per curiosità: uno dei difetti fatali che caratterizzano la vostra razza», disse l'ifrit-Tarolt. «Se pensate che sia così, allora non sapete molto», ribatté beffardo Alucius. «Conosco già molte cose su di voi. I grandi ifrit del passato... i buoi della sabbia e gli pteridon. Ma so anche che nessuno è riuscito a impedire alle arianti di fermarvi.» «Efrano è il termine più corretto, per quanto una definizione possa essere accurata», precisò il secondo ifrit. «Efrano o ifrit...» Alucius scrollò le spalle. «Presto o tardi qualcuno avrebbe indagato sulle morti sospette di tutti quei mercanti.» «E se anche l'avesse fatto? Cosa avrebbe potuto scoprire?» Tarolt sorrise e avanzò di un passo verso Alucius.
«Che non avrebbero dovuto morire, non tutti nello stesso anno.» Il colonnello indietreggiò portandosi sulla sinistra, di modo che la Tavola si frapponesse tra lui e i due ifrit. «La morte è un evento normale per voi mortali. Che importanza ha quando arriva?» «Ha importanza se attira l'attenzione della gente sui vostri intrighi.» «E a chi importerebbe? La vostra gente è più interessata al cibo, al denaro, alle donne e ad altri piaceri.» «Non tutti sono così.» «La maggior parte, e poi ci sono i pochi, come voi, che possono essere convertiti o messi a tacere. O anche utilizzati diversamente.» «Questo non contempla la sparizione di pastori», gli fece notare Alucius. «Soprattutto al nord.» La momentanea esitazione di Tarolt e la fuggevole espressione di stupore comparsa sul volto dell'ifrit più basso fecero capire ad Alucius che i due non sapevano niente del rapimento di Wendra. «Gli esseri risultanti dalle traslazioni malriuscite divorano e distruggono tutto ciò che trovano», disse il secondo ifrit. «Non starete pensando che qualcun altro, oltre ai pastori, si preoccupi della sparizione di qualche pecora!» Alucius si trattenne dall'annuire. La nebbia violacea che circondava Tarolt si fece più densa e comparvero un paio di tentacoli talentosi che si diressero con un movimento serpeggiante verso Alucius. Questi sollevò il pesante fucile con un gesto fluido. Premette il grilletto, poi riarmò e sparò di nuovo. L'ifrit-Tarolt vacillò all'indietro, ma si raddrizzò quasi immediatamente. Alucius fece fuoco altre due volte sul secondo ifrit e sentì che lo scudo violaceo che lo proteggeva si stava dissolvendo. Così, gli sparò l'ultimo colpo, facendolo seguire da una Talento-sonda, che si diresse verso il nodo più evidente del suo filo vitale. Dall'ifrit colpito partì un lampo di energia violacea, una violenta ondata che scagliò Alucius contro la parete alle sue spalle, quasi gli fece cadere il fucile di mano e gli procurò una forte lacrimazione, impedendogli di vedere per qualche istante. Del secondo ifrit non era rimasta alcuna traccia. Alucius vide che anche Tarolt era stato scaraventato in fondo alla stanza, ma l'ifrit si era già rimesso in piedi e stava tornando verso di lui. Una saetta di energia talentosa guizzò nella sua direzione.
Alucius la parò e indirizzò verso l'altro una Talento-sonda. L'ifrit la colpì respingendola di lato, mentre un'altra ondata di energia si abbatteva sul torace di Alucius, spingendolo di nuovo contro la parete. Egli lottò per avanzare, rimpiangendo di non avere portato con sé il secondo fucile. Le cartucce rivestite di oscurità avrebbero potuto almeno tenere a bada Tarolt. Col respiro affannoso, formò un'altra Talento-sonda e proiettò la sua forza verde-dorata contro il nodo più grande del filo vitale dell'ifrit. La sonda si scompose in una miriade di frammenti verde-dorati e Tarolt avanzò di un altro passo. Alucius girò attorno alla Tavola per allontanarsi. «In un modo o nell'altro, servirete i vostri padroni, Talentoprincipiante», dichiarò Tarolt. Alucius sentì due paia di tentacoli rosso violacei - uno proveniente dall'ifrit e l'altro dalla Tavola - allungarsi e muoversi verso di lui per circondarlo. Per difendersi, creò uno scudo e scagliò un'altra Talento-sonda verso i tentacoli collegati alla Tavola. Questi si dissolsero in una nube violacea. Con un cenno soddisfatto del capo, Tarolt indietreggiò un poco. Alucius fece per spostarsi dalla Tavola, sperando di raggiungere d'un balzo la porta o il passaggio attraverso il quale era comparso il secondo ifrit. In quel preciso istante, un terzo ifrit si materializzò sulla soglia. «Visto? Non riuscirete a scappare.» Alucius saltò sulla Tavola, determinato a passare attraverso la sua lucida superficie. «In tal caso, ci servirete nell'altro modo...» La voce di Tarolt si interruppe. Un'oscurità violacea si agitò vorticosa intorno ad Alucius, portandolo lontano da una freccia verde scuro. L'oscurità era quel freddo gelido che aveva sperato di non dover mai più affrontare. Era incapace sia di muovere il corpo sia di vedere, se non con il Talento. Ma, al contrario delle volte precedenti, in cui era stato in grado di orientarsi e dirigersi con l'aiuto del Talento, adesso gli pareva di essere spinto in un'unica direzione, come se fosse imprigionato in uno stretto condotto, una sorta di buia corrente sotterranea. Il freddo era più intenso di quello dell'inverno nelle regioni del nord, vicino all'Altopiano di Aerlal. Tentò di nuovo di ricorrere ai Talento-sensi, visualizzando una lunga e
sottile linea verde-dorata, una guida di energia vitale che lo orientasse, ma venne trascinato in avanti attraverso quel gelo che gli trapassava le ossa. Cercò di raggiungere le frecce che l'avrebbero portato verso altre Tavole, o verso i segnali triangolari color verde-dorato che rappresentavano i portali della città nascosta, ma non riuscì a percepirli. Dinanzi a sé vedeva solo una lontana e ostile freccia rossa verso la quale stava avanzando precipitosamente. Ma tra sé e la freccia rossa Alucius percepì una barriera nero-violacea, contro cui stava per essere scagliato. Avrebbe voluto protestare, gridare che capiva cosa avesse voluto dire Tarolt con quelle ultime parole. Alucius cercò di raccogliere tutta la propria energia vitale per creare uno scudo a forma di lancia che lo aiutasse a penetrare la barriera e lo proteggesse al tempo stesso. Mentre veniva scaraventato contro quel muro nero, l'intero suo corpo si contorse, o almeno così gli parve, come se fosse caduto da una grande altezza andando a sbattere su una piatta superficie rocciosa. All'improvviso, vide guizzare intorno a sé una luce argentea. Alucius si ritrovò a giacere curvo su una superficie piana. L'intero suo corpo doleva in modo insopportabile, mentre cercava di rimettersi dritto. Urtò con la testa contro un oggetto duro, talmente duro che quasi mollò la presa del pesante fucile. Nel luogo in cui era finito non era buio pesto, ma la luce era così tenue che gli ci volle un po' prima di riuscire a distinguere qualcosa. Era percorso dai brividi e si sentiva tutto ammaccato. Eppure aveva la fronte talmente madida che dovette asciugarsela con la manica della casacca per impedire che il sudore gli finisse negli occhi. Le braccia e le spalle erano contratte e i polpacci sembravano stretti da una morsa. Fitte lancinanti gli trapassavano la testa, non sapeva bene se per il viaggio compiuto da una Tavola all'altra o per la botta. I suoi occhi cominciarono a mettere a fuoco. Il soffuso chiarore proveniva da un paio di torce a raggi di cristallo collocate su due supporti d'argento arcuati fissati ai lati di una porta. A mano a mano che la sua vista si abituava alla semioscurità, Alucius vide che la porta sembrava incurvata verso l'interno. Dopo un attimo, scese dalla Tavola, si girò e la esaminò con i Talento-sensi, cercando di ignorare il dolore alla testa che pareva essersi intensificato, indubbiamente a causa di quell'ultimo sforzo. Nel momento stesso in cui la osservava, l'alone violaceo che circondava
la Tavola parve farsi più accentuato. Si trattava sicuramente di una Tavola funzionante... adesso. Il che lo preoccupò ancora di più, poiché voleva dire che probabilmente a Corus c'erano altre Tavole e, soprattutto, altri ifrit. Dopo aver dato un'ultima occhiata alla Tavola, Alucius si avvicinò alla porta ricurva, che sembrava costituire l'unica via d'uscita. Attraverso il pannello di legno di quercia, che in alcuni punti appariva scheggiato e presentava delle fenditure, Alucius si rese conto che qualunque cosa ci fosse stato nella stanza adiacente era ormai seppellito sotto grossi detriti e pilastri di pietra in frantumi. Forse uno scriccio avrebbe potuto insinuarsi dall'altra parte, ma non un uomo. Qualunque fosse la struttura che aveva ospitato la Tavola, era crollata - o era stata fatta crollare - sulla stanza stessa della Tavola, come per impedirne l'ingresso a chi veniva da fuori. Chissà se erano state le arianti durante il Cataclisma? O qualcun altro più tardi? Aveva forse importanza? Esaminò metodicamente la stanza, che chiaramente si doveva trovare o nel sottosuolo o sepolta sotto le macerie, o entrambe le cose. Non c'erano altri mobili, all'infuori della Tavola e di una stretta cassettiera collocata contro una parete. L'unico possibile modo per uscire sarebbe stato attraverso la porta bloccata dai detriti. Tuttavia... avrebbe potuto esserci un altro passaggio, simile a quello esistente nel Palazzo della Matride o nella stanza della Tavola che aveva appena lasciato. Alucius controllò a palmo a palmo le pareti di pietra, ma né la vista né il tatto, e neppure il Talento, gli permisero di scoprire altre vie di fuga. Guardò nuovamente la Tavola. L'alone violaceo persisteva, più o meno intenso come prima. Sempre con un occhio puntato sulla Tavola, Alucius si portò vicino alla cassettiera di legno intagliato che si trovava contro una parete laterale. Sulla liscia superficie di legno non c'era nulla, nemmeno un'eccessiva quantità di polvere. Aprì il primo cassetto: era vuoto. Lo richiuse e aprì il secondo. Anch'esso non conteneva niente, all'infuori di un mucchio di fogli di pergamena o di carta. Alucius tese la mano verso uno di essi, ma non appena l'ebbe toccato, la carta si frammentò in infinitesimali particelle polverose che gli provocarono un terribile prurito al naso. Per un po', continuò a starnutire, gli occhi che gli lacrimavano. Gettò di nuovo un'occhiata verso la Tavola, ma non era comparso nessuno... o niente. Tornò verso la cassettiera e aprì i rimanenti cassetti, esaminandoli anche dietro e sotto. Non trovò altro che minuscoli frammenti che un tempo do-
vevano essere stati carta. Poi esaminò la porta, ma i detriti erano così ammassati contro il vetusto e pesante pannello di legno - legno che sembrava conservare parte della sua robustezza - che Alucius non riuscì a smuoverla. Come aveva temuto, non c'era altro modo di uscire dalla stanza, se non da dove era venuto. Si girò e guardò di nuovo l'antica Tavola, un cubo scuro che sporgeva da una pietra ancora più scura e che era avvolto dall'energia vitale violacea sottratta chissà dove. Chissà se sarebbe stato in grado di rientrare nel condotto e farsi trasportare altrove? Si sentiva comprimere i polmoni e si chiese quanto fosse durata ancora la riserva d'aria nella stanza. Oppure si sentiva così perché temeva di essere davvero rimasto intrappolato? Riportò lo sguardo sulla Tavola. Poi ricaricò il pesante fucile, dicendosi che avrebbe dovuto farlo prima, e rivestì le cartucce di oscurità vitale. Dopo che ebbe finito si sentì ancora più stordito, mentre si arrampicava sulla Tavola e cercava di concentrarsi. La superficie sotto di lui si dissolse. Di nuovo, Alucius precipitò in quel buio freddo e violaceo, anche se questa volta non si sentì trascinare da una corrente o da una forza. Dopo un momento che gli parve interminabile, fu anche in grado di percepire i segnali o le guide a forma di freccia che ricordava, tranne che non scorse traccia di quelli verde-dorato o argento, che avrebbero dovuto condurlo nella città nascosta. Avvertì con facilità la presenza dei condotti viola scuro, condotti che portavano a qualcosa di ben peggiore di qualunque altra cosa esistente a Corus. Di questo ne era certo senza nemmeno sapere il perché. Cercò di scrutare oltre la gelida oscurità violacea, ma non vide nulla. Dov'erano andate le arianti? O ne erano rimaste così poche da non essere in grado di conservare i propri portali? Con l'aiuto del Talento, Alucius esaminò i segnali, molto più numerosi di quanto ricordasse. Ce n'era uno dall'aspetto vetusto e dall'ostile colore rosso abbinato a un viola nerastro, ma quello, gli parve di capire, era il condotto che l'avrebbe riportato da dove veniva. Un altro, marrone e verde scuro, era la Tavola attraverso cui Tarolt l'aveva scagliato contro la barriera. Alucius aveva l'impressione di essere stato usato a mo' di strumento per riaprire la Tavola nella stanza sotterranea, anche se non se ne spiegava il motivo, visto che la Tavola sembrava inutilizzabile.
Si sforzò di concentrare la propria attenzione sulle restanti frecce. Una era d'argento e gli ricordava il suo incontro con l'ingegnere di Prosp. Quella era da evitare, dato che la sua partenza aveva provocato il crollo delle mura del palazzo sulla stanza che ospitava la Tavola. E anche se la stanza fosse stata ricostruita, al suo interno ci sarebbero stati altri ifrit. Un'altra freccia era di un lucido e freddo colore nero, una freccia molto piccola che prometteva di essere di ben poca, se non di nessuna utilità. Con il cervello che lavorava sempre più a rilento e male, Alucius arrancò mentalmente verso quell'ultima freccia, lasciandosi trasportare verso qualunque portale o Tavola essa rappresentasse. Ancora una volta si trovò a cozzare contro una barriera, ma una barriera di sottile oscurità, che si dissolse non appena la attraversò. Attorno a sé Alucius vide altra oscurità, ma sentì aria fresca, addirittura gelida. Questo fu tutto ciò che fu in grado di riconoscere mentre le gambe gli si piegavano e piombava nell'oblio. 126 La Città Nascosta, Corus Nella torre dalle pareti ambrate, l'ariante era ferma a mezz'aria di fronte a Wendra, reggendo uno scriccio in una mano. Wendra osservò l'animaletto, noto per la sua terribile timidezza e diffidenza, che se ne stava immobile nel palmo della mano, la testolina piegata, gli occhietti fissi su Wendra, senza prestare attenzione alla bimba nel marsupio. Usa il tuo Talento. Esamina il suo filo vitale, ma non toccarlo. È molto fragile, paragonato al tuo. Wendra fece un lieve respiro e proiettò il Talento verso lo scriccio. Osserva i nodi. Nel punto in cui i filamenti si attorcigliano insieme. Wendra si irrigidì e abbassò lo sguardo sulla pietra nera dell'anello da pastore che portava. L'acuto senso di gelo che le aveva attraversato la mano era sparito, altrettanto veloce di come era comparso. Guardò l'ariante. «È successo qualcosa ad Alucius.» Può darsi che si sia fatto traslare da qualche parte con una delle Tavole degli ifrit. «Traslare?» È così che viaggiano gli ifrit, sia dal loro mondo d'origine sia attraverso
Corus. Per farlo, devono disporre di Tavole o di portali che fungano da punto di partenza e di arrivo. Ma anche così, le energie vitali di ogni mondo cambiano le immagini. Tu vedi gli ifrit come appaiono nel nostro mondo, se fossero ancora nel loro avrebbero un aspetto diverso. Ma adesso basta: devi imparare altre cose sulla vita, non sulle Tavole. Le Tavole hanno poca importanza. «Credevo che Alucius le avesse distratte.» Ne aveva distrutta una che aveva già indebolito e ne aveva seppellita un'altra sotto le macerie. Uno degli ifrit è riuscito ad arrivare di nuovo a quella Tavola e ne sta ricostruendo un'altra. Nel frattempo, anche altre Tavole sono state riattivate. La «voce» dell'ariante suonava stanca. Dimentica le Tavole. Abbiamo così poco tempo. Così poco... «Così poco tempo?» chiese Wendra. Adesso devi imparare tutto sui nodi. Rappresentano il punto focale di tutto ciò che dovrai fare. «Alucius potrebbe avere bisogno di me.» Sicuramente, ma non puoi fare nulla per aiutarlo finché non imparerai altre cose. Osserva lo scriccio. «In che modo questo potrà essere di aiuto?» Se non impari a sciogliere l'energia vitale degli ifrit e i loro robusti fili, ti spazzeranno via come se fossi una fragile foglia, o la più effimera delle farfalle. Il tuo Alucius credeva che le sue fatiche sarebbero bastate. Ma non è stato così. Inoltre, ha ignorato i segnali che giungevano alla fattoria. «Vi aspettavate forse che stesse ininterrottamente sul chi vive? Quando neppure voi vi siete date granché da fare? Pretendevate che facesse la guardia a tutta quanta Corus? Che non avesse una vita sua?» Abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere. Voi non esistereste e il vostro mondo sarebbe da molto tempo prosciugato e morto, se in passato noi non avessimo agito. Abbiamo preso solo ciò che era necessario. Non abbiamo distrutto un mondo per costruire città destinate a durare per sempre su terre senza vita. Abbiamo fatto ciò che ritenevamo meglio per noi e per voi. Da quel tormento non ci siamo più riprese. Non venire a dirmi come uno dovrebbe vivere la propria vita. Noi non vivremo ancora a lungo, a prescindere da chi vincerà. Se coloro che sono in grado di fermare il male non intervengono, questo trionferà. Il fatto che chi è dotato di qualche capacità venga chiamato in causa è ingiusto. Chi è capace deve sempre fare di più. All'universo non importa la giustizia. Le convinzioni
non hanno alcun peso. Solo ciò che viene fatto o non fatto ha importanza. Tu e il tuo compagno potete scegliere di intervenire contro gli ifrit. O potete scegliere di non farlo. Ma se agite senza le conoscenze necessarie a cambiare ciò che altrimenti potrebbe essere, sarà perfettamente inutile. Come puoi essere di aiuto al tuo compagno se conosci ancora meno di lui? Wendra non avrebbe potuto controbattere quelle ultime parole, neanche se lo avesse voluto, poiché sentiva quanto bisogno Alucius avesse di lei. Né poteva confutare il fatto che l'ariante non l'avrebbe aiutata se lei non avesse collaborato. Fece un lungo e profondo respiro e si concentrò sulla minuscola creatura che l'ariante teneva in mano. Osserva di nuovo lo scriccio. 127 Ancora una volta, Alucius era finito su una superficie piatta, solo che adesso vi era quasi sdraiato sopra, e la Tavola - se di una Tavola si trattava - gli stava risucchiando il calore stesso del corpo. Si sentiva il torace intorpidito dal freddo. Con uno sforzo, rotolò da una parte. Quel movimento gli spaccò la testa in due dal dolore, come se al suo interno si fosse prodotto un boato, e fece correre lingue di fuoco lungo le braccia e le gambe, lasciandolo con la vista appannata e l'intero corpo percorso dai brividi. Fece un respiro profondo, e poi un altro. Persino dopo essere rimasto immobile per un po', continuò a vedere le immagini sfocate e a sentire gli occhi che gli lacrimavano e dolori dappertutto. Forse perché aveva attraversato ben due barriere, praticamente una dopo l'altra? O era semplicemente a causa delle sollecitazioni subite durante il viaggio lungo quei condotti neri? Di lì a poco si mise a sedere, benché finisse per trovarsi con le ginocchia più in alto delle cosce, visto che i piedi poggiavano su una gran quantità di terra, o detriti, ammassati attorno a quella che pensava fosse una Tavola. Nel luogo in cui si trovava non c'era luce, anche se gli pareva di essere confinato in uno spazio piuttosto ristretto. Faceva freddo, molto freddo, ed era buio, ma l'oscurità era diversa da quella della stanza precedente e si avvertiva chiaramente uno spiffero gelido provenire da qualche parte. Alucius mosse adagio la testa, sforzandosi di distinguere qualcosa. Si bloccò. Quasi di fronte a sé, intravide un rettangolo che sembrava costitui-
re una macchia più chiara rispetto all'oscurità circostante. Si alzò in piedi, reggendo ancora il pesante fucile in una mano, e si avviò cautamente verso quella che sperava fosse una porta o un passaggio, o anche solo una finestra. I suoi stivali affondarono in una sostanza melmosa in parte gelata. Un odore acre di vegetazione in decomposizione si alzò nell'aria gelida. Con cautela, egli avanzò, un passo dopo l'altro, coprendo quasi tre iarde di pavimento irregolare e sconnesso, fino a trovarsi di fronte al varco che si apriva nella scura parete di pietra. Un tempo, lì, doveva esserci stata davvero una porta, con tanto di stipiti e di architrave. La parte inferiore dell'apertura era riempita a metà di detriti parzialmente coperti da terra e forse da muschio. Alucius passò una mano sulla pietra del muro: era liscia, quasi come vetro e con pochissime fenditure. Esaminò il corridoio al di là, in qualche modo meno buio, e scorse una specie di rampa che portava verso l'alto. Doveva essersi trattato di una scala, i cui gradini erano stati però interamente coperti di terra. Prima di lasciare la stanza Alucius lanciò un'occhiata alla Tavola, alle sue spalle. Come la precedente, anche questa aveva cominciato a emettere un bagliore violaceo, visibile solo attraverso il Talento. Grazie a quel bagliore egli poté constatare che, effettivamente, la Tavola era semisepolta dai detriti e dalla terra. Si girò e cominciò a risalire la rampa. A metà strada, alla sua sinistra e quasi all'altezza del torace, Alucius scorse una fenditura nel muro dalla quale filtrava aria. Vi infilò la testa. Sopra di lui, attraverso un'apertura nel soffitto - o nel tetto - si vedevano le stelle, stelle che gli parvero familiari, quasi come quelle che si potevano ammirare a Punta del Ferro. Gli venne da scuotere il capo. Ovvio che era buio. Dopo tutto il tempo che aveva trascorso nell'altra stanza sotterranea, senza contare quello in cui era rimasto privo di conoscenza, lì, dove si trovava adesso, il sole doveva essere tramontato da un pezzo. Non riuscì a trattenere un lieve sorriso, al pensiero che almeno non era intrappolato sottoterra. Continuò ad arrampicarsi su per la rampa fino a raggiungere quello che doveva essere un atrio al pianterreno dell'edificio in rovina. Proprio davanti a sé vide un muro di pietra, ornato da una specie di bassorilievo - o di disegno - ma la luce era troppo debole per consentire persino alla sua acuta vista da pastore di distinguere qualcosa. A destra e a sinistra c'erano due passaggi sormontati da archi. Il tronco massiccio di un albero era caduto a bloccare quello di destra. Sotto al tronco c'erano frammenti di pietre.
Alucius attraversò l'altro passaggio e si trovò in un corridoio fiancheggiato da colonne. Il soffitto sopra di lui appariva sufficientemente solido. D'un tratto, si vide guizzare davanti agli occhi tanti minuscoli puntini bianchi e, per un attimo, si sentì debole e in preda alle vertigini. Si fermò e si appoggiò con la mano a una delle colonne. Per un po' rimase là fermo, dolorante, stanco e disorientato, mentre i pensieri più svariati gli attraversavano la mente. Solo poco più di due anni prima non sarebbe stato così traumatizzato dai singolari avvenimenti di quella giornata. Ma, dopo essere tornato alla relativamente tranquilla vita di pastore e dopo aver trascorso un paio di stagioni a combattere e a cavalcare, gli risultava difficile credere di avere di nuovo a che fare con gli ifrit e con le Tavole. Aveva cercato di sfuggire Tarolt ed era stato scaraventato, attraverso il condotto di una Tavola, contro una barriera, finendo quasi sepolto vivo. Nel suo tentativo di fuggire una seconda volta, aveva dovuto superare un'altra barriera e si era trovato in quel posto buio e freddo dove c'era un'altra Tavola abbandonata. Eppure, a causa di ciò che egli aveva fatto - o per merito degli ifrit - quelle Tavole fuori uso o inattive avevano ripreso a funzionare. Gli ifrit erano molto più potenti di quanto avesse pensato e ancora non aveva idea di chi avesse rapito Wendra o di dove lei si potesse trovare. Da ciò che aveva potuto capire, gli ifrit che aveva incontrato non ne dovevano sapere niente. Gli erano parsi stupiti o disinteressati all'idea che un pastore fosse scomparso. Inoltre, Alucius aveva l'impressione che a Corus ci fossero molti più ifrit di quanti ne avesse visti. Molti di più. Un altro attacco di vertigini gli confermò che aveva assoluto bisogno di riposare, o sarebbe finito lungo disteso da qualche altra parte, ancora più malconcio. Lentamente, Alucius proseguì lungo il corridoio, che sembrava meno freddo delle altre parti dell'edificio. Quasi in fondo, attraverso uno stretto varco nella parete, varco che doveva essere stato una porta ormai sparita da tempo, egli trovò finalmente una piccola stanza sgombra di terra e detriti. Così si rannicchiò in un angolo, tenendo il fucile a portata di mano. Sentiva male dappertutto, ma un po' di sonno gli avrebbe giovato. Almeno lo sperava. 128
Una luce uniforme e argentea inondava il corridoio fuori dalla piccola stanza in cui Alucius aveva trovato riparo, riflettendosi sulle lisce pareti di pietra e sulle sue palpebre e facendolo piano piano svegliare. Ricordandosi del precedente risveglio, dopo l'ultimo viaggio attraverso la Tavola, Alucius aprì gli occhi e girò adagio la testa. Un dolore sordo - ma lieve - al capo gli fece tornare in mente gli eventi del giorno addietro, così come le fitte che avvertiva al torace e alle braccia e la secchezza della bocca e le labbra screpolate. Pensava di avere già visto prima di cosa fossero capaci gli ifrit, ma non aveva idea che potessero essere così potenti. Ma, d'altra parte, era anche riuscito a ucciderne uno con il fucile e le pallottole rivestite di oscurità. Il solo problema era stato rappresentato dal fatto che ce ne fossero tre, e chissà quanti altri di cui non era a conoscenza. Il suo fiato produceva nuvolette di condensa a ogni respiro, sebbene Alucius fosse dell'idea che non facesse freddo a sufficienza da gelare l'acqua. Tuttavia, era ben contento di avere indosso gli indumenti di seta nerina e il pesante giaccone. Si mise a sedere e osservò le colonne del corridoio che aveva percorso la notte precedente. Ciascuna di esse era di pietra ambrata color dell'oro, come le torri delle arianti o gli antichi edifici di Dereka, o i palazzi degli ifrit che gli erano apparsi più di una volta in sogno. La luce proveniva dai pannelli trasparenti del lucernario incassato nell'alto soffitto del corridoio. Una cosa gli era chiara. Doveva assolutamente soddisfare più di una necessità corporale, non ultima quella di trovare dell'acqua per dissetarsi. Si rimise in piedi, recuperò il fucile e lo controllò, poi si avviò lungo l'antico corridoio. Le uniche impronte sul pavimento coperto di sporcizia grigiastra alta quasi una spanna erano quelle dei suoi stivali della sera precedente, impronte che in alcuni punti avevano rimosso lo strato di sporco rivelando piastrelle di un pallido colore verde. Alucius svoltò a destra, sperando di trovare una qualunque via d'uscita, anche se quel passaggio sembrava terminare in una rientranza buia meno di quindici iarde più avanti. Continuò comunque ad avanzare. C'era un'uscita - o meglio c'era stata - ma ora appariva sbarrata da blocchi di pietra dorata sigillati con il cemento. Vi batté sopra il calcio del fucile, ma sentì solo un sordo clanc. Il muro,doveva essere robusto. Tornò sui suoi passi, controllando tutte le stanze che davano sul corridoio. Erano tutte vuote e avevano tutte le finestre murate. Quando infine tornò in cima alla rampa che portava alla Tavola, Alucius
non solo si sentiva assetato e affamato, ma era anche parecchio perplesso. Presumibilmente, il Cataclisma doveva essere avvenuto all'improvviso e senza alcun preavviso, eppure qualcuno aveva avuto cura di sigillare ogni via d'accesso all'edificio. Chi poteva essere stato? Quando? E perché? Per proteggere la Tavola? Quel pensiero bastò da solo a farlo raggelare molto più degli spifferi ghiacciati che penetravano all'interno delle stanze. Mentre scendeva la rampa, Alucius passò accanto alla fenditura che aveva scoperto la notte precedente e vi si affacciò: i raggi del sole filtravano lambendo il tronco massiccio di un albero, probabilmente lo stesso che bloccava il passaggio al pianterreno. In alto, tra il tronco e il soffitto di pietra, si vedeva uno squarcio della larghezza di circa mezza iarda e della lunghezza di una. Dopo essersi infilato a fatica nella fenditura, Alucius riuscì ad arrampicarsi quel tanto che bastava ad afferrare una sporgenza nel muro, convinto che gli si sarebbe sbriciolata tra le dita, ma che invece risultò robusta come il ferro. Poi si protese e introdusse il fucile in una crepa, facendo leva con entrambe le braccia per issarsi. Quando finalmente riuscì a recuperare il fucile e a infilarsi nell'esiguo spazio tra la lastra di pietra del soffitto e il tronco, aveva il respiro affannoso ed era tutto sudato. L'albero sembrava caduto di recente e le tacche sulla corteccia erano ancora fresche e ben visibili, ma Alucius sentì con il Talento che il legno era del tutto privo di vita. Eppure, non si stava decomponendo. Toccò il tronco, che doveva appartenere a qualche specie di conifera e che aveva un diametro di oltre tre iarde: era freddo come il marmo. Subito ricominciò ad arrampicarsi lungo il tronco, aiutandosi con le mani e con i piedi, finché non ebbe raggiunto la cima dell'edificio e non si trovò seduto alla debole e pallida luce del sole, che non offriva alcun tepore contro il gelo che lo avvolgeva. Si chinò e batté sul tronco con il calcio del fucile. Anche il suono che ne usciva era simile a quello emesso da una pietra. Mentre riprendeva fiato, si guardò intorno. Davanti a lui, l'albero caduto si innalzava a formare un angolo inclinato rispetto alle lastre ambrate e alle piastrelle verdi che costituivano il tetto della struttura. Non scorse tracce di neve o di gelo, né sulle piastrelle né sul tronco. Ma spalancò la bocca per lo stupore nell'accorgersi che anche i rami e gli aghi dell'abete sembravano pietrificati, come se l'albero fosse stato vivo fino a un attimo prima e si fosse trasformato in pietra quello immediatamente successivo, pietra che però aveva conservato il colore e la forma originali.
Nei dintorni non si vedevano altri alberi. L'edificio sorgeva su una modesta altura dai fianchi coperti di neve. In basso - in tutte le direzioni tranne che a nord - si stendeva una pianura innevata, punteggiata qua e là da basse collinette. Non c'era vegetazione, né rocce o pietre che non fossero coperte da quel candido manto. A nord, a giudicare dalla posizione del sole, quella bianca distesa proseguiva per circa un vingt, per poi terminare bruscamente a ridosso di un imponente muro di nuvole grigie frammisto a vorticosi mulinelli di neve. In alto, nel cielo, incombeva una massa di nuvole ancora più cupe. Alucius spostò lo sguardo in un'altra direzione. In cima all'altura, a sud dell'edificio, scorreva un ruscelletto di acqua scura, al di sopra della quale si innalzava una leggera nebbiolina. Dovette resistere all'impulso di precipitarsi subito da quella parte. Negli ultimi tempi aveva agito anche troppo precipitosamente. Si servì invece del Talento per ispezionare tutta l'area circostante, cercando di ignorare il mal di capo che quello sforzo gli stava procurando. Avvertì, la presenza di alcuni uccelli, di un animale che avrebbe potuto essere una volpe della neve e di alcuni roditori simili agli scricci. Al di là della piccola altura, sul lato opposto del ruscelletto, la distesa di neve sembrava prolungarsi all'infinito. A quel punto, strisciò adagio lungo il tronco dell'albero fino a raggiungere le radici pietrificate che si protendevano verso l'alto impedendogli di proseguire oltre. Da lì, stringendo ben saldo il fucile nella mano sinistra, si lasciò cadere sulla neve. La superficie era gelata, ma quando la crosta cedette sotto il suo peso liberò una nuvola di farinosa polvere bianca che, per un attimo, lo accecò. Si ritrovò in piedi, immerso nella neve fino alle cosce. Sentì che i suoi stivali poggiavano non sulla roccia o sulla terra indurita dal gelo, ma su uno strato di ghiaccio. Passo dopo passo, scese faticosamente il fianco della collina verso il ruscello, fermandosi in un tratto in piano a poche iarde dalla riva e tastando con cautela il terreno, a mano a mano che avanzava. Alla fine, si chinò, tese la mano e toccò l'acqua. Nonostante i vapori che si alzavano dalla sua superficie, l'acqua pareva ghiaccio liquido, tanto che Alucius ne poté bere solo piccolissimi sorsi alla volta. Ma anche così, quando finalmente ebbe placato la sete, era ghiacciato fino alle ossa. Si guardò intorno, ma l'aria rimase calma e fredda, senza mostrare segni di vita, se non quelli dovuti alla presenza di alcuni uccelli che saltellavano sulla neve e di roditori, rintanati da qualche parte sotto la candida coltre.
Alucius decise che doveva andarsene da quel posto, e il più presto possibile. Tuttavia, gli sarebbe stato utile sapere dove si trovava. Da ciò che aveva visto, doveva essersi spinto piuttosto a nord, probabilmente nei pressi di Porto del Nord o persino di Caponero, anche se, conoscendo il raggio d'azione delle Tavole, avrebbe potuto anche trovarsi altrettanto a nord, ma più a est, nelle terre di Lustrea. Una sola cosa gli era chiara: l'unico modo per andarsene da lì sarebbe stato attraverso la Tavola. Dopo aver soddisfatto altre necessità impellenti e avere bevuto ancora un po' d'acqua, riprese la via del ritorno verso l'albero pietrificato, per poi dirigersi verso la stanza che ospitava la Tavola, grato di trovarsi al riparo dal vento gelido che stava cominciando ad alzarsi e che diventava sempre più freddo. Il cielo a nord si stava oscurando ed era pregno di dense nuvole grigie provenienti da nordovest. La testa e il corpo gli dolevano ancora, ma non vedeva come avrebbe potuto sentirsi meglio continuando a starsene in quell'edificio ghiacciato nel bel mezzo di un territorio altrettanto ghiacciato. Esaminò ancora tutte le stanze del pianterreno, ma non scoprì nulla, nemmeno torce da parete che avrebbero potuto nascondere l'accesso a passaggi segreti. Solo mura, colonne, pavimenti e soffitti, tutti di fredda pietra. Non trovò neppure un frammento di pergamena o di metallo. Alucius si fermò in cima alla rampa che portava alla Tavola e cercò di riflettere. L'ultima Tavola - quella sotto le macerie - corrispondeva alla freccia rossastra. Quella di Salaan alla freccia verde scuro e quella dov'era adesso alla freccia nera. Quella di Tempre era collegata alla freccia blu e quella dove, anni prima, si era trovato ad affrontare l'ingegnere posseduto da un ifrit alla freccia argentata. La Tavola di Tempre non esisteva più e quella dell'ingegnere era anch'essa probabilmente sepolta sotto un cumulo di macerie. Inoltre, non gli era andata molto bene contro gli ifrit di Salaan, quando poteva ancora contare su tutte le sue forze. Perciò doveva trovare un'altra Tavola, magari una più vecchia e non sorvegliata dagli ifrit. Ammesso che ce ne fosse una con quelle caratteristiche. Il suo fiato produceva nuvolette di condensa ancora più evidenti nell'aria e il suo corpo era scosso dai brividi. Era il freddo causato dall'imminente tempesta? O il fatto che fosse stanco e affamato? Serrò le labbra, sollevò il fucile, che si stava facendo sempre più pesante, e scese al piano di sotto. Quando entrò nella stanza della Tavola notò che il fango attorno alla sua base era più solido, quasi si fosse del tutto congelato. Nel fioco bagliore
violaceo emesso dalla Tavola, Alucius controllò le pareti, ma non trovò alcun segno di supporti di torce o di passaggi segreti. Quando ebbe terminato la sua ricerca i denti gli battevano in modo incontrollabile. Perciò fece un respiro profondo e balzò rapido sulla Tavola, come se temesse di cambiare idea. Si concentrò sull'oscurità sotto la superficie, sui condotti che portavano... ovunque... Ancora più rapidamente di prima, Alucius si sentì precipitare nella gelida oscurità violacea. Nell'eternità che seguì, egli cercò di percepire da qualche parte sopra di lui i segnali a forma di freccia e trovò quello rosso dall'aria ostile, quello verde scuro, quello argentato e quello nero. Non vide alcuna indicazione guida dei fili verde-dorati che portavano alla città nascosta, neppure oltre il buio condotto che stava percorrendo, dove invece li aveva trovati la volta precedente, anni addietro. Ma doveva esserci qualcos'altro... qualche altro posto dove poter andare... Riuscì ad avvertire, in un certo senso più vicino a lui, un condotto viola scuro diretto verso un'oscurità ben peggiore di qualunque altra esistente a Corus: il mondo degli ifrit. Alucius non aveva alcun desiderio di farsi trasportare là. Fronteggiare un mondo interamente popolato da quelle creature, quando riusciva a malapena a cavarsela contro uno solo di loro, sarebbe stata pura follia. Ancora una volta, cercò oltre il condotto di gelida oscurità violacea, ma non trovò niente. Era possibile che non ci fosse proprio nessuna indicazione? Lottò con tutte le sue forze per trovare qualcosa, qualunque cosa. Su un lato, ben discosto dal centro, Alucius percepì qualcos'altro: un debole cerchio color oro e cremisi, appena visibile, ma il cui tenue bagliore non sembrava né vacillare né allontanarsi. Gli parve che ce ne fosse anche un altro, di un viola carico sfumato di rosa, ma quello era molto più distante e lui era stanco... così stanco. Come in precedenza, i suoi riflessi si erano fatti lenti e confusi, ed egli proiettò disperatamente la sua Talento-sonda verso il cerchio oro e cremisi, più simile a una nebbia indistinta. Eppure doveva rappresentare... qualcosa. Concentrò tutto se stesso verso quella nebulosità evanescente, cercando di avvicinarla. Persino prima che se ne rendesse conto venne spinto contro una barriera, quasi un muro di liquido argento dorato, che si frammentò al suo passaggio producendo un suono simile al ticchettio della pioggia.
129 Salaan, Lanachrona I due ifrit erano in piedi ai lati della Tavola che troneggiava al centro della stanza sotterranea. Il passaggio segreto era stato chiuso e la parete nella quale era incassato non sembrava diversa dalle altre. «La Tavola di Soupat è sulla rete. E anche quella di Caponero.» Trezun guardò Tarolt. «Waleryn pensa che la Tavola di Norda sarà completamente funzionante tra una settimana, due al massimo. Il freddo ha rallentato i lavori.» «Come sempre. Mi piacerebbe così tanto operare in un mondo più caldo, ma l'universo non prende nota dei desideri dei singoli.» «Purtroppo.» «Come avete fatto a inserire in rete quella di Caponero?» La voce di Tarolt lasciava trapelare poco più di una velata curiosità. «Non sono stato io. Immagino che sia stato il colonnello pastore, visto che c'è stata una traslazione dalla Tavola di Soupat.» «Il fatto che sia arrivato fino a Caponero dimostra che possiede una notevole abilità, seppure supportata da scarse conoscenze.» «Credete allora che si tratti degli antichi abitanti?» «No. Caponero si trovava ai limiti del loro raggio d'azione persino quando erano al culmine della potenza.» Tarolt sorrise. «E non si può certo dire che lo siano adesso.» «Potrebbero averla tenuta nascosta, questa loro potenza.» «Non credo proprio. Giacché sono ridotti a servirsi di Talentoprincipianti come loro agenti.» Tarolt gesticolò verso la Tavola. «Le due Tavole riattivate... di quanto rafforzano la rete?» «Di una decima parte, per ora. Un'altra decima parte, quando la Tavola di Norda sarà pienamente operante e potrà trasmettere loro energia attraverso la rete.» «Morale della favola, abbiamo consolidato la rete, ma l'abbiamo aperta a un emissario degli antichi abitanti, il quale, per quanto debole, è riuscito a sopravvivere all'impatto della prima barriera e a fare un'altra traslazione.» «È impossibile che sopravviva a Caponero», gli fece notare Trezun. «No. Ma come facciamo a sapere se rimane lassù? Avverti Waleryn che il colonnello pastore è in grado di usare le Tavole.» Tarolt fece una pausa. «Sarà meglio che cominciate a fare delle trasla-
zioni da Tempre. È sufficientemente vicina da non avere bisogno di una Tavola per arrivarci. Inoltre, il Signore-Protettore crede che la stanza che la ospita sia sigillata.» «Volete che mi occupi della ricostruzione di quella Tavola?» «E di quale altra sennò? Dobbiamo riconquistare il controllo sul Signore-Protettore.» Trezun annuì adagio. «Richiederà del tempo.» «Tutto richiede tempo, ed è l'unica cosa che scarseggia. Sarà meglio che mandiate un messaggio ai responsabili delle operazioni riguardo a questa faccenda del Talento-principiante.» «Non saranno per niente contenti.» «No. Ma lo sarebbero ancora di meno se lo scoprissero più tardi e se noi non li avessimo avvisati. E poi, è bene che sappiano che stiamo affrontando delle difficoltà. Forse li spingerà a fornirci un maggiore supporto.» «Questo è vero», convenne Trezun. «Dobbiamo chiedere un rimpiazzo per Sensat?» «Sarebbe opportuno, ammesso che ci sia qualcuno disposto a correre il rischio e con energia vitale sufficiente a compiere una lunga traslazione verso una rete marginale. Ma formulate il vostro messaggio con estrema cautela. Non vorrei far preoccupare Lasylt più del necessario.» Di nuovo, Trezun annuì adagio. 130 Nell'emergere dall'oscurità violacea, Alucius vacillò e avanzò di un paio di passi prima di rimettersi in equilibrio. Si guardò intorno con circospezione, ma non vide nessuno. Si trovava in una stanza vuota, all'interno di una fossa quadrata, circa mezza iarda più in basso rispetto al pavimento di pietra circostante. La polvere sollevata dai suoi stivali gli turbinò intorno facendolo starnutire - con violenza - più volte. Con la mano libera si strofinò il naso cercando di bloccare il prurito e gli starnuti. Alla fine, si guardò intorno, notando immediatamente che l'aria era molto più calda, se non addirittura primaverile. Ancora una volta era finito in un locale sotterraneo, tranne che questo era illuminato, seppure fiocamente, da una luce proveniente da una porta alla sua sinistra. Trascorse un momento prima che si rendesse conto che nella stanza non c'era una Tavola. Nessuna Tavola? Ma allora come aveva fatto ad arrivare fin lì? Mentre usciva dalla fossa, aggrottò la fronte pensoso, pur continuando a
guardarsi attorno. Non era stato in grado di trovare le indicazioni a forma di freccia. E neppure quelle verde-dorate delle arianti e della loro città nascosta. Aveva cercato di avvicinare un nebuloso cerchio color oro e cremisi e aveva attraversato una sorta di barriera. Forse questo significava che le Tavole rendevano solo gli spostamenti più facili? Ricordò tutte le ubicazioni delle Tavole di cui era a conoscenza. Ciascuna era collocata su uno strato roccioso, o nelle sue immediate vicinanze, ed era fissata in profondità nel terreno. Il che significava che le Tavole potevano essere costruite solo in determinati luoghi. Alucius guardò la buca delle dimensioni di una Tavola e annuì adagio tra sé. A parte tutte queste considerazioni, aveva bisogno di cibo e di riposo, e il più presto possibile. Cercò di non pensare troppo alla situazione in cui si trovava. Sua moglie era scomparsa, e adesso lo era anche lui, o almeno mancava dal quartier generale delle Guardie del Nord in un momento in cui la sua assenza sarebbe stata sicuramente notata. Nel frattempo, però, doveva occuparsi di necessità più immediate. Esaminò la stanza. Non c'erano mobili, solo le nude pareti, che questa volta, però, erano di durapietra dorata. Al pari delle altre stanze che ospitavano le Tavole, anche in questa c'era un unico ingresso visibile, sebbene la porta di legno e l'intelaiatura che in origine dovevano essersi trovate là, fossero da lungo tempo sparite. Col fucile ancora stretto in pugno, Alucius uscì dalla stanza e cominciò a salire la scala di pietra, adagio, poiché gli sembrava di udire un mormorio di voci. A ogni passo la polvere turbinava attorno ai suoi stivali. A metà strada si fermò, le orecchie tese ad ascoltare. «... al sicuro...» Alucius cercò di comprendere il significato di quelle parole, pronunciate in un lanachroniano dallo strano accento. «... abbastanza al sicuro... i soldati del Consiglio stanotte non verranno da queste parti...» «... sei certo?» «... zona appartata... pensano che in questo posto ci vivano i demoni...» «... sono già stato qui prima... mai visti...» Alucius verificò il fucile, poi salì un altro gradino e un altro ancora, cercando di muoversi lentamente, in modo da non sollevare troppa polvere, finché non raggiunse la cima della scala e non si trovò in un piccolo atrio. Udiva ancora le voci, che sembravano provenire dalla stanza più grande, poco più in là.
Gli sconosciuti continuarono a parlare. Poiché si sentiva stanco, per attraversare quella stanza Alucius decise di rendersi invisibile e creare l'illusione di essere un venticello leggero. Se non avesse funzionato, forse la presenza del fucile sarebbe bastata a intimidire gli sconosciuti, dato che davano l'impressione di essere dei semplici mendicanti o senzatetto. Si concentrò quindi a creare l'idea del nulla, poi entrò procedendo di un passo alla volta. «... sentito qualcosa...» Una delle figure dagli abiti laceri si voltò verso il punto in cui si trovava Alucius. Il giovane colonnello strinse più forte il fucile. Un secondo mendicante, un uomo barbuto con indosso una tunica grigia senza maniche, guardò anche lui in direzione di Alucius, tenendo lo sguardo puntato però sui suoi stivali. «... là... impronte di stivali... guarda!» «Ma non c'è nessuno.» «È un demonio o sono gli stivali di un demonio!» «Nargila, scappa! Scappa!» «Non c'erano demoni... avevi detto nessun demonio!» «Corri!» Non appena le tre figure coperte di stracci si furono allontanate, Alucius lasciò cadere l'illusione di invisibilità. Poi si diresse adagio verso le finestre dalle quali entrava una luce radente. Accostandosi a una finestra bassa e ampia, un tempo provvista di telaio e di vetri, guardò fuori nel chiarore soffuso del tardo pomeriggio e vide una città, le cui case, illuminate dai raggi obliqui del sole al tramonto, emettevano un bagliore dorato. Dovette strizzare gli occhi, cercando di non guardare in direzione del sole, ma riuscì ugualmente a distinguere i muri di pietra dorata e le scure tegole di ardesia che caratterizzavano i fabbricati in lontananza, verso nord. Più vicino, in basso, accanto all'edificio in cui si trovava, correva una strada dal selciato ugualmente dorato, nella quale anni di passaggi di carri avevano scavato solchi profondi quasi una spanna. Bastò questo perché Alucius capisse immediatamente dove si trovava: nella città di Dereka, la capitale di Deforya. Per avere conferma, si sporse e scrutò ancora a nord, dove riuscì a vedere un altro dei palazzi in durapietra dorata, palazzi costruiti con grossi blocchi di pietra assemblati l'uno sull'altro con perizia tale da non mostrare alcun segno di giunture o di cemento. Poco più a nord, c'era anche una torre di pietra verde. Si allontanò dalla finestra e sbadigliò. In un certo senso si sentiva sollevato di trovarsi in una città che conosceva, ma anche preoccupato di avere
scoperto quante Tavole fossero state costruite in passato. Dopo un momento, Alucius si voltò e si avviò nella direzione presa dai mendicanti fuggitivi. Dopo essere sceso da un'ampia scala di pietra e uscito da un passaggio sormontato da un arco squadrato che dava sul lato nord dell'edificio, si trovò in strada e si incamminò verso ovest. Mentre proseguiva, vide che un venditore ambulante lo fissava, ma, a parte quello, nessun altro parve notarlo. Prese la precauzione di tenere il giaccone abbottonato, così che non si scorgessero le insegne sul colletto della divisa. Quando ebbe raggiunto il viale principale, guardò verso sud, ma tutto ciò che riuscì a vedere del palazzo del Landarco fu una minuscola sezione dei cancelli principali e un'altra torre verde, quella all'estremità nord. Da quel che gli sembrava di ricordare, a sud del punto in cui si trovava non dovevano esserci locande o pensioni, giacché erano tutte concentrate a nord. Perciò, sebbene riuscisse a malapena a trascinare i piedi, si costrinse a camminare di buon passo in quella direzione, lungo il viale principale. Ricordò anche che doveva evitare di stare al centro del viale, dato che quella porzione di strada era riservata ai cavalieri e alle carrozze. Il fatto di portare un fucile lo fece sentire a disagio, ma poi vide in giro parecchi individui ancora più stanchi e malconci di lui, anch'essi armati. Quello era un particolare che non aveva riscontrato durante il suo precedente soggiorno a Dereka. Le vie erano meno affollate di un tempo ed erano poche le persone che alzavano gli occhi quando si incrociavano l'un l'altra. Dovette proseguire per quasi mezzo vingt prima di giungere a un angolo e scorgere sul lato opposto della strada un fabbricato a tre piani dotato di un'insegna in cui si proclamava che l'edificio in questione era una locanda chiamata «La Casa Rossa». Accanto al nome era raffigurata per l'appunto una casa rossa. Tutte le imposte, le porte e gli infissi erano stati dipinti in tempi recenti di un colore rosso brillante che contrastava contro il grigio delle pietre dei muri, pietre che dovevano senza dubbio essere state recuperate da qualche struttura molto più vecchia. Il posto sembrava di certo molto più costoso di quanto Alucius avesse desiderato, ma probabilmente sarebbe stato più rispettabile di uno a buon mercato. Così attraversò la strada e varcò la porta sormontata da un arco in pietra. Un giovane dai capelli neri con indosso un gilè di pelle rossa si alzò da una piccola scrivania situata in un angolo dell'atrio spazioso. «Sì?» «Sto cercando una stanza, e vorrei anche cenare.»
Il giovane dalla corporatura snella osservò Alucius, il pesante fucile e il giaccone foderato di seta nerina. «Sono cinque monete di rame a notte per la stanza. Sette, se vi occorre anche un ricovero per il cavallo.» «Il cavallo non ce l'ha fatta ad arrivare fin qui», replicò Alucius, augurandosi che il suo baio fosse in buona salute. Ma del resto poteva fare ben poco, visto che si trovava a circa seicento vingti da Salaan. «State raggiungendo l'armata del Consiglio?» «Non pensavo... Quando sono partito, be', il Landarco aveva problemi, ma...» Alucius sperava di poter ottenere maggiori informazioni, dando quella vaga risposta. «Di problemi ne ha avuti un bel po'.» Il giovanotto scosse il capo. «Tutto è cominciato quando i lanachroniani vennero e sconfissero i nomadi. Più di due anni fa. Il Landarco dichiarò che i proprietari terrieri non avevano rispettato gli accordi. Cercò di ridurre i privilegi di cui godevano. I proprietari terrieri si lamentarono... complotti di qui e complotti di là. Una bella mattina mi sono svegliato, circa un mese fa, e il Landarco era morto, e il Consiglio aveva assunto il potere.» Alucius annuì. «Credo che ci dovrò pensare un po' su.» «Volete una camera? Ne abbiamo una piccola all'ultimo piano. Possiamo metterci d'accordo per quattro monete di rame.» «Va bene, la prendo. Devo pur dormire da qualche parte. In camera c'è una bacinella con un asciugamano?» «Tutte le camere ne sono provviste. Se vi serve più acqua, potrete riempire la brocca qui da basso.» «Grazie.» Alucius porse all'altro le monete di rame, poi esibì un sorriso stanco. «Cosa c'è di buono da mangiare stasera?» «Lo stufato è sempre ottimo, ma il pollo alla melaprugna è probabilmente ancora meglio. O le tagliatelle verdi con il maiale.» Il giovane gli tese una pesante chiave di bronzo. «La prima porta a sinistra in cima alle scale. Ha un quadrato rosso sul pannello.» «Grazie.» «Signore, è meglio che lasciate il fucile in camera. Sarà più al sicuro.» Alucius annuì. La scala che conduceva al primo piano era ampia, con scalini di pietra liscia. Quella che portava invece al secondo e ultimo piano era più stretta, con scalini di legno coperti da una passatoia grigio scuro. La chiave girò senza problemi nella grossa serratura e Alucius aprì la porta dal quadrato rosso dipinto sul pannello.
Poiché si era aspettato una brandina in uno stretto cubicolo, rimase piacevolmente sorpreso nel vedere la stanza: un locale di tre iarde e mezzo per quattro con una piccola finestra che dava verso uno dei palazzi in durapietra dorata abbandonati. Le imposte interne erano di scuro legno di quercia e il letto, benché singolo, era provvisto di un robusto materasso, di entrambe le lenzuola e di una pesante coperta. Sul lavabo c'erano due brocche, una grossa bacinella e due asciugamani. Dopo aver infilato il fucile sotto il materasso, Alucius si accostò al lavabo. Adagio e con estrema cautela, si sfilò la casacca e gli indumenti di seta nerina, rimanendo nudo fino alla cintola. Come aveva sospettato, c'erano lividi dappertutto. Alcuni erano ancora scuri, ma altri stavano già cominciando ad assumere una sfumatura giallo-viola. Piano piano, si lavò via lo sporco e la polvere. Avrebbe anche voluto farsi la barba, poiché i corti e ispidi peli gli pizzicavano la pelle, ma tutte le sue cose erano rimaste al quartier generale. Tuttavia, per quanto fredda, l'acqua lo fece sentire meglio. E gli avrebbe giovato anche un po' di riposo, ma quello avrebbe dovuto aspettare finché non avesse cenato. Dopo essersi lavato, si spazzolò via la polvere dal giaccone e dalla casacca, servendosi dell'angolo inumidito di uno degli asciugamani per rimuovere le macchie più evidenti. Si tolse le insegne dal colletto della divisa e le infilò nel borsello. Poi uscì dalla camera chiudendo la porta a chiave e scese le scale diretto verso la sala da pranzo. Si tenne addosso il giaccone, ma lo lasciò sbottonato. Solo una metà dei tavoli nella lunga sala era occupata e, mentre Alucius si guardava intorno, una cameriera dal grembiule rosso non esattamente immacolato si fermò e indicò con la mano i tavoli liberi. «Accomodatevi dove volete, signore.» «Grazie.» Alucius annuì e si avviò verso l'unico tavolo d'angolo che non era occupato. Aveva appena preso posto che gli si avvicinò un'altra cameriera, una donna tarchiata, con indosso anche lei un grembiule rosso. «Cosa prendete, signore?» «Qual è la lista dei piatti?» domandò Alucius. «Maiale con tagliatelle, pollo alla melaprugna e stufato. Sono quattro monete di rame ciascuno. La birra costa due e il vino tre.» «Birra e pollo.» «Torno subito.»
Alucius si guardò tutt'intorno, ma non vide - né sentì con il Talento nulla di insolito. Nessuno dei clienti né dei camerieri presentava tracce violacee. Della qual cosa Alucius fu molto grato. Avrebbe voluto essersi fatto almeno un'idea di dove trovare Wendra, per raggiungerla. Ma temeva di non essere in grado di muovere nemmeno un dito finché non si fosse rifocillato e non avesse dormito un po', e questo lo infastidiva ancora di più. Non gli era mai piaciuto non sapere le cose e, adesso che Wendra era coinvolta, la faccenda gli piaceva ancora meno. Così come non gli piaceva il fatto che in giro per Corus ci fossero più ifrit di quanti ne avesse immaginati. Senza contare che alcuni di essi erano veri ifrit e non soltanto persone possedute. Si appoggiò allo schienale, ascoltando frammenti di conversazione dagli altri tavoli e cercando di non pensare a Wendra, mentre aspettava la birra e il pollo. «Il Consiglio aumenterà i pedaggi sulla strada principale settentrionale...» «Era ora...» «Al Pretore di Lustrea la cosa non andrà a genio...» «... è giovane... circa due anni fa il suo esercito è stato quasi spazzato via da Aellyan Edyss... non può avere così tanti soldati adesso...» «... e se li avesse... il Consiglio potrebbe semplicemente abbassare i pedaggi... vale la pena di provare...» «Giusto... qualunque cosa sarà meglio di nuove tasse...» Alucius non ne era certo, ma lo sconosciuto che si preoccupava delle tasse sembrava un mercante, piuttosto che un proprietario terriero. «Ecco la vostra birra. Fa due monete di rame.» Alucius porse il denaro alla cameriera, poi bevve un lungo sorso. La birra era robusta, di un bel colore ambrato scuro, ma non amara, e fresca. Mentre la sorseggiava, continuò a porgere orecchio alle chiacchiere. «... dobbiamo stare attenti... dicono che il Consiglio voglia arruolare altri soldati...» «... non c'è motivo... non di questi giorni...» «... ecco perché dobbiamo stare attenti...» «... oh...» «Il Signore-Protettore è impegolato con Madrien... dicono che ci sia una Reggente adesso...» «Madrien ha sempre creato problemi...» «... scommetto che ce ne saranno molti di più tra un po'. Ma dimmi... ho sentito che tua figlia...»
Mentre la cameriera tornava con il pollo, Alucius perse il filo della conversazione. «Ecco il vostro pollo, signore.» «Forse potete aiutarmi.» Alucius le tese cinque monete di rame. «Sono appena arrivato dall'ovest... Ho sentito dire che il Landarco è stato ucciso e che al suo posto è stato nominato un Consiglio. Sapete per caso chi ne fa parte?» La cameriera si strinse nelle spalle. «Dicono che siano tutti proprietari terrieri. Credo che nessuno lo sappia bene però.» Alucius annuì. «Immaginavo che si trattasse di una cosa del genere. Grazie.» L'altra gli sorrise educatamente. «Chiamatemi, se desiderate altra birra.» «Senz'altro.» Il pollo era buono, così come lo erano le tagliatelle e il pane che lo accompagnavano, anche se forse la sua opinione sul cibo era influenzata favorevolmente dalla fame. Ancora prima di finire gli ultimi bocconi, si sentì le palpebre così pesanti che quasi andò a sbattere con la testa sul piatto. Il cibo e il calore della sala - insieme alla stanchezza accumulata nel corso degli ultimi giorni - gli stavano procurando molto più che non un semplice torpore. Si alzò da tavola e si avviò verso la camera. Il fucile era ancora dove l'aveva nascosto e, oltre a chiudere la porta a chiave, Alucius fece scorrere la barra del chiavistello nei suoi supporti per essere sicuro che il suo sonno non venisse disturbato. Poi si sedette sull'orlo del letto. Si sfilò gli stivali e si spogliò adagio. Si era appena infilato sotto le coperte che piombò in un sonno profondo. 131 Nord di Punta del Ferro, Valli del Ferro Sul calar della sera, il ragazzo percorse a cavallo l'ultimo tratto del viottolo che portava alla fattoria, seguito da un'altra cavalcatura priva di sella. Prima ancora che giungesse ai piedi dei gradini che salivano alla veranda, il pastore anziano era già sceso ad aspettarlo, a capo scoperto, sotto i radi fiocchi di neve primaverile che gli mulinavano intorno. «Signore, sono tornato il più presto possibile.» «Hai parlato con Alucius? Gli hai detto di Wendra?» gli domandò Royalt. «Sì, signore.» Korcler deglutì. «Adesso è sparito anche lui.»
Per un lungo momento Royalt fissò il ragazzo. «Non è stata colpa mia, signore. Non sapevo cosa volesse fare.» «Adesso portiamo i cavalli nella stalla, poi ci racconterai. L'hai detto ai tuoi genitori?» «No, signore. Non mi sono fermato a casa. Loro... loro non volevano che andassi a Dekhron. Ho pensato che fosse meglio dirlo subito a voi. Potrebbero non lasciarmi andare da nessuna parte per parecchio tempo, dopo. Ma ho pensato... qualcuno... e adesso... è ancora peggio di prima.» Royalt prese il secondo cavallo per le briglie e si avviò verso la stalla. Korcler lo seguì adagio in groppa al suo cavallo. Nessuno parlò finché non si trovarono all'interno e al riparo dal vento. «Non mi avevi detto che tuo padre ti aveva proibito di andare a Dekhron», disse Royalt dopo aver portato il cavallo nel recinto. «Non aveva detto che non potevo, signore», replicò Korcler. «Non gliel'avevo chiesto. Avrebbe risposto di no. Lo sapevo. E Alucius doveva sapere di Wendra. Doveva assolutamente sapere.» Royalt prese la sella e la strofinò, poi chiuse il recinto. «Finiremo dopo qui. Adesso andiamo in casa e tu racconti a me e a Lucenda tutto quello che sai.» «Sì, signore.» Il vecchio pastore chiuse l'uscio della stalla e si avviò rapido verso casa. Korcler dovette allungare il passo per tenergli dietro. «Non siete arrabbiato con me, signore?» «No, Korcler, non sono arrabbiato. Le cose potrebbero andare molto meglio, ma non sono arrabbiato.» Una volta dentro, Royalt condusse il ragazzo in cucina. Lucenda gli mise davanti una tazza di sidro caldo. «Hai mangiato?» «No, signora. Tranne qualche galletta e del formaggio che il maggiore Feran mi aveva dato per il viaggio.» «Ti preparo qualcosa mentre ci racconti cos'è successo.» «Adesso è sparito anche Alucius», disse Royalt. «Come?» esclamò Lucenda, spalancando la bocca. «Gli ho raccontato di Wendra. Gli ho dato il vostro messaggio, signore, e lui l'ha letto. E ha cominciato a comportarsi freddamente. Quasi non avevo il coraggio di parlargli. Poi abbiamo portato i cavalli nelle stalle e mi ha dato una mano a governarli. Dopodiché mi ha accompagnato nei suoi alloggi e mi ha dato qualcosa da mangiare. Ha scritto un biglietto al maggiore Feran. Ed è uscito. Non ha voluto che andassi con lui. Ha detto che sa-
rebbe tornato quella sera.» Il ragazzo si fermò. «Tranne che... aveva detto che se non fosse tornato, io avrei dovuto comunque venire da voi e dirvelo, signore.» Lo sguardo di Korcler era quasi di sfida, ma i suoi occhi evitarono quelli di Royalt. «È andato a cercare Wendra», disse Lucenda. «Dev'essere così. Lei è l'unica che potrebbe averlo indotto ad agire in tal modo. Ma come fa a sapere dove si trova?» «Io... non credo che lo sappia, signora», disse Korcler. «Ha detto che non poteva dirmi dove andava perché non lo sapeva nemmeno lui.» «Dev'essere qualcosa che ha a che fare con Tarolt.» Royalt si accigliò. «Proprio così», ribatté Korcler. «Che intendi dire, ragazzo?» chiese Royalt. «Be', Alucius non è tornato. Neppure la mattina dopo. Così, sono andato dal maggiore Feran e l'ho avvertito. Alucius gli aveva lasciato un biglietto. Non so cosa ci fosse scritto. Il maggiore mi ha detto che si trattava di questioni che riguardavano le Guardie, ma poi ha fatto uno strano sorriso e mi ha chiesto se il colonnello aveva menzionato un certo Tarolt. Gli ho risposto di no e gli ho domandato chi fosse. Lui ha spiegato che era un mercante, l'unico rimasto dei vecchi mercanti, dopo la morte di Halanat. Forse avrei dovuto chiedergli di più...» «Ha detto che Halanat era morto?» «Sì, signore. Chiaro come il sole.» «Quindi Alucius crede che Tarolt abbia qualcosa a che fare con tutto questo», disse Royalt quasi riflettendo tra sé. «Ma adesso è sparito anche lui.» «Sì, signore.» «È vivo.» «Ha affermato che Wendra era viva e stava bene e che qualunque cosa fosse successa era successa nella mattina, anche se non sapeva di cosa si trattasse.» «Non ti ha detto dove stava andando?» «No, signore.» «Questo non favorirà certo la sua immagine di colonnello», commentò Lucenda. «Il maggiore ha assicurato che tutti sapevano che, di tanto in tanto, il colonnello spariva per un po' per svolgere degli incarichi affidati dal SignoreProtettore e che lui avrebbe fatto capire che era così anche questa volta.» Korcler bevve un altro sorso del suo sidro.
«Amici così sono impagabili», dichiarò Royalt. «Feran ha messo la sua testa sul ceppo sperando che nelle vicinanze non ci sia nessuno munito di ascia.» «Sono spiacente, signore», disse Korcler. «Non sapevo che avrei causato problemi. Sapevo solo che lui avrebbe voluto sapere di Wendra. Questo è poco ma sicuro.» Royalt e Lucenda annuirono entrambi. 132 Alucius fu svegliato dai primi raggi del sole, che penetravano obliqui attraverso la finestrella della sua camera all'ultimo piano della «Casa Rossa». Sbadigliò e si girò adagio, poi si mise a sedere sull'orlo del letto. Il cibo e una buona notte di sonno gli avevano senza dubbio giovato. Non si sentiva più bruciare gli occhi e, benché si sentisse ancora dolorante in certi punti, stava decisamente meglio. Non sapeva ancora dove si potesse trovare Wendra, o in che modo avrebbe dovuto procedere, e di certo non aveva neppure idea di come comportarsi esattamente con gli ifrit, o di come tornare a Dekhron senza correre rischi. Qualunque cosa avesse deciso di fare, avrebbe però prima dovuto mangiare e procurarsi alcune cose - sempre che non fossero costate troppo - come ad esempio una borraccia da portare alla cintura e del cibo per il viaggio. Sapeva che non gli sarebbe stato possibile trovare munizioni per il pesante fucile delle Guardie, non a Dereka almeno. Le Guardie del Nord avevano avuto difficoltà a procurarsele anche quando erano state a Deforya la volta precedente. Dopo aver svuotato la bacinella fuori dalla finestra e averla riempita con l'acqua rimasta nella seconda brocca, Alucius si lavò. Poi, mentre si vestiva, controllò il contenuto del suo borsello. Sebbene vi avesse aggiunto del denaro di recente, dopo avere riscosso la sua paga, non aveva certo programmato di andarsene in giro per i quattro angoli di Corus. Tuttavia, possedeva ancora due monete d'oro, sei d'argento e cinque di rame: più che a sufficienza per pagarsi del cibo e un posto dove dormire e acquistare alcune provviste, seppure per un tempo relativamente limitato. Volente o nolente, avrebbe dovuto acquisire maggiore esperienza nell'uso delle Tavole o dei portali. Ma se avesse cominciato da Dereka, avrebbe perlomeno avuto un posto a cui fare ritorno senza il pericolo di imbattersi negli ifrit. Almeno era quello che sperava, dopo avere scoperto di cosa
erano capaci quegli esseri. Quando Alucius tolse il catenaccio e aprì la porta per scendere a colazione, il cielo fuori dalla piccola finestra della camera era di un colore verde-argento grigiastro. Lasciò il fucile nascosto sotto il materasso e, una volta sul pianerottolo, richiuse a chiave. La colazione consisteva in uova strapazzate con pane talmente tostato da essere quasi bruciacchiato, sciroppo di bacche, due fette di prosciutto coriaceo e un boccale di birra. Il tutto gli costò altre due monete di rame, ma egli pensò che non avrebbe comunque intrapreso alcuna indagine a stomaco vuoto. Una clessidra più tardi, lasciò la locanda e si diresse a sud lungo il viale principale. La mattina era fredda, ma non gelida, con un leggero vento che soffiava da nord. Benché il lato ovest della strada non fosse deserto, il numero dei venditori in giro a quell'ora era decisamente inferiore a quello che si sarebbe visto più tardi nel corso della giornata. Quasi tutte le clienti erano donne anziane. Parecchie lo guardarono fissando il pesante fucile, ma la maggior parte non parve prestargli troppa attenzione. Un isolato più a sud, trovò un piccolo negozio, che non era esattamente il negozio di un droghiere, ma dove gli fu possibile procurarsi anche una borraccia da fissare alla cintura. Spese più di una moneta d'argento per acquistare formaggio stagionato, gallette, frutta essiccata e noci, e la borraccia. Dopo essersi infilato tutte le provviste nelle varie tasche del giaccone, uscì dal negozio e si diresse alla fontana pubblica per fare scorta d'acqua. Si era appena allontanato dalla piazza, quando vide giungere una compagnia di lancieri diretti a sud, verso la Prima Base Lancieri, oltre il complesso di costruzioni dove un tempo era situato il palazzo del Landarco. Alucius non riconobbe il capitano né il capitano maggiore alla testa della colonna. I soldati delle ultime file avevano uniformi più nuove rispetto agli altri e parecchi si lanciavano occhiate intorno, come se non fossero mai stati prima a Dereka. Mentre procedeva rapido lungo l'ampia strada, si guardò intorno. Il Talento non gli rivelò alcun segno di presenze dalla sfumatura violacea o di ifrit. Non aveva notato niente del genere fin dal suo arrivo a Dereka, e nemmeno quando era stato lì la volta precedente a combattere contro i nomadi, tranne che nei suoi sogni. Alucius non attraversò il viale finché non si trovò di fronte all'antico edificio in durapietra dorata che ospitava il portale. Tuttavia, poiché parecchi
venditori ambulanti lo osservavano e lui non voleva che lo vedessero entrare, decise di procedere oltre e di svoltare in una stradina laterale che sembrava deserta. Una volta lì, si concentrò a creare l'illusione di essere un venticello che vagava qua e là sollevando polvere. «Hai visto?» A quelle parole, Alucius si irrigidì, mantenendo però l'illusione talentosa che lo rendeva invisibile. «Visto cosa?» «Quel tipo... sembrava un pastore... il giaccone nero... a un tratto è sparito...» «Tu ti immagini cose che non esistono.» «Ti dico che era lì. Un tizio alto, dai capelli grigio scuro. Una persona in carne e ossa...» Alucius sorrise tra sé, mentre si allontanava dalla stradina e si dirigeva verso la struttura abbandonata, che doveva risalire alla prima occupazione di Corus da parte degli ifrit. Procedette rapido e, non appena giunse all'interno dell'edificio, cercò di camminare senza produrre rumore nelle sale vuote e cavernose. Nell'udire un suono di passi, si fermò. Si appiattì contro il muro del corridoio che portava alla sala situata sopra la stanza del portale e aspettò, aguzzando le orecchie. Due ufficiali dei lancieri stavano avanzando nella sua direzione, con due soldati al seguito. Alucius rimase immobile, sperando che l'illusione reggesse. «... ci capisci qualcosa?» chiese il capitano. «... strano... impronte di stivali... non mi è chiaro come possano trovarsi là», replicò il tenente, mentre superava Alucius senza neppure gettare un'occhiata verso di lui. «... pensi che si tratti di un demonio?» «... è più probabile che sia un soldato ubriaco. È sceso fin qui, si è addormentato, nel frattempo si è depositata un po' di polvere e quando si è svegliato e se n'è andato ha lasciato delle impronte.» Alucius annuì tra sé. Era un'ottima spiegazione e si augurava che i due ufficiali la ripetessero in giro. Non si mosse finché i quattro non furono in fondo al corridoio e non ebbero risalito la breve rampa di scale che portava all'uscita nord. Poi tornò verso la scala interna che scendeva nella ex stanza della Tavola, muovendosi cautamente e restando in ascolto, ma non percepì altre presenze. La stanza era vuota, ma la polvere sul pavimento mostrava numero-
se impronte di stivali. Alucius abbandonò il suo travestimento e si guardò intorno nella semioscurità, questa volta prestando ancora maggiore attenzione ai particolari, rispetto al giorno precedente. Le pareti erano tutte di pietra. Un tempo dovevano essere state ricoperte da pannelli di legno o da stucchi, anche se ora non se ne scorgeva alcuna traccia. E nemmeno si vedevano segni di decorazioni sul soffitto. Il suo sguardo si posò sulla fossa rettangolare al centro del pavimento. Concentrandosi e usando il Talento, fu in grado di avvertire una vaga sfumatura violacea e un cerchio color oro e cremisi proprio nel mezzo. La pietra che costituiva la base di quella cavità era più scura e Alucius sentì che faceva parte di un insieme più grande, di un insieme che però non era stato creato dagli ifrit, ma che era piuttosto una rete vitale, il cui aspetto giungeva indistinto al suo Talento, quasi come una nebbia. Chissà se il mondo in sé possedeva fili vitali, linee che correvano attraverso lo strato roccioso al di sotto della superficie terrestre? Era possibile. Alucius scosse il capo. Più imparava, più si rendeva conto di non sapere. Eppure sembrava che gli ifrit seguissero degli schemi prestabiliti e lui avrebbe certamente potuto capirne di più se avesse messo in pratica le esperienze acquisite. Alucius si chiese anche se la stanza fosse provvista di un passaggio segreto, come quello di Salaan. Si avvicinò alla sezione di muro più vicina. Vi fece scorrere sopra la mano, poi picchiettò, dapprima con le dita, poi con il calcio del fucile. La pietra pareva solida e i Talento-sensi glielo confermarono. Esaminò tutto il muro, ma non riscontrò alcuna differenza. Poi, ricordandosi dell'uso a cui erano destinati alcuni supporti di lampade a raggi di cristallo nel palazzo della Matride, cominciò a cercare i punti in cui tali supporti potevano essere stati fissati un tempo. Dopo avere osservato attentamente, scoprì alcuni fori nella pietra. Dovevano esserci state quattro lampade a muro, due su ciascuna parete laterale, più o meno all'altezza del capo. Alucius li studiò attentamente. Quando arrivò alla terza serie di fori sorrise ma, per scrupolo, controllò anche la quarta. Poi riportò la sua attenzione sulla serie precedente. Tre supporti erano stati ancorati alla pietra per mezzo di due buchi. Il quarto ne aveva invece quattro: i due standard e altri due al centro, uno sopra l'altro. Se mai fossero stati usati dei fili, questi erano spariti da tempo, ma Alucius era convinto dell'esistenza di un meccanismo d'apertura nascosto dietro la parete. Si concentrò sui due fori centrali e cominciò a creare una Talento-sonda,
del genere che aveva imparato a usare dopo la sua permanenza nella città nascosta delle arianti. Dapprima visualizzò una sottile sonda dorata e la fece passare attraverso il foro superiore. Dovette concentrarsi ulteriormente per tastare alla cieca ciò che si trovava dall'altra parte. Alla fine, percepì delle leve di metallo argentato e alcuni pesi. Avvolse la sonda attorno a quella che sembrava una leva e tentò di abbassarla. La sonda scivolò, come se il metallo su cui tentava di fare presa fosse spalmato di grasso. Allora cercò di creare una sonda più resistente, al tempo stesso collosa e ruvida, quasi fosse colla rivestita di sabbia. In tal modo, riuscì ad abbassare la leva, ma non accadde nulla. Spinse, ma non funzionò. Alucius cominciava ad avere la fronte imperlata di sudore, mentre faceva vari tentativi. Trascorse un quarto di clessidra, poi mezza, e l'intero suo corpo era scosso dai tremiti quando, all'improvviso, si udì uno scatto accompagnato da un rumore sordo e stridente e una sezione del muro scivolò di lato rivelando un passaggio fiocamente illuminato da due antiche torce a raggi di cristallo. Alucius esaminò la parte posteriore del muro e vide due semplici leve. Scosse il capo: non era molto abile a visualizzare oggetti che non conosceva. Non avendo avvertito alcuna presenza all'interno, entrò, tenendosi però pronto con il fucile. Poi spinse in avanti una delle leve. La parete di pietra ritornò al suo posto producendo meno rumore di prima. Alucius fece un respiro profondo e si inoltrò lungo lo stretto passaggio, che pareva scavato nella roccia stessa. Dopo aver percorso cinque iarde abbondanti, sbucò in un altro locale delle dimensioni di cinque iarde esatte per lato. A differenza delle altre stanze, questa sembrava intatta. In un angolo c'era una scrivania e davanti ad essa uno strano divano, di fianco al quale c'era una sedia dalle gambe insolitamente alte. A ridosso della parete di sinistra c'era una grossa cassettiera, simile a quella della stanza della Tavola dove Tarolt lo aveva costretto ad andare. Le torce a raggi di cristallo al di sopra della scrivania proiettavano tutt'intorno una luce regolare, anche se fioca. In una nicchia scavata nel muro dietro la scrivania s'intravedeva una cassetta, o un cofanetto, di metallo nero e argento, che emanava un lieve bagliore violaceo. Il cofanetto aveva una lunghezza di circa una iarda e un'altezza e una profondità di un terzo di iarda. Una chiave a testa triangolare era infilata nella serratura, ma il coperchio era chiuso. Alcuni indumenti giacevano sul pavimento, appena all'interno della stanza: si trattava di una tunica verde profilata di viola, abbinata a calzoni
dello stesso colore e a un paio di stivali neri. I vestiti non erano impolverati e il tessuto produceva uno scintillio dai riflessi argentei. Erano posati a terra come se chi li aveva indossati fosse stato sdraiato là e a un certo punto fosse svanito lasciandoseli dietro. Alucius si ricordò della scena che aveva visto nella stanza sotterranea del palazzo della Matride. Chissà se l'ifrit era stato fatto prigioniero o ucciso da una delle antiche arianti? O se invece era rimasto semplicemente intrappolato là quando le arianti avevano distrutto i condotti che portavano al loro mondo? Gli abiti emanavano uno strano bagliore e Alucius li esaminò con il Talento. Poi inghiottì a vuoto. Al pari del fondo in durapietra delle strade e di ciò che restava delle opere degli ifrit, come ad esempio le Tavole e le torri verdi, essi erano impregnati di energia vitale. Dunque, era stata sprecata energia vitale semplicemente per conservare del tessuto: il mondo era stato depauperato delle forze che lo tenevano insieme al semplice scopo di far durare degli abiti praticamente in eterno? Alucius spinse lo sguardo più in là nella stanza. I supporti delle lampade a raggi di cristallo nell'angolo in fondo erano rivolti verso il basso e sul lucido pavimento di pietra grigia si scorgevano i frammenti di metallo dell'intelaiatura, privi però del cristallo della torcia. Là accanto, giacevano una giacca argentata e un'arma simile a una pistola, con a fianco un paio di stivali. Alucius annuì tra sé. L'arma era simile a quella che l'ingegnere aveva usato contro di lui, sebbene il suo Talento gli dicesse che questa aveva ormai da tempo perso il suo potere. Colto da un dubbio improvviso, si precipitò versò la porta segreta da cui era venuto. Abbassò la leva e, di lì a un attimo, il muro scivolò di lato con un lieve stridore rivelando l'apertura. Questa volta, nel tornare verso la stanza con i mobili, Alucius lasciò aperto il varco. Preferiva fronteggiare eventuali intrusi piuttosto che fare la fine dei due ifrit rimasti intrappolati là dentro. Si avvicinò al cofanetto metallico nella nicchia. Mentre lo osservava, si rese conto che questo non era appoggiato sulla base della nicchia, ma era incassato per parecchie spanne nel muro, così che sarebbe stato impossibile rimuoverlo senza aver prima spaccato la pietra. La chiave era girata nella posizione di apertura. Alucius sollevò il coperchio. All'interno non c'era nulla, tranne due pesanti supporti di metallo, sui quali forse un tempo era stato appoggiato un oggetto. Due cristalli viola erano incastrati alle estremità del cofanetto e, dalla posizione dei supporti, si aveva l'impressione che qualunque cosa vi fosse stato all'interno, doveva aver poggiato salda-
mente contro di essi. Una barra d'argento partiva dalla base di ogni cristallo, attraversando il fondo del cofanetto e proseguendo nella pietra sottostante. Per un po' Alucius rimase a studiare il cofanetto, ma non riuscì a capire quale potesse essere stato il suo contenuto. Poi rivolse la propria attenzione alla cassettiera contro la parete, decidendo di lasciare la scrivania per ultima. Aprì il primo cassetto in alto a destra. Dentro c'erano due cristalli verdastri, che si disintegrarono subito, e parecchi fogli di quella carta pergamena che pareva indistruttibile. Alucius prese quello in cima alla pila. Era solcato da una scrittura a caratteri regolari, ciascun carattere - o meglio simbolo - delle stesse identiche dimensioni del successivo, tranne che nessuno di essi gli risultò familiare. Lanciò un'occhiata agli altri fogli. Erano tutti scritti con gli stessi simboli e non mostravano disegni. Il cassetto di sinistra conteneva alcune monete dalla forma strana, comprese parecchie monete dorate di un tipo che non aveva mai visto, un paio di cesoie e un rotolo di sottile filo di ferro. Alucius si fece scivolare le monete d'oro nel borsello e aprì il cassetto doppio più in basso. Al suo interno c'era un lungo indumento scintillante, dai riflessi dorati e argentati, ornato di grossi simboli sul davanti: probabilmente gli stessi dei fogli di pergamena. Si chinò e aprì l'ultimo cassetto. A tutta prima gli parve vuoto, poi, in un angolo in fondo, scoprì un altro foglio di pergamena piegato in due. Lo sfiorò con cautela, ma non gli si sbriciolò tra le dita. Adagio, lo tirò fuori. Il materiale del foglio - morbido e flessibile - non era né pergamena né tessuto, anche se ricordava entrambi. Lo aprì e vide che vi era raffigurata una specie di mappa, che avrebbe potuto essere stata disegnata di recente, tanto le linee erano nette e i colori erano brillanti. Alucius la studiò velocemente, notando che si trattava chiaramente di una mappa di Corus, sebbene vi fossero rappresentate parti che non corrispondevano a quanto lui conosceva. La mappa doveva essere stata disegnata molto, molto tempo addietro, prima del Cataclisma che aveva cambiato i profili del mondo. Dopo essersi lanciato un'occhiata alle spalle, se la infilò dentro il giaccone. Tornò alla scrivania e ne aprì l'unico cassetto. All'interno vi erano poche cose: un coltellino permeato da una tale sfumatura violacea che Alucius decise di lasciarlo là senza neppure toccarlo, un blocco di giada rettangolare sul quale figurava un sigillo di smalto che non aveva mai visto, e una specie di penna a forma di ramo d'albero. C'erano anche parecchi fogli di
pergamena, tutti bianchi. Richiuse il cassetto e si diresse verso il punto in cui si trovava la torcia a raggi di cristallo rotta. Evitando gli stivali e la pistola, si posizionò accanto al supporto a muro e creò un'altra Talento-sonda. Questa volta, per quanti tentativi facesse, non riuscì ad aprire la porta segreta che doveva sicuramente nascondersi là dietro. Non trovò leve o altro, nulla all'infuori della pietra. Eppure... un tempo doveva esserci stato qualcosa. Alla fine, con il sudore che gli colava sulla fronte, si girò e prese di nuovo a esaminare la stanza. Non conteneva libri o altro che gli potesse fornire qualche informazione utile, se non le pergamene dai simboli indecifrabili: troppe perché potesse portarsele dietro. E poi c'era il cofanetto misterioso, vuoto. Così, ritornò sui suoi passi lungo lo stretto passaggio e si fermò sotto una delle torce a raggi di cristallo appena all'interno dell'apertura nel muro. Estrasse la mappa dal giaccone e la aprì di nuovo. Benché fosse rimasta piegata molto più a lungo di quanto egli potesse immaginare, la mappa poiché in effetti proprio di questo si trattava - una volta aperta, non presentava né pieghe né sgualciture. Dinanzi ai suoi occhi, Alucius vide una descrizione dettagliata di Corus. Per quanto non riuscisse a decifrare le scritte in corrispondenza delle città, vide che vi figuravano tutte le strade principali in durapietra che conosceva, e anche altre che non aveva mai visto o di cui non aveva mai sentito parlare. Era certo che la mappa contenesse alcuni significati nascosti. Un particolare che gli balzò subito agli occhi era rappresentato da tanti piccoli ottagoni verdi dislocati in vari punti. Ogni ottagono stava probabilmente a indicare la posizione di una Tavola, o dove un tempo doveva essercene stata una. C'erano ottagoni a Tempre e nel luogo dove in passato doveva sorgere Elcien, oltre a parecchi altri disseminati in tutta Corus. Ciascun ottagono aveva un bordo di colore diverso profilato di viola. Alucius osservò più da vicino. Quello di Tempre era blu con profili viola. C'era un altro ottagono d'argento con profili viola a Prosp, nelle terre di Lustrea. Presumibilmente, si trattava della Tavola che l'aveva visto combattere contro l'ingegnere posseduto dall'ifrit. Esaminò un ottagono dopo l'altro, finché non trovò quello con il bordo cremisi dorato dal profilo viola che indicava Dereka, il posto dove adesso si trovava. Continuò a guardare e individuò un ottagono dai bordi verdi e neri profilati di viola, lontano nelle regioni nordoccidentali, appena a sudovest di quelle che dovevano essere le Scogliere Atre. Annuì tra sé. La
struttura gelida nella quale era stato era quella di Caponero. Da ciò che ricordava della malvagia Tavola di colore rossastro verso la quale era stato scaraventato da Tarolt, giudicò che la stanza sepolta sotto le macerie dovesse trovarsi a Soupat. Per un po', i suoi occhi si rifiutarono di mettere a fuoco la mappa, mentre le immagini di una fitta ragnatela di Tavole che collegavano tutta Corus gli attraversavano la mente. Eppure, le Tavole erano predisposte solo per consentire il transito di pochi individui. Perché? Non erano molte le persone - o gli ifrit - capaci di usarle, giusto? In base a ciò che le arianti gli avevano detto, era assai improbabile che quando le Tavole erano state create chiunque non fosse un ifrit le sapesse usare. Le strade principali in durapietra erano le uniche vie di comunicazione utilizzate dalla maggior parte della gente per spostarsi da un posto all'altro. Questo lasciava anche intendere che Corus doveva essere stata governata da un numero alquanto esiguo di ifrit. Forse... forse... c'era qualche speranza. Alucius aggrottò la fronte. Forse era per quel motivo che Wendra era stata rapita? Perché gli ifrit erano talmente pochi che lui e Wendra avrebbero potuto fare una qualche differenza? Ma allora perché Tarolt e Halanat non erano al corrente della sparizione di Wendra? Guardò di nuovo la mappa, sforzandosi di esaminare ancora ogni ottagono per verificarne il colore e cercare di visualizzare ciò che sapeva. In origine, stando alla mappa, c'erano Tavole a Elcien e a Ludar, una ad Alustre, ma nessuna a Porta del Sud. E ai tempi del Duarcato, non c'erano Tavole a Salaan, o nelle Valli del Ferro, e neppure nei pressi dell'Altopiano di Aerlal. Dopo averla studiata un altro po', Alucius la ripiegò con cautela e se la infilò dentro la casacca. Il prossimo viaggio avrebbe dovuto portarlo verso un luogo più vicino a casa e meno pericoloso, ma anche permettergli di scoprire qualche indizio riguardo alla scomparsa di Wendra. Più ci pensava, più gli sembrava inverosimile che gli ifrit l'avessero rapita, a meno che non esistessero vari gruppi di ifrit indipendenti tra loro. In ogni caso doveva fare qualcosa. A quel pensiero si accigliò, ricordando il consiglio del nonno sull'astenersi dall'agire finché non ne sapesse abbastanza per farlo. Ma allora era in guerra, mentre adesso era la persona più importante della sua vita a essere minacciata. Prima di uscire dal passaggio segreto e tornare nella stanza della Tavola, bevve un lungo sorso dalla borraccia. Poi si voltò e proiettò una Talento-
sonda per abbassare la leva che azionava il meccanismo di chiusura. La sezione di parete tornò al suo posto cancellando ogni traccia dell'esistenza di un'apertura. Col fucile stretto in pugno, Alucius scese nella fossa che un tempo aveva ospitato una Tavola, sperando di potersi allacciare in qualche modo alla confusa rete che collegava Tavole e portali. Rimase in piedi all'interno del cerchio oro e cremisi, che riusciva a malapena a percepire con il Talento, e cercò l'oscurità che si trovava al di sotto. Non accadde niente. Era rimasto ancora nel rettangolo ricavato nel pavimento di pietra. Rettangolo? Per qualche motivo, quell'osservazione attirò la sua attenzione. Si asciugò il sudore che gli imperlava la fronte. Poi si rese conto che, se avesse calcolato anche la porzione all'interno della roccia, la buca sarebbe stata quadrata. In effetti, tutte le Tavole dovevano essere dei cubi. Chissà perché? Con un respiro profondo, ricacciò quel pensiero e si concentrò di nuovo, questa volta non sull'idea di condotti violacei che correvano da una Tavola all'altra, ma su una rete più indistinta e sfumata alla quale i condotti sembravano sovrapporsi. La roccia sotto i suoi piedi si dissolse e Alucius si trovò immerso nella gelida oscurità, un'oscurità sfumata però di verde anziché del solito colore violaceo. Sentì che si trovava in qualche modo accanto, o sotto, al condotto degli ifrit e che questo si avvolgeva attorno alla rete, proprio come il filo vitale degli ifrit si avvolgeva attorno al filo vitale dei malcapitati di cui essi si impossessavano. Dove avrebbe dovuto dirigersi? Verso il portale color ambra, aveva già deciso, quello che pareva corrispondere alla posizione di Hyalt. In tal modo, se non avesse potuto fare ritorno attraverso le Tavole, si sarebbe comunque trovato a Lanachrona e avrebbe sempre potuto recarsi a Tempre dal Signore-Protettore. Il viaggio nell'impalpabile oscurità dalle sfumature verdi parve richiedere pochissimo sforzo, tanto che, di lì a poco - o almeno così gli sembrò Alucius si trovò sospeso sotto a un portale ambrato, dai lievi riflessi violacei, simile a quello di Dereka. Doveva uscire? Per un attimo, avvertì anche la presenza di altri portali, in direzioni apparentemente opposte, uno dalla sfumatura rosa-violacea e un altro, appena percettibile, di colore blu e marrone. Alucius decise che sarebbe uscito dal portale ambrato. Una luce giallo-argento si frantumò in mille pezzi al suo passaggio.
133 La Città Nascosta, Corus Wendra si trovava nella seconda stanza della torre, quella adiacente alla sua, intenta a osservare il quadrato dalla lucida superficie a specchio incassato nel pavimento di pietra ambrata. Nel marsupio, Alendra scalciava. Accanto a lei, sospesa a mezz'aria, c'era l'ariante. Devi imparare a viaggiare attraverso i fili sommersi del mondo. Usa il Talento. Studia il portale. «È simile a una Tavola? Pensavo che le Tavole dovessero essere inserite in profondità nel terreno. Non ci sarà pericolo per Alendra?» Per lei adesso non c'è pericolo, almeno ancora per un paio di stagioni, o forse tre. Quando comincerà ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé, allora diventerà pericoloso. «Perché devo imparare?» Questo tipo di viaggio si effettua con la forza della volontà e con una totale concentrazione su se stessi. Le Tavole sono strutture sovrapposte ai fili vitali del mondo stesso. Abbiamo intrecciato quei fili vitali negli edifici delle nostre città. Un tempo, eravamo capaci di coltivarli, questi fili. Gli ifrit invece non sono in grado di farlo. Loro sì limitano a risucchiarne l'energia fino a farli morire. Adesso si può viaggiare da una Tavola all'altra, almeno attraverso le poche che gli ifrit hanno costruito o riattivato. Visto che non hai ancora imparato a farlo, ti prenderebbero facilmente. È un altro dei motivi per cui abbiamo separato i portali dell'altopiano dalle linee sommerse del mondo. In tal modo, non potrai spingerti dove correresti il rischio di venire catturata, perlomeno finché non sarai pronta. «Perché vuoi...» Studia il portale. Entrambe abbiamo poco tempo. Ti guiderò fino al portale dell'altra città. «Esistono due città nascoste?» Sono solo due quelle rimaste. Usa il Talento e studia... tornerò. L'ariante svanì, lasciando Wendra a osservare il portale al centro del pavimento di pietra ambrata. 134 Ancora una volta, Alucius si trovò in una stanza che un tempo aveva o-
spitato una Tavola. Adesso, la cavità rettangolare era piena a metà di sabbia. Nella semioscurità, egli fu appena in grado di distinguere le pareti di pietra liscia che lo circondavano. Mentre usciva dalla buca, scivolò con lo stivale sulla sabbia che copriva il pavimento e quasi cadde. Così come la stanza di Dereka, anche quella era priva di supporti per lampade a muro, di finestre e di mobili, o di altri indizi che fornissero qualche indicazione sulla sua funzione originale. Inoltre, non si scorgeva alcuna traccia di vie d'uscita. Alucius si fermò. Come poteva vedere se non c'erano fonti di luce? Da ciò che gli sembrava di capire, le pareti irradiavano una luminescenza appena percettibile. Perciò si mise a studiarle con attenzione, alla ricerca di qualche foro che un tempo poteva essere servito a fissare il supporto di una torcia a raggi di cristallo. Aveva quasi ispezionato più di metà stanza, quando lo scoprì. Tuttavia, per quanti tentativi facesse, non riuscì a trovare nulla - leve o altro - su cui fare appiglio con il Talento. Col viso coperto di sudore, si fermò e fece un lungo respiro, appoggiandosi al muro. «Oh...» Inciampò e quasi cadde mentre il blocco di pietra alle sue spalle si muoveva, scivolando su un lato e rivelando un'apertura di mezza iarda, per poi bloccarsi. Il calcio del suo fucile andò a sbattere contro la dura roccia. Alucius si girò e cercò di aprire ulteriormente il varco, ma non ci riuscì. Non poté neppure chiuderlo, sebbene ci mettesse tutta la forza di cui era capace. Al di là della stretta apertura c'era molta più luce, così egli ci si infilò a fatica e uscì in un corridoio largo due iarde, forse due iarde e mezzo, dalle pareti in pietra rossa. A meno di dieci iarde dall'ingresso, il corridoio finiva, o almeno si biforcava in due parti, dirigendosi a destra e a sinistra. Alucius si fermò, guardando prima nell'una poi nell'altra direzione. Alla sua destra, gli parve di avvertire qualcosa, mentre a sinistra non sentì nessuno. Si diresse perciò da quella parte. Cinque iarde più avanti, il corridoio terminava contro quella che sembrava una porta di legno munita di una semplice maniglia. Alucius l'abbassò e la porta si aprì verso di lui, cigolando e stridendo sui cardini. Spalancò la bocca per la sorpresa nel vedere che il pannello posteriore della porta aveva in tutto e per tutto l'aspetto di un muro di pietra e che a bloccare l'apertura era stata posta una panca che gli arrivava all'altezza dei
fianchi. Insomma, il locale che si trovava al di là altro non era che la camera di sicurezza appartenuta al profeta, ora vuota. Per un attimo, Alucius rimase immobile, stupito di non essersi accorto dell'esistenza di un passaggio nascosto durante il suo precedente sopralluogo. Alla fine, richiuse la pesante porta, appoggiandovisi contro con tutto il peso del corpo e sdrucciolando con i piedi sul fine ghiaietto che copriva il pavimento di pietra. Tornò verso il punto di biforcazione e imboccò l'altra ala del corridoio. Il rumore prodotto dai suoi passi suonava amplificato, mentre procedeva lungo quella specie di galleria scavata nella roccia che, dopo circa quindici iarde, cominciò a curvare. A mano a mano che avanzava, la luminosità aumentava, tanto che, credendosi prossimo all'uscita, Alucius imbracciò il fucile. Ma la luce proveniva da due antiche torce a raggi di cristallo fissate su supporti altrettanto antichi, collocati ad altezza d'uomo su ciascun lato del corridoio. Cinque iarde più in là, questo terminava davanti a un'altra porta munita di maniglia, che Alucius aprì con circospezione, sebbene il Talento gli dicesse che non c'era nessuno dall'altra parte. La porta si spalancò senza fatica su una stanza vuota, della larghezza di quattro iarde e della profondità di tre, anch'essa illuminata da due antiche torce a raggi di cristallo. All'estremità opposta della stanza si trovava un passaggio sormontato da un arco, interrotto in fondo da una barriera in muratura. Alucius lasciò socchiusa la porta - il cui pannello interno aveva anch'esso l'aspetto di un muro di pietra - ed entrò nella stanza. Si avvicinò all'arco dai profili rivestiti di piastrelle di ceramica marrone e si fermò, esaminando la barriera con i Talento-sensi. Si trattava di una specie di muro-paravento, dell'altezza e dello spessore di tre iarde. Al di là di questo, il Talento gli rivelò l'esistenza di una grotta o di una stanza sotterranea dall'alto soffitto, nella quale era situato un rialzo in pietra che sporgeva di un paio di iarde abbondanti al di sopra del pavimento. Alucius sentì che su quella specie di pedana - e intorno ad essa - non c'era nessuno, ma gli parve invece di avvertire la presenza di qualcuno in fondo alla grotta. Non poté stabilirlo con certezza, poiché là dentro c'era qualcosa di strano, come se la grotta riflettesse indietro il suo Talento. Il fucile stretto in pugno, Alucius aggirò il muro-paravento, entrò nella grotta e salì sulla pedana, che misurava circa cinque iarde per lato. La semioscurità che lo avvolgeva svanì, mentre tutta una fila di torce a raggi di cristallo fissate al paravento si accendeva di colpo. Egli batté le palpebre a quella luce improvvisa che, per contrasto, faceva
sembrare ancora più buio il resto della grotta. «Oh...» Il suono lamentoso proveniente da qualche oscuro recesso echeggiò fino a lui. «Uno dei grandi...» «Siete venuto a portarci il messaggio del Vero Duarcato?» «Abbiamo aspettato e abbiamo mantenuto fede...» Alucius creò immediatamente intorno a sé l'illusione del nulla, poco più di una brezza leggera, e subito la grotta venne invasa da ululanti raffiche di vento. Egli barcollò, colpito dall'intensità del fenomeno, prima di rendersi conto che avveniva tutto nella sua testa e che qualcosa, nel modo in cui era stato concepito quel luogo, amplificava il Talento a dismisura. Che cosa avrebbe potuto dire? O fare? Si concentrò, cercando di plasmare un'immagine, non quella di un ifrit, ma di un uomo, di un uomo dalla figura imponente dal quale emanasse una luminescenza verde e oro. «Oh...» Il lamento dei devoti nell'oscurità, poiché Alucius immaginò che proprio di devoti si trattasse, si alzò di tono, per poi cessare. Egli parlò, con quanta più cautela possibile, date le circostanze. «L'uomo deve vivere nel mondo così com'è, e averne cura. I Duarchi hanno depredato e saccheggiato. Non invocate il ritorno del Duarcato e di coloro che hanno devastato Corus! Non invocate il ritorno della schiavitù e della morte.» «Il lamaro! È il lamaro!» «Perduti... siamo perduti! Tutto è perduto!» Alucius avvertì l'ostilità degli astanti e i fucili puntati contro di lui. Abbandonò l'immagine verde e oro e la sostituì con quella del... nulla... con l'immagine del nulla, mentre si precipitava verso il passaggio al di là del muro-paravento. Il rumore di uno sparo risuonò alle sue spalle. Una volta tornato nell'altra stanza, si infilò attraverso lo spiraglio della porta e la richiuse dietro di sé. Poi ripercorse a gran velocità il corridoio scavato nella roccia fino a ritrovarsi nel locale che un tempo aveva ospitato la Tavola. Non aveva idea se i devoti della grotta sapessero della porta segreta o del passaggio che vi si trovava dietro, e neppure se avrebbero cercato di inseguirlo, ma sentiva che Wendra non si trovava nelle vicinanze di quel portale e che non aveva senso rimanere a Hyalt, tra le rovine di quello che era stato il tempio del profeta, o dei profeti.
Perciò si affrettò a scendere nella fossa, ma non si concentrò sulla Tavola, bensì sull'oscurità sfumata di verde che si trovava al di sotto della scolorita barriera ambrata. Quasi subito si sentì precipitare nel gelido buio dalle sfumature verdi che, però, per quanto freddo, non sembrava così paralizzante come le volte precedenti. Cercò una direzione da seguire, una che lo portasse verso l'evanescente cerchio color oro e cremisi. Mentre si allontanava dal segnale ambrato di Hyalt, avvertì ancora una volta la presenza del portale blu e marrone, ancora distante, e di quello più vicino rosa-violaceo, che ebbe cura di evitare. L'argentea barriera oro e cremisi si frammentò al suo passaggio... ... ed egli si ritrovò nella stanza della Tavola di Dereka. Alucius si guardò intorno, il fucile imbracciato, mentre proiettava i Talento-sensi a controllare anche la scala che portava al piano superiore, ma non avvertì alcuna presenza estranea. Si mise perciò a sedere sul bordo della buca che millenni prima aveva ospitato la Tavola, con i piedi appoggiati sul fondo e, dopo aver appoggiato il fucile sul pavimento, fece parecchi respiri profondi. Solo allora bevve una lunga sorsata d'acqua dalla borraccia, per poi richiuderla e riporla nel supporto fissato alla cintura. Aveva agito in modo azzardato nel cercare di influenzare i seguaci del Vero Duarcato? Scoppiò in una risata sommessa, quasi roca. Avrebbe dovuto saperlo come andavano le cose. Il fatto è che, in quel momento, non ci aveva pensato. Inoltre, era rimasto stupito per come la grotta aveva amplificato il suo Talento. Ma si trattava davvero di un'amplificazione? Alucius aggrottò la fronte. Mentre ripensava all'esperienza vissuta, si rese conto che, a ingrandire il fenomeno, non era stata tanto l'amplificazione quanto l'eliminazione totale di tutte le restanti energie vitali. Chissà se lo scopo era conferire agli ifrit un controllo maggiore sui presenti, o dare l'impressione che anche coloro che non erano ifrit possedessero tale controllo? Si chiese se l'avrebbe mai scoperto. Ogni volta che usava il Talento scopriva qualcosa che ancora non conosceva. Immaginò che lo stesso principio si potesse applicare alla vita, anche se con il Talento i pericoli potevano essere più seri. Proprio mentre si apprestava ad attraversare la barriera, Alucius aveva notato il portale rosa-violaceo, che non ricordava di avere visto tra gli ottagoni disegnati sulla mappa. Si trattava di un portale, e non di una Tavola, ne era più che certo.
Rosa... e viola... era quello della Reggente della Matride? Non provava alcun desiderio di andare a Madrien. Ma in quale altro posto avrebbe potuto andare? Estrasse di nuovo la mappa di Corus e la esaminò più volte. Ricordava bene. Non c'era alcuna Tavola rosa-violacea, ma ce n'era una marrone e blu a Dulka. Che cosa dunque poteva avere creato quel portale rosa-violaceo se non c'era una Tavola? Qualche nuova scoperta della Matride? Scosse il capo. Doveva ancora trovare Wendra, e se non l'avesse trovata vicino ai portali abbandonati, avrebbe dovuto provare le Tavole dei luoghi in cui non era ancora stato. E, se non l'avesse trovata neppure là, avrebbe dovuto correre il rischio di dirigersi di nuovo alla Tavola di Salaan per poter fare ritorno a Dekhron. Per il momento, ricacciò quell'ipotesi. Doveva ripartire alla ricerca di Wendra, non appena si fosse concesso un po' di riposo. 135 Mentre sedeva sul pavimento di pietra dell'ex stanza della Tavola di Dereka, Alucius si mise a riflettere. In base ai suoi calcoli, mancava dal quartier generale da tre giorni, e questo non era un bene. Doveva ancora trovare Wendra e non disponeva di alcun mezzo per fare rapidamente ritorno a Dekhron, se non affrontare i due ifrit di Salaan. Anche se questi non fossero stati di guardia alla Tavola, si sarebbero comunque trovati nelle vicinanze, visto che era là che erano soliti incontrarsi e operare. E anche così, vista la tempestività con cui uno di loro era comparso nella stanza della Tavola, era probabile che disponessero di qualche sistema di allarme che li avvisava della presenza di intrusi. A tutto questo si aggiungeva il fatto che lui era il comandante delle Guardie del Nord e che aveva praticamente disertato, seppure senza averne l'intenzione, e che non aveva risolto il problema degli ifrit. E neppure aveva trovato Wendra. Il messaggio che aveva lasciato a Feran avrebbe potuto concedergli un po' di tempo, dato che questi era a conoscenza dei problemi creati dai mercanti. Ciò non toglieva che fosse necessario trovare subito alcune risposte e il modo di tornare indietro il più presto possibile. Se Wendra era in pericolo, più tempo passava e maggiori probabilità c'erano che gli ifrit si impossessassero di lei, o la uccidessero. Tuttavia, non era del tutto sicuro che fossero stati loro a rapirla. E se fossero state le arianti? Solo gli ifrit e le arianti sembravano capaci di spostarsi senza lasciare tracce. Ma, se la se-
conda ipotesi era valida, perché mai le arianti avrebbero dovuto rapire Wendra? E Alendra? Tutto ciò che avevano fatto in passato aveva avuto come unico scopo quello di proteggere lui. Stavano forse cercando di proteggere anche sua moglie? Ma da che cosa? Dagli ifrit? Al di là della generica descrizione che gli era stata fornita dalle arianti riguardo al dominio del Duarcato e alla distruzione finale di Corus, Alucius non aveva un'idea precisa di ciò che stavano facendo adesso gli ifrit. Non sapeva neppure se ne fossero arrivati altri. In tal caso, cosa avrebbe potuto fare lui da solo, visto che le arianti sembravano aver tagliato i collegamenti con i condotti delle Tavole e con quelli più profondi che aveva appena scoperto? Fece un respiro profondo. Adesso si sentiva più riposato e poteva rimettersi in viaggio. C'erano solo due portali che ancora non aveva visitato: quello di Dulka e quello che gli ricordava la Matride. Che altro poteva fare se non esplorarli entrambi, con quanta più rapidità possibile? E se non avesse trovato nulla? Sarebbe tornato alla Tavola di Salaan, con il fucile carico e le cartucce rivestite dell'oscurità vitale? Non aveva altre alternative. Ma prima... gli ultimi due portali. Magari gli avrebbero rivelato qualcosa che ancora non sapeva. Inoltre, ogni viaggio gli avrebbe offerto l'opportunità di tentare di individuare il portale delle arianti. Si calò quindi nella buca, il fucile di nuovo in pugno, facendo alcuni respiri profondi. Ancora una volta si sentì sprofondare nel terreno e nella più profonda e brumosa oscurità attraversata da sfumature verdi, che si trovava sotto i tenebrosi condotti violacei degli ifrit. Il freddo, sebbene intenso, non era neanche lontanamente così logorante. Alucius cercò di concentrarsi sul portale blu e marrone, evitando per il momento quello rosa-violaceo. Focalizzò tutta l'attenzione della mente nel tentare di emergere dall'oscurità e dal freddo per tornare nel mondo di luce attraverso il segnale blu e marrone. Di nuovo, vide dinanzi a sé una barriera, questa volta di colore blu-argento, e trasformò l'intero suo essere in una punta di lancia. Argento, blu e marrone si fusero in un vortice gelido che si infranse al suo passaggio in tanti piccoli frammenti ghiacciati. La stanza in cui Alucius giunse era vuota, ed egli si ritrovò nella solita cavità rettangolare che caratterizzava tutte le stanze che un tempo avevano ospitato una Tavola. Per un attimo strinse il fucile con più forza, nel vede-
re intorno a sé tutte quelle figure di ifrit in piedi sul pavimento di pietra. Ma poi si rilassò, rendendosi conto che si trattava di statue, di un genere mai visto. Le imponenti figure a grandezza naturale erano scolpite nel marmo bianco. Tutte e tredici avevano i capelli dipinti di nero e indossavano abiti simili a quelli portati dall'ifrit Tarolt, di un verde brillante profilato di viola. Anche gli stivali erano dipinti di nero. I lineamenti dei volti erano come quelli riprodotti sul fregio di Porta del Sud o sull'antico murale che Alucius aveva visto anni prima nella stanza sotterranea di Dereka. Lungo le pareti lunghe della stanza c'erano sei figure, mentre una sola era stata collocata su una delle pareti più corte. La figura isolata era leggermente più grande delle altre - raggiungeva quasi tre iarde in altezza - e reggeva uno scettro d'argento, sulla cui sommità erano incastonate scintillanti gemme azzurre, così che la parte superiore pareva illuminata da una fiamma. Le sfaccettature delle gemme riflettevano la luce di oltre una dozzina di torce a raggi di cristallo. Alucius usò subito il Talento per esaminare la stanza, ma ebbe la conferma di essere l'unico essere vivente là dentro, benché avvertisse la presenza di altre persone più lontano. Uscì dalla buca e si guardò intorno con maggiore attenzione. Le torce a raggi di cristallo erano differenti l'una dall'altra. Allo stesso modo, anche gli abiti delle statue - benché a prima vista identici - si differenziavano in realtà per tipo di tessuto o di colore, così che ogni sfumatura di verde e di viola era in un certo senso unica. La medesima cosa si poteva dire per le statue degli ifrit. Tutte e dodici le figure disposte sui due lati della stanza superavano Alucius più o meno di una testa in altezza, ma non ce n'era una che fosse alta come l'altra. Ciascuna di esse teneva un braccio lungo il fianco e l'altro sollevato con la mano tesa in segno di saluto verso la figura in fondo alla stanza, ma nessun braccio era posizionato con la stessa angolatura rispetto agli altri. Non era chiaro se quelle differenze fossero volute per personalizzare le statue o se fossero dovute a un maldestro lavoro di copiatura del modello originale. Dopo aver dato un'ultima occhiata intorno a sé, Alucius si diresse verso la porta dal battente in similpietra situata all'estremità della stanza. La porta era aperta e lasciava intravedere un corridoio dalle pareti ugualmente rivestite in pietra. Al termine del corridoio, Alucius percepì la sfumatura verde che denotava la presenza di un possessore di Talento, anche se non seppe dire a quale
distanza si trovasse. Inoltre, percepì anche la presenza di qualcun altro. Ma il Talento? Qualcuno aveva portato lì Wendra? Aggrottò la fronte. Il Talento aveva un colore verde, ma non sembrava appartenere a lei. A meno che non le avessero somministrato droghe... Di lì a un attimo, Alucius fece un respiro profondo e si incamminò lungo il corridoio in pietra che proseguiva per oltre dieci iarde verso quella che doveva essere una finta parete, un muro-paravento, al di là di un passaggio sormontato da un arco. Mentre avanzava, sentì puzzo di olio bruciato e alzò lo sguardo. L'intero soffitto era annerito, come se là sotto fossero passate lampade a olio e torce per anni, se non secoli. Le pareti erano di nuda pietra e il pavimento doveva essere stato spazzato di recente, sebbene la parte mediana risultasse più bassa dei margini, segno evidente dell'usura provocata dagli innumerevoli piedi che l'avevano calpestata nel corso del tempo. Avvicinandosi al fondo, sempre più rischiarato dalle torce, Alucius vide che i bordi dell'arco erano rivestiti da mattonelle marroni come quelle di Hyalt, anche se queste sembravano più vecchie e il colore era decisamente sbiadito. Al di là del muro-paravento che impediva la visuale sul locale adiacente, si udivano voci. Dopo una lieve esitazione, Alucius creò intorno a sé la solita immagine del nulla e avanzò ancora di qualche passo, fermandosi proprio davanti al muro. Poi usò il Talento per esaminare ciò che stava dietro. Così come nella grotta di Hyalt, anche in questa - poiché di una grotta si trattava c'era una pedana in pietra di cinque iarde per lato. Ma, al contrario di Hyalt, su questa c'erano delle persone. Un uomo sedeva su una specie di trono ai lati del quale stazionavano due guardie, armate di spade corte e di fucili. La figura seduta sul trono non era un ifrit né era posseduta da un ifrit, ma in base a ciò che Alucius sentiva con il Talento, tutti e cinque gli occupanti della pedana indossavano abiti simili alle statue. Nello spazio circostante la pedana era presente un piccolo gruppo di persone, o così almeno sembrava. L'individuo sul trono portava una maschera nera priva di fessure per gli occhi. Era forse cieco? Oppure la maschera serviva a dimostrare la sua abilità nel vedere anche senza ricorrere alla vista? «Silenzio!» ordinò il cieco. Subito le guardie si irrigidirono. Avvertendo una leggera Talento-sonda che avanzava verso di lui, Alu-
cius arretrò nel corridoio. «C'è un intruso! Nel passaggio sacro! Uccidetelo!» Alucius si girò e cominciò a correre. Doveva uscire da quel corridoio prima che cominciassero a sparare, poiché le pallottole sarebbero probabilmente rimbalzate contro le pareti e, se le guardie avessero fatto fuoco ripetutamente, una di esse avrebbe finito per colpirlo di rimbalzo in un punto non protetto dalla seta nerina. Raggiunta la stanza della Tavola, si gettò con un balzo nella fossa, fermo nel mezzo, cercando di ignorare le statue e gli inseguitori. Quindi si concentrò per visualizzare il portale, mentre il rumore sordo degli stivali sul pavimento del corridoio si avvicinava e le pallottole cominciavano a fischiargli intorno. Ed ecco che, pian piano, si sentì cadere nella nebbia scura dalle sfumature verdi che si trovava al di sotto dei condotti degli ifrit. In quel momento, qualcosa di simile a una punta di lancia lo colpì alla spalla, seguita subito da un'altra e da un'altra ancora... Mentre sprofondava nell'oscurità nebulosa, l'intero fianco e la parte superiore del corpo erano diventati una massa dolorante e infuocata. Cosa stava facendo? Doveva concentrarsi. Dove stava cercando di andare? Di nuovo a Dereka... ma era così lontano... e non c'erano portali verde-dorati delle arianti... e aveva talmente freddo... così tanto freddo... lottò... cercando di orientarsi nel buio. 136 La Città Nascosta, Corus Wendra si allontanò con un balzo dal portale dalla superficie a specchio. Un dolore e un gelo mortale fluivano dal cristallo nero dell'anello che portava al dito. Lo guardò, benché non ne avesse bisogno. Alendra, rannicchiata nel marsupio, cominciò a gemere, come se si sentisse male. Wendra si rivolse all'ariante: «Alucius ha bisogno di me. Ha bisogno di me adesso!». Non hai ancora imparato a sufficienza. «È ferito e si trova da qualche parte in un condotto o in una linea sommersa. Lo sento. Devo aiutarlo a tornare. Dopo mi potrai insegnare altre cose. Sblocca i portali. Ti prego.» L'ariante si strinse nelle spalle con un'aria di fatalità. È pericoloso. Se fallisci, tutto quello che conosci e che ami potrebbe andare perso. «Non ha importanza! Senza noi due, tutto sarebbe comunque perso.»
Wendra raddrizzò le spalle. «Mi puoi dare qualche consiglio su come fare?» Dovrai farti guidare dalla mente e dovrai evitare i luoghi contraddistinti dalle frecce, dirigendoti invece verso quelli meno evidenti, segnalati da cerchi nascosti. Come vedrai, lui si trova vicino al cerchio blu e marrone. L'immagine dell'ariante sembrò farsi più confusa. I portali sono aperti, ma devi agire in fretta. Senza parlare, Wendra sistemò meglio Alendra nel marsupio e salì sulla liscia superficie del portale. Poi cominciò a cadere nella nebulosa oscurità sfumata di verde. Alle sue spalle, l'ariante crollò a terra, mentre le ali le si afflosciavano e la luminescenza verde-dorata si affievoliva. 137 Alucius cercò di concentrare i propri pensieri nella ricerca del portale nascosto color oro e cremisi, ma riusciva solo ad avvertire le frecce blu e verde scuro, quelle dove gli ifrit lo stavano aspettando... e lui sapeva bene che, così malridotto, avrebbe avuto pochissime probabilità di cavarsela. Dov'era il portale oro cremisi? In quel momento, sentì qualcosa, qualcosa dalle sfumature verdi-dorate... ma così distante... sempre più distante. Lottò con tutte le forze per avvicinarsi, ma gli pareva di non fare alcun progresso e, nel frattempo, si sentiva invadere da una sensazione di gelo sempre più profonda. All'improvviso, avvertì un tocco caldo... e gentile. Si trattava forse di un'ariante? Il portale verde-dorato era stato aperto? Sentì vicino a sé una presenza, che lo spingeva e lo guidava, cedendogli in qualche modo un po' della sua energia, mentre lui si sforzava di raggiungere il portale verde-dorato, che non sembrava più così lontano. Eppure, quel viaggio pareva non avere fine. Poi una barriera verde-dorata esplose al suo passaggio in tanti frammenti argentei. Alucius si reggeva a malapena in piedi sulle gambe malferme. Sentiva qualcosa di umido e appiccicoso scorrergli su un lato del viso e un sapore metallico in bocca. Attorno a lui c'era qualcosa di ambrato, ma non lo poteva vedere. Poteva solo avvertirlo. «Sei stato ferito», disse una voce. Sapeva di dover riconoscere quella voce, ma prima che potesse darle un
nome, le gambe gli cedettero. Venne travolto da un'ondata rossastra e tutto cominciò a girargli vorticosamente intorno, sempre più veloce. Una profonda oscurità si impadronì di lui, un'oscurità frammista a fiamme e a visioni violacee di ifrit che se ne stavano in disparte a ridere e di palazzi le cui mura si chiudevano su di lui. Alucius si svegliò. Aprì gli occhi e non riuscì a vedere niente. Niente del tutto. Non c'era né l'ambra, né il rosso, né il verde, soltanto un nero compatto che non lasciava intravedere nulla. Venne percorso da un brivido. Dove si trovava? Cos'era successo? Perché non era in grado di vedere? «Guarirai, tesoro mio. Cerca solo di riposare.» «Wendra?» «Sono qui.» Una mano calda gli accarezzò la fronte. «Come...? Dove siamo?» Le domande gli uscirono a raffica. «Nella città nascosta. O in una di esse. Le arianti mi hanno portata qui, con Alendra. Sta bene. Anche se si è spaventata molto quando tu sei stato ferito.» «Dov'è?» «È qui. Adesso dorme, finalmente», la voce di Wendra aveva una punta di dolcezza. «Non riesco a vedere. Non riesco a vedere niente. Tu stai bene?» «Sto bene. Stiamo bene tutte e due. Guarirai presto. Le arianti hanno detto che a volte succede quando qualcuno è ferito e ha viaggiato attraverso le linee sommerse.» Alucius rimase per un po' in silenzio. Agitò le dita e le sentì muoversi contro le gambe. Anche le dita dei piedi si muovevano. «Posso mettermi a sedere?» «Certo», rispose Wendra. «Ti sentirai un po' stordito. Hai picchiato la testa, o deve averti colpito qualcosa.» «Schegge di pietra o pallottole. O entrambe le cose.» Respirò adagio. «Mi avevano detto che eri sparita... ti stavo cercando dappertutto.» Alucius tacque. «Siamo davvero nella città nascosta?» «Ce ne sono due. Le ho viste ambedue. Ci troviamo in quella che conosci anche tu. Probabilmente siamo anche nella stessa stanza.» «Come sei arrivata fin qui?» Si bloccò. Gliel'aveva già detto. Gli riusciva difficile coordinare i propri pensieri. «Perché le arianti ti hanno portata qui?» Sentì che stava rabbrividendo. «Per insegnarmi altre cose... per richiamare la tua attenzione.» «Quando me l'hanno detto, ho continuato a cercarti. Korcler è venuto fin
da Punta del Ferro per avvisarmi. Pensavo che ti avessero rapita gli ifrit. Gli ifrit... sono mercanti, traditori, o meglio i mercanti sono ifrit...» Le parole sembravano aggrovigliarsi nella sua bocca, ma forse era perché stava battendo i denti ed era attraversato da violenti brividi. Wendra gli avvolse una coperta attorno alle spalle. «Devi riposare. Alendra e io siamo qui. Non devi cercarci più. Siamo tutti insieme.» «... tutti insieme...» Quella fu l'ultima frase che udì prima di piombare di nuovo nell'oscurità. 138 Tempre, Lanachrona Mentre prendeva posto sulla sedia all'altro lato del tavolino accanto al divanetto, il Signore-Protettore bevve un piccolo sorso dal suo calice. Teneva lo sguardo rivolto verso la moglie, ma in realtà non guardava né lei né la parete alle sue spalle. «Talryn?» Il Signore-Protettore non rispose. «Talryn.» La voce di Alerya si alzò di tono. «Non hai sentito una sola parola di quello che ho detto. Nemmeno una.» «Cara, mi stavi dicendo di quanto sia diventato robusto il piccolo Talus e di come sia riuscito a girarsi da solo nella culla.» «Avevo l'impressione che non mi stessi ascoltando. Che succede?» «Oh, niente...» Talryn scrollò le spalle. «Non può essere. Non quando mi guardi come se fossi trasparente. Potrei trovarmi a Soupat o a Porta del Sud e tu non te ne accorgeresti.» Il Signore-Protettore scosse il capo, gli occhi finalmente fissi su Alerya. «Mi dispiace. Ci sono così tante cose...» «Lo so. Ma a chi altri lo puoi raccontare se non a me?» «Questa è una cosa banale. Tuttavia mi preoccupa, anche se non so spiegarmene il motivo. Rammenti la stanza della Tavola? Di come avevo fatto distruggere i resti della Tavola e sigillare la stanza?» «Me ne avevi parlato, certo», disse Alerya in tono circospetto. «I servitori e le guardie dicono di avere sentito dei rumori. Ho fatto togliere i sigilli alla porta, ma non abbiamo trovato niente.» «Forse si tratta dei topi. Cos'altro potrebbe essere?» «Temo che non si tratti solo di roditori o di ladri. Non che sia rimasto qualcosa là dentro. Il capitano maggiore a suo tempo mi disse che le Tavo-
le erano un mezzo di trasporto. Disse che erano pericolose.» «Sono certa che avesse ragione. Hai fatto bene a far sigillare la stanza. Che altro puoi fare?» «Non lo so.» Talryn fece una pausa. «Ho fatto rimettere i sigilli.» «In tal caso, non pensarci più. Hai già abbastanza pensieri. Ti preoccupi di tutto.» «Al posto mio, tu non lo faresti? Waleryn complottava con Enyll, che sapeva usare la Tavola. Adesso, Waleryn è partito per Lustrea alcuni mesi fa ed è sparito senza dare notizie. Su di lui non ho ricevuto alcun rapporto, né messaggi dai miei ricognitori e dalle mie spie. La Reggente della Matride sta schierando le sue truppe contro le nostre guarnigioni al sud e, sebbene la minaccia del lancia-proiettili sia stata scongiurata, Alyniat non è certo di riuscire a difendere Fola.» «Non me l'avevi detto.» «Ho ricevuto un rapporto questo pomeriggio.» Talryn emise un sospiro. «Pensi di richiamare il colonnello delle Guardie del Nord?» «Se solo potessi. Perché non ce ne sono altri come lui? E per giunta è uno del nord. Me ne servirebbero a decine. Ma è solo e non posso farlo venire qui. Non farei che creare altri problemi. Weslyn ha smembrato due intere compagnie intascandosi le loro paghe e ha promosso una dozzina di capitani incompetenti per nascondere tutti i suoi intrighi. Il colonnello Alucius e il maggiore Feran stanno cercando di riorganizzare le Guardie del Nord. Se richiamo il colonnello non avremo più copertura a nord e la Reggente potrebbe concentrare tutte le sue forze attorno a Fola e a Dimor. È come se qualcuno avesse pagato Weslyn per distruggere le Guardie del Nord.» «Forse è così», disse Alerya. «Farebbe comodo alla Reggente.» «Già.» Talryn bevve un altro sorso. «Proprio così. Spero solo che il colonnello agisca con decisione e prontezza e che Alyniat riesca a tenere duro a sud.» 139 Quando Alucius si svegliò di nuovo, Wendra era al suo fianco, e questa volta lui la poté vedere: gli occhi dorati screziati di verde, i capelli castani dai riflessi ramati, la bocca sensuale e le labbra generose. Non poté fare a meno di sorridere. «Ti senti meglio?» Lei si sedette sul bordo del letto, spostando legger-
mente di lato il marsupio con Alendra. «Non credo di essere mai stato peggio.» Alucius si mise lentamente a sedere posando i piedi sul pavimento color ambra. La parte sinistra della testa gli faceva ancora male, ma era un dolore sordo, non le fitte lancinanti che sentiva quand'era arrivato barcollante nella stanza della torre. Fece scivolare un braccio sulle spalle di Wendra, stringendola dolcemente a sé e cercando di non disturbare il sonno di Alendra. «È una bambina buona, non è vero?» «La maggior parte del tempo. Tranne quando ha fame.» Dopo un po', Wendra gli domandò: «Come va la testa?». «Eri tu nell'oscurità, che mi guidavi?» «Ho cercato di farlo. Eri così pesante; so che non si trattava del peso fisico, ma era così che mi sentivo. Mi sembrava di essere a malapena capace di spingerti verso i portali delle arianti.» «Avvertivo la tua presenza. Non ce l'avrei fatta senza il tuo aiuto», le confessò Alucius. «L'ariante non voleva che venissi da te. Diceva che non avevo ancora imparato abbastanza.» «Cosa ti hanno insegnato?» «A viaggiare attraverso le linee sommerse...» «È così che chiamano le linee di oscurità nebulosa che si trovano sotto i condotti degli ifrit?» «Sì. Quando sono venuta a cercarti, mi sono tenuta lontana da quei condotti. L'ariante mi aveva detto che sono pericolosi.» «Immagino di sì», disse quasi tra sé Alucius. «Sapevo dei condotti, ma fino a pochi giorni fa non mi ero reso conto che esistessero queste linee sommerse.» Fissò Wendra. «Perché ti hanno portata qui?» «Te l'avevo detto quando... Mi avevano avvisata che avresti potuto non ricordare. Mi hanno portata qui per tenermi lontana dagli ifrit per insegnarmi altre cose e per attirare la tua attenzione.» «Attirare la mia attenzione?» «L'ariante ha detto che altrimenti non avresti agito tempestivamente contro gli ifrit. Era molto preoccupata. Si sentiva in modo quasi palpabile.» Wendra si mordicchiò il labbro inferiore. «Si sta comportando come se non ci fosse più molto tempo. È irascibile come una vecchia zia.» Nel marsupio, Alendra si dimenò e fece un versetto. Alucius sorrise, ma tornò subito serio. «Perché le arianti sono preoccupate?»
«Gli ifrit stanno ricostruendo le Tavole. Le barriere che le arianti avevano eretto un tempo sono crollate. Gli ifrit stanno cercando di nuovo di invadere Corus. Il loro mondo si sta estinguendo. Ne hanno quasi prosciugato tutta l'energia vitale e adesso verranno qui per fare lo stesso con il nostro.» «Se non saranno fermati», disse Alucius. «Se noi non li fermiamo. Le arianti non hanno più forza sufficiente a trattenerli.» Alucius fu sul punto di chiedere come mai dovevano essere proprio lui e Wendra a farlo, ma non sarebbe servito a niente. Loro due erano giovani e avevano una vita davanti, ma quella vita non sarebbe stata felice - almeno non sotto il dominio degli ifrit - ammesso che fossero sopravvissuti. Ma si chiese come mai proprio lui dovesse attaccarli e l'unica risposta che gli venne in mente fu che non c'era nessun altro che possedesse la capacità di fermarli - o comunque nessuno di cui le arianti fossero a conoscenza - anche se non era neppure certo che lui e Wendra ci potessero riuscire. «È per questo motivo che avevano chiuso i loro portali?» chiese. «Penso di sì.» Le sopracciglia di lei si marcarono con fare interrogativo. «Sentivi che erano chiusi?» «No, non esattamente. Sentivo che non c'erano. Stavo cercando di dirigermi verso tutti i portali non sorvegliati dagli ifrit.» «Come facevi a sapere dove ti trovavi?» gli chiese Wendra. «Come facevi a sapere quali erano i posti dotati di Tavole e quali no?» «All'inizio non lo sapevo», ammise Alucius. «È per questo che mi sono cacciato nei guai la prima volta. Poi ho cercato di ricordarmi dov'ero stato e ho trovato la mappa.» Si chinò verso di lei e la baciò con foga, forse con troppa foga. Lei lo interruppe. «Una mappa? Che genere di mappa?» Alucius guardò timidamente la moglie, poi si raddrizzò adagio e si diresse verso i ganci alle pareti, sui quali erano appesi i suoi vestiti. Dopo averli frugati, estrasse la mappa. «Avevo altre cose per la testa...» «L'ho notato», ribatté lei seccamente. «Anche tu, però.» Wendra arrossì. Entrambi scoppiarono a ridere. Alucius le tese la mappa. «Gli ottagoni verdi mostrano i punti dove gli ifrit avevano collocato le Tavole ai tempi del Duarcato. Almeno, così mi è parso di capire.»
Mentre lei la studiava, Alucius la guardò, sentendosi profondamente grato per il fatto che fosse sana e salva. Non poteva fare a meno di preoccuparsi per la sua protratta assenza dal quartier generale delle Guardie del Nord, ma la risoluzione del problema degli ifrit aveva sicuramente la priorità, sempre che lui e Wendra trovassero il modo. O che le arianti lo insegnassero loro. 140 Salaan, Lanachrona Nonostante il pesante giaccone nero imbottito di vello di pecora, Tarolt rabbrividì, mentre scendeva dalla Tavola. Uscì rapido dalla stanza e risalì le scale fino a mettersi davanti alla stufa nella sala delle riunioni. L'Archivista lo seguì in silenzio, aspettando che parlasse. Alla fine, Trezun si schiarì la voce. «Cosa avete scoperto?» «Quello che sospettavamo. C'è stato un incidente e i sigilli sono stati forzati. Voi rimetterete ordine nel pasticcio di Caponero e sigillerete la stanza. Non dovrebbe richiedere molto tempo e inoltre potremmo non avere bisogno di quella Tavola. Quel posto, così com'è ora, è troppo freddo per consentire un suo utilizzo regolare. Come facciano a sopravvivere in quel gelo... ma, d'altra parte, loro sono fatti così.» «Sì, Tarolt. E il colonnello pastore?» «Era arrivato fino a Caponero e poi si è diretto da qualche altra parte. C'erano le sue tracce lassù, ma poi avrà trovato un altro portale.» «Deve essere abile nell'uso dei portali, allora. Non esistono elementi certi che indichino che si sia servito delle altre Tavole.» «Questo dà per scontato che tutte le altre Tavole funzionino a dovere.» Il tono di voce di Tarolt era secco. «È davvero così?» «Le uniche Tavole vecchie sono quelle di Soupat e di Caponero. Voi avete controllato quella di Caponero. Quelle che ci sono qui, a Prosp e a Norda sono tutte nuove.» «Appena cinque Tavole. Dobbiamo affrettare la ricerca degli scettri.» Tarolt aggrottò la fronte. «Sarà meglio informare Lasylt delle ultime imprese del colonnello pastore. Perché mai non si rendono conto che ci servono ulteriori aiuti?» Trezun rimase in silenzio per un po', prima di aggiungere: «Waleryn si è dato da fare sui localizzatori». Evitò di fissare il suo capo negli occhi. «Ho idea che non stiate per comunicarmi notizie piacevoli.»
«Non sono proprio come pensavamo che fossero.» «Ben poche cose lo sono», replicò Tarolt. «Funzionano?» «Sì, ma non proprio come Waleryn se l'era immaginato.» «Spiegatevi meglio.» «Erano stati progettati per scoprire gli scettri. Waleryn non è ancora in grado di stabilire la loro esatta collocazione. Occorre effettuare qualche triangolazione. Per il momento, riesce solo a cogliere un segnale. Ritiene che l'altro scettro possa essere andato distrutto.» «Non possono essere distrutti. Non qui su Corus. Uno è stato rimosso dal suo contenitore. Potrebbe essere ovunque. Ci sarebbe utile una mappa che indichi la collocazione delle vecchie Tavole. Ne abbiamo solo un elenco incompleto.» «Ma ci sono anche buone notizie», aggiunse Trezun. Tarolt attese che l'altro proseguisse. «Grazie ai localizzatori e all'altro scettro, anche quello mancante potrà essere ritrovato.» «Questo vale solo se riusciamo a trovarne uno. Speriamo che il colonnello pastore non ne comprenda l'importanza. O che gli antichi abitanti non glielo spieghino.» L'espressione di Tarolt si fece ancora più severa. «Detesto dovermi basare sulla semplice speranza... o sulla debolezza e sulle mancanze altrui.» 141 Nei due giorni seguenti l'ariante fece solo alcune brevi apparizioni, dicendo ad Alucius e a Wendra che le sue energie erano limitate e che avrebbe atteso finché Alucius non fosse stato in grado di viaggiare attraverso le linee sommerse, prima di comunicare altre istruzioni. Senza nemmeno dare ai due il tempo di protestare, l'ariante era già sparita, lasciando loro provviste limitate e il controllo completo della torre. Alucius aveva cercato di sollevarsi a mezz'aria, come aveva imparato a fare durante il suo precedente soggiorno, ma con i portali di nuovo bloccati, le energie della forza vitale erano troppo deboli. Così, erano rimasti confinati a quel piano della torre dalle mura ambrate. Se non fosse stato tanto preoccupato per gli ifrit e per la sua assenza dal quartier generale, Alucius avrebbe potuto godere maggiormente di quei momenti passati con Wendra e con la loro bambina. Ma stando così le cose, la sua gioia era continuamente offuscata dal desiderio che le circostan-
ze fossero diverse. «Approfittiamo di questo poco tempo che ci è concesso», gli ricordò più volte Wendra. Doveva essere il giorno di novdi, quando l'ariante ricomparve all'improvviso. Uscì dalla superficie a specchio del portale nella stanza a forma di trapezio dove i tre erano soliti passare la maggior parte del loro tempo. Non si librò in aria com'era solita fare, ma rimase in piedi sul pavimento ambrato di fronte ad Alucius e a Wendra. I due erano seduti sul bordo del letto e Wendra teneva tra le braccia la piccola Alendra. Benché Alucius fosse seduto, la sua testa era quasi alla stessa altezza di quella dell'ariante. Le ali di quest'ultima mostravano appena una debole traccia dell'antica iridescenza verde-dorata. L'ultima cosa che vi posso insegnare sarà quella che stabilirà se sarete in grado di sopravvivere quando farete ciò che è necessario per fermare gli ifrit. L'ariante fece una pausa. Ad Alucius parve che stesse ansimando, anche se le sue orecchie non percepivano alcun suono. Dovete imparare ad ancorarvi. Ad allacciare i vostri fili vitali a quelli di tutto quanto vi circonda. Gli ifrit non ne sono capaci. Osservate... Alucius si concentrò sull'ariante la quale, sebbene giovane d'aspetto, sembrava stanca, sfinita. Tuttavia, egli avvertì i sottili filamenti che si estendevano dal filo vitale di lei e si agganciavano all'ambra delle pareti e persino al metallo argenteo della finestra. Con la stessa rapidità con cui i fili avevano dato l'impressione di fondersi con l'ambiente circostante, altrettanto rapidamente si sciolsero, e l'ariante tornò libera. Dovete provare. Quando siete collegati in questo modo, qualunque attacco sferrato da un ifrit non vi potrà toccare né fare del male. Alucius si alzò, cercando di estendere i sottili filamenti del suo filo vitale. No! Questi fili sono parte di voi e devono restare tali. Se li liberate, perdete una parte di ciò che siete. Alucius deglutì. Aveva avvertito un tono di fermezza nell'ariante e anche di paura, una paura tanto concreta che per un attimo si sentì raggelare. Ciò che stavano imparando era così pericoloso? È estremamente pericoloso. Potrete collegarvi al potere e conquistarlo, ma questo può essere ancora più pericoloso. Una punta di ironia trasparì dalle parole che seguirono. Tutto ciò che conferisce potere implica perico-
lo. L'ariante guardò Wendra. Anche tu dovrai imparare. Il tuo compagno non potrà proteggerti, né tu potrai proteggere lui. Alucius tentò di nuovo, cercando di visualizzare i filamenti più sottili del suo essere, quasi fossero appendici che si protendevano all'esterno pur rimanendo ancorati a lui. Meglio, ma devono essere più forti e più numerosi. Alucius rimase a osservare, mentre Wendra cercava di fare altrettanto. Tieni i fili ancorati a te... Trascorse almeno una clessidra prima che l'ariante sollevasse una mano sottile. Può bastare. Se vi esercitate, diventerete forti a sufficienza da sapervi proteggere. «Come potrà proteggerci tutto questo?» chiese Wendra. Quando siete collegati al mondo in questo modo, non potrete essere catturati dal potere delle loro Tavole o della loro energia vitale. Restare isolati dal mondo rende vulnerabili. Collegarvisi più strettamente conferisce forza. Vi servirà questo per salvare il nostro... il vostro mondo dall'annientamento e dalla distruzione... «Useranno le Tavole per prosciugare il mondo e la sua energia vitale? O lo possono fare direttamente?» domandò Alucius. Inizialmente dovranno utilizzare le Tavole. Una volta che i capi degli ifrit si saranno stabiliti qui, saranno in grado di attingere direttamente dal mondo, come avevano già cominciato a fare prima del Cataclisma. Arriveranno come un tempo, riversandosi qui attraverso i condotti e le Tavole. «Ma hanno semplicemente aggiunto le Tavole a una rete già esistente?» si informò Wendra. Non era... non è una rete... quelle linee fanno parte dei fili del mondo stesso. Se noi possedessimo ancora sufficiente energia vitale, potremmo viaggiare attraverso questi fili, come facevamo un tempo e come fate voi adesso. «Senza l'aiuto di alcuna Tavola o portale?» Sì. Le Tavole servono agli ifrit. Rappresentano la loro forza e la loro debolezza. Alucius non capiva in cosa consistesse quella debolezza. «Quale debolezza?» Sono obbligati a usare una Tavola, o un luogo che un tempo ospitava una Tavola, o che comunque sia attivato in altro modo, come ad esempio da uno degli scettri. Possono anche trasportare coloro che non sono capaci di usare da soli le Tavole. Questo rappresenta la loro forza. Se tu impa-
rerai, sarai in grado di viaggiare ovunque, attraverso i principali fili della rete, ma non potrai trasportare nessuno... La debolezza sta nel fatto che un uso eccessivo delle Tavole esaurisce più rapidamente l'energia vitale di un mondo... Alucius annuì. «Quindi, non dovrebbero servirsene in troppi?» Se vengono usate da un pugno di individui non dovrebbero creare problemi, ma se vengono utilizzate da migliaia di persone o per il trasporto di grossi oggetti metallici, il mondo si indebolirà prima del tempo e morirà, così come ogni sua forma di vita. Persino l'esistenza di molte Tavole nel corso dei secoli può portare alla morte di un mondo... Ma adesso basta... dovete fare ciò che è necessario... Se volete che i vostri figli sopravvivano e crescano, dovete viaggiare attraverso i condotti tenebrosi fino al mondo degli ifrit. Solo là potrete fermarli. «Perché non l'avete fatto voi?» chiese Alucius. Non ci è stato possibile. Noi non possiamo viaggiare attraverso quei condotti. Anche solo entrare in uno di essi potrebbe ucciderci. E non eravamo nemmeno al corrente degli scettri, allora. Scettri? L'ariante non vi aveva mai accennato prima e ora ne parlava come se fossero di importanza vitale. Aveva ancora così tante domande da farle. «Perché noi possiamo...» Alucius si fermò. «Perché hanno contribuito alla nostra origine?» La sola idea che lui e Wendra fossero in qualche modo collegati con gli ifrit gli dava il voltastomaco e lui l'aveva rifuggita sin da quando l'aveva appresa, anni addietro. Wendra spalancò gli occhi, ma non parlò. Voi siete parte di questo mondo, di un altro mondo e di quello degli ifrit, ma appartenete a voi stessi. Noi apparteniamo a noi stessi e a questo mondo ed è per questo che non siamo forti a sufficienza. «Ma mi avete portato qui. Avete fatto così tante cose», protestò Wendra. Non ti ho portata io. L'hanno fatto coloro che possiedono forza. Il nostro destino è stato stabilito fin dall'inizio, poiché a noi è consentito possedere o esperienza o forza. Non possiamo possedere entrambe. L'esperienza non è la forza. Le arianti sono molto esperte, ma voi siete più forti. L'esperienza può essere insegnata, se c'è l'intelligenza. Noi abbiamo o l'intelligenza o la forza. Non abbiamo mai avuto entrambe. Voi sì. Dovrete usare la vostra forza per trovare uno degli scettri e portarlo dove sarà in grado di distruggere per sempre la via d'accesso degli ifrit verso Corus. Di nuovo gli scettri? I ragionamenti dell'ariante sembravano piuttosto frammentari.
Alucius non aveva mai sentito parlare degli scettri prima d'allora. Oppure sì? Non si citava forse lo scettro del giorno in uno degli antichi scritti? E non c'era forse una statua a Dulka - doveva trattarsi di Dulka - che reggeva uno scettro sulla punta del quale brillava una fiamma azzurra? «Cosa sono questi scettri? Dove si trovano?» Erano il simbolo del Duarcato e svolgevano una ben precisa funzione. «Quale funzione?» insistette Alucius. Rendevano possibile l'esistenza delle Tavole. Creavano dei punti deboli, delle crepe nelle linee di energia vitale che tiene insieme il mondo. Se non saranno ricongiunti con il loro elemento primo o se uno di essi non verrà distrutto, col tempo... L'ariante diede l'impressione di stringersi nelle spalle. «Col tempo cosa?» domandò Wendra, una punta di irritazione nella voce. Le reti dell'energia vitale avvizziranno e moriranno, così come tutta la vostra futura stirpe. Quanto tempo ci vorrà, non sappiamo. Forse centinaia di anni, ma succederà. «Come hanno fatto gli scettri a creare le Tavole?» Ciascuno di essi contiene in sé l'energia vitale di tutti i mondi posseduti e prosciugati dagli ifrit. Ognuno di questi mondi ha contribuito ad alimentare una piccola parte dell'energia degli scettri. La tensione tra i due scettri gettava scompiglio nell'equilibrio delle forze di un mondo. Tale squilibrio rendeva possibile la creazione dei condotti di traslazione tra i vari mondi e tra le Tavole e i portali. «E noi dobbiamo distruggere gli scettri?» chiese Alucius. «O uno di essi?» Sarà sufficiente... L'ariante parve scuotere il capo, benché non si fosse mossa. Diventa più difficile conservare la lucidità. Dovrete distruggere solo uno scettro... «E come possiamo farlo?» domandò Wendra. «Dove lo troviamo?» Trovatelo... dovete... potete... è d'argento ritorto e nero, custodito in rosa e viola, e non può trovarsi lontano da una linea sommersa, un filo vitale del mondo. Ed è dotato di una sua particolare... vibrazione... Il suo aspetto... non siamo in grado di descriverlo. Potrebbe essere qualunque cosa. Non l'abbiamo mai visto, ma solo percepito... L'ariante s'incurvò, quasi facesse fatica a reggersi in piedi sul pavimento dalle piastrelle ambrate. Distruzione... facile a dirsi, ma estremamente difficile. Dovrete... ricongiungerlo con lo scettro principale del mondo dal quale è stato preso...
dovrete trovare lo scettro principale del mondo degli ifrit e ricongiungerli. Non indugiate... poiché presto... giungerà una grande catastrofe... e voi sarete intrappolati là e morirete insieme a quel mondo... Alucius guardò Wendra. Dovrete impratichirvi in ciò che vi ho insegnato. Poi potrete riposarvi un po' prima di partire. È necessario che vi siate riposati prima di andare alla ricerca degli scettri e di avventurarvi nei condotti tenebrosi. «Dovremo agire rapidamente?» insistette Wendra. Se volete salvare voi stessi e il mondo che vi lasciamo. Devo andare... poco tempo è rimasto per me... per tutte noi... Fate il possibile... io... noi non possiamo offrirvi altro... nient'altro... L'ariante si avviò verso la stanza attigua, quella che conteneva il portale dalla superficie a specchio, quindi svanì. «Non ha detto altro», notò Alucius. «Non volava neppure.» «Sta morendo. Tutte loro stanno morendo», aggiunse Wendra. «Che tristezza.» «Morendo?» «Non riesci a sentirlo? C'era così poca energia vitale in lei.» Ad Alucius non era venuto in mente di osservare il filo vitale dell'ariante. «Sembravano così forti. Così invincibili.» «Ti è sembrata davvero invincibile?» Lui scosse il capo. Quasi senza accorgersene, sbadigliò. «Sono stanco. Anche se non ho fatto granché.» «Usare il Talento costa fatica e tu stai ancora scontando i postumi della tua ultima avventura.» «Dovremmo fare almeno un po' di pratica.» «Ma solo un po'», replicò Wendra. Alucius soffocò un altro sbadiglio e raddrizzò le spalle. 142 Salaan, Lanachrona Una nebbia viola-rossastra si liberò dal centro della Tavola. Mentre si dissolveva, comparve la figura di un ifrit dall'alta figura robusta. Gli occhi erano viola profondo, la pelle d'alabastro quasi trasparente, i lucidi capelli neri. Nell'uscire dalla Tavola e nel guardare prima Trezun e poi Tarolt, non sorrise. Trezun si inchinò immediatamente.
«Maestro Lasylt? Non mi aspettavo...» Tarolt inclinò rispettosamente il capo, ma senza profondersi in un inchino. «E chi altri vi aspettavate, date le circostanze?» La voce profonda risuonò nella stanza. «Chi altri?» I suoi occhi colsero il riflesso del suo viso nella superficie ora argentea della Tavola. «Questi capelli neri... questo pallore... è...» «Ci vuole un po' per farci l'abitudine», disse Tarolt. «Siamo pronti a fare ciò che desiderate.» «Dove sono gli scettri? Li avete messi al sicuro?» «Ne abbiamo localizzato solo uno e nel luogo in cui si trova non c'è una Tavola funzionante.» «C'è un portale?» domandò Lasylt. «Be', sì. Una volta c'era una Tavola.» «E non avete cercato di recuperarla?» «Visto che siamo rimasti solo in due...» fece notare Tarolt. «Capisco il vostro problema. Soprattutto quando è in circolazione un potente Talento-principiante. Dopo che mi sarò riposato, me ne occuperò.» «Ma gli scettri sono così importanti?» chiese Trezun. «Avete detto che questo Talento-principiante ha ucciso uno dei nostri efrani. Giusto?» «Sì, Lasylt. Ma si è servito di energia vitale attinta sul posto e di un'arma a proiettili ugualmente del posto.» Gli occhi violetti del nuovo arrivato emisero scintille. «Vedo che non avete capito.» «Ma... un'arma a proiettili?» «No, qualunque Talento-principiante in grado di conferire energia vitale a oggetti inanimati, siano essi metalli o minerali, costituisce un pericolo, poiché può condizionare l'utilizzo degli scettri. Oppure l'avete trovato, questo Talento-principiante?» «No. Era arrivato fino a Caponero, ma non è più là.» Ci fu un lungo silenzio. Il maestro anziano parve rabbrividire, poi inspirò profondamente. «Possiamo aiutarvi?» chiese Tarolt. «Aiutarmi? Ma sicuro.» Una risata sarcastica riempì la stanza. «Se solo il Talento fosse legato all'intelligenza. Se solo... Ma non possiamo cambiare ciò che è e ciò che non è.» Lasylt si rivolse a Trezun. «Ci sono altre Tavole che possono essere costruite o riattivate rapidamente?» «Waleryn - l'ingegnere-ombra di Lustrea - si è dato da fare per ricostrui-
re la Tavola di Norda. Adesso funziona già per la trasmissione di comunicazioni e nel giro di qualche giorno dovrebbe essere pienamente operante. Grazie alla sua posizione, quando sarà attiva, aumenterà di un altro quinto la potenza della rete.» «È la prima notizia incoraggiante che mi date.» L'ombra di un sorriso attraversò il volto dell'ifrit dall'alta statura. «Con un'altra Tavola ancora, saremo in grado di procedere alla traslazione di Talenti del terzo livello.» Lasylt annuì. «Allora, potremmo far arrivare qui trecento efrani nel giro di un anno e potremmo riscaldare ulteriormente l'atmosfera. Durante la nostra assenza, il pianeta si è di nuovo raffreddato, mentre è necessario disporre di maggiore calore per aumentare la massa dell'energia vitale. Tuttavia...» una lieve ruga d'espressione gli attraversò la fronte spaziosa, «non è possibile cancellare ciò che è già stato fatto». «Cosa è stato fatto?» «Ve lo spiegherò... dopo che mi sarò riposato.» Lasylt si diresse verso la porta che dava sulle scale. Trezun e Tarolt lo seguirono. 143 Quando Alucius e Wendra furono svegliati dal pianto lamentoso di un'affamata Alendra, una luce radente illuminava la stanza nella torre, creando un bagliore ambrato che ammorbidiva i contorni delle cose. Alucius passò un braccio attorno alle spalle di Wendra, stringendola a sé per un attimo. Poi si alzò e prese in braccio Alendra per consentire alla moglie di mettersi in una posizione più. comoda per allattare la figlia. Wendra si sedette sul letto, davvero troppo piccolo per ospitare due adulti e una neonata, e piegò la testa con fare interrogativo. Il viso le si irrigidì e, all'improvviso, gli occhi le si riempirono di lacrime. Alendra cominciò a piangere ancora più forte, quasi con disperazione. Alucius spostò lo sguardo dalla figlia alla moglie. «Che è successo?» «Se n'è andata. Se ne sono andate. Tutte le arianti. Te ne sei accorto?» Alucius proiettò il Talento tutt'intorno. Le nebulose linee sommerse del portale dalla superficie a specchio erano ancora là, ma la sfumatura verdedorata era sparita. E per la prima volta, il suo Talento non venne bloccato dalle mura della torre. Oltre le pareti, non avvertì alcun segno dell'energia vitale che avrebbe potuto denotare la presenza di un'ariante. Non ne era rimasta nemmeno una traccia infinitesimale.
Nemmeno una, come se tutta l'energia verde-dorata che aveva sempre fatto parte delle arianti fosse stata rimossa dal mondo, come se un'intera porzione di Corus fosse svanita. E lo era davvero. Le arianti erano sempre esistite, erano sempre state un elemento indissolubile da Corus e soprattutto dalle Valli del Ferro. Come potevano essersene andate? Eppure, persino mentre si poneva quella domanda, Alucius sapeva che Wendra aveva ragione. Il vuoto della città nascosta appariva ai suoi Talento-sensi come una voragine. Le arianti se n'erano andate. Chissà se alla fine ne era rimasta solo una? Chissà se anche lo spirito dei boschi di Madrien se n'era andato? «Erano qui ieri sera. Era qui.» Le sue parole suonarono prive di significato. Deglutì. La sera prima l'ariante stava morendo. E lei lo sapeva. Anche Alucius avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto immaginare. Ma le arianti erano arianti, e non pastori. Erano sempre state molto riservate e non accadeva mai che una di loro consentisse a qualcuno di avvicinarla. Questo lo capiva, anche se si sentiva rattristato. «Non voleva che lo sapessimo.» Wendra cercò di asciugarsi le lacrime dalle guance, ma queste continuarono a scorrere. «Credo... che fosse l'ultima rimasta. Deve essere stato proprio così.» I singhiozzi la scossero. «Non voleva che lo sapessimo... è triste... essere così soli...» Così soli. Alucius trovò difficile raffigurarsi cosa doveva essere stato librarsi su di una città vuota, cercando di resistere, cercando di condividere le proprie conoscenze con altri che non appartenevano neppure alla stessa razza, affinché una parte di quell'eredità non andasse perduta, cercando di ricordare, di dire ciò che era importante. I singhiozzi di Wendra si placarono. Alucius continuò ad assestare delicati colpetti alla schiena di Alendra e anche il suo pianto cessò, lasciando il posto a lievi singulti. Dopo un po' Alucius parlò di nuovo, rivolgendosi a Wendra. «Ha detto che tutto dipendeva da noi. Sapevo che non erano in molte. Ma non immaginavo che fosse l'unica rimasta. O che sarebbe accaduto ieri notte.» «Era così stanca», disse Wendra. «Così stanca. E sola... e io non l'ho capito. Avrei dovuto, invece.» Alendra ricominciò a gemere. «Puoi darmela, ora. Ha fame.» Wendra tese le braccia e Alucius le porse la piccola. «Mentre le dai da mangiare vado a lavarmi e a vestirmi. Poi me ne occupo io, mentre ti vesti tu.»
Wendra assentì, trasalendo lievemente mentre Alendra si attaccava con ingordigia al suo seno. «Sembri un maialino vorace, piccola mia... fai male alla mamma.» Scosse il capo. «In certe cose, ti assomiglia. Quando si mette in testa un'idea, non ascolta più.» «Ti aspetti che ascolti adesso che non ha ancora tre mesi?» chiese Alucius. Wendra si costrinse a sorridere, nonostante avesse ancora le guance rigate di lacrime. «In certe questioni... di appetito... l'età non conta.» Alucius si sentì arrossire. «Sarà meglio che mi lavi.» Si avvicinò al lavabo, rendendosi conto che avrebbe dovuto usare con parsimonia l'acqua rimasta, se non voleva volare giù a precipizio nello stretto pozzo che fungeva da unica via di collegamento tra i vari piani della torre. Quando ebbe finito e si fu vestito, si voltò verso Wendra. «Ancora un attimo», disse lei, abbassando lo sguardo su Alendra. Alucius sorrise. «Non vado da nessuna parte senza di te.» «Lo spero bene. Altrimenti ti metti di nuovo nei guai.» «Tu invece ti sei messa nei guai senza andare da nessuna parte», ribatté lui. «Da dove cominciamo per la ricerca degli scettri?» chiese Wendra. «Credo di sapere dove non sono. Altrimenti, li avrei percepiti - almeno lo spero - quando sono stato a Caponero, a Soupat, a Hyalt, a Dereka... o a Tempre.» «L'ariante ci ha dato un'idea», gli fece notare Wendra. «Se gli ifrit possono solo viaggiare attraverso le Tavole, gli scettri non dovrebbero trovarsi dove c'è una Tavola, o dove c'era comunque in passato?» «La mappa ci mostrerà le vecchie dislocazioni che non ho ancora visitato.» Alucius annuì. Dove aveva lasciato la mappa? Si guardò intorno, poi si accorse che era rimasta sul piano inferiore del lavabo. La recuperò e la aprì, esaminandola con attenzione alla ricerca di un indizio di qualcosa, qualunque cosa. Sorrise appena, nel rendersi conto che la stanza nella torre era praticamente l'unico posto in cui era riuscito a studiare la mappa alla luce del sole. Di lì a poco, vide finalmente un particolare che non aveva notato in precedenza. In corrispondenza dei vertici superiori di due degli ottagoni quelli di Dereka e di Lysia - c'erano due circoletti viola. Si accostò a Wendra e le mostrò la mappa. «Vedi? Qui e qui. Questi non compaiono su nessun altro ottagono.» «Esistono due scettri, non è vero?» domandò Wendra.
«È ciò che ha detto l'ariante.» Alucius aggrottò la fronte, mentre studiava la mappa. «Che c'è?» «Potrei averne già trovato uno, tranne che non era là.» Wendra inarcò le sopracciglia. «C'era una cella segreta, non lontana dalla stanza della Tavola di Dereka», Alucius continuò, spiegando che l'aveva vista e concludendo: «... e scommetto che un tempo lo scrigno conteneva uno dei due scettri. Ma lo scettro era sparito». «Ti è sembrato che mancasse qualcos'altro?» «Nessuno era più stato in quella cella da anni. C'era polvere dappertutto. Qualcuno deve averlo preso parecchio tempo fa.» «Forse potremmo tornare là attraverso le linee sommerse e cercare di capire dove portano le tracce?» C'era qualcosa, ma Alucius non ricordava bene di cosa si trattasse, anche se sentiva che avrebbe dovuto ricordare. «Non è più là. Dovremmo partire da Lysia.» «Sei già stato laggiù?» Wendra si appoggiò la piccola Alendra contro la spalla e le diede dei colpetti sulla schiena. «Non ancora, ma la mappa dice che i colori di Lysia sono giallo e arancio. Potremmo concentrarci su quelli.» «Può servire se ci teniamo la mano?» Wendra avvicinò la bambina all'altro seno. «Ha ancora fame.» «Non lo so. Male non può fare.» Alucius si accigliò. «E Alendra? Tu credi?» «Alendra viene con noi», replicò Wendra. «Non la lascio qui. Tra l'altro, dovremo sbrigarci. Alendra non potrà viaggiare ancora per molto con noi e non sappiamo quanto durerà la nostra ricerca. E poi, ci sono troppi ifrit in giro.» Alucius avrebbe voluto controbattere, ma la moglie sembrava già avere deciso, e a Corus gli ifrit erano già più numerosi di quanto avesse immaginato, senza contare che, coni condotti aperti sul loro mondo, ne sarebbero potuti arrivare degli altri. Parecchi altri. «Non ci metterò molto. O meglio, Alendra non ci metterà molto.» Alucius si avvicinò alla finestra e guardò fuori, osservando la città nascosta, una città che un tempo doveva contare parecchi abitanti e che ora ospitava solo tre pastori... e le speranze congiunte delle arianti e dei pastori.
144 Salaan, Lanachrona Una nebbia violacea si alzò dalla Tavola, lasciando emergere un'alta figura con un cofanetto tra le mani. Nella fondina fissata alla cintura c'era una pistola a lama di luce, il cui formulatore di tiro sembrava a metà fuso e a metà disintegrato. L'ifrit scese adagio e con cautela dalla Tavola, mettendo il cofanetto nero e argento tra le mani di Tarolt. «Attento... appena... in tempo...» «Maestro...» Lasylt si sedette sul pavimento di pietra. Poi i suoi occhi si rovesciarono indietro, per poi chiudersi mentre il suo corpo si inclinava adagio da un lato. Trezun lo afferrò lesto per i vestiti, impedendo così al Maestro di andare a sbattere con la testa contro il pavimento. Tarolt aprì la porta del passaggio segreto e portò il cofanetto nella camera di sicurezza in fondo al breve corridoio, tornando subito dopo a mani vuote e chiudendosi la porta alle spalle. «Che è successo?» balbettò Trezun. «La tensione del viaggio. Costa molta fatica trasportare una cosa del genere attraverso i condotti», spiegò Tarolt. «Si riprenderà presto. Portiamolo in camera sua.» Senza sforzo apparente, i due sollevarono l'ifrit e lo trasportarono su per le scale, attraversando la sala delle riunioni e un vestibolo, per poi salire un'altra rampa di scale e dirigersi verso una stanza d'angolo dove una stufa diffondeva un piacevole calore. Una volta là, lo adagiarono su un letto di ragguardevoli dimensioni. Tarolt prese il foglio ripiegato di carta perpetua dalla cintura del Maestro e lo aprì. Mentre lo studiava, sorrise. «Che cos'è?» «Un'antica mappa che indica la collocazione di tutte le Tavole.» Tarolt fissò i suoi occhi in quelli di Trezun. «Io aspetterò qui. Voi starete a guardia della Tavola. Se il Talento-principiante dovesse comparire, usate una lama di luce senza lasciargli il tempo di estrarre le sue, di armi.» «Sì, Maestro.» «Tarolt... per il momento.» «Sì, Tarolt.» Trezun assentì e si precipitò giù per le scale. Tarolt si sedette nella larga poltroncina di legno dallo schienale diritto e
si accinse ad aspettare. Trascorse una mezza clessidra prima che le palpebre di Lasylt battessero e un altro quarto di clessidra prima che l'ifrit tossisse e si guardasse intorno. Alla fine, mise a fuoco Tarolt. «Avete... lo scettro?» «È nella camera di sicurezza. Trezun si trova là, anche a guardia della Tavola, con una pistola a lama di luce.» «Bene.» L'ifrit si mise lentamente a sedere sul bordo del letto e fissò i propri occhi in quelli di Tarolt. Poi cominciò a parlare a bassa voce e in tono grave. «Dobbiamo insistere affinché Waleryn riattivi completamente la Tavola e porti subito il localizzatore qui a Salaan. Dobbiamo scoprire al più presto dove si trova l'altro scettro. Dopodiché uno di voi dovrà traslare verso quello scettro. Fungerà da portale.» Tarolt annuì adagio. «Sarò io a sobbarcarmi quella fatica. Trezun si limita alle Tavole.» «Non è tutto», continuò Lasylt. «Appena possibile, Tarolt, dovrete servirvi della mia autorità per ordinare la traslazione di altri dieci efrani, qui.» «Dieci?» «Mentre stavo venendo via con lo scettro, ho sentito il vostro Talentoprincipiante che si stava dirigendo verso Lysia. Abbiamo recuperato lo scettro appena in tempo. È molto più forte degli antichi abitanti e sta cercando gli scettri. Deve sapere a cosa servono. Se riusciamo a portarli qui entrambi, e se continueremo a essere solo in due, o anche più, a guardia della Tavola...» «Non possiamo fare questo senza l'aiuto di altri efrani», disse Tarolt. «No, non possiamo. Ecco perché ordineremo la traslazione di altri dieci.» «Con una rete tanto debole, le traslazioni sono ancora rischiose.» «Ordinatene quindici, allora, o venti. Alcuni soccomberanno, ma non dovremo permettere al Talento-principiante di impadronirsi di uno dei due scettri.» «Ho detto a Trezun di usare una lama di luce non appena lo vede apparire nella Tavola, senza aspettare che la traslazione sia completa.» «Bene. Ma abbiamo comunque bisogno di altri efrani. Andate a trasmettere l'ordine.» «Sì, Lasylt.» Tarolt chinò il capo e si alzò. «Scenderò tra poco.» Lasylt indugiò. «La camera di sicurezza è protetta dal Talento, non è vero?» «Certo, e la porta è chiusa a chiave.»
Lasylt annuì di nuovo, mentre Tarolt lasciava la stanza e scendeva le scale. 145 Alucius e Wendra erano in piedi sul bordo della liscia superficie a specchio nella stanza della torre. Alendra era saldamente assicurata ai fianchi della madre all'interno del marsupio e Alucius reggeva il fucile nella mano sinistra. Tutte le cartucce nel caricatore erano state rivestite con l'oscurità dell'energia vitale, così come quelle nella cartucciera. Egli si voltò a guardare Wendra e i loro occhi si incontrarono. «Sei pronta?» chiese infine. «No. Ma non lo sarei comunque né domani né il giorno dopo.» Wendra si costrinse a sorridere. «Senza contare che saremmo molto più affamati.» Alucius tese la mano destra e prese la sinistra di lei, poi salirono entrambi sulla superficie del portale. «Giallo e arancio, ricorda, sono questi i colori. Ti sembreranno indistinti, quasi non ci fossero. Potrebbero anche sembrarti nascosti dall'oscurità», disse Alucius. Wendra annuì. Alucius cominciò a concentrarsi per raggiungere l'oscurità nebulosa delle linee sommerse, cercando di coordinare i suoi movimenti con quelli di Wendra. Piano piano sprofondò nell'argentea luminosità dello specchio e lungo un tenebroso condotto, fino a raggiungere l'oscurità brumosa e screziata di verde che si trovava più in basso, sotto la città nascosta. Riusciva a malapena a percepire la presenza di Wendra, ma sentiva che lei era al suo fianco, attraverso quella specie di vicinanza che non si poteva toccare. Il freddo non era intenso come gli pareva di ricordare e, mentre procedeva in quel buio nebuloso verso sudest - quanto più lontano possibile dall'Altopiano di Aerlal - Alucius fissò i propri pensieri sul portale giallo e arancio, tentando di trasmettere le stesse sensazioni a Wendra. Lentamente, il portale si avvicinò, o meglio, essi si avvicinarono al portale, che appariva velato dall'alone violaceo di un condotto ifrit, presente però solo in parte. Alucius continuò a trasmettere l'immagine gialla e arancio a Wendra, benché non fosse certo che lei avvertisse ciò che le convogliava. Infine, si concentrò mentalmente per cercare di uscire dall'oscurità e dal freddo e tornare alla luce del mondo, al di là dell'argentea bar-
riera arancio che era apparsa dinanzi a lui. Trasformò tutto il suo essere in una punta di lancia e una miriade di gelide particelle gialle, arancioni e argentate esplose al suo passaggio... Alucius si trovò in piedi nella fossa della Tavola, solo. Si guardò intorno, ma non vide nessun altro nella stanza, nemmeno Wendra. Inghiottì a vuoto. Doveva rituffarsi in quell'oscurità e in quel freddo per cercarla? O doveva aspettare un attimo? Poi vide comparire un turbine di nebbia scura dietro al quale emersero Wendra e Alendra. Afferrò la mano della moglie e gliela strinse. «Stavo cominciando a preoccuparmi.» «Ho avuto qualche difficoltà a uscire.» «Scusa. Avrei dovuto dirti che bisogna immaginare di essere una specie di punta di lancia, o comunque un oggetto appuntito.» Un sorriso avvilito apparve sulle labbra di lei. «Ho cercato di essere un martello. Una lancia sarebbe stata decisamente meglio.» «O un'ascia.» Alucius esaminò la stanza con maggiore attenzione. A differenza di quelle che aveva visto finora, le pareti della stanza di Lysia erano piene di crepe e in più di un punto mostravano segni di buchi e di solchi tracciati dai proiettili. Un sottilissimo raggio di luce penetrava attraverso una fenditura sul soffitto illuminando fiocamente il locale. «La prossima volta andrà meglio», promise Wendra, dando dei colpetti affettuosi sulla schiena di Alendra. Alucius avvertì un'atmosfera violacea ancora prima di uscire dalla fossa che anni addietro aveva ospitato una Tavola. Era la prima volta che percepiva la presenza di un ifrit in un luogo dove non c'era una Tavola funzionante. Proiettò tutt'intorno i Talento-sensi, tenendosi pronto con il fucile, ma là non c'era nessun altro, e neppure nel passaggio che dava sulla scala che portava al piano superiore. «C'era un ifrit qui. Credo che adesso se ne sia andato.» «È questa sensazione violacea?» Alucius annuì. «Comunica un senso di freddo: è peggio di un serpente della sabbia o di una di quelle creature alla fattoria.» «Sono molto forti e indossano abiti fatti con un tessuto simile alla seta nerina. Un tessuto impregnato di energia vitale che lo rende altrettanto resistente a un colpo di sciabola o di fucile. Forse anche più resistente della seta nerina.» Alucius esaminò la prima serie di fori sulla parete, in corri-
spondenza dei punti in cui un tempo dovevano essere fissati i supporti per le torce a raggi di cristallo. «Credo sia questo», disse Wendra all'estremità opposta della stanza. «Qui ci sono quattro fori e impronte di piedi sulla polvere del pavimento.» Alucius girò intorno alla cavità rettangolare della Tavola e le si avvicinò. Osservò i fori, ma, ancora una volta, il Talento non rivelò nulla. «Vuoi cercare di aprirlo?» «Perché non mi mostri come si fa, così facciamo prima?» disse lei. Alucius insinuò attraverso i fori una sottile Talento-sonda resa collosa e ruvida all'estremità, come se fosse cosparsa di miele e ricoperta di sabbia, e armeggiò un poco con il congegno, che riusciva a malapena a sentire al di là del muro. Aveva la fronte madida di sudore quando udì un clic e la parete scivolò di lato a rivelare il passaggio segreto. Da questo fuoriuscì una nebbia violacea che avvolse i due pastori, ma Alucius era certo che non ci fosse più nessuno. Wendra arricciò il naso. «So che si tratta di qualcosa che avverto solo con il Talento, ma ha un cattivo odore. Non piace neanche ad Alendra.» I due si incamminarono lungo il corridoio che si trovava al di là del varco e che era lungo quasi dieci iarde e illuminato dalla luce fioca di un'antica torcia a raggi di cristallo. Come Alucius aveva previsto, in fondo vi era un'altra stanza quadrata, delle dimensioni di cinque iarde esatte per ogni lato. La polvere che si era depositata sul liscio pavimento di pietra era segnata da grosse impronte di piedi. Al pari della stanza di Dereka, anche questa aveva una scrivania collocata accanto alla parete in un angolo e corredata da una sedia dalle gambe alte. Contro il muro, sulla destra, si trovava una grossa cassettiera. Sul pavimento vicino alla scrivania c'erano dei vestiti: una tunica verde profilata di un viola brillante e pantaloni dello stesso colore; il tutto era corredato da un paio di stivali neri. Il tessuto degli abiti aveva un luccichio argenteo, segno che essi erano impregnati di energia vitale. Sulla parete più vicina alla scrivania si apriva una nicchia vuota. Alucius si avvicinò. A differenza di tutte le altre superfici della stanza, quella della nicchia era ruvida e irregolare, solcata da profonde scanalature alle estremità. Alucius sentì anche che la pietra emanava calore. Abbassò lo sguardo sulle goccioline pietrificate sul pavimento, poi lo sollevò su Wendra. «Lo scettro era qui. E neppure tanto tempo fa. L'ifrit si è servito di una delle sue lame di luce per scalzare il contenitore dalla pietra.» «E adesso, che facciamo?»
Alucius si fermò a pensare. «Credo di sapere dove si trova l'altro scettro o dove dovrebbe trovarsi...» Dopo aver pronunciato quelle parole, non poté impedirsi di assumere un'aria accigliata. «Dove?» «Deve essere a Madrien, sotto la Residenza della Matride. Non può essere da nessun'altra parte. L'ariante aveva detto che si nascondeva dietro al colore rosa e viola e l'intera dimora - così come qualunque cosa associata alla Matride - è contraddistinta da un'energia di quel colore.» «Ma avevi detto di avere distrutto il cristallo.» Wendra continuò a dare pacchette sulla schiena di Alendra, come per calmarla. «Sì, ma ammettiamo che il cristallo fosse solo una creazione dello scettro. È l'unica spiegazione possibile. E questo spiegherebbe anche perché la Reggente è stata in grado di riattivare i collari.» «Possiamo arrivare fin là attraverso le linee sommerse?» «Dovremmo poterci riuscire. Quando ero là dentro, continuavo a percepire un portale rosa e viola, ma scommetto che non si trattava per niente di un portale, bensì dell'altro scettro.» «In tal caso, non sarebbe meglio andare a vedere se riusciamo a recuperarlo prima che lo facciano gli ifrit?» chiese Wendra. Nel rendersi conto di avere fino ad allora cercato di evitare il ritorno a Hieron e alla Residenza della Matride, il volto di Alucius venne attraversato da un mesto sorriso. «Già, sarebbe meglio.» «Non ti va di tornarci, vero?» «Non ha importanza», replicò lui. «Hai ragione. Dobbiamo arrivarci prima degli ifrit.» Si girò e si avviò di nuovo verso la stanza della Tavola. «Potremmo tornare qui più tardi, se sarà il caso.» Wendra lo seguì, canticchiando sottovoce un motivetto ad Alendra. Dopo che furono usciti dal corridoio, Alucius usò il Talento per richiudere il passaggio segreto. Poi scese nella buca e Wendra lo seguì. Lui le prese la mano e gliela strinse. «Pronta?» Lei fece un cenno di assenso. Alucius si concentrò. I tre cominciarono a sprofondare nella roccia stessa, fondendosi nell'oscurità nebbiosa dei fili sommersi del mondo, che avrebbero percorso diretti a ovest, verso il segnale rosa e viola che contraddistingueva Hieron e il secondo scettro, almeno così sperava Alucius.
146 Norda, Lustrea Due lampade a olio posate su dei supporti, destinati in origine a reggere torce a raggi di cristallo, illuminavano la stanza i cui muri erano principalmente costituiti da antichi blocchi di pietra. Sulla parete nord, nei punti in cui erano state effettuate riparazioni recenti e frettolose, si vedevano le pietre più nuove. Il soffitto, ugualmente in pietra, era segnato dalla fuliggine di anni di passaggi con torce e lampade. Una figura solitaria stava in piedi davanti alla Tavola rettangolare che dominava nel mezzo della stanza sotterranea. L'odore dell'olio per legno e quello dell'energia che faceva funzionare le torce a raggi di cristallo si mescolavano nell'aria pesante del locale in penombra. Waleryn si avvicinò alla Tavola, gli occhi fissi sul bagliore violaceo emanato dal centro della sua superficie, un bagliore che si stava espandendo a ricoprirla tutta. Quasi immediatamente, comparve una specie di griglia. Circa un terzo delle sezioni che vi erano raffigurate era viola, mentre la parte restante era rossa. L'ingegnere-ombra si concentrò sulla griglia e un'altra sezione si trasformò da rossa in viola. Un istante dopo, l'intera griglia svanì. Waleryn si diresse verso il fondo della stanza e prese una cassetta di legno della lunghezza di un paio di iarde, ma dell'altezza e profondità di meno di un terzo. La trasportò fino alla Tavola, sulla quale poi salì tenendo la cassetta tra le mani e si lasciò sprofondare all'interno della sua superficie trasparente, scomparendo completamente alla vista. Quando riemerse dalla Tavola e si diresse al rozzo tavolo a ridosso della parete riparata di recente, aveva il respiro affannoso. Una volta là, posò la cassetta e prese posto sulla sedia. Trascorse circa un quarto di clessidra prima che il suo respiro riacquistasse una cadenza regolare. Poi si alzò e cominciò a estrarre oggetti dalla cassetta. 147 Il portale rosa e viola divenne sempre meno rassomigliante a un portale e sempre più simile a un luccicante punto di luce cristallino, che ardeva sinistramente attraverso l'oscurità nebulosa della linea sommersa che Alucius, Wendra e Alendra stavano percorrendo verso ovest. Non c'era infatti un portale ben definito, ma solo due anelli di fiamme rosa rossastre.
Alucius cercò di segnalare a Wendra che avrebbero dovuto tentare di emergere sul livello inferiore e si augurò che avesse capito. Frammenti di un viola metallico gli sfrecciarono tutt'intorno. Mentre usciva dall'oscurità, Alucius cercò subito Wendra, ma questa volta lei e Alendra erano al suo fianco. Il miasma violaceo - invisibile agli occhi, ma percepito con violenza dal Talento - impregnava l'aria stessa, oltre che l'intera stanza esagonale dai muri di pietra in cui erano arrivati. Ancora prima di scorgere l'ifrit che reggeva lo scettro, Alucius alzò il fucile e lo puntò. Lo scettro era simile come forma alla copia che egli aveva visto nella stanza della Tavola di Dulka: un bastone nero e argento - due metalli luminescenti e intrecciati strettamente tra di loro - sulla cui sommità era posto un grosso cristallo blu-viola. Il cristallo emanava una luce forte, di un viola profondo e brillante, quasi troppo vivido per poterlo guardare. Quando Alucius cominciò a premere il grilletto, il viso dell'ifrit venne attraversato da un largo sorriso. Nel vederlo, rilasciò la presa L'ifrit venne avvolto completamente da uno scudo rossastro, che fece ricordare ad Alucius ciò che gli era accaduto quando aveva tentato di colpire la prima volta il cristallo della Matride. L'ifrit aveva un aspetto familiare. «Siete Tarolt.» «Non è il mio vero nome, ma sì, sono proprio io. Sarebbe stato molto più semplice se aveste premuto il grilletto.» Alucius si concentrò e creò una rete di oscurità che scagliò addosso all'ifrit e allo scettro. «Non credo proprio.» Un lampo di energia violacea lacerò la rete. Un dardo nero volò da Wendra verso Tarolt colpendolo alle gambe e obbligandolo ad arretrare zoppicando, mentre abbassava lo scettro a formare uno scudo di protezione. Il successivo dardo di Wendra colpì lo scudo e Alucius sentì che si faceva più debole. «Come potete credere che trasformare un mondo in una terra desolata sia un bene?» Alucius sapeva che non aveva molto senso porre una simile domanda, ma voleva distrarre l'attenzione di Tarolt, mentre creava un altro proiettile di scura energia vitale, il che era un'ardua impresa, data la scarsità di energia presente nella piccola stanza. «Bene è ciò che consente a un popolo di sopravvivere con gloria, potere e dignità», replicò l'ifrit. «Non sopravvivere, o sopravvivere nello squallore e nella miseria, è un male.»
«Non posso credere che stiate pensando di distruggere tutta la vita di un mondo...» «Potete credere ciò che desiderate. Quello che credete non produce alcun effetto sull'universo, ma solo su di voi.» L'ifrit sorrise freddamente. «Le idee non cambiano nulla. Le azioni sì. Cambiano la disposizione degli elementi che costituiscono l'universo. L'universo rimane com'era e come sarà. Le idee hanno valore solo per colui che ci crede. Non esiste il bene assoluto nell'universo, ma solo la capacità di sopravvivere. Coloro che sopravvivono stabiliscono quale idea dovrà prevalere.» «Intendete dire quindi che il diritto di governare spetta ai più forti?» Alucius scagliò contro l'ifrit un'altra nera saetta di energia vitale, una saetta che scalfì leggermente lo scudo viola. «Non è sempre stato così? All'universo non serve un significato. Esso è, così, semplicemente. Siete voi a necessitare del conforto di un significato.» Alucius sapeva che l'ifrit si sbagliava, ma non era quello il momento di chiarire il suo punto di vista. Gli scagliò contro un altro proiettile, riuscendo a indebolire ulteriormente lo scudo creato dallo scettro, senza tuttavia penetrarlo. «Inoltre, tutte le specie di vita superiori sono uguali. Avete chiesto agli antichi abitanti cosa li sorregge?» «Gli antichi abitanti? Le arianti?» «Coloro che voi chiamate arianti rappresentano solo una metà della specie.» Il sorriso dell'ifrit si fece più largo, e più freddo. «Non erano diverse da noi, tranne che adesso stanno morendo, mentre noi vivremo. Vi hanno detto solo ciò che a loro fa comodo che sappiate. È così che va la vita.» Poi indietreggiò e raggiunse un passaggio, che fino a quel momento aveva tenuto nascosto per mezzo di un'illusione talentosa, e si apprestò a risalire i gradini di una scala. Alucius gli corse dietro, seguito da Wendra, e creò uno scudo verdedorato a proteggerli entrambi, mentre lanciava un'altra saetta nera contro l'ifrit Da qualche parte sentì spegnersi dei Talento-allarmi e dei passi dirigersi verso di loro. Avevano appena raggiunto la cima della stretta rampa di scale e si accingevano ad attraversare il passaggio a volta del piano superiore che vennero avvolti da un'accecante luce rosso-violacea, una luce non solo percepibile dai Talento-sensi, ma anche dagli occhi. Alendra emise un gemito e cominciò a piangere. Come se non fosse mai stato distrutto, là, sospeso a mezz'aria al centro
della stanza dalle pareti di pietra, ruotava un grosso cristallo sfaccettato. Le radici talentose di energia violacea non si protendevano più verso la roccia, ma direttamente verso lo scettro che Tarolt reggeva. Persino le pareti di pietra, un tempo disseminate di crepe, erano state rigenerate o riparate, così che la loro superficie adesso era liscia e priva di segni. Alucius capì che l'ifrit aveva difficoltà nel tentativo di traslare fuori dalla stanza e di mantenere nel contempo il controllo sullo scettro. Com'era già accaduto in passato, Alucius sentì aumentare la temperatura del proprio corpo all'interno degli indumenti di seta nerina, così come il disagio di Wendra e di Alendra. Si costrinse a scagliare un altro proiettile talentoso contro Tarolt. Wendra ne fece seguire uno suo, e poi un altro ancora. Mentre l'oscurità cadeva a pioggia su Tarolt, la porta di legno di quercia si spalancò e più di una squadra di guardie speciali matriti si riversò nella piccola stanza, puntando le pistole su Alucius, su Wendra e anche su Tarolt. «Uccideteli!» L'ifrit sollevò lo scettro, la cui luminosità accecò i mattiti bloccandoli, poi svanì. «Collegati alla terra!» gridò Alucius «Subito!» Ancora prima di finire di parlare, lui stesso aveva cominciato a collegarsi, estendendo sottili filamenti intorno a sé. Il grosso cristallo rallentò, smettendo di ruotare a mezz'aria, e prese a vacillare. Alucius si costrinse a concentrarsi per rafforzare e intensificare i suoi legami con tutto quanto lo circondava, facendo passare alcuni fili anche attorno ad Alendra. Nel frattempo, mentre iniziava a sentirsi saldamente ancorato alla terra, proiettò l'oscurità della forza vitale verso il traballante cristallo viola. Contrappose quell'oscurità alla resistenza che questo emanava, una resistenza che all'improvviso si frammentò in tanti fili violacei che vennero scagliati lontano. Avviluppato dall'oscurità, un'oscurità alla quale anche Wendra stava contribuendo, il cristallo si contrasse, pulsò e si contrasse di nuovo. «Uccideteli! Subito!» ordinò qualcuno. Incurante del comando, Alucius continuò a far giungere oscurità al cristallo, che stava cominciando a mostrare segni di cedimento. Un suono acuto e lamentoso lacerò le orecchie di Alucius, senza però distoglierlo
dalla sua concentrazione. Un altro suono, questa volta pesante, greve e opprimente echeggiò nella stanza. All'istante, nelle pareti di pietra comparvero profonde crepe e fessure. Sentendosi come una salda e massiccia montagna in miniatura, protetto com'era dai suoi filamenti che sembravano ancorarsi ovunque, Alucius indirizzò altra oscurità contro il cristallo. Quasi come un'immagine al rallentatore, questo smise di ruotare e cominciò a ruzzolare verso il pavimento, lasciandosi dietro una scia di debole luce violacea simile a fumo. Quando andò a cozzare contro le pietre del pavimento fu come se tutti i vetri e i cristalli del mondo fossero andati in frantumi. Poi seguì un unico fischio penetrante, di un'intensità tale che Alucius ebbe l'impressione che gli venisse strappata l'intera pelle dal corpo, benché quel suono fosse percepibile solo attraverso il Talento. Un'oscurità verdeargento, un'ondata accecante di colore e di forza, esplose nella stanza sotterranea travolgendo Alucius, Wendra e Alendra. 148 Salaan, Lanachrona Una nuvola di Talento-nebbia rosa e viola si formò al centro della Tavola, nascondendo per un attimo la vista di Tarolt. L'anziano ifrit scese barcollando, inclinandosi pericolosamente in avanti e si accasciò sul pavimento. Lo scettro che aveva con sé volò in aria andando a colpire la parete di pietra alla sua sinistra per poi finire a terra. Una crepa sottile come un capello si formò nella pietra. Trezun si avvicinò rapido e raccolse lo scettro. Era intatto, apparentemente privo di qualsiasi segno. Facendoselo passare da una mano all'altra, come se il metallo fosse troppo caldo e impedisse un contatto prolungato, egli lanciò un'occhiata verso gli altri due ifrit che erano comparsi sulla soglia, ai piedi della scala che portava alla sala delle riunioni al piano di sopra. «Allora è questo il famoso scettro», dichiarò la nuova arrivata, una donna-ifrit persino più alta e robusta di Trezun. «Non sembra poi così speciale.» «È più... speciale di quanto crediate», replicò Lasylt, facendo un passo avanti e prendendo lo scettro dalle mani di Trezun. «Barylt, voi e Trezun portate il Maestro Tarolt di sopra e adagiatelo su uno dei letti affinché pos-
sa recuperare le forze.» «I suoi livelli di energia sono bassi», osservò Trezun mentre sollevava Tarolt per le spalle. «Deve aver avuto qualche difficoltà. Magari ha incontrato il giovane colonnello.» «Anche se l'avesse incontrato, è comunque riuscito a portare via lo scettro, ed è questo ciò che conta.» Lasylt annuì. «Portatelo di sopra e tornate subito qui.» Il Maestro anziano osservò la Tavola con sguardo intento, ma questa non mostrò alcun segno di attività, e nemmeno un guizzo turbò l'invisibile alone violaceo che circondava la sua superficie. Né tanto meno vi comparvero figure. Di lì a poco, gli altri due tornarono. «Portate qui l'altro scettro, ma lasciatelo nel cofanetto», ordinò Lasylt a Trezun. Barylt rimase in piedi in silenzio accanto alla Tavola, con una mano sul calcio della pistola a lama di luce che teneva nella fondina assicurata alla cintura. Senza dire una parola, l'Archivista aprì la porta segreta che portava alla camera di sicurezza e scomparve in fondo al breve corridoio, per poi tornare quasi subito con la cassetta di metallo nero e argento. «Posatela accanto alla Tavola», disse Lasylt. Mentre Trezun ubbidiva, il Maestro anziano prese lo scettro privo di custodia e lo posò sulla cassetta. «Non volete metterli nella camera di sicurezza?» chiese Trezun. «No!» replicò deciso Lasylt. «Lo scettro privo di cofanetto non è schermato e funge da portale. Se li mettiamo nella camera di sicurezza, il Talento-principiante potrà traslare dentro e fuori a suo piacimento. Non possiamo stare a guardia di entrambe le stanze, visto che siamo solo in quattro e, finché non arriveranno gli altri, dovremo stare sempre all'erta.» Lasylt si accigliò. «Forse qualche traslazione non è riuscita?» chiese Trezun. «Parecchi sono già morti durante il viaggio da Efra. Là c'è molta meno energia di quanto avessimo calcolato.» «In tal caso, non dovremo preoccuparci della massa di energia vitale disponibile in questo mondo», dichiarò Trezun. «Può darsi, e voi dovete ritenervi fortunati di essere qui», replicò Lasylt. «Molto fortunati.» Barylt lanciò un'occhiata alla Tavola, poi alle nude pareti di pietra e al
pavimento privo di tappeti e il suo corpo venne attraversato da un impercettibile brivido. 149 Era trascorso del tempo, esattamente quanto Alucius non aveva idea, ma a un certo punto cominciò a staccarsi dalla stanza alla quale era ancorato. Guardò i muri di pietra disseminati di crepe, muri che stavano cominciando a incurvarsi e che non avrebbero resistito ancora a lungo alle pressioni del terreno circostante e al peso della struttura soprastante. Dappertutto si sentivano scricchiolii e le pietre del pavimento sembravano instabili. Alucius non percepiva molto attraverso il Talento e la stanza era rischiarata solo da una luce fioca proveniente dal passaggio che portava alle scale e alla Residenza della Matride, o della Reggente, suppose Alucius. Solo alcuni consunti resti di scheletro giacevano all'ingresso della stanza sotterranea e il pannello della porta di quercia si era polverizzato, mentre i cardini di ferro si erano dissolti in mucchietti di ruggine alla base dello stipite. Erano forse trascorsi anni dalla distruzione del cristallo? Alucius deglutì. Possibile che fossero rimasti congelati nel tempo mentre erano ancorati al mondo? «È tutto... morto», disse Wendra con un filo di voce. Ecco perché non percepiva quasi nulla. Perché non c'era nulla da percepire. Tra l'energia risucchiata dall'ifrit e quella che avevano assorbito loro per ancorarsi alla terra, senza contare la distruzione del cristallo, avevano esaurito la forza vitale di tutto ciò che si trovava nel raggio di alcune iarde, a dir poco. «Non siamo riusciti a impadronirci dello scettro», disse con aria depressa. Wendra non commentò. Avrebbero dovuto venire prima a Hieron? Avevano fallito perché Alucius non aveva voluto tornare a Madrien, nel luogo in cui aveva rischiato la pelle anni prima? «Mi dispiace. Avremmo dovuto...» «Anch'io ero d'accordo», lo interruppe Wendra. «Non c'è altro che possiamo fare qui, vero?» «No. Lo scettro era l'unico motivo del nostro viaggio a Hieron. Be', tranne che per i collari, ma adesso che il cristallo non c'è più i mattiti non
riusciranno ad attivarli, e senza lo scettro non sarà possibile riprodurre il cristallo.» «Dobbiamo mangiare. Almeno, io ne sento il bisogno. Se non mangiamo saremo troppo stanchi per qualsiasi cosa», disse Wendra. «Ci sono delle gallette e del formaggio nella tasca del mio giaccone e nella sacca», le ricordò Alucius. «C'erano, li abbiamo già mangiati. Alla fine l'ariante si era dimenticata del cibo.» «Potremmo tornare a Dereka.» «Dobbiamo proprio tornare là?» domandò Wendra. «L'ariante aveva detto che potevamo spostarci ovunque, lungo le linee sommerse.» «Sicuro.» Le labbra di Alucius si torsero in un sorriso sbilenco. «Ma non so come fare a determinare la nostra posizione, per cui potremmo rischiare di finire sotto parecchie iarde di terra o roccia senza riuscire a emergere in superficie. Tu ne saresti capace?» «Mmm...» La locanda dove sono stato a Dereka non si trova troppo lontana dalla stanza della Tavola... e, nel frattempo, potremmo controllare quel cofanetto che dovrebbe aver contenuto l'altro scettro.» «Allora, andiamo?» Alucius annuì, tendendo la mano ad afferrare quella di Wendra. «C'è un portale a Dereka, dove un tempo c'era una Tavola. È oro e cremisi.» Scesero al livello inferiore dell'edificio, dove i muri di pietra sembravano un po' più resistenti. Anche così, parve che dovesse trascorrere un'eternità prima che trovassero l'oscurità nebulosa che si nascondeva sotto la pietra e cadessero nelle linee dell'energia vitale del mondo. Immerso nel buio, Alucius si sentì rabbrividire, ma cercò di concentrarsi sul colore oro e cremisi e di proiettare quell'immagine verso Wendra. Avvertiva l'accresciuto potere delle Tavole degli ifrit, soprattutto quella marrone e verde scuro di Salaan, quella azzurra di Prosp e un'altra Tavola marrone chiaro, così come le vecchie Tavole di Soupat e Caponero. Poi, quasi in corrispondenza della sfumatura marrone e verde scuro, percepì anche quella rosa e viola dello scettro. Lentamente, troppo lentamente, almeno così gli parve, si avvicinarono allo sbiadito cerchio oro e cremisi di Dereka, finché non emersero dall'oscurità attraverso una barriera argentea. Ancora prima di trovarsi fuori, Alucius si guardò intorno in cerca di Wendra, ma ancora una volta lei e Alendra erano al suo fianco. Sebbene
tenesse il fucile pronto in pugno, l'antica stanza della Tavola era vuota. Sentì però che qualcuno si muoveva in una delle stanze in cima alle scale, all'estremità nord dell'edificio. Alucius uscì dalla buca rettangolare sollevando intorno una nuvola di polvere, mentre porgeva la mano a Wendra per aiutarla. Questa volta fu Wendra a starnutire, seppure meno fragorosamente di quanto avesse fatto Alucius in precedenza. Con la mano libera, lui si strofinò il naso cercando di bloccare lo starnuto che sentiva arrivare. La poca luce che filtrava nella stanza proveniva dall'apertura che dava verso la base delle scale. Salirono rapidi i gradini sbucando in una stanza più piccola, poi proseguirono verso una specie di salone, quello con le finestre senza vetri che davano sul viale principale di Dereka. A quel punto, Alucius si rese conto che era pomeriggio avanzato. Quanto a lungo erano rimasti ancorati in quello spazio senza tempo? Si sentì rabbrividire al pensiero che avrebbero potuto rimanervi per l'eternità. L'ariante non aveva accennato a quel problema. Ma erano parecchie le cose di cui lei non aveva parlato, e dovevano essercene ancora di più, stando alle allusioni dell'ifrit. Si chiese cos'altro avrebbero scoperto andando avanti. Wendra si avvicinò alla bassa e ampia finestra che si affacciava a ovest, dove i raggi del sole gettavano una luce ambrata sulla città. «Dà l'impressione di essere una vecchia città, e lo si sente.» «Già», convenne Alucius. «Dobbiamo uscire di qui. La scala che porta al piano inferiore e l'uscita sul lato nord, verso la strada, sono da questa parte.» Così dicendo, si incamminò verso destra. Wendra gli si mise al fianco, mentre procedevano lungo i corridoi dalle nude pareti di durapietra dorata dirigendosi a nord, fino a raggiungere l'ampia scala che scendeva al piano terra. Un mendicante solitario, udendo il rumore dei loro passi, sgattaiolò con tale rapidità verso l'ala sud dell'edificio che Alucius non lo vide neppure. Poco dopo, attraversarono l'arco squadrato sul lato nord e svoltarono a ovest, verso il viale principale. Benché il pomeriggio fosse caldo, Alucius si tenne addosso il giaccone per nascondere l'uniforme. Ma anche così, molti venditori ambulanti si soffermarono per un attimo a osservarli, distogliendo però subito lo sguardo non appena vedevano la piccola Alendra. Una volta raggiunto il viale, Alucius indicò a Wendra i quartieri meridionali della città. «Guarda i cancelli del palazzo, laggiù... e la torre.» «Assomiglia proprio a quella di Punta del Ferro», commentò Wendra.
«Me l'avevi detto, ma non riuscivo a crederci.» «Tutte le torri verdi sono simili. Anche quelle di Tempre.» Alucius le fece cenno di dirigersi a sinistra, a nord. «È a qualche isolato da qui. E dovremo stare lontani dal centro della strada perché lì ci passano solo i cavalieri e i carri.» Le strade continuavano a essere meno affollate di quanto lo fossero state in occasione del suo primo viaggio a Dereka, ma, forse perché stava camminando con Wendra al fianco, molte più persone li guardavano. Quando avevano oramai coperto quasi tutto il mezzo vingt che li separava dalla «Casa Rossa», Alendra cominciò a piagnucolare. «È davvero rossa», disse Wendra scoppiando a ridere. «Molto rossa. Imposte, porte, decorazioni...» Gli rivolse un sorriso. «Potremmo dipingere così la fattoria.» Alucius fece una smorfia, poi scoppiò anch'egli a ridere. «Il cibo però non è male.» Si rendeva conto che avevano bisogno di mangiare e di riposare, ma temeva che ogni momento sottratto alla ricerca degli scettri avrebbe fatto perdere loro terreno. 150 Alendra si svegliò piangendo affamata, mentre un impercettibile tocco di grigio filtrava attraverso le imposte chiuse della camera al secondo piano della «Casa Rossa». Mentre Alucius lottava per emergere dal torpore del sonno, Wendra accostò la piccola al seno. «Dovevo essere molto stanco», lui disse infine. «Direi. Russavi. Non lo fai mai, tranne quando sei stanco.» Alucius riuscì a rimediare un sorriso e a sedersi sul bordo del letto, appoggiando i piedi sul pavimento di legno. Un buon pasto e un sonno decente - anche se il materasso era tutto bitorzoluto - erano bastati a farlo sentire meglio di quanto non si fosse sentito da giorni. Si alzò e si diresse verso il lavabo, dove si lavò rapidamente, per poi preparare dell'acqua pulita per Wendra. «Ho pensato...» disse. «Riguardo a ciò che l'ifrit aveva detto delle arianti? Anch'io ci ho pensato.» Wendra cambiò posizione e si sistemò meglio Alendra in braccio. «Cosa credi che intendesse dire?» «Credo di saperlo. Mi sembra logico. È solo che non avevo mai conside-
rato le cose da quel punto di vista. Conosci il gioco dei leschec, vero? Quello dove ci sono la regina delle arianti e il re dei sabbiosi. E l'ariante ha detto che loro possedevano l'intelligenza ma non la forza e che tu eri stata trasportata nella città nascosta per mezzo della forza altrui.» «Credi che le arianti siano le donne e i sabbiosi gli uomini? Sono così diversi!» «C'è anche un altro particolare. I sabbiosi uccidono le pecore nerine. Perché? Non si nutrono della loro carne. I lupi della sabbia lo fanno, ma non i sabbiosi.» «Perché ne assorbono l'energia vitale, proprio come fanno gli ifrit», concluse Wendra, mentre si appoggiava Alendra sulla spalla per farle fare il ruttino. «Ma c'è una differenza, a prescindere da ciò che può avere detto l'ifrit», le fece notare Alucius. «I sabbiosi o le arianti non si comportano così con le persone.» «No? Oppure non l'hanno più fatto in questi ultimi anni? E le torri dalle mura ambrate? Non ci avevo pensato, ma scommetto che al loro interno contengono energia vitale.» Alucius aggrottò la fronte. «Probabilmente hai ragione. Ma io continuo a credere che ci sia una differenza.» «Sicuramente. Le arianti hanno usato solo una piccola parte dell'energia vitale del mondo; hanno persino preferito morire piuttosto che utilizzarne di più. Gli ifrit la esauriscono tutta nel giro di poche centinaia o migliaia di anni, per poi trasferirsi in altri mondi.» «Mi chiedo...» «Ci sono molte cose che non riusciamo a spiegare, ma forse, dopo che avremo esplorato le città nascoste, ne sapremo di più.» Forse... Alucius comprendeva fin troppo bene il significato di quel «forse», mentre se ne stava là seduto a riflettere. Dopo che tutte le necessità di Alendra furono soddisfatte - e Alucius dovette ammettere che sua moglie era stata davvero ricca d'inventiva nell'occuparsene - scesero a far colazione. Poi uscirono dalla locanda e si avviarono lungo il viale, in una mattina che prometteva di essere calda e asciutta, dirigendosi verso la bottega del droghiere dove Alucius aveva acquistato le provviste alcuni giorni prima. La spesa comprendeva anche parecchie strisce di tessuto che sarebbero servite come pannolini per Alendra, oltre a formaggio stagionato, frutta essiccata, noci salate e un'altra borraccia per l'acqua, che riempirono alla
fontana pubblica qualche isolato più in là. Mentre Alucius chiudeva la borraccia e la porgeva a Wendra, osservò il viale a sud. Quasi un'intera compagnia di Lancieri deforyani era schierata fuori dai cancelli del palazzo e questi erano chiusi. «Sarà meglio che ci muoviamo.» «I lancieri?» «Sicuramente si aspettano guai, e quando è così gli stranieri non sono i benvenuti.» Perciò attraversarono immediatamente il viale e si avviarono con passo rapido verso sud. Nonostante le loro paure, nessuno sembrò badare al loro passaggio, forse perché vedevano un'innocua coppia con un bambino, anche se Alucius portava un pesante fucile. Quando furono vicini all'edificio di antica durapietra dorata che ospitava il portale, Alucius creò intorno a sé e a Wendra l'illusione del nulla. «Dovrai insegnarmelo», sussurrò Wendra. «Puoi provarci adesso», replicò Alucius, mentre si dirigevano verso l'ingresso a nord. Dopo essere saliti su per l'ampia scala, ripercorsero il lungo corridoio e scesero la stretta rampa di scalini di pietra che portava nella stanza della Tavola. Durante il tragitto, Alucius non udì né avvertì alcuna presenza estranea. Una volta nella stanza, si liberò del velo d'invisibilità che li nascondeva. «Per prima cosa, daremo un'occhiata alla camera segreta.» Così dicendo, Alucius si avvicinò alla parete dove si trovavano i fori ai quali un tempo era fissato il supporto per una torcia a raggi di cristallo. Poi creò una Talento-sonda dall'estremità ruvida e collosa e cominciò ad armeggiare con le leve dall'altra parte del muro. Con le prime due non successe nulla, ma con la terza si udì uno schiocco, seguito da un basso cigolio. Una sezione del muro si spostò di lato, rivelando il passaggio segreto, ancora illuminato fiocamente da un paio di torce a raggi di cristallo. «Tutti gli edifici che un tempo contenevano le Tavole possiedono una camera segreta?» chiese Wendra, cullando Alendra tra le braccia con un gesto quasi meccanico. «Adesso fai la brava bambina, mentre mamma e papà vedono cosa possono fare.» «Sembra che la maggior parte ne possieda una, anche se non ho controllato quelli di Caponero e di Soupat. Non ero nelle migliori condizioni per farlo.» Dopo aver lasciato aperto il varco nel muro, Alucius fece strada lungo il corridoio che portava alla camera segreta. Una volta là, si scostò
per dare modo a Wendra di entrare. Mentre quest'ultima si avvicinava al cofanetto vuoto incassato nella parete, che un tempo aveva contenuto lo scettro, Alucius si accostò al supporto rotto della torcia a raggi di cristallo. Tentò nuovamente di usare una Talento-sonda per aprire la porta nascosta, ma non ci riuscì. «Lascia che provi io», disse Wendra. Ma neppure lei ebbe molta fortuna. A quel punto, Wendra lo guardò. «E se cercassimo di viaggiare attraverso le linee sommerse per arrivare dall'altra parte del muro? Non è così che facevano le arianti?» «Se fosse possibile...» disse Alucius pensieroso. «Allora, potremmo viaggiare anche attraverso le linee sommerse che comunicano con la Tavola di Salaan», gli fece notare Wendra, «portandoci, in tal modo, vicini a Dekhron». «Possiamo provare, ma credo che mi sentirei meglio se partissimo dal punto in cui si trovava la Tavola», ammise Alucius. «Anch'io. L'idea di rimanere imprigionata nella solida roccia non mi sorride.» Alucius le fece una smorfia. «Avrei preferito che non me lo ricordassi.» Wendra gli rispose con un timido sorriso. «Questo non sembrava preoccupare le arianti, ma credo che occorra un po' di pratica.» «Sarà meglio che cominciamo.» Alucius ripercorse il corridoio, proiettando tutt'intorno i Talento-sensi per controllare che nessuno si fosse avventurato nella stanza sotterranea. Pur trattandosi di una remota eventualità, non doveva dimenticare che, in precedenza, c'erano già stati dei lancieri là dentro. Il Talento - così come l'udito - gli confermò che la stanza era rimasta deserta. Poi si calò nella buca rettangolare, concentrandosi sull'oscurità nebulosa sotto di lui. Quasi immediatamente cominciò a sprofondare... Venne assalito dal freddo, che gli penetrò nelle membra e lo costrinse a spostarsi di lato... e, all'improvviso, si accorse di trovarsi a parecchi vingti di distanza. Si concentrò di nuovo sul cerchio oro e cremisi e sentì di essere tornato nella stanza della Tavola. Anziché superare la barriera argentea, tentò di guardarvi attraverso... l'immagine era simile a uno specchio che oscillava come un vessillo al vento, e la testa cominciò a fargli male. Per un attimo, si limitò a galleggiare nell'oscurità nebulosa, ammesso che «galleggiare» fosse il termine corretto per uno che era sepolto sotto strati di roccia.
Cercò di far partire da sé un filo che lo tenesse saldo, per evitare che il benché minimo pensiero lo catapultasse a vingti di distanza. Quindi scivolò di lato, lasciando che il filo, ora ancorato alla linea sommersa, si srotolasse adagio. Un'oscurità più profonda lo circondò, per passare subito oltre, ed egli ebbe l'impressione di trovarsi in un altro corridoio. Cercò di usare il filo dell'energia vitale per ritornare nella stanza della Tavola e si ritrovò al di là della barriera simile a uno specchio. Sentendo il gelo che gli penetrava ancora di più nelle ossa, protese lentamente il filo in direzione di quello che sperava essere il passaggio che portava alla camera nascosta; poi si spinse oltre... e una miriade di frammenti argentei gli esplose tutt'intorno... Si trovò in un altro stretto corridoio, a malapena illuminato da un'unica torcia a raggi di cristallo collocata su un supporto in alto, a cinque iarde di distanza. La parete alla sua destra era simile a quella dell'antica stanza sotterranea nel quartier generale degli ufficiali di Deforya, visto che conteneva alcuni affreschi - tre in successione, ciascuno della lunghezza di tre iarde e dell'altezza di due - tutti dipinti con colori brillanti che si erano amalgamati al fondo in durapietra del muro. Il primo affresco rappresentava una scena desolata di basse colline rocciose, perlopiù ricoperte di ghiaccio, sotto un cielo denso di nuvole plumbee. Nessuna forma di vita vi compariva: né alberi né cespugli, e nemmeno un filo d'erba o un lichene. Alucius osservò la scena che seguiva, dov'era raffigurato lo stesso paesaggio, tranne che sui fianchi delle colline si vedevano chiazze verdeggianti di erba, alcuni cespugli e qualche scarsa forma di vegetazione, oltre a un paio di animali simili a scricci, fermi sulle sponde di un lago dalle acque grigie. L'ultima scena mostrava un lago circolare color azzurro brillante, circondato dalle stesse colline, e un edificio in durapietra dorata che assomigliava al palazzo del Landarco. Prati d'erba lussureggiante si estendevano fino alle colline e si scorgeva in lontananza una moltitudine di antilopi che brucava, mentre in primo piano si vedevano due ifrit vestiti di marrone e verde, impegnati ad attaccare dei buoi della sabbia a un enorme carro. Alucius si diresse rapido verso la porta che dava sulla prima stanza. Il pannello di legno di cui era rivestita doveva essere impregnato di una qualche forma di energia vitale, perché si spalancò subito al suo tocco. Un ifrit - una donna dai capelli neri - giaceva su un ampio letto, ma non appena il corpo venne sfiorato dalla leggera corrente creata dall'apertura della porta, si contrasse in un tremito, polverizzandosi e lasciando solo il vestito
dal tessuto scintillante e indistruttibile. Alucius rimase a guardare, a bocca aperta, osservando il resto della stanza: l'armadio decorato da fregi, la cassettiera, l'aggraziata scrivania di legno - presumibilmente ciliegio - uno specchio dai profili neri e il copriletto marrone, simile alla seta nerina, che copriva il letto. Analogamente alle sedie che aveva visto nelle altre stanze più esterne, anche quelle che vedeva qui erano troppo alte per essere confortevoli, almeno secondo i suoi criteri di giudizio. Uscì nuovamente nel corridoio, lo percorse fino in fondo e si trovò di fronte alla parete che in base ai suoi calcoli doveva confinare con la stanza dove un tempo era custodito lo scettro. Un piccolo moncone di metallo sporgeva da un angolo. Il resto della leva era finito sul pavimento. Per quanto egli tentasse, aiutandosi con le braccia, le gambe e con il Talento, non riuscì a farlo muovere. A quel punto ebbe quasi l'impressione che i muri si stessero chiudendo su di lui, anche se, dopo essersi guardato attorno, si rese conto che non era vero. Tuttavia, per un pastore, il fatto di essere circondato da pareti di pietra, senza alcuna via d'uscita, era pur sempre una situazione di disagio. Si concentrò e allungò un filo di Talento verso l'oscurità sotto di lui. Il ritorno sembrò svolgersi in modo più semplice e fu talmente veloce che Alucius avvertì appena il freddo. «Finalmente! Stavo cominciando a preoccuparmi.» Wendra trasse un profondo sospiro. «Mi sono fermato a dare una rapida occhiata.» «Rapida?» «Be', piuttosto rapida. Scusami. È solo che...» «Cos'hai trovato?» chiese Wendra. Alucius scosse il capo. «Quattro stanze che danno tutte su un corridoio. Possiamo tornarci, così vedi anche tu.» «Ma è sicuro? Come hai fatto?» «È... è come estendere un filo, uno di quelli che ci mantengono ancorati al mondo, tranne che lo rendi più robusto e lo assicuri alla linea sommersa. Poi lo lasci lì fissato finché non sei sicura di avere raggiunto il punto in cui volevi arrivare.» Wendra sbuffò. «Ma come fai a sapere dove volevi arrivare?» «Ti devi concentrare. È quasi come guardare attraverso... uno specchio al buio. Se hai paura, comincia a spostarti solo fino all'inizio del corridoio.»
«D'accordo.» Alucius rimase a guardare, mentre Wendra spariva per poi ricomparire sulla soglia della porta che dava sul corridoio. «Avevi ragione. Una volta che hai provato, non è difficile.» Non poté fare a meno di sorridere. «Tu hai un dono, impari subito. A me ci è voluto di più.» «Perché tu mi avevi già spiegato come fare.» Alucius nutriva qualche dubbio in proposito. Da ciò che aveva potuto vedere, Wendra era più veloce nel cogliere le cose che avevano a che fare con il Talento. «Ci vediamo nella camera segreta.» Wendra e Alendra - confortevolmente rannicchiata nel marsupio - si trasformarono in un'immagine nebbiosa, per poi svanire del tutto. Alucius le seguì e si ritrovò accanto al muro dal quale sporgeva il moncone di leva. Si fece avanti e raggiunse Wendra, fermandosi alle sue spalle, mentre lei dava un'occhiata alla stanza in cui era entrato prima. «Che cosa terribile... essere intrappolati qui. Cosa può essere successo?» «Il Cataclisma, immagino. Le arianti distrussero tatto e agli ifrit servivano le Tavole per spostarsi. Finirono intrappolati. O forse le arianti erano più forti e bloccarono le uscite tutt'intorno alla stanza dello scettro.» «Perché non hanno fatto la stessa cosa a Lysia?» «Credo... Non lo so, ma credo che Lysia si trovi troppo a sud e sia esageratamente calda e umida. L'ariante mi disse qualcosa al riguardo, la prima volta che giunsi nella città nascosta.» «Hai guardato nelle altre stanze?» «No. Non volevo che ti preoccupassi per la mia assenza.» Alucius uscì nel corridoio. Wendra lo seguì. «Vai avanti tu. Quando sono entrato nella prima stanza c'era un'ifritdonna distesa sul letto, ma si è trasformata in polvere non appena è stata raggiunta dalla corrente d'aria proveniente dalla porta.» Wendra entrò nella seconda stanza, ma questa, simile alla precedente, era priva di corpi di ifrit morti da lungo tempo o di vestiti abbandonati sul letto come se ci fosse ancora dentro qualcuno. Nella terza stanza, il corpo di un ifrit-uomo giaceva, le membra scomposte, su un tappeto di provenienza sconosciuta, in cui i motivi geometrici color rosso brillante si alternavano a varie sfumature di grigio-argento. Nel giro di qualche istante, anche quella figura si disintegrò, lasciando solo gli indumenti.
L'ultimo locale era un'armeria, con strane armi simili a fucili sistemate su una rastrelliera lungo la parete di sinistra. Le canne dei fucili, anziché essere cave all'interno, erano di solido cristallo verde. Alucius sentì che qualunque energia avesse un tempo fatto funzionare quelle armi era da lungo tempo svanita. Sulla parete di destra c'erano delle pistole, anch'esse con le canne di cristallo, mentre su quella di fondo si vedevano alcune fruste dalle pesanti impugnature. Le strisce di cuoio erano talmente sottili e taglienti che si intuiva la loro micidiale efficacia senza neppure toccarle. «Credi che ci sia qualcosa che ci possa servire?» chiese Wendra. «Possiamo guardare.» Alla fine, nonostante avessero frugato in ogni cassetto delle stanze sigillate, trovarono ben poco che potesse essere utile nell'immediato futuro. Alucius si era fatto scivolare in tasca alcune monete d'oro di strana fattura, ma i pochi congegni che aveva esaminato avevano perso tutto il loro potere - come nel caso delle armi - o il loro utilizzo gli risultava incomprensibile. «Dovremo tornare più tardi per esaminarne alcuni», lui disse infine. Wendra assentì con aria riluttante. «Mi sembra che anche l'aria si stia facendo viziata.» Perciò, tenendosi per mano, sprofondarono di nuovo nella nebulosa oscurità e fecero ritorno alla stanza della Tavola. Alucius posò il fucile sul pavimento e si sedette. «Ho bisogno di riposare un attimo e di bere un po' d'acqua.» «Bene. Alendra aveva giusto fame.» Alucius bevve dalla sua borraccia, porgendola di tanto in tanto alla moglie. Continuò a proiettare intorno il suo Talento per assicurarsi che nessuno stesse scendendo le scale per coglierli di sorpresa. «Non riesco neppure a pensare di poter vivere in una di quelle stanze.» Wendra rabbrividì. «Circondati da tutta quella pietra, senza una via d'uscita se i meccanismi si inceppavano. Anche se erano ifrit...» Scosse il capo. «Non si aspettavano che i loro meccanismi si inceppassero.» Alucius rise piano. «Ma noi sappiamo che tutti i meccanismi si inceppano prima o poi.» Wendra si posò Alendra contro la spalla, le fece fare il ruttino e poi le porse l'altro seno. «Cosa credi che dovremo fare adesso?» «Fare ritorno a Dekhron, o avvicinarci il più possibile. La Tavola verde scuro e marrone si trova a Salaan ed è sulle linee sommerse. Deve esserlo. Una volta là, saremo talmente vicini che potremo raggiungere il quartier
generale delle Guardie del Nord a piedi.» «Ricorrerai all'aiuto delle Guardie?» «Per forza. Potremmo rivestire tutte le loro cartucce di oscurità e farli piazzare all'esterno.» «Mentre noi arriveremmo attraverso le linee sommerse direttamente all'interno?» «Hai un'idea migliore? Se mandassimo dentro i soldati rischieremmo di farli uccidere quasi tutti. A una certa distanza, gli ifrit non possono fare molto. Spero solo che, nel frattempo, non siano avvenute troppe traslazioni dal loro mondo.» «Non avremmo comunque potuto fare prima.» Alucius nutriva qualche dubbio in proposito. Avrebbero dovuto recarsi subito a Hieron. «Hai agito come ritenevi meglio», disse Wendra. «E poi, quello che è fatto è fatto e non si può cambiare.» Alucius ne era consapevole, ma ciò non gli impediva di tormentarsi. Wendra si alzò, facendo di nuovo fare il ruttino ad Alendra. «Direi che è sazia. Andiamo.» «A Salaan?» Lei annuì. Alucius prese il fucile con la sinistra, mentre con la destra afferrava la mano di Wendra. In silenzio, si concentrarono. La gelida oscurità li travolse. Alucius visualizzò mentalmente il segno verde scuro e marrone, e il cerchio rosa e viola creato dallo scettro. Ebbe l'impressione che si stessero precipitando addosso a entrambi e, alla fine, cercò di rallentare l'impeto, ancorandosi con un Talento-filo e tentando di trasmettere il concetto a Wendra. In quel mentre emerse attraverso l'oscurità, un'oscurità marrone che si augurò fosse il fianco dell'altura che sorgeva a est dell'edificio della Tavola. Nell'avvertire la luce, scrutò al di là della barriera argentea e gli parve di vedere proprio l'immagine distorta del fianco della collina, così si affrettò a proseguire, mentre frammenti argentei gli sfrecciavano tutt'intorno. Alucius si trovò sul pendio - o al di sopra di esso - e faticò non poco a mantenersi in equilibrio, mentre cadeva dall'altezza di alcune spanne sul terreno sconnesso. Si girò, cercando Wendra con gli occhi e con il Talento, e sentì che era vicina, ma non la vide. Poi si mise a ridere. «Questo è uno scherzo crudele», disse, rivolgendosi all'illusione del nul-
la che lei aveva creato intorno a sé. Lo scudo invisibile sparì. «Ho imparato bene?» chiese Wendra. «Davvero bene.» Alucius si voltò a guardare in basso verso ovest e vide l'edificio che gli ifrit avevano costruito per ospitare la Tavola. «Dobbiamo scendere. La Tavola si trova laggiù e, dato che abbiamo un solo fucile, preferirei non dovermi confrontare con gli ifrit.» «Potremmo usare di nuovo le linee sommerse», gli fece notare Wendra. «Potremmo, ma rischieremmo di finire da qualche altra parte e io credo che sia necessario incontrarsi con Feran e predisporre un piano d'attacco prima dell'arrivo di altri ifrit. Sempre che già non ne siano arrivati altri.» Cominciarono a scendere giù per il fianco della collina, un pendio dal terreno sabbioso e grigiastro, ricoperto di erba rada e di cespugli stentati che Alucius non conosceva. Lanciò un'occhiata verso Salaan, che si trovava un vingt e mezzo abbondante più a nordovest. «Sono quasi quattro vingti da qui al quartier generale.» «Camminare ci farà bene.» «Sempre che gli ifrit non ci facciano inseguire dai loro uomini armali.» «Non lo faranno», disse Wendra. Alucius si augurò che avesse ragione, ma accelerò l'andatura. Avevano già tardato abbastanza. E, per quanto a volte i ritardi si fossero dimostrati utili, non poteva fare a meno di pensare di avere tardato anche troppo. 151 Salaan, Lanachrona La luce di un sole primaverile, che brillava attraverso alte nuvole vaporose, filtrava dalle finestre rivolte a ovest nella sala delle riunioni, dove quattro ifrit sedevano attorno a un tavolo. Barylt si voltò a guardare dalla finestra. «Persino la luce del sole, qui, non emana calore.» Rabbrividì. «È tutto così freddo... e talmente primitivo. Non ci sono sculture, né musica, né altre forme d'arte.» «Dovremo crearle noi», replicò Tarolt. «Tutti i mondi sono primitivi prima che li plasmiamo. Spesso sono anche freddi. A sud è molto più caldo, ma, dopo il cedimento delle barriere, i nostri spostamenti attraverso i condotti delle Tavole sono stati piuttosto limitati.» «Per poco non siamo riusciti a portare a termine la lunga traslazione», aggiunse Trezun.
Lasylt si irrigidì e alzò una mano con gesto imperioso a intimare il silenzio. I lineamenti del volto gli si indurirono e lo sguardo assunse un'espressione distante. Il silenzio si protrasse. Gli altri tre fissavano il Maestro anziano. Dopo un po', egli abbassò la mano e si rilassò un poco. «Che è successo?» domandò Tarolt. L'altro non rispose immediatamente. Alla fine, i suoi occhi rimisero a fuoco Tarolt, seduto proprio di fronte a lui dall'altra parte della lucida superficie di legno del tavolo. «C'erano due antichi abitanti sul fianco della collina, a est. Sono rimasti là sospesi per qualche tempo. Poi sono spariti. O almeno è sparito il loro utilizzo dell'energia vitale.» Le sue labbra si serrarono. «Avevate detto che stavano morendo.» «Ne sono rimasti davvero pochi, Maestro, perlomeno tra coloro che sono alla guida delle varie specie. Ma potrebbero anche essere stati il colonnello e quella donna che sta con lui. Magari lei è uno degli antichi abitanti. Non saprei dire.» «Comunque sia non ha importanza, tranne che devono essere fermati ed eliminati.» Lasylt mantenne un'aria accigliata. «Ma visto che il colonnello talentoso è ancora libero e che questi due muniti dei poteri degli antichi abitanti si aggirano intorno alla Tavola, non possiamo permetterci di fallire. Troppe cose sono in ballo. Entro un anno dovremo portare qui lo scettro principale da Efra e, per il momento, ci sono ancora troppo pochi efrani ad Acorus. Barylt annuì senza eccessivo entusiasmo. «Entro un anno?» chiese Tarolt. «Prima avevate detto da tre a cinque anni.» «Occorre molta più energia di quanto avessimo calcolato per mantenere i condotti in funzione e l'indice di natalità della massa vitale di supporto su Efra sta diminuendo più velocemente del previsto. I Talento-principianti efrani sono deboli, peggio di quelli di Acorus.» «Quanti efrani si sono sottoposti alla lunga traslazione?» domandò Tarolt. «Dopo i vostri ordini?» «Più di venti», rispose Lasylt. «E solo in otto ce l'hanno fatta?» La voce di Trezun lasciava trasparire una punta di incredulità. «Dieci», replicò Lasylt. «Due sono approdati per sbaglio alla nuova Tavola di Norda. Non appena si saranno rimessi dalle fatiche del viaggio, si sposteranno qui per aiutarci a proteggere gli scettri.»
«Il giovane colonnello è così forte?» chiese Barylt. Tarolt scoppiò a ridere. «È sopravvissuto a due traslazioni attraverso le barriere e ha quasi intaccato gli scudi protettivi dello scettro. È riuscito a uccidere tre efrani-ombra e un vero frano, ed è in grado di spostarsi attraverso le Tavole e i portali. Sì, direi proprio di sì.» «Niente in confronto a noi, ma forte a sufficienza da impadronirsi degli scettri, se non stiamo attenti e non ci prepariamo a difenderli. Non appena gli altri si saranno ripresi, lo cacceremo da quello sciacallo codardo che è. Quando il nostro numero sarà aumentato, non ci dovremo più preoccupare di tali sciocchezze. Questi Talento-principianti verranno trattati per quello che sono e noi li sottometteremo alla nostra volontà per creare l'ordine e la bellezza che siamo soliti portare nei mondi che conquistiamo.» Lasylt aggiunse: «Tra breve andremo alla ricerca del colonnello per impedirgli di agire contro di noi». «Se già non lo sta facendo», mormorò Trezun sottovoce. Tarolt fulminò l'Archivista con un'occhiata. 152 Alucius e Wendra avevano attraversato Salaan e l'antico ponte sul fiume Vedra, dirigendosi poi a ovest lungo una strada che correva in parallelo a quella del fiume, perché Alucius non voleva essere riconosciuto da qualche abitante di Dekhron. Quando alla fine si trovarono a un centinaio di iarde a est dei cancelli aperti della postazione delle Guardie del Nord erano già le prime ore del pomeriggio. Sebbene la giornata fosse fresca e ventilata e il cielo fosse coperto da alte nuvole vaporose, Alucius era tutto sudato e aveva i piedi indolenziti. Era abituato a cavalcare per coprire lunghe distanze, non a camminare, e i suoi stivali non erano certo adatti a lunghi spostamenti a piedi su strade di terra battuta. Alendra stava protestando a gran voce che aveva fame e un certo qual odore lasciava intendere che necessitava anche di altre cure. «Non ci vorrà molto», Wendra le canticchiava a bassa voce. «Ancora un po', piccolina, e ci occuperemo di te e ti daremo la pappa. Solo un po'.» Il pianto di Alendra lasciava chiaramente intendere che ancora un po' era davvero troppo per lei. Le sentinelle di guardia ai cancelli rimasero a guardare i due che si avvicinavano. Con la mano che non reggeva il fucile, Alucius si sbottonò il giaccone perché si potessero vedere i gradi di colonnello che aveva di
nuovo applicato sul collo della casacca. «Siete voi, signore? Colonnello?» «Sono io. Le cose sono andate diversamente dal previsto. Abbiamo fatto una lunga camminata.» Alucius sorrise. «Forse qualcuno dovrebbe avvisare il maggiore Feran del nostro ritorno.» «Sì, signore!» La sentinella più giovane si allontanò di corsa verso l'edificio del quartier generale. Alucius e Wendra proseguirono. Più avanti, la voce del giovane soldato echeggiò attraverso la postazione. «Maggiore! Il colonnello è tornato! È proprio lui, in carne e ossa!» Feran era fuori ad attenderli e a osservare Alucius che si avvicinava zoppicando. Scosse il capo. «Non avresti potuto trovare un modo più facile per trascorrere un po' di tempo con lei, colonnello?» Alucius scoppiò a ridere, più per il tono secco in cui vennero pronunciate le parole che per tutto il resto. «Non avrebbe dovuto andare così. Avevo pensato che i mercanti stessero tramando qualcosa. E, in effetti, avevo ragione. La sparizione di Wendra era collegata. Non appena l'avrò fatta sistemare di sopra, ti racconto tutto.» Alucius scorse in piedi sulla soglia una figura familiare. «Dhaget, vuoi accompagnare mia moglie nei miei alloggi, per favore?» «Sì, signore.» Wendra sorrise ad Alucius con espressione un po' enigmatica, al tempo stesso affettuosa ma anche di monito a non rivelare troppo. «Salirò più tardi», le promise lui. «Fai ciò che devi fare.» Alucius annuì e rimase a guardare, mentre Dhaget la accompagnava su per le scale. Poi si girò ed entrò nel quartier generale, dirigendosi verso lo studio del colonnello - quello che, immaginava, dovesse essere ancora il suo studio - e aspettò che Feran lo raggiungesse. Non appena dentro, questi si richiuse la porta alle spalle. «Dove sei stato?» gli chiese. Abbiamo trovato il tuo cavallo in un frutteto a sud di Salaan. Siamo stati avvisati da un contadino. Finora sono riuscito a rimandare l'invio del rapporto per comunicare la tua scomparsa.» «Grazie. Te ne sono molto grato.» Con un profondo sospiro, Alucius prese posto sulla sedia dietro la scrivania, felice di concedere un po' di sollievo ai suoi piedi doloranti. «Che cosa... i mercanti? Tarolt?» «La situazione è molto più complicata e peggiore di quanto pensassi. Avevo cominciato a sorvegliare Tarolt perché pensavo che dovesse aver
fatto ricorso al Talento per derubare le Guardie. Ma lui mi ha preso alla sprovvista e mi ha rinchiuso in un posto, diciamo, speciale, dove sono stato trattenuto un po'.» «Perché questo non mi sorprende?» commentò Feran asciutto. Strinse gli occhi fino a ridurli a due fessure e corrugò la fronte. «I mercanti possiedono Talento?» Alucius aveva riflettuto a lungo su come affrontare la questione. «Noi avevamo interpretato la cosa in senso inverso. I mercanti agiscono d'accordo con la Reggente. Può darsi persino che siano loro a controllarla, anziché il contrario. Ecco perché non vogliono che vinca nessuna delle due parti. Tarolt possiede molto più Talento del profeta. Questo spiega perché molti mercanti sono morti e quelli rimasti si adeguano al suo volere. Ci sono altri due o tre talentosi che lo appoggiano. Probabilmente, lui si è servito del Talento per esercitare una certa influenza su Weslyn e per costringere lui e Imealt a cercare di uccidermi.» «Anch'io ho riflettuto su questo aspetto. Ma mi sembrava tutto senza senso», disse piano Feran. «A meno che non sapessero che tu possiedi Talento. Sei sempre stato un loro bersaglio. Le pallottole dirette a te sono sempre state più numerose di quelle dirette verso chiunque altro.» Fece una pausa, poi chiese: «È forse perché tu sei l'unico in grado di contrapporsi al loro Talento?». «All'inizio non lo credevo possibile, ma adesso so che questo potrebbe essere il motivo.» Alucius si strinse nelle spalle. «Ricordi i mercanti con i carri che portavano l'emblema della ruota d'argento?» «Quelli che avevano rifornito il profeta? Credevo che fossero stati Halanat e il figlio.» «Sì. Ma c'era Tarolt dietro. Era lui che controllava tutto.» Alucius si protese leggermente in avanti. «Stavo perlustrando il terreno intorno alla sua casa, a sud di Salaan, ma lui mi teneva d'occhio e mi ha teso una trappola. Forse sono stato troppo imprudente. Sono finito in un posto che aveva muri di pietra tutt'intorno. Le guardie non erano esperte come Tarolt e i suoi uomini, ma mi ci è voluto un po' prima di liberarmi. E poi ho trovato Wendra.» In un certo senso, quella spiegazione rispecchiava la realtà dei fatti, almeno per quel poco che Alucius voleva rivelare. «Non ti chiederò come sei riuscito a uscirne.» Dopo una pausa, il maggiore domandò: «Cosa possiamo fare?». E gli sorrise, con la bocca storta. «Conoscendoti, devi sicuramente avere elaborato un piano. E inoltre, non credo che sarai disposto a trattare con troppa indulgenza chi ha fatto del
male a tua moglie.» «Già, proprio così. E sono anche più arrabbiato per ciò che ha fatto Tarolt, per tutte le perdite che ha causato su entrambi i fronti, solo per soddisfare la sua brama di potere e di denaro. C'è una guerra in corso tra Madrien e Lanachrona e, se non facciamo qualcosa, tra non molto la Reggente attaccherà tutte le nostre compagnie a nord.» «Credi che fermare Tarolt servirà?» «Più di quanto tu possa immaginare.» Feran scosse il capo. «Quando parli così riesce difficile credere il contrario.» «Tu ne sei testimone. Weslyn faceva ciò che loro volevano. Se non fossimo tornati, che sarebbe successo alle Valli del Ferro?» «Niente di buono. Perciò che facciamo adesso?» «Fermiamo Tarolt e quelli che stanno con lui. La maggior parte dei mercanti è stata semplicemente manovrata per soddisfare gli intrighi di Tarolt e di Halanat. Quest'ultimo è morto. Se ci occupiamo anche di Tarolt, alla fine le cose si sistemeranno. Ma dovremo essere molto prudenti. Non possiamo precipitarci all'attacco di quella specie di fortezza dove lui si è asserragliato seguendo la stessa strategia già adottata per il profeta. Perderemmo solo un sacco di soldati e alle Guardie occorrerebbero anni per riprendersi. Senza contare che il Signore-Protettore potrebbe pretendere entrambe le nostre teste, o almeno le nostre immediate dimissioni.» «Capisco», disse Feran. «Se fosse possibile, vorrei rimanere in servizio quel tanto che basta a percepire una pensione.» «Anch'io. Perciò Wendra e io ci occuperemo del lavoro sporco...» «Wendra? Ma lei ha... Ma voi avete una bambina!» «Però Wendra è anche un pastore e a me occorre qualcuno in grado di resistere al Talento e di maneggiare un fucile.» Ad Alucius serviva molto più di quello, ma era tutto ciò che poteva dire. Feran ridacchiò. «Qualunque cosa necessiti del vostro intervento congiunto...» «Tarolt e i suoi due aiutanti possono usare il Talento solo a distanze ravvicinate e noi trarremo vantaggio da questo. Ci serviremo di Faisyn e della prima squadra per bloccarli all'interno della loro roccaforte, così che non possano fuggire.» «E poi?» «Tarolt e i suoi compari sono rintanati in un edificio a sud di un frutteto. Il mio cavallo l'avete trovato in un frutteto di albicocchi, non è vero?»
«Per me, tutti gli alberi sono uguali.» «Noi invece passeremo dai sotterranei e li costringeremo a uscire.» «Così, semplicemente? Tu e Wendra?» Feran inarcò le sopracciglia. «Questa volta pensi di rimanere tutto d'un pezzo, o si ripeterà la storia dell'attacco contro il profeta?» «Potrebbe essere peggio», ammise Alucius. «Ma non potremmo solo...» Feran indugiò. «Davvero c'erano loro dietro alla Reggente?» «E dietro a Weslyn e agli attacchi contro la Ventunesima Compagnia quando eravamo di stanza a Emal.» «In quanti sono?» «Che io sappia, tre, ma potrebbero essercene di più. Stavano insegnando ad altre persone a servirsi del Talento. Non so da dove venissero, ma erano in grado di usarlo.» Ancora una volta, Alucius stava un po' plasmando a suo uso la realtà dei fatti. «Che ne dici di due squadre?» Alucius rifletté per un attimo. «Due andranno bene. Non mi piace l'idea di arrivare con un'intera compagnia davanti alla residenza di un mercante. A proposito, Wendra avrà bisogno di un cavallo e di un fucile. Li posso pagare.» «Quest'uomo sta cercando di salvare la sua patria e si preoccupa prima di tutto di non abusare dei suoi privilegi!» Feran si dimenò sulla sedia. «Quando mi racconti cose strane come questa non fai altro che fornirmi un altro motivo per crederti. Inoltre, non è un male che tu abbia sempre ragione. Chiunque si metta contro di te è destinato a perdere.» «Non sempre. Ero finito prigioniero dei matriti.» «Anche questo è vero. Ma chi altri è mai riuscito a scappare, se non tu e gli uomini che ti sei portato dietro?» «Qualcun altro ci deve pur essere stato», obiettò Alucius. «Quando ti vorresti muovere?» chiese Feran. «Domattina. Un paio di clessidre prima dell'alba.» «L'avrei scommesso. Hai sempre avuto quest'abitudine da pastore di alzarti presto.» Alucius rise. «Preferirei dormire fino a tardi, ma avrò bisogno dell'oscurità per predisporre il tutto. Inoltre, temo che arrivino altri rinforzi talentosi.» «Tarolt non può essere un semplice mercante.» «Non lo è. Ma lasciamo stare, per il momento.»
«Finché il colonnello sei tu, per me va bene.» «Finché sono io quello che deve fornire spiegazioni? Non sono certo di essere sempre in grado di spiegare. Ma non ha importanza. Dobbiamo fermare Tarolt prima che faccia altri danni.» «Dopo tutto quello che ha già fatto, sono più che d'accordo con te. Come pensi di avvicinare la casa?» Alucius aprì il cassetto ed estrasse un foglio di carta sul quale schizzò il piano che aveva in mente, mentre Feran spostava la sua sedia di fianco a lui per vedere meglio. Quando i due ebbero finito di lavorare sui dettagli e di spiegare a Faisyn i particolari dell'attacco dell'indomani, era già pomeriggio inoltrato. Alucius aveva sgranocchiato solo qualche galletta e il suo stomaco stava brontolando per la fame, mentre saliva le scale che portavano ai suoi alloggi. Si era appena chiuso la porta alle spalle che vide Wendra venirgli incontro, drappeggiata in una delle sue casacche. «È stato stupendo fare il bagno, ma ho dovuto lavare tutto quello che avevo addosso. Spero che non ti dispiaccia.» Lui le lanciò un'occhiata di apprezzamento. «Non mi dispiace per niente. Dov'è Alendra?» «Sta dormendo nella cameretta.» Alucius le fece un largo sorriso. Wendra arrossì. Subito dopo entrambi scoppiarono a ridere. 153 La mattina di tridi, due clessidre e mezzo prima dell'alba, Alucius aveva già finito la sua frugale colazione a base di pane, formaggio, frutta essiccata e acqua. Così come Wendra, che aveva appena cambiato Alendra e l'aveva assicurata all'interno del marsupio. «Hai indossato gli indumenti di seta nerina?» le chiese Alucius. «Te l'avevo detto che l'avrei fatto. È per questo che ieri ho lavato tutto.» «Sei sicura di poter usare il fucile, con lei nel marsupio?» chiese Alucius indicando la piccola. «Sono sicura.» Dalla voce di Wendra traspariva una punta di esasperazione. «Ho sistemato il marsupio in modo che non impacci i miei movimenti. Ed è anch'esso di seta nerina. Sono abituata. Quand'ero alla fattoria, ho ucciso lupi della sabbia con lei appresso. Ho persino ucciso un sabbioso
scuro e quegli pteridon...» Alucius non si era reso conto che le traslazioni malriuscite avessero continuato a perseguitare Wendra. Lei non gliene aveva mai parlato. «Inoltre, dobbiamo essere in due. Ogni volta che hai affrontato gli ifrit da solo hai riportato gravi ferite. E, d'altra parte, non voglio lasciare Alendra. Non pensarci neppure.» «Sarebbe più al sicuro qui», azzardò Alucius. Wendra lo fissò. «Per quanto tempo... se dovesse succedere qualcosa a noi due? Non posso aiutarti se mi preoccupo per lei, e tu non puoi portare avanti quest'impresa senza di me. Dobbiamo farlo insieme.» «Potrei assegnare una squadra.» «Quanto riuscirebbe a resistere contro quegli ifrit?» Alucius decise di non aggiungere altro. «Sarà meglio scendere in cortile.» Si infilò il giaccone imbottito di seta nerina. Con quello addosso e con il gilè che portava sotto la casacca, era convinto che il suo corpo fosse sufficientemente protetto. Wendra indossava il suo giaccone di seta nerina più leggero, con le maniche rimboccate. Sperava solo di non dover affrontare il fuoco delle pistole a lame di luce degli ifrit. Prese entrambi i fucili e si gettò in spalla le bisacce. Al loro interno c'erano del cibo per il viaggio e due borracce piene d'acqua. Tutte le cartucce della cartucciera e quelle all'interno dei caricatori erano state rivestite di oscurità. Lo stesso procedimento sarebbe stato applicato a quelle dei soldati che li avrebbero accompagnati. Alucius attese sulla porta che Wendra lo raggiungesse, poi se la richiuse alle spalle con un tonfo sordo. Dhaget aveva già sellato i loro cavalli, ma, dopo aver sistemato le bisacce, Alucius preferì ricontrollare tutto, prima di riporre i due fucili nelle custodie. Wendra, nel frattempo, era già montata in sella. Mentre le due squadre si schieravano in formazione nell'oscurità, Alucius e Wendra cominciarono a rivestire le cartucce della prima squadra con il nero involucro del Talento. «Non ti stai stancando troppo, vero?» le chiese lui. «Tesoro, sto bene.» Alucius fece una smorfia. Il fatto che Wendra lo accompagnasse rendeva tutto diverso. Era sicuramente più esperta di molti soldati, se non di tutti, eppure... lui non poteva impedirsi di essere in ansia. «Se io mi preoccupassi per te», gli sussurrò lei protendendosi verso di lui, «quanto tu adesso ti preoccupi per me, mi avresti già staccato la testa
dal collo da almeno una clessidra a dir poco». Alucius si sentì arrossire e fu ben lieto che la semioscurità del cortile impedisse a Wendra di accorgersene. «Scusami», replicò infine a voce bassa. «Non ti devi scusare. La devi solo smettere.» Alucius non poté impedirsi di sorridere. Faisyn si fermò a meno di tre iarde da loro. «La prima e la seconda squadra sono pronte, colonnello.» «Grazie, Faisyn. Vorrei dire un paio di cose ai soldati prima di partire.» «Sì, signore.» Faisyn girò il cavallo. «Ascoltate. Il colonnello deve dirvi qualcosa!» Alucius fece avanzare il baio e si fermò, aspettando che cessassero gli ultimi mormorii, per poi cominciare a parlare usando un tocco di Talento per rafforzare il tono di voce e proiettare assoluta convinzione. «Come alcuni di voi già sanno, sono stato in missione per conto del SignoreProtettore nel tentativo di scoprire qualcosa. Ciò di cui sono venuto a conoscenza è che un mercante di queste parti possiede Talento, proprio come il profeta. Ed è stato proprio questo mercante ad addestrare il profeta e a corrompere il colonnello Weslyn. Insieme, si erano dati da fare per indebolire le Guardie del Nord affinché la Reggente potesse conquistare parte delle Valli del Ferro. Stamattina, il vostro compito sarà semplice. Dovrete assicurarvi che nessuno esca dalla fortezza in cui si è rifugiato il mercante. Gli occupanti della fortezza sono come i soldati del profeta: continueranno ad attaccare finché non saranno tutti morti. Si tratta di individui malvagi e meschini come nessun altro, che hanno fatto di tutto per fiaccare le Guardie e far uccidere un gran numero di soldati, così da poter guadagnare del denaro. Noi li fermeremo. Quando giungeremo a destinazione, il comandante di squadra Faisyn vi farà disporre in modo da coprire tutte le vie d'accesso alla fortezza. Per nessuna ragione dovrete allontanarvi dai vostri compagni. Questo è tutto.» Alucius si rivolse a Faisyn. «Andiamo.» «Schierarsi in formazione sul colonnello.» Quattro soldati, con Dhaget e Fewal alla testa, avanzarono fino a portarsi alle spalle di Alucius e Wendra. Non appena furono tutti in formazione, Alucius fece avanzare il grosso baio verso i cancelli. Wendra lo seguì. «Squadre, avanti! Procedere in silenzio!» Il piccolo distaccamento attraversò Dekhron e proseguì verso il ponte sul fiume Vedra. All'infuori dello stridio degli insetti, dell'occasionale miagolio di qualche gatto randagio o dell'abbaiare di un cane, il rumore più forte
che si udiva era quello degli zoccoli dei cavalli sulla strada, un clip-clop che si fece più evidente quando si immisero sulla strada principale in durapietra a nord del ponte. Selena era calata quasi subito dopo il tramonto, ma il sottile disco verde di Asteria si trovava vicino al suo zenit quando Alucius giunse a metà ponte. Si trattava forse di un segno? Con un ironico sorriso, Alucius lo considerò una semplice coincidenza. Per quanto Dekhron fosse scarsamente illuminata, Salaan al confronto era completamente immersa nell'oscurità, tanto che Alucius dovette fare affidamento sia sul Talento sia sulla sua vista da pastore per riuscire a individuare la stradina secondaria che portava all'edificio nel quale si trovava la Tavola, e anche gli scettri. Per tutto il tragitto, Asteria brillò alta nel cielo, simbolo dell'antica dea della guerra, un sottile disco brillante che proiettava una luce scarsa. Mentre Alucius guidava i suoi uomini sulla strada laterale e si dirigeva a ovest verso l'estremità orientale del frutteto confinante con l'edificio della Tavola, un lieve chiarore aveva cominciato ad apparire all'orizzonte. Avevano appena percorso poche centinaia di iarde lungo la stradina, che Alucius si girò sulla sella e sussurrò: «Faisyn!». «Signore.» «Voi vi fermate qui. Sapete cosa fare. Non permettete a nessuno di avvicinarsi e non lasciate che nessuno scappi. Se colpite qualcuno, lasciatelo dove si trova.» «Sì, signore.» Alucius fece girare il suo baio verso sud e si avviò in direzione del fianco della collina, attraverso il prato, in compagnia di Wendra, Dhaget e Fewal. Il fabbricato che ospitava la Tavola si trovava quasi un vingt a sudovest dal punto che lui e Wendra avevano scelto. Una volta raggiunti i piedi delle basse colline, Alucius condusse il cavallo su per il pendio, proiettando tutt'intorno i Talento-sensi alla ricerca di linee sommerse al di sotto del terreno roccioso. A metà strada dalla cima, fermò il baio. «Più vicini di così non possiamo arrivare con i cavalli.» «Sì, signore.» Dopo essere smontato di sella, Alucius tese le redini a Dhaget, mentre Wendra fece altrettanto con Fewal. Alucius prese entrambi i fucili dalle custodie, poi guardò Dhaget. «Potremmo impiegarci tanto una clessidra quanto mezza giornata. Se vedete uscire qualcuno da quell'edificio a ovest,
sparate. Altrimenti, aspettate.» «Sì, signore.» La voce di Dhaget suonava leggermente interrogativa. «Cercheremo di entrare attraverso un passaggio sotterraneo. Solo i pastori o coloro che possiedono Talento sono in grado di usarlo.» «Sì, signore.» Alucius portò lo sguardo su Wendra e Alendra. La piccolina era sveglia, intenta a scrutare nella semioscurità ed emetteva di tanto in tanto dei piccoli gorgoglii. «Dobbiamo proseguire a piedi.» Wendra annuì. Dopo aver percorso circa una trentina di iarde, Alucius si fermò. «Puoi sentirle?» disse, assicurando il secondo fucile a un gancio improvvisato della cintura. «Dovremmo essere vicini a sufficienza.» «Cercheremo di uscire sul lato est della stanza della Tavola e dovrai tenerti pronta a sparare. Se non avremo tempo per ricaricare, ci immergeremo nuovamente e torneremo qui.» «Dovrò sparare verso il lato in cui mi trovo e tu farai altrettanto verso l'altro?» «Esatto.» Alucius si concentrò a proiettare una Talento-sonda nel terreno sotto i suoi piedi, alla ricerca di un solido contatto con l'oscurità nebulosa delle linee sommerse. Mentre era intento a sondare, era ancora più consapevole della presenza di Wendra. Alzò il fucile in posizione di tiro, sapendo che sarebbe emerso dall'altra parte nella stessa posa. Wendra seguì il suo esempio. Alendra gorgogliò felice. «Ecco...» mormorò lui, mentre la sua sonda toccava l'oscurità sottostante e vi si ancorava. «Anch'io ci sono.» Alucius si sentì diventare un tutt'uno con l'oscurità sotto di lui e con il fianco della collina, mentre precipitava giù verso la linea sommersa. Fu in grado di avvertire la presenza della moglie e della figlia persino dopo che ebbero raggiunto il freddo buio che li avrebbe condotti a percorrere il breve tratto che li separava dalla stanza della Tavola. Sopra di sé, avvertiva il tenebrore violaceo dei condotti usati dagli ifrit e, davanti, il marrone e verde della Tavola e la sfumatura rosa e viola dello scettro e del portale da esso creato. La barriera argentata ondeggiò dinanzi a lui ed egli
poté distinguere le figure di due ifrit al di là della Tavola. Frammenti d'argento si dissolsero al suo passaggio... Il suo dito indice si irrigidì sul grilletto, ma dovette fare mezzo passo avanti per rimettersi in equilibrio. Bang! Bang! Wendra era arrivata prima di lui e stava già facendo fuoco. Bang! Il primo colpo di Alucius centrò al petto l'ifrit sulla sinistra, dato che lui si trovava a sinistra della moglie. L'ifrit barcollò. Il secondo colpo si conficcò nella sua fronte spaziosa e lo fece crollare a terra morto. Un'altra figura vestita di marrone e viola si precipitò giù dalla scala e piombò a terra, mentre Alucius e Wendra sparavano entrambi. Un quarto ifrit comparve, facendo partire dalla sua arma una saetta azzurrognola in direzione di Alucius. La pallottola di Wendra fece perdere l'equilibro all'ifrit, permettendo ad Alucius di scagliare verso l'arma una Talento-sonda, che la fece esplodere in una fiammata violacea, mentre Wendra abbatteva l'ifrit. «Ricarica adesso!» la esortò Alucius. Wendra estrasse con destrezza le cartacce dalla cintura e le infilò nel caricatore, mentre Alucius assicurava la copertura sulle scale, proiettando i Talento-sensi tutt'intorno per determinare quanti ifrit fossero rimasti. Gli parve che Tarolt non fosse tra quelli che li avevano aggrediti. «A te, adesso!» disse Wendra. Alucius ricaricò rapido, ma la scala rimase deserta, benché egli avvertisse la presenza di altri cinque ifrit da qualche parte al piano superiore. Avanzò verso il fianco sinistro della Tavola, mentre Wendra si portava sull'altro lato. «La Tavola...» sussurrò Wendra. Alucius non ebbe neppure bisogno di guardare. Sentì un'ondata di energia sollevarsi dal rettangolo scuro accanto a lui, un'energia collegata a un ifrit. Un flutto rosa-violaceo sì riversò nel passaggio verso le scale, una scintillante cortina di cristallo. «Non sparare», bisbigliò Alucius. «Il rosa ricaccerebbe la pallottola verso di noi.» «Cosa?» «Oscurità. L'oscurità della vita... dobbiamo circondarlo.» Lo scudo rosa-violaceo traboccò nella stanza della Tavola. Dietro ad esso si intravedeva un ifrit, una figura maschile alta e imponente, quale Alu-
cius non aveva mai visto, un ifrit più o meno delle stesse dimensioni della grossa statua che si trovava nella stanza della Tavola di Dulka. «Molto ingegnoso, soprattutto per dei poveri Talento-principianti. Usare le vostre armi...» Alucius lanciò una rete di oscurità contro lo scudo viola, facendo sparire l'ifrit alla vista, ma subito l'oscurità cominciò a sbiadire e il viola tornò a brillarvi attraverso, facendola piano piano dissolvere. «Lo scettro!» Wendra indicò un lato della Tavola. «Sta attingendo energia dallo scettro.» «Puoi avvolgerlo nell'oscurità?» chiese Alucius. Il viso di Wendra si fece teso. Alendra piagnucolò. Una saetta di fiamma violacea si abbatté su Wendra. Alucius e Wendra opposero entrambi uno scudo protettivo nero e verde, parando il colpo, ma Alucius fu costretto ad arretrare, tanto l'urto fu violento. Un'occhiata in direzione di Wendra gli confermò che anche lei era stata obbligata a retrocedere. Prima che l'ifrit potesse scagliare un'altra saetta verso di loro, Alucius proiettò un Talento-giavellotto nero contro lo scudo dell'avversario, imprimendogli quanta più forza possibile. Lo scudo fu percorso da un tremito, si contrasse e poi si allargò per ricacciare quell'oscurità verso Alucius, spingendolo contro il muro. Nonostante gli indumenti di seta nerina, questi avvertì l'impatto della pietra contro la schiena. «Collegati alle linee sommerse», gli suggerì Wendra. «Non al mondo, ma all'energia vitale. Pesca da lì la forza...» Le parole le uscivano a fatica, come se fosse schiacciata da un peso enorme. Un'altra lancia violacea venne scagliata nella loro direzione. Alucius riuscì a pararla, facendola deviare contro la parete alle sue spalle. Goccioline di pietra liquefatta gli piovvero intorno. Una gli bruciò il dorso della mano. Lo scudo rosa-violaceo si fece più luminoso, oltre che caldo come il sole dell'estate, sempre più caldo. Le ondate di calore giungevano fino a Wendra e ad Alucius. Quest'ultimo si collegò all'oscurità sotto di lui, l'oscurità delle linee sommerse, servendosi di tutto il suo Talento e lasciando che l'energia vitale gli fluisse attraverso e si dirigesse verso lo scettro che stava accanto a Wendra. Sentì che anche lei si collegava all'energia vitale, a tutta quanta l'energia vitale di Corus. L'oscurità emerse e passò loro attraverso, creando un muro protettivo a
bloccare quel calore simile a quello prodotto dal sole, calore che aveva riscaldato l'aria nella stanza a un punto tale che ogni respiro sembrava infuocato. Alucius fu colpito da un accesso di tosse, mentre tentava di convogliare la scura energia vitale di Corus dalle linee sommerse e dal mondo nella barriera di verde oscurità che lui e Wendra avevano eretto, una barriera che aveva finalmente fermato il progredire dell'insopportabile ondata violacea. Ciò nonostante, la temperatura della stanza rimase soffocante. Lo scudo violaceo cominciò a pulsare. Alucius e Wendra continuarono a incalzare. «Non possiamo lasciare che arrivi alla Tavola», disse Wendra con voce affannosa. «È forte.» Alucius diresse altra oscurità contro lo scudo e attorno allo scettro, cercando di impedire all'ifrit di attingere alla sua forza. Wendra lo imitò. Alucius avvertì il sudore che gli colava dalla fronte e si sentì come se stesse portando sulle spalle casse piene di piombo. All'improvviso, il bagliore violaceo fu percorso da un tremito. Alucius alzò il fucile, in attesa, aggiungendo altra oscurità alle cartucce nel caricatore e nella cartucciera. Un tenebroso lampo violaceo partì dalla scala e attraversò l'ingresso della stanza della Tavola rivelando un'incombente figura viola che teneva in mano una pistola a lama di luce. Alucius sparò un colpo, facendolo seguire immediatamente da un altro. Entrambe le pallottole andarono a conficcarsi nella fronte dell'ifrit, abbattendolo. Le fiamme sulla scala divamparono con una tale intensità che i muri di pietra si fecero per un attimo incandescenti. Tenendosi pronto con il fucile, incurante dello sfregamento che gli procurava l'altro fucile contro il ginocchio, Alucius superò d'un balzo la Tavola e i corpi senza vita degli ifrit. Il calore emanato dalle pietre era talmente forte che il sudore sulla fronte e sul collo di Alucius evaporò ancora prima che egli avesse risalito metà scala. Mentre si avvicinava alla sommità, scorse un'altra sagoma e sparò. Gli indumenti dell'ifrit-donna la protessero dalla pallottola, ma la violenza dell'urto la fece barcollare. Alucius sparò altri due colpi per finirla. Wendra, che lo aveva seguito, fece fuoco alle sue spalle e uccise un altro ifrit. Si udirono parole in una lingua sconosciuta provenire dall'atrio dietro al-
la sala delle riunioni. Alucius credette di comprenderne il significato, senza sapere il perché. Scivolò furtivo accanto al passaggio che dava sull'atrio, rimanendo al coperto della parete, a meno di tre iarde da dove si trovavano gli ifrit. «Gli antichi abitanti!» «Fate qualcosa!» «Non possono resistere contro le pistole a lama di luce!» Alucius appoggiò il fucile scarico contro il muro e strappò l'altro dal gancio alla cintura a cui l'aveva assicurato, armandolo e proiettando il proprio Talento all'interno dell'atrio, dove i tre ifrit stavano con le armi alzate in posizione di tiro. Wendra strisciò contro la parete accanto a lui. Con un freddo sorriso, Alucius fece arrivare una Talento-sonda fino alle pistole degli ifrit e staccò rapido i collegamenti cristallini che le azionavano. «Puoi ricaricare?» sussurrò. «Un attimo.» Ancora prima che lei avesse rimesso a posto il caricatore, Alucius aveva già individuato i punti in cui i tre ifrit si erano riposizionati. «Cerchiamo di sciogliere i loro nodi!» Due Talento-sonde serpeggiarono lungo il muro, introducendosi nell'atrio, e sfrecciarono in direzione degli ifrit. Nel colpire con la sonda la Talento-armatura di uno tre, Alucius avvertì l'urto. Si limitò ad aggirarla e a dirigersi verso il nodo principale. Un lampo violaceo attraversò la stanza tranciando una porzione di arco e provocando una cascata di gocce di pietra liquefatta che, nel cadere sul pavimento, produssero lo stesso suono picchiettante della pioggia. Wendra fu molto più abile di Alucius e, di lì a poco, uno degli ifrit venne scosso da un tremito e crollò a terra privo di vita. Qualche istante più tardi anche il secondo fece la stessa fine. Il terzo si girò e si precipitò a spalancare la porta. Alucius uscì dal suo riparo, gli puntò contro il fucile e fece fuoco. Gli ci vollero tre colpi prima che anche l'ultimo ifrit giacesse a terra morto. Alucius continuò a scrutarsi intorno con gli occhi, le orecchie e il Talento. «Non è rimasto più nessuno», disse Wendra con voce piatta. «Dobbiamo mettere al sicuro gli scettri. C'è una camera segreta.» «Come quelle che abbiamo già visto negli altri posti?» «Sì.» Alucius si fermò. «Stai bene? Alendra è...»
«Stiamo bene. Credo... che sia un po'... spaventata... stordita... suppongo che lei avverta già il Talento, ma che non sappia di cosa si tratti.» Alucius aspettò. «Tu sei abituato a tutto questo. Con la gente, voglio dire. Io ho ucciso lupi della sabbia e sabbiosi...» Scosse il capo. «È successo tutto così in fretta. C'erano dieci ifrit... degli esseri umani... e adesso sono tutti morti. Lo so che siamo stati obbligati a ucciderli... ma... sono morti, ed erano convinti di fare ciò che secondo loro era giusto.» «Probabilmente ne erano convinti.» Alucius accennò con il capo in direzione della scala e della stanza della Tavola. Con un gesto meccanico, si asciugò la fronte madida di sudore. Non se ne era accorto prima, ma là dentro faceva caldo, un caldo quasi soffocante, e la stufa nella sala delle riunioni emanava un calore insopportabile. «Fa caldo.» «Le arianti avevano detto che il loro mondo era più caldo.» Alucius superò il tavolo rotondo, sul quale erano rimaste parecchie tazze di cristallo contenenti del liquido chiaro. Scese le scale evitando i due corpi distesi a terra e tornò nella stanza della Tavola, scavalcando anche gli altri corpi. Come Wendra aveva detto, contro uno dei fianchi della Tavola erano appoggiati due cofanetti. Uno era di metallo nero e argento - uguale a quello ancora incassato nella parete della stanza di Dereka - mentre il secondo era di semplice legno. Attraverso quest'ultimo, Alucius avvertì l'energia pulsante rosa-violacea dello scettro che era stato all'origine dei poteri della Matride e della Reggente. «Riesci ad aprire quella porta?» chiese Alucius. «Quella nascosta?» Wendra si avvicinò al supporto della torcia a raggi di cristallo e lo ruotò. Non successe niente. Lei aggrottò la fronte e si concentrò. «C'è una specie di Talento-sigillo su questo», disse infine lei. «L'hanno rivestito di Talento.» «Puoi spezzarlo? O farlo dissolvere con l'oscurità?» «Penso di sì... Ecco, ce l'ho fatta.» La sezione di muro si stava aprendo silenziosamente. «Aspetta un attimo.» Alucius si servì del Talento per controllare il passaggio e la stanza dall'altra parte, ma non percepì alcuna presenza. I due percorsero il passaggio della larghezza di un paio di iarde e raggiunsero l'unica stanza, in fondo. Una rastrelliera contenente una sola pistola a lama di luce, ma con spazio per contenerne un' altra dozzina, era fissata alla parete. Un lungo tavolo massiccio, sul quale erano disposti cin-
que scrigni, era collocato a ridosso dell'altra parete, a sinistra. Wendra sollevò il coperchio di uno degli scrigni e fece un passo indietro. «È pieno di monete d'oro.» «Immaginavo che contenesse qualcosa del genere.» Alucius appoggiò il fucile contro il muro. «Porto fuori gli scrigni e metto al sicuro gli scettri, poi chiudiamo di nuovo la camera di sicurezza.» Guardò Wendra. «Quando avrò finito, potresti sigillare la stanza con il Talento, come avevano fatto gli ifrit? Metterci una specie di Talento-sigillo?» «Posso provarci.» Alucius sollevò il primo scrigno e lo portò fuori, per poi tornare con il cofanetto nero e argento che conteneva lo scettro e che era molto più pesante di quanto sembrasse. Quando ebbe finito di fare i vari spostamenti era fradicio di sudore. A quel punto, recuperò uno dei suoi fucili e rimase a osservare mentre Wendra chiudeva la camera di sicurezza e la sigillava con il Talento, così che, anche facendo ruotare il supporto della torcia, non si sarebbe potuto aprire la porta del passaggio segreto. «Adesso dobbiamo informare gli altri.» Wendra sì avviò verso le scale. «No. Dobbiamo tornare da dove siamo venuti.» «Hai ragione.» Wendra gli regalò un debole sorriso. «Avevi ordinato di sparare a chiunque fosse uscito dall'edificio.» Fece un profondo respiro. Alucius cominciò a collegarsi all'oscurità delle linee sommerse, ma scoprì di non essersene mai staccato. Lui e Wendra sprofondarono nel gelo, che risultò quasi gradito dopo il caldo opprimente dell'edificio della Tavola. A ogni ulteriore utilizzo delle linee sommerse - le linee dell'energia vitale del mondo - Alucius diventava sempre più consapevole di ciò che stava fuori e sopra di loro, oltre che della posizione di Wendra rispetto alla sua. Insieme, si diressero verso un punto che, a giudicare da ciò che si vedeva attraverso la tremolante barriera argentea, sembrava trovarsi dietro a una macchia di bassi cespugli, meno di quaranta iarde più in alto di dove li stavano aspettando i soldati. I frammenti argentei si dissolsero al loro passaggio. Uscirono nella luce radente della prima clessidra successiva all'alba, con l'erba rada e le foghe delle pianticelle di quercia ancora bagnate di rugiada. Alucius non finiva mai di sorprendersi per come certe cose succedessero rapidamente e altre lentamente. «Ahhhh...» La prima a parlare fu Alendra. «Ha fame», disse Wendra divertita. «Ha avuto la sua parte di avventura
e adesso deve mangiare.» «Avvisiamoli che siamo tornati.» Scesero lungo il fianco della collina ed emersero dalla macchia di cespugli. «Dhaget! Fewal!» chiamò Alucius. «Signore. Abbiamo udito degli spari. State bene?» «Questa volta sì.» «Perché non eri solo», mormorò Wendra. Alucius avvertì l'ironia nelle sue parole. «Non è necessario che me lo rammenti.» «Oh, sì invece. Dobbiamo ancora consegnare degli scettri.» Nell'udire quelle parole, Alucius si sentì percorrere da un brivido ghiacciato. «Non appena avremo avuto un attimo di respiro. E tu avrai dato da mangiare alla nostra piccolina, qui.» Wendra annuì. Le parole di Wendra avevano ricordato ad Alucius di quanto poco tempo disponessero. Qualche giorno prima c'erano stati solo quattro ifrit. Adesso ne avevano trovati dieci e non aveva idea di quanti ce ne fossero altrove, a Prosp o a Norda. Dhaget, Fewal e gli altri due soldati risalirono a cavallo il fianco della collina e si incontrarono a metà strada con i due pastori. Dhaget osservò a lungo prima Alucius, poi Wendra. Gli altri tre fecero lo stesso. Alucius lanciò un'occhiata alla moglie. Non vide una particolare differenza... tranne che... lei gli parve in qualche modo più viva... più imponente. Ma non c'era molto che potesse fare al riguardo. Perciò prese il fucile di Wendra, lo controllò e lo infilò nella sua custodia mentre lei rimontava in sella. «Vi manca un fucile, signore», osservò Fewal. «L'ho lasciato all'interno dell'edificio. Lo prenderò quando torneremo.» Alucius salì in groppa al suo baio e si rivolse a Roncar. «Vorrei che tu facessi ritorno al quartier generale e chiedessi al maggiore Feran di raggiungerci. Ci servirà anche un carro per trasportare alcuni oggetti alla postazione.» «Sì, signore.» Benché un'espressione perplessa avesse attraversato il volto del soldato, egli annuì e diresse il suo cavallo alla volta di Dekhron. Alucius e Wendra attraversarono lentamente il prato, poi si immisero sulla stradina che costeggiava il frutteto, seguiti dai tre rimanenti soldati.
Faisyn li aspettava in fondo al frutteto, quasi nel punto esatto in cui Alucius aveva legato il baio la volta della sua precedente spedizione. Al pari di Dhaget, anche Faisyn scrutò Alucius per un attimo, prima di parlare. Poi scosse impercettibilmente la testa. «Signore? Abbiamo sentito degli spari, ma non è uscito nessuno. Ho chiesto alla seconda squadra di ordinare allo stalliere e alla gente che occupava l'altro fabbricato di rimanere all'interno.» «Grazie. Avrei dovuto pensarci io», ammise Alucius. «Posso chiedere... signore...?» «Oh... sono morti. Tutti i Talento-distorti sono stati uccisi.» «Talento-distorti?» «Perché, vedi, il Talento, così come tutte le altre doti, può essere usato a fin di bene o per fare del male. Coloro che lo usano per fare del male ne vengono in qualche modo influenzati.» Mentre parlava, Alucius ebbe l'impressione che, per qualche inspiegabile motivo, fosse seduto più in alto o più dritto sulla sella. Non ricordava di avere mai dovuto abbassare così lo sguardo su Faisyn. Lanciò un'occhiata di sfuggita a Wendra e vide che anche lei pareva essersi dilatata... non di molto, ma abbastanza da sembrare più alta di circa mezza spanna, senza che i vestiti le risultassero stretti. Nascose un moto di preoccupazione. Come era potuto accadere? «Ah... ho mandato Roncar a chiamare il maggiore Feran e a far venire qui un carro. Là dentro ci sono delle armi e altre cose che appartengono alle Guardie.» «Sì, signore.» Alucius guardò Wendra, che stava cullando Alendra e dandole dei colpetti affettuosi sulla schiena, chiaramente nel tentativo di tenere tranquilla una neonata affamata che non aveva l'aria di restarsene buona ancora per molto. «Dove pensi di metterti per poterla allattare?» «Qui fuori. Per il momento.» Alucius comprese. Si girò verso Faisyn. «Perché non vieni dentro? Così puoi vedere cos'è successo.» Si girò sulla sella. «Dhaget, tu e gli altri restate con mia moglie.» «Sì, signore.» L'espressione di Dhaget faceva palesemente capire che il soldato nutriva qualche dubbio sul fatto che Wendra necessitasse di protezione. Alucius si chiese come mai, poiché Dhaget non aveva mai visto Wendra usare armi, senza contare il fatto che si sarebbe trovata in qualche modo impacciata nei movimenti, mentre allattava la bambina. Faisyn e Alucius si diressero a cavallo verso l'edificio che ospitava la
Tavola, accompagnati da una mezza squadra di soldati. Si fermarono a pochi passi dal vialetto lastricato che conduceva all'ingresso. Il comandante di squadra anziano scese di sella, imitato da Alucius. Benché non avvertisse alcuna presenza nemica all'interno, questi si portò dietro il focile. Finché la Tavola era funzionante, c'era sempre la probabilità che potessero comparire altri ifrit. Mentre si avvicinava alla porta socchiusa dell'ingresso, Faisyn spalancò la bocca nel vedere l'ifrit che giaceva a terra morto. «Questo è l'aspetto dei Talento-distorti quando non si nascondono dietro una Talento-immagine», spiegò Alucius. «Ce ne sono altri dentro. Sono tutti morti.» Aprì la porta e scavalcò il corpo dell'ifrit. Faisyn osservò i due cadaveri nell'atrio, poi il suo sguardo si spostò sull'arco danneggiato e sulle goccioline ormai solidificate di pietra e ceramica che coprivano il pavimento. I due proseguirono verso la sala delle riunioni, nella quale la stufa non aveva smesso di irradiare il suo calore. Alucius si asciugò di nuovo la fronte. «A loro piace il caldo.» «È quasi insopportabile.» Faisyn lanciò un'occhiata alla parete laterale, subito dietro l'arco, dove Alucius aveva appoggiato l'altro suo focile. «È vostro, non è vero?» «L'avevo lasciato qui. Non aveva senso trascinarmelo dietro.» Gli occhi del comandante di squadra caddero sui due corpi in fondo alla sala. «Ce ne sono altri cinque sulle scale e nella stanza sotterranea», disse Alucius. Faisyn si fermò. «Sembra proprio che non abbiate avuto bisogno del nostro aiuto, signore.» «Hai visto quello sulla soglia. Se ce ne fossero stati altri come lui...» Alucius lasciò la frase in sospeso. «Abbiamo avuto fortuna.» Faisyn scosse il capo. «Signore... colonnello... non voglio certo discutere con voi, ma... se aveste contato sulla semplice fortuna, a quest'ora sareste già morto e sepolto.» Si raddrizzò, esaminando la stanza, poi si diresse verso le scale e guardò verso il basso. «Individui dal fisico imponente... persino la donna, laggiù.» Fece una pausa. «Anche vostra moglie ne ha ucciso qualcuno, non è vero?» «Circa la metà, forse più. È molto brava.» «Non l'avreste portata con voi se non lo fosse.» «Per la verità, io non volevo», confessò Alucius.
Faisyn spostò il peso del corpo da un piede all'altro, senza replicare. «Puoi uscire, se vuoi», disse Alucius. «Sarà meglio che io resti qui, per assicurarmi che nessuno cerchi di intrufolarsi dentro attraverso il passaggio sotterraneo.» «Volete che vi mandi un paio di uomini?» «Un paio dovrebbe bastare.» Alucius si diresse alla finestra e la spalancò. Poi prese una delle sedie e si sedette. «Lascia aperta la porta d'ingresso.» «Sì, signore.» Prima di uscire, Faisyn trascinò il corpo del primo ifrit nell'atrio. Di lì a poco comparvero due soldati. «Signore?» «Venite.» Alucius riconobbe solo uno dei due: il povero Sylat, un soldato solitamente perseguitato dalla sfortuna. «Puoi sederti. Stiamo aspettando il maggiore Feran e nel frattempo controlliamo che nessun Talento-distorto si intrufoli qui dai sotterranei», disse, indicando le scale. Trascorse più di una clessidra prima che Alucius sentisse arrivare il carro. Durante tutto quel tempo aveva quasi finito l'acqua della sua borraccia. Sentì che Wendra accompagnava Feran all'interno. Si alzò in piedi, mentre i due facevano il loro ingresso nella stanza. «Sylat, voi due potete tornare dal vostro comandante di squadra.» «Sì, signore.» I due soldati fecero un cenno del capo a Feran e uscirono. Feran attese finché tutti e tre non furono rimasti soli. Scrutò Alucius. «Sei proprio tu?» «Hai davanti lo stesso uomo che giocava a leschec con te a Emal, quando ti chiedevi se valeva la pena di giocare contro di me», disse Alucius. «Lo stesso ufficiale che ti ha visto partire brontolando perché ti avevano mandato a proteggere uno stabilimento per la produzione di olio di semi, uno stabilimento il cui proprietario, abbiamo scoperto più tardi, altri non era che lo stimato padre di Yusalt.» Feran annuì. «Sei diverso. Sei rimasto lo stesso, eppure sei diverso.» «Vieni giù a vedere e capirai perché.» Feran osservò con attenzione i cadaveri degli ifrit. «Questi... cosa sono? Non ho mai visto gente così.» Alucius colse il sorriso divertito che attraversò il volto di Wendra. «Questo è ciò che diventa chi viene posseduto dal Talento e lo utilizza per scopi poco nobili. Il penultimo della fila è Tarolt. Assumeva un altro aspet-
to quando si doveva incontrare con la gente. Probabilmente questo è il motivo per cui non vedeva quasi nessuno. Gli costava troppa fatica. Ce ne sono altri cinque al piano di sotto.» Alucius fece strada. Feran gli andò dietro, seguito da Wendra, che con una mano accarezzava Alendra e con l'altra reggeva il fucile. Una volta scesi nella stanza sotterranea, Feran indicò il rettangolo di legno scuro di lorken. «È una di quelle Tavole?» «Sì. Tarolt ne aveva costruita una qui. Ecco perché era sempre al corrente di dove si trovassero le persone.» «Sei capace di usarla?» «Forse», disse Alucius, «anche se un suo uso prolungato può trasformare le persone in... quegli esseri». Un'espressione di disgusto attraversò il volto di Feran. «Più cose scopro sul Talento, meno mi piace.» «Il Talento è simile a qualsiasi altra dote. È facile usarlo impropriamente e, quando succede, le conseguenze sono terribili.» Feran fece un gesto verso il corpo dell'ifrit più alto. «Non avevo mai visto qualcuno dal fisico così imponente. Credi che si trattasse di uno importante?» Alucius osservò l'ifrit che giaceva a terra. «Era sicuramente quello dotato di maggiore potere. Ma immagino che non sapremo mai chi fosse.» Dopo qualche momento, si avvicinò ai cinque scrigni collocati di fronte alla Tavola. Aprì i coperchi uno alla volta, mostrandone il contenuto. Feran li esaminò. «Devono contenere migliaia di monete d'oro.» «Quasi diecimila, suppongo», disse Alucius. «Erano così ricchi... e hanno lasciato... il Consiglio...?» «Credo che un po' di denaro l'abbiano guadagnato in seguito, ma non l'avrebbero comunque mai detto al Consiglio.» Le labbra di Feran si serrarono. «Paragonati a loro, gli escrementi di maiale sono profumati.» Alucius annuì. «Cos'hai in mente di fare con tutte quelle monete?» «Mi sarebbe piaciuto riscattare la nostra indipendenza, ma ormai è troppo tardi. Ne manderemo un terzo al Signore-Protettore e ci terremo il resto per trasferire le Guardie del Nord a Punta del Ferro e per procurarci gli approvvigionamenti. Agiremo in tutta onestà. Il Signore-Protettore ne sarà informato e sarà ben contento di ricevere tremila monete d'oro. Era già d'accordo sul trasferimento e adesso non gli verrà a costare un soldo.»
«Non credi che chiederà di più?» chiese Feran, mostrandosi scettico. «Dopo tutto quello che abbiamo fatto? Non credo proprio.» Alucius rise. «E poi, chi manderebbe a prendere il denaro?» A sua volta, anche Feran scoppiò a ridere. Wendra si limitò a sorridere. Il silenzio si protrasse. «Non hai ancora finito, vero?» domandò Feran con voce sommessa. «No.» «Lo immaginavo. Hai quell'aria...» «Ti sto per chiedere un altro favore», disse Alucius. «Ho bisogno che tu piazzi delle guardie intorno all'edificio. Dovranno impedire a chiunque di uscire, finché Wendra e io non saremo di ritorno.» «Dove state andando? Per quanto tempo?» Alucius indicò la Tavola. «Queste Tavole possono essere utilizzate per gli spostamenti. Per mezzo del Talento. Ce ne sono altre due come questa.» Fece un gesto verso gli ifrit. «E parecchi altri di questi Talentodistorti.» «E suppongo che voi due dobbiate salvare Corus da loro?» Alucius si costrinse a sorridere. «Qualcosa del genere.» Si concesse una pausa. «Vuoi trovarti a fronteggiare altri gruppi come quello dei ribelli del profeta o dei portatori di collare della Matride?» «Questi... hanno fatto...?» Alucius annuì. «E anche di più. Hanno portato qui gli pteridon e le lance cosmiche contro cui abbiamo combattuto a Deforya.» Alucius si astenne dal precisare che li avevano portati alcuni millenni prima. Il fatto era che li avevano portati, poco importava quando. Questa volta fu Feran a sorridere. «Se fosse qualcun altro, chiunque altro, a dirmi questo...» «Grazie.» «Quando pensate di partire? Quanto starete via?» «Appena possibile. Ma sicuramente non prima di avere mangiato qualcosa. Inoltre, aspettiamo che i soldati portino via i corpi e carichino gli scrigni sul carro per metterli al sicuro. Credo che sarebbe meglio procurarci dell'olio per bruciare i cadaveri.» «Anch'io. Ma vorrei che i comandanti di squadra li vedessero.» Alucius fece un cenno d'assenso. «Piazza delle sentinelle là fuori. Non permettere a nessuno, tranne a Wendra e a me, di allontanarsi.» «Non potrebbero assumere le tue sembianze?» «Non credo. Quelli di loro che mi conoscevano sono morti. E non credo
che nessuno sapesse di Wendra. Non ancora perlomeno.» «È stato proprio un mese niente male, colonnello. Davvero niente male.» Ma neanche lontanamente simile a quello che verrà, pensò Alucius. In un modo o nell'altro. 154 A mattina inoltrata, Alucius e Wendra si trovavano in piedi nel passaggio che portava alle scale e alla stanza della Tavola. Ciascuno aveva con sé uno dei pesanti scettri recuperati dagli ifrit, assicurato a un fodero vuoto di sciabola e tenuto fermo da una corda fatta passare attorno alla gamba, appena al di sopra del ginocchio. L'energia emessa da ogni scettro, di colore nero e argento, sembrava proiettare tutt'intorno luci e ombre, visibili però solo attraverso il Talento. «Credi che gli scettri ci mostreranno dove si trova lo scettro principale?» chiese Wendra. «Quello che l'ariante ci ha detto di rintracciare?» «Non lo so, ma se è lo scettro principale, dovrebbe essere ancora più potente di questi, di cui avvertivamo già la presenza da lontano dopo aver saputo della loro esistenza.» «Sempre che non sia custodito in un cofanetto o protetto da uno scudo», gli fece notare Wendra. «Dovremo correre il rischio.» «Rischiare cosa?» chiese Feran, mentre scendeva le scale dalla sala delle riunioni. «Di non essere in grado di fare ciò che dobbiamo fare», replicò Alucius. «Sembrate armati.» Gli occhi di Feran si posarono sugli scettri. «Quei... non lasciano presagire niente di buono.» «È così. Ed è per questo che dobbiamo restituirli.» «Non mi direte altro, vero?» «È meglio di no.» Feran inarcò le sopracciglia, ma non ribatté. Oltre agli scettri, Alucius e Wendra portavano ciascuno un fucile da pastore. Tutte le cartucce erano state accuratamente rivestite di oscurità. Alucius si era fatto passare attorno ai fianchi anche una cartucciera supplementare, proprio sopra gli indumenti di seta nerina. Aveva deciso di non indossare il pesante giaccone militare, ricordandosi del calore soffocante nell'edificio della Tavola e di ciò che gli aveva detto l'ariante a proposito delle temperature elevate che caratterizzavano il mondo degli ifrit. Sia lui
che Wendra si erano riempiti le tasche di provviste d'acqua e di cibo per il viaggio e Wendra si era infilata alcune strisce di panno e dei cambi d'abito per Alendra all'interno della giacca e della camicia. Feran si fece da parte. «Tutto ciò che vuoi è che l'edificio sia circondato dalle Guardie?» «Esatto. Solo all'esterno.» «Quanto tempo starete via?» Alucius si strinse nelle spalle. «Chi può dirlo. Un giorno, una settimana…Se non saremo tornati tra un mese, allora, sarai tu a doverti preoccupare riguardo agli... ai Talento-distorti.» Era stato quasi sul punto di dire ifrit, ma quella parola avrebbe significato poco per Feran. «I tessuti di cui sono fatti i loro indumenti sono simili alla seta nerina, solo più resistenti. I colpi sparati alla testa sono i più efficaci. Per il momento, non credo che ne siano rimasti altri a ovest della Dorsale di Corus. Ci sono due Tavole a Lustrea e una vecchia Tavola sotto le rovine di Caponero; non che esista una possibilità per le Guardie del Nord di raggiungere entrambi quei luoghi.» «Che faremo qui, se tu...?» Feran non terminò la frase. Alucius comprese. «Piazzate una quantità d'esplosivo sufficiente a ridurre l'edificio in frantumi, facendo in modo che ricadano a seppellire la Tavola. Gli esplosivi non distruggono le Tavole, ma se ci sarà sopra un bel mucchio di pietre, non potranno essere usate.» «Spero di non dover giungere a questo», replicò Feran. «Anche noi.» Wendra fece un breve cenno d'assenso. Dall'interno del marsupio, dove se ne stava confortevolmente rannicchiata, Alendra agitò un piccolo pugno. Alucius balzò sulla Tavola e tese una mano a Wendra. Lei l'afferrò e salì sulla liscia superficie a specchio al suo fianco. Alucius salutò Feran, poi si concentrò sull'oscurità del condotto sotto di lui. Lui e Wendra cominciarono a sprofondare nella Tavola. Le tenebre violacee del condotto degli ifrit erano gelide come Alucius ricordava, un freddo che ghiacciava le ossa e che non lasciava presagire nulla di buono. Egli si immerse nella lunga e profonda linea violacea che si estendeva all'infinito in una lontana voragine al di là della portata dei suoi pensieri. Ricacciò l'idea che, una volta all'interno di quel condotto, non avrebbero più potuto fare ritorno e concentrò piuttosto le proprie energie mentali per raggiungere qualunque cosa si trovasse al termine, a
una distanza che, a detta dell'ariante, era maggiore di quella di alcune stelle. Nel freddo intenso del condotto, Alucius sentì il calore emanato da Wendra e da Alendra, che avanzavano al suo fianco. Le tenebre di ghiaccio si contrassero e si distorsero e, sebbene Alucius sapesse che il suo corpo rimaneva immobile, ebbe l'impressione di essere percosso dalle pareti stesse del condotto, come se al suo interno si fossero formate tante protuberanze che si tendevano verso di lui a colpirlo, a strattonarlo, a farlo torcere e girare. A ogni interminabile istante, il gelo che lo avvolgeva si faceva sempre più forte, gli penetrava nelle ossa e rallentava il corso dei suoi pensieri. Ma lui continuò a proseguire verso quella sfumatura violacea lontana, un punto di riferimento, così come lo era stato per lui l'Altopiano di Aerlal quando era un giovane pastore. Passò del tempo in quell'eternità del condotto di traslazione, istanti, anni, entrambe le cose, eppure nessuna delle due... Tempo non misurabile con la mente intorpidita. Alucius si tenne aggrappato al traguardo finale, al calore di Wendra e alla sua presenza, poiché sapeva che lei sarebbe rimasta accanto a lui e ad Alendra. Dell'altro tempo trascorse e il freddo insopportabile del condotto e delle tenebre violacee che avvolgevano i due pastori sembrò diminuire un poco, mentre la sfumatura violacea lontana si faceva più luminosa. Alucius cominciò a percepire, poco distante, le frecce che segnalavano la presenza delle Tavole, non le poche in cui si era imbattuto a Corus, ma una relativa moltitudine: una cinquantina più o meno. Alucius e Wendra avevano deciso che avrebbero semplicemente cercato di avvicinarsi quanto più possibile a qualunque cosa rassomigliasse vagamente allo scettro e mostrasse di essere dotata di grande potere, presumibilmente un potere color rosa e viola. Tranne che... Alucius non avvertì niente del genere. Nonostante quella gran quantità di frecce, non ne vide nessuna che possedesse una forte intensità, o che si avvicinasse anche lontanamente al colore che cercava. Ragion per cui, non c'era alcun modo di determinare quale fosse quella capace di portarlo allo scettro principale. Sentendosi di nuovo penetrare il gelo nelle ossa, Alucius si diresse verso la freccia viola e oro, cercando di comunicare la direzione a Wendra. Mentre i suoi pensieri lo spingevano da quella parte, avvertì accanto a sé la presenza della moglie. Una sottile barriera viola e argento gli si parò dinanzi. Alucius formò una punta di lancia di energia vitale che avvolgesse lui, Wendra e Alen-
dra. La sottile barriera viola e argento si frantumò al loro passaggio. 155 Norcia, Lustrea Waleryn aggrottò le sopracciglia e si precipitò giù per le scale che portavano alla Tavola. Dietro di lui venivano due ifrit, gli abiti color verde e marrone che scintillavano, la statura imponente, che sovrastava di una testa quella dell'ingegnere-ombra. L'ex nobile lanachroniano si avvicinò alla Tavola incurante degli ifrit, la fronte corrugata per la concentrazione. La nebbia color rubino si sovrappose alla superficie a specchio e mostrò l'immagine della stanza della Tavola di Prosp, dove non c'era nessuno. Waleryn annuì. Una seconda immagine sostituì la prima, quella della stanza della Tavola di Salaan, anch'essa vuota. Per un po' l'ingegnere-ombra si limitò a stare in piedi davanti alla Tavola. Alla fine, comparve un lungo tubo, che venne proiettato nello spazio soprastante la Tavola. Ciascuna estremità del tubo era collegata a reti di oscurità violacea, sebbene la rete a una delle due estremità fosse costituita solo da cinque sezioni. Waleryn esaminò la rete di oscurità violacea proiettata al di sopra della Tavola, gli occhi fissi su un punto del segmento tubolare che emetteva una luminescenza dalle sfumature a volte nere, a volte dorate e altre volte verdi, senza tuttavia essere nessuno di quei colori. «C'è qualcosa che non va?» chiese il giovane ifrit dall'aspetto aitante, che stava in piedi alle sue spalle, a sinistra. «Qualcuno sta facendo una traslazione. Sta usando energie che non conosco.» «E cosa c'è di sbagliato?» «Si tratta di una traslazione verso Efra. Deve trattarsi del lamaro. Avevo avvisato Trezun e Lasylt. Il Maestro mi aveva assicurato che era tutto sotto controllo.» «Non potete fermarlo? Dovete farlo.» Waleryn scosse il capo. «Dovrei disattivare l'intera rete e qui non abbiamo lo scettro principale. Il solo modo di farlo sarebbe disattivare una Tavola alla volta. Nessuno ce la farebbe in tempo. E anche se fosse...» Waleryn guardò l'ifrit.
«Moriremmo tutti, non è vero?» Waleryn annuì. «Così come Efra... e tutti gli efrani, dato che non c'è sufficiente energia vitale per riattivare il condotto riservato alle lunghe traslazioni e lo scettro principale non è stato spostato. Il lamaro o gli antichi abitanti magari sono impazienti di vederci disattivare il condotto, pensando che noi siamo all'oscuro di ciò che potrebbe accadere.» «Non credo che arriverebbero a tanto.» «Come lo sapete?» ribatté Waleryn. «Ai tempi, erano molto più spietati di noi. Hanno sacrificato la maggior parte della loro gente - e migliaia di Talento-principianti - pur di riuscire a distruggere i condotti riservati alla grande traslazione.» «Non dovreste essere al corrente di questi fatti.» «Della storia, volete dire? O dello scettro principale e del bisogno di energia? Oppure perché sono un semplice efrano-ombra?» Waleryn emise una specie di grugnito. «Tutto questo appare ovvio dallo studio sui flussi di energia vitale.» «Dovete fare qualcosa», insistette l'altro ifrit. «Ditemi voi cosa devo fare», suggerì Waleryn. «Forse uno di voi vuole tentare una traslazione inversa?» I due non risposero. Waleryn lasciò scomparire l'immagine e fece qualche passo indietro. «Ci penseranno i Maestri di Efra a fermarlo. Se ci riescono.» «Lo dubitate forse?» «Non sarà facile. Deve avere gli scettri. Altrimenti, perché mai tenterebbe la traslazione?» I due ifrit si scambiarono un'occhiata, ma non dissero nulla. 156 Frammenti argento e viola schizzarono in tutte le direzioni al passaggio di Wendra e Alucius, simili a una nebbia e... ... nel punto in cui erano giunti l'aria era calda e umida. Le minuscole schegge di ghiaccio che erano rimaste attaccate ai loro vestiti evaporarono in un attimo. Si trovavano all'interno di una stanza della Tavola, ma di un tipo che Alucius non aveva mai visto. Le pareti non erano semplici superfici di pietra liscia, ma veri e propri capolavori artistici, con fregi intagliati e apparentemente provvisti di luce propria, riproducente scene talmente realistiche che le immagini sembravano in movimento. Al di sopra dei
fregi si snodavano, su tutta la lunghezza delle pareti, dipinti similmente colorati. Nello scorgere due figure attraverso la nebbia che si dissipava, Alucius imbracciò il fucile. Un ifrit dall'aria annoiata e dai capelli biondo-argento si voltò e spalancò la bocca. Con esasperante lentezza, la sua mano annaspò alla ricerca della pistola a lama di luce che teneva nella fondina assicurata alla cintura. Bang! Il colpo di Alucius lo centrò al petto, esplodendogli attraverso. Alucius si girò, ma il secondo ifrit dai capelli ugualmente biondi, in procinto di fuggire verso il passaggio che dava su una rampa di scale, cadde a terra abbattuto da una pallottola di Wendra. I due pastori si guardarono. Alucius rimase a bocca aperta, poiché la Wendra che aveva davanti non era quella che era entrata con lui nel condotto. Né la neonata nel marsupio era la stessa Alendra. Wendra aveva un corpo più spigoloso, i capelli castani erano diventati neri e gli occhi verdi dalle pagliuzze dorate erano diventati viola con pagliuzze verdi. Più che sua moglie, sembrava la Matilde. Eppure... il suo filo vitale era ancora di un bel verde brillante. «Assomigli a un ifrit.» «Anche tu», replicò lei. «Hai i capelli neri.» «Anche i tuoi.» Alucius si bloccò. «L'ariante», cominciò Wendra, «aveva accennato a qualcosa del genere riguardo ai cambiamenti che si subivano nel fare traslazioni in un altro mondo». «Ci preoccuperemo di questo più tardi. Spero solo di ridiventare normale quando torneremo indietro.» Se torneremo. Alucius studiò di nuovo la stanza della Tavola, un locale che ricordava più una delle sale del palazzo del Landarco che non una delle comuni stanze che erano abituati a vedere. Fece correre lo sguardo sui fregi e sugli affreschi che raffiguravano navi somiglianti a quelle ammirate sui murales di Dereka anni addietro, e poi pteridon e buoi della sabbia, sebbene i colori e le proporzioni fossero differenti e tutti gli ifrit avessero i capelli biondi. Gettò un'occhiata con la coda dell'occhio e vide le torce a raggi di cristallo alle pareti. Poi si arrampicò fuori dalla Tavola. «Quella nell'altro angolo», disse Wendra. Alucius si precipitò verso la torcia che la moglie gli aveva indicato e proiettò subito energia vitale verde per spezzare il Talento-sigillo che bloccava il supporto, quindi lo fece ruotare. Quasi senza rendersene conto,
notò che non doveva tendere troppo la mano per arrivarci. Chissà se quei supporti erano stati fissati più in basso? La parete si apri a rivelare il passaggio segreto. Alucius non avvertì alcuna presenza al suo interno. «Ti copro io.» Wendra uscì anche lei dalla Tavola e si diresse verso l'apertura, piazzandosi in modo da avere sotto controllo la stanza, il passaggio e la rampa di scale all'esterno. Alucius si affrettò lungo il corridoio, così simile a quelli di Corus, fino alla stanza in fondo. Frugò nella cassettiera a ridosso della parete e nel cassetto dello scrittoio, ma non trovò nulla che assomigliasse a una mappa. Le uniche carte erano tutte coperte da una scrittura spigolosa e incomprensibile. Prima di uscire di corsa, Alucius non toccò neppure le pistole a lame di luce collocate sulla rastrelliera. Non aveva percepito nulla che possedesse energia o che potesse essere paragonato a uno scettro. «Non c'è niente qui. L'ariante aveva detto che dovevano essere vicini alle linee energetiche.» «Proviamo con un'altra Tavola», disse Wendra. «Ce ne sono cinquanta.» «Se dobbiamo esaminarne cinquanta, ne esamineremo cinquanta», rispose lei spazientita, avviandosi di nuovo verso la stanza della Tavola. «Proviamo con quella più vicina e più evidente.» Alucius si sbrigò a raggiungerla e prese posizione accanto a lei sulla Tavola, con il fucile imbracciato e in posizione di tiro. Di nuovo, sprofondarono nel gelido buio violaceo. Il freddo era ancora più intenso di quello che accompagnava la nebulosa oscurità delle linee sommerse di Corus, ma più caldo del gelo dalle sfumature viola che pervadeva il condotto delle traslazioni da un mondo all'altro. Wendra si diresse verso una freccia color blu acceso, vivida eppure fioca al tempo stesso. Alle loro spalle la freccia viola e oro vacillò... e svanì. Alucius avrebbe aggrottato la fronte se solo i riflessi gli avessero ubbidito. Dinanzi a loro nell'oscurità si trovava la freccia blu brillante, con un'altra barriera argento e viola che si dissolse al loro passaggio. La nebbia che li accolse al loro arrivo in quella seconda Tavola era molto più leggera e Alucius dovette appoggiare un piede avanti per restare in equilibrio. L'unico ifrit di guardia fu molto più veloce dei primi due, ma non fece neppure in tempo ad alzare la pistola a lama di luce che già una pesante
cartuccia gli si era conficcata nel torace, tranciandone di netto la parte superiore e la spalla nell'esplosione. Un secondo ifrit - una donna - mise dentro la testa dal varco che conduceva al passaggio segreto, in quel momento aperto. Ma prima che potesse muoversi, il fucile di Wendra tuonò una volta, producendo risultati altrettanto devastanti dello sparo precedente. Alucius non avvertì nessun altro là intorno, sebbene sentisse alcuni ifrit nei locali al piano superiore. Mentre usciva dalla Tavola fece segno a Wendra. Lei annuì, ma rimase in piedi sull'antica superficie a specchio, attorniata da altri affreschi e fregi di delicata e squisita bellezza, bellezza che Alucius non ebbe il tempo di osservare e ancora meno di ammirare. Col fucile pronto a sparare, si diresse incespicando verso la stanza che si trovava in fondo al passaggio segreto. La disposizione di quella stanza risultava invertita rispetto a quella di prima, ma l'arredamento era lo stesso. Alucius aveva appena imito di frugare rapidamente tra le poche carte che aveva trovato nel cassetto dello scrittoio, quando udì la detonazione del fucile di Wendra. Si costrinse a finire la sua ricerca, che non lo portò a trovare alcuna mappa o altre indicazioni dell'esistenza di uno scettro. Poi tornò a tutta velocità verso la Tavola. Un altro corpo di ifrit giaceva esanime sulle scale, abbattuto da Wendra. «Hai trovato niente?» chiese questa. «No.» «Presto. Ne stanno scendendo altri.» Alucius balzò di nuovo sulla Tavola e imbracciò il fucile, mentre si concentrava per entrare nuovamente nel condotto degli ifrit. Il gelo li avvolse, un gelo che accolsero quasi con gratitudine, dopo il caldo soffocante delle altre due stanze della Tavola, maggiormente accresciuto dal senso di frustrazione per non avere trovato niente. Wendra lo guidò verso una freccia verde pallido. Alle loro spalle, Alucius senti che la freccia blu brillante stava sbiadendo, quasi come se si accartocciasse fino a sparire. La freccia oro e viola non era più ricomparsa. Ancora una volta raggiunsero una barriera viola e argento, che diede l'impressione di essere più trasparente di quelle viste fino a quel momento. Al di là di essa, Alucius vide due ifrit, fermi accanto a un'apertura ad arco che probabilmente conduceva a una rampa di scale. Poi l'argento guizzò via al passaggio dei due pastori alla ricerca dello scettro... L'ifrit-donna rivolta verso la Tavola fece per afferrare la pistola. Bang! Wendra era stata più veloce di Alucius e dell'ifrit e aveva manda-
to una pallottola a conficcarsi nel torace della guardia. La mano della seconda guardia non aveva ancora sfiorato il calcio della sua arma che il colpo di Alucius la fece crollare a terra. Questi balzò fuori dalla Tavola e si diresse in tutta fretta verso la torcia a raggi di cristallo alla sua sinistra. Alle sue spalle udì un flebile lamento di Alendra. O aveva scelto bene o era stato fortunato, poiché avvertì il Talento-sigillo ancora prima di far ruotare il supporto. Il sigillo si dissolse e la porta nascosta nel muro si aprì dolcemente. Come prima, non c'era nessuno all'interno del passaggio. Ma non c'era neppure alcun segno dello scettro, né tanto meno di documenti o mappe che avrebbero potuto guidarli al suo ritrovamento. Alucius si affrettò a tornare verso la Tavola e a raggiungere Wendra, che era rimasta là di guardia col fucile puntato verso le scale. «Ricarica, mentre riprendo fiato», disse Alucius. «Dobbiamo trovare un metodo migliore di ricerca.» Avvertendo un forte calore al fianco destro, abbassò lo sguardo. Il pesante scettro assicurato al fodero vuoto della sciabola stava mandando lievi bagliori rosa-violacei ed emettendo calore. Tuttavia, sembrava proprio che non avesse individuato niente di simile allo scettro principale. Alucius guardò quello di Wendra e vide che stava facendo lo stesso. «Siamo al sicuro solo se riusciamo ad anticiparli», gli fece notare Wendra mentre faceva scivolare le cartucce dalla cintura all'interno del caricatore. «Non possiamo controllare tutte e cinquanta le Tavole», protestò Alucius. «Almeno non senza riposare un po' da qualche parte. E non disponiamo di sufficienti munizioni. E neppure di Talento-forza per farci strada combattendo.» Mentre Wendra rialzava il fucile, egli approfittò per ricaricare il suo. «Tutti e due gli scettri stanno emettendo dei bagliori», commentò Alucius. «Credo che il loro bagliore aumenti a mano a mano che visitiamo le Tavole. Pensi che ne assorbano l'energia?» «Può darsi. Teniamoli d'occhio e vedremo.» «Hai notato che ci sono solo cinque frecce davvero luminose?» chiese Wendra. «No», confessò Alucius. «Ma le due Tavole dove siamo già stati... sono sparite.» «Forse è a causa degli scettri. O forse l'ariante aveva ragione», disse
Wendra. «I collegamenti si indeboliscono. Ecco perché ci sono le guardie. Non vogliono che vengano usati.» «O entrambe le cose», ipotizzò Alucius. «Pensi che una delle frecce più luminose porti allo scettro?» «Deve», rispose Wendra. «Continua ad andare avanti tu. Te la senti?» «Per forza. Non possiamo fermarci adesso», gli fece osservare lei. «Se lo facciamo, troveremo guardie dappertutto. Attraverso le Tavole, invece, ci potremo muovere più rapidamente di quanto non facciano loro.» «Finché riusciremo ad andare avanti.» «Dobbiamo farlo.» Wendra lo guardò. «Sei pronto?» Alucius annuì, imbracciando il fucile e ignorando il sudore che gli colava copioso dalla fronte. Ancora una volta, si lasciarono avvolgere dal gelo quasi con piacere, mentre sprofondavano attraverso la superficie della Tavola e tornavano nel buio violaceo del condotto degli ifrit. Alucius avvertì la presenza delle frecce più luminose cui aveva accennato Wendra e si lasciò guidare da lei verso la più vicina: una freccia argento-rosata. Dietro di loro la freccia verde pallido si raggrinzì e si fece via via sempre più piccola fino a sparire. Né la freccia color blu acceso né quella oro e viola erano più ricomparse. Chissà se il loro passaggio stava disgregando o mettendo fuori uso le Tavole legate a quelle frecce? O era perché portavano con sé gli scettri? Al di là della barriera argentea dalle sfumature violacee, Alucius avvertì - e vide - un solo ifrit, che non stava neppure guardando la Tavola. Mentre attraversavano a tutta velocità la sottile barriera, frammenti argentei schizzarono in ogni direzione, per poi svanire quasi subito... L'ifrit biondo si voltò verso i due sulla Tavola e spalancò la bocca, quasi non riuscisse a credere a quel che vedeva. Alucius fece fuoco, quasi odiandosi per doverlo fare. Quindi saltò a terra con un balzo, ancora prima che l'ifrit colpito crollasse sul pavimento di mosaico dagli armoniosi disegni geometrici che si intrecciavano tra di loro. Il pavimento era così bello che, per un attimo, Alucius si fermò a fissarlo, prima di riscuotersi e affrettarsi verso la torcia a raggi di cristallo, la cui energia nascosta la rendeva più evidente in mezzo a tutte le altre. Anche quella parete, come le precedenti, era decorata da affreschi dai vividi colori che mostravano scene bucoliche di biondi ifrit aggraziati. Alucius fece ruotare il supporto della torcia, tenendosi pronto con il fuci-
le, mentre la parete scivolava di lato rivelando l'apertura segreta. Un'ifrit-donna balzò fuori. Alucius fece fuoco e lei cadde, la metà superiore del torace tranciata via dalla pallottola. Sentendosi sollevato per il fatto che il Talento non gli rivelasse altre presenze là intorno, ricacciò la bile che minacciava di salirgli in gola e si precipitò verso la stanza in fondo al passaggio. Al pari delle precedenti, anche quella ricerca fu infruttuosa e, mentre egli correva verso la Tavola, sentì che lo scettro diventava sempre più caldo ed emetteva una quantità via via più forte di energia vitale viola. Senza dire una parola, saltò sulla Tavola. Lui e Wendra si lasciarono cadere nell'oscurità sottostante... ... e scoprirono che più della metà delle frecce era scomparsa. Perché? Forse perché gli ifrit sapevano che loro due stavano usando le Tavole? O forse perché avevano interrotto i collegamenti in modo così irreparabile da aver compromesso il funzionamento di una ventina di Tavole? Wendra si muoveva attraverso la gelida oscurità, una luce verde-dorata che brillava nel buio, diretta verso una freccia color cremisi. Alucius dovette faticare a tenerle dietro... mentre lei passava attraverso la barriera argentea... 157 Norda, Lustrea Waleryn esaminò l'immagine che compariva sulla superficie a specchio della Tavola. La stanza della Tavola di Salaan continuava a essere vuota. Si concentrò. L'immagine successiva fu quella della sala delle riunioni al piano di sopra, dove egli rimase per un po' a osservare, senza però che i calici sul tavolo si muovessero. «Non c'è nessuno là», dichiarò l'ifrit alle sue spalle. «Le Tavole non mostrano il lamaro e nemmeno noi, a meno che in quel momento non le stiamo effettivamente usando», replicò Waleryn, «ma mostrano il movimento degli oggetti non talentasi, quando qualcuno li tocca. E là nessuno ha mosso niente». Un'altra immagine comparve, quella della stanza della Tavola di Caponero, seguita dalla scena che riprendeva la sala delle udienze del SignoreProtettore e da altre in rapida successione. Alla fine, Waleryn lasciò che lo schermo tornasse vuoto e si tamponò la fronte. «Non c'è nessuna traccia di
nessuno... da nessuna parte... tranne che di Tyren. Sono spariti tutti.» «Oppure qualcuno li ha immobilizzati o uccisi», ipotizzò l'altro ifrit. «Lasylt? Come può essere che un semplice Talento-principiante l'abbia ucciso?» «Qualunque cosa sia successa», lo interruppe secco Waleryn, «Lasylt non si vede». Fece un respiro profondo e richiamò l'immagine dell'intera rete dei condotti di traslazione. Ma, non appena il duplicato comparve al di sopra dello schermo, tutta una porzione viola della sezione più densamente attraversata da condotti, a un'estremità della rete, prese a sbiadire fino a scomparire del tutto. «Tre sono già sparite», disse uno degli ifrit alle sue spalle. «Come può essere riuscito...?» «Cosa sta facendo?» «Sta facendo a pezzi la rete delle Tavole efrane», rispose asciutto Waleryn. «Non potete inviare un messaggio ai Maestri?» «Ci sto provando, ma il lamaro ha creato così tante interferenze che... non riesco a collegarmi. Oppure sta bloccando le nostre comunicazioni.» «Perché lo sta facendo?» «Non è riuscito a trovare lo scettro principale, ma in qualche modo le risonanze degli scettri che sicuramente ha con sé stanno indebolendo i collegamenti di trasporto.» «Nessuno può portare con sé due scettri», protestò l'ifrit più vicino. «Raccontatelo a lui», ribatté Waleryn con una specie di grugnito. «Sapevo che era pericoloso. L'avevo detto a Trezun. Ma no, nessun Talentoprincipiante poteva essere così pericoloso. Nessun semplice pastoremercenario poteva rappresentare una tale minaccia nei confronti di Efra.» I tre guardarono l'immagine al di sopra della Tavola. In quel momento, un'altra porzione di rete si accartocciò e sparì. 158 La Tavola sulla quale Alucius e Wendra emersero era grande il doppio rispetto a tutte quelle viste fino ad allora: la superficie quadrata misurava quattro iarde abbondanti per quattro. Ed era anche priva di qualunque traccia di nebbia o di frammenti argentei. Alucius esaminò le pareti alla ricerca di torce a raggi di cristallo, ma non ne vide. La Tavola era collocata nel mezzo di un locale simile a un piccolo anfi-
teatro e si innalzava di una iarda rispetto al pavimento in pietra circostante, al centro di uno spazio elissoidale della larghezza di oltre trenta iarde, racchiuso da un parapetto di durapietra verde alto una iarda. Il soffitto arcuato di marmo rosa si elevava al di sopra della testa di Alucius per un centinaio di iarde ed era attraversato da un gioco di luci multicolori. Da qualche parte, dei musicisti stavano suonando, una melodia toccante, rilassante e sensuale al tempo stesso. Al di là del parapetto erano state collocate, a formare una specie di scala, numerose pedane di durapietra verde. Su ognuna di esse stavano degli ifrit biondi, tutti con indosso abiti diversi, alcuni con armi in pugno, altri a mani vuote. Alucius si rese conto, quasi all'istante, che gli «ifrit» erano, in realtà, statue incredibilmente realistiche, tranne che per le quattro coppie di ifrit «veri», posizionati a uguale distanza alla base delle pedane. «Là!» indicò Wendra. Alucius si voltò, tenendo pronto il fucile, e vide a metà di quella specie di scalinata, al centro del lato più lungo dell'ellisse, un enorme scettro che emetteva bagliori violacei quando veniva attraversato dalla luce. Ma sentì che non emanava alcun potere, né vide alcuna reazione di risposta da parte dei due scettri che portavano. «È un falso. Non è il vero scettro.» Alucius colse un movimento con la coda dell'occhio e piroettò su se stesso. Due guardie stavano puntando contro di loro le pistole a lama di luce. Un istante prima che il micidiale raggio li raggiungesse, Alucius gli scagliò addosso uno scudo protettivo nero dalle sfumature verdi. Nel vedere che il fascio di luce veniva deviato dallo scudo, Alucius rimase ancora più sorpreso delle due guardie, che lo guardarono con gli occhi sbarrati. «Qui non c'è nessuno scettro! Dirigiamoci verso la prossima Tavola», disse Wendra. «Andiamo.» Lampi di luce guizzarono tutt'intorno a loro mentre si lasciavano cadere nell'oscurità della Tavola. Il freddo era più intenso, molto più opprimente, e Alucius non percepì alcuna freccia a indicare l'esistenza di Tavole verso cui dirigersi. Nessuna. Forse tutte le Tavole erano state disattivate? Come potevano esistere ancora i condotti, allora? Probabilmente perché i condotti erano le linee sommerse del mondo degli ifrit e lo scettro principale doveva trovarsi su uno di essi... da qualche parte.
Nel gelido buio, la figura verde-dorata di Wendra risplendeva ancora di più e Alucius avvertì anche la luminescenza rosa e viola degli scettri che portavano con sé. Da qualche parte dinanzi a loro, o almeno così parve, si scorgeva una sfumatura rosa-violacea: non era una freccia, né un'indicazione di qualche tipo. Assomigliava più a un portale, simile a quello creato dallo scettro che avevano trovato a Corus. Alucius si sarebbe messo a ridere se avesse potuto. Gli ifrit, credendo che lui e Wendra fossero solo in grado di spostarsi da una Tavola all'altra, avevano chiuso gli accessi a tutte le Tavole, svelando in tal modo la collocazione dello scettro principale. Ma... avrebbero trovato delle guardie ad attenderli? Quante? E provviste di quali armi? Alucius cercò di muoversi più veloce per affiancare Wendra. Quell'oscurità era ingannevole perché dava l'impressione che procedessero molto a rilento. Lo scettro era come i portali delle arianti, che si trovavano fuori dalle linee sommerse? Alucius si protese oltre le reti di oscurità, portandosi un po' di lato, e il portale brillò di una luce più vivida. Wendra... aveva forse cercato di porre mentalmente una domanda? Alucius si sporse di nuovo e sentì Wendra sporgersi insieme a lui. Così uniti, Alucius e Wendra raggiunsero d'un balzo il portale viola, con una rapidità tale che attraversarono senza accorgersene qualunque barriera fosse esistita a separare le linee di energia vitale del mondo dal mondo là fuori. Ondate di pulsante luce viola li travolsero con tale violenza che Alucius fu incapace di vedere. Alendra strillò, uno strillo acuto che si perse in quel silenzioso fulgore, che era, inverosimilmente, più forte del tuono, un fulgore che paralizzava ogni forma di pensiero e oscurava la vista. Alucius proiettò una Talento-sonda scura per ripararsi dalla fonte di quella luce. La Talento-ombra ne attenuò l'intensità a sufficienza perché egli potesse capire, con gli occhi che gli lacrimavano e gli consentivano solo di percepire i contorni sfocati degli oggetti, che si trovavano in una stanza vuota che conteneva solo uno scettro tre volte più grande rispetto ai due che portavano, uno scettro collocato su una struttura di barre d'argento che scendevano attraverso il solido pavimento di pietra nelle viscere della terra. Al di sopra dello scettro si vedeva un massiccio cristallo violaceo
che ruotava veloce e che era una dozzina di volte più grande di quello che aveva fornito energia ai collari della Matilde. Gli strilli di Alendra continuavano, ma Wendra e Alucius si scambiarono una rapida occhiata. «Sta arrivando qualcuno», lei esclamò. «Come... cosa... facciamo?» «Cos'aveva detto l'ariante? Riunite gli scettri... giusto?» Mentre parlava, Alucius posò il fucile e, aiutandosi con entrambe le mani, cominciò a far scattare i fermagli che assicuravano il suo scettro al fodero della sciabola. Non appena ebbe aperto il primo fermaglio, lo scettro d'argento si liberò anche dal secondo e si protese verso lo scettro principale. A dispetto di tutta la sua forza, Alucius riuscì a malapena a trattenerlo. «Wendra, posa il fucile e liberati del tuo scettro. Veloce!» Wendra non guardò neppure Alucius, mentre si chinava e faceva scattare il primo fermaglio. Come in precedenza, il secondo si aprì da solo. La stanza si riempì di un terribile fragore e l'intensità della luce cominciò di nuovo ad aumentare. Alucius lanciò un'occhiata alla moglie, mentre la vista gli si faceva confusa a causa della bruciante luminosità. Il metallo dello scettro di lei si stava piegando, ma Wendra riusciva ancora a tenerlo. Abbassò lo sguardo. Anche il suo scettro si stava piegando: il metallo si allungava, mentre il cristallo si protendeva con tutta quanta la sua energia verso lo scettro principale. «Al tre», gridò Alucius, «lo lascerai andare, mi afferrerai la mano e insieme ci lasceremo cadere giù, fino ad arrivare a Corus. Uno! Due! Tre!». Alucius Liberò lo scettro e le sue dita si strinsero attorno al polso di Wendra, mentre tentava di creare uno scudo nero e verde intorno a loro e al tempo stesso di raggiungere l'oscurità delle linee sommerse, sotto il pavimento. Un impatto devastante fece tremare la stanza, scagliando Alucius e Wendra contro la parete. Frammenti di pietra e di cristallo schizzarono dappertutto. Alucius sentì che il suo scudo cedeva mentre lui e la moglie penetravano nell'oscurità sottostante. L'oscurità non era del tutto buia, e neppure gelida. Linee rosa e viola guizzarono tutt'intorno e sfrecciarono via, accompagnate da ondate di calore che si alternavano a un gelo profondo. Alucius si sentì ustionare e congelare da quelle ondate, quasi gli venissero inflitte sferzate bollenti e gelide a fasi alternate. Wendra virò alla ricerca del condotto delle lunghe traslazioni.
Alucius le andò dietro, in parte orientandosi grazie al freddo e al tracciato del condotto e in parte già sapendo dov'erano diretti. Alle loro spalle ribollivano onde rosa e viola. Il portale dello scettro si illuminò, poi si frammentò in tante particelle rosa che a loro volta si disintegrarono in particelle ancora più minute, mentre le linee sommerse degli ifrit si accartocciavano una dopo l'altra. Quasi avvertendo l'urgenza, Wendra accelerò mentalmente, trainando se stessa, Alendra e Alucius verso l'oscurità più cupa, più forte e più verde che si trovava in fondo al condotto che stavano percorrendo, un condotto che pareva in procinto di spaccarsi, lasciando filtrare al suo interno un freddo ancora più intenso, per poi frantumarsi dietro di loro e tutt'intorno. Poiché tutto questo non lasciava presagire nulla di buono, Alucius si concentrò nel raggiungere la fine di quella lunga e cavernosa tenebrosità viola che sembrava estendersi in eterno al di là del raggio d'azione del suo Talento, una distanza stellare che egli sapeva che potevano attraversare, che dovevano attraversare. Come durante il viaggio dell'andata, egli avvertì il calore congiunto di Wendra e di Alendra - un'energia combinata che contrastava il terribile gelo dell'universo - mentre le pareti del condotto si contraevano, si contorcevano e facevano pressione su tutti e tre. Attimi, anni, stagioni, momenti - misure di tempo - significavano poco se non che trascorrevano lenti, e al tempo stesso rapidissimi, nell'eternità del condotto delle traslazioni. Mentre trascorrevano istanti interminabili, Alucius diresse i propri pensieri alla fattoria, agli spazi aperti e senza tempo e al mondo di Corus, come avrebbe potuto essere e come sarebbe stato... Il condotto venne scosso da una violenta vibrazione e ad Alucius parve che lui e Wendra fossero stati rovesciati a testa in giù - benché non si fossero mossi per niente - ed egli protese la mano per raggiungere le più pesanti e robuste linee sommerse di Corus... ...e le trovò, mentre precipitavano nella gelida oscurità verde che era più stabile, e semplicemente scomoda, all'interno di una linea sommersa appartenente a Corus. Anche lì, però, non videro frecce né indicazioni di portali, nient'altro che oscurità senza fine. Alucius si concentrò pensando ai «ricordi» dei portali e una debole immagine comparve: un'impercettibile sfumatura marrone e verde. Ma egli vi si aggrappò e si diresse insieme a Wendra verso quella debole traccia. Mentre proseguivano, Alucius cominciò a percepire le cose che si trovavano al di là e al di sopra delle linee sommerse - una sensazione che non aveva mai provato prima - e sentì la presenza della terra, del fiume Vedra
a nord e dell'Altopiano di Aerlal, più lontano a nordest. Chissà se i condotti degli ifrit avevano in qualche modo bloccato quelle percezioni? Poi... si avvicinarono a quella che un tempo era stata la Tavola e che ora era solo un blocco di pietra rivestita di legno... ed emersero dall'oscurità, senza nemmeno incontrare una barriera che bloccasse loro la strada... 159 Norda, Lustrea Waleryn si rialzò piano, guardandosi intorno nella stanza sconosciuta, una stanza che sapeva di non avere mai visto, eppure di conoscere. Due torce a raggi di cristallo illuminavano il locale sotterraneo dalle pareti di pietra, ma, sebbene questa fosse simile alla stanza della Tavola di Tempre, non era la stessa. C'era qualcosa che assomigliava a una Tavola, ma la sua superficie era una lastra di pietra nera e opaca. Abbassò lo sguardo. Un'alta figura spigolosa, non proprio simile a un uomo, giaceva a terra accanto al muro. Mentre la osservava, la figura e i vestiti brillarono, poi si ridussero in polvere. Di lì a poco, anche la polvere svanì. «Ingegnere, signore?» Waleryn si voltò. Un uomo con indosso l'uniforme delle Guardie pretoriale stava fermo sulla soglia, lasciando intravedere alle sue spalle una rampa di scale. «Signore? L'intero edificio ha tremato. State bene?» «Mi sento un po' confuso. Dove mi trovo?» «A Norda, signore. Dove dovreste trovarvi? Voi e il Pretore ci avevate ordinato di venire qui.» Waleryn annuì adagio, ma la sua espressione lasciava trasparire una punta di confusione e i suoi occhi evitarono di incontrare quelli della guardia. 160 Alucius e Wendra si trovavano in fondo alla stanza della Tavola di Salaan. Alucius si voltò a guardarla, ma vide che era la solita Wendra di Corus, la giovane donna dai capelli castani, dagli occhi verdi con pagliuzze dorate e dalla stessa bocca generosa. Tuttavia, aveva anche qualcosa di più: una presenza che irradiava potere e un filo vitale che aveva assunto un colore
verde più brillante eppure più scuro, più cupo. Vide che anche lei lo stava osservando con uguale attenzione. «Siamo sempre noi», disse. «Più o meno. Tu sembri... più forte... pericoloso.» «Anche tu.» «Non so se mi piace l'idea», rispose Wendra. «Sei quella che sei, quella che dovevi diventare.» Wendra piegò il capo per un attimo, come per riflettere. Poi i suoi occhi si fissarono sul blocco scuro rivestito da pannelli di legno di lorken che un tempo era stato una Tavola. Adesso al posto della liscia superficie cristallina c'era solo una pietra nera. Le strutture cristalline che un tempo l'avevano fatta funzionare erano sparite, dissolte con i condotti degli ifrit. «Sono sparite», disse Wendra. «Tutte.» «Ma ci sono le torce a raggi di cristallo.» Alucius si avvicinò al supporto e lo fece ruotare. La parete si spostò rivelando il passaggio nascosto. Ruotò il supporto in senso inverso e il passaggio si richiuse. «Qualunque cosa fosse stata costruita in questo luogo rimarrà. Anche le arianti avevano torce a raggi di cristallo. Forse gli ifrit le avevano copiate da loro, e non viceversa.» Wendra arricciò il naso. «Forse abbiamo preteso un po' troppo dalla nostra piccolina, qui. Andiamo di sopra e vediamo se riusciamo a trovare dell'acqua.» Alucius sperò solo che non ci fossero altre sorprese in agguato o almeno nessuna che non si riuscisse a gestire con il Talento, visto che entrambi i loro fucili erano rimasti da qualche parte nel mondo degli ifrit e che il fodero della sciabola era vuoto. Mentre si avviava verso la porta che dava sulle scale, non avvertì però alcuna presenza. Salì con circospezione, ma anche il primo piano era deserto. «L'avevo detto che non c'era nessuno», dichiarò Wendra con un sorriso. «Anch'io lo immaginavo, ma... di questi giorni non si può mai sapere.» A giudicare dal chiarore là fuori, Alucius immaginò che fosse tardo pomeriggio, forse dello stesso giorno in cui erano partiti. Eppure, la luce sembrava diversa. Se ben ricordava le istruzioni che aveva lasciato a Feran, doveva comunque essere trascorso meno di un mese dalla loro partenza. Annuì tra sé e continuò a guardarsi intorno. Sul retro c'era una stanza da bagno e, in breve tempo, Alendra si ritrovò pulita e cambiata... e affamata. Wendra prese posto su una delle sedie nella sala delle riunioni e cominciò ad allattare la figlia.
Alucius si avvicinò alla stufa di ferro a ridosso della parete. Il metallo era freddo. In effetti, la stanza era fredda, quasi gelida e, visto il calore soffocante che regnava nell'edificio prima che iniziassero il loro viaggio verso Efra, sicuramente dovevano essere trascorse parecchie clessidre, se non almeno un giorno. Alucius dubitava però che si trattasse solo di un giorno. Prese la borraccia e la offrì a Wendra. Dopo che lei ebbe bevuto, si dissetò anche lui, poi pescò dalla casacca un pacchetto con delle gallette e del formaggio e insieme mangiarono, con lui che porgeva i bocconi alla moglie, mentre questa finiva di allattare la bambina. «I nostri fucili... le pallottole», disse Wendra adagio. «Gli spari non producevano questo effetto sui sabbiosi scuri o sulle creature talentose alla fattoria.» «No. E nemmeno su Tarolt e sugli altri ifrit qui a Corus. Forse a causa dell'energia vitale. Il mondo degli ifrit stava morendo...» «E noi abbiamo utilizzato l'energia di Corus», disse Wendra. «Ma perché non è successa la stessa cosa qui?» «È solo una supposizione», replicò Alucius, «ma gli ifrit giunti fin qui assorbivano energia vitale da Corus attraverso le Tavole, non quella del loro mondo. Tutti i loro fili vitali erano collegati alle Tavole e i loro condotti alle linee sommerse. Perciò si nutrivano in continuazione dell'energia del nostro mondo». «L'avrebbero prosciugato.» Lei fece una pausa. «Ma... come potevano pensare che pochi di loro potessero...» «L'avevano già fatto in precedenza», le fece notare Alucius, «e fronteggiando una resistenza ancora più grande». «Ma l'arroganza...» Wendra impallidì. «Come ti sei sentito a combattere contro quei poveri ifrit nelle stanze della Tavola? Forte? Quasi invincibile?» «Il fatto di essere collegati al potere, alle linee sommerse? Succede la stessa cosa a tutti coloro che ci provano? Si tratta forse di un'altra tentazione a cui siamo sottoposti? È questo che vuoi dire?» Lei annuì adagio. «Avevano così tanto... e non era abbastanza. C'era così tanta bellezza là, racchiusa in quelle poche stanze. Se avessimo visto il loro mondo...» «Anche qui avevano creato bellezza, in precedenza», le fece notare Alucius. «Quel genere di bellezza ha un prezzo molto alto da pagare. Così come l'ordine e la bellezza della Matride.»
«Dobbiamo fare in modo che a noi non succeda.» «Dobbiamo evitare quel genere di tentazione», aggiunse Alucius. Sapeva, tuttavia, che non sarebbe stato facile, poiché era davvero stato toccato da quelle fugaci visioni di incomparabile bellezza. Wendra si appoggiò la bambina sulla spalla e le diede dei colpetti sulla schiena. «Dovremo essere molto prudenti con Alendra. Sicuramente avrà vissuto quest'esperienza in modo diverso da noi.» Alucius pensava che anche per lui non sarebbe stato facile superare ciò che aveva passato. A quel punto, un altro pensiero gli balenò nella mente. «Devo andare dal Signore-Protettore. Non ci metterò molto.» «Una frase del genere l'ho già sentita in precedenza», disse Wendra con il sorriso sulle labbra. «Ma non devo andare in un altro mondo», ribatté lui, restituendole il sorriso. «Inoltre, qui sei al sicuro. Sento che ci sono ancora i soldati là fuori.» «Se non ci metti molto...» «Non credo. Non questa volta.» Lei annuì. «Fai attenzione.» «Sicuro.» Alucius scese le scale verso la stanza che in precedenza aveva ospitato la Tavola. Magari avrebbe potuto collegarsi alle linee sommerse anche dal piano di sopra, ma era più facile farlo nei sotterranei. Quasi immediatamente si ritrovò nell'oscurità nebulosa sfumata di verde, alla ricerca della traccia blu che in passato portava alla Tavola di Tempre. Contemporaneamente, stette attento a individuare anche altri segnali, consapevole che, col tempo, le tracce dei portali e delle Tavole sarebbero svaniti, a mano a mano che le linee sommerse si fossero liberate dalla costrizione dei condotti degli ifrit. L'ombra blu si trovava in un punto di congiunzione di tre linee sommerse, a sud del flusso vitale del fiume Vedra, e Alucius fu in grado di percepirle tutte e tre. Tenendosi ancorato con il Talento a una delle linee sommerse, si preparò a uscire, spostandosi come un'ombra dalla stanza della Tavola allo studio attiguo alla sala delle udienze - che era vuota - fino a raggiungere l'appartamento privato del Signore-Protettore. Non appena vide che si trovava nel vestibolo, attraversò la sottile barriera verdeargento che lo separava dall'esterno ed emerse. I suoi stivali andarono a sbattere con violenza sul lucido pavimento. Alucius sorrise. In effetti, aveva fatto male i suoi calcoli ed era emerso sospeso a mezz'aria a circa un terzo di iarda dal pavimento. In futuro, avreb-
be dovuto essere più accurato. Avanzò verso l'arco che immetteva nel salotto e vi sbirciò dentro. Il Signore-Protettore era seduto su una sedia, di fronte ad Alerya. Gli occhi di lei si spalancarono nel vederlo comparire. «Talryn...» Il Signore-Protettore si girò e si alzò sbarrando anch'egli gli occhi alla vista del giovane colonnello comparso così all'improvviso nei suoi appartamenti privati. «Colonnello... questo... è...» «Piuttosto irregolare. Sì, ne convengo», disse Alucius sorridendo. «E mi scuserete se sarò rapido e conciso.» «Pensavo che foste... a Dekhron.» «Lo ero e ci tornerò dopo che avremo parlato. Le Guardie del Nord avevano ben più problemi di quanti pensassimo. La Reggente della Matride aveva degli alleati segreti là. Vi avevo scritto di loro prima di sapere che lavoravano per la Reggente. Tra di essi vi erano i mercanti che hanno intascato il denaro vendendo alle Guardie merce dai prezzi ritoccati. Questi stessi mercanti avevano fatto in modo che venissero promossi ufficiali incompetenti, così da indebolire la capacità delle Guardie nel difendere i territori del nord. Alla fine, ho dovuto recarmi a Hieron per risolvere il problema alla fonte. I collari non funzionano più e, questa volta, non verranno più riattivati. Nelle prossime settimane, se già non è successo, dovreste cominciare a ricevere le notizie dei successi ottenuti dai nostri soldati contro i mattiti. E... un'altra cosa... a Corus non è rimasta più alcuna Tavola funzionante. E nemmeno ce ne saranno più, di Tavole.» Un lieve sorriso increspò le labbra di Alerya, ma lei non disse niente. «Abbiamo anche recuperato parecchio denaro da quei mercanti», continuò Alucius, «circa un terzo del quale sta per arrivare qui. Il resto verrà usato per spostare le Guardie del Nord a Punta del Ferro. Il che risolverà parecchi problemi tutti in una volta». «Be', i vostri metodi sono sempre stati...» «Discutibili, ma efficaci. Questo è vero. Non appena sarò tornato a Dekhron vi farò avere la mia lettera di dimissioni dal servizio e una raccomandazione per il mio successore. A meno che le cose non siano cambiate da quando sono partito, questi sarà il maggiore Feran.» Il Signore-Protettore aggrottò la fronte. «È stato il vostro vice per meno di una stagione.» «Vi sarei molto grato, Signore-Protettore, se esaudiste la mia richiesta. Il maggiore Feran potrà sempre ricorrere a me per eventuali consigli.» Alu-
cius fece una pausa. «Inoltre, tutti i vostri colonnelli e marescialli si sentiranno più a loro agio nel trattare con Feran. Può vantare una carriera più... tradizionale. Anch'egli è del parere che sia tempo di trasferire il quartier generale delle Guardie a Punta del Ferro.» Talryn allargò le braccia e si strinse nelle spalle con aria impotente. «Pare che non mi resti altra scelta, colonnello.» «Siete libero di fare altre scelte, ma non sarebbero altrettanto buone. Inoltre, vi troverete ancora a dover fronteggiare problemi, ma di più semplice risoluzione.» Alucius aspettò. Dopo una pausa, Talryn scoppiò in una risata amara. «E voi?» «Tornerò a fare il pastore. È la cosa che mi riesce meglio.» Il Signore-Protettore gli regalò un sorriso sbilenco. «Ne dubito, colonnello, ma avete più che esaudito le mie richieste. Vi servirà una scorta... per tornare?» «Non è necessario», replicò Alucius. «Non questa volta.» Con un sorriso, si inchinò e si voltò dirigendosi verso il vestibolo. Si spostò su un lato, dove né il Signore-Protettore né la moglie avrebbero potuto vederlo e proiettò la sua Talento-sonda per congiungersi con l'oscurità sottostante. Poi vi si lasciò cadere dentro. La fredda oscurità della linea sommersa gli risultò gradita e Alucius riuscì a trovare il vecchio edificio che un tempo aveva ospitato la Tavola con ancora minore difficoltà. Attraversò la leggera cortina argentea ed emerse quasi davanti a Wendra e ad Alendra. Questa volta, si accorse di trovarsi sospeso a circa una spanna dal pavimento e, prima di rilasciare il collegamento con la linea sommersa, si lasciò scendere adagio fino a terra. «Sei stato davvero veloce», osservò Wendra. «Ma non assomigli per niente a un'ariante, nemmeno quando sei sospeso a mezz'aria.» «Devo fare un po' di pratica. Sono ancora un'ariante inesperta.» Alucius le fece un largo sorriso. «Hai finito di darle da mangiare? Dobbiamo andare da Feran.» «E dopo?» «Dopo preparerò le mie dimissioni e lo nominerò colonnello. Poi ce ne torneremo a casa, alla fattoria.» Wendra annuì. «Sarà meglio. Alendra sta cominciando a percepire un po' troppe cose, credo.» «Non mi dispiacerà per niente passare un po' di tempo a cavallo a chiacchierare con te.»
«Se è questo che vuoi, lo avrai.» Wendra si alzò. Alucius si diresse verso l'uscita per informare i soldati che erano di ritorno. 161 Tempre, Lanachrona Talryn passeggiava avanti e indietro di fronte alla credenza, rifiutandosi di guardare Alerya. Lei era rimasta seduta sul divanetto, il viso atteggiato a un'espressione di garbata compostezza. Il Signore-Protettore si fermò e fissò la moglie. «Pensi che tutto questo sia divertente, non è vero?» Alerya abbandonò il suo contegno e gli fece un largo sorriso. «Lo è, se ci pensi bene, Talryn.» «Quell'uomo - ammesso che sia un uomo - possiede più Talento di chiunque altro al mondo. È in grado di comparire all'improvviso e di andarsene allo stesso modo. Dalla sua persona irradia potenza. Sono certo che anche tu l'hai avvertita. Non mi ha lasciato davvero nessuna scelta, proprio nessuna. E io che mi sono sempre comportato gentilmente nei suoi confronti, fin dal principio.» «Sei contrariato perché ti ha detto, molto educatamente, che d'ora innanzi avresti dovuto cavartela da solo nel risolvere i tuoi problemi, senza più ricorrere al suo aiuto. Vorresti forse biasimarlo, dopo tutto quello che ha passato? Saresti stato capace tu di fare quello che ha fatto lui?» Alerya inarcò le sopracciglia. Talryn fissò la consorte con aria truce. «Mi fa piacere che lo trovi divertente.» «Lo è. Ti stai comportando come un bambino che si è visto togliere il suo giocattolo preferito. O come un bambino che si è accorto che il suo amichetto di un tempo è diventato più grosso, più forte e più intelligente. E la cosa non ti va. Preferisci concedere favori piuttosto che riceverli.» «Chi, io?» «Proprio tu.» Lei rise. «Hai detto che mi amavi anche per la mia tremenda onestà. Adesso sono tremendamente onesta con te. Ha fatto in modo che potessimo avere un bambino; ha rimosso la minaccia rappresentata da Madrien e da Aellyan Edyss e ci ha liberato da quell'orribile Enyll. Ha salvato Porta del Sud per te e, sempre per te, ha riorganizzato le Guardie del Nord. E adesso, anziché reclamare il tuo trono, ti lascia in pace a go-
derti tutto questo e se ne va.» Gli occhi di lei si fissarono nei suoi. «Questo dovrebbe essere anche un monito ad agire con prudenza e cautela, della qual cosa dovresti essere molto grato.» «Per questo?» «Per questo», ripeté lei. «Non vorrai certo finire come Waleryn o come la Matride, vero?» Il silenzio si protrasse tra i due. «Suppongo che dovrei provare gratitudine», ammise infine Talryn, «ma non ne provo». Alerya si alzò dal divanetto. «Io provo gratitudine e anche tu dovresti farlo. Lo farai.» Gli prese le mani tra le sue. «Gli siamo enormemente debitori. Lasciamolo tranquillo.» Talryn annuì, poi le fece un caldo sorriso, mentre lei protendeva le labbra a sfiorargli la guancia. 162 Nel crepuscolo, Alucius e Wendra fecero fermare i cavalli fuori dal quartier generale delle Guardie del Nord. Alucius si girò sulla sella. «Noer, chiedi a qualcuno di accompagnare mia moglie nei miei alloggi. Poi torna pure alle tue incombenze.» Il soldato osservò la figura dai capelli grigio scuro che aveva riportato la mezza squadra della Quinta Compagnia da Salaan e la donna accanto a lui. Nella luce fioca, entrambi si stagliavano maestosi, come se fossero illuminati internamente da una torcia a raggi di cristallo. «Sì, signore.» Noer annuì. Alucius smontò e legò al palo il cavallo che aveva preso a prestito. «Devo parlare con il maggiore Feran.» «Ti aspetto di sopra», gli disse Wendra. Alucius salì agilmente le scale e aprì la porta d'ingresso dell'edificio, richiudendosela alle spalle. «Colonnello! Siete tornato!» Roncar balzò in piedi. «Come una moneta falsa torna prima o poi a chi l'ha fabbricata», ribatté secco Alucius. Feran comparve sulla soglia dello studio, l'ombra di un sorriso sul volto. Alucius lo salutò. «Dobbiamo discutere di alcune cose.» «Immagino.» Feran lo seguì, chiudendosi la porta dello studio alle spalle.
Alucius si sedette dietro la scrivania e aspettò che Feran prendesse posto a sua volta. «Congratulazioni, colonnello. O futuro colonnello.» «Il colonnello sei ancora tu.» «Non per molto. Sto per scrivere una lettera di dimissioni. È meglio così. Non ho mai voluto essere colonnello. Voglio solo tornare alla fattoria. Potrai far ricadere su di me la colpa per tutte le decisioni sbagliate, e tutti saranno più contenti nel vedere al comando delle Guardie del Nord un ufficiale con una solida carriera alle spalle. Potrai restare in servizio altri cinque o dieci anni, percepire un ottimo stipendio e probabilmente trovarti una moglie, nel frattempo. E l'unica deprimente prospettiva che avrai davanti sarà trovarti un degno successore. Ma, poiché ci siamo già liberati degli ufficiali peggiori...» «Voi pastori...» Feran scosse il capo. «Credi davvero che qualcuno mi rivoglia indietro?» gli domandò Alucius. «All'infuori di te, forse.» «Sei un eroe. Non so cosa tu abbia fatto durante questo tempo, ma qualunque cosa fosse, sono pronto a scommettere che ha funzionato.» «Oh, per quello, ha funzionato», ammise Alucius. «Non dovrai più preoccuparti dei mercanti o dei Talento-distorti. Il Signore-Protettore ha concesso la sua autorizzazione per il trasferimento delle Guardie a Punta del Ferro. I collari di Madrien hanno smesso di funzionare e non funzioneranno mai più. Il Signore-Protettore ha promesso di non cambiare le cose a Lanachrona. Lustrea e Deforya sono ancora nel caos più totale, ma sono talmente lontane che non costituiranno un problema, se non tra molto tempo. Ah... e non c'è più nessuna Tavola in funzione, e nemmeno ci sarà in futuro.» «Come è potuto succedere tutto questo?» il tono di Feran suonava freddo e distaccato. «È successo, così, semplicemente», rispose Alucius blandamente. «Non credo proprio. Sei tu l'eroe. Quello di cui si parla nel vecchio poema.» «Ne dubito», ribatté Alucius. «Ma anche se lo fossi, gli eroi non sono bravi comandanti. E nemmeno i pastori. Siamo dei solitari per natura, tutti te lo possono confermare. Ho già creato sufficiente scompiglio. Quando avremo finito qui, scriverò la mia lettera di dimissioni da colonnello e ti raccomanderò come mio successore. La mia proposta verrà accettata. Se hai problemi... mandami un messaggio.» Alucius non ritenne opportuno dire che il Signore-Protettore aveva già
concesso il suo accordo. «Così, semplicemente?» «Già, proprio così», replicò Alucius. Feran scoppiò in una risata ironica e triste al tempo stesso. «Hai compiuto grandi e terribili imprese, colonnello. Imprese che, a chiunque non sia stato presente, potrebbero sembrare inverosimili.» «Speriamo che sia servito a qualcosa», replicò Alucius. «Che farai adesso?» «Mi occuperò della fattoria e di tutto ciò che dovrà essere fatto.» Tra cui, esplorare anche la Città Nascosta, cercando di trarne qualche insegnamento. E trascorrere un po' di tempo con mia moglie e mia figlia. «Penso che sia servito davvero», disse Feran con aria pensosa. «Anche a te. Sei cambiato, si vede. Qualunque cosa tu abbia fatto, anche solo considerando ciò che ho avuto occasione di vedere personalmente, ti farebbe sembrare riduttivo il continuare a essere un semplice colonnello.» Feran fece un sorriso triste. «In un certo senso, suppongo che sia quasi una disgrazia.» «Una disgrazia?» chiese Alucius. «Sì, quando uno è stato coperto di gloria, ha risollevato le sorti di tre Paesi, sconfiggendo qualunque nemico si sia trovato davanti e, probabilmente, ha fatto molto più di quanto tutti possano immaginare. E questo, prima ancora di arrivare a trent'anni.» «Vuoi dire, prima di avere avuto l'opportunità di maturare?» Le parole di Alucius lasciavano trasparire una gentile ironia. «Può darsi che sia meglio così. In tal modo, non dovrò passare il resto della mia vita cercando la gloria... o qualunque altra cosa.» Sorrise a Feran. «Non lo fare nemmeno tu, sai? Continua a stare con i piedi ben piantati per terra, come hai fatto finora.» Feran gli restituì il sorriso. «Posso sempre minacciare di richiamarti in servizio.» Fece una pausa. «Per la Quinta Compagnia e forse per tutti i soldati delle Guardie io sarò il colonnello Feran. Ma tu sarai "il colonnello".» Alucius si strinse nelle spalle con aria impotente. «Quando avrò preparato le mie dimissioni, passiamo a prendere Wendra e andiamo tutti insieme a cena da Elyset.» «Per me va bene, purché paghi tu. Finché il Signore-Protettore non avrà accettato le tue dimissioni, sei ancora tu il colonnello», disse Feran con un largo sorriso.
163 Il crepuscolo era appena sceso sulle Valli del Ferro quando Alucius, Wendra e Alendra raggiunsero il punto sulla strada-principale in corrispondenza del quale si svoltava sul sentiero che portava alla fattoria. Quando Alucius e Wendra si erano fermati al negozio del bottaio a Punta del Ferro, Kyrial e Clerynda erano stati felici di rivedere la figlia e il genero. Ma avevano mostrato una certa reticenza, cosa che invece non era accaduta con Feran o con il Signore-Protettore. Mentre si dirigevano a nord lungo l'antica strada, Alucius aveva riflettuto su quel comportamento e alla fine si era deciso a parlarne con la moglie. «I tuoi genitori mi sono sembrati sollevati quando ci hanno visti arrivare, ma quasi altrettanto sollevati quando siamo ripartiti.» «Mi sembra ovvio: non avrebbero mai immaginato che la propria figlia potesse sposare l'eroe o il lamaro. Pensavano solo che tu fossi il bravo pastore che avrebbe restituito l'eredità della terra perduta alla loro bambina per poi vivere insieme a lei come una qualunque brava coppia di pastori normali. Non sanno cosa sia accaduto e non lo vogliono sapere, anzi, hanno paura di venirlo a sapere. Hanno capito che ho ucciso della gente, e anche peggio, e questo li terrorizza. Di solito, le figlie non si comportano così.» Wendra accarezzò una piagnucolosa Alendra. «Non è lontano, piccolina, non è più così lontano.» «Feran ha detto la stessa cosa, quando ci siamo rivisti e tu ti stavi occupando di Alendra. Prima di cena. Ha detto che ero l'eroe. Non ho mai capito il significato di quel poema. Almeno non chiaramente», disse Alucius. «Di sicuro, non sono un eroe. Ho fatto il possibile e ho avuto fortuna.» «In molti avrebbero voluto essere quell'eroe, mio caro», replicò lei. «I nomadi di Illegea, la Matride e la Reggente, il Pretore e persino quell'ifrit...» «Tarolt», disse Alucius. «Ma non era quello di cui parlava il poema», continuò Wendra. «Di cosa parlava, allora?» chiese Alucius. «Oltre che del sogno di ripristinare la gloria del passato, una gloria che non è mai davvero esistita?» «Cos'è un eroe?» ribatté lei. «Gli eroi sono coloro che tutti riconoscono come tali.» «Ma questo non lo definisce.» «Allora dimmelo tu.»
«Un eroe è qualcuno disposto a sacrificare se stesso per gli altri. In un certo senso, le arianti erano degli eroi. Si sono sacrificate per noi, per tutti noi. Noi non abbiamo fatto nessun sacrificio del genere», gli fece notare Wendra. «Che senso ha sacrificarsi...» Alucius si interruppe all'improvviso, mentre capiva. «Ecco.» «Ecco cosa?» Questa volta fu Wendra ad apparire perplessa. «Gli ifrit credevano che la loro sopravvivenza giustificasse qualunque azione e sarebbero stati disposti a sacrificare tutto e tutti pur di continuare a vivere a modo loro. Le arianti credevano che nessun sacrificio fosse troppo grande per mantenere la vita com'era nel passato. Avevano entrambi torto.» «Stai dicendo che anche il poema aveva torto?» «Forse... ma volutamente.» Alucius si risistemò sulla sella, lo sguardo rivolto in direzione della fattoria, che ancora non si vedeva. «Adesso che ci penso, il poema non dice mai se l'eroe o il lamaro erano dalla parte del giusto.» Wendra scoppiò a ridere. «Non lo sapremo mai.» «Sotto un certo aspetto, gli ifrit avevano ragione», disse Alucius riflettendo. «E anche le arianti, ma nessuno dei due l'aveva davvero capito.» «Oh, davvero?» rispose Wendra in tono divertito. «Tutti noi abbiamo avuto in prestito questa terra. Veniamo al mondo, lottiamo e ce ne andiamo. Possiamo solo prenderci cura della terra e trasmetterla a chi verrà dopo di noi.» «Suona tutto così filosofico.» «Suona come un ragionamento da pastore», ribatté lui. «Ecco perché ce ne stiamo tornando a casa a cavallo anziché usare le linee sommerse. Ma, nonostante tutto, tua madre aveva ragione. Tu sei un figlio dell'ariante.» Alucius guardò Wendra. «La vecchia filastrocca, anche quella di Alendra.» Prima che Wendra potesse parlare, lui le recitò adagio l'ultima strofa: «Ma è dell'ariante il figlio migliore, perché sui sabbiosi uscirà vincitore, e il perduto vessillo garrirà nel vento sotto il cielo color verde e argento.»
«Come la reciti bene.» «Me l'avevi detto tu che ero un'ariante. Anche tu lo sei. E lei, la nostra piccola, cosa mai può essere?» Wendra si voltò sulla sella, il sorriso sulle labbra e negli occhi. «Nostra. Della terra.» Nel cielo che stava imbrunendo a est, appena al di sopra dell'Altopiano di Aerlal, i dischi di Asterta e Selena brillavano entrambi sulle Valli del Ferro e sulla fattoria, che si vedeva in lontananza davanti ai tre cavalieri. Tre cavalieri che stavano tornando a casa. FINE