EDMOND HAMILTON RITORNO ALLE STELLE (Return To The Stars, 1970) Capitolo Primo Lontano dalle stelle Quando l'infermiera ...
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EDMOND HAMILTON RITORNO ALLE STELLE (Return To The Stars, 1970) Capitolo Primo Lontano dalle stelle Quando l'infermiera si alzò per andare ad aprire la porta interna, John Gordon ebbe un attimo di esitazione. «Volete accomodarvi, signor Gordon?» domandò l'infermiera, con un breve sorriso professionale. «Grazie,» le rispose Gordon. La porta si chiuse silenziosamente alle sue spalle, e nello stesso istante un uomo si alzò in piedi, girò intorno alla scrivania bassa e coperta di carte, e venne verso di lui: era alto, sorprendentemente giovane, ed era la tipica persona che irradia simpatia, dinamismo, ed efficienza. «Il signor Gordon?» domandò, tendendogli la mano. «Io sono il dottor Keogh.» Dopo la rituale stretta di mano, Gordon si lasciò condurre dal medico verso una poltroncina che si trovava accanto alla scrivania. Sedette, si guardò intorno, cercando di non guardare Keogh, e d'un tratto si sentì smarrito, pervaso da un intenso imbarazzo che rendeva ogni cosa più difficile. Keogh domandò, con voce tranquilla, rassicurante: «Avevate mai consultato uno psichiatra prima d'oggi, signor Gordon?» Gordon scosse il capo. «Non ne avevo mai sentito la... la necessità.» «Abbiamo tutti dei problemi, in qualche momento della nostra vita,» disse Keogh. «E non c'è da vergognarsene. L'importante è comprendere che il problema esiste. Allora, e soltanto allora, è possibile fare qualcosa per risolverlo.» Sorrise. «Vedete, in realtà voi avete già fatto il passo decisivo. D'ora in avanti, sarà tutto più facile.» Studiò la cartella di John Gordon, che aveva riempito di annotazioni che all'interessato parvero eccessive. «Voi lavorate nel ramo delle assicurazioni, vedo.» «Infatti.» «A giudicare dalla posizione che avete raggiunto nella vostra società, dovreste essere un uomo molto brillante, nel vostro lavoro.»
«Ho lavorato sodo, in questi ultimi anni,» disse Gordon, e lo disse in tono così bizzarro che Keogh sollevò lo sguardo e lo fissò per un lungo istante. «È un lavoro che vi piace?» «Non particolarmente.» Keogh tacque per qualche istante, studiando con estrema attenzione la cartella, sulla quale erano scritti i dati essenziali della vita di Gordon, nella calligrafia precisa dell'infermiera che aveva fissato l'appuntamento. E in quegli istanti, Gordon dovette lottare contro l'irresistibile impulso che lo spingeva ad alzarsi e a fuggire verso la porta. Sì, avrebbe potuto andarsene, ora, ma sapeva con cristallina certezza che sarebbe stato inutile... che lui avrebbe dovuto ritornare indietro, a quel momento, presto o tardi. Perché non poteva tenere dentro di sé quel dubbio ancora per molto tempo. Lui doveva conoscere la verità. «Vedo che non siete sposato,» disse Keogh. «Vi dispiacerebbe dirmene il motivo?» «In parte, si tratta dello stesso motivo per cui sono venuto qui, dottore. Vedete, c'è stata una donna...» S'interruppe, incerto, e poi disse, con improvvisa determinazione. «Dottore, io voglio scoprire con certezza se ho avuto delle allucinazioni.» «Allucinazioni? Che genere di allucinazioni?» domandò gentilmente Keogh. «Allora non avevo alcun dubbio,» disse Gordon. «Allora era tutto vivo, reale... più reale, più vivo, di tutto quello che mi era accaduto prima, di tutta la mia vita precedente. Ma adesso... adesso non so più cosa pensare.» Sollevò il capo, e fissò Keogh, e sul suo volto contratto c'era un'espressione di infinita sofferenza, e d'intenso tormento. «Voglio essere sincero con voi, dottore. Anche se il mio è stato solo un sogno, io non voglio perderlo... non voglio dimenticarlo. Anche se è stato un sogno, per me si tratta di una cosa più preziosa di qualsiasi realtà. Ma so bene che se... se io... oh, al diavolo!» Si alzò, e cominciò a camminare su e giù per la stanza, senza alcun motivo, con le larghe spalle curve e i pugni serrati. Pareva l'immagine di un uomo che stesse per saltare nel vuoto, affondare in un abisso sconosciuto, e Keogh sapeva che era davvero così. Perciò il medico rimase seduto dietro la sua scrivania, in silenzio, in attesa. E, senza voltarsi, Gordon cominciò di nuovo a parlare. «Ho creduto di raggiungere le stelle, e i mondi lontani che gravitano intorno ai più remoti soli degli spazi siderali. Non in questo nostro tempo,
non nel presente, ma nel futuro... duecentomila anni nel futuro!» Gordon parlava in fretta, e la sua voce tradiva una profonda, intima sofferenza. «Non interrompetemi, dottore, vi racconterò tutto d'un fiato, ora, e poi, quando avrò finito, potrete chiamare gli infermieri e farmi rinchiudere in una camicia di forza. Perché io ho creduto che la mia mente sia stata attirata attraverso questo incredibile abisso di tempo, nel corpo di un altro uomo, e che per un certo periodo... mantenendo la mia identità, capite, mantenendo i ricordi del John Gordon della Terra del ventesimo secolo... io abbia vissuto nel corpo di Zarth Arn, principe dell'Impero Centrale della Via Lattea! Ho visto i mondi delle stelle...» La sua voce si affievolì, per un momento, e tacque. Gordon si fermò davanti alla finestra dello studio, e guardò fuori, guardò la pioggia che cadeva grigia, e i tetti, i muri e i camini della Sessantaquattresima Strada Ovest. Il cielo era una triste distesa plumbea e immobile e fuligginosa. «Io ho udito la Musica dell'Aurora,» disse Gordon. «La musica che viene dalle montagne di cristallo che circondano Throon quando i raggi bianchi di Canopo le riscaldano all'inizio del giorno. Io ho banchettato con i sovrani dei regni siderali nella Sala delle Stelle. E, alla fine, sono stato io a guidare le flotte dell'Impero nella battaglia decisiva contro i nostri nemici, gli uomini della Lega dei Mondi Oscuri. Ho visto le astronavi perire come immensi sciami di lucciole, al largo della Costellazione d'Ercole...» Non si voltò, non volle vedere come reagiva Keogh a quelle rivelazioni. Aveva cominciato e non si sarebbe fermato, e la sua voce vibrava d'orgoglio e di nostalgia e di profondo dolore per ciò che aveva perduto. «Io ho attraversato la Nebulosa d'Orione, e sono naufragato tra quelle stelle, a bordo di un incrociatore fantasma colpito dalle navi dell'Impero. Io sono stato nella Nebulosa Oscura, dove i soli sommersi ardono nella fumosa tenebra della nebbia cosmica. Io ho ucciso degli uomini, dottore. E in quell'ultima battaglia, io...» Si interruppe, e scosse il capo, e volse improvvisamente le spalle alla finestra. «Questo non ha importanza, adesso. Ma c'è stato di più. Molto di più. Un intero universo futuro, una lingua, e nomi, popoli, costumi, luoghi, particolari. Avrei potuto immaginare tutte queste cose?» Fissò Keogh, e quello sguardo era come un'implorazione disperata. Keogh disse: «Voi eravate felice, in quell'universo futuro?» Gordon rifletté per un momento su quella domanda, e il suo volto ab-
bronzato e forte e sincero aveva un'espressione incerta. «Per quasi tutto il tempo che vi ho trascorso, io ero soprattutto... spaventato, e confuso. La situazione era...» Fece un gesto che indicava, vagamente, grandi problemi. «Io mi trovavo costantemente in pericolo. Eppure, credo... sì, credo di essere stato felice.» Keogh annuì. «Mi avevate accennato a una donna...» Gordon volse di nuovo le spalle al medico, e il suo sguardo si smarrì di nuovo nel grigiore piovoso che regnava fuori della finestra. «Si chiamava Lianna, ed era una principessa del Regno di Fomalhaut. Era la fidanzata di Zarth Arn... doveva essere un matrimonio imposto dalla ragione di stato, capite, e niente di più. Zarth Arn era membro della famiglia imperiale, e il matrimonio doveva avvenire per assicurare l'alleanza del Regno di Fomalhaut: Zarth Arn aveva già una moglie morganatica, ed era costei, Murn, la dorma che il principe realmente amava, ma io... io, Gordon, nel corpo di Zarth Arn, mi innamorai di Lianna.» «E lei ricambiava il vostro sentimento?» «Sì... e quando io fui costretto a lasciarla, per fare ritorno nel mio mondo e nel mio tempo, in questo mondo e in questo tempo, mi parve che ogni cosa crollasse, fuori e dentro di me. Ed è proprio questo che mi tormenta, dottore, e che mi rende le cose tanto difficili! Perché quando già io avevo rinunciato alla speranza di rivederla, quando ormai mi ero rassegnato ad abbandonare ogni assurda illusione, mi è parso che lei mi parlasse, una notte... che mi chiamasse telepaticamente, attraverso l'abisso del tempo, per dirmi che Zarth Arn era sicuro di poter scoprire un metodo per attirarmi là anche fisicamente, per farmi giungere nel remoto futuro non solo con la mente, ma anche con il mio vero corpo...» Tacque di nuovo, per un momento, e le sue spalle si curvarono. «Come sembra folle questo sogno, a parlarne! Come appare assurdo, e impossibile, e privo di senso... Eppure è bastato questo a rendere per molto tempo questa vita arida degna di essere vissuta... è bastata questa speranza, è bastato il pensiero che un giorno o l'altro avrei potuto ritornare là. E, naturalmente, questo non è accaduto. Da allora, non è mai accaduto nulla. E ora non so più se qualcosa sia realmente accaduto, anche allora.» Stancamente, ritornò accanto alla scrivania, e sedette sulla poltroncina, provando una strana sensazione di vuoto e di grande stanchezza. «Prima d'ora, non ho mai parlato di queste cose a nessuno, non mi sono lasciato sfuggire una parola. E adesso che finalmente ho parlato, mi sem-
bra... mi sembra di avere ucciso qualcosa, o forse di avere ucciso una parte di me stesso. Ma non posso continuare a vivere sospeso tra due mondi. Se quel mondo del futuro è stato semplicemente un'allucinazione, e questo mondo è la realtà, la sola realtà, allora io devo accettarlo.» Rimase immobile, seduto, a capo chino, immerso nei suoi pensieri, e il suo volto era malinconico e tormentato e cupo. E allora fu Keogh ad alzarsi, e a camminare su e giù per la stanza, lentamente, con passi misurati e pacati. Il medico si voltò a guardare Gordon una volta, due volte, e non disse niente, come se avesse trovato difficile individuare una linea precisa d'azione, un punto per iniziare il suo attacco. Poi, evidentemente, prese una decisione. «Bene,» disse, con voce secca, pratica. «Vediamo di esaminare le prove concrete, i fatti che abbiamo a disposizione.» Si accostò alla scrivania, e diede una rapida occhiata al suo blocco d'appunti, sul quale aveva fatto delle rapide annotazioni. «Voi dite che la vostra mente è stata attirata attraverso il tempo, nel corpo di un altro individuo.» «Infatti. Zarth Ara non era soltanto un nobile, ma anche uno scienziato. Aveva inventato il metodo e gli apparecchi necessari a realizzarlo. Lo scambio venne effettuato attraverso il suo laboratorio.» «Benissimo. Ditemi, allora, cosa ne è stato del vostro corpo, che si trovava qui, sulla Terra, ai giorni nostri, mentre la vostra mente era assente da esso?» Gordon lo guardò. «Ho parlato di uno scambio. Era questo lo scopo dell'intero esperimento: Zarth Arn era uno studioso, e voleva esplorare il passato. Aveva già eseguito lo scambio molte altre volte, in precedenza, e la sua mente era giunta in diverse epoche del passato. Solo nel mio caso ci furono delle complicazioni.» «Allora, questo... questo Zarth Arn ha veramente vissuto nel vostro corpo?» «Sì.» «È andato in ufficio al vostro posto, ha svolto normalmente il vostro lavoro»? «Be', no. Quando sono ritornato, il mio direttore si è rallegrato con me per la mia guarigione: a quanto pare, Zarth Arn aveva accampato come scusa un'indisposizione, e non si era presentato al lavoro; credo che egli non volesse correre il rischio di commettere qualche errore irreparabile. Io non ebbi, invece, la stessa possibilità.»
Keogh disse: «Mi congratulo con voi, signor Gordon, perché possedete una mente veramente logica. Ma non esistono prove, nemmeno una, che dimostrino che questo scambio mentale sia veramente avvenuto?» «No,» disse Gordon. «Non c'è nessuna prova. E come potrebbero esisterne? Ma cosa intendevate dire, parlando della mia mente logica?» «Voi avete eliminato con tanta cura tutti i punti deboli e tutte le incongruenze,» sorrise Keogh. «È una fantasia formidabile, signor Gordon. Pochi uomini sono dotati di tanta immaginazione.» Poi aggiunse, in tono estremamente serio e grave, «Mi rendo perfettamente conto della forza di volontà che vi è stata necessaria per decidervi a venire da me. Credo che le nostre relazioni potranno essere davvero ottime, signor Gordon, perché sono convinto che voi abbiate già compreso, almeno a livello del vostro subcosciente, che i vostri sogni di regni siderali e di nebulose e di bellissime principesse non sono stati altro che il tentativo compiuto dalla vostra mente per evadere da un mondo che vi sembrava insopportabile e monotono. Mi sembra che abbiate detto 'una vita arida'. Ebbene, ci vorrà molto lavoro, e molto tempo, e non vi nascondo che dovrete affrontare anche dei momenti dolorosi, ma non credo che dobbiate preoccuparvi per questo. C'è già un eccellente segno: non avete avuto alcuna ricaduta per molto tempo. Vorrei che veniste da me due volte alla settimana, se vi sarà possibile...» «Non dovrebbero esserci problemi.» «Eccellente. Sarà la signorina Finlay a fissarvi gli appuntamenti. Oh, e questo è il mio numero di casa.» Diede a Gordon un biglietto da visita. «Se per caso aveste una ricaduta, in qualsiasi momento, telefonatemi subito... anche di notte.» Strinse la mano a Gordon, con calore, e pochi minuti dopo Gordon si ritrovò nella strada, a camminare sotto la pioggia, provando solo un senso di completa desolazione. Perché lui sapeva bene che Keogh aveva ragione, che Keogh doveva avere ragione! Lui stesso si era già quasi rassegnato, da solo, e gli occorreva soltanto una spinta, un incoraggiamento, per abbandonare i suoi sogni e per soffocare quella scintilla di speranza che lo aveva illuminato per tanto tempo, che gli aveva fatto volgere lo sguardo alle lontane stelle del cielo fumoso di New York provando un rinnovato palpito che non aveva, in realtà, alcun motivo reale di esistere. Sì, lui sapeva tutte queste cose... ma il fatto di averle esposte sotto forma di parole, di avere dato voce al suo sogno, era stato crudele come il bisturi di un chirurgo che avesse eseguito un'operazione necessaria e umanitaria, senza però servirsi
dell'anestesia. E tutto gli era sembrato così vero, così reale... e gli sembrava ancora così... Brutalmente, egli scacciò dalla mente e dal cuore il suono melodioso della voce di Lianna, quella voce che lui avrebbe riconosciuto ovunque, perfino oltre la morte. Scacciò il ricordo di quelle ultime parole che aveva udito, nella sua stanza grigia e squallida, di quelle ultime, cristalline vibrazioni di pensiero che si erano perdute per sempre nelle spire fumose della notte... 'Allora aspettate la nostra chiamata, John Gordon! Non ci vorrà molto tempo: il lavoro dì Zarth Arn è a buon punto. E quando tutto sarà pronto, vi chiamerò!' E lui aveva conservato per tanto tempo il ricordo di quella voce. Lo aveva conservato, lavorando come nessun altro nell'ufficio, perché la monotonia del lavoro lo aveva aiutato a non pensare. Aveva lavorato, ed era stato promosso, un gradino dopo l'altro, dalla sua semplice posizione di contabile a quella che occupava ora. Aveva accettato gli elogi e le promozioni con quieta rassegnazione, con umiltà, lui che aveva condotto le flotte dei regni siderali nell'ultima battaglia contro la Lega dei Mondi Oscuri, lui che aveva annientato la potenza di Shorr Kan, il sinistro despota della Nebulosa, quando tutto era sembrato perduto... Ancora una volta, quei ricordi si insinuavano nella sua mente, ma ora il cielo era grigio e plumbeo, e la scia fulgida della Via Lattea era nascosta, e con essa il ricordo dei regni delle stelle, e del volto bellissimo di Lianna, e del ricordo più dolce, quello delle sue labbra. Chinando il capo, senza voltarsi a guardare le vetrine illuminate, Gordon cercò di scacciare per sempre quei ricordi, i ricordi di un sogno, dalla sua mente. Nel suo studio, Keogh stava parlando rapidamente nel suo dittafono, per registrare tutto quello che Gordon gli aveva detto ora che il ricordo era ancora fresco e nitido; parlando, il medico scuoteva il capo, sbalordito. Quel caso sarebbe veramente passato agli annali della psichiatria. Da quel giorno, Gordon andò da Keogh due volte la settimana, rispose alle domande dello psichiatra, raccontò il suo sogno, addentrandosi sempre più nei particolari, e sotto l'abile guida di Keogh imparò a considerare la sua fantasia in maniera sempre più razionale e obiettiva. Arrivò a comprenderne i motivi nascosti... le radici profonde, quelle di un semplice con-
tabile strappato al suo lavoro tranquillo per combattere una guerra, trasformato in un pilota di bombardieri sul Pacifico, e poi riportato al lavoro di sempre, così, come se fosse stato possibile fingere che nulla fosse accaduto. Arrivò a comprendere l'insoddisfazione profonda che era stata alla radice della sua evasione nel mondo della fantasia... la noia causata da un lavoro che non offriva le sollecitazioni e gli stimoli sufficienti, il grigio lavoro di un contabile di una società di assicurazioni, il desiderio di raggiungere la fama e la grandezza, il desiderio di potere, il desiderio di punire il mondo per le sue frustrazioni e per non averlo apprezzato come meritava un mondo che non offriva alcuna certezza, un mondo che aveva visto crollare tutti i sogni e tutti gli ideali, un mondo smarrito nel quale ogni cosa aveva acquisito dimensioni sfuggenti. Su quest'ultimo punto, Keogh era rimasto enormemente colpito, per non dire sbalordito, dalla descrizione che Gordon gli aveva fatto del Distruttore, un'arma di incredibile potenza che lui, nel corpo di Zarth Arn, aveva usato nella grande battaglia finale contro le vittoriose armate della Lega dei Mondi Oscuri. «Voi avete distrutto lo stesso spazio?» domandò Keogh, e scosse il capo. «I vostri desideri sono molto potenti. È una fortuna che abbiate potuto sfogarli solo in sogno.» Lianna era l'elemento più facilmente spiegabile. Si trattava della donna dei sogni, l'irraggiungibile, la donna-immagine, e trasferendo su di lei i suoi sentimenti, Gordon veniva sollevato dalla necessità di cercare di conquistare le ragazze reali che lo circondavano, o di lottare per esse. Keogh gli spiegò, puntigliosamente, che in realtà lui, Gordon, aveva paura delle donne, e che l'immagine di Lianna era una reazione a questa paura per le donne molto più libere e vere che lo circondavano. Gordon aveva sempre creduto che esse, semplicemente, lo annoiassero, ma supponeva che Keogh conoscesse il suo subcosciente assai meglio di lui. Così non discusse questa conclusione. E settimana dopo settimana, con lenta ma sicura progressione, il sogno sbiadì. Keogh provava una grande soddisfazione personale, per quel caso. Gordon gli piaceva molto: si era dimostrato un paziente incredibilmente disposto a collaborare con il suo medico. E lo psichiatra aveva raccolto una mole di materiale enorme, materiale che gli avrebbe permesso di occupare con poderosi articoli le pagine delle più quotate pubblicazioni scientifiche, e di tenere sensazionali conferenze, per molti e molti anni. E poi, finalmente, in un tiepido pomeriggio di maggio, mentre fuori il
sole brillava in un cielo straordinariamente azzurro, solcato da un veleggiare di piccole nuvole bianche, Keogh disse a Gordon: «Abbiamo compiuto degli enormi progressi. Ne sono davvero lieto. E intendo lasciarvi provare la solidità delle vostre nuove ali da solo, senza alcun aiuto, per qualche tempo. Ritornate da me fra tre settimane, per raccontarmi come è andata.» Brindarono per festeggiare l'avvenimento, e più tardi Gordon andò a cena in un famoso ristorante, consumando le specialità più famose del locale, e poi andò a teatro per la prima volta dopo molto tempo, e per tutto il tempo continuò a ripetere tra sé che lui era un uomo felice, e fortunato. Quando ritornò a casa, a notte inoltrata, le stelle sfolgoravano nel cielo, sopra le luci della città. Gordon, deliberatamente, evitò di alzare lo sguardo. Andò a letto. Alle due e quarantatré precise il telefono suonò, nell'appartamento di Keogh, e lo psichiatra si svegliò di soprassalto. Ancora assonnato, sollevò l'apparecchio, e la sua mente ritornò immediatamente lucida. «Gordon! Cosa succede?» La voce di Gordon, dall'altro capo del filo, era rauca, spezzata dall'emozione. «È ritornato... Zarth Arn! Ho udito la sua voce. Mi ha detto... mi ha detto che ora è pronto a portarmi lassù. Mi ha detto che Lianna è là, e mi sta aspettando. Dottore... dottore!...» La voce s'interruppe, bruscamente. «Gordon!» urlò Keogh. «Gordon!» La comunicazione non era stata tolta, ma non gli giunse alcuna risposta. «Restate calmo,» disse, nell'apparecchio muto, ascoltando il lieve ronzio che giungeva dall'altro capo del filo. «Non lasciatevi prendere dal panico, Gordon. Vengo subito.» Arrivò a casa di Gordon dopo un quarto d'ora. La porta dell'appartamento di Gordon era chiusa dall'interno, ma Keogh andò a svegliare il portiere, e gli mostrò le sue credenziali, e pochi istanti dopo il portiere aprì la porta. L'appartamento era deserto e silenzioso. Il telefono pendeva dalla corda, come se Gordon lo avesse lasciato cadere nel bel mezzo della conversazione. Distrattamente, con la mente confusa, Keogh lo rimise al suo posto, sulla forcella. Lo psichiatra rimase immobile per qualche minuto, pensieroso, circondato da quell'appartamento semplice e silenzioso. Non aveva dubbi su quanto era accaduto. Gordon non era stato capace di sopportare la perdita della sua splendida, luminosa allucinazione, del suo fantastico sogno. E
così Gordon era fuggito, fuggito dal suo psichiatra, fuggito dalla realtà. Sì, prima o poi sarebbe ritornato, ma allora tutto il lavoro avrebbe dovuto ricominciare da capo... Keogh sospirò profondamente, scosse il capo, e uscì a passi lenti dall'appartamento silenzioso. Capitolo Secondo Ritorno alla vetta del mondo Gordon riprese i sensi molto lentamente. Dapprima ricordò soltanto, confusamente, un sentimento oscuro, fatto di paura, smarrimento e terrore, una tremenda lacerazione mentale unita all'impressione di precipitare dalla solidità del mondo in un gorgo insondabile d'incoscienza e non-essere. Gli era parso di udire il suono della propria voce, una voce distorta in un terribile grido di disperazione, e si domandò follemente per quale motivo Keogh non l'avesse udito e non fosse venuto a salvarlo. Poi egli udì delle altre voci, familiari e sconosciute, molto lontano. Un liquido freddo scese nella sua gola, ed esplose in una vampata di fuoco divorante nello stomaco. Aprì gli occhi. Vide una bianca distesa di luce, dalla quale emersero, una dopo l'altra, delle immagini. Grandi forme, pareti, e finestre, e meccanismi strani. Forme più piccole, vicine, chine su di lui. Vide dei volti. I volti erano due. Il primo era un viso semplice, un viso d'uomo, intento, ansioso, con occhi che mostravano una mescolanza di preoccupazione e di sollecitudine. Il secondo, invece, era il suo viso... Il suo viso? No, un momento. Il volto di John Gordon era largo, aveva gli occhi azzurri e i capelli castani, mentre quel viso chino su di lui aveva gli occhi neri e i lineamenti aquilini, ed era impossibile che fosse il suo. Eppure... «Gordon. John Gordon!» Stava dicendo quel viso. L'altro viso disse: «Un momento ancora, altezza!» Gordon si accorse che i due, insieme, gli sollevavano il capo. Dalla nebbia bianca che velava ogni cosa uscì una mano, che reggeva un bicchiere, colmo di un liquido rossastro ed effervescente. Gordon accettò l'offerta, accostò il bicchiere alle labbra, e bevve, automaticamente. Ci fu dì nuovo quella vampata di fuoco, dentro di lui, piacevole, vitalizzante. La foschia bianca cominciò a diradarsi, intorno. Tutto questo evocava immagini e ricordi. Tutto questo gli era già acca-
duto, pensò John Gordon. E poi, d'un tratto, il velo dei ricordi si squarciò, ed egli sollevò lo sguardo, e capì che non era la stessa cosa che lui ricordava. Fissò il volto dai lineamenti aquilini, e dopo un istante di silenzio disse: «Zarth Arn!» Due mani forti lo afferrarono, lo strinsero, con calore. «Dio sia ringraziato! Cominciavo a preoccuparmi, John Gordon!... No, non cercare di alzarti, adesso. Rimani immobile. Rilassati. Sei rimasto in coma per molto tempo... e non c'è da stupirsi, dopo che gli atomi che compongono il tuo corpo hanno attraversato la dimensione del tempo! Ma adesso è fatta. Dopo tutti questi anni di lavoro, finalmente abbiamo raggiunto il successo.» Zarth Arn gli sorrise. «Pensavi forse che ti avessi dimenticato?» «Credevo...» mormorò Gordon, e chiuse di nuovo gli occhi. Keogh, pensò. Keogh, ora ho veramente bisogno di voi. Sono veramente impazzito, e sto sognando? Oppure è questa la realtà? La realtà, come lui aveva sempre saputo, come lui non aveva mai cessato di credere, malgrado la fredda, impeccabile logica dello psichiatra! La realtà! Cercò di mettersi a sedere, ed essi non glielo impedirono. Gordon si guardò intorno. Il laboratorio era come lo ricordava... come l'aveva visto la prima volta, quando si era risvegliato nel corpo di Zarth Arn, e come l'aveva lasciato l'ultima volta, quando aveva attraversato l'abisso del tempo in quello che gli era parso un addio definitivo a quel mondo del futuro. C'erano ancora le grandi macchine e gli strumenti e le file di strane bobine di metallo, su cui la luce si rifrangeva in mille scintillii. Mentre gli altri lo aiutavano a rimanere eretto, e il suo corpo era pervaso da uno strano brivido, John Gordon notò che c'era qualcosa di nuovo, nel grande laboratorio: un apparecchio massiccio e complicato, con un quadro di comando incomprensibile su un lato, e, al centro, una forma geometrica allungata, che pareva singolarmente una grande bara di cristallo, sospesa tra due strane, intricate griglie quali Gordon mai aveva visto in passato. Dal misterioso congegno uscivano degli enormi cavi di un materiale sconosciuto, che si immergevano direttamente nelle pareti e che, probabilmente, erano collegati a qualche poderoso generatore che si trovava in un altro locale del laboratorio. In quel primo, avido sguardo, Gordon riconobbe tutte le altre cose, come le aveva lasciate. La grande stanza era ottagonale, contornata completa-
mente da alte finestre cristalline, attraverso le quali si riversava la luce del sole, limpida e abbagliante, che trasformava tutte le superfici cristalline e iridescenti in una sola, fantastica luce. Era una luce limpida e abbacinante, la luce del sole a grandi altezze, e le finestre di cristallo permettevano di vedere l'usuale scenario di selvaggia grandezza, desolato e ostile, le impervie cime dell'Himalaya che parevano ergersi a sfidare il tempo e lo spazio. La vecchia Terra esisteva ancora, là fuori. John Gordon abbassò lo sguardo, allora, e vide le proprie mani, il proprio corpo. Avvertiva la solidità della branda imbottita sulla quale era disteso, avvertiva il contatto più morbido delle coperte, e l'aria faceva rabbrividire la sua schiena nuda. Allora allungò una mano, e strinse il braccio di Zarth Arn. Ossa e muscoli, carne e sangue, un braccio caldo, reale, vivo. Per un momento, Gordon pensò che la sua mente vacillasse, che quella realtà fosse troppo incredibile per lui. Per un istante, provò un senso di smarrimento e di terrore, al pensiero dell'urlante abisso dei secoli che lui aveva attraversato. E poi alle sue labbra salì, impulsivamente, un nome, un nome che era rimasto nella sua mente e che non sarebbe mai stato cancellato. «Lianna...» mormorò. «Dov'è Lianna?» «Ti sta aspettando.» Zarth Arn indicò con un gesto semplice che lei non era lontana, che lo stava aspettando in un'altra stanza di quel fantastico laboratorio inerpicato sulla cima del mondo. «Voleva restare qui, con noi, ma abbiamo pensato che sarebbe stato meglio così, John Gordon. Non appena avrai recuperato almeno in parte le forze...» Zarth Arn lasciò in sospeso la frase, ma il cuore di Gordon stava battendo forte. Realtà, sogno, lucidità o pazzia. che cosa importava? Era ancora vivo, e Lianna lo stava aspettando. Barcollando, si alzò, posò i piedi sul pavimento, e rise, quando Zarth Arn e l'altro uomo lo afferrarono, e lo sorressero per impedirgli di cadere. «È passato tanto tempo,» disse, rivolgendosi a Zarth Arn. «E ti confesso che la mia mente era rimasta confusa. Ma ora va tutto bene. Qualunque cosa mi aspetti, l'accetto, e ne sono felice. E ora, che ne diresti di farmi assaggiare un altro sorso di quel liquore, e di darmi dei vestiti?» Zarth Arn lanciò una rapida occhiata al suo compagno. «Cosa ne pensi, Lex Vel?» Il principe si rivolse di nuovo a Gordon, con un breve sorriso. «John Gordon, questo è Lex Vel... il figlio di Vel Quen. È stato lui a prendere il posto di suo padre, e ad aiutarmi in questo lavoro. Se non fosse stato per lui, certo non avrei mai potuto risolvere tutti i pro-
blemi insolubili che ci hanno fatto impazzire entrambi, da quando tu sei ritornato nel tuo tempo!» Gordon capì che cosa lo aveva colpito, nel volto del giovane che aveva visto insieme a Zarth Arn al suo risveglio. I lineamenti ricordavano quelli del padre, il vecchio cercatore della verità che era stato il primo amico che Gordon aveva incontrato in quell'universo futuro, e che era stato ucciso dai soldati della Nebulosa. «Io... non sapevo che Vel Quen avesse un figlio,» mormorò. «Ero molto giovane, allora,» spiegò lo scienziato. «Conoscevo gli studi di mio padre, e a volte lo avevo aiutato nel suo lavoro, qui, quando Sua Altezza aveva dovuto ricordare i suoi doveri di corte. Ma fu solo dopo la caduta di Thallarna che Sua Altezza venne a cercarmi, mentre io ero ancora a bordo di un incrociatore fantasma dell'Impero, e fu solo allora che seppi quanto era accaduto, e compresi che ero l'unico in grado di proseguire là dove mio padre era stato costretto a fermarsi...» Un lampo di tristezza parve velare per un momento lo sguardo dello scienziato, ma poi egli raddrizzò le spalle, e nei suoi occhi apparve un lampo di orgoglio. «A che serve la modestia?» esclamò. «Il principe Zarth Arn ha detto la verità... abbiamo compiuto quello che nessuno avrebbe mai ritenuto possibile. Ho molto sentito parlare di voi, John Gordon. Sono felice che siate giunto qui, tra noi.» Sorridendo, si fece avanti, e strinse con calore la mano del terrestre. «So che era questa l'usanza del vostro tempo, come mi ha spiegato Sua Altezza. Ma temo di dovervi deludere, per quanto riguarda la vostra domanda. La risposta è no, non ancora. I vostri atomi sono stati dissociati, e attirati attraverso l'abisso del tempo, e ricostituiti in questo laboratorio. Voi avete sopportato quanto nessun essere vivente ha mai sopportato, in tutta la storia. Dovete ancora riposarvi, e molto, prima di pensare a muovervi. E solo allora parleremo dei vestiti.» Riluttante, Gordon si accostò a una delle grandi finestre di cristallo. Lo scenario superbo era uguale a come lo ricordava, e il sole ardeva in un cielo terso e cristallino. D'un tratto, una tremenda spossatezza fece vacillare Gordon. Lex Quen fu rapidissimo a sorreggerlo, e ad accompagnarlo di nuovo verso la branda. Appoggiandosi a lui, Gordon si distese, mentre l'intero laboratorio e l'universo parevano ondeggiare tra dense volute di nebbia. In quella nebbia, egli udì la voce di Zarth Arn, lontanissima ma piena di calore: «Troverai un benvenuto che ti sorprenderà, quando giungerai a Throon, John Gordon. Mio fratello Jhal è uno dei pochi che conoscono l'intera sto-
ria, e lui sa quanto tu hai fatto per noi. Non potremo mai saldare il debito che abbiamo contratto con te, certo, ma non pensare per questo che abbiamo dimenticato!» Disteso sulla branda, Gordon ricordò il giorno in cui Jhal Arn, salito al trono dell'Impero Centrale della Via Lattea al posto di suo padre, che era stato assassinato dalla mano del traditore Chan Corbulo, era stato colpito a sua volta dalla mano di un assassino, che aveva mancato di poco il bersaglio, lasciando il terribile peso della diplomazia e della difesa dell'Impero sulle spalle di Gordon, totalmente inadeguate a quel titanico compito. Grazie all'aiuto di Dio e della pura fortuna, lui era riuscito a farcela, superando tutte le spaventose difficoltà di quel tragico momento. Nella nebbia che avvolgeva i suoi pensieri, riuscì a sorridere, e a mormorare: «Grazie.» Poi, senza accorgersene, sprofondò nel sonno. Trascorsero così lunghi periodi di sopore, interrotti da brevi pause di lucidità. In quelle pause, Gordon vedeva la silenziosa, rassicurante figura di Lex Vel, che accudiva a lui, ma erano momenti troppo brevi. E poi, quando si svegliò nuovamente, vide che la luce esterna era più dolce, le ombre delle titaniche vette erano più lunghe. Stranamente, ora si sentiva fresco e riposato. Zarth Arn non si trovava nella stanza di cristallo, ma Lex Vel gli sentì il polso e la respirazione, applicò al suo braccio uno strumento, lo osservò per qualche istante, visibilmente soddisfatto, e poi annuì, indicandogli degli abiti posati su una sedia. Gordon si alzò e si vestì, e dopo un'iniziale debolezza, sentì che le forze ritornavano in lui. Gli abiti erano come li ricordava... una camicia di seta, senza maniche, e pantaloni color bronzo, con un ampio mantello dello stesso tessuto. Rimase per qualche minuto davanti a uno specchio, per sistemare meglio il mantello, e si guardò a lungo, perché non aveva mai visto quell'abbigliamento sul suo vero corpo. Se un giorno quell'abito era parso giusto e naturale sul corpo alto e magro e austero di Zarth Arn, ora che vedeva il vecchio Gordon del ventesimo secolo con il medesimo costume provava un vago senso d'imbarazzo, e gli pareva quasi di essere in procinto di recarsi a un ballo mascherato. E in quel momento, senza preavviso, l'idea lo colpì, violenta come un vento d'uragano. Perché Lianna non l'aveva mai visto! Lei si era innamorata di Gordon quando Gordon era stato Zarth Arn, uno Zarth Arn diverso, certo, ma sem-
pre la figura del principe dell'Impero Centrale della Via Lattea che lei conosceva. E più tardi, quando lei si era resa conto del fatto che la personalità dell'uomo da lei amato era quella di John Gordon, della Terra del ventesimo secolo, era sempre stata l'immagine di Zarth Arn che lei aveva visto! Ma ora lei lo avrebbe amato ancora, di fronte al suo vero corpo? Oppure sarebbe rimasta delusa, lo avrebbe trovato squallido, insignificante... o addirittura repellente? D'un tratto, gli parve di precipitare in un abisso senza fine. Perché sarebbe stata la beffa più amara... avere vissuto tutto quello che lui aveva vissuto, avere attraversato un abisso di duemila secoli, per ritrovarsi respinto dalla donna che lui amava, e il cui ricordo aveva riscaldato le lunghe notti solitarie trascorse nel suo semplice, tranquillo appartamento di New York! Vacillò, e Lex Vel si affrettò a sorreggerlo, premuroso. Gordon si volse allo scienziato e gli disse, in tono disperato: «Ho bisogno, ho davvero bisogno, di un altro bicchiere di quello stimolante che mi avete dato...» Lex Vel lo osservò per un momento, e poi andò a prendere il bicchiere richiesto, e lo diede a Gordon. Gordon bevve, e in quel momento Zarth Ara entrò nella stanza. Il principe si avvicinò, e parve accorgersi che qualcosa non andava come avrebbe dovuto. «Cosa succede?» domandò, ansiosamente. «Qualcosa che non va, Lex Vel?» «Non so capire, altezza,» rispose Lex Vel. «Pareva che stesse bene, e poi, improvvisamente, davanti allo specchio...» Il volto intento e serio di Zarth Arn parve illuminarsi di una luce di comprensione. A bassa voce, egli disse: «Forse io riesco a immaginare di che cosa si tratta, John Gordon. È a causa di Lianna, vero?» Lentamente, Gordon annuì. «Improvvisamente, la verità è balenata davanti ai miei occhi,» bisbigliò. «Ho capito veramente, per la prima volta, che lei mi avrebbe visto come sono realmente... E io sono in realtà, per lei, uno sconosciuto!» «Lianna non è impreparata a questo, però,» disse Zarth Arn. «Ricorda che io ho vissuto nel tuo corpo, e che sono perciò in grado di descriverti... e l'ho fatto, perché Lianna mi ha chiesto di farlo almeno diecimila volte, in questo periodo.» Posò gravemente una mano sulla spalla di Gordon. «Forse le occorrerà un poco di tempo per abituarsi al tuo nuovo aspetto, Gordon, ma sii paziente, e non dubitare mai, mai dei suoi sentimenti nei tuoi
confronti. Perché lei ti ama realmente, John Gordon. E per questo, forse ha trascorso troppo tempo, qui, lontana dal suo regno. Molte e molte volte, quando avrebbe dovuto essere in patria, a occuparsi degli affari di stato, lei è rimasta qui, ad aspettare il giorno in cui avremmo potuto dirle che tutto era pronto per il tentativo. Lianna è una principessa regnante, e conosce bene i suoi doveri... se li ha trascurati a tal punto, credi forse di poter dubitare di lei?» Zarth Arn scosse lentamente il capo, e il suo volto da studioso era molto compreso, e una strana preoccupazione pareva velargli lo sguardo. «Lianna ha ignorato dei messaggi insistenti da Fomalhaut, e, naturalmente, non ha voluto neppure ascoltare i miei consigli. Adesso che tu sei qui, sano e salvo, credo che potrà dare ascolto almeno alle tue parole. E tu devi parlarle di questo! So bene quello che provi, John Gordon, so bene quello che vorresti, ma io ti chiedo di pensare prima di tutto a questo... devi dire a Lianna che è giunto per lei il momento di fare ritorno al Regno di Fomalhaut!» «Perché dici questo?» domandò Gordon. «C'è qualche... pericolo?» «Pericolo!» esclamò Zarth Arn. «Il pericolo è sempre presente, quando un sovrano non si occupa personalmente del suo regno! Non so con esattezza che cosa stia succedendo, né quale sia la gravità della situazione, perché Lianna non ha voluto dirmi nulla. Ma i messaggi che giungevano dalla corte di Fomalhaut, inizialmente, erano indicati come 'urgenti'. Ora sono di 'priorità assoluta'. Tu stesso puoi capire il significato di questo mutamento. Ebbene, John Gordon... le parlerai di questo?» «Naturalmente,» disse Gordon. «Ma ho ugualmente il sospetto che tu mi nasconda qualcosa.» «Non ti nascondo nulla, John Gordon,» disse Zarth Arn. «Ma tu sai bene che la Via Lattea è immensa, e che non è certo lieve il peso di un trono, neppure di quello del più piccolo dei regni siderali. Non voglio turbare il tuo ritorno con apprensioni o sospetti, e tu sai bene che io non mi occupo dei problemi della politica o del governo, poiché già da molto tempo ho dedicato la mia vita alla scienza e alla ricerca della verità... ma anch'io ho avuto quello che potresti chiamare un segno, un presentimento, un'inquietudine... nulla di preciso, nulla di concreto, ma sufficiente a preoccupare me e mio fratello l'Imperatore.» Un senso d'inquietudine? Gordon fissò il volto sincero di Zarth Arn, e poté leggervi soltanto la sollecitudine e l'apprensione e un'ombra che non aveva un nome. Per un istante, egli accolse quelle parole quasi con sollievo... perché non era solo di se stesso che lui doveva preoccuparsi.
«Farò come tu dici,» rispose. «Bene,» disse Zarth Arn, e gli strinse con calore il braccio. «Coraggio, John Gordon. E non dimenticare che ti ho descritto molte volte a Lianna. Lei non si aspetta di incontrare un Apollo!» Fissò Gordon con un'espressione che, in quel momento, era così sinceramente divertita, che Gordon non riuscì a reprimere a sua volta un breve, fuggevole sorriso. «Grazie, amico mio,» disse. Zarth Arn rise, e lo accompagnò fuori. Ma Gordon non aveva perduto le sue apprensioni. E c'era qualcosa di oscuro che si annidava, inesplicabile, in un angolo della sua mente. Qualcosa che non aveva un nome, ma che gli dava uno strano brivido d'inquietudine. Lei lo stava aspettando in una stanza più piccola, le cui finestre guardavano il tramonto. Oltre i pannelli di cristallo, le cime dei monti, bianche di nevi eterne, raccoglievano la luce e la irradiavano in grandi fiammate d'oro, e, in basso, i precipizi vertiginosi erano colmi d'ombre purpuree e violacee. Dall'alto della massiccia torre di cemento del laboratorio, la visione era quanto di più splendido l'occhio umano potesse sognare... e quelle vette superbe incoronate di bianco, quei dirupati precipizi che scendevano vertiginosi verso invisibili gole e valli, s'infiammavano nel tramonto del nuovo e antico splendore della creazione. Zarth Arn non entrò nella stanza, ma si ritrasse, silenzioso e discreto, lasciando Gordon solo con Lianna. Nella stanza regnava un profondo silenzio, e il cuore di Gordon batteva impetuosamente, e il sangue scorreva più veloce nelle sue vene. Lianna si volse, lentamente, a guardarlo, mentre lui rimaneva immobile dov'era, timoroso di muoversi, timoroso di parlare, sapendo bene che l'incantesimo di quel momento avrebbe potuto prolungarsi all'infinito, per lui, e che una sola parola avrebbe potuto turbarlo. Lei era bella... bella come la ricordava, come l'aveva vista la prima volta nello splendore della Sala delle Stelle, nell'indimenticabile notte della Festa delle Lune. Era alta, alta quanto lui, John Gordon, e il suo corpo snello e slanciato era perfetto, con le curve morbide e la vita sottile e le spalle orgogliosamente erette, nel portamento di una regina. E vedendo l'espressione pensosa di quegli occhi grigi che lo fissavano dall'ovale perfetto del volto, ora John Gordon capiva finalmente, al di là di ogni dubbio, che era tutto vero, che non si trattava di un sogno, perché nessun uomo poteva immaginare quello che lui provava in quel momento. «Lianna,» bisbigliò, raucamente. E ancora, con voce più sommessa,
«Lianna...» «Voi siete John Gordon...» Lei avanzò verso di lui, e gli occhi grigi scrutarono il viso di Gordon, pensierosi, cercando forse di rintracciarvi qualche debole traccia di familiarità. Lui avrebbe voluto prenderla tra le braccia, stringerla e toccarla e baciarla con tutta l'ansia che aveva accumulato negli anni della solitudine, avrebbe voluto parlarle e rivelarle il suo cuore e i suoi sentimenti... ma non osava farlo! Poteva soltanto restare immobile, rigido e vergognoso, mentre lei si avvicinava ancora, e lo scrutava, e poi si fermava, incerta. Lianna abbassò lo sguardo, e indietreggiò di un passo, e le sue stupende labbra tremarono per un momento, indicando l'incertezza che doveva attraversarle il cuore e la mente. «È dunque una sorpresa così grande?» domandò allora Gordon, con voce stranamente pacata. «Zarth Arn è stato davvero molto preciso, nel descrivermi fedelmente il vostro aspetto, John Gordon.» disse lei. «E voi mi trovate...» «No!» si affrettò ad esclamare lei, e sollevò il bel viso orgoglioso, e i suoi occhi grigi cercarono e sostennero il suo sguardo. «Vi prego, John Gordon, di non pensare... questo.» Lei gli rivolse un breve sorriso incerto. «Se io vi conoscessi ora per la prima volta... voglio dire, davvero per la prima volta... vi troverei molto attraente...» Scosse il capo, confusa. «Voglio dire che voi siete davvero molto attraente, John Gordon. Non è affatto come voi pensate. Solo che è più difficile, adesso... perché io devo imparare a conoscervi di nuovo, ed è come ricominciare tutto da capo. E io voglio farlo, John Gordon, sempre che...» esitò per un momento, e poi lo fissò, con fermezza, «...sempre che voi proviate per me gli stessi sentimenti di allora.» «Sì,» disse Gordon. «Sì, Lianna. Neppure l'abisso del tempo e dello spazio, neppure la morte, avrebbero mai potuto cambiare il mio amore per voi.» E allora si fece avanti, e le mise le mani sulle spalle, e in quel momento gli parve che l'intero universo si arrestasse. Avrebbe voluto attirarla a sé, avrebbe voluto baciarla, come aveva sognato in tutti quegli anni, come aveva pensato che sarebbe accaduto in quel momento... ma non poteva farlo. Perché lei non si scostò da lui, non lo respinse, ma non cedette neppure, il suo bel corpo che Gordon ricordava morbido tra le sue braccia rimase immobile, e Gordon, d'un tratto, non riuscì a terminare il suo gesto. Lianna gli rivolse un altro incerto sorriso, e ripeté le parole che già Zarth Arn gli aveva detto:
«Siate paziente con me, John Gordon.» Gordon lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, e poté mormorare solo una breve, sommessa affermazione. «Sì, Lianna. Come voi desiderate.» Cercò di non farle capire il senso di amarezza che provava, lo sgomento e la delusione e lo smarrimento che quell'incontro aveva prodotto nel suo cuore. Lentamente, si avvicinò a una grande finestra di cristallo. Là fuori, le montagne fiammeggianti si erano incupite, e i ghiacciai erano diventati di un azzurro purissimo, mentre già le prime stelle brillavano nel cielo, occhi palpitanti il cui scintillare traeva scintille da quelle altere vette. E lui si sentiva freddo, vuoto e desolato e antico, come il vento che sfiorava i ghiacciai delle antiche montagne. Senza voltarsi, parlò, e si sorprese per il tono lontano e spento della propria voce. «Zarth Arn mi ha detto che avete dei problemi, nel vostro regno.» Lei cercò di evitare l'argomento, di accantonarlo come se fosse stato qualcosa di nessun peso. «Non è nulla d'importante. Vi ha chiesto di consigliarmi di ritornare in patria, non è vero, John Gordon?» «Sì.» «E lo farò, domani, a una sola condizione.» Era di nuovo vicinissima a lui, ora, e l'ultimo chiarore del giorno mostrava il suo volto pallido e deciso, il volto orgoglioso di una regina. «Voi dovete venire con me.» Allora Gordon si volse a fissarla, e Lianna gli sfiorò timidamente il braccio. «Io vi sto facendo del male,» disse. «E non volevo. Non volevo. Potete perdonarmi?» «Non dovete neppure domandarmelo, Lianna.» «E allora... allora venite con me a Fomalhaut, ve ne prego! Un poco di tempo, John Gordon... è solo di questo che ho bisogno.» La guardò, e mentre nel cielo cupo le stelle apparivano, grandi e colorate, gli parve di cogliere negli occhi grigi della principessa di Fomalhaut una piccola scintilla di quel fiammeggiare celeste. «Va bene,» disse. «Verrò con voi, Lianna. Verrò con voi a Fomalhaut.» Sarebbe andato con lei, pensò, con improvvisa decisione, e se avesse dovuto corteggiarla e conquistarla di nuovo, lo avrebbe fatto! Lo avrebbe fatto così bene, con tanta passione, da farle perfino dimenticare che un giorno lui aveva avuto un altro aspetto, e un altro volto.
Capitolo Terzo Verso Fomalhaut L'incrociatore reale che portava sulla fiancata il fiammeggiante emblema del Sole Bianco di Fomalhaut decollò dal grande astroporto, oltre il quale si stendeva la più grande città della Terra futura. Nyar era una città d'incredibile bellezza, immensa e sfolgorante di bianche piramidi altissime, con ampie strade che s'inarcavano nell'aria, descrivendo circoli e spirali, in un fiorire di torri e minareti e guglie e terrazze. In basso, nella luce giallastra del mattino, volavano i coni rovesciati degli aerei terrestri, tra le piccole stazioni antigravitazionali che galleggiavano nel cielo terso, presidiate dai vigili guardiani del traffico. La nave stellare lasciò tutto questo, e si tuffò nel suo vero elemento, il cupo oceano senza acque dello spazio che avvolge profondissimo le isole sfolgoranti dei suoi soli. La gialla scintilla di Sol, e l'antico pianeta verde dal quale la razza umana si era disseminata per tutta la Via Lattea, sparirono ben presto nell'immensa notte cosmica con un ultimo bagliore. E poi, ancora una volta, le stelle brillarono fittissime davanti agli occhi di John Gordon, in tutto il loro nudo splendore. Non era strano, pensò, che il torpido orizzonte della Terra del ventesimo secolo gli avesse fatto provare una sensazione di soffocamento! Non era strano, questo, poiché già una volta lui aveva visto quello spettacolo meraviglioso! Attraverso l'abisso oscuro e lo splendore della Via Lattea, le sfolgoranti nazioni dei sovrani siderali brillavano di fiamme multicolori, cremisi e dorate e verde smeraldo, azzurre e violette e bianche come diamanti... i grandi regni della Lyra, del Cigno, di Cassiopeia, della Stella Polare, e la fiamma splendente della capitale dell'Impero Centrale della Via Lattea, la possente Canopo. E la Costellazione d'Ercole brillava della miriade di soli vicinissimi tra loro, un grappolo sfolgorante di stelle ciascuna delle quali rappresentava il dominio di uno dei potenti Baroni della Costellazione! A sud, mentre l'incrociatore siderale solcava gli spazi in direzione ovest, verso il regno di Fomalhaut, la Nebulosa di Orione irradiava il suo freddo, ribollente chiarore nel firmamento.1 E molto lontano, ai confini di sud-est 1
Per la navigazione galattica, erano state adottate sei direzioni convenzionali come assi di orientamento: nord, est, sud, ovest, zenit e nadir. (N.d.A.)
dell'Impero, si stendeva la grande macchia nera della Nebulosa, dove l'oscura Thallarna, soffocata dalle nebbie siderali, ora riposava in pace. Durante il viaggio, quando l'incrociatore cambiò rotta per evitare un pericoloso banco di polvere cosmica, Gordon riuscì a scorgere le Nubi Magellaniche, le grandi nubi stellari ancora sconosciute e inesplorate che galleggiavano come isole lontane dalla costa, nel grande oceano dello spazio intergalattico. Ricordò che c'era stato un tempo, agli albori dell'Impero, nel quale era avvenuta un'invasione degli abitanti delle Nubi Magellaniche. Le mostruose creature aliene, dai mezzi poderosi e inimmaginabili, nell'anno 129.411 erano state respinte, e la loro poderosa flotta era stata completamente annientata dal sapiente Brenn Bir, un antenato di Zarth Arn, che aveva usato per la prima volta la terribile arma segreta dell'Impero, la cosa che veniva chiamata 'il Distruttore'. Gordon pensò a Keogh, in quel momento, e alla particolareggiata spiegazione che lo psichiatra aveva fornito per giustificare quella che aveva chiamato la fantasia del Distruttore'. Sorrise tra sé, e scosse il capo. Peccato che Keogh non fosse con lui, ora. Lo psichiatra avrebbe potuto spiegargli molte cose... il poderoso incrociatore siderale poteva essere il simbolo del grembo materno, e Lianna, l'irraggiungibile principessa del sogno, e la sua storia d'amore con Gordon, un appagamento illusorio di un desiderio represso. Ma Gordon si domandava in qual modo Keogh sarebbe riuscito a spiegare Korkhann, il ministro plenipotenziario di Lianna per gli affari non umani. Il primo incontro con Korkhann, che era avvenuto la notte prima della partenza per Fomalhaut, era stato sconvolgente per lo stesso Gordon. Egli sapeva bene che nei regni siderali esistevano dei cittadini non umani, e ne aveva anche visti alcuni, brevemente e sempre a una certa distanza; ricordava di averli visti perfino alla corte di Canopo, ed era giunto ad accettare senza discussioni la loro esistenza. Ma quella era stata la prima volta in cui ne aveva effettivamente incontrato uno, viso a viso... se questo modo di dire poteva applicarsi in quel caso. Korkhann era nativo di Krens, un sistema stellare che si trovava agli estremi confini del Regno di Fomalhaut. Da quel lontano sistema, aveva detto Korkhann, si poteva guardare l'immensa desolazione delle Frontiere degli Spazi Ignoti, e si provava l'impressione di trovarsi sospesi, in equilibrio incerto, sull'ultimo filo sottile che segnava il confine della civiltà galattica. «I Conti delle Frontiere,» aveva spiegato Zarth Arn a Gordon, «sono al-
leati dell'Impero, come tu ricordi bene. Ma sono selvaggi, e, apparentemente, decisi a rimanere tali. Affermano che il giuramento di fedeltà all'Impero non significa implicitamente l'accettazione, da parte loro, all'apertura delle frontiere, e pur mantenendo le alleanze, impediscono agli incrociatori siderali dell'Impero di varcare i loro confini. Spesso mio fratello dice che sarebbe meglio avere i Conti nemici aperti, piuttosto che contare sulla loro infida amicizia.» «Verrà anche il loro turno,» aveva detto Korkhann, a quelle parole. «Per ora, i miei problemi immediati sono assai più vicini a casa.» E aveva abbassato i suoi severi occhi gialli su Liana, che aveva teso una mano, posandola affettuosamente sulle piume grigie del non umano. «Ho messo a dura prova la vostra pazienza,» aveva detto Lianna, e poi aveva aggiunto, rivolgendosi a John Gordon, «Korkhann mi ha raggiunta qui, sulla Terra, e si è tenuto quasi costantemente in contatto con Fomalhaut, per telestereo, adoperandosi con tutte le sue forze per curare gli affari di stato da qui, malgrado l'enorme distanza.» E, a quelle parole, Korkhann aveva rivolto i suoi occhi gialli, rotondi e fissi, e il suo lungo becco verso Gordon, dicendo, con la sua voce aspra e sibilante: «Sono lieto che siate finalmente giunto tra noi sano e salvo, John Gordon... mentre ancora Sua Altezza possiede un regno al quale fare ritorno!» Lianna aveva scrollato il capo, a quelle parole, e aveva volutamente sorvolato l'implicita accusa, e in quel momento Gordon era stato distratto dall'improvviso, inaspettato incontro con una creatura alta un metro e mezzo, capace di camminare eretta, rivestita soltanto del proprio orgoglio e delle proprie magnifiche penne, capace di parlare con quel suo strano accento la lingua dell'Impero — una lingua che derivava dall'antichissimo inglese della Terra — e di gesticolare con grazia, muovendo le lunghe dita ad artiglio che terminavano le lunghe ali che non servivano a volare. Questo era stato allora, sulla torre inaccessibile tra le più alte montagne del mondo... ma durante le lunghe ore del viaggio attraverso gli spazi siderali, Gordon ricordò quelle strane allusioni. I tre erano soli... l'uomo, la donna, e il non umano... nella piccola e lussuosa saletta di ritrovo dell'incrociatore siderale, e Gordon aspettava con impazienza il momento in cui Korkhann e Lianna avrebbero terminato la loro partita a scacchi, una partita incredibilmente complessa e con regole assai più difficili di quelle dell'antico gioco terrestre, sapendo che alla fine del gioco il pennuto alieno si sarebbe ritirato nella propria cabina. Gordon
sedeva in un angolo, fingendo d'interessarsi a una delle molte bobine ideofoniche della biblioteca di bordo, ma in realtà osservava di sottecchi Lianna, il cui bel volto era intento a osservare la scacchiera, e poi guardava Korkhann, cercando di vincere l'irresistibile, istintivo senso di avversione che aveva provato fin dal primo momento del suo incontro con il non umano. E poi, d'un tratto, non riuscì più a dominarsi, e disse: «Korkhann...» La testa snella e sottile del non umano si girò subito, e le penne del collo parvero brillare stranamente nella luce artificiale della cabina. «Sì?» «Korkhann, cosa avete voluto dire, esattamente, quando avete affermato di essere contento che io fossi arrivato mentre ancora Lianna aveva un regno al quale fare ritorno? Lianna disse, con impazienza: «Non c'è alcun bisogno di ricominciare con questa storia. Korkhann è un amico fedele e un ministro devoto, ma ha il difetto di preoccuparsi troppo...» «Altezza,» disse Korkhann, in tono sommesso, «Non c'è mai stata alcuna ipocrisia tra di noi, e questo sarebbe il momento peggiore per cominciare a ingannarci a vicenda! Voi siete preoccupata almeno quanto me per Narath Teyn, ma a causa di un'altra faccenda avete pensato di accantonare queste preoccupazioni, e ora, per rimanere in pace con la vostra coscienza, siete costretta a negare che esistano i motivi di apprensione.» Gordon pensò che Korkhann parlava esattamente come Keogh; e aspettò che la collera di Lianna esplodesse. Lianna strinse le labbra, e i suoi occhi grigi divennero tempestosi. Lei si alzò in piedi, con quell'atteggiamento imperioso che Gordon ricordava così bene, ma Korkhann rimase seduto, e sostenne con calma lo sguardo infuriato di lei. E allora, bruscamente, lei abbassò lo sguardo. «Le vostre parole mi riempiono d'ira, Korkhann, quindi ciò che mi dite è vero, molto probabilmente. E sia, allora. Parlatene.» «Chi è Narath Teyn?» domandò Gordon. «È il cugino di Lianna,» disse Korkhann. «Ed è anche il pretendente alla corona di Fomalhaut.» Queste parole lasciarono sconcertato, per un momento, John Gordon. «Il pretendente al trono? Ma io pensavo che Lianna...» «Sì, Lianna è la legittima e indiscussa sovrana del Regno di Fomalhaut. Ma voi sapete che deve esserci sempre un successore diretto, per garantire
la continuità della dinastia: è questa la vera forza dei regni siderali, le cui case regnanti assicurano un motivo di forte coesione, malgrado le immense distanze che separano i diversi mondi che fanno parte del regno! Ditemi, John Gordon... cosa ne sapete, esattamente, del Regno di Fomalhaut?» Gordon aveva appreso molte cose, durante il suo primo viaggio nell'Impero Centrale della Via Lattea... cose che avrebbero fatto vacillare la mente di un uomo del suo tempo, e perfino il segreto più gelosamente custodito e temuto della galassia. Ma in realtà, non aveva avuto tempo per conoscere bene la storia e i costumi dei regni siderali. E ora, dirigendosi verso il Regno di Fomalhaut, si rendeva conto che quel nome aveva evocato nella sua mente soprattutto il viso splendido di Lianna. Con un gesto, indicò l'ideofono, e la bobina che lui aveva consultato poco prima. «Stavo cercando di studiare qualcosa, ma non ho avuto tempo per apprendere molto, è vero.» Corrugò la fronte, fissando Korkhann. «Però ne so abbastanza per domandarmi alcune cose... tra le quali la possibile relazione tra una questione dinastica e il Ministro per gli Affari Non Umani di un regno siderale!» Lentamente, Korkhann annuì, e si alzò dal tavolo da gioco. La partita a scacchi era stata dimenticata; d'un tratto, Gordon si rese conto che l'elaborato gioco era stato soltanto un paravento, dietro il quale era rimasta celata una sotterranea tensione che lui stesso ora confusamente avvertiva. Qualcosa, nella sua mente, avvertiva di nuovo il senso di oscura minaccia che già aveva provato nell'udire le misteriose allusioni di Zarth Arn. Ma la voce di Korkhann interruppe il corso dei suoi pensieri. «Vi posso mostrare la risposta, John Gordon,» disse il non umano. Abbassò le luci, e toccò un pulsante sapientemente nascosto nella parete. Un pannello si aprì, rivelando una grande mappa tridimensionale del Regno di Fomalhaut, un grappolo di piccoli soli immersi nell'oscurità sconfinata dello spazio, dominato dalla stella bianca che dava il nome al regno siderale. «Esistono molte razze non umane nella galassia,» disse Korkhann, e la sua voce sibilante e sommessa pareva singolarmente minacciosa, in quella cabina silenziosa. «Alcune sono intelligenti e civili, altre sono primitive, semplici bruti insensati, alcune stanno superando la divisione che esiste tra le due condizioni, e altre, infine, non vi riusciranno mai. Quando gli umani lasciarono il loro antico mondo, e si avventurarono per la prima volta nella Via Lattea, incontrarono molte popolazioni straniere. Ai vecchi tempi, agli albori dell'Impero, ci furono alcuni sciagurati conflitti, non senza motivi da
entrambe le parti. Quelli furono giorni oscuri, per la Via Lattea, John Gordon... eppure in certi casi si trattava di conflitti inevitabili! Vedete, voi trovate qualcosa di repellente in me...» Gordon trasalì, e si rese conto che Lianna si era voltata a fissarlo. Sentì che il suo volto stava avvampando, ed esclamò, con una veemenza forse eccessiva: «Cosa dite, Korkhann? Cosa vi ha potuto dare questa idea?» «Perdonatemi, John Gordon. Voi avete usato nei miei confronti la massima cortesia, e non intendevo minimamente offendervi, soprattutto perché so bene che la vostra è una reazione puramente istintiva.» «Korkhann è telepatico,» spiegò Lianna, e aggiunse, «E se quanto egli dice è vero, John Gordon, farete bene a dominare questo vostro istinto... perché molti non umani sono capaci di leggere nei pensieri degli uomini!» «Vedete,» continuò Korkhann, «Nel nostro regno, più della metà dei mondi sono popolati da non umani.» Con i suoi lunghi artigli, egli indicò i piccoli sistemi stellari, con i loro minuscoli pianeti. «D'altra parte, i mondi disabitati che sono stati occupati e colonizzati dagli umani... e che si trovano in queste regioni...» mosse di nuovo le lunghe dita, «...sono pianeti molto densamente popolati, oggi, e così gli umani sono molto più numerosi dei non umani, e la proporzione è di circa due terzi. Voi sapete che la principessa Lianna governa il Regno di Fomalhaut con l'aiuto di un Consiglio, che si divide in due camere, la cui composizione è basata in una sulle rappresentanze planetarie, e nell'altra sulla popolazione...» Gordon cominciava a capire, anche se parzialmente, il quadro politico che Korkhann gli stava illustrando. «In questo modo, dunque, ogni camera del Consiglio è sempre dominata da un gruppo.» «È esatto,» disse Korkhann. «Di conseguenza, l'opinione del sovrano è molto spesso quella decisiva. Voi capite bene, dunque, che le simpatie del monarca sono d'importanza assai superiore alla norma, nel Regno di Fomalhaut!» «In realtà, fino a pochi anni or sono non ci sono state delle difficoltà vere e proprie,» disse Lianna. «Poi, circa due anni or sono, ebbe inizio una campagna d'insinuazioni e di calunnie, destinata alle popolazioni non umane del mio regno. Lo scopo di questa campagna era quello di convincere i non umani del fatto che gli umani erano loro nemici... nemici mortali, desiderosi di sterminarli e distruggerli! E, in particolare, io ero accusata di odiarli, e di tramare i più oscuri e sinistri disegni contro di loro... Volgari
calunnie, John Gordon, voci malvagie, ridicole e assurde, eppure voi conoscete bene l'animo del popolo. E tra i non umani, come tra gli umani, c'è sempre stato, e ci sarà sempre, qualcuno pronto ad ascoltare... e forse a lasciarsi convincere!» «Gradualmente, le linee principali del disegno nascosto dietro questa campagna d'odio e di calunnia sono emerse... e si tratta di una scoperta inquietante, e minacciosa,» prosegui Korkhann. «Perché c'era un disegno, John Gordon! Esiste un gruppo, tra le popolazioni non umane, che intende impadronirsi del governo del Regno di Fomalhaut... e questo piano esige, come prima mossa, la sostituzione di Lianna con un sovrano più gradito.» «Narath Teyn?» «Vedo che la vostra mente è pronta a cogliere i significati di una situazione, John Gordon. Sì... è vero, si tratta di Narath Teyn.» Korkhann esitò per un momento, e poi continuò, «E voglio rispondere anche all'altra domanda, John Gordon... quella domanda che non avete formulato a parole. No, altezza... non interrompetemi. Si tratta di una domanda onesta e legittima, e io desidero dare una risposta.» I suoi grandi occhi gialli fissarono Gordon, e in essi c'era una profonda saggezza, malgrado i lineamenti così bizzarri e alieni. «Vi chiedete per quale motivo io, che sono così diverso dagli umani, possa sostenere la causa umana contro la mia stessa gente. Non è forse così, John Gordon? Ebbene, vi darò la risposta, e si tratta di una risposta assai semplice... e cioè che, in questo caso, la causa giusta è proprio quella degli umani! Sì, il gruppo che sostiene Narath Teyn parla con grande eloquenza di giustizia, ma in realtà pensa soltanto al potere. E in tutto questo intrigo, c'è qualcosa... qualcosa di nascosto, qualcosa che non riesco a individuare né a comprendere. Io non so che cosa sia, John Gordon... ma so che si tratta di una cosa malvagia, di un male oscuro e tenebroso che ancora non ha un nome, al quale ancora non sono stato in grado di dare un nome, ma che mi riempie ugualmente di terrore!» Lentamente, scrollò le spalle piumate, e le piume frusciarono sommessamente nel silenzio. «E c'è di più. Narath Teyn, infatti...» Le sue parole s'interruppero, in quel momento... perché qualcuno aveva bussato imperiosamente alla porta. Lianna si volse in quella direzione, e la sua voce impartì un semplice, breve ordine: «Entrate!» La porta si aprì, e Gordon vide apparire un ufficiale, che subito scattò sull'attenti alla vista della principessa.
«Altezza,» disse il soldato del Regno di Fomalhaut, «Vogliate perdonarmi per questa intrusione. Il comandante Harn Horva vi chiede rispettosamente di raggiungerlo sul ponte... immediatamente.» Il suo sguardo si posò su Korkhann. «Anche la vostra presenza è necessaria, eccellenza, se non vi dispiace.» Gordon avvertì nell'aria una vaga sensazione di pericolo... qualcosa che non si poteva esprimere a parole, ma che esisteva ugualmente. Nessuno avrebbe bussato alla cabina dove la principessa di Fomalhaut si trovava, senza un grave motivo... e una così urgente richiesta, da parte del comandante dell'incrociatore reale, poteva significare soltanto una cosa... una situazione di emergenza. Lianna lo sapeva bene, perciò si limitò ad annuire brevemente all'ufficiale. «Naturalmente,» disse, e poi si rivolse a Gordon. «Venite con noi.» Il giovane ufficiale eseguì un perfetto saluto, e si avviò lungo il corridoio dell'incrociatore, seguito dalla principessa e da Gordon, che camminava accanto a Korkhann. Percorsero un lungo labirinto di corridoi lucidi come specchi e di angusti passaggi, e salirono fino al compartimento di comando dell'incrociatore siderale, che aveva conservato attraverso le ère l'antico, arcaico nome di «ponte». C'era un'intera parete curva che ospitava degli strumenti incredibilmente complessi, gli elaboratori elettronici che dirigevano il volo siderale, i sistemi di guida, i comandi che controllavano la velocità, la massa, e i controlli del generatore del campo stasi, presente nell'aria sotto forma di un'impalpabile, sottilissima nebbiolina azzurra, l'unico segno visibile della grande invenzione che aveva permesso agli uomini di abbandonare il loro sistema stellare e di creare i nuovi regni delle stelle. In quella vasta sala, sotto le lucide piastre di acciaio che formavano il pavimento, la pulsazione costante dei generatori era continua e intima come il battito del cuore nel corpo di un essere umano. Una serie di schermi forniva una visione dello spazio, per un arco di 180°, dando l'impressione di immense vetrate aperte sull'infinito, e offrendo uno spettacolo fantasmagorico ed esaltante, che Gordon ricordava fin troppo bene. Non si trattava di uno degli incrociatori dell'Impero Centrale della Via Lattea, come l'Ethne, ma la flotta reale di Fomalhaut era moderna e potente. I grandi schermi radar inquadravano lo spazio, in modo che nulla potesse sfuggire ai vigili occhi degli ufficiali, e, da un lato, si vedeva la massa poderosa dello stereo. Quando arrivarono sul ponte, Gordon si accorse che vi regnava un profondo, completo silenzio, rotto soltanto dal mormorio e dal ticchettio delle macchine. I tecnici pare-
vano trattenere il respiro, e la loro attenzione pareva divisa tra gli strumenti e il gruppetto silenzioso e teso che era riunito intorno agli schermi radar, ed era composto dal comandante, dal secondo di bordo, dal nostromo, e dai radaristi. Harn Horva, un uomo alto e vigoroso, dai capelli grigi, gli occhi penetranti e la mascella quadrata, si volse, e salutò militarmente la principessa e il suo seguito. «Altezza,» disse il veterano degli spazi, con espressione grave, «Perdonatemi se ho osato disturbarvi, ma era necessario.» Lianna accolse quelle parole con un breve cenno del capo. «Parlate, comandante.» Il veterano degli spazi indicò gli schermi radar, e il suo volto abbronzato dai raggi di molti soli appariva visibilmente preoccupato. L'occhio inesperto di Gordon non era in grado di comprendere chiaramente quello che gli schermi radar mostravano: c'erano miriadi di scintille prive di significato, dei punti luminosi che si spegnevano e si accendevano; e così egli rivolse tutta la sua attenzione alle ampie vetrate che mostravano direttamente lo spazio che l'incrociatore stava attraversando, quelle vetrate che non erano in realtà tali, ma grandi schermi che permettevano un'immediata visione dell'infinito. L'incrociatore reale che portava l'emblema del bianco sole fiammeggiante di Fomalhaut si stava avvicinando a una regione di polvere cosmica. Gordon la notò, dapprima, come una specie di tenue nebbia oscura, che offuscava lo splendore delle stelle, dietro di essa. Poi, guardando più attentamente, egli riuscì a distinguerne i singoli componenti... frammenti di relitti stellari che brillavano tenui nel chiarore di soli lontani, rocce, grandi come pianeti o piccole come case, rocce di tutte le dimensioni varianti tra questi estremi, avvolte da una corrente di polvere cosmica che si stendeva per quasi due parsec, nell'abisso sconfinato del cosmo. La grande nube di pulviscolo cosmico era ancora lontana: bastò uno sguardo a rassicurare Gordon sul fatto che l'incrociatore l'avrebbe superata, tenendosi a distanza prudenziale. Gordon guardò ancora, ma non riuscì a vedere altro. Non riusciva a rendersi conto del possibile motivo della tensione che regnava chiaramente sul ponte. Harn Horva, intanto, stava spiegando la situazione a Lianna. «Il radar normale indica solo i segnali consueti emessi da una nube cosmica di questo tipo, altezza... ma c'è dell'altro! I nostri rivelatori termici indicano la presenza di energia, emissioni di energia ad altissima frequen-
za, qualcosa che non ha assolutamente motivo di esistere nelle normali correnti dello spazio.» Il volto del comandante era cupo, e la sua voce era piena di apprensione, quando egli giunse seccamente alla conclusione. «Temo, altezza, che non ci siano altre spiegazioni da offrire. Dobbiamo concludere che ci sono delle astronavi, laggiù, in attesa... astronavi che usano quella corrente di pulviscolo cosmico come se fosse uno schermo protettivo!» «Un'imboscata?» domandò Lianna, con voce assolutamente calma. Solo Gordon riuscì a notare il lieve pallore del suo viso, e sentì che il cuore cominciava a battere più forte, dentro di lui. «È questo che intendete dire, comandante? Non capisco come ciò possa essere possibile! So che avete seguito la rotta di evasione tattica imposta dai regolamenti di sicurezza... e questo significa che siete stato voi a decidere le coordinate, di volta in volta, a intervalli irregolari, e servendovi dei comandi manuali. Com'è possibile che qualcuno, di chiunque si tratti, abbia potuto predisporre un'imboscata, senza prima conoscere la rotta che avremmo seguito?» «Potrebbe esserci sempre una spiegazione... la presenza di un traditore, a bordo!» disse Harn Horva, e poi, vedendo l'espressione della principessa, si affrettò a scuotere gravemente il capo. «Ma no, altezza... credo che si tratti di un'eventualità così remota, da apparire inverosimile. C'è un'altra spiegazione, però... ed è quella che mi appare più probabile, in queste circostanze. Direi che per seguirci vengano usati i poteri di molti telepatici.» La sua voce diventò ancor più secca, e ancora più grave. «Narath Teyn ne ha molti, al suo fianco, altezza... e certamente può contare sull'aiuto dei migliori!» Bruscamente, si rivolse a Korkhann. «Eccellenza, vi sarei profondamente grato se voleste darmi la vostra collaborazione.» «Volete sapere se ci sono realmente delle astronavi nascoste nella polvere cosmica, comandante?» domandò Korkhann, e chinò il capo. «Come avete detto, Narath Teyn può contare sull'aiuto dei migliori telepatici dei mondi non umani... e i membri della mia razza non sono tra questi! Cercherò comunque di fare quello che posso.» Si allontanò di qualche passo dall'inquieto gruppo degli ufficiali, che ora comprendeva anche John Gordon e la principessa di Fomalhaut, e rimase immobile, in disparte; lo sguardo dei suoi occhi gialli divenne remoto e assente, come se fosse stato smarrito in visioni inaccessibili agli occhi dei comuni mortali. Tutti gli sguardi degli uomini erano fissi sulla figura immobile del non umano; pareva che gli occupanti del ponte di comando trattenessero il respiro, in attesa. I generatori pulsavano e tuonavano, mentre
l'incrociatore siderale filava velocissimo nella distesa degli spazi, facendosi incontro alla nube cosmica. Sugli schermi radar, minuscole scintille verdi si accendevano e si spegnevano. Volgendo lo sguardo allo schermo del rivelatore termico, Gordon provò un tuffo al cuore... perché su quello schermo, improvvisamente, erano apparsi dei segnali, che erano poi subito scomparsi! Quell'oscuro senso di minacce sotterranee che John Gordon aveva confusamente avvertito sin dal primo momento ora pareva concentrarsi su quello schermo, e Gordon sentì un nodo alla gola, e scoprì di avere le labbra aride. E infine, la voce calma di Korkhann pronunciò la risposta: «Ci sono davvero delle astronavi. Quelle di Narath Teyn.» «E poi?» domandò Lianna, tenendo orgogliosamente diritta la testa, incurante del pericolo spaventoso che si nascondeva nella nube di polvere cosmica. «Voi avete sentito qualcosa d'altro, Korkhann... che cosa?» «Ho udito dei pensieri, altezza... pensieri umani e pensieri non umani, i pensieri di molte menti già pronte ad affrontare la battaglia. E poi...» Le dita sottili, che terminavano in artigli, si chiusero e si schiusero, in un segno di frustrazione e di collera impotente. «Ebbene, altezza, non ho potuto leggere chiaramente quei pensieri, i pensieri di coloro che attendono dietro la nube cosmica. Ma c'è un pensiero che sono riuscito a cogliere. Io credo, altezza, che ci stiano aspettando... non per prendere dei prigionieri, ma con l'intenzione di uccidere!» Capitolo Quarto Nelle mani del nemico Quelle parole produssero un improvviso tumulto, sul ponte di comando, e i soldati di Fomalhaut che occupavano i loro posti balzarono in piedi, lanciando esclamazioni di collera e di sorpresa e di sdegno. Harn Horva si affrettò a sedare il breve tumulto, impartendo un ordine breve e imperioso: «Silenzio! Non c'è tempo da perdere!» Il comandante si volse di nuovo a osservare gli schermi, e li studiò, con il corpo teso e immobile. Gordon lanciò un breve sguardo a Lianna. Era impossibile comprendere quali fossero i sentimenti che agitavano il cuore della sovrana di Fomalhaut... perché il suo bel viso altero e regale rimaneva impassibile, ed ella mostrava ai suoi uomini la freddezza e la sicurezza che ci si doveva aspettare da una principessa regnante anche nel momento del pericolo. E alla vista di quel
bel viso orgoglioso, Gordon cominciò infine a provare un senso di gelo... per la prima volta, cominciava ad avere paura. «Non possiamo lanciare un messaggio di aiuto a Fomalhaut?» domandò Gordon, indicando lo stereo. «Questo non è possibile: la distanza è troppo grande. E anche se così non fosse, a che servirebbe? I nostri amici che ci aspettano dietro la nube cosmica non perderebbero un istante prima di attaccarci, se intercettassero un segnale stereo proveniente dall'incrociatore, con una richiesta di soccorso... e voi sapete bene che lo intercetterebbero senz'altro!» Gordon lo sapeva bene, infatti. Il telestereo... l'invenzione prodigiosa realizzata dalla scienza galattica, che permetteva, grazie al più veloce dei raggi subspettrali, la comunicazione immediata con quasi tutti gli angoli della Via Lattea... non era certamente il più riservato dei sistemi di comunicazione! Con un brivido, Gordon ricordò lo spaventoso uso che ne avevano fatto i soldati della Nebulosa Oscura, quando la guerra era esplosa nella galassia, e le armate di Shorr Kan avevano varcato le frontiere per attaccare la flotta imperiale agli ordini dell'ammiraglio Giron... e gli incrociatori da guerra dell'Impero e dei regni alleati erano caduti come lucciole, distrutti da una terribile arma che aveva colpito le astronavi dall'interno, servendosi appunto dei telestereo. Allora era stato John Gordon, sotto le spoglie del principe Zarth Arn, a intuire il pericolo, e a guidare la flotta imperiale, infine, alla vittoria. John Gordon si pentì di non essersi servito della biblioteca ideofonica di Zarth Arn per aggiornarsi sugli ultimi avvenimenti della Via Lattea e della scienza galattica, se non a grandi linee... ma in fondo lui rimaneva un uomo del ventesimo secolo, e la scienza dei regni siderali era ancora qualcosa di troppo fantastico per lui. Ma ora il pericolo era reale! Gordon non aveva dimenticato i mille pericoli e le mille insidie dei regni siderali. In cuor suo, non aveva paura per se stesso... anche se pensava che sarebbe stata la più atroce delle beffe ritornare in quell'universo futuro per cadere in un angolo sperduto della Via Lattea, in un'imboscata di creature che non erano neppure umane, se doveva credere alle parole di Korkhann! Harn Horva raddrizzò le spalle, e il suo volto di veterano degli spazi assunse un'espressione cupa e ostinata. «Credo, altezza, che la nostra unica speranza sia quella di invertire la rotta, e di fuggire alla massima velocità verso la più vicina base della flotta imperiale. Se mi accordate il vostro permesso...» «No!» L'esclamazione uscì inaspettata dalle labbra di Lianna, e la sovra-
na di Fomalhaut fissò con improvvisa determinazione il volto aperto e onesto del comandante. «Non farete una cosa simile, comandante!» Gordon la fissò attonito. E anche il comandante tradì per un istante il suo stupore. Lianna sorrise, allora, un breve sorriso pallido privo di allegria. «Non c'è bisogno di ricorrere a una pietosa bugia, comandante Horva, per nascondermi la reale situazione... anche se vi sono grata per le vostre buone intenzioni! Sapete bene quanto me che il nostro incrociatore potrebbe distanziare le loro astronavi, ma non i proiettili dei loro cannoni atomici. Nel momento stesso in cui cambieremo rotta, si accorgeranno che abbiamo scoperto la loro imboscata... e non perderanno neppure un istante, prima di usare i loro cannoni siderali contro di noi, lanciando un nugolo di proiettili atomici!» Con estremo vigore, Harn Horva cominciò a parlare di azioni evasive e di batterie di missili intercettatori, ma Lianna non lo ascoltava... perché, con due rapidi passi, si era già portata alle spalle del tecnico che sedeva di fronte al telestereo. «Desidero parlare immediatamente con il Regio Centro delle Comunicazioni di Fomalhaut. Una normale comunicazione stereo... non prendete alcuna precauzione, prima di lanciare il segnale!» «Altezza!» esclamò il comandante, disperatamente. «Ma è esattamente quanto voi stessa avete sconsigliato! La comunicazione verrà immediatamente intercettata!» «È esattamente quanto desidero!» rispose Lianna, e Gordon provò un senso di allarme e di smarrimento, quando vide l'espressione dei suoi occhi grigi. Si volse verso di lei, allora, e cercò di parlare... ma Korkhann fu più rapido di lui. Le penne del non umano erano arruffate, un segno evidente dell'emozione che lo aveva pervaso. «Il vostro piano è audace, altezza, e si dice che a volte la fortuna aiuta gli audaci. Ma vi esorto a riflettere molto profondamente, prima di compiere il passo irrevocabile!» «Prima di compromettere me stessa, e tutti coloro che sono a bordo di questo incrociatore, voi compreso... non è questo che pensate, forse?» La voce di Lianna vibrava di emozione trattenuta. «Credete forse che non me ne renda conto, Korkhann? So bene che il rischio che stiamo per correre è grande... ma non esiste alcuna scelta, quando non ci sono altre strade da percorrere!» Guardando gli ufficiali e i soldati che la fissavano, pallidi, senza comprendere il significato di quel dialogo, ella spiegò, con voce
ferma e sicura: «Con il mio messaggio, informerò gli alti dignitari della corte di Fomalhaut che intendo procrastinare il mio ritorno alla capitale... perché desidero raggiungere prima di ogni altra cosa Marral, e rendere visita a mio cugino Narath Teyn, per un importante colloquio di stato. Ed è esattamente quello che mi propongo di fare!» Per un momento, le parole di Lianna parvero riecheggiare contro una parete di angoscioso silenzio. I volti di coloro che si trovavano sul ponte tradivano lo sbalordimento e l'incredulità che quella dichiarazione inaspettata aveva prodotto. Annunciare una visita a Marral, al pianeta sul quale regnava Narath Teyn, il peggiore nemico della principessa regnante di Fomalhaut! E andare là... gettandosi praticamente tra le braccia del nemico, di quel nemico che aveva predisposto un'imboscata nello spazio, con l'intenzione di uccidere la principessa e il suo seguito! Il silenzio fu interrotto, improvvisamente, dall'esclamazione di Gordon: «Che cosa?» Lianna proseguì, allora, come se non avesse neppure udito la voce di Gordon: «Voi tutti comprendete bene lo scopo di tutto questo. Non c'è ragione di allarmarsi, per una normale comunicazione a Fomalhaut, e così coloro che si trovano a bordo di quelle astronavi mi lasceranno parlare... e quando avrò parlato, sarà troppo tardi! Se verrà reso noto in tutto il mio regno che mi sto dirigendo a Marral, e se mi accadrà qualcosa di male durante il viaggio, nessuno avrà alcun dubbio nell'indicare in mio cugino il colpevole. E questo renderà vani i suoi intrighi! Perché, se anche le cose si volgessero al peggio, per noi, questo tradimento solleverebbe nell'opinione pubblica un'ondata di collera e di sdegno. Anche uccidendomi, il suo nome verrebbe indelebilmente macchiato da questo delitto, e i suoi progetti di successione al trono verrebbero rovinati irreparabilmente. Coloro che hanno teso l'imboscata nella nube di polvere cosmica si renderanno subito conto di questo... e capiranno che i loro intrighi sono stati sventati.» Il suo volto pallido fu sfiorato da un breve sorriso. «In realtà, quelli che dovevano essere i miei assassini diventeranno coloro che avranno il maggiore interesse a impedire che mi accada qualcosa di male, prima del mio ritorno a Fomalhaut. Perché Narath Teyn non oserà mai uccidermi, in circostanze tali da smascherare i suoi oscuri disegni, e rovinare tutte le sue ambizioni!» «A sentirvi, Lianna, sembra tutto molto facile!» esclamò Gordon, in tono veemente. «Ma dimenticate quanto potrà accadervi, quando sarete giunta a Marral. Voi sapete che vostro cugino e deciso a uccidervi... e così an-
date volontariamente nella sua tana, correte a mettervi nelle sue mani!» Si era avvicinato a Lianna, e la fissava, accalorandosi, e tutti i suoi pensieri erano rivolti a lei e al pericolo che stava per correre... e così non si accorse neppure del silenzio che era disceso sul ponte di comando, un silenzio carico di stupore, quasi scandalizzato. «No, Lianna, ascoltatemi! Il comandante ha avuto un'idea migliore. Non nego che la possibilità di sfuggire ai cannoni atomici di quelle astronavi possa essere esile, ma almeno si tratta di una possibilità! Mentre invece, con il vostro piano...» Gli occhi di Lianna erano grandi, freddi e grigi. Lei fissò per un lungo momento Gordon, e poi sorrise, un sorriso che incurvò appena le sue belle labbra. Qualcosa, nell'espressione di lei, fece morire d'un tratto le parole sulle labbra di Gordon. «Vi sono grata per la sollecitudine che mostrate per me, John Gordon, e comprendo il vostro turbamento. Ho preso in considerazione tutte le possibili obiezioni, e ho già annunciato la mia decisione.» Bruscamente, gli volse le spalle, e parlò al tecnico. «Chiamate Fomalhaut, per favore.» Il soldato parve esitare, e lanciò un'occhiata disperata ad Harn Horva, come se avesse voluto chiedere aiuto al suo comandante... ma il veterano degli spazi si limitò a scrollare il capo, in un chiaro gesto d'impotenza, e la sua voce suonò sicura, quando disse: «Hai udito l'ordine di Sua Altezza.» Né il comandante, né il tecnico, né gli altri ufficiali che si trovavano sul ponte diedero segno di avere notato l'improvviso, violento cambiamento di colore delle guance di Gordon, che diventarono prima rosse, e poi pallidissime, come se il sangue si fosse completamente ritirato dal viso dell'uomo della Terra. Per loro, come anche per Lianna e per il silenzioso Korkhann, in realtà, pareva che Gordon fosse diventato improvvisamente invisibile. Gordon fece un passo avanti, senza quasi rendersi conto delle proprie azioni, mentre la sua mente era un turbine di pensieri sconnessi. E allora le dita di Korkhann strinsero con fermezza il suo braccio, e accentuarono la stretta, e Gordon avvertì il contatto di quegli artigli non umani. Egli s'irrigidì, e poi cedette, e rimase immobile, dominando la propria collera. Guardò gli schermi, mentre Lianna parlava all'ossequioso dignitario di Fomalhaut che era apparso sul telestereo. Non accadde niente. L'oscura, minacciosa distesa della grande corrente di polvere cosmica rimaneva immota, immersa in quella sua antichissima esistenza silenziosa che nulla aveva a che fare con gli affanni e le angosce del genere umano, una solenne
distesa di reliquie di mondi troppo antichi perché la mente degli uomini potesse indugiare sui loro cosmici drammi. I suoi tentacoli oscuri celavano le stelle, e il silenzio degli spazi siderali l'avvolgeva. Per un istante, un pensiero irrazionale e assurdo s'insinuò nella mente di Gordon. E se il pericolo non fosse esistito? Se fosse stato Korkhann, per chissà quali insondabili motivi, a inventare quella misteriosa storia di astronavi e di pensieri omicidi? «Ma guardate qui, John Gordon!» bisbigliò la voce sibilante di Korkhann, quasi all'orecchio di Gordon. Le sue dita sottili, ad artiglio, indicarono gli schermi dei rivelatori termici, e le capricciose scintille che a tratti s'illuminavano su di essi. «Ogni scintilla rappresenta un generatore di raggi subspettrali. Perché la corrente siderale si muove... nulla è veramente immobile, nello spazio! E mentre la corrente si muove, anche le astronavi devono muoversi con essa, e questi rivelatori ci mostrano ciò che il radar non è in grado di vedere. Dubitate ancora, John Gordon?» «Perdonatemi, Korkhann,» disse Gordon, sommessamente. «Vedete, amico mio... voi avete il potere d'innervosirmi un poco.» «È questione di tempo, e riuscirete ad abituarvi alla mia presenza. E non dimenticate, John Gordon... non dimenticate che io sono veramente vostro amico.» Lianna concluse il suo messaggio, impartì dei brevi ordini al comandante, e abbandonò il ponte. Gordon la seguì, insieme a Korkhann. Quando furono nel corridoio scintillante dell'incrociatore siderale, Lianna si rivolse a Korkhann, e gli disse, in tono gentile, ma con occhi oscuri e tempestosi: «Volete scusarci, Korkhann?» Korkhann s'inchinò profondamente alla principessa, e si allontanò lungo il lucido corridoio, una grottesca figura dalla buffa andatura dondolante che pareva uscita da un sogno infantile. Lianna aprì la porta della cabina di soggiorno, impulsivamente, senza aspettare che fosse Gordon a farlo per lei. Quando furono entrati, e la porta si chiuse alle loro spalle, Lianna si volse a fissarlo, e nei suoi occhi grigi c'era una fredda collera che, stranamente, aumentava la sua bellezza. «Una cosa deve essere chiarita fin dall'inizio tra noi,. John Gordon!» esclamò Lianna. «Voi non dovete mai discutere le mie decisioni o contrastare i miei ordini, in pubblico!» Gordon sostenne il suo sguardo. «E in privato, Lianna?» domandò, senza alzare la voce. «Questa regola vale soltanto in pubblico, oppure voi regnate anche in camera da letto?»
Questa volta, fu Lianna ad arrossire. «So bene che non è facile capire, per voi... perché venite da un'epoca diversa, e da una civiltà diversa...» «Infatti. E vi dirò una cosa, Lianna: io non rinuncerò, mai, al mio diritto di esprimere i miei pensieri sinceramente.» Lei socchiuse le labbra, e allora Gordon alzò un poco la voce, non molto, ma con una nota nella quale c'era qualcosa che impedì a Lianna d'interromperlo. «E mi permetto di aggiungere che, quando io vi parlo da amico, dicendovi cose che escono dal cuore di un uomo che vi ama e che si preoccupa soltanto del vostro bene, non intendo essere schiaffeggiato davanti a tutti per averlo fatto!» La fissò con fermezza, e proseguì, con voce veemente, «Comincio ad avere dei dubbi, Lianna. Mi domando se non vi trovereste meglio con qualcuno più riguardoso dell'etichetta.» «Vi prego, cercate di capire! Io ho degli obblighi che superano e trascendono i miei sentimenti personali. Ho il peso di un regno sulle mie spalle!» «Vi comprendo perfettamente, Lianna,» disse Gordon, e nella sua voce c'era un poco di amarezza. «Perché un tempo io ho avuto il peso di un impero sulle mie spalle... l'avete forse dimenticato? Buona notte.» Le voltò le spalle, e uscì dalla cabina, senza fermarsi. Quando fu nel corridoio esterno, malgrado la collera che lo pervadeva, non riuscì a reprimere un breve sorriso. Si domandò quante volte, in passato, quell'orgogliosa figlia di sovrani delle stelle fosse stata così bruscamente piantata in asso. Ebbene, questo era certamente accaduto troppo raramente! Perché lui l'amava, di questo era certo... come l'aveva amata dal primo momento in cui l'aveva conosciuta, durante la Festa delle Lune. Ma era tutto così difficile... così inaspettatamente difficile. Lui si era illuso d'incontrarla di nuovo, e di vedere ricompensati finalmente i lunghi anni solitari dell'attesa, e che cosa aveva trovato? Freddezza, forse, o qualcosa di più sottilmente remoto... e ora lui cominciava a provare una sorda irritazione, un cupo risentimento che non voleva abbandonarlo. Nella sua cabina, rimase a lungo sveglio, sul comodo giaciglio, immerso in cupi pensieri, intento a domandarsi se il pazzesco piano di Lianna avrebbe potuto funzionare, se l'incrociatore sarebbe riuscito a sfuggire l'imboscata tesa dal nemico nella regione di polvere cosmica, per raggiungere Marral, dovunque esso si trovasse. In cuor suo, attendeva da un istante all'altro di sentire l'esplosione di un proiettile atomico, quell'esplosione che avrebbe disseminati i frammenti dell'incrociatore per tutta quella regione
dello spazio, aggiungendo nuovo pulviscolo a quell'antica corrente di polvere cosmica. Ma il tempo trascorse, e non accadde nulla, e così dopo qualche ora la sua mente ricominciò a pensare a Lianna, e a quello che avrebbe potuto essere, e al destino che li attendeva. E quando infine scivolò in un sonno inquieto, i suoi sogni furono tristi e agitati. In tutti quei sogni, lui perdeva Lianna... a volte nel cuore di una distesa livida e tenebrosa nella quale si muovevano ombre misteriose, e a volte in un'austera sala del trono, dove lei camminava, allontanandosi da lui, retrocedendo sempre di più, mostrandogli il volto, fissandolo con i suoi occhi, nei quali lui poteva leggere soltanto lo sguardo freddo e remoto di un'estranea. L'incrociatore sfiorò i confini della corrente siderale, compiendo una lieve correzione di rotta in direzione sud-ovest, e proseguì il suo volo nell'immensa distesa degli spazi, senza che nulla venisse a disturbarne il viaggio. Il giorno e la notte non esistevano, negli spazi siderali, ma erano semplicemente termini arbitrari stabiliti dagli uomini e registrati sul giornale di bordo. Quando Gordon si svegliò, per un istante, prima di aprire gli occhi, pensò di essere ancora nel suo appartamento, sulla Terra del ventesimo secolo: poi udì il profondo ronzio che pervadeva la cabina, la vibrazione musicale che era il pulsare della vita dell'incrociatore siderale, e aprì gli occhi, e vide un silenzioso soldato di Fomalhaut davanti a luì, apparentemente in attesa; forse aveva aspettato il suo risveglio, o forse era entrato in quel momento. C'era un atteggiamento profondamente rispettoso nel soldato, perché John Gordon aveva dimostrato di essere molto vicino alla principessa... ma c'era anche, così almeno parve a Gordon, quell'espressione perplessa e interrogativa con cui gli era parso di essere osservato, nei momenti in cui distoglieva lo sguardo... come se anche i soldati dell'incrociatore si domandassero chi fosse quell'uomo che non aveva un titolo nobiliare, che non pareva un alto ufficiale e certo non era un nobile, ma che aveva fatto la sua inaspettata comparsa a bordo dell'incrociatore della principessa regnante di Fomalhaut. Il soldato eseguì un perfetto saluto, e Gordon si affrettò a declinare l'offerta di farsi portare la colazione in cabina. Alla sua domanda, il soldato rispose: «Sua Eccellenza il ministro Korkhann sta facendo colazione nella mensa del comandante, signore.» «Va bene,» rispose Gordon. «Avvertite Sua Eccellenza che lo raggiun-
gerò tra breve, se non gli dispiace, e fatemi servire la colazione là.» Il soldato si ritirò, dopo un altro preciso saluto. Gordon sorrise, amaramente. Un tempo, lui era stato servito da uomini più rispettosi, e migliori... i più alti dignitari dell'Impero Centrale della Via Lattea, e gli impassibili, perfetti maggiordomi della corte di Canopo. Cercò di riscuotersi dall'umore cupo e dal senso di depressione che parevano essersi impadroniti di lui, e si affrettò a raggiungere Korkhann nella mensa del comandante. Il ministro non umano era solo, nell'ampia e lussuosa cabina. Gordon aveva voluto accertarsi di questo, perché non avrebbe voluto certo consumare la colazione in compagnia di Harn Horva e degli altri ufficiali dell'incrociatore. Lianna faceva sempre colazione nel suo appartamento privato. «Fino a questo momento, pare che la fortuna sia ancora decisa ad aiutare gli audaci,» disse Korkhann, senza alzare il capo, «Il piano di Sua Altezza funziona.» «E perché dovrebbe essere altrimenti?» domandò Gordon. «Quando la vittima sta camminando verso la trappola, che senso può avere cercare di prenderla lungo la strada, quando ancora ha una possibilità di fuggire?» «Narath Teyn potrebbe trovarsi in difficoltà a ucciderla sul suo pianeta, senza venire poi accusato del delitto di fronte a tutto il Regno di Fomalhaut, e di fronte a tutti i sovrani dei regni amici e alleati.» «Lo credete davvero, Korkhann?» Il non umano scosse il capo. «No, avete ragione, John Gordon. Conoscendo Narath Teyn, e il mondo su quale regna, e il popolo che lo abita, non credo proprio che una simile impresa gli possa essere difficile.» Tacquero per qualche istante, e poi Gordon sollevò il capo, e guardò negli occhi il non umano: «Credo, Korkhann, che fareste bene a rivelarmi tutto ciò che sapete.» Il non umano annuì. «Anch'io Io credo, John Gordon. Se avete terminato la vostra colazione, vi prego di seguirmi.» Andarono nella cabina di soggiorno, e subito Korkhann aprì il pannello che celava la mappa tridimensionale, nella quale i minuscoli soli del Regno di Fomalhaut brillavano come scintille nel buio. «Qui, lungo i confini sud-occidentali del regno, esiste una regione selvaggia, una distesa di astri vagabondi e di mondi disabitati e di pianeti inabitabili: in questa distesa, è possibile trovare qualche raro sistema solare capace di ospitare la vita, come Krens, dal quale io provengo. Le popola-
zioni di questi selvaggi sistemi stellari, disseminati nella regione che noi chiamiamo delle Stelle Perdute, sono tutte composte da non umani... come il popolo al quale io appartengo.» Con un ampio gesto, indicò una stella gialla dai bagliori rossastri, che ardeva ai margini di un'oscura nube di polvere cosmica. «Questa stella è Marral, e questo pianeta è Teyn, ove Narath ha stabilito la sua corte.» Gordon scosse il capo, perplesso: «Mi sembra un posto alquanto bizzarro, per la corte di un erede al trono.» «Vedete, John Gordon, Narath era soltanto il sesto, in linea dinastica, fino a poco tempo fa. Egli è nato su Teyn. L'intrigo e il tradimento spesso finiscono in un bagno di sangue, ma sono anche portati dal sangue... e nelle vene di Narath scorre il sangue di un cospiratore. Suo padre venne infatti esiliato per avere ordito oscuri intrighi, pochi anni prima della nascita di Lianna.» «E perché mai un uomo come Narath Teyn è così popolare tra i non umani, mentre Lianna non lo è affatto?» «Perché Narath Teyn ha vissuto sempre in mezzo a loro. Egli pensa come loro. Vi dirò, anzi, che è uno di loro, più di quanto non lo sia io stesso! I non umani appartengono a tutte le specie e a tutte le razze, John Gordon, sono figli di molte stelle diverse, sono prodotti dalle diverse condizioni di evoluzione che si creano su molti pianeti diversi. Molti sono così alieni da riuscire inaccettabili non solo agli umani, ma anche agli altri non umani. Ebbene, Narath li ama... tutti, indistintamente! È un uomo strano, e non credo che sia completamente sano di mente.» Korkhann fece scorrere di nuovo il pannello che copriva la mappa siderale, e volse le spalle alla parete, e tutto, nel suo atteggiamento, dimostrava una profonda agitazione. «Sua Altezza avrebbe fatto bene a darvi ascolto,» dichiarò. «Ci sono delle occasioni nelle quali è bene mandare all'inferno l'etichetta! Ma la principessa è troppo coraggiosa, per cedere alla paura come la ragione dovrebbe indicare, e non dimenticate che nelle sue vene scorre il sangue di uno tra i più grandi sovrani del Regno di Fomalhaut... come suo padre, lei non vorrà mai piegarsi alle minacce! In questo momento, è dominata dalla collera, e intende porre fine alle ambigue attività dì suo cugino.» Lentamente, Korkhann scosse il capo. «E io temo proprio, John Gordon, che Sua Altezza abbia aspettato troppo a lungo, prima di prendere questa decisione!» Lianna non gli offrì la minima opportunità dì tentare di farle cambiare la
propria decisione. Nelle ore che seguirono la drammatica rivelazione dell'agguato nella polvere cosmica, mentre la stella gialla e rossigna che si chiamava Marral cresceva sui grandi schermi del ponte di comando, e diventava un disco fiammeggiante sospeso nell'immensità dello spazio, sfiorato quasi dai tentacoli tenebrosi della polvere cosmica, la principessa regnante di Fomalhaut trovò ogni scusa per non rimanere sola con Gordon neppure per un momento. Egli riuscì a cogliere il suo sguardo, in un paio di occasioni, quando ella pensava che Gordon non la guardasse... e gli occhi grigi avevano una bizzarra espressione di perplessità e d'incertezza... ma a parte questo indizio, l'atteggiamento della principessa fu apparentemente amichevole, e molto formale. Gordon sapeva bene, però, che tra loro si era eretta una parete altissima... una parete che lui non tentò neppure di affrontare. In cuor suo, si disse che quello non era ancora il momento. Il grande incrociatore siderale di Fomalhaut iniziò la decelerazione, e si posò sul secondo dei cinque pianeti che gravitavano intorno al sole Marral. Teyn. Il pianeta di Narath! La polvere e il calore soffocante dell'atterraggio si dissiparono, rapidamente. Sul ponte di comando, Lianna era ritta davanti agli schermi che inquadravano il terreno, intorno all'astronave; accanto alla principessa c'erano il vecchio Harn Horva e il silenzioso Korkhann. Gordon era alle loro spalle, a qualche passo di distanza, e cercava di dominare la preoccupazione, e di quietare il battito precipitoso del suo cuore. «Hanno ricevuto il vostro messaggio, comandante?» domandò Lianna. «Sì, altezza. Abbiamo avuto la loro risposta.» «Non metto in dubbio la vostra parola, comandante. Il fatto è che mi sembra strano...» Tutto pareva incredibilmente strano anche a John Gordon. Gli schermi inquadravano una landa deserta, che si stendeva al di là dell'astroporto primitivo e chiaramente poco usato, con il suo edificio cadente e le rozze piattaforme e le banchine che potevano ospitare sì e no mezza dozzina di navi siderali. Oltre i solchi poco profondi delle «banchine» del porto siderale, si stendevano vaste foreste di alberi piccoli e sottili, che avevano il colore del grano maturo, e la cui forma era assai simile a quella di gigantesche spighe, dai moltissimi rami minuti, reticolati cangianti dalle sfumature tenui e soffuse. La luce era bizzarra, una pioggia d'oro che nelle ombre s'incupiva e diventava arancio. Una brezza, che non si udiva né si avvertiva, muoveva le cime di quegli alberi strani. A parte il perenne ondeggiare
di quelle fantastiche spighe mature, null'altro si muoveva sulla silenziosa superficie del pianeta. Lianna aveva le labbra serrate, e un'espressione indecifrabile, ma quando parlò, la sua voce suonò imperiosa e sicura: «Ebbene, se mio cugino non può venire a darmi il benvenuto, sarò io ad andare da lui. Preparate l'auto, comandante, e date disposizioni alla scorta. Partirò immediatamente.» Gli ordini furono impartiti, e ci fu un'attività ordinata e rapida in tutto l'incrociatore. Lianna si volse, e si avvicinò finalmente a Gordon. «Questa è una visita di stato, John Gordon. Non c'è bisogno che voi mi accompagnate, se non desiderate farlo.» «Non vorrei perdere lo spettacolo per nulla al mondo... altezza!» disse Gordon, accentuando volutamente l'ultima parola. Un lieve rossore apparve sul volto di Lianna, ma la principessa annuì, semplicemente, e si avviò verso il corridoio sottostante e il portello d'uscita. Gordon la seguì, senza aggiungere altro. Immobili davanti al portello, attesero che i soldati terminassero le operazioni di uscita dell'auto, una specie di proiettile cilindrico capace di raggiungere una notevole velocità, e di consentire gli spostamenti da un punto all'altro della superficie dei mondi toccati dall'incrociatore. Korkhann, che si trovava accanto a Gordon, non cessò neppure per un momento di fissare l'uomo con i suoi grandi occhi gialli e tondi e pensierosi. Ma durante le operazioni che preparavano lo sbarco, non furono pronunciate altre parole. Finalmente, la scorta si dispose rispettosamente intorno a Lianna, e, di conseguenza, anche intorno a Gordon e a Korkhann. Il capitano delle guardie che comandava la scorta salutò formalmente il comandante Horva, che gli affidò le consegne. Poi il portello si aprì, e il capitano delle guardie si volse, imperiosamente, ai suoi uomini: «Portabandiera!» abbaiò. Il portabandiera si fece avanti, rigidamente, tenendo alta la fiammeggiante bandiera del Sole Bianco di Fomalhaut, e si avviò verso la scaletta di sbarco. Lentamente, la bandiera reale sventolò nella brezza carica di profumi stranieri, e i soldati discesero a loro volta la scaletta, scortando la loro sovrana e il suo seguito fino all'auto. La bandiera di Fomalhaut venne assicurata dai ganci magnetici all'apposito supporto che si trovava sull'auto, e tutti i soldati s'irrigidirono sull'attenti, mentre Lianna saliva a bordo. L'auto era un veicolo cilindrico, corazzato, e fornito di bocche da fuoco, accuratamente mimetizzate. I soldati erano armati. Erano uomini decisi, e
si muovevano con la fredda efficienza delle truppe meglio addestrate, e Gordon ricordava bene il valore dei soldati di Fomalhaut, come era stato dimostrato durante lo scontro finale contro gli eserciti della Nebulosa Oscura... e tutto questo avrebbe dovuto tranquillizzare Gordon, mettere a tacere le sue oscure apprensioni. Ma non era così! Perché l'inquietudine di Gordon continuava stranamente ad aumentare. C'era qualcosa, nell'aspetto di quelle gigantesche spighe ondeggianti nel vento, in quel reticolato di rami che aveva un disegno che pareva così facile da seguire, e che invece cambiava continuamente, assumendo forme insolite e strane per l'occhio umano... c'era qualcosa di bizzarro nell'aria calda come l'alito di un gigantesco animale invisibile, profumata di mille aromi selvaggi e primitivi... c'era un senso di oscura minaccia, nell'astroporto abbandonato e silenzioso, come se in quelle distese percorse dalla brezza si nascondesse una minaccia senza nome. Istintivamente, Gordon provò un senso di avversione per quel pianeta apparentemente deserto. Era soprattutto il cielo a turbarlo, quel cielo che racchiudeva ogni cosa in una sfolgorante, soffocante cupola dai bagliori metallici, una cupola che pareva tangibile, come il coperchio di una trappola. E ancora non era accaduto nulla! Guardandosi intorno, Gordon capì che anche gli altri provavano i suoi stessi sentimenti... poté leggerlo sui volti tesi e determinati dei soldati, poté vederlo perfino sul volto orgoglioso e regale di Lianna, che guardava davanti a sé, apparentemente sicura, ma con il volto stranamente pallido... poté vederlo perfino nel silenzioso, impenetrabile sguardo dì Korkhann. E Gordon capì che quella cosa che si celava tra loro era la paura... una paura senza nome, inespressa, che nessuno voleva confessare, ma che gravava come una cappa plumbea. Non solo lui, dunque, in fondo uno straniero, provava quel senso di oscura minaccia! La principessa rivolse un segno impercettibile al capitano delle guardie, e questi abbaiò un ordine secco. Gordon poteva avvertire la tensione che aumentava. L'auto che portava la bandiera e l'emblema reale di Fomalhaut si mosse, dapprima lentamente, poi acquistando sempre più velocità, percorrendo un sentiero primitivo, allontanandosi dalla sagoma lucida e poderosa dell'incrociatore siderale, e poi lanciandosi giù per una discesa dirupata e scoscesa, ritrovandosi immediatamente lontano da ogni parvenza di civiltà. L'astroporto cadente, le antiche 'banchine' delle navi siderali, avevano dato un'impressione di solitudine e abbandono... ma almeno erano stati i segni dell'esistenza di una civiltà, un fragile, tenue contatto con i regni delle stelle e il mondo futuro che Gordon ormai conosceva.
Ma là fuori, tra le foreste di spighe dorate di Teyn, sotto i raggi gialli e rossigni di Marral... tutto questo era scomparso. Il paesaggio scorreva rapidissimo accanto a loro, mutava rapidamente, da una selvaggia pianura a un territorio assai più ondulato, fino a una catena di colline, dove la foresta si diradava lasciando il posto a fantastiche conformazioni rocciose. Le ombre si allungavano, intorno, purpuree e violacee sotto le fantastiche rocce, nei canaloni e tra i crepacci, mentre il pianeta girava veloce verso occidente, andando incontro all'abbraccio oscuro della notte. Improvvisamente, qualcuno lanciò un grido... forse il portabandiera, forse il soldato seduto ai comandi dell'auto, o forse lo stesso capitano delle guardie. Quel grido parve sciogliere l'immobilità piena di tensione che aveva paralizzato ciascuno fino a quel momento. Veloci, i soldati accostarono i fucili atomici alle nascoste bocche da fuoco dell'auto, e occuparono i posti di combattimento, ancor prima che Gordon avesse potuto scorgere quella che era stata la causa del grido di allarme. Poi, lentamente, Korkhann alzò la mano,, puntandola verso il pendio di una dirupata collina che si ergeva solitaria davanti a loro. «Guardate! Guardate lassù, tra gli alberi!...» C'erano delle forme erette e immobili tra gli alberi, protette dalle lunghe ombre del crepuscolo, un sinuoso spiegamento di sagome completamente irriconoscibili agli occhi di John Gordon. I soldati tacevano, a bordo dell'auto reale. Il sommesso sospiro dell'aria che usciva dai molti ugelli dell'auto, permettendole di filare sul terreno sorretta da ruote invisibili, si era fatto stranamente forte, nell'assoluto silenzio, e in quel momento di suprema tensione si udì giungere il prolungato squillo musicale di un corno argentino, un suono dolce e bizzarro, che produsse l'effetto di un prolungato, inesplicabile brivido in tutto il corpo di John Gordon... perché quello squillo aveva evocato fantasmi di ansia e di paura che non avevano un nome. E in quel momento, i loro ospiti si lanciarono incontro all'auto, scendendo come un fiume inarrestabile lungo il pendio della collina. Capitolo Quinto Il conte delle frontiere La voce di Lianna risuonò, vicinissima all'orecchio di Gordon, imperiosa
e urgente: «Non sparate!» Gordon fece per protestare, ma Korkhann gli strinse il braccio, e disse: «Aspettate!» Le creature scendevano come un fiume leggero e sinuoso dal pendio della collina, allargandosi a ventaglio per circondare l'auto reale, e le loro sagome aliene erano ancora indistinte per i continui giochi d'ombra e di luce prodotti dagli alberi ondeggianti nel vento. L'aria risuonava di grida, suoni striduli e acuti prodotti da gole che non erano umane, e quel concerto di grida diede a Gordon l'idea dell'espressione di un trionfo lieto e crudele. Cercò di guardare meglio, di distinguere infine quelle forme misteriose... e vide dapprima che erano grandi, gigantesche forme che possedevano quattro zampe, ma si muovevano agilmente, balzando come il vento da un punto all'altro del terreno. No, non c'era niente di pesante e di mastodontico nel loro incedere! Non avanzavano come pesanti quadrupedi, ma piuttosto con l'agilità dei felini, grandi felini dalle lunghe zampe, animali sulla cui groppa cavalcavano dei cavalieri... No! In quel momento, alcune tra le sagome agili si avvicinarono, e finalmente Gordon poté distinguere i misteriosi abitanti di Teyn. E capì di avere commesso un errore, un attimo prima. Perché quelle creature non portavano in groppa dei cavalieri! Gordon guardò quelle figure, una pioggia di colori, rame brunito e oro antico, colore del fumo degli sterpi nei boschi, nero lucido come le distese stellate... e dalle sue labbra uscì un'esclamazione di meraviglia, ed egli avvertì un'improvvisa, brutale stretta allo stomaco, e per un momento non riuscì a controllare i propri pensieri. No, quella sensazione che lui provava non era dovuta al fatto che le creature fossero orribili o spaventose... non si trattava certo di forme d'incubo o di abominevoli mostri! E, perfino in quel momento di suprema sorpresa, egli non riuscì a reprimere un'istintiva, riluttante ammirazione per la loro incredibile bellezza. No, il motivo di quella sensazione era completamente diverso... perché niente, nelle parole di Korkhann o di Lianna o nelle bobine ideofoniche che aveva frettolosamente consultato, lo aveva preparato a uno spettacolo così sorprendente e inatteso! L'animale agile come un felino, e quello che lui aveva scambiato per il suo cavaliere, erano in realtà un corpo solo... come i centauri delle leggende! Pareva che una forma di vita a sei zampe avesse deciso di camminare eretta, almeno parzialmente, adattando il tronco e la testa a forme quasi umane, solo che le angolazioni impossibili di quei corpi alieni non poteva-
no appartenere a un metabolismo anche lontanamente umano. Ma ancora più che il fantastico aspetto di quei corpi, erano i loro occhi a colpire in modo straordinario l'attenzione, a suggerire le idee più bizzarre e sinistre. Perché quegli occhi erano grandi e obliqui e luminosi, occhi felini che ardevano di una strana, insondabile intelligenza. Le loro bocche ridevano, ed essi si muovevano con la fluida gioia nata dalla potenza fisica e dalla velocità agile, ebbri di gioia di vivere e di un'armonia aggraziata che nulla aveva di umano. «Sono i Gerrn,» mormorò la voce sibilante di Korkhann, all'orecchio di Gordon. «La razza dominante di questo pianeta!» Ora le creature avevano circondato completamente l'auto, che aveva rallentato, ed era ormai quasi ferma. Gordon colse fuggevolmente l'espressione di Lianna: il bel volto della principessa era immobile, come impietrito, ed ella guardava fisso davanti a sé, pallida ma assolutamente calma. E ora la tensione, all'interno dell'auto, stava rapidamente crescendo, si faceva tangibile e dolorosa, come nei pochi, eterni attimi che precedono un'esplosione. «Korkhann,» mormorò Gordon, senza voltarsi. «Korkhann, voi siete in grado di leggere le loro menti, e di comprendere quali siano le loro intenzioni?» «No. Anche i Gerrn sono telepatici, e sono molto più potenti e abili di me. Vedete, John Gordon, essi sono capaci di isolare completamente i loro pensieri... non mi sono neppure accorto della loro presenza, fino a quando non li ho visti con i miei occhi. E credo... credo anche che stiano proteggendo allo stesso modo la mente di qualcun altro che si trova tra loro... Ah, ecco!» L'esclamazione di Korkhann giunse con un attimo di ritardo. Perché Gordon aveva già visto con i propri occhi! E capì, in quel momento, di essersi sbagliato ancora una volta. Uno dei Gerrn portava davvero un cavaliere. Era un uomo giovane... che doveva avere solo pochi anni più di Lianna. Un uomo alto, snello, agile e leggero, come gli stessi Gerrn. Egli indossava una tunica aderente, di color oro rugginoso, e la folta capigliatura castana gli scendeva come una criniera sulle spalle, sbiadita dal vento e dal sole. Il corno d'argento che aveva lanciato quell'unico, dolcissimo richiamo gli pendeva al fianco. Era in groppa a un enorme centauro maschio, dal pelo nero, che lo portò agilmente davanti al circolo di alieni in attesa, proprio di fronte all'auto. Allora l'uomo alzò le braccia, e le tenne spalancate, e sorri-
se, il sorriso di un uomo giovane e bello e arrogante, con gli occhi che parevano preziosi zaffiri... e quegli occhi parvero a Gordon più strani e misteriosi di quelli felini dei Gerrn. «Benvenuta!» gridò a gran voce. «Benvenuta a Teyn, cugina Lianna!» Ella chinò il capo. La tensione diminuì. I soldati ricominciarono a respirare normalmente, e ad asciugarsi i volti e le mani, che erano madidi di sudore. Narath Teyn portò allora il corno d'argento alla bocca, e lo suonò di nuovo, e nell'aria vibrò ancora quella lunga nota dolce e agghiacciante. Allora l'orda dei Gerrn si mosse, lanciandosi al galoppo sulle pendici della collina, circondando l'auto che riacquistò velocità, e si lanciò per la strada indicata dalle creature fantastiche. Due ore più tardi, il Palazzo di Teyn era un grande splendore di luci e un inebriante echeggiare di musica. Il palazzo sorgeva alla sommità di un'altura che dominava un'ampia valle percorsa da un fiume argenteo, dalle acque tumultuose, ed era una fantastica, barbarica costruzione di preziosi marmi indigeni e di preziosi legni esotici, con innumerevoli finestre spalancate per accogliere il tiepido respiro della notte. Immensi prati scendevano fino a lambire l'argine del fiume e il villaggio dei Gerrn, che sorgeva laggiù, protetto dagli alberi. In alto, il cielo notturno era uno spettacolo d'incomparabile splendore. La vicinanza della corrente cosmica produceva fantasmagoriche aurore, una pioggia di fiamme fredde dai mille colori che si stendevano da un orizzonte all'altro, celando e rivelando le stelle, riversando sul paesaggio riflessi mutevoli che parevano nati dalla fantasia di un artista pazzo e geniale. E in quella luce cangiante e mutevole, tra le mille sfumature e i riflessi superbi, arcane forme aliene volavano e strisciavano nei prati notturni, o entravano e uscivano dalle porte e dalle finestre aperte, o si appollaiavano silenziose sugli ampi davanzali delle finestre. Tra quei mille splendori, l'auto che portava l'emblema del Sole Bianco pareva stranamente fuori posto, con la sua forma cilindrica e il suo opaco riverbero metallico; e ancor più fuori posto apparivano i sei soldati inquieti e preoccupati che montavano la guardia al veicolo, sorvegliando la scena selvaggia, immobili nella notte profumata, mentre l'ufficiale di collegamento accostava alle labbra il microfono dell'apparecchio radio, a intervalli regolari, e pronunciava qualche parola, tenendosi in contatto con la lontana sala di comando dell'incrociatore reale. All'interno del palazzo, alte, scoppiettanti fiamme si levavano dai grandi focolari posti alle due estremità del gigantesco salone dei banchetti.
Dall'alto dei soffitti a volta, immensi candelabri ardevano di lumi fumosi, gettando torrenti di luce sui convitati. L'aria era greve per i mille aromi dei cibi e del vino aspro e del fumo e dei molti corpi ammassati, e su tutto dominava l'odore che Gordon coglieva, senza conoscerlo... l'odore dei corpi alieni, di un mondo diverso da tutti quelli che aveva conosciuto, l'odore di una vita selvaggia e gioiosa e mortale! C'era un solo tavolo, nella grande sala, lussuosamente imbandito, e a quel tavolo sedevano Gordon, Lianna, Narath Teyn e Korkhann, che riusciva magnificamente a usare la sedia e a comportarsi come gli umani senza perdere nulla della propria austera dignità. Tutti gli altri invitati che riempivano il salone preferivano i soffici tappeti e i morbidi cuscini che coprivano il pavimento, mentre preziosi boccali dell'aspro, profumato vino di Teyn venivano incessantemente distribuiti da silenziosi Gerrn, e immensi vassoi carichi di squisite vivande contribuivano a formare lo splendore barbarico di quella scena. C'era uno spazio libero, al centro del salone, con una specie di bassa piattaforma, sulla quale tre creature pelose e deformi suonavano un'inebriante melodia di flauti e tamburi, mentre due creature scarlatte, con un numero spropositato di braccia e di gambe, descrivevano una danza dalle ritmiche cadenze, con gesti stilizzati e armoniosi che parevano obbedire a un rigido rituale, come ballerini Kabuki: i volti allungati delle creature, e i loro occhi sfaccettati come quelli degli insetti, parevano maschere laccate, insondabili e ingannevoli nel balenare continuo dei fuochi e dei candelabri. Il rullare del tamburo si fece più veloce, e più cupo; i flauti suonarono con maggiore vigore. Le braccia e le gambe scarlatte si mossero più velocemente; i ballerini si muovevano con una cadenza ipnotica, sempre più veloci, dissolvendosi in una confusa macchia rossa davanti agli occhi di Gordon. Il caldo era terribile, l'odore penetrante e ferino dei molti corpi dei convitati non umani era intenso, quasi insostenibile per Gordon. Narath Teyn avvicinò il volto a quello di Lianna, e le disse qualcosa. Gordon non riuscì a udire le parole di quel sovrano barbaro, ma udì chiaramente la risposta di Lianna: «Sono venuta qui per raggiungere un accordo, cugino, e intendo avere un chiarimento definitivo. Tutto il resto non conta.» Narath Teyn chinò il capo, formalmente compito come il più raffinato dei diplomatici, e il suo atteggiamento era beffardo, uno scintillare malizioso dello sguardo, una leggera piega ironica delle labbra. Ora il padrone di Teyn indossava una splendida tunica verde, e i lunghi capelli castani e-
rano pettinati, fermati da un sottile circolo d'oro. I ballerini raggiunsero il momento culminante della loro danza, muovendosi con un'intensità impossibile, in un parossismo frenetico che nessuna creatura umana avrebbe mai potuto emulare, e poi si fermarono... un arresto brusco, improvviso, subitaneo, della musica e della danza. Il silenzio e l'immobilità furono così subitanei da stordire. Narath Teyn si alzò in piedi, allora, brandendo due capaci coppe di vino, e parlò, gridando qualcosa in una lingua sibilante e cantilenante, pronunciando suoni che non erano stati concepiti per una gola umana. Allora le creature scarlatte risposero, s'inchinarono profondamente, e avanzarono fino al tavolo, per accettare le coppe di vino, con un altro, profondo inchino. Un rumore assordante esplose nel salone, mentre i convitati esprimevano la loro approvazione e il loro applauso, ciascuno a suo modo. Approfittando di quel frastuono, Gordon accostò il viso a quello di Korkhann, e domandò, a bassa voce: «Dove tiene le sue astronavi, Korkhann? E dove sono i suoi uomini?» «Sull'altra faccia di questo mondo ci sono una città e un astroporto, John Gordon. Noi siamo discesi nell'astroporto più antico, quello segnato dalle mappe galattiche, ma l'altro è molto più vasto e operoso. Tra questi sistemi selvaggi esiste un commercio intenso e fiorente, e Narath Teyn ne detiene il completo controllo. A modo suo, è un autentico sovrano siderale... ed è un uomo ricchissimo e potente. E vi dirò anche che...» Il rumore scemò, nel salone, e allora un nuovo suono s'introdusse, gelando sul nascere le parole di Korkhann... un suono dapprima lontano, ma che aumentò d'intensità, fino a dominare brevemente tutto il resto. Era un suono che Gordon e gli altri conoscevano bene... il tuono sibilante e prolungato di un incrociatore siderale che stava atterrando, là fuori, da qualche parte. Gordon notò che Lianna s'irrigidiva, e venne preso a sua volta da un senso di pericolo incombente. «Ebbene,» disse Narath Teyn, guardando in alto con aria apparentemente innocente e stupita. «A quanto sembra, questa notte avremo degli altri ospiti! È proprio vero ciò che dice il proverbio... dopo una lunga siccità, viene il diluvio!» Subito dopo, parlò in una lingua gutturale e incomprensibile, e calò violentemente il pugno sul tavolo, scoppiando in una fragorosa risata, e il grande Gerrn dal pelo nero che lo aveva portato in groppa balzò subito nello spazio aperto lasciato libero dai ballerini. Il non umano era stato formalmente presentato a Lianna e al suo seguito: si chiamava Sserk, ed era il
capo della tribù Gerrn che viveva nella valle. Da quanto Gordon aveva capito, Sserk era in realtà il capo di tutti i Gerrn, benché quei non umani fossero un popolo fiero e indipendente; e la sua autorità era seconda soltanto a quella di Narath Teyn, su quel pianeta. Egli percorse lentamente un ampio circolo, muovendosi con gesti rituali, alzando, una dopo l'altra, le poderose zampe dagli artigli leonini, e tenendo le mani incrociate sul capo... e ciascuna brandiva un lungo, affilato pugnale. Il ritmo del suo movimento venne raccolto dalle voci dei Gerrn, che diventarono ben presto una ritmica, allucinante cantilena di ululati, che terminavano in un suono cupo e secco, e ricominciavano ogni volta che Sserk riprendeva a percorrere il suo lento, ipnotico circolo. Narath Teyn sedeva, con il volto rosso per l'eccitazione, e gli occhi lampeggianti, e il suo atteggiamento era estremamente compiaciuto. Il padrone di Teyn accostò nuovamente il viso a quello di Lianna, e le parlò. «Come vi stavo dicendo, John Gordon,» mormorò la voce di Korkhann, nel frastuono che dominava il salone, «Ho un altro sospetto... perché credo che Narath Teyn abbia degli alleati!» Gordon imprecò sommessamente, cercando di mantenere il suo atteggiamento impassibile, seguendo con lo sguardo i movimenti del Gerrn: «Non riuscite a leggere nulla, nella sua mente, Korkhann? Non riuscite a intuire i suoi pensieri?» «E come potrei farlo? I Gerrn lo proteggono. Riesco a sentire soltanto una soddisfazione intensa, quasi violenta, e non c'è bisogno di possedere arcani poteri per capire questo... voi stesso potete vedere la sua espressione! Ahimè, John Gordon, temo che le cose si mettano male, per noi!...» Un grido aspro, stridulo, interruppe la selvaggia cantilena, e un secondo Gerrn, un giovane maschio pezzato, dai fianchi possenti, balzò all'interno del circolo, e cominciò a muoversi lentamente, seguendo lo stesso rituale, ma girando in senso contrario a quello di Sserk, tenendo alti i due pugnali affilati dei quali era armato. Fissava Sserk con occhi ambrati, spalancati e splendenti, ancor più lucidi per i fumi del vino aspro che scorreva a fiumi nel salone. La cantilena divenne più bassa e cupa e ossessionante, il richiamo gutturale che concludeva ogni volta il sordo ululato si fece più minaccioso e violento. Lentamente, una cappa di silenzio calò sul salone, un silenzio nel quale la nota profonda dei Gerrn risuonava come una oscura minaccia. Tutti si fermarono. Delle teste grottesche si protesero per vedere meglio, braccia e gambe aliene si mossero, per trovare una posizione più comoda,
e poi si fermarono. I due Gerrn si mossero lentamente, ponendosi l'uno di fronte all'altro. I domestici, in maggioranza giovani femmine della tribù, con il pelo giovane ancora corto e arruffato, si fermarono a loro volta e si riunirono in un angolo, fissando la scena con grandi occhi splendenti di eccitazione. Sserk spiccò un balzo poderoso. I pugnali lampeggiarono, nel riverbero sanguigno del fuoco e nel chiarore dei candelabri, e il fendente improvviso venne parato dal pugnale dell'altro, e il sordo cozzo metallico parve riecheggiare sinistro per lunghi, interminabili secondi. Istantaneamente, Sserk abbassò il corpo, riprendendo l'equilibrio dopo il balzo improvviso, e le sue lunghe braccia si alzarono, la prima abbozzando un attacco, con una finta magistrale, la seconda vibrando il colpo con violenza, tentando l'affondo, protetta dalla prima che mulinava rapida il pugnale dalla lunga lama affilata, mentre il tronco si muoveva agilmente, le gambe reggevano sapientemente il peso del grande corpo agile. L'altro maschio indietreggiò, sottraendosi abilmente all'attacco, poi si rizzò per un attimo sulle zampe posteriori, e avanzò di nuovo, fulmineo, portando il suo attacco, che Sserk parò, balzando indietro. I due rivali ripresero allora a percorrere il circolo rituale, sempre muovendosi in senso contrario, fissandosi negli occhi, con i fianchi possenti che tremavano per l'intensità dell'attenzione e la tensione dei corpi. Per un istante, Gordon distolse lo sguardo da quella scena selvaggia, e d'un tratto s'irrigidì, e si sentì pervadere da un senso di fredda angoscia. Perché, mentre gli occhi di tutti i convitati erano fissi sui combattenti, Narath Teyn era l'unico a disinteressarsi del duello. Il padrone di Teyn non stava guardando da quella parte... il suo sguardo si volgeva sempre più frequentemente alle porte del salone, come se egli avesse aspettato qualcosa... o qualcuno... e i suoi occhi ardevano di una soddisfazione recondita, di una gioia così selvaggia e perversa che bastò uno sguardo a serrare la gola di Gordon in una morsa di apprensione. Lianna sedeva al fianco del cugino, eretta e orgogliosa e impassibile, una vera regina che si trovava a suo agio in quel salone barbaro, come se fosse stata comodamente seduta nel salone dei banchetti del palazzo reale di Fomalhaut, circondata dalla sua corte e dai dignitari del suo regno. Il mutevole splendore delle fiamme e dei candelabri illuminava la figura eretta e orgogliosa di Lianna, e la sua bellezza fece nascere un senso di smarrimento e di angoscia nel cuore di Gordon. Per un istante, egli si domandò se non avesse davvero osato sperare troppo... perché quell'orgogliosa regina,
quella creatura splendida che regnava su uno dei regni siderali, non poteva essere fatta per lui! Poi egli osservò meglio il pallore del viso di Lianna, e l'espressione dei suoi occhi grigi, e capì che ella aveva paura... aveva paura quanto e più di lui, John Gordon, ma il suo orgoglio e la sua dignità di sovrana le impedivano di dimostrarlo! Il duello continuò, apparentemente interminabile. Le mani rapide, le zampe omicide e terribili, i corpi sinuosi che ondeggiavano, avanzavano e arretravano con agilità felina, erano uno spettacolo pauroso e affascinante a un tempo. Gli occhi dei contendenti brillavano per il piacere della battaglia, una battaglia che non doveva proseguire fino alla morte... ma quasi. Bastò qualche minuto di lotta, e poi cominciò a vedersi il sangue... e passò qualche altro istante, e il sangue cominciò a scorrere più copioso, e coprì i corpi snelli dei duellanti, e gli spruzzi giunsero sugli spettatori più vicini, macchiando i loro corpi alieni; e allora la cantilena cambiò ritmo, si trasformò in un semplice ululato animale, che non aveva più nulla di rituale o di razionale, ma esprimeva solo il piacere sfrenato della lotta. Gordon non avrebbe voluto partecipare a quello spettacolo brutale e selvaggio. La sua mente si ribellava, di fronte alla barbarie di quella lotta. Eppure, per un momento, si accorse di non sapersi sottrarre a quel fascino" orribile! Suo malgrado, Gordon sentì che l'antica eccitazione crudele del primitivo nasceva dentro di lui, si accorse di osservare con avidità e con intensità dolorosa ogni minimo movimento dei contendenti, curvo sul tavolo, e dalla sua gola sfuggivano sordi' brontolii di approvazione o di sgomento, a seconda dei colpi mancati o andati a segno. «È uno strano vino, quello che Narath Teyn serve alla sua mensa,» mormorò al suo orecchio la voce aspra di Korkhann. «E non intendo parlare di quello che abbiamo bevuto dalle coppe!» Trasalendo, John Gordon si sentì improvvisamente riportato alla realtà delle cose. Provò un senso di imbarazzo, e di vergogna... perché lui si era lasciato trascinare dalla brutalità animalesca di quello spettacolo. Si volse, rapidamente, per lanciare un rapido sguardo a Lianna, ma la principessa sedeva, altera e silenziosa, ed era impossibile giudicare i suoi veri sentimenti dall'espressione del volto. Il duello proseguì, verso la sua conclusione, e mano a mano che i colpi si succedevano, l'esito apparve sempre più chiaro. Alla fine, il giovane maschio pezzato lasciò cadere i suoi pugnali, e si voltò, pesto e sanguinante, avviandosi verso la porta più vicina, e uscendo frettolosamente nella notte, mentre Sserk gridava vittoria e i Gerrn si assiepavano intorno a lui, co-
prendolo di elogi e di vino e di bende per medicare le ferite. Gordon provava, adesso, un senso di malessere, ora che l'eccitazione era passata, e allungò la mano verso la sua coppa di vino, e in quell'istante Korkhann gli toccò il braccio. «Guardate, John Gordon... alla porta!» John Gordon si volse da quella parte, perché inconsciamente si era accorto che coloro che si trovavano là non partecipavano all'entusiasmo generale, ma su di loro era disceso un cupo silenzio. E vide che c'era un uomo sulla soglia, un uomo alto e forte, che indossava una tunica di cuoio nero, con l'emblema ricamato sul petto, un emblema che riproduceva una mazza istoriata di gioielli, mentre la testa era coperta da un copricapo di metallo, metallo nero e leggero, ornato da una strana piuma bianca; un ampio mantello purpureo gli scendeva ai piedi, e la figura dava un'impressione dominante di crudeltà, di arroganza e di potere. Gordon vide che Lianna tratteneva il respiro, voltandosi, e poi respirava di nuovo, profondamente, e in quello stesso istante Narath Teyn balzò in piedi, e nei suoi occhi brillò una luce di trionfo che diede i brividi a Gordon. Il padrone di Teyn batté più volte il pugno sul tavolo, imponendo il silenzio, e poi sollevò le braccia sopra il capo, gridando il suo benvenuto al nuovo ospite della festa: «Il nostro palazzo è doppiamente onorato, questa notte! Dopo sua altezza Lianna, la mia amata cugina, ecco un nuovo ospite! Avanti, diamo il benvenuto a Sua Grazia Cyn Cryver, Conte delle Frontiere degli Spazi Ignoti!» Il conte s'inchinò profondamente, ed entrò nel Palazzo di Teyn, mentre i Gerrn si scostavano rispettosamente, per lasciarlo passare. Allora Gordon vide che il Conte delle Frontiere non era venuto solo... perché qualcuno lo seguiva. Il suo compagno indossava una lunga veste dal colore grigio scintillante, ed era incappucciato, un cappuccio dello stesso colore che gli nascondeva completamente il volto, come pure il vestito copriva completamente l'uomo, o la creatura, dalla testa ai piedi. La forma celata dalla veste grigia e dal cappuccio pareva stranamente tozza e deforme, e si muoveva in completo silenzio, con un'andatura fluida e sinuosa che Gordon trovò singolarmente orribile... come se l'incappucciato scivolasse sul terreno senza toccarlo, con l'incedere silenzioso di un serpente. Il conte si tolse rispettosamente il copricapo piumato, e si curvò per baciare la mano a Lianna, rispettosamente. «Che fortunata combinazione, altezza! Fortunata per me, almeno... per-
ché l'onore di trovarvi qui è superato soltanto dal piacere che mi procura la vista della vostra bellezza! Mi auguro che non siate dispiaciuta per il fatto che io abbia scelto lo stesso periodo del vostro soggiorno, qui, per fare visita a vostro cugino.» Lianna disse, con una voce dolce che era contraddetta dall'espressione fredda dei suoi occhi: «Le vie della fortuna sono davvero meravigliose, conte, e chi può indovinare quale piega prenderanno mai gli eventi?» «Mi auguro che siano molto lieti per voi, altezza... più di quanto lo siano stati nell'ultima occasione che ebbi per presentarvi i miei omaggi.» Il conte s'inchinò ancora. «Ricordo bene quali luttuosi avvenimenti seguirono quel lontano giorno, a Throon, nel quale noi Conti delle Frontiere degli Spazi Ignoti venimmo a rallegrarci per un lieto evento che venne così amaramente turbato...» Per un attimo, Gordon trasalì, e trattenne il respiro; e vide che anche Lianna era lievemente impallidita. Perché le parole del conte dimostravano, quanto meno, una mancanza di tatto e di diplomazia che un sovrano siderale non avrebbe mai commesso senza qualche motivo. Perché ora Gordon ricordava in quale occasione aveva conosciuto il conte Cyn Cryver! Ricordava un terribile giorno, a Throon, durante la festa che l'imperatore Arn Abbas aveva dato per festeggiare il fidanzamento tra suo figlio Zarth Arn e la principessa Lianna di Fomalhaut! E Cyn Cryver era stato presente, e aveva assistito al primo atto della lunga catena di delitti, intrighi e tradimenti che aveva portato l'Impero sull'orlo della catastrofe! Ma perché, ora, Cyn Cryver menzionava quell'avvenimento, se tutta la Via Lattea sapeva che il fidanzamento tra la principessa Lianna e il principe Zarth Arn era stato successivamente rotto di comune accordo, senza una spiegazione chiara da parte di nessuno? E perché, sopratutto, Cyn Cryver stava fissando lui, John Gordon, con uno sguardo che pareva carico di allusioni? Per un momento, Gordon aveva dimenticato che, in quei terribili giorni, il conte non aveva conosciuto lui, John Gordon, bensì quello che aveva ritenuto fosse il principe Zarth Arn. Perché, allora, quello sguardo così significativo? Fu solo un breve momento, che lasciò un profondo senso d'inquietudine nella mente di Gordon. Ma già Lianna si era ripresa, e stava rivolgendo un affascinante sorriso al conte e a Narath Teyn. «Mio caro cugino, non sapevo che tra i tuoi amici ve ne fosse uno illu-
stre come Sua Grazia. E sono certamente lieta di rivedervi, conte... almeno quanto voi dimostrate di esserlo nei miei confronti.» Per un momento abbassò le ciglia sui meravigliosi occhi grigi, e proseguì. «Ma vedo che siete in compagnia. Vorreste presentarmi questo vostro compagno?» La creatura incappucciata si mosse, nella parodia di un inchino, e produsse un sottile suono sibilante, poi scivolò in un angolo relativamente tranquillo, dietro il tavolo. Cyn Cryver sorrise, e fissò per un momento la figura pennuta di Korkhann. «Si tratta di uno dei più remoti e leali alleati dell'Impero, altezza, che preferisce rimanere velato per non offendere la nostra sensibilità. Posso aggiungere che occupa, nella mia corte, più o meno la stessa funzione che il vostro ministro Korkhann svolge per voi.» Gordon venne presentato al conte, che si inchinò brevemente, e gli rivolse un sorriso apparentemente innocente. «È un vero piacere conoscervi, John Gordon,» disse. «Sapete? Ho l'impressione di avervi già conosciuto...» «Questo è poco probabile,» si affrettò a intervenire Korkhann. «Il nostro amico giunge da molto lontano, e non credo abbia visitato le Frontiere degli Spazi Ignoti... soprattutto perché i Conti non incoraggiano certamente le visite di coloro che vogliono ammirare i loro regni.» Cyn Cryver s'inchinò, a questa velata accusa. «La Via Lattea è grande, eccellenza, e ci sono molte occasioni per conoscersi, e da parte mia posso aggiungere che i nostri impegni verso l'Impero non comprendono certo l'apertura delle nostre frontiere a persone che potrebbero avere intenzioni meno innocenti delle vostre!» «Cosa significano tutti questi discorsi?» gridò, improvvisamente, Narath Teyn, e scoppiò in una fragorosa risata. «Non siamo certo alla splendida corte di Throon, per parlare di cose tanto lontane da noi! Visto che le presentazioni sono state fatte, e che siamo tra amici, che si continui la festa!» La festa prosegui, nel suo splendore barbarico. Gordon si accorse che Korkhann pareva teso e distratto, e le sue lunghe dita artigliate si aprivano e si chiudevano spasmodicamente intorno allo stelo della capace coppa che conteneva il vino. L'atmosfera si fece ancora più soffocante, e ancora più rumorosa. Nello spazio libero, altri due giovani Gerrn, senza pugnali, cominciarono a girare in circolo e ad azzuffarsi, quasi per gioco, ma non solo per gioco. In fondo al salone, si accese una disputa tra due non umani, che appartenevano a due razze diverse; numerosi Gerrn accorsero, e la rissa venne prontamente sedata. I suonatori di flauto e di tamburo occuparono di
nuovo i loro posti, sulla piattaforma, e una creatura bizzarra, dall'aspetto cencioso, che possedeva due splendide ah, balzò sulla splendida balaustra ornata della grande scalinata e cominciò a strillare ritmicamente, intonando quella che nelle intenzioni doveva essere una canzone. Eppure, dietro a quella facciata di apparente allegria, parve a Gordon di cogliere una crescente sensazione sotterranea di disagio... come se un fantasma si fosse insinuato nella festa. Pareva che Sserk, e alcuni tra i Gerrn più anziani, avessero perduto ogni desiderio di bere e divertirsi. Uno a uno, cominciarono a ritirarsi, confondendosi tra la disordinata folla dei convitati. Gordon si domandò se anch'essi, come lui, fossero consapevoli della presenza dello straniero incappucciato e velato... una presenza che era come un alito di vento glaciale lungo la spina dorsale. E non era soltanto fantasia, quella! L'angolo nel quale la creatura era scivolata, confondendosi tra la folla, era ormai deserto, e lo spazio intorno allo straniero si faceva sempre più ampio, mentre i convitati furtivi raggiungevano altri punti del salone, o si allontanavano nella notte. Gordon rabbrividì: non riusciva a liberarsi dalla sensazione di essere osservato da quella maledetta creatura... era assurdo, eppure egli provava la certezza che, dietro al cappuccio grigio che nascondeva il volto, gli occhi di quella creatura rimanessero fissi su di lui. E il nervosismo si stava propagando a tutta la sala! Gordon ne ebbe la certezza, pochi istanti dopo, quando nel circolo dei lottatori, uno dei giovani Gerrn colpì il suo avversario con troppo entusiasmo, facendo sprizzare rosse gocce di sangue. Un mugolio cupo si diffuse intorno, e ben presto gli artigli e le zampe cominciarono a colpire duramente, e la lotta si fece furibonda. In quell'atmosfera stranamente cupa, d'un tratto Lianna si alzò in piedi, e gli altri si affrettarono a imitarla. «Preferisco lasciarti ai tuoi svaghi, cugino,» disse Lianna, con voce che pareva di ghiaccio. «Puoi ancora godere dei piaceri della notte. Noi parleremo domani.» Gordon non chiedeva altro che cogliere quella possibilità di sottrarsi all'atmosfera minacciosa del salone, e così fu subito accanto a Lianna, prima ancora che la principessa avesse terminato di parlare. Ma Narath Teyn insisté per accompagnarla negli appartamenti che le aveva riservato, e così Gordon e Korkhann furono costretti a seguire i due giovani di sangue reale a breve distanza, su per la grande scalinata che conduceva ai piani superio-
ri del palazzo di Narath Teyn. Non c'erano eleganti, moderne scalinate mobili, in quel palazzo che pareva avere rifiutato sdegnosamente le comodità offerte dalla scienza... ma Gordon era costretto ad ammettere che lo splendore e il lusso di cui Narath Teyn si circondava potevano eguagliare, a loro modo, anche lo splendore della stessa corte di Canopo. Quando giunsero alla sommità della grande scalinata, e s'incamminarono lungo l'immenso corridoio dall'alto soffitto a volta, e dalle pareti coperte di splendidi arazzi, il rumore della festa che giungeva dal salone cominciò a diminuire, tanto che ben presto poterono udire i loro passi riecheggiare nel solenne silenzio di quelle arcate. «Perdonatemi se l'esuberanza dei miei amici vi ha offeso, cugina Lianna. Avendo vissuto in loro compagnia da quando sono nato, spesso dimentico che altri possono forse...» «I tuoi amici non mi hanno certamente offeso, Narath, se è dei Gerrn e degli altri non umani che intendi parlare!» esclamò in tono veemente Lianna, voltandosi a fissare il cugino. «Sei tu che mi offendi, cugino! È la vista di un individuo come Cyn Cryver che mi offende! Questa è la verità, se proprio la vuoi sapere.» «Ma... cugina Lianna, che dite?...» «Dico che tu sei uno sciocco, Narath Teyn... uno sciocco, e un presuntuoso, perché ti sei messo a giocare per una posta che è molto al di sopra delle tue capacità. Meglio sarebbe stato, per te, accontentarti delle tue foreste, e dei tuoi fedeli Gerrn, che dici di amare tanto! Perché io ti avverto, Narath... quella che tu stai cercando di raggiungere correndo così frettolosamente non è altro che la tua rovina... e la rovina di coloro che tu ami!» Gordon vide che la figura snella di Narath Teyn si era irrigidita. I suoi occhi chiari lampeggiarono di collera, e un sorriso di sfida apparve per un momento sulle sue labbra. Ma il giovane signore di Teyn riuscì a controllarsi meravigliosamente. «Quale fortuna per i sudditi, cugina mia, che una corona possa donare tutta la saggezza a chi la porta, come tutti ben sanno! A che servirebbe discutere, di fronte a una così illuminata sovrana?» «Non credo che questa ironia ti si addica molto, cugino... poiché tu sei pronto a uccidere, per ottenere quella corona!» Narath Teyn la fissò, sinceramente sbalordito. Non negò, né Lianna gli diede la possibilità di farlo. Con un breve, orgoglioso gesto della mano, ella indicò i dieci soldati che completavano la scorta, e che erano immobili e vigili davanti alle porte dell'appartamento che le era stato assegnato.
«Ti consiglio, cugino, di spiegare a Sua Grazia, il conte Cyn Cryver, nel caso egli non lo avesse già capito, che la mia persona è ben protetta da soldati fedeli... uomini che non possono essere drogati, né corrotti, né spaventati, e che in nessun caso abbandoneranno il loro posto. Solo in un caso essi mancheranno al loro giuramento di fedeltà alla loro sovrana... se verranno uccisi. E se qualcuno pensa che questa sarebbe la soluzione migliore, vorrei indurlo a riflettere, prima di mettere in esecuzione i suoi progetti. Perché questi soldati possono venire uccisi, è vero, ma in questo caso dovrebbero essere uccisi anche tutti i loro compagni che presidiano l'auto, fuori, e che si mantengono in costante contatto con il mio incrociatore. Se questo contatto venisse interrotto. Fomalhaut verrebbe istantaneamente avvertita, e i soldati che si trovano a bordo dell'incrociatore giungerebbero subito qui, pronti a combattere. Cyn Cryver potrebbe servirsi dei suoi uomini per fermare i miei soldati, ma l'unico risultato che tu e lui otterreste da una simile decisione sarebbe, alla fine, la vostra totale distruzione, e la rovina delle vostre ambizioni.» Narath Teyn le disse, con voce stranamente rauca e sommessa: «Non abbiate paura, altezza.» «Non ho paura, infatti!» esclamò lei, in tono fiero. «E ora ti auguro la buona notte, cugino.» Lianna entrò nel suo appartamento, con l'incedere regale che si addiceva al suo rango, e i soldati si affrettarono a chiudere la porta, e si disposero intorno a essa, rigidi e severi. Narath Teyn lanciò a Gordon e a Korkhann una lunga occhiata enigmatica, poi s'inchinò brevemente, e, volgendo loro le spalle, si allontanò a grandi passi lungo il corridoio, in direzione della scalinata. Gordon fece per parlare, ma Korkhann fu veloce a stringergli il braccio, e a guidarlo verso gli appartamenti che erano stati loro riservati. Camminando lungo il corridoio silenzioso, Gordon tentò nuovamente di parlare, e ancora una volta Korkhann glielo impedì. Pareva che il non umano stesse ascoltando... qualcosa. La sua urgenza contagiò Gordon, che non protestò quando, giunti all'altezza dei loro appartamenti, non si fermarono, ma proseguirono sempre più rapidamente verso l'estremità opposta del corridoio, dove regnavano la solitudine e il silenzio e la penombra, appena rischiarata da qualche torcia fumosa. Quando furono là, Korkhann indicò, silenziosamente, l'angusta scala della servitù, che conduceva in basso. C'era una bizzarra disperazione nel comportamento di Korkhann, quando egli spinse gentilmente Gordon in quella direzione. «Per il momento, nessuno ci sorveglia,» disse Korkhann, sommessamen-
te. «È la nostra sola occasione, John Gordon! Devo raggiungere immediatamente l'auto, perché è vitale che io avverta subito Harn Horva!...» Gordon esitò. Il suo cuore batteva più forte, ora, il sapore della paura era di nuovo sulle sue labbra. «Cosa sta accadendo, Korkhann? Che cosa sapete, voi?» «Ora capisco tutto,» disse in tono disperato Korkhann. La sua voce sommessa pareva riecheggiare tra le pareti oscure, e vibrare di un senso inesprimibile di minaccia e di orrore. «Essi non hanno alcuna intenzione di uccidere la principessa!» I suoi occhi gialli erano pieni di orrore. «No, non vogliono farlo, perché quello che hanno preparato per lei è mille volte più orribile della morte!» Capitolo Sesto La morte veste di grigio A quelle parole, Gordon trasalì, e subito si volse dalla parte del corridoio più illuminata, nella direzione dalla quale erano venuti. «Lianna!» esclamò. «Presto, Korkhann... dobbiamo portarla fuori di qui!» «No!» esclamò Korkhann, muovendosi velocemente per trattenerlo. «Non avete alcuna speranza, John Gordon... perché la principessa è sorvegliata! Nelle camere vicine alla sua sono nascosti dei Gerrn. Se tentassimo di portarla via con noi, essi darebbero subito l'allarme... e non riusciremmo mai a uscire dal palazzo!» «Ma possiamo contare sull'aiuto dei soldati!» «John Gordon, ascoltate! In questo palazzo è entrata una forza che i soldati non possono combattere. Lo straniero incappucciato che è venuto col conte Cyn Cryver... Ho cercato di sondare la sua mente, e sono stato respinto da un colpo mentale che mi ha stordito. Io non sono un telepatico molto forte, Gordon... ma i Gerrn sono molto più forti di me! Alcuni di loro sono riusciti a penetrare, almeno parzialmente, dietro le barriere mentali dello straniero grigio. Io lo so... perché essi sono rimasti così sconvolti da ciò che hanno scoperto, che per breve tempo hanno abbassato le loro difese. Non avete visto in qual modo Sserk e gli altri anziani della tribù si sono allontanati dal palazzo? Sono in preda al terrore, a un terrore mortale, per quella creatura, e tutto si potrà dire dei Gerrn, tranne che si tratti di una razza timida!» Stava parlando così velocemente, e in tono così disperato,
che a fatica Gordon riusciva a seguire le sue parole. «Sserk stava guardando Lianna, John Gordon! Come già vi ho detto, in quel momento la sua mente non era protetta. E io vi ho letto delle cose orribili! Sserk vedeva la principessa come una bambola annientata, una povera idiota priva di volontà, incapace di pensare, ed era pieno di orrore, e si diceva che sarebbe stato infinitamente meglio se lei non fosse mai giunta su Teyn!» Ora Gordon provava una fredda sensazione di paura. «Volete dire che quello straniero ha il potere di...» «Quello straniero grigio è diverso da qualsiasi altra creatura che io abbia incontrato finora. Non so quale sia la sua natura, né da dove provenga, ma la sua mente è più letale di tutte le nostre armi... sì, perfino di quella alla quale la vostra mente sta pensando in questo momento!» Cominciò a discendere l'angusta scalinata, in preda a una viva agitazione. «Il successo del loro piano perverso dipende esclusivamente dalla segretezza. Perché se Harn Horva fosse avvertito del pericolo, egli invierebbe subito un messaggio al Consiglio di Fomalhaut, ed essi non oserebbero agire...» Forse avrebbero agito ugualmente, pensò Gordon. Aveva ancora sulla pelle l'orribile, viscida impressione dello sguardo dello straniero velato. Ma Harn Horva aveva dei soldati... e delle armi. Avrebbe potuto inviare dei rinforzi, troppi perché lo straniero grigio potesse affrontarli, anche con i suoi straordinari poteri. C'era un poderoso mezzo da sbarco, nella stiva dell'incrociatore siderale. Quel veicolo avrebbe potuto trasportare i rinforzi e le armi nel giro di poco tempo, non più di trenta minuti, e la sua torretta era armata con uno dei poderosi cannoni atomici dell'astronave. Sì... era necessario avvertire il comandante, prima che tutto fosse perduto! La scala li condusse in un breve corridoio di pietra, un corridoio disadorno, che contrastava stridentemente con il fasto degli appartamenti e degli altri corridoi del Palazzo di Teyn. Percorsero il breve tratto, e giunsero davanti a una porticina di servizio, aperta come tutte le porte di quel palazzo. Varcarono la soglia, e alle loro orecchie giunsero, dall'altro lato del palazzo, i rumori della festa. Poi camminarono nella calda, umida notte, tenendosi nascosti nel buio come ombre furtive, sotto il fastoso ardore delle mille aurore boreali che tracciavano arabeschi e pennellate maestose nel cielo violaceo. Quando giunsero all'angolo che portava alla facciata del palazzo, si fermarono, e, cautamente, Gordon si affacciò all'angolo per osservare la situazione. La facciata del Palazzo di Teyn era ancora un superbo ardore di luci e di colori, e molti convitati gaudenti continuavano a entrare e a uscire dalla
porta aperta, anche se il numero dei partecipanti al banchetto pareva stranamente diminuito. Coloro che si vedevano erano in gran parte non umani, ma tra loro i Gerrn erano pochissimi. L'auto si trovava nello stesso punto, immobile e silenziosa, e i sei soldati erano allineati all'esterno, mentre attraverso la parete trasparente si vedevano le figure del pilota e dell'addetto alle comunicazioni, che teneva in mano il suo piccolo microfono. Sollevato, Gordon fece un passo avanti. Silenzioso nell'ombra, Korkhann protese il braccio artigliato, e lo trattenne. «Troppo tardi!» bisbigliò. «Le loro menti...» Gordon ebbe un istante di esitazione, e in quel breve momento egli vide qualcosa... qualcosa che pareva il riflesso delle mille aurore su di un abito grigio, che scivolava silenziosamente accanto a un gruppetto di Gerrn, e rientrava nel palazzo. In quel momento, però, all'interno dell'auto, l'addetto alle comunicazioni si curvò, e pronunciò qualche parola nel microfono. «No, guardate!» bisbigliò Gordon. «Vi siete sbagliato, Korkhann. Sono sani e salvi... non vedete che l'ufficiale mantiene le comunicazioni?» Si liberò dalla stretta del non umano, e si avviò verso l'auto. Aveva già fatto cinque passi, quando uno dei soldati di guardia all'esterno lo vide, si volse, e spianò minacciosamente il suo fucile atomico. E in quel momento, nell'ardore delle luci che uscivano dalle finestre, Gordon poté vedere chiaramente il volto del soldato! Vide che anche gli altri si voltavano, uno a uno. Per un istante, si sentì pieno di orrore e di sgomento, e poi riuscì a fermarsi, e si voltò, e cominciò a fuggire, disperatamente, verso il riparo dell'angolo e dell'oscurità dai riflessi cangianti. I soldati abbassarono allora le loro armi, e ripresero la loro assurda veglia, ritornando ai loro posti, fissando con occhi vitrei e stolidi, che nulla avevano di umano, le molte forme aliene che balzavano e strisciavano sui prati e tra le macchie oscure degli alberi. «La prossima volta, John Gordon,» bisbigliò severamente Korkhann, «Fareste bene a darmi ascolto!» «Ma... l'addetto alle comunicazioni!...» «Il collegamento tra l'auto e l'incrociatore proseguirà immutato, come se nulla fosse accaduto. Ancora non capite, John Gordon? Credete forse che lo straniero grigio si possa arrestare davanti a un ostacolo così semplice?» Silenziosi e furtivi, indietreggiarono, tenendosi radenti alla parete oscura. Korkhann era in preda all'angoscia, e le sue piume frusciavano nella notte. «Ora non c'è più speranza di avvertire il comandante Horva! Ma dobbiamo
fare qualcosa, e presto...» Gordon sollevò il capo, e guardò in alto, là dove, ai piani superiori del maestoso palazzo, si vedevano le finestre dell'appartamento nel quale Lianna riposava. E forse lassù qualcosa stava già accadendo! Forse lo straniero incappucciato e velato stava già scivolando furtivo, con la sua fluida andatura serpentina, su per la grande scalinata, lungo il fastoso corridoio, per vibrare il suo terribile colpo contro le menti dei soldati che vegliavano sulla loro principessa, e trasformare quegli uomini fedeli e valorosi in ciechi, ebeti strumenti da usare per i suoi tenebrosi scopi! Quel pensiero riempì di orrore la mente di Gordon, ed egli strinse i pugni, lottando contro un senso di assoluta disperazione. Perché lui doveva agire! Non poteva permettere che Lianna, la sua Lianna, subisse un destino così atroce... non poteva permettere che tutto finisse così, quando in cuor suo sapeva che esisteva ancora una speranza di salvezza! Ma che cosa poteva fare? Quando lui aveva vissuto per la prima volta in quell'universo futuro, malgrado i terribili eventi dai quali era stato trascinato, era stato contro degli uomini che aveva dovuto combattere! Il suo segreto era stato protetto, perché nessuno aveva potuto leggergli nella mente... ma ora gli pareva di vivere in un incubo. Era forse strano che i non umani fossero tenuti al di fuori degli affari di stato, era forse strano che un tempo gli uomini avessero combattuto contro di loro, quando quelle creature possedevano il più orribile dei poteri... quello della mente, e la facoltà di leggere nell'animo e nella mente degli altri, per strapparne i più riposti segreti? Pensò ancora all'appartamento di Lianna, pensò alle stanze vicine, dove, mentre la principessa riposava inconsapevole della minaccia, i silenziosi Gerrn vegliavano, sorvegliando la vittima che era venuta a mettersi nella trappola, in attesa che il tenebroso intrigo di Narath Teyn si compisse! E per un momento, allora, John Gordon rimase immobile, come paralizzato, sorpreso lui stesso dall'enormità del pensiero che si era formato nella sua mente. I Gerrn! Essi amavano Narath Teyn... e provavano orrore e ribrezzo per lo straniero velato che era giunto in compagnia del Conte delle Frontiere! Repentinamente, Gordon volse le spalle al palazzo, e si mise a correre, attraverso i grandi prati dall'erba soffice e dal fragrante, strano profumo alieno, quei prati che scendevano con un dolce pendio verso il fiume, e verso le foreste di alberi alieni che parevano enormi spighe di grano, e circon-
davano come fruscianti guardiani i bizzarri tetti rotondi del villaggio dei Gerrn. Laggiù c'era oscurità, e silenzio, ma non aveva importanza! Per un momento, Gordon si volse, per controllare se Korkhann lo seguiva, e vide che il non umano era dietro di lui, e si muoveva veloce, malgrado la buffa andatura... e in quel momento, per la prima volta, Gordon fu lieto che il ministro di Lianna fosse telepatico... perché aveva capito senza bisogno di spiegazioni, e certamente anche lui comprendeva che era quella la loro unica speranza! E dopo pochi minuti, si avventurarono tra gli alberi. Si ritrovarono tra infinite ombre cangianti, e tremule, mutevoli luci che filtravano dai rami sottili, inondando il terreno dei molti colori prodotti dal perenne, cosmico concerto delle aurore boreali, e si ritrovarono tra i morbidi, sommessi suoni inconsueti di un villaggio alieno che viveva la propria esistenza, comprensibile a sé solo. E poi molte forme appena intuibili si riunirono nell'ombra, intorno a loro, e si udì il suono soffocato e minaccioso di grandi, poderose zampe che si muovevano nella notte. Nel cielo violaceo percorso da infiniti lampi di luce, nello spettrale chiarore di quella calda notte, Gordon vide finalmente i volti che lo stavano fissando, occhi obliqui, felini, impenetrabili, che raccoglievano e riflettevano i chiarori che solcavano gli orizzonti. Gordon aveva pensato di cadere in un parossismo di terrore, trovandosi tra quelle forme aliene, in quel luogo minaccioso... e invece no! Per un fuggevole istante, riuscì a provare un veloce guizzo di sorpresa... scoprendo di non avere affatto paura. Non c'era tempo, neppure per quello. Fissò i Gerrn, tenendo la testa eretta, e disse: «La mia mente è aperta a voi, sia che comprendiate la mia lingua oppure no. Sono venuto per parlare a Sserk!» Intorno a loro, si udirono dei fruscii, e altri rumori soffocati. Poi una maestosa forma nera si fece avanti, e una voce aspra e bassa disse: «Entrambe le vostre menti non hanno segreti, per me. Conosco il motivo che vi ha portati qui, e so quello che volete, ma non posso aiutarvi. Andatevene!» «No!» esclamò allora Gordon, in tono veemente. «Voi ci aiuterete, invece, per l'amore che portate per Narath Teyn. Non lo farete per noi, né per la principessa Lianna, che pure non vi odia e non vi ha fatto nulla di male! No, non lo farete per questi motivi, ma per il bene di Narath Teyn! Voi avete sfiorato la mente dello straniero grigio...» Il Gerrn si mosse, visibilmente a disagio, brontolando qualcosa d'incom-
prensibile. E allora Korkhann parlò, improvvisamente, facendo una domanda: «Ditemi, Sserk, voi che avete udito qualcosa dei loro pensieri... chi tra Cyn Cryver e lo straniero grigio, è veramente il padrone, e chi è veramente il servo?» La voce di Sserk risuonò cupa nella notte. «Lo straniero grigio è il padrone,» disse il Gerrn. «E il conte è il suo servo, anche se egli non lo sa ancora.» «E se Narath Teyn diventerà re di Fomalhaut, chi sarà allora il padrone?» Gli occhi di Sserk scintillarono per un istante, nel perenne, mutevole chiarore dell'aurora boreale. Ma infine il non umano scosse il capo. «Non posso aiutarvi.» «Ditemi, Sserk!» esclamò allora Gordon. «Quanto potrà durare il regno di Narath Teyn... per quanto tempo gli lasceranno il potere lo straniero grigio, e Cyn Cryver, e chiunque manovri i fili dietro le loro spalle? Narath Teyn chiede il potere per i non umani, ma essi che cosa vogliono?» «La mia mente può leggere i pensieri, ma non è in grado di vedere il futuro... e non sono in grado di vedere così lontano,» disse Sserk, e la sua voce era così sommessa da riuscire quasi inaudibile. «Ma qualunque cosa essi vogliano, non è certo per noi.» «Né per Narath Teyn! Ora hanno bisogno di lui, perché è il legittimo pretendente al trono, e se la principessa Lianna dovesse morire o fosse impossibilitata a regnare, lui occuperebbe con pieno diritto il trono di Fomalhaut. Ma questo vale solo per adesso! Voi sapete bene che ne sarà di Narath Teyn, alla fine! Voi lo sapete bene, Sserk!» Poteva vedere, ora, che Sserk stava tremando. Non gli lasciò tempo per riflettere: «Se davvero lo amate, salvatelo!» e poi aggiunse, con vigore, «Sapete anche che la sua mente non è normale...» Per un istante, Gordon temette di avere osato troppo. La mano dai lunghi artigli di Sserk si alzò, minacciosa, come se avesse voluto colpire l'uomo che aveva pronunciato quell'amara verità: «Ma lui ci ama!» esclamò il non umano. «Lui ci appartiene!» «E allora, fate in modo che rimanga qui. Altrimenti, sarà perduto!» Sserk tacque. La brezza umida muoveva le cime degli alberi alti, e i Gerrn esitavano, dondolandosi sui possenti corpi, incerti e inquieti. Gordon aspettò, e la sua mente era bizzarramente calma, con il pensiero fisso sol-
tanto sull'ultima, disperata soluzione che avrebbe dovuto tentare, se anche quel tentativo fosse fallito. Se i Gerrn rifiutavano il loro aiuto, allora Gordon avrebbe dovuto procurarsi un'arma, e avrebbe tentato in qualche modo di uccidere lo straniero velato e incappucciato. «Non potreste mai usare quell'arma, perché morreste assai prima!» disse gravemente Sserk. «E sia! Per il bene di Narath Teyn... per amor suo, vi aiuteremo!» E allora, per un breve momento, la tensione si allentò... quella tremenda tensione della quale Gordon non si era neppure accorto, quella tensione che gli aveva impedito perfino di provare timore o apprensione. La sua fronte si imperlò di sudore. Sentiva le gambe molli, e il suo corpo era percorso da un tremito irrefrenabile. «E allora, fate presto!» implorò, con voce rotta dall'angoscia. Si riprese, un poco, e si volse nella direzione del palazzo, pronto a correre là. «Non abbiamo un minuto da perdere! Dobbiamo portare fuori la principessa, prima che...» I Gerrn si mossero, lentamente, ma non c'era nulla di pigro nel loro movimento. Gordon scoprì, improvvisamente, che gli avevano bloccato la strada. «Voi no,» disse Sserk. «Voi dovete restare qui, dove noi possiamo proteggere le vostre menti, come stiamo facendo dal momento in cui vi siete avvicinati.» Gordon tentò di protestare, ma Sserk si fece avanti, e lo afferrò per le spalle, scuotendolo, come un padre impaziente avrebbe potuto scuotere un bambino disobbediente. «Ci sono i nostri fratelli di guardia, nel palazzo, ed essi sorvegliano la principessa. Noi possiamo farla uscire... voi non avreste alcuna speranza. Se tornerete là, la vostra sola presenza tradirebbe il nostro piano, e tutto sarebbe perduto!» «Sserk ha ragione, John Gordon,» disse sommessamente Korkhann. «Lasciateli andare da soli.» I Gerrn si misero in cammino: erano quattro, guidati da Sserk, e Gordon li seguì con lo sguardo, deluso, mentre essi si lanciavano veloci lungo il pendio, verso il palazzo che dominava la valle. Gli altri Gerrn si avvicinarono, formarono un circolo intorno a loro, e Korkhann disse: «Cercheranno di proteggere le nostre menti. Voi potete aiutarli, pensando ad altre cose...» Korkhann diceva bene: altre cose. E quali altre cose avevano importanza? Tuttavia Gordon tentò di obbedire, e i minuti cominciarono a scorrere, lenti come i rivoli di sudore gelido che scorrevano sul suo corpo, e d'un
tratto si udì una lontana esplosione di grida, deboli e confuse, che provenivano dal Palazzo di Teyn, grida che vennero seguite immediatamente da un sinistro crepitio di spari. Gordon trasalì, inorridito, e si accorse che la stessa emozione pervadeva i Gerrn... ma egli non ebbe tempo per formulare le molte orribili ipotesi che volevano affacciarsi alla sua mente. Non ne ebbe il tempo, perché Sserk stava giungendo al galoppo, tra gli alberi. Il non umano reggeva tra le braccia poderose un figura umana, che si dibatteva furiosamente. Dietro di lui venivano solo tre dei quattro compagni che erano partiti per il palazzo, e uno di essi giunse vicino al circolo dei Gerrn in attesa, vacillò, e il suo corpo si abbatté al suolo, con un tonfo pesante. «Eccola!» esclamò Sserk, e lasciò cadere Lianna tra le braccia di Gordon. «La principessa non riesce a comprendere. Cercate voi di farle capire la situazione... presto, altrimenti moriremo tutti!» Lianna continuava a divincolarsi, e il chiarore dell'aurora boreale si rifletteva nei suoi occhi grigi, che ardevano di sdegno. «Siete stato voi a organizzare questo complotto, John Gordon? Quei Gerrn sono usciti da una porta segreta, mentre mi preparavo a coricarmi... siete uscito di senno, forse?» Cercò di liberarsi, di sottrarsi alla stretta di Gordon, e il suo corpo era tiepido e furioso, sotto l'eterea veste da camera che la copriva. «Come osate presumere di...» Stringendo le labbra, Gordon la schiaffeggiò su una guancia, non senza provare una cupa soddisfazione. «Potete farmi giustiziare dai vostri soldati più tardi... altezza!» disse, aspramente. «Ma ora voi farete come vi dico, senza ribellarvi. La vostra ragione dipende da quanto farete ora, la vostra men...» E allora li colpì... un tremendo colpo mentale, come se un maglio si fosse abbattuto sulla mente di Gordon, paralizzandola, gettandola sull'orlo di un precipizio oscuro e senza fondo! Il volto pallido e sconvolto di Lianna si confuse e scomparve, davanti ai suoi occhi. Qualcuno lanciò un grido di orrore e disperazione... gli parve di riconoscere la voce di Korkhann... e dal circolo silenzioso dei Gerrn giunse finalmente del movimento, e una serie di gemiti disperati. Gordon avvertì, confusamente, la presenza intorno a lui di forze infinitamente superiori alle sue capacità di comprensione, forze allacciate in una terribile battaglia, intente a scambiarsi colpi mortali... e poi l'oscurità cominciò a dissiparsi, non completamente, ma quanto bastava a permettergli di udire la voce di Sserk che gridava: «Venite, presto!» Possenti mani Gerrn lo toccarono, lo spinsero avanti, incalzandolo, co-
stringendolo ad agire. Ora il suo corpo non era più paralizzato! Aiutò gli altri a sistemare Lianna sul dorso possente di Sserk, e fu issato a sua volta sul dorso robusto di un altro Gerrn. Il villaggio era stato colpito da un'ondata di panico, pareva trasformato in una sola, frenetica esplosione di terrore. Le femmine Gerrn stavano correndo tra le case, apparentemente senza scopo e senza ragione, trascinando con loro i piccoli. Sserk si lanciò al galoppo tra gli alberi, seguito da una decina di Gerrn, quelli che dovevano essere gli anziani della tribù, i guerrieri più forti di quel popolo orgoglioso. Gordon si aggrappò al dorso del suo Gerrn, con la forza della disperazione, e il Gerrn galoppò tra foreste e praterie, s'inerpicò agile e ansioso per i pendii di molte colline, si lanciò giù per i dirupi, scavalcando con balzi leggeri i corsi d'acqua che procedevano sinuosi sotto il chiarore delle molte aurore, irrompendo senza esitare attraverso siepi di arbusti bizzarri. Riuscì a vedere Korkhann, che si aggrappava, molto più leggero e più agile, al dorso di un altro Gerrn, e, davanti a lui, la veste eterea che celava e rivelava a un tempo la bellissima figura di Lianna fluttuava nel vento prodotto dal galoppo veloce di Sserk, in un ondeggiare fantastico di veli e trine. Sopra le loro teste, l'aurora stellare fiammeggiava, remota e stupenda, con i suoi fieri bagliori di un rosa scarlatto e di un gelido verde, di un bianco abbagliante e di un viola intenso. Gordon non avrebbe mai dimenticato quella fantastica galoppata nella notte, con la figura bianca di Lianna davanti a lui, sul dorso del capo Gerrn, e con il terrore alle spalle... Perché dietro di loro si udivano dei rumori e dei movimenti impetuosi, regnava una grande agitazione, ma non bastava! Cera qualcosa d'altro... la paura! Qualcosa che si trovava nelle profondità più segrete dell'essere di Gordon pareva nascondersi e tremare, in attesa di un secondo, terribile colpo. Egli riusciva a immaginare lo straniero grigio, velato e incappucciato, che si muoveva con quella sua bizzarra agilità serpentina, e fluiva e strisciava ondulando per i prati e tra i boschi, con la sua lunga veste ondeggiante... E i suoi terrori si avverarono. Venne di nuovo, quel terribile, intollerabile colpo che non aveva nulla di fisico, ma che era vibrato contro la mente, contro ciò che nell'uomo è più forte e più fragile a un tempo. Gordon riuscì questa volta a reggere l'urto spaventoso, ma vide che Lianna si afflosciava, come una bambola di stracci, e cominciava a scivolare dal dorso di Sserk, mentre gli altri Gerrn stringevano le fila, intorno a lei, facendole scudo con i loro poteri inimmaginabili. Questa volta, la folgore mentale era stata di-
retta esclusivamente contro di lei. E poi la forza di quella folgore mentale s'indebolì, molto più rapidamente di prima, e si allontanò. «Gli dèi siano ringraziati!» esclamò raucamente Korkhann. «Quella creatura ha dei limiti! La forza diminuisce con la distanza.» «Sì,» disse Sserk. «Ma anche le nostre menti s'indeboliscono, per la stanchezza.» Il Gerrn galoppò più velocemente, attraversando una grande foresta, mentre la principessa si aggrappava disperatamente alle sue spalle. Gli altri affrettarono il passo, traendo dai loro corpi possenti anche le stille più riposte di energia. Eppure a Gordon pareva che avanzassero lentamente, arrancando e strisciando, attraverso distese interminabili di boschi dorati, sotto quel bizzarro cielo ardente. «Ascoltate!» esclamò, a un tratto. C'era un rumore nuovo, in lontananza, un suono sommesso e frusciante, come se un vento più forte soffiasse tra gli alberi. «Sì, è la nostra auto,» disse Korkhann. «Lo straniero grigio ci sta inseguendo!» I Gerrn aumentarono ancora l'andatura, tenendosi ancora più lontani dalla strada. Ma non riuscirono a distanziare quel sibilo minaccioso, che anzi si avvicinava sempre di più. E Gordon comprese, pur non possedendo poteri telepatici, che i Gerrn erano in preda al terrore, e già si preparavano a ricevere un nuovo colpo. Un ultimo sforzo, una nuova altura, e finalmente giunsero al limitare della foresta. L'edificio cadente dell'astroporto apparve davanti a loro... e sulle antiche banchine, le lunghe forme snelle dei due incrociatori siderali, uno con l'emblema del Sole Bianco, l'altro con l'emblema della Mazza, erano immobili sotto la pioggia di ombre e luci dell'aurora cosmica. Finalmente, allora, Gordon scivolò a terra, e prese in braccio Lianna, che cadde, esausta, dal dorso poderoso di Sserk. «Lo straniero grigio è vicino,» disse il Gerrn, ansando. Gordon non udiva più il sibilo dell'auto. Doveva essersi fermata, nelle vicinanze della spianata che circondava l'astroporto. Sentiva un brivido freddo percorrergli il corpo, e i capelli, sulla nuca, si rizzavano come se ci fosse stata una forte corrente elettrica. «Vi siamo grati,» disse, rivolgendosi al Gerrn. «La principessa non dimenticherà quanto avete fatto.» Strinse Lianna tra le braccia, e si volse con lei, pronto a balzare verso
l'incrociatore. Alle sue spalle, udì la risposta di Sserk: «Quello che è fatto, è fatto. Non c'è bisogno di gratitudine.» In quel momento, udì il grido di Korkhann: «Non abbandonateci in questo momento... altrimenti lo avreste fatto per niente! Io non posso proteggere la principessa con le mie sole forze!...» Gordon si mise a correre, tenendo Lianna tra le braccia, sull'antico terreno dell'astroporto, e tutta la sua mente e tutta la sua anima erano fisse sulla luce che usciva dal portello aperto. Sentì i passi più leggeri di Korkhann, alle sue spalle. Per un istante, pensò che lo straniero grigio avesse deciso finalmente di arrendersi, e che non sarebbe accaduto nulla. E poi, silenziosamente, la folgore di tenebra si abbatté su di lui, e lo fece cadere in ginocchio, martellandogli implacabilmente i sensi. Lianna gli sfuggì, e allora Gordon riuscì a ritrovarla, per puro istinto, e la udì gemere sommessamente. Lottò, ciecamente, in preda al terrore, per aprirsi la strada in un mare impenetrabile di oscurità, verso una lontana scintilla di luce. Poi apparvero delle mani, si udirono delle voci eccitate. La scintilla diventò più vivida, anche se era ancora confusa. Gordon emerse da gelidi abissi di terrore, dalle arcane dimensioni della paura; e allora vide dei volti, delle uniformi, degli uomini e delle armi, vide Lianna distesa tra le braccia di Harn Horva, il cui volto di antica roccia pareva tradire per la prima volta lo sgomento, e poi sentì che qualcuno lo sorreggeva, e lo portava via. Lontano, si udì un rumore frusciante, sibilante, e Gordon pensò, singolarmente, a un furioso vento di tempesta che si fosse ritirato, sconfitto da qualche montagna troppo inaccessibile. Si udirono altre voci eccitate, un campanello di allarme cominciò a suonare, e il sordo rimbombo di un cannone atomico lanciò la sua sfida alla notte. Sì, ora potevano dirsi salvi! Perché l'essere grigio doveva ritirarsi, adesso, poiché la forza della sua mente non poteva combattere i soldati e le armi dell'incrociatore. Gordon ebbe la forza di mormorare una preghiera di ringraziamento, e vide, in quel momento, che due soldati stavano trasportando il corpo inerte di Korkhann su per la scaletta, all'interno dell'incrociatore; gli occhi gialli di Korkhann erano vitrei, il non umano era evidentemente privo di sensi. La voce di Harn Horva si levò come un tuono, dominando tutti gli altri rumori: «Prepararsi al decollo! Presto!» Si udirono delle voci concitate, e Gordon avvertì solo confusamente
quello che accadeva... la scaletta venne ritirata, i portelli si chiusero, le paratie stagne si chiusero a loro volta, con pesanti clangori, i campanelli d'allarme si misero a suonare, gli altoparlanti entrarono in funzione, chiamando i soldati ai loro posti... poi ci fu il profondo ruggito del decollo, la vibrazione che pareva permeare ogni cosa, quel momento di peso intollerabile, e infine l'incrociatore si sollevò maestoso nel cielo notturno, ove ardevano tutte le splendide luci dell'aurora! Poi Gordon scoprì di essere nella sala di soggiorno dell'incrociatore, e Lianna si stringeva a lui, pallidissima, con i grandi occhi grigi che parevano specchi di terrore, tremante come una bambina spaurita. Più tardi, quando l'incrociatore si trovò nello spazio, e Teyn fu scomparso a poppa, immerso nell'oscurità della grande nube di polvere cosmica, Gordon teneva ancora stretta a sé Lianna, l'accarezzava e la confortava, con infinita dolcezza. Poco tempo dopo, Korkhann riprese i sensi a sua volta. Aveva uno sguardo allucinato, ma riuscì a dire, con voce nella quale l'orgoglio e il terrore si mescolavano: «Per un istante... sì, per un istante io sono riuscito a fermarlo... con le mie sole forze!» Sempre tenendo Lianna stretta a sé, Gordon si volse, e domandò, con voce sommessa: «Ditemi, Korkhann... chi era... che cosa era... quello straniero grigio?» «Non credo che egli appartenga al nostro universo, John Gordon!» mormorò Korkhann. «Ho intuito qualcosa di misterioso, e di orribilmente sinistro. Sento che un male antico si è risvegliato, e che giorni di terrore incombono sulla Via Lattea! Io...» Scosse il capo, e s'interruppe, e per un momento non volle dire altro. Poi disse, con voce grave: «Una cosa è sicura... se Narath Teyn può contare su alleati di quel genere, egli è assai più pericoloso di quanto avessimo creduto, altezza! E temo... temo che la minaccia non incomba soltanto sul Regno di Fomalhaut!» Lianna parve ritrovare una parte del suo coraggio. Tenendosi stretta a Gordon, ma sollevando il capo con l'orgoglio di una regina, disse: «Ebbene, ora conosciamo il pericolo! Tra breve giungeremo a Fomalhaut, e là convocheremo subito un consiglio di guerra.» I suoi occhi grigi parevano fissare un punto lontanissimo, oltre lo spazio, e forse oltre il tempo. «E io credo che dalla decisione che verrà presa dipenderanno la sopravvivenza o la caduta del mio regno... e forse anche le sorti della pace
nella galassia!» Capitolo Settimo Consiglio di guerra Fuori, sotto il chiarore delle lune sospese nel cielo, gli antichi sovrani di Fomalhaut si ergevano freddi, sognando i loro sogni di pietra. Dalle luci lontane dell'immensa città fino al grande palazzo reale, si stendeva il titanico viale fiancheggiato dalle statue, undici dinastie e più di cento re, che troneggiavano più grandi di quanto non fossero stati in vita, per intimorire ed evocare rispetto e reverenza nei viaggiatori che percorrevano quella strada. Nessuno, però, la percorreva a quell'ora tarda della notte, e il viale era immerso nel silenzio, e nella luce cangiante delle lune che solcavano veloci il cielo, i volti di pietra parevano cambiare espressione, sorridere, adirarsi, meditare severi su problemi insondabili a chiunque all'infuori di loro. Sovrani delle stelle! Silenziose, arcigne sentinelle che vegliavano sulla via che conduceva al grande palazzo reale di Fomalhaut, il massiccio, lussuoso palazzo esagonale che di giorno scintillava al chiarore della bianca stella che dava nome a quel sistema, e di notte si trasformava in un palazzo incantato, nel biancheggiare dei marmi e negli arcobaleni delle grandi vetrate di cristallo, mentre veloci le lune pellegrine delle notti di Fomalhaut tracciavano il loro eterno sentiero nella volta celeste! Nella vastità silenziosa e oscura della sala del trono, davanti alla grande vetrata che mostrava quel viale poderoso, John Gordon si sentiva piccolo e insignificante. Dalle pareti immerse nell'ombra, altri volti severi lo fissavano, eternati sui preziosi quadri e ricamati sugli antichi arazzi... i volti di tanti altri grandi personaggi della lunga storia del Regno di Fomalhaut; e a Gordon pareva di cogliere un immenso disprezzo, in quegli sguardi severi. Uomo della Terra, uomo dell'antico Ventesimo Secolo, che ora si trova a più di duecentomila anni nel gorgo insondabile del passato! Che cosa fai, tu, qui, così lontano dal tua tempo e dal tuo spazio? Che cosa faceva, infatti? Qual era il suo posto, in quell'universo futuro? Una sensazione di tremenda solitudine, di terribile estraneità, strinse alla gola Gordon, e gli parve di essere afferrato da un vortice, di cadere, precipitare in un nulla urlante e senza fondo, come un'anima perduta che vagasse in un abisso vertiginoso di parsec e di secoli.
Cercò di sottrarsi a quella sensazione, di lottare contro di essa, come già gli era accaduto altre volte. Lui era sempre John Gordon, un uomo della New York del Ventesimo Secolo, anche se ora si trovava a miliardi di miglia e a duemila secoli da tutto ciò che aveva conosciuto. Era sempre se stesso, anche se per due volte aveva varcato l'abisso d'incubo del tempo e dello spazio. Perché lo aveva fatto? Perché aveva accettato il rischio della dissoluzione e della morte, e aveva permesso che gli atomi del suo corpo venissero scomposti e ricomposti nel futuro più remoto? Ancora una volta, insidiosa, nella sua mente s'insinuò l'eterna domanda... lui sognava, oppure era quella la realtà? Quella domanda portò nel suo animo lo sgomento, e un'ondata di paura, ed egli provò il desiderio di correre via, di cercare la sicurezza dello studio di Keogh, di ascoltare la voce calma dello psichiatra, di farsi spiegare da lui il significato dei suoi problemi. Provò in quel momento un'appassionata nostalgia per il suo vecchio, semplice, arido mondo conosciuto, nel quale aveva trascorso così gran parte della sua vita, e quel senso tremendo di alienazione lo serrò alla gola. Aveva pensato di trovare la felicità, in quell'universo futuro... ma la realtà era stata diversa dal suo sogno! Aveva pensato di ritrovare Lianna, la sua Lianna, colei che aveva amato fin dal primo momento, la meravigliosa, orgogliosa principessa delle stelle che aveva popolato i suoi sogni e le sue veglie, dopo il tempo troppo breve trascorso con lei sotto le spoglie di Zarth Arn. E, ritornando, aveva scoperto che una nuova barriera si era eretta tra loro... una barriera più insidiosa e terribile del segreto che una volta li aveva divisi. Perché lei, Lianna, era una sovrana, e lui, John Gordon, non aveva posto in quell'universo futuro. Era forse quello che lo rendeva così distante, che accentuava il distacco, che contribuiva a creare quella barriera tra loro? Era l'orgoglio di Lianna a dividerli, o forse era John Gordon che peccava d'orgoglio, e non sapeva rassegnarsi a vivere come un'ombra fedele al fianco di una regina, sapendo che gli affari di stato e i doveri di corte dovevano avere, sempre, la precedenza sui sentimenti personali? Cercò di allontanare dalla sua mente quell'insidioso pensiero. Perché non era così! Lui sapeva che nulla poteva dividerlo da Lianna... e per un breve momento, dopo la spaventosa fuga nella notte tiepida di Teyn, gli era parso che la barriera si fosse infranta, tra loro. Ma forse il male era in lui! Perché quando era stato nel suo mondo più semplice, quando aveva vissuto dapprima come semplice contabile, poi
acquistando sempre più importanza nel suo lavoro, a New York, lui aveva pianto e si era logorato di desiderio e rimpianto, sognando di ritornare un giorno a quei mondi delle stelle, e all'amore di Lianna! E ora... ora provava forse nostalgia per quel mondo e quel tempo? Era lui, dunque, che non riusciva a trovare il suo posto nell'universo? Sarebbe mai, mai riuscito a trovarlo? Aveva la fronte coperta di sudore, e tremava, mentre rimaneva nell'ombra, ai margini dell'immensa sala. Trasalì violentemente quando udì una voce sibilante, una voce che era aliena come tutto ciò che lo circondava. «È strano, John Gordon, che voi non abbiate avuto paura nel momento del maggiore pericolo, e che ora siate qui a tremare, quando il pericolo si è allontanato... almeno per ora!» La figura di Korkhann era così indistinta, nell'oscurità della sala, che avrebbe potuto anche essere umana. Poi le piume del non umano frusciarono, e il suo viso dal grosso becco e dai tondi, saggi occhi gialli uscì dall'ombra, e venne illuminato dai raggi delle lune. Era difficile comportarsi irosamente con Korkhann, eppure Gordon, in quello stato d'animo, vi riuscì. «Vi ho chiesto più volte di non leggermi nella mente!» esclamò, irato. «Voi non comprendete molto dei poteri telepatici,» disse Korkhann, con voce conciliante. «Io non ho violato la vostra intimità mentale. Ma non posso evitare di percepire le vostre emozioni.» Dopo un istante di silenzio, aggiunse, «Devo accompagnarvi al consiglio... è stata la principessa Lianna a mandarmi qui.» Quella cupa depressione era rimasta nell'animo di Gordon, e il nome di Lianna fece nascere in lui una bizzarra mescolanza di umiliazione e di collera. «Quale bisogno può avere Lianna di me?» domandò, aspramente. Perché dopo quel breve momento nel quale ella era diventata una bambina spaventata, che lui aveva potuto stringere tra le braccia, Lianna era ritornata la principessa, remota, distaccata, bellissima, con la mente rivolta agli affari di stato, e il cuore... chi poteva sondare il suo cuore? Ella pareva evitarlo deliberatamente, anzi, come se avesse provato vergogna per quel momento di cedimento, e la vista di Gordon glielo riportasse alla mente. E così, dopotutto, lui era ancora lo straniero, il primitivo... «In un certo senso, lo siete davvero,» disse Korkhann, questa volta leggendo sfacciatamente il pensiero di Gordon. «Lianna è una donna, ma è anche la principessa regnante di un regno siderale, l'erede di una dinastia
antica quanto quella degli Imperatori di Canopo... sapevate questo, non è vero? John Gordon, dovete comprendere che questa relazione è difficile per lei quanto lo è per voi.» Il non umano fissò Gordon, con i suoi grandi occhi gialli. «Io credo che voi e Lianna dovreste cercare le risposte in voi stessi, e non diversamente.» «Oh, all'inferno!» esclamò Gordon. «Adesso comincio a ricevere dei consigli sentimentali da... da un...» «Da un pappagallo troppo cresciuto?» completò per lui la frase Korkhann. «Presumo che un 'pappagallo' fosse una delle creature alate del vostro mondo. Ebbene, continuo a dirvi che il consiglio è sempre valido.» «Perdonatemi, Korkhann... non volevo offendervi,» mormorò Gordon, pentito; e le sue scuse erano sincere. Comprendeva di comportarsi come un bambino capriccioso. Respirò profondamente, e sollevò il capo, cercando di dominare quei suoi assurdi sentimenti. «Vedete, Korkhann, la verità è che io...» «A volte, vi sentite smarrito. Non è così, forse? E credete che questo non sia naturale? Avete scelto una strada molto strana, John Gordon, forse la più bizzarra che mai essere vivente abbia scelto. Non sarà mai una strada facile. Ma voi lo sapevate prima, e lo sapete bene anche ora. Ma è tardi... volete seguirmi?» «Sì, Korkhann, verrò,» rispose Gordon. Uscirono dall'immensa sala del trono immersa nell'ombra, e percorsero gli ampi corridoi del palazzo. Era molto tardi, e solo pochi domestici e ciambellani camminavano silenziosamente nei corridoi, e videro solo un paio di soldati che indossavano l'uniforme d'onore della Guardia Reale di Fomalhaut, eppure Gordon ebbe l'impressione che il silenzio che avviluppava il palazzo fosse carico di tensione, e di un oscuro, torvo senso di pericolo. Sapeva che si trattava solo della sua immaginazione, che il pericolo, per ora, non esisteva là, a Fomalhaut, ma si annidava ben più lontano, nelle Frontiere degli Spazi Ignoti, ai selvaggi confini della Via Lattea. Eppure il fatto che il Consiglio del Regno di Fomalhaut si fosse riunito a un'ora così tarda, poche ore dopo l'atterraggio dell'incrociatore reale che li aveva condotti nella splendida capitale del regno dalla sinistra, minacciosa bellezza delle foreste e delle pianure di Teyn, era una prova sufficiente della gravità con cui veniva considerato il pericolo. Finalmente essi giunsero al termine di un corridoio illuminato, e si trovarono di fronte a una porta dai battenti dorati; un soldato che indossava l'uniforme delle guardie di palazzo scattò sull'attenti, alla vista di Kor-
khann, e disse: «Affrettatevi, eccellenza. Sua Altezza la principessa Lianna vi attende!» Il soldato aprì la porta, che subito si richiuse alle spalle dei due nuovi arrivati, e John Gordon fronteggiò il Consiglio di Fomalhaut. La sala nella quale erano entrati non era vasta come l'immensa sala del trono, ma pareva intima e raccolta; e, all'ingresso dei due, quattro volti fissarono Gordon, con espressioni che andavano dall'irritazione alla palese ostilità. Korkhann era l'unico componente non umano del Consiglio, e Lianna, che sedeva a un capo del grande tavolo ovale intorno al quale si svolgevano i lavori, sollevò il capo, rivolse un breve cenno di saluto a Gordon, e, in tono formale, pronunciò i nomi di coloro che erano presenti a quella riunione. Korkhann gli aveva parlato degli altri quattro membri del Consiglio... si trattava dei più elevati rappresentanti delle due camere che reggevano il parlamento di Fomalhaut, e fungevano nominalmente da portavoce del popolo; ma Gordon in realtà sapeva che essi erano i consiglieri personali della sovrana, e che nessuna decisione, a Fomalhaut, veniva presa contro il loro volere. E gli bastò uno sguardo per comprendere che essi non avrebbero preso alcuna decisione a lui favorevole! «Ora che anche Korkhann e John Gordon sono presenti,» annunciò in tono grave Lianna, «Possiamo iniziare i lavori!» «Maestà!» Il più giovane dei quattro, un uomo di mezza età, dalle folte sopracciglia, si alzò in piedi, visibilmente sdegnato. «Credete che questo sia necessario?» Si volse a fissare Gordon, per un momento, e poi aggiunse, seccamente, «Siamo stati informati del vostro attaccamento a quest'uomo, a questo John Gordon della Terra, ma non riesco a capire perché...» «Neppure io riesco a capire tanti perché, temo,» disse Gordon, senza alzare la voce. «Ciononostante, sono stato convocato qui, e sono venuto.» Neppure Lianna alzò la voce, ma il suo tono era determinato: «È necessario, Abro. Sedetevi, John Gordon!» Il posto libero si trovava all'altro capo del tavolo, di fronte al posto occupato da Lianna. Gordon sedette, ribollendo interiormente di collera per quell'accoglienza così ostile, ed evidentemente Korkhann si rese conto dei suoi sentimenti, perché gli bisbigliò all'orecchio: «È proprio necessario essere così bellicoso?» Venendo da un uccello dall'aspetto vagamente umanoide, dai grandi oc-
chi gialli e saggi, questa osservazione ebbe il potere di far sorridere Gordon. Sentì che il suo risentimento diminuiva un poco, e cominciò a prestare attenzione ai lavori del Consiglio. Il consigliere che Lianna aveva chiamato Abro rimase in piedi, e parlò, volgendo le spalle a Gordon e ignorandolo con un'ostentazione che era un insulto deliberato. «Maestà, per me la situazione è assai semplice. Il tentativo che Narath Teyn ha fatto contro di voi, la sua audacia nell'usare la forza contro la sovrana di Fomalhaut... tutto questo dimostra che egli è pericoloso. Il mio consiglio è quello di colpirlo, nella maniera più dura e definitiva! Propongo d'inviare uno squadrone d'incrociatori da guerra a Teyn, per impartire una lezione memorabile a lui e ai suoi Gerrn.» Intimamente, Gordon era d'accordo... perché chiunque fosse stato così perverso, o così pazzo, da fidarsi di un alleato come quello straniero grigio, meritava certamente la distruzione. Lianna, però, scosse lentamente il capo, e i suoi capelli biondi parvero ondeggiare intorno al suo viso. «Non è mio cugino Narath il vero pericolo. Egli ha tramato per molto tempo per salire al trono, e prendere il mio posto, ma potendo contare soltanto sui suoi non umani, barbari e primitivi, non avrebbe mai ottenuto nulla. Adesso, invece, egli viene semplicemente usato come una pedina da forze che in gran parte ci sono ignote... ma tra le quali una almeno ha un nome, e cioè Cyn Cryver, uno dei Conti delle Frontiere degli Spazi Ignoti!» «Se è così, dobbiamo sferrare l'attacco contro le Frontiere!» esclamò in tono veemente Abro. Gordon cominciò a provare simpatia per quell'uomo così aggressivo e impulsivo, malgrado l'accoglienza ostile che, gli aveva riservato. Ma la voce esitante e non umana di Korkhann si fece udire nella sala del consiglio, e come sempre le sue parole erano sagge e concilianti: «Ci troviamo di fronte a un mistero ben più tenebroso di quanto possa apparire. Narath Teyn e i Conti delle Frontiere sono soltanto delle figure secondarie... e dietro di loro, stanno operando delle forze oscure e ignote! Una di queste entità si trovava a Teyn, e ci avrebbe annientati, se i Gerrn non avessero deciso di aiutarci. Chi sia, o che cosa sia, non possiamo neppure sospettarlo, ma i suoi poteri sono terribili... e di una cosa siamo certi: anche il conte Cyn Cryver è una pedina, in questo gioco.» «Usiamo la forza contro Cyn Cryver, e scopriremo chi, o che cosa, si trova dietro di lui,» disse uno degli altri consiglieri reali. «Abro ha ragio-
ne.» «Credo che tutti voi abbiate dimenticato un particolare,» disse Lianna. «I conti delle Frontiere sono alleati dell'Impero.» «E non lo siamo anche noi, forse?» esclamò Abro. «E tutti sanno che noi siamo degli alleati migliori e ben più fidati!» Lianna annuì. «Sono d'accordo. In ogni caso, però, non possiamo intraprendere un'azione di guerra contro le Frontiere, senza esserci prima consultati con l'Imperatore, a Throon.» Queste parole non erano gradite ai consiglieri di Lianna, e Gordon se ne accorse subito. Come quasi tutti i cittadini dei regni minori, essi possedevano un orgoglio smisurato, e l'idea di chiedere a qualcuno il permesso di fare qualcosa andava contro i loro principi. Eppure l'Impero era sempre l'Impero, la più grande potenza della Via Lattea, la forza di coesione dei molti e divisi regni siderali... l'Impero Centrale della Via Lattea governava un numero incalcolabile di stelle e di mondi e di sudditi, dal fantastico pianeta imperiale che gravitava intorno a Canopo, il sole più gigantesco della galassia. Malgrado l'orgoglio, tutti i popoli della galassia erano fedeli all'Impero e alla sua opera di pacificazione, e nessuno era amato quanto l'Imperatore, che rappresentava la continuità della storia dell'espansione umana negli spazi siderali. Lentamente, Gordon comprese che questi pensieri si facevano strada nelle menti impulsive dei consiglieri di Lianna. Forse il loro orgoglio si sentiva minacciato, ma alla fine avrebbero accettato... prima di agire, avrebbero inviato i loro emissari a Throon! Per il momento, Lianna era riuscita a farli tacere. «Ho preso la mia decisione,» annunciò la principessa. «Invierò Korkhann alla corte di Throon, per consultazioni. E con lui andrà anche John Gordon.» Il cuore di Gordon palpitò per l'eccitazione. L'idea di ritornare a Throon, per un momento, lo riempì di una gioia inesprimibile. Pensò di ritornare alle montagne di cristallo, allo splendore del palazzo imperiale... Ma le parole di Lianna avevano scatenato il tumulto, tra i consiglieri. «Inaudito!» gridò Abro, balzando in piedi. Una rabbiosa protesta si era già formata sulle sue labbra, ma il giovane consigliere non ebbe modo di parlare. Il vecchio Hastus Nor, il più anziano dei consiglieri di Lianna, si alzò in piedi. Fissò per un lungo momento Gordon, che sedeva a un capo del tavolo, poi si volse, e fissò severamente Lianna.
«Maestà, che voi abbiate dei favoriti non è cosa che ci riguardi. Ma se permettete loro di immischiarsi negli affari di stato, se permettete loro di presenziare a decisioni che certo non sono in grado neppure di comprendere, allora la cosa ci riguarda! Come vostro fedele suddito e consigliere, ma anche come custode della volontà del popolo di Fomalhaut, io vi dico che non potrò accettare una simile decisione!» Chinò brevemente il capo. «Questa è la mia decisione, maestà.» Gordon si sentì avvampare. Le parole del vecchio lo riempivano di sdegno, e un senso di enorme ingiustizia gli strinse la gola. Lui non era in grado di assistere neppure alle discussioni di cose che riguardavano un piccolo regno siderale! Lui era discusso a quel modo! Lianna balzò in piedi, con gli occhi che lampeggiavano di collera. Di fronte all'espressione irata di quel volto e dei bellissimi occhi grigi, il vecchio consigliere non si lasciò intimidire, e mantenne la sua espressione dura e severa. Ma, prima che Lianna avesse potuto parlare... prima che Gordon avesse potuto intervenire in qualche modo... prima che coloro che si trovavano intorno al tavolo ovale potessero, in qualche modo, reagire... Korkhann si alzò in piedi, così abilmente, con tanta naturalezza, che le sue parole non parvero affatto un'interruzione. «Con il permesso di Sua Altezza, vorrei essere io a rispondere a questa domanda,» disse. Si guardò intorno, e i suoi occhi gialli fissarono i volti ostili dei consiglieri. «Voi tutti sapete, immagino, che io possiedo certi poteri, e che non mi sono ingannato spesso, quando ho espresso dei giudizi concreti su qualcosa.» «È vero,» ammise Hastus Nor. «E sapete anche che nessuno quanto me è fedele al regno di Fomalhaut, e ha a cuore gli interessi della Casa Reale. Potete forse negarlo?» «Venite al dunque, Korkhann!» esclamò il vecchio Hastus Nor, scuro in volto. Ma egli pareva in parte rabbonito, di fronte alle parole tranquille del non umano. «Vi ho fatto una domanda, signori!» disse Korkhann. «Siete disposti ad accettare un mio consiglio? Avete fiducia nei miei poteri, e nella mia fedeltà alla corona e agli interessi del regno?» «Parlate!» disse Abro. «Quanto avete detto è vero. La vostra parola si è sempre rivelata saggia.» Gli altri consiglieri annuirono, gravemente. «Ebbene, ascoltate!» disse Korkhann. Posò la sua mano dai lunghi artigli sulla spalla di Gordon. «Voi protestate, pensando che un ministro del re-
gno di Fomalhaut debba andare solo, in una così importante missione, e che l'uomo che dovrebbe accompagnarlo, in ogni caso, non dovrebbe avere alcun esito sulla missione.» «Non è così, forse?» domandò Abro. «Ebbene, io vi dirò questo, e si tratta di un fatto. Sarò io ad accompagnare John Gordon a Throon, e non lui ad accompagnare me. Perché nessuno... vi dico, nessuno, in tutta la galassia, possiede tanta influenza sulla corte imperiale di Throon quanto questo terrestre, John Gordon!» Gordon sollevò lo sguardo, stupito. «Dunque avete letto fino in fondo i miei pensieri!» esclamò. «O forse è stata Lianna a dirvi...» Korkhann ignorò quelle parole, e fissò con fermezza i volti degli altri consiglieri. E su quei volti, ora, l'ostilità era stata sostituita dal dubbio e dalla perplessità, e i loro sguardi fissavano Gordon come se lo vedessero per la prima volta. «Ma come è possibile?» esclamò Abro. «Come può un uomo senza titoli e dal nome ignoto essere così importante? Perché?» Korkhann fece il suo gesto caratteristico: era il suo equivalente del gesto umano di stringersi nelle spalle, e faceva frusciare lievemente le penne, come foglie mosse dal vento. «Ho già parlato. Non dirò altro.» Tutti fissarono Gordon, con la fronte corrugata, con un'espressione di tale perplessità negli occhi da fare nascere in Gordon il desiderio sempre più violento di gridare loro la risposta, di dire che lui, John Gordon, era stato un tempo il loro Imperatore! Ma quello non era un segreto da divulgare. Così egli tacque, e alla fine il vecchio Hastus Nor scosse il capo, e annunciò, con voce grave e profonda: «Se così dice Korkhann, deve essere vero, anche se...» S'interruppe, e poi proseguì, con rinnovata determinazione. «Vi chiedo scusa, maestà, per le mie parole di poco prima. Avete vinto. Korkhann e quest'uomo andranno a Throon... e noi aspetteremo il loro ritorno, prima di decidere quali azioni intraprendere. E che Dio assista il Regno di Fomalhaut!» Gordon parlò, per la prima volta da quando era entrato nella sala del consiglio, e la sua voce era sommessa: «Nessuno di voi ha pensato di chiedermi se io sono disposto a partire?» Era stanco di venire trattato come una pedina, di essere discusso, attaccato e difeso, come un oggetto privo di qualsiasi importanza propria! Era stanco di sentirsi insignificante, privo di volontà! Stava per dire queste co-
se, e il suo cuore era gonfio di amarezza e di collera, e avrebbe parlato, se Lianna non lo avesse prevenuto, dichiarando, in tono definitivo: «Signori, la seduta è tolta. Il Consiglio si ritira.» I consiglieri uscirono, uno dopo l'altro, visibilmente perplessi e taciturni, e quando tutti se ne furono andati, Lianna si alzò in piedi, e si avvicinò a Gordon. «Perché avete detto quelle parole?» domandò. I suoi occhi grigi fissavano il volto di Gordon, interrogativi, come se avessero voluto affondare nel suo animo, e scoprirne i più riposti segreti. «Voi desiderate di partire. In cuor vostro, avete sempre desiderato di ritornare a Throon.» «Perché dovrei?» «Non mentite, John Gordon!» esclamò Lianna. «Ho visto il desiderio nei vostri occhi, quando ho annunciato che voi sareste partito con Korkhann per Throon!» Gli occhi grigi di Lianna lo fissavano, e Gordon vi lesse qualcosa che non si era aspettato di trovarvi. C'era una profonda tristezza, in quello sguardo, un dolore silenzioso e orgoglioso che faceva male, nella sua intensità. «Per qualche tempo, dopo essere sfuggita alla morte, su Teyn, ho pensato che tutto sarebbe ritornato come un tempo, tra noi!» disse Lianna. «Mi è parso che ci fossimo avvicinati, ed è stata solo un'illusione! Vi prego, John Gordon... non mentite con me! So bene che non è di me che v'importa.» «Queste sono parole gentili, soprattutto quando vengono rivolte a un uomo che ha rischiato qualcosa di più della vita per raggiungervi!» esclamò Gordon, irato. «Davvero, John Gordon? Davvero avete rischiato la vita per raggiungere me?» La voce di Lianna era sommessa, e per un momento l'ingiustizia di quelle parole riempì di collera Gordon. «Era quello che io temevo... il dubbio che mi ha fatto soffrire, per tutto questo tempo. Ero io che voi ricordavate e desideravate, nella vostra lontana epoca, o non erano piuttosto l'avventura, le grandi navi siderali, le stelle, tutto ciò che la nostra epoca possiede e che la vostra non ha raggiunto ancora? Ditemi, John Gordon... cos'era, in realtà, ciò che il vostro cuore e la vostra mente desideravano raggiungere di nuovo, dopo averlo perduto?» In quell'accusa formulata con voce così quieta e amareggiata non c'era nulla di vero... Gordon avvertì l'ingiustizia di quelle parole, e ne provò una collera improvvisa... eppure, dopo un momento, si rese conto, sgomento, che non erano accuse così fantastiche! Anzi, c'era sufficiente verità, in
quelle parole, da far sbollire l'ira di Gordon, e il breve momento nel quale la sensazione di colpa che lui provava apparve evidente sul suo viso fu sufficiente perché Lianna, che lo fissava intensamente negli occhi, sorridesse... un breve sorriso triste e amaro. «È come pensavo, dunque!» disse, e si voltò. «Andate a Throon, allora, John Gordon... e anche all'inferno, se volete!» Capitolo Ottavo L'impero Centrale della Via Lattea Per tutto il viaggio da Fomalhaut a Canopo, Gordon trascorse le sue ore sul ponte di comando della veloce astronave, un ricognitore che portava l'emblema del Sole Bianco a prua e sulla fiancata. Attraverso le ampie vetrate che non erano in realtà vetrate egli guardava i gruppi stellari che parevano formarsi nell'infinito, ingigantendo, e infine rimpicciolendo e scomparendo in lontananza. Dopo i lunghi anni aridi trascorsi sulla sua piccola Terra, lui non riusciva, in realtà, a saziarsi di stelle. Grazie ai raggi di pressione, il ricognitore di Fomalhaut sfrecciava velocissimo negli spazi, tuffandosi verso il cuore pulsante e sfolgorante della Via Lattea. Il titanico ammasso di soli e pianeti che formava la sfolgorante Costellazione d'Ercole, dove regnavano gli orgogliosi Baroni che consideravano loro pari anche i più potenti sovrani siderali, passò accanto a loro, a ovest. Il ricognitore sfrecciò accanto alla gigantesca massa di polvere cosmica, che veniva chiamata la Scogliera di Deneb, e che ardeva di una fiamma tenue e fievole sullo sfondo tenebroso degli spazi astrali. L'incrociatore proseguiva nella sua rotta, e dopo qualche tempo essi furono nella regione siderale dove, quell'altra volta, le flotte siderali dell'Impero e dei regni alleati avevano combattuto l'ultima, terribile battaglia contro la Lega dei Mondi Oscuri. Gordon non sapeva saziarsi di stelle, e sul ponte di comando, circondato dalle vetrate che erano finestre aperte sullo spazio infinito, guardava e sognava, sognava e guardava. Lontanissima, verso il meridione galattico, si stendeva l'immensa macchia di tenebra più profonda delle già fitte tenebre dello spazio che era la Nube, dalla quale le poderose armate dei Mondi Oscuri erano uscite, lanciando il loro orgoglioso grido di sfida ai mondi caldi e luminosi dell'Impero. Ricordò l'oscura, sommersa Thallarna, e ricordò vividamente Shorr Kan, il Gran Capo della Lega. Gli pareva strano
che quella personalità straordinaria, quell'uomo dal fascino magnetico e assolutamente privo di scrupoli, ora non si trovasse più nel suo studio austero, a Thallarna, a tessere i suoi intrighi per diventare padrone della Via Lattea. Ma ricordava bene le ultime ore della battaglia, ricordava l'eroismo di Giron e l'ultima resistenza delle flotte dei Baroni, giunte da sud, e ricordava il momento nel quale lui aveva rivolto contro la vittoriosa flotta della Lega dei Mondi Oscuri l'arma della quale era pericoloso pronunciare anche il nome... «Voi pensate troppo alle cose del passato, John Gordon, e non pensate abbastanza a quelle del presente,» disse la voce di Korkhann, che si trovava accanto a lui. Gli occhi gialli del non umano erano fissi sul volto di Gordon. «Temo, però, che questo sia un male comune a tutti gli esseri umani.» Gordon continuava a fissare le stelle, ma le sue labbra si curvarono in un breve sorriso. «Se mi conoscete bene come io penso, potete forse darmi torto? Io ero un impostore, durante quella battaglia suprema non riuscivo quasi a rendermi conto di ciò che stavo facendo, eppure ero là, capite? Ero là, e chi potrebbe mai dimenticarlo?» «Il potere è un vino inebriante,» disse Korkhann. «Voi l'avete assaggiato una volta, avete stretto tra le vostre mani il potere più grande dell'universo. Lo desiderate di nuovo?» «No,» disse Gordon, sorpreso nell'udire in quelle parole un'eco delle brucianti accuse di Lianna. «Quando l'avevo, ne ero spaventato a morte.» «Lo eravate davvero, John Gordon?» Prima che Gordon avesse potuto trovare una risposta adatta, per mettere a tacere quelle insinuazioni assurde, Korkhann si era già voltato, e aveva abbandonato il ponte di comando. La sua irritazione svanì e fu dimenticata quando, nelle ore che seguirono, le centinaia di stelle scintillanti, i fulgidi mondi centrali della Via Lattea e del potente Impero Centrale che la governava apparvero a prua del ricognitore, lontanissimi ancora, eppure stupendi e grandiosi al di là di ogni immaginazione. L'accecante fiamma bianco-azzurra di Canopo riusciva a penetrare anche gli schermi pesanti che erano stati calati davanti alle 'vetrate' del ponte, per proteggere gli occhi degli occupanti da quel sovrumano fulgore. La maestà indescrivibile di quel poderoso sole dominava il cosmo, quasi con arroganza. Era un oceano di luce che riempiva l'intero spazio, era una fornace
ardente che bruciava al centro dell'infinito, era uno splendore che nessun occhio mortale avrebbe potuto sostenere! E mentre il ricognitore veloce filava negli spazi siderali, apparvero anche i pianeti che ruotavano intorno a quel sole veramente imperiale. Dodici mondi erano nati da quell'astro meraviglioso, e gli occhi di Gordon cercarono, in quello scenario che gli faceva palpitare il cuore di gioia, uno di quei mondi, un globo grigio, immerso nella luce opalescente, rivestito da un maestoso mantello di nubi. Throon! Ricordava come l'aveva visto per la prima volta, abbagliato e sbalordito da quell'universo futuro, con il cuore colmo di sgomento per la parte che aveva dovuto recitare, senza esservi preparato, e allora lui era stato una semplice pedina nelle mani di forze inconcepibili su scala cosmica, i cui obiettivi non aveva potuto neppure immaginare... I suoi pensieri si fermarono a quel punto, e un senso di smarrimento lo pervase. Perché poteva lui affermare, in quel momento, di essere qualcosa di più? Non era stato inviato a Throon, forse, perché Korkhann potesse usare la sua presunta influenza su Jhal Arn, l'Imperatore, il più grande e potente di tutti i sovrani siderali? Sì, pensò, era vero! Ma lui non faceva questo solo per le sorti politiche del regno di Fomalhaut... lui faceva questo per Lianna! Per Lianna, e contro le cose misteriose e minacciose che si celavano nelle Frontiere degli Spazi Ignoti, e che si rivolgevano contro la principessa regnante di Fomalhaut, l'obiettivo più immediato della minaccia. Lui faceva questo perché lo desiderava... le accuse di Lianna bruciavano ancora, e il dubbio che si era insinuato nella sua mente doveva essere placato. La perenne vibrazione, il ronzio dei raggi di pressione che spingevano il ricognitore attraverso le distese degli spazi siderali, diminuì, gradualmente, e poi cessò del tutto, mentre la nave stellare calava veloce su Throon, ora una visione gloriosa sullo sfondo della gigantesca stella. Il pianeta parve sollevarsi incontro a loro, una immensa massa grigiosmeraldo, i continenti si allargarono e si popolarono di metropoli scintillanti che riflettevano la vivida luce del sole. Poi un grande oceano, e poi, lontano, più avanti, quello che i suoi occhi avevano cercato, l'abbagliante splendore che quasi accecava, le Montagne di Cristallo che riflettevano i raggi del sole al tramonto, in una danza fiabesca di picchi e di cime e di curve iridescenti e prismi cristallini. Passarono al di sopra di quella fiam-
ma viva, la superarono, e davanti a loro apparvero le fiabesche torri cristalline e le guglie e i minareti audaci della Città di Throon, la città incantata che pareva uscita dal più audace e fantastico dei sogni, e che era la più grande capitale della Via Lattea! Sopra l'immenso astroporto, che si stendeva a nord della città indescrivibile, sull'alto terrazzo naturale delle Montagne di Cristallo, il traffico era incredibile. Gordon aveva quasi dimenticato il numero enorme di astronavi che andavano e venivano, in quel centro vitale dell'Impero. Diretti con precisione infallibile dai giganteschi cervelli elettronici di controllo, i massicci vascelli stellari di Deneb e Aldebaran e Sol scendevano sull'astroporto come una titanica parata di giganti, mentre le astronavi più piccole sciamavano come lucciole frenetiche. C'erano enormi mercantili che portavano a Throon preziose spezie venute dai mondi di stelle remotissime, e c'erano le lussuose astronavi da diporto dei dignitari e dei potenti di mille mondi stranieri, venuti in visita a Throon per conoscere quella che era la prima meraviglia della Via Lattea. Nelle profonde 'banchine', migliaia e migliaia di navi siderali aspettavano il segnale per la partenza. Ma il ricognitore sul quale Gordon si trovava, essendo in missione diplomatica ufficiale, evitò la frenetica, operosa attività dell'astroporto commerciale, e si posò nella immensa distesa dell'astroporto militare di Throon, dove i giganteschi incrociatori da guerra dell'Impero, con lo splendente emblema della cometa imperiale disegnato sulle pesanti fiancate, torreggiavano come enormi nubi di tempesta, pronti a volare verso i remoti angoli dell'Impero, o a raggiungere il quartier generale della flotta imperiale, nelle Pleiadi; e tra i giganteschi incrociatori siderali e le possenti corazzate, agili incrociatori fantasma e ricognitori e vedette irte di cannoni atomici esprimevano in maniera compiuta e inequivocabile l'immensa potenza di un universo nel quale gli uomini avevano conquistato anche le ultime frontiere. Il ricognitore di Fomalhaut si posò su una di quelle banchine, e Gordon ricordò l'ultima visione di quel porto siderale... una visione di nubi tempestose, di lampi che si riflettevano sulle Montagne di Cristallo, violacei e terribili come la guerra che era scoppiata nella galassia. E quel ricordo si associava a un addio che allora aveva ritenuto definitivo, l'ultimo addio a Lianna e alle meraviglie dei regni siderali... Poi, tutto si svolse come in un sogno, un fantasmagorico sogno che aveva le dimensioni del déjà vu. Il picchetto d'onore dei soldati che indossavano l'uniforme grigia delle forze imperiali presentò le armi agli ambasciatori del regno amico di Fomalhaut. Il capitano che comandava i soldati sa-
lutò cerimoniosamente Korkhann e Gordon, e li accompagnò, attraverso 16 profonde trincee e i labirinti dell'astroporto, verso l'ingresso della sotterranea, dove un'auto li aspettava all'inizio di una delle molte gallerie rotonde. I soldati si schierarono ai lati dell'auto, e Korkhann e Gordon salirono a bordo. Non devi sentire questa emozione! si disse Gordon, appoggiandosi al soffice sedile, mentre il proiettile di metallo acquistava velocità, lanciandosi nella galleria. Tu conosci già lo splendore di questa capitale imperiale... è stata la tua casa, per qualche tempo, ma adesso è diverso! Ora tu sei soltanto un ospite, l'inviato di uno dei piccoli regni amici dell'Impero! Perché farti delle illusioni? Eppure il cuore gli batteva più forte, il suo sguardo andava all'estremità indistinta della lunga galleria illuminata, anticipando il momento dell'arrivo nel fiabesco palazzo. Quando infine scesero dal proiettile di metallo, la vasta stanza sotterranea nella quale si trovarono era simile a quella dalla quale erano partiti... ma Gordon sapeva che non era certo la stessa! Con il cuore in tumulto, egli comprese di essere giunto nel palazzo imperiale dell'antica dinastia che regnava su Throon e sui mondi della Via Lattea, la reggia dell'Imperatore e il centro amministrativo di un impero che abbracciava soli e nebulose e pianeti che distavano tra loro migliaia di anni luce! I soldati erano schierati ai lati della galleria, ma John Gordon stava fissando la figura alta, dai lineamenti aquilini, che era apparsa su una delle porte, e stava camminando verso di lui. «Zarth Arn!» esclamò John Gordon. I soldati presentarono le armi, ma Zarth Arn, con il volto sorridente, si avvicinò a Gordon, e lo abbracciò affettuosamente. Se i soldati si meravigliarono nel vedere l'erede al trono imperiale trattare con tale familiarità uno sconosciuto emissario di un regno siderale, il loro atteggiamento non lo dimostrò. Rimasero rigidi e impassibili, mentre Gordon esclamava: «Tu qui! Credevo fossi rimasto sulla Terra, nel tuo laboratorio!» Zarth Arn scosse il capo, lentamente. «I miei timori erano fondati, Gordon! Subito dopo la tua partenza, mio fratello l'Imperatore ha parlato con me per telestereo. Gravi eventi stanno accadendo nell'impero, e nubi oscure si addensano ancora una volta sulla galassia, e mio fratello ha ritenuto indispensabile la mia presenza a Throon! E poi, Lianna mi ha chiamato, da Fomalhaut, e mi ha informato del tuo arrivo. Sono felice di rivederti, amico mio!»
Korkhann si inchinò rispettosamente al principe ereditario. «Anch'io sono felice di rivedervi, altezza, anche se il motivo della nostra venuta a Throon non è purtroppo dei più lieti.» Il volto intento, da studioso, di Zarth Arn, scrutò per un momento i lineamenti del non umano: «Lo so bene, Korkhann! E anch'io avrei preferito che il ritorno di John Gordon a Throon fosse avvenuto in circostanze diverse!» disse. E poi aggiunse, in tono grave, «Sì, mio fratello è stato informato del motivo della vostra venuta. Ancora non conosco i particolari, perché Lianna non ha voluto parlare esplicitamente, ma temo di indovinarli... perché la vostra non è la prima delegazione dei regni siderali che giunge a Throon in questi giorni, con notizie oscure e minacciose!» Korkhann domandò, ansiosamente: «Sapete dunque qualcosa, altezza? Esiste veramente un pericolo nelle Frontiere degli Spazi Ignoti?» Zarth Arn annuì. «Temevo che anche voi diceste questo. Sì, esiste qualcosa di oscuro nelle Frontiere... ma di questo parleremo più tardi. Questo è un giorno di festa, per noi... e penso che John Gordon possa desiderare di assaggiare di nuovo con me qualche bicchiere di saqua!» Korkhann s'inchinò di nuovo: «Come desiderate, altezza.» «Il capitano e i suoi soldati vi condurranno negli appartamenti che vi sono stati assegnati, Korkhann,» disse Zarth Arn. «Capitano! Conducete sua eccellenza nei suoi appartamenti. Che gli siano riservati tutti gli onori di un ospite e di un amico dell'Imperatore!» «Sì, altezza!» Il capitano scattò sull'attenti, e Korkhann si allontanò in compagnia dei soldati, verso una delle porte della sala sotterranea. «E ora, John Gordon,» disse Zarth Arn, «Andiamo nei miei appartamenti. So che conosci la strada, ma questa volta permettimi di farti da guida... Jahl è in riunione, in questo momento, 'con gli ambasciatori dei regni siderali, e ci raggiungerà non appena gli sarà possibile. Arde dal desiderio di conoscerti, amico mio!» Stordito, John Gordon si lasciò guidare dal principe ereditario verso una delle porte che si aprivano su vasti corridoi di alabastro. Non appena ebbero varcato la soglia, il corridoio cominciò a muoversi lentamente, snodandosi attraverso il grande, fantastico palazzo. Attraversarono un'alta sala, le cui pareti trasparenti erano adorne di im-
magini in rilievo di sistemi solari, antichi soli rosseggianti, cosmici tizzoni consumati da eoni di gelo indescrivibile, nere correnti di polvere cosmica, in una riproduzione di un universo tenebroso che dava l'impressione della maestà suprema del creato, e la cui bellezza toglieva il respiro. Gordon rammentava bene quella cupa meraviglia, e ricordava anche il salone ugualmente splendido che si trovava più avanti, e che pareva rifulgere circondato dallo splendore di una nebulosa incandescente. Il corridoio mobile li condusse verso l'alto, verso i piani superiori del meraviglioso palazzo. Dovunque, cortigiani e ciambellani e alti ufficiali della flotta imperiale si inchinavano profondamente davanti a Zarth Arn. A Gordon parve di essere scrutato da occhi interrogativi e curiosi: forse tutti si chiedevano chi fosse colui che camminava con tanta familiarità al fianco del principe ereditario. Quel giorno, i cortigiani avrebbero avuto un nuovo argomento di curiosità, alla corte di Throon! «Ti sembra strano?» domandò a Zarth Arn. «Cosa provi a camminare al mio fianco, sapendo che un tempo abbiamo vissuto l'uno nel corpo dell'altro?» Zarth Arn sorrise: «Per me è strano... perfino per me, che ho già attraversato molte volte l'abisso del tempo, e vissuto in molti corpi di epoche diverse in altre occasioni, anche se ormai ho rinunciato per sempre a queste imprese! Sì, è strano per me... e immagino che per te lo sia ancora di più!» Giunsero finalmente nell'appartamento di Zarth Arn, quelle stanze che Gordon ricordava così bene, con i loro soffitti alti e le pareti bianche e austere e disadorne, a parte gli arazzi di seta. In un angolo di una stanza c'era ancora la ricchissima biblioteca ideofonica, con l'apparecchio 'lettore'. Lentamente, Gordon si avvicinò alle grandi finestre aperte, e uscì sul balcone che era un giardino d'erba e di fiori meravigliosi, un gradino nella parete sconfinata del gigantesco palazzo. Silenziosamente, respirò l'aria profumata, e il suo sguardo spaziò sullo spettacolo meraviglioso della fiabesca città di Throon. Avrebbe potuto essere quell'altra volta, pensò. Perché Canopo stava tramontando, immergendo in una luce cangiante e soffusa le torri fiabesche e le guglie e i minareti della grande metropoli, e trasformando l'oceano d'argento in una distesa di specchi incantati, e accendendo di molteplici sinfonie di colori i picchi e i prismi e le vette superbe delle Montagne di Cristallo, che parevano palpitare e sospirare e vibrare nei raggi della gigantesca stella al tramonto.
Gordon guardò, e sentì che gli occhi gli si riempivano di lacrime, e continuò a guardare, mentre Canopo tramontava e il primo tremolare delle stelle si accendeva nel cielo violetto. In quel momento di magico silenzio, egli udì i passi di Zarth Arn, alle sue spalle, e la voce del principe ereditario lo sottrasse finalmente all'incantesimo sottile di quel luogo meraviglioso. «È come la prima volta, John Gordon? Trovi ogni cosa uguale?» domandò, porgendogli un alto bicchiere del bruno liquore che si chiamava saqua. Gordon accettò il bicchiere, e tacque per un istante, guardando l'accendersi delle mille luci della città, e i colori che giungevano dai giardini del palazzo reale, e il primo fulgore delle stelle nel cielo. «È tutto come allora,» disse. «E allo stesso tempo è diverso. Come posso spiegarti?» Zarth Arn capì. «L'altra volta Lianna era qui con te, vero? Capisco. Non volevo chiedertelo subito, amico mio, ma... dimmi, come vanno le cose tra voi?» «Non siamo giunti a una rottura, o a una lite, se devo essere preciso,» rispose Gordon. «Ma c'è qualcosa, tra lei e me. Vedi, Lianna pensa che io non sia ritornato qui per lei, ma per... per questo.» Con un ampio gesto del braccio, comprese tutto lo splendore della grande città, il riflesso delle luci sulle Montagne di Cristallo, le lune dorate che erano apparse nel cielo, le forme oscure delle grandi navi delle stelle che si sollevavano veloci dal lontano astroporto. Vennero interrotti dal rumore della porta che si apriva. Gordon si volse, e vide un uomo che conosceva bene. Era alto, poderoso e severo, ma i suoi lineamenti mostravano anche una profonda umanità, un calore umano che era mancato al vecchio leone di cui Gordon ricordava così bene l'aspetto, e che era stato il padre di quell'uomo ancora giovane, ma già temprato da un peso grave come quello di un Impero. Egli indossava un semplice abito nero, con un piccolo emblema, una cometa fiammeggiante, sul petto. I suoi occhi fissarono Gordon, penetranti e attenti. Gordon conosceva bene quell'uomo! Era Jhal Arn, il fratello maggiore di Zarth Arn, figlio di Arn Abbas, sovrano dell'Impero Centrale della Via Lattea! «È strano,» disse Jhal Arn, con voce profonda, fermandosi davanti a Gordon. «Tu mi conosci, naturalmente, dall'altra volta. Ma io ti vedo... fisicamente... per la prima volta.
Suo malgrado, Gordon venne preso da un'ombra di timore. L'intima unione delle menti lo aveva reso vicino a Zarth Arn, ma Jhal Arn era l'Imperatore! Provava un grande rispetto, per quell'uomo severo e inflessibile, e per un momento la meraviglia di tutto ciò che stava accadendo lo travolse. Lui, John Gordon, parlava con l'Imperatore di tutti i soli dell'Impero Centrale della Via Lattea! «Maestà...» cominciò a dire, incerto. Ma Jhal si fece avanti, e il suo volto severo era illuminato da un sorriso. E, senza che Gordon se lo aspettasse, l'Imperatore lo abbracciò con calore. «Zarth mi ha detto che, nel tuo tempo, i vecchi amici si salutavano dandosi la mano. Ma non è un vecchio amico che è ritornato a Throon, stasera! Non devi usare le formalità di corte con me, John Gordon... perché io questa sera ho ritrovato un fratello.» L'Imperatore sorrise ancora. «È un giorno felice, quello in cui l'uomo che ha salvato l'Impero ritorna a Throon... e io stesso ho dato ordine di preparare un'accoglienza speciale per te, John Gordon!» Quelle parole venivano pronunciate con voce calma e senza enfasi, ma l'intensità dei sentimenti che animavano il sovrano era evidente. «Ma di questo riparleremo dopo, John Gordon!» disse Jhal Arn. «Purtroppo, tu hai portato anche un problema, a Throon. E non solo tu... abbiamo degli ospiti importanti, stanotte, alcuni tra gli alleati più potenti dell'Impero, e anche loro ci sottopongono dei gravi problemi.» Andò al balcone, e guardò con occhi pensierosi la città, le cui luci ora splendevano nella notte profumata. Le due lune brillavano nel cielo... una con un caldo colore dorato, l'altra di uno spettrale colore argento. «Un mormorio si è diffuso per l'intera galassia,» disse Jhal Arn. «Un sospiro, un alito, una voce che non proviene da nessun luogo, e che pure si è diffusa ovunque. E questo bisbiglio dice che nelle Frontiere degli Spazi Ignoti esiste un mistero, e che questo mistero ha il volto di una grave minaccia. Non c'è niente di più di questa voce. Tuttavia, pur essendo così vaga, essa ha turbato alcuni tra i maggiori sovrani delle stelle, mentre altri ne ridono, considerandola una semplice fantasia.» «Non è stata una fantasia quella che abbiamo incontrato a Teyn,» disse Gordon. «Korkhann può dirti...» «Korkhann me ne ha già parlato!» esclamò Jhal Arn. «Non appena ho congedato gli ambasciatori dei regni siderali, sono stato informato del vostro arrivo, e l'ho mandato subito a chiamare. E... e non mi piace quello che ho udito.» Scosse il capo.
«Questa notte ci sarà festa, a Throon... ma domani dovremo prendere una grave decisione. Si tratta di una decisione che potrà lacerare il tessuto politico dell'intera galassia. Eppure noi dobbiamo prenderla, anche se sappiamo così poco...» Si interruppe, si volse, e quando fu davanti alla porta, si girò per l'ultima volta, e rivolse un bizzarro sorriso a Gordon. «Tu hai occupato il mio trono una volta, per breve tempo, John Gordon. Posso assicurarti che è sempre terribilmente scomodo!» Quando l'Imperatore fu uscito, Zarth Arn si rivolse a Gordon: «Ora ti accompagno negli appartamenti che sono stati assegnati a te e a Korkhann. Ho provveduto, affinché fossero vicini al mio... abbiamo molte cose da dirci. Ora, però, penso che vorrai prepararti per la festa di stasera.» Il sorriso di Zarth Arn era vagamente allusivo, e Gordon si accorse che il suo amico gli nascondeva qualcosa. Ma non volle pensarci. Le emozioni provate al suo ritorno a Throon, l'accoglienza dell'Imperatore, l'ombra oscura e minacciosa che era apparsa sullo sfondo, facevano vacillare la sua mente, rendendolo confuso e incerto. Sentiva di avere bisogno di un altro bicchiere di saqua. Zarth Arn si accomiatò da lui sulla porta dell'appartamento. Gordon entrò, e fu sorpreso dal lusso favoloso della grande sala nella quale era entrato, una sala al cui confronto l'appartamento di Zarth Arn appariva spoglio e spartano. Ma Zarth Arn era sempre stato, prima di ogni altra cosa, un austero scienziato e studioso. Le porte che si aprivano nel salone conducevano alle altre stanze, poiché un'ala dell'appartamento sarebbe stata occupata da Korkhann, e una da Gordon. Attraverso una di quelle porte aperte, Gordon notò la nuca di una testa pennuta che spuntava dallo schienale di una splendida poltrona metallica, e capì che Korkhann si era seduto davanti alla grande vetrata aperta del terrazzo, e guardava lo splendido paesaggio di luci, le luci brillanti della Città di Throon e le luci distanti degli astri e delle grandi navi siderali che scendevano dal cielo notturno. Non poteva dare torto al non umano, se era rimasto affascinato da quello scenario fiabesco. Gordon si avvicinò alla poltrona e alla vetrata, e disse, pensieroso: «Non mi piace quello che ho udito, Korkhann. Temo...» Poi Gordon s'interruppe, e un grido improvviso gli sfuggì dalle labbra: «Khorkhann!» Il non umano era seduto rigidamente, con un'immobilità innaturale! E il suo volto, il volto dal grosso becco e dai grandi e saggi occhi gialli, quel
volto che Gordon aveva imparato dapprima ad accettare, poi a trovare piacevole e gradito, pareva scolpito nella roccia! Ma quello che inorridì soprattutto Gordon fu la vista degli occhi del non umano. Perché gli occhi di Korkhann erano opachi come fredde gemme gialle, vuoti e ciechi di espressione! Fulmineo, Gordon si accostò a Korkhann, lo afferrò per le spalle, e avvertì la sorprendente fragilità di quel corpo alato, sotto il ricco piumaggio. «Che cosa vi è accaduto, Korkhann? Svegliatevi!» Per un istante, un senso di terrore paralizzò Gordon... il pensiero che Korkhann fosse stato ucciso. Non avrebbe saputo spiegare il motivo di quella impressione, né il perché, e tutto pareva incredibile e assurdo, nel palazzo imperiale di Throon... ma il terrore aveva dita fredde e cieche, e quelle dita stringevano la mente e il corpo di Gordon. Poi, dopo qualche istante, qualcosa apparve negli occhi gialli... una fugace, debole scintilla di comprensione. Ma c'era qualcosa di ben più angoscioso della comprensione, in quello sguardo! Perché gli occhi di Korkhann avevano tradito, per un breve istante, una sofferenza e un orrore inauditi. Se un'anima dannata, uscita per un attimo solo dal luogo di punizione eterna, avesse fissato il mondo dei viventi, quello sarebbe stato certo il suo sguardo! La fronte di Gordon s'imperlò di sudore. Continuò a scuotere Korkhann, a chiamarlo per nome. La sofferenza riapparve negli occhi gialli, e parve che la mente del non umano venisse sottoposta a una spaventosa tensione, quasi a una lacerazione, dietro quegli occhi che ne erano lo specchio angoscioso... e poi qualcosa parve spezzarsi, e Korkhann cominciò a tremare convulsamente, un tremito irrefrenabile accompagnato da rauche strida inarticolate che uscivano dalla sua gola. «Cosa è accaduto, Korkhann?» domandò Gordon, sgomento. «Vi sentite bene? Che cosa è stato, in nome di Dio?» Ci volle ancora un lunghissimo minuto, prima che Korkhann fosse in grado di guardare negli occhi Gordon, e quando questo accadde, la sua espressione era allucinata. «Qualcosa che voi e io già abbiamo conosciuto, ma mille volte peggiore! Ricordate lo straniero grigio, l'incappucciato ospite di Narath Teyn, che ha tentato di annientarci con la forza della mente?» Una morsa di ghiaccio strinse il cuore di Gordon. E come avrebbe potuto dimenticare? Ricordava fin troppo bene la creatura velata, il cui viso e la cui forma nessuno' aveva visto, l'enigmatico alleato di Cyn Cryver, l'essere
che perfino i Gerrn temevano! Fissò Korkhann, e anche i suoi occhi si dilatarono, per l'orrore che quelle parole producevano in lui. «Sì» bisbigliò Korkhann. «Sì, John Gordon, avete compreso bene! Non so che cosa siano, né quali motivi li muovano, ma uno di essi si trova qui. Qui, io credo, in questo palazzo!» Capitolo Nono Tra i sovrani delle stelle Il palazzo imperiale di Throon riecheggiava di musica e sfolgorava di luci nella notte. Centinaia e centinaia di finestre lasciavano uscire una luce soffusa dai mille colori, e musiche festose, e un continuo brusio di molte voci. L'arrivo dei dignitari di molti regni siderali offriva sempre l'occasione per un gran ballo di corte, e quella notte, negli immensi saloni, una folla festosa d'invitati brindava e banchettava. E non era una folla composta soltanto di esseri umani: sotto gli indumenti di seta, frusciavano piume, scaglie e corazze di cuoio, mentre dei volti umanoidi ma non umani, dagli occhi obliqui, rotondi, oblunghi o privi di pupille, riflettevano le mille luci dei saloni. Delle forme lugubri camminavano nelle ombre dei giardini, là dove brillavano i grandi fiori luminosi di Achernar. Come per ricordare, minacciosamente, che l'Impero non era soltanto un'occasione di feste e di piaceri, la musica e il brusio vennero soffocati da un cupo fragore di tuono, quando uno squadrone di incrociatori da guerra partì verso il cielo tenebroso preceduto dai piccoli ricognitori e dagli incrociatori fantasma che già si erano tuffati nell'immensità del vuoto: ora i grandi incrociatori siderali si sollevavano, nere sagome sullo sfondo delle costellazioni, cupe corazzate irte di cannoni atomici, dirette verso le Pleiadi e verso la poderosa base della Flotta degli Alti Spazi che stazionava là, agli ordini dell'ammiraglio Giron e dei più alti ufficiali della flotta imperiale. Gordon non aveva potuto dedicare la mente ai preparativi della grande festa, sgomento e preoccupato come era stato per le condizioni di Korkhann, e per il desiderio d'informare subito Zarth Arn e l'imperatore. Ora il non umano era stato affidato alle mani sicure dei medici di corte, e le notizie giunte erano state confortanti: il ministro del regno di Fomalhaut non aveva subito conseguenze fisiche, e tra poco sarebbe stato in grado di ri-
tornare alla normalità. Apprendendo con sollievo questa notizia, Gordon si era chiesto però quali fossero state le conseguenze mentali... aveva ancora impressa nella mente l'espressione allucinata di quei grandi occhi gialli. «L'intero palazzo è stato perquisito dalle guardie!» aveva detto Zarth Arn, dopo avere conferito con l'Imperatore. «Tutto il territorio circostante è stato passato al setaccio dai soldati più fidati, e neppure un granello di polvere avrebbe potuto sfuggire alle ricerche. Io stesso sono disceso nei sotterranei, per timore che qualcuno avesse potuto nascondersi là... se veramente lo straniero grigio che mi hai descritto è stato qui, deve essere fuggito.» «Hai potuto interrogare Korkhann?» «Brevemente. È ancora parzialmente svenuto, e afferma che i suoi poteri mentali non gli rivelano più nulla.» Zarth Arn si era stretto nelle spalle. «I soldati imperiali sono stati avvertiti, e non c'è altro da fare, per il momento. Nessuno potrebbe entrare nel palazzo, ora che l'allarme è stato dato. E credo,» aveva aggiunto, con un sorriso, «Che difficilmente il tuo straniero grigio potrebbe entrare travestito in qualche maniera!» «Zarth, tu non capisci!» aveva protestato Gordon. «Quella creatura possedeva una forza mentale spaventosa. Io non so nulla di queste cose, ma comprendo che si tratta di poteri di fronte ai quali non esistono difese.» Ma il tono rassicurante di Zarth Arn lo aveva in parte tranquillizzato. «Se una spia è giunta a Throon, i soldati sapranno trovarla,» aveva detto il fratello dell'Imperatore, in tono definitivo. «Tutte le precauzioni sono state prese, e ora non rimane che attendere l'incontro di domani con i sovrani delle stelle, per saperne qualcosa di più! Per questa notte, Gordon, cerchiamo di dimenticare questi pensieri.» E il ricordo della conversazione con Zarth Arn aveva in parte rassicurato John Gordon. In fondo, lui sapeva bene che nulla poteva minacciare quel palazzo, che era il simbolo stesso della potenza dell'Impero! I poteri dello straniero grigio erano stati spaventosi a Teyn, in quel mondo primitivo e barbarico, ma certo nulla poteva minacciare la reggia imperiale, protetta dalla più possente flotta della Via Lattea! Un domestico dall'aria austera, che indossava l'abito da cerimonia, venne a bussare, rispettosamente, alla porta dell'appartamento di John Gordon. Quando Gordon gli disse di entrare, il domestico s'inchinò profondamente: «Sua Maestà l'Imperatore e Sua Altezza il principe Zarth Arn mi hanno chiesto di mettermi a vostra disposizione, signore, e di ricordarvi che desiderano la vostra presenza nella Sala delle Stelle.»
Il pensiero della festa era stato lontano dalla mente di Gordon, e quelle parole gli rammentarono la particolare insistenza con cui Zarth Arn e lo stesso Jhal Arn ne avevano parlato. Distrattamente, si rivolse al domestico: «Vi ringrazio,» disse. «Immagino che si stia facendo tardi.» «Sua Maestà l'Imperatore mi ha personalmente ordinato di aiutarvi a prepararvi.» Il silenzioso domestico lo aiutò, infatti, facendogli indossare gli abiti da cerimonia, una stupenda tunica di seta, un paio di calzoni dello stesso materiale, e un ampio mantello rosso. E poi, attraversando di nuovo i corridoi mobili del fantastico palazzo, Gordon si ritrovò nella spaziosa anticamera dalle preziose colonne, dove una piccola, folla di nobili e dignitari dell'Impero conversava in piccoli gruppi. Alcuni si volsero a fissarlo, certo ricordando di avere già visto, nel pomeriggio, quello straniero, che aveva mostrato una così grande familiarità con il principe Zarth Arn. Ma Gordon non ebbe neppure il tempo di pensare a queste cose, perché un ciambellano si avvicinò a lui, s'inchinò profondamente, e disse: «Con il vostro permesso, signore, ho ricevuto l'ordine di accompagnarvi al tavolo dell'Imperatore!» Accompagnato dal ciambellano, Gordon varcò la porta dai maestosi battenti d'oro massiccio, e si fermò per un istante sulla soglia della fantastica sala che ricordava così bene dal tempo della Festa delle Lune, quando, incerto e spaurito, aveva conosciuto Lianna in tutto quello splendore, e aveva scoperto che la bellissima principessa era la promessa sposa del principe Zarth Arn, nel cui corpo egli aveva allora vissuto! Vide le pareti di marmo nero dell'immenso salone, e gli innumerevoli tavoli dai quali sgorgavano luci di molti colori, che parevano immergere i convitati nelle mille sfumature di grappoli di pietre preziose animate da un fuoco vivo; vide i domestici silenziosi che passavano tra i tavoli, portando grandi vassoi che traboccavano delle vivande più prelibate di mille mondi alieni, vide i costumi colorati degli invitati, udì le risate e il brusio delle incessanti conversazioni che si svolgevano intorno ai tavoli, e notò anche i molti ospiti non umani che banchettavano fianco a fianco dei nobili e dei dignitari dei regni siderali. L'altissima volta della sala pareva aprirsi sul cielo nero, e attraverso i fantasmagorici disegni delle costellazioni fulgide, e i bagliori delle nebulose, e la processione silenziosa delle oscure correnti siderali, egli vide che la luna dorata e la luna d'argento salivano lente verso lo zenit, mentre già all'orizzonte si affacciava una terza luna, anch'essa del
colore dell'oro più puro. Gordon sapeva bene che quello che lui vedeva non era il cielo, benché l'illusione fosse perfetta! Nella Sala delle Stelle, l'altissima volta era un vasto, perfetto planetario animato, e banchettando sotto quello splendore fulgido si aveva l'impressione di abbracciare la solenne maestà e la bellezza di quell'Impero che abbracciava migliaia di pianeti e centinaia di soli. Gli sguardi di molti convitati si volsero a fissare lo sconosciuto, che indossava il mantello con l'emblema imperiale della cometa, e camminava, accompagnato dal rispettoso ciambellano, verso la piattaforma più alta situata al centro della sala, ove sorgeva il tavolo più splendido e più sontuosamente imbandito, il tavolo dell'Imperatore. E guardandosi intorno, Gordon non poté reprimere un moto di sorpresa... perché riconosceva, tra quegli invitati, i volti di alcuni tra i più alti ufficiali della flotta, e gli ambasciatori dei regni siderali, e altri dignitari che non potevano essere capitati a Throon per un puro caso! Gli ambasciatori occupavano un tavolo lunghissimo, e parevano confabulare tra loro, con espressione grave e intenta; Gordon non poteva sbagliarsi, nell'identificare quel comportamento, e capiva che le oscure voci alle quali Zarth Arn aveva alluso non dovevano essere ignote neppure a quei rappresentanti severi dei più potenti sovrani delle stelle! Al tavolo imperiale, l'alta figura di Zarth Arn si alzò in piedi, e andò incontro a Gordon. «Sono felice che tu sia qui, John Gordon!» disse il principe. «Vieni... questo è il tuo posto! Mio fratello sarà qui tra breve...» Confuso, Gordon sedette al posto che Zarth Arn gli aveva indicato... un posto alla sinistra dello stesso Zarth Arn, alla destra del quale sedeva una splendida donna dal volto di fanciulla, che Gordon ricordava bene. «Murn conosce la verità!» sorrise Zarth Arn. «E anche lei desiderava molto conoscerti!» Murn sorrise dolcemente a Gordon: «Anch'io vi devo molto, John Gordon!» disse. «Vedete, io ero soltanto la moglie morgantica di Zarth... e lo sarei rimasta, se egli avesse sposato la principessa Lianna, come desiderava suo padre. Ma voi siete venuto a Throon, e anche se allora non sapevo nulla, il vostro arrivo ha fatto cambiare molte cose... e ora io sono la moglie di Zarth con pieno diritto, e posso sedere al tavolo imperiale, e guardare negli occhi i sovrani delle stelle!» Quelle parole diedero un bizzarro senso di gioia a John Gordon, ma anche un oscuro presentimento... perché il suo arrivo aveva davvero cambia-
to molte cose, a Throon e nel resto della Via Lattea. Quella volta, solo la sua mente era stata in quell'universo futuro... e adesso lui si trovava là, nel suo vero corpo. Un pensiero che anche un tempo lo aveva colpito lo turbò, e gli parve di risentire una voce che diceva... che diceva qualcosa. Affermava che lui era come un granello di polvere nell'ingranaggio perfetto del tempo, e che il suo destino sarebbe stato sempre quello di alterare il corso normale degli eventi. Gordon cercò di allontanare dalla propria mente quei pensieri. Vide che alla sua sinistra c'erano tre posti vuoti... evidentemente, quelli riservati all'Imperatore, a sua moglie, e al figlio di Jhal Arn. Gordon si accorse allora del brusio diverso che aveva animato la sala. Ci volle qualche tempo, prima che lui ne comprendesse il motivo. E poi capì! Perché il protocollo della corte imperiale era rigido, e ben poco usciva dalla norma. E lui, uno sconosciuto che nessuno, a corte, aveva mai visto, sedeva al tavolo imperiale... e il suo posto era alla destra dell'Imperatore! Non c'era da meravigliarsi, se i cortigiani e gli stessi domestici guardavano, con aria curiosa e indagatrice, nella sua direzione! Tutti si chiedevano, certamente, chi lui fosse... per occupare il posto d'onore che era riservato solo ai più potenti dei sovrani siderali! E chi era lui, in realtà? Improvviso, il dubbio lo assalì di nuovo, come gli era accaduto nell'oscura sala del trono, a Fomalhaut, quando si era sentito osservato dai volti di pietra degli antichi monarchi. Quello non era il suo posto! Nessun uomo della sua lontana epoca aveva il diritto di sedere in quella corte imperiale del remoto futuro... perché le leggi del tempo erano, e dovevano essere, immutabili! Chi era lui, John Gordon, per credersi diverso dagli altri, per sovvertire le leggi che regolavano l'universo? Provò un senso di sgomento, e si volse a Zarth Arn. Il principe si rese conto, evidentemente, del conflitto mentale di Gordon, e dei pensieri che gli facevano girare la testa, perché protese la mano, e strinse il braccio di Gordon, con aria rassicurante. «Nessuno, in tutta la Via Lattea, ha più diritto di occupare questo posto di quanto tu non ne abbia, John Gordon!» disse. «E non è tutto, amico mio... perché stasera...» Egli tacque, improvvisamente, perché in quel momento, sulla porta dai battenti dorati, il ciambellano si era fatto avanti, battendo solennemente per tre volte la pesante mazza istoriata di pietre preziose, e pronunciando con voce chiara e imperiosa: «Sua Maestà Jhal Arn, sovrano dell'Impero Centrale della Via Lattea, si-
gnore e protettore dei Regni Minori, governatore di tutte le stelle e di tutti i pianeti delle Frontiere degli Spazi Ignoti!» Al tavolo imperiale, parve a Gordon di notare uno sguardo d'intesa tra alcuni degli alti dignitari, a quelle ultime parole. Ma nell'immensa sala, tutti si alzarono in piedi, per rendere omaggio al più grande dei sovrani siderali. Jhal Arn, seguito dalla moglie e dal figlio, si fece avanti a grandi passi, splendido e possente nel suo mantello blu mezzanotte, sul quale l'emblema della cometa imperiale scintillava delle gemme smeraldine che formavano il fantastico disegno. Mentre Jhal Arn riceveva l'omaggio dei nobili e dei dignitari, Zarth Arn sorrideva, come se fosse stato pervaso da un interiore divertimento. Jhal Arn si fece avanti, accostandosi al tavolo imperiale, e i suoi occhi severi fissarono per un istante John Gordon. Poi l'Imperatore occupò il suo posto e sedette, e tutti, nella sala, si misero di nuovo a sedere, mentre il mormorio assumeva proporzioni ancora maggiori. «Dovresti nascondere meglio i tuoi sentimenti, John Gordon!» disse a bassa voce l'Imperatore, mentre i domestici avanzavano portando nuovi vassoi e alti bicchieri di saqua. «Tutti coloro che si trovano nella sala sarebbero pronti a giurare che ti trovi a disagio, al tavolo imperiale!» Gordon accettò, con riconoscenza, l'alto bicchiere di liquore bruno che un silenzioso domestico gli porgeva, e lo accostò alle labbra, prima di rispondere: «Se devo essere sincero, credo che preferirei trovarmi a milioni di chilometri nello spazio... se la curiosità di tutti questi dignitari non cesserà di avere me come principale obiettivo!» Jhal Arn rise di cuore, a quelle parole, e sollevò il bicchiere di saqua, che un domestico gli aveva rispettosamente offerto. «Dovrai rassegnarti a questa curiosità ancora per qualche ora, John Gordon... tutti darebbero la loro mano destra, per sapere chi sei! Guarda l'espressione degli ambasciatori dei regni siderali... si staranno chiedendo quale nuovo regno sconosciuto sia entrato a far parte dell'Impero, per avere mandato a corte il suo rappresentante!» Jhal Arn pareva sinceramente divertito, e Gordon capì che gli intrighi e i pettegolezzi della corte dovevano essere noiosi e intollerabili, per lui, come lo erano per suo fratello Zarth Arn... anche se Jhal, come imperatore, non poteva sottrarsi ai suoi doveri. Ma, sotto quell'allegria, John Gordon riuscì a cogliere anche qualcosa di diverso... un proposito segreto, e anche un'ombra di preoccupazione.
Il ciambellano avanzò nella sala, batté tre volte la mazza, e scandì, solennemente: «Sua Maestà, il Re di tutti i pianeti che gravitano intorno alla Stella Polare!» Il Re della Stella Polare, il giovane Sath Shamar, entrò nella sala, e avanzò verso il palco imperiale, per porgere il suo omaggio all'Imperatore. Ma subito il ciambellano batté di nuovo la sua mazza: «Sua Altezza Reale, il reggente di Cassiopeia!» L'anziano reggente si avvicinò, e si inchinò profondamente all'Imperatore. Se egli provava qualche meraviglia, nel vedere uno sconosciuto, che dall'aspetto pareva originario della lontana Terra, seduto alla destra dell'Imperatore, tra i componenti della famiglia reale, egli non si tradì. Ma era Gordon a provare un intenso senso di meraviglia! Conosceva quei sovrani siderali, dal suo precedente viaggio a Throon... e sapeva che solo un'occasione eccezionale avrebbe potuto condurli a corte! Dunque erano quelli gli emissari dei quali Zarth Arn aveva parlato? Il ciambellano batté per la terza volta la sua mazza, e annunciò: «Sua Maestà, il Re di tutti i pianeti che gravitano intorno ai soli della costellazione di Cefeo!» Il Re della Costellazione di Cefeo... un grande regno siderale, che per Gordon era stato sempre e soltanto una remota stella nel cielo, quando aveva vissuto sulla Terra, nella sua lontana èra... era un uomo dalla pelle scura e dall'aria astuta e calcolatrice. Entrò nella sala, muovendosi con la prudenza di un felino, presentò i suoi omaggi all'Imperatore, e occupò il suo posto. Gordon, nell'udire i nomi di coloro che entravano, e riconoscendone alcuni, provò un senso di sempre più intensa meraviglia. Erano già tre, i sovrani siderali che partecipavano a quel banchetto... ed era un avvenimento inconsueto, perfino su Throon! Non poteva essere stato certo il desiderio di partecipare a un banchetto a condurli lassù! Vennero annunciati altri nomi... il primo ministro di un grande regno siderale, il principe ereditario di un altro regno... poi il ciambellano batté di nuovo la mazza, e annunciò: «Sua Altezza Serenissima il Barone Jon Ollen, per grazia dell'Imperatore signore e rappresentante delle stelle e dei pianeti della sua Baronia nella Costellazione d'Ercole!» Gordon ricordava bene il barone... il suo territorio era uno dei più grandi, nella già poderosa Costellazione che occupava una parte così vasta della Via Lattea. La baronia si estendeva dalla Via Lattea fino alle Frontiere
degli Spazi Ignoti, ed era in realtà più grande di tanti regni minori dell'Impero Centrale. Il barone aveva l'aria di un uomo preoccupato, e il suo volto cadaverico conservava un'espressione angosciata e furtiva. Gordon, ricordando le sue nozioni di galattografia, aveva già notato che tutti i regni rappresentati dai sovrani siderali e dagli alti dignitari annunciati dal ciambellano si trovavano nelle vicinanze delle Frontiere degli Spazi Ignoti. Mentre il banchetto continuava, il ciambellano batté di nuovo la mazza, una sola volta, e fece l'ultimo annuncio: «Sua Eccellenza l'Ammiraglio Ron Giron, comandante per grazia dell'Imperatore della Flotta degli Alti Spazi e di tutte le flotte dell'Impero!» Questa volta, Gordon non riuscì a reprimere una sommessa esclamazione di meraviglia. Nella sala era entrato un uomo gigantesco, la cui carnagione scura lo indicava come proveniente da uno dei mondi della Costellazione del Centauro. Egli indossava l'uniforme di gala di ammiraglio della flotta, e il suo viso severo era quello di un soldato spietato e giusto, un uomo onesto e fedele, come infatti egli si era dimostrato nel corso della tremenda crisi che aveva colpito la Via Lattea. Giron si accostò al tavolo imperiale, salutò militarmente l'Imperatore e i sovrani siderali, e disse: «Dovete perdonarmi, maestà, ma la vostra comunicazione mi è giunta quando il Shaar si trovava ancora a grande distanza da Throon. Ho dato ordine ai miei ufficiali di fare immediatamente rotta verso la capitale, e sono giunto direttamente dall'astroporto.» Jhal Arn annuì, brevemente: «Avete fatto bene, ammiraglio Giron. Avete eseguito le mie istruzioni?» «Certamente, maestà. Anche se ancora non capisco...» «Sedetevi, Giron. Parleremo di queste cose più tardi con i nostri illustri ospiti. Ora godetevi questa festa, come è vostro diritto.» Giron occupò il posto di fronte a quello di Gordon. Gordon conosceva bene quel valoroso soldato, che aveva comandato le flotte dell'Impero dopo il tradimento e la morte di Corbulo, e il cui intervento lo aveva salvato da sicura morte quando il traditore lo aveva condannato, insieme a Lianna, a essere gettato nel vuoto degli spazi. Ma Giron certamente non lo conosceva, perché per lui l'uomo che aveva vissuto quegli eventi era stato il principe Zarth Arn. L'ammiraglio pareva inquieto, notò Gordon, e si volgeva intorno, come se l'atmosfera della corte imperiale non gli fosse congeniale. Evidentemen-
te, quel veterano degli spazi preferiva il ponte di comando della sua ammiraglia, il Shaar, alla vita di corte, che doveva giudicare molle e banale. In quel momento, Gordon si sentiva molto vicino all'ammiraglio... perché anche lui si sentiva profondamente a disagio, e non poteva fare a meno di accorgersi degli sguardi perplessi che gli stessi sovrani siderali gli rivolgevano. «Ammiraglio Gironi» disse, da un posto vicino, il giovane Sath Shamar, accostando alle labbra un alto bicchiere di saqua. «Cosa potete dirmi sulla richiesta di altre cento astronavi da guerra al mio regno? Voi sapete bene che è già stata un'ardua impresa ricostruire la flotta, dopo la guerra contro i Mondi Oscuri... che il diavolo possa bruciare notte e giorno l'anima nera di Shorr Kan, all'inferno dove è certamente finito!» Giron fece un breve inchino col capo, ma il suo sguardo era duro. «Il valore dei soldati della Stella Polare è noto in tutta la Via Lattea, maestà,» disse, in tono conciliante. «Ed è proprio questo splendido valore che mi induce a chiedere rinforzi. La flotta ha bisogno di uomini come i vostri.» «Per tutte le stelle, il regno della Stella Polare non si è mai tirato indietro, di fronte alla necessità della guerra!» rise il re della Stella Polare: quel giovane impulsivo e audace piaceva molto a Gordon, che già ne aveva conosciuto il valore. «Ma ora siamo in pace, fortunatamente; e anche se ci fossero degli incidenti alle Frontiere...» «Avete detto bene: siamo in pace,» lo interruppe Jhal Arn, con un sorriso che nascondeva un disagio interiore che non sfuggì a Gordon. «E desideriamo conservare questa pace. Per questo dobbiamo rafforzare la nostra flotta, che ancora non è completamente ricostituita, dopo la battaglia dì Deneb!» «Ma a cosa serve una flotta, dopotutto?» tuonò il vecchio reggente di Cassiopeia. «Se qualche vera minaccia dovesse presentarsi, il principe Zarth Arn potrebbe usare di nuovo il Distruttore... e questa volta, senza aspettare l'ultimo momento!» «Voi conoscete bene i pericoli ai quali andremmo incontro, maestà,» disse Zarth Arn, in tono sommesso. «E sapete ancora meglio che l'arma di cui parlate è così terribile, che il mio grande antenato, Brenn Bir, lasciò ai suoi discendenti l'ammonimento di non usarla se non in casi estremi... questo basta a giustificare le mie esitazioni?» Sottovoce, senza che nessun altro potesse udirlo, Zarth Arn mormorò all'orecchio di Gordon:
«Giron è al corrente di tutta la storia, come i membri della famiglia imperiale e pochi altri ufficiali e dignitari fidati. Ma questi sovrani siderali hanno continuato, malgrado l'esultanza della vittoria, a insinuare, molto garbatamente, che il mio ritardo per poco non sarebbe stato fatale. Ora sono inquieti, senza sapere esattamente qual è il motivo. Sono giunti a Throon per conferire con mio fratello, ma nessuno di loro desidera fare il primo passo... neppure Sath Shamar, in fondo.» Con lo stesso tono di voce, Gordon domandò: «Tutti questi sovrani siderali rappresentano dei regni vicini alle Frontiere degli Spazi Ignoti. E tuo fratello è stato molto abile a sviare il discorso, prima, quando l'argomento stava per toccare le Frontiere.» «Nominalmente, i conti sono sempre alleati dell'Impero... e hanno i loro emissari anche a Throon. Vorresti forse scatenare una nuova guerra nella galassia, per qualche parola incauta pronunciata dopo avere bevuto troppi bicchieri di saqua?» Gordon si limitò a scuotere il capo. Jon Ollen, con il volto livido che pareva pervaso da una tremenda apprensione, non aveva quasi toccato cibo. A un certo punto, si rivolse all'Imperatore, domandando: «Maestà, vi sono grato per l'onore che mi avete accordato, inviandomi questo invito alla corte di Throon... e, come vedete, sono a vostra piena disposizione, da alleato fedele dell'Impero come sono sempre stato.» L'espressione degli occhi contraddiceva le parole, ma Jhal Arn si limitò a chinare il capo, in segno di assenso. «Ma voglio scusarmi con voi, e naturalmente con gli altri illustri convitati, se dovrò ritornare tra breve alla mia astronave. Disgraziatamente le mie condizioni di salute non sono più buone come un tempo, e ho "bisogno delle comodità della cabina che è stata attrezzata appositamente dai miei medici di corte a bordo dell'incrociatore...» «Sono addolorato nel sentire questo, e ancora più addolorato nel non avere la vostra compagnia, barone,» rispose subito Jhal Arn, anche se a Gordon il barone pareva assai più spaventato che malato. «E certamente vi tratterrete ancora per qualche minuto, e domani sarete puntuale, secondo gli accordi...» «Certo, certo, maestà,» disse Jon Ollen. Sul suo viso livido l'espressione impaurita era ancor più accentuata. «Mi tratterrò ancora per un poco, e spero che la mia assenza non offenda la maestà vostra, né gli altri illustri convitati, quelli che già conosco, e quelli che non ho avuto ancora l'onore di conoscere...»
Il suo sguardo si posò, con aria significativa, su John Gordon. Era un'aperta scortesia, quella... e John Gordon si sentì avvampare. Ma Jhal Arn si limitò a sorridere. «Sono lieto che possiate restare ancora per qualche minuto, barone... perché questa sera desidero fare un certo annuncio, e sapete bene che la vostra presenza mi è sempre particolarmente gradita.» Jon Ollen chinò il capo. «Voi mi onorate troppo, maestà.» «Siete voi che onorate l'Impero, con la vostra alleanza e la vostra fedeltà a tutti gli impegni assunti.» Per un momento, negli occhi di Jon Ollen apparve una strana luce... e Gordon poté leggere la paura, in quegli occhi, una paura che non nasceva da quanto aveva detto Jhal Arn, bensì da qualche altro recondito pensiero che doveva turbare molto il barone. Zarth Arn mormorò all'orecchio di Gordon: «Tra poco ci sarà il momento culminante della festa. Anche se il barone non sembra troppo soddisfatto, gli altri convitati si divertono. Se fossi in te, mi preparerei a una sorpresa, John Gordon!» John Gordon avrebbe voluto replicare, ma proprio in quel momento l'Imperatore si alzò in piedi, e nella sala il brusio diminuì d'intensità, fino a quietarsi del tutto. Tutti gli occhi si volsero verso il tavolo imperiale, dove Jhal Arn si preparava a parlare. «Questa è una notte di festa per Throon, perché la nostra corte è onorata dalla visita di tanti fedeli amici e alleati dell'Impero, come da moltissimo tempo non se ne vedevano... sovrani delle stelle, nobili e baroni della Costellazione, valorosi ufficiali e potenti ministri che danno risonanza e splendore a questa festa!» L'Imperatore, lentamente, lasciò che il suo sguardo abbracciasse l'intero salone, come per dare a ciascuno dei convitati l'impressione che l'attenzione del più grande monarca della Via Lattea si fosse appuntata per un momento su di lui. «Ora degli impegni che non posso rimandare mi obbligano a ritirarmi, ma vi prego con tutto il cuore di rimanere, e di apprezzare l'ospitalità di Throon per i suoi ospiti, che, senza volerne trarre vanto, è proverbiale in tutta la Via Lattea. Rimanete dunque e siate non ospiti, ma padroni, perché la corte imperiale è aperta a tutti gli amici e agli alleati fedeli, e voi siete certamente tra i migliori e più fidati amici che l'Imperatore possa immaginare! «Prima di lasciarvi alla continuazione della festa, però, vorrei annunciare una decisione che ho preso... una decisione lieta, devo dirlo, perché è sem-
pre stato antico privilegio dell'Imperatore regnante quello di nominare i ministri dell'Impero, gli ammiragli della Flotta, e di ricompensare coloro che hanno dimostrato il loro valore e la loro fedeltà all'Impero con i più ambiti onori. Questo, lo sapete bene, è privilegio riconosciuto, e dovere, di ogni Imperatore. «Ebbene, devo dire che mai, in tutta la storia della Via Lattea, un Imperatore è stato più felice di me, nell'usare questo privilegio e nel compiere questo dovere! Perché questa sera è seduto al mio fianco un uomo che ha provato la sua fedeltà all'Impero e ai popoli della Via Lattea come nessuno, in duemila secoli, mai aveva fatto. Vi do la mia parola d'Imperatore che mai onore è toccato a un uomo più degno, e che la mia famiglia, e l'Impero, hanno nei suoi confronti un debito di riconoscenza che nulla potrà ripagare.» Ora gli sguardi dei presenti fissavano John Gordon... e il cuore di Gordon aveva cominciato a battere più forte. Oscuramente, aveva intuito qualcosa, dalle parole misteriose di Zarth Arn, dallo stesso posto d'onore che gli era stato assegnato... ma non ebbe il tempo di pensare, poiché l'Imperatore si volse, lentamente, verso di lui, e lo indicò ai convitati con un ampio gesto del braccio: «Tutti sanno che esistono segreti noti solo alla famiglia imperiale, che non possono essere divulgati per motivi noti esclusivamente all'Imperatore. Non vi dirò quindi quali servigi siano stati resi all'Impero e a tutta la Via Lattea da quest'uomo, John Gordon... ma sappiano i sovrani delle stelle e i nobili dell'Impero e della Costellazione che, servendomi dell'antico privilegio imperiale, che permette al sovrano regnante di proclamare in tutta la Via Lattea il nome e il casato di colui che venga ritenuto degno di fare parte dei nobili e dei consiglieri dell'Impero, io proclamo il nome e il casato di John Gordon, e vi dico che il vostro imperatore si vanta di averlo come consigliere e amico. «Sovrani delle stelle e nobili dell'Impero, sappiate dunque che nessun uomo, in tutta la Via Lattea, è più vicino al cuore della famiglia imperiale di John Gordon, e che egli è degno degli onori che si concedono solo a un principe di sangue reale. Sappiate inoltre che John Gordon gode la fiducia e la stima del vostro Imperatore, e che la sua parola avrà il valore di una parola dell'Imperatore poiché nessuna promessa che egli abbia fatto sarà rinnegata dall'Imperatore, né alcuna minaccia che egli abbia fatto non porterà alla punizione da parte dell'Imperatore!» Stordito, John Gordon mormorò qualcosa che era in parte un ringrazia-
mento, in parte una protesta. Zarth Arn gli sorrise: «Non credere che queste parole siano state pronunciate con leggerezza, Gordon,» gli disse. «Ma non affrettarti a ringraziare Jhal... aspetta, prima, di sapere cos'altro ha in mente!» «Ma è una cosa che non ha senso!» protestò Gordon. «Come reagiranno i sovrani delle stelle, vedendo l'Imperatore distribuire titoli e onori a uno sconosciuto?» Zarth Arn sorrise ancora. «L'Imperatore ha una sola parola, e tutti sanno questo. Nessuno dubiterà del tuo diritto a questi onori, John Gordon! E, conoscendo la corte di Throon, credi che la presenza di un ospite così vicino alla famiglia imperiale avrebbe suscitato meno attenzione, o suscitato minore malcontento, senza una spiegazione da parte di Jhal?» Gordon, stordito, rispose meccanicamente alle parole di congratulazioni dei presenti, e si accorse di compiere diversi errori di protocollo, nel tumultuoso proseguimento della festa. Lui... lodato dall'Imperatore, considerato quasi un pari dei principi della Via Lattea! La Via Lattea era retta da un'autentica democrazia, pur essendo state ripristinate le forme arcaiche di governo, con re e principi e conti e baroni: le figure dei regnanti erano l'unico fattore che poteva unire territori che si stendevano attraverso distanze incommensurabili. Ma la parola dell'Imperatore aveva un peso decisivo in ogni questione... e Jhal Arn gli aveva dato un posto in quell'universo futuro, anche se lui comprendeva bene che, in realtà, continuava a essere John Gordon, un uomo del ventesimo secolo che si sentiva smarrito nello splendore dei regni siderali. I suoi pensieri, gradualmente, isolarono la ragione del senso di vuoto che lui provava... ed egli comprese. Perché davanti ai suoi occhi c'era il viso di Lianna, l'espressione amara dei suoi occhi grigi, quando lo aveva accusato di amare di più quelle cose... lo splendore, il fasto imperiale, le stelle, le astronavi... di quanto non avesse amato lei. E capì che lui doveva ancora trovare la sua strada, in quell'universo futuro... ma era deciso a trovarla, a qualsiasi costo! Gordon ebbe un'impressione confusa della festa, e dei volti che si susseguirono davanti ai suoi occhi. Fu con un certo sollievo, quindi, che accolse il momento in cui l'Imperatore si alzò in piedi, subito imitato dagli altri, e pronunciò brevi parole per invitare i convitati a proseguire la festa a loro piacimento, scusandosi per le necessità di stato che gli imponevano di riti-
rarsi. L'imperatore uscì dalla Sala delle Stelle, seguito da Zarth Arn e da John Gordon e dagli sguardi curiosi e sconcertati di molti dei convitati, e subito li guidò verso il corridoio mobile che conduceva nell'ala del palazzo dove si trovava lo studio dove egli si occupava delle faccende complesse e imprevedibili che formavano la faticosa giornata di un imperatore. «È stata una serata faticosa, John Gordon, ma le sorprese e le preoccupazioni non sono ancora finite!» disse Jhal Arn. Alzò una mano, per impedire a Gordon di parlare. «Non dire niente, amico mio, fino a quando non avremo finito... perché la gratitudine non è stata il solo motivo che mi ha indotto a proclamare i tuoi meriti alla corte e ai sovrani siderali. Ora andiamo nel mio studio... perché desidero avere al più presto notizie su quanto mi sta a cuore!» Soffocando le molte domande che gli salivano alle labbra, Gordon si limitò ad annuire, in silenzio. Ben presto, essi varcarono la porta di bronzo che dava nello studio dell'Imperatore, il cuore pulsante della corte di Canopo e dell'Impero Centrale della Via Lattea. Le pareti erano coperte di telestereo, e al centro della sala semplice e quasi disadorna si trovava la bassa scrivania coperta di pulsanti e di leve e di piatti schermi ovoidali. Silenziosamente, Jhal Arn andò a sedersi dietro la scrivania, mentre Gordon e Zarth Arn sedevano sulle comode poltrone metalliche. L'Imperatore premette una serie di pulsanti, e su uno degli schermi apparve il volto serio e intento di uno dei medici di corte. «Dottore, vorrei chiedervi notizie sulle condizioni del paziente che abbiamo affidato alle vostre cure nelle prime ore della sera... Sua Eccellenza il Ministro del Regno di Fomalhaut.» «Avevo cercato di chiamarvi, maestà,» rispose il chirurgo. «Come sapete, il paziente aveva subito una grave scossa mentale... ma fisicamente era illeso. Ora ha ripreso i sensi, pare tornato perfettamente in sé, e chiede di conferire con voi al più presto.» «Perché non mi avete avvertito?» tuonò Jhal Arn. «Vi avevo ordinato di chiamarmi in qualsiasi momento!» «Maestà, la vostra presenza alla festa...» «Lasciamo perdere! Date ordine alle mie guardie di condurre qui il ministro Korkhann senza indugio!» «Sarà fatto, maestà.» L'immagine del chirurgo svanì, sullo schermo, e Jhal Arn sollevò il capo, con occhi tempestosi.
«Quel chirurgo sarà punito, per avere trascurato i miei ordini!» Premendo un altro pulsante, Jhal Arn fece illuminare un altro schermo, sul quale apparve il volto di un capitano della flotta. «Avvertite l'ammiraglio Giron di scusarsi con gli altri invitati, e di raggiungermi subito qui, nel mio studio!» disse Jhal Arn. «Provvedete immediatamente!» «Sarà fatto, maestà.» Finalmente, Jhal Arn sollevò di nuovo il volto, e fissò il fratello e John Gordon. Il suo bel volto severo tradiva un'intensa preoccupazione. «E ora,» disse. «Vedremo che cosa avrà da dirci Korkhann... e voglia il cielo che non si tratti di quello che penso!» «Avrei fatto bene a rimanere con lui,» disse Gordon, impulsivamente, turbato dal mutamento di umore di Jhal Arn. «Era terribilmente scosso. Forse la festa avrebbe potuto aspettare...» «No,» disse brevemente Jhal Arn. «Le mie guardie lo hanno certamente sorvegliato nel migliore dei modi. Ma ora vedremo!» L'ammiraglio Ron Giron fu il primo a giungere nello studio dell'Imperatore. Salutò militarmente Jhal Arn, e poi rivolse la sua attenzione, brevemente, su Gordon. «Mi hanno raccontato l'intera storia, ma ancora non riesco a crederci,» disse. «E pensare che, per poco, non ho dato l'ordine di gettarvi nello spazio, quando vi credevo Sua Altezza il principe Zarth Arn! Bene, credo di saper riconoscere un uomo capace e un valoroso soldato, John Gordon, e devo dire che sono felice che siate qui, in carne e ossa... perché credo che il vostro valore possa riuscire prezioso all'Impero!» «Il mio amico John Gordon non è ancora al corrente di certe cose, ammiraglio,» disse Jhal Arn. «Lui non sa ancora...» Ma le parole dell'Imperatore vennero interrotte dall'arrivo di Korkhann, scortato dalle guardie di palazzo. Jhal Arn congedò le guardie, e immediatamente si rivolse al non umano: «Come vi sentite, ora? Il peggio è passato, a quanto vedo.» «Sì, maestà,» rispose Korkhann. «Ormai mi sono ripreso del tutto.» Gordon ne dubitava. Gli occhi gialli avevano un'espressione allucinata, e nel volto dal grosso becco c'era un terrore che non gli aveva mai visto prima. «Il palazzo è stato perquisito, dalle grandi serre ai sotterranei, e non è stata trovata alcuna traccia del misterioso assalitore,» disse Zarth. «Diteci, con esattezza, quello che è accaduto.»
La voce di Korkhann diminuì, diventando quasi un sussurrare impaurito. «C'è ben poco che io posso dire. È stata la stessa, terribile sensazione di stordimento mentale che ho provato su Teyn, ma più forte, più irresistibile. Questa volta non ho potuto oppormi neppure per un secondo. Poi non ho più sentito niente, fino a quando le grida di Gordon non mi hanno fatto riprendere per breve tempo i sensi. Poi mi sono ritrovato nelle mani dei chirurghi di corte. Ma... io credo che, mentre ero vittima di questa forza oscura, la mia mente sia stata esaminata, e tutti i miei pensieri e i miei ricordi siano stati sottratti da un'entità telepatica, al cui confronto io sono soltanto un bambino!» Jhal Arn, dietro la scrivania piena di schermi, fili e quadranti, si protese ansiosamente in avanti. Il suo bel viso regolare, sul quale già si vedevano le rughe che sempre accompagnavano il potere, e la responsabilità di un Impero, pareva impietrito dall'ansia. «Ditemi, Korkhann... quando questa forza si è impadronita di voi, non avete provato una sensazione bizzarra... come uno strano senso di gelo mentale?» Korkhann lo fissò, stupito e incredulo. «Come... come avete potuto indovinare questo, maestà?» Jhal Arn non rispose, ma tra lui e suo fratello passò uno sguardo cupo e triste. Nel silenzio improvviso che regnò nello studio, si udì allora la voce profonda e minacciosa dell'ammiraglio Giron. «Temo che abbiate ottenuto la risposta, maestà!» disse l'ammiraglio. «E temo che ore drammatiche si stiano preparando, per la galassia!» Capitolo Decimo Dalle Nubi dì Magellano Nello studio dell'Imperatore, quelle parole vennero accolte da un silenzio impressionante. Gordon si volse a fissare gli altri, e poté leggere, sui loro volti, un'espressione di angoscia e d'incertezza. «Che cosa significa?» domandò. «Che cosa sono tutti questi misteri?» «È ancora presto per rispondere,» intervenne frettolosamente Zarth Arn. «E certo i sovrani siderali sanno qualcosa. Soprattutto Jon Ollen... il barone mi pareva straordinariamente ansioso di lasciare il palazzo, come se avesse paura di... qualcosa.» Korkhann pareva immerso in altri pensieri. Si volse improvvisamente a
Jhal Arn, e domandò: «Maestà, come è andata la festa di questa notte? Tutto si è svolto come era stato stabilito?» «Nel migliore dei modi,» disse l'imperatore. «E, a quanto sembra, i sovrani siderali sono stati molto colpiti dalle mie parole...» «Un momento!» esclamò John Gordon. «A me sembra che qui stiamo parlando per enigmi. C'è qualcosa nell'aria, e me ne rendo conto. Io stesso ho avvertito la forza di quello straniero grigio, a Teyn, e non vorrei incontrarlo di nuovo... Ma ho il sospetto di essere al centro di qualcosa, e mi piacerebbe saperne di più!» «È nel tuo pieno diritto,» sorrise Zarth Arn. «E devi perdonarci, Gordon, se nessuno ti ha detto niente prima d'ora. Ma nella Sala delle Stelle c'erano degli ospiti non umani... e qualcuno di loro avrebbe potuto cogliere i tuoi sentimenti, se fossi stato informato prima. Vedi, i poteri telepatici sono strani, ed è una fortuna che, durante il tuo precedente soggiorno a Throon, gli eventi ti abbiano impedito d'incontrare dei non umani... altrimenti tutto l'inganno sarebbe stato scoperto, perché tu non sei capace, come invece lo siamo noi, di celare completamente i tuoi pensieri con la forza della volontà. E devi credere che l'onore che ti è stato riservato era nelle intenzioni mie e di mio fratello, anzi, avremmo voluto fare molto di più. Parlando oggi con Korkhann, però, sua eccellenza ci ha suggerito un'altra idea... che tu sei libero di accettare o di rifiutare. Parlate, Korkhann... credo che possiate spiegare ogni cosa.» Korkhann si volse a guardare negli occhi Gordon: «Vi chiedo scusa, John Gordon, se non sono stato completamente sincero con voi, durante il viaggio,» disse il non umano. «Ma voi sapete meglio di chiunque altro come siano delicati gli equilibri politici, nella Via Lattea, e come a volte possa bastare un nonnulla per scatenare un conflitto irreparabile. Ebbene, venendo a Throon con voi, ero sicuro di potere giungere all'orecchio e al cuore di Sua Maestà l'Imperatore... chiedo scusa alla Maestà vostra,» aggiunse frettolosamente, rivolgendosi a Jhal Arn. «Per appoggiare la causa che più mi sta a cuore, e cioè quella del Regno di Fomalhaut.» «Vi assicuro, Korkhann, che il Regno di Fomalhaut è vicinissimo al nostro cuore,» disse Jhal Arn. «Si tratta, in fondo, del più fedele alleato dell'Impero!» ««Lo so bene, maestà. Ma io ho conosciuto la cosa che abbiamo dovuto affrontare, a Teyn... e vi assicuro che se non fosse stato per la prontezza di John Gordon, e per l'aiuto dei Gerrn, nessuno di noi sarebbe uscito salvo
da quell'avventura. Io so qual è almeno in parte la potenza di ciò che dobbiamo affrontare... e temo non solo per Fomalhaut, ma anche per tutti gli altri regni siderali!» Il non umano fece una pausa, e le sue piume frusciarono, e i suoi occhi gialli tradirono l'ombra del terrore che ancora viveva in lui. «Ho conosciuto bene il principe Zarth Arn, sulla Terra, e sapevo quali erano le vostre intenzioni, per festeggiare l'arrivo di John Gordon... e così, mi sono permesso di studiare il modo per assecondare questi propositi, e nello stesso tempo avvicinarmi agli obiettivi che mi ero prefisso alla partenza.» «Devi credere a questo, John Gordon!» esclamò Zarth Ara. «Le intenzioni di mio fratello erano diverse... egli voleva dare una grande festa in tuo onore, e insignirti dei più ambiti titoli dell'Impero... e l'annuncio che ha fatto durante la festa è assai inferiore a quello che aveva in animo di fare!» Gordon si rivolse a Korkhann, che aveva ripreso a parlare: «Vedete, Gordon, a mio parere qualcosa di oscuro e di terribile sta accadendo nelle Frontiere degli Spazi Ignoti. Sua Maestà l'Imperatore aveva già convocato a Throon i rappresentanti dei regni siderali più direttamente minacciati, come avrete visto... ma qualcuno di loro non parlerà, forse, per paura, e gli altri non sanno nulla di certo. È quindi necessario che qualcuno vada a investigare nelle Frontiere, per scoprire qualcosa di più sul mistero... ma voi sapete bene che i Conti hanno chiuso le loro frontiere da molto tempo, e che qualsiasi movimento della flotta nelle vicinanze delle Frontiere degli Spazi Ignoti sarebbe considerato una violazione delle alleanze e un atto di sfida aperta!» «Lo so bene!» esclamò cupamente Giron. «Neppure i regni vicini possono compiere le loro manovre verso i confini esterni della Via Lattea, come sarebbe logico!» «Perciò, dove non è possibile usare la forza, bisogna ricorrere all'astuzia,» proseguì Korkhann. «Quando ho saputo che sua maestà intendeva onorare voi, John Gordon, rendendo palese la vostra condizione di amico e persona di assoluta fiducia della famiglia imperiale, mi sono reso conto che questo avvenimento avrebbe potuto essere usato a nostro vantaggio. Se anche ci fossero state delle spie, a corte, credo che siano rimaste convinte della vostra sincerità, e del fatto che eravate all'oscuro di ogni cosa... e, naturalmente, nessuno può dubitare delle parole dell'Imperatore, e tutti sanno, ormai, che voi godete la sua piena fiducia, e occupate un posto importante, a corte. Quale occasione migliore, quindi, per una persona del vostro rango, di rappresentare sua maestà a una delle corti dei regni siderali più
vicini alle Frontiere degli Spazi Ignoti... In una missione diplomatica di grande impegno, che non faccia sentire in alcun modo minacciati i Conti delle Frontiere?» «Io... ambasciatore? Certamente non...» Jhal Arn sollevò la mano, per interrompere la protesta di Gordon. «La missione non comporterebbe alcun pericolo, John Gordon!» esclamò. «Tu dovresti soltanto svolgere questa funzione ufficiale... e credo che saresti capace di cavartela con ogni onore. Partiresti a bordo di un incrociatore imperiale, con un equipaggio fidato, agli ordini di un uomo fidato. Nessuno più di te merita la mia fiducia... e tu lo sai bene! A chi potrei affidare una missione di tanto impegno, se non a un uomo del quale conoscessi con certezza le capacità e la devozione? L'unica persona che potrebbe partire al tuo posto sarebbe mio fratello Zarth Arn... ma tu sai bene che la sua partenza dovrebbe avvenire con tutti gli onori, e l'attenzione di tutta la Via Lattea sarebbe concentrata su questo viaggio, rendendolo del tutto inutile. No, John Gordon... tu sei l'unico che possa aiutarci. Forse otterremo qualche indizio dai sovrani siderali... e in questo caso, la destinazione potrebbe essere fissata in anticipo. In caso contrario, tu visiterai i diversi regni vicini alle Frontiere... e non appena qualcosa riuscirà a trapelare, i soldati che formeranno l'equipaggio dell'incrociatore potranno agire, occupandosi di investigare, penetrando magari nelle Frontiere... mentre tu fingerai di proseguire nel tuo viaggio.» Lentamente, Gordon guardò coloro che occupavano lo studio. «Sono commosso per la fiducia che riponete in me, tutti quanti,» disse, e il suo tono di voce era basso e privo d'inflessioni. «E continuo a pensare di non essere adatto a una missione diplomatica. Ma il motivo per cui non posso accettare è un altro.» Jhal Arn annuì, stancamente. «Sì, capisco. Tu sei appena giunto tra noi, e già ti chiediamo qualcosa che potrebbe essere rischioso... perdonami, John Gordon. Ma l'importanza della cosa è così enorme, da richiedere un uomo del quale si possa avere piena fiducia... e tu sai bene che perfino uomini come Corbulo e Bodmer, sui quali tutti avrebbero giurato con la propria vita in palio, si sono rivelati degli assassini e dei traditori. Al di fuori di me e di mio fratello Zarth, nessuno, al di fuori dei più fidati ufficiali della flotta, potrebbe compiere questa missione. Ed è necessario che sia un civile, e non un militare, a compierla... Ma se tu...» «Non mi sono spiegato,» disse Gordon, senza cambiare tono. «Non pos-
so accettare, se dovrò essere soltanto un ambasciatore, una pedina del gioco... perché desidero avere piena libertà di scoprire quello che c'è da scoprire, e non ho certo paura dei pericoli che potrei incontrare!» «È come vi avevo detto, maestà» esclamò l'ammiraglio Giron. «So riconoscere un uomo coraggioso, quando lo incontro!» Era stata una notte breve e inquieta, quella, per John Gordon. Il pensiero dell'oscuro pericolo senza nome, gli avvenimenti che gli erano accaduti in quelle ore, il modo in cui lui aveva accettato, senza discutere, una missione per la quale certamente non era adatto... quale impulso lo aveva indotto a parlare così? Non voleva interrogare se stesso a quel riguardo... anche se sapeva che presto avrebbe dovuto farlo. Tu sai bene che puoi sfuggire a tutti i nemici, ma non a te stesso, diceva una voce sottile, nella mente di Gordon. Sai bene che conosci la risposta, e che Lianna non ha mentito, quando ti ha accusato di amare il pericolo e l'avventura più di lei stessa! E Korkhann ti legge nella mente... perché altrimenti avrebbe detto che colui che ha assaporato il potere una volta, desidera inebriarsene ancora? No! Lui era John Gordon, il vecchio John Gordon, travolto da eventi troppo grandi per lui. Cercò di protestare contro quella voce insidiosa, e aprì gli occhi, e si accorse che c'era qualcuno curvo sul suo letto, che lo stava scuotendo gentilmente. Era un domestico, il domestico che Jhal Arn aveva messo a sua disposizione. L'uomo s'inchinò profondamente, e disse: «Sua Maestà l'Imperatore mi ha mandato ad avvertirvi che tra un'ora ci sarà un'importante riunione, e che la vostra presenza è importante.» Gordon annuì, e si preparò in fretta. Quando giunse nello studio dell'Imperatore, vide che gli altri lo avevano preceduto... e si trovò al centro degli sguardi curiosi e interrogativi di coloro che aveva visto nella Sala delle Stelle, la sera prima. C'erano Sath Shamar, il Re della Stella Polare, e c'era l'anziano Reggente di Cassiopeia; c'era il sovrano della Costellazione di Cefeo, c'erano altri dignitari, ed era presente anche l'ammiraglio Giron. Oltre a questi, nello studio si trovavano Jhal Arn, Zarth Arn, Korkhann, e il livido barone Jon Ollen, che pareva ancora più a disagio della notte precedente, e che all'entrata di Gordon non riuscì a nascondere uno sguardo apertamente insolente. Jhal Arn fece segno a Gordon di prendere posto su una poltrona metallica, e parlò, senza preamboli:
«Tutti voi avete udito la voce che si è diffusa nell'Impero, e cioè che alcuni Conti delle Frontiere stanno preparando un'aggressione, i cui mezzi e i cui motivi ci sono oscuri. Le trame e i complotti dei Conti minacciano tutti voi, che rappresentate i regni vicini alle Frontiere, ma prima di tutto esse minacciano il nostro fedele alleato, il Regno di Fomalhaut; per questo motivo Korkhann e il mio amico John Gordon sono venuti fin qui, dalla remota costellazione dove il mio amico Gordon si trovava fino a poco tempo fa.» Il fatto che l'imperatore avesse pronunciato per due volte le parole «il mio amico» riferendosi a John Gordon, e il modo in cui aveva alluso alla sua presenza nel Regno di Fomalhaut senza specificarne i motivi, colpirono evidentemente i potenti sovrani siderali, che fino a quel momento avevano ignorato Gordon. Tutti lo fissarono di nuovo. Jhal Arn proseguì: «So bene che alcuni di voi non sanno niente, e altri non desiderano parlare, per timore che si tratti di voci senza fondamento. Per questo, ho chiesto al ministro Korkhann di narrare a tutti voi quanto gli è accaduto.» Korkhann si inchinò, e narrò ciò che era accaduto, senza omettere alcun particolare, dal momento in cui l'incrociatore reale di Lianna di Fomalhaut era stato sorpreso nello spazio da un'imboscata delle forze fedeli a Narath Teyn, a quando la principessa aveva ordinato di fare rotta per Teyn, il pianeta del suo ambizioso cugino, il quale aveva cercato di prendere prigioniera la sovrana di Fomalhaut. «Fin dall'inizio, questi avvenimenti mi sono apparsi oscuri e inspiegabili, alla luce di quello che tutti sapevamo su Narath Teyn e i suoi alleati non umani,» disse Korkhann. «E finalmente abbiamo scoperto che Narath Teyn ha degli alleati. Non si tratta solo di alcuni Conti delle Frontiere, ma anche di qualcun altro...» E parlò dello straniero velato e incappucciato, il cui viso e la cui forma nessun uomo aveva potuto vedere, ma del quale tutti avevano avvertito la tremenda forza mentale. «Ora,» concluse Korkhann, «Tutto questo dimostra l'esistenza di un complotto, del quale perfino i seguaci fedeli di Narath Teyn sono spaventati. Dove appare una creatura misteriosa, della quale nessuno aveva mai sentito parlare, possono apparirne delle altre... ed è evidente che quanto avviene nel Regno di Fomalhaut è solo l'inizio di qualcosa di più vasto e pericoloso. Perciò, se qualcuno di voi sa qualcosa che possa aiutarci a fare luce sul mistero, parli!» Quando Korkhann ebbe finito, ci fu un lungo silenzio. Poi il giovane Sath Shamar disse:
«Di misteriosi alleati, e di stranieri velati e incappucciati, io non so nulla. Ma so per certo che in questi ultimi tempi i Conti delle Frontiere degli Spazi Ignoti sono diventati più duri, insolenti e aggressivi, con il Regno della Stella Polare, e ci hanno minacciato, alludendo oscuramente a certe forze che avrebbero potuto annientarci.» Il sovrano di Cefeo non disse niente, ma il vecchio Reggente di Cassiopeia annui, convinto: «Deve esserci qualcosa di nuovo, nelle Frontiere... i Conti sono stati sempre arroganti e alteri, ma ultimamente la loro insolenza ha certamente passato ogni limite.» Korkhann fissò il barone della Costellazione d'Ercole, e disse, a bassa voce: «Forse sua altezza il barone Jon Ollen desidera aggiungere qualcosa? Mi sembra che abbiate un contributo da offrirci, o sbaglio?» Il volto cadaverico di Jon Ollen diventò ancora più livido, per l'indignazione, ed egli esclamò, furioso: «Non vi permetterò di leggermi la mente, telepatico!» «E come potrei farlo, altezza,» disse Korkhann, in tono di mite rimprovero, «Se dal momento in cui siete entrato in questa stanza, voi avete mantenuto una cortina impenetrabile per proteggere i vostri pensieri?» Jon Ollen disse, in tono cupo: «Io amo la pace, e non vado in cerca di guai. La mia baronia è vicinissima alle Frontiere, più vicina di qualsiasi altro dei vostri regni. Se esiste davvero un pericolo, io sono il più vulnerabile!» La voce di Jhal Arn lo rimproverò, severamente: «Voi siete un amico e un alleato dell'Impero, barone. Se qualche pericolo vi minaccia, la flotta dell'ammiraglio Giron verrà subito in vostro aiuto. Se avete qualcosa da dire, parlate!» Jon Ollen parve dubbioso, pensieroso, visibilmente angosciato. Ci volle un minuto, prima che si decidesse a parlare: «In realtà, io so ben poco. Posso dirvi, però... che nelle Frontiere, non lontano dai confini della baronia, si trova un mondo chiamato Aar. E intorno a quel mondo sono accadute cose strane e inspiegabili, che sembrano averlo come punto focale.» «Di che si tratta? Parlate, dunque!» «Una nave mercantile è ritornata nella mia baronia dalle Frontiere, seguendo una rotta pazzesca. I nostri incrociatori non hanno saputo comprendere quel comportamento, anche perché essa non rispondeva ai loro
segnali, così l'hanno intercettata, bloccata, e abbordata. Tutti gli uomini che si trovavano a bordo erano pazzi furiosi. Il giornale di bordo indicava che l'ultimo scalo della nave era stato Aar. Non c'erano altre annotazioni, e non abbiamo potuto scoprire nulla... perché si trattava di uno di quei mercantili clandestini, che facevano servizio sui mondi delle Frontiere. Ma poi un incrociatore della nostra flotta, che, per un'avaria, si era allontanato dalla rotta prevista, ha involontariamente oltrepassato i confini. Il comandante ha avvertito la base di avere riconosciuto finalmente il sistema stellare nel quale si trovava, e si trattava di Aar. Poi abbiamo ricevuto soltanto un'invocazione di aiuto, e infine il silenzio totale. La comunicazione si è interrotta bruscamente. E nessuno ha mai più saputo niente di quell'astronave. E poi...» «E poi? Avanti, parlate!» lo esortò Giron. Jon Ollen parve diventare ancora più livido. «E poi, ho ricevuto la visita del Conte delle Frontiere Cyn Cryver, venuto alla mia corte non ricordo più con quale pretesto. Quando l'ho ricevuto, per prima cosa egli mi ha annunciato che alcuni esperimenti scientifici, sulla cui natura non intendeva darmi particolari, avevano reso pericoloso Aar e tutto lo spazio circostante, e mi ha suggerito di dare ordine a tutte le nostre astronavi di evitare la regione vicina alla frontiera. Ma 'suggerito' è un termine che non calza affatto... egli mi ha ordinato di fare questo, e con molto vigore!» «Parrebbe che Aar sia uno dei punti focali di questo mistero,» mormorò Jhal Arn, meditabondo. «Potrei inviare uno squadrone di incrociatori da guerra in quella regione, per scoprirlo nel più veloce dei modi!» esclamò Giron. «Siete pazzo?» protestò Jon Ollen, facendosi grigiastro in viso. «Perdonatemi, ammiraglio... ma che cosa accadrebbe, se lassù non si trovasse niente? I Conti mi considererebbero responsabile di questa azione, e la considererebbero un atto ostile. Voi dovete rendervi conto della mia posizione!» «Ce ne rendiamo conto perfettamente,» gli assicurò Jhal Arn. Poi aggiunse, rivolgendosi all'ammiraglio, «No, ammiraglio. A questo proposito, il barone ha ragione... se lassù non troviamo niente, irriteremmo soltanto i Conti, per avere violato i loro confini, e questo potrebbe portare a una guerra lungo tutte le Frontiere. E chi può dire quello che potrebbe portarci, una guerra?» Ancora una volta, come quella prima volta, John Gordon rifletté sull'iro-
nia del destino umano. L'uomo aveva lasciato la Terra, un mondo troppo piccolo e troppo periferico per il grande Impero che si era esteso tra le stelle. Ma rendendo ancora più vasti i suoi dominii, l'uomo non aveva ottenuto altro che aumentare i pericoli. La storia dell'Impero era una storia di guerre e di tradimenti e di minacce; e benché il Distruttore, l'arma terribile che distruggeva lo stesso spazio, fosse stato usato soltanto due volte in tutta la storia, non c'era mai stato riposo per i possenti incrociatori da guerra della Flotta degli Alti Spazi. Jhal Arn rimase per qualche tempo in silenzio, e poi parlò: «La guerra è un rischio troppo grande, per affrontarlo a cuor leggero! L'Impero si sta ancora curando le ferite lasciate dalla guerra contro la Lega dei Mondi Oscuri e, con l'aiuto di Dio, sono deciso a impedire che il mio regno conosca per la seconda volta una catastrofe così completa. L'unica soluzione, prima di agire, mi sembra quella di sapere; per questo intendo inviare un mio plenipotenziario in visita ai mondi di quelle regioni, come testimonianza dell'alleanza dell'Imperatore, e per svolgere le necessarie indagini per accertare quanto c'è di vero in queste storie. Manderò quindi il mio emissario a bordo di un incrociatore fantasma, con un equipaggio di pochi uomini, per compiere le necessarie indagini.» John Gordon sapeva che cos'era un incrociatore fantasma. L'aveva saputo, ironia del destino, proprio da Shorr Kan, l'astuto avventuriero che facendo leva sul fanatismo e sugli ideali sbagliati, aveva comandato la Lega dei Mondi Oscuri nella sua folle ribellione contro l'Impero. Gli incrociatori fantasma erano delle piccole astronavi, armate soltanto di cannoni atomici e in grado di rendersi invisibili nello spazio. A questo arrivavano circondandosi di uno schermo di energia che assorbiva le radiazioni luminose, invece che rifletterle, come pure le radiazioni degli altri sistemi di avvistamento più potenti. La limitazione di quegli incrociatori era data dal fatto che doveva essere consumata un'enorme quantità di energia, durante la parentesi d'invisibilità: la loro autonomia era di trenta o quaranta ore. Al di fuori di questo periodo, gli incrociatori fantasma erano vulnerabili come le altre astronavi. «Sarò lieto di accogliere il vostro emissario, maestà, e di offrirgli tutta l'assistenza degli uomini della Stella Polare!» stava dicendo Sath Shamar, che pareva entusiasta per l'idea. «E chi sarebbe questo plenipotenziario?» domandò Jon Ollen, diffidente. Gordon parlò, per la prima volta. «Ho avuto l'onore di vedermi affidato questo incarico da sua maestà
l'Imperatore,» disse. «Sono l'unico, oltre a Korkhann, che non è certo adatto a questa missione, ad avere visto uno degli enigmatici alleati dei Conti. Anch'io ero su Teyn.» Queste parole furono accolte da un profondo silenzio, interrotto dalle parole di Korkhann. «E per quale motivo io non sarei adatto per accompagnarvi in questa missione?» domandò il non umano, in tono offeso. «Perché nessuno è più adatto di voi per vegliare sulla principessa Lianna e sugli affari del regno di Fomalhaut, e questo è un compito altrettanto impegnativo e delicato da svolgere,» si affrettò a dire Gordon, gentilmente. «Un incrociatore fantasma!» esclamò Jon Ollen, livido. «Un plenipotenziario! Questa faccenda puzza di spionaggio lontano un parsec... in questa situazione, mi vedo costretto a chiedere che nella missione non venga compresa la mia baronia.» «Davvero, barone!» esclamò Sath Shamar, sdegnato. «Non credete dunque che esista un pericolo?» «È una cosa rischiosa,» brontolò Jon Ollen. «Può darsi che i Conti fraintendano gli scopi di questa missione. E può darsi che il pericolo esista davvero, e in questo caso anche il vostro emissario, maestà, potrebbe cadere nelle mani dei Conti, così vicino al loro territorio... vi prego soltanto, nel caso la missione dovesse avere degli sviluppi spiacevoli, di non coinvolgermi in tutto questo. Io non ho detto nulla, e non ho visto nulla.» «La vostra preoccupazione per la sorte del mio amico John Gordon, e per la sicurezza dell'Impero, è davvero travolgente, barone,» disse Jhal Arn, freddamente. Il Barone non si curò dell'asprezza di questa osservazione. «Devo ritornare subito in patria. La mia salute è fragile... e non voglio essere immischiato troppo in questo affare. Maestà... ammiraglio... nobili signori... i miei profondi rispetti.» Quando il barone fu uscito, Sath Shamar balzò in piedi, stringendo i pugni, in preda a una violenta indignazione. «È quanto ci si doveva aspettare da lui!» esclamò. «Nella battaglia contro i Mondi Oscuri, quando tutti gli altri Baroni hanno impartito alla Via Lattea una lezione di lealtà e di spirito di sacrificio che non verrà mai dimenticata, egli ha temporeggiato, fino a quando non ha avuto l'assoluta certezza della sconfitta di Shorr Kan!» Jhal Arn annuì. «Avete ragione, Sath Shamar. Ma la posizione strategica del suo regno
lo rende un alleato troppo importante; così dobbiamo sopportare il suo egoismo.» Quando i sovrani siderali e i cancellieri se ne furono andati, un domestico entrò nella stanza di lavoro dell'Imperatore, portando degli alti bicchieri di saqua. Quando ebbero sorseggiato per qualche tempo la calda bevanda profumata, Jhal Arn guardò Gordon, maliconicamente: «Ora che è troppo tardi per tornare indietro, le mie parole potranno sembrarti inutili o false, John Gordon... ma le cose non sono andate come io credevo. Le rivelazioni del barone hanno tolto credibilità alla missione, e temo che tutti abbiano compreso la reale portata della missione. Vorrei non avere accettato il consiglio di Korkhann. Sei dunque tornato tra noi, solo per rischiare la vita?» Gordon vide che Korkhann lo stava fissando, e capì quello che gli passava per la mente. Ricordava l'amaro addio di Lianna, e le accuse della sua Regina delle Stelle. Lei aveva detto che erano stati i pericoli e la selvaggia bellezza di quell'universo sterminato a farlo tornare indietro, e non l'amore per lei. Ma poteva essere vero? Perché doveva sentirsi così deluso di se stesso? Lui aveva ricordato Lianna, sempre, dal giorno della Festa delle Lune l'aveva amata, ed era stato il suo volto che aveva cercato tra le stelle, nelle lunghe notti di New York. Avrebbe voluto coprirsi gli occhi, dirsi che non era vero, che tutto era come la prima volta. Ma lui non era più nel corpo di Zarth Arn. Se fosse entrato nei sotterranei del palazzo, dove veniva custodito il Distruttore, le terribili radiazioni dell'Onda posta a guardia dell'arma lo avrebbero ucciso. Lui non era più nel corpo di Zarth Arn, non aveva più in mano la potenza dell'universo. Lianna, Lianna... pensò. Sono forse ritornato per perdere di nuovo non solo voi, ma anche la speranza? Lei era una principessa, e aveva sulle sue spalle il peso di un regno. Perché era stato così orgoglioso? Era una condanna, quella dell'uomo, che doveva sempre rendere difficili le cose belle, e vivere soltanto per il ricordo? «Tu stesso hai detto che il pericolo minaccia più di ogni altro regno il regno di Fomalhaut,» ricordò a Jhal Arn. «E tutto ciò che minaccia Lianna mi riguarda.» Chissà se Jhal Arn gli credeva? Una cosa era certa; Korkhann non gli credeva affatto. «Quello che è fatto, è fatto,» disse Giron. «Gordon, voi avrete bisogno di pochi uomini fidati, per questa missione. Raggiungerete il Regno della
Stella Polare, e vi fermerete alla corte di Sath Shamar per il tempo sufficiente a compiere gli ultimi preparativi. Ufficialmente, sarete ospite del Re della Stella Polare... ma il vostro incrociatore fantasma dovrà partire subito, penetrando nelle Frontiere degli Spazi Ignoti nelle vicinanze della baronia di Jon Ollen. Di là, raggiungerete Aar... e cercherete di scoprire quale segreto nasconde quel pianeta. Non dovrete correre rischi inutili: la vostra missione sarà soltanto esplorativa. In base alle vostre informazioni, l'intera Flotta si muoverà... quindi è importante che la missione abbia successo.» «Ci sarà bisogno di un capitano fidato, che abbia dato prova del suo valore e della sua dedizione,» osservò Jhal Arn. «Ammiraglio, voi avete qualcuno da suggerire?» Giron parve riflettere per un momento. «Ci sarebbe il contrammiraglio Val Marlann... lo ricordate, Gordon? Era comandante dell'Ethne, ai tempi della guerra contro i Mondi Oscuri. Oppure...» Un pensiero colpì Gordon, e un volto che ricordava bene apparve nella sua niente. Sollevò il capo, bruscamente, e si rivolse all'ammiraglio: «Avrei io un uomo da proporre, ammiraglio... se è ancora nella flotta, e se è possibile rintracciarlo. È un uomo la cui lealtà è fuori discussione, e che è stato l'amico migliore che io abbia trovato, quando dovevo recitare la parte del principe Zarth... l'uomo che mi salvò dal primo attacco dei sicari di Shorr Kan, e che fu il primo a credere in me e nella mia storia, quando l'Ethne salvò me e la principessa Lianna dagli uomini di Shorr Kan e dal tradimento di Corbulo!» Il volto di Gordon si animò, mano a mano che le sue parole acquistavano un calore nuovo. «Sì, ricordo bene quell'ufficiale, ammiraglio... era stato nominato aiutante di campo dell'ammiraglio Corbulo, e la sua fedeltà nei miei confronti e nei confronti dell'Impero, ripeto, è assolutamente fuori discussione. Si tratta del capitano Hull Burrel, che voi certo ricordate.» «Il capitano Burrel?» domandò Giron, accigliandosi per un momento. Poi il suo volto si distese in un sorriso di approvazione. «Perdio, avete ragione, Gordon! Non saprei pensare a un ufficiale più fidato, né a un uomo più valoroso! Fortunatamente, egli è qui... infatti è diventato capitano della mia ammiraglia, il Shaar. Maestà... se volete chiamare il Quartier Generale della Flotta, Burrel verrà qui immediatamente.» Jhal Arn premette un pulsante, sulla sua scrivania, e parlò in uno dei molti microfoni. «Quartier Generale della Flotta? È l'imperatore che parla. Chiamate im-
mediatamente il capitano Hull Burrel, comandante dell'ammiraglia Shaar che si trova all'astroporto militare. Desidero che venga subito qui, a palazzo.» Gordon si rivolse a Giron: «Burrel non è certo al corrente della verità sul mio conto, vero, ammiraglio?» domandò. L'ammiraglio scosse il capo. «Naturalmente. Solo i componenti della famiglia imperiale, e pochissimi altri, sanno la verità. È sua maestà che può decidere a chi rivelare la storia, e solo per gravi motivi. Certo ve ne rendete conto.» «Capisco,» disse Gordon. Jhal Arn aggrottò le sopracciglia, per un momento, e guardò fisso negli occhi Gordon: «Il capitano Burrel ti era molto affezionato, vero, quando ti credeva mio fratello?» Gordon cercava di ricordare quei momenti, che erano impressi indelebilmente in qualche angolo della sua memoria. Ma in quel momento una voce imperiosa parlò, da uno dei pannelli della scrivania: «Il capitano Burrel è stato informato, maestà. Sta venendo a palazzo, con il mezzo più veloce.» «Bene!» disse Jahl Arn. «Date disposizioni, affinché venga immediatamente condotto qui, nel mio studio!» Venti minuti più tardi, la porta di bronzo si apri, e un uomo entrò nello studio dell'imperatore, con aria visibilmente perplessa. Indossava l'uniforme di capitano della flotta imperiale, ed era grosso e muscoloso, con i capelli scuri e la pelle abbronzata come quella di un marinaio esposto a tutti i venti. Non appena lo vide, Gordon balzò in piedi: «Hull Burrel!» esclamò. Il volto color mattone del rude ufficiale si raggrinzì, in un'espressione di viva perplessità. Egli disse, con voce esitante: «Non mi pare di avervi conosciuto prima d'ora...» Gordon sprofondò di nuovo nella comoda poltrona di metallo cedevole. Ma certo! Hull Burrel non si ricordava di lui. Adesso lui era un estraneo; un estraneo per il suo migliore amico, come aveva scoperto di esserlo per la donna che amava. Provò una grande amarezza, per l'impossibile situazione nella quale si era messo, quando era tornato in quell'epoca nel suo vero corpo. «Mi avete chiamato, maestà?» domandò allora l'ufficiale. «E anche voi,
ammiraglio? In che cosa posso esservi utile?» «Capitano Burrel!» disse Jhal Arn. «Voi certo ricorderete che quando la Lega dei Mondi Oscuri ha assalito l'Impero, la mano di un traditore mi aveva colpito, costringendomi all'inattività, così che mio fratello ha dovuto occupare il posto di reggente, per tutta la durata della crisi?» Il volto rude di Hull Burrel, segnato da molte cicatrici, si illuminò e il suo sguardo cercò l'alta figura di Zarth Arn. «Se lo ricordo, maestà? E come potrei dimenticarlo? E' stato il principe Zarth Arn che abbiamo seguito, quando abbiamo annientato le forze della Lega, nell'ultima battaglia siderale al largo di Deneb!» Jhal Arn proseguì, come se non avesse udito quella risposta: «E ricordate certamente che, quando Shorr Kan ha ordinato alle sue armate di scatenare l'attacco, egli ha trasmesso un messaggio di propaganda su scala galattica. Desidero farvi assistere a una registrazione di una parte di quel messaggio.» Quando Jhal Arn toccò un altro pulsante, su di una parete apparve un'immagine stereovisiva di impressionante chiarezza. L'immagine era quella di un uomo. Gordon si irrigidì. L'uomo era alto, grande e grosso, largo di spalle. I suoi capelli neri erano tagliati a spazzola. Il viso era livido, come quello di tutti gli uomini che avevano abitato a Thallarna, nella Nebulosa Oscura; la sua espressione era dura e severa, e gli occhi erano penetranti e ironici. La sua voce era tagliente come la lama di una spada, e anche in quella registrazione stereovisiva, la sua personalità amorale, priva di scrupoli e beffarda, era evidente. «Shorr Kan!» mormorò Gordon. Aveva conosciuto per la prima volta Shorr Kan a Thallarna, la capitale dei Mondi Oscuri; e non avrebbe mai dimenticato quell'avventuriero cinico e geniale contro il quale aveva combattuto per i destini dell'Impero. «Ascoltate,» ordinò Jhal Arn. E Gordon ascoltò, e gli parve di ritornare a quel terribile momento. Quando, nel corpo di Zarth Arn, l'unico uomo dell'Impero, assieme a Jhal Arn, capace di far funzionare il Distruttore, l'arma terribile capace di annientare lo stesso spazio, aveva dovuto recitare la parte dalla quale dipendevano le sorti della Via Lattea. «Zarth Arn non conosce il segreto del Distruttore perché, in realtà, non è affatto il principe Zarth Arn... ma è un impostore, che si è abilmente mascherato sotto le spoglie del principe dell'Impero! L'uomo che credete
Zarth Arn è un impostore, e io ne possiedo le prove inoppugnabili! Credete forse che avrei sfidato la minaccia del Distruttore, se non fossi stato sicuro di quel che vi dico? L'Impero non potrà servirsi dell'antico segreto, e perciò l'Impero è condannato. Sovrani e baroni delle stelle, non combattete per una causa perduta, seguendo un impostore che travolgerà i vostri regni nel crollo e nella distruzione!» La scena svanì. Hull Burrel si voltò, visibilmente perplesso. «Questo lo ricordo bene, maestà. La sua accusa era così ridicola, che nessuno l'ha neppure presa in considerazione, poiché il principe Zarth aveva dimostrato al di là di ogni dubbio di essere il figlio di Arn Abbas, e il legittimo Reggente dell'Impero!» «Ma quell'accusa era la pura verità, capitano,» disse Jhal Arn. Hull Burrel guardò il suo sovrano con l'incredulità dipinta sul volto color mattone. Fece per parlare, poi cambiò idea. Lanciò un'occhiata a Zarth Arn. Forse, in quel momento, ricordava il momento ormai lontano in cui, dopo avere scatenato la spaventosa "energia del Distruttore, i cui raggi annientavano il cosmo nel punto in cui la sua forza veniva rivolta, Zarth Arn aveva rifiutato di ritornare vincitore a Canopo, per ricevere il tributo dei sovrani delle stelle e dei baroni della Costellazione e di tutti i popoli della Via Lattea, per un viaggio inspiegabile sulla Terra dove, nel più alto laboratorio del mondo, tra le vette dell'Himalaya, Zarth Arn aveva lavorato per tanti anni. Al momento dello scambio mentale, John Gordon, il modesto contabile della Terra, aveva dato la sua parola a Zarth Arn di non rivelare mai, in nessuna circostanza, la sua vera identità. Ma quanto gli era costato mantenere la promessa, alla fine! E, prima di entrare per l'ultima volta nella Terra e di là nel ventesimo secolo, nel grigiore di un mondo senza regni siderali e stelle più limpide della luce più limpida, aveva stretto la mano a coloro che gli erano stati compagni in quelle imprese memorabili. Forse, allora, Hull Burrel aveva sospettato qualcosa? Ma la voce di Zarth Arn venne, insieme a un sorriso, a pronunciare quelle parole che Gordon aveva sognato di poter dire, un giorno. «Sì, capitano Burrel. Shorr Kan, il padre delle menzogne, in quella circostanza aveva detto la verità. Pochi lo sanno, ma negli anni passati io mi sono servito di mezzi scientifici per scambiare la mente con uomini di altri mondi e di altre epoche. Uno di questi esperimenti è avvenuto con l'uomo che adesso è davanti a voi, capitano... John Gordon, della Terra. È stato John Gordon, nel mio corpo, che ha assunto la reggenza dell'Impero duran-
te quel momento di crisi. E Shorr Kan lo aveva scoperto. Ricordate le domande che vi rivolsi, quando emersi dal mio laboratorio, dopo la vittoria? Ricordate che vi feci raccontare ogni cosa, come se avessi voluto scoprire ciò che io stesso avevo vissuto?» Jhal Arn toccò un altro pulsante, e disse: «Ricorderete, capitano, che quando il Distruttore annientò le flotte della Lega, gli uomini dei Mondi Oscuri ammisero la loro disfatta, e chiesero tregua. Ecco il loro messaggio telestereo, con la dichiarazione di resa. Ricordate?» Un'altra scena apparve sulla parete, una scena che sarebbe rimasta impressa per sempre nella mente di Gordon. In una delle sale del palazzo severo di Shorr Kan apparve un gruppo di uomini dei Mondi Oscuri. I loro volti erano lividi e febbrili; alcuni portavano delle vistose fasciature. Uno di essi parlò: «Accettiamo le vostre condizioni, principe Zarth! Disarmeremo immediatamente tutte le nostre astronavi. Potrete entrare nella nostra Nebulosa tra poche ore! Non è un trappola, altezza. La sciagurata tirannia di Shorr Kan è stata rovesciata. Quando egli si è rifiutato di accettare la resa, il popolo si è ribellato. Posso provarvi quanto dico, mostrandovi colui che è stato il nostro capo. È moribondo.» La scena sul quadro del telestereo si trasferì bruscamente in un'altra parte del palazzo. Era lo studio austero e disadorno di Shorr Kan; il Capo della Lega dei Mondi Oscuri era seduto dietro la scrivania, sorvegliato a vista da alcuni soldati armati che gli puntavano contro i fucili e i paralizzatori; il suo volto era bianco come il marmo, e una larga macchia oscura si allargava sul suo petto, che egli si teneva stretto, con visibile sofferenza. I suoi occhi, che cominciavano a farsi vitrei, si illuminarono per un istante, e un debole sorriso si formò sulle sue labbra. «Avete vinto, John Gordon!... Una fine ingloriosa per me, non è vero? Ma non mi lamento. Mi è stata data una sola vita, e io l'ho usata fino ai limiti estremi. In fondo, voi siete come me; per questo mi siete sempre piaciuto.» La testa di Shorr Kan si piegò; il mormorio si fece quasi inaudibile. «Forse sono uno di quegli uomini che nascono fuori della loro epoca, forse il mio posto sarebbe stato nel vostro mondo, Gordon? L'ho sospettato da quando vi ho conosciuto. Forse...» Ed egli era caduto in avanti ed era rimasto immobile, e uno dei soldati dal volto livido e dall'aria tetra che lo circondavano si avvicinò, si curvò sul corpo esanime, e disse:
«È morto. Sarebbe stato meglio, per i Mondi Oscuri, che quest'uomo non fosse mai nato.» La scena registrata terminò. Dopo un istante di attonito silenzio, Hull Burrel parlò con voce che dava eco alla sua meraviglia. «Ricordo. Ricordo benissimo! Non ero mai riuscito a comprendere a chi si fosse rivolto. Non riuscivo a capire per quale motivo aveva chiamato John Gordon il principe Zarth. Nessuno, tra noi, ha mai potuto capirlo.» Si guardò intorno, finché il suo sguardo velato dalla meraviglia si posò su Gordon. «Dunque eravate voi l'uomo che mi ha guidato in quella battaglia? Eravate voi l'uomo che ho salvato, sulla Terra, e che ha denunciato il tradimento di Corbulo a bordo dell'Ethne? Eravate voi... l'uomo che ha sconfitto Shorr Kan?» Zarth Arn annuì, silenziosamente. Anche Giron e l'imperatore annuirono. Burrel guardò quei volti silenziosi, e sul suo volto rude e onesto si dipinse un'espressione di attonita meraviglia, ma anche una luce di soddisfazione e di gioia. Ci fu un attimo di silenzio, che parve avvolgere il tempo e lo spazio. Gordon sospirò profondamente, si alzò in piedi, e tese la mano: «Già una volta ci siamo salutati a questo modo, capitano Burrel. Era l'usanza del mio tempo, e quando vi strinsi la mano, sulla Terra, pensavo che sarebbe stato un addio. Quanto vi dissi allora è ancora vero: in tutto l'universo, non esiste un soldato valoroso né un compagno fedele come voi vi siete dimostrato.» L'antariano... perché Hull Burrel era nativo di un mondo del regno di Antares... continuò a fissarlo, incredulo, poi qualcosa si mosse, nel suo volto color mattone, ed egli afferrò la mano di Gordon, con forza, scuotendola fino a fargli male, balbettando delle frasi incoerenti, in preda a una viva eccitazione. Tre giorni più tardi, una piccola nave siderale era pronta e in attesa, nell'astroporto militare di Throon. Era un incrociatore fantasma, ma gli emblemi della Cometa erano sistemati in modo da poter essere facilmente rimossi dal lucido scafo, e l'esiguo equipaggio che si trovava a bordo non indossava le uniformi grigie della flotta imperiale. Nell'appartamento privato di Zarth Arn, Gordon bevve l'ultimo bicchiere di saqua, mentre il principe lo osservava con un'espressione assorta e remota. Una donna molto giovane, con i lunghi capelli neri che ondeggiavano sulle spalle scoperte, il viso infantile, gli occhi pieni di gioia, e un corpo di
donna matura, portò un bicchiere di liquore bruno, salutò Gordon, e se ne andò. La piccola Murn aveva voluto portare lei stessa il suo saluto all'uomo che aveva avuto una parte così grande nella sua felicità. Zarth Arn, seduto davanti alla grande vetrata del suo appartamento severo, fissò senza parlare le Montagne di Cristallo che brillavano sotto la bianca luce di Canopo. «Oggi è un giorno particolare, per Throon,» mormorò con aria assorta. «Sembra quasi che gli astri vogliano salutare con tutti gli onori la tua partenza, John Gordon.» Il liquore bruno dava una strana sensazione a Gordon. Benché lo ricordasse così bene, ancora non vi era abituato. Quella strana leggerezza, quei pensieri lucidi e profondi, quella mescolanza di euforia e malinconia, che erano gli effetti del liquore, avevano sempre il potere d'inebriarlo. Zath Arn, che non amava i liquori, aveva spezzato le sue consuetudini austere per celebrare la partenza dell'amico. «La Danza delle Lune?» domandò Gordon. Zarth Arn abbassò lo sguardo, e cambiò argomento. «Speriamo che tu possa ritornare con le notizie che desideriamo, John Gordon. E speriamo anche che le notizie non siano quelle che temiamo di ascoltare. Ma se non torni indietro... ebbene, allora, trenta giorni dopo la tua partenza dal Regno della Stella Polare, l'Impero si muoverà con tutta la sua potenza!» Zarth Arn si interruppe, poiché un domestico aveva bussato alla porta, ed era entrato portando la colazione: un piatto che conteneva una polpa giallastra, dolcissima, profumata, e un liquido ambrato, che aveva il sapore del latte e del miele. «John Gordon,» disse Zarth Arn, conservando sempre la sua espressione assorta, «Ecco, sta per cominciare la Danza delle Lune!» Perplesso, Gordon uscì sul meraviglioso balcone fiorito. Ormai avrebbe dovuto abituarsi ai meravigliosi spettacoli di Throon; ma tutte le mattine, dopo l'alba, lui rimaneva paralizzato di meraviglia, ascoltando la Musica dell'Aurora. In quelle occasioni, i picchi cristallini che si levavano verso il cielo sprigionavano una prolungata armonia di note purissime, di accordi deliziosi, fino a culminare in una canzone dirompente, che aveva la forza del tuono, ma la dolcezza del canto di mille arpe angeliche. Gordon fece onore alla colazione, assaporando la dolcissima polpa dei frutti di Denebola, che crescevano sugli alberi delle Colline Vive di quelle stelle; poi notò, improvvisamente, che la luce stava scemando.
Zarth Arn si alzò, e raggiunse Gordon sul balcone. Canopo era già alta sull'orizzonte, ma la sua luce bianca pareva stranamente meno violenta. Gordon non aveva visto nubi, nel cielo; alzò lo sguardo, e vide che una macchia nera si stava disegnando sul bordo esterno della stella. Un'eclissi! Una delle lune, evidentemente, stava nascondendo il disco di Canopo. Mentre Gordon guardava, il cielo si stava facendo di un colore strano, violetto e indaco. E le cime delle montagne di cristallo, che puntavano verso il cielo terso, cominciarono a lanciare dei lampi. Lampi gialli, azzurri, verdi, violacei, che parvero salire verso il cielo, fino a sfiorare il grande arcobaleno che si era disegnato intorno alla stella oscurata. Nel momento dell'oscurità totale, la prima luna dorata e la luna d'argento si mossero nel cielo. Fu una strana danza di luci, che assumevano forme eteree, singolari e aliene. I raggi delle lune, giocando sulle cime cristalline delle montagne, traevano scintille di luce dai colori incredibili; nello stesso tempo, in lontananza, sulla superficie del mare d'argento, cominciò una danza di fiammelle azzurrine, che parvero unirsi alla meravigliosa danza dei colori. L'aria si fece più fredda, si udì il fremito del vento. E poi, dalle montagne, scese una nota musicale, lunga, tristissima, che vibrò nell'aria e parve cambiare il disegno dei colori. La città era un grande lago dorato, e le strade erano tutto un intrecciarsi di piccoli stagni colorati. La canzone delle montagne si fece udire, ed era una musica triste, grandiosa e malinconica a un tempo. Suoni selvaggi e angelici, fantastici arpeggi che si rincorrevano come i colori del cielo, mentre un grande alone violetto circondava la luna dorata, e una fredda luminescenza la luna d'argento, mentre l'altra luna dorata copriva ancora il disco della stella poderosa. Poi i fruscii, le limpide note e gli accordi angelici e demoniaci delle montagne raggiunsero il culmine, e i colori danzarono frenetici nel cielo, e quando il concerto fu giunto al massimo, una scintilla bianca si accese, cominciò ad allargarsi, e la fiera luce di Canopo parve rincorrere i colori, ricacciandoli verso l'orizzonte, mentre le montagne, il mare e la città si riempivano di luce, e le ultime note del canto delle montagne tributarono un festoso saluto all'astro che tornava a splendere, imperioso e maestoso, nel cielo terso. Gordon capiva a che cosa era dovuto il fenomeno... un fenomeno complesso, prodotto dalla rifrazione dei raggi stellari nell'alta atmosfera, e dal raffreddamento dell'aria, che provocava la contrazione delle molecole delle Montagne di Cristallo, originando la canzone. Ma la spiegazione non gli
impediva di essere turbato e commosso; la bellezza di quello spettacolo gli aveva fatto brillare lo sguardo, la completa meraviglia della Danza delle Lune gli aveva riempito gli occhi di lacrime. «Che spettacolo meraviglioso!» mormorò. «Non ho mai visto nulla dì più bello.» Zarth Arn sorrise, e sul suo volto c'era una meraviglia che poteva essere paragonata a quella di Gordon. «Accade una volta ogni venti anni,» disse, con un sospiro. «Ed è sempre troppo breve. Quando lo vidi per la prima volta, ero molto più giovane di adesso.» Scosse il capo, come per risvegliarsi da un sogno. «Sono felice che tu sia stato qui a vederlo, Gordon. Non ci sono soltanto guerre e pericoli, nell'Impero!» Il ricordo della missione che lo attendeva risvegliò bruscamente Gordon dall'incanto delle immagini alle quali aveva assistito. I suoi occhi ardevano di una strana luce. Ricordò quanto gli aveva detto Zarth Arn, prima della Danza delle Lune, e domandò spiegazioni. «Se entro trenta giorni non sarai ritornato, tutti gli squadroni della Flotta degli Alti Spazi che operano nel settore sud della Via Lattea si dirigeranno verso il pianeta Aar, al comando dell'ammiraglio Giron.» Queste parole sorpresero Gordon, e lo spaventarono. «Ma questo porterebbe alla guerra contro le Frontiere... proprio il rischio che non vogliamo correre! È stato tuo fratello a dire questo!» «Esistono cose peggiori di una guerra di frontiera,» disse Zarth Arn, in tono cupo. «Quando eri ospite di Vel Quen, sulla Terra, tu hai studiato la storia dell'Impero. Certo ricorderai il nome di Brenn Bir?» Il nome fece scattare qualcosa, nella mente di Gordon. Sapeva bene che Brenn Bir aveva inventato il Distruttore... ma ricordava anche un'altra cosa, che fino a quel momento gli era sfuggita! Si era trattato dell'anno 129.411, e l'evento aveva dato inizio a un'era di pace, a un'alleanza con i regni indipendenti, e all'esplorazione e alla colonizzazione dei mondi degli spazi remoti, chiamati 'Frontiere degli Spazi Ignoti', agli estremi confini della Via Lattea. «Ma certo!» rispose Gordon. «Il tuo remoto antenato, il fondatore della tua dinastia... il saggio imperatore che ha respinto l'invasione delle mostruose creature aliene delle Nubi di Magellano, oltre i confini della Via Lattea.» «E che per respingere l'invasione, fu costretto a distruggere una parte
della galassia,» annuì Zarth Arn. «Fu quella la prima volta in cui venne usato il Distruttore. Possediamo ancora le sue registrazioni ideofoniche, in un archivio del quale il resto della galassia non sa nulla. E alcuni particolari della descrizione che tu e Korkhann avete fatto dello straniero incappucciato di Teyn, insieme ad altre storie che avevamo udito, hanno indotto mio fratello a consultare quell'archivio segreto. L'ho aiutato, in questi giorni, e temo che non ci siano dubbi.» Sgomento, inorridito, Gordon fu colpito da un orribile sospetto. Ora comprendeva i dubbi e le esitazioni dell'Imperatore... ora comprendeva la sottile angoscia che aveva pervaso la corte di Throon in quei giorni, e che si era manifestata nei volti di Jhal e Zarth e dell'ammiraglio Gironi Non ebbe il tempo di riflettere, perché quel sospetto venne confermato dalle parole di Zarth Arn. «I documenti ideofonici lasciati da Brenn Bir descrivono i mostruosi abitatori delle Nubi di Magellano. Secondo le sue parole, questi stranieri possiedono dei poteri mentali così terrificanti che nessuno, nell'intera Via Lattea, umano o non umano, è in grado di sopportarli. Solo annientando lo stesso spazio, scagliandoli fuori da questa dimensione, fu possibile sconfiggere gli invasori. E adesso... sembra che, dopo tante centinaia di secoli, essi abbiano fatto ritorno!» Capitolo Undicesimo Le frontiere degli spazi ignoti Sei direzioni convenzionali venivano usate nell'astronautica galattica, per facilitare il compito dei viaggiatori di tanti soli, e per unificare la complessa cartografia astrale: il sud, il nord, l'est, l'ovest, lo zenit e il nadir. Altre definizioni venivano usate dai vecchi lupi degli spazi, che parlavano di meridione e settentrione galattico, di levante e di ponente. Le Frontiere degli Spazi Ignoti erano state, in origine, una regione dai confini approssimativi, rozzamente definiti nell'epoca dell'espansione siderale. I primi galattografi le avevano definite come la parte della Via Lattea che si trovava tra i regni del sud e dell'est, agli estremi limiti dello spazio conosciuto. Questo era avvenuto agli inizi della seconda odissea dell'uomo nel cosmo, dopo la prima epoca dell'espansione che aveva portato all'abbandono della Terra, un pianeta troppo piccolo e periferico per inserirsi utilmente nella complessa economia galattica.
Quando, durante il Ventiduesimo Secolo, era esplosa sulla Terra l'epoca delle grandi invenzioni, la scoperta quasi contemporanea dei tre elementi fondamentali per il volo spaziale (i raggi subspettrali più veloci della luce, il controllo della massa, e la stasi, una specie di nebbiolina azzurrina che riempiva l'interno delle astronavi, e che creava una specie di gravità artificiale, la quale permetteva agli uomini di superare le titaniche forze dell'accelerazione) aveva reso possibile il volo interstellare, e la razza umana era fuggita dalla Terra, per colonizzare l'intera Via Lattea, i coloni si erano diretti verso i sistemi stellari più grandi, non certo verso i bordi della galassia. Centinaia di secoli più tardi, quando l'epoca degli eroismi, delle avventure, delle invasioni aliene e della lotta per sopravvivere era terminata, e i sistemi stellari più lontani si erano liberati dal governo terrestre, formando i primi regni indipendenti, degli avventurieri, usi a tutte le durezze e i rischi dello spazio, erano partiti per le selvagge distese stellari delle Frontiere degli Spazi Ignoti, fondando delle piccole colonie spesso limitate a una sola stella. Questi Conti delle Frontiere, come essi stessi si erano proclamati, appartenevano a una razza dura e insolente. Non avevano prestato giuramento di alleanza a nessuno dei sovrani siderali, benché avessero firmato un'alleanza nominale con l'Impero, che impediva agli altri regni di invadere i loro esigui territori. Le Frontiere erano sempre state un luogo d'intrighi, un rifugio per i fuorilegge, un tumore maligno nel tessuto politico della Via Lattea. Ma ciascuno dei sovrani siderali, che erano divisi tra loro da rivalità profonde, aveva impedito che i suoi rivali si impadronissero delle Frontiere; così la situazione si era perpetuata durante i millenni. E questo e il peggiore di tutti i mali! pensò Gordon. Se un re o un Imperatore abbastanza lungimiranti avessero ripulito un tempo questa giungla cosmica, ora essa non potrebbe nascondere una minaccia così grande e oscura! Il piccolo incrociatore fantasma si trovava già all'interno delle Frontiere, dopo la breve sosta nel Regno della Stella Polare, e percorreva un'orbita irregolare e imprevedibile. Secondo i criteri di valutazione delle flotte interstellari, l'incrociatore fantasma si spostava a una velocità ridottissima. II suo armamento difensivo era ridotto in pratica a zero, e le sue armi offensive erano costituite solo da pochi proiettili dei semplici cannoni atomici. Ma l'incrociatore aveva un immenso vantaggio, per una missione furtiva come quella che stava affrontando... la capacità di rendersi invisibile. Per questo motivo, gli incrociatori fantasma avevano una funzione così impor-
tante nelle flotte di tutti i regni siderali. «Sarebbe più opportuno entrare in oscuramento,» disse Hull Burrel, corrugando la fronte. «Ma in questo caso anche noi dovremmo andare aventi alla cieca, e questo non sarebbe consigliabile, in un simile groviglio di soli e polvere cosmica e asteroidi!» Gordon pensò che quello che il rude antariano aveva definito, eufemisticamente, un 'groviglio', era davvero qualcosa che mozzava il respiro. In piedi sul ponte di comando, al fianco di Hull Burrel, egli fissava attonito attraverso le singolari vetrate che non erano fatte di vetro le stelle che ingrandivano e rimpicciolivano, brulicanti, a vista d'occhio. Dozzine di stelle ardevano come grandi smeraldi e rubini e diamanti sullo sfondo oscuro del cielo. Il radar indicava la presenza delle Scogliere dell'Infinito, grandi masse di frammenti cosmici che vagavano tra le stelle, e qua e là lo spazio era più tenebroso, per la presenza di ampie zone di polvere cosmica. Si volse indietro, a guardare là da dove erano venuti, dove la Costellazione d'Ercole splendeva come uno sciame di lucciole intorno a una gigantesca lampada; ancora più lontano, verso il centro della Via Lattea, si vedeva ancora la scintilla bianca di Canopo. Gordon sperava di sopravvivere, di poter rivedere Throon e le sue Montagne di Cristallo, e di rivedere un giorno anche Lianna... Lianna, della quale vedeva ancora il viso, in quel momento, sullo sfondo delle costellazioni, ricordando le parole amare del loro addio. E si chiese, ancora una volta, se la storia del loro amore avrebbe dovuto essere, all'infinito, una distesa interminabile di ricordi tra due addii, che rimanevano e bruciavano nella mente, aggiungendosi al desiderio di un ritorno. Ma avrebbe fatto ritorno? Stranamente, durante il viaggio da Canopo alla Stella Polare, e durante il breve soggiorno alla corte di Sath Shamar, lui aveva avuto il cuore pieno di dubbi e di esitazioni. Alla sua mente di terrestre dei tempi antichi non era facile mentire... e lui si rendeva conto che il piano suggerito da Korkhann e adottato in parte da Jhal Arn non era troppo solido. Se qualche spia fosse stata informata di quanto era accaduto a palazzo, anche il più ingenuo dei cospiratori avrebbe compreso che l'inviato dell'imperatore era stato inviato, in realtà, per compiere una missione dì quel tipo. L'unica speranza, sulla quale Jhal Arn basava le sue speranze, era che in realtà i Conti non avrebbero osato colpire un inviato di Throon... perché quel gesto avrebbe voluto dire guerra, e certamente i Conti non potevano essere pronti
a scatenare un conflitto nella Via Lattea! Poi, attraverso le ampie vetrate del ponte di comando, egli guardò fisso davanti a sé, e il suo sguardo balzò ancora più lontano, oltre le stelle che riusciva a vedere, quelle che si stendevano oltre i bordi, il braccio a spirale, perennemente proteso verso l'esterno, della Via Lattea, oltre il quale non esisteva più nulla, solo il vuoto e l'oscurità e le tenebre, fino alle remote Nubi Magellaniche! «È una distesa troppo immensa, e troppo paurosa!» disse sommessamente, rivolgendosi a Hull Burrel. «Non c'è dubbio, Zarth Arn e l'imperatore devono sbagliarsi... perché non possono esserci veramente degli abitanti delle Nubi di Magellano, là, tra le Frontiere degli Spazi Ignoti! Vi rendete conto voi stesso, Burrel, che l'idea è assurda! Se le creature di Magellano fossero davvero ritornate nel nostro universo, sarebbero venute in massa, con una gigantesca flotta di migliaia di astronavi, armata di terribili mezzi di distruzione, e avrebbero colpito con decisione e crudeltà, per impedirci qualsiasi difesa! Non è possibile che si siano insinuate così furtivamente nelle Frontiere, e si siano messe a ordire complotti con gente miserabile come i Conti!» Hull Burrel scosse il capo. «Dice la storia che gli stranieri di Magellano vennero in forze una volta, e furono annientati quando Brenn Bir usò contro di loro la potenza del Distruttore. Questa volta, forse, hanno tentato un altro sistema per prendersi la loro rivincita! E Dio protegga i Conti, se davvero credono di poter usare quegli alieni mostruosi come strumenti di potere!» Poi il grande antariano dalla carnagione color mattone scosse lentamente il capo, sospirò, e aggiunse, «Ma neppure io posso crederci, John Gordon! Perché è passato troppo tempo.» Il capitano della Flotta continuava a guardare nascostamente Gordon, con espressione ancora perplessa e incredula. Ormai era convinto di trovarsi in compagnia dell'uomo che aveva distrutto la flotta dei Mondi Oscuri, ma il suo atteggiamento era contradditorio. A volte si rivolgeva a Gordon chiamandolo, stranamente, 'Altezza'; altre volte lo trattava con familiarità, come se fosse stato un camerata. La spontanea intesa degli uomini che hanno vissuto insieme dei momenti drammatici li univa, e questo era un punto fermo; ma la situazione comportava anche un certo disagio. Hull Burrel, però, era un uomo fedele e onesto; e ora che aveva riconosciuto in Gordon il suo vecchio comandante, gli aveva di nuovo concesso, senza riserve, la sua lealtà.
Ma chi sono io, in realtà? continuava a domandare, insistente, quella voce sommessa, che esisteva solo nella mente di Gordon, mentre egli osservava pensieroso la grande distesa delle stelle. Quando sono venuto per la prima volta, ho trovato amicizia e rispetto, amore e stima e potenza. Ma adesso? Ma adesso, qualcosa era cambiato; forse era come prima, come la prima volta. Allora lui non aveva potuto rivelare a nessuno la verità; ora la verità era nota ad alcuni, ma lui era ugualmente circondato dalla curiosità e dalla diffidenza dei molti che non potevano capire per quale motivo lui fosse così onorato, quando nulla si sapeva sul suo conto. E lui era diverso, era John Gordon, l'uomo del Ventesimo Secolo dell'antica epoca della Terra. La donna che lui amava non lo aveva compreso, o forse lo aveva compreso troppo bene; che cosa stava facendo lui, in realtà, in quell'universo del remoto futuro? Aveva l'amicizia e la riconoscenza dell'imperatore, certo, e di Zarth Arn, l'uomo al quale lo legavano vincoli bizzarri, un rapporto che nessuno aveva mai sperimentato, in tutti i secoli. Ma per quale motivo anche quell'amicizia era velata da un'ombra dì tristezza? Lui era diverso... o forse il tempo aveva cancellato il passato? Per molto tempo, l'incrociatore fantasma prosegui nella sua rotta, addentrandosi sempre più profondamente nelle Frontiere, evitando grandi masse di polvere cosmica che fluivano nello spazio come fiumi di pietra, passando vicino alla cupa massa di grandi stelle nere, morte da milioni di secoli, che parevano tristi giganti di cenere; quando l'incrociatore fantasma si avvicinava a un sistema stellare abitato, Hull Burrel dava ordine di compiere una deviazione, per tenersi a distanza di sicurezza. «Ecco, vedete?» diceva Burrell indicando un ammasso di stelle nere sullo schermo, verso lo zenit. «Questo è il sistema dei Soli Spenti. È isolato da una grande massa di polvere cosmica. E questa regione viene chiamata la Casa delle Comete!» Si trattava di un piccolo ammasso gassoso, dal quale, in ogni momento, minuscole scintille di luce si distaccavano, dirigendosi verso lo spazio galattico. «Ed ecco i Tre Soli di Corbulo... li chiamano anche le Stelle del Traditore. Ricordate l'ammiraglio Corbulo, non è vero, Gordon? Queste stelle sono state scoperte poco tempo dopo la vostra... partenza.» Quando passarono nelle vicinanze di una piccola stella rossa, circondata da una corte di pianeti, il secondo ufficiale di bordo, Varren, mise in funzione il telestereo, sull'onda ricevente, nella speranza di captare qualche comunicazione. Lo schermo rimase nero, per lungo tempo; poi apparve
una scena, una grande sala arredata con sfarzo barbarico, nella quale un gruppo di uomini circondava un giovane che indossava abiti color turchese. L'immagine svanì quasi subito, e lo schermo rimase nero. Il piccolo incrociatore fantasma avvistò, dopo un altro giorno di viaggio, i bordi rossigni di un ciclone siderale, che stava infuriando tra due stelle verdi gemelle; la terribile tempesta magnetica avrebbe potuto annientare anche una flotta cosmica, e Burrel ordinò a Varren di descrivere un lungo circolo, per evitare l'insidia mortale. Mano a mano che si addentravano nelle dense costellazioni delle Frontiere degli Spazi Ignoti, la meraviglia cresceva nell'animo di Gordon, e la visione di quell'impossibile agglomerato di materia solida in una regione dello spazio siderale già lontana dal cuore della Via Lattea, e perfino dalle vaste distese della periferia galattica, gli fece dimenticare, almeno in parte, le tristi meditazioni sul suo destino e sulla difficile posizione nella quale si trovava, in quell'universo posto a duemila secoli di distanza dal suo presente. Hull Burrel, con il trascorrere del tempo, superava a meraviglia la scossa subita al momento della rivelazione, e pareva sempre più disposto ad accettare in John Gordon il vecchio compagno con il quale aveva combattuto. Guardando indietro, si poteva già vedere nel suo insieme la lente azzurrina della Via Lattea. Le stelle più grandi brillavano nel cielo nero, e ognuna di esse era un regno; a sud lo scintillare di stelle che comprendevano le potenti baronie della Costellazione d'Ercole illuminava gran parte dello spazio; a nord-ovest brillavano le stelle più vivide dei regni della Lira, del Cigno e della Stella Polare. Ancora più lontano, uno scintillio rossoazzurrino fece nascere un palpito di desiderio nel cuore di Gordon: in quella direzione si trovava il regno di Fomalhaut, con il suo sole bianco, ed era lontano, decine e decine di anni-luce e, per lui, ancora di più! Dopo un altro giorno, il radar mostrò la presenza di una grande flottiglia di astronavi. Varren avvertì che si muovevano, in formazione irregolare, e venivano dal centro dei mondi delle Frontiere, e si dirigevano a nord-est, a grande velocità. «Non ho mai sentito parlare dell'esistenza di simili flotte, all'interno delle Frontiere,» brontolò l'antariano, osservando lo schermo radar con aria chiaramente accigliata. Erano troppo lontani perché i radar della flotta in movimento potessero avvistare il loro piccolo incrociatore, in quel labirinto di mondi e di soli, eppure il rude capitano antariano appariva nervoso, come se degli occhi nemici lo stessero spiando. «Anzi, in tutto questo set-
tore della Via Lattea non dovrebbero neppure esistere tante astronavi!» «A quanto pare, sono molte le cose che non si conoscono, a proposito delle Frontiere!» osservò Gordon, scuotendo il capo. «Pare che si dirigano verso i mondi centrali della Via Lattea.» «No, non oserebbero mostrare la loro forza...» Il volto rude e onesto dell'antariano era corrugato, in un'espressione di profonda concentrazione. «Un momento! In quella direzione c'è la Costellazione d'Ercole. Forse Jon Ollen aveva ragione... forse il barone si trova davvero in una situazione difficile!» «Cosa dobbiamo fare?» domandò Gordon. «La presenza di questa flotta, da sola, è già una scoperta importante! Che sia meglio ritornare indietro, per avvertire Throon?» «No!» esclamò l'antariano. «La flotta ci intercetterebbe all'uscita delle Frontiere, e qualsiasi nostra comunicazione stereo verrebbe facilmente captata! Vedete? Quegli incrociatori disposti in quella formazione significano che i Conti intendono disporsi alle frontiere... sorvegliare praticamente l'intero settore siderale, per impedire che qualcuno entri nelle loro regioni. Siamo arrivati appena in tempo, John Gordon!» «Sì, forse vogliono impedire che qualcuno si avvicini al loro dominio,» borbottò Gordon. «O forse vogliono impedire che qualcuno ne esca... qualcosa mi dice che ci troveremo di fronte a difficoltà inaspettate, capitano Burrel!» Gordon scosse ancora il capo, ricordando l'atteggiamento ambiguo del barone di Ercole, e le parole di avvertimento dì Korkhann. C'era qualcosa che non gli era piaciuto, in quell'uomo dall'aria tetra e dal volto livido, e la presenza della misteriosa flotta siderale non era certo una visione capace di diminuire la sua apprensione! E finalmente giunse il momento in cui, guardando la grande vetrata che non era di vetro, sul ponte dell'incrociatore fantasma rischiarato dai bagliori dei fittissimi soli delle Frontiere, Hull Burrel indicò una piccola stella arancione, che in quel momento aveva cominciato a distaccarsi dallo sfondo colorato degli astri, e a diventare più grande. «Eccolo!» esclamò il capitano. «Vedete, John Gordon? Quello è il sole di Aar!» Gordon guardò a lungo il lontano disco arancione. C'era qualcosa di maligno, in quel lume sospeso nell'immensità del cosmo, tra l'ardore delle molte stelle delle Frontiere.
«Bene, siamo giunti fin qui!» disse. «E ora?» «Ora è venuto il momento di renderci invisibili!» grugnì l'antariano. «Abbiamo quaranta ore d'invisibilità a disposizione... siamo stati fortunati a essere giunti fin qui senza dovervi ricorrere. Ma da questo momento, se davvero ci sono dei pericoli, siamo in ballo... e procedere sarà un'impresa veramente difficile!» Impartì un ordine secco. Un allarme suonò in tutto l'incrociatore. Gli uomini si lanciarono dei richiami, occupando ciascuno i propri posti. I cannoni siderali erano pronti, e i puntatori erano ai pezzi. I grandi generatori cominciarono a tuonare. Nello stesso istante, la volta celeste scomparve, al di là delle ampie vetrate e degli oblò. Gordon si era trovato più volte a bordo di un incrociatore fantasma, e così quei fenomeni non giunsero all'improvviso, per lui. I generatori avevano creato un alone di energia che circondava completamente l'incrociatore, che assorbiva, invece che riflettere, i raggi luminosi e le emanazioni dei radar. L'incrociatore era adesso completamente invisibile a occhio nudo e al radar, ma per il medesimo motivo era impossibile vedere l'esterno. La navigazione doveva perciò avvenire per mezzo di speciali radar a onde subspettrali, che permettevano all'incrociatore un movimento lento e insicuro. Nel periodo che seguì, Gordon pensò che l'esperienza era sorprendentemente simile a quella di un sottomarino del Ventesimo Secolo, che procedeva negli abissi oceanici. C'era la medesima sensazione di cecità e di parziale impotenza, la stessa paura di una collisione, in questo caso con qualche frammento di polvere cosmica che il radar avrebbe potuto trascurare, e lo stesso desiderio avido di rivedere la luce del sole. E quella difficile prova proseguì mentre il sudore imperlava la fronte di Hull Burrel che pilotava il piccolo incrociatore verso l'unico pianeta che gravitava intorno alla stella arancione. Finalmente, Hull Burrel impartì un nuovo ordine, e il piccolo incrociatore si arrestò. A questo punto, l'antariano si rivolse a John Gordon. «Dovremmo trovarci appena al di sopra della superficie di Aar, ma posso dire soltanto che spero di non emergere dall'invisibilità proprio nelle mani dei nostri nemici!» Gordon si strinse nelle, spalle. «Jon Ollen ha detto che su questo mondo non c'era molto... che si trattava soprattutto di una distesa selvaggia.» «La cosa che mi piace di più, nella vita, è conoscere un ottimista che non
abbia alcuna responsabilità diretta,» brontolò l'antariano. «Va bene, allora. Possiamo emergere dall'invisibilità!» Il suono dei generatori cessò, e immediatamente il ponte dell'incrociatore fantasma venne illuminato da un fiotto di luce solare. Guardarono le vetrate con ansia malcelata. «Chiedo scusa a un ottimista fortunato,» disse allora Hull Burrel. «Non avremmo potuto fare di meglio.» Il piccolo incrociatore fantasma era sospeso nell'aria, al livello delle foghe più alte di una foresta dorata. Le piante... Gordon non riusciva a considerarle alberi, benché fossero altissime, dodici metri e più... erano grandi steli di un verde bruno i cui rami terminavano con delle foglie giallo-oro, che parevano soffici piume. A perdita d'occhio, non si vedeva altro che la superficie di questa foresta immensa, addormentata sotto i raggi del sole arancione. C'era una bizzarra somiglianza tra quegli alberi fantastici, dalle piume dorate bagnate dai raggi solari, e le altissime spighe di Teyn, che Gordon ricordava così bene... e Gordon non riuscì a reprimere un brivido, a quella visione, augurandosi che quella somiglianza non fosse un cattivo presagio. «Scendiamo immediatamente,» ordinò Hull. «Qui in alto potremmo essere localizzati dai radar.» L'incrociatore fantasma scese attraverso una delicata trama di foghe dorate che si univano le une alle altre, formando quasi una sottilissima tela di ragno, e atterrarono su di un letto di steli spezzati, su un terreno morbido coperto di cespugli color del rame, che portavano dei frutti, delle piccole bacche nere. Gordon, guardando affascinato attraverso uno degli 'oblò', vide in alto la fiabesca trama delle piante. Nel punto in cui si trovavano, tra i cespugli ramati costellati di bacche nere, la luce color arancio della stella arrivava filtrata dalla cupola eterea delle foghe, e l'aria limpida, intorno a loro, vibrava di colori strani e fascinosi. Guardando in alto, si vedevano le foglie d'oro che parevano piume, mosse da un vento sottile che le faceva ondeggiare; le foghe dorate si toccavano, si ritraevano, increspandosi, muovendosi mollemente in una serie di ondate che percorrevano la foresta come i battiti di un cuore immenso. La prospettiva era mutata, il mare era in alto, e il cielo, uno strano cielo color rame, era sotto di loro; in alto la luce del sole colorava dolcemente le foghe. Gordon, che stava assistendo a questo spettacolo fiabesco, lanciò d'un tratto un'esclamazione soffocata:
«Guardate! Laggiù si muove qualcosa!» L'antariano balzò subito al suo fianco. «Dove?» chiese. «Ora non la vedo più,» disse Gordon. «Ho visto una creatura piccola, quasi invisibile, che è balzata via tra gli arbusti.» Il capitano non si curò di nascondere il suo scetticismo. «Sui libri di navigazione galattica questo pianeta, Aar, viene indicato come disabitato. Un tempo venne compiuto il tentativo di colonizzarlo, ma i coloni furono costretti a rinunciare all'impresa per le pericolose condizioni ambientali nelle quali si trovarono. Forse il pericolo è quello... qualche terribile creatura ostile.» Gordon scosse il capo. «No. Mi è sembrata troppo piccola.» «In ogni modo, sarà meglio darci un'occhiata intorno, prima di addentrarci in questi boschi,» disse in tono deciso l'antariano. Si rivolse al secondo ufficiale, che era salito sul ponte. «Andremo noi due, Varren. Preparatevi: indosseremo le tute spaziali, e porteremo il casco. Andiamo!» Gordon fece un passo avanti, e parlò, in tono che non ammetteva repliche: «Andrò io con Varren. Vedete, Hull, uno di noi due deve rimanere in vita, per portare a termine la missione, anche se accadesse qualcosa all'altro... e il sopravvissuto deve essere in grado di pilotare l'incrociatore!» Quando Gordon e Varren scesero dall'incrociatore, entrambi indossavano le tute spaziali, che avevano la doppia funzione di indumenti protettivi e di corazze, ed erano complete di casco e di elmetto. Entrambi erano armati di lunghe pistole atomiche dalla canna sottile. Guardandosi intorno, con aria incerta, Gordon cominciò a pensare che i suoi timori dovevano essere infondati. Gli parve di comportarsi come uno stupido. Nulla si muoveva, intorno, a eccezione delle foglie dorate che stormivano dolcemente in alto, accarezzate dalla brezza. I microfoni del casco non captavano alcun rumore diverso dai suoni consueti di una foresta. «Da quale parte è andata la creatura che avete visto?» domandò Varren. La voce del secondo ufficiale era estremamente rispettosa e cortese. «Da questa parte,» disse Gordon. «Non saprei, a dire il vero... può darsi che si sia trattato soltanto di una foglia che si muoveva.» S'interruppe, d'un tratto, perché aveva sollevato lo sguardo, e aveva visto
qualcosa. A circa tre metri e mezzo di altezza, solidamente incastonata nell'incavo di un albero, c'era una strana costruzione, che assomigliava lontanamente alla tana di uno scoiattolo. Non si trattava però di una costruzione rozza fatta di fogliame e rami, ma di una solida cassetta di legno lavorato, con una porta su un lato. «La cosa che ho visto andava da quella parte!» disse Gordon. «E ora... guardate!» Varren guardò. Guardò in alto per molto tempo, apparentemente ipnotizzato, e poi mormorò tra i denti le più colorite imprecazioni del gergo dei soldati delle flotte siderali. «Proverò a salire io, per dare un'occhiata,» suggerì Gordon. «Se veramente si tratta di quello che mi è sembrato di vedere, certo non potrà essere molto pericoloso. In caso contrario... ci sarete voi a coprirmi le spalle.» Arrampicarsi sul tronco dell'albero non sarebbe stata un'impresa molto difficile, se Gordon non avesse indossato la pesante tuta spaziale, e il casco. Ma in quelle condizioni, quando egli giunse all'altezza del ramo che reggeva il bizzarro cubicolo, il suo corpo era coperto di sudore, e il respiro era affannoso. Sollevò il capo, e i suoi occhi furono all'altezza della minuscola porta. Gordon spinse la porta, con estrema delicatezza. Un debole scatto gli fece capire che, all'interno, una minuscola sbarra si era spezzata. Continuò a spingere, ma era difficoltoso... perché qualcosa, o qualcuno, stava impiegando tutte le proprie forze per impedire alla porta di aprirsi. Qualcuno che spingeva dall'interno! Poi ogni resistenza cessò, e finalmente John Gordon poté osservare l'interno della strana costruzione, e dapprima non riuscì a vedere che una densa penombra violacea. Poi i caldi raggi del sole arancione si riversarono nell'apertura, e mano a mano che i suoi occhi si abituarono alla scarsa luce, riuscì a scorgere particolari che inizialmente gli erano rimasti nascosti. Coloro che avevano cercato, usando tutte le loro forze, di tenere chiusa la porta, ora si rannicchiavano spauriti sulla parte opposta, in fondo alla minuscola stanza. Non erano molto più alti di trenta centimetri, e la loro forma era umana... erano un uomo e una donna, completamente nudi, a parte degli strani guanti, che probabilmente erano necessari per raccogliere i frutti dalle piante spinose. La cosa più bizzarra, nel loro aspetto, a parte la statura, era la curiosa trasparenza dei loro corpi... che erano traslucidi come se fossero stati di plastica. Attraverso quei corpi eterei, si potevano scorgere i contorni degli oggetti appoggiati alla parete!
I due esserini si abbracciavano, rannicchiati contro la parete della loro strana dimora arborea, e Gordon rimase a fissarli a lungo, esterrefatto, mentre la luce del sole arancione si mescolava alle foghe gialle e alla penombra che regnava nella piccola casa, giocando con tutte le sfumature del rosso, in una serie cangiante di colori caldi e cupi a un tempo. Poi Gordon sentì che l'uomo parlava, con voce sottile: riuscì a sentire a malapena la sua voce, ma non si trattava di una lingua che lui conoscesse. Dopo un lungo istante, Gordon scivolò lungo il tronco dell'albero, ritornando a terra. Si volse a fissare Varren, e indicò con mano malferma il ramo che ospitava la casa arborea. «Andate a dare voi un'occhiata, Varren! Forse voi sarete in grado di comprendere la loro lingua.» «La loro lingua?» domandò l'ufficiale, attonito. Egli fissò per un momento Gordon, come se avesse dubitato delle sue facoltà mentali, poi, con un sospiro, cominciò ad arrampicarsi a sua volta. L'incrociatore fantasma riposava sul suolo del pianeta solitario, e la sua sagoma scura, priva di emblemi, pareva stranamente fuori posto, in quella foresta d'oro e di porpora. Passò molto, molto tempo, prima che Varren ridiscendesse dall'albero. E quando egli fu davanti a Gordon, il suo volto mostrò un'espressione scossa e attonita. «Ho parlato con loro,» annunciò, e poi ripeté la frase, come se neppure lui potesse credere a quanto aveva detto. «Sì, ho parlato con loro. E sono riuscito a capirli, Gordon! Perché, vedete, diverse migliaia di anni or sono, quelle creature erano esseri umani come noi.» Gordon spalancò gli occhi, attonito. «Quelle creaturine? Esseri umani... come noi? Ma non è possibile, Varren! Voi stesso lo capite!» «Avete dimenticato i coloni, Gordon?» spiegò Varren. «I coloni, quelli che vennero costretti ad abbandonare questo pianeta a causa delle avverse condizioni ambientali. Il capitano Burrel vi ha detto quanto aveva trovato sul manuale di navigazione galattica, ricordate? Solo che il manuale non narrava l'intera storia... perché non tutti i coloni se ne andarono da Aar! Alcuni erano già rimasti vittime del pericolo... un componente chimico dell'aria o dell'acqua che, nel giro di poche generazioni, ha il potere di rimpicciolire il corpo umano!» Varren scosse il capo, con visibile tristezza. «Povere creaturine! Non mi hanno detto queste cose con le parole che io uso... perché non sarebbero neppure in grado di capirle! Ma sono riuscito ugualmente a comprendere, grazie ai frammenti di miti e leggende che mi
hanno narrato. Sospetto che, attraverso una serie di mutazioni, essi abbiano acquisito quella semitrasparenza per ottenere una difesa mimetica contro le altre creature che vivono qui.» Gordon rabbrividì, e il vento intorno a lui parve farsi improvvisamente più freddo. Sì, tra le stelle si trovavano prodigi e splendori mai visti, ma anche orrori senza nome! «Ho appreso una cosa, da loro,» aggiunse Varren. «Hanno un'immensa paura di qualcosa che si trova laggiù, a occidente. Questo sono riuscito a sapere, da loro... ma niente di più!» Si voltarono, e si avviarono verso l'incrociatore siderale che attendeva, sul suo letto di foglie. Gordon sentì che degli sguardi lo seguivano... sguardi di creature minuscole che un tempo erano state uomini come lui, e che continuavano a vivere, ad amare e a rabbrividire di terrore nel loro minuscolo universo rosso e oro. Quando furono di nuovo a bordo, furono le ultime parole di Varren a colpire maggiormente Hull Burrel. «Quanto mi dite concorda con le nostre scoperte!» annunciò. «Abbiamo compiuto una veloce esplorazione, servendoci del radar subspettrale, ed esso ha mostrato senza possibilità di errore la presenza di grandi costruzioni metalliche, a occidente... a molte centinaia di miglia. Certo non capisco come quelle minuscole creature possano conoscere cose che si svolgono a tanta distanza dalla loro casa, ma non può trattarsi d'altro che del luogo che stiamo cercando.» L'antariano rifletté per qualche minuto, e poi disse: «Varren, quelle creature vi hanno detto niente sulla natura del pericolo? Avete intuito qualcosa, sulla minaccia che si trova a occidente?» Il secondo ufficiale scosse decisamente il capo. «Non ho potuto sapere niente, capitano.» Un'espressione ostinata indurì il volto rude e onesto del capitano di Antares. «Capisco.» brontolò. «E non riusciremo mai a coprire quella distanza a piedi. Perciò dovremo aspettare che scenda la notte, e poi avvicinarci con l'incrociatore. Volando radenti sulle cime degli alberi, potremmo riuscire ad avvicinarci a sufficienza, senza venire avvistati dai loro radar.» In quel momento, si udì giungere una sorda esplosione dalla sala macchine. Varren e Gordon si volsero di scatto, nell'udire quel rumore cupo. Ma Hull Burrel li aveva preceduti, ed era già disceso dal ponte, di corsa. A
Gordon e a Varren non rimase altro da fare che seguirlo. Quando giunsero nella sala macchine, si trovarono di fronte a uno spettacolo inatteso. Kano e Rann, i due uomini dell'equipaggio, stavano fissando con aria stordita il grande generatore centrale, che ribolliva di luci e colori. Nella sala c'era un forte odore dì ozono. Hull Burrel si piazzò davanti ai due uomini, con le mani sui fianchi. Una rapida occhiata bastò a fargli capire quanto era accaduto. «Nessuno vi aveva dato l'ordine di mettere in funzione il generatore!» gridò, furente, facendosi ancora più rosso in viso. Rann, il più giovane degli uomini dell'equipaggio, continuava a scuotere il capo, come se ancora non si rendesse conto di quanto era accaduto. Richiamato dal rumore, anche il soldato che era rimasto di guardia, al cannone atomico, si affacciò nel locale, ma venne immediatamente rispedito al suo posto da un urlo minaccioso di Hull Burrel. Il capitano antariano si avvicinò al generatore, e lo esaminò per un istante. Quando si volse, sul suo viso color mattone c'era un'espressione angosciata. «C'è qualcosa che non capisco!» disse, sordamente. «È impossibile che uno di questi generatori possa esplodere così.» Si voltò a squadrare i due uomini, che tremavano visibilmente. «Qualcuno dovrà pagare, per questo incidente! E Dio non voglia che il prezzo debba essere pagato da tutti noi!» Gordon si avvicinò a Burrel, e volle sapere che cosa era accaduto. «II grande generatore del campo di stasi!» spiegò Burrel, e sul suo volto onesto e segnato da molte cicatrici c'era un'espressione di angoscia, e la sua voce parve spezzata da un singhiozzo di collera impotente. «Voi sapete di che cosa si tratta, John Gordon... il campo di stasi è l'unica forza che impedisce al corpo umano di disintegrarsi, durante le spaventose accelerazioni del volo siderale. Senza di esso, non potremo mai più lasciare il sistema stellare di Aar... siamo condannati a rimanere qui per sempre!» Un breve silenzio regnò, a quelle parole, nella sala macchine piena di vapori turbinanti. Poi Gordon vide che il capitano di Antares raddrizzava le spalle, e sollevava il capo, come se avesse voluto sfidare la forza che li stava condannando. «Ebbene, se c'è qualcosa da scoprire su questo pianeta, la scopriremo ugualmente! E torneremo a Throon, anche se dovessimo costruire un'astronave con le nostre mani!» «Sono con voi, Burrel!» esclamò Gordon, a sua volta. «E se esiste qual-
che trama oscura su questo pianeta, ci saranno certamente delle astronavi... e noi dovremo trovarne una adatta a noi!» «Lo vedremo presto,» disse Varren, in tono cupo, alle loro spalle. «Tra poco calerà la notte.» La notte, su Aar, era gravida di una pesante oscurità, perché il pianeta non aveva lune. L'incrociatore fantasma volava basso, appena sopra le foglie degli alberi, che riflettevano debolmente la luce delle stelle, le stelle lontane e solitarie dei limiti estremi delle Frontiere, e il cinereo lucore dei grappoli di astri spenti e di pianeti morti che formavano la giungla siderale attraverso la quale erano giunti su quel mondo. Hull Burrel era ai comandi, e la sua espressione era vigile e tesa. Gordon era in piedi, accanto a lui, in silenzio, e spiava l'oscurità attraverso l'ampia vetrata. Gli parve infine di scorgere qualcosa, qualcosa che si trovava molto lontano, e che rifletteva pallidamente il chiarore delle stelle. Fece per parlare, ma Hull lo anticipò, annuendo. «Ho visto. È il momento di atterrare!» Gordon aspettò. Invece di atterrare immediatamente, l'incrociatore proseguì nel suo volo; Gordon immaginò che Burrel stesse cercando uno spazio libero, per atterrare nella foresta. Si avvicinò agli oblò telescopici, e guardò attraverso uno di essi. Il fievole bagliore metallico, più avanti, si stava facendo più vicino, e dopo pochi istanti egli riuscì a vedere che quel metallo apparteneva alle sagome informi degli edifici di una piccola città. C'erano delle cupole, delle strade, delle alte mura. Ma non c'era una sola luce, ed egli vide che già da molto tempo la foresta aveva invaso le strade della città, che erano soffocate dal fogliame degli alberi. Senza dubbio, quello era stato uno dei centri di quella impresa coloniale di tante migliaia di anni prima, e quel centro era stato condannato allo stesso, tragico destino dei coloni che l'avevano costruito. Ma alcune luci nascoste, schermate, si scorgevano oltre la città. Gordon toccò i pulsanti che regolavano la visione dell'oblò telescopico. Non riuscì a vedere molto, ma gli parve che l'antico astroporto della città morta fosse da quella parte, e che la superficie oscura e piatta della foresta non fosse ancora riuscita a invaderlo. Gordon riuscì a notare soltanto le sagome minacciose e oscure di alcune astronavi, che riposavano nelle primitive banchine. Erano piccoli incrociatori da ricognizione, non molto più grandi dell'incrociatore fantasma in avaria sul quale si trovavano. Ma più lontano, una delle sagome attirò la sua
attenzione. C'era qualcosa di bizzarro e di diverso, in quella nave siderale. Una luce di speranza si accese nel cuore di Gordon. Forse, impadronendosi di una di quelle astronavi, sarebbero riusciti a fuggire dal pianeta, anche se fosse stato impossibile riparare il generatore. Si volse per dire quello che aveva visto a Hull Burrel, e quando i suoi occhi lasciarono l'oblò telescopico, vide che l'incrociatore continuava ad avanzare verso la città, e che non aveva ancora cominciato a discendere. Gordon esclamò: «Hull, perché non ci fermiamo? Avete forse intenzione di atterrare sulla loro porta di casa?» L'antariano non rispose. Gordon gli afferrò un braccio. E con una rapida mossa di lotta, Hull Burrel scaraventò Gordon contro la parete opposta. Ma era bastato un solo istante, perché Gordon aveva visto il volto dell'altro! Quel volto era pietrificato, immobile, e gli occhi parevano svuotati di ogni percezione. E, in un solo istante, Gordon comprese! Con un balzo, egli si lanciò disperatamente contro l'antariano. Riuscì a farlo cadere dal posto di comando... ma Hull riuscì ad aggrapparsi al quadro di comando, e ad abbassare una leva, prima che Gordon riuscisse a strapparlo di là; e l'incrociatore fantasma s'impennò bruscamente, si capovolse, e si tuffò verso terra, attraversando il denso fogliame. Gordon sentì che la sua nuca urtava violentemente contro la fredda parete di metallo... avvertì un grido soffocato, che forse era uscito dalla sua gola... e poi ci fu solo un mare di oscurità, un oceano tenebroso e illune nel quale egli precipitava e precipitava, senza fine! Capitolo Dodicesimo Il redivivo dei Mondi Oscuri Nell'abisso di tenebra, John Gordon sentì parlare la voce di un morto, e quella voce diceva: «Dunque è questo il suo aspetto!» E poi, dopo una breve pausa, «Bene!» A chi apparteneva quella voce? La mente stordita e vacillante di Gordon non riuscì a ricordarlo. Come faceva, allora, a sapere con tanta certezza che si trattava della voce di un morto? Non sapeva in qual modo aveva tanta certezza, ma non poteva sbagliare! Perché lui sapeva bene che l'uomo che aveva parlato era morto. Doveva aprire gli occhi, e vedere chi fosse colui che poteva parlare an-
che dopo la morte. Tentò di farlo, compiendo uno sforzo intenso. E, a causa di quello sforzo, le tenebre e la sofferenza riempirono più che mai la sua mente, e non seppe più nulla. Quando alla fine si svegliò, capì che era trascorso molto tempo. Capì anche di avere una delle più grosse emicranie della storia galattica. Questa volta, non gli fu difficile aprire gli occhi. Scoprì di trovarsi all'interno di una stanza dalle pareti di metallo, chiusa da una solida porta. C'era una finestra chiusa da un'inferriata, e dei raggi di luce arancione penetravano dalle sbarre ravvicinate. All'altra estremità della stanza, Hull Burrel era disteso al suolo, e pareva morto. Gordon si alzò in piedi. Per qualche istante rimase perfettamente immobile, temendo di cadere. Poi avanzò faticosamente, e s'inginocchiò accanto all'antariano. Hull aveva una vistosa ammaccatura sul mento, ma non era visibile nessun'altra ferita. Eppure giaceva immobile, e il suo volto color mattone non pareva più scolpito nella roccia, come sempre, ma grinzoso e floscio come quello di un vecchio. Aveva gli occhi chiusi, ma le labbra erano livide e socchiuse, e da esse usciva un filo di saliva. Gordon si curvò, e cominciò a scuotere gentilmente per le spalle il capitano di Antares, chiamandolo più volte per nome; e d'un tratto quel corpo inanimato fu percorso da un fervore febbrile, e Hull Burrel aprì gli occhi. E John Gordon inorridì, perché quelli erano gli occhi di un folle! Con inaudita violenza, il gigantesco antariano scaraventò al suolo Gordon, e si mise a urlare, fissando il suo compagno con occhi che fiammeggiavano di un odio terribile, mentre il corpo tremava come un fuscello. Poi, gradualmente, gli occhi di Hull Burrel persero la luce della pazzia, si schiarirono, mentre i muscoli poderosi si rilassavano. Con un'espressione confusa e stordita sul volto rude e onesto, Burrel fissò infine Gordon, come se lo vedesse per la prima volta. «Dove sono? Cosa mi succede?» domandò. «Siete stato colpito,» disse Gordon. «Non è stato il colpo di un paralizzatore, né di un oggetto contundente, però... è stato un colpo vibrato con la forza del pensiero. Siete stato soggiogato, e qualcuno ha assunto il controllo del vostro corpo e della vostra mente, mentre ci stavamo avvicinando a questo posto.» «Questo posto? In nome di tutte le stelle, dove siamo?» Hull Burrel si stava guardando intorno, e la sua attenzione cadde sulle pareti metalliche.
«Mi sembra una prigione.» «Siamo nella città morta degli antichi coloni. E non esistono città senza prigioni.» Gordon provava un intenso dolore alla testa, e gli pareva di vacillare sull'orlo di un abisso spaventoso. Neppure quando aveva attraversato i gorghi insondabili del tempo e dello spazio aveva provato un senso di smarrimento e d'impotenza così grandi! Fissò intensamente l'alto e massiccio antariano, e in quello sguardo c'era qualcosa che pareva un'implorazione. «Ditemi, Hull,» domandò. «L'altra volta, quando ho vissuto la mia strana esperienza nel corpo del principe Zarth, mi sono comportato da eroe, non è vero? Ai vostri occhi, agli occhi di tutti i sovrani e dei popoli della Via Lattea... mi sono guadagnato la riconoscenza di tutti, e il mio nome è stato circondato da un alone di leggenda. Non è forse vero?» Hull si volse a fissarlo, stupito. Una ruga profonda solcava la sua fronte, e il volto sincero appariva preoccupato. «Perché mi domandate questo? Sapete bene che è vero. Il nome del principe Zarth è stato salutato con l'entusiasmo che si riserva agli eroi. Nessuno ha compiuto un'impresa più grande, in tutta la storia della Via Lattea... e siete stato voi, in realtà, a fare questo, come adesso ho saputo!» «Ebbene, Hull, a voi posso dire la verità,» confessò Gordon in tono amaro, e un gelo che era più intenso di quello delle immensità spaziali gli strinse il cuore. «Perché, vedete... io desideravo ritornare a essere un eroe! Capite ciò che provavo? Gli onori erano riservati al principe Zarth, ed era giusto... ma io volevo dimostrare che anche John Gordon, un uomo della Terra, di un tempo antichissimo, poteva essere altrettanto capace, con le sue sole forze. Tutto ciò che ora mi viene riconosciuto, è in realtà dovuto al fatto che io vivevo nel corpo del principe Zarth... e io desideravo essere conosciuto per il mio valore, e per i miei meriti. Questa, Burrel, era la mia grande opportunità! La grande opportunità che mi si offriva, per ritornare a essere un eroe. Throon, Lianna... oh, penso che tutti saranno davvero orgogliosi di me!» «Non eravate voi il responsabile dell'incrociatore fantasma... ero io il comandante, e la responsabilità è tutta mia!» brontolò Hull Burrel. «Sono io che ho fallito.» Si avvicinò all'inferriata, e guardò fuori, nella strada soffocata dalle foglie gialle della foresta. Si volse di nuovo, e la sua fronte era corrugata dolorosamente. «Una forza mentale, avete detto. Dunque devono essere qui... su questo mondo... i maledetti invasori venuti dalle Nubi di
Magellano!» Gordon si strinse nelle spalle. «E chi avrebbe potuto fare questo, altrimenti? Siamo stati giocati, presi in trappola come bambini. Sono stati qui, in tutta tranquillità, ad aspettarci. Ed è il minimo che potevamo attenderci! Avevo dei dubbi, all'inizio, ma ora mi rendo conto che il piano è stato sciocco, e ingenuo, fin dall'inizio. E ancora non capisco...» Hull gridò, improvvisamente: «Varren! Kato... Rann... dove siete?» Nessuno gli rispose. Anche se i tre ufficiali e gli altri uomini dell'equipaggio erano ancora vivi, non si trovavano nelle vicinanze. «Dovunque siano finiti, non sono qui,» brontolò Hull, aggrottando le sopracciglia e fissando minacciosamente la parete, come se fosse stata una terribile entità nemica da distruggere. «E, perdio, vorrei non esserci neppure io! Gordon, che cosa possiamo fare, adesso?» «Non abbiamo alcuna speranza. Ora dobbiamo aspettare.» La voce di Gordon era apparentemente calma, ma il suo sguardo era remoto e fisso. Il robusto antariano strinse i pugni, e si guardò intorno, come una belva in trappola. Ma quella futile reazione durò solo per pochi istanti. Ben presto il capitano di Antares dovette arrendersi all'evidenza, e comprendere che, nella loro situazione, non c'era altro da fare. Così aspettarono, per più di un'ora. Poi la porta si aprì, senza preavviso, e sulla soglia apparve un giovanotto dall'aspetto arrogante, che indossava un'uniforme nera sulla quale appariva l'emblema d'argento della Mazza. «I soldati di Cyn Cryver!» esclamò Gordon. «Avrei dovuto immaginarlo!» «Sua Grazia il Conte Cyn Cryver vuole vedervi immediatamente!» annunciò in tono duro il soldato. «Se volete, potete seguirci spontaneamente; altrimenti, saremo costretti a condurvi là con la forza.» Indicò due uomini dall'uniforme nera che attendevano in disparte, fuori della porta, puntando contro i prigionieri dei paralizzatori. Gordon sollevò il capo, altezzosamente, e fece un passo avanti. «Non c'è bisogno di ricorrere alle maniere forti, perché anch'io desidero vedere il conte Cyn Cryver!» esclamò Gordon. «E poi, la testa mi duole abbastanza, perché io desideri il trattamento che intendete riservarmi!» Uscirono, e camminarono sotto la calda luce del sole, e lungo una strada che un tempo era stata ampia e spaziosa. Dalla posizione del sole, Gordon capì che erano rimasti privi di sensi per molte ore... e questo lo riempì di
meraviglia. Notò che il tempo e le stagioni avevano corroso il cemento, e dei semi vi erano penetrati, per crescere e diventare alberi dalle soffici foglie piumose, così che quella strada non era altro, ormai, che uno dei tanti sentieri della foresta. Le antiche facciate corrose degli edifici metallici s'intravedevano tra il fogliame, ed erano silenziose e morte. Gordon riuscì a scorgere una statua altrettanto antica, la figura di un uomo che indossava un'arcaica tuta spaziale, e teneva il casco sotto il braccio, e guardava orgogliosamente la città dal centro della strada. Doveva trattarsi, pensò Gordon, del capitano dell'incrociatore siderale che aveva condotto la sciagurata spedizione coloniale su quel pianeta, decine e decine di secoli prima. Poteva continuare a guardare con orgoglio la sua opera, lo sconosciuto capitano delle stelle! Perché tutto quello che aveva sognato era morto da secoli, e gli ultimi discendenti dei suoi uomini erano quelle minuscole creaturine spaurite e braccate che si nascondevano nella foresta, e avevano dimenticato perfino di essere state, un tempo, uomini e donne. Ma tutto questo non aveva importanza, per lo sconosciuto capitano! Perché egli poteva essere orgoglioso e felice, ora che i suoi occhi erano ciechi e non potevano vedere ciò che era accaduto… Mentre invece Gordon poteva vedere ancora, e poteva assaporare fino in fondo il calice amaro della sua sconfitta. Così si concludeva il suo ritorno ai mondi delle stelle, alla gloria dell'Impero Centrale della Via Lattea; in quel modo, colui che era stato il più grande eroe della storia, e il principe Zarth Arn, chiudeva ingloriosamente il suo breve ritorno su un piccolo mondo dimenticato alle Frontiere degli Spazi Ignoti, ai confini della Via Lattea. Se Lianna avesse potuto vederlo... chissà che cosa avrebbe pensato del suo orgoglio? Furono condotti a un edificio nel quale erano state compiute delle riparazioni, e che sembrava l'antico centro amministrativo della colonia. Tre soldati dai volti duri e sprezzanti li presero in consegna, alla porta. «Sua Grazia il Conte Cyn Cryver riceverà subito i prigionieri,» annunciò uno dei soldati, che indossava la nera uniforme con l'emblema della Mazza d'argento. «Seguitemi!» Percorsero un lungo corridoio, e incontrarono diversi altri soldati, che indossavano tutti l'uniforme degli uomini del Conte, e andavano e venivano, con aria altezzosa e cupa. Poi, finalmente, la loro scorta li fece entrare in una vasta sala, immersa nella penombra. Il Conte delle Frontiere, Cyn Cryver, sedeva dietro a un tavolo coperto
di fili e manopole. Egli stava sorseggiando il liquore ambrato contenuto in un alto bicchiere, e indossava un abito nero, che portava ricamate sul petto le insegne della sua contea; quando i prigionieri entrarono, egli sollevò il capo, e fissò Gordon con aperta ironia. «Siete partito da Teyn con troppa fretta, amico mio!» esclamò. «E non avete voluto concedermi il piacere di un lungo colloquio con voi. Perché, vedete, sono ancora sicuro di avervi visto in qualche altro posto, prima del nostro incontro su Teyn... anche se forse non avevate lo stesso aspetto!» Queste parole riempirono di sgomento John Gordon. Il Conte sapeva, dunque! Ora ricordava l'attenzione che egli aveva dedicato allo sconosciuto accompagnatore della principessa di Fomalhaut, durante la festa alla corte di Narath... e ricordava le oscure allusioni che il conte aveva fatto in quella circostanza! «Siamo nelle vostre mani, Cyn Cryver!» disse Gordon. «Perciò, smettetela di temporeggiare, e diteci cosa volete.» «Non c'è fretta, John Gordon!» esclamò il conte. «Voi avete provocato molti inconvenienti, su Teyn, ma a quanto pare adesso siete al sicuro.» Terminò di scolare il liquore, e posò il bicchiere vuoto sul tavolo. «Vedete, Gordon, mi è stato detto che siete giunto di... di recente, e perciò non mi sorprendo della vostra ingenuità. Anche se temo che non avrete molto da vivere, però, permettetemi di darvi un paio di consigli... prima di tutto, non fidatevi troppo dei consigli di un non umano. E soprattutto, non fidatevi mai di un vile! Un pusillanime come John Ollen, a esempio!» Una luce abbagliante parve esplodere nella mente di Gordon... insieme a un senso di gelo. «Dunque è questa la verità? Ma certo... voi ci stavate aspettando! Jon Ollen è un traditore e un codardo... era d'accordo con voi, fin dall'inizio!» Questa era l'unica spiegazione possibile. Il cadaverico barone della Costellazione d'Ercole era un rinnegato e un traditore, e non era follia presumere che proprio l'incrociatore di Ollen avesse dato asilo alla spia telepatica che era venuta a Throon, e della quale Korkhann aveva individuato la presenza... Korkhann? Un'angoscia improvvisa fece sbiancare in volto Gordon. Perché ora ricordava l'altro consiglio del conte! «Mio Dio!» esclamò. «Non mi direte che Korkhann era al corrente di tutto questo? Non è possibile che anche lui sia un traditore!» Cyn Cryver lo fissò per qualche istante, sinceramente stupito, e poi
scoppiò in una fragorosa risata. «Capisco il motivo del vostro spavento, John Gordon!» disse, quando si fu calmato. «Rassicuratevi... Korkhann è uno stupido idealista, un non umano che si sente troppo umano, e che perciò è destinato a fare una brutta fine! Ma davvero non avete ancora capito che l'eccellentissimo ministero del regno di Fomalhaut, che si ritiene così saggio e astuto, non è stato altro che un comodo strumento nelle nostre mani? Pensate forse che quello stupido piano di mandarvi alle Frontiere fosse nato nella mente del nostro amico non umano? Pensateci un momento, Gordon... e capirete da solo la verità!» Hull Burrel si fece udire, improvvisamente. «Mio Dio... lo stordimento che Korkhann aveva accusato... lui si era trovato sotto l'influsso telepatico fin dall'inizio! Ecco perché è stato attaccato... per attirarci qui come stupidi!» Il capitano di Antares fece un passo avanti, e fulminò Cyn Cryver con un'occhiata. «Traditore! La pagherete cara, per i vostri loschi disegni! Avanti... ditemi che cosa ne avete fatto dei miei uomini!» Cyn Cryver non si scompose, a quelle parole minacciose. Sorrise, un sorriso malvagio e pericoloso. «Vi consiglio di calmarvi, capitano Burrel... so che avete un carattere impulsivo, ma vi ricordo che i miei fedeli soldati sono maestri, nell'insegnare le buone maniere! E vi ricordo anche che dovete usare il dovuto rispetto nei confronti di un Conte delle Frontiere degli Spazi Ignoti... anche se per troppo tempo gli arroganti, ricchi abitanti dell'Impero hanno disprezzato la nostra gente, credendo di tenerci isolati nelle più povere regioni della Via Lattea!» Il suo sguardo si fece freddo, e il suo volto diventò più livido, mentre egli scrutava Burrel con odio mortale. «Non avevamo bisogno dei vostri preziosi uomini e della vostra astronave, e così li abbiamo distrutti, come anche voi sarete distrutti quando non ci sarà più bisogno della vostra presenza!» Hull strinse i pugni. Il suo volto rude e onesto manifestò un violento dolore, ed egli parve sul punto di balzare sull'uomo seduto, che lo fissava con un sorriso di cinico trionfo... ma i silenziosi soldati si fecero avanti, puntando minacciosamente i paralizzatoli. «Più tardi verrà il vostro turno!» disse Cyn Cryver, seccamente. «Ora voi siete qui, John Gordon, solo perché un vostro vecchio amico ha espresso con molta insistenza il desiderio di vedervi. Presto, Bard... andate a dire al vecchio amico di John Gordon che tutto è pronto!»
Uno dei soldati si volse, e uscì da una porta che si trovava nella parete opposta della sala. E improvvisamente Gordon si sentì raggelare, e un lungo brivido di terrore gli percorse la schiena. Perché ricordava bene la sinistra figura incappucciata che aveva conosciuto a Teyn... l'enigmatico alleato del conte, l'artefice di quel complesso, oscuro disegno nel quale lui era rimasto invischiato! «Capitano Burrel,» disse Cyn Cryver, sorridendo. «Voi occupate un posto molto importante nello stato maggiore della Flotta degli Alti Spazi, non è vero? Mi hanno detto che siete molto vicino all'ammiraglio Giron.» Hull Burrel avvampò. «Non ho intenzione di discutere con voi la mia posizione di leale suddito dell'Imperatore e di ufficiale della flotta, conte! Io non discuto con i traditori!» «Ma non dovrete discutere con me, capitano Burrel,» sorrise Cyn Cryver. «Vi assicuro che non ci sarà alcun bisogno di discutere. Le informazioni che potrete darci, però, ci saranno utilissime.» Bard ritornò nella stanza. Gordon ebbe di nuovo una rapida visione mentale dello straniero incappucciato e velato che avevano incontrato su Teyn. La paura lo avvolgeva, come una morsa inesorabile. Cyn Cryver, lentamente, sì alzò in piedi. «Concedetemi l'onore di essere io stesso ad accompagnarvi dal vostro amico, John Gordon!» disse il conte. «Sarà certamente felice di rivedervi, dopo tanto tempo.» Sorvegliati dalle vigili sentinelle, Gordon e Hull Burrel vennero accompagnati da Cyn Cryver verso la porta dalla quale era entrato Bard. Percorsero un altro corridoio, e si trovarono davanti a un'altra porta, più piccola. Era chiusa. «Entrate, John Gordon,» disse Cyn Cryver. «Prego, dopo di voi. Mi dicono che siete in ottimi rapporti con la famiglia imperiale... perciò sono lieto di concedervi tutti gli onori che si devono al vostro rango!» Gordon cominciava a odiare quell'uomo rozzo e crudele, che pareva trarre un così sadico piacere dalla pesante ironia che esercitava sulle sue vittime! Ma in quel momento la porta si aprì, e Gordon chiuse gli occhi per un momento, inorridito, anticipando l'immagine che avrebbe visto tra un istante. E scoprì di avere commesso un incredibile errore! Perché non era l'essere incappucciato che aveva temuto di vedere, colui che sedeva dietro un grande tavolo da lavoro. Si trattava invece di un uomo alto e robusto, dalle
spalle larghe, i capelli neri, il volto duro e severo, lo sguardo penetrante. L'uomo sollevò il capo, li fissò, e sorrise. «Mio Dio!» esclamò Hull Burrel. «Ma è Shorr Kan!» «Oh, no!» disse prontamente Gordon. «Non vedete, Burrel, che si tratta di qualche loro abile mistificazione? Io stesso ho visto morire Shorr Kan, ucciso dai suoi uomini. Voi avete assistito alla scena con i vostri occhi. Questo è un impostore!» L'uomo che aveva i lineamenti di Shorr Kan rise. «Voi avete esperienza di queste cose, non è vero, Gordon?» I suoi occhi fissavano Gordon, ed erano penetranti e ironici. «Voi tutti avete pensato di vedere la scena della mia morte, sugli schermi dei telestereo. Ma anche voi, che avevate ingannato l'intera Via Lattea, alla fine siete stato ingannato... da me, John Gordon! E se posso concedermi un elogio, si è trattato di un inganno molto ben riuscito, considerando il pochissimo tempo che ci era rimasto per improvvisarlo!» E quella era la voce di Shorr Kan, pensò Gordon... ed era anche la voce di un morto che aveva esclamato, nel buio, «Dunque è questo il suo aspetto!» E l'inganno era davvero perfetto! Perché i modi dell'uomo che sembrava Shorr Kan non erano diversi da quelli del potente padrone della Nebulosa! Aveva sempre quel tono pratico e ironico che Gordon aveva trovato stranamente simpatico, anche nei momenti più drammatici della loro lotta. I suoi occhi calcolatori erano attraversati a tratti da lampi ironici e divertiti. Egli fissava Gordon, allegramente, e parlava con disinvoltura, come un uomo che avesse voluto spiegare qualcosa a un amico incontrato dopo molto tempo. «Mi sono trovato da un momento all'altro in una situazione disperata, grazie a voi, Gordon! Il mio piano perfetto... fallito! Il vostro dannato Distruttore aveva annientato la mia flotta, proprio mentre la vittoria pareva sicura, e voi stavate avanzando sui Mondi Oscuri, e i miei amati sudditi, che Dio li confonda, avevano voltato bandiera e combattevano nelle strade contro le mie guardie fedeli! Mai fidarsi del popolo, Gordon... inchini e amore fino a quando siete sulla cresta dell'onda, e nel momento del bisogno vi sputerà in faccia, come a un animale rognoso! In quel momento ne andava del mio collo, se non riuscivo a escogitare qualcosa in fretta.» Shorr Kan sorrise. «E come sempre, sono riuscito a cavarmela, vedete? Mi restavano ancora alcuni fedeli ufficiali, e quando essi hanno inviato quel
messaggio telestereo, con la comunicazione di resa, voi avete fatto bene a dubitare, anche se solo per un momento! Perché avete visto il povero Shorr Kan, con una grande ferita falsa sul petto, intento a recitare una nobile scena di morte e sacrificio... una commedia della quale sono veramente orgoglioso!» Scoppiò in un'allegra risata. E Gordon, attonito, perché non voleva credere a quella scena, e già cominciava a farlo, esclamò: «Ma il vostro cadavere è stato trovato tra le rovine del palazzo! Ci sono testimonianze precise, in merito!» L'avventuriero che era riuscito a dominare i Mondi Oscuri con la sua straordinaria personalità scrollò le spalle, e rise di nuovo. «Sì, certo, è stato rinvenuto un cadavere. Il cadavere di un ribelle morto, naturalmente, che aveva più o meno la mia corporatura. Naturalmente non rimanevano molti elementi, per un'identificazione più precisa... ma chi avrebbe potuto dubitare? Soprattutto poiché avevamo dato fuoco al palazzo, prima di fuggire, lasciando che del gesto vandalico venissero incolpati i miei fedeli sudditi in rivolta. Come vedete, c'era un motivo nella richiesta di attendere qualche ora, prima di permettere alla vostra flotta di scendere a Thallarna!» Gordon non poté fare a meno di credere, in quel momento, alle parole del suo vecchio nemico. Perché sentiva che doveva essere la verità! Shorr Kan, l'uomo che era riuscito a diventare capo della Lega dei Mondi Oscuri, e che poi, con la sua potenza, era quasi riuscito ad annientare l'Impero Centrale della Via Lattea, era sfuggito al suo destino! E, stranamente, Gordon capì che non aveva mai creduto fino in fondo alla morte di Shorr Kan... che un'ombra di dubbio era rimasta in fondo alla sua mente, insieme al ricordo di quella straordinaria, cinica personalità, priva di qualsiasi scrupolo e di qualsiasi senso morale! E non era forse logico che egli si fosse salvato... Shorr Kan, lo straordinario avventuriero che, impersonando la figura del liberatore, aveva sfruttato gli ideali dei popoli dei Mondi Oscuri, per provocare una delle più grandi catastrofi della storia galattica? «E da allora... siete rimasto nascosto qui, nelle Frontiere degli Spazi Ignoti? Mentre l'intera Via Lattea vi riteneva morto e sepolto?» «Diciamo piuttosto che ho fatto una visita un po' prolungata ad alcuni amici delle Frontiere, tra i quali il primo è il conte Cyn Cryver,» disse Shorr Kan. «Vedete, c'era un accordo segreto tra i Mondi Oscuri e i conti... un accordo del quale, naturalmente, io solo ero al corrente, e che i conti si sono guardati bene dal rivelare, quando la mia sconfitta è stata matemati-
camente certa. Così, quando i miei amici mi hanno informato che eravate tra noi... voi, quel John Gordon che non avevo mai visto fisicamente, anche se avevo imparato a conoscere fin troppo bene... ebbene, ho provato il desiderio d'incontrarvi, per amore dei vecchi tempi. Perché so benissimo che dovrete lasciarci presto, Gordon, ma ero sicuro che il fatto di rivedermi sano e salvo vi potesse fare piacere... e inoltre, desidero assicurarvi che non vi serbo rancore, anche se siete stato la causa della mia temporanea rovina! In questo modo, ve ne andrete più tranquillo... non ho conservato dei risentimenti per quello che avete fatto, anche se, come ben sapete, non riuscirò mai a capire perché avete voluto comportarvi come uno stupido, quando vi avevo offerto addirittura il trono imperiale!» Scosse il capo, con tristezza. «Mai discutere con gli idealisti. Sono sempre stati la rovina degli imperi!» L'audacia insolente dell'uomo, il suo assoluto cinismo, ironico e disinvolto, non erano minimamente cambiati. E Gordon intuì, stranamente, che proprio Shorr Kan era l'unico che non era mutato, in quell'Impero Centrale della Via Lattea al quale lui aveva fatto ritorno! «Dunque, voi eravate a conoscenza del mio arrivo? Come lo avete saputo?» domandò. «Oh, il conte Cyn Cryver è un eccellente osservatore,» sorrise Shorr Kan. «La vostra presenza al fianco della principessa Lianna... un'altra cara amica che vorrei rivedere... era insolita e straordinaria. Vedete, avevo parlato tante volte di questa vecchia storia al conte... e devo dire che lui si era interessato moltissimo a questa vicenda. È proprio a Cyn Cryver che devo la gioia della vostra presenza qui... anche se con ritardo. Avevo avvertito Cyn Cryver del fatto che eravate un individuo straordinario, Gordon... e, soprattutto, dotato di una fortuna sfacciata, una dote che conduce a imprese precluse anche agli uomini migliori!... ma lui vi ha sottovalutato, a Teyn, e gli siete sfuggito dalle mani. Così è stato necessario ricorrere a qualche idea come ai vecchi tempi per attirarvi qui... ed eccovi.» Gordon disse, tra i denti: «Ebbene, non posso nascondervi che non mi dispiace che siate riuscito a salvare la pelle... perché, pur meritando di essere impiccato per quello che avete fatto, mi siete sempre stato maledettamente simpatico, Shorr Kan. Però mi deludete. Non è certo un destino glorioso, per colui che è stato Capo della Lega dei Mondi Oscuri, e che per poco non ha conquistato l'intera galassia, restarsene a reggere il piccolo trono di un Cyn Cryver... immagino, però, che qualsiasi destino sia preferibile alla morte.»
Shorr Kan rise, sinceramente divertito. «Voi sapete bene che io non ho paura della morte, Gordon, se proprio è impossibile evitarla... ma che preferisco usare tutte le armi per evitarla, finché sono in tempo!» Si rivolse al conte. «Avete sentito, Cyn? Vi meravigliate ancora che io ammiri quest'uomo? Eccolo qui, con il collo infilato nel cappio del carnefice, che cerca di schiaffeggiarmi moralmente, per seminare la discordia tra noi!» «Davvero?» disse Gordon. «Guardatevi allo specchio, Shorr Kan! Non dubito che pensiate di essere un uomo straordinario e ammirevole! Padrone della Nebulosa, capo dei Mondi Oscuri, sul punto di conquistare lo stesso Impero... e adesso siete costretto a nascondervi nelle Frontiere, immischiandovi in sudici complotti e intrighi con dei piccoli Conti, padroni di un solo pianeta! Mi stupisco che possiate conservare la vostra allegria!» Shorr Kan sorrise, ma Cyn Cryver si avvicinò a John Gordon, e lo fulminò con uno sguardo carico d'odio. «La mia pazienza ha un limite, John Gordon!» sibilò. «E presto avrete perduto quel vostro stupido coraggio! Ebbene, Shorr Kan, ora avete rivisto il vostro vecchio nemico, e questo può bastare. Vi ero debitore di questa soddisfazione, perché non nego che i vostri consigli siano stati sempre eccellenti... ma adesso non abbiamo altro tempo da perdere. Bard, portate costoro nei sotterranei, e incatenateli alle colonne. Il Signore Susurr verrà al calare delle tenebre, ed esaminerà le loro menti, per estrarne ciò che vogliamo sapere, e poi costoro potranno essere condotti nello spazio, a bordo della nostra astronave, e gettati nel vuoto... e vedremo se avranno ancora voglia di ridere!» «Il Signore Susurr,» ripeté Gordon. «Immagino che si tratti di uno dei vostri infidi alleati delle Nubi di Magellano, vero? Come quello che abbiamo deluso così intensamente su Teyn?» L'ira abbandonò i lineamenti di Cyn Cryver, e il conte sorrise crudelmente, fissando Gordon e Hull Burrel. «Benché voi foste dei nemici, ancora riuscivo a provare un poco di pietà per la vostra sorte... pensando a quello che vi sarebbe accaduto questa notte!» esclamò. «Ma adesso ogni traccia di pietà è scomparsa!» Volse le spalle a Gordon, e ordinò al giovane capitano: «Bard, portateli nei sotterranei, e sorvegliateli a vista fino all'arrivo del Signore Susurr. Ci vorranno alcune ore, poiché il Signore non ama la luce del sole.» Shorr Kan disse, in tono gioviale:
«Ebbene, amici, temo che questo sia un addio. Come vedete, la vita è un gioco... e l'importante è trovarsi, alla fine, dalla parte del vincitore. Il Signore Susurr è molto interessato a voi... soprattutto a voi, John Gordon. Si è esposto a enormi rischi per attirarvi qui... ed è sicuro che la ricompensa sarà pari ai pericoli corsi.» Fece una breve pausa, e sorrise. «E, naturalmente, anche Shorr Kan conta sulla riconoscenza che si deve a colui che ha saputo trovare una soluzione così brillante al piccolo problema nato su Teyn.» Gordon fissò Shorr Kan, con aria di sfida: «E quale interesse posso rivestire, per uno dei mostri delle Nubi di Magellano?» Eppure, mentre pronunciava queste parole di sfida, gli sembrò che il cuore gli si arrestasse in petto... perché aveva intuito il possibile motivo di quel complotto! «Vedo che cominciate a capire, John Gordon!» esclamò Shorr Kan, fissandolo con uno sguardo improvvisamente glaciale. «Ma forse preferite spiegarglielo voi, conte?» Anche Cyn Cryver sorrise... un sorriso che era una minaccia mortale. «Shorr Kan mi aveva raccontato mille volte quella storia,» disse. «Ma perfino io avevo esitato a credergli... finché non siete arrivato, John Gordon. Per questo ho provato tanto interesse nei vostri confronti, a Teyn! Perché voi siete stato, un tempo, un principe dell'Impero. Voi siete l'uomo che ha diretto il Distruttore contro le flotte della Lega dei Mondi Oscuri! Voi l'avete visto funzionare, l'avete fatto funzionare...» L'angoscia apparve negli occhi di John Gordon, a quelle parole. «Ma io non conoscevo il segreto del Distruttore!» esclamò. «Ora non potrei neppure avvicinarmi a esso, perché il mio corpo verrebbe distrutto dalle mortali radiazioni alle quali possono resistere soltanto i veri membri della famiglia imperiale! Io non conosco il segreto!» «Non importa!» sorrise Cyn Cryver. «I Signori di Magellano sono stati respinti già una volta, dalla potenza del Distruttore. Ora non vogliono che questo accada di nuovo... per questo agiscono con tanta prudenza! Nella vostra mente, John Gordon, deve esistere qualcosa d'infinitamente più prezioso di quanto crediate... con quello che la vostra mente ha visto e registrato, i Signori di Magellano potranno scoprire finalmente il segreto del Distruttore! «E questa sarà l'arma che ci permetterà di piegare la resistenza dell'Impero!» aggiunse il conte, e una luce di cupidigia ardeva nei suoi occhi.
«Noi, e i nostri potenti alleati, spazzeremo via la potenza imperiale, che ha tenuto isolate le Frontiere, e ci ha fatti considerare dei paria nella Via Lattea! Libereremo Thallarna, e il mio amico Shorr Kan riavrà il suo trono, e noi spartiremo la Via Lattea con i nostri nuovi alleati!» Incredulo, sgomento, John Gordon si volse a Shorr Kan: «Vedo che amate vivere tra i fanatici, Shorr Kan! Ma non dimenticate... siete stato tradito una volta, e quello che è già accaduto, può accadere di nuovo!» Shorr Kan si strinse nelle spalle. «Un buon giocatore non ritenta, se non è sicuro del successo, amico mio. I conti delle Frontiere sono alleati fedeli e sinceri, e la loro causa non è sbagliata. Dopo tutti questi anni, sarete voi a rivelarci il segreto del Distruttore... volete ancora compiangere la mia sorte, adesso?» Ora Gordon ascoltava, impietrito, senza avere neppure la forza di rispondere. Nella sua mente esistevano, forse, cose che il Signore Susurr avrebbe usato per annientare l'Impero... rivolgendo l'antica e terribile arma contro coloro che l'avevano usata contro i suoi simili? Non era possibile! Eppure... «Fareste meglio a piangere sul vostro destino, John Gordon!» disse Cyn Cryver, voltandosi definitivamente. «Perché quando il Signore Susurr avrà appreso quanto desidera dalla vostra mente, voi non sarete che un povero rottame umano, un idiota privo di volontà. E come qualsiasi rottame, sarete portato nello spazio, e abbandonato nel vuoto... senza la protezione di una tuta spaziale, naturalmente! E poiché siete così fortunato, vedremo come riuscirete a cavarvela, in questa situazione!» Senza aggiungere altro, Cyn Cryver si voltò, e uscì dalla porta che Bard aprì per lui. Shorr Kan fissò Gordon, e sorrise di nuovo. «Ebbene, amici miei, temo che questo sia un addio... sono certo che saprete affrontare la fine da veri uomini coraggiosi. È sempre stato il mio motto... morire da uomo, se proprio non si riesce a trovare alcun sistema per evitarlo. E io non credo che questa volta possiate evitarlo!» Hull Burrel gli rispose, con un'imprecazione sorda e volgare. Shorr Kan abbassò il capo, e tornò a occuparsi del suo lavoro. Bard, il giovane capitano, fece un segno imperioso ai due uomini. Attraverso lunghi corridoi e grandi scalinate, essi furono condotti nei cupi sotterranei dell'antico palazzo. Vennero legati saldamente a due colonne, e Bard rimase con due dei suoi uomini, che occuparono il loro posto di guar-
dia nel corridoio esterno. Hull continuò a imprecare, nel gergo più volgare degli spaziali, utilizzando le divinità di una dozzina di pianeti diversi. «Quel maledetto! Perdio, per tutti questi anni l'intera Via Lattea lo aveva creduto morto, e ora riappare, per ridere della nostra condanna!» «Ormai quanto è accaduto appartiene alla storia,» gli disse Gordon. «È più angoscioso pensare a ciò che accadrà questa notte, quando il Signore Susurr, l'essere che odia la luce del giorno, verrà a farci visita.' Incatenati alla colonna, Hull e Gordon avevano soltanto la possibilità di sedersi; la catena lasciava ben poco spazio. Burrel smise di imprecare, e si rivolse a Gordon, domandando: «Cosa ci farà quella creatura?» «Penso che la si possa definire una specie di vivisezione mentale. Credo che esaminerà le nostre menti, alla ricerca di qualsiasi informazione che possa esserle utile, e che dopa questo esame, di noi non rimarranno altro che due carcasse umane prive d'intelligenza... due rifiuti da eliminare!» Hull Burrel rabbrividì. Gordon pensò che, la prima volta, nell'oscura cittadella di Shorr Kan, a Thallarna, lui aveva rischiato di subire lo stesso destino. Quella volta si era trattato di una macchina, capace di cogliere i più riposti pensieri, distruggendo la mente. E allora Gordon si era salvato solo perché, prima che fosse stato troppo tardi, la macchina aveva rivelato che lui non era il principe Zarth Arn, ma un contabile del ventesimo secolo. Ma adesso lo straniero incappucciato desiderava conoscere qualcosa che si trovava proprio nella mente di Gordon... e non c'era modo di sfuggire a questo destino, peggiore della morte! Dopo un breve silenzio carico di tensione, Hull Burrel parlò, e il suo tono vibrava d'odio e di sdegno. «Dunque è per questo motivo che Brenn Bir annientò gli invasori delle Nubi di Magellano, eliminandoli dal nostro universo, quando tentarono per la prima volta di soggiogarci, centinaia di secoli or sono!» La voce dell'antariano era velata da una sfumatura di terrore... un terrore che l'orgoglioso combattente non avrebbe mai voluto ammettere. «Il potere della loro mente è spaventoso! Non potrà mai esistere tregua, fra noi e loro... e sono pazzi questi Conti delle Frontiere, e Shorr Kan è il più pazzo di tutti, se pensano di poter usare simili creature per i loro meschini progetti di conquista!» Perché questa volta le mostruose creature delle Nubi di Magellano, che non osavano mostrarsi agli uomini sotto la loro vera forma, desideravano impadronirsi della potenza del Distruttore! E se fossero riuscite nel loro in-
tento, una zona più oscura dello spazio si sarebbe forse aperta al centro della Via Lattea, dove Canopo irradiava da milioni di anni la sua abbacinante luce bianca... Le magnifiche torri di Throon, le guglie e le cupole, il mare d'argento e le montagne di cristallo, il palazzo imperiale e le lune dorate e quella d'argento... sarebbero stati cancellati dall'universo. Gordon era dunque tornato per assistere alla distruzione e alla fine dì ciò che, l'altra volta, aveva salvato? Hull Burrel e Gordon non dissero più niente, perché non c'era niente da dire. Gordon provava tutta la malinconia e il dolore dell'universo, legato alla colonna, con le catene che gli facevano dolere i polsi e le caviglie, e guardava la porta e il lungo corridoio, nel quale un riflesso dorato che veniva dall'alto e impallidiva sempre di più gli diceva che le lunghe ore del pomeriggio scivolavano lentamente verso il tramonto. Fuori, i raggi color arancio del sole filtravano attraverso il fogliame dorato che si muoveva nel vento. La brezza che veniva da occidente faceva frusciare quelle foghe, come le foglie gialle d'autunno su di una Terra lontana nello spazio e nei secoli. Al di là degli alberi, il capitano delle stelle, nella sua rigidità metallica, si ergeva immobile e valoroso, fissando per l'eternità la sua città in rovina. Le foglie d'autunno... Gordon cercò di ricordare quale stagione era a New York, in quel momento. E poi ricordò che la sua New York era polvere, apparteneva al passato, e al suo posto ora sorgeva l'orgogliosa Nyar! Quel pensiero si formò, pigramente, nella mente di Gordon. E si domandò anche quale espressione avessero i volti di pietra degli antichi sovrani di Fomalhaut, lungo il silenzioso viale del passato... E Lianna, Lianna stava pensando a lui, in quel momento... ricordava forse con amarezza il momento del loro addio, di uno dei loro addii? Un cupo pessimismo si era impadronito di Gordon. Cercava di convincersi di non sapere nulla, di non avere alcun elemento da offrire agli stranieri... ma il dubbio continuava a tormentarlo. E se fosse stato possibile? Lui non aveva alcuna possibilità di morire. E Gordon avrebbe preferito morire, piuttosto che correre il rischio di tradire l'Impero. Ma la morte non è amica degli uomini, neppure quando la sua presenza è più necessaria. Lui avrebbe rivelato agli alieni il segreto del Distruttore, se il suo subcosciente lo conosceva, e l'Impero sarebbe stato perduto. I ricordi scorrevano come le ore che mancavano al tramonto, mentre fuori le foglie stornivano lentamente, e Gordon provava un irragionevole desiderio di piangere per quello che era stato e per quello che ora non poteva essere.
I soldati delle Frontiere si muovevano lungo il corridoio, e di quando in quando si affacciavano a osservare i prigionieri. Ma Gordon non riuscì a cogliere il rumore di nessuna attività, dalla città morta che si stendeva sopra di loro. Che cosa stava accadendo in realtà lassù, su Aar? Gordon aveva la certezza che quel mondo fosse un centro importante del complotto che i Conti delle Frontiere avevano ordito con gli stranieri extragalattici, e con il maestro di ogni intrigo, Shorr Kan, conquistandosi l'appoggio del giovane e ambizioso signore di Teyn, Narath, il cugino di Lianna. Sì, quel mondo doveva essere un punto importante, ma non il centro vitale del complotto... perché altrimenti il traditore Jon Ollen non l'avrebbe menzionato, quando aveva lanciato l'esca che li aveva condotti a morire lassù. Forse Jon Ollen aveva preparato una trappola non soltanto per Hull e Gordon, e per il loro piccolo incrociatore fantasma... ma anche per gli squadroni della Flotta degli Alti Spazi, e per l'ammiraglio Giron? Jhal Arn aveva dichiarato che gli squadroni sarebbero andati su Aar, se Gordon non fosse ritornato dalla sua missione. In questo caso, Gordon e Hull avrebbero aggiunto un male più grande al male che già avevano compiuto. Con il Distruttore, il centro dell'Impero sarebbe stato annientato; con il tradimento di Jon Ollen, anche la titanica flotta sarebbe stata intrappolata, e la Via Lattea sarebbe stata alla mercé degli invasori. Oh, Lianna sarebbe stata fiera di lui! Ripensò a Lianna, ancora una volta, e al modo in cui si erano separati a Fomalhaut. Ma non voleva pensarci. Preferiva ricordare il momento del loro incontro, su Throon, alla Festa delle Lune. Quanto tempo era passato? O erano stati secoli? Con la mente annebbiata, Gordon osservò le ombre che s'infittivano nel corridoio. Fuori, le foghe continuavano a frusciare. La luce dorata s'incupì, e Gordon si risvegliò dal suo stordimento, e vide che il crepuscolo era già calato. E i soldati, lungo il corridoio, si guardavano intorno, visibilmente nervosi. Mentre l'oscurità s'infittiva, i soldati delle Frontiere si allontanarono dalla porta, sparirono oltre la curva del grande corridoio. Forse erano andati a cercare una finestra, per vedere la strada polverosa. Le guardie avevano paura, sembrava che volessero tenersi il più lontano possibile dalla sala dei sotterranei, quando il Signore Susurr sarebbe venuto col buio a visitare i prigionieri. Il corridoio si oscurava più rapidamente della strada, che era sopra di loro. E d'un tratto, Gordon s'irrigidì. Aveva sentito un rumore... qualcosa che si stava avvicinando. C'era qualcosa, nella cupa sala, insieme a loro, una cosa che non era ve-
nuta dal corridoio, e che si stava avvicinando silenziosamente alle loro spalle. Capitolo Tredicesimo Lo straniero che odiava la luce Gordon rabbrividì. Sentì che il rumore si faceva più vicino, e la creatura che era entrata furtivamente nella sala girò intorno alla colonna, per mettersi di fronte a loro. Poi, proprio davanti a lui, sullo sfondo del fievole chiarore che filtrava dal corridoio, apparve il profilo di Shorr Kan. «Ascoltatemi, e tenete la bocca chiusa!» mormorò Shorr Kan. «Sarete morti, e peggio che morti, prima dell'alba... a meno che io non riesca a portarvi fuori da questa trappola!» Completamente attonito, Gordon spalancò gli occhi. Benché per esperienza sapesse che tutto era possibile, quando si trattava di Shorr Kan, quell'improvviso capovolgimento della situazione lo lasciò senza respiro. «E perché dovreste farlo?» domandò, aspramente. «Perché ci vuole bene... ecco il motivo!» borbottò Hull Burrel. «È così pieno d'amore che non può sopportare l'idea di vederci soffrire.» «Oh, Dio,» mormorò Shorr Kan, «Datemi un nemico intelligente, piuttosto che un amico stupido. Sentite, ho pochissimi minuti, prima che arrivi il maledetto H'Harn.» «H'Harn?» «È il nome di coloro che voi conoscete come i Magellanidi! Nella loro lingua, essi si chiamano H'Harn. Il Signore Susurr è uno di loro, e quando verrà, per voi sarà finita.» Almeno in questo, era impossibile dubitare delle parole di Shorr Kan. Eppure il dubbio rimaneva! Gordon domandò: «Se quella creatura ha dei poteri telepatici così straordinari, saprà certamente che voi siete qui, in questo momento!» Ci fu un accento inconfondibile di disprezzo, nella voce di Shorr Kan, quando egli rispose: «Pensate tutti che gli H'Harn siano onnipotenti e onniscienti. Non è affatto vero! Anzi, sotto diversi punti di vista, sono piuttosto stupidi. Certo, è vero che possiedono dei fantastici poteri mentali, ma il loro potere deve concentrarsi su un determinato soggetto, per essere efficace... non possono
certo ampliare il loro campo mentale per abbracciare ogni cosa, e il loro potere, inoltre, diminuisce con la distanza!» Questo era già noto a Gordon, per la sua precedente esperienza su Teyn: ma preferì astenersi da qualsiasi commento. Shorr Kan si volse di scatto, per lanciare un'occhiata nervosa in direzione del corridoio, nel quale si trovavano i soldati altrettanto nervosi che sorvegliavano i sotterranei; poi egli proseguì sottovoce, in tono urgente: «Devo fare in fretta. Ascoltate... mi trovo qui, nelle Frontiere, dal giorno della sconfitta della Lega dei Mondi Oscuri. Io pensavo che, prima o poi, sarei riuscito a manovrare questi stupidi Conti nel modo che io desideravo... metterli uno contro l'altro; fare scoppiare una guerra tra di loro e poi, una volta che il fumo si fosse dissolto, Shorr Kan sarebbe diventato il nuovo Re di tutte le Frontiere degli Spazi Ignoti! E sarei riuscito nel mio intento, come già ero riuscito nei Mondi Oscuri, se non fosse accaduto un evento imprevisto! «Gli agenti degli H'Harn sono giunti nella nostra galassia, e questa volta si sono informati sulla nostra situazione politica, e sui nostri costumi. Per lunghi anni ci hanno, sorvegliati, senza rivelare la loro presenza, e infine si sono messi in contatto con Cyn Cryver, Narath Teyn, e qualche altro Conte. Ricordate che gli H'Harn furono sconfitti duramente, quando compirono l'altro tentativo di invasione, cento secoli or sono, ed è stato necessario tutto questo tempo perché essi si riprendessero dal duro colpo... perché avevano posto tutte le loro risorse nella gigantesca opera di conquista della Via Lattea! Ma adesso sono di nuovo potenti, e intendono infiltrarsi nella Via Lattea, questa volta usando sistemi diversi.» «In quale maniera?» domandò Gordon. «Non lo so,» rispose Shorr Kan. «E non credo che lo sappia neppure Cyn Cryver. So che gli H'Harn stanno preparando qualcosa di titanico, là fuori, nelle Nubi di Magellano, qualcosa contro cui la Via Lattea si troverà priva di difesa. Di che cosa si tratti, non ne ho la minima idea. La possibilità di scoprire il segreto del Distruttore è solo una carta in più nelle loro mani, visto che l'opportunità si è presentata. Ma il loro segreto è un altro.» Shorr Kan scosse il capo, e proseguì: «Gli H'Harn che sono venuti fino a oggi, come Susurr e gli altri, sono degli emissari, mandati in avanscoperta per stringere alleanza con i Conti e preparare la strada dell'attacco finale. Gli H'Harn hanno assicurato a Cyn Cryver e agli altri che essi riceveranno metà della Via Lattea, come ricompensa per il loro aiuto. E quei maledetti idioti ci hanno creduto! Mio Dio,
sono ancora più stupidi di quanto avessi immaginato... così stupidi da farsi accecare dalla loro ambizione!» «Ma voi non avete creduto alle promesse degli H'Harn?» «Sentite, Gordon, mi avete conosciuto... avete mai pensato che io fossi un pazzo o un idiota, quando abbiamo combattuto, ai vecchi tempi? Gli H'Harn sono alieni, così orribilmente alieni da usare ogni prudenza per non rivelare neppure il loro aspetto, perché sanno che la vista dei loro corpi riempirebbe di terrore perfino gli abitanti delle Frontiere! E voi sapete che i Conti sono abituati a tutte le razze di non umani, anche alle più repellenti. Certo, gli H'Harn si serviranno dei Conti per raggiungere i loro scopi, e con altrettanta certezza li annienteranno quando i loro piani avranno avuto successo. E cosa varranno, allora, le loro promesse?» «Più o meno, quanto valgono le promesse di Shorr Kan.» A queste parole, colui che era stato il padrone dei Mondi Oscuri dovette reprimere una risata. «Credo di essermi meritato questa risposta, Gordon! Ma non ha importanza... Vedete, per tutto questo tempo, ho dovuto conservare una vigilanza ferrea sui miei pensieri. Nel momento in cui il maledetto alieno che si trova qui si fosse insospettito, e avesse deciso di sondare la mia mente, sarebbe stata la mia fine. Fortunatamente, io sono Shorr Kan: e sono stato sincero con i Conti... almeno, in apparenza. Voi conoscete bene, Gordon, l'importanza delle apparenze in queste cose! Gli H'Harn conoscevano il mio nome e le mie imprese, e certamente hanno pensato che io fossi un altro pazzo ambizioso, il più grande di tutti, perché i miei progetti erano stati i più ambiziosi di tutti. E io ho lasciato che lo pensassero! Perché, vedete, gli stranieri delle Nubi di Magellano non possono sondare la mente altrui, senza che la loro intromissione venga avvertita. E sono qui per conquistare la nostra fiducia, non certo per insospettirci. Ma non posso mantenere questo rigido controllo sui miei pensieri per sempre. Devo andarmene da qui. Però un uomo solo non è in grado di pilotare un'astronave. Tre uomini, invece, sì. Ora capite?» Il suo tono si fece più enfatico, e nessuno avrebbe dubitato della sincerità delle sue parole. «Io sono pronto a liberarvi immediatamente! Dovete darmi soltanto la vostra parola d'onore, promettendomi di seguirmi dovunque io vi dica di andare. La vostra parola mi è sufficiente. So bene che avete un modo di pensare bizzarro, e che per voi certe idee assurde come l'onore e la fedeltà sono più importanti di qualsiasi altra cosa. Ebbene, io non vi chiedo altro!» «Dovremmo dare la nostra parola d'onore a Shorr Kan?» esclamò Hull
Burrel. «A un uomo che non ha mai conosciuto il significato dell'onore?» «Ebbene, sì,» disse senza vergogna Shorr Kan. «Io non sono limitato da stupide idee romantiche, come voi lo siete. Ma sono un uomo pratico. In questa vicenda, i vantaggi sono reciproci. Se io sono disposto a fidarmi di una semplice parola, voi sareste così pazzi da non correre un rischio calcolato?» «Sarebbe un'idea molto brillante!...» cominciò Hull Burrel, furioso. «Hull, ascoltate!» intervenne precipitosamente Gordon. «Non vi rendete conto della situazione? Se Shorr Kan intendesse tradirci, quando saremo usciti da questa trappola mortale, non sarà certo una situazione così tragica e senza scampo come quella in cui ci troveremmo se lo straniero incappucciato venisse da noi, questa notte! Io non vedo altra via di scampo... e non esito a dare la mia parola a Shorr Kan!» «Vedo che cominciate a rendervi conto delle cose del mondo, Gordon!» rise Shorr Kan. «E voi, capitano Burrel?» L'antariano brontolò, in tono infelice: «E sia. Vi do la mia parola... anche se preferirei mettermi nelle spire di un serpente velenoso!» Shorr Kan estrasse dal suo mantello un oggetto scintillante, che rifletté gli ultimi raggi di luce che venivano dalla porta. Si trattava di una specie di uncino metallico, la cui lama interna scattò immediatamente. «Non ho la chiave magnetica delle vostre catene, ma questo vibratore molecolare dovrebbe disintegrarle!» mormorò. «Tenete le mani ben tese, Gordon, se non volete perderle!» Si avvicinò a Gordon, e cominciò a tagliare le catene. A Gordon parve che il suono prodotto dall'apparecchio, che emanava vibrazioni ultraveloci, tali da disgregare le molecole, fosse spaventosamente alto... anche se in realtà era poco più di un fruscio. Egli trattenne il respiro... ma i soldati delle Frontiere non apparvero sulla porta. «Ormai è fatto,» mormorò Shorr Kan. «Se voi...» Il mormorio s'interruppe bruscamente. La vibrazione cessò, e si udì un veloce fruscio. «Che cosa...» domandò Gordon, e poi il suo cuore cominciò a battere precipitosamente... perché aveva visto con i propri occhi ciò che aveva attirato l'attenzione di Shorr Kan! In fondo al corridoio, immerso in una vaga penombra che contrastava ancora con la profonda oscurità della sala, i soldati si erano ritirati precipitosamente. I loro passi si udirono in distanza, poi si fermarono.
E una figura velata e incappucciata, di un grigio scintillante, più piccola di un essere umano, apparve silenziosamente sulla porta! La creatura si muoveva nel più completo silenzio, con l'orribile movimento fluido e sinuoso che Gordon ricordava così bene, e scivolava lungo il corridoio, avanzando verso la sala e i prigionieri! Il corpo di Gordon s'irrigidì, istintivamente. Udì un gemito affannoso, che veniva da Hull; era la prima volta in cui il capitano antariano vedeva un H'Harn. Ci fu un lunghissimo momento, nel quale la figura indistinta parve esitare, e poi la scelta fu fatta, e l'essere grigio scivolò sinuosamente verso Gordon, che si preparò a subire il terribile colpo mentale che sarebbe esploso come una folgore nel suo cervello. Un'ombra si mosse nell'oscurità, in quel momento! Un soffocato sibilo iroso venne dall'H'Harn, e il corpo indistinto si spostò lateralmente. Sullo sfondo delle ultime luci del corridoio, Gordon vide una scena che sarebbe rimasta impressa per sempre nella sua mente. Vide la sagoma di Shorr Kan che si muoveva con rapidità fulminea, affondando profondamente il vibratore molecolare nella schiena dell'essere incappucciato. In un parossismo di disperazione e ribrezzo, Gordon si dibatté violentemente, e le catene, ormai quasi completamente recise, si spezzarono del tutto con un colpo secco e aspro. Non riuscì a vedere chiaramente l'incubo che si stava svolgendo nel salone tenebroso... non riuscì, perché era tutto troppo orribile perché la sua mente lo sopportasse! Apparentemente, l'H'Harn si ritraeva, sibilando e soffiando, mentre Shorr Kan colpiva ripetutamente, con la forza dell'odio e del disgusto, qualcosa di profondo e irrazionale, che affondava le radici nella diversità esistente tra umani e alieni, un solco così profondo che solo la morte e la distruzione completa avrebbero potuto colmarlo! «In nome di Dio, aiutatemi!» ansimò Shorr Kan. «Devo ucciderlo, prima che sia troppo tardi... aiutatemi!» Gordon si guardò intorno, disperatamente... non c'erano armi a disposizione! Ma poi egli vide una pesante sedia metallica, che era appoggiata a una parete, davanti a un piccolo tavolo da lavoro. Sollevò l'oggetto, avanzò, e colpì, con tutte le sue forze. L'orribile, innominabile cosa sibilante era a terra, ora. E un dolore, un dolore atroce, pulsò a ondate terribili nella mente di Gordon... un senso di dolore che veniva, consciamente o inconsciamente, dallo straniero che si torceva a terra, colpito. Gordon barcollò, e cadde len-
tamente in ginocchio. Un'ondata di nera agonia lo travolse, e confusamente egli pensò che fosse giunto il momento della fine... poi l'ondata tenebrosa si ritirò. Gordon riuscì a rialzarsi in piedi, e il suo corpo era percorso da un tremito violento, incontrollabile. Si udirono dei passi, nel corridoio... i passi dei soldati del conte Cyn Cryver, che accorrevano verso la porta dei sotterranei, richiamati dal rumore della lotta. I soldati dall'uniforme nera esitarono, sulla porta. «Signore Susurr?» chiamò uno dei due soldati, ansando. E Shorr Kan, rapido come un fulmine, si mosse! La sua figura indistinta avanzò, e la sua mano impugnava un paralizzatore. La mezzaluna di vetro guizzò per un momento, e i due soldati, colpiti, si afflosciarono a terra. «Pensate voi a liberare il capitano Burrel dalle catene, presto!» disse Shorr Kan, con voce rauca, porgendo a Gordon il vibratore molecolare, che era bagnato di un liquido viscoso. Mentre Gordon obbediva, si accorse che Shorr Kan si era piegato sulla forma immobile al suolo, e aveva aperto il mantello che copriva il corpo dello straniero... ma da quella posizione, egli non poté vedere il corpo dell'H'Harn che aveva ucciso. Udì un'esclamazione soffocata. Finalmente, le catene si spezzarono. Shorr Kan li spinse verso la parte opposta della stanza buia. «Da questa parte, presto! Non credo che ci rimanga molto tempo a disposizione!» esclamò. Corsero nel buio, dirigendosi verso l'astroporto. Il piccolo astroporto che si trovava oltre la città morta era buio e silenzioso sotto le stelle, quando essi lo raggiunsero. Lo attraversarono di corsa, e Shorr Kan li guidò verso una piccola astronave che giaceva, separata dalle altre. La sua massa oscura torreggiava sopra di loro, e la sua forma parve incredibilmente strana a Gordon, con delle strane punte aguzze che sporgevano dalle sue fiancate come aculei, come egli non aveva mai visto in tutta la Via Lattea. «È l'astronave a bordo della quale i quattro agenti H'Harn sono giunti nella nostra galassia,» spiegò Shorr Kan, premendo il palmo della mano su un disco che si trovava incastonato su una fiancata, accanto al riquadro di un portello più piccolo di quelli degli incrociatori che Gordon conosceva. «Gli altri tre sono andati su Teyn e altri mondi, ma l'astronave è rimasta qui, affidata a Susurr. Da quanto ho sentito, è più veloce di qualsiasi incrociatore dell'Impero... così, se la useremo per fuggire, nessuno riuscirà mai a prenderci!» Silenziosamente, il portello si aprì, ed essi salirono a bordo. Mentre il
portello si chiudeva alle loro spalle, le luci schermate del ponte di comando si accesero." Alla vista di quel ponte di comando, Hull Burrel non riuscì a reprimere un'esclamazione di stupore. «Avanti, non restate impalato!» esclamò Shorr Kan, in tono spazientito. «Voi siete l'astronauta di professione, qui... io che sono semplicemente un profano, sono già riuscito a riconoscere diversi apparecchi. Perciò, mettetevi al lavoro, e fateci partire da questo maledetto pianeta!» «Non ho mai visto qualcosa di simile a questo quadro di comando!» protestò Hull, sgomento. «Alcuni dei dispositivi non significano nulla, per me. Sono...» «Voi sapete bene che le leggi della navigazione siderale sono immutabili!» sbuffò, impaziente, Shorr Kan. «Alcuni di questi comandi vi sembrano familiari, non è vero?» «Sì, ma...» «E allora, toccate solo quelli che vi sembra di riconoscere, ma non perdete tempo! Dobbiamo decollare immediatamente!» Hull Burrel, il cui orgoglio professionale era stato offeso da quella frase sprezzante, lanciò un'occhiata astiosa a Shorr Kan, ma sedette al posto di comando. Il sedile era troppo piccolo per l'alto capitano antariano, e le ginocchia gli toccavano quasi il mento, mentre muoveva i comandi, provava dei contatti, e cercava di orientarsi in quel dedalo di fili, pulsanti e tasti che si trovava davanti ai suoi occhi. Il piccolo incrociatore siderale partì velocissimo da Aar, come un proiettile sparato negli spazi cosmici, uscendo dalla parte oscura del pianeta per tuffarsi nella brillante luce solare. «E adesso, quale rotta dovrei seguire?» domandò l'antariano, senza voltarsi. Shorr Kan gli diede le istruzioni. Hull Burrel, con il volto imperlato di sudore, si mise al lavoro, tentando di prendere confidenza con quel quadro di comando alieno. «Credete che io stia tracciando una rotta, forse?» borbottò l'antariano. «Se lo credete, siete pazzi! Io sto semplicemente tirando a indovinare. Sono sicuro che finiremo nelle correnti dello spazio, o andremo a urtare contro una stella nera. Non abbiamo speranza!» L'astronave giunta dalle Nubi di Magellano si trovava nello spazio siderale, invece, e le stelle solitarie dei confini della Via Lattea ardevano intorno a loro, mentre davanti a loro si stendeva l'immensità del vuoto intergalattico. Alle loro spalle, oltre l'agglomerato di astri spenti e di correnti di
polvere cosmica e di stelle delle Frontiere, brillavano le miriadi di soli dell'Impero Centrale. Gordon fissò lo spazio a lungo, intensamente, e il tremito che aveva continuato a scuotere il suo corpo, finalmente, si calmò. Laggiù, lontano, doveva esserci la Terra: ma Sol era una stella troppo piccola, perché la sua luce giungesse fin laggiù, sulle soglie dell'immenso abisso che separava gli universi-isola. «Ci stiamo dirigendo verso i confini della Via Lattea?» domandò, dopo avere osservato quello scenario maestoso per qualche tempo. A queste parole, Shorr Kan annuì, brevemente. «Quando inizieremo, allora, a descrivere la curva che ci permetterà di tornare indietro?» «Noi non torneremo indietro,» rispose con calma Shorr Kan. «Andiamo avanti, invece.» Hull si girò di scatto. «Cosa intendete dire? Davanti a noi non c'è niente... solo lo spazio intergalattico. Non c'è niente!» «Voi dimenticate che ci sono anche le Nubi di Magellano,» gli ricordò Shorr Kan. «I mondi degli H'Harn.» «Per l'amor di Dio, perché mai dovremmo andare laggiù?» Shorr Kan rise. La sprezzante sicurezza dei vecchi tempi non era certo cambiata, in lui! «Già, avevo paura che il colpo fosse troppo forte, per voi. E mi permetto di ricordarvi che mi avete dato la vostra parola d'onore... volete forse coprire d'infamia il vostro nome e il vostro grado, mancando alla parola? Bene, se ci tenete a saperlo, vi spiegherò qual è la situazione... almeno come la vedo io. Là fuori, oltre gli spazi conosciuti, gli H'Harn stanno tramando qualcosa... qualcosa che servirà loro per colpire a morte la nostra galassia. Perciò... noi andremo a compiere una ricognizione. Scopriremo di che cosa si tratta. E ritorneremo con quello che avremo scoperto, in modo che i regni siderali possano prepararsi ad affrontare la nuova invasione degli H'Harn. Dopotutto... non è proprio questa la missione che vi era stata affidata?» «Ma è pura pazzia!» esclamò Gordon. «Per quale motivo voi, tra tutti gli uomini, dovreste rischiare il collo per salvare i regni siderali?» Shorr Kan si strinse nelle spalle. «Perché io sono soprattutto un uomo pratico, John Gordon: e la ragione è semplicissima. Io non potevo restare ancora per molto tempo con i Conti delle Frontiere, perché prima o poi avrei tradito la mia diffidenza nei confronti dei loro alleati H'Harn... e nel preciso istante in cui uno degli H'Harn
si fosse insospettito, e avesse cercato di leggere nella mia mente, io sarei stato un uomo morto. Morire per opera di un maledetto alieno, in mezzo a dei signorotti locali troppo ambiziosi per ragionare con un poco di buonsenso, non sarebbe una fine degna di Shorr Kan. Perciò, dovevo andarmene... e questa occasione mi ha permesso di realizzare il mio desiderio. Rimane, purtroppo, un altro piccolo inconveniente. Vedete, non tutti gli uomini sono di larghe vedute come io mi vanto di essere. Temo che i miei compatrioti degli altri regni siderali, come tutti gli uomini, siano capaci di conservare a lungo i più irragionevoli rancori. Io non provo risentimento, e ho perduto una guerra e un posto sicuro nei Mondi Oscuri... ma non posso pretendere che gli altri siano così superiori alle piccole rivalità. Così, se facessi ritorno nei mondi centrali della Via Lattea, temo proprio che sarei impiccato, per quanto è accaduto in passato... il vostro amico Jhal Arn è un uomo pieno di buone intenzioni, ma la sua mentalità mi sembra un po' troppo rigida.» Gordon ascoltava, sbalordito, la sfrontatezza con cui Shorr Kan esponeva i suoi principi... eppure, non poteva fare a meno di rimanere affascinato, di fronte a quella personalità cinica e amorale e brillante che aveva riempito di terrore l'intera Via Lattea! «Voi osate dire questo di Sua Maestà l'Imperatore!» esclamò Hull Burrel. Il capitano antariano pareva incapace perfino di concentrarsi sui comandi, di fronte all'enormità delle parole di Shorr Kan. «Basterebbe questo per farvi meritare la morte... come la meritano tutti i traditori!» «Vedete, Gordon?» Shorr Kan allargò le braccia, con aria esasperata. «Non è possibile ragionare con gente piena di ideali e di altre sciocchezze del genere. E io sono sempre stato un uomo pratico. Non serbo rancori, ma tengo molto alla pelle. Ebbene, sono certo che, se facessi il mio grande ritorno nella Via Lattea, portando con me la rivelazione dei piani degli H'Harn, il passato verrebbe dimenticato. Certo, dovrei dichiararmi pentito del male fatto, e parlare di molte belle cose, come la fratellanza di tutti gli esseri umani contro il nemico comune... ma voi sapete che riesco a cavarmela con le parole. Lo stesso Jhal Arn ne rimarrebbe scosso, e commosso. Per tutta la Via Lattea, diventerei di nuovo un eroe... e nessuno ha mai impiccato gli eroi. Scommetto che, nel giro di un anno, sarei di nuovo su un trono.» Così... era questo, il piano di Shorr Kan. Ancora una volta, si meravigliò dell'assoluto cinismo con cui l'antico padrone dei Mondi Oscuri era capace di giocare con il destino degli uomini e dei pianeti, per difendere i propri
interessi personali. Quel furbo avventuriero non era cambiato, pensò Gordon. E, in fondo, desiderava le stesse cose che lui, Gordon, desiderava con tutto il cuore! Hull Burrel si rivolse a Gordon. «Dobbiamo permettere a questo spergiuro di approfittare del fatto che gli abbiamo dato la nostra parola, Gordon?» esclamò. «Le sue azioni lo hanno posto al di fuori delle leggi della Via Lattea! È nostro dovere consegnarlo nelle mani della giustizia imperiale!» «Capitano Burrel, ammiro la vostra rettitudine, anche se francamente non la capisco... ma vi prego di lasciare che Gordon decida liberamente. Perché credo che lui mi capisca, almeno in parte.» Shorr Kan si rivolse a Gordon. «Vedete, Gordon, una volta vi ho detto che io ero forse uno di quegli uomini che nascono fuori del loro tempo. Adesso lo ripeto. E vi farò una domanda... vorreste spiegarmi, voi, per quale motivo siete venuto qui, a bordo di un incrociatore fantasma, quando avreste potuto godere indefinitamente dell'ospitalità della corte di Throon? Perché mai siete caduto in una trappola così ingenua... sfidando la ragione per accettare questa missione?» Gli occhi di Shorr Kan erano gelidi e penetranti, e Gordon capì che era impossibile mentire a quell'uomo intelligente e audace. L'immagine di Lianna passò nuovamente davanti agli occhi di Gordon. «Forse... forse avete ragione,» disse, lentamente, come se quelle parole gli costassero una tremenda fatica. «Forse è vero, Shorr Kan... noi apparteniamo alla stessa epoca, e temo... temo che questa nostra epoca non sia ancora venuta, né mai possa venire, in futuro. Io so che l'Impero Centrale ha il suo eroe... e questo eroe è Zarth Arn, per tutti. Credo... credo che il mio desiderio fosse, in realtà, quello di ricominciare da capo.» Improvvisamente, Shorr Kan rise, una risata sincera e aperta. «Cosa vi ho detto un'altra volta, Gordon? Voi siete davvero un avventuriero secondo il mio cuore! Avete certi scrupoli che non condivido, ma avete coraggio... e fortuna, cosa che non guasta mai. Che cosa vi dicevo? In fondo, si tratta di un'impresa come tante altre che sono state giudicate pazzesche, e alla fine sono riuscite. Non è più difficile... ma solo più rischiosa. E io so correre un rischio, quando la posta in palio è grande.» Era strano, pensò Gordon, che il solo uomo in tutta la Via Lattea che fosse capace di capirlo così bene fosse Shorr Kan, il suo vecchio nemico. Ancora una volta, avvertì intensamente l'inspiegabile simpatia che aveva sempre provato per il capo dei Mondi Oscuri. E la decisione nacque, im-
provvisa, dentro di lui. Perché... se lui doveva morire... tanto valeva farlo nel tentativo di dimostrare qualcosa... non agli altri, quanto a se stesso! «Dobbiamo farlo, Hull!» disse, pensieroso. «No, il motivo non è semplicemente quello che abbiamo dato la nostra parola d'onore, ma un altro... Shorr Kan ha ragione, quando afferma che abbiamo una missione da compiere!» Hull imprecò, sommessamente. «Voi siete completamente pazzo, John Gordon, ma io non sono meno pazzo di voi. In ogni caso, ho già vissuto abbastanza a lungo, e così posso anche suicidarmi in una missione impossibile, in compagnia di un pazzo furioso e del peggiore criminale che mai sia esistito nella Via Lattea!» Korkhann aveva detto: il potere è un vino inebriante, e quando lo si è assaggiato una volta, si muore dal desiderio di berlo ancora. E quel vino, forse, aveva conquistato Gordon. Mentre Hull si concentrava sui comandi, Shorr Kan scoppiò in una risata allegra, e disse: «Ecco, questo è lo spirito che mi piace! Nell'universo non esiste niente che possa arrestare dei cuori coraggiosi e dei leali compagni!» Capitolo Quattordicesimo Una danza con la morte L'incrociatore siderale filava a velocità incredibile attraverso le Frontiere degli Spazi Ignoti. Lontano, ardevano le rade stelle dei confini della Via Lattea: ma la regione che l'incrociatore stava attraversando era tutta un brulicare di soli. Soli ardenti e morenti, tizzoni sperduti nell'infinito e immense stelle nere, spente da incommensurabili ère... e tutte queste stelle giovani e antiche, ardenti e spente, erano seguite dalla loro corte di pianeti e lune e sciami di meteore, e interminabili correnti di pericoloso pulviscolo cosmico. Era una giungla cosmica... che si stendeva al di là delle regioni siderali controllate dai grandi regni delle stelle. Una giungla, che nessuno poteva attraversare senza usare la più grande prudenza... e anche i più prudenti avrebbero potuto perire, in quella sconfinata, pericolosa distesa! Eppure i tre uomini che si trovavano a bordo dell'incrociatore alieno, lanciato a velocità pazzesca in quella pericolosa distesa, non si preoccupavano minimamente di quella folle velocità. In quel momento, John Gordon era ancora troppo scosso per preoccu-
parsi di qualcosa... qualsiasi cosa fosse. Attraverso lo schermo di poppa, egli non si stancava di osservare la desolazione cosmica nella quale il sole color arancio di Aar era già svanito, ancora incredulo sulle circostanze della loro fuga. Perché troppe cose erano accadute, in un tempo troppo breve! E ora la reazione stava sopraggiungendo, e gli toglieva ogni forza... quella forza che lo aveva animato, fino alla discussione di poco tempo prima. Ma adesso era stanco... stanco, ed esausto. Si rendeva conto, confusamente, del fatto che la sedia metallica sulla quale sedeva era troppo piccola per il suo corpo muscoloso... e si rendeva conto anche del fatto che la curva della cupola del ponte di comando era troppo bassa, troppo vicina alla sua testa. E c'erano altri particolari sgradevoli... a esempio, le superfici metalliche che lo circondavano erano di un blu malato e sgradevole... simile al colorito cianotico di un affogato. Dopo qualche tempo, Gordon volse le spalle a quel bizzarro oblò dell'astronave extragalattica, e fissò Shorr Kan, che sostenne il suo sguardo. Era sorprendente, anche adesso che diverse ore avevano attenuato la scossa iniziale, rivedere quel viso dagli occhi neri, capace di assumere la durezza della roccia, ma anche di distendersi e scintillare d'ironia. In quel momento, Shorr Kan pareva soddisfatto. Guardò amichevolmente Gordon, e gli sorrise. «Sì, John Gordon, la nostra evasione da Aar è riuscita!» esclamò. «Abbiamo compiuto quello che sembrava impossibile... grazie a me!» Gordon sospirò profondamente, e si passò una mano sulla fronte e sugli occhi... come un uomo che si fosse appena risvegliato da un lungo sonno inquieto. «Sì,» mormorò. «Sì, credo che ormai possiamo dire questo. E voi, Hull, cosa ne pensate?» Ora Hull aveva l'aspetto di un uomo tranquillo e soddisfatto; il suo volto color mattone era disteso, e nei suoi occhi onesti si poteva leggere una luce di soddisfazione. Il grosso capitano antariano non pareva neppure a disagio, appollaiato su quel seggiolino inadatto al suo corpo poderoso. «Vi dirò che temevo peggio,» disse, dopo una breve pausa. «Almeno per il momento, non ci sono problemi.» Fu solo in quel momento che Gordon cominciò ad acquisire un senso della prospettiva. Il ponte di comando pareva l'interno di un uovo levigato... un uovo creato per contenere degli uccelli assai più piccoli di quelli che ora vi si trovavano! «Ebbene,» disse Shorr Kan, comprendendo evidentemente i pensieri di
Gordon, «Possiamo forse meravigliarci, se gli H'Harn hanno costruito la loro astronave secondo i loro criteri? Non potevamo certo aspettarci che creassero un ambiente perfettamente comodo per noi!» Hull, che era alto perfino più di Shorr Kan, sollevò il capo, urtò una delle molte sporgenze che partivano dal bizzarro quadro di comando, e si affrettò ad abbassare di nuovo la testa, imprecando. «Per tutte le stelle, vorrei che non fossero stati così avari con lo spazio, quando hanno costruito il loro incrociatore!» esclamò. «E non capisco perché abbiano voluto essere così maledettamente enigmatici, con questi loro dannati comandi!» Continuò a muovere e a toccare, con aria diffidente, i pulsanti e le leve del quadro di comando, contrassegnati da simboli totalmente alieni. Davvero, se Hull Burrel era capace di pilotare così bene quell'incomprensibile incrociatore, si trattava del più grande astronauta di tutta la Via Lattea! Ed era un bene che così fosse... perché la loro vita, e i destini dell'Impero Centrale, dipendevano ora dalle capacità del rude soldato antariano! Shorr Kan era intento a osservare l'oblò-schermo di prua... una vetrata simile a quelle che si trovavano negli incrociatori dell'Impero, e che in realtà era formata da uno schermo subspettrale capace di convertire gli impulsi di massa che giungevano dallo spazio nel quale essi stavano filando come proiettili, a una velocità infinitamente superiore a quella della luce, in immagini che davano un'impressione di vicinanza e di continuità che rendeva sconcertati e intimoriti. Apparentemente, colui che era stato il padrone dei Mondi Oscuri rimase affascinato da quello che appariva in quella straordinaria vetrata. «A vostro avviso,» domandò, «Qual è la velocità alla quale ci stiamo muovendo?» Gordon osservò l'oblò-schermo. Le stelle, le oscure giganti morte e le fiammeggianti stelle vive, e le grandi scogliere di detriti cosmici, tutto il contorto, bizzarro splendore delle Frontiere degli Spazi Ignoti, gli parevano appartenere a un universo statico... c'era uno strano senso di quasi immobilità, che impediva di calcolare anche approssimativamente una velocità. «A me sembra che questo incrociatore non si muova affatto!» disse. «O, per lo meno, che proceda molto lentamente.» Ma anche Burrel stava fissando l'oblò-schermo, e il suo volto color mattone aveva un'espressione di stolida meraviglia. «E invece ci stiamo muovendo!» esclamò. «Gordon, voi dimenticate che
siamo alle Frontiere degli Spazi Ignoti! E vi dico che non esiste nessuna astronave, nella nostra galassia, che sia capace di muoversi così celermente.» Si volse, per rispondere alla domanda di Shorr Kan. «Non posso darvi una risposta precisa, però. Sarebbe necessario avere qualche altro punto di riferimento, e gli strumenti non sono di facile lettura...» Shorr Kan continuava a osservare l'oblò-schermo. La sua voce era molto calma, e quasi sommessa. «Siete sicuro, capitano Burrel, che questa velocità non sia pericolosa... a bordo di questa astronave?» L'antariano si volse, e i suoi occhi avevano un'espressione confusa. «Pericolosa? Be', immagino di no. Perché dovrebbe...» Improvvisamente, un senso di inquietudine strinse il cuore di Gordon. Perché Shorr Kan aveva paura! Se ne rendeva conto, dall'atteggiamento dell'altro, dal modo stesso in cui aveva formulato la sua domanda. E se Shorr Kan, che poteva essere definito con gli epiteti peggiori, ma non era certo un vile né un pusillanime, era spaventato... se quel veterano di mille battaglie aveva davvero paura... ebbene, la situazione doveva essere preoccupante! «Capitano Burrel,» prosegui Shorr Kan. «Non potreste fare in modo che la velocità di questa astronave diminuisca?» E quella, pensò Gordon, doveva essere la prima volta in cui un passeggero dava delle istruzioni al pilota di un incrociatore siderale! «Non saprei.» La voce di Hull era sorda e il suo volto onesto era solcato da rughe profonde, mentre i suoi occhi esaminavano i comandi alieni. «Per tutte le stelle, come faccio a leggere qualcosa, su questi maledetti strumenti?» La sua voce si alzò un poco, assunse un'intonazione un po' lamentosa. «Come potete pretendere che io tracci una rotta nello spazio siderale... per uscire dalla Via Lattea e dirigerci verso le Nubi di Magellano... quando non sono neppure in grado di leggere gli strumenti? Andiamo... vi rendete conto di quello che domandate?» «Tracciare una rotta per dove?» esclamò Gordon, sbalordito. «Di che cosa state parlando, Hull?» L'antariano scosse il capo. «Delle Nubi di Magellano, naturalmente. Il luogo dal quale provengono gli H'Harn. Il nostro obiettivo non è forse quello di compiere una ricognizione nella patria di quei mostri?» «Noi... a bordo di un'astronave sconosciuta... dovremmo esplorare una subgalassia?» esclamò Gordon. Si alzò, e, avvicinandosi all'antariano, lo
guardò negli occhi, ansiosamente. «Cosa vi succede, Hull? State sognando?» Shorr Kan li raggiunse. «Di una cosa sono certo,» esclamò. «Questa è l'idea più folle che io abbia mai sentito!» Hull si girò rabbiosamente verso di lui, e i suoi occhi erano ritornati normali... e in essi si vedeva brillare una luce di collera. «Folle, avete detto? Non credevo che la vostra sfrontatezza giungesse fino a questo punto! Non siete stato voi, forse, a proporre l'idea? Non siete stato voi a dirci di fare rotta per le Nubi di Magellano, per scoprire quali siano i piani degli H'Harn contro l'Impero?» Ci fu un attimo di silenzio. Gordon vide che il corpo atletico di Shorr Kan s'irrigidiva... come se un'improvvisa, violenta emozione lo avesse colpito. «È assolutamente ridicolo,» disse colui che era stato il padrone dei Mondi Oscuri. «Eppure... eppure avete ragione, capitano Burrel! Perché ora ricordo di avere davvero lanciato questa proposta!» C'erano dei momenti nei quali il volto di Shorr Kan si trasformava in una maschera dura, rigida, e spietata, e il suo sguardo si faceva gelido e tagliente come la lama di una spada. E in quel momento, il volto di Shorr Kan subì una di queste trasformazioni. «Ditemi, capitano Burrel,» domandò, lentamente. «Perché avete scelto proprio l'astronave degli H'Harn, per la nostra fuga?» «Ma siete stato voi a sceglierla, Shorr Kan!» intervenne subito Gordon. «Non ricordate di avere detto che era la più veloce esistente?» «Ah,» esclamò Shorr Kan. «La scelta è stata mia, vero? Ma voi, capitano Burrel... non voglio mettere in dubbio le vostre capacità di astronauta, ma come siete riuscito a pilotare questo incrociatore alieno?» Sul volto color mattone di Hull Burrel si dipinse un'espressione di perplessità e incertezza. «Ebbene... ho cercato d'indovinare la funzione dei comandi, e...» «Di indovinare!» La voce di Shorr Kan era tagliente e beffarda, ma i suoi occhi neri erano gelidi. «Voi avete fatto decollare questo incrociatore come se foste stato il più esperto dei veterani, Burrel! Ed entrambi sappiamo che era la prima volta che salivate a bordo di questa astronave... e che il suo modello vi era, come vi è ancora, completamente alieno!» I suoi occhi neri scrutarono prima Burrel, poi Gordon. La sua voce si abbassò, divenne quasi un mormorio.
«C'è una sola risposta, per trovare una spiegazione a tutte le cose impossibili che abbiamo fatto. Ed è una spiegazione semplice. Perché noi siamo stati influenzati da una volontà aliena! È così, certo... siamo stati influenzati dalla volontà di un H'Harn!» Quelle terribili parole produssero un senso di gelo e di orrore nel cuore di Gordon. Gli pareva che il freddo degli spazi ignoti che stavano attraversando fosse penetrato nell'astronave e nel suo corpo. «Ma voi avete detto che gli H'Harn non possono usare i loro poteri mentali a grande distanza! E questa astronave si trova ormai a molti anni luce di distanza da Aar!» «È vero,» ammise Shorr Kan. Egli si voltò, lentamente, e il suo sguardo fissò un portello chiuso, che evidentemente portava nella sezione di poppa dell'incrociatore. «Ed è altrettanto vero che non siamo stati là dietro, a vedere che cosa c'è!» Quelle parole ebbero su Gordon l'effetto di una folgore scagliata da un dio impazzito. Perché era, doveva essere, la verità! E le implicazioni di quanto Shorr Kan aveva detto erano orribili... al di là di ogni immaginazione! Capì che esistevano numerose gradazioni di terrore, e che il disgusto che tutto ciò che era alieno ispirava a una creatura umana poteva assumere intensità diverse e senza limiti... e si rese conto che il disgusto e il terrore che gli H'Harn gli ispiravano era il limite assoluto, ciò che perfino la mente si rifiutava di accettare! Perché lui aveva paura... aveva paura di ciò che poteva nascondersi dietro il portello chiuso, nella silenziosa sezione di poppa dell'incrociatore alieno. Scoprì che gli era difficile perfino articolare le parole. «Voi pensate che ci fosse un H'Harn a bordo di questa astronave, dunque?» mormorò, raucamente. «Che... che possa essere di là, anche in questo momento?» Fissò il portello di metallo azzurro, livido come la carnagione di un annegato, e la sua fantasia raffigurò l'orrore senza nome che doveva celarsi dietro quella fragile paratia, la creatura piccola, stranamente distorta, che pareva, singolarmente, fluire come gelatina putrida che si muoveva in maniera orrenda! La creatura enigmatica, che sibilava e si torceva orribilmente, incappucciata e velata come le antiche raffigurazioni della Morte... e che nascondeva dei poteri mentali terribili! «Ebbene, sì, credo che sia questa la spiegazione!» mormorò Shorr Kan. «Solo Dio sa quanti di questi mostri schifosi sono liberi nella nostra galas-
sia, benché io fossi al corrente della presenza di quattro H'Harn soltanto. Ma questo mi è stato detto da Cyn Cryver, e Cyn Cryver è uno sciocco e un bugiardo, perché mi aveva assicurato che su Aar c'era soltanto il Signore Susurr!» Hull Burrel e Gordon si scambiarono un'occhiata sgomenta. Nella loro memoria era ancora freschissimo il senso di orrore che avevano provato, quando l'H'Harn chiamato Susurr era venuto con le tenebre, avanzando silenziosamente verso di loro. «Mio Dio!» esclamò Gordon, inorridito. In preda a un senso di indescrivibile orrore, egli si volse a Shorr Kan, per domandargli un suggerimento sul da farsi... perché quel maestro d'intrighi e di inganni aveva una mente brillante e acuta, e certo avrebbe saputo trovare una soluzione, se una soluzione esisteva. Si volse, e per poco non arrivò troppo tardi! «Se c'è un H'Harn a bordo di questa astronave,» stava dicendo infatti Shorr Kan, «C'è una cosa sola da fare. Dobbiamo trovarlo... e ucciderlo, senza aspettare nemmeno un momento!» Con un gesto deciso, egli trasse il paralizzatore dalla cintura, e sollevò il braccio. E Gordon balzò su di lui, in quel preciso momento! L'urto fu violento, e Shorr Kan cadde al suolo, sotto il peso di Gordon. La mezzaluna di vetro passò a pochi millimetri dalla tempia di Gordon, ma già la mano di Shorr Kan era prigioniera della ferrea stretta di Gordon, e i due uomini cominciarono a lottare, avvinghiati, nell'angusto spazio a loro disposizione. Gordon serrò il polso del suo vecchio nemico con la forza della disperazione... ma Shorr Kan lottava come un demonio! Gli sembrava di essere impegnato in un furioso corpo a corpo con una tigre, e la cosa più orribile era che il viso di Shorr Kan non era il viso di un essere umano! A pochi centimetri da lui, il volto dell'avventuriero che aveva conquistato i Mondi Oscuri rimaneva fisso, come una maschera scolpita nel legno! E l'espressione degli occhi... Gordon tremava, osservando quegli occhi vitrei, immobili, nei quali non v'era alcuna traccia di ragione! «Hull, presto... aiutatemi!» gridò affannosamente Gordon. Hull stava già accorrendo. «Dunque era davvero un traditore? L'avevo immaginato, che non avremmo mai dovuto fidarci di quel maledetto!» «No, no!» esclamò Gordon, ansando. «Guardate il suo volto! Guardate, Hull! Ho già visto un'espressione simile... è sotto l'influenza di un H'Harn.
Presto, strappategli di mano il paralizzatore! Presto, altrimenti sarà troppo tardi per salvarci!» Il gigantesco capitano antariano si gettò su di loro, afferrò la mano di Shorr Kan, e con forza terribile cominciò a sollevare le dita, spezzando la stretta disperata. E nel momento stesso in cui il paralizzatore fu saldamente in pugno a Hull Burrel, il corpo di Shorr Kan si afflosciò, cadde come un fagotto inerte sul ponte. L'espressione orribile del suo volto cambiò, e i suoi occhi confusi parvero di nuovo in grado di vedere. Con l'aria trasognata di chi si è appena liberato da un incubo, egli mormorò: «Cosa è accaduto? Mi è parso...» Ma Gordon dimenticò completamente Shorr Kan. Si affrettò a strappare di mano allo sbalordito Hull Burrel il paralizzatore, e a renderlo innocuo, eliminandone la carica interna... ringraziò il cielo, in quel momento, per avere appreso così bene i segreti di quell'arma, grazie alle bobine ideofoniche del laboratorio di Zarth Arn! Una volta reso innocuo il paralizzatore, restituì l'inutile arma a Hull. «Ora potete tenerlo. Io conserverò il caricatore, e in questo modo nessuno di noi due potrà servirsene, se l'H'Harn tenterà di riprendere il controllo della...» Non riuscì a terminare quella frase. Una folgore oscura, la gelida forza paralizzante che già aveva conosciuto a Teyn, esplose nella sua mente, in una vampata di spaventoso, mortale silenzio. E la sua mente fu sommersa da quell'ondata tenebrosa... perché non c'era alcuna difesa possibile, da essa, non c'era alcuna possibilità di lottare! Era definitiva e terribile, come la morte. E lui, semplicemente, morì. E poi, con uguale subitaneità, altrettanto semplicemente, egli ritornò a vivere! Si trovava ancora sul ponte, ma era in ginocchio, e le sue mani serravano il collo di Shorr Kan, e tentavano di soffocarlo, mentre Hull Burrel lo aveva afferrato per le spalle e cercava di strapparlo dal corpo della sua vittima... il volto color mattone dell'antariano era coperto di sudore, i muscoli delle braccia poderose erano tesi come corde, disperatamente... «Lasciatelo!» stava ansimando Hull. «Lasciatelo, o dovrò colpirvi, John Gordon!» Improvvisamente esausto, lasciò andare Shorr Kan, che rotolò su se stesso, scostandosi da lui, con gli occhi sbarrati e il respiro affannoso. «Ora... ora sto bene,» balbettò Gordon. Tremava in tutto il corpo, e sentiva la mente ancora annebbiata. Era un incubo orribile, quello che si stava svolgendo a bordo dell'incrociatore alieno! Non c'era nome per descrivere
quell'orrore... e d'un tratto Gordon si sentì pervaso da un'angoscia senza nome, perché capiva che era la morte, quella che si nascondeva nei compartimenti di poppa, invisibile e silenziosa e mortale! Cercò di alzarsi... e scoprì di non poterlo fare. Perché la stretta di Hull Burrel sulle sue spalle, improvvisamente, si accentuò, e quelle mani enormi salirono lentamente verso il suo collo, senza lasciare la presa, stringendo sempre di più. Il ginocchio dell'antariano saettò violentemente contro la schiena di Gordon, e Gordon cadde sul ponte, battendo il capo, e gli parve che una fiamma rossigna si fosse accesa nel suo cervello ottenebrato... La mostruosa potenza mentale dell'abitante delle Nubi di Magellano si era rivolta, ancora una volta, su un altro obiettivo! Con gli occhi vitrei, con il volto trasfigurato e il corpo rigido come quello di un automa, il gigantesco antariano si alzò in piedi, e avanzò contro Shorr Kan... e nella lenta, massiccia determinazione dei suoi movimenti, Gordon poteva vedere l'intenzione di uccidere! Shorr Kan indietreggiò, ma l'antariano avanzava, nello spazio angusto, e un istante dopo fu sopra di lui. Shorr Kan cominciò a lottare, con la forza della disperazione, contro il gigante animato da una volontà aliena... Ma era come lottare contro una montagna! Perché la forza mentale dell'H'Harn dava alla sua vittima una forza e una determinazione che un uomo normale non poteva affrontare! Cercando di riscuotersi, Gordon si alzò. Per un momento vacillò, ancora stordito... e poi fu alle spalle del capitano di Antares, e si lanciò nella lotta, unendo i suoi sforzi a quelli di Shorr Kan per arrestare quella mostruosa volontà di distruzione! Fu una lotta terribile, furibonda... e per un momento, Gordon ammirò la forza e l'esperienza di Shorr Kan. Insieme, riuscirono finalmente ad avere ragione della forza sovrumana dell'antariano, che cadde sul pavimento metallico del ponte. Shorr Kan e Gordon lo immobilizzarono, usando tutte le loro forze per domare i sussulti di quel corpo possente, e videro quegli occhi vitrei fissarli orribilmente, in un volto che non era quello del valoroso veterano della Flotta degli Alti Spazi, ma la maschera orrenda di una creatura senza anima! Poi, finalmente, gli sforzi di Hull Burrel cessarono... e l'antariano si rilassò, mentre i suoi occhi smarriti li fissarono increduli, gli occhi di un essere umano. «Mio Dio!» gemette Burrel. «È accaduto anche a me?» Gordon annuì, silenziosamente. Hull si mise a sedere, allora, e si prese la testa tra le mani, sgomento. «Non c'è dunque difesa da questo orrore? Mio Dio, siamo con-
dannati! Perché quel mostro non ci uccide tutti, per farla finita? Sta giocando con noi, prima di darci il colpo di grazia?» «Non credo che possa ucciderci!» rispose Shorr Kan. «No, non credo che possa farlo, servendosi della forza mentale. Potrebbe distruggere la nostra mente, prendendoci uno alla volta... ma non può farlo! Perché non può correre il rischio di volare attraverso le Frontiere degli Spazi Ignoti con tre pazzi furiosi... e prima di ucciderci, vuole esaminare la mente di Gordon, e quella del capitano Burrel, per scoprire quanto gli è necessario sapere. Io credo... credo che stia tentando di fare in modo che due di noi si rendano innocui a vicenda, in modo che ne rimanga uno solo... che egli potrebbe controllare facilmente. Penso che abbia bisogno di un compagno, a bordo, per tentare il volo siderale fino alle Nubi di Magellano.» Guardò la porta chiusa del compartimento di poppa. «In questo momento, sta cercando di escogitare una nuova tattica, ne sono certo. Non vuole ucciderci... per il momento. Ci ucciderà soltanto se tenteremo di attaccarlo fisicamente... e non credo che ci sia possibile raggiungere quella porta, senza venire fermati...» Gordon sollevò il capo, guardando il grande schermo-oblò, dove i grappoli di stelle e le scogliere di polvere cosmica parevano strisciare con incredibile, ingannevole lentezza. Si trovavano in una delle regioni più dense delle Frontiere degli Spazi Ignoti, e Shorr Kan si era preoccupato, notando la velocità acquisita dall'incrociatore. Evidentemente, l'alieno aveva fatto in modo che Hull Burrel tracciasse una rotta automatica... perché altrimenti quell'astronave senza alcuna guida avrebbe già... Forse... E, in quel momento, Gordon venne colpito da un'ispirazione che nasceva dalla disperazione! Ed era una idea così disperata, che egli non indugiò neppure per un secondo a riflettere su di essa, ma balzò verso il quadro di comando. Cominciò, preso da una frenesia incontrollabile, a toccare a caso gli enigmatici comandi... spingendo, premendo, girando pulsanti, leve e quadranti, senza neppure pensare a quello che faceva, obbedendo all'istinto, senza neppure guardare... E in quel momento il piccolo incrociatore magellanico parve impazzire! Come una folgore silenziosa, saettò verso una gigantesca distesa di polvere cosmica, poi descrisse una curva impossibile nel vuoto siderale, tuffandosi verso un sole azzurro circondato da una corte di pianeti, ma questa deviazione durò per pochi secondi, perché l'incrociatore partì fulmineo verso lo zenit, verso un doppio sistema binario... quattro titanici soli che fiammeggiarono davanti a loro, come le porte di un palazzo infernale. Il campo di
stasi avvolgeva ogni cosa anche a bordo dell'incrociatore H'Harn, ma quell'improvviso saettare folle attraverso gli spazi non poteva essere compensato dai dispositivi di bordo. Senza voltarsi, Gordon si accorse che Shorr Kan e Hull Burrel venivano scagliati contro una delle pareti metalliche, e udì le loro esclamazioni di stupore, e poi di angoscia. E capì di avere sorpreso anche l'H'Harn! Capì di averlo colto alla sprovvista, perché neppure il mostruoso alieno tentava di fare qualcosa... la silenziosa folgore mentale non si abbatté su di lui. Cercando di ritrovare l'equilibrio, Hull Burrel si avvicinò al quadro di comando, lottando contro gli improvvisi, assurdi movimenti dell'incrociatore. «Siete diventato pazzo?» urlò l'antariano. «Ci farete morire tutti! Lasciate quei comandi, per l'amor di Dio! Lasciateli, prima che sia troppo tardi per fare qualcosa!» Senza interrompere i suoi assurdi movimenti, Gordon si mosse, respingendo con violenza l'antariano. «Ma non capite, Burrel? Questa è la nostra unica possibilità di trattare ad armi pari con quella creatura! Dobbiamo spaventarla... incuterle un terrore così abietto, da costringerla a scendere a patti! Avanti, presto... imitatemi entrambi! Toccate i comandi a caso... non pensate ai movimenti che fate, limitatevi a muovere ogni cosa! Se lo faremo tutti e tre contemporaneamente, quel maledetto mostro non potrà fermarci!» Hull guardò lo schermo, guardò il folle vortice delle stelle e dei mondi e delle correnti siderali, e le braccia gli ricaddero per un momento lungo i fianchi. Il suo volto color mattone diventò livido, e gli occhi tradirono l'angoscia. «Non sapete quello che fate, Gordon! È un suicidio! Tra pochi istanti, ci scontreremo con uno di questi corpi celesti!» Shorr Kan aveva compreso immediatamente l'idea di Gordon. Già molte volte Gordon aveva apprezzato la rapidità della mente di quell'avventuriero, e il suo coraggio che pareva disprezzare il pericolo. «Gordon ha ragione, Burrel! So bene che rischiamo di scontrarci con qualche corpo celeste... ma è l'unica speranza che abbiamo!» Freneticamente, spinse Hull verso il quadro di comando. «Presto... prima che l'H'Harn possa riprendersi dalla sorpresa!» Stordito, inebetito dalla sorpresa, senza capire ancora completamente la portata di quell'idea, Hull Burrel si avvicinò a Gordon, e cominciò a manovrare freneticamente i comandi, subito imitato da Shorr Kan. E, per un
momento, Gordon ebbe paura! Perché era follia, ciò che avveniva in quella nave siderale! Loro tre, di fronte a un quadro di comando che non comprendevano, intenti a premere pulsanti, a girare quadranti, ad abbassare e ad alzare leve, come dei pazzi. L'incrociatore si rovesciava, descriveva impossibili spirali nel vuoto siderale, s'impennava e si tuffava verso orribili distese di fuoco che erano titanici soli. Certo, il campo di stasi li proteggeva dagli effetti peggiori dell'accelerazione, ma non c'era protezione dalla follia pura di quel volo. Perché i grappoli di mondi nuovi e antichi delle Frontiere degli Spazi Ignoti parevano ondeggiare e vorticare intorno a loro... e tra pochi istanti, Gordon ne era certo, sarebbe stata la fine! «Ascolta, tu che ti nascondi là dietro!» gridò Gordon, pervaso da una strana ebbrezza che era molto vicina alla follia. «Tu sei in grado di leggere i miei pensieri... tu puoi sentire quello che dico! Se precipiteremo su qualche pianeta, o nell'inferno fiammeggiante di una stella, morremo tutti... tu per primo! Avanti, cerca di assumere il controllo della mente di uno di noi... e vedrai che cosa accadrà a questa astronave!» E lui intendeva farlo! Certo, desiderava vivere, come tutti gli uomini... ma l'orrore grigio che gli avrebbe sondato la mente, per trarre da essa tutti i suoi più riposti segreti, era qualcosa di molto più orribile della morte! L'essere delle Nubi di Magellano comprendeva i suoi pensieri... e non doveva avere alcun dubbio, sulla sua determinazione! Aspettò che la gelida folgore mentale lo colpisse, ma passarono i secondi, e non accadde nulla. L'astronave passò accanto alle fiamme altissime di una gigantesca stella rossa, e filò direttamente verso una scogliera di asteroidi e detriti siderali. E, dopo un lungo minuto, un minuto di follia e di terrore, nella sua mente si insinuò qualcosa! Dapprima fu soltanto una sensazione... qualcosa d'indistinto e di furtivo, un timido approccio nel quale Gordon riconobbe, con una strana, feroce soddisfazione, il sentimento dominante... la paura! «Fermatevi!» giunse nelle loro menti il pensiero freddo e remoto e impaurito del nascosto H'Harn. «Non riusciremo a sopravvivere per molto, se continuate con questa pazzia! Fermatevi!» Capitolo Quindicesimo Gli orrori alati
La fronte di John Gordon era imperlata di sudore. Il senso di ebbrezza era svanito, ora, lasciando il posto a un cieco, irrazionale terrore. Vide sullo schermo che l'incrociatore si stava dirigendo, ora, con tutta la sua fantastica velocità, verso la distesa irregolare di una grande nebulosa. La luminosità diffusa rischiarava lo spazio, gettando lividi riflessi verdastri sui volti dei tre uomini che fronteggiavano lo schermo. E Gordon sapeva che lo spazio, intorno alla nebulosa, doveva essere ingombro di asteroidi e frammenti di polvere cosmica e di pericoli senza nome. «Non c'è tempo per discutere!» disse la voce fredda e silenziosa, nelle loro menti. «Tra pochi secondi, l'astronave sarà nella nebulosa... e sarà finita per tutti noi! Se avete cara la vita, fate presto... lasciate stare i comandi, e il dispositivo di repulsione dell'incrociatore eviterà l'ostacolo!» Per un momento, Gordon rimase sospeso sull'orlo di un precipizio tenebroso. Da una parte, c'era la sinistra potenza mentale dell'H'Harn... dall'altra, c'era la fiamma livida della nebulosa che invadeva lo spazio, davanti a loro, con le sue fiamme gelide che avvolgevano miriadi di corpi celesti. Rapidamente, abbassò le braccia. «Fate come vi dice!» esclamò, rivolgendosi agli altri. «Ma tenetevi pronti... al primo accenno di un'intrusione mentale, ricominciate! Finiremo all'inferno, ma avremo il piacere di sapere che questo maledetto mostro ci avrà preceduti!» Per un momento, rimasero immobili, mentre l'incrociatore procedeva nel suo volo inarrestabile attraverso gli spazi infiniti. Per un attimo, Gordon chiuse gli occhi... perché ormai era troppo tardi! La gelida fiamma della nebulosa riempiva ormai lo schermo, ed era impossibile evitarla! Riaprì gli occhi... e per un istante, il respiro ritornò normale, in lui. Perché ora l'incrociatore si trovava al di sopra della grande nebulosa, e stava volando rapidissimo nello spazio, sottraendosi al pericolo. Erano salvi! E in quel momento, il pensiero dell'altro pericolo che li minacciava ritornò, e l'angoscia gli serrò la gola in una morsa terribile. Un pensiero ansioso giunse di nuovo nella sua mente... l'odioso pensiero alieno dell'H'Harn. L'essere delle Nubi di Magellano poteva vedere la scena, attraverso i suoi occhi, capì Gordon... e quel pensiero non tradiva il minimo sollievo. «Il pericolo non è passato!» disse quella voce silenziosa. «Vi siete avvicinati troppo alla nebulosa... le correnti magnetiche hanno catturato l'astronave! I repulsori hanno permesso una deviazione di rotta, ma è la velocità iniziale che ci dà l'impressione di allontanarci... le correnti magne-
tiche sono troppo forti, e tra poco precipiteremo di nuovo... e sarà la stessa forza dei generatori a portarci nel cuore della nebulosa!» Accanto a Gordon, Hull Burrel lanciò un'esclamazione soffocata: «È vero! Guardate... guardate la posizione di quelle stelle! Stiamo descrivendo una curva che ci riporterà nella nebulosa... e sapete bene che in un vortice magnetico nessun dispositivo di repulsione è in grado di agire!» Gordon aveva sentito parlare delle correnti magnetiche che esistevano negli spazi intorno alle più grandi nebulose... e sapeva che si trattava di uno dei pericoli più spaventosi per la navigazione siderale! Gli immensi quantitativi di polvere cosmica che esistevano nelle nebulose venivano fortemente magnetizzati dai gas ardenti che formavano quei gorghi siderali... e le correnti magnetiche che infuriavano intorno a esse formavano vortici spaventosi, la cui forza era temuta perfino dai più poderosi incrociatori da guerra della Flotta degli Alti Spazi! «È necessario cambiare rotta!» disse la voce silenziosa dell'H'Harn. «Usare la potenza di questa astronave, per sottrarsi al vortice magnetico! È possibile farlo... altrimenti sarà per tutti la morte!» «Cambiare rotta!» esclamò Gordon, raucamente, fissando come ipnotizzato la nebulosa verso la quale l'incrociatore stava di nuovo precipitando. «Verso quale destinazione? Forse verso le Nubi di Magellano? Era là che avevi intenzione di portarci... usando la suggestione telepatica per farci obbedire ai tuoi desideri!» «È necessario che io ritorni là, è vero,» giunse immediatamente la risposta della voce telepatica. «Ma in questa situazione, possiamo trovare una soluzione di compromesso.» «Un compromesso!» disse Gordon, sprezzante. «Avanti, parla! Che cosa proponi?» «È semplice,» giunse il pensiero dell'alieno. «Basterà fare rotta verso un pianeta disabitato, che io conosco, e che non si trova troppo lontano da questa regione delle Frontiere, e atterrare là. Allora, voi potrete lasciare l'astronave.» Gordon si volse a guardare gli altri. Il volto color mattone di Hull Burrel era sudato, e gli occhi parevano quelli di un condannato a morte davanti al patibolo. Shorr Kan manteneva il suo atteggiamento controllato... ma la sua espressione era cupa e determinata, e nei suoi occhi neri si leggeva il sospetto. «Sì, ho udito la proposta!» disse Shorr Kan, senza che Gordon gli avesse rivolto alcuna domanda. «Avete udito anche voi, Burrel, non è vero? E vi
dico che preferirei accettare le proposte di un serpente velenoso... perché questa maledetta creatura ha certamente l'intenzione di ingannarci!» «No!» giunse il pensiero allarmato dell'alieno. «Non posso ingannarvi, perché non c'è altra via di scampo per nessuno di noi... ed è necessario che io ritorni vivo da questa missione!» C'era forse una sfumatura di disperazione, nel pensiero dell'H'Harn? Gordon non poté esserne sicuro. Esitò ancora, indeciso, tormentato dai dubbi e dalla paura. Perché lui sapeva bene che era questione di pochi minuti, e poi la loro condanna sarebbe stata sicura... ma sapeva ugualmente bene che mai l'alieno avrebbe permesso che loro uscissero vivi da quell'avventura. Eppure, non riusciva a vedere nessun'altra soluzione. Perché la situazione era fantastica! Tre esseri umani a bordo di un incrociatore alieno, ciascuno dei quali era vulnerabile, singolarmente, di fronte agli straordinari poteri mentali di quella creatura... che era l'unica a conoscere i segreti di quel quadro di comando, e senza il cui aiuto sarebbero periti sicuramente nello spazio. E la creatura non poteva soggiogarli, perché poteva dirigere la sua forza mentale contro uno di loro e uno soltanto! Un pensiero balenò nella sua mente... ed egli si affrettò a nasconderlo, a respingerlo nel subcosciente dal quale era venuto. Non poteva permettersi di pensare chiaramente a quell'idea, neppure per un secondo. Guardò gli altri, e raddrizzò le spalle, esclamando: «Ebbene, io credo che ne valga la pena! Correremo il rischio... e che il cielo ci aiuti!» «Vedo che sai prendere una decisione saggia!» giunse immediatamente il pensiero dell'alieno... un po' troppo in fretta, un po' troppo ansioso... o forse era solo un sospetto senza alcun fondamento? «Dovrò assumere il controllo della mente del tuo compagno, per istruirlo sul funzionamento dell'astronave... in modo che egli possa sottrarsi alle correnti magnetiche, e dirigersi verso il mondo che è la nostra destinazione!» «Perché tu possa fare come prima?» disse allora Gordon, sprezzante. «Oh, no! Non ti permetteremo di assumere di nuovo il controllo della mente di Hull Burrel, usandola per i tuoi fini!» «Ma è assurdo! In qual modo, allora...» «Tu dovrai spiegare a Hull Burrel la natura e il funzionamento dei comandi dell'astronave, dandogli delle istruzioni telepatiche dirette, senza assumere il controllo della sua mente. Gli darai gli elementi essenziali, nel modo più rapido possibile. Lui ripeterà a voce alta ciascuna delle spiegazioni che tu gli darai. Se in qualsiasi momento noteremo che Hull Burrel è
caduto sotto la tua influenza... e ti assicuro che terremo gli occhi aperti, pronti a cogliere il minimo segno... non avremo la minima esitazione. E questa volta, sarà la morte per tutti noi... la morte sicura, senza alcuna tregua dell'ultimo momento.» Ci fu una lunga pausa, prima che la risposta dell'alieno giungesse. Hull stava fissando lo schermo, e le enormi mani del capitano di Antares si aprivano e si chiudevano, mentre il volto color mattone era contratto in un'espressione di angoscia e disperazione. E Gordon ne vedeva il motivo! Perché sullo schermo, i tentacoli luminosi della grande nebulosa parevano protendersi nello spazio, verso di loro, avidamente... per afferrarli nei loro vortici di materia gassosa, luminescente, e togliere ogni via di scampo. Quella grande luce che ardeva negli spazi cosmici era vicina, spaventosamente vicina... e si estendeva sinuosa attraverso lo spazio, come un mostruoso serpente. Quel serpente era adorno di diamanti, punti di luce che si accendevano e si spegnevano, un balenare continuo sullo sfondo del vuoto siderale... e Gordon sapeva bene che quei bagliori erano dovuti alla rifrazione dei raggi di qualche sole lontano sui più grossi frammenti di metallo attirati dalla nebulosa dagli spazi, insidiose scogliere che significavano morte per ogni astronauta! Pensò, cupamente, che se l'alieno non avesse preso rapidamente una decisione, non ci sarebbe stata via di scampo per nessuno di loro. Quel pensiero agì sull'H'Harn come uno stimolo... inducendolo ad affrettare la sua decisione. Ed era lo scopo che Gordon si era aspettato di raggiungere! «Ebbene, sono d'accordo! Ma il tuo compagno deve agire immediatamente... non c'è un istante da perdere!» Ed era vero! Perché presa dalla corrente magnetica, l'astronave precipitava velocissima in quella distesa luminescente... e nessun campo di repulsione avrebbe potuto impedire la catastrofe, in quell'ammasso pauroso! Hull Burrel sedette davanti al quadro di comando, e Gordon e Shorr Kan rimasero ai due lati dell'antariano, scrutando il volto color mattone, per cogliere i segni di una dominazione mentale da parte dell'alieno, scrutando i comandi, e sorvegliandosi a vicenda. La tensione era tremenda... perché quel momento era decisivo, e loro lo sapevano. «Dice che questa leva serve a regolare la spinta laterale,» disse Hull, posando la mano, con visibile esitazione, su di una piccola leva brunita. «Cinquanta gradi est... bisogna spostarla a sinistra, lasciandola sul settimo circolo di questa linea graduata. La propulsione ci permetterà di allonta-
narci dalla nebulosa... se abbasserò quest'altra leva, che aziona i generatori di riserva.» Hull Burrel esegui la manovra... e per un istante, essi trattennero il respiro, perché non accadeva nulla! L'immensa fiamma della nebulosa continuava a brillare davanti a loro... e Gordon pensò per un momento, che forse era troppo tardi, e aspettò l'attimo finale, disperatamente... Ci fu una vibrazione più profonda, sotto i loro piedi... un impeto di energia che pareva scaturire dallo stesso spazio, un pulsare di forze nascoste che combattevano una disperata battaglia contro le correnti magnetiche della nebulosa! La lotta durò pochi secondi... e Gordon poté sentire l'intera struttura dell'astronave tendersi all'inverosimile, mentre le due forze contrapposte combattevano nel vuoto! Per un istante, pensò che non sarebbe stato possibile fuggire... pensò che l'astronave non avrebbe potuto reggere quella tremenda tensione, e si sarebbe disintegrata nello spazio, ancor prima di affondare nei tentacoli minacciosi della nebulosa! Poi, improvvisamente, il gigantesco serpente luminoso della nebulosa parve inclinarsi, e scivolare verso i confini dello schermo, e nello spazio, davanti a loro, rimase soltanto il riverbero di quella luminescenza verdastra. «È fatta!» esclamò Shorr Kan. «Siamo salvi... per il momento!» «Dice che queste leve controllano gli spostamenti verso lo zenit e il nadir,» disse Hull Burrel, che sudava copiosamente. Le sue mani toccarono due leve più piccole. Gli immensi campi delle stelle cambiarono, sullo schermo. L'astronave, che continuava a volare a una velocità inimmaginabile, superiore a quella di qualsiasi incrociatore esistente nella Via Lattea, riprese a muoversi seguendo apparentemente una rotta più sicura attraverso la giungla di soli... una rotta parallela al bordo della galassia, che la portava ad attraversare gli sciami di stelle con una lievissima inclinazione verso lo zenit. Il pericolo immediato era passato... ma ora Gordon provava una tensione che era quasi intollerabile. Perché lui sapeva che l'H'Harn non intendeva permettere in nessun caso la loro fuga... sapeva bene che quella creatura nascondeva qualcosa! Aveva la certezza che ci fosse una trappola, ad aspettarli... una trappola che sarebbe scattata su di loro non appena fossero giunti a destinazione! E lui non doveva pensare! Era una necessità imperiosa, quella. Lui non doveva pensare a quell'idea! Doveva tenere la mente fissa su Hull, e su
quello che l'antariano stava facendo. Doveva stare in guardia, per scoprire la minima insidia. I minuti trascorrevano, interminabili! A velocità inconcepibile, l'astronave aliena sfrecciava attraverso i soli delle Frontiere, e i minuti che passavano parevano ore, e secoli, e i tre uomini che occupavano l'angusta cabina erano coperti di sudore, e la tensione era qualcosa di palpabile, intorno a loro, qualcosa di più denso della nebbiolina azzurra che indicava la presenza del campo di stasi a bordo. E poi, sullo schermo, apparve qualcosa. Un piccolo sole giallo, assai simile a Sol, apparve proprio al centro dello schermo, dapprima mescolandosi alla distesa stellare, e poi cominciando a ingrandire. Dapprima fu un minuscolo disco, poi diventò sempre più grande... e mano a mano che la loro velocità li portava verso di esso, fu possibile distinguere il pianeta che gravitava intorno a esso. «È questo il pianeta?» domandò Gordon, raucamente. «Sì.» Il pensiero dell'H'Harn era gelido, alieno... qualcosa, in esso, diede i brividi a Gordon, lo avvertì della presenza di un'oscura minaccia... qualcosa che ormai si avvicinava. La creatura ricominciò a fornire delle istruzioni telepatiche a Hull Burrel, che le ripeteva, con voce bassa e piena di tensione: «Questo è il regolatore della decelerazione... devo spostarlo di due punti.» La mano dell'antariano toccò un'altra leva. Gordon scrutava Hull Burrel con intensità quasi dolorosa. Se l'H'Harn intendeva agire improvvisamente, per assumere il pieno controllo mentale del loro pilota, questo sarebbe accaduto presto. Finora, però, il volto di Hull rimaneva normale. Ma poteva fidarsi delle apparenze? E poi, ricordava bene con quale subitaneità il cambiamento si verificava... e sopraggiungeva quella rigidità inumana, quell'appannamento dello sguardo che trasformava un uomo in un automa. E se questo fosse accaduto... Non pensarci! ordinava la sua mente. Non pensarci! Il pianeta balzò incontro all'astronave, un globo verde e grigio, la cui superficie era parzialmente nascosta da immensi banchi di nubi. Gordon colse lo scintillio di un mare, in lontananza... quasi all'estremità della curva visibile dallo spazio. «Altri due punti di decelerazione, per raggiungere la velocità orbitale,» ripeté Hull, dando voce alle istruzioni telepatiche dell'H'Harn. E, pochi istanti dopo, aggiunse: «L'ago del terzo quadrante deve essere spostato al centro... ecco... siamo
in orbita intorno al pianeta. Questa leva deve essere abbassata di tre punti, per stabilizzare l'astronave...» Manovrò la leva, e l'astronave ruotò nello spazio, e poi cominciò a discendere, verso la lontana superficie del pianeta sconosciuto. Gordon notò che l'astronave dell'H'Harn aveva assunto la normale posizione di discesa... con la poppa rivolta verso la superficie del pianeta, e la prua rivolta verso l'immensità degli spazi. «Questo è il comando che regola la discesa... va spostato di tre punti.» Scesero, attraverso vortici di nubi dense e bianche, e in un punto dell'astronave si udì suonare sommessamente un campanello di allarme. «Allarme di frizione,» disse Hull. «Devo ridurre la velocità di discesa di altri due punti.» Spostò la leva. Guardarono in basso, attraverso lo schermo di poppa, e videro il pianeta salire verso di loro. C'era un paesaggio verdeggiante, con grandi foreste e sterminate pianure, e il nastro argenteo di un fiume. Gordon udì il respiro affannoso di Shorr Kan, e pensò, È teso quanto me... pensa a Shorr Kan... pensa a lui, domandati se puoi fidarti di quello che ha promesso... «Un altro mezzo punto di decelerazione,» disse Hull, e spostò di nuovo la leva. La tensione era quasi intollerabile. Ancora un momento, ancora un momento... Si trovavano a circa cinquecento metri di quota, al di sopra della verde, rigogliosa distesa della foresta, quando Gordon agì, fulmineamente. Agì, con l'improvvisa determinazione di colui che non ha una seconda occasione da sfruttare, e lo sa bene. La mano di Hull Burrel impugnava ancora la leva. Gordon colpì, e abbassò brutalmente la leva. La leva si mosse, e d'un tratto si udì il ruggito rabbioso dell'aria... un suono che non avrebbe dovuto penetrare nell'incrociatore, ma che Gordon udiva, con intensità disperata. Hull gridò qualcosa, e nell'istante successivo la coda dell'astronave urtò violentemente il terreno. Gordon ebbe l'impressione che una mano gigantesca lo avesse strappato dal ponte, e lo avesse scagliato verso l'alto, mentre lo schianto tremendo delle pareti metalliche dell'astronave riecheggiò nelle sue orecchie! Il metallo si spezzava, per l'urto terribile... ed era un rumore di morte! Gordon ricadde sul quadro di comando, e batté la testa contro di esso. Una oscurità improvvisa calò sulla sua mente. Udì il concerto lacerante di suoni, l'urlo metallico delle paratie che cedevano, la vibrazione paurosa, il rumore del metallo che si assestava, dopo essere stato lacerato dall'urto.
Gradualmente, quei suoni cessarono, e ritornò una strana quiete. Quando Gordon riaprì gli occhi, riprendendo i sensi, scoprì che l'astronave era immobile... inclinata follemente, in precario equilibrio... ma stabile! Shorr Kan si stava rialzando... aveva del sangue sul volto, a causa di una ferita alla fronte. Hull Burrel giaceva sul ponte, immobile e privo di vita. Preso dal panico, Gordon dominò il sordo dolore che provava alla testa, e si mosse, avvicinandosi al gigantesco antariano, chinandosi su di lui, toccandogli il polso e la gola, pervaso da un senso d'indescrivibile angoscia. «È morto?» domandò Shorr Kan. Perfino la voce di quell'avventuriero che aveva vissuto indescrivibili momenti di terrore era rauca, tradiva una parte della terribile tensione provata in quel folle volo. Colui che era stato il più spietato dittatore della Via Lattea appariva livido e scosso. Lentamente, egli strappò un lembo di stoffa dal mantello. Ansimando pesantemente, cercando di riprendersi del tutto, con il dolore sordo alla testa che lo dominava, Gordon sollevò una delle palpebre di Hull, e scosse il capo, provando un senso d'infinito sollievo. «È soltanto svenuto,» disse. «Non credo che sia ferito gravemente.» Shorr Kan premette il lembo di stoffa sulla ferita alla fronte, cercando di tamponare il sangue. «È stato fortunato. Siamo stati fortunati, tutti quanti,» disse. «C'erano mille probabilità contro una di morire.» Fissò Gordon, e il suo sguardo penetrante era minaccioso. «Perché avete fatto una cosa simile, Gordon? Siete impazzito, oppure...?» Non aggiunse altro. I suoi occhi neri mostrarono un immenso stupore, mentre un pensiero si faceva strada nella sua mente. Shorr Kan possedeva una mente rapida... era capace di pensare, e di comprendere le cose, con una prontezza e una facilità che lo rendevano un nemico pericolosissimo, e un alleato inestimabile. In tutta la Via Lattea, Gordon non aveva conosciuto una mente brillante come quella del suo antico nemico. In quel momento, egli stava fissando il portello che dava nello scompartimento di poppa dell'astronave. La paratia, da quella parte, era piegata e lacerata, come se fosse stata di stagno. L'intera sezione di poppa dell'astronave aveva assorbito tutta la violenza dell'impatto... un impatto spaventoso, che avrebbe potuto distruggere l'intera astronave. Lentamente, Shorr Kan si volse a fissare Gordon, e nei suoi occhi neri ardeva una strana luce. «Sentite niente, ora?» domandò, e la sua voce era un sommesso bisbigli-
o. Anche Gordon aveva tentato di ascoltare... ascoltare qualcosa che forse non sarebbe giunto sotto forma di suono, tendendo non soltanto le orecchie, ma anche la mente. «Non sento niente,» disse. «Neppure l'ombra di un pensiero... neppure un senso di presenza. Io credo che l'H'Harn sia rimasto ucciso, nel momento dell'atterraggio.» «Dalle condizioni di quella paratia, direi che se si fosse salvato, avrebbe dovuto trattarsi di un puro spirito!» esclamò Shorr Kan, fissando ancora Gordon con un'espressione di autentico sbalordimento. «Naturalmente! Era quello che volevate fare... provocare quanto è accaduto, perché lo straniero rimanesse ucciso.» Gordon annuì. Tremava violentemente, e la mente era un confuso labirinto di pensieri sconnessi... e un senso di orrore dominava ogni altro pensiero. Perché quella spaventosa battaglia mentale era stata una prova terribile, per lui! Mai, in tutta la sua vita, aveva combattuto una lotta così disperata... e capiva bene che tra il mondo degli H'Harn e quello degli uomini non avrebbe mai potuto esistere tregua. Pensò, per un momento, che Shorr Kan aveva recitato la sua parte per un tempo indefinito, su Aar... e si domandò, ancora una volta, di quale statura mentale fosse quell'uomo, per dominare costantemente i propri pensieri, di fronte ad avversari così orribili e insidiosi! «Sapevo che non avrebbe mai tenuto fede ai patti!» disse, raucamente. «Non c'era alcun dubbio. Così, ho cercato di cogliere l'unica possibilità che ci rimaneva. Ho cercato di colpire per primo!» Shorr Kan piegò di nuovo la stoffa bagnata di sangue. Annuì, brevemente, e quel gesto fu certamente doloroso. Malgrado ciò, egli fissò Gordon con aperta ammirazione. «Una cosa è certa, Gordon... voi siete un uomo che ha il coraggio delle sue convinzioni. E credo anche che siate l'uomo più fortunato della Via Lattea... anche se non so per quanto tempo potrete affidarvi alla fortuna, che è un'alleata instabile, capace di voltarvi le spalle all'improvviso. E se continuate a sfidarla a questo modo, un giorno o l'altro si stancherà di voi.» Sorrise, un sorriso di sincero divertimento, ma subito il sorriso scomparve, e la sua espressione si fece seria e intenta. «Comunque, penso che abbiate ragione. Certamente l'H'Harn aveva deciso di eliminarci... e doveva avere qualche piano in mente. Penso che intendesse distruggere la mia mente, e quella di Burrel, soggiogando poi la vostra... e usandola, per ritornare nelle
Nubi di Magellano, per compiere la sua missione. Di una cosa sono sicuro... non ci avrebbe mai lasciati andare, liberi, neppure su questo pianeta.» Un sorriso cinico gli curvò per un momento le labbra. «Detesto le frasi troppo sfruttate, ma in questo caso credo che non si possa fare a meno di usarne una. In parole semplici... noi sapevamo troppe cose.» «Sì, penso che questo sia vero,» ammise Gordon, riluttante. «Vorrei solo una cosa... saperne di più.» Hull Burrel rimase privo di sensi così a lungo, che Gordon cominciò a preoccuparsi. Finalmente, però, il gigantesco antariano riprese i sensi, e, rianimandosi, cominciò a lamentarsi, affermando che tutte le ossa del suo corpo dovevano essersi spezzate. Quando Gordon gli ebbe spiegato ciò che era accaduto, l'antariano parve ritrovare il sorriso... e affermò, raucamente, che valeva la pena di essersi rotto le ossa, se l'H'Harn era davvero morto. Per qualche tempo, l'antariano rimase a fissare Gordon, con occhi socchiusi e interrogativi, come se avesse cercato di farsi un'idea precisa su un difficile problema. La sua fronte era corrugata, e il suo volto rude e onesto, segnato da molte cicatrici, mostrava l'intensità della sua concentrazione. «Ebbene, John Gordon,» disse, finalmente, «Non riesco a decidere se io avrei avuto il coraggio di fare quello che voi avete fatto.» «Non credo che l'avreste fatto, Burrel!» esclamò Gordon. «Perché, vedete, voi siete un astronauta... e sapevate fin troppo bene quello che sarebbe accaduto, in una circostanza simile.» Indicò, con un cenno del capo, la paratia di poppa. «Se le vostre ossa possono resistere a uno sforzo violento, cercate di rimettervi in piedi e di darci una mano.» Hull rise, e scosse il capo, e si alzò in piedi... apparentemente, le sue ossa erano perfettamente intatte. Il volto onesto del capitano di Antares fissava Gordon con aperta ammirazione, e rispetto... e Gordon capì che i vecchi dubbi erano finalmente scomparsi! Perché Hull Burrel aveva riconosciuto in lui l'uomo per il quale aveva combattuto un tempo... e Gordon ebbe la certezza che la fedeltà di quel valoroso soldato era qualcosa su cui poteva contare incondizionatamente. Impiegarono molto tempo, per aprirsi un varco nella paratia metallica, malgrado gli squarci che già esistevano nel metallo contorto al momento dell'atterraggio. Ma non c'era altra via d'uscita, perché il portello era rimasto bloccato... e la violenza dell'impatto aveva già fatto una parte del lavoro. E infine, dopo ore di fatiche e di sforzi, essi riuscirono nel loro intento... e un varco si aprì nella paratia di metallo azzurro, un varco ampio a sufficienza per lasciar passare un corpo umano.
Uno dopo l'altro, essi uscirono, finalmente, e si ritrovarono nella tiepida luce del sole giallo che illuminava quel pianeta. Per un istante, Gordon respirò l'aria di quel mondo, così diversa dall'aria che aveva respirato a bordo dell'incrociatore alieno... poi, con un balzo, si lasciò cadere sul terreno, ricoperto da un tappeto d'erba verde. Gordon si guardò intorno, sorpreso e commosso, per una sensazione che dapprima non fu in grado di identificare. Poi il motivo di quella commozione si fece strada nella sua mente... ed egli comprese. Quel pianeta, o almeno la regione nella quale l'astronave aliena era precipitata, aveva una straordinaria somiglianza con la Terra. I tre uomini erano ai confini di una vasta foresta, dai grandi alberi verdeggianti, e a breve distanza dal punto nel quale si trovavano la densità degli alberi si diradava, e tra le fronde era possibile scorgere una distesa pianeggiante, interrotta qua e là da collinette e balze fiorite. Il cielo era azzurro, la luce era dorata, l'aria era dolce e profumata d'erba rigogliosa e di fiori, una fragranza che si diffondeva intorno come musica armoniosa, e confortava il corpo e lo spirito. Certo, pensò Gordon, ogni albero e ogni arbusto, ogni foglia e ogni fiore, erano il prodotto di una natura aliena... osservando con attenzione anche i fuscelli che crescevano intorno ai suoi piedi, egli poteva infatti scorgere le mille differenze che esistevano tra quelle piante e la vegetazione terrestre che lui ricordava... ma era l'insieme a dare quella sensazione di essere ritornato a casa, era il quadro generale che aveva quella prodigiosa rassomiglianza con il mondo perduto ai confini della Via Lattea... agli occhi di John Gordon, quello era veramente un pianeta meraviglioso, ed egli respirò l'aria profumata a pieni polmoni, provando un confuso senso di nostalgia. Hull Burrel non pareva condividere i pensieri di Gordon, invece. Il rude capitano di Antares stava fissando il relitto dell'astronave aliena, e il suo volto largo e segnato dalle cicatrici di molte battaglie era corrugato in una espressione di cupa preoccupazione, mentre, socchiudendo gli occhi, egli cercava di valutare i danni riportati dall'astronave che li aveva condotti attraverso le Frontiere, e sulla quale avevano vissuto quella che certamente era stata la più bizzarra esperienza della loro vita. Il capitano antariano scosse finalmente il capo, depresso. «A che serve farsi delle illusioni?» domandò. «Neppure un miracolo permetterebbe a questa astronave di decollare di nuovo!» «E con questo?» domandò Gordon. «Anche se fosse intatta, voi non sareste mai riuscito a pilotarla, Hull! Era la mente dell'H'Harn a guidare le vostre mani, quando siamo partiti da Teyn!»
«Mi piacerebbe sapere per quale motivò quel maledetto mostro ha permesso che noi partissimo da Teyn, in primo luogo!» esclamò in tono bellicoso Hull Burrel. «Essendo a bordo dell'astronave, avrebbe potuto impedirci di salire a bordo... e che cosa sarebbe accaduto?» «Oh, quei demoni sono astuti!» disse Shorr Kan, che stava osservando con attenzione il paesaggio bucolico che li circondava. «Riflettete, Hull, e capirete voi stesso l'astuzia di quella creatura. Se non avesse influenzato la mia mente, durante la fuga, avremmo certamente scelto un'altra astronave... mentre egli ha approfittato della tensione mentale alla quale eravamo sottoposti per suggerire certe cose, alternativamente, ora all'uno ora all'altro, in modo da ritrovarsi con noi nello spazio. E sarebbe riuscito nel suo intento... se Gordon, come al solito, non fosse stato assistito dalla più sfacciata fortuna. Ma questa volta, devo dire che ne sono lieto!» Shorr Kan socchiuse gli occhi, e si volse a osservare per qualche istante l'astronave. «Inoltre, non credo che gli H'Harn si fidino completamente dei loro alleati, i Conti delle Frontiere. Quando noi abbiamo ucciso il Signore Susurr, lui deve avere pensato di porre fine al pericolo di un tradimento, in una questione di tale importanza... e di costringerci a condurlo nelle Nubi di Magellano, per assecondare i suoi fini. E ci sarebbe riuscito, anche! Mi chiedo...» Hull Burrel, con le mani sui fianchi, stava fissando il relitto con aria bellicosa, come se fosse stato un nemico da combattere. «Maledizione! Avete ragione, Gordon... ma adesso che facciamo? Siamo qui, senza un'astronave, senza niente di utile, su di un pianeta disabitato! E voi sapete che, allo scadere dei trenta giorni, le flotte dell'Impero si muoveranno verso Aar... e Dio solo sa quale trappola mortale è stata preparata da quei maledetti alieni, e dai loro degni alleati!» Gordon era propenso a condividere l'umore nero del suo vecchio compagno. Perché la situazione pareva davvero senza uscita! Erano naufraghi su di un pianeta disabitato, senza alcuna astronave, senza alcun mezzo per comunicare con il quartiere generale della Flotta... mai, nelle sue precedenti esperienze, Gordon si era trovato in una situazione simile. Perché nessuno sapeva dove essi si trovavano... e forse avrebbero dovuto restare là, mentre le sorti della Via Lattea si decidevano! «Ma questo pianeta è davvero disabitato?» domandò, improvvisamente, Shorr Kan. La ferita alla fronte aveva cessato di sanguinare, e colui che era stato il padrone dei Mondi Oscuri aveva ripreso il suo abituale atteggiamento di sicurezza e di sfida. «Quali elementi abbiamo, per cominciare su-
bito a piangere sulla nostra sorte? So bene che l'H'Harn ci ha detto che il pianeta era deserto... ma sappiamo tutti altrettanto bene che quegli alieni sono i padri di tutte le menzogne, e questa affermazione mi indurrebbe a credere esattamente il contrario! E poi, un attimo prima di precipitare al suolo, mi è parso... mi è parso di scorgere qualcosa che avrebbe potuto essere un villaggio, o una città. Non sarei disposto a giurarlo... ma ho visto certamente qualcosa!» Le parole di Shorr Kan dissiparono, per un momento, lo stato d'animo pessimista di Gordon... ma subito egli si rese conto che, forse, la situazione era ancora peggiore di quella che avevano creduto. «Allora siamo perduti!» esclamò, pieno d'inquietudine. «Se questo mondo è veramente abitato, e il maledetto H'Harn intendeva raggiungerlo, evidentemente sapeva di potervi trovare degli alleati fidati! Certamente si tratta di uno dei mondi non umani ai confini delle Frontiere... e tutti sappiamo che i non umani sono amici e alleati di Narath Teyn... e dei Conti delle Frontiere!» «Sì, ho pensato a qualcosa del genere,» ammise Shorr Kan. «Credo che sia meglio usare la massima prudenza, e compiere una piccola esplorazione... badando a non attirare l'attenzione su di noi. L'astronave H'Harn è giunta inaspettata... non credo che sia stata avvistata, e non credo neppure che ci siano delle postazioni di allarme radar in funzione... altrimenti avremmo già avuto visite.» Puntò il braccio, indicando una direzione. «Mi è parso di vedere quella città di cui vi parlavo in quella direzione. Andiamo!» Non c'erano molti preparativi da fare, per quella esplorazione... poiché i tre uomini non avevano portato niente, con loro, durante la fuga, e nulla di quanto si trovava a bordo dell'astronave dei Magellanidi poteva servire a migliorare la loro situazione. Così i tre s'incamminarono, costeggiando i confini della foresta, senza abbandonare mai il riparo degli alberi e del sottobosco, che offrivano un riparo naturale d'inestimabile valore. Camminarono, e la pianura verde e ondulata che si stendeva al di là della foresta rimaneva vuota e deserta, silenziosa nei raggi del sole, indistinta in lontananza, verso l'orizzonte. C'erano degli animali nella foresta... uccelli dalle forme aliene, e piccole creature che balzavano sui rami e si muovevano rapide sul terreno, producendo un concerto di minuscoli suoni che era il rumore della natura, un concerto diverso e sempre uguale su tutti i mondi della Via Lattea. Il vento faceva stormire le foghe degli alberi, e anche quello era un suono rassicurante e familiare. L'atmosfera pareva idilliaca, e
quel mondo era veramente un sogno di pace. Eppure Gordon non era convinto! C'era qualcosa, nell'aria che respirava, nel silenzio della pianura, nello stesso mormorio del vento, che conteneva un oscuro sottofondo di pericolo. Quel mondo, così bello e accogliente, non doveva essere in realtà quello che sembrava. Il presentimento oscuro e inafferrabile continuava a preoccupare Gordon, e a un certo punto egli prese il caricatore che aveva tolto dal paralizzatore, e lo diede a Hull. «Prendete questo, Hull!» esclamò. «E rimettetelo nel paralizzatore. Non è certo un'arma con la quale si possa combattere, ma è meglio che niente. C'è qualcosa che non mi piace, in questo pianeta.» Continuarono la loro marcia, e Hull appariva a sua volta sempre più inquieto. Egli lanciava delle occhiate interrogative a Gordon e a Shorr Kan, come se avesse voluto dire qualcosa, ma avesse avuto timore di esprimere qualche concetto mutile. A un certo punto, la curiosità ebbe sicuramente il sopravvento... ed egli si rivolse ai due compagni, con il volto color mattone solcato da una profonda ruga. «Shorr Kan ha detto molte cose giuste, è vero,» disse, in tono esitante. «E forse io sono troppo stupido per capire, o voglio vedere complicazioni anche dove non ne esistono... ma c'è un dubbio che continua a tormentarmi. Ed è il perché di quanto è accaduto che mi tormenta. Voi avete detto che l'H'Harn si è servito della sua potenza mentale per attirarci a bordo del suo incrociatore siderale, non fidandosi neppure dei Conti delle Frontiere, per raggiungere le Nubi di Magellano. Ma questo non ha senso! Perché avrebbe dovuto fare tutto questo? A che cosa gli sarebbe servito?» L'espressione di dubbio e di smarrimento sul volto rude e onesto di Hull Burrel era quasi comica, nella sua intensità. Shorr Kan scoppiò in una risata che non pareva intonata alla drammaticità della situazione, e Burrel si volse a fissarlo, con il volto color mattone ancor più incupito dalla collera. «Non ve la prendete, Hull!» disse in tono conciliante Shorr Kan, sollevando una mano. «Io non avrei mai pensato di offendervi... soprattutto quando avete in pugno un paralizzatore, e siete evidentemente desideroso di usarlo. La virtù più preziosa di un uomo coraggioso è la prudenza, e io sono molto prudente! No, io ridevo perché, in fondo, l'alieno non desiderava coinvolgere né me, né voi... potevamo essere comodi per qualche suo imperscrutabile motivo, ma in realtà eravamo del tutto inutili. No, se ci pensate bene, capirete che non era un secondo pilota, quello che l'essere delle Nubi di Magellano desiderava procurarsi... e non intendeva condivi-
dere la sua preda con i Conti delle Frontiere. In realtà, lui voleva Gordon.» «Dio Onnipotente!» esclamò Gordon. «Non riuscirò mai a liberarmi da questo destino, dunque?» Fissò Shorr Kan, e quasi si arrestò, perché tutto ciò che era accaduto dal suo arrivo su Aar a quel momento si era svolto con tale rapidità, con un susseguirsi di eventi drammatici e sconvolgenti così repentino, da non dargli neppure il tempo di riflettere veramente. No... lui aveva capito la verità, ma non aveva avuto il tempo di percepirla a livello emotivo! Keogh gli avrebbe spiegato bene quello che provava... Keogh, con la sua tranquilla sicurezza, Keogh, che non avrebbe mai scoperto la realtà dei mondi delle stelle. Aveva provato ore d'angoscia, nei sotterranei del palazzo di Aar, ma la sua mente era stata come intorpidita dalle orribili sorprese che aveva trovato su quel mondo, e dal senso di umiliazione e vergogna che aveva provato per essersi lasciato prendere in trappola a quel modo. Ma ora... ora il pieno significato di quello che Shorr Kan stava dicendo riempiva la sua mente come un'esplosione silenziosa... o come una maledizione e una condanna, che qualche divinità capricciosa e ostile aveva scagliato su di lui. «Certo, l'alieno deve essere stato avvertito telepaticamente di quello che stava accadendo nei sotterranei... e non ha dato l'allarme. Avrebbe potuto fermare la nostra fuga... ma non ha voluto farlo! Perché ora non ci sono più dubbi... i Conti saranno i primi a pagare il prezzo della loro follia, quando gli H'Harn si saranno impadroniti della Via Lattea! L'alieno non voleva che Cyn Cryver sapesse quanto lui avrebbe scoperto da noi... e forse tutto questo sarebbe accaduto, anche se il Signore Susurr non fosse stato ucciso! Ecco perché l'astronave era pronta, con l'altro H'Harn a bordo!» Un sudore gelido gli imperlò la fronte. Perché ora capiva tutto! No, il Conte delle Frontiere non aveva mentito a Shorr Kan, quando gli aveva detto che solo un H'Harn era rimasto su Aar... perché lui non aveva saputo nulla della presenza dell'altro, del nemico che Gordon aveva ucciso, con il suo disperato espediente! Ma il volto di Hull Burrel conservava ancora un'espressione confusa e perplessa. «Ebbene, questo non risponde alla mia domanda! Il maledetto H'Harn voleva sondare la mente di Gordon, e portarlo nelle Nubi di Magellano... ma perché?» Shorr Kan gli rivolse un breve sorriso ironico. «Spiegateglielo voi, Gordon.» «Ascoltatemi, Hull... voi avete sentito tutto, eppure capisco che non riu-
scite a rendervi conto della verità!» disse Gordon. «Da troppo poco tempo avete saputo la verità sulla mia vecchia impostura... avete saputo chi sono a Throon, nello studio dell'imperatore, ma io penso che la vostra mente abbia certe idee troppo radicate, e così sentite alcune cose senza prenderle davvero in considerazione. È stato l'imperatore stesso a dirvi che io... cioè, la mia mente... e non la mente di Zarth Arn, si trovava nel corpo del principe, quando venne combattuta la grande guerra tra i regni siderali e la Lega dei Mondi Oscuri!» Hull Burrel lanciò un'occhiata minacciosa a Shorr Kan, che ascoltava con un sorriso ironico sulle labbra, e proseguì, in tono irritato: «E come potrei dimenticarlo? Perfino il conte Cyn Cryver ne ha parlato, se ricordo bene! E si tratta di qualcosa di straordinario... pensare che eravate voi nel corpo del principe Zarth Arn, a guidare la flotta dell'Impero, e a usare...» S'interruppe, e una espressione grottesca di sbalordimento apparve sul suo viso. Aveva ancora la bocca aperta, e dimenticò di chiuderla, anche se dalla sua gola non usciva alcun suono. «Vedo che cominciate a capire, Hull!» esclamò Gordon. «È proprio così... sono stato io, e non Zarth Arn, a usare l'arma segreta dell'Impero, il Distruttore, in quell'ultima, spaventosa battaglia!» «Vedete, capitano Burrel, Gordon ha detto una cosa molto giusta... si può sentire senza ascoltare, e viceversa. Da quando siete nato, voi sapete che il Distruttore è il segreto che solo i membri della famiglia imperiale possono usare. Malgrado la rivelazione, malgrado quello che avete sentito, voi avete sempre pensato che Gordon e il Distruttore fossero concetti remoti... remoti tra loro.» Shorr Kan parlava con tranquillità, ma i suoi occhi neri osservavano con palese divertimento i diversi cambiamenti di colore e di espressione che avvenivano sul volto di Hull Burrel. «Zarth Arn conosce il segreto del Distruttore... e Gordon non può conoscerlo, perché è esclusivo dominio della famiglia imperiale, e Gordon non fa parte della famiglia imperiale. La mente di Gordon era nel corpo di Zarth Arn... ma naturalmente, lui non conosceva il segreto del Distruttore. Ebbene, sembra che i nostri amici H'Harn siano di parere diverso. E ne hanno ottimi motivi... perché fu il Distruttore l'arma terribile che venne usata dall'Impero migliaia di anni or sono, per annientare la prima invasione degli esseri delle Nubi di Magellano, quando già il successo dei loro piani di conquista sembrava certo!» Hull, evidentemente, aveva superato il primo momento di sorpresa. Sta-
va fissando Gordon, con espressione attonita: «Per tutte le stelle! Sono veramente uno stupido a non avere capito la verità... ma vi confesso che, malgrado tutto, la cosa è tanto incredibile che mi sento giustificato! Eppure è così logico... sì, naturalmente, se gli H'Harn potessero mettere le mani... o qualunque cosa essi usino al posto delle mani... su una persona che conosca il segreto del Distruttore, un segreto che dovrebbe essere noto solo ai membri della dinastia imperiale, avrebbero praticamente vinto la partita, senza neppure combattere! Sì... ora capisco tutto! Ma...» «Io suggerisco di rimandare ogni ulteriore discussione su questo argomento a più tardi,» disse Shorr Kan. «Perché, in questo momento, credo sia più importante dare un'occhiata laggiù!» C'era qualcosa, nella sua voce, che indusse gli altri due a tacere, e la sensazione di gelo che Gordon aveva avvertito confusamente nell'aria parve concentrarsi in un lungo brivido che gli percorse il corpo. Attraverso la parete degli alberi, essi si volsero a guardare la grande, ondulata pianura che si stendeva fino all'orizzonte. A molti chilometri di distanza dalla foresta, alla loro sinistra, una processione di punticini neri stava avanzando attraverso la pianura. Dapprima, Gordon pensò che si trattasse di un branco di animali in marcia. Ma c'era qualcosa di bizzarro, nella loro andatura e nella loro velocità, e soprattutto nel modo in cui quelle forme indistinte si alzavano e si abbassavano, poco più in alto del terreno. C'era qualcosa di veramente singolare, nell'avanzata di quelle forme! Gordon cercò di guardare meglio... Vide che quella processione bizzarra avanzava... senza avvicinarsi alla foresta, ma procedendo in linea retta nella direzione che, secondo Gordon, doveva essere il nord. E quando passarono davanti al punto nel quale si trovavano i tre uomini, a grande distanza dalla foresta, Gordon poté vedere meglio la misteriosa processione, e allora capì che cosa lo aveva colpito, nell'andatura di quelle creature. E quello che vide non gli piacque affatto. Perché le creature non correvano e non volavano... ma il loro movimento era composto dall'una e dall'altra cosa! Erano dei bipedi alati, dalle grandi ali robuste, ed erano molto più poderosi del popolo di Korkhann, e non avevano piume... le piume che rappresentavano una conquista della natura, un passo avanti, rispetto alla condizione più primitiva e brutale del mondo alato! Sì, il popolo al quale Korkhann apparteneva era un popolo debole e gentile, in confronto a quelle possenti creature alate... perché quegli esseri
erano rimasti vicini al mondo dei rettili, erano l'equivalente di creature come gli antichi pterodattili! Non c'era nulla di piacevole, nel loro aspetto: le ali e il corpo parevano di cupio, lisci e lucidi e forti, di colore grigio o bronzeo... corpi completamente alieni, che avevano nella testa la più mostruosa delle caratteristiche... perché si trattava di una testa incredibilmente, orribilmente umanoide. Orribili teschi sporgenti, enormi orbite che dominavano dei lunghi becchi crudeli, che parevano irti di zanne. Le ali erano simili a quelle della gente di Korkhann. perché servivano anche da braccia, alle minacciose creature, braccia che terminavano con terribili artigli. Gordon non aveva mai visto uno spettacolo di uguale brutalità e ferocia! Quelle creature erano primitive e selvagge... nulla poteva collegarle al mondo degli umani, all'idea stessa di civiltà. Rabbrividì, a quella visione terribile, e soprattutto le mani dai terribili artigli attirarono la sua attenzione... perché gli pareva di avere visto qualcosa, e il solo pensiero lo raggelò di sgomento e di meraviglia. Perché Gordon ebbe l'impressione che quelle mani orrende impugnassero delle armi! Capitolo Sedicesimo Le promesse di Shorr Kan La tiepida, gialla luce del sole inondava la pianura ondulata, e la brezza faceva stormire le verdi foglie degli alberi, intorno a loro, e lo scenario era così simile a quello di un giorno di giugno sulla Terra che Gordon trovò singolarmente difficile, in quel momento, credere a quella che, lo sapeva, era la verità... e cioè, di trovarsi sul mondo sconosciuto di una stella lontana, sospesa alle Frontiere degli Spazi Ignoti, in una regione vicina agli insondati confini della Via Lattea! Era questo pensiero che rendeva così spaventosa la visione dei bipedi alati che avanzavano nella pianura. Perché la somiglianza del luogo rendeva ancora più aliena e sconvolgente l'immagine dei suoi abitanti. Era come se lui avesse incontrato quelle forme grottesche e indescrivibili in una prateria dell'Ohio o dello Iowa. Questi pensieri durarono solo per pochi istanti... e, nello stesso tempo, la voce di Shorr Kan parlò, e Gordon si accorse che anche il suo vecchio nemico pareva intimorito da quello che aveva visto.
«Sono i Qhalla!» disse Shorr Kan, tenendo la voce bassa, anche se era impossibile che qualcuno potesse udire le sue parole, oltre a loro. «Li conosco di fama... si tratta di una delle razze più selvagge e crudeli di tutti i mondi non umani. Vedete, quando Narath Teyn è venuto ad Aar, per incontrare Cyn Cryver e definire i particolari dell'alleanza, egli si è fatto accompagnare dal più incredibile, pazzesco seguito che mai sovrano abbia amato riunire... i rappresentanti dei suoi amatissimi non umani, creature che vanno al di là di ogni immaginazione, Gordon! Tra di essi, c'erano anche due rappresentanti di questa razza. Perfino i conti parevano impauriti, di fronte a loro.» Gli uomini rimasero nascosti tra gli alberi della foresta, e osservarono la scena fantastica del passaggio di quella processione d'incubo. I non umani avanzarono senza deviare dalla linea retta, e la loro attenzione pareva fissa sulla destinazione che evidentemente intendevano raggiungere... un punto che si trovava a nord. Gradualmente, le forme mostruose diventarono più piccole, ritornarono a essere una processione di punti minuscoli in lontananza, e scomparvero. La pianura ritornò silenziosa e vuota. Ma l'attenzione di Shorr Kan era ancora concentrata sulla pianura. Egli si portò la mano alla fronte, per proteggere gli occhi dai raggi del sole che filtravano attraverso il denso fogliame. Puntò il braccio, visibilmente turbato: «Guardate laggiù, in lontananza! Sono quasi all'orizzonte, ma si vedono... ce ne sono altri!» Ed era vero! Questa volta, la processione era indistinta, nella nebulosità soffusa dell'orizzonte... ma era impossibile sbagliarsi, nell'identificare lo strano movimento delle creature, e non c'erano dubbi sul fatto che una nuova orda di Qhalla si stava dirigendo verso il nord. Ed era la stessa direzione che i tre uomini avevano scelto, per la loro esplorazione! A nord, dove Shorr Kan aveva pensato di scorgere una città, su di un pianeta che l'H'Harn aveva detto disabitato! Non era un pensiero consolante, pensò Gordon. Aveva visto ben poco di quelle creature non umane, ma il ricordo di ciò che aveva visto gli procurava ancora un brivido di inquietudine. «Ebbene, non tutto il male viene per nuocere,» disse Shorr Kan, che appariva, come sempre, sicuro e padrone di sé. «Quanto abbiamo visto conferma la mia impressione... e cioè quella di avere visto una città, da quella parte. E, se esiste una città, e se i Qhalla sono seguaci di Narath Teyn... ebbene, dovrebbe esistere anche una specie di astroporto.» Corrugò la
fronte, e i suoi occhi neri avevano uno sguardo intento e calcolatore. «Credo che la migrazione delle orde dei Qhalla verso nord indichi l'imminente arrivo delle astronavi dei Conti delle Frontiere. Sì, evidentemente le tribù si riuniscono intorno alla città, per accogliere i loro ospiti e alleati. E questo significa una sola cosa... che il momento è più vicino di quanto immaginassi!» Scosse il capo, visibilmente perplesso. «Dunque è arrivato il momento! Le tribù dei non umani di Narath Teyn stanno per unirsi!» Tutti gli oscuri presentimenti che lo avevano turbato negli ultimi giorni si riunivano, ora, per stringere il cuore di Gordon in una morsa d'angoscia. Perché c'era qualcosa di minaccioso, nel tono di voce usato da Shorr Kan... e un sospetto orribile si affacciò nella sua mente. «Avete detto che le tribù dei non umani stanno per riunirsi?» domandò, con voce rauca. «Agli ordini di Narath Teyn? E per quale motivo l'ambizioso Narath dovrebbe fare una cosa simile?» «Per scatenare l'attacco... l'attacco progettato da molto tempo!» disse Shorr Kan, e il suo volto era estremamente serio, anche se il tono di voce era sommesso. «Esiste un'alleanza, tra i Conti delle Frontiere e le tribù aliene di Narath Teyn, e non si tratta dì un'alleanza difensiva! L'intenzione dei conti e di Narath è di scatenare la guerra... una guerra che divamperà alle frontiere, ma le cui conseguenze saranno incalcolabili. Credo che tra pochi giorni la flotta varcherà le frontiere... e attaccherà, con tutta la sua potenza bellica, il Regno di Fomalhaut!» A queste parole, Gordon balzò in piedi. Dunque era questo il piano! Un turbine di pensieri sconnessi passò nella sua mente. Per un istante, egli rivide il volto del suo antico nemico, l'uomo che già aveva scatenato la guerra nella galassia... e con un balzo si avventò su Shorr Kan, e lo afferrò, scuotendolo brutalmente. «Il Regno di Fomalhaut sarà attaccato! Voi sapevate questo, e me lo avete nascosto?» Il volto di Shorr Kan rimase calmo. Malgrado la violenza dell'aggressione che aveva subito, l'antico padrone dei Mondi Oscuri non perse neppure per un istante il suo controllo. I suoi occhi neri fissarono Gordon, penetranti e freddi, e la sua voce risuonò come una sferzata. «Lasciatemi, Gordon! Posso capire i vostri sentimenti, ma non è con me che dovete prendervela... anche perché sono l'unica persona che può aiutarvi!» Il suo sguardo pareva trapassare Gordon come una lama, frugando negli angoli più riposti dell'anima, e Gordon lasciò andare il suo vecchio nemico... e rimase davanti a lui, fronteggiandolo con una strana mescolan-
za di incertezza e di sospetto, mentre Hull Burrel si era avvicinato, minacciosamente, stringendo con forza il paralizzatore. «Ditemi,» prosegui Shorr Kan. «C'è stato forse un solo momento, da quando vi ho aiutati a fuggire da Teyn, nel quale non siamo stati pressati da qualche terribile pericolo? Io sapevo che l'attacco a Fomalhaut sarebbe stato scatenato presto, è vero... ma cosa avrei guadagnato, a parlarvene sotto la pressione del pericolo, quando non avreste potuto fare, comunque, nulla per evitare ciò che già era stato deciso?» Shorr Kan aveva ragione! Questo pensiero colpì Gordon, insieme a un tremendo senso di frustrazione e di colpa. Perché il volto di Lianna era apparso di nuovo davanti agli occhi della sua mente, e ora sapeva che la principessa di Fomalhaut correva uno spaventoso pericolo. La guerra sarebbe esplosa nel più vulnerabile dei regni di frontiera, e lui si trovava là... e, sapendo quello che aveva saputo fin dall'inizio, non avrebbe mai dovuto abbandonare Lianna e Fomalhaut! Perché in realtà, lui aveva saputo, fin dal momento in cui la flotta di Narath Teyn aveva teso l'imboscata all'incrociatore reale di Fomalhaut, che la guerra sarebbe stata inevitabile. Nessuno avrebbe tentato di eliminare la principessa regnante di un regno siderale, se non fosse stato pronto ad arrivare fino alle estreme conseguenze. Perciò lui, Gordon, avrebbe dovuto restare a Fomalhaut con Lianna, per fare quanto gli fosse stato possibile per difenderla. Quando Lianna lo aveva accusato di amare l'avventura e le meraviglie dei regni siderali più di quanto non avesse amato lei, forse aveva detto la verità! E un uomo veramente innamorato non avrebbe forse negato, non avrebbe tentato in qualche modo di rimanere vicino a lei? E invece lui si era lasciato trasportare dalla collera... e ora, forse, tutto era perduto! «Tra quanto tempo?» domandò, con voce rauca. Si accorse che anche Hull Burrel aveva detto qualcosa, ma tutta la sua attenzione era concentrata sulla risposta di Shorr Kan. Shorr Kan si strinse nelle spalle. «Non appena le forze alleate saranno pronte... è tutto quello che so. Cyn Cryver non mi ha rivelato tutti i suoi piani. Ma le astronavi dei conti accompagneranno, come scorta armata, le gigantesche astronavi da trasporto, a bordo delle quali si troveranno le orde non umane di Narath Teyn.» «Capisco,» disse Gordon, e strinse i pugni, e cercò, disperatamente, di riflettere. Non poteva lasciarsi prendere dal panico! Benché la situazione apparisse disperata, la disperazione non avrebbe giovato né a lui, né a
Lianna, né alla pace nella galassia. «Ecco, dunque, spiegati i movimenti di astronavi che abbiamo notato nelle Frontiere degli Spazi Ignoti, avvicinandoci ad Aar! E quale sarà la parte degli H'Harn, in questo complotto?» Shorr Kan scosse il capo. «Non posso darvi una risposta, Gordon. Cyn Cryver è sempre stato molto riservato, sulle sue relazioni con gli H'Harn.«Fece una pausa, e poi disse, con estrema franchezza. «Io credo che gli H'Harn stiano usando Cyn Cryver e tutti gli altri come pedine, per i loro fini, che io non conosco... ma che posso indovinare. Naturalmente, è quanto intendevo fare io stesso... ma quegli alieni mi hanno preceduto.» «Vi siete mai comportato onestamente con qualcuno?» domandò in tono bellicoso Hull Burrel. «Avete mai trattato direttamente, senza ricorrere a inganni, sotterfugi e tradimenti?» Shorr Kan annuì. «Oh, sì. Spesso. In realtà, io non ricorro mai all'inganno, se non quando posso trarne qualche vantaggio.» Hull borbottò qualcosa d'incomprensibile, ma l'espressione di disgusto che appariva sul suo viso era un commento eloquente. Gordon sentiva quelle parole, ma la sua attenzione era altrove... perché la sua mente cercava, freneticamente, di trovare una via d'uscita, in quel labirinto senza uscita nel quale gli pareva di essere precipitato. «Una cosa è sicura,» disse. «Noi dobbiamo raggiungere Fomalhaut... per avvertire Lianna della minaccia!» «Questo non sarà facile,» disse Shorr Kan. «Gli abitanti di questo pianeta non conoscono il volo spaziale. Non esistono astronavi... e voi stesso avete visto che i Qhalla assomigliano molto più ad animali che a creature intelligenti.» In quel momento, un'ispirazione improvvisa balenò nella mente di John Gordon. Si rese conto che era una pazzia... e ricacciò l'idea nell'oscurità del subcosciente, da dove era scaturita. Eppure quel piano fantastico non voleva saperne di sparire tra le cose dimenticate! Subito ritornò a tormentarlo... e gli parve almeno degno di essere tentato. Stringendo le labbra, egli cercò di fissare negli occhi Shorr Kan. Gli occhi penetranti e intelligenti dell'antico comandante della Lega scintillarono, per un momento... e Gordon ebbe l'impressione che quell'uomo senza scrupoli e geniale avesse la facoltà di leggergli nel pensiero, come gli H'Harn! «Voi avete detto che i movimenti della pianura devono preludere all'arrivo delle astronavi dei Conti delle Frontiere... a quelle destinate a traspor-
tare il contingente dei Qhalla ai confini, da dove sarà scatenato l'attacco. Non è vero?» «Ah!» esclamò Shorr Kan. «Dunque è questa l'idea che si è formata nella vostra mente, John Gordon! Avrei dovuto aspettarmelo... voi pensate di rubare una di quelle astronavi, quando arriveranno, per raggiungere Fomalhaut a bordo di essa. Ammiro il vostro coraggio, amico mio, ma devo disilludervi... perché, al di là di certi limiti, il coraggio diventa incoscienza. Siate ragionevole!» «Quest'uomo è un furfante della peggior specie, e un traditore,» esclamò Hull Burrel. «Ma questa volta ha ragione, John Gordon! Le tribù dei Qhalla sì raduneranno per accogliere le astronavi dei Conti delle Frontiere... e per avvicinarci a una di quelle astronavi, dovremmo attraversare un territorio brulicante di quei demoni alati, già pronti a combattere e a uccidere i loro nemici!» «Lo so,» esclamò a sua volta Gordon. «Lo so bene, Burrel! Eppure, quando ho parlato, voi avete avuto un'idea, Shorr Kan... non mentite, perché credo di conoscervi, e l'ho letto nei vostri occhi!» Shorr Kan sorrise. «Forse voi mi conoscete davvero, John Gordon, più di quanto mi abbiano conosciuto in passato gli uomini che mi seguivano... che il demonio possa portarsi via le loro anime nere! Ma quanto vi ho detto è la pura verità... la vostra idea è folle, e destinata a fallire!» Eppure Gordon era sicuro di avere colto una scintilla d'interesse, negli occhi neri del suo antico nemico! E per quanto Shorr Kan fosse un avventuriero aduso a tutti gli inganni, Gordon sapeva bene che la sua pronta intelligenza e il suo coraggio ne facevano un uomo straordinario, capace di trovare una via d'uscita nelle situazioni più disperate. «Eppure la realtà della nostra situazione è semplice, e voi lo sapete bene!» Senza curarsi del borbottio di protesta di Hull Burrel, Gordon si rivolgeva direttamente a Shorr Kan. «Noi abbiamo bisogno di un'astronave. Ci troviamo qui, su questo pianeta, e se non riusciremo a fuggire e a raggiungere Fomalhaut, non avremo lunga vita... perché presto o tardi i Qhalla ci troveranno, e se non saranno loro a trovarci, saremo ugualmente perduti quando gli H'Harn avranno concluso la loro opera di conquista della galassia... perché questo è certamente il loro fine ultimo. Voi avete qualcosa in mente, Shorr Kan... avanti, parlate!» Sul volto color mattone di Hull Burrel si leggevano soltanto perplessità e rabbia impotente... ma Shorr Kan appariva pensieroso, e i suoi occhi scru-
tavano con estrema attenzione il volto di John Gordon. E infine, dopo qualche istante di esitazione, Shorr Kan disse: «Ebbene, Gordon... forse esiste una via d'uscita. Si tratta soltanto di una remota possibilità... ma esiste.» Gordon e Hull tacquero, allora... perché entrambi vedevano balenare una fiammella di speranza, e avevano paura di estinguerla. Shorr Kan rimase immobile, visibilmente pensieroso. Il suo volto era diventato una maschera dura e priva di espressione, e Gordon tremò... perché quell'uomo geniale e potente era un pericolo, e non potevano fidarsi pienamente di quella precaria alleanza. E poi, improvvisamente, Shorr Kan parve prendere una decisione. Guardò negli occhi Gordon, e disse: «Vi farò una domanda, John Gordon. Supponiamo che la cosa sia fattibile. Supponiamo di riuscire in quello che ritenete impossibile, e di giungere nel regno di Fomalhaut in tempo per avvertire la principessa Lianna del pericolo. Vi dirò che la principessa mi fece una notevole impressione, quando ebbi l'onore di ospitarla nel mio quartier generale di Thallarna... ricordate, vero, Gordon?» Il suo sguardo era calcolatore, ma un lieve sorriso gli curvava le labbra. «Fin da allora, voi eravate particolarmente... affezionato alla principessa. Non voglio offendervi, Gordon, ma è più facile trattare con voi... in fondo al cuore, voi siete come me, ma una principessa di sangue reale ha certi principi e certe tradizioni che, diciamo così, le legano le mani e le danno una visione astratta della realtà. Io sono un uomo pratico, e mi piace affrontare ogni situazione con realismo. Temo che, se ritornassi con voi a Fomalhaut, la principessa mi farebbe impiccare senza esitazione... siete in grado, voi, di dimostrarmi il contrario?» Gordon rispose: «Le impedirò di fare una cosa simile. Ve lo assicuro.» Era una promessa molto impegnativa, quella... una promessa fatta forse con troppa leggerezza. Shorr Kan se ne rese conto, e sorrise, un sorriso che non era piacevole a vedersi. «Siete davvero in grado di garantire questo, Gordon?» domandò, e la sua voce era fredda e imperiosa... la voce che aveva parlato a Gordon nel sinistro laboratorio di Thallarna, una voce capace di piegare anche la volontà più forte. «E nel caso poteste farlo, siete anche in grado di assicurarmi che qualcun altro... diciamo, a esempio, l'imperatore... non lo faccia al suo posto?» Gordon avrebbe voluto promettere quanto Shorr Kan chiedeva... ma sapeva di non poterlo fare! Non era in grado d'ingannare quell'uomo spietato
e intelligente, e una bugia non gli sarebbe certo servita, perché Shorr Kan era in grado di leggere la verità sul suo volto! Eppure, Shorr Kan aveva qualcosa in mente... e Gordon parlò, io tono sincero, perché si rendeva conto che l'unica cosa che avrebbe potuto aiutarlo sarebbe stata la verità. «Ascoltatemi, Shorr Kan, voi sapete bene che io non posso farvi nessuna promessa sicura... e siete troppo intelligente per esigere questo, da me. Voi mi avete detto più volte di essere un realista, e che concetti come l'onore e la fedeltà a una buona causa non sono altro che parole senza senso, e perciò non mi appellerò a nessuna di queste cose, per convincervi a darmi il vostro aiuto. Ma voi sapete anche che l'imperatore e la sua famiglia hanno un debito d'onore, nei miei confronti... e Jhal Arn e suo fratello Zarth hanno un profondo rispetto per il concetto d'onore, che voi disprezzate. Io vi posso dire soltanto, sinceramente, che sono quasi sicuro di potere usare la mia influenza per evitarvi la sorte che, in realtà, avete meritato... se farete qualcosa che possa in qualche modo rendervi meritevole di una ricompensa, e che possa cancellare almeno in parte i crimini dei quali vi siete macchiato di fronte all'intera Via Lattea. Questa è l'occasione, Shor... non vi faccio promesse per quello che non posso garantire, ma posso dirvi che sono quasi sicuro di quello che vi ho detto!» «Con i 'quasi', spesso i moribondi si consolano delle loro sventure!» disse Shorr Kan. «Certo, io non ho cambiato idea su quanto vi dissi un tempo, eppure... devo ammettere che c'è qualcosa di vero, nelle vostre parole.» Egli fissò Gordon per un lungo momento, con occhi freddi e calcolatori, e Gordon capì che la mente di quell'uomo stava rapidamente soppesando tutte le alternative, in modo da valutare bene tutti i rischi, prima di compromettersi. E alla fine colui che era stato il padrone dei Mondi Oscuri si strinse nelle spalle, e la sua voce suonò sicura e noncurante, nel dare la risposta. «Penso che dovrò accontentarmi di quello che posso ottenere. A un patto... dovrete darmi la vostra parola d'onore, sul fatto che voi farete tutto quello che sarà in vostro potere per salvarmi dall'esecuzione, o da qualsiasi punizione!» «Sì,» disse Gordon, prontamente. «Se mi aiuterete a raggiungere Fomalhaut, mi batterò con tutte le mie forze, anche a costo di perdere la vita, per salvarvi... anche se penso che non lo meritiate!» Shorr Kan annuì. «È quanto volevo sentirvi dire. Certo non mi fiderei di voi, se non avessi avuto delle prove inequivocabili, in passato, che mi convincono del valore che voi date alla parola data... anche se penso che a volte il vostro compor-
tamento sia molto vicino alla stupidità. Ma poiché ora questo mi conviene, non voglio discutere con voi. Accetto la vostra promessa.» Hull Burrel brontolò qualcosa d'incomprensibile, anche se Gordon non faticò a immaginare quali fossero le idee dell'antariano sulla filosofia di Shorr Kan. Si affrettò a domandare: «E allora, parlate... qual è l'idea che avete avuto? Qual è il vostro piano?» Gli occhi neri di Shorr Kan scintillarono maliziosamente, e le sue labbra s'incurvarono in un sorriso cinico. «Lo avete detto voi stesso, Gordon... l'unico modo per fuggire da questo pianeta è usare una delle astronavi dei Conti delle Frontiere, quando esse verranno per imbarcare le tribù dei Qhalla.» «Ma siete stato voi stesso a dire che questo sarebbe stato impossibile!» Shorr Kan sorrise. «È vero. Ma voi sapete che in queste cose ho sempre avuto un certo talento... e il piano al quale ho pensato ha qualche possibilità di funzionare, con il mio aiuto, mentre voi e Burrel sareste condannati a morte ancor prima di cominciare.» Fece una breve pausa, osservando i suoi compagni con aria pensierosa, e poi proseguì, rapidamente: «Ascoltate. Io vi ho aiutati a fuggire da Aar, e, insieme, abbiamo ucciso Susurr, il maledetto H'Harn. Ma nessuno, su Aar, nessuno dei Conti delle Frontiere, conosce in realtà quale sia stato il vero sviluppo degli eventi. I conti sanno soltanto che è stato ritrovato il cadavere di un H'Harn, che l'astronave aliena che si trovava nell'astroporto è scomparsa, che i due prigionieri... voi e Hull Burrel... sono scomparsi, e che anch'io sono scomparso.» «Che cosa intendete dire?» domandò Burrel, minacciosamente. «È molto semplice,» sorrise Shorr Kan. «E anche voi ci avreste pensato, se non aveste delle idee così antiquate. Supponiamo che io compaia di nuovo, su questo pianeta, tra i Qhalla. Supponiamo che io dica ai Conti delle Frontiere, quando essi arriveranno qui, una certa storia, una mia versione degli eventi lievemente diversa da quella che conosciamo. Potrei dire, a esempio, che siete stati voi due a uccidere l'H'Harn, e che quando siete fuggiti avete portato via anche me, come vostro prigioniero... per farmi parlare, e rivelare i piani di Cyn Cryver e degli altri.» «Non crederebbero mai a questa storia!» esclamò Gordon. «Certamente i conti non sono stupidi fino a questo punto... vorrebbero sapere dove siamo
finiti, e come avete fatto a fuggire, se vi avevamo preso prigioniero!» «Ah, ma questa è la parte più bella della storia!» disse Shorr Kan, allegramente. «Vedete, anch'io ho pensato a questa obiezione... ma non ci saranno problemi, se voi due sarete con me, con i polsi legati, sotto la minaccia di un paralizzatore che sarei io a impugnare. Chi potrebbe dubitare di me, se dicessi che quando l'astronave è precipitata su questo pianeta, per la vostra inesperienza, io ho ripreso i sensi per primo, e ho capovolto le parti? Non potrebbero certo avere dei sospetti, poiché i testimoni sono morti, e voi due sareste le prove viventi della verità delle mie asserzioni! Che ne dite? Non è un piano ingegnoso?» Per un momento, Gordon si sentì profondamente scosso, per l'audacia della mente di quell'uomo... perché il piano era troppo ingegnoso! Lo sguardo malizioso di Shorr Kan poteva nascondere qualsiasi pensiero... e l'opportunità era veramente eccellente per quel maestro d'inganni! Hull Burrel, evidentemente, aveva pensato la stessa cosa... perché il gigantesco antariano lanciò un'esclamazione di sdegno e di collera, e si avvicinò a Shorr Kan, minacciosamente, sollevando le braccia per colpirlo. «Hull... fermatevi!» esclamò Gordon. L'antariano si voltò a fissarlo, e il suo volto color mattone era cupo e congestionato, e i suoi occhi erano pieni di collera. «Perché dovrei fermarmi?» esclamò. «Avete sentito voi stesso quello che ha detto! Quest'uomo è un traditore e lo sarà sempre... e ci crede così stupidi da cadere nei suoi' inganni! Non è affatto cambiato, Gordon... è lo stesso Shorr Kan che ha precipitato l'Impero nell'angoscia e nel terrore, e che ha tramato nell'ombra per distruggerci!» Fece un altro passo avanti, e afferrò per le spalle Shorr Kan. Questi era un uomo poderoso, ma il gigantesco antariano lo scosse con violenza, come se fosse stato un fuscello. «Avete avuto una bellissima idea, certo! Ci consegnerete ai Conti delle Frontiere, e negherete di averci aiutato a fuggire... e magari ci ucciderete voi stesso, per impedirci di parlare! In nome di tutte le stelle, voi...» «Un momento, Hull!» disse Gordon, avvicinandosi, e frapponendosi tra il gigantesco antariano e Shorr Kan. «Calmatevi, e cercate di ragionare! So bene che quanto voi dite è degno di Shorr Kan... ma non abbiamo altre possibilità, e quella che è in gioco non è soltanto la nostra vita, ma anche la sorte del Regno di Fomalhaut, e forse dell'intera galassia!» Ma il seme del sospetto era già dischiuso, nella sua mente... e aveva cominciato a germogliare! Perché lui sapeva come Shorr Kan fosse un uomo di un'audacia senza limiti... e il modo in cui egli li fissava con occhi scin-
tillanti di sinistra ironia, pareva indicare l'esistenza di un pericolo. Per un momento, Gordon fissò Shorr Kan, mentre Hull apriva e chiudeva le mani enormi, come se avesse dovuto sforzarsi per reprimere il desiderio di farsi giustizia. «Hull è forse impulsivo... ma in cuor mio, non riesco a dargli torto,» disse Gordon. «Questo sembra uno dei piani complicati dei quali siete sempre stato maestro... e il doppio gioco è sempre stata una delle vostre armi preferite.» «In questo caso, però, vi ho detto la verità,» disse Shorr Kan, sorridendo, come se nulla fosse accaduto. «Non mi offendo per il vostro comportamento, perché avete ragione... una delle possibilità che ho preso in considerazione è stata appunto quella di comportarmi come il capitano Burrel ha detto, e non nego che questa soluzione presentava certi vantaggi allettanti. Ma alla fine l'ho scartata.» Gordon lo fissò, socchiudendo gli occhi, ancora incerto. «Avete dunque cambiato idea, dopo avere concepito questo piano?» «Sì, Gordon... ho cambiato idea.» C'era una strana nota di sopportazione nella voce di Shorr Kan, ora... come se egli stesse spiegando qualcosa di estremamente semplice a un bambino diffidente. «Vi ho già detto una volta il motivo di quanto ho fatto, e ora ve lo ripeto. So bene che potrei rimanere con i Conti delle Frontiere, e ingannarli fino in fondo... ma non posso ingannare gli H'Harn, e basterebbe che allentassi per un momento la vigilanza sui miei pensieri, per essere un uomo finito. So giocare bene le mie carte, è vero, ma so anche quando è giunto il momento di ritirarmi, di fronte a un avversario troppo forte. Due H'Harn sono morti... e per quanto essi vogliano conquistarsi la fiducia dei loro stupidi alleati umani e non umani, certamente sonderebbero la mia mente, al ritorno, per conoscere la verità su quanto è accaduto. Perciò, vedete, preferisco tentare la sorte a Fomalhaut. È un semplice calcolo aritmetico.» «Quando si tratta di voi, amico mio,» disse Gordon, aspramente, «Non c'è nulla di semplice. È proprio per questo che non riesco a credervi facilmente... perché è davvero troppo semplice.» Shorr Kan scoppiò in una sincera risata. «Vedo che cominciate a capire le cose del mondo, Gordon!» disse, e poi il suo volto ritornò serio e intento. «Se non credete a quanto vi ho detto, perché non pensate che possa esistere qualche altro motivo? Potrei fare questo per amicizia, a esempio. Voi sapete bene che mi siete sempre stato simpatico, Gordon... ve l'ho detto molte volte, in passato, e sono ancora
convinto che, se non foste così ostinato nel tenere fede alla parola data a quello sciocco di Zarth Arn, avremmo potuto intenderci alla perfezione, e dividerci di comune accordo la Via Lattea... ma non pensiamo al passato. Per voi l'amicizia non conta, forse?» «Oh, mio Dio!» esclamò Hull Burrel, con l'espressione di chi ha sentito qualcosa e non vuole credere alle proprie orecchie. «Stiamo parlando con il peggiore furfante che sia mai nato nella Via Lattea... e lui ci chiede di credere alle sue promesse, perché ha simpatia per voi, Gordon! Che cosa aspettate, Gordon? Liberiamoci da costui, e tentiamo da soli di trovare una via d'uscita! Almeno, la nostra morte sarà pulita!» «Avrei la tentazione di seguire il vostro consiglio, Hull!» esclamò Gordon, che non cessava mai di meravigliarsi, di fronte alla sfrontatezza di Shorr Kan... e che non riusciva a evitare di provare un'irrazionale simpatia per quel cinico e furbo avventuriero, malgrado tutto quello che era accaduto. «Ma non possiamo permetterci di prendere una decisione affrettata.» Voltò le spalle a entrambi, e si avvicinò al limitare della foresta, guardando la vasta pianura ondulata e l'orizzonte lontano. Lui non poteva credere alle parole di Shorr Kan! Questo lo sapeva bene, perché il fuggiasco dei Mondi Oscuri, anche se avesse detto la verità, era un alleato infido e pericoloso... e non avrebbe esitato un momento a cambiare bandiera, se avesse trovato la sua convenienza nel tradimento. Ma davanti ai suoi occhi continuava ad apparire l'orrenda visione delle orde dei non umani che scatenavano la guerra e l'invasione nel Regno di Fomalhaut... e l'idea di Shorr Kan era l'unica che dava una sia pur fievole luce di speranza. Infine, si voltò, e disse, «Il problema è veramente di una semplicità elementare. Le sole astronavi che giungeranno su questo pianeta saranno quelle dei Conti delle Frontiere. E l'idea di Shorr Kan è l'unica che offre qualche speranza di riuscita... malgrado le possibilità contrarie, che sono certo preponderanti. Qualcosa è sempre meglio che niente... perfino fidarsi delle promesse di Shorr Kan. Avanti, Hull, dategli il paralizzatore.» Hull Burrel lo fissò, incredulo. «Ma è una pazzia!» esclamò. «Se voi siete in grado di pensare a qualche altra soluzione, parlate. Ma non possiamo restare qui per tutta l'eternità,» disse Gordon. Hull rimase immobile, per un momento, e il suo volto rude e onesto pareva un campo di battaglia, sul quale dei sentimenti contrastanti combattevano. L'ufficiale antariano riconosceva in Gordon l'uomo che aveva l'autorità di decidere, ma in cuor suo era convinto della falsità delle intenzioni
proclamate da Shorr Kan. Il conflitto fu breve. Finalmente, con estrema riluttanza, l'antariano diede il paralizzatore a Shorr Kan... come se avesse dovuto firmare la propria condanna a morte. Immediatamente, Shorr Kan scoppiò in una risata beffarda... e i suoi occhi fissarono ironicamente il capitano antariano, mentre la sua mano si sollevava, puntando il paralizzatore contro di lui! «Cosa diavolo vi ha indotto a credere alle mie parole, Gordon?» domandò, in tono allegro. «Sareste davvero un uomo eccezionale, se conosceste le cose pratiche della vita, come, a esempio, la regola di non fidarsi mai di nessuno. Se Hull ha visto giusto, ora voi siete entrambi miei prigionieri... e penso che gli H'Harn mi sarebbero molto grati, se andassi da loro, a offrire quello che essi cercano disperatamente di scoprire... il segreto del Distruttore, che essi pensano di poter trarre dalla mente di John Gordon!» E Gordon vide la mezzaluna del paralizzatore puntata minacciosamente contro di lui, mentre Shorr Kan rideva ancora, sinceramente divertito. Di fronte a quello che pareva un tradimento, Hull Burrel parve perdere il lume della ragione. Lanciando un'esclamazione di collera, avanzò verso la figura beffarda di Shorr Kan, sollevando le mani, con gli occhi che mandavano lampi di collera. Shorr Kan indietreggiò, e scoppiò in una risata beffarda, fissando con espressione ironica l'antariano che si stava voltando di nuovo, ansante e paonazzo. «Che ne dite, Gordon?» domandò Shorr Kan, in tono amichevole. «Ho conosciuto il capitano Burrel di fama, a suo tempo... per la sua straordinaria capacità di rovinare anche i piani meglio congegnati.» Era stato il capitano Burrel, infatti, a salvare miracolosamente Gordon dai soldati della Lega, quando Shorr Kan aveva tentato di rapirlo, sulla Terra... ed evidentemente colui che era stato il padrone dei Mondi Oscuri non l'aveva dimenticato. «Ma devo dire che questo spettacolo mi compensa ampiamente dell'irragionevole ostilità che il nostro amico dimostra nei miei confronti.» Visibilmente attonito, Burrel stava fissando Shorr Kan, che rise di nuovo. «Scusatemi, Burrel, ma non sono stato capace di resistere... eravate così sicuro, che non ho avuto la forza di deludervi.» Con estrema disinvoltura, lanciò in aria il paralizzatore, lo prese al volo, con mossa esperta, e lo infilò nella cintura. «Come vedete,» disse poi, e i suoi occhi neri erano di nuovo gelidi, «Potete fidarvi di me, per il momento. Poiché i nostri interessi, attualmente, coincidono, non avete nulla da temere. Un uomo pratico
deve essere in grado di capire che, dì fronte al nemico comune, anche i vecchi rancori devono essere dimenticati. Vorrei che voi due lo ricordaste, fino a quando il pericolo non sarà passato... e ora andiamo. Quando ci avvicineremo al territorio nel quale incontreremo i Qhalla, o i conti, dovrò legarvi le mani... ma non c'è bisogno di appesantire inutilmente la nostra marcia, per ora. Andiamo.» Con estrema disinvoltura, Shorr Kan diede un'amichevole pacca sulla spalla di Hull Burrel. L'antariano diventò paonazzo, e Gordon non riuscì a reprimere un sorriso. Ma la straordinaria personalità di Shorr Kan non doveva far dimenticare la verità... e cioè che quell'uomo era capace di uccidere con il sorriso sulle labbra, ed era completamente privo di scrupoli. Per il momento, Gordon era lieto di poter contare sulla sua alleanza. Così i tre uscirono finalmente dalla foresta, incamminandosi per la vasta pianura, dirigendosi a nord, nella direzione presa dalle tribù dei Qhalla. Il sole scendeva lentamente nel cielo, verso ponente, e quando il cielo si fece rosso nel tramonto, e a levante, tra le brume violacee, apparvero le prime stelle, essi poterono scorgere in lontananza dei lampi d'argento, seguiti da un rombo attutito... e compresero che almeno tre incrociatori siderali erano discesi su quel pianeta. I Conti delle Frontiere erano dunque venuti a prendere i loro guerrieri... e questo significava che l'attacco era vicino! Con il cuore pieno d'angoscia, Gordon affrettò il passo, perché sapeva che ogni minuto di ritardo poteva essere fatale. Due ore più tardi, i tre si nascosero nelle tenebre della notte, e, avanzando silenziosamente, videro una fantastica scena che pareva uscita dalle antiche descrizioni dell'inferno. Capitolo Diciassettesimo Notte d'incubo Centinaia di torce fiammeggianti illuminavano i vicoli affollati di quella che non era una città, ma solo un ammasso disordinato di capanne e baracche e magazzini cadènti, che circondavano un'ampia insenatura del fiume. I Qhalla erano un popolo selvaggio... e le loro necessità non andavano oltre a quella di possedere un mercato e un punto di ritrovo, e così era nato quel villaggio primitivo, di dimensioni limitate. Ma ora il villaggio pareva una bolgia infernale, gremito da migliaia e migliaia di bipedi alati, che si
muovevano nei vicoli angusti, ed erano premuri gli uni agli altri in modo tale che a volte le pareti delle capanne vacillavano, al loro passaggio. Le torce ardevano, in un livido chiarore fumoso che si rifletteva sulle ali cuoiose e sugli occhi ardenti, da rettili, che parevano tizzoni incandescenti di mitiche creature infernali. Le voci gutturali delle creature producevano un continuo, sgradevole frastuono. Tutte le tribù dovevano essere riunite in quel luogo, e l'aspetto di quelle orde era davvero quello dei demoni dell'inferno, e il fetore che veniva dal villaggio era nauseabondo. Il centro dei movimenti di quella folla impressionante era costituito dalle tre navi siderali, posate sulla vasta pianura, a poca distanza dal cadente villaggio demoniaco. Due erano gigantesche, enormi astronavi da trasporto, le cui fiancate lucenti torreggiavano colossali nella notte, perdendosi in alto, molto al di sopra della zona illuminata dal sanguigno riverbero delle torce. La terza era più piccola... si trattava di un veloce incrociatore siderale, dalle cui torrette spuntavano minacciosi i cannoni atomici. Le orde dei Qhalla si muovevano, tra la città e i due poderosi incrociatori da trasporto. «Quelle sono le astronavi che dovranno prendere a bordo i Qhalla!» esclamò Shorr Kan. «E l'incrociatore più piccolo deve appartenere a uno dei Conti delle Frontiere, quello che ha il compito di dirigere le operazioni su questo pianeta!» Hull Burrel disse, sprezzante: «Questi selvaggi non possono fare niente di pericoloso contro uno dei regni siderali... a che servirebbero le loro armi primitive, contro la nostra civiltà?» «Ah, è qui che sbagliate, Hull!» disse Shorr Kan, scuotendo il capo con aria di rimprovero. «Voi vedete solo una minuscola parte della faccenda. Sapete quanti mondi sconosciuti esistono, tra le Frontiere degli Spazi Ignoti e i mondi periferici dei regni del sud? Sapete quante razze di non umani esistono, in questa regione degli spazi siderali? Ebbene, in questo momento, su centinaia di mondi selvaggi come questo, si ripete la stessa scena... le tribù dei non umani si radunano, e tutti questi popoli guerrieri sono pronti a rispondere alla chiamata di Narath Teyn!» E Gordon non dubitava che questo fosse vero! Ricordava ancora bene in qual modo i Gerrn idolatravano il giovane signore di Teyn. Quei popoli selvaggi e non umani avevano fatto di lui un semidio... lo amavano, con lo stesso amore con cui un animale fedele poteva amare il proprio padrone, con lo stesso disperato trasporto con cui un popolo dimenticato e oppresso poteva amare il suo paladino e liberatore!
«Vedete, Gordon, il piano è semplice!» stava dicendo Shorr Kan. «La flotta da guerra dei Conti delle Frontiere attaccherà di sorpresa la flotta del regno di Fomalhaut... e i conti possiedono incrociatori da guerra, da ricognizione, e fantasma, a sufficienza... mentre la massa delle grandi astronavi da trasporto forzerà il blocco, protetta dalla scorta, e farà sbarcare le orde dei non umani, che lanceranno un attacco diretto contro la capitale!» Quelle parole evocarono una visione d'incubo nella mente di Gordon, e ancora una volta egli maledisse se stesso, per la follia che aveva commesso abbandonando Lianna per andare a Throon. «Quanto dite è assurdo!» disse cupamente Hull Burrel. «L'Impero è amico e alleato del Regno di Fomalhaut. La flotta dell'ammiraglio Giron interverrà subito, per fermare l'invasione!» «Ma avete dimenticato che la flotta dei Conti varcherà i confini di sorpresa, e nessuno, a Fomalhaut, pensa ancora a preparativi di guerra... perché l'idea stessa è troppo mostruosa per venire presa in considerazione! L'attacco sarà violento, e fulmineo... e quando la flotta imperiale sarà giunta a Fomalhaut, troverà Narath Teyn insediato sul trono, circondato dai suoi sudditi non umani... e allora non sarà facile deporlo!» Shorr Kan non espresse a parole quello che era l'inevitabile corollario della situazione esposta... e cioè che la principessa Lianna, legittima sovrana di Fomalhaut, sarebbe stata uccisa. Perché Narath Teyn non le avrebbe permesso di sopravvivere per reclamare il suo trono e il rispetto dell'alleanza con l'Impero, e Narath Teyn, in questo caso, sarebbe stato l'unico, legittimo e indiscusso erede! Gordon domandò, raucamente: «Vogliamo restare qui per tutta la notte, a discutere di queste cose? Io credo che sia venuto il momento di agire!» Shorr Kan guardò, pensieroso, il villaggio rischiarato dalle torce, dall'alto della collinetta sulla quale i tre erano giunti, inosservati. «Sì, se mi presento con voi due come prigionieri, posso convincere i conti e i loro ufficiali che saranno là di avere mantenuto fede alla mia alleanza con Cyn Cryver... chiunque ci sia ad attendermi, su quell'incrociatore. Ma c'è un altro problema.» Indicò la folla vociante e fetida dei Qhalla. «Dal loro aspetto, e da quello che ho udito raccontare sul loro conto, sono sicuro che ci faranno a pezzi, prima di lasciarci avvicinare all'incrociatore!» «Sono disposto a credervi sulla parola,» disse Hull. «Basta guardarli... sono un popolo selvaggio e guerriero, e ora sono eccitati... la loro esalta-
zione confina con la pazzia, e credo che sopra ogni altra cosa sia dominante in loro l'odio per gli esseri umani.» Shorr Kan scrollò le spalle. «Mi piacciono le imprese coraggiose, certo, ma non vedo alcuna utilità nel cercare una fine così poco gloriosa. Penso quindi che sarà bene aspettare che si presenti un'occasione favorevole per raggiungere l'incrociatore... intanto, però, sarà bene che cominci subito a legarvi le mani. L'occasione potrebbe presentarsi nel momento più inaspettato, e potremmo pentirci amaramente di non esserci preparati subito.» Shorr Kan aveva ragione. Gordon gli voltò la schiena, unendo le mani dietro di sé, in modo che l'altro potesse legarlo... anche se la prospettiva di trovarsi impotente in mezzo alla folla dei Qhalla non gli sorrideva affatto. Si consolò, pensando che se pure avesse avuto le mani libere, non avrebbe potuto approfittarne molto, tra quei non umani. Hull Burrel, invece, mostrò una certa riluttanza... il valoroso capitano di Antares non riusciva a rassegnarsi all'idea di farsi legare le mani dal vecchio nemico, benché quella sua riluttanza non avesse senso, ora che la decisione era stata presa. Fu Gordon a piegare la riluttanza dell'antariano, esclamando: «Avanti, Burrel... non possiamo restare qui all'infinito. O preferite restare qui ad aspettare la morte?» «Per me, non c'è differenza tra l'aspettare la morte o andare a gettarsi tra le sue braccia... ma farò come dite!» brontolò l'antariano, fissando i Qhalla che continuavano a muoversi tra il villaggio e la pianura. Ma finalmente porse le mani a Shorr Kan, che si affrettò a legarlo. E poi i tre uomini si nascosero nell'erba alta, in attesa dell'occasione... l'occasione che avrebbe permesso loro di tentare la difficile traversata della pianura, per raggiungere l'incrociatore siderale dei Conti delle Frontiere. Le stelle ardenti delle Frontiere degli Spazi Ignoti brillavano nel cielo nero... rade stelle luminose, come era tipico del cielo ai confini della Via Lattea, ma centinaia e centinaia di fievoli scintille... la massa di astri morti, e polvere cosmica, e satelliti spenti, che rendevano difficili e pericolose le rotte siderali in quelle regioni, e che riflettevano debolmente lo splendore delle rade stelle e della grande nebulosa che attraversava il cielo, come una scia verdognola. Il vento portava un suono selvaggio, un coro di rauche grida che giungeva dallo spazio rischiarato dal fiammeggiare delle torce. Disteso nell'erba alta, Gordon avvertiva nelle narici il profumo di quella vegetazione tiepida... ed era un profumo così inebriante e familiare, che per un momento Gordon provò una strana vertigine.
E poi, improvvisamente, egli ricordò. Molto tempo prima, quando lui era stato ancora il vecchio John Gordon di New York, prima ancora che la guerra lo avesse strappato dal suo consueto lavoro, aveva fatto un viaggio... era andato a visitare un amico di famiglia, che aveva vissuto in una fattoria dell'Ohio, in una tranquilla località di campagna. Di sera, aveva amato moltissimo indugiare sui prati che ancora avevano conservato il calore del giorno, seduto sull'erba, accanto a quell'amico che gli era sembrato, allora, il più saggio degli uomini. L'erba tiepida lo aveva riscaldato, e tutt'intorno a lui c'era stato il palpitare delle lucciole, e il profumo dell'erba era stato intorno a lui, uguale a quello che ora lui sentiva su quel mondo alieno. Era passato molto tempo... c'era stata una guerra, e poi, al suo ritorno dai cieli del Pacifico, lui aveva cercato di riprendere il suo posto, ma il mondo non era stato più lo stesso. Forse le lucciole avevano palpitato ancora nei cieli delle campagne dell'Ohio, a maggio e a giugno, ma certamente non erano giunte a New York, dove solo il fumo delle automobili e delle ciminiere aveva pervaso l'aria tiepida della primavera. Improvvisamente, Gordon si sentì travolto da una specie di vortice, nel quale la sua mente palpitava, smarrita, senza sapere cosa pensare né cosa credere. Chi era, lui, e cosa stava facendo là, in quel luogo strano e selvaggio, così alieno proprio perché sembrava così simile al luogo conosciuto durante la sua gioventù? Il profumo fragrante dell'erba lo tormentava, dandogli un senso d'infinita nostalgia, il desiderio di ritornare a casa... sul vecchio mondo familiare sul quale era nato, là dove gli animali che pascolavano pigri tra il fieno non parlavano con voci rauche e aliene, dando vita alle voci degli incubi, né si riunivano in eserciti avidi di distruzione. Dov'era quel mondo piccolo e antico, dove gli H'Harn non esistevano, e le stelle erano luci lontane, e la vita non aveva lo splendore dei regni siderali, ma non dava neppure quel senso di terrore e di angoscia senza nome? Non dovevi accettare! diceva insistente una voce dentro di lui. Dovevi conservare per sempre nella tua mente il ricordo di quella fantastica avventura, la nostalgia e il rimpianto e la meraviglia di quei giorni... perché le stelle erano lontane dal tuo mondo, il tuo spirito non era ancora pronto ad affrontarne la meraviglia e il terrore! Gli parve di essere più smarrito e solitario di quelle remote stelle che ardevano ai confini della Via Lattea, in una giungla di materia antica e spenta, fari silenziosi che illuminavano le tenebrose distese degli spazi siderali... eppure non era così! Perché un ricordo penetrò furtivo nella sua men-
te... ed era il ricordo del volto di Lianna. E capì che, qualunque fosse stato il sentimento che la principessa provava nei suoi confronti, lui aveva un compito da svolgere, un dovere da portare a termine... e tutto il resto non importava, perché ora lui doveva raggiungere Fomalhaut in tempo per avvertire Lianna del pericolo. E, improvvisamente, Shorr Kan si alzò in piedi. «Guardate!» esclamò, puntando il braccio verso il villaggio dei Qhalla. Anche Gordon e Hull si alzarono. Due Uomini... due esseri umani... erano usciti dalla fantastica folla dei Qhalla. I due si tenevano un po' in disparte, cercando di rimanere fuori della folla, come se avessero provato il desiderio di respirare più liberamente. «Vedete? Uno di loro porta l'emblema della Mazza,» disse Shorr Kan. «È un aiutante di campo di Cyn Cryver, o uno dei suoi vassalli. Dobbiamo approfittare di questa occasione. Presto, muovetevi!» Diede una spinta a Gordon e a Hull, e i tre cominciarono a discendere il pendio della collina erbosa... Gordon e Burrel davanti, Shorr Kan dietro di loro, con il paralizzatore spianato. «Presto, maledizione!» esclamò Shorr Kan. «Fate presto, prima che quei due ritornino a bordo della loro astronave!» Barcollando, discesero la collina. C'era una oscurità insidiosa, intorno, rischiarata soltanto dal riflesso mobile delle torce lontane, e l'erba era soffice e scivolosa, e le mani legate impedivano i loro movimenti, rendendo difficile e precario ogni passo. Non era facile affrettarsi, come ordinava Shorr Kan... eppure il tono d'urgenza che aveva udito nella voce dell'altro era imperioso e inconfondibile. In quel momento, Gordon vide che i due uomini si voltavano... come se avessero voluto rientrare nella folla dei Qhalla, sia pure con riluttanza, per raggiungere le astronavi. Shorr Kan gridò... un richiamo imperioso, per attirare l'attenzione dei due uomini. E il richiamo fu udito da costoro, perché essi si voltarono... ma non soltanto da loro. Anche i Qhalla avevano udito! L'orda degli alieni tacque, improvvisamente, mentre gli orribili volti si giravano, per scoprire l'origine del grido... «Presto, correte!» disse Shorr Kan. Corsero, lanciandosi verso i due uomini. Ma anche i Qhalla avevano cominciato a correre... se quella loro bizzarra andatura poteva essere definita in termini umani. L'orda aliena si lanciò verso gli stranieri, e le grandi ali cuoiose già si aprivano, mentre gli artigli brandivano armi minacciose, e dai lunghi, affilati becchi mostruosi uscivano rauche grida che erano si-
mili a una canzone di morte. Era un'esplosione subitanea di odio, peggiore di quanto avessero temuto! Gli alieni avevano reagito istintivamente alla presenza degli stranieri... e la loro intenzione era quella di uccidere. Shorr Kan premette il pulsante del paralizzatore. Dalla mezzaluna di vetro uscì un breve lampo, e i primi Qhalla barcollarono e caddero. Gli altri esitarono per un momento, vedendo cadere i loro compagni. I due uomini stavano fissando la scena, evidentemente attoniti. Nel chiarore delle torce, ora Gordon riusciva a distinguere i loro volti. Una di" loro, colui che indossava il mantello con l'emblema della Mazza, era un uomo massiccio e tarchiato, dal volto scuro e severo. L'altro indossava l'uniforme nera dei soldati delle Frontiere, ed era molto più giovane, più alto, e assai meno sicuro di sé. Shorr Kan non aspettò di raggiungerli, per gridare: «Trattenete i vostri amici alati! Io sono un alleato di Cyn Cryver, e porto dei prigionieri!» Visibilmente dubbioso, l'uomo più anziano si voltò, e gridò qualcosa, in tono aspro e imperioso, alle orde dei Qhalla, usando la lingua gutturale e incomprensibile degli alieni. Le creature alate cominciarono a ondeggiare, e a discutere tra loro... evidentemente, erano incerte, perché il paralizzatore le aveva intimorite, e la situazione era incomprensibile alle loro menti primitive. I tre superarono quelle creature, e si avvicinarono agli uomini di Cyn Cryver. Rivolgendosi all'uomo massiccio e altezzoso, che doveva essere il comandante della spedizione, Shorr Kan domandò: «Chi siete, e qual è il vostro grado?» «Io sono il conte Obd Doll, e sono aiutante di campo di Cyn Cryver!» rispose l'uomo, in tono sprezzante... ma le sue parole gli morirono in gola, ed egli fissò attonito Shorr Kan, come se non riuscisse a credere a ciò che vedeva. «Voi... voi siete Shorr Kan! Siete scomparso da Aar, con i prigionieri imperiali...» «Ecco i prigionieri... sono gli stessi,» disse Shorr Kan. «E la mia scomparsa non è stata fortuita, ve lo assicuro! Questi maledetti imperiali mi hanno sorpreso con l'inganno, e mi hanno portato via come ostaggio. Fortunatamente, l'astronave che hanno scelto era quella dei nostri amici e alleati stranieri... e quest'uomo, che dice di essere un capitano della Flotta imperiale,» lanciò un'occhiata sprezzante a Hull Burrel, che arrossì violentemente, e per poco non disse qualcosa, «È un astronauta così trascurato che
l'astronave è precipitata su questo mondo. Nella confusione, ho approfittato del loro smarrimento per riprendere il controllo della situazione.» «Perché non li avete uccisi?» domandò Obd Doll. «Perché li avete portati fin qui?» «Perché Cyn Cryver li vuole vivi! Soprattutto vivi, e in grado di parlare. Credete forse che avrei esitato a schiacciare questi maledetti, arroganti imperiali, se non avessi saputo che le loro rivelazioni sono necessarie a Cyn Cryver per garantirci la vittoria? Voi dunque non conoscete Shorr Kan!» L'antico padrone dei Mondi Oscuri pareva trasformato... il suo volto era duro e arrogante, i suoi modi imperiosi e severi. Ancora una volta, Gordon si stupiva per le capacità di quell'avventuriero, che sapeva adattarsi a ogni situazione... soprattutto quando la situazione era complessa e difficile. «Dove si trova Cyn Cryver? Devo vederlo immediatamente.» Esitante, Obd Doll rispose: «Si trova su Teyn, ora.» Shorr Kan annuì, brevemente: «Certo, egli ha raggiunto il luogo convenuto per l'adunata del nostro esercito. Portateci là, senza indugio, conte Obd Doll.» «Ma non è possibile!» protestò Obd Doll... evidentemente intimorito dai modi arroganti di Shorr Kan. «Ho avuto ordine di organizzare l'imbarco delle tribù Qhalla, su questo pianeta. Non posso abbandonare questa missione!» Proseguì, facendo numerose obiezioni, sempre meno sicuro di se stesso, mentre Gordon ascoltava, pervaso da un tremito che era molto difficile controllare. Certo il conte non era un individuo di grande intelligenza. Gordon se ne accorse subito, e capì che Shorr Kan aveva individuato immediatamente i punti deboli di quell'uomo rozzo e arrogante, perché Shorr Kan era un eccellente conoscitore di uomini, e uno psicologo formidabile. Obd Doll non era in grado di adattarsi immediatamente a una situazione nuova, e se questo era da un certo punto di vista un vantaggio, ora si trasformava in un ostacolo, perché in quelle circostanze inattese le sue esitazioni erano notevoli. «E poi,» concluse il conte, assumendo un'espressione ostinata e diffidente, «Come faccio a essere sicuro di quanto mi dite?» Fu un tentativo di ristabilire la propria autorità che Gordon trovò ammirevole, perché non erano molti gli uomini che riuscivano a sottrarsi a tal punto all'intensità della personalità di Shorr Kan. Ma come tutti i tentativi che non erano basati su un'effettiva forza di carattere, anche questo era de-
stinato a fallire! Perché Shorr Kan raddrizzò le spalle, orgogliosamente, e i suoi occhi neri parvero lampeggiare di collera. Il suo sguardo inesorabile fulminò il conte, e la sua voce si fece più sommessa, falsamente carezzevole, come quella dì una tigre. «Voi non sapete quello che dite!» esclamò, severamente. «Questi due prigionieri possono essere la chiave del successo dell'intera campagna. Per lunghi anni abbiamo operato per raggiungere questo momento, e ora, per ignoranza o trascuratezza, pensate forse di rovinare tutto ciò che è stato fatto? Sua Grazia il Conte Cyn Cryver sta aspettando di interrogare questi prigionieri. Credete che sia saggio farlo aspettare ancora a lungo?» Il volto di Obd Doll diventò livido, e l'atteggiamento del conte diventò subito remissivo e impaurito. «Ebbene,» disse, «Ebbene, se questa è la situazione, non posso fare altro che obbedire, signore. Naturalmente. Se permettete... potrei suggerirvi di chiamare il conte Cyn Cryver dal nostro incrociatore... sarebbe forse più prudente!» Tutto era andato nel migliore dei modi, fino a quel momento, pensò Gordon... e poi si accorse che la decisione del conte era giunta con un attimo di ritardo. I Qhalla avevano superato il momento di incertezza e di sbandamento, e avevano risolto i loro dubbi. Nelle loro fila, non c'era più confusione, perché una decisione era stata presa. Essi volevano i prigionieri... per divertirsi con loro, per sfogare su di loro l'odio che provavano per gli esseri umani che avevano invaso i loro mondi e che avevano usurpato i loro diritti. E ora si stavano avvicinando, brandendo le loro armi primitive. Shorr Kan era stato abile e coraggioso, e aveva giocato bene le sue carte. Ma questo era un ben misero epitaffio, per l'uomo che aveva riempito di terrore una galassia, e che era riuscito a sfuggire al proprio destino in un modo che pareva ancora miracoloso a Gordon... e lo stesso poteva dirsi per lui, che aveva viaggiato in modo strano e bizzarro attraverso il tempo e lo spazio, per finire là, su quel mondo che assomigliava così stranamente alla Terra, ed era popolato da quegli incubi grotteschi. Ma non tutto era perduto, perché anche Obd Doll aveva preso, apparentemente, la sua decisione! Il conte gridò qualcosa ai Qhalla... evidentemente, ordinando loro di fermarsi. Le tribù non umane avevano conservato una parvenza di disciplina, perché si fermarono, nell'udire le parole di Obd Doll, e allora il conte si affrettò a dire, in tono ansioso: «Sarà bene fare immediatamente ritorno all'incrociatore. Questi Qhalla
sono dei selvaggi, e non si può contare su di loro! Provano un odio irragionevole e violento per tutti gli esseri umani, a eccezione di Narath Teyn, che adorano come se fosse un dio.» Gordon si accorse che non era soltanto la paura per la sorte dei preziosi prigionieri a dettare quelle parole... perché Obd Doll temeva anche per la propria vita! E non si sentiva di biasimarlo. Narath Teyn avrebbe potuto calmare la sete di sangue che evidentemente animava i mostruosi Qhalla, ma quei due uomini delle Frontiere non avevano, in realtà, alcun potere su di loro. In realtà, il più giovane dei due uomini pareva invitare apertamente all'attacco... perché egli fissava le orde aliene con gli occhi sbarrati, con evidente disgusto e orrore, e da lui si sprigionava un'aura di terrore e di odio così intensa che perfino Gordon, pur non essendo in possesso degli strani poteri paranormali dei non umani, era in grado di avvertirla. Cominciarono a muoversi, dirigendosi verso l'incrociatore siderale. I Qhalla erano vicini... i loro movimenti erano bizzarri e grotteschi, le loro ah si muovevano lentamente, e a ogni passo essi erano più vicini, vicini e minacciosi. Si udivano richiami gutturali, voci aliene nelle quali vibrava quella che, inconfondibilmente, era una nota di collera. I loro occhi ardevano come braci, pieni di una furia insensata, che aumentava alla vista delle prede che si avvicinavano a un rifugio che essi sapevano inespugnabile. Il loro desiderio era semplice ed elementare... volevano fare a brani quelle creature che odiavano, volevano porre fine alla loro esistenza, perché erano nemici e dovevano essere uccisi. Gordon pensò che la loro precaria disciplina non sarebbe riuscita a tenerli fermi per altri dieci passi. E ora, l'odore della paura era forte anche nelle sue narici. Il giovane ufficiale delle Frontiere aveva dato libero sfogo al panico. Lo si vedeva dall'espressione dei suoi occhi, dal tremito delle sue mani. Egli prese da una tasca del mantello una specie di uovo grigio, e disse, con voce resa stridula dalla paura: «Sarà meglio che faccia uso del gas paralizzante! Non credo che ci sia altra strada!» «No! Fermati, pazzo!» esclamò Obd Doll. «Nascondi quella bomba, se ci tieni alla vita! Il gas avrebbe effetto solo sui più vicini, ma gli altri sarebbero su di noi ancor prima che tu abbia terminato il gesto! Cammina... e cerca di apparire calmo, se ci riesci. Ormai mancano solo pochi metri!» Gli uomini barcollarono, mentre ali ruvide e dure sfioravano le loro schiene, mentre gli artigli crudeli si muovevano nella notte rischiarata dai lividi bagliori delle torce, artigli che erano diretti verso le loro gole. Non
c'erano soldati, intorno, e Gordon capì che sarebbe stata una precauzione inutile... i Qhalla non avrebbero esitato, neppure di fronte a un plotone di uomini armati di fucili atomici. Obd Doll parlava, in tono aspro e gutturale... lanciava una serie di ordini che dovevano avere, soprattutto, lo scopo di tenere occupata la mente dei non umani, e di aumentare la loro confusione. Gordon non capiva la lingua straniera e selvaggia di quei bipedi alati, ma non faticava a comprendere quella che doveva essere la natura degli ordini del conte... egli certamente ricordava il giuramento di alleanza che essi avevano fatto a Narath Teyn, e il loro dovere di obbedire a lui, Obd Doll, che rappresentava le forze alleate di Narath e dei Conti delle Frontiere. Evidentemente, egli imponeva loro di disperdersi, e di riprendere le operazioni d'imbarco sui due giganteschi mezzi da trasporto. In ogni modo, le sue parole impedirono ai non umani di prendere una decisione estrema... almeno fino a quando gli uomini non ebbero raggiunto l'incrociatore. Il portello si chiuse, rumorosamente, alle spalle degli uomini, e lo scenario infernale dell'orda aliena scomparve, sostituito dai meccanismi consueti di un incrociatore siderale. Anche il fetore che veniva da quella massa selvaggia rimase fuori... Gordon respirò a pieni polmoni l'aria artificiale dell'incrociatore, e Obd Doll si asciugò finalmente il volto madido di sudore, con mani che tremavano visibilmente. «Non credo che nessun ufficiale abbia mai dovuto comandare un esercito così infido e minaccioso!» disse, sospirando profondamente. «Un esercito che, al minimo segno di debolezza, è pronto a balzarvi addosso e a farvi a pezzi! Per tutte le stelle, mi piacerebbe che Narath Teyn si occupasse personalmente di queste operazioni... senza di lui, si tratta di un lavoro che è superiore alle forze di qualsiasi essere umano!» «Mi congratulo con voi, perché avete dimostrato abilità e coraggio!» lo lodò Shorr Kan, mantenendosi fedele alla sua parte d'inflessibile condottiero. «Ora vi prego, conte, di chiamare senza indugio Teyn, per informare il conte Cyn Cryver di quanto vi ho detto... e cioè che ho catturato nuovamente i prigionieri imperiali, e che li condurrò immediatamente al suo cospetto.» La voce vibrante di Shorr Kan aveva infiammato uomini assai più duri e smaliziati del piccolo vassallo di Cyn Cryver. Obd Doll si inchinò, brevemente, e disse: «Sarà fatto, signore!» Poi egli fissò Gordon e Hull Burrel, e sul suo volto dalla carnagione scura apparve un nuovo dubbio. «Che ne faremo di costoro? Non ci sono celle, a bordo... questo incrociatore siderale è destinato
ai collegamenti, ed era un tempo il mio incrociatore personale... non vorrei che accadesse qualcosa!» «Conosco bene questi molli individui dell'Impero,» disse Shorr Kan, sprezzante. «La loro fuga è stata causata da una serie di circostanze favorevoli, ma qui non hanno scampo! Li lasceremo in uno dei portelli stagni... dopo avere tolto tutte le tute spaziali da esso, naturalmente! E così, se vorranno fuggire nello spazio, potranno farlo... e andarsene anche all'inferno, se ne avranno l'intenzione!» Scoppiò in una risata crudele, subito imitato da Obd Doll e dall'ufficiale più giovane. Ma Gordon non rise, e neppure Hull Burrel. Essi guardarono Shorr Kan, ma Shorr Kan aveva voltato loro le spalle, e si stava già muovendo... rigido e arrogante, con l'aspetto di un uomo che ha cose importanti da fare, e non ha tempo da perdere con un paio di stupidi che sono caduti nel più. banale e stupido dei trabocchetti. Sì, poteva essere così... forse. Hull brontolò qualcosa, e poi tacque. Alcuni silenziosi soldati che portavano la nera uniforme delle Frontiere si fecero avanti, puntando minacciosamente dei paralizzatori contro i prigionieri. Il giovane ufficiale li scortò lungo un corridoio metallico, e infine li condusse in uno dei portelli stagni, a prua. I soldati li circondarono, silenziosi e implacabili, mentre altri uomini trasportavano le tute spaziali e i caschi in un'altra parte dell'incrociatore, e infine Gordon e Burrel vennero spinti rudemente nel compartimento che somigliava stranamente a una bara. Il portello interno si chiuse ermeticamente, allora, sigillandosi con un sibilo sommesso che pareva una risata di scherno e di compatimento. Hull Burrel fissò astiosamente il portello. Sapeva bene che era ermetico e inamovibile... nessuno avrebbe potuto aprirlo, tanto meno due prigionieri inermi, con le mani legate. «Perfetto!» esclamò l'antariano. «Ci hanno sistemati bene, devo ammetterlo... non possiamo uscire, e se decideranno in qualsiasi momento di ucciderci, dovranno semplicemente usare il comando a distanza per aprire il portello esterno... e noi respireremo lo spazio!» Si volse a guardare il comando manuale, un volante che veniva usato per uscire dall'astronave, nel vuoto siderale, e che era a portata di mano... quasi per invitare al suicidio. Nessuna forza avrebbe potuto aprire il portello, finché l'incrociatore fosse rimasto nell'atmosfera di un pianeta; ma una volta nello spazio. Gordon scosse il capo. «Non lo faranno mai. Avete udito voi stesso che Shorr Kan ha dichiarato che Cyn Cryver ci vuole vivi.» «Sì, ho sentito!» rispose Hull. «E so anche che siamo gli unici in grado
di dire la verità sulla nostra fuga da Aar. Naturalmente, se davvero Shorr Kan è con noi, questo non ha alcuna importanza. In caso contrario... non credo che egli voglia che Cyn Cryver ascolti la storia nella nostra versione. Perché in questo caso, naturalmente, gli H'Harn sonderebbero la sua mente. Credo che sarebbe più semplice, per lui, gettarci nello spazio, inermi, e affermare che abbiamo preferito morire, piuttosto che parlare e rivelare i segreti dell'Impero... e tutti gli crederebbero, perché è noto che i soldati dell'Impero preferiscono la morte al tradimento e al disonore!» Il volto rude dell'antariano era severo e duro, in quel momento, e i suoi occhi fissarono Gordon con intensità. «Voi siete sinceramente convinto che Shorr Kan sia dalla nostra parte, John Gordon?» «Sì. Non certo per nobiltà d'animo... ma perché noi siamo la sua carta migliore, in questo momento.» Hull rimase in piedi per qualche tempo, fissando con espressione dubbiosa Gordon. Poi sedette sul pavimento, appoggiando la schiena alla parete metallica. «Vorrei avere la vostra fiducia, John Gordon!» esclamò. «Se così fosse, mi sentirei certamente più ottimista!» Capitolo Diciottesimo Il destino attende a Fomalhaut L'incrociatore volava attraverso la giungla siderale delle Frontiere alla massima velocità. Il ronzio dei generatori era aumentato, fino a raggiungere una tonalità che faceva vibrare l'intera astronave, e di quando in quando si avvertivano dei sobbalzi, evidentemente quando il pilota compiva deviazioni per evitare sciami di micrometeoriti, o stormi di comete, o antiche stelle che gravitavano negli spazi oscuri dì quella distesa di detriti cosmici. Per Gordon, prigioniero all'interno del portello stagno, in compagnia dell'antariano, quel volo sembrava eterno, e il fatto che a bordo non ci fossero né «giorno» né «notte», ma solo un uniforme succedersi di ore uguali le une alle altre, impediva di tenere un computo del tempo. Il portello interno si apriva, a intervalli, e dei silenziosi soldati dall'uniforme nera, armati e minacciosi, portavano ai prigionieri delle razioni insufficienti, tenendoli costantemente' sotto la mira dei paralizzatori; questo accadde diverse volte, e Gordon cominciò a dividere le giornate con quel punto di riferimento... ma non accadde altro, e Shorr Kan non si fece rivedere.
Così i «giorni», a bordo dell'incrociatore siderale, trascorrevano monotoni, e Gordon cominciava a condividere le più fosche apprensioni di Hull Burrel, e cominciava a dubitare della sincerità di Shorr Kan... e a pentirsi di avere scelto un così infido alleato, anche se la situazione era stata così disperata da giustificare la scelta. I suoi dubbi aumentarono a tal punto che, ogni volta che egli udiva il rumore del portello interno che si apriva, egli lanciava una veloce occhiata al portello esterno, temendo che fosse giunto il momento temuto da Hull... il momento in cui essi sarebbero stati proiettati, in un'esplosione sorda di aria compressa, nello spazio e nel suo eterno silenzio. Fino a quel momento, era sempre stato il portello interno ad aprirsi... ma il tempo passava, e Gordon sapeva bene che Shorr Kan non avrebbe potuto permettere che i due prigionieri fossero sottoposti all'indagine mentale degli H'Harn... se veramente intendeva cambiare nuovamente bandiera, per chissà quale suo calcolo astruso. Il tempo passava... e a un certo punto, Gordon cominciò a pensare che forse avrebbe dovuto aprire lui stesso il portello esterno, e rivedere l'immensità dello spazio per l'ultima volta! Perché se davvero Shorr Kan li aveva traditi, lui sarebbe stato condotto, forse, da Cyn Cryver... e pur avendo la certezza di non sapere nulla di utile per gli H'Harn, rimaneva quell'ombra di dubbio, e meglio sarebbe stato morire, piuttosto che tradire involontariamente Lianna e l'Impero! Il tormento di Gordon era aumentato dall'angoscia per la sorte di Lianna, e dal senso di rimorso che lui provava... perché aveva sbagliato tutto, al suo ritorno in quell'universo futuro! Si era comportato peggio dell'altra volta, aveva scoperto le proprie debolezze, e la delusione era stata così forte da indurlo a commettere decine di errori. I suoi sbagli avevano prodotto forse una catastrofe... e lui non riusciva a darsi pace! «Gordon, capisco bene la vostra angoscia, ma non potreste tacere, almeno per un momento?» esclamò alla fine Hull Burrel, spazientito. «Non possiamo farci niente, ormai... e se continuerete a bersagliarmi con le vostre recriminazioni, mi verrà davvero la tentazione di aprire quel portello!» Quelle parole produssero una sorda irritazione, nello spirito di Gordon, che era già così depresso... e sentì che i suoi nervi erano tesi, esasperati da quell'attesa che pareva prolungarsi all'infinito. Avrebbe voluto rispondere in modo sferzante, ma trattenne le parole che gli salivano alle labbra. In fondo, Hull Burrel era un soldato valoroso e un uomo coraggioso, e doveva soffrire quanto e più di lui, per quella situazione. Si limitò a stringere le labbra, e andò a sedersi in un angolo, appoggiando la schiena alla parete
metallica... una posizione che era ormai diventata permanente. E pensò, con infinita amarezza, che davvero lui si dimostrava un uomo d'azione, in quelle circostanze! Immerso nei suoi cupi pensieri, egli non si accorse subito del lieve mutamento che si era verificato nell'angusto locale... poi sollevò il capo, improvvisamente, perché nell'aria c'era qualcosa di diverso! Si guardò intorno, cercando di scoprire che cosa fosse... si trattava di un odore, molto lieve, quasi impercettibile, ma anche il minimo mutamento era avvertibile, all'interno di un incrociatore siderale perennemente immerso in un'atmosfera artificiale, lievemente azzurrina per la nebbiolina luminescente del campo di stasi. L'odore era pungente, sconosciuto, e doveva certamente giungere dalla bocca di aerazione, che era collegata al sistema di ventilazione dell'incrociatore. Balzò in piedi. Il condotto di aerazione! Perché non ci aveva pensato prima? Il portello era ermeticamente chiuso, certo, ma fino a quando non fosse stato vuotato dell'atmosfera, sarebbe stato collegato al resto dell'astronave. Maledisse se stesso, perché quella, forse, era un via d'uscita... e lui non ci aveva pensato! Si avvicinò rapidamente al condotto, protetto da una griglia, e cercò di scoprire la natura di quell'odore. Un'oscura sensazione di pericolo lo colpì, in quel momento... ma era impossibile che i suoi sospetti fossero veri, che avessero scelto un metodo così sottile per eliminarli... «Gas!» gridò improvvisamente Burrel, balzando in piedi a sua volta. «Non respirate, Gordon, se vi è cara la...» L'antariano non terminò la frase... Gordon si volse, e vide che il suo compagno aveva un'espressione vacua sul volto, e vacillava... Fu l'ultima cosa che ricordò, insieme a un senso terribile di rabbia (e frustrazione. Così era quella la sua fine! Non vide altro... solo il pavimento metallico che gli veniva incontro, e un dolore sordo, terribile, alla fronte, e l'universo si trasformò in una coltre infinita di silenzio! Confusamente, si svegliò, e la prima cosa che avvertì dentro di sé fu una profonda sorpresa... per essere ancora vivo, quando aveva creduto di poter dimenticare le sue angosce, per sempre, nella quiete della morte. Ma era vivo... e gli pareva di sentire un sibilo sommesso, ed ebbe la sensazione di essere scosso da... qualcosa. Qualcuno stava chiamando il suo nome: «John Gordon! John Gordon, svegliatevi!» La voce che lo chiamava pareva urgente e ansiosa. Gordon avvertì uno
strano formicolio alle narici, un formicolio che lentamente si diffondeva nel corpo. Scosse il capo, intontito, e tossì, cercando di sottrarsi a quella spiacevole sensazione, e lo sforzo lo costrinse ad aprire gli occhi. Shorr Kan era chino su di lui. Impugnava un oggetto che sembrava un sottile tubo metallico, schiacciato alle estremità, che terminava in un disco di vetro, dal quale sì sprigionava un sibilo continuato. Gordon avvertì l'odore del gas che usciva dal tubo... un gas che Shorr Kan dirigeva contro il viso del suo vecchio nemico. «Ossigeno,» spiegò laconicamente Shorr Kan. «Dovrebbe aiutarvi a schiarire un po' la testa. Dovete riprendervi, Gordon. C'è bisogno di voi.» Gordon si sentiva ancora stordito e confuso, ma gradualmente nella sua mente ricominciarono a formarsi dei pensieri coerenti. «Del gas... uscito dal condotto di ventilazione...» mormorò. «Mi ha fatto perdere i sensi... credevo di essere morto...» Shorr Kan annuì. «Sì, era gas paralizzante. Sono riuscito a sottrarne diversi contenitori dalla santabarbara dell'incrociatore, e ne ho liberato il contenuto in sala macchine, dove si trova il centro di depurazione e alimentazione che rifornisce di atmosfera l'intera astronave. Non starò a dirvi come ci sono riuscito, perché è una storia lunga, e abbastanza noiosa.» Poi aggiunse, con un sorriso, «Per il momento, non siete morto, Gordon... avete cose più importanti da fare.» Barcollando, Gordon si alzò in piedi, appoggiandosi alla mano robusta di Shorr Kan. «Gli ufficiali... i soldati... e l'equipaggio...» cominciò, incerto. «Sono tutti addormentati profondamente,» disse Shorr Kan, con evidente soddisfazione. «Naturalmente, io sono un uomo previdente... e così avevo indossato una tuta spaziale, prima di dedicarmi all'operazione di cui vi ho parlato, e poi ho depurato l'aria in tutto l'incrociatore e ho cambiato lo stesso generatore, prima di togliermi il casco. Vi sentite meglio?» «Sì... ora mi sento bene.» «Soddisfacente. Gli ufficiali e l'equipaggio dormono come bambini, ma gli effetti del gas non saranno prolungati. Ho bisogno del vostro aiuto per mettere al sicuro questi nostri amici, prima che possano riprendere i sensi, e magari farsi venire delle idee spiacevoli in testa... e ho soprattutto bisogno dell'aiuto del capitano Burrel, per pilotare l'incrociatore. Per il momento, ho lasciato il pilota automatico, e ho diminuito notevolmente la velocità... siamo quasi fermi nello spazio... ma questo è molto pericoloso, perché
i radar di Cyn Cryver potrebbero avvistarci facilmente, e le Frontiere degli Spazi Ignoti sono la regione più pericolosa della Via Lattea, come avete avuto modo di scoprire.» Bruscamente, si curvò su Hull Burrel, che era sempre disteso scompostamente sul ponte, del tutto privo di sensi. Tenendo il tubo che generava ossigeno 2 puntato contro il volto dell'antariano, Shorr Kan si mise all'opera. Poi girò il capo, e fissò Gordon con i suoi occhi penetranti, e sorrise cinicamente. «Non vi avevo detto che sarei riuscito a liberarvi, Gordon?» «Infatti.» Gordon scosse il capo, che gli doleva ancora. «E ci siete riuscito. Mi congratulo con voi. L'unico problema è che, per liberarmi, mi avete anche procurato la più grossa emicrania della storia galattica.» In quel momento, Hull Burrel riaprì gli occhi, e vide Shorr Kan curvo sopra di lui. La reazione dell'antariano fu immediata... così istintiva, da apparire quasi comica. Il suo corpo si inarcò, e con uno sforzo violento egli colpì la mano di Shorr Kan, facendo cadere il tubo che terminava nel disco di vetro. Ancora barcollante, allungò le mani verso la gola di Shorr Kan, e in quel momento si accorse di avere i polsi liberi... e rimase immobile, confuso e stordito, mentre Shorr Kan raccoglieva, senza scomporsi, l'oggetto caduto. «Siete una bella coppia d'ingrati, voi due,» disse, fissandoli con espressione sinceramente divertita. «O dovrei sentirmi lusingato, per la reputazione che mi sono fatto? Spero, comunque, che non ci siano ulteriori dubbi sulla sincerità delle mie intenzioni.» Gordon aiutò il gigantesco antariano a rialzarsi, parlando precipitosamente, per spiegargli la situazione. Gli occhi di Hull erano annebbiati, e il capitano della Flotta apparentemente non si rendeva conto della situazione... o meglio, non se ne rese conto, fino a quando Gordon non gli disse: «Shorr Kan ha lasciato il pilota automatico, per il momento... ma credo ci sia bisogno di voi sul ponte di comando.» Tutto si poteva dire sul conto dell'antariano, ma di lui una cosa era cer2
I generatori portatili di ossigeno erano una delle più moderne invenzioni della scienza galattica, ed erano preziosi per gli astronauti, permettendo a volte miracolosi salvataggi nello spazio. Le cellule contenute dal cilindro assorbivano ogni particella contenente gli elementi chimici adatti, e una reazione atomica convertiva la materia in ossigeno puro, permettendo un rifornimento praticamente illimitato anche sulla superficie di pianeti privi di atmosfera.
ta... Hull Burrel era un astronauta, di spirito e di vocazione. A quelle parole, egli parve riprendersi del tutto, e dimenticare ogni altra cosa. «Che cosa avete detto? L'incrociatore è guidato dal pilota automatico? Qui, nelle Frontiere degli Spazi Ignoti?» Scostò violentemente Gordon, e vacillando uscì dal portello stagno, avviandosi lungo il corridoio, verso la scaletta metallica che portava al ponte di comando «Credo che per il momento siamo in buone mani,» fu il commento di Shorr Kan. «Il capitano Burrel non sarà forse l'intelligenza più ispirata della Via Lattea, ma penso ci si possa fidare delle capacità di un capitano della Flotta degli Alti Spazi... quella gente è capace di orientarsi nell'infinito senza punti di riferimento e senza mappe siderali, mi è stato detto. Presto, Gordon... dobbiamo metterci al lavoro.» Shorr Kan guidò Gordon in un compartimento vicino, dal quale essi presero dei rotoli di robusto filo metallico; poi i due uomini si misero al lavoro, per rendere innocui i soldati delle Frontiere e gli uomini dell'equipaggio. Lasciarono per ultimo Obd Doll, che giaceva nella sua piccola cabina, e quando anche il conte fu saldamente legato, Shorr Kan lo osservò, pensieroso. «Credo che mi servirò di quel generatore d'ossigeno per fargli riprendere i sensi,» disse. «Lui deve conoscere il piano di attacco che Cyn Cryver e Narath Teyn hanno predisposto per colpire il Regno di Fomalhaut... e si tratta di una cosa che dobbiamo conoscere, se vogliamo portare delle notizie utili alla principessa Lianna e ai suoi consiglieri militari.» «Avete ragione,» ammise Gordon. «Ma certamente il conte si rifiuterà di parlare!» Shorr Kan sorrise... un sorriso vagamente minaccioso, ironico e beffardo. «Credo di essere in grado di convincerlo a parlare, Gordon. Voi potete salire sul ponte di comando. Siete molto impulsivo, e avete certe idee che possono ostacolare un lavoro di questo genere.» Gordon esitò. Shorr Kan era certamente un uomo capace di tutto... e non dubitava che egli volesse ricorrere alla tortura, per convincere il conte a parlare. Benché Obd Doll fosse un miserabile e un traditore, Gordon si ribellava, intimamente, all'idea di sottoporre un essere umano a torture crudeli... eppure non era nelle condizioni di esitare! Perché il piano dei Conti delle Frontiere era più crudele e diabolico di qualsiasi tortura, ed era di vitale importanza conoscerne i particolari... se voleva sperare di salvare, in
qualche modo, il trono e la vita di Lianna. L'espressione di Shorr Kan lo faceva rabbrividire, ma capì che doveva arrendersi. Senza parlare, voltò le spalle a colui che era stato il Comandante dei Mondi Oscuri, e si affrettò a salire sul ponte di comando... senza pensare a quello che poteva accadere nella cabina di Obd Doll, perché l'idea stessa gli incuteva un profondo disgusto e un senso di orrore! Quando salì sul ponte, Hull Burrel parlò, senza voltarsi, intento com'era a muovere i comandi. «Sono riuscito a tracciare la rotta più breve per il regno di Fomalhaut... e quanto ho fatto non mi piace! Si tratta di una rotta che ci porterà troppo vicino a Teyn... e tremo al pensiero di quello che potrà accadere, se i radar dei Conti delle Frontiere ci intercetteranno!» Gordon si guardò intorno. Dopo i lunghi giorni trascorsi nel portello, ora poteva vedere, attraverso le ampie vetrate del ponte di comando, lo splendore degli spazi siderali. Il piccolo incrociatore stava costeggiando una gigantesca nube di polvere luminescente, le cui minuscole particelle erano così eccitate dalle radiazioni delle stelle sommerse in quella cosmica foschia, da apparire come una sola, titanica massa di fiamma. Verso lo zenit, si vedevano le stelle rade dei confini della Via Lattea, e verso il nadir già si riconoscevano le familiari, lontane costellazioni dei mondi centrali della galassia. Per un momento, Gordon rimase affascinato, fissando la maestosa scogliera di fuoco che l'incrociatore costeggiava... quell'incredibile ardore pareva una sola, aspra parete di fiamma, lasciata da qualche divinità infuriata a bruciare negli spazi siderali. A Gordon pareva che l'incrociatore siderale fosse troppo lento, che il volo negli spazi cosmici fosse un'illusione, e che loro si fossero fermati nell'infinito... e strinse i pugni, per calmare la sua impazienza. Fissando lo splendore della nebulosa, là dove i soli sommersi ardevano di bagliori più intensi dell'accecante mare di fuoco che formava quelle silenziose scogliere dello spazio, egli cercò anche di non pensare a quello che Shorr Kan stava facendo, in quel momento, nella cabina di Obd Doll. Passarono diversi minuti... e finalmente Shorr Kan sali sul ponte. Aveva un'espressione dura e impenetrabile, e i suoi occhi neri scrutarono Gordon, con una strana intensità. «Avete sentito qualcosa, quassù?» Gordon trasalì, e fece un passo verso il corridoio. Un senso di angoscia lo afferrò... perché sapeva che Lianna non avrebbe mai giustificato l'uso di mezzi atroci su un essere umano, neppure se costui era un nemico giurato
dell'Impero e del suo regno, e perché si vergognava di avere permesso a Shorr Kan di compiere qualcosa d'irreparabile. «Che cosa gli avete fatto?» domandò, raucamente. Shorr Kan gli strinse il braccio. «Io non scenderei, Gordon. Perché se lo faceste, voi...» «Che cosa intendete dire? Parlate!» «Perché se lo faceste, voi avreste una grossa delusione, amico mio,» disse Shorr Kan, e il suo volto sorrise, cinicamente. «A Obd Doll non è capitato niente... a parte uno degli spaventi più grossi della sua vita.» «Volete dire con lo avete torturato?» domandò Gordon, scettico. «Vorreste farmi credere che ha parlato solo perché lo avete minacciato?» Shorr Kan annuì, sobriamente. «Ebbene, sì. Dovreste sapere, Gordon, che io detesto la tortura... si tratta di un metodo rozzo e insicuro, che non dà alcun affidamento. Ho sempre preferito ricorrere a metodi più sottili... ai mezzi che la scienza mi metteva a disposizione, oppure alla conoscenza della psicologia umana.» Shorr Kan sorrise, ironicamente. «Non ho mai smentito le voci spaventose che correvano sul mio conto... anzi, in una certa misura, le ho incoraggiate... perché una reputazione di crudeltà e di ferocia offre certamente dei grossi vantaggi. Obd Doll ha creduto che io avrei fatto esattamente quello che gli ho descritto, con abbondanza di particolari, e perciò ha parlato.» «Dunque il conte ha parlato!» esclamò Gordon. «Ma voi pensate che abbia detto la verità? E che cosa avreste fatto, se non avesse creduto alle vostre minacce?» L'espressione di Shorr Kan era dura e implacabile, malgrado il sorriso che gli incurvava le labbra. «Se non avesse parlato... ebbene, non è stato così, Gordon. Conosco gli uomini di quella risma. Scopriremo ben presto se ha mentito, Gordon... così, sono certo che abbia detto la verità.» Scosse il capo, pensieroso. «Voi pensate che avrei messo in atto le mie minacce, se egli non avesse parlato? Perché crearvi dei problemi scomodi, Gordon? In un modo o nell'altro, noi dovevamo ottenere quell'informazione. Un uomo pratico non si tira indietro di fronte agli ostacoli, per quanto possa detestare certi metodi.» Gordon conosceva bene quell'uomo cinico e amorale, che non si arrestava di fronte a nessun ostacolo! E si sentì sollevato, per la fragilità di Obd Doll... perché sapeva che Shorr Kan non avrebbe esitato a mettere in pratica le sue minacce, se quel metodo si fosse rivelato indispensabile! «Ebbene, che cosa avete scoperto?» domandò. «Quando è prevista la
partenza della flotta d'invasione da Teyn?» «Obd Doll non ha potuto darmi una data precisa. Mi ha detto che tutto dipendeva dalle operazioni d'imbarco dei non umani... e sono certo che abbia detto la verità. Attraverso tutte le Frontiere, e nei mondi non umani dei regni del sud, le grandi astronavi dei Conti stanno ultimando la raccolta degli ultimi contingenti di non umani... che giungono già da molti giorni a Teyn, rispondendo alla chiamata di Narath Teyn!» Quelle parole evocarono una visione sinistra e minacciosa nella mente di John Gordon... la visione di quelle orde aliene giunte da pianeti che non avevano alcuna tradizione umana, creature coperte di squame, creature alate, creature pelose, che attraversavano le Frontiere degli Spazi Ignoti in una cosmica migrazione che non aveva precedenti nella storia galattica, per radunarsi e lanciare il loro spaventoso attacco contro uno dei regni siderali. Sì, non c'erano dubbi... quelle creature sarebbero accorse dai loro mondi ignoti e selvaggi, al richiamo di Narath Teyn! Non avrebbero indugiato, al richiamo del loro condottiero! Narath era pazzo... su questo, Gordon non aveva alcun dubbio. Perfino i Gerrn lo avevano saputo, e nessuno come i Gerrn aveva amato quello straordinario giovane. Eppure c'era qualcosa, in lui, qualche qualità ignota a tutti gli altri uomini, che lo aveva reso un capo dei non umani... un condottiero quale mai ne era esistito uno, in tutta la storia della Via Lattea! Ma Shorr Kan stava ancora parlando: «Da quanto ho saputo da Obd Doll, e da quanto abbiamo visto con i nostri occhi, però, l'ordine di attacco è già stato lanciato... e la raccolta dei combattenti non umani è iniziata da qualche tempo, anche se Cyn Cryver non mi aveva detto nulla, a suo tempo. L'esercito si sta già radunando... e non mi sembra azzardato supporre che l'attacco a Fomalhaut inizierà tra breve, forse nei prossimi giorni!» «Cosa avete saputo degli H'Harn?» domandò Hull Burrel. «Qual è la loro parte, in questo complotto?» Shorr Kan scosse il capo. «Obd Doll mi ha giurato di non saperne niente... e non ne dubito, perché io ero molto vicino a Cyn Cryver, eppure ho saputo ben poco dei suoi rapporti con quei mostri alieni. Gli H'Harn non hanno alcuna flotta nella Via Lattea, o nelle sue vicinanze. Doll mi ha detto che soltanto Cyn Cryver e uno o due dei suoi amici più influenti nelle Frontiere sanno quale sarà la parte degli H'Harn... se ce ne sarà una.» Gordon, che provava un senso d'angoscia indescrivibile, cercò di vincere i suoi sentimenti... cercò di calmarsi, perché capiva che era necessario ra-
gionare lucidamente, per non lasciarsi travolgere dal panico. «Hull, ditemi... con gli apparecchi di comunicazione esistenti su questa astronave, possiamo metterci in contatto con Fomalhaut?» domandò. Hull Burrel fece alcune rapide operazioni, sui comandi dell'incrociatore, poi lasciò il suo posto, e sparì nella piccola cabina stereo, che si trovava dietro il ponte di comando. Riapparve dopo qualche minuto, e le sopracciglia dell'antariano erano inarcate, mentre il volto esprimeva una certa preoccupazione. «È possibile stabilire un contatto... ma l'energia è così limitata che la comunicazione potrà essere soltanto via audio. Il segnale non avrà la potenza sufficiente a stabilire anche il contatto visivo. In ogni caso, si può tentare. Però...» Shorr Kan interruppe l'antariano, e disse, bruscamente: «Gordon, voi intendete lanciare un segnale a Fomalhaut, per dare l'allarme?» «Naturalmente,» disse Gordon. «Capite voi stesso il perché... il fattore tempo è essenziale, e ci sono molte possibilità contrarie che potrebbero impedirci di ritornare vivi a Fomalhaut.» «Aspettate, Gordon! Prima di balzare nella cabina stereo, pensateci! Teyn e la flotta dei Conti delle Frontiere si trovano tra noi e Fomalhaut. Certamente essi intercetteranno l'onda della nostra trasmittente, e non possiamo alterare il segnale! Capite che cosa significa? Cyn Cryver darà ordine ai suoi incrociatori più veloci di fare rotta verso il punto dal quale proviene il segnale stereo, e saranno al nostro inseguimento nel giro di pochi minuti... e cosa potranno fare i cannoni atomici di questo piccolo incrociatore, contro le corazzate da guerra che dovranno attaccare un regno siderale?» Bruscamente, Gordon lo mise a tacere. «In questo caso, penso che dovremo semplicemente correre questo rischio. Fomalhaut deve essere messo in guardia!» «Non mi avete lasciato finire,» aggiunse Shorr Kan. «È probabile che i conti, ascoltando il nostro segnale, decidano di colpire immediatamente Fomalhaut, prima che sia possibile organizzare una difesa forte. Se io fossi al loro posto, mi comporterei esattamente così.» Gordon esitò, visibilmente scosso. Perché lui non aveva pensato a quella possibilità! Eppure, Shorr Kan aveva detto una cosa giusta... lui sapeva bene con quale fulminea rapidità aveva agito, quando era stato Comandante della Lega dei Mondi Oscuri, nel momento stesso in cui aveva appreso
che l'imperatore Jhal Arn era stato incapace di agire, e l'arma più potente dell'Impero era stata nelle mani di Zarth Arn... e nella mente di Gordon. E quella decisione improvvisa per poco non aveva permesso a Shorr Kan di capovolgere l'equilibrio delle forze, e di conquistare l'intera galassia. Inaspettatamente, Hull fece udire la sua voce: «Io sono d'accordo con Gordon. Dobbiamo avvertire Fomalhaut... e giocare il tutto per tutto. Grazie a Dio, Shorr Kan, i Conti delle Frontiere non possiedono né la vostra audacia, né la vostra incoscienza.» «Sono commosso,» disse Shorr Kan, fissando con una certa sorpresa l'antariano. «Ma questo riguarda solo il pericolo che minaccia Fomalhaut. E per quanto riguarda noi?» «Giocheremo il tutto per tutto, come ho detto. Il rischio è grande, ma è la nostra unica speranza.» «Non credo che un suicidio possa essere definito un rischio. Usate tutte le altre parole che vi passano per la mente, ma non quella,» disse Shorr Kan, freddamente. «Voi sapete benissimo che, pochi minuti dopo avere intercettato la nostra onda, i Conti saranno sulle nostre tracce... e i loro cannoni atomici ci faranno esplodere nello spazio, per aggiungere i relitti di questo incrociatore ai molti relitti che rendono così insidiose le Frontiere degli Spazi Ignoti.» «Avete detto una cosa giusta,» disse Hull Burrel. «Perché la mia idea è assai simile.» Toccò un pulsante. Sulla grande mappa siderale, apparve l'immagine dell'intera regione delle Frontiere degli Spazi Ignoti. «D'accordo,» disse Shorr Kan. «Guardate voi stesso!» Perfino Gordon, che non aveva grande familiarità con le mappe siderali, poté comprendere facilmente la situazione, quando Shorr Kan indicò le posizioni relative del loro incrociatore nello spazio, e di Teyn, dove si trovava il grosso della flotta dei Conti delle Frontiere. Osservando la mappa galattica, anche il più sprovveduto avrebbe potuto comprendere che l'incrociatore non aveva alcuna speranza di sfuggire alla flotta dei Conti delle Frontiere, ai confini meridionali del Regno di Fomalhaut, non appena fosse stato dato l'allarme! «La flotta deve trovarsi qui... questa regione è controllata da Narath Teyn, ed è da questo punto che partirà l'invasione, quando i Conti decideranno di varcare le frontiere e scatenare l'attacco. Noi ci troviamo qui... e la nostra rotta è facilmente precedibile. Capitano Burrel, vi dico che non abbiamo alcuna speranza!»
Ma Hull Burrel indicò, silenziosamente, un settore della mappa siderale, che raffigurava un massiccio sciame di puntini rossi... una grande scogliera cosmica, una densa nube di soli, riportata sulla mappa con il colore del pericolo. Quella scogliera siderale si trovava a uguale distanza da loro e da Fomalhaut, e un suo braccio a spirale giungeva quasi a sfiorare Teyn. «E invece sì!» esclamò l'antariano, in tono determinato. «Perché possiamo prendere una scorciatoia... questa!» Shorr Kan si volse a fissarlo, e per la prima volta Gordon vide che quell'uomo cinico e geniale era completamente sbalordito... come non lo era stato neppure apprendendo, a Thallarna, che il suo prigioniero non era stato il principe Zarth Ara, ma un terrestre del ventesimo secolo la cui mente si trovava nel corpo di un principe dell'Impero! «Attraverso le Scogliere delle Stelle Perdute?» esclamò, incredulo. Poi scoppiò in una breve risata ironica. «Ebbene... ebbene... credo che dovrò cambiare l'opinione che mi ero fatto sul vostro conto, Hull!» «Cos'è questa storia?» domandò Gordon. «Cosa sono le Scogliere delle Stelle Perdute?» Fu Hull Burrel a rispondere, e lo fece con un'altra domanda: «Vi siete mai chiesto per quale motivo le Frontiere degli Spazi Ignoti siano un così spaventoso ammasso di detriti cosmici? Certamente vi avrà incuriosito questa specie di giungla siderale, in una regione ai confini della galassia, dove le stelle dovrebbero essere più rade, e i detriti minori, nelle vicinanze dell'immenso vuoto intergalattico?» «In realtà, da quando siamo entrati in questa regione, non ho avuto molto tempo per riflettere sui problemi delle origini galattiche!» rispose Gordon, che stava osservando con curiosità la regione indicata dal colore rosso del pericolo. «Gli scienziati affermano che, diversi milioni di anni fa, due giganteschi ammassi stellari si scontrarono nell'immensità degli spazi, ai confini della Via Lattea,» spiegò l'antariano. «Quando avvenne il cataclisma, naturalmente gli astri che si trovavano ai margini degli ammassi, ed erano più distanziati dai nuclei centrali, proseguirono nella loro rotta attraverso gli spazi, senza produrre effetti rilevanti... gli scontri tra i soli furono minimi. Eppure, bastarono queste poche collisioni per produrre sciami di meteoriti e di asteroidi e di polvere cosmica, e disseminare di detriti l'intera regione delle Frontiere. «Ma questo non è niente! Perché in ciascun ammasso-stellare esisteva un nucleo molto più denso di stelle, separate tra loro da poche centinaia di
milioni dì chilometri... stelle composte dalla combustione di metalli pesanti, autentiche sorgenti dì energia atomica d'inimmaginabile potenza. Ebbene, questi nuclei ardenti si scontrarono... e il risultato fu spaventoso, tanto che la nostra mente è incapace di immaginarlo compiutamente. Le stelle si scontrarono con tale violenza, la catastrofe fu così globale, che i primitivi nuclei si fusero e si sbriciolarono... formando così un nuovo ammasso composto di frammenti stellari, di pianeti sbriciolati, di interi nuovi pianeti, di stelle che nello scontro si erano fuse, formando nuovi astri immensi e fiammeggianti, o che si erano divise a metà, continuando ad ardere come torce atomiche nel cuore di quell'inferno! Voi potete immaginare che cosa sia diventata questa regione... lo spazio è praticamente ingombro di micrometeoriti e asteroidi, di meteore e comete e piccole masse gassose e di stelle e pianeti... una scogliera siderale che nessun astronauta sano di mente vorrebbe mai affrontare! «Per migliaia di anni, questa massa di materia cosmica è rimasta a illuminare questa regione, e da essa nascono molte delle insidie che popolano le Frontiere, e gran parte degli sciami di meteore e degli asteroidi vagabondi che vengono attirati dalla massa centrale della Via Lattea provengono da questa fucina cosmica. Un giorno, probabilmente, questo ammasso pauroso si distaccherà dalla nostra galassia, allontanandosi nel vuoto siderale, e le componenti atomiche dei mille e mille soli che lo formano subiranno una nuova trasformazione, e nascerà allora una nuova nebulosa, o una galassia satellite... ma questo appartiene al remoto futuro. Quasi nessuno osa pensare di avventurarsi in una simile giungla siderale... ma nei millenni passati, due spedizioni scientifiche sono riuscite ad attraversarla, almeno da quanto è registrato negli annali della Flotta. Se quelle antiche spedizioni riuscirono nell'impresa... ebbene, deve esistere una possibilità di successo anche per noi!» L'antariano tacque, e poi aggiunse, come se un altro pensiero gli avesse attraversato la mente. «Non c'è bisogno che io vi dica quanto sia esile questa possibilità... ma credo valga la pena di tentare!» Gordon sentiva la mente vacillare, di fronte all'immensità dei concetti che gli erano stati esposti... ma non ebbe un momento di esitazione, nel dare la sua risposta. «Dobbiamo tentare! È la nostra unica speranza di salvezza... e non esiterò ad approfittarne!» «Posso avere anch'io il diritto di parlare, prima di prendere una decisione?» domandò Shorr Kan.
A una sola voce, Hull Burrel e Gordon risposero di no. Shorr Kan si strinse nelle spalle. Non pareva particolarmente spaventato. «Avrei voluto cercare di riportarvi alla ragione,» disse, filosoficamente. «Ma, in fondo, non ci sono altre alternative. Quindi, vedremo.» Gordon si rivolse all'antariano. «Pensate di poter abbandonare i comandi, per il tempo necessario a lanciare il segnale?» «Credo di sì. Non ci vorrà molto, perché l'onda raggiunga Fomalhaut... e cercherò di parlare in fretta.» «Quando sarete in contatto con Fomalhaut, dite tutto quello che sappiamo sulle intenzioni dei conti e sull'attacco imminente, ma non fate alcun cenno alla presenza di Shorr Kan con noi. La storia è ancora troppo incredibile per essere convincente, e temo che questo particolare renderebbe inaccettabile anche il resto. Penserebbero a un trucco... e poi, se riusciremo nella nostra impresa, qualcuno potrebbe preoccuparsi, e non mi piacerebbe venire disintegrato dai cannoni atomici di qualche incrociatore da guerra, non appena giunto nello spazio sovrano di Fomalhaut!» Hull annuì. «Avete ragione. E poiché voi avete influenza, presso la corte dì Fomalhaut, ritengo che, non essendo possibile ottenere il collegamento visivo, sia opportuno farci riconoscere in qualche modo. Non avete stabilito qualche segnale di riconoscimento... in modo che la principessa Lianna sia sicura che il messaggio proviene da voi?» Gordon rifletté su quelle parole. Alla fine, sorrise: «Dite che il messaggio viene dalla persona che un tempo ha chiamato il Ministro per gli Affari Non Umani del Regno di Fomalhaut, Sua eccellenza Korkhann, un pappagallo troppo cresciuto. Credo che Korkhann capirà tutto... perché sono sicuro che deve avere già fatto ritorno a Fomalhaut.» Il piccolo incrociatore siderale avanzò negli spazi infiniti, fino a quando non fu vicino alla regione nella quale si stendeva quella minacciosa scogliera che la mappa indicava con il colore del pericolo. Soltanto allora Hull Burrel andò nella cabina di trasmissione. Si udì il ronzio della trasmittente, che accumulava energia, e poi il messaggio venne lanciato, attraverso la distesa degli spazi siderali, per mettere in guardia Fomalhaut. Poco tempo dopo, Hull Burrel ritornò al posto di pilotaggio. Il suo volto era duro e deciso, nel momento in cui premette alcuni pulsanti, e spinse l'incrociatore verso le Scogliere delle Stelle Perdute.
Capitolo Diciannovesimo Le Scogliere delle Stelle Perdute Quella regione dello spazio pareva un incubo uscito dalla mente di un vecchio astronauta. A occhio nudo, le Scogliere delle Stelle Perdute sembravano soltanto una regione nella quale le stelle erano più dense... una regione attraverso la quale l'incrociatore volava con prudenza, attraverso la distesa dell'infinito. Ma in tutto l'incrociatore si udivano suonare campane e campanelli di allarme: perché il radar e gli altri strumenti di avvistamento erano più sensibili dell'occhio umano, e lanciavano il loro ammonimento continuo agli occupanti dell'astronave, perché intuivano con i loro occhi elettronici l'approssimarsi della catastrofe. I radar mostravano una regione nella quale i detriti di antichi soli sbriciolati, lunghi ovoidi spenti o morenti, ruotavano descrivendo orbite impossibili, formando incredibili gorghi di materia morta e morente, radunandosi in coni, nidi, banchise e scogliere. Attraverso l'oscurità dell'infinito, solenni processioni di polvere cosmica descrivevano spirali inquiete tra gli antichi tizzoni e le gigantesche stelle nere, polvere che un tempo aveva formato giganteschi pianeti, e che ora andava alla deriva nello spazio, subendo le capricciose influenze magnetiche che tracciavano migliaia di insidiose correnti capaci di afferrare un'astronave e stritolarla con la loro potenza. E in quella distesa apocalittica, i molti soli fiammeggianti che erano sopravvissuti all'antica collisione stellare rischiaravano lo spazio, circondati da bagliori fumiganti e gassosi, avvolti in aloni di gas ionizzati e di tempeste elettroniche dai molti colori... giganti immensi, alcuni poderosi come i più splendidi soli della Via Lattea, soli che non avevano corti di pianeti, ma intorno ai quali gravitavano altre fornaci atomiche, i frammenti ancora attivi di stelle non ancora spente. Verdi chiarori e folgori violette parevano attraversare lo spazio, intorno all'incrociatore, dando all'intera scena un aspetto fantasmagorico, demoniaco... e John Gordon sapeva bene che quegli inesplicabili bagliori che attraversavano il vuoto erano simboli di paurose tempeste di energia, energia così potente che le armi più progredite della Via Lattea sarebbero state impotenti, di fronte a essa. Un immenso sole arancione parve gonfiarsi nell'infinito, vicino a loro... ed essi videro che paurose esplosioni di energia
scuotevano la superficie ribollente dell'astro, dal quale venivano proiettate nello spazio masse fiammeggianti, in una perenne, disordinata genesi! La vibrazione che scuoteva l'incrociatore era costante, e i continui sobbalzi indicavano la tremenda tensione alla quale venivano sottoposti i generatori, per attraversare quella distesa di pericolo. I campanelli d'allarme continuarono a suonare, fino a quando Hull Burrel non abbassò una leva, con una mossa rabbiosa, e allora ci fu silenzio... un silenzio nel quale l'urlo dei generatori parve raggiungere un parossismo di disperazione, mentre il volto color mattone dell'antariano pareva una maschera di pietra, nel bagliore che attraversava lo spazio davanti a lui. Si udiva il ticchettare convulso del calcolatore elettronico, che raccoglieva i dati trasmessi dai radar e dagli altri apparecchi di avvistamento, e li trasformava in dati comprensibili. Hull Burrel osservava, ansioso, gli schermi radar, e il quadrante sul quale apparivano i dati trasmessi dal calcolatore. A intervalli spesso brevissimi, le sue mani si muovevano fulminee sui comandi, per correggere la rotta, per alimentare i generatori, in una disperata lotta contro la forza cosmica che voleva impadronirsi dell'incrociatore come se fosse stato un fuscello, e offrirlo in olocausto a uno dei tanti giganti che roteavano solenni nella distesa siderale. Per qualche tempo, Gordon e Shorr Kan rimasero in piedi, alle spalle del capitano di Antares, a fissare la grande vetrata di osservazione e gli schermi, che parevano impazziti, in un continuo succedersi di luci e di allarmi che soltanto gli occhi esperti di Burrel erano in grado di comprendere. Lo schermo centrale, sul quale era riprodotto lo spazio circostante in una prospettiva diversa da quella della vetrata principale, mostrava soltanto lo sfolgorare dei soli in mezzo ai quali essi procedevano, apparentemente con estrema lentezza. Lo schermo radar era tutto un lampeggiare verdastro, e a un tratto anche l'allarme degli schermi repulsivi si fece udire, imperioso. «Ho attraversato la Nebuolsa di Orione, una volta, ma era un paradiso, in confronto a questo viaggio!» esclamò Gordon. «Abbiamo qualche possibilità di sopravvivere?» «Forse!» rispose Hull. «Se non incontriamo qualcosa di troppo complesso per i radar, e se io me ne accorgerò in tempo. Presto... indossate le tute spaziali. Portatene una anche per me. Potremmo essere colpiti da un momento all'altro!» Portarono le tute spaziali, e per un momento Gordon pensò ai prigionieri che avevano rinchiuso nelle varie cabine. Se fosse accaduto qualcosa, per loro sarebbe finita... ma non c'era tempo per questi scrupoli!
«Guardate!» esclamò Gordon, sgomento. Sulla vetrata che non era di vetro, era apparso, all'improvviso, un disco bianco e abbagliante. Come un fiore sbocciato dall'immensità dello spazio, esso fiammeggiava, diritto davanti a loro, e intorno a esso gravitava una corona di fiamme multicolori... Gordon chiuse gli occhi. Quando li riaprì, vide di nuovo lo spazio, davanti all'incrociatore... uno spazio che pareva ingannevolmente libero, ma che in realtà nascondeva centinaia di pericoli insondabili! «Che cosa era?» domandò, ansando. «Un piccolo errore di calcolo,» spiegò Burrel, senza voltarsi. «Forse non vi rendete conto della velocità di questo incrociatore, Gordon... e del movimento dei detriti che formano questa regione. Spero che i generatori resistano alla tensione alla quale li sottopongo!» «Possiamo fare qualcosa?» domandò Gordon, stringendo i pugni. «Forse... dovremmo scendere in sala macchine, per cercare di fare qualcosa di utile?» «Non c'è niente da fare!» esclamò Burrel, muovendo rapidamente i comandi, mentre l'incrociatore veniva scosso da un lungo sussulto. «Né voi né Shorr Kan siete in grado di svolgere quel lavoro... e dobbiamo sperare nella fortuna. Ma vi dirò in qual modo potrete migliorare le nostre possibilità di successo del cento per cento!» «Come?» domandò Gordon. «Lasciandomi pilotare in pace l'incrociatore!» tuonò Hull, senza voltarsi. «Andate là dietro, sedetevi, fate quello che volete... sto già facendo l'impossibile, e se continuate a parlare, il nostro suicido sarà ancora più sicuro di quanto non lo sia ora!» Per un momento, Gordon esitò. «Ha. ragione!» disse Shorr Kan, e indicò, con un cenno, la paurosa discesa dello spazio. «Né io né voi possiamo fare qualcosa per aiutare il capitano Burrel, Gordon... perciò, lasciamolo stare. Venite.» Si ritirarono in fondo al ponte di comando. «Un momento!» disse Shorr Kan. «Qualcosa possiamo fare, nel frattempo... aspettatemi qui!» Scese dalla scaletta, e sparì, dirigendosi a poppa. Gordon sedette, stancamente, su una delle poltrone metalliche che si trovavano in fondo al ponte di comando... e che erano destinate agli ospiti illustri, a quei potenti dignitari che spesso andavano sul ponte di comando di un incrociatore a disturbare il lavoro del comandante e del pilota, senza che nessuno potesse allontanarli. In fondo, pensò Gordon, certe cose erano rimaste uguali, at-
traverso il tempo... evidentemente l'essere umano seguiva certe leggi inevitabili, malgrado le meraviglie della scienza. Hull aveva detto loro che il radar non aveva mostrato alcun segno d'inseguimento... e aveva spiegato che, nel momento stesso in cui i Conti delle Frontiere avevano visto l'incrociatore addentrarsi nelle Scogliere delle Stelle Perdute, ogni idea di ritrovare i fuggiaschi doveva essere scomparsa, perché la loro sorte, secondo i conti, doveva essere segnata... e, aveva aggiunto Burrel, nulla indicava che i Conti delle Frontiere avessero fatto un ragionamento sbagliato. Shorr Kan ritornò sul ponte, portando con sé un paio di contenitori di plastica, colmi di un liquido chiaro, stranamente simile al latte. Osservò Gordon, rivolgendogli un sorriso ironico. «Ero sicuro che Obd Doll doveva avere qualcosa di simile, nella stiva. Vedete, a differenza dei miei ex sudditi dei Mondi Oscuri, i Conti delle Frontiere sono degli incalliti bevitori... e per loro, bere e banchettare sono tra le più grandi virtù. Dopo tanti anni di vita dura e spartana a Thallarna, potrete capire per quale motivo, all'inizio, il cambiamento non mi fosse dispiaciuto... ecco, prendete questo.» Gordon prese il contenitore, ma non lo toccò. Fissò il volto ironico di Shorr Kan, sorpreso. «Era questa, dunque, la vostra idea? Bere del liquore? In un momento simile?» Gli pareva che l'intero universo fosse impazzito... a cominciare da lui. «Ma in qualsiasi momento, potremmo...» Shorr Kan sedette, tranquillamente, con la solita, incrollabile sicurezza. «Ecco qual è l'errore nel quale anche gli uomini più valorosi cadono frequentemente... il desiderio di agire, anche a sproposito, per non rimanere con le mani in mano in un momento di emergenza. Sareste sorpreso, se vi dicessi in quante circostanze questo desiderio ha portato a risultati catastrofici.» Scosse il capo. «Anche il più coraggioso degli uomini deve rendersi conto del momento in cui la cosa migliore da fare è quella di non fare niente, e lasciare la situazione in mano a persone più qualificate di lui. Così, ho pensato che, non avendo niente da fare, e trovandoci in una situazione così insolita, la cosa migliore per noi sarebbe stata quella di assaggiare il liquore che i Conti delle Frontiere apprezzano tanto. Riuscite a pensare a un momento più appropriato, per rincuorare lo spirito con un po' di liquore?» Gordon tentò di protestare... e poi tacque. Forse Shorr Kan aveva ragione, dopotutto. Si sentiva pervaso dal desiderio di fare qualcosa, e certa-
mente avrebbe dato fastidio a Hull, e forse avrebbe messo a repentaglio la loro vita, se avesse lasciato libero di sfogarsi quel suo desiderio. Ebbene, all'inferno! pensò, accostando il contenitore alle labbra. Se è questa l'unica cosa che posso fare, la farò... e mi auguro che Hull Burrel sappia quello che fa! Il liquore pareva stranamente delicato, aveva un leggero sapore di latte... ma quando arrivò nello stomaco, esplose come un fiore di fuoco, e il calore piacevole e rassicurante che si propagò a tutto il corpo di Gordon fece diminuire, stranamente, la sua angoscia. Sentì la testa leggera, e uno strano senso di sicurezza si impadronì di lui. «È assai meglio di quello che dovevamo bere nei Mondi Oscuri!» esclamò Shorr Kan. «Non sarà come il saqua che si beve alla corte di Throon... ne ho molto sentito parlare, Gordon... ma è un passo avanti, rispetto al passato.» «Sì, ricordo,» annui Gordon. «Quando Lianna e io eravamo vostri prigionieri, a Thallarna... e sembra che siano passati secoli da quel momento!... voi ci diceste che avreste voluto offrirci qualcosa da bere, ma che non avevate il coraggio di tenere del liquore a portata di mano, perché se la cosa fosse stata risaputa avrebbe rovinato l'immagine che i vostri sudditi si èrano fatta di voi... un rigido e inflessibile patriota, senza alcun vizio!» Shorr Kan sorrise. «E mi è servita a molto, alla fine, quella vita di sacrifici!» Guardò Gordon, e i suoi occhi neri scintillavano di qualcosa che era molto simile all'ammirazione. «Avevo in pugno l'intera galassia, e poi siete arrivato voi. Perdio, devo ammetterlo... non credo che ci sia mai stato un guastafeste più grande, in tutta la storia!» Gordon trasalì, e versò un poco di liquore. Si volse a osservare gli schermi... e vide che nulla era cambiato, apparentemente. Ma c'era un nuovo rumore! Al di sopra della vibrazione dei generatori, che pervadeva l'intero scafo, si udiva ora uno stridore continuo, metallico... uno stridore che veniva dalle fiancate dell'incrociatore, e che pareva opera di un costante bombardamento. «Calmatevi, Gordon!» esclamò seccamente Shorr Kan. «Si tratta soltanto di micrometeoriti, particelle di materia che, probabilmente, non sono più grandi di un atomo. Lo scafo dell'incrociatore può reggere a pressioni ben più potenti! Non c'è bisogno di essere così in ansia.» I suoi occhi neri studiarono per qualche istante Gordon. «Sapete... ora che ci penso, mi rendo conto che, malgrado tutte le cose prodigiose che avete fatto, il sentimento
che ha dominato le vostre azioni è stato sempre l'angoscia. Non sbaglio, vero?» Ora Shorr Kan lo giudicava! Gordon si sentì avvampare. Rispose, a denti stretti: «Mi sembra una reazione naturale... quando si è costantemente in pericolo di vita! Non siete d'accordo, forse?» Shorr Kan gli rivolse un breve sguardo interrogativo. «D'accordo? Ebbene, no, certamente!» disse. «Guardate me... io sono in pericolo quanto voi. Anzi, il pericolo, nel mio caso, è ancora più grande... perché se usciremo mai dalle Scogliere delle Stelle Perdute, ci saranno altri guai ad attendermi. Sono molti, nell'Impero Centrale della Via Lattea, che aspettano solo di apprendere la notizia della mia esistenza per riprendere l'antica usanza d'impiccare i nemici sconfitti, un'usanza che io ho sempre considerato barbara e di pessimo gusto! Io sono stato a un passo dal conquistare un impero... ed eccomi qui, mentre fuggo di nuovo per salvare la vita, per la seconda volta... minacciato da quella massa d'imbecilli dei Conti delle Frontiere, quando un tempo la mia parola aveva potere di vita e di morte nella Lega dei Mondi Oscuri! Le fortune degli uomini sono mutevoli, Gordon... ma credete che io abbia paura? Credete che io mi lasci dominare dall'angoscia? Neppure un poco! Se Shorr Kan deve uscire dalla scena, lo farà a testa alta... se proprio sarà impossibile evitarlo!» Sollevò il contenitore, con un gesto teatrale e solenne, ma i suoi occhi neri avevano un'espressione ironica. Gordon scosse il capo. Era molto difficile discutere con Shorr Kan, perché quell'uomo geniale aveva il potere di ridurlo al silenzio! «E così, bevete anche voi, e siate di buon animo!» esclamò Shorr Kan. «Riusciremo ad attraversare questa giungla cosmica, voi sarete sano e salvo, e quando saremo giunti a Fomalhaut, voi farete in modo che io abbia salva la vita... almeno lo spero!» I campanelli di allarme scelsero quel momento per suonare di nuovo... Gordon ne avvertì l'eco cavernosa, in tutto l'incrociatore. Molte luci si accendevano sul quadro di comando, e il ticchettio del calcolatore elettronico pareva un concerto di morte. Lo schermo del radar era un unico chiarore verdastro, e il crepitio metallico che pareva giungere dallo scafo aveva il suono di una violenta grandinata. E lui sapeva bene che lo scafo non avrebbe dovuto trasmettere alcun suono! Guardò la figura gigantesca di Hull Burrel, curva sui comandi, e gli parve che l'antariano avesse le spalle curve e il capo chino, come se avesse perduto ogni speranza. Ma non era
possibile! La fine non poteva essere così vicina... così inevitabile! Eppure tutto, in quel suo ritorno alle stelle, era stato malinconico e oscuro. Tutto era stato diverso dai suoi sogni e dalle sue speranze. Perché dunque lui avrebbe dovuto evitare una fine di quel genere? Frettolosamente, distolse lo sguardo dalla figura dell'antariano. Non voleva pensare a quelle cose... in quel momento. Preferiva pensare a Lianna. Era strano... ma ora che tutto si faceva irreale, per lui, nella lenta frenesia di terrore portata dall'approssimarsi della fine, i contorni della giovane donna apparivano più vicini, più concreti, di qualsiasi altra cosa, in tutto l'universo. Ed era strano, perché, anche se fosse riuscito a sopravvivere a quell'avventura, lei sarebbe stata perduta, per lui. Perché entrambi rappresentavano due mondi, ed era difficile avvicinare ciò che era separato da abissi insondabili del tempo e dello spazio. Lui non aveva capito... e forse neppure lei aveva capito. Non aveva conservato neppure quell'ultima illusione... eppure sentiva di amarla ancora, forse in maniera diversa, forse in maniera più profonda. Perché ora capiva il peso che gravava sulle sue spalle... ora capiva quanto le era stato difficile rinunciare per tanto tempo ai suoi doveri regali, per attendere lui, sulla Terra. Ogni gesto di Lianna, ogni suo atto, avevano il potere di decidere la sorte dei mondi del regno di Fomalhaut... e in quell'universo futuro la catastrofe e la guerra non potevano essere limitate. Era un compito immenso, e lui non aveva compreso, neppure dopo avere avvertito il peso ben più grande del potere imperiale. Perché Shorr Kan aveva ragione. Lui aveva provato un senso di angoscia... ed era stato quello a renderlo così distante dalla realtà. Pensò a Lianna... e provò un senso di felicità, malgrado il terrore di quel momento. Perché comprendeva, adesso, quello che lei aveva fatto... e comprendendolo, la felicità scomparve, e si trasformò in un senso di cupa malinconia. Fu la voce di Shorr Kan... la voce sicura, quasi allegra, di quell'uomo che non era cambiato anche se tutto l'universo era cambiato... a riscuoterlo da quei cupi pensieri. «Sapete? È da molto tempo che ci penso, Gordon, e credo che la mia idea sia giusta,» disse Shorr Kan. «Io penso che voi siate il granello di sabbia nella macchina perfetta, Gordon. Pensateci... prendete qualcuno, strappatelo dal suo tempo, dal mondo al quale appartiene, e scagliatelo nel futuro remoto, in un tempo che egli non dovrebbe mai conoscere, e nel quale non ha alcun posto, né, forse, diritto di esistere. Un evento simile può sconvolgere ogni cosa... ne sono certo. Perché il vostro arrivo ha cambiato
la sorte della galassia, fin dal primo momento.» Gordon disse, seccamente: «Volete dire che il mio arrivo ha sconvolto tutti i progetti di un certo Shorr Kan... o sbaglio?» «Può darsi,» rispose Shorr Kan, con un breve cenno del capo. «Sì, può darsi che abbiate ragione. Eppure voi stesso ve ne rendete conto, Gordon... queste cose non mi sfuggono. Voi avete paura che quanto io dico sia vero... ed è soprattutto questo che vi riempie d'angoscia, che vi impedisce di riflettere chiaramente, di scoprire in voi stesso ciò che realmente desiderate. Perché voi non sapete quello che volete, Gordon. Sono sicuro che nel vostro tempo remoto bruciavate di desiderio, per raggiungere di nuovo i regni siderali, e ora che siete qui, ho visto a volte la nostalgia della vostra vita di prima nei vostri occhi. Eppure, presto o tardi, dovrete prendere una decisione. Io non rimpiango il passato, anche se avrei buoni motivi per farlo... e non vi serbo rancore, per avere distrutto i miei piani. Perché io penso al presente, e faccio progetti per il futuro, dato che la vita continua, e se vi abbandonate ai ricordi avrete finito di galleggiare sul fiume del tempo, e andrete a fondo, e nessuno verrà a ripescarvi. «Eppure, a volte... ditemi, Gordon, come diavolo era il passato... il tempo dal quale siete giunto? Ve l'ho già chiesto altre volte, ma ora so che mi avevate mentito, e come posso credere a quanto mi avete detto?» Lentamente, Gordon sollevò il capo, e guardò negli occhi Shorr Kan. In quegli occhi neri lesse una curiosità sincera, e uno strano, fuggevole qualcosa... e gli parve, a un tratto, che dietro al cinismo e alla freddezza di quello straordinario avventuriero, ci fosse un poco di quell'irrequietezza che aveva pervaso il suo stesso spirito... e rispose, senza scegliere le parole, con estrema semplicità. «Non vi ho mentito allora, né vi mentirò adesso,» disse. «Il passato e questo mondo del futuro... ormai si confondono, nella mia mente, e a volte non riesco a distinguerne i contorni.» Bevve un sorso di liquore bianco, e sorrise, un breve sorriso senza allegria. «Una cosa la ricordo bene, Shorr... una delle poche che rimangono impresse nella mia mente. Ricordo che conducevo una vita normale, per quel tempo... un tempo nel quale c'erano uomini ricchi e uomini poveri, avventurieri e potenti, servi e padroni, idealisti e opportunisti, proprio come adesso... e un giorno mi dissero che il mio paese era in guerra, e mi fecero salire su un bombardiere, e mi mandarono per lunghi mesi a volare sui territori del nemico, dove avevo l'ordine di uccidere e difendermi e distruggere, per vincere delle battaglie. E poi
venne la pace, e mi ringraziarono, e mi dissero che era tutto finito, e che dovevo ricominciare la mia vita di prima... come se nulla fosse accaduto. Sì, questo lo ricordo bene. «E poi, ricordo altrettanto bene un uomo. Si chiamava Keogh, e mi diceva che questo universo futuro, nel quale io ero stato, era soltanto un sogno. Mi disse che in realtà io odiavo, semplicemente, la Terra com'era, e così la mia fantasia aveva creato un fastoso arabesco fatto di regni siderali e di grandi guerre che infuriavano, coinvolgendo soli e pianeti. Naturalmente, nel mio tempo non avevamo niente di simile al volo spaziale... solo pochi, timidi passi oltre l'atmosfera... e così i miei sogni dovevano essere parsi folli e incredibili, a quell'uomo.» Shorr Kan annuì, lentamente. «Penso di capire. Noi abbiamo un nome, per definire gli uomini come il vostro Keogh... diciamo che vivono 'in grembo al pianeta'. Ce ne sono molti di più di quanto possiate immaginare, perfino in questa nostra epoca di regni siderali e di grandi astronavi e di poderose flotte galattiche... uomini e donne che rimangono aggrappati al cordone ombelicale del loro pianeta-madre, pieni di terrore, al pensiero di abbandonarlo, perché le cose che potrebbero scoprire qua fuori, tra le stelle, forse sarebbero spaventose e avrebbero il potere di sconvolgerli.» Gordon lanciò di nuovo un'occhiata a prua. «In questo preciso momento,» disse, con cupo sarcasmo, «Non sono così sicuro che coloro che la pensano così siano così spaventosamente in errore!» Shorr Kan rise. «Così mi piacete, Gordon!» disse. «Se riuscirete a considerare un certo lato umoristico della situazione, presto avrete la risposta a tutti i vostri problemi. Eppure, confesso che il vostro remoto passato mi incuriosisce ancora... e continuo a pensare di essere nato fuori del mio tempo, anche se non so proprio in quale tempo avrei dovuto nascere!» Il guaio è, pensò Gordon, cupamente. Che neppure io sono ancora riuscito a scoprirlo! Ed egli tremò... perché, davanti alla figura curva e intenta di Hull Burrel, la scena inquadrata dall'ampia vetrata era gradualmente cambiata! I punti fiammeggianti dei soli che ardevano nell'immensità vellutata dello spazio parevano assai più vicini tra loro, adesso! Sembrava che l'incrociatore si stesse avvicinando a un bastione di stelle... un poderoso scudo fiammeggiante innalzato da invisibili guerrieri nel cosmo, per sbarrare
l'accesso a qualche loro oscura dimora! Certamente, Burrel non intendeva dirigersi verso quello spaventoso contrafforte. Avrebbe cambiato rotta, tra poco… Ma il tempo continuava a passare, e Burrel non cambiava rotta. Gordon bevve qualche altro sorso del liquore bianco. Il possente, maestoso bastione di soli parve più vicino, e Hull si mantenne sulla stessa rotta. Gordon provò sempre più intenso il desiderio di alzarsi, di avvertire l'antariano, di dirgli di cambiare rotta, perché quello scudo fiammeggiante che si ergeva nel cielo sarebbe stato certamente fatale, per loro... ma riuscì a dominare questo impulso. Perché lui non sapeva nulla delle rotte siderali, né aveva idea di come si pilotasse un incrociatore... ed essi avevano deciso di affidare la loro vita, e l'incrociatore, alle mani sicure di Burrel, e adesso era inutile pentirsi della decisione, perché non c'era più niente da fare! Apparentemente, Shorr Kan lesse sul volto di Gordon questi sentimenti. Gli sorrise, e disse: «Tra quei soli le correnti di detriti cosmici sono meno dense. La massa di quelle stelle attira i corpi celesti minori, con una forza irresistibile, e così ci sono minori possibilità di una collisione. Certo, non sarà facile sottrarsi alla poderosa attrazione di quegli astri... ma il capitano Burrel tenta l'ultima carta, per attraversare le Scogliere delle Stelle Perdute!» «Vi ringrazio per il tentativo di rassicurare un novizio nervoso,» disse Gordon. «Non vi facevo così altruista.» Shorr Kan sorrise, ironicamente: «Io sono un uomo molto comprensivo, quando non c'è nulla da perdere a esserlo. Bevete un altro sorso di liquore.» Rimasero seduti, e bevvero il liquore latteo delle Frontiere, e Gordon tentò di non guardare più l'ampia vetrata e gli schermi, né di ascoltare il frenetico ticchettio del calcolatore elettronico. Il tempo pareva scorrere lentissimo, estendersi per tutto l'infinito, e fu quasi con incredulità che, più tardi, Gordon sollevò il capo, e vide apparire davanti a sé la limpida, chiara distesa dello spazio siderale, e le familiari costellazioni dei mondi centrali della Via Lattea. Erano usciti dall'ammasso stellare! Si trovavano negli spazi chiari e liberi, nella limpida volta costellata di astri ardenti che Gordon conosceva ormai così bene! La mano enorme di Hull Burrel abbassò le leve che permettevano l'inserimento del pilota automatico. Il gigantesco antariano si voltò verso di loro, e per la prima volta, dall'inizio di quel folle, disperato volo, essi videro
la sua espressione. Il volto color mattone di Burrel aveva un'espressione selvaggia, esultante, e quando parlò, dalle sue labbra uscì un grido di trionfo: «Perdio, ce l'ho fatta! Ho attraversato le Scogliere!» E poi, guardandoli, egli cambiò espressione... perché alla vista dei due compagni che sedevano, con i contenitori semivuoti in mano, il volto rude e semplice dell'antariano diventò cupo e incredulo. Bastarono due passi, ed egli fu dì fronte a loro, dominandoli con la sua gigantesca statura. «Che io sia dannato per l'eternità!» gridò. «Mentre io tentavo l'impossibile, voi eravate qui, a bere come spugne!» Shorr Kan gli disse, con calma: «Ci avevate chiesto di non disturbarvi durante il volo; non abbiamo forse obbedito?» Il volto color mattone di Burrel diventò paonazzo. Sollevò un poco le braccia, come se avesse voluto colpirli, e poi, improvvisamente, scoppiò in una fragorosa risata. «Ah, per tutte le stelle!» esclamò. «Adesso posso dire veramente di avere visto tutto! Avanti, procuratemi un po' di quel liquore! Se c'è qualcuno in tutta la Via Lattea che ne ha bisogno, in questo momento... quello sono io!» Erano usciti dalle Frontiere degli Spazi Ignoti... e la purissima fiamma bianca di Fomalhaut ardeva come un faro nell'infinito davanti a loro. Diverse ore dopo, Hull Burrel ritornò sul ponte. Il capitano di Antares aveva riposato a lungo, perché la terribile tensione del volo lo aveva sfinito. Shorr Kan era rimasto a controllare il pilota automatico... mentre Gordon aveva trascorso ore di apprensione e di angoscia, pensando a quello che avrebbe trovato alla corte di Lianna. Quando l'antariano guardò Gordon e Shorr Kan, scoppiò di nuovo in una risata fragorosa. Egli appariva di ottimo umore... e nei suoi occhi esultanti c'era la luce di trionfo di chi sa di avere compiuto l'impossibile. «Ho attraversato le Scogliere delle Stelle Perdute, solo ai comandi, con due passeggeri alle mie spalle che scolavano interi contenitori di liquore!» disse. «No, nessuno potrà mai crederci!» Ritornò serio, e guardò la mappa siderale. «Ho comunicato per telestereo con Fomalhaut,» annunciò. «L'intera flotta reale è in stato di allarme. Noi dobbiamo atterrare all'astroporto reale di Hathyr.» «Qualche messaggio per me, personalmente?» domandò Gordon, ansio-
so. L'antariano scosse il capo. Così Lianna non aveva nulla da dirgli... e cos'altro avrebbe potuto chiedere, lui? La principessa non lo aveva perdonato. Conosceva bene l'orgoglio di quella figlia di sovrani siderali... e lui aveva sbagliato. Il volo attraverso le Scogliere delle Stelle Perdute aveva avuto un effetto profondo, su di lui... e ora si sentiva diverso, diverso dall'uomo che era giunto nel laboratorio tra le alte cime dell'Himalaya, diverso perfino dall'uomo incerto e astioso che non aveva saputo aspettare, neppure per un momento, che Lianna prendesse una decisione. Korkhann aveva detto bene... lui aveva avuto nostalgia del passato, nostalgia del potere che aveva raggiunto un giorno. E ora si rendeva conto del vuoto che quel potere lasciava... perché gli onori che gli erano stati tributati a Throon erano stati sinceri, forse, ma non gli avevano dato alcuna gioia. Era stato Shorr Kan, forse, a fargli comprendere certe cose. Quell'avventuriero inquieto, quell'uomo che era stato grande, e lo sarebbe ritornato, se ne avesse avuto il tempo, era in fondo l'unica figura realmente uguale e immutabile, in quell'universo futuro... e c'era molto di vero, nelle cose che egli diceva! Sul radar apparvero delle immagini... segnali che indicavano la presenza di astronavi, che si allontanavano da Fomalhaut, in una perfetta formazione difensiva. «È una magnifica flotta,» borbottò Hull. «I soldati di Fomalhaut sono valorosi e capaci, e hanno dimostrato il loro valore in quella terribile battaglia al largo di Deneb. Sì, i combattenti di questo regno hanno impartito una lezione di eroismo e di fedeltà a tutta la galassia, e quegli incrociatori sono autentiche macchine di morte... ma spesso il valore non può compensare il numero. Vedete, Gordon? Non è una flotta potente. Poche astronavi, per sbarrare il passo alle armate dei Conti delle Frontiere. L'attacco spazzerà via ogni tentativo di difesa, anche se sono certo che molti degli incrociatori dei conti cadranno nella battaglia!» Fomalhaut era un meraviglioso diamante che fiammeggiava negli spazi cosmici, e l'incrociatore calò verso di esso. Ben presto, sugli schermi apparve il pianeta più grande di quel sistema solare, la cui superficie parve salire incontro a loro, rivelando la sua bellezza. Presto videro le fiabesche torri della Città di Hathyr, la capitale del regno, torri di marmo che riflettevano i bianchi raggi di Fomalhaut, stupende torri che s'innalzavano dal verdeggiare dei giardini e dei pergolati e dall'occhieggiare dei molti laghi di smeraldo. Gordon osservò, con ansia e ammirazione, lo spettacolo
splendido che la più grande città del regno di Fomalhaut offriva ai viaggiatori delle stelle... le splendide torri erano assai distanziate, tra loro, e l'insieme dava l'impressione di bellezza e di libertà, assai lontano dal concetto di metropoli che gli uomini della Terra avevano avuto, nel lontano passato. La Città di Hathyr era diversa da Throon, come una villa tra gli alberi è diversa da un palazzo di città, eppure aveva una bellezza che stringeva il cuore, e il bianco disco di Fomalhaut che dominava le lontane montagne immergeva il paesaggio in una magica atmosfera. E tutto questo, pensò Gordon, presto sarebbe stato sconvolto dagli orrori di una insensata guerra di conquista! Provò il desiderio di piangere, al pensiero che lui aveva forse rinunciato per sempre a quella quieta bellezza, che rifletteva la bellezza e l'orgoglio di Lianna! Videro apparire, finalmente, la gigantesca massa esagonale del palazzo reale, e Hull fece scendere l'incrociatore verso il piccolo astroporto reale, che si trovava dietro il palazzo. E finalmente, l'incrociatore si posò nella profonda banchina dell'astroporto, ed essi raggiunsero il portello. A Gordon parve strano uscire da quell'astronave, e respirare di nuova l'aria pura e profumata di un mondo conosciuto... non riusciva quasi a credere di poter osservare lo splendore di un sole nell'atmosfera, senza vederlo come una massa fiammeggiante e minacciosa attraverso gli schermi di un ponte di comando! C'era un plotone di soldati, che indossavano le uniformi della Guardia Reale dì Fomalhaut, schierato davanti al portello. Essi si misero sull'attenti, e presentarono le armi, e un giovane tenente fece due passi avanti, e salutò militarmente Gordon. «Siamo stati informati del vostro arrivo, signore, e abbiamo l'ordine di scortarvi immediatamente al palazzo.» «Ci sono dei prigionieri, a bordo di questo incrociatore!» disse subito Gordon. «Il Conte delle Frontiere Obd Doll, e i suoi soldati. Vi consiglio di prenderli subito in consegna, e di rinchiuderli nelle prigioni più sicure... sono nemici di Fomalhaut e della principessa Lianna, e sono pericolosi.» «Sarà fatto.» Il tenente si volse, e impartì degli ordini. Numerosi soldati avanzarono, e salirono a bordo dell'incrociatore siderale, per prendere in consegna Obd Doll e il suo equipaggio. Il tenente lanciò un'occhiata incuriosita a Shorr Kan, che era sceso insieme a Burrel, e parve incerto. Evidentemente, quell'uomo gli ricordava qualcuno... e Gordon rise, tra sé, pensando che il tenente non poteva sapere la verità! Perché i lineamenti di colui che era stato il peggiore nemico della
Via Lattea erano impressi nella mente di ognuno... ma nessuno dubitava della morte del dittatore dei Mondi Oscuri, ed era chiaro che il giovane tenente non riusciva a comprendere perché quel volto altero gli ricordasse così intensamente qualcosa, o qualcuno... Si misero in cammino, preceduti dai soldati. Percorsero il lungo viale, dai cui lati gli antichi sovrani di Fomalhaut fissarono di nuovo, con i loro severi volti di pietra, lo straniero venuto da un passato ancora più remoto... ma Gordon provò il desiderio di sostenere quello sguardo, di lanciare una sfida a quegli antichi monarchi orgogliosi, e per la prima volta non si sentì intimidito o schiacciato dalla loro presenza. Ho compiuto un lungo viaggio, è vero! pensò. Ma ora conosco qual è il mio posto... e così il vostro disprezzo è inutile. Volevo essere grande come voi, e ho scoperto di essere più piccolo ancora di quanto avessi creduto... e cosi, a che cosa serve la vostra arroganza? Cercate qualcuno che possa rispondere alla vostra sfida. Io ho commesso troppi errori, per esserne degno. Ma Shorr Kan avanzava con un incedere maestoso, e con un sorriso di approvazione sul volto, come se fosse stato un potente monarca delle stelle, giunto a visitare un piccolo regno accogliente. Malgrado la disperazione che lo pervadeva, Gordon aveva conservato una debole scintilla di speranza. Non aveva saputo riconoscere quella scintilla, fino al momento in cui essa non si spense... ma se ne accorse, amaramente, quando i tre vennero infine introdotti in uno studio semplice e disadorno, nel quale Lianna e Korkhann li aspettavano. Ella era bellissima, ancora più bella di come Gordon l'aveva ricordata nelle lunghe ore del viaggio attraverso le Scogliere, e il suo volto pallido era gelido e duro come il marmo, quando lo fissò. «Capitano Burrel!» disse lei, in tono gelido, fissando l'antariano che era entrato accanto a Gordon. «È molto tempo che non avevamo vostre notizie... ma non dovete pensare che la mia riconoscenza per quanto avete fatto un tempo sia...» Gordon avrebbe voluto dire qualcosa, spezzare quella parete di indifferenza e di regale disprezzo con cui veniva accolto, ma in quel momento la voce di Lianna si spezzò... perché lei aveva guardato alle spalle di Gordon e Burrel, e i suoi occhi grigi si erano spalancati, in un'espressione di stupore e di orrore. «Shorr Kan!» esclamò... e in quel momento, Gordon l'ammirò, perché lei pronunciò solo quelle parole, in un tono che riusciva a essere ancora
controllato... mentre la sorpresa, certamente, avrebbe fatto perdere il controllo anche al più forte dei sovrani delle stelle. Ma Shorr Kan fece un passo avanti, s'inchinò profondamente, con la disinvoltura e la sicurezza di chi è perfettamente padrone della situazione. «Sono felice di rivedervi, altezza!» disse. «Ho sempre avuto una profonda ammirazione per voi, e non speravo certo che il destino fosse così benevolo da permettermi di rivedervi! È vero, in passato ci sono stati alcuni piccoli malintesi e screzi, tra di noi, ma queste cose appartengono al passato, e posso assicurarvi che per me sono tutte cose dimenticate.» Lianna continuò a fissarlo, immobile, completamente paralizzata dalla sorpresa. In quel momento, Gordon provò, suo malgrado, una sconfinata ammirazione per colui che era stato il padrone dei Mondi Oscuri. Perché nessuno, in tutto l'universo, avrebbe potuto avere l'audacia di quell'uomo incredibile! Radunare le possenti armate della Lega dei Mondi Oscuri, scatenare l'attacco contro l'Impero e i regni alleati, sconvolgere l'intera galassia con un crescendo d'intrighi, di tradimenti e di morte, causando il più spaventoso conflitto della storia dei regni siderali... e ora presentarsi a colei che aveva più direttamente vissuto quei momenti terribili, liquidando l'intera faccenda in tono leggero, parlando di piccoli malintesi e screzi! «Ascoltatemi, Lianna!» Gordon fece un passo avanti, e parlò, frettolosamente. «Capisco che tutto questo potrà sembrarvi incredibile, ma è vero! Devo dirvi che Shorr Kan... il quale, come potete vedere con i vostri occhi, non è morto a Thallarna, ma è riuscito a fuggire nelle Frontiere, con un abile stratagemma... è l'uomo che ci ha soccorsi in una situazione disperata, e senza il quale sarebbe stato impossibile scoprire i piani dei Conti delle Frontiere e dei loro alleati, le creature delle Nubi di Magellano! Senza il suo aiuto, non sarebbe stato possibile avvertirvi dell'imminente attacco dei Conti e delle loro orde non umane... e può darsi che l'operato di Shorr Kan possa salvare da un destino spaventoso l'intera Via Lattea.» Guardò negli occhi Lianna, e aggiunse, con veemenza. «Voi sapete che io stesso ho sofferto molto, a causa di quest'uomo, perché siete stata testimone degli avvenimenti di quel tempo... ma credo anche che, di fronte a un pericolo più grande, queste cose debbano passare in secondo piano. Ho dato la mia parola d'onore a Shorr Kan, in cambio del suo aiuto, e gli ho promesso che avrebbe avuto asilo sicuro alla corte del Regno di Fomalhaut!» Gli occhi grigi di Lianna lo fissarono, occhi imperscrutabili come le distese degli spazi. Poi lei disse, con una voce che non tradiva alcuna emozione:
«In questo caso...» Vide che Lianna faceva uno sforzo, per proseguire, ma la voce della principessa non tremò; quando pronunciò le parole che seguirono, «In questo caso, Shorr Kan, siate il benvenuto, come nostro ospite. Non avete nulla da temere, qui.» «Ah, capisco... in fondo, si tratta di ricambiare l'ospitalità,» disse Shorr Kan. «Non è passato molto tempo dalla fortunata circostanza in cui ebbi l'onore di avervi come mia gradita ospite a Thallarna, altezza!» Questo accenno magniloquente alla paurosa avventura che Gordon e Lianna avevano vissuto, quando per il tradimento di Corbulo e di Thern Eldred essi erano stati prigionieri di Shorr Kan, produsse un breve accesso di tosse a Hull Burrel, che conosceva l'intera storia... e stranamente, Gordon si accorse che il capitano antariano stava soffocando una risata ben poco protocollare! Lianna si rivolse a lui. «Capitano Burrel, abbiamo immediatamente comunicato con Throon, per telestereo. Sua Maestà l'Imperatore Jhal Arn mi ha informato che uno squadrone della Flotta degli Alti Spazi sta già partendo dalla base delle Pleiadi, per raggiungere alla massima velocità il nostro regno.» Hull Burrel scosse il capo, cupamente. «Temo che questo non servirà a molto, altezza. I conti e Narath Teyn sanno che è necessario scatenare l'attacco immediatamente.» «È un'occasione triste, questa, capitano Burrel, per avervi come ospite a Fomalhaut!» dichiarò in tono malinconico Lianna. «Avremmo voluto mostrarvi l'ospitalità del nostro regno, per i grandi servigi che ci avete resi un tempo, e per il coraggio che avete dimostrato in questa missione. L'imperatore mi ha chiesto di farvi mettere in contatto con Throon oggi stesso... potrete farlo più tardi.» Korkhann era rimasto in silenzio, senza dire niente, scrutando Gordon con quei saggi occhi gialli che parevano leggere nel più profondo dell'anima. Ma in quel momento, egli fece un passo avanti, in un fruscio di piume... mentre le piccole mani artigliate stringevano ansiosamente il braccio di Gordon. «Sento l'angoscia nella vostra mente, John Gordon, anche se non riesco a comprendere i vostri pensieri!» esclamò. «Non ci sono soltanto i Conti delle Frontiere da temere... il vero pericolo è un altro, e voi lo sapete bene. Cosa mi dite delle creature delle Nubi di Magellano?» «Gli H'Harn?» domandò Gordon, sorpreso da quelle parole. «È questo dunque il loro nome?» Nelle parole e nel volto di Korkhann
c'era un'intensità che Gordon non aveva mai visto prima. «Ascoltatemi, Gordon... prima che io partissi da Throon, l'imperatore e suo fratello, Zarth Arn, mi hanno permesso di consultare gli antichi archivi segreti dei tempi di Brenn Bir, quando per la prima volta i Magellanidi giunsero nella nostra galassia. Ho scoperto cose spaventose. Essi non devono mai più. fare ritorno! Ciò che ho potuto leggere...» Si interruppe, e la sua voce terminò in un tremito, e gli occhi si dilatarono per l'angoscia. E quando egli riprese, il suo tono fu sommesso, controllato, disperato. «Voi sapete che io sono telepatico, John Gordon! Non sono uno dei più forti... ma c'è qualcosa che io sento, qualcosa che non può essere soltanto fantasia! Perché io sento che un'ombra tenebrosa grava sulla Via Lattea, e sui liberi regni delle stelle, John Gordon! E quest'ombra si fa più densa a ogni ora, ed è oscura, tenebrosa, e gelida...» Gordon scosse il capo. «Dovremo parlarne più tardi, Korkhann. Abbiamo incontrato solo due degli H'Harn. E uno di essi non l'abbiamo neppure visto. Shorr Kan ha ucciso l'altro, per liberarci... perché eravamo in pericolo, un pericolo mortale. Vedete, Korkhann, la vostra mente era caduta sotto il potere di quelle creature mostruose! Non so in qual modo ci siano riuscite, ma è stato l'H'Harn che era venuto a Throon a bordo dell'incrociatore siderale del barone Jon Ollen a suggerirvi il piano che avrebbe fatto cadere me e Burrel, e le flotte dell'Impero, nella trappola tesa dai Conti delle Frontiere. E lo ripeto, senza l'intervento di Shorr Kan, tutto sarebbe stato perduto!» E spero che questo possa salvarvi, Shorr Kan! pensò. «Apparentemente, ci sono soltanto pochi emissari degli H'Harn, nella nostra galassia.» «Essi verranno!» bisbigliò Korkhann, con gli occhi colmi di orrore. «Quanto mi dite è orribile, John Gordon... eppure sento che è la verità. E questo rende ancora più densa e più minacciosa l'ombra che sta calando su tutti noi. Perché essi verranno!» Lianna si alzò in piedi, e parlò, in tono decisivo: «Ebbene, non possiamo fare altro che affrontare una minaccia per volta. Narath e le sue tribù di non umani, e i Conti delle Frontiere con la loro flotta siderale, sono un pericolo più che sufficiente ad assorbire tutta la nostra attenzione, per il momento. Korkhann, provvedete affinché i nostri ospiti ricevano tutte le attenzioni del caso!...» Sottolineò la parola «ospiti», ma Shorr Kan non si scompose. Si inchinò di nuovo, da vero gentiluomo, e disse:
«Vi ringrazio, altezza, per il vostro caloroso benvenuto. Vi dirò che avevo sempre desiderato di visitare Fomalhaut, poiché mi è stato detto che si tratta di uno dei più belli tra i regni minori. Spero che le spiacevoli circostanze di questo arrivo non abbiano alcun effetto sulla serenità del vostro regno... e spero di rivedervi tra poche ore, quando avrò avuto modo di riposarmi dalle fatiche del viaggio. Altezza...» S'inchinò di nuovo, e, con un atteggiamento altero e regale, si voltò e uscì, accompagnato da Hull Burrel e Korkhann. Gordon vide che Lianna si voltava verso di lui. Il volto della principessa era ancora rigido come marmo, e nei suoi occhi grigi era impossibile cogliere alcuna espressione. Si avvicinò a lui, e la sua piccola mano si mosse, fulminea, schiaffeggiando con forza John Gordon sulla bocca. E poi, d'un tratto, la sua espressione cambiò. Quegli occhi grigi s'illuminarono di una luce che Gordon conosceva bene, e il suo bellissimo viso mostrò l'espressione di una bambina che ha sofferto molto, che è andata in collera, ma che non vuole più che questo accada. Le sue braccia circondarono il corpo di Gordon, ella appoggiò il capo alla guancia dell'uomo, e mormorò: «Non lasciatemi mai più, John Gordon! Se questo accadesse ancora...» Non terminò la frase, e Gordon sentì qualcosa di caldo e di umido, sulla guancia, e capì che Lianna piangeva, piangeva appoggiata a lui, e ora non si trattava più della scostante regina di Fomalhaut, ma della giovane donna che lui amava... che aveva sempre amato, attraverso i millenni e attraverso le più drammatiche ore della sua vita! Incredulo, incapace di pensare, incapace perfino di muoversi, Gordon la strinse forte tra le braccia. Non Zarth Arn. No, non lo aveva chiamato con il nome del principe dell'Impero. Non luì... ma John Gordon! «Lianna, Lianna!» mormorò al suo orecchio. «Perdonatemi per quanto ho fatto... se lo vorrete, non vi lascerò mai più!» E mentre lei sollevava i grandi occhi grigi, pieni di lacrime, e le sue labbra si muovevano in quello che era l'inizio di un sorriso, John Gordon comprese che tutto il resto non importava! Perché il suo lungo viaggio attraverso i millenni, i pericoli e le insidie e gli orrori di quell'universo futuro, valevano la pena di essere vissuti! Capitolo Ventesimo
L'impero delibera La strada era familiare. Gordon conosceva tutte quelle grigie facciate di pietra. Camminava sull'asfalto polveroso, verso l'ufficio nel quale trascorreva le sue giornate. Sulla porta, egli incontrò Keogh, che rise forte, e gli disse: «Vi avevo detto che era tutto un sogno! Perché non avete voluto credermi? Tutte quelle sciocchezze melodrammatiche sui regni delle stelle, e sulle meravigliose principesse del futuro, e sulle splendide avventure che avevate immaginato di vivere! Era un sogno, John Gordon! E adesso vi siete risvegliato, finalmente, e siete tornato nel mondo reale. Questo è il mondo reale, il vostro mondo, Gordon!» Il cielo grigio e la nebbia parvero calare su Gordon, schiacciarlo contro l'asfalto, mentre lui si sentiva preso dal panico. «Dove siete stato per tutto questo tempo, Gordon?» domandò lo psichiatra, severamente. «In qualche piccolo albergo, a sognare il vostro fantastico mondo? Il vostro direttore è molto preoccupato. Avete molto lavoro arretrato da portare avanti. Che questa sia l'ultima volta... vi aspetto nel mio studio, oggi stesso. E ricordate... questa è la realtà. Questa, e non i fantastici regni delle stelle!» Il panico chiudeva Gordon in una morsa oscura, ed egli gridò: «No, no! Non potete farmi questo! Non voglio tornare indietro!» E poi lanciò un grido, che era un'invocazione e una supplica, un grido che doveva giungere attraverso le distese del tempo e dello spazio, perché tanta era l'intensità dei sentimenti del suo cuore. «Lianna!» Il grido parve ripercuotersi attraverso immensi corridoi senza fine, per sale polverose e gorghi oscuri e insondabili... ma produsse un effetto. Tutto cominciò a scivolare, a girare, a inclinarsi, e i contorni sì confusero, il grigiore acquistò le movenze sinuose di un grande fiume che scorreva rapidissimo, e lo travolgeva, portandolo lontano. Ed egli era rimasto solo, solo e stordito in una distesa tumultuosa di nulla. Egli si dibatté, disperatamente, come un uomo che sta per annegare, e chiamò ancora il nome di Lianna, lo invocò come se fosse stato una preghiera, e d'un tratto i suoi occhi si aprirono, ed egli si ritrovò, stordito e confuso, in una stanza che gli era sconosciuta. Attraverso un'ampia vetrata, egli poteva vedere un balcone fiorito, e di là si poteva scorgere il grande globo del sole al tramonto, e il sole era il bianco, ardente disco di Fomalhaut, non il giallo, piccolo sole della Terra. I
raggi dell'astro al tramonto tracciavano fantastici disegni e arabeschi nella stanza arredata lussuosamente, e in quella luce ondeggiante egli vide un viso che non avrebbe mai potuto confondere con un altro, neppure al centro di una folla di milioni di persone, neppure se avesse viaggiato fino ai più remoti angoli dell'universo. Lianna! Ella era là, seduta in silenzio su di una poltrona di metallo, e il suo volto bellissimo, lo scrutava intensamente, con un'espressione nella quale curiosità e incertezza si mescolavano a qualcosa d'altro... a un sentimento che Gordon riconosceva, ma ancora non riusciva a credere! Si mise a sedere, sul divano nel quale si era addormentato, troppo stanco perfino per pensare, dopo i lunghi giorni di orrore che aveva vissuto nelle Frontiere degli Spazi Ignoti. La sua fronte era coperta di sudore, i suoi occhi erano ancora smarriti... perché le ultime vibrazioni di quell'incubo riecheggiavano ancora nella sua mente, e lo rendevano incapace di parlare. «Avete sognato la vostra remota epoca, John Gordon?» domandò Lianna, con voce sommessa. Gordon annuì, ancora muto per l'angoscia e lo smarrimento. «Lo avevo immaginato. Sono entrata, e vi ho visto dormire, e ho visto l'espressione del vostro viso. E quando avete chiamato il mio nome, sono stata felice... credetemi, John.» Il suo bellissimo viso si oscurò, per un momento, e gli occhi grigi furono velati da un profondo turbamento. «Ho parlato a lungo con il capitano Burrel, John Gordon. È un soldato valoroso e' un leale suddito dell'Imperatore, ma perfino lui è stravolto, e angosciato! Mi ha descritto ogni cosa... dalla vostra partenza da Throon all'imboscata nella quale siete caduti ad Aar, e al resto. Non dovete stupirvi, dunque, se i vostri sogni sono agitati... quello che avete passato lo giustifica ampiamente!» Lo fissava con espressione intenta... e Gordon si accorse che c'era ancora una lieve ombra di disagio, tra loro. Ora però era sicuro che Lianna lo amava... lo aveva sempre amato, anche se lui non aveva saputo comprendere il suo comportamento... ed era" questo che contava. Non avevano potuto conoscersi ancora bene... ma ciò che li legava non avrebbe mai potuto essere spezzato, se neppure l'insondabile barriera del tempo era riuscita a dividerli! E c'erano altre cose! Perché la situazione era oscura e minacciosa... e lui sapeva bene che il suo ritorno sarebbe stato inutile, in fondo, se la minaccia che gravava sull'intera Via Lattea, ma soprattutto sul regno di Fomalhaut, si fosse avverata!
«Voi siete coraggioso, John, e avete rischiato molto...» disse dolcemente Lianna, alzandosi. «L'imperatore stesso ha inviato un messaggio, poco fa. È al corrente di quanto è avvenuto realmente a Throon, ed è angosciato al pensiero di quello che può accadere ancora.» «Gli H'Harn sono il vero pericolo,» ammise Gordon, cupamente. «Voi avete conosciuto il loro potere mentale, Lianna... ma io l'ho conosciuto ancora meglio, purtroppo per me. Quando essi toccano la vostra mente, lasciano qualcosa di simile a una cicatrice mentale... per due volte ho sognato che colui che si nascondeva a bordo dell'incrociatore fosse riuscito davvero a condurci alla Piccola Nube di Magellano, e ogni volta...» S'interruppe d'un tratto, sgomento. La sua mente, che era ancora confusa per l'improvviso risveglio, aveva compreso qualcosa, per uno di quei processi insondabili che agitano il subcosciente degli uomini. Per la prima volta, un pensiero si era formato nella sua mente... e si trattava di qualcosa che non aveva preso in considerazione, prima, e che ora si rivelava in tutta la sua spaventosa realtà! Perché c'era qualcosa di sbagliato, in tutto ciò che gli era accaduto! Qualcosa che avrebbe dovuto pensare subito, e che nelle ore angosciose del pericolo gli era sfuggita... ma ora no! Balzò in piedi, improvvisamente lucido, con il cuore stretto da una gelida morsa di angoscia. «Ditemi, Lianna... c'è qualche segno che indichi un attacco imminente? La vostra flotta ha notato movimenti, nelle Frontiere degli Spazi Ignoti, che possano indicare l'approssimarsi dell'attacco?» Lei scosse il capo, con aria grave. Non era degno della sovrana di Fomalhaut mostrare anche una sola traccia di paura, ma Gordon poté leggere la tensione nei suoi occhi grigi, nel modo in cui le sue labbra erano strette, e il volto era pallido. «Non ancora,» disse lei. «Ma l'attacco verrà, e presto. Abro pensa che, se essi intendono attaccare, colpiranno subito. È d'accordo con il capitano Burrel, sul fatto che essi anticiperanno i loro piani, per colpire prima che la Flotta degli Alti Spazi possa mandarci dei rinforzi.» «Lianna, credo di avere trascurato qualcosa che potrebbe essere di enorme importanza!» disse Gordon, ansioso. «Devo vedere subito Hull e Shorr Kan!» Ogni traccia di dolcezza lasciò lo sguardo di Lianna, e negli occhi grigi apparvero dei lampi tempestosi, mentre il suo volto acquistava un'espressione di avversione profonda.
«Shorr Kan!» esclamò lei. «L'uomo che per poco non ci ha annientati... l'uomo che ha tramato le più oscure macchinazioni per distruggerci! E voi ne parlate come se fosse un amico!» Pazientemente, Gordon le disse: «No, Lianna, vi sbagliate... non è un amico. Egli è un opportunista ambizioso, che pensa soltanto alla propria convenienza e ai propri fini. Poiché ora tutte le sue speranze sono riposte in noi, egli non ha esitato ad aiutarci... e ci aiuterà ancora. Certo, egli cercherà di servirsi di noi per i propri scopi, e noi cercheremo di fare la stessa cosa... e sarà il tempo a dire chi avrà avuto ragione, e chi avrà avuto torto!» Lianna non rispose, ma egli capì quali fossero i suoi sentimenti dall'espressione ostinata del suo viso. Cercò d'ignorare quei sentimenti, e disse: «Lianna, dove è possibile effettuare dei calcoli galattografici, nel palazzo? È necessario che ci sia una mappa galattica completa, e i mezzi per tracciare delle rotte ipotetiche, basate sulla velocità relativa di certi corpi spaziali.» Lianna lo fissò, con aria interrogativa. «Ebbene, c'è il comando strategico della flotta reale, con la sua sala nautica,» rispose, dopo una breve pausa. «È collegato direttamente con tutti gli schermi del Ministero della Difesa.» «Volete accompagnarmi subito là, Lianna? E fare in modo che Shorr Kan e Hull siano condotti là al più presto?» Lianna gli lanciò un altro sguardo interrogativo, ma si limitò ad annuire. La sala si trovava nei sotterranei del palazzo reale. Le pareti erano coperte di grandi schermi, mentre si vedevano numerosi apparecchi telestereo intorno; tutti, in quel momento, erano inattivi. Un alto ufficiale salutò militarmente, quando Lianna entrò, seguita da John Gordon. Pochi minuti dopo, una piccola scorta di soldati fece entrare nella sala Shorr Kan e Hull Burrel. Colui che era stato il Comandante della Lega dei Mondi Oscuri s'inchinò a Lianna, augurando una felice sera a Sua Altezza Reale. Lianna lo fissò, con un sorriso gelido e vagamente minaccioso. «Che sia immediatamente chiara una cosa, Shorr Kan,» disse la principessa, freddamente. «Se avessi dovuto seguire il mio impulso, vi avrei fatto impiccare cinque minuti dopo il vostro arrivo. Vivo nella speranza che possiate fare qualcosa che mi permetta di seguire questo impulso.» Shorr Kan sorrise, un sorriso cinico e divertito. Si rivolse a Gordon, e disse: «Sapevate, vero, Gordon, che le donne sono profondamente realiste? Se
ne minacciate una, o se le causate delle sofferenze di qualsiasi tipo, vi odierà per tutta la vita. Soltanto gli uomini possono trasformare queste cose in un gioco... pericoloso quanto volete, ma sempre un gioco.» «Per l'amor di Dio, volete smetterla di parlare di giochi?» esclamò Gordon, rabbiosamente. «Non è certamente un gioco, quello che i Conti delle Frontiere stanno preparando! E neppure Narath Teyn sta giocando, che il diavolo se lo prenda! E con matematica certezza, possiamo dire che gli H'Harn non hanno alcuna intenzione di scherzare! Oppure, in caso contrario, il loro senso dell'umorismo è troppo alieno perché noi possiamo capirlo... poiché il loro è un gioca che per poco non ha annientato la galassia, ai lontani tempi di Brenn Bir!» Shorr Kan si strinse nelle spalle. «Questo ve lo concedo, ma niente prova che gli H'Harn siano penetrati in forze nella Via Lattea... e senza una flotta, non possono ancora rivelarsi troppo pericolosi.» «Siete veramente sicuro che questo sia vero?» domandò Gordon, con voce estremamente seria. Queste parole produssero un effetto miracoloso su Shorr Kan. Egli abbandonò il suo atteggiamento ironico e distaccato, come se fosse stato un vecchio vestito inutile. I suoi occhi neri si socchiusero, ed egli scrutò Gordon, con espressione intenta. «Cosa intendete dire?» Gordon si rivolse a Hull Burrel, e vide che il volto color mattone dell'antariano mostrava una profonda concentrazione, e una grande perplessità. «Hull, voi avete pilotato l'astronave H'Harn.» «Non c'è bisogno che me lo rammentiate!» esclamò Burrel. «Credo che sia un'esperienza che rimarrà impressa per sempre nella mia mente.» «Va bene. Ora, cercate di fare uno sforzo, e ritornare a quei terribili momenti. Ricordate che l'H'Harn si era insinuato nelle nostre menti, con un metodo furtivo e sottile... influenzando ciascuno di noi a turno, per indurci a fare rotta verso le Nubi di Magellano?» «Lo ricordo bene, purtroppo!» «Questo dimostra, tra le altre cose, che gli H'Harn sono in possesso di un potere ancora più insidioso di quello che conoscevamo... il loro attacco mentale non è sempre diretto e violento, come quello che abbiamo esperimentato su Teyn, ma è anche incredibilmente sottile. È stato questo tipo d'influsso che ha permesso all'H'Harn che si trovava a Throon di usare la predisposizione dell'imperatore e di Korkhann, per attirare me e Burrel su
Aar. Ebbene, provate a ricordare... prima che ci rendessimo conto della verità, l'incrociatore era stato spinto alla massima accelerazione?» Una ruga si formò sulla fronte dell'antariano. «Non capisco che cosa...» «Sì o no?» «E come posso saperlo, maledizione? Tutto ciò che facevo mi veniva suggerito mentalmente dall'H'Harn, e io...» «Ebbene?» «Ebbene... aspettate un momento. Sto cercando di riflettere... Mi pare di ricordare che io dovevo spostare una certa leva, fino in fondo. L'ho fatto, naturalmente, e dal modo in cui l'incrociatore ha risposto, mi sono reso conto che doveva trattarsi del comando di accelerazione.» Il suo volto onesto si rischiarò, ed egli annuì, convinto. «Sì, avete ragione. Avevamo raggiunto la massima accelerazione.» «E a vostro parere, qual era la velocità dell'incrociatore, in quel momento?» Hull rifletté per un momento. «Non avevo dei punti precisi di riferimento!» protestò. «Non posso esserne sicuro in assoluto, ma posso avanzare un'ipotesi... e, perdio!, credo che non sia molto lontana dalla realtà!» Pronunciò una cifra, dopo un'altra breve esitazione. L'alto ufficiale della flotta di Fomalhaut spalancò gli occhi e la bocca, incredulo, e Lianna si affrettò a protestare: «Ma non è possibile!» «Vi chiedo scusa, altezza... ma è così. Se mi sbaglio, mi sbaglio per difetto, non per eccesso. La verità è questa... le astronavi degli H'Harn sono più veloci di qualsiasi incrociatore che mai sia stato costruito nella nostra galassia.» Il massiccio antariano scosse il capo, visibilmente turbato. «Avrei dato un braccio e anche di più, in cambio della possibilità di portare l'incrociatore nei laboratori della Flotta, dove i nostri scienziati avrebbero potuto studiarlo! Perché se mai verrà il giorno in cui saremo costretti a combatterli nello spazio...» Gordon si rivolse a Lianna, e la sua voce era urgente. «Possiamo vedere una mappa delle Frontiere, con il dettaglio della regione nella quale si trova il pianeta di Aar?» domandò, e, ricordando tardivamente il protocollo, si affrettò ad aggiungere, «Con il vostro permesso, naturalmente, altezza.» Lei gli rivolse un breve sorriso, nel quale c'era una lievissima traccia d'i-
ronia, e poi si rivolse all'alto ufficiale, che immediatamente andò a porsi davanti a un quadro irto di strumenti, pulsanti e leve. Immediatamente, un grande schermo si illuminò, mostrando l'incredibile complessità di stelle, pianeti e polveri cosmiche, nei colori naturali. Gordon diede un breve sguardo allo schermo, e si strinse nelle spalle. «Per me, queste immagini non significano molto, ma ditemi, Hull... a quale distanza siamo giunti da Aar, prima di renderci conto della presenza dell'H'Harn, e di cambiare rotta?» «Oh, a che serve questo, Gordon?» protestò Hull, accigliandosi. «Non sono già abbastanza i guai che ci attendono, senza dover ricordare quelli che ci siamo lasciati alle spalle?» «Rispondete alla domanda di John Gordon, capitano Burrel!» disse Shorr Kan, improvvisamente, ed egli parlò con la voce fredda e dura dell'antico padrone dei Mondi Oscuri. Il suo volto era accigliato, e i suoi occhi neri erano due sottili fessure. Ancora una volta, Gordon capì che in tutta la Via Lattea non esisteva un uomo che possedesse una mente geniale e una comprensione fulminea come quello spietato avventuriero. Shorr Kan sapeva! Gli erano bastate quelle parole, e già aveva compreso quello che Gordon intendeva dimostrare. Hull esaminò allora la mappa siderale, borbottando qualcosa d'incomprensibile, risentito per quell'ordine che gli sembrava inutile. Esegui alcuni calcoli mentali, confrontò i dati con quelli che apparivano sui pannelli che si trovavano sotto lo schermo, e infine disse: «Credo di avere la risposta.» Disse un'altra cifra, lentamente. «È solo un calcolo approssimativo...» cominciò, ma Gordon lo ridusse al silenzio, imperiosamente. «E ditemi, Hull, basandovi su questa distanza come di una media, e alla velocità approssimativa che avete calcolato, quanto tempo avremmo impiegato per raggiungere la Piccola Nube di Magellano?» Hull Burrel trasalì, e fissò sorpreso Gordon. «Dunque è questo che volete sapere! Perché non me l'avete detto subito?» Si avvicinò al calcolatore elettronico, e cominciò a premere i tasti. Dopo qualche minuto, si voltò, reggendo tra le dita il cartoncino di plastica verde con la risposta. «Tra i quattro e i cinque mesi,» disse. «Naturalmente, calcolati sul Tempo Medio Galattico.» Gordon e Shorr Kan si scambiarono uno sguardo, e per la prima volta Gordon vide che il viso forte dell'avventuriero dei Mondi Oscuri era lievemente impallidito.
«Dunque è così!» esclamò Shorr Kan. «Avrei dovuto immaginarlo!» Lianna si rivolse a Gordon, con regale impazienza. «Se non sono indiscreta, John Gordon, potremmo essere informati dell'argomento di questa interessante discussione?» «Ci volevano quattro o cinque mesi per raggiungere le Nubi di Magellano, e quasi altrettanti per ritornare nella Via Lattea!» disse Gordon, lentamente. «Otto o dieci mesi, dunque, prima che la flotta degli H'Harn potesse raggiungere questa galassia, utilizzando le informazioni che essi speravano di strapparci... e questo non ha senso! Perché l'intervallo di tempo è troppo lungo. Noi sappiamo che gli H'Harn sono alle spalle dei conti, in questa mossa contro il regno di Fomalhaut. Sappiamo anche che l'attacco al regno di Fomalhaut, il più vicino e il più vulnerabile dei regni del sud, significa molto di più... stabilire una testa di ponte, per un attacco su vasta scala contro l'Impero Centrale della Via Lattea, e i regni minori! Siamo sicuri, inoltre, che i conti, da soli, non avrebbero mai osato scatenare un attacco... perciò devono esserci gli H'Harn, dietro ogni mossa di questa fantastica, incredibile partita a scacchi su scala galattica! «I Conti delle Frontiere erano già pronti ad agire, al vostro ritorno dalla Terra, Lianna!» esclamò, e il suo viso tradiva una profonda angoscia. «Soltanto la scoperta della mia presenza, lo so per certo, ha impedito agli esseri di Magellano di porre in atto il loro progetto. E pur non conoscendo quali piani precisi abbiano gli H'Harn, per vibrare il colpo mortale alla nostra galassia, sono matematicamente sicuro che dieci mesi di tempo sarebbero un intervallo assurdo e irragionevole. E questo ci porta ad altre considerazioni, sulle quali non ci eravamo soffermati prima. Specialmente...» Gordon s'interruppe, ma fu Shorr Kan a parlare per lui. «Specialmente,» disse Shorr Kan, in tono brutale, «Considerando che il momento più logico per lanciare l'attacco di sorpresa sarebbe immediatamente successivo all'attacco a Fomalhaut. Gli H'Harn vogliono colpire nel momento in cui l'intera galassia sarà sconvolta da una gigantesca guerra civile... con tutte le popolazioni non umane in rivolta, guidate da Narath Teyn e dai conti, dal trono di Fomalhaut!» I suoi occhi neri scrutarono duramente il circolo di volti pallidissimi che lo fissavano. «Gli H'Harn hanno faticato molto, per fomentare questa guerra! Hanno approfittato dell'ambizione dei conti, e hanno saputo usare bene la pazzia di Narath Teyn, e il suo ascendente sui non umani! Credete, forse, che essi vogliano gettare via i frutti di tutte queste loro fatiche?» Queste parole furono accolte da un silenzio mortale. Quando Gordon
parlò di nuovo, gli sembrò che le sue parole fossero pietre che piombavano nel silenzio di un lago freddo e immobile. «Io non credo che l'H'Harn volesse portarci realmente con lui nelle Nubi di Magellano! Io credo che volesse portarci a una destinazione molto più vicina.» Respirò profondamente, e disse, «Sono convinto che egli volesse condurci alla flotta siderale degli H'Harn, in agguato poco oltre i confini della Via Lattea!» Il silenzio diventò ancora più profondo, nella sala, come se là, nei sotterranei del palazzo reale di Fomalhaut, la vita si fosse arrestata, e solo la visione offerta dallo schermo, sul quale palpitavano ancora le stelle delle Frontiere degli Spazi Ignoti, avesse un significato. Gli sguardi di tutti fissarono lo schermo, come ipnotizzati, come se sopra di esso potesse apparire l'oscura, minacciosa presenza che attendeva in agguato nelle tenebre degli spazi extragalattici, pronta a scatenare il terrore e la distruzione sui mondi della Via Lattea! Poi Hull Burrel si volse a fissare Gordon, stringendo i pugni, e un'espressione che si avvicinava alla collera incupì il suo volto leale. «Quello che dite è pazzesco!» gridò. «Com'è possibile che la loro flotta sia così vicina, senza che i radar del sistema di allarme dell'Impero l'abbiano avvistata? Dai lontani tempi di Brenn Bir, tutto lo spazio ai confini della Via Lattea è stato tenuto sotto controllo, e una flotta siderale non potrebbe avvicinarsi alla Via Lattea senza che immediatamente la Flotta degli Alti Spazi non entrasse in stato di allarme, per respingere il tentativo d'invasione! È assurdo!» «Lo so bene, Hull!» disse Gordon. «Eppure...» Ma Shorr Kan lo interruppe, e raddrizzò le spalle, fronteggiando coloro che si trovavano nella sala con tutta l'intensità della sua personalità magnetica. I suoi occhi neri scintillavano di collera, e la sua voce era dura e imperiosa, la voce di un uomo avvezzo al comando e capace di vincere qualsiasi ostacolo. «Voi avete conosciuto gli H'Harn, capitano Burrel! Quindi avete qualche idea sui loro poteri. Io non ritengo quelle creature di grande intelligenza, ma non possiamo dubitare del fatto che esse possiedono una tecnologia forse superiore alla nostra. Già migliaia di anni or sono essi stavano per piegare le difese della Via Lattea, e solo il Distruttore ha impedito che la nostra storia finisse in quel momento! Hanno avuto migliaia di anni per meditare la rivincita, sui loro mondi sconosciuti, e quale credete che sia stata la loro prima decisione? Essi devono sapere altrettanto bene che i
confini della Via Lattea vengono tenuti costantemente sotto controllo... e il primo requisito per tentare un attacco galattico su vasta scala dovrebbe essere appunto quello di possedere un sistema difensivo capace di eludere ogni ricerca radar!» Hull Burrel corrugò la fronte, e parve sul punto di rispondere... ma poi cambiò idea, mentre un'espressione di sgomento si dipingeva sul suo viso. Alla fine, parlò, e la sua voce era ansiosa: «Sì... sì, forse avete ragione. Ma allora... allora, se possono sfuggire ai nostri radar... la flotta degli H'Harn potrebbe trovarsi là fuori, ai confini della galassia, in questo stesso momento... pronta a colpire... in attesa...» «In attesa che i Conti delle Frontiere scatenino il loro attacco, dando inizio a una spaventosa guerra civile nei regni del sud e coinvolgendo le forze dell'Impero!» terminò per lui Gordon. «Ora capite per quale motivo era stata predisposta quella trappola, ad Aar? Essi volevano attirare noi, per i loro motivi, e attirare la Flotta degli Alti Spazi, in modo da tenerla impegnata in quella giungla cosmica, dove non avrebbe avuto possibilità di manovra tali da respingere l'attacco dei Conti delle Frontiere! E, nello stesso tempo, avrebbero scatenato l'attacco a Fomalhaut... mentre il grosso della flotta H'Harn avrebbe attaccato Throon, cercando di cancellare dall'universo il cuore dell'Impero!» «Dio Onnipotente!» esclamò Hull, pallidissimo, e si volse verso l'alto ufficiale, gridando, «Presto, chiamate Throon! Devo parlare immediatamente all'Imperatore, o al principe Zarth Arn! Non c'è un minuto da perdere!» L'ufficiale lanciò un'occhiata a Lianna, che si affrettò a dire: «Obbedite, presto!» «Perdonatemi, altezza!» esclamò Burrel, e l'espressione di sorpresa e di orrore che era apparsa sul suo viso era una giustificazione sufficiente per la sua irruenza. «Ma se penso che quei mostri sono in agguato là, in attesa di distruggerci...» «Siete scusato, capitano!» disse Lianna, e malgrado il suo pallore, conservava il portamento regale della sovrana di Fomalhaut. «Dovete ricordare che io ho avuto esperienza dei loro poteri... e non potrò mai dimenticare quei momenti!» Con un cenno imperioso, indicò il grande telestereo, di fronte al quale l'ufficiale stava già manovrando dei comandi. Qualche minuto dopo, il telestereo s'illuminò, e su di esso apparve la figura severa di un ufficiale che indossava la grigia uniforme della flotta imperiale. «Stato Maggiore della Flotta Siderale dell'Impero, da Throon!» disse
l'ufficiale, severamente. «Parlate!» «Sono il capitano Hull Burrel, aiutante di campo dell'ammiraglio Giron, e parlo dal regno di Fomalhaut, dove mi trovo in missione!» abbaiò l'antariano, rudemente. «Fatemi parlare immediatamente con Sua Maestà l'Imperatore, o con Sua Altezza il principe Zarth Arn!» Il nome, il grado e la reputazione di Hull Burrel intimorirono evidentemente l'ufficiale, ed egli stabili la comunicazione col palazzo a tempo di primato. Sul disco di quarzo del telestereo apparve un altro uomo... un uomo che aveva i lineamenti aquilini e il volto severo di Zarth Arn, fratello dell'Imperatore. Egli li guardò, e una luce di sollievo e di gioia apparve, per un momento, sul suo volto. «Capitano Burrel... Gordon... il mio cuore si riempie di gioia, nel vedervi sani e salvi! Abbiamo già parlato con la principessa Lianna, e siamo stati avvertiti del vostro ritorno. Abbiamo vissuto dei giorni d'angoscia, temendo per la vostra sorte...» Poi il principe s'interruppe, bruscamente, perché aveva sollevato lo sguardo e aveva visto qualcosa alle spalle di Gordon... e i suoi occhi si trasformarono immediatamente in specchi d'odio e di sdegno, mentre il suo volto diventava duro e implacabile. Perché alle spalle di Gordon e di Burrel, aveva visto la figura di Shorr Kan. «Che mascherata è mai questa?» gridò. «Chi è quell'uomo?» «Non è una mascherata, principe Zarth!» Era impossibile sbagliarsi, nell'udire la voce ironica e imperiosa di Shorr Kan, e un'espressione d'incredulità e di orrore apparve sul volto di Zarth Arn, che per un momento fissò con uno sguardo accusatore Gordon e Burrel. Shorr Kan fece un passo avanti, e venne davanti all'immagine del principe, tenendo il capo eretto e fissando l'erede al trono imperiale con una mescolanza d'ironia e di sfida. «Fortunatamente per me, la notizia della mia morte era completamente falsa. E, per una strana combinazione di circostanze, ora mi trovo ospite della principessa Lianna e del nostro amico John Gordon, in uno dei regni più amati e rispettati dall'Impero.» Accentuò appena le due ultime parole. «Non è facile' liberarsi dei vecchi nemici, ma questa volta non ci saranno discussioni, tra noi, principe Zarth... perché sono dalla vostra parte. Questa notizia non vi rallegra?» Zarth Arn era troppo sorpreso per trovare la forza di parlare, in quel momento. Gordon approfittò di quell'opportunità per parlare, frettolosamente, prima che Zarth Arn reagisse troppo violentemente. «Ascoltami, Zarth!» disse, e per un istante l'ufficiale che controllava i comandi del tele-
stereo si volse, sbalordito nel vedere qualcuno che parlava con tanta familiarità a un principe dell'Impero. «Per la fiducia che hai riposto in me, ti chiedo di ascoltarmi! La mia vita e quella del capitano Burrel sono salve per merito di quest'uomo... ma questo sarebbe il meno, se non fossero state in gioco le sorti di tutta la Via Lattea! Ho dato la mia parola a Shorr Kan di proteggerlo da qualsiasi punizione, e la manterrò... perché è meglio che un nemico sconfitto venga perdonato, piuttosto che l'intera galassia perisca sotto un attacco infinitamente più spaventoso! Perché tu, Jhal, e perfino Korkhann, siete caduti in una trappola mostruosa... e se Shorr Kan non mi avesse liberato, ora sarebbe troppo tardi per salvare l'Impero!» Queste parole scossero visibilmente Zarth Arn. Il volto del principe era pallidissimo, la sua bocca era una sottile fessura esangue, i suoi occhi parevano laghi profondi fatti di dubbio e di odio. Egli chiuse gli occhi, per un momento, e poi respirò profondamente, dominandosi. Si rivolse a Lianna, e disse: «Principessa Lianna, il mio consiglio è quello d'impiccare senza indugio quell'uomo.» «Non avete udito?» disse Shorr Kan, con sincerità brutale. «Prima dovrete impiccare Gordon... che è un uomo di parola, come penso voi sappiate bene!» L'audacia di quell'uomo fece ammutolire perfino il principe dell'Impero... e Hull Burrel approfittò di quel momento per farsi avanti, impetuosamente, dimenticando del tutto il protocollo. «Altezza, con tutto il rispetto che io porto alla famiglia imperiale, io vi dico di lasciar perdere Shorr Kan! Al diavolo lui, e quella che potrà essere la sua sorte... perché il pericolo è un altro! Io vi dico che in questo stesso momento gli H'Harn potrebbero piombare sulla Via Lattea... perché essi attendono il momento propizio per colpire, e ogni secondo d'indugio potrebbe essere fatale!» Lo sdegno di Zarth Arn si quietò... perché qualcos'altro aveva cancellato ogni sentimento che non fosse la paura. Il volto del principe impallidì ancora di più, e per un momento egli parve dimenticare ogni cosa. «Allora è vero!» esclamò. «Dunque avete scoperto qualcosa, nelle Frontiere? I nostri timori erano giustificati?» «È molto peggio di quanto avevamo pensato, altezza! Non solo un H'Harn è stato alla corte di Canopo... e grazie al suo influsso mentale, voi stesso e vostro fratello l'Imperatore siete caduti in una trappola mostruosa... ma la flotta degli H'Harn è vicina!»
«Come? Io e mio fratello? Spiegatevi, presto!» «L'attacco inesplicabile subito da Korkhann... è stato lanciato da uno di quei mostri. Era venuto a Throon, a bordo dell'astronave di Jon Ollen, il barone della Costellazione d'Ercole. È stato l'H'Harn, con la complicità del barone, a suggerire quella folle missione... per attirarci in una trappola, e fare cadere in trappola anche la Flotta degli Alti Spazi!» «Jon Ollen è un traditore, dunque! Non solo dell'Impero, ma anche di tutto il genere umano e dei popoli della Via Lattea! Egli merita una dura lezione... darò subito ordine di...» L'emozione di Burrel era così grande, che egli interruppe le parole del fratello dell'Imperatore. «No, non è questo il pericolo!» In poche frasi rapide e angosciate, egli spiegò a Zarth Arn la situazione. Gordon osservava il volto del principe, e vide l'ombra del dubbio formarsi e allargarsi, un dubbio che si trasformò in angoscia. Quando finalmente Hull Burrel tacque, Zarth Arn pareva invecchiato di dieci anni. «Una teoria!» disse, e la sua voce era stanca, la voce di un uomo che ha vissuto un incubo e non riesce a destarsi. «Soltanto una teoria, eppure... Gli H'Harn. È strano, eppure fino a oggi non avevamo mai avuto un nome, per definirli.» I suoi occhi fissarono Gordon. «È questa la conclusione alla quale sei giunto? Non hai alcun dubbio?» «Non ho alcun dubbio,» disse Gordon. «E questa è la mia opinione.» Anche Shorr Kan parlò, senza che nessuno lo avesse interrogato. «È anche la mia opinione!» disse. «E comunque possiate giudicarmi, Zarth Arn, voi sapete bene che non sono né uno stupido, né un codardo. E io vi dico che questo attacco a Fomalhaut non è altro che una testa di ponte per preparare l'attacco degli H'Harn contro l'intera galassia.» Dopo un istante di silenzio, Zarth Arn parlò, sollevando il capo e stringendo per un momento le labbra. «Devo immediatamente sottoporre queste notizie a mio fratello, perché egli dovrà prendere una decisione. E poiché il rischio è tremendo, e non possiamo lasciare nulla al caso, credo che la risposta possa essere una soltanto. Tutte le flotte dell'Impero dovranno essere richiamate, da ogni punto della galassia, per raggiungere i confini della Via Lattea, e usare tutti i mezzi possibili per scoprire la flotta degli H'Harn, se è davvero là, o per accertarsi che questo sia stato soltanto un falso allarme. Darò io stesso ordine all'ammiraglio Giron di preparare l'Ethne, perché dovrò essere io a guidare la flotta. Perché, se davvero troveremo gli H'Harn...»
Un senso di gelo percorse il corpo di Gordon. «Porterai con te il Distruttore? Scatenerai di nuovo quella terribile forza contro le creature di Magellano?» Gordon ricordava quello che aveva provato, quando aveva dovuto usare la terribile arma! Ricordava in qual modo lo spazio stesso si era lacerato, e le stelle erano state strappate dalle loro orbite! Ricordava che la trama stessa del cosmo aveva tremato, e che la terribile oscurità prodotta dall'arma spaventosa per poco non era sfuggita al suo controllo... e aveva rischiato di distruggere la galassia che avrebbe dovuto salvare! L'espressione di Zarth Arn era grave e decisa: «Devo farlo. Non c'è altra scelta!» I suoi occhi fissarono allora Lianna, angosciati. «Voi sapete, naturalmente, che cosa significa questo per voi?» Lei annuì, con calma regale. «Ci sarà bisogno di tutti gli incrociatori della Flotta degli Alti Spazi, per cercare gli H'Harn ai confini della Via Lattea... perciò lo squadrone che era stato inviato qui a soccorrerci dovrà essere richiamato. Sì, lo capisco bene, Zarth. E so ugualmente bene che sono gli H'Harn il vero nemico da sconfiggere, perché il pericolo che essi rappresentano può condurre alla distruzione della galassia. Ebbene, sia, se così deve essere! Noi combatteremo da soli la nostra battaglia.» Lianna ebbe perfino la forza di rivolgere al principe un breve sorriso. «E in fondo, non ha importanza. Il capitano Burrel mi assicura che il vostro squadrone non riuscirebbe in alcun caso a giungere qui, fino a quando il destino del nostro regno non sarà stato deciso, per la buona o per la cattiva sorte. Per il bene della galassia, vi auguro di riuscire!» L'immagine di Zarth Arn svanì, dal disco di quarzo del telestereo. Lianna chinò brevemente il capo, e Gordon vide che era pallida e sconvolta, benché ella cercasse di dominarsi. Un profondo silenzio regnava nella sala sotterranea. Non c'era più niente da fare, per loro, e stavano per uscire, quando un altro stereo si illuminò, e sul disco di quarzo apparve l'immagine di un uomo dalla sopracciglia folte, dal fisico tarchiato e solido come una quercia... un uomo dalle mani segnate da molte cicatrici, e dallo sguardo duro e arrogante. Gordon aveva già conosciuto quell'uomo, che era uno dei consiglieri di Lianna... Abro, il Ministero della Difesa del Regno di Fomalhaut. Abro era troppo emozionato, per perdere tempo con il protocollo. «Altezza, sono usciti dalle Frontiere degli Spazi Ignoti!» annunciò, in tono solenne. «La flotta dei conti ha varcato i confini! È forte di almeno il
doppio degli incrociatori da guerra che avevamo previsto di affrontare, e si sta dirigendo a tutta velocità verso Fomalhaut!» Capitolo Ventunesimo II terribile segreto L'invasione iniziava! Gordon si senti pervadere dall'orrore e dall'angoscia. I conti delle Frontiere stavano gettando tutte le loro forze in quell'aggressione. E sia che il loro gioco riuscisse, sia che esso fallisse, sullo sfondo oscuro si muovevano gli alieni, la tenebrosa minaccia e gli imperscrutabili propositi dei mostruosi H'Harn! «Le loro forze superano le nostre, con un rapporto di tre contro due, per quanto riguarda gli incrociatori da guerra soltanto!» stava dicendo Abro. «L'ammiraglio Engl ha dato ordine di ritirarci, per difendere Fomalhaut e prendere tempo, in attesa dell'arrivo dello squadrone dell'Impero!» Lianna era pallidissima, ma la sua voce era calma e sicura, quando annunciò: «Il piano di Engl è buono. Ma dovete dirgli di non contare su nessun aiuto da Throon. Non arriveranno rinforzi.» Un'espressione di orrore e d'incredulità apparve sul volto di Abro. «Ma come, altezza! Io stesso ero presente, quando...» «Non discuterò simili faccende per telestereo!» disse seccamente Lianna. «Riunirò immediatamente il consiglio. Raggiungete la sala di riunione immediatamente, Abro!» L'immagine scomparve dal disco di quarzo. Lianna si volse, e il suo volto era gelido e composto. Ma nei suoi occhi grigi c'era un abisso d'angoscia e di smarrimento, e Gordon provò il desiderio di abbracciarla, per darle conforto... ma si trattenne. Non era quello il conforto che Lianna avrebbe voluto ricevere in pubblico! Lei gli rivolse un sorriso stanco e smarrito, e disse: «Devo andare, John Gordon. Ci vedremo più tardi.» Quando Lianna fu uscita, Hull Burrel raggiunse con un balzo uno degli schermi, e premette i comandi. Apparve subito la visione delle Frontiere, e dell'intera regione spaziale che si stendeva tra le Frontiere e Fomalhaut, e Burrel osservò l'immagine con ansia febbrile. Shorr Kan scosse il capo, lentamente. «La situazione è brutta, Gordon. Gli altri regni siderali non interverranno
in aiuto di Fomalhaut, quando sapranno che Throon ha deciso di non inviare rinforzi. Temo che le cose volgano al peggio!» «La vostra sollecitudine vi fa onore,» disse Gordon, con pesante ironia. «Preoccuparvi a tal punto per noi!...» Shorr Kan lo fissò, visibilmente sorpreso. «Per voi? Maledizione, ma io mi preoccupo per la mia sorte! Quando vi ho aiutato, e ho usato la mia astuzia per impadronirmi dell'incrociatore di Obd Doll, e per prendere prigioniero il conte e i suoi uomini, mi sono compromesso irrimediabilmente. Ormai nessuna spiegazione, per quanto abile, potrà mai convincere Cyn Cryver del fatto che io non l'ho tradito. E se lui vincerà la battaglia, e mi prenderà prigioniero...» Con una mossa espressiva, e antica quanto il mondo, si passò l'indice sulla gola. Gordon ammise che quella situazione pareva veramente senza uscita... neppure Shorr Kan avrebbe potuto usare la sua astuzia e la sua eloquenza per cavarsela senza danni. «Maledizione, è proprio così,» ammise Shorr Kan, e poi aggiunse, pensieroso. «Le grandi astronavi da trasporto seguiranno la flotta dei conti, portando l'esercito di Narath. Sono i non umani il vero pericolo. Se l'ammiraglio della flotta di Fomalhaut... come si chiama? Engl?... ebbene, se Engl ha abbastanza buonsenso da tenere fuori della battaglia una parte dei suoi incrociatori pesanti, avrà una riserva per attaccare le astronavi da trasporto, e renderle innocue prima dello sbarco.» Gordon pensò che quell'idea era sensata, e lo disse, Shorr Kan scosse il capo, malinconicamente. «Tentate di proporla voi, Gordon. A me non darebbero ascolto, in nessun caso... anche se volessi dar loro dei buoni consigli... e anche se, per quanto riguarda i problemi strategici, sono molto più in gamba del migliore tra loro... come penso di avere ampiamente dimostrato in passato. Però potrebbero accettare un consiglio da voi.» «Ne dubito,» mormorò Gordon, avvilito. «Comunque, ci proverò.» Diverse ore più tardi, quella notte, quando ormai Gordon era rimasto seduto a lungo nell'anticamera della sala del consiglio di Fomalhaut, la seduta venne tolta. Quando Lianna uscì, alla testa di un gruppo di uomini dal volto teso e preoccupato, sollevò il capo e lo vide, e si avvicinò immediatamente a lui. «Non era necessario aspettarmi per tanto tempo!» esclamò lei, ma Gordon ebbe la certezza di avere fatto una cosa che lei aveva molto gradito...
lo vide dall'espressione dolce dei suoi occhi grigi. «Ditemi, Lianna... che cosa sta accadendo? Naturalmente, se potete parlare...» Abro corrugò la fronte, e fissò Gordon con espressione astiosa. Lianna ignorò il suo consigliere. «John Gordon, voi avete rischiato la vita per avvertirci, e avete il diritto di sapere!» Per un momento sollevò il capo, orgogliosamente, come se avesse voluto sfidare Abro a contraddirla. «Anzi, il mio desiderio sarebbe stato quello di avere voi e il capitano Hull Burrel nella sala del consiglio... perché so bene che avreste potuto aiutarci!» Abro stava per dire qualcosa, e Gordon pensò, irosamente, che quegli orgogliosi consiglieri non sarebbero mai stati disposti ad accettare l'aiuto di qualcuno migliore di loro, se così facendo avessero violato quelli che ritenevano i principi della sovranità del loro regno. «Tutte le flotte dell'Impero hanno già lasciato Throon, e le basi delle Pleiadi, e si dirigono ai confini della galassia. Gli incrociatori imperiali trasportano gli apparecchi più sensibili e perfezionati dell'Impero e dei regni alleati, per localizzare la flotta degli H'Harn, se davvero si trova là... e numerosi incrociatori trasportano i migliori telepatici dei regni amici e alleati.» Gordon si rabbuiò, a queste parole. Se Zarth Arn pensava di individuare gli H'Harn servendosi della telepatia, sarebbe andato incontro a un'amara disillusione! Perché il più grande potere degli alieni era proprio la potenza della mente, ed essi sarebbero stati capaci di isolare completamente i loro pensieri. Le maggiori speranze erano costituite dai mezzi scientifici... perché era evidente che tutta la potenza scientifica dell'Impero era stata mobilitata per quell'impresa. Lianna continuò: «Abbiamo inviato richieste di soccorso ai regni minori, e i nostri ambasciatori stanno ancora facendo pressioni sugli alleati... ma questi regni sono troppo lontani, in prevalenza, e anche se accettassero il nostro invito, non arriverebbero in tempo. Abbiamo avuto risposta solo dai baroni della Costellazione d'Ercole... il nostro ambasciatore è stato informato che i baroni stanno deliberando sulla nostra richiesta.» Abro la interruppe, in tono aspro: «Non lo faranno certo per amor nostro! I grandi baroni temono che i conti delle Frontiere possano diventare troppo potenti. Se decideranno di aiutarci, lo faranno solo per questo motivo. E in ogni caso, forse arriverebbero troppo tardi.»
Gordon pensò a Jon Ollen... certamente i baroni della Costellazione erano stati avvertiti del suo tradimento. Si domandò quanto peso potesse avere questo nella decisione. «Ho avuto un'idea,» disse Gordon allora, in tono esitante. «Ma temo che un mio suggerimento potrebbe sembrare inappropriato...» Lianna non accolse con soddisfazione queste parole, perché i suoi occhi grigi si velarono, per un momento, ma disse, con voce ferma: «Penso che abbiate il diritto di parlare, John Gordon.» Guardando con fermezza Abro, aggiunse, «Chi ha rischiato la vita per il nostro regno è un amico, e Fomalhaut ha sempre onorato l'amicizia.» Abro arrossì. Gordon si affrettò a descrivere il piano strategico suggerito da Shorr Kan... accentuando l'importanza di mantenere una squadra d'incrociatori di riserva, per bloccare le grandi astronavi da trasporto di Narath Teyn, al momento dell'invasione di Fomalhaut. Con sua grande sorpresa, vide che Abro, che lo detestava senza farne alcun mistero, annuiva gravemente, con uno sguardo che esprimeva approvazione. «Una mossa eccellente, davvero... se noi riusciremo a disimpegnare una parte delle nostre forze, quando affronteremo i conti. La comunicherò immediatamente a Engl.» Quando i consiglieri se ne furono andati, Lianna guardò Gordon, e le sue labbra s'incurvarono in un breve sorriso. «Ditemi, John... fino a qual punto avete discusso di problemi strategici con Shorr Kan?» Diverse ore più tardi, Gordon era seduto insieme a Lianna su una delle più alte terrazze del palazzo reale. Erano circondati dall'oscurità tiepida nella quale il profumo di mille fiori sconosciuti pareva muoversi al ritmo del dolce frusciare del vento. Ma non c'era serenità, né pace, nella grande città che si stendeva nella notte sotto di loro. La città dalle grandi torri di marmo, distanziate tra loro e circondate da giardini e laghi, era tutto uno sfolgorare di luci. Numerosi plotoni di soldati in armi percorrevano le strade, muovendosi con la sicura, decisa efficienza degli uomini che sanno di avere una missione da compiere, e sono decisi a compierla fino in fondo. Intorno al palazzo, altri soldati stavano sistemando le poderose batterie di cannoni atomici, che avrebbero potuto lanciare verso il cielo i loro proiettili, per intercettare il nemico. In lontananza, là dove si stendeva il vasto astroporto militare, piccoli incrociatori
fantasma decollavano, tuffandosi nelle tenebre con un sordo fragore, per occupare il loro posto nella rete difensiva che circondava la capitale del regno di Fomalhaut. Gordon guardò il cielo notturno. In quella grande volta di velluto, sfolgoravano le costellazioni del meridione galattico, mentre il lontano grappolo di soli della Costellazione d'Ercole era un trionfo di fuoco azzurrino, a ovest. Lassù, in quella distesa limpida e sterminata, due grandi flotte siderali si avvicinavano tra loro, per essere puntuali all'appuntamento fatale dal cui esito dipendevano le sorti del regno di Fomalhaut, e forse di molti altri regni siderali. Nelle cabine e sui ponti di comando di quegli incrociatori, soldati che indossavano l'uniforme della flotta reale di Fomalhaut scrutavano gli schermi, in attesa che il radar indicasse l'approssimarsi del nemico... e dall'altra parte i severi, implacabili soldati dalla nera uniforme seguivano gli ordini di Cyn Cryver, e attendevano il momento così a lungo preparato, la mossa che sarebbe stata la prima di una conquista sognata per migliaia e migliaia di anni. Non c'erano state notizie, dalla Costellazione d'Ercole: l'ambasciatore del regno di Fomalhaut non aveva comunicato più niente, né i baroni avevano annunciato il frutto delle loro deliberazioni. Se anche i potenti baroni avevano deciso di soccorrere il vicino regno di Fomalhaut, nascondevano a tutto il resto della galassia questa loro decisione. La mente di Gordon si spinse ancora più lontana, attraverso il turbinare delle stelle e lo sfolgorare degli astri lontani, là, ai confini della Via Lattea, dove le poderose flotte dell'Impero, riunite, stavano cercando nell'infinito l'armata degli H'Harn, che poteva essere nascosta là... oppure no. Se le flotte dell'Impero avessero localizzato l'antico nemico, il Distruttore avrebbe scatenato di nuovo il suo cosmico potere, e la minaccia dei Magellanidi sarebbe scomparsa. Per un istante, Gordon provò un senso di amarezza... perché lui era là, su quel terrazzo fiorito, mentre le sorti della galassia si decidevano oltre i confini. Non avrebbe vissuto quei momenti supremi sul ponte di comando dell'Ethne, nello sbocciare di fiamme bianche nel cosmo che indicava la distruzione di un incrociatore e di molte vite... questa volta sarebbe stato Zarth Arn, il vero principe dell'Impero, a scatenare la forza della distruzione nel cosmo, a vivere quell'orribile, supremo momento di assoluto sgomento e di assoluta potenza nel quale lo stesso spazio veniva annientato, e tutti i demoni dell'universo parevano scatenarsi in un parossismo di morte. Ma lui capiva che il suo posto era là... accanto alla principessa di Fomalhaut, della quale doveva condividere la sorte, nel bene o nel male. Aveva compreso i suoi desideri, e i suoi orizzonti erano
quelli... perché singolarmente la sua sorte era legata a quella di Lianna, e a quella del suo antico nemico, Shorr Kan, che attendeva a sua volta, impotente, il momento della decisione suprema. Forse, come Shorr Kan, anche lui sognava di raggiungere di nuovo un giorno quello che era stato... di poter dominare la situazione, e non di subirla... ma solo le prossime ore avrebbero rivelato se mai quelle speranze avrebbero potuto sopravvivere. E amaramente comprese, in quel momento, che ogni uomo aveva la propria sorte e il proprio destino, e che si potevano decidere le sorti di un regno sedendo su un trono, o attendendo spauriti la morte, o ricordando le glorie del passato. Lui era stato al posto di Zarth Arn, un giorno... e gli eventi lo avevano travolto, come lo travolgeva ora, e i giochi del destino erano imperscrutabili, come i desideri del passato. Pensò ancora a Zarth Arn, e si chiese se egli avrebbe potuto localizzare la flotta degli H'Harn... e con un senso di sgomento e timore, quasi con una certezza profetica, egli capì che non sarebbe stato possibile. Certo gli H'Harn non sarebbero ritornati nella Via Lattea se non avessero avuto le armi più potenti... difensive e offensive. Certo nessuno di loro aveva dimenticato la cocente sconfitta prodotta da quell'ignota arma dell'Impero, il Distruttore! Apparentemente, anche Lianna stava pensando agli H'Harn. Era rimasta silenziosa a lungo, ma quando fece udire di nuovo la propria voce, le sue parole riguardarono appunto gli alieni. «Se Narath riuscirà nel suo tentativo d'invasione, avrà con lui qualche rappresentante di quelle creature?» domandò. «Ne sono certo.» «Come potete esserne così sicuro, John?» Stancamente, Gordon spiegò: «Vedete, Lianna, gli H'Harn sanno che un tempo io ho usato il Distruttore... quando la mia mente si trovava nel corpo di Zarth Arn. Pensano che io possa rivelare loro il segreto di quella terribile arma. Io non posso farlo, naturalmente. Mi sono limitato a seguire le istruzioni di Jhal Arn... e ho avuto dalla mia parte la fortuna. Ma loro pensano di potermi strappare ugualmente il segreto, e così vogliono catturarmi.» Si accorse che Lianna tremava, e capì che ella pensava alla violenza dell'attacco mentale dell'H'Harn incontrato a Teyn... l'alieno che per poco non li aveva distrutti. Gordon proseguì, in tono cupo e sconsolato: «Vedete, Lianna, tutte le cose orribili che sono avvenute nella Via Latte-
a, in questi ultimi anni, sembrano risalire a un solo elemento anomalo... al fatto che io abbia accettato lo scambio mentale con Zarth Arn, uno dei tre uomini che conoscevano il segreto del Distruttore. A causa di questo segreto, la Lega dei Mondi Oscuri tentò di rapirmi, quando ancora mi trovavo sulla Terra, e questo intervento casuale impedì il mio ritorno immediato nel passato. E questo fatto cambiò ogni cosa! Quando quel primo tentativo fallì, ci furono intrighi e tradimenti, e tutto culminò nel tentativo riuscito da parte di Corbulo... quando voi e io venimmo condotti con l'inganno a Thallarna, la capitale della Lega!» Fissando la città illuminata da mille colori, egli proseguì, lentamente: «Fu questo segreto a indurre un uomo prudente e abile come Shorr Kan a dare l'ordine di attaccare l'Impero... perché sapendo che io ero reggente, e non conoscevo il segreto del Distruttore, Shorr Kan pensò che non avrebbe corso alcun pericolo. La Lega dei Mondi Oscuri varcò le frontiere, allora, con la sicurezza di avere partita vinta. Credevo che, con il mio ritorno al passato, tutto fosse finito... e che ritornando in questo universo futuro, fossi libero finalmente da questa maledizione. E invece no! Ora i nemici più spaventosi, l'incubo più mortale... gli H'Harn... pensano che io sia in grado di rivelare ciò che essi vogliono sapere, sull'unica arma che impedisce loro la conquista della nostra galassia. A Throon, il loro inviato non ha potuto sondare la mente dell'imperatore, o di Zarth Arn, e neppure la mia... solo con la sorpresa, e solo agendo in maniera sottile e insidiosa, l'H'Harn ha potuto tessere la sua trama, e l'elemento che avrebbe potuto permetterci di scoprire la verità era stato rivelato ugualmente... perché nel tentativo di influenzare Korkhann, un telepatico, l'H'Harn deve avere commesso qualche errore, e ha dovuto agire con tutte le sue forze per impedire a Korkhann di scoprire la sua presenza, e i suoi piani! Ma essi non si fermeranno di fronte a nessun ostacolo... perché, dal mio arrivo sulla Terra, non mi hanno mai perduto di vista! Dapprima a Teyn, poi qui, poi a Throon, infine nelle Frontiere... sono sempre stati vicini, e ora pensano di avermi in pugno!» Scosse il capo. «Grazie a quella fatale coincidenza, io sono stato una maledizione, per questo universo futuro... come mi ha detto Shorr Kan, il granello di sabbia nella macchina perfetta.» «No!» disse Lianna, con fermezza. Si volse verso di lui, e gli prese le mani, e lo fissò con i suoi grandi occhi grigi che parevano raccogliere il chiarore della città e delle stelle. «Non dite mai così, John! E anche se quanto avete detto fosse vero, la colpa sarebbe di Zarth Arn, e non vostra!
Voi avete salvato la Via Lattea... con il vostro coraggio, con la vostra intelligenza. Credete forse che io sia lieta, sapendo che voi siete escluso da ogni decisione, qui, mentre avrei bisogno di voi...» Si morse il labbro, per un momento, come se si fosse pentita di quanto aveva detto. Tacque, per un momento, e quando parlò di nuovo, la sua voce era sommessa e dolce, la voce di una donna innamorata. «Io sono felice che voi siate qui, John Gordon. Non saprei più pensare alla mia vita, senza di voi. Non dovete mai dimenticarlo!» Ci fu un lungo, dolcissimo momento, nel quale l'universo parve arrestarsi, intorno a loro... e poi, riluttante, lei si scostò da lui, e disse: «Ora devo andare, per mostrarmi ai difensori del mio mondo. No, non venite con me, John. Forse, un giorno... se tutto questo sarà passato... ma a che serve pensare al futuro, adesso? Io devo andare sola.» Quando Lianna se ne fu andata, Gordon rimase seduto là, sull'alta terrazza fiorita, guardando le luci e i movimenti, ascoltando il clamore e l'attività della grande città, fissando il cielo stellato nel quale, tra breve, si sarebbero decise le sorti di un regno. Un regno siderale stava per cadere, forse, e Narath stava per appagare le proprie ambizioni, e sedere sul trono di Fomalhaut... e forse lui, John Gordon, e Lianna, stavano per essere condannati a morte. E tutte queste cose sarebbero state non solo una tragedia personale, ma anche la tragedia di un mondo. Ma se gli H'Harn fossero riusciti nei loro intenti, la tragedia sarebbe caduta sull'intera galassia, e sarebbe stata una catastrofe di dimensioni cosmiche. Migliaia di anni prima gli H'Harn erano giunti dall'immensità del vuoto extragalattico, avidi di conquista, e soltanto la potenza del Distruttore, scatenata dalle mani del sapiente Brenn Bir, li aveva respinti. E laggiù, nelle Nubi di Magellano, essi si erano arrovellati per tutti quei millenni, senza mai desistere dal loro tenebroso proposito, e avevano ripreso a infiltrarsi nella Via Lattea, segretamente, resi prudenti dalla passata esperienza, tramando intrighi oscuri con gli avidi, ambiziosi e stupidi Conti delle Frontiere, seducendo con chissà quali lusinghe Narath Teyn, preparandosi a vibrare alla galassia e all'Impero un colpo tremendo, a conquistare una vittoria decisiva. Dopo tante migliaia d'anni, dunque, l'ora dell'apocalisse scoccava di nuovo, per la Via Lattea! Capitolo Ventiduesimo
Disfatta per Fomalhaut Le astronavi combattevano, nello spazio, tra i grandi soli di Austrinus e le Frontiere degli Spazi Ignoti. Due poderose flotte di incrociatori da guerra sfrecciavano nell'infinito, e le esplosioni dei proiettili atomici parevano illuminare quell'intera regione della galassia con il loro continuo sbocciare di fiori di fuoco. Ai margini di quella spaventosa battaglia, come spettrali sciacalli alle calcagna delle tigri, gli incrociatori fantasma orbitavano nel cosmo, emergendo dall'invisibilità per lanciare improvvise scariche di proiettili contro il nemico, per poi sottrarsi alla reazione dei poderosi incrociatori rituffandosi nell'invisibilità. Guerra siderale! Ancora una volta, lo spazio si riempiva di lampi, e sciami di lucciole impazzite vorticavano follemente nel cielo! Sugli schermi della grande sala sotterranea del palazzo reale di Fomalhaut, Gordon poteva seguire le sorti di quell'incredibile battaglia, e come in passato quella guerra siderale gli parve incomprensibile... una danza di comete e lucciole e fiori di fuoco, sciami di scintille elettroniche in perenne spostamento... e lui sapeva che ognuna di quelle lucciole rappresentava un duello mortale condotto attraverso i radar e i calcolatori elettronici, infinitamente più veloci dell'occhio o della mente dell'uomo, e che tra le due possenti flotte volavano silenziosi i terribili proiettili atomici, che trasformavano l'intero spazio in un abbagliante lampeggiare di fuoco distruttore. La mente di Gordon si ritraeva, sgomenta, di fronte all'immensità della scena che lui vedeva... e si rifiutava di pensare che ognuno di quei lampi annunciava una catastrofe tremenda, e che migliaia di uomini coraggiosi morivano, a ogni istante, nel vuoto siderale. Ma dopo qualche tempo, uno schema parve emergere dalla battaglia.., e anche Gordon capì che la colonna più pesante della flotta dei conti stava respingendo le astronavi di Fomalhaut, ricacciandole lentamente verso ovest, allontanandole dalla stella e dal pianeta che esse tentavano di difendere. Il volto di Abro era coperto di sudore, ed egli lanciava imprecazioni, minacce o grida d'incoraggiamento, seguendo ansiosamente le sorti della battaglia. «Engl è un uomo valoroso e un ufficiale capace, ma non ha abbastanza peso!» esclamò il ministro, disperatamente. «Tre contro due... e il rapporto si modifica costantemente a loro favore! Stanno incalzando la nostra flotta... che deve ritirarsi, allontanandosi da Fomalhaut... e in questo modo a-
prono un passaggio per quelle!» E puntò il dito verso l'angolo destro, in alto, dello schermo, dove in quel momento un nuovo sciame di lucciole veniva rivelato dal radar... uno sciame che avanzava implacabilmente nello spazio, dirigendosi verso Fomalhaut! Le astronavi da trasporto. E a bordo di una di esse doveva trovarsi Narath Teyn, con il volto bellissimo e folle illuminato di gioia, ora, per l'imminente trionfo... e con lui dovevano esserci le orde dei non umani, le mille e mille tribù dei mondi più selvaggi e ostili, l'armata fedele che egli aveva radunato su decine di mondi inesplorati. Gordon provava un rabbioso senso di frustrazione e d'impotenza, essendo costretto ad aspettare là, nei sotterranei, mentre l'attacco si stava avvicinando, e il nemico avanzava su di loro, senza poter fare niente per impedirlo, senza avere neppure la soddisfazione di morire nel tentativo di evitare il destino che li attendeva. Ma se anche Lianna provava lo stesso sentimento... e Gordon, conoscendola, ne era certo... non permetteva che il suo volto pallido tradisse l'angoscia che doveva stringerle il cuore: «Ancora nessuna notizia dai baroni?» domandò lei, con voce calma. E Korkhann rispose: «No,» muovendo le piume, producendo un suono che pareva un sospiro. «No, altezza, nessuna notizia e nessun segno. Pare ormai certo che dovremo sostenere questo attacco da soli!' Abro imprecò ancora, dimenticando ogni forma di protocollo, e serrò i pugni enormi, dicendo: «Sarebbe bastato che Engl avesse tenuto di riserva un numero sufficiente di incrociatori pesanti... e qualche corazzata siderale! Se lo avesse fatto, avremmo avuto la possibilità di respingere l'attacco. Ma ormai, credo che nulla possa impedire il loro sbarco!» Gordon pensò che Shorr Kan aveva suggerito la strategia giusta, e che era un vero peccato che Engl non avesse potuto, o voluto, seguire quel consiglio. «Ormai la situazione ci è sfuggita di mano,» disse Lianna, indicando la spaventosa battaglia che infuriava sullo schermo. «Dobbiamo prepararci a difendere il nostro mondo. Seguitemi!» Parlava come una regina, e camminava come una regina, quando guidò il silenzioso gruppo dei suoi consiglieri e dei suoi ufficiali lungo i corridoi e le scalinate del palazzo. Shorr Kan apparve, nel corridoio, e si unì al gruppo, avvicinandosi a Gordon. Non aveva neppure tentato di entrare nel-
la sala sotterranea, durante quel momento di crisi, sapendo che qualcuno gli avrebbe impedito l'accesso. Hull Burrel lo guardò minacciosamente, ma non disse nulla, e continuò a camminare, ma Gordon indugiò per un momento. «Le vostre espressioni non lasciano alcun dubbio,» disse Shorr Kan. «La flotta di Fomalhaut sta perdendo, là fuori, non è vero?» «Sì,» ammise Gordon. «Ed è costretta a ritirarsi verso ovest, sotto l'incalzare della flotta dei conti. Tra poco questo posto si trasformerà in un inferno... non appena le astronavi di Narath riusciranno ad atterrare!» Scuro in volto, Shorr Kan annuì. «Non ne dubito. Un vero peccato, Gordon! Sono ore e ore che cerco di trovare un modo per cavarmela da questa situazione, e non ci riesco... sono in trappola, e ci sono finito come uno stupido. È la prima volta... e temo proprio che possa essere anche l'ultima!» Gordon lo fissò, simulando una sorpresa che non provava, ironicamente: «Davvero! Io credevo che, poiché siamo tutti nella stessa situazione, aveste deciso di morire nobilmente, combattendo fino all'ultimo!» Shorr Kan si strinse nelle spalle, e disse: «Ormai, ho quasi deciso che tanto vale morire da eroe... il guaio è che questa gente è troppo orgogliosa per lasciarci combattere al posto loro, e così non mi è neppure possibile studiare un rimedio! Maledetti sciocchi... avrebbero dovuto affidarmi la difesa, e forse i conti avrebbero avuto una vita meno facile!» Si strinse nelle spalle, ancora una volta. «Ma temo che un cattiva reputazione sia difficile da eliminare. E così, moriremo da eroi... perché non vedo una sola via d'uscita da questa trappola, se devo essere sincero. Quindi, che cosa ho da perdere?» Le ore passavano, lente e drammatiche, e Gordon si sentiva prigioniero di una rete di attività delle quali non sapeva nulla. Funzionari reali e alti ufficiali entravano nel palazzo, e uscivano, in un continuo andirivieni; Lianna non aveva tempo da dedicare a Gordon, perché la direzione delle operazioni di difesa assorbiva tutti i suoi pensieri. Perciò, Gordon non aveva niente da fare, né sapeva dove andare. Stringeva i pugni, pervaso da una collera impotente, e si sentiva in soprannumero, un uomo completamente inutile in un luogo dove ciascuno aveva un posto importante e un lavoro importante da compiere. «Eppure io penso che siate voi l'individuo chiave, in questa situazione, John Gordon!» disse una voce familiare, alle sue spalle. Gordon si volse, e vide Korkhann, che lo fissava con un'espressione in-
certa e tormentata. «Lianna mi ha detto quanto le avete rivelato. Siete davvero certo che non esistano informazioni sul Distruttore che gli H'Harn vi possano strappare, sondando la vostra mente?» «Ascoltatemi, Korkhann!» esclamò Gordon, irosamente. «Credevo di essere stato chiaro. Io conosco la forma dei coni che compongono l'arma, e so come devono essere montati sulla prua di un incrociatore siderale, e so bene come si debbano sincronizzare le sei lancette, prima di scatenare quella spaventosa energia. Ma questo è tutto ciò che io conosco... non c'è altro. Perché venite a domandarmi questo?» «Perché,» disse Korkhann, senza scomporsi, «Per quanto voi possiate piacermi, il mio dovere sarebbe quello di distruggervi, se gli H'Harn stessero per catturarvi... se veramente poteste rivelare loro qualcosa d'importante.» A quelle parole, Gordon ammutolì, e rimase pensieroso per qualche istante. Poi chinò il capo, gravemente: «Capisco le vostre ragioni, Korkhann... e vi ringrazio per la sincerità. Ma vi assicuro che non so nulla.» E pensò: Maledetto il Distruttore! Dunque questa condanna dovrà seguirmi fino alla morte? «Venite con me,» disse Korkhann. «Non c'è nulla da fare per voi, qui, e penso sia meglio sappiate qual è la nostra situazione.» La notte era calata di nuovo, e i due, l'uomo e il non umano, uscirono dal palazzo e osservarono le lune veloci muoversi nel cielo oscuro, rischiarando ogni cosa con il loro mutevole riflesso. Le luci della notte prima non c'erano più... le torri apparivano buie, e Gordon capì che l'oscuramento indicava che gli invasori erano sempre più vicini. Il territorio che circondava il palazzo, però, come l'intera città, era un alveare che brulicava di attività frenetica. Uomini e veicoli si muovevano in lunghe processioni lungo il viale ai cui lati gli antichi sovrani di Fomalhaut osservavano e sognavano i loro imperscrutabili sogni. Negli stupendi, dolcissimi giardini fioriti, le grandi batterie dei missili e dei cannoni atomici si stagliavano contro lo scintillare del cielo, forme ostili e minacciose che parlavano di devastazione e di morte. Shorr Kan li raggiunse, uscendo dalla notte, e domandò: «Dov'è Hull?» «È al telestereo, e sta parlando con il quartier generale della flotta imperiale, a Throon. Gli abbiamo messo in corpo il timor di Dio, con quella ri-
velazione sulla flotta H'Harn in agguato ai confini della Via Lattea. Poiché Hull è l'aiutante di campo dell'ammiraglio Giron, egli partecipa, sia pure da qui, alle operazioni!» Gordon rifletté per un momento, e poi aggiunse, «Il timor di Dio è in tutti noi, al pensiero di quei mostri in attesa, là fuori... non è vero, Korkhann? È stato Korkhann a informarmi della situazione,» spiegò, rivolgendosi a Shorr Kan. «Non in tutti noi,» disse Korkhann, che stava fissando curiosamente Shorr Kan. «In realtà, non c'è timore, in quest'uomo. Egli non teme né Dio, né il demonio, né alcun uomo!» Si rivolse all'antico padrone dei Mondi Oscuri, e i suoi occhi gialli parevano riflettere il mutevole chiarore delle lune. «Perdonatemi, se ho sondato la vostra mente... solo un poco.» Shorr Kan fece un gesto noncurante, e disse a Gordon: «La cosa che più mi manda in collera è che qualcosa si poteva fare! Con la mia considerevole abilità militare... ammetterete che, partendo dal nulla, per poco non sono riuscito a conquistare la galassia... pensavo che i miei servigi sarebbero stati accolti con gioia, in questa lotta! Al diavolo... questa gente ha Shorr Kan... ha John Gordon, che se fosse a Throon sarebbe accanto all'Imperatore, nel cuore della lotta... non è forse vero, Gordon?... e, naturalmente, ha Hull Burrel, che può essere un po' permaloso e forse non geniale in altre cose, ma che è uno dei più alti ufficiali della flotta imperiale! Ebbene, Abro non vuole neppure ascoltarmi... nessuno si deve intromettere negli affari di questo regno! Ho conosciuto dei presuntuosi e dei pazzi, ma questa gente di Fomalhaut sembra cercare le disgrazie, piuttosto che evitarle!» Korkhann chinò il capo, gravemente. «Forse avete ragione, Shorr Kan. Io stesso ho cercato di convincere il consiglio, e la principessa Lianna ha tentato a sua volta... ma non comprendete l'antico orgoglio di Fomalhaut, e la democrazia che regge i nostri mondi.» «La democrazia!» rise Shorr Kan, amaramente. «Una bellissima idea che porta danni maggiori delle antiche pestilenze!» «Forse è così,» disse Korkhann. «Ma è anche la forza del nostro regno... guardate là, nelle strade! Ognuno è disposto a farsi uccidere, per difendere il palazzo e la persona della nostra sovrana.» «Ebbene, visto che non gradiscono il nostro aiuto, io rimarrò con voi, Gordon. Sarò sempre alle vostre spalle, durante i fuochi d'artificio.» «È l'ultimo posto nel quale vorrei trovarvi!» disse lentamente Gordon.
«Sono allergico ai coltelli.» Shorr Kan scoppiò in una risata sincera. «Vedo che non avete perso la voglia di scherzare, Gordon! Ma potete contare su di me, come sul più fedele dei vostri alleati. Se mi conoscete anche soltanto un poco, capirete che ora sono il vostro più fedele alleato! Siete la mia unica speranza di salvare il collo, e perciò...» E, in quel momento, la sua voce venne soffocata da un cupo fragore. Un pauroso tuono lacerò la notte, moltiplicandosi a velocità incredibile, e i tre, voltandosi, videro decine e decine di scie di fuoco che salivano verso il cielo, da tre punti differenti, oltre i confini della città. Pareva che uno sciame di meteore fosse impazzito, e avesse deciso di salire verso gli spazi, invece che concludere il lungo volo sulla superficie di un mondo. «Proiettili atomici!» disse freddamente Shorr Kan, non appena il tuono si fu quietato. «Se le batterie sono entrate in azione, significa che gli invasori sono vicini... e la situazione si farà molto calda, entro breve tempo!» E in quel momento i missili cominciarono a partire da molti altri punti, a raffiche rapide e continue. Pareva che l'intero pianeta eruttasse proiettili di fuoco, e l'intera volta celeste era attraversata da quei bagliori. Sopra quella scena fantastica e paurosa, le rapide lune salivano verso lo zenit, altere e distaccate dagli eventi degli uomini. Da tutti i punti della città si levò un altissimo grido. Korkhann indicò un punto, con le dita artigliate. Nella volta celeste era apparso un oggetto luminoso... una grande forma che ingrandiva a ogni istante, precipitando verso terra. Era un incrociatore siderale... o meglio, lo era stato. Ora il gigantesco scafo era ardente, e circondato da nembi di fiamma. Precipitò verso Hathyr, come una cometa impazzita. Con uno schianto tremendo, il relitto infuocato urtò il pianeta, molto lontano dalla città. Il terreno fu scosso da un improvviso tremore, e lontano essi videro apparire un nuovo sole che illuminava la notte... un sole ardente che subito si affievolì e si spense, mentre una ventata di aria rovente giungeva a spazzare il terreno. «Era abbastanza vicino,» commentò Shorr Kan. «Preferirei che quei soldati facessero attenzione, e lanciassero i missili al momento giusto... abbattere un incrociatore nemico può essere un'impresa salutare, ma quando gli si permette di avvicinarsi troppo...» «Eccone un altro!» esclamò Gordon. «Guardate!» Molto più lontano, una seconda cometa precipitò fiammeggiante dalla
volta celeste, rischiarata dalle lune. L'impatto venne avvertito appena. Shorr Kan annuì. «Molto meglio, questa volta. E spero che continuino così. Se uno di quegli oggetti precipita sulla città...» Non concluse la frase, e non ce n'era bisogno. Gordon aveva avuto la medesima idea. E in quel momento, improvvisamente, si udì un nuovo rumore... un clamore di voci, un tumulto che giungeva dalla città. Gordon si volse in quella direzione, sorpreso... non si vedeva niente, nella notte. Egli domandò, ansioso: «Che cosa succede?» «Ascoltate,» disse Korkhann. «La folla esulta!» Il frastuono si faceva sempre più vicino. E finalmente essi poterono vedere un'immensa folla che saliva verso il palazzo, una fiumana che aveva invaso il viale degli antichi sovrani, dove le orgogliose statue segnate dal tempo parevano essere ritornate in vita, grazie al continuo, mutevole chiarore che veniva dal cielo, nel quale le traiettorie dei missili spesso terminavano in bianche esplosioni di fiamma. Al centro della folla, a bordo di un'auto scoperta, Lianna avanzava lentamente verso il palazzo. Il popolo correva intorno all'auto, esultante, e grida di entusiasmo e applausi sorgevano dappertutto, all'indirizzo della sovrana Lianna teneva alta la mano destra, e rispondeva al saluto con calma regale, come se quella processione fosse stata una cosa di ogni giorno, una manifestazione pacifica del popolo in una ricorrenza usuale. In passato, Gordon aveva provato risentimento per la condizione di Lianna, per il cerimoniale complesso di cui era circondata... ma ora vedeva l'altra faccia della medaglia, e il suo cuore si gonfiò di orgoglio, quando ella salì la scalinata del palazzo, e si voltò, diritta e bellissima, a salutare per l'ultima volta il popolo in festa. Per la vita e per la morte, pareva dire, voi e io seguiremo lo stesso destino, perché noi siamo Fomalhaut! Poi ella si voltò, e fece segno a Gordon e a Korkhann di seguirla, vedendoli fermi davanti al palazzo. Le scariche di missili erano diventate incessanti, ora, e tutto il cielo pareva illuminato a giorno, e il grande palazzo esagonale tremava, scosso dai profondi rombi che scendevano dalla volta celeste. Gordon e Korkhann seguirono Lianna nei sotterranei, nella sala dalla quale le sorti della battaglia venivano seguite dallo Stato Maggiore del Regno di Fomalhaut. Questa volta, Shorr Kan li seguì anche nell'ampio locale, con aria cupa e de-
terminata. Gordon si accorse che i soldati che si trovavano di guardia alle porte della sala non pensarono neppure di fermare l'intruso: in quell'ora difficile, nella quale il Regno di Fomalhaut vacillava sull'orlo della catastrofe, perfino la disciplina e l'orgoglio di quel popolo fiero venivano dimenticati. Abro si fece avanti, abbandonando per un momento il gruppo di funzionari e ufficiali che circondavano gli ampi schermi. Il volto del ministro era coperto di sudore, ma i suoi occhi sfavillavano. «Ormai non ci sono dubbi, altezza!» gridò. «La grande flotta siderale dei baroni si sta dirigendo verso di noi, alla massima velocità!» Gordon provò un senso d'improvvisa speranza. Dunque era questo il motivo dell'esplosione di gioia del popolo! Ricordava bene il valore dei grandi baroni della Costellazione d'Ercole... e sapeva che la loro poderosa flotta era capace di tenere testa a qualsiasi regno siderale! Gli occhi di Abro sfavillavano, ma c'era qualcosa di oscuro, in fondo al suo sguardo. Egli notò che negli occhi grigi di Lianna era apparsa una luce di speranza, e si affrettò ad aggiungere, in tono più pacato: «Mi dispiace di aggiungere, altezza, che la loro rotta non è verso Hathyr, ma verso Austrinus, dove ciò che rimane della flotta di Engl sta ancora combattendo contro i conti!» Con un senso improvviso di sgomento e di vuoto, Gordon capì che, considerando la cosa dall'esterno, quella decisione era la più saggia che i baroni avrebbero potuto prendere... anzi, era l'unica possibile! Veterani di molte battaglie siderali, i baroni non sarebbero certo stati così ingenui da lanciarsi in soccorso di un pianeta, mentre una poderosa flotta ostile restava nello spazio, pronta a colpire! «Abbiamo ricevuto i più recenti rapporti,» annunciò in quel momento Abro. «Ci dicono che almeno ventiquattro astronavi da trasporto della flotta di Narath sono atterrate in questo quadrante di Hathyr. Abbiamo distrutto la maggior parte delle astronavi, ma non abbiamo potuto fermarle tutte, e ora stanno calando in numero sempre maggiore, poiché le nostre batterie difensive vengono gradualmente messe fuori uso!» «Difenderemo la città!» esclamò Lianna, sollevando orgogliosamente il capo. «Siamo in grado di tenerla, fino a quando la flotta dei baroni non potrà venire a soccorrerci!» Gordon sperava che quella fiducia fosse giustificata. Pensò che, se non fosse stato così, il viaggio che lui aveva compiuto per morire era stato molto, molto lungo.
Ebbene, lui avrebbe affrontato la morte senza alcun rimpianto! Perché aveva avuto più di quanto un essere umano possa attendersi di ottenere... e qualunque fosse stato l'esito della sua avventura, era fermamente convinto che quanto aveva ottenuto giustificasse ogni sacrificio... anche l'ultimo! Capitolo Ventitreesimo Il sovrano delle tribù Una notte di Valpurga d'orrore gravava sulla Città di Hathyr, mentre, una dopo l'altra, le sue linee difensive venivano travolte dalla violenza degli attacchi nemici. Per tutta una notte, e per tutto il giorno dopo, e per buona parte della notte successiva, le gigantesche astronavi da trasporto avevano continuato ad atterrare su Hathyr. La maggior parte di quelle astronavi era composta di relitti ardenti, tizzoni fumanti che precipitavano al suolo dopo essere esplosi nello spazio, come grandi fiori di fuoco. Migliaia, forse milioni di esseri umani e alieni dovevano essere periti, in quell'olocausto immane... ma le orde di Narath Teyn parevano senza fine. Mano a mano che le avanguardie nemiche riuscivano a infiltrarsi, e a stabilire delle teste di ponte, le truppe non umane partivano all'attacco delle batterie dei missili e dei cannoni atomici, travolgendo le difese dei soldati di Fomalhaut, e mettendole fuori uso. E mano a mano che le difese crollavano, il numero delle astronavi che riuscivano ad atterrare aumentava, e dai giganteschi incrociatori da trasporto si riversavano orde immani di creature straniere, che invadevano il territorio sovrano di Fomalhaut. Da centinaia di mondi selvaggi,, perduti nelle Frontiere degli Spazi Ignoti, le orde aliene erano giunte... i non umani che seguivano con fanatica devozione la bandiera scarlatta di Narath, signore di Teyn. I Gerrn di Teyn, i più fedeli e i più devoti, giganteschi felini dalle zampe possenti e dai corpi di centauri, singolarmente umani, demoni che balzavano tra le fiamme e le devastazioni dell'invasione con gli occhi infuocati, gettandosi con una voluttà di morte nel cuore della battaglia. I Qhalla, una marea frusciante e alata di primitiva brutalità aliena, una marea che avanzava come un incubo materializzato, in un rauco, minaccioso tuono di gutturali grida di guerra. I Torr, che venivano dagli estremi confini delle Frontiere degli Spazi Ignoti... creature che vedevano dal loro mondo l'immensità del vuoto intergalattico, senza avere altre stelle e altri pianeti a separarli da quella desolazione
spaventosa, creature che avevano appreso duramente una lezione di solitudine, così remote dalla civiltà quanto era remoto il loro mondo dal cuore vivo e pulsante della Via Lattea. Erano giganti pelosi, dalle quattro lunghe braccia, dagli occhi enormi e sfavillanti, che avanzavano in un sepolcrale silenzio, pensando solo alla morte, vedendo solo la morte. E c'erano gli Andaxi, gigantesche forme che ricordavano i lupi, e che tentavano di sembrare degli uomini, e prendevano un poco della ferocia dell'una e dell'altra specie... mostri che procedevano a grandi balzi, scoprendo le paurose zanne, con gli occhi che parevano braci infernali. E altre forme, innumerevoli e indescrivibili... orde che strisciavano, balzavano, volavano, veleggiavano nel cielo... una fantasmagoria di forme d'incubo, in quella notte delle streghe che s'era scatenata sul mondo-giardino di Fomalhaut! E tutti quegli orrori alieni erano armati... zampe, artigli, membrane, tentacoli reggevano delle armi moderne, fornite loro dai Conti delle Frontiere. Torrenti di pallottole atomiche partivano dalle schiere non umane, una pioggia di fuoco che era un'ondata bianca e mortale davanti a loro, e faceva ardere le strade e le torri della Città di Hathyr, mentre i fiori dei giardini si annerivano e si consumavano, e le ceneri venivano calpestate da zoccoli e zampe e artigli. Dalle postazioni difensive, i soldati che indossavano l'uniforme dell'esercito di Fomalhaut rispondevano al fuoco, con i fucili atomici che tuonavano ininterrottamente. Le sagome inumane venivano spazzate via, come se una falce incandescente fosse passata in un campo di grano maturo, e figure urlanti si torcevano, bruciando vive, formando monticelli di scorie che formavano barriere naturali nei punti più aspramente contesi. I soldati di Fomalhaut erano bene armati, e i plotoni ordinati che abbattevano a centinaia i mostri alieni erano organizzati e disciplinati, e il popolo di Hathyr era là, pronto a combattere fino alla fine per sostenere la propria sovrana. Ma le forze del nemico parevano inesauribili! Per ogni creatura che esplodeva in un fiore di fuoco, raggrinzendosi e annerendosi e sbriciolandosi a terra, altre cento parevano balzare dalle fiamme, gettandosi con furia rinnovata contro le barriere. Per ogni grido di morte che giungeva dai fedeli di Narath Teyn, mille grida di guerra e di collera rispondevano al monotono crepitare delle armi, che si mescolava al crepitare dei corpi che ardevano, consumati, dalle paurose fiamme dell'atomo. I nemici erano sempre di più, e la loro avanzata era implacabile e inarrestabile, come l'avanzata della natura scatenata. Nella violenza della battaglia, furono molti coloro che abbandonarono le pistole atomiche e i fucili, ritor-
nando al primitivo uso degli artigli e delle zanne... un modo di combattere che era più vicino alla loro natura, che dava una gioia più profonda, e riempiva di maggiore sgomento il nemico. Venivano da tutti i lati, formavano un anello, un cappio che si stringeva lentamente intorno al cuore della città. Venivano e urlavano, e i soldati diventarono sempre più pallidi, perché nella loro mente la bizzarra magia che faceva moltiplicare i nemici, malgrado tutti i loro sforzi, era qualcosa d'inesplicabile e di soprannaturale... un presagio fatale di sconfitta. E alla fine fu il numero a piegare ogni resistenza. Perché gli alieni di Narath Teyn erano troppi... e nessuna forza umana pareva in grado di arrestare la loro mostruosa avanzata. Si vedevano ardere degli incendi, in numerosi punti della città, fiamme rossigne che rischiaravano lo scenario d'incubo, accentuandone i colori lividi e l'impressione dominante di orrore. Pareva che una pira funebre fosse stata alzata per il regno di Fomalhaut, e che le fiamme aumentassero, alimentate dal vento e dalla distruzione, lente e maestose e fatali. Le lune silenti osservavano dall'alto dei cieli una città consumata dalle fiamme della propria distruzione, e nel livido chiarore dei fuochi le orde aliene parevano danzare, come un'inarrestabile cavalcata di fantasmi. Gordon era in piedi, insieme a Lianna, a Korkhann e a Shorr Kan, sull'alta terrazza alla sommità del palazzo, dalla quale si dominava il viale dei re di pietra. Gli incendi e la furia e il clamore della battaglia si stavano lentamente avvicinando al palazzo reale. Sullo sfondo delle fiamme, potevano vedere gli aerei dell'esercito di Fomalhaut che calavano in picchiata sulle orde nemiche, con la forza della disperazione, mentre soldati dai volti stravolti riversavano torrenti di proiettili atomici su quella marea avanzante, sapendo bene che era tutto inutile, che quella resistenza eroica poteva soltanto ritardare una fine inevitabile. «I miei soldati combattono eroicamente, ma i nemici sono troppi!» mormorò Lianna, fissando, pallidissima, quella scena di distruzione e condanna. «Narath ha lavorato per anni e anni, per conquistarsi la fedeltà cieca dei non umani, e ora finalmente vediamo il frutto delle sue fatiche!» «Ancora non riesco a comprendere come un essere umano... Narath... possa influenzarli a tal punto!» Gordon indicò le strade invase dal fumo e dalle fiamme, percorse dalle orde mostruose. «Muoiono, vedete? È impossibile dire quante vittime siano già cadute... migliaia, forse milioni... ma non si fermano neppure per un momento, non esitano neppure! Sembrano ebbri di gioia... la gioia di morire per Narath! Perché? Perché?» «Posso rispondere io a questa domanda,» disse la voce gentile di Kor-
khann. «Narath è veramente umano solo nell'aspetto fisico. Ho potuto sondare la sua mente... solo i margini, perché era protetta dai Gerrn, ma qualcosa ho potuto capire... e vi assicuro che lui è quello che viene definito un ritorno atavico, una regressione mentale a un'epoca nella quale i sentieri evolutivi non si erano ancora divisi. Narath ha il corpo di un uomo, ma la sua mente vive ancora al tempo nel quale non esisteva nessuna differenza tra l'uomo e i non umani! È per questo che le popolazioni più selvagge... più vicine all'animale che all'essere intelligente... lo amano e lo venerano fino a questo punto. Perché Narath è un uomo, eppure la sua mente è simile alla loro! Egli pensa e vive come loro, mentre nessun essere umano può farlo! La sua pazzia è la sua forza... ed essi lo seguiranno fino alla morte!» Gordon fissò, attonito, quel panorama di distruzione. «Atavismo!» mormorò. «Dunque la colpa di tutto questo è un gene, qualcosa d'infinitesimale?» «Se ci tenete a farmi un favore,» esclamò Shorr Kan, esasperato, «Risparmiatemi le discussioni filosofiche... è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno!» Un ufficiale, giovane e trafelato, con un'espressione sgomenta negli occhi, entrò di corsa sulla terrazza, e rivolse un rapido saluto militare a Lianna. «Altezza!» esclamò. «Il ministro Abro vi supplica di abbandonare il palazzo, a bordo di un aeromobile che è già pronta, prima che i combattimenti si avvicinino troppo!» Lianna sollevò il capo, orgogliosamente, e rivolse un secco cenno di diniego al giovane ufficiale. «Ringraziate il ministro, tenente, e informatelo che non abbandonerò mai il mio posto, fino a quando ci saranno degli uomini che combattono e muoiono per me!» Gordon balzò in piedi, e si rivolse a Lianna, pronto a supplicarla per convincerla a cambiare idea. Ma gli bastò un'occhiata al suo volto pallido e fiero, alla curva ostinata del mento, alla fiamma che ardeva negli occhi grigi, per convincersi che tutto era inutile. Quell'orgogliosa figlia di sovrani delle stelle non avrebbe mai compiuto quello che riteneva un tradimento! Tacque, allora, e osservò il panorama di morte che si stendeva ai suoi piedi. Shorr Kan non aveva certo simili inibizioni. La sua voce suonò, decisa e imperiosa. «Altezza, il ministro ha ragione! Quando i combattimenti saranno finiti,
potrà essere troppo tardi per lasciare il palazzo. È meglio partire subito, mentre il nemico è ancora lontano!» Lianna disse, freddamente: «Non mi sarei aspettata un altro consiglio dal comandante che è fuggito da Thallarna, quando le sorti della battaglia sono apparse contrarie al suo esercito!» Shorr Kan si strinse nelle spalle. «Ebbene, sì, questo è quanto io penso... e devo dire che comportandomi a quel modo, oggi sono ancora vivo.» Si affrettò ad aggiungere, in tono amaro. «Anche se temo che non lo sarò ancora per molto.» Aveva una pistola atomica alla cintura, come l'aveva Gordon, e in quel momento egli abbassò lo sguardo e fissò l'impugnatura, con espressione di disgusto. «Più mi avvicino al momento in cui dovrò attuare il mio proposito di morire eroicamente, più la prospettiva mi appare insensata e priva di attrattive.» Lianna lo ignorò, sdegnosamente, e i suoi occhi scrutarono attraverso le nubi di fumo e le fiamme degli incendi e il tumulto che avvolgevano l'intera città. Gordon poteva comprendere i suoi sentimenti... mentre ella guardava dall'alta terrazza quel titanico viale ai cui lati si ergevano le statue dei suoi antenati, quel viale che racchiudeva l'intera storia del regno siderale, e assisteva alla disperata battaglia dei suoi soldati e del suo popolo contro quell'incalzante marea d'invasori non umani. Si rivolse bruscamente a Korkhann. «Dite ad Abro di lanciare immediatamente un messaggio ai baroni. È necessario avvertirli che, se essi non manderanno i loro incrociatori da guerra ad aiutarci subito, il regno di Fomalhaut è perduto!» Il non umano s'inchinò, e si allontanò rapidamente. Quando Lianna si volse di nuovo verso la città, vide che un grande veicolo volante, un aeromobile che portava l'emblema del Sole Bianco di Fomalhaut, stava scendendo, attraverso le nubi di fumo, e si posava sulla grande terrazza. I portelli si aprirono immediatamente. «No!» esclamò Lianna, irata. «Io non me ne andrò da qui! Mandate via quegli uomini!...» «In guardia!» gridò improvvisamente Shorr Kan. «Quelli non sono i vostri soldati!» Troppo tardi Gordon vide che i soldati che scendevano fulminei dai portelli aperti non indossavano le uniformi con l'emblema del Sole Bianco, ma le nere divise con l'emblema della Mazza. Erano gli uomini di Cyn Cryver! I neri soldati corsero, attraverso l'ampia terrazza, verso il gruppetto che
stava in piedi, sgomento. I soldati non avevano impugnato le armi... evidentemente, contavano sulla forza del numero per sopraffare quei tre, due uomini e una donna, apparentemente inermi. Ma Shorr Kan non era un vile, malgrado il suo cinismo e il suo opportunismo! Gordon vide che l'antico padrone dei Mondi Oscuri si gettava a terra, stringendo la pistola atomica con entrambe le mani, e cominciava a scagliare un torrente di proiettili esplosivi contro i neri invasori! Alcuni soldati, nella prima fila degli assalitori, caddero, con i corpi dilaniati dall'esplosione della piccola pallottola che era fatale per chiunque venisse colpito. Shorr Kan continuò a sparare, furiosamente. Gordon sollevò allora la sua pistola, dalla lunga canna sottile, e maledisse tra sé la sua scarsa familiarità con quell'arma, invidiando la sicura precisione di Shorr Kan. Cercò di togliere, col pollice, la sicura, e la pistola vibrò nella sua mano, e un colpo partì, alla cieca. Vide la pallottola esplodere nell'aria, molto al di sopra delle teste dei soldati dall'uniforme nera, e allora sparò di nuovo, prendendo la mira, e vide la pallottola esplodere tra i soldati che portavano l'emblema della Mazza. «Presto, Gordon!» gridò Shorr Kan. «Ne stanno arrivando degli altri!» Era vero! I soldati superstiti avanzavano ancora. Non sparavano ancora, e Gordon capì, improvvisamente, che non avrebbero sparato... perché essi volevano Lianna viva, e se avessero risposto al fuoco avrebbero corso il rischio di ucciderla! «Non sparate!» stava gridando il capo degli assalitori. «Il Conte li vuole vivi!» Queste parole confermarono quanto Gordon aveva immaginato, ed egli continuò a sparare, al fianco di Shorr Kan, pervaso da una terribile collera e da un desiderio disperato di uscire da quella situazione paurosa. Ma i nemici si avvicinavano rapidamente, e dai portelli aperti dell'aeromobile scendevano altri soldati, che si disponevano lateralmente, formando dapprima una irregolare mezzaluna, poi un circolo completo intorno ai tre. «Ci hanno tagliato la strada della ritirata!» gridò Shorr Kan. «Sparate, Gordon... non risponderanno al fuoco!» Il circolo si stava chiudendo intorno a loro! E ormai né Shorr Kan né Gordon potevano più sparare... perché i soldati nemici erano così vicini, che l'esplosione delle pallottole atomiche nei loro corpi avrebbe avvolto anche loro e Lianna. Gordon strinse con maggiore forza la pistola dalla lunga canna sottile, e cominciò a usarla come una mazza, lanciandosi contro i neri assalitori che si trovavano alle loro spalle.
Mulinando furiosamente la pistola, riuscì ad abbattere alcuni nemici... e vide che si era aperto un varco, miracolosamente, nelle file dei soldati delle Frontiere. «Presto, Lianna!» gridò, senza voltarsi. «Correte a rifugiarvi nel palazzo! Se restate qui, tutto è perduto!» Udì qualcuno gridare, al suo fianco. «Guardie! Guardie, accorrete!» E poi, in tono più sommesso, «Avanti, Gordon... se dobbiamo comportarci da eroi, almeno facciamolo fino in fondo!» Gordon riconobbe la voce ironica di Shorr Kan... e vide che l'antico padrone dei Mondi Oscuri si era gettato nella lotta, al suo fianco! Insieme, cercarono di fermare i soldati delle Frontiere, che si erano accorti del loro piano e tentavano di tagliare la via della ritirata. Fianco a fianco, Gordon e Shorr Kan abbatterono diversi nemici... e per un momento Gordon provò un'infinita ammirazione, per Shorr Kan, perché non aveva mai visto un uomo combattere con tanta feroce determinazione, e con tanto eroico valore. Ma i soldati delle Frontiere erano troppi! Gordon si sentì sommerso da una valanga nera, e l'emblema della Mazza scintillò, davanti ai suoi occhi, come se si fosse riprodotto per qualche virtù magica. Vide Shorr Kan cadere, travolto da un grappolo di uomini, e capì che egli lottava ancora, pur comprendendo la sconfitta, con i gomiti e le ginocchia e le unghie. Poi Gordon fu attaccato da numerosi soldati, e cadde a sua volta, in un groviglio di corpi impegnati in una colluttazione furibonda. C'erano troppe mani, troppi stivali pesanti, troppe ginocchia che vibravano colpi crudeli! Avrebbe voluto voltarsi, per vedere se Lianna aveva sfruttato quell'opportunità di fuga che le era stata offerta, ma gli era impossibile muoversi... riuscì a vedere, però, che dal grande salone all'interno del palazzo un plotone di guardie di Lianna stava accorrendo, disperatamente, con le armi spianate! Gli uomini che erano rimasti a bordo dell'aeromobile non ebbero scrupoli a sparare contro le guardie di palazzo, perché Lianna non era in vista, ed erano soltanto Lianna e i due uomini l'obiettivo che si erano prefissi di raggiungere! Dalle due torrette della grande auto volante spuntarono le canne minacciose dei fucili atomici, e un torrente di fuoco si scatenò contro i soldati di Fomalhaut, e i corpi dei difensori esplosero in fiammate abbaglianti, raggrinzendosi e riducendosi a mucchietti d'ossa bruciate e di carne. L'odore della carne bruciata era nauseabondo, e toglieva il respiro, e
l'intera scena d'incubo durò solo per pochi secondi. Gli artiglieri dell'auto delle Frontiere avevano impiegato solo pochi minuti, per spazzare via i difensori. Ci fu silenzio, allora, e improvvisamente l'intera scena parve ruotare oscillando intorno a Gordon, e venne sommersa da una marea oscura... e Gordon scivolò nell'oscurità, avvertendo un tremendo dolore alla nuca, e gli parve che tutto l'universo esplodesse, e poi perse i sensi. Quando riprese i sensi, scoprì di essere disteso bocconi sul terrazzo. Si sorprese, per un momento, di essere ancora vivo, e avverti una sorda pulsazione alla nuca, e per un momento chiuse gli occhi, sopraffatto dal dolore. Quando li riaprì, vide che vicino a lui c'era Shorr Kan, in piedi. Il volto di Shorr Kan era livido e pallidissimo. Sollevando ancora il capo, malgrado il dolore, Gordon si guardò intorno... e vide i silenziosi soldati delle Frontiere, immobili, con le armi puntate. I loro volti erano duri e minacciosi, le loro mani erano sicure, nell'impugnare le armi. «Lianna!» gridò improvvisamente Gordon, e cercò di alzarsi. Shorr Kan indicò, con un breve cenno del capo, il salone intorno, oltre i corpi anneriti delle guardie che giacevano scompostamente sulla soglia, nelle posizioni più grottesche, là dove le pallottole atomiche avevano stroncato il loro ultimo, eroico tentativo di resistenza. «È là! Non è ferita... ma il palazzo è nelle loro mani! Quell'auto era solo la prima di un'intera flotta, mimetizzata con le insegne di Fomalhaut!» Uno dei neri soldati delle Frontiere colpì duramente Shorr Kan al viso, con la lunga canna della pistola atomica, e il sangue uscì dalle labbra dell'antico padrone dei Mondi Oscuri. Shorr Kan rimase eretto, socchiudendo gli occhi, resistendo al dolore... ma smise di parlare. E in quel momento, malgrado il dolore alla nuca e l'angoscia che gli stringeva il cuore, Gordon si accorse che si udiva un confuso, inarticolato ruggito, qualcosa che gli ricordò il fragore della risacca su un'alta scogliera. E poi, quando due soldati dai volti duri e impenetrabili vennero accanto a lui, e lo rimisero in piedi, con violenza, egli poté vedere oltre la bassa balaustra della terrazza, e comprese qual era l'origine di quel suono! Ora vedeva la luce di crudele trionfo che ardeva negli uomini delle Frontiere, sotto la maschera dura e inflessibile che ostentavano! Ora ne comprendeva il motivo, e anche l'ultima speranza svanì, dentro di lui! Perché la città era caduta! Fiamme rosseggianti si innalzavano ancora, in diversi punti, ma gli spari erano cessati, insieme a tutti gli altri rumori della battaglia. L'intera area che circondava il palazzo pareva gremita dalle
orde non umane... le tribù venute da molti pianeti e da molti sistemi stellari, per conquistare un regno! C'erano i Gerrn e i Qhalla, gli Andaxi e tutte le orde grottesche, uscite da un incubo senza nome, che avanzavano, esprimendo il loro trionfo, distruggendo i giardini fioriti, ululando, ruggendo, gesticolando in preda a un parossismo di felicità! Con le lacrime agli occhi, Gordon vide che molte delle orgogliose torri della città erano in fiamme, vide che i fiori erano stati calpestati nei giardini, e i laghi parevano rosseggiare di sangue... Ma il ruggito più forte veniva da una solida, spaventosa massa di creature, una massa che avanzava lungo il Viale dei Re. Le tribù esprimevano la loro gioia frenetica con sibili, brontolii, squittii, richiami gutturali e orribili. E i loro occhi... sfaccettati, fissi, minuscoli, giganteschi, orribili... fissavano un essere umano, un uomo che cavalcava davanti a loro, sul dorso dal pelo nero di un gigantesco Gerrn... Narath Teyn, che teneva eretta la testa dai lineamenti purissimi, e veniva con le sue tribù non umane a reclamare il suo regno! Capitolo Ventiquattresimo La fusione delle menti L'immenso salone, che si apriva sulla grande terrazza, era silenzioso. Gordon era in piedi, accanto a Shorr Kan, e dietro di loro i silenziosi soldati delle Frontiere non li perdevano d'occhio, minacciosi e severi. C'erano molti soldati che portavano l'emblema della Mazza sulle uniformi nere, ed erano tutti in piedi sull'attenti, tenendo in mostra le loro armi. Ma Narath Teyn era seduto, come si conveniva a un sovrano. Sedeva con il corpo eretto, e c'era un sorriso sognante sul suo viso. I suoi capelli scendevano sulle spalle, disordinati e ribelli, e l'abito che indossava pareva di fuoco vivo, scintillante, e aderiva perfettamente alla sua figura atletica. Il suo aspetto era regale, e il suo volto bellissimo mostrava la follia che pervadeva la sua mente. Narath, signore di Teyn, era veramente un sovrano. Ed era pazzo. Lianna sedeva, a poca distanza da lui. Non c'era alcuna espressione sul suo viso orgoglioso e pallido. Gli occhi grigi rimanevano impassibili, tranne che nei momenti in cui ella fissava Gordon. Allora quell'espressione si addolciva, e Gordon provava un violento rimpianto per quello che avrebbe potuto essere, e non era stato.
«Non manca molto,» disse Narath, con voce stranamente gentile. «Non dovremo aspettare a lungo l'arrivo del conte Cyn Cryver e degli altri, cugina!» E Gordon sapeva chi erano gli «altri», e il suo corpo era paralizzato dal gelo e dall'orrore. Dalle grandi vetrate aperte che conducevano sull'ampia terrazza, dense volute di fumo acre s'insinuavano nel salone. Da fuori giungeva anche un rumore lontano e confuso di voci, ma non era più il ruggente clamore di poco tempo prima. I cadaveri erano stati portati via... quelli dei soldati delle Frontiere, e quelli delle guardie di Lianna. E in quel momento, Gordon udì un ronzio prolungato... il suono di un'auto che atterrava sulla terrazza. E poi Cyn Cryver fece il suo ingresso nel salone. Il suo volto duro e arrogante ardeva di trionfo, quando egli li fissò. Il suo sguardo si soffermò a lungo su Shorr Kan. «Sono felice!» disse. «Temevo che i soldati vi uccidessero... perché noi non vogliamo che la morte vi raggiunga così presto!» Shorr Kan raddrizzò il capo, e lo fissò, con espressione ironica. «Vi è proprio necessario comportarvi sempre in maniera così maledettamente teatrale? Vi dirò che la cosa più esasperante e noiosa del mio soggiorno alla vostra corte era proprio questa... essere costretto ad ascoltare quelle vostre dichiarazioni roboanti e solenni!» Il sorriso di Cyn Cryver diventò minaccioso, e i suoi occhi brillarono di una luce d'odio mortale, ma egli non rispose. Narath si era alzato in piedi, e ora parlava con voce gentile, una voce stranamente dolce per quel sovrano di tribù guerriere. «Siate il benvenuto, fratello delle Frontiere. Il mio cuore è pieno di gioia nel rivedervi. E dove sono i nostri amici?» «Sono qui,» annunciò Cyn Cryver. «Stanno arrivando.» Guardò negli occhi Lianna, e il suo sorriso si accentuò. «Vi trovo in condizioni eccellenti, altezza. Davvero eccellenti, se pensiamo che il vostro mondo è nelle nostre mani, e che la vostra flotta siderale è stata accerchiata al largo di Austrinus, e viene martellata dai nostri incrociatori da guerra!» Apparentemente, pensò Gordon, il Conte delle Frontiere non sapeva ancora nulla dell'intervento dei baroni della Costellazione d'Ercole. Non che l'arrivo dei baroni potesse ormai cambiare la situazione, almeno per quanto riguardava loro... E poi egli si sentì gelare! Perché tre figure, velate e incappucciate, scivolarono silenziose nel salone.
Anche gli H'Harn erano giunti. Era strano assistere alle differenti reazioni che si manifestavano di fronte ai silenziosi stranieri, pensò Gordon. Shorr Kan li guardò, senza curarsi di nascondere l'avversione e il disgusto, e Lianna impallidì un poco, e Gordon fu sicuro che anche il suo volto doveva essere pallido e smarrito. Perfino l'arrogante Cyn Cryver, e i suoi neri e minacciosi soldati, parvero inquieti e a disagio. Ma Narath Teyn si protese verso le figure incappucciate, e sulle sue labbra era fisso quel sorriso sognante, e la sua voce gentile disse, con calore: «Venite al momento giusto, fratelli, ed è un momento di gioia per tutti! Io sto per essere incoronato.» Fu solo in quel momento che Gordon comprese pienamente fino a quali abissi scendesse la follia della mente di Narath Teyn! Fino a quel momento, aveva dubitato che una mente potesse essere così lontana da quella umana... ma ora non aveva dubbi! Narath, colui che i non umani adoravano come un dio e un condottiero, colui che salutava come fratelli gli alieni delle Nubi di Magellano, era meno umano di tutti coloro che si trovavano nel salone. Perfino i Gerrn temevano gli H'Harn... e Narath Teyn li amava! Il primo degli H'Harn parlò... e la sua voce era un bisbiglio sibilante e rauco e odioso. «Non è ancora il momento, Narath. C'è qualcosa da fare, prima, ed è molto urgente.» L'H'Harn si mosse... con quella sua bizzarra andatura che era a metà strada tra lo strisciare del serpente e il pulsare della gelatina, quel fluido, obliquo movimento di un corpo che pareva privo di ossa... e venne a fermarsi davanti a John Gordon. E poi lo fissò, dai recessi tenebrosi del cappuccio che velava il suo aspetto. «Quest'uomo,» annunciò, «Possiede un segreto che noi dobbiamo conoscere subito!» «Ma il mio popolo sta aspettando!» protestò Narath. «Tutti devono udire la voce di mia cugina Lianna, quando ella dichiarerà di cedere a me il suo trono. Devono udire tutti, per potermi acclamare re!» Sorrise a Lianna, il sorriso di un uomo che vive in un sogno. «Voi lo farete, cugina, naturalmente. Tutto deve essere giusto e appropriato. Non ci saranno ombre a velare il giorno radioso della mia ascesa al trono di Fomalhaut!» Cyn Cryver scosse il capo. «No, Narath, bisogna aspettare un poco. V'ril ha ragione. Gli H'Harn ci hanno aiutati grandemente, non è forse vero? E ora, in cambio, noi dob-
biamo aiutarli.» Con il bel viso imbronciato, Narath sedette di nuovo. L'H'Harn chiamato V'ril continuò a fissare Gordon, ma Gordon non poté vedere nulla del volto che era nascosto dal cappuccio grigio... né provava alcun desiderio di vederlo. In tutto il suo essere era dominante il desiderio di urlare e fuggire, di sottrarsi a quella presenza sudicia e misteriosa, che pareva contaminare il suo essere. Doveva usare tutta la sua forza di volontà per non cedere a quel desiderio isterico. Tremando, pensò che meglio sarebbe stato affrontare le pistole atomiche dei soldati, piuttosto che lo sguardo di quell'orrore senza nome! Anche Lianna era pallida, e fissava Gordon con occhi disperati. E perfino Shorr Kan era pallido. Coloro che non temevano alcun nemico, coloro che erano pronti ad affrontare con il sorriso sulle labbra la morte, tremavano e impallidivano, davanti a quell'odiosa, furtiva presenza. «Qualche tempo fa,» disse la voce rauca e sibilante dell'H'Harn, «Io andai segretamente a Throon, a bordo dell'astronave di Jon Ollen, uno dei nostri alleati. Questa fu la più rischiosa missione che abbiamo mai tentato, e il motivo giustificava pienamente il rischio... perché durante il soggiorno segreto sul pianeta imperiale, io potei sondare la mente di un ministro di Fomalhaut, chiamato Korkhann.» Questa notizia non era nuova, per Gordon, ma l'accenno gli fece ricordare improvvisamente Korkhann... per la prima volta, da quando aveva ripreso i sensi. Che ne era stato di lui? Era morto, forse? Sì, era molto probabile... e forse anche Hull Burrel era caduto durante l'attacco, perché neppure il valoroso antariano si vedeva nel salone. «Già da molto tempo avevo appreso un segreto noto solamente ai componenti della famiglia imperiale, e all'uomo che ora è prigioniero in questa sala, per averci tradito,» proseguì l'H'Harn. «Uno strano segreto, al quale neppure noi avevamo veramente creduto, fino a quando uno dei nostri fratelli non ha incontrato quest'uomo a Teyn... un fuggevole incontro, perché la fortuna e l'audacia permisero a costui e ai suoi compagni, tra i quali la principessa Lianna, di sfuggire al nostro primo tentativo di catturarli. «Questo sfortunato evento ci ha costretti a correre un rischio che per poco non ha portato alla mia scoperta, e al fallimento dei nostri piani... il rischio impensabile di raggiungere segretamente la corte di Throon, e usare i nostri poteri mentali per suggerire allo stesso imperatore e a Korkhann, di cui ho già parlato, un'idea dapprima confusa, che, grazie all'appoggio del nostro alleato Jon Ollen, si è trasformata in una perfetta trappola per que-
st'uomo e per lo stesso Impero. «Il progetto non poté andare completamente in porto, poiché Korkhann si accorse della mia presenza, e da quel momento la porta della corte di Throon mi è stata preclusa... e quest'uomo, Gordon, è riuscito ancora una volta a sfuggirci, in una maniera che ci è ancora oscura, ma che presto scopriremo. Perché il suo segreto è questo: l'uomo chiamato Gordon si sottopose, in passato, a uno scambio mentale con il principe Zarth Arn, e per un certo periodo egli ha vissuto nel corpo del principe dell'Impero. In questo periodo, egli guidò le flotte dell'Impero, e usò l'arma che viene chiamata il Distruttore!» Un mormorio d'incredulità si diffuse nel salone. Prigionieri e soldati delle Frontiere parvero pervasi da un'improvvisa eccitazione, e tutti gli sguardi si posarono sul corpo dell'uomo che stava di fronte all'alieno, pallidissimo e sorvegliato da molti soldati armati. Ed ecco di nuovo la rivelazione, pensò Gordon. Il maledetto Distruttore, e il suo segreto... quel segreto che lui non conosceva, ma che tutti pensavano che lui conoscesse... la maledizione che lo aveva perseguitato per tutto il tempo che aveva trascorso, in entrambe le occasioni, in quell'universo futuro, e che ora sarebbe stata infine la causa della sua morte! Eppure egli trovò la forza di sollevare il capo, e di guardare con fermezza la figura incappucciata. Perché ora tutti sapevano! Ora le fatali parole erano state pronunciate, e gli occhi che lo fissavano, ancora increduli e sgomenti, avevano capito che lui, e lui solo, aveva sconfitto le forze della Lega dei Mondi Oscuri, e aveva guadagnato l'eterna riconoscenza della Via Lattea! Ma poi quel senso di sollievo scomparve, perché sarebbe stata una misera consolazione, ora, la rivelazione del segreto... visto che lo avrebbe portato alla morte! O forse a una sorte infinitamente peggiore! Perché il silenzioso, fluido movimento dell'essere incappucciato e velato portò l'H'Harn ancora più vicino a lui... un ondeggiare odioso di una veste grigia e scintillante. «Ora,» annunciò il roco, sibilante bisbiglio, «Io sonderò la mente di quest'uomo, per conoscere il segreto del Distruttore. Che si faccia il più assoluto silenzio!» Gordon, nella morsa del più assoluto terrore, cercò ancora di voltarsi, di lanciare a Lianna un ultimo sguardo rassicurante... perché voleva tentare di farle capire che non avrebbe potuto rivelare nulla, perché lui non sapeva nulla! Ma non riuscì mai a terminare quel movimento. Una folgore tenebrosa di forza mentale lo colpì. Paragonata alla folgore
mentale dell'H'Harn a bordo dell'incrociatore siderale, si trattava di qualcosa di immensamente più forte... un'esplosione atomica contro una scintilla elettrica. Gordon scivolò in un abisso tenebroso dopo un attimo, e questo fu un bene, per lui, perché l'orrore era tale da far perdere la ragione alla mente più salda... Quando si riprese, era disteso sul pavimento di marmo. Sollevando il capo, stordito, egli vide il volto inorridito di Lianna... un volto esangue, mentre lei si mordeva le nocche delle dita per non urlare. Narath, seduto accanto a lei, appariva semplicemente annoiato e impaziente. Ma Cyn Cryver e l'H'Harn chiamato V'ril parevano discutere. La voce dell'H'Harn era salita di tono, era diventata un alto sibilo stridulo. Mai prima di quel momento, nei suoi brevi contatti con quelle creature, Gordon le aveva viste tradire una così intensa passione. «Ma...» stava dicendo Cyn Cryver. «Può darsi che egli non sappia altro. Può darsi che non ci sia altro da scoprire!» «Egli deve sapere molto di più!» sibilò V'ril, furioso. «Deve essere così, perché altrimenti egli non avrebbe potuto usare l'arma più potente dell'universo, quell'arma che sgomenta perfino noi! E io vi dirò anche quello che ho appreso dalla sua mente... Tutte le flotte dell'Impero si trovano oltre i confini della galassia, in questo momento, alla ricerca della nostra flotta. Sono guidate dal principe Zarth Arn... e portano con loro il Distruttore!» Questo parve incrinare l'arrogante sicurezza di Cyn Cryver. Il conte impallidì, e parve vacillare, e dopo qualche istante di silenzio esclamò, in tono accusatore: «Voi stesso mi avete detto che non potranno mai localizzare la vostra flotta!» «È vero, non possono,» disse l'alieno. «Ma ora l'allarme è stato dato, e quando noi attaccheremo Throon e i mondi centrali dell'Impero, saranno pronti a difendersi! Sapranno da quale parte giungerà l'attacco... e potranno usare il Distruttore. Lo faranno, anche se questo vorrà dire il sacrificio di milioni di vite... anche se, così facendo, essi annienteranno la stessa Throon! Non capite, dunque? In questo momento, è ancora più importante... anzi, è vitale... conoscere la portata e il funzionamento di quell'arma, prima di lanciare l'attacco!» Bruscamente, Narath si alzò in piedi, e disse, con fermezza: «Ne ho abbastanza di questa faccenda! Potrete sistemare le vostre cose più tardi. Il mio popolo aspetta, là fuori, per acclamarmi re!» Il volto incappucciato di V'ril si girò verso Narath... Gordon vide il mo-
vimento fluido, indovinò il proposito dell'alieno. D'un tratto, il volto di Narath si fece terreo, ed egli si mise a sedere, e tacque. «Un esperto telepatico avrebbe potuto nascondere il segreto nelle profondità più recondite della mente di quest'uomo,» disse V'ril, e il volto incappucciato era rivolto di nuovo a Gordon. «Può averlo fatto così sottilmente, così profondamente, che perfino quest'uomo non ne è consapevole, pur avendo usato quel segreto... così profondamente, che perfino un sondaggio mentale potentissimo non può rivelare quel segreto. Ma c'è un modo per portarlo alla luce!> Gordon non capiva il senso di quelle parole... ma notò che, per la prima volta, nell'udire quelle parole, gli altri due H'Harn si mossero, e parvero ondeggiare e tremare, come se fossero stati presi da un accesso di feroce allegria. Quell'oscuro, malvagio senso di allegria riempì Gordon di un terrore ancora più profondo... come se la minaccia nascosta da quelle parole fosse ancora più terribile, ancora più intollerabile, delle sue più atroci paure. «La Fusione delle Menti!» bisbigliò sibilando V'ril. «L'unione completa di due esseri, così completa che nulla di quanto si trova in una mente può essere nascosto all'altra, quando l'unione è compiuta. Non esistono inganni mentali che possano permettere di nascondere un segreto, in queste condizioni.» La creatura sibilò un comando, rivolgendosi ai soldati delle Frontiere: «Presto! Fate inginocchiare quest'uomo!» Gli uomini si fecero avanti, e afferrarono da tergo le braccia di Gordon, costringendolo a inginocchiarsi. Dal modo in cui respiravano affannosamente, Gordon comprese che perfino quei rudi, implacabili soldati, che portavano l'emblema della Mazza ed erano alleati degli H'Harn, erano pieni di sgomento e di terrore, e non approvavano quello che stava accadendo. Ora la creatura incappucciata si ergeva, con la testa poco più in alto di quella di Gordon. E allora V'ril cominciò a sciogliere la sua veste grigia, e a togliersela, insieme al cappuccio che ne faceva parte, e il corpo dell'H'Harn apparve, nudo, nel silenzio pauroso del salone. Ora Gordon capiva perché gli alieni avevano avuto paura, perfino tra i non umani, a mostrare il loro vero aspetto! Perché anche le più orribili forme che i non umani assumevano nella Via Lattea erano aggraziate e piacevoli, in confronto alla disgustosa, mostruosa sagoma che appariva ora agli occhi sbarrati di Gordon!
Era un corpo dall'aspetto viscido, bavoso, e ricordava vagamente la figura di un umanoide piccolo, al quale fosse stata strappata la pelle, con una carne verdognola e grigiastra che pareva viva e umida e pulsante, mentre le braccia e le gambe apparivano più simili a tentacoli, privi di muscoli e di ossa, disgustosamente, oscenamente viscidi anch'essi! Quella carne umida, bavosa, nuda, pareva torcersi e fluire, animata da una volontà propria, e brulicare di innominabili parassiti nascosti in quell'umidità vischiosa. E il volto... Gordon avrebbe voluto chiudere gli occhi, ma non poteva farlo. Avrebbe voluto gridare tutto il suo orrore, ma la sua gola era prigioniera di una morsa gelida, e non poteva muoversi. Non poteva fare altro che guardare, mentre tutto il suo spirito si dibatteva per l'orrore... guardare quella testa piccola, rozzamente sferica, e quel volto fisso e vuoto e inespressivo, reso ancora più orribile da quella fissità vacua! C'era soltanto una bocca minuscola, stranamente delicata, nauseante, e c'erano due orifizi per la respirazione, e occhi enormi, che erano coperti da una pellicola grigia, spenta, oscuramente opalescente... C'era modo di esprimere l'orrore e il disgusto che provava un uomo quando, sollevando una pietra, vedeva un biancheggiare brulicante di vermi? C'era modo di dare voci a chi, infilando la mano in un tronco dall'aspetto invitante, sentiva la molliccia, viscida pulsazione di un verminaio? C'era qualcosa che potesse dare espressione all'orrore di chi trovava sotto il suo letto un nido di disgustosi serpenti? No! Quello era l'orrore... era qualcosa di così alieno, di cosi remoto da tutto ciò che viveva sotto i caldi soli della Via Lattea, da riempire di un gelo senza nome. Quel volto vacuo, quella carne che pareva grondare viscosità innominabili, quegli occhi vitrei e opalescenti e paurosi, si avvicinarono a Gordon, piegandosi un poco. Orribilmente, pareva che l'H'Harn si stesse piegando per baciarlo, ed era quello il tocco finale per completare l'innominabile orrore del momento, nel quale la natura stessa pareva ribellarsi a quel contatto mostruoso! Gordon si dibatté, disperatamente, pervaso dall'orrore senza nome, ma i soldati lo tennero fermo, benché fossero sudati e inorriditi come tutti coloro che si trovavano nella sala. Confusamente, egli udì il grido di angoscia e di terrore di Lianna. Gli occhi erano vicini a lui, la fronte fredda e viscida toccò la sua fronte. E poi gli occhi che erano diventati tutto l'universo visibile alla mente smarrita di John Gordon parvero cambiare, la cupa opalescenza si appro-
fondì, diventò un sinistro bagliore. E quel bagliore immondo diventò sempre più vivido, e a un certo punto gli parve di fissare la fiammeggiante distesa di una nebulosa. E Gordon sentì di precipitare in quel gorgo di fiamma! Capitolo Venticinquesimo II trionfo di Narath Teyn Lui era John Gordon, dell'antica Terra. Ed era anche V'ril di Amamabarane. Ricordava tutti i particolari della vita di Gordon, sulla Terra e poi in quell'universo futuro. Ma ricordava anche tutti i particolari della sua vita di membro del popolo di Amamabarane, quel grande alveare di stelle che gli umani chiamavano la Piccola Nube di Magellano. Quella doppia serie di ricordi era sorprendente e fantastica per la parte di lui che apparteneva a Gordon. Ma la parte che era V'ril era abituata a quell'esperienza. I ricordi venivano facilmente. I ricordi del suo mondo natale, immerso nel cuore più profondo della nube cosmica di Amamabarane. L'amato pianeta dove i possenti H'Harn, conquistatori invincibili, erano nati e avevano vissuto gli albori della loro civiltà. Ma essi non erano stati sempre potenti! C'era stato un tempo nel quale gli H'Harn erano stati solamente una specie tra moltissime altre, e non la più intelligente o la più forte. C'erano state delle altre razze che li avevano usati, con disprezzo, che li avevano chiamati stupidi, e deboli. Ma dove sono adesso quelle razze superbe? Scomparse, sepolte, spazzate via da quel grande scintillare di stelle che è l'universo di Amamabarane dai piccoli H'Harn... una grande, soddisfacente vendetta! Perché gli H'Harn avevano scoperto che nei recessi delle loro menti germogliava il seme della potenza suprema. Un potere che era una forza telepatica, una potenza della mente che permetteva di piegare e annientare le volontà più forti. Essi non avevano compreso quel potere, e dapprima se ne erano serviti in modo sciocco e meschino, per influenzare coloro che erano più forti e più veloci di loro, per proteggersi dai predatori. Ma con il trascorrere del tempo, essi avevano compreso che quel potere dava loro l'opportunità di ottenere molto di più, se avessero saputo render-
lo più forte e usarlo nella maniera appropriata. Così avevano cominciato in segreto, con un'ansia alacre e febbrile, a perseguire quella mèta splendida che desideravano raggiungere. Quelli, tra loro, che possedevano in misura maggiore il potere, potevano accoppiarsi soltanto con individui del loro stesso livello di potenza mentale. Così era passato il tempo, ère immemorabili di furtivo, determinato lavoro, e il loro potere aveva continuato a crescere... ma essi l'avevano tenuto celato agli altri, non avevano permesso che nulla trapelasse. Tutto questo, fino a quando non erano stati completamente sicuri. E poi era giunto un grande giorno. Un giorno nel quale i disprezzati H'Harn avevano rivelato la loro padronanza dei segreti della mente, usando il loro potere di costrizione su coloro che essi odiavano. Annientandoli, dominandoli, facendoli impazzire e soffrire, facendo loro del male, conducendoli lentamente, sadicamente alla morte. Il trionfo degli H'Harn, l'aurea leggenda della nostra razza! Era stato meraviglioso vederli torcersi e urlare, e morire urlando! Non tutti, però. Alcuni erano stati risparmiati, per diventare i servitori degli H'Harn. E tra costoro c'erano stati gli esseri più intelligenti, quelli che avevano costruito delle città e della navi spaziali. E ora venivano usati, quegli esseri intelligenti e le loro astronavi, per portare gli H'Harn su altri mondi. E così era iniziata la saga gloriosa delle conquiste degli H'Harn, che non si era fermata fino a quando tutti i mondi desiderabili di Amamabarane non erano stati sotto il giogo degli H'Harn. Ma esistevano ancora degli altri mondi, molto lontano, nella grande galassia che era come un continente di stelle, e per la quale Amamabarane era soltanto un'isola lontana dalla riva! Là c'erano innumerevoli mondi, sui quali vivevano innumerevoli popoli che potevano servire bene gli H'Harn, e invece non li servivano. Questo, pensiero era intollerabile, tanto era diventato vasto l'appetito degli H'Harn, la loro smania di potere. Così erano cominciati i preparativi per la conquista. I popoli schiavi di Amamabarane erano stati costretti dagli H'Harn a lavorare strenuamente, fino alla morte, per preparare un'armata di poderosi incrociatori siderali. E dopo molto tempo, la grande armata era partita, per portare molti H'Harn nella galassia alla quale doveva essere ancora insegnato ad accettare i suoi veri padroni. Ma poi... l'unica grande catastrofe, la cicatrice nera e orribile che macchiava lo splendore della storia degli H'Harn. I popoli di quella galassia, con incredibile impudenza, avevano resistito agli H'Harn. E con un'arma
che annientava lo stesso continuum spazio-temporale, essi avevano annientato l'armata degli H'Harn. Questo era accaduto molto tempo prima, ma nessun H'Harn aveva mai dimenticato. La perversione di quegli uomini che avevano osato resistere agli H'Harn, e avevano avuto perfino l'ardire di distruggerli, doveva essere punita. La nera cicatrice della sconfitta doveva essere risanata con il loro sangue. Per migliaia e migliaia di anni, i sudditi e gli schiavi degli H'Harn, in tutta Amamabarane, erano stati costretti a lavorare su quel gigantesco progetto. Le menti più intelligenti erano state poste al lavoro, per inventare nuove armi, e nuove astronavi, di una potenza e di una velocità fino ad allora sconosciute. Ma il progetto non era stato spedito come gli H'Harn avrebbero voluto. I popoli schiavi spesso preferivano la morte, piuttosto che continuare a servire gli H'Harn. Non comprendevano di essere semplicemente degli strumenti usati dai loro padroni, e che se uno strumento si rompeva, questo non aveva alcuna importanza. Ma quando furono trascorse migliaia e migliaia di anni, venne di nuovo il momento in cui gli H'Harn furono pronti ad attaccare. La poderosa flotta d'invasione possedeva delle armi e delle astronavi e dei congegni che nessuno aveva mai sognato, prima di allora, compreso uno scudo di energia che nascondeva le astronavi, e che era impenetrabile a qualsiasi sistema di avvistamento o di percezione. Segretamente, invisibile, la flotta si era avvicinata alla galassia. E, invisibile e segreta, essa aspettava ora oltre i confini della Via Lattea, oltre il limite di quella che gli umani chiamavano la Costellazione della Vela. Per il momento, la flotta aspettava... perché l'ora non era ancora giunta. Degli agenti avevano preceduto la flotta, da Amamabarane, per fomentare la discordia, i disordini e la guerra nella galassia. La guerra avrebbe attirato le principali flotte dell'Impero e dei regni siderali lontano dalle loro capitali. E non appena questo fosse accaduto, gli H'Harn avrebbero colpito! Segrete, invisibili, insospettate, le loro astronavi sarebbero calate sui più grandi mondi dei sovrani delle stelle, su Throon, dove il Distruttore veniva ancora conservato, per difendere l'Impero da qualche suprema catastrofe. Presi di sorpresa, e più o meno indifesi, i popoli della Via Lattea, e soprattutto il popolo di Throon, sarebbero stati delle facili prede, e il Distruttore sarebbe stato allora nelle mani degli H'Harn! L'Imperatore non avrebbe po-
tuto usarlo per difendersi, poiché questo avrebbe significato la distruzione della stessa capitale galattica, con i suoi pianeti e il suo sole. Solo che adesso il disegno era cambiato. Questo spregevole umano aveva dato un avvertimento, e il Distruttore era nello spazio, e ancora una volta rappresentava una minaccia di distruzione per gli H'Harn. Era vitale conoscere la portata e la natura dell'energia del Distruttore, in modo che fosse stato possibile trovare i mezzi per neutralizzarlo o combatterlo. Ma... Ma... Sbalordimento e collera, e un'improvvisa lacerazione della fusione mentale, e John Gordon, di nuovo solo con i suoi pensieri e con il suo essere, fissò attonito gli occhi furibondi dell'H'Harn. «È vero!» sibilò V'ril. «Quest'uomo ha usato il Distruttore senza sapere niente della sua natura. È incredibile!» Nella mente vacillante di Gordon si formò, inaspettato, il ricordo di quella volta in cui Shorr Kan aveva detto con disprezzo che gli H'Harn, malgrado tutti i loro poteri, erano stupidi. E ora sapeva, per avere diviso la mente e i pensieri di un H'Harn, che questo era vero! La razza che bramava la conquista di intere galassie era una specie infima, stupida, detestabile, che nel normale corso degli eventi non avrebbe mai raggiunto la grandezza. Ma il possesso di un potere chiave, il potere telepatico di sondare la mente, di piegare chiunque alla propria volontà, aveva dato a quelle creature la possibilità di dominare innumerevoli razze infinitamente superiori a esse! Gordon aveva sempre temuto gli H'Harn. Ma in quel momento cominciò a odiarli, con un odio terribile, che consumava lo spirito e il cuore. Erano delle sanguisughe, dei parassiti mentali, erano sporchi, e la loro esistenza era un'offesa alla natura, era intollerabile e disgustosa! Ora sapeva perché nel lontano passato la sapienza di Brenn Bir, sovrano dell'Impero Centrale della Via Lattea, aveva deciso di correre il rischio di annientare lo stesso spazio e di provocare una catastrofe galattica, pur di annientare quelle creature. Mentre la sua mente si schiariva, Gordon si accorse che i soldati delle Frontiere lo avevano aiutato a rialzarsi in piedi. Confusamente, notò che la brutalità di poco prima era scomparsa... anche i soldati parevano timorosi di toccarlo, dopo ciò che avevano visto. V'ril aveva indossato di nuovo la veste grigia e il cappuccio, e Gordon ringraziò Dio con tutto il suo cuore... non voleva vedere quel corpo osceno e mostruoso. Si sentiva sporco, sen-
tiva che il suo animo era stato contaminato e violato, dopo avere condiviso la mente e i ricordi di quella creatura detestabile e immonda. V'ril alzò un braccio coperto dalla veste grigia, e indicò Gordon. «Quest'uomo deve morire immediatamente,» disse. «A causa della Fusione, ora egli conosce dove è nascosta la nostra flotta. Uccidetelo!» Cyn Cryver annui, e i soldati, lividi ma decisi, fecero un passo indietro, e puntarono le pistole atomiche contro Gordon. Era giunto il momento, dunque... ma la mente di Gordon si rifiutava di accettare quanto accadeva, era ancora incapace di reagire, dopo la spaventosa prova. Egli si voltò, allora, e completò il gesto che aveva desiderato di compiere prima della Fusione... lanciare un ultimo sguardo a Lianna. Vide che la principessa era balzata in piedi. Pallida e decisa, lo stava fissando, e nei suoi occhi c'erano paura e amore e orrore. «No!» esclamò, imperiosa, con la sua voce cristallina. Si volse verso Narath. «Se quest'uomo sarà ucciso, non abdicherò mai in tuo favore, Narath Teyn!» Cyn Cryver rise... una risata aspra, crudele, ironica. «Come se questo facesse differenza! Narath sarà re in ogni caso.» Ma il sorriso sognante aveva abbandonato i lineamenti purissimi di Narath, e un'espressione di preoccupazione e di angoscia oscurò il suo sguardo. Egli alzò il braccio, per fermare i soldati che stavano per sparare contro Gordon, e disse: «Soldati, aspettate!» Poi si rivolse a Cyn Cryver. «Mia cugina deve abdicare ufficialmente in mio favore, davanti a tutto il popolo, altrimenti la mia ascesa al trono non sarà legittima! Io devo avere questo, da lei... deve accettarmi come legittimo re di Fomalhaut, e fare atto di sottomissione! Non capite? Ho aspettato per tanto tempo questo momento! Perché volete negarmelo? Deve essere così!» Ora il suo bellissimo volto pareva tremare, e nubi di tempesta si addensavano nelle profondità dei suoi occhi. Cyn Cryver lo fissò per qualche istante, livido, socchiudendo gli occhi, e poi disse a V'ril: «La cerimonia è molto importante per il nostro fratello Narath. È opportuno dunque che quest'uomo non muoia.» Guardando l'espressione gelida di Cyn Cryver, mentre il conte fissava intensamente V'ril, Gordon ebbe la matematica certezza che egli avesse aggiunto, mentalmente, «Fino a quando la cerimonia sarà finita. Poi lo uccideremo immediatamente!» E doveva essere stata questa la silenziosa comunicazione, perché V'ril
non fece obiezioni. Si limitò a bisbigliare, raucamente: «Va bene, se così deve essere. Ma è necessario inviare dei messaggi ai nostri fratelli che attendono, là dove è celata la flotta!» V'ril si volse verso gli altri due H'Harn. Qualcosa, nella mente di Gordon, pareva avvertire una comunicazione silenziosa... forse la Fusione aveva portato una strana empatia alla sua mente, ed ebbe ancora una volta la certezza che V'ril, in quel momento, stava dicendo ai suoi fratelli, «Avvertite la flotta che tutte le flotte dell'Impero la stanno cercando ai confini della Via Lattea! Dite loro che è questo il momento per lanciare l'attacco a Throon!» I due stranieri velati e incappucciati scivolarono silenziosi sui marmi del salone, e uscirono sinuosamente, per obbedire agli ordini di V'ril. E un senso di terrore afferrò il cuore di Gordon... perché se quel messaggio fosse giunto, la flotta degli H'Harn avrebbe colpito il cuore dell'Impero, e Throon sarebbe caduta! Narath prese per mano Lianna, con la stessa solennità con cui avrebbe potuto invitarla a un ballo di corte. «Venite, cugina. Il mio popolo aspetta!» Il volto di Lianna era esangue, privo di espressione, scolpito nella pietra. La sua testa era eretta, il suo portamento era quello di una regina, quando seguì Narath, uscendo al suo fianco sulla grande terrazza. Tutti gli altri li seguirono... compresi Gordon e Shorr Kan, dietro ai quali venivano quattro soldati in uniforme nera, con le armi spianate. Ma quando furono tutti sulla terrazza, Narath si voltò, e parlò in tono imperioso e sprezzante. «Non venitemi accanto, Cyn Cryver... perché questo è il mio trionfo! Restate indietro!» Un sorriso incurvò le labbra di Cyn Cryver, e in quel momento Gordon rabbrividì, pensando a quale sarebbe stata la sorte dell'ambizioso Narath non appena il conte avesse ottenuto quello che desiderava. C'era pura malvagità, in quel sorriso, e una soddisfazione crudele, per troppo tempo nascosta. Ma il conte si limitò ad annuire, gravemente: lui, V'ril e i soldati rimasero in fondo alla terrazza. Shorr Kan si mosse, come se avesse voluto raggiungerli, ma Cyn Cryver lo fissò duramente, e scosse il capo: «Oh, no!» disse. «Restate dove siete... in modo che ci sia possibile uccidervi, senza mettere in pericolo le nostre vite!» Shorr Kan si strinse nelle spalle, e rimase dov'era. E ormai Narath aveva
condotto Lianna all'estremità della terrazza, davanti alla balaustra, e il bianco sole di Fomalhaut splendeva sulla figura scintillante e bellissima del giovane signore di Teyn. Lentamente, egli alzò la mano. Uno spaventoso ruggito si levò verso il cielo. Dal punto in cui si trovava, in fondo alla terrazza, Gordon vide che i giardini e i viali del palazzo erano gremiti all'inverosimile dalle orde grottesche dei non umani, un mare tumultuoso di esseri stranieri, un mare percorso da continue ondate, che lambivano le pareti del palazzo e avvolgevano le colonne dei sovrani di pietra, sulle quali creature dalle ali di cuoio stavano appollaiate e urlavano la loro gioia. In mezzo alla marea straniera, in un numero così ridotto rispetto ai non umani da scomparire, quasi, nell'immensa folla, c'erano le figure nere degli umani, i soldati che portavano l'emblema della Mazza, e indossavano le uniformi dei Conti delle Frontiere. Gordon si chiese quali pensieri stessero turbinando nella mente di Lianna, mentre ella fissava quella folla ruggente. Tra quella folla, non c'era nessuno dei suoi fedeli; il popolo della città di Hathyr era disperso, si nascondeva o era già stato ucciso. E i conquistatori, umani e non umani, urlavano festanti e applaudivano con grande clamore, inneggiando a Narath di Teyn, capo supremo delle tribù e sovrano di Fomalhaut, e gli antichi sovrani di Fomalhaut fissavano dall'alto, con i loro volti placidi e sereni, lo spettacolo della fine di tutto ciò che essi avevano costruito con il loro sangue e la loro fatica. Narath alzò la mano per la seconda volta, e l'acclamazione ruggente esplose, ancora più forte, e perfino le antiche mura del palazzo parvero vibrare, scosse da quel grido che saliva fino al cielo. Egli aveva raggiunto il momento culminante della sua vita, e i non umani dei quali si era conquistato l'adorazione fanatica lo acclamavano, e il suo comportamento pareva un inno di gioia e di orgoglio, e di amore per quelle forme grottesche e selvagge... il suo popolo. L'ondata di applausi e clamori diminuì, e Narath disse: «È il momento, cugina.» Lianna si fece avanti. La sua figura snella era rigidamente eretta, e la sua voce risuonò nel grande silenzio che si era improvvisamente formato, ed era una voce cristallina, gelida e chiara, che Gordon faticò a riconoscere. «Io, Lianna, Principessa Regnante di tutti i mondi di Fomalhaut, dichiaro solennemente di abdicare dalla mia sovranità e di rinunciare ai miei diritti e privilegi regali, e riconosco e proclamo che la sovranità su tutti i mondi che gravitano intorno ai soli del Regno di Fomalhaut passa ora da
me a...» E poi, improvvisamente, qualcosa accadde... qualcosa che era assolutamente inatteso! Perché un sibilo rabbioso interruppe le parole di Lianna, e voltandosi, attonito, Gordon vide che Cyn Cryver e i suoi soldati vacillavano e cadevano, mentre le piccole pallottole atomiche penetravano nei loro corpi, ed esplodevano, annerendo e raggrinzendo i loro corpi e i loro abiti! Gordon si girò di scatto. Il salone che si apriva dietro la terrazza era vuoto... e là, in quella maestosa sala, erano in piedi Hull Burrel e Korkhann, che impugnavano le pistole atomiche con le quali avevano sparato, abbattendo tutti i nemici che si trovavano sul terrazzo, all'infuori di V'ril. L'H'Harn, avvertito da un lampo telepatico all'ultimo istante, si era mosso, velocissimo, ed era sfuggito alla morte. Narath si volse, con il bel volto irato: «Chi osa? Cosa succede?...» Non ebbe il tempo di aggiungere altro. Perché in quel momento Korkhann sparò, e i suoi grandi e saggi occhi gialli erano limpidi e spietati. La pallottola penetrò nel fianco del signore di Teyn, ed esplose. Narath vacillò, ma non cadde. In quel momento supremo, parve che egli rifiutasse di cadere, che rifiutasse di ammettere la morte e la disfatta, nel momento del suo trionfo. Con un movimento lento, solenne e stranamente regale, egli si volse, per fronteggiare l'immensa folla che si assiepava sotto di lui... una folla che non poteva vedere né capire quello che stava accadendo lassù. Cercò di sollevare le braccia, e poi cadde lentamente, in avanti, sulla balaustra della grande terrazza, e rimase là, immobile. Un silenzio di morte, incredulo e incerto, cominciò a scendere, propagandosi dalle mura del palazzo ai giardini, e lungo tutto l'antico Viale dei Re. Improvvisamente, Hull Burrel lanciò un grido rauco: «No!» Gli occhi di Korkhann erano mutati. Ora apparivano velati e strani, allucinati, ed egli si stava girando, lentamente e sollevava la sua pistola atomica, puntando la lunga canna sottile contro la figura gigantesca dell'anfanano. Gordon vide la grigia figura velata di V'ril, e comprese, istantaneamente, ciò che stava accadendo. Fulmineamente, si mosse, senza pensare, e scavalcò i corpi ancora fumanti delle guardie di Cyn Cryver. Con uno sforzo supremo, vincendo l'infinito disgusto, egli sollevò tra le braccia la figura velata dell'H'Harn... e corse avanti, scagliando quella figura piccola e leg-
gera oltre la balaustra, rapidissimo, prima che l'alieno potesse pensare a fermarlo. Nei brevi secondi della caduta, un'ondata di forza mentale, che non era diretta contro di lui, questa volta, né contro nessun altro, si diffuse intorno... un semplice riflesso istintivo, nel quale Gordon colse un'immensa sorpresa, e un senso di collera e di sdegno, e d'incredulità. L'ondata venne bruscamente interrotta, con sconvolgente subitaneità, e ci fu silenzio, in tutti i sensi, nella mente di Gordon... e Gordon sorrise, un sorriso crudele del quale non si sarebbe mai ritenuto capace. Pareva che, tra tutte le cose, fosse la morte quella che gli H'Harn temevano maggiormente. Korkhann abbassò l'arma, senza avere sparato. In basso, il silenzio era diventato totale, come se ogni gola avesse trattenuto il respiro, e la folla fissava, in alto, la figura scintillante di Narath Teyn, piegata sulla bassa balaustra, con i capelli che scendevano come una cascata castana e dorata, con le braccia spalancate e protese, come se egli avesse voluto implorare l'immensa folla, come se avesse voluto rivolgere una muta, disperata invocazione di aiuto e di amore. In quel momento di gelo, Shorr Kan agì... agì con una prontezza fulminea che Gordon non avrebbe mai più dimenticato, in tutta la sua vita. Colui che era stato il padrone dei Mondi Oscuri corse all'estremità della terrazza. Levò le braccia al cielo, in un gesto di selvaggia disperazione e di collera, e urlò a quella folla stordita e muta, usando la semplice lingua franca di tutti i popoli non umani delle Frontiere degli Spazi Ignoti: «I conti hanno assassinato Narath Teyn! Vendetta!» Il grido parve lacerare il muro di silenzio. I Gerrn e i Qhalla e gli Andaxi, e tutte le altre razze senza nome, dai volti inumani e dagli occhi ardenti e smarriti, sollevarono il capo, fissando quella figura magnetica che teneva le braccia alte e gridava parole di vendetta. E poi, improvvisamente, il senso di quel grido parve penetrare nel loro spirito. Narath era morto! Narath di Teyn, colui che essi adoravano, la cui bandiera avevano seguito dai loro lontani mondi, gioiosi di sacrificarsi per lui, era stato ucciso. Colui che li aveva amati, e che essi amavano, era caduto sotto la mano traditrice dei Conti delle Frontiere! Improvviso, un grido orribile, un ululato di collera e dolore, esplose da quella folla, un suono informe, che raccoglieva migliaia e migliaia di voci pervase dalla stessa, orrenda passione... voci che gridavano, e sibilavano, e grugnivano, e stridevano, in un parossismo di furia e di sdegno! «Tradimento!» Quel grido aveva un senso, non espresso a parole, ma lentamente esso prese forma, e la voce si propagò a tutte le orde che fino a
pochi istanti prima avevano occupato trionfanti la città di Hathyr. «Vendetta per Narath! A morte i conti! A morte, a morte!» La folla esplose in un impeto rabbioso di violenza. I non umani si avventarono, con gli artigli e le zanne, gli speroni e i rostri, i becchi e le zanne feroci, sugli uomini delle Frontiere degli Spazi Ignoti, che un momento prima erano stati al loro fianco, come amici e alleati. L'urlo di dolore e di vendetta uscì dal palazzo, spargendosi intorno, fino a quando parve che dall'intera città di Hathyr si levasse un grande, inumano lamento, l'urlo di un'orda assetata di sangue. Hull Burrel corse verso i tre sopravvissuti, mentre Korkhann era rimasto al centro del salone, ancora stordito dalla violenza dell'assalto mentale di V'ril, che per poco non lo aveva costretto a uccidere il suo compagno. «Da questa parte, presto!» gridò Hull. «Non c'è un istante da perdere! Saranno quassù tra pochi minuti. Korkhann conosceva tutti i passaggi segreti del palazzo, ed è così che ci siamo salvati, quando il palazzo è caduto. Presto!» Gordon prese per mano Lianna, e si mise a correre, con lei, mentre Shorr Kan indugiava per qualche istante, curvandosi a raccogliere le armi cadute ai soldati morti. Li raggiunse, e lanciò una pistola atomica a Gordon. Era pallido, ma i suoi occhi neri parevano scintillare di gioia. «Si sono scatenati, non vi pare? Non sono troppo intelligenti, quei non umani... vi chiedo scusa, Korkhann... e hanno reagito in modo meraviglioso.» Una sezione della parete, apparentemente solida, si era aperta, su un lato del salone, rivelando un corridoio angusto. Entrarono, e Shorr Kan si affrettò a chiudere il passaggio, seguendo le istruzioni di Korkhann. Lianna stava singhiozzando, disperatamente, ma Gordon non poteva fare nulla per consolarla. Si volse a Korkhann, e gridò: «Potete raggiungere un centro di comunicazione? Devo inviare subito un messaggio...» Korkhann, che non era avvezzo alla violenza, pareva ancora stordito. I suoi grandi occhi gialli erano velati. «Un messaggio... ai baroni?» «Un messaggio per Zarth Arn, e per la Flotta degli Alti Spazi!» esclamò Gordon, ansiosamente. «Io so dove si trova l'armata degli H'Harn, e devo avvertire Zarth Arn, prima che sia troppo tardi per evitare la distruzione e la schiavitù per tutti i popoli della Via Lattea!»
Capitolo Ventiseiesimo Un nuovo giorno per Fomalhaut Korkhann li condusse attraverso corridoi segreti, tortuosi passaggi scavati nelle pareti antiche del palazzo, illuminati fievolmente da qualche lampada atomica. E infine li guidò attraverso un'altra porta segreta, ed essi si trovarono in uno spazioso corridoio. «Il Centro delle Comunicazioni del palazzo,» spiegò Korkhann. «La quarta porta, davanti a noi.» Il corridoio era deserto, ed essi lo percorsero rapidamente; Gordon e Shorr Kan per primi, gli altri alle loro spalle. E in quel momento, malgrado le possenti mura che dividevano le varie ali del palazzo, essi poterono udire, in alto, un brontolio sordo che cresceva d'intensità a ogni istante. «L'orda è entrata nel palazzo!» disse Korkhann. «In questo momento, certamente stanno massacrando tutti i soldati dei Conti delle Frontiere!...» «E uccideranno anche noi, se ci troveranno,» borbottò Hull Burrel. Aprirono la quarta porta. Videro una vasta sala, piena degli strumenti che permettevano le comunicazioni istantanee con tutti i punti della galassia. Entrarono precipitosamente: videro un uomo, che indossava l'uniforme nera delle Frontiere, seduto a un quadro di controllo, che egli manovrava con mani stranamente insicure. Alle sue spalle erano in piedi le due figure velate e incappucciate degli H'Harn, quelli che V'ril aveva inviato là, affinché lanciassero il messaggio alla flotta aliena. L'uomo parve immobilizzarsi, raggelato... gli H'Harn si voltarono, rapidamente, e morirono prima ancora di avere terminato il gesto. Minacciosamente, Gordon puntò la pistola atomica contro il soldato delle Frontiere, il cui volto era terrorizzato. «Avete eseguito l'ordine degli H'Harn?» gridò Gordon. «Avete inviato il messaggio?» Il volto del soldato era madido di sudore. Egli abbassò lo sguardo, osservando con un'espressione d'odio inconfondibile le due forme raggrinzite e nere, e rabbrividì. «Tentavo di farlo. Ma essi usano delle frequenze diverse... delle modulazioni d'onda completamente dissimili dalle nostre... e ci vuole tempo, per adattare i nostri telestereo. Mi hanno detto che avrebbero preso possesso della mia mente, che mi avrebbero ucciso, se non avessi fatto presto, ma non potevo, non potevo farlo!...»
Gli stupidi H'Harn, le odiose creature incapaci di adattarsi alla realtà delle cose! Gordon pensò che era tipico, questo loro comportamento... usare tutte le altre creature come strumenti, e distruggerle se non obbedivano immediatamente. Si rivolse a Hull Burrel: «Voi eravate in contatto con la flotta di Zarth Arn, fino a quando non è giunto l'attacco. Presto... cercate di ristabilire l'onda.» Hull sollevò letteralmente il soldato delle Frontiere, togliendolo dal posto che egli occupava, e subito cominciò a premere dei pulsanti e ad abbassare delle leve. Il tumulto che regnava nel palazzo si faceva più forte... pareva minacciosamente vicino ai sotterranei nei quali essi si trovavano. Con improvvisa determinazione, Shorr Kan raggiunse la porta, e fece scorrere le diverse chiusure magnetiche. Le paratie scorrevoli vennero abbassate, e i ganci magnetici resero ermetiche le chiusure. «Alla fine, arriveranno anche qui,» disse. «Ma almeno questo li tratterrà per un poco.» Gordon rimase a osservare la porta, sudando, fino a quando Hull non riuscì a stabilire il contatto con la flotta. Le comunicazioni telestereo erano impossibili, a simili distanze, ma il contatto audio era possibile... e Gordon udì le voci degli ufficiali che occupavano le cabine stereo della flotta, mano a mano che essi rispondevano, passando di volta in volta la comunicazione secondo la scala gerarchica, fino a quando Hull non fu in contatto con il comandante dell'Ethne. Infine, lontana ma comprensibile, la voce di Zarth Arn rispose alla chiamata. «Al di là dei confini di Vela,» disse precipitosamente Gordon. «Ecco dove si nasconde la flotta degli H'Harn! Possiedono un nuovo scudo difensivo, che rende le loro astronavi impermeabili alle onde radar!» Proseguì, comunicando tutti i particolari che ricordava... tutto quello che aveva appreso durante la Fusione delle Menti con V'ril. «Non so se questo ti potrà aiutare,» concluse. «Ma si tratta almeno di qualcosa! E l'ordine di attacco potrebbe partire da un momento all'altro!» «Gordon, faremo tutto ciò che è nelle possibilità umane per annientare quei mostri!» rispose Zarth Arn. «Puoi giurarci!» La comunicazione fu interrotta immediatamente. E così, anche questo era fatto. Avevano fatto tutto ciò che era in loro potere. Si guardarono, senza dire niente, e Gordon si avvicinò a Lianna, e la prese tra le braccia. Ci sarebbe stato un momento per le spiegazioni... a-
vrebbero ascoltato la storia di Burrel e di Korkhann, e del miracoloso salvataggio... ma adesso la tensione impediva loro di parlare. Il frastuono, nel palazzo, era terrificante. Udirono il rumore di porte che venivano abbattute, udirono grida altissime, rantoli, mugolii, ruggiti. Poterono distinguere perfino il battito delle ali... e immaginarono l'orrore e la devastazione che regnavano là, in alto, e tremarono. E quei rumori si facevano sempre più vicini. «Mi sembra che ci avviciniamo a quella morte eroica di cui si è tanto parlato, a parer mio con una certa morbosità,» disse Shorr Kan. «Ebbene, sia quello che deve essere.» Si strinse nelle spalle. «Per lo meno, Cyn Cryver ci ha preceduti. Avrei potuto perdonargli tutto... i suoi intrighi e i suoi crimini... ma non i suoi discorsi. Dio Onnipotente, non ho mai conosciuto un individuo così profondamente noioso!» E poi, improvvisamente, un nuovo suono penetrò nel palazzo. Era una vibrazione cupa, profonda, che aumentava d'intensità, e faceva tremare le pareti del grande edificio, per poi allontanarsi di nuovo. Negli occhi di Shorr Kan apparve una luce di speranza. «Quel suono... non può venire che da un incrociatore da guerra! Non saranno forse?...» Un'altra poderosa vibrazione fece tremare le pareti, e poi un'altra, e un'altra ancora. Non c'era dubbio... delle corazzate siderali stavano sorvolando il palazzo! E poi essi videro il segnale di chiamata su di un telestereo... e sul disco di quarzo apparve l'immagine di un uomo! Era un volto che Gordon conosceva bene... un vecchio dagli occhi freddi e calcolatori e dal volto duro e severo, che portava sul lungo mantello l'emblema fiammeggiante dell'ammasso stellare della Costellazione d'Ercole. «Parla il barone Zu Rizal!» cominciò a dire il vecchio, e poi egli vide Lianna, e i suoi occhi freddi parvero illuminarsi. «Siete voi, altezza! Gioisco, nel vedervi sana e salva!» Shorr Kan si era immediatamente voltato, allontanandosi dal telestereo, in modo da non farsi scorgere dal barone... un'azione che non sorprese minimamente Gordon. Zu Rizal era un uomo duro e inflessibile, e i suoi occhi di ghiaccio parevano lame penetranti. «Abbiamo vinto, altezza!» annunciò Zu Rizal, che era uno dei più grandi baroni della Costellazione d'Ercole, e aveva il comando delle flotte alleate delle potenti baronie. «La flotta dei conti è stata annientata, al largo dei soli di Austrinus, e ora ci troviamo sopra Hathyr, con tutta la nostra flotta e
con quello che rimane della valorosa flotta di Fomalhaut. È chiaro che la vostra città è occupata dalle orde di Narath... dobbiamo sterminare gli invasori?» «No, aspettate!» esclamò Lianna. «Barone, Narath Teyn e Cyn Cryver sono morti, e io penso...» Korkhann le si accostò, e le mormorò qualcosa. Lei annuì, e poi si rivolse di nuovo alla severa figura di Zu Rizal. «Ora che Narath è morto, io credo che le tribù dei non umani ritorneranno ai loro mondi, se sapranno che l'alternativa, per loro, è la completa distruzione. Korkhann ha detto che si offre come ambasciatore, per trasmettere alle tribù le nostre condizioni.» «Come desiderate, altezza!» disse Zu Rizal. «Incroceremo nello spazio, sorvolando costantemente il pianeta, pronti a intervenire in caso di necessità. Restiamo in attesa di ulteriori comunicazioni.» L'immagine scomparve dal grande disco di quarzo, e soltanto allora Shorr Kan si avvicinò di nuovo, mostrando il proprio volto. Un improvviso, sepolcrale silenzio era disceso sul palazzo. Le possenti corazzate siderali stavano ancora tuonando, nei cieli di Hathyr, e le loro vibrazioni facevano tremare le mura del palazzo, ma il folle concerto di urla e strida e ruggiti, il calpestio degli zoccoli e il battito delle ali, tutti i suoni di devastazione e di collera si erano magicamente quietati. Apparentemente, le orde non umane erano fuggite dal palazzo, all'arrivo della flotta dei baroni d'Ercole... pensando, forse, che il palazzo avrebbe potuto trasformarsi per loro in una trappola mortale. Quelle creature primitive e selvagge volevano dello spazio aperto, per sfuggire al pericolo. «Io credo che ascolteranno le mie parole, perché neppure io sono umano!» disse Korkhann. Indicò i pannelli dei diversi schermi. «Informate gli ufficiali delle astronavi dei Conti delle Frontiere di tenersi pronti a ricevere i superstiti, per trasportarli di nuovo sui loro mondi. Dite loro che avranno salva la vita, se obbediranno ai vostri ordini e faranno atto di sottomissione all'Impero e ai regni siderali. Questo è il mio consiglio, altezza.» Fece per allontanarsi, poi si fermò di nuovo per un momento, e disse, in tono più triste. «Un'ultima cosa, altezza, ed è una notizia che mi rattrista. Sono addolorato di dovervi informare che Abro è stato ucciso, durante l'attacco al palazzo. È stato tra i primi a cadere: l'ho visto con i miei occhi.» Quella notizia, stranamente, rattristò Gordon. Abro aveva provato un'avversione profonda per lui... ma era stato un uomo coraggioso e sincero, e Gordon lo aveva rispettato profondamente.
Hull Burrel rimaneva incollato all'apparecchio che aveva usato per comunicare con la lontanissima flotta dell'Impero. Il suo volto era livido, e segnato dalla tensione e dalla stanchezza. «Ancora nulla,» annunciò, dopo qualche tempo. «Forse passeranno molte ore, o molti giorni, prima che sappiamo qualcosa.» Se mai avessero saputo qualcosa, pensò Gordon. Gli H'Harn erano potenti. Se avessero deciso di colpire per primi, dal loro scudo d'invisibilità... se avessero distrutto l'Ethne, attaccando di sorpresa, distruggendo il Distruttore e uccidendo Zarth Arn... Con uno sforzo, cercò di non pensare a quella possibilità. Perché era un pensiero che lo riempiva di terrore. Le ore passarono, e i grandi incrociatori siderali tuonavano incessantemente nei cieli di Hathyr, e Gordon, Lianna e Hull Burrel aspettarono. A un certo punto, malgrado il velo di stanchezza e di terrore che gli ottenebrava la mente, Gordon si accorse che Shorr Kan non era più con loro... aveva approfittato della situazione per sparire, silenziosamente. Fuggevolmente, Gordon si domandò dove fosse andato. Molto, molto più tardi, Gordon avrebbe appreso la storia di ciò che era accaduto oltre i confini della galassia. Avrebbe udito il racconto dalla voce di Zarth Arn, a Throon, nell'esultanza non ancora sopita della vittoria, e Lianna avrebbe ascoltato al suo fianco, rabbrividendo per il ricordo della mostruosa potenza degli alieni. Avrebbe ascoltato la descrizione di come la flotta dell'Impero e dei regni alleati, guidata dall'Ethne, l'ammiraglia sulla quale si era trovato Zarth Arn, si era diretta alla massima velocità verso Vela, in una disperata corsa contro il tempo e contro la morte. E avrebbe saputo in qual modo Zarth Arn aveva scatenato la terribile forza del Distruttore, come mai nessuno aveva osato fare, a intervalli regolari, annientando con gelida precisione un'intera regione dello spazio, nella quale non c'era stato nulla di visibile, fino a quando lo stesso continuum era stato lacerato e contorto e sconvolto, e tutte le stelle, ai confini della Via Lattea, erano state strappate dalle loro orbite, scosse dalla mostruosa tempesta... e allora la forza ignota che aveva nascosto la flotta degli H'Harn era stata annientata, insieme a gran parte dei possenti, velocissimi incrociatori giunti dalle Nubi di Magellano; e il Distruttore aveva lanciato i suoi pallidi raggi, sconvolgendo lo spazio, diretto contro le astronavi in fuga, fino a quando la flotta degli H'Harn era stata cancellata per sempre dall'universo. Tutte queste cose, Gordon le avrebbe apprese più tardi... ma in quei
momenti, seppe soltanto che si trattava delle ore più lunghe della sua vita, fino a quando la voce sconvolta di Zarth Arn non giunse, lontana e quasi inaudibile, per dare la grande notizia. «È finita!» annunciò quella voce, che pareva infinitamente stanca e sgomenta, e non pareva quella di un vincitore. «Gli H'Harn sono sconfitti, e i pochi superstiti sono in fuga, e cercano rifugio nella Piccola Nube di Magellano.» Per un momento, né lui né Gordon riuscirono a trovare altre parole. E poi Gordon, ricordando l'orrore della vita che aveva conosciuto brevemente, attraverso la Fusione, mormorò, dal più profondo del cuore: «Dio sia ringraziato!» «Non torneranno mai più.» Malgrado l'immensa distanza, la voce di Zarth Arn era animata da una ferrea determinazione, «Tutti i regni siderali sono concordi, e mio fratello ha già preso gli accordi. Sarà riunito un esercito poderoso... una grande flotta, alla quale tutti i regni delle stelle daranno il loro contributo... e questa flotta partirà verso la Piccola Nube di Magellano, per inseguire il nemico e sterminarlo su tutti i mondi sui quali governa!» Ci fu una pausa, e poi Zarth Arn aggiunse: «Gordon?» «Sì?» «Ora capisco ciò che intendevi dire, quando affermavi che l'uso del Distruttore ti aveva sconvolto. Io conoscevo il segreto da quando sono nato, ma fino a oggi non l'avevo mai usato. E spero di non doverlo fare mai più.» Quando la comunicazione cessò, si guardarono, troppo stanchi e svuotati di emozioni per provare dei sentimenti reali, al di fuori della nebbia grigia che pareva gravare su di loro. Il sollievo, la gioia, il trionfo... perfino il ricordo dell'orrore e della paura... tutte queste cose sarebbero giunte più tardi. Per ora, bastava la certezza di essere ancora vivi, e soprattutto bastava la consapevolezza che anche la speranza viveva ancora. Poi Lianna sollevò il capo, e uscì per prima dalla sala, ed essi attraversarono i corridoi del palazzo, che apparivano deserti e silenziosi... ed erano un triste spettacolo di morte. Uscirono sulla grande terrazza, infine, e sui loro volti ardevano i raggi del grande diamante di Fomalhaut, che lentamente declinava verso l'orizzonte. I raggi brillanti dell'astro radioso illuminavano la devastazione della città, e più lontano, oltre le ampie strade, e ovunque le orde dei non umani
erano in marcia, verso la grande pianura nella quale gli immensi incrociatori da trasporto aspettavano. Nel grande Viale dei Re, già molto lontano dal palazzo, si stava allontanando un drappello di Gerrn... che non correvano, ora, ma marciavano lentamente, con una strana, intensa solennità di movimenti. Essi stavano lontani dagli altri, come una guardia d'onore, e sul dorso del loro gigantesco capo era disteso il corpo di un uomo che indossava un abito scintillante, un abito stupendo, degno di un re. Narath di Teyn stava ritornando a casa. Dal cielo sereno scendeva la profonda vibrazione dei possenti incrociatori, mentre i baroni continuavano a vegliare, inflessibili e minacciosi. E, mentre essi guardavano la città devastata, dalle cui torri annerite salivano ancora le ultime dense volute di fumo, Lianna strinse forte la mano di Gordon, e una luce di speranza apparve nei suoi occhi grigi. «Tornerà a vivere!» esclamò. «Un nuovo giorno illuminerà i cieli dei mondi di Fomalhaut, e il popolo ritornerà, e voi e io, John, aiuteremo il popolo a' ricostruire il suo regno. Sono certa che questo accadrà... se lo faremo insieme, John Gordon!» Per un momento, i suoi occhi scintillarono, ed ella sollevò orgogliosamente il capo, una regina che lanciava una sfida, e sapeva di poterla vincere. «E in fondo... in fondo, non è stato un prezzo troppo alto, questo, in cambio della sconfitta degli H'Harn!» Si udì un lieve colpo di tosse, alle loro spalle. Si volsero, e scoprirono che c'era Shorr Kan, sulla terrazza, e che egli ignorava l'espressione ostile e minacciosa di Hull Burrel. «Altezza, sono felice che tutto sia andato per il meglio,» disse Shorr Kan, in tono amichevole. «Vorrete ammettere che il mio aiuto non è stato del tutto inutile.» «Sì, ammetto che la vostra prontezza, quando Narath è morto, ha salvato la situazione,» disse Lianna, come se quelle parole lo venissero strappate a forza dalle labbra. «Bene. E ora, avrei un piccolo favore da chiedervi.» Shorr Kan si avvicinò, parlando in tono confidenziale. «Vedete, io sto pensando a quei dannati baroni. Sono gente dura e irragionevole... non come voi e Gordon. Non hanno alcun senso dell'umorismo, e non rispettano i vecchi amici... maledizione a loro. Inoltre, non sanno certe cose, e neppure l'Imperatore potrebbe indurli alla ragione... se mi trovassero qui, mi impiccherebbero subito, temo.» Scosse il capo, con ben simulata deprecazione, e aggiunse: «E poi, c'è da pensare anche a Jhal Arn; nella tensione del momento, tut-
to sembrava facile, ma ora sono pentito di avere rivelato la mia presenza a Zarth Arn. Lui ne avrà certamente parlato all'imperatore, ed ho buoni motivi per credere che l'imperatore sia ancora convinto che io ero immischiato nell'assassinio di suo padre, il compianto Arn Abbas, anche se fin dall'inizio vi dissi che non c'entravo per nulla... l'idea era stata tutta di Corbulo, e stupida come erano sempre state le idee di Corbulo. Ma non mi sorride troppo l'idea di finire nelle mani della famiglia imperiale, malgrado tutto.» Lianna lo fissò, freddamente. «Credo di capire i vostri motivi. Ebbene, parlate. Qual è il favore che volete chiedermi?» «Ebbene, altezza, forse ricordate che, grazie a uno stratagemma, io sono riuscito a impadronirmi dell'incrociatore del conte Obd Doll, catturando tutti i suoi uomini... l'incrociatore a bordo del quale siamo giunti a Fomalhaut. Obd Doll e i suoi uomini sono ancora nelle prigioni del palazzo... una fortuna per loro, poiché le segrete di Fomalhaut sono veramente inaccessibili, e neppure l'orda dei non umani è riuscita a penetrarvi... ed è per questo che il conte e i suoi soldati sono ancora vivi. L'incrociatore si trova ancora nell'astroporto reale, e ho potuto scoprire che, fortunatamente, non ha subito alcun danno.» «Procedete.» «Ho parlato con Obd Doll e con i suoi uomini. Sono tutti profondamente disgustati per il maledetto pasticcio nel quale Cyn Cryver li ha portati, con i suoi intrighi. Tremano, al pensiero di avere corso il pericolo di cadere nella trama oscura degli H'Harn, e di diventare loro schiavi. Perciò vorrebbero ritornare in patria, e ricominciare una nuova vita sul loro mondo, sotto una nuova guida... una guida sana, concreta, pratica.» «In altre parole,» disse Gordon, ironicamente, «Sotto la guida di Shorr Kan.» Egli annuì, senza scomporsi. «Si dà il caso che essi non solo non serbano risentimento nei miei confronti, per averli catturati, ma pensano addirittura che io sarei l'uomo adatto a rimettere ordine sul loro mondo. E pensano di poter convincere il loro popolo.» «Parlate!» disse Lianna. «Il favore che vi chiedo, altezza, è semplicemente quello di lasciarmi portare Obd Doll e i suoi uomini su quell'incrociatore, e di avvertire i Baroni... senza fare alcun accenno alla mia presenza, naturalmente... di lasciare passare l'astronave, senza fermarla.»
«In modo che voi possiate fomentare nuovi disordini nelle Frontiere?» esclamò Lianna, incredula. «Ma voi siete pazzo!» «Vi prego, altezza!» disse Shorr Kan, e il suo volto pareva sinceramente addolorato. «Ormai non penso più a quelle cose... sono un uomo più vecchio e più saggio. Il passato è dimenticato, e io desidero solo un piccolo pianeta sul quale potere vivere in pace per il resto dei miei giorni... niente di più.» «Oh, Dio!» esclamò Gordon. «Dovreste metterle in musica, queste belle parole!» «Io credo che in futuro voi trasformerete in un autentico inferno tutte le Frontiere degli Spazi Ignoti, e ne diventerete capo, e tenterete nuovamente di soddisfare le vostre ambizioni, come già è accaduto a Thallarna!» disse Lianna, con voce ferma. «E credo anche che vivrò per rimpiangere questo giorno, e pentirmi di quanto sto per fare. Ma io sono una regina, e un debito deve essere pagato. Prendete con voi quella gente, e partite.» Shorr Kan sorrise, e si chinò a baciarle la mano. Si rivolse poi a Gordon, e gli sorrise, tendendogli la mano: «So che questo era l'uso, nel vostro antico tempo, John Gordon,» disse, e Gordon scorse un bagliore, negli occhi neri di Shorr Kan, che lo fece rabbrividire... perché sapeva che quanto aveva detto Lianna era vero, e che Shorr Kan avrebbe fatto rimpiangere loro, un giorno, la clemenza dimostrata nei suoi riguardi. Malgrado ciò, strinse con un certo calore la mano di quello straordinario avventuriero, e sorrise, quando egli aggiunse, «Spero di avervi presto ospite nel mio nuovo mondo, Gordon. E spero anche che, in quella occasione, ci sia un poco di pace nella galassia!» Gordon non disse niente... e Shorr Kan si voltò, per andarsene. Si fermò, quando vide che Hull Burrel lo stava fissando, con espressione ostile e minacciosa. Allora si avvicinò all'antariano, e gli strinse amichevolmente il braccio. «Gli addii sono sempre dolorosi, amico mio,» disse. «Abbiamo passato dei brutti momenti, insieme, e credo che in fondo anche a voi dispiaccia che io me ne vada... ma temo che sia inevitabile.» Il volto color mattone dell'anfanano diventò scarlatto, a quelle parole, ed egli cominciò a balbettare qualcosa, evidentemente diviso tra la collera e l'indignazione... e anche, pensò Gordon, la riluttante ammirazione che il rude veterano degli spazi doveva provare per colui che era stato il padrone dei Mondi Oscuri. Ma Shorr Kan si voltò, rapidamente, e si allontanò a grandi passi, con la testa eretta, attraverso il grande salone di marmo.
Gordon, rivolgendosi a Lianna, fu sorpreso nel notare l'ombra di un sorriso sulle sue labbra. «Ora capisco, finalmente, che cosa vi attira in quel demonio,» disse. «È quasi impossibile trovare un uomo che sia perfetto in qualcosa... eppure Shorr Kan è perfetto, a suo modo. In tutta la Via Lattea, non potreste trovare un altro furfante perfetto come lui!» Qualche ora più tardi, un piccolo incrociatore partì dall'astroporto reale, e Gordon e Lianna, fianco a fianco, seguirono dall'alta terrazza l'arco scintillante descritto dalla sagoma d'argento nel cielo ormai infuocato del tramonto. E poi il bianco disco di Fomalhaut discese maestoso dietro l'orizzonte. EDMOND HAMILTON POSTFAZIONE Queste poche pagine che concludono uno tra i romanzi più lunghi ospitati dalla nostra collana non sono riservati a un commento, bensì a qualche annotazione che non vuole aggiungere né togliere nulla a quanto scritto in appendice a I sovrani delle stelle, poiché non ci sembra di dover modificare il giudizio complessivo offerto sul ciclo di John Gordon, certamente il più fastoso, affascinante, sfrenato, di tutta la fantascienza avventurosa. Siamo nel campo della pura avventura: ma forse in Ritorno alle stelle qualcosa si smarrisce, dell'elementare, irripetibile presa del primo romanzo, e qualcosa si guadagna, in una maggiore cura dei personaggi — assai più umano è il Gordon di questo secondo romanzo di quello attonito e smarrito conosciuto nel primo; irresistibile, e vera protagonista del romanzo, risulta la figura di Shorr Kan, uno dei discendenti diretti del celebre professor Duquesne, reso immortale dall'entusiasmo un po' rozzo, ma certo efficace, dell'Edward E. Smith di Skylark; assai centrato è anche il personaggio di Korkhann, il non umano, e certamente grande è la figura di Narath Teyn, mentre rimangono confinati al puro cliché gli altri personaggi, a cominciare da Jahl Arn e Zarth Arn, come d'altronde accadeva anche ne I sovrani delle stelle. In ogni caso, Ritorno alle stelle è, come il precedente, un romanzo che sfugge a un giudizio letterario, e giganteggia nel campo dell'intreccio avventuroso, offrendoci addirittura troppo, lasciandoci storditi, e inebriandoci di stelle e nebulose, galassie e costellazioni, diventando in pratica un vero e proprio inno a quelle stelle, a quegli infiniti spazi oltre
il Sole, che Hamilton ha sempre descritto, insieme ai più semplici e più grandi sogni dell'uomo, nelle sue innumerevoli opere. Nato da una serie di novelettes, delle quali esistono diverse versioni, e delle quali sono già conosciute in Italia Lianna di Fomalhaut e Le rive dell'infinito, Ritorno alle stelle è comunque, nella versione attuale, un'opera di notevole coesione. Tra le singole parti, Le rive dell'infinito fu, a suo tempo, un testo di bellezza notevolissima: qui è riportato nell'ambito del romanzo, e parte del suo discorso di fondo (la nostalgia che emerge come ideale nella prosa hamiltoniana, l'inconsueto, affascinante "finale aperto" che tanto ci colpì a suo tempo) si adatta all'insieme dell'opera, che diventa un logico completamento del primo romanzo, più che un testo nuovo. La suggestione della più celebre delle saghe avventurose è stata troppo forte, dunque: e forse è giusto così. Ora i due romanzi compongono un dittico omogeneo, benché separati da quasi vent'anni, e il loro fascino, pensiamo, resisterà all'usura del tempo e delle mode, come spesso accade per certi best sellers della letteratura popolare che, a distanza di moltissimi anni, vengono riconosciuti addirittura più validi di certe celebrate opere ben diversamente impegnate, almeno a livello d'intenzioni. Ritorno alle stelle è, inoltre, un romanzo che ci ha obbligati a violare una norma abbastanza rigida, e cioè quella di pubblicare nei Classici solo opere già conosciute in Italia: nella sua versione attuale, il romanzo è inedito, perché anche questa versione, rispetto a Lianna di Fomalhaut e a Le rive dell'infinito, è notevolmente diversa. Quindi, la sede ideale sarebbe stata l'altra collana, e cioè gli Slan, che pubblica opere inedite nel nostro paese. Ma Ritorno alle stelle completa un ciclo famoso, ed è quella dei Classici la sua giusta collocazione: anche perché, idealmente, questo romanzo completa il primo, e non dubitiamo che esso saprà affascinare e conquistare coloro che già si sono appassionati alle vicende di John Gordon a Throon, nei regni siderali, e alla sua tormentata storia d'amore con Lianna di Fomalhaut. Da parte nostra, ripetiamo, ancora una volta, quanto più volte abbiamo scritto su Edmond Hamilton: uno scrittore che ha offerto alcuni autentici capolavori alla science fiction, ma soprattutto uno scrittore che ha saputo esprimere, sempre, quello che è il lato più affascinante e più duraturo di questa splendida letteratura: il desiderio dell'uomo di raggiungere l'infinito, la suggestione esercitata su ciascuno di noi dal cielo stellato, la poesia dei milioni e milioni di mondi dell'universo. Forse a volte la sua prosa ci appare ingenua, forse Hamilton scivola troppo spesso nel melodramma, forse il
succedersi continuo di iperboli, esclamazioni, colpi di scena, possono a tratti sconcertare: ma è l'insieme che conta. E, nel suo insieme, il dittico di John Gordon possiede un fascino al quale è impossibile sfuggire. E forse, dietro l'apparente semplicità e ingenuità di certe scene, troviamo anche un'abilità realmente infernale: perché nel riunire decine e decine di luoghi comuni e cliché, di personaggi e sentimenti allo stato elementare, Hamilton giunge a sfiorare il sublime, come a volte — raramente — accade. E se vogliamo leggere il romanzo nel romanzo... dal momento in cui Gordon entra nello studio di Keogh, al momento in cui egli riconosce la natura del suo sogno... troviamo la più appassionata, sincera, quasi disperata difesa che uno scrittore abbia fatto dei suoi sogni e del suo mondo fantastico: perché questo Ritorno alle stelle, l'ultimo romanzo scritto da Hamilton — che ormai non scrive quasi più — è veramente un ritorno ai mondi che, per cinquant'anni di carriera letteraria, questo autore discusso, ignorato spesso dalla critica, amatissimo dal pubblico, ha trasposto sulla carta, facendo sognare generazioni di' lettori. Hamilton è uno scrittore sul quale, pensiamo, il discorso rimarrà sempre aperto. Se dovesse scomparire, perderemmo la parte più spontanea, più appassionata, più affascinante, che ha permesso alla fantascienza di diffondersi e di raggiungere i vertici che i lettori ben conoscono. Ci auguriamo, presto, di poter ritornare su questo scrittore: del quale, comunque, il ciclo di John Gordon rimarrà sempre, almeno per noi, il più affascinante e il più amato. U.M. FINE