Henry James
Racconti Di Fantasmi Stories Of The Supernatural © 1970 A cura di Leon Edel Con un saggio di Virginia Woolf...
66 downloads
1489 Views
3MB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
Henry James
Racconti Di Fantasmi Stories Of The Supernatural © 1970 A cura di Leon Edel Con un saggio di Virginia Woolf
I RACCONTI DI FANTASMI DI HENRY JAMES di Virginia Woolf È evidente che Henry James fu fortemente attratto dal racconto di fantasmi o, più precisamente, dal racconto del soprannaturale. Ne scrisse almeno otto, e, se ci interessa sapere che cosa lo indusse a farlo, e quale opinione lo scrittore avesse del suo successo, non vi è nulla di più semplice che leggere la sua stessa testimonianza nella prefazione al volume che contiene The Aitar of the Dead. Ma forse conserveremo un'opinione più precisa lasciando da parte la prefazione. Con l'andar degli anni certe caratteristiche della narrazione acquistano rilievo, altre scompaiono. Non faremmo che confondere la nostra personale capacità di valutazione se tentassimo, doverosamente, di farla quadrare col giudizio che l'autore a quell'epoca espresse sulla sua opera. Per esempio, che cosa disse Henry James di The Great Good Place? Rimane The Great Good Place (1900). Ma a questo riguardo mi colpisce il fatto che ogni chiosa o commento al suo significato costituirebbe una sfida inopportuna, e comporterebbe un giudizio arbitrario. Il racconto è la realizzazione di un effetto calcolato, e ritengo che immergervisi, anche solo per un'occhiata favorevolmente prevenuta - scelta che in realtà consiglio - significherebbe lasciar fuori tutto il resto. E invece per noi, nel 1921, The Great Good Place è un fallimento. E un altro esempio del fatto che, quando uno scrittore è assolutamente, e perfino estaticamente, consapevole del proprio successo, scrive, forse, le opere peggiori. Ci sembra che dovremmo essere «dentro» la vicenda e invece ne rimaniamo freddamente fuori. Qualcosa non ha funzionato, e siamo propensi ad accusare il soprannaturale. Il giudizio può essere inopportuno, ma giudicare dobbiamo. Nessuno può negare che The Great Good Place inizi in modo mirabile. Senza lo spreco di una parola, ci troviamo immediatamente nel cuore della situazione. Il celebre e tormentato George Dane è circondato da lettere non aperte e libri mai letti; i telegrammi arrivano, gli inviti si accumulano, e le Henry James
1
1970 - Racconti Di Fantasmi
cose che valgono sono sepolte senza possibilità di recupero sotto la carta straccia. Nel frattempo Brown, il domestico, annuncia l'arrivo a colazione di uno strano giovanotto. Dane tocca la mano del giovane e, in questo punto di massimo tedio, scivola in uno stato di trance, o comunque si sveglia in un altro mondo. Si trova in un paradisiaco istituto di cura-riposo; le campane rintoccano lontane, i fiori olezzano, e dopo un po' la vita interiore si rianima. Ma non appena il cambiamento ha avuto luogo, ci rendiamo conto che qualcosa nel racconto non va più. Il movimento langue, l'emozione cede alla monotonia, anche se il mago ha agitato la bacchetta. Tutte le espressioni più pregnanti restano lì come in attesa - i calici d'argento, il fondersi delle ore -, ma non c'è lavoro per loro. Il racconto svanisce in un dolce soliloquio; Dane e i Fratelli diventano angeliche figure allegoriche che vagano in un mondo come il nostro, ma più vuoto e monotono. Come se sentisse l'esigenza di qualcosa di duro e oggettivo, l'autore nomina la città di Bradford; invano. The Great Good Place è un esempio dell'uso sentimentale del soprannaturale e per questo motivo Henry James avrà ritenuto senza alcun dubbio di essere stato più profondo e più efficace del solito. Gli altri racconti dimostreranno immediatamente che il soprannaturale offre grandi soddisfazioni, ma presenta anche grossi rischi; soffermiamoci per un momento sui rischi. Il primo è certamente che elimina le ferite e i traumi dell'esperienza. Nella saletta della colazione, con Brown e il telegramma, Henry James è stato costretto a darsi da fare sotto la pressione della realtà: la porta deve aprirsi, l'orologio deve battere le ore. Appena calato sulla terraferma, lo scrittore si è impossessato di un mondo che poteva plasmare a suo piacimento. Nel mondo dei sogni non c'è bisogno che la porta si apra, né che l'orologio batta le ore; la bellezza è a portata di mano, pronta ad offrirsi a chi la chiede. Ma la bellezza è la più perversa delle creature: sembra che debba passare attraverso la sozzura, o giacere a fianco del disordine prima di poter sorgere nella sua vera identità. La bellezza pre-confezionata del mondo dei sogni produce soltanto un'immagine anemica e convenzionale del mondo che già conosciamo. E Henry James amava troppo il mondo che conosciamo per crearne uno che non conosciamo. Non possedeva affatto la fantasia del visionario; la sua vocazione era drammatica, non lirica. Persino i suoi personaggi avvizziscono nella rarefatta atmosfera che li circonda, e ci viene presentato Henry James
2
1970 - Racconti Di Fantasmi
un «Fratello» quando preferiremmo di gran lunga aggrapparci alla solida persona di Brown. In modo un po' sleale abbiamo compilato l'elenco dei rischi che il soprannaturale presenta, a spese di un solo racconto. La verità forse è che siamo diventati fondamentalmente scettici. Mrs Radcliffe divertiva i nostri antenati perché erano i nostri antenati, vivevano con scarsissimi libri, ricevevano una lettera ogni tanto, leggevano un giornale che, quando arrivava, era ormai vecchissimo, abitavano nei punti più sperduti della campagna o in una cittadina che assomigliava al più modesto dei nostri villaggi, disponevano di lunghe ore da trascorrere seduti presso il camino, bevendo vino alla luce di una mezza dozzina di candele. Oggigiorno la nostra prima colazione è condita da un banchetto di orrori più abbondante di quello servito a loro in un anno. Siamo stanchi di violenza, sospettosi del mistero. Certamente, potremmo dire a uno scrittore dedito al soprannaturale, i fatti che accadono nel mondo possono bastare; certamente è più sicuro stare nella saletta della colazione con Brown. Inoltre, siamo ormai invulnerabili alla paura. I tuoi fantasmi ci fanno solo sorridere, e se cerchi di esprimere l'intima e intenerita visione di un mondo spogliato della sua vera pelle, saremo costretti (e non c'è nulla di più imbarazzante) a guardare dall'altra parte. Ma gli scrittori, se sono degni del loro nome, non accettano mai consigli, corrono sempre rischi. Ammettere che il soprannaturale fu trattato per l'ultima volta da Mrs Radcliffe e che i nervi degli uomini moderni sono immuni dallo stupore e dal terrore che gli spettri hanno sempre ispirato, significherebbe gettare la spugna troppo facilmente. Se i vecchi metodi sono superati, è compito dello scrittore scoprirne di nuovi. Il lettore può ancora provare ciò che ha provato una volta, e di questo non c'è dubbio; solo, di tanto in tanto, si deve cambiar fronte. Non è necessario decidere con quanta consapevolezza Henry James si sia disposto a cercare il punto debole nella nostra armatura d'insensibilità. Volgiamo la nostra attenzione a un altro racconto, The Frìends of the Frìends, e giudichiamo se qui lo scrittore ha raggiunto il suo scopo. È la storia di un uomo e di una donna che hanno cercato per anni di incontrarsi, ma raggiungono il loro intento soltanto la notte in cui la donna muore. Dopo la morte gli incontri si susseguono, e quando l'altra donna, cui lui è findanzato e che sta per sposare, intuisce il fatto, il matrimonio va a monte. La relazione ha subito un mutamento: un'altra persona, dice lei, si è Henry James
3
1970 - Racconti Di Fantasmi
insinuata fra loro. «Tu la vedi, la vedi; la vedi ogni notte!» E quella che definiremmo una tipica situazione jamesiana. E lo stesso argomento già trattato, in modo estremamente complesso, in The Wings of the Dove. Soltanto che in questo romanzo, quando Milly si intromette fra Kate e Densher e modifica per sempre la loro relazione, cessa al tempo stesso di esistere; in The Friends of the Friends, invece, l'anonima signora continua l'opera dopo la morte. E con ciò, fa molta differenza? Basta che Henry James muova il più piccolo passo e va oltre il confine: i suoi personaggi, con la loro estrema finezza di percezione, sono già per metà fuori dal corpo. Non c'è nulla di violento nel loro distacco da esso; sembrano piuttosto avere infine raggiunto ciò che per lungo tempo hanno desiderato: la possibilità di comunicare senza ostacoli. Ma Henry James, dopo tutto, teneva in serbo i suoi fantasmi proprio per i racconti di fantasmi. Gli ostacoli sono essenziali a The Wings of the Dove. Quando lo scrittore li elimina per intervento del soprannaturale, come in The Friends of the Friends, lo fa per produrre un effetto particolare. Il racconto è molto breve; non c'è tempo per approfondire la relazione; ma la vicenda può essere spinta verso la conclusione per mezzo di un imprevisto. Il soprannaturale è introdotto appunto per provocare codesto avvenimento traumatico. Ed è il più singolare degli imprevisti: tranquillo, bello, come il dissolversi di un suono in armonia; e tuttav;», in qualche modo, osceno. Il vivo e la morta, grazie alla loro superiore sensibilità, si sono trovati al di là dell'abisso: la situazione è affascinante. L'uomo vivo e la donna morta si sono incontrati soli durante la notte, hanno una relazione. L'incontro, spirituale e carnale insieme, genera una strana emozione, che non è esattamente paura, non è ancora turbamento. È una sensazione che non riconosciamo immediatamente. C'è un punto debole in qualche parte della nostra armatura. Forse Henry James riuscirà a penetrarvi, con metodi simili a questi. Ma poi passiamo a Owen Wingrave, e l'allettante gioco di immobilizzare l'autore al tavolo anatomico per scoprire ancora una volta le tracce della sua finezza e abilità - non importa quali possano essere le caratteristiche prevalenti della sua narrativa - è bruscamente interrotto. Immobilizzato, legato, apparentemente privo di vita, l'autore salta su e se ne va. In qualche modo ci si è dimenticati di dare il giusto peso alla vocazione letteraria, alla forza trainante che è così imprevedibile e così essenziale in uno scrittore. Con Henry James in particolare tendiamo, stupiti di fronte alla sua prodigiosa maestria, a dimenticare che lo scrittore Henry James
4
1970 - Racconti Di Fantasmi
nutriva un'illimitata passione per il narrare. La prefazione a Owen Wingrave è illuminante in proposito e, incidentalmente, indica il motivo per cui Owen Wingrave, come racconto di fantasmi, manca il bersaglio. Un pomeriggio estivo, molti anni fa - racconta James - sedeva su una sdraia «a pagamento» sotto un grosso albero nel parco di Kensington. Un giovane snello, seduto su un'altra sdraia li vicino, cominciò a leggere un libro. Forse che il giovanotto diventò, di punto in bianco, Owen Wingrave, determinando la situazione con la semplice suggestione della sua presenza, creando d'un tratto tutti gli sviluppi e riempiendo tutti i vuoti nelle mie immagini mentali?... Posso solo dire che, all'inizio dell'arco di tempo trascorso sulla sdraia, la fiaba senza costrutto non poteva vantare alcun diritto né appellarsi ad alcun pretesto e che, un attimo dopo, quando non avevo ancora finito di sfruttare per intero la mia moneta da un penny, era divenuta irta di motivazioni che giustamente ne reclamavano l'esistenza. 'Dàlie forma, dàlie forma! ' sembrava risuonarmi nelle orecchie con improvvisa intensità. Perciò la teoria dell'artista consapevole, che estrae il suo granello di materia e lo trasforma in un tessuto compiuto, è un'altra «invenzione» della nostra critica letteraria. La verità sembra essere che James era seduto su una sdraia, ha visto un giovane, e si è addormentato. Ad ogni modo, una volta che il gruppo, l'uomo, o forse soltanto il cielo e gli alberi acquistano un significato, tutto il resto c'è, inevitabilmente. Dato Owen Wingrave, anche Spencer Coyle, Mrs Coyle, Kate Julian, la vecchia casa, la stagione, l'atmosfera devono necessariamente esistere. Owen Wingrave implica tutto il resto. L'artista deve semplicemente fare in modo che il rapporto fra questi luoghi e queste persone sia quello giusto. Quando diciamo che Henry James nutriva una passione per il narrare, intendiamo dire che, quando arrivava il momento «magico», gli accessori erano pronti a piovere in massa. In questo caso, piovvero anche troppo rapidamente. Eccoli subito li, con tutta la carica e l'imponenza della gente vera. Miss Wingrave seduta nell'alloggio di Baker Street con un «grosso catalogo dell'Unione militare per l'Esercito e la Marina, che stava su un grande e desolato tappeto d'un azzurro molto incerto»; Mrs Coyle, «una bella donna, fresca e posata», che ammetteva, e anzi si vantava, del fatto di essere innamorata degli allievi del marito, «il che dimostra che l'argomento veniva trattato fra loro con larghezza di vedute»; lo stesso Spencer Coyle, il giovane Lechmere, sono Henry James
5
1970 - Racconti Di Fantasmi
tutti naturalmente in stretto rapporto col problema del temperamento di Owen e con la situazione da lui vissuta, ma si riferiscono a tante altre cose ancora. Ci sembra di intraprendere la lettura di un lungo e avvincente racconto; ma a un certo punto, bruscamente, paradossalmente, si ode un grido; il povero Owen viene trovato steso al suolo sulla soglia della stanza «infestata»: il soprannaturale ha tagliato il libro in due. È un'intromissione violenta, sensazionale; ma se Henry James in persona ci chiedesse: «Allora, vi ho spaventato?» saremmo costretti a rispondere: «Nemmeno un po'». La catastrofe non è in rapporto proporzionale a ciò che è accaduto prima; la visione nel parco di Kensington forse non abbracciava l'insieme. Per pura generosità l'autore ci ha presentato una vicenda ricca di possibili sviluppi: un giovanotto il cui problema (detesta la guerra ed è condannato a fare il soldato) è di profondo interesse psicologico; una ragazza il cui acume e la cui eccentricità sono volutamente caratterizzati, come in attesa di futura evoluzione. E invece, che uso viene fatto di loro? Kate Julian si limita a sfidare un giovane a dormire in una stanza abitata dagli spiriti; una grassa perpetua avrebbe saputo fare altrettanto. A quale scopo viene impiegato il soprannaturale? Il povero Owen Wingrave si prende un colpo in testa dal fantasma di un avo; un solido secchio in un corridoio buio avrebbe fatto di meglio. I racconti in cui Henry James usa il soprannaturale con effetto sono, allora, quelli in cui qualche attributo di un personaggio o di una situazione può ricevere il massimo significato solo se completamente scisso dai fatti. Il suo evolversi nel mondo della fantasia deve essere strettamente connesso a ciò che accade in questo mondo. Dobbiamo essere indotti a sentire che l'apparizione si accorda con la crisi di passione o di coscienza che l'ha generata, in modo così preciso che il racconto di fantasmi, oltre ai suoi pregi come racconto di fantasmi, possieda il fascino ulteriore di essere anche simbolico. Perciò il fantasma di Sir Edmund Orme appare alla donna, che lo ha abbandonato molto tempo prima, ogni qual volta la figlia sul punto di fidanzarsi. L'apparizione è la proiezione della sua coscienza colpevole, ma è qualcosa di più: è il nume tutelare dei diritti degli amanti. Si accorda con quanto è accaduto prima, lo completa. Dall'uso del soprannaturale scaturisce un'armonia che altrimenti non si sarebbe potuta udire. Sentiamo la prima nota sulla punta delle dita, e poi, un attimo più tardi, la seconda si accorda in lontananza. I fantasmi di Henry James non hanno nulla in comune con i vecchi Henry James
6
1970 - Racconti Di Fantasmi
spettri violenti: i feroci pirati grondanti sangue, i cavalli bianchi, le signore senza testa che vagano per oscuri sentieri e lande battute dal vento. Hanno le loro origini dentro di noi. Sono presenti ogni qual volta l'emozione supera le nostre capacità espressive; ogni qual volta nell'ordinario emerge l'alone dello straordinario. Le perplessità lasciate in sospeso, i terrori persistenti: queste sono le emozioni che James coglie, traduce in immagini, rende accettabili e vivibili. Ma come possiamo aver paura? Come dice quel signore che per la prima volta ha visto il fantasma di Sir Edmund Orme: «Ero pronto a giurare a chiunque che i fantasmi sono molto meno spaventosi e molto più divertenti di quanto comunemente si crede». Gli spiriti avvenenti e gentili, semplicemente non sono di questo mondo perché troppo raffinati per viverci. Si sono portati con sé, oltre il confine, gli abiti, le maniere, l'educazione, l'eleganza, e i valletti e le cameriere; conservano sempre tratti un po' mondani. Potremmo sentirci impacciati di fronte a loro, ma non possiamo sentirci intimoriti. Che importa, allora, se prendiamo The Tum of the Screw circa un'ora prima di andare a letto? Dopo una lettura raffinata e gradevole, se ci possiamo fidare degli altri racconti di Henry James, termineremo con questa musica squisita nell'orecchio e finiremo col dormire ancor più profondamente. Forse è il silenzio che dapprima ci impressiona. Tutto è così profondamente tranquillo a Bly. Il cinguettio degli uccelli all'alba, le grida dei bambini di lontano, il debole suono di passi in distanza, increspano il paesaggio ma lo lasciano intatto. Il silenzio si accumula, grava su di noi; ci rende stranamente timorosi del rumore. Infine la casa e il giardino scompaiono sotto il suo peso. Mi pare di udire ancora, mentre scrivo, l'intensa quiete in cui languivano i suoni della sera. Nel cielo colore dell'oro i corvi smettevano di gracchiare, e l'ora ciarliera perdeva tutta la sua voce nell'ineffabile minuto. È davvero ineffabile. Sappiamo che l'uomo che, in piedi sulla torre, tiene gli occhi fissi sull'istitutrice al piano di sotto, è una presenza maligna. Qualcosa di torbido e inesprimibile è emerso alla superficie, cerca di penetrare, di afferrare qualcosa. Le fragili, piccole creature innocenti immerse nel sonno devono essere protette a tutti i costi. Ma il terrore cresce. E possibile che la ragazzina, scostandosi dalla finestra, abbia visto la donna all'esterno? È stata forse con Miss Jessel? E Quint, ha per caso fatto visita al ragazzo? E Quint che aleggia attorno a noi nel buio; che è in quell'angolo e poi ancora in quell'altro. È Quint che dobbiamo allontanare Henry James
7
1970 - Racconti Di Fantasmi
con la forza della ragione e che, con tutto il nostro ragionare, ritorna. Può essere che abbiamo paura? Ma non è un uomo dai capelli rossi e dal viso bianco che temiamo. Abbiamo paura di qualcosa, forse, in noi stessi. Per farla breve, accendiamo la luce. Se analizziamo il racconto al chiarore della lampada e in tutta tranquillità, possiamo osservare quanta abilità riveli la narrazione, come ogni frase sia tesa, ogni immagine piena, come il mondo interno acquisti intensità dalla solidità di quello esterno, come il bello e l'indegno, intrecciati insieme, si insinuino strisciando fin nel profondo. Tuttavia dobbiamo riconoscere che qualcosa rimane inspiegato; dobbiamo ammettere che Henry James ha vinto. Il raffinato, mondano, sentimentale vecchio signore, riesce ancora a farci aver paura del buio. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
NOTA DEL CURATORE Sono qui raccolti, nel loro ordine cronologico di pubblicazione originale, diciotto racconti di Henry James. Appartengono al genere che l'autore stesso ha definito «ghostly», aggettivo di non facile traduzione e che evoca comunque l'idea del fantasma, anche se, come il lettore stesso potrà constatare nella maggior parte dei casi, di fantasmi - nell'accezione comune del termine -non si tratta. Il più famoso di questi racconti è senza dubbio Il giro di vite (The Turn of the Screw) che appare qui nella traduzione di Fausta Cialente, già pubblicata da Einaudi nella collana «Scrittori tradotti da scrittori» nel 1985. Un'altra famosa novella tipicamente jamesiana, per quell'atmosfera ambigua di tormentato intimo mistero che la caratterizza, è La belva nella giungla {The Beast in the Jungle); in questa raccolta essa appare, insieme ad altre quattro, nella traduzione di Carlo Izzo. La traduzione dei restanti dodici racconti è opera mia, così come la versione dei testi di Leon Edel (lo studioso americano che a James ha dedicato tutta una vita), e cioè il saggio su James, la cronologia e le note illustrative che accompagnano ogni racconto. E mia anche la traduzione dell'articolo di Virginia Woolf, apparso nel 1921, posto all'inizio di questo volume. Sono molto grata a Paolo Collo, della Casa editrice Einaudi, per avermi offerto valida e intelligente assistenza durante questi mesi di lavoro, e nella revisione generale, che abbiamo curato insieme. Henry James
8
1970 - Racconti Di Fantasmi
Lo stile di James muta e si evolve nel corso degli anni, e crea al traduttore problemi di soluzione spesso difficile: dalla fluida e scorrevole narrazione della storia di De Grey, che l'autore scrisse venticinquenne nel 1868, allo stile denso, intricato, quasi enigmatico de L'angolo prediletto {The Jolly Corner) del 1908; dalla complessa e angosciosa vicenda di Stransom de L'altare dei morti {The Aitar of the Dead) del 1895, alla vivace, brillante, ironica storia delle cugine Frush de La terza persona {The Thìrd Versori) del 1900. Proprio per questo spero di essere riuscita ugualmente... a rendere a James quel che è di James. MARIA LUISA CASTELLANI AGOSTI Ottobre 1988.
LA ROMANZESCA STORIA DI CERTI VECCHI VESTITI Verso la metà del XVIII secolo viveva nella colonia del Massachusetts una gentildonna vedova, madre di tre figlioli, che rispondeva al nome di Veronica Wingrave. Era rimasta vedova ancor giovane e si era dedicata interamente ai figli. Questi crescevano in modo da compensarla delle sue tenere cure e da esaudire le sue più rosee speranze. Il primogenito era un maschio al quale era stato imposto il nome del padre, Bernard. Le altre due erano femmine, nate a tre anni di distanza l'una dall'altra. La bellezza era una tradizione di famiglia, né pareva che questi giovani volessero consentirle d'estinguersi. Il ragazzo aveva quella costituzione bionda e rosea e quella struttura atletica che, allora come oggi, è segno di puro sangue inglese: era un giovinetto spontaneo, affettuoso, un figlio e un fratello ideale, un amico fedele. Intelligente, però non lo era: le doti di spirito della famiglia erano toccate in sorte soprattutto alle sorelle. Mr Wingrave era stato un appassionato lettore di Shakespeare in un'epoca in cui tale occupazione era, più che non sia oggi, indizio di una mente perspicace, e in un ambiente nel quale esprimersi in favore del dramma richiedeva una buona dose di coraggio persino in privato; e aveva desiderato testimoniare la sua ammirazione per il grande poeta chiamando le figlie con nomi tolti dai suoi lavori preferiti. Alla maggiore aveva imposto quello affascinante di Rosalind ', mentre la minore l'aveva chiamata col nome più serio di Perdita, in memoria della bambina nata fra l'una e l'altra e vissuta solo poche settimane. Henry James
9
1970 - Racconti Di Fantasmi
Quando Bernard Wingrave ebbe compiuto i sedici anni, sua madre fece appello al proprio coraggio e si preparò ad esaudire l'ultima richiesta del marito: l'ordine perentorio, cioè, che, all'età giusta, il figliolo fosse mandato in Inghilterra per completarvi l'educazione all'Università di Oxford, dove egli stesso aveva imparato ad amare la letteratura classica. Mrs Wingrave era convinta che l'uguale del figlio non fosse reperibile in entrambi gli emisferi, ma era rispettosa delle antiche tradizioni che le imponevano l'obbedienza assoluta. Così, soffocando i singhiozzi, preparò al ragazzo il baule e un semplice corredo di provinciale, e lo mandò per la sua strada al di là dei mari. Bernard fu iscritto al college del padre e trascorse in Inghilterra cinque anni, non con grande onore, in verità, ma divertendosi un mondo e senza gettar discredito sul proprio nome. Lasciata l'università compi un viaggio in Francia. A ventitre anni s'imbarcò per far ritorno in patria, preparato a trovare il povero piccolo New England (era davvero molto piccolo allora) una residenza noiosa, antiquata. Ma c'erano stati dei cambiamenti in casa, non meno che nelle opinioni di Bernard. Egli trovò la casa materna abitabilissima, e le due sorelle trasformate in due deliziose signorine, con tutte le prerogative di grazia delle giovani inglesi e una certa innata simpatica brus-querie, un che di selvatico che, se non era una dote, costituiva un'attrattiva in più. A quattr'occhi con la madre Bernard le assicurò che le sorelle non sfiguravano a confronto con le raffinate damigelle d'Inghilterra: al che, naturalmente, la povera Mrs Wingrave spronò le figlie a camminare a testa alta. Tale era l'opinione di Bernard, e tale, ma decuplicato, era il giudizio di Mr Arthur Lloyd. Questi, mi affretterò ad aggiungere, era un compagno d'università di Bernard, un giovane di famiglia onorata, bello d'aspetto e in vista d'u-n'eredità cospicua che era in procinto d'investire nel commercio della fiorente colonia. Erano amici intimi, lui e Bernard; avevano attraversato insieme l'oceano, e il giovane americano non aveva indugiato a presentar l'amico in casa di sua madre, dove aveva fatto la stessa buona impressione che aveva ricevuta e di cui ho appena detto. A quell'epoca le due sorelle erano nel fiore della loro freschezza giovanile; e ciascuna se ne adornava, com'è naturale, nella maniera che più le si confaceva. Erano, nell'aspetto e nel carattere, ugualmente dissimili. Rosalind, la maggiore, che contava allora ventidue anni, era alta e pallida, con tranquilli occhi grigi e trecce dai riflessi dorati; somigliava dunque ben poco alla Rosalind di Shakespeare, che io mi raffiguro come una brunetta Henry James
10
1970 - Racconti Di Fantasmi
(se mi consentite), una creatura minuta, vivace, sensibile alle più delicate e sottili emozioni. Rosalind Wingrave, con la sua carnagione chiara un poco anemica, le sue belle braccia, la statura maestosa e la lenta loquela, non era fatta per le avventure. Non avrebbe mai indossato una giacca da uomo o un paio di pantaloni; il che, florida com'era - a prescindere dal suo innato senso di dignità -, avrebbe forse fatto bene ad evitare. Anche Perdita avrebbe potuto benissimo scambiare la dolce malinconia evocata dal suo nome con qualcosa di più consono al suo aspetto e alla sua indole. Aveva una carnagione da zingara e occhi infantili, ardenti, oltre al vitino più sottile e i piedini più veloci di tutta la patria dei Puritani. Se le veniva rivolta una domanda, lungi dal far aspettare una risposta com'era abitudine della sua bella sorella (mentre teneva fisso sull'interlocutore lo sguardo dei suoi occhi grigi un po' freddi), gliene avrebbe offerto la scelta fra una mezza dozzina, prima che l'altro avesse avuto il tempo di esprimere solo la metà del proprio pensiero. Le due fanciulle furono lietissime di rivedere il fratello, il che non impedì loro di riservare un'ampia dose di buona accoglienza al suo compagno. Tra i loro amici e vicini di casa, la belle jeunesse della colonia, v'erano molti giovanotti eccellenti, parecchi devoti corteggiatori, e due o tre che godevano fama di conquistatori affascinanti. Ma l'educazione casalinga e la galanteria alquanto rumorosa di quell'onesta gioventù coloniale venivano completamente eclissate dal bell'aspetto, dal vestire raffinato, dall''empressement rispettoso, dal tratto squisito e lo sconfinato sapere di Mr Arthur Lloyd. In verità nessuno reggeva al suo confronto: era un giovane sincero, risoluto, intelligente, educato, ricco di sterline, di salute, di rosee speranze e del suo piccolo capitale di affetti non investiti. Ma era anche un gentiluomo: aveva bei tratti, aveva studiato e viaggiato; parlava il francese, suonava il flauto e leggeva versi ad alta voce con grande finezza di gusto. C'erano abbondanti ragioni perché da quel momento in poi le signorine Wingrave facessero le difficili nella scelta delle loro conoscenze maschili. Alle nostre giovinette del New England i discorsi di Mr Lloyd rivelarono molte più cose di quant'egli potesse immaginare sugli usi e costumi della gente alla moda delle capitali europee. Era così piacevole starlo a sentire quando, con Bernard, discorreva della bella società e delle belle cose che avevano vedute. Dopo il tè si radunavano intorno al fuoco nel salottino dalle pareti rivestite di legno; e allora, uno di qua, uno di là dal camino, i due giovani rievocavano Henry James
11
1970 - Racconti Di Fantasmi
questa o quella o quell'altra avventura. Rosalind e Perdita avrebbero spesso dato volentieri qualcosa per sapere di che specie d'avventura si trattasse, e dove aveva avuto luogo, e chi c'era, e com'erano vestite le signore; ma allora non s'usava che una giovane ben educata s'intromettesse di propria iniziativa nella conversazione e facesse troppe domande; e le poverine se ne restavano lì, emozionate e agitate, costrette a dipendere dalla più flebile - o più discreta - curiosità della loro mamma. Che le sorelle fossero due ragazze molto carine Arthur Lloyd non ci mise molto a scoprirlo; ma gli ci volle un po' di tempo per decidere quale delle due sorelle gli piacesse di più: se la maggiore o la più piccola. Aveva il netto presentimento - una sensazione di carattere troppo lieto nell'insieme per potersi definire un presagio - d'essere destinato a comparire davanti al pastore con una delle due; eppure era incapace di formulare una preferenza. Se quella doveva essere la conclusione, una preferenza era certo indispensabile, tanto più che Lloyd era troppo giovane per accettare l'idea di lasciare la propria scelta al caso e rinunciare alla gioia d'innamorarsi. Decise di dare tempo al tempo e di lasciar parlare il cuore. Intanto era in una situazione ideale. Mrs Wingrave mostrava un'indifferenza dignitosa verso le sue «intenzioni», ugualmente lontana dal trascurare l'onore delle figliole e dal mostrare quella premurosa alacrità di indurlo a pronunciarsi che, nella sua qualità di giovane facoltoso, troppe volte egli aveva dovuto riscontrare nelle madri nobili delle sue isole natali. Quanto a Bernard, non chiedeva di meglio che l'amico considerasse le sorelle come sorelle sue; e quanto alle due giovinette, benché forse ciascuna aspirasse in segreto al monopolio delle attenzioni di Mr Lloyd, mantenevano un contegno irreprensibile, improntato a lieta modestia. Nel loro rapporto reciproco, tuttavia, stavano piuttosto sul chi vive. Erano buone amiche fraterne, e concilianti compagne di letto (dividevano infatti il lettone a quattro colonne) e più d'un giorno sarebbe occorso perché tra loro germogliassero e fruttificassero i semi della gelosia; le due ragazze avevano però l'impressione che quei semi fossero stati gettati nel giorno stesso in cui Mr Lloyd aveva posto piede in casa loro. Ognuna aveva deciso che, se disprezzata, avrebbe sopportato il suo dolore in silenzio e nessuno ne avrebbe saputo nulla; poiché, se erano capaci di molto amor proprio, erano anche fornite di una buona dose di orgoglio. Ma ciascuna nel proprio intimo pregava che, malgrado tutto, la scelta, la preferenza di Lloyd cadesse su di lei. Abbisognavano certo di molta Henry James
12
1970 - Racconti Di Fantasmi
pazienza, di molto dominio di sé, di molta capacità di dissimulazione. A nessuna ragazza di buona famiglia era lecito, a quei tempi, prendere la minima iniziativa; le era soltanto consentito rispondere a quelle che venivano prese. Una ragazza doveva starsene seduta sulla propria seggiola con gli occhi rivolti al tappeto, lo sguardo fisso sul punto dove sarebbe caduto il fatidico fazzoletto. Il povero Arthur Lloyd era costretto a fare la sua corte nel salottino boisé, sotto gli occhi di Mrs Wingrave, del di lei figlio e dell'eventuale cognata. Ma così scaltri sono giovinezza e amore che cento piccoli indizi e pegni si sarebbero potuti scambiare senza che nessuno di quei sei occhi ne captasse il passaggio. Le due giovani, l'una in quasi costante compagnia dell'altra, avevano infinite occasioni di tradirsi. Che ciascuna sapesse d'essere osservata non causava però la minima differenza in quei piccoli favori che si rendevano a vicenda, o nelle varie mansioni casalinghe che assolvevano insieme. Né l'una né l'altra dava segno di timore o d'agitazione sotto il muto dardeggiare degli occhi della sorella. L'unico visibile mutamento nelle loro abitudini fu che ebbero meno da dirsi. Parlare del signor Lloyd era impossibile, e parlar d'altro era ridicolo. Per tacito accordo cominciarono a mettersi i vestiti più belli, a escogitare dei piccoli espedienti di civetteria in materia di nastri, gale e falpalà consentiti nell'ambito d'un'indiscussa modestia. Trattando fra loro a mezza bocca quegli argomenti delicati, osservavano un piccolo patto di sincerità. «Va meglio così?» chiedeva ad esempio Rosalind appuntandosi sul petto un fiocco di nastri e volgendosi dallo specchio alla sorella; e Perdita alzava compuntamente gli occhi dal lavoro per esaminare la guarnizione. «Direi che faresti bene ad aggiungerne ancora uno», rispondeva con molta gravità alla sorella, mentre il suo sguardo sembrava aggiungere: «parola d'onore». così continuavano a cucire e ad abbellire le loro gonnelle, a stirarsi le mussole, a inventar lozioni, pomate e cosmetici, come le signore nella casa del vicario di Wakefield. Trascorsero tre o quattro mesi: si entrava nel pieno inverno, e Rosalind per il momento sapeva che, se Perdita non aveva motivo di vantarsi più di lei, la sua rivalità destava ben pochi timori. Ma contemporaneamente Perdita, la deliziosa Perdita, sentiva che il suo segreto era diventato dieci volte più prezioso di quello della sorella. Un pomeriggio Rosalind stava seduta, sola - il che accadeva di rado davanti allo specchio della toeletta, intenta a pettinarsi i lunghi capelli. Si stava facendo troppo buio per vederci ancora: accese allora le due candele Henry James
13
1970 - Racconti Di Fantasmi
nei bocciuoli fissati alla cornice dello specchio e andò alla finestra per tirare le tende. Era una grigia sera decembrina: il paesaggio era nudo e brullo, il cielo carico di nuvole di neve. In fondo al grande giardino su cui si affacciava la finestra c'era un muro, con una porticina posteriore che s'apriva su un viottolo. Per quanto potè discernere nell'oscurità crescente, la porta era semiaperta e si muoveva lentamente avanti e indietro, come se qualcuno la sospingesse dalla strada. Senza dubbio era una delle cameriere che aveva avuto appuntamento con l'innamorato. Ma, nell'atto di far ricadere la tendina, Rosalind scorse la sorella affrettarsi per il viale del giardino verso casa. Riaccostò la tenda, lasciando soltanto uno spiraglio per vedere. Perdita stava risalendo il viale e sembrava esaminare qualcosa che teneva in mano, avvicinandosela agli occhi. Raggiunta la casa, si fermò un istante, guardò attentamente l'oggetto e se lo premette alle labbra. La povera Rosalind tornò lentamente a sedersi davanti allo specchio; se vi avesse posato uno sguardo meno distratto, vi avrebbe scorto i suoi bei tratti tristemente alterati dalla gelosia. Poco dopo l'uscio si aperse alle sue spalle e Perdita entrò ansimando nella stanza, con le guance rosse per l'aria frizzante. Trasalì. - Ah, - disse, - credevo che fossi con la mamma -. Era previsto un ricevimento di signore, e in quelle occasioni una delle due ragazze era solita assistere la madre nel cambiarsi d'abito. Invece di entrare, Perdita indugiava sulla soglia. - Vieni, vieni avanti, - disse Rosalind. - C'è ancora più di un'ora di tempo. Volevo proprio pregarti di dare qualche colpo di spazzola ai miei capelli -. Sapeva che la sorella desiderava ritirarsi, e che lei poteva sorvegliare dallo specchio tutti i movimenti nella stanza. - Via, aiutami con questi capelli, - soggiunse. - Poi vado io dalla mamma. Perdita si fece avanti contro voglia e prese la spazzola. Vedeva nello specchio gli occhi dell'altra fissi sulle sue mani. Non aveva dato tre passate che Rosalind afferrò con la mano destra la sinistra della sorella e balzò su dalla sedia. - Di chi è quest'anello? - esclamò con veemenza, attirandola verso la luce. Sul medio della fanciulla brillava un anellino d'oro, adorno di un minuscolo zaffiro. Perdita comprese di non dover mantenere oltre il segreto; era però necessario rivelarlo con baldanza. - E mio, - dichiarò orgogliosa. - Chi te l'ha dato? - gridò l'altra. Henry James
14
1970 - Racconti Di Fantasmi
Perdita esitò un istante. - Mr Lloyd, - disse. - E diventato generoso tutt'a un tratto, Mr Lloyd. - Eh no! - esclamò pronta Perdita. - Non tutt'a un tratto. È già un mese che me l'ha offerto. - E a te è bastato farti corteggiare un mese per accettarlo? - fece Rosalind guardando il gioiellino, in verità non particolarmente raffinato, ma quanto di meglio poteva offrire l'orefice di provincia. - Io l'avrei fatto aspettare almeno due mesi! - Non è l'anello che conta, - replicò Perdita, - è ciò che significa! - Significa che non sei una ragazza ammodo, - esclamò Rosalind. Vorrei sapere: e informata la mamma della tua condotta? Ne è informato Bernard? - La mamma ha approvato la mia 'condotta', come tu la chiami. Mr Lloyd ha chiesto la mia mano, e mamma gliel'ha concessa. Avresti voluto che chiedesse la tua, sorella carissima? Rosalind le rivolse un lunga occhiata, piena di rovente invidia e di sofferenza. Poi abbassò le ciglia sulle guance pallide e si scostò. Perdita si rendeva conto che la scena era stata spiacevole; ma la colpa era della sorella. Questa, tuttavia, ritrovò il proprio orgoglio e tornò sui suoi passi. Ti faccio i miei migliori auguri, - le disse con un leggero inchino. - Ti auguro ogni felicità e lunghissima vita. Perdita uscì in un riso amaro. - Non parlarmi in quel tono, -esclamò. Preferirei che mi maledicessi di tutto cuore. Via, sorellina, - aggiunse, non poteva mica sposarci tutt'e due! - Ti auguro ogni bene possibile, - ripetè Rosalind come un automa, risedendosi davanti allo specchio, - una lunga vita e un mucchio di figli. C'era qualcosa nel suono di quelle parole che non piacque affatto a Perdita. - Un anno almeno me lo concedi? - le domandò. - In un anno posso avere un bel maschietto... o magari una bambina. Se mi ridai la spazzola, ti aggiusto i capelli. - Grazie, - rispose Rosalind. - Sarà meglio che tu raggiunga la mamma. Non sta bene che una signorina fidanzata si prenda cura di una ragazza che non lo è. - Ma andiamo, - ribatté Perdita ritrovando il suo buon umore. - Io ho Arthur che si prende cura di me. Hai più bisogno tu del mio aiuto che io del tuo. Ma la sorella la spinse fuori. Perdita usci e, quando se ne fu andata, la Henry James
15
1970 - Racconti Di Fantasmi
povera Rosalind cadde in ginocchio davanti alla toeletta, nascose la testa fra le braccia e versò un fiume di lagrime fra i singhiozzi. Dopo quello sfogo si senti molto meglio. Quando Perdita rientrò nella stanza, Rosalind insistè nelTaiutarla a vestirsi, nel farle indossare ciò che aveva di più bello. La indusse ad accettare un suo merletto: adesso che era fidanzata, affermò, doveva fare del suo meglio per apparir degna della scelta del suo pretendente. Assolse tali servigi con laconico rigore, ma si trattò appunto di puri servigi, intesi a chieder perdono, a offrire riparazione; e non ne prestò più altri. Ora che Lloyd era ricevuto in famiglia come fidanzato ufficiale, non rimaneva che stabilire la data del matrimonio. Si decise per il prossimo aprile, e nel frattempo si attese con diligenza ai preparativi per le nozze. Lloyd, dal canto suo, era assorbito da impegni d'affari: voleva iniziare un rapporto di scambio con l'importante ditta commerciale inglese con la quale era entrato in relazione. Non fu più dunque l'assiduo frequentatore di casa Wingrave ch'era stato durante i mesi della sua irresoluta perplessità, sicché lo spettacolo delle tenerezze reciproche dei due innamorati fece soffrire la povera Rosalind meno di quanto avesse temuto. Nei confronti della futura cognata Lloyd si sentiva la coscienza perfettamente tranquilla. Non c'era mai stata fra loro la minima sfumatura di sentimento, ed egli non nutrì mai il minimo sospetto ch'ella avesse aspirato a qualcosa di più d'un affetto fraterno. Arthur si sentiva del tutto a suo agio: la vita prometteva così bene, sia dal lato domestico che finanziario! La grande rivolta delle Colonie non era ancora nell'aria, e temere che la sua felicità coniugale potesse prendere una piega tragica era un pensiero assurdo, blasfemo. Intanto in casa della signora Wingrave più che mai frusciavano sete, risuonavano i colpi secchi delle forbici, gli aghi correvano veloci. La brava signora aveva deciso che la figliola dovesse portarsi via di casa il corredo più elegante che i suoi mezzi le consentissero o che la contrada potesse fornire. Furono convocate tutte le esperte comari della contea e tutte insieme furono chiamate a influire col loro gusto sul corredo di Perdita. La posizione di Rosalind in quel momento non era certo invidiabile. La poverina nutriva per i vestiti una passione smodata e un gusto assolutamente squisito, come sua sorella sapeva benissimo. Rosalind era alta, era maestosa e fiorente, era fatta per portar rigidi broccati e ricche trine pesanti, come si conviene all'abbigliamento della consorte d'un uomo facoltoso. Ma, mentre la madre e la sorella e le rispettabili signore di cui Henry James
16
1970 - Racconti Di Fantasmi
s'è detto si occupavano e si scervellavano sui diversi tessuti, sopraffatte dall'abbondanza delle risorse a loro disposizione, Rosalind se ne stava seduta in disparte, le belle braccia incrociate in grembo e il capo rivolto altrove. Un giorno arrivò in casa un bel taglio di seta bianca damascata in turchino e argento, mandato dal fidanzato stesso, giacché a quei tempi non si considerava sconveniente che lo sposo prescelto contribuisse al corredo della sua promessa. Perdita era incapace d'immaginare un modello e degli ornamenti che valorizzassero in maniera adeguata lo splendore della stoffa. - L'azzurro è un colore più adatto a te che a me, sorella, - disse con uno sguardo afflitto. - Che peccato che non sia per te: tu sapresti che cosa farne. Rosalind s'alzò dal suo posto e guardò il grande tessuto lucente spiegato sullo schienale d'una sedia. Poi lo sollevò tra le mani, lo palpò con amore Perdita se ne rese ben conto - e si voltò verso lo specchio. Ne lasciò cadere un capo fino ai piedi drappeggiandone l'altra estremità su una spalla e trattenendolo intorno alla vita col braccio bianco, nudo fino al gomito. Gettò il capo all'indietro e rimirò la sua immagine, mentre una treccia dei suoi capelli dorati ricadeva sulla superficie sgargiante della seta. Il quadro era di una bellezza abbagliante. Le comari all'intorno emisero un piccolo «oh!» di meraviglia. - Sì, è vero, - ammise Rosalind in tono pacato, -l'azzurro è il colore che fa per me -. Ma Perdita capì che la fantasia della sorella era stata stimolata e che ora si sarebbe messa al lavoro per risolvere tutti i loro serici enigmi. E in verità si comportò benissimo, come Perdita era stata pronta ad affermare, conoscendo lo sconfinato amore di Rosalind per l'abbigliamento. Metri e metri di belle sete, di rasi, di mussole, di velluti e merletti passarono per le mani esperte di Rosalind, senza che mai una parola d'invidia le uscisse dalle labbra. Grazie ai suoi sforzi, il giorno delle nozze Perdita era pronta a sposare vanità mondane in numero superiore a qualsiasi altra emozionata fanciulla che mai avesse affrontato la benedizione sacramentale di un ecclesiastico del New England. Era stato convenuto che la giovane coppia passasse i primi giorni di vita coniugale nella villa di campagna di un gentiluomo inglese, persona altolocata e ottimo amico di Arthur Lloyd, uno scapolo che si era dichiarato lietissimo di lasciare libero il campo agli influssi di Imene. Dopo la cerimonia in chiesa (officiata da un sacerdote inglese) la giovane signora Lloyd s'affrettò a tornare alla casa materna per mutare le vesti nuziali con un costume da amazzone. Rosalind l'aiutò a cambiar d'abito Henry James
17
1970 - Racconti Di Fantasmi
nella vecchia cameretta che le aveva viste sorelle affettuose. Poi Perdita uscì in fretta per salutare la madre, pensando che Rosalind la seguisse. L'addio fu breve: i cavalli erano alla porta, e Arthur impaziente di partire. Ma Rosalind non l'aveva seguita, e Perdita salì in fretta in camera, spalancando l'uscio di colpo. Come al solito, Rosalind stava davanti allo specchio, ma in un atteggiamento che fece rimaner l'altra ferma sui due piedi, sbigottita. S'era posati sul capo il velo e la ghirlanda da sposa deposti da Perdita, e aveva agganciato intorno al collo il pesante filo di perle che la sorella aveva ricevuto dal marito come dono nuziale. Questi oggetti erano stati messi affrettatamente in disparte, in attesa del ritorno dalla campagna della loro proprietaria. Così stranamente agghindata, Rosalind stava ritta davanti allo specchio, indugiando con lo sguardo nella profondità del cristallo e scorgendovi Dio sa quali visioni audaci. Perdita ne fu orripilata. Vide risorgere l'odioso spettacolo della loro antica rivalità. Fece un passo verso la sorella, come per strapparle di dosso velo e fiori. Ma, incontrando nello specchio gli occhi di Rosalind, s'arrestò. - Addio, cocca, - disse. - Potevi almeno aspettare che fossi uscita di casa -. E abbandonò di corsa la stanza. A Boston Mr Lloyd aveva acquistato una casa che, secondo il gusto di quei tempi, era considerata una meraviglia di eleganza e di comodità; e ben presto vi si stabili con la giovane moglie. Una distanza di venti miglia lo separava dalla dimora della suocera. In quell'epoca tanto primitiva in materia di strade e di mezzi di trasporto, venti miglia equivalevano a cento del giorno d'oggi; di conseguenza, Mrs Wingrave ebbe solo rare occasioni di vedere sua figlia nei primi dodici mesi del suo matrimonio. Di tale assenza ella soffriva non poco; né la sua pena era certo diminuita dal fatto che Rosalind era caduta in uno stato di terribile depressione, tale da rendere indispensabile per la sua salute un cambiamento d'aria e d'ambiente. Il lettore non durerà fatica a sospettare quale fosse la vera causa di quell'abbattimento. Mrs Wingrave e le sue comari ritenevano però che il malessere della fanciulla fosse unicamente fisico e non dubitavano che il rimedio suaccennato le avrebbe portato sollievo. Per il bene della figliola la madre propose dunque di mandarla in visita da certi parenti da parte di padre residenti a New York, i quali da tempo si lagnavano di vedere tanto di rado le cugine del New England. Così Rosalind fu spedita, sotto conveniente scorta, da quelle brave persone, e vi rimase per parecchi mesi. Henry James
18
1970 - Racconti Di Fantasmi
Nel frattempo suo fratello Bernard, che aveva cominciato a far pratica legale, decise di prender moglie. Rosalind fece ritorno a casa per il matrimonio, in apparenza guarita della sua profonda malinconia, con un autentico color di rose e di gigli sulle guance e un fiero sorriso sulle labbra. Arthur Lloyd venne da Boston per assistere alle nozze del cognato, ma senza la moglie, che attendeva da un momento all'altro di fargli dono di un erede. Era passato quasi un anno da quando Rosalind l'aveva visto l'ultima volta. Non avrebbe saputo dire perché, ma era contenta che Perdita fosse rimasta a casa. Arthur aveva l'aria felice, ma era più serio e contegnoso di prima del matrimonio. Rosalind lo trovò «interessante», termine che - sebbene, nel senso attuale, a quei tempi non fosse stato ancora inventato - sicuramente rende bene l'idea. La verità è che Arthur era in ansia per lo stato di sua moglie e il suo imminente travaglio. Ciò non ali impedì tuttavia di constatare come la bellezza e lo splendore di Rosalind fossero tali da offuscare completamente l'immagine della sua povera sposina. La medesima somma che era stata concessa a Perdita per il suo abito nuziale era stata ora assegnata alla sorella, e questa, senza dubbio, aveva saputo metterla a buon frutto. All'indomani del matrimonio Arthur fece sellare all'amazzone il cavallo del domestico venuto con lui dalla città e uscì con la fanciulla per una cavalcata. Era un mattino di gennaio sereno e pungente, il suolo era brullo e duro e i cavalli in buone condizioni - per tacer di Rosalind, incantevole con quel suo cappello piumato e la tenuta d'amazzone turchino cupo, orlata di pelliccia. Cavalcarono tutta la mattina, smarrirono la strada e all'ora di pranzo furono costretti a fermarsi in una fattoria. Quando giunsero a casa era già calato il precoce crepuscolo invernale. Mrs Wingrave andò loro incontro con aria preoccupata. A mezzogiorno era arrivato un messaggero di Mrs Lloyd: erano cominciate le doglie e pregava il marito di tornare subito a casa. Al pensiero di aver perso tante ore il giovane uscì in un'imprecazione: con una buona galoppata a quell'ora sarebbe stato già accanto alla moglie! Acconsenti solo a fermarsi per un boccone di cena, poi montò in sella al cavallo del messaggero e parti al galoppo. Arrivò a casa a mezzanotte. La moglie aveva dato alla luce una bambina. - Ah! - esclamò quand'egli si accostò al suo letto, - perché non sei rimasto con me? - Quando giunse il tuo incaricato ero fuori. Ero con Rosalind, - rispose candidamente Lloyd. Henry James
19
1970 - Racconti Di Fantasmi
La moglie emise un debole lamento e gli volse le spalle. Continuò tuttavia a sentirsi meglio, e per una settimana la ripresa durò ininterrotta. Ma infine, fosse per un eccesso di dieta o per un'infreddatura, il miglioramento cessò e la poverina andò rapidamente peggiorando. Lloyd era disperato. Fu presto evidente che la sua ultima ora era vicina. Perdita, cosciente della fine prossima, dichiarò d'essere rassegnata alla morte. Tre sere dopo l'improvviso aggravamento disse al marito di sentire che non avrebbe passato la notte. Fece allontanare i domestici e pregò anche la madre, arrivata il giorno prima, di ritirarsi. S'era fatta portare la neonata nel letto accanto a lei e stava sdraiata su un fianco, con la piccina contro il seno e le mani del marito strette fra le sue. La lampada notturna era nascosta dietro le pesanti cortine del letto, ma la stanza era rischiarata dalla rossa fiamma proveniente dal gran fuoco di ceppi nel camino. - Sembra strano non ritrovare vita davanti a un fuoco come questo, disse la giovane donna, tentando un debole sorriso. - Avessi soltanto un po' di quel fuoco nelle vene! Ma il mio fuoc0 l'ho donato tutto a questa piccola favilla mortale -. E abbassò gì: occhi sulla bambina. Poi li alzò verso il marito e lo fissò con un lungo sguardo penetrante. L'ultimo sentimento che indugiava nel suo cuore era di sospetto. Non era riuscita a riprendersi dal colpo infertole da Arthur quando egli le aveva detto che nell'ora del suo travaglio era stato con Rosalind. Aveva fede nel marito quasi pari all'amore che gli portava; ma ora, sul punto di scomparire per sempre, provava nei confronti della sorella un senso di gelido terrore. Intuiva nell'intimo che Rosalind non aveva mai cessato d'invidiarle la sua buona sorte; un anno di serena sicurezza non aveva cancellato in lei l'immagine della fanciulla ornata dei suoi paramenti nuziali, sorridente di finto trionfo. Adesso che Arthur restava solo, che cosa non avrebbe fatto Rosalind? Era bella, era seducente; a quali arti non avrebbe ricorso, quale influenza non avrebbe esercitato sull'animo afflitto del giovane? Mrs Lloyd guardò suo marito in silenzio. Sembrava difficile, dopo tutto, dubitare della sua costanza. I begli occhi di lui erano pieni di lagrime, il viso era alterato dal pianto, la stretta delle sue mani era calda e appassionata. Che aspetto nobile aveva, com'era tenero, leale, devoto! «No, - pensò Perdita, - lui non è fatto per una come Rosalind. Lui non mi dimenticherà mai. Del resto, lei non lo ama veramente: ama soltanto i fronzoli, i bei vestiti, i gioielli». E abbassò lo sguardo sulle sue bianche mani che la generosità del marito aveva ricoperto d'anelli, sulle crespe di Henry James
20
1970 - Racconti Di Fantasmi
merletto che guarnivano i bordi della sua camicia da notte. «Tiene più ai miei anelli e alle mie trine che a mio marito», si disse. Fu come se, in quel momento, al pensiero dell'avidità della sorella, un'ombra scura si frapponesse tra Perdita e il corpicino indifeso della piccola. - Arthur, - gli disse, - devi togliermi gli anelli, non li voglio con me nella tomba. Un giorno li porterà mia figlia: i miei anelli, i miei merletti, le mie sete. Li ho fatti tirar fuori tutti, oggi, e me li son fatti mostrare. È un guardaroba meraviglioso, non ce n'è d'uguale nella provincia: posso dirlo senza vanto ora che sto per lasciarlo. Per la bambina sarà un'eredità preziosa, quando sarà donna. Alcune di quelle cose un uomo può permettersi di comprarle una sola volta: se andassero perdute non le vedresti mai più. Perciò dovrai custodirle gelosamente. Una dozzina di capi li ho lasciati a Rosalind; li ho tutti specificati a mia madre. Le ho dato quell'abito azzurro e argento: era proprio fatto per lei. Io l'ho messo una volta sola: mi faceva sembrar malata. Ma tutto il resto dev'essere religiosamente conservato per questa piccola innocente. Che fortuna che abbia la mia stessa carnagione! I miei vestiti le staranno bene; ha gli occhi della sua mamma. A vent'anni di distanza, lo sai, la roba torna di moda, così lei potrà portare tutto tale e quale. E intanto il mio corredo starà lì ad aspettare che lei cresca, conservato nella canfora e nelle foglie di rosa, e in quell'oscurità profumata non perderà i suoi colori. Nostra figlia avrà i capelli neri, dovrà portare la mia veste di seta rosa, come me. Me lo prometti, Arthur? - Prometterti che cosa, tesoro? - Prometti di conservare i vecchi vestiti della tua povera mogliettina. - Hai paura che li venda? - No, ma che vadano dispersi. La mamma provvederà a farli avvolgere bene, e tu li metterai in disparte, chiusi sotto chiave a doppia mandata. Ti ricordi quel cassone che c'è in solaio, quello listato di ferro? Lì dentro ci sta ogni bendidio. Puoi metterceli dentro tutti. Se ne occuperanno la mamma e la governante, e consegneranno a te la chiave. E tu terrai la chiave nel tuo scrittoio e non la darai mai a nessuno se non a tua figlia. Me lo prometti? - Ma certo, te lo prometto, - rispose Lloyd, stupito della forza con cui la moglie pareva aggrapparsi a quell'idea. - Lo giuri? - ripetè Perdita. - Sì, lo giuro. Henry James
21
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Va bene... mi fido di te... mi fido di te, - ripetè la poverina, fissandolo negli occhi con uno sguardo nel quale, s'egli avesse soltanto sospettato le sue apprensioni, avrebbe letto una supplica non meno che una certezza. Arthur sopportò il suo lutto con virile fermezza. Un mese dopo la morte della moglie, nel corso del suo lavoro, emersero circostanze che gli offrirono occasione di recarsi in Inghilterra, ed egli accolse quella possibilità per cambiare corso ai suoi pensieri. Rimase lontano quasi un anno, durante il quale la sua figlioletta fu teneramente allevata e curata dalla nonna. Al suo ritorno Lloyd fece riaprir casa e annunciò l'intenzione di mantenere lo stesso tenore di vita che aveva prima della morte della moglie. Ben presto si sparse la voce che si sarebbe risposato, e vi fu effettivamente almeno una decina di fanciulle delle quali non si può davvero dire che fosse colpa loro se, nei sei mesi successivi al suo ritorno, la previsione non si avverò. In quel periodo continuò a lasciare la piccola affidata alle mani di Mrs Wingrave, la quale asseriva che un cambiamento d'ambiente in così tenera età poteva nuocere alla piccina. Ma alla fine Arthur dichiarò di struggersi dal desiderio di quella minuscola presenza; chiese che gli rosse rimandata in città, e spedi la governante a prenderla con la carrozza. Mrs Wingrave fu presa dall'angoscia che nel viaggio potesse succedere qualcosa alla nipotina; Rosalind, rispettosa del sentimento della madre, si offri allora di accompagnarla: sarebbe tornata il giorno dopo. Così raggiunse Boston con la bambina, e Arthur l'accolse sulla soglia di casa, commosso da tanta gentilezza e da un sentimento di paterna gratitudine. Invece di rientrare l'indomani, Rosalind rimase in città tutta la settimana; e quando finalmente fece ritorno, fu soltanto per prendersi del vestiario. Arthur non aveva voluto sentir parlare di un suo ritorno a casa, e così pure la nipotina. Appena Rosalind la lasciava sola, quella personcina piangeva e singhiozzava; Arthur a quello spettacolo quasi perdeva la testa, giurando che il dolore avrebbe ucciso la figlia. Insomma, l'unica soluzione fu che Rosalind rimanesse con loro finché la piccina si fosse abituata ai visi estranei. Ci vollero due mesi per arrivare a tanto: soltanto allo scadere di quel termine, infatti, Rosalind si accomiatò dal cognato. Mrs Wingrave era insofferente della lontananza della figlia; non era cosa per bene, aveva protestato, in provincia ne parlavano tutti. Lei vi si era rassegnata soltanto perché, durante l'assenza di Rosalind, la casa aveva goduto di un insolito periodo di quiete. Bernard Wingrave aveva portato ad abitare lì sua Henry James
22
1970 - Racconti Di Fantasmi
moglie, e fra le cognate esisteva un'aperta ostilità. Rosalind forse non era un angelo, ma nel trantran quotidiano era abbastanza di buon carattere e, se bisticciava con la moglie di Bernard, non era che non vi fosse provocata. Comunque bisticciava, con gran fastidio non solo della sua avversaria, ma anche dei due spettatori di quel costante litigio. Le sarebbe stato, perciò, quanto mai gradito vivere presso il cognato, se non altro per starsene lontana dall'oggetto della sua antipatia presente in casa; e doppiamente gradito le era - anzi, dieci volte di più - in quanto le permetteva di restare vicina all'oggetto della sua antica fiamma. Gli acuti sospetti della povera Mrs Lloyd circa i sentimenti di Rosalind per il marito erano stati ancora ben lontani dalla realtà. Fin dal principio per Rosalind s'era trattato di una passione, e una passione rimaneva: una passione del cui calore irraggiante, in armonia con la delicata condizione del suo stato d'animo, Lloyd ben presto risentì l'influsso. Come ho detto, egli non era un moderno Petrarca: l'attenersi a un'ideale costanza non rientrava nella sua natura. Non erano passati molti giorni di convivenza con la cognata quando incominciò a convincersi che per usare il linguaggio dell'epoca -quella donna era «diabolicamente bella». Inutile indagare se Rosalind mettesse veramente in pratica quelle arti insidiose che la sorella era stata tentata di attribuirle. Basti dire che essa trovò modo di mostrarsi a proprio totale vantaggio. Ogni mattina si sedeva davanti al gran camino della sala da pranzo, intenta a un ricamo a mezzo punto mentre la nipotina si trastullava con i gomitoli della sua lana sul tappeto davanti a lei, o sullo strascico della sua veste. Lloyd sarebbe stato uno stupido se fosse rimasto insensibile alle suggestioni di quel quadretto affascinante. Voleva un bene dell'anima alla sua bambina e non si stancava mai di prenderla in braccio, di gettarla in aria e riprenderla al volo mentre lei mandava gridolini di gioia. Molto spesso però s'abbandonava a giochi ancora troppo arrischiati per la fanciullina che manifestava con urla il suo scontento. Rosalind allora posava il ricamo e tendeva le belle mani, con il sorriso serio della fanciulla cui la vergine fantasia ha rivelato tutti i segreti delle consolatrici arti materne. Lloyd le cedeva la piccola, i loro sguardi s'incontravano, le loro mani si toccavano, e Rosalind riusciva a spegnere i singhiozzi della creaturina tra le pieghe del candido fisciù incrociato sul suo seno. Dignitosa com'era, nulla poteva essere meno invadente del modo in cui accettava l'ospitalità del cognato. Si potrebbe quasi dire, anzi, che nel suo riserbo vi fosse un che di scostante. Henry James
23
1970 - Racconti Di Fantasmi
Lloyd provava la sconcertante impressione ch'ella vivesse in casa sua e fosse tuttavia inavvicinabile. Mezz'ora dopo cena, al primo infittirsi delle lunghe sere d'inverno, Rosalind accendeva la sua candela, faceva al suo ospite un rispettosissimo inchino e se ne andava a letto. Se queste erano arti, Rosalind era una grande artista. Ma il loro effetto risultava così delicato, così graduale, così ben dosato ad esercitare sull'animo del giovane vedovo un crescendo finemente smorzato che, come il lettore ha visto, parecchie settimane trascorsero prima che Rosalind cominciasse a sentirsi sicura che le sue entrate avrebbero compensato le spese. Allorché ne fu intimamente persuasa, fece il baule e riprese la via di casa. Per tre giorni aspettò; al quarto giorno Mr Lloyd comparve, pretendente rispettoso ma pieno d'ardore. Rosalind lo stette ad ascoltare con grande umiltà e lo accettò con infinita modestia. E difficile supporre che Mrs Lloyd avrebbe perdonato il marito; ma se qualcosa avesse potuto annullare quel risentimento, sarebbe stato il comportamento cerimonioso di quell'incontro. Rosalind impose al fidanzato un periodo d'attesa assai breve. Si sposarono, com'era doveroso, con una cerimonia molto intima quasi in segreto -, forse nella speranza che, come si disse allora per celia, la defunta Mrs Lloyd non lo venisse a sapere. Il matrimonio appariva felice sotto ogni aspetto: ognuno dei contraenti aveva ottenuto ciò che aveva desiderato: Lloyd «una donna diabolicamente bella», e Rosalind... ma i desideri di Rosalind, come il lettore avrà osservato, sono rimasti un bel mistero. A vero dire, due nubi oscuravano la loro felicità, ma il tempo forse le avrebbe dissipate. Durante i primi tre anni di matrimonio la nuova Mrs Lloyd non riuscì a diventare madre, e dal canto suo il marito subì gravi perdite di denaro. Quest'ultima circostanza comportò una riduzione delle spese di casa, e Rosalind dovette adattarsi a non essere la gran signora ch'era stata sua sorella. Ella fece in modo, tuttavia, di sostenere senza soluzione di continuità la parte della signora elegante, il che - bisogna ammetterlo - richiedeva un'applicazione di maggiore ingegnosità di quanto non ne esiga la serenità di spirito d'una vera aristocratica. Da molto tempo Rosalind aveva appurato che il vastissimo guardaroba di sua sorella era stato requisito a beneficio della figlia e che languiva nel buio spietato del polveroso solaio. C'era da rivoltarsi al solo pensiero che quegli splendidi manufatti dovessero aspettare gli ordini d'una bimbetta in seggiolone, che mangiava pane e latte col cucchiaio di legno. Per diversi mesi, tuttavia, Rosalind ebbe il buon Henry James
24
1970 - Racconti Di Fantasmi
gusto di non parlare della faccenda. Poi, finalmente, avviò un timido discorso con il marito. Non era un peccato che tanta bella roba andasse perduta? Perché sarebbe stata certo perduta: le tinte si sarebbero sbiadite, le tarme ne avrebbero fatto scempio, sarebbe cambiata la moda. Ma Lloyd rispose alla sua richiesta con un rifiuto così secco e perentorio che Rosalind comprese: per il momento, il suo tentativo era andato a vuoto. Passarono altri sei mesi e portarono con sé esigenze nuove, nuove fantasie. I pensieri di Rosalind si libravano amorevolmente intorno alle reliquie della sorella. Salì in solaio a contemplare il cassone che le teneva prigioniere. La muta sfida che emanava da quei tre grossi lucchetti e dalle fasce di ferro non faceva che acuire la sua bramosia. V'era qualcosa di esasperante in quell'immobilità incorruttibile. Suscitava il pensiero d'un vecchio domestico dal viso torvo e dai capelli grigi che mantenga la bocca chiusa su un segreto di famiglia. E poi, quella gran mole dava un'impressione di capacità senza fine, e quando Rosalind ne percosse un lato con la scarpina, il baule rispose con un suono di così completa pienezza che la fece avvampar di rabbia e di frustrazione. - E assurdo, esclamò; - non è giusto, è una cattiveria! - e decise di ripartire all'attacco con il marito. L'indomani, a pranzo finito, quand'egli ebbe bevuto il suo bicchier di vino, lo affrontò coraggiosamente. Ma egli la interruppe in tono molto severo. - Sia detto una volta per tutte, Rosalind, - disse, - non se ne parla nemmeno. Mi darai un gran dispiacere se tornerai sull'argomento. - Va bene, - disse Rosalind. - Sono lieta di sapere in quale considerazione sono tenuta. Santo cielo! - esclamò. - Sono davvero una donna felice. Fa bene al cuore sapersi sacrificata a un capriccio! - E gli occhi le si riempirono di lagrime di stizza e di delusione. Lloyd, come tutti gli uomini di buon cuore, nutriva orrore dei singhiozzi di una donna, e tentò - o per meglio dire accondiscese all'idea - di offrirle una spiegazione. - Non si tratta di un capriccio, cara: è una promessa, rispose, - ... un giuramento. - Un giuramento? Bel motivo di giuramento! E fatto a chi, vorrei sapere? - A Perdita, - rispose il giovane levando lo guardo per un istante, ma riabbassandolo subito. - Perdita! Ah... Perdita! - E Rosalind proruppe in pianto. Singhiozzi convulsi le squassarono il petto - singhiozzi che erano il seguito lungamente differito della violenta crisi di pianto cui s'era abbandonata la Henry James
25
1970 - Racconti Di Fantasmi
sera che aveva scoperto il fidanzamento della sorella. Nei suoi momenti migliori aveva creduto di aver chiuso per sempre con la gelosia; ma ecco che la gelosia si scatenava di nuovo, selvaggia. - Vuoi dirmi, - esclamò, che diritto aveva Perdita di disporre del mio avvenire? Che diritto aveva di obbligare te ad essere meschino, crudele? Ah, occupo davvero un posto ben degno, ci faccio una gran bella figura! Mi si chiede di prendere il posto che Perdita ha lasciato! E che cosa ha lasciato, dopo tutto? Mai come ora m'ero resa conto di quanto poco ha lasciato! Niente ha lasciato, niente, niente! Era un discorso assai poco logico, ma non per ciò meno appassionato. Lloyd cinse la vita della moglie cercando di baciarla, ma Rosalind lo respinse con altero disdegno. Poveretto! L'aveva desiderata, la donna «diabolicamente bella», e l'aveva trovata. Quel suo disprezzo era insopportabile. Si allontanò irresoluto, confuso, con le orecchie rintronate. Si trovò davanti al suo scrittoio; lì dentro c'era la chiave sacra con cui egli stesso aveva dato un triplice giro al lucchetto. Vi andò, lo aperse, tolse la chiave da un cassettino segreto; era avvolta in un pacchetto ch'egli aveva sigillato con il suo onesto stemma gentilizio. Je garde, ne era il motto. Ma si vergognò di rimetterla a posto. La gettò sul tavolo accanto a sua moglie. - Tientela! - gridò lei. - Non so che farmene. La odio! - Io me ne lavo le mani! - le gridò in risposta il marito. - E che Dio mi perdoni! Con una sdegnosa alzata di spalle Rosalind si precipitò fuori dalla stanza, mentre Arthur si ritirava da un'altra porta. Dieci minuti più tardi essa fece ritorno e trovò la sala occupata dalla piccola figliastra e dalla bambinaia. Sul tavolo la chiave non c'era più. Guardò la bambina. Questa, arrampicata su una seggiola, teneva in mano il pacchetto. Ne aveva spezzato il sigillo con le manine. Rosalind fu lesta a impadronirsi della chiave. Alla consueta ora di cena Arthur Lloyd uscì dal suo ufficio. Era giugno: la cena veniva servita che ancora faceva giorno. Le pietanze erano in tavola, ma la padrona di casa non era comparsa. Il domestico, mandato dal padrone a chiamarla, tornò indietro assicurando che la camera della signora era vuota e che le donne gli avevano detto di non averla più vista dopo il pranzo. In verità, s'erano accorte che aveva pianto e, ritenendo che si fosse chiusa nel suo salottino, non l'avevano disturbata. Il marito la chiamò ad alta voce per nome in varie parti della casa, ma senza ottenere Henry James
26
1970 - Racconti Di Fantasmi
risposta. Infine gli venne in mente che avrebbe potuto trovarla in solaio. Quel pensiero gli diede una strana sensazione di disagio: ordinò ai domestici di restare ai loro posti, non volendo testimoni in quella ricerca. Raggiunse la base della rampa che conduceva all'ultimo piano e rimase con la mano sulla ringhiera, chiamando il nome della moglie. Gli tremava la voce. Chiamò ancora, con voce più alta e più ferma. L'unico suono che turbò il silenzio assoluto fu la debole eco della sua voce che ripeteva il richiamo sotto i grandi spioventi del tetto. Si senti, malgrado tutto, irresistibilmente spinto a salire la scala. Questa si apriva su un vano spazioso, tappezzato di armadi di legno e terminante in una finestra esposta a occidente, dalla quale entravano gli ultimi raggi del sole. Il baule era davanti alla finestra. Davanti al baule, inginocchiata, il giovane scorse con inorridito stupore la figura della moglie. Superò in un attimo lo spazio che li divideva, incapace di emettere un suono. Il coperchio della cassa era sollevato e mostrava, tra i lini profumati, il suo tesoro di tessuti e di gioielli. Rosalind non stava più in ginocchio; era caduta riversa, con una mano al suolo per sostenersi e l'altra premuta contro il cuore. Le sue membra erano mortalmente rigide: sul suo volto, nella luce del sole al declino, c'era il terrore di qualcosa di peggio della morte. Le labbra erano dischiuse come in una supplica, in un'espressione d'angoscia e d'agonia; sulla fronte e sulle gote esangui spiccavano i segni di dieci orribili ferite cagionate dalle mani di un fantasma vendicatore. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
DE GREY: UNA STORIA DRAMMATICA Correva l'anno 1820 e, per la stessa ragione, come dicono in Irlanda (e del resto anche fuori), la signora De Grey aveva raggiunto le sue sessantasette primavere. Ciò nonostante, era ancora una bella donna e, quel che più conta, ancora una donna amabile. Il corso calmo e sereno della sua vita non aveva lasciato nel suo carattere più rughe che sul suo viso. Era alta e matronale, con occhi scuri e folti capelli bianchi che portava all'indietro sulla fronte, arrotolati su un cuscinetto o altro artificio consimile. La freschezza della gioventù e della salute non aveva affatto abbandonato quelle gote, né si era spento sul suo labbro l'inalterabile sorriso della sua cortesia. Come si addice a una donna della sua età e Henry James
27
1970 - Racconti Di Fantasmi
vedova, vestiva di nero, ravvivato però da abbondante bianco, con una quantità di anelli preziosi sulle belle mani. Sovente, in primavera, portava al seno un fiorellino, o un ramoscello di foglie verdi. Era stata accusata di ricevere quei piccoli ornamenti floreali dalle mani di Padre Herbert (del quale avrò da raccontare più in là); ma era un'accusa infondata, in quanto essi venivano accuratamente scelti dal mazzo colto in giardino dalla sua cameriera. Che la signora De Grey potesse proprio essere la placida, elegante vecchia signora che era, ciò costituiva più o meno un enigma e un problema agli occhi della gente comune, nonostante l'abbondanza di un certo genere di attestazioni a favore di un simile dato di fatto. E vero che chiunque fosse un po' informato sul suo conto sapeva che essa aveva goduto di grande prosperità materiale e che non aveva subito rovesci di fortuna. Era proprietaria a pieno titolo di una bella tenuta e di una bella casa: aveva bensì perduto il marito neppure un anno dopo le nozze; ma poiché il defunto George De Grey era stato un uomo di carattere cupo e misantropo - al punto di far persino sospettare della sua sanità mentale - il lutto che l'aveva colpita, lasciandola ben provvista dal punto di vista finanziario, poteva a rigore esser considerato un vantaggio. Suo figlio, poi, non le aveva mai causato il minimo cruccio; crescendo era diventato un giovane affascinante, di bell'aspetto, saggio e di vivace ingegno, un modello di devozione filiale. La signora aveva una salute eccellente; disponeva di una mezza dozzina di domestici inappuntabili e godeva della costante compagnia dell'impareggiabile Padre Herbert; era la più bella figura di signora anziana della città: aveva dunque pieno diritto di esser felice e di sembrarlo. D'altra parte era risaputo che molte e svariate signore di buon senso avevano solennemente dichiarato che, nonostante tutti i suoi tesori e la sua prosperità, mai e poi mai avrebbero voluto essere la signora De Grey. Naturalmente quelle signore non erano in grado di addurre alcun motivo logico per una così forte avversione. Ma è certo che sulla storia e sulle vicende della signora De Grey si stendeva un velo di nebbia, un'ombra di mistero, capaci di raggiungere le stesse immaginazioni inclini ad accendersi d'invidia per le sue fortune. «Vive nell'oscurità», qualcuno aveva detto di lei. Osservatori attenti le facevano l'onore di credere che nella sua vita ci fosse un segreto, ma di natura del tutto indefinita. Era vittima di qualche pena nascosta, o recava in sé una clandestina letizia? Possiamo facilmente credere che tali supposizioni fossero in parte spiegate Henry James
28
1970 - Racconti Di Fantasmi
dalla circostanza che la signora De Grey era cattolica e teneva in casa un prete. Quanto alla parte non spiegata, sarebbe bastato il suo contegno assolutamente innocente e soddisfatto a renderla poco plausibile. Conversando con lei, riusciva certo difficile immaginare su quale parte della sua persona potesse appuntarsi un mistero: se sugli occhi tondi e limpidi, o sulle belle labbra sorridenti. Diciamo pure allora, sfidando la voce del mondo, che non era una regina da tragedia. Era una bella donna, un po' insulsa, una gentildonna perfetta. Aveva preso la vita come le piaceva prendere il tè: chiaro, con un aroma delicatissimo, molta crema e molto zucchero. Non conosceva l'intemperanza per l'ottima ragione che non aveva alcun temperamento. Non era tormentata da timori, da dubbi o da scrupoli, né godeva della grazia di sacre certezze. Amava suo figlio, la chiesa, il giardino, i bei vestiti. Aveva uno straordinario buongusto, dal punto di vista morale poteva dirsi una donna senza storia. La signora De Grey aveva sempre condotto vita appartata; per un paio d'anni prima dell'epoca di cui stiamo parlando era vissuta in solitudine. Il figlio, compiuti i ventitre anni, era andato a fare un lungo viaggio in Europa, realizzando un progetto che, a intervalli, era stato argomento di discussione durante tutta la sua adolescenza fra sua madre e Padre Herbert. Non avevano inteso pianificare la sua futura carriera, o prepararlo a una professione. In realtà, a rigore egli era libero, come suo padre buonanima, di fare a meno di una professione. Non che fosse da augurarsi che prendesse a modello la vita di suo padre. Era noto alla gente in genere e, soprattutto, beninteso, alla signora De Grey e al suo compagno, che l'esistenza di quel signore era stata rovinata, nel fiore degli anni, da un'infelice storia d'amore; e si sapeva che, in conseguenza di ciò, egli aveva trascorso i brevi anni della sua età matura in uno stato di cupa ignavia e dissolutezza. La signora De Grey, figlia di un inglese ridotto in miseria ma con pretese di alta aristocrazia, dichiarava di non riuscire a capire perché Paul non potesse condurre una vita decorosa con i propri mezzi; e Padre Herbert asseriva che in America, qualunque strada si scelga nella vita, l'ozio è cosa inammissibile; perciò si augurava che il giovane almeno formalmente - si scegliesse una carriera. Tutti e due riconoscevano però che non v'era motivo di affrettarsi e ch'era opportuno che in primo luogo il giovanotto vedesse il mondo. Il mondo, per la signora De Grey, era poco più di un'espressione verbale, mentre per Padre Herbert, benché prete, era una viva realtà. Egli avvertiva tuttavia che il giovane generoso e Henry James
29
1970 - Racconti Di Fantasmi
intelligente, sulla cui educazione aveva profuso ogni tesoro d'affetto e di sagacia, non era inadatto, sia per indole che per cultura, a misurarsi contro le prove e le tentazioni del mondo; e, pensava, gli avrebbe voluto ancor più bene se a venticinque anni fosse tornato a casa in figura di gentiluomo compiuto e buon cattolico, reso più serio e più maturo dall'esperienza, scettico verso le inezie e fiducioso nelle grandi cose, e con una ricca messe di storie interessanti. Divenuto maggiorenne, Paul ebbe, come si suol dire, il via sotto forma di una lettera di credito per una bella sommetta presso certi banchieri di Londra. Ma il giovane si ficcò in tasca la lettera e rimase a casa a consumarsi gli occhi sui libri, a bighellonare in giardino e a scribacchiare versi eroici. Trascorso un anno, preso da un minimo d'ambizione, andò a fare un giro per il paese, per lo più a cavallo. Al ritorno era un americano convinto, e si sentiva sicuro di poter andare all'estero senza pericolo. Durante la sua assenza scrisse dall'Europa innumerevoli lunghe lettere: composizioni così elaborate (secondo i gusti di quell'epoca pur tanto recente) e così piacevoli che, combattuti com'erano tra l'orgoglio per il talento epistolare del giovane e il desiderio di rivederlo, la madre e l'ex-tutore sarebbero stati imbarazzati a stabilire se egli avrebbe dato loro maggiori soddisfazioni stando in patria oppure viaggiando all'estero. Con la partenza di Paul la casa sprofondò in uno stato di quiete assoluta. La signora De Grey non usciva né riceveva. Una breve visita mattutina era il massimo che si potesse richiedere alla sua ospitalità. Padre Herbert, da quell'erudito che era, trascorreva tutte le sue ore nello studio, e la padrona di casa se ne stava per lo più da sola, abbigliata con perfezione inappuntabile - una perfezione che a nessuno era dato ammirare, eccettuata forse la sua cameriera personale, per la quale costituiva un costante oggetto di stupefazione -, intenta a leggere qualche libro di pietà o a confezionare a maglia qualche indumento per i parrocchiani bisognosi. Talvolta, è vero, scriveva al figlio lunghe lettere, il cui contenuto sfuggiva alle congetture di Padre Herbert. Già quarantanni fa una vita simile era giudicata noiosa; adesso, non c'è dubbio che non la si considererebbe neppure vita. Non deve dunque far meraviglia se, finalmente, una mattina d'aprile del suo sessantasettesimo anno di vita, come ho detto, la signora De Grey cominciò all'improvviso a rendersi conto di essere sola. Un altro lungo anno doveva ancora iniziare e finire prima che Paul tornasse. Per un momento la signora De Grey meditò in silenzio, poi decise di consigliarsi Henry James
30
1970 - Racconti Di Fantasmi
con Padre Herbert. Questi, inglese di nascita, era stato amico intimo di George De Grey che lo aveva conosciuto prima del matrimonio, durante un viaggio in Europa. Era figlio cadetto di un'ottima famiglia cattolica, e a quell'epoca, disponendo di scarse risorse, cominciava a far pratica legale. De Grey ne fece la conoscenza a Londra e fra i due sorse una forte simpatia reciproca. Herbert non aveva gusto per la sua professione, né apparenti ambizioni di sorta. Per di più era di salute delicata e il suo amico non ebbe difficoltà a convincerlo a diventare suo compagno di viaggio attraverso la Francia e l'Italia. De Grey, che era ricchissimo, si dimostrò un amico e protettore quanto mai liberale; i due giovani si spinsero fino a Venezia nella migliore disposizione d'animo e nei migliori rapporti. A Venezia, tuttavia, per ragioni meglio conosciute soltanto a loro, ebbero un durissimo, insanabile scontro. Qualcuno parlò di questioni di gioco, altri di una donna. Comunque, in seguito a ciò, De Grey ritornò in America e Herbert si rifugiò a Roma, dove fu accolto in un convento, studiò teologia e infine venne ordinato sacerdote. In America, a trentatre anni, De Grey sposò la signora di cui si è parlato. Qualche settimana dopo il matrimonio egli scrisse a Herbert esprimendo il più vivo desiderio di riconciliarsi con lui. Herbert intuì che la lettera era quella di un uomo assai infelice: dal canto suo l'aveva già perdonato. Ne provò compassione e dopo qualche tempo riuscì ad ottenere un incarico ecclesiastico negli Stati Uniti. Arrivato a New York, si presentò alla casa dell'amico, che da quel momento divenne casa sua. La signora De Grey aveva da poco dato alla luce un figlio; il marito era costretto in stanza dalla malattia, ridotto com'era all'ombra di se stesso a causa di reiterati eccessi dei sensi. Non sopravvisse che un paio di mesi all'arrivo di Herbert, e dopo la sua morte si sparse la voce che con l'ultimo testamento aveva assegnato al sacerdote una rendita rilevante, a condizione che questi continuasse ad abitare presso la sua vedova e si prendesse interamente carico dell'educazione del figlio. Le voci furono confermate dai fatti. All'epoca di cui si narra, Herbert viveva ormai da venticinque anni sotto il tetto della signora De Grey in qualità di amico, compagno e consigliere, e come tutore del figlio di lei. Una volta riconciliato col suo amico, aveva abbandonato a poco a poco la sua attività sacerdotale. D'indole profondamente devota, non aspirava tuttavia a parrocchie né a pulpiti; d'altronde era diventato un appassionato studioso. Aveva ereditato dal defunto una biblioteca di valore, che era Henry James
31
1970 - Racconti Di Fantasmi
andato man mano ampliando. Tuttavia la sua passione per lo studio appariva singolarmente disinteressata: per molti anni, infatti, unico testimone e ricettacolo di tanto sapere era stato il piccolo Paul. Vero è che egli attendeva alla stesura di una larga parte della storia della Chiesa cattolica in America, storia che, sebbene esista in manoscritto, non ha mai visto la luce e, suppongo, non è destinata a vederla. Opera di contenuto eccellente, raccoglie un enorme complesso di avvenimenti ed è scritta da un punto di vista non partigiano, bensì strettamente rispettoso dei fatti; ha però un difetto esiziale: manca di piaggeria. Lo stesso appunto si sarebbe potuto muovere al carattere personale di Padre Herbert. Era la quintessenza dell'educazione, ma di una cortesia fredda e formale. Quando sorrideva lo faceva, come dicono i francesi, con gli angoli della bocca, e quando dava la mano era solo con la punta delle dita. In gioventù aveva avuto un volto affascinante e, al tempo in cui gli uomini s'incipriavano i capelli, i suoi begli occhi neri avevano dovuto produrre un magnifico effetto. Ma aveva perso i capelli e adesso, sulla testa calva, portava uno zucchetto di seta nera. Una cravatta nera ad abbondanti pieghe gli cingeva il collo senza colletto. Era basso di statura, esile, curvo di spalle, e aveva due belle mani. - Se non fosse per un triste segno del contrario, - disse la signora De Grey perseguendo la determinazione di ricorrere al consiglio dell' amico, crederei di stare ringiovanendo. - Qual è il segno del contrario? - chiese Herbert. - Sto perdendo la vista. Non ci vedo più a leggere. Che stia diventando cieca? - E che cosa la induce a credere a un ritorno di gioventù? - Mi sento sola. Ho bisogno di compagnia. Mi manca Paul. - Paul sarà di ritorno fra un anno. - Sì, ma intanto sarò infelicissima. Vorrei conoscere una persona simpatica a cui chiedere di vivere con me. - Perché non si prende una compagna... una signora povera in cerca di casa? Le farebbe un po' di lettura, di conversazione. - No, sarebbe orribile. Sarebbe certo vecchia e brutta. Mi piacerebbe qualcuno che occupasse il posto di Paul... una persona giovane e fresca come lui. Siamo tutti così tremendamente vecchi in questa casa. Lei ha almeno settantanni; io ne ho sessantacinque (alla signora De Grey piaceva dire questa piccola bugia); Deborah ne ha sessanta; la cuoca e il cocchiere Henry James
32
1970 - Racconti Di Fantasmi
cinquantacinque ciascuno. - Vuole una ragazza giovane, dunque? - Sì, una figliola simpatica, fresca, capace di una risata di tanto in tanto, che faccia un po' di musica... un po' di rumore dentro queste mura. - Ebbene, - disse Herbert dopo un momento di riflessione, -farebbe bene a trovarla prima del ritorno di Paul. Non le resta che un anno. - Dio mio, - replicò la signora De Grey, - non vorrei sentirmi in obbligo di mandarla via a causa di Paul. Padre Herbert fissò la sua interlocutrice con uno sguardo penetrante. Ciò nondimeno, mia cara signora, lei sa che cosa voglio dire. - Oh sì, so quello che vuol dire... e lei, Padre Herbert, sa come la penso. - Sì, signora, e mi permetta di aggiungere che non tengo in gran conto la sua opinione. Perché dovrei farlo? Spero con tutto il cuore che lei non debba mai trovarsi costretta a cambiare idea. - Paul ha avuto sicuramente tutto il tempo di vivere la sua piccola tragedia una dozzina di volte, - ribatté la signora De Grey. - Suo padre, - replicò gravemente Herbert, - aveva ventisei anni. A queste parole la signora De Grey fissò il prete corrugando un po' la fronte e arrossi in volto. Ma evitò d'incontrare lo sguardo del sacerdote: qualche istante dopo, in silenzio, aveva riacquistato la calma abituale. Una settimana dopo questo colloquio la signora De Grey notò in chiesa due persone che le sembrarono estranee alla congregazione: una donna attempata, modestamente vestita ed evidentemente malferma in salute, ma assai raffinata nella persona e nei modi, e una giovinetta che la signora De Grey giudicò esserne la figlia. La domenica successiva le trovò di nuovo raccolte in preghiera e rimase molto colpita dall'espressione triste e turbata dei loro volti, del loro comportamento. La terza domenica le due donne erano assenti, ma nell'attraversare la chiesa per andarsi a confessare ella s'imbattè nella ragazza, pallida, sola e vestita a lutto, che sembrava aver appena lasciato il confessionale. Qualcosa nell'andatura e nell'aspetto della giovane diede alla signora De Grey la certezza ch'essa era sola al mondo, senza amici e senza aiuti; e la brava donna, che a volte era acutamente consapevole del proprio isolamento tra il prossimo, provò per lei un così forte impulso di compassione che volle rivolgere la parola all'estranea per chiederle quale fosse il segreto del suo dolore. La fermò prima che uscisse di chiesa e, parlandole con estrema amabilità, seppe così presto conquistare la sua fiducia che mezz'ora dopo era a conoscenza dell'intera Henry James
33
1970 - Racconti Di Fantasmi
storia della giovane. Essa aveva perduto la madre pochi giorni prima, e ora si trovava nella grande città senza un soldo e praticamente senza tetto. Venivano dal Sud: il padre era stato ufficiale di marina ed era morto in mare due anni avanti. La salute della madre era andata declinando e, piuttosto sconsigliatamente, erano venute a New York per consultare un medico illustre. Questi era stato molto gentile, non aveva voluto onorari, ma la sua perizia non aveva avuto alcun risultato. Il loro denaro se n'era andato per altre vie: per il vitto, l'alloggio, il vestiario. Ne era avanzato a sufficienza per dare alla povera signora degna sepoltura, ma alla giovane non era rimasta altra risorsa che la propria buona volontà. Non aveva parenti a cui appoggiarsi, ma si professava molto desiderosa di lavorare. Sono debole d'aspetto, - disse, -sono pallida, ma in realtà sono molto forte. Mi sento solo stanca... triste. Sono pronta a fare qualunque cosa. Ma non so dove rivolgermi -. Aveva perso il colorito, la floridezza e l'elasticità propri della gioventù, era magra e mal vestita; ma la signora De Grey si rese conto che, una volta riacquistata l'antica forma, doveva apparire davvero una bella creatura, e che aveva tutti i titoli per riuscire simpatica. La fanciulla guardò l'anziana signora con lucidi, imploranti occhi azzurri, di sotto la brutta cuffietta nera che le nascondeva la massa dei capelli chiari e soffici. Le assicurò di avere ricevuto un'ottima istruzione e di saper suonare il pianoforte. La signora De Grey la immaginò spogliata di quelle squallide gramaglie, vestita di bianco con un nastro azzurro, in atto di leggere ad alta voce davanti a una finestra aperta o di sfiorare i tasti della vecchia spinetta casalinga , capace ancora di qualche melodia: se infatti la prendeva (come ebbe ad esprimersi mentalmente), la signora De Grey era decisa a non lasciarsi opprimere dalla vista di quegli abiti neri. Era evidente che, spaventata e debole e nervosa com'era, la povera figliola avrebbe accettato incondizionatamente qualsiasi lavoro. Le diede allora un tenero bacio fra quelle sacre mura e l'accompagnò alla propria carrozza, dimenticando del tutto il suo proposito di confessarsi. L'indomani Margaret Aldis (così si chiamava la giovane) fu trasferita, per mezzo dello stesso veicolo, alla residenza della signora De Grey. L'edificio, che qualche anno fa è stato demolito, sorgeva su un'area che costituisce oggi il centro di un'arteria di gran traffico. Ma all'epoca di cui sto narrando esso si levava alla periferia della città: da un lato offriva sull'aperta campagna una vista non meno estesa della prospettiva che si apriva dall'altro sulle strade fitte di abitazioni. Era una bellissima villa, del Henry James
34
1970 - Racconti Di Fantasmi
miglior gusto del tempo, con grandi stanze quadrate, ampie sale e finestroni profondi e soprattutto un delizioso vasto giardino separato dalla strada da alte siepi di fitta ver-zura. Qui, abbandonandosi al riposo e al benessere fisico, al sicuro dalle torbide acque di una vita volgare, vivendo appartata nel piacevole calore di un sole un po' velato, apprezzata, stimata, coccolata e tuttavia con l'impressione di non essere semplicemente un passivo oggetto di beneficenza, ma di fare del suo meglio per sdebitarsi con la sua benefattrice, la brava signorina Aldis sbocciò e rifiorì alla vita. Col riposo, con gli agi e l'ozio riapparvero in lei serenità e bellezza: una bellezza non certo abbagliante, né un'invadente giocondità, che però, unite insieme, formavano un fiore di grazia giovanile. Conservava ancora nell'aspetto un che di estenuato, di fragile: il passo leggero, la voce sommessa, il tenue incarnato lasciavano indovinare un'intima conoscenza del dolore. Ciò nonostante in quei profondi occhi azzurri sembrava ardere la fiamma di una vitalità appassionata, e su quelle labbra pallide e ferme si leggeva un'espressione di salda, leale volontà. A volte ella sembrava abbandonarsi con una libertà incontrollata, sensuale, quasi egoistica, alla consapevolezza della tranquillità raggiunta. Era palese il suo gusto innato per il lusso. A volte stava seduta immobile, per ore e ore, il capo arrovesciato all'indietro, gli occhi erranti lentamente intorno, in una tacita estasi di serenità. Padre Herbert, che aveva preso ad osservarla da vicino fin dal suo arrivo (poiché, per quanto studioso e isolato dal mondo, non aveva perduto la facoltà di apprezzare la grazia femminile) in quei momenti stava a guardarla non visto, fantasticando sulla strana, apatica creatura che la signora De Grey s'era scelta per compagna. Una sera, dopo un simile prolungato torpore, durante il quale la ragazza non aveva fatto un movimento né detto una parola, ma era rimasta a sedere immobile come se la sua anima si fosse staccata dal corpo e vagasse nello spazio, finalmente, a un ordine della signora De Grey, ella si alzò e si mosse come per ubbidire; poi, d'un tratto, corse verso la vecchia e cadde in ginocchio, seppellendole il capo in grembo e scoppiando in un parossismo di singhiozzi. Herbert, che era presente, andò a posarle una mano sulla testa e vi tracciò sopra un segno benedicente di croce, quasi a consacrare l'appassionata gratitudine che si era finalmente manifestata. Da quel momento prese a volerle bene. Margaret leggeva ad alta voce alla signora De Grey e la domenica sera cantava con limpida, dolce voce i canti della loro Chiesa: era sempre Henry James
35
1970 - Racconti Di Fantasmi
occupata con fini lavori d'ago, in cui era molto esperta. Passavano insieme le lunghe mattinate estive leggendo, lavorando e discorrendo. Margaret narrava all'amica i semplici, dolorosi particolari della storia che già le aveva riassunto; e la signora De Grey, trovando naturale di considerare quel racconto una specie di romanzo di vita vissuta inteso ad intrattenerla, glielo faceva ripetere decine di volte. Anche lei gratificava la giovinetta col racconto della propria biografia, che nella sua sconfinata vuotaggine produceva in Margaret una vaga impressione di grandiosità. La vuotaggine, in realtà, era compensata dalla figura di Paul che la signora De Grey non si stancava mai di descrivere e al quale Margaret aveva preso a pensare con piacere. Ascoltava con la massima attenzione i panegirici che la signora tesseva del figlio, e le pareva un gran peccato che non fosse lì. Cominciò allora a sospirare il suo ritorno e poi, improvvisamente, a temerlo. Forse egli non avrebbe gradito la sua presenza fra quelle mura e l'avrebbe messa alla porta: era evidente che la madre non era incline a contraddirlo. O forse - peggio ancora - avrebbe sposato una straniera e l'avrebbe portata a casa, e quella sarebbe diventata selvaggiamente gelosa di lei, Margaret, come è costume delle straniere. Nel suo vagabondare per l'Europa, De Grey, se da una parte - beato lui - era sicuro di non esser mai assente dai pensieri della sua buona mamma, dall'altra restava serenamente ignaro del posto elevato che usurpava nelle meditazioni di quell'umile convivente. Certo, sappiamo dove la nostra vita comincia, ma chi sa dire dove finisce? Paul era un giovanotto spensierato, la cui esistenza destava un'eco costante nell'animo di una povera ragazza a lui del tutto sconosciuta. La signora De Grey possedeva due ritratti di suo figlio, che naturalmente si affrettò a mostrare a Margaret: uno di quando era un bimbo dagli sfavillanti capelli fulvi e dalle guance paffute, il corpicino imprigionato in una giacchetta turchina con un collettone a pieghe molto scollato; l'altro, eseguito subito prima della sua partenza, mostrava un bel giovane con un gilè di camoscio, ben rasato, d'aspetto vivace, i ricci color rame scuro e occhi bellissimi. Dalla prima di queste immagini Margaret ebbe l'impressione di un graziosissimo bambino, ma alla seconda la povera figliola lasciò addirittura il cuore, tanto più che la signora De Grey le assicurava che, sebbene il ritratto fosse più che discreto, dava soltanto una pallida idea delle adorabili fattezze del suo rampollo. Di lì a un paio di mesi arrivò una lettera di Paul lungamente attesa, e con un altro ritratto: una miniatura dipinta a Parigi da un artista famoso. Paul vi risultava di Henry James
36
1970 - Racconti Di Fantasmi
gran lunga più bello che non nel ritratto del pittore americano. In che consistesse la diversità era difficile dire; ma la madre dichiarò che se ne poteva dedurre che Paul aveva passato quei due anni in Europa circondato dalle migliori compagnie. - Oh, le migliori compagnie! - interloquì Padre Herbert, che conosceva il valore di quell'espressione. E dopo un fugace sorriso d'indulgente disprezzo ripiombò nella gravità che gli era consueta. - Mi pare che abbia l'aria molto triste, - disse timidamente Margaret. - Sciocchezze! - esclamò Herbert spazientito. - Ha l'aria di un bellimbusto. Certo, la colpa è di quel francese, - soggiunse un poco rabbonito. - Ma che bisogno aveva di mandarci il suo ritratto? E un bell'impertinente! Crede che ce lo siamo dimenticati? Quando voglio ricordarmi del mio ragazzo, ho qualcosa di meglio da guardare che non quel pretenzioso pezzo d'avorio! A queste parole le due signore lasciarono la stanza portando via il ritratto, per leggere in santa pace la lettera di Paul. Era una missiva di otto pagine, che Margaret lesse ad alta voce. Quando ebbe finito, la lesse di nuovo, e la sera la rilesse un'altra volta. L'indomani la signora De Grey, aprendo interamente il suo cuore alla giovane, tirò fuori un grosso pacco contenente le precedenti lettere del figlio, e Margaret trascorse tutta la mattinata a rileggerle ad alta voce. Quella sera andò a passeggiare sola per il giardino - quel giardino dove lui aveva giocato da ragazzo e indugiato sognando da giovanotto. Scoperse il nome di lui - il suo bel nome rozzamente intagliato in una panchina di legno. Introdotta - come le sembrava di essere dopo aver letto le lettere - nei recinti della sua personalità, nel mistero del suo essere, nel cerchio magico dei suoi sentimenti, delle sue opinioni, delle sue fantasie, vagabondando non vista al suo fianco per l'Europa e calcando non udita i risonanti pavimenti di chiese e palazzi famosi, Margaret ebbe la sensazione di godere per la prima volta la vita, in tutta la sua pienezza e dolcezza. Per un'ora passeggiò sotto le stelle, tra i vialetti oscuri e profumati. La signora De Grey non si era sentita bene e s'era ritirata in camera. La fanciulla stette ad ascoltare il lontano brusio della città che andava lentamente svanendo, finché si spense del tutto: allora, nel profondo silenzio notturno, rientrò dall'alta porta-finestra nel salotto, accese uno dei grandi candelieri d'argento che ornavano alle due estremità la mensola del camino e lo avvicinò alla parete a cui la signora De Grey aveva appeso, sostituendolo a un quadro meno Henry James
37
1970 - Racconti Di Fantasmi
importante, il ritratto del figlio. Margaret aveva l'impressione di dover vedere quel ritratto prima di andare a letto: guardarlo da sola, a lume di candela, era cosa piena di fascino, d'incanto. Si era levato il vento - un caldo vento di ovest - e i lunghi tendaggi bianchi delle finestre spalancate sventolavano e si gonfiavano spettrali nel buio. Margaret fece riparo con la mano alla fiamma della candela e fissò la superficie lucida del ritratto, calda di luce sotto la scintillante lastra di vetro. Che immensità di vita e di passione era concentrata in quei pochi centimetri di colore artificiale! Gli occhi del giovane sembravano fissarla con uno sguardo di intimo riconoscimento, la tenevano come ipnotizzata, ed essa indugiava lì davanti, incapace di muoversi. D'un tratto la pendola sopra il caminetto emise un unico breve rintocco. Margaret trasalì e si volse di scatto, al pensiero che fossero già le dieci e mezzo. Sollevò il candelabro per vedere il quadrante e si rese conto di tre cose: che era l'una del mattino, che la candela era mezzo consumata e che qualcuno, dall'altro lato della stanza, la stava osservando. Posò il lume, e riconobbe Padre Herbert. - Allora, Miss Aldis, - disse l'ecclesiastico avanzando verso la luce, - che ne dice? Margaret era spaventata e confusa, ma non imbarazzata. - Da quanto tempo sono qui? - domandò con semplicità. - Non ne ho idea. Io sono qui da mezz'ora. - Lei è stato molto gentile a non avermi disturbata, - disse Margaret un po' più freddamente. - E davvero un bel ritratto, - commentò Herbert. - Oh, è splendido! - esclamò la ragazza, gettando ancora di sopra la spalla uno sguardo al quadretto. Il vecchio sorrise tristemente e fece per andarsene; poi, tornato indietro: - Come le sembra il nostro giovanotto, Miss Aldis? - domandò con uno sforzo evidentemente penoso. - Mi pare bellissimo, - disse Margaret con sincerità. - Via, non è poi così straordinario! - replicò Herbert. - Sua madre dice che è ancora più bello. - In questi casi la testimonianza di una madre non è da tenere in gran conto. Paul è un bel figliolo, ma non un portento. - Mi sembra che abbia l'aria triste, - disse Margaret. - Sua madre dice che è molto allegro. - Può darsi che sia molto cambiato in questi due anni. Le pare, Henry James
38
1970 - Racconti Di Fantasmi
- soggiunse il vecchio dopo un breve silenzio, - che abbia l'aspetto di un uomo innamorato? - Non so, - fece Margaret sottovoce, - non ne ho mai visto nessuno. - Mai? - esclamò il prete con un'aria così seria che la fanciulla ne fu sorpresa. Ella arrossi un poco. - Mai, Padre Herbert. Gli occhi scuri del sacerdote erano fissi su di lei con una strana intensità d'espressione. - Spero, figliola mia, che non debba vederne mai, - concluse solennemente. - Perché proprio io e non un'altra? Il vecchio si strinse nelle spalle. - Oh, è una lunga storia, -disse. Passò l'estate e si dissolse nel fiammeggiante autunno, che lentamente sbiadì, spegnendosi infine nel freddo amplesso decembrino. La signora De Grey aveva scritto a suo figlio di aver assunto Margaret al proprio servizio. Giunse allora una lettera in cui il giovane si compiaceva di esprimere soddisfazione in merito a tale provvedimento. «Porgete i miei saluti a Miss Aldis, - scriveva, - e assicuratela della mia gratitudine per il conforto che reca alla mia cara mamma; spero, del resto, di potergliela esprimere io stesso al più presto di persona». Nello scrivere queste frasi gentili Paul De Grey non poteva certo prevedere lo straordinario effetto che erano destinate ad avere nel cuore della povera Margaret. Un mese dopo arrivò una lettera che fu consegnata alla signora De Grey alla prima colazione. Cominciava così: «Avrete ricevuto la mia del 3 dicembre -(una lettera che, a causa di un disguido, non era giunta a destinazione) - e vi sarete formati le vostre rispettive opinioni sul suo contenuto». Mentre la signora leggeva queste parole, Padre Herbert guardò Margaret: si era fatta pallida. «Positive o negative che siano, -continuava la lettera, - mi spiace di esser costretto a pregarvi di cancellarle. Ma il mio fidanzamento con la signorina L. è rotto. Era diventato una cosa impossibile. Poiché non mi ero attentato a for-nirvene la storia o ad esporvene le ragioni, così non cercherò adesso di entrare nella logica della rottura. Ma questa, ve l'assicuro, è definitiva. Amen». E lo scritto passava ad altri argomenti lasciando i nostri amici tristemente perplessi. Aspettarono l'arrivo della lettera mancante, ma invano: non giunse mai. La signora De Grey scrisse subito al figlio, richiedendogli con urgenza la spiegazione dei fatti cui aveva accennato. Paul rispose che le avrebbe raccontato ogni cosa al ritorno: l'argomento gli era odioso. «Ma non darti pensiero, mamma cara, - aggiungeva, - il cielo Henry James
39
1970 - Racconti Di Fantasmi
mi ha preservato da una ricaduta. La signorina L. è morta a Napoli tre settimane fa». Nel leggere queste parole la signora De Grey posò la lettera e scambiò un'occhiata con Padre Herbert, che aveva chiamato ad ascoltarne la lettura. Il viso emaciato del sacerdote si fece d'un pallore mortale: egli ricambiò lo sguardo della vecchia signora, serrando le labbra, gli occhi fissi come due pietre. Poi, d'improvviso, un selvaggio grido inarticolato gli usci dalla gola e lasciò cadere sul tavolo con un tonfo terribile la mano che aveva stretta a pugno. Margaret, seduta, lo osservava sbalordita. Egli si alzò in piedi, la strinse fra le braccia premendosi al petto il capo di lei. - Figlia, figlia mia! - gridò con voce rotta. - Ti ho sempre voluto bene! Sono stato aspro, duro, freddo con te. Avevo tanta paura. Ora il fulmine è scoppiato. Perdonami, figliola. Sono tornato in me -. Margaret, spaventata, si sciolse dall'abbraccio, ma Padre Herbert la trattenne per una mano. Povero ragazzo! - sospirò con un tremito nella voce. La signora De Grey si lasciò cadere in una poltrona aspirando i suoi sali; però non era visibilmente sconvolta. - Povero ragazzo! -ripetè, ma senza sospiri, il che conferì alle sue parole un suono ironico. - Ormai non le voleva più bene. - Ah, signora! - esclamò il sacerdote. - Non bestemmi! Si metta in ginocchio e ringrazi Iddio che ha risparmiato a noi quell'atroce spettacolo! Sconvolta e inorridita, Margaret ritrasse la mano dalla stretta di lui e guardò attonita la signora De Grey che, sorridendole debolmente, si batté con l'indice qualche colpetto sulla fronte e scosse il capo inarcando le sopracciglia. Dopo aver contato i mesi che ancora mancavano al ritorno di Paul, ormai i nostri amici erano giunti a contare le settimane e, da ultimo, i giorni. Venne maggio: Paul era salpato dall'Inghilterra e la signora De Grey riaperse la camera del figlio e la fece rimettere in ordine; poi invitò Margaret a prender visione dell'arredo che non era cambiato per nulla dopo la sua partenza. Margaret guardò la propria immagine riflessa nello specchio di lui, si sedette un momento sul suo divano ed esaminò i libri allineati nei suoi scaffali. Ce n'erano moltissimi, in diverse lingue, e davano un'idea ben precisa degli interessi del loro possessore. Sopra il caminetto era appeso un piccolo schizzo a lapis che Margaret si affrettò ad osservare: ritraeva le sembianze d'una giovinetta disegnate con discreta abilità. L'originale era stata, a quanto pareva, una donna bellissima, un tipo Henry James
40
1970 - Racconti Di Fantasmi
buono: nell'angolo del disegno era vergato il nome dell'artista: De Grey. Margaret guardò in silenzio il ritratto mentre il cuore le batteva più forte. - È del signor Paul? - chiese finalmente alla signora. - Appartiene a Paul, - le rispose questa. - Un tempo gli era molto caro e volle a tutti i costi appenderlo qui. E uno schizzo fatto da suo padre prima del nostro matrimonio. Margaret respirò di sollievo. - E chi è questa signora? - domandò. - Non lo so di preciso. Qualche straniera, credo, che aveva fatto colpo su mio marito. Nell'altro angolo c'è un'annotazione che la riguarda. In effetti, nell'angolo opposto alla firma, tracciata a caratteri minuti, Margaret scorse la scritta: «obììt 1786». - Suppongo che tu non conosca il latino, cara, - disse la signora, mentre Margaret decifrava l'iscrizione. - Vuol dire che è morta trentaquattro anni fa. - Poverina! - esclamò Margaret con voce sommessa. Poi, indugiando sulla soglia prima di uscire dalla stanza, volse attorno lo sguardo, desiderosa di lasciare un piccolo segno della sua visita. - Se sapessimo quando arriva, - soggiunse, - gli metterei qualche fiore sul tavolo. Ma potrebbero appassire. Tuttavia, siccome la signora la rassicurò che il momento preciso dell'arrivo del figlio era quanto mai incerto, Margaret abbandonò l'idea del mazzolino di fiori e passò il resto della giornata in dolce, trepidante attesa, pronta a rimanere abbagliata dall'improvviso apparire di un giovanotto bizzarramente agghindato alla moda forestiera, che avrebbe posato su di lei un freddo sguardo di sorpresa e sarebbe corso via in cerca della madre. A ogni rumor di passi, a ogni porta che s'apriva, la fanciulla posava il lavoro e restava in ascolto, incuriosita. Quella sera, come per un presentimento comune, Padre Herbert e la signora De Grey s'incontrarono nel salotto principale: era un locale destinato esclusivamente a quelle festività che non ricorrevano mai nelle cronache della loro tranquilla convivenza. - Oggi, signora, - disse Margaret mentre erano tutti e tre riuniti in silenzio fra le ombre che s'infittivano, - si compie un anno dacché sono venuta in casa sua. È la fine di un anno molto felice. - Speriamo, - sentenziò Padre Herbert, - che domani ne cominci un altro. - Ah, signora mia cara! - esclamò Margaret commossa, - mio buon Henry James
41
1970 - Racconti Di Fantasmi
Padre, miei soli amici! Quale disgrazia può toccarmi se resto vicino a voi che mi avete sottratto alla cattiva sorte? Aveva il cuore gonfio di gratitudine e gli occhi pieni di lagrime. Un brivido prolungato la scosse tutta al pensiero di quello che avrebbe potuto essere il suo destino. Ma una naturale ritrosia ad importunare con le proprie sensazioni personali l'attenzione di chi era tutto assorbito dal pensiero di una gioia imminente, la indusse a lasciare la stanza, e uscì nel giardino. Qualche minuto dopo si aperse un cancelletto nella palizzata, a pochi metri dal punto in cui Margaret si trovava. Entrò un uomo che, nell'incerta luce della sera, ella riconobbe per Paul De Grey. In un istante le fu accanto come per salutarla, ma si fermò di colpo togliendosi il cappello. - Ah, lei è Miss... la signorina, - disse: non ricordava più il suo nome. Era qualcosa di diverso, qualcosa di più offensivo della fredda manifestazione di sorpresa immaginata da Margaret. Tuttavia gli rispose, con voce abbastanza chiara: - Sono in salotto: l'aspettano. Egli si lanciò di corsa per il vialetto ed entrò in casa. Ella lo segui a lenti passi sino alla porta-finestra e rimase fuori in ascolto. Il silenzio con cui il giovane fu accolto esprimeva tutto il calore del benvenuto riservatogli dai famigliari. Paul De Grey aveva tratto buon profitto dal suo soggiorno in Europa: non aveva perso nessuno dei suoi meriti d'un tempo e ne aveva acquistati parecchi altri. Era per natura ed educazione una persona intelligente, fine, simpatica e aveva la fortuna di possedere un indefinibile fascino personale nei tratti e nei modi. Alto e slanciato di corporatura, ma saldo e robusto di membra, vivace, di bella carnagione chiara, aveva una fronte spaziosa e prominente, capelli ricciuti color biondo rame e lo sguardo e il sorriso degli occhi irradiavano giovinezza e intelligenza. Il suo piglio era franco, maschio, diretto; e tuttavia a Margaret sembrava di avvertire nel suo comportamento una certa dignità, un'eleganza - talvolta al limite del formalismo -che lo distingueva da quello degli altri uomini. Non per questo ella scorgeva nel suo carattere i segni di quella strana, fondamentale malinconia che così potentemente aveva agito sugli altri suoi famigliari (nonché, a quanto le era parso di capire, su suo padre). Al contrario, le sembrava di non aver mai conosciuto tanta serietà di spirito associata a tanta gaiezza. Se fosse stata dotata di maggior capacità d'analisi, Margaret si sarebbe detta che quella di Paul De Grey era una natura eminentemente Henry James
42
1970 - Racconti Di Fantasmi
aristocratica. Ma la fanciulla si contentava di penetrarla meno e, in segreto, di amarla di più; e alla ricerca di un epiteto che riassumesse ciò che sentiva, aveva scelto un termine più semplice. Paul era come un raggio di sole splendente nella vita monotona e scolorita delle due donne, un raggio che riempiva la casa di luce, di calore, di gioia. Nella fantasia di Margaret egli si muoveva in un'aureola di gloria quasi soprannaturale. Le parole che gli uscivano dalle labbra erano diamanti e perle; e in effetti, per tutto il mese che segui al suo ritorno, la conversazione del giovane fu di una piacevolezza estrema. La casa della signora De Grey era par excellence la dimora della distensione, il castello dell'indolenza; sia Paul parlando, sia i suoi compagni ascoltandolo erano consapevoli di non essere soggetti ad alcun vincolo di gelosia, a qualsiasi volgare obbligo. Le giornate estive erano lunghe e le scorte quotidiane di loquacità di Paul inesauribili. Già una settimana dopo il suo arrivo, Padre Herbert aveva preso l'abitudine di portarselo con sé nello studio, e Margaret, passando davanti all'uscio semiaperto, era solita ascoltare la mutevole melodia della voce del giovane. In quei momenti invidiava al vecchio prete il privilegio di godere da solo di tanta eloquenza. Intuiva che i discorsi tenuti da Paul al suo tutore erano molto più saggi e più ricchi di quanto non potessero essere in presenza di due modeste donne, e nutriva il desiderio rispettoso di ascoltarlo, di vederlo nella sua luce migliore. Ottima luce in verità era quella in cui egli appariva a Padre Herbert, giacché Paul aveva superato le sue più rosee aspettative. Aveva accumulato una straordinaria provvista di cognizioni, aveva fatto tesoro di tutto il buono che il vecchio gli aveva elargito, e pur non avendo del tutto ignorato il male contro cui il sacerdote l'aveva messo in guardia, i giudizi che esprimeva in proposito erano pieni di spirito e di saggezza. In generale, alle donne e ai religiosi un uomo riesce tanto più simpatico in quanto non del tutto innocente. Padre Herbert era estremamente soddisfatto della felice evoluzione del carattere di Paul. Era più che un figlio della sua carne: era il frutto del suo intelletto, della sua pazienza, della sua devozione. Paul era libero di dedicare i pomeriggi e le sere a sua madre, la quale, una volta lasciata la propria camera, non si privava neppure per un'ora della compagnia di Margaret: era ormai diventata per lei una necessità assoluta, grazie alla delicatezza di tatto e alla partecipe simpatia che la giovane le dimostrava. Mentre Paul discorreva, Margaret stava seduta col suo lavoro accanto alla dama, stupita e ammirata dell'inesauribile riserva di Henry James
43
1970 - Racconti Di Fantasmi
chiacchiere e di aneddoti ch'egli aveva in serbo e che infiorava di descrizioni vivaci e realistiche. Città, chiese, musei, teatri si animavano e risplendevano dinanzi agli occhi estatici di lei: le pareva di vedere le persone da lui conosciute e i paesaggi che aveva attraversati, e la povera figliola finiva per sentirsi girare la testa, tanto rapida era la successione delle immagini. A volte, poi, egli pareva farsi malinconico e se ne rimaneva zitto; e Margaret, levando di sottecchi lo sguardo dal lavoro, vedeva i suoi occhi fissarsi nel vuoto con aria assente, mentre le labbra si atteggiavano a un tenue sorriso oppure a una fredda gravità, e si domandava quali lontani ricordi riportassero i suoi pensieri a quello sconosciuto mondo europeo. Altre volte, più raramente, alzando gli occhi lo sorprendeva in atto di guardarla, di osservare la sua testa china sul moto operoso delle mani. Almeno fino allora, però, egli non aveva mai distolto con imbarazzo lo sguardo da lei, ma lo aveva lasciato indugiare, giustificando quella contemplazione con qualche commento semplice e naturale. Col passare delle settimane e col volgere dell'estate verso il suo culmine, la signora De Grey aveva preso l'abitudine di ritirarsi in camera dopo il pranzo, e si può presumere, pur col dovuto rispetto, che trascorresse il pomeriggio a sonnecchiare in deshabillé. Ma De Grey e Miss Aldis tacitamente convennero che fosse totale follia, nel rigoglio e nella primavera della vita, sprecare in tal modo le ore più lunghe e più luminose dell'anno; sicché dal canto loro avevano contratto l'abitudine di ritirarsi nella penombra del salotto a chiacchierare fino a un'ora prima del tè. Talvolta, per cambiare, attraversavano il giardino e raggiungevano al centro della proprietà una specie di serra la cui facciata non guardava la villa, ma era rivolta a nord e aveva i fianchi coperti di una folta vite rampicante. All'interno, appoggiata alla parete, c'era una comoda panchina da giardino e al centro un tavolo su cui Margaret posava il suo cestino da lavoro e il giovane il libro che, affermando di volerlo leggere, portava abitualmente con sé. Dentro c'era frescura, ombra profonda e silenzio, fuori lo splendore abbagliante dell'immenso cielo estivo. Quando parlo di silenzio, intendo dire che non c'era nulla a interrompere il dialogo di quei due felici sfaccendati. La loro conversazione passò ben presto a quel tono sconnesso e volubile che è segno di grande intimità. Margaret trovava modo di porre a Paul molte domande che non si era sentita libera di rivolgergli in presenza della madre e di chiedergli ulteriori chiarimenti su Henry James
44
1970 - Racconti Di Fantasmi
una quantità di piccoli particolari che la signora De Grey aveva preferito lasciare nel vago. Paul era estremamente comunicativo. Se Miss Aldis aveva voglia di ascoltare, lui era senza dubbio contento di parlare. Ma all'improvviso si rese conto che la disposizione d'animo della sua interlocutrice era una strana provocazione all'egocentrismo e che da più d'un mese, in realtà, egli non aveva fatto altro che parlare di sé: delle sue avventure, delle sue impressioni, dei suoi giudizi. - Oh insomma, Miss Aldis, - esclamò, - lei sta facendo di me un mostruoso egoista. Ecco di cosa siete capaci, voi donne. Io non dirò più una parola di Paul De Grey. Tocca a lei, adesso. - Tocca a me parlare di Paul De Grey? - domandò Margaret con un sorriso. - No, di Miss Margaret Aldis; che, fra l'altro, è un bellissimo nome! - Fra l'altro davvero! - disse Margaret. - Fra l'altro per lei, forse. Ma quanto a me, il mio bel nome è tutto quello che ho. - Se intende dire, Miss Aldis, - esclamò Paul, - che la sua bellezza sta tutta nel suo nome... - ... mi sbaglio di grosso. D'accordo, non lo dirò. Il resto è nella mia fantasia. - Credo proprio di sì. Certo non nella mia. In quel periodo Margaret era davvero assai graziosa: un po' pallida per la calura, ma fiorente e irrobustita dal riposo e dal benessere, e animata, starei quasi per dire esaltata da un'affettuosa gratitudine. Nell'osservarla mentre pronunciava quelle parole, De Grey era rimasto fortemente colpito dall'interesse che riscontrava in quel viso. Sì, senza dubbio, era indiscutibilmente una bellezza. E il fascino del suo volto si rinnovava e si animava di continuo grazie alla segreta amabilità della sua anima. - Sì, Miss Aldis, voglio proprio dire alla lettera che desidero che lei parli di sé. Voglio sentire le sue avventure. Lo pretendo... lo esigo. - Le mie avventure? - fece Margaret. - Io non ne ho mai avute. - Benissimo! - esclamò Paul. - Già questa è un'avventura. Fu così che Margaret venne a narrargli la breve storia della sua giovane vita. Per quanto breve fosse, tuttavia non bastò un pomeriggio a raccontarla per intero; in altri termini, dopo un'intera settimana che aveva iniziato, la giovane si trovò a dover chiarire a Paul un punto sul quale egli aveva ricevuto un'impressione sbagliata. - Ma no, è sposato, - disse Margaret, - gliel'ho detto! Henry James
45
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Ah, è sposato? - ripetè Paul. - Sì, e sua moglie è una grassona incredibile. -Ah, sua moglie è una grassona incredibile? - Sì, e lui è persuaso che sia un portento. - Ah, lui è persuaso che sia un portento? A questo modo, intervenendo Paul di continuo con i suoi commenti, non c'è da stupirsi che il racconto procedesse adagio. Ma, in aggiunta alle osservazioni qui riportate, altre, meno esplicite e più profonde, ne andava maturando il giovane tra sé e sé. Mentre ascoltava la schietta loquela della bionda fanciulla e pensava a quanti altri al mondo piuttosto che a lui ella avrebbe potuto rivolgersi in cerca di confidenza e di simpatia, e vedeva come solo al suo giudizio ella consegnasse i propri ingenui ricordi e pensieri, così come gli avrebbe posato la candida mano sul braccio, gli pareva che le oneste intenzioni ch'essa evidentemente gli attribuiva prendessero agli occhi di lei un carattere più solenne, più elevato. Sbiadiva tutto lo splendore delle nostalgie e dei ricordi del suo recente soggiorno in Europa; non si accorgeva più che della presenza di Margaret e della tenue luce rosea in cui ella si muoveva, come in una sorta di aureola terrena. Era dunque possibile, si chiedeva, che mentre andava vagabondando per l'Europa nell'incerta, inquieta ricerca del proprio avvenire, il suo fine, il suo scopo e tutte queste cose stessero ad aspettarlo tranquille presso il disertato focolare domestico, tutte raccolte nel virginale candore della più dolce, della più bella tra le donne? Un giorno, finalmente, questa realtà gli apparve con tanta chiarezza da fargli esclamare in un'estasi di fiducia e di gioia: - Margaret, mia madre ti ha trovato in chiesa, e là, davanti all'altare, ti ha baciata e abbracciata. Ho ripensato spesso a questa scena. E stata un'adozione davvero inconsueta. - Certo, anch'io l'ho pensato spesso, - rispose Margaret. - Ha significato un vincolo sacro e imperituro, - soggiunse Paul. - In quel giorno benedetto tu sei venuta da noi per sempre. Margaret lo guardò con occhi incerti fra il sorriso e le lagrime. - Fin quando vorrai tenermi, - gli disse. - Ah, Paul! - Poiché un istante era bastato al giovane per esprimere tutto il suo desiderio, la sua passione. Benché nutrisse grandissimo affetto e stima per sua madre, Paul aveva sempre trovato naturale dare la precedenza a Padre Herbert nella richiesta di assistenza morale e di confidenza. Il vecchio prete era dotato di una Henry James
46
1970 - Racconti Di Fantasmi
sensibilità e delicatezza che rendevano la sua partecipazione e il suo consiglio ugualmente gradevoli. Qualche giorno dopo i discorsi intorno ad alcuni punti salienti cui ho accennato di sfuggita, Paul e Margaret rinnovarono nella serra le promesse reciproche. Erano ormai così profondamente certi della sincerità dei loro sentimenti, così felicemente rassicurati dalle reiterate dichiarazioni che si scambiavano, che altro non rimaneva loro se non mettere a parte gli anziani del loro segreto. Attraversarono insieme il giardino; quando furono sulla soglia di casa, Margaret si accorse di aver dimenticato le forbici nella serra e Paul tornò indietro a cercarle. La fanciulla entrò in casa: giunta ai piedi dello scalone, restò ad aspettare l'innamorato. In quel momento Padre Herbert comparve nel vano della porta del suo studio e guardò Margaret con un sorriso malinconico. Passandosi lentamente una mano sopra l'altra, la fissò con sguardo benevolo ma cupo. - Mi pare, Miss Margaret, - le disse infine, - che lei stia celando un meraviglioso segreto al suo povero dottor Herbert. Davanti a quell'affabile venerando erudito Margaret senti che non era il caso di ricorrere a volgari rossori, a sciocche affettazioni o dinieghi. - Caro Padre Herbert, - rispose con angelica semplicità, - ho appunto pregato Paul di parlargliene. - Ah, figliola mia, - e il vecchio cercò di reprimere un sospiro, - è un mistero strano e terribile. Paul entrò ed attraversò il vestibolo col passo leggero di un innamorato. - Paul, - gli disse Margaret, - Padre Herbert lo sa. - Padre Herbert lo sa! - ripetè l'ecclesiastico. - Padre Herbert sa tutto. Come innamorati siete davvero trasparenti, non c'è che dire! - Lei è molto perspicace, Padre, per essere un prete! - disse Paul arrossendo. - L'ho capito da una settimana, - precisò il vecchio con gravità. - Ebbene, Padre, - riprese Paul, - anche se adesso ci vogliamo tanto più bene, non per questo ne vogliamo a lei meno di prima e lo stesso speriamo del suo affetto per noi. - Padre Herbert trova che è «terribile», - interloquì Margaret sorridendo. - Oh, mio Dio! - esclamò Herbert portandosi una mano alla testa come in preda a un dolore acuto. Girò sui tacchi e rientrò nel suo studio. Paul si passò la mano di Margaret sotto il braccio e segui il sacerdote. Lei soffre, Padre, - gli disse, - all'idea di perderci, all'idea che noi la si Henry James
47
1970 - Racconti Di Fantasmi
lasci. Ma non ha proprio ragione di preoccuparsene. Dove dovremmo andare? Finché lei avrà vita, finché avrà vita mia madre, noi continueremo a formare una sola famiglia. Il vecchio sembrava aver riacquistato un contegno. - Ah! - esclamò, - siate felici sempre e dovunque, e io sarò felice con voi. Siete così giovani! - Non poi tanto giovani, - lo corresse Paul ridendo, ma rifiutando per istinto di essere considerato un ragazzino. - Ho ventisei anni. J'ai vécu, ho vissuto. - Ha avuto ogni genere di esperienze, - aggiunse Margaret appoggiandosi al braccio di lui. - Non proprio ogni genere -. E Paul con un lieve sorriso abbassò gli occhi per incontrare lo sguardo di lei. - Eh, vuol fare il modesto... - mormorò Padre Herbert. - Paul è stato già quasi sposato, - disse Margaret. Il giovane ebbe un gesto d'impazienza. Herbert non gli staccava gli occhi di dosso. - Perché parlare di quella povera ragazza? - si difese Paul. Dopo il suo ritorno, pur avendo dato completa soddisfazione a Margaret circa il suo progettato matrimonio in Europa, aveva sempre evitato, con la scusa che l'argomento gli riusciva sommamente penoso, di discuterne tanto con la madre che col vecchio tutore. - Forse Miss Aldis è gelosa, - insinuò arguto Padre Herbert. - Oh, Padre! - esclamò Margaret. - C'è ben poco motivo di gelosia, - disse Paul. - Ma bravo il nostro Paul! - esclamò l'ecclesiastico. - Si direbbe addirittura che tu non l'abbia mai amata! - E la pura verità. - Oh! - e la voce di Padre Herbert aveva un tono di serio rimprovero mentre egli posava la mano sul braccio del pupillo. - Non dire così. - No, Padre, debbo dirlo. Non l'ho mai nascosto nemmeno a lei stessa. Mi affascinava, m'incantava, ma, com'è vero Dio, non l'ho mai amata. - Oh, che il Signore ti aiuti! - esclamò il sacerdote sedendosi e nascondendo il volto tra le mani. Margaret si era fatta mortalmente pallida e rievocava la scena che s'era svolta quando avevano ricevuto la lettera di Paul in cui egli annunciava la rottura del fidanzamento. Henry James
48
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Padre Herbert, - gridò, - quale orribile, spaventoso mistero lei nasconde in cuore? Se riguarda me... se riguarda Paul... esigo che ce lo dica. Evidentemente, reso consapevole dall'accento angosciato della giovane della necessità di un certo autocontrollo, Herbert scopri il viso e rivolse a Margaret un rapido sguardo supplichevole. Ella intuì cosa aveva inteso significarle: tacere ad ogni costo. Poi, in uno sforzo sovrumano di dissimulazione, egli protese le mani e ne posò ciascuna sulla spalla dei due innamorati. - Scusami, Paul, - disse, -sono uno stupido. I vecchi professori appartengono a una razza sentimentale, superstiziosa. Noi crediamo ancora che tutte le donne siano angeli, e gli uomini... - Tutti sciocchi, - completò Paul sorridendo. - Appunto. Mentre invece, come vedi, - bisbigliò Padre Herbert, - gli sciocchi siamo soltanto noi. Il cuore di Margaret batteva forte nell’ascoltare quello strano scambio di battute, fermamente decisa a non accontentarsi di cosf vaghe spiegazioni alle tragiche allusioni fatte dal vecchio. Herbert intanto scongiurava Paul di aspettare qualche giorno prima di informare la madre del suo fidanzamento. Due giorni dopo era domenica, l'ultima d'agosto. Da una settimana il caldo s'era fatto opprimente, e adesso l'aria era ferma e pesante come per l'avvicinarsi di un temporale. Nell'alzarsi da tavola, dopo la prima colazione, Margaret si senti toccare il braccio: era Padre Herbert. - Non andare a messa, - le disse sottovoce, - trova una scusa per restare a casa. - Una scusa? - Di' che devi scrivere delle lettere. - Delle lettere? - sorrise un po' amaramente Margaret, - a chi mai dovrei scrivere delle lettere? - Oh povero me, allora di' che non ti senti bene. Ti do io l'assoluzione. Quando saranno usciti, vieni nel mio studio. Al momento d'andare in chiesa, dunque, Margaret finse una leggera indisposizione: e la signora De Grey, appoggiandosi al braccio del figlio, montò nella vecchia carrozza dai bassi strapuntini, che presto si allontanò dall'ingresso. Margaret si recò senza indugio nel quartierino di Padre Herbert. Sul viso del vecchio lesse il presagio di qualche spaventevole rivelazione: tutto il suo aspetto tradiva il peso di un'ineluttabile necessità. - Figliola mia, - cominciò il sacerdote, - tu sei una giovane coraggiosa e Henry James
49
1970 - Racconti Di Fantasmi
pia... - Ah! - gridò Margaret, - si tratta di qualcosa di terribile, altrimenti non parlerebbe così! Mi dica subito! - Devi far appello a tutto il tuo coraggio. - Paul dunque non mi ama?... Oh, per amor di Dio, parli! - Se non ti amasse di una passione che lo condanna, non avrei nulla da obiettare. - Ma dica quello che vuol dire, allora! - Ebbene... Devi lasciare questa casa. - Perché?... Quando?... Dove devo andare? - All'istante, se possibile, devi andare non importa dove, quanto più lontano tanto meglio... quanto più lontano possibile da lui. Ascolta, figlia mia, - riprese il vecchio col cuore stretto dall'espressione attonita e sbigottita che s'era dipinta in volto a Margaret, -non vale protestare, piangere, opporre resistenza. È la voce del destino! - Perdoni, reverendo, - disse Margaret, - di che mi accusa? - Io non accuso nessuno, non accuso nemmeno il cielo. - Ma c'è un motivo... c'è una ragione...? Herbert si pose l'indice sulle labbra, indicandole una sedia: poi, volgendosi verso un vecchio cofanetto posato sulla sua scrivania, lo aperse e ne tolse un piccolo volume rilegato in pergamena, che sembrava un antico messale miniato. - Non mi resta, - concluse, - che raccontarti tutta la storia. Si sedette di fronte alla giovane, irrigidita nell'attesa. La stanza si andava oscurando per l'addensarsi di nuvoloni. Il tuono brontolava in lontananza. - Lascia che ti legga una decina di parole, - disse il prete, aprendo il volume a una pagina non stampata, ricoperta da una lunga annotazione o promemoria che fosse, scritta con grafie diverse, alcune minute, altre a stento leggibili. - Il Signore sia con te! - E il vecchio si fece il segno della croce. Involontariamente Margaret lo imitò. «George De Grey, - egli lesse, conobbe e amò, nel settembre 1786, Antonietta Gambini, milanese, morta il 9 ottobre dello stesso anno. John De Grey sposò il 4 aprile 1749, Henrietta Spencer, che morì addì 7 di maggio. George De Grey si fidanzò nell'ottobre 1710 con Mary Fortescue, deceduta addì 31 ottobre. Paul De Grey di anni 19, promesso nel giugno 1672 in Bristol, Inghilterra, a Lucretia Lefevre, di anni 31, di detta città. Essa morì il 27 di luglio. John Henry James
50
1970 - Racconti Di Fantasmi
De Grey scambiò promessa di matrimonio addì 10 gennaio 1649 con Bianche Ferrars di Castle Ferrars, Cumberland: essa morì per mano dell'amato il 12 gennaio. Nell'ottobre del 1619 Stephen De Grey offerse la propria mano ad Isabel Stirling, deceduta entro il mese stesso. Paul De Grey scambiò, nell'agosto del 1586, promesse d'amore con Magdalen Scrope, che morì di parto nel settembre del 1587». Padre Herbert tacque. Ti basta? - domandò alzando due occhi di fiamma. - Ce ne sono altre due pagine. I De Grey sono una famiglia antica: tengono aggiornate le loro cronache. Margaret era stata ad ascoltare con un'espressione di orrore sempre più intensa, feroce, appassionata, un'espressione che tradiva piuttosto rabbia e orgoglio ferito che non spavento. Spiccò un balzo felino verso il prete e gli strappò dalle mani il raccapricciante documento. - Che abominevole assurdità è mai questa? - esclamò. - Cosa significa? Non sono stata neanche a sentirla: la disprezzo, me ne rido! Il vecchio le afferrò un braccio e glielo tenne stretto. - Paul De Grey, disse, - scambiò promessa d'amore con Margaret Aldis nell'agosto del 1821: ella morì... al cader delle foglie. La povera Margaret si guardò intorno in cerca d'aiuto, d'ispirazione, di un conforto qualsiasi. La stanza non conteneva che fitti scaffali di vecchi libri pergamenati, ciascuno dei quali pareva una sinistra replica di quello caduto ai suoi piedi. Nel silenzio del mezzogiorno risuonò il cupo rimbombo di un tuono. All'improvviso le forze l'abbandonarono. La mano del destino l'aveva afferrata: si sentiva debole e sola. Padre Herbert aperse le braccia ed ella gli si gettò al collo, scoppiando in lagrime. - Ti rifiuti ancora di lasciarlo? - domandò il prete. - Se lo lasci, sei salva. - Salva? - ribatté Margaret alzando la testa. - E Paul? - Ecco, appunto. Ti dimenticherà. La giovane rifletté un momento. - Perché mi dimentichi, a quanto sembra, dovrei morire -. Poi, torcendosi le mani in un nuovo accesso di disperazione: - E sicuro, - gridò, - che non vi siano state eccezioni? - Nessuna eccezione, figlia mia, - e l'ecclesiastico raccattò il volume. - È il primo amore, capisci, la prima passione. Dopo, ridiventano innocui: guarda la signora De Grey. È una stirpe che si porta dietro una maledizione per un terribile, imperscrutabile mistero. Avevo sperato che tu ne fossi indenne, figliola, e che lo scotto l'avesse pagato la povera signorina L. Ma Henry James
51
1970 - Racconti Di Fantasmi
Paul ha fatto di tutto per disilludermi. Ho indagato nella sua vita, ho sondato la sua coscienza: il suo cuore è puro. Ah, bambina mia! L'ho temuto fin dal primo momento. Ho tremato quando sei entrata in questa casa. Volevo che la signora De Grey ti mandasse via. Ma lei ride di tutto questo, dice che sono fole da vecchie comari. Lei sì, si è salvata: ma a suo marito di lei non importava un fico secco. Però, sepolta in terra italiana, c'è una ragazzina dagli occhi scuri che potrebbe narrarle un'altra storia. Era la vita stessa, figliola, un raggio vivente del suo sole meridionale; e i baci di De Grey la fecero appassire, morire. Non chiedermi quando tutto ciò è cominciato: è sempre stato così, fin dalla notte dei tempi. Si dice che uno di questa stirpe abbia fatto ritorno dall'Oriente, dalle Crociate, affetto dai sintomi della peste. Prima della partenza aveva giurato amore a una fanciulla e le nozze dovevano aver luogo subito dopo il suo ritorno. Non sentendosi bene, il cavaliere volle consultare un fratello maggiore della sposa, esperto di taumaturgia e al quale venivano attribuiti poteri magici. Questi accertò in lui i sintomi del terribile male e lo richiamò al dovere di rinviare il matrimonio. Il giovane crociato si rifiutò di obbedire e il medico, in preda all'ira, scagliò una maledizione sull'intera sua discendenza. Le nozze ebbero luogo: di lì a una settimana la sposa morì fra atroci sofferenze; il giovane invece guari dopo aver superato una lieve malattia. La maledizione aveva attecchito. Margaret prese in mano lo strano vecchio libro di preghiere e lo apri al macabro elenco di morti. Al pensiero di ciò che tristemente la affratellava a tutte quelle sventurate d'altri tempi, si senti gelare il cuore. Sventurate le donne sì, ma, ahimè, dieci volte più sventurati gli uomini, vittime impotenti di sentimenti funesti! Margaret taceva, fissando il libro con sguardo assente; quasi meccanicamente lo aperse a un'altra pagina e lesse una ben nota orazione alla Vergine benedetta. Poi, levando la testa, con gli occhi azzurro-cupo scintillanti di fredda, irreversibile decisione, di un prodigioso atto di volontà: - Padre Herbert, - pronunciò solennemente a bassa voce, - io revoco la maledizione, la cancello: la maledico! Da quel momento, nulla l'avrebbe più indotta a dedicare un solo istante al pensiero di trovar salvezza nella fuga. Era troppo tardi, dichiarò. Se era destino che morisse, ormai aveva assorbito il contagio fatale. Ma bisogna vedere. Non che tenesse in dispregio l'esistenza o il potere del terribile maleficio: era semplicemente persuasa, e con così profonda fiducia in sé da riempire il vecchio erudito di un'ammirazione mista ad angoscia, che Henry James
52
1970 - Racconti Di Fantasmi
invano esso avrebbe esercitato, una volta per tutte, la propria forza trascendente sulla sua esistenza appassionata e devota. Padre Herbert giunse le mani tremanti, rassegnato. Aveva fatto il suo dovere: il resto era affidato a Dio. Vissuto com'era da anni nel timore del momento ormai sopraggiunto, la cui ombra gli aveva oscurato tutta la vita, gli pareva talvolta che fra le bizzarre possibilità offerte da madre natura vi potesse anche esser quella che una fragile e pura fanciulla, obbedendo all'ordine dell'amore oltraggiato, insorgesse alla riscossa dell'infelice dinastia cui egli aveva dedicato gli anni della sua maturità. V'erano poi dei momenti in cui pareva a Herbert ch'ella si buttasse con gioia nell'oscuro abisso. In ogni caso il senso del pericolo aveva rinnovato in Margaret energie e fascino; e se Paul non fosse stato troppo conquiso da quella febbrile gaiezza e grazia per preoccuparsi di cercarne le ragioni e l'origine, ben difficilmente avrebbe potuto spiegarne l'improvvisa, morbosa intensità. Da lei esortato, il giovane annunciò senz'altri indugi il suo fidanzamento alla madre, che atteggiò il viso a grande benevolenza e fece a Margaret l'onore di una specie di bacio ufficiale. - Povero me! - brontolò Padre Herbert. - Adesso questa crederà di averli uniti per sempre! - E l'indomani, quando la signora De Grey, parlandogli della cosa, confessò che in verità le costava un certo sforzo accettare come figlia una ragazza a cui aveva pagato uno stipendio... - Uno stipendio, signora! - esclamò il prete con una risata amara, - parola d'onore, mi pare che meno di così lei non potesse fare! - Nous verrons, - replicò compunta la signora De Grey. Passò una settimana senza presagi funesti. Paul viveva in un'estasi di virile felicità. C'erano momenti in cui era quasi sgomento dalla pienezza con cui il suo amore e la sua fede venivano ripagati. Margaret era come trasfigurata, esaltata dalla passione che ardeva nel suo cuore. «Basta che una ragazza qualunque, non specialmente bella, s'innamori, - pensava Paul, - e diventerà graziosa, avrà un suo fascino. Quando poi s'innamora una bella ragazza...» E, se Margaret era presente, gli occhi eloquenti del giovane lasciavano intendere il resto; se invece non c'era, con passi inquieti muoveva alla sua ricerca. Negli ultimi dieci giorni la bellezza di lei sembrava aver acquistato calore e opulenza: Paul s'immaginava addirittura che la sua voce si fosse fatta più profonda, più armoniosa. Sembrava cresciuta d'età, si sarebbe detto che avesse superato d'un balzo un anno del suo sviluppo, che la sua giovinezza avesse toccato il suo punto di piena Henry James
53
1970 - Racconti Di Fantasmi
maturazione e, anziché essere al di qua del giorno delle nozze, ella ne fosse già al di là. Frattanto Paul acquistava consapevolezza di un indefinibile, sottile cambiamento delle sue emozioni personali. Il delicato sentimento di compassione ch'essa gli suscitava, quel senso così accattivante di debolezza che emanava da lei, la devozione angelica che con dolce tensione aveva gonfiato la piena dei suoi affetti, tutto questo era svanito per dar luogo a un vago e profondo moto di rispetto. Margaret non era, dopo tutto, un personaggio tanto semplice: anche la sua indole celava dei misteri. In verità, pensava Paul, la sensibilità, la delicatezza sono premio a se stesse. Egli si era chinato a cogliere quel pallido fiore di una casa senza sole, ne aveva intinto il gambo sottile nelle acque vive del suo amore, ed ecco, quel fiore aveva levato il capo, dischiuso i suoi petali, ed ora splendeva fulgido di porpora e di verde. Quella radiosa forza della bellezza gli incuteva un tremore ch'era quasi un presagio. Bramava possederla, la guardava con occhio cupido, voleva poterla chiamare sua per sempre. - Margaret, - le disse, - tu sei per me fonte d'incredibile felicità. Diventi ogni giorno più bella. Dobbiamo sposarci subito, altrimenti, di questo passo, il giorno delle nostre nozze finirò per avere una paura terribile di te. Giuro sull'anima di mio padre che non mi aspettavo una cosa simile! Guardati in quello specchio -. E la fece voltare verso una lunga specchiera che si trovava nello spogliatoio della madre; la signora De Grey era passata nella camera accanto. Margaret si vide riflessa dalla testa ai piedi nelle cristalline profondità dello specchio e si rese conto del suo mutamento. Dalla curva delle spalle ben tornite il capo si ergeva con una sorta di altera serenità: gli occhi erano lucidi, le labbra frementi, il seno si sollevava e si abbassava nell'empito della sua totale dedizione. «Bianche Ferrars, di Castle Ferrars, - disse fra sé, - Isabel Stirling, Magdalen Scrope... povere sciocche! Non eravate donne, voi: eravate delle bambine!» - È colpa tua, Paul, - disse poi ad alta voce, - se sono così cambiata. Perché c'è un tale amore fra noi? «E, vedendo accanto al suo il viso del giovane, ebbe l'impressione che fosse sbiancato. - Mio Paul, - gli disse afferrandogli le mani, - sei pallido. Bella cera davvero per un innamorato felice! Sei nervoso, ecco. Ohimè, mio signore! Sarà per quando tu vorrai. Le nozze vennero fissate per l'ultimo di settembre. Subito le due donne si diedero un gran daffare con l'acquisto del corredo. Col suo stipendio Henry James
54
1970 - Racconti Di Fantasmi
Margaret era riuscita a metter da parte una somma sufficiente per comperarsi un bel vestito da sposa, ma per gli altri capi del guardaroba le fu giocoforza rimettersi alla liberalità della signora De Grey, alla quale non si faceva scrupolo di far spendere ingenti somme di denaro e, spese quelle, di chiederne altre. Provava un piacere intenso, violento, nel procacciarsi in gran numero i tessuti più ricchi. Le pareva di essersi finalmente staccata da ogni stupida dignità, ogni riservatezza, ogni convenzionale ritegno, quasi si fosse spogliata della propria coscienza per offrirla a donne comuni, felici, spregiudicate. Andava ammucchiando il corredo come per una specie di baldanzosa sfida a qualche incombente calamità, e si sentiva tutta animata dalla volontà di superarla, di scongiurarla, di sgominarla. Un giorno stava attraversando il vestibolo con un campione di stoffa appena ricevuto dal negozio. Era un grosso scampolo di seta di un rosa intenso, un lembo del quale le era ricaduto dal braccio sul piede. La porta dello studio di Padre Herbert era spalancata: Margaret si fermò un istante, poi entrò. - Mi perdoni, reverendo, - disse, - ma mi sembrava un peccato non farle vedere questo splendido campione. Non è un rosa magnifico? È quasi rosso, è un carminio. È il colore del nostro amore, della mia morte. Padre Herbert! - gridò con un'acuta, sonora risata, - è il mio sudario! Non le pare che come sudario non sarebbe male? Un sudario di seta rosa, con trine color miele e trapunto di perle? Il vecchio la guardò angustiato. - Figliola mia, - le disse, - Paul avrà in te una moglie impareggiabile. - Senza dubbio, se lei mi paragona a quelle donzelle del suo libro di preghiere. Eh, Paul avrà una moglie, quanto meno. Questo è certo. - Ebbene, - soggiunse il vecchio, - sei più coraggiosa di me, tu. Mi fai spaventare. - Caro Padre, non fu lei, un'altra volta, a farmi spaventare? Il sacerdote fissò Margaret con affetto misto a sofferenza. - Dimmi figliola, - le disse, - in tutto questo trambusto trovi mai il modo di pregare? - Dio me ne guardi! - esclamò la poverina. - Non ho il cuore disposto alla preghiera! Con Paul teneva lunghi discorsi sulle loro gioie future, sulla vita serena che avrebbero condotto. Egli dichiarò che avrebbe impresso un diverso orientamento alle loro abitudini, che la famiglia non sarebbe più rimasta sepolta nel silenzio e nella penombra. Era uno stato di cose assurdo e Paul Henry James
55
1970 - Racconti Di Fantasmi
si stupiva che si fosse mai verificato. Avrebbero cominciato a vivere come gli altri, a occupare il loro giusto posto in società. Avrebbero ricevuto gente, avrebbero viaggiato, di sera sarebbero andati a teatro. Margaret non aveva mai visto una commedia: dopo il matrimonio avrebbe potuto vederne una alla settimana per un anno, se lo desiderava. - Non temere, cara, - dichiarò Paul, - non ho intenzione di seppellirti viva: non ti sto scavando la fossa. Se pensassi che ti accontenti di vivere come vive quella povera donna di mia madre, tanto varrebbe che ci sposassimo con un rito funebre! Quando Paul parlava con tanta spensierata animazione, lo sguardo fisso a un lungo e felice avvenire per il quale non nutriva dubbi, Margaret traeva dalle sue parole un'intrepida serenità, uno sprezzo di qualsiasi pericolo. Il segreto di Padre Herbert sembrava una visione, una fantasia, un sogno: finché, passato un po' di tempo, ella si trovò di nuovo faccia a faccia col vecchio prete e in quei tratti tirati lesse che, per lui, esso era sempre una realtà profonda. Nondimeno, nel passar febbrilmente dalla speranza al timore, dall'esaltazione all'angoscia, mai per un istante ella cessava di sorvegliare con occhio vigile le proprie sensazioni fisiche, in attesa di sintomi morbosi di paranoia. Con quel terribile peso sul cuore, si stupiva di non essere stata spinta già da tempo nel baratro della follia, o soverchiata da totale demenza. Pensava che, per quanto dolorosa le sarebbe stata l'ignoranza del mistero in cui la sua vita si era trovata coinvolta, esserne a conoscenza era ancor più terribile. Per tutta la settimana successiva al suo incontro con Padre Herbert delle ventiquattro ore del giorno non ne aveva dormito neppure mezza; e tuttavia, lungi dal soffrire per la mancanza di sonno, si era sentita - come mi sono sforzato di dimostrare - quasi drogata, elettrizzata dalla tensione incessante e dal controllo della propria volontà. Ma sapeva bene che ciò non poteva durare per sempre. Un pomeriggio, qualche giorno dopo aver fatto alla sua futura sposa quelle brillanti promesse, Paul era montato in sella per una cavalcata. Margaret, in piedi accanto al cancello, lo guardò con rimpianto allontanarsi al galoppo mentre le mandava un bacio con la mano. Un'ora prima del tè, lasciata la sua stanza, entrò nel salotto dove la signora De Grey s'era sistemata in attesa della sera. Un istante dopo Padre Herbert, che stava accendendo la lampada nel suo studio, udì risuonare nella casa un grido acutissimo. Il cuore gli si fermò. «È giunta l'ora, - si disse, - sarebbe peccato non Henry James
56
1970 - Racconti Di Fantasmi
assistervi». Si affrettò verso il salotto, seguito dai domestici, essi pure messi in allarme dal grido. Margaret giaceva abbandonata sul divano, pallida, immobile, ansimante, con gli occhi chiusi e la mano premuta su un fianco. Herbert scambiò una rapida occhiata con la signora De Grey che stava china sopra la giovane, tenendole l'altra mano. - Niente scandali, almeno, - disse dignitosamente la signora, e subito congedò i domestici. A poco a poco Margaret si riebbe, assicurò che non era nulla, un semplice acuto dolore improvviso: ora si sentiva meglio e pregò i presenti di non agitarsi. La signora De Grey andò in camera sua a prendere una boccettina di sali odorosi lasciando Herbert solo con Margaret. Egli stava inginocchiato a terra, e le teneva la mano. Margaret si sollevò a sedere sul sofà. - So quello che sta per dirmi, - esclamò, - ma è falso. Dov'è Paul? - Hai intenzione di dirglielo? - chiese Herbert. - Dirglielo? - ripetè Margaret levandosi in piedi. - Se morissi, gli strazierei il cuore, ma se glielo dicessi, glielo spezzerei. Si era alzata, come ho detto: aveva udito e riconosciuto il passo rapido del suo innamorato nel corridoio. Paul spalancò la porta ed entrò precipitosamente, ansante e mortalmente pallido. Margaret gli andò incontro premendosi ancora la mano sul fianco, mentre anche Padre Herbert s'alzava di scatto. - Cos'è accaduto? - gridò il giovane. - Ti sei sentita male? - Chi ti ha detto che sia accaduto qualcosa? - gli rispose Margaret. - Che fa Padre Herbert in ginocchio? - Pregavo, figliolo, - disse il sacerdote. - Margaret, - ripetè Paul, - in nome del cielo, che cosa ti succede? - Che cosa succede a te, Paul? Direi che sono io a dovertelo chiedere. De Grey fissò la giovane con uno sguardo cupo, indagatore, poi chiuse gli occhi e si afferrò alla spalliera di una seggiola, come colto da un capogiro. - Dieci minuti fa, - disse, e parlava lentamente, - cavalcavo lungo il fiume: improvvisamente l'aria fu squarciata da un grido lontano che sapevo venire da te. Ho voltato il cavallo, e via al galoppo! Ho percorso tre miglia in otto minuti. - Un grido, Paul? E perché avrei dovuto gridare? E farmi sentire tre miglia lontano! Un bel complimento per i miei polmoni! - Be', - fece il giovane, - sarà stata la mia immaginazione. Ma l'ha sentito anche il mio cavallo: ha rizzato le orecchie e con uno scarto è partito come Henry James
57
1970 - Racconti Di Fantasmi
una freccia. - Anche per lui si sarà trattato d'immaginazione! È la prova che sei un ottimo cavaliere, se tu e la tua bestia vi sentite un sol uomo! - Ah, Margaret, non scherzare! - Un solo cavallo, allora! - Ebbene, qualunque cosa sia stata, non mi vergogno di confessarlo, sono tutto sconvolto. Non so cosa mai sia successo ai miei nervi. - Allora, per carità, non rimanere lì a rabbrividire e a barcollare come se avessi la febbre. Vieni, siediti sul divano -. Lo prese per un braccio e lo accompagnò al sofà. Egli l'afferrò per il braccio a sua volta e la fece sedere accanto a sé. Padre Herbert usci senza far rumore, inosservato. Fuori incontrò la signora De Grey con i suoi sali odorosi. - Non credo che ne abbia più bisogno, adesso, - le disse. - C'è Paul con lei -. E i due si trasferirono insieme al tavolo del tè. Quand'ebbero quasi finito, Margaret entrò con Paul. - Come ti senti, caro? - domandò la signora De Grey. - Sta molto meglio, - si affrettò a rispondere Margaret. La signora sorrise compiaciuta. «Senza dubbio, - pensò, - la mia futura nuora sa dire le cose con molto garbo». L'indomani, entrata nella stanza della signora De Grey, Margaret vi trovò Paul insieme alla madre. Quest'ultima aveva gli occhi rossi, come se avesse pianto, e Paul aveva un'espressione turbata, come se avesse appena fatto una penosa confessione. Vedendo entrare Margaret, egli si portò davanti alla finestra e guardò fuori, senza rivolgerle la parola. Essa finse di essere venuta a cercare qualcosa da cucire e, trovato quanto le interessava, si ritirò. Ma si sentiva profondamente ferita. Cosa aveva fatto Paul, cosa aveva detto? Perché non le aveva rivolto la parola? Perché le aveva voltato le spalle? Soltanto la sera prima, quando s'erano trovati soli nella sala di soggiorno, egli si era mostrato così indicibilmente tenero... Era un mistero crudele, ed ella non avrebbe avuto pace finché non l'avesse chiarito, benché di pace ne avesse assai poca anche così. Nel pomeriggio Paul ordinò di nuovo il cavallo e si vesti per una cavalcata. Margaret lo attese al varco in fondo alle scale, completo di stivali e speroni, e poiché il cavallo non era ancora pronto, si diresse con lui in giardino. - Paul, - gli disse tutt'a un tratto, - che cosa dicevi stamane a tua madre? Sì, - soggiunse tentando invano un sorriso, - devo confessarlo: sono gelosa. - Oh, anima mia! - esclamò il giovane portandosi tutt'e due le mani al Henry James
58
1970 - Racconti Di Fantasmi
viso. - Mio caro Paul, - disse Margaret prendendogli il braccio, - è un'espressione dolcissima, ma non è una risposta. Paul si fermò nel vialetto, afferrò le mani della ragazza e la fissò insistentemente in viso, con un'espressione ch'era in realtà di stanchezza, no, peggio, di disperazione. - Sei gelosa, dici? - No, adesso non più! - ella esclamò stringendogli le mani. - È la prima sciocchezza che ti ho sentito dire. - Ebbene, sì, è stato da sciocca essere gelosa di tua madre; ma sono tuttora gelosa della tua solitudine, di questi piaceri che non mi è consentito dividere con te... gelosa del tuo cavallo... delle tue lunghe cavalcate. - Desideri che smetta di andare a cavallo? - Paul, caro, ti dà di volta il cervello? Desiderarlo... è un conto; dire che lo desidero significa fare la figura della sciocca. - Il mio cervello... il mio cervello è con qualcosa che se n'è andato per sempre! - Chiuse gli occhi e contrasse la fronte come per un dolore acuto. Con la mia giovinezza, la mia speranza, come devo dire? la mia felicità. - Ah! - esclamò Margaret in tono di rimprovero, - hai bisogno di chiudere gli occhi per pronunciare questa parola! - Ma via, che cos'è la felicità se non si ha la giovinezza? - Eh diamine, si direbbe ch'io abbia quarant'anni! - esclamò Margaret. - E va bene, purché io ne abbia sessanta! La giovane intuì che dietro quella battuta scherzosa si celava qualcosa di molto grave. - Paul, - gli disse, - il guaio è che tu non stai bene, semplicemente questo. Egli fece un cenno di assenso e con quell'assenso parve a lei che una mano invisibile le strappasse la vita dal cuore. - È questo che dicevi a tua madre? Egli assenti di nuovo. - E che non volevi dire a me? Paul avvampò. - Naturalmente, - rispose. Margaret gli lasciò le mani e, stremata, si abbandonò su una panchina del parco. Poi, levandosi d'un tratto: - Va', va' a fare la tua cavalcata, soggiunse. - Ma prima, baciami una volta. E Paul la baciò, poi montò in sella. Rientrando in casa, ella s'incontrò con Padre Herbert che, dalla veranda dell'ingresso, era stato a guardare il giovane allontanarsi a cavallo, e stava ora tornando al suo studio. - Mia cara figliola, - disse il prete, - Paul sta molto male. Dio voglia che, Henry James
59
1970 - Racconti Di Fantasmi
se tu riesci a sopravvivere, non debba essere lui a pagarne il prezzo! Per tutta risposta Margaret, passandogli accanto, lo fissò con uno sguardo gelido, spettrale, angosciato, che parve una pungente risposta ai timori che attanagliavano il cuore di lui. Raggiunta la propria camera, la giovane si sedette sul letto, sforzandosi di pensare in modo chiaro, meditato. Le parole del vecchio sacerdote avevano destato un'eco profonda nella sconfinata solitudine spirituale del suo essere. Doveva dunque concludere che, nonostante l'intensità del suo amore, l'anatema era assoluto, ineluttabile, eterno. Poteva mutare direzione, ma non essere eluso; malgrado gli spasimi parossistici di un'angoscia umana, esso reclamava insaziabile la sua vittima. Ogni sua energia era esaurita: che le restava da fare? Tutta la sua splendida ostentazione di coraggio e di spavalderia veniva meno di colpo, ed essa era seduta lì, sola sola, in una prostrazione che la faceva rabbrividire. Stupida illusa ch'era stata a voler nascondere la sua pena per un giorno, per un'ora, all'uomo che l'amava! Quanto più greve era il fardello, tanto più avrebbe dovuto confidare in lui! Ciò che nessuno dei due riusciva a sopportare da solo, certamente avrebbero potuto sopportarlo insieme. Ma lei, cieca, insensibile, crudele, gli aveva a poco a poco succhiato dalle vene la linfa vitale: mentre lei sbocciava e fioriva, lui intristiva e si sfibrava. Mentre lei viveva per lui, lui moriva di lei. Esecranda, infernale commedia! Da che cosa sperare aiuto, ora? Pensò al suicidio, alla fuga; l'uno valeva più o meno l'altra. Se, improvvisamente annientandosi, avesse potuto liberare, dispensare Paul, non le ci sarebbe voluto che un istante per immergersi un coltello nel cuore. Ma chi avrebbe potuto escludere che, indebolito e stremato di forze com'era, il trauma della morte di lei non avrebbe provocato la fine anche per Paul? Peggio d'ogni altra cosa era il sospetto ch'egli avesse cominciato a non amarla più e che una sia pur vaga percezione dell'influsso nefasto che da lei emanava si fosse ormai impadronita di lui. Era freddo, era distante. Altrimenti, perché - quando aveva incominciato a sentirsi veramente male - non s'era confidato prima di tutto con lei? Provava per lei repulsione, odio. Nondimeno, con tutta l'avidità della disperazione, Margaret si aggrappava ancora all'idea che non era troppo tardi per metterlo sull'avviso, per rivelargi tutti gli orrori del proprio segreto. Allora, qualunque cosa fosse avvenuta, morte o liberazione, almeno sarebbero stati insieme ad affrontarla. Ora, sottratta all'incantesimo del suo immaginario trionfo, si sentiva Henry James
60
1970 - Racconti Di Fantasmi
sopraffatta ed esausta. Tutto il suo essere si struggeva dal desiderio di sonno e di oblio. Chiuse gli occhi e piombò in un riposante sopore. Quando tornò in sé, la camera era buia. Si alzò, andò alla finestra, vide le stelle. Accesa una candela, si accorse che la sua pendolina segnava le nove. Aveva dormito cinque ore. Si vesti in fretta e scese dabbasso. Nel salotto, presso una finestra aperta, avvolta in uno scialle, era seduta la signora De Grey. - Beata te, cara, - esclamò, - che riesci a dormire sodo, mentre noi si è tutti in questo stato. - In che stato, signora? - Paul non è rientrato. Margaret non rispose; era intenta ad ascoltare in lontananza lo scalpitio di un cavallo. Corse fuori dalla stanza, verso la porta d'ingresso, e attraverso il cortile raggiunse il cancello. Alla luce oscura delle stelle vide avanzare un'ombra e udì un rapido risuonar di zoccoli. La poverina per un attimo trattenne il fiato. Il cavallo di Paul arrivava di corsa, senza cavaliere. Margaret, con un grido, si gettò in avanti, aggrappandosi alle briglie, ma la bestia ebbe uno scarto improvviso ed emise un alto nitrito; poi, rallentando solo un po' la corsa, irruppe nel recinto attraverso un punto più basso, e Margaret ne udì risuonare i ferri sul lastricato che portava alla scuderia, dove l'accolsero le grida e le esclamazioni dello stalliere. Fuori di sé, Margaret si lanciò a precipizio nel buio, lungo la strada, chiamando Paul per nome. Non aveva percorso un quarto di miglio che udì una voce in risposta. Ripetè il grido e riconobbe gli accenti dell'amato. Se ne stava ritto, appoggiato a un albero e appariva illeso: ma il viso riluceva nell'oscurità, come una maschera di rimprovero, bianco, in un fosforescente sudore di morte. Si era sentito a un tratto vacillare, colto da vertigine, e nello sforzo di mantenersi in sella aveva spaventato il cavallo che si era furiosamente impennato, disarcionandolo. Si appoggiò alla spalla di Margaret cercando sostegno, e le parlò con voce rotta. - Andavo come un pazzo, - le disse. - Mi sentivo già male al momento d'uscire, ma senza l'ombra di un motivo. Ero deciso a farmi passare il malessere col moto all'aria aperta -. E si fermò ansimando. - E ora ti senti meglio, amore mio? - gli sussurrò Margaret. - No, peggio. Sto morendo. Margaret strinse il suo diletto fra le braccia, mentre dalla bocca le usciva un gemito prolungato e lacerante che echeggiò nella notte. Henry James
61
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Non ti appartengo più, cara anima infelice... Per chissà quali fatali, inesorabili vincoli appartengo ormai all'oscurità, alla morte, al nulla, che mi stanno soffocando... Mi senti? - Ah, insensata e sciocca che sono stata, ti ho ucciso io! - Credo di sì... Strano, però. Cos'è, Margaret? Tu eserciti un incantesimo funesto e fatale... - La sua voce era poco più d'un sussurro, come se stesse per venirgli meno: Margaret ne percepiva l'alito freddo sul viso, il braccio di Paul le cingeva il collo. - Su, avanti, - gridò. - Continua! Dì qualcosa che possa uccidermi! - Addio, addio! - disse Paul, accasciandosi senza vita. L'urlo di Margaret era stato il segnale che aveva guidato gli atterriti abitanti della casa al punto dove essa si trovava. La rinvennero seduta sul ciglio della strada, i piedi ciondolanti in un fosso, le braccia strette intorno al corpo esanime del suo diletto che copriva di baci, gemendo disperata. La sua mente, non meno che il corpo di lui, erano stati abbandonati dai sensi; e per l'una come per l'altro non v'era speranza di ricupero. Trascorsero, non occorre dirlo, molti e molti mesi prima che la signora De Grey si sentisse in grado di alludere esplicitamente all'immane sciagura che aveva travolto la sua casa; quando lo fece, Padre Herbert si stupì di constatare ch'ella si rifiutava ancora d'accettare l'idea di un potere soprannaturale sulla vita di suo figlio e si cullava nella tranquilla certezza che fosse morto per una caduta da cavallo. - E se invece fosse morta Margaret? L'avesse voluto il cielo! -disse il prete. - Oh, ammettiamolo pure! - rispose la signora De Grey. - Ma lei se lo augurerebbe per amore della sua teoria? - Supponiamo che Margaret avesse avuto un amore, un amore appassionato, un uomo che le avesse offerto il suo cuore prima che Paul l'incontrasse, e che poi fosse venuto Paul a portarle amore e morte... - E con questo? - Quale dei tre, secondo lei, avrebbe avuto maggior motivo di sofferenza? - Sono sempre quelli che sopravvivono alle sciagure a meritare pietà, concluse la signora De Grey. - Sì, signora, quelli che sopravvivono... anche dopo cinquant’anni. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
Henry James
62
1970 - Racconti Di Fantasmi
L'ULTIMO DEI VALERII Più d'una volta avevo avuto occasione di dichiarare che, se la mia figlioccia avesse desiderato sposare uno straniero, io le avrei rifiutato il mio consenso. Eppure, quando a Roma mi venne presentato il giovane conte Valerio come suo pretendente gradito e seriamente intenzionato, dopo averlo fissato con meraviglia per un istante, mi trovai a considerare il felice giovanotto con una certa benevolenza paterna; pensai anzi che dal punto di vista pittorico (lei con i suoi ricci biondi, lui con i suoi ricci scuri) formavano una coppia singolarmente ben assortita. Lei me lo presentò con un misto d'orgoglio e di timidezza, spingendolo avanti a sé, mentre con uno dei suoi sguardi di colomba mi pregava di mostrarmi molto educato. Non so se di regola io non produca tale impressione, ma Martha era così presa dalla grandeur del suo promesso che le sembrava impossibile onorarlo come si meritava. Senza dubbio la grandeur del conte Valerio non era affatto qualcosa per cui una fanciulla americana dall'aspetto principesco e dalle quasi principesche abitudini avesse da insuperbirsi; ma lei ne era disperatamente innamorata, e non solo il suo cuore era rimasto colpito ma anche la sua fantasia. Era davvero bellissimo, di una bellezza che non dipendeva soltanto da felici lineamenti esteriori, come generalmente avviene nella bella razza romana. V'era nella sua mirabile maschera una tenerezza latente, e il suo grave, lento sorriso, se non lasciava presagire un intelletto specialmente sveglio, suggeriva però l'idea di una virile costanza, che prometteva bene per la felicità di Martha. Aveva poco della superficiale urbanità a buon mercato dei suoi connazionali: dal suo sguardo spirava una specie di stolido candore, come se tenesse in sospeso la risposta finché non fosse sicuro di avervi ben compreso. Un po' ottuso lo era certo, e immaginavo che a una domanda di natura politica o estetica avrebbe risposto con particolare lentezza. - È buono, forte, coraggioso, - mi aveva però assicurato la ragazza; e io le credetti senza fatica. Forte, il conte Valerio lo era di certo; aveva una testa e un collo come certi busti del Vaticano. Per il mio occhio, ormai abituato da gran tempo a guardare le cose dal punto di vista del pittore, era un vero fastidio vedere un collo del genere emergere dalla cravatta bianca allora di moda, un collo che sosteneva una testa massicciamente rotonda come quella dell'imperatore Caracalla, e ricoperta dalla stessa folta corona scultorea di ricci. La sua capigliatura superba, simile a quella che dovevano avere gli Henry James
63
1970 - Racconti Di Fantasmi
antichi Romani quando, a capo scoperto e abbronzati, percorrevano il mondo a piedi, formava un arco perfetto sopra la fronte bassa e liscia, prolungandosi sul mento e sulle guance in una barba fitta e crespa, forte di forza propria e per nulla indurita dal rasoio. Nessuna delicatezza nel naso né nella bocca, che erano anzi di taglio marcato, di belle proporzioni, maschio. Il suo colorito era d'un lucido bruno scuro, inalterabile da qualsiasi emozione, e i grandi occhi splendenti sembravano fissarvi come due pietre dure ben polite. Era di statura media, con un torace dalla circonferenza così generosa che ci si aspettava quasi di sentir scricchiolare la camicia ad ogni respiro. E tuttavia, con quel suo sorriso semplice e umano, non aveva l'aria né di torello né di gladiatore. La sua voce altisonante non era affatto aspra, e la sua prolissa, cerimoniosa risposta al mio saluto echeggiò con la stessa corposa solennità con cui nell'età d'Augusto si dovevano pronunciare le orazioni civili. Io, che avevo sempre considerato la mia figlioccia una personcina molto americana in tutte le onorevoli accezioni del termine, dubitavo che quel giovane latino tracagnotto avrebbe saputo cogliere l'elemento oltreoceanico del suo carattere; sicuramente, però, sarebbe stato per lei un amante ardente e leale. Lei, nella sua grazia sfumata, mi sembrava così tenera, così incantevole, così affascinante, da non lasciar credere ch'egli pensasse a questo più che all'altrettanto cospicua sostanza della quale, da buon italiano, doveva aver tenuto esatto conto: sospetto, questo, che non cessava di assillarmi. I beni terreni di lui consistevano nella tenuta paterna, una villa all'interno delle mura di Roma, che le sue magre risorse finanziarie avevano lasciato cadere in penoso abbandono. - È innamorata della villa non meno che del conte, - diceva la madre di Martha. - Sogna di convertire il conte, e va bene. Ma il suo sogno è di restaurare la villa! I tappezzieri vennero chiamati, credo, già prima del matrimonio, e vi fu un gran sfregare e spazzar saloni, un gran rastrellare e sarchiare viali e vialetti. Mentre aveva luogo questo cerimoniale, Martha compiva frequenti ispezioni; ma un giorno, tornandone, entrò nel mio studiolo con un'aria di comico orrore. Li aveva trovati intenti a grattare il sarcofago del grande viale di lecci, a spogliarlo del suo rivestimento di muschio, a scrostare la sacra muffa dei secoli! Era così che pensavano di rendere comoda la villa! Martha aveva ordinato agli uomini di trasportare il sarcofago nel luogo più umido che potessero trovare; giacché ciò che soprattutto apprezzava, subito dopo il sorriso - lento ad apparire e lento a scomparire - del suo Henry James
64
1970 - Racconti Di Fantasmi
innamorato, era la tinta rugginosa dei suoi marmi aviti. La conversione del giovane conte progrediva meno in fretta, e in verità ritengo che la fidanzata mettesse poco zelo nella faccenda. Nutriva per lui un amore così devoto da tener per certo che nessun mutamento di fede avrebbe potuto migliorarlo; per amor suo sarebbe stata pronta a dire le preghiere a Gesù Bambino il giorno dell'Epifania. Ma egli aveva il buon gusto di non richiederle un simile sacrificio, e io rimasi colpito dal felice significato d'una scena di cui fui casuale spettatore. Fu in San Pietro, un venerdì pomeriggio, durante la funzione dei vespri nella cappella del coro. Incontrai la mia figlioccia che passeggiava serena al braccio del suo innamorato, mentre la madre si era seduta vicino all'ingresso su un seggiolino pieghevole. La folla era radunata lì intorno e la maggior parte della basilica era vuota. Di tanto in tanto le acute voci dei coristi invadevano il grande spazio adiacente, dissolvendosi adagio nell'atmosfera greve d'incenso. Qualcosa nell'incedere della fanciulla e il modo in cui si teneva stretta al braccio del fidanzato mi fecero intuire la pienezza della sua soddisfazione. Quando, rovesciando il capo all'in-dietro, guardò verso la solenne immensità della volta e della cupola, mi fu chiaro che si trovava in quell'invidiabile stato d'animo in cui ogni senso si concentra su un unico punto, e che l'impressione derivantele dagli splendori circostanti era tutt'uno con l'estasi della sua fiducia. Si fermarono davanti a quel nero gruppo di confessionali poliglotti che così solennemente proclamano la peccaminosità del mondo, e mi parve che Martha asserisse con forza qualche cosa. Pochi minuti dopo li raggiunsi. - Non è forse d'accordo con me, caro amico, - disse il conte, sempre con la sua consueta, affabile deferenza, - che prima di sposare una creatura così dolce e pura come questa, dovrei accostarmi a uno di quei luoghi e confessare ogni peccato di cui mi son reso colpevole... ogni cattivo pensiero, impulso o desiderio della mia grossolana protervia? Martha lo fissò con uno sguardo un po' di protesta e un po' di omaggio, quasi a voler insistere sul fatto che il suo innamorato non poteva aver vizi, e nello stesso tempo che, se ne aveva, erano qualcosa di meraviglioso. - Ha sentito? - esclamò sorridendo. - Sarebbe un elenco lungo, e se aspetterai di averlo finito, farai tardi per le nozze. Ma se tu confessi i tuoi peccati per me, è solo giusto che io confessi i miei per te. Sa che cos'ho detto a Marco? - aggiunse rivolgendosi a me con quella confidenza semifiliale che mi aveva sempre dimostrato, mentre le guance le si tingevano di rosa. Henry James
65
1970 - Racconti Di Fantasmi
Che voglio fare per lui qualcosa di più di quanto fanno in genere le ragazze per il loro promesso: compiere un gran passo, correre qualche rischio, violare magari qualche legge! Sono dispostissima a cambiar religione, se lui me lo chiede. In certi momenti sono terribilmente stanca di stare a guardare a bocca aperta il cattolicesimo; sarà un sollievo venire a inginocchiarsi in una chiesa. Dopo tutto, le chiese sono fatte per questo! Perciò, Marco mio, se il pensiero che sono eretica getta un'ombra sul tuo cuore, andrò a inginocchiarmi davanti a quel buon vecchio prete ch'è appena entrato nel confessionale laggiù e gli dirò: «Padre, mi pento, abiuro, credo. Mi battezzi nell'unica fede». - Se è un omaggio al conte, - dissi io, - mi pare che toccherebbe a lui prevenirlo, rinunciando per te a qualcosa di altrettanto importante. Martha aveva parlato allegramente, con un sorriso e tuttavia con un sottofondo di ardore fanciullesco. Il fidanzato la guardò con un'espressione solenne, perplessa, e scosse il capo. - Conserva la tua religione, - disse. - A ciascuno la sua. Se tu volessi abbracciare la mia, temo che fra le tue braccia cingeresti un'ombra! Io non sono un buon cattolico, un buon cristiano! Tutti questi canti e riti e splendori io non li capisco. Da bambino non sono mai riuscito a imparare il catechismo, il mio povero vecchio confessore di tanti anni fa dovette rinunciarvi: mi diceva ch'ero un bravo ragazzo, ma un pagano! Tu non devi essere più devota di tuo marito; non che io capisca meglio la tua religione, ma ti prego di non cambiarla con la mia: se ha contribuito a far di te quella che sei, dev'essere buona -. E, presa la mano della fanciulla, stava per portarla teneramente alle labbra; ma a un tratto, ricordando che si trovavano in un luogo non consono alle passioni profane, la riabbassò con un sorriso divertito. - Andiamo via, - mormorò, passandosi una mano sulla fronte, -quest'aria pesante di San Pietro m'inebetisce ogni volta. In maggio si sposarono, e in estate ci separammo; la mamma della contessa attraversò l'oceano per illuminare della sua nobiltà riflessa la cerchia domestica. Quando io tornai a Roma in autunno, trovai la giovane coppia sistemata nella villa Valerio, ormai parzialmente riscattata dall'antico decadimento. Avrei desiderato che la mano delle migliorie avesse agito con maggior delicatezza, poiché – da quel vecchio e spregiudicato pittore di vestigia e rovine che ero, con l'occhio sempre rivolto ai «soggetti» - preferivo che le macerie fossero lasciate libere di macerarsi a loro talento. La mia figlioccia era della stessa opinione: Henry James
66
1970 - Racconti Di Fantasmi
apprezzava al massimo le antichità. Consultandosi con me, spesso, su progetti di modifiche, si rivelava talvolta più conservatrice di me, e io ebbi a sorridere più d'una volta del suo zelo archeologico e a dichiararle che pensavo avesse sposato il conte perché somigliava a una statua della decadenza. Ero stabilmente invitato a passare le mie giornate alla villa, e il mio cavalletto era sempre installato in uno dei viali del giardino. Mi sentivo sempre più attratto a dipingere in quel luogo, a familiarizzare con i suoi cespugli intricati, con gli alberi contorti, con le anfore ricoperte di muschio, i sarcofaghi ammuffiti e i malinconici busti di quei tetri antichi Romani che difficilmente avrebbero potuto permettersi un aspetto più arcigno. La proprietà non era molto vasta; ma, sebbene vi fossero molte altre ville più pretenziose e splendide, nessuna mi sembrava più squisitamente romantica, più visitata dai fantasmi del passato. Memorie aleggiavano nel profumo dei fiori selvatici, nel ronzio degli insetti. C'era, tra quei recessi solitari e abbandonati, un vecchio viale di lecci nel quale solevo passare religiosamente mezz'ora al giorno - poiché, debbo confessarlo, mezz'ora era il massimo del tempo che potevo resistere senza cominciare a starnutire. Gli alberi s'inarcavano e s'intrecciavano nella simmetria più perfetta sopra la cupa prospettiva; ed essendo l'intero viale esposto a ponente, il sole del tramonto vi trasfondeva una sorta di foschia dorata, giocando con mille dita vermiglie sopra le foglie, i rami nodosi, i marmi muschiati. Era pieno di frammenti di sculture dissepolte: statue senza nome, teste senza naso, sarcofaghi di rozza fattura che gli conferivano una deliziosa solennità. Le statue si ergevano in quella costante mezza luce come oggetti consapevoli, meditabonde su tutto ciò che avevano visto nei secoli. Io indugiavo accanto ad esse, quasi sperando che mi parlassero e mi raccontassero i loro segreti di pietra, che mi sussurrassero con voce roca i nascondigli dei loro compagni di disfacimento, ancora celati sotto terra. La mia figlioccia, innamoratissima, godeva di uno stato di felicità idilliaca. Io ero costretto ad ammettere che anche le regole più rigide hanno le loro eccezioni e che una volta tanto un conte italiano poteva essere un portento di autenticità. Marco era un originale perfetto (non una copia) e pareva molto soddisfatto dell'apprezzamento dimostratogli. La vita dei due era uno scambio infantile di carezze, candide e naturali come quelle di un pastore e di una pastorella in un poemetto bucolico. Passeggiare per il viale di lecci sentendo il braccio del marito cingerle la Henry James
67
1970 - Racconti Di Fantasmi
vita, e la spalla di lui contro la sua guancia; arrotolargli sigarette che lui fumava sbuffando nella grande rotonda pavimentata di marmo al centro della villa; riempirgli il bicchiere da una vecchia anfora rugginosa - erano queste le graziose mansioni che facevano la gioia della giovane contessa. A volte cavalcava con lui nell'ombra erbosa di acquedotti e di sepolcri, e a volte acconsentiva a che egli mostrasse la sua bella moglie a pranzi e balli romani. Dopo pranzo giocava con lui a domino e di tanto in tanto rispettava la buona norma di leggergli i giornali. L'osservanza di tale regola era soggetta a fluttuazioni, data l'invincibile tendenza del conte ad appisolarsi - debolezza che sua moglie non cercava mai di dissimulare o attenuare in alcun modo. Allora gli si sedeva vicino e gli scacciava le mosche, mentre lui giaceva statuariamente russando, e se per caso io m'avvicinavo lei si poneva un dito sulle labbra e sussurrava che, a suo giudizio, suo marito addormentato non era meno bello che da sveglio. Confesso che mi sentii sovente tentato di risponderle che era perlomeno altrettanto discorsivo, perché la felicità del giovane non aveva moltiplicato gli argomenti sui quali era disposto a conversare. Aveva un notevole buon senso, e in generale valeva la pena di sentire il suo parere su qualsiasi argomento pratico. Veniva spesso a sedersi vicino a me mentre io lavoravo al cavalletto e gratificava di amichevoli critiche ciò che stavo facendo. I suoi gusti erano un po' rozzi, ma possedeva un occhio eccellente, e la sua capacità di misurare le proporzioni fra un particolare del mio abbozzo e l'oggetto che cercavo di riprodurre era attendibile come quella d'uno strumento matematico. Ma mi sembrava d'avvertire in lui non so se uno strano riserbo o un'ancor più strana semplicità; mi faceva l'effetto d'essere totalmente sprovvisto di alcunché di lontanamente simile a un'idea. Non aveva credi né speranze né timori: nulla che non fosse senso, appetiti, gusti serenamente lussuosi. Spesso, mentre lo guardavo passeggiare intento a rimirarsi le unghie, mi domandavo se fosse dotato di qualcosa che si potesse propriamente definire anima, e se la buona salute e il buon carattere non fossero tutte le qualità positive che possedeva. «Fortuna che è di buon carattere, - ripetevo tra me, - perché, se non lo fosse, non ci sarebbe nulla nella sua coscienza capace di tenerlo a freno. Se non avesse nervi saldi ma fosse d'indole irascibile, ci strangolerebbe tutti come Ercole fanciullo strangolò i poveri serpentelli. È l'uomo allo stato di natura! Per fortuna di una natura buona, che mi consente di mescolare i colori a mio agio». Chissà a che pensava, chissà cosa gli passava per la mente nell'ozio Henry James
68
1970 - Racconti Di Fantasmi
solatio che sembrava escluderlo dal mondo dell'attività quotidiana: di quel mondo di cui, nonostante la mia passione d'imbrattare vecchie tavole ritraendo malamente statue muffite contro sfondi di bosso, continuavo a lusingarmi di far parte. Giungevo addirittura a credere che a volte si astraesse totalmente dal mondo. Aveva atteggiamenti in cui la sua consapevolezza appariva tanto remota e il suo intelletto così irresponsabile e sordo, che nulla sarebbe riuscito a stimolarlo se non un nuovo, tenero appellativo o qualche improvvisa violenza. Anche nella tenerezza che nutriva per sua moglie c'era qualcosa che mi metteva a disagio. Avesse o no un'anima lui stesso, pareva non sospettare che l'avesse lei. Io nutrivo un interesse paterno per lo sviluppo della parte immortale di Martha. Il mio affetto mi faceva credere che fosse una creatura suscettibile di vita morale; ma che ne sarebbe stato della sua vita morale in quell'interminabile luna di miele paganeggiante? Un bel giorno si sarebbe stancata dei beaux yeux del conte a avrebbe fatto appello al suo intelletto. Essa coltivava, a quanto sapevo, progetti di studio, di beneficenza, si proponeva di sostenere degnamente il suo ruolo di contessa Valerio, posizione per la quale le cronache di famiglia fornivano edificantissimi esempi. Ma se il conte trovava soporiferi i giornali, c'era da dubitare che avrebbe sfogliato velocemente le pagine di Dante per leggerle a sua moglie, o che avrebbe sorriso di gusto agli aneddoti del Vasari. Come poteva uno come lui consigliarla, istruirla, darle appoggio? E se fosse diventata madre, come avrebbe diviso con lei le responsabilità? Senza dubbio avrebbe trasmesso al figlioletto ed erede due solide paia di braccia e di gambe e una magnifica corona di riccioli; qualche volta si sarebbe tolta di bocca la sigaretta per baciare una fossettina; ma mi era difficile immaginarlo a prestar la propria voce per insegnare al robusto rampollo l'alfabeto o le preghiere o i rudimenti della virtù infantile. In verità il conte aveva una caratteristica che ne avrebbe fatto un piacevole compagno di giochi: portava in tasca una raccolta di preziosi frammenti di pavimenti antichi, pietruzze di porfido, malachite, lapislazzulo, basalto, scavate nel suo stesso terreno e rese lucenti dall'uso. Non di rado lo si vedeva intento a maneggiarle per una buona mezz'ora, divertendosi a gettarle in aria e poi riacchiapparle, a ordinarle in cerchio, a buttarle in alto una dopo l'altra e farsele ricadere sul dorso della mano. Era di un'abilità notevole: lanciava in alto un sassolino e prima che gli ricadesse in mano gettava, riprendeva e spostava tutti gli altri. Io lo stavo a osservare, Henry James
69
1970 - Racconti Di Fantasmi
affettuosamente preoccupato: da certi segni capivo che in Martha andava facendosi luce la sensazione d'essere, almeno un tantino, stranamente maritata. Col passare delle settimane mi parve una volta o due di leggere quei segni nel suo sguardo; pareva che ripensasse a certi miei vecchi discorsi nei quali avevo affermato - con quanto fondamento è senza dubbio opinabile - che un francese, un italiano, uno spagnolo, per quanto possa essere un'ottima persona, non sarà però mai capace di rispettare realmente la donna che afferma di amare. Per lo più, tuttavia, i miei allarmi, sospetti e pregiudizi si dissipavano facilmente nell'atmosfera incantata della nostra abitazione, romantica e classica insieme. Vivevamo fuori dal mondo moderno e gli scrupoli moderni ci erano estranei. Quel luogo era così luminoso, così pieno di pace, così sacro al silente, imperturbabile passato, che un'appaga-ta sonnolenza sembrava la sua legge naturale; e quando, a volte, seduto a dipingere, vedevo i miei compagni attraversare a braccetto l'orizzonte di uno di quei vasti panorami e poi, tornando alla mia tavolozza con quella radiosa visione negli occhi, avevo l'impressione che i colori fossero impalliditi, avrei potuto credere senza difficoltà di essere un vecchio cronista monastico, un copista impegnato a miniare una leggenda medievale. La decisione presa dal conte, cedendo alle pressioni di sua moglie, di dare inizio a una serie di scavi sistematici, contribuì a rasserenare la mia disposizione di spirito. Gli scavi sono un lusso costoso: né Marco né i suoi più recenti antenati avevano mai posseduto i mezzi per una ricerca archeologica disinteressata. Ma sua moglie si era convinta che il calpestatissimo suolo della villa fosse pieno di tesori sepolti come un dolce di nozze è pieno di uva passa, e che sarebbe stato un grazioso omaggio all'antica dimora che l'aveva accolta come padrona il devolvere parte della propria dote alla rimessa in luce dei suoi vetusti trofei. Non era aliena, penso, dall'immaginare che una simile liberalità avrebbe concorso a purificare i suoi dollari yankee dallo sgradevole lezzo mercantile. Si munì di erudite istruzioni in materia, e di lì a poco sarebbe stata pronta a giurarvi, sulla base di presupposti irrefutabili, che una colossale Minerva di bronzo, menzionata da Strabone, aspettava placidamente d'esser risuscitata a cento metri di distanza dall'angolo di nord-ovest della casa. Invitò a pranzo un paio di vecchi antiquari asmatici, li esortò a inusitate libagioni, li spedì a passeggiare sui terreni; e sebbene fossero in totale Henry James
70
1970 - Racconti Di Fantasmi
disaccordo su qualsiasi argomento al mondo, ciascuno le assicurò che ricerche ben condotte avrebbero probabilmente consentito un'ine-guagliata messe di scoperte. Il conte si era mostrato non solo indifferente ma addirittura ostile al progetto, e più d'una volta aveva posto termine in tono insolitamente aspro alle compiaciute allusioni fatte al riguardo dalla consorte. - Lasciali stare in pace, quei poveri dèi diseredati, tutte le Minerve, Apolli e Cereri che sei così sicura di trovare, - le aveva detto, non interrompere il loro sonno. Che vuoi da loro? Non possiamo adorarli. Vorresti metterli su un piedestallo per starli a rimirare beffardamente? Se non puoi credere in loro, non li disturbare, e che riposino in pace! Ricordo che fui molto colpito da una confessione estortagli da sua moglie: rispondendo a certe rimostranze ch'essa gli fece in tal senso, affermò scherzosamente di essere davvero un gran superstizioso. - Sì, perbacco, sono superstizioso! - esclamò. - Troppo, forse! Ma io sono un italiano all'antica, e devi prendermi come sono. Qui si sono viste e fatte cose che si lasciano dietro strani influssi! Certamente non hanno presa su di te, che vieni da un'altra razza; ma io li avverto spesso nel mormorio delle foglie, nell'odore della terra putrida, nello sguardo vacuo delle statue. Io, le statue, non le posso guardare in faccia. In quelle orbite vuote mi sembra di vedere altri strani occhi, e non riesco a capire quel che mi dicono. Per me sono fantasmi, queste povere vecchie statue; e, in coscienza, ce ne sono già abbastanza qui attorno, che guatano, che scrutano in ogni angolo d'ombra! Basta con gli scavi, o io non rispondo dei miei nervi! Questa autodenuncia della ipersensibilità di Marco era troppo bizzarra per non sembrare a sua moglie quasi una celia; e sebbene io intuissi che nascondeva dell'altro, una celia era cosa tanto rara in lui che mi sarebbe rincresciuto mutare in sospetto il sorriso di quella brava figliola. E fu il suo sorriso ad avere la meglio: di li a qualche giorno, infatti, arrivò una specie di esperto archeologo o commissario agli scavi, con una dozzina d'operai irti di picconi e di vanghe. Dal canto mio ero segretamente infastidito da quelle misure energiche, perché, malgrado il mio amore per le sculture dissepolte, mi spiaceva veder tormentare la terra e deploravo i rumori profani che d'ora innanzi avrebbero turbato l'assonnata quiete dei giardini. Mi era particolarmente antipatico il personaggio che guidava le operazioni: un brutto nanerottolo, simile in tutto e per tutto a un genietto sotterraneo, a uno gnomo degl'inferi. Andava intorno forzando il terreno, con un sorrisetto maligno che tradiva il suo piacere più per il denaro che il signor Henry James
71
1970 - Racconti Di Fantasmi
conte avrebbe seppellito là sotto che non quello per le sculture e i bronzi sperati. Una volta smosse le prime zolle, l'umore del conte parve assai cambiato: la curiosità aveva avuto in lui il sopravvento sugli scrupoli. Annusava deliziato il profumo della terra umida e, mentre gli operai scavavano sempre più a fondo, stava ad osservarli con sguardi di compiaciuta ammirazione; ogni volta che una picconata risuonava contro un sasso lanciava un grido acuto, e solo l'assicurazione datagli dal piccolo perito che si trattava di un falso allarme, lo tratteneva dal balzare dentro lo scavo. La prospettiva di scoperte imminenti sembrava agire sui suoi nervi; più d'una volta mi accadde d'incontrarlo mentre passeggiava inquieto tra i suoi viali di cedri, quasi che avesse finalmente imparato anche lui a riflettere. Mi prendeva per un braccio e mi faceva passeggiare al suo fianco, tenendomi lunghi discorsi sulle probabilità di una «scoperta». Quel suo improvviso accalorarsi mi stupiva non poco: mi chiedevo se ciò che l'interessava era il passato o il futuro -ossia l'interesse intrinseco di eventuali Minerve e Apolli, oppure il loro valore di mercato. Quando il conte visitava gli scavi e - come avveniva molto spesso - prendeva a rimproverare d'infingardaggine il suo piccolo esercito di badilanti, quel soldo di cacio di soprintendente ai lavori mi guardava con una strizzatina d'occhi, quasi a insinuare che a volte gli scavi sono una trappola. Si rimase parecchio tempo nell'incertezza perché furono compiuti diversi tentativi infruttuosi, si fecero sondaggi nei punti sbagliati. Il conte era scoraggiato: ne faceva fede la ripresa dei suoi pisolini. Ma il mastro scavatore, che aveva idee precise in proposito, prosegui nelle sue sagaci fatiche; seduto al mio cavalletto, io udivo il gaio rumore dei picconi che urtavano contro le pietre rimosse, e ogni tanto mi fermavo per un'incontrollabile accelerazione dei battiti del mio cuore. «Potrebbe darsi davvero, - mi dicevo, - che qualche capolavoro marmoreo si stesse scrollando nel sentir diminuire il peso della terra! I buoni pesci del mare non sono mai stati pescati tutti! E se mi chiamassero a salutare il ritorno alla celebrità di un altro Antinoo, o di una Venere, di un Fauno, di un Augusto?» Una mattina mi parve di aver inteso per più di mezz'ora un alternarsi di voci insolitamente vivace; ma, tutto assorto com'ero in un punto complicato del mio lavoro, non indagai. D'un tratto un'ombra cadde sulla mia tela; io mi voltai a guardare. Il piccolo scavatore mi stava a lato col berretto in mano, lo sguardo scintillante, la testa grondante sudore. Nel cavo del suo braccio era adagiato un frammento di marmo sporco di terra. Henry James
72
1970 - Racconti Di Fantasmi
In risposta alla mia occhiata interrogatrice lo sollevò per mostrarmelo, e vidi una bella mano femminile. - Venga! - mi disse semplicemente, e mi fece strada verso lo scavo. Gli operai erano così fittamente radunati presso la buca aperta che non vidi nulla finché egli non li fece scostare. Allora, in pieno sole, e quasi rimandandone il riflesso ad onta delle scure incrostazioni, vidi, sostenuta da pietre contro un mucchio di terra, una maestosa figura marmorea. Mi sembrò poco meno che gigantesca, sebbene subito dopo mi rendessi conto che le sue proporzioni erano solo quelle di una donna eccezionalmente alta. Le tempie presero a pulsarmi, perché intuii che mi trovavo di fronte a qualcosa di grande, e che essere fra i primi a conoscerla era un vero privilegio. La sua bellezza perfetta le conferiva un aspetto quasi umano, e i suoi occhi assenti sembravano ricambiare con stupore i nostri sguardi. Era avvolta in un ampio drappeggio: capii perciò che non si trattava di una Venere. - E una Giunone, - asserì con sicurezza l'esperto; e sembrava in effetti l'incarnazione di una supremazia, di una calma celestiale. La sua bella testa, cinta da una semplice fascia, non si sarebbe potuta chinare che in un cenno d'imperio; gli occhi guardavano dritto davanti a sé, la bocca era di un'implacabile gravità; una delle due mani era protesa come se avesse tenuto una verga di comando; l'altro braccio, mutilato della mano, pendeva lungo il fianco in atteggiamento maestoso e regale. La lavorazione era estremamente delicata, e sebbene l'opera mostrasse forse un'espressione personale più decisa del consueto, nel complesso era trattata nello stile semplice e naturale del grande periodo ellenistico. Era un capolavoro di maestria e un miracolo di conservazione. - Il conte è informato? - domandai subito, provando come il rimorso che i nostri occhi stessero defraudandola di qualche cosa. - Il signor conte sta facendo la siesta, - rispose il padrone col suo sogghigno scettico. - Preferiamo non disturbarlo. - Eccolo che viene! - gridò uno degli operai, e tutti fummo subito pronti a fargli strada. Evidentemente la sua siesta era stata interrotta all'improvviso: era rosso in viso, coi capelli arruffati. - Ah, ma il mio sogno... il mio sogno era giusto, allora! - egli esclamò mentre, immobile, fissava la statua. - Che cos'ha sognato? - gli domandai, poiché la sua faccia esprimeva piuttosto costernazione che gioia. - Che avevano trovato una meravigliosa Giunone, e che s'era alzata e mi era venuta incontro e aveva posato la sua mano di marmo sulla mia, Henry James
73
1970 - Racconti Di Fantasmi
rispose il conte tutto eccitato. - Santissima Vergine! - proruppe sgomento uno degli sterratori che l'aveva ascoltato. - Sì, signor conte, e questa è la mano! - asserì il soprintendente sollevando verso di lui il frammento perfetto. - È mezz'ora che me la tengo qui, al sicuro; impossibile, dunque, che l'abbia toccata! - Ma è chiaro che lei non s'è sbagliato sul punto che fosse una Giunone, dissi io. - L'ammiri pure a suo talento -. E mi voltai; preferivo, se il conte era superstizioso, non metterlo in imbarazzo standolo a osservare. Raggiunsi in fretta la casa per recare la notizia alla mia figlioccia, che trovai assopita - senza sogni, si sarebbe detto - sopra un grosso volume di archeologia. - Hanno toccato il fondo, - le dissi, - hanno trovato una statua dello stile di Fidia o di Prassitele, a dir poco! - Essa lasciò cadere il libro e suonò per farsi portare un parasole. Le descrissi la statua, ma, temo, in modo poco aderente al vero, perché Martha fece una smorfietta ironica. - Un lungo peplo a pieghe? - ripetè. - Che strano! Non riesco a credere che sia bella. - E bella quanto basta a renderti gelosa, figlioccia mia, - replicai. Trovammo il conte in piedi, fisso nella contemplazione della dea risorta, a braccia conserte. Sembrava essersi ripreso dall'impressione del sogno, ma mi parve che il suo volto tradisse un'emozione ancor più profonda. Era pallido, e non reagì all'affettuosa stretta di braccio della moglie. Non sono sicuro, però, che l'atteggiamento di lei non fosse piuttosto un ammirato tributo alla perfezione di quella figura. Uscendo nel giardino, ella aveva continuato a ridere del mio entusiasmo, e io m'ero risovvenuto di un'asserzione letta non so più dove: che alle donne manca la percezione della bellezza più pura. Tuttavia Martha sembrava rendersi lentamente conto dell'infinita maestà della nostra Giunone. La rimirò a lungo in silenzio, appoggiata al marito, e poi scese, un po' esitante, sulle pietre che facevano da rozzo sostegno alla statua. Appoggiò le mani rosee, senza guanti, sulle dita di pietra della dea, e per qualche istante le tenne caldamente avvinte, fissando i suoi occhi vivi su quella fronte cieca. Quando si voltò verso di me, gli occhi le brillavano delle lagrime che a volte può provocare una profonda ammirazione e che, in quel momento, suo marito era troppo assorto per rilevare. Evidentemente egli aveva già ordinato di sturare - in onore degli sterratori che avevan fatto la scoperta un barilotto di vino che fu portato e aperto sul posto; il piccolo perito, Henry James
74
1970 - Racconti Di Fantasmi
versato il primo bicchiere, si fece avanti col cappello in mano e presentò cerimoniosamente il calice alla contessa. Ella se ne inumidì solo le labbra e lo porse al marito, il quale lo alzò con gesto meccanico all'altezza della bocca; poi si fermò di colpo, lo tenne alto un istante, e infine, con mossa lenta e solenne, lo versò ai piedi della dea. - Oh, - esclamai, - questa è una libagione! - Egli non rispose e si allontanò a passi lenti. Quel giorno non si lavorò più. Gli uomini stettero sdraiati sull'erba, assaporando da buoni romani il gusto di una bella scultura, ma senza sprecare il vino in riti pagani. La sera il conte fece un'altra visita alla dea e dette ordini perché all'indomani fosse trasportata nel chioschetto. Chiamavano così un padiglione abbandonato che sorgeva nel giardino, dalla non sgradevole architettura imitante un tempio ionico, nel quale i progenitori di Marco dovevano essersi spesso radunati a sorbire freschi sciroppi da bicchieri veneziani, ascoltando madrigali e altri concerti*. Conteneva alcuni preziosi frammenti di sculture antiche, ed era sufficientemente spazioso per ospitare quella più ricca collezione di cui la Giunone cominciava ad apparire al mio animo entusiasta il nucleo originario. E ben presto, infatti, essa vi venne collocata, serenamente eretta su un piedistallo abbastanza solido, costituito da un cippo funerario rovesciato. Il minuscolo soprintendente, che era, a quanto pareva, un provetto esperto di operazioni di restauro, la strigliò e la scrostò con misteriosa perizia, rimosse le macchie di terra, le restituì tutto il lustro della sua bellezza. Le ferme, raffinate fattezze della dea sembravano risplendere di una sorta di rinascente purità, e se non fosse stato per quella mano spezzata, si sarebbe potuto credere che avesse appena ricevuto l'ultimo colpo di scalpello. La sua presenza non rimase segreta. Di lì a due o tre giorni una mezza dozzina di conoscenti curiosi s'erano messi in coda per averne visione. Mi capitò d'esser presente quando il primo di questi signori (un tedesco con gli occhiali blu e una cartella sottobraccio) si presentò alla villa. Il conte, udita la sua voce all'ingresso, venne avanti squadrandolo freddamente da capo a piedi. - A mio avviso, signor conte, - cominciò il tedesco, - la sua nuova Giunone è più probabilmente una certa Proserpina... - Non ho né una Giunone né una Proserpina di cui discutere con lei, replicò seccamente il conte. - Lei è male informato. - Non ha dissepolto una statua? - esclamò il tedesco. - Che scandalosa Henry James
75
1970 - Racconti Di Fantasmi
presa in giro! - Nessuna degna della sua erudita attenzione. Mi dispiace che si sia disturbato a portare fin qui il suo libretto d'appunti -. Il conte era diventato di colpo spiritoso! - Ma senza dubbio lei ha qualcosa. E voce comune in tutta Roma. - Al diavolo la voce! - esclamò il conte esasperato. - Non ho niente!... Ha capito? Abbia la bontà di riferirlo ai suoi amici! La risposta era stata esplicita, e il povero archeologo riparti scuotendo la zazzera color lino. A me però fece compassione e osai muovere al conte qualche rimostranza. - Tanto varrebbe che fosse restata sotto terra, se nessuno deve vederla, - dissi. - Devo vederla io: io e basta! - rispose lui con la stessa insolita asprezza di prima. E un attimo dopo, accortosi che lo guardavo insospettito, sgomento e sorpreso: - Mi faceva orrore con quel suo gigantesco album. Ne avrebbe fatto un disegno orribile. - Ah, questa è per me, - risposi. - Anch'io avevo in animo di farne un piccolo schizzo. Tacque per qualche istante, poi si volse e mi afferrò il braccio, meno irritato, ma con singolare gravità. - Ci vada verso il crepuscolo, - disse, - e resti seduto un'ora a guardarla. Credo che rinuncerà al suo schizzo. E se no, caro vecchio amico... faccia come crede! Seguii il suo consiglio e, rispettando la nostra amicizia, rinunciai al mio abbozzo. Ma un artista è un artista, e io mi struggevo in segreto dal desiderio di tentare. Ai domestici vennero impartiti ordini severi in conformità alla risposta data dal conte al nostro amico tedesco, e costoro, con coscienza italianamente tranquilla e cordiale capacità di persuasione assicurarono tutti i successivi postulanti che purtroppo erano stati male informati. In verità non dubito che, in mancanza di occasione più favorevole, riuscirono a rendere remunerative le loro espressioni di rammarico. Per il momento furono sospese ulteriori operazioni, ad evitare di recar affronto all'incomparabile Giunone. Gli operai se ne andarono, ma il piccolo esperto continuò a bazzicare da quelle parti saggiando il suolo per proprio diletto. Un giorno venne da me con la sua solita smorfia ambigua. - La bella mano della dea, - mormorò, - che fine ha fatto? - Io non l'ho più veduta da quando lei mi ha chiamato ad ammirarla. Ricordo che, quando me ne andai, era adagiata sull'erba, presso lo scavo. - Dove l'avevo posata io stesso! Poi, è scomparsa. Pare impossibile! Henry James
76
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Sospetta qualcuno dei suoi uomini? Un frammento come quello renderebbe più scudi di quanti la maggior parte di loro ne abbia mai visti! - Alcuni, forse, sono più ladri di altri. Ma, se richiamassi il più mascalzone del gruppo e lo accusassi, il conte si metterebbe di mezzo. - Eppure anche il conte dev'essere consapevole del valore di quella bella mano. Lo pseudo archeologo si guardò attorno e ammiccò. - Ne è così consapevole ch'è stato lui a sottrarla. Questa è la mia convinzione, e credo che meno ne parliamo meglio è. - Sottrarla? Ma, caro signore, dopo tutto è di sua proprietà. - Quanto a questo, non sono d'accordo! Una meraviglia come quella è più o meno proprietà di tutti: ognuno di noi ha il diritto di guardarla! Ma il conte la tratta come se fosse una santa immagine della Madonna; la tiene sotto chiave e va a vederla da solo. Che altro può fare? Quando una bella donna è di marmo, tutto quello che se ne può fare è guardarla. E cosa fa di quella mano preziosa? La tiene in un cofano d'argento, ne ha fatto una reliquia! - E con un grottesco sghignazzo il cinico personaggio si allontanò. Mi lasciò ad almanaccare con disagio su che diavolo avesse voluto dire. Certo, il conte aveva deciso di circondare la sua Giunone di mistero; ma nella prima estasi del possesso la cosa appariva naturale. Io ero pronto ad attendere il permesso di avvicinarmi alla statua e, intanto, mi rallegravo di constatare che l'apatia costituzionale di Marco aveva trovato un limite. Però, col passare dei giorni, cominciai a rendermi conto che il suo godimento non era comunicativo, ma stranamente freddo, schivo, riservato. Il fatto che si estasiasse per una dea marmorea non era un motivo perché disprezzasse il genere umano, eppure egli sembrava proprio fare odiosi confronti con noi. Né da quella ridicola proscrizione era eccettuata la sua affascinante consorte. Talvolta, quando cercavo di persuadermi che, come compagno, il conte non fosse né peggiore né migliore del consueto, una certa espressione sul viso di lei contraddiceva la mia superficiale opinione. Martha non diceva nulla, ma aveva uno sguardo perplesso che muoveva a compassione. A volte stava a fissarlo con occhi imploranti di curiosità, quasi che sul momento fosse troppo sorpresa per essere irritata. Su cosa avvenisse tra loro in privato, io non avevo naturalmente alcun diritto di indagare. Nulla, temevo -e questo appunto era il guaio! Come pure faceva parte del guaio ch'egli rimanesse impenetrabile a quei muti Henry James
77
1970 - Racconti Di Fantasmi
sguardi e vagasse con gli occhi al disopra della testa di lei con aria di altera distrazione. Ogni tanto pareva rendersi conto che anch'io non sapevo cosa pensare del suo stato, e allora per un istante nei suoi occhi spenti passava come un baleno, un po' - si sarebbe detto - per una sorta di sinistra ironia, un po' per un impulso di giustificazione inspiegabilmente represso non appena lo avvertiva. Ma da sua moglie teneva inesorabilmente distolto lo sguardo; e quando Martha gli si avvicinava con qualche malinconico tentativo di tenerezza, l'accoglieva con un brivido mal dissimulato. La situazione mi pareva orribilmente assurda, tanto che finii col detestare il conte e tutto ciò che gli apparteneva. «Avevo mille volte ragione, - mi ripetevo, - un conte italiano può anche essere un gran signore, ma sempre conte italiano rimane! Fosse un bel ragazzone robusto del nostro sangue, non ci giocherebbe nessuno di questi oscuri tiri da vecchio mondo! Io, che pure aspiravo ad essere un artista, non raccomanderò mai più un marito di antiche tradizioni!» Persi il piacere di frequentare la villa con le sue ombre violette e le sue luci d'ambra, i marmi muschiosi e la lunga striscia del profilo dei Colli Albani. Non riuscivo più a dipingere: tutto mi sembrava brutto. Seduto, pasticciavo con la tavolozza e mi pareva di mescolare i colori con la mota. Lugubri pensieri mi si affollavano nella mente, un peso insopportabile mi opprimeva il cuore. Nella mia immaginazione il povero conte divenne una cupa efflorescenza del cattivo germoglio innestato dalla storia nella sua stirpe. Nessuna meraviglia che fosse predestinato ad essere crudele. Non era infatti la crudeltà una tradizione della sua razza, il crimine un modello di vita? Le empie passioni dei progenitori rivivevano incurabili nella sua natura rozza, esigendo sordamente uno sfogo. Quale pesante retaggio mi sembrava l'interminabile ascendenza del conte, mentre cercavo di farne il calcolo nelle mie meditazioni malinconiche! Risalendo indietro alla dissipata rinascenza di arti e di vizi, e più indietro all'intrico di guerre medioevali, e indietro ancora alle lunghe, corrusche tenebre dell'età di mezzo, fino alle sue onerose origini nel massiccio stato romano ripercorrendo all'indietro tutta l'oscura storia, quel retaggio incombeva incessante, perdendo via via ogni diritto alle mie simpatie. Simili precedenti erano di per sé un anatema; e la mia cara fanciulla aveva sperato che una simile tradizione potesse sovrapporsi leggera e gradevole alla sua intima essenza come la piuma posata sul suo cappellino! Non so bene quanto durasse questa penosa situazione. La persistente reticenza della mia figlioccia e la mia incapacità di offrirle una parola di conforto la Henry James
78
1970 - Racconti Di Fantasmi
fecero sembrare più lunga. Una donna sensibile, delusa del suo matrimonio, dà fondo a tutte le sue risorse inventive prima di rivolgersi ad altri per consiglio. Le preoccupazioni del conte, quali che fossero, lo rendevano sempre più inquieto: andava e veniva a caso, nervoso, improvviso; faceva lunghe cavalcate da solo e, da quanto arguivo, di rado osservava la formalità di scusarsene con sua moglie; e tuttavia, col passare del tempo, non faceva nulla per spiegare il suo mistero. Col volgere dei mesi, però, confesso che la mia ansia cominciò a temperarsi di compassione. Se m'ero aspettato di vederlo propiziarsi gl'inesorabili antenati col perpetrare un misfatto, ora che il suo carattere onesto sembrava aver rifiutato loro quella soddisfazione, provavo per lui una specie di gratitudine mista a rancore. Uno non poteva essere così infernalmente depresso senza sentire bisogno di simpatia, fosse disposto o no a confessarlo. Marco m'aveva sempre trattato con quella deferenza d'altri tempi che si deve a una barba grigia, quella deferenza per la quale gli anziani riservano una particolare predilezione di fronte alle mode che passano; e io stimai possibile che alla fin fine mi permettesse di intervenire con mano salutare a lenire la sua pena. Una sera, dopo essermi accomiatato dalla mia figlioccia e averle dato la mia alquanto inefficace benedizione con un silenzioso bacio, uscii in giardino, e trovai il conte seduto alla mite luce delle stelle. Teneva gli occhi fissi su un Ermes ammuffito, che sorgeva da un ciuffo d'oleandri. Mi sedetti accanto a lui e gli dissi chiaro che la sua condotta richiedeva una spiegazione. Girò un poco la testa e le sue nere pupille scintillarono per un istante. - Capisco, - disse, - lei mi crede pazzo! - e si batté sulla fronte. - No, pazzo no, ma infelice. E se l'infelicità corre a briglia sciolta, la mente, senza dubbio, è sottoposta a una grande fatica. Tacque un momento e poi: - Non sono infelice! - esclamò d'un tratto. Sono terribilmente felice. Non può credere la soddisfazione che provo a starmene qui seduto, a fissare quel vecchio Ermes consunto dalle intemperie. In un primo tempo mi faceva paura: il suo cipiglio mi ricordava un vecchio prete dalle sopracciglia folte che fu mio maestro di latino e che mi guardava truce al disopra del libro quando incespicavo nel tradurre Virgilio. Ma ora mi sembra l'oggetto più caro, più allegro del mondo, e mi ispira visioni quanto mai dilettevoli. Duemila anni fa avrà fatto il broncio nel giardino di qualche antico romano, avrà visto calpestare i viali da piedi calzati da sandali, avrà veduto chinarsi sopra il vino teste Henry James
79
1970 - Racconti Di Fantasmi
inghirlandate di rose. Ha conosciuto banchetti e riti antichi, antichi credenti, antiche divinità. Mi parla il suo muto linguaggio mentre sto qui a sedere, e mi descrive ogni cosa! No, no, amico mio, io sono il più felice degli uomini! Avevo negato di ritenerlo pazzo, ma d'un tratto cominciai a sospettarlo: non trovavo nulla di rassicurante in quella singolare rapsodia. Per miracolo l'Ermes aveva conservato il naso; e nel riflettere che la mia cara contessa veniva trascurata a causa di quel blocco pagano inanimato, mi ripromisi in segreto di venir l'indomani con un martello a vibrargli un colpo gagliardo, così da renderlo troppo ridicolo per quel genere di sentimentale tète-à-tète. Intanto però l'infatuazione del conte non era argomento su cui scherzare, e nel dirgli, dopo una pausa, che gli raccomandavo di consultarsi con un prete o con un medico, espressi la mia convinzione più sincera. Scoppiò in una risata fragorosa. - Un prete! Che dovrei farmene di un prete, o che se ne farebbe lui di me? Non li ho mai amati, io, i preti, e adesso ne ho meno intenzione che mai. Un prete! - ripeté, posandomi una mano sul braccio, - mio caro amico, non mi metta intorno un prete se ha a cuore la sanità di mente di quel poveretto! Una mia confessione lo spaventerebbe al punto di farlo uscir di senno! Quanto a un medico, non sono mai stato meglio in vita mia; e a meno che, - soggiunse all'improvviso, alzandosi in piedi e guardandomi di traverso, - a meno che lei abbia intenzione di avvelenarmi l'esistenza, le consiglio, per carità di Dio, di lasciarmi in pace. Non c'era dubbio: il conte era proprio ammattito, e per alcuni giorni mi mancò l'animo di tornare alla villa. Come dovevo trattarlo, che atteggiamento dovevo assumere, qual era il contegno che richiedevano la felicità e la dignità di Martha? Vagavo per Roma rimuginando questi problemi, e un pomeriggio mi trovai nel Pantheon. Aveva preso a cadere una pioggerella primaverile, e mi ero affrettato a cercar rifugio nella vasta rotonda che gli altari cristiani hanno solo parzialmente convertita in chiesa. Nessun monumento romano ha conservato pili di questo l'impronta della vita antica né la forma impressagli dalle antiche credenze, i cui templi erano più nobili dei loro dèi. L'enorme cupola scura sembra serbare per l'orecchio dello spirito un vago riflesso di culto pagano, così come la conchiglia raccolta sulla spiaggia serba il rumore del mare. Tre o quattro persone erano disperse davanti ai vari altari; un'altra stava vicino al centro del tempio, sotto l'apertura della cupola. Avvicinandomi, mi accorsi che Henry James
80
1970 - Racconti Di Fantasmi
quella persona era il conte. Era piantato lì, con le mani dietro la schiena a guardare in su, prima alle nuvole grevi di pioggia che attraversavano il grande occhio di bue, e subito dopo al cerchio coperto di spruzzi sul pavimento, a quell'epoca ancora screpolato e stupendamente antico. L'ampio spazio, a diretto contatto con le intemperie, era ammuffito, muscoso e verdeggiante come una striscia coltivata a giardino. Fra le screpolature delle lastre era spuntata un'erbetta tenera i cui germogli microscopici rilucevano nella pioggia. Questo libero afflusso di masse atmosferiche, penetrando dalla volta scoperchiata, elimina interamente gli abituali effluvi d'incenso e di sego e ci riporta a una fede che aveva un rapporto di reciprocità con la natura. Tale effetto pareva lo avesse sortito sul conte; gli era dipinta in viso un'indefinibile espressione estatica, ed era cosf rapito in contemplazione che ci volle un po' prima che si accorgesse della mia presenza. In cielo il sole lottava con le nuvole, e continuava a cadere una sottile pioggia, scendendo di sbieco nel vano semibuio in una sorta di spruzzaglia luminosa. Il conte guardava ogni cosa con gli occhi incantati con cui un bambino guarda una fontana; poi si volse premendosi la fronte con una mano e si avviò verso uno di quegli altari abbastanza posticci. Qui si fermò di nuovo con lo sguardo fisso, ma un attimo dopo tornò sui suoi passi, nel punto in cui stava prima. Solo allora mi riconobbe ed ebbe la sensazione - suppongo - dello sguardo curioso con cui dovevo averlo seguito. Mi fece un cenno di saluto con la mano e infine mosse alla mia volta. Era in uno stato di esaltazione nervosa, ma faceva del suo meglio per mostrarsi naturale. - Questo è il più bel posto di Roma, - mormorò. - Vale cinquanta San Pietro. Ma lo sa che fino all'altro giorno non c'ero mai venuto? Lo lasciavo ai forestieri, a quelli che se ne vanno in giro con i loro libri rossi e i loro binocoli, e leggono di questo e di quello, e credono di conoscerlo. Ah! è un luogo che bisogna sentire, sentire la bellezza e l'opportunità di quel gran lucernario aperto. Di lassù ora non entra che vento e pioggia, sole e freddo; ma una volta... una volta, - e mi toccò un braccio con uno strano sorriso, ne scendevano dèi e dee pagani per prender posto ai loro altari. Che processione, se gli occhi della fede potessero vederla! Invece, ecco che cosa ci hanno dato al posto! - E scrollò le spalle con aria di compatimento. - Avrei voglia di tirar giù quei loro quadri, rovesciare i loro candelabri, avvelenare la loro acqua santa! - Mio caro conte, - gli dissi affabilmente, - dovrebbe essere più tollerante Henry James
81
1970 - Racconti Di Fantasmi
con la fede semplice del popolo. Vorrebbe ristabilire l'Inquisizione a vantaggio di Giove e di Mercurio? - È la mia fede che il popolo non tollererebbe, se ne avesse il sospetto! esclamò. - S'è fatto tanto discorrere delle persecuzioni pagane, ma i cristiani non erano da meno come persecutori, e nelle caverne e nei boschi si adoravano gli antichi dèi non meno dei nuovi. Com'era giusto, del resto: essi abitavano proprio nelle caverne, nei boschi e nei fiumi, nella terra, nell'aria e nell'acqua. E lì... e anche qui, a dispetto di tutte le vostre lustrazioni cristiane, un figlio dell'Italia antica riesce ancora a trovarli! Aveva detto più di quanto ne avesse intenzione, e aveva gettato la maschera. Lo guardai fisso e sentii un moto repentino di quella compassione che sempre si prova per una creatura irresponsabile. Pareva che avessi individuato l'origine del suo tormento, e il sollievo che ne trassi fu grande, perché la mia scoperta mi fece venir voglia di uscire in una risata. Ma mi limitai a sorridergli benevolmente. Egli ricambiò la mia occhiata con sospetto, quasi volesse giudicare fino a che punto si fosse tradito; e nel suo sguardo in qualche modo lessi che aveva una coscienza alla quale si poteva fare appello. Gliene fui così grato da esser disposto a ringraziarne tutti gli dèi che voleva. - Badi, badi, - gli dissi, - sta dicendo certe cose che se il sacrestano sentisse e andasse a ripeterle...! - e, presolo sottobraccio, lo condussi via. Ero spaventato e scandalizzato, ma anche divertito, confortato. A un tratto il conte era diventato ai miei occhi un fenomeno piacevolmente stravagante, e passai il resto della giornata a meditare sulla curiosa incancellabilità delle caratteristiche nazionali. «Un vigoroso giovanotto latino» avevo definito il povero Marco, e, per Dio! di vigore ne aveva più di quanto avessi immaginato! La discrezione era ormai fuori luogo, e l'indomani ne parlai con la mia figlioccia. Negli ultimi tempi essa aveva sperato, credo, che l'aiutassi a togliersi quel peso dal cuore, perché subito diede sfogo alle lagrime, confessando d'esser disperata. - In principio, disse, - avevo creduto che fossero tutte fantasie, che non si trattasse di minore affetto da parte sua, ma di maggiori pretese da parte mia. Poi, all'improvviso fui assalita come da un gelo mortale: fui convinta che avesse cessato di volermi bene, che qualcosa si fosse frapposto tra noi. E ciò che mi rendeva perplessa era l'assenza di una qualsiasi causa possibile nella mia condotta, o di un indizio che ci fosse di mezzo un'altra donna. Mi sono stillata il cervello per scoprire che cosa avevo potuto dire o fare o Henry James
82
1970 - Racconti Di Fantasmi
pensare che gli fosse dispiaciuto! Eppure lui se ne va attorno come uno che abbia ricevuto un'offesa troppo profonda per lagnarsene. Non mi ha mai detto una parola dura, non mi ha mai guardata con aria di rimprovero. Ha rinunciato a me, ecco tutto. Sono uscita dalla sua vita. Parlava con un piccolo tremolio nella voce, cosf patetico che fui sul punto di dirle che avevo risolto l'enigma, e questo significava già una mezza vittoria. Ma avevo paura della sua incredulità. La mia soluzione era così fantastica, così astrusa in apparenza, così assurda che decisi di aspettare una prova convincente. Per ottenerla continuai a tener d'occhio il conte, di nascosto e con prudenza, ma con un'attenzione resa ormai intensamente acuta dalla mia disinteressata curiosità. Tornai alla mia pittura senza trascurare pretesto alcuno per aggirarmi nel parco in prossimità del padiglione. Il conte, credo, sospettava i miei piani, o quanto meno i miei sospetti, e sarebbe stato contento di rammentare almeno quel che si era lasciato sfuggire nel Pantheon in mia presenza. Ma il mio interesse per la sua strampalata situazione era reso più intenso dal fatto che, per quanto riuscivo a leggere nel suo viso accigliato, sembrava anche se con un certo disprezzo - avermi perdonato. Di tanto in tanto, passandomi vicino, mi lanciava un'occhiata in cui una muta richiesta d'aiuto pareva lottare con la certezza che uno come me non l'avrebbe mai capito. Io ero più che disposto ad aiutarlo, ma il caso era estremamente delicato, e io volevo restare arbitro dei sintomi. Intanto lavoravo, aspettando e ponendomi degli interrogativi. Ah! interrogativi me ne ponevo, ve l'assicuro, e senza tregua; per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad abituarmi alla mia idea. A volte essa mi si offriva con un fascino così perverso da togliermi ogni desiderio d'intromettermi nella faccenda. Il conte mi si presentava come un raffinato studio psicologico, e la mia delicatezza di sentimento sembrava dettarmi un affettuoso rispetto per la sua delusione. Qualche volta chiudevo gli occhi con un vago desiderio di trovare, riaprendoli, Apollo sotto l'albero di fronte che baciava pigramente il suo flauto, o di vedere Diana discendere a gran passi il viale dei lecci. Ma per lo più il mio ospite mi appariva come un giovane infelice, con una morbosa piega della mente che occorreva appianare al più presto. Se però il rimedio doveva essere all'altezza della malattia, che dose imponente ne sarebbe stata necessaria! Una sera, dopo aver dato la buonanotte alla mia figlioccia, m'avviai per raggiungere a piedi, come al solito, il mio appartamento sul Corso. Cinque Henry James
83
1970 - Racconti Di Fantasmi
minuti erano passati dacché avevo lasciato il cancello della villa, quando m'accorsi d'aver dimenticato là gli occhiali, oggetto per me d'uso costante. Mi ricordai subito che, mentre dipingevo, s'era spezzato il cordoncino col quale li tenevo appesi al collo, e che li avevo agganciati provvisoriamente al ramoscello d'un mandorlo in fiore lì accosto. Poco dopo avevo raccolto le mie cose e m'ero ritirato, dimentico degli occhiali; e siccome ora ne avevo bisogno per leggere il giornale della sera al Caffè Greco, non v'era altra scelta che tornare sui miei passi e staccare le lenti dal ramoscello. Le ritrovai facilmente e m'indugiai un poco ad osservare nella notte l'insolito aspetto del luogo ch'era stato oggetto del mio studio durante il giorno. La notte era splendida, satura del respiro della precoce primavera romana. Si stava levando rapida la luna, che giocava coi suoi scacchi d'argento nelle pesanti masse d'ombra. Nel contemplare quel gioco m'inoltrai nel giardino e all'improvviso mi trovai di fronte al padiglione. Proprio allora la luna, rimasta celata per un momento, toccò con un raggio bianco una figuretta marmorea che ornava il timpano del piccolo e un po' lezioso edificio. Il rilievo ch'essa andava prendendo mi suggerì l'idea che avevo sotto gli occhi uno spettacolo di natura più rara: quello stesso influsso - pensai - doveva convenirsi in modo speciale alla Giunone prigioniera. La porta del padiglione era chiusa come di consueto, ma il chiaro di luna inondava le finestre altolocate di tanta luce da rendere la mia curiosità ostinata e immaginosa. Trascinai fuori dal portico una panchina, la collocai in po’ sizione e riuscii ad arrampicarmici sopra portandomi col petto all'altezza di una delle finestre. L'intelaiatura, cedendo alla mia lieve spinta, girò sui cardini e mi mostrò ciò che aspettavo: una trasfigurazione. La bella statua, bagnata dal freddo chiarore lunare, risplendeva d'una purità che la rendeva incontestabilmente divina. Se alla luce del giorno il suo ricco pallore dava l'impressione di uno sbiadito color oro, il suo aspetto adesso era simile all'argento leggermente appannato. L'effetto che ne derivava era quasi terribile: una così espressiva bellezza non poteva essere inanimata. Questa fu la mia prima osservazione; lascio al lettore di stabilire se la seconda fu meno interessante. A qualche distanza dai piedi della statua, fuori dal fascio di luce, scorsi una figura appiattita sul pavimento, prosternata, a quanto pareva, in atto di devozione. Non saprei spiegare perché tale visione completasse l'effetto altamente suggestivo della scena. In effetti essa conferiva all'abbagliante immagine l'aspetto di una vera dea, la cui maschera marmorea esprimeva una specie di Henry James
84
1970 - Racconti Di Fantasmi
consapevole fierezza. Non occorre dire che nell'adoratore prostrato riconobbi immediatamente il conte; e mentre indugiavo a guardare, quasi nello sforzo di interpretare il pieno significato di quel suo atteggiamento, il chiarore della luna si spostò illuminandogli il petto e il viso. Vidi allora che teneva gli occhi chiusi, e che dormiva, o forse era caduto in deliquio. Osservandolo con attenzione scorsi che respirava regolarmente: non v'era quindi motivo d'allarme. La luce lunare gli sbiancava il volto, già di per sé pallido di stanchezza. Era venuto alla presenza della dea, obbedendo a quella fantasiosa passione i cui sintomi ci avevano dato tanto motivo di meraviglia, e spossato - fosse per l'acquiescenza o per la passività di lei - le era caduto ai piedi in uno stato d'inebetito torpore. Tuttavia, l'influsso lunare presto lo ridestò; borbottò qualche parola e si sollevò da terra, lo sguardo vagante nel vuoto. Poi, resosi conto della sua condizione, si alzò in piedi e rimase per qualche minuto a guardare intento, con un'espressione che non mi parve del tutto umilmente devota. Pronunciò una sequela di parole smozzicate, di cui non riuscii ad afferrare il senso, e poi, dopo un'altra pausa e un gemito prolungato e triste, si volse lentamente verso la porta. Lesto e silenzioso quanto possibile, discesi dal mio posto d'osservazione, passai dietro il chioschetto e di lì a un istante udii la chiave girare nella toppa e il rumore dei passi che si allontanavano. Il giorno dopo, imbattendomi in giardino nel soprintendente agli scavi, lo affrontai agitandogli contro un dito, con l'intenzione di mostrarmi particolarmente severo. Ma egli si limitò a sghignazzare -da quel malizioso coboldo a cui l'avevo sempre paragonato - arriciandosi i baffi, come se il mio gesto di minaccia fosse una gran burla. - Se continuerà a scavare altre buche qui intorno, - gli dissi, -scaraventeremo lei nella più profonda di tutte e la copriremo con un bello strato di terra. Di scoperte se ne son fatte abbastanza; statue non ne vogliamo più. La sua Giunone per poco non ci ha rovinati. Egli scoppiò a ridere. - Me l'aspettavo! Avevo una mia teoria, io! - Che cos'era la sua teoria? - Che il signor conte avrebbe cominciato a recitar le sue orazioni davanti a quella. - Santo cielo! È un caso così comune? Come mai se l'era immaginato? - Al contrario, è un caso insolito. Ma ho frugacchiato così a lungo nella mostruosa eredità del tempo antico che ho imparato una quantità di segreti... ho imparato che le reliquie antiche possono operare miracoli Henry James
85
1970 - Racconti Di Fantasmi
moderni. In tutti noi, non parlo di voi, illustrissimi forestieri, c'è un elemento pagano, e gli dèi d'un tempo hanno conservato i loro adoratori. Lo spirito antico serpeggia ancora qua e là, e il signor conte ne ha la sua dose. È un brav'uomo, ma, detto fra noi, è un pessimo cristiano! - E il singolare personaggio riprese la sua impertinente ilarità. - Se le sue previsioni erano così precise, avrebbe dovuto farmene parola, - gli dissi. - Avrei mandato a spasso i suoi sterratori! - Eh, la Giunone però è così bella! - Al diavolo la sua bellezza. Mi sa dire cos'è diventata quella della contessa? Per gareggiare con la dea, sta diventando di marmo anche lei. - Eh, ma la Giunone vale cinquantamila scudi! - obiettò scrollando le spalle. - Ne darei centomila purché scomparisse. Chissà, dopo tutto forse le ordinerò di scavare un'altra buca. - Al suo servizio! - mi rispose con una mezza riverenza, mentre io gli volgevo le spalle. Un paio di giorni dopo, come spesso m'accadeva, pranzai con i miei ospiti, incontrandomi faccia a faccia col conte per la prima volta dopo le sue prosternazioni nel padiglione. Ne portava il segno, e rimase insolitamente taciturno e assorto. Mi parve di capire che il sentiero della fede antica non era tutto rose, e che Giunone si faceva ogni giorno una padrona più difficile da servire. Il pranzo era a malapena terminato ch'egli s'alzò da tavola e prese il cappello. Nel far ciò, passando accanto a sua moglie, esitò un attimo, si fermò, e le rivolse - per la prima volta, suppongo - quello sguardo vagamente implorante ch'io avevo colto sovente. Ella mosse le labbra, tentando qualche inarticolata parola di solidarietà, e gli tese le mani. Egli la trasse a sé, la baciò con violenza quasi brutale, e se ne andò. L'occasione era propizia, ogni ulteriore indugio inutile. - E molto strano quello che ho da raccontarti, - cominciai a dire alla contessa, - molto improbabile, molto poco credibile. Ma forse la cosa è meno brutta di quanto tu possa temere. Nella faccenda c'è proprio una donna! La tua rivale è Giunone. Il conte, come dire? il conte la prende au sérieux -. Martha tacque, ma dopo un istante mi toccò il braccio con una mano, e io compresi ciò che voleva significare: quella che io avevo espresso era la sua convinzione. - Tu ammiravi tanto quella sua semplicità da uomo dei tempi antichi: vedi fino a che punto s'è spinta! E tornato alla Henry James
86
1970 - Racconti Di Fantasmi
religione dei suoi padri. Dormiente com'era da secoli, quell'imperiosa immagine l'ha tacitamente ridestata. Egli crede in quelle genealogie che tu ti sforzavi d'imparare a memoria, sgualcendo il tuo libro scolastico di mitologia. In poche parole, figliola cara: Marco è un antropomorfista. Sai cosa significa? - Temo di scandalizzarla terribilmente, - rispose, - se le dico che gli auguro felicità con qualsiasi fede, purché la divida con me. Sono pronta a credere in Giove, se lui me lo chiede! Non è questo il motivo del mio dolore: che mio marito sia se stesso! Il mio dolore è l'abisso di silenzio e d'indifferenza che s'è aperto fra noi. La sua Giunone è la realtà: io sono la finzione! - Da qualche tempo mi sono fatto una ragione di questo abisso di silenzio, della tua momentanea perdita d'importanza. Dopo la favola, la morale! Il poveretto per metà è stato sopraffatto, ma l'altra metà protesta ancora. L'uomo moderno si trova esiliato nel buio insieme con la sua irreprensibile consorte. Come può egli non aver sentito, sia pure vagamente e approssimativamente se così doveva essere, ma con ogni palpito del suo cuore, che tu sei un più perfetto esperimento della natura, un più maturo frutto del tempo, che non quegli esseri primitivi per i quali Giunone era fonte di terrore e che prendevano Venere a modello? Egli ti fa l'omaggio di crederti un irriducibile esemplare dell'età moderna. Ha attraversato l'Acheronte, ma ti ha lasciata indietro, come pegno per il presente. Noi lo indurremo a riscattare codesto pegno. I fantasmi antichi degli avi dovrebbero essere paghi quando una bella creatura come te ha sacrificato la parte migliore della propria vita. Lui ha dimostrato di essere uno dei Valerii: noi faremo in modo che sia l'ultimo, ma che nondimeno la sua scomparsa lasci il conte Marco in ottima salute. Avevo parlato con fiducia, e in certo modo la nutrivo davvero, perché mi sembrava che, se il conte poteva essere commosso, ciò doveva accadere grazie alla sensazione che la sua straordinaria passeggiata spirituale non lo aveva fatto detestare da sua moglie. Chiacchierammo a lungo e con esito felice, perché, prima che la lasciassi, la mia figlioccia espresse il desiderio di uscire per dare un'occhiata alla Giunone. - Ne ho avuto paura quasi fin dall'inizio, - mi disse, - e in pratica non l'ho più vista da quando è stata messa nel chioschetto. Forse avrò una lezione da imparare da lei, forse riuscirò a capire come fa ad ammaliarlo! Esitai un momento, temendo che potessimo disturbare le devozioni del Henry James
87
1970 - Racconti Di Fantasmi
conte. Ma un'ombra che scorsi sul viso della povera ragazza mi suggerì che lei pure aveva avuto lo stesso pensiero; allora, spinto dal subitaneo impulso di cogliere la vittoria nel cuore del pericolo, le offersi coraggiosamente il braccio. La notte era nuvolosa, sicché c'era da credere che la dea trionfante avrebbe dovuto per questa volta far assegnamento sulla propria lucentezza. Ma, avvicinandoci al padiglione, mi accorsi che la porta era dischiusa e l'interno illuminato. La lampada era sospesa dirimpetto alla statua e ci mostrava che il vano era vuoto. Era chiaro però che il conte era appena stato lì. Davanti alla statua s'ergeva un altare sommariamente improvvisato, composto di un informe frammento di marmo antico, su cui stava incisa un'iscrizione greca illeggibile. Sembrava proprio di trovarci in un tempio pagano; e mentre contemplavamo la serenità della dea, credo che entrambi sentissimo aleggiare per un istante il soffio della apostasia. E forse quella sensazione sarebbe andata crescendo, se non l'avessimo bruscamente dimenticata scorgendo uno strano luccichio sulla fronte del piccolo altare. Un secondo sguardo ci rivelò che quello era sangue! La mia compagna mi guardò, pallida d'orrore, e si voltò con un grido. Una miriade di sinistre congetture mi si affollò alla mente, e per un momento fui preso dal ribrezzo. Ma mi sovvenni infine che c'è sangue e sangue, e che nella loro epoca aurea i Romani antichi non offrivano sacrifizi umani. - Sta' tranquilla, - le dissi, - è sangue innocentissimo: un agnello, un capretto o un vitellino da latte! - Ma i nervi e la coscienza di Martha non ressero alla vista di quel rivolo porporino, ed ella tornò a casa nella massima agitazione. Il resto della notte non le riportò la calma. Il conte non era rientrato, e lei lo aspettò alzata, un'ora dopo l'altra. Io le rimasi accanto, fumando il mio sigaro il più compostamente possibile; ma fra me e me mi domandavo che cosa mai di orribile gli fosse accaduto. A poco a poco, col passar delle ore, giunsi a una vaga interpretazione di quelle pratiche inconsuete _ un'interpretazione non meno valida che gradita, in quanto relativamente ottimistica. Le gocce di sangue sull'altare almanaccavo - erano il saldo del suo debito e segnavano la fine della sua allucinazione. Erano state una fausta necessità, perché dopo tutto egli era una creatura troppo generosa da non odiarsi per averle versate, da non aborrire un idolo così ostinatamente crudele. Aveva vagato qua e là per ritrovare se stesso in solitudine, e sarebbe tornato a noi con cuore pentito, Henry James
88
1970 - Racconti Di Fantasmi
con mente avida di conoscere! Tutto questo, però, mi sarebbe stato assai più facile crederlo se avessi potuto udire il suo passo nell'atrio. Con la luce grigia dell'alba lo scetticismo minacciava di farsi strada e, non trovando pace, mi recai sotto il portico. Pochi momenti dopo lo vidi attraversare il prato con passo pesante, coperto di fango e palesemente sfinito. Doveva aver camminato tutta la notte, e il viso denotava un'agitazione dello spirito non minore di quella del corpo. Mi passò vicino e prima di entrare in casa si fermò, mi guardò un istante e poi mi tese la mano. L'afferrai con calore, e mi parve che palpitasse di tutto ciò ch'egli era incapace di esprimere. - Vuol vedere sua moglie? - chiesi. Si passò una mano sugli occhi e scosse il capo. - Ora no... non ancora... un momento o l'altro! - rispose. Fui deluso, ma riuscii a convincere Martha che il demonio era ormai esorcizzato. Essa provò, poverina, un perdonabile desiderio di solennizzare l'evento. Io tornai alla mia abitazione, passai la giornata a Roma e verso il crepuscolo feci ritorno alla villa. La contessa, mi fu detto, era in casa. Sulle prime la cercai con prudenza, pensando che, tutto sommato, rischiavo di disturbare le naturali conseguenze di una riconciliazione; ma, non avendola trovata, mi diressi verso il padiglione e mi trovai faccia a faccia col piccolo impresario beffardo. - Per caso Vostra Eccellenza ha con sé venti metri di corda robusta? - mi domandò con aria grave. - Pensa forse d'impiccarsi per i guai che ha combinato? - replicai - E proprio un problema d'impiccagione, glielo garantisco. La contessa ha dato disposizioni. Potrà ritrovarla nel padiglione. Con quella sua vocetta gentile, sa bene come farsi obbedire. Sulla porta del piccolo edificio stava una mezza dozzina di operai dall'aspetto vagamente solenne, simili a inservienti avventizi per un funerale di prima classe. La contessa era all'interno, e il suo atteggiamento forniva la soluzione dell'indovinello del soprintendente. Teneva gli occhi fissi sulla Giunone che, rimossa dal suo piedestallo, era distesa in tutta la sua mirabile lunghezza su una specie di rozzo giaciglio. - Avete capito? - disse. - E bella, è nobile, è preziosa, ma deve tornarsene da dove è venuta! - E con un gesto appassionato sembrò descrivere una tomba aperta. Io ero al colmo della contentezza, ma giudicai opportuno accarezzarmi il mento con aria perplessa. - Vale cinquantamila scudi, -dissi. Henry James
89
1970 - Racconti Di Fantasmi
Ella scosse tristemente il capo. - Se anche la vendessimo al papa e distribuissimo il denaro ai poveri, non ne trarremmo profitto. Deve tornare indietro... deve tornare indietro! Dobbiamo soffocare la sua bellezza nell'orrore della terra. Mi dà quasi l'impressione di essere viva; ma ieri sera, quando mio marito è tornato e ha rifiutato di vedermi, ho provato la sensazione ineluttabile ch'egli non sarà più se stesso finché lei resterà sopra la terra. Per tagliare il nodo bisogna seppellirla! Magari ci avessi pensato prima! - No, prima no! - risposi, scuotendo il capo a mia volta. - Voglia il cielo compensare il nostro sacrificio adesso! Quando ricomparve, il piccolo perito non aveva precisamente l'aria di un emissario d'influenze soprannaturali, ma, ciò che più contava, si mostrò abile e solerte. Di tanto in tanto emetteva un gemito mezzo inarticolato, a guisa di protesta contro la crudeltà della contessa; io, però, lo vidi scrutare in disparte la statua giacente con occhi che parevano tradire una maliziosa soddisfazione per il fatto di stare sopra un punto imprecisato del terreno, e ghignare tanto che gli altri lo guardarono sorpresi. Aveva portato con sé fune in abbondanza e, fatto un cenno ai suoi assistenti che sollevarono energicamente la lettiga, apri la marcia verso lo scavo originale che, con l'idea di ulteriori ricerche, non era stato ricoperto. Quando raggiungemmo l'orlo del sepolcro era ormai calata la sera, e la venustà della nostra vittima di marmo era avvolta in un fosco velo. Nessuno parlava -se non proprio per vergogna, quanto meno per rimpianto. Qualunque ne fosse la causa, la nostra messinscena aveva, a dir poco, un che di mostruosamente profano. Furono disposte le funi e la Giunone venne lentamente calata nel suo letto di terra. La contessa raccolse un pugno di terriccio e lo lasciò cadere con solennità sul seno della statua. - Possa esserti lieve, ma per sempre! - esclamò. - Amen, - gridò il piccolo soprintendente, con un'inflessione stranamente beffarda; e allontanandosi ci fece un inchino che tradiva la gradita consapevolezza di conoscere il luogo dov'eran sepolti cinquantamila scudi. I suoi dipendenti si ebbero una botticella di vino, col risultato, per loro, di un arresto totale di coscienza e una susseguente irreparabile confusione di mente circa il luogo in cui avevano fatto uso delle loro vanghe. La contessa non aveva ancora rivisto suo marito, il quale si era evidentemente messo in comunicazione col grande dio Pan. Naturalmente io ero poco propenso a lasciarla sola nell'incontro con i risultati della sua Henry James
90
1970 - Racconti Di Fantasmi
memorabile iniziativa. Ella si avviò lentamente nel salotto e finse di occuparsi d'un certo ricamo; ma in realtà stava coraggiosamente dandosi un contegno in vista di una «spiegazione». Io presi in mano un libro, ma lo trovai ugualmente poco interessante. Sul finir della sera udii un movimento dalla soglia e vidi il conte sollevare il tendaggio di arazzi che nascondeva la porta cercando in silenzio sua moglie. Aveva gli occhi scintillanti, ma non d'ira. Non aveva più trovato la Giunone - e aveva tirato un bel respiro di sollievo! La contessa teneva gli occhi fissi sul lavoro, tendendo i fili di seta come una vivente immagine di serenità domestica. Quella visione parve affascinarlo: avanzò a passi lenti, quasi in punta di piedi, raggiunse il camino e si fermò un momento, dedicandole di sottecchi tutta l'attenzione possibile. Che cosa fosse passato o stesse passando nella sua mente lascio a voi d'intuire. La mano della mia figlioccia tremava nel levarsi e nel ricadere, mentre le gote riprendevano colore. Infine alzò gli occhi e sostenne lo sguardo di lui, nel quale sembrava concentrarsi tutta la fede riconquistata. Egli esitò un istante, come se proprio il perdono di Martha tenesse aperto quell'abisso che si era schiuso fra loro; poi fece qualche passo avanti. S'inginocchiò, affondando il capo nel grembo di lei. Io me ne uscii come il conte era entrato: in punta di piedi. Marco non diventò mai, a ben vedere, un uomo interamente moderno; ma un giorno, anni dopo, quando un visitatore al quale egli stava mostrando il suo gabinetto azzardò qualche domanda circa una mano di marmo appesa in un cantuccio appartato, il conte si fece grave e girò la chiave della custodia. - È la mano di una bella creatura, - spiegò, - che un tempo ho molto ammirato. - Ah... Una romana? - chiese il visitatore con un sorrisetto ambiguo. - Una greca, - rispose accigliato il conte. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
L'INQUILINO FANTASMA Avevo ventidue anni ed ero appena uscito dal college. Libero com'ero di scegliermi una carriera, non avevo avuto esitazioni nella decisione. Più tardi, in verità, rinunciai alla mia scelta con uguale prontezza, e tuttavia non ebbi mai a rimpiangere quei due anni di gioventù, pieni di esperienze controverse ed esaltanti, ma al tempo stesso piacevoli e ricche di frutti. Avevo un'inclinazione particolare per la teologia: durante il trimestre Henry James
91
1970 - Racconti Di Fantasmi
universitario ero stato un infatuato lettore del dottor Channing. La sua era una teologia di gusto gradevole, che sembrava offrire la rosa della fede sfrondata delle sue spine. E poi (giacché ritengo che il fatto abbia a che vedere col mio racconto) m'ero preso d'entusiasmo per l'antica Facoltà di Teologia. Ho sempre avuto considerazione per lo scenario che fa da sfondo al dramma umano, e mi pareva che in quell'angolo appartato e tranquillo di casistica discreta, col suo rispettabile viale da una parte e, dall'altra, la sua prospettiva di verdi prati confinanti con acri di bosco, avrei potuto svolgere il mio compito con buona probabilità di successo (almeno per me). Per chi ama i boschi e i campi, Cambridge, da allora, è mutata in peggio e la zona di cui parlo ha perduto molta della sua quiete fra pastorale e scolastica. A quel tempo era una specie di aula magna in mezzo ai boschi - una commistione affascinante. Ciò che è adesso non ha nulla a che vedere con la mia storia; e non dubito che vi siano ancora giovani laureandi assetati di dottrina che, passeggiando in quei luoghi nei crepuscoli d'estate, si ripromettano di gustarne più tardi l'atmosfera distensiva. Quanto a me, non ero stato deluso. M'ero installato in una grande stanza quadrata, dalle pareti a mansarda, con sedili profondi sotto le finestre e, dopo aver attaccato ai muri stampe di Overbeck e di Ary Scheffer, e aver sistemato i libri ordinandoli con grande meticolosità nelle nicchie accanto all'ampio ripiano del caminetto, m'ero dedicato alla lettura di Plotino e sant'Agostino. V'erano tra i miei compagni due o tre giovani intelligenti e socievoli, coi quali di tanto in tanto centellinavo un boccale accanto al fuoco; e fra stimolanti letture, discorsi profondi, libagioni coscienziosamente innocue e lunghe passeggiate per la campagna, la mia iniziazione al ministero sacerdotale procedeva abbastanza piacevolmente. Con uno dei miei compagni avevo stabilito un più stretto sodalizio, e trascorrevamo insieme gran parte del tempo. Egli soffriva, purtroppo, di una debolezza cronica a un ginocchio, il che lo costringeva a condurre vita molto sedentaria; io, invece, ero un camminatore metodico, e ciò portava a una certa divergenza di abitudini fra noi. Sovente io partivo per la mia passeggiata quotidiana senz'altro compagno che un bastone in mano o un libro in tasca. Ho sempre trovato però compagnia sufficiente nell'uso delle gambe e nel godimento illimitato dell'aria aperta; a ciò dovrei forse aggiungere che il dono naturale d'un paio d'occhi acutissimi mi procurava una sorta di piacere mondano. Eravamo in rapporti eccellenti, i miei occhi e io; essi erano osservatori infaticabili di tutto quanto incontravano per via, Henry James
92
1970 - Racconti Di Fantasmi
e, purché ne fossero soddisfatti, io non chiedevo di meglio. In effetti, è alla loro abitudine d'indagare che debbo il possesso di questa curiosa storia. Gran parte della campagna intorno alla vecchia cittadina universitaria è ancor oggi assai amena, ma trent'an-ni fa lo era di più. La molteplice eruzione di cartapesta edilizia, che ora abbellisce il paesaggio in direzione delle collinette azzurre di Waltham, non si era ancora verificata: non erano ancora sorti quei civettuoli villini a mortificazione di prati spelacchiati e di stecchiti frutteti - accostamento che negli anni successivi non giovò né all'uno né all'altro elemento del contrasto. Certi incroci di straducole tortuose mi sono rimasti nella memoria come un'immagine ben più viva e genuina; e, più in là, le solitarie casette sparse sui lunghi pendii erbosi, acquattate sotto l'immancabile grande olmo che incurvava a mezz'aria il suo fogliame come spighe sporgenti da un covone di grano, se ne stavano incappucciate nei loro tetti di scandole di abete, affatto ignare della moda dei tetti alla francese: facevano pensare a vecchie contadine incartapecorite che portassero tranquille la tradizionale cuffia aderente, neppur vagamente presaghe di quei copricapi a tesa rialzata che avrebbero messo impudicamente in mostra le loro fronti venerande. Era quello un inverno cosiddetto «mite»; molto freddo, ma con poca neve; le strade erano compatte e deserte, e il maltempo mi aveva raramente costretto a rinunciare alla mia passeggiata. In un grigio pomeriggio di dicembre scelsi come meta il vicino borgo di Medford, e già stavo sulla via del ritorno, mantenendo un passo regolare e osservando i colori pallidi e freddi - l'ambra trasparente e il rosa sbiadito che velavano a ponente il cielo invernale e mi facevano pensare al sorriso disincantato delle labbra di una bella donna. Con il calar del crepuscolo giunsi a una stradicciola che non avevo mai percorsa, e che pensai potesse costituire una scorciatoia verso casa. Avevo ancora circa tre miglia di strada, ero in ritardo e sarei stato contento che le miglia fossero solo due. La imboccai, camminai per altri dieci minuti e mi accorsi allora che la strada aveva un aspetto molto solitario. Le carreggiate apparivano tracciate da tempo; il silenzio sembrava particolarmente percettibile. Eppure, in fondo alla strada c'era una casa: la via, dunque, doveva essere stata in qualche modo frequentata. Da un lato si levava un alto argine naturale, in cima al quale era appollaiato un pometo i cui rami intricati stendevano una specie di rozzo merletto nero sopra il roseo occidente infreddolito. In breve raggiunsi la casa, che destò subito il mio interesse. Vi sostai davanti Henry James
93
1970 - Racconti Di Fantasmi
osservandola attentamente, non avrei saputo dire perché, ma con un vago miscuglio di curiosità e di timore. Anche se era una casa come molte altre dei dintorni, forniva però senza dubbio un bell'esempio della propria categoria sociale. Sorgeva sopra un erboso pendio, aveva a fianco il solito grande olmo, con le fronde che ricadevano imparzialmente tutt'in giro; alle spalle aveva il vecchio coperchio nero del pozzo. Di proporzioni assai vaste, colpiva per l'aspetto di solidità e di robustezza del suo legno. Inoltre, era carica d'anni, perché il lavoro d'intaglio sul portone e sotto le grondaie, abbondante e minuzioso, la faceva risalire almeno alla metà del secolo scorso. Una volta era stata tutta dipinta di bianco, ma le poderose spalle del tempo, appoggiate da cent'anni a quegli stipiti, avevano messo a nudo la vena del legno. Dietro l'edificio si stendeva un frutteto di meli, insolitamente nodosi e irreali, che nell'infittirsi del crepuscolo apparivano consunti, esausti. Tutte le finestre della casa avevano imposte arrugginite, senza sportellini e accuratamente chiuse. Intorno non v'era segno di vita: la casa appariva vuota, deserta, spoglia, e tuttavia, mentre indugiavo lì davanti, mi pareva contenere un significato familiare, un'udibile eloquenza. Ho sempre ripensato alla prima impressione che mi destò quella grigia dimora in stile coloniale, come a una prova del fatto che l'induzione può essere talvolta strettamente affine alla divinazione; giacché, dopo tutto, nulla nel suo aspetto esteriore poteva giustificare la grave conclusione cui ero giunto. Balzai indietro e mi portai sul lato opposto della strada. Sul punto di svanire, il tramonto mandò un ultimo bagliore rossastro che per un istante si soffermò languido sull'argentea facciata della vecchia casa. Con regolarità perfetta toccò, uno dopo l'altro, i piccoli pannelli di vetro della finestri-na a forma di ventaglio posta sopra la porta, illuminandola di luce irreale. Infine dileguò, lasciandosi dietro un'atmosfera più cupa. In quel momento, con accento di profonda convinzione, mi dissi: «Questa è una casa infestata dagli spiriti!» Non so perché, ne fui immediatamente certo, e dato che non mi ci trovavo rinchiuso, l'idea mi procurò un senso di piacere. Era qualcosa d'implicito nell'aspetto dell'edificio, e che lo spiegava. Mezz'ora prima, se me l'avessero chiesto, avrei risposto, come si conveniva a un giovane dedito alla ricerca sistematica di confortanti visioni del soprannaturale, che non esistono case infestate dai fantasmi. Ma quella che mi stava dinnanzi dava un senso concreto a quelle parole vuote; era una casa corrotta nello spirito. Henry James
94
1970 - Racconti Di Fantasmi
Più la guardavo e più intenso appariva il segreto che racchiudeva. Ne feci il giro, cercando di sbirciare qua e là attraverso una fessura delle imposte; mi presi la soddisfazione puerile di posare una mano sulla maniglia a pomolo facendola girare pian piano. Se la porta avesse ceduto, sarei entrato? Avrei cercato di penetrare in quel silenzio di tenebra? Per fortuna non ci fu bisogno di mettere alla prova la mia audacia: il portone era mirabilmente solido e non riuscii nemmeno a scuoterlo. Alla fine mi allontanai, continuando a volger indietro lo sguardo. Proseguii per la mia strada e, dopo una marcia più lunga di quanto mi fossi aspettato, raggiunsi la strada maestra. A una certa distanza dal punto in cui vi sboccava il lungo sentiero di cui ho parlato, si ergeva una dimora comoda, ordinata, il prototipo della casa da cui i fantasmi stanno assolutamente lontani - una casa senza sinistri misteri e che altro non conosceva all'infuori di una solida agiatezza. La verniciatura bianca e linda spiccava tranquilla nella penombra; il portico sormontato da rampicanti era ricoperto di paglia in vista dell'inverno. Davanti all'uscio un vecchio calesse, tirato da un solo cavallo e carico di due visitatori in partenza, stava per allontanarsi; dalle finestre libere da tendaggi scorsi il salotto illuminato e la tavola ancora imbandita per il tè improvvisato in anticipo a ristoro degli ospiti. La padrona di casa, che aveva accompagnato gli amici fino al cancello, sembrò indugiare un momento dopo che il calesse si fu avviato cigolando, un po' per seguirli con lo sguardo, un po' per rivolgere a me, che passavo nella penombra, un'occhiata interrogativa. Era una donna giovane, vivace, graziosa, dagli occhi scuri e penetranti, e io, facendomi coraggio, mi fermai e le rivolsi la parola. - Quella casa che si trova laggiù, - dissi, - lungo la stradina a circa un miglio di qui, quella casa isolata, mi sa dire di chi è? Ella mi fissò per un istante e, mi parve, arrossi un pochino. - Noi non facciamo mai quella strada, - rispose laconica. - Ma è una scorciatoia per Medford, - obiettai. Scosse leggermente il capo. - Forse finirebbe per rivelarsi una strada più lunga. Comunque, noi non ce ne serviamo. La cosa era interessante. Una prospera famiglia yankee doveva avere le sue buone ragioni per tenere in dispregio sistemi che aiutano a risparmiare tempo. - Ma lei conosce la strada, almeno? - domandai ancora. - Be', l'ho vista. - E a chi appartiene? Henry James
95
1970 - Racconti Di Fantasmi
La signora uscì in una risatina e volse altrove lo sguardo, quasi si rendesse conto che, all'orecchio di un forestiero, le sue parole potevano sembrar permeate di superstizione contadina. - Direi che appartiene a chi ci sta dentro. - Ma ci sta qualcuno? È perfettamente chiusa. - Fa lo stesso. Non escono mai, e non vi entra mai nessuno -. E mi volse le spalle. Ma io insistetti, posandole rispettosamente una mano sul braccio: - Vuol farmi credere che è abitata dagli spiriti? Ella si ritrasse, rossa in viso; accostò un dito alle labbra e si affrettò a rientrare. Un attimo dopo vennero abbassate le tende ai vetri delle finestre. Per diversi giorni pensai più volte a quella piccola avventura, assaporando tuttavia il piacere di tenerla per me. Se la casa non era abitata da fantasmi, era inutile rendere di pubblico dominio le mie capricciose fantasie; e se lo era, era bello vuotare la coppa dell'orrore senza farne partecipe chicchessia. Decisi, naturalmente, di ripassare da quella strada; e una settimana più tardi - era l'ultimo giorno dell'anno - rifeci lo stesso cammino. Mi avvicinai alla casa venendo dalla direzione opposta e la raggiunsi pressapoco alla stessa ora della volta precedente. Il giorno stava per finire, il cielo era basso e grigio; lungo la stradicciola arida e nuda gemeva il vento, sospingendo in lenti mulinelli le foglie annerite dal gelo. La malinconica dimora sembrava volersi avvolgere nel crepuscolo invernale, dissimulandovisi fino a diventare invisibile. Io non sapevo bene che cosa ero venuto a fare fin lì, ma avevo l'impressione che, se stavolta il pòmolo avesse girato e la porta si fosse aperta, avrei preso il coraggio a due mani e lasciato che si richiudesse alle mie spalle. Chi erano i misteriosi inquilini a cui aveva alluso la brava signora dell'angolo? Che cosa era stato visto o sentito, che cosa se ne diceva? La porta si rivelò ostinata come prima, e nonostante i miei irriguardosi armeggìi con la serratura, nessuna finestra si spalancò al piano di sopra, nessuno strano viso pallido si affacciò. Mi arrischiai perfino a sollevare il battente rugginoso, scotendolo cinque o sei volte, ma non ottenni che un suono piatto, morto, senza eco. Un rapporto di famigliarità con le cose genera indifferenza: non so cos'altro avrei fatto se, lontano, su per la strada (la stessa che avevo percorso io), non avessi visto avanzare una figura solitaria. Non desideravo farmi sorprendere ad aggirarmi intorno a quella malfamata dimora e cercai rifugio tra le ombre di un vicino boschetto di Henry James
96
1970 - Racconti Di Fantasmi
pini, dal quale avrei potuto guardare senza essere scorto. Poco dopo, lo sconosciuto si avvicinò: mi resi conto che stava dirigendosi proprio verso la casa. Era un vecchierello il cui aspetto colpiva soprattutto per l'ampio mantello, di foggia più o meno militare, che lo rivestiva. Teneva in mano un bastone e procedeva a passo lento, affaticato, un po' zoppicante, ma con aria decisa e risoluta. Abbandonò la strada, segui l'incerta carreggiata e, giunto a pochi passi dall'edificio, s'arrestò. Levò uno sguardo fermo, indagatore, come se contasse le finestre o ritrovasse certi particolari ben noti. Poi si tolse il cappello, fece un inchino profondo, solenne, una specie di riverenza. Potei osservarlo bene mentre rimaneva ritto, a capo scoperto. Come ho detto, era un vecchietto minuto, ma sarebbe stato arduo decidere se appartenesse a questo mondo o all'oltretomba. La sua testa mi ricordava vagamente i ritratti di Andrew Jackson. Aveva una corona di capelli grigi, ispidi come setole, e un viso scarno, emaciato, glabro, e occhi d'un luccicore intenso, sormontati da folte sopracciglia ancora nerissime. Come il suo mantello, anche il suo volto sembrava quello d'un vecchio soldato; si sarebbe detto un militare di grado modesto in pensione: ma ciò che in lui più mi colpi fu quella capacità d'apparire eccentrico e grottesco anche al di là della prerogativa tipica di un personaggio del genere. Finito che ebbe con le sue riverenze, mosse verso la porta, frugò nelle pieghe del mantello che gli pendeva molto più sul davanti che sul dietro, e tirò fuori una chiave. La inserì nella toppa lentamente, con attenzione, poi parve darle un giro. Ma l'uscio non si aprì subito; dapprima l'uomo abbassò la testa, tese l'orecchio e rimase in ascolto, poi guardò in su e in giù per la via. Soddisfatto o rassicurato, appoggiò la sua vecchia spalla contro uno dei solidi pannelli, facendo pressione per un istante. La porta cedette spalancandosi sull'oscurità più completa. L'uomo si fermò ancora sulla soglia, di nuovo si tolse il cappello e rifece l'inchino. Poi entrò, chiudendo accuratamente la porta dietro di sé. Chi diamine era, e che cosa andava cercando? Si sarebbe detto un personaggio dei racconti di Hoffmann. Era una visione o una realtà? Uno di casa o un visitatore abituale, un amico? Che cosa avevano voluto significare, nell'uno e nell'altro caso, le sue pie genuflessioni, e come intendeva dirigersi in quel buio pesto? Uscii dal mio nascondiglio per osservare più da vicino alcune finestre. In ciascuna di esse, a intervalli, nello spiraglio tra le due ante delle imposte, si scorgeva un raggio di luce. Era chiaro che il vecchio stava accendendo delle candele; voleva dare una Henry James
97
1970 - Racconti Di Fantasmi
festa - una tregenda di fantasmi? La mia curiosità cresceva, ma non sapevo come appagarla. Per un momento pensai di bussare perentoriamente alla porta, ma abbandonai l'idea giudicandola scortese e capace di rompere l'incantesimo, se d'incantesimo si trattava. Feci un giro intorno alla casa e cercai d'aprire, senza scassinarla, una delle finestre del pianterreno. Questa resistette, ma subito ebbi maggior fortuna provando con un'altra. In quell'armeggiare correvo senza dubbio un rischio: quello che mi vedessero dall'interno, o - peggio - di vedere io stesso qualcosa che mi sarei poi pentito d'aver visto. Ma, come ho detto, ormai la curiosità mi trascinava, e il rischio era attraente in sommo grado. Attraverso la fenditura delle imposte spinsi lo sguardo in una stanza illuminata - illuminata da due candele in un candeliere d'ottone posto sulla mensola del camino. La stanza, che pareva essere una specie di salotto secondario, era ancora completamente ammobiliata. L'arredamento, semplice e antiquato, consisteva di sedie e divani di ruvido tessuto, di tavoli di mogano scompagnati; campioni di ricamo incorniciati erano appesi alle pareti. Ma, benché arredata, la stanza aveva un aspetto stranamente disabitato; i tavoli e le sedie stavano rigidi ai loro posti, né si vedevano soprammobili o suppellettili d'uso domestico. Non riuscivo a vedere tutto; indovinai solo l'esistenza, sulla destra, di una grande porta a due battenti. La porta sembrava aperta, e dalla stanza vicina entrava la luce. Aspettai un poco, ma la camera rimase vuota. Infine, sulla parete dirimpetto alla porta, mi resi conto che si proiettava una grande ombra: l'ombra, evidentemente, di una figura nella stanza attigua. Alta e grottesca, vi si riconosceva la sagoma d'una persona seduta di profilo, in assoluta immobilità. Credetti di riconoscere la chioma irta e il lungo naso a becco del mio vecchietto. C'era qualcosa di strano in quella sua posizione: pareva seduto a fissare attentamente qualcosa. Guardai a lungo l'ombra, che rimaneva immota. Alla fine, tuttavia, proprio quando la mia pazienza cominciava a venir meno, essa si mosse lentamente, si allungò fino al soffitto e si fece indistinta. Non so cosa mi sarebbe toccato di vedere ancora, se per un impulso incoercibile non avessi chiuso l'imposta. Fu per delicatezza - o per pusillanimità? Non saprei dirlo. Nondimeno, indugiai intorno alla casa nella speranza di veder ricomparire il mio amico. Né fui deluso, perché finalmente egli riemerse, tal quale com'era entrato e accomiatandosi nello stesso modo cerimonioso (le luci, come avevo già notato, erano scomparse dalle fessure delle varie finestre). Davanti alla porta fece dietro-front, si Henry James
98
1970 - Racconti Di Fantasmi
levò il cappello e s'inchinò rispettosamente. Avevo tutte le intenzioni di rivolgergli la parola quando si voltò per andarsene, ma finii col lasciarlo in pace. Questa sf, posso dirlo, fu pura delicatezza - troppo ritardata, forse mi obietterete. Mi pareva che avesse ogni diritto di risentirsi della mia sorveglianza, benché il mio diritto ad esercitarla (ammesso che si trattasse di spiriti) mi sembrasse altrettanto indiscutibile. Continuai a osservarlo mentre si allontanava zoppicando lievemente giù per la china e poi lungo la strada solitaria. Allora, soprappensiero, mi avviai nella direzione opposta. Avevo avuto la tentazione di seguirlo a distanza per vedere cosa avrebbe fatto; ma anche questa sembrava un'indelicatezza; e debbo confessare inoltre che provavo una certa voglia di gingillarmi -diciamo così - con la mia scoperta, di staccare i petali del fiore a uno a uno. Di tanto in tanto continuavo ad annusare quel fiore; l'eccentricità del suo profumo mi aveva affascinato. Tornai a passare davanti alla casa del crocevia, ma non incontrai più il vecchio dal lungo mantello, né alcun altro viandante. Si sarebbe detto che gli osservatori si tenessero a distanza, e io ebbi cura di non parlarne in giro: un solo indagatore - mi dicevo - può aprirsi un varco nel mistero, ma per due non c'è posto. Al tempo stesso, naturalmente, avrei salutato con gioia qualsiasi luce che si fosse fatta sulla faccenda, benché non mi fosse chiaro da qual parte sarebbe potuta venire. Sperai d'incontrare ancora il vecchio dal mantello, ma siccome i giorni passavano senza ch'egli ricomparisse, smisi d'illudermi. Pensavo d'altronde che abitasse da quelle parti, dato che aveva compiuto a piedi il suo pellegrinaggio alla casa vuota. Se fosse venuto di lontano, senza dubbio sarebbe arrivato sul posto in qualche vecchio calesse dall'ampio mantice, con le ruote gialle - un veicolo non meno venerando e grottesco di quanto lo era lui stesso. Un giorno feci una passeggiata al cimitero di Mount Auburn, istituzione ai suoi albori a quell'epoca, piena d'un fascino silvestre andato ormai completamente perduto. Era più ricco di aceri e betulle che di salici e cipressi, e i dormienti non vi stavano certo a contatto di gomito. Non si poteva dire una città dei morti, ma tutt'al più un villaggio, e il visitatore pensieroso poteva vagare là dentro senza sentirsi inopportunamente sollecitato a meditare sul lato grottesco delle nostre pretese di prestigio postumo. Io ero uscito per godere dei primi segni della primavera: era una di quelle giornate miti di tardo inverno in cui la terra insonnolita sembra trarre il primo lungo respiro che segna la rottura dell'incantesimo del sonno. Il sole, velato d'una nebbiolina, era abbastanza Henry James
99
1970 - Racconti Di Fantasmi
caldo, e il gelo erompeva dai suoi nascondigli più riposti. Da mezz'ora percorrevo i viottoli tortuosi del cimitero, quando notai d'un tratto una figura ben nota, seduta su una panchina addossata a una siepe di sempreverde volta a mezzogiorno. Dico una figura ben nota perché l'avevo vista sovente con la memoria e con la fantasia; in realtà l'avevo contemplata una sola volta. Mi volgeva le spalle, ma era avviluppata in un grande, inconfondibile mantello. Ecco finalmente il mio compagno di visite alla casa degli spiriti, ed ecco per me l'occasione, se lo desideravo, di avvicinarlo! Feci una diversione e gli andai incontro. Egli mi scorse in fondo al viale e rimase seduto immobile, con le mani appoggiate all'impugnatura del bastone, scrutandomi di sotto le nere sopracciglia mentre m'avvicinavo. Da lontano quelle sopracciglia nere apparivano formidabili; erano l'unica cosa che riuscivo a vedere sul suo volto. Ma, guardandolo più dappresso, mi sentii rassicurato semplicemente perché mi resi conto lì per lì che nessun altro al mondo poteva avere un'aria così incredibilmente truce come quel povero vecchio. Il suo viso era una specie di caricatura di marziale truculenza. Mi fermai davanti a lui e gli chiesi rispettosamente il permesso di sedermi a riposare sulla sua panchina. Egli me lo concesse con un gesto silenzioso, pieno di dignità, e io mi accomodai accanto a lui. Così seduto, fui in grado, senza dar nell'occhio, di osservarlo da vicino. Non era meno strambo in quella mattina di sole di quanto non mi fosse apparso nell'incerto crepuscolo. I tratti di quel viso erano duri, come se un inesperto ebanista li avesse intagliati nel legno: occhi di fuoco, naso terrificante, bocca implacabile. E tuttavia, dopo un momento, quando si volse lentamente per fissarmi in viso, intuii che, nonostante quella maschera sinistra, era un vecchio mitissimo. Ero sicuro che sarebbe anche stato contento di sorridermi, ma evidentemente i suoi muscoli facciali erano troppo rigidi: avevano preso una volta per tutte una piega diversa. Mi domandai se fosse demente ma scartai l'idea: il luccichio fisso dei suoi occhi non era quello della follia. Ciò che la sua faccia esprimeva in realtà era semplicemente una profonda tristezza; forse aveva il cuore spezzato, ma il cervello era integro. Il suo abito era logoro ma pulito, e il vecchio mantello turchino aveva conosciuto mezzo secolo di spazzolature. Mi affrettai a fare qualche osservazione sull'eccezionale mitezza della giornata, ed egli mi rispose con una voce cortese e pacata, che sorprendeva sentir uscire da labbra così bellicose. - È un posto molto piacevole, questo, - soggiunse poi. Henry James
100
1970 - Racconti Di Fantasmi
- A me piace molto passeggiare per i cimiteri, - replicai con intenzione, lusingandomi d'aver azzeccato una possibile via d'approccio. Fui incoraggiato: si volse e mi fissò con quei suoi occhi splendenti di luce fosca. Poi, molto gravemente: - Cammini, vada a spasso, sì. Faccia adesso tutto il moto che può. Verrà giorno in cui dovrà coricarsi in un camposanto in posizione definitiva. - Verissimo, - confermai. - Ma, come lei sa, qualcuno dice che certa gente non smette di far del moto neppure dopo quel giorno. Aveva continuato a guardarmi tranquillo; a quella mia uscita volse di nuovo il capo. - Non mi capisce? - gli chiesi cortesemente. Continuò a guardar fisso davanti a sé. - Sa, c'è gente che va in giro anche dopo morta. Infine si volse a guardarmi in maniera più impressionante che mai. - Lei non ci crede, - disse con semplicità. - Come fa a sapere che non ci credo? - Perché è giovane e non ha giudizio -. Pronunciò queste parole senza asprezza, anzi gentilmente, ma col tono di un vecchio a cui la consapevolezza della propria grave esperienza fa sembrare tutto il resto poco rilevante. - Certo, sono giovane, - risposi, - ma, tutto sommato, non credo di mancare di giudizio. Dica piuttosto che non credo ai fantasmi: ce ne sono molti della mia stessa opinione. - C'è molta gente stupida! - asserì il vecchio. Lasciai cadere l'argomento e parlai d'altro. Il mio compagno sembrava stare all'erta, mi lanciava occhiate di sfida, dando brevi risposte alle mie osservazioni. Tuttavia io ebbi l'impressione che il nostro incontro gli riuscisse gradito, che fosse addirittura un avvenimento sociale di qualche importanza. Era chiaramente una creatura solitaria, cui si offrivano rare occasioni di far quattro chiacchiere. Aveva avuto dei crucci che l'avevano staccato dal mondo e ricacciato in se stesso; ma nel suo animo antico la corda della comunicativa non s'era spezzata del tutto, ed ero sicuro che si compiaceva di riscontrare com'essa fosse ancora in grado di vibrare debolmente. Finì col farmi a sua volta delle domande: volle sapere se ero studente. - Sono studente di teologia, - risposi. - Di teologia? Henry James
101
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Appunto. Studio per diventare pastore. Mi scrutò allora con particolare intensità - e poi il suo sguardo si perdette ancora nel vuoto. - Ci sono cose che dovrebbe sapere, allora, disse infine. - Ho una gran sete di sapere, - risposi. - Quali cose intende? Mi guardò di nuovo per un po', senza far caso alla mia domanda. - Mi piace il suo aspetto, - dichiarò. - Lei mi ha l'aria di un ragazzo per bene. - Oh, sono molto per bene! - esclamai, discostandomi per un istante dal mio perbenismo. - Mi pare una persona onesta, - continuò il vecchio. - Dunque non le faccio più l'impressione di uno scriteriato? -domandai. - Mantengo quanto ho detto sulla gente che nega agli spiriti dei defunti il potere di ritornare. Sono degli imbecilli! - E diede un rabbioso colpo di bastone per terra. Esitai un momento e poi, d'un tratto: - Lei ha visto un fantasma! - dissi. Non sembrò per nulla sorpreso. - Proprio così, signore, - rispose con grande dignità. - Per quanto mi concerne, non si tratta di fredda teoria... non ho avuto bisogno d'indagare nei libri antichi per imparare a che cosa credere. Io so! Con questi occhi ho veduto il fantasma di un defunto ergersi davanti a me, a questa stessa distanza! - E mentre parlava i suoi occhi sembravano davvero essersi posati su cose strane. Ero irresistibilmente suggestionato, in preda alla credulità. - Ed è stato terribile? - volli sapere. - Sono un vecchio soldato: non ho paura! - Quando è stato?... dove? - domandai. Mi lanciò un'occhiata diffidente, e mi accorsi che stavo correndo troppo. - Mi dispensi dall'entrare nei particolari, - rispose. - Non mi è consentito dire di più. Le ho riferito tutto ciò perché non sopporto di sentir parlare alla leggera di quest'argomento. Si ricordi in avvenire di aver conosciuto un onestissimo vecchio che le ha raccontato, sul suo onore, di aver visto un fantasma! - E si alzò, come se pensasse di aver parlato abbastanza. Riserbo, timidezza, orgoglio, timore di essere deriso, il ricordo, forse, di precedenti battute di sarcasmo - da una parte tutto ciò pesava su di lui, ma d'altra parte io sospettai che a sciogliergli la lingua fosse stata la loquacità propria della vecchiaia, il senso della solitudine, il bisogno di simpatia... e Henry James
102
1970 - Racconti Di Fantasmi
magari, anche, l'amabilità che aveva dimostrato nei miei confronti. Sarebbe stato poco assennato, evidentemente, incalzarlo ancora; speravo però di rivederlo. - Per dar maggior peso alle mie parole, - soggiunse, - permetta, signore, che le dica il mio nome: sono il capitano Diamond, veterano dell'esercito. - Spero di avere il piacere d'incontrarla di nuovo, - gli dissi. - Anch'io, signore! - E brandendo rabbioso il suo bastone -benché con le intenzioni più amichevoli - si allontanò impettito. Chiesi a due o tre persone, scelte con discernimento, se sapessero qualcosa del capitano Diamond, ma nessuna fu in grado d'illuminarmi. All'improvviso, finalmente, mi battei la fronte dandomi dello sciocco: mi ricordai che avevo trascurato una fonte d'informazioni alla quale non m'ero mai rivolto invano. L'eccellente signora alla cui tavola ero solito consumare i miei pasti, offrendo ospitalità agli studenti a un tanto per settimana, aveva una sorella buona quanto lei, dotata di maggiori e più varie capacità discorsive. Questa sorella, conosciuta come Miss Deborah, era una vecchia zitella nella piena espressione del termine. Era deforme, non usciva mai di casa; rimaneva tutto il giorno seduta davanti alla finestra, tra una gabbia d'uccelli e un vaso di fiori, intenta a ricamare biancheria fine, misteriose fasce e gale increspate. Maneggiava l'ago, mi assicuravano, in modo squisito, e i suoi lavori erano altamente apprezzati. Malgrado la sua deformità e la reclusione cui era costretta, aveva una faccina tonda e fresca e una serenità di spirito imperturbabile. Aveva anche una vivacità di mente tutta sua particolare, era un'osservatrice quanto mai attenta, e dimostrava un gran gusto per la buona conversazione. Nulla le faceva piacere come il vedervi accostare la sedia presso la sua finestra piena di sole - e tanto più, direi, se eravate un giovane studente di teologia - disponendovi a una bella chiacchierata d'una ventina di minuti. - Allora, signore, - soleva dire, -qual è l'ultima mostruosità in materia di critica biblica? - poiché le piaceva fingere di essere orripilata dalla tendenza razionalistica dell’epoca. Era invece un'implacabile piccola filosofa, più razionalista - ne sono convinto - di chiunque di noi; se avesse voluto, avrebbe potuto porci dei quesiti da far sussultare di spavento il più audace fra gli studenti. La sua finestra dominava tutta la cittadina, o, per meglio dire, tutta la campagna. Mentre se ne stava seduta a cantare con la sua vocetta fessa nella bassa sedia a dondolo, s'arricchiva di sapere. Era la prima a venire a conoscenza di qualsiasi cosa e l'ultima a dimenticarsene. Henry James
103
1970 - Racconti Di Fantasmi
Aveva sulla punta delle dita tutti i pettegolezzi della città e conosceva vita morte e miracoli di gente che non aveva mai visto. Quando le chiedevo come avesse fatto ad accumulare tanto sapere, mi rispondeva semplicemente: - Oh, osservo! Basta osservare abbastanza da vicino, - mi disse una volta, - non importa dove si è. Si può star chiusi in un bugigattolo nero come la pece. Occorre solo un punto di partenza: un'osservazione porta a un'altra, tutto s'intreccia. Chiudetemi in uno stanzino buio, e io dopo un momento avrò notato che certi angoli sono più scuri di altri. Dopo di che (datemi tempo) vi saprò dire che cosa sarà servito per pranzo al presidente degli Stati Uniti -. Una volta volli farle un complimento. - La sua capacità di osservare, - le dissi, - è sottile come il suo ago, e le sue asserzioni sono precise come i punti del suo ricamo. Naturalmente Miss Deborah era informata sul conto del capitano Diamond. Anni prima s'era parlato molto di lui, ma era sopravvissuto allo scandalo connesso al suo nome. - Che scandalo? - domandai. - Ha ucciso sua figlia. - Ucciso? - esclamai. - Come? - Oh, non con la pistola, o un pugnale, o una dose di arsenico! Con la lingua. E poi si dice della lingua delle donne! La maledisse... con qualche orribile imprecazione... ed essa morì! - Che cosa aveva fatto? - Aveva ricevuto un giovane che l'amava e al quale egli aveva proibito di entrare in casa. - In casa, - dissi, - ... ah, sì! Quella casa là fuori, in campagna, a due o tre miglia da qui, a un crocicchio solitario. Miss Deborah mi trapassò con un'occhiata, mentre spezzava il filo coi denti. - Ah, lei conosce la casa? - domandò. - Un poco, - risposi, - l'ho vista. Ma voglio che mi racconti di più. A questo punto però Miss Deborah diede prova di una mancanza di comunicativa del tutto insolita. - Non mi darebbe della superstiziosa, vero? - chiese. - Superstiziosa, lei? Ma se è la quintessenza della pura ragione! - Ebbene, ogni filo ha il suo punto logoro, ogni ago il suo. granello di ruggine. Di quella casa preferisco non parlare. - Non immagina quanto lei accresce la mia curiosità! - e-sclamai. Henry James
104
1970 - Racconti Di Fantasmi
- La capisco, ma ciò mi metterebbe in uno stato di grande nervosismo. - Che male gliene può derivare? - obiettai. - Ne derivò del male a una mia amica -. E Miss Deborah fece un energico cenno di conferma col capo. - Che cosa aveva fatto la sua amica? - Aveva parlato con me del segreto del capitano Diamond, confidatole da lui nel massimo mistero. Era stata una sua antica fiamma, e lui l'aveva eletta a confidente. Le aveva ordinato di tacerne con tutti; altrimenti, le aveva detto, le sarebbe capitato qualcosa di terribile. - E cosa le capitò? - Morì. - Be', siamo tutti mortali! - osservai. - Gli aveva fatto una promessa? - Non l'aveva preso sul serio, non gli aveva creduto. Venne a riferire a me la storia; tre giorni dopo si ammalò di polmonite. Un mese più tardi, seduta qui come lo sono ora, ricamavo il suo sudario. Da allora, non ho più fatto parola con nessuno di ciò che mi aveva raccontato. - Era qualcosa di molto strano? - Era strano, ma era anche comico. Roba da far accapponare la pelle e da far ridere al tempo stesso. Ma con me non riuscirà a venirne a capo. Sono sicura che, se glielo raccontassi, mi spezzerei subito un ago nel dito e la settimana dopo morirei di tetano. Tornai in camera senza più far pressioni su Miss Deborah. Tuttavia, ogni due o tre giorni, dopo pranzo, andavo a sedermi vicino alla sua sedia a dondolo. Non feci più allusione al capitano Diamond; me ne stavo in silenzio, tagliuzzando con le sue forbici un pezzo di fettuccia. Finalmente un giorno ella osservò che avevo una brutta cera, ch'ero pallido. - Sto morendo di curiosità, - confessai. - Ho perso l'appetito. A pranzo non ho toccato cibo. - Si ricordi della moglie di Barbablù! - ammoni Miss Deborah. - Si può morir di spada come di fame! - le risposi. Ma ella continuò a tacere, tanto che infine io m'alzai con un sospiro melodrammatico e me ne andai. Avevo raggiunto la porta quando Miss Deborah mi chiamò, indicandomi la sedia che avevo lasciato vuota. - Non sono mai stata dura di cuore, - dichiarò. - Si sieda, e se dobbiamo morire, voglia il cielo che si muoia insieme-. Poi, in poche parole, mi comunicò quanto sapeva del segreto del capitano Diamond. - Era un uomo di carattere molto dispotico e, sebbene Henry James
105
1970 - Racconti Di Fantasmi
volesse un gran bene alla figlia, la sua volontà doveva essere legge. Le aveva scelto un marito, e l'aveva informata delle sue decisioni. La madre era morta ed essi vivevano soli insieme. La casa era stata portata in dote dalla signora Diamond; il capitano, credo, non aveva un soldo. Erano venuti ad abitarvi dopo il matrimonio, e lui aveva cominciato a lavorare il podere. L'innamorato della povera ragazza era un giovanotto con i favoriti, di Boston. Il capitano entrò in casa una sera e li trovò insieme; afferrò il giovane per il colletto e lanciò una maledizione terribile alla povera fanciulla. Il giovanotto protestò che essa era sua moglie e il capitano chiese a lei se era vero. - No! - fu la riposta. Al che il padre, con furia crescente, ripetè la sua maledizione, ingiunse alla ragazza di lasciare la casa e la diseredò per sempre. Lei svenne, ma il padre, continuando ad inveire, l'abbandonò. Parecchie ore dopo fece ritorno, ma trovò la casa vuota. Sul tavolo c'era un biglietto del giovane che lo accusava di aver ucciso la figlia, confermando l'assicurazione che la ragazza era sua moglie. Dal canto suo egli reclamava per sé il solo diritto di affidarne le spoglie alla terra. Aveva portato via il cadavere con un calesse! Il capitano gli scrisse in risposta un tremendo biglietto nel quale affermava di non credere che sua figlia fosse morta, ma che in ogni caso per lui era morta. Una settimana più tardi, nel cuore della notte, gli apparve il fantasma della poverina. Allora, credo, ne fu convinto. Il fantasma riapparve più volte e infine prese a visitare regolarmente la casa, con grande angoscia del vecchio: a poco a poco la sua ira era sbollita ed egli era ormai preda del tormento. Finalmente si decise ad abbandonare il luogo, e cercò di venderlo o di affittarlo; ma frattanto la storia s'era propalata, altre persone avevano visto il fantasma, la casa aveva una cattiva fama ed era impossibile venderla. Insieme al piccolo podere, essa costituiva l'unica proprietà del vecchio, il suo solo mezzo di sussistenza; nell'impossibilità di abitarvi o di affittarla il capitano era ridotto alla miseria. Il fantasma non aveva misericordia, come non ne aveva avuta lui. Cercò di resistere per sei mesi, poi si arrese. Indossò il suo vecchio mantello turchino, prese il bastone e si dispose a vagare per il mondo mendicando il pane. Fu allora che il fantasma si ammansì e propose un compromesso. - Lasciami la casa! - gli disse, - essa tocca a me. Vattene ad abitare altrove. Ma, per consentirti di vivere, ne sarò io l'inquilino, dal momento che non ne trovi altri. Affitterò la casa e ti pagherò una certa somma -. E il fantasma la precisò. Il vecchio acconsenti, e da allora va a ritirare una volta ogni trimestre la sua Henry James
106
1970 - Racconti Di Fantasmi
pigione! Il racconto mi fece ridere, ma, confesso, anche rabbrividire, perché i fatti coincidevano esattamente con quanto io stesso avevo potuto constatare. Non ero stato forse testimone di una delle visite trimestrali del capitano, non l'avevo visto quasi nell'atto di controllare che il suo inquilino fantasma gli versasse il denaro pattuito? E quando s'era allontanato camminando faticosamente nel buio, non aveva forse celato nelle pieghe del mantello un sacchetto di monete d'inusitata provenienza? Di queste riflessioni non feci parte a Miss Deborah, perché avevo stabilito di proseguire nelle mie ricerche, e mi ripromettevo il piacere di offrirle il mio racconto nella sua completezza. - Il capitano Diamond non ha altri mezzi di sussistenza? - le domandai. - Nessun altro. Non lavora, non fa nulla... È il suo fantasma a dargli di che vivere. - E in che moneta paga, il fantasma? - In solide monete americane d'oro e d'argento, che hanno quest'unica peculiarità: sono tutte di data anteriore alla morte della ragazza. Non le pare uno strano miscuglio di spirito e di materia? - E il fantasma, fa le cose ammodo? Paga un buon affitto? - Il vecchio vive decorosamente, credo: non gli manca né la pipa, né un bicchier di vino. Ha preso una casetta giù vicino al fiume: l'ingresso è di lato, sulla strada, e c'è davanti un giardinetto. Ora passa lì i suoi giorni, con una vecchia di colore che gli sbriga le faccende. Anni fa, andava in giro parecchio: in città era una figura nota e la sua storia era risaputa. Da ultimo però si è chiuso nel suo guscio; se ne sta davanti al fuoco senza più destare la curiosità altrui. Temo che stia rimbambendo. Ma sono certa, o almeno voglio sperare, -concluse Miss Deborah, - che non sopravviverà alle sue facoltà mentali o motorie perché, se ben ricordo, il contratto prevedeva ch'egli andasse di persona a ritirare la pigione. A quanto risulta, né Miss Deborah né io avemmo a subire castighi di sorta per queste indiscrezioni; ogni giorno la ritrovavo a ricamare cantando, né più né meno attiva del solito. Quanto a me, continuai impavido nelle mie indagini. Tornai più d'una volta al grande cimitero, ma la mia speranza di trovarvi il capitano Diamond restò delusa. Tuttavia mi si affacciò alla mente una congettura che mi offriva un certo compenso: avevo astutamente inferito che i pellegrinaggi trimestrali del vecchio dovessero aver luogo allo scadere del termine. Quando l'avevo visto la Henry James
107
1970 - Racconti Di Fantasmi
prima volta era stato il 31 dicembre, ed era probabile che tornasse alla casa degli spiriti all'ultimo giorno di marzo. Quella data non era lontana, e finalmente arrivò. Mi recai nel tardo pomeriggio alla vecchia casa del crocevia, supponendo che l'ora del crepuscolo fosse quella convenuta. Non mi sbagliavo. Avevo passato un po' di tempo a girellare lì attorno, sentendomi anch'io molto simile a un fantasma inquieto, quando egli comparve allo stesso modo dell'altra volta e nel medesimo abbigliamento. Mi nascosi di nuovo e lo vidi entrare in casa con lo stesso cerimoniale usato nella precedente occasione. Dalla fessura lasciata da ogni paio d'imposte filtrò via via una luce; aprii la finestra che già una volta aveva ceduto alla mia insistenza. Rividi la grande ombra sulla parete, immobile, solenne. Ma non vidi altro. Finalmente ricomparve il vecchio, fece la sua fantasiosa riverenza davanti all'edificio e sgusciò via nell'oscurità. Un giorno, più d'un mese dopo, lo incontrai di nuovo a Mount Auburn. L'aria era piena delle voci di primavera. Gli uccelli erano tornati e stavano cinguettando dei loro viaggi invernali: nella ver-zura acerba sussurrava un debole vento di ponente. Il capitano, sempre avvolto nel suo enorme mantello, era seduto su una panchina al sole; appena mi avvicinai mi riconobbe subito. Mi fece un cenno, come un vecchio pascià pronto a dare il segnale della mia decapitazione, ma evidentemente era contento di vedermi. - L'ho cercata già altre volte, - gli dissi. - Lei non viene spesso. - Che voleva da me? - domandò. - Volevo godermi la sua conversazione. L'ho apprezzata molto quando ci siamo incontrati l'altra volta. - Mi ha trovato divertente? - Interessante, - dissi. - Non mi ha giudicato un mentecatto? - Mentecatto...? - protestai. - Mio caro signore... - Sono l'uomo più sano di mente del mondo. Lo so che tutti i matti dicono sempre così, ma in generale non possono dimostrarlo. Io sì, invece! - Glielo credo, - dissi. - Ma sono curioso di sapere come si fa a dimostrare una cosa del genere. Tacque un momento. - Glielo dirò. Una volta, senza intenzione, io commisi un grande delitto. Ora lo sto espiando. Vi consacro tutta la mia vita. Non mi sottraggo, anzi, Henry James
108
1970 - Racconti Di Fantasmi
affronto l'espiazione lealmente, sapendo benissimo di che si tratta. Non ho cercato di cancellare la mia colpa, non ho chiesto grazia, non sono fuggito. Il castigo è terribile, ma io l'ho accettato. L'ho presa con filosofia! Se fossi stato cattolico, avrei potuto farmi frate e trascorrere il resto dei miei giorni digiunando e pregando. Ma codesta non è una condanna, è un'evasione. Avrei potuto farmi saltare le cervella... sarei potuto impazzire. Non ho fatto né una cosa né l'altra. Ho semplicemente affrontato la situazione, ne ho tratto le conseguenze che, come dico, sono terribili! Le traggo in certi giorni, quattro volte all'anno. Sono vent'anni che si va avanti così; e così andrà finché avrò vita. Sono affari miei, di mia competenza. Io la vedo così: direi che è un modo di vedere ragionevole! - Mirabilmente ragionevole! - commentai. - Ma lei mi riempie di curiosità, di compassione. - Soprattutto di curiosità, - precisò il capitano argutamente. - Ma come? - ribattei. - Se conoscessi con precisione di che cosa soffre, potrei compatirla di più. - Le sono molto obbligato. Non ho bisogno della sua compassione, non mi sarebbe d'aiuto. Le voglio raccontare una cosa, non per mio beneficio, per il suo -. Fece una lunga pausa e si guardò intorno, come se potesse esserci qualcuno a sentire. Aspettavo con ansia la sua rivelazione, ma rimasi deluso. - Continua a studiare teologia? - mi chiese. - Oh sì, - risposi, forse con un tantino d'irritazione. - Non è cosa che si possa imparare in sei mesi. - Lo credo bene, finché si hanno soltanto i libri a disposizione. Conosce il proverbio: «Un grammo d'esperienza val più d'una libbra di precetti»? Oh, sono un gran teologo, io. - Ah, dunque lei ha dell'esperienza, - mormorai in tono di simpatia. - Lei ha letto dell'immortalità dell'anima, ha visto come, in proposito, Jonathan Edwards e il dottor Hopkins hanno tagliato a fette la logica per giungere alla conclusione, in poesia e in prosa, che si: l'anima è immortale. Ma io l'ho verificato con questi occhi; l'ho toccato con queste mani! - E il capitano alzò due vecchi pugni rugosi, scotendoli minacciosamente. - E stato meglio così, - continuò, - ma l'ho pagato caro. Lei farà meglio a dedurlo dai libri: è chiaro che seguirà sempre questa via. Lei è un buonissimo giovane, non avrà mai delitti sulla coscienza. Con una certa giovanile fatuità gli risposi che senza dubbio, per quanto Henry James
109
1970 - Racconti Di Fantasmi
buonissimo giovane e futuro dottore in teologia, speravo di avere anch'io la mia parte di umane passioni. - Ah, ma ha un buon carattere, è un tipo tranquillo, - insistette. - Anch'io lo sono... adesso! Ma un tempo ero un violento, un gran violento... Eh, cose del genere succedono, lo sa anche lei. Io ho ucciso mia figlia. - Sua figlia? - L'ho gettata a terra con una mazzata e l'ho lasciata morire. Non poterono impiccarmi, perché non l'avevo abbattuta con le mie mani. L'avevo fatto con parole vergognose, esecrabili. Qui sta la differenza; le leggi che ci governano sono generose! Ebbene, signore, posso garantire che l'anima di mia figlia è immortale. Abbiamo un appuntamento quattro volte all'anno, e allora me ne accorgo! - Non le ha mai perdonato? - Mi ha perdonato come perdonano gli angeli! E questo che non sopporto: quello sguardo dolce, tranquillo, che posa su di me. Preferirei che mi rigirasse un coltello nel cuore... Oh Dio, Dio, Dio! - e il capitano Diamond chinò il capo sull'impugnatura del suo bastone, appoggiando la fronte sulle mani incrociate. Ero impressionato e commosso: per il momento il suo contegno sembrava porre freno ad altre domande. Prima che mi arrischiassi a chiedergli qualcos'altro, si alzò lentamente e si avvolse il gran mantello intorno alla persona. Non era solito parlare dei suoi guai, e i ricordi l'opprimevano. - Devo andarmene, - disse, - devo filare. - Forse c'incontreremo qui un'altra volta, - dissi. - Oh, sono un povero vecchio acciaccoso, - ribatté, - e mi costa abbastanza fatica venire fin qui. Debbo tenermi da conto. Qualche volta ho passato un mese intero senza muovermi dalla poltrona e fumando la pipa. Però sarei contento di rivederla -. E si fermò, fissandomi con uno sguardo cortese e terribile nello stesso tempo. -Un giorno, forse, mi rallegrerò di aver messo le mani su un'anima giovane, incorrotta. Se si può riuscire a farsi un amico è sempre qualcosa di guadagnato. Come si chiama? Avevo in tasca un volumetto dei Pensieri di Pascal: sul frontespizio erano segnati il mio nome e l'indirizzo. Lo tirai fuori e l'offersi al mio vecchio amico. - Conservi questo libriccino, la prego, -gli dissi. - È un'opera che mi è molto cara, e le potrà dire qualcosa sul mio conto. Egli prese il volume e lo rigirò lentamente fra le mani, poi mi scrutò con un cipiglio che esprimeva gratitudine: - Non sono uno che legge molto, Henry James
110
1970 - Racconti Di Fantasmi
dichiarò. - Ma non voglio rifiutare il primo regalo che ricevo dacché... ho avuto i miei guai; e sarà anche l'ultimo. Grazie, signore! - E si allontanò col libretto in mano. Dopo quel giorno, rimasi alcune settimane a immaginarlo seduto solitario in poltrona con la sua pipa. Non lo rividi. Ma aspettavo l'occasione, e l'ultimo giorno di giugno, allo scadere di un altro trimestre, giudicai che fosse venuta. In giugno si fa sera tardi, e io aspettai con impazienza quell'ora. Finalmente, verso il crepuscolo di una bella giornata estiva, tornai a visitare la dimora del capitano Diamond. Adesso era tutta circondata dalla verzura, eccetto l'appassito orticello sul retro; tuttavia il grigiore, la tristezza che la caratterizzavano mi colpirono con la stessa forza di quando l'avevo contemplata sotto il cielo decembrino. Quando mi avvicinai, mi accorsi di aver fatto tardi per lo scopo che m'ero prefisso: volevo semplicemente prevenire l'arrivo del capitano e chiedergli con coraggio di lasciarmi entrare insieme a lui. Egli mi aveva preceduto e già la luce trapelava dalle finestre. Naturalmente non desideravo disturbarlo durante la sua intervista col fantasma, e l'aspettai finché uscì. A poco a poco le luci si spensero; poi la porta si aprì e il capitano Diamond sgusciò fuori. Quella sera non si prostrò in inchini davanti alla casa visitata dagli spiriti, perché la prima cosa che vide fu il suo benintenzionato giovane amico piantato lì davanti con aria dimessa ma ferma, proprio vicino all'ingresso. Si arrestò di botto guardandomi: questa volta il suo fiero cipiglio era intonato alla situazione. - Sapevo di trovarla qui, - gli dissi. - Sono venuto apposta. Apparve sconcertato e guardò inquieto la casa. - Le chiedo scusa di aver osato tanto, - soggiunsi, - ma lei mi ha incoraggiato, lo sa. - Come ha fatto a sapere che ero qui? - Per deduzione. Lei mi ha raccontato metà della sua storia; l'altra metà l'ho indovinata. Sono un osservatore accanito: questa casa l'avevo notata passando e mi parve che racchiudesse un mistero. Quando lei fu tanto buono da confidarmi che vedeva dei fantasmi, fui sicuro che soltanto qui poteva vederli. - E davvero intelligente! - esclamò il vecchio. - E come mai questa sera è venuto qui? Fui costretto a eludere la domanda. - Oh, ci vengo sovente; mi piace guardare questa casa... mi affascina. Henry James
111
1970 - Racconti Di Fantasmi
Si volse a guardarla a sua volta. - Dal di fuori non c'è nulla da vedere. Ovviamente il capitano non si rendeva conto dell'aspetto particolare della vecchia dimora, e questa strana circostanza, di cui venivo informato così, nella luce del crepuscolo, proprio davanti al fronte corrucciato del sinistro edificio, sembrò rendere più concreta in lui la visione di quello che c'era dentro. - Avevo sperato, - spiegai, - di aver l'occasione di poterla vedere nell'interno. Ho pensato che forse la trovavo qui e che lei m'avrebbe fatto entrare. Sarei curioso di vedere ciò che lei vede. Sembrò disorientato dal mio ardire, ma nell'insieme non dispiaciuto. Mi posò una mano sul braccio. - Lei sa quello che vedo? ~ domandò. - Come si fa a sapere se non - come lei disse l'altro giorno - per esperienza? Voglio avere quest'esperienza. La prego, apra la porta e mi faccia entrare. Sotto le fosche sopracciglia gli occhi del capitano Diamond si dilatarono e, trattenuto il fiato un istante, egli si abbandonò per la prima e l'ultima volta a quella parvenza di risata che mi permise di vedere alterata la sua solenne fisionomia: una risata grottesca, ma completamente silenziosa. Farla entrare? - bofonchiò. - Non entrerei mai un'altra volta prima dello scadere del termine, dovessi prendere una somma mille volte maggiore di questa -. E, cacciata una mano fuori dalle pieghe del mantello, esibì un cumulo di monete annodate nell'angolo di un vecchio fazzoletto di seta. Io mi attengo al patto, né più né meno! - Ma, la prima volta che ebbi il piacere di parlarle, lei mi disse che non era così terribile... - E neppure dico adesso che sia terribile. Ma è maledettamente sgradevole! Tale aggettivo fu pronunciato con una veemenza che mi fece esitare e riflettere. In quell'istante mi parve di percepire un leggero movimento proveniente da una delle imposte del primo piano. Guardai in su, ma tutto appariva immobile. Anche il capitano Diamond era rimasto soprappensiero; d'un tratto si volse verso la casa. - Se ci vuole entrare da solo, - disse, - s'accomodi. - Mi aspetta qui? - Sì, non potrà fermarsi molto. - Ma dentro casa c'è buio pesto. Quando entra lei, ci sono delle luci. Affondò la mano nelle profondità del mantello e ne cavò qualche Henry James
112
1970 - Racconti Di Fantasmi
fiammifero. - Prenda questi, - mi disse. - Sul tavolo dell'anticamera troverà due candelieri con relative candele. Li accenda, ne prenda uno in ogni mano e vada avanti. - Dove devo andare? - Dove vuole, dappertutto. Può star sicuro che il fantasma la troverà. Non voglio negare che, ormai, arrivato a questo punto, il mio cuore s'era messo a battere forte. E tuttavia suppongo che il gesto con cui sollecitai il vecchio ad aprire la porta fosse abbastanza dignitoso. M'ero convinto che doveva esserci davvero un fantasma; avevo accettato la premessa. Soltanto avevo assicurato a me stesso che -una volta preparato spiritualmente, in modo che non vi fossero sorprese - era possibile conservare il sangue freddo. Il capitano Diamond fece scattare la serratura, spalancò la porta e si profuse in un inchino profondo mentre entravo. Fermo, nel buio, udii la porta richiudersi alle mie spalle. Per qualche istante rimasi immobile, lo sguardo fisso audacemente nell'impenetrabile oscurità. Ma, non scorgendo e non sentendo nulla, mi risolvetti ad accendere un fiammifero. Sul tavolo c'erano due vecchi candelieri d'ottone, arrugginiti per il disuso. Accesi le candele e iniziai il mio giro d'esplorazione. Davanti a me si ergeva una scala spaziosa, protetta da un'antica balaustra intagliata nel modo austero e delicato così frequente nelle vecchie case del New England. Rinunciai per il momento a salire e mi volsi per entrare nella stanza alla mia destra. Era un salottino antiquato, arredato modestamente, che odorava di stantio per l'assenza d'ogni presenza umana. Sollevai i miei due lumi a una certa altezza, ma non vidi altro che sedie vuote e pareti nude. Dietro il sa-lottino c'era la stanza nella quale avevo sbirciato dal di fuori e che, in effetti, comunicava con esso, come avevo arguito, per mezzo di porte a due battenti. Anche lì non ebbi a trovarmi a confronto con nessuno spettro minaccioso. Di nuovo attraversai l'anticamera e diedi un'occhiata ai due vani sull'altro lato: sul davanti una sala da pranzo dove avrei potuto scrivere col dito il mio nome sullo strato di polvere che ricopriva la grande tavola quadrata; dietro, una cucina dalle pentole e dalle padelle fredde d'un gelo sempiterno. Tutto ciò era angoscioso e tetro, ma non pauroso. Tornai nell'anticamera e mi portai ai piedi della scala, tenendo alte le candele; salire esigeva un nuovo sforzo, ma io volevo scrutare nel buio di lassù. Tutt'a un tratto, con una sensazione impossibile a esprimersi, mi resi conto che quell'oscurità era animata; sembrava muoversi e condensarsi. Lentamente - e dico lentamente perché Henry James
113
1970 - Racconti Di Fantasmi
nel mio stato di tensione gli attimi sembravano secoli - assunse l'aspetto di una figura massiccia, nettamente delineata, e questa figura venne avanti e si fermò in cima alla scala. Confesso francamente d'esser stato consapevole in quel momento di una sensazione cui il dovere m'impone di attribuire il termine volgare di paura. Potrei far della poesia e chiamarla Terrore, con la T maiuscola; comunque, era la sensazione della terra che manca sotto i piedi. Me ne capacitavo man mano che cresceva, e mi sembrava assolutamente ineluttabile; infatti pareva venire non dall'interno, ma dall'esterno, e prender corpo nella fosca immagine là in alto. In certo modo ragionavo - ricordo che ragionavo: «Ho sempre pensato, - dicevo tra me, - che i fantasmi fossero bianchi e diafani; questo è un ammasso di ombre fitte, dense, opache». Rammentai a me stesso che l'occasione era unica, e che dovevo raccogliere tutte le impressioni possibili finché mi rimaneva quel tanto di lucidità di spirito, prima di venir sopraffatto dalla paura. Arretrai, un passo dietro l'altro, gli occhi ancora fissi sull'apparizione, e posai le candele sul tavolo. Mi rendevo perfettamente conto che la cosa giusta da fare era salire risolutamente le scale e mettermi faccia a faccia con l'apparizione, ma pareva che, di colpo, le suole delle mie scarpe si fossero trasformate in pesi di piombo. Avevo ottenuto ciò che volevo: stavo guardando il fantasma. Cercai di fissarmi in capo quella figura tanto nettamente da poterla ricordare e da vantarmi a buon diritto, più tardi, di non aver perso l'autocontrollo. Mi chiesi persino quanto era giusto pretendere che stessi lì sui due piedi a guardarla, e quando avrei potuto onorevolmente battere in ritirata. Pensieri che, naturalmente, mi passarono per la testa con la rapidità del fulmine, e che a un certo punto vennero bloccati da un altro movimento del fantasma. Nell'oscura massa eretta apparvero due mani bianche, che si alzarono lentamente a quello che poteva essere il livello del capo. Qui vennero premute insieme sopra la zona del viso, da cui poi si staccarono, e la faccia si svelò. Era bianca, indistinta, strana, spettrale in ogni senso. Mi guardò per un attimo: dopo di che una delle mani si levò di nuovo, lentamente, e si mosse avanti e indietro dinanzi al volto. V'era qualcosa di molto singolare in quel gesto; pareva significare risentimento e congedo, e tuttavia il movimento aveva un che di ovvio, di famigliare. Il fatto che la Presenza frequentatrice mi trattasse famigliarmente non era entrato nei miei calcoli, e non mi fece buona impressione. Mi sentii d'accordo col capitano Diamond: era «maledettamente sgradevole». Fui pervaso dall'intenso desiderio di Henry James
114
1970 - Racconti Di Fantasmi
muovere in composta e, se possibile, dignitosa ritirata. Aspiravo a che fosse una ritirata coraggiosa, e pensai che sarebbe stato un atto di coraggio spegnere le candele. Mi volsi e, con precisione, mandai ad effetto l'intento; poi, annaspando nel buio, mi diressi verso la porta e l'aprii. Sebbene quasi del tutto spenta, per un attimo la luce esterna entrò, giocò sui recessi polverosi della casa e mi mostrò il solito contorno dell'apparizione. In piedi, sull'erba, chino sul suo bastone, sotto lo scintillio delle prime stelle, ritrovai il capitano Diamond. Alzò gli occhi a fissarmi per un momento, ma non mi fece domande, poi andò a richiudere la porta. Assolto questo compito, eseguì l'altro: s'inchinò come il prete davanti all'altare, e poi, senza più badare a me, si allontanò. Alcuni giorni dopo, sospesi gli studi, partii per le vacanze estive. Rimasi assente alcune settimane, durante le quali ebbi tutto l'agio di esaminare le mie impressioni circa il soprannaturale. Trovai qualche po' di soddisfazione nel constatare che non ne ero uscito ignobilmente terrorizzato; non ero scappato né svenuto: avevo sostenuto la mia parte con dignità. Ciò nonostante, mi sentii certamente più tranquillo quand'ebbi interposto trenta miglia fra me e il teatro delle mie gesta, e per parecchi giorni continuai a preferire la luce del giorno all'oscurità. I miei nervi erano stati grandemente scossi; me ne resi particolarmente conto allorché, sotto l'influsso dell'aria torpida della costa, la mia eccitazione cominciò pian piano a declinare. Quando fu svanita del tutto, tentai di dare un giudizio rigidamente razionale della mia esperienza. Senza dubbio, avevo visto qualcosa - non era stata immaginazione, ma che cosa? Adesso rimpiangevo amaramente di non esser stato più ardito, di non essermi avvicinato maggiormente a esaminare l'apparizione. Ma parlare era facile: avevo fatto quel che qualsiasi altro uomo avrebbe osato fare nelle mie circostanze; era stata una sorta d'impedimento fisico a trattenermi dall'avanzare. Quella paralisi delle mie energie non era di per se stessa un influsso soprannaturale? Non necessariamente, forse: perché un falso fantasma, una volta accettato, poteva provocare la medesima reazione di un fantasma vero. Ma perché avevo accettato così facilmente la fosca apparizione che agitava la mano? Perché mi si era tanto impressa nella mente? Vero o falso che fosse, era senza dubbio un fantasma molto perspicace. Preferivo di gran lunga che si fosse trattato di un vero fantasma: prima di tutto perché non mi andava l'idea di aver rabbrividito per nulla, in secondo luogo perché, si sa, l'essersi trovato al cospetto di un Henry James
115
1970 - Racconti Di Fantasmi
autentico, spettro, è motivo d'orgoglio per un uomo pacifico. Cercai dunque di lasciare in pace la mia apparizione e di smetterla di arrovellarmi. Tuttavia, a intervalli, un impulso più forte della mia volontà seguitava a pormi sulle labbra una domanda beffarda. Ammettiamo che l'apparizione fosse la figlia del capitano Diamond; se era lei, quello era certo il suo spettro. Ma non era il suo spettro e insieme qualcos'altro? La metà di settembre mi ritrovò insediato fra le ombre teologiche, però senza alcuna fretta di tornare alla casa degli spiriti. Si avvicinava l'ultimo del mese, scadenza di un altro trimestre per il povero capitano Diamond. Stavolta non mi sentii incline a disturbare il pellegrinaggio di prammatica del vecchio, per quanto debba ammettere di aver pensato con molta compassione al pover uomo che avanzava debole e solitario nell'oscurità autunnale per adempiere alla sua bizzarra incombenza. Il 30 settembre, verso mezzogiorno, stavo sonnecchiando sopra un pesante volume in-ottavo, quando udii bussare un colpo discreto alla mia porta. Risposi invitando ad entrare, ma poiché l'invito non produsse alcun effetto, andai all'uscio e l'aprii. Mi trovai di fronte una negra d'età avanzata, col capo avvolto da un turbante scarlatto e un fazzoletto bianco incrociato sul seno. Mi fissò intensamente in silenzio; aveva quell'aria dignitosa ed estremamente compunta che spesso è caratteristica delle persone anziane della sua razza. Le rivolsi uno sguardo interrogativo, e finalmente, traendo una mano dalla tasca profonda, la donna levò alto un libriccino. Era la copia dei Pensieri di Pascal che avevo regalato al capitano Diamond. - Scusi, signore, - mi disse molto timida, - conosce questo libro? - Perfettamente, - risposi io, - c'è scritto il mio nome sul frontespizio. - È proprio il suo nome... non un altro? - Se vuole, le scrivo il mio nome, e lei può confrontarli, - la tranquillizzai. Tacque per un momento e poi, con dignità: - Sarebbe inutile, signore, disse, - io non so leggere. Se mi dà la sua parola, mi basta. Vengo, continuò, - da parte del signore a cui lei ha regalato il libro.Mi ha incaricata di portarglielo in pegno, sì, pegno... così ha detto. È molto giù, molto malandato, la vuole vedere. - Il capitano Diamond è malato! - esclamai. - È grave? - Sta molto male... è bell'e spacciato. Espressi il mio dispiacere, il mio cordoglio, e mi offersi di recarmi Henry James
116
1970 - Racconti Di Fantasmi
subito da lui, se la sua bruna messaggera mi avesse indicato la strada. La donna consenti con deferenza; pochi istanti dopo la seguivo per le vie soleggiate, con la sensazione di assomigliare molto a un personaggio delle Mille e una notte, condotto a una posteria segreta da una schiava etiope. La mia guida diresse i suoi passi verso il fiume e si fermò davanti a una decorosa casetta gialla in una delle vie in discesa che menano al corso d'acqua. Fu pronta ad aprire la porta e a farmi strada, e subito mi trovai in presenza del mio vecchio amico. Era a letto, in una stanza oscurata, in uno stato evidente di estrema debolezza. Giaceva con la testa riversa sul guanciale, guardando fisso davanti a sé; i capelli erano più irti che mai e i vecchi occhi di un nero intenso e lucente scintillavano di febbre. L'alloggio, modesto e tenuto con pulizia scrupolosa, attestava che la mia guida dalla pelle d'ebano era una serva fedele. Rigido e pallido sopra le lenzuola di bucato, il capitano assomigliava a una figura rozzamente scolpita sul coperchio di una tomba gotica. Mi guardò in silenzio, mentre la nostra compagna si ritirava lasciandoci soli. - Sì, è proprio lei, - disse infine, - è lei quel bravo giovanotto. Non mi sbaglio, vero? - Spero di no; credo di essere un bravo giovanotto, ma mi dispiace che sia ammalato. Che cosa posso fare per lei? - Sto male, molto male; le mie povere ossa mi dolgono tanto! -E, gemendo pietosamente, cercò di voltarsi verso di me. Lo interrogai sulla natura del suo male, sulla durata della sua infermità, ma mi badò appena; sembrava impaziente di parlare di qualcos'altro. Mi afferrò per la manica, mi tirò verso di sé e bisbigliò in fretta: - Oggi scade il mio termine! - Oh, spero proprio di no, - risposi, fraintendendolo. - Sono sicuro che la rivedrò in piedi. - Lo sa Dio! - replicò. - Ma non volevo dire che sto per morire; neanche per sogno. Intendo dire che devo recarmi alla casa... Oggi è il giorno della pigione. - Già, certo! Ma non ci può andare. - Non ci posso andare. È terribile: perderò i miei soldi. Anche se muoio, li voglio ugualmente. Voglio pagare il medico. Voglio essere seppellito come una persona che si rispetti. - E per questa sera? - chiesi. - Questa sera, all'ora del tramonto precisa. Henry James
117
1970 - Racconti Di Fantasmi
Giaceva fissandomi, e, nel ricambiargli lo sguardo, compresi d'un tratto la ragione per cui m'aveva mandato a chiamare. Nell'attimo in cui la intuii, sussultai nel mio intimo. Ma credo di aver continuato ad apparire imperturbabile, perché il capitano proseguì nello stesso tono: - Non posso perdere quel denaro. Deve andarci qualcun altro. L’ho chiesto a Belinda, ma non vuol nemmeno sentirne parlare. - È sicuro che la somma venga pagata a un'altra persona? - Si può quanto meno tentare. Non ho mai mancato prima, e non so. Ma se lei le dice che sto male come un cane, che le mie vecchie ossa sono tutte un dolore, che sto morendo, forse le crederà. Non vuole farmi morire di fame, dopo tutto! - Desidererebbe dunque che andassi io al suo posto? - Lei c'è già stato una volta; sa di che si tratta. Ha paura? Esitai. - Mi dia tre minuti di tempo per riflettere, - dissi, - e glielo dirò. I miei occhi vagarono sulla stanza posandosi sui vari oggetti che testimoniavano della povertà consunta ma dignitosa del suo occupante. Screpolati, sbiaditi, sparpagliati com'erano, parevano fare muto appello alla mia pietà, alla mia risoluzione. Intanto il capitano continuava con un filo di voce: - Credo che si fiderà di lei, come mi fido io; la sua faccia le piacerà, vedrà che lei è incapace di far del male. Sono, per l'esattezza, centotrentatre dollari. Badi di metterli al sicuro. Infine cedetti. - Sì, andrò, e, per quanto dipende da me, questa sera alle nove lei avrà i suoi soldi. Parve molto sollevato; mi prese la mano e la strinse debolmente. Poco dopo mi congedai. Per il resto della giornata cercai di non pensare alla mia incombenza della sera, ma, naturalmente, non pensavo ad altro. Non voglio negare di essermi sentito nervoso; in realtà ero molto eccitato, e passai il tempo ora sperando che il mistero si dimostrasse meno profondo di quanto sembrava, ora temendo che fosse troppo inconsistente. Le ore passavano lentamente: quando il pomeriggio iniziò a declinare, mi misi in cammino per la mia missione. Mi fermai lungo la via della modesta abitazione del capitano Diamond, per chiedere notizie e ricevere quelle eventuali ultime istruzioni che avesse desiderato impartirmi. La vecchia negra, grave e imperturbabile nella sua placidità, mi fece entrare e, rispondendo alle mie domande, affermò che il capitano era molto «giù»; era peggiorato rispetto alla mattina. - Deve fare in fretta, - soggiunse, - se vuol essere di ritorno prima della Henry James
118
1970 - Racconti Di Fantasmi
sua fine. Un suo sguardo mi confermò ch'essa era al corrente della mia progettata spedizione, benché la sua nera pupilla opaca non desse il minimo segno di tradirsi. - Ma perché dovrebbe finire, il capitano Diamond? - domandai. - Certo, sembra molto debole; ma non riesco a capire se si tratta di una malattia vera e propria. - La sua malattia è la vecchiaia, - sentenziò la donna. - Ma non è poi così vecchio: sessantasette, sessantott'anni al massimo. Tacque per un momento. - E consumato, è logoro, non ce la fa più. - Posso vederlo un momento? - chiesi; ed essa mi fece entrare. Egli giaceva in letto allo stesso modo in cui l'avevo lasciato, tranne che teneva gli occhi chiusi. Appariva davvero molto «giù», come aveva detto Belinda, e aveva un polso debolissimo. Malgrado ciò, appresi che il dottore, venuto nel pomeriggio, si era dichiarato soddisfatto. - Ma lui non sa come stanno le cose, - aggiunse sbrigativa la negra. Il vecchio si agitò un poco, apri gli occhi, e un momento dopo mi riconobbe. - Vado, sa, - gli dissi. - Vado a riscuotere il suo denaro. Ha ancora qualcosa da dirmi? - Egli si sollevò a fatica, con uno sforzo doloroso, appoggiandosi ai cuscini; ma pareva quasi non comprendermi. - La casa, capisce? - gli spiegai. - Sua figlia. Si stropicciò la fronte per un poco, con gesto lento, e infine la sua mente si ridestò. - Ah, sì, - mormorò, - mi fido di lei. Centotren-tatre dollari. In monete vecchie... tutte monete vecchie -. Poi, con aumentato vigore e uno scintillio negli occhi: - Sia molto rispettoso, - si raccomandò, - molto educato. Se no... se no... - e di nuovo la voce gli venne meno. - Lo sarò certamente, - lo assicurai, con un sorriso un po' forzato. - Ma, se no...? - Se no, verrò a saperlo! - disse in tono grave. A questo punto gli occhi gli si chiusero e ricadde sui cuscini. Continuai la mia spedizione camminando con passo abbastanza risoluto. Raggiunta che ebbi la casa, le feci una riverenza propiziatoria a imitazione del capitano Diamond. Avevo regolato la mia andatura in modo da poter entrare subito; la notte era caduta allora. Girai la chiave, aprii la porta e me la richiusi alle spalle. Poi feci un po' di luce e trovai sul tavolo Henry James
119
1970 - Racconti Di Fantasmi
dell'anticamera i due candelieri che avevo adoperato l'altra volta. Avvicinai un fiammifero a entrambi, li presi in mano ed entrai nel salotto. Era vuoto, e benché aspettassi un momento, vuoto rimase. Passai nelle altre stanze del piano terreno: nessuna oscura immagine si levò dinanzi a me a trattenere i miei passi. Infine tornai nell'anticamera e mi fermai chiedendomi se dovevo salire al piano di sopra. La scala era stata teatro della mia precedente sconfitta: l'avvicinai perciò con estrema diffidenza. Prima di salire attesi un attimo, guardando in su con la mano sulla balaustra. Aspettavo in uno stato di grande tensione, ed era una tensione giustificata. A poco a poco, nell'incombente oscurità, la figura nera che avevo già vista prese forma. Non era illusione: era una figura, la stessa. Le lasciai il tempo di delinearsi: ora stava eretta e mi guardava dall'alto, nascondendo il volto con un velo. Allora, risolutamente, alzai la voce e parlai. - Sono venuto al posto del capitano Diamond, dietro sua richiesta, dissi. - È molto malato, nell'impossibilità di lasciare il letto. Insiste perché il denaro che gli spetta venga versato a me; glielo porterò immediatamente -. La figura rimase immobile, senza dare alcun segno. - Il capitano sarebbe venuto di persona se fosse in grado di muoversi, - aggiunsi subito dopo, in tono di preghiera; - ma non può più fare un passo. A queste parole la figura scoprì il viso, mostrandomi una maschera bianca, dai contorni confusi; poi prese a scendere lentamente gli scalini. Io mi ritrassi come per istinto, portandomi sulla porta del salotto anteriore. Con gli occhi sempre fissi su lei, indietreggiando, varcai la soglia e mi fermai al centro della stanza, dove deposi i due lumi. La figura mosse verso di me: si sarebbe detta quella di una donna alta, vestita di vaporoso crespo nero. Quando mi fu vicina, vidi che il suo volto era perfettamente umano, ma pallidissimo e triste. Rimanemmo a guardarci. La mia agitazione era del tutto scomparsa e partecipavo intensamente alla scena. - Mio padre è in pericolo? - domandò l'apparizione. Nell'udire quella voce - una voce gentile, tremula, umanissima - feci un balzo in avanti, e l'agitazione mi riprese. Trassi un lungo respiro, emisi una specie di grido, poiché mi trovavo di fronte non a un fantasma senza corpo, ma a una bella donna, un'attrice consumata. Irresistibilmente, per istinto e per un'incoercibile reazione contro la mia credulità, allungai una mano e afferrai il lungo velo che le avvolgeva il capo. Gli diedi uno strattone violento che per poco non lo fece cadere del Henry James
120
1970 - Racconti Di Fantasmi
tutto, e rimasi con gli occhi fissi su una maestosa figura femminile, di trentacinque anni all'incirca. Con uno sguardo abbracciai l'intera sua persona: il lungo vestito nero, il viso smunto, scavato dalla sofferenza, truccato per apparire più pallido, i bellissimi occhi - gli occhi di suo padre - e un'espressione risentita per il mio gesto. - Voglio sperare che mio padre non l'abbia mandata qui per oltraggiarmi! - esclamò. Si volse rapida e, afferrata una delle candele, si diresse verso la porta. Qui s'arrestò, mi guardò ancora una volta, ebbe un attimo d'esitazione; poi, toltasi di tasca un borsellino, lo gettò sul pavimento. - Ecco il suo denaro! - concluse con sussiego. Incerto fra lo stupore e la vergogna, rimasi immobile, mentre lei passava nell'anticamera. Allora raccolsi da terra il portamonete. Un attimo dopo udii un urlo e il fracasso di qualcosa che cadeva, ed essa tornò indietro barcollando nella stanza, senza la candela. - Mio padre... mio padre! - gridò; e corse verso di me con la bocca spalancata e gli occhi dilatati. - Suo padre... ma dov'è? - domandai. - In anticamera, ai piedi della scala. Feci per spingermi avanti, ma essa mi afferrò il braccio. - È vestito di bianco, - gridò, - è in camicia! Non è lui! - Ma via, suo padre è a casa sua, nel suo letto, malatissimo, - le risposi. Mi guardò con occhi fissi, indagatori. - Moribondo? - Spero di no, - balbettai. Emise un lungo gemito, coprendosi il volto con le mani. - Oh cielo! Ho visto il suo fantasma! - esclamò. Mi teneva ancora stretto per un braccio; sembrava troppo terrorizzata per lasciarmi. - Il suo fantasma! - le feci eco, incredulo. - È il castigo per la mia lunga follia! - aggiunse. - Ah, - feci io, - è il castigo per la mia indiscrezione... per la mia prepotenza! - Mi porti via, mi porti via! - gridò, sempre afferrata al mio braccio. No, non di là... - soggiunse, mentre io stavo dirigendomi verso l'ingresso, alla porta principale. - Non da quella parte, per l'amor di Dio! Da questa... dalla porta di servizio! - E, afferrate dal tavolo le altre candele, mi guidò attraverso la stanza vicina, in direzione della parte posteriore della casa. Henry James
121
1970 - Racconti Di Fantasmi
Là, da una specie di retrocucina, una porta s'apriva sull'orto. Feci scattare la serratura arrugginita e, usciti all'aperto, ci trovammo nell'aria fredda, sotto le stelle. Qui la mia compagna raccolse intorno a sé i lunghi drappeggi della sua veste nera e rimase ferma un momento, incerta. Io ero in uno stato di confusione estrema, ma la curiosità nei confronti di quella creatura ebbe in me il sopravvento. Agitata, esangue, statuaria, essa appariva, in quella prima luce della sera, d'una bellezza estrema. - Per tutti questi anni, - le dissi, - lei ha continuato a sostenere una straordinaria commedia. Mi guardò con espressione torva, riluttante a rispondere. - Io sono venuto del tutto in buona fede, - continuai. - L'ultima volta... tre mesi fa... ricorda?... lei mi ha molto spaventato. - Certo, è stata una commedia fuori del comune, - rispose finalmente la donna. - Ma era l'unico modo. - Non l'aveva dunque perdonata? - Finché mi pensava morta, sì. Ma ci sono stati episodi nella mia vita che lui non poteva perdonare. Esitai, e poi: - Dov'è ora suo marito? - chiesi. - Non ho marito... non ho mai avuto marito. Ebbe un gesto come per frenare altre domande, e si allontanò rapidamente. Feci con lei il tratto di cammino intorno alla casa verso la strada, mentre essa continuava a mormorare: - Era lui... era lui! Raggiunta la strada, si fermò per chiedermi da che parte sarei andato. Le indicai il sentiero per il quale ero venuto. - Io prendo l'altro, - dichiarò. Lei va da mio padre? - soggiunse. - Immediatamente, - risposi. - Vuol farmi sapere domani che cos'ha trovato? - Volentieri, ma come faccio a comunicare con lei? Ebbe un'espressione di smarrimento e si guardò intorno. - Mi scriva due parole e le metta sotto quella pietra -. E mi indicò una delle lastre di lava che bordavano il vecchio pozzo. Le promisi di accontentarla. Ella si volse: - Conosco la strada, - affermò. - È tutto predisposto. È una vecchia storia. Mi lasciò con passo rapido, e mentre si allontanava nel buio i fluttuanti contorni delle sue vesti nere le ridiedero quell'aspetto di fantasma con cui m'era apparsa la prima volta. Stetti a guardarla finché divenne invisibile, poi abbandonai anch'io quel luogo. Tornai in città di buon passo, e mi diressi senza indugio alla casetta gialla vicino al fiume. Mi permisi Henry James
122
1970 - Racconti Di Fantasmi
d'entrare senza bussare e, non trovando alcun ostacolo, procedetti verso la camera del capitano Diamond. Fuori dalla porta, su un panchettino, la nera Belinda era seduta a braccia conserte. - Come sta? - chiesi. - È salito alla gloria eterna. - Morto? - gridai. La donna si alzò soffocando una tragica risata. - Ormai è un fantasma come tutti gli altri! Passai nella stanza: il vecchio giaceva irrevocabilmente rigido e immoto. Quella sera scrissi poche righe che intendevo collocare l'indomani sotto la pietra accanto al pozzo; ma era destino che la mia promessa non fosse mantenuta. Dormii molto male quella notte -cosa ben comprensibile - e non trovando sonno m'alzai dal letto per passeggiare nella stanza. In quella, passando davanti alla finestra, vidi un bagliore rosso rischiarare il cielo a nord-ovest. Nella campagna c'era dunque una casa in fiamme, ed evidentemente stava bruciando in fretta. Era nella stessa direzione del luogo dove s'erano svolte le mie avventure serali. Mentre fissavo l'orizzonte infocato, fui assalito da un ricordo preciso. Io avevo spento la candela che aveva fatto luce a me e alla mia compagna fino alla porta dalla quale eravamo fuggiti, ma non avevo più pensato all'altro lume, quello che lei aveva portato nell'anticamera e che nel suo stato d'angoscia aveva lasciato cadere Dio sa dove. L'indomani uscii con la lettera ripiegata e svoltai al noto crocicchio. La casa dei fantasmi era un ammasso di travi carbonizzate e ceneri fumanti; il coperchio del pozzo era stato spostato in cerca d'acqua, dai pochi vicini che avevano avuto l'ardire di contrastare quelle fiamme (certamente, secondo loro, alimentate dal demonio); le lastre di pietra erano a soqquadro e il terreno calpestato tutto una pozzanghera. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
SIR EDMUND ORME La narrazione sembra sia stata scritta, per quanto il frammento non porti data, molto dopo la morte di sua moglie, che io considero una delle persone di cui vi si fa parola. Non c'è tuttavia nulla, nella strana vicenda, che confermi questo punto di vista, il quale, d'altra parte, non ha forse alcuna importanza, ora. Quando entrai in possesso delle cose che gli erano Henry James
123
1970 - Racconti Di Fantasmi
appartenute, trovai queste pagine in un cassetto chiuso a chiave, in mezzo a documenti che si riferivano alla troppo breve esistenza della sventurata signora - era morta di parto un anno dopo il matrimonio: lettere, appunti, conti, fotografie sbiadite, biglietti d'invito. È l'unico nesso che io possa menzionare, ed è agevole trovarlo, come probabilmente farete, troppo fantasioso per riconoscergli una qualsiasi base concreta. Ammetto di non poter affermare che egli volesse riferire una vicenda realmente accaduta posso soltanto garantire che era, di regola, veritiero. Comunque, la narrazione che egli scrisse per sé, non per gli altri, io la offro agli altri, avendo piena libertà di scelta, appunto a causa della sua stranezza. Quanto alla forma del racconto, si ricordi che egli lo scrisse unicamente per sé. Io non ho modificato che i nomi. Se la cosa può definirsi un racconto, posso fissare il momento esatto nel quale cominciò. Fu in un mite e tranquillo meriggio domenicale di novembre, subito dopo la funzione, sul Lungomare inondato di sole. Brighton appariva affollata; la «stagione» era al colmo e la giornata, anche pili dignitosa che bella, spiegava l'insolita affluenza di gente lungo la passeggiata. Lo stesso mare azzurro era decoroso; sembrava - se in tal caso si può parlare di decoro -russare in sordina mentre la natura predicava il suo sermone. Dopo aver scritto lettere tutta la mattina ero uscito a dare un'occhiata al passeggio prima della colazione. Appoggiato alla ringhiera che divide la King's Road dalla spiaggia, avevo fumato, mi sembra, una sigaretta, quando venne a riscuotermi un leggero bastoncino da passeggio, posato scherzosamente sulla mia spalla. L'idea, mi avvidi, era stata di Teddy Bostwick dei Fucilieri e mirava a trovar qualcuno con cui chiacchierare. La nostra conversazione si avviò mentre ci mettevamo a gironzare insieme - Teddy vi prendeva sempre sotto braccio per farvi capire che perdonava la vostra incomprensione del suo carattere - a guardare la gente, a fare un cenno di saluto a qualcuno a domandarci chi fosse il tale e il tal altro, a trovarci in disaccordo circa la bellezza delle ragazze. Quanto a Charlotte Marden, come la vedemmo avvicinarsi in compagnia di sua madre, fummo tuttavia dello stesso parere; e chiunque sarebbe stato d'accordo con noi. In passato l'aria di Brighton soleva far belle le brutte e ancor più belle le belle - non so se la magia operi ancora. La località era comunque straordinaria per le carnagioni, e quella della signorina Marden era tale da far voltare la gente. Sa Iddio se non inducesse noi a fermarci - per lo meno fu una delle ragioni, perché noi già Henry James
124
1970 - Racconti Di Fantasmi
conoscevamo le due signore. Prendemmo per la loro strada, ci unimmo a loro, andammo dove loro erano dirette. Non avevano altra meta che arrivare in fondo al Lungomare e poi tornare indietro - erano appena uscite di chiesa. Una nuova manifestazione del carattere di Teddy fu di impossessarsi immediatamente di Charlotte e di lasciare la madre a me. Tuttavia non mi sentii infelice; la ragazza era davanti a me e potevo parlare di lei. Prolungammo la passeggiata; la signora Marden non volle rinunciare alla mia compagnia e a un certo momento disse di sentirsi stanca e di voler riposare. Trovammo da sederci su una panchina riparata e ci disponemmo a fare qualche pettegolezzo mentre la gente ci passava davanti. Già altra volta avevo notato che la rassomiglianza fra madre e figlia era, nel caso della signora Marden e di Charlotte, più impressionante del solito, tanto più che risentiva così poco della diversità di carattere. Si sente spesso dire che le madri in età sono altrettanti moniti - cartelli indicatori, più o meno scoraggianti, della via che seguiranno le figlie. Ma non v'era niente di sgradevole nell'idea che, a cinquantacinque anni, Charlotte sarebbe stata, anche a condizione di apparire altrettanto pallida e preoccupata, bella come la signora Marden. A ventidue anni aveva la carnagione bianca e rosata ed era mirabilmente avvenente. La sua testa aveva la bella forma di quella di sua madre, i suoi lineamenti la stessa raffinatezza. Poi c'erano gesti e atteggiamenti e toni - momenti nei quali sarebbe stato difficile dire se si trattasse di movimento o di suono - che stabilivano, fra l'una e l'altra, rispondenze, evocavano ricordi. Le due signore avevano una piccola fortuna e, a Brighton, una gaia casetta piena di ritratti e cimeli e trofei - animali impagliati in cima agli scaffali e squallidi pesci verniciati sotto vetro - ai quali la signora Marden si dichiarava attaccata in virtù di ricordi pii. A suo marito, quando s'era ammalato, avevano prescritto di trascorrere a Brighton gli ultimi anni della sua vita, e la signora Marden mi aveva già detto che era un luogo nel quale si sentiva ancora sotto la protezione della sua bontà. Pare che la sua bontà fosse stata grande, e qualche volta ella sembrava difenderla da vaghe insinuazioni. Evidentemente un certo senso di protezione, di trovarsi sotto un influsso invocato e prediletto, le era necessario; aveva un'irrequietezza oscura, un ansioso bisogno di sentirsi al riparo. Desiderava essere circondata da amici, e ne aveva molti. Era stata gentile con me fin dal primo incontro, e non avevo mai sospettato in lei il volgare proposito di «accalappiarmi» - per quanto quel sospetto sia sconvenientemente Henry James
125
1970 - Racconti Di Fantasmi
frequente in molti giovani vanitosi. Non mi era mai venuto in mente che pensasse a me per sua figlia, e nemmeno, come tante madri impenitenti, per sé. Pareva che avessero entrambe un profondo e timido bisogno in comune e fossero pronte a dire: - Prego, siateci amico e non abbiate timore! Non vi si domanda di prenderci in moglie. - C'è qualcosa di speciale nella mamma: è questo che la rende così simpatica! - mi aveva detto confidenzialmente Charlotte fin dai primi tempi della nostra conoscenza. Aveva un'adorazione per l'aspetto fisico di sua madre. Era l'unica cosa di cui fosse vanitosa; accettava le sopracciglia inarcate come un delizioso ultimo tocco. - Cara!, sembra che aspetti il dottore, - disse un'altra volta. - Forse il dottore siete voi; che ne dite? - In conclusione parve che io avessi veramente un certo potere risanatore. Comunque, quando un giorno la signora Marden si lasciò sfuggire l'osservazione, e venni a sapere come anche lei trovasse, per parte sua, che in Charlotte c'era qualcosa di «molto strano», il rapporto tra le due signore mi parve senz'altro interessante. In fondo, era abbastanza felice: ciascuna delle due aveva l'altra tanto a cuore. Il passeggio sul Lungomare continuava, e a un certo momento Charlotte ci passò davanti con Teddy Bostwick. Sorrise, fece un cenno di testa, e prosegui; ma, quando tornò indietro, si fermò, e prese a parlare. Il capitano Bostwick si rifiutava recisamente di rientrare - dichiarava che l'occasione era troppo bella: non potevano concedersi un altro giro? Sua madre elargì un «Fa come ti piace», e, sul punto di allontanarsi, la ragazza mi rivolse, di sopra la spalla, un impertinente sorriso. Teddy mi guardò incastrandosi il monocolo nell'occhio, ma io non ci feci caso. Mentre, rivolto alla mia compagna, ridevo, non pensavo che alla signorina Marden: - Sapete che è un po' civettina? - Non state a dirlo... non state a dirlo! - mormorò la signora Marden. - Le migliori ragazze lo sono sempre... per quanto poco, - ebbi la magnanimità di aggiungere. - E perché sono sempre punite allora? L'impeto della domanda mi colpi - le era uscita di bocca vivida come un baleno. Dovetti quindi riflettere un momento prima di ribattere: - Che ne sapete voi della loro punizione? - Forse... sono stata anch'io una ragazza cattiva. - E foste punita? - È un peso che mi porto dietro sempre, - disse, guardando altrove. - Ah! Henry James
126
1970 - Racconti Di Fantasmi
- ansimò improvvisamente, alzandosi in piedi e guardando verso sua figlia che era ricomparsa col capitano Bostwick. Rimase alcuni secondi in piedi col viso stranamente alterato, poi ricadde a sedere, e notai che s'era fatta paonazza. Charlotte, che s'era accorta di tutto, le si avvicinò subito e, prendendole con pronta tenerezza la mano, si sedette al suo fianco, dall'altra parte della panchina. La ragazza s'era fatta pallida - guardava sua madre con occhi fissi e spauriti. La signora Marden, la quale doveva essere rimasta impressionata da qualche cosa che c'era sfuggita, si riprese; rimase, cioè, a sedere tranquilla e senza far parola, intenta a guardare la folla indifferente, l'aria soleggiata, il mare sonnacchioso. Accadde tuttavia che i miei occhi si posassero sulle mani allacciate delle due signore, e mi avvidi immediatamente che la stretta della più anziana era violenta. Bostwick stava davanti a loro, domandando a se stesso che cosa fosse successo, e a me, attraverso il piccolo disco di vetro, se lo sapessi. Questo, qualche momento dopo, indusse Charlotte a dirgli con una certa irritazione: - Non state li a quel modo, capitano Bostwick. Andate via, ve ne prego, andate via. A queste parole mi alzai, esprimendo la speranza che la signora Marden non si sentisse male; ma questa insistette subito perché non le lasciassimo: rimanessimo assolutamente con loro, anzi; anche a colazione. Mi tirò a sedere accanto a sé; e, per un momento, sentii la sua mano stringermi il braccio in un modo che poteva essere un involontario sintomo d'angoscia e poteva anche essere un aperto segnale. Che cosa volesse mai farmi capire non potei indovinare: forse aveva visto nella folla qualcuno o qualche cosa di anormale. Pochi minuti dopo ci spiegò che si sentiva benissimo, soffriva soltanto di palpitazioni: venivano e passavano via con pari rapidità. Era tempo di muoversi - riconoscemmo la giustezza dell'osservazione e agimmo in conseguenza. Avevamo l'impressione che l'incidente fosse ormai chiuso. Bostwick e io facemmo colazione con le nostre amabili amiche; e, quando me ne andai con lui, mi dichiarò di non aver mai incontrato persone più di suo gusto in tutto e per tutto. La signora Marden ci aveva fatto promettere di ritornare il giorno dopo per il tè, e ci aveva anzi esortati ad andarle a trovare quanto più spesso potevamo. Tuttavia, quando, il giorno dopo, alle cinque, picchiai alla porta della loro bella casa, mi fu detto che le signore erano andate in città. Avevano lasciato ordine al maggiordomo di comunicarci che avevano avuto una chiamata improvvisa e che erano molto dispiacenti. Sarebbero Henry James
127
1970 - Racconti Di Fantasmi
rimaste via qualche giorno. Questo fu tutto quello che mi riuscì di cavare dalla bocca del riservatissimo domestico. Ritornai tre giorni dopo, ma le signore erano ancora assenti; soltanto alla fine della settimana ricevetti un biglietto dalla signora Marden: - Siamo di nuovo qui, - scriveva, - venite e perdonateci -. Ricordo come fosse in quell'occasione - quando andai appena ricevuto il biglietto - che la signora Marden mi disse di avere delle intuizioni molto chiare. Non so quante persone ci fossero in Inghilterra, a quel tempo, in condizioni analoghe, ma ce n'erano certo pochissime disposte a farne parola; tanto che trovai la dichiarazione originale, specialmente in quanto la signora insistette sul punto che alcuni dei suoi misteriosi presentimenti si riferivano a me. C'erano altre persone presenti le solite vecchiette sfaccendate di Brighton, con gli occhi spauriti e le interiezioni vuote di senso - e non potei scambiare con Charlotte che qualche parola; ma il giorno dopo andai a pranzo da loro ed ebbi la soddisfazione di sedere accanto alla signorina Marden. Ricordo quell'incontro come l'ora nella quale mi resi pienamente conto che Charlotte era una bella e generosa creatura. Non avevo intravisto sino a quel punto che sprazzi della sua personalità, barlumi, come in una canzone cantata a frammenti, ma ora era lì, spiegata davanti a me in tutto il suo roseo splendore, come in un pieno orchestrale. Sentivo la melodia intera, ed era una musica dolce e fresca che dovevo poi spesso canticchiare fra me. Dopo il pranzo scambiai qualche parola con la signora Marden; la sera era ormai avanzata e si stava servendo il tè. Un domestico ci passò davanti portando un vassoio: le domandai se ne desiderava una tazza e, alla sua risposta affermativa, ne presi una e gliela porsi. Alzò il braccio per prenderla, e credetti l'avesse già salda in mano, quando, sul punto in cui le sue dita stavano per stringersi, ebbe un sussulto e un momento d'arresto: bastò perché la mia fragile tazza e il bel piattino cadessero sul pavimento in un rovinio di porcellana, senza che la mia compagna accennasse a fare il solito gesto della donna che cerca di salvare il vestito. Mi chinai per raccattare i frammenti, e quando mi rizzai, vidi che la signora Marden stava guardando verso la parte opposta delle stanza in direzione di sua figlia, la quale restituì l'occhiata col sorriso sulle labbra ma l'occhio ansioso. «Mamma cara, che cosa ti succede mai?» la silenziosa domanda sembrava chiedere. La signora Marden arrossi come aveva fatto dopo il suo strano gesto sul Lungomare una settimana prima, e fui quindi sorpreso Henry James
128
1970 - Racconti Di Fantasmi
di sentirle dire con la più inaspettata sicurezza di sé: - In verità dovreste avere la mano più ferma! - Avevo incominciato a balbettare in difesa della mia mano, quando notai gli occhi di lei fissi su di me con un'espressione d'intensa preghiera. A tutta prima la cosa mi parve ambigua e non fece che aumentare la mia confusione; poi, improvvisamente, capii, con altrettanta chiarezza che se mi avesse bisbigliato: - Date a credere che la colpa è stata vostra, date a credere che la colpa è stata vostra -. Il domestico ritornò a prendere i pezzi della tazza e ad asciugare il tè rovesciato; e, mentre io ero intento a fare la commedia, la signora Marden si sottrasse bruscamente all'attenzione di sua figlia e alla mia andando in un'altra stanza. Non parve preoccuparsi minimamente delle condizioni del suo vestito. Quella sera non vidi più né l'una né l'altra, ma la mattina dopo, in King's Road, incontrai la più giovane con un rotolo di musica nel manicotto. Mi disse che aveva fatto una corsa da sola per andare a esercitarsi in alcuni duetti con un'amica, e le domandai se avrebbe gradito di fare un pezzo di strada in compagnia. Mi concesse di accompagnarla fino alla sua porta, e quando fummo lì, le domandai se potevo entrare. - No, non oggi, non è il caso, -disse con molta franchezza, per quanto non sgarbatamente, e le parole mi spinsero a gettare uno sguardo curioso e sconcertato verso una finestra della casa. S'imbattè nel viso pallido della signora Marden, rivolto verso di noi dal salotto. Rimase li abbastanza a lungo, e potei accertarmi che era proprio lei, e non l'apparizione per la quale l'avevo quasi presa; ma svanf prima che sua figlia l'avesse veduta. Durante la nostra passeggiata, la ragazza non aveva mai parlato di lei. Dal momento che non ero desiderato, le lasciai qualche tempo in pace; poi circostanze imprevedute ci tennero discosti anche più a lungo. Infine feci una scappata a Londra, e mentre mi trovavo lì, ricevetti un caloroso invito ad andare immediatamente a Tranton, una graziosa tenuta nel Sussex, appartenente a una coppia con la quale avevo fatto conoscenza da poco. Lasciai la città per Tranton, e, all'arrivo, trovai nella casa insieme con una dozzina d'altre persone, le Marden. - Mi perdonate? - disse per prima cosa la signora Marden; e quando le domandai che cosa le dovessi perdonare: - Di avervi gettato il tè addosso, - rispose. Le ricordai che in realtà era andato addosso a lei; allora disse: - Comunque fui molto scortese, ma credo che in futuro capirete, e mi concederete le attenuanti -. Il primo giorno che mi trovai lì, fece due o tre di queste allusioni -s'era già lasciata andare a farne delle altre all'iniziazione mistica che m'era riservata; così che incominciai, come si Henry James
129
1970 - Racconti Di Fantasmi
suol dire, a tormentarla in proposito, a dirle che avrei preferito fosse meno straordinaria, e farne l'esperienza al più presto. Mi rispose che, quando fosse venuta, avrei dovuto farne esperienza senz'altro - senza possibilità di scelta. E che sarebbe venuta era per lei, misteriosamente, cosa certa, ne aveva un presentimento profondo - non per altro ne aveva parlato. Non ricordavo, forse, che aveva parlato d'intuizioni? Dal primo momento che m'aveva visto, era stata sicura che c'erano cose le quali non avrei potuto evitare di conoscere. Per il momento non c'era da far altro che aspettare e mantenersi calmi, non precipitare le cose. Desiderava in modo particolare di non diventare eccessivamente nervosa. E io stesso dovevo soprattutto non essere nervoso - ci si può abituare a tutto. Risposi che sebbene non mi riuscisse di capire a che cosa alludesse, ero terribilmente spaventato: la mancanza di ogni punto di riferimento dava tal gioco alla fantasia! Esagerai di proposito; perché, se era vero che la signora Marden mi appariva misteriosa, non posso dire che il suo contegno fosse tale da impressionare. Non mi riusciva di indovinare che cosa avesse in mente, ma ero più stupito che spaventato. Avrei potuto dire a me stesso che era un po' scombinata di cervello, ma non ci pensai nemmeno. Avevo l'impressione che vedesse irrimediabilmente giusto. C'erano altre ragazze nella casa, ma che Charlotte fosse la più affascinante, era un fatto così generalmente riconosciuto che la sua presenza era quasi d'intralcio alla strage della selvaggina. C'erano due o tre uomini, e io del numero, che preferivano infatti la sua compagnia a quella dei battitori. Veniva considerata una forma di sport superiore e squisita. Era gentile con tutti noi - ci faceva uscir tardi e rientrare di buon'ora. Non so se civettasse, ma parecchi della brigata si illudevano di essere oggetto delle sue grazie. Invero, quanto a se stesso, Teddy Bostwick, che ci aveva raggiunti da Brighton, ne era palesemente certo. Il terzo di questi giorni era domenica e, per andare in chiesa, si fece una bella passeggiata attraverso i campi. Era una giornata grigia e senza vento e la campana della vecchia chiesetta annidata nel fondo della valle suonava vicina e familiare. Camminavamo, chi avanti chi dietro nell'aria umida e tranquilla - come sempre, in quella stagione, pareva che gli alberi divenissero più numerosi col perdere delle fronde, e il cielo più ampio - e io feci in modo di rimanere parecchio indietro con la signorina Marden. Ricordo che mentre camminavamo insieme sull'erba, mi venne una forte tentazione di dire qualcosa di intensamente personale, qualcosa di violento Henry James
130
1970 - Racconti Di Fantasmi
e di importante, importante per me - come, ad esempio, che non mi era mai apparsa così bella o che quel momento particolare era il più dolce della mia vita. Ma, in giovinezza, accade sempre che queste parole salgano alle labbra più volte prima di venire effettivamente pronunciate; e io avevo l'impressione non di non conoscerla abbastanza - di questo mi curavo assai poco - ma che lei non conoscesse sufficientemente me. In chiesa - era un museo di antiche tombe ed epitaffi dei Tranton - il banco di famiglia era pieno. Alcuni di noi erano sparsi qua e là, e io trovai un posto per la signorina Marden, e uno per me accanto a lei, a una certa distanza da sua madre e dalla maggior parte dei nostri amici. Sulla panca c'erano due o tre bravi contadini che si strinsero un po' per lasciar sedere anche noi: mi sedetti per primo, si da lasciar discosta la mia compagna dagli altri. Dopo che la signorina Marden si fu seduta, restava ancora un posto libero che rimase vuoto fino a oltre metà della funzione. Per lo meno soltanto allora mi accorsi che era entrata un'altra persona, la quale aveva occupato quel posto. Quando mi accorsi del nostro nuovo vicino - doveva evidentemente esser lì da qualche minuto - si era già messo a sedere; aveva posato il cappello sulla panca e, con le mani intrecciate sul pomo del bastone, guardava fisso davanti a sé, verso l'altare: era un pallido giovane vestito di nero e dall'aria signorile. La sua presenza mi sorprese un poco, perché la signorina Marden non s'era spostata per fargli posto e non aveva quindi richiamato la mia attenzione. Qualche minuto dopo, osservando che il giovane non aveva il libro delle preghiere, allungai il braccio verso di lui e gli posai davanti il mio: il gesto mirava anche alla possibilità che, vedendomi privo del mio libro, la signorina Marden mi invitasse a leggere con lei nel suo volumetto di velluto. La manovra era tuttavia destinata a fallire perché, nel momento stesso che tesi il libro, l'intruso - la cui intrusione avevo in quel modo condonata - si alzò senza ringraziarmi, uscì senza far rumore dalla panca, che non aveva sbarra, e con tanta discrezione da non essere notato da nessuno, s'allontanò lungo la navata centrale. Per le sue devozioni gli erano bastati pochi minuti. Il suo modo di comportarsi era stato sconveniente, quell'andarsene dopo pochi minuti ancor più dell'essere arrivato in ritardo; ma i suoi movimenti furono tanto accorti che non ne fummo affatto disturbati e, voltandomi per seguirlo con gli occhi, notai che nessuno si mostrava sorpreso del suo contegno. Osservai soltanto che la signora Marden ne era stata tanto impressionata da alzarsi, del tutto involontariamente, da sedere. Henry James
131
1970 - Racconti Di Fantasmi
Lo guardò, mentre passava, fissamente, ma egli passò rapido, ed ella altrettanto rapidamente si risedette; non tanto rapidamente, tuttavia, da non incontrare i miei occhi attraverso la chiesa. Cinque minuti dopo domandai sottovoce il mio libro - avevo aspettato per vedere se facesse il gesto spontaneamente. La ragazza mi restituì il volume devoto, ma era stata tanto lontana dal preoccuparsene che, nel farlo, mi disse: - Vorrei sapere perché lo avete messo lì -, Stavo per risponderle quando lei si inginocchiò e dovetti tacere. La mia intenzione era stata semplicemente di dire: - Non altro che per cortesia. Dopo la benedizione, mentre stavamo per lasciare il nostro posto, fui nuovamente alquanto sorpreso nel vedere che la signora Marden, invece di uscire con i suoi compagni, aveva risalito la navata per unirsi a noi: aveva qualcosa da dire a sua figlia. Lo fece, ma capii subito che era stato un pretesto - la persona che le interessava ero io. Mandò Charlotte avanti e improvvisamente mi bisbigliò: - Lo avete visto? - Il signore che s'è seduto qui? E come avrei potuto non vederlo? - Zitto! - disse la signora Marden al colmo dell'agitazione, -non parlategliene, non ditele niente! M'infilò una mano sotto il braccio per trattenermi vicino a sé -per tenermi, si sarebbe detto, lontano da sua figlia. Precauzione inutile, perché Teddy Bostwick s'era già impossessato della signorina Marden, e mentre i due uscivano di chiesa davanti a me, vidi un altro mettersi a fianco della giovane, dall'altra parte. Sembravano pensare che io avevo avuto il mio turno. La signora Marden mi si staccò dal braccio appena fummo fuori, ma ebbi tempo d'accorgermi che il mio sostegno le era stato necessario. - Non parlatene a nessuno... non dite niente a nessuno! - continuò. - Non capisco. Dire a nessuno che cosa? - Che lo avete visto. - Lo hanno certamente visto anche loro. - Nessun altro lo ha visto, nessun altro -. Disse le parole con una sicurezza così appassionata che la guardai: teneva gli occhi fissi davanti a sé. Ma senti il mio sguardo che la fissava e si fermò sui due piedi, sotto il portale di legno scuro della chiesa, mentre gli altri erano ormai parecchio lontani. Lì, guardandomi in faccia, ora, e in un modo veramente straordinario: - Voi siete la sola persona, - disse, - la sola persona al mondo. Henry James
132
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Ma voi, signora? - Oh, io... naturalmente. E la mia condanna! - E con queste parole s'allontanò in fretta per unirsi al resto della compagnia. Io continuai a camminare verso casa discosto dagli altri... Avevo tante cose a cui pensare. Chi avevo visto, e perché l'apparizione - mi sorse nuovamente limpidissima davanti agli occhi della mente - era invisibile agli altri? Se la signora Marden rappresentava un'eccezione, perché costituiva quell'eccezione una condanna, e perché dovevo io condividere un dono così discutibile? Questo interrogativo, che io tenni ben custodito dentro di me, mi fece indubbiamente rimanere molto silenzioso durante la colazione. Dopo la quale uscii sulla vecchia terrazza per fumare una sigaretta; ma avevo fatto appena un giro o due quando intravvidi il viso solcato della signora Marden alla finestra di una delle stanze che davano sulle pietre sconnesse della terrazza. La cosa mi ricordò la medesima presenza fugace dietro la finestra a Brighton il giorno che avevo incontrato Charlotte e l'avevo accompagnata a casa. Ma questa volta la mia ambigua amica non scomparve: batté il vetro con un dito e mi fece cenno di entrare. Si trovava in una strana stanzetta, uno dei molti salotti di cui era composto il pianterreno della casa; era nota sotto il nome di stanza indiana ed era arredata in uno stile definito orientale - sedie a sdraio di bambù, paraventi laccati, lanterne dai lunghi paralumi a frange, nicchie con strani idoli, tutti oggetti non propriamente adatti a creare un'atmosfera di socievolezza. Il luogo era poco frequentato, e quando vi entrai per raggiungere la signora Marden non c'eravamo che noi. Non appena comparvi: - Ditemi, vi prego... siete innamorato di mia figlia? - mi domandò. Dovetti in realtà indugiare un momento prima di rispondere. - Prima che io risponda alla vostra domanda, volete essere tanto cortese da dirmi che cosa vi ha suggerito questa idea? Non mi sembra di essere stato molto indiscreto. La signora Marden, contraddicendomi con i suoi begli occhi ansiosi, non mi dette soddisfazione in proposito; continuò invece ostinatamente: - Le avete detto niente andando in chiesa? - Che cosa vi fa pensare che io abbia detto qualche cosa? - Il fatto che lo avete veduto. - Veduto chi, signora Marden? - Oh, lo sapete bene, - rispose gravemente; un po' in tono di rimprovero, anzi, come cercassi di umiliarla costringendola a nominare l'innominabile. Henry James
133
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Intendete dire il signore che fu argomento della vostra strana affermazione in chiesa... quello che entrò nella nostra panca? - Lo avete visto, dunque, lo avete visto! - ansimò con una strana aria tra lo sgomento e il sollievo. - Naturalmente, e anche voi. - E diverso. Avete avuto l'impressione che la cosa fosse inevitabile? Mi trovai di nuovo imbarazzato. - Inevitabile? - Che voi lo vedeste? - Certo, dal momento che non sono cieco. - Avreste potuto esserlo. Tutti gli altri lo sono -. Io ero totalmente in alto mare e lo confessai con tutta franchezza alla mia interlocutrice, ma non ci vidi per nulla più chiaro quando, un momento dopo, esclamò: - Sapevo che lo avreste visto nel momento in cui foste stato veramente innamorato di lei! Sapevo che sarebbe stato il segno, come dire? la prova. - Quella condizione di privilegio comporta allucinazioni così strane? domandai sorridendo. - Potete giudicare voi stesso. Voi lo vedete, lo vedete! - la cosa la faceva addirittura esultare. - Lo rivedrete. - Non ho nulla in contrario, ma m'interesserò di più a lui se mi farete la cortesia di dirmi chi è. La signora Marden evitò i miei occhi... poi, volontariamente, li affrontò. - Ve lo dirò se prima mi riferirete che cosa avete detto a mia figlia mentre andavamo in chiesa. - Vi ha detto qualche cosa? - Vi pare che ne abbia bisogno? - domandò con voce molto espressiva. - Già, ricordo... le vostre intuizioni! Ma sono dolente di constatare che questa volta vi hanno tratta in inganno: perché in verità non ho detto a vostra figlia niente di diverso dal solito. - Ne siete proprio certo? - Sul mio onore, signora Marden. - Dunque giudicate di non essere innamorato di lei. - Questa è tutt'altra cosa! - risi. - Dunque lo siete... lo siete! Se non lo foste, non lo avreste visto. - Ma chi diavolo è dunque, signora? - insistetti con una certa irritazione. Si ostinò tuttavia ancora a rispondere con una domanda: - Non avete per lo meno avuto desiderio di dirle qualcosa... non siete stato sul punto di farlo? Henry James
134
1970 - Racconti Di Fantasmi
Sì, qui eravamo più vicini alla verità: la domanda confermava le famose intuizioni. - Beh, «sul punto», sì, fin che volete... c'è mancato un capello. Non so davvero come mi sia trattenuto dal parlare. - Ce n'era abbastanza, - disse la signora Marden. - Quello che si dice non ha importanza; conta quello che si sente. Non bada ad altro, lui! Ero irritato, alla fine, dai suoi continui riferimenti a una identità non ancora stabilita, e giunsi le mani in un atteggiamento di preghiera che nascondeva molta impazienza, una più forte curiosità, e anche i primi brevi sussulti d'un certo sacro terrore. - Vi supplico di dirmi di chi parlate. La donna alzò le braccia, distogliendo gli occhi dai miei, come per scuotersi di dosso ogni riserbo e ogni responsabilità. - Sir Edmund Orme. - E chi è mai Sir Edmund Orme? In quello stesso momento la signora Marden trasalì. - Silenzio... sono qui -. Poi, come seguendo la direzione dei suoi occhi, vidi Charlotte fuori in terrazza, a due passi dalla nostra finestra. La madre aggiunse con un tono intensamente ammonitore: - Non accennate a lui... mai! La signorina Marden, che si stava facendo schermo delle mani agli occhi per guardare dentro la stanza sorridendo, ci fece cenno attraverso il vetro di farla entrare; andai ad aprirle la porta-finestra. Sua madre volse gli occhi altrove, e la ragazza entrò apostrofandoci allegramente: - Che cosa state mai complottando voi due qui? -C'era un programma - non ricordo quale in vista per il pomeriggio, e si sollecitava la partecipazione o il consenso della signora Marden; la mia adesione era data per certa; e Charlotte era stata in cerca di sua madre per tutta la casa. Vedendo la signora Marden agitata - quando si voltò verso sua figlia dissimulò la cosa fino all'esagerazione, gettandole le braccia al collo e abbracciandola - ero agitato anch'io, e, per non dare nell'occhio spinsi la mia galanteria all'eccesso. - Ho domandato la vostra mano. - Davvero? E vi è stata concessa? - rispose la signorina Marden con vivacità. - Vostra madre stava per farlo quando siete comparsa. - Beh... se si tratta solo d'un momento... vi lascio liberi. - Ti è simpatico, Charlotte? - domandò la signora Marden con un candore che non mi sarei aspettato. - E difficile rispondere in presenza sua, non ti pare? - continuò Henry James
135
1970 - Racconti Di Fantasmi
l'incantevole creatura, entrando con buona grazia nello spirito della cosa, ma guardandomi come se la sua simpatia per me fosse in verità assai poca. Avrebbe dovuto rispondere anche davanti a un'altra persona, perché in quel momento entrò nella stanza dalla terrazza - la porta-finestra era rimasta aperta - un signore che era apparso, almeno ai miei occhi, soltanto in quel momento. La signora Marden aveva detto «sono qui», ma era chiaro che egli aveva seguito la figlia a una certa distanza. Lo riconobbi subito per lo stesso personaggio che s'era seduto accanto a noi in chiesa. Questa volta lo vidi meglio, e vidi che il suo viso e il portamento erano strani. Lo chiamo personaggio perché si aveva l'impressione, indescrivibile, che un principe del sangue fosse entrato nella stanza. Si comportava con una sorta d'imponenza, come fosse d'una razza diversa da noi. Mi guardava tuttavia fisso e grave, tanto che finii per domandarmi che cosa si aspettasse da me. Aveva forse in mente che io dovessi posare un ginocchio in terra o baciargli la mano? Volse gli occhi allo stesso modo verso la signora Marden, ma lei sapeva che cosa doveva fare. Dopo la prima agitazione causata dalla sua comparsa, non gli rivolse più un'occhiata; la cosa mi fece tornare con la mente all'appassionata preghiera che mi aveva rivolta. Sarebbe stato un grande sforzo per me imitarla; perché, sebbene sapessi di lui soltanto che era Sir Edmund Orme, la sua presenza agiva su di me come un richiamo irresistibile, quasi come un'oppressione. Stava lì senza parlare - giovane, pallido, bello, ben raso, dignitoso, con straordinari occhi azzurri e qualcosa dei tempi andati, come in un ritratto di anni addietro, nella testa e nel modo di portare i capelli. Era vestito completamente a lutto - si vedeva subito che era molto elegante - e portava il cappello in mano. Mi guardò ancora con strana fissità, come nessuno al mondo m'aveva mai guardato prima d'allora, e ricordo d'aver avuto un senso di freddo, desiderato di sentirgli dire qualche cosa. Nessun silenzio m'era mai sembrato così privo di suono. Tutto questo si risolse naturalmente in un'impressione rapidissima; ma che qualche istante ne fosse assorbito m'apparve improvvisamente chiaro dall'espressione del viso di Charlotte Marden, che guardò dall'uno all'altro di noi - egli non volgeva mai gli occhi verso di lei, e lei non dava alcun segno di vederlo - e infine proruppe: - Si può sapere che cosa avete? Fate delle facce così strane! - Sentii il sangue ritornare alla mia, e quando Charlotte continuò con lo stesso tono: - Si direbbe che abbiate visto uno spettro! - ebbi coscienza di essere diventato di brage. Sir Edmund Orme non arrossi Henry James
136
1970 - Racconti Di Fantasmi
affatto e vidi chiaramente che non era per nulla imbarazzato. Gente di quella specie ne avevo pur incontrata, ma nessuno la cui impassibilità giungesse a quel punto. - Non essere impertinente, e va' a dire agli altri che verrò anch'io, - disse la signora Marden con molta dignità, ma con un tremito nella voce che non mi sfuggi. - E voi verrete... voi? - domandò la ragazza sul punto di allontanarsi. Non risposi, supponendo per una ragione o per l'altra, che la domanda fosse rivolta al suo compagno. Ma egli era più silenzioso di me, e quando la ragazza fu davanti alla porta - usciva da quella parte - si fermò con la mano sulla maniglia, e mi guardò, ripetendola. Io assentii, precipitandomi ad aprirle, e mentre stava per uscire, esclamò, con l'aria di burlarsi di me: Non avete il cervello a posto... non avrete la mia mano! Chiusi la porta e, voltandomi, constatai che, nel frattempo, un attimo appena, Sir Edmund Orme era uscito per la porta-finestra. La signora Marden era in piedi in mezzo alla stanza e ci guardammo a lungo. Solo in quel punto - mentre la ragazza s'allontanava -m'ero reso conto che la figlia era inconsapevole di quello che era accaduto. Abbastanza stranamente, fu questo - non la vista del nostro visitatore, che mi era apparsa naturalissima - a darmi un brivido improvviso. Capii chiaramente che la ragazza non s'era accorta di lui nemmeno in chiesa, e i due fatti uniti insieme - ora che appartenevano al passato - mi fecero battere il cuore con più forza. Mi passai una mano sulla fronte, e la signora Marden proruppe in un gemito basso e disperato: - Ora sapete... sapete che cos'è la mia vita! - In nome di Dio, chi è... che cosa è? - È l'uomo al quale ho fatto del male. - Come gli avete fatto del male? - Oh, orribilmente... anni fa. - Anni fa? Ma è molto giovane. - Giovane... giovane? - esclamò la signora Marden. - È nato prima di me! - Come mai ha quell'aspetto allora? La donna mi s'avvicinò, mi posò una mano sul braccio; c'era qualcosa nella sua faccia che mi fece ritrarre un poco. - Non capite... non sentite? mi domandò, con veemenza. - Non capisco in che mondo mi trovi! - risi; e mi accorsi che la nota del mio riso confermava la verità delle mie parole. Henry James
137
1970 - Racconti Di Fantasmi
- È morto! - disse la signora Marden, più pallida che mai. - Morto? - ansimai. - Allora quel signore era...? - Non mi riusciva nemmeno di trovare la parola. - Chiamatelo come volete... ci sono venti parole una più volgare dell'altra. Egli è una presenza perfetta. - È una presenza stupenda! - esclamai. - La casa è infestata, infestata! Dissi la parola con esultanza, quasi stesse a significare quanto avevo sognato. - La casa non c'entra, purtroppo! - ribatté subito. - La casa non ci ha niente a che vedere! - Allora si tratta di voi, signora? - feci la domanda come se così fosse ancor meglio. - No, neanche di me... magari! - Forse di me, - suggerii con un pallido sorriso. - Non si tratta d'altri che di mia figlia, della mia figliuola innocente, innocente! - Dette queste parole la signora Marden si accasciò del tutto, si lasciò cadere su una sedia e scoppiò in lacrime. Balbettai qualche domanda... le offrii sgomento i miei uffici, ma non fece che respingermi, inaspettatamente, quasi con impeto. Insistetti. .. potevo aiutarla? potevo intervenire? - Siete già intervenuto, -singhiozzò, - ci siete dentro anche voi, anche voi. - Sono contento di trovarmi dentro una cosa così straordinaria, dichiarai con spavalderia. - Contento o no, non potete uscirne. - Non ne ho nessuna voglia... la cosa è troppo interessante. - Sono contenta che vi piaccia! - s'era voltata un momento dall'altra parte, affrettandosi ad asciugarsi gli occhi. - E ora andatevene. - Ma voglio sapere altre cose in proposito. - Vedrete tutto quello che vorrete. Andate via! - Ma voglio capire quello che vedo. - Come potete... quando non capisco io stessa? - esclamò la j donna sconsolatamente. - Insieme ci riusciremo... scopriremo di che cosa si tratta. A queste mie parole la donna si alzò, fece ancora quanto potè per cancellare le lacrime. - Sì, in due sarà meglio... per questo mi siete piaciuto. - Oh, ne verremo a capo! - risposi. Henry James
138
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Ma dovete dominarvi di più. - Certo, certo... con l'esperienza. - Vi ci abituerete, - disse la mia amica con voce che non ho più dimenticata. - Ma andate a raggiungere gli altri, ora... Verrò subito anch'io. Uscii sulla terrazza persuaso di aver la mia parte da recitare. Ben lontano dal temere un altro incontro con «la perfetta presenza», come la signora Marden l'aveva chiamata, mi sentivo preso addirittura da un senso di piacere. Desideravo una nuova conferma del mio privilegio; ero tutto proteso verso quella sensazione; girai intorno alla casa rapidissimamente, quasi avessi la speranza di raggiungere Sir Edmund Orme. Per quella volta non lo raggiunsi, ma prima che la giornata volgesse alla fine, mi persuasi che, come aveva detto la signora Marden, le occasioni di vederlo non mi sarebbero mancate. Noi tutti, o quasi, andammo a fare la cordiale passeggiata collettiva che, nella casa di campagna inglese, è - o era a quell'epoca - il passatempo di prammatica dei pomeriggi domenicali. Dovemmo limitarci al modesto giretto consentito alle forze delle signore - i pomeriggi, per di più, erano brevi - e alle cinque ci ritrovammo davanti al focolare con l'impressione, almeno da parte mia, che avremmo potuto fare qualcosa di più per guadagnarci il tè. La signora Marden aveva detto che sarebbe uscita con noi, ma non la si era veduta; sua figlia che l'aveva rivista prima di uscire, la scusò alludendo soltanto a un po' di stanchezza. Rimase invisibile tutto il pomeriggio, ma non detti a questo particolare maggiore importanza di quanta ne avessi data al fatto che Charlotte non era stata con me nemmeno cinque minuti per tutta la passeggiata. Ero troppo preso da altri interessi per farci caso; sentivo sotto i piedi la soglia della strana porta che s'era improvvisamente aperta nella mia vita e della quale usciva l'aria più eccitante che avessi mai respirata, d'un sentore più forte del vino. Avevo sentito parlare di apparizioni fin da ragazzo, ma tutt'altra cosa era averne vista una, e sapere che, con tutta probabilità, l'avrei rivista, posso ben dire, familiarmente. Stavo all'erta, come il pilota il quale cerchi con gli occhi il guizzo del faro che s'accende e si spegne. Ero pronto a discutere intorno al sinistro argomento, a sostenere con chiunque che gli spettri erano molto meno paurosi e molto più divertenti di quanto comunemente si supponesse. Senza dubbio ero molto eccitato. Non riuscivo a persuadermi della distinzione cui ero fatto segno, dell'eccezione - nel senso di un mistico ampliarsi del mio raggio visuale - fatta a mio favore. Credo, al Henry James
139
1970 - Racconti Di Fantasmi
tempo stesso, che io giustificassi l'assenza della signora Marden - quasi un commento, a pensarci, delle parole che mi aveva dette: - Ora sapete che cos'è la mia vita -. Da anni, probabilmente, era presa di mira dal nostro spirito errante, e non avendo la mia forza di resistenza, aveva ceduto alla tensione. I nervi, per quanto avesse potuto dire che, in un certo senso, ci si abituava, l'avevano tradita. Si era abituata a darsi per vinta. Il tè pomeridiano, quando imbruniva presto, era un'ora gradevole a Tranton; il bagliore del focolare illuminava qua e là l'ampia sala bianca del secolo scorso; le reciproche simpatie sembravano confessarsi, si indugiava insieme, prima di andarsi a vestire per il pranzo, sui molli divani, con gli stivali infangati, per scambiare le ultime parole dei discorsi incominciati durante la passeggiata; perfino l’attenzione solitaria dedicata al terzo volume d'un romanzo desiderato da un altro ospite sembrava una forma di cordialità. Quando vidi che Charlotte stava per ritirarsi, colsi il momento e mi avvicinai a lei. Le signore s'erano allontanate a una a una, e quando mostrai di rivolgermi particolarmente a Charlotte i tre uomini che ancora gi-ronzavano per la sala scomparvero. Scambiammo qualche parola vaga può darsi che fosse un po' preoccupata, e sa il cielo se io non lo fossi - poi disse che doveva andare: altrimenti avrebbe fatto tardi per il pranzo. Le dimostrai a suon di cifre che aveva tempo quanto ne voleva, ma mi obiettò che doveva comunque salire da sua madre; temeva che fosse indisposta. - Al contrario, sta meglio di quanto non stesse da tempo... ve lo garantisco, - dissi. - Ha scoperto che può fidarsi di me e questo le ha fatto bene -. La signorina Marden s'era rimessa a sedere - io stavo in piedi davanti a lei - e mi guardava senza sorriso, con una vaga angoscia negli occhi, nei suoi begli occhi, non proprio come se la mia presenza le fosse sgradevole, ma come non fosse più disposta a vedere in luce di scherzo quanto era accaduto - di qualunque cosa si trattasse, non c'era comunque ragione di toccare i vertici della solennità - fra sua madre e me. Ma mi sentivo di rispondere al suo appello con tutta prontezza e candore, perché ero veramente persuaso che la buona signora, avendo ceduto a me parte del suo fardello, se ne sentiva più alleggerita e rasserenata. - Sono certa che ha dormito tutto il pomeriggio come non faceva da anni, - continuai. Non avete che da domandarle. Charlotte si alzò di nuovo. - Vi state dimostrando molto utile. - Avete un buon quarto d'ora, - dissi. - Non ho il diritto di parlarvi un po' cosf, da solo a sola, dal momento che vostra madre mi ha concesso la Henry James
140
1970 - Racconti Di Fantasmi
vostra mano? - E vostra madre ha concesso la vostra a me? Le sono molto obbligata, ma non la voglio. Credo che le nostre mani non appartengano alle nostre madri... si dà il caso che appartengano a noi! -rise. - Sedetevi, sedetevi e lasciate che vi parli! - supplicai. Rimasi lì, davanti alla sedia, ansioso di vedere se mi avrebbe accontentato. La ragazza parve esitare, guardando vagamente qua e là, come sottoposta a un'imposizione un po' dolorosa. La sala vuota era immersa nel silenzio - sentivamo soltanto il vigoroso ticchettio del grosso orologio. Allora la signorina Marden ricadde lentamente a sedere, e io presi una sedia per sedermi vicino a lei. Il movimento mi fece voltare nuovamente verso il fuoco, e rimasi sconcertato di vedere che non eravamo soli. Un momento dopo, in modo inspiegabilmente strano, il mio disappunto, invece di accrescersi, cessò del tutto: la persona davanti al caminetto era Sir Edmund Orme. Stava lì come lo avevo visto nel salotto indiano, e mi guardava con la vacua attenzione che derivava tanta gravità dalla sua cupa raffinatezza. La sapevo così lunga sul suo conto, ora, che dovetti frenare un cenno di saluto, un gesto che desse a intendere come io mi fossi accorto di lui. Una volta che ne fui consapevole e lo vidi rimanere, il senso che Charlotte e io non eravamo soli mi abbandonò: ebbi anzi l'impressione che fossimo anche più intimamente insieme. Nessun segno della presenza del nostro compagno le era palese, e io feci uno sforzo terribile, e quasi coronato da successo, per non farle capire che la mia propria sensibilità era tutt'altra, e che i miei nervi erano tesi come corde d'arpa. Ho detto «quasi» coronato da successo, perché - mentre tacevo - la ragazza mi guardò un momento in un modo che mi fece temere stesse per dire, come aveva già detto nel salotto indiano: - Che cosa avete? Glielo dissi subito, che cosa avevo, perché, alla vista commovente della sua inconsapevolezza, la piena coscienza di quello che stava accadendo mi sopraffece. In presenza di quello straordinario prodigio Charlotte diventava veramente commovente. Qualunque cosa esso annunciasse, pericolo o dolore, felicità o sventura, era una cosa di secondaria importanza; mentre mi sedeva lì davanti, innocente e incantevole, pensavo soltanto che si trovava vicina a un orrore - che tale avrebbe potuto giudicarlo - che per avventura le era nascosto, ma che poteva rivelarsi a lei da un momento all'altro. Io non ci facevo caso, ora, come avevo avuto modo di constatare - potevo, se non altro, sopportare la cosa benissimo; ma Henry James
141
1970 - Racconti Di Fantasmi
era quanto mai probabile che lei non ne avrebbe avuto la forza, e, se non la si trovava strana e interessante, la situazione poteva facilmente assumere un aspetto pauroso. Poi mi resi conto che, se non mi preoccupavo tanto per me stesso, ciò era dovuto in gran parte alla circostanza che ero tutto preso dall'idea di proteggere lei. A questo pensiero il mio cuore si mise d'un subito a battere furiosamente: mi ripromisi di fare tutto quello che potevo per mantenere i suoi sensi suggellati. Ma mi sarei probabilmente trovato a brancolare invano in cerca della via da seguire, se, col passare dei minuti, non mi fossi andato persuadendo, sopra ogni altra cosa, che le volevo bene. La via della salvezza era di amarla, e la via da seguire per amarla era di confessarle, lì e subito, il mio amore. La presenza di Sir Edmund Orme non era di ostacolo, tanto più che un momento dopo ci voltò le spalle, e rimase lì in piedi, a guardare discretamente il fuoco. In capo a un altro momento appoggiò la testa sul braccio, contro il caminetto, con un'aria di progressivo abbattimento, come uno spirito anche più stanco che discreto. Alle mie parole Charlotte Marden si alzò di scatto... saltò in piedi come per sottrarvisi; ma non si dimostrò offesa; il sentimento che io avevo espresso era troppo sincero. Si limitava a muoversi qua e là per la stanza, mormorando fra sé in tono di disapprovazione, e io ero così teso a cogliere il menomo appiglio che mi si potesse offrire, da non accorgermi del modo nel quale Sir Edmund Orme era scomparso. So solo che, ad un tratto, trovai il posto, precedentemente occupato da lui, vuoto. La situazione non ne subiva nessun mutamento... aveva dato così poco fastidio. Ricordo soltanto che rimasi improvvisamente colpito da qualcosa di inesorabile nel modo dolce e sconsolato col quale Charlotte scosse la testa verso di me. - Non chiedo una risposta ora, - dissi, - voglio soltanto che non abbiate dubbi... che sappiate quanto la cosa mi stia a cuore. - Non ho intenzione di rispondervi né ora né mai! - rispose. -Vi prego, è un argomento che detesto... perché non si deve essere lasciati in pace? Poi, sul punto di lasciare la stanza, come timorosa che io avessi potuto trovare qualcosa di aspro in quel grido sincero e irrefrenabile della bellezza stretta d'assedio, aggiunse subito, con un'aria ad un tempo vaga e benevola: - Grazie, grazie... molte grazie! A pranzo, fui tanto generoso da essere contento per lei che, trovandosi dalla mia stessa parte della tavola, non mi avesse continuamente sotto gli occhi. Sua madre mi era quasi di fronte, e appena ci fummo seduti mi lanciò un'occhiata lunga e profonda che confermava, e al massimo grado, Henry James
142
1970 - Racconti Di Fantasmi
il nostro inaudito rapporto. Il suo sguardo voleva naturalmente dire: - Mia figlia m'ha detto, - ma voleva dire anche altre cose. Comunque, so che cosa significasse la mia muta risposta: - L'ho rivisto... l'ho rivisto! - Questo non impedì alla signora Marden di trattare i suoi ospiti con la consueta scrupolosa cortesia. Dopo il pranzo, quando gli uomini raggiunsero le signore in salotto e io mi avvicinai immediatamente per dirle che desideravo scambiare qualche parola con lei in privato, disse subito, a bassa voce, abbassando gli occhi verso il ventaglio mentre lo apriva e lo chiudeva: - È qui... è qui. - Qui? - girai gli occhi per la stanza, ma rimasi deluso. - Guardate dove è lei, - disse la signora Marden con una voce nella quale era una lieve traccia di asprezza. Charlotte non era infatti nel salotto principale, ma in uno più piccolo, attiguo, noto sotto il nome di stanza del mattino. Feci qualche passo e la vidi, attraverso la porta, in piedi nel mezzo della stanza: parlava con tre signori che mi voltavano praticamente la schiena. Per un momento la mia ricerca parve vana; poi mi resi conto che uno degli interlocutori - quello al centro - non poteva essere che Sir Edmund Orme. Questa volta era sorprendente che gli altri non lo vedessero. Sembrava pro-rio che Charlotte tenesse gli occhi su di lui e parlasse a lui direttamente. Dopo un istante mi vide e guardò immediatamente altrove. Ritornai da sua madre, preso dal vivo timore che la ragazza potesse credersi sorvegliata da me, la qual cosa sarebbe stata ingiusta. La signora Marden aveva trovato un piccolo divano - un po' discosto - e io mi sedetti accanto a lei. C'erano alcuni punti che desideravo intensamente discutere, e avrei voluto trovarmi ancora con lei nel salotto indiano. In breve, tuttavia, mi persuasi che eravamo sufficientemente appartati. Comunicavamo così intimamente e completamente, ora, e con cosf silenziosa reciprocità, che la posizione del divano era in ogni caso adeguata. - Oh, sì, - dissi, - è lì; e alle sette e un quarto circa era in sala. - Ne ero certa... e così contenta! - rispose subito. - Contenta? - Che questa volta fosse affar vostro e non mio. Per me è un riposo. - Avete dormito tutto il pomeriggio? - domandai poi. - Come non facevo da mesi. Ma come lo sapete? - Come voi sapevate, immagino, che Sir Edmund era in sala. E evidente che d'ora in poi ciascuno di noi saprà questa o quella cosa... sempre che Henry James
143
1970 - Racconti Di Fantasmi
riguardi l'altro. - Sempre che riguardi lui, - corresse la signora Marden. - E un dono del cielo che voi prendiate le cose come fate, - aggiunse con un sospiro dolce e prolungato. - Le prendo, - risposi subito, - da uomo che è innamorato di vostra figlia. - Si capisce... si capisce -. Per quanto intensamente sentissi ora di desiderare la ragazza, non potei fare a meno di ridere un po' del tono di quelle parole; e la mia compagna ne fu indotta ad aggiungere immediatamente: - Altrimenti non lo avreste veduto. Bene, apprezzai il privilegio, ma trovai subito una obiezione: - Forse che tutti quelli che la amano lo vedono? Se fosse così, ce ne sarebbero a dozzine. - Non sono innamorati di lei come voi. Pesai le parole e non potei far altro che accettarle. - Naturalmente io non posso parlare che per me... - e un momento prima di pranzo trovai modo di farlo. - Me lo ha detto appena m'ha visto, - rispose la signora Marden. - E posso avere qualche speranza... qualche chance? - Che possiate averla è quello che io desidero ardentemente, quello per cui prego. La dolorosa sincerità di quelle parole mi commosse. - Come potrò mai ringraziarvi abbastanza? - mormorai. - Credo che tutto finirebbe... se soltanto vi amasse, - continuò la povera donna. - Finirebbe tutto? - Non capivo bene. - Voglio dire che allora ci libereremmo di lui... non lo rivedremmo più. - Se soltanto mi amasse, non m'importerebbe di vederlo anche tutti i giorni! - risposi senza esitare. - Ah, voi prendete la cosa come io non potrei mai prenderla, -disse la mia compagna. - Voi avete la fortuna di non sapere... di non capire. - No davvero. Che cosa vuole costui? - Vuol farmi soffrire -. Nel dire queste parole voltò verso di me il viso pallidissimo, e vidi ora per la prima volta, e vidi bene, con quanta efficacia, se quello era stato il suo disegno, il nostro visitatore avesse compiuto l'opera sua. - Per quello che gli ho fatto, -spiegò. - E che cosa gli avete fatto? Mi lanciò un'occhiata indimenticabile. - L'ho ucciso -. Considerato che Henry James
144
1970 - Racconti Di Fantasmi
lo avevo visto a poche decine di metri di distanza non più di cinque minuti prima, le parole mi fecero sussultare. - Sì, vi faccio fremere; badate che non vi vedano. È ancora lì, ma s'è ucciso. Gli spezzai il cuore... ebbe ragione di credermi molto molto crudele. Dovevamo sposarci, ma io mandai tutto a monte... proprio all'ultimo momento. Avevo incontrato qualcuno che mi piaceva di più; non ebbi altro motivo che quello. Non fu per interesse o per il danaro o per la posizione o per qualche bassezza del genere. Aveva tutte le buone qualità. Ma io m'innamorai del maggiore Marden, semplicemente. Quando lo conobbi sentii che non potevo sposare nessun altro. Non ero innamorata di Edmund Orme; la cosa era stata combinata da mia madre e dalla mia sorella maggiore, già sposata. Ma lui s'era innamorato di me e io sapevo, cioè sapevo quasi, quanto! Ma gli dissi che non avevo amore per lui... che non potevo averne, che non ne avrei mai avuto. Ruppi ogni rapporto, e lui prese qualche cosa, una qualche abominevole droga o pozione, che si dimostro fatale. Una cosa spaventosa, orribile; lo trovarono in quelle condizioni... morì disperato. Io sposai il maggiore Marden, ma soltanto cinque anni dopo. Fui felice... immensamente felice... il tempo cancella tutto. Ma quando mio marito morì cominciai a vederlo. Avevo ascoltato con attenzione, pieno di stupita curiosità. - A vedere vostro marito? - No, no... non a quel modo, grazie a Dio! A vedere lui... e con Charlotte, sempre con Charlotte. La prima volta per poco non morii dallo spavento... circa sette anni or sono, quando Charlotte fece il suo ingresso in società. Mai quando sono sola... soltanto con lei. Ci sono qualche volta intervalli di mesi, poi, per una settimana di seguito, tutti i giorni. Non so che cosa non abbia tentato per rompere l'incanto... medici, diete, stazioni di cura; ho pregato Iddio in ginocchio. Quel giorno a Brighton, sul Lungomare con voi, quando credeste che mi sentissi male, fu la prima volta dopo moltissimo tempo. E poi la sera, quando vi rovesciai il tè addosso, e il giorno che eravate davanti alla porta con lei e vi vidi dalla finestra. Tutte le volte Edmund Orme era presente. - Capisco, capisco -. Ero più eccitato di quanto non possa descrivere. - È un'apparizione come un'altra. - Come un'altra? Ne avete visto un'altra? - esclamò. -No. Voglio dire del genere di quelle di cui si è tanto sentito parlare. È molto interessante imbattersi in un caso. Henry James
145
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Mi definite un «caso»? - esclamò la mia amica con intenso risentimento. - Pensavo a me stesso. - Oh, voi siete l'uomo adatto! - continuò. - Ho avuto ragione di fidarmi di voi. - Vi sono profondamente grato di averlo fatto; ma che cosa vi ci ha indotto? - domandai. - Non c'era lato della questione che non avessi esaminato. Ne avevo avuto di tempo, negli anni terribili, durante i quali egli mi puniva in mia figlia! - Non proprio, - obiettai, - se la signorina Marden non ne ha mai saputo niente. - Quello è il mio terrore, che mia figlia possa accorgersi di qualche cosa da un momento all'altro. Ho una paura indicibile dell'effetto che la rivelazione può avere sopra di lei. - Non ne saprà mai nulla, non ne saprà mai nulla, - protestai con tal voce che parecchie persone si voltarono a guardare. La signora Marden mi fece alzare, e per quella sera la nostra conversazione ebbe termine. Il giorno seguente le dissi che dovevo lasciare Tranton - non era piacevole né delicato rimanere in veste di corteggiatore rifiutato. Ella apparve sconcertata, ma accettò le mie ragioni, limitandosi a guardarmi con occhi supplichevoli, imploranti: - Mi lasciate sola col mio fardello? - Eravamo naturalmente d'accordo che per parecchie settimane sarebbe stato inopportuno «tormentare la povera Charlotte». Con illogicità caratteristicamente femminile e materna alluse in questi termini a un atteggiamento da parte mia che ella approvava. Io ero deciso a essere delicato fino all'eroismo, ma fui del parere che anche la più estrema delicatezza non mi vietava di dire una parola alla signorina Marden prima di andarmene. Dopo colazione la pregai di fare un giro con me in terrazza, e poiché si mostrava esitante e mi guardava con distacco, le dichiarai che volevo soltanto farle una domanda e prendere congedo... partivo per lei. Uscì con me e facemmo tre o quattro volte il giro della casa, lentamente. Niente di più bello di quella grande piattaforma ariosa, dalla quale ogni sguardo spazia per la campagna orlata nel fondo dal mare. Poteva darsi che mentre passavamo davanti alle finestre gli ospiti della casa ci notassero e alludessero sarcasticamente al motivo della mia fuga indubbiamente significativa. Ma non me ne preoccupavo; mi domandavo soltanto se Henry James
146
1970 - Racconti Di Fantasmi
questa volta non avrebbero veramente visto Sir Edmund Orme, il quale s'era unito a noi durante uno dei nostri giri e camminava lentamente a fianco di Charlotte. Di quale strana essenza fosse formato, non so; non ho nessuna teoria sul suo conto - lascio il compito ad altri - come non ne ho sul conto di una qualsiasi dei miei compagni umani (e della sua legge di vita) accanto ai quali mi sono trovato a passare nella mia esperienza di tutti i giorni. Egli era un fatto non meno positivo, individuale e definito. Soprattutto, egli era, secondo ogni apparenza, di una composizione altrettanto fine e sensibile, e altrettanto degna di rispetto; così che non mi sarei mai sognato di prendermi una libertà - di fare un esperimento su di lui, di toccarlo, per esempio, o di rivolgergli la parola, dal momento che dava l'esempio del silenzio - allo stesso modo che non mi sarei sognato di commettere una qualsiasi altra scorrettezza sociale. Aveva sempre, come potei più particolarmente constatare in seguito, la massima coscienza della sua posizione - appariva sempre vestito impeccabilmente, e si comportava, in ogni particolare, esattamente come esigevano le circostanze. Ne ricevevo incontestabilmente un'impressione di stranezza, ma, in certo qual modo, sempre, di assoluta proprietà. Finii in breve per annettere alla sua inosservata presenza un'idea di bellezza, della bellezza che accompagna una vecchia leggenda d'amore, di dolore e di morte. Finii per persuadermi che parteggiava per me, che vegliava sui miei interessi, che mirava a evitarmi qualche brutto scherzo, così che il mio cuore, almeno, non venisse spezzato. Oh, le aveva prese sul serio, lui, la sua ferita e la sua perdita - ne aveva dato ben prova ai suoi giorni! Se la povera signora Marden, responsabile di tutto, aveva, secondo quanto affermava, esaminato la cosa da tutti i lati, la sottoposi anch'io all'analisi più fine di cui ero capace. Era un esempio di giustizia retributiva, che scendeva a castigare nei figli i peccati delle madri, dal momento che i padri non erano in questione. Questa madre disgraziata doveva pagare, in sofferenza, per la sofferenza che aveva inflitta; e poiché la tendenza a farsi gioco delle legittime speranze d'un onest'uomo poteva manifestarsi di nuovo, a mio danno, nella figlia, quest'ultima doveva essere studiata e sorvegliata, così che si potesse far soffrire anche lei ove commettesse una colpa simile. Avrebbe potuto emulare sua madre in una qualche forma di caratteristica perfidia, così come le somigliava in bellezza; e se si scoprisse in lei quell'impulso, se venisse cioè scoperta a mancare di parola o a compiere qualche atto crudele, i suoi occhi si sarebbero in forza d'una logica insidiosa aperti Henry James
147
1970 - Racconti Di Fantasmi
all'istante e spietatamente sulla «perfetta presenza», che ella avrebbe poi dovuto far entrare in qualche modo nella sua giovanile concezione dell'universo. Non avevo gran timore per lei, perché non avevo avuto l'impressione che m'avesse stregato per vanità, e sapevo che, se ero sconcertato, lo ero unicamente per aver precipitato le cose. C'era per lo meno ancora un bel tratto di strada da percorrere, prima che io mi trovassi a poter essere sacrificato da lei. Non poteva ritogliere quello che aveva dato, senza dare di più. E che quel di più io lo domandassi o no era in verità tutt'altra cosa. A buon conto, quella mattina, sulla terrazza, le domandai soltanto se durante l'inverno potevo continuare a frequentare la casa della signora Marden. Promisi che non sarei andato troppo spesso e che per tre mesi non le avrei parlato della questione che avevo sollevata il giorno prima. Mi rispose che potevo fare come meglio credevo, e con questo ci separammo. Mantenni la promessa; per tre mesi non aprii bocca. Ci furono momenti, durante questo periodo, nei quali, contrariamente a ogni mia supposizione, Charlotte mi parve capace, per quanto indifferente le fosse la mia infelicità, di accusare la mancanza del mio omaggio alla sua bellezza. Ero tanto desideroso di riuscirle gradito che divenni sottile e ingegnoso, mirabilmente pronto, pazientemente diplomatico. Talvolta mi illudevo di aver conquistato la mia ricompensa, di averla portata al punto di dire: - Sì, sì, siete il migliore fra tutti... ora mi potete parlare -. Poi la sua bellezza si faceva più impenetrabile che mai, e c'erano giorni nei quali s'accendeva nei suoi occhi una luce beffarda, una luce che sembrava dire: - Se non badate a quello che fate, dirò di sì per liberarmi di voi nel modo più completo -. La signora Marden m'era di grande conforto per il solo fatto della sua fede in me; della quale feci tanta più stima in quanto mi fu mantenuta anche durante una repentina interruzione del miracolo che m'era stato rivelato. Dopo la nostra visita a Tranton, Sir Edmund Orme ci concesse una tregua, e confesso che, a tutta prima, ne provai un senso di disappunto. Mi sentivo meno designato, meno coinvolto e connesso - sempre nei riguardi di Charlotte, intendo dire. - Non state a gridare finché non siete uscito dal bosco, - fu il commento della madre, - qualche volta mi ha risparmiata anche per sei mesi. Salterà fuori di nuovo quando meno ve lo aspettate... sa fare la sua parte alla perfezione -. Per lei quelle settimane furono settimane di felicità, ed ebbe il buon senso di non parlare di me a sua figlia e la bontà di assicurarmi che avevo scelto la via giusta; che mi davo l'aria di essere Henry James
148
1970 - Racconti Di Fantasmi
sicuro del fatto mio, e che a lungo andare, di fronte a un contegno del genere, una donna si dà per vinta. Aveva visto le cose prendere quella piega anche quando l'uomo, a causa di quell'atteggiamento, di quella sicurezza di sé, aveva fatto la figura dello sciocco - ma proprio dello sciocco, senza attenuanti. Quanto a se stessa, trovava quei giorni deliziosi, fra i migliori della sua vita, una specie d'estate di San Martino dell'anima. Si sentiva meglio di quanto non stesse da anni, e lo doveva a me. Il senso d'incubo che la opprimeva s'era fatto più lieve - non tremava ogni volta che alzava gli occhi. Charlotte mi contraddisse più volte, ma contraddiceva se stessa ancor più. Quell'inverno, lungo l'antica costa del Sussex, fu meravigliosamente mite, e spesso uscivamo a prendere il sole. Io passeggiavo su e giù con la figlia; e la signora Marden, seduta a volte su una panchina, altre su una sedia a sdraio, ci aspettava e, quando passavamo, sorrideva. La guardavo sempre in faccia in attesa d'un segno «E con voi, è con voi» (lo avrebbe visto prima di me), ma non accadde nulla; la stagione ci aveva portato anche una sorta di rilassamento spirituale. Verso la fine d'aprile, l'aria somigliava tanto a quella del giugno, che una sera, avendo incontrato le mie due amiche a uno dei consueti trattenimenti di Brighton - una riunione musicale di dilettanti -, invitai la più giovane, che non vi si oppose, a uscire con me su di un balcone, al quale dava accesso, da una delle sale, una finestra aperta. La notte era fitta e buia, le stelle indistinte; sotto di noi sentivamo il rombo cupo del mare contro le rupi. Ascoltammo un poco, e ci giungeva insieme alle orecchie, dall'interno della casa, il suono di un violino con accompagnamento di pianoforte - il pezzo che ci era servito di pretesto per allontanarci. - Vi dispiaccio un po' meno? - mi arrischiai a dire dopo qualche minuto. - Vi sentite di darmi ascolto ancora una volta? Avevo appena detto queste parole, quando Charlotte mi posò improvvisamente la mano sul braccio con una certa forza. - Tacete! non c'è qualcuno lì? - Teneva gli occhi fissi nelle tenebre verso la parte opposta della terrazza. Questa terrazza correva lungo tutta la lunghezza della casa, lunghezza che nelle migliori case antiche di Brighton è notevole. Noi eravamo in qualche modo illuminati dalla finestra aperta alle nostre spalle, ma le altre finestre, con le tende abbassate dalla parte interna, lasciavano le tenebre intatte, così che io intravvidi molto vagamente la sagoma d'un uomo che stava lì in piedi e ci guardava. Era in vestito da sera, come tutti gli invitati - vidi il vago chiarore della camicia bianca e il pallido ovale Henry James
149
1970 - Racconti Di Fantasmi
della sua faccia: poteva essere benissimo un invitato uscito a prendere una boccata d'aria lì fuori prima di noi. A tutta prima Charlotte fece certamente lo stesso pensiero - poi, evidentemente, nello spazio di pochi secondi, si avvide che l'insistenza di quello sguardo usciva dalle regole della buona società. Che cos'altro vedesse non saprei dire; ero troppo preso dalla mia impressione per poter andare oltre il senso immediato dell'inquietudine di lei. La mia impressione era infatti una sensazione tra le più violente, una sensazione d'orrore; quale poteva mai essere il significato di quello che stava accadendo, se non di dimostrare che la ragazza finalmente vedeva? Si lasciò sfuggire un «Ah!», soffocato e improvviso, poi scomparve rapidamente dentro la casa. Soltanto in seguito mi resi conto che avevo provato anch'io un'emozione del tutto nuova - il mio orrore s'era trasformato in ira, e l'ira m'aveva indotto a percorrere d'impeto l'intera lunghezza della terrazza con un gesto di riprovazione. Il caso era ormai semplificato al massimo: si riduceva alla vista d'una ragazza adorabile minacciata e atterrita. Mi feci avanti per rivendicare il suo diritto a essere lasciata tranquilla, ma non mi trovai di fronte a nessuno. Era stato tutto un abbaglio o Sir Edmund Orme era svanito. Seguii immediatamente Charlotte, ma quando entrai nel salotto vi trovai segni di confusione: una signora era svenuta, la musica era stata interrotta: c'era un gran fruscio di sedie smosse e di gente che si faceva avanti. La signora non era Charlotte, come avevo temuto, ma la signora Marden, la quale s'era improvvisamente sentita male. Ricordo il sollievo col quale constatai la cosa: vedere Charlotte in quelle condizioni m'avrebbe dato un senso d'angoscia, mentre il malessere di sua madre poteva servire di sfogo alla sua agitazione. L'incidente riguardava naturalmente i padroni di casa e le signore; io non potevo in nessun modo occuparmi delle mie amiche, né condurle fino alla loro carrozza. La signora Marden si riscosse e insistette per andare a casa; dopo di che mi ritirai anch'io, parecchio agitato. La mattina seguente passai dalle Marden con la speranza di avere migliori notizie e mi fu detto che la signora stava un po' meglio; ma quando feci domandare a Charlotte se era disposta a ricevermi mi mandò giù un messaggio col quale si scusava di non potere. Per il resto della giornata non mi restò altro da fare che vagare qua e là col cuore in subbuglio. Tuttavia, verso sera, mi fu portato a mano un biglietto scritto a matita: - Vi prego di venire; mia madre desidera vedervi -. Cinque minuti dopo mi trovai nuovamente alla porta e fui fatto entrare in un salotto. La Henry James
150
1970 - Racconti Di Fantasmi
signora Marden era coricata su un divano, e appena la guardai le vidi in viso l'ombra della morte. Ma mi disse per prima cosa che stava meglio, molto meglio; il suo povero vecchio cuore malandato aveva fatto ancora una volta le bizze, ma ora aveva messo discretamente giudizio. Mi porse la mano e io mi chinai verso di lei, gli occhi negli occhi, così da poter leggere nei suoi quello che la bocca non diceva: «Sto in verità molto male, ma fate mostra di prendere quello che dico come fosse l'esatta verità». Charlotte stava in piedi accanto a lei: non aveva l'aria spaventata, ora, ma intensamente grave, e i suoi sguardi evitavano i miei. - M'ha detto tutto... m'ha detto tutto! - continuò sua madre. - Vi ha detto tutto? - Guardai interdetto dall'una all'altra, domandandomi se la mia amica intendesse dire che la ragazza aveva accennato all'inspiegabile presenza sul balcone. - Che le avete parlato di nuovo... che siete mirabilmente fedele. Queste parole mi dettero un fremito di gioia; dimostravano che quel ricordo dominava ogni altro, e anche che sua figlia aveva voluto dirle la cosa che la avrebbe maggiormente tranquillizzata, non quella che la avrebbe messa in agitazione. Pure io ero certo, ora, altrettanto certo che se lo avessi saputo dalle labbra stesse della signora Marden, che ella sapeva, che aveva saputo all'istante che cosa fosse apparso agli occhi di sua figlia. - Sì, ho parlato... ho parlato, - dissi, - ma non mi ha dato nessuna risposta. - Ve la darà ora, vero Charlotte? Lo desidero tanto, ma tanto! - mormorò la nostra compagna con ansia indicibile. - Siete molto buono con me... - cominciò Charlotte con voce seria e dolce a un tempo, ma gli occhi fissi sul tappeto. C'era in lei un che di nuovo, di diverso dal passato. Aveva riconosciuto qualcosa, sentiva una imposizione. La vidi in preda a un tremore che non le riusciva di dominare. - Oh, se mi deste soltanto modo di mostrarvi come so essere buono! esclamai tendendole le mani. Mentre pronunciavo le parole, ebbi coscienza che c'era intorno a noi qualcosa di mutato. Una figura era apparsa dall'altra parte del divano e si chinava sulla signora Marden. Tutto il mio essere si protese nella muta preghiera che Charlotte non vedesse e che io riuscissi a non tradirmi. L'impulso di guardare verso la madre era anche più forte del moto involontario che portava i miei occhi verso Sir Edmund Orme, ma resistetti anche a quello e la signora Marden rimase perfettamente immobile. Charlotte si alzò per darmi la mano, e in quel punto - proprio Henry James
151
1970 - Racconti Di Fantasmi
mentre compiva il gesto - orrendamente vide. Lanciò, con un grido, un'occhiata di sgomento, e un altro suono, il gemito di chi sta per morire, mi colpi nello stesso istante l'orecchio. Ma m'ero già slanciato verso la creatura che amavo, per farle schermo, per coprirle il viso, ed ella si era gettata altrettanto appassionatamente fra le mie braccia. Ve la tenni un momento - stringendola a me, perduto in lei, sentendo i battiti del suo cuore mescolarsi con quelli del mio senza che mi riuscisse di distinguerli; poi, all'improvviso, con un brivido, fui certo che eravamo soli. Charlotte si sciolse dalle mie braccia. La figura dall'altra parte del divano era svanita, ma la signora Marden giaceva al posto di prima con gli occhi chiusi e qualcosa nella sua immobilità che ci riempi di nuovo terrore. Charlotte lo espresse nel grido di «Mamma, mamma!», col quale si gettò su sua madre. Io caddi in ginocchio accanto a lei... La signora Marden era spirata. Il suono udito da me quando Charlotte aveva gridato - l'altro e ancor più tragico suono intendo - era stato il grido angoscioso della povera signora ghermita dalla morte, o il singulto articolato (era parso la raffica d'un violento uragano) dello spirito esorcizzato e placato? Quest'ultima cosa, forse, perché, grazie al Cielo, quella fu l'ultima comparsa di Sir Edmund Orme. Traduzione di Carlo Izzo.
NONA VINCENT I. - Mi chiedevo se le spiacerebbe leggermelo, - disse Mrs Alsager, mentre indugiavano un poco presso il camino prima di accomiatarsi. Volse uno sguardo di scorcio alla fiamma e ne scostò la veste. Aveva fatto la proposta con quella timida spontaneità che accresceva il suo fascino. Allan Wayworth quel fascino l'aveva sempre subito, come pure quello della casa, semplice distillazione della personalità di lei; un'atmosfera così consolatrice, così allettante da provocare sempre in lui, quando stava per lasciarla, ripetuti falsi tentativi di commiato. Vi aveva trascorso alcune ore così buone, aveva dimenticato, nella calda dorata atmosfera di quel salotto, tanta solitudine e tanti crucci, che esso aveva finito per diventare la risposta immediata alla sua ispirazione, la cura per le sue sofferenze, il porto in cui le sue burrasche trovavano rifugio. Le tribolazioni non era il primo mortale a patirle, mentre alcuni lati Henry James
152
1970 - Racconti Di Fantasmi
positivi, anche se comuni, erano in lui di livello notevole, in quanto - per essere così giovane - era intellettualmente molto dotato e, per essere così povero, estremamente indipendente. Aveva ventotto anni, la sua era stata una vita intensa, piena com'era di ambizioni, di curiosità e di frustrazioni. L'occasione di parlare di taluni di questi argomenti in Grosvenor Square attenuava sensibilmente l'immenso svantaggio di vivere a Londra. Svantaggio che, per Allan Wayworth, verteva essenzialmente sull'insensibilità dei londinesi per il suo stile letterario. Wayworth possedeva uno stile letterario, o almeno ne era convinto, e il fatto che Mrs Alsager lo riconoscesse era la più dolce consolazione ch'ella gli potesse offrire. Quanto a talento letterario e artistico, lei ne aveva ancor più di lui, tant'è che mentre a lui capitava spesso di trovare un eccesso alla sua produzione (era questo il suo lavoro, la sua occupazione), la generosa signora, ricca di idee felici, ma inedite e sconosciute, stava in mezzo al crescere della marea come una ninfa di fonte sta nello zampillo di una fontana marmorea. Un anno prima, a un pranzo di una grande casa editrice di giornali si era trovato seduto accanto a lei e, insieme, avevano trasformato quell'ora intensamente materiale in un banchetto della ragione. Lo invitò ad andarla a trovare per il semplice motivo che le era piaciuto, cosa che a lui fu tanto più gradita in quanto s'era reso conto nello stesso momento, di aver fatto la conoscenza di una persona squisita. Mrs Alsager godeva della invidiabile libertà di comportarsi secondo le proprie simpatie, e il fatto di sentirsi per il momento incluso fra queste attenuò in Wayworth la sensazione dei propri insuccessi. Tenne la rivelazione per sé: in effetti, che una gentile signora si mostrasse amabile con lui, non era cosa da fargli girare la testa. Mrs Alsager era così completamente padrona del terreno in cui si muoveva che, se non si fosse attenuta al principio della prodigalità, sarebbe stata condannata all'inazione. Suo marito, di vent'anni più vecchio, era una personalità cospicua nel campo della City e massiccia in casa: seduto o in piedi che fosse, sembrava un monumento. Proprietario per metà di un importante quotidiano, e per intiero di una quantità di altre cose, ammirava sua moglie, sebbene non gli desse dei figli, e ne apprezzava la diversità di gusti in quanto ciò sembrava schiudere alla loro esistenza orizzonti più ampi. Coltivava ambizioni tanto vaste da individuarne a stento i confini e aveva, per principio, di lasciare Henry James
153
1970 - Racconti Di Fantasmi
che la moglie perseguisse le proprie senza limiti di sorta, sicché l'ostentazione di tanto spreco non cessasse di sbalordire la società. Le sue idee erano un prodigio di pacchianeria, ma per fortuna, a realizzarne alcune, c'era una persona di grande sensibilità. Per una questione, appunto, di sensibilità, nel realizzarle, ella ricorreva a trucchi singolari, senza che egli se ne accorgesse. Lo manovrava senza che se ne rendesse conto, anzi, era convinto di essere stato lui a fare di lei una gran donna. Senza di lei, in verità, egli sarebbe stato ancora più invadente e la società, che così respirava più libera, si sentiva vincolata a lei da sentimenti di gratitudine che si esprimevano con atteggiamenti di impacciato riguardo. Ella sentiva un trepido bisogno di dedicare le ore di ozio e di libertà di cui godeva alle cose dello spirito, le più belle che conoscesse. Quando consacrava tempo a ricercarle, le trovava in cento luoghi diversi e specialmente in una sacra regione oscura - quella della carità attiva - ma, quando vi penetrava, lasciava calare un sipario così atto dietro di sé che sollevarlo sarebbe stato irriverente. Coltivava altre passioni volte al bene e, se accarezzava un sogno particolarmente nobile esso le pareva avverarsi allorché poteva cogliere la bellezza, come un fiore, nel giardino dell'arte. Amava l'opera perfetta: in lei vibrava una corda artistica che poteva risuonare soltanto se toccata da altri, cosicché nel suo animo la passione del bello era accresciuta dall'intensità del rimpianto. Comprendeva la gioia di creare e non faceva gran caso che di lei si dicesse essere lei stessa creatrice di felicità. Le sarebbe piaciuto in ogni modo scegliere da sé come crearla: ma qui, appunto, la libertà le veniva meno. L'unica invidia di cui era capace era per coloro che - come lei soleva dire - sapevano fare qualche cosa. Tuttavia, poiché ella convertiva ogni suo atto in un atto di bontà, verso l'intera categoria di quelle persone dimostrava un'ospitalità squisita. Allan Wayworth era uno in grado di realizzare qualche cosa, e a lei piaceva sentirgli dire come intendeva fornirne la prova. Lui non ne faceva cenno quasi con nessun altro: Mrs Alsager, in quanto ascoltatrice, lo aveva viziato. Con la sua giovinezza piena e la sua grazia tranquilla, ella costituiva davvero un pubblico ideale: se mai gli avesse confidato che le sarebbe piaciuto scribacchiare qualcosa (in realtà, non ne aveva fatto parola con anima viva), Wayworth si sarebbe sentito pienamente autorizzato a chiederle perché mai una donna con un volto così significativo non avrebbe dovuto riuscirci. Come esprimersi più di tanto? Henry James
154
1970 - Racconti Di Fantasmi
Né Shakespeare, né Beethoven avrebbero potuto competere con lei. Mai era stata più generosa di quella volta che, aderendo all'invito cui ho già accennato, egli le aveva portato il suo dramma per fargliene lettura. Gliene aveva parlato prima, in un grigio pomeriggio di novembre, quando l'ardente caminetto di casa Alsager si era dimostrato un rifugio ideale dai luoghi e dalle intemperie. Aveva esclamato nell'entrare: - È finito, è finito! - Lei lo aveva sollecitato a raccontare tutto, dimostrando un interesse minuzioso, ponendogli domande squisitamente pertinenti. Ne aveva parlato, fin dall'inizio, come se egli stesse per mettere in scena il suo lavoro, facendogli superare, con la sua partecipazione, tutti i penosi momenti intermedi. Mrs Alsager amava il teatro come tutte le espressioni artistiche: a Wayworth era noto come soleva spingersi fino a Parigi per una particolare rappresentazione. Una volta l'aveva accompagnata lui stesso quando si era portata appresso quella sciocca di Mrs Mostyn. Allorché aveva tracciato, a grandi linee, l'argomento del dramma, ne era rimasta colpita e gli aveva detto parole che lo avevano incoraggiato a credere nella propria opera. Appena calato il sipario sull'ultimo atto, era corso a trovarla, ma poi aveva trattenuto il testo per gli ultimi numerosi ritocchi. Finalmente, il giorno di Natale, come convenuto, Mrs Alsager era rimasta ad ascoltarlo seduta davanti al fuoco. Erano tre atti in prosa, di gusto piuttosto romantico, anche se ambientati nella società inglese contemporanea, ed egli amava credere che si sentisse la mano se non del maestro, quanto meno dell'allievo meritevole di premio. A ventidue anni, dopo un'educazione eclettica ricevuta all'estero Allan Wayworth era ritornato in Inghilterra: suo padre era stato per anni corrispondente di un importante giornale inglese in vari paesi esteri. Era morto subito dopo il rientro del figlio in patria, lasciando la moglie e le altre due figliole, due ragazze senza dote, a vivere di una minuscola rendita in una noiosissima città tedesca. Agli inizi, la vita del giovane a Londra era stata difficile, e più difficile egli la rendeva con la sua avversione per il giornalismo. Le relazioni del padre in quel campo lo avrebbero aiutato, ma egli era (insensatamente, secondo il giudizio diffuso fra i suoi amici - la grande eccezione era, come sempre, Mrs Alsager) inimitable sul problema dello stile. Questo, secondo il suo modo di intendere, non era quello voluto dai giornali inglesi, né egli era disposto a fornirlo nella forma da loro richiesta. Comunque non vi era grande offerta da nessuna parte, e Wayworth passò preziose settimane a ritoccare piccole composizioni per Henry James
155
1970 - Racconti Di Fantasmi
riviste che non «retribuivano» lo stile. In effetti, la sola persona che ripagasse per questo era Mrs Alsager, dotata di un infallibile istinto per la perfezione. Ripagava a modo suo, è vero: se Allan Wayworth fosse stato un lavoratore salariato avrebbe avuto ragione di pensare che, non ricevendo il compenso dovutogli per legge, il palmo della sua mano accoglieva di tanto in tanto una buona mancia. Aveva anche lui i suoi limiti, le sue debolezze, ma quel che vi era di meglio in lui era la parte più viva: era un uomo onesto, irrequieto. Tuttavia, ciò che più ci interessa è l'impressione che egli produsse su Mrs Alsager, la quale lo trovò non solo assai attraente, ma molto originale. Egli non avrebbe mai commesso azioni per solito ritenute cattive: troppi erano i pantani perigliosi da attraversare per imboccare la scorciatoia del successo. Dal canto suo, Wayworth non era mai stato tanto soddisfatto come dopo aver intravisto la strada (così egli amava appassionatamente credere), verso una sorta di padronanza del concetto di teatro, che prospettandola ora dall'interno, gli pareva tutt'altra cosa. Nei primi tempi l'aveva considerato con disprezzo allorché gli era apparso una gemma, se mai opaca, nascosta in un letamaio, un lucignolo che si consumava lentamente in un'atmosfera irrespirabile di volgarità. Non valeva la pena di sacrificarsi e di consumarsi, circondato com'era da meschine vie d'accesso. Per occuparsene, un uomo di lettere avrebbe dovuto mettere al bando tutta la letteratura: sarebbe stato come chiedere a un blasonato di rinunciare all'atavico nome di famiglia. Ma col mutare dei punti di vista, cambia anche l'aspetto delle cose. Una mattina, Wayworth si era svegliato in uno stato d'animo tutto diverso. Inutile qui ripercorrere sino all'origine le tappe di quell'avvenimento. Sarà assai più interessante, per chi voglia conoscere la vita del giovane, seguire alcune delle conseguenze che ne derivarono. Senti di essere stato fatto oggetto di una speciale rivelazione: si buttò il cappello in testa, come un innamorato. Un angelo l'aveva preso per mano, guidandolo alla porta un po' sgangherata che si apriva -a quanto gli parve - su un interno splendido ed austero al tempo stesso. Il concetto di teatro - una volta accettato - era magnifico; la forma drammatica aveva una purezza che faceva apparire le altre ingloriosamente grossolane. Come la matematica e l'architettura, aveva l'alta dignità delle scienze esatte, offriva il conforto che offrono il calcolo e la costruzione, l'incorruttibilità del sistema Henry James
156
1970 - Racconti Di Fantasmi
giuridico. Spoglia ma eretta, povera ma nobile: a Wayworth rammentava l'immagine di un sovrano, famoso per la sua giustizia, costretto a vivere in una reggia disadorna. Ciò comportava una quantità paurosa di concessioni, ma quel che restava era di una rara ricchezza. Bisognava continuare a gettare a mare il carico per salvare la barca, ma quale spinta riuscivi ad imprimerle quando le facevi superare le onde! Un movimento armonioso come la danza di una dea. A questo pensava Wayworth, facendo lunghe passeggiate per Londra: la città con le sue suggestioni gli riempiva le orecchie di un mormorio sonoro. L'immaginazione gli si accendeva man mano che andava forgiando materiale; i suoi propositi si moltiplicavano e l'atmosfera era come una vaporosa nuvola d'oro. Vedeva non solo ciò che doveva fare al momento, ma che cosa fare in seguito e dopo ancora: il futuro gli si apriva dinanzi, gli pareva di camminare su lastre di lucido marmo. Più si cimentava con il dramma, più vi si appassionava; più lo contemplava, più ricco gli appariva. Ciò che vi scorgeva, in verità adesso lo percepiva ovunque: se, nel crepuscolo londinese, si fermava a contemplare una vetrina sfolgorante di luci, essa si spostava subito dietro le luci di una ribalta, faceva da sfondo ai suoi personaggi. Questi personaggi egli modellava nella sua stanza solitaria e, modellandoli, dava forma al loro contesto scenico come un orafo che, cesellando uno scrigno, vi stia sopra chino per la gioia dell'opera perfetta. Quando non vagava per le strade in compagnia della sua visione, né si arrovellava sui suoi problemi alla scrivania, scambiava idee in generale con Mrs Alsager, a cui annunciava particolari divertenti per ore ancor più liete in futuro. Quando le lesse le ultime battute del lavoro finito, gli occhi di lei si riempirono di lacrime, mentre mormorava estasiata: - E adesso, metterlo in scena, metterlo in scena subito! - Già, davvero, metterlo in scena! - fece eco Wayworth fissando il fuoco, mentre arrotolava la copia dattiloscritta. - Ma questa è tutta un'altra faccenda, una questione secondaria. - Ma naturalmente lei desidera che sia rappresentato? - Certo che lo desidero... ma è un improvviso cedimento. Lo desidero ardentemente, ma me ne vergogno. - E proprio qui che cominciano le difficoltà, - disse Mrs Alsager un po' Henry James
157
1970 - Racconti Di Fantasmi
disorientata. - Come può dirlo? E proprio qui che finiscono! - Ah, aspetti di vedere dove finiranno! - Intendo dire che d'ora in poi saranno di carattere totalmente diverso, spiegò Wayworth. - Secondo me, non c'è nulla di più difficile a questo mondo dello scrivere un dramma in grado di resistere alla severità dei critici: in confronto, tutte le complicazioni che insorgono a questo punto sono, nel complesso, di entità minore. - Sì, non sono incoraggianti, - rispose Mrs Alsager, - al contrario, sono deprimenti perché così meschine. L'altro problema, l'elaborazione del lavoro in sé, è arte pura. - Oh, come comprende bene ogni cosa! - Il giovane era scattato in piedi e stava appoggiato al caminetto con le braccia conserte, volgendo la schiena alla fiamma. La copia del suo lavoro stretta nel pugno chiuso, poggiava nell'ansa di un gomito. Abbassò lo sguardo su Mrs Alsager e le sorrise grato. Lei gli ricambiò il sorriso volgendo su di lui due occhi ancor pieni di entusiasmo. - Eh, sì, - riprese lui un istante dopo, - le meschinità cominciano adesso. - E lei ne soffrirà terribilmente. - Soffrirò per una buona causa. - Già, offrendo al mondo questo suo lavoro! Me lo lasci: voglio le ggero e rileggerlo! - pregò Mrs Alsager alzandosi per strappare la copia dalla stretta in cui egli la teneva: adesso, con quella sua copertina verdognola, a Wayworth pareva avesse un'identità assai banale. - Ma chi mai ci riuscirà? Chi lo interpreterà? - ella prosegui, fattasi vicina a lui e sfogliando il manoscritto. E prima che lui avesse il tempo di risponderle, s'era fermata ad un certo foglio; volgendo la pagina verso di lui, gliene indicò un tratto. - Questo è il punto più bello, queste righe sono perfette -. Wayworth lanciò un'occhiata al passo che lei gli indicava, chiedendogli di leggerlo ancora; già prima glielo aveva letto in modo mirabile. Lui lo conosceva a memoria e, richiudendo il fascicolo, mentre lei lo tratteneva fra le sue mani, le ripetè a bassa voce quel passaggio (aveva invero una cadenza che lo soddisfaceva), spiando l'approvazione sul viso di lei con un'espressione di lieto compiacimento che sperava gli venisse perdonata. - Ah, ma chi saprà pronunciare parole come queste? - lo interruppe Mrs Alsager, - chi si troverà per interpretare la parte di lei? Henry James
158
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Troveremo interpreti per tutti i personaggi! - Ma non gente che ne sia degna. - Saranno tutti abbastanza degni, se lo vorranno. Io lavorerò con loro, li torchierò a dovere -. Parlava come se di commedie ne avesse già rappresentate una ventina. - Sarà interessante, - riprese lei. - Ma prima dovrò trovare il teatro. Dovrò trovare un impresario che abbia fiducia in me. - Appunto: è gente così stupida! - Ma pensi a quanta pazienza mi occorrerà, a quante ricerche dovrò fare, al tempo che dovrò aspettare, - disse Allan Wayworth. - Mi ci vede a andare in giro per Londra, offrendo il mio lavoro come un venditore ambulante? - No davvero; sarebbe un bel disastro. - Eppure sarà quello che mi toccherà fare. Prima che vada in scena mi saranno venuti i capelli bianchi! - Invecchierò prima io, se non riusciamo! - esclamò Mrs Alsager. - Io ne conosco un paio... - soggiunse pensierosa. - Sarebbe disposta a parlargliene? - Il punto è di indurli a leggerlo. Questo mi sentirei di farlo. - Di più non posso chiederle. Ma anche per questo sarò costretto ad aspettare. Lo guardò con teneri occhi di sorella: - Non aspetterà. - Cara buona signora! - disse a mezzavoce Wayworth. - Cioè, può darsi che lei debba attendere, ma io non aspetterò! Mi vuole lasciare la sua copia? - soggiunse, riprendendo a sfogliare le pagine. - Certo, io ne ho un'altra -. In piedi vicino a lui, ella rileggeva sommessamente un passaggio qua e là, poi ne lesse altri con la sua bella voce. - Ah, se soltanto lei fosse un'attrice! - esclamò il giovane. - Questa è l'ultima cosa che sono: non c'è ombra di commedia in me! Mai come in quel momento gli era apparsa come il suo buon genio. - C'è per caso un po' di tragedia? - le chiese con delicata confidenza. Al che lei gli volse le spalle con una risatina strana, piena di fascino. - Forse sarà lei a doverlo stabilire! - gli rispose. Ma prima che egli potesse declinare una responsabilità del genere, lei si era di nuovo voltata verso di lui e si era messa a parlare di Nona Vincent come della loro amica più cara, la cui momentanea condizione sollecitava un irresistibile appello alla loro Henry James
159
1970 - Racconti Di Fantasmi
solidarietà. Nona Vincent era la protagonista della commedia, e Mrs Alsager s'era presa di gran passione per lei. - Non so dirle quanto mi piace quella donna! - esclamò con accento di così fervida convinzione che lo spirito dell'artista ne fu confortato come da un balsamo. - Sono molto contento se le ho trasfuso un po' di vita. La mia impressione è che Nona Vincent assomigli molto a lei, - osservò Wayworth. Mrs Alsager arrossi lievemente e guardò un attimo nel vuoto. Evidentemente quella somiglianza non l'aveva colpita, ma non la prese come uno scherzo. - Confesso che non sento questa somiglianza: non mi ci vedo a fare quello che lei fa. - Non è tanto quello che fa, - obiettò il giovane lisciandosi i baffi. - Ma è proprio questo il punto: il suo comportamento. Nona dichiara il suo amore; io non lo farei mai. - Se rifiuta questo comportamento con tanta energia, perché le piace il personaggio? - Non è per questo che mi piace. - Per che cosa, allora? La sua vera caratteristica sta appunto in questo. Mrs Alsager parve riflettere guardando la fiamma del camino: si sarebbe detto che di buone ragioni, per amare quel personaggio, ne avesse almeno mezza dozzina. Ma quella che offri al suo interlocutore fu inaspettatamente semplice, si sarebbe anche potuto pensare che le fosse suggerita dalla disperazione di non trovarne altre. - Mi piace perché l'ha creata lei! esclamò ridendo, e si scostò nuovamente dal suo ospite. La risata di Wayworth fu ancor più rumorosa. - A crearla ha contribuito un po' anche lei. Ho immaginato che avesse i suoi tratti. - Dovrebbe essere molto più bella di me, - disse Mrs Alsager, -comunque, certamente io non mi comporterei come lei. - Neppure nelle stesse circostanze? - Io non verrei mai a trovarmi in situazioni del genere. Queste si riferiscono unicamente alla sua commedia: non hanno nulla in comune con una vita come la mia. Tuttavia, - continuò, - per Nona quella linea di condotta è perfettamente naturale, e non soltanto naturale, a mio avviso, ma profondamente bella, nobilissima. Non so abbastanza esprimerle la mia ammirazione per la bravura, la delicatezza con cui è riuscito a far accettare Henry James
160
1970 - Racconti Di Fantasmi
il suo comportamento. Glielo dico con tutta franchezza: davanti a un giovane che, agli inizi dell'opera sua, è stato capace di un'intuizione simile, io vedo schiudersi un brillante avvenire. Grazie al cielo posso ammirare Nona Vincent con la stessa intensità con cui tento di non assomigliarle! - Non esageri su questo punto, - la ammoni Allan Wayworth. - Quanto alla mia ammirazione? - Quanto alla vostra dissimiglianza. Nona Vincent ha il suo viso, i suoi gesti, la sua voce, il suo modo di muoversi: ha moltissimo di lei. - Così segnerà la condanna della sua commedia! - replicò Mrs Alsager. Scherzarono un po' su questo punto; non fu però in tono faceto che, di lì a poco, la signora uscì a dire: - Un rimedio ad ogni modo lei ce l'ha: la faccia interpretare dall'attrice giusta! - La faccia interpretare! La faccia interpretare! - esclamò l'autore in tono garbatamente querulo. - Capisco, povero amico mio. Che peccato! Una parte così bella... un'occasione strordinaria per un'attrice giovane, seria, intelligente...! La sua commedia è praticamente Nona Vincent: sta alla protagonista portarla lontano, oppure lasciarla cadere al primo angolo di strada. - Bella prospettiva, - commentò Allan Wayworth, fattosi d'un tratto scettico. Si scambiarono uno sguardo cupo, uno sguardo in cui in quel momento si affacciarono le più nere previsioni; ma prima del commiato erano di nuovo corse tra loro fiduciose promesse volte al raggiungimento del loro ideale. Non si deve supporre, però, che il pensiero dell'aiuto di Mrs Alsager diminuisse in Wayworth la voglia di aiutarsi da sé. Fece quanto potè, ben sapendo che lei dal canto suo, non faceva di meno. Ma, passato un anno, dovette riconoscere che i loro sforzi congiunti avevano generato, in sostanza, il raffinato fiore dello sconforto. Trascorso un anno, il suo disprezzato capolavoro aveva perduto a suo stesso giudizio quel po' di lustro iniziale, e Wayworth si ritrovò a scrivere, per un dizionario biografico, piccole vite di personaggi celebri che non aveva mai sentito nominare. Il vedersi pubblicato, ovunque fosse e comunque, era già un mezzo successo per uno scrittore incapace di farsi rappresentare, e il venir pagato, ancorché a rate enciclopediche, ebbe come conseguenza di indurlo alla rassegnazione e alla verbosità. Non poteva contrabbandare bella prosa in un dizionario, ma poteva se non altro pensare di aver fatto del proprio meglio per apprendere, attraverso la drammaturgia, che il bello Henry James
161
1970 - Racconti Di Fantasmi
stile è quasi ovunque una stravaganza grottesca. Aveva bussato alla porta di tutti i teatri di Londra e, con una spesa rovinosa, aveva moltiplicato le copie dattiloscritte di Nona Vincent per sostituire quelle vergate ih bella calligrafia e precipitate negli abissi degli uffici manageriali. La sua commedia non veniva neppure rifiutata: non gli era nemmeno concessa la lusinghiera impressione che il testo fosse stato letto. Ormai poco gli importava di ciò che gli impresari avrebbero fatto per Mrs Alsager: appariva chiarissimo che per lui non avrebbero fatto nulla. L'affascinante signora si sentiva umiliata a morte nel considerare la scarsa risposta ottenuta dai potenti sui quali aveva fatto assegnamento. Ormai, insieme, del dramma non parlavano più: tuttavia lui si sforzava di dimostrarle un'amicizia ancor più devota per non lasciarle supporre di sentirsi deluso. Continuava a camminare su e giù per Londra in compagnia dei suoi sogni: ma, come i mesi succedettero ai mesi e un intero anno gli stava già dietro le spalle, quei sogni - più che di successo - erano ormai di rivalsa. Come compenso alla sua pazienza la parola «successo» gli appariva un termine sbiadito: gli ci voleva qualcosa di sfacciatamente vistoso, qualcosa di truculento addirittura. Tuttavia, ciò che più lo appagava era ancora il concetto di teatro; non si era mai reso conto fino a quel momento di quanto ne fosse innamorato. Quando anche un secondo anno fu trascorso invano, il suo sterile talento gli divenne ancor più caro per l'insulto a cui pareva essere esposto. Passava le ore migliori in un mondo di trame e di spunti. Scrisse un'altra commedia, tanto diversa dalla prima quanto poteva esserlo un dramma eccellente; e magari lo era pure, ma una volta al vaglio del limbo del teatro, una sorte indiscriminata non rilevò la differenza. Riuscì, finalmente, a lasciare l'Inghilterra per tre o quattro mesi e si recò in Germania per fare la visita così a lungo differita alla madre e alle sorelle. Poco prima della data stabilita per il suo ritorno, ricevette da Mrs Alsager un telegramma così concepito: «Loder desidera vederla, intende iniziare subito prova Nona». Passò le poche ore che ancora mancavano alla partenza distribuendo baci a mamma e sorelle, abbastanza informate sul conto di Mrs Alsager per considerare una fortuna il fatto che quella rispettabile signora maritata non si trovasse lì - un sollievo, tuttavia, accompagnato da prospettive incerte per quanto riguardava Londra e il futuro. Henry James
162
1970 - Racconti Di Fantasmi
Loder, come il nostro giovane autore ben sapeva, significava il nuovo «Renaissance», e tuttavia, pur avendo raggiunto Londra in serata, non fu verso quel confortevole teatro moderno che Wayworth diresse i suoi passi. A tarda sera, passò un'ora in compagnia di Mrs Alsager, un'ora densa di progetti. La sua amica gli disse che Mr Loder era una persona simpatica: per leggerlo, aveva semplicemente aspettato che venisse il turno del manoscritto di Wayworth, e adesso nutriva speranze a quel riguardo che, per venire da parte di un pessimista di professione, potevano addirittura definirsi travolgenti. Le parti erano state assegnate con un certo margine per eventuali modifiche: protagonista sarebbe stata Violet Grey. Durante l'assenza di Wayworth essa aveva fatto una buona prova in quella vecchia catapecchia del «Legitimate»; la commedia era un goffo réchauffé, ma lei almeno aveva dimostrato freschezza. Wayworth la ricordava: forse che per due anni non si era dedicato con entusiasmo a «cercare», frequentando tutti i teatri di Londra a caccia di possibili interpreti? Non ne aveva ancora scovati molti, per il momento, e questa giovane attrice non era mai rimasta impigliata nella sua rete. Era carina e originale, ma non se l'era mai figurata nella parte di Nona Vincent, né si sentiva - nonostante la sua pratica professionale - di dare un giudizio sulla personalità artistica di Miss Grey. Mrs Alsager era d'opinione diversa: dichiarò di essere stata non poco impressionata da certi suoi accenti. Nel lavoro dato al «Legitimate» la giovane aveva destato interesse; e Mr Loder, che la teneva d'occhio, la definiva ambiziosa e intelligente. Ci teneva tanto a farsi strada, e alcune di quelle attrici erano così fiacche! Wayworth rimase scettico: aveva veduto Miss Violet Grey, specie di attrice itinerante, in una dozzina di teatri, ma sempre con un unico volto. Nona Vincent aveva una dozzina di volti, ma in un unico teatro; eppure con quanta febbrile curiosità il giovane si ripromise di osservare l'attrice l'indomani! Discuterne con Mrs Alsager sembrava adesso costituire il nocciolo della prova. La prospettiva ormai prossima di venir rappresentato gli imponeva di non formulare domande; voleva camminare in punta di piedi fino alla sera della prima, ponendo come sola condizione che ci si attenesse al suo testo. Anche se lo scenografo gli avesse fatto trovare una stamberga di legno di rovere, gli pareva che non avrebbe neppur sollevato un sopracciglio in segno di disapprovazione. L'indomani cominciò a capire che non sarebbe stato questo il pericolo Henry James
163
1970 - Racconti Di Fantasmi
cui sarebbe andato incontro, eppure non riusciva ad individuare quale fosse. Pericoli ce n'erano, indubbiamente; nel mondo dell'arte i pericoli esistevano ovunque, e ancor più ve n'erano nel mondo degli affari; ma ciò che gli pareva di avvertire veramente era il battito d'ali della vittoria. Nulla poteva insidiare quest'impressione, poiché la vittoria stava già nel fatto di andare in scena. Sarebbe stata vittoria anche se il dramma fosse stato mal rappresentato - riflessione che non gli impedì, tuttavia, nella sua politica votata all'ottimismo, di bandire dal proprio vocabolario la parola «male». Nei compromessi d'uso era un termine che non veniva mai applicato, e neppure si poteva dir male della sua commedia, adesso che sentiva di essersela lasciata alle spalle: prevedeva nelle settimane a venire di venir esposto per causa sua a un alternarsi continuo di allarmi e certezze. Quando scese nel teatro, debolmente illuminato dalla luce del giorno (gli sembrò di entrare sotto l'arco del tempio della fama), Mr Loder, ch'era davvero simpatico come gli aveva annunciato Mrs Alsager, gli apparve come il buon nume dell'ospitalità. L'impresario cominciò a spiegargli come mai non si fosse fatto vivo per tanto tempo; ma ormai questa era l'ultima cosa che gli interessava, né seppe ricordare più tardi i vari motivi enumerati da Mr Loder. Gli piacque tutto quanto fu oggetto di discussione per l'allestimento, anche ciò che aveva pensato gli sarebbe probabilmente dispiaciuto, e si entusiasmò agli argomenti per i quali era ben disposto. Quella sera osservò Miss Violet Grey con occhi che si sforzavano di penetrarne le capacità. Alcune le possedeva per certo: doti di voce e di espressione, forse addirittura doti intellettuali: ad ogni modo rimase fermo al suo posto con attenzione incoraggiante e lusinghiera, senza cessare di ripetersi nel modo più convincente possibile che non era un'attrice qualunque, fatto tanto più meritorio in quanto la parte ch'essa interpretava gli appariva disperatamente banale. Intuì, appunto, che questa era la ragione per cui il pubblico appariva soddisfatto: apprezzava più il ruolo che l'attrice. Lo colse un intimo timor panico: se era quello lo stile che piaceva al pubblico, come poteva sperare che si apprezzasse il suo stile? Il suo stile, la sua forma, erano diventati ormai un'idea fissa. Allorché la serata ebbe fine, alcuni tratti di Miss Violet Grey - certo suo volger del capo, certe vibrazioni della voce - rientravano nella stessa categoria. Sì, era interessante, era raffinata, e lui, comunque, l'aveva accettata: il che equivaleva a dire la stessa cosa. Quella sera, però, lasciò il teatro senza averle rivolto la parola, spinto da un insolito impulso a rimandare, fatto Henry James
164
1970 - Racconti Di Fantasmi
che non mancò di sconcertarlo un poco. L'indomani doveva leggere i suoi tre atti alla compagnia e non gli sarebbe mancata occasione di dire molte cose; per il momento provava una specie di riluttanza a prendere iniziativa. Inoltre era leggermente infastidito dal fatto che, sebbene per tutta la sera si fosse sforzato di vedere Nona Vincent nella persona di Violet Grey, i suoi occhi avevano serbato semplicemente l'immagine di Violet Grey nella persona di Nona. Non gradiva vedere l'attrice così da vicino, così direttamente, e lo sforzo di mettere a fuoco Nona sia come sua interprete, sia come l'attrice del «Legitimate» gli era costato molta fatica. Quella sera, prima di andare a letto, impostò tre righe dirette a Mrs Alsager: «Non è affatto quella che dovrebbe essere; spero in ogni modo di riuscire a cavarne qualcosa». Fu molto soddisfatto il giorno appresso del modo in cui l'attrice stette ad ascoltare la lettura; in verità di molte cose fu soddisfatto in quell'occasione, specialmente della lettura stessa. Tutto assumeva ai suoi occhi dimensioni grandiose, ingigantite dai suoi progetti. Godeva di disporre di quell'ampio, vuoto teatro dalle tinte smorzate, pieno degli echi delle «scene ad effetto» e di un particolare effluvio di gas e di successo mescolati: era come una tela vergine pronta per il quadro. Per la prima volta in vita sua aveva dei mezzi a disposizione: l'espressione gli era nota, ma non aveva mai creduto di poterne conoscere il vero significato. Ciò che Loder sembrava pronto a fare lo sorprendeva, ma badava a non lasciarlo trasparire. Nella realizzazione artistica di una commedia prevedeva due elementi concomitanti: uno costituito da una grande angoscia, l'altro da un divertimento illimitato. Ebbe a rievocare in seguito questa lettura come l'ora più felice di tutta la vicenda: aveva capito in quel momento che la sua opera era degna di essere rappresentata. Ciò che sarebbe venuto dopo era cosa che riguardava gli altri; ma questa, con le sue imperfezioni e i suoi errori, era cosa sua. Durante quell'ora, in ogni modo, il dramma aveva avuto una vita sua, una vita di un'intensità destinata a perdersi nella povertà di prove abborracciate; lo vedeva riflesso in una maniera che gli riusciva gradita: nel silenzio degli attori, disposti in semicerchio, avvolti nei loro impermeabili, calzati di stivali fangosi, ma attenti, impenetrabili. L'ascoltatrice cui aveva più cose da dire era Violet Grey, ed egli si sforzò di trasmetterle lo spirito della sua parte, lì sul posto, parlandole attraverso il palcoscenico disadorno. Il suo atteggiamento era pieno di Henry James
165
1970 - Racconti Di Fantasmi
grazia, ma benché sembrasse tendere all'ascolto ogni facoltà il volto rimaneva del tutto inespressivo; il che peraltro non disanimò Wayworth, che anzi la apprezzò maggiormente per il suo riserbo. Gli altri attori diedero segni evidenti di riconoscersi nelle varie battute della commedia, eppure Wayworth, a lei, perdonò anche in quel caso ogni assenza di espressione. Miss Grey, era chiaro, desiderava più di ogni altra cosa essere ben sicura dell'argomento. Ancor più che dalle rivelazioni dell'intenzionale grandiosità di Mr Loder, Wayworth fu sorpreso dalla scoperta che alcuni interpreti non gradivano la parte: che diavolo avrebbe potuto cavare da costoro, si domandava col cuore stretto, se avessero mantenuto quell'atteggiamento di ottusità? Fu questa la prima delle sue delusioni; chissà perché si era aspettato che ciascuno, all'istante, si rendesse conto con gratitudine dell'occasione rara che gli si presentava: dal momento in cui comprese di aver fatto previsioni errate si senti come in alto mare o comunque consapevole che altre disillusioni si sarebbero aggiunte. Capire ciò che piacesse o non piacesse all'impresario era impossibile; non un giudizio, non un commento gli sfuggiva di bocca: il suo consenso alla commedia e le sue opinioni sul modo di allestirla sembravano averlo trasformato in una creatura velata, ammantata di mistero. Wayworth avverti che da quel momento si sarebbero mossi tutti in un'atmosfera più elevata, più rarefatta che non quella dell'omaggio e della fiducia. Quando, dopo la lettura, si intrattenne con Violet Grey, comprese che in realtà ella mancava di finezza: quale miglior dimostrazione poteva offrirne se non quella di astenersi dal prorompere all'istante in espressioni di giubilo per la grande fortuna toccatale? Ma evidentemente questo riserbo non aveva nulla a che vedere con la presunzione: Violet Grey voleva fargli sentire che una persona del suo livello non si abbandona a facili entusiasmi. Comprese poco dopo che era disorientata e persino un po' spaventata: segno che in certo senso non aveva capito. Nulla lo attraeva più della possibilità che gli si presentava di chiarire le difficoltà che essa incontrava, esaminate le quali tuttavia venne a scoprire ben presto che, quel che aveva capito, Violet Grey l'aveva capito male. Se era un po' rozza, quella era una ragione di più per parlarle, e continuava a ripeterle: - Chieda, chieda a me: mi chieda qualsiasi cosa le venga in mente. Ed ella gli chiedeva, gli poneva domande senza tregua e alle prime prove, così vuote di forma e di contenuto da sembrargli più la morte di un Henry James
166
1970 - Racconti Di Fantasmi
esperimento che l'alba di un successo, in un angolo del palcoscenico dibatterono le questioni così a fondo che, alla fine, egli fu convinto della sua indiscutibile serietà. Era sempre maggiormente persuaso che la protagonista era la chiave di volta del suo arco, opinione che l'attrice era prontissima a condividere. Ma quando fece presente alla giovane donna che, in pratica, tutto dipendeva da lei, ella si allarmò e ne fu addirittura scandalizzata: gli fece intendere che questo non era proprio il modo giusto di costruire un dramma, accollando a una povera ragazza nervosa la responsabilità di tenerlo in piedi o farlo crollare. Era coscienziosa a un livello quasi patologico e in teoria, sotto questo aspetto, Wayworth l'apprezzava, benché tre o quattro volte gli avesse fatto perdere la pazienza con le cose che si sentiva o non si sentiva di fare. Quelle volte gli occhi di Violet Grey si erano riempiti di lacrime, ma piangeva per la sua stupidità si era affrettata ad assicurargli - non per il tono con cui egli le parlava, che anzi, date le circostanze, egli era sempre gentilissimo. La sua spontaneità la rendeva bella ed egli si augurava con tutto il cuore (e si fece un dovere di dirglielo) che un po' di quella bellezza potesse riflettersi su Nona. Una volta però gli apparve così commossa e turbata che, per un istante, nel vederla, anche gli occhi di lui s'inumidirono. Il caso volle che, girandosi in quel momento, egli si trovasse faccia a faccia con Mr Loder. Il produttore spalancò tanto d'occhi, gettò uno sguardo all'attrice che gli volgeva le spalle poi, sorridendo a Wayworth, esclamò con lo spirito di uno che tutte le sere ascolta le risate del loggione: - Ma guarda guarda! - Che c'è? - domandò Wayworth. - Mi fa piacere vedere che Miss Grey si dà tanto da fare con lei! - Ah, sì! Finirà per farmi diventar matto! - rispose gaio il giovane. Si rendeva perfettamente conto che il suo interesse per Nona agli occhi altrui non appariva superficiale ed era fermamente determinato ad ottenere che le prove del dramma non sacrificassero a considerazioni esteriori neppure un'ombra di accuratezza. Mrs Alsager, dalla quale si recava spesso nel pomeriggio per una tazza di tè, ringraziandola in anticipo per tutto ciò che gli offriva e raccontandole come le prove - fatte a quel modo erano addirittura comiche - esaurissero le sue energie, Mrs Alsager dunque, sempre più il suo buon genio e, come lui non cessava di ripeterle, il suo angelo custode, approvava la sua fermezza, incoraggiandolo a qualsiasi forma di devozione in onore Henry James
167
1970 - Racconti Di Fantasmi
dell'arte. Naturalmente, non aveva mai mostrato tanto interesse all'opera sua come adesso, e di tutto voleva sentir parlare, a qualunque proposito. Lo trattava come un eroe stanco, lo assediava con cibi e bevande corroboranti, lo faceva sdraiare su cuscini e petali di rosa. Seduti davanti al camino, chiacchieravano come non mai della vita nel mondo dell'arte; egli le confidò, per esempio, tutte le sue esperienze e preoccupazioni a proposito dell'interprete di Nona. La signora s'interessava immensamente a questa giovane e lo dimostrava continuando a prenotare un palco dopo l'altro (era già andata a vederla almeno una mezza dozzina di volte) nell'intento di studiarne le capacità attraverso lo schermo del ruolo affidatole in quel momento. E, come Allan Wayworth, la trovò incoraggiante solo a tratti, poiché aveva delle parentesi di totale incapacità. Era intelligente, ma esigeva a gran voce un'adeguata preparazione ed era così totalmente priva d'esperienza che soltanto un decimo della sua intelligenza si rifletteva sulla scena. Era come una lama spuntata: un buon acciaio che non era mai stato affilato; ed ella vibrava fendenti nella dura pagnotta dell'arte drammatica senza riuscire a tranciarne fette sottili.
II. - Certo la mia prima attrice non riuscirà a far rassomigliare Nona a lei! osservò tristemente un giorno Wayworth a Mrs Alsager. C'erano giorni in cui quella prospettiva gli sembrava orribile. - Tanto meglio: non ce n'è nessun bisogno. - Vorrei tanto che lei la istruisse un po': le sarebbe così facile! - prosegui il giovane. Per tutta risposta Mrs Alsager lo pregò di non prenderla così crudelmente in giro. Ma quella ragazza la incuriosiva, voleva essere informata della sua indole, della sua vita privata, come viveva e dove: insomma sembrava desiderosa di farsela amica. Della vita privata di Miss Grey, Wayworth forse ne sapeva ben poco, ma, dopo tre settimane di prove, dimostrò coi fatti di poter fornire informazioni su vari punti. Era una personcina deliziosa, esemplare, di squisita educazione e cultura, di gusti modernissimi, musicista eccellente. Era orfana e molto sola al mondo: uniche sue parenti erano una sorella, sposata a un impiegato statale - con un posto di alta responsabilità - in India, e una cara zietta all'antica (una prozia, per vero dire) con la quale abitava a Notting Hill, autrice di libri per bambini e, in tempi lontani, a quanto risultava, anche di una Henry James
168
1970 - Racconti Di Fantasmi
pantomima di Natale. Un ambiente d'artisti, insomma -non al livello di quello di Mrs Alsager (se è lecito paragonare il minimo al massimo) - ma estremamente raffinato e dignitoso. Wayworth si spinse addirittura ad accennare al fatto che una visita di Mrs Alsager a Notting Hill sarebbe stato un gesto veramente umano e simpatico: chissà come sarebbero state liete di accoglierla! Così sovente la signora si era attenuta ai vaghi suggerimenti del giovane, ch'egli aveva preso la buona abitudine di considerarlo un suo diritto: elargire quei suggerimenti gli dava un'impressione di saggezza, di responsabilità. Ma questa volta la proposta parve cadere nel vuoto e Wayworth non insistette. Tuttavia Mrs Alsager doveva essere tornata di nuovo al «Legitimate», come egli scopri il giorno dopo, perché gli disse all'improvviso: - Oh, farà bene, farà benissimo -. Durante quelle settimane, quando il soggetto non veniva nominato, era sottinteso che parlavano di «lei», di Violet Grey, sebbene per lo più fingessero di riferirsi a Nona Vincent. - Eh, sì! - assenti Wayworth. - Ci tiene tanto! Mrs Alsager per un momento tacque, poi domandò con una certa incoerenza, come ridestandosi da un sogno ad occhi aperti: - Davvero ci tiene tanto? - Moltissimo: a quanto sembra è stata affascinata dal suo ruolo sin dall'inizio. - Allora, perché non l'ha detto? - Oh, perché è così strana. - Sì, è strana, - convenne Mrs Alsager pensosa; e soggiunse poco dopo: È innamorata di lei. Wayworth sgranò gli occhi, arrossi violentemente, poi sbottò in una risata. - Che ci sarebbe di strano? - volle sapere; ma prima che la sua interlocutrice potesse soddisfare la domanda, insistette a chiederle come facesse a saperlo. Dopo aver tentato con garbo di eludere il problema, gli spiegò che la sera innanzi, al «Legitimate», Mrs Beaumont, la moglie del direttore artistico, le aveva fatto una visitina nel palco e lì, fra una chiacchiera e l'altra, Mrs Alsager aveva confessato di non aver mai messo piede nel retroscena. Al che Mrs Beaumont s'era offerta di farle fare subito un giro e a lei era saltato il ticchio di accettare. Sul momento la cosa l'aveva divertita; e così era accaduto che la sua accompagnatrice - accogliendo la Henry James
169
1970 - Racconti Di Fantasmi
sua richiesta - l'avesse presentata a Miss Violet Grey che, dietro le quinte, aspettava di entrare in scena. Mrs Beaumont aveva dovuto assentarsi per qualche minuto e in quel ritaglio di tempo, trovatasi faccia a faccia con l'attrice, Mrs Alsager aveva scoperto il segreto della povera figliola. Wayworth definì insensata quell'ipotesi, ma insistette per sapere che cosa l'aveva condotta alla scoperta del mistero. Mrs Alsager definì quella richiesta «superficiale», per uno che si vantava di ritrarre il,comportamento femminile, ed egli non migliorò certo la situazione osservando un po' a vanvera che anche un gatto può alzare lo sguardo su un re e che certe cose è opportuno conoscerle. Ma a questo punto Mrs Alsager lo mise in guardia: poteva darsi che la povera figliola non fosse un argomento su cui scherzare. A sua volta Wayworth, asserendo di detestare i discorsi Sulle passioni che egli sarebbe stato capace di suscitare, si accontentò di rispondere che aveva voluto dire una sola cosa: la questione non poteva far alcuna differenza per Mrs Alsager. - Come diamine pretende di sapere ciò che fa e non fa differenza per me? - replicò la signora, con freddezza inattesa e un'alterigia che, da parte di quell'animo tanto delicato, destava stupore. Quella sera, a teatro, Wayworth vide Violet Grey e fu lei che per prima parlò di aver fatto la conoscenza di una sua amica. - È innamorata di lei, - dichiarò l'attrice, dopo ch'egli ebbe finto di non saperne nulla; - questo non le dice niente? Wayworth arrossi ancor di più di quanto non l'aveva fatto arrossire Mrs Alsager, ma rispose con sufficiente prontezza e molta disinvoltura che, naturalmente, c'erano centinaia di donne che morivano d'amore per lui. - Oh, ma a me non importa, dal momento che lei non ne è innamorato! prosegui la giovane. - Le ha rivelato anche questo? - domandò Wayworth; ma in quel momento ella dovette allontanarsi. In piedi, in un angolo da cui riusciva a vederla, egli pensò che, quella sera, l'attrice stava dedicando alla scena - la migliore del suo ruolo nella commedia - un'arte più viva di quanta avesse mai mostrato, un talento capace di far fronte a qualsiasi difficoltà. Improvvisava continuamente battute fuori copione (già tre ne aveva suggerite nel testo del suo compagno di scena) e altrettante volte Wayworth s'era augurato con tutta l'anima che anche Nona Vincent potesse godere di quel beneficio. Ma sembrava che Miss Grey fosse in grado di improvvisar battute per Henry James
170
1970 - Racconti Di Fantasmi
chiunque altro salvo che per lui -voglio dire, per Nona. In quei giorni era consapevole di provare uno strano sentimento nuovo, che si mescolava (e ciò appunto ne costituiva il lato curioso) a un altro molto spontaneo e relativamente vecchio: nel complesso, volendone definire la natura, si sarebbe potuto parlare di un dolore sordo, di un rammarico che la cattiva stella di quella fanciulla l'avesse spinta sul palcoscenico. Al colmo del disagio, si augurò che, invece di proseguire, lei rinunciasse, e tuttavia si riebbe da quel disagio rievocando i motivi che l'avevano indotto a sperare che Nona sarebbe stato, grazie a lei, un vero successo. C'erano dei momenti strani, penosi, in cui - come interprete di quel personaggio - quasi la odiava; poi si rassicurava: aveva esagerato e ciò che, quando era nervoso, faceva apparire così grande la sua avversione, era semplicemente il contrasto con l'impressione crescente dell'esistenza di altri motivi - completamente diversi - per cui Miss Grey gli piaceva. Gli piaceva perché era una creatura affascinante, per la sua franchezza, la sua malizia, per la mutevolezza e le sorprese che riservava la sua indole e per certi felici aspetti della sua persona. Lontana dal palcoscenico, gli pareva che avesse due occhi tristi, una voce irreale. Non tollerava il pensiero di vederla delusa e umiliata e desiderava unicamente salvarla, proteggendola e portandola via di lì. Un mezzo per salvarla era quello di fare in modo che, mettendo in opera tutta la propria abilità, la rappresentazione della sua commedia ottenesse un trionfo; l'altro mezzo - era davvero troppo buffo per esprimerlo - era l'augurarsi quasi il contrario. Allora ci sarebbe stata serenità e pace per il futuro e non la pace della morte: la pace di una vita diversa. Va aggiunto che il nostro giovanotto si aggrappava alla prima di queste due alternative con la stessa intensità con cui era perfidamente attratto dalla seconda. Era nervosissimo, di un nervosismo che andava crescendo in modo intollerabile; ma unico rimedio immediato era continuare a provare e riprovare, a perfezionare con Violet Grey il suo ruolo. Alcuni degli attori si lamentavano ch'egli riservasse solo a lei quel comportamento come se lei fosse tutta l'opera; al che egli replicava che loro si potevano permettere di venir trascurati: erano tutti così eccezionalmente bravi! Miss Grey era la sola a non essere adulata. Autore e attrice si appassionarono tanto al loro lavoro che a lei rimase pochissimo tempo per parlargli ancora di Mrs Alsager, della quale in realtà la sua mente sembrava essersi sufficientemente sbarazzata. Una volta Wayworth le fece osservare che intorno si diceva che Nona Vincent Henry James
171
1970 - Racconti Di Fantasmi
assomigliasse parecchio alla sua gentile amica, ma lei gli rispose con un «Chi lo dice?» così vuoto d'espressione, ch'egli si guardò bene dal tornare sull'argomento. Con la consueta confidenza, confessò il suo nervosismo a Mrs Alsager, ed ella capì subito che quelle ansie erano strettamente collegate e varianti d'intensità di ora in ora; qualunque sollievo ella gli avesse arrecato, era annullato dal fatto che quell'ansia era di natura tanto molteplice. Un pomeriggio, quando la prima era ormai imminente, Wayworth disse all'amica di non aver chiuso occhio tutta la notte ed essa, porgendogli la consueta tazza di tè, gli rispose: - Capisco; lei deve attraversare veramente un brutto momento: l'ansia per un'altra persona è peggio dell'ansia per noi stessi! - Un'altra persona? - ripetè Wayworth, levando lo sguardo al di sopra della tazza. - Povero amico mio, lei è nervoso per Nona Vincent, ma lo è infinitamente di più per Violet Grey. - Ma è lei Nona Vincent! - No che non lo è: nemmeno un po'! - ribatté brusca Mrs Alsager. - Ne è davvero convinta? - esclamò Wayworth, versando il tè fuori dalla tazza per l'agitazione. - Non ha importanza ciò di cui sono convinta io, in questo caso. Quello che volevo dire è che, per quanto grande sia la sua ansia per la commedia, lo è ancor di più quella per la sua prima attrice. - Posso solo ripeterle che la mia prima attrice è la mia opera. Mrs Alsager scrutò pensierosa nella teiera. - La sua attrice è la sua... - La mia che? - domandò il giovane con un certo tremito nella voce quando la sua ospite s'interruppe. - La prediletta del suo cuore. Ora come ora lei ne è innamorato -. E con un colpetto secco Mrs Alsager lasciò ricadere il coperchio sopra la teiera profumata. - Non ancora, non ancora! - commentò il suo visitatore con una risata. - Lo sarà, se Miss Grey riesce a procurarle il successo. - Ma lei stessa asserisce che non ci riuscirà! Mrs Alsager tacque un istante e poi disse come in un bisbiglio: Pregherò per lei. - Lei è la più generosa delle donne! - esclamò Wayworth, poi arrossi come se avesse usato un'espressione poco felice. E, in verità, quelle parole Henry James
172
1970 - Racconti Di Fantasmi
non avrebbero fatto onore a un uomo di tatto. Il mattino dopo ricevette da Mrs Alsager quattro righe scritte in tutta fretta. Era stata improvvisamente chiamata a Torquay per far visita a un parente molto ammalato: vi si sarebbe trattenuta parecchi giorni, ma sperava vivamente di tornare in tempo per la prima di Nona Vincent. Gli faceva in ogni caso i suoi più fervidi auguri. Wayworth senti moltissimo la sua mancanza perché quegli ultimi giorni furono di una tensione estrema; e poco conforto gli veniva da Violet Grey ancor più nervosa di lui e così pallida e alterata da fargli temere che stesse troppo male per andare in scena. Convennero tra loro che, stando insieme, altro non facevano che peggiorare la situazione reciproca e che lui avrebbe fatto assai meglio a lasciarla sola. Del resto, avevano sminuzzato Nona in modo tale che sembrava non esserne rimasto più nulla: le lasciasse almeno il tempo di immedesimarsi di nuovo nel personaggio. Wayworth fece del suo meglio per lasciarla in pace, ma Violet Grey, dal canto suo, non si attenne ai patti con altrettanto scrupolo. Tornò da lui con nuovi problemi, sperò che le risolvesse certi vecchi dubbi; alla vigilia della prima, mezz'ora avanti l'ultima prova in costume, gli sottopose un'interpretazione della sua eroina del tutto nuova. Questo fatto gli causò un tale senso d'insicurezza che le voltò le spalle senza proferire parola, si precipitò fuori dal teatro, percorse di volo lo Strand e raggiunse a piedi la Bank. Poi saltò su una carrozza e tornò verso i quartieri occidentali della città; quando raggiunse il teatro la prova era quasi finita. Pareva che non fosse andata tanto male, ed egli provò quasi del disappunto per non potersi consolare col vecchio adagio nel mondo del teatro: le peggiori prove generali fanno le migliori prime. L'indomani, mercoledì, era il giorno fatidico; il teatro era rimasto chiuso lunedi e martedì. Mercoledì ciascuno fece il possibile per lasciare in pace gli altri e tutti fallirono manifestamente nell'intento. Era inteso che, fino alle sette, la giornata dovesse venir consacrata al riposo ma, ad eccezione di Violet Grey, a teatro si fecero vedere tutti. Wayworth guardava Mr Loder e Mr Loder guardava da un'altra parte: a tanto si riduceva il loro dialogo. Wayworth stava sulle spine, incapace di mangiare un boccone o di dormire o di star seduto tranquillo, a volte sembrava in preda al panico. Come al solito riuscì a mantenersi calmo camminando: tentava in tal modo di rimuovere il suo nervosismo. Nel pomeriggio si avviò a piedi verso Notting Hill e fu capace di mantenere il proposito di non prendere contatto con l'attrice. Essa gli appariva come un'acrobata in piedi su una palla Henry James
173
1970 - Racconti Di Fantasmi
scivolosa: se l'avesse sfiorata le avrebbe fatto fare un capitombolo. Tre volte passò davanti alla porta di casa sua e trecento volte pensò a lei. Fu questo il momento in cui si rammaricò che Mrs Alsager non fosse tornata: era infatti passato da casa sua solo per apprendere che la signora era ancora a Torquay. Gli sembrava strano, e ancor più strano giudicava che non gli avesse scritto; ma anche di questo non era sicuro poiché, avendo perduto come ormai aveva completamente perduto - un'opinione sulla sua commedia, gli pareva di aver perduto un'opinione su qualsiasi cosa. Quando rientrò, tuttavia, trovò un telegramma della signora di Grosvenor Place: «Reso possibile mio ritorno raggiungerò Londra ore sette». Alle otto e mezzo, attraverso uno spiraglio nel sipario del «Renaissance», la scorse in un palco con un gruppo di amici, assolutamente splendida e benigna. Il teatro era magnifico: troppo bello, gli parve troppo bello per la sua commedia, troppo bello per qualunque opera drammatica. Tutto adesso gli sembrava troppo bello: lo scenario, gli arredi, i costumi, persino i programmi. Gli venne in mente che questo forse era il punto debole dell'interprete di Nona: era addirittura troppo brava. Con la giovane donna aveva convenuto fin nei particolari quali dovessero essere i loro rapporti durante la serata e, sebbene ogni altro accordo fosse stato poi modificato, questo si promisero a vicenda di non modificarlo. Incredibile quante cose non si promisero! Lui le avrebbe dato l'imbeccata accompagnandola fino al palcoscenico: poi, lasciato il teatro, sarebbe rimasto fuori fin quasi alla fine. Lei lo supplicò di starle lontano si sarebbe sentita tanto più disinvolta. Wayworth notò che nel costume aveva apportato un paio di cambiamenti in meglio rispetto alla sera precedente; questo gli parve un valido argomento su cui rimuginare, mentre la carrozza lo portava, mezzo intorpidito, verso casa. Abitava a un paio di miglia di distanza, ma appena uscito dal teatro, appena resosi conto che s'era levato il sipario, aveva scelto il rifugio di quel lento veicolo apposta per far passare il tempo. A casa il fuoco era spento, la camera gelida: si sdraiò sul divano senza togliersi il cappotto. Aveva mandato di proposito la sua affittacamere in prima galleria: l'avrebbe altrimenti sommerso di discorsi pieni di sgrammaticature. L'alloggio gli sembrò un antro vuoto come antri vuoti gli erano parse dianzi le strade: erano accorsi tutti -spaventoso! - al suo spettacolo. Finalmente ritrovò un po' di pace; più di quanta ne avesse Henry James
174
1970 - Racconti Di Fantasmi
goduta da quindici giorni: si senti troppo debole anche soltanto per chiedersi come sarebbe andato lo spettacolo. Credette in seguito di aver dormito un'ora; ma ammesso che così fosse, intuì che era ancor troppo presto per tornare a teatro. Si sedette vicino alla lampada e tentò di leggere un breve compendio della vita di un grande statista inglese, in un volumetto che faceva parte di una collana: gli parve un lavoro brillante, ben fatto, e si chiese se non fosse quella la scelta cui avrebbe dovuto attenersi: non la carriera dell'uomo politico, ma l'arte delle biografie brevi. Si rese conto all'improvviso che doveva affrettarsi se voleva ancora arrivare in tempo al teatro: erano le undici meno un quarto. Si buttò fuori di casa e, questa volta, prese un calessino leggero - negli ultimi tempi aveva speso tanti quattrini in carrozze di piazza da accrescere in lui la speranza che i profitti della nuova produzione sarebbero stati cospicui. Fu di nuovo preso dall'ansia, da un senso di attesa frenetica e, mentre il calessino lo portava - questa volta velocemente - verso il «Renaissance», l'alternarsi di stati d'animo diversi lo fece quasi star male. Appena varcata la soglia del teatro, la prima persona che gli si fece incontro - un qualche inserviente - gli gridò con quanto fiato aveva: «La cercano, signore, la cercano!» Quel grido gli sembrò quanto mai sinistro; fissò l'uomo con occhi sbarrati, in attesa che si tradisse: voleva fargli sapere che lo ricercavano per condannarlo a morte? Qualcun altro lo spinse, lo cacciò avanti: eccolo già sul retroscena. Divenne conscio allora di un suono più o meno continuato, ma che a lui sembrò debole e lontano e che sulle prime scambiò per le voci degli attori, filtrate attraverso le pareti di tela della bella sala allestita per l'ultimo atto. Ma gli attori erano lì, fra le quinte, e lo circondarono; il sipario era calato ed essi se ne ritraevano dopo essersi mostrati alla ribalta. Avevano avuto la chiamata - e anche lui era chiamato - tutti lo stavano acclamando con grida di «Fuori! Fuori l'autore!» Wayworth era terrorizzato, non aveva la forza di uscire: non credeva nella sincerità di quell'applauso che giungeva al suo orecchio così attutito da sembrare tiepido. - E andata? E proprio andata? - chiese con voce rotta a chi gli stava intorno; e senti che gli rispondevano «Eccome, eccome!» meccanicamente, in tono che gli parve menzognero, accompagnato addirittura da risatine beffarde, il ghigno della sconfitta e della disperazione. Sebbene tutto ciò non durasse che pochi istanti, d'un tratto, sbucato da chissà dove, gli piombò addosso Loder: Henry James
175
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Per amore del cielo, non li faccia aspettare, se non vuole che smettano! - Ma non posso farmi vedere solo per questo! - esclamò Wayworth angosciato: gli pareva che quel rumore fosse già cessato del tutto. Loder lo sospinse afferrandolo per un braccio; egli oppose resistenza e volse uno sguardo frenetico in cerca di Violet Grey, che forse gli avrebbe detto la verità. Adesso, dietro quella quinta, si era formato un capannello di gente dal volto truccato, atteggiato a smorfie grottesche; ma Violet non c'era, ed era proprio la sua assenza a spaventarlo. Ne pronunciò il nome in un tono di cui più tardi si penti perché, pensò, li tradiva tutti e due; e mentre Loder lo spingeva verso il sipario, udì qualcuno che diceva: - Dopo la prima chiamata è scomparsa. «Una chiamata l'ha avuta, allora» questo fu il pensiero costante del giovane, ritto per un momento nel bagliore accecante delle luci della ribalta a fissare senza vederlo il grande ferro di cavallo popolato da una folla indistinta. Ora gli applausi con cui venne salutato gli parvero troppo fragorosi per i suoi meriti e troppo deboli per i suoi desideri, ma cessarono presto; ebbe la sensazione che passasse parecchio tempo prima di riuscire a sua volta ad afferrare l'impresario per un braccio e gridargli con voce ormai rauca: - Ma allora è andata, è andata davvero? Mr Loder gli rivolse un'occhiata dura e un attimo dopo rispose: _ La commedia in sé è ottima! Wayworth pendeva dalle sue labbra. - E allora, che cos'è che non va? - Dobbiamo fare qualche cosa per Miss Grey. - Che le è successo? - Non vive la sua parte! - Intende dire, che non ce l'ha fatta? - No, accidenti: non ce l'ha fatta. Wayworth sgranò gli occhi. - Allora, come fa a dire che la commedia è ottima? - Oh, la salveremo, la salveremo. - Ma dov'è Miss Grey? Dove diavolo si è cacciata? - chiese il giovane. Loder gli afferrò il braccio mentre l'altro stava voltandosi ancora in cerca della protagonista. - Non si preoccupi di lei adesso: lo sa! Wayworth venne avvicinato nello stesso momento da un signore che conosceva come un amico di Mrs Alsager: l'aveva notato nel palco della signora. Era là appunto che Mrs Alsager attendeva l'autore di quel dramma di successo; desiderava vivamente che la raggiungesse per conferire con Henry James
176
1970 - Racconti Di Fantasmi
lei. Wayworth volle prima rassicurarsi che Violet avesse davvero lasciato il teatro, e una delle attrici lo informò con certezza che l'aveva vista gettarsi addosso un mantello senza cambiarsi d'abito; poco dopo apprese che si era subito infilata, insieme alla zia, in una carrozza. Wayworth si era ripromesso d'invitare a cena in casa sua mezza dozzina di persone fra cui Miss Grey e la sua anziana parente; ma lei si era rifiutata in anticipo di prendere qualsiasi impegno (sarebbe stato tremendo mantenerlo se avesse fatto fiasco) e il suo comportamento aveva mandato a monte l'allettante programma. Lui l'aveva accusata di eccessivo puntiglio, ma lei era stata irremovibile. Il messaggero inviato da Mrs Alsager gli fece sapere che era atteso per cena a Grosvenor Place e, mezz'ora dopo era seduto a quella tavola, fra gente che si complimentava con lui, tra fiori e tappi che saltavano, e gustava il primo pasto regolare dopo una settimana. Mrs Alsager l'aveva accolto nella sua vettura, gli altri erano arrivati con mezzi propri. Non appena la sua ospite ebbe cominciato a parlargli della straordinaria impressione che la sua commedia aveva fatto su ciascuno di loro, egli la interruppe brusco, inchiodandola sul problema di Violet Grey. Aveva rovinato il dramma, l'aveva falsato, maltrattato - era stata un disastro - o in qualche modo aveva dimostrato una certa bravura? - Senza dubbio la rappresentazione sarebbe risultata migliore se migliore fosse stata lei, - ammise Mrs Alsager. - E anche il testo avrebbe figurato meglio, se migliore fosse stata la recitazione, - concluse cupamente Wayworth dall'angolo della vettura. - Fa quello che può: ha dimostrato talento, molta grazia. Ma non riesce a vedere Nona Vincent. Non capisce il tipo, non ne coglie l'identità... non vede la donna che aveva in mente lei scrivendo. Ne resta al di fuori, non la impersona. - Oh, la donna che avevo in mente io...! - esclamò il giovane guardando i lampioni di Londra che gli sfilavano accanto. - Se soltanto avesse conosciuto lei! - soggiunse, mentre la carrozza si fermava e, oltrepassata la soglia di casa, concluse, rivolto alla sua amica: - Vede bene che non mi consentirà mai di affermarmi. - La perdoni, sia buono con lei! - intercedette Mrs Alsager. - La ringrazierò e basta. La commedia può andare al diavolo. - Se ci andasse... se davvero ci andasse... - iniziò Mrs Alsager col suo puro sguardo posato su di lui. - Ebbene, se andasse? Henry James
177
1970 - Racconti Di Fantasmi
Ella non potè rispondere perché gli altri invitati irruppero tutti insieme nella sala, ma ebbe appena il tempo di dirgli: - Non deve andare al diavolo! Wayworth si ritirò prima degli altri, in preda ad un desiderio incontrollato di recarsi a Notting Hill quella sera stessa benché fosse già tanto tardi; era ossessionato dal pensiero che Violet Grey avesse ormai misurato il suo insuccesso. Ma, quando raggiunse la strada, si lasciò guidare da un ripensamento; il destarla alle due di notte bussando alla porta difficilmente l'avrebbe calmata. Nei sei giornali che sfogliò al mattino non trovò un solo elogio per lei. I critici si mostravano assai favorevoli al dramma, ma erano unanimi nel dichiararsi delusi dalla giovane attrice che pure, nelle precedenti prove, aveva lasciato bene sperare e che, in questa occasione, portava il peso di gravi responsabilità. Si chiedevano in coro che cosa le fosse accaduto e altrettanto in coro dichiaravano che l'opera, su cui si potevano formulare buoni auspici, perdeva valore (usavano tutti lo stesso termine) a causa della discrepanza tra personaggio e interprete. Wayworth si recò di buon'ora a Notting Hill, ma non portò i giornali con sé; c'era da scommettere che Violet Grey li avesse mandati a comprare alle prime luci dell'alba alimentando così abbondantemente il suo tormento. Rifiutò di vederlo: mandò soltanto da basso la zia a dire che si sentiva molto poco bene e non sarebbe stata in grado di recitare la sera se non la si fosse lasciata tranquilla a letto per tutta la giornata Wayworth s'intrattenne un'ora con la vecchia signora: una persona che capiva tutto e alla quale poteva parlare con franchezza. Gli fece un quadro commovente delle condizioni della nipote, un quadro reso tanto più vivo dalla semplicità delle parole con cui venne tracciato. - Sente che non è a posto, capisce? Sente che non va. - Le dica che non importa... che non importa niente! - disse Wayworth. - E lei ha tanto orgoglio, lo sa! - esclamò l'anziana signora. - Le dica che io sono più che soddisfatto, che l'accetto con gratitudine così com'è. - Dice che fa del danno alla sua commedia, che la rovina, - rincarò l'interlocutrice. - Migliorerà, migliorerà moltissimo; riuscirà a entrare nel personaggio, replicò il giovane. - Migliorerebbe se sapesse come fare... ma lei dice di non saperlo. Lei ha dato tutto quello che può, ma non capisce cosa si pretende da lei. Henry James
178
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Ciò che le chiedo è semplicemente di continuare così, e avere fiducia in me. - Come può avere fiducia in lei quando sa che sta per perderla? - Perdermi? - esclamò Wayworth. - Lei non la perdonerebbe mai se dovessero togliere dal cartellone la sua commedia. - Terrà il cartellone sei mesi, - affermò l'autore dell'opera. La vecchia signora gli posò una mano sul braccio. - Che cosa farebbe per mia nipote se così fosse? Egli fissò un istante la zia di Violet Grey. - Ha detto che ha molto orgoglio, non è vero? - Troppo per questa professione tremenda. - Allora non gradirebbe che lei mi facesse questa domanda, -rispose Wayworth alzandosi. Rincasando, si senti molto stanco e, per uno cui era consentito pensare di aver mietuto un successo, la giornata trascorsa era stata notevolmente tetra. L'irrequietezza era scomparsa e ora si sentiva in preda alla sfinimento, alla depressione. Si abbandonò nella sua vecchia poltrona accanto al fuoco e vi rimase per ore ad occhi chiusi. Entrò la padrona di casa a portargli la colazione, ma lui finse di dormire per evitare che gli rivolgesse la parola. C'è da credere che fosse finalmente colto dal sonno, perché verso l'ora in cui cominciava a calare la sera, ebbe la sensazione straordinaria di ricevere una visita, un'impressione che non poteva accordarsi con una coscienza vigile. Nona Vincent, in carne ed ossa, la protagonista viva della sua commedia, si levò davanti a lui nella stanza silenziosa e gli si sedette vicino presso il tenue focherello. Non era Violet Grey, non era Mrs Alsager, non era nessuna donna che mai avesse incontrato sulla terra, né il simulacro di qualcuno venuto ad offrirgli amicizia o pentimento. Eppure, indicibilmente bella e consolatrice, gli riusciva più famigliare di qualunque altra donna conosciuta da vicino. Riempiva della sua presenza la povera stanza, soave come un effluvio d'incenso. Era tranquilla e affettuosa come una sorella, né la sua presenza destava in lui stupore. Non gli era mai accaduto nulla di più reale, nulla, in certo senso, di più rassicurante. Senti la mano di lei posarsi sulla sua: tutti i suoi sensi sembravano tesi a ricevere un messaggio. Ebbe la curiosissima impressione di trovarsi di fronte alla sua creatura e, al tempo stesso, alla sua ispiratrice che gli offriva la più felice consapevolezza di successo. Se nella luce rosata riflessa dal camino, Henry James
179
1970 - Racconti Di Fantasmi
gli appariva tanto affascinante nelle vesti di un chiaro colore indefinibile, era perché lui l'aveva creata così, e d'altro canto, se si sentiva sollevato dal peso che gli gravava sul cuore, era perché lei lo aveva liberato. Quando chinò su di lui i suoi grandi occhi profondi, essi sembravano esprimere certezza e libertà, prospettandogli il futuro come un verde giardino. Sorrideva di tanto in tanto, dicendogli: «Sono viva, viva, viva!» Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse rimasta con lui; ma quando la padrona di casa incespicando entrò nella stanza per portargli il lume, Nona Vincent non c'era più. Wayworth si stropicciò gli occhi; mai aveva fatto un sogno così vivo e intenso. E mentre si alzava pigramente dalla poltrona, provò una tacita profonda felicità - la felicità dell'artista - nel considerare quanto aveva avuto ragione nel crearla così simile a lei stessa. Era venuta per dimostrarglielo. Tuttavia, passati cinque minuti, si senti talmente confuso che richiamò la padrona: voleva rivolgerle una domanda. Quando la donna ricomparve, la domanda stentò a formularsi, per venire infine articolata così: - È venuta qui una signora? - Nossignore, nessuna signora. La donna pareva leggermente scandalizzata. - Non è venuta Miss Vincent? - Miss Vincent, signore? - Sa, la signorina della mia commedia... - Ah, il signore intende dire Miss Violet Grey! - No, non voglio affatto dire lei. Volevo dire Mrs Alsager. - Non c'è stata nessuna Mrs Alsager, signore. - Né un'altra che le assomigli? La donna lo guardò come chiedendosi che cosa gli fosse preso. Poi in tono risentito, domandò: - Perché non dovrei dirglielo, se ci fossero state visite per lei, signore? - Forse avrà pensato che stessi dormendo. - Infatti dormiva, signore, quando sono salita con la lampada... e l'aveva ben meritato, Mr Wayworth! Un'ora dopo la padrona tornò a portargli un telegramma: Wayworth aveva appunto iniziato a vestirsi per andare a cena al suo club e passare poi in teatro. - Mi guardi bene stasera e non mi avvicini prima della fine. Con queste parole Violet gli comunicava i suoi desideri per la sera. Egli Henry James
180
1970 - Racconti Di Fantasmi
obbedì alla lettera e la osservò dal fondo di un palco. Non aveva elementi di confronto con la recitazione dell'attrice la sera precedente, ma ciò che vide in quelle magiche ore lo riempi d'ammirazione, di gratitudine. Questa volta ella era entrata nel suo ruolo; si era ripresa, si era immedesimata nel personaggio; ogni gesto era felicemente appropriato. Fresco della recente apparizione di Nona, era adesso in condizioni di poter giudicare e ogni giudizio lo faceva esultare. Era travolto dalla commozione e inoltre curiosissimo di sapere che cosa le fosse accaduto, per quale insondabile mistero dell'arte ella fosse riuscita in così poche ore ad operare un mutamento tanto radicale. Durante gli entr'actes non si mosse; sarebbe andato a parlarle soltanto alla fine; ma prima che il dramma fosse a metà l'impresario irruppe nel suo palco. - È prodigioso quello che sta combinando, - esclamò Mr Loder, quasi più sbalordito che compiaciuto. - Si è impegnata in un'interpretazione del tutto nuova, un salto mortale nel vuoto, che Dio la benedica! - È molto diversa? - chiese Wayworth, condividendo lo stupore dell'altro. - Diversa? Quanto Iperione da un satiro! È maledettamente brava, ragazzo mio! Maledettamente brava, - ripetè Wayworth, - e in chiave completamente differente da quella delle prove! - La terrò in cartellone sei mesi! - dichiarò l'impresario; e di nuovo si precipitò nelle vicinanze dell'attrice, lasciando Wayworth con la precisa sensazione di essersi ormai affermato. A Violet Grey il pubblico tributò un enorme successo personale. Quando, calato il sipario, egli si portò dietro le quinte, dovette aspettarla; si fece vedere solo al momento in cui fu pronta per lasciare il teatro. Comparve allora insieme alla zia, che si era trattenuta nel camerino con lei. La giovane gli passò davanti con passo rapido, facendogli segno di non parlare finché non fossero stati fuori dal teatro. Wayworth notò che era eccitatissima, come trasportata al di sopra del suo normale livello artistico. - Deve venire a cena con noi, - gli disse l'anziana signora, - è già tutto preparato -. Avevano una carrozza con uno strapuntino aggiunto ed egli vi salì con loro. Passò molto tempo prima che l'attrice si decidesse a parlare. Si appoggiò all'indietro nel suo angolino, senza profferire parola ma continuando a trarre brevi profondi sospiri, come un mare che si acqueti: gli occhi scintillanti di trionfo rilucevano nel buio. Presa dalla soggezione Henry James
181
1970 - Racconti Di Fantasmi
e forse da un senso di discrezione - la zia taceva, e Wayworth era sufficientemente felice per poter aspettare. In verità dovette aspettare finché non scesero a Notting Hill, dove la buona zia andò a vedere se tutto fosse pronto per la cena. - Sono stata più brava, sono stata più brava! - affermò Violet Grey, deponendo il mantello nella piccola sala di soggiorno. - È stata perfetta. Sarà così ogni sera, nevvero? Gli sorrise: - Ogni sera? E difficile che succeda un miracolo al giorno! - Che intende dire con miracolo? - Ho avuto una rivelazione. Wayworth la guardò attonito. - A che ora? - All'ora giusta, questo pomeriggio. Giusto in tempo per salvarmi... e salvare lei. - Verso le cinque? Intende dire che ha ricevuto una visita? - È venuta a trovarmi. È rimasta due ore con me. - Due ore? Nona Vincent? - Mrs Alsager -. Il sorriso di Violet Grey si fece ancor più misterioso. - È la stessa cosa. - E come ha fatto Mrs Alsager a salvarla? - Mi ha permesso di guardarla, di ascoltarla mentre mi parlava. Mi ha consentito di conoscerla. - E che cosa le ha detto? - Cose buone, gentili, incoraggianti, intelligenti. - Ah, che cara persona! - esclamò Wayworth. - Dovrebbe volerle bene, lei le vuole bene. Era... era proprio la persona di cui avevo bisogno, - soggiunse l'attrice. - E cioè, le ha parlato di Nona? - Mi ha detto che, a giudizio dell'autore, Nona doveva somigliare a lei stessa. E infatti le assomiglia: è una donna squisita. - È davvero squisita, - ripetè Wayworth. - Le ha suggerito come recitare? - Oh, no: mi ha detto solo che, se guardarla poteva aiutarmi, lei ne era felice. E io ho sentito che mi aiutava veramente. Non so che cosa sia avvenuto... È stata seduta qui, nient'altro, mi ha tenuto la mano sorridendomi... Aveva un tatto, una grazia, tanta bontà e bellezza che ha quietato il mio nervosismo, ha illuminato la mia fantasia. Sembrava in certo modo volermi far dono di tutto. Ho accettato il dono, oh sì, l'ho accettato. L'ho tenuta davanti a me, ne ho assorbito ogni tratto, ogni gesto. Per la prima volta, da quando ho studiato la parte, avevo davanti a me il Henry James
182
1970 - Racconti Di Fantasmi
modello, dovevo semplicemente riprodurlo. Mi sono sentita tornare tutto il coraggio e con esso tante altre sensazioni mai provate prima. Lei era diversa: era deliziosa, gliel'ho detto: una rivelazione. Mi ha baciata andando via e può ben immaginare se non ho ricambiato il bacio! Sentivamo grande affetto l'una per l'altra, ma è a lei che vuol bene! concluse Violet Grey. Mai in vita sua Wayworth si era sentito tanto eccitato e confuso al tempo stesso. Disse che sarebbe andato l'indomani a trovare Mrs Alsager. E lo fece, ma sulla porta del palazzo gli dissero che la signora era ritornata a Torquay. Vi rimase tutto l'inverno e tutta la primavera, e quand'egli la vide di nuovo, il suo dramma teneva il cartellone già da duecento sere e lui aveva sposato Violet Grey. I suoi lavori ottengono talvolta successo, ma sua moglie non vi recita, né recita in altri. Alle rappresentazioni è quasi sempre presente Mrs Alsager. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
LA VITA PRIVATA I. Parlammo di Londra di fronte a un grande, irto ghiacciaio primigenio. L'ora e il paesaggio creavano una di quelle impressioni che fanno un poco ammenda, in Svizzera, per quanto di indegno è nel sistema moderno di viaggiare: per le promiscuità e le volgarità, per la stazione e l'albergo, per la pazienza collettiva e la fatica di strappare un briciolo d'attenzione, per la tristezza di sentirsi ridotti a numeri. L'alta vallata era tinta del rosa della montagna, l'aria vivificatrice fresca, come se il mondo fosse giovane. Le nevi intatte avevano il lieve incarnato del pomeriggio, e il socievole tintinnio del gregge non visto ci giungeva mescolato a un odore di tosatura e di sole. L'albergo a balconate stava proprio sulla sella del passo più incantevole di tutto l'Oberland, e da una settimana avevamo buona compagnia e bel tempo. Trovavamo che questa era una grande fortuna, perché una delle due cose sarebbe stata compenso sufficiente se l'altra fosse stata cattiva. Il bel tempo sarebbe stato certo sufficiente a compensarci di una compagnia poco allettante; ma questa fatica non gli era imposta, perché, per buona sorte, avevamo la fleur des pois: Lord e Lady Mellifont, Gare Vawdrey la più grande, secondo molti, delle nostre glorie letterarie e Henry James
183
1970 - Racconti Di Fantasmi
Bianche Adney, la più grande, secondo tutti, di quelle teatrali. Nomino questi per primi perché erano proprio persone che a quel tempo tutta Londra cercava di «avere». La gente si sforzava di «prenotarli» con sei settimane di anticipo; pure, in quest'occasione, ci eravamo imbattuti in loro, ci si era incontrati per caso, senza che nessuno avesse tirato i fili. Una partita a carte ci aveva riuniti tutti alla fine di agosto, e riconoscemmo la nostra fortuna rimanendo insieme, sotto la protezione del barometro. Quando 1 giorni aurei fossero finiti - e ciò sarebbe stato molto presto saremmo scesi chi da una parte chi dall'altra del passo e scomparsi oltre le creste delle montagne circostanti. Appartenevamo alla stessa comunità, eravamo contraddistinti da segni di riconoscimento del medesimo alfabeto. Ci vedevamo a Londra con irregolare frequenza; eravamo governati, più o meno, dalle leggi e dalla lingua, dalle tradizioni e dai simboli di casta della stessa gremita classe sociale. Credo che noi tutti, perfino le signore, «facessimo» qualcosa, per quanto fingessimo il contrario quando se ne parlava. A Londra, in verità non si parla di queste cose, ma qui ci concedevamo l'innocente piacere di essere diversi. Ci voleva pure qualcosa che contrassegnasse la differenza: altrimenti non avremmo avuto l'impressione che quella era la nostra vacanza annuale. Sentivamo comunque che le condizioni di vita erano più umane che a Londra, o, per lo meno, che eravamo più umani noi. Eravamo espliciti su questo punto, ne parlavamo apertamente: ne stavamo appunto parlando mentre guardavamo il ghiacciaio tinto di rosa, quando qualcuno osservò la lunga assenza di Lord Mellifont e della signora Adney. Eravamo seduti sulla terrazza dell'albergo, dove c'erano panchine e piccoli tavoli, e quelli tra noi che erano più inclini a mostrare con quale slancio fossimo tornati alla natura, stavano prendendo, secondo lo strano uso tedesco, il caffè prima del pasto. L'osservazione circa l'assenza dei nostri due compagni non fu raccolta da nessuno, nemmeno da Lady Mellifont, nemmeno dal piccolo Adney, l'appassionato compositore; perché era stata fatta soltanto durante una breve pausa del discorso di Clare Vawdrey (questa celebrità, sul frontespizio dei libri, si chiamava semplicemente «Clarence»). Il tema del suo discorso era appunto quella rivelazione del fatto che dopo tutto eravamo umani. Domandò alla compagnia se, onestamente, ciascuno non si fosse sentito tentato di dire a ciascun altro: «Non pensavo davvero che foste così simpatico». Per parte mia, io avevo avuto l'idea che egli lo fosse, Henry James
184
1970 - Racconti Di Fantasmi
e anche molto più che non desse a divedere, ma questa è una cosa troppo complicata per discuterne ora; per di più è proprio il nocciolo della mia narrazione. C'era un'intesa generale fra noi che quando Vawdrey parlava noi si dovesse tacere, e non, per strano che possa sembrare, perché egli se lo aspettasse. Non se lo aspettava affatto, anzi, perché era il più spontaneo, il meno arido e professionale dei grandi parlatori. Quella che prevaleva tra noi era piuttosto la religione del padrone e della padrona di casa: l'idea era loro, ma quando invitavano a pranzo il grande romanziere erano sempre desiderosi di procurarsi una cerchia d'ascoltatori. Nella circostanza di cui sto parlando non c'era probabilmente nessuno tra i presenti che non avesse pranzato con lui a Londra, e sentivamo la forza dell'abitudine. Aveva pranzato perfino con me; e la sera di quel pranzo, come ora in questo pomeriggio alpino, non avevo fatto nessuna fatica a tacere, assorto come inveteratamente ero, nel problema che mi si presentava sempre così imponente di fronte alla sua bella persona quadrata e massiccia. Il problema era tanto più tormentoso in quanto sono certo che egli non supponeva nemmeno lontanamente di proporlo; allo stesso modo che non si era mai accorto come ogni giorno della sua vita, a pranzo, tutti lo ascoltassero. Lo si definiva abitualmente, nei settimanali, «soggettivo e introspettivo», ma se quelle parole volevano significare che era avido di sentirsi rendere omaggio, non c'era in società uomo eminente che lo fosse meno di lui. Non parlava mai di sé; ed era un lato del suo carattere, per quanto straordinariamente degno di lui, del quale appariva chiaro che non si rendeva nemmeno conto. Aveva le sue ore e le sue abitudini, il suo sarto e il suo cappellaio, la sua igiene e il suo vino particolare, ma tutte queste cose riunite non costituivano mai un atteggiamento. Rappresentavano tuttavia il solo che adottasse, ed era facile, per lui, accennare al fatto che eravamo «più cordiali» all'estero che in patria. Lui era esente da variazioni, e neanche per ombra più o meno cordiale in un luogo di quel che fosse in un altro. Differiva dagli altri, ma mai da se stesso - salvo che nel senso straordinario sul quale farò luce - e mi dava l'impressione di non avere né umori, né suscettibilità, né preferenze. Quanto all'influenza esercitata su di lui dall'età, dalla condizione o dal sesso, lo si sarebbe detto sempre in compagnia della stessa persona: si rivolgeva alle donne esattamente come agli uomini, chiacchierava con tutti nel medesimo modo, mai parlando agli intelligenti meglio che agli sciocchi. Mi dolevo tra me che qualsiasi argomento valesse per lui - per quel che io potevo giudicare - quanto un Henry James
185
1970 - Racconti Di Fantasmi
altro: ce n'erano tanti che mi erano così sgraditi! Non lo avevo mai visto altro che ciarliero e festoso ed allegro, e non lo avevo mai sentito affermare un paradosso, o indicare una sfumatura o giocare con un'idea. Quella fantasia del nostro essere «umani» era, nella sua conversazione, un volo veramente eccezionale. Le sue opinioni erano sane e di second'ordine, ed era imbarazzante pensare quali potessero essere le sue impressioni. Gli invidiavo la sua stupenda salute. Vawdrey si era inoltrato col suo passo regolare e la sua coscienza perfettamente tranquilla nel piano paese dell'aneddoto, nel quale le storie si vedono in distanza come mulini a vento o indicazioni stradali; ma osservai in breve che l'attenzione di Lady Mellifont s'era fatta vaga. Si dava il caso che le sedessi vicino. Notai che i suoi occhi erravano un po' inquieti lungo i pendii più bassi delle montagne. Finalmente, dopo aver guardato l'orologio, mi domandò: - Sapete dove sono andati? - Intendete dire la signora Adney e Lord Mellifont? - Lord Mellifont e la signora Adney -. Le parole della nobildonna parvero - senza dubbio involontariamente - correggermi, ma non pensai che potesse essere un effetto della gelosia. Non le imputavo un sentimento così volgare: in primo luogo perché veniva sempre immediatamente spontaneo a chiunque - in qualsiasi circostanza - di nominare Lord Mellifont per primo. Egli era primo -straordinariamente primo. Non dico più grande o più saggio o più rinomato, ma essenzialmente in cima alla lista e a capo della tavola. Era una posizione tutta particolare, e sua moglie era naturalmente assuefatta a vederlo in quella luce. La mia frase era suonata come se la signora Adney lo avesse preso; ma era impossibile che egli venisse preso - non faceva che prendere. Nessuno, nell'ordine naturale delle cose, poteva saperlo meglio di Lady Mellifont. Agli inizi avevo avuto un po' paura di lei, trovandola, coi suoi rigidi silenzi, la prevalente tendenza al nero e la cupezza di quasi tutto ciò che faceva parte della sua persona, alquanto dura, perfino un po' tetra. Il suo pallore sembrava lievemente grigio e i capelli neri, lucidi, avevano riflessi metallici, come i fermagli e i nastri e i pettini che inveteratamente li adornavano. Era vestita perpetuamente a lutto, e portava innumeri ornamenti di giaietto e onice, mille catene tintinnanti e lustrini e conterie. La signora Adney la chiamava Regina della Notte, e la definizione, se si supponeva la notte nebulosa, era calzante. Nascondeva un segreto, e se, conoscendola meglio, non lo scoprivate, toccavate per lo meno la certezza che era mite senza Henry James
186
1970 - Racconti Di Fantasmi
affettazione, limitata, e, al tempo stesso, alquanto rassegnatamente malinconica. La si sarebbe detta una donna la quale soffrisse di una malattia scevra di dolore. Le dissi che avevo soltanto visto suo marito e la sua compagna allontanarsi insieme giù per la valle un'ora prima, e aggiunsi che il signor Adney sapeva forse qualcosa delle loro intenzioni. Vincent Adney, il quale, per quanto cinquantenne, aveva l'aspetto di un buon bambino al quale si fosse insegnato che i bambini in visita non devono parlare, sosteneva con notevole semplicità e buon gusto la parte di marito d'una grande attrice. Quando s'era detto tutto quello che c'era da dire circa l'abilità con la quale sua moglie gli agevolava il compito, non si poteva esimersi dall'ammirare l'affetto cieco col quale egli accettava tutto il resto. È difficile, per un marito che non abbia nulla a che vedere col palcoscenico, o per lo meno col teatro, comportarsi con buona grazia nei confronti di una moglie che vi occupi una posizione cospicua; ma Adney faceva più che superare l'imbarazzo - lo piegava, nel più strano dei modi, a rendere interessante lui. Metteva la sua amata in musica; e ricordate quanto genuina la sua musica sapesse essere - la sola musica inglese che io abbia mai visto ammirata dagli stranieri. Sua moglie entrava sempre, in qualche modo, nelle sue composizioni: erano una traduzione libera e felice dell'impressione che ella produceva. Si ascoltava, e sembrava di vederla passare ridendo, coi capelli sciolti e il passo d'una ninfa boschereccia, attraverso la scena. Egli si era trovato a essere non altro che un modesto violinista d'entr'acte nel teatro dove lei recitava, sempre in poltrona durante la recita; ma lei ne aveva fatto un uomo raro e coraggioso e incompreso. La loro superiorità era diventata una specie di compartecipazione, e la loro felicità era parte della felicità dei loro amici. Il solo cruccio di Adney era di non saper scrivere una commedia per sua moglie, e s'immischiava nei fatti suoi unicamente per chiedere alle persone più impossibili se se ne sentissero capaci. Dopo aver guardato un momento verso di lui, Lady Mellifont osservò che preferiva non fargli nessuna domanda. E soggiunse: - Non vorrei far vedere che sono inquieta. - Inquieta? - Lo sono sempre quando mio marito si allontana a lungo. - Pensate che gli sia successo qualcosa? - Sì, sempre. Naturalmente ci sono abituata. - Vi viene il pensiero che sia precipitato in un burrone, volete dire... cose Henry James
187
1970 - Racconti Di Fantasmi
del genere? - Non so esattamente che cosa temo: ho la sensazione generica che non debba più ritornare. Diceva tanto, e tanto taceva, che il solo modo di prendere la sua idiosincrasia sembrava lo scherzoso. - Per certo non vi abbandonerà! - risi. Guardò un momento per terra. - Oh, in fondo sono tranquilla. - Nulla potrà mai accadere a un uomo così compito, così infallibile, così armato di tutto punto, - continuai con lo stesso tono. - Oh, voi non sapete quanto armato egli sia! - rispose con un tremito così strano nella voce che potei spiegarmelo soltanto attribuendolo alla sua inquietudine. Quest'idea mi fu confermata qualche momento dopo dalla mossa improvvisa di cambiar di posto senza palese motivo, non per tagliar corto alla nostra conversazione, ma unicamente perché era agitata. Non mi riusciva di leggere nei suoi sentimenti, per quanto fossi in breve sollevato nel vedere la signora Adney venire verso di noi. Aveva in mano un gran mazzo di fiori di campo, ma Lord Mellifont non era al suo fianco. Capii subito, comunque, che non aveva nessuna catastrofe da annunciare; ma sapevo che c'era una domanda alla quale Lady Mellifont avrebbe sentito rispondere volentieri senza aver desiderio di farla, ed espressi subito, rivolgendomi alla signora Adney, la speranza che Sua Grazia non fosse rimasto in qualche crepaccio. - Oh, no! Mi ha lasciata tre minuti fa. E entrato in casa -. Bianche Adney fissò un momento gli occhi nei miei - era un genere di rapporto al quale, in sé e per sé, nessun uomo poteva fare obiezione. In questa circostanza l'interesse era ravvivato da quel che di particolare si dava il caso dicessero gli occhi. Di solito dicevano soltanto: - Oh, sì, sono affascinante, lo so, ma non dateci tanta importanza. Voglio soltanto una nuova parte da recitare, questo voglio, questo! - Ora essi aggiungevano, vagamente, furtivamente e naturalmente con dolcezza - perché essi facevano tutto con dolcezza: - Sì, ma un incidente c'è stato. Ve lo dirò forse più tardi -. Si voltò verso Lady Mellifont; e il passaggio a una disinvolta gaiezza dimostrò ancora una volta quanto fosse padrona della sua arte. - L'ho riportato sano e salvo. Abbiamo fatto una passeggiata deliziosa. - Ne sono molto lieta, - disse Lady Mellifont col suo pallido sorriso; e, alzandosi, continuò vagamente: - Sarà andato a vestirsi per il pranzo. Non è quasi ora? - Si allontanò in direzione dell'albergo, prendendo congedo Henry James
188
1970 - Racconti Di Fantasmi
con la sua scioltezza semplificatrice, e noi tutti, sentendo nominare il pranzo, guardammo l'orologio del vicino, come per sottrarci alla responsabilità di quella scorrettezza. Il capo-cameriere, fondamentalmente come tutti i suoi colleghi uomo di mondo, ci concedeva ore e luoghi particolari, così che la sera, appartati sotto una lampada, formavamo un piccolo circolo compatto e riconosciuto. Ma soltanto i Mellifont si vestivano da sera, e si ammetteva da tutti che in loro la cosa era naturale: lei esattamente allo stesso modo che in qualunque altra sera della sua cerimoniosa esistenza - non era donna le cui abitudini potessero tener conto di una cosa così mutevole come l'opportunità - e lui, d'altro canto, con notevole adattamento e convenienza. Era quasi altrettanto uomo di mondo che il capo-cameriere, e parlava quasi altrettante lingue; ma si asteneva dal tentare di assortire vestiti da sera e panciotti bianchi, studiando la situazione in un modo molto più sottile - con velluto nero e velluto blu e velluto bruno per esempio, con delicate armonie di cravatte e abili trasandatezze della camicia. Aveva un costume per ogni funzione e una morale per ogni costume; e le sue funzioni e costumi e morali facevano sempre parte dei diletti della vita - parte comunque della sua bellezza e del suo fascino - per una cerchia immensa di spettatori. Per i suoi amici intimi queste cose erano in verità più che un diletto; erano un argomento, un sostegno sociale, e naturalmente, per di più, un perpetuo tema di curiosità filosofica. Se sua moglie non fosse stata presente prima del pranzo, ne avremmo probabilmente fatto oggetto di una conversazione a bassa voce. Clare Vawdrey era uno scrigno di aneddoti in proposito: conosceva Lord Mellifont quasi dai suoi primi passi nel mondo. La caratteristica di quel nobiluomo era che non ci poteva essere conversazione sul suo conto la quale non prendesse istantaneamente la forma dell'aneddoto, e inoltre che non ci poteva evidentemente essere aneddoto che non ridondasse a conti fatti, a suo onore. In qualunque momento entrasse in una stanza, si poteva dire con bella franchezza: - Naturalmente raccontavamo storie su di voi! Tenendo conto di quello che sono le coscienze a Londra, la coscienza collettiva sarebbe in complesso stata tranquilla. Per di più sarebbe stato impossibile immaginare che egli potesse prendere l'omaggio altro che amabilmente, perché era sempre imperturbabile come l'attore che sa la sua parte alla perfezione. Mai in vita sua aveva avuto bisogno del suggeritore aveva fatto le prove anche per i momenti d'imbarazzo. Personalmente, Henry James
189
1970 - Racconti Di Fantasmi
quando si parlava di lui, avevo sempre l'impressione che si parlasse di un morto: la conversazione era contrassegnata da quella particolare accumulazione di fatti significativi. La sua reputazione era una sorta di obelisco dorato, come fosse stato sepolto lì sotto: la somma di leggende e di reminiscenze di cui egli sarebbe un giorno stato oggetto si era cristallizzata in anticipo. L'ambiguità derivava, suppongo, dalla circostanza che il solo suono del suo nome e l'aria della sua persona, l'aspettativa generale che egli creava, avevano in certo modo un tono così romantico e anormale. L'esperienza della sua urbanità veniva sempre dopo; la previsione, la leggenda, impallidivano di fronte alla realtà. Ricordo che la sera di cui parlo quella realtà mi colpi come suprema. Il più bell'uomo del tempo non avrebbe mai potuto competere con lui, e sedeva tra noi come un tranquillo direttore d'orchestra, il quale domini col modo armonioso del braccio un'orchestra ancora un po' grezza. Guidava la conversazione con gesti non meno irresistibili che vaghi; si sentiva che senza di lui non avrebbe avuto niente che si potesse chiamare «tono». Era questo essenzialmente il suo contributo in qualsiasi occasione - il suo contributo, soprattutto, alla vita pubblica inglese. La pervadeva, la colorava, la abbelliva; senza di lui le sarebbe mancato, in certo senso, un lessico. Avrebbe certamente mancato di stile, perché, nel possedere Lord Mellifont, possedeva appunto uno stile. Egli era tutto stile. Ne ebbi nuovamente l'impressione nella salle-à-manger dell'alberghetto svizzero, quando ci rassegnammo all'inevitabile vitello. Messa a contrasto con la sua forma elevata (devo dire tra parentesi che l'opposizione era assai scarsa) la conversazione di Clare Vawdrey faceva pensare al cronista di fronte al poeta. Era interessante osservare quell'attrito di caratteri dal quale tanto ci si può aspettare durante una serata. Comunque non c'erano urti - tutto veniva attutito e ridotto ai minimi termini dal tatto di Lord Mellifont. Trovare, nel far gli onori di casa, la soluzione di quel problema, assumersi responsabilità che comportavano un qualche sacrificio, era in lui istintivo. In verità non era mai stato ospite d'altri in vita sua: anfitrione, patrono, moderatore d'ogni tavola imbandita. Se c'era un difetto nella sua maniera - e lo dico a bassa voce - era che spiegava più arte di quanto qualsiasi complicata circostanza potesse umanamente richiedere. Si facevano comunque queste riflessioni notando come il compito pari d'Inghilterra manipolasse la situazione, e il rude uomo di lettere non avesse il più piccolo sospetto che la situazione - e Henry James
190
1970 - Racconti Di Fantasmi
meno che meno lui stesso come parte dell'insieme - venisse manipolata. Lord Mellifont prodigava tesori di tatto, e Clare Vawdrey nemmeno si sognava che lo facesse. Vawdrey non sospettò l'esistenza di alcuna precauzione del genere nemmeno quando Bianche Adney gli domandò se non vedesse veramente ancora il terzo atto - domanda nella quale ella insinuava una sottigliezza tutta sua. Aveva stabilito che Vawdrey dovesse scrivere una commedia per lei, e che l'eroina, solo che egli avesse fatto il dover suo, avrebbe dovuto rappresentare la parte alla quale aspirava da tempo immemorabile. Aveva quarantanni - non era un segreto per quelli che l'avevano ammirata fin dall'inizio della sua carriera - e ora poteva ben stendere la mano e toccare la meta più alta. C'era una sorta di passione tragica - attrice perfetta qual era - nel suo desiderio di non lasciarsi sfuggire il capolavoro. Gli anni erano passati, e finora le era sempre sfuggito; non una delle cose che aveva fatte si avvicinava a quella che sognava, e ora non aveva più tempo da perdere. Era il bruco nella rosa, il dolore sotto il suo sorriso. Quell'ansia la rendeva commovente - rendeva la sua malinconia più efficace della sua allegrezza. Aveva recitato i vecchi inglesi e i francesi moderni, aveva affascinato per qualche tempo la sua generazione; ma era ossessionata dal sogno di un'alea più alta, di qualcosa che si avvicinasse di più alla realtà che la circondava. Era stanca di Sheridan e Bowdler la irritava; aspirava a un canovaccio di trama più sottile. La cosa più spiacevole, secondo me, era che non sarebbe mai riuscita a cavar fuori la sua commedia moderna dal grande romanziere ormai maturo, il quale era altrettanto incapace di scriverla che di infilare un ago. Lo blandiva, gli parlava, gli faceva, e lo proclamava francamente, la corte; ma si cullava in illusioni; avrebbe dovuto vivere e morire con Bowdler. Dire in poche parole di questa donna incantevole, che era bella senza bellezza e completa con almeno una dozzina di deficienze, è difficile. La prospettiva del palcoscenico la offriva all'ammirazione di tutti, e in società era come la modella scesa dal piedestallo. Era il dipinto uscito dalla cornice per le strade del mondo; e questa, agli occhi di una società senza acume, era una perpetua sorpresa - un miracolo. La gente credeva che ella avrebbe raccontato loro i segreti dell'arte pittorica e le offrivano in cambio un po' d'ozio ristoratore e di tè. Ella non diceva loro niente e prendeva il tè; ma ci facevano sempre un affare. Vawdrey stava veramente lavorando a una commedia; ma se l'aveva cominciata perché lei gli piaceva, credo che Henry James
191
1970 - Racconti Di Fantasmi
la tirasse per le lunghe per la stessa ragione. Si rendeva segretamente conto della terribile difficoltà, e si teneva lontano, per continuare a illudersi, dal punto cruciale delle prove e delle tribolazioni. Non ci poteva essere tuttavia niente di più piacevole che avere una partita del genere aperta con Bianche Adney, e di tanto in tanto egli metteva senza dubbio qualcosa di eccellente nella commedia. Se ingannava la signora Adney lo faceva unicamente perché, nella sua disperazione, ella desiderava essere ingannata. Alla sua domanda circa il terzo atto, rispose che prima di pranzo aveva scritto una scena stupenda. - Prima di pranzo? - dissi. - Come, cher grand maitre, se prima di pranzo ci avete tenuti tutti sotto il fascino delle vostre parole, in terrazza? Le mie parole volevano essere uno scherzo, perché avevo creduto che lo fossero anche le sue ; ma per la prima volta di cui avessi memoria, sorpresi in lui una traccia d'imbarazzo. Mi guardò fisso, gettando la testa vivacemente all'indietro, un po' come un cavallo che venga fermato all'improvviso. - Oh, prima ancora, - rispose con. sufficiente naturalezza. - Prima avete giocato al bigliardo con me, - intervenne Lord Mellifont. - Allora dev'essere stato ieri, - disse Vawdrey. Ma si trovava con le spalle al muro. - Questa mattina mi diceste che ieri non avevate fatto niente, - obiettò Bianche. - Non credo di saper bene quando lavoro -. Guardò distratto, senza servirsi, un piatto che gli veniva offerto in quel momento. - È sufficiente che lo si sappia noi, - sorrise Lord Mellifont. - Sono certa che non avete scritto nemmeno una riga, - disse Bianche Adney. - Credo che vi potrei ripetere la scena -. E Vawdrey si rifugiò negli haricots verts. - Oh, fatelo, fatelo! - esclamarono due o tre della compagnia. - Dopo il pranzo, in sala, sarà un vero régal, - dichiarò Lord Mellifont. - Non sono certo di poterlo fare, ma tenterò, - continuò Vawdrey. - Oh, uomo dolcissimo! - esclamò l'attrice; usava espressioni che credeva americanismi, ed era rassegnata perfino a una commedia americana. - Ma a questa condizione, - disse Vawdrey, - che facciate suonare vostro marito. - Suonare mentre leggete? - Mai, sono troppo vanitoso, - disse Adney. Henry James
192
1970 - Racconti Di Fantasmi
I begli occhi di Lord Mellifont lo onorarono di uno sguardo nella sua direzione. - Ci farete una introduzione musicale prima che si levi il sipario. E un momento particolarmente squisito. - Non leggerò, dirò i versi a memoria, - disse Vawdrey. - Meglio ancora: lasciate che io vada a prendere il manoscritto, - suggerì Bianche. Vawdrey rispose che non ce n'era bisogno; ma un'ora dopo, in sala, desiderammo che lo avesse, il manoscritto. Eravamo seduti lì, in attesa, ancora sotto il fascino del violino di Adney. Sua moglie, in primo piano, su un sofà, era tutta impazienza e profilo, e Lord Mellifont, sulla sua sedia quella di Lord Mellifont era sempre la sedia presidenziale - dava al nostro gruppetto riconoscente l'impressione di essere un congresso di sociologia o una distribuzione di premi. Improvvisamente, invece di cominciare, il nostro leone ammansito prese a ruggire fuori tono - aveva dimenticato assolutamente tutto. Era assai contrariato, ma i versi non gli volevano tornare alla mente; si vergognava molto, ma la sua memoria era un vuoto completo. Non aveva affatto l'aria di vergognarsi - Vawdrey non aveva mai avuto quell'aria in vita sua; era soltanto imperturbabilmente e allegramente naturale. Protestava che non si sarebbe mai aspettato di fare una così magra figura, ma noi tutti avemmo l'impressione che questo non avrebbe impedito all'episodio di entrare a far parte dei suoi ricordi più spassosi. Soltanto noi eravamo veramente umiliati, come ci avesse fatto uno scherzo premeditato. Questo era il momento, se mai ce n'era stato uno, nel quale Lord Mellifont doveva usare del suo tatto, e lo fece discendere su di noi come un balsamo: ci disse, con la sua arte incantevole, col suo bel modo di gettare archi di ponte sopra i vuoti della conversazione (aveva un àébit - non c'era niente di simile in Inghilterra - pari a quello degli attori della Comédie Francaise), di un suo incidente in un'occasione memorabile - un discorso che doveva fare a una folla immensa - quando, accorgendosi di avere dimenticato gli appunti, aveva frugato invano nelle tasche impeccabili, in cerca degli indispensabili fogli. Ma la conclusione della storia era più fine che non fosse il facile fiasco del nostro dicitore mancato; perché Lord Mellifont fece intravvedere con pochi gesti disinvolti quanto brillante fosse stata l'esibizione che aveva vinto e superato il suo imbarazzo, e che si era risolta - la cosa veniva lasciata alla nostra fantasia in un risultato riconosciuto al momento come non proprio una macchia su quella che il pubblico era tanto buono da chiamare la sua reputazione. Henry James
193
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Suona! Suona! - esclamò Bianche Adney, dando un colpetto sulla spalla di suo marito, ricordandosi come, sul palcoscenico, ogni contretemps venga sempre sommerso nella musica. Adney si gettò sul violino, e io dissi a Clare Vawdrey che il suo errore poteva venire facilmente riparato mandando qualcuno a prendere il manoscritto. Se mi diceva dov'era, sarei andato io immediatamente. Alla mia proposta: Amico mio, - rispose, - ho paura che non ci sia nessun manoscritto. - Allora non avete scritto niente? - Scriverò domani. - Ah, ci prendete in giro! - dissi, parecchio confuso. Allora parve pensarci meglio. - Se c'è qualcosa, è sul mio tavolo. Proprio in quel momento un altro gli rivolse la parola, e Lady Mellifont osservò in modo da farsi sentire, come per correggere dolcemente la nostra mancanza della dovuta attenzione, che il signor Adney stava suonando qualcosa di molto bello. Avevo già notato che pareva assai appassionata di musica; la ascoltava sempre con una sorta di intento rapimento. L'attenzione di Vawdrey si rivolse altrove, ma le parole che aveva lasciate cadere non mi parve potessero essere prese per un esplicito permesso di andare nella sua camera. Per di più volevo parlare a Bianche Adney; avevo qualcosa da domandarle. Dovetti tuttavia aspettare l'occasione favorevole, perché prima si tacque per ascoltare suo marito e poi la conversazione si fece generale. Avevamo l'abitudine di andare a letto presto, ma un po' di tempo rimaneva ancora, e prima che si fosse esaurito del tutto trovai modo di dire a Bianche che Vawdrey mi aveva dato il permesso di andare a prendere il manoscritto. Mi scongiurò, per quello che avevo di più sacro, di farglielo avere; e la sua insistenza non venne meno di fronte alla mia osservazione che ormai era troppo tardi perché Vawdrey potesse darne lettura. Non era, mi assicurò, troppo tardi perché potesse incominciare a leggerlo lei: dovevo quindi impossessarmi delle pagine preziose senza perder tempo. Le dissi che le avrei obbedito senz'altro, ma volevo che mi togliesse, prima, una curiosità. Che cosa era accaduto prima di pranzo, mentre era sulle colline con Lord Mellifont? - Come sapete che è accaduto qualcosa? - Ve l'ho letto in viso quando siete ritornata. - E dicono che sono un'attrice! - esclamò la mia amica. - E di me che cosa dicono? - domandai. - Che siete uno scrutatore di cuori, quella cosa frivola che si chiama Henry James
194
1970 - Racconti Di Fantasmi
«osservatore». - Vorrei che vi faceste scrivere una commedia da un osservatore! esclamai. - La gente non si occupa di quello che scrivete voi: mettereste il bastone fra le ruote della più fortunata tra le carriere. - Comunque, non vedo che commedie intorno a me, - dissi, -l'aria, stasera, ne è piena. - L'aria? Tante grazie! Vorrei averne pieni i cassetti, io! - Vi ha fatto la corte sul ghiacciaio? - continuai. Sgranò gli occhi - poi si abbandonò all'estasi progressiva del suo riso. Lord Mellifont, poveretto? Che luogo buffo! Sarebbe veramente il luogo adatto per i nostri amori! - È caduto in un crepaccio? - continuai. Bianche Adney mi guardò di nuovo come aveva fatto - in un modo, per quanto fugace, così chiaro, quando era rientrata prima di pranzo con le mani piene di fiori. - Non so in che cosa sia caduto. Ve lo dirò domani. - Allora è caduto davvero? - Forse è salito, - rise. - È una cosa veramente strana. - A maggior ragione dovete dirmela stasera. - Devo ripensarci; devo dipanare la matassa. - Se volete matasse da dipanare ve ne propongo un'altra, - dissi. - Si può sapere che cosa succede al Maestro? - Al maestro di che? - D'ogni forma di dissimulazione. Vawdrey non ha scritto un verso. - Andate a prendere le sue carte e vedremo. - Non voglio smascherarlo, - dissi. - Perché no, se io smaschero Lord Mellifont? - Allora son disposto a fare qualunque cosa, - ammisi. - Ma perché mai Vawdrey avrebbe detto il falso? E molto strano. - Molto strano, - ripetè Bianche Adney con aria pensosa e gli occhi su Lord Mellifont. Poi, scuotendosi, aggiunse: - Andate a cercare nella sua stanza. - Nella stanza di Lord Mellifont? Si voltò di scatto verso di me. - Sarebbe un modo! - Un modo di che? - Di scoprire... di scoprire! - Parlava gaia ed eccitata, ma improvvisamente si dominò. - Stiamo dicendo un mucchio di sciocchezze. Henry James
195
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Stiamo facendo un guazzabuglio, ma la vostra idea mi sembra buona. Domandatene il permesso a Lady Mellifont. - Oh, ha già guardato lei! - esclamò Bianche con una stranissima drammaticità d'espressione. Poi, dopo un gesto della bella mano levata, come volesse allontanare una visione della sua fantasia, aggiunse con impeto: - Portatemi la scena, portatemi la scena! - Vado a prenderla, - risposi, - ma non ditemi che non so scrivere una commedia. Mi lasciò, ma la mia impresa fu interrotta dall'avvicinarsi di una signora che tirò fuori un «album dei compleanni» - la minaccia incombeva su di noi da parecchie sere - e mi fece l'onore di sollecitarmi per un autografo. Lo aveva domandato a tutti e non poteva escludere me senza passare per maleducata. Di solito ricordavo il mio nome, ma mi ci voleva sempre un pezzo per ricordarmi la data di nascita, e anche quando ci riuscivo, non ero mai ben sicuro. Mi trovai a esitare tra due giorni diversi, e dissi alla mia postulante che, se le faceva piacere, potevo mettere la firma sotto tutte e due le date. Osservò che certamente ero nato una volta sola, e io risposi naturalmente che il giorno che l'avevo conosciuta ero nato una seconda volta. Accenno a questa fiacca battuta scherzosa per chiarire che, con l'esame d'obbligo degli altri autografi, dedicammo alcuni minuti all'operazione. Quando la signora si allontanò col suo album, notai che la compagnia si era sciolta. Mi trovai solo nella sala che ci era stata riservata. La mia prima impressione fu di disappunto: se Vawdrey era andato a letto non volevo disturbarlo. Tuttavia, mentre esitavo, pensai che il nostro amico doveva certamente essere ancora in piedi. Una finestra era aperta e mi giunse dall'esterno un suono di voci: Bianche era sulla terrazza col suo commediografo e stavano parlando delle stelle. Mi avvicinai alla finestra per dare un'occhiata - la notte alpina era stupenda. I miei amici erano usciti insieme; li fuori la signora Adney s'era messa un mantello sulle spalle: mi parve di riconoscere in lei l'aspetto che le avevo visto tra le quinte a teatro. Tacquero un momento e sentii il rombo del torrente vicino. Mi voltai nuovamente verso la stanza e la sua luce tranquilla mi dette un'idea. I nostri compagni se n'erano andati - era tardi per un paese di pastori - e noi tre avevamo la sala a nostra disposizione. Clare Vawdrey aveva scritto la scena; e non poteva essere che stupenda; se ce la avesse letta lì, a quell'ora, sarebbe stata una cosa indimenticabile. Sarei andato a prendere il manoscritto, e lo avrei fatto trovare lì quando fossero rientrati. Henry James
196
1970 - Racconti Di Fantasmi
Uscii dalla sala con quel proposito; ero stato nella stanza di Vawdrey e sapevo che era al secondo piano, in fondo a un lungo corridoio, l'ultima. Un minuto dopo la mia mano era sul pomo della porta, che naturalmente aprii senza bussare. Era egualmente naturale che, in assenza dell'ospite, la stanza fosse buia; tanto più che quell'ultima parte del corridoio non era, a quell'ora, illuminata, e che l'oscurità non era diminuita in conseguenza del mio aver aperto la porta. A tutta prima mi avvidi soltanto di non aver sbagliato e che, non essendo le tendine della finestra abbassate, avevo davanti a me due vaghe aperture illuminate dalle stelle. Il loro aiuto non era tuttavia sufficiente a mettermi in grado di trovare quello che cercavo, e avevo già la mano sulla scatola di fiammiferi che portavo sempre in tasca per le sigarette. Improvvisamente mi feci indietro con un sussulto, balbettando un'esclamazione di sorpresa, una scusa. Avevo sbagliato stanza; uno sguardo di qualche secondo mi aveva rivelato una sagoma d'uomo, seduto a un tavolo davanti a una delle finestre - di primo acchito l'avevo presa per una coperta da viaggio gettata su una sedia. Stavo per ritirarmi confuso, quando, più rapidamente che non mi ci voglia a dirlo, mi resi conto che quella era proprio la stanza di Vawdrey e, in secondo luogo, che Vawdrey in persona era incredibilmente davanti a me. Mi fermai sulla porta sbalordito, ma prima di averne coscienza avevo esclamato: - Ehi, dico, siete voi Vawdrey? Non si voltò né mi rispose, ma la mia domanda ricevette una risposta pratica e immediata in seguito all'aprirsi di una porta dalla parte opposta del corridoio. Una cameriera era uscita portando una candela accesa dalla stanza di fronte e in quel fugace passaggio di luce riconobbi senza possibilità di dubbio l'uomo che un momento prima avevo lasciato, per quel che ne sapevo, al piano di sotto, in conversazione con la signora Adney. Mi voltava un poco la schiena ed era chino sul tavolo nell'atteggiamento di chi scrive, ma la sua identità mi penetrò attraverso ogni poro. - Vi chiedo scusa, credevo che foste giù, - dissi; e siccome l'altro non dava segno di sentirmi aggiunsi: - Se siete occupato non voglio disturbarvi -. Indietreggiai fino alla porta, uscii, la richiusi - ero stato dentro, credo, meno di un minuto. Ero stupefatto, e la mia stupefazione si fece infinitamente più grande un momento dopo. Stavo lì, con la mano ancora sul pomo della porta, sopraffatto dall'impressione più strana che avessi mai provato in vita mia. Vawdrey era seduto al suo scrittoio, ed era un posto abbastanza naturale per lui; ma perché scriveva al buio e perché Henry James
197
1970 - Racconti Di Fantasmi
non mi aveva risposto? Aspettai alcuni secondi, in attesa di sentire qualche movimento nell'interno della stanza: forse si sarebbe scosso dalla sua astrazione - spiegabile in un grande scrittore - e avrebbe esclamato: - Ehi, amico mio, siete voi? - Ma non sentii che il silenzio, non potei aggiungere alcuna impressione a quella che avevo ricevuta dalla stanza buia illuminata dalle stelle, e dall'inattesa presenza che essa racchiudeva. Mi allontanai, ritornando lentamente sui miei passi, e scesi le scale perplesso. La lampada era ancora accesa in sala, ma la stanza era vuota. Andai verso la porta dell'albergo e uscii fuori. Anche la terrazza era vuota. Bianche Adney e l'uomo che le faceva compagnia erano evidentemente rientrati. Gironzai intorno qualche minuto, poi andai a letto.
II. Dormii male: ero agitato. Quando ripenso a questi strani avvenimenti (vedrete fra poco quanto strani!) forse mi pare di esserne stato più impressionato in seguito che sul momento; le grandi anomalie non sono mai così grandi a tutta prima come dopo averci riflettuto sopra. Ci vuole tempo per esaurire tutte le spiegazioni possibili. Ero vagamente inquieto avevo subito una scossa violenta; ma non c'era cosa che non potessi chiarire quella mattina stessa domandando, per prima cosa, a Bianche Adney chi fosse stato con lei sulla terrazza. Piuttosto stranamente, tuttavia, quando spuntò l'alba - e spuntò mirabilmente - sentii meno il desiderio di chiarire la questione che quello di uscire all'aperto e togliermi di dosso il torpore dello sbalordimento. Vidi che la giornata sarebbe stata stupenda e mi prese la fantasia di passarla, come avevo passato alcuni giorni felici della mia giovinezza, in una solitaria scorribanda sulle montagne. Mi vestii di buon'ora, presi il caffè di rito, misi un grosso pane in una tasca e una fiaschetta nell'altra e, con un grosso bastone in mano, mi diressi verso le cime. La mia storia non è strettamente legata alle ore incantevoli che passai lassù - ore di quelle che lasciano i ricordi più intensi. Se vagai per una buona metà di esse tra le montagne, rimasi per l'altra metà sdraiato sull'erba dei pendii e col berretto calato sugli occhi - salvo un'occhiata di tanto in tanto al paesaggio sconfinato - ascoltai, nel silenzio luminoso, il ronzio dell'ape montanina, e molte cose sentii allontanarsi e svanire. Clare Vawdrey si fece minuscolo, Bianche Adney divenne indistinta, Lord Mellifont mi apparve vecchio, e prima che la giornata fosse finita avevo Henry James
198
1970 - Racconti Di Fantasmi
dimenticato di essere mai stato perplesso. Quando, nel tardo pomeriggio, scesi verso l'albergo, avevo soltanto desiderio di sapere se l'ora del pranzo fosse vicina. Quella sera mi vestii alla meglio per il pranzo, e quando fui presentabile trovai che erano già tutti a tavola. In loro compagnia il mio piccolo dilemma mi si ripresentò alla mente, ed ero curioso di vedere se Vawdrey mi avrebbe guardato in un modo un po' strano. Ma non mi guardò affatto; la qual cosa mi dette la possibilità di pazientare e di domandarmi perché esitassi a fargli la mia domanda attraverso la tavola. Esitavo, e, con la consapevolezza di quel fatto, fui un po' sorpreso dall'agitazione che avevo lasciata dietro di me, o sotto di me, durante il giorno. Non mi vergognavo, tuttavia, del mio scrupolo: non era che una forma di sottile discrezione. Sentivo vagamente che una domanda in pubblico non sarebbe stata leale. C'era Lord Mellifont, naturalmente, il quale avrebbe mitigato con i suoi modi perfetti ogni conseguenza; ma credo di aver pensato che con quegli elementi particolari Sua Grazia non si sarebbe trovato a suo agio. Perciò quando ci alzammo, mi avvicinai alla signora Adney, domandandole se, con una così bella serata, voleva uscire a far due passi con me. - Avete fatto cento miglia, oggi; non fareste meglio a star tranquillo? rispose. - Ne farei altre cento per indurvi a dirmi qualcosa. Mi guardò un momento con un po' della strana consapevolezza che avevo cercata, ma non trovata, negli occhi di Clare Vawdrey. - Quello che accade a Lord Mellifont, volete dire? - A Lord Mellifont? - A causa della mia nuova preoccupazione avevo perduto quel filo. - Dove avete la memoria, sventato che non siete altro? Ne parlammo ieri sera. - Ma sì! - esclamai, ricordando; - avremo un mucchio di cose di cui parlare -. La condussi fuori in terrazza e, prima di aver fatto tre passi, domandai: - Chi era qui fuori con voi ieri sera? - Ieri sera? - era altrettanto fuori strada quanto lo ero stato io un momento prima. - Alle dieci, dopo che la compagnia si fu sciolta. Usciste qui fuori con un uomo. Parlavate delle stelle. Mi guardò fisso un momento, poi dette nella sua solita risata. - Siete geloso del buon Vawdrey? Henry James
199
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Dunque era lui? - Certo che era lui. - E quanto si trattenne? Rise di nuovo. - La malattia è grave! Si trattenne circa un quarto d'ora, forse anche di più. Camminammo un po' insieme. Parlò della sua commedia. Ecco tutto. Non ho usato altra magia che questa. Non era ancora abbastanza per me; quindi: - Che cosa fece Vawdrey dopo di questo? - continuai. - Non ne ho la più pallida idea. Lo lasciai e andai a letto. - A che ora andaste a letto? - E voi? Si dà il caso che ricordi di essermi separata dal signor Vawdrey alle dieci e venticinque, - disse la signora Adney. - Tornai in sala a prendere un libro e guardai l'orologio. - In altre parole voi e Vawdrey rimaneste evidentemente qui dalle dieci e cinque circa fino all'ora che avete detto? - Non so quanto distinti fossimo, ma passammo il tempo molto piacevolmente. Où voulez-vous en venir? - domandò Bianche Adney. - Semplicemente a questo, cara signora: mentre voi e il vostro compagno eravate occupati nel modo che avete descritto, il vostro compagno era anche intento a scrivere nella sua stanza. Si fermò di colpo, e i suoi occhi scintillarono nelle tenebre. Mi domandò se mettevo in dubbio la verità delle sue parole; risposi che al contrario la sostenevo - rendeva il caso così interessante! Ribatté che avrebbe avuto valore soltanto se lei avesse sostenuto la mia, ma la persuasi facilmente a farlo quando le ebbi raccontato punto per punto l'episodio della mia ricerca del manoscritto - che, in quel momento, per una ragione che capii subito, sembrava esserle completamente uscito dalla memoria. - Le sue parole mi fecero dimenticare... dimenticare che vi avevo mandato a prendere il manoscritto. Fece ammenda per il fiasco in sala: mi recitò la scena, - disse Bianche. Si era lasciata andare su una panchina e, mentre stavamo seduti lì, mi aveva sottoposto in breve a un vero e propro interrogatorio. Poi proruppe in un nuovo scoppio di riso: - Oh, le eccentricità del genio! - Davvero! Mi sembrano perfino più grandi di quanto supponessi. - Oh, i misteri della grandezza! - Dovreste saperla lunga in proposito, ma io ne sono sorpreso, dichiarai. Henry James
200
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Siete assolutamente certo che era Vawdrey? - domandò la mia compagna. - Se non era lui, chi poteva mai essere? Che un estraneo, esattamente simile a lui e della medesima professione, sedesse nella sua stanza a quell'ora e scrivesse al suo tavolo al buio, - insistetti, - sarebbe praticamente altrettanto stupefacente che la mia affermazione. - Già; perché al buio? - I gatti, al buio, ci vedono, - dissi. Mi sorrise vagamente. - Somigliava a un gatto? - No, cara signora, ma vi dirò che somigliava... sì, somigliava all'autore delle mirabili opere di Vawdrey. Gli somigliava infinitamente di più che non gli somigli il nostro stesso amico, - dissi. - Volete dire che era qualcuno dal quale egli le fa scrivere? - Sì, mentre pranza fuori e vi delude. - Delude me? - mormorò candidamente. - Me, e chiunque cerchi in lui il genio al quale sono dovute le pagine che adoriamo. Dov'è quel genio nella sua conversazione? - Ah, ieri sera fu magnifico, - disse l'attrice. - È sempre magnifico, come è magnifico il vostro bagno mattutino o un lombo di manzo o il servizio ferroviario per Brighton. Ma non è mai raro. - Capisco quello che volete dire. L'avrei abbracciata, e forse lo feci. - Per questo si prova piacere a parlare con voi. Sono spesso rimasto interdetto, ora so. Sono due. - Che idea stupenda! - Uno esce, l'altro rimane a casa. Uno è il genio, l'altro il borghese, e noi non conosciamo personalmente che il borghese. Parla, va in giro, è enormemente popolare, vi fa la corte... - Mentre voi avete il privilegio di far la corte al genio! - interruppe la signora Adney. - Vi sono molto obbligata della cortesia. Le posai una mano sul braccio. - Andate a vedere con i vostri occhi. Provate, fate l'esperimento, andate in camera sua. - In camera sua? Non sarebbe conveniente! - disse, col tono delle sue battute migliori. - Tutto è conveniente in un caso del genere. Se lo vedete la cosa è definita. - Magnifico!... Definirla! - Pensò un momento, poi si alzò di scatto. Volete dire subito? Henry James
201
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Quando volete. - E se trovassi quello che non va? - disse con squisita efficacia. - Quello che non va? E cosa sarebbe quello che va? - Quello che non va è che non sta bene che una signora vada a trovare qualcuno in camera sua. Se trovassi, non il genio, ma l'altro? - Oh, all'altro ci penso io, - risposi. Poi, dando un'occhiata intorno per caso, aggiunsi: - Fate attenzione, c'è Lord Mellifont. - Vorrei che pensaste a lui, - disse, abbassando la voce. - Che cosa gli succede? - Era appunto quello che stavo per dirvi. - Ditemelo ora. Non viene da questa parte. Bianche lanciò un'occhiata. Lord Mellifont, che sembrava essere uscito dall'albergo per fumare filosoficamente un sigaro, si era fermato a una certa distanza da noi e stava ammirando le meraviglie del paesaggio, visibili anche nell'oscurità. Ci allontanammo lentamente in direzione opposta, e la signora Adney riprese a parlare: - La mia idea è stravagante quanto la vostra. - Non definirei la mia stravagante: è bella. - Non c'è niente di più bello dello stravagante, - ribatté la signora Adney. - E un punto di vista professionale. Ma sono tutto orecchi -. La mia curiosità era infatti nuovamente eccitata. - Bene, amico mio, se Clare Vawdrey è doppio, e sento il dovere di dire che più ce ne sono meglio è, Sua Grazia ha il male contrario: non è nemmeno intero. Ci fermammo quasi simultaneamente. - Non capisco. - Neanch'io. Ma ho in mente che se ci sono due Vawdrey, non ci sia, tutto calcolato, nemmeno quanto basta per fare un Lord Mellifont intero. Riflettei un momento, poi risi. - Credo di capire quello che volete dire. - Per questo si prova piacere a parlare con voi -. Lei, ahimè, non mi abbracciò, ma continuò subito: - Lo avete mai visto solo? Cercai di ricordare. - Oh, sì, è stato a trovarmi. - Ma allora non era solo. - E io sono stato a trovare lui, nel suo studio. - Sapeva che c'eravate? - Naturalmente, fui annunciato. Mi guardò facendo gli occhi grandi, come una bella cospiratrice. - Non bisogna essere annunciati! - E riprese a camminare. Henry James
202
1970 - Racconti Di Fantasmi
La raggiunsi, senza fiato. - Volete dire che bisogna sorprenderlo quando lui non lo sa? - Dovete prenderlo alla sprovvista. Dovete andare in camera sua... ecco la cosa da fare. Se ero eccitato dal modo nel quale il nostro mistero ci si schiudeva davanti agli occhi, ero anche, perdonabilmente, un po' confuso. - Quando so che non c'è? - Quando sapete che c'è. - E che cosa vedrò? - Non vedrete niente! - esclamò mentre ci voltavamo per tornare indietro. Avevamo raggiunto l'estremità della terrazza e così ci ritrovammo faccia a faccia con Lord Mellifont, il quale, avendo ripreso la sua passeggiatina, ci aveva ora, senza indiscrezione, raggiunti. La vista di lui in quel momento fu rivelatrice, accese tutta una luminaria retrospettiva di idee, le quali costituivano insieme l'impressione complessiva che si aveva del personaggio. Mentre stava lì, sorridendoci e agitando una mano esperta nell'aria trasparente della notte - presentava il paesaggio come fosse stato un candidato e «appoggiava» la candidatura delle stesse Alpi - mentre sorgeva davanti a noi avvolto dalla delicata fragranza del suo sigaro e da tutte le altre sue raffinatezze e fragranze, con più perfezioni accumulate in certo modo sulla sua bella testa che si fossero mai vedute accumulate su qualsiasi testa prima o altrove, egli mi apparve così essenzialmente, così cospicuamente e uniformemente nella luce dell'uomo «pubblico» che lessi in un lampo la risposta all'enigma di Bianche. Era tutto «pubblico» e non aveva una corrispondente vita privata, così come Clare Vawdrey era tutto privato e non aveva una corrispondente vita pubblica. Avevo sentito soltanto una metà del racconto della mia compagna; tuttavia, mentre ci univamo a Lord Mellifont - ci aveva seguiti perché la signora Adney gli era simpatica, ma si pensava sempre di lui che accettasse la compagnia altrui piuttosto che cercarla -, mentre partecipavamo per mezz'ora della prodiga ricchezza del suo discorso, sentii, con una duplicità nella quale non era ombra di rossore, che noi lo avevamo, per così dire, smascherato. Ero anche profondamente divertito dal lembo di sipario che l'attrice aveva sollevato per me, più che non lo fossi stato dalla mia propria scoperta; e se non provavo nessuna Henry James
203
1970 - Racconti Di Fantasmi
vergogna nel condividere il suo segreto, come non ne provavo per aver condiviso il mio con lei -Per quanto, dei due misteri, il mio fosse il più luminoso in grazia del personaggio al quale si riferiva - ciò accadeva perché non c'era traccia di perfidia nel mio vantaggio, ma al contrario una grande tenerezza e un vero e proprio senso di compassione. Oh, non aveva nulla da temere con me; e mi sentivo, per di più, ricco e illuminato come avessi repentinamente l'universo in tasca. Avevo appreso quanto inconsistente e fugace fosse l'importanza d'un aspetto imponente. Se dicessi che avevo sempre sospettato, dietro la facciata dell'esistenza di Sua Grazia, la possibilità di un magnifico esempio del genere, direi troppo; ma è per lo meno un fatto, per quanto vane possano sembrare le mie parole, che avevo sempre avuto coscienza di un certo fondo d'indulgenza per lui. Lo avevo segretamente commiserato per la perfezione con la quale recitava la sua parte, mi ero domandato quale vuoto quella maschera coprisse in realtà, che cosa gli rimanesse nelle ore spietate in cui l'uomo è solo con se stesso, o, peggio ancora, solo con quel se stesso anche più severo che è la sua legittima moglie. Com'era in casa e che cosa faceva quand'era solo? C'era qualcosa in Lady Mellifont che giustificava questi dubbi, qualcosa che suggeriva come anche per lei egli dovesse continuare a essere l'uomo «pubblico», e lei assediata da dubbi della stessa natura. Non li aveva mai risolti: ecco il motivo della sua perpetua inquietudine. Noi dunque, Bianche Adney e io, la sapevamo più lunga di lei; ma non glielo avremmo detto per tutto l'oro del mondo, né probabilmente ce ne sarebbe stata grata. Preferiva la grandezza relativa del dubbio. Non partecipava intimamente della sua vita, e quindi non poteva capire; e con lei egli non era solo e di conseguenza non poteva illuminarla. Egli rappresentava per sua moglie, ed era per i suoi servi, l'eroe, e si voleva arrivare a quello che egli diveniva realmente quando nessun occhio lo poteva vedere, e a fortiori nessuno poteva ammirare. Probabilmente si abbandonava, riposava; ma quale vuoto spaventoso doveva mai essere necessario per compensare tanta pienezza di presenza! Quale intensità di entracte per rendere possibili altre rappresentazioni di quella portata! Lady Mellifont era troppo orgogliosa per spiare, e siccome non guardava mai per il buco della serratura, rimaneva dignitosa e oppressa. Forse era una mia fantasia che la signora Adney inducesse il nostro compagno a esibirsi, o forse l'effettiva ironia del nostro rapporto con lui in quel momento me lo faceva vedere più vividamente: non mi era comunque Henry James
204
1970 - Racconti Di Fantasmi
mai sembrato tanto diverso da quello che sarebbe stato se noi non gli avessimo offerto un riflesso della sua immagine. Eravamo una folla di due persone soltanto, ma non mi era mai apparso più «pubblico». I suoi modi perfetti non erano mai stati più perfetti, il suo notevole tatto mai più notevole, la sua unica concepibile raison d'ètre, l'unicità assoluta della sua identità, mai più evidente. Avevo la tacita persuasione che tutto quello che andava dicendo lo avremmo poi trovato nell'articolo di fondo di qualche giornale del mattino, e sorridevo al pensiero di sapere qualcosa che nessun giornale, per quanto intraprendente e pronto a pagarmi un patrimonio, avrebbe mai pubblicato. Devo tuttavia aggiungere, che nonostante il mio godimento - era quasi sensuale, come quello di un piatto prelibato o di un piacere senza precedenti - ero impaziente di trovarmi nuovamente solo con la signora Adney, la quale mi doveva ancora un aneddoto. Quella sera la cosa si dimostrò impossibile, perché alcuni altri uscirono a vedere che cosa egli trovasse tanto entusiasmante; e poi Lord Mellifont invitò il violinista a suonare, e il violinista suonò divinamente, sulla nostra piattaforma d'echi, davanti agli spettri delle montagne. Prima che il concerto fosse finito notai che la nostra attrice era scomparsa e, guardando attraverso la finestra della sala, vidi che s'era installata lì con Vawdrey che le leggeva da un manoscritto. La grande scena era evidentemente stata composta, e Bianche la trovava certo tanto più interessante in grazia dei nuovi lumi che aveva raccolti sul conto del suo autore. Pensai che disturbarli non sarebbe stato discreto, e andai a letto senza averle riparlato. La cercai la mattina dopo di buon'ora, e poiché la giornata prometteva bene le proposi una passeggiata fra le montagne ricordandole il grave impegno che s'era assunta. Lo riconobbe e mi concedette l'onore della sua compagnia, ma prima che avessimo fatto dieci metri su per il pendio proruppe con impeto: - Amico mio, non potete immaginare come quel pensiero mi ossessioni! Non mi riesce di pensare ad altro. - Che alla vostra teoria sul conto di Lord Mellifont? - Al diavolo Lord Mellifont! Alludo alla vostra sul conto di Vawdrey, che è di gran lunga il più interessante dei due. Sono affascinata da quella visione della sua... come la chiamate? - Seconda identità? - Del suo secondo io: è più facile da dire. - Dunque la accettate, la adottate? - La adotto? Ne godo! Ieri sera mi apparve con una vivezza incredibile. Henry James
205
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Mentre leggeva in sala? - Sì, mentre lo ascoltavo, lo guardavo. Semplificava tutto, spiegava tutto. Fui orgoglioso del mio trionfo. - Questo è il lato positivo della cosa! È molto bella la scena? - Magnifica, e legge stupendamente. - Quasi altrettanto bene di come l'altro scrive! - risi. Si fermò un momento, posandomi una mano sul braccio. - Esattamente la mia impressione! Mi sembrava che leggesse l'opera d'un altro. - In un modo che era un servigio all'altro, - completai. - Una persona assolutamente diversa, - disse Bianche. Parlammo della differenza continuando a camminare, e di quale risorsa fosse nella vita un simile sdoppiamento di personalità. - Dovrebbe contribuire a farlo vivere il doppio degli altri, -dissi. - Far vivere quale dei due? - Dio mio, tutti e due; dopo tutto è una ditta unica, e uno solo non potrebbe mai mandare avanti gli affari senza l'altro. Per di più una mera sopravvivenza sarebbe terribile sia per l'uno che per l'altro. Tacque un momento; poi esclamò: - Non so, vorrei che lui sopravvivesse. - Posso chiedere quale dei due? - Se non siete capace di indovinarlo, non ve lo dico. - Conosco il cuore della donna. Le donne preferiscono sempre l'altro. Si fermò di nuovo, guardandosi intorno. - Qua fuori, lontano da mio marito, posso dirvelo. Sono innamorata di lui! - Disgraziata, egli non ha passioni, - risposi. - Appunto per questo lo adoro. Una donna che abbia condotto la vita che ho condotta io, sa bene che le passioni degli altri sono insopportabili. Un'attrice, poveretta, non può avere interesse per nessun amore che non sia tutto dalla sua parte; non può prendersi il lusso di essere ricambiata. Il mio matrimonio lo dimostra: un matrimonio gradevole, fortunato come il nostro, è rovinoso. Sapete che cosa mi occupava ieri sera mentre il signor Vawdrey mi leggeva quei bellissimi discorsi? Un folle desiderio di conoscerne l'autore -. E, drammaticamente, come per nascondere la sua vergogna, Bianche Adney riprese a camminare. - Troveremo il modo, - risposi. - Anch'io ho voglia di rivederlo. Ma vi prego intanto di ricordare che aspetto da quarantotto ore la prova che deve avvalorare la descrizione, intensamente suggestiva e plausibile, della vita Henry James
206
1970 - Racconti Di Fantasmi
privata di Lord Mellifont. - Oh, Lord Mellifont non m'interessa. - Ieri v'interessava, - dissi. - Sì, ma ieri non ero ancora innamorata. Con la vostra storia lo avete annullato. - Mi farete pentire di avervela raccontata. Via, - pregai, - se non mi dite come vi è venuta quell'idea penserò semplicemente che ve la siete inventata di sana pianta. - Datemi tempo di ricordarla bene, allora, mentre camminiamo lungo questa gola vellutata. Ci trovavamo all'imboccatura d'una incantevole valletta tortuosa, parte del fondo pianeggiante della quale formava il letto di un corso d'acqua così rapido che non mostrava un'increspatura. Entrammo nella valle e il molle sentiero lungo il limpido torrente ci portò parecchio avanti; finché, improvvisamente, mentre andavamo avanti e io aspettavo che la mia compagna ricordasse la sua storia, un gomito della valle ci portò in vista di Lady Mellifont che veniva verso di noi. Era sola, sotto la cupola dell'ombrellino, con lo strascico nero che sfiorava l'erba del sentiero; e in quella forma, in strade fuori di mano, era un'apparizione abbastanza rara. Di solito si faceva accompagnare da un domestico che marciava dietro di lei lungo le strade maestre, e la cui livrea riusciva strana ai rozzi contadini del paese. Vedendoci arrossi, come dovesse giustificare in qualche modo la sua presenza in quei paraggi; sorrise vagamente e disse che era uscita soltanto per una breve passeggiata mattutina. Mentre stavamo lì fermi scambiando qualche frase convenzionale, ci disse che aveva un po' sperato di incontrare suo marito. - È da queste parti? - domandai. - Credevo. È uscito un'ora fa per dipingere. - Lo avete cercato? - chiese la signora Adney. - Un po'; non molto, - disse lady Mellifont. Ciascuna delle due donne posò gli occhi con una certa intensità, mi parve, su quelli dell'altra. - Lo cercheremo per voi, se volete, -disse Bianche. - Oh, non importa. Avevo soltanto pensato di raggiungerlo. - Non dipingerà il suo quadro, se non lo raggiungete, - insinuò la mia compagna. - Può darsi che lo dipinga se lo raggiungete voi, - disse Lady Mellifont. Henry James
207
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Oh, sono certo che salterà fuori, - osservai. - Lo farà certamente se saprà che siamo qui! - ribatté Bianche. - Volete aspettare, mentre noi lo cerchiamo? - domandai a Lady Mellifont. Ripetè che la cosa non aveva importanza, e allora la signora Adney continuò: - Lo cercheremo per il piacere di aver qualcosa da fare. - Vi auguro una bella passeggiata, - disse la nobildonna, e si stava allontanando quando mi venne di domandarle se dovevamo informare suo marito che lei non era lontana. - Che l'ho seguito? -Esitò un momento, poi si lasciò uscire stranamente di bocca: - Meglio che non gli diciate nulla -. Con queste parole si congedò, veleggiando un po' rigidamente giù per la valle. La mia compagna e io seguimmo con gli occhi la sua ritirata; dopo di che ci scambiammo un'occhiata e una pallida ombra di sorriso s'increspò sulle labbra dell'attrice. - Si direbbe che stia camminando per i suoi vialetti a Mellifont! Io avevo il mio punto di vista. - Ha dei sospetti, sapete. - E non vuole che lui se ne accorga. Non ci sarà nessun dipinto. - A meno che noi non lo si raggiunga, - suggerii. - In quel caso lo troveremmo al lavoro, nell'atteggiamento più aggraziato e consacrato, e la cosa strana è che il dipinto sarà ben riuscito. - Lasciamolo in pace... così tornerà a casa senza dipinto - propose la mia amica. - Preferirebbe non tornare mai a casa. Oh, lo troverà sempre un pubblico! - Magari le mucche, - arrischiò Bianche; e mentre stavo per condannare la sua mancanza di rispetto, continuò: - È proprio quello che m'è accaduto di scoprire. - Di che cosa volete parlare? - Dell'incidente dell'altro giorno. Sussultai. - Ah, sentiamolo, finalmente! - Esattamente la stessa cosa... come Lady Mellifont: non mi riuscì di trovarlo. - Lo perdeste? - Fu lui a perdere me, piuttosto. Credeva che io me ne fossi andata. E allora...! - Ma si fermò, e lo sguardo - il sorriso, anzi, - valeva un libro intero. - Comunque lo trovaste, - dissi, mentre riflettevo alla cosa, -dal Henry James
208
1970 - Racconti Di Fantasmi
momento che tornaste a casa con lui. - Fu lui a trovare me. È chiaro che non può essere diversamente. Appare non appena si accorge della presenza di qualcun altro. - Capisco le sue intermittenze, - risposi dopo un momento di riflessione, - ma non afferro bene la legge che le governa. Bianche l'aveva capita bene invece! - E una sfumatura, ma in quell'attimo non mi sfuggi. Stavo per incamminarmi verso l'albergo; ero stanca e avevo insistito perché non si disturbasse a riaccompagnarmi. Avevamo trovato alcuni fiori rari, quelli che avevo in mano quando tornai, e li aveva scoperti quasi tutti lui. La cosa lo divertiva molto e ne voleva prendere ancora; ma ero stanca e lo lasciai. Non protestò, dove sarebbe andato a finire, altrimenti, il suo tatto? E io ero troppo ignara, allora, per capire che dal momento che io non ero più lì nessun fiore sarebbe stato, avrebbe potato essere, raccolto. Presi la via del ritorno, ma in capo a tre minuti mi accorsi di aver portato via con me il suo temperino, me lo aveva prestato perché spogliassi un ramoscello, e sapevo che ne avrebbe avuto bisogno. Tornai indietro di alcuni passi per chiamarlo, ma lo cercai prima con gli occhi. Non potete capire quello che accadde allora senza avere ben chiara davanti a voi quella parte della vallata. - Portatemici, - dissi. - Potete rendervi conto del prodigio anche qui. Il luogo era semplicemente tale da non offrire nessuna possibilità di occultamento; un gran declivio tranquillo, senza asperità o buche o cespugli o alberi. Alle mie spalle c'erano alcune rocce dietro le quali ero sparita, ma, ritornando sui miei passi, ne ero immediatamente riemersa. - Allora deve avervi vista. - Era troppo assente, troppo completamente «andato», «andato» come una candela spenta, per una qualche ragione che solo lui poteva sapere. Un momento di fatica, probabilmente, capite, e con quel senso di ritorno alla solitudine la reazione era stata proporzionalmente grande, l'estinzione proporzionalmente completa. Comunque la scena era nuda come la vostra mano. - Non poteva essere altrove? - In quel momento non poteva essere che dove lo avevo lasciato. Pure il luogo era completamente deserto... deserto come questo tratto di valle davanti a noi. Era svanito, aveva cessato di esistere. Ma appena la mia Henry James
209
1970 - Racconti Di Fantasmi
voce risuonò, avevo detto il suo nome, sorse davanti a me come il sole che si leva. - E dove sorse il sole? - Nel solo luogo dove poteva sorgere, esattamente dove sarebbe stato e dove lo avrei visto se si fosse trattato di un uomo come gli altri. Avevo ascoltato col più profondo interesse, ma era mio dovere sollevare delle obiezioni. - Quanto tempo passò fra il momento nel quale foste sicura della sua assenza e il momento che lo chiamaste? - Dio mio, pochi secondi. Non pretendo che sia stato lungo. - Ma abbastanza perché voi poteste esserne assolutamente certa? - dissi. - Certa che non era lì? - Si; e che non vi eravate sbagliata, che non eravate stata vittima di un abbaglio. - Posso essermi sbagliata, ma ho la ferma convinzione del contrario. Comunque, appunto per questo vorrei che faceste una capatina in camera sua. Riflettei un momento. - Come posso, quando non osa farlo nemmeno sua moglie? - Ne ha desiderio; fatele la proposta. Non ci vorrà molto a persuaderla. Ha dei sospetti. Riflettei ancora un momento. - Vi è parso che avesse coscienza della cosa? - Che avevo notato la sua mancanza e che poteva darsi me ne fossi immensamente stupita? Forse; ma, insieme, che probabilmente aveva l'impressione di essere stato abbastanza pronto. Non può fare a meno di pensarlo, capite, di prendere la cosa, per lo più, come certa. Ah, mi ci perdevo - chi poteva dire? - Ma accennaste almeno alla sua scomparsa? - Nemmeno per idea; y pensez-vous? La cosa m'era sembrata troppo strana. - Giusto. E che aspetto aveva? Mentre si studiava di rievocare la scena e ricostruire il miracolo, Bianche Adney fissò gli occhi nel vuoto su per la valle. Improvvisamente esclamò: - Esattamente quello che ha ora! - e vidi Lord Mellifont davanti a noi col suo album degli acquarelli. Mentre ci avvicinavamo vidi che non era né sospettoso né imbarazzato: stava lì, semplicemente, come stava sempre dovunque, a fare da elemento fondamentale del paesaggio. Henry James
210
1970 - Racconti Di Fantasmi
Naturalmente non aveva nessun dipinto da mostrarci, ma nulla avrebbe potuto confermare meglio l'idea che ora ci facevamo di lui, del modo col quale si mise in posizione appena ci vide. Aveva scelto il punto di vista, ne prese possesso agitando la matita in aria. Si appoggiò a una roccia; la sua bella scatola d'acquarelli era posata sul tavolo naturale formato accanto a lui da un ripiano della parete, quasi nuova dimostrazione della perseveranza con la quale la natura assecondava le sue esigenze. Dipingeva mentre parlava e parlava mentre dipingeva; e se il dipinto era miscellaneo come il discorso, il discorso avrebbe tuttavia potuto figurare degnamente in un album. Ci trattenemmo per assistere all'esibizione, e anche i consapevoli profili delle vette sembravano, ai nostri occhi, ansiosi di assistere al suo successo. Si fecero scuri come silhouettes di carta incise contro un cielo livido, dal quale, tuttavia, non c'era niente da temere finché l'acquarello di Lord Mellifont non fosse finito. Tutta la natura s'inchinava davanti a lui, e gli elementi stessi aspettavano. Bianche Adney comunicò con me senza parole, e io potei leggere il linguaggio dei suoi occhi: Fossimo capaci, noi, di fare la nostra parte così bene! Riempie il palcoscenico in un modo insuperabile -. Non riuscimmo a staccarcene: sarebbe stato come lasciare il teatro prima della fine dello spettacolo; ma a suo tempo prendemmo con lui la via del ritorno verso l'albergo, davanti alla porta del quale Sua Grazia, dando un'altra occhiata all'acquarello appena dipinto, strappò il foglio ancora fresco dal blocco e lo presentò con alcune indovinate parole alla nostra amica. Poi entrò in casa; e un momento dopo, alzando gli occhi dal luogo dove eravamo, lo vedemmo, in alto, alla finestra del suo salottino - aveva le stanze migliori - intento a scrutare i segni del tempo. - Dopo questa fatica dovrà riposare, - disse Bianche abbassando gli occhi sul suo dipinto. - Senza dubbio! - Alzai i miei verso la finestra: Lord Mellifont era svanito. - Si è già ridissolto. - Ridissolto? - Vidi che l'attrice stava ora pensando a qualcos'altro. - Nell'immensità del cosmo. S'è abbandonato di nuovo. L’entr’acte è incominciato. - Dovrebbe essere lungo -. Guardava verso la terrazza, e poiché in quel momento il capo-cameriere apparve sulla porta si voltò a parlargli. - Avete visto il signor Vawdrey? L'uomo si avvicinò immediatamente. - È uscito cinque minuti fa per fare Henry James
211
1970 - Racconti Di Fantasmi
una passeggiata, credo. Ha preso dalla parte della valle; aveva un libro con sé. Stavo guardando le nubi minacciose. - Avrebbe fatto meglio a prendere con sé un ombrello. Il cameriere sorrise: - Io gliel’avevo consigliato. - Grazie, - disse Bianche; e l’Oberkellner si ritirò. Poi aggiunse bruscamente: - Volete farmi un favore? - Sìììì, se voi ne fate uno a me. Desidererei vedere se il vostro dipinto è firmato. Prima di darmi il bozzetto vi gettò un'occhiata: - Pare incredibile, ma non è firmato. - Dovrebbe esserlo, per aver tutto il suo valore. Posso tenerlo un momento? - Sì, purché facciate quello che vi domanderò. Prendete un ombrello e raggiungete il signor Vawdrey. - Per accompagnarlo dalla signora Adney? - Per tenerlo fuori, più a lungo che potete. - Lo tratterrò finché non incominci a piovere. - Non pensateci alla pioggia! - esclamò la mia compagna. - Volete che c'inzuppiamo fino al midollo? - Senza rimorso -. Poi, con una strana luce negli occhi: - Voglio fare il tentativo. - Il tentativo? - Di vedere quello genuino. Potessi riuscirci! - proruppe con impeto. - Provate, provate! - risposi. - Tratterrò il vostro amico fuori tutto il giorno. - Se mi riesce di arrivare a quello che lavora, - e si fermò con gli occhi scintillanti, - se mi riesce di parlare con lui, avrò un altro atto, avrò la mia parte! - Tratterrò Vawdrey sulla montagna per l'eternità! - le gridai dietro mentre spariva rapidamente dentro l'albergo. La sua audacia era comunicativa, e io rimasi lì in preda a un'eccitazione febbrile. Guardai l'acquarello di Lord Mellifont e guardai il temporale che s'avvicinava; levai gli occhi sulla finestra di Sua Grazia e li abbassai di nuovo sull'orologio. Vawdrey era uscito da così poco tempo che lo avrei raggiunto anche perdendo cinque minuti per salire fino al salottino di Lord Mellifont - dove eravamo stati tutti graziosamente ricevuti - e dirgli, in Henry James
212
1970 - Racconti Di Fantasmi
veste d'ambasciatore, che la signora Adney lo pregava di apporre al dipinto l'alta consacrazione della sua firma. Mentre esaminavo ancora quell'opera d'arte notai che vi mancava certamente qualcosa: che cosa mai se non un così nobile autografo? Avevo il dovere di riparare senza perder tempo a quella deficienza, e con quel proposito rientrai immediatamente nell'albergo. Salii fino alle stanze di Lord Mellifont; raggiunsi la porta della sua sala. Qui, tuttavia, mi trovai di fronte a una difficoltà alla quale la mia avvertenza non aveva pensato. Bussando alla porta avrei rovinato tutto; ma avevo il coraggio di trascurare quella formalità? Mi proposi il dilemma e rimasi perplesso; girai tra le mani più volte il dipinto, ma non mi dette la risposta che desideravo. Volevo che dicesse: - Apri la porta pian piano, senza far rumore ma rapidamente: poi vedrai quel che vedrai -. Ero arrivato al punto di posare la mano sul pomo della porta quando mi accorsi (i miei sensi erano cos tesi) che proprio come avevo desiderato pian piano, senza far rumore - un'altra porta s'era mossa, e dalla parte opposta della sala. In quello stesso momento mi trovai a sorridere piuttosto imbarazzato a Lady Mellifont, la quale, vedendomi, s'era fermata sulla soglia della sua stanza. Per un attimo, mentre lei stava lì, ci scambiammo due o tre idee, tanto più singolari in quanto non pronunciammo parola. Ci eravamo sorpresi a vicenda mentre ronzavamo lì intorno, e fino a quel punto c'intendevamo; ma mentre mi avvicinavo a lei - così che fra noi e il salottino c'era tutta la larghezza della sala - le sue labbra formarono, senza che quasi ne uscisse suono, la preghiera: - Non fatelo! - Lessi nei suoi occhi consapevoli tutto quello che essa significava; la confessione della sua curiosità e il timore delle conseguenze della mia. - Non fatelo!,- ripeté mentre mi fermavo davanti a lei. Se il mio esperimento le appariva sotto l'aspetto di un atto di violenza, ero pronto a rinunciarvi; pure, mi parve di cogliere nel suo viso spaventato una rivelazione anche più profonda, una possibilità di disappunto se io avessi ceduto. Era come dicesse: - Se ve ne assumete la responsabilità, fate pure. Sì, per mezzo di un altro sarei disposta a sorprenderlo; ma non dovrebbe mai sapere che io ci sono entrata per qualcosa. - Abbiamo trovato Lord Mellifont, - dissi, alludendo al nostro incontro con lei di un'ora prima, - e fu tanto buono da offrire questo bel dipinto alla signora Adney, la quale mi ha sollecitato a venire di sopra per pregarlo di aggiungervi la firma, che manca. Lady Mellifont mi prese l'acquerello dalle mani e indovinai la lotta che Henry James
213
1970 - Racconti Di Fantasmi
si svolgeva in lei mentre lo guardava. Non disse parola, e sentii che tutte le sue delicatezze e dignità, tutte le timidezze accumulate e le compassioni, facevano ostacolo alla sua grande chance. Si allontanò da me col dipinto, ritornò in camera sua. Si trattenne un paio di minuti, e quando riapparve capii che aveva vinto la tentazione, che s'era anzi fatta indietro con una sorta di rinnovato orrore. Aveva lasciato il dipinto nella stanza. - Se volete essere tanto gentile da lasciarmi il quadro avrò cura che il desiderio della signora Adney sia soddisfatto, - disse con grande cortesia e dolcezza, ma quelle parole mettevano in certo modo fine al nostro colloquio. Annuii con un entusiasmo forse un po' artificiale, e poi, per rendere la nostra separazione più naturale, osservai che avremmo avuto un cambiamento di tempo. - In quel caso partiremo... partiremo subito, - rispose la povera donna. La vivacità con la quale fece questa dichiarazione mi divertì: pareva rappresentasse una vagheggiata fuga verso la salvezza, una fuga col suo segreto minacciato. Fui di conseguenza tanto più sorpreso, quando, mentre stavo per andarmene, ella tese la mano per stringere la mia. Aveva il pretesto di prendere congedo, ma mentre gliela stringevo e facevo quella supposizione, sentii che il vero significato del gesto era: - Vi ringrazio dell'aiuto che avreste voluto darmi, ma meglio lasciare le cose come sono. Se sapessi, chi mi potrebbe più aiutare? - E mentre^ritornavo in camera mia per prendere l'ombrello, dissi tra me: - E sicura, ma non vuol fare la prova. Un quarto d'ora dopo avevo raggiunto Clare Vawdrey e in capo a pochi minuti ci trovammo a dover cercare riparo. Non soltanto il temporale era andato facendosi sempre più minaccioso, ma era scoppiato infine con straordinaria violenza. Ci arrampicammo lungo un pendio verso una capanna vuota, una rozza costruzione la quale non era gran cosa più di una baracca per la protezione del bestiame. Era un discreto rifugio, comunque, e attraverso le fessure potevamo goderci la scena, assistere alla gran collera della natura. Lo spettacolo durò un'ora... un'ora che m'è rimasta impressa nella memoria come piena di strane discordanze. Mentre il lampo s'alternava al tuono e la pioggia colava sopra i nostri ombrelli, dissi a me stesso che Clare Vawdrey era deludente. Non so esattamente come mi raffigurassi un grande scrittore esposto al furore degli elementi, non so dire quale atteggiamento alla Manfredi mi aspettassi dal mio compagno, ma avevo comunque l'impressione che non avrei mai previsto di sentirmi Henry James
214
1970 - Racconti Di Fantasmi
ammannire da lui, in quelle circostanze, tutta una serie di storie - che avevo già sentite - sul conto della famosa Lady Ringlose. Lady Ringlose costituì l'argomento della conversazione; per quanto, prima che fosse finito, egli prendesse a parlare con pari calore del signor Chafer, il non meno famoso critico. Sentire un uomo come Vawdrey parlare di critici mi spezzava il cuore. I lampi gettavano una luce vivida e spietata sulla verità, che m'era familiare da anni e della quale gli ultimi due o tre giorni avevano dato una conferma prodigiosa, sull'irritante certezza che per i rapporti sociali quel mirabile genio trovava sufficiente una sua personalità di seconda scelta. Senza dubbio la società non meritava di meglio, ma la distinzione comportava un disprezzo che non poteva non riuscire umiliante per un ammiratore. Il mondo era volgare e stupido, e l'uomo genuino sarebbe stato uno sciocco a esibirsi davanti ad esso quando poteva chiacchierare e pranzare per delega. Tuttavia, nel vedergli usare quel sistema, mi sentii mancare il cuore. Non so bene che cosa volessi; volevo forse che facesse un'eccezione per me, per me soltanto, munificamente e affettuosamente, tra l'innumerevole gregge degli sciocchi. Quasi credevo che lo avrebbe fatto, solo che avesse saputo a qual punto ammiravo il suo ingegno. Ma non mi era mai riuscito di farglielo intendere, e applicava il suo principio rigidamente. Ero comunque più certo che mai, che a quell'ora, nella sua camera, la sua sedia, almeno, non era vuota: lì era l'atteggiamento alla Manfredi, lf erano le intuizioni balenanti. Non potevo far altro che invidiare la signora Adney per il suo presumibile godimento di tanto dono. Il tempo infine si calmò e la pioggia sminuì tanto da permetterci di uscire dal nostro ricovero e ritornare all'albergo, dove, al nostro arrivo, trovammo che la nostra prolungata assenza aveva prodotto una certa inquietudine. Si era evidentemente pensato che il temporale ci avesse messo in condizioni difficili. Alcuni nostri amici erano sulla porta e parvero sconcertati nel constatare che eravamo soltanto molli di pioggia. Per avventura Clare Vawdrey s'era bagnato più di me e andò direttamente in camera sua. Bianche Adney era tra le persone radunate ad aspettarci, ma quando l'oggetto delle nostre speculazioni le andò incontro si ritrasse senza fare un cenno di saluto; con un moto che giudicai quasi studiatamente freddo gli voltò le spalle ed entrò rapidamente in sala. Pur bagnato com'ero la seguii; allora si voltò di scatto e mi guardò. La prima cosa di cui mi resi conto fu che non era mai stata così bella. C'era una luce ispirata in lei, e col Henry James
215
1970 - Racconti Di Fantasmi
più rapido dei bisbigli, che fu al tempo stesso il grido più alto che avessi mai sentito, mi confidò: - Ho avuto la mia «parte»! - Siete andata in camera sua; avevo ragione? - Ragione? - ripetè Bianche Adney. - Ah, amico mio! - mormorò. - Era lì; lo avete visto? - Egli ha veduto me. È stata l'ora più bella della mia vita. - Della sua, direi, se eravate bella soltanto la metà di quello che lo siete adesso. - È magnifico, - continuò come se non mi sentisse. – Il vero,quello che lavora, è lui! - Ascoltavo profondamente impressionato, e Bianche Adney aggiunse: - Ci siamo capiti. - Alla luce dei lampi? - Oh, non avevo occhi per i lampi! - Quanto tempo siete rimasta? - domandai, ammirato. - Quanto è bastato per dirgli che lo adoro. - È proprio quello che io non sono mai riuscito a dirgli! - dissi, e la mia voce era un vero e proprio gemito. - Avrò la mia parte; avrò la mia parte! - continuò con sublime indifferenza; e si mise a camminare per la stanza come invasata, contenta come una bambina; si fermò soltanto per dire: - Andate a cambiarvi. - Avrete la firma di Lord Mellifont! - dissi. - Al diavolo la firma di Lord Mellifont! È molto più simpatico del signor Vawdrey, - continuò sconclusionatamente. - Lord Mellifont? - finsi di chiedere. - Lord Mellifont può andare all'inferno! - E Bianche Adney, nella sua esaltazione, mi passò frusciando vicino e prese di nuovo, rapida, la via della porta. Appena fuori s'imbattè in suo marito; e, con un bel grido di: Stavamo parlando proprio di te, amor mio! -gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Andai nella mia stanza e mi cambiai, ma rimasi lì fino a sera. La violenza del temporale era passata, ma era rimasta una pioggerella insistente. Quando scesi a pranzo notai che il cambiamento di tempo aveva già smembrato la nostra compagnia. I Mellifont erano partiti con una carrozza a quattro cavalli, erano stati seguiti da altri, e parecchi veicoli erano stati ordinati per il giorno dopo. Tra questi era quello di Bianche Adney la quale, col pretesto dei preparativi per la partenza, appena il pranzo fu finito ci lasciò. Clare Vawdrey mi domandò che cosa avesse Henry James
216
1970 - Racconti Di Fantasmi
sembrava che si fosse messa a detestarlo improvvisamente. Non ricordo che risposta gli diedi, ma feci del mio meglio per consolarlo offrendogli un posto nella mia carrozza il giorno seguente. Quando scendemmo Bianche era già svanita; ma a Londra dovettero riconciliarsi perché egli finì la commedia e Bianche la interpretò. Devo aggiungere che è tuttavia sempre in cerca della gran parte da sostenere. Io ne ho una bellissima in mente, ma lei non viene da me per spronarmi al lavoro. Lady Mellifont ha sempre una parola gentile per me, quando ci incontriamo, ma questo non mi consola. Traduzione di Carlo Izzo.
SIR DOMINICK FERRAND I. «Ci sono parecchie obiezioni da fare, ma, se lo modifica, lo accetto», aveva detto la breve nota di Mr Locket; né le parole si sprecavano nel poscritto, in cui aveva aggiunto: «Se passerà a trovarmi, le mostrerò ciò che intendo». Questa comunicazione aveva raggiunto Jersey Villas con la prima posta, e a Peter Baron era rimasto appena il tempo d'ingoiare il suo coriaceo panino prima di mettersi in moto per ottemperare all'ordine del direttore. Sapeva che tanto precipitarsi poteva denotare uno stato d'animo affannoso, ed egli non aveva la minima voglia di mostrarsi affannato: non era nel suo interesse. Ma come mantenere una calma olimpica in omaggio ai propri principi, quando per la prima volta una grande rivista aveva accettato, sia pure con crudele riserva, un prodotto del suo fervido intelletto giovanile? Solo allorché, nella sua carrozza di terza classe - simile a un fanciullo che si accosta una conchiglia all'orecchio - cominciò a rendersi conto del gran fragore della «sotterranea», si senti pungere fin nell'intimo dalla crudeltà di quella riserva come da un odore acre di fumo. Era davvero meschino mostrarsi preoccupato davanti alla necessità di dover apportare delle modifiche. Peter Baron cercò in quel momento di immaginare se stesso non in atto di correre, tradendo così il suo estremo bisogno, ma di affrettarsi a scendere in campo in favore di alcuni di quei passi particolarmente arditi su cui senza dubbio il direttore della «Rassegna di Miscellanea» si sarebbe accanito. Finse - sia pure davanti al sudicio compagno di viaggio che gli sedeva di fronte - di sentirsi indignato; ma capì che, ai piccoli occhi tondi del suo ancor più bistrattato fratello, egli Henry James
217
1970 - Racconti Di Fantasmi
impersonava l'egoista di successo. Avrebbe voluto soffermarsi sull'idea che «Miscellanea» lo aveva «convocato»; tuttavia, qualunque giudizio si fossero fatti di alcuni suoi voli di fantasia alla redazione del periodico, il suo ricorrente sospetto di venir considerato in quell'ufficio un noto rompiscatole non mancava di convinzione. L'unica cosa chiaramente lusinghiera era il fatto che la «Miscellanea» ben di rado pubblicava narrativa: Baron doveva dunque essere stato oggetto di una deviazione da un metodo severo, e questo l'avrebbe più che compensato di una frase contenuta in uno dei precedenti inesorabili biglietti di Mr Locket, una frase che gli bruciava ancora, a proposito dell'assenza in lui di qualsiasi sintomo di facoltà veramente creativa. «Lei sembra incapace di tener insieme un personaggio», aveva osservato in un altro punto l'impietoso revisore. Mentre il treno si fermava, Peter Baron, seduto nel suo angolo, considerò nella luce a gas resa più fioca dalla nebbia il livello letterario offerto dal chiosco di libri, e si chiese quale personaggio fosse crollato in pezzi questa volta. In verità gli era sempre apparso un destino crudele quello di saper creare col cervello senza possedere una penna adeguata. Sarà tuttavia opportuno ricordare che, prima di partire per il suo incontro con Mr Locket, l'attenzione di Baron era stata trattenuta per un certo tempo da un episodio verificatosi a Jersey Villas. Uscendo di casa (egli abitava al n. 3, la cui porta si apriva su un giardinetto prospiciente la strada), aveva incontrato la signora che, da una settimana, era l'inquilina delle stanze al pianterreno, i cosiddetti «studioli» secondo la terminologia di Mrs Bundy. Due o tre volte ne aveva udito la voce dalla finestra; l'aveva anche veduta entrare e uscire, e questa osservazione aveva destato nella sua mente un giudizio vagamente favorevole nei suoi confronti. Tale giudizio in verità era il risultato di un intenso esame; era apparso abbastanza evidente che ella aveva un passo leggero, ma non meno degno di considerazione era il fatto che possedesse un pianoforte verticale. Aveva inoltre un bambinetto, e una voce dolcissima: Peter Baron ne aveva colto l'inflessione, non dal canto (suonava soltanto), ma dalle gaie ammonizioni rivolte al figlio, al quale permetteva ogni tanto di divertirsi -entro limiti pubblicamente codificati - nel fazzoletto di terra nera posto a mo' di cortile davanti a ogni casa, e che, nella squallida schiera di costruzioni, passava per un abbellimento. Jersey Villas era una strada di villini che si ergevano a due a due, semistaccati uno dall'altro. Mrs Ryves - questo il nome con cui la nuova inquilina si era presentata - era stata ammessa nella casa nella sua Henry James
218
1970 - Racconti Di Fantasmi
qualità di musicista dichiarata. Mrs Bundy, l'austera proprietaria del n. 3, che considerava i suoi «studioli» (erano di quattro metri quadri) ancor più attraenti - se possibile - del secondo piano di cui doveva accontentarsi Baron - Mrs Bundy, che si riservava la stanza di soggiorno per un lavoro saltuario di sarta, aveva già sviscerato l'argomento della nuova inquilina col nostro giovanotto, facendogli notare che l'affetto ch'essa gli portava stava a dimostrare le sue preferenze - a parità di condizioni - per gli inquilini dotati d'ingegno. Era questo il caso di Mrs Ryves, che aveva convinto Mrs Bundy di non essere una strimpellatrice qualunque. Mrs Bundy aveva confidato a Peter Baron che, per quanto la riguardava, una bell'arietta lei l'ascoltava volentieri, e Peter aveva risposto con franchezza di avere un orecchio non meno sensibile. Tutto sarebbe dipeso dal «tocco» della loro coabitante: se la mano della pianista si fosse rivelata pesante, o le scelte volgari, il pianoforte di Mrs Ryves gli avrebbe rovinato l'esistenza: se invece avesse suonato con garbo musica gradevole, gli avrebbe anzi reso un servizio durante le sue pipatine. Mrs Bundy, cui stava a cuore affittare le proprie stanze, si rendeva garante per conto dell'estranea di un talento di prim'ordine, e Mrs Ryves, che evidentemente sapeva molto bene il fatto suo, non aveva smentito l'alquanto affrettata predizione. Non suonava mai di mattina, quando Baron lavorava; nelle altre ore egli si trovava ad ascoltare con piacere quelle melodie discrete e malinconiche. In effetti, pur intendendosi assai poco di musica, l'unica critica che Baron avrebbe mosso all'idea che di essa nutriva Mrs Ryves, era quella di sembrare troppo incline al lugubre. Queste melodie, però, non gli riuscivano sgradite: al contrario, si levavano nell'aria come una sorta di risposta consapevole a certe sue meditazioni, certi dubbi. L'armonia sarebbe dunque regnata sovrana se non fosse intervenuto a turbarla il singolare cattivo gusto del n. 4. Il pianoforte di Mrs Ryves poggiava contro il lato esterno della casa e, secondo Mrs Bundy, nessuno poteva trovarvi a ridire, salvo il loro coabitante, persona così ragionevole. Ma altrettanto non si poteva dire del signore del n. 4, il quale non aveva neppure l'attenuante di essere uno «studiato» come Mr Baron, e possedeva un mastino e cinque cappelli (tutta la strada li aveva contati); e, a sentire Mrs Bundy, si sarebbe detto separato dal fastidioso strumento da pareti e corridoi, ostruzioni e intercapedini di struttura massiccia e favolosa estensione. Questo signore aveva assunto un atteggiamento entrato ormai nella fase di scambio di lettere in vista di Henry James
219
1970 - Racconti Di Fantasmi
transazione: tutti i vicini più immediati erano però dell'opinione che non avesse un argomento valido da accampare e, per quanto vaghi fossero i sentimenti di Jersey Villas su qualsiasi argomento, non lo erano di sicuro circa i diritti e i torti delle padrone di casa. Quando Peter Baron era uscito, c'era in giardino il bimbetto di Mrs Ryves: anche sua madre era venuta fuori in quel momento – si sarebbe detto - a capo scoperto, per assicurarsi che il piccino non facesse guai, e si era messa ad esaminare con lui i rischi in cui poteva incorrere passando un pezzo di spago intorno a una delle sbarre di ferro per fingere di tenere le redini di un «gigì» (cavallo). Accadde però che, alla vista dell'altro pigionante, il bambino ebbe un'intuizione più acuta del soggetto da guidare, e corse incontro a Baron agitando le briglie e gridando: «Oppa, gigì!» in modo tale da provocare una sorta di leggiadro imbarazzo nella madre. Baron accolse la richiesta del piccino ponendoselo sopra una spalla e fingendo per un istante di galoppare; così che, alla fine della scenetta per la quale non occorsero che pochi secondi, il giovane si senti già presentato a Mrs Ryves. Il sorriso di lei lo colpi per il suo fascino: impressioni del genere abbreviano molti passi. «Oh, grazie! - gli disse, - ma non gli permetta di disturbarla»; e poi, mentre Baron posava a terra il bambino e si levava il cappello volgendosi per andar via, soggiunse: - Lei è molto buono a non lagnarsi del mio pianoforte. - Ne traggo un diletto particolare: lei suona magnificamente, -rispose Peter Baron. - Io devo suonare, capisce: è tutto ciò che so fare. Ma i vicini non approvano, sebbene la mia stanza, come lei sa, non sia attigua al loro muro. Perciò la ringrazio: mi autorizza a dir loro che, qui nella casa, lei non mi considera un'importuna. Aveva un'aria gaia e gentile nel parlare, e mentre gli occhi del giovane si posavano su di lei, la sopportazione per la quale Mrs Ryves si diceva debitrice sembrò a lui la minima delle indulgenze su cui ella avesse il diritto di contare. Tuttavia Baron si accontentò di sor-riderle dicendo: - Oh no, lei non è un'importuna! - La presentazione era stata così più che completa. A questo punto il bambino - un bel maschietto - reclamò a gran voce un'altra cavalcata e, per quietarne gli ardori, la madre stessa lo prese in collo. Rimase lì, col bimbo tra le braccia, mentre l'esuberante piccino le infilava le dita fra i capelli, talché, nel sorridere a Baron, ella scosse Henry James
220
1970 - Racconti Di Fantasmi
dolcemente e indulgentemente la testa per liberarsene. - Se proprio ne fanno un dramma, dovrò andarmene, - soggiunse. - Oh, non se ne vada! - proruppe Baron con tanto improvviso calore che la sua voce, giungendogli all'orecchio, gli parve appartenere a un altro. Mrs Ryves uscì in un'esclamazione vaga, e con un leggero - ma non scontroso - cenno del capo si ritirò in casa. Aveva prodotto sul suo interlocutore un'impressione che rimase in lui fino al suo arrivo in stazione: allora essa fu sopraffatta dal pensiero dell'imminente colloquio con Mr Locket. Il che stava a dimostrare l'intensità di quell'interesse. Il sapore rimasto in bocca a Peter Baron dopo l'incontro con l'editore non fu meno intenso. Dopo aver trattato a fondo la questione con Mr Locket, se n'era venuto via col suo manoscritto sotto il braccio, e ora si sentiva in uno stato di esaltazione simile a un senso di trionfo. In verità sulle prime gli riuscì di vedere la cosa sotto questa luce. Mr Locket aveva dovuto ammettere che, nel racconto, un'idea c'era, e già questo era un tributo di cui Baron poteva andar fiero; ma c'era anche una scena che urtava la coscienza del direttore, e che il giovane aveva promesso di riscrivere. Quell'idea che Mr Locket s'era degnato di rilevare poggiava essenzialmente, per amore di chiarezza, su quella scena; era dunque facile comprendere come la sua obiezione fosse fuori luogo. Questa convinzione dava probabilmente esca alla serenità di Peter Baron diretto verso casa, recante un contributo alla rivista che si lusingava di considerare accettato. Fece la strada a piedi per calmare la sua eccitazione e pensare al modo di riscrivere il pezzo. Camminò per un buon tratto senza venire a capo di nulla; poi, quando la cosa incominciò a preoccuparlo, si mise a guardare distrattamente le vetrine in cerca di soluzioni, di suggerimenti. Mr Locket abitava nel cuore di Chelsea, in una graziosa casetta rivestita di legno, e Baron prese la via di casa passando da King's Road. La passeggiata mattutina per Londra gli procurò uno svago nuovo, un rimescolio più intenso. Di solito, queste ore mattutine le passava a tavolino, nella posizione goffa impostagli dal povero mobiletto - tipico esemplare dell'arredo del secondo piano di Mrs Bundy - che doveva funger da altare al suo sacrificio letterario. Se eccezionalmente gli capitava di uscire quando il giorno era giovane, aveva notato che la vita stessa gli pareva più giovane: c'erano occasioni più immediate di cui avvalersi, e giovani, rosee commesse, da guardare: c'era nelle strade un'aria diversa e l'osservatore di costumi vi avrebbe colto qualche scenetta di commercio minuto. Henry James
221
1970 - Racconti Di Fantasmi
Soprattutto era quella l'ora in cui il povero Baron faceva acquisti, tutti frutto di una mente svagata; per qualche misteriosa ragione le sue prodigalità erano tutte mattutine, e aveva il presentimento che, se si fosse rovinato, ciò sarebbe accaduto ben prima di mezzogiorno. Quella mattina si sentiva in vena di sperperi grazie a ciò che la «Miscellanea» avrebbe fatto di lui: aveva perso di vista, per il momento, ciò che a lui toccava fare per la rivista. Davanti ai vecchi negozi di libri e di stampe - vetrine zeppe di piccoli antiquari e allettanti mostre di mogano restaurato - Baron era solito - come per un giuoco innocente - abbandonarsi a follie di lusso. Riammobiliava l'alloggio di Mrs Bundy con una liberalità che a lei non costava nulla e si perdeva in visioni di un secondo piano trasfigurato. Quel giorno in particolare King's Road si mostrò di una dispendiosità quasi senza precedenti. In effetti questa occasione differiva dalla maggior parte delle altre, poiché conteneva il germe di un pericolo reale. Per una volta si sentì rimordere la coscienza: fu tentato di derubare se stesso. Non poteva vedere una scrivania comoda, con spazio per appoggiare il gomito, fornita di cassetti, e una bella superficie di pelle con eleganti incisioni dorate ai bordi, senza rievocare il ciarpame delle camere di Mrs Bundy. A King's Road di scrivanie del genere ce n'erano parecchie; quel giorno poi sembravano particolarmente numerose. Peter Baron le adocchiava tutte attraverso le vetrine dei negozi, ma ve ne fu una che lo trattenne in estatica contemplazione. Il bel tono sicuro che ne spirava pareva offrire garanzia di capolavori; tuttavia, quando finalmente si decise ad entrare e - tanto per darsi un po' di coraggio - ne chiese l'inabbordabile prezzo, la cifra indicata dal loquace commesso lo beffò più di quanto si sarebbe aspettato. Era assolutamente troppo caro, dichiarò Baron, e fu sul punto di concludere la commedia battendo in meditabonda ritirata, quando il negoziante richiamò la sua attenzione su un altro articolo pressappoco dello stesso genere: a detta del mercante, per ciò che il mobile valeva, era quanto mai conveniente. Era un pezzo antico, proveniente da una vendita di campagna, e già da qualche tempo si trovava in magazzino, ma era stato spostato fuori vista in una delle stanze superiori, vera miniera di tesori: per combinazione era emerso alla luce appena di recente. Peter si lasciò condurre in un interminabile corridoio semibuio, e di lì a poco si trovò chino sopra uno di quei tavoli massicci e quadrati in mogano stagionato, sostenuto - grazie a due gambe anteriori - da una specie di basamento rientrante fornito di cassettini e altre piccole comodità, uno di quei mobili Henry James
222
1970 - Racconti Di Fantasmi
insomma noti da tempo immemorabile ai conoscitori col nome di «ribaltine». Questo esemplare aveva visibilmente combattuto le sue battaglie, ma prometteva una solidità d'altri tempi, e a Peter Baron andò inaspettatamente a genio. Sulle prime avrebbe detto che un mobile del genere era proprio quello di cui non aveva bisogno; ma quando il bottegaio gli accostò una sedia, ed egli si sedette appoggiando i gomiti sul piano leggermente inclinato della solida ampia ribalta, ebbe l'impressione che, con una simile base, la battaglia per la letteratura sarebbe stata vinta per metà. Sollevò lo sportello, guardò intenerito nel capace interno, e mantenne un silenzio sinistro mentre l'altro inopinatamente dichiarava: «È un mobile che amo io stesso». Allora, quando l'uomo menzionò il prezzo ridicolo (lo stavano veramente regalando!) egli meditò sul vantaggio di possedere un altare letterario sul quale accendere davvero un fuoco. Una ribaltina era un compromesso, ma, dopo tutto, che cos'era la vita se non un compromesso? Poteva indurre il mercante ad abbassare il prezzo - e da Mrs Bundy era costretto a scrivere su un tavolino da gioco. Dopo essere rimasto seduto per un momento alla simpatica scrivania, ebbe la curiosa impressione di poterle confidare un paio di segreti - uno dei segreti di forma, uno dei misteri sacrificali -, benché il curriculum letterario del mobile fosse stato letterario soltanto nel senso di aver aiutato qualche vecchia signora a scrivere inviti per pranzi noiosi. Esalava da quel ricettacolo uno strano leggero effluvio, quasi che un tempo vi fossero state riposte profumate reliquie. Sollevando il capo dal vano si rivolse al bottegaio: «Sono disposto a venirle incontro a metà strada». Gente che se ne intendeva gli aveva detto che era quello il sistema giusto. Si senti piuttosto meschino, ma quella sera la ribaltina arrivò a Jersey Villas.
II. - Oserei dire che andrà a finir bene; adesso pare tranquillo, -disse la povera signora degli «studioli» qualche giorno dopo, a proposito del loro litigioso vicino e della situazione precaria del suo pianoforte. I due pigionanti avevano fatto regolare conoscenza, e il piano vi aveva molto contribuito. Così, come col signore del n. 4 lo strumento era stato oggetto di disputa, allo stesso modo era diventato base di un'intesa speciale tra Peter Baron e l'occupante degli «studioli», e comunque argomento di Henry James
223
1970 - Racconti Di Fantasmi
rinnovata conversazione tra loro. Mrs Ryves era così seducente da infondere in Peter Baron la certezza che, anche non ci fosse stato il piano, egli avrebbe trovato qualche altro tema di conversazione su cui intrattenersi con lei. Per fortuna, però, avevano il piano, dal quale lui, perlomeno, traeva il massimo vantaggio, ora che ne sapeva di più sul conto della vicina. Questa, quando teneva il suo bel bambino in braccio, con quell’aria di vedova stanca somigliava vagamente a una Madonna moderna. Caratteristica generale di Mrs Bundy, nella sua qualità di affittacamere ammobiliate, era un atteggiamento rigoroso nei confronti delle donnine avvenenti, ma in Mrs Ryves essa aveva riposto la massima fiducia. S'illuminava tutta all'idea di avere per inquilina una signora, anzi una signora capace di riportarla al grato ritrovamento di una manifestazione intellettuale per cui proprio lei nutriva una personale considerazione. Mrs Ryves era una professionista, ma a Jersey Villas si poteva andar orgogliosi di una professione che, giustappunto, non era quella sbagliata: vi erano già state tristi esperienze in tal senso. Mrs Ryves disponeva di un centinaio di sterline all'anno (Baron si domandava come facesse a saperlo Mrs Bundy; gli pareva improbabile che glielo avesse confidato Mrs Ryves); per il resto doveva contare sulla sua bella musica. Baron pensava che - per bella che fosse - quella sua musica era un debole sostegno: a stento sarebbe bastata a riempire una sala da concerto. Sulle prime si era chiesto se la signora suonasse danze popolari a festicciole infantili, o desse lezioni a signorine che coltivavano uno studio al disopra della loro condizione sociale. In verità gli era occorso ben poco tempo per venirne sufficientemente in chiaro. Tutto si svolse in fretta, perché il bambino riuscì d'aiuto non meno del pianoforte. Sidney compariva di continuo sulla soglia del n. 3: era socievolissimo e con Peter aveva stabilito un rapporto autonomo: lo dimostravano le frequenti audaci visite, disopra, a certi libri illustrati (criticati per non raffigurare tutti «gigì») e a certi bastoni da passeggio fortunatamente meglio accetti. Anche la finestra del giovane contribuiva alla loro conoscenza. Attraverso una tendina di mussola inamidata, egli poteva tener costantemente d'occhio la vicina e spiarne i movimenti più di quanto gli pareva averne diritto. Egli era capace di timide curiosità, di piccole delicatezze silenziose nei suoi confronti. Qualche lezione, più che altro locale, Mrs Ryves la dava veramente, e Peter finiva per sapere più o meno il motivo di ogni sua uscita, o da quale commissione fosse rientrata. Henry James
224
1970 - Racconti Di Fantasmi
Visite non ne riceveva quasi per nulla, salvo un paio di vecchie signore per bene e, ogni giorno, la povera sbiadita Miss Teagle, anziana la sua parte, che veniva - umile e sottomessa - a far da governante al bambino degli «studioli». La finestra di Peter Baron si era sempre affacciata su un ampio squarcio di vita, egli pensava, e una delle cose che non aveva cessato di palesargli era che non c'è nessuno di così povero da non poter esigere, per un compenso di due soldi, i servizi di qualcuno ancor più povero. Mrs Ryves era una donna che lottava per vivere (anche se a Baron non piaceva pensarlo), ma per Miss Teagle, persona di pur agiate origini la cui vita era stata un seguito di diplomi e di umiliazioni, essa stava in cima a un pinnacolo. Mrs Ryves, come lo stesso Baron, usciva talvolta con dei manoscritti sotto braccio, e - ancora più come Baron - quasi sempre li riportava a casa. I suoi vani approcci erano rivolti ai venditori di musiche: cercava di produrre, di comporre canzoni destinate ad ottenere successo. Una canzone di successo costituiva un'entrata, ella ebbe a confidare a Peter una delle prime volte in cui lui riaccompagnò Sidney, blasé e assonnato, dalla madre. Non fu in una di queste occasioni, ma un'altra volta, quando egli era entrato in casa di lei senza miglior pretesto se non quello di desiderarlo (lei, dopo tutto lo aveva virtualmente invitato), fu allora che gli disse che, su mille canzoni, una sola riscuoteva successo; la tremenda difficoltà era trovare le parole appropriate. L'adeguatezza del testo era solo una volgare questione di fortuna: c'erano mucchi di parole bellissime che non servivano proprio a niente. Peter, ridendo, osservò che, senza dubbio, qualsiasi testo avesse tentato di comporre lui, sarebbe apparso troppo ricercato... Eppure, solo tre settimane dopo il suo primo incontro con Mrs Ryves, eccolo seduto alla sua diletta ribaltina (pur conscio di essere pressato da doveri più urgenti), nell'intento di mettere insieme una filza di versi abbastanza melensi da fare la fortuna della vicina. La finezza del talento musicale di Mrs Ryves lo appagava: c'era in esso una nota commovente, la stessa nota commovente che era nella sua persona. La ribaltina era una vera delizia dopo sei mesi di quel suo traballante predecessore, e l'avere, grazie a quel mobile, rinsaldato il proprio stile, non attenuava nel giovane l'impressione di esserselo procurato con mezzi non del tutto leciti. L'aveva comprato calcolando in anticipo il compenso che si aspettava da Mr Locket, ma la generosità di Mr Locket doveva per forza dipendere dalla capacità inventiva del suo collaboratore, il quale si trovava Henry James
225
1970 - Racconti Di Fantasmi
ora di fronte alle conseguenze del proprio frivolo ottimismo. Guardato con i gomiti appoggiati allo scrittoio, il frutto della sua fatica mostrava un volto del tutto intransigente e incorruttibile. Sembrava a sua volta guardare Baron con aria di rimprovero e giungere a una sua conclusione sostanziale: «Come hai potuto fare una promessa tanto vile? Come ti sei indotto a dare la tua parola per mutilarmi, per disonorarmi?» Le modifiche richieste da Mr Locket erano impossibili, le concessioni al giudizio formulato dal direttore sulla mente ottusa del pubblico addirittura degradanti. La mente del pubblico! Come se il pubblico avesse una mente o un qualunque canone di percezione più vivace di quanto non sia lo sguardo vitreo di un ammasso di pecore! Peter Baron sentiva che toccava a lui stabilire se, per riscrivere il suo racconto, a fargli difetto non fosse l'ingegno o, piuttosto semplicemente, l'incapacità di prostituirsi. In verità, se avesse avuto meno orgoglio, sarebbe stato più abile, e, dotato di maggiore esperienza, si sarebbe mostrato più saggio. Nella professione letteraria l’umiltà era per metà questione di esperienza, e metà del successo stava nella rassegnazione. Il povero Peter arrossiva di sofferenza nel riconoscere che la produzione di una gelida prosa (della quale il suo editore non sapeva che farsene da un lato, e che egli stesso era ugualmente incapace di utilizzare dall'altro) non era garanzia di successo. La verità circa il suo sfortunato racconto era questa: dopo essere riuscito - bene o male - ad assaporare per qualche giorno il gusto del successo, ora quel gusto si era fatto tanto più amaro. Quando se ne stava lì seduto, avvilito e scuro in volto, a mordicchiare la penna e a chiedersi quali fossero i «compensi» della letteratura, di solito finiva col gettare da una parte la composizione deflorata da Mr Locket e metteva mano a quella specie di melensaggini che Mrs Ryves avrebbe magari tentato di musicare. Un'esperienza del genere non era un «compenso» letterario, ma non poteva forse diventare una fatica d'amore? Lo sforzo compiuto gli sarebbe riuscito gradito se l'avesse gradito la sua impenetrabile vicina. Tale ella gli appariva adesso: a poco a poco, aveva appreso sul conto di lei quel tanto che gli bastava ad intuire quanto ancora restasse da apprendere. Passare le mattine a comporre rime facili per lei era senza dubbio un modo di eludere il quesito immediato: c'erano però ore in cui il problema gli appariva troppo arduo nel complesso, ore in cui rifletteva che tanto valeva perir di spada che di fame. Inoltre, considerare che il suo fallimento non sarebbe stato così completo se fosse riuscito a Henry James
226
1970 - Racconti Di Fantasmi
mettere insieme qualche canzoncina a cui le musiche di Mrs Ryves avrebbero dato una certa diffusione, sarebbe stato come affrontare il problema di striscio. Non si era ancora arrischiato a mostrarle nulla, ma una mattina, in un momento in cui Sidney era da lui, gli parve, come per ispirazione, di essere giunto a un felice punto intermedio (era un'arte a sé!) fra musica e significato. Se il significato reggeva era perché le note gli erano ormai famigliari. Aveva detto al bambino, al quale aveva sacrificato zucchero d'orzo (benché non di suo gusto, ne serbava sempre qualche pezzetto in quei giorni), aveva dunque confidato al piccolo Sidney che, se avesse aspettato un momento, l'avrebbe incaricato di portare alla mamma una bella cosa. Mentre Peter ricopiava in nitida calligrafia la canzone, Sidney, assorbito dai fatti suoi, vagava per la stanza, gorgogliante e appiccicoso. In questo stato se ne venne barcollando come un piccolo ubriaco verso la parte posteriore della ribaltina, situata a pochi passi dal vano della finestra, e, siccome gli piaceva accompagnare le sue gioie più intense battendo il tempo, cominciò a picchiare la superficie di legno con un tagliacarte caduto per caso proprio su quel punto del pavimento. Nell'istante in cui Sidney si abbandonava a tali violenze, il suo benevolo amico aveva sollevato la ribalta dello scrittoio e, a testa bassa, stava frugando tra un mucchio di carte in cerca di una busta adatta. - Ehi, ehi, ragazzino! esclamò, preoccupato per la patina antica di quel suo bene prediletto. Sidney smise per un attimo; poi, mentre Peter era ancora a caccia della busta, assestò un secondo colpo, questa volta con manifesta disubbidienza. Peter, che ne udì il rumore dall'interno, rimase colpito dalla stranezza del suono, tanto che - abbandonato per un momento il piccino in preda a una perversa sensazione d'impunità - attese incuriosito il ripetersi del colpo. Che venne subito, naturalmente, e allora il giovane, trovata finalmente la busta, si levò di scatto esclamando: - Perbacco, quest'affare ha un doppio fondo! - Immobilizzò il visitatore imprigionandolo col braccio sinistro sopra un ginocchio, mentre con la mano libera vergò l'indirizzo sulla missiva a Mrs Ryves. Zelante com'era in fatto d'ambasciate, Sidney fu tolto di torno senza difficoltà. Quando se ne fu liberato, Baron stette un momento in piedi davanti alla finestra a far tintinnare in tasca monetine e chiavi, mentre si chiedeva se l'affascinante compositrice avrebbe giudicato le parole per la sua musica belle o - per meglio dire - brutte quanto le giudicava lui. Volse Henry James
227
1970 - Racconti Di Fantasmi
la testa, e l'occhio gli cadde sulla parte posteriore della ribaltina dove, con suo rincrescimento, tre o quattro segnacci denunciavano l'aggressione di Sidney. - Accidenti a quel piccolo mostro! - esclamò, come se gli fosse stato dissacrato l'altare. Si rammentò tuttavia della constatazione a cui l'oltraggio recato l'aveva indotto e, per un'ulteriore verifica, batté con la nocca un colpetto sul legno. Da quella posizione il rumore prodotto era abbastanza normale, ma Peter si confermò nel suo sospetto allorché, di nuovo in piedi accanto alla scrivania, s'introdusse col capo sotto la ribalta sollevata, e rimase in ascolto mentre, col braccio teso, batteva un colpo secco nello stesso punto. Il fondo del mobile era chiaramente cavo: fra le pareti interne ed esterne c'era uno spazio così profondo (avrebbe saputo dire quanto) che si diede dello sciocco per non essersene accorto prima. Il ricettacolo, da una parte all'altra, era tanto vasto da sacrificare - senza essere scoperto - una notevole quantità di spazio, e il sacrificio andava inteso naturalmente per uno scopo, e lo scopo non poteva essere che quello di creare uno scomparto segreto. Peter Baron era ancora abbastanza ragazzo per eccitarsi all'idea di un particolare di questo genere, tanto più che qualsiasi indicazione in merito risultava abilmente dissimulata. Gli antiquari non se n'erano mai accorti, altrimenti vi avrebbero richiamato l'attenzione del cliente, magari rincarando il prezzo. Miti e leggende gli insegnavano che, dove c'è un nascondiglio segreto, c'è sempre una molla nascosta, e Baron esaminò, premette, tastò nell'ansiosa ricerca del punto nevralgico. Il mobile era davvero un capolavoro di precisione; ogni particolare vi era inserito con esattezza tale da mantenerne integro l'aspetto esteriore. Proseguendo nella ricerca durata parecchi minuti, Baron rifletté che quei bottegai, dopo tutto, non erano così sciocchi. Avevano ammesso del resto di aver trascurato per puro caso quel relitto di nobile provenienza, sfuggito ai loro occhi in mezzo alla profusione di tanti tesori. Si ricordò adesso che il mercante voleva passare una mano di lucido sul mobile prima di spedirlo a casa, e che lui stesso, soddisfatto dal canto suo di quell'apparenza rispettabile, avverso com'era al mobilio verniciato, aveva ricusato, nella sua impazienza, di aspettare che l'operazione venisse eseguita, cosicché il pezzo era partito per Jersey Villas due o tre ore dopo, portando, com'era presumibile, il suo segreto con sé. Pareva davvero volerlo serbare, quel segreto: era assurdo lasciarsi confondere a quel modo, eppure Peter non riusciva a scoprire la molla. Batté e sondò, tese l'orecchio e tornò a Henry James
228
1970 - Racconti Di Fantasmi
esaminare, ispezionò ogni commessura, ogni interstizio, ottenendo il risultato di essere sempre più sicuro dell'esistenza di una cavità e di concludere che la sua ribaltina era davvero un pezzo pregiato. Non soltanto esisteva uno spazio tra i due fondi, ma dentro quello spazio era celato qualcosa, senza dubbio! Si trattava forse di un manoscritto smarrito - una bella storia intatta, all'antica, per la quale Mr Locket non avrebbe sollevato obiezioni. Peter tornò alla carica: gli venne in mente che forse non aveva esaminato a sufficienza i sei cassettini di varie dimensioni che, disposti in due file verticali e inseriti di lato in quel pezzo della struttura, costituivano in parte la base della scrivania. Estrasse i tiretti e studiò più minutamente la condizione dei loro scorrevoli, raggiungendo il felice risultato di scoprire infine, nel punto in cui era inserito il terzo cassetto a sinistra, un'assicella liscia e mobile. Dietro l'assicella ecco una molla, come un bottone piatto, che cedette con un clic alla sua pressione, rivelando subito l'allentarsi di uno dei pezzi del ripiano che formava la parte superiore della ribaltina, tutti commessi uno nell'altro con una precisione capace d'ingannare chiunque. Questo pezzo in particolare risultò essere, a sua volta, un pannello scorrevole che, sospinto, rivelò l'esistenza di un nascondiglio più piccolo, una scatola stretta, rettangolare, nella finta parete del mobile: era di limitata capacità, ma se non poteva celare molte cose, poteva nasconderne di preziose. Di fronte all'ingegnosità con cui il segreto era dissimulato, Baron avverti subito la stranezza del caso: se il piccolo Sidney non avesse vibrato quei colpi all'esterno nel momento in cui lui stesso stava col capo dentro lo scrittoio, sarebbero forse trascorsi degli anni senza che avesse il minimo sospetto di nulla. E sarebbe stato un bel danno, perché non si era sbagliato nel supporre che la cavità non fosse vuota. Conteneva qualche cosa che - preziosa o no - era stata ritenuta da qualcuno degna di essere nascosta. Il «qualche cosa» era una raccolta di pacchettini piatti del formato di lettere, avvolti in carta bianca e sigillati con cura. I sigilli, impressi meccanicamente, non presentavano né stemmi né iniziali. La carta, vecchia, era diventata lievemente giallognola: chissà da quanto erano là dentro, quei pacchetti! Baron li contò: erano nove in tutto, di varia dimensione; li voltò e li rivoltò, li palpò incuriosito, li annusò: avevano un vago odore di muffa che gli provocò un senso di malinconia, quasi si trattasse di una voce umana soffocata. I plichi non portavano nome né numero, non v'era una parola di scritto su nessuno degli involucri: Henry James
229
1970 - Racconti Di Fantasmi
contenevano semplicemente vecchie lettere, scelte e suddivise in base a date o nomi di corrispondenti. Narravano di qualche vecchia storia morta: erano le ceneri di fuochi spenti. Mentre Peter Baron si passava le sue scoperte da una mano all'altra, avverti un curioso stato d'animo: non era esaltazione, e tuttavia era ancor meno pura sofferenza. Aveva fatto una scoperta, una scoperta che però, in qualche modo, veniva ad aumentare la sua responsabilità: egli si trovava in presenza di qualcosa d'interessante, ma la circostanza veniva a un tratto - e non avrebbe saputo dire perché - a rappresentare un pericolo. Era l'intuizione di questo pericolo, per esempio, che lo tratteneva dall'impulso di spezzare uno dei sigilli. Li osservò tutti da vicino, ma badò bene a non staccarli, mentre con un certo disagio si domandava se non fosse giusto considerare il contenuto del segreto proprietà di quegli antiquari di King's Road. Aveva sì sborsato dei denari per la ribaltina, ma ne aveva sborsati per quelle carte che in essa erano sepolte? Ne pagava lo scotto con quella indefinibile sensazione di freddo che gli era venuta addosso - lo scotto pagato già altre volte in passato: quello di esser fatto di materia sensibile. Era come se gli si fosse surrettiziamente presentata un'occasione di sacrificio, un sacrificio sull'altare di una nobile superstizione, qualcosa di simile all'onore, alla bontà o alla giustizia, qualcosa di forse ancor più nobile: un dovere di difficile decifrazione, un'impossibile, allettante prova di saggezza. In piedi davanti al suo ambiguo tesoro, assorto per il momento nell'impressione di un guaio incombente, sussultò nell'udire un bussare leggero e rapido alla porta dello studio. Istintivamente, prima di rispondere, rimase in ascolto un istante, nell'atteggiamento dell'avaro sorpreso a contare il proprio gruzzolo. Poi rispose: - Un attimo, per favore! - e fece scivolare il mucchio di plichi nel più grosso cassetto della scrivania rimasto aperto. Il varco nel doppio fondo era tuttora evidente e Peter non ebbe il tempo di azionare di nuovo la molla; vi posò sopra un grosso libro e andò ad aprire. La visione che gli si offerse non gli riuscì meno gradita per essere inattesa: l'aggraziata e irrequieta figura di Mrs Ryves. Era in uno stato di così evidente agitazione da fargli credere sulle prime che fosse accaduto qualcosa di grave al bambino e si fosse precipitata di sopra a chiedere aiuto, a pregarlo di andare a chiamare un medico. Poi si rese conto che quell'agitazione era probabilmente dovuta ai versi sciagurati che le aveva inviato un quarto d'ora prima, giacché la vicina teneva in una mano il Henry James
230
1970 - Racconti Di Fantasmi
foglio manoscritto aperto, e con l'altra lo spiegazzava. Era spaventata e graziosa, e se, nel violare l'intimità di un coinquilino, si era resa colpevole di una deroga da usanze severe, appariva perlomeno cosciente della mostruosità del passo compiuto e incapace di prenderlo alla leggera. Leggero si senti Peter Baron, che si sforzò tuttavia di ammantare di rispetto la propria cordialità, sospingendo davanti all'ospite la seggiola d'onore e ripetendo quanto piacere gli procurasse quella visita. Mrs Ryves era entrata lasciando l'uscio socchiuso e, dopo un minuto durante il quale egli - nell'intento di venirle in aiuto - la sollecitava a dirgli di vergognarsi di mandarle robaccia del genere, lei riacquistò sicurezza sufficiente per balbettare che i suoi versi erano proprio ciò di cui aveva bisogno, a tal punto che, dopo averli letti, era stata presa da un impulso irresistibile, straordinario: quello di non tardare a ringraziarlo di persona. - E stato l'impulso di un animo gentile, - rispose lui, - e non le dico il piacere che mi procura. Mrs Ryves ricusò di accomodarsi: era chiaro che desiderava dare l'impressione di essere venuta per pochi minuti. Si guardò intorno imbarazzata, e quando il suo sguardo incontrò quello di lui, Peter fu colpito dall'appello ansioso che conteneva. Non pensava ovviamente alla canzoncina da lui composta, sebbene avesse ripetuto per tre o quattro volte di seguito che era splendida. - Ecco, desideravo solo che lo sapesse, ma ora debbo andare, -soggiunse. Viceversa, sul tappeto davanti al camino, indugiò con così inatteso abbandono che quasi gli fece compassione. - Forse posso modificarla se trova che non va, - disse Baron. - Sono così lieto di fare ciò che posso per lei. - Può darsi che un paio di parole vadano cambiate, - gli rispose con aria assente. - Bisognerà che ci ripensi, che me ne impadronisca un po'. Ma mi piace, e volevo dirglielo. - E molto gentile da parte sua. Non sono affatto occupato, -annunciò Baron. Di nuovo lei lo guardò intensamente turbata, poi all'improvviso, gli domandò: - C'è qualcosa che non va? - Che non va? - Voglio dire: non si sente bene, o è preoccupato? Me lo sono chiesta a un tratto, una fantasia così, ed è questa, credo, la vera ragione per cui sono salita. Henry James
231
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Nulla del genere, le assicuro: sto benissimo. Ma le sue fantasie improvvise sono ispirazioni. - Sono assurdità: lei deve scusarmi. Arrivederla, - disse Mrs Ryves. - Quali sono le parole che vuole cambiare? - domandò Baron. - Nessuna, se lei sta bene. Arrivederla, - ripetè la visitatrice fissando per un istante lo sguardo su un oggetto dello scrittoio che l'aveva colpita. Gli occhi di lui si volsero nella stessa direzione e si accorse che, nella fretta di nascondere i pacchetti trovati nella ribaltina, ne aveva dimenticato uno, rimasto in vista con i suoi sigilli. Lì per lì si senti scoperto come se avesse atteso a un'occupazione vergognosa, e soltanto ripensandoci un attimo si disse quanto poco poteva riguardare Mrs Ryves la vicenda di cui quel pacchetto era una conseguenza. Lo sguardo consapevole di lei tornò ad incrociare il suo, come per sondarlo. Ad un tratto, all'istinto di tenere la sua scoperta per sé, fece seguito in Baron la deduzione davvero allarmante che, con rara prontezza, Mrs Ryves aveva indovinato qualcosa e che quella divinazione (davvero soprannaturale) era stata la vera ragione della sua visita. Qualche segreta telepatia l'aveva fatta vibrare, ispirandole la certezza che egli aveva fatto una scoperta. Pochi istanti dopo capì ch'essa aveva intuito la sua riflessione di quel momento, il che gli procurò un desiderio vivo, un desiderio grato, gioioso di mostrarsi come uno che non ha nulla da nascondere. Quanto a lei, quella certezza la indusse alla determinazione ancora più salda di concludere la breve visita. Ma prima che avesse raggiunto la soglia, Baron uscì a dire: - Se sto bene? Come può stare altrimenti uno che ha appena fatto una tale scoperta? Lei tacque a queste parole e mantenne un'espressione seria nel domandargli: - Che cosa ha scoperto? - Vecchie carte di famiglia, in uno scomparto segreto del mio scrittoio -. E, preso in mano il pacchetto dimenticato, lo tenne davanti agli occhi della sua ospite: - Ce ne sono parecchi altri come questo. - Che cosa sono? - chiese Mrs Ryves in un bisbiglio. - Non ne ho la minima idea. Sono sigillati. - Non ha spezzato i sigilli? - Era tornata indietro di un altro poco. - Me n'è mancato il tempo. È successo solo dieci minuti fa. - Lo sapevo, - fece Mrs Ryves, questa volta in tono più gaio. - Che cosa sapeva? - Che si era messo in qualche impiccio. Henry James
232
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Lei è straordinaria. Non ho mai assistito a un prodigio del genere: e alla distanza di due rampe di scale! - Ma è veramente in un impiccio? - chiese lei. - Sì; non so se restituirli o no -. Peter Baron, in piedi davanti alla sua visitatrice, la guardava sorridendo e tamburellando col pacchetto sul palmo della mano. - Lei che mi consiglia? Fu lei a sorridere ora, con gli occhi fissi sul plico. - Restituirli a chi? - Al rigattiere da cui ho comprato la scrivania. - Ah, allora non sono carte della sua famiglia? - No davvero. Il mobile in cui erano nascosti non l'ho ereditato dai miei avi. L'ho comperato di seconda mano - vede com'è vecchio - l'altro giorno, in King's Road. A quanto sembra, l'uomo che me l'ha venduto mi ha venduto più di quanto supponesse: non sospettava (dando prova di stupidità, dal suo punto di vista) che il mobile avesse un «segreto» in cui erano celati documenti misteriosi. Dovrei andarglielo a dire? È un bel problema. - Sono documenti di valore? - Non ne ho la minima idea. Ma posso accertarmene rompendo un sigillo. - Non lo faccia! - esclamò Mrs Ryves, come ispirata. Aveva ripreso un'espressione grave. - E abbastanza allettante, ma certo è un po' un problema, -continuò Baron, rivoltando il pacchetto tra le mani. Mrs Ryves esitò. - Vuole mostrarmi ciò che ha in mano? Baron le porse il plico, ed ella se lo portò al naso per un attimo. - Ha uno strano profumo, affascinante, - osservò il giovane. - Affascinante? È tremendo. - Glielo restituì, ripetendo con maggior enfasi: - Non lo faccia! - Non devo rompere il sigillo? - Non restituisca i documenti! - È onesto tenerli? - Certamente. Appartengono a lei quanto alla gente del negozio. Quando il mobile venne nelle loro mani, le carte erano nascoste nel segreto: avevano ogni possibilità di scoprirle. Non l'hanno fatto, perciò ne accettino le conseguenze. Peter Baron rifletté, divertito dall'intensità di quella partecipazione. Era pallida, lo sguardo infuocato. - Lo scrittoio l'avevano lì da anni. Henry James
233
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Ciò dimostra che nessuno s'è accorto della mancanza delle carte. - Le voglio far vedere com'erano celate, - riprese Baron. Le mostrò l'ingegnoso nascondiglio e il funzionamento della strana molla. La sua ospite era interessatissima; nell'eccitazione il suo tono divenne famigliare. Di nuovo lo supplicò di non far nulla di tanto insensato come rinunciare a quelle carte, il resto delle quali egli dispose in fila davanti ai suoi occhi, negli involucri sbiaditi, impenetrabili. - Se ne potrebbe rintracciare la storia... l'appartenenza, - egli obiettò. Mrs Ryves rispose che, appunto per questo, lui doveva starsene zitto. Baron dichiarò che le donne non hanno il minimo senso dell'onore, e lei replicò che, comunque, hanno intuizioni diverse, più sottili di quelle degli uomini. Fu pronto ad ammettere che, probabilmente, quei documenti erano ciarpame, ed ella convenne che nulla era più probabile; tuttavia, alla proposta di chiarire la questione all'istante, Mrs Ryves lo afferrò per il polso riconoscendo - per assurdo che fosse - di sentirsi nervosa. Alla fine aggirò la situazione pregandolo di farlo solo per lei. Gli chiese di trattenere i documenti, di non farne parola, unicamente per compiacerla. Non gli pareva motivo sufficiente? La conoscenza di Baron, il suo cordiale rapporto con lei permisero di fare molti passi avanti nella disamina del problema, discutendo il quale finì per farsi strada una sorta di amichevole candore. - Non riesco a capire perché le stia tanto a cuore l'una piuttosto che l'altra soluzione, né perché valga la pena di discuterne, -osservò il giovane. - Neppure io. È soltanto un capriccio. - Certo, per farle piacere non dirò nulla al negozio. - E molto gentile da parte sua, gliene sono assai grata. Ora capisco che è stato questo l'impulso che mi ha spinta a salire: salvare i documenti, continuò Mrs Ryves. E soggiunse nel congedarsi che, avendoli ormai messi in salvo, doveva proprio andarsene. - Messi in salvo per che cosa? - fece Baron; - dal momento che non mi permette di dissigillarli... - Non so... per compiere un bel gesto. - Ma perché un bel gesto? Qual è la posta in gioco? - domandò Peter appoggiato allo stipite, mentre lei indugiava sul pianerottolo. - Cosa sia non so; ma ho la sensazione che qualche cosa sia in pericolo. Li bruci! - esclamò; e le brillavano gli occhi. - Ah, lei chiede troppo! Io muoio di curiosità!... - Bah, non voglio chiedere più di quanto mi sia lecito, e già le sono Henry James
234
1970 - Racconti Di Fantasmi
molto grata per avermi promesso di tacere. Mi affido al suo discernimento. Addio. - Il mio discernimento merita però una ricompensa, - osservò Baron, uscendo sul pianerottolo. Mrs Ryves stava già scendendo le scale e si fermò; gli sorrise guardando in su, appoggiata alla balaustra. - Senza dubbio l'averla onorata della mia visita è già una ricompensa. - Deliziosa, su questo siamo d'accordo. Ma cosa farà lei per me, se io brucio quelle carte? Mrs Ryves parve riflettere un momento. - Prima le bruci, e poi vedrà! Dopo di che scese rapidamente le scale, e Baron, al quale la risposta era apparsa inadeguata, e la proposta, formulata a quel modo, grossolanamente ingiusta, se ne tornò in camera. Il vivo interesse da lei mostrato in una faccenda in cui essa - era ovvio - non rischiava nulla, lo intrigava, lo divertiva e, per di più, lo affascinava in maniera irresistibile. Era una donna delicata, estrosa, facile a prender fuoco, rapida di sentimenti, rapida nell'azione. Non se ne rammaricava, era così che gli piacevano le donne; ma per il momento nulla lo vincolava a consegnare alle fiamme i pacchetti sigillati. Li lasciò cadere di nuovo nel loro pozzo segreto, e usci. Si sentiva irrequieto, eccitato: aveva sprecato un'altra giornata: e il lavoraccio da fare per Mr Locket era ulteriormente rinviato.
III. Dieci giorni dopo la visita di Mrs Ryves, fissato un appuntamento col direttore della rivista, Peter si recò di nuovo a trovarlo nella casetta di Chelsea, rivestita di legno. Quell'ufficio, circondato da tutti i ferri del mestiere - uno strame di giornali, una siepe di enciclopedie, una galleria di fotografie di collaboratori ben noti - scuro e affumicato com'era, gli rammentava il fornello di una vecchia pipa. Si ripromise sulle prime di rubare a Mr Locket pochissimi dei minuti che tanti numerosi impegni si contendevano. Tuttavia fu l'editore stesso che, poco dopo, diede maggiore spazio, maggior respiro all'intervista, quand'ebbe scoperto che il povero Baron era venuto per dirgli qualcosa di più interessante della propria incapacità - dopo tutto - di rabberciare il racconto. Peter aveva iniziato così: aveva rispettosamente dichiarato ch'era quello un caso contro il quale si ribellavano in lui sia esperienza che principi; poi, constatato quale scarso Henry James
235
1970 - Racconti Di Fantasmi
effetto la sua audacia produceva su Mr Locket, si era sentito debole, piuttosto sciocco, lasciato solo a reggere il peso del proprio eroismo. Si era armato per una lotta in campo aperto, ma la rivista non protestava neppure, e non gli sarebbe rimasto altro che andarsene con la prospettiva di non farsi vedere mai più, se d'un tratto non fosse uscito a dire, con tono indifferente, mentre si alzava per accomiatarsi: - Non le interessa per caso Sir Dominick Ferrand? Mr Locket, che si era alzato a sua volta, lo guardò al di sopra degli occhiali. - Il defunto Sir Dominick? - L'unico: come lei sa, la famiglia è estinta. Mr Locket lanciò al suo giovane amico un'altra occhiata penetrante, muta replica alla sua richiesta disinvolta. - Estintissima, senza dubbio. Al giorno d'oggi, temo, l'argomento risulterebbe di scarso interesse. - Ne è proprio sicuro? - domandò Baron. Mr Locket si sporse un poco in avanti, le punte delle dita premute sul tavolo, in atto di chi autorizza l'altro a prender congedo - Potrei considerare la cosa sotto un profilo speciale -. Tacque un momento, relegando il povero Peter nel vago: ma, incrociato di nuovo lo sguardo del giovane, domandò: - Intende, ehm, proporre un articolo su di lui? - Non esattamente proporre un articolo... perché non vedo in quale modo io... ma l'idea mi attira abbastanza. Mr Locket asserì con sicurezza che l'eminente statista era stato a suo tempo una figura di rilievo; poi soggiunse: - L'ha studiato? - Mi ci sono immerso. - Temo non sia un argomento d'attualità, - disse Mr Locket radunando delle carte. - Forse potrei renderlo io d'attualità, - dichiarò Peter Baron. Mr Locket lo fissò di nuovo, incapace di trattenere un «Lei?» tutt’altro che smorzato. - Ho del materiale nuovo, - disse il giovane arrossendo un poco- - Ciò vale molte volte a rinfrescare una vecchia storia. - Sovente serve a seppellirla. Spesso non è altro che una nuova Pietra tombale. - Dipende da cosa si tratta, - riprese Peter. - Tuttavia le carte di cui le parlo costituirebbero una documentazione schiacciante. Di sotto le lenti Mr Locket gli lanciò un'altra occhiata esitante. - Allude a... ehm,... rivelazioni? - Rivelazioni molto curiose. Henry James
236
1970 - Racconti Di Fantasmi
Mr Locket, sempre in piedi, aveva mantenuto il corpo nella posizione di un mezzo inchino; gli fu quindi facile, dopo un istante, curvarsi ancora di più e lasciarsi cadere sulla propria sedia, con un movimento della mano verso la seggiola occupata prima da Baron. Baron approfittò del vantaggio, e la conversazione riprese l'avvio, resa un po' meno avvilente per il nostro giovanotto dall'elargizione di quel privilegio. Non aveva formulato alcun progetto di confidare il suo segreto a Mr Locket: era venuto per recargli coscienziosamente l'altro annuncio: quello per cui risultava chiaro che tanto suo fervore artistico era andato sprecato. Nei giorni precedenti giorni di penosa indecisione - egli si era rivolto con l'immaginazione al direttore della rivista come s'era rivolto ad altre fonti di conforto; ma, girala e voltala, i suoi scrupoli continuavano a molestarlo e se, da un lato, non aveva assolutamente escluso di far accenno allo straordinario ritrovamento, a maggior ragione aveva affidato il modo di introdurre il tema alla decisione del momento. In realtà era troppo nervoso per prendere partito: solo avvertiva l'esigenza di comunicare il rinvenimento del carteggio per sentirsi l'animo in pace. Gli occorreva un'opinione, il parere di qualcun altro, e persino, durante quella visita eminentemente professionale, cinque minuti dopo l'inizio del racconto della sua curiosa storia si senti alleggerito di metà del suo fardello. La storia era davvero curiosissima: lui stesso, parlandone, ne misurava la stranezza: ma non sarebbe stata proprio questa la circostanza atta a qualificarla per la rivista? - Naturalmente le lettere potrebbero essere un falso, - sentenziò alla fine Mr Locket. - È fuor di dubbio che molti la penseranno così. - Le ha viste qualche esperto? - No davvero: non le ha viste nessuno. - Ne ha qualcuna con sé? - No: mi innervosiva il solo pensiero di portarle in giro. - Peccato: avrei desiderato vederle con i miei occhi. - Potrà vederle se viene a casa mia. Se poi preferisce non farlo senza ulteriori garanzie, gliene trascriverò qualche brano. - Scelga alcuni dei peggiori! - disse Mr Locket ridendo. Le sconvolgenti informazioni di Baron l'avevano fatto diventare più umano, più simpatico. Ma, poco dopo, soggiunse asciutto: - Lei sa che bisognerebbe sottoporre i documenti ad un esperto. - È proprio ciò che mi fa paura, - disse Peter. Henry James
237
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Senza di questo per me non avranno nessun valore. Peter fece appello alle sue più segrete energie. - E che valore potranno avere per me se li sottoponiamo? Mr Locket si rigirò sulla poltrona. - Prima di rispondere a codesta domanda, esigerei vederli. - Sono stato al British Museum: ci sono molte lettere di Sir Dominick Ferrand. Ho ottenuto il permesso di esaminarle, e ho confrontato con cura ogni cosa. Escludo ogni possibilità di falso. Ci sono tutti i segni dell'autenticità: esistono particolari, persino nei timbri postali, che nessun falsario si sarebbe potuto inventare. Del resto, chi ne avrebbe tratto vantaggio? Un lavoro di indicibile difficoltà, e a quale scopo? Sono parecchie lettere: ventisette in tutto. - Buon Dio, che idiota! - esclamò Mr Locket. - Sarà una delle più straordinarie rivelazioni post mortem di cui la storia conservi testimonianza. Mr Locket, fattosi serio, tormentava con un tagliacarte l'interstizio di un cassetto. - Molto curioso. Ma affinché simili documenti abbiano un qualunque valore, debbono venir sottoposti ad una ricerca critica... una ricerca storiografica, voglio dire. - Certamente; ciò sarà compito del pubblicista che li presenterà ai lettori. Di nuovo Mr Locket rifletté, poi alzò il capo sorridendo. - Lei farebbe bene a rinunciare alla composizione di opere originali per dedicarsi all'acquisto di mobili usati. - Dice che sarebbe più redditizio? - Nel suo caso direi che la composizione originale non potrebbe rendere meno. La capacità creativa è così rara! - Mi sento proprio tentato di rivolgere la mia attenzione a protagonisti reali, - rispose Peter. - Devo dichiarare che Sir Dominick Ferrand non è mai stato per me un protagonista. Presuntuoso, scaltro, un personaggio di second'ordine, così l'ho sempre giudicato io. Del resto, non è un segreto che la sua vita privata aveva dei lati deboli. Un fuoco di paglia; ecco quello che è stato, null’altro. - Ma dice qualcosa al popolo di questo Paese, - osservò Baron. - Lo ha detto a suo tempo; ma la sua voce, la voce del suo prestigio, intendo dire, ormai non giunge quasi più all'orecchio di nessuno. - Al Foreign Office fece cose di cui ci si vanta ancor oggi: il famoso «scambio» con la Spagna, nel Mediterraneo, che colse l'Europa di sorpresa Henry James
238
1970 - Racconti Di Fantasmi
e destò il risentimento dell'altra parte, specie quando risultò evidente il vantaggio che ne avevamo tratto noi. Poi l’improvvisa, inattesa prova di forza con la quale impose agli Stati Uniti la nostra interpretazione di quel noioso trattato. Non sono mai riuscito a capire che cosa stabilisse. Sono stati entrambi argomenti di cui a nessuno è mai importato un fico secco, ma che inducevano a credere di dar loro importanza: la nazione fece tanto di cappello alla maniera con cui egli seppe giocare le sue carte: fu un evento insolito. Fu uno dei pochi uomini della nostra epoca che colse l'Europa - o l'America - di sorpresa e le tenne un po' sulla corda: il paese lo apprezzò, era una innovazione gradita. Il resto del mondo credette di sapere comunque ciò che noi avremmo fatto: nulla, come sempre. Dica quello che vuole, è ancora un nome che ha una sua risonanza: in parte, senza dubbio, per motivi diversi: i successi riportati in gioventù, la sua morte prematura, la sua facciatosta politica, il suo acume; il suo stesso aspetto esteriore - era certo un bell'uomo - e le possibilità di futura supremazia personale; allora era di moda dire che quelle possibilità sono scomparse con lui, ed è di moda ancor oggi. Era stato due volte al Foreign Office: già questo era un fatto notevole per un uomo morto a quarantaquattro anni. Che cosa penserà di lui il Paese quando saprà che era venale? Peter Baron non ce l'aveva personalmente con Sir Dominick Ferrand che - dopo una settimana di «lettura febbrile» - era diventato per lui un interessantissimo soggetto di studio psicologico; ma gli era facile mettersi nei panni di quella parte di pubblico ancora abbastanza memore del proprio amor patrio per esserne traumatizzata. Per buona sorte era parecchio tempo che la conduzione della cosa pubblica sentiva l'esigenza di uomini disinteressati e abili, ma gli eccezionali documenti celati (chi l'avrebbe mai pensato? - era una fantasia da incubo!) in una «occasione» di seconda mano trovati da un oscuro pubblicista, avrebbe procurato uno choc ben prevedibile a chi serbasse memoria del passato. Baron prevedeva lucidamente che, se quelle reliquie fossero state rese pubbliche, ne sarebbe seguito uno strascico enorme di scandali, di indignazione, di pettegolezzi. Altrettanto enorme sarebbe stato il contributo recato alla verità, alla rettifica storica. Da diversi giorni aveva l'impressione (ed era questa ad averlo reso così nervoso) di tenere in mano la chiave dell'attenzione pubblica. - Ci sono troppe cose da spiegare, - prosegui Mr Locket, - e la singolare Henry James
239
1970 - Racconti Di Fantasmi
provenance del suo carteggio potrebbe addirittura contare di più, anche superando altre obiezioni. Occorrerebbe tracciare un lungo pedigree, probabilmente complicatissimo. Come sono entrate in quella che lei chiama la sua «ribaltina»? Da quanto tempo vi erano nascoste? Quali mani le hanno scelte? Quali le hanno così incredibilmente tenute strette, conservate? Chi sono le persone in esse menzionate? Chi i corrispondenti, chi i contraenti delle infauste transazioni? Lei dice che le transazioni sembrano appartenere a due generi distinti: alcune connesse con affari pubblici, altre con oscuri rapporti personali. - Hanno tutte un dato comune, - disse Peter Baron, - testimoniano da parte dello scrivente un certo disagio, in taluni momenti un penoso timore di scandalo: in un caso specifico, a quanto ho capito, lo scandalo per essersi avvalso di opportunità ufficiali per promuovere imprese (opere pubbliche e cose del genere) in cui egli aveva interessi finanziari. Nell'altro caso la paura di uno scandalo è chiaramente di natura diversa: si tratta delle prime lettere, in ordine di data. Sono indirizzate a una donna dalla quale egli aveva evidentemente ricevuto del denaro. Mr Locket si ripulì le lenti. - Quale donna? - Non ne ho la minima idea. Ci sono moltissime domande a cui non so rispondere, naturalmente: moltissime identità che non so definire, un gran numero di lacune che mi sento incapace di colmare. Ma su due punti sono ben sicuro, e sono i due punti essenziali: in primo luogo, le carte in mio possesso sono originali; in secondo luogo sono compromettenti. Così dicendo, Peter Baron si alzò di nuovo, piuttosto irritato con se stesso per non essere stato indotto a fare pubblicità al suo tesoro (era lo scetticismo perfettamente naturale del suo interlocutore a provocare quell'effetto): sentiva che si stava mettendo in una posizione falsa. Scopriva nello studiato distacco di Mr Locket il fermentare di certe reazioni da cui, malgrado il suo insuccesso, egli stesso auspicava liberarsi. Mr Locket rimase seduto: guardò Baron che attraversava la stanza per riprendere il cappello e l'ombrello. - Naturalmente insorgerà il problema a chi oggi appartengano legalmente simili documenti. Bisogna tener conto di eredi, discendenti, esecutori. - Fino a un certo punto, forse: ma ho approfondito un poco la questione. Sir Dominick Ferrand non ha avuto figli; non ha lasciato né fratelli né sorelle. Gli sopravvisse la moglie, che mori dieci anni fa. Non può aver avuto né eredi né esecutori di cui valga la pena di parlare, perché non ha Henry James
240
1970 - Racconti Di Fantasmi
lasciato patrimoni. - Ciò gli fa onore, ma è contro la teoria che lei sostiene, - replicò Mr Locket. - Io non ho teorie. Ha lasciato un bel mucchio di debiti, - soggiunse Peter Baron. Al che Mr Locket si levò, mentre il suo visitatore proseguiva: - Per quanto ho potuto appurare, sebbene le mie indagini siano state per necessità molto rapide e superficiali, oggi non esiste più nessuno direttamente o indirettamente imparentato col personaggio in questione, nessuno che possa in qualche modo subire danno dalla pubblicazione di questi documenti. Si presenta il raro esempio di una vita senza un preciso costrutto, per così dire. Quanto meno per il momento non se ne percepisce alcuno. - Capisco, capisco, - fece Mr Locket. - Ma non credo di avere molto interesse per il suo articolo. - Quale articolo? - Quello che mi pare lei desideri scrivere, affrontando questo nuovo argomento. - Oh, io non desidero scriverlo! - esclamò Peter. E disse addio a Mr Locket. - Arrivederla, - rispose questi. - Badi bene, io non dico che la faccenda sia vuota di senso. - Ne coglierebbe il senso, se vedesse i miei documenti. - Mi piacerebbe vedere lo scomparto segreto, - riprese ironico l'editore. Me ne trascriva, però, qualche estratto. - A che scopo, se lei esclude che le possano servire? - Non dico questo; può darsi che mi piacciano le lettere in sé. - In sé? - Non come base di un articolo, ma così... solo per pubblicarle... per fare sensazione. - Le farebbero vendere il numero! - rise Baron. - Direi insomma che mi piacerebbe dar loro un'occhiata, - ammise Mr Locket dopo un momento. - Quando la trovo in casa? - Non venga, - rispose il giovane, - Non è un'offerta, la mia. - Può darsi che gliene faccia una io, - insinuò l'editore. - Non si disturbi: probabilmente le distruggerò. Con queste parole Peter Baron lasciò l'ufficio, trattenendosi tuttavia nella strada vicina, come in attesa di una carrozza di passaggio, a cui, se Henry James
241
1970 - Racconti Di Fantasmi
fosse comparsa, non avrebbe fatto segno. Forse Mr Locket gli sarebbe corso dietro, ma Mr Locket evidentemente aveva altro da fare, e Peter Baron se ne tornò a piedi a Jersey Villas.
IV. La sera successiva a questo incontro palesemente infruttuoso, Baron ebbe un colloquio più conclusivo con Mrs Bundy, la cui visione, sagacemente filosofica, della vita, gli aveva fatto esprimere più volte persino con la stessa brava donna - apprezzamenti non da poco. La situazione a Jersey Villas (Mrs Ryves era improvvisamente fuggita a Dover) era tale da suscitare in lui il bisogno di un sostegno morale, e in Mrs Bundy c'era una sorta di domestico pragmatismo che sembrava metterla in valore. Aveva chiesto di lei rientrando, ma gli avevano risposto ch'era fuori per un'ora; al che Peter s'era dedicato macchinalmente al compito di rabberciare il suo disonorato manoscritto - il ben congegnato racconto verso il quale Mr Locket aveva dato prova di tanta ottusità - nella prospettiva di altre avventure e non improbabili sconfitte. Aveva trascorso un pomeriggio inquieto e inconcludente a domandarsi se il suo ingegno fosse soltanto una terribile delusione, oppure a guardar fuori dalla finestra in attesa di qualcosa che non accadeva; l'arrivo di un suadente Mr Locket o il rientro della sua simpatica vicina degli «studioli» da un'assenza più deludente ancora di quella di Mrs Bundy. Era così nervoso, così depresso da sentirsi addirittura incapace di fissare la mente sul biglietto che avrebbe accompagnato il manoscritto alla prossima peregrinazione. Era troppo nervoso per mandar giù un boccone, e si scordò persino di cenare; dimenticò di accendere le candele e lasciò spegnere il fuoco. Fu nel malinconico freddolino del tardo crepuscolo che Mrs Bundy, arrivando finalmente a portargli la lampada, lo trovò, immusonito, coricato sul divano. Era stata avvertita che Baron desiderava parlarle e, nell'applicare sul maleodorante corpo luminoso uno schermo bisunto di cartone verde, espresse di cuore la speranza che «stasse» bene in salute. Il giovanotto si levò dal suo giaciglio, riprendendo sufficiente autocontrollo per rispondere di essere in discreta salute, ma spiritualmente a terra. Sentiva un bisogno prepotente di «tirare» la padrona sull'argomento di Mrs Ryves, non meno di una viva convinzione che il tema della vicina avrebbe facilmente indotto Mrs Bundy a raccontare più Henry James
242
1970 - Racconti Di Fantasmi
cose di quante ne sapesse realmente. Nello stesso tempo rifuggiva dal voler investigare nei segreti privati dell'amica assente: discorrerne con l'affaccendata affittacamere assomigliava troppo, per i suoi gusti, al cianciare di una serva con una padrona stupida. Non aveva però tenuto conto di quanto Mrs Bundy conoscesse il cuore umano: e cercar di sapere se Mrs Ryves dava l'impressione - su un'osservatrice di tal fatta - di essere felice non significava ancora volersi immischiare negli affari altrui. Questo ragionamento lo rassicurò, e ogni barriera cadde: a tal segno che a un tratto, in tono asciutto, arrossendo persino un po', egli pose a Mrs Bundy la domanda esplicita; e questo portò ovviamente a un'altra domanda che gli pesava altrettanto sul cuore (in realtà erano solo aspetti diversi della stessa) alla quale la brava donna rispose con calore esclamando: - Una libertà che lei vada a trovarla per qualche ora? Mio caro signore, se quella la pensa così, la mandi pure da me, che le parlo io! - Ma, quanto a felicità, essa lo ammoni, Baron non doveva pretendere troppo da una poverina che ne aveva passate tante; e prima di sapere come, senza responsabilità di scelta, egli si trovò ad accettare docilmente la versione che di tali esperienze gli veniva offerta da Mrs Bundy. Era un quadro interessante, anche se con qualche magagna, una delle quali, congenita, consisteva nel fatto che era scaturita essenzialmente dal cervello verginale di Miss Teagle. Ampliata, riveduta, abbellita dal più fervido ingegno di Mrs Bundy, che vi aveva incorporato e ora generosamente introdotto ampi stralci della vicenda romantica della stessa Miss Teagle, la storia offri a Peter Baron abbondante materia di riflessione; diminuì invece solo in parte la sua curiosità circa le cause della misteriosa stranezza dell'affascinante signora. Tentò di far risuonare questa nota nelle orecchie di Mrs Bundy, ma fu facile constatare che non destava alcun'eco nel suo cervello. Essa non aveva idea di quale fosse l'immagine della vicina che egli avrebbe naturalmente desiderato in dono, ed era perciò incapace di stabilire i punti che lo irritavano messi a raffronto con l'attuale situazione. Mrs Bundy non aveva in effetti un concetto adeguato delle esigenze intellettuali di un giovane innamorato. Non era in grado di dirgli perché la loro irreprensibile amica fosse così isolata, così derelitta, così suscettibile, così orgogliosa e diffidente. D'altra parte era in grado di raccontargli - ciò che gli era già noto - che la loro vicina aveva passato molti anni della sua vita a perfezionarsi in una sede del sapere remota né più né meno quanto Henry James
243
1970 - Racconti Di Fantasmi
Boulogne, e che Miss Teagle aveva conosciuto da vicino il defunto Mr Everard Ryves, un giovane che si stava facendo «molta strada» in città, e guadagnava pulite pulite le sue belle milleduecento sterline all'anno. Adesso che non è più qui a guadagnarsele, la sua povera vedova non può vivere più come una volta, è vero o no? - concluse Mrs Bundy. Baron non era disposto ad affermare il contrario; l'indomani nel treno sferragliante diretto a Dover, pensò a un altro modo in cui ella avrebbe potuto vivere. La cittadina, man mano che vi si avvicinava gli apparve gaia e fresca: i suoi vagabondaggi non erano stati né abbastanza frequenti né così remoti da fargli apparire insipida la costa della Manica. Naturalmente Mrs Bundy gli aveva fornito il necessario indirizzo e uscendo dalla stazione egli era sul punto di chiedere da quale parte dovesse dirigersi. Tuttavia in quel momento la sua attenzione fu distratta dal trambusto suscitato intorno alla nave in partenza; a Londra era rimasto segregato abbastanza per rendersi conto del sollievo che offriva anche solo il pensiero di volgere lo sguardo verso Parigi. Si avviò al molo in compagnia di turisti più allegri di lui: appoggiatosi a un parapetto, osservò con invidia i preparativi, il tramenio di un viaggio all'estero. Per qualche istante pregustò il sapore dell'avventura, ma ohimè, quando gli sarebbe stato concesso di gustarla davvero? Trasse un sospiro interrogativo, e si voltò in tempo per scorgere, in un altro punto del molo, un gruppetto di due signore e un bambino riuniti con la stessa espressione di inappagabile desiderio in volto. Il bimbetto si girò per caso un momento a guardarsi intorno, e con la perspicacia dell'età predatoria riconobbe nel nostro giovanotto una fonte di delizie di cui negli ultimi tempi era stato privato. Si buttò in avanti con irreprimibili strilli di «gigì!» e Peter lo sollevò tra le braccia. Quando lo depose a terra, il pellegrino di Jersey Villas si trovò faccia a faccia con una Miss Teagle visibilmente severa, corsa all'inseguimento del suo pupillo. «Che diavolo le piglia, a questa vecchia?» si domandò Peter nel porgerle una mano che essa considerò come il più insignificante dei particolari. Comunque il suo viso esprimeva (e molto opportunamente da parte di una fedele suivante) lo stesso risentimento che, nello sventolare il cappello in segno di saluto, parve a Peter di leggere a distanza sul volto di Mrs Ryves che non s'era mossa d'un dito. Pallida come gli era sembrata, ella rispose al saluto di lui, spostandosi di quel tanto che era necessario per apparire tutta presa dallo spettacolo della nave in partenza per Calais. Peter tuttavia tenne ben saldo il bambino, invano contesogli dall'astuzia di Miss Teagle; Henry James
244
1970 - Racconti Di Fantasmi
la cocciuta e istintiva lealtà di Sidney gli fu d'aiuto e gli permise di ottenere - oh con quanta gratitudine! - il felice effetto di venir trascinato dal suo giubilante amico nella precisa direzione verso la quale tendeva da tante ore. Quando si avvicinò, Mrs Ryves si volse ancora una volta, e poi, dal dolce sorriso un po' forzato col quale gli chiese se si preparasse a partire per la Francia, Peter si rese conto che, sebbene irritata per essere stata seguita, aveva presto superato il suo risentimento. - No, io non parto; ma mi è sorto il dubbio che partisse lei, ed è per questo che l'ho rincorsa... per acchiapparla in tempo. - Eh, non possiamo partire, è un gran peccato. Ma perché, -volle sapere Mrs Ryves, - se potessimo permettercelo, lei dovrebbe desiderare di impedirlo? - Perché prima ho una cosa da chiederle... una cosa per cui ci vuole forse un po' di tempo -. Notò allora che l'imbarazzo di lei non era dettato da risentimento; era nervosa, tremante come per l'emozione di una gioia inattesa. - È una cosa che ho deciso proprio ieri sera, senza chiederle prima il permesso di farle questa visitina; è stato questo, e la voglia matta di giocare ancora un po' a cavalluccio con Sidney. Oh, sono venuto a cercarla, - Peter Baron continuò, - e non faccio mistero del fatto che spero lei si sottometta con grazia alla prova, concedendomi tutto il suo tempo. È una bella giornata, e il posto è altrettanto bello, lo giuro. Mi lasci assaporare appieno codeste cose, mi lasci svuotare la coppa fino in fondo come un uomo che da mesi e mesi non è uscito da Londra. Mi permetta di andare a passeggio con lei, di conversare con lei, di mangiare un boccone con lei: torno a Londra nel pomeriggio. Insomma mi faccia dono di tutte le sue ore in modo che esse mi restino nella memoria come una delle più dolci occasioni della vita. Lo sbuffo di vapore emesso dal postale francese fu accompagnato da un tale baccano che Baron potè sussurrare la sua passione nell'orecchio della giovane donna senza scandalizzare i presenti, e il fascino che, a poco a poco, egli riuscì a soffondere nella sua breve visita si dimostrò in effetti essere il risultato delle condizioni da lui espresse a parole. - Cos'è che vuol chiedermi? - domandò Mrs Ryves, rimanendogli accanto in piedi. Al che egli rispose che le avrebbe spiegato tutto a patto che mandasse via Miss Teagle con Sidney. Miss Teagle, pronta come sempre a intuire gli ordini, aveva già cominciato a fissare ostentatamente Henry James
245
1970 - Racconti Di Fantasmi
le lontane rive della Francia: e fu facilmente persuasa ad avviarsi in anticipo, assumendosi la responsabilità di fermarsi lungo il tragitto a litigare con il macellaio. Dovette però allontanarsi senza Sidney, rimasto aggrappato alla sua preda riconquistata; così il resto della vicenda fu condito - secondo il modo di vedere di Baron - dalle importune tiratine della mano grassoccia e fresca del piccino. I due amici andarono bighellonando insieme con aria coniugale, senza Sidney in mezzo: all'inizio indugiando assorti sulla sagoma allungata della nave diretta a Calais, finché poterono scorgerla mentre si allontanava rombando, in un tacito incontro che parve rivelare specie allorché, un momento più tardi, i loro occhi s'incontrarono - che essa aveva destato in entrambi lo stesso desiderio appassionato. Del resto, la presenza del ragazzino non impedì loro un dialogo in apparenza molto franco. Di lì a poco Peter Baron spiegò alla sua compagna il motivo per cui si era messo in viaggio, e quando ella lasciò intendere di aver immaginato trattarsi di qualcosa di più importante, riuscì a superare il proprio senso di sconfitta. Apparve delusa - ma disposta al perdono -nell'apprendere che aveva voluto solo sapere se lo giudicava molto severamente per non aver rispettato la sua richiesta di non infrangere certi sigilli. - Di quanta severità mi sospetta? - volle sapere lei. - Tanta da averla indotta a lasciare la casa un momento dopo. Indugiavano ancora sulla grande banchina di granito, quand'egli affrontò l'argomento, ed ella si sedette all'estremità del pontile mentre la brezza, riscaldata dal sole, increspava il mare fattosi di porpora. Turbata, Mrs Ryves arrossi lievemente e ripetè in tono interrogativo: - Un momento dopo? Appena le ebbi raccontato ciò che avevo fatto. Fui scrupoloso, se ne ricorderà: scesi immediatamente a confessarglielo. Lei si volse senza fare parola; non seppi immaginare allora, e giuro che non so immaginare adesso, perché una storia come quella dovesse toccarla così da vicino. Uscii per qualche commissione e, quando rientrai, lei aveva lasciato la casa. Si sarebbe proprio detto che l'avessi offesa, che avesse desiderato allontanarsi da me. Non mi diede neppure il tempo di spiegarle come, contro il suo parere, avessi preso la decisione di verificare per conto mio che cosa rappresentava la mia scoperta. Ora mi deve rendere giustizia e stare a sentire che cosa mi indusse a prendere la decisione. Henry James
246
1970 - Racconti Di Fantasmi
Alzatasi dal suo sedile, Mrs Ryves gli chiese il favore speciale di non alludere mai più alla famosa scoperta. Non era affatto cosa che la riguardasse, non aveva alcun diritto d'indagare nei segreti di Baron. Le dispiaceva molto di essergli parsa per un momento così insensata e gli domandava umilmente perdono per essersene immischiata. Detto questo, prosegui nella passeggiata con un colorito incantevole sulle gote, mentre lui - sebbene davvero disorientato -volse in ridere l'infinita capricciosità delle donne. Per buona sorte l'episodio non sciupò quell'ora, ricca di altre fonti di soddisfazione, ed essi diressero i loro passi verso l'abitazione di lei, con tante piccole soste piacevoli, tante deviazioni lungo il percorso che consentirono a lei di mostrargli i punti di Dover degni d'interesse. Gli permise di fermarsi da un vinaio a comprare una bottiglia per colazione, cui attinsero entrambi mentre - scambiandosi occhiate di indulgente intimità - trangugiavano con aria ipocrita un pudding uscito dalla fantasia di Miss Teagle. Uscirono di nuovo e, mentre Sidney scavava nella ghiaietta della spiaggia, si sedettero da veri egoisti sulla passeggiata, con disappunto di Miss Teagle, che aveva riposto le sue speranze in una gita in calesse a visitare il castello, come si addiceva alle vere signore. Baron teneva d'occhio il suo orologio: doveva pensare al treno, al triste viaggio di ritorno e a molte cose malinconiche; ma il mare, nella luce pomeridiana, offriva un quadro più allettante. Il vento era caduto, la Manica brulicava di vele bianche di navi che si perdevano nella distanza infocata. Il giovane aveva chiesto alla sua compagna (già glielo aveva domandato una volta), quando intendeva tornare a Jersey Villas; lei gli aveva risposto che probabilmente sarebbe rimasta a Dover un'altra settimana. Costava un occhio della testa, ma faceva un gran bene al bambino e, se Miss Teagle fosse riuscita a tornar su per certe commissioni, le sarebbe forse riuscito di prolungare il soggiorno. Qualche ora prima aveva detto che forse non sarebbe tornata affatto a Jersey Villas, oppure soltanto per risolvere il rapporto con Mrs Bundy. In un altro momento aveva parlato di una prossima data, di un'imminente rioccupazione dei meravigliosi «studioli». Baron comprese che, senza progetti di sorta e nessun motivo valido, si manteneva nel vago e, nel suo intimo, era preoccupata e nervosa, in attesa di qualche cosa che non dipendeva da lei. Mentre contemplavano le vele rilucenti, un silenzio di parecchi minuti era sceso tra loro, un silenzio a cui Mrs Ryves pose fine esclamando all'improvviso, ma senza completare la frase: - Oh, se fosse venuto per dirmi che li aveva distrutti... Henry James
247
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Quegli orribili documenti? Mi piace sentirla parlare di distruzione. Se non sa nemmeno che cosa contengono! - Non lo voglio sapere. Mi mettono in un tale stato...! - Che specie di stato? - Non lo so: mi perseguitano come fantasmi. - Hanno perseguitato anche me; per questo appunto d'improvviso una mattina non ho saputo tenere le mani a freno. Le avevo detto che non li avrei toccati. Mi ero sottomesso al suo capriccio, alla sua, diciamo così, superstizione, ma alla fine hanno vinto loro, le carte. Ero stato sveglio tutta una notte a dibattere il problema, divorato dalla curiosità. Mi facevano star male: avevo i nervi a fior di pelle, se così posso esprimermi; non ero più capace di lavorare. Nelle ore piccole fui preso da un'ossessione, un'idea fissa: quelle balorde reliquie non conservavano nulla, stavo rendendomi ridicolo con degli scrupoli eccessivi. Con nove probabilità su dieci erano robetta, lettere di poco conto, vuote e futili; magari un tiro birbone di qualche ricco sfaccendato, di scarso cervello, l'ex proprietario della dannata ribaltina. Quanto più ci girellavo cautamente attorno, tanto pili me ne sentivo attratto; quanto più presto avessi scoperto la loro vuotaggine, tanto prima sarei tornato al mio solito lavoro. Sulla base di tale certezza, la mia mano divenne così incontrollabile che quel mattino, prima di far colazione, spezzai uno dei sigilli. Mi bastarono pochi minuti per rendermi conto che il contenuto non era robetta: il pacco conteneva vecchie lettere, vecchie lettere molto curiose. - Lo so, ho capito: «privato e confidenziale». Così ruppe gli altri sigilli, vero? - Mrs Ryves lo fissò con quello strano sguardo di apprensione che le aveva scorto negli occhi quand'era comparsa sul suo uscio dopo il ritrovamento. - Certo che lo sa: gliel'ho raccontato io un'ora più tardi, benché lei mi abbia consentito di dirle assai poco. Nel cogliere quello sguardo particolare, Baron affettò un ampio sorriso per impedirle d'intuire la pena provocata dal sottile rimprovero contenuto nelle ultime parole di lei; ma quella donna sembrava capace di divinare ogni cosa. Gli ricordò che non aveva dovuto aspettare la mattina quand'era sceso lui per sapere cos'era accaduto di sopra; gli aveva anzi dimostrato subito di averlo capito già da un'ora, dopo aver passato dal canto suo la stessa notte inquieta; aveva dovuto farsi una forza straordinaria per non precipitarsi nell'appartamento di sopra, proprio mentre lui si dedicava Henry James
248
1970 - Racconti Di Fantasmi
all'esame dei pacchetti aperti. - Lei ha una sensibilità così perfezionata, è dotata di così misteriosi poteri che mi sconcerta. - Sento ciò che avviene a distanza, tutto qui. - Si sarebbe detto che qualcuno che le stava a cuore fosse in pericolo. - Le ripeto che ne ebbi l'intuizione lo stesso giorno che salii a trovarla. - Oh, ma io non le sto a cuore fino a questo punto! - obiettò Baron ridendo. Ella esitò: - No, direi di no. - Sarà stato per via dell'altro, dell'altra parte in causa. Ma lei, quel giorno, non volle che gliene dicessi il nome. A queste parole Mrs Ryves si levò di scatto. - Non voglio saperlo. La cosa non mi riguarda. - No, grazie al cielo credo proprio di no, - replicò Baron, camminandole a fianco lungo la passeggiata. Ora era lei a tenere Sidney per mano, e il giovane le stava dall'altro lato. Presero la via della stazione; si era offerta di accompagnarlo per un tratto. - Ma col suo dono prodigioso è un miracolo che non l'abbia indovinato. - Io indovino solo quello che voglio, - fece Mrs Ryves. - Comodo però! - esclamò Peter, al quale Sidney in quel momento si era di nuovo appiccicato. - Soltanto che, all'oscuro di tutto com'è, è difficile capire la ragione per cui desidera che quelle carte vengano bruciate. Mrs Ryves rimase meditabonda a fissare il terreno: - Pensavo che avrebbe potuto farlo per usarmi una cortesia. - Le pare che una pretesa del genere, formulata in questo modo, sia ragionevole? Mrs Ryves si arrestò di botto e questa volta posò su di lui due limpidi occhi rannuvolati. - Che intende farne? Fu la volta di Peter Baron di restare assorto in meditazione: il che egli fece, sull'asfalto nudo della Passeggiata (a Dover la stagione non era ancora iniziata) dove le loro ombre si allungavano nella luce pomeridiana. Era preso da un incanto come non aveva mai conosciuto, e sentiva un desiderio immenso di avere il coraggio di risponderle: - Farò tutto quello che vorrai, se tu mi ami -. Tuttavia parole del genere avrebbero rappresentato una responsabilità e costituito quella che volgarmente si definisce una proposta. Ma quale proposta? si chiese rapidamente anche ora, come già si era chiesto dopo aver fatto in ispirito altri goffi tentativi nello stesso senso: offerte di che, se non della sua povertà, della sua Henry James
249
1970 - Racconti Di Fantasmi
oscurissima fama, degli sforzi naufragati, delle capacità di cui non poteva fornire testimonianza? Povero com'era, odiava lo squallore (che nemmeno lei - ne era certo - amava) e per parlare di matrimonio si sentiva piccino. Perciò non le pose la domanda con le parole che gli sarebbe piaciuto pronunciare ma, con una nuova fitta al cuore, scese a un compromesso e le disse: - Che cosa farà lei per me, se io le elimino? Mrs Ryves scosse tristemente il capo - era il più grazioso dei suoi atteggiamenti. - Non posso promettere nulla... Oh no, non posso promettere! Ora dobbiamo salutarci, - soggiunse. - Perderà il treno. Peter guardò il suo orologio e prese intanto la mano che lei gli tendeva. Ella fu lesta a ritirarla e allora non gli rimase altro, prima di correre alla stazione, se non sollevare Sidney e stringerlo così forte a sé da fargli lanciare uno strilletto. Durante il viaggio di ritorno in città la situazione gli apparve grottesca.
V. L'indomani quel pensiero s'era fatto così tormentoso che, dopo averlo ancora analizzato, Baron senti in certo modo di aver subito un torto. L'intromissione di Mrs Ryves lo aveva messo profondamente a disagio: essa aveva assunto un atteggiamento autoritario senza riconoscergli diritti. Si era imposta come arbitro del caso, ma, quanto all'esserne partecipe, aveva tenuto le distanze. Le sembrava dovuto ch'egli facesse certe cose per compiacerla, e tuttavia non voleva in alcun modo svelargli quale beneficio gliene sarebbe derivato. Sarebbe stato auspicabile da parte sua un riserbo maggiore, oppure una maggiore disponibilità a parlar chiaro. Baron si chiedeva perché toccasse a lui essere lo zimbello dei suoi capricci, dei suoi misteri. Si rendeva conto dell'eccezionalità delle sue intuizioni, ma ad offenderlo era appunto quella manifesta infallibilità. Perché non si metteva addirittura a fare la veggente di professione, arrotondando con maggiore successo la sua piccola rendita? Un talento di quel tipo, in chi conduceva una vita del tutto privata, era sconcertante: le divinazioni, le elusività di lei disturbavano comunque la sua tranquillità. Lo disturbò ancora di più il ricevere di buon mattino la visita di Mr Locket, il quale, lasciando Peter senza illusioni circa le ragioni di tanto onore, dichiarò appena entrato nella stanza - anzi, mentre ancora saliva ansimando la seconda rampa e uno sgorbio di servetta gli teneva aperta la Henry James
250
1970 - Racconti Di Fantasmi
porta - di aver accolto l'invito del suo giovane amico: veniva a dare un'occhiata di persona alle lettere di Sir Dominick Ferrand. Peter le tirò fuori con una prontezza volta a riconoscere il carattere commerciale della visita, senza curarsi di attenuare l'incoerenza di quell'inizio con l'ultima decisione comunicata a Mr Locket. Mostrò al suo ospite la ribaltina e il segreto, e si mise a fumare una sigaretta canterellando sottovoce, con una sensazione di insolito vantaggio, di trionfo, mentre il cauto editore, seduto e zitto, scartabellava i documenti. Nonostante tutta la sua prudenza, Mr Locket non riuscì a dissimulare una luce più calda nel suo occhio di giudice dicendo infine a Baron, in tono di cordiale concisione -un tono che dava molte cose per scontate: - Me li porto a casa: richiedono molta attenzione. Il giovane lo guardò un momento: - Crede che siano autentici? - Non voleva beffarsi di lui, al contrario, ma ai suoi stessi orecchi le parole suonarono beffarde, e si accorse che lo stesso effetto avevano prodotto su Mr Locket. - Non posso stabilirlo in alcun modo. Dovrò studiarli a mio agio ed è per questo che le chiedo di prestarmeli. Nel parlare aveva ammucchiato le carte con un movimento che sembrava preludere a quello di infilarle in una sua reticella nera rimasta appoggiata sul ripiano della ribaltina: a Peter, che lo vedeva di scorcio, quell'oggetto apparve oscuramente professionale e destò in lui, in certo modo, un'improvvisa apprensione: il vantaggio di cui si era appena reso conto stava per trasmigrare, grazie a un semplice giochetto di prestigio, nelle mani di una persona che di vantaggi ne aveva già abbastanza. Baron, insomma, provò un doloroso e inspiegabile senso di trepidazione. Mr Locket dava troppe cose per scontate, non c'era che dire, e l'indagatore sulle irregolarità di Sir Dominick Ferrand si sovvenne nuovamente di quanto - dopo tutto - fosse stato chiaro nel manifestare la propria indisponibilità a farne oggetto commerciale. Chiese al visitatore perché voleva portarsi via le lettere: da una parte per il momento non c'era neppure da parlare dell'articolo nella rivista che avrebbe rivelato la loro esistenza; dall'altra egli stesso, in quanto loro possessore, si faceva mille insormontabili scrupoli all'idea di metterle in circolazione. Mr Locket lo guardò al disopra degli occhiali come dai merli di una fortezza. - Io non penso alla fine, io sto pensando all'inizio. Pochi sguardi mi hanno dato la certezza che questi documenti devono essere sottoposti a Henry James
251
1970 - Racconti Di Fantasmi
un occhio competente. - Non deve farli vedere a nessuno! - esclamò Baron. - Lei può ritenermi presuntuoso, ma l'occhio a cui ho alluso in questi termini... - È l'occhio fisso ora su di me, con aria così terribile? - lo interruppe Peter ridendo. - Ah, sarebbe interessante, lo ammetto, sapere come li giudica un uomo del suo acume! - Gli era venuto in mente che con un'ammissione di tal fatta avrebbe potuto accattivarsi un arbitro letterario fin'allora implacabile. Che volesse affidargli la pubblicazione di Sir Dominick Ferrand era escluso a priori, ma Mr Locket sarebbe forse entrato nell'ordine di idee di pubblicare lui, Peter Baron, come dovuto riconoscimento dei servizi resigli. - Quanto tempo intende trattenerli? volle sapere il giovane con un tono che, se ne rese immediatamente conto, fu tale da spingere Mr Locket ad ammucchiare le lettere per infilarle nella reticella. Intuito questo, si avvicinò lesto all'editore e, posata una mano sul segreto aperto, ne riaccostò delicatamente i pannelli. Così i due stettero uno di fronte all'altro qualche secondo in un atteggiamento quasi di conturbante sfida, a guardarsi dritto negli occhi. La tensione fu presto allentata dal rossore di sorpresa che si diffuse sulla fronte di Mr Locket, il quale fece qualche passo indietro con aria di dignità offesa, quasi a protestare contro una violenza fisica. - In verità, mio caro giovinotto, il suo contegno equivale a un'accusa di manifesta malafede. Crede forse che voglia rubare queste maledette scartoffie? - In risposta a tale sfida Peter potè solo affrettarsi a dichiarare di non essere colpevole di alcun indegno sospetto: esigeva soltanto che gli si precisasse un termine, voleva una garanzia che lo cautelasse contro ogni infortunio. Mr Locket, riconosciuta la legittimità della richiesta, gli assicurò che avrebbe restituito ogni cosa entro tre giorni e, con l'aiuto di Peter, completò le sue piccole manovre per asportare il carteggio con discrezione. Quando fu pronto e la sua perfida reticella fu gonfia del tesoro, Mr Locket indugiò con lo sguardo sulla misteriosa ribaltina: - Come diavolo siano mai finite lì dentro, è questo che mi fa arrovellare il cervello! - C'è stata una certa catena di circostanze che, se chiarite, si rivelerebbero abbastanza naturali, senza dubbio; ma per accertarsene occorrerebbe rimontare il corso del tempo. Su un punto ho preso una ferma decisione: non fornire informazioni, non svolgere indagini al negozio. Accetto il mistero così com'è, - dichiarò Peter, con una certa magnanimità. Henry James
252
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Inserita in un racconto, sarebbe una ben modesta scappatoia, - fece Mr Locket sorridendo. - Sì, ma non è a lei che offrirei il racconto. Sarò impaziente di veder ritornare le mie carte! - gridò poi dietro il visitatore che scendeva di corsa le scale. Quella sera, con l'ultima distribuzione, col timbro postale di Dover, ricevette una lettera che non veniva da Miss Teagle. Era un biglietto piuttosto confuso, ma nel complesso amichevole, scritto la mattina stessa dopo colazione, il cui pretesto apparente era quello di ringraziarlo della cortese visita e di scusare la scrivente per avergli dato occasione di ritenerla capace di immischiarsi in cose che non la riguardavano. Lo informava altresì del fatto che, la sera prima, dopo la sua partenza, in un momento d'ispirazione, le era sgorgata dal cuore un'idea veramente musicale, in perfetta armonia con i versi di cui egli le aveva così gentilmente fatto omaggio. In calce allo scritto aveva scarabocchiato a mo' d'esempio un paio di battute: misteriosi, beffardi segni musicali, senza significato per il destinatario. Tutta la lettera tradiva un desiderio irrequieto ma piuttosto vago di rimanere in contatto con lui. Tuttavia, nel risponderle - il che egli fece quella sera stessa prima di andare a letto Baron si diffuse essenzialmente sulla brillante possibilità di una loro collaborazione e sui vantaggi che ne sarebbero derivati a ciascuno dei due. Parlò di questo futuro con un'eloquenza di cui era pronto a difendere la sincerità, e ne tracciò un quadro straordinariamente ricco. L'indomani mattina, mentre stava accingendosi a lavori da tempo troppo trascurati con la sensazione che, dopo tutto, era un discreto sollievo non star seduto così a contatto di Sir Dominick Ferrand (divenuto motivo di tante insidiose divagazioni) proprio nel momento in cui era solito rivolgere un'invocazione preliminare alla musa, fu disturbato dall'arrivo di un telegramma: era una richiesta urgente di Mr Locket di andare subito da lui. Il che per il povero Baron - i cui fondi erano ormai pressoché esauriti significava il sacrificio di un'altra mattina; però non gli passò neppure per la mente di far valere con l'editore della rivista, custode delle chiavi della sua celebrità, le proprie esigenze di tempo; aveva l'arrendevolezza di un collaboratore alle prime armi. Concesse un'altra vacanza alla musa provando gran vergogna per lei, e a tempo debito si trovò seduto nella stessa poltrona, alla scrivania stessa di Mr Locket - superficie tanto più nobile del piano scivoloso della sua ribaltina - e, nel profluvio di parole Henry James
253
1970 - Racconti Di Fantasmi
appena pronunciate dal suo ospite, percepì prontamente quanta felicità, quanta emancipazione potevano celarsi in cento sterline. Sì, era questo il costrutto: nello spazio di ventiquattr'ore Mr Locket aveva scoperto nelle reliquie letterarie di Sir Dominick tante cose che l'avevano indotto a fare un'offerta. Cento sterline gli sarebbero state pagate quel giorno, quel minuto stesso, senza discussioni né da una parte né dall'altra. - Mi assumo io tutti i rischi, mi assumo io tutti i rischi, - ripeteva l'editore della rivista. Le lettere erano sparse sul tavolo, Mr Locket stava in piedi sulla stuoia davanti al caminetto, come un oratore sul podio, e Peter, sopraffatto dall'improvviso ultimatum, si era lasciato cadere sulla sedia più vicina. Poi (resosi conto che questa si muoveva su un perno) le impresse un moto rotatorio per trovare il tempo di alzare sul suo tentatore uno sguardo che voleva essere gelido. Ciò che più lo sorprese fu il constatare che, sull'opportunità di pubblicazione, Mr Locket stava prendendo esattamente il partito opposto a quello che egli si era immaginato. «Mettiamo tutto a tacere! Uno scandalo da poco, un'offesa a cui non c'è più rimedio! Ma queste sono le cose al mondo che meno di tutte giustificano una riesumazione!» Una frase del genere Baron si sarebbe aspettato da un uomo che passava la vita a soppesare problemi di perbenismo e che, soltanto ieri, guidato da tali principi, aveva sollevato obiezioni per un'opera della più disinteressata delle arti. Ma l'autore di quella purissima, intoccabile opera d'arte aveva colpito nel segno quando, nel corso dell'ultima visita, aveva detto al suo interlocutore che, se rivelate al mondo dalle pagine della rivista, le aberrazioni di Sir Dominick sarebbero andate a ruba. Non fu necessario a Mr Locket ripetere al suo giovane amico la frase da lui pronunciata a proposito di «far sensazione». Se voleva acquistare i «diritti» - come si suol dire nel mondo del teatro non era per proteggere un nome famoso o per rinchiuderli in un armadio. La formula usata da Baron copriva un vasto terreno, e la previsione di una sola edizione esaurita era una stima inferiore al probabile successo della rivista. Peter lasciò le lettere dall'editore e, ritiratosi, fece una lunga passeggiata sino all'Enbankment. Provava sentimenti contrastanti: gli pareva di perdere la testa di fronte a possibilità di cui egli negava tuttora l'esistenza. Aveva acconsentito ad affidare le carte a Mr Locket per un altro paio di giorni, onde avere il tempo di pensare alle condizioni a cui si sarebbe indotto a disporne qualora certi eventi si fossero verificati. Cento sterline non erano Henry James
254
1970 - Racconti Di Fantasmi
l'ultima offerta dell'editore, né forse lui, Peter, nella sua irragionevole intrattabilità, aveva detto l'ultima parola. Sospirò, senza badare alle chiatte pittoresche sul fiume: sospirava perché tutto ciò poteva significare denaro. Ed egli aveva un assillante bisogno di denaro: ne doveva parecchio in varie direzioni. Mr Locket gli aveva fatto presente la sua alta responsabilità: forse toccava a lui vendicare la verità sfigurata, recare il contributo di un capitolo della storia inglese. - Lei non ha il diritto di tener nascosti fatti di un così grave momento, - gli aveva dichiarato l'avido piccolo editore, mentre pensava a come la storia a puntate (l'avrebbe distribuita in tre numeri) poteva diventare l'argomento del giorno. Se avesse avuto soldi, Peter avrebbe potuto concedersi ardori, ebbrezze. Mr Locket aveva detto, senza dubbio fondatamente, che c'erano un'infinità di problemi da affrontare una volta trovato il coraggio di impegnarsi in quella rischiosa partita. Questi problemi, questi scogli, questi pericoli - il pericolo, per esempio, di veder spuntare all'improvviso qualche litigioso parente in agguato - se li sarebbe addossati lui, Mr Locket, senza riserve, avrebbe affrontato lui lo scontro. Andava tenuto presente che il carteggio era screditato in origine, viziato dalla sua provenienza puerile. Un'origine così assurda suggeriva, come già l'editore aveva accennato una volta, la modesta inventiva di un romanziere di terz’ordine; era questa una cosa di cui Baron doveva tener conto: il positivo svantaggio di non rivelarsi. Avrebbe preferito non dover rendere conto della vicenda, piuttosto che esporsi al ridicolo che avrebbe immancabilmente suscitato una storia del genere. E che? non erano da prevedere in anticipo le battute spiritose, sarcastiche pubblicate dai quotidiani, dai settimanali? Peter Baron non mancava d'ingenuità, ma - andava ripetendosi mentre vibrava colpi di bastone che gli rivelavano la qualità granitica dei parapetti del Tamigi non era tanto sciocco da non intuire come Mr Locket avrebbe «manipolato» il mistero della sua eccezionale scoperta. Nulla poteva avvalorarla maggiormente agli occhi del pubblico dell'impenetrabile segreto che ne era all'origine. Se Mr Locket fosse riuscito a sollevare un polverone sufficiente intorno alle circostanze che gli avevano guidato la mano, la fortuna di Baron era bell'e fatta, letteralmente. Peter pensava che cento sterline erano un'offerta modesta, e tuttavia si chiedeva come la rivista si fosse indotta a offrire una cifra così cospicua, che tale appariva alla luce dei compensi letterari finora noti al nostro giovanotto. La spiegazione di tale anomalia era naturalmente che l'astuto editore Henry James
255
1970 - Racconti Di Fantasmi
prevedeva una dozzina di modi di rifarsi del suo denaro. Più avanti, con l'aumentare della «sensazione», ci sarebbe stato da fare un libro in edizione speciale, il libro del giorno; i profitti del libro dello scandalo, o se si vuole, la ricostruzione, per dei posteri imparziali, di un grande falso storico; in altre parole la somma che ogni editore accorto sarebbe stato disposto a pagare «pronta cassa» per quelle carte, assumeva contorni ben definiti nei calcoli di Mr Locket. Insomma, Peter veniva invitato a rinunciare alla possibilità di trattare in prima persona con l'eventuale accorto editore. Il giovane scoppiò in una gran risata, rallegrandosi in cuor suo di non essersi lasciato tentare subito - nel covo da cui era appena evaso - da una cifra che avrebbe rappresentato all'inarca tutto il suo patrimonio. Per buona sorte, aggiunse mentalmente nel volgere i passi verso casa, appariva assai poco probabile dover dare battaglia con particolare urgenza. VI. Quando, mezz'ora dopo, raggiunse Jersey Villas, notò che il can-celletto di casa era aperto; poi, avvicinatosi alla porta, vi scorse, incorniciata, una figura inattesa. Mrs Ryves, in giacca e cuffietta, si stagliava su quello sfondo, e guardava fuori come aspettando qualcosa; passeggiava avanti e indietro quasi a spiare qualcuno. Ma quando lui espresse il piacere di un così gradito benvenuto, la vicina gli rispose che aveva solo sperato di veder arrivare una carrozza. Baron si offerse di andare a cercargliene una, al che risultò che no, dopo tutto, per il momento almeno, non ne aveva bisogno. Tornò con lei fino al salotto, dove essa lo informò che, da un paio di giorni, aveva visto con maggior chiarezza qual era la cosa migliore da fare: aveva deciso di lasciare Jersey Villas ed era tornata allo scopo di portare via la sua roba, che stava appunto radunando per fare i bagagli. - Ieri sera le ho scritto una bella lettera in risposta alla sua, -disse Baron. - Lei non aveva fatto parola, scrivendomi, di un ritorno imminente. - Non è stata la sua lettera a farmi venire. Non era ancora arrivata quando io sono partita. - Quando tornerà, vedrà che era una bella lettera. - E probabile -. Baron aveva osservato che la stanza non era a soqquadro, come lei aveva lasciato presumere: i preparativi per la partenza di Mrs Ryves non davano certo nell'occhio. Ella vide che lui si guardava Henry James
256
1970 - Racconti Di Fantasmi
attorno e, in piedi davanti al caminetto senza fuoco, le mani dietro la schiena, gli domandò all'improvviso: - Da dove viene adesso? - Da un colloquio con un amico letterato. - Che state tramando insieme? - Nulla di nulla. Abbiamo litigato, non siamo d'accordo. - E un editore? - È il direttore di una rivista. - Ebbene, sono contenta che non siate d'accordo. Non so che cosa voglia, ma qualunque cosa lui voglia, lei non la faccia. - È lui che deve fare quello che voglio io! - esclamò Baron. - E che cos'è? - Oh, glielo dirò a cose fatte! Baron la pregò di fargli ascoltare «l'idea musicale» di cui aveva parlato nella sua lettera; e allora, liberatasi di cuffietta e giacca, seduta al suo pianoforte, Mrs Ryves gli offri, con un sentimento di cui già le prime note lo fecero palpitare, l'accompagnamento alle parole da lui composte. Il suo fraseggio era delicato e un po' incerto, ed egli se ne stava come attanagliato in una morsa di velluto, vibrante di un'emozione che non potè mai ritrovare in seguito con la stessa freschezza: l'emozione del giovane artista per la prima volta in presenza della propria «creatura»: le bozze di un libro, l'esposizione di un quadro, la prova di una commedia. Quand'ebbe finito, le chiese di rinnovare la stessa delizia, e di fargli ascoltare altra musica, e altra ancora. Gli faceva un mondo di bene, gli dava pace e sicurezza interiore, spianava le rughe del suo spirito. Lasciate da un canto le proprie creazioni, lei gli offri brani immortali, ed egli vi si crogiolò, pacificato e ammaliato, mentre la povera stanzetta gli sembrava ingrandirsi, e vaghe liete possibilità affacciarsi di nuovo. All'improvviso, davanti alla tastiera, lei gli gridò: - Quelle sue carte... le carte che ha scoperto... non sono in casa? - No, non sono in casa. - Ne ero sicura. Non importa, va benissimo! - soggiunse. Lei stessa provava un senso di pace: il turbamento sarebbe stato una nota falsa. Più tardi egli fu sul punto di chiederle come mai sapeva che ciò cui aveva accennato non si trovava in casa; ma lasciò correre. Quell'argomento era un enigma senza senso, un rompicapo che diveniva sempre più grottesco come un mostro visto riaprendo gli occhi nel buio. Abbassò le palpebre: era un'altra la visione che Baror desiderava. D'altronde lei gli aveva Henry James
257
1970 - Racconti Di Fantasmi
dimostrato di avere intuizioni eccezionali: la spiegazione che ne avrebbe dato sarebbe stata ancor più bizzarra del fatto in sé. E poi, avevano altro di cui discorrere, in particolare il problema di rimandare all'indomani il ritorno di lei a Dover, privandosi per il momento della valida protezione di Sidney. Questo non era in verità che un secondo aspetto del problema di uscire a cena insieme quella sera (dove avrebbe cenato lei altrimenti?), accompagnandolo, per esempio, in un bel posticino di Soho per un'ora di vita bohème, in quelle loro esistenze mortalmente rispettabili. Mrs Ryves respinse quell'affronto al suo tenor di vita, ma in realtà, venuto il momento, finì per accompagnarlo nel bel posticino dove furono loro serviti maccheroni e Chianti. La coppia appoggiò i gomiti sulla tovaglia sgualcita; e così, viso a viso, le tazzine da caffè spinte da un lato e la sigaretta di Peter accesa per ordine di lei, andarono acquistando sempre maggior confidenza. Dopo si recarono a teatro, in posti economici, e tornarono a casa in «bus»; e poi al riparo degli ombrelli. Sulla via del ritorno, Peter andava rimuginando fra sé un pensiero come mai aveva rimuginato prima; si domandava cioè se, alla fine, lei gli avrebbe permesso di restare cinque minuti nel suo salotto: l'argomento lo teneva in uno stato d'ansia e d'impaziente attesa, e tuttavia per quale motivo, se non quello di dirle quanto era povero? Era questo alla lettera il momento per dirglielo, tanto sprovvisto d'ogni bene l'aveva lasciato quell'ora di vita bohème. Persino la bohème costava cara, e tuttavia nel corso della giornata la sua mentalità a proposito di certe convenienze sociali era completamente mutata. A Jersey Villas (era quasi mezzanotte e Mrs Ryves, accendendo un fiammifero per il suo tremolante moccolo, gli aveva detto: - Oh sì, entri pure un minuto se le fa piacere!) lo aveva tenuto in piedi nel suo modestissimo salotto che, dopo gli splendori della serata, era davvero un ritorno alla squallida realtà. Baron cercò di spiegarle che certamente, quanto a fama e ricchezza, aveva ancora molto da sperare, ma che la giovinezza, l'amore, la fede, l'energia - per tacere di quanto infinitamente lei gli era cara - erano tutti dalla sua parte. Se gli inizi erano difficili, forse che uno doveva rendersi le condizioni di vita ancor più dure, rinunciando al sogno che - se lei lo avesse lasciato parlare fino in fondo avrebbe fatto tutta la benedetta differenza? Se Mrs Ryves lo abbia ascoltato fino in fondo o no, è una circostanza su cui si dà il caso che la nostra cronaca mantenga il silenzio. Ma dopo ch'egli si fu impadronito di tutt'e due le sue mani e le ebbe alitato in viso l'intensità del suo affetto - nel Henry James
258
1970 - Racconti Di Fantasmi
sollievo che gli procurava la gioia di dichiararsi si sentiva trasportato come da una marea crescente - ella lo frenò con più saggi ragionamenti, con un tono preoccupato, distaccato e dolce al tempo stesso - nel quale egli avverti un sentimento profondo. Più grazioso che mai era quel suo scuotere il capo come a voler temporeggiare; eppure quel gesto non aveva mai significato tanti timori, o tanta pena, tanti ricordi di cose irrealizzabili, e indipendenza e devozione e una sorta di non querulo dolore per la fine di un'amicizia che era stata felice. Aveva avuto simpatia per lui - se non ne avesse avuta non gliel'avrebbe lasciato credere! - ma protestò di non averlo mai «incoraggiato» nel senso odioso e volgare della parola. D'altronde non si poteva parlare di quegli argomenti, in quella stanza, e a quell'ora, e lo pregò di non farle rimpiangere, col prolungare la visita, la sua generosità. Nella sua situazione v'erano circostanze particolari, insormontabili considerazioni. Con amabilità imbarazzata si liberò della presenza di lui. Più tardi, nella notte d'opprimente umiliazione che segui, Peter ebbe la sensazione di essere stato messo al suo posto. Sapeva di donne che dopo aver veramente amato e perduto, di solito continuano a vivere in attesa di nuove albe nelle quali i vecchi fantasmi si dissolvono. Ma nella capricciosità della sua vicina c'era qualcosa che gli sembrava terribilmente invulnerabile.
VII. - Ho avuto modo di esaminare ancora un poco ciò che siamo disposti a fare, - disse Mr Locket - questo è uno di quei casi in cui ritengo consigliabile andare fino in fondo -. La mattina seguente Jersey Villas aveva avuto l'onore di ricevere ancora una volta il redattore capo della rivista; ed eccolo nuovamente seduto davanti alla ribaltina dove stava ben in vista l'oggetto del contendere sotto specie di un gran mucchio di fogli sciolti, attestanti quanto fossero stati maneggiati. - Considereremo la possibilità di offrirgliene trecento, ma non possiamo, le assicuro in modo categorico, fare un solo passo in più. Peter Baron, in vestaglia e pantofole, con le mani in tasca, andava su e giù per la stanza senza far rumore, ripetendosi sottovoce e in un tono che per il proprio bene si sforzava di rendere ilare: - Trecento... trecento -. Ma lungi dal buon umore era il suo stato d'animo: si sentiva povero, irritato e deluso; ma voleva dimostrare a se stesso di essere inflessibile, di essere Henry James
259
1970 - Racconti Di Fantasmi
fatto - in generale e in particolare - di una tempra indistruttibile. La prima cosa che aveva notato, entrando nella stanza prospiciente la strada, era che, davanti alla porta del n. 3, stava una carrozza a quattro ruote, con sopra i bagagli di Mrs Ryves. Concedendosi, da dietro la tenda, una perdonabile sbirciatina, vide uscire di casa la signora dei suoi pensieri seguita da Mrs Bundy, e prender posto nel modesto mezzo di trasporto. Dopo di che i suoi occhi rimasero fissi a lungo sulla schiena di cotone a fiorami dell'affittacamere, che agitava senza posa, davanti al finestrino della carrozza, la vecchia testa moraleggiante. Mrs Ryves aveva davvero preso la fuga - era stato lui a renderle impossibile la dimora a Jersey Villas - ma Mrs Bundy, con una magnanimità senza precedenti nella sua professione, sembrava esprimere ferma fede nella purezza delle sue ragioni. Baron senti che almeno per il momento la separazione da lui era un dato di fatto e per istintiva delicatezza si tenne indietro. Mr Locket parlò a lungo, e Peter Baron ascoltò e attese. Rifletteva sul fatto che la sua disponibilità ad ascoltare avrebbe probabilmente suscitato speranze nel suo ospite - speranze che, dal canto suo, era pronto a considerare senza farsi scrupoli. Non provava compassione per l'ansiosa attesa di Mr Locket o per le sue possibili illusioni: si sentiva nauseato, abbandonato, bisognoso di conforto e di denaro. E tuttavia era come un oltraggio alla sua dignità la sensazione di avere il coltello alla gola: soprattutto lo irritava il terreno su cui Mr Locket poneva la questione: quello di servire la causa della verità storica. Poteva anche darsi, ma non ci vedeva ben chiaro; poteva darsi: era una questione profonda, troppo profonda, forse, per quanto ne capiva lui. Comunque doveva controllarsi per non interrompere rabbiosamente quelle chiacchiere aride, interessate, quella voce falsa che parlava il gergo dei mercanti. Fissò la finestra con occhi disperati e vide la stupida pioggia che cominciava a cadere. La giornata era ancor più cupa del suo spirito: le case di Jersey Villas erano così brutte, così squallide che non c'era da stupirsi se Mrs Ry-ves non le sopportava piti. Per brutte che fossero, nel corso della giornata avrebbe dovuto dire a Mrs Bundy ch'era costretto a cercare un alloggio più modesto. - Ritengo, - iniziò a dire all'improvviso, interrompendo Mr Locket, - che questa concessione mi assicurerebbe senza restrizioni l'ospitalità sulla rivista. Mr Locket lo guardò attonito. - Assicurare?... l'ospitalità?... -Palpava la proposta come un frutto acerbo. Henry James
260
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Voglio dire che, naturalmente, cortesia per cortesia, lei non continuerebbe a rifiutare i miei scritti. - Vi dedicherei la massima attenzione, come ho sempre fatto finora. Peter Baron esitò. A ben vedere il suo caso presentava qualche prospettiva di successo per un aspirante idealmente astuto in posizione di vantaggio come lui. Un attimo dopo però si senti affluire il sangue al viso per la vergogna: la causa della sua produzione letteraria andava perorata unicamente in vista dei meriti di essa. Era come se, stupidamente, si fosse messo lui a parlarne male. Ciò nonostante lanciò la domanda diretta: Pubblicherebbe per esempio la mia novelletta? - Quella che ho letto l'altro giorno, facendo obiezioni su certi punti? Intende dire... ehm... modificata? - rispose Mr Locket. - Oh no, intendo dire senza modifiche di sorta. Le pagine che lei vorrebbe modificare contengono, come le ho molto chiaramente spiegato, quella che ritengo la raison d'ètre della storia e perciò mi sembrerebbe una cretineria di prima grandezza eliminarle -. In verità Peter aveva rinunciato ad ogni speranza di far comprendere al suo critico il proprio pensiero, ma favorito dalle attuali circostanze - non poteva rinunciare a concedersi il lusso, che probabilmente non gli si sarebbe più presentato, di essere del tutto schietto, per un istante di follia, con un direttore di rivista. Mr Locket affettò un sorriso forzato. - Pensi allo scandalo, Mr Baron. - Ma non è proprio un altro scandalo quello a cui state correndo dietro? - Sarà un grande servizio reso al pubblico. - Le lettere produrranno un grosso scandalo, mentre la mia povera novella ne provocherà uno piccolo piccolo, ed è soltanto con gli scandali grossi che si fanno i soldi. Mr Locket si alzò. Anche lui aveva la sua dignità da difendere. - Una somma come quella che le offro dovrebbe escludere qualsiasi rivendicazione. - Infatti, io non ho rivendicazioni da fare, poiché lei non apprezza ciò che scrivo. Prendo atto della sua offerta, - prosegui Peter, - e mi impegno per questa sera a darle, in poche righe che le lascerò a casa, la mia risposta definitiva, assolutamente inappellabile. I movimenti di Mr Locket, starnazzante intorno alle reliquie dell'eminente statista, erano quelle di un pennuto che difende il nido minacciato. Se quella mattina aveva restituito la sua covata di scartafacci, era perché si era sentito così sicuro di concludere l'affare da permettersi di essere generoso. Con gli occhi lucidi Henry James
261
1970 - Racconti Di Fantasmi
fissi sulle carte, temeva, disse, di dover sollecitare, prima di lasciarle, l'assicurazione che nel frattempo Baron non le avrebbe passate in altre mani. A queste parole Peter uscì in una risata più aspra di quanto volesse e chiese, con ragione, a qual titolo il suo visitatore facesse tale richiesta e perché mai lui stesso non fosse qualificato ad offrire la sua merce al miglior offerente. - Non vuol mica andare in giro a vendere cose del genere? -gridò Mr Locket; ma prima che Baron trovasse il tempo di rispondergli cinicamente, soggiunse: - Pubblicherò la sua novella! - Oh grazie! - Pubblicherò tutto quello che mi farà avere, - rincarò Mr Locket nell'uscire. Poco prima Peter aveva virtualmente promesso che, per il carteggio, avrebbe trattato soltanto con «Miscellanea». Durante una parte del pomeriggio il giovane visse le ore più agitate della sua vita, e tuttavia, a distanza di tempo, non ebbe a ripensarvi come a un momento di tentazione, sebbene fossero state ore prodighe di quel turbamento che si accompagna a una prospettiva densa di scelte. La battaglia era già vinta in partenza. Per quanto povero, gli parve di non poterlo essere abbastanza per accettare i soldi di Mr Locket. Esaminò le due alternative con la calma di chi ha fatto la propria scelta, ma quella calma stessa gli procurò la più esaltante delle emozioni: era davvero un mutamento radicale, una specie di nobile pietà. Gli pareva di aver posto il dito sul polso della storia, essere addentro al segreto degli dèi. Tutto era in mano sua: le tavole della legge, la bilancia della giustizia, la fiaccola della ricerca. Non sapeva tenere insieme un personaggio, ma era capacissimo di ridurlo in pezzi. Sarebbe stata un'«opera creativa» di nuovo genere; poteva ricostruire il personaggio in modo meno gradito, rivelandone aspetti ignorati. Mr Locket aveva fatto un gran parlare di responsabilità, e in effetti il senso della responsabilità gli aveva tenuto compagnia per tutta la mattina, mentre andava su e giù per la sua gabbia angusta, guardando la implacabile pioggia primaverile battere sui vetri. Aveva pensato allora alla tetraggine che attendeva Mrs Ryves, in viaggio per Dover, e a quel pensiero si era sovrapposta l'immagine del povero Sir Dominick Ferrand; la sua fisionomia ormai era divenuta così percettibile, così freddamente e stranamente personale come fosse stato uno spettro levatosi dall'antica pietra del suo focolare. Il nostro amico era abituato a quella compagnia; in effetti, negli ultimi tempi, aveva passato con lui tante ore seguendolo sin Henry James
262
1970 - Racconti Di Fantasmi
dentro il Museo, a raffrontare i suoi vari ritratti, le litografie e le incisioni da cui uno sguardo consapevole e implorante sembrava posarsi su chi l'aveva tradito, tanto che la loro insolita dimestichezza si era fatta intima come un abbraccio. Sir Dominick, muto com'era, dipendeva fortemente da lui, e Peter non l'avrebbe incoraggiato con tanta curiosità, né rassicurato con così numerose prove di deferenza, se non avesse respinto la possibilità di uscire dalle proprie angustie col mettere a nudo un uomo. Non importava che quell'uomo fosse morto, che fosse stato disonesto. Peter lo sentiva abbastanza vivo per essere capace di soffrire. Avvertiva in Mr Locket un così puntiglioso bisogno di rettificare la storia, da far si che tale rettifica non divenisse affatto per lui stesso un imperativo categorico. Gli era apparso inoppugnabilmente chiaro che, se il suo successo doveva dipendere da un'opera di diffamazione, ciò che più lo avrebbe aiutato a sentirsi la coscienza a posto era abbandonare l'idea del successo. No, no: anche a costo di morir di fame non avrebbe ricavato denaro dal disonore di Sir Dominick. Mentre, scuro in volto, se ne andava su e giù per la stanza, fu quasi sorpreso dal senso di violento disgusto che lo colse all'idea di un vantaggio qualsiasi procurato in tal modo. Chi era per lui Sir Dominick, in fin dei conti? Così non vi si fosse mai imbattuto! In una delle sue pause meditabonde presso la finestra - la finestra dalla quale, a quanto pareva, mai più avrebbe scorto Mrs Ryves attraversare il giardino con quel passo che aveva apprezzato fin dalla prima volta - si avvide che la pioggia stava per cessare, e il sole - benché riluttante - per fare ammenda. Era segno che poteva uscire: aveva la vaga impressione di dover fare diverse cose: cercarsi un lavoro e un'abitazione più economica, e una nuova ispirazione (dal momento che tutte quelle coltivate finora l'avevano abbandonato); in più bisognava lasciare alla porta di Mr Locket il promesso bigliet-tino. Guardò l'orologio e fu sorpreso dell'ora, perché tutto quel tempo non aveva significato per lui altro che pena. Doveva sbrigarsi a mutar d'abito, ma nel passare in camera da letto l'occhio gli cadde sul mucchietto di lettere ammonticchiato da Mr Locket sulla sua ribaltina. Lo fecero sussultare e, con lo sguardo fisso su di esse, fra divertito e annoiato che esistessero ancora, si fermò un istante. Le aveva così completamente distrutte col pensiero che ormai per lui l'azione era scontata; ripensò tuttavia ai gradi successivi attraverso cui deve passare un'intenzione per essere sincera. Armato dunque di tutta la sua sincerità, Baron si accostò alle lettere, e sulla griglia vuota del caminetto (dove negli ultimi giorni non era più stato Henry James
263
1970 - Racconti Di Fantasmi
acceso il fuoco, per cui non ebbe che da rimuovere un orrendo aggeggio di carta velina, caro a Mrs Bundy) ne bruciò con meticolosa metodicità l'intera raccolta. Il veder consumarsi e divenire illeggibile cenere le pagine più compromettenti lo rese più felice - se felicità può essere il termine appropriato per la sensazione che gliene derivò durante l'operazione: un crepitare così secco e scricchiolante da far pensare al fruscio di morte di tanti biglietti di banca. Quando, dieci minuti più tardi, tornò nel suo studio, gli parve di trovarsi curiosamente - e all'improvviso - davanti a un panorama più ampio. Era come se fosse stato rimosso un corpo estraneo di così vasta mole da permettergli di contemplare più cielo, più paesaggio. Eppure le case di fronte c'erano ancora, naturalmente, e se quel cupo scorcio appariva più luminoso era senza dubbio soltanto perché la pioggia era cessata davvero e il sole irrompeva attraverso i vetri. Peter si avvicinò alla finestra per aprirla all'aria nuova e, così facendo, scorse davanti al cancelletto del giardino la modesta carrozza da nolo in cui, poche ore prima, aveva visto partire Mrs Ryves. Non c'era da sbagliarsi (ricordava il cavallo bianco dai ginocchi ossuti), ma il fatto che sul tetto non vi fosse più il bagaglio della vicina non faceva che aumentare il suo disorientamento. Forse il vetturino l'aveva già portato via.... Ora costui se ne stava a cassetta a fumare una pipa di delizie: le delizie che derivavano dal non-lavoro pagato. Rientrato nella stanza, fu sorpreso da un colpo bussato alla porta, una bussata presto chiarita - non appena ebbe aperto - dal fiato corto di Mrs Bundy. - Scusi, signore, sono venuta a dirci che è tornata. - Perché diavolo è tornata? - La domanda di Baron suonò sgarbata ma egli provò una nuova fitta al cuore. Ebbe timore di un'altra ferita; sembrava uno scherzo di cattivo genere. - Credo che è per lei, signore, - fece Mrs Bundy. - Desidera vederla un momento, se ha la cortesia, nel vecchio studiolo di un tempo. Peter segui per le scale la padrona di casa, che lo precedette starnazzando nel locale da lei così affettuosamente definito. - Sono partita stamani, e sono tornata solo per un momento, -spiegò Mrs Ryves non appena Mrs Bundy ebbe chiuso l'uscio. Peter notò in lei un mutamento, come se qualche fatto nuovo l'avesse resa più benevola. - È andata e tornata da Dover? _ No, ma sono andata a Victoria Station a lasciare i bagagli... poi sono andata in giro in carrozza. Henry James
264
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Spero che si sia divertita. - Moltissimo. Sono andata a trovare Mr Morrish. - Mr Morrish? - L'editore di musica. Gli ho portato la nostra canzone. Gliela ho eseguita e lui ne è stato entusiasta. Assicura che è proprio il genere che ci vuole. Mi ha dato 50 sterline. Ha fiducia in noi, credo, _ continuò Mrs Ryves, mentre Baron contemplava il miracolo, gli pareva ancora troppo bello per essere vero, di lei che gli stava davanti, in piedi, e gli parlava di cose che avevano in comune. - Cinquanta sterline, cinquanta sterline! esclamò, sventolandogli davanti il benedetto assegno. Era tornata indietro subito per dirglielo, e naturalmente avrebbe diviso la somma a metà. Era rosea, giubilante, spontanea; parlava come una donna felice. Disse che bisognava lavorare di più, molto molto di più. Mr Morrish aveva davvero promesso di accettare qualunque cosa allo stesso livello. Lei aveva trattenuto la carrozza perché partiva per Dover: non poteva lasciare soli gli altri due. Era un trabiccolo, malconcio e pigro, ma dopo un po' Baron cominciò ad apprezzarne il passo, giacché lei aveva acconsentito a lasciarlo salire e a farsi accompagnare - ma sul serio, questa volta - a Victoria. Era venuta solo per dargli la buona notizia, ripetè più di una volta. Ne parlarono tanto intensamente che lì per lì Baron si scordò di ogni altra cosa: l'impegno preso con Mr Locket e il gran sacrificio appena consumato, persino la strana coincidenza, che andava ad aggiungersi alla stranezza di tutte le altre, del ritorno di lei come per una delle sue ben note divinazioni, proprio nel momento preciso in cui le carte che erano state alla base della loro amicizia avevano cessato di esistere. Ma lei, dal canto suo, le carte le aveva evidentemente dimenticate: non ne fece mai parola e Peter Baron non si gloriò per nulla di ciò che aveva fatto. Per un certo tempo non vi accennò, curioso di vedere se la sagacia della sua amica non fosse stata messa in allarme. Poi, più tardi, quando si trattò di assumere per sempre quel comportamento, mantenne il silenzio, un prodigioso, religioso, tremebondo silenzio in seguito a un dialogo particolare avuto con lei. Il dialogo si svolse a Dover, quando lui le portò il denaro di Mr Morrish ritirato dalla banca dove aveva consegnato l'assegno. Fu in certo modo quell'assegno, o piuttosto certe cose che esso rappresentava, a definire il mutamento radicale dei loro rapporti. Mutamento che fu enorme, e Baron credette che a spiegare un cambiamento così improvviso fosse solo la Henry James
265
1970 - Racconti Di Fantasmi
conferma della prospettiva di un fruttuoso lavoro comune. Questa volta lei non parlò più di impossibilità non sembrò voler mai interrompere la loro collaborazione; soltanto quando, all'indomani del suo arrivo a Dover con le cinquanta sterline (dovette infine acconsentire a dividerle con lei, non poteva sperare che accettasse da lui un regalo in denaro), egli tornò a porle la domanda che aveva formulato la sera in cui avevano cenato insieme, solo allora (lui era arrivato con una valigia e si sarebbe fermato) lei accennò al fatto di aver qualcosa di speciale sulla coscienza, qualcosa che voleva dirgli prima ch'egli potesse compromettersi. Nell'affrontare l'argomento le si soffuse in volto una luce premonitrice che lo spaventò, una luce carica di qualcosa di cosf strano che per un attimo egli trattenne il fiato. Questo lampo, foriero di possibili sventure, tuttavia si dileguò e Peter fece un movimento come a prendere più tenero possesso di lei. Ma lei lo trattenne, sollevando un dito con aria grave, compunta. - Mi dica, mi dica tutto! - esclamò Baron. - Lei deve sapere cosa sono, chi sono: deve sapere specialmente che cosa non sono! C'è una parola per questo, una parola bruttissima, crudele! Non ne ho colpa. Altri lo hanno saputo, ho dovuto dirlo: ha cambiato la mia vita. Certo ha indovinato! - continuò con un sottilissimo tremito d'ironia nella voce. E gli permise di prenderle la mano, ch'era fredda e rigida come il dovere da compiere. - Non vede che non possiedo niente, che non ho parenti, non ho amici, nulla di nulla al mondo che sia mio? Ero solo una povera figliola. - Una povera figliola? - Baron era confuso, commosso, desolato, e cercava di raccapezzarsi in qualche modo in ciò che lei intendeva dirgli, ma sentiva, in una grande ondata di compassione, che sarebbe stato un motivo in più per amarla. - Mia madre... la mia povera mamma, - disse Mrs Ryves. Tacque e, attraverso le lagrime, i suoi occhi incontrarono quelli di lui come a supplicarlo di capirla. Egli comprese e la trasse più vicino, ma lei riuscì ancora a sciogliersi da lui, e continuò: - Era una povera ragazza sola, una governante; credeva che lui l'amasse. La amava veramente: credo che sia stata la sola felicità che mia madre abbia mai conosciuto. Ma ne è morta. - Oh, sono contento che me ne parli... Com'è generoso da parte sua! sussurrò Baron. - E poi... suo padre? - Esitò come se avesse posto il dito su antiche ferite. - Aveva guai per conto suo, ma con lei fu buono. Fu solo miseria e Henry James
266
1970 - Racconti Di Fantasmi
follia: lui era sposato. Non era felice: credo per validi motivi. Lo so da certe lettere, l'ho saputo da una persona che è morta. Sono morti tutti ormai, troppo tempo è passato. È l'unica cosa buona, questa. Con me fu molto caro: io me lo ricordo, ma allora, da bambina, non sapevo chi fosse. Mi collocò presso una famiglia di bravissime persone... Ha fatto quanto ha potuto per me. Più tardi, credo, sua moglie seppe ogni cosa... una signora che venne a trovarmi una volta dopo la sua morte. Ero una bambina piccina allora, ma molte cose me le ricordo. Fece quello che potè... lui... qualcosa che mi fu d'aiuto in seguito, che ancor oggi mi aiuta. Penso a lui con una specie di strana compassione: io lo vedo - asserì Mrs Ryves, e i suoi occhi si velarono dell'ombra del passato. - Lei non dovrà mai dir nulla contro di lui, - soggiunse con dolce gravità. - Mai, mai! Perché ha soltanto accresciuto in me la gioia di amarla. - Bisogna aspettare, bisogna riflettere: aspetteremo insieme, -ella riprese. - Lei non può ancora essere sicuro, e deve lasciarmi un po' di tempo. Adesso che lo sa, mi sento sollevata: ma era necessario che lo sapesse. Siamo ancora pivi amici, non le pare? - domandò con un sorriso così stanco che ebbe l'effetto di rimandare ancor più il racconto di Baron. Ma un attimo dopo, come se avesse l'impressione di non doverlo rinviare troppo, Mrs Ryves aggiunse in fretta: - Lei non conosce i fatti, lei non può giudicarli, li deve lasciar decantare. Ci rifletta, ci pensi; oh lo so che ci penserà, non parliamone più. Anch'io devo aver tempo, oh e come! Sì, lei mi deve credere. Si voltò, ed egli rimase a guardarla per un poco. - Come lavorerò volentieri per lei! - esclamò Baron. - Deve lavorare per sé: l'aiuterò io -. Di nuovo i loro sguardi s'erano incontrati, e lei, pensosa, esitante, seguitò: - Sarà meglio, forse, che le dica chi era. Baron scosse il capo, sorridendo fiducioso. - Non me n'importa nulla. - A me sì, un po' me ne importa. Era un grand'uomo. - Certo, qualcosa di buono doveva avere. - Era un personaggio famoso. L'avrà sentito nominare spesso. Baron si domandò per un attimo chi poteva essere. - Lei è una principessa, non ho più dubbi! - esclamò ridendo: lo aveva innervosito. - Non mi vergogno di lui. Era Sir Dorninick Ferrand. Gli bastò un secondo per leggerle in volto di aver colto appienol’espressione del suo sguardo. Sapeva di averla fissata sbalordito, Henry James
267
1970 - Racconti Di Fantasmi
poi di essersi sbiancato in viso; la notizia gli aveva prodotto l'effetto di un violento scossone. Un brivido di gelo lo colse, come agghiacciata era rimasta lei, di fronte all'incombente pericolo, piena di spavento per il colpo vibratogli. Ma il sangue tornò a fluire nelle loro vene, man mano che Peter riprendeva rapidamente equilibrio e sicurezza, rendendosi conto che la sua amica aveva scorto nell'emozione di lui soltanto la violenza della sorpresa. Era uscito in un bisbiglio soffocato - Ah, sei tu, amore mio! - che andò smorzandosi del tutto mentre l'attirava a sé e la teneva a lungo stretta in un intenso abbraccio, ancora sbalordito di essersi sottratto a un tale pericolo. Gli ci volle un po' di tempo per continuare a ripetersi con sufficiente insistenza, nascondendo il viso: «Ah, non lo saprà mai, non dovrà saperlo mai!» Non lo seppe mai; apprese soltanto, avendoglielo una volta chiesto casualmente, che in effetti egli aveva bruciato i vecchi documenti per i quali lei aveva dato prova di un capriccio così bizzarro. La sensibilità e la curiosità che quelle carte avevano avuto l'assurdo potere di suscitare in lei erano misteriosamente crollate con la medesima irresponsabilità con cui erano sorte dal nulla; ed ella sembrò allora averle dimenticate, o piuttosto attribuire ora ad altre cause l'agitazione e alcuni dei curiosi avvenimenti di cui erano state oggetto. Naturalmente a Peter Baron diedero parecchio altro da pensare, molto pane - in verità - per meditazioni clandestine. Nonostante i numerosi sforzi compiuti per non lasciarsi sorprendere, ella talvolta le rilevò e, per quanto risultò a lui, le interpretò come uno stato depressivo conseguente alla lunga prova cui ella stessa l'aveva sottoposto. Ed egli fu più paziente di quanto - ad onta di tutte le sue facoltà divinatorie - lei seppe intuire, perché, se a dura prova era stato posto lui, nemmeno lei ne era uscita indenne. Peter non cessava di pensare che, se i documenti da lui distrutti stavano a dimostrare qualcosa, dimostravano perlomeno che gli umani errori di Sir Dominick Ferrand non erano di un'unica specie. Era un pensiero di cui non riusciva a liberarsi: che la donna da lui amata fosse proprio la figlia di quel padre. Ciò che più conta è che, conoscendola sempre più a fondo - perché, sotto la protezione di Mr Morrish, lavorarono molto insieme - il suo amore per lei certo non diminuì di intensità. Alla luce della lealtà senza pari di lei (il loro matrimonio ne rivelò ancor più di quanto egli avesse mai supposto) Baron si chiese talvolta se le reliquie trovate nella ribaltina fossero autentiche. Quel mobile gli è ancor oggi non meno utile della protezione di Mr Morrish. Per esprimersi con il Henry James
268
1970 - Racconti Di Fantasmi
linguaggio usato da questo signore, parecchie delle loro canzonette incontrano moltissimo. Tuttavia Baron si cimenta anche con la prosa, e non sempre adesso le riviste rifiutano le sue offerte. Ma non si è mai più avvicinato a «Miscellanea». Questa rassegna ha pubblicato a suo tempo uno studio altamente elogiativo sulla ragguardevole carriera di Sir Dominick Ferrand. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
OWEN WINGRAVE I. - Sull'onor mio dovete aver perso la testa! - esclamò Spencer Coyle, mentre il giovane, bianco in viso, era lì davanti a lui, un po' ansimante, e ripeteva: - Vi dico che ho veramente deciso, - e: - Vi assicuro che ho esaminato la cosa da tutti i lati -. Erano pallidi tutti e due, ma Owen Wingrave sorrideva in un modo che esasperava il suo istitutore, il quale aveva tuttavia ancora tanto discernimento da capire che quella smorfia una sorta di risolino inconsulto -non era che l'effetto d'un nervosismo estremo e comprensibile. - Arrivare fino a questo punto è stato certamente un errore; ma proprio per questo sento che non devo andar oltre, - disse il povero Owen aspettando meccanicamente, quasi umilmente, una risposta (non voleva darsi delle arie, e in verità non ne aveva ragione) e posando attraverso la finestra il freddo scintillio dei suoi occhi sulle scolorite case di fronte. - Sono indicibilmente disgustato. Mi avete sconvolto in un modo terribile... - e il signor Coyle appariva in realtà completamente fuori di sé. - Me ne dolgo moltissimo. Non ho parlato prima appunto per timore dell'effetto che la cosa vi avrebbe fatto. - Avreste dovuto parlare tre mesi fa. Non sapete che cosa avete in mente da un giorno all'altro? - domandò il più anziano dei due. Il giovane esitò un momento; poi con la voce che gli tremava: - Siete molto irritato con me... - protestò, - e me lo aspettavo. Vi sono molto obbligato per quanto avete fatto per me. Farò qualunque altra cosa per voi, in cambio, ma non questa. Tutti mi diranno il fatto loro, naturalmente. Ci sono preparato, sono preparato a tutto. Per questo mi ci è voluto tanto tempo: capite bene che me l'aspettavo. Credo che il vostro disappunto sia quello che sento e deploro di più. Ma a poco a poco lo Henry James
269
1970 - Racconti Di Fantasmi
supererete, - concluse Owen. - Voi lo supererete un po' più rapidamente, suppongo! – esclamò l’altro ironico. Era non meno agitato del suo giovane amico, e non erano evidentemente in condizione di prolungare un colloquio che li faceva sanguinare tutti e due. Ma Coyle era «istitutore» di professione; preparava aspiranti per l'esercito, accogliendone tre o quattro alla volta, e facendo operare su di loro lo stimolo irresistibile che costituiva a un tempo il suo segreto e la sua fortuna. Non aveva un'organizzazione in grande; personalmente, avrebbe detto che non lavorava all'ingrosso. Né il suo sistema, né la sua salute, né il suo carattere consentivano un numero elevato di scolari; di conseguenza soppesava e misurava gli allievi col massimo scrupolo, e rifiutava più ammissioni di quante ne accettasse. Nella sua professione, era un artista; si occupava soltanto di elementi scelti, ed era capace di sacrifici quasi appassionati per il singolo. Gli piacevano i giovani entusiasti - c'erano tipi di capacità e generi di bravura che lo lasciavano indifferente - e Owen Wingrave aveva suscitato in lui una grande simpatia. La particolare qualità delle doti di quel giovane, per non parlare della sua intera personalità, emanava quasi un fascino e, in ogni modo, lo rendeva attraente. I candidati del signor Coyle di solito facevano meraviglie, e avrebbe potuto sfornarne una moltitudine. Era un uomo di statura esattamente pari a quella del grande Napoleone, con un certo lampeggiamento di genio nei chiari occhi azzurri: si era detto di lui che aveva l'aspetto di un pianista da concerto. Il tono del suo allievo favorito esprimeva ora, per quanto davvero senza intenzione, una superiore saggezza che lo irritava. In passato, l'alta opinione che Wingrave aveva di sé, e che sembrava giustificata da qualità eccezionali, non gli aveva mai dato noia; ma quel giorno, improvvisamente, la trovò intollerabile. Pose bruscamente fine alla discussione, rifiutandosi nel modo più assoluto di considerare i loro rapporti come conclusi, e fece osservare al suo alunno che avrebbe fatto bene a prendersi una vacanza - a Eastbourne, per esempio: il mare gli avrebbe fatto cambiare idea - così da avere qualche giorno per ritrovare l'equilibrio e tornare in sé. Era così avanti negli studi che poteva prendersi il lusso di perdere quel po' di tempo: ricordando quanto Wingrave fosse effettivamente avanti negli studi, a Spencer Coyle venne l'impeto di prenderlo a schiaffi. L'alto e atletico giovanotto non era, fisicamente, un soggetto adatto a tale semplificazione di argomenti; ma la turbata mitezza del suo bel viso, indice di risolutezza mista a Henry James
270
1970 - Racconti Di Fantasmi
compunzione, significava in realtà che, se la cosa avesse potuto fargli bene, avrebbe presentato senz'altro entrambe le guance. Era chiaro che non pretendeva di spacciare la sua saggezza come superiore; la presentava unicamente come sua. Dopo tutto si trattava della sua carriera. Non poteva rifiutarsi alla formalità di tentare una vacanza a Eastbourne o, per lo meno, di tenere la lingua a posto; ma, nel suo atteggiamento, era implicito il pensiero che, se lo avesse fatto, sarebbe stato in realtà unicamente per permettere al signor Coyle di ricomporsi. Egli non si sentiva minimamente affaticato, ma non c'era niente di più naturale che, data l'enorme quantità di lavoro alla quale s'erano sottoposti, il signor Coyle lo fosse. L'intelletto del signor Coyle avrebbe tratto vantaggio dalla vacanza del suo scolaro. Il signor Coyle intuì il pensiero del giovane, ma si dominò; chiese soltanto, come suo diritto, una tregua di tre giorni. Owen, per quanto dare alimento a fallaci illusioni fosse visibilmente contrario alla sua coscienza, la concesse; ma prima che si separassero, il famoso istitutore osservò: - Comunque sento il dovere di parlare con qualcuno. Mi avete detto, mi sembra, che vostra zia è arrivata in città... - Oh sì, sta in Baker Street. Andate, andate a trovarla, - disse il giovane in tono confortante. Il maestro gli gettò un'occhiata scrutatrice: - Le avete accennato a questa vostra follia? - Non ancora, non ne ho parlato con nessuno. M'è sembrato giusto parlarne a voi prima che a ogni altro. - Oh, quanto a quello che voi trovate «giusto»! - esclamò Spencer Coyle irritato dai principi del suo giovane amico. Aggiunse che probabilmente sarebbe andato a far visita alla signorina Wingrave; dopo di che l'alunno infedele lasciò la casa. Ma non parti subito per Eastbourne; si diresse soltanto verso il parco di Kensington, dal quale l'invidiabile residenza del signor Coyle - che era terribilmente spendereccio e aveva una casa molto grande - non si trovava lontana. Il famoso istitutore teneva a pensione i suoi scolari, e Owen aveva detto al maggiordomo che sarebbe ritornato per il pranzo. La giornata di primavera era calda per il suo giovane sangue, e poiché aveva un libro in tasca, quando fu entrato nel parco, e, fatto un breve giro pei viali, si fu lasciato cadere su una sedia, lo tirò fuori col sospiro lento e beato che saluta alfine un piacere lungamente desiderato. Stese a suo agio Henry James
271
1970 - Racconti Di Fantasmi
le lunghe gambe e incominciò a leggere; era un volume delle poesie di Goethe. Si trovava da giorni in uno stato di estrema tensione, e ora che la corda s'era spezzata, il sollievo si palesava altrettanto grande: soltanto, era caratteristico della sua natura che la liberazione assumesse la forma di un piacere intellettuale. Se aveva rinunciato alla prospettiva di una carriera magnifica, non era già per gingillarsi lungo Bond Street o esibire la sua indifferenza dalla finestra di un qualche circolo cittadino. Comunque, in pochi minuti, aveva dimenticato tutto: l'enorme dispendio di energia, il disappunto del signor Coyle e perfino la formidabile zia di Baker Street. Se quei sovraintendenti alla sua vita lo avessero sorpreso lì, la loro esasperazione avrebbe avuto qualche scusa. Era senza dubbio perverso; perfino la scelta del passatempo dimostrava quali progressi avesse fatto nello studio del tedesco. - Lo sapete voi che cosa diavolo gli sta succedendo? - domandò Spencer Coyle quel pomeriggio al giovane Lechmere, il quale, in passato, non aveva mai sentito il direttore dell'istituto dare esempio di scorrettezza di linguaggio. Il giovane Lechmere era non soltanto compagno di studi di Wingrave; lo si giudicava suo intimo, anzi il suo migliore amico, e aveva inconsapevolmente compiuto agli occhi del signor Coyle la funzione di rendere più vivida, per contrasto, la promessa delle grandi qualità dell'altro. Era basso e tarchiato e, nell'insieme, tutt'altro che entusiasmante, tanto che il signor Coyle, il quale non provava nessun piacere a doversi confidare con lui, non lo aveva mai trovato più insipido di quello che gli appariva ora, mentre sgranava gli occhi su di un viso dal quale non si capiva se avesse afferrato l'idea più di quanto si possa giudicare il proprio pranzo guardando il coperchio di una casseruola. Il giovane Lechmere teneva nascosto ogni successo del genere come si fosse trattato di indiscrezioni giovanili. Comunque, era evidente che non vedeva alcuna ragione per la quale si. dovesse pensare che ci fosse qualcosa di diverso dal solito nell'umore del suo compagno di studi; il signor Coyle si trovò quindi costretto a continuare: - Si rifiuta di andare avanti. Manda tutto all'aria! La cosa che più colpiva il giovane Lechmere nella faccenda era la freschezza, quasi di vernacolo dimenticato, impartita al vocabolario del suo maestro. - Non vuole andare alla scuola di guerra? - Non vuole andare in nessun posto. Rinuncia alla carriera militare completamente. E contrario, - disse il signor Coyle con un tono che quasi Henry James
272
1970 - Racconti Di Fantasmi
tolse il respiro al giovane Lechmere, - alla professione delle armi. - Ma se è stata la professione di tutta la sua famiglia! - Professione? La loro religione, è stata! Conoscete la signorina Wingrave? - Oh sì! Terribile, no? - esclamò candidamente il giovane Lechmere. Il suo istitutore rimase un momento interdetto. - Formidabile, vorrete dire, ed è giusto che lo sia; perché, in certo qual modo, nel suo aspetto stesso, da quella brava vecchia zitella che è, rappresenta le tradizioni e le gesta dell'esercito inglese. Rappresenta la forza d'espansione del buon nome britannico. Credo che si possa contare su un'azione concorde della famiglia, ma bisogna mettere in moto ogni influenza. Desidero sapere quale sia la vostra. Credete di poter fare qualcosa? - Posso tentare in qualche modo, - disse il giovane Lechmere meditabondo. - Ma la sa lunga. Ha le idee più impensabili. - Allora ve ne ha detto qualcosa... si è confidato con voi! - L'ho sentito parlare ore e ore, - sorrise l'onesto Lechmere. -Mi ha detto che ne ha un profondo disprezzo. - Che cosa disprezza? Non capisco. Il più riflessivo degli allievi del signor Coyle meditò un momento, come conscio di una responsabilità. - Ebbene, io credo la vita militare, capite? Dice che la vediamo sotto una luce sbagliata. - Non dovrebbe tenere questi discorsi a voi. E’ un corrompere i giovani ateniesi. E’ uno spargere la sedizione. - Oh, io non mi lascio corrompere! - disse il giovane Lechmere. - D'altra parte non mi ha mai detto che voleva tirarsi indietro. Ho sempre pensato che volesse esaminare la cosa a fondo, perché è nella sua natura. È capace di sostenere qualunque punto di vista. È capace di farvi uscir di cervello con la sua parlantina... se c'è una cosa che posso dire di lui, è questa. Ma è un gran peccato... sono certo che avrebbe fatto una carriera stupenda. - E allora diteglielo; difendete la buona causa; prendetelo di petto... per amor di Dio. - Farò quello che posso... gli dirò che è una vergogna bella e buona. - Sì, battete su quel punto... insistete sulla vergogna che ricadrebbe su di lui. Il giovane dette al signor Coyle uno sguardo strano. - Sono certo che non farebbe niente di disonorevole. - Sì... ma l'opinione del mondo? Dovete fargli sentire questo... mettere Henry James
273
1970 - Racconti Di Fantasmi
bene in luce la cosa. Ditegli qual è il punto di vista di un camerata... di un fratello d'armi. - In verità pensavo che lo saremmo diventati, - mormorò romanticamente il giovane Lechmere, molto orgoglioso della missione che gli veniva affidata. - È un ragazzo di prim'ordine. - Nessuno la penserà così, se si tira indietro! - disse Spencer Coyle. - Non lo vengano a dire a me! - ribatté l'allievo con impeto. Il signor Coyle, notando il tono, e convinto che, nella mutevolezza degli eventi, per quanto quel giovane fosse un soldato nato, nessun dramma sarebbe mai sorto dalle sue scelte, se non forse agli occhi della bella ragazza alla quale, in un giorno tutt'altro che lontano, si sarebbe placidamente unito, rimase un momento pensieroso. - Avete simpatia per lui... avete fede in lui? In quei giorni la vita del giovane Lechmere consisteva nel dover rispondere a domande terribili, ma non si era mai trovato di fronte a un fuoco di fila così intenso. - Se ho fede in lui? Credo bene! - Allora salvatelo! Il povero ragazzo rimase perplesso, quasi sentisse nell'impeto delle parole un appello assai più disperato che a tutta prima non sembrasse; e si rese conto senza dubbio che intravedeva appena allora quanto la situazione fosse complessa, allorché, un momento dopo, con le mani in tasca, speranzoso, ma senza albagia, rispose: - Credo che mi riuscirà di ricondurlo alla ragione!
II. Prima di parlare col giovane Lechmere, il signor Coyle s'era deciso a telegrafare alla signorina Wingrave chiedendole un colloquio. Aveva pagato in anticipo la risposta, la quale, rimessa nelle sue mani con la massima prontezza, segnò la fine della conversazione che abbiamo riferita. Prese subito una carrozza per Baker Street, dove la signorina Wingrave aveva comunicato che lo attendeva, e cinque minuti dopo il suo arrivo, mentre si sedeva nel salotto della notevole zia di Owen Wingrave, ripetè più volte con irritata tristezza e con l'infallibilità dell'esperienza: - E così intelligente... è così intelligente! - E aveva già detto che istruire un giovane simile era stata una festa. - Si capisce che è intelligente; come potrebbe essere altrimenti? Henry James
274
1970 - Racconti Di Fantasmi
Abbiamo avuto un solo idiota nella famiglia, che io sappia! - disse Jane Wingrave. Il signor Coyle era in grado di capire l'allusione; e mentre vide in essa un altro motivo di disappunto, in certo qual modo, di umiliazione per la brava gente di Paramore, la accolse al tempo stesso come un nuovo esempio della consapevole rudezza che aveva altre volte osservata nella sua ospite. Il povero Philip Wingrave, figlio maggiore del defunto fratello di lei, era letteralmente imbecille e bandito dalla società; deforme, inavvicinabile, inguaribile, era stato relegato in una clinica privata, e, per gli amici di famiglia, non era diventato altro che una vaga leggenda lugubre, della quale non si parlava. Tutte le speranze della casa, della pittoresca dimora di Paramore, divenuta ora il costante e piuttosto malinconico rifugio del vecchio Sir Philip - le sue infermità dovevano tenerlo lì sino alla fine - erano perciò riposte sul secondogenito, che la natura, quasi pentita del suo aborto precedente, aveva dotato, oltre che di una notevole bellezza, di eccellenti attitudini di ogni genere. Quei due erano stati i soli figli dell'unico rampollo del vecchio, il quale rampollo come tanti suoi antenati, aveva sacrificato una vita giovane e valorosa al servizio della patria. Owen Wingrave, il vecchio, aveva ricevuto il colpo mortale in un corpo a corpo, da una sciabola afgana: il fendente gli aveva spaccato il cranio. Sua moglie, che si trovava a quel tempo in India, stava per dare alla luce il terzo bambino; e quando accadde la tragedia, tra l'angoscia e il pensiero d'un avvenire oscuro, il piccolo venne al mondo senza vita, e la madre soccombette al moltiplicarsi delle sventure. Il secondogenito, che era in Inghilterra, a Paramore, col nonno, divenne oggetto delle cure particolari di sua zia, la sola rimasta nubile; e durante l'interessante domenica che, in seguito a un urgente invito, Spencer Coyle, per quanto occupatissimo, dopo aver acconsentito a preparare Owen alla carriera militare, passò sotto quel tetto, il celebre istitutore ricevette un'impressione vivissima dell'influenza esercitata, almeno nelle intenzioni, dalla signorina Wingrave. Invero il piccolo e acuto istitutore serbò dell'insieme di quella breve visita un ricordo curioso. Ne riportò la visione di una casa dei tempi di re Giacomo, immiserita, mal ridotta e naturalmente tetra, ma ancor piena di dignità e di colore, come cornice alla nobile figura del pacifico veterano. Sir Philip Wingrave, piuttosto una reliquia che una celebrità, era un piccolo ottuagenario, bruno ed eretto, dagli occhi che ancora serbavano un certo fuoco, e studiatamente cortese. Gli piaceva fare i ridotti onori della sua casa, ma anche quando accendeva Henry James
275
1970 - Racconti Di Fantasmi
con mano tremante la candela per la notte a un ospite che si affannava a protestare, era impossibile non sentire, sotto la crosta, lo spietato vecchio di sangue militaresco. L'occhio della fantasia risaliva al suo denso passato d'Oriente... a episodi che il suo rispetto delle forme non doveva aver reso che più terribili. Aveva una sua leggenda... e si raccontavano, oh sì, certe storie, sul suo conto! Il signor Coyle ricordava anche altre due persone... una scialba e innocua signora Julian, che era di casa grazie alle sue frequenti visite come vedova d'un ufficiale e come amica particolare della signorina Wingrave, e sua figlia, una giovanetta di diciotto anni, notevolmente intelligente, che colpì l'attento ospite come già matura per altri legami. Era molto impertinente con Owen, e nel corso d'una lunga passeggiata che aveva fatto col giovane, e la cui conclusione, dopo molte parole, era stata di confermare definitivamente l'alta opinione di lui, aveva appreso - perché Owen si apriva con tutta confidenza - che la signora Julian era sorella di un valoroso gentiluomo, il capitano d'artiglieria Hume-Walker, caduto durante la rivolta indiana, e che tra lui e la signorina Wingrave (era l'unica concessione del genere che le fosse attribuita) si credeva fossero corsi rapporti piuttosto delicati, che avevano avuto una conclusione tragica. Erano stati fidanzati, ma lei aveva ceduto alla sua indole intollerante, aveva rotto ogni legame, e lo aveva abbandonato al proprio destino, che era stato terribile. La convinzione d'essere stata ingiusta con lui e un rimorso aspro ed eterno s'erano allora impossessati di lei; e quando la povera sorella di lui, legata pure a un soldato, si era trovata, in seguito a un colpo anche più crudele, quasi senza il necessario, si era dedicata accanitamente a una lunga espiazione. Aveva cercato conforto nel tenere la signora Julian la maggior parte dell'anno con sé a Paramore, dove era diventata una sorta di governante non rimunerata, per quanto non immune da critiche; e Spencer Coyle era incline a pensare che parte del conforto cercato le provenisse dal poterla trattar male a suo piacimento. L'impressione che Jane Wingrave fece su di lui quell'intensa domenica non fu tra le più fuggevoli di una giornata, singolarmente gremita per lui del senso di perdite dolorose, di lutti, di memorie, di nomi mai pronunciati, di lontani lamenti di vedove, di echi di battaglie e di notizie penose. Era un insieme molto militare, e il signor Coyle si trovò a rabbrividire un poco della professione alla quale avviava giovani altrimenti innocui. La signorina Wingrave poteva inoltre far sì che la cattiva coscienza di lui si Henry James
276
1970 - Racconti Di Fantasmi
sentisse anche peggiore, tanto limpida e fredda e chiara era quella che lo guardava attraverso i suoi begli occhi dallo sguardo sicuro, e squillava nella sua voce sonora. Era una signora d'aspetto molto distinto, angolosa ma non goffa, dalla fronte ampia e dai folti capelli neri - adesso irregolarmente striati di bianco - acconciati come quelli di una donna che giudicava, forse scusabilmente, di avere una testa «nobile». Tuttavia, sebbene la signorina Wingrave rappresentasse per il nostro agitato amico il genio d'una stirpe di soldati, non è da credere che avesse il passo d'un granatiere o il vocabolario d'una vivandiera di reggimento. Le sue simpatie in quel senso erano chiaramente implicite nel fatto essenziale al quale il suo stesso portamento, e ogni suo gesto, ogni suo sguardo, ogni tono di voce, erano altrettante allusioni costanti e dirette al supremo valore della famiglia. Era militaresca perché usciva da una famiglia di soldati e perché per nulla al mondo avrebbe voluto essere diversa da quello che i Wingrave erano sempre stati. Nel vantare i suoi antenati era quasi volgare, e chi si fosse lasciato tentare a bisticciarsi con lei, avrebbe avuto un buon pretesto nel suo scarso senso delle proporzioni. Spencer Coyle era tuttavia molto lontano da tentazioni del genere; invero per lui la signorina Wingrave era un vero balsamo; come donna di forte carattere, quale ella si rivelava nel colore e nel tono, era lieto di considerarla una forza attiva al suo fianco. Avrebbe voluto che il nipote avesse una ristrettezza mentale anche maggiore, invece d'essere quasi diabolicamente ossessionato dalla tendenza a guardar le cose nei loro reciproci rapporti. Si domandò perché mai, quando veniva in città, la signorina Wingrave andasse sempre a stare in Baker Street. Non aveva mai saputo né sentito dire che Baker Street fosse un quartiere d'abitazione, non gli richiamava alla mente che bazar e fotografie. Intuiva in lei un'assoluta indifferenza a qualsiasi cosa che non fosse la passione della sua vita. Null'altro le stava veramente a cuore, e sarebbe andata ad abitare persino nel suburbio se la sua tattica avesse potuto avvantaggiarsene. Ricevette il suo ospite in una grande stanza fredda e sbiadita, arredata di sedie senza solidità e adorna di vasi d'alabastro e fiori di cera. L'unica modesta comodità personale alla quale sembrava aver pensato, era un grosso catalogo dell'Unione militare per l'Esercito e la Marina, che stava su un grande e desolato tappeto d'un azzurro molto incerto. La sua lucida fronte - la si sarebbe detta una sorta di lavagna di porcellana, ricetto di indirizzi e di somme - s'era fatta rossa quando l'istitutore di suo nipote le Henry James
277
1970 - Racconti Di Fantasmi
aveva dato l'incredibile notizia; ma Spencer Coyle vide subito come la cosa, fortunatamente, più che spaventarla, la indignasse. Aveva, e avrebbe sempre avuto, essenzialmente, troppo poca fantasia per lasciarsi prendere dalla paura; e, per di più, la sana abitudine di guardare qualunque pericolo in faccia, le aveva insegnato che il destino trovava di solito pane per i suoi denti. Spencer Coyle si rendeva conto che, al momento, l'unica paura che ella potesse avere era di fallire nel tentativo di salvare il nipote dal dare pubblico spettacolo di sé, dal passare per un imbecille o peggio; e che, a un'apprensione del genere, Jane Wingrave era assolutamente inaccessibile. Da donna che aveva la testa sulla spalle, non si lasciò turbare nemmeno dalla sorpresa; non ammetteva nessun sentimento futile o delicato. Se Owen s'era reso, per un momento, ridicolo, se ne indignava, sconcertata come sarebbe rimasta nel sentire che si fosse permesso di fare dei debiti o di innamorarsi di una ragazza di bassa condizione. Ma, in qualsiasi evenienza, rimaneva la via di salvezza del fatto che nessuno avrebbe mai preso in giro lei. - Non ricordo di essermi mai tanto interessato a un giovane... non m'è mai successo, credo da quando ho preso a occuparmene, - disse il signor Coyle. - Mi piace, ho fiducia in lui. È stato un piacere per me seguire i suoi progressi. - Oh, li conosco! - La signorina Wingrave alzò la testa con l'aria di chi non ha nulla da apprendere, come se tutta una parata di generazioni le fosse sfilata davanti in un baleno con un gran tintinnio di foderi e di speroni. Spencer Coyle capì l'allusione: Jane Wingrave non aveva niente da imparare da nessuno circa il naturale comportamento di un Wingrave; e, alle sue prime parole, ebbe la chiara impressione che, con l'angosciosa storia del suo disappunto e le sue lamentele, egli non era agli occhi di lei gran cosa più di un povero diavolo. - Se il ragazzo vi piace, - esclamò, tenetelo dunque tranquillo, per amor di Dio! Il signor Coyle cominciò a spiegarle che questo era meno facile di quanto lei sembrava immaginare; ma capì chiaramente che la donna non si rendeva molto conto di quel che egli diceva. Più insisteva sul punto che il ragazzo aveva una sorta di indipendenza intellettuale, più il fatto le appariva sotto la luce di una prova conclusiva che suo nipote era un Wingrave e un soldato. Soltanto quando le disse che Owen aveva parlato della carriera militare come di cosa che era «al disotto» di lui, soltanto quando quella più intensa luce gettata sulla complessità del problema Henry James
278
1970 - Racconti Di Fantasmi
fermò la sua attenzione, soltanto allora, dopo un momento di stupefatta riflessione, proruppe: - Mandatelo subito da me! - È proprio quello che volevo chiedervi il permesso di fare. Ma intendevo anche prepararvi al peggio, farvi capire che il ragazzo mi sembra veramente ostinato, e dirvi che i più forti argomenti a vostra disposizione, specialmente se vi riesce di trovarne qualcuno di energicamente pratico, non saranno mai troppo efficaci. - Credo di avere un argomento molto forte, - e la signorina Wingrave guardò fisso il suo ospite. Egli non aveva la più piccola idea di che cosa questa macchina potesse essere, ma la scongiurò di metterla in moto senza indugio. Promise che il giovane si sarebbe trovato in Baker Street quella sera stessa, aggiungendo, tuttavia, che lo aveva già sollecitato a passare un paio dei prossimi giorni a Eastbourne. Questo indusse Jane Wingrave a domandare, sorpresa, che efficacia ci poteva essere in un rimedio così dispendioso; e, quando egli ebbe detto: - L'efficacia di un po' di riposo, di un po' di novità per i nervi affaticati, - rispose decisa: - Non state a trattarlo come un invalido... ci sta già costando parecchio denaro! Gli parlerò io, e lo porterò con me a Paramore; lì sarà trattato come si merita, e ve lo rimanderò col cervello raddrizzato. Spencer Coyle salutò questa promessa, in apparenza, soddisfatto, ma prima di lasciare l'energica signora capì che, in realtà, s'era creato un'ansia nuova, una inquietudine che gli fece dire tra sé con un intimo gemito: Questa donna, in fondo, è un granatiere, e non avrà nessun tatto. Io non so quale sia il suo grande argomento; ho soltanto paura che farà qualche sciocchezza e che il ragazzo ne uscirà peggio di prima. Il vecchio è preferibile, almeno è capace di tatto, per quanto sia un vulcano non del tutto spento. Owen la farà probabilmente andare in bestia. In conclusione, la difficoltà grande è che il ragazzo è il migliore di tutti loro. Quella sera, a pranzo, si riconfermò nell'opinione che il ragazzo era il migliore della compagnia. Il giovane Wingrave - che, con sua grande soddisfazione, non era ancora partito per il mare - apparve a pranzo secondo il solito, con un'aria inevitabilmente un po' imbarazzata, ma non troppo fuor del comune per una casa della buona borghesia. Parlò con molta naturalezza alla signora Coyle, che lo aveva giudicato fin dal primo giorno il più bel giovane che avessero mai accolto in casa; e la persona meno a suo agio fu il povero Lechmere, che si dava una gran pena, come mosso da un profondo senso di delicatezza, per evitare gli occhi del Henry James
279
1970 - Racconti Di Fantasmi
camerata fuorviato. Spencer Coyle pagò tuttavia il prezzo del suo maggiore acume sentendosi sempre più preoccupato; vedeva senza sforzo, nel suo giovane amico, una quantità di cose che i suoi familiari di Paramore non sarebbero stati capaci di capire. All'idea che lo avrebbero tormentato cominciava perfino a reagire, a riflettere che il ragazzo, dopo tutto, aveva il diritto di pensare con la sua testa, a ricordare che era fatto di materia troppo delicata perché si potesse maneggiarla con dita grossolane. In questo modo, il piccolo e ardente istitutore, con le sue intuizioni capricciose e le sue complicate simpatie, era perpetuamente condannato a non trovar pace né nelle sue contrarietà né nei suoi entusiasmi. La sua passione per la schietta verità non gli consentiva mai di goderne. Dopo il pranzo parlò a Wingrave dell'opportunità di una sua visita immediata a Baker Street, e il giovane, con un'aria «strana», come egli pensò - sorridendo cioè ancora con ostinazione, nella superiore coscienza della sua causa sbagliata, di cui aveva fatto mostra durante il loro recente colloquio - uscì per affrontare la prova. Spencer Coyle tenne per certo che il giovane era spaventato, che aveva paura di sua zia; ma, in certo qual modo, non gli parve che quello fosse un segno di pusillanimità. Si rendeva perfettamente conto che , nei panni del povero ragazzo, sarebbe stato spaventato anche lui, e la visione del suo scolaro che marciava verso i cannoni puntati nonostante la paura, era una sicura conferma del suo temperamento di soldato. Molti giovani di fegato si sarebbero sottratti a un rischio di quel genere. - Ha le sue idee, e come! - proruppe il giovane Lechmere rivolgendosi al suo istitutore, dopo che Owen ebbe lasciata la stanza. Era agitato e piuttosto compunto, aveva un'emozione da smaltire. Prima di pranzo aveva affrontato il suo amico a bruciapelo, secondo il desiderio del signor Coyle, e gli aveva strappato la dichiarazione che i suoi scrupoli si basavano sull'assoluto convincimento della stupidità - della «crassa barbarie», come l'aveva chiamata - della guerra. La sua grande obiezione era che gli uomini non avessero saputo inventare niente di più intelligente, ed era deciso a dimostrare, nel solo modo possibile, che egli non era un bruto di quella fatta. - È dal parere che tutti i grandi generali dovrebbero venire fucilati, e che Napoleone Bonaparte, in particolare, il più grande di tutti, era una canaglia, un criminale, un mostro, per il quale il linguaggio umano non ha un epiteto adeguato! - Il signor Coyle, completando il quadro descritto dal Henry James
280
1970 - Racconti Di Fantasmi
giovane Lechmere, soggiunse: - Vi ha propinato, a quel che sento, esattamente le medesime perle di saggezza che a me. Ma voglio sapere che cosa avete detto voi. - Che era un cumulo di sciocchezze! - Il giovane Lechmere disse queste parole con enfasi, e fu un po' sorpreso nel constatare che il signor Coyle accoglieva quella giusta definizione con una risata fuori tono. Dopo un momento, riprese: - E una cosa veramente curiosa... direi che, dopo tutto, qualche cosa di vero c'è. Ma è un peccato! - Mi ha detto che il problema incominciò a presentargli sotto quella luce quattro o cinque anni fa, quando fece un quantità di letture intorno ai pezzi grossi e alle loro campagne: Annibale e Giulio Cesare, Marlborough, e Federico, e Bonaparte. Ha letto il leggibile, e dice che gli si sono aperti gli occhi. Dice che è stato sopraffatto da un'ondata di disgusto. Ha parlato della «smisurata tragedia» delle guerre, e mi ha domandato perché le nazioni non fanno a pezzi i governanti che le promuovono. Odia il povero Bonaparte più di ogni altro. - Quanto a questo, il povero Bonaparte era una canaglia. Era un cialtrone della peggiore specie, - dichiarò inaspettatamente il signor Coyle. - Ma spero che voi non abbiate ammesso questo. - Oh, credo bene che fosse un uomo impossibile, e sono molto contento che noi lo abbiamo mandato a gambe all'aria. Ma a Wingrave ho fatto osservare che la sua condotta avrebbe provocato commenti senza fine -. Il giovane Lechmere esitò un momento, poi aggiunse: - Gli ho detto che doveva aspettarsi il peggio. - Naturalmente vi avrà domandato che cosa intendevate per «il peggio». - Sì, me lo ha domandato, e sapete che cosa ho risposto? Gli ho risposto che la gente avrebbe chiamato i suoi scrupoli di coscienza e la sua ondata di disgusto un mero pretesto. Allora mi ha domandato: «Pretesto di che?» - Ah, direi che così vi ha messo con le spalle al muro! - ribatté il signor Coyle con una risatina che il suo scolaro trovò incomprensibile. - Nemmeno per idea, perché gliel'ho detto. - Che cosa gli avete detto? Ancora una volta, per pochi secondi, con gli occhi che fissavano incerti quelli del suo istruttore, il giovane indugiò. - Naturalmente quello di cui s'è parlato qualche ora fa. Che avrebbe dato l'impressione di non avere... Henry James
281
1970 - Racconti Di Fantasmi
L'onesto giovane esitò di nuovo, ma superò l'ostacolo: - Il temperamento militare, no? Ma sapete che cosa ha avuto il coraggio di rispondere? continuò il giovane Lechmere. - Al diavolo il temperamento militare! - rispose pronto l'istitutore. Il giovane Lechmere sgranò gli occhi. Dal tono del signor Coyle non capì se attribuisse la frase a Wingrave o esprimesse un'opinione personale; ma esclamò: - Le sue esatte parole! - Non gliene importa niente, - disse il signor Coyle. - Forse no. Ma non è giusto che debba offendere tutti noi. Gli ho risposto che è il più bel temperamento del mondo e che non c'è niente di più sublime del coraggio e dell'eroismo. - Ah, così sì lo avete messo a posto! - Gli ho detto che sparlare di una nobile e splendida professione era indegno di lui. Gli ho detto che non c'è tipo d'uomo più superbo del soldato nell'adempimento del dovere. - Che è essenzialmente il vostro tipo, mio caro ragazzo -. Il giovane Lechmere arrossi. Non gli riusciva di capire - e il pericolo gli si presentava naturalmente inatteso - se in quel momento egli non esistesse soprattutto per servire di passatempo al suo amico. Ma fu parzialmente rassicurato dalla cordialità con la quale l'altro, posandogli una mano sulla spalla, continuò. - Stategli alle calcagna senza tregua. Può darsi che ci riesca di fare qualcosa. In ogni modo vi sono molto obbligato. Un altro dubbio rimaneva tuttavia non placato in Lechmere: il dubbio che lo indusse, prima di lasciar cadere il doloroso argomento, a un ultimo sfogo: - Non gliene importa niente! Ma è incredibile! - Senza dubbio, ma non dimenticate quello che avete detto oggi nel pomeriggio, voglio dire che non consigliate a nessuno di fare insinuazioni malevole. - Potete star certo che prenderei il miserabile a pugni! - disse il giovane Lechmere. Il signor Coyle si era alzato; la conversazione s'era svolta mentre sedevano insieme dopo che il signor Coyle s'era allontanato dalla tavola, e il capo dell'istituto, in omaggio a principi che facevano parte della sua esuberanza, somministrò al suo candido scolaro un bicchiere di squisito vino di Bordeaux. Lo scolaro in parola, anch'egli in piedi, indugiò un istante, non in attesa di un altro «colpetto», come lo avrebbe chiamato, alla bottiglia, ma per asciugarsi con cura insolita e prolungata i microscopici baffi. Il suo compagno vide che il giovane aveva bisogno di Henry James
282
1970 - Racconti Di Fantasmi
un ultimo sforzo per togliersi un peso dallo stomaco, e rimase un momento in attesa con la mano sulla maniglia della porta. Allora, come il giovane Lechmere gli si avvicinava, Spencer Coyle vide nella sua faccia rotonda e ingenua una tensione insolita. Il ragazzo era nervoso, ma cercava di comportarsi da uomo di mondo. - Naturalmente sia detto fra noi, - balbettò, - e non ne farei parola a chi non avesse per il povero Wingrave l'interesse che avete voi. Ma credete che si voglia sottrarre? Il signor Coyle lo guardò un momento così fisso che il giovane fu visibilmente spaventato di quello che aveva detto. - Sottrarre? A che cosa? - Voglio dire a quello di cui s'è parlato, al servizio -. Il giovane Lechmere parve inghiottire qualcosa, poi, con una mancanza di agilità mentale che Spencer Coyle trovò quasi patetica: - I pericoli, capite? - Volete dire che pensi alla pelle? Gli occhi del giovane Lechmere si aprirono come per invocare pietà, e, nella sua faccia rossa, il maestro lesse il timore di una delusione; gli parve di veder perfino brillare una lacrima tanto più crudele quanto più la schiettezza dell'ammirazione era stata grande. - Ha... ha forse paura? - ripetè l'onesto giovane con un tremito di vera angoscia. - Ma neanche per idea! - rispose Spencer Coyle, voltando le spalle. A quelle parole il giovane Lechmere si senti un po' umiliato e anche un po' vergognoso. Ma, soprattutto, si senti sollevato.
III. Meno di una settimana dopo questi avvenimenti, il signor Coyle ricevette un biglietto dalla signorina Wingrave, che aveva immediatamente lasciato Londra col nipote. Proponeva che la domenica seguente egli andasse a Paramore. Owen era veramente molto irritante. Lì, in quella casa di esempi e di memorie, unitamente al suo povero buon babbo, che era «enormemente seccato», valeva la pena di fare un ultimo sforzo. Il signor Coyle lesse tra le righe della lettera che a Paramore si era fatta molta strada da quando la signorina Wingrave, in Baker Street, aveva giudicato la sua disperazione passeggera. Non era una donna insinuante, ma giungeva al punto di mettere la questione sul piano di uno speciale favore da non negare a una famiglia immersa nella desolazione, e accennava al piacere Henry James
283
1970 - Racconti Di Fantasmi
che avrebbe fatto loro andando con la signora Coyle, per la quale accludeva un invito separato. Diceva inoltre che scriveva in pari tempo, subordinando la cosa alla sua approvazione, al giovane Lechmere. Pensava che un ragazzo così simpaticamente virile non avrebbe potuto fare che del bene al suo disgraziato nipote. Il famoso istitutore decise di cogliere l'occasione: e si dava ora il caso che fosse assai più ansioso che irritato. Mentre rispondeva alla lettera della signorina Wingrave, gli venne da sorridere al pensiero che andava piuttosto a difendere il suo ex scolaro che ad accusarlo. A sua moglie, che era una bella donna, fresca e posata molto più imponente d'aspetto che non lui - disse che avrebbe fatto bene a prendere la signorina Wingrave in parola: era un esemplare di vecchia casa inglese, straordinaria e affascinante. Quest'ultima allusione era bonariamente sarcastica: infatti, più di una volta aveva accusato la buona signora di essere innamorata di Owen Wingrave. La buona signora riconosceva che era vero; si gloriava anzi della sua passione - il che dimostra che l'argomento veniva trattato fra loro con larghezza d'idee - e sostenne lo scherzo accettando l'invito con entusiasmo. Il giovane Lechmere fu felice di fare altrettanto: il suo istitutore era stato benevolmente del parere che la breve interruzione lo avrebbe ritemprato per l'ultimo sforzo prima dell'esame. Ciò che più colpi il nostro amico dopo essere stato due o tre ore nella bella casa d'altri tempi, fu che gli abitanti di Paramore prendevano la loro disavventura molto sul serio. Quella brevissima seconda visita, che cominciò il sabato sera, doveva rimanere l'episodio più strano della sua vita. Non appena si trovò solo con sua moglie - si erano ritirati per vestirsi da sera prima del pranzo - ciascuno dei due fece osservare all'altro, senza riserbo, e quasi con preoccupazione, la sinistra tetraggine diffusa per tutta la casa. L'edificio visto dalla vecchia facciata grigia, con le due ali che si protendevano in modo da formare tre lati d'un quadrato, era stupendo, ma la signora Coyle non si fece scrupolo di dichiarare che se avesse saputo prima il genere d'impressione che doveva riceverne, non vi avrebbe mai messo piede. A suo parere, la casa aveva un aspetto cattivo strano, sinistro. Suo marito le aveva parlato in anticipo di alcune caratteristiche che doveva aspettarsi, ma mentre si vestiva con agitazione quasi febbrile, trovò innumerevoli domande da fare. Non le aveva detto niente della ragazza, della straordinaria ragazza, la signorina Julian; non le aveva detto, cioè, come quella giovane, fosse di fatto, e come conseguenza del suo modo di Henry James
284
1970 - Racconti Di Fantasmi
comportarsi, la persona più importante della casa. La signora Coyle era già in grado di dichiarare che detestava i modi affettati della signorina Julian. E, soprattutto, suo marito non le aveva detto che avrebbero trovato il loro giovane amico invecchiato di cinque anni almeno. - Non potevo immaginarlo, - disse Spencer; - né che l'acutezza della crisi sarebbe stata così evidente. Ma l'altro giorno dissi alla signorina Wingrave che bisognava agire su suo nipote con energia, e mi ha preso in parola. Gli hanno tagliato i viveri, stanno tentando di ridurlo alla resa per fame. Questo non è quello che intendevo, ma, in verità, non so bene che cosa intendessi, oggi. Owen accusa la pressione, ma non cederà. Lo strano era che il crucciato piccolo istitutore, trovandosi ora sul posto, s'accorgeva ancor più, per quanto facesse del suo meglio per chiudere gli occhi, che il suo umore era stato sopraffatto da un'ondata di reazione. Se era lì, era perché parteggiava per Owen. Sul posto, la sua impressione, la sua comprensione dell'insieme, s'era fatta molto più profonda. C'era qualcosa nella stessa resistenza del giovane fanatico che cominciava ad affascinarlo. Quando sua moglie, nell'intimità del colloquio cui ho accennato, gettò via la maschera, ed elogiò persino esageratamente la posizione presa dal giovane (era troppo buono per diventare un soldataccio, e quel soffrire per le sue idee era un segno di nobiltà; non aveva forse l'aspetto vigoroso d'un giovane eroe, anche se era pallido come un martire cristiano?), la buona signora espresse puramente e semplicemente la simpatia, che, con la scusa di considerare il loro recente ospite come una rara eccezione, egli aveva già riconosciuta in sé. Perché mezz'ora prima, dopo un tè preso ciarlando di cose senza peso nella vecchia sala della casa, cupa e buia, quel ricercatore di motivi gli aveva proposto, prima che andassero a cambiarsi per il pranzo un giro all'aperto, e, sulla terrazza, mentre passeggiavano insieme, gli aveva supplichevolmente passato una mano sotto il braccio, permettendosi cosìì una familiarità insolita fra scolaro e maestro, intesa a far capire che aveva indovinato da chi poteva aspettarsi la maggiore bontà e comprensione. Spencer Coyle, da parte sua, aveva anche indovinato qualcosa, così che non si sorprese che il ragazzo avesse una particolare confidenza da fare. S'era reso conto, appena arrivato, che ciascun componente della compagnia avrebbe fatto di tutto per impadronirsi di lui prima degli altri, e sapeva che in quel momento Jane Wingrave stava spiando attraverso l'antica opacità di una delle finestre - la casa era stata così poco Henry James
285
1970 - Racconti Di Fantasmi
rammodernata che le invetriate spesse ed oscure erano vecchie di tre secoli - per vedere se il nipote avesse l'aria di voler avvelenare lo spirito dell'istitutore. Il signor Coyle non perdette quindi tempo nel ricordare al giovane - per quanto avesse cura di buttar la cosa in ridere - che non era venuto a Paramore per farsi corrompere. Era venuto per tentare, a tu per tu, un ultimo appello, che sperava non sarebbe stato interamente vano. Owen sorrise tristemente senza fermarsi, e gli domandò se gli pareva che la sua aria fosse, nell'insieme, quella di un uomo che stesse per cedere. - Vi trovo un'aria strana, malata, - disse Spencer Coyle molto onestamente. S'erano fermati davanti alla balaustra. - Ho dovuto esercitare una gran forza di resistenza, ed è una cosa estenuante. - Ah, mio caro ragazzo, vorrei che la vostra grande forza, perché è evidente che l'avete, si esercitasse per una causa migliore! Owen Wingrave guardò con un sorriso il suo piccolo ma marziale istitutore. - Non credo! - Poi, in via di spiegazione, aggiunse: - Quello che volete da me (se siete così buono da avere una buona opinione del mio carattere), non è forse di vedermi esercitare il massimo sforzo in qualsiasi direzione? Bene, questa è la direzione nella quale compio lo sforzo maggiore -. Ammise di aver passato ore terribili con suo nonno, che lo aveva aggredito in un modo da fargli rizzare i capelli in testa. S'era aspettato che la cosa non sarebbe andata loro a genio, senza dubbio, ma non s'era nemmeno sognato che avrebbero fatto tanto chiasso. Sua zia era diversa, ma era egualmente oltraggiosa. Gli avevano fatto sentire, sì, che si vergognavano di lui; lo accusavano di infangare pubblicamente il loro nome. Era solo che si fosse tirato indietro: il primo, in trecento anni. Tutti avevano saputo che s'era avviato per la carriera militare, e ora tutti lo avrebbero considerato un giovane ipocrita che all'improvviso si metteva a fare la commedia degli scrupoli. Parlavano dei suoi scrupoli come voi non parlereste di un dio dei cannibali. Suo nonno 1o aveva coperto di vituperi. Mi ha chiamato... mi ha chiamato... - Qui Owen esitò e la voce gli venne meno. Aveva l'aspetto più squallido che un giovane in così perfetta buona salute potesse mostrare - Probabilmente lo so! - disse Spencer Coyle, con una risata nervosa. Gli occhi velati del suo compagno, come seguissero l'ultima strana conseguenza delle cose, si posarono un attimo su un oggetto lontano. Poi incontrarono i suoi e per un altro attimo lo scrutarono profondamente. Henry James
286
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Non è vero. No. Non è quello! - Credo bene! Ma che cosa proponete invece? - Invece di che? - Invece della stupida soluzione della guerra. Se volete abolirla, suggerite almeno un sostituto. - Questo spetta ai responsabili, ai governi e ai ministeri, - disse Owen. Lo troveranno senza perder tempo, il sostituto, specialmente se si fa loro capire che verranno impiccati, e anche squartati e fatti a pezzi, se non si sbrigano. Fatene un motivo di pena capitale: servirà a stimolare il cervello dei ministri! - Gli occhi gli si accendevano mentre parlava, tutta la sua persona spirava sicurezza ed esaltazione. Il signor Coyle sospirò, tristemente rassegnato alla resa: era veramente un'ossessione irriducibile. Un momento dopo senti che Owen era sul punto di domandargli se anche lui lo giudicasse un vigliacco, ma ebbe il sollievo di persuadersi che il ragazzo non lo credeva capace di giungere fino a quel punto, o si ritraeva impacciato dal rischio della domanda diretta. Spencer Coyle voleva dimostrare la sua fiducia; ma, in certo qual modo, un'assicurazione esplicita che egli non dubitava del suo coraggio era un complimento troppo grossolano, sarebbe stato come dire che non dubitava della sua onestà. La difficile situazione fu risolta pochi momenti dopo da Owen che riprese a parlare: - Mio nonno non può diseredarmi della casa, ma non avrò altro; e la casa, come sapete, è piccola, e, con quello che si van facendo le rendite, non frutta quasi più nulla. Mio nonno ha un po' di denaro, non molto; ma, molto o poco, non mi lascerà un centesimo. Mia zia farà lo stesso, mi ha già comunicato le sue intenzioni. Doveva lasciarmi un reddito di seicento sterline all'anno. Era già tutto sistemato, ma ora, di certo c'è una cosa soltanto: che se rinuncio alla carriera militare non avrò un soldo. Per onestà, devo aggiungere che ho trecento sterline all'anno da mia madre. E vi dico la pura verità quando affermo che non m'importa un accidente di perdere il denaro -. Il giovane emise il sospiro lungo e lento delle creature in pena; poi aggiunse: - Non è questo che mi tormenta! _ E che cosa avete intenzione di fare invece? - domandò il suo amico senz'altri commenti. - Non lo so... forse niente. Niente di grande, in tutti i casi. Solo qualcosa di pacifico! Owen ebbe uno stanco sorriso, quasi che, per turbato che fosse, sapesse ancora apprezzare l'effetto umoristico di una dichiarazione simile nella Henry James
287
1970 - Racconti Di Fantasmi
bocca di un Wingrave. Ma il suo ospite, il quale lo guardava con la persuasione che, dopo tutto, non era un Wingrave soltanto di nome e che sapeva sostenere il fuoco degli avversari con fermezza di soldato, pensava all'esasperazione che una dichiarazione simile, fatta a quel modo, e... tale da suonare alle loro orecchie come l'ultima delle vergogne, doveva aver prodotto in suo nonno e in sua zia. «Forse niente!» quando avrebbe potuto continuare la grande tradizione! Sì, il ragazzo non era debole, ed era interessante, ma si poteva ben capire che da un certo punto di vista riusciva irritante. - Si può sapere, insomma, che cosa vi turba? - domandò il signor Coyle. - Oh! la casa, l'aria stessa, l'atmosfera di questa casa. Ci sono strane voci che sembrano borbottare contro di me... dire cose terribili mentre passo. Mi perseguita la consapevolezza, insomma, la responsabilità di quello che faccio. Naturalmente non è stata una cosa facile, no certo! Vi assicuro che non mi ci diverto -. Con una luce entro di essi, che sembrava chiedere ansiosamente giustizia, Owen abbassò nuovamente gli occhi verso quelli del piccolo istitutore; poi continuò: - Ho ridestato gli spettri. I ritratti stessi mi guardano con occhi di fuoco dalle pareti. Ce n'è uno del mio trisavolo (quello di cui conoscete la straordinaria vicenda, il quadro appeso al secondo pianerottolo dello scalone) che addirittura si agita sulla tela, si sporge un po' in avanti, quando m'avvicino. Devo pur salire e scendere le scale; è molto sgradevole! Mia zia li chiama la cerchia familiare: siedono lì, aggrottati e feroci, costituiti in corte di giustizia. Sono tutti qui dentro, è una sorta di presenza paurosa che non lascia via di scampo, e si prolunga a perdita d'occhio nel passato. Quando tornai qui con lei l'altro giorno, la signorina Wingrave mi disse che non potevo avere l'impudenza di fare certi discorsi qui dentro. Ho dovuto farli a mio nonno, invece; ma ora che li ho fatti mi sembra che la questione sia conclusa. Voglio andarmene, anche se sarà per non tornare mai più. -Ma siete un soldato, - rise il signor Coyle, - dovete lottare fino in fondo! Quella leggerezza parve scoraggiare il giovane; ma un momento dopo, mentre si voltavano e riprendevano a camminare nella direzione dalla quale erano venuti, sorrise debolmente egli stesso, e rispose: - Già, siamo contagiati tutti quanti! Fecero parte della strada verso il vecchio portico in silenzio, finché il signor Coyle, dopo essersi assicurato di trovarsi abbastanza lontano dalla casa per non essere sentito, si fermò di scatto e fece a bruciapelo la Henry James
288
1970 - Racconti Di Fantasmi
domanda: - Che cosa ne dice la signorina Julian? - La signorina Julian? - Owen era visibilmente arrossito. - Sono certo che non avrà nascosto la sua opinione. - Oh, è quella della cerchia familiare; perché lei, naturalmente, ne fa parte. E poi ha la sua personale. - Opinione? - Cerchia personale. - Intendete dire sua madre, quella buona signora? - Intendo dire, particolarmente, suo padre, che cadde sul campo. La faccia del signor Coyle, ora stranamente contratta, ascoltava intenta. - Non le sembra sufficiente il sacrificio di tante vite? Perché vuol sacrificare anche voi? - Oh lei mi odia! - dichiarò Owen mentre riprendevano a camminare. - Bah! L'odio delle belle ragazze per i bei giovani! - esclamò Spencer Coyle. Non ci credeva, ma ci credette perfettamente, a quel che parve, sua moglie, quando egli le accennò al colloquio mentre gli ospiti si preparavano per il pranzo nel modo che s'è detto. La signora Coyle s'era già accorta che nulla avrebbe potuto essere più perfido del contegno tenuto dalla signorina Julian verso il giovane in disgrazia durante la mezz'ora che la compagnia aveva passata in salone; e sosteneva che bisognava esser ciechi per non vedere che stava già manifestamente cercando di civettare col giovane Lechmere. Portare quello sciocco era stato un errore: se ne stava giù in sala con la ragazza anche in quel momento. La versione di Spencer Coyle era diversa: era convinto invece che ci fossero motivi più sottili. La posizione della ragazza nella casa era inspiegabile se non ci si basava sul presupposto che era destinata al nipote della signorina Wingrave. Come zia del suo infelice promesso, Jane Wingrave doveva averle assegnato di buon'ora il compito di sanare, unendosi alla speranza della stirpe, la tragica rottura che aveva separato i loro maggiori; e se a questo si poteva obiettare che una ragazza di spirito non poteva trovare di suo gusto che in cose del genere le si prescrivesse la strada, l'illuminato amico di Owen era pronto a ribattere che una giovane nella posizione della signorina Julian non sarebbe mai stata tanto sciocca da lasciarsi sfuggire per un puntiglio un'occasione d'oro. A Paramore era di famiglia e non correva nessun rischio; poteva perciò concedersi il piacere di dare a credere che agiva in assoluta libertà. Era un seguito di gherminelle e Henry James
289
1970 - Racconti Di Fantasmi
atteggiamenti innocenti. Aveva un fascino curioso, ed era sciocco supporre che l'erede della famiglia potesse sembrare un partito poco desiderabile a una ragazza, per quanto sveglia, di diciotto anni. La signora Coyle ricordò a suo marito che il loro ex allievo, in quel momento preciso, non apparteneva alla famiglia: quel lato della questione fu tra i punti controversi più dibattuti fra i due coniugi, dopo che maestro e scolaro ebbero fatto il loro giretto sulla terrazza. Spencer disse a sua moglie che Owen aveva paura del ritratto del suo trisavolo. Glielo avrebbe mostrato, dal momento che non lo aveva visto, mentre scendevano le scale. - Perché del trisavolo più che di qualsiasi altro? - Perché è il più terribile. E quello che qualche volta si vede. - Dove? - La signora Coyle s'era voltata di scatto. - Nella camera in cui lo trovarono morto. L'hanno sempre chiamata la camera bianca. - Vuoi dire che la casa ha notoriamente uno spettro? - quasi strillò la signora Coyle. - E mi ci hai portata senza dirmi niente? - Non te ne parlai dopo l'altra mia visita? - Nemmeno alla lontana. Non parlasti che della signorina Wingrave. - Ma se avevo la testa piena di quella storia... Te ne sarai dimenticata, ecco tutto. - Allora avresti dovuto rinfrescarmi la memoria. - Anche se ci avessi pensato, sarei stato zitto, altrimenti non saresti venuta. - Così avessi fatto! - esclamò la signora Coyle. - Ma si può sapere, domandò immediatamente, - tutta la storia? - Non altro che un atto di violenza compiuto qui tanto tempo fa, durante il regno di Giorgio Secondo, mi sembra. Il colonnello Wingrave, uno dei loro antenati, preso da un accesso di collera dette a uno dei suoi figli, un ragazzo ancora sul crescere, un colpo alla testa del quale il povero figliolo morì. La cosa, per il momento, ru messa a tacere e se ne dette una spiegazione diversa. Il povero ragazzo fu posto in una delle stanze che si trovano nell'altra ala del palazzo, e i funerali si svolsero tra mormorazioni soffocate. La mattina seguente, quando la famiglia si riunì, il colonnello Wingrave non c'era; lo si cercò inutilmente, finché qualcuno pensò che forse si trovava nella stanza dalla quale suo figlio era stato portato al cimitero. La persona bussò senza ricevere risposta; poi aprì la porta. Il Henry James
290
1970 - Racconti Di Fantasmi
poveretto giaceva morto sul pavimento, vestito, come avesse perduto l'equilibrio e fosse caduto riverso, senza una ferita, senza un segno senza nessuna traccia in viso che avesse lottato o sofferto. Era un uomo forte e sano... Niente poteva spiegare una morte improvvisa. Si suppone che andasse nella stanza durante la notte, prima di coricarsi, preso da un accesso di rimorso o affascinato da una qualche allucinazione paurosa. La verità sulla morte del ragazzo fu saputa soltanto dopo questo fatto. Ma nella stanza non dorme mai nessuno. La signora Coyle era diventata piuttosto pallida. - Spero bene! Sia ringraziato il cielo che non abbiano messo noi lì dentro! - Siamo a una distanza rassicurante; conosco il luogo dell'accaduto. - Intendi dire che sei stato dentro...? - Qualche istante. Sono, in certo qual modo, orgoglioso della cosa, e quando fui qui la prima volta il mio giovane amico mi fece vedere la stanza. La signora Coyle sbarrò gli occhi. - E che aspetto ha? - È una semplice camera da letto antica, vuota e triste, piuttosto grande e ammobiliata alla moda del tempo. E rivestita di legno dal pavimento al soffitto, e la rivestitura, anni e anni fa, era evidentemente verniciata di bianco. Ma la vernice s'è fatta scura col tempo e ci sono tre o quattro curiosi lavoretti di ricamo messi sotto vetro, in cornice, e attaccati al muro. La signora Coyle si guardò attorno con un brivido. - Sono contenta che non ci siano ricami qui. Non ho mai sentito niente di così impressionante! Andiamo a pranzo. Sulla scala, mentre scendevano, Spencer Coyle mostrò a sua moglie il ritratto del colonnello Wingrave, che rappresentava, con una certa forza e un certo stile, per il luogo e per il periodo, un gentiluomo dalla bella faccia severa, in giacca rossa e parrucca. La signora Coyle dichiarò che il suo discendente, il vecchio Sir Philip, gli somigliava in un modo prodigioso; e suo marito pensò, sebbene tenesse la cosa per sé, che chi avesse avuto il coraggio di percorrere i vecchi corridoi di Paramore di notte, avrebbe forse incontrato, o visto vagare con l'irrequietezza d'un fantasma, una figura simile, che avrebbe tenuto per mano quella d'un giovane d'alta statura. Mentre si dirigeva con sua moglie verso il salotto si sorprese improvvisamente a rammaricarsi di non aver insistito di più circa la gita di Owen a Eastbourne. La serata dette, tuttavia, l'impressione di voler fugare Henry James
291
1970 - Racconti Di Fantasmi
ogni fantasioso presentimento del genere, perché la tetraggine della cerchia familiare, come egli l'aveva prevista, fu diradata da un'infusione di «vicinato». A pranzo la compagnia si accrebbe di due coppie piuttosto vivaci (una di esse era composta dal pastore e da sua moglie) e di un giovane silenzioso che era venuto in campagna a pescare. Questo fu un sollievo per il signor Coyle, il quale aveva cominciato a domandarsi che cosa ci si aspettasse, alla fin fine, da lui, e perché fosse stato tanto sciocco da venire. Ora sentiva che, almeno per le prime ore, non avrebbe dovuto affrontare direttamente la situazione. Invero trovò, come aveva trovato fin da prima, di che occupare la sua perspicacia nel rilevare i diversi sintomi dei quali la società raccolta sotto i suoi occhi era l'espressione. Domani li aspettava, probabilmente, una giornata campale; prevedeva le difficoltà della domenica lunga e dignitosa, e il sapore che le idee dell'arida Jane Wingrave, esposte in un colloquio ai ferri corti, avrebbero avuto. La signorina Wingrave e suo padre gli avrebbero fatto capire che pretendevano da lui l'impossibile, e se avessero cercato di farsene un alleato in una politica troppo priva di tatto, avrebbe potuto finire col dir loro che cosa ne pensava, incidente non necessario a fare della sua visita un malinconico errore. Il vero piano del vecchio era evidentemente di far sì che i suoi amici la interpretassero come un segno certo che tutto andava nel migliore dei modi. La presenza del grande maestro londinese equivaleva a una professione di fede nell'esito degli esami imminenti. Senza dubbio si era ottenuta da Owen, per quanto con una certa sorpresa dell'ospite più importante, la promessa che non avrebbe turbato in nessun modo l'apparente armonia. Lasciò passare senza commenti le allusioni al suo arduo lavoro e, senza dir parola dei fatti suoi, parlò con le signore altrettanto affabilmente che se non fosse stato messo «al bando». Quando il signor Coyle alzò un paio di volte gli occhi verso l'altra parte della tavola, e incontrò quelli del giovane, dai quali traspariva un ardore indefinibile, ricevette dalla sua faccia ridente un'impressione dolorosa, difficile da spiegare: non si poteva non provare una stretta al cuore di fronte all'agnello così palesemente segnato per il sacrificio. - Diavolo di ragazzo, peccato che sia un combattente di quella fatta! - sospirò fra sé... e con una mancanza di logica che era soltanto superficiale. Quell'idea lo avrebbe tuttavia assorbito molto di più se tanta parte della sua attenzione non fosse stata rivolta su Kate Julian, la quale, ora che l'aveva ben davanti agli occhi, gli fece l'impressione d'una ragazza Henry James
292
1970 - Racconti Di Fantasmi
notevole, se non addirittura interessante. L'interesse non era dovuto a una bellezza fuor del comune. Se i lunghi occhi orientali, i magnifici capelli e la spavalda originalità dell'insieme, la rendevano attraente, egli aveva pur visto visi più rosei e fattezze che gli piacevano di più; l'interesse era dovuto alla strana impressione che produceva di essere esattamente quale, nella sua situazione, i principi più elementari - quelli della prudenza e forse un po' anche quelli del decoro - avrebbero dovuto imporle di non essere. Era quel che si suole volgarmente chiamare una dipendente, senza mezzi, protetta, tollerata: ma qualcosa in tutto il suo contegno manifestava chiaramente che se la sua posizione era inferiore, il suo spirito, in compenso, era al di sopra di ogni precauzione o sottomissione. Non che fosse minimamente aggressiva; era troppo indifferente per esserlo; soltanto, non avendo niente da perdere e niente da guadagnare, aveva l'aria di pensare che poteva prendersi il lusso di comportarsi come meglio le piaceva. Spencer Coyle pensò che, in realtà, ci poteva essere in gioco assai più che la fantasia della ragazza non sembrasse supporre; ma, quale che fosse l'entità della posta, non aveva mai visto una ragazza che si preoccupasse meno di non correre rischi. Si trovò inevitabilmente a chiedersi quali rapporti corressero fra Jane Wingrave e un'ospite di quel genere; interrogativi che erano naturalmente abissi insondabili. Forse Kate la faceva da padrona anche con la sua protettrice. La prima volta che era stato a Paramore aveva avuto l'impressione che, con Sir Philip al suo fianco, la ragazza avrebbe saputo combattere anche con le spalle al muro. Sir Philip ci si divertiva: la trovava incantevole, e la gente che non aveva paura gli piaceva; inoltre, non c'era dubbio alcuno su chi, tra lui e sua figlia, comandasse di più. C'erano molte cose che la signorina Wingrave considerava ovvie, e soprattutto il rigore della disciplina e il fato dei vinti e dei prigionieri. Ma quale strano rapporto s'era formato fra il loro intelligente ragazzo e una così originale compagna d'infanzia? Indifferenza non poteva essere, e, da parte di creature belle e giovani e liete, era anche meno probabile che fosse avversione. Non erano Paolo e Virginia, ma dovevano aver avuto la loro estate in comune e il loro idillio. Una bella ragazza non poteva aver detestato un così bel giovane se non per non esserne stata ammirata, e nessun bel giovane poteva aver resistito a una vicinanza simile. In verità il signor Coyle ricordò che la signora Julian gli aveva parlato in modo da far capire che la vicinanza non era stata per nulla costante, a causa delle Henry James
293
1970 - Racconti Di Fantasmi
assenze di sua figlia, per non parlare di quelle di Owen, dalla scuola; delle sue visite ad alcuni amici che erano tanto buoni da «prenderla» di tanto in tanto; dei suoi soggiorni a Londra - così difficili da sostenere, ma, con l'aiuto di Dio, ci si riusciva sempre - per «coltivarsi», in disegno e canto, o piuttosto nella pittura a olio, nella quale s'era fatta molto onore. Ma la buona signora aveva anche detto che i due giovani crescevano come fratello e sorella, e questo, dopo tutto, riportava a Paolo e Virginia. La signora Coyle aveva visto giusto, ed era evidente che Virginia stava facendo del suo meglio per passare il tempo piacevolmente col giovane Lechmere. La conversazione non era così vivace da costringere il nostro critico a uno sforzo per riflettere intorno a queste cose: il tono della serata, grazie principalmente agli altri invitati, non mostrava di voler uscire dal seminato. Si ripetevano aneddoti, si discuteva degli affitti, e gli argomenti si accalcavano insieme come animali spauriti. Sentiva quanto intensamente i suoi ospiti desiderassero che la sera passasse come se nulla fosse accaduto, e questo gli dava la misura del loro intimo risentimento. Prima della fine del pranzo, si senti inquieto sul conto del suo secondo scolaro. Da quando aveva cominciato a prepararsi per l'esame il giovane Lechmere aveva fatto tutto quel che ci si poteva aspettare da lui; ma questo non poteva render cieco il suo maestro di fronte al fatto evidente che nei momenti di distensione era candido come un lattante. Il signor Coyle aveva previsto che gli svaghi di Paramore gli sarebbero probabilmente stati d'incitamento, e il contegno del povero ragazzo dimostrava l'esattezza della previsione. L'incitamento gli era stato indubbiamente somministrato, ed era venuto a lui sotto forma di rivelazione. La luce negli occhi del giovane Lechmere annunciava - con un candore che quasi implorava compassione, o per lo meno di essere risparmiato dal ridicolo - che egli non aveva mai visto niente di simile alla signorina Julian.
IV. Dopo il pranzo, in salotto, la ragazza trovò modo di avvicinare l'ex maestro di Owen. Si fermò un momento davanti a lui, sorridendo mentre apriva e chiudeva il ventaglio, poi disse bruscamente, alzando i suoi strani occhi: - So che cosa siete venuto a fare, ma è inutile. - Sono venuto a occuparmi un poco di voi. Vi sembra inutile? - Molto gentile. Ma non si tratta di me in questo momento. Non Henry James
294
1970 - Racconti Di Fantasmi
riuscirete a niente con Owen. Spencer Coyle esitò un momento. - Che cosa avete intenzione di fare del suo giovane amico? La ragazza sgranò gli occhi, si guardò intorno: - Del signor Lechmere? Povero figliolo! Abbiamo parlato di Owen. Lo ammira tanto! - Anch'io. E bene che lo sappiate. - Noi tutti lo ammiriamo. Per questo siamo così disperati. - Personalmente, dunque, vi piacerebbe che facesse il soldato? -domandò il signor Coyle. - Mi sta moltissimo a cuore. Adoro la carriera delle armi e voglio un gran bene al mio vecchio compagno di giochi, - disse la signorina Julian. Spencer ricordò la diversa versione del giovane circa l'atteggiamento di lei, ma giudicò leale non contraddirla. - Non è concepibile che il vostro vecchio compagno di giochi non vi voglia altrettanto bene. Deve quindi desiderare di accontentarvi; e non vedo perché, fra di voi, da quei ragazzi intelligenti che siete, non dobbiate sistemare la cosa. - Accontentare me! - fece eco la signorina Julian. - Sono dolente di dire che non dimostra nessun desiderio del genere. Mi giudica un'impudente sfacciata. Gli ho detto quello che penso di lui e mi detesta, semplicemente. - Ma ne avete una stima così elevata. Mi avete detto or ora che lo ammirate. - Il suo ingegno, le sue capacità, sì; anche il suo aspetto personale, se è lecito che io vi alluda. Ma non ammiro il suo contegno degli ultimi giorni. - Ne avete discusso con lui? - domandò Spencer. - Oh sì, ho avuto l'ordine di parlargli con franchezza, mi sembrava che la situazione giustificasse la cosa. Non può aver trovato gradevole quello che gli ho detto. - Che cosa gli avete detto? La ragazza rimase un momento pensosa, aprì e richiuse nuovamente il ventaglio. - Insomma... dal momento che siamo cos buoni e vecchi amici, gli ho detto che il suo modo di comportarsi non era certo quello di un gentiluomo! Quando ebbe parlato i suoi occhi si incontrarono con quelli del signor Coyle che scrutarono le loro profondità ambigue. - Che cosa avreste detto, mi domando, se non ci fosse stato nessun precedente? - Strano che voi mi chiediate questo... e in tal modo! - rispose la ragazza ridendo. - Non capisco il vostro punto di vista: credevo che aveste il Henry James
295
1970 - Racconti Di Fantasmi
compito di fabbricare dei soldati! - Non dovreste adontarvi del mio piccolo scherzo. Ma, quanto a Owen Wingrave, non c'è proprio bisogno di fabbricare niente, -dichiarò Spencer Coyle. - A parer mio, - e il piccolo istitutore s'interruppe, conscio del paradosso di cui si assumeva la responsabilità – a parer mio Owen è, nel più alto senso del termine, un guerriero. - Allora lo dimostri! - esclamò la ragazza con impazienza e voltandogli bruscamente le spalle. Spencer Coyle la lasciò andare: c'era qualcosa nel suo tono che lo irritava e anche, non poco, lo disgustava. Evidentemente uno scontro era avvenuto fra i due giovani, e la considerazione che la cosa dopo tutto non lo riguardava, lo turbava ancora di più. La famiglia era senza dubbio una famiglia di soldati, e la signorina Julian, comunque, una fanciulla il cui ideale maschile - le ragazze hanno sempre i loro ideali maschili - era il guerriero armato di tutto punto. Un gusto come un altro; ma perfino un quarto d'ora dopo, trovandosi a fianco del giovane Lechmere, che rappresentava il tipo, Spencer Coyle era ancora tanto agitato che rivolse la parola all'innocente ragazzo con una certa secchezza professionale. - Non c'è nessun bisogno che rimaniate in piedi fino a tarda ora, sapete. Non vi ho portato qui per questo -. Gli invitati stavano prendendo congedo, e le candele per la notte già scintillavano una accanto all'altra, ammonitrici. Il giovane Lechmere era comunque troppo gradevolmente eccitato per risentirsi di un appunto: la lieta preoccupazione da cui era invaso quasi lo mosse a una smorfia di riso: - Sono quanto mai impaziente di ritirarmi. Sapete che c'è una camera attraentissima? Spencer dibatté fra sé un momento se dar peso all'allusione; poi, innervosito com'era, parlò: - Non vi avranno messo lì, spero! - No davvero: nessuno dorme lì dentro da tempo immemorabile. Ma proprio questo vorrei fare... sarebbe una cosa bellissima. - E avete cercato di ottenere il permesso dalla signorina Julian? - Bah, dice che non può darlo. Ma ci crede, e sostiene che nessuno ha mai osato. - Nessuno dovrà mai osare! - disse Spencer deciso. - Un uomo, soprattutto nella vostra posizione particolare, deve passare la notte tranquillamente. Il giovane Lechmere ebbe un sospiro di disappunto, ma parve Henry James
296
1970 - Racconti Di Fantasmi
rassegnato. - Sia pure. Ma non posso rimanere un po' alzato e prendere Wingrave per il bavero? Non l'ho ancora fatto. Il signor Coyle guardò il suo orologio. - Vi permetto di fumare una sigaretta. Si senti una mano sulla spalla e, voltandosi, vide sua moglie che gli faceva gocciolare la cera della candela sulla giacca. Le signore stavano andando a letto, ed era l'ora inveterata di Sir Philip; ma la signora Coyle confidò a suo marito come, dopo le cose paurose che egli le aveva narrate, si rifiutasse categoricamente di essere lasciata sola, anche per un momento, in qualunque parte della casa. Egli promise di seguirla in capo a un paio di minuti e dopo le strette di mano di prammatica le signore si allontanarono tra un gran fruscio di sete. A Paramore si mantenevano impavidamente le forme, come se il cuore della vecchia casa non fosse, al momento, stretto d'angoscia. La sola della quale Coyle notò la mancanza fu che Kate Julian non gli fece alcun cenno di saluto. Non gli rivolse né una parola, né uno sguardo, ma l'istitutore la vide guardar fisso Owen. Sua madre, timida e compassionevole, fu apparentemente la sola persona dalla quale il giovane ebbe un cenno del capo. La signorina Wingrave fece strada alle tre signore - in testa alla sua piccola processione di candele accese - su per lo scalone dalla balaustra di quercia e davanti al ritratto del suo infelice antenato. Un domestico particolare porse il braccio al vecchio Sir Philip, il quale voltò rigidamente la schiena al povero Owen quando il ragazzo fece un vago accenno di offrire il suo. In seguito, il signor Coyle apprese che prima di cadere in disgrazia, quando era a casa, Owen aveva sempre avuto il privilegio di accompagnare solennemente suo nonno in camera sua all'ora di andare a letto. Le consuetudini di Sir Philip erano sprezzantemente diverse, ora. Gli appartamenti del vecchio erano al piano di sotto, ed egli vi si diresse, trascinando i piedi per terra, ma rigido, con l'aiuto del servo, dopo aver fissato un momento, significativamente, sul più illuminato dei suoi ospiti, l'intenso raggio rosso, simile al chiarore della brace rimossa, che creava sempre uno strano contrasto fra i suoi occhi e i suoi modi bonari. Quegli occhi sembravano dire al povero Spencer: - Domani faremo veder noi che cosa c'è di nuovo a quel disgraziato! - Se ne sarebbe potuta ricevere l'impressione che il disgraziato, che ora s'era avviato verso la parte opposta della scala, avesse per lo meno falsificato una cambiale. Il suo amico lo segui con gli occhi un momento, lo vide lasciarsi andare nervosamente su una sedia, poi con un moto d'impazienza, alzarsi di Henry James
297
1970 - Racconti Di Fantasmi
nuovo. Lo stesso impulso lo riportò verso il signor Coyle che stava rivolgendo un'ultima ingiunzione al giovane Lechmere. - Io vado a letto e desidererei che vi atteneste a quello che vi ho detto poco fa. Fumate una sola sigaretta, qui, col nostro ospite, e poi andate nella vostra camera. Se sento che durante la notte tenterete qualche sciocchezza, avrete a che fare con me -. Il giovane Lechmere, guardando il pavimento con le mani in tasca, non disse parola; continuò soltanto a tormentare con la punta del piede l'angolo d'un tappeto, tanto che il signor Coyle, scontento di una così tacita promessa, continuò rivolto a Owen: - Devo pregarvi, Wingrave, di non tenere alzato un giovane così eccitabile; vi prego, anzi, di metterlo a letto e di chiuderlo a chiave dal di fuori -. E poiché Owen sbarrò un momento gli occhi, incapace di capire il motivo di tanta sollecitudine, aggiunse: - Lechmere ha una curiosità morbosa circa una delle vostre leggende... delle vostre stanze storiche. Soffocatela mentre è ancora sul nascere. - Oh sì, la leggenda è piuttosto bella, ma ho paura che la camera sia un falso bello e buono! - rise Owen. - Sai perfettamente che non credi a quello che dici, ragazzo mio! ribatté il giovane Lechmere. - Sono del medesimo parere -. Il signor Coyle notò che il viso di Owen si era macchiato di rossore. - Non s'arrischierebbe a passare una notte lì dentro! - continuò il loro compagno. - So chi vi ha detto questo, - disse Owen accendendo con palese imbarazzo una sigaretta alla candela, senza offrirne a nessuno dei suoi due amici. - Ebbene, e se anche l'ha fatto? - domandò il più giovane dei tre, piuttosto rosso in viso. - Le vuoi tutte tu? - continuò in modo faceto, frugando nel portasigarette. Owen Wingrave continuò a fumare tranquillamente; poi, con uno sforzo: - Già... anche se l'ha fatto? Ma lei non sa, - aggiunse. - Che cosa non sa? - Niente sa! Gli rincalzerò le coperte! - continuò Owen rivolgendosi al signor Coyle, il quale si avvide come la sua presenza, ora che un certo tasto era stato toccato, mettesse i due giovani a disagio. Era curioso, ma c'erano discrezioni e delicatezze, nei confronti dei suoi scolari, che s'era sempre vantato di osservare: scrupoli, i quali, tuttavia, non gli impedirono, Henry James
298
1970 - Racconti Di Fantasmi
mentre s'avviava verso le scale, di raccomandare ai due ragazzi di non rendersi ridicoli. In cima alle scale fu sorpreso di incontrare la signorina Julian che stava evidentemente tornando giù. Non aveva nemmeno cominciato a svestirsi, né si mostrò esteriormente contrariata di vederlo. Tuttavia, in un modo un po' in contrasto col suo contegno sostenuto di dieci minuti prima, quando aveva addirittura ignorato la sua esistenza, lasciò cadere le parole: Scendo a cercare qualcosa. Ho perduto un gioiello. - Un gioiello? - Una turchese piuttosto di valore, mi s'è sfilata dal medaglione. Siccome è il solo vero ornamento che io abbia l'onore di possedere...! - E cominciò a scendere. - Volete che venga ad aiutarvi? - domandò Spencer Coyle. Si fermò qualche gradino sotto di lui, alzandogli in viso gli occhi orientali. - Mi sbaglio, o sento le voci dei nostri amici in sala? - Quei distinti giovani sono appunto lì. - Mi aiuteranno loro -. E Kate Julian continuò a scendere. Spencer Coyle ebbe la tentazione di seguirla, ma, ricordando i suoi principi, raggiunse sua moglie nella loro stanza. Tuttavia non si decise ad andare a letto e, sebbene entrasse nello spogliatoio, non si decise nemmeno a togliersi la giacca. Per mezz'ora finse di leggere un romanzo: dopo di che, tacito, ma dovrei piuttosto dire agitato, passò nel corridoio. Lo percorse fino alla porta della stanza che sapeva essere stata assegnata al giovane Lechmere e fu soddisfatto di trovarla chiusa. Mezz'ora prima aveva notato che era aperta; poteva dunque dedurne senz'altro che, per quanto perplesso, il giovane era andato a letto. Non s'era voluto accertare che di questo, e, tranquillo, stava per ritirarsi, quando, in quello stesso momento, senti un rumore nella stanza. Lechmere stava facendo, alla finestra, qualcosa che gli consentiva di bussare senza doversi rimproverare di averlo svegliato. Infatti il giovane si presentò sulla porta in pantaloni e camicia. Fece entrare, un po' sorpreso, il suo visitatore, e quando la porta fu richiusa, quest'ultimo disse: - Non voglio che la vita vi diventi un peso, ma sentivo il dovere di vedere coi miei occhi che non vi esponiate a emozioni eccessive. - Oh, ce n'è da vendere! - disse l'ingenuo giovane. - La signorina Julian è ridiscesa. - Per cercare una turchese? - così disse. Henry James
299
1970 - Racconti Di Fantasmi
- L'ha trovata? - Non so. Sono venuto di sopra, l'ho lasciata col povero Owen. - Avete fatto benissimo, - disse Spencer Coyle. - Non so, - ripetè il giovane Lechmere mostrandosi preoccupato. - Li ho lasciati che litigavano. - Per quale ragione? - Non capisco. Sono una strana coppia! Spencer rimuginò la cosa fra sé e sé. Di regola aveva i suoi principi e riserbi molto rigorosi, ma ora aveva soprattutto una grande curiosità, o meglio, per chiamarla col suo vero nome, simpatia, che glieli faceva mettere da parte. - Avete l'impressione che sia furiosa contro di lui? - si permise di domandare. - Direi! Lo accusa addirittura di mentire! - Cosa intendete? - In presenza mia, vi dico. Per questo li ho lasciati: la situazione si andava facendo troppo tesa. Ebbi la stupidità di tirar fuori di nuovo la storia della camera stregata e quanto mi dolesse la promessa che vi avevo fatta di non tentare la prova. - Non potete mica cacciare il naso in quel modo nelle case degli altri! Sono libertà che non ci si possono prendere, capite? - esclamò il signor Coyle. - Non me lo sogno nemmeno, vedete come sono obbediente? Non ho la benché minima voglia di avvicinarmi a quella porta! -disse il giovane Lechmere con tutta sincerità. - La signorina Julian m'ha detto: «Oh credo bene che voi affrontereste la prova, ma...» e si voltò ridendo verso Owen: «Non ci si può aspettare altrettanto da un uomo che ha preso la sua straordinaria decisione». Capii che la cosa era stata già dibattuta fra loro, che lei lo aveva punzecchiato o sfidato. Può darsi che non ci fosse niente di serio, ma la sua rinuncia alla carriera militare aveva evidentemente messo sul tappeto la questione della viltà, del suo coraggio, insomma. - E che cosa ha risposto Owen? - A tutta prima niente; poi, tranquillo: «Ho passato tutta la scorsa notte in quella stanza della malora», ha detto. Abbiamo fatto gli occhi così, tutti e due stupefatti, e gli ho domandato che cosa avesse visto. Owen ha risposto che non aveva visto niente, e la signorina Julian ha aggiunto che doveva raccontare la storia un po' meglio, cavarne un po' di effetto. «Non è una storia, è semplicemente un fatto», ha ribattuto lui; allora lei lo ha preso Henry James
300
1970 - Racconti Di Fantasmi
in giro e gli ha domandato perché, dal momento che aveva fatto la prova, non le avesse raccontato tutto fin dalla mattina; a maggior ragione sapendo che cosa pensasse di lui. «Lo so, mia cara, ma non me ne curo», ha detto il povero ragazzo. Questo l'ha mandata su tutte le furie, al punto che gli ha domandato con tutta serietà se gli faceva piacere essere informato che il suo parere personale era che egli cercasse d'ingannarci. - Che perfida! - esclamò Coyle. - E una ragazza straordinaria, non so che cosa abbia in mente di fare, quasi ansimò il giovane Lechmere. - Straordinaria davvero. Far comunella e scambiar parole a quell'ora con degli scavezzacolli! Ma il giovane Lechmere si spiegò. - Lo dico perché credo che Owen le piaccia. Il signor Coyle rimase così colpito da quell'insolito sintomo di acume che lanciò subito: - E credete che lei piaccia a lui? La domanda produsse da parte del suo scolaro un moto di scoraggiamento e un sospiro lamentoso. - Non so, ci rinuncio! Ma sono sicuro che Owen ha visto o sentito qualcosa, - aggiunse. - In quella ridicola camera? Che cosa vi fa essere così sicuro? - Non so... gli si vede in faccia. Ho in mente che si capisca... in casi del genere. Si comporta in un modo da far pensare che qualcosa ci sia. - E perché non ne avrebbe parlato allora? Il giovane Lechmere parve ripetere la domanda a se stesso e trovare la risposta. - Forse è così terribile che non ci sono parole. Spencer Coyle rise. - Non siete contento di esserne fuori? - Altro che contento! - Andate a letto, bamboccione, - disse Spencer con un ritorno di riso nervoso. - Ma prima ditemi come Owen ha reagito all'accusa che cercava di ingannarvi. - «Conducetemi lì voi stessa e chiudetemi dentro!» - E lei lo ha fatto? - Non so... io son venuto di sopra. Spencer Coyle scambiò un lungo sguardo col suo scolaro. - Non credo che siano in sala ora. Dov'è la camera di Owen? - Non ne ho la più pallida idea. Il signor Coyle non sapeva che cosa fare: non ne sapeva più del giovane Henry James
301
1970 - Racconti Di Fantasmi
e non poteva certo andare a provare porta per porta. Disse a Lechmere di andare a letto; poi usci nel corridoio. Si domandò se sarebbe stato capace di rintracciare la stanza che Owen gli aveva mostrata in passato, ricordando come quasi tutte avessero il loro nome tradizionale dipinto sulla porta. Ma i corridoi di Paramore erano complicati; per di più qualche servo poteva essere ancora in piedi e non voleva dare l'impressione di gironzolare indebitamente. Tornò in camera sua, dove la signora Coyle notò la sua persistente incapacità di riposare. Dato che, in quella squallida casa, ammetteva di essere anche lei presa da un crescente senso d'oppressione, i due passarono le prime ore della notte a conversare, così che parte della loro veglia fu inevitabilmente occupata dal racconto fatto dal signor Coyle del suo colloquio con il giovane Lechmere e dalle opinioni scambiate fra marito e moglie in proposito. Verso le due la signora Coyle s'era fatta così nervosa sul conto del loro giovane amico perseguitato, e così presa dalla paura che quella perfida ragazza si fosse valsa della proposta di lui per sottoporlo a una prova abominevole, che supplicò suo marito, per quanto la cosa potesse turbarlo, di andare a dare un'occhiata. Ma Spencer, a mano a mano che il fascino della notte calava sopra di loro, aveva innaturalmente finito col ridursi a una trepida accettazione della prontezza con la quale Owen si era dimostrato disposto ad affrontare Dio solo sa quale inumana tensione nervosa: cimento tanto più estenuante per una sensibilità già eccitata, in quanto il povero ragazzo sapeva, dalla prova della notte precedente, quale sforzo disperato avrebbe dovuto sostenere. - Spero che ci sia andato davvero, - disse a sua moglie: -Li metterà tutti così smaccatamente dalla parte del torto! - D'altronde non poteva avventurarsi a esplorare una casa che conosceva così poco. Ma fu incoerente e non si preparò per andare a letto. Si sedette invece nello spogliatoio con la candela e il suo romanzo, e aspettò di sentirsi venire il sonno. Finalmente la signora Coyle si voltò dall'altra parte e cessò di parlare, e finalmente si addormentò anche lui, sulla sedia. Quanto tempo dormisse non potè calcolare che in seguito; a tutta prima s'accorse soltanto di essere stato svegliato di soprassalto e sotto l'impressione di un clamore pauroso. I sensi intorpiditi gli si schiarirono presto, aiutati senza dubbio da un grido di orrore che gli giunse all'orecchio, come una conferma, dalla camera di sua moglie. Ma non accorse da quella parte; s'era già lanciato nel corridoio. Lì il clamore si ripetè, era il grido di «Aiuto! Aiuto!», di una donna in preda al terrore. Veniva da una parte lontana della casa, ma si Henry James
302
1970 - Racconti Di Fantasmi
capiva con sufficiente chiarezza da quale direzione. Corse a precipizio davanti a sé, col rumore nelle orecchie di porte che si aprivano e di voci agitate, negli occhi il pallido chiarore delle prime luci dell'alba. Alla svolta d'un corridoio, s'imbattè nella bianca figura d'una ragazza svenuta su una panca, e come illuminato da una rivelazione capi all'istante, continuando nella sua corsa, come Kate Julian, presa troppo tardi dal gelo del rimorso per la sfida beffarda cui il suo orgoglio l'aveva spinta, dopo essere andata a liberare la vittima della sua derisione, fosse fuggita via barcollando, costernata dalla visione della catastrofe di cui era stata causa, catastrofe davanti alla quale egli si trovò un momento dopo, sgomento, sulla soglia d'una porta spalancata. Owen Wingrave, vestito come lo aveva visto poche ore prima, giaceva morto nel luogo stesso dove il suo trisavolo era stato trovato. Aveva in tutto e per tutto l'aspetto del giovane soldato caduto sul campo della vittoria. Traduzione di Carlo Izzo.
L'ALTARE DEI MORTI I. Aveva un'antipatia mortale, povero Stransom, per gli anniversari meschini, e ancor meno gli garbavano quando avevano la pretesa di far figura. Celebrazioni e omissioni gli riuscivano ugualmente penose; tuttavia fra le prime, una ve n'era che aveva trovato posto nella sua vita. Non aveva mancato, ogni anno, di ricordare a modo suo la data della morte di Mary Antrim. Forse sarebbe più esatto dire che era la data a ricordarglielo: almeno in quanto aveva per effetto di impedirgli di fare qualunque altra cosa. Pareva ogni volta trattenerlo con una mano di cui il tempo aveva allentato la stretta senza mai scioglierla. Si destava a quella celebrazione della memoria non meno cosciente di quanto lo sarebbe stato alla celebrazione delle sue nozze. Da gran tempo il matrimonio aveva avuto troppo poco a che fare con la sua vicenda: per la fanciulla destinata a divenire sua sposa non v'era stato amplesso nuziale. Era morta di una febbre maligna poco dopo ch'era stato fissato il giorno delle nozze, e prima ancora di averlo gustato a sufficienza, egli aveva perduto un affetto che prometteva di colmargli la vita. Ma sarebbe falso affermare che la vita l'aveva veramente orbato di quella benedizione; la sua esistenza era tuttora dominata da un pallido Henry James
303
1970 - Racconti Di Fantasmi
spettro, ancora governata da una presenza sovrana. Non era stato un uomo di molte passioni, e anche in tutti questi anni nessun sentimento si era tanto rafforzato nel suo intimo quanto quello di essere stato defraudato. Non aveva avuto bisogno né di prete né di altare per capire di essere vedovo per sempre. Molte cose aveva fatto al mondo: anzi, quasi tutto, salvo una cosa: non aveva mai, mai dimenticato. Aveva cercato di introdurre nella sua esistenza qualsiasi altro elemento potesse trovarvi posto, ma era riuscito a farne soltanto la dimora di una padrona assente in eterno. Più che mai assente ella si faceva sentire in quella ricorrenza decembrina cui la tenacia di Stransom aveva dato speciale rilievo. Non che la osservasse di proposito, ma quella data si era interamente impadronita dei suoi nervi, costringendolo senza misericordia a uscir di casa. La meta del suo pellegrinaggio era lontana. Ella era stata seppellita in un sobborgo di Londra, allora nel cuore della natura, ma egli aveva visto sparire man mano, uno dopo l'altro, ogni aspetto di freschezza di quel luogo. In realtà, i suoi occhi lo contemplavano meno che mai nei momenti in cui vi sostava. Allora essi fissavano un'altra immagine, si aprivano a un'altra luce. Era un futuro credibile? Era un incredibile passato? Qualunque fosse la risposta, era una fuga senza fine dal presente. E vero che, se non c'erano altre date all'infuori di questa, c'erano altri ricordi; e all'epoca in cui George Stransom aveva compiuto i cinquantacinque anni, questi ricordi s'erano ampiamente moltiplicati. Oltre quello di Mary Antrim, altri spettri popolavano la sua vita. Forse non aveva subito perdite in numero maggiore di gran parte degli uomini, ma in certo modo le aveva sofferte più in profondità. A poco a poco aveva preso l'abitudine di contare i suoi Morti: aveva capito fin dalla giovinezza che qualcosa andava fatto per loro. Essi persistevano nella loro essenza, resa più semplice e più intensa, assenti consapevoli nella loro espressiva pazienza, con una personalità così marcata come se fossero stati semplicemente resi muti. Venuta meno ogni percezione di essi, spentasi ogni loro voce, era come se il loro purgatorio fosse ancora realmente sulla terra; era così poco ciò che chiedevano, poveretti, che ottenevano ancora di meno, e morivano di nuovo, morivano ogni giorno del duro logorio della vita. Nessun servizio religioso veniva celebrato per loro, non godevano di un posto riservato, né di onoranze, né di sicuro rifugio. Anche gli ingenerosi si davano cura per i vivi, ma persino i cosiddetti generosissimi non facevano alcunché per gli altri. Così in George Stransom si era andata Henry James
304
1970 - Racconti Di Fantasmi
formando con gli anni la risoluzione di far almeno lui qualche cosa, far qualcosa, cioè, per i propri defunti: sarebbe stato un gesto di carità estrema per nulla riprovevole. Ciascuno aveva i suoi, e ciascuno poteva ricorrere, per far fronte a questo gesto di carità, alle vaste risorse della propria anima. Senza dubbio era la voce di Mary Antrim che si levava alta per loro; comunque, col passare degli anni, egli si trovò in regolare comunione con questi pensionati differiti, quelli cioè che nei suoi pensieri egli era solito definire «gli Altri». Riservava loro ritagli di tempo, predisponeva la sua opera di carità. Proprio in che modo essa era sorta, probabilmente non avrebbe mai saputo dire, ma sta di fatto che un altare - un altare come avrebbe potuto essere a portata di tutti - splendente di ceri perpetui e dedicato a questi riti segreti s’era elevato negli spazi del suo spirito. Da gran tempo si era domandato, non senza imbarazzo, se avesse una religione, certissimo di non possedere in ogni modo - e non senza poca soddisfazione - la religione che alcune persone di sua conoscenza avrebbero desiderato per lui. Poco alla volta aveva trovato una risposta alla domanda: gli divenne chiaro che la religione istillatagli dalla sua prima coscienza era stata semplicemente la religione dei Morti. Si confaceva alla sua inclinazione, procurava soddisfazione al suo spirito, gli consentiva di mettere alla prova la sua pietà. Rispondeva al suo amore per le funzioni solenni, per un rituale splendido e imponente, giacché nessun altare poteva esser più adorno, nessun cerimoniale più maestoso di quelli ai quali si riallacciava il suo culto. Non era solito fantasticare di queste cose, se non per concepire l'idea che esse erano alla portata di chiunque ne sentisse il bisogno. Il più povero avrebbe potuto innalzare tali templi dello spirito, farli sfavillare di candele e fumare d'incenso, farli risplendere di fiori e dei colori dei quadri. Quanto al costo del mantenimento, per dirlo alla buona, esso ricadeva interamente sulla generosità del cuore.
II. Quell'anno, alla vigilia dell'anniversario a lui caro, gli avvenne di provare un'emozione che non esulava dalla sfera del sentimento di cui s'è detto. Tornando a piedi verso casa al termine di una giornata densa di occupazioni, s'era fermato di botto nella via londinese, attratto dall'effetto particolare di una vetrina che illuminava la cupa aria bruna con il suo commerciale sogghigno e davanti alla quale erano radunate diverse Henry James
305
1970 - Racconti Di Fantasmi
persone. Era la vetrina di un gioielliere, i cui brillanti e zaffiri sembravano ridere con bagliori simili alle note acute di un suono, per la pura soddisfazione di sapere che valevano assai più della maggior parte degli scoloriti pedoni che li fissavano al di là del vetro. Stransom indugiò abbastanza per cingere, con l'immaginazione, il candido collo di Mary Antrim di una collana di perle: poi, a trattenerlo, fu il suono di una voce a lui nota. Accanto a lui una vecchia stava borbottando qualcosa e, al di là di essa, c'era un signore con una signora al braccio. La voce proveniva da lui, da Paul Creston, che commentava con la sua compagna qualcuno degli oggetti preziosi della vetrina. Stransom l'aveva appena riconosciuto che la vecchia se ne andò; ma proprio nell'attimo in cui l'occasione di rivolgersi all'amico si era fatta più propizia, sì senti pervadere da una strana sensazione che lo fermò mentre stava per posare una mano sul braccio dell'altro. Fu un attimo, ma bastò per fargli balenare alla mente una domanda insensata. Ma non era morta, Mrs Creston? Il dubbio lo colse nel momento in cui senti la voce del marito abbassarsi in un sommesso tono coniugale - ammesso che lo fosse - e in cui vide i due volti chinarsi uno verso l'altro. Nel muovere un passo per guardare qualche altra cosa, Creston gli si avvicinò, gli rivolse uno sguardo, trasalì, e uscì in un'esclamazione: un comportamento che sul momento non sortì altro effetto che quello di lasciare Stransom a bocca aperta nel rievocare, attraverso il succedersi dei mesi, l'altro viso, il viso del tutto diverso che il pover'uomo gli aveva mostrato l'ultima volta: una maschera sconvolta, devastata, china sulla tomba aperta presso la quale avevano sostato insieme. Adesso quel figlio dello strazio non portava il lutto: lasciò il braccio della sua accompagnatrice per afferrare la mano dell'amico di un tempo. Quando Stransom si levò il cappello in un impacciato tentativo di saluto alla signora, Creston, illuminato dalla luce violenta della vetrina, arrossi e sorrise nello stesso tempo. Stransom ebbe appena modo di notare che la donna era graziosa, prima di trovarsi, sconcertato, a ricevere una spiegazione ancor più strabiliante. - Carissimo, permetti che ti faccia conoscere mia moglie. Creston l'aveva detto arrossendo e balbettando un poco, ma mezzo minuto dopo, secondo le consuetudini della società per bene, al nostro amico non era rimasto che il ricordo del colpo ricevuto. Restarono lì in piedi a ridere e a chiacchierare; Stransom aveva istantaneamente rimosso Henry James
306
1970 - Racconti Di Fantasmi
lo choc, per serbarlo per suo privato consumo. Si accorgeva di far delle smorfie, di eccedere in compitezza, ma era consapevole di sentirsi non poco confuso. Quella donna mai vista, quell'attrice prezzolata, Mrs Creston? Mrs Creston era stata per lui più vitale di qualunque altra donna, ad eccezione di una. Questa signora aveva una faccia che sfavillava in pubblico come la vetrina del gioielliere, e nello stesso felice candore con cui si immedesimava nel suo mostruoso ruolo v'era una nota di procace grossolanità. Il ruolo di moglie di Paul Creston così conferitole era mostruoso per le ragioni di cui Stransom era a conoscenza, come l'amico perfettamente sapeva. La coppia felice era appena arrivata dall'America, ma Stransom non aveva avuto bisogno di esserne informato per indovinare la nazionalità della signora. In certo modo ciò accentuava nel marito l'aria da babbeo che la sua impacciata cordialità non riusciva a dissimulare. Stransom si rammentò di aver sentito dire che il povero Creston, ancor fresco di lutto, aveva traversato l'oceano per quel che la gente in simili circostanze suole chiamare un diversivo. L'aveva davvero trovato il diversivo, se l'era portato con sé al ritorno, il diversivo; eccolo lì, il piccolo diversivo, in piedi davanti a loro: per quanto il marito, mettendo in mostra i suoi grossi incisivi, si desse da fare lei non poteva impedirgli di aver l'aria di un consapevole imbecille. Stavano per entrare nel negozio, dichiarò Mrs Creston, e pregò Mr Stransom di entrare con loro per aiutarli nella scelta. Questi la ringraziò, e facendo scattare la molla del suo orologio addusse a pretesto un impegno per il quale era già in ritardo. Si separarono mentre lei gli gridava nella nebbia: - Badi di venirmi a trovare al più presto! - cosa che Creston aveva avuto la delicatezza di non suggerire. E Stransom sperò che il sentire la consorte strillare cosf ai quattro venti, lo avesse fatto in qualche modo soffrire. Nell'allontanarsi si senti fermamente determinato a non avvicinarla mai più in vita sua. Era forse un essere umano, ma Creston non avrebbe dovuto mostrarla senza prendere delle precauzioni, anzi, non avrebbe mai dovuto mostrarla affatto. Le sue precauzioni avrebbero dovuto essere quelle di un falsario o di un assassino, e in patria nessuno avrebbe mai parlato di estradizione. Questa era una moglie per un incarico all'estero o per uso puramente esteriore: un minimo di riflessione le avrebbe risparmiato l'offesa del confronto. Tale fu la prima reazione di George Stransom; ma, mentre se ne stava seduto solo, quella sera, - c'erano ore particolari ch'egli trascorreva sempre da solo - l'asprezza di quel giudizio cadde per lasciar Henry James
307
1970 - Racconti Di Fantasmi
posto soltanto al rimpianto. Lui sì, sarebbe stato in grado di passare una sera con Kate Creston, se non lo era colui al quale ella aveva dato tutto. Vent'anni di conoscenza avevano fatto di lei l'unica donna per la quale poteva anche commettere un'infedeltà. Kate era tutta intelligenza e comprensione e fascino; di tutte le case al mondo la sua era stata la più accogliente, la sua amicizia la più salda. Egli l'aveva amata senza complicazioni, come era capitato a tutti: Kate aveva saputo rendere le passioni che suscitava normali e tranquille come le maree governate dalla luna. Certo, era stata assolutamente al di sopra del marito, ma lui non l'aveva mai sospettato, e nulla l'aveva resa tanto degna d'ammirazione come l'arte squisita con cui aveva cercato d'impedire a ciascuno (impedirlo a Creston non era un problema) di scoprirlo. Ecco un uomo a cui ella aveva dedicato la vita e al quale l'aveva sacrificata, morendo nel dare alla luce un figlio del loro letto; aveva soltanto dovuto accettare il proprio destino per non contare per lui - prima che l'erba fosse spuntata sopra la sua tomba - più di una serva di casa sostituita. Tanta superficialità, tanta assenza di decoro riempirono di lacrime gli occhi di Stransom; quella sera ebbe la netta sensazione di essere l'unico ad avere il diritto di marciare a testa alta in un mondo d'indelicatezza. Dopo cena, fumando, teneva un libro sulle ginocchia, ma non aveva occhi per la lettura: nel vuoto brulicante di immagini, i suoi occhi sembravano aver incontrato duelli di Kate Creston, e nel dolente silenzio di quegli occhi egli fissava lo sguardo. Era a lui che lo spirito sensibile di lei si era rivolto sapendo ch'egli avrebbe pensato a lei. A lungo Stransom rifletté su come gli occhi chiusi delle donne morte riescano ancora a vivere, come avrebbero potuto aprirsi in una stanza silenziosa illuminata da una lampada, molto tempo dopo aver guardato per l'ultima volta. Avevano degli sguardi che sopravvivevano, allo stesso modo che i grandi poeti sopravvivono nei versi delle citazioni. Il giornale - che arrivava di pomeriggio e che i domestici ritenevano fosse la cosa desiderata - era posato accanto alla sua poltrona: senza affatto pensare a ciò che poteva contenere, Stransom l'aveva aperto meccanicamente e poi lasciato cadere. Prima di coricarsi lo riprese e, questa volta, cinque parole all'inizio di un periodo lo fecero trasalire. Restò in piedi davanti al fuoco guardando nel vuoto. LA SCOMPARSA DI SIR ACTON HAGUE, K.c.B., l'uomo che dieci anni prima era stato l'amico suo più intimo, e che, cadendo da quell'eminente posizione, aveva lasciato il posto vacante. L'aveva ancora visto dopo la loro rottura; ora da molti anni non lo Henry James
308
1970 - Racconti Di Fantasmi
vedeva più. In piedi davanti al fuoco, si senti gelare nel leggere quel che era accaduto all'amico. Eletto poco tempo prima al governatorato delle Isole Occidentali, Acton Hague era morto, nel desolato e triste onore del suo esilio, di una malattia causata dal morso di un serpente velenoso. Il giornale riassumeva la sua carriera in una dozzina di righe, scorrendo le quali George Stransom fu percorso soltanto da un vivo sentimento di sollievo per l'assenza di qualsiasi riferimento al loro contrasto, incidente a suo tempo infangato - grazie al loro comune impegno in affari di vasta portata - da una terribile pubblicità. Conosciuto da tutti, a giudizio di Stransom, era stato in realtà il torto da lui subito, nota l'offesa, da lui passivamente sopportata da parte dell'unica persona che gli fosse intimamente amica: il compagno, quasi adorato, degli anni d'Università, divenuto poi oggetto della sua lealtà appassionata: così «pubblico» che egli non ne aveva mai fatto parola con anima viva, così «pubblico» che l'aveva indotto a metterci una pietra sopra. L'amicizia era finita per sempre, quella era stata per lui 1 unica differenza. Il contrasto di interessi era stato in sommo grado di natura privata; ma l'azione di Hague si era svolta davanti agli occhi di tutti. Ormai pareva che ciò fosse accaduto unicamente perché lui, George Stransom, dovesse pensare a lui come a «Hague», permettendogli di rendersi conto con precisione di quanto lui stesso potesse assomigliare a una pietra. Si senti percorrere da un brivido un brivido improvviso e orribile. E andò a letto.
III. L'indomani, di pomeriggio, nel grande sobborgo grigio, comprese che la lunga camminata l'aveva stancato. Nel tetro cimitero era rimasto soltanto un'ora sui due piedi. Quegli stessi piedi che poi istintivamente, sulla via del ritorno, l'avevano condotto a fare una deviazione in un deserto in cui nessun vetturino circolava puntando su una possibile preda. Si fermò a un angolo a misurare la vastità della desolazione; poi, attraverso l'oscurità infittita, scoperse di trovarsi in una di quelle zone di Londra meno tetre di notte che di giorno, perché di notte godono del civile dono della luce. Di giorno non c'era nulla, ma di notte c'erano i lampioni, e George Stransom era in uno stato d'animo per cui i lampioni erano cosa buona di per sé. Non che gli consentissero di vedere qualcosa, ma almeno splendevano di chiara luce. Tuttavia, poco dopo, non senza sua sorpresa, proprio qualcosa gli Henry James
309
1970 - Racconti Di Fantasmi
mostrarono: l'arco di un alto portale preceduto da una bassa gradinata, in fondo al quale - quasi un oscuro vestibolo - il sollevarsi di un tendaggio, nel momento in cui egli vi passava davanti, gli permise di scorgere un viale di tenebre chiuso da uno sfolgorio di candele. Si fermò e guardò in su, riconoscendo in quel luogo una chiesa. Gli venne subito in mente che, siccome era stanco, lì si sarebbe potuto riposare, e un momento dopo aveva a sua volta sollevato la cortina di cuoio ed era entrato. Era un tempio della fede primitiva, e secondo ogni evidenza vi si era svolta una funzione - forse un servizio per i defunti; l'altar maggiore era tutto uno scintillio di candele: uno spettacolo che gli era sempre piaciuto. Si abbandonò su una panca con sollievo. Mai come in quel momento gli parve bene che esistessero le chiese. Questa era semivuota e gli altari intorno erano spenti. Un sacrestano andava ciabattando su e giù, una vecchia tossi, ma nella fitta atmosfera dolciastra Stransom intuì un che di ospitale. Era solo l'odore dell'incenso, oppure qualcosa di più vasto intendimento? Comunque, aveva abbandonato il gran sobborgo grigio e si era avvicinato al cuore caldo della città. Di lì a poco non ebbe nemmeno più l'impressione di essere un intruso, stabilendo alla fine persino un senso di comunione con l'unica devota che gli fosse vicina, l'austera presenza di una donna in gramaglie di cui vedeva solo la schiena, prosternata e immersa nella preghiera a poca distanza da lui. Auspicò di potersi ugualmente abbandonare, con pari immobilità, rapito in quell'atteggiamento di devozione. Lasciato passare qualche minuto, spostò la propria sedia: poteva apparire indelicato l'essere tanto consapevole della presenza di lei. Ma di lì a poco Stransom si perdette del tutto, rapito in quel mare di luci. Se simili occasioni fossero state più frequenti nella sua vita, egli avrebbe avuto più presente l'archetipo originale, eretto in una miriade di templi, dell'inaccostabile sacrario da lui stesso elevato nella propria mente. All'inizio quell'altare gli aveva richiamato alla mente il fasto della Chiesa, ma l'eco aveva finito per provocare un richiamo più forte del suono stesso. Ora il suono ridondava, l'archetipo irradiava su di lui tutte le sue luci, con un fulgore misterioso in cui infiniti significati potevano brillare. Fu come se, mentre rimaneva lì seduto, l'oggetto di fronte a lui divenisse il suo altare particolare, come se ogni luminoso cero esprimesse un particolare voto. Li contò, diede a ciascuno un nome, li raggruppò: era l'appello silente dei suoi Morti. Creavano tutti insieme una luminosità vasta e intensa, un fulgore in cui il Henry James
310
1970 - Racconti Di Fantasmi
modesto sacrario dei suoi pensieri sbiadì a tal segno che, mentre si dissolveva, egli si chiese se non avrebbe forse trovato la sua vera consolazione in qualche gesto materiale, qualche rito esteriore. L'idea s'impossessò di lui mentre, poco più in là, la signora ne-rovestita stava tuttora prosternata; egli si senti così dolcemente esaltato dalla sua idea, che alla fine si alzò, tutto eccitato da un progetto improvviso. Vagò in punta di piedi tra le navate, sostando dinanzi alle varie cappelle, tutte, salvo una, dedicate a una speciale devozione. Qui, in questo spoglio recesso, non illuminato e disadorno, si fermò molto a lungo - tutto il tempo che gli occorse per dare forma al concetto di abbellirlo grazie alla sua prodigalità. Non lo avrebbe sottratto ad altri riti, né lo avrebbe associato ad alcunché di profano; l'avrebbe preso semplicemente come glielo avrebbero dato, per farne poi un capolavoro di splendori, una montagna di fuoco. Custodito tutto l'anno come luogo sacro, circondato dalla chiesa santificante, sarebbe stato sempre pronto per i suoi rituali. Difficoltà ce ne sarebbero state, ma fin dall'inizio si prospettavano superabili. Anche per un estraneo al culto com'era lui, sarebbe stata solo questione di mettersi d'accordo. Prevedeva ogni cosa, e in particolare quanto splendore avrebbe riflesso per lui la cappella quando si fosse concesso qualche sosta nel lavoro o durante la penombra pomeridiana; quanta generosa sicurezza gli avrebbe offerto in qualsiasi momento, ma soprattutto nel mondo indifferente. Prima di uscire si avvicinò ancora al posto dove si era seduto entrando e, così facendo, incrociò la signora che aveva visto immersa nella preghiera e che ora si stava avviando verso la porta. Gli passò rapidamente davanti ed egli colse solo per un attimo i tratti del suo pallido viso, dei suoi occhi assenti, come ciechi. In quell'istante gli apparve sciupata, eppure bella. Fu questa l'origine dei riti più palesi e tuttavia certamente esoterici che finalmente fu in grado di compiere. Gli ci volle parecchio tempo, un anno: sia l'attuazione sia il risultato avrebbero offerto -a chi l'avesse saputo - una chiara visione della sua buona fede. Nessuno ne era al corrente in realtà, salvo i miti ecclesiastici con i quali aveva cercato subito di prendere contatto con l'astuzia, la curiosità e la comprensione, ottenendone infine il consenso a tanta munifica eccentricità e qualche indulgenza in cambio di talune concessioni. A un primo stadio della sua richiesta, Stransom, naturalmente, era stato indirizzato al Vescovo, e il Vescovo era stato deliziosamente umano, il Vescovo si era quasi divertito. Il successo era Henry James
311
1970 - Racconti Di Fantasmi
stato comunque prevedibile, dal momento che coloro dai quali esso dipendeva si erano mostrati liberali in cambio di liberalità. L'altare e la sacra abside semicircolare che lo conteneva, dedicati a riti di ordinaria amministrazione, sarebbero stati conservati in tutto il loro splendore; ciò che Stransom riservava a se stesso era solo il numero dei ceri e il godimento gratuito della sua idea. Una volta mandata questa a completo effetto, il godimento fu ancor maggiore di quanto egli avesse osato sperare. Amava ripensare a questo effetto quando ne era lontano, ma ancor più amava convincersene allorché vi era vicino. Non accadeva sovente, in verità, che vi si trovasse a così breve distanza da non far passare una visita per qualcosa di simile a un faticoso pellegrinaggio; ma il tempo dedicato all'esercizio della sua pietà finì per sembrargli piuttosto un contributo agli altri suoi interessi che un tradimento. Anche una vita carica di impegni può riuscire forse più facile se la si arricchisce di nuove esigenze. Quanto più facile, probabilmente, non lo indovinò mai nessuno, neppure chi sapeva soltanto che c'erano ore in cui egli spariva: molti davano un'interpretazione volgare a quelle che venivano definite le sue immersioni. Erano immersioni in profondità più tranquille di quelle nelle abissali caverne marine: in capo a un anno o due quell'abitudine era divenuta per lui irrinunciabile se non a ben caro prezzo. Adesso i suoi Morti avevano per davvero qualcosa di irrevocabilmente loro; e gli era caro pensare che in certi casi potevano anche essere i Morti di altri, allo stesso modo che i Morti altrui potevano venir evocati lì, sotto la protezione di ciò che lui aveva fatto. Gli pareva che chiunque piegasse un ginocchio sul tappeto da lui disteso agisse secondo la sua intenzione. Ogni candela aveva un nome per lui e di quando in quando un'altra ne veniva accesa. Era questo il punto sul quale si era essenzialmente accordato: che ci potesse essere sempre spazio per tutti. Ciò che i passanti o quelli che vi sostavano davanti vedevano era solo il più splendente degli altari, riportato d'improvviso a un'utilità viva, e un tranquillo signore anziano, su cui esso esercitava in apparenza un fascino speciale, spesso seduto li, come assonnato o incantato. Ma gran parte del conforto che questo luogo offriva all'incostante e misterioso devoto era il ritrovarvi gli anni della sua vita trascorsa, e i legami, gli affetti, le battaglie, le umiliazioni, le conquiste, se pur ve n'erano state, il documento insomma di quell'avventuroso viaggio in cui l'inizio e la fine dei rapporti umani sono incisi a chiare lettere su pietre miliari. In genere egli non amava rievocare il passato come parte della Henry James
312
1970 - Racconti Di Fantasmi
propria storia; altrove e in altri momenti esso gli appariva per lo più miserando e irreparabile; ma - là seduto - lo accettava con quella certa soddisfazione positiva con cui ci si adatta a un male che comincia a soccombere alla cura. Alla cura del tempo la malattia della vita comincia a un dato momento a soccombere; e queste erano senza dubbio le ore in cui quella verità gli appariva più concreta. Là era scritto il giorno in cui per la prima volta aveva conosciuto la morte, e le successive fasi di quella conoscenza erano segnate ciascuna da una fiammella. Ormai le fiammelle erano andate infittendosi, perché Stransom si trovava già nella parabola discendente della nostra vita terrena, quando ogni giorno muore qualcuno. Pareva ieri che per Kate Cre-ston si era acceso un bianco fuoco; eppure già nuove stelle sfavillavano sulle punte dei lucignoli. Varie persone per le quali non aveva nutrito particolare interesse gli si erano fatte più vicine, entrando a far parte del sodalizio. Le passava in rassegna una per una, fino a sentirsi il pastore di un gregge ammassato alla rinfusa, con la capacità d'individuazione del pastore per ogni minima differenza fra un capo dell'armento e l'altro. Distingueva ogni singola candela, persino dal colore della fiamma; le avrebbe riconosciute anche se la loro posizione fosse stata mutata. Per un'immaginazione diversa dalla sua avrebbero potuto significare altro: Stransom nulla chiedeva se non che la loro presenza su quell'altare imponesse il silenzio, pur intensamente consapevole com'era della nota particolare che ciascuna sprigionava e del modo in cui ognuna contribuiva al concerto. V'erano momenti in cui quasi si coglieva ad augurarsi che qualche suo amico morisse, s da stabilire con lui in tal modo un legame più intimo di quello che, magari, li aveva uniti in vita. In quanto a coloro dai quali si è separati dalle lunghe curve del globo, tale legame non poteva che migliorare: te li metteva subito a portata di mano. Certo nella costellazione c'erano dei vuoti: Stransom sapeva che poteva soltanto pretendere di agire in proprio, e che non aveva diritto a venir commemorata ogni figura che passasse davanti ai suoi occhi per immergersi nel grande buio. La morte elargiva una sorta di santificazione, ma certi personaggi erano più santificati dall'oblio che dal ricordo. Il vuoto più grande nella pagina radiosa era la memoria di Acton Hague, un ricordo da cui egli cercava accanitamente di liberarsi. Per Acton Hague nessuna fiamma avrebbe mai potuto levarsi su un altare da lui voluto.
IV. Henry James
313
1970 - Racconti Di Fantasmi
Ogni anno, tornando a piedi dal cimitero grande, si recava nella chiesa come aveva fatto il giorno in cui era nata in lui quell'idea. In una di queste occasioni, trascorso un anno, gli accadde di rendersi conto che il suo altare era frequentato da una fedele non meno assidua di lui. Nel resto della chiesa altri fedeli andavano e venivano e, nell'allontanarsi, gli risvegliavano la sensazione di un vago o un preciso riconoscimento, ma quella presenza la constatava sempre immancabilmente arrivando; quand'egli usciva, restava ferma al suo posto. Fu sorpreso, la prima volta, dalla prontezza con la quale gli venne fatto di attribuirle un'identità: quella della signora che, due anni prima, nel giorno dell'anniversario, egli aveva visto prosternata in preghiera e del cui tragico volto aveva ricevuto un'impressione tanto fugace. Dato il lungo periodo di tempo trascorso, il ricordo di lei si era mantenuto così vivo da meravigliarlo. Di lui naturalmente lei non aveva serbato alcun ricordo, o piuttosto, sulle prime, non aveva mostrato di averne: ma venne il momento in cui il suo contegno indusse Stransom a ritenere che, a poco a poco, ella avesse indovinato che le loro visite avevano lo stesso scopo. Lei si valeva di quell'altare per un suo fine personale: lui poteva solo sperare che, triste e solitaria come gli era sempre sembrata, lei se ne valesse per i suoi Morti. Da parte di lui vi furono interruzioni, defezioni, altri doveri e convegni ad impegnarlo; ma col passare dei mesi la rivide ogniqualvolta vi fece ritorno e finì per trovare appagamento al pensiero di aver procurato a lei quasi la stessa gioia che a se stesso. Pregarono così sovente uno accanto all'altra che in certi momenti egli auspicò per sé la certezza di poter invecchiare insieme nell'adempimento di quei riti, tanto parallele si prospettavano le loro strade. Era più giovane di lui, ma dal suo aspetto si poteva supporre che i suoi Morti fossero almeno in ugual numero delle candele di lui. Non aveva colore, né voce, né difetto alcuno, e un'altra cosa di cui si era convinto era che fosse priva di mezzi. Sempre vestita di nero, doveva aver avuto dispiaceri uno dietro l'altro. Dopo tutto, chi è colpito da tante perdite non è povero, anzi, se ha dovuto rinunciare a tanto, è stato senz'altro ricco. Ma l'aspetto di questa donna pia e indifferente che, in qualunque posa si trovasse, creava sempre un involontario bellissimo disegno, in certo modo suggeriva a Stransom l'impressione che avesse conosciuto più di un affanno. Egli era un appassionato di musica e aveva poco tempo per goderne; ma Henry James
314
1970 - Racconti Di Fantasmi
di tanto in tanto, quando i pomeriggi del sabato smorzavano il frastuono dei giorni lavorativi, gli tornava in mente che esisteva della splendida musica. Del resto, aveva anche amici pronti a rammentarglielo, e allora si ritrovava al loro fianco ad assistere a un concerto. In una di quelle sere d'inverno, al Saint James's Hall, dopo aver preso posto, si accorse che vicino a lui era seduta la signora vista tante volte in chiesa. Evidentemente era sola, come appunto lo era lui quella volta. All'inizio era troppo assorta nell'esame del programma per badargli, ma quando finalmente volse lo sguardo su di lui, egli ne approfittò per parlarle, e la salutò dicendo che gli pareva di conoscerla. Ella rispose sorridendo: - Oh sì, la riconosco, - e tuttavia, nelTammettere quella conoscenza d'antica data, egli la vide sorridere per la prima volta. Il che ebbe l'effetto di contribuire alla loro conoscenza più di quanto fosse avvenuto con tutti gli incontri precedenti. Non aveva «afferrato» - Stransom si disse - che fosse così graziosa. Più tardi, quella sera, mentre in carrozza si recava a cenar fuori, dovette aggiungere che non aveva nemmeno «afferrato» che fosse così interessante. Il mattino dopo, mentre lavorava, all'improvviso e senza una ragione evidente rifletté che l'impressione, ch'essa gli aveva pur fatto da tanto tempo, era simile a un fiume tortuoso che ha finalmente raggiunto il mare. Sta di fatto che per tutto quel giorno il suo lavoro fu come offuscato dal pensiero di ciò che era avvenuto fra loro. Non era stato molto, ma aveva cambiato il loro rapporto. Avevano ascoltato insieme Beethoven e Schumann; avevano chiacchierato durante gli intervalli, e quando, alla fine, diretti insieme verso l'uscita, egli le aveva chiesto se poteva esserle d'aiuto per il rientro, lei lo aveva ringraziato e aveva aperto l'ombrello per scivolar via tra la folla, senza alludere a un eventuale nuovo incontro. Non una parola era stata scambiata - come egli ebbe agio di ricordare - in merito allo scenario consueto dei loro incontri. L'omissione gli parve ora naturale, ora perversa. Avrebbe potuto non concedergli in alcun modo il diritto di parlarle, eppure, se l'avesse fatto, egli l'avrebbe ritenuta una maleducata. Era curioso che - quantunque fosse riuscito a comunicarle l'impressione di essere vecchi amici - non ci fosse mai stato nulla ad avvicinarli realmente: strano che questo elemento negativo contasse in certo modo più di quanto si fossero detti. Era anche vero che il suo successo era stato attenuato dalla rapida fuga di lei e ciò faceva aumentare in lui l'assurdo desiderio di sottoporla a prova più valida. Dato e non Henry James
315
1970 - Racconti Di Fantasmi
concesso che gli venisse in aiuto un'altra banale occasione, tale prova poteva aver luogo solo incontrandola di nuovo in chiesa. Se fosse dipeso da lui, vi sarebbe andato quel pomeriggio stesso, non foss'altro che per la curiosità di vedere se ve l'avrebbe trovata. Ma proprio all'ultimo, quando aveva virtualmente deciso di recarvisi, dovette scoprire che non dipendeva da lui. Il potere che lo trattenne gli rivelò come i suoi Morti non lo abbandonassero mai. Vi andava solo per loro - per nessun'altra ragione al mondo. Quell'istintivo rifiuto lo tenne lontano dalla chiesa per dieci giorni: detestava il pensiero di collegare il luogo con motivazioni estranee ai propri riti, e di lasciar trasparire, anche soltanto con uno sguardo, la curiosità che quasi ve lo aveva sospinto. Per una cosa tanto semplice come un'abituale devozione quotidiana o ad ore stabilite che fosse, era assurdo ingarbugliare una matassa: eppure la matassa s'era ingarbugliata da sola. Era dispiaciuto, era deluso: come se un lungo felice incantesimo si fosse spezzato e a lui fosse venuto a mancare un senso di sicurezza. Tuttavia finì col domandarsi se, per tema di tante complesse ragioni, dovesse rimanere lontano per sempre. E, lasciato trascorrere un intervallo né più lungo né più breve del solito, rimise piede in chiesa, fermamente convinto che si sarebbe accorto a stento della presenza o dell'assenza della signora del concerto. Quest'indifferenza non gli impedì di constatare all'istante che, per la prima volta dacché l'aveva notata, la signora non si trovava sul posto. Non si fece scrupolo di darle tempo di arrivare, ma lei non arrivò, e quando Stransom si allontanò dalla cappella sempre senz'averla vista, provò un profano ma incontestabile rammarico. Se la matassa s'aggrovigliava sempre più, la colpa era solo sua, di lei. Trascorso un altro anno, la matassa era più aggrovigliata che mai; ma ormai non gliene importava più niente, e solo la sua raffinata coscienza poteva ancora fargli nascere degli scrupoli. Tre volte in tre mesi si era recato in chiesa senza trovarla, e senti che non erano state necessarie queste circostanze per dimostrargli che la tensione era cessata. Eppure, per una strana incongruenza, non era stata l'insensibilità, ma una speciale delicatezza a trattenerlo dal chiedere al sacrestano, che l'avrebbe senza dubbio individuata in base alla sua descrizione, se in altre ore del giorno l'avesse notata. Era stato sempre per delicatezza che s'era ogni volta trattenuto dal chiedere di lei; proprio quella stessa virtù che gli aveva liberamente consentito di essere tanto signorilmente garbato con lei al Henry James
316
1970 - Racconti Di Fantasmi
concerto. Della stessa felice prerogativa si valse nuovamente - allorché i loro occhi, dopo un quarto tentativo, finalmente s'incontrarono -per prendere la ferma decisione di aspettare quando fosse uscita. La raggiunse in strada appena si mosse, e le chiese se gli permetteva di accompagnarla per un tratto. Ottenuto un pacato consenso, la scortò fino a un certo edificio in quei paraggi dove lei aveva qualcosa da sbrigare: lo informò che non era lìì che abitava. Viveva, come ebbe a dirgli, in una viuzza di un povero quartiere, insieme a una vecchia zia, riguardo alla quale parlò dell'obbligo di tediosi doveri e monotone occupazioni. Lei, la nipote vestita a lutto, non era nel fiore degli anni, la sua freschezza appassita lasciava intendere, a giudizio di Stransom, ch'essa fosse stata, in passato, tragicamente sacrificata. Ma tutto ciò che gli raccontava lo raccontava senza un punto di riferimento preciso. Poteva essere una duchessa divorziata, come una vecchia zitella che dava lezioni di arpa.
V. Infine presero l'abitudine di fare insieme un pezzo di strada a piedi quasi ogni volta che s'incontravano, anche se, ancora per parecchio tempo, non s'incontrarono mai se non in chiesa. Lui non poteva chiederle di andarlo a trovare, e lei, quasi non avesse un'abitazione adatta a riceverlo, non lo invitò mai. Conosceva la società londinese non meno di lui, ma per una tacita intesa di riserbo frequentavano i quartieri non tracciati sulla mappa della buona società. Tornando, lei si faceva sempre lasciare allo stesso angolo. Guardava con lui, col pretesto di una pausa, le povere cose esposte nelle vetrine delle botteghe suburbane; e non ci fu mai una parola detta da lui che non ricevesse la più completa comprensione da parte di lei. Per anni e anni egli ignorò il suo nome così come ella non pronunciò mai quello di lui. Ma i nomi non avevano importanza: ciò che contava era il loro rapporto perfetto, la loro esigenza comune. Il che rendeva la loro relazione cosìì impersonale da permettere di non attenersi alle norme o ai motivi che la gente trova di solito nell'amicizia. Delle cose di cui si ritiene necessario tener conto nelle convenzioni mondane essi non si occupavano. Arrivarono un giorno a lanciare l'idea né seppero mai chi dei due fosse stato il primo ad esprimerla - che non provavano affetto uno per l'altra. Questa scoperta aumentò la loro intimità; Henry James
317
1970 - Racconti Di Fantasmi
vi si aggrapparono in maniera tale da segnare una nuova svolta nella loro confidenza. Se l'essere perfettamente all'unisono su certe questioni da cui si sentivano del tutto staccati non garantiva sicurezza, dove allora cercar sicurezza? Quando accadeva qualcosa che si prestasse, per così dire, a scaldare l'atmosfera, allora arrivavano quasi al punto di chiamare i loro Morti per nome: tuttavia, ciò non avveniva alla leggera, né sovente, non senza uno spunto né senza emozione, non più di quanto le persone serie si permettano di fare accenno alla propria fede. Sembrava loro di stare quasi per manifestare del tutto il loro pensiero. Bastava la parola «loro»: era una parola che, precisando l'accenno, aveva una dignità tutta propria, e se qualcuno - nel corso delle conversazioni dei nostri due eroi - li avesse uditi farne uso, li avrebbe scambiati per una coppia di antichi pagani che alludevano con il dovuto rispetto alle divinità domestiche. Non seppero mai - o almeno, Stransom non seppe mai - come avessero imparato ad essere sicuri uno dell'altro. Se ciascuno si era domandato a che cosa era dovuta la presenza dell'altro in quel luogo, la risposta certa si era insinuata delicatamente da sé. Qualunque fede, dopo tutto, è per istinto portata al proselitismo, ed era così naturale, così bello che là, sul posto, avessero provato gioia nell'immaginare un seguace. Se, per ognuno di loro, il seguace era stato uno solo, in quella circostanza era parso sufficiente. Tuttavia, da parte di lei il debito era naturalmente molto maggiore di quello di lui, poiché se lei gli aveva donato soltanto un adepto, lui le aveva offerto un tempio magnifico. Una volta lei disse che lo compativa per la lunghezza del suo elenco - aveva contato le candele di Stransom non meno di quanto le avesse contate lui - ed egli si domandò allora quanto poteva essere lungo l'elenco di lei. Già si era stupito della coincidenza dei loro lutti, soprattutto perché di tanto in tanto sull'altare veniva aggiunto un nuovo cero. In una certa occasione egli ebbe per caso ad esprimerle questa sua curiosità, ed essa gli rispose, quasi sorpresa che lui non avesse già capito: - Oh, per me, vede, quanto più numerosi sono, tant meglio è: non sarebbero mai troppi. Vorrei averne centinaia e centinaia, migliaia ne vorrei: un'immensa montagna di luce... Allora, naturalmente, in un lampo Stransom comprese. - I suoi Morti sono dunque Uno solo? Ella esitò, come mai aveva fatto finora. - Uno solo -, rispose, arrossendo come se adesso egli conoscesse il suo ben custodito segreto Ma in realtà Stransom ebbe l'impressione di saperne meno di prima: gli era troppo Henry James
318
1970 - Racconti Di Fantasmi
difficile ricostruire una vita in cui una sola esperienza aveva talmente sminuito tutte le altre. La sua propria vita, attorno al grande vuoto di centro, era stata ben fittamente riempita. Dopo di ciò ella parve rimpiangere la propria confessione, sebbene al momento delle sue pur imbarazzate parole fosse trasparita una certa fierezza. Gli dichiarò che la parte da lui posseduta era la più grande, la più preziosa: quella che, potendo, uno avrebbe scelto; gli assicurò che riusciva perfettamente ad immaginare alcuni degli echi di cui erano popolati i suoi silenzi. Lui sapeva bene che non era possibile: il rapporto con ciò che si è amato e odiato è un rapporto troppo distinto da ciò che altri hanno amato e odiato. Questo però non impedì loro di invecchiare insieme nella loro speciale pratica di devozione. Lei era un aspetto di quella devozione, ma anche le volte in cui - giunti ormai a una fase di matura conoscenza - combinarono di trovarsi a un concerto o di andare insieme a un'esposizione, ella continuò a rappresentare per lui solo e null'altro che quell'aspetto. Accadde così che, per Stransom, quella forma di devozione divenne più importante di ogni altra cosa. Uno dopo l'altro gli amici scomparivano, finché da ultimo rimasero più emblemi sull'altare di Stransom che case in cui venir accolto. Più di chiunque altro lei rimaneva, ignota agli altri, la sua amica fedele. Una volta che ella scopri una nuova stella - come usavano chiamarle tra loro - si espresse dicendo che ormai la cappella ne era colma. - Ah no, - obiettò Stransom, - manca ancora un elemento importantissimo! La cappella non sarà mai completa finché non vi si leverà un cero davanti al quale tutti gli altri impallidiranno. Sarà il più alto di tutti! Lei posò su di lui uno sguardo di pacato stupore. - Di che cero intende parlare? - Ma, cara signora, del mio! Passato molto tempo, aveva appreso che lei si guadagnava da vivere con la penna, scrivendo sotto uno pseudonimo che mai gli rivelò, per riviste che egli non vide mai. Lei conosceva troppo bene ciò che egli si rifiutava di leggere e ciò che ella era incapace di scrivere, e gli insegnò a coltivare l'indifferenza con un successo che molto contribuì ai loro buoni rapporti. L'invisibile operosità di lei gli si confaceva: lo aiutava a pensare serenamente a lei, a quella sua vita oscura, fatta di dignità e di orgoglio, sostenuta da un'arte magramente rimunerata, in quella casetta inaccessibile. Perduta nella bruma del suburbio con la sua parente povera, Henry James
319
1970 - Racconti Di Fantasmi
riemergeva per lui alla superficie in zone lontane. Era davvero la sacerdotessa del suo altare e, ogniqualvolta lasciava l'Inghilterra, a lei ne affidava la cura. Ella gli aveva dimostrato una volta di più che le donne hanno maggiore spirito religioso degli uomini, e Stransom sentiva di avere, in confronto alla sua, una pietà fiacca, debole. Spesso le diceva che, avendo per sé così poco tempo da vivere, si consolava al pensiero che lei ne avesse tanto, e si allietava all'idea che, quando fosse giunta la sua ora, a custodia del tempio rimanesse lei. A questo scopo aveva formulato un progetto grandioso, di cui naturalmente la mise a parte: un lascito in denaro per mantenere l'altare in condizioni di costante splendore. Avrebbe nominato lei soprintendente all'amministrazione di quel lascito: e, se si fosse sentita animata da quello spirito, avrebbe potuto accendere un cero anche per lui. - E per me, allora, chi lo accenderà? - gli aveva ribattuto lei in tono serio.
VI. Era sempre vestita a lutto, eppure il giorno in cui egli tornò da un'assenza più lunga delle altre, il suo aspetto esteriore gli rivelò all'istante che aveva di recente subito una perdita dolorosa. Quella volta s'incontrarono mentre lei usciva di chiesa, sicché, rinviando per conto proprio il momento di entrarvi, egli si offerse subito di fare dietro front accompagnandola sulla via del ritorno. Dopo breve riflessione lei gli disse: - Entri adesso, ma venga a trovarmi fra un'ora, a casa mia -. A Stransom era nota l'angusta prospettiva della via, senza sbocco al fondo e desolata come una tasca vuota, dove gli squallidi villini a due a due, mezzo separati uno dall'altro, ma indissolubilmente uniti, somigliavano a certe coppie di coniugi in cattivi rapporti. Per quanto spesso l'avesse imboccata, non si era mai spinto oltre l'inizio della strada. Intuì subito che la zia era morta, come pure che da ciò sarebbe derivato un cambiamento: ma dopo che, per la prima volta, ella gli ebbe indicato il numero della via, al momento di lasciarla si ritrovò non poco agitato per tale liberalità improvvisa. Non era una donna con cui, in fin dei conti, si stabilisse facilmente un rapporto; gli ci erano voluti mesi e mesi per sapere il suo nome, anni e anni per conoscerne l'indirizzo. Se, in questo ritrovarsi, lei gli era parsa tanto invecchiata, chissà come aveva dovuto sembrarle lui! Lei aveva raggiunto Henry James
320
1970 - Racconti Di Fantasmi
quella fase della vita, da lui ormai superata da gran tempo, nella quale il quadrante del volto dell'amico, incontrato dopo una lunga separazione, ci indica l'ora che abbiamo cercato di dimenticare. Scaduto per lui il tempo dell'attesa, voltato l'angolo dove per anni si era sempre fermato, Stransom non avrebbe saputo dire che cosa si aspettasse: già il fatto di non doversi più fermare lì era sufficiente causa di emozione. In certo modo era un avvenimento; e in tutta la loro lunga consuetudine di avvenimenti non ce n'erano mai stati. Acquistò maggiore importanza quando, cinque minuti dopo, nella smorzata eleganza del suo salottino, ella emise con voce tremula un saluto che mostrava quanto valore gli attribuisse. Lui aveva la strana sensazione di essere venuto per una ragione particolare; strana perché, fra loro, non esisteva alla lettera nulla di particolare, nulla all'infuori del sentirsi all'unisono sul loro culto comune, ormai da gran tempo diventato una meravigliosa realtà. È vero che, dopo la frase detta da lei «Ora può venire quando vuole», la ragione per la quale era venuto sembrava già essersi tradotta in atto. Le domandò se, a cambiare le cose, era stata la morte della zia; al che lei rispose: - La zia non ha mai saputo che ci conoscessimo. Io non volevo che lo sapesse -. La sua limpida trasparenza - quella bellezza appassita era come un crepuscolo d'estate liberava le parole da qualsiasi parvenza d'inganno. Avrebbero potuto sembrargli una dissimulazione profonda, ma ella gli aveva sempre dato l'impressione di essere guidata da nobili motivi. Guardandosi intorno, egli avvertiva la presenza della zia scomparsa nei fronzoli minuti della stanza: il velluto a pois e il moire scanalato dei tendaggi; e sebbene, come sappiamo, avesse il culto dei Morti, Stransom constatò che non rimpiangeva poi troppo quella signora. Se essa non faceva parte della sua lunga lista, rientrava tuttavia in quella più breve della nipote: adesso almeno - egli fece osservare poco dopo a quest'ultima - nel luogo che frequentavano insieme, lei avrebbe avuto un altro oggetto di devozione. - Sì, è vero. È stata molto buona con me. È per questo che ora tutto è diverso. Meditando su una quantità di cose prima di accennare a prender congedo, egli giudicò infine che la differenza sarebbe stata grandissima e sarebbe consistita in molte altre cose oltre quel consenso ad entrare in casa. Questo, anzi, lo raggelava un poco, perché erano stati molto felici insieme così com'erano stati. In ogni modo le strappò l'ammissione che ora lei avrebbe goduto di mezzi meno limitati, perché d'ora innanzi, ereditato il Henry James
321
1970 - Racconti Di Fantasmi
minuscolo patrimonio della zia, lei sola avrebbe potuto attingere a ciò che prima erano state costrette a far bastare per due. Ciò fu motivo di sollievo per Stransom, per il quale finora era stato ugualmente impossibile farle dei regali e rassegnarsi in pace ad astenersene. Era troppo increscioso starle accanto a quel modo, nuotando nell'abbondanza per proprio conto, e tuttavia nell'incapacità di riversarne su di lei una parte, con gesto che avrebbe avuto lo stridore di una nota falsa. Persino lo stesso miglioramento di situazione di lei pareva soltanto dar rilievo in certo senso alla sua solitudine futura. L'avrebbe solamente aiutata a vivere sempre più per amore del loro piccolo rituale, e ciò in un momento in cui lui stesso aveva cominciato ad avvertire stancamente che, avendolo ormai avviato, poteva allontanarsene. Dopo essersi trattenuti un momento nel salottino dalle tinte sbiadite, lei si alzò. - Non è questa la mia stanza, - disse. - Andiamo in camera mia -. Stransom notò che c'era solo da attraversare il piccolo ingresso per entrare in un'atmosfera del tutto diversa. Una volta richiusa la porta della seconda stanza - come lei la chiamò - a lui parve di aver imparato finalmente a conoscerla. Questa stanza aveva il calore della vita, diceva qualche cosa; le pareti, tappezzate di rosso scuro, parlavano attraverso ricordi, reliquie. Piccole cose semplici: fotografie e acquerelli, brani di scritti incorniciati e fantasmi di fiori disseccati; eppure gli bastò un attimo per capire che avevano tutti un significato comune. Era qui che lei aveva vissuto e lavorato e, come già gli aveva detto, non avrebbe cambiato in nulla la scena. Nelle cose che la circondavano Stransom lesse il riferimento generico a luoghi e anni; un istante dopo, però, scorse fra tutti il piccolo ritratto di un uomo. Pure a distanza e senza occhiali esso lo colpi al punto di provare una curiosità vaga che lo fece avvicinare per istinto. Un attimo dopo fissava esterrefatto l'immagine, con la sensazione di essersi lasciato sfuggire un suono dalle labbra. Poi si rese conto di volgere verso la sua compagna un volto divenuto pallido, esclamando in un sussulto: - Acton Hague! Non minore fu la sorpresa di lei. - Lo conosceva? - E stato l'amico di tutta la mia giovinezza... della mia prima maturità. E lei, lo ha conosciuto? Per un istante ella avvampò in viso e fu incapace di rispondere; abbracciava con lo sguardo tutto quanto la circondava, e con una strana ironia sulle labbra gli fece eco: - Conosciuto? Henry James
322
1970 - Racconti Di Fantasmi
Allora, mentre la camera sembrava beccheggiare come la cabina di una nave, Stransom capì che tutto quanto era là dentro gridava il suo nome, che quello era il museo in suo onore, che tutti gli anni recenti di lei erano stati dedicati a lui e che l'altare da lui stesso innalzato era stato da lei convertito appassionatamente a questo fine. Era solo per Acton Hague che lei s'era inginocchiata ogni giorno al suo altare. Che bisogno c'era di una candela consacrata, quando tutto quello splendore era per lei dedicato alla presenza di Acton Hague? La rivelazione si abbatté sul nostro amico con una tale violenza che egli si lasciò cadere sul divano ammutolito. Si rese presto conto che lei era stata travolta dalla stessa improvvisa emozione. Ma quando si abbandonò a sedere accanto a lui ponendogli una mano sul braccio, Stransom ebbe l'intuizione quasi immediata che non fosse risentita quanto lei stessa avrebbe forse desiderato.
VII. Due cose egli apprese in quell'attimo: una, che durante quel lungo volger di tempo lei non aveva avuto mai sentore né della loro grande amicizia, né del grave dissidio che li aveva separati; l'altra, che nonostante tale ignoranza, ella fu pronta - in modo abbastanza curioso - a fornire sul momento una ragione per lo stupore del suo ospite. - È straordinario, - esclamò Stransom di lì a poco, - che noi non lo abbiamo mai saputo! Lo stanco sorriso di lei parve a Stransom ancor più straordinario del fatto in sé. - Di lui non ho mai parlato, mai. Stransom volse lo sguardo intorno alla stanza. - Ma perché, se la sua vita ne è stata così piena? - Mi è permesso farle la stessa domanda? Forse che la sua vita non è stata altrettanto piena di lui? - La vita di chiunque, di chiunque abbia fatto la meravigliosa esperienza di conoscerlo. Ma io, - soggiunse Stransom, dopo una pausa, - io non ho mai parlato di lui perché, anni fa, mi fece un torto che non posso dimenticare. Lei tacque, e mentre la presenza di Acton Hague aleggiava intorno a loro, Stransom fu percorso da un brivido di paura nel non sentirle pronunciare protesta di sorta. Accettava le sue parole, ed egli volse di Henry James
323
1970 - Racconti Di Fantasmi
nuovo lo sguardo su di lei per vedere in che modo le accogliesse: fu con le lacrime agli occhi e una rara dolcezza nell'atto di tendere una mano a prender possesso della sua. Nulla gli parve così bello in quella stanzetta piena di ricordi e di omaggi quanto la tacita ammissione da parte di lei, unita ad una squisita dolcezza, che, da parte di Acton Hague, qualsiasi ingiuria era credibile. La pendola ticchettava nel silenzio - probabilmente era un dono di Hague - e mentre egli si lasciava tenere la mano con una tenerezza che sembrava ammettere in lei una parte di responsabilità sia per la sofferenza da lui patita un tempo, sia per l'attuale, un momento dopo Stransom proruppe: - Dio mio, quanto male deve averle fatto! Lei allora abbandonò la sua mano, si alzò e, attraversata la stanza, andò a raddrizzare un quadretto che, nell'esaminarlo, egli aveva leggermente spostato. Poi, riconquistata la sua serena pacatezza, si volse verso di lui: Io gli ho perdonato! - affermò. - Lo so cosa ha fatto, - riprese Stransom, - cosa lei fa da anni -. Per un momento si guardarono negli occhi attraverso tutto ciò che li aveva uniti attraverso la loro lunga comunione di culto. Il breve momento segnò per lui una confessione piena e illimitata da parte della donna che gli stava davanti; e poco dopo, avvampando d'improvviso rossore e di nuovo mutando posto, ella parve comprendere che proprio questo egli vi aveva scorto. Stransom si alzò. - Quanto deve averlo amato! - esclamò. - Le donne non sono come gli uomini: le donne sanno continuare ad amare anche quando hanno sofferto. - Le donne sono meravigliose, - convenne Stransom. - Ma le assicuro che anch'io gli ho perdonato. - Se avessi mai immaginato una cosa tanto inverosimile, non l'avrei mai portato qui. - In modo da continuare fino all'ultimo a non sapere? - Che intende dire con «fino all'ultimo»? - gli chiese lei, sorridendogli ancora. Egli riuscì a sorriderle a sua volta. - Lo capirà... quando verrà il momento. Lei rifletté. - Forse è meglio così; ma com'eravamo prima... andava bene. - E mai accaduto che abbia parlato di me? - le domandò Stransom. Dopo lunga riflessione, ella non rispose nulla: lui comprese che un'adeguata risposta sarebbe stata quella di domandargli quante volte lui Henry James
324
1970 - Racconti Di Fantasmi
stesso aveva nominato il loro terribile amico. Il viso di lei s'illuminò d'un tratto di più viva luce e un commovente appello le venne alle labbra: - Lei gli ha davvero perdonato? - E come potrei trattenermi qui, se non gli avessi perdonato? La profonda ma involontaria ironia di quella risposta la fece visibilmente fremere ma, pur turbata nell'intimo, gli domandò palpitando: - Dunque fra i ceri del suo altare...? - Nessun cero splende mai per Acton Hague! Lo fissò sbigottita, in preda a un abbattimento terribile. - Ma se lui_è uno dei suoi Morti...? - È morto per il mondo, se vuole, è un Morto che appartiene a lei. Ma non a me. Miei sono solo i Morti che morirono continuando ad amarmi. Sono miei nella morte come sono stati miei in vita. - Lui le appartenne in vita, anche se per un certo tempo non fu più suo. Se gli avesse perdonato, sarebbe tornato a lui. Quelli che si sono amati una volta... - Sono quelli che possono farci più male, - la interruppe Stransom. - Ah, non è vero! Lei non gli ha perdonato! - ella gemette in tono così appassionato che lo spaventò. Stransom la guardò come ancora non l'aveva mai guardata. - A lei, che cosa ha fatto? - Tutto! - Poi, bruscamente, gli tese la mano in gesto di saluto. - Addio. Si senti percorrere da un brivido di freddo come la sera in cui aveva letto l'annuncio della morte di quell'uomo. - Intende dire che non ci vedremo più? - Non come ci siamo visti finora, non laggiù. L'improvviso infrangersi del loro stretto sodalizio lo lasciò senza respiro: nell'ultima parola marcata da tanta enfasi aveva colto il tono della rinuncia. - Ma per lei, che cosa è cambiato? Aspettò a rispondergli, travagliata da una pena che, per la prima volta dacché si conoscevano, la rendeva mirabilmente severa. - Come può capire adesso, se non ha mai capito prima? - Non avevo capito solo perché non sapevo. Ora che so, comprendo con che cosa ho vissuto per anni, - continuò Stransom con molta dolcezza. Ella lo guardò con maggiore indulgenza, prendendo atto di quella Henry James
325
1970 - Racconti Di Fantasmi
dolcezza. - Adesso che so, come posso io allora chiederle di continuare a vivere in questo modo? - Ho innalzato il mio altare con i suoi molteplici significati... -cominciò Stransom, ma lei fu pronta ad interromperlo. - Lei ha innalzato il suo altare, e quando io più lo desideravo, l'ho trovato sfarzosamente allestito. Ne ho fruito con la gratitudine che le ho sempre dimostrato, perché fin dall'inizio sapevo che era dedicato alla Morte. Le dissi molto tempo fa che i miei Morti non erano molti. I suoi lo erano, ma tutto ciò che lei aveva fatto in loro onore non era per nulla eccessivo per il mio culto. Lei aveva acceso una grande luce per Ciascuno di loro, io ho radunato quelle luci tutte insieme per Uno solo! - Avevamo intenzioni diverse, - lui replicò. - Come lei dice, questo io lo sapevo perfettamente: non vedo perché la sua intenzione non debba continuare a sorreggerla. - E perché lei è un generoso: lei riesce a immaginare, a pensare. Ma l'incanto è rotto. Parve al povero Stransom che, malgrado la sua resistenza, l'incanto fosse davvero spezzato: gli stava di fronte un avvenire grigio e vuoto. - Spero che ritenterà, prima di rinunciare, - fu tutto ciò che riuscì a dire. - Se avessi saputo che vi eravate conosciuti, avrei dato per certo che lui avesse il suo cero, - ella riprese poco dopo. - Di cambiato, come lei dice, c'è questo: ora che l'ho scoperto, mi rendo conto che lui non l'ha mai avuto. Questo fa sì che il mìo atteggiamento, - tacque come riflettendo sul modo di esprimersi, poi disse semplicemente, - sia tutto sbagliato. - Venga ancora una volta, - egli la supplicò. - Ci sarà un cero per lui? Egli esitò, ma soltanto perché la risposta avrebbe avuto un tono sgarbato, non perché avesse il minimo dubbio dei propri sentimenti. - Non posso far questo! - dichiarò infine. - Addio, allora. - E gli tese nuovamente la mano. Lo aveva congedato; e del resto, nell'agitata prospettiva di tutto ciò che gli si spalancava davanti, egli sentf il bisogno di riprendersi come soltanto in solitudine poteva fare. E tuttavia indugiò - indugiò ancora per vedere se lei non avesse qualche compromesso da suggerire, qualche accomodamento da proporre. Ma incontrò solo i suoi grandi occhi dolenti, nei quali lesse che la compassione provata per lui non era maggiore di quella provata per chiunque altro. Quello sguardo gli fece dire: - Quanto Henry James
326
1970 - Racconti Di Fantasmi
meno, in ogni caso, posso venirla a trovare qui? - Oh sì, venga, se vuole. Ma non credo che gioverà. Egli si guardò attorno ancora una volta nella stanza, ben sapendo quanto poco ciò avrebbe giovato. Anch'egli si sentiva colpito, e un senso di freddo sempre più intenso gli percorreva le membra: quel gelo era come una febbre malarica contro cui doveva lottare per non tremare. - Dovrò fare io un tentativo, se lei non si sente di poterlo fare, - fu la sua dolente risposta. Uscì con lui nell'anticamera e lo accompagnò fino alla soglia di casa: qui lui le rinnovò la domanda alla quale meno era capace di rispondere con l'aiuto del proprio intelletto: - Perché non mi ha mai permesso di venire prima? - Perché la zia l'avrebbe vista, e io sarei stata costretta a raccontarle come mai ci eravamo conosciuti. - E che obiezioni avrebbe potuto fare? - La cosa avrebbe implicato altre spiegazioni; quel pericolo ci sarebbe stato comunque. - Sua zia sapeva di certo che lei si recava in chiesa ogni giorno. - Però non sapeva per quale motivo ci andavo. - Non ha mai nemmeno sentito parlare di me? - Lei penserà che io l'abbia ingannata. Ma non ce n'è stato bisogno! Era sceso adesso sull'ultimo gradino, e la sua ospite teneva l'uscio socchiuso alle sue spalle. Vide il viso di lei incorniciato in quello spiraglio. Le rivolse un appello supremo. - Che cosa dunque le ha fatto? - Si sarebbe scoperto tutto... La zia ne avrebbe parlato con lei. Avevo quel timore nel cuore... è stata quella la mia ragione! - E serrò la porta, chiudendolo fuori.
VIII. L'aveva abbandonata senza pietà: ecco che cosa aveva fatto. Stransom giunse a quella scoperta in solitudine, con calma, ricomponendo grado a grado i pezzi scompagnati e vagliando a uno a uno cento punti oscuri. Ella aveva conosciuto Hague soltanto dopo che i rapporti fra lui e il suo amico di oggi erano cessati del tutto; anzi, evidentemente, parecchio tempo dopo. Era abbastanza naturale che, della vita precedente di lui, fosse venuta a conoscenza solamente da ciò che Hague aveva ritenuto opportuno Henry James
327
1970 - Racconti Di Fantasmi
informarla. C'erano stati episodi che, anche nei momenti di massima tenerezza, egli doveva averle sottaciuto, cosa del tutto concepibile. Molti fatti della carriera di un personaggio così in vista nella società erano naturalmente di pubblico dominio; ma questa donna viveva lontana dalla vita pubblica: per lei l'unico periodo perfettamente chiaro sarebbe stato quello successivo all'alba del suo dramma. Al suo posto, un uomo avrebbe «scavato» nel passato, avrebbe magari consultato vecchi giornali. Restava davvero singolare che, nella lunga consuetudine con il confidente della sua vita retrospettiva, nessun accenno occasionale le avesse offerto un indizio. Ma era inutile starci a pensare: in effetti l'occasione se n'era pure offerta, ma semplicemente il senso di cautela aveva prevalso. Aveva accettato ciò che Hague le aveva dato, e l'ignoranza sua circa i rapporti dell'uomo amato con gli altri era solo una pennellata nel quadro di quell'arte di plasmare in cui Stransom aveva eccellente motivo di scorgere il risultato dell'opera creata - c'era da esserne certi - da un insigne maestro come Hague. Per un po' questo quadro fu tutto ciò che il nostro amico seppe individuare; a volte si sentiva quasi venir meno al pensiero che la donna con la quale aveva da anni un così squisito punto di contatto era la creatura che Acton Hague, fra tutti gli uomini al mondo aveva più o meno plasmato. L'immagine di lei, cosìì seduta com'era stata quel giorno accanto a lui, era rimasta impressa in modo indelebile nella sua mente. Per buona e innocente che la ritenesse Stransom non riusciva a scuotersi di dosso l'impressione di essere stato - come si direbbe - raggirato. Senza rendersene conto, non più di quanto se ne fosse reso conto lui stesso, gli aveva teso un inganno madornale. Tutto questo recente passato gli tornò in mente come un periodo di tempo sprecato in modo grottesco. Tali almeno furono le sue prime riflessioni; più tardi si ritrovò ancor più lacerato dal dubbio e, alla fine, ancor più angosciato. Immaginò, rievocò, ricostruì, raffigurò a se stesso la verità che lei aveva rifiutato di rivelargli, il che ebbe per effetto di fargli apparire quella donna più che mai vittima del destino. Intuì che, ad onta di tutta la sua stramberia, lei aveva una sensibilità più acuta della sua proprio in quanto forse, anzi certamente, aveva subito un torto maggiore. Una donna, quando subisce un'offesa, la subisce sempre a livello più alto che non un uomo: v'erano state situazioni nelle quali il minimo con cui essa ne era uscita, era più del massimo che lui, Stransom, sarebbe stato in grado di sopportare. Era sicuro che quella rara creatura non se l'era cavata col minimo. Il pensiero di una tale resa, di Henry James
328
1970 - Racconti Di Fantasmi
una tale umiliazione lo colmò di pietà e di ammirazione insieme. Erano davvero mani possenti quelle che l'avevano plasmata per indurla a convertire in un'esaltazione così sublime la ferita ricevuta. A quell'individuo era bastato morire perché tutte le sue brutture fossero lavate via, come in un torrente. Era vano cercar di indovinare ciò che era accaduto, ma nulla era più chiaro del fatto ch'ella aveva finito per autoaccusarsi. Assolveva lui su ogni punto, adorava le sue stesse ferite. La passione di cui Hague aveva approfittato era rifluita dopo la piena, ed ora la marea di amore, arrestatasi per sempre dopo la piena, era troppo profonda per poterla scandagliare. Stransom riteneva in buona fede di avergli perdonato; ma come appariva piccino il miracolo da lui operato in confronto a quello di lei! Il suo perdono era stato il silenzio, ma quello di lei era un lamento non proferito. La luce da lei richiesta per l'altare di Hague avrebbe infranto il silenzio come uno squillo di tromba; mentre tutti i lumi della chiesa erano per lei un silenzio troppo grande. Aveva avuto ragione a proposito della differenza - aveva detto la verità quanto al cambiamento: Stransom dovette presto riconoscersi perversamente ma acutamente geloso. La sua marea aveva avuto un riflusso, non era avanzata; se aveva «perdonato» ad Acton Hague, quel perdono era stato dettato da un motivo a cui era saltata la molla. Il fatto stesso che lei lo avesse supplicato di offrirle un segno tangibile, un segno che avrebbe reso il suo defunto amante pari agli altri in quel luogo, rendeva la concessione accordata all'amico troppo nobile per il caso in questione. Stransom non si era mai considerato un intransigente, ma una richiesta eccessiva poteva renderlo tale. Continuava a girare intorno a quella richiesta, allargandone senza tregua i cerchi: quanto più la considerava, tanto meno accettabile gli appariva. Al tempo stesso non si faceva illusioni circa l'effetto del proprio rifiuto; capiva perfettamente che esso avrebbe portato a una rottura. La lasciò in pace per una settimana, ma quando infine tornò da lei, fu crudelmente confermato nella propria convinzione. Nell'intervallo si era tenuto lontano dalla chiesa, e non fu necessaria una conferma da parte sua per sapere che nemmeno lei vi era entrata. Il cambiamento era stato abbastanza completo da sconvolgere la vita di lei. In verità, pure la sua era stata sconvolta, perché gli parve d'improvviso che anche tutti i fuochi del suo sacrario si fossero spenti. Gli venne addosso una grande indifferenza, di per sé così greve da causargli pena; e non aveva mai capito che cosa Henry James
329
1970 - Racconti Di Fantasmi
avesse significato per lui quella forma di devozione, finché essa non si era arrestata di colpo, come un orologio caduto a terra. E neppure aveva compreso con quanta illimitata fiducia egli avesse contato sul rito finale che ormai veniva a mancare: la disillusione mortale stava nel fatto che in questo abbandono tutto il futuro crollava. Quei giorni della sua assenza gli dimostrarono ciò di cui essa era capace: tanto più che non gli era neppure passato per la mente che lei fosse vendicativa o anche soltanto capace di risentimento. Non lo aveva abbandonato in un momento di collera; era stato un semplice atto di sottomissione alla dura realtà, alla logica severa della vita. Ciò gli fu chiaro quando di nuovo si trovò seduto accanto a lei nella stanza in cui i discorsi della defunta zia echeggiavano come le note di un pianoforte scordato. Lei cercava di fargli dimenticare quanto si erano allontanati l'uno dall'altra; ma, messi di fronte a ciò cui avevano rinunciato, era impossibile non provare pena per una donna dalla quale aveva ricevuto molto più di quanto le avesse dato. Ne discusse ancora con lei: le disse che ora poteva avere l'altare tutto per sé; ma ella si limitò a scuotere il capo con supplichevole tristezza, pregandolo di non sprecare fiato per l'impossibile, per ciò ch'era estinto. Non capiva dunque che in relazione alle esigenze personali di lei il rituale da lui voluto era in pratica un'elaborata esclusione? Lei non rimpiangeva nulla di quanto era successo; era andato tutto benissimo finché non aveva saputo: soltanto, ora lei sapeva troppo e, dal momento in cui entrambi avevano aperto gli occhi, altro non rimaneva loro se non adattarsi. Senza dubbio l'aver potuto andare avanti insieme per tanto tempo era già stata una felicità sufficiente. Si mostrò gentile, grata, rassegnata; ma questo non era che un modo di dissimulare la propria irremovibilità. Stransom capi che non avrebbe più varcato la soglia della seconda stanza, ed intuì che questo solo fatto lo avrebbe reso un estraneo, conferendo alle sue visite una rigidità consapevole. Non avrebbe mai tollerato di tuffarsi ancora in quel mare di rimembranze, ma altrettanto poco lo soddisfaceva l'alternativa del nulla. Dopo averle fatto visita tre o quattro volte, fu sorpreso di constatare che l'essere finalmente entrato in casa sua aveva sortito il disastroso effetto di diminuire la loro intimità. L'aveva conosciuta meglio e si era sentito più libero di trovarla simpatica quando percorrevano insieme dei tratti di strada, semplicemente, o quando s'inginocchiavano insieme. Ora fingevano soltanto, prima erano stati nobilmente sinceri. Ritentarono con le loro Henry James
330
1970 - Racconti Di Fantasmi
passeggiate, ma si rivelarono una storpiatura, perché quelle di prima, sin dall'inizio, erano collegate con la chiesa, sia che vi si recassero, sia che ne uscissero. Per di più, adesso Stransom incespicava: non camminava più come un tempo. Dover abbandonare quell'abitudine falsò ogni cosa: era una mutilazione crudele delle loro vite. Il nostro amico ne parlava con insistente franchezza: non faceva mistero del suo scontento, né della sua situazione difficile. La risposta di lei, qualunque essa fosse, giungeva sempre alla medesima conclusione: un invito implicito a giudicare - a proposito di situazioni difficili - quale conforto poteva trarre lei dalla propria. Per lui, in effetti, non c'era conforto neppure nelle lamentele, giacché ogni allusione a ciò che era loro accaduto non faceva che evocare maggiormente il responsabile della loro sofferenza. Acton Hague si ergeva tra loro due - questa era l'essenza della questione - e mai era tanto presente come quando si trovavano faccia a faccia. In quei momenti Stransom, pur volendolo ancora allontanare, cercava di renderselo accetto per ritrovare un pò di pace. Profondamente sconvolto da ciò che sapeva, sentiva crescere il proprio tormento dal fatto che, in realtà, non sapeva. Conscio che sarebbe stato terribilmente meschino inveire contro l'amico di un tempo, o raccontare alla sua compagna la storia del loro dissidio, egli si tormentava perché l'illimitato riserbo di lei non gli offriva alcuno spunto e risultava d'una magnanimità ancora superiore alla sua. Lanciava una sfida a se stesso, si accusava, si chiedeva se non era forse perché era innamorato di lei che le sue passate avventure gli stavano tanto a cuore. Non aveva mai ammesso per un istante di essere innamorato, e dunque nulla avrebbe potuto sconcertarlo di più che scoprire di essere geloso. Che cosa poteva far nascere in un uomo quell'esulcerante, contraddittorio desiderio di conoscere nei particolari ciò che l'avrebbe fatto soffrire, se non la gelosia? In effetti sapeva benissimo che tale conoscenza non gli sarebbe mai venuta dalla persona che, in realtà, era in grado di fornirgliela. Ella si lasciava opprimere dagli sguardi disperati di lui, accontentandosi di sorridergli con dolce compassione, senza mai pronunciare la parola che avrebbe rivelato il suo segreto, quella parola che in apparenza gli avrebbe negato l'effettivo diritto al rancore. Lei non diceva nulla, non giudicava nessuno; accettava tutto, tranne la possibilità di tornare ai simboli di un tempo. Stransom intuiva che, anche per lei, essi erano stati intensamente personali, e, in ore particolari e con particolari attributi, avevano rappresentato anelli speciali della sua catena. Credette di Henry James
331
1970 - Racconti Di Fantasmi
chiarire a se stesso che la stessa natura della supplica per l'amico infedele costituiva per lui un'inibizione, e il fatto che tale supplica venisse proprio da lei era appunto ciò che la viziava. Era sicuro che avrebbe ascoltato la voce di una generosità impersonale: si sarebbe acconciato al giudizio del proprio avvocato che, parlando in nome della giustizia astratta, sapendo del suo diniego senza aver conosciuto Hague, avrebbe avuto tanta fantasia da dirgli: «Ah, ricordi soltanto il meglio di lui; abbia pietà di lui: provveda in suo favore». Provvedere in suo favore proprio sulla base di aver scoperto un'altra delle sue turpitudini non significava averne compassione, ma rendergli onore. Più ci pensava, più si rendeva conto che, qualunque fosse stata questa relazione di Hague, altro non poteva essere che un inganno messo in atto con maggiore o minor raffinatezza. A quale momento della vita ch'era sotto gli occhi di tutti ciò era avvenuto? Perché mai nessuno aveva sentito parlare di quella relazione se avesse avuto la trasparenza delle cose onorevoli? Stransom ne sapeva a sufficienza degli altri legami di Hague, dei suoi obblighi e della sua vita esteriore - per tacere del suo carattere in generale - per essere certo che si trattava di un'infamia. In un modo o nell'altro questa creatura era stata sacrificata freddamente. Era questa la ragione per cui, adesso non meno di prima, egli doveva continuare ad escluderlo.
IX. Eppure questo non aveva risolto nulla, specie dopo aver detto alla sua amica tutto ciò che, secondo i suoi pensieri, voleva chiederle di fare per lui quando fosse giunta la fine. Gliene aveva parlato altre volte, e lei aveva risposto con una franchezza attenuata solo da cortese riluttanza - riluttanza a indugiare sull'argomento della morte di lui - che lo commosse. Essa aveva poi finito per accettare l'incarico, consentendogli di capire che poteva contare su di lei come ultima custode del suo sacrario; e in nome di ciò che vi era stato fra loro la implorò di non abbandonarlo nella vecchiaia. Adesso lei lo ascoltava con lucida freddezza, insistendo con la consueta pazienza sulle proprie posizioni, e tanto più affettuosa appariva nel deplorare quei discorsi, perché tradiva la compassione che provava nel sentirlo abbandonato. Ciò nonostante le condizioni da lei poste permanevano le stesse, appena meno intelligibili perché non pronunciate, benché Stransom fosse sicuro che, nell'intimo, ancor più di lui ella si Henry James
332
1970 - Racconti Di Fantasmi
sentisse defraudata della gioia che l'incarico solenne da lui affidatole le avrebbe procurato. Entrambi sentivano la mancanza di un avvenire ricco, ma era lei a sentirla di più, giacché in fin dei conti quell'avvenire avrebbe dovuto appartenerle pienamente. Fu la sua accettazione di quella perdita che permise a lui di misurare quanto il pensiero di Acton Hague superasse in lei qualsiasi altro pensiero. Lui era ancora abbastanza dotato di spirito per chiedersi con un amaro sorriso: «Perché diavolo deve piacerle tanto più di me?» quando le ragioni per questo erano in realtà così ovvie. Ma anche la capacità di analisi lo lasciava irritato, e questa irritazione finì col dimostrarsi forse la più grande disgrazia che gli fosse mai capitata. Eppure fino a quel momento non c'era stato nulla che gli avesse fatto tanto desiderare di darsi per vinto. Naturalmente, l'età delle rinunce l'aveva ormai raggiunta; ma ancora non gli era apparso con tanta chiarezza che era tempo di rinunciare a tutto. Infatti, passati sei mesi, aveva rinunciato all'amicizia un tempo così piena di fascino, così consolatrice. Il privarsene presentava due facce, e in occasione dell'ultimo tentativo compiuto al fine di coltivare quell'amicizia, la faccia che gli si mostrò fu quella che meno si sentiva di contemplare. Uno era il volto della privazione che egli infliggeva, l'altro quello della rinuncia sofferta. Adesso, quand'era solo, gli capitava di mormorare tra sé la condizione che lei non aveva mai espresso: - Ancora una, una sola, una soltanto -. Per certo stava declinando: ne aveva sovente l'impressione, quando, mentre lavorava, si sorprendeva a fissare il vuoto e a dar voce a quel vaniloquio. Del resto la debolezza, il malessere che si sentiva addosso ne erano prova sufficiente. L'irritazione si trasformò in malinconia, la malinconia divenne convinzione di essere veramente ammalato. Per di più, il suo altare aveva cessato di esistere; nel sogno, la cappella diventava un grande antro buio. I lumi erano tutti spenti - tutti i suoi Morti erano nuovamente morti. Dapprima non capì come la sua compagna di un tempo avesse avuto il potere di estinguerli, giacché non era stato per lei, né grazie a lei, che essi avevano preso vita. Poi comprese che la rinascita aveva avuto luogo essenzialmente nella sua stessa anima e che ora essi non potevano più attingere vita dall'atmosfera di tale anima. Materialmente, le candele riuscivano ad ardere, ma ciascuna aveva perduto il proprio splendore. La chiesa era diventata uno spazio vuoto: ad agire da indispensabile medium erano state la sua presenza, la presenza di lei, la loro presenza comune. Se v'era qualcosa di stonato, tutto era stonato - il Henry James
333
1970 - Racconti Di Fantasmi
silenzio di lei guastava l'armonia. Poi, trascorsi tre mesi, Stransom si senti così solo che vi ritornò, considerando che, se per anni e anni i suoi Morti erano stati la sua compagnia migliore, forse non avrebbero accettato che li abbandonasse senza fare ancora qualcosa per lui. Eccoli là, come lui li aveva lasciati, eretti nel loro splendore: grappolo luminoso che già altra volta, allorché si sentiva incline a comparare le cose piccole alle grandi, egli aveva paragonato a un gruppo di fari sulla riva dell'oceano della vita. Rimasto a sedere per un poco, provò sollievo nell'avvertire ch'essi avevano ancora un certo potere. Adesso si stancava sempre più facilmente e si faceva portare in carrozza: il suo cuore era fiacco e non gli dava affatto la stessa sicurezza che gli procurava la fantasia. Ciò nonostante tornò, e tornò di nuovo: tornò parecchie volte, e da ultimo, per sei mesi consecutivi frequentò la cappella con rinnovata assiduità, in uno stato di tensione impaziente. D'inverno la chiesa non era riscaldata: esporsi al freddo gli era vietato, ma dal suo altare emanava una luce quasi sufficiente a infondergli calore. Seduto nel banco, si chiedeva a che cosa egli avesse ridotto la sua compagna assente, che cosa ella stesse facendo in quelle ore, lontana da lui. C'erano altre chiese, altri altari, altre candele: in una maniera o nell'altra ella avrebbe ancora praticato la sua pietà; lui non avrebbe assolutamente potuto defraudarla dei suoi riti. Andava così meditando, ma senza convincimento, perché sapeva bene che quel simulacro di montagna di luce era per lei unico e incomparabile: il solo capace di appagare in pieno le sue esigenze. E come tale simulacro diventava sempre più grande per lui, e la sua pia consuetudine si faceva sempre più regolare, lo strazio nell’immaginare il buio dentro di lei si faceva sempre più intenso; perché mai come in queste settimane il suo culto aveva avuto un significato, mai l'insieme delle luci era parso così accogliente, addirittura invitante. Egli si perdeva nella vastità luminosa, sempre più simile a quella che fin dall'inizio, aveva desiderato: abbagliante come la visione del paradiso alla mente di un bambino. Andava vagando per i campi di luce: passava, tra gli alti ceri, da una fila all'altra, da fiammella a fiammella, da nome a nome, dal vivido biancore di un dato simbolo a lui noto a un altro, da un salvato all'altro. Godeva stranamente nel suo intimo per la tranquilla coscienza di aver salvato delle anime. Non si trattava in questo caso di un'oscura salvazione teologica, non della grazia d'un mondo contingente; quelle anime erano salvate al di là della fede o delle opere, salvate per il mondo dei vivi da cui Henry James
334
1970 - Racconti Di Fantasmi
si erano strappate morendo, salvate per il presente, per la continuità, per la certezza dell'umana memoria. Ormai egli era sopravvissuto a tutti i suoi amici; l'ultima fiamma splendeva diritta, da tre anni, non c'era più nessuno da aggiungere alla lista. Faceva ripetutamente l'appello, e gli pareva completo, compatto. Dove avrebbe potuto includere un altro nome, dove, salvo altre obiezioni, avrebbe potuto inserire un altro cero nella schiera? Con una ben consapevole mancanza di sincerità, rifletté che sarebbe stato difficile individuarne la collocazione. E inoltre, sempre più ponendosi faccia a faccia con il suo piccolo drappello - leggendo e rileggendo cronache senza fine, maneggiando gusci vuoti e giocando con il silenzio - sempre più si rendeva conto di non aver mai fatto entrare là in mezzo un estraneo. Aveva dato prova di grande compassione, di molta indulgenza: in taluni casi erano state immense; ma cos'era stata dopo tutto la sua pratica devota, se non - in fondo - una forma di rispetto? Ciò malgrado era sorpreso della propria intransigenza; finito l'inverno, la responsabilità che gliene derivava era ciò che più di ogni altra cosa occupava i suoi pensieri. Era ormai un ritornello abusato, quella supplica richiesta di un altro cero. Venne il giorno in cui, allo stremo delle forze, se la simmetria ne avesse richiesto uno solo, un unico, egli si sentiva disposto ad accontentare la simmetria. La simmetria era armonia, e cominciò ad essere perseguitato dall'idea di armonia: diceva a se stesso che certo, l'armonia era tutto. Fece a pezzi con la fantasia la sua composizione, ridistribuendola secondo schemi diversi, creando altri accostamenti, altri contrasti. Spostò questa e quella candela con effetti di spazi diversi, cancellando la stonatura di un possibile vuoto. V’erano rapporti sottili e complessi, tutto uno schema geometrico, e v'erano momenti in cui gli pareva di cogliere con lo sguardo quel vuoto così percettibile per la donna errante in esilio, o rimasta seduta dov'egli l'aveva vista, vicino al ritratto di Acton Hague. Proseguendo a questo modo, finì per raggiungere un concetto dell'insieme, dell'ideale, che lasciava evidentemente un'unica possibilità per un altro simbolo. «Una sola, ancora una per completare il disegno; ancor una, una soltanto», gli ronzava nella testa. Era un pensiero stranamente confuso, perché sentiva avvicinarsi il giorno in cui lui stesso avrebbe fatto parte degli Altri. Che gliene sarebbe importato allora degli Altri, poiché essi importano solo ai vivi? Anche se avesse fatto parte dei Morti, che cosa avrebbe ancora contato per lui il suo altare, poiché il suo sogno particolare di mantenerlo Henry James
335
1970 - Racconti Di Fantasmi
vivo era svanito? Che importanza aveva in tal caso l'armonia, se tutte le sue luci erano destinate a spegnersi? Aveva sperato in un'istituzione: avrebbe potuto perpetuarla con qualche altro pretesto, ma il significato particolare che egli vi attribuiva si sarebbe perduto. Quel significato era inteso a durare tutta la vita dell'unica persona, oltre lui, che l'aveva colto. In marzo ebbe una malattia che lo trattenne a letto due settimane: quando si fu un po' rimesso, venne informato che due cose erano accadute. Una, che una signora, il cui nome era ignoto ai domestici (non ne aveva lasciato alcuno) era stata tre volte a chiedere di lui; l'altra, che nel sonno e in un momento in cui evidentemente il suo cervello vagava lontano, lo si era udito mormorare ripetutamente: «Ancora una, una sola». Non appena si senti in condizioni di uscire, e prima di ottenerne la conferma dal medico curante, presa una carrozza, andò a trovare la signora che era venuta ad informarsi sul suo conto. Non era in casa; ma ciò gli offri l'occasione - prima che le forze lo abbandonassero - di avviarsi alla volta della chiesa. Vi entrò da solo; aveva rifiutato - nel modo garbato che gli era proprio allo scopo di opporre un netto efficace rifiuto - la compagnia del domestico o di un'infermiera. Ormai sapeva benissimo come la pensava questa brava gente: avevano scoperto la sua relazione clandestina, la calamita che lo aveva attirato per tanti anni, e indubbiamente avevano attribuito un loro speciale significato alle strane parole che ali avevano riferito. La signora senza nome era la sua relazione clandestina - e nulla avrebbe potuto renderla più esplicita di quella indecorosa fretta di raggiungerla. Cadde in ginocchio davanti al suo altare, e reclinò il capo sulle mani. La debolezza, il tedio della vita lo sopraffecero. Gli parve di essere venuto per la resa finale. Dapprima si chiese come avrebbe fatto ad uscire; poi, col diminuire della fiducia nelle proprie forze, il desiderio stesso di muoversi da lì a poco a poco lo abbandonò. Era venuto, come sempre, per fuggire a se stesso; i campi di luce stavano ancora dinanzi a lui per smarrirvisi; soltanto che questa volta, se si fosse perduto, non sarebbe più tornato indietro. Aveva dedicato la vita ai suoi Morti, e aveva fatto bene: questa volta i Morti l'avrebbero trattenuto. Non riuscì a rialzarsi: credette di non rialzarsi mai più; tutto ciò che potè fare fu sollevare il capo e fissare gli occhi sulle luci. Esse brillavano di uno strano, insolito splendore, ma quella che sempre lo aveva attirato di più splendeva di un fulgore senza precedenti. Era la voce centrale del coro, il cuore ardente di quel luccichio, Henry James
336
1970 - Racconti Di Fantasmi
e questa volta sembrava espandersi, spalancando grandi ali di fiamma. Tutto l'altare sfolgorava, abbagliava accecante; ma la sorgente di quel bianco sfavillio ardeva più luminosa del resto, assumendo una forma, e la forma era quella della bellezza umana e dell'umana carità, era il volto lontano di Mary Antrim. Gli sorrideva dalla gloria dei cieli... in quella gloria discendeva a prenderlo. Stransom piegò il capo in segno d'obbedienza, e nello stesso momento un'altra onda lo travolse. Era il rapido mutarsi della gioia in dolore? Nel pieno di quella gioia comunque senti che il suo volto, nascosto fra le mani, avvampava come per una nuova consapevolezza che aveva la forza di un rimprovero. Di colpo senti come proprio quell'estasi contrastasse con la felicità senza limiti che egli aveva negato ad un'altra persona. Quel soffio di passione immortale era tutto quello che l'altra gli aveva chiesto; la discesa di Mary Antrim aperse il suo spirito ad un profondo anelito di pentimento per aver negato la discesa di Acton Hague. Era come se Stransom lo avesse letto nei suoi occhi. Un momento dopo si guardò intorno disperato: ebbe la sensazione che la sua linfa vitale si stesse inaridendo. La chiesa era vuota -era solo; ma voleva fare qualcosa, rivolgere un'ultima preghiera. Quest'idea gl'infuse sufficiente energia per compiere uno sforzo. Si alzò in piedi con un movimento che lo fece voltare, sostenendosi alla spalliera di una panca. Dietro di lui c'era una figura prosternata, una figura che altre volte aveva visto, una donna in lutto stretto che pregava, chiusa nel suo dolore. L'aveva vista in tempi passati - la prima volta che aveva messo piede in quel sacro luogo. Ora vacillò un poco, fissandola di nuovo finché ella sembrò accorgersi di essere stata notata. Essa alzò il capo e incontrò gli occhi di lui: la compagna della sua pratica devota, tanto a lungo esercitata, era tornata. Ricambiò il suo sguardo per un istante con un viso che esprimeva meraviglia e timore: Stransom capì di averla spaventata. Ella si alzò in fretta e gli venne incontro tendendogli tutt'e due le mani. - Allora è potuta venire? Dio l'ha mandata! - egli disse sottovoce, sorridendo felice. - Lei sta molto male... non dovrebbe trovarsi qui, - replicò lei ansiosa. - Dio ha mandato anche me, credo. Stavo male quando sono venuto, ma il vederla opera miracoli -. Tenne strette le sue mani che gli ridavano energia e equilibrio. - Debbo dirle una cosa. - Non me la dica! - ella lo supplicò con dolcezza. - Lasci che gliela dica Henry James
337
1970 - Racconti Di Fantasmi
io. Quest'oggi, per miracolo, per il più dolce dei miracoli, la pena del nostro dissenso mi ha lasciata. Ero fuori, ero qui nelle vicinanze, e pensavo e riflettevo tutta sola, quando, di punto in bianco, qualcosa nel mio cuore è mutato. È la mia confessione questa: eccola. Tornare, tornare immediatamente... l'idea mi ha dato le ali. È stato come se mi apparisse qualcosa all'improvviso, come se tutto divenisse possibile. Potevo anch'io venire per la stessa ragione per cui veniva lei. Ed eccomi. Non è per me che vengo: quella è una storia finita. Sono qui per loro -. E ansimando, immensamente sollevata dalla spiegazione precipitosa bisbigliata sottovoce, fissò il loro sfolgorante altare con occhi che ne riflettevano tutto lo splendore. - Loro sono qui per lei, - disse Stransom, - presenti questa sera come non mai. Parlano per lei, non vede?, esultanti di luce; cantano in coro come gli angeli. Non sente quello che dicono? Le offrono proprio quello che lei mi aveva chiesto. - Oh, non ne parli... Non ci pensi; lo dimentichi! - La sua era una supplica sommessa e, mentre i suoi occhi tradivano un allarme più vivo, liberò una delle mani e lo circondò col braccio per meglio sorreggerlo, per aiutarlo ad accasciarsi su una panca. Stransom si abbandonò, appoggiandosi a lei; si lasciò cadere sul sedile ed ella gli si inginocchiò accanto, col braccio di lui che le cingeva la spalla. Così egli rimase un istante, con lo sguardo fisso al suo sacrario. - Pare che ci sia un vuoto... dicono che la parata non è piena, non è completa. Ancora una, una sola, - soggiunse dolcemente. -Non è questo che lei voleva? Sì, ancora una, una sola. - Ah, basta, basta, non più, - ella gemette soffocando la voce, come se l'avesse colta un improvviso senso di terrore. - Sì, ancora una, - ripeté lui semplicemente; - una soltanto! -E così dicendo abbandonò la testa sulla spalla di lei, ed essa credette che la debolezza l'avesse fatto venir meno. Sola con lui nella chiesa ormai buia fu presa da un gran terrore per ciò che poteva accadere, giacché il viso di Stransom aveva il pallore della morte. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
GLI AMICI DEGLI AMICI Proprio come Lei aveva previsto, trovo parecchio di interessante, ma Henry James
338
1970 - Racconti Di Fantasmi
poco che faciliti il delicato problema di una possibile pubblicazione. I diari sono meno sistematici di quanto avrei sperato; aveva la benedetta abitudine di annotare e raccontare. Riassumeva, accantonava; in verità, è raro il caso che abbia trascurato un episodio di rilievo senza coglierlo al volo. Alludo naturalmente non tanto a vicende di cui avesse inteso parlare, quanto a cose viste o vissute da lei stessa. A volte scrive di sé, a volte di altri, a volte ancora di sé insieme ad altri; in genere, è sotto quest'ultimo aspetto che appare più penetrante. Ma, come Lei comprende, non è precisamente quando si rivela più penetrante che può risultare più pubblicabile. E terribilmente indiscreta, a dire il vero, o almeno presenta tutto il materiale che occorre perché lo diventi anch'io. Prenda ad esempio il frammento che Le invio, dopo averlo diviso per Sua comodità in tanti capitoletti. È il contenuto di un quaderno che ho fatto trascrivere, e che ha il vantaggio di formare più o meno un tutto, un insieme intelligibile. Queste pagine risalgono evidentemente a parecchi anni fa. Ho letto con vivissimo stupore il resoconto tanto circostanziato che vi è contenuto e ho fatto del mio meglio per trangugiare l'elemento prodigioso che vi è implicito. Cose del genere colpirebbero la fantasia di qualsiasi lettore - non Le sembra? Ma Lei può immaginare un solo istante che io dia pubblicità a un tal documento, anche se la scrittrice, quasi desiderosa che un simile privilegio sia riservato al pubblico, non ha contrassegnato i suoi amici né con nomi né con iniziali? Forse che Lei è in possesso di un qualunque vago indizio che porti a riconoscerli? Cedo il campo alla narratrice.
I. Certo, so benissimo di essere stata io la causa di tutto; ma questo non migliora la situazione. Fui io la prima a parlargli di lei: lui non l'aveva mai nemmeno sentita nominare. Anche se non gliene avessi parlato io, ci avrebbe pensato qualcun altro: in seguito ho cercato di consolarmi con questa riflessione. Ma le riflessioni sono un magro conforto: l'unica consolazione che conti al mondo è non essere stati stupidi, uno stato di grazia del quale, senza dubbio, io non godrò mai. «Penso che dovresti conoscerla, che dovreste discorrerne insieme», fu la prima cosa che gli dissi; «ogni simile cerca il suo simile». Gli raccontai chi era lei e gli spiegai perché erano simili: se lui aveva vissuto in gioventù una Henry James
339
1970 - Racconti Di Fantasmi
straordinaria esperienza, pressappoco alla stessa epoca lei ne aveva vissuta una analoga. La vicenda era nota ai suoi amici che di continuo la invitavano a raccontarla. Era una ragazza simpatica, intelligente, graziosa, infelice, ma la sua notorietà era essenzialmente legata a quella storia. All'età di diciott'anni, trovandosi all'estero con una zia, aveva avuto la visione di uno dei suoi genitori in punto di morte. Il padre si trovava in Inghilterra, a centinaia di miglia di distanza, e per quanto risultava a lei né moribondo né morto. Era accaduto di giorno, nel museo di una qualche grande città straniera. Da sola, precedendo i compagni, era entrata in una saletta che conservava una famosa opera d'arte. In quel momento vi stavano altre due persone: una era un vecchio custode, l'altra, che a tutta prima lei non osservò, le parve un forestiero, un turista. Si accorse appena che era a capo scoperto e seduto su una panca. Ma nell'attimo in cui i suoi occhi si posarono su di lui, riconobbe suo padre, che, quasi la stesse aspettando da tempo, la guardò con un'espressione di particolare pena e un'impazienza che rasentava il rimprovero. Ella gli corse vicino con un grido attonito: - Cosa c'è, babbo? - ma ben più forte fu lo stupore che manifestò subito dopo, quando, al suo accorrere, l'uomo semplicemente svanì, mentre intorno a lei si radunavano sgomenti il custode e i famigliari che la seguirono da vicino. Queste persone - l'inserviente, la zia, i cugini furono quindi in certa misura testimoni del fatto, o almeno dell'impressione che le aveva causato; vi fu inoltre la testimonianza di un medico che si trovava al seguito di un membro della comitiva e che, subito informato della cosa, le somministrò un rimedio contro l'isterismo, dicendo però in disparte alla zia: - Sarà bene accertarsi che a casa non sia successo nulla -. Qualcosa era davvero successo: il povero padre, colto da un improvviso e violento malore, era morto quella mattina stessa. La zia -una sorella della madre - ricevette prima di sera un telegramma che le annunciava l'accaduto e la pregava di preparare la nipote. La nipote era già preparata; e quell'apparizione lasciò ovviamente nella giovinetta un'impressione indelebile. La notizia raggiunse ciascuno di noi suoi amici, e ognuno di noi la comunicò riservatamente all'altro. Erano passati dodici anni: fattasi donna, dopo un infelice matrimonio e la separazione dal marito, era diventata per altro verso un personaggio degno d'interesse; ma poiché il suo nuovo cognome era molto frequente e, dato l'andazzo dei tempi, il fatto che fosse legalmente separata non costituiva una connotazione particolare, era invalso l'uso di qualificarla come «quella Henry James
340
1970 - Racconti Di Fantasmi
tale, sai, che ha visto il fantasma del padre». Quanto a lui, povero caro, aveva visto quello della madre, - ed ecco il punto! Non l'avevo mai saputo fino al momento in cui, fattasi più intima e confidenziale la nostra conoscenza, egli si trovò, attraverso non so più qual giro di discorsi, ad accennare alla cosa; ciò mi spinse a informarlo che in quel campo aveva una rivale, una persona con cui gli sarebbe stato possibile un confronto d'esperienze. Più tardi la sua vicenda, forse per averla io inopportunamente riferita, divenne anche per lui un'etichetta mondana di comodo; ma non era per questo che, un anno prima, me l'avevano presentato. Aveva ben altri meriti (così come ne aveva lei, poverina). Posso onestamente affermare che me ne resi conto fin dal primo istante: li scopersi prima che lui scoprisse i miei. Ricordo che mi colpi fin d'allora il fatto che la sua intuizione delle mie qualità fosse agevolata dalla circostanza che io avessi saputo associare - sebbene non proprio per mia diretta esperienza - il suo strano caso a un altro. Risaliva quest'episodio, come quello di lei, a una dozzina d'anni addietro, un anno in cui, a Oxford, per qualche speciale motivo, egli aveva prolungato il suo soggiorno fino alle vacanze estive. Quel pomeriggio d'agosto era stato sul fiume. Tornato nella sua stanza, nella luce ancor chiara del giorno, vi aveva trovato sua madre, in piedi, con lo sguardo come fisso in direzione dell'uscio. Quella mattina egli aveva ricevuto da lei una lettera dal Galles, dove essa soggiornava nella casa paterna. Nel vedere il figlio gli aveva teso le braccia con un sorriso straordinariamente radioso e poi, nell'attimo in cui egli le era corso incontro felice, a braccia aperte, si era dileguata. La sera stessa egli le aveva scritto narrandole l'accaduto, e questa lettera era stata accuratamente conservata. L'indomani mattina ebbe la notizia della morte di sua madre. Discorrendone per caso con me, egli rimase assai colpito dal piccolo prodigio rivelatogli dal mio racconto: non gli era mai avvenuto d'imbattersi in un caso analogo al suo. Senza dubbio era bene che lui e la mia amica s'incontrassero; senza dubbio avrebbero trovato qualche punto in comune! Potevo combinare io l'appuntamento, nevvero? purché lei non avesse nulla in contrario; per conto suo, era disponibilissimo. Promisi che avrei parlato al più presto alla mia amica, e lo feci quella settimana stessa. «Nulla in contrario» neanche per lei: era perfettamente disposta a vederlo. E tuttavia nessun incontro - nel senso che comunemente si dà alla parola era destinato ad aver luogo.
Henry James
341
1970 - Racconti Di Fantasmi
II. Questo costituisce appunto metà della mia storia: lo straordinario modo in cui l'incontro venne impedito. Ne fu causa una serie d'incidenti; ma gli incidenti si protrassero per anni e divennero, per me e per gli altri, un argomento di celia con tutti e due; abbastanza divertenti all'inizio, finirono col diventare un po' stucchevoli. Lo strano era che entrambe le parti in causa erano disponibili: non si trattava certo d'indifferenza da parte loro, né tanto meno di avversione. Fu un capriccio del caso, aiutato - direi - da qualche contrasto d'interessi e di abitudini. Quelli di lui erano concentrati nel suo ufficio, il suo eterno ispettorato, che gli lasciava scarso tempo libero chiamandolo di continuo di qua e di là e costringendolo ad annullare gli impegni. Gli piaceva la buona compagnia, ma la trovava ovunque e la coglieva al volo. Non sapevo mai dove si trovasse a un dato momento e a volte stavo mesi interi senza vederlo. Lei, dal canto suo, era praticamente relegata in periferia: abitava a Richmond e non andava mai «fuori». Era una donna di classe, ma non da salotto e, come diceva la gente, consapevole della sua situazione. Decisamente orgogliosa e piuttosto bizzarra, viveva la sua vita secondo un preciso programma. V'erano cose che le si potevano chiedere, ma era impossibile indurla a partecipare a un ricevimento in casa d'altri. A quelli offerti da lei - che consistevano nella presenza di una cugina, in una tazza di tè e nel panorama - ci si andava, in verità, più di quanto fosse il caso. Il tè era buono, ma il panorama era arcinoto, anche se forse non così sgradevolmente arcinoto come la cugina, un'antipatica vecchia zitella che aveva fatto parte della comitiva del museo e con la quale adesso ella viveva. Questo suo rapporto con una parente di ceto inferiore, dettato in parte da motivi economici (a sentir lei la sua compagna era un'amministratrice perfetta), costituiva una delle piccole stravaganze che le si dovevano perdonare. Un'altra era la sua stima del patrimonio che la rottura col marito le aveva assicurato: una stima esorbitante, non pochi la trovavano addirittura patologica. Da parte sua, lei non faceva avances; coltivava degli scrupoli ed era sospettosa - o dovrei forse dire memore - di certi torti; fra le donne di mia conoscenza era una delle poche che quella situazione aveva reso mite piuttosto che audace. Poverina! Aveva certe forme di delicatezza!... Specialmente netti erano i limiti da lei posti a possibili attenzioni da parte maschile: era suo pensiero Henry James
342
1970 - Racconti Di Fantasmi
costante che il marito fosse sempre in attesa di piombare su di lei. Scoraggiava, quando non giungeva a proibire, le visite di uomini, se non molto anziani; diceva che la prudenza non era mai troppa. Quando per la prima volta le dissi che avevo un amico a cui la sorte aveva riservato la stessa misteriosa caratteristica, avrebbe potuto benissimo rispondermi: - Oh, portalo a farmi visita! - Non avrei avuto difficoltà ad accompagnarlo, e si sarebbe venuta a creare una situazione del tutto innocente o, comunque, relativamente semplice. Ma lei si guardò bene dal pronunciare quell'invito, limitandosi a dire: - Ah, certo, devo conoscerlo; sf, lo cercherò -. Il che diede origine al primo rinvio, e nel frattempo successero varie cose. Per esempio, col passare del tempo, affascinante com'era, si circondò di un numero sempre crescente di amici, i quali regolarmente, guarda caso, erano anche abbastanza amici di lui per farne oggetto di conversazione. Era strano che pur non appartenendo, per così dire, allo stesso mondo o, per usare un'orribile espressione, allo stesso «giro», la mia contrastata coppia dovesse in tanti casi frequentare le stesse persone, facendo sì che si unissero al buffo coro. Lei aveva amici che, senza conoscersi l'un l'altro, immancabilmente e inevitabilmente le facevano gli elogi di lui. Aveva inoltre quel genere di originalità, quell'intrinseco interesse che la facevano considerare da ciascuno di noi una specie di risorsa personale, coltivata gelosamente, più o meno in segreto: come qualcuno che non s'incontri in società, che non a tutti sia dato avvicinare - in ogni caso non alla gente comune - e la cui conoscenza sia perciò particolarmente difficile, particolarmente preziosa. La si vedeva in separata sede, dietro appuntamento e in base a patti speciali, e trovavamo che nel complesso tornava a vantaggio del generale buon accordo non parlarne fra noi. C'era sempre qualcuno che riceveva un suo biglietto dopo che l'aveva ricevuto un altro; c'era sempre qualche signora sciocca che, rimasta a lungo nel numero dei non privilegiati, per essere stata tre volte in visita a Richmond, godeva poi fama di essere in intimità con «un mucchio di gente intelligente e fuori del comune». Ognuno di noi ha avuto amici che ci è sembrata ottima idea far incontrare con altri, e ognuno ricorda come alle nostre migliori idee non abbiano sempre corrisposto i maggiori successi; dubito però che ci sia mai stato un caso in cui l'insuccesso sia stato in proporzione così diretta alle pressioni esercitate. Forse, in questo caso, l'aspetto della vicenda che più colpisce è la quantità delle pressioni messe in moto. Sia la signora che il Henry James
343
1970 - Racconti Di Fantasmi
signore in questione si presentavano a mio giudizio - e a quello di altri come il soggetto d'una farsa esilarante. Il motivo addotto la prima volta s'era un po' sbiadito con l'andare del tempo, e sopra di esso ne era fiorita una cinquantina di più validi. I due si assomigliavano tanto: avevano le stesse idee, manie e gusti, gli stessi pregiudizi, superstizioni ed eresie; dicevano e talvolta facevano le stesse cose; avevano simpatia o antipatia per le stesse persone e gli stessi luoghi, per gli stessi libri, gli stessi autori e stili; chiunque avrebbe potuto scorgere in loro una certa somiglianza perfino nell'aspetto esteriore, nei lineamenti. Nel linguaggio usuale venivano giudicati altrettanto «simpatici» e quasi altrettanto belli; e anche questo era un connotato di rilievo. Ma l'affinità più grande, oggetto di stupore e di chiacchiere, era la loro straordinaria avversione a farsi fotografare. Erano, a quanto si diceva, gli unici a non essere stati «ripresi» neppure una volta e a non volerne assolutamente sapere. Mai lo avrebbero tollerato, ad onta di tutti i possibili discorsi. Io avevo espresso loro il mio aperto disappunto in proposito; in particolare era l'immagine di lui che avevo invano desiderato esporre, in una cornice di Bond Street, sulla mensola del camino nel mio salotto. Ad ogni modo era questa la più valida di tutte le ragioni per cui avrebbero dovuto conoscersi - ogni altra essendo annullata dalla strana legge per cui si erano sbattuti tante volte la porta in faccia e che li aveva resi simili ai due secchi di un pozzo, o ai due sedili dell'altalena, o ai due partiti di stato; sicché, quando uno era su, l'altro era giù, quando uno era fuori, l'altro era dentro; né mai avveniva che uno dei due entrasse in una casa finché l'altro non ne era uscito o che la lasciasse, all'insaputa di tutti, prima dell'arrivo dell'altro. Giungevano solo al momento in cui s'era rinunciato alla loro presenza, e che coincideva con quello del commiato. Erano insomma alterni e incompatibili; si evitavano con un'ostinazione che si sarebbe potuta spiegare solo col fatto di essere preordinata. Era però tanto lungi dall'esserlo che aveva finito, letteralmente, dopo parecchi anni, col deluderli e con l'infastidirli. Credo che fossero diventati curiosi di conoscersi solo dopo che tale curiosità si era rivelata del tutto vana. Naturalmente si fece il possibile per aiutarli, ma fu come tendere dei fili di ferro sul loro cammino. Per fornire esempi avrei dovuto prendere appunti; mi ricordo però per caso che non ci fu mai verso di farli partecipare insieme ad un pranzo. L'occasione buona per l'uno non poteva che essere sbagliata per l'altro. Alle occasioni sbagliate erano ambedue puntualissimi, e non ve ne furono mai se non di sbagliate. Gli Henry James
344
1970 - Racconti Di Fantasmi
elementi stessi cospiravano contro di loro, aiutati dalla fragilità umana. Infallibilmente sopravveniva qualcosa: un raffreddore, un mal di capo, un lutto, un temporale, una nebbia, un terremoto, un cataclisma. L'intera faccenda superava i limiti della burletta. Eppure, come una burletta andava pur sempre presa, benché non si potesse fare a meno di sentire che lo scherzo aveva reso seria la situazione, creando in entrambi una consapevolezza, un imbarazzo, una vera e propria paura dell'ultimo degli incidenti possibili, l'unico cui restasse un sapore di novità: quello che li avrebbe fatti incontrare faccia a faccia; un istinto corroborato da quella serie di precedenti. Provavano un vero senso di vergogna, forse anche un po' reciproca. Tanta preparazione, tanta frustrazione: in verità, che cosa poteva esserci di così importante da necessitare tanti preparativi? Un semplice incontro sarebbe stato solo una piatta banalità. Potevo immaginarmeli - mi chiedevano spesso entrambi messi stupidamente a confronto dopo tanti anni? Se lo scherzo li aveva annoiati, qualcos'altro avrebbe potuto annoiarli ancor più. Facevano esattamente le stesse constatazioni, e in qualche maniera ciascuno veniva immancabilmente a sapere ciò che aveva detto l'altro. Credo davvero che, dopo tutto, sia stato grazie a questo speciale genere di diffidenza che la situazione potè rimanere sotto controllo. Voglio dire che, se per un anno o due non erano riusciti ad incontrarsi per causa di forza maggiore, in seguito ne avevano mantenuta l'abitudine perché s'erano - come dire? innervositi. Ci voleva proprio un oscuro sforzo di volontà per rendere plausibile un fatto così assurdo.
III. Quando, a coronamento della nostra lunga conoscenza, io accettai la rinnovata proposta di matrimonio ch'egli mi fece, si disse scherzosamente in giro - lo so - ch'io avevo posto come condizione il dono di una sua fotografia. Il che era vero, nel senso che avevo rifiutato di dargliene una mia se non dopo aver avuto la sua. Comunque, finalmente la possedevo, esposta in tutta la sua aristocratica distinzione sulla mensola del caminetto, dove, il giorno in cui venne a farmi i rallegramenti, ella ebbe modo di vederlo più da vicino di quanto le fosse mai capitato. Col farsi fotografare, egli le aveva dato un esempio che io la esortai a seguire: se lui aveva fatto sacrificio della sua eccentricità, perché lei non avrebbe fatto lo stesso? Henry James
345
1970 - Racconti Di Fantasmi
Anche lei doveva pur regalarmi qualcosa per il fidanzamento: non voleva farmi dono d'un pezzo a riscontro? Ella rise e scosse il capo: aveva una maniera di scuotere il capo che sembrava trarre impulso da lontano, come il soffio di brezza che fa dondolare un fiore. Il riscontro giusto per il ritratto del mio futuro marito era il ritratto della sua futura moglie! Quanto a lei, restava sulla sua posizione: non poteva discostarsene, così come non era in grado di spiegarla. Era un pregiudizio, un entètement, un voto: sarebbe vissuta e morta senza farsi fotografare. Per di più, ora era rimasta sola in quella condizione: era questo che le piaceva: la rendeva tanto più originale. Si rallegrò del cedimento del suo antico sodale e ne guardò a lungo l'effigie, senza fare commenti particolari, ma non senza averla rigirata osservandone il rovescio. A proposito del nostro fidanzamento, fu carissima: piena di cordialità e di simpatia. - Tu lo conosci da tanto più tempo di quanto non lo conosco io, - disse, - e mi pare già un secolo -. Capiva benissimo che, avendo valicato insieme monti e valli, era ormai inevitabile che ci riposassimo insieme. Espongo tutto questo con scrupolo, perché quel che avvenne in seguito è così strano che mi dà una specie di sollievo segnare con esattezza fino a quale momento i nostri rapporti si mantennero del tutto normali. Sono stata io, in un improvviso accesso di follia, a guastarli e a distruggerli. Capisco adesso che non fu lei a fornirmene il pretesto e che fui io a trovarlo nel modo in cui ella guardò il bel viso nella cornice di Bond Street. Come volevo dunque che lo guardasse? Quel che io avevo desiderato fin dall'inizio era che lei s'interessasse a lui. Ebbene, era ancora ciò che volevo... fino al momento in cui ella mi promise che stavolta mi avrebbe davvero aiutata a spezzare lo stolto incantesimo che fin allora li aveva divisi. Con lui avevo convenuto che avrebbe fatto la sua parte se lei avesse fatto altrettanto brillantemente la propria. Ma adesso mi trovavo in una situazione diversa: quella di garantire per lui. Dissi che avrei combinato in modo tassativo di farglielo trovare lì sabato prossimo, alle cinque del pomeriggio. Lui era fuori città per un affare urgente, ma se s'impegnava a mantenere la promessa alla lettera, sarebbe ritornato apposta e con abbondante margine di tempo. - Ne sei assolutamente sicura? - ricordo che mi domandò lei con aria grave e pensierosa; mi parve che fosse un poco impallidita. Era stanca, ma si sentiva bene: era un peccato, dopo tutto, che lui dovesse vederla in un momento così sfavorevole. Se soltanto avesse potuto incontrarla cinque anni prima! Comunque, le risposi che stavolta ero sicura e che perciò Henry James
346
1970 - Racconti Di Fantasmi
l'esito positivo dipendeva unicamente da lei. Sabato alle cinque l'avrebbe trovato in una certa poltrona che le additai: era quella che egli occupava di solito e in cui (ma questo non lo dissi) era seduto la settimana prima, quando aveva posto a me la questione del nostro futuro in modo da indurmi ad accettare. Lei guardò la poltrona senza proferir parola, proprio come aveva guardato la fotografia, mentre per l'ennesima volta io le ripetevo ch'era del tutto assurdo non riuscire in qualche modo a presentare la propria migliore amica al proprio secondo se stesso. - Davvero sono la tua migliore amica? -mi chiese con un sorriso che le restituì per un istante la sua bellezza. Le risposi stringendomela al cuore; dopo di che mi disse: Va bene, verrò. Ho una paura terribile, ma conta su di me. Quando m'ebbe lasciata, incominciai a chiedermi di che cosa avesse paura, perché aveva parlato come se lo pensasse davvero. Nel tardo pomeriggio dell'indomani ricevetti due righe da lei: tornata a casa, aveva trovato l'annuncio della morte di suo marito. Non lo vedeva più da sette anni, ma desiderava che io ne fossi informata così, prima di venirlo a sapere per altre vie. Nondimeno - triste e strano a dirsi - la circostanza faceva così poca differenza nella sua vita, che essa avrebbe scrupolosamente rispettato l'impegno. Io ne fui lieta per lei: immaginavo che avrebbe avuto più denaro - almeno quella differenza ci sarebbe stata: ma pur sforzandomi, così, di pensare ad altro, ero ben lungi dal dimenticarmi che aveva detto di aver paura e mi pareva anzi d'intravvedere il perché di quelle parole. Con l'avanzare della sera quella paura diventò contagiosa e in cuor mio prese la forma di un improvviso panico. Non era gelosia - era paura della gelosia. Mi diedi della sciocca per non essermene stata tranquilla fino al nostro matrimonio. Dopo, mi sarei in certo modo sentita sicura. Si trattava solo d'aspettare un altro mese: un'inezia per chi aveva già aspettato tanto. Era stato abbastanza evidente che lei si sentiva inquieta, e naturalmente non lo sarebbe stata meno adesso che era libera. Che cos'era dunque la sua inquietudine, se non un presentimento? Finora era stata lei a incontrare ostacoli, ma era ben possibile che d'ora in poi fosse lei a crearli; e in tal caso ne sarebbe stata vittima la povera sottoscritta. Cosa avevano significato tutti quei disguidi, se non un segnale di pericolo frapposto dal dito della Provvidenza? Il pericolo, beninteso, riguardava me, poveretta. Era stato tenuto a bada da una serie d'incidenti di una frequenza senza uguali, ma ora il dominio dell'accidentale era chiaramente finito. Avevo l'intima convinzione che entrambi si sarebbero Henry James
347
1970 - Racconti Di Fantasmi
trovati all'appuntamento; sentivo sempre più incombere su di me l'impressione che si avvicinassero, che convergessero. Assomigliavano ai cercatori dell'oggetto nascosto nel gioco «acqua-fuoco»: entrambi erano ormai entrati nella fase del «brucia!» Avevamo parlato di spezzare l'incantesimo; ebbene, sarebbe stato spezzato efficacemente -a meno che, in realtà, non facesse che prendere un'altra forma, moltiplicando i loro incontri come aveva moltiplicato le loro fughe. Erano pensieri che m'impedivano di starmene tranquilla a riflettere; mi tenevano sveglia - a mezzanotte ero ancor tutta agitata. Alla fine sentii che c'era un unico mezzo per esorcizzare lo spettro. Se il dominio dell'accidentale era chiuso, toccava a me prenderne la successione. Mi sedetti e in tutta fretta scrissi a lui un biglietto che lo avrebbe atteso al ritorno. Poiché i domestici erano andati a dormire, uscii di corsa a capo scoperto nella strada vuota spazzata dal vento, e lasciai cadere il biglietto nella buca più vicina. Gli avevo scritto che non mi sarebbe stato possibile essere a casa nel pomeriggio come avevo sperato, e che lo pregavo di ritardare la visita fino all'ora di cena. Questo significava che mi avrebbe trovata sola.
IV. Quando, come d'accordo, alle cinque lei comparve, naturalmente mi sentii bugiarda e vile. Il mio gesto era stato frutto d'una momentanea follia, ma almeno dovevo comportarmi di conseguenza. Ella rimase un'ora; lui ovviamente non si fece vedere, e io non potei che persistere nella mia slealtà. Avevo ritenuto più opportuno lasciare che lei venisse; per quanto strano ciò mi appaia ora, pensavo così di diminuire la mia colpa. E tuttavia, quando mi fu di fronte così pallida e visibilmente stanca, turbata da tutto quello che la morte del marito doveva aver ridestato, provai una trafittura quasi insopportabile di pietà e di rimorso. Se non le dissi lì per lì ciò che avevo fatto, fu perché me ne vergognai troppo. Mi finsi stupita, e continuai nella finzione sino all'ultimo; asserii che mai come quel giorno m'ero sentita sicura del fatto mio. Arrossisco nel narrare la mia storia: l'accetto come una penitenza. Non ci fu termine indignato che non usassi contro di lui; inventai delle congetture, delle attenuanti; ammisi in tono di gran meraviglia, mentre le sfere del pendolo continuavano a camminare, che la loro sorte non era mutata. Ella sorrise a quella visione della loro «sorte», ma aveva un'aria ansiosa, un aspetto insolito; l'unico conforto era Henry James
348
1970 - Racconti Di Fantasmi
il vederla - abbastanza stranamente - vestita a lutto: non una gran profusione di crespo, ma un nero semplice, rigoroso. Portava un cappellino adorno di tre piccole penne nere: in mano teneva un piccolo manicotto di astrakan Questi particolari, con l'aiuto di qualche attenta riflessione, valsero un po' a rimettermi in sesto. Essa mi aveva scritto che l'improvviso avvenimento non modificava il corso della sua vita, ma evidentemente un certo cambiamento c'era stato. Se era incline a rispettare le forme usuali, perché non rispettava quella di non uscire a far visite per un paio di giorni? C'era dunque qualcuno che lei desiderava tanto conoscere da non aspettare nemmeno che suo marito fosse seppellito. Lo stato di tensione tradito da un tale atteggiamento mi rese abbastanza dura e crudele da porre in atto il mio odioso inganno, benché, nello stesso tempo, col volgere dell'ora, cominciassi a sospettare in lei qualcosa di ancor più profondo della delusione, qualcosa che le era più difficile dissimulare. Voglio dire uno strano sollievo latente, come il debole sommesso sospiro che segue l'allontanarsi di un pericolo. Ciò che avvenne al termine di quella squallida ora passata con me, fu che essa finì col rinunciare a lui. Lo lasciò andare per sempre. Trattò la cosa nel modo più spiritoso che mai mi fosse avvenuto di vedere; ma, nonostante tutto, fu quello un momento cruciale nella sua vita. Con la sua mite gaiezza parlò di tutte le altre occasioni mancate, di quella lunga partita a rimpiattino, della bizzarria senza precedenti di un tale rapporto. Perché era, o era stato, un rapporto, non è vero? Ecco in che consisteva il lato assurdo della faccenda. Quando si alzò per andarsene, le dissi che quel loro rapporto era più vivo che mai, ma che, dopo quanto era accaduto, non avevo il coraggio di proporle per il momento un'altra occasione. L'unica valida, indiscutibilmente, sarebbe stata quella del mio avvenuto matrimonio. Certo sarebbe venuta alle mie nozze? C'era perfino da sperare che ci fosse anche lui. - Se ci sarò io, non ci sarà lui! - dichiarò con una breve, tremula risata; e io ammisi che ci poteva essere un po' di vero in quelle parole. L'importante, perciò, era che prima di tutto si celebrassero le nozze. - Ma non servirà! Nulla può servire! - esclamò congedandosi da me con un bacio. - Non lo vedrò mai, mai! - E così dicendo mi lasciò. Ero riuscita a sopportare ciò che ho chiamato la sua delusione; ma quando, un paio d'ore dopo, ricevetti lui per il pranzo, mi resi conto di non saper sopportare quella di lui. Non m'ero particolarmente preoccupata della reazione che la mia manovra avrebbe provocato da parte sua; ma il Henry James
349
1970 - Racconti Di Fantasmi
risultato fu che per la prima volta udii dalle sue labbra una parola di rimprovero. Dico «rimprovero» perché questa parola non è davvero esagerata per i termini in cui egli mi manifestò la sua sorpresa: come mai, in quell'eccezionale circostanza, non avevo trovato qualche modo per non privarlo di una simile occasione? Davvero, avrei potuto fare in maniera di non esser costretta ad uscire, o comunque far sì che potessero ugualmente incontrarsi. Probabilmente se la sarebbero cavata benissimo nel mio salotto anche senza di me. A questo punto crollai: confessai la mia iniquità e la meschina ragione che l'aveva dettata. Non avevo disdetto il mio appuntamento con lei e non ero uscita; lei era venuta e l'aveva aspettato per un'ora, poi se n'era andata, convinta ch'egli fosse mancato per sua propria colpa. - Deve giudicarmi un vero bruto! - esclamò lui. - Ha detto di me... - e ricordo che in quella pausa trattenne per un attimo il respiro, - quel che aveva il diritto di dire? - Ti assicuro che non ha detto nulla che rivelasse il minimo sentimento. Ha guardato la tua fotografia, l'ha rigirata, e dietro, guarda caso, c'è scritto il tuo indirizzo. Ma neppure questo ha provocato in lei la minima reazione. Non gliene importa poi tanto. - E allora, perché hai paura di lei? - Non era di lei che ho avuto paura. Era di te. - Hai pensato che potessi innamorarmene? Finora non avevi mai accennato a questa possibilità, - prosegui, mentre io rimanevo zitta. - Per quanto me l'avessi descritta come una persona ammirevole, non era sotto questa luce che me la prospettavi. - Vuoi dire che, se invece l'avessi fatto, a quest'ora tu avresti trovato il modo di vederla? Non avevo timori, allora, - soggiunsi, - non ero spinta dallo stesso motivo. A questo punto egli mi baciò, e quando mi sovvenne che un paio d'ore prima lei aveva fatto lo stesso, per un attimo ebbi l'impressione che dalle mie labbra egli aspirasse l'impronta stessa delle sue. Nonostante i baci, l'incidente aveva provocato una certa freddezza, e io soffrivo d'un terribile senso di colpa per essermi lasciata cogliere in flagrante impostura. Mi aveva colta in flagrante, è vero, solo grazie alla sincerità della mia confessione, ma io mi sentivo infelice come se avessi avuto una macchia da cancellare. Non riuscivo a dimenticare il modo in cui mi aveva guardata mentre gli parlavo della manifesta indifferenza di lei alla sua diserzione. Henry James
350
1970 - Racconti Di Fantasmi
Per la prima volta dacché lo conoscevo m'era sembrato mettere in dubbio le mie parole. Prima di lasciarci gli dissi che avrei raccontato anche a lei la verità; la mattina dopo sarei andata a Richmond e le avrei spiegato come lui fosse del tutto incolpevole. Al che egli mi baciò di nuovo. Avrei espiato il mio peccato, dissi: mi sarei umiliata nella polvere, avrei confessato ogni cosa e chiesto perdono. E ancora una volta egli mi baciò.
V. Il giorno dopo, in treno, mi colpi il fatto che l'aver io ceduto tornasse del tutto a suo vantaggio; ero però abbastanza ferma nel mio proposito per tener duro. Salii la lunga collina fino al punto in cui si comincia a godere il panorama, poi bussai alla porta. Mi sentii un tantino disorientata perché le tende erano ancora accostate, e riflettei che, seppure l'assillo del rimorso mi aveva spinto fin lì di buon'ora, avevo certamente lasciato tempo alla gente di casa di alzarsi. - In casa, signora? Ha lasciato la casa per sempre. Questo annuncio datomi dall'anziana cameriera mi allarmò in sommo grado. - È partita? - Mi scusi, signora, è morta -. Poi, vedendomi senza fiato all'udire la tragica parola: - È morta questa notte. L'acuto grido che mi sfuggi risuonò alle mie stesse orecchie come una violenta profanazione di quell'ora. Mi parve, sul momento, di averla uccisa io; mi sentii svenire e scorsi come in una nebbia la donna che mi tendeva le braccia. Non ho memoria di ciò che accadde dopo, né di null'altro all'infuori di quella povera scioccherella della cugina che, in una stanza oscurata, dopo un intervallo che ritengo essere stato brevissimo, singhiozzava davanti a me in tono sommessamente accusatorio. Non so dire quanto tempo mi ci volle per capire, per credere e poi reprimere con immenso sforzo quel lacerante senso di colpa che superstiziosamente, insensatamente, era stato sulle prime quasi l'unica cosa di cui avessi avuto coscienza. Dopo il decesso, il medico era stato oltremodo saggio ed esplicito: spiegava tutto con una debolezza cardiaca da lungo tempo latente, probabilmente originata vari anni prima dalle agitazioni e dalle paure che le erano state causate dal matrimonio, quando aveva avuto scenate crudeli col marito, tanto da temere per la propria vita; ma chi poteva dire che chiunque, e tanto più una «vera signora», fosse Henry James
351
1970 - Racconti Di Fantasmi
effettivamente al riparo da ogni minima contrarietà? Un paio di giorni prima aveva subito quella della morte del marito; poiché poteva trattarsi di emozioni d'ogni genere, non soltanto motivate da dolore o da sorpresa. Quanto a quello, ella non aveva mai immaginato tanto prossima la sua liberazione: strano a dirsi, sembrava che il marito dovesse vivere a lungo quanto lei. Ma la sera prima, in città, certo doveva averne subita un'altra: era accaduto qualcosa che sarebbe stato indispensabile chiarire. Era rientrata molto tardi - alle undici passate - e alla cugina che le era andata incontro tutta ansiosa aveva detto che era stanca, che prima di salire doveva riposarsi un momento Insieme erano entrate nella sala da pranzo, mentre la sua compagna le suggeriva di bere un bicchiere di vino e si dava da fare alla credenza per mescerlo. Fu questione d'un attimo: quando la mia informatrice s'era voltata, la nostra povera amica non aveva avuto il tempo di sedersi; d'improvviso, con un piccolo gemito quasi impercettibile, s'era lasciata cadere sul divano. Era morta. Quale sconosciuta «piccola contrarietà» le aveva inferto il colpo? Quale emozione, nel regno del prodigioso, aveva effettivamente provato in città? Da parte mia accennai subito all'unica che potessi immaginare: non era riuscita a incontrare in casa mia, dove appunto, dietro mio invito, s'era trovata alle cinque, l'uomo che io dovevo sposare, che accidentalmente era stato trattenuto fuori città e che lei non conosceva per nulla. Era ovviamente un motivo di scarso rilievo; ma poteva ben darsi che fosse accaduto qualcos'altro; nulla di più facile, per le vie di Londra, di un incidente, specie in una di quelle sfrenate carrozze. Che cosa aveva fatto, dov'era andata, una volta uscita di casa mia? Io avevo creduto per certo che si fosse diretta subito a Richmond. Non tardammo a ricordare entrambe che a volte, nelle sue corse a Londra, per comodità o per ristoro, ella sostava un'ora o due al «Gentlewomen», il tranquillo piccolo club per signore, e promisi che sarebbe stata mia premura svolgere in quel locale un'attenta indagine. Entrammo quindi nell'oscura, lugubre stanza dove lei giaceva, avvolta nella morte; dopo un po' chiesi d'esser lasciata sola con lei, e vi rimasi per mezz'ora. La morte l'aveva resa, l'aveva mantenuta bella; ma io, inginocchiata al suo letto, sentivo soprattutto che l'aveva resa e mantenuta enigmatica. Aveva dato un giro di chiave su qualcosa che non mi era lecito ignorare. Tornata da Richmond e dopo aver sbrigato un'altra faccenda, mi recai alla casa del mio promesso. Era la prima volta, benché l'avessi sovente Henry James
352
1970 - Racconti Di Fantasmi
desiderato. Per le scale, accessibili a chiunque giacché il palazzo contava una ventina di alloggi, m'imbattei nel suo domestico, che tornò indietro con me e m'introdusse nell'appartamento. Udendomi entrare, lui comparve sulla soglia di una stanza interna, e non appena fummo soli gli partecipai la notizia: - E morta! - Morta? Rimase tremendamente colpito: notai che non aveva avuto bisogno di chiedere a chi avessi alluso nella mia laconicità. - E morta ieri sera, subito dopo avermi lasciata. Mi fissò con un'espressione stranissima, scrutando coi suoi occhi i miei, quasi a volervi scorgere un'insidia. - Ieri sera... dopo averti lasciata? Ripetè sbalordito le mie parole. Poi se ne uscì in un'affermazione che doveva lasciarmi a mia volta sbalordita: - E’ impossibile! Io l'ho vista! - L'hai «vista»? - Lì, dove sei tu. Un attimo, e mi tornò in mente, quasi ad aiutarmi a comprendere, la prodigiosa premonizione della sua gioventù. - Nell'ora della sua morte, capisco: la stessa inafferrabile visione che hai avuto di tua madre. - Ah no! Non come vidi mia madre, no, non in quel modo! -Era profondamente scosso dalla mia notizia, assai più - me ne rendevo conto di quanto lo sarebbe stato il giorno prima; e io ebbi la sensazione precisa, come allora dissi fra me, che v'era stato realmente un rapporto tra loro e ch'egli l'aveva realmente incontrata viso a viso. Una simile idea, che veniva a confermare quella sua prerogativa portentosa, me lo avrebbe fatto apparire di colpo penosamente anormale, se egli non avesse così energicamente insistito sulla differenza. - L'ho vista viva... l'ho vista da poterle parlare... Così come vedo te ora! Curiosamente, per un attimo (ma solo per un attimo) trovai sollievo nella più personale - per così dire - ma anche nella più naturale delle due eccezionali circostanze. Un istante più tardi, raffigurandomi lei che andava a fargli visita subito dopo avermi lasciata e ciò che questo significava nello spazio di tempo di cui poteva disporre, gli chiesi, con una punta di durezza che non mi sfuggi: - Che diamine era venuta a fare? Lui intanto aveva avuto un minuto per riflettere - per riprendersi e giudicare gli effetti; sicché, pur parlando ancora con un lampo di esaltazione nello sguardo, arrossi, ebbe coscienza del suo rossore e invano tentò un vago sorriso per cancellare la gravità delle sue parole. Henry James
353
1970 - Racconti Di Fantasmi
- E venuta proprio per vedermi. E venuta... dopo quel ch'era successo a casa tua... perché ci potessimo finalmente incontrare. M'è sembrato un impulso delicatissimo, e così l'ho accolto. Mi guardai intorno nella stanza - la stanza dove lei era stata e io non ero stata mai. - E il modo in cui tu hai accolto quell'impulso è stato lo stesso in cui lei lo ha manifestato? - Lo ha espresso soltanto con la sua presenza qui e col concedermi di guardarla. È bastato! - esclamò lui con uno strano riso. Continuavo a non capire. - Vuoi dire che non ti ha parlato? - Non ha detto nulla. Mi ha solo guardato, come io ho guardato lei. - E neppure tu hai parlato? Mi sorrise di nuovo con quell'espressione rattristata. - Ho pensato a te. Era una situazione quanto mai delicata. Ho usato tutto il mio tatto. Ma lei ha capito di avermi fatto piacere -. E uscì ancora una volta in quel riso stonato. - È evidente che ti ha fatto piacere! - Riflettei un momento. _ Quanto è rimasta? - Come faccio a saperlo? Una ventina di minuti, direi, ma probabilmente molto meno. - Venti minuti di silenzio! - Cominciavo ad avere una mia precisa visione dei fatti, e ormai in realtà mi ci tenevo aggrappata. _ Lo sai che mi stai raccontando una storia assolutamente mostruosa? Fin allora era rimasto in piedi, la schiena rivolta al caminetto: a quel momento venne verso di me, con uno sguardo supplichevole. - Ti scongiuro, carissima: sii comprensiva. Riuscii ad esserlo, e glielo feci intendere; ma quando, con fare piuttosto impacciato, egli mi aperse le braccia, per qualche oscura ragione non lasciai che mi stringesse a sé. E per un tempo tutt'altro che breve cadde fra noi il disagio di un profondo silenzio.
VI. Fu lui a romperlo, di lì a poco: - È assolutamente certo che sia morta? domandò. - Sì, purtroppo. Sono rimasta fino a poco fa in ginocchio accanto al letto su cui l'hanno adagiata. Henry James
354
1970 - Racconti Di Fantasmi
Fissò ostinatamente il pavimento, poi levò gli occhi ad incontrare i miei. - Che aspetto ha? - Sembra... in pace. Si volse di nuovo, mentre l'osservavo; ma un attimo dopo soggiunse: Dunque, a che ora... - Doveva essere circa mezzanotte. È crollata appena messo piede in casa, a causa della malattia di cuore che sapeva d'avere e che il medico le aveva riscontrato, ma della quale, paziente e coraggiosa com'era, non mi aveva mai fatto parola. Stava ad ascoltarmi intento, e per un momento fu incapace di parlare. Infine proruppe, in un tono di cui, ancora mentre scrivo, mi risuona all'orecchio la spontaneità quasi fanciullesca, la semplicità davvero sublime: - Che donna straordinaria era! - Anche allora seppi mostrarmi abbastanza comprensiva da replicargli che era quel che gli avevo sempre detto; ma, passato un istante, quasi che dopo aver parlato avesse intuito in un lampo tutto ciò che aveva suscitato nel mio intimo, aggiunse in fretta: Vedi bene che se fino a mezzanotte non è tornata a casa... Lo interruppi bruscamente. - Tu dunque hai avuto tutto il tempo di vederla? Com'è possibile, - insistetti, - dal momento che sei rimasto da me fino a tardi? Non ricordo esattamente fino a che ora, ero preoccupata. Ma, lo sai anche tu, malgrado tutte le cose che dicevi di aver da fare, sei rimasto per un certo tempo dopo cena. Lei, d'altra parte, ha trascorso tutta la sera al «Gentlewomen». Ci sono appena passata, ho verificato. Ha preso il tè e si è fermata a lungo, molto a lungo. - E che cosa ha fatto in tutto quel tempo? Mi avvidi che era pronto a controbattere punto per punto il mio racconto dei fatti; e quanto più ne dava prova, tanto più io mi sentivo incline a insistere nella mia versione, a preferire con apparente perfidia una spiegazione che non faceva che infittire lo sgomento e il mistero, ma che, di fronte ai due prodigi fra cui doveva scegliere, era più facilmente accetta alla mia rinascente gelosia. Lui, irremovibile, continuava, con un candore di cui vedo ora la bellezza, a difendere il privilegio di aver conosciuto viva quella donna, a dispetto della suprema sconfitta; mentre io, con una passione di cui oggi mi sorprendo (benché fino a un certo punto covi ancora sotto la cenere), sapevo solo rispondergli che, grazie al dono prodigioso condiviso con sua madre, e che in lei, per di più, era ereditario, si era rinnovato per lui il miracolo occorsogli in gioventù; e lo stesso era Henry James
355
1970 - Racconti Di Fantasmi
accaduto a lei. Era stata a trovarlo, oh sì! e spinta da un impulso incantevole quanto voleva, ma non in carne e ossa. Era semplicemente questione di prove materiali. Io avevo avuto, gli assicurai, un resoconto preciso di come aveva trascorso la maggior parte del tempo passato al piccolo club. Il locale era semideserto ma il personale l'aveva notata. Era rimasta immobile, sprofondata in una poltrona accanto al caminetto; col capo reclinato all'indietro, gli occhi chiusi, sembrava dormire dolcemente. - Capisco. Ma fino a che ora? - Su questo punto, - fui costretta a rispondergli, - i domestici sono stati un po' imprecisi. In particolare la custode, purtroppo, è una mezza scema, per quanto tenuta anche lei in conto di «gentlewoman». E evidente che a quell'ora della sera, contro il regolamento e senza che nessuno la sostituisse, si è assentata dalla guardiola dove ha l'obbligo di rimanere a controllare chi entra e chi esce. Mi ha risposto in modo confuso e palesemente equivoco; perciò, non posso indicarti un'ora esatta in base a quanto ha osservato lei. Ma verso le dieci e mezza risultava che la nostra povera amica aveva lasciato il club. Ciò veniva a confermare in pieno la tesi da lui sostenuta. _ È venuta direttamente qui, e da qui è andata direttamente alla stazione. - Non può aver calcolato i tempi così al minuto, - asserii. - E proprio una cosa che non faceva mai. - Non c'era bisogno di calcolare al minuto, cara: aveva tempo in abbondanza. La memoria t'inganna quando dici che io sono uscito tardi da casa tua: ti ho lasciata, casomai, insolitamente presto. Mi spiace che il tempo passato con me ti sia sembrato lungo, ma io sono rientrato verso le dieci. - Per infilarti le pantofole e addormentarti in poltrona, - ribattei io. - Hai dormito fino a stamani... l'hai vista in sogno! - Egli mi guardò in silenzio, scuro in volto, con uno sguardo che tradiva irritazione repressa. Dopo un momento ripresi: - Hai ricevuto la visita di una signora a un'ora insolita, soit: nulla di più probabile al mondo. Ma ci sono signore e signore. Come, in nome del cielo, dato che non s'era fatta annunciare, che non ha detto una parola e che, per soprammercato, non avevi mai visto un suo ritratto... come potevi identificare la persona di cui si parla? - Non l'ho forse sentita descrivere a sazietà? Se vuoi, posso descrivertela io stesso in ogni particolare. - No! - esclamai con una prontezza che di nuovo lo mosse al riso. Io Henry James
356
1970 - Racconti Di Fantasmi
arrossii, ma continuai: - È stato il tuo domestico a farla entrare? - No, lui non c'era; è sempre via quando se ne ha bisogno. Una delle caratteristiche di questo grande palazzo è che ogni pianerottolo è accessibile dal portone praticamente senza controllo. Il mio domestico se l'intende con una ragazza che lavora al piano di sopra, e ieri sera s'è trattenuto a lungo da lei. Quando esce per questo, lascia accostata la porta esterna, quella che dà sulla scala, così da poter scivolare in casa senza rumore. Allora basta una piccola spinta per aprirla. E lei ha spinto: le ci è voluto solo un minimo di coraggio. - Un minimo? Un mucchio di coraggio le ci è voluto! E ha dovuto far ogni sorta d'impossibili previsioni! -Be', l'ha avuto, le ha fatte. Bada, - soggiunse, - mi guardo bene dal negare che è stato un fatto davvero straordinario! Qualcosa nel suo tono mi tolse per un istante l'ardire di riprendere il discorso. Infine dissi: - Come ha fatto a sapere dove abitavi? - Ricordando l'indirizzo sull'etichetta che per caso quelli del negozio avevano incollato sulla cornice fatta fare per la mia fotografia. - E com'era vestita? - A lutto, amore mio. Non una gran profusione di crespo, ma un nero semplice, rigoroso. Portava un cappellino adorno di tre minuscole penne nere e teneva in mano un piccolo manicotto di astrakan. Vicino all'occhio sinistro, - continuò, - aveva una piccolissima cicatrice verticale... Lo interruppi bruscamente. - Il segno di una carezza di suo marito -. Poi soggiunsi: - Come dovevi esserle vicino! - Egli non mi rispose, ed ebbi l'impressione che arrossisse. - Ebbene, addio, -dissi allora di scatto. - Non vuoi restare un poco? - Mi venne incontro tutto tenero, e questa volta lo lasciai fare. - Quella visita ha avuto il suo fascino, - mormorò stringendomi a sé, - ma la tua ne ha di più. Lasciai che mi baciasse, ma non senza ricordare, come già avevo ricordato il giorno prima, che l'ultimo bacio dato da lei - così supponevo in questo mondo era stato per le labbra su cui ora si posavano le sue. - Io sono la vita, capisci? - gli risposi. - Ciò che hai visto ieri sera era la morte. - La vita, era! ... La vita! Parlava con una sorta di dolce ostinazione. Mi sciolsi dalla sua stretta e restammo a fissarci duramente. - La tua descrizione dei fatti, ammesso che sia una descrizione, è Henry James
357
1970 - Racconti Di Fantasmi
incomprensibile. E entrata in questa stanza senza che tu te ne accorgessi? - Ho alzato il capo dalla lettera che stavo scrivendo, là, a quella scrivania, sotto la lampada, completamente assorto, e lei era davanti a me. - E allora che cos'hai fatto? - Sono balzato in piedi con un'esclamazione, e lei, sorridendo, si è messa un dito sulle labbra, quasi ad ammonirmi, eppure con una certa delicata dignità. Con quel gesto, lo sapevo, voleva intimarmi silenzio, ma lo strano era che sembrava al tempo stesso giustificarsi e spiegare ogni cosa. Siamo rimasti in piedi a guardarci in viso così, per un tempo che, come ti ho detto, non saprei calcolare. Proprio come ci troviamo ora tu ed io. - Soltanto a fissarvi? Egli protestò con impazienza: - Eh, ma noi due non ci stiamo mica fissando! - Già, ma stiamo parlando. - Ebbene, parlavamo anche noi... in certo qual modo —. Pareva tutto assorbito dal ricordo. - In modo altrettanto amichevole -. Stavo quasi per domandargli se c'era poi tanto da parlare, ma mi resi conto invece che evidentemente non avevano fatto altro che contemplarsi in reciproca ammirazione. Poi volli sapere se l'aveva riconosciuta subito. - Non proprio, - mi rispose, - perché naturalmente non l'aspettavo; ma molto prima che se n'andasse compresi chi soltanto poteva essere. Rimasi un momento soprappensiero. - E come se ne andò, infine? - Esattamente com'era venuta. La porta era aperta alle sue spalle, e lei uscì. - In fretta? Adagio? - Piuttosto in fretta. Ma volgendosi indietro a guardare, - aggiunse con un sorriso. - Lasciai che se ne andasse perché capii perfettamente che dovevo accettare la cosa come voleva lei. Mi accorsi di emettere un lungo, vago sospiro. - Ebbene, adesso devi accettare quello che voglio io: devi lasciar andare me. Egli allora mi si avvicinò di nuovo, trattenendomi, persuadendomi, dichiarandomi con tutta la debita galanteria che la faccenda era ben diversa. Non so che cosa avrei dato pur di riuscire a chiedergli se l'aveva toccata, ma le parole si rifiutavano d'uscirmi di bocca: capivo troppo bene come sarebbero suonate orribili e volgari. Dissi non so che altro - non ricordo più di preciso; qualcosa di debolmente tortuoso, tendente a farlo Henry James
358
1970 - Racconti Di Fantasmi
parlare senza che gli ponessi la domanda. Ma lui non parlò: si limitò, quasi avvertisse l'opportunità di confortarmi e di consolarmi, a ribadire le dichiarazioni di poco prima: ad assicurarmi che lei era stata, sì, deliziosa, come io avevo sempre sostenuto, ma che la sua amica «vera» ero io e lo sarei stata per sempre. Ciò m'indusse a riaffermare, con lo stesso spirito della mia replica precedente, che io avevo almeno il merito d'essere viva; la qual cosa a sua volta svegliò nuovamente in lui la fiammata di contraddizione che mi faceva paura: - Oh, era viva, lei! Era viva! viva! - Era morta! morta! - L'energia, la volontà che misi nell'asseverare che così doveva essere, oggi mi appaiono quasi grottesche. Ma il suono con cui quella parola echeggiò mi riempi d'improvviso orrore, e tutta la naturale emozione che il suo significato avrebbe destato in altre circostanze rifluì e traboccò come un fiume in piena. Mi sconvolse l'idea che mi veniva a mancare un grande affetto, di quanto bene le avevo voluto, di quanto avevo creduto in lei. E contemporaneamente ebbi la visione della bellezza solitaria della sua fine. - Se n'è andata... l'abbiamo perduta per sempre! proruppi singhiozzando. - È proprio quello che sento anch'io, - egli esclamò, con accento di estrema bontà e stringendomi a sé per confortarmi. - Non c'è più; l'abbiamo perduta per sempre: perciò, che importanza ha adesso? - Si chinò su di me, e quando il suo viso toccò il mio non avrei saputo dire se era bagnato delle mie o delle sue lagrime.
VII. La mia teoria, la mia convinzione, ciò che - potrei dire - improntò il mio atteggiamento, era che non si erano ancora mai veramente «incontrati». Per questa ragione appunto mi dissi che sarebbe stato generoso chiedergli di starmi accanto al momento della sepoltura. Il che egli fece, molto discreto e affettuoso, e sebbene, da parte sua, chiaramente non si preoccupasse affatto del pericolo, io ritenni che la solennità dell'occasione - con l'intervento di tanti che li avevano conosciuti entrambi e dovevano aver avvertito il prolungarsi della beffa - avrebbe risparmiato ogni fatuo riferimento alla sua presenza. A proposito di quanto era successo la sera della morte, poco altro fu detto fra noi. Mi aveva invaso l'orrore del fatto inoppugnabile: nell'una e nell'altra ipotesi era evidente una grossolana intrusione. Quanto a lui, non era in grado di fornire testimonianze, o Henry James
359
1970 - Racconti Di Fantasmi
almeno nessuna se non la dichiarazione del suo portiere - un personaggio, lo ammetteva lui stesso, quanto mai sventato e inconsistente - al dire del quale non meno di tre signore in lutto stretto erano entrate e uscite fra le dieci e mezzanotte. Era una prova per eccesso: di tre signore né lui né io sapevamo che farcene. Egli sapeva che io ritenevo di aver dato conto di ogni frazione del tempo di lei, e quindi lasciammo cadere l'argomento come concluso, astenendoci dal discuterne ancora. Quello che però io sapevo era che lui se ne asteneva piuttosto per compiacermi, non perché fosse disposto a cedere alla bontà delle mie ragioni. Non cedeva - era soltanto indulgente; si teneva stretto alla propria interpretazione perché la preferiva, e la preferiva, pensavo, perché soddisfaceva di più la sua vanità. Io, nei suoi panni, non ne avrei risentito a quel modo, benché di vanità non ne avessi certo meno di lui; ma qui si tratta di reazioni individuali, e nessuno può giudicare per un altro. Avrei creduto più gratificante essere protagonista di una di quelle circostanze inesplicabili di cui si narra nei racconti sensazionali e si discute in dotti convegni: non riuscivo a concepire, da parte di qualcuno appena rimasto coinvolto in un contatto con l'infinito e vibrante ancora di umana emozione, nulla di più squisito e puro, di più alto e sublime che un tale impulso di riparazione, di monito o addirittura di curiosità. Questo sì, se si vuole, era bello, e al posto suo io avrei avuto maggiore stima di me per essere così fuori del comune. Ch'egli fosse già - e da tempo - una persona fuori del comune, era cosa risaputa; e quell'episodio in sé non ne era quasi una prova? Ciascuna di quelle strane visitazioni contribuiva ad avvalorare l'altra. Lui aveva al riguardo un altro modo di sentire; ma aveva anche, mi affretto ad aggiungere, un incontestabile desiderio di non richiamare l'attenzione sull'accaduto, di non farne - come si suol dire, - un cancan. Io potevo credere quel che volevo, tanto più che tutta la vicenda era in certo modo un mistero provocato da me. Era un fatto della mia storia, un enigma della mia coscienza, non della sua; perciò egli avrebbe adottato in proposito il contegno che mi fosse parso più opportuno. D'altronde avevamo entrambi altri problemi a cui pensare: eravamo incalzati dai preparativi per il nostro matrimonio. I miei problemi, non c'è dubbio, erano pressanti, e tuttavia, man mano che i giorni passavano, mi rendevo conto che credere alla mia versione «preferita» significava credere a ciò di cui ero intimamente sempre più convinta. Del resto mi accorgevo che, dopo tutto, non era che quella versione mi piacesse molto, o che comunque il fatto che mi piacesse era Henry James
360
1970 - Racconti Di Fantasmi
lungi dal costituire la causa della mia certezza. La mia ossessione, come posso effettivamente chiamarla e come incominciai ad avvertire, si rifiutava di venir scacciata, come avevo sperato, dal senso di imprescindibili doveri. Avevo un monte di cose da fare, è vero, ma ne avevo ancor di più a cui pensare, e venne il momento in cui le mie occupazioni furono gravemente minacciate dai miei pensieri. Adesso capisco tutto, sento tutto, rivivo ogni cosa: è un terribile vuoto di gioia, anzi, è una piena traboccante d'amarezza; eppure - devo rendere giustizia a me stessa - non potevo essere diversa da quella che ero. Dovessi affrontarle di nuovo, le stesse strane impressioni causerebbero la stessa profonda angoscia, gli stessi dubbi assillanti, le stesse certezze più acute che mai. Oh, tutto è più facile da ricordare che da scriverne, ma anche se mi fosse dato di rievocare la vicenda ora per ora, anche se potessi trovare parole per esprimere l'inesprimibile, lo squallore e l'angoscia mi fermerebbero presto la mano. Molto semplicemente e brevemente mi sia lecito dire che una settimana prima del nostro matrimonio - tre settimane dopo la morte di lei - mi resi pienamente conto di dover affrontare qualcosa di assai serio: se volevo compiere quel passo dovevo farlo all'istante, prima che passasse un'altra ora. La mia inestinta gelosia - ecco qual era la maschera di Medusa - non era morta con lei, le era lividamente sopravvissuta, alimentata da sospetti irriferibili. Cioè, irriferibili sarebbero oggi, se allora non avessi provato il bisogno acuto di gridarli. Quel bisogno s'impadronì di me -per salvarmi, si sarebbe detto, dal mio destino. Una volta divenutane preda, non c'era - lo vedevo nell'urgenza del caso, nell'accor-ciarsi del tempo, nel restringersi dell'intervallo - che un'unica via d'uscita, quella dell'assoluta immediatezza e sincerità. Dovevo almeno non fargli il torto d'indugiare un altro giorno, dovevo almeno considerare la mia angoscia troppo nobile per ricorrere a sotterfugi. Perciò, molto tranquillamente, ma nondimeno in modo odiosamente repentino, una certa sera gli buttai lì che dovevamo riesaminare la nostra situazione e riconoscere che era del tutto mutata. Egli mi fissò intrepido. - In che cosa è mutata? - Un'altra persona si è interposta fra noi. Esitò un istante. - Non voglio fingere d'ignorare a chi alludi -. Sorrise di compatimento per la mia aberrazione, ma volle essere generoso. - Una donna morta e sepolta! - È sepolta, ma non è morta. È morta per il mondo, è morta per me. Ma Henry James
361
1970 - Racconti Di Fantasmi
per te non è morta. - Vuoi rivangare le nostre diverse interpretazioni della sua apparizione di quella sera? - No, - risposi. - Non voglio rivangare nulla. Non ce n'è bisogno. Ne ho più che a sufficienza di quello che mi sta davanti agli occhi. - E che cos'è, ti prego, mio tesoro? - Tu sei completamente cambiato. - Per via di quell'assurdità? - E rise. - Non tanto per quella come per le altre che le hanno fatto seguito. - E quali sarebbero state, per favore? Il nostro era stato un incontro leale, a viso aperto; ma i suoi occhi avevano una strana luce offuscata, e la mia certezza trionfò nel visibile pallore del suo volto. - Vuoi davvero farmi credere, - domandai, - che non sai di quali assurdità parlo? - Mia cara bambina, - replicò, - vi accenni troppo schematicamente! Riflettei un momento. - Può essere davvero imbarazzante completare il quadro! Ma da questo punto di vista, e sin dall'inizio, che cosa poteva essere più imbarazzante della tua idiosincrasia? - La mia idiosincrasia? - ripetè lui in tono volutamente vago. - Il tuo speciale potere, ben noto a tutti. Alzò le spalle infastidito, con un brontolio di esasperato disprezzo. - Oh, il mio speciale potere! - La tua capacità di accedere a certe forme di vita, - proseguii fredda, - di comandare a impressioni, ad apparenze, a contatti che, per nostra buona o cattiva sorte, a tutti noi altri sono preclusi. All'inizio ciò contribuì al grande interesse che sapesti ispirarmi, fu una delle ragioni per cui mi divertiva, anzi m'inorgogliva conoscerti. Era una prerogativa senza uguali; e lo è tuttora. Ma naturalmente allora non potevo prevedere quali effetti avrebbe avuto oggi; e anche se l'avessi previsto, mai avrei immaginato di esserne a tal punto sconvolta. - In nome di Dio, - chiese supplichevole, - a che cosa vuoi alludere con queste fantasie? - E poiché io tacevo radunando le forze per il mio atto d'accusa, continuò: - Che razza di effetti produce, dunque, e come diamine riesce a sconvolgerti? - Le eri sfuggito per cinque anni, - dissi. - Adesso non le sfuggi più. Stai pareggiando la partita! Henry James
362
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Pareggiando? - Da pallido che era, andava facendosi rosso in viso. - Tu la vedi, la vedi: la vedi ogni notte! - Lui emise un mugolio di derisione, ma non suonò genuino. - Viene da te come quella sera, affermai, - ha fatto la prova e ha capito che le piaceva! - Con l'aiuto di Dio riuscivo a parlare non accecata dalla passione, senza volgare brutalità; ma furono proprio quelle le precise parole con cui mi espressi - e allora mi sembrarono tutt'altro che «schematiche». Lui si era voltato ridendo; battendo le mani quasi a commentare la mia follia; ma un istante dopo mi fissò nuovamente in viso, con un'espressione mutata che mi colpi. - Osi negare, - gli domandai, - che la vedi di continuo? Aveva scelto la linea dell'indulgenza: cercava di essere conciliante, di assecondarmi con bonarietà. Comunque uscì a dire d'un tratto, lasciandomi esterrefatta: - Ebbene, cara, e se così fosse? - Sei nel tuo pieno diritto; è un tuo dono di natura, un privilegio di cui disponi, straordinario anche se non del tutto invidiabile. Ma tu capisci bene che è qualcosa che ci separa. Ti restituisco la tua completa libertà. - Mi restituisci la mia libertà? - Devi scegliere tra me e lei. Mi guardò duramente. - Capisco -. Fece qualche passo come per afferrare il significato delle mie parole e riflettere sul miglior modo di discuterle. Poi tornò a voltarsi verso di me. - Come fai a sapere una cosa così terribilmente intima? - Dato che tu hai fatto di tutto per tenerla nascosta, vuoi dire? E terribilmente intima, certo, e puoi credere che non la rivelerò mai. Hai fatto del tuo meglio, hai sostenuto la tua parte, ti sei comportato, povero caro!, in maniera leale, ammirevole. Per questo ti ho osservato in silenzio, sostenendo anch'io la mia parte; ho avvertito ogni tuo calo di voce, ogni tuo sguardo vuoto, ogni sforzo della tua mano inerte: ho aspettato fino a esserne del tutto sicura e disperatamente infelice. Come puoi nascondere d'essere perdutamente innamorato di lei, quando trabocchi della gioia che ti dà, fin quasi a morirne? Riuscii a frenare il suo pronto diniego con un gesto ancor più pronto. Ami lei come non hai mai amato nessuna, ed essa ricambia in ugual misura la tua passione! Ti domina, ti tiene stretto, ti ha tutto per sé! In una situazione come la mia, una donna intuisce, sente, vede; non è una sciocca a cui si deve spiegare tutto. Tu vieni a me meccanicamente, pentito e contrito, con le scorie della tua tenerezza, di ciò che resta della tua vita. Io Henry James
363
1970 - Racconti Di Fantasmi
posso rinunciare a te, ma non posso fare a metà con un'altra; il meglio di te appartiene a lei; io so quello che vale e ti cedo liberamente a lei per sempre! Lui si batté da gentiluomo, ma non ci fu verso di accomodare le cose. Tornò a negare, ritrattò quanto aveva ammesso, mise in ridicolo le mie accuse, stravaganti al punto di essere indifendibili, come del resto io fui pronta a riconoscere. Non finsi neppure per un istante di parlare di cose comuni, non finsi neppure per un istante che lui e lei fossero personaggi comuni; se lo fossero stati come avrei potuto io, di grazia, interessarmi a loro? Avevano goduto di un'insolita proroga di esistenza e mi avevano trascinato nel loro volo, ma era un'aria che io non potevo respirare e chiedevo d'essere prontamente rimessa a terra. Tutto ciò ch'era accaduto era mostruoso, e soprattutto lo era la mia lucida percezione dei fatti; che la mia condotta fosse condizionata da tale percezione era l'unico aggancio con la natura e con la verità. Mi sentii, dopo aver parlato in questo senso, pienamente sicura di me stessa; nulla era mancato a darmi quella fiducia quanto il vedere l'effetto che il mio discorso gli fece. Egli cercò invano di mascherarlo dietro una nuvola di sarcasmo, diversivo che gli consentì di guadagnare tempo e di coprirsi la ritirata. Mise in dubbio la mia sincerità, il mio senno, persino la mia umanità, il che ovviamente allargò la breccia che si era aperta tra noi e confermò la nostra rottura. Insomma, fece di tutto fuorché persuadermi che avevo torto o che lui fosse infelice: ci separammo e io l'abbandonai alla sua incredibile comunione. Non si sposò mai, come me del resto. Quando, sei anni più tardi in silenziosa solitudine, venni a sapere della sua morte, salutai quella notizia come un diretto contributo alla mia teoria. Fu una morte improvvisa, di cui non si conobbero mai bene le cause, una morte avvolta in circostanze nelle quali - oh, come le esaminai pezzo per pezzo! - lessi un'intenzione ben definita, il segno della sua stessa mano nascosta. Fu il risultato di una lunga necessità, di un inestinguibile desiderio. Per dire esattamente ciò che intendo, fu la risposta a un appello irresistibile. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
IL GIRO DI VITE Il racconto ci aveva tenuti attorno al focolare col fiato sospeso, ma a parte l'ovvia osservazione ch'esso era raccapricciante, come doveva essere Henry James
364
1970 - Racconti Di Fantasmi
una strana storia narrata la vigilia di Natale in una vecchia casa, non ricordo che suscitasse alcun commento finché qualcuno disse ch'era quello il primo caso in cui s'imbatteva d'una simile esperienza toccata a un fanciullo. Si trattava, se ben ricordo, di un'apparizione in una casa altrettanto vecchia di quella in cui eravamo riuniti per l'occasione - una visione spaventosa apparsa ad un bambino che dormiva nella camera di sua madre e che l'aveva svegliata terrorizzato; svegliata non per vincere il suo spavento e per farsi teneramente riaddormentare, ma perché lei stessa, prima di riuscirvi, si trovasse davanti alla medesima visione che l'aveva sconvolto. Fu questa osservazione a provocare da parte di Douglas - non immediatamente, ma più tardi nella serata - una risposta che ebbe l'interessante conseguenza su cui richiamo la vostra attenzione. Qualcun altro aveva preso a raccontare una storia non particolarmente interessante ed io mi accorgevo ch'egli non ascoltava. Ciò mi fece capire che anch'egli aveva qualcosa da dirci e che si trattava soltanto di aspettare. Aspettammo infatti due sere: ma quella sera stessa, prima che ci separassimo, egli accennò a quel che aveva in mente. - Sono d'accordo nei riguardi del fantasma di Griffin o di quel che fosse, che l'essere apparso prima al bambino d'un'età così tenera aggiunge alla vicenda un fascino particolare. Ma per quanto ne so, non è la prima volta che un fenomeno tanto affascinante coinvolge un bambino. Se la presenza d'un bambino dà effettivamente un altro giro di vite, che ne direste di due bambini? - Diremmo, effettivamente, - esclamò qualcuno, - che sarebbero due, i giri di vite. E poi che vogliamo conoscere la storia. Mi sembra ancora di vedere Douglas davanti al camino, le spalle al fuoco, le mani in tasca mentre guarda dall'alto in basso il suo interlocutore: - Nessuno finora, all'infuori di me, ne ha mai udito nulla. È semplicemente troppo orribile -. Naturalmente molte voci si levarono per dichiarare che ciò conferiva all'avvenimento un interesse estremo, e il nostro amico, con arte sottile, si preparò il trionfo guardandoci ad uno ad uno per aggiungere, poi: - È al di là d'ogni immaginazione. Non posso veramente paragonarlo a nulla. - Per puro terrore? - ricordo di aver chiesto. Mi sembrò ch'egli volesse intendere che la cosa non era tanto semplice e che non trovava le parole per definirla. Si passò la mano sugli occhi e fece una leggera smorfia di pena: - Per spavento... perché è davvero Henry James
365
1970 - Racconti Di Fantasmi
spaventoso! - Oh, che delizia! - esclamò una delle donne. Non le badò, e guardava me, ma come se vedesse, invece di me, quello di cui parlava: - Per assoluta, snaturata ripugnanza e orrore e pena. - E va bene, allora, - dissi, - mettiti a sedere e comincia. Si volse verso il fuoco, diede un calcio a un ceppo, lo guardò per un momento. Poi si volse di nuovo verso di noi: - Non posso cominciare. Devo mandare qualcuno in città -. Queste parole furono accolte da un unanime brontolio di disapprovazione e da molte proteste; allora, con quel suo fare preoccupato, si spiegò: - La storia è scritta. Si trova in un cassetto chiuso a chiave, e non ne è venuta fuori da anni. Potrei scrivere al mio domestico, mandargli la chiave... e lui potrebbe inviarmi il plico così come si trova -. Sembrava che questa proposta la rivolgesse a me particolarmente, come se mi chiedesse aiuto per vincere la sua esitazione. Aveva come spezzato una crosta di ghiaccio, il prodotto di chissà quanti inverni; e il suo lungo silenzio doveva aver avuto delle buone ragioni. Agli altri la dilazione non piaceva, mentre io mi sentivo affascinato dai suoi scrupoli. Lo scongiurai di spedire la lettera con la prima posta e di mettersi d'accordo con noi per una sollecita lettura; infine gli chiesi se l'esperienza di cui parlava fosse stata sua. La risposta allora fu pronta: - Grazie a Dio, no! - E il resoconto è tuo? Hai registrato tu la cosa? - Soltanto l'impressione. È incisa qui, - si toccò il cuore. - Non l'ho mai perduta. - Ma il tuo manoscritto, allora?... - E vergato con un inchiostro vecchio, sbiadito, in una bellissima grafia -. Esitò di nuovo. - Di una donna. È morta da vent'anni -Mi mandò quelle sue pagine prima di morire -. Tutti adesso stavano in ascolto, e qualcuno naturalmente osò un commento malizioso o almeno tentò di ricavarne delle illazioni. Ma se Douglas lascio cadere le illazioni senza sorridere, lo fece anche senza irritarsi. - Era una persona piena di fascino, ma aveva dieci anni più di me Ed era l'istitutrice di mia sorella, - disse quietamente. - Era la più piacevole donna che avessi mai conosciuto in una simile posizione; e avrebbe potuto farsi onore in qualsiasi altro lavoro. È stato molto tempo fa, e l'episodio era ancora precedente. Io frequentavo il Trinity College e la trovai a casa quando vi tornai per le vacanze della Henry James
366
1970 - Racconti Di Fantasmi
seconda estate. Vi rimasi molto quell'anno... era un anno bellissimo; nelle sue ore libere talvolta si passeggiava insieme e conversavamo in giardino... e in quelle occasioni fui colpito dal suo acume e dalla sua simpatia. Ma sì, non sorridete! mi piaceva moltissimo e oggi ancora mi sento felice all'idea che anch'io le piacevo. Se non fosse stato così non mi avrebbe raccontato quella storia. Non l'aveva raccontata mai a nessuno. E le credevo, non soltanto perché me lo diceva, ma perché sentivo che era vero. Ne ero certo, lo vedevo. Potrete capire facilmente il motivo quando mi avrete ascoltato. - Perché la vicenda era stata tanto spaventosa? Continuò a guardarmi fisso. - Tu lo comprenderai facilmente, - ripetè, - tu lo comprenderai. Anch'io lo fissai. - Capisco. Era innamorata. Rise per la prima volta. - Sei davvero acuto. Sì, era innamorata. Cioè, lo era stata. Ciò venne fuori... non poteva raccontare la storia senza che venisse fuori. Io lo capii, ed ella si accorse che avevo capito; ma nessuno dei due ne parlò. Ricordo l'ora e il luogo... l'angolo del prato, l'ombra dei grandi faggi, e il lungo, caldissimo pomeriggio d'estate. Non era una scenografia impressionante, ma... - Si allontanò dal fuoco e tornò a gettarsi nella sua poltrona. - Riceverai il plico per giovedì mattina? - gli chiesi. - Probabilmente non prima della seconda posta. - Bene, allora; dopo cena... - Ci incontreremo tutti qui? - Ci guardò di nuovo uno per uno. - Nessuno parte? - e lo disse quasi con un tono di speranza. - Tutti rimarranno. - Ci saremo!... Tutti ci saremo! - gridarono le signore che pure avevano già fissato la partenza. La signora Griffin, nondimeno, manifestò la necessità di un ulteriore chiarimento. - Di chi era innamorata? - Il racconto lo dirà, - mi presi la briga di rispondere. - Oh, ma io non posso aspettare il racconto! - Il racconto non lo dirà, - fece Douglas, - perlomeno non volgarmente, a chiare lettere. - Peccato, allora! È il solo modo che me lo farebbe capire. _ Non ce lo vuoi dire tu, Douglas? - domandò qualcun altro. Balzò di nuovo in piedi. - Sì... domani. Adesso devo andare a letto. Buona notte -. E rapidamente, afferrando un candeliere, ci lasciò piuttosto sconcertati. Sentimmo i suoi passi sulle scale dal fondo del grande salone Henry James
367
1970 - Racconti Di Fantasmi
buio dov'eravamo; e fu allora che la signora Griffin prese a parlare: - Bene, se non so di chi era innamorata lei, so di chi era innamorato lui. - Lei aveva dieci anni di più, - disse suo marito. - Raison de plus... a quell’età! Piuttosto delicata, però, questa sua lunga reticenza. - Quarant'anni! - precisò Griffin. - E adesso quest'esplosione. - L'esplosione, - dissi io, - farà di giovedì sera un'occasione memorabile, - e si trovarono tutti tanto d'accordo con me che, a quella luce, ogni altra cosa non aveva più alcun interesse. L'ultima storia, per quanto incompleta e simile all'inizio d'un racconto a puntate, era stata raccontata; con strette di mano e «strette di candeliere», come disse qualcuno, andammo tutti a letto. Il giorno dopo seppi che una lettera contenente la chiave era partita con la prima posta, diretta all'appartamento londinese di Douglas; ma, nonostante ciò, o forse proprio a causa dell'eventuale diffusione di questa notizia, lo lasciammo in pace fin dopo la cena, sino all'ora della serata, cioè, che meglio poteva accordarsi al genere di emozioni su cui contavamo. E lui divenne così comunicativo che di più non avremmo potuto desiderare, e ce ne spiegò addirittura la ragione. Ce la spiegò di nuovo davanti al camino del salone giacché ne eravamo rimasti leggermente sorpresi la sera precedente. Ci sembrò chiaro che il racconto che aveva promesso di leggerci aveva realmente bisogno, per essere ben capito, di qualche parola d'introduzione. E lasciatemi dire chiaramente, una volta per tutte, che questo racconto, da me trascritto fedelmente di mio pugno molto più tardi, è quello che qui seguirà. Il povero Douglas, prima della sua morte, quando questa era imminente, mi affidò il manoscritto ch'era arrivato il terzo giorno, e che nello stesso luogo cominciò a leggere la sera del quarto al nostro circolo ristretto e silenzioso, suscitando un'emozione senza pari. La partenza delle signore, che avevano annunciato che sarebbero rimaste, era avvenuta, grazie al cielo; erano partite, costrette dai loro impegni, ma divorate dalla curiosità destata, come ammisero, dai piccoli particolari con i quali Douglas aveva già stuzzicato il nostro interesse. Ma questo fatto rese soltanto più scelto e compatto il suo piccolo uditorio finale e lo tenne davanti al focolare soggiogato da una comune emozione. Prima di tutto egli ci disse che il racconto scritto iniziava la narrazione Henry James
368
1970 - Racconti Di Fantasmi
dal momento in cui era già, in un certo senso, avviata. Dovevamo sapere, infatti, che la sua vecchia amica, la minore delle numerose figlie d'un povero parroco di campagna, a vent'anni, all'inizio, cioè, della sua carriera d'insegnante, si era recata a Londra, tutta trepidante, per rispondere di persona all'annuncio per il quale aveva già avuto un breve scambio di corrispondenza con l'inserzionista. Questa persona si rivelò - quando lei si presentò per essere esaminata in una casa di Harley Street che la impressionò per vastità e imponenza - questo probabile padrone, dicevo, si rivelò un gentiluomo, uno scapolo nel fiore degli anni, un personaggio, insomma, che non era mai comparso, se non in sogno o in qualche vecchio romanzo, a una ragazza emozionata e ansiosa proveniente da un vicariato dell'Hampshire. Un tipo che si può facilmente descrivere giacché, per fortuna, è di quelli che non scompaiono mai. Era bello, ardito e attraente, spregiudicato, gaio e gentile. La colpi, inevitabilmente, la sua splendida galanteria, ma quel che più la conquistò e le diede il coraggio che più tardi rivelò, fu che le presentò tutto come una specie di favore, una grazia per la quale le sarebbe stato per sempre obbligato. Lo giudicò ricco ma terribilmente stravagante; lo vide in un'aureola di straordinaria eleganza, di bellezza, di generosità, di abituale galanteria. La sua residenza cittadina era una grande casa piena di ricordi di viaggio e trofei di caccia; ma era nella sua casa di campagna dell'Essex, antica dimora della sua famiglia, che desiderava si recasse immediatamente. A causa della morte in India dei loro genitori, egli era diventato tutore di un nipotino e di una nipotina, figli d'un suo fratello minore, un militare, che aveva perduto due anni prima. Questi due bambini - sorte ben strana per un uomo nelle sue condizioni, un uomo solo, senza esperienza e senza un filo di pazienza - pesavano interamente sulle sue spalle. Ne era nata una grave preoccupazione e, senza dubbio per colpa sua, una serie di sbagli grossolani; ma egli provava una pietà immensa per i due piccoli, e aveva fatto tutto quel che aveva potuto; in particolare li aveva mandati nell'altra casa, poiché il posto più adatto per loro era evidentemente la campagna, e là li aveva tenuti sin da principio, con le migliori persone che potè trovare per accudirli, separandosi perfino dai propri servitori e andando egli stesso, appena gli era possibile, a vedere come stavano. La cosa più imbarazzante era che i due orfanelli non avevano praticamente nessun altro al mondo, e che gli affari assorbivano quasi tutto il suo tempo. Li aveva sistemati a Bly, dimora salubre e sicura, e aveva messo a guida di quella piccola Henry James
369
1970 - Racconti Di Fantasmi
colonia - ma solo ai gradi più bassi - una donna eccellente, la signora Grose, in altri tempi cameriera di sua madre, che, ne era certo, sarebbe piaciuta alla sua visitatrice. La signora Grose badava all'andamento della casa e fungeva provvisoriamente da istitutrice della bambina, alla quale, priva com'era di figli suoi, era per buona sorte profondamente affezionata. Il personale di servizio era molto numeroso, ma naturalmente la giovane che si recava laggiù in qualità d'istitutrice avrebbe avuto pieni poteri. Avrebbe inoltre dovuto, durante le vacanze, prendersi cura del ragazzino, che da un trimestre era in collegio (troppo giovane, forse, per andarci, ma che altro si sarebbe potuto fare?), e che, essendo ormai prossimo l'inizio delle vacanze, sarebbe stato di ritorno da un giorno all'altro. Nei primi tempi ai due bambini aveva badato una signorina che avevano avuto la sfortuna di perdere. Persona degnissima, si era presa cura di loro in splendida maniera fino alla sua morte: grave contrattempo, che non aveva lasciato altra alternativa se non il collegio per il piccolo Miles. La signora Grose, da allora, aveva fatto quanto poteva per l'educazione e le necessità pratiche di Flora; c'erano, oltre a lei, una cuoca, una cameriera, una donna che si occupava della cascina, un vecchio pony, un vecchio stalliere e un vecchio giardiniere, tutti egualmente rispettabili. Douglas aveva tracciato il quadro sino a quel punto, quando qualcuno fece una domanda: - E di che cosa morì l'istitutrice precedente? Di un eccesso di rispettabilità? La risposta del riostro amico fu immediata: - Lo si saprà in seguito. Non voglio anticipare. - Scusami... Mi sembra che sia quello che stai facendo. - Nei panni della nuova istitutrice, - insinuai, - io avrei voluto almeno sapere se l'incarico comportava... - Necessariamente un pericolo di morte? - Douglas aveva completato il mio pensiero. - Difatti lo voleva sapere, e lo seppe. Sentirete domani, cosa seppe. Nel frattempo, com'era naturale, la proposta le sembrò un po' inquietante. Era giovane, inesperta, impressionabile: le si apriva davanti un carico di gravi doveri e scarsa compagnia, una solitudine quasi senza limiti. Esitò... chiese un paio di giorni per consigliarsi e riflettere. Ma il salario che le veniva offerto superava di gran lunga le sue modeste pretese, e in un secondo colloquio affrontò la «musica», s'impegnò -. Douglas a questo punto fece una pausa che, a vantaggio della compagnia, mi permise di dire: Henry James
370
1970 - Racconti Di Fantasmi
- La morale della favola è che lo splendido giovanotto l'affascinò al punto di farla cedere. Douglas si alzò e, come aveva fatto la sera prima, si avvicinò al camino, smosse col piede un tizzone e rimase per un poco immobile, voltandoci le spalle. - Lo vide solo due volte. - Sì, ma proprio in questo sta tutta la bellezza della sua passione. Sorprendendomi un poco, Douglas a questo punto si volse verso di me: Sf, in questo stava la bellezza. Altre, - prosegui, - non avevano ceduto. Egli le aveva esposto francamente tutte le difficoltà da lui incontrate... a molte candidate le condizioni erano sembrate proibitive. Semplicemente, per un motivo o per l'altro, ne erano spaventate. Il tutto suonava poco chiaro, suonava strano; soprattutto a causa della condizione principale. - Che era? - Che non lo avrebbe mai dovuto disturbare... mai, per nessuna ragione: né farlo chiamare, né lamentarsi, né scrivere; doveva risolvere tutti i problemi da sola, ricevere dal suo avvocato il denaro occorrente, assumersi ogni responsabilità e lasciarlo in pace. Gli promise di far così, e mi raccontò che quando, sollevato, felice, le tenne per un attimo le mani fra le sue, ringraziandola del sacrificio, si sentì già ricompensata. - Ma fu l'unica ricompensa? - chiese una signora. - Non lo rivide mai più. - Oh! - esclamò la signora: e questa, poiché il nostro amico ci lasciò immediatamente, fu l'unica parola di qualche importanza pronunciata ulteriormente sull'argomento sino alla sera seguente, quando, accanto al fuoco, seduto nella migliore poltrona, Douglas sollevò la sbiadita copertina rossa di un sottile quaderno di foggia antiquata e dai tagli dorati. Ci volle in realtà più di una sera per leggerlo, ma, alla prima occasione, la stessa signora fece un'altra domanda: - Che titolo gli avete dato? - Nessuno. - Oh, ne ho uno io! - esclamai. Ma Douglas, senza badare a me, aveva cominciato a leggere con voce limpida e netta: quasi la versione sonora della bella grafia dell'autrice.
I. Ricordo tutto l'inizio come un succedersi di voli e cadute, una piccola altalena di turbamenti giusti o sbagliati. Dopo lo slancio che, in città, mi Henry James
371
1970 - Racconti Di Fantasmi
aveva spinta ad accettare l'invito, passai un paio di giorni veramente pessimi da ogni punto di vista, nuovamente piena di dubbi e sicura d'aver commesso un errore. In questo stato d'animo trascorsi le lunghe ore del viaggio in una diligenza traballante e sobbalzante che mi portava alla fermata di posta dove avrei trovato una vettura della casa. Questa comodità, mi fu detto, era stata predisposta, e infatti trovai, sul finire d'un pomeriggio di giugno, una spaziosa carrozza che mi aspettava. Viaggiando a quell'ora, in una splendida giornata, attraverso una campagna in cui la dolcezza dell'estate sembrava offrirmi un amichevole benvenuto, ripresi coraggio e, mentre svoltavamo nel viale, avvertii un senso di sollievo che probabilmente altro non era se non la prova di quanto era stato il mio abbattimento. Forse avevo aspettato, o temuto, qualcosa di tanto melanconico che quello che mi accolse fu invece una piacevole sorpresa. Ricordo la gradevole impressione che risvegliò in me la grande, luminosa facciata, con le finestre aperte e le tende nuove e un paio di domestiche che guardavano giù; ricordo il prato e gli splendenti fiori dai colori accesi e lo stridere delle ruote sulla ghiaia, le cime degli alberi che s'aggrovigliavano e al di sopra i larghi cerchi delle cornacchie in volo e il loro gracchiare nel cielo dorato. Lo scenario era d'una tale grandiosità da umiliare al confronto la mia tanto modesta dimora, ed ecco che subito apparve sulla soglia del portone, tenendo per mano una bambina, una persona piena di dignità, che mi fece una rispettosa riverenza, come se io fossi la padrona o un'ospite di gran riguardo. L'idea che del luogo mi era stata data a Harley Street era assai più modesta, quindi, nel ricordarmene, mi convinsi che il proprietario era davvero un gentiluomo di razza, e immaginai che le soddisfazioni che mi aspettavano sarebbero state assai meglio di quanto mi era stato promesso. Non ebbi alcuna delusione fino al giorno seguente, perché trascorsi ore di vera esaltazione facendo conoscenza con la più piccola dei miei allievi. La bambina che accompagnava la signora Grose mi apparve di colpo una creatura tanto incantevole da farmi ritenere una gran fortuna l'avere a che fare con lei. Era la più bella bambina che avessi mai vista e dovetti subito stupirmi che lo zio «gentiluomo» non me ne avesse detto qualcosa di più. Dormii assai poco, quella notte, ero troppo eccitata, e anche di questa eccitazione, ricordo, ero stupita, aggiungendosi all'impressione che aveva prodotto in me la grande gentilezza con cui ero stata trattata. La vasta camera solenne, una delle migliori della casa, il letto vasto e solenne, le Henry James
372
1970 - Racconti Di Fantasmi
sontuose cortine ricamate, i lunghi specchi in cui, per la prima volta nella mia vita, potevo vedermi dalla testa ai piedi, tutto mi colpiva (oltre il fascino straordinario della mia piccola allieva) come troppe cose belle, tutte in una volta. Mi divenne perfino chiaro, sin dal primo momento, che con la signora Grose avrei potuto stabilire quei rapporti d'amicizia sui quali, mentre viaggiavo nella diligenza, forse avevo sin troppo fantasticato. La sola cosa che, in quel primo contatto, avrebbe potuto risvegliare una certa inquietudine, era il suo evidente sollievo nel vedermi. Mi ero accorta che per quasi mezz'ora la sua felicità nell'incontrarmi - brava donna, semplice, autentica linda, piena di salute - era decisamente controllata perché non trasparisse troppo vistosamente. Mi ero quindi un poco meravigliata del fatto che avesse cercato di nasconderla, e questo, se ci avessi riflettuto con un po' di sospetto, avrebbe dovuto mettermi a disagio. Ma era confortante il pensare che non ci sarebbero state ombre sul rapporto che avrei avuto con una bambina tanto allegra e affascinante qual era la mia piccola allieva, e il pensiero della sua angelica bellezza fu più d'ogni altra cosa la ragione per cui, agitata come mi sentivo, mi alzai più volte e mi misi a passeggiare per la stanza perché mi diventassero familiari i contorni di ogni cosa; a spiare dalla finestra spalancata il lontano albeggiare del giorno estivo, a cercar di scoprire, sin dove arrivava il mio sguardo, le altre sezioni della casa, e a tendere l'orecchio per afferrare mentre nell'ombra che dileguava i primi uccelli cominciavano a cinguettare - certi rumori meno naturali che mi sembrava d'aver udito, non all'esterno ma all'interno della casa. C'era stato un momento in cui avevo creduto di riconoscere, debole e lontano, il pianto d'un bambino; e in un altro momento avevo sussultato credendo di sentire davanti alla mia porta un passo felpato. Ma erano impressioni tanto lievi da potersi facilmente respingere, ed è soltanto alla luce (e dovrei dire piuttosto «alle tenebre») degli avvenimenti successivi che adesso mi tornano alla memoria. Sorvegliare, istruire, «formare» la piccola Flora doveva evidentemente bastare a rendere utile e felice la mia vita. Al pianterreno, la sera prima, ci eravamo già accordate con la signora Grose che, dopo quella prima notte, la bambina avrebbe abitualmente dormito con me; e a questo scopo il suo bianco lettino era già stato sistemato nella mia camera. Io mi ero impegnata ad occuparmi interamente di lei, e se era rimasta ancora un'ultima notte con la signora Grose lo si doveva alla considerazione che io ero un'estranea e lei timida di natura. Nonostante questa timidezza (che Henry James
373
1970 - Racconti Di Fantasmi
la bambina stessa, in modo assai singolare, aveva riconosciuto con franchezza e coraggio, permettendo quindi, senza mostrare alcun intimo disagio ma con la soave, salda serenità d'un putto di Raffaello, che noi ne discutessimo e decidessimo in proposito) ero certa che l'avrei rapidamente conquistata. Una parte della simpatia che già provavo per la stessa signora Grose derivava anche dal piacere che manifestava per la mia ammirazione e il mio incanto nel sedere ad una tavola illuminata da quattro alte candele, con la mia allieva fra di esse, tutta allegra di fronte a me nel suo seggiolone, un tovagliolino al collo, pane e latte davanti. C'erano naturalmente delle cose che alla presenza di Flora potevamo dirci solo con uno sguardo lieto e compiaciuto, o con indirette e coperte allusioni. - E il bambino... le somiglia? E altrettanto straordinario? Non si dovrebbero adulare i bambini. - Oh, signorina! assolutamente straordinario. Se già pensate tanto bene di questa! - e rimase lì, con un piatto in mano, a contemplare la nostra compagna, che volgeva su di noi uno sguardo tanto placido e celestiale che ci dispensava dal trattenerci. - Cioè... se già la penso così... - Sarete facilmente conquistata anche dal signorino! - Bene, mi sembra d'esser venuta solo per questo, per farmi conquistare. Ho paura, nondimeno, - ricordo d'aver aggiunto d'impulso, - di lasciarmi conquistare un po' troppo facilmente. Anche a Londra sono stata conquistata! Mi sembra di vedere ancora il largo volto della signora Grose mentre ascolta le mie parole: - A Harley Street? - A Harley Street. - Be', signorina, non siete la prima... e non sarete nemmeno l'ultima. - Oh, - dissi ridendo, - non pretendo d'essere l'unica. L'altro mio allievo, ad ogni modo, se ho ben capito, arriverà domani? - Non domani, signorina... venerdì. Arriverà con la diligenza, come voi, sotto la sorveglianza del postiglione, e troverà ad aspettarlo la stessa vettura. Ebbi subito l'idea, e lo dissi, che la cosa più opportuna, oltre che amichevole e gentile, sarebbe stata che all'arrivo della diligenza io mi trovassi ad aspettarlo con la sua sorellina; idea che la signora Grose accolse favorevolmente, tanto che io, in certa misura, interpretai il suo comportamento come una sorta di confortante impegno -sempre mantenuto, poi, grazie al cielo! - d'essere solidale con me su ogni cosa. Oh, Henry James
374
1970 - Racconti Di Fantasmi
come sembrava felice della mia presenza! Quello che provai il giorno dopo non era cosa che, a mio giudizio, si potesse onestamente chiamare una reazione all'entusiasmo dell' arrivo; era probabilmente, tutt'al più, un lieve senso di oppressione causato da una più chiara valutazione della misura del mio nuovo impegno, quanto più lo esaminavo e analizzavo in tutti i suoi aspetti. Le mie responsabilità avevano realmente un'estensione e un peso ai quali non ero preparata e al pensiero di doverli affrontare mi sentivo, giovanilmente, un po' sgomenta, ma anche orgogliosa. Le lezioni, in tale stato di agitazione, subirono naturalmente qualche rinvio; mi sembrò che il mio primo compito fosse quello di creare una grande intimità fra me e la bambina, con l'arte più gentile di cui ero capace. Passai la giornata all'aperto insieme a lei; avevamo convenuto, anzi, con suo grande compiacimento, che sarebbe toccato a lei, a lei soltanto, di farmi conoscere il luogo. Me lo fece visitare passo a passo, stanza per stanza, segreto per segreto, col suo chiacchiericcio infantile, bizzarro e delizioso, e con il risultato che, tempo mezz'ora, eravamo diventate grandissime amiche. Durante il nostro breve giro fui sorpresa dalla sicurezza e dal coraggio con cui, bambina com'era, affrontava il percorso; in camere vuote e bui corridoi, su scale a chiocciola che mi obbligavano a fare una sosta, e persino sulla cima d'una vecchia torre quadrata e merlata che mi dava le vertigini, il suo cinguettio mattutino, il suo volermi dire molte più cose di quante ne chiedessi, erano festosi e mi stimolavano. Non ho più veduto Bly dal giorno in cui ne sono partita, e certamente oggi apparirebbe al mio sguardo più vecchio e disincantato, più piccolo e angusto. Ma, mentre la mia piccola guida dai capelli d'oro e dalla vestina azzurra mi danzava davanti da un angolo all'altro e sgambettava lungo i corridoi, Bly mi sembrò un castello romantico abitato da un folletto rosa, un luogo che in qualche modo, per piacere a una mente infantile, avesse assunto forma e colori dai libri di racconti e dalle fiabe. Non era forse un libro di favole quello su cui mi ero appisolata per sognare? No: era una casa grande, brutta e vecchia, ma confortevole, che incorporava alcune parti d'una costruzione anche più antica, mezzo rifatta e mezzo utilizzata, in cui fantasticavo che ci fossimo smarriti come un pugno di passeggeri su un grande vascello alla deriva. E, cosa ben strana, al timone c'ero io!
II. Henry James
375
1970 - Racconti Di Fantasmi
Me ne resi conto quando, due giorni dopo, mi recai in carrozza con Flora ad accogliere il signorino, come lo chiamava la signora Grose; e ancora più per un incidente che, la seconda sera, mi aveva profondamente sconcertata. Il primo giorno, come ho già detto, era stato in complesso rassicurante; ma dovevo vederlo chiudersi nella più viva apprensione. Nella posta di quella sera, che giunse tardi, c'era una lettera per me, di pugno del padrone che tuttavia risultò di poche parole; a sua volta ne conteneva un'altra, indirizzata a lui stesso, col sigillo ancora intatto. «Questa lettera, la riconosco, proviene dal direttore del collegio, un seccatore insopportabile. Leggetela, per favore; trattate con lui; ma non me ne parlate. Nemmeno una parola. Parto!» Ruppi il sigillo, con grande sforzo; tanto grande che mi ci volle un bel po' di tempo per venirne a capo; poi portai la lettera ancora chiusa in camera mia e cominciai a leggerla soltanto poco prima di andare a letto. Avrei fatto meglio ad aspettare sino al mattino, perché mi procurò un'altra notte insonne. Non avendo a chi chieder consiglio il giorno dopo ero piena d'angustie; e lo divenni a un tal punto che alla fine decisi di confidarmi almeno con la signora Grose. - Che cosa significa? Il bambino è stato mandato via dal collegio. Mi lanciò uno sguardo che dapprima m'impressionò; poi assunse di colpo un'aria assente come se volesse riprendersi: - Ma non li rimandano tutti? - A casa, sì, ma soltanto per le vacanze. Miles invece non potrà più tornare in collegio. Non potendo eludere il mio sguardo attento, arrossi: - Non vogliono più tenerlo? - Lo rifiutano nel modo più assoluto. A queste parole alzò gli occhi che aveva distolto da me e li vidi pieni di lagrime pietose: - Che cosa ha fatto? Esitai; poi mi sembrò più semplice tenderle la lettera. Il gesto, nondimeno, servi soltanto a farle porre le mani dietro la schiena, senza toccarla. Scosse tristemente il capo mentre diceva: - Queste cose non fanno per me, signorina. La mia consigliera non sapeva leggere! Trasalii per questo sbaglio e cercando di sfumarlo per quanto mi era possibile, apersi la lettera per leggergliela; poi, esitando, la piegai di nuovo e la rimisi in tasca. - E davvero cattivo? Henry James
376
1970 - Racconti Di Fantasmi
Aveva ancora le lagrime agli occhi: - Dicono così, quei signori? - Non entrano nei particolari. Esprimono soltanto il loro dispiacere per l'impossibilità di tenerlo ancora. E questo può significare soltanto una cosa -. La signora Grose mi ascoltava con muta emozione; ma non mi domandò quale poteva essere la «cosa»; così, poco dopo, per dare alla faccenda un minimo di coerenza e chiarirla a me stessa col solo aiuto della sua silenziosa presenza, aggiunsi: - Cioè che può essere di danno ai suoi compagni. A queste parole, con uno dei bruschi mutamenti di umore propri alle anime semplici, s'infiammò di colpo: - Il padroncino Miles!... Lui esser di danno?! C'era una tale ondata di buona fede nelle sue parole che, per quanto non avessi ancora visto il bambino, fui spinta dai miei stessi timori ad aggrapparmi all'assurdità di quell'idea. E non trovai di meglio, per venire in aiuto alla mia amica, del commentare sarcasticamente lì per lì: - A quei poveri innocentini! - È davvero spaventoso dire cose tanto crudeli! - esclamò la signora Grose. - Pensi che non ha ancora dieci anni! - Sì, sì, sembra davvero incredibile! Mi fu evidentemente grata per questa affermazione. - Dovete prima vederlo, signorina. Poi, cercate di crederlo! - Immediatamente sentii di nuovo il vivo desiderio di conoscerlo; era l'inizio d'una curiosità che nelle ore seguenti si sarebbe acuita fino a darmi pena. La signora Grose, a quanto potevo giudicare, si rendeva conto dell'effetto che aveva prodotto su di me, e insistè con sicurezza: - Potreste pensare la stessa cosa della bambina. Dio la benedica, - aggiunse poi, - ma guardatela! Mi volsi e vidi Flora - che dieci minuti prima avevo lasciato nella stanza-scuola con un foglio di carta bianca, una matita, e una fila di begli «o» rotondi davanti - ferma sulla soglia della porta spalancata. Coi suoi modi graziosi, ella mostrava uno straordinario distacco dai compiti che non le erano graditi; nondimeno i suoi occhi, accesi dalla gran luce dell'infanzia, sembravano spiegare la sua condotta semplicemente come il risultato dell'affetto che aveva concepito per me, e che l'aveva costretta a seguirmi. Non mi occorreva altro perché sentissi tutta la forza del paragone della signora Grose: strinsi la mia allieva tra le braccia e la copersi di baci, ai quali si mescolava un singhiozzo commosso. Henry James
377
1970 - Racconti Di Fantasmi
Per tutto il resto di quel giorno, andai nondimeno in cerca di altre occasioni per avvicinare la mia collega, specialmente quando, verso sera, cominciai a sospettare che volesse evitarmi. La raggiunsi, ricordo, sulla scala, scendemmo insieme i gradini e giunte in fondo la trattenni, prendendola per un braccio: - Da quello che mi avete detto questa mattina, devo concludere che voi non l'avete mai visto comportarsi male. Gettò indietro la testa; era chiaro che nel frattempo e con molta lealtà, aveva deciso l'atteggiamento da prendere. - Oh, mai visto!... Non voglio dir questo! Ero turbata, di nuovo: - Allora lo avete visto... - Ma sì, signorina, grazie al cielo! Dovetti riflettere su quella risposta prima di accettarla: - Volete dire che un ragazzo che non è mai... - Non è un ragazzo, per me. La strinsi più forte: - Vi piace che siano cattivi? - Poi, anticipando la sua risposta: - Piace anche a me! - aggiunsi in fretta, -ma non sino al punto di contaminare... - Contaminare? - La mia parola grossa la fece esitare. Gliela spiegai: Corrompere. Mi guardava fisso mentre finalmente capiva il significato di quel che le avevo detto, ma il risultato fu una strana risata: - Avete forse paura che vi corrompa? - Pose la domanda con un'ironia tanto sincera e sottile che, con una risata simile alla sua, e senza dubbio un po' sciocca, cedetti sul momento alla paura del ridicolo. Ma il giorno dopo, mentre si avvicinava l'ora di salire in carrozza, tornai improvvisamente alla carica in un'altra parte della casa: - Che tipo era la signorina che stava qui prima? - L'ultima istitutrice? Era anche lei giovane e carina... giovane e graziosa quasi quanto voi, signorina. - Ah, allora spero che la giovinezza e la bellezza le siano state d'aiuto! ricordo d'aver detto con impeto. - Sembra che ci preferisca giovani e belle! - Oh, è proprio così! - confermò la signora Grose. - Era quello che cercava in tutte! - Aveva appena pronunciato queste parole che volle correggersi: - Dico che questo è il suo gusto, il gusto del padrone. Rimasi di stucco: - Ma di chi parlavate prima? Si sforzò di apparire disinvolta, ma arrossi: - Di chi, dunque?! Di lui. - Del padrone? Henry James
378
1970 - Racconti Di Fantasmi
- E di chi altro? Era tanto evidente che non ci poteva essere nessun altro, che un momento dopo avevo già dimenticato l'impressione che, senza volerlo, avesse detto più delle sue intenzioni; pertanto le chiesi solo quel che desideravo sapere: - E lei aveva mai notato nulla nel bambino? - Che non andava bene? Non me l'ha mai detto. Ebbi uno scrupolo, ma lo superai: - Era premurosa... in modo particolare? Mi parve che la signora Grose si sforzasse di apparire coscienziosa. - Per certe cose, sì. - Ma non in tutto? Sembrò voler riflettere di nuovo: - Be', signorina... Se n'è andata. Non voglio far pettegolezzi. - Vi capisco perfettamente, - mi affrettai a rispondere; ma, un istante dopo, non ritenni contrastante con questo assenso di proseguire: - È morta qui? - No... se n'è andata. Non so che cosa provassi a quella concisione della signora Grose, ma mi suonava strana: - Se n'è andata per morire altrove? - La signora Grose guardava dritto davanti a sé, fuori della finestra, ma io sentivo che, almeno in teoria, avevo il diritto di sapere che cosa ci si aspettava dalle giovani assunte a Bly. - Volete dire che si ammalò e tornò a casa? - A quanto sembra, non si era ammalata qui. Lasciò Bly a fine d'anno per passare a casa sua, come diceva, una breve vacanza, a cui certamente le dava diritto il tempo che aveva trascorso qui. Avevamo allora una giovane, una bambinaia ch'era rimasta, una ragazza sveglia e abile; e fu lei ad occuparsi dei bambini durante la vacanza. Ma la nostra signorina non tornò più, e proprio quando mi aspettavo che tornasse, seppi dal padrone ch'era morta. Ci pensai un po' su: - Ma di che cosa? - domandai. - Non me l'ha mai detto! Scusatemi, signorina, - disse la signora Grose, ma adesso devo tornare alle mie faccende.
III. Il suo volgermi le spalle a quel modo non fu per fortuna, date le mie preoccupazioni, un affronto che potesse compromettere lo sviluppo della Henry James
379
1970 - Racconti Di Fantasmi
nostra reciproca stima. Dopo che ebbi accompagnato a casa il piccolo Miles, ci sentimmo anzi più unite che mai dal mio stupore, dalla mia profonda commozione: ero infatti pronta a gridare che trovavo mostruoso che un bambino come quello che avevo appena conosciuto, fosse messo al bando. Arrivai con un lieve ritardo, e, nel vederlo sulla porta della locanda dove lo aveva lasciato la diligenza, gli occhi che mi cercavano ansiosamente, mi sembrò all'istante che fosse circondato e permeato della stessa luminosa freschezza, della stessa fragrante purezza che fin dal primo momento avevo notato nella sua sorellina. Era incredibilmente bello, e la signora Grose non aveva esagerato: davanti a lui ogni cosa veniva cancellata da uno slancio di appassionata tenerezza. Ciò che fin dal primo momento mi rapì il cuore fu qualcosa di celeste, qualcosa che non avevo mai trovato, allo stesso grado, in altri bambini: la sua tranquilla, indescrivibile aria di non conoscere altro al mondo che l'amore. Era impossibile avere una brutta fama e, insieme, quell'aria d'infinita, innocente dolcezza; così, mentre tornavo a Bly con lui, ero semplicemente sbalordita (è la parola giusta, non mi sentivo offesa) per il contenuto dell'orribile lettera che tenevo in camera mia, chiusa in un cassetto. Appena mi fu possibile scambiare qualche parola in privato con la signora Grose, le dichiarai che la cosa era persino grottesca. Mi capì immediatamente: - Fate allusione a quell'accusa crudele? - Non regge assolutamente. Cara signora, guardatelo un po'! Sorrise alla mia presunzione d'aver scoperto il suo fascino. - Vi assicuro, signorina, che non faccio altro! Allora, che direte? - aggiunse subito dopo. - In risposta alla lettera? - Avevo già deciso. - Niente. - E a suo zio? Fui categorica: - Niente. - E al bambino? Fui stupefacente: - Niente. Si asciugò vigorosamente la bocca con il grembiule: - Allora sarò al vostro fianco. Andremo sino in fondo. - Andremo sino in fondo! - Le feci eco con ardore, tenendole la mano come per stringere un patto. La trattenne un momento, poi con la mano libera sollevò di nuovo il grembiule. - Vi dispiace, signorina, se mi prendo la libertà di... - Darmi un bacio? No! - Strinsi fra le braccia quella buona creatura, e Henry James
380
1970 - Racconti Di Fantasmi
dopo che ci fummo abbracciate come sorelle, mi sentii ancora più energica e piena di indignazione. Questo fu tutto, per il momento: ma un momento così pieno che, ripensandoci ora, mi rendo conto di dover fare un certo sforzo per ricomporne gli esatti limiti. Quello a cui ripenso con stupore è lo stato di cose che avevo accettato. Mi ero impegnata, con la mia compagna, di andare sino in fondo, ma, a quanto ricordo, ero preda di un incantesimo capace di nascondere l'ampiezza e le implicazioni di un simile impegno. Mi sentivo sollevata da un'enorme ondata di entusiasmo e di pietà. Trovavo semplice, nella mia ignoranza, nella mia confusione e, forse, nella mia presunzione, il ritenere di poter trattare con un ragazzo che, nella sua educazione alle cose del mondo, era soltanto agli inizi. Non riesco nemmeno a ricordare, oggi, quali progetti avessi per lui una volta che, terminate le vacanze, avrebbe dovuto riprendere gli studi. Certo, in teoria, tutti concordavamo ch'egli dovesse prender lezioni da me durante quell'incantevole estate, ma ora mi rendo conto che, per intere settimane, fui io piuttosto a ricevere lezioni. Imparai qualcosa - certamente all'inizio -che non avevo appreso nella mia vita modesta e limitata: imparai a divertirmi, e perfino a saper divertire, e a non pensare all'indomani. Era la prima volta, in un certo senso, che mi accorgevo dello spazio e dell'aria e della libertà, di tutta la musica dell'estate e dei misteri della natura. E poi c'era la considerazione di cui godevo... una così dolce considerazione! Oh, era una trappola... non premeditata, ma profonda, per la mia immaginazione, per la mia sensibilità forse per la mia vanità; per qualsiasi cosa che, in me, fosse vulnerabile. Insomma, per dire come stavano le cose: non stavo più in guardia! Loro mi davano così poco pensiero, erano di una gentilezza d'animo veramente straordinaria. Ero solita chiedermi, ma anche questo in modo incoerente, come li avrebbe trattati l'aspro futuro (ogni futuro è aspro), e se li avrebbe feriti. Erano nel fiore della salute e della gioia; eppure - come se m'avessero affidato una coppia di piccole «altezze», di principi del sangue, per i quali ogni cosa, per esser giusta, dev'essere vigilata e protetta - la sola forma che, per gli anni a venire, vedessi possibile per loro nelle mie fantasticherie era un prolungamento romantico, davvero regale, del giardino e del parco. Può darsi naturalmente, e soprattutto, che ciò che intervenne in seguito e all'improvviso conferisca a quel primo periodo il fascino della calma... quella penombra quieta in cui qualcosa si acquatta o prende vigore. Difatti Henry James
381
1970 - Racconti Di Fantasmi
il mutamento fu simile al balzo d'una belva. Nelle prime settimane i giorni erano lunghi; spesso, al colmo della loro bellezza, mi regalavano ciò che io chiamavo la «mia» ora, l'ora in cui - essendo venuto e trascorso per i miei allievi il tempo di prendere il tè e di andare a letto - mi restava, prima di ritirarmi definitivamente, un breve intervallo di solitudine. Per quanto mi piacessero i miei compagni, questa era l'ora del giorno che amavo di più; e l'amavo soprattutto quando, mentre la luce del giorno svaniva - o, per meglio dire, il giorno indugiava, e gli ultimi richiami degli ultimi uccelli risuonavano nel cielo dorato dai vecchi alberi - potevo passeggiare nel parco e godere, quasi con un sentimento di possesso che mi divertiva e insieme mi lusingava, della bellezza e del decoro del luogo. Era un piacere per me in quei momenti sentirmi tranquilla e in pace con la mia coscienza; e anche forse pensare che con la mia discrezione, con il mio calmo buon senso e in generale con le mie alte qualità davo senza dubbio piacere - se mai vi avesse pensato! - alla persona che mi aveva convinta con la sua insistenza. Ciò che stavo facendo era quanto egli aveva ardentemente sperato e mi aveva chiesto personalmente, e che io fossi in grado, dopo tutto, di farlo, mi dava una gioia anche più grande di quella che avrei potuto aspettarmi. Oso dire che mi consideravo, in poche parole, una giovane eccezionale, e mi confortava la certezza che ciò sarebbe stato sempre più chiaro a tutti. Bene, avevo proprio bisogno di essere eccezionale per poter affrontare le cose eccezionali che, di lì a poco, avrebbero cominciato a verificarsi. Accadde all'improvviso, un pomeriggio, nel bel mezzo della «mia» ora: i bambini erano fra le coltri a letto, ed io ero uscita per la mia passeggiata. Uno dei pensieri (che ora non ho la minima esitazione ad annotare) che erano soliti accompagnarmi in quel mio vagabondare era che sarebbe stato incantevole, degno d'un romanzo affascinante, incontrare improvvisamente qualcuno. Qualcuno che mi apparisse laggiù, alla svolta del sentiero e che fermo davanti a me -mi sorridesse con l'aria di approvarmi. Non chiedevo niente di più... chiedevo soltanto che sapesse; e il solo modo per esser certa che sapeva, sarebbe stato di leggerlo nel suo bel viso, rischiarato dalla luce di quella consapevolezza. Tutto ciò - intendo dire soprattutto quel volto era esattamente presente al mio spirito, quando, alla prima di quelle straordinarie occasioni, sul finire d'una lunga giornata di giugno, mi fermai di colpo uscendo da uno dei boschetti, in vista della casa. Ciò che mi aveva fatta fermare di colpo (preda di un turbamento assai più profondo di Henry James
382
1970 - Racconti Di Fantasmi
quanto sarebbe stato provocato da una apparizione) era l'impressione che la mia fantasia, in un lampo, fosse diventata realtà. Egli era là!... ma su in alto, oltre il prato, proprio sulla cima della torre dove, la prima mattina, mi aveva condotto la piccola Flora. Quella torre era una delle due costruzioni quadrate, assurde, merlate, che non so per quale ragione, e sebbene io vi vedessi solo minime differenze, erano distinte in Torre vecchia e Torre nuova. Si ergevano ai lati opposti della casa, ed erano probabilmente due scherzi architettonici, riscattati in certa misura dal fatto di non essere del tutto isolate, né di un'altezza troppo pretenziosa, mentre la loro antichità vistosa e falsa risaliva a un risveglio di architettura romantico che costituiva già un rispettabile passato. Io le ammiravo, ci fantasticavo sopra, dal momento che tutti potevamo ricavare qualche profitto, specialmente quando torreggiavano nella foschia, dall'imponenza dei loro bastioni; e tuttavia non sembrava quello il luogo più degno per l'immagine che avevo così spesso invocato. Nel limpido crepuscolo quell'immagine produsse in me, ricordo, due emozioni ben distinte, le quali non furono in definitiva che due sussulti separati di sorpresa. La seconda sorpresa fu la violenta percezione dell'errore della prima: l'uomo che vedevo non era infatti la persona che avevo precipitosamente supposto. Ne provai un tale turbamento che, dopo tanti anni, non posso sperare di darne una descrizione vivida. Si ammetterà che un uomo sconosciuto, in un posto solitario, sia causa di paura per una ragazza cresciuta in famiglia; e la figura che mi stava di fronte, bastarono pochi secondi perché ne fossi certa, non assomigliava minimamente né a qualcuno che conoscessi né all'immagine che mi era familiare. Non l'avevo veduto a Harley Street, non l'avevo veduto in nessun luogo. Per giunta il posto, in maniera davvero singolare, era diventato all'istante per il solo fatto di quell'apparizione, perfettamente desolato. Si rinnova interamente almeno in me, mentre stendo qui la mia testimonianza con una lucidità che non avevo mai avuto prima, la sensazione di quel momento. Era come se, nell'istante in cui mi rendevo conto di quel che vedevo, tutta la scena fosse stata toccata dalla morte. Mi sembra di udire ancora, mentre scrivo, il silenzio totale in cui si spensero tutti i rumori della notte. Le cornacchie smisero di gracchiare nel cielo dorato, e l'ora amica smarrì per il momento tutta la sua voce. Ma nient'altro era mutato nella natura, a meno che non fosse per un mutamento che io vedevo con eccezionale chiarezza. L'oro stava ancora sospeso nel cielo, l'aria era limpida, l'uomo che mi osservava Henry James
383
1970 - Racconti Di Fantasmi
da sopra i merli sembrava un ritratto nella sua cornice. Fu per questo che pensai, con una straordinaria rapidità, a tutte le persone che avrebbe potuto essere e non era. Ci eravamo guardati da lontano abbastanza a lungo perché avessi modo di chiedermi con ansia chi mai fosse, e di provare, come conseguenza della mia incapacità di trovare la risposta, uno stupore che si faceva sempre più intenso. Il grande problema (o almeno uno dei più grandi) che sorge in simili casi, è certamente quello di stabilire in seguito la loro durata. Ebbene, questa mia avventura durò (e voi pensate ciò che vi pare) il tempo necessario perché io formulassi una dozzina di ipotesi, nessuna delle quali mi parve soddisfacente, su come ci fosse in casa - e da quanto tempo, oltretutto? - una persona che ignoravo. Durò inoltre il tempo sufficiente perché io mi offendessi un poco nel pensare che la mia posizione doveva rendere inammissibile che io ignorassi e che ci fosse quella persona. Durò, infine, quel tanto che ci voleva perché il visitatore (e c'era una punta d'insolenza, adesso che ci penso, nella strana familiarità che dimostrava nel restare senza cappello) mi potesse fissare dal suo posto, rivolgendomi nella luce che calava la stessa domanda, lo stesso interrogativo che suscitava in me la sua presenza. Eravamo troppo distanti per poterci rivolgere la parola, ma ci fu un momento in cui, se fossimo stati più vicini, una parola di sfida tra di noi, rompendo il silenzio, sarebbe stato il giusto risultato di quel nostro reciproco e sfrontato fissarci. Egli stava in un angolo, il più lontano della casa, dritto come un fuso, pensai, e con le due mani sul parapetto. Sicché lo vidi, come vedo le lettere che vado tracciando su questa pagina; poi, un minuto dopo, come per rendere più interessante lo spettacolo, lentamente cambiò di posto - passò, guardandomi fisso per tutto il tempo, all'angolo opposto della piattaforma. Sì, ebbi la netta sensazione che durante quello spostamento non mi togliesse mai gli occhi di dosso, e in questo momento vedo ancora la sua mano passare da un merlo all'altro, mentre lui si muove. Giunto all'angolo opposto si fermò, ma meno a lungo, e anche nel ritirarsi continuò a fissarmi intensamente. Si volse - e per me fu tutto.
IV. Non si può certo dire che in quell'occasione non mi aspettassi di saperne di più, tanto a fondo ero stata impietrita, e altrettanto scossa. C'era un Henry James
384
1970 - Racconti Di Fantasmi
«segreto», a Bly... un mistero di Udolfo oppure un pazzo, un parente innominabile, tenuto laggiù in un isolamento insospettato? Non saprei dire per quanto tempo vi rimuginai sopra, o per quanto tempo, sospesa tra curiosità e paura, rimasi sul luogo dove avevo avuto quel traumatico incontro; ricordo soltanto che quando rientrai in casa, la notte era scesa. Nel frattempo l'agitazione si era certamente impadronita di me, al punto che, aggirandomi sempre nel medesimo posto, dovevo aver percorso circa tre miglia; ma mi sarebbe toccato in seguito un tale cumulo di angosce che quel primo segno di allarme era un brivido ancora relativamente umano. L'aspetto più singolare della vicenda (singolare quanto tutto il resto) mi apparve chiaro allorché incontrai nell'atrio la signora Grose. La scena mi ricompare davanti nelle sue linee generali... riprovo l'impressione che mi fecero, rientrando, l'ampio spazio a pannelli bianchi, vivamente illuminato dalle lampade, con i suoi ritratti e il tappeto rosso, e il dolce sguardo meravigliato della mia amica, che immediatamente mi disse di aver sentito la mia mancanza. Compresi subito in questo contatto con lei, che - con quella sua tranquilla cordialità, con quella semplice ansia dissipata dalla mia comparsa -la signora Grose non sapeva nulla che avesse a che fare con l'incidente ch'ero pronta a raccontarle. Non avevo immaginato che il suo viso amico mi avrebbe tanto rianimata, e in certo qual modo misurai la gravità di quanto avevo veduto dall'esitazione che provai a parlarne. Quasi nient'altro in tutta questa storia mi appare tanto strano quanto il fatto che alla paura che cominciava a invadermi si mescolasse, per così dire, l'istinto di risparmiare la mia compagna. Di conseguenza, per ragioni che sinora non avrei saputo spiegare, si compi in me, in quell'atrio accogliente e sotto il suo sguardo, un rapido rivolgimento interiore; giustificai con una vaga scusa il mio ritardo e prendendo a pretesto la bellezza della notte, la rugiada abbondante e i piedi bagnati, mi ritirai il più presto possibile in camera mia. Lì, fu un'altra cosa; lì, per molti giorni di seguito fu davvero una strana faccenda. Di giorno in giorno vi furono ore, o almeno momenti, strappati anche ai doveri più elementari, in cui dovetti chiudermi in camera a pensare. Non tanto perché il mio nervosismo superasse ormai la mia capacità di resistenza, quanto perché avevo una gran paura di arrivare a quel punto; poiché la verità, chiara e semplice, che dovevo affrontare adesso, era che non potevo spiegarmi in nessun modo la presenza di quel visitatore con cui ero giunta in rapporto in modo tanto inesplicabile e Henry James
385
1970 - Racconti Di Fantasmi
tuttavia, almeno mi sembrava, tanto intimo. Mi ci volle però poco tempo per rendermi conto che avrei potuto, anche senza un'inchiesta formale e senza domande sospette, scandagliare ogni complicazione domestica. La scossa che avevo subito doveva aver acuito tutte le mie facoltà; dopo tre soli giorni, come risultato di una semplice e più accorta vigilanza, ero infatti sicura che i domestici non si erano approfittati né presi gioco di me. Qualunque cosa fosse ciò che io sapevo, intorno a me nessuno ne sapeva nulla. C'era dunque una sola conclusione sensata: qualcuno si era preso una libertà molto greve. Era questo che mi ripetevo quando correvo a chiudermi in camera mia. Tutti noi, collettivamente, eravamo stati vittime di un'intrusione; qualche viaggiatore privo di scrupoli, curioso di vecchie dimore, era penetrato in casa senza essere visto, s'era goduto il panorama dal posto più indicato, e poi era uscito furtivamente così come era entrato. Se mi aveva squadrato con tanta sfrontatezza, ciò faceva parte semplicemente della sua maleducazione. Dopotutto, il lato buono della cosa era che certamente non l'avremmo più rivisto. Non era poi tanto buono, lo ammetto, da impedirmi di considerare che ciò che rendeva davvero tutto il resto molto poco significativo era il mio delizioso compito. Il mio compito delizioso era nient'altro che la mia vita con Miles e Flora, e nulla me l'avrebbe potuto rendere più piacevole quanto il sentimento di potermici dedicare anima e corpo nonostante il mio turbamento. L'attrattiva dei piccoli a me affidati era una gioia continua, che mi portava a meravigliarmi continuamente dei miei vani timori originari, del disgusto che avevo provato all'inizio per il probabile, prosaico grigiore del mio incarico. Non ci sarebbe stato, a quanto sembrava, né prosaico grigiore né sfibrante fatica; sicché come poteva non essere delizioso un lavoro che si presentava come quotidiana bellezza? C'era tutto il sapore delle fiabe infantili e delle prime poesie imparate a scuola. Non voglio dire con questo, naturalmente, che studiassimo soltanto favole e poesie; voglio dire che non so esprimere altrimenti il tipo d'interesse che i miei piccoli compagni mi ispiravano. Come potrei descriverlo se non dicendo che, invece di far l'abitudine a loro (e si tratta di una cosa meravigliosa per un'istitutrice: chiamo a testimoni tutte le mie colleghe!) facevo sempre nuove scoperte? C'era, certamente, una direzione in cui tali scoperte s'arrestavano: la più fitta oscurità continuava a coprire il settore della condotta del bambino in collegio. Tuttavia, l'ho già detto, mi era stato subito concesso di affrontare quel mistero senza angoscia. Forse Henry James
386
1970 - Racconti Di Fantasmi
sarebbe anche più vicino alla verità dire che - senza una parola - il bambino stesso aveva dissipato ogni ombra, rendendo assurda l'intera accusa. Le mie conclusioni sbocciarono come la sua rosea innocenza: egli era semplicemente troppo delicato e schietto per il piccolo mondo, orrido e sudicio, del collegio, e per questo aveva pagato. Riflettei penosamente che la rivelazione di tale diversità, di tali superiori qualità, finisce inevitabilmente per suscitare la vendetta della maggioranza (in cui si possono benissimo includere direttori scolastici stupidi e sordidi). Entrambi i bambini erano di una gentilezza di modi (era il loro unico difetto, che del resto non aveva mai reso Miles un goffo) che li rendeva, come dire? quasi impersonali, e certamente impossibili da punire. Erano come i cherubini dell'aneddoto che, almeno moralmente, non avevano niente che si potesse frustare! Ricordo che specialmente nei riguardi di Miles provavo l'impressione che non avesse alcun passato. Non che ci si aspetti molto da un fanciullo, ma c'era qualcosa, in quel bel bambino, di straordinariamente sensitivo, eppure straordinariamente felice, che, più che in ogni altra creatura della sua età che avessi conosciuto mi colpiva come qualcosa che si rinnovasse ogni mattino. Egli non aveva mai sofferto, nemmeno per un istante. Presi questo come la prova diretta che non gli era mai stato inflitto un vero castigo. Se si fosse comportato male, ne avrebbe subito la logica conseguenza, e anch'io, di riflesso, me ne sarei accorta... ne avrei trovato le tracce. Non avevo trovato nulla, invece; dunque era un angelo. Non parlava mai del collegio, non accennò mai a un compagno o a un maestro, e per parte mia ero troppo disgustata per alludervi. Naturalmente ero vittima di un incantesimo, e la cosa meravigliosa era che, fin da allora, me ne rendevo conto perfettamente. Tuttavia mi ci abbandonavo; era un antidoto per ogni cruccio, e di crucci ne avevo parecchi. In quei giorni, infatti, mi giungevano lettere preoccupanti da casa, dove non tutto andava bene. Ma accanto ai miei bambini, quale altra cosa al mondo contava? Era questa la domanda che mi rivolgevo durante i ritagli di tempo in cui mi appartavo dalla loro amabile grazia. Un domenica - per proseguire il racconto - piovve tanto a lungo e talmente forte che non potemmo affluire in chiesa; di conseguenza, durante la giornata mi accordai con la signora Grose che, se verso sera il tempo fosse migliorato, saremmo andate insieme alla funzione vespertina. Fortunatamente la pioggia cessò e io mi preparai per la passeggiata fino al villaggio che, attraverso il parco e lungo la strada maestra, richiedeva una Henry James
387
1970 - Racconti Di Fantasmi
ventina di minuti. Scendendo le scale per incontrarmi con la mia collega nell'atrio, mi ricordai d'un paio di guanti che avevano richiesto qualche punto e l'avevano avuto (con una pubblicità forse non edificante) mentre i bambini prendevano il tè, alla domenica eccezionalmente servito in quel gelido e pulito tempio di mogano e di ottone ch'era la sala da pranzo dei «grandi». I guanti li avevo lasciati là e andai a riprenderli. La giornata era piuttosto grigia, ma la luce del pomeriggio ancora indugiava e mi permise, nel varcare la soglia, non soltanto di riconoscere, su una sedia vicino alla grande finestra chiusa, ciò che cercavo ma anche di accorgermi di una persona che, dalla parte esterna della finestra, guardava nella stanza. M'era bastato fare un passo: la visione fu istantanea e perfettamente chiara. La persona che guardava nella stanza era la stessa che mi era già apparsa. Mi riapparve non direi con maggior nitidezza, cosa che sarebbe stata impossibile, ma con una vicinanza che costituiva un passo avanti nei nostri rapporti e che, al vederlo, mi gelò il sangue. Era lo stesso - era lo stesso, e lo vedevo come la prima volta, dalla cintola in su, poiché la finestra, sebbene la stanza da pranzo fosse al pianterreno, era più alta della terrazza sulla quale egli si trovava. Il suo volto era premuto contro il vetro, eppure l'effetto di questa visione ravvicinata, strano a dirsi, fu soltanto quella di farmi capire quanto intensa fosse stata la prima. Si trattenne solo per pochi secondi, ma abbastanza per convincermi che anche lui mi aveva vista e riconosciuta; e fu come se lo avessi guardato per anni e lo conoscessi da sempre. Accadde però qualcosa che non era avvenuta la volta precedente: il suo sguardo che si fissava sul mio viso attraverso i vetri dall'altro lato della stanza, era duro e scrutatore come la prima volta, ma mi abbandonò per un attimo, durante il quale lo seguii e lo vidi posarsi successivamente su diverse altre cose. Immediatamente un'altra certezza mi sconvolse: non era venuto per me, era venuto per qualcun altro. Questa fulminea consapevolezza (perché proprio di consapevolezza si trattava, per quanto mescolata alla paura) produsse in me un effetto straordinario, suscitò, mentre me ne stavo lì, una vibrazione improvvisa di dovere e di coraggio. Dico coraggio perché, senza dubbio, ero già fuori di me. Lasciai di corsa la sala da pranzo, raggiunsi l'ingresso della casa, in un attimo fui nel viale, e voltato il più rapidamente possibile l'angolo della terrazza, gettai lo sguardo lungo la facciata. Ma non c'era nulla da vedere... il mio visitatore era svanito. Mi fermai, e quasi svenni per il sollievo; ma tenevo il luogo sotto controllo... gli diedi il tempo di ricomparire. Lo Henry James
388
1970 - Racconti Di Fantasmi
chiamo tempo, ma quanto durò? Oggi non sono in grado di precisare la durata di quegli avvenimenti. Dovevo aver smarrito la nozione del tempo: i fatti non potevano essere durati quanto in effetti mi sembrava. Il luogo intero, la terrazza, il prato, il giardino al di là, tutto quello che potevo vedere del parco erano assolutamente deserti. C'erano cespugli e grossi alberi, ma ricordo di aver avuto la chiara certezza che non nascondessero nessuno. Mi tenni a quella convinzione; poi, istintivamente, invece di tornare sui miei passi, andai alla finestra. Avvertivo confusamente che dovevo mettermi nello stesso luogo nel quale si trovava. E così feci: premetti il viso contro il vetro e guardai nella stanza come lui aveva fatto. Proprio, quasi per permettermi in quel momento di giudicare l'ampiezza del suo campo visivo, la signora Grose entrò nell'atrio, come io avevo fatto poco prima. Ebbi così la perfetta ripetizione di ciò ch'era già accaduto. Mi vide come io avevo visto il mio visitatore; si arrestò di colpo come avevo fatto io; le feci provare, in parte, la stessa scossa che io avevo ricevuto. Impallidì, facendomi chiedere a me stessa se anch'io fossi impallidita tanto. In breve, mi fissò, e si ritrasse esattamente come avevo fatto io. Compresi che usciva dalla casa per raggiungermi, e che presto l'avrei incontrata. Rimasi dove mi trovavo, e mentre l'aspettavo più di un pensiero mi attraversò la mente. Ma ne voglio ricordare qui uno solo: mi chiesi perché anche lei si fosse spaventata.
V. Oh, me lo fece sapere appena mi fu davanti girando l'angolo della casa, con l'aria d'un fantasma: - Che cosa vi è accaduto, santo cielo? - Adesso era rossa e ansante. Non le risposi finché non mi fu vicina. - A me?! - e dovevo avere un aspetto ben strano. - Si vede? - Siete bianca come un lenzuolo. E avete un'aria spaventosa. Per un istante dovetti riflettere: potevo affermare senza scrupoli 1’innocenza più assoluta. L'esigenza di rispettare il candore della signora Grose mi era caduta dalle spalle, senza un fruscio, e se esitai per un istante non fu per ciò che sapevo. Le tesi una mano ed ella la prese; la strinsi con forza per un po' contenta di sentirmela vicino. Il suo timido sussulto di sorpresa mi fu un poco d'aiuto: - Siete venuta a prendermi per andare in chiesa, naturalmente, ma io non posso venirci. Henry James
389
1970 - Racconti Di Fantasmi
- E accaduto qualcosa? - Sì, e voi ora lo dovete sapere. Avevo un'aria molto strana? - Alla finestra? Terribile! - Ebbene, - dissi, - ero spaventata -. Gli occhi della signora Grose dicevano molto chiaramente che lei non desiderava essere spaventata a sua volta, ma dissero anche che conosceva troppo bene gli obblighi della sua posizione per non essere pronta a condividere con me qualunque serio inconveniente. Oh, era scritto che ne dovesse condividere molti! - Proprio quello che avete visto un momento fa dalla finestra della sala da pranzo ne era l'effetto. Quel che ho visto io, un attimo prima, era anche peggio. La sua mano si strinse. - Che cos'era? - Un uomo stranissimo. Guardava dentro. - Quale uomo stranissimo? - Non ne ho la minima idea. Invano la signora Grose si guardò intorno: - Ma dov'è andato? - Ne so ancora meno. - Lo avevate già visto? - Sì, una volta. Sulla torre vecchia. Non potè far altro che guardarmi più fisso: - Volete dire che è uno sconosciuto? - Oh, assolutamente! - E non me ne avete detto nulla? - No... per certe ragioni. Ma adesso che avete indovinato... Gli occhi rotondi della signora Grose affrontarono l'accusa: - Io non ho indovinato! - disse molto tranquillamente. - Come lo potrei, se voi stessa non sapete cosa pensarne? - Non lo so nella maniera più assoluta. - Lo avete visto soltanto sulla torre? - E in questo punto un attimo fa. La signora Grose si guardò di nuovo attorno: - Che cosa faceva sulla torre? - Se ne stava lassù e mi fissava. Rifletté un momento: - Era un signore? Mi resi conto che non avevo bisogno di pensarci su: - No -. Mi guardava con crescente stupore: - No. - Allora non è nessuno del posto? Nessuno del villaggio? - Nessuno... nessuno. Non ve l'ho detto, ma me ne sono accertata. Emise un leggero sospiro di sollievo: stranamente, sembrava andar Henry James
390
1970 - Racconti Di Fantasmi
meglio. Ma fu solo questione di un attimo: - Allora, se non è un signore... - Che cos'è? E un orrore. - Un orrore? - È... Dio mi aiuti se lo so! Ancora una volta la signora Grose si guardò attorno; fissò lo sguardo nell'oscurità che stava avanzando, poi, riprendendosi, si rivolse a me con una brusca incoerenza: - A quest'ora dovremmo essere in chiesa. - Oh, non me la sento di andare in chiesa! - Non potrebbe farvi bene? - Non ne farebbe a loro! - esclamai accennando alla casa. - Ai bambini? - Non posso lasciarli proprio adesso. -Avete paura?... Parlai con estrema chiarezza: - Ho paura di lui. Sul largo volto della signora Grose apparve a questo punto, e per la prima volta, un remoto, debole lampo di consapevolezza; e in qualche modo vi colsi il tardivo spuntare di un idea che io non le avevo suggerito e mi era ancora completamente oscura. Ricordo di aver pensato subito che avrei potuto strapparle in proposito qualche confidenza; e sentivo che la cosa era legata al desiderio, da lei immediatamente dimostrato, di saperne di più: - Quando è successo... sulla torre? - Verso la metà del mese. A questa stessa ora. - Quasi al buio, - disse la signora Grose. - Oh no, non proprio. Lo vidi come vedo voi. - Ma come era potuto entrare? - E come era potuto uscire? - Risi. - Non ho avuto modo di chiederglielo! Stasera, lo vedete, - continuai, - non ce l'ha fatta a entrare! - Si limita a spiare? - Spero che si limiterà a questo! - Ora aveva lasciato la mia mano; e aveva distolto un poco lo sguardo. Attesi un momento, poi proruppi: Andate in chiesa. Arrivederci. Io devo vigilare. Lentamente si rivolse ancora a me: - Avete paura per loro? Ci scambiammo un lungo sguardo: - E voi no? - Invece di rispondermi si fece più vicina alla finestra, e per un po' premette il viso contro il vetro. Era così che lui guardava, - continuai. Non si mosse. - Quanto tempo è rimasto qui? - Finché non son corsa fuori. Ero uscita per sorprenderlo. La signora Grose finalmente si voltò e il suo viso era divenuto ancora Henry James
391
1970 - Racconti Di Fantasmi
più espressivo: - Io non sarei potuta uscire. - E nemmeno io! - Risi. - Eppure sono uscita. Ho dei doveri. - Anch'io ho i miei, - replicò, e subito dopo aggiunse: - A chi somiglia? - Non so che cosa darei per potervelo dire. Ma non somiglia a nessuno. - A nessuno? - mi fece eco. - Non porta cappello -. Poi, leggendo sul suo viso che già questo particolare era sufficiente a farle ricordare, con crescente sgomento, un certo ritratto, aggiunsi rapidamente pennellata a pennellata: - Ha i capelli rossi, molto rossi, molto ricciuti, e una faccia pallida, allungata, dai lineamenti regolari e piacevoli; e piccoli, curiosi favoriti, rossi come i capelli. Le sopracciglia sono però più scure, notevolmente arcuate e danno l'impressione d'essere molto mobili. Gli occhi sono penetranti, strani... in modo orribile; ma posso soltanto dire con precisione che sono piuttosto piccoli e molto fissi. La bocca è grande, con labbra sottili e, se si escludono i piccoli favoriti, è perfettamente rasato. Nell'insieme mi fa pensare ad un attore. - Un attore! - Era impossibile assomigliare a un attore meno della signora Grose in quel momento. - Non ne ho mai visto uno, ma immagino che siano così. È alto, agile, dritto come un fuso, - continuai,- ma un signore no, assolutamente no. Mentre parlavo la mia compagna era ulteriormente impallidita; i suoi occhi tondi s'erano spalancati, e la sua mite bocca si aprì. - Un signore? balbettò confusa, stupita. - Un signore lui? - Allora lo conoscete? Cercò visibilmente di riprendersi: - Ma è un bell'uomo? Trovai il modo di aiutarla: - Notevolmente bello. - E vestito...? - Con i vestiti di un altro. Sono eleganti, ma non sono i suoi. Si lasciò sfuggire un gemito soffocato di approvazione: - Sono i vestiti del padrone! Colsi la palla al balzo: - Allora lo conoscete davvero? Esitò, ma soltanto un attimo. - Quint! - esclamò. - Quint? - Peter Quint... il suo domestico personale, il suo cameriere quando lui stava qui! - Quando stava qui? Ancora boccheggiando, ma pronta ad aiutarmi, mi fornì gli altri Henry James
392
1970 - Racconti Di Fantasmi
particolari: - Non portava mai cappello, ma si metteva... insomma erano scomparsi alcuni panciotti. Erano qui tutti e due, l'anno scorso... Poi il padrone se ne andò e Quint rimase solo. Insistetti, ma un poco esitante: - Solo? - Solo con noi -. Poi, come se estraesse le parole ancor più dal profondo aggiunse: - A capo di tutti noi. - E che ne è stato di lui? Tardò tanto a rispondermi, che mi sentii ancor più avviluppata. - Se n'è andato anche lui, - sbottò alla fine. - Andato dove? Un'espressione indicibile, a questa mia domanda, le si dipinse sul viso. Dio sa dove! È morto. - Morto? - quasi gridai. La signora Grose sembrò chiamare a raccolta tutte le sue forze, piantandosi più saldamente al suolo per esprimere l'arcano di quel fatto: Sì. Il signor Quint è morto.
VI. Ci volle naturalmente più di quel particolare scambio di parole per renderci entrambe pienamente consapevoli di ciò con cui ormai avremmo dovuto convivere come meglio potevamo: vale a dire la mia terribile suscettibilità a impressioni analoghe a quelle di cui avevo dato allora un così vivido esempio, e la conseguente conoscenza (una conoscenza mezzo costernazione mezzo compassione) che la mia compagna aveva fatto di quella suscettibilità. Nessuna di noi due, quella sera, dopo la rivelazione che per più di un'ora mi aveva lasciato tanto prostrata, s'era recata in chiesa per la funzione; c'era invece stata una piccola funzione privata a base di lagrime e di voti, di preghiere e di promesse, culmine di una serie di richieste e di impegni reciproci che aveva avuto luogo immediatamente dopo che ci eravamo rifugiate e chiuse a chiave nello studio per una spiegazione esauriente. Il risultato della spiegazione consistette semplicemente nel ridurre ai termini essenziali la nostra situazione. Lei, da parte sua, non aveva visto nulla, nemmeno l'ombra di un'ombra, e nessuno in casa, all'infuori dell'istitutrice, si era trovato nella situazione dell' istitutrice; tuttavia la signora Grose, senza dubitare della mia salute mentale, accettò la verità come gliela presentavo, e finì per dimostrarmi, in Henry James
393
1970 - Racconti Di Fantasmi
quell'occasione, una tenerezza mista a rispetto, una viva comprensione del mio più che discutibile privilegio; e il profumo di quegli atteggiamenti è rimasto nella mia memoria come il segno della più dolce delle carità umane. Quella sera arrivammo di comune accordo alla conclusione che, tutt'e due insieme, avremmo potuto affrontare meglio gli avvenimenti; e non ero neppure sicura che non fosse lei, malgrado la mia prova le fosse stata risparmiata, a dover portare il fardello più pesante. Credo che già sapessi allora, come seppi più tardi, quello che ero in grado di affrontare per proteggere i miei allievi; ma mi ci volle un po' più di tempo per essere pienamente sicura di ciò che la mia onesta alleata era pronta a sostenere per mantenere i termini di un impegno tanto rischioso. Ero una compagna piuttosto strana, quasi quanto lei lo era per me; ma riandando mentalmente a quello che ci toccò sopportare, scorgo quanto fortemente ci riunì quella sola idea che, per buona fortuna, poteva darci forza. E fu quell'idea, quel secondo impulso che mi trasse definitivamente fuori, per così dire, dalla segreta camera della mia paura. Potevo almeno uscire a prendere una boccata d'aria in cortile, dove la signora Grose poteva raggiungermi. Ricordo ora perfettamente in che modo curioso ritrovai tutte le mie energie prima che ci separassimo per la notte. Avevamo esaminato ripetutamente ogni particolare di ciò che avevo visto. - Cercava qualcun altro, voi dite... qualcuno che non eravate voi? - Cercava il piccolo Miles -. Ora vedevo tutto con prodigiosa chiarezza. Ecco chi cercava. - Ma come lo sapete? - Lo so, lo so, lo so! - La mia esaltazione cresceva. - E anche voi lo sapete, mia cara! Non lo negò, ma io sentivo di non aver nemmeno bisogno di quella controprova. Un momento dopo, ad ogni modo, ella riprese: - E se lo avesse visto? - Il piccolo Miles? È proprio questo che desidera! Parve di nuovo immensamente sconvolta: - Il bambino? - Dio non voglia! L'uomo. Lui vuol apparire a loro -. Che potesse davvero riuscirci era un pensiero orribile, eppure, in certa misura, potevo tenerlo a bada; cosa che del resto, mentre indugiavamo là, riuscivo a dimostrare praticamente. Ero assolutamente certa che avrei rivisto quel che già avevo visto, ma qualcosa mi diceva che se mi fossi offerta bravamente Henry James
394
1970 - Racconti Di Fantasmi
come l'unico bersaglio di quella esperienza, se avessi accettato, invocato, e infine superato tutto quanto, io sola sarei servita da capro espiatorio e, così facendo, avrei salvaguardato la tranquillità dei miei compagni. I bambini, in particolar modo, li avrei posti al riparo, e salvati in via assoluta. Ricordo una delle ultime cose che dissi alla signora Grose quella sera. - Mi colpisce il fatto che i miei allievi non abbiano mai parlato... Mi teneva gli occhi addosso mentre io, pensierosa, mi interruppi: - Della sua permanenza qui e del tempo che hanno passato con lui? Di quel tempo, del suo nome, della sua presenza; della sua storia, in una parola. - Oh, la signorina non se ne ricorda. Lei non ha mai sentito o conosciuto... - Le circostanze della sua morte? - Riflettevo intensamente. -Forse no. Ma Miles dovrebbe ricordare... Miles dovrebbe sapere. - Oh, non mettetelo alla prova! - proruppe la signora Grose. Le restituii lo sguardo che mi aveva lanciato: - Non abbiate paura -. Continuavo a riflettere. - Però è piuttosto strano. - Che non ne abbia mai parlato? - Nemmeno la minima allusione. E voi mi dite che erano «grandi amici»! - Oh, lui no! - dichiarò con vigore la signora Grose. - Era un capriccio di Quint. Di giocare con lui, voglio dire ... per viziarlo -. Tacque per un momento, poi aggiunse: - Quint si prendeva troppe libertà. Questo mi diede, per quel che ricordavo di quel viso - e che viso! un'improvvisa sensazione di disgusto. - Troppe libertà col mio bambino? - Troppe con tutti! Rinunciai per il momento ad analizzare più a fondo questa descrizione, accontentandomi di pensare che, almeno in parte, poteva estendersi a parecchi membri della servitù, a quella mezza dozzina di cameriere e di uomini di fatica che ancora si trovavano nella nostra piccola colonia. Ma bastava ancora a nutrire i nostri timori il fatto, in apparenza fortunato, che nessuna storia equivoca, nessun pettegolezzo da sguatteri, a memoria d'uomo, aveva mai riguardato quella vecchia e gentile dimora. Essa non aveva né cattivo nome né brutta fama, e la signora Grose, con ogni evidenza, desiderava soltanto stringersi a me e rabbrividire in silenzio. La misi persino alla prova, alla fine. Lo feci a mezzanotte, quando già teneva la mano sulla porta dello studio per prender congedo: - Allora mi assicurate, è una cosa molto importante, che egli era assolutamente e Henry James
395
1970 - Racconti Di Fantasmi
notoriamente cattivo? - Oh, non notoriamente. Io lo sapevo... ma il padrone no. - E voi non glielo diceste mai? - Be', non gli piacevano i pettegolezzi... odiava le lamentele Tagliava subito corto con le faccende di questo tipo, e se la gente andava bene a lui... - Non voleva essere più seccato? - Tutto questo si accordava abbastanza bene con l'impressione che aveva fatto a me: non era un uomo che amasse i guai, e forse non era nemmeno troppo esigente nella scelta delle persone che lo circondavano. Tuttavia insistetti con la mia interlocutrice: - Vi assicuro che io gliene avrei parlato! Afferrò il mio rimprovero: - Penso anch'io di aver sbagliato. Ma la verità è che avevo paura. - Paura di che? - Delle cose che poteva fare quell'uomo. Quint era così astuto... Così accorto. Fui colpita da quelle parole più di quanto, probabilmente, non lasciassi apparire: - Non avevate paura di niente altro? Non del suo influsso? - Il suo influsso? - ripetè con espressione d'angoscia e d'attesa, mentre io esitavo. - Sulle piccole e innocenti e preziose vite. Erano affidate a voi. - No, non erano affidate a me! - ribatté recisamente e tristemente. - Il padrone aveva fiducia in lui e lo aveva sistemato qui perché si diceva che non aveva buona salute e che l'aria di campagna gli avrebbe fatto bene. E così poteva dire la sua su tutto. Sì, -lo ammise, - persino su di loro. - Loro... quell'individuo? - Soffocai un grido. - E voi potevate sopportarlo? - No, non potevo... e non posso nemmeno ora! - e la povera donna scoppiò in lagrime. Dal giorno dopo, come ho detto, i bambini furono sotto una sorveglianza rigorosa e continua; eppure, quanto spesso e con quale passione, in quella settimana, tornammo sull'argomento! Per quanto ne avessimo discusso a lungo quella domenica sera, io fui ancora perseguitata, soprattutto nelle prime ore (si può facilmente immaginare se io dormissi), dal fantasma di qualcosa che non mi era stato detto. Per parte mia non avevo omesso nulla, ma c'era qualcosa che la signora Grose mi aveva tenuto nascosto. Verso mattina, peraltro, mi convinsi che ciò non era dipeso da una mancanza di Henry James
396
1970 - Racconti Di Fantasmi
sincerità, ma dal fatto che entrambe eravamo piene di timori. In realtà mi sembra, ripensandoci, che quando il sole del giorno dopo fu alto nel cielo, io avevo ormai letto senza requie, nei fatti che ci stavano davanti, quasi tutto il significato che avrebbero ricevuto dai successivi e più crudeli avvenimenti. Il massimo rilievo era per ora assicurato alla sinistra figura di quell'uomo da vivo (il morto poteva aspettare ancora un po'!) e ai mesi da lui trascorsi a Bly, che, messi insieme, rappresentavano un periodo formidabile. Quel triste periodo era terminato soltanto quando, all'alba di un giorno d'inverno, Peter Quint era stato trovato morto stecchito sulla strada che veniva dal villaggio da un contadino che si recava per tempo al lavoro: la catastrofe era spiegata (superficialmente, almeno) da una ferita ben visibile al capo; una ferita che poteva esser stata prodotta (e, secondo le risultanze finali, era andata proprio così) da uno scivolone fatale (nel buio e dopo aver lasciato la taverna) sul ripido pendio ghiacciato: una strada sbagliata, al termine della quale giaceva disteso. Il pendio ghiacciato, la strada sbagliata fatta di notte e nell'ebbrezza, spiegarono molto, anzi, in pratica, tutto, dopo l'inchiesta e le interminabili chiacchiere; ma c'erano state tante cose nella sua vita (strane traversie e pericoli, eccessi segreti, vizi non soltanto sospettati) che avrebbero spiegato molto di più. Faccio fatica a raccontare la mia storia con parole che possano dare un quadro credibile del mio stato d'animo; ma in quei giorni ero letteralmente capace di provare felicità nello straordinario slancio di eroismo che la circostanza richiedeva. Comprendevo allora che ero stata chiamata ad un compito ammirevole e difficile; e che ci sarebbe stato qualcosa di grande nel dimostrare (oh, alla persona giusta!) che sarei riuscita là dove molte altre giovani avrebbero fallito. Mi fu d'immenso aiuto (confesso che nel ripensarci, quasi mi congratulo con me stessa) l'aver considerato la mia missione con tanta forza e tanta semplicità. Io ero là per proteggere e per difendere le più trascurate e le più amabili creature del mondo, la cui invocazione d'aiuto era, all'improvviso, diventata anche troppo imperiosa, così da essere una pena acuta, costante, per ogni cuore che palpitasse per loro. Tutti quanti eravamo davvero tagliati fuori dal resto del mondo; eravamo uniti dallo stesso pericolo. Loro non avevano altri che me ed io... be', io avevo loro. Era, per farla breve, una magnifica occasione. Occasione che mi si presentava in un'immagine più che concreta. Io ero uno schermo... e dovevo stare davanti a loro. Quanto più avessi veduto io, Henry James
397
1970 - Racconti Di Fantasmi
tanto meno avrebbero visto loro. Presi a sorvegliarli con un'ansia nascosta, un'eccitazione segreta che avrebbe potuto benissimo, a lungo andare, trasformarsi in qualcosa di prossimo alla follia. Ciò che mi salvò, lo comprendo ora, fu che le mie sensazioni si trasformarono in qualcosa di completamente diverso. L'ansia non durò... fu spazzata via da prove spaventose. Prove, sì, lo ripeto... dal momento in cui mi resi pienamente conto della situazione. Questo momento datò da un'ora del pomeriggio che trascorsi per caso nel parco in compagnia della minore dei miei allievi, sola. Avevamo lasciato Miles dentro casa, sul cuscino rosso d'un ampio sedile ricavato nel vano d'una finestra; aveva espresso il desiderio di terminare un libro, ed ero stata lieta d'incoraggiare un proposito tanto lodevole in un ometto a cui si poteva rimproverare soltanto qualche scoppio eccessivo di vivacità. Sua sorella, al contrario, era stata prontissima ad uscire, ed io passeggiai con lei una mezz'ora, cer cando di stare all'ombra, perché il sole era ancora alto e la giornata eccezionalmente calda. Mentre camminavamo mi resi conto un volta di più di come lei riuscisse, al pari del fratello (si trattava di un incantevole qualità di entrambi) a lasciarmi sola con i miei pensieri senza dare l'impressione di abbandonarmi, e a tenermi compagni senza riuscire soffocante. Non erano mai importuni, eppure non si mostravano mai sbadati. Tutta la mia sorveglianza consisteva in realtà nell'osservarli mentre si divertivano immensamente senza di me: e questo spettacolo, allestito da loro con cura particolare, mi coinvolgeva nella parte di ammiratrice appassionata. Mi muovevo in un mondo di loro invenzione... né loro avevano occasione di entrare nel mio; sicché il mio tempo era impegnato solo nel rappresentare, per loro, qualche persona o cosa straordinaria che il gioco momentaneamente richiedeva; il che, grazie al mio ruolo superiore e onorevole, rappresentava una sinecura felice e molto rispettabile. Non ricordo che cosa fossi in quell'occasione; ricordo soltanto ch'ero qualcosa di molto importante e molto calmo, e che Flora stava recitando con grande impegno. Eravamo sulle rive del laghetto e, poiché avevamo cominciato da poco a studiare geografia, il laghetto era il mare d'Azof. All'improvviso, in quelle circostanze, mi resi conto che sull'altra sponda del mar d'Azof avevamo uno spettatore interessato. Il modo in cui questa certezza s'affermò in me fu la cosa più strana del mondo... la più strana, cioè, se si fa eccezione per quella ancora più strana in cui rapidamente si Henry James
398
1970 - Racconti Di Fantasmi
trasformò. Ero seduta con un lavoretto tra le mani (giacché rappresentavo qualcosa che poteva star seduta) sul vecchio sedile di pietra che dominava lo stagno; e in questa posizione cominciai ad avvertire con sicurezza, pur senza vederla direttamente, la lontana presenza d'una terza persona. I vecchi alberi, i fitti cespugli facevano un'ombra ampia e piacevole, ma tutto era soffuso dal fulgore di quella ora calda e quieta. Non vi era nulla d'ambiguo tutt'intorno; assolutamente nulla, almeno, nella convinzione che si andava affermando in me a proposito di ciò che avrei visto dritto davanti a me, al di là del laghetto, se solo avessi alzato gli occhi. Li tenevo, in quel duro attimo, fissi sul cucito che mi occupava, e mi par di sentire ancora lo spasimo dello sforzo che feci per non alzarli sin che non mi fossi calmata abbastanza per poter decidere sul da farsi. C'era là, in piena vista, un oggetto estraneo... una figura a cui negai subito, appassionatamente, il diritto di trovarsi dov'era. Ricordo d'aver fatto tutte le ipotesi possibili al riguardo, dicendo a me stessa che non vi sarebbe stato niente di più naturale, per esempio, dell'apparizione di uno degli uomini che lavoravano nella tenuta, o anche di un messaggero, di un portalettere, di un garzone di bottega venuto dal villaggio. Ma questi pensieri ebbero scarso effetto sulla mia pratica certezza, in quanto ero già convinta, pur senza aver ancora alzato lo sguardo, che non c'entravano per nulla con la specie e il contegno del nostro visitatore. Non c'era niente di più naturale del fatto che cose del genere fossero ciò che assolutamente non erano. Della precisa identità dell'apparizione mi sarei resa conto non appena il piccolo orologio del mio coraggio avesse scoccato il momento esatto; frattanto, con uno sforzo che già mi costò non poco, rivolsi lo sguardo alla piccola Flora che, in quel momento, si trovava a pochi metri più in là. Per un attimo, per l'ansia e il terrore che anche lei potesse vedere qualcosa, il mio cuore cessò di battere; e trattenni anche il respiro nell'attesa di ciò che un suo grido, un suo improvviso, innocente segno di curiosità o di allarme, mi avrebbe rivelato. Aspettai, ma nulla avvenne; poi (e sento che c'è qualcosa di più spaventoso, in questo, di tutto ciò che ho ancora da raccontare) dapprima, a decidermi, fu la sensazione che, da circa un minuto, giocando, aveva la schiena rivolta all'acqua. Questa era la sua posizione quando finalmente la guardai... la guardai con la precisa convinzione che eravamo ancora sottoposte, tutt'e due, a un'osservazione diretta e personale. La bambina aveva raccolto un pezzetto di legno piatto, con un piccolo foro che evidentemente le aveva suggerito l'idea di infilarvi Henry James
399
1970 - Racconti Di Fantasmi
un altro legnetto a mo' di albero maestro per farne una barca. Mentre la fissavo era tutta intenta a cercar d'infilare con grande cura quel secondo frammento di legno. L'aver visto quel che stava facendo mi rincuorò a tal punto che, pochi istanti dopo, sentii eh' ero pronta a tutto. Allora distolsi di nuovo lo sguardo e affrontai quel che dovevo affrontare.
VII. Appena mi fu possibile andai in cerca della signora Grose; e non so dare un'idea precisa di come superai l'intervallo di tempo. Però mi sento ancora gridare, mentre mi getto dritta nelle sue braccia: - Essi sanno... è troppo mostruoso: sanno, sanno! - E cosa mai...? - Sentivo la sua incredulità mentre mi sorreggeva. - Ma come, tutto quello che noi sappiamo... e il cielo sa che altro ancora! - Poi, mentre lei mi lasciava andare, le spiegai l'accaduto, e forse lo spiegai soltanto allora con piena coerenza anche a me stessa. - Due ore fa, in giardino, - e riuscivo appena ad articolare le parole, - Flora ha visto! La signora Grose accolse queste parole come avrebbe potuto accogliere un pugno nello stomaco: - Ve lo ha detto lei? - domandò ansante. - Non una parola... e qui sta tutto l'orrore della cosa. Ha tenuto ogni cosa per sé! Una bambina di otto anni, quella bambina! -Lo sbigottimento che provavo era ancora indicibile. La signora Grose, naturalmente, poteva solo sbalordire di più: - Ma allora come lo sapete? - Ero là... ho visto coi miei occhi: visto che si rendeva perfettamente conto. - Volete dire della presenza di lui? - No... di lei -. Mi accorgevo, nel parlare, che sul mio viso si stavano inseguendo prodigiose espressioni, perché le vedevo man mano riflesse sul volto della mia compagna. - Un'altra persona... questa volta; ma una figura di repulsione e malignità quasi altrettanto inconfondibili; una donna in nero, pallida e orrenda... con un'espressione, poi, e una faccia!... sull'altra sponda del laghetto. Ero là con la bimba... tranquilla in quel momento, e proprio allora è venuta. - Venuta come... da dove? - Da dove vengono loro! È semplicemente apparsa ed è rimasta lì, ma non troppo vicina. Henry James
400
1970 - Racconti Di Fantasmi
- E senza avvicinarsi di più? - Oh, per l'effetto che mi faceva e per quello che sentivo, avrebbe potuto essere vicina come siete voi adesso! La mia amica, per un singolare impulso, arretrò d'un passo: - Era qualcuno che voi non avevate mai visto? - Sì. Ma qualcuno che la bambina conosceva. Qualcuno che voi avevate visto -. Poi, per rivelarle a quale conclusione ero pervenuta: - La donna che mi ha preceduta... quella che è morta. - La signorina Jessel?! - La signorina Jessel. Non mi credete? - incalzai. Si voltò di qua e di là, agitatissima: - Come potete esserne certa? La domanda, nello stato di nervi in cui mi trovavo, mi strappò un moto d'impazienza: - Allora chiedetelo a Flora... lei ne è sicura! - Ma non avevo ancora finito di parlare, che subito mi ripresi: -No, per l'amor di Dio, non lo fate! Direbbe che non è vero... mentirebbe! La signora Grose non era ancora sconvolta al punto di rinunciare ad un atto istintivo di protesta: - Ah, come potete pensare...? - Perché vedo chiaro. Flora non vuole che io sappia. - Allora è stato per risparmiarvi. - No, no... ci sono degli abissi, degli abissi! Più ci ripenso e più vedo a fondo, e più vedo a fondo e più ho paura. Non so più che cosa non vedo, che cosa non mi fa paura! La signora Grose si sforzò di seguirmi: - Volete dire che avete paura di vederla di nuovo? - Oh, no; non è niente... a questo punto! - Poi mi spiegai: -Ho paura di non rivederla. Ma la mia compagna restava soltanto smarrita: - Non vi capisco. - Ecco, ho paura che la bambina vada avanti con questa storia (e lo farà certamente) senza che io lo sappia. Davanti a una simile possibilità la signora Grose per un attimo parve venir meno, ma si riprese subito quasi spinta dalla forza positiva della consapevolezza di quello che, avessimo ceduto soltanto d'un pollice, ci avrebbe certo sopraffatto. - Mio Dio... dobbiamo tenere la testa a posto! E dopo tutto, se lei non ci fa caso!... - Provò persino un lugubre scherzo: Forse le piace! - Piacerle queste cose... a una bimbetta! Henry James
401
1970 - Racconti Di Fantasmi
- E non sarebbe un'altra prova della sua santa innocenza? -chiese con aria di sfida la mia amica. Per un attimo quasi mi convinse. - Oh, dobbiamo attaccarci a questo... dobbiamo tenerci ben salde all'idea! Se non è una prova di quel che dite, è una prova di... Dio sa cosa! Perché quella donna è l'orrore degli orrori. A queste parole la signora Grose tenne per un po' gli occhi fissi a terra; poi rialzandoli: - Ditemi come fate a saperlo, - chiese. - Allora ammettete che lo sia? - esclamai. - Ditemi come fate a saperlo, - ripetè semplicemente la signora. - A saperlo? Perché l'ho vista. Per come guardava. - Vi guardava, intendete dire... malignamente? - No, Dio mio... questo avrei potuto sopportarlo. A me non ha dato nemmeno un'occhiata. Fissava soltanto la bambina. La signora Grose tentò di immaginarselo: - La fissava? - Ah, con quegli occhi spaventosi! Guardò allora nei miei, quasi potessero somigliare davvero a quelli. Volete dire con antipatia? - Dio ci salvi, no. Con qualcosa di molto peggio. - Peggio dell'antipatia? - e sembrava veramente perplessa. - Con una determinazione... indescrivibile. Con un'intenzione quasi furibonda. L'avevo fatta impallidire: - Intenzione? - D'impadronirsi di lei -. La signora Grose, guardandomi appena negli occhi, rabbrividì e andò alla finestra; e mentre stava lì a guardar fuori, completai la mia osservazione: - Ecco che cosa sa Flora. Poco dopo si voltò. - Quella persona era vestita di nero, avete detto? - Era in lutto... un lutto piuttosto povero, quasi logoro. Ma... sì... era di una bellezza straordinaria -. Comprendevo ora a che punto, a passo a passo, avevo portato la vittima delle mie confidenze, poiché alle mie ultime parole la vidi duramente colpita. - Oh, bella... molto bella davvero, insistetti. - Meravigliosamente bella. Ma infame. Lentamente tornò verso di me: - Miss Jessel... era infame -. Ancora una volta mi prese una mano tra le sue, tenendola stretta quasi per darmi forza contro la crescita di spavento che quella rivelazione poteva provocare. Tutt'e due erano infami, - disse finalmente. Così, per un po', guardammo in faccia la verità ancora una volta; e fu per me quasi un sostegno vedere come stavano realmente le cose. - Apprezzo, Henry James
402
1970 - Racconti Di Fantasmi
- dissi, - l'estremo riserbo che vi ha impedito di parlare sino ad ora; ma è certamente arrivato il momento di rivelarmi tutto -. Sembrò accondiscendere alle mie parole, ma restava tuttavia in silenzio; sicché continuai: - Lo devo sapere ora. Di che cosa è morta? Avanti, c'era qualcosa tra loro due? - C'era tutto. - A dispetto della differenza...? - Oh, della differenza di rango, di condizione -. Lo confessò gemendo: Lei era una signora. Ci pensai e compresi di nuovo. - Sì... era una signora. - E lui così terribilmente al di sotto, - aggiunse la signora Grose. Sentii che non era davvero opportuno insistere, in simile compagnia, sul posto che un domestico occupa nella scala sociale; ma nulla mi vietava di adottare lo stesso metrò con cui la mia compagna misurava la degradazione di colei che mi aveva preceduto. Il modo di trattare la cosa c'era, e io lo usai; con facilità tanto maggiore quanto più netta mi stava davanti agli occhi la visione (fin troppo chiara) del defunto domestico «personale» del nostro datore di lavoro. Intelligente e di bell'aspetto, ma anche impudente, presuntuoso, vizioso, depravato. - Quel tale era spregevole. La signora Grose rifletté come se la faccenda, a questo punto, richiedesse delle sfumature: - Non ho mai visto nessuno come lui. Faceva quel che voleva. - Di lei? - Di tutti loro. Ora, era come se la signorina Jessel fosse riapparsa negli occhi della mia amica. A me almeno sembrò che per un attimo la rievocassero così distintamente come io l'avevo veduta vicino allo stagno; e dichiarai risolutamente: - Anche lei, però, lo doveva desiderare! Il volto della signora Grose dimostrò che era stato davvero così, ma lei aggiunse nello stesso momento: - Poveretta, ha pagato per questo! - Allora sapete di che cosa è morta? - chiesi. - No, non so niente. Non volevo sapere; ero contentissima di non aver saputo nulla; e ringraziai il Cielo che fosse ben lontana da qui! - Però, vi eravate fatta allora una vostra idea... - Sulla vera ragione della sua partenza? Oh sì... quanto a questo. Non avrebbe potuto restare. Ma pensate, un'istitutrice... in questa casa! Più tardi Henry James
403
1970 - Racconti Di Fantasmi
immaginai... e lo immagino ancora... e quel che immagino è spaventoso. - Non così spaventoso come quello che immagino io, - replicai; e con ciò le lasciai intravedere (me ne rendevo conto anche troppo bene) l'ampiezza e l'amarezza della mia disfatta. Ciò non mancò di suscitare una volta di più la sua compassione, e quella nuova manifestazione di bontà spezzò la mia resistenza. Scoppiai in lagrime, proprio come avevo fatto scoppiare in lagrime lei, la volta prima; mi strinse al suo seno materno, e i miei gemiti dilagarono. - Non ce la faccio! - singhiozzai disperatamente. - Non li posso né salvare né proteggere! È assai peggio di quanto immaginassi... sono perduti!
VIII. Quanto avevo detto alla signora Grose era purtroppo molto vicino al vero; c'erano nella faccenda che le avevo esposto, abissi e possibilità, che non avevo il coraggio di sondare; sicché, dopo che ci fummo riunite in un rinnovato senso di stupore, convenimmo entrambe ch'era nostro dovere resistere alle fantasie più stravaganti. Se tutto il resto ci sfuggiva, dovevamo tenere almeno la testa a posto. .. benché fosse assai difficile di fronte a quello che, nella nostra allucinante vicenda, era ormai impossibile mettere in dubbio. Nella tarda serata, mentre tutta la casa dormiva, ne riparlammo in camera mia; e la signora Grose fini per convenire con me che era assolutamente certo che io avevo veduto proprio quello che avevo veduto. Trovai che, per convincerla completamente, non avevo che da chiederle come mai, se avevo «sognato» tutto quanto, mi era stato possibile fare, di ognuna delle persone che mi erano apparse, un ritratto che ne rivelava, sin nei minimi particolari, i tratti caratteristici... un ritratto che l'aveva subito messa in grado di riconoscerli e di nominarli. Ella desiderava naturalmente (ed era difficile rimproverarla per questo) mettere tutto a tacere; ed io mi affrettai ad assicurarle che il mio stesso interessamento nella faccenda aveva oramai assunto la forma della ricerca febbrile di una via di scampo. Convenni che probabilmente col ripetersi delle apparizioni (davamo per scontato che si sarebbero ripetute) mi sarei assuefatta al pericolo; dichiarando apertamente che il mio rischio personale era diventato di colpo l'ultima delle mie preoccupazioni. Era invece intollerabile il mio più recente sospetto; e tuttavia, persino a questa complicazione le ultime ore della giornata avevano recato qualche rimedio. Henry James
404
1970 - Racconti Di Fantasmi
Lasciandola dopo il primo accesso di disperazione, ero naturalmente ritornata ai miei allievi, associando il miglior rimedio per il mio turbamento a quella sensazione di fascino che essi suscitavano; sensazione che, già mi ero resa conto, era qualcosa su cui potevo contare con certezza e che non mi era mai venuta meno. In altre parole, mi ero semplicemente immersa di nuovo nella particolare compagnia di Flora, e mi ero accorta, quasi con ebbrezza, che sapeva appoggiare la sua esperta manina proprio sul punto dolente. Mi aveva osservato con soave curiosità, e poi mi aveva accusata francamente d'aver pianto. Credevo di aver cancellato i brutti segni delle lagrime; ma nell'effusione di quella carità infinita arrivai letteralmente a rallegrarmi (almeno per un attimo) che non fossero del tutto scomparsi. Contemplare l'azzurro profondo degli occhi della bambina, e ritenere che quella dolcezza fosse il trucco di una precoce malizia, sarebbe stato rendermi colpevole di un cinismo a cui, naturalmente, preferivo ripudiare il mio giudizio, e, per quanto m'era possibile, la mia inquietudine. Non potevo ripudiare il mio giudizio soltanto perché lo volevo; ma potevo ripetere alla signora Grose (come le ripetevo più volte, facendo le ore piccole) che con la voce dei bimbi che echeggiava nell'aria, la pressione dei loro corpi sul petto, e il contatto dei loro volti fragranti contro la guancia, tutto scompariva, tranne la loro bellezza e la loro innocenza senza difese. Era un peccato tuttavia, e lo dico una volta per tutte, che dovessi egualmente ricordare quei gesti scaltri che nel pomeriggio, vicino al laghetto, avevano reso miracolosa la padronanza di me stessa. Era un peccato che fossi costretta ad analizzare nuovamente la certezza raggiunta in quel momento, e ripetere in che modo ero stata toccata dalla rivelazione che l'inconcepibile comunione da me sorpresa in quella circostanza era un fatto abituale per tutt'e due. Era un peccato che dovessi di nuovo farfugliare le ragioni per cui non avevo dubitato neppure per un attimo, e con mia grande delusione, che la bambina vedesse la nostra visitatrice proprio come io in quel momento vedevo la signora Grose, e che la bimba desiderasse, pur avendo una visione di quel genere, farmi credere che non vedeva nulla, ed allo stesso tempo, senza scoprirsi, cercare d'indovinare se io avessi veduto qualcosa! Era un peccato che dovessi descrivere ancora una volta le piccole, portentose astuzie con le quali aveva cercato di distogliere la mia attenzione... il percettibilissimo accrescersi della sua vivacità, il maggior fervore nel gioco, il canto, il chiacchiericcio senza senso e l'invito a ruzzare. Henry James
405
1970 - Racconti Di Fantasmi
Tuttavia, se io non mi fossi abbandonata a questo esame, con lo scopo di provare che non c'era nulla, mi sarei anche lasciata sfuggire i due o tre deboli motivi di conforto che ancora mi restavano. Ad esempio, non avrei potuto ripetere solennemente alla mia amica che ero certa (ed era tanto di guadagnato) di non essermi tradita, io. Non sarei stata spinta dal bisogno di sapere, da un soprassalto di disperazione (non so veramente come esprimermi) a invocare nuovamente un chiarimento che non si poteva ottenere se non mettendo la mia compagna con le spalle al muro. Lei mi aveva già detto molto, un po' alla volta, e stimolata da me; ma un piccolo, tetro enigma, dal lato in ombra delle cose, veniva di tanto in tanto a sfiorarmi la fronte come l'ala d'un pipistrello; e ricordo come in quell'occasione (il sonno della casa, il pericolo e la veglia comuni sembrarono venirmi in aiuto) sentii tutta l'importanza di dare al velario l'ultimo strappo. - Non credo a nulla di così orribile, - ricordo d'aver detto. - No, diciamolo una buona volta, mia cara, io non lo credo. Ma se lo credessi, sapete, c'è una cosa che esigerei da voi in questo momento e senza risparmiarvi nulla... oh, proprio nulla! A che cosa pensavate quando, mentre eravamo turbate per la lettera giunta dal collegio prima che Miles ritornasse, diceste, cedendo alla mia insistenza, che non pretendevate dire che non fosse mai, alla lettera, stato cattivo? Non è «mai», alla lettera, stato cattivo in queste settimane che ho trascorso con lui e in cui l'ho osservato tanto da vicino; è stato un imperturbabile, piccolo prodigio di bontà deliziosa e amabile. Dunque, avreste potuto benissimo giurare su di lui, se non aveste saputo, com'era evidente, che c'era un'eccezione. Qual era la vostra eccezione, e a quale circostanza della vostra personale esperienza vi riferivate? Era una domanda assai grave e diretta, ma non eravamo in vena di leggerezze, e, in ogni caso, prima di ricevere dall'alba grigia l'ammonimento di separarci, avevo la risposta. Quello che la mia compagna aveva pensato s'accordava alla perfezione con tutto il resto. Era, né più né meno, il fatto che, per un periodo di parecchi mesi, Quint e il bambino erano stati continuamente insieme. E in verità lei aveva osato criticare la convenienza e accennare all'inopportunità di una simile intimità, spingendosi sino al punto di parlare francamente dell'argomento con la signorina Jessel. La signorina Jessel, con modi a dir poco singolari, le aveva detto di badare ai fatti suoi, e la buona donna, a questo punto, si era rivolta direttamente al piccolo Miles. Dietro mia insistenza finì per Henry James
406
1970 - Racconti Di Fantasmi
confessarmi quel che gli aveva detto: che a lei non andava che i giovani signori dimenticassero il loro rango. Dopo di che, com'è naturale, insistetti per sapere il resto: - Gli avete ricordato che Quint era soltanto un volgare servo? - Posso ben dirlo! E, per prima cosa, la sua risposta fu cattiva. - E poi? - Attesi. - Riferì a Quint le vostre parole? - No, questo no. È proprio quello che non avrebbe mai fatto! -Cercava d'impressionarmi. - Ero sicura, ad ogni modo, - aggiunse, - che non l'aveva fatto. Ma negò invece certe circostanze. - Quali circostanze? - Che se ne andavano in giro insieme come se Quint fosse il suo precettore (uno dei migliori, per giunta), e come se la signorina Jessel fosse solo lì per la padroncina. Voglio dire quando Miles andava a spasso con quell'individuo e trascorreva con lui ore intere. - Allora egli eluse l'argomento... disse di non averlo fatto? - Il suo cenno d'assenso fu abbastanza chiaro d'autorizzarmi a dire, un momento dopo: Capisco. Ha mentito. - Oh! - mormorò la signora Grose. Quel mormorio suggeriva che la cosa importava poco, e la sottolineò con un'altra osservazione: - Vedete, dopo tutto alla signorina Jessel non importava. Non glielo proibiva. Riflettei. - Vi disse questo per giustificarsi? A questa domanda cedette ancora terreno: - No, non me ne ha mai parlato. - Non vi ha mai parlato di lei e di Quint? Capì, arrossendo visibilmente, dove intendevo arrivare: - Be', non ha mai dato a vedere nulla. Negava, - ripetè, - negava! Oh Dio, come la incalzai allora! - Sicché, comprendevate che lui sapeva cosa c'era fra quei due sciagurati? - No lo so... non lo so! - gemette la povera donna. - E invece lo sapete, poveretta, - replicai. - Soltanto non avete la mia terribile capacità d'immaginazione, e soffocate, per timidezza e pudore e delicatezza, persino quell'impressione che in passato, quando dovevate brancolare in silenzio, senza il mio aiuto, vi rendeva infelice più di tutto. Ma finirò per strapparcela! C'era qualcosa nel bambino che vi suggeriva, continuai, - che lui coprisse e dissimulasse la loro relazione. - Oh, non poteva impedire... - Che voi veniste a sapere la verità? Lo credo bene! Ma, mio Dio, Henry James
407
1970 - Racconti Di Fantasmi
proruppi con veemenza, fremendo al solo pensarci, - come tutto questo dimostra che cosa erano riusciti a fare di lui! - Ah, nulla che adesso non sia cambiato in meglio! - commentò lugubremente la signora Grose. - Non mi stupisco più dell'aria strana che avevate, - insistetti, - quando vi parlai della lettera giunta dal collegio! - Mi chiedo se avevo l'aria strana quanto voi, - replicò con schietta energia. - E se allora era cattivo come sembra, come mai adesso è un angioletto? - È vero... se in collegio era un discolo! Come mai, come mai? Bene, dissi nella mia angustia, - dovete domandarmelo ancora, ma non sarò in grado di darvi una risposta prima di qualche giorno. Però, domandatemelo di nuovo! - esclamai in un tono tale che la mia amica mi guardò stupefatta. - Vi sono direzioni nelle quali sarà bene che per ora io non mi avventuri -. E per il momento ritornai al suo primo esempio (quello a cui aveva già alluso), vale a dire la rassicurante capacità del bambino di commettere di quando in quando una marachella. - Se Quint (a proposito della rimostranza che faceste all'epoca di cui parlate) non era che un servo volgare, immagino che Miles vi ha risposto che l'eravate anche voi -. E il suo cenno d'assenso, ancora, fu così eloquente che continuai: - E voi glielo avete perdonato? - Voi non l'avreste fatto? - Oh sì! - e ci lasciammo andare ad una manifestazione d'ilarità che suonò strana in quella quiete. Poi proseguii: - Ad ogni modo, mentre lui stava con l'uomo... - La signorina Flora stava con la donna. Era una cosa che andava bene a tutti loro! E andava bene anche a me, sin troppo bene; voglio dire che si accordava alla perfezione con il sospetto mortale che cercavo a tutti i costi di proibire a me stessa. Ma riuscii tanto bene a impedirmi di formulare quel pensiero che, per il momento, non darò altri chiarimenti a riguardo, se non quello che può essere fornito dall'ultima frase che rivolsi alla signora Grose: - Il fatto che abbia mentito e che sia stato impudente mi sembra, lo confesso, un sintomo meno incoraggiante di quello che avevo sperato di conoscere da voi a proposito del prorompere nel bimbo dell'umana natura. Tuttavia, -dissi pensierosa, - ne terrò conto, perché sento più che mai che devo vigilare. Henry James
408
1970 - Racconti Di Fantasmi
Un attimo dopo arrossivo nel vedere dall'espressione del viso della mia amica come lei avesse perdonato più completamente di quanto la mia tenerezza fosse spinta a fare dall'aneddoto che mi aveva raccontato. Questo fu chiaro quando, sulla porta dello studio, prese congedo da me: Certamente non lo vorrete accusare... - Di coltivare una relazione che mi nasconde? Ah, ricordate che, sino a prova contraria, non accuso nessuno -. Poi, prima di chiudere la porta dietro di lei che si disponeva ad andare in camera sua passando per un altro corridoio, dissi come conclusione: - Devo soltanto aspettare.
IX. Aspettai e aspettai, e il correre dei giorni si portava via un pò della mia costernazione. Infatti, un piccolissimo numero di quei giorni, trascorsi a tener d'occhio i miei allievi senza che accadesse il minimo incidente, bastò a passare come un colpo di spugna sulle amare fantasticherie, e persino sugli odiosi ricordi. Ho già parlato della mia inclinazione ad arrendermi alla loro straordinaria grazia infantile come di un sentimento che pensavo di poter coltivare attivamente, e si può facilmente immaginare se trascurassi ora di attingere a questa fonte tutto quanto poteva dare. Lo sforzo per lottare contro la luce che si era fatta in me, risultava certamente più strano di quanto io non possa dire; tuttavia la tensione sarebbe stata anche più grande se non fosse stata premiata tanto frequentemente dal successo. Ero solita chiedermi come mai i miei pupilli non indovinassero che io pensavo di loro cose assai strane; e il fatto che queste cose li rendevano anche più interessanti non mi era certo di aiuto per tenerli all'oscuro. Tremavo al pensiero che si accorgessero di quanto più intensamente interessanti erano diventati. Ad ogni modo, anche mettendo le cose sotto la luce peggiore, come spesso facevo nelle mie meditazioni, ogni ombra gettata sulla loro innocenza costituiva soltanto (puri e predestinati com'erano) una ragione di più per affrontare i miei rischi. C'erano momenti in cui, spinta da un impulso irresistibile, li afferravo e me li stringevo al cuore. E subito dopo mi domandavo: «Che cosa ne penseranno? A questo modo non mi tradisco?» Sarebbe stato facile, nell’analizzare sino a che punto potevo tradirmi, cadere in una ragnatela di pensieri tristi e folli; ma la vera ragione delle ore di pace che ancora riuscivo a godere stava, lo sento, nel fascino immediato dei miei compagni Henry James
409
1970 - Racconti Di Fantasmi
ch'era un sortilegio ancora efficace, anche se minacciato da un sospetto d'ipocrisia. Perché, se non mi sfuggiva che le brevi espansioni della mia ardente tenerezza potevano suscitare i loro sospetti ricordo anche di essermi domandata se per caso non c'era qualcosa di singolare anche nell'evidente accrescersi delle loro manifestazioni d'affetto. Durante quel periodo mi dimostrarono un attaccamento esorbitante e anormale; me lo spiegavo dicendomi che, dopotutto, non era che la graziosa risposta di bambini continuamente riveriti e vezzeggiati. L'omaggio di cui erano così prodighi ebbe in realtà un eccellente effetto sui miei nervi, come se non mi fossi mai presa la briga, per così dire, di sorprenderli con le mani nel sacco. Penso che non avessero mai desiderato come ora di fare tante cose per la loro povera protettrice; voglio dire (benché si applicassero sempre più e sempre meglio allo studio, cosa che naturalmente mi procurava un enorme piacere) distrarla, divertirla, prepararle sorprese; leggerle qualcosa, raccontarle storie, rappresentarle sciarade, saltarle addosso mascherati da animali o da personaggi storici; e soprattutto stupirla con «pezzi» che avevano segretamente imparato a memoria e potevano recitare all'infinito. Non riuscirei mai (nemmeno se mi abbandonassi completamente all'onda dei ricordi) a descrivere sino in fondo la stupenda, segreta attenzione, tenuta sotto una sorveglianza anche più segreta, che dedicavo in quel tempo alle loro giornate così piene. Mi avevano dimostrato sin dal principio una inclinazione per ogni cosa, una disposizione a imparare tutto che, dietro uno stimolo nuovo, dava splendidi risultati. Adempivano ai loro piccoli compiti come se ne ricavassero un vero piacere, e indulgevano, per il solo gusto di esercitare le loro doti, a piccoli miracoli mnemonici che non avevo loro imposto. Mi spuntavano davanti non soltanto mascherati da tigri o da antichi romani, ma anche da personaggi di Shakespeare, da astronomi e da navigatori. Il caso era talmente singolare che contribuì largamente al fatto che anche oggi non riesco a spiegare diversamente: alludo alla mia anormale tranquillità riguardo alla scelta di una nuova scuola per Miles. Quel che ricordo è che mi accontentavo, per il momento, di non aprire la questione, e che quell'appagamento doveva essere scaturito dall'impressione prodotta in me dalle sue continue sorprendenti prove d'intelligenza. Era troppo intelligente perché potesse nuocergli una mediocre istitutrice, figlia d'un pastore; e il più strano, se non il più brillante dei fili del ricamo mentale di cui ho parlato era la sensazione (avrei saputo rendermene conto chiaramente, se Henry James
410
1970 - Racconti Di Fantasmi
avessi osato esaminarla) che egli fosse in preda ad un'influenza che agiva come un formidabile incitamento alla sua giovane vita intellettuale. Se era facile ammettere, tuttavia, che un bambino come quello potesse ritardare la propria entrata in una scuola, era almeno altrettanto ovvio che il fatto che un bambino simile fosse stato «buttato fuori» da un maestro di scuola costituiva un mistero inesplicabile. Aggiungo che, stando in loro compagnia (avevo cura in quel periodo di non lasciarli quasi mai), non riuscivo a seguire a lungo nessuna pista. Vivevamo in una nuvola di musica, di amore, di successi e di rappresentazioni teatrali tutte per noi. Entrambi i bambini avevano spiccate inclinazioni musicali; ma soprattutto il maggiore era meravigliosamente in grado di afferrare e di ripetere qualsiasi ritornello. Il pianoforte dello studio risuonava delle più strane improvvisazioni; e, in mancanza di musica, tenevano conciliaboli in un angolo, al termine dei quali uno dei due, al colmo dell'eccitazione, si preparava ad una nuova «entrata». Avevo avuto anch'io dei fratelli, e non era una novità per me che le bambine potessero essere schiave idolatre dei loro fratellini. Era davvero sorprendente ci fosse al mondo un bambino capace di tanta considerazione per un'età, un sesso e un'intelligenza inferiori. Erano straordinariamente uniti, e dire che non litigavano mai e non si lamentavano l'uno dell'altra equivarrebbe rivolgere un complimento molto rozzo al carattere squisito della loro gentilezza. Talvolta, in verità, quando cadevo in un comportamento pesantemente sospettoso, scoprivo le tracce di qualche loro piccolo complotto per tenermi occupata mentre uno di loro se la svignava. Suppongo che in ogni diplomazia ci sia un lato naif; ma se i miei allievi si prendevano gioco di me, lo facevano certamente col minimo di volgarità. Fu altrove che, dopo un periodo di bonaccia, esplose la cattiveria. Mi accorgo di tirar davvero troppo per le lunghe; è ora che mi decida al gran passo. Nel proseguire il racconto di ciò che vidi di orribile a Bly, io non soltanto metto alla prova la buona fede più generosa (e di ciò mi preoccupo poco), ma (e questa è un'altra faccenda) rinnovo anche le mie sofferenze, percorro nuovamente sino alla fine quella storia dolorosa. Giunse improvvisamente un'ora dopo la quale, se mi guardo addietro, mi pare che tutto sia stato pura sofferenza; ma, almeno, sono finalmente al duro nocciolo della questione, e la via di scampo più sicura sta nell'andare avanti. Una sera (senza che nulla me ne avvertisse o preparasse) sentii passare su di me il soffio ghiacciato che mi aveva accolto la notte del mio Henry James
411
1970 - Racconti Di Fantasmi
arrivo, e che la prima volta (tanto più leggero, come ho accennato) non avrebbe forse lasciato in me nessun ricordo se il mio soggiorno successivo fosse stato meno agitato. Non mi ero ancora coricata; leggevo, seduta, alla luce di due candele. C'era a Bly una stanza piena di vecchi libri, tra cui alcuni romanzi del secolo scorso, che, sebbene godessero di cattiva fama, erano penetrati (per lo più sotto forma di un esemplare isolato) in quella casa appartata, eccitando la mia inconfessata, giovanile curiosità. Ricordo che avevo tra le mani l'Amelia di Fielding; e anche che ero perfettamente sveglia. Ricordo, pure, d'aver avuto una vaga idea che fosse molto tardi, ma non volevo guardare l'orologio. Rivedo infine le bianche cortine che avvolgevano, secondo la moda del tempo, la testata del letto di Flora, e che proteggevano, come mi ero assicurata da un pezzo, la pace perfetta del suo sonno infantile. Ricordo, per farla breve, che nonostante fossi interessata alla mia lettura, voltando una pagina smarrii improvvisamente il filo della storia, e alzai gli occhi per fissare la porta della camera. Rimasi un momento in ascolto, ricordando la vaga sensazione che avevo avuto, la prima notte, che qualcosa d'indefinibile si aggirasse per la casa, e notai che attraverso la finestra aperta una brezza leggera agitava la tenda, chiusa a metà. Allora, con tutti i segni di una determinazione che sarebbe apparsa magnifica se qualcuno fosse stato presente per ammirarla, posai il libro, mi alzai e, presa una candela, uscii senza esitare dalla camera. Dal corridoio, dove il mio lume rompeva appena l'oscurità, senza far rumore mi tirai dietro la porta e la chiusi a chiave. Non posso dire adesso che cosa mi spingesse e mi guidasse, ma andai diritta lungo la galleria, tenendo alta la candela, finché non fui in vista del finestrone che dominava l'ampio giro della scala. A quel punto, mi resi conto di colpo di tre cose. In pratica furono simultanee, e tuttavia si susseguirono in tre lampi successivi. La mia candela, in seguito a un brusco movimento, s'era spenta, e mi accorgevo, dalla finestra priva di tende, che la prima incerta luce del giorno la rendeva inutile. Pur senza la candela, un istante dopo sapevo che c'era qualcuno sulla scala. Parlo di cose in successione, ma non ebbi bisogno di molti secondi per mettermi in condizione d'affrontare un terzo incontro con Quint. L'apparizione aveva raggiunto il pianerottolo a metà scala, ed era di conseguenza il punto più vicino alla finestra dove, vedendomi, si fermò di colpo e mi fissò, esattamente come mi aveva fissato dalla torre e dal giardino. Mi riconobbe, come io l'avevo riconosciuto; e restammo così, faccia a faccia, Henry James
412
1970 - Racconti Di Fantasmi
a fissarci intensamente, nell'alba fredda e grigia, nell'incerto chiarore che dalla specchiera si rifletteva nella lucida scala di quercia. In quel momento egli era davvero, nel senso più assoluto, una presenza viva, detestabile, pericolosa. Ma non era questa la meraviglia delle meraviglie; riservo questa definizione ad una circostanza del tutto diversa: la circostanza che la paura, senza ombra di dubbio, mi aveva abbandonata, e che non v'era in me nulla che rifiutasse d'incontrarlo e di affrontarlo. Dopo quel momento straordinario provai angosce infinite, ma, grazie a Dio, non più terrore. Egli sapeva che non ne provavo... e dopo poco ne ero magnificamente certa. Sentii, in uno slancio di fiduciosa fierezza, che se avessi tenuto il campo ancora per un minuto, non avrei più dovuto (almeno per qualche tempo) tener conto di lui; e durante quel minuto la cosa fu viva ed atroce come un incontro reale; atroce proprio perché era viva ed umana, come avrebbe potuto esserlo incontrare all'alba, in una casa addormentata, un nemico, un avventuriero, un criminale. Era il mortale silenzio del nostro lungo sguardo, scambiato così da vicino, a dare a quell'orrore, per mostruoso che fosse, l'unica nota di soprannaturale. Se avessi incontrato un assassino in quel luogo e in quell'ora, avremmo almeno parlato. Qualcosa di animato sarebbe corso tra noi; se non altro, uno di noi si sarebbe mosso. Quel momento si prolungò talmente che poco mancava cominciassi a dubitare d'esser viva io stessa. Non so esprimere ciò che accadde poi, se non dicendo che il silenzio (una prova, in un certo senso, della mia forza) divenne l'elemento in cui vidi scomparire la forma di lui; la vidi voltarsi, come avrei potuto veder girare su se stesso, in seguito a un ordine, il miserabile a cui essa aveva un tempo appartenuto; con gli occhi che tenevo fissi su quella schiena ignobile, che nessuna gobba avrebbe potuto maggiormente sfigurare; la vidi scendere in fretta i gradini, e sparire nella tenebra in cui si smarriva l'altra rampa della scala.
X. Rimasi per qualche tempo in cima alla scala, ma a poco a poco si fece strada in me la certezza che il mio visitatore se n'era andato, che non c'era più davvero; allora ritornai nella mia stanza. La prima cosa che colpi il mio sguardo, alla luce della candela che avevo lasciato accesa, fu il lettino vuoto di Flora; questo fatto mi mozzò di colpo il fiato, e mi riempi di tutto il terrore che, cinque minuti prima, ero riuscita a vincere. Mi slanciai dove Henry James
413
1970 - Racconti Di Fantasmi
l'avevo lasciata; il piccolo copriletto di seta e le lenzuola erano in disordine, ma le cortine bianche erano state tirate con cura e inganno; poi al rumore dei miei passi, con mio indicibile sollievo, rispose un altro suono: mi accorsi che la tenda della finestra si muoveva, e la bambina, chinandosi, emerse tutta lieta dall'altro lato. Se ne stava lì avvolta nel suo grande candore e nella sua piccola camicia da notte, coi suoi piedini rosa nudi e i luminosi riccioli d'oro. Aveva un'aria molto grave, e mai prima d'allora avevo tanto avuto l'impressione di perdere un vantaggio da poco acquistato (quel vantaggio che mi aveva appena dato un brivido così prodigioso), come quando mi resi conto che mi stava rivolgendo un rimprovero. «Cattiva, dove siete stata?» Invece di rimproverarla io per la sua indisciplina, mi sentii obbligata a darle delle spiegazioni. Ma si spiegò anche lei, con la più amabile e premurosa semplicità. Si era accorta improvvisamente che non ero più nella stanza, ed era saltata dal letto per vedere che cosa mi fosse capitato. Per la gioia di rivederla, ero caduta a sedere, sentendomi, ma soltanto allora, venir meno; e Flora mi era corsa accanto, e si era arrampicata sulle mie ginocchia, ponendo nella piena luce della candela il suo meraviglioso visino, ancora arrossato dal sonno. Ricordo di aver chiuso gli occhi per un momento, coscientemente arresa all'eccessiva bellezza che splendeva nelle sue pupille azzurre. - Cercavi di vedermi dalla finestra? - chiesi. - Pensavi che stessi passeggiando nel parco? - Be', sapete, pensavo che ci fosse qualcuno... - e me lo disse sorridendo, senza esitare. Oh, come la guardai allora! - E hai visto qualcuno? - Ah, no! - replicò quasi delusa, con tutto il privilegio dell'incongruenza infantile, benché prolungasse quel no con infinita dolcezza. In quel momento, nello stato di agitazione in cui mi trovavo, credetti fermamente che mi mentisse; e se chiusi gli occhi ancora una volta fu soltanto perché ero turbata dall'idea di dover scegliere uno dei tre o quattro modi che avevo per reagire. Uno di questi mi tentò, per un momento, con una forza così singolare che, per resistervi, dovetti stringere la piccina in un abbraccio spasmodico, ma che lei sopportò (con mia grande meraviglia) senza un grido e senza dar segno di paura. Perché non giungere con lei ad una spiegazione lì, sul momento, e farla finita? Perché non buttarle tutto in pieno viso, su quel delizioso visino illuminato? «Tu lo vedi, tu lo vedi, tu sai vedere e già sospetti che io lo creda; dunque, perché non confessarlo Henry James
414
1970 - Racconti Di Fantasmi
francamente, in modo che si possa almeno dividere il peso della verità, e forse imparare, nella stranezza del nostro destino comune, dove siamo, e che cosa tutto questo significa?» Questo impulso, ahimè, se ne andò così com'era venuto: se mi ci fossi subito abbandonata, mi sarei almeno risparmiata... vedrete in seguito che cosa. Invece, balzai di nuovo in piedi, guardai il suo letto e mi risolsi a un pietoso compromesso. - Perché hai tirato le cortine, per farmi credere che eri ancora al tuo posto? Flora rifletté candidamente; poi, con il suo celeste sorriso: - Perché non mi piace farvi paura! - Ma se pensavi ch'ero uscita... Non si scompose affatto; volse lo sguardo alla fiamma della candela, come se la domanda fosse irrilevante, o comunque impersonale come «Fra Martino campanaro» o «Quanto fa nove-per-nove». - Oh, ma sapete benissimo, - rispose con ineccepibile buon senso, - che potevate tornare, cara, e che siete ritornata! - E poco dopo, quando si fu coricata di nuovo, dovetti restare a lungo china su di lei, tenendole la mano, per dimostrarle che riconoscevo l'opportunità del mio ritorno. Potete immaginare che cosa fossero le mie notti, a partire da quella. Più volte mi capitava di restare in piedi non so fino a quando; coglievo il momento in cui la mia compagna di stanza sicuramente dormiva per scivolare fuori e andare pian piano giù per il corridoio, e mi spingevo persino al punto dove avevo incontrato Quint l'ultima volta. Ma non l'incontrai più in quel luogo; e posso anche dire subito che non lo rividi mai più nella casa. Perdetti invece l'occasione di avere un'altra avventura sulla scala. Una volta, mentre dall'alto guardavo giù, ravvisai la presenza di una donna, seduta su uno degli ultimi gradini con le spalle rivolte verso di me, piegata in due e con la testa fra le mani, in atteggiamento di dolore. Ero là da un momento appena, quando svanì, senza girarsi a guardarmi. Nondimeno, sapevo esattamente quale spaventoso volto poteva mostrare; e mi chiesi se, trovandomi al pianterreno invece che in cima alla scala, avrei avuto, per salire, lo stesso coraggio che avevo avuto ultimamente con Quint. Tuttavia le occasioni per essere coraggiosa non mi mancarono davvero. L'undicesima notte dopo il mio ultimo incontro con quel signore (ormai le contavo una per una) ebbi un allarme che rischiò di superare le mie forze e che, per il suo carattere particolarmente inaspettato, costituì il più grave turbamento che avessi mai provato. Era precisamente la prima notte di quel periodo in cui, stanca per le continue veglie, avevo creduto di Henry James
415
1970 - Racconti Di Fantasmi
potermi coricare all'ora che prima mi era abituale senza dar prova di negligenza. Mi addormentai immediatamente e il mio sonno durò, come seppi dopo, sino all'una circa; ma quando mi svegliai, sedetti di colpo sul letto, completamente sveglia, come se una mano mi avesse scosso. Avevo lasciato una candela accesa, ma ora era spenta, ed ebbi immediatamente la certezza che l'avesse spenta Flora. Saltai subito dal letto e, nel buio, andai diritta al suo: era vuoto. Uno sguardo alla finestra mi illuminò ulteriormente, e la luce d'un fiammifero completò il quadro. La bambina si era alzata di nuovo (questa volta spegnendo la candela) e ancora una volta, allo scopo di guardare o di rispondere a qualcuno, s'era rannicchiata dietro la tenda e spiava nella notte. Che ora vedesse qualcosa (il che, come m'ero assicurata, non era accaduto la volta precedente) mi fu provato dal fatto che non fu distratta né dalla luce che avevo accesa, né dai movimenti precipitosi con cui m'ero infilata le pantofole e la vestaglia. Nascosta, protetta, assorta, si appoggiava evidentemente al davanzale (la finestra si apriva verso l'esterno) e si abbandonava completamente all'osservazione. Una gran luna pacifica, che le era d'aiuto, mi aveva dato una ragione di più per affrettarmi. Era faccia a faccia con l'apparizione che avevamo incontrato vicino al laghetto, e ora poteva comunicare con essa come non aveva potuto fare prima. Quel che dovevo fare io, era di raggiungere attraverso il corridoio, senza disturbarla, un'altra finestra dallo stesso lato della casa. Andai alla porta senza essere udita; la varcai, la chiusi e dall'esterno accostai l'orecchio per sentire se mai facesse qualche rumore. Mentre ero nel corridoio, mi caddero gli occhi sulla porta del fratello, che si trovava soltanto pochi passi più in là, e che indicibilmente destava di nuovo in me quello strano impulso che ho già chiamato la mia tentazione. E se fossi entrata dritta nella stanza, per andare alla sua finestra?... e se arrischiandomi a svelare il motivo del mio gesto al suo stupore infantile, avessi preso ciò che mi mancava del mistero al laccio della mia audacia? Questo pensiero mi affascinava talmente che avanzai fino alla soglia, prima di arrestarmi. Con l'orecchio teso sino allo spasimo, immaginavo che tutto fosse possibile; mi chiedevo se anche il suo letto fosse vuoto, e anche lui segretamente in vedetta. Passò un minuto interminabile, senza suoni, spirato il quale il mio impulso cedette Era là tranquillo; poteva essere innocente; il rischio era orribile; tornai sui miei passi. C'era sì una figura nel parco... una figura che vagava per strappare uno sguardo, il Henry James
416
1970 - Racconti Di Fantasmi
visitatore con cui Flora era impegnata; ma quel visitatore non aveva nulla a che fare col mio bambino. Esitai ancora, ma per altre ragioni, e per qualche secondo soltanto; poi avevo fatto la mia scelta. A Bly c'era abbondanza di camere vuote, e fu solo questione di scegliere la più adatta. Questa, mi fu chiaro all'improvviso, era la camera del piano di sotto (ma ancora più elevata del giardino), situata in quell'angolo massiccio della casa che ho chiamato torre vecchia. Era una stanza ampia, quadrata, arredata con qualche pretensione da camera da letto, ma tanto scomoda per le sue dimensioni che non era occupata da anni, sebbene la signora Grose la tenesse perfettamente in ordine. L'avevo spesso ammirata, e sapevo come muovermi; dovevo soltanto, una volta superata la stretta al cuore provocata dall'abbandono, attraversarla ed aprire, il più silenziosamente possibile, una delle imposte. Fatto questo, scoprii il vetro senza far rumore e, appoggiandovi il viso, potei constatare (dato che l'oscurità esterna era molto meno profonda) che guardavo nella direzione voluta. Quindi, vidi qualcosa di più. La luna rendeva la notte straordinariamente diafana, e mi lasciò vedere, sul prato, una persona rimpicciolita dalla distanza, che se ne stava immobile e come incantata, gli occhi fissi nella mia direzione... a guardare non tanto me, quanto qualcosa che si trovava apparentemente sopra di me. Era chiaro che c'era un'altra persona sopra di me... c'era una persona sulla torre; ma la presenza sul prato non era affatto quella che avevo aspettato, e incontro alla quale mi ero precipitata con tanta sicurezza. La persona sul prato (mi sentii male mentre lo constatavo) era il povero, piccolo Miles.
XI. Solamente sul tardi del giorno dopo parlai con la signora Grose, perché la cura che mettevo nel non perdere di vista i miei allievi mi rendeva spesso difficile incontrarla a tu per tu; e molto più perché sentivamo entrambe l'importanza di non provocare (sia nella servitù che nei bambini) il sospetto di una segreta agitazione e di discussioni misteriose. A questo proposito, ricavavo una grande sicurezza dal suo aspetto sereno. Il viso fresco di lei nulla trasmetteva agli altri delle mie orribili confidenze. Mi credeva sino in fondo, ne ero certa; se non l'avesse fatto, non so che cosa sarebbe stato di me, perché non avrei certo potuto sostenere da sola quella prova. Ma ella costituiva un magnifico omaggio a quella cosa benedetta Henry James
417
1970 - Racconti Di Fantasmi
che è la mancanza d'immaginazione, e dato che vedeva nei nostri piccoli allievi soltanto bellezza e amabilità, la loro felicità e la loro intelligenza, non poteva essere in comunicazione diretta con le fonti dei miei timori. Se in essi fosse apparso il minimo segno di scoraggiamento o di tristezza, il suo smarrimento, risalendo alle cause, avrebbe certamente eguagliato il loro; ma allo stato presente delle cose sentivo, mentre li sorvegliava con le grosse braccia bianche incrociate e la serenità dipinta costantemente sul viso, che ringraziava il Signore perché, anche rovinati in parte, i loro resti potevano servire. Le vampe della fantasia cedevano il posto, nella sua mente, a una specie di fuoco calmo, casalingo, ed io avevo già cominciato a capire che, mentre i giorni passavano senza altri incidenti esterni, in lei si faceva strada la convinzione che i bambini avrebbero potuto, dopo tutto, badare a se stessi, e dunque la sua maggiore sollecitudine doveva rivolgersi al triste caso rappresentato dalla loro istitutrice. Questo, per quanto mi riguardava, era una notevole semplificazione: potevo impegnarmi a fare in modo che il mio viso non rivelasse nulla agli altri, ma sarebbe stata una grave preoccupazione in più se avessi dovuto controllare anche il suo. Nell'ora di cui sto parlando, mi aveva raggiunta, dietro mie insistenze, sulla terrazza dove col declinare della stagione il sole pomeridiano era ormai piacevole; e sedemmo insieme mentre davanti a noi, a qualche distanza ma a portata di voce, i bambini si aggiravano tranquillamente qua e là. Camminavano adagio, affiancati, sul prato sotto di noi; il bambino leggeva ad alta voce un libro di fiabe e passava un braccio sulle spalle della sorellina, quasi per assicurarsi della sua presenza. La signora Grose li osservava con tranquilla placidità; poi colsi in lei, benché nascosto, lo sforzo mentale di penetrare nel mio animo per scoprirvi il rovescio della medaglia. Avevo fatto di lei un ricettacolo di cose orrende; ma nella pazienza che mostrava per la mia pena, si rivelava un curioso riconoscimento alla superiorità delle mie doti e della mia funzione. Offriva il suo animo alle mie confidenze nello stesso modo che, se avessi voluto preparare un filtro da streghe e darglielo da bere, mi avrebbe teso una bella casseruola luccicante. Tale era in tutto e per tutto il suo atteggiamento quando, nel mio resoconto degli avvenimenti della notte, giunsi alla risposta datami da Miles allorché, avendolo visto in un'ora così eccezionale, quasi nello stesso punto dove si trovava adesso, ero scesa a prenderlo; stando alla finestra m'ero infatti decisa a quella soluzione, Henry James
418
1970 - Racconti Di Fantasmi
temendo di allarmare la casa con un richiamo rumoroso. Le avevo già lasciato capire la poca speranza che avevo, nonostante la sua intensa partecipazione, di trasmetterle appieno l'emozione che mi aveva dato la magnifica trovata con cui, quando fummo rientrati, il bambino aveva risposto alla mia sfida, finalmente espressa in modo chiaro." Non appena ero comparsa nella luce della luna sulla terrazza, mi era venuto incontro senza esitare; allora, in silenzio, lo avevo preso per mano e lo avevo guidato, al buio, su per quella scala dove Quint aveva vagato, bramoso di lui, e lungo il corridoio in cui avevo ascoltato e tremato, sino alla sua camera deserta. Non una parola, mentre camminavamo, era stata scambiata tra di noi, ed io mi chiedevo - oh, come me lo chiedevo! - se stesse frugando nella sua piccola mente per trovare una spiegazione plausibile e non troppo grottesca. Avrebbe certamente dovuto lambiccarsi il cervello, ed io stavolta provai, al pensiero del suo possibile imbarazzo, un curioso fremito di trionfo. Che trappola ingegnosa per l'imperscrutabile! Non avrebbe più potuto esibire il suo finto candore; allora, come diavolo se la sarebbe cavata? In verità, col palpito emozionante di questa domanda, in me palpitava altrettanto il silenzioso interrogativo di sapere come diavolo avrei fatto io. Mi trovavo insomma costretta ad affrontare, come non mai, tutto il rischio che accompagnava, anche adesso, il risuonare della mia spaventosa nota. Ricordo, infatti, che entrai nella sua cameretta dove il letto era ancora intatto, e la finestra spalancata ai raggi della luna diffondeva una luce così chiara che non fu necessario accendere nemmeno un fiammifero... ricordo, dicevo, che ad un tratto mi sentii venir meno e mi lasciai cadere sulla sponda del letto vinta dall'idea ch'egli doveva sapere, ormai, fino a che punto, mi aveva, come si usa dire, «in pugno». Armato della sua intelligenza, poteva far quel che gli piaceva, sinché avessi continuato ad alimentare la vecchia tradizione dei maestri colpevoli d'instillare nei giovani superstizioni e paure. Mi aveva davvero in pugno, e in un pugno di ferro; perché, chi mi avrebbe assolta, chi mi avrebbe salvata dalla forca se, col più lieve tremito di una proposta, fossi stata io la prima ad introdurre nel nostro perfetto rapporto un elemento così ripugnante? No, no, era inutile cercare di farlo capire alla signora Grose (ed è quasi altrettanto inutile cercare di spiegarlo qui) fino a che punto durante il nostro duello rapido e aspro, nel buio, egli provocasse la mia ammirazione. Fui, naturalmente, piena di dolcezza e di pietà: mai, mai prima avevo Henry James
419
1970 - Racconti Di Fantasmi
posato le mani sulle sue piccole spalle con la tenerezza che sentivo allora, mentre, appoggiata al letto, lo avevo a tiro. Non avevo altra alternativa che rivolgergli la domanda, una specie di domanda, almeno. _ Adesso devi parlare... e dirmi tutta la verità. Perché sei uscito? Che cosa facevi là fuori? Vedo ancora il suo meraviglioso sorriso, il bianco dei suoi bellissimi occhi, lo splendore dei dentini che scintillavano nella penombra. - Se vi dico il perché, mi capirete? - A queste parole sentii il cuore in gola. Stava davvero per dirmi il perché? Mi mancò la voce per incoraggiarlo, e mi accorsi che rispondevo soltanto con una smorfia vaga, prolungata e forzata di assenso. Egli era la gentilezza fatta persona e mentre io continuavo ad assentire, sembrava più che mai un principino di fiaba. Fu proprio la sua allegria a concedermi una tregua. Ma sarebbe stata così grande se fosse stato realmente sul punto di dirmi tutta la verità? - Be', - disse infine, - precisamente perché faceste quel che avete fatto. - Fatto cosa? - Perché, tanto per cambiare, pensaste che sono cattivo! - Non dimenticherò la dolcezza e il brio con cui pronunciò quell'aggettivo, né come, per concludere, si chinò in avanti e mi baciò. Quella fu, praticamente, la fine di tutto. Gli restituii il bacio e, mentre lo stringevo per un attimo tra le braccia, dovetti fare uno sforzo supremo per non piangere. Mi aveva reso conto della sua condotta esattamente nel modo che non mi permetteva di chiedere di più, e fu soltanto per confermare che accettavo la sua risposta se gli domandai, dopo aver gettato un'occhiata alla camera: - Allora non ti sei spogliato per niente? Sembrò, realmente, splendere nell'ombra: - Per niente. Sono rimasto in piedi a leggere. - E quando sei sceso? - A mezzanotte. Quando sono cattivo, sono cattivo! - Vedo, vedo... davvero una bella cosa! Ma come potevi esser sicuro che io lo avrei saputo? - Oh, mi ero messo d'accordo con Flora -. Com'erano pronte le sue risposte! - Lei doveva alzarsi e guardare fuori. - Ed è proprio quello che ha fatto -. Ero io a cadere nella trappola! - Così vi ha disturbata e, per vedere quello che stava guardando, anche voi avete dovuto guardare... e avete visto. - Mentre tu, - completai, - rischiavi di prendere un malanno stando fuori Henry James
420
1970 - Racconti Di Fantasmi
di notte! Era così felice per la sua prodezza, che si permise di assentire, tutto raggiante. - Come avrei potuto, altrimenti, essere abbastanza cattivo? chiese. E, dopo un altro abbraccio, l'incidente e il colloquio furono chiusi, con un formale riconoscimento da parte mia di tutte le riserve di bontà che aveva dovuto impiegare per permettersi un simile scherzo.
XII. La particolare impressione che avevo ricevuto, lo ripeto, risultò difficile da presentare alla signora Grose alla luce del giorno, benché la rafforzassi riferendo un'altra osservazione che Miles aveva fatto prima che ci separassimo. - Tutto sta in una dozzina di parole, - le dissi, - parole che mettono davvero a punto la questione. «Pensate un po' a quello che potrei fare!» mi ha detto per provarmi quanto sia buono. Sa benissimo che cosa potrebbe fare. Ne ha dato un saggio a quelli del collegio. - Dio mio, come siete cambiata! - esclamò la mia amica. - Non sono cambiata... spiego le cose come stanno, semplicemente. Potete star sicura che quei quattro s'incontrano di continuo. Se in una di queste ultime notti foste stata con l'uno o con l'altra dei bambini, lo avreste capito chiaramente. Più ho osservato e atteso, più mi sono resa conto che, in mancanza di altre prove, sarebbe sufficiente il sistematico silenzio di ciascuno di loro. Mai, nemmeno a fior di labbro, hanno formulato una semplice allusione ai loro antichi amici, né Miles ha mai accennato alla sua espulsione dal collegio. Oh, sì, possiamo star qui sedute a guardarli, e loro possono darcela a bere sin che vogliono; ma persino quando fingono d'esser perduti nelle loro fiabe, sono sprofondati nella visione dei morti che ritornano. Lui non sta affatto leggendo, - affermai, - stanno parlando di loro... stanno parlando di orribili cose! Lo so, mi sto comportando come una pazza, ed è un miracolo che non lo sia davvero. Quello che ho visto io, vi avrebbe fatta impazzire, ma ha reso me soltanto più lucida, mi ha fatto comprendere molte altre cose. La mia lucidità doveva sembrare terribile, ma le amabili creature che ne erano vittime, passando e ripassando davanti a noi, unite nella loro dolcezza, davano alla mia collega qualcosa a cui aggrapparsi, ed io sentivo fino a che punto vi si tenesse stretta mentre, senza scomporsi al soffio della mia agitazione, sembrava proteggerli con i suoi occhi. - Quali altre cose Henry James
421
1970 - Racconti Di Fantasmi
avete compreso? - Ma come, tutte quelle che mi hanno incantata, affascinata, e ciò nonostante, me ne rendo conto in un modo così strano, mi hanno pure ingannata e confusa. La loro bellezza più che terrena, la loro bontà assolutamente anormale, tutto ciò non è che un giuoco, -continuai, un'ostentazione, un inganno! - Da parte di quei piccoli cari... - ... e tuttora amabili bambocci? Sì, per quanto folle possa parere! - e il solo fatto di pronunciare quel giudizio mi aiutò realmente a delinearlo, a risalire alla sua fonte e a comporlo interamente. - Non sono stati buoni, sono stati soltanto assenti. È stato facile vivere con loro semplicemente perché vivono una vita propria. Non sono nostri... non sono miei... Sono di lui, sono di lei! - Di Quint e di quella donna? - Di Quint e di quella donna. Vogliono arrivare a loro. Oh, come a questo punto, la signora Grose parve studiarli con cura: - Ma perché?! - Per amore di tutto il male che, in quei giorni terribili, la coppia ha inculcato in loro. E nutrirli ancora di quel male, continuare l'opera infernale, è lo scopo del loro ritorno! - Perdinci! - esclamò la mia amica, quasi senza fiato. L'esclamazione era comune, ma dimostrava un'autentica accettazione dell'ulteriore prova da me fornita di quello che doveva essere accaduto in quei giorni amari; perché v'erano stati giorni certamente peggiori anche dei presenti. Nulla avrebbe potuto giustificarmi più di quel semplice consenso, dettato dalla sua esperienza riguardo l'abisso di depravazione che già sospettavo in quella coppia di malfattori. Fu la causa per cui, vinta dal flusso dei ricordi, un momento dopo si lasciò sfuggire: - Erano davvero delle canaglie! Ma che cosa possono fare ora? - aggiunse. - Fare? - esclamai come un'eco, ma così forte che Miles e Flora, passando da lontano si fermarono un momento a guardarci. -Non fanno già abbastanza? - domandai in tono più basso, mentre i bambini, dopo averci sorriso, fatto un cenno col capo e scoccato un bacio verso di noi sulla punta delle dita, riprendevano la commedia. Per un momento questa attirò la nostra attenzione, poi risposi: - Possono distruggerli! - A queste parole la mia compagna si voltò, ma la domanda che mi rivolse era muta ed ebbe solo l'effetto di rendermi più Henry James
422
1970 - Racconti Di Fantasmi
esplicita. - Non sanno ancora esattamente come fare... ma ci stanno provando con tutte le loro forze. Si fanno vedere solo attraverso le cose, per così dire, o al di là di esse... in strani luoghi e in punti elevati, sulla cima delle torri, sui tetti delle case, fuori delle finestre, sulla sponda opposta degli stagni; ma c'è un sottile proposito, da entrambe le parti, di accorciare le distanze e superare l'ostacolo; e il successo dei tentatori è soltanto questione di tempo. Non hanno che da insistere nelle loro tentazioni. - Perché i bambini accorrano? - E periscano nel tentativo! - La signora Grose lentamente si alzò, ed io aggiunsi, presa da scrupolo: - A meno che, naturalmente, noi riusciamo a impedirlo! Stando in piedi davanti a me, che restavo seduta, si sforzava visibilmente di valutare la situazione. - Lo zio deve impedirlo. Sta a lui portarli via. - E chi lo convincerà? Fino a quel momento aveva fissato lo sguardo lontano, ma ora girò verso di me il suo volto attonito: - Voi, signorina. - Scrivendogli che la sua casa è intossicata e che i suoi nipotini sono pazzi? - Ma se lo sono, signorina? - E se lo sono anch'io, volete dire? Sono proprio delle belle notizie da trasmettergli, da parte di una istitutrice il cui compito principale stava nell'evitargli ogni seccatura. La signora Grose rifletté, seguendo di nuovo i bambini con lo sguardo. Sì, lui odia veramente le seccature. E stata la ragione principale... - Per la quale quei due mascalzoni hanno potuto ingannarlo così a lungo? Certamente, anche se dev'esserci voluta una bella dose d'indifferenza. Tuttavia, poiché io non sono una canaglia, non lo ingannerò. Per tutta risposta la mia compagna dopo un momento sedette di nuovo e mi strinse il braccio: - Ad ogni modo, fatelo venire qui da voi. La guardai stupita: - Qui da me? - Ebbi improvvisamente paura di quello che avrebbe potuto fare. - Lui? - Dovrebbe essere qui... dovrebbe aiutarci. Balzai in piedi e penso di averle mostrato un viso più alterato che mai: Mi vedete chiedergli una visita? - No, come allora mi fissava in volto non Henry James
423
1970 - Racconti Di Fantasmi
poteva certamente vedermi fare una cosa simile. Sul mio viso poteva invece leggere (una donna può sempre leggere in un'altra donna) quello che io stessa mi immaginavo: la derisione, il divertimento, il disprezzo di lui per la mia mancanza di rassegnazione al fatto di esser lasciata sola, e per il bel meccanismo che avevo messo in moto allo scopo di richiamare la sua attenzione sul mio fascino trascurato. La signora Grose non sapeva (nessuno lo sapeva) quanto ero stata fiera di servirlo e di rispettare il nostro accordo; ma nondimeno comprese, credo, nel suo giusto valore l'ammonimento che le rivolsi. - Se mai doveste perdere la testa al punto di mandarlo a chiamare a nome mio... Era veramente spaventata: - Ebbene signorina... - ... vi lascerei su due piedi, lui e voi...
XIII. Stare in loro compagnia era sempre una cosa lieta, ma parlare con loro si rivelò, al solito, una prova superiore alle mie forze: presentò, all'atto pratico, difficoltà insormontabili tanto quanto in precedenza. Questa situazione si protrasse per un mese, con nuove aggravanti e segni particolari, il più tipico dei quali, di giorno in giorno più marcato, era un'aria d'ironica consapevolezza da parte dei miei allievi. Non era frutto soltanto, ne sono certa oggi come allora, della mia infernale immaginazione; era assolutamente facile accorgersi che erano al corrente del mio imbarazzo, e che quello strano tipo di rapporto trasformava in una certa maniera, e per un tempo piuttosto lungo, l'atmosfera nella quale vivevamo. Non voglio dire con questo che fossero insolenti o facessero qualcosa di volgare, perché non correvano pericoli del genere: voglio dire, invece, che l'innominabile e intoccabile ingigantiva tra noi, più grande di tutto il resto, e che tanto sforzo per evitare di parlarne non avrebbe potuto aver successo senza un solido, tacito accordo! Era come se, di quando in quando, c'imbattessimo in argomenti davanti ai quali dovevamo arrestarci, come se di colpo dovessimo uscire da vicoli che scoprivamo ciechi, o chiudessimo con un lieve tonfo che attirava gli sguardi degli uni sugli altri (come tutti i tonfi, sempre un poco più forte di quanto avessimo desiderato) le porte che indiscretamente avevamo aperte. Tutte le strade portano a Roma, e c'erano certi momenti in cui avrebbe dovuto colpirci l'idea che quasi ogni materia di studio o argomento di conversazione Henry James
424
1970 - Racconti Di Fantasmi
sfioravano un terreno proibito. Era un terreno proibito la questione del ritorno dei morti in generale e di qualunque cosa, in particolare, potesse sopravvivere, nella memoria, degli amici che i bambini avevano perduto. C'erano giorni in cui avrei giurato che l'uno dicesse all'altra, con una specie d'invisibile colpo di gomito: - Stavolta crede di farcela... ma non ci riuscirà! - «Farcela» poteva essere per esempio, e una volta tanto, permettersi una diretta allusione alla signora che li aveva preparati per essere affidati alle mie cure. Avevano un desiderio insaziabile e delizioso per certi avvenimenti della mia vita, che avevo narrato loro tante e tante volte; sapevano a menadito tutto ciò che mi era accaduto, conoscevano nei minimi particolari la storia delle più insignificanti avventure che erano capitate a me, ai miei fratelli, alle mie sorelle, al cane e al gatto di casa, come altre molte cose sul carattere eccentrico di mio padre, sui mobili e la disposizione della nostra casa, e sulle chiacchiere delle vecchie del mio villaggio. C'erano abbastanza cose di cui parlare, una dopo l'altra, a patto di tirar via e di sapere, istintivamente, quando era il momento di sorvolare. Avevano un'arte tutta loro per tirare i fili della mia fantasia e della mia memoria; e niente altro, forse, quando ripensai in seguito a tali circostanze, mi dava maggiormente il sospetto d'esser sorvegliata di nascosto. In ogni caso, eravamo a nostro agio soltanto quando parlavamo della mia vita, del mio passato e dei miei amici; una condizione che li spingeva ogni tanto, senza la minima necessità, a trasformarsi in piacevoli curiosi. Ero invitata senza alcuna relazione apparente - a ripetere di nuovo la famosa battuta d'una certa signora, o a confermare particolari già riferiti sull'intelligenza del puledro del presbiterio. Era in parte in simili momenti, in parte in altri, del tutto diversi, che la mia prova, come l'ho chiamata, diventava più dura, data la svolta che avevano preso gli avvenimenti. Il fatto che i giorni passavano per me senza altri incontri avrebbe dovuto, pare, calmare un po' i miei nervi sovreccitati. Dopo la leggera emozione di quella seconda notte sul pianerottolo, quando notai la presenza di una donna in fondo alle scale, non avevo più visto nulla, fuori o dentro la casa, che sarebbe stato meglio non vedere. Molte volte, girando un angolo, mi ero aspettata di imbattermi in Quint, e più d'una situazione mi era sembrata favorevole, tanto era sinistra, all'apparizione della signorina Jessel. L'estate era declinata, l'estate se n'era andata; l'autunno era piovuto su Bly, portandoci via metà della nostra bella luce. Il luogo, con il suo cielo grigio e ghirlande di fiori appassiti, i suoi Henry James
425
1970 - Racconti Di Fantasmi
spazi spogli e le foglie morte sparse, era come un teatro dopo lo spettacolo... con i programmi cincischiati sparsi al suolo. Lo stato del tempo, le sfumature dei rumori e del silenzio, l'indicibile sensazione d'esser giunta al momento giusto, mi riportavano alla memoria, abbastanza a lungo perché potessi afferrarla, l'atmosfera di quella sera di giugno trascorsa all'aperto, quando vidi Quint per la prima volta, o quando, quell'altra volta, dopo averlo visto attraverso il vetro della finestra, lo cercai invano nei boschetti circostanti. Riconoscevo i segni, i portentosi presagi... riconoscevo il momento, il luogo. Ma tutto restava incompleto e vuoto, e io continuavo a non essere molestata; se si può dire così di una giovane donna la cui sensibilità, nel modo più straordinario, non era stata smussata, ma anzi resa più acuta. Avevo detto, durante la mia conversazione con la signora Grose a proposito dell'orribile scena di Flora vicino al laghetto (e forse avevo stupito la buona donna dicendole così) che ora mi sarebbe dispiaciuto assai di più perdere il mio potere che non conservarlo. Avevo anche espresso l'idea fissa che mi ero messa in testa: vedessero o no i bambini i due spettri (perché non era ancora definitivamente provato che li vedessero) preferivo infinitamente, per salvaguardarli, correre tutto il rischio da sola. Ero pronta a conoscere il peggio. Quello che avevo previsto di più spiacevole era che i miei occhi fossero chiusi mentre i loro erano spalancati. Orbene, adesso i miei occhi, a quanto pareva, erano davvero chiusi... conclusione per la quale sembrava sacrilego non ringraziare Dio. C'era, ahimè, una difficoltà anche in questo: lo avrei ringraziato con tutta l'anima se non avessi avuto, in misura proporzionale, la convinzione che i miei allievi nascondevano un segreto. Come descrivere, oggi, le strane tappe della mia ossessione? Certe volte, quando eravamo assieme, avrei potuto giurare che, in mia presenza, ma senza che ne avessi la diretta sensazione, ricevevano, letteralmente, la visita di persone note e gradite. In quei momenti, se non fossi stata trattenuta dalla sola possibilità che il rimedio potesse essere peggiore del male, la mia esaltazione sarebbe liberamente esplosa. «Loro due sono qui, sono qui, piccoli disgraziati, -avrei urlato, - e non potete negarlo ora!» I piccoli disgraziati negavano con tutta la forza della loro amabilità e della loro tenerezza, nelle cui profondità cristalline - come il guizzo di un pesce nella corrente - scintillava ironicamente il vantaggio che avevano su di me. In verità, il mio turbamento era stato più profondo di quanto credessi quella notte, quando, mentre sotto le stelle andavo alla ricerca di Quint o Henry James
426
1970 - Racconti Di Fantasmi
della signorina Jessel, avevo scoperto il bambino sul cui riposo intendevo vegliare, e che nel rientrare aveva conservato - trasferendolo, sin dal primo momento, su di me - il dolce sguardo con cui si era compiaciuto di giocare, dall'alto dei merli, la ripugnante apparizione di Quint. Se si trattava di provar spavento, certamente la mia scoperta in quella circostanza mi aveva spaventata più di qualunque altra, e proprio dallo stato successivo dei miei nervi ricavavo le conclusioni cui ero giunta. Ne ero tormentata a tal punto che qualche volta, nei momenti più impensati, mi chiudevo in camera per ricordarmi ad alta voce (era al tempo stesso un fantastico sollievo e una rinnovata disperazione) la strada che mi avrebbe permesso di giungere allo scopo. L'avvicinavo ora da un lato ora dall'altro, mentre mi aggiravo inquieta nella stanza, ma al momento di pronunciare - orrendamente - i nomi propri, il coraggio mi abbandonava sempre. Mentre le parole mi morivano sulle labbra, mi dicevo che forse, pronunciandoli, avrei facilitato i miei pupilli a rappresentarsi qualcosa d'infame, e avrei violato il più raro caso di delicatezza istintiva che mai un'aula scolastica, probabilmente, avesse conosciuto Quando mi dicevo: «Loro hanno abbastanza tatto per tacere, e tu con tutta la fiducia che ti dimostrano, avresti la bassezza morale di parlare!» mi sentivo avvampare e mi coprivo il viso con le mani. Dopo queste scene segrete, cicalavo più che mai, volubilissima, sino al momento in cui sopraggiungeva uno dei nostri prodigiosi tangibili silenzi (non posso chiamarli altrimenti), la strana, vertiginosa sensazione di essere sollevati o di nuotare (fatico a trovar le parole!) in una sorte di sospensione animata, di un arrestarsi del corso della vita, che non avevano alcun rapporto con il chiasso più o meno grande che facevamo in quel momento, e che potevo sentire attraverso non importa quale scoppio di allegria, affrettata recitazione o più rumoroso accordo di pianoforte. Era in quel momento che gli altri, gli intrusi, erano là. Sebbene non fossero angeli, «passavano», come dicono i francesi, e mi facevano fremere di paura per tutto il tempo che restavano, al pensiero che stessero indirizzando alle loro piccole vittime qualche messaggio ancora più infernale o qualche visione più vivida di quelle che avevano ritenute sufficienti per me. Quel che mi riusciva più difficile allontanare era l'idea crudele che, qualunque cosa io avessi visto, Miles e Flora vedevano di più... cose terribili e impossibili da immaginare, che balzavano fuori dagli orribili momenti della loro vita in comune d'un tempo. Simili cose, naturalmente, lasciavano alla superficie dei nostri rapporti, per qualche tempo, un gelo Henry James
427
1970 - Racconti Di Fantasmi
che ci rifiutavamo di riconoscere a parole; e tutti e tre, col moltiplicarsi di quelle situazioni, avevamo acquisito una così bella pratica che ogni volta, quasi automaticamente, eseguivamo gli stessi movimenti per segnare la fine dell'incidente. Era sorprendente che i bambini, in ogni caso, venissero a baciarmi regolarmente, con un sorta di selvaggio trasporto, e senza trascurare mai, l'uno o l'altra, la preziosa domanda che ci aveva permesso di superare più di un pericolo. «Quando pensate che verrà? Non credete dovremmo scrivergli?»... non v'era niente, lo sapevo per esperienza, che al pari di questo potesse dissipare ogni imbarazzo. «Lui», naturalmente, era il loro zio di Harley Street, e noi vivevamo ripetendoci che egli potesse arrivare in qualsiasi momento, ed unirsi alla nostra piccola cerchia. Sarebbe stato impossibile incoraggiare quest'idea meno di quanto l'aveva incoraggiata lui, ma se non avessimo avuto quel conforto ci saremmo privati l'un l'altro di una delle nostre più geniali finzioni. Egli non scriveva mai ai nipoti... poteva essere semplice egoismo, ma faceva certamente parte del suo modo di lusingarmi mostrandomi piena fiducia; poiché l'omaggio più alto che un uomo rende a una donna consiste nella più festosa esaltazione di una delle leggi più segrete della sua tranquillità; ed io, quando lasciavo intendere ai miei allievi che le loro letterine non erano altro che degli eleganti esercizi letterari, ero persuasa di attenermi allo spirito della promessa data di non infastidirlo mai. Erano lettere troppo belle per esser spedite per posta; le tenevo per me, e le conservo tuttora. Questa regola non serviva che a rendere più ironica l'insistenza della supposizione che egli potesse, da un momento all'altro, essere tra noi. Era come se i due bambini si rendessero pienamente conto dell'imbarazzo che una simile visita, più di ogni altra cosa mi avrebbe procurato. Inoltre, osservando gli avvenimenti a ritroso, niente mi pare oggi più straordinario del fatto che, a dispetto della mia tensione nervosa e del loro contemporaneo trionfo, non persi mai la pazienza con essi. Come dovevano essere adorabili, penso, se in quei giorni non arrivai mai al punto di odiarli! Tuttavia, se un qualche sollievo fosse stato rimandato più a lungo, la mia esasperazione, alla fine, non mi avrebbe tradito? Quel che ho detto importa poco, giacché il sollievo arrivò. Lo chiamo sollievo, benché non fosse che un sollievo del genere di quello che un taglio può dare a una corda troppo tesa o lo scoppio d'un temporale ad una giornata afosa. Era un cambiamento, almeno, e venne all'improvviso.
Henry James
428
1970 - Racconti Di Fantasmi
XIV. Andando in chiesa, una domenica mattina, avevo il piccolo Miles al mio fianco; davanti a noi, bene in vista, camminava la sorellina, al fianco della signora Grose. Era una giornata chiara, un po' fredda, la prima del genere da qualche tempo; la notte aveva disteso un velo di brina e l'aria d'autunno, frizzante e viva, rendeva quasi festoso il suono delle campane. Per una curiosa disposizione d'animo, in quel momento ero particolarmente e piacevolmente colpita dalla docilità dei miei piccoli allievi. Perché non sentivano mai il peso della mia inesorabile, perpetua compagnia? In un modo o nell'altro ero giunta a rendermi conto che non avevo fatto altro che cucire il bambino alle mie sottane, e che, almeno a giudicare da come i miei protetti erano guardati a vista, sembrava che volessi premunirmi contro il pericolo di una rivolta. Ero come un carceriere che vigilasse per impedire qualche fuga o sorpresa. Ma tutto ciò - voglio dire la semplice, splendida resa dei bambini - si ricollegava proprio a quanto c'era di più singolare nelle nostre misteriosissime vicende, vestito a festa dal sarto di suo zio, che aveva avuto mano libera e sapeva apprezzare il valore di un panciotto elegante e del portamento signorile del suo piccolo cliente, Miles portava talmente scritto in faccia il diritto all'indipendenza che gli conferivano il sesso e la sua condizione, che se all'improvviso avesse preteso la sua libertà io non avrei saputo che cosa dire. Per la più strana coincidenza, stavo appunto domandandomi come in tal caso avrei potuto tenergli testa, quando la rivoluzione scoppiò, senza ombra di dubbio. La chiamo rivoluzione perché mi accorgo ora come, con le poche parole che disse, il sipario si alzò sull'ultimo atto del mio spaventoso dramma e la catastrofe si verificò. - Per favore, mia cara, - disse gentilmente, - sapreste dirmi quando mai tornerò in collegio? Così trascritto, il discorsetto suona abbastanza innocente, tanto più per essere stato pronunciato col timbro carezzevole, sincero, disinvolto che faceva sempre, per le sue intonazioni, come tante rose gettate all'interlocutore, in particolar modo quando si trattava della sua eterna istitutrice. C'era qualcosa, in esse, che non mancava mai di «prendere», e in ogni caso io ne fui allora così presa che mi fermai di colpo, come se uno degli alberi del parco fosse caduto attraverso la strada. Qualcosa di nuovo s'era levato là, tra noi, ed egli era perfettamente consapevole che io me n'ero resa conto, sebbene, per mettermi in quella condizione non avesse Henry James
429
1970 - Racconti Di Fantasmi
bisogno di rinunciare a un briciolo del suo candore e del suo fascino abituale. Sentivo come, per il fatto stesso che non avevo saputo cosa rispondergli subito, egli si fosse già accorto d'essere in vantaggio. Misi tanto tempo a trovar le parole, ch'egli potè con calma, dopo un minuto, continuare col suo sorriso più suggestivo, ma vago: - Dovreste capire, mia cara, che per un ragazzo, a star sempre con una signora...! - Quel «mia cara» lo aveva sovente sulle labbra quando si rivolgeva a me, e nulla, più di quella affettuosa familiarità, avrebbe potuto esprimere meglio la precisa sfumatura del sentimento che desideravo ispirare ai miei allievi. Era così facilmente rispettoso! Ma, oh, come sentii allora quanto dovessi pesare le parole! Ricordo che, per guadagnare tempo, cercai di ridere, e mi sembrò di leggere nel suo bel viso, mentre mi guardava, quant'ero brutta e strana in quel momento. - E sempre con la stessa signora! - esclamai. Non impallidì, non batté ciglio. L'intera faccenda era evidentemente nota ad entrambi. - Oh, naturalmente è una piacevole signora, proprio una «vera» signora... Ma, dopo tutto, io sono un ragazzo, no? be', un ragazzo... che sta crescendo. Esitai un momento; provavo per lui sempre tanta tenerezza: - Sì, stai crescendo -. Oh, ma quanto mi sentivo smarrita! Ancora oggi rimango convinta di questa piccola, angosciosa idea: ch'egli sembrava saperlo e se ne serviva per divertirsi: - E non potete dire che io non sia stato terribilmente buono, non è vero? Gli posai la mano sulla spalla perché sebbene sentissi quanto sarebbe stato meglio proseguire la passeggiata, non ne ero del tutto capace. - No, questo non posso dirlo, Miles. - Ad eccezione di quell'unica notte... ricordate? - Quell'unica notte? - Non potevo guardarlo dritto in faccia, come lui stava facendo con me. - Ma come, quando sono sceso giù... quando sono uscito di casa. - Oh, sì. Ma non ricordo perché lo hai fatto. - Non ve ne ricordate? - e parlava con la soave esuberanza tipica dei rimproveri infantili. - Ma era proprio per dimostrarvi che potevo farlo! - Oh, sì, potevi farlo. - E posso farlo di nuovo. Sentii che forse, nonostante tutto, potevo restare in possesso delle mie facoltà. - Certamente. Ma non lo farai. Henry James
430
1970 - Racconti Di Fantasmi
- No, non ancora quello. Quella era una cosa da niente. - Era una cosa da niente, - dissi. - Ma ora dobbiamo andare. Riprese a camminare al mio fianco, passandomi una mano sottobraccio: - Allora, quando tornerò in collegio? Mentre riflettevo, assunsi la mia aria più autorevole. - Eri molto felice in collegio? Sembrò pensare un momento: - Oh, sono abbastanza felice ovunque! - Ebbene, allora... - la voce mi tremava. - Se sei altrettanto felice qui! - Ah, ma questo non è tutto! Naturalmente voi sapete molte cose... - Vuoi farmi capire che tu ne sai quasi altrettante? - arrischiai mentre faceva una pausa. - Nemmeno la metà di quello che vorrei! - confessò onestamente Miles. - Ma non è tanto questo. - Che cos'è, allora? - Be'... vorrei vedere un po' più di vita. - Capisco, capisco... - Eravamo arrivati in vista della chiesa e di varie persone, compresi alcuni componenti della servitù di Bly, che nell'andarvi si erano raggruppati vicino alla porta per vederci entrare. Affrettai il passo; volevo entrare prima che la nostra discussione si spingesse troppo oltre; riflettevo nervosamente che per più di un'ora, una volta in chiesa, egli avrebbe dovuto tacere, e pensavo con sollievo alla vaga penombra del recinto riservato alla famiglia e dell'aiuto, quasi spirituale, che mi avrebbe dato il cuscino sul quale avrei potuto poggiare le ginocchia. Avevo effettivamente l'impressione di star disputando con lui una corsa diretta confusamente a un traguardo di sua scelta; ma sentii con chiarezza ch'era già arrivato dove voleva quando, ancor prima che fossimo giunti al cimitero antistante la chiesa, disse all'improvviso: - Voglio vivere con i miei pari! Le sue parole mi fecero addirittuta sobbalzare: - Non ce ne sono molti di tuoi pari, Miles! - e mi misi a ridere. - Eccettuata forse la piccola Flora! - Davvero mi paragonate a una bambinetta? Questo mi fece sentire stranamente debole: - Allora non vuoi bene alla nostra piccola Flora? - Se non le volessi bene... e anche a voi! Se non ve ne volessi...! - ripetè, come se stesse prendendo la rincorsa per un salto, e tuttavia lasciando il pensiero così incompiuto che, varcato il cancello, divenne inevitabile un'altra fermata, ch'egli m'impose stringendomi il braccio. La signora Henry James
431
1970 - Racconti Di Fantasmi
Grose e Flora erano già entrate in chiesa, gli altri fedeli le avevano seguite, e noi, per il momento, eravamo rimasti soli tra le vecchie tombe massicce. Ci eravamo fermati lungo il viottolo che partiva dal cancello, vicino a una tomba bassa, oblunga come una tavola. - Allora, se non ve ne volessi...? Mentre aspettavo guardava fra le tombe. - Be', sapete bene che cosa! Ma non si muoveva, e all'improvviso disse qualcosa che mi obbligò a sedere sulla lastra, quasi per un inatteso bisogno di riposo: - Mio zio pensa quello che voi pensate? Con ostentazione non mi mossi: - Come sai quello che penso io? - Ah, naturalmente non lo so, benché mi stupisca che non me lo diciate mai. Ma intendo dire, lui lo sa? - Sa che cosa, Miles? - Insomma, come mi comporto. Mi resi conto piuttosto rapidamente che non potevo dare, a questa domanda, nessuna risposta che non indicasse qualche sacrificio per il mio datore di lavoro. Nondimeno mi sembrava che noi tutti, a Bly, ci fossimo sacrificati abbastanza per concederci un peccato veniale: - Non credo che a tuo zio interessi molto. A queste parole Miles mi fissò a lungo: - Allora pensate che non si potrebbe spingerlo a interessarsene? - In che modo? - Ma come, facendolo venire qui. - E chi lo farà venire qui? - Io! - disse allora il bambino con una vivacità e un'enfasi straordinarie. Mi lanciò un altro sguardo carico di quell'espressione, poi s'incamminò da solo verso la chiesa.
XV. La faccenda praticamente terminò lì, perché non lo seguii. Era una deplorevole resa allo stato dei miei nervi, e il fatto di rendermene conto non mi aiutò per nulla a ritrovare un po' di calma. Non potevo che restare là, seduta sulla mia tomba, a cercar d'indovinare il senso completo di quanto mi aveva detto il mio piccolo amico; e quando giunsi ad afferrarlo interamente, avevo anche deciso di giustificare la mia assenza col pretesto che mi vergognavo di offrire ai miei allievi e al resto della congregazione Henry James
432
1970 - Racconti Di Fantasmi
un tale esempio di ritardo. Ma mi ripetevo soprattutto che Miles mi aveva strappato una preziosa confessione e ne avrebbe avuto la prova proprio da quel mio disgraziato collasso. Mi aveva fatto confessare che c'era qualcosa di cui avevo una gran paura e, probabilmente, si sarebbe servito della mia paura per ottenere una maggiore libertà per i suoi scopi. La mia paura era di dover trattare la questione intollerabile dei motivi della sua cacciata dal collegio, perché quella, in realtà, era la questione a cui si riallacciavano tutti gli altri orrori. Che suo zio arrivasse per trattare con me di quelle cose era una soluzione che, a stretto rigor di logica, avrei ora dovuto desiderare; ma potevo tanto poco affrontare la ripugnanza e la pena, che mi limitavo a rimandare e vivevo alla giornata. Il ragazzo, con mia profonda umiliazione, era pienamente nel suo diritto e nella condizione di dirmi: «O mettete in chiaro col mio tutore il mistero di questa interruzione dei miei studi, o la smettete di aspettarvi che io continui al vostro fianco una vita tanto innaturale per un ragazzo». Ma la cosa veramente innaturale per il ragazzo di cui mi occupavo stava nell'improvvisa rivelazione che lui era consapevole della situazione ed aveva un piano al riguardo. Era questo ciò che mi sconvolgeva davvero, e m'impediva d'entrare in chiesa. Camminai intorno al tempio, esitante, indecisa; pensavo che ai suoi occhi mi ero già irrimediabilmente compromessa. Non potevo, dunque, rimediare più a niente, e sarebbe stato uno sforzo troppo penoso andar a sedere nel banco, vicino a lui; sareb-be stato così ancora più sicuro, tanto da insinuare il braccio sotto il mio e tenermi seduta là per un'ora, in stretto, silenzioso contatto col suo commento su quanto avevamo detto. Per la prima volta dopo il suo arrivo sentivo il desiderio di stargli lontana. Ero ferma sotto l'alta finestra rivolta ad oriente ad ascoltare i canti dei fedeli, quando fui assalita da un impulso che, se l'avessi minimamente incoraggiato mi avrebbe, lo sentivo, dominata in assoluto. Avrei potuto facilmente metter fine alla prova fuggendo. Ecco l'occasione buona; non c'era nessuno a fermarmi; potevo rinunciare a tutta la faccenda... voltare le spalle e ritirarmi. Si trattava soltanto di tornare in fretta, per i pochi preparativi, nella casa che, data la presenza in chiesa di tanti domestici, sarebbe stata praticamente vuota. Nessuno, per farla breve, avrebbe potuto biasimarmi se scappavo per disperazione. Che significato avrebbe invece avuto andarmene, se doveva essere soltanto fino all'ora del pranzo? Un paio d'ore e poi - mi pareva di vederli - i miei piccoli allievi avrebbero finto un innocente stupore perché avevo mancato di seguirli in chiesa. Henry James
433
1970 - Racconti Di Fantasmi
«Che cosa avete fatto, cattiva, maleducata? Perché mai - per farci preoccupare, per distrarci, non è vero? - ci avete abbandonati proprio sulla porta?» Non potevo affrontare queste domande né lo sguardo falso dei loro occhioni mentre me le rivolgevano; eppure, tutto ciò corrispondeva tanto perfettamente a quanto avrei dovuto affrontare che, davanti all'immagine sempre più precisa che mi si formava nella mente, alla fine mi risolsi ad andar via. Cominciai per il momento ad andarmene di lì; uscii decisa dal cimitero e riflettendo intensamente ritornai sui miei passi attraverso il parco. Giunta a casa, mi parve d'essere ormai decisa a fuggire. La calma domenicale che vi regnava, tanto all'esterno che all'interno, dove non incontrai nessuno, mi colpi come l'offerta discreta di un'occasione unica. Se me ne fossi andata in fretta, in quel modo, avrei potuto scomparire senza scene, senza una parola. Ma la mia sveltezza avrebbe dovuto essere eccezionale, e la questione d'un mezzo di trasporto era la più difficile da risolvere. Ricordo che nell'atrio, tormentata dalle difficoltà e dagli ostacoli che mi restavano da superare, mi lasciai cadere ai piedi della scala... improvvisamente sfinita, mi sedetti sul gradino più basso; poi con una violenta reazione rammentai che esattamente in quel punto, più di un mese prima, nella tenebra notturna, avevo visto lo spettro della più orribile delle donne, curva sotto il peso della sua malvagità. A questo pensiero riuscii a rialzarmi; percorsi su su il resto della scala; e mi diressi, preda di un forte turbamento, verso lo studio, dove c'erano alcuni oggetti di mia proprietà che dovevo prendere. Ma apersi la porta solo per scoprire, in un lampo, che i miei occhi s'erano riaperti. Davanti a quel che vidi, ritrovai di colpo tutta la mia capacità di resistenza. Seduta al mio tavolo, nella chiara luce del meriggio vidi una persona che, senza la mia precedente esperienza, avrei potuto scambiare al primo sguardo per qualche domestica rimasta di guardia alla casa e che, concedendosi un raro sollievo dal suo incarico, e servendosi dello scrittoio, nonché della mia penna, inchiostro e carta, si fosse dedicata alla considerevole fatica di scrivere una lettera al suo innamorato. La fatica traspariva dal modo con cui, mentre le braccia poggiavano sul tavolo, le mani sostenevano la testa con evidente stanchezza; ma, nel momento stesso in cui mi rendevo conto di questo, avevo già notato che, nonostante il mio ingresso, il suo atteggiamento, stranamente, non era mutato. Poi bastò il semplice accenno del gesto - un cambiamento di posizione scopri Henry James
434
1970 - Racconti Di Fantasmi
la sua vera identità. Si alzò, non come se mi avesse sentito entrare, ma con una tristezza incredibilmente grande, intrisa d'indifferenza e distacco, e, a una dozzina di passi da me, ecco ritta in piedi la vile signorina che mia aveva preceduta. Disonorata e tragica stava tutta intera davanti a me; ma proprio mentre la fissavo e me ne incidevo l'immagine nella memoria, l'orribile figura sparì. Scura come la notte nel suo abito nero, nella sua dannata bellezza e nel suo chiuso dolore, mi aveva guardata abbastanza a lungo per lasciarmi capire che il suo diritto di sedersi al mio tavolo valeva il mio di sedermi al suo. Durante quegli istanti fremetti per l'impressione che l'intrusa fossi io. In una selvaggia protesta contro quest'impressione, mi udii urlare, rivolta direttamente a lei: «Orrenda, miserabile donna!» e la mia voce attraverso la porta aperta echeggiò lungo il corridoio e la casa deserta. Mi guardò, come se mi avesse sentito; ma mi ero ripresa, in un'atmosfera già più respirabile. Un attimo dopo, nella stanza non restavano che la luce del sole e la certezza che dovevo rimanere.
XVI. Ero talmente sicura che il ritorno dei miei allievi sarebbe stato accompagnato da qualche rimostranza, che provai un nuovo turbamento nel vedere che non aprivano bocca a proposito della mia assenza. Invece di rimproverarmi gaiamente e di blandirmi, non allusero minimamente al fatto che li avevo lasciati soli e, per il momento, non mi rimase che studiare la strana espressione della signora Grose, visto che anche lei non mi diceva nulla. Lo feci intenzionalmente, e alla fine mi convinsi che in qualche modo l'avevano costretta al silenzio; un silenzio, tuttavia, che mi ripromettevo di rompere non appena ci fossimo trovate a tu per tu. L'occasione buona si presentò prima dell'ora del tè: feci in modo di restare cinque minuti con lei nella sua stanza dove, nel crepuscolo, in mezzo all'odore del pane appena abbrustolito, ma con tutto bene in ordine intorno a sé la trovai seduta davanti al fuoco, in una tranquilla sofferenza. Così la rivedo, così la ricordo meglio; rivolta alla fiamma dalla sua sedia massiccia, in quella stanza in penombra e tirata a lucido; immagine netta e maestosa delle cose «riposte», di cassetti ben chiusi e ben serrati, di riposo senza rimedio. - Oh, sì, mi han chiesto di non dir nulla; e di assecondarli, sino a che erano presenti... Naturalmente ho promesso. Ma che cosa vi è capitato? Henry James
435
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Sono venuta con voi soltanto per fare una passeggiata, - dissi. - Poi ho dovuto tornare per incontrare un'amica. Si mostrò sorpresa. - Un'amica... voi? - Oh sì, ne ho un paio! - Risi. - Ma i bambini vi hanno fornito una spiegazione? - Perché non alludessi al fatto che ci avete lasciati? Sì; mi hanno detto che avreste preferito così. Preferite davvero così? L'espressione del mio viso l'aveva afflitta. - No, mi dispiace! -Ma un istante dopo aggiunsi: - E vi hanno detto perché avrei dovuto preferirlo? - No; il signorino Miles ha solo detto: «Dobbiamo fare solamente quello che le fa piacere!» - Vorrei che lo facesse davvero! E che cosa ha detto Flora? - La signorina Flora è stata molto gentile. Ha detto: «Oh, naturalmente, naturalmente!» ed io ho detto lo stesso. Riflettei per un po'. - Anche voi siete stata tanto gentile... Mi pare di sentirvi tutti quanti. Nondimeno, tra Miles e me, tutto è finito. - Tutto? - La mia compagna sembrò stupita. - Ma che cosa, signorina? - Tutto. Non importa. Ho deciso. Sono tornata a casa, mia cara, proseguii, - per fare due chiacchiere con la signorina Jessel. Avevo preso ormai l'abitudine, prima di toccare questo tasto, di avere bene in pugno la signora Grose; sicché, persino in questa circostanza, mentre sbatteva coraggiosamente le palpebre al significato delle mie parole, riuscii a tenerla relativamente calma. - Due chiacchiere? Volete dire che lei ha parlato? - È accaduto così. L'ho trovata, al ritorno, nel mio studio. - E che cosa ha detto? - Mi par di sentire ancora in quella brava donna la sincerità del suo stupore. - Che soffre i tormenti!... Fu questo, in realtà, che la riempi di stupore e rimase a bocca aperta sforzandosi di ricostruire la scena: - Volete dire... - balbettò, - delle anime perdute? - Delle anime perdute. Dei dannati. E perciò, per dividerli con qualcuno... - A mia volta, per l'orrore, mi mancò la voce. Ma la mia compagna, meno dotata d'immaginazione, m'incalzò: - Per dividerli con...? - Vuole Flora -. A queste parole la signora Grose mi sarebbe potuta sfuggire di mano se non fossi stata più che preparata; la tenni ben stretta, Henry James
436
1970 - Racconti Di Fantasmi
per provarle che lo ero. - Ma come vi ho già detto, non importa. - Perché avete deciso? Ma deciso cosa? - Ogni cosa. - E cioè? - Ma come, mandare a chiamare lo zio. - Oh, signorina, per carità, fatelo! - esclamò la mia amica. - Ah, ma lo farò, lo farò! Vedo che è l'unica soluzione. Ciò che si è chiarito, tra Miles e me, è proprio questo: che se lui crede che io abbia paura di farlo (e ha certe idee su quel che ne potrebbe guadagnare) vedrà che si è sbagliato. Sì, sì: suo zio sentirà dalla mia bocca, proprio qui (e davanti al ragazzo se sarà necessario) che se sono da rimproverare per non aver cercato un'altra scuola... - Sì, signorina... - incalzò la mia compagna. - Be', c'è quell'orribile motivo. Di motivi ce n'erano ormai tanti che l'incertezza della mia povera collega poteva essere scusata: - Ma... quale? - Ma come! La lettera dal posto dov'era prima... - La mostrerete al padrone? - Avrei dovuto farlo sin dal primo momento. - Oh no! - esclamò con decisione la signora Grose. - Gli dirò chiaramente, - proseguii su un tono inesorabile, -che m'è impossibile occuparmi di questa faccenda, trattandosi d'un ragazzo cacciato... - Per motivi che non abbiamo mai saputo, - dichiarò la signora Grose. - Per cattiva condotta. Per quale altra ragione... dal momento ch'è così intelligente e bello e perfetto? E forse uno sciocco? Ha cattive maniere? È malaticcio? Ha un brutto carattere? No, è squisito... quindi può esser stato soltanto per quello; e quel motivo chiarisce tutto. In fondo, - dissi, - la colpa è dello zio. Se ha lasciato qui gente di quella risma!... - Veramente, lui non li conosceva bene. La colpa è mia -. Era diventata pallidissima. - Be', non dovete tormentarvi, voi, - risposi. - I bambini non devono soffrire! - ribatté con enfasi. Tacqui per un poco, mentre continuavamo a fissarci. - Allora che cosa devo dirgli? - Voi non dovete dirgli nulla. Io glielo dirò. Riflettei su questa risposta: «Volete dire che gli scriverete?» Ma Henry James
437
1970 - Racconti Di Fantasmi
ricordando che non sapeva scrivere, aggiunsi: - Come fate a comunicare? - Lo dico al fattore. È lui che scrive. - E vi piacerebbe fargli scrivere tutta questa nostra storia? Nella mia domanda c'era più sarcasmo di quanto non volessi, e questo, dopo averla turbata, la fece crollare in un momento. Gli occhi le si riempirono nuovamente di lagrime: - Ah, signorina, scrivete voi! - Bene... questa sera, - risposi finalmente; e con questo ci separammo.
XVII. Quella sera mi spinsi fino al punto di cominciare la lettera. Il tempo era ancora cambiato, soffiava un forte vento, e sotto la lampada, in camera mia, con Flora che riposava pacificamente accanto a me, rimasi a lungo seduta davanti a un foglio bianco, ascoltando lo scroscio della pioggia e l'urlo delle folate. Infine uscii, reggendo un candeliere; attraversai il corridoio e rimasi in ascolto un minuto alla porta di Miles. Ero stata spinta, nella mia interminabile ossessione, a cercar di cogliere qualche segno che mi provasse ch'era ancora sveglio, e d'un tratto ne avvertii uno, ma non sotto la forma che mi aspettavo. La sua voce squillò. - Dico a voi, là fuori... entrate -. Fu un lampo di gioia nelle tenebre! Entrai con il mio candelabro e lo trovai a letto, sveglissimo e tuttavia perfettamente tranquillo. - Ebbene, perché siete in piedi? -domandò con una grazia tanto amabile che invano, pensai, la signora Grose, se fosse stata presente, avrebbe cercato una prova che tra di noi tutto era «finito». Stavo in piedi davanti a lui con il candeliere in mano. - Come hai fatto a sapere che ero là fuori? - Ma vi ho sentita, naturalmente. Credete forse di non far rumore? Sembrate uno squadrone di cavalleria! - e scoppiò in una bella risata. - Allora non dormivi? - Non proprio. Ero sveglio e pensavo. Avevo messo di proposito il mio candeliere a una certa distanza, ma poi, dal momento che mi tendeva amichevolmente la mano, mi ero seduta sulla sponda del letto. - A che cosa stavi pensando? - domandai. - E a chi altri, mia cara, se non a voi? - Ah, il tuo apprezzamento mi lusinga, ma non pretendo tanto! Preferirei di gran lunga che tu dormissi. - Penso anche, sapete, a questa nostra strana faccenda. Avevo notato la Henry James
438
1970 - Racconti Di Fantasmi
freddezza di quell'energica manina: - Quale strana faccenda, Miles? - Come, quale? Il modo con cui mi educate. E tutto il resto. Per un minuto buono restai senza fiato, e anche la luce tremolante della candela era sufficiente a mostrarmi come mi sorrideva dal suo guanciale: Cosa intendi dire con tutto il resto? - Oh, ma voi lo sapete, voi lo sapete! Per un attimo ancora non fui in grado di parlare, sebbene sentissi, mentre gli tenevo la mano e i nostri sguardi continuavano a incrociarsi, che il mio silenzio aveva proprio l'aria di approvare quanto aveva detto, e che nulla forse, nell'intero mondo della realtà, era in quel momento più fantastico della nostra attuale relazione. - Certamente tu farai ritorno in collegio, dissi, - se è questo che ti turba. Ma non in quello dove stavi prima... dobbiamo trovarne un altro, uno migliore. Come potevo immaginare che questo problema ti preoccupava tanto, se non me l'hai mai detto, non me ne hai parlato affatto? - Il suo volto chiaro, attento, incorniciato dal vago biancore del guanciale, lo rendeva patetico come un mesto malatino in un ospedale per bambini; e avrei dato, mentre questa similitudine mi veniva in mente, tutto quanto possedevo al mondo per essere davvero l'infermiera o la suora di carità che l'avrebbe aiutato a guarire. Ebbene, anche nella situazione che si era creata, forse potevo essergli d'aiuto! - Lo sai che non mi hai detto nemmeno una parola sul collegio, voglio dire quello di prima; che non me ne hai parlato mai e poi mai?! Sembrò riflettere, poi sorrise di nuovo, con la sua solita amabilità. Ma era evidente che voleva guadagnar tempo; aspettava, cercava qualcosa che lo guidasse: - Davvero non l'ho mai fatto? - Non stava a me aiutarlo... Stava a ciò in cui io stessa m'ero imbattuta. Qualcosa, nel tono della voce e nell'espressione del viso, mentre mi parlava così, mi aveva trafitto il cuore con una pena che non avevo provato mai; tanto era indicibilmente toccante lo spettacolo del suo piccolo cervello tormentato, e di tutti i piccoli artifici cui ricorreva per recitare, costretto dal sortilegio che pesava su di lui, una parte ingenua e coerente. No, mai, dal momento in cui sei tornato. Non mi hai nominato mai uno dei tuoi insegnanti, uno dei tuoi compagni, non hai accennato mai al minimo fatterello che potesse esserti capitato in collegio. Mai, mio piccolo Miles... no, mai... mi hai dato la più piccola indicazione su quello che poteva esserti accaduto. Quindi puoi facilmente immaginare quanto io sia Henry James
439
1970 - Racconti Di Fantasmi
all'oscuro. Fino alla tua uscita di stamattina non ti avevo mai sentito fare, in pratica da quando ti conosco, la benché minima allusione alla tua vita passata. Sembravi accettare il presente nella maniera più completa e definitiva -. Era straordinario come la mia assoluta convinzione della sua segreta precocità (o qualunque altro nome si potesse dare al veleno di un'influenza che io stessa non osavo citare a chiare lettere) me lo faceva apparire, nonostante i segni appena visibili del suo intimo turbamento, accessibile come una persona adulta... e me lo imponeva quasi come un mio pari dal punto di vista intellettuale. - Pensavo che desiderassi andare avanti così. Lo vidi a questo punto arrossire leggermente. Ad ogni modo, come un convalescente un po' affaticato, scosse languidamente la testa. - No... no. Voglio andar via. - Sei stanco di Bly? - Oh, no. Bly mi piace. - Bene, e allora...? - Oh, voi sapete bene che cosa vuole un ragazzo! Sentivo di non saperlo bene quanto Miles, e cercai uno scampo momentaneo: - Vuoi andare da tuo zio? Di nuovo, a queste parole, la sua faccia ironica fece un movimento sul guanciale: - Ah, non ve la potete cavare così! Per un po' restai in silenzio, e forse fui io, questa volta, a cambiar colore: - Ma caro, non intendo affatto cavarmela! - Non potete, nemmeno se lo voleste. Non potete, non potete! - e giaceva sul letto guardandomi con i suoi begli occhi. - Mio zio deve venire qui, e voi dovete sistemare tutto quanto. - Se lo faremo, - replicai con un certa audacia, - puoi star certo che sarà per farti andar via di qui. - Be', non capite che è proprio per questo che mi sto dando tanto da fare? Sarete costretta a dirgli... come mai avete trascurato tutto: ne avrete un bel po' di cose da dirgli! L'esultanza con la quale pronunciò queste parole mi aiutò in certo modo ad andargli incontro ancora di più: - E quel che dovrai dirgli tu, Miles? Ci sono cose che vorrà sapere da te! Rimase per qualche istante meditabondo: - È molto probabile. Ma quali cose? - Le cose che non hai mai detto a me. Perché sia in grado di decidere che Henry James
440
1970 - Racconti Di Fantasmi
cosa fare di te. Non può rimandarti... - Oh, non voglio tornare là! - proruppe. - Voglio roba nuova. Lo disse con ammirevole serenità, con una gaiezza franca e irreprensibile; e non c'è dubbio che proprio quella nota, più di ogni altra cosa, evocò in me lo strazio, l'innaturale tragedia infantile del suo possibile ritorno dopo tre mesi, con tutta la sua vanità e un disonore anche più grande. L'emozione mi travolse al punto di non poterla più dominare, tanto che mi lasciai vincere. Mi gettai su di lui e lo abbracciai con tutta la tenerezza che nasceva dalla mia pietà: - Caro piccolo Miles! caro piccolo Miles! Il mio viso toccava il suo, ed egli si lasciò baciare con indulgente buona grazia: - Allora, cara vecchia signora? - Non c'è niente... proprio niente che tu senta il bisogno di dirmi? Si girò un poco, volgendosi al muro, e alzò la mano per guardarla, come si vede fare spesso ai bambini malati: - Ve l'ho detto... ve l'ho detto questa mattina. Oh, come soffrivo per lui! - Cioè che vorresti soltanto che io non ti disturbassi? Si volse a guardarmi, come per dimostrarmi che l'avevo compreso; poi, nel modo più soave che gli fu possibile: - Che mi lasciaste in pace, solo, precisò. C'era in tutto questo una certa dignità, assai singolare, che mi obbligò a staccarmi da lui, sebbene, una volta in piedi, a restargli ancora vicino. Dio sa che non volevo tormentarlo, ma sentivo che voltandogli le spalle in quel momento voleva dire abbandonarlo o, per dirla più sinceramente, perderlo. - Ho appena cominciato a scrivere una lettera a tuo zio, - dissi. - Bene, allora finitela! Attesi un momento. - Che cosa accadde prima? Egli alzò di nuovo lo sguardo su di me: - Prima di che cosa? - Prima che tu tornassi. E prima che tu te ne andassi. Per qualche tempo tacque, pur continuando a fissarmi negli occhi. - Che cosa accadde? Il tono di queste parole, in cui mi parve di sentire per la prima volta il palpito lieve di una coscienza pronta a cedere, mi fece cadere in ginocchio accanto al letto, nel rinnovato tentativo di cogliere l'occasione di riconquistarmelo. - Caro piccolo Miles, caro piccolo Miles, se tu sapessi come desidero aiutarti! È soltanto questo, nient'altro che questo; e Henry James
441
1970 - Racconti Di Fantasmi
preferirei morire piuttosto che darti un dispiacere o farti un torto... preferirei morire piuttosto che torcerti un solo capello. Caro piccolo Miles! - oh, lasciavo ora che tutto mi uscisse di bocca, anche a rischio di andare troppo oltre. - Voglio soltanto che tu mi aiuti a salvarti! - Ma un attimo dopo sapevo di essere andata troppo oltre. La risposta al mio appello fu istantanea, ma venne sotto forma d'una fortissima ventata gelida, una folata d'aria ghiaccia e un tremito della stanza come se, sotto l'impeto del vento, la finestra avesse ceduto. Il bambino lanciò un urlo acutissimo che, perduto in quel frastuono, poteva esser preso, indifferentemente e nonostante gli fossi tanto vicina, per un'esclamazione di gioia come di terrore. Balzai di nuovo in piedi e mi resi conto che era buio. Restammo così per un momento, mentre io mi rendevo conto che le tende erano rimaste tirate, e la finestra chiusa. - Ma la candela è spenta! - gridai. - Sono io che l'ho spenta, cara! - disse Miles.
XVIII. Il giorno dopo, terminate le lezioni, la signora Grose trovò un momento per venirmi a chiedere sottovoce: - Avete scritto, signorina? - Si... ho scritto -. Ma non aggiunsi, al momento, che la lettera, chiusa e indirizzata, si trovava ancora nella mia tasca. Vi sarebbe stato tempo a sufficienza per spedirla al villaggio prima che passasse il postino. Frattanto, quella mattina i miei allievi erano stati più brillanti, più esemplari che mai. Sembrava che ad entrambi stesse a cuore sorvolare su qualsiasi minimo, recente attrito. Seppero risolvere i più complicati problemi aritmetici, superando tranquillamente le mie limitate capacità, e combinarono, con un fervore più grande del solito, i loro scherzi geografici e storici. In particolare Miles, naturalmente, si mostrava ansioso di provarmi come gli riuscisse facile aver la meglio su di me. Questo bambino, nei miei ricordi, vive realmente su uno sfondo di bellezza e di sventura che nessuna parola potrebbe esprimere; rivelava una sua particolare distinzione in ogni gesto; mai nessuna creatura così giovane e autentica, che agli occhi dei non iniziati appariva assolutamente franca e libera, fu un più ingegnoso, un più straordinario piccolo gentiluomo. Dovevo stare continuamente in guardia per resistere allo stupore, all'ammirazione a cui i miei occhi, seppure iniziati, tentavano di trascinarmi; e anche per frenare lo sguardo inadeguato o il sospiro avvilito Henry James
442
1970 - Racconti Di Fantasmi
con cui affrontavo e abbandonavo senza sosta l'enigma di che cosa avesse mai potuto fare un piccolo gentiluomo come quello per meritarsi una punizione. Avevo un bel dirmi che, per il fosco incantesimo che sapevo, la conoscenza di ogni male gli era stata rivelata: il mio desiderio di giustizia si sfibrava alla ricerca di una prova che quella conoscenza si fosse tradotta in azione. In ogni caso, egli non si era mai dimostrato un perfetto gentiluomo come quando, dopo la nostra colazione di buonora in quel terribile giorno, mi si avvicinò e mi chiese se desideravo che per una mezz'ora suonasse per me. Davide che suona per Saul non avrebbe potuto dimostrare un senso più sottile dell'opportunità. Era proprio una gradevole prova di tatto, di magnanimità, pari a una dichiarazione del seguente tenore: «I veri cavalieri dei quali ci piace leggere le avventure non spingono mai troppo oltre un loro vantaggio. Io so che cosa volete dire ora: volete dire che, per esser lasciata sola e per non essere disturbata, smetterete di crucciarvi e di spiarmi, non mi terrete più sempre vicino, mi lascerete andare e venire. Bene, io "vengo", vedete... ma non me ne vado! Ci sarà più di un'occasione per quello. Godo realmente con gran piacere la vostra compagnia e volevo soltanto dimostrarvi che lottavo per questione di principio». E facile immaginare se resistetti a questo muto appello, se mancai di accompagnarlo di nuovo, mano nella mano, nello studio. Egli sedette al vecchio pianoforte e suonò come non aveva mai suonato; e se qualcuno pensa che avrebbe fatto meglio a uscir fuori e prendere a calci un pallone, posso soltanto dire che sono pienamente d'accordo con lui. Poiché, al termine di un periodo di tempo che, stregata da lui, avevo smesso di misurare, mi riscossi di colpo, con la strana sensazione di aver letteralmente dormito sulla poltrona. Tutto ciò accadeva dopo pranzo, accanto al caminetto dello studio, e tuttavia non avevo in realtà, dormito; avevo soltanto fatto qualcosa di peggio: avevo dimenticato. Dove era stata Flora, in tutto quel tempo? Quando rivolsi la domanda a Miles, egli continuò a suonare per un minuto prima di rispondere, e alla fine si limitò a dire: - Mia cara, e come potrei saperlo, io? - scoppiando per giunta in un'allegra risata che, immediatamente dopo, quasi fosse un accompagnamento vocale, prolungò in una canzone incoerente, stravagante. Andai diritta in camera mia, ma sua sorella non c'era; poi, prima di scendere al pianterreno, guardai in molte altre stanze. Poiché non era lì, Henry James
443
1970 - Racconti Di Fantasmi
doveva essere di sicuro con la signora Grose, alla ricerca della quale mi misi, rassicurata da quella convinzione. La trovai dove l'avevo trovata la sera prima, ma alla mia brusca domanda rispose, spaventata e stupita, di non sapere nulla. Aveva semplicemente supposto che, dopo il pranzo, io avessi portato fuori tutti e due i bambini; e, quanto a questo, aveva perfettamente ragione, perché era la prima volta che permettevo alla piccola di allontanarsi senza un motivo particolare. Naturalmente, ora poteva essere in compagnia delle cameriere, sicché la prima cosa da fare era di metterci a cercarla senza dare a vedere la nostra preoccupazione. Ci mettemmo subito d'accordo a questo riguardo; ma quando, dieci minuti dopo, ci ritrovammo nell'atrio come avevamo stabilito, potemmo soltanto riferirci a vicenda che non eravamo riuscite a rintracciarla, nonostante le nostre accurate ricerche. Per un minuto, lasciata da parte ogni osservazione, ci scambiammo uno sguardo di allarme, e mi accorsi allora con quale pesante interesse la mia amica mi restituiva tutto quanto avevo scaricato su di lei fin dal principio. - Dev'essere di sopra, - disse dopo un poco, - in una delle stanze in cui non avete cercato. - No, è lontana da qui, - avevo stabilito. - È uscita. La signora Grose mi guardò stupita: - Senza cappello? Le risposi naturalmente con uno sguardo carico di significato. - Quella donna non è sempre a testa scoperta? - È con lei? - È con lei, - dichiarai. - Dobbiamo trovarle. L'avevo presa da un braccio, ma, davanti a questo aspetto delle cose, evitò per un attimo di reagire alla mia stretta. Al contrario, si lasciò inchiodare sul posto dal suo disagio. - E dov'è il signorino Miles? - Oh, lui è con Quint. Sono tutti e due nello studio. - Mio Dio, signorina! - La mia persuasione, me ne rendevo conto, e quindi, suppongo, anche il mio tono di voce, non avevano mai raggiunto un tale grado di sicurezza. - Il gioco è fatto, - proseguii. - Hanno portato a termine con successo il loro piano. Miles ha trovato il più divino degli espedienti per tenermi tranquilla mentre lei fuggiva. - Divino? - fece eco, sbalordita, la signora Grose. - Infernale, allora, - precisai quasi allegramente. - E ha provveduto altrettanto bene per sé. Ma venite! Henry James
444
1970 - Racconti Di Fantasmi
Lanciò uno sguardo disperato al piano di sopra: - Lo lasciate...- Tanto a lungo con Quint? Sì... non m'importa per ora. Finiva sempre, in momenti come quello, per stringermi la mano, e in tal modo sarebbe riuscita anche quella volta a fermarmi. Ma dopo aver ansimato per un po' sotto il colpo della mia improvvisa rinuncia, proruppe ansiosamente: - È a causa della vostra lettera? Rapidamente, per tutta risposta, cercai la lettera, la tirai fuori, l'alzai, e poi, liberandomi da lei, andai a deporla sulla grande tavola dell'atrio. - La prenderà Luke, - dissi tornando sui miei passi. Raggiunsi la porta d'ingresso e l'apersi; un attimo dopo ero già sugli scalini. La mia compagna indugiava ancora: l'uragano della notte e del primo mattino era passato, ma il pomeriggio era umido e grigio. Io ero sul viale e lei stava ancora sulla soglia. - Andate senza niente addosso? - Che me ne importa, quando la bambina non ha nulla addosso nemmeno lei? Non posso perder tempo a vestirmi, - esclamai, - e se voi volete farlo, sono costretta a lasciarvi qui. Provate a fare qualcosa lassù, intanto. - Con loro - Oh, come mi raggiunse in fretta, povera donna!
XIX. Andammo dritte al lago, come lo chiamavano a Bly, e oso dire a ragione, sebbene a ripensarci quello specchio d'acqua poteva essere meno notevole di quanto appariva ai miei occhi poco esperti. La mia esperienza di specchi d'acqua era scarsa, e lo stagno di Bly, in ogni caso, e nelle poche occasioni che avevo acconsentito ad affrontare, sotto la protezione dei miei allievi, la sua superficie sulla vecchia barca a fondo piatto ormeggiata là per nostro uso, mi aveva impressionata sia per l'estensione sia per la turbolenza delle sue acque. Il punto d'imbarco abituale si trovava mezzo miglio di distanza dalla casa, ma io ero intimamente convinta che Flora, dovunque si trovasse, non era comunque vicina alla villa. Non mi aveva più dato occasione d'imputarle la minima scappata, ma, dal giorno in cui avevo vissuto con lei quella strana avventura vicino allo stagno, avevo avuto modo di notare, durante le nostre passeggiate, verso quale parte preferiva incamminarsi. Per questo, avevo ora guidato i passi della signora Grose in una direzione tanto precisa... una direzione che le fece opporre, quando se ne accorse, una resistenza che mi provò come s'era di nuovo ingannata. - State ancora andando verso l'acqua, signorina?... Credete che Henry James
445
1970 - Racconti Di Fantasmi
vi sia finita dentro? - Potrebbe darsi, anche se in nessun punto, credo, l'acqua è molto profonda. Ma mi sembra più probabile che si trovi nel luogo da dove l'altro giorno abbiamo visto insieme quello che vi ho raccontato. - Quando fingeva di non vedere...? - Con quella stupefacente capacità di controllarsi! Sono sempre stata certa che volesse tornarvi da sola. Ed ora suo fratello ha fatto in modo che potesse farlo. La signora Grose era ancora immobile sul punto dove s'era fermata. Credete davvero che parlino di loro? Ero in grado di rispondere con bella sicurezza: - Si dicono cose che, se le sentissimo, ci farebbero semplicemente accapponar la pelle. - E se lei è là...? -Sì? - Allora anche la signorina Jessel...? - Senza dubbio. Vedrete. - Oh, grazie! - esclamò la mia amica, piantata così saldamente a terra che, quando me ne resi conto, proseguii senza di lei. Quando raggiunsi lo stagno, tuttavia, era proprio dietro di me, e capii che, qualunque cosa temesse che potesse capitarmi, il pericolo che correva stando in mia compagnia le sembrava il meno grave. Emise un sospiro di sollievo quando, finalmente, potemmo abbracciare con lo sguardo la maggior parte dello specchio d'acqua senza trovar traccia della bambina. Non v'era traccia di Flora né sulla sponda più vicina, dove l'osservarla mi aveva tanto stupita, né su quella opposta dove, se si esclude un margine aperto di una ventina di metri, una fitta vegetazione raggiungeva il pelo dell'acqua. Lo stagno, di forma oblunga, era così stretto rispetto alla sua lunghezza che, non scorgendone i due limiti estremi, si sarebbe potuto scambiare per un fiumiciattolo. Guardammo quella distesa vuota, poi sentii il suggerimento che mi veniva degli occhi della mia amica. Sapevo che cosa intendeva dire, e risposi con un cenno negativo. - No, no: aspettate! Ha preso la barca. La mia compagna guardò stupefatta prima l'approdo deserto, poi di nuovo la distesa d'acqua: - Allora, dov'è? - Non vederla è la migliore delle prove. L'ha presa per attraversare il laghetto, e poi ha cercato di nasconderla. - Tutta sola... una bimba come lei? - Non è sola, e in quei momenti non è una bambina: è una donna Henry James
446
1970 - Racconti Di Fantasmi
vecchia, molto vecchia -. Percorsi con lo sguardo tutta la sponda visibile, mentre la signora Grose faceva nuovamente uno dei suoi tuffi di sottomissione nello strano elemento che le sottoponevo; poi suggerii che la barca poteva benissimo trovarsi in un piccolo riparo costituito da uno dei recessi dello stagno, in una rientranza nascosta, nel punto in cui eravamo, dallo sporgere della riva e da un groviglio di alberi che crescevano vicino all'acqua. - Ma se la barca è là, dove mai è finita lei? - chiese ansiosamente la mia collega. - E proprio quel che dobbiamo scoprire, - e cominciai di nuovo a camminare. - Facendo tutto il giro del lago? - Certamente, per quanto è lungo. Non ci vorranno più di dieci minuti, ma alla bambina può esser sembrato abbastanza lungo da farle preferire di non andar a piedi. Deve averlo attraversato. - Santo cielo! - esclamò di nuovo la mia amica; la catena della mia logica era troppo per lei. Però me la tenne alle calcagna persino allora, e quando fummo a metà strada (un percorso tortuoso, faticoso, su un terreno molto irregolare e un lungo sentiero invaso dalla vegetazione), mi fermai per lasciarle prender fiato. Riconoscente, la sostenni con un braccio, assicurandole che mi sarebbe stata di grande aiuto; e questo ci diede nuova lena, sicché nel giro di pochi minuti raggiungemmo un punto in cui scoprimmo che la barca si trovava proprio nel posto che m'ero immaginata. Era stata intenzionalmente lasciata il più possibile fuori vista, ed era ormeggiata ad uno dei paletti d'una staccionata che, proprio in quel punto, raggiungeva il margine dell'acqua, e che doveva aver facilitato lo sbarco. Riconobbi, osservando i remi corti e pesanti, giudiziosamente tirati in barca, il carattere prodigioso dell'impresa per una bambina così piccola; avevo ormai vissuto, a quel punto, fra troppe meraviglie, ed avevo palpitato per accorgimenti ben più astuti. La staccionata aveva un varco, attraverso il quale passammo, e che ci portò, in brevissimo tempo, in uno spazio più aperto. Allora: - Eccola! - esclamammo all'unisono. Flora, poco lontano da noi, stava ritta sull'erba e sorrideva, come se la sua impresa fosse ormai compiuta. La seconda cosa che fece, tuttavia, fu di chinarsi a cogliere con decisione (come se fosse andata sin lì solo per quello) un lungo e brutto rametto di felce appassita. Fui certa all'istante che era appena uscita dalla macchia. Ci aspettò senza muovere un passo, ed io Henry James
447
1970 - Racconti Di Fantasmi
mi resi conto della strana solennità con la quale ci avvicinammo a lei. Continuava a sorridere; la raggiungemmo; ma tutto avvenne in un silenzio chiaramente di cattivo augurio. La signora Grose fu la prima a rompere l'incantesimo: si buttò in ginocchio e, attirando la bambina al seno, serrò in un lungo abbraccio quel corpicino tenero, flessuoso. Io, mentre durava quella stretta silenziosa e convulsa, non potevo che star a guardare, e lo feci tanto più intensamente quando scorsi il viso di Flora, che mi fissava al di sopra della spalla della nostra compagna. Era serio, ora, il sor-risetto era svanito, e ciò rese più acuta la fitta di dolore che provai in quell'istante nell'invidiare alla signora Grose la semplicità del suo rapporto. Tuttavia, per il momento, non accadde altro fra noi, se non che Flora lasciò cadere a terra la sua stupida felce. Ci eravamo praticamente dette che ormai ogni finzione era inutile tra noi. Quando finalmente la signora Grose si rialzò, tenne la bambina per mano, sicché mi stavano entrambe di fronte; e la singolare reticenza della nostra riunione era sottolineata ancor più dal franco sguardo che mi lanciò. «Piuttosto che parlare, - diceva il suo sguardo, - mi farei impiccare!» Fu Flora che, osservandomi con ingenuo stupore, ruppe il silenzio. Sembrava colpita dal fatto che eravamo a capo scoperto: - Dove sono le vostre cose? - Dove sono le tue, cara! - ribattei prontamente. Aveva già riconquistato la sua gaia disinvoltura, e sembrò appagata dalla mia risposta. - E Miles dov'è? - continuò. C'era qualcosa in quel coraggio infantile che finì di sconcertarmi, quelle sue tre parole, in un lampo simile al balenare di una lama sguainata, rovesciarono la coppa che la mia mano, da molte settimane, teneva alta e colma sino all'orlo, e che ora, ancor prima di parlare, sentivo traboccare in un vero diluvio. - Te lo dirò se tu mi dirai... - mi sentii dire; poi avvertii il tremito che le arrestò. - Allora, che cosa? L'angoscia della signora Grose si rovesciò su di me; ma ormai era troppo tardi, e continuai, con graziosa disinvoltura: - Dov'è, carina, la signorina Jessel?
XX. Proprio com'era accaduto con Miles al cimitero, la cosa ci sovrastava. Henry James
448
1970 - Racconti Di Fantasmi
Avevo contato molto sul fatto che quel nome non fosse mai stato pronunciato fra noi, e la rapida smorfia di sofferenza che si dipinse sul viso della bimba fece sì che la mia brusca interruzione del silenzio assomigliasse al fracasso di un vetro infranto. A questo si aggiunse il grido della signora Grose che, quasi a parare il colpo, lanciò nello stesso istante contro la mia violenza: il grido di una creatura spaventata o piuttosto, ferita, al quale, nel giro di pochi secondi, si aggiunse un mio gemito. Afferrai la mia collega per un braccio: - È là, è là! La signorina Jessel stava davanti a noi sulla sponda opposta, esattamente come l'altra volta, e ricordo che, stranamente, il primo sentimento suscitato ora in me dalla sua apparizione fu un brivido di gioia per aver raggiunto una prova. Ella era là, ed io ero giustificata; era là, ed io non ero più né crudele né pazza. Era là per la povera signora Grose spaventata a morte, ma era là soprattutto per Flora; nessun momento di quel mio mostruoso periodo fu forse così straordinario come quello in cui le lanciai coscientemente un muto messaggio di gratitudine, con la sensazione che (pallido e rapinoso demonio qual era) lo avrebbe afferrato e compreso. Si ergeva ben dritta nel punto stesso che la mia amica ed io avevamo da poco lasciato, e non c'era, nell'ampia estensione della sua brama, un briciolo di perversione che andasse perduto. Questa prima nettezza di visione e di emozione non durò che pochi attimi, durante i quali lo sguardo attonito della signora Grose, rivolto al punto da me indicato, mi parve la prova suprema del fatto che anche lei, finalmente, vedeva, e mi spinse allo stesso tempo ad abbassare precipitosamente lo sguardo sulla bimba. La rivelazione del modo in cui Flora sopportava quella prova mi impressionò, in verità, molto di più che se l'avessi vista semplicemente agitata, dato che uno sgomento vero e proprio non era certo quello che mi aspettavo da lei. Preparata e messa in guardia dal nostro inseguimento, ella avrebbe certamente saputo come non tradirsi; pertanto fui molto colpita, sulle prime, da un suo particolare atteggiamento, che non mi aspettavo. Vederla, senza la minima alterazione del suo roseo visino, senza neppure fingere di gettare uno sguardo nella direzione del prodigio da me annunciato, ma invece, e soltanto, intenta a rivolgere a me un'espressione di gravità dura e ferma, un'espressione assolutamente nuova e senza precedenti, che sembrava leggere in me, e giudicarmi e accusarmi... vederla così, dicevo, fu un colpo tale che trasformò in certa maniera la bambina stessa proprio nella presenza adatta a farmi perder d'animo. Mi persi d'animo, sebbene in Henry James
449
1970 - Racconti Di Fantasmi
quell'istante fossi più che mai sicura che lei vedesse tutto, e, nell'urgente bisogno di difendermi, mi appellai appassionatamente alla sua testimonianza: - È là, piccola bimba infelice... là, là, là, e tu la vedi come vedi me! - Poco prima avevo detto alla signora Grose che, in quei momenti, Flora non era più una bambina, ma una donna vecchia, molto vecchia, e tale definizione non poteva esser confermata in modo più impressionante che da come ella si mostrava, per tutta risposta, e senza il più lieve cedimento, la minima ammissione nel suo sguardo, un atteggiamento di profonda disapprovazione, divenuta d'un tratto ferma come una roccia. A quel punto, se riesco a ricostruire esattamente la scena, ero più spaventata per quelle che potrei propriamente chiamare «le sue maniere», che da ogni altra cosa, anche se contemporaneamente mi accorsi di dover ormai tener testa anche alla signora Grose, e in un modo molto impegnativo. Comunque, la mia anziana compagna un momento dopo cancellò ogni cosa, ad eccezione del suo viso acceso e della sua protesta alta e vibrante, uno scoppio di somma disapprovazione: - Che scherzo spaventoso, signorina! Dove mai vedete qualcosa? Non potei far altro che afferrarla fulmineamente, perché, proprio mentre parlava, l'orribile e certa presenza rimaneva là, netta e imperterrita. Durava ormai da un minuto, e durò ancora mentre, spingendo verso di lei la mia collega, come per presentargliela, insistevo puntando il dito: - Ma non la vedete esattamente come noi la vediamo?... volete dire che non la vedete ora... ora? Ma se è grande come un rogo fiammeggiante! Ma guardatela, mia cara donna, guardatela! - Guardò, come io guardavo, e con un gemito profondo, fatto di negazione, di ripulsa e di compassione (un misto di pietà e di sollievo per esser stata risparmiata), mi trasmise la sensazione, che persino in un momento come quello mi toccò il cuore, che se solo avesse potuto, mi avrebbe sostenuta. Ne avevo davvero bisogno, perché al duro colpo della rivelazione che i suoi occhi erano sigillati senza speranza, sentii sgretolarsi orribilmente la mia situazione, sentii, vidi, la livida figura della donna che mi aveva preceduto premere, dalla sua posizione, per la mia disfatta; ed ero per di più cosciente di ciò che avrei dovuto affrontare di lì in avanti, visto il sorprendente comportamento di Flora. In quel comportamento si inserì immediatamente e violentemente la signora Grose, con una folata di ansante sicurezza, proprio quando nella mia sensazione di completa rovina si stava facendo strada quella di un prodigioso, privatissimo trionfo. Henry James
450
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Non è là, piccolina, non c'è nessuno là... e non puoi aver visto niente tesoro mio! come può la povera signorina Jessel... dal momento che la povera signorina Jessel è morta e sotterrata! Noi lo sappiamo, non è vero, amore? - E confusamente, faceva appello alla bambina. - Si tratta soltanto di un errore, di una fisima, di uno scherzo... e adesso ce ne torniamo a casa, il più in fretta possibile! La nostra compagna, a tutto questo, aveva reagito con una strana e rapida compostezza, ed ora che la signora Grose era di nuovo sicura di sé, eccole di nuovo dolorosamente unite, a quanto pareva, contro di me. Flora intanto mi fissava con la sua piccola maschera di rimprovero, e persino in quegli istanti pregai Dio di perdonarmi perché, mentre si stringeva al vestito della nostra amica, mi sembrava di vedere che la sua incomparabile bellezza infantile fosse improvvisamente venuta meno, svanita del tutto. L'ho già detto... era letteralmente, spaventosamente dura; era divenuta ordinaria e quasi brutta. - Non so che cosa vogliate dire. Non vedo nessuno. Non vedo niente. Non ho mai visto niente. Penso che siate crudele. Non mi piacete! - Poi, dopo questa uscita degna d'una bambina di strada, insolente e volgare, si strinse ancora di più alla signora Grose e nascose tra le sue gonne quello spaventoso visino. Da quella posizione fece partire un lamento quasi furibondo: - Portatemi via, portatemi via... oh, portatemi via da lei! - Da me? - ansimai. - Da voi... da voi! - gridò. Persino la signora Grose mi guardò sgomenta; mentre a me non restava altro che tentar di comunicare di nuovo con la figura che sulla sponda opposta, immobile, tutta tesa come se, a quella distanza, potesse afferrare le nostre parole, se ne stava lì tanto vivida solo per la mia disfatta e non per darmi aiuto. La sventurata bambina aveva parlato proprio come se attingesse ad un'altra fonte ciascuna delle sue brevi, trafiggenti parole, e non potevo fare altro, nella più totale disperazione per quello che ormai mi toccava accettare, che scuotere tristemente il capo verso di lei. - Se mai mi fosse restato un dubbio, ecco che non dubito più. Ho vissuto con la miserabile verità che ormai mi stringe da ogni lato. Naturalmente, ti ho perduta: mi sono intromessa e tu hai trovato, grazie ai suoi suggerimenti, e fissai di nuovo al di là dello stagno l'infernale testimone, - la via più semplice e perfetta per impedirmelo. Ho fatto del mio meglio, ma ti ho perduta. Addio -. Per la signora Grose ebbi un imperioso e quasi frenetico: Henry James
451
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Andiamo, andiamo! - davanti al quale, con infinito dolore, ma stretta in silenzio la bambina, e chiaramente convinta, a dispetto della propria cecità, che qualcosa di orribile era davvero accaduto e che una voragine ci inghiottiva tutti, si ritirò con la maggiore rapidità possibile per la stessa strada per la quale eravamo venute. Di ciò che accadde non appena restai sola non ho un ricordo preciso. So soltanto che, dopo forse un quarto d'ora, un sentore di scabrosità e di bagnato, di qualcosa che mi gelava e trapassava il mio turbamento, mi fece capire che m'ero gettata con il viso a terra, dando sfogo alla più selvaggia delle disperazioni. Devo esser rimasta a lungo prostrata, piangendo e singhiozzando, perché quando alzai il capo il giorno era quasi alla fine. Mi rialzai e guardai per un momento, nella luce del crepuscolo, lo stagno grigio e le sue cupe rive stregate, poi ripresi il mio triste e difficile cammino verso casa. Quando fui giunta al piccolo varco nella staccionata scoprii, non senza stupore, che la barca non era più lì, il che mi confermò nel mio giudizio sulla straordinaria presenza di spirito di Flora. La quale, per una tacita e (lo aggiungerei se una parola tanto grottesca non suonasse così falsa) «felicissima» intesa, passò la notte con la signora Grose. Non vidi nessuna delle due al mio ritorno, ma, d'altro canto, per una sorta d'ambiguo compenso, vidi «molto» Miles. Vidi «tanto» di lui - non so esprimermi altrimenti - quanto non ne avevo mai veduto prima. Nessuna delle serate trascorse a Bly ebbe le portentose qualità di quella; ma nonostante ciò, nonostante la profonda voragine di costernazione che s'era spalancata sotto i miei piedi, quella sera trascorse letteralmente, e nel pieno senso della parola, in una tristezza straordinariamente dolce. Arrivata a casa, quasi non mi ero preoccupata del ragazzo; ero andata dritta in camera mia per cambiare i panni che avevo addosso e per cogliervi, con una semplice occhiata, le prove materiali della rottura con Flora. Tutte le sue piccole cose erano state portate via. Quando, più tardi, vicino al caminetto dello studio, la solita cameriera mi servi il tè, non chiesi affatto notizie dell'altro mio allievo. Aveva ormai la sua libertà... che se la godesse sino in fondo! Ebbene, se la godette; e consisté, almeno in parte, nell'entrare nella stanza verso le otto, per sedersi in silenzio vicino a me. Allontanato il vassoio del tè, avevo spento le candele e avvicinato ancor più la sedia al fuoco: sentivo un freddo mortale, e mi pareva che mai più ci sarebbe stato calore in me. Così, quand'egli apparve, stavo seduta nel riverbero della fiamma, sola con i miei pensieri. Si arrestò un momento Henry James
452
1970 - Racconti Di Fantasmi
sulla porta come per guardarmi; poi, quasi volesse condividere i miei pensieri, mi venne vicino e sprofondò in una poltrona all'altro lato del caminetto. Sedemmo là in assoluta immobilità; sentivo che, malgrado tutto, desiderava stare con me.
XXI. Prima che il nuovo giorno avesse fatto piena irruzione nella mia camera, apersi gli occhi sulla signora Grose, che era giunta al mio capezzale con pessime notizie. Flora aveva una febbre tanto alta che forse stava covando qualche seria malattia; aveva passato una notte estremamente agitata, una notte, soprattutto, attraversata da incubi che non avevano affatto per oggetto la precedente istitutrice, ma proprio quella attuale. Non era tanto contro la possibile ricomparsa sulla scena della signorina Jessel che lei protestava... protestava, evidentemente ed appassionatamente, contro la mia presenza. Naturalmente, fui subito in piedi, e con una gran voglia di far domande, tanto più che la mia amica si era chiaramente preparata per affrontarmi di nuovo. Me ne accorsi non appena la interrogai su quello che pensava riguardo alla sincerità della bambina a confronto con la mia. Insiste nel negare di aver visto, di aver mai visto qualcosa? Il turbamento della mia visitatrice era davvero grande. - Ah, signorina, non è proprio un argomento su cui riesca a portarla! Inoltre, devo dirlo, non mi sembra davvero necessario. È una cosa che l'ha invecchiata da capo a piedi. - Oh, la posso vedere molto bene anche da qui. È offesa, quella nobile personcina, per il velo di sospetto calato sulla sua sincerità, e per dir così, sulla sua rispettabilità. «Proprio la signorina Jessel... lei!» Ah, è davvero rispettabile, la nostra piccolina! L'impressione che mi ha fatto ieri, vi assicuro, è stata davvero delle più strane; andava oltre tutte le altre. Io l'ho punta sul vivo! Non mi parlerà più. La signora Grose restò per un po' in silenzio, oppressa da quelle cose oscure e sgradevoli; poi accettò il mio punto di vista con una franchezza che, ne fui certa, nascondeva qualcos'altro. - Penso davvero che non lo farà più, signorina. A questo riguardo si comporta con un gran sussiego! - E quel sussiego, - conclusi, - è praticamente tutto quello che ha ora. Oh, soltanto quel sussiego potevo vedere sul viso della mia visitatrice, e nient'altro più! - Mi chiede continuamente se, secondo me, voi state per Henry James
453
1970 - Racconti Di Fantasmi
arrivare. - Capisco, capisco... - Anch'io, da parte mia, sapevo più di quanto dessi a vedere. - Non vi ha più parlato da ieri (tranne per ripudiare ogni suo rapporto con quell'orrore) della signorina Jessel? - Non ha detto una sola parola, signorina. E naturalmente, sapete, aggiunse la mia amica, - ho creduto a quello che lei ha detto vicino al lago, e cioè che, almeno in quel momento e in quel luogo non c'era nessuno. - Davvero! E, naturalmente, voi le credete ancora. - Non la contraddico. Che altro posso fare? - Assolutamente nulla! Avete a che fare con la più intelligente delle bambine. Quei due, voglio dire i loro due amici, li hanno resi anche più intelligenti di quanto non li abbia già fatti la natura; era un magnifico materiale su cui lavorare! Flora adesso ha il suo risentimento e lo sfrutterà sino in fondo. - Sì, signorina; ma sino a quale fondo? - Ma come, mettendomi a confronto con lo zio. Mi descriverà a lui come la più sgradevole delle creature...! Trasalii vedendo la scena incidersi sul viso della signora Grose - per un momento fu come se li avesse davvero davanti agli occhi. - E pensare che lui ha una così buona opinione di voi! - Ha un modo davvero strano di dimostrarlo... adesso che ci penso! Risi. - Ma non importa. Quello che Flora vuole, naturalmente, è liberarsi di me. La mia compagna confermò coraggiosamente: - Non la vuol più vedere, a nessun costo. - Allora siete venuta a trovarmi per questo? - le chiesi, - per affrettare la mia partenza? - Tuttavia, ancor prima che avesse avuto il tempo di rispondermi, le avevo dato scacco matto. - Ci ho pensato a lungo... e ho un'idea migliore. La mia partenza sembrerebbe la soluzione migliore, e domenica sono stata sul punto di attuarla. Però non servirebbe. Sarete voi a partire. Dovete portare con voi Flora. La mia visitatrice, a queste parole, ebbe un dubbio. - Ma dove mai...? - Lontano da qui. Lontano da loro. Lontano, adesso, soprattutto da me. Dritta dallo zio. - Soltanto per andare a parlargli di voi...? - No, non soltanto! Anche per lasciarmi col mio rimedio. Era ancora dubbiosa. - E qual è il vostro rimedio? Henry James
454
1970 - Racconti Di Fantasmi
- La vostra lealtà, tanto per cominciare. E poi quella di Miles. Mi guardò fissa. - Pensate che lui...? - Si confiderà con me, se ne avrà l'occasione? Sì, lo spero ancora. In ogni caso, voglio provare. Partite con sua sorella al più presto possibile, e lasciatemi sola con lui -. Ero meravigliata io stessa della riserva d'energia che ancora possedevo e, forse per questo, ero un poco sconcertata per il fatto che, nonostante il buon esempio che le davo, esitasse ancora. - C'è una cosa, naturalmente, - proseguii; -loro non devono assolutamente vedersi prima della partenza, nemmeno per un istante -. Allora mi venne in mente che, nonostante il presumibile isolamento di Flora dopo il ritorno dallo stagno, poteva già essere troppo tardi. - Volete dire, - chiesi ansiosamente, - che si sono già incontrati? A queste parole divenne tutta rossa: - Ah, signorina, non sono poi tanto sciocca! Sono stata costretta ad abbandonarla tre o quattro volte, ma l'ho sempre lasciata in compagnia di una cameriera, ed ora, sebbene sia sola, la porta è chiusa a chiave. Eppure... eppure! - C'erano troppe cose in ballo. - Eppure che cosa? - Insomma, siete proprio sicura di quel piccolo gentiluomo? - Non sono sicura di niente, eccetto che di voi. Ma da ieri sera ho una nuova speranza. Credo che lui voglia offrirmi un'apertura. Credo davvero che voglia parlare, quel piccolo, squisito sciagurato! Ieri sera, alla luce silenziosa del focolare, è restato seduto un paio d'ore vicino a me, proprio come se fosse sul punto di farlo. La signora Grose fissò intenta, attraverso la finestra, il nuovo giorno grigio che si preparava. - E lo ha fatto? - No, sebbene io abbia continuato ad aspettare, confesso che non lo ha fatto, e alla fine, ci siamo scambiati il bacio della buona notte senza che nulla avesse rotto il silenzio, e senza la benché minima allusione allo stato di sua sorella e alla sua assenza. In ogni modo, - continuai, - se suo zio vede la bambina, non posso consentire che veda anche il fratello prima che io abbia dato al ragazzo ancora un po'di tempo, soprattutto adesso che le cose hanno preso questa brutta via. La mia amica su questo punto si mostrò più riluttante di quanto riuscissi a spiegarmi: - Che intendete con ancora un po' di tempo? - Ebbene, un giorno o due... proprio perché possa parlare. Allora sarà dalla mia parte, e voi capite quanto questo sia importante. Se non succede nulla, avrò semplicemente fallito e, nel peggiore dei casi, voi mi avrete pur Henry James
455
1970 - Racconti Di Fantasmi
sempre dato una mano, facendo tutto quello che vi sarà possibile una volta arrivata in città -. Così le spiegai come stavano le cose, ma lei mi sembrò per qualche tempo così misteriosamente imbarazzata che le venni di nuovo in aiuto. - A meno che, - ripresi, - voi non preferiate realmente non andar via. Vidi finalmente un lampo di comprensione sul suo viso; mi tese la mano come un pegno: - Andrò... andrò. Andrò via questa mattina. Volevo essere assolutamente equa: - Se preferite aspettare ancora, posso impegnarmi a fare in modo che non mi veda. - No, no; è proprio colpa di questo luogo. Deve lasciarlo -. Posò su di me per un po' un altro sguardo intenso. Poi venne fuori il resto: - La vostra idea è quella giusta. Io stessa, signorina... - Ebbene? - ... non posso più restare. Lo sguardo con cui accompagnò questa frase mi spinse a una conclusione affrettata: - Volete dire che, a partire da ieri, avete visto? Scosse il capo con dignità: - Ho sentito! - Sentito? - Sentito da quella bambina... cose orrende! Ecco fatto! - sospirò con tragico sollievo. - Sul mio onore, signorina, dice delle cose...! - Ma a questo ricordo crollò; con un improvviso singhiozzo si lasciò cadere sul mio divano e, come l'avevo già vista fare altre volte diede libero sfogo al suo dolore. In un senso completamente diverso, anch'io mi lasciai andare. - Oh, grazie al cielo! A queste parole balzò di nuovo in piedi, asciugandosi gli occhi con un gemito: - Grazie al cielo? - Questo mi dà almeno una giustificazione! - Ve la dà, signorina! Non avrei potuto desiderare maggior enfasi, ma esitavo ancora: - È tanto terribile? Vidi che la mia collega faticava a trovare le parole adatte: - Davvero sconvolgente. - E di me che cosa dice? - Riguarda proprio voi, signorina... visto che dovete saperlo. È una cosa che supera ogni immaginazione, da parte di una bambina come lei, e non riesco a capire dove mai possa aver imparato... Henry James
456
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Lo spaventoso linguaggio che usa nei miei confronti? Posso ben dirlo, allora! - Proruppi in una risata senza dubbio abbastanza significativa. In realtà servi soltanto a rendere più seria la mia amica. - Be', forse anch'io potrei ben dirlo... dato che in passato ne ho avuto qualche esempio! Eppure non riesco a sopportarlo, - e la povera donna continuò, lanciando un'occhiata al tempo stesso al mio orologio che si trovava sulla toletta. Ma adesso devo tornare. Tuttavia la trattenni: - Ah, se non riuscite a sopportarlo...! - Come posso restare con lei, volete dire? Ma come, proprio per quello: per portarla via di qui. Lontana da tutto questo, - insistè, - e lontana da loro... - Potrà mai essere diversa? Potrà essere libera? - L'afferrai per un braccio, quasi con esultanza. - Allora, a dispetto di quanto è accaduto ieri, voi credete... - A quelle cose? - La sua semplice descrizione, alla luce dell'espressione dipinta sul suo viso, non richiedeva ulteriori spiegazioni, e lei aprì il suo cuore come non aveva fatto mai. - Ci credo. Sì, era una gioia esser di nuovo fianco a fianco: se mi era possibile andare avanti con questa certezza, poco m'importava di quanto avrebbe potuto accadere. La signora Grose sarebbe stata il mio sostegno nell'imminente disastro così come lo era stata al mio primo bisogno di confidarmi, e se la mia amica si fosse resa garante della mia integrità, sarebbe stato compito mio rispondere di tutto il resto. Sul punto di prendere congedo da lei, nondimeno, provai un certo imbarazzo. - C'è ancora un'altra cosa, naturalmente da ricordare, adesso che ci penso. La mia lettera, che dava l'allarme, giungerà in città prima di voi. Allora più che mai mi accorsi come lei avesse menato il can per l'aia, e quanto ne fosse provata: - La vostra lettera non arriverà mai laggiù. La vostra lettera non è mai partita. - Che cosa ne è stato, allora? - Lo sa Dio! Il signorino Miles... - Volete dire che l'ha presa lui? - e ansimavo. Esitò, ma poi vinse la riluttanza: - Voglio dire che ieri, quando rientrai con la signorina Flora, ho visto che non era più dove l'avevate messa. Più tardi, in serata, ho avuto l'occasione di domandarlo a Luke, e lui ha dichiarato che non l'aveva né vista né toccata -. A questo punto non potemmo far altro che scambiarci uno di quegli sguardi intensi con cui ci Henry James
457
1970 - Racconti Di Fantasmi
sondavamo a vicenda, e fu la signora Grose che, per prima tirò su lo scandaglio con un quasi festoso: - Capite? - Sì, capisco che se invece l'ha presa Miles, probabilmente l'ha letta e poi distrutta. - E non capite nient'altro? Per un momento le tenni testa con un mesto sorriso: - Mi colpisce il fatto che stavolta i vostri occhi vedono meglio dei miei. Sembrava che fosse proprio così, ma ella quasi arrossiva nel provarmelo: - Capisco ora quello che deve aver fatto in collegio -. E, nel suo ingenuo acume, fece con il capo un cenno quasi buffo alla sua delusione: - Ha rubato! Vi riflettei... tentai di essere più equa: - Be', forse. Mi guardò come se trovasse sorprendente la mia calma: - Ha rubato delle lettere! Non poteva conoscere le ragioni della mia calma, del resto molto superficiale; sicché gliele spiegai meglio che potevo: - Spero dunque che sia stato più a proposito che non in questo caso! Ad ogni modo, la lettera che avevo messo ieri sul tavolo, - proseguii, - gli deve aver dato un vantaggio tanto trascurabile, visto che conteneva la pura e semplice richiesta di un colloquio, che egli può essere soltanto pieno di vergogna per il fatto di essersi spinto tanto oltre per così poco, e quello che lo tormentava ieri sera era precisamente il bisogno di confessare -. Mi sembrò, per un istante, di poter dominare tutto, di capire tutto. - Lasciateci, lasciateci! - ero già sulla porta e le mettevo fretta. - Gli caverò di bocca la verità. Mi verrà incontro... confesserà. Se confessa, è salvo. E se è salvo lui... - Allora lo siete anche voi? - La cara donna mi baciò e prese congedo. Vi salverò io senza bisogno di lui! - mi gridò nell'andarsene.
XXII. Eppure fu quando se ne fu andata (sentii subito la sua mancanza) che giunse la grande prova. Qualunque cosa avessi contato di ricavare dal restar sola con Miles, riconobbi presto che ne avrei tratto almeno un termine di paragone. In verità nessuna ora del mio soggiorno a Bly fu così carica d'apprensione quanto quella in cui, scendendo, seppi che la carrozza con la signora Grose e la più giovane dei miei allievi aveva già varcato il Henry James
458
1970 - Racconti Di Fantasmi
cancello. Ora, dissi a me stessa, sono faccia a faccia con gli elementi; e durante gran parte di quel giorno, mentre lottavo con la mia debolezza, non potei fare a meno di pensare ch'ero stata troppo temeraria. Mi trovavo su un terreno ancora più angusto del solito; tanto più che, per la prima volta, potevo vedere nell'aspetto degli altri un confuso riflesso della crisi. Quel ch'era accaduto naturalmente aveva provocato in tutti un vivo stupore; la repentina partenza della mia collega non era certo spiegata dalle poche confuse cose che avevamo detto; le persone di servizio, uomini e donne, sembravano stupefatte, il che aggravò lo stato dei miei nervi, sinché non compresi la necessità di ricavarne un aiuto pratico. In breve: evitai un completo naufragio soltanto aggrappandomi al timone; e oso dire che quella mattina, per poter sopportare la prova, divenni molto altera e molto fredda. Accolsi con gioia la coscienza delle mie molteplici responsabilità, e lasciai inoltre capire che, pur abbandonata a me stessa, avrei mantenuto una notevole fermezza. Per un'ora o due mi aggirai per la casa ostentando questo contegno, e dovevo aver l'aspetto, non ne dubito affatto, di una persona pronta a qualsiasi assalto. Così, a beneficio degli interessati, mi esibivo, con la morte nel cuore. La persona che si mostrò meno interessata fu, fino all'ora del pranzo, proprio il piccolo Miles. Il mio andirivieni non era servito a farci incontrare, ma aveva contribuito a rendere più evidente il cambiamento avvenuto nel nostro rapporto da quando, il giorno prima, suonando il pianoforte, mi aveva stregata e ingannata a vantaggio di Flora. Le chiacchiere dei domestici avevano naturalmente accompagnato la segregazione e la partenza della bambina, e il cambiamento era annunciato anche dal mancato rispetto delle regole dello studio. Miles era già scomparso quando, scendendo, avevo spalancato la porta della sua stanza; e avevo appreso al pianterreno che aveva fatto colazione, in presenza di due domestiche, insieme alla signora Grose e alla sorella. Era poi uscito, aveva detto, per fare una passeggiata; e nulla, pensai, avrebbe potuto esprimere meglio la sua schietta opinione sulla brusca trasformazione della mia parte. Fino a che punto mi avrebbe permesso di sostenere questa nuova parte era ancora da stabilire; in ogni caso c'era (voglio dire per me in particolare) uno strano sollievo nel rinunciare ad una pretesa. Se erano molte le cose affiorate alla superficie, non è forse troppo forte dire che quella emersa maggiormente era l'assurdità di prolungare la finzione che io avessi ancora qualcosa da insegnargli. Era abbastanza chiaro che, con certe Henry James
459
1970 - Racconti Di Fantasmi
piccole, tacite manovre nelle quali mostrava di prendersi a cuore la mia dignità anche più di me stessa, avevo dovuto appellarmi a lui per essere esentata dallo sforzo di tenermi alla pari delle sue reali capacità. Ad ogni modo, egli ora aveva la sua libertà; e io non l'avrei mai più limitata, come avevo, del resto, ampiamente provato la sera precedente, quando mi aveva raggiunta nello studio ed io non gli avevo rivolto né un rimprovero né un'allusione a quanto era accaduto in quell'intervallo di tempo. Dal quel momento, infatti, avevo ben altro a cui pensare. Eppure, quando finalmente Miles arrivò, la difficoltà di metter in pratica le mie nuove idee e il cumulo dei miei problemi mi saltarono agli occhi a causa di quella piccola graziosa presenza sulla quale ciò che era accaduto non aveva ancora, per quanto si vedeva, lasciato né ombra né macchia. Per segnalare alle persone di servizio il tono elevato che desideravo regnasse nella casa, avevo stabilito che i pasti che prendevo con il ragazzo fossero serviti, come dicevamo, «dabbasso»; per questo lo avevo aspettato nella pompa maestosa di quella stanza, dalla cui finestra avevo avuto dalla signora Grose, quella prima terribile domenica, un lampo di qualcosa che solo impropriamente si sarebbe potuta chiamare luce. Lì ora sentivo di nuovo (perché l'avevo già sentito più volte) quanto il mio equilibrio dipendesse dalla vittoria della mia ferma volontà, la volontà, cioè, di chiudere gli occhi il più possibile sul fatto che ciò che dovevo affrontare era rivoltante, contro natura. Non potevo resistere se non entrando, per così dire, in confidenza con la «natura» e tenendone conto, e considerando la mia prova mostruosa come una spinta verso una direzione insolita, ovviamente, e sgradevole, ma che dopo tutto non richiedeva, per farvi fronte serenamente, che un altro giro di vite alla comune virtu umana. Nessuna impresa, tuttavia, avrebbe richiesto un tatto maggiore di questa: supplire con le proprie forze a tutta la natura. Ma come avrei potuto introdurre anche soltanto un briciolo di quell'elemento, se bisognava sopprimere ogni riferimento a quanto era accaduto? E, d'altro canto, come potevo farvi riferimento senza precipitare di nuovo nella spaventosa voragine? Ebbene, dopo qualche tempo trovai una specie di risposta, e ne trovai la conferma nella percezione incontestabile e folgorante di quanto v'era di eccezionale nel mio piccolo compagno. Sembrava veramente ch'egli avesse trovato anche quella volta - così come aveva fatto tante volte durante le lezioni qualche altro modo delicato di mettermi a mio agio. Non era forse illuminante il fatto che si verificò - mentre dividevamo la nostra solitudine Henry James
460
1970 - Racconti Di Fantasmi
- con un fulgore particolare, ancora intatto? Il fatto cioè che (con l'aiuto dell'occasione, l'occasione preziosa che si era presentata allora) sarebbe stato irragionevole, avendo a che fare con un ragazzo così dotato, rinunciare al soccorso che poteva venire dalla sua sovrana intelligenza? Per qual fine gli era stata data l'intelligenza, se non per salvarlo? Non si poteva, per raggiungere il suo spirito, tentare un colpo di mano sul suo carattere? Era come se, mentre ci trovavamo a faccia a faccia nella sala da pranzo, egli mi avesse letteralmente indicato la strada giusta. L'arrosto di montone era in tavola, ed io avevo congedato la servitù. Miles, prima di sedersi, restò un momento in piedi, con le mani in tasca, guardando l'arrosto, a proposito del quale sembrò sul punto di fare qualche spiritosa osservazione. Ma quello che poi disse fu: - Allora, mia cara, è davvero tanto ammalata? - La piccola Flora? Non tanto da non potersi sentire presto molto meglio. Londra la guarirà. Bly ha smesso di farle bene. Vieni qui a prendere il tuo montone. Fu sollecito ad obbedirmi: portò con cura il piatto al suo posto e, quando si fu sistemato, prosegui: - Bly è diventato così all'improvviso poco indicato per lei? - Non così all'improvviso. Da tempo si poteva prevederlo. - Allora perché non l'avete mandata via prima? - Prima di che? - Prima che fosse troppo malata per viaggiare. Fui pronta a rispondere: - Non è troppo malata per viaggiare; soltanto, lo sarebbe diventata se fosse rimasta qui. Questo era proprio il momento giusto per farlo. Il viaggio scaccerà l'influenza maligna, - oh, quanto fui magnifica! - e porterà via tutto. - Capisco, capisco -. In quanto a sussiego, anche Miles ne era provvisto. Cominciò a mangiare con quel suo squisito «contegno a tavola» che, sin dal giorno del mio arrivo, mi aveva dispensata da ogni grossolano rimprovero. Qualunque cosa avesse provocato la sua espulsione dal collegio, non era certo un contegno sconveniente a tavola. Infatti anche quel giorno egli era irreprensibile, come sempre; eppure, senza dubbio più affettato. Era chiaro che cercava di dare per scontate più cose di quante non gli fosse possibile ammettere senza spiegazioni; e s'immerse in un quieto silenzio, mentre pensava alla sua situazione. Il pasto fu dei più brevi, per parte mia una vana finzione, e feci rapidamente sparecchiare. Henry James
461
1970 - Racconti Di Fantasmi
Mentre questo avveniva Miles rimase nuovamente in piedi con le mani in tasca, voltandomi la schiena... stava in piedi e guardava fuori della grande finestra, attraverso la quale, quell'altro giorno, avevo visto ciò che mi aveva sconvolta. Finché la domestica rimase con noi restammo in silenzio... in silenzio, pensai ironicamente, come una giovane coppia in viaggio di nozze, intimidita in una locanda dalla presenza del cameriere. Si voltò soltanto quando la domestica ci ebbe lasciati. - Bene, eccoci dunque soli!
XXIII. - Oh, più o meno -. Penso che il mio sorriso fosse scialbo. -Non completamente. Non ci piacerebbe! - continuai. - No, suppongo di no. Naturalmente ci sono gli altri. - Ci sono gli altri... ci sono davvero gli altri, - assentii. - Nondimeno, benché ci siano, - replicò, sempre piantato davanti a me con le mani in tasca, - non contano molto per noi, vero? Cercai di fare del mio meglio, ma mi sentivo sfinita: - Dipende da quello che tu intendi per «molto»! - Sì, - rispose assai conciliante - tutto dipende da quello! - A questo punto tuttavia si voltò di nuovo verso la finestra, e anzi la raggiunse con passo indeciso, esitante, nervoso. Vi rimase per un po' di tempo, la fronte premuta contro il vetro, in contemplazione di quegli stupidi cespugli che conoscevo così bene e delle grigie cose che ci porta novembre. Io avevo sempre pronta l'ipocrisia del mio «lavoro»; sotto la cui protezione, adesso, raggiunsi il divano. Applicandomi ad esso come avevo fatto più volte in quei momenti tormentosi che ho descritto come i momenti in cui ero certa che i bambini si dedicavano a qualcosa da cui io ero esclusa, mi misi docilmente, come al solito, ad aspettare il peggio. Ma una straordinaria impressione mi colpi mentre cercavo di attribuire un significato alla schiena «imbarazzata» del ragazzo... nient'altro che l'impressione che io ormai non ero più esclusa. Questa deduzione raggiunse nel giro di pochi minuti una forza notevolissima, e sembrava legata alla precisa sensazione che ora l'escluso fosse lui. L'intelaiatura, i riquadri della grande finestra si traducevano per lui nell'immagine stessa del fallimento. Comunque, mi sembrava di vederlo davanti a una porta, che lo chiudeva «dentro» o «fuori» qualcosa. Era ammirevole, ma non a suo agio: me ne resi conto Henry James
462
1970 - Racconti Di Fantasmi
con un fremito di speranza. Non cercava forse di scorgere, oltre il vetro stregato, qualcosa che non riusciva a vedere?... e non era la prima volta, in tutta la nostra storia, che conosceva un simile scacco? La prima volta, proprio la prima: che splendido presagio! Benché si controllasse, il suo atteggiamento diveniva ansioso; era stato in ansia tutto il giorno, e persino mentre sedeva a tavola, malgrado le sue solite, soavi maniere, aveva dovuto ricorrere a tutto il suo strano genio infantile per mascherarlo. Quando finalmente si voltò verso di me, era quasi come se quel suo genio fosse stato sconfitto: - Be', sono contento che Bly sia indicato almeno per me! - Pare proprio che nelle ultime ventiquattro ore tu te ne sia reso conto molto più che in passato. Spero, - proseguii audacemente, - che tu ti sia divertito. - Oh, sì, sono stato così lontano; tutt'attorno... miglia e miglia lontano da qui. Non sono mai stato così libero. Egli aveva veramente un modo di fare tutto suo, ed io potevo soltanto cercare di mantenermi alla sua altezza: - Ebbene, ti piace? Sorrise, poi finalmente pose in tre parole: - E a voi? - tanta profondità quanta non avevo mai pensato che potessero contenere tre sole parole. Prima che avessi il tempo di riavermi, continuò, tuttavia, come se avesse l'impressione di aver detto un'impertinenza a cui doveva rimediare: - Non c'è niente di più amabile del modo in cui voi la prendete, perché naturalmente se ora noi siamo soli, la più sola siete voi. Ma spero, - disse d'un fiato, - che la cosa non v'importi in modo particolare. - Avere cioè a che fare con te? - chiesi. - Mio caro bambino, e come potrebbe non importarmene? Sebbene io abbia rinunciato ad esigere la tua compagnia (sei talmente superiore a me), io almeno ne godo ancora moltissimo. Per quale altra ragione dovrei rimanere? Mi guardò attentamente, e l'espressione del suo viso, divenuta più grave, mi colpi come la più bella che avessi mai visto in lui. - Rimanete soltanto per questo? - Certamente. Rimango qui perché sono tua amica, e per l'enorme interesse che provo per te, fintanto che si possa fare qualcosa che sia più adatta a te. Questo non ti deve stupire -. La mia voce tremava tanto che mi era impossibile nasconderlo. - Non ricordi ciò che ti dissi la sera del temporale, quando venni a sedermi sul tuo letto, che non c'era niente al mondo che non avrei fatto per te? Henry James
463
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Sì, sì! - Anche lui, da parte sua, appariva sempre più nervoso, e doveva padroneggiare la voce; ma tanto meglio di me vi riusciva, che arrivò al punto, nascondendo la sua gravità con una risata, di fingere che stessimo celiando piacevolmente. - Soltanto che pensavo che lo diceste per farmi fare qualcosa per voi! - In parte era anche per farti fare qualcosa, - concessi, - ma, lo sai bene, tu non l'hai fatta. - Oh sì! - esclamò con una vivacità tutta artificiale, - volevate che vi dicessi qualche cosa. - Proprio così. Francamente, molto francamente: quello che hai in testa, lo sai bene. - Ah, allora è per questo che siete rimasta? Parlava con un'allegria attraverso la quale riuscivo ancora ad afferrare una vena sottile di astioso risentimento; ma non posso spiegare l'effetto prodotto su di me da quell'accenno, sia pur lontano, di resa. Era come se ciò che avevo tanto a lungo desiderato, fosse alla fine venuto soltanto per stupirmi. - Ebbene, sì... posso anche ammetterlo francamente. E stato proprio per questo. Tacque così a lungo che pensai lo facesse col proposito di demolire la supposizione sulla quale avevo basato il mio comportamento; ma alla fine si limitò a dire: - Volete intendere adesso... qui? - Non potrebbero esserci un luogo o un'ora migliori -. Si guardò intorno inquieto, ed io ebbi la rara, strana impressione che apparisse in lui il primo sintomo dell'avvicinarsi d'una certa paura. Era come se all'improvviso egli avesse paura di me... il che mi colpi come se fosse davvero la miglior sensazione che potevo ispirargli. Tuttavia compresi, al culmine della mia angoscia, ch'era inutile fingere d'esser dura, e un istante dopo sentii me stessa dire, con una gentilezza quasi grottesca: - Desideri proprio tanto uscire di nuovo? - Si, moltissimo! - Mi sorrise eroicamente, e la sua commovente spavalderia infantile fu resa anche più evidente da un improvviso rossore, che denunciava l'intima sofferenza. Preso il berretto, che aveva portato con sé entrando, lo rigirava tra le mani in un modo che mi colmò, proprio al momento in cui sentivo che entravo in porto, d'un orrore perverso per quanto stavo facendo. Farlo ad ogni costo era un atto di violenza, perché in che altro consisteva il mio comportamento se non nel forzare il senso della volgarità e della colpa in una piccola creatura senza difesa, che mi aveva Henry James
464
1970 - Racconti Di Fantasmi
invece rivelato la possibilità d'un rapporto incantevole? Non era bassezza creare in quello spirito squisito un malessere plumbeo, estraneo alla sua natura? Credo di penetrare ora la nostra situazione con una chiarezza che a quell'epoca non era possibile, perché mi sembra di vedere i nostri poveri occhi già infiammati da qualche favilla della previsione dell'angoscia futura. Così giravamo in cerchio, carichi di terrore e di incertezza, come lottatori che non osino avvicinarsi. Ma era l'uno per l'altra che temevamo! Questo ci tenne un po' più a lungo nell'attesa e senza ferite. - Vi dirò tutto, - disse Miles; - intendo che vi dirò tutto quello che volete. Resterete ancora con me, e staremo bene tutti e due e io vi dirò tutto... sì, vi dirò tutto. Ma non ora. - Perché non ora? La mia insistenza lo distolse da me e lo fece ritornare ancora una volta vicino alla finestra, in un tale silenzio che, tra noi, si sarebbe sentito cadere uno spillo. Poi fu di nuovo davanti a me con l'aria di una persona in attesa fuori di casa di qualcuno con cui si devono fare i conti a viso aperto. Devo vedere Luke. Non lo avevo ancora mai costretto a dire una bugia così grossolana, e mi sentii invasa da vergogna in proporzione. Ma, per quanto fosse orribile, le sue bugie contribuivano a dar forma alla mia verità. Pensosa, terminai alcune maglie del mio lavoro: - Bene, allora, va' da Luke, ed io aspetterò che tu faccia quanto mi hai promesso; soltanto, prima di lasciarmi, soddisfa in cambio una richiesta molto più modesta. Mi guardò, come se sentisse di aver conseguito un successo così grande da permettergli di mercanteggiare ancora un po': - Molto più modesta?... - Sì, proprio una frazione dell'intero. Dimmi - oh, il mio lavoro mi teneva occupata e parlai con indifferenza! - se ieri pomeriggio, sai, dal tavolo dell'atrio, hai preso la mia lettera.
XXIV. Per un momento, la mia impressione di come lui avesse accolto la mia domanda fu influenzata da qualcosa che non posso descrivere che come una violenta frattura della mia attenzione... Un colpo che sulle prime, mentre balzavo in piedi, non mi consenti che di afferrare il ragazzo alla cieca, stringerlo a me e, mentre cercavo a caso un sostegno nel mobile più vicino, tenerlo istintivamente con la schiena rivolta alla finestra. Henry James
465
1970 - Racconti Di Fantasmi
L'apparizione che avevo già dovuto affrontare proprio in quel punto, incombeva sopra di noi: Peter Quint era comparso come una sentinella davanti a una prigione. La seconda cosa che vidi fu che, dall'esterno, egli aveva raggiunto la finestra, e poi avvertii che, accostato al vetro e guardando all'interno, egli offriva un'altra volta alla stanza la sua livida faccia di dannato. Dire che presi la mia decisione in un secondo, non è che riprodurre molto approssimativamente quel che avvenne in me a quella vista; tuttavia credo che nessuna donna tanto sconvolta abbia mai riacquistato, in un tempo così breve, il pieno possesso dell'azione. Compresi, nell'orrore stesso di quella improvvisa presenza, che l'azione doveva consistere, dal momento che vedevo quel che vedevo e affrontavo quel che affrontavo, nel tenere il ragazzo all'oscuro di ciò che stava succedendo. L'ispirazione (non potrei chiamarla diversamente) fu di capire con quanta volontà, con quanta trascendenza io potessi. Era come combattere con un demonio per salvare un'anima, e appena mi fui resa conto di questo, vidi che l'anima umana, tenuta con le mani tremanti, a braccia tese, aveva la fronte soave di un fanciullo, coperta di un velo di sudore. Il volto che si appoggiava al mio era bianco come la faccia premuta contro il vetro, e poco dopo ne provenne un suono, né basso né debole, ma che sembrava giungere da regioni lontane, e che io bevvi come un soffio d'aria balsamica. - Sì... l'ho presa io. Allora, con un gemito di felicità, lo abbracciai, lo strinsi a me ancora più fortemente; e mentre me lo tenevo sul seno, sentendo nella febbre improvvisa di quel corpicino il tremendo pulsare del suo piccolo cuore, i miei occhi non abbandonavano quell'oggetto alla finestra e lo videro muoversi e mutare di posizione. L'ho paragonato ad una sentinella, ma il suo lento girarsi, per un momento, sembrò piuttosto il vagare di una belva scornata. Il coraggio che ora sentivo centuplicato era tuttavia tale che, per non lasciarmene trascinare, fui costretta, per così dire, a schermare la mia fiamma. Nel frattempo, il bagliore sinistro di quel viso era ancora alla finestra, e il miserabile ci fissava come se dovesse soltanto sorvegliarci ed aspettare. Ma la fondata sicurezza che ora potevo sfidarlo e la positiva certezza che il fanciullo era ignaro, mi spinsero a continuare. - Perché l'hai presa? - Per vedere che cosa dicevate di me. - Quindi hai aperto la lettera? Henry James
466
1970 - Racconti Di Fantasmi
- L'ho aperta. Il mio sguardo, ora che avevo un poco allentato la stretta, si posava sul viso di Miles sul quale, caduta quell'aria ironica, si leggeva quanto fosse completa la devastazione dell'inquietudine. Ciò che era veramente prodigioso era che alla fine, grazie alla mia vittoria, i suoi sensi erano sigillati e la comunicazione interrotta: si rendeva conto d'essere in presenza di qualcosa, ma non sapeva che cosa, e sapeva ancor meno che c'ero anch'io e che sapevo tutto. E che importava del resto, quella tensione sfibrante, quando il mio sguardo poteva tornare sulla finestra soltanto per scoprire che l'aria era di nuovo chiara e che, grazie al mio personale trionfo, l'influenza maligna era vinta? Non c'era più niente, là. Sentivo d'aver avuto causa vinta, e che la mia vittoria sarebbe stata completa. - E non hai trovato nulla! - dissi, dando libero sfogo alla mia euforia. Fece con la testa un cenno malinconico e penoso: - Nulla. - Nulla, nulla? - e quasi gridavo di gioia. - Nulla, nulla, - ripetè tristemente. Lo baciai sulla fronte; era madida di sudore: - E allora che cosa ne hai fatto? - L'ho bruciata. - Bruciata? - O allora o mai più. - È questo che avevi fatto in collegio? Oh, quali conseguenze ebbero quelle mie parole! - In collegio? - Avevi preso delle lettere?... o altre cose? - Altre cose? - Sembrava che ora stesse pensando a qualcosa di molto lontano, a qualcosa che poteva giungere sino a lui soltanto sotto la tensione dell'inquietudine. Tuttavia lo raggiunse. - Ho rubato? Mi sentii arrossire fino alla radice dei capelli, nel tempo stesso che mi chiedevo che cosa fosse più strano: rivolgere a un gentiluomo una simile domanda o vederla accogliere con una tranquillità che dava l'esatta misura della sua caduta nel mondo: - È per questo che non puoi tornarvi? La sola cosa che provò fu una lieve, triste sorpresa. - Sapevate che non potevo tornarvi? - Sapevo tutto. A queste parole mi lanciò uno sguardo prolungato, stranissimo: -Tutto? - Tutto. E allora hai veramente?... - Ma non potei dirlo di nuovo. Miles potè, con molta semplicità: - No, non ho rubato. Il mio viso doveva avergli rivelato che gli credevo pienamente; eppure le mie mani (per pura tenerezza) lo scuotevano come per chiedergli perché, Henry James
467
1970 - Racconti Di Fantasmi
se non c'era nulla, mi aveva condannata a quei mesi di tormento. - Allora, che cosa hai fatto? Con una vaga espressione di dolore alzò e girò lo sguardo intorno al soffitto, e respirò a fondo due o tre volte, quasi con difficoltà. Lo si sarebbe potuto credere nella profondità d'un mare, mentre con gli occhi guardava a qualche lontano crepuscolo verde: - Be', ho detto certe cose. - Soltanto questo? - Hanno pensato che bastasse! - Per buttarti fuori? Mai, certamente, persona «buttata fuori» si mostrò meno prodiga di spiegazioni di quello strano ometto! Sembrava soppesare la mia domanda, ma in modo completamente distaccato, e quasi smarrito. - Be', suppongo che non avrei dovuto. - Ma a chi le hai dette? Evidentemente cercava di ricordare, ma non vi riuscì... era un ricordo perduto: - Non lo so. Giunse quasi a sorridermi nella desolazione della propria disfatta, che era già così completa, ormai, che avrei dovuto arrestarmi a quel punto. Ma ero come ubriaca, accecata dalla vittoria, benché persino allora la conseguenza di quest'ultima, anziché avvicinarmelo, non facesse altro che accentuare il nostro distacco. - Le hai dette a tutti? - chiesi. - No, soltanto a... - ma scosse il capo con aria stanca. - Non ricordo i loro nomi. - Erano così tanti? - No, pochi. Quelli che mi piacevano. Quelli che gli piacevano? Mi pareva di librarmi non nella luce, ma in un'oscurità più fonda, e un momento dopo dalla mia stessa pietà era scaturito l'agghiacciante allarme che egli potesse magari essere innocente. Per un attimo l'enigma rimase confuso e insondabile, perché se egli era innocente, che ero io dunque? Paralizzata, sin tanto che durò, dal semplice presentarsi di quella domanda, allentai la stretta, sicché, con un sospiro profondo, si allontanò di nuovo da me: cosa che, mentre volgeva il viso alla finestra vuota, tollerai, sentendo che là ormai non c'era più nulla da cui dovessi difenderlo. - E hanno ripetuto quello che hai detto? - ripresi dopo un momento. Fu di colpo distante da me, respirando ancora a fatica, e ancora con l'aria, anche se ora senza rabbia, d'essere sequestrato suo malgrado. Una Henry James
468
1970 - Racconti Di Fantasmi
volta ancora, come aveva fatto prima, contemplò il grigiore del giorno, come se, di tutto quello che l'aveva sostenuto sino ad allora, non fosse rimasta che un'inesprimibile ansietà. - Oh, sì, - rispose tuttavia, - devono averle ripetute. A quelli che piacevano a loro, - aggiunse. Era meno di quanto, in un certo senso, mi aspettassi; ma insistetti: - E quelle cose giunsero...? - All'orecchio dei maestri? Oh, sì! - rispose con molta semplicità. - Ma non sapevo che le avrebbero ripetute. - I maestri? Loro no... non ne hanno mai parlato. Per questo te l'ho domandato. Rivolse verso di me il suo bel visino febbricitante: - Sì, era troppo brutto. - Troppo brutto? - Quel che penso d'aver detto qualche volta. Troppo brutto da scrivere a casa. Non posso definire lo squisito pathos della contraddizione posta in quella frase da chi l'aveva pronunciata; so soltanto che un istante dopo mi sentii esclamare con vigorosa familiarità: - Tutte stupidaggini! - Ma l'istante successivo devo aver avuto un tono abbastanza severo: - Quali erano queste cose? La mia severità era tutta per il suo giudice, il suo carnefice; tuttavia lo spinse a voltarsi ancora, e quel gesto spinse me, con un solo balzo e un grido insopprimibile, a saltare letteralmente su di lui. Perché ecco là di nuovo, contro il vetro, come per far intristire la sua confessione e frenare la sua risposta, il ripugnante autore della nostra maledizione... il livido volto della dannazione. Fui colta da un improvviso stordimento al crollo della mia vittoria, al riaccendersi della battaglia, cosicché l'irruenza del mio vero e proprio balzo servi soltanto a tradirmi. A metà del mio atto vidi che Miles aveva capito, come per divinazione, e nell'avvenire che anche questa volta egli poteva soltanto indovinare, e che la finestra era sempre vuota per i suoi occhi, lasciai divampare l'impulso di trasformare il culmine del suo sgomento nella prova stessa della sua liberazione. - Mai più, mai più! - gridai con voce stridula al mio visitatore, mentre cercavo di stringere il bambino al petto. - Lei è qui? - domandò Miles con ansia mentre seguiva con i suoi occhi sigillati la direzione delle mie parole. Poi, mentre quello strano «lei» mi sconvolgeva, ed io lo ripetevo con un fil di voce, come un'eco, - la Henry James
469
1970 - Racconti Di Fantasmi
signorina Jessel, la signorina Jessel! - mi gridò con una furia improvvisa. Stupefatta, compresi, ad un tratto, la sua supposizione... come un seguito di quello che avevamo fatto con Flora, ma ciò mi fece soltanto desiderare di mostrargli che si trattava di meglio: - Non è la signorina Jessel! Ma è alla finestra... dritto davanti a noi. È là... quel vile orrore, là per l'ultima volta! A queste parole, dopo un momento in cui la sua testa imitò il movimento del cane deluso che ha smarrito una traccia, ebbe un moto convulso, quasi cercasse aria e luce; si voltò verso di me in preda ad una rabbia muta, disorientato, guardando invano dappertutto, senza però trovare un segno (sebbene a me la stanza sembrasse impregnata come dalle esalazioni d'un veleno) di quella grande, dominatrice presenza. - E lui? Ero ormai così decisa ad ottenere la prova voluta che, per sfidarlo, mi resi di ghiaccio: - Che vuoi dire con quel «lui»? - Peter Quint... demonio maledetto! - il suo viso rivolgeva ancora, a tutta la stanza, la supplica convulsa. - Dov'è? Ho ancora nelle orecchie la resa suprema del nome e il suo omaggio alla mia devozione. - Che cosa t'importa di lui ormai, tesoro?... che importanza potrà più avere? Io ti ho, - gridai rivolta all'essere immondo, - mentre lui ti ha perduto per sempre! - Poi, per dimostrare che la mia opera era compiuta: - Là, là! - dissi a Miles. Ma egli si era già girato di scatto, sbarrava gli occhi, guardava ancora, senza vedere altro che la luce quieta del giorno. Sotto l'impressione di quella perdita di cui io ero tanto fiera, egli emise il grido di una creatura scagliata oltre un abisso, e l'abbraccio in cui lo strinsi avrebbe potuto veramente arrestarlo nella sua caduta. Lo presi, sì, lo strinsi forte... si può immaginare con quanta passione; ma prima che fosse trascorso un minuto cominciai a rendermi conto di ciò che realmente stringevo tra le braccia. Eravamo soli nella placida luce del giorno, e il suo piccolo cuore, liberato, aveva cessato di battere. Traduzione di Fausta Cialente.
LA VIA GIUSTA I. Quando, dopo la morte di Ashton Doyne - ma tre mesi più tardi - George Withermore fu sollecitato, come si suol dire, circa un «volume», la Henry James
470
1970 - Racconti Di Fantasmi
comunicazione gli venne direttamente dai suoi editori che erano stati, e invero in molto maggiore misura, quelli di Doyne; ma quando ebbe luogo il colloquio che in seguito essi proposero, egli non fu sorpreso di apprendere come una certa pressione circa la pronta pubblicazione di una Vita fosse stata esercitata su di loro dalla vedova dello scomparso. I rapporti di Doyne con sua moglie erano stati, per quel che Withermore ne sapeva, una pagina molto singolare, la quale, fra l'altro, si sarebbe presentata come particolarmente delicata per il biografo; ma il senso di quello che aveva perduto e perfino di quello che le era sempre mancato, la povera donna aveva dato a divedere, fin dai primi giorni della sua vedovanza, in modo sufficiente a preparare un osservatore un po' iniziato a un atteggiamento di riparazione, a una tutela addirittura eccessiva degli interessi legati a un nome famoso. George Withermore era, e ne aveva coscienza, un iniziato; ma quel che non s'aspettava fu di apprendere che la vedova aveva fatto proprio il suo nome, come quello della persona nelle cui mani sarebbe stata meglio disposta a mettere il materiale necessario per la compilazione dell'opera. Di questo materiale - diari, lettere, annotazioni, appunti, documenti d'ogni genere - la signora Doyne poteva disporre nel modo più completo, in quanto nessuna parte dell'eredità era sottoposta a condizioni di sorta; così che ella era libera, ora, di fare quel che voleva, libera in particolare, di non far niente. Quel che Doyne aveva disposto, se ne avesse avuto il tempo, non poteva essere che materia di supposizione e di congettura. La morte lo aveva preso troppo presto e troppo improvvisamente, e per somma disavventura i soli desideri che si sapesse essere stati espressi da lui erano desideri dai quali era esclusa ogni previsione di morte. S'era spezzato di schianto, per spiegarci; e il troncone era sbreccato e bisognava racconciarlo. Withermore era ampiamente consapevole di essergli stato molto vicino, ma era non meno consapevole della sua relativa oscurità. Era un giovane, un giornalista, un critico, un uomo che viveva alla giornata, e che aveva, per il momento, assai poco, come volgarmente si dice, da mettere in mostra. I suoi scritti erano tutt'altro che numerosi e di piccola mole, le sue relazioni scarse e vaghe. Doyne invece, era vissuto abbastanza a lungo, aveva avuto, soprattutto, abbastanza ingegno per diventare grande, e fra i suoi molti amici, dorati anch'essi di grandezza, ve n'erano parecchi che quanti conoscevano sua moglie avrebbero trovato più adatti a ispirarle fiducia. Henry James
471
1970 - Racconti Di Fantasmi
Come che fosse, la donna aveva espresso la sua preferenza e l'aveva espressa in un modo così indiretto e discreto da lasciargli una certa libertà, da far sentire al nostro giovane scrittore che egli doveva almeno vederla, e che, in ogni caso, c'erano molte cose da discutere. Egli le scrisse immediatamente, la donna fissò con altrettanta prontezza l'ora del colloquio e il colloquio ebbe luogo. Ma Withermore ne uscì immensamente rafforzato nella sua propria idea. La vedova di Doyne era una donna strana, ed egli non l'aveva mai trovata gradevole; pure, c'era ora, nella sua impazienza affannata e maldestra, qualche cosa che lo commuoveva. Voleva che il libro fosse una riparazione, e l'uomo che, tra quanti erano appartenuti alla cerchia di suo marito, ella credeva probabilmente di poter meglio manipolare, doveva in tutti i modi contribuire a farne una riparazione. Non aveva preso Doyne abbastanza sul serio da vivo, ma la biografia doveva riuscire una perentoria risposta a ogni imputazione contro di lei. Sapeva poco o nulla sul modo di compilare un libro del genere, ma ne aveva sfogliato qualcuno e imparato qualche cosa. A tutta prima Withermore si allarmò nel vedere che la donna mirava alla quantità; parlava di «volumi», ma egli aveva già la sua idea al riguardo. - Ho pensato immediatamente a voi, come avrebbe fatto egli stesso, aveva detto appena s'era alzata in piedi davanti a lui, lì, nel suo vistoso apparato da lutto, coi grandi occhi neri, la grande parrucca nera, il gran ventaglio nero e i guanti con il suo aspetto nell'insieme lugubre, brutto, tragico, ma che faceva impressione, e che, da un certo punto di vista, si sarebbe potuto trovare elegante. -Voi siete quello che egli amava di più, oh, molto! - e quelle parole erano state più che sufficienti a far girare la testa a Withermore. Poco importava che in seguito egli avesse ragione di domandarsi se la donna avesse conosciuto Doyne abbastanza, a pensare bene, per essere così sicura; in verità, per parte sua, avrebbe detto che la sua testimonianza in proposito era di valore poco meno che nulla. Tuttavia, non c'è fumo senza fuoco; la donna sapeva, per lo meno, quel che si diceva, ed egli non era una persona che la signora Doyne potesse avere un qualsiasi interesse a adulare. Salirono insieme, senza indugio, nello studio vuoto del grande uomo, che era nella parte posteriore della casa e dava una visione, agli occhi del povero Withermore, bellissima e ispiratrice su di un ampio giardino verdeggiante comune a tutto il lussuoso quartiere. - Qui potrete lavorare a meraviglia, vedete, - disse la signora Doyne, Henry James
472
1970 - Racconti Di Fantasmi
avrete questa parte della casa tutta per voi, ve la cedo completamente; così che, particolarmente la sera, vedete? per tranquillità e isolamento, sarà l'ideale. Ideale davvero, pensò il giovane guardandosi intorno, dopo aver spiegato che, lavorando al momento presso un giornale del pomeriggio e avendo di conseguenza per molto tempo ancora occupate le prime ore del giorno, sarebbe dovuto andare sempre di sera. La stanza era piena del loro amico perduto; ogni cosa lì dentro gli era appartenuta: ogni cosa che essi toccavano era stata parte della sua vita. Withermore ne fu per un momento sopraffatto; troppo grande l'onore, e troppo grande anche la responsabilità: memorie ancora recenti gli tornavano alla mente e, mentre il cuore gli prendeva a battere più forte e gli occhi gli si riempivano di lacrime, il fardello della sua lealtà alla memoria dello scomparso gli parve quasi eccessivo per le sue spalle. Alla vista delle sue lacrime, anche le palpebre della signora Doyne s'inumidirono, e per qualche istante i due non fecero che guardarsi negli occhi. Egli quasi si aspettava che la donna prorompesse: - Oh, aiutatemi a sentire come so che voi sapete che vorrei sentire! - E dopo un poco uno dei due, col profondo assentimento dell'altro, quale dei due non importa: - Qui siamo «con» lui, - disse. Ma fu certamente il giovane, prima di lasciare la stanza, a dire che lì egli era con «loro». Il giovane cominciò ad andarvi appena gli fu possibile, e allora, sul posto, in quell'incantato silenzio, tra la lampada e il fuoco e le tende abbassate, una sorta di più intensa consapevolezza lo invase. Entrava lasciando dietro di sé l'oscuro novembre londinese; attraversava la grande casa silenziosa, saliva lungo l'ampia corsia rossa della scala intravedendo nel suo cammino soltanto la visione fuggevole di una impeccabile cameriera dal passo silenzioso, o, nel vano di una porta, un lembo delle regali gramaglie e il tragico volto della signora Doyne; e poi, con un lieve tocco alla porta di perfetta fattura, che dava uno scatto così secco e gradevole, si chiudeva per tre o quattro ore di calda intimità, insieme con lo spirito - come egli lo aveva sempre esplicitamente chiamato - del suo maestro. Quando, fin dalla prima sera gli venne fatto di pensare che, in tutta quella vicenda, era stato in realtà principalmente attratto dalla prospettiva, dal privilegio, dal fascino di quella sensazione, ne rimase sgomento. Aveva ora modo di riflettere che non s'era dato pensiero alcuno di studiare la questione del libro, quanto alla quale c'era già fin d'ora molto Henry James
473
1970 - Racconti Di Fantasmi
da studiare: aveva puramente e semplicemente lasciato che il suo affetto e la sua ammirazione - per non parlare del suo orgoglio soddisfatto cedessero, senza riserve, alla tentazione offerta loro dalla signora Doyne. Di dove gli veniva, senza esaminare a fondo il problema, la certezza, poteva cominciare col domandarsi, che il libro fosse, tutto considerato, desiderabile? Quale incoraggiamento aveva egli mai ricevuto da Ashton Doyne stesso, per un accostamento così diretto, così, in certo qual modo, familiare? Grande era l'arte della biografia, ma c'erano vite e vite, c'erano uomini e uomini. Ricordò confusamente in proposito parole lasciate cadere in altri tempi da Doyne su compilazioni contemporanee, o allusioni a come egli stesso facesse delle distinzioni nei riguardi di altri eroi e di altri panorami. Ricordò perfino quale sembrava a volte essere il pensiero del suo amico circa il modo nel quale la carriera «letteraria» - tranne il caso di un Johnson o di uno Scott, grazie alla collaborazione di biografi della statura di un Boswell o di un Lockart - facesse bene ad accontentarsi di essere tramandata. L'artista s'identificava con la sua opera, egli non era che quella. Ma, d'altro lato, come avrebbe potuto lui, George Withermore, povero diavolo, non ghermire a volo l'occasione di passare l'inverno in una intimità così ricca di promesse? La cosa lo aveva semplicemente abbagliato, era un fatto innegabile. Non per le «condizioni», fatte dagli editori, sebbene fossero, a quel che dicevano al giornale, ottime; ma per Doyne stesso, per la sua compagnia, il suo contatto, la sua presenza, per quella che si andava palesando ogni giorno più chiaramente come la possibilità di un rapporto più intimo che non quello della vita. Strano che, delle due, la morte avesse il minor numero di misteri e di segreti! La prima sera che il nostro giovane scrittore si trovò solo nella stanza ebbe l'impressione che lui e il suo maestro fossero veramente per la prima volta insieme.
II. La signora Doyne lo aveva per lo più lasciato espressamente indisturbato, ma due o tre volte aveva fatto una breve comparsa per vedere se si era provveduto a tutto quello che gli occorreva, ed egli aveva avuto modo di ringraziarla del discernimento e della premura con cui gli era stata spianata la via. Lei stessa aveva, in qualche misura, esaminato il materiale ed era già riuscita a suddividere alcuni gruppi di lettere; tutte le chiavi dei Henry James
474
1970 - Racconti Di Fantasmi
cassetti e degli stipi ella aveva, inoltre, messe fin dal primo giorno nelle sue mani, con utili ragguagli circa l'apparente collocazione di vari documenti. In breve, la donna lo aveva fatto padrone di tutto nel più ampio senso della parola, e, avesse goduto o no la fiducia del marito, era chiaro che lei, almeno, ne aveva nell'amico di lui. In Withermore si andò formando tuttavia l'impressione che, nonostante tutte queste premure, la donna non fosse ancora tranquilla, e che una sorta di insopprimibile angoscia andasse di pari passo con la stessa fiducia. Per quanto piena di discrezione, ella era allo stesso tempo sensibilmente «presente»: egli la sentiva, attraverso un sottilissimo sesto senso che l'intera vicenda aveva già reso attivo, indugiare, nelle ore di quiete in cima al pianerottolo e dietro le porte; sorprendeva nel sommesso fruscio delle sue vesti l'inizio delle sue veglie e delle sue attese. Una sera, mentre, seduto al tavolo del suo amico, si trovava sperduto nei meandri della corrispondenza, l'impressione di avere qualcuno dietro le spalle lo fece sussultare, e si voltò. La signora Doyne era entrata senza che egli avesse sentito aprire la porta, e quando s'alzò in piedi di scatto la donna ebbe un sorriso evidentemente forzato. - Spero di non avervi spaventato, - disse. - Solo un momento, ero così assorto. Per un attimo, - spiegò il giovane, ebbi l'impressione che fosse lui. La strana espressione della faccia di lei si fece anche più strana per lo stupore. - Ashton? - Sembra così vicino! - disse Withermore. - Anche a voi? Questo, naturalmente, lo colpì. - A voi sì, dunque? La donna esitò, non movendosi dal luogo dove s'era fermata nell'entrare, ma girando lo sguardo per la stanza come per penetrarne gli angoli più oscuri. Aveva il vezzo di portare il gran ventaglio nero, che apparentemente non abbandonava mai, all'altezza del naso, coprendosi in tal modo la parte inferiore della faccia: i suoi occhi piuttosto freddi diventavano allora anche più ambigui. - Qualche volta. - Qui, - continuò Withermore, - si direbbe che sia sempre sul punto di entrare. Per questo sono trasalito un momento fa. E passato così poco tempo da quando egli soleva farlo veramente, è cosa di ieri! Io siedo sulla sua sedia, sfoglio i suoi libri, uso le sue penne, smuovo il suo fuoco, esattamente come se, essendomi stato detto che non può tardare a rientrare Henry James
475
1970 - Racconti Di Fantasmi
da una passeggiata, fossi venuto tranquillamente quassù ad aspettarlo. È delizioso, ma è strano. La signora Doyne, col ventaglio ancora sollevato, ascoltava con interesse. - E ne siete turbato? - No, mi piace. La donna esitò di nuovo. - Avete mai l'impressione che egli sia... sì... voglio dire... proprio personalmente nella stanza? - Be', come vi dicevo, - rise Withermore, - sentendovi dietro di me, evidentemente la mia impressione è stata proprio quella. Dopo tutto, che cosa desideriamo, - domandò, - se non che egli sia qui con noi? - Già, come voi diceste che sarebbe stato, la prima volta che veniste. La donna lo fissò con un'espressione di pieno assentimento. - Egli è con noi. Pronunciò le parole con enfasi, ma Withermore prese la cosa sorridendo. - Quindi non dobbiamo allontanarlo. Dobbiamo fare soltanto quello che gli è gradito. - Oh, soltanto quello, naturalmente, soltanto! Ma dal momento che è qui?... - E i suoi occhi cupi parvero accompagnare le parole al di sopra del ventaglio con un vago senso di angoscia. - Vuol dire che è soddisfatto e che vuol soltanto collaborare? Certo, senza dubbio; non si può interpretare che così. La donna trattenne un momento il respiro e girò ancora una volta gli occhi per la stanza. - Bene, - disse sul punto di andarsene, - ricordate che anch'io desidero soltanto collaborare -. E, quando se ne fu andata, Withermore si senti abbastanza persuaso... che la signora Doyne fosse venuta a fargli visita unicamente per vedere se egli si trovasse a suo agio. Sempre più a suo agio, osservò anzi dopo l'episodio, perché, a mano a mano che s'addentrava nel lavoro, gli pareva di avvicinarsi ogni giorno di più all'idea della presenza personale di Doyne. Una volta che questa fantasia ebbe cominciato a balenargli in mente, egli l'accolse come un'amica, la lusingò, la incoraggiò, ne fece addirittura la sua prediletta, non pensando ad altro per tutta la giornata che alla sensazione di sentirla rinascere la sera, e aspettando la sera con un'ansia molto simile a quella di una coppia d'innamorati in attesa dell'ora fissata per il loro incontro. I più piccoli indizi confortavano e confermavano la sua impressione, e in capo a tre o quattro settimane egli aveva finito per considerarla una vera e propria consacrazione della sua impresa. Non veniva così risolto chiaramente il Henry James
476
1970 - Racconti Di Fantasmi
problema dell'atteggiamento che Doyne avrebbe tenuto di fronte a quello che essi facevano? Quello che essi facevano era ciò che egli desiderava si facesse, ed essi potevano continuare, un passo dopo l'altro, senza scrupoli o dubbi. A tratti Withermore si sentiva addirittura esaltato da questa certezza. In certi momenti in cui penetrava profondamente nei segreti di Doyne, era in particolar modo gradevole essere in grado di affermare che Doyne desiderava, per così dire, che egli li venisse a conoscere. Andava apprendendo molte cose insospettate, scostava molte cortine, forzava molte porte, scioglieva molti enigmi, frugava, insomma, come si suol dire, dietro quasi tutte le quinte. E durante uno tra i più misteriosi di questi vagabondaggi «dietro le quinte», una brusca svolta occasionale gli dette l'impressione più intensa provata fino a quel punto di trovarsi ad un tratto, veramente, in un modo intimo e sensibile, faccia a faccia col suo amico; così che a fatica sarebbe stato in grado di dire, al momento, se l'incontro avvenisse nell'angusto corridoio, nella inesorabile strettoia del passato o nell'ora e nel luogo in cui effettivamente si trovava. Era il 1867 o era soltanto l'altro lato del tavolo? Fortunatamente, in un modo o nell'altro, anche alla luce più volgare che la pubblicità potesse fargli convergere sopra, ci sarebbe stato il gran fatto del modo nel quale Doyne andava «rivelandosi». Si rivelava in un modo stupendo, ancor meglio di quanto un ammiratore come Withermore avrebbe potuto supporre. Pure, allo stesso tempo, come avrebbe potuto quell'ammiratore spiegare a chicchessia il suo particolare stato d'animo? Non era una cosa di cui si potesse parlare; era una cosa che si poteva soltanto sentire. C'erano momenti, per esempio, nei quali, mentre stava chino sulle carte, l'alito lieve del suo ospite morto gli passava tra i capelli con la stessa tangibile evidenza con la quale i suoi propri gomiti erano posati lì, sul tavolo, davanti a lui. C'erano momenti nei quali, fosse stato capace di alzare gli occhi, il lato opposto del tavolo gli avrebbe mostrato il suo compagno con la stessa vivezza con la quale la lampada schermata gli mostrava la sua pagina. Che in quella congiuntura egli non fosse capace di alzare gli occhi, era affar suo, perché la situazione era governata - nulla di più naturale - da profonde delicatezze e sottili timidità, dal timore di un gesto troppo improvviso o troppo violento. Ma l'atmosfera era tale da rivelare nel modo più chiaro che se Doyne era presente, non lo era tanto per sé quanto per il giovane sacerdote del suo altare. Egli s'aggirava Henry James
477
1970 - Racconti Di Fantasmi
intorno e indugiava, andava e veniva: lo si sarebbe quasi detto, tra i libri e le carte, un bibliotecario silenzioso e discreto il quale rendesse i particolari servigi e porgesse il tranquillo aiuto che i letterati prediligono. Withermore stesso frattanto andava e veniva, cambiava di posto, vagava qua e là in cerca di notizie ben definite o vaghe; e più d'una volta, quando, tirando fuori un libro da uno scaffale e trovandovi segni tracciati dalla matita di Doyne si lasciava sedurre da una traccia e la perdeva, aveva sentito che sulla tavola dietro le sue spalle qualche documento veniva leggermente toccato e rimosso, e aveva, al suo ritorno, effettivamente trovato qualche lettera che aveva smarrita messa nuovamente sotto i suoi occhi, qualche groviglio sdipanato dalla pagina d'un vecchio giornale aperto proprio alla data che gli occorreva. Come avrebbe fatto, a volte, a mettere la mano, fra tanti ripostigli, proprio sulla precisa scatola o sul cassetto che potevano essergli d'aiuto, se il suo misterioso collaboratore non avesse, con bella preveggenza, sollevato un poco il coperchio o tirato fuori il cassetto a metà, proprio nel modo atto a richiamare la sua attenzione? Tutto considerato... mancamenti e intervalli, durante i quali, se foste stati veramente capaci di alzare gli occhi, avreste visto qualcuno un po' assente e troppo rigido davanti al fuoco, qualcuno tenervi gli occhi addosso con uno sguardo un po' più fisso che nella vita.
III. Che questo rapporto di buon auspicio fosse effettivamente esistito e durato due o tre settimane, fu sufficientemente dimostrato dai sintomi d'angoscia di cui il nostro giovane scrittore si avvide allorché, per una ragione o per l'altra, a partire da una certa sera egli aveva cominciato a sentirne la mancanza. Il primo indizio - quando, smarrita una meravigliosa pagina inedita, essa, dovunque frugasse, rimase stupidamente, irreparabilmente introvabile - fu la sensazione improvvisa e stupita che il suo stato di grazia era, dopo tutto, esposto a qualche offuscamento, e perfino a qualche depressione. Se, nel piacere dell'impresa, Doyne e lui erano, all'inizio, stati insieme, la situazione a pochi giorni di distanza, dai primi segni che egli ne aveva avuto subì uno strano mutamento e quei rapporti cessarono. Quella era la cosa che non andava, disse Withermore tra sé e sé, quando, nella sua soddisfatta visione d'insieme del materiale, Henry James
478
1970 - Racconti Di Fantasmi
un'impressione di mera massa e quantità si sostituì alla compiaciuta prospettiva di una chiara via da seguire e di un passo spigliato. Per cinque sere non si dette per vinto; poi, mai seduto al tavolo, vagando per la stanza, prendendo appunti soltanto per fare qualche cosa, guardando fuori dalla finestra, attizzando il fuoco, facendo strani pensieri e cercando di cogliere segni e suoni non sospettati o immaginati ma vanamente desiderati e invocati, finì col persuadersi che almeno per il momento, egli era abbandonato a se stesso. La cosa straordinaria fu allora che il non sentire la presenza di Doyne lo rese non solamente triste ma, in anche maggior misura irrequieto. Era in certo qual modo più strana cosa che egli non ci fosse di quanto fosse mai stato strano il fatto contrario - strana cosa, in verità - a tal punto che alla fine i nervi di Withermore ne furono incomprensibilmente scossi. Essi avevano accettato con relativa calma quanto apparteneva a un ordine di cose impossibile a spiegarsi, assurdamente riservando la crisi più acuta per il ritorno alla normalità, per il momento nel quale all'irreale si sarebbe sostituito il reale. Era giunto al punto di non dominarli più, quando, finalmente, una sera, dopo aver resistito un'ora o due, uscì, addirittura guardandosi le spalle, dalla stanza. Soltanto quella sera, per la prima volta, gli era diventato impossibile rimanervi. Senza nessuna intenzione precisa, ma ansimando un poco e innegabilmente spaurito, attraversò il solito corridoio e arrivò in cima alle scale. Di lassù vide la signora Doyne con gli occhi levati verso di lui dal basso, esattamente come se avesse saputo che egli stava per venire; e, più singolare di ogni altra cosa, fu il fatto che, sebbene egli non avesse coscienza di aver pensato di ricorrere a lei, e fosse soltanto stato spinto a cercare sollievo nella fuga, la vista della posizione in cui ella si trovava gliela fece accettare come necessaria, quasi immediatamente la sentisse come parte di un qualche incubo mostruoso che andasse calando su entrambi. Fu una cosa meravigliosa come, in quel normalissimo vestibolo moderno nel cuore di Londra, fra i tappeti di Tottenham Court Road e la luce delle lampade elettriche, salisse a lui, dall'alta signora in nero e da lui nuovamente scendesse a lei, la certezza di sapere che cosa ella intendesse atteggiandosi come se egli fosse al corrente di tutto. Discese immediatamente, la donna entrò in una stanzetta a terreno, e lì, con la porta chiusa, ancora silenziosi e turbati in viso, essi si trovarono, per prima cosa, di fronte a confessioni cui quei due o tre movimenti avevano subitamente dato vita. Come gli si chiari in mente la Henry James
479
1970 - Racconti Di Fantasmi
ragione che gli aveva fatto perdere la compagnia del suo amico, Withermore trattenne il respiro: - È stato con voi? Con queste parole tutto fu detto, detto al punto che nessuno dei due dovette dare spiegazioni e che, quando la domanda «che cosa sta succedendo?» passò rapida tra loro, parve fosse stata pronunciata non meno dall'uno che dall'altra. Withermore girò gli occhi per la stanzetta luminosa nella quale, per notti e notti, la donna aveva vissuto la sua vita, come lui la sua al piano di sopra. Era graziosa, accogliente, rosata; ma ella vi aveva sentito volta a volta ciò che egli aveva sentito, udito quello che lui aveva udito. L'effetto che ella faceva lì - con quel suo fantasioso nero, piumato e invadente, sullo sfondo intensamente rosa - era quello di una qualche stampa colorata «decadente», di un qualche manifesto della nuovissima scuola. - Sapevate che mi aveva lasciato? - egli chiese. La donna era evidentemente impaziente di chiarire la cosa. - Questa sera, sì. Ho capito tutto. - Sapevate, prima, che egli era con me? Ella esitò ancora. - Sentivo che non era con me. Ma sulle scale... -Sf? - Ebbene, passava, spesso. Era nella casa. E davanti la vostra porta... - Ebbene? - insistette Withermore, mentre ella ancora una volta non trovava modo di proseguire. - Se mi fermavo, qualche volta, lo sentivo. Comunque, - soggiunse, questa sera dalla vostra faccia ho capito in che stato vi trovavate. - Siete venuta fuori per questo? - Ho pensato che sareste venuto da me. A queste parole egli portò la mano verso quella di lei, ed essi rimasero per un momento così, silenziosi, tenendosi per mano. Non c'era nessuna presenza singolare, ora, né per l'uno né per l'altro, nulla di più singolare che la presenza dell'uno e dell'altro. Ma il luogo era divenuto subitamente sacro, e Withermore, nella sua angoscia, vi ritornò. - Che cosa succede dunque? - Io non voglio far altro che seguire la via giusta, - ella rispose dopo un istante. - E non è quello che facciamo? - Me lo domando. Voi no? Se lo domandava anche lui. - Per quel che sembra a me, la via giusta è questa. Ma dobbiamo pensarci bene. Henry James
480
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Dobbiamo pensarci, - fece eco la donna. E pensarono, pensarono intensamente, il resto della sera, insieme, e pensarono indipendentemente, in seguito (Withermore poteva almeno garantire per sé) giorni e giorni. Egli interruppe per qualche tempo le sue visite e il lavoro cercando, mentre riandava con la mente ai giorni trascorsi, di sorprendersi in qualche errore che potesse spiegare il perturbamento che s'era prodotto. Aveva forse seguito, su qualche questione importante - o dato l'impressione di seguire una via o un'interpretazione sbagliate? Aveva scioccamente falsato o inadeguatamente calcato la mano su qualche punto? Finalmente tornò sul posto con l'idea di aver intravisto due o tre questioni che forse era stato sul punto di arruffare, dopo di che passò, lassù, un altro periodo tormentoso, seguito in breve da un nuovo colloquio al pianterreno con la signora Doyne, ancora nervosa e agitata. -Eh? -Sì. - Lo sapevo! - ribatté cupa la donna con una strana aria di trionfo. Poi, come per chiarire la cosa: - Da me non è più ritornato. - E nemmeno da me per collaborare, - disse Withermore. La donna rimase pensosa: - Non per collaborare? - Non capisco... sono in alto mare. Per quanto faccia, sento di non essere sulla via giusta. Ella lo sommerse un momento nel suo pomposo dolore. - Come lo sentite? - Come? Attraverso le cose che accadono. Le più strane cose. Non saprei descriverle, e voi non ci credereste. - Oh sì, ci crederei! - mormorò la signora Doyne. - Ebbene, egli s'intromette. - Withermore cercò di spiegare. - Da qualunque parte mi volti, lo trovo. Ella ascoltava intenta. - Lo trovate? - Lo incontro. Sembra ergersi davanti a me. La signora Doyne aspettò un momento con gli occhi fissi nel vuoto. Intendete dire che lo vedete? - Ho l'impressione che potrei vederlo da un momento all'altro. Mi sfugge. Mi intralcia -. Poi aggiunse: - Ho paura. - Di lui? - domandò la signora Doyne. Egli rifletté. - Diciamo... di quello che faccio. - Ma che cosa fate, dunque, di così terribile? Henry James
481
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Quello che voi mi avete proposto. Penetro nella sua vita. Ella palesò ora, nella sua gravità, un nuovo sgomento. - E questo non vi piace? - Ma piace a lui? Questo è il dilemma. Noi lo mettiamo a nudo. Lo esibiamo. Come si dice? - Lo diamo in pasto al mondo. La povera signora Doyne, come vedesse la minaccia portata alla sua difficile riparazione, guardò fissamente un attimo davanti a sé, anche più cupa. - E perché non dovremmo farlo? - Perché non sappiamo. Ci sono nature, ci sono vite, che si rifiutano. Può darsi che egli non lo desideri, - disse Withermore. - Non gli abbiamo mai domandato. - Come potevamo? Egli tacque un momento. - Ebbene, domandiamogli ora. Dopo tutto, fin qui, il principio del nostro lavoro non ha avuto altro significato. Gli abbiamo fatto una proposta. - Ma... se è stato con noi... abbiamo avuto il suo consenso. Withermore parlò ora come se sapesse ormai che cosa pensare. - Egli non è stato «con noi», è stato contro di noi. - E allora perché pensavate... - Quello che pensavo in principio: che voleva farci sentire la sua approvazione? Perché, nella mia ingenuità iniziale, m'ingannavo. Ero, non so come dire, così esaltato e felice che non capii. Ma ora finalmente capisco. Egli voleva soltanto comunicare. Si sforza di farsi avanti dalla sua ombra; si protende verso di noi dal suo mistero; ci fa oscuri segni dal suo orrore. - Orrore? - sillabò senza voce la signora Doyne col ventaglio contro la bocca. - Di quello che facciamo... - Ormai Withermore era in grado di ricostruire tutto. - Ora capisco che in principio... - Ebbene? - Non c'era che da sentire la sua presenza, e dedurne che egli non era indifferente. E la bellezza della cosa mi portò fuori strada. Ma egli è lì, come una protesta. - Contro la mia vita? - gemette la signora Doyne. - Contro ogni vita. Egli è lì per salvare la sua vita. Per farsi lasciare in pace. - Quindi voi rinunciate? - disse la donna con una voce che suonò quasi Henry James
482
1970 - Racconti Di Fantasmi
come un grido. Egli non potè far altro che ribadire: - Egli è lì come un monito. A questo, per un momento, i due si guardarono nel fondo degli occhi. Voi avete paura! - proruppe infine la signora Doyne. Withermore accusò il colpo, ma insistette: - Egli è presente, come una maledizione! Con questo si separarono, ma per due o tre giorni soltanto: le ultime parole della donna continuavano a risonare in tal modo alle orecchie di Withermore che, tra il suo bisogno di darle una risposta veramente definitiva, e un altro bisogno di cui parleremo fra poco, egli senti di non potersi ancora ritirare dall'impresa. Finalmente ritornò all'ora solita e trovò la donna al solito posto. - Sì, ho paura, - dichiarò come se avesse ben meditato la cosa e ne misurasse ora tutta la portata. - Ma ho l'impressione che voi non ne abbiate. La donna rimase interdetta, evitando di pronunciarsi. - Di che cosa avete paura? - Di questo: che se insisto finirò per vederlo... - E poi? - Oh, poi - disse George Withermore, - rinuncerei! La donna parve soppesare la cosa con la sua aria teatrale, ma grave: - Io penso che dovremmo avere un segno sicuro, capite? - Desiderate che io ritenti? La donna esitò. - Voi capite che cosa significherebbe per me rinunciare. - Ah, ma non è necessario che voi rinunciate, - disse Withermore. La donna parve stupita, ma un momento dopo continuò: Significherebbe che egli non vuol ricevere da me... - Ma s'interruppe come per disperazione... - Che cosa dunque? - Nulla, - disse la povera signora Doyne. Egli la fissò ancora un momento. - Ho pensato anch'io a un segno sicuro. Ritenterò. Ma mentre egli stava per allontanarsi la donna ricordò: - Solo temo che stasera non ci sia niente di pronto, né la lampada, né il fuoco. - Non preoccupatevi, - disse Withermore prima di cominciare a salire, troverò tutto. A questo la donna rispose che, a ogni modo, la porta della stanza era probabilmente aperta; e si ritirò nuovamente come per attenderlo. Non Henry James
483
1970 - Racconti Di Fantasmi
ebbe da aspettare a lungo; per quanto, con la porta della sua stanza spalancata e l'attenzione tesa al massimo, la durata dell'intervallo potesse sembrarle non proprio quale al suo ospite. Dopo qualche tempo lo senti sulle scale, e subito dopo lo vide apparire nel vano della porta dove, sebbene non precipitoso, ma anzi, quanto al rumore dei passi, restio e vago, egli si mostrò almeno altrettanto livido e sgomento. - Rinuncio. - Dunque lo avete veduto? - Sulla soglia, di guardia. - Di guardia? - Ella lo guardò al disopra del ventaglio con gli occhi sbarrati. - Distintamente? - Immenso. Ma vago. Oscuro. Terribile, - disse il povero George Withermore. La donna parve ancora dubitosa. - Non siete entrato? Il giovane volse gli occhi altrove. - Egli lo vieta! - Voi dite che quanto a me non è necessario, - ella continuò un momento dopo. - Ebbene, è dunque necessario? - Che lo vediate? - domandò George Withermore. La donna indugiò un attimo. - Che rinunci. - Sta a voi decidere -. Quanto a se stesso egli non potè infine far altro che lasciarsi cadere sul divano con la testa china fra le mani. In seguito non seppe mai dire quanto tempo fosse rimasto a sedere così; ricordava soltanto che la prima cosa di cui fosse successivamente conscio era stata di trovarsi solo tra gli oggetti preferiti di lei. Comunque proprio mentre si rialzava in piedi con quella sensazione, egli si trovò nuovamente sotto la luce, al caldo, entro lo spazio rosato, di fronte all'imponente presenza nera e profumata della donna. Al primo sguardo, nel punto che ella lo fissava sopra la maschera del ventaglio con occhi più grandi e smarriti che mai, egli capì che la signora Doyne era stata di sopra: e allora, per l'ultima volta, essi si trovarono insieme di fronte alla loro strana domanda. - Lo avete veduto? - domandò Withermore. In seguito, dal modo indimenticabile col quale ella chiuse gli occhi, come per farsi forza, e li tenne stretti a lungo, in silenzio, egli dovette concludere che, rispetto all'indicibile visione della moglie di Ashton Doyne, la sua era stata una cosa da nulla. Prima ancora che la donna aprisse bocca capì che tutto era finito. - Rinuncio... Henry James
484
1970 - Racconti Di Fantasmi
Traduzione di Carlo Izzo.
IL LUOGO BENEDETTO I. George Dane aveva aperto gli occhi a un nuovo giorno luminoso: il volto della natura, ben lavato dall'acquazzone della notte, appariva radioso, carico di buoni propositi, d'intenzioni fervide: insomma, nel lembo del cielo di Dane sfolgorava la luce abbagliante di un nuovo inizio. Era rimasto alzato fino a tardi per terminare il lavoro di un mucchio di arretrati, poi era andato a letto con il mucchio di ben poco ridotto. Ora, dopo l'interruzione notturna, era opportuno rimettercisi, ma per il momento riusciva soltanto a guardarlo, al di là del fitto strato di lettere depositate un'ora prima dalla distribuzione di posta del mattino, e dal suo metodico cameriere già diligentemente allargate sul solito tavolo accanto al camino. La perfezione domestica di Brown era qualcosa di spietato. Su un altro tavolo stavano i giornali, ordinati con lo stesso rigore di metodo, troppi giornali - che bisogno c'era di tante notizie? - ciascuno col bordo posato alla base della testata dell'altro, così che la fila di quelle teste senza corpo rievocava una teoria di capi mozzati. Altri giornali, altri periodici d'ogni genere, piegati e sotto fascia, stavano in un mucchio confuso, della cui crescita quotidiana egli era stato testimone pigro e impotente. C'erano libri nuovi, impacchettati anch'essi, oppure spacchettati e lasciati lì - libri provenienti da case editrici, dagli stessi autori, libri di amici, libri di nemici, libri inviati dal suo libraio che a volte dava per scontate cose che a lui parevano addirittura inconcepibili. Dane non toccò niente, non si accostò a nulla, rivolgendo soltanto un occhio assonnato al lavoro (si fa per dire) della notte: nella camera dalle ampie finestre alte, in realtà il dovere illuminava ogni angolo della sua luce fredda, dei suoi taciti sfrontati richiami all'ordine. Era l'antica marea che andava salendo e continuava a salire; bastava osservarla un minuto soltanto. Durante la notte gli era arrivata alle spalle; ora gli lambiva il mento. Nulla era svanito, nulla era scomparso durante il suo sonno: tutto era rimasto tal quale; niente di cui egli potesse accorgersi era morto - come sarebbe stato naturale; al contrario erano nate molte cose nuove. Lasciarle stare, queste cose nuove, abbandonarle del tutto e stare a vedere se, in ultima analisi, non si sarebbe rivelato questo il modo migliore di trattarle, Henry James
485
1970 - Racconti Di Fantasmi
una fantasia che per un momento lo attrasse come possibile soluzione: già sovente, in passato, era accaduto che lo accarezzasse come un soffio d'aria fresca. Ma poi, come sempre, si rese conto che lasciarle stare era difficile, abbandonarle impossibile: l'unico rimedio, l'unica vera morbida spugna che tutto cancella sarebbe stato essere lasciato stare, venire dimenticato. Non esisteva terreno sicuro su cui un uomo che avesse tanto amato la vita, almeno quanto l'aveva amata lui, potesse porre piede per mettersi in salvo. Doveva raccogliere quel che aveva seminato. Si era intrappolato: semplicemente, era andato a dormire sotto una rete e sotto la rete s'era svegliato. La rete era troppo sottile: i fili s'incrociavano in punti fittissimi, facendo ogni volta un nodino troppo stretto perché stamani le sue dita fiacche, molli, avessero la forza di toccarlo. Quelle del nostro povero amico non toccarono nulla; s'infilarono soltanto eloquentemente nelle tasche mentre si avviava verso la finestra. Davanti alla forza della natura si senti mozzare il fiato. Nel constatare tanta energia, Dane rimase ancora più oppresso. La notte prima, nelle ore piccole passate alla luce della lampada, la natura l'aveva alquanto confortato. Da dietro la tenda accostata dello studio lo scroscio della pioggia gli era giunto come un rumore in certo modo benigno; quel picchiettio incessante sul vetro gli era sembrato la cosa giusta, quella che, se soltanto fosse durata - pretesto di ritardo o di interruzione - avrebbe liberato il terreno, convogliando verso un mare sconfinato gl'innumerevoli ostacoli in cui egli inciampava imboccando la strada sbagliata. In effetti aveva deposto la penna con la sensazione che fosse l'asticciola stessa ad incitarvelo amichevolmente. Aveva spento la lampada, mentre il gradevole incessante fruscio continuava a farsi udire sul vetro; la frase era rimasta a metà, le carte abbandonate, come se il diluvio avesse potuto portarle via con sé. Ma eccole invece ancora li sul tavolo, le nude ossa dell'ultima frase - e nemmeno tutte; l'unica cosa spazzata via, e che egli non sarebbe mai riuscito a ricuperare, era la metà mancante, quella che avrebbe potuto completare quanto già scritto, e creare un'immagine. Eppure, per il momento non riuscì a far altro che voltare le spalle alla finestra; il mondo incombeva ovunque, fuori e dentro, e non era certo il trionfante egotismo derivato dalla salute e dalla forza di esso a promettere tatto e delicatezza. Si voltò di nuovo, e proprio in quell'istante si trovò faccia a faccia con il suo domestico e l'assurda solennità di due telegrammi presentati su un vassoio. Brown avrebbe dovuto farli passare dentro con un Henry James
486
1970 - Racconti Di Fantasmi
calcio, quei dispacci: a spingerli fuori, con un altro calcio, ci avrebbe pensato lui, Dane. - Come lei mi ha detto di ricordarle, signore... George Dane finì con lo stizzirsi. - Non ricordarmi niente! - Ma, signore, lei ha insistito perché io insistessi!... Dane si volse disperato, ed emise un patetico mugolio in stridente contrasto con le sue parole: - Se insisti, Brown, ti ammazzo! -Si ritrovò nuovamente alla finestra, a guardar fuori dal quarto piano: sotto lo squillo azzurro del cielo gli abitanti del popoloso quartiere cominciavano a rovesciarsi fuori dalle case. Vi fu un silenzio, ma egli sapeva che Brown non se n'era andato, sapeva esattamente quanto serio e impalato (e stupido e fedele) Brown fosse rimasto sulla porta. Passò un istante e di nuovo lo sentì dire: - È soltanto perché, signore, come lei sa, signore, a lei capita di non ricordare... Dane si rigirò di scatto a queste parole: in quel momento era più di quanto potesse sopportare. - ... Di non ricordare, Brown? di non riuscire a dimenticare, ecco quel che mi capita! Brown lo guardò, fatto forte dei suoi diciotto anni di coerenza. - Temo che lei non stia bene. Il padrone di Brown parve riflettere. - So di dire un'assurdità: volesse il cielo che così fosse. Potrebbe servirmi di scusa! Sul viso di Brown l'espressione d'incapacità a pensare si estese come un deserto. - Una scusa per rimandarle? - Ah! - quel suono gli uscì di bocca come un gemito; il pronome al plurale, qualsiasi pronome, era così fuori luogo... - Ma di chi parli? - Delle signore che lei ha nominato: per l'invito a pranzo. - Oh! - il pover'uomo si lasciò cadere sulla sedia più vicina e per un po' rimase con lo sguardo fisso sul tappeto. Era una faccenda quanto mai complicata. - Quante saranno, signore? - chiese Brown. - Cinquanta! - Cinquanta, signore? Dalla sua sedia, il nostro amico lasciò vagare intorno lo sguardo vuoto: in mano aveva ancora i telegrammi sigillati: ne prese uno e lo apri con uno strappo. «Spero sua cortesia voglia perdonare mia venuta oggi ore 13,30 con povera cara Lady Mullet vivamente incline», egli lesse al suo Henry James
487
1970 - Racconti Di Fantasmi
ascoltatore. Il suo ascoltatore valutò il fatto. - E con questa, quante farebbero, signore? - Con la povera cara Lady Mullet? Non ne ho la più pallida idea. - E... è deforme, signore? - volle sapere Brown, come se in tal caso il numero dovesse aumentare. Il padrone, dapprima sorpreso, capì che l'inconsueto aggettivo aveva fatto immaginare a Brown una qualche deformità fisica. - No, significa soltanto che è incline a venire, che ci tiene! - Dane apri l'altro telegramma e di nuovo lesse ad alta voce: «Spiacentissima impossibilitata ore 11, pregola grandissimo favore trovarsi qui ore 14 precise». - Allora, quante diventano così? - continuò l'imperturbabile Brown. Dane, appallottolati i due dispacci, si avviò verso il cestino della carta straccia, nel quale li fece cadere pensoso. - Non te lo so dire. Devi cavartela da solo. Io non ci sarò. Soltanto ora il viso di Brown parve assumere un'espressione. - Lei invece andrà... - Io invece andrò! - farneticò Dane. Ma già prima Brown aveva avuto modo di mostrare che lui mai avrebbe disertato il posto. - Non le pare di sacrificare un po' le altre tre? - E tacque, sospeso tra il senso del rispetto dovuto e la paura di un rimbrotto. - Ma allora, sono tre? - Io apparecchio per quattro in tutto. - Sacrificarne tre per una sola, vuoi dire? - fece il padrone che, in qualche modo, aveva colto il pensiero del domestico. - Oh, ma io, da lei, non ci vado! La famosa pignoleria di Brown - sua massima virtù - non era mai stata così implacabile. - Allora, dove va? Dane si sedette al tavolo e fissò la frase a brandelli. - Lontano, lontano... esiste un paese felice, - canterellò come un bambino malato, nel rendersi conto che per un intero minuto Brown non s'era mosso. Durante quel minuto si senti penetrare tra le spalle il succhiello della critica. - È proprio sicuro di sentirsi a posto? - È questa certezza che mi sopraffa, Brown. Guardati intorno e giudica tu. Potrebbe, agli occhi degli invidiosi, esserci qualcosa di più «a posto» di quanto mi circonda? Quella interminabile sfilza di lettere, di appunti, di Henry James
488
1970 - Racconti Di Fantasmi
circolari; quella pila di bozze di stampa, di libri, di riviste; questi eterni telegrammi, le ospiti incombenti, il lavoro protratto, incompiuto, che non ha mai fine? Cosa potrebbe un uomo desiderare di più? - Intende dire che ce n'è troppo, signore? - Talvolta Brown aveva di questi lampi di genio. - Ce n'è troppo. Ce n'è troppo. Ma tu non ne hai colpa, Brown. - Nossignore, - Brown convenne. - E lei ne ha? - Ci sto pensando... devo capire. Ci sono certi momenti...! -Sì, c'erano certi momenti, e questo era uno di quelli: si rialzò di scatto per fare un altro giro nel suo labirinto, ma senza toccar nulla, senza nemmeno incontrare lo sguardo ammonitore del servo. Se c'era qualcuno a cui Dane potesse apparire un genio, quello era Brown: ma essere un genio agli occhi di Brown era terribile. C'erano stati momenti in cui egli aveva pienamente riconosciuto quanto conforto quella considerazione gli procurava: ora, però, era come il precipitare di una valanga. - Non preoccuparti di me, Dane prosegui in malafede, mentre sbirciava fuori dalla finestra la bella natura piena di luce. - Forse si metterà a piovere... può darsi che non abbia finito. Come mi piace la pioggia, - aggiunse debolmente. - Anzi, meglio ancora: forse nevicherà. Questa volta sulla faccia di Brown si dipinse un'evidente espressione di timore. - Neve, signore... a fine maggio? - Senza insistere sull'argomento, consultò l'orologio. - Si sentirà meglio, quando avrà fatto colazione. - Credo anch'io, - disse Dane, effettivamente colpito dall'idea, della colazione come piacevole alternativa alla lettura della corrispondenza. Vengo subito. - Ma senza aspettare...? - Aspettare cosa? L'apprensione causò finalmente in Brown un cedimento di logica ch'egli tradì con manifesta perplessità, sperando evidentemente che, in un rapido lampo di memoria, il suo signore lo sollevasse da un penoso dovere. Ma gli unici lampi manifesti furono quelli del brav'uomo. - Lei dice che non dimentica mai niente, signore, e invece dimentica. .. - Qualcosa di tanto terribile? - lo interruppe Dane. Brown sembrò esitare. - Solamente quel signore che mi ha detto di avere invitato... Di nuovo Dane lo interruppe: terribile o no, la faccenda gli tornava in mente; e questo solo fatto bastava a classificarla. - Invitato oggi a Henry James
489
1970 - Racconti Di Fantasmi
colazione? Era proprio per oggi? Ho capito -. Se n'era ricordato, ecco, sì, gli era tornato in mente: l'appuntamento con quel giovane (supponeva fosse giovane) la cui lettera, - quella lettera a proposito... a proposito di che? - lo aveva colpito. - Già, già. Aspetta, aspetta. - Magari, un po' di compagnia le farà bene, signore, - suggerì Brown. - Certo, certo che mi farà bene! Benone! - Comunque, gli a-vrebbe permesso di non fare altro: a questo pensò il nostro amico nell'udire lo squillo del campanello elettrico alla porta di casa e nel vedere Brown allontanarsi. Nel breve intervallo che segui, due furono le cose che Dane ebbe ben chiare davanti a sé: la prima, di essersi completamente scordato quale fosse il donde, il dove e il perché - il rapporto, insomma - che lo legava al suo ospite; e la seconda, il suo persistente rifiuto a non toccare più nulla - nemmeno con un dito. Ah, se soltanto avesse potuto non toccare nulla mai più. Erano ancora tutte là, le lettere non dissigillate, le richieste trascurate, ed egli restò davanti al camino con le mani in tasca, per un lasso di tempo che non avrebbe saputo precisare. Udì un breve scambio di battute in anticamera, ma non fu in grado di calcolare il tempo impiegato da Brown prima di ricomparire, precedendo una persona che annunciò, e il cui nome in qualche modo non giunse all'orecchio di Dane. Brown si allontanò di nuovo per servire la colazione, lasciando il padrone faccia a faccia col suo ospite. In seguito, anche la durata di quella prima fase sfuggi ad ogni calcolo, perché subito, nella scia di quanto si verificò, seguirono la seconda, la terza e la quarta fase, in opulenta successione. Ciò che tuttavia accadde realmente fu che Dane si cavò la mano di tasca, la tese e se la senti afferrare. Se dunque aveva desiderato non toccare mai più niente... era cosa bell'e fatta.
II. Era forse già trascorsa una settimana in quel luogo - teatro del suo nuovo stato d'animo - prima ch'egli dicesse una sola parola. Gliene venne offerta l'occasione allorché una delle silenziose figure, che finora aveva osservato distrattamente, finì con l'avvicinarglisi, mostrando un volto che parve - alla sua mente serena eppure ancora leggermente confusa - la più sublime espressione del generale incanto. Ma in che consisteva veramente quell'incanto? In verità non avrebbe saputo facilmente tradurlo in parole: un tale abisso di negativi, un'assenza così completa di positivi, di tutto. Un Henry James
490
1970 - Racconti Di Fantasmi
istante dopo fu colpito dalla strana sensazione che la sua stessa immagine si rispecchiasse in questo primo interlocutore, seduto con lui sulla comoda panchina, sotto l'alto loggiato luminoso, dominante il vasto giardino dove ciò che più spiccava tra la verzura era una distesa d'acqua immobile e il bianco di alcune statue antiche. Nell'aspetto del Fratello ch'era venuto tanto semplicemente ad unirsi a lui - un uomo della sua stessa età, stanco distinto modesto gentile - l'assenza di tutto altro non era (se ne rese presto conto) se non l'assenza di quanto lui stesso rifiutava. Per il momento non desiderava che essere lì, che immergersi nel lavacro in cui già si trovava, nel lavacro calmo e profondo della tranquillità: vi si erano immersi insieme, e l'acqua arrivava loro fino al mento. Non aveva avuto bisogno di parlare, non aveva avuto bisogno di pensare, quasi neppure di avvertire con i sensi. Già altra volta si era sentito sommerso a quel modo, sommerso - quando e dove? - in altre acque, ma erano acque che precipitavano, in cui non aveva fatto che annaspare boccheggiando. Questo invece era un flusso così lento e tiepido che praticamente vi si galleggiava senza doversi muovere, senza avere freddo. Il silenzio era stato rotto all'improvviso; eppure Dane aveva avvertito l'avvicinarsi di un suono, già prima che questo vi si insinuasse. Non occorrevano parole per avere la certezza che lui e il compagno erano Fratelli, con tutto ciò che la parola implicava. Si chiese - ma senza provare disagio, poiché lì provare disagio era impossibile - se il suo compagno riscontrasse in lui la stessa somiglianza, la riprova di quella pace che il luogo avrebbe fornito. Il lungo pomeriggio si avviava a poco a poco alla fine; le ombre si allungavano e il cielo si copriva di più cupi bagliori; ma nulla cambiava - nulla poteva cambiare in quell'atmosfera. Era una sensazione cosciente di sicurezza. Era meraviglioso: Dane vi si era perfettamente ambientato, pur conservando tuttora un'eccezionale vivezza di spirito. Gli sarebbe rincresciuto perderla, poiché proprio questo fatto, questo benedetto senso di consapevolezza, sembrava finora essere la massima delle cose. Unico inconveniente: poiché costituiva di per sé un'occupazione - una cotale irrequietezza mescolata a un'estrema gratitudine - la vita dell'intera giornata vi si esauriva. Ma era anche questo un male? Egli era venuto soltanto così, per prendere ciò che trovava. Questa era la parte dove il grande chiostro, racchiuso all'esterno su tre lati - il più vasto, il più aereo e armonioso che alla sua rapita sensibilità la mano dell'uomo avesse saputo esprimere quanto a dimensioni - si apriva a sud su una splendida quarta visuale, attraverso una galleria Henry James
491
1970 - Racconti Di Fantasmi
esterna; questa si congiungeva al resto del porticato, sì da formare un'alta loggia coperta, simile a quelle che egli si figurava di aver veduto, nell'Italia di tempi lontani, in antiche città, antichi conventi, ville antiche. Quella disposizione che, rievocando la grande sede di un ordine religioso, una sorta di benevolo Monte Cassino, di Grande Chartreuse più facilmente accessibile, gli si presentava come il più immediato termine di confronto; tuttavia, egli sapeva di non avere mai contemplato in nessun luogo qualcosa di così severo e ricco al tempo stesso. Per tutta la settimana tre impressioni in particolare erano state vive in lui, ed egli non poteva che ammetterne tacitamente il benefico influsso esercitato sul suo sistema nervoso. Come tutto fosse organizzato non avrebbe saputo dire (anzi, fino a quel momento era stato contento d'ignorarne il perché e il come); ma ogni volta che tendeva l'orecchio con una certa intensità, distingueva in lontananza rintocchi lenti e dolci di campane. Come mai così lontane, eppure così udibili? Come mai così vicine e pur così attutite? Soprattutto, come potevano, in un così totale arresto di vita e ammesso che qui si potesse dare un valore al tempo, risuonare con tanta frequenza? L'intima essenza della beatitudine, del completo cambiamento della vita di Dane, era appunto l'impossibilità di calcolare il tempo. Lo stesso accadeva con i lenti passi che, sempre percettibili a un'attenzione distratta, scandivano lo spazio e l'inerzia e, sotto i freschi loggiati, sembravano posarsi leggeri e retrocedere di continuo. Questa era la seconda impressione, che andava a confondersi con la terza, in quanto che, in quel luogo benedetto, ogni forma di delicatezza non era che un progressivo evolversi, senza scosse né vuoti, nell'infinito fluire della serenità. I taciti passi erano silenti figure che, agli occhi di Dane, conferivano al quadro un aspetto umano e rendevano la perfezione una conquista possibile. Ora, seduto sulla panchina accanto all'amico, questa perfezione gli appariva più raggiungibile che mai. L'amico si volse infine a lui con uno sguardo diverso da quello degli amici dei club londinesi. - Si trattava solo di scoprirlo! Era straordinario come questa osservazione s'inserisse in modo perfetto nel pensiero di Dane. - Già! Proprio così, non è vero? -gli rispose, quando penso a tutti quelli che non ci sono riusciti né mai ci riusciranno! sospirò rivolgendo la mente a quei poveretti, con un affetto così intenso come mai aveva provato. Ebbe la sensazione che anche il suo interlocutore Henry James
492
1970 - Racconti Di Fantasmi
conoscesse bene coloro a cui rivolgeva il pensiero. Ne aveva in mente alcuni soltanto, ma tutte persone che l'avrebbero desiderato; eppure non v'era dubbio che -per motivi, per questioni varie ch'egli aveva osservato stando nel mondo - mai ve ne sarebbero state troppe. Forse non tutti quelli che vi aspiravano l'avrebbero trovato: o, per lo meno, nessuno l'avrebbe scoperto senza desiderarlo davvero. E allora, come doveva essere stata forte l'esigenza iniziale! Quanto forte era stata per lui! Dalla luce che emanava dal volto del compagno, intuì come viva poteva essere tale esigenza pur se appagata in pieno, e comprese parimenti la simpatia stabilitasi tra loro per il solo fatto di esserne entrambi consapevoli. - Ciascuno deve arrivarci da solo, con le proprie gambe, non è vero? Noi qui adesso siamo Fratelli, come in un grande monastero: così pensiamo immediatamente uno dell'altro e come tali ci riconosciamo; ma prima siamo dovuti giungere qui ciascuno come ha potuto, e c'incontriamo dopo lunghi viaggi, per strade malagevoli. E poi, c'incontriamo, nevvero?, a occhi chiusi. - Ah, non parlare come se fossimo morti! - fece Dane ridendo. - Non m'importerà di morire, se la morte è così, - gli rispose l'amico. Era ovvio che non sarebbe importato a nessuno, si disse Dane, lo sguardo perduto dinanzi a sé; ma lasciò passare un momento prima di articolare la domanda rivelatrice del suo più elementare stupore: - Dove siamo? - Non mi meraviglierei che fossimo molto più vicini di quanto si sospetti. - Più vicini a Londra, intendi dire? - Più vicini a qualunque cosa, a chiunque. George Dane rifletté. - Potrebbe essere giù nel Surrey, per esempio? Quella precisazione provocò nel Fratello un'ombra di riluttanza a rispondere: - Perché dovremmo dargli un nome? Purché abbia un buon clima, capisci? - Già, - approvò Dane divertito. - Senza di quello...! - Era di nuovo sopraffatto a tal punto da ogni cosa circostante che non seppe trattenersi dall'esclamare: - Ma che cos'è, dunque? - Il non saperlo affatto fa parte della nostra sensazione di benessere, di riposo... e del cambiamento avvenuto in noi; a tal punto, ne sono convinto, che non sappiamo in verità che nome dargli: il che ci autorizza a chiamarlo come preferiamo, per esempio con il nome di ciò che più apprezziamo in Henry James
493
1970 - Racconti Di Fantasmi
esso. - Io so come chiamarlo, - disse Dane un momento dopo. Poi, notando l'attenzione con la quale l'amico lo ascoltava: - Semplicemente «Il luogo benedetto». - Capisco. Che altro resta da aggiungere? In quanto a me, gli ho dato forse un nome un po' diverso -. Lì, seduti sulla stessa panca, avevano l'aspetto innocente di due ragazzini che si confidano i nomi dei loro animali di pezza. - Lo chiamo «Il gran desiderio appagato». - Ah, sì! Perfetto! - Ma a noi non basta forse che sia un luogo su misura per noi, così perfetto che invano tendiamo l'orecchio a coglierne uno scricchiolio nel meccanismo? Non ci basta che sia un vero e proprio «colpo di fortuna»? - Eh, e che colpo! - ammise Dane con un mormorio bonario. - Fa per noi ciò che si vanta di voler fare, - continuò il compagno; - il mistero è tutto qui. In effetti, la cosa è forse abbastanza semplice; poggia su una base molto pratica, solo che ha tratto origine da un'idea meravigliosa, un vero lampo di genio. - Sì, - convenne Dane, - in certo senso è stata una concezione squisitamente personale, chiunque l'abbia avuta! - Appunto: come tutto ciò che è valido, si basa sull'esperienza. Il «gran desiderio» è appagato: è questo il bene che ti fa! Questo caro luogo nacque il giorno stesso in cui lo ideò la mente giusta. E poi, con il volgere del tempo, i desideri sono sempre stati appagati e sempre lo saranno. E come pretendere che non lo siano ogni giorno di più, dal momento che l'assillo non fa che aumentare quotidianamente? Dane, le mani raccolte in grembo, assenti a quelle sagge parole, aggiungendo placido una constatazione sua: - E un fatto che la tensione aumenta di continuo! - Mi rendo conto fin troppo bene di quanto tu ne sia stato vittima, dichiarò il Fratello. Dane sorrise. - Non reggevo più, non so che cosa sarebbe stato di me. - Io so che cosa sarebbe stato di me. - Be', è lo stesso. - Indubbiamente, - continuò il compagno di Dane, - è la stessa cosa -. E per un po' rimasero seduti in silenzio: a vederli, si sarebbe detto che seguissero piacevolmente, nel contemplare il verde giardino, gli incerti movimenti del mostro - follia, resa, disfatta -a cui erano sfuggiti. Quella Henry James
494
1970 - Racconti Di Fantasmi
loro panchina era come un palco all'opera. - E può darsi benissimo, sai, prosegui il Fratello, - che io ti abbia visto prima. Può anche darsi che ti conosca bene. Non si sa. Si scambiarono un nuovo sguardo abbastanza sereno, e Dane finì col dire: - No, non si sa. - Proprio questo volevo esprimere quando dissi che qui ci s'incontra ad occhi chiusi. Sì... manca qualcosa. C'è una lacuna, un anello mancante, c'è il grande iato! - constatò il Fratello ridendo. - È una storia semplice come quella della vecchia antica frattura... l'isolamento in cui i cattolici, beati loro!, sono sempre stati in grado di chiudersi, e ancora lo sono, andando «in ritiro» nelle loro innumerevoli case religiose. Non intendo parlare degli esercizi spirituali, alludo solo alla semplificazione materiale. E non parlo del rifiuto del proprio io; parlo soltanto, per chi abbia una coscienza che valga due soldi, del ritrovamento di se stessi. Per gli appartenenti all'antica fede, il luogo, il tempo e il modo esistono praticamente da sempre, oggi come allora. Essi possono sempre evadere: quei benedetti ospizi sono pronti ad accoglierli. Perciò era tempo che noi, noi della grande famiglia protestante, noi umiliati e sopraffatti, se possibile ancor più di loro, a seconda della sensibilità di ciascuno, e, grazie alla nostra «intraprendenza», pronti a prostituirci davanti alle tentazioni profane, imparassimo ad evadere, a trovare altrove il nostro ritiro, il rimedio ai nostri mali. Ci si presentava una straordinaria occasione! Dane posò una mano sul braccio del compagno. -Che bello! Quando uno di noi parla per sé, parla anche per l'altro. E stato proprio quello che ho detto io! - Si era lasciato andare a rievocare quanto accaduto prima dello spalancarsi dell'abisso. Il Fratello non domandava di meglio che lasciarlo parlare, come se entrambi potessero trarne giovamento. - Quel che tu hai «detto»...? - A lui, quella mattina -. Al suo orecchio giunse un rintocco lontano, insieme al rumore di un passo lento. Un'ombra tacita passò oltre. Nessuno dei due si volse a guardare. A poco a poco Dane avvertiva sempre più nettamente l'estremo gusto, la perfezione suprema che ovunque regnava. Ho soltanto posato il mio fardello... e lui l'ha raccolto. - Era molto grosso? - Oh, un tale peso...! - rispose Dane di buon umore. - Guai, dolori, dubbi? - Oh no, ben di peggio! Henry James
495
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Di peggio? - Il «successo»! la cosa più meschina! - Adesso ne parlava divertito. - Ah, ne ho un'idea anch'io. Nessuno in avvenire sarà più in grado di affrontare il successo, stando le cose come stanno. - Senza un conforto di questo tipo, mai. Quanto maggiore è, peggio è: quanto è più grande, tanto più è micidiale. L'unico mio cruccio, qui, continuò Dane, - è il pensiero del mio povero amico. - La persona a cui hai già fatto cenno? Dane assenti intenerito. - Il mio sostituto nel mondo. Un benefattore come non ve n'è l'uguale. Comparve quella mattina in cui, per un motivo o per l'altro, tutto mi dava sui nervi, quando l'intero globo, nervi o non nervi, sembrava aver invaso il mio studio con l'abominevole intenzione di dilatarsi. Ma non si trattava di nervi, era un semplice problema di spostamento di ogni cosa, di fastidio, la sensazione di venir sommerso dal nostro eterno «troppo». Non sapevo più où donner de la tète: non avrei saputo fare un passo di più. La comprensione con cui il Fratello lo ascoltava li teneva uniti come due bambini che bevano dalla stessa scodella. - Fu allora che ricevesti il segnale? - Sì, allora! - confermò Dane con un sospiro di felicità. - Ebbene, lo si riceve tutti. Ma in maniera diversa, direi. - E tu, come l'hai... Il Fratello sorrise, esitante. - Prima raccontami tu.
III. - Ecco, - cominciò George Dane, - era un giovane che non avevo mai visto, molto più giovane di me in ogni caso, un tale che mi aveva scritto mandandomi un articolo o un libro. Lessi il materiale, ne fui molto colpito, glielo dissi ringraziandolo, il che naturalmente provocò un'altra lettera da parte sua. Ah, quella...! - Dane trasse un sospiro allegro. - Mi chiedeva delle cose, mi poneva dei quesiti interessanti. così, per risparmiare il tempo e la fatica di scrivere, gli dissi: «Venga a trovarmi: chiacchiereremo un po', ma non posso concederle più di mezz'ora, a colazione». Giunse, spaccato il minuto, una mattina in cui, vedi caso, più che mai nella mia vita teso e assillato com'ero, mi sembrava d'aver perso possesso della mia anima; ero circondato soltanto da vicende altrui e asfissiato da importuni di nessun Henry James
496
1970 - Racconti Di Fantasmi
conto. Mi sentivo letteralmente male, avevo la sensazione, fino allora mai provata, che, se una volta avessi perduto di vista per un po' la cosa che davvero mi stava a cuore e verso la quale erano tese le mie energie, non l'avrei ritrovata mai più. Si sarebbero richiusi sopra di me flutti selvaggi, e io sarei precipitato dritto dritto negli abissi profondi, dove i vinti giacciono morti. - Ti sto seguendo passo per passo, - lo rassicurò amichevolmente il Fratello. - I flutti selvaggi, vuoi dire, della terribile epoca attuale. - Della terribile epoca attuale, precisamente. Non di un'altra, come talvolta ci accade di sognare. - Già, qualunque altra epoca appartiene solamente ai sogni. Non conosciamo altra era che la nostra. - No, grazie a Dio, e questa basta -. Dane sorrise contento. - Be', ecco arrivare il mio giovanotto, e non era passato un minuto dalla sua presenza, quando avvertii che, in un modo o nell'altro, mi avrebbe aiutato. Veniva da me pieno d'invidia, un'invidia smodata, davvero passionale. Io rappresentavo ai suoi occhi - Dio me ne guardi - il «gran successo»; quanto a lui, era affamato, abbattuto, distrutto. Come faccio a dire quello che si stabili tra noi? Una corrente così strana, così rapida di simpatia e di intesa istantanea. Sembrava tanto intelligente, tanto patito e affamato! - Affamato? - chiese il Fratello. - Non di pane, voglio dire, anche se di quello non abbondava certamente, secondo me. Affamato... be', di ciò che io avevo, di quello che rappresentavo per lui, ritto lì in piedi come un monumento fin troppo appariscente. Lui, poveraccio, da dieci anni faceva serenate davanti a finestre sbarrate, e finora non gli era mai riuscito di vedere schiudersi una sola persiana. La mia, seminascosta, era stata la prima a disserrarsi di un dito; il fatto di aver letto il suo libro, l'impressione che ne avevo ricevuta, il mio biglietto d'invito a venirmi a trovare, avevano costituito in effetti l'unico segno di risposta lasciato cadere nel suo vicolo oscuro. Scorse nel disordine della mia stanza, nella mia giornata scombinata, nella mia faccia infastidita, nel mio malumore, è imbarazzante, ma non posso fare a meno di dirtelo, la riprova del mio successo, lo splendore della mia gloria. Scorse nell'abbondanza che mi circondava e nella mia «fama», povero illuso! ciò che dal canto suo aveva inseguito invano. - Ciò che aveva inseguito era l'ideale di essere te, - affermò il Fratello. E aggiunse: - Capisco dove vai a parare. Henry James
497
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Vado a parare che, passati cinque minuti, gli dissi: «Mio caro amico, vorrei che provasse, che provasse per un po' a essere me!» Hai colpito nel segno, buon Fratello: fu precisamente quello che avvenne, anche se il fatto di comprenderci vicendevolmente può apparire portentoso. Io mi resi conto di quanto poteva darmi, e lo stesso accadde a lui. Per di più, egli comprese ciò che a me toccava ricevere: fu davvero straordinario. - Doveva essere un tipo notevole! - osservò ridendo l'interlocutore di Dane. - Non vi è ombra di dubbio, molto più notevole di me. Ed è questa la ragione per la quale ciò che io gli prospettai celiando, in un momento di disperata ironia, divenne nelle sue mani, una volta afferrata l'occasione che gli si offriva, il mezzo benedetto per consentire a me di starmene qui in tua compagnia. «Oh, se solo potessi rimandare ogni cosa e scaricare tutto su spalle altrui! Se riuscissi soltanto a trovarne il paio giusto!» così gli dissi. Poi, a un moto del suo viso: «Non vorrebbe occuparsene lei, per caso?» gli domandai. E gli chiarii il significato della proposta: bisognava che egli subentrasse immediatamente al mio posto. Avrebbe dovuto terminare il mio lavoro, aprire le mie lettere, mantenere i miei impegni e assoggettarsi, nel bene e nel male, ai miei rapporti con la gente e relative complicazioni. Significava che avrebbe dovuto vivere la mia vita, pensare con il mio cervello, scrivere con la mia mano e parlare con la mia voce. Significava soprattutto che io me la sarei filata... Egli generosamente accettò: fu all'altezza della situazione, da vero eroe. «Ma che sarà di lei?» disse tuttavia. - Qui, infatti, stava il punto! - ammise il Fratello. - Ma fu l'esitazione di un attimo. E una volta ancora venne in mio aiuto, - prosegui Dane, - quando capì che io non ero pronto per affrontare la cosa, che tutt'al più riuscivo soltanto a dire di voler pensare, di voler smettere, di voler raggiungere l'unico scopo, l'unica cosa che per me contava e a cui ahimè! - aspiravo, e quella sola; e che perciò prima di tutto volevo individuarla, giacché da tanto tempo mi era stata sottratta, estrapolata, congelata. «Io so di che cosa lei ha bisogno», mi assicurò placidamente un momento dopo. «Ah, quel che mi ci vuole non esiste!» - «Io so di che cosa lei ha bisogno!» ripetè. Allora cominciai ad aver fede in lui. - Ma tu, l'avevi una qualche idea? - chiese sommessamente il Fratello, fattosi attento. - Sì, - rispose Dane, - ed era proprio la mia idea che m'induceva alla Henry James
498
1970 - Racconti Di Fantasmi
disperazione. Tanto era acuta e precisa nella mia immaginazione, nel mio desiderio, altrettanto inesistente era nella realtà. Eravamo tutt'e due seduti sul mio sofà, in attesa della colazione. Poco dopo, posandomi una mano su un ginocchio, egli mi mostrò un volto che l'improvvisa grande luce che vi risplendeva mi fece apparire indicibilmente bello. «Esiste... esiste», disse lui finalmente. E allora, ricordo, restammo seduti a guardarci in viso, con il risultato finale di scoprire che oramai io credevo in lui ciecamente. Rammento che non avevamo affatto un'aria solenne, ma ci sorridevamo felici della nostra scoperta. Lui era contento quanto me, terribilmente contento. Me ne resi conto in tutto il suo modo di rispondere alla supplica che non seppi trattenere: «Dov'è, dunque, in nome di Dio? Me lo dica subito, non indugi!» Il Fratello gli dimostrava adesso una partecipazione così intensa! - Ti ha dato l'indirizzo? - Ci stava riflettendo, capivo che lo cercava, che l'aveva individuato. Ha una mente magnifica e, mentre noi siamo seduti qui a rabberciare i fatti cicalando a perdifiato, lui sta certo risolvendo tutto, molto meglio di quanto io sia mai riuscito a fare. Dopo un po', solo a guardarlo in faccia, solo a sentire la sua mano posata sul mio ginocchio, intuii che egli non soltanto aveva capito ciò che faceva per me, ma che ci si stava avvicinando più di quanto io avrei fatto in dieci anni. D'un tratto balzò in piedi, si diresse alla mia scrivania, vi si sedette senza por tempo in mezzo, come per scrivermi una ricetta o un lasciapassare. Allora, mentre fissavo quelle spalle, intuii che l'incantesimo cominciava ad operare. Rimasi seduto a contemplarlo, con la più singolare profonda dolcissima sensazione al mondo, la sensazione di uno spasimo cessato. La mia vita si era come librata nell'aria: comunque, io avevo sgombrato il campo. Lui stava già al mio posto. - Ma tu, dov'eri? - chiese il Fratello divertito. - Sempre sul sofà, la testa abbandonata sul cuscino, in uno stato di delizioso benessere. Lui era già me. - E tu, chi eri? - volle sapere il Fratello. - Nessuno. Questo era il bello. - E il bello davvero, - confermò il Fratello con un sospiro simile a una nota di musica delicata. Dane fece eco a quel sospiro; e rimasero ancora seduti in santa pace, come nessuno che parli a nessuno, in contemplazione dello struggente Henry James
499
1970 - Racconti Di Fantasmi
vasto paesaggio su cui la tepida sera stendeva il suo crepuscolo.
IV. Dopo tre settimane - per quanto era possibile definire il tempo - Dane cominciò ad avvertire che aveva ricuperato qualcosa. Era la cosa che non nominavano mai, in parte perché non ne sentivano la necessità e in parte perché mancava il vocabolo: qual era infatti il termine atto a specificarla per intero? L'unica vera esigenza era quella di conoscerla, di contemplarla in silenzio. Dane la designava con una definizione pratica sua personale, della quale a dire il vero s'era appropriato con un furto: «visione e facoltà divine». Era senza dubbio un'espressione lusinghiera per la considerazione in cui egli teneva il proprio intelletto; comunque, il ben dell'intelletto era ciò che aveva rischiato di perdere e che all'ultimo momento era riuscito a trattenere grazie a un filo che, ad ogni istante, correva il pericolo di spezzarsi. Una cosa era cambiata: a poco a poco la stretta s'era fatta più salda, sicché poteva ritirare la lenza con uno strattone che - lo sentiva ogni giorno di più - avrebbe retto il peso. Alla malia di sogno del paesaggio era ormai subentrato un mondo di ordine, di razionalità, un sistema visibilmente organizzato: cessata l'irrealtà, la limpidezza trionfava in pieno. Purtuttavia egli continuava, anche se vagamente, a dibattere tra sé il problema della collocazione geografica: gli pareva di andare quasi sul sicuro con l'asserire che, se non si trovava nel Kent, allora probabilmente era nello Hampshire. Pagava per tutto, tranne che per quello: non era compreso, quel problema, nelle voci del conto. Il pagamento, l'aveva presto imparato, era ben preciso: come le fatture del mondo che aveva lasciato, andava versato in sterline e scellini; solo che se ne distaccava con sovrana indifferenza. V'era nella sua camera un recesso prestabilito a cui egli affidava le monete che, in sua assenza, venivano ritirate da uno degli inservienti discreti e inafferrabili (ombre proiettate sulle ore come la marcia silenziosa della meridiana) sempre intenti al lavoro. Lo scenario aveva interi lati che gli rammentavano qualcosa, che a qualcosa somigliavano; causa ed effetto del suo fascino era la rassegnata e al tempo stesso compiaciuta percezione di essi. Dal suo nebbioso passato Dane trasse una decina di zoppicanti similitudini: una era quella del convento silenzioso, un'altra quella della splendida dimora di campagna; né faceva torto a quel luogo paragonandolo Henry James
500
1970 - Racconti Di Fantasmi
a un albergo; qualche volta si permetteva di rassomigliarlo a un club. Tuttavia simili immagini mandavano un guizzo di luce improvvisa e si spegnevano: duravano solo abbastanza per metterne in luce la diversità. Un albergo senza rumori, un club senza giornali... Allorché volgeva lo sguardo a constatare i «senza», il panorama si allargava a dismisura. L'unica vera analogia la riscontrava in se stesso e nei suoi compagni. Erano costoro fratelli, ospiti, soci; addirittura, volendo - a loro non importava nulla del termine con cui venivano designati - «clienti abituali». Non erano loro a definire l'ambiente, ma l'ambiente a definire loro. Un ambiente che senza dubbio veniva accettato con gradimento, anzi - direi piuttosto - con una sorta d'esaltazione, derivante, come l'aria stessa che lo pervadeva e la forza che lo sosteneva, dalla calma e nobile sicurezza che da esso sprigionava. Tutte queste condizioni insieme valevano a formare l'idea, semplice ma grandiosa, di un rifugio per tutti, un'immagine di braccia protese, di accoglienza generosa. E quale effetto ne risultava in realtà se non la poesia di un luogo abbastanza comune esaltato da un gusto squisito? Non si trattava di un miracolo quotidiano: il segreto stava nel gusto perfetto, aiutato dall'immensità dello spazio. Ciò che sottostava e sovrastava ogni cosa, rifletteva Dane, era anzi una sorta di originale e insaziabile ispirazione, alimentata dall'idea felice di un unico spirito. In qualche posto, in qualche modo era pur nata, quell'idea benedetta: si trattava d'insistere per la sua sopravvivenza. Chi l'aveva concepita poteva anche rimanere nell'ombra, questo faceva parte della perfezione: un servizio così discreto e ben regolato che difficilmente potevi coglierlo in azione e te ne rendevi conto soltanto dai risultati. Eppure la mente saggia era ovunque - tutto infallibilmente si concentrava nel cuore di un individuo cosciente. E quanto questa coscienza individuale, pensava Dane, era stata simile alla sua! La mente saggia aveva capito e sofferto; poi, per il bene di tutte le anime in pena, aveva intravisto una soluzione. Tuttavia, non avresti mai saputo dire se la creazione giunta fino a te fosse l'ultima eco di vecchi tempi o la nota squillante dei tempi moderni. Più volte, tra lo scampanio lontano e il lieve frusciare dei passi, tra le fresche arcate del chiostro e nel giardino scaldato dal sole, Dane si sorprese a desiderare di saperne di più e al tempo stesso a rallegrarsi di saperne così poco. Si addiceva allo stile elevato e aristocratico l'assenza di qualsiasi pubblicità personale, e tanto meno di qualunque personale riferimento. Quelle erano cose appartenenti al mondo che aveva lasciato; Henry James
501
1970 - Racconti Di Fantasmi
qui non esisteva la meschinità dei meriti, né i riconoscimenti, né la fama. L'aspetto invero squisito di quel luogo consisteva nella mancanza di complicazioni che un'identità comporta; dono inestimabile sopra ogni altro era la salda certezza, la serena fiducia che il contratto sarebbe stato rispettato. Questo soprattutto aveva dominato la mente saggia: che i beneficiari godessero dell'assoluta sicurezza di quanto veniva loro offerto. Loro unico compito era pagare: la mente saggia sapeva per che cosa pagavano. Dane si rendeva conto ogni ora che mai gli sarebbe stato addebitato più del giusto. Oh, quel profondissimo lavacro, quella deliziosa fresca immersione nel silenzio! Era come essere sottoposto a una regolare terapia, a una sublime Kur tedesca: questa era l'espressione giusta per il lusso che gli veniva concesso. La vita interiore si ridestava; e, a quelli della sua generazione vittime della follia moderna, di frenetici spostamenti, di moto, soltanto la vita interiore poteva restituire il benessere. Aveva parlato e scritto d'indipendenza, ma com'era stata fredda e piatta la sua parola! Qui godeva del fatto in sé, non esprimibile a parole, dell'incontestato possesso della sua lunga dolce vuota giornata. La fragranza dei fiori si disperdeva nell'atmosfera e, a intervalli regolari, pasti delicati e semplici avevano luogo, nel lindo refettorio dalle alte volte, dove il servizio, privo di etichetta, era un trionfo dell'arte! Questa, secondo la sua analisi, restava la spiegazione costante: tutta quella soavità, quella dolcezza erano state create secondo un calcolo voluto. Eppure all'analisi egli si dedicava saltuariamente, traendo positivo diletto da quel residuo di mistero che, per il grande artefice ovunque presente, costituiva il sacrario nascosto dell'idolo di un tempio: v'erano momenti particolari per tali pensieri, placide meditazioni durante le quali, nell'ampio chiostro silente o in qualche angolo del giardino dove l'aria spirava leggera, un fugace lampo di bellezza o un ricordo di felicità sembravano librarsi e indugiare nell'etere. Nell'estasi del cambiamento che sulle prime lo aveva totalmente assorbito, non aveva fatto discriminazioni: si era solo lasciato sommergere, come ho detto, dalla profondità degli abissi silenziosi. Poi, poco alla volta, si erano susseguite lente e pacate le fasi della comprensione, dell'osservazione; più marcate e più fruttuose, forse, dopo la lunga conversazione avuta al tramonto con il suo mite compagno, quella che era sembrata concludere il processo d'assestamento, offrendogli la chiave di tutto. Questa chiave di puro oro altro non era che l'elenco delle cose cancellate. A poco a poco, in uno stato di completa letizia, egli si rese Henry James
502
1970 - Racconti Di Fantasmi
conto che il conforto e il benessere di cui godeva erano originati dall'assenza di molti particolari, dall'ineffabile mancanza d'infinite cose; gli pareva quasi di toccarle una per una, tale era lo stato di estasi che gli procurava l'esserne affatto privo. Di ciò era in special modo debitore al paradiso della sua camera: una grande stanza quadrata abbellita da quelle mancanze, che si affacciava dall'alto su un orizzonte lontano e che, in modo vago e gradevole, gli ricordava qualche antico dipinto italiano, un Carpaccio o un toscano primitivo: la rappresentazione di un mondo senza giornali né lettere, senza telegrammi né fotografie, senza la paura del fatale «troppo». Là, grazie al cielo, riusciva a leggere e scrivere; soprattutto là gli era lecito non fare nulla... gli era lecito vivere. E vi si godeva di tutte le possibili libertà - e sempre, in ogni occasione, di quella giusta. Dalla biblioteca poteva prendere un libro - poteva prenderne due, tre. Per magico incanto del luogo non aveva mai voglia di prenderne di più. La biblioteca era una benedizione: alta, luminosa e semplice come ogni altro elemento, ma nei suoi spazi a volta con un che di nitido, di gaio e ardito al tempo stesso. Sapeva che non avrebbe mai dimenticato la folla di sensazioni immediate che lo aveva assalito allorché si era trovato lì per la prima volta, quando un semplice sguardo all'intorno gli era bastato per rassicurarlo che quel luogo gli avrebbe offerto ciò che da anni desiderava. Non aveva mai goduto la serenità dell'isolamento, ma qui si sarebbe isolato: aveva avuto l'impressione di trovarsi dinanzi a una grande coppa d'argento, dalla quale attingere in abbondanza le ore disciolte nel nulla. Andava su e giù per la stanza, da una parete all'altra, in troppo piacevole armonia con se stesso, in quel momento, per mettersi puntualmente a sedere e fare una scelta: riconosceva soltanto di scaffale in scaffale il caro vecchio libro messo in disparte a cui non era mai tornato, risentiva tutte le voci profonde, distinte, di un tempo passato che, nel tumulto del mondo, era stato costretto a considerare perdute e inascoltate. Vi tornò presto, naturalmente, vi tornò ogni giorno; assaporando tra quelle pareti, di tutti i momenti rari e bellissimi, i più intensi, i più accesi - momenti in cui ogni acquisizione aveva contato il doppio e ogni atto della mente era stato come l'abbraccio di un innamorato. Con il passare dei giorni fu quello forse l'ambiente che predilesse, benché quella stanza, come gli altri elementi del posto e qualunque cosa su cui gli accadeva di posare lo sguardo, fosse in grado di rammentargli la cura magistrale con cui tutto era stato predisposto. Henry James
503
1970 - Racconti Di Fantasmi
A volte alzava il capo dal libro per perdersi nelle sfumature del quadro che, da qualunque angolo, in qualunque momento le contemplasse, non lo deludeva mai. Il quadro restava lo stesso, anche se composto di elementi abbastanza comuni: era il modo in cui una finestra aperta su un ampio spazio lasciava entrare la bella mattinata; il modo in cui l'aria pungente dava nuovo vivo riflesso all'oro sbiadito di antiche rilegature; oppure il modo in cui una sedia vuota, accostata a una scrivania sgombra, dava rilievo a un volume appena posato; nel modo in cui un Fratello, come lui assorto, la schiena volta verso di lui senza intenzioni ostili, indugiava di fronte a uno scaffale, facendo lentamente frusciare le pagine di un libro. Aveva in generale la sensazione che, grazie a qualche legge particolare, quel che vedeva dipendesse meno dai fatti che non i fatti da ciò che vedeva; che gli elementi venissero determinati dall'esigenza o dallo stato d'animo del momento. Ciò che suscitò in Dane questa riflessione fu, dopo un certo tempo, la certezza d'aver trovato dei compagni. Dopo il dialogo sulla panchina col buon Fratello, aveva incontrato altrove degli altri buoni Fratelli: in giardino o nel chiostro c'era sempre stato qualcuno disposto a fermarsi quando lui si fermava, e un saluto era diventato in maniera del tutto spontanea un segno della serenità diffusa, della non-conoscenza reciproca che consacrava l'incontro. Perché sempre, sempre, in tutti i nuovi contatti, egli trovava il balsamo di una felice incognita. Si ripeteva quello che aveva provato la prima volta: l'amico era sempre un amico nuovo, e tuttavia, al tempo stesso - ma era divertente, non fastidioso - gli suggeriva la possibilità che si trattasse di un vecchio amico un po' cambiato. Nelle condizioni del momento era solo una cosa piacevole -tanto decisamente piacevole quanto sarebbe stata sgradevole mancando quelle condizioni. Il mondo in cui esse erano abolite si ripresentò infine alla memoria di Dane con tale chiarezza che egli ne potè misurare con precisione ogni differenza, ma senza provare più -grazie a qualche cambiamento che si era verificato il senso di terrore per ciò che in quel mondo aveva finito con l'odiare. Il fatto era che, durante le tranquille passeggiate, le gradevoli conversazioni, l'incanto aveva operato in profondità ed egli aveva ricuperato la sua anima. Ormai aveva ritirato con mano leggera tutta la lunga lenza in fondo alla quale stava appeso quell'evento. Poteva afferrarlo con l'altra mano, poteva liberarlo dall'amo: ne era tornato in possesso. Era proprio questo che gli pareva di avere confidato a un compagno accanto al quale si era trovato a misurare i propri passi nel chiostro, un certo pomeriggio. Henry James
504
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Oh, viene, viene da sé, grazie al cielo, non è vero? Soltanto per il semplice fatto di avere trovato il luogo e il tempo adatti! Probabilmente il compagno era un novizio, o comunque si trovava in una fase diversa dalla sua: c'era ad ogni modo una certa vaga invidia nell'agnizione che illuminava quel volto stanco eppure ristorato. - Per te è già avvenuto, allora? Hai trovato quel che volevi? -Era questo il tipo di approccio, la battuta che accadeva di cogliere qua e là. Anni prima, Dane si era sottoposto a tre mesi di cure termali, e adesso, sullo scenario attuale, sentiva come una curiosa eco delle vecchie domande che gli erano state poste allora, con lo scopo ricorrente di conoscere la «reazione»: i disturbi, i progressi, la reazione della pelle e l'appetito. Questi ricordi riaffioravano ora come reminiscenze famigliari, facili giochi della mente; dedicandovisi, i nostri amici fraternizzavano amabilmente mentre passeggiavano tutt'intorno; finché a un tratto, arrestandosi di colpo, Dane pose una mano sul braccio del compagno, prorompendo nella più sonora risata.
V. - Toh! Ma piove! - e si fermò a guardare il rovescio di pioggia e il luccichio delle foglie bagnate. Era una di quelle spruzzate estive che fanno sprigionare gli odori più delicati. - Già! Ma perché non dovrebbe piovere? - volle sapere il compagno. - Ma... perché è un tale incanto, è tutto così idealmente al posto giusto! - Tutto lo è. Non è proprio questo lo scopo per cui ci troviamo qui? - Precisamente, - rispose Dane, - soltanto che da un po' di tempo io vivo nell'ingannevole convinzione che, per un verso o per l'altro, qui ci sia un clima ideale. - Lo stesso accade a me, e penso capiti a tutti. Non ti pare questa la morale benedetta? Il vivere qui di ingannevoli convinzioni? Sorgono così spontanee! Non c'è nulla a contraddirle -. Il buon Fratello guardò placidamente davanti a sé, e Dane comprese a che fase egli si trovava. - Un buon clima non pregiudica il fatto che non debba mai piovere, non è vero? - No, direi di no. Ma, in qualche modo, il bene che ne ho tratto deriva per lo più dall'assenza di quel continuo, fastidioso interrogarsi sul tempo: qui l'aria è piacevolmente costante. - Eh, sì, non delude mai; ma forse abbiamo questa sensazione perché qui respiriamo un'atmosfera più rarefatta, che contiene meno elementi! La Henry James
505
1970 - Racconti Di Fantasmi
gente, se fai tanto di lasciarla libera, vedrai che si dirige verso l'aria aperta, mentre nel chiuso, nel soffoco, devi trascinarcela a forza. E poi ho sempre avuto, come tutti del resto, ne sono certo, una spiccata attrazione per il sud. - Prova, - lo interruppe Dane ridendo, - a immaginarlo nelle nostre dilette isole britanniche, e tanto vicini a Bradford come siamo! L'amico parve non esitare a immaginarselo. - A Bradford? -domandò imperturbato. - Quanto vicini? - Oh, che importa! - fece Dane, sempre più allegro. L'amico accettò la spiegazione senza lasciarsi confondere. - Esistono problemi da risolvere, altrimenti che gusto ci sarebbe? A me pare che valga la pena di lambiccarsi il cervello. - E perché siamo in un così felice stato d'animo, - ribadì Dane. - Appunto; vediamo il lato buono di ogni cosa. - Di ogni cosa, - confermò Dane. - Sono le circostanze a determinarlo... a determinare pure noi. Ripresero a passeggiare, cosa che evidentemente trovava completo consenso da parte del buon Fratello. - In realtà, non credi che siano molto semplici? - chiese di lì a poco. - Non ti pare che il segreto stia appunto nel semplificarli? - Sì, ma con una certa misura. - Precisamente. Qui il sistema è così perfetto che si presta a un infinito numero d'interpretazioni, come qualsiasi grande opera: una poesia di Goethe, un dialogo di Platone, una sinfonia di Beethoven. - Secondo te, - disse Dane, - esiste e basta, e ci permette di applicargli delle definizioni? - Sì, ma tutte definizioni affettuose. Il fatto è che noi godiamo dell'ospitalità di qualche simpaticissimo anfitrione, uomo o donna che sia, il quale non compare mai. - È il palazzo della libertà, non v'è dubbio, - assenti Dane. - Già... oppure un convalescenziario. Al che tuttavia Dane trovò da obiettare. - Eh, no, non mi pare che ciò renda l'idea. Tu non eri mica ammalato, no? Io sono sicurissimo che non lo ero. Anzi, per come va il mondo, stavo «maledettamente bene»! Il buon Fratello rifletté. - Ma poiché non riuscivamo a mantenerci in quello stato...? - Perché non riuscivamo ad uscirne: ecco il punto! - Capisco, capisco -. Il buon Fratello emise un sospiro di soddisfazione; Henry James
506
1970 - Racconti Di Fantasmi
dopo di che usci nuovamente a dichiarare divertito: - E una specie di giardino d'infanzia! - Adesso non verrai a dirmi che siamo tutti poppanti? - Di qualche tenera e invisibile grande madre che si dilata nello spazio e il cui grembo è la vallata intera?... Dane volle completare l'immagine: - E il suo seno è la cima più elevata della nostra collina? Benissimo. Qualsiasi definizione andrà bene, purché sottintenda il fatto essenziale. - E cos'è, secondo te, il fatto essenziale? - Ebbene, che, come una volta sulle rive dei laghi svizzeri, anche qui siamo en pension. Il buon Fratello rispose cortesemente: - Ricordo... ricordo: sette franchi al giorno, senza il vino! Ma, ahimè!, qui costa più di sette franchi. - Sì, parecchio di più, - dovette ammettere Dane. - Direi che non è particolarmente a buon mercato. - Eppure, vorresti dire che è particolarmente caro? - gli chiese l'amico, dopo un momento. George Dane dovette riflettere. - Come faccio a saperlo, dopo tutto? Chi si è mai cimentato a stimare l'inestimabile? Il buon mercato non è certo la nota caratteristica che distingue questo posto; ma non è naturale pensare che ci deve essere un prezzo per qualcosa di così perfetto? Il buon Fratello rifletté a sua volta: - Viene fatto di pensare che se ne trae un compenso... che ne vale la pena. - Ah, sì, ne vale la pena! - fece eco Dane con calore. - Se così non fosse, non potrebbe durare. E, invece, deve durare, naturalmente! - In modo che ci si possa tornare? - Sì: poter pensare di tornarci! A questo punto s'interruppero di nuovo e si guardarono in viso pensierosi, o almeno simulando di esserlo; perché ciò che veramente il loro sguardo esprimeva era il timore di non ritrovare la via. - Oh, quando ne avremo di nuovo bisogno, sapremo ritrovarla, -disse il buon Fratello. - Se veramente vale, questo posto continuerà a esistere. - Sì, qui sta il bello; che, grazie a Dio, non è gestito solo per amore. - No, senza dubbio; eppure, grazie al cielo, offre anche amore -. Si erano attardati, quasi che nella mite aria umida subissero il fascino del picchiettio della pioggia e di come il giardino se ne abbeverava. Poco dopo, tuttavia, sembrò piuttosto che stessero tentando di dissipare uno nell'altro un vago Henry James
507
1970 - Racconti Di Fantasmi
senso di paura. Pareva loro di vedere l'infuriare crescente della vita e le sue continue necessità, e, ciascuno per proprio conto, si chiedevano se ritornare sul fronte: la loro ora, quando fosse scoccata inesorabile, avrebbe segnato la fine del sogno. Forse che questa soglia era necessariamente da attraversare a senso unico? Prima o poi, era certo, sul fronte sarebbero dovuti tornare; per ognuno di essi quell'ora sarebbe scoccata. Il fiore doveva essere colto e la carta giocata - perché in breve volger di tempo la sabbia avrebbe finito di scorrere. La vita era li al suo posto, con tutta la sua aggressività, riconoscibile dalla vaga irrequietezza per il bisogno di agire, il risorgere dello spirito ora rinvigorito e riconsacrato. Di fronte a quella visione sembrarono ciascuno chiudere gli occhi un istante, come storditi; poi, ritrovato l'equilibrio, il Fratello manifestò con calore la propria fiducia. - Ci incontreremo! - Qui, vuoi dire? - Sì, e anche nel mondo, spero. - Ma non ci riconosceremo, non lo sapremo, - obiettò Dane. - Nel mondo, intendi dire? - Né là, né qui. - Nemmeno un poco, nemmeno un briciolo, credi tu? Dane rifletté. - Be', per questo la cosa migliore da fare mi sembra sia quella di rimanere uniti. Ma si vedrà. L'amico condivise di buon grado la sua opinione. - Si vedrà -. E a questo punto, quasi volesse prender commiato, gli tese la mano. - Te ne vai? - chiese Dane. - No, credevo che te ne andassi tu. Strano, ma a quelle parole l'ora di Dane parve scoccare e il suo spirito cristallizzarsi. - Sì, io me ne vado. L'ho ritrovato. Tu rimani? - prosegui. - Ancora un poco. Dane esitò. - Non l'hai ancora trovato? - Non del tutto... ma mi pare che mi manchi poco. - Bene! - Dane trattenne la mano dell'amico in una stretta finale. In quell'istante il sole splendette di nuovo attraverso la pioggia che continuava a cadere in controluce, sì che il picchiettio pareva ancora più fitto. - Ma guarda, che bellezza! Da sotto l'alto porticato il Fratello girò attorno lo sguardo, poi si volse di nuovo verso il nostro amico. E questa volta con un gran sospiro di felicità. - Oh, è tutto perfetto! Henry James
508
1970 - Racconti Di Fantasmi
Ma come mai, si sorprese a pensare Dane dopo un istante, la sua mano veniva trattenuta così a lungo, nel momento del commiato? Per quale strano fenomeno il viso del compagno subiva una trasformazione che gli conferiva un'identità diversa, un'identità a lui più famigliare, non attraente in verità, ma sempre più distinta, una trasformazione che gli faceva riconoscere in quel volto la sede fisiognomica di pubblica proprietà del suo domestico Brown? Davanti a tale anomalia dischiuse lentamente gli occhi: non era il suo buon Fratello, era proprio Brown a essersi impadronito della sua mano. Se era stato costretto ad aprire gli occhi, era perché essi erano rimasti chiusi fino a quel momento e perché Brown sembrava ritenere opportuno che il suo padrone si svegliasse. Di questo Dane si rese conto, ma l'effetto che ne segui fu quello di ripiombare nel buio, contraendo le palpebre giusto il tempo necessario per consentire a Brown di ripensarci: questi abbandonò la stretta e si allontanò senza far rumore. In un secondo momento di lucidità, Dane senti il bisogno di assicurarsi che Brown si era davvero allontanato, e tale bisogno ebbe per conseguenza di dissipare del tutto il buio della sua mente. Risultato raggiunto in pieno, allorché si rese conto che qualcuno era seduto al suo tavolo voltandogli le spalle, intento a scrivere. Riconobbe in parte la sagoma (e ricordò di averla già descritta a qualcuno in qualche luogo) delle spalle curve appartenenti al giovane in cerca di successo, che quella brutta mattina era venuto da lui per colazione. Strano, gli venne fatto di pensare infine, ma quel giovanotto era ancora lì. Quanto tempo si era fermato? Giorni, settimane, mesi? Stava esattamente nella stessa posizione in cui Dane l'aveva visto l'ultima volta. Ancora più strano: ogni cosa era esattamente allo stesso posto; ogni cosa, salvo la luce della finestra che, penetrando nella stanza da un altro punto, denunciava un'ora diversa. Quella di adesso non era l'ora che segue la colazione, era l'ora che segue a... ma a cosa? Trattenne un sussulto: ma a tutto! Eppure, stando alla lettera, di diverso c'erano soltanto due fatti. Prima di tutto, egli si trovava sì sullo stesso divano, ma con la differenza che ora vi era coricato; in secondo luogo, c'era quel picchiettio sul vetro a dimostrargli che la pioggia, la grande pioggia della notte, aveva ripreso a cadere. Era la pioggia della notte; ma quando l'aveva sentita scrosciare l'ultima volta? Non era stato solo un paio di minuti prima? E poi, quanti altri minuti erano passati, prima che il giovane seduto al tavolo, così gravemente assorto nelle sue occupazioni, trovasse il momento per voltarsi e quindi, incontrando il suo sguardo, si alzasse per avvicinarglisi? Henry James
509
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Ha dormito tutto il giorno, - gli disse. - Tutto il giorno? Il giovane consultò l'orologio. - Dalle dieci alle sei. Doveva essere tremendamente stanco. Io l'ho lasciata solo un istante e lei è «partito» subito. Sì, ecco che cos'era successo: era «partito» - partito, partito, partito. Cominciò a ricomporre i pezzi: mentre lui era «partito», il giovane era rimasto lì a lavorare. Tuttavia qualche pensiero confuso gli offuscava ancora la mente. Rimase sdraiato e volse lo sguardo in su. - È tutto fatto, soggiunse il giovane. - Tutto? - Tutto. Dane si sforzò di capire, ma sempre in preda alla confusione riuscì solo a dire con debole voce, senza alcun nesso: - Sono stato così felice! - Anch'io, - disse il giovane. E ne aveva davvero l'aria. Dane ne fu stupito e, sempre più meravigliato, lesse in quel volto un altro volto, stranamente le sembianze di un'altra persona. Ogni uomo è sempre un poco qualcun altro. Mentre si chiedeva appunto chi altri fosse il giovane, questo benefattore, colpito dall'intensità del suo sguardo quasi supplichevole, proruppe in un'esclamazione esultante: - E tutto perfetto! Dane trovò allora la risposta al suo interrogativo: era quello il volto che gli aveva mostrato il buon Fratello sotto il porticato, mentre insieme avevano teso l'orecchio al picchiettio della pioggia. Era tutto bizzarro, ma tutto gradevole e limpido, così limpido che le ultime parole rimastegli nell'orecchio - le stesse da due fonti diverse - gli fecero l'effetto di una voce singola. Dane si alzò e si guardò intorno nel suo studio, che gli apparve sgombro, diverso, grande il doppio. Era tutto perfetto. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
MAUD-EVELYN I. Si era fatta allusione a una signora che, sebbene a me sconosciuta, risultava invece nota a due o tre del gruppo: uno di questi domandò se avessimo sentito parlare della strana circostanza in cui essa era venuta a trovarsi: l'eccezionale colpo di fortuna che si era rovesciato all'improvviso su un personaggio così oscuro e solitario nel grigio crepuscolo della sua Henry James
510
1970 - Racconti Di Fantasmi
esistenza. Nella nostra ignoranza non fummo capaci di altro sentimento se non quello di una bassa invidia; ma la vecchia Lady Emma, che per un buon momento se ne era rimasta zitta, in apparenza senza quasi prestare ascolto, lasciò che il cicaleccio, andato in verità oltre il segno, languisse naturalmente e, ripresasi quindi dalla sua momentanea astrazione, osservò che, se quanto era accaduto a Lavinia era straordinario, senza dubbio ciò che per anni si era svolto sfociando in quella conclusione non era meno privo di caratteristiche singolari. Il che ci lasciò presumere che Lady Emma avesse una storia da raccontarci, una storia - d'altronde - fuori dell'ambito di quegli stessi ascoltatori ai quali era noto il tranquillo personaggio che ne formava oggetto. La cosa più strana - come si rivelò subito dopo - fu che tale evento si collocasse agli occhi altrui tanto nel retroscena dell'esistenza di quella persona. Quando dico «subito dopo» alludo semplicemente al momento del nostro commiato; perché la rivelazione ebbe luogo allora grazie alla sollecitazione e alle pressioni degli ascoltatori, tutti ugualmente interessati e curiosi. Lady Emma, che a me richiamava sempre l'immagine di un nobile strumento antico bisognoso di una preventiva accordatura, acconsenti, dopo una serie di tocchi ed arpeggi da parte nostra: dal momento che aveva detto quel tanto, non poteva rifiutarsi di raccontare tutto se non per il gusto capriccioso di tormentarci. Conosceva Lavinia (la menzionò, dall'inizio alla fine del racconto, solo con quel nome) da tempo immemorabile, e aveva conosciuto anche... Ma ciò che altro aveva conosciuto debbo riferirlo per quanto possibile con le sue stesse parole. Parlava dall'angolo del sofà, e il guizzo della fiamma sul suo volto era come il bagliore del ricordo, il gioco dell'intima fantasia. - E allora, perché mai lo rifiuti? - domandai. - Credo che fu questo il modo in cui un giorno, quando lei aveva circa vent'anni, forse prima che qualcuno qui tra voi venisse al mondo, la faccenda ebbe inizio per me. Le feci quella domanda perché sapevo che gliene era stata offerta l'occasione, benché ignorassi quale grande errore da parte sua si sarebbe dimostrato il non averla colta. Mi interessavo a loro perché mi piacevano tutti e due (vedete come ancor oggi mi piace la gioventù) e perché dal momento che si erano incontrati per la prima volta in casa mia, mi sentivo in certo modo responsabile nei loro vicendevoli confronti. Temo di dover spiegare, per motivi di chiarezza, che se la ragazza era figlia della mia più antica, e direi Henry James
511
1970 - Racconti Di Fantasmi
unica, bambinaia alla quale ero rimasta molto affezionata, e che, dopo aver lasciato la nostra casa, aveva fatto un «buon» matrimonio («buono» beninteso, per una bambinaia) lui, Marmaduke (non è questo il suo vero nome!) era il figlio di uno dei vari uomini «in gamba» che anni prima - ero davvero carina, allora, ve lo assicuro! -trovandosi vedovo, aveva desiderato sposarmi. I vedovi per vero dire, non mi andavano a genio; ma anche dopo aver scelto qualcun altro, mi resi conto che un legame di simpatia mi univa al ragazzo del quale sarei potuta divenir matrigna e a cui, forse per una certa qual vanità, mi piaceva dimostrare che sarei stata la migliore. La donna che suo padre finì per sposare non lo era di certo, e ciò non fece che avvicinarmelo maggiormente. Lavinia proveniva da una famiglia di nove figli: fratelli e sorelle non avevano mai fatto nulla per lei, e attualmente ritengo, contribuiscono in diversi paesi a popolare il globo a pari ritmo. In lei erano mescolate allora in modo curioso due qualità che di solito si escludono a vicenda: una timidezza estrema e, piccolissimo difetto che rende una creatura innocua capace di sopravvivere in un mondo di malvagi, un orgoglio marcato che si manifestava inaspettatamente in cose da nulla, e per il quale talvolta io la rimproveravo. Ma mi accorsi in seguito che proprio le quisquilie l'avrebbero in qualche modo compensata dell'uggiosa sua esistenza, se anch'esse non fossero svanite insieme a tutto il resto. Era in ogni modo una di quelle persone di cui non si saprebbe dire se, vivendo una vita felice, sarebbero state anche belle, oppure viceversa: se avessero avuto il dono della bellezza, sarebbero magari state felici. Se fui dunque un po' contrariata del fatto che non si gettasse fra le braccia di Marmaduke, non fu tanto perché mi attendessi da lui dei miracoli, quanto perché mi pareva che lei si sentisse troppo sicura del proprio avvenire. Lavinia aveva commesso un errore e, poco dopo, lo ammise; eppure ricordo che quando mi espresse la convinzione ch'egli le avrebbe rinnovato la sua proposta, anch'io ritenni la cosa fortemente probabile, perché nel frattempo avevo parlato con lui. - Lei ti vuol bene, sai, - asserii; e ancor oggi, a tanta distanza di tempo, rivedo il suo bel viso giovane e inespressivo come attraversato, a quelle parole e malgrado se stesso, da una luce di pensiero. Non insistetti perché, in fin dei conti, egli non aveva molto da offrire; in seguito, però, mi sentii la coscienza più a posto per non aver detto altro. Aveva ereditato dalla madre un capitale che gli fruttava trecentocinquanta sterline all'anno, e uno zio gli aveva Henry James
512
1970 - Racconti Di Fantasmi
promesso qualche cosa: non voglio dire un reddito fisso, ma un posto, se ben ricordo, in un'azienda. Mi assicurò che amava come può amare un uomo - un uomo di ventidue anni! - una sola volta. Lo disse, comunque, come non lo si dice che una volta. - Ebbene, - gli risposi, - allora la tua vita è bell'e segnata. - Parlarle di nuovo, lei vuol dire? - Certo: prova. Parve per un istante provarcisi con la fantasia; dopo di che con un certo stupore da parte mia, domandò: - Sarebbe poi tanto terribile se fosse lei a parlarmene? Lo guardai stupita. - Intendi dire che sia lei a venirti dietro, a superarti in corsa? Certo, se tu vuoi scappare... - Ma io non scappo! - esclamò convinto. - Però, quando uno si è già spinto tanto lontano... - Ti pare che non possa andare oltre? Forse, - gli risposi asciutta, - ma in tal caso non dovrebbe dichiarare di «voler bene». - Ma io le voglio bene, gliene voglio davvero! Scossi il capo. - No, se hai una tal dose di orgoglio! - Detto questo, gli volsi le spalle; ma mi girai ancora per un'ultima occhiata, sorpresa dal silenzio con cui egli sembrava aver accolto il mio giudizio. Mi resi conto che non l'aveva accettato affatto: intuii anzi di aver manifestato un'opinione sostanzialmente assurda, sulla quale il ragazzo si espresse più di quanto lo avessi mai visto esprimersi fin allora: sorrise di un sorriso singolare, un sorriso schietto e anche -considerate le circostanze - molto triste. - Io non ho orgoglio. L'orgoglio non so che cosa sia. Se uno non ha orgoglio, non se lo può dare. Non le pare? Io credo di non averne affatto. Dopo tutto era probabile, pensai; e tuttavia, nonostante il tono un po' aspro delle mie parole, in quel momento non è che egli mi fosse meno caro per questo. - Ma allora, che ti piglia? Fece un paio di giri per la stanza, come se si sentisse più sollevato per aver pronunciato quella frase: - Insomma, cosa può dire di più un uomo? Proprio quando stavo per assicurargli che la sua frase mi era sfuggita, egli soggiunse: - Ho giurato a Lavinia che non mi sarei mai sposato. Non le basta questo? - Per indurla a correrti dietro? - No, non direi che è per questo, ma per farla sentire sicura di me, per Henry James
513
1970 - Racconti Di Fantasmi
convincerla ad aspettare. - Aspettare che cosa? - Aspettare il mio ritorno. - Ritorno? Da dove? - Ritorno dalla Svizzera: non gliel'ho detto? Ci vado il mese prossimo con mia zia e mia cugina. Aveva ragione quando asseriva di non avere orgoglio: quella era una scelta alternativa ben modesta.
II. Eppure, guardate quali ne furono le conseguenze. Nei primi mesi d'autunno fu la povera Lavinia ad apprendere lo svolgersi degli avvenimenti. Marmaduke le aveva scritto: erano ancora buoni amici, e fu così che venne a sapere che zia e cugina erano tornate senza di lui. Egli era rimasto: era rimasto e si era spinto assai più lontano: dopo essere stato sui laghi italiani e a Venezia, adesso era a Parigi. La notizia destò in me un certo stupore perché lo sapevo sempre a corto di fondi: evidentemente, grazie alla generosità dello zio, aveva intrapreso il viaggio con le spese pagate in anticipo. - Ma allora, chi ha pescato? - domandai; e mi spiacque, appena pronunciate quelle parole, di aver fatto arrossire Lavinia, quasi che egli si fosse accompagnato ad una donna non proprio per la quale. In tal caso, però, non l'avrebbe fatto sapere a lei, e a quel modo denaro non ne avrebbe certo risparmiato. - Oh, lui fa amicizia così in fretta! Gli bastano due minuti per far conoscenza con chiunque, - rispose la giovane. - E poi, la gente desidera riuscirgli simpatica. Era verissimo, e subito intuii ciò che ella ne deduceva. - Ah, cara, ti preparerà una vasta cerchia di amici! - Eh, - rispose Lavinia, - se mai la gente ci verrà a cercare, non credo che lo farà per me. Sarà piuttosto per lui: di me... sarà quel che sarà. Il mio unico piacere consisterà nel... ma lo vedrà anche lei -. Io già lo vedevo - o quanto meno immaginavo ciò che si figurava lei: il suo salotto affollato di signore vestite all'ultima moda e se stessa in atteggiamento angelico... - Lo sa cosa mi ha detto prima di partire? - soggiunse. Henry James
514
1970 - Racconti Di Fantasmi
Fui sorpresa: dunque, le aveva parlato? - Ti ha detto che non sposerà mai e poi mai... - Nessuna all'infuori di me! - mi interruppe ingenuamente Lavinia. Allora lei era al corrente?... Potevo esserlo. - L'ho indovinato. - E non ci crede? Di nuovo esitai. - Sì, ci credo -. Eppure tutto ciò non mi spiegava ancora perché Lavinia avesse cambiato colore. - E con chi viaggia? È un segreto?... - No, affatto: pare che siano persone così simpatiche. Mi ha solo colpito il fatto che lei lo conosca al punto... al punto di capire immediatamente che, a trattenerlo, doveva essere stata una nuova amicizia. - È la sua devozione per certi Dedrick, - spiegò Lavinia. -Viaggia con loro. Altro motivo di stupore per me. - Come? Vuoi dire che se lo portano appresso? - Sì, lo hanno invitato. «No, - pensai tra me, - orgoglio non ne ha proprio». Ma mi accontentai di chiedere: - Chi diamine sono questi Dedrick? - Buone e brave persone che ha conosciuto per caso il mese scorso. Stava superando a piedi un qualche valico della Svizzera, un passo lungo e piuttosto noioso. Credo che la zia e la cugina non fossero con lui: dovevano aver preso un'altra strada e fissato un appuntamento altrove. All'improvviso si mise a piovere a rovesci e, mentre lui se ne stava rannicchiato al riparo, fu raggiunto da una carrozza a bordo della quale c'erano delle persone che gentilmente lo fecero salire. Approfittò della carrozza per parecchie ore, credo, e da lì ebbe inizio quest'amicizia. Anche in seguito hanno continuato a dar prova di grande cortesia con Marmaduke. - Sono donne? - domandai dopo una breve riflessione. Anche la fantasia di Lavinia si era nel frattempo un po' distratta. - Circa quaranta, credo. - Quaranta donne? Si riprese subito. - No! Volevo dire che Mrs Dedrick deve avere pressappoco quarant'anni. - Pressappoco quarant'anni? Allora Miss Dedrick... - Non esiste nessuna Miss Dedrick. - Nessuna figlia? Henry James
515
1970 - Racconti Di Fantasmi
- In ogni caso, non con loro. C'è soltanto il marito. Riflettei un altro poco. - E lui, quanti anni ha? Lavinia imitò il mio esempio. - Be', circa quaranta, anche lui. - Una coppia ottuagenaria dunque ' -. Ridemmo entrambe, ma: - Benissimo! - commentai io; e così pareva essere, per il momento. Nondimeno, l'assenza di Marmaduke si prolungò e io mi trovai ripetutamente con Lavinia. Ogni volta parlavamo di lui, benché ciò costituisse da parte mia un'ingerenza nei confronti del giovane assai maggiore di quanto mi sentissi autorizzata ad avere. Non avevo mai cercato di avvicinare la famiglia di suo padre, né mai avevo incontrato la zia o la cugina, cosicché venni a conoscere soltanto attraverso Lavinia la versione delle circostanze che avevano portato alla loro separazione, versione alla quale essa era giunta d'altra parte per vie indirette, poiché lei stessa conosceva assai poco quelle parenti. A quanto sembrava, le poverette con cui aveva iniziato il viaggio giudicavano di essere state malamente piantate in asso, sacrificate per puro egoismo a gente abbordata per strada; rimprovero questo di cui Lavinia non mancò di risentirsi profondamente, sebbene anch'essa mi parve non essere del tutto a suo agio circa i nuovi compagni del giovane. - Che colpa ne ha lui se riesce così simpatico? -mi domandò; e se per un verso voleva mostrarsi giustamente indignata, per altro verso era costretta a fingersi del tutto soddisfatta. Marmaduke era davvero simpatico, senza dubbio, epperò dovemmo riconoscere fra noi, alla fine, che anche i Dedrick erano probabilmente fuori del comune. Di ciò avemmo scarsa documentazione perché le lettere di lui a un tratto cessarono, il che fu per noi un chiaro avvertimento. Intanto io ebbi agio di riflettere - ho sempre avuto un debole per questa specie di studio della commedia umana -su che cosa consistesse quel «riuscire simpatico». Il risultato delle mie meditazioni - e l'esperienza non ha fatto che confermarlo - fu che quella era una qualità a sé, una dote che non ne implicava altre. Altre Marmaduke non ne possedeva. E in effetti, che bisogno ne aveva?
III. Alla fine, tuttavia, ricomparve; ma accadde allora che se, venendomi a trovare, il quadro che immediatamente mi fece dei suoi nuovi simpatici amici ridestò in me, ancor più di quanto mi fossi aspettata, l'impressione Henry James
516
1970 - Racconti Di Fantasmi
della gran varietà della specie umana, la curiosità sul loro conto non bastò a farmi accettare la sua proposta di andarli a conoscere. E una cosa difficile da spiegare, e non ho la pretesa di riuscirci, ma non si verifica spesso il caso che ci si formi una buona opinione su una persona, senza sentirsi peraltro tentati - sulla base di un tal sentimento - di fare la conoscenza di altre che la stimino ancor di più. In certo senso, per quanto buon figliolo fosse Marmaduke, il fatto che i Dedrick ne andassero pazzi costituiva una ben scarsa raccomandazione. Non lo dissi - stavo attenta a parlar poco; ma ciò non impedì a lui di chiedermi dopo un po' se non poteva accompagnarli lui da me. - E se no, perché no? - mi domandò ridendo. Rideva sempre di tutto. - Perché no. Perché ritengo che la tua resa incondizionata non abbia bisogno di approvazione. Dal momento che sei stato tu a fare questa scelta, devi saper badare a te stesso. - Oh, ma sono persone sicure, - replicò lui, - sicure come la Banca d'Inghilterra. È gente meravigliosa, buona e rispettabile. - Appunto: qualità a cui un rapporto modesto come il mio non arrecherebbe nulla. Osservai che non si era ancora spinto fino al punto di assicurarmi che erano «divertenti»; d'altra parte, s'era affrettato ad informarmi che abitavano a Westbourne Terrace. Non avevano quarantanni, ne avevano quarantacinque; tuttavia Mr Dedrick, messo insieme un patrimonio ragguardevole, si era già ritirato dalla sua professione, qualunque essa fosse stata. Erano le persone più semplici, più gentili e tuttavia più originali e insolite che si potessero immaginare: in tutta franchezza, nulla poteva superare il grande attaccamento concepito per lui. Marmaduke ne parlava con così placida naturalezza da essere quasi irritante. Se, dopo averne accettato la munifica benevolenza, mi avesse detto che lo annoiavano, immagino che l'avrei disprezzato; eppure, per il fatto che non gli fossero venuti a noia, provavo più stizza che perplessità. - Chi frequentano? - Nessuno, eccetto me. A Londra ce n'è di gente così. - Gente che non conosce nessuno, ad eccezione di te? - No: intendo dire proprio nessuno. A Londra abita gente straordinaria, simpaticissima. Lei non ne ha idea. Persone come lei non conoscono mica tutti. E gente che conduce una vita propria, che va per la propria strada. Da loro trovi, come dire?, raffinatezza, libri, intelligenza, che so io, musica, Henry James
517
1970 - Racconti Di Fantasmi
pittura, religiosità, e una tavola eccellente... Ci si imbatte in loro soltanto per caso... ma è una ruota che gira di continuo. Gli detti ragione: il mondo era davvero meraviglioso e, certo, bisogna cercare di vedere tutto quello che si può. Anch'io, nel mio ambiente, trovavo meraviglie a iosa. - Ma, - gli chiesi, - sei anche tu così preso di loro... - Come loro di me? - fu pronto ad interrompermi, senza che il suo sguardo tradisse il minimo turbamento. - Sono sicurissimo che lo diventerò. - Allora vuoi accompagnare Lavinia...? - No, non a fare la loro conoscenza... no -. Io stessa mi resi conto un istante dopo, di aver commesso un errore. - A che titolo potrei farlo? Mi ripresi. - Già: continuo a dimenticarmi che non siete fidanzati. - Be', - soggiunse subito dopo, - io non sposerò mai un'altra. Così ripetuto, il concetto mi diede ai nervi. - Eh, che bene potrà mai derivarne a lei, o anche a me, se tu non la sposi? Non mi rispose: solo si volse a guardare qualche cosa nella stanza. Poi mi affrontò di nuovo, con colorito più acceso. - Avrebbe dovuto accettarmi quel giorno, - disse con cortese gravità, fissandomi come se avesse voluto aggiungere altro. Ricordo che proprio quel tono mite mi irritò: un tono un po' più risentito poteva farmi sperare che la faccenda si sarebbe ancora accomodata. Tuttavia lasciai cadere quell'insulsa questione senza permettergli di aggiungere altro e, tornando ai Dedrick, gli chiesi come diamine riuscissero a passare tanto tempo senza occupazioni né amicizie. Per un momento la mia domanda parve turbarlo, ma di lì a poco si illuminò: d'altro canto, io stessa mi ero resa conto che qualunque altro argomento gli garbava di più che non ulteriori discorsi su Lavinia. - Oh, loro vivono per Maud-Evelyn. - E chi è Maud-Evelyn? - Come! La loro figlia! - La loro figlia? - Io avevo capito che non avessero figli. - Purtroppo l'hanno perduta, - fu la parziale spiegazione di Marmaduke. - Perduta? - Volevo saperne di più. Di nuovo egli esitò. - Sarebbero moltissimi a pensarla così. Ma loro no, non vogliono. Mi lambiccavo il cervello. - Altri, tu vuoi dire, vi avrebbero rinunciato? Henry James
518
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Sì, magari avrebbero persino cercato di dimenticarla. Ma i Dedrick non ci riescono. Mi domandai che cosa quella figlia avesse fatto: forse qualcosa di molto riprovevole? Comunque, non era affar mio, e mi limitai a domandare: - Sono in contatto con lei? - Oh, costantemente. - Ma allora, perché non sta con loro? Marmaduke rifletté. - Sì, adesso è con loro. - Adesso? Da quando? - Dall'anno passato. - Allora, perché dici che l'hanno perduta? - Ah, - rispose, sorridendo tristemente, - io direi così. Comunque, continuò, - io non la vedo. Non finivo di meravigliarmi. - La tengono segregata? Si concentrò un istante. - No, non si tratta nemmeno di questo. Come le ho detto, vivono per lei. - Ma non vogliono che tu... È così? Allora mi guardò in faccia per la prima volta, con uno sguardo un po' strano, mi parve. - Come posso? Dal tono della sua domanda si sarebbe detto che si sentiva in certo modo in colpa, ma io feci appello a tutta la mia abilità e tagliai corto. - No, non puoi. Perché dovresti? Tu devi vivere per la mia figliola. Vivi per Lavinia.
IV. Purtroppo avevo corso il rischio di infastidirlo di nuovo con quella pretesa, e sebbene Marmaduke non l'avesse respinta allora, fu senza dubbio a causa della mia insistenza ch'egli rimase intere settimane senza farsi vedere. Nel frattempo mi incontrai con «la mia figliola», come avevo preso a chiamarla, ma evitammo insieme con ferma determinazione di parlare del giovane. Proprio questo però mi fece comprendere che ella era ancor tutta presa di lui, e m'indusse, ogniqualvolta se ne presentava l'occasione, a lasciarla nel suo errore di credere che i Dedrick fossero senza figli. Ad onta dei miei silenzi, però, che Lavinia nominasse Marmaduke era soltanto una questione di tempo, poiché, infatti, alla fine del mese Lavinia mi raccontò che egli era andato due volte a far visita alla madre e che ogni Henry James
519
1970 - Racconti Di Fantasmi
volta lei l'aveva visto. - E allora? - Allora: è molto felice. - E sempre così infatuato... - ... di quelle persone? Sì. Sempre allo stesso modo. Lui non me lo ha detto, ma io me ne sono accorta. Me n'ero accorta anch'io, e capivo il suo punto di vista. - Ma in sostanza, cosa ti ha detto? - Nulla, ma ho l'impressione che mi voglia dire qualche cosa. Solo, non è quello a cui pensa lei, - soggiunse. Mi chiesi se fosse il racconto fatto a me l'ultima volta. - Be', che cosa glielo impedisce? - domandai. - Di esprimersi? Non so. Fu questo il tono con cui risuonò al mio orecchio la prima nota di un'accettazione così completa e di una pazienza così inusitata che, messe insieme, finirono per offrirmi ancor più alimento di perplesso stupore che non tutto il resto della vicenda. - Se non si sente di parlare, perché viene in casa tua? Lavinia ebbe un mezzo sorriso. - Ebbene, verrà un giorno in cui lo saprò. La guardai. Ricordo di averle dato un bacio. - Sei ammirevole, ma è una bruttissima storia. - Ma lui vuol soltanto essere buono! - obiettò. - Buono con loro? Allora lasci in pace gli altri! Quello che trovo brutto è quel suo esser contento di sentirsi così «grato»... - Coi signori Dedrick? - Parve riflettere un momento se la questione non potesse avere diversi aspetti. - Ma non può darsi che faccia loro del bene? L'idea era lungi dall'entusiasmarmi. - Che bene può fare Marmaduke? C'è un'unica cosa, - continuai; - nel caso voglia farteli conoscere, mi prometti di rifiutare? Lavinia mi rivolse uno sguardo vacuo, smarrito. - Di fare la loro conoscenza? - Di vederli, di avvicinarli... Mai, hai capito? Mai! Parve nuovamente meditare. - Intende dire che lei non lo farà? - Mai, mai. - Be'... allora credo di non volerli conoscere. - Eh, ma questa non è una promessa, - insistei. - Voglio la tua parola. Henry James
520
1970 - Racconti Di Fantasmi
Esitò un poco. - Ma perché? - Perché così almeno non si farà gioco di te, - risposi in tono categorico. Si lasciò sopraffare dalla mia energia, sebbene io vedessi quanto volentieri si sarebbe sacrificata. - Lo prometto: ma solo perché so che lui non me lo chiederà mai. Non condivisi la sua opinione, allora: ero convinta che la domanda di matrimonio sarebbe stato l'argomento che, secondo lei, Marmaduke avrebbe desiderato affrontare; ma già al nostro successivo incontro ciò che mi disse fu ben diverso: era una storia che, come mi accorsi appena la vidi entrare, la metteva in uno stato di grande agitazione. - Ma allora lei sapeva della figlia e non me l'ha detto? Ieri è venuto di nuovo, - spiegò, incontrando il mio sguardo attonito nell'udire quell'inizio incoerente di discorso, - e adesso so perché mi voleva parlare. Finalmente è saltato fuori! - Saltato fuori cosa? - Ma sì, tutto! - Mi guardò in viso sorpresa. - Non le ha parlato di MaudEvelyn? Me ne ricordavo perfettamente, ma, per il momento, segnai il passo. Mi ha detto che avevano una figlia, soltanto per aggiungere che c'erano dei problemi... Di che si tratta? - Di che si tratta? - mi fece eco la ragazza. - Cara, impagabile signora! Semplicemente, è morta, ecco di che si tratta. - Morta? - ripetei, naturalmente sbalordita. - Quando è morta? - Che so... Anni e anni fa, quindici, credo. E morta bambina. Non ha capito così anche lei? - E come potevo capirlo, se lui diceva che la figlia stava con loro e loro vivevano con lei! - Ecco, - spiegò la mia giovane amica, - è proprio così che ha inteso dire: loro vivono per la sua memoria. È con loro, nel senso che loro non pensano ad altro. La rettifica non mancò di sorprendermi, ma anche di darmi sollievo. Nello stesso tempo, rimuginandoci sopra, la cosa lasciava adito a nuove ambiguità. - Se non pensano ad altro, come fanno a tenere tanto a Marmaduke? Parve colpita dall'obiezione, sebbene già allora mi fosse sorto il dubbio che si fosse schierata dalla parte di Marmaduke, o comunque - quasi contro se stessa - simpatizzasse per i Dedrick. Ma la risposta venne pronta: Henry James
521
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Ecco, è appunto questo il loro valido motivo: con lui possono parlare tanto di lei. - Capisco -. E tuttavia molti pensieri mi vagavano per il capo. - Ma lui che interesse ha... - A venir coinvolto? - Ancora una volta Lavinia seppe far fronte alle difficoltà. - Era una fanciulla così interessante! Pare che fosse bellissima. Dovetti rimanere a bocca aperta. - Una scolaretta in grembiulino? - Non era più in grembiulino; quando morì aveva quattordici anni circa. O forse sedici? In ogni caso era di una bellezza eccezionale. - Questa è la regola. Ma che cosa può importare a lui, se non l'ha mai vista? Rifletté un momento, e stavolta sembrò non trovare risposta. - Ebbene lo domandi a lui! Decisi di farlo al più presto; ma mi trovavo di fronte ad altre contraddizioni. - Non farei meglio intanto a domandargli che cosa intende dire quando parla dei loro «contatti»? Domanda facile. - Hanno la mania dei «medium», capisce, delle sedute al tavolino, dei colpi... Hanno cominciato un paio d'anni fa. - Ah, che sciocchi! - ricordo di aver esclamato, dando prova di ristrettezza mentale. - Vogliono trascinar dentro anche lui?... - No, niente affatto: loro non lo desiderano, e lui non s'interessa di cose del genere. - Allora, che diletto ne trae? Lavinia distolse lo sguardo: ancora una volta sembrava smarrita. Finalmente riuscì a dire: - Si faccia mostrare da lui la piccola fotografia di Maud-Evelyn. Ma io continuavo a non capire. - E il suo diletto starebbe in quella fotografia? Di nuovo ella avvampò di rossore per lui. - Ebbene, è il ritratto della bellezza giovanile. - E lui se ne va a farlo vedere in giro? Lavinia esitò. - Credo che l'abbia mostrato soltanto a me. - Ah, tu sei davvero l'ultima a cui mostrarlo! - mi permisi di obiettare. - E perché, se anch'io ne sono affascinata? C'era in lei qualcosa che cominciava a sfuggirmi, e forse la guardai con severità: - Sei ben buona a lasciartene affascinare! - Non soltanto dalla bellezza del viso, - ella continuò, - tutto mi affascina Henry James
522
1970 - Racconti Di Fantasmi
in questa storia, anche l'atteggiamento dei genitori, la straordinaria fedeltà, e la maniera in cui, come dice Marmaduke, hanno fatto della sua memoria un vero culto. È soprattutto questo che è venuto a raccontarmi. Ora fui io a voltarle le spalle, e poco dopo lei se ne andò. Ma, prima che ci accomiatassimo non riuscii a trattenermi dall'osservare che non l'avrei mai creduto pazzo fino a quel punto.
V. Se fossi davvero la perfetta cinica che molto probabilmente voi mi giudicate, dovrei dire in tutta sincerità che il principale interesse del resto della storia consistette per me nello stabilire quale tipo di pazzo, a mio giudizio, egli fosse. Ma non vorrei - dopo tutto - che il mio racconto finisse col diventare essenzialmente una dimostrazione della mia follia. Non conoscerei così appieno lo svolgersi degli eventi se non avessi finito con l'accettarli, e non li avrei accettati se - quanto meno a mio avviso - essi non si fossero sottratti in certo modo al grottesco. Lasciatemi premettere, tuttavia, che il grottesco, se non addirittura di peggio, mi sembrò sulle prime aggiungere sapore alla storia. Dopo quella conversazione con Lavinia, indirizzai subito al giovane una richiesta di venirmi a far visita, e fu allora che mi presi la libertà di sfidarlo a viso aperto su tutto quanto lei mi aveva confidato. C'era un punto in particolare su cui desideravo far luce, un punto che a me pareva tanto più importante del colore dei capelli di Maud-Evelyn o della lunghezza dei suoi grembiulini: il problema, meschino naturalmente, della buona fede del nostro giovanotto. Era completamente scemo oppure essenzialmente venale? Per il momento avevo l'impressione che la mia scelta fosse limitata a queste due alternative. Non appena egli mi ebbe dichiarato: - Per quanto ridicolo le possa sembrare, loro mi hanno addirittura adottato, - affrontai con lui sull'istante, per dovere di onestà, quel problema: fino a che punto si riteneva in obbligo, per tutelare la propria dignità, di ricambiare i suoi generosi benefattori? Devo dire che su una persona così maldisposta nei suoi confronti sin dall'inizio, la sua amabilità ebbe, malgrado tutto, efficacia persuasiva. Sostenne che spettava soltanto ai suoi amici stabilire il valore di ciò che egli rappresentava per loro. Non pretese, neppure per un istante di accampare motivi più validi dell'infatuazione che i Dedrick s'erano Henry James
523
1970 - Racconti Di Fantasmi
presa per lui. Egli non aveva mai, sin dall'inizio, recitato la commedia con loro: era stato tutto opera loro: l'insistenza, l'eccentricità, persino senza dubbio -se così preferivo chiamarla - la loro follia. Non mi bastava dunque che fosse pronto a dichiararmi, guardandomi dritto negli occhi, di essere «veramente e sinceramente» affezionato a quelle persone che non lo infastidivano affatto? Evidentemente io mi ero foggiata di lui - non me n'ero accorta? - un'immagine ideale, che - senza offendermi - non corrispondeva per nulla alla realtà. Ho citato le sue stesse parole; le quali finirono per farmi riconoscere che c'era davvero qualcosa di irresistibile nella sua raffinata sfrontatezza. - Io non m'avvicino nemmeno a Mrs Jex, - disse (Mrs Jex era la loro medium preferita); - la trovo brutta, volgare, noiosa, e detesto tutto quest'aspetto della cosa. Del resto, - soggiunse con parole di cui ebbi a rammentarmi in seguito, - non ne ho bisogno: ne faccio benissimo a meno. Ma quanto ai miei amici, - prosegui, -sebbene siano persone da cui lei è sempre rimasta volutamente mille miglia distante, non sono gente ordinaria, non sono persone volgari, non appartengono per nulla alla genia dei «seccatori». Anzi, nel loro genere inconsueto, costituiscono un'ottima compagnia. Sono infinitamente divertenti. Sono deliziosamente strambi, originali e di buon cuore: assomigliano ai personaggi delle vecchie storie del buon tempo antico. Comunque, è cosa che riguarda esclusivamente noi, me e loro, e la prego di credere che, se chiunque altro all'infuori di lei mi avesse fatto dei rimproveri in proposito, avrei senz'altro tagliato corto sull'argomento. Ricordo di avergli detto tre mesi più tardi: - Non mi hai ancora rivelato che cosa veramente vogliono da te, - ma temo che quel modo di esprimere la mia critica mi sia stato suggerito dall'intuizione che cominciavo ad avere. A quell'epoca, in effetti, avevo già ricevuto importanti iniziazioni, come pure la povera Lavinia: le sue del resto, andarono sempre al di là delle mie. Erano rivelazioni che ci confidavamo reciprocamente, tanto che io finii col formarmi un'idea abbastanza precisa del quadro che mi si sarebbe offerto. Ma ciò che veramente lo completò fu quanto Lavinia vi aggiunse. Il ritratto della piccola morta aveva evocato qualcosa di struggente, benché chiunque sia vissuto a lungo in questo mondo ha certo inteso parlare di chissà quante bambine morte; e venne il giorno in cui ebbi la sensazione di essere stata davvero con Marmaduke in ciascuna delle stanze che i genitori Henry James
524
1970 - Racconti Di Fantasmi
della bambina avevano trasformato in un tempio di dolore e di venerazione: non soltanto grazie alle poche, amate, piccole reliquie, ma anche a tenerissimi infingimenti, a ricordi fantasiosi e geniali finzioni, tutti simboli segreti della pena che non si cancella e dell'amore che vi si abbarbica. Era chiaro che la figlioletta, di bellezza indiscutibile, era stata oggetto di amore appassionato e che, mancando alle loro esistenze -inizialmente, ritengo, per puro caso - altri elementi consimili (sia nuove gioie, sia nuovi dolori che toccano invece in sorte alla maggior parte dell'umanità) il loro spirito si era concentrato tutto su quel sentimento, divenendo una mania tranquilla, un'idea fissa che ne escludeva qualunque altra. Il mondo, che nella maggior parte dei casi non concede spazio a simili rituali, aveva del tutto trascurato questa coppia timida e insignificante, dalla sensibilità distorta, la cui sincera fedeltà non meno della ciarliera mansuetudine erano di rigido stampo antico. Non devo lasciarvi credere che l'uno e l'altro di questi giovani, oggetto del mio interesse, o l'attenzione dedicata ai loro problemi assorbissero tutto il mio tempo libero; avevo molti impegni a cui far fronte e parecchie situazioni complicate da risolvere, cento altre preoccupazioni e ben maggiori motivi di ansia. La mia giovane protetta, dal canto suo, aveva altre relazioni, altri eventi imprevisti e anche altri guai, poveretta; e ci furono interi periodi di tempo in cui non vidi Marmaduke né sentii parlare dei Dedrick. Una volta, un'unica volta, all'estero, in Germania, lo incontrai in una stazione ferroviaria, in loro compagnia. Erano anziani Britanni, banali, scoloriti, del genere che si lascia individuare dalla livrea del domestico che li accompagna o dalle etichette del bagaglio. Mi bastò vederli, per giustificare la mia coscienza di aver evitato, fin dall'inizio, lo scomodo problema di dover conversare con loro. Marmaduke mi riconobbe all'istante e mi corse incontro. Era come un fiore in boccio, non c'era dubbio. Era ingrassato - o quasi, ma non involgarito - e poteva passare benissimo per il bel figliolo felice nel pieno della giovinezza, di genitori adoranti, che se lo covavano con gli occhi e verso i quali egli si mostrava un vero modello di rispetto e di sollecitudine. Essi lo seguirono con sguardo placido e compiaciuto mentre mi raggiungeva, ma senza chiedere nulla per sé e adattandosi perfettamente al suo contegno di non nominarli neppure. Ammetto che quel suo fare così naturale e disinvolto, e tuttavia perfettamente consapevole della situazione, aveva un suo fascino. Henry James
525
1970 - Racconti Di Fantasmi
Consapevole di che? Ma del fatto che c'erano cose di cui io ero ormai informata; e mentre stavamo lì a scrutarci divertiti in viso - giacché, avendo finito per accettare tutto, un po' curiosa lo ero diventata - compresi che egli stava saggiando la mia capacità intuitiva. Quando tornò presso i suoi genitori adoranti, dovetti riconoscere che, per quanto adoranti fossero, non l'avevano viziato. Sembrava una contraddizione, ma stava di fatto che era diventato più uomo. Quando, quella volta, risalii sul mio treno - che non era il loro - mi risovvenni con un'ombra di rimpianto di certe parole che, un paio d'anni prima, avevo rivolto alla povera Lavinia. Mi aveva detto con riferimento al nostro solito tema di conversazione e in base a qualche recente notizia che ora non ricordo: - Adesso, capisce, lui nei riguardi di Maud-Evelyn prova pressapoco gli stessi sentimenti dei genitori. - Già, - avevo risposto, - peccato che per questo lo paghino! - Lo paghino? - Lavinia sembrava non raccapezzarsi. - Con tutti quei lussi, quelle comodità, - le avevo spiegato, -di cui può disporre vivendo con loro! Perché, in pratica, è questo che fa. Adesso mi accorgevo di essermi sbagliata. Era pagato, sì, ma in maniera diversa: e lo stupore, fino a quel momento represso, aveva avuto una spiegazione dal nostro dialogo nella sala d'aspetto di quella stazione. Dopo di che, passo dopo passo, seguii la loro vicenda.
VI. Mi pare, per esempio, di vedere Lavinia nel suo bruttissimo abito da lutto, subito dopo la morte della madre. Questa morte aveva provocato lunghi momenti di ansia, ed ella appariva come sbiadita, già quasi vecchia. Ma nella dolorosa occasione Marmaduke era stato da lei, e subito dopo lei era venuta da me. - Sa che cosa crede lui ora? - cominciò subito. - Crede di averla conosciuta. - Conosciuta quella bambina? - Quasi me l'ero aspettato. - Parla di lei non come di una bambina, - e la mia visitatrice mi rivolse un sorriso stranamente fisso. - A quanto pare, non era poi così piccola: a quanto pare era cresciuta. - Come «a quanto pare»? - ribattei sgranando gli occhi. - Loro almeno, lo sapranno! I fatti parlano! Henry James
526
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Sì, - ammise Lavinia, - ma loro ne hanno adesso una visione diversa. Marmaduke mi ha parlato a lungo, sempre di lei. Mi ha detto tante cose. - Che genere di cose? Non quelle scempiaggini sul modo di «comunicare», spero, di poterla vedere o sentire? - Oh, no, lui per questo non ha interesse: son cose che lascia ai due vecchi, che stanno aggrappati ai loro medium, fanno sedute spiritiche, con tanto di colpi, e vi trovano conforto, credo: è un piacere che Marmaduke non rimprovera loro e considera innocuo. No, intendevo dire aneddoti, ricordi suoi personali, cose che gli ha detto lei, che hanno fatto insieme... luoghi dove sono stati... Ne è quasi ossessionato. Considerai il caso. - Secondo te, è completamente pazzo? Scosse il capo con candida pazienza. - Oh no, è una storia troppo bella! - Allora ne sei contagiata anche tu? Voglio dire quella teoria assurda... - Sì, è una teoria, - ella s'interruppe, - ma non per questo è assurda. Qualunque teoria deve avere un presupposto, - riprese saggiamente, - e in ogni caso dipende da ciò su cui si basa. E meraviglioso constatare gli effetti di questa in particolare. - E sempre meraviglioso assistere all'evolversi di una leggenda! - replicai io ridendo. - E ora ti si offre questa rara occasione: essi collaborano tutti e tre in buona fede a costruirla. È tutto qui quel che sei riuscita a cavare da lui? Il suo viso stanco si illuminò debolmente. - Sì: lei mi capisce, e sa esprimersi meglio di me. È il risultato graduale del loro meditare sul passato; il passato, in questo modo, si dilata sempre più: sono loro a crearlo e ricrearlo. I genitori si sono persuasi a vicenda di tante cose, che hanno finito col convincere anche lui. Ne è stato contagiato, appunto. - Sei tu che ti esprimi bene, - osservai. - È la cosa più strana che abbia mai sentito, ma, a modo suo, è una realtà. Solo non dobbiamo parlarne con nessuno. Fu pronta ad accettare questa misura di prudenza. - No, con nessuno. Lui non ne parla con nessuno. Lo riserva solo per me. - Bel privilegio ti riserva! - dissi ridendo. Lavinia tacque un momento, distogliendo lo sguardo da me. - Ebbene, ha mantenuto la sua promessa. - Di non sposarsi, vuoi dire? Ne sei proprio sicura? - domandai. - Non è per caso che...? - Ma l'audacia del mio sottinteso mi fermò la parola. Non ce n'era bisogno. - Lui ne era innamorato davvero, - spiegò Lavinia. Henry James
527
1970 - Racconti Di Fantasmi
Questa volta scoppiai in una tale risata che, sebbene provocata, sul momento colpi anche me per la sua grossolana profanazione. - In altre parole ti dice che sta fingendo? Mi tenne testa con sufficiente energia. - Non sa di fingere, direi. È sempre travolto dalla corrente. - La corrente del vaniloquio dei due vecchi? Di nuovo la giovane esitò. Ma aveva le idee chiare. - Be', dica quello che vuole, a me piace. Al giorno d'oggi non è comune, salvo qualche rara eccezione, che si abbiano per i morti tante cure, tanti sentimenti come hanno loro. E un autoinganno, senza dubbio, ma provocato da qualcosa che... insomma, - e di nuovo parve cercare le parole, - è bello quando se ne sente parlare. La fanno apparire maggiore d'età per illudersi di averla avuta più a lungo con loro; e fingono che siano realmente accaduti certi fatti, come se la vita le avesse offerto di più. Hanno inventato per lei una serie di esperienze di cui Marmaduke è diventato partecipe. Una cosa soprattutto vogliono che la vita le abbia dato -. A mano a mano che analizzava il mistero, il viso della mia giovane amica si faceva più luminoso. Fui presa dal vago timore che l'atteggiamento dei Dedrick fosse davvero contagioso. - E l'ha avuto! - affermò Lavinia. L'ammiravo, davvero, e se riuscivo ancora a mantenermi perfettamente raziocinante senza cadere nel ridicolo, era più che altro per avere da lei il quadro completo della situazione. - Ha avuto la rara felicità di conoscere Marmaduke? Ammettiamolo pure, allora, visto che lei non è qui a contraddirci. Ma quello di cui non riesco a capacitarmi è che lui si accontenti di così poco! Ci si può facilmente immaginare come in quel momento non riuscissi a darmi per vinta. Fu quella l'ultima volta in cui la mia impazienza superò i limiti, e mi ricordo del tono in cui uscii a dire: - Un uomo che avrebbe potuto avere te! Per un istante temetti di averla turbata: mi parve di scorgere sulle sue labbra tremanti un gemito disperato. Ma la povera Lavinia fu meravigliosa. - Non è il fatto che lui potesse avere me, questo non conta: tutt'al più sono io che avrei potuto avere lui. Ebbene, non è proprio questo che è successo? Marmaduke è mio, dal momento che non appartiene a nessun'altra. Io rinuncio al passato, ma non capisce l'importanza che ha il passato per la vita che resta ancora da vivere? Sono più che mai convinta che non si sposerà. Henry James
528
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Certo che no, per non inimicarsi quei due! Tacque per un attimo; poi: - Be', qualunque ne sia il motivo! -replicò con semplicità. Tuttavia, ora che le avevo strappato un paio di lacrime silenziose, volli allontanare da me tutta l'oscura commedia.
VII. Anche cercando di rimuoverla, non riuscivo a liberarmene veramente; né, certo, alla lunga, lo desideravo, perché l'avere nella vita, anno dopo anno, un paio di problemi particolari a cui dedicare la mente senza riuscire a trovarne la soluzione perfetta e soddisfacente, è proprio ciò che impedisce a un essere umano di rimbecillire. Non era stato necessario raccomandare a Lavinia il riserbo: rispettando un silenzio impenetrabile con tutti, salvo che con me, ella obbediva a un istinto, a un interesse suo proprio. Perciò Marmaduke, da noi, non venne mai «sbugiardato» - come direste voi; gli volevamo troppo bene, per tacere del grande orgoglio di lei, Lavinia; quanto a lui, evidentemente non esisteva alla fin fine in tutta Londra un'altra persona con la quale si fosse confidato. Non pervenne mai al nostro orecchio alcuna eco della bizzarra parte da lui sostenuta nella commedia; e non vi so dire come questo fatto di per sé mi abbia fatto comprendere a poco a poco l'incantesimo che lo avvinceva. Ci incontravamo «fuori» di tanto in tanto, e di solito per cena. Non era più il ragazzo di prima: era un uomo, con una posizione e una storia. Aveva l'aspetto roseo e florido del ricco; grassoccio, anzi nettamente grasso da ultimo, c'era in lui qualcosa dell'affabile - ma non troppo! - giovane direttore di un'impresa passata da padre in figlio. Se i Dedrick fossero stati banchieri, avrebbe potuto rappresentare il futuro della ditta. Nondimeno, vi fu un lungo periodo intermedio durante il quale, benché risiedessimo tutti e tre quasi sempre a Londra, nelle mie conversazioni con Lavinia non feci più cenno a lui. Ne eravamo ben consce tutte e due, ma era chiaro che nell'intimo, sentivamo che certe cose, dopo tutto, non si possono esprimere, e in ogni caso questo non aveva nulla a che vedere col fatto che lei s'incontrasse o no col nostro amico. Del resto, io ero certa che lei lo vedeva. Da quei ricordi emergono alcuni momenti tutti miei. Uno di questi fu un certo pomeriggio di domenica, così tristemente piovoso che, sicura di non ricevere visite, mi ero seduta accanto al fuoco con un libro - un romanzo di successo di quegli anni - che mi ripromettevo Henry James
529
1970 - Racconti Di Fantasmi
di finir di leggere in santa pace. Ero tutta assorbita nella lettura quando udii un secco toc-toc alla porta, a cui ricordo di aver risposto con un gemito inospitale. Ma a tempo debito, risultò che il mio visitatore era Marmaduke, e Marmaduke diede prova di essere - in modo del tutto inatteso, dati quelli che erano ormai i nostri rapporti - ancor più interessante del mio romanzo. Fu un puro caso, credo: sarebbe bastato un filo perché mi sembrasse l'opposto. Non era venuto per parlarmi; era venuto solo a fare due chiacchiere, per dimostrare ancora una volta che potevamo continuare ad essere buoni amici senza bisogno di parlarmi di sé. In qualche modo furono le circostanze a decidere: la malia del fuoco acceso nel caminetto, le suppellettili della stanza che gli ricordavano gli anni della sua adolescenza, forse lo stesso mio libro, che avevo lasciato aperto al punto in cui ero rimasta, quasi ad offrirgli l'occasione di sfidare Wilkie Collins. In ogni modo v'era nell'aria una promessa d'intimità, un invito ad aprirmi il suo animo, mentre il vento gelido della bufera sferzava i vetri dalle finestre. Saremmo stati soli, in confidenza, al sicuro. L'effetto di queste sensazioni fu tanto più notevole in quanto -lo compresi più tardi - egli non fu preso per nulla dal desiderio di mettersi in mostra; a farlo parlare fu semplicemente il bisogno di riversare su qualcuno la traboccante felicità dalla quale era ormai sopraffatto. Il suo passato, ch'egli mi andava srotolando davanti agli occhi anno per anno, era diventato di estremo interesse. Ma, ciò nonostante, egli fu a dir poco sbalorditivo. Non so più con quale riferimento ai nostri precedenti conversari la frase venne fuori, ma venne fuori così, a spiegazione di qualche cosa, come ancora non era venuta: - Quando un uomo ha avuto per alcuni mesi ciò che ho avuto io, lei capisce...! - La morale sembrava essere che, per quante delizie potesse ancora offrirgli l'esperienza umana, nessuna ormai contava più di quella. Tuttavia Marmaduke si rese conto subito che io mi dimostravo incapace di adattare la sua riflessione a un caso preciso, e continuò col sorriso più schietto: - Ha l'aria sconcertata, come se mi sospettasse di alludere a certe cose di cui non è d'uso parlare; ma le assicuro che non voglio alludere a nulla di più riprovevole del nostro santo fidanzamento. - Il vostro santo fidanzamento? - Non seppi evitare il tono con cui lo interruppi; ma il comportamento con il quale egli reagì fu tale che ne sento l'effetto ancor oggi. Bastò uno sguardo per farmelo mutare per sempre. Un attimo dopo in effetti io tenevo lo sguardo fisso sulla fiamma, persino un Henry James
530
1970 - Racconti Di Fantasmi
poco rossa in viso. Ebbi in quel momento una chiara visione delle alternative che mi si offrivano, e operai la mia scelta. Così, quando i nostri sguardi s'incontrarono di nuovo, ero abbastanza pronta ad affrontarlo. Senti ancor oggi, - gli chiesi con simpatia, - quanto tutto ciò ha significato per te? Era quella la via giusta da seguire: capii, appena pronunciate quelle parole, che il mio tono mutato capovolgeva la situazione. Ora bisognava vedere se io sarei riuscita a mantenerlo. Rammento, per esempio, che soltanto pochi istanti dopo quella domanda ebbe l'effetto di un lampo. Mi aveva risposto imperturbabile, in maniera esauriente, includendo nel discorso qualche considerazione sul modo in cui la morte pone in rilievo le vicende più trascurabili che l'hanno preceduta, il che mi fece sentire improvvisamente inquieta, come se avessi avuto paura di lui. Mi alzai per suonare per il tè, mentre egli continuava a parlare, a parlare di Maud-Evelyn e ciò che essa era stata per lui. Quando sali il domestico, io prolungai di proposito gli ordini che desideravo impartirgli. Trattenni il servitore con dei discorsi inutili tanto per non pensare e lasciar passare del tempo: ciò che in realtà temevo era di cedere all'impulso di voltarmi all'improvviso e sfogare il mio risentimento. La tentazione fu forte: le sensazioni che poco prima avevano influenzato il mio visitatore, ora, nel corso degli ultimi pochissimi istanti, ebbero, a modo loro, lo stesso effetto su di me. Dovevo, cogliendolo di sorpresa, buttargli in faccia un semplice: - Ma dico, fammi capire una volta per tutte! Sei davvero il più sfrontato e miserabile dei cacciatori di dote, o, forse più innocentemente e in maniera per te più accettabile, hai lasciato che ti si rammollisse il cervello? - Ma mi lasciai sfuggire l'occasione e in seguito non lo rimpiansi. Il domestico uscì e io affrontai nuovamente il mio ospite, che non aveva smesso di chiacchierare. Incontrai ancora una volta il suo sguardo, e di nuovo me ne lasciai suggestionare. Se il suo cervello era stato colpito, il suo sguardo da folle ne era la conseguenza più evidente. Ebbene, Marmaduke era il più conciliante, il più gentile dei pazzi. Quando il cameriere tornò con il tè, io avevo riacquistato il mio autocontrollo: intendo dire il mio modo di gestire in seguito il caso: un caso veramente complesso, ma bello in sé. Così quell'ora mi torna alla mente come tutto il resto: il rumore del vento e della pioggia, l'aspetto della piazza squallida, vuota, deserta di traffico e la tempestosa luce primaverile: quella tazza di tè sorbita insieme, accanto al caminetto, assorti e indisturbati. Fu così che Henry James
531
1970 - Racconti Di Fantasmi
egli mi trovò comprensiva, che io seppi mostrarmi soltanto gentile e grave quando lui, per esempio, uscì a dire: - Sa, suo padre e sua madre, davvero, fin dal primo giorno, quando mi ospitarono nella loro carrozza sullo Spluga, fin da quel giorno videro in me la persona giusta. - La persona giusta? - Per divenire loro genero. Volevano tanto, capisce, - continuò, - che lei avesse avuto tutto, proprio tutto. - Se lo ha veramente avuto, - e cercai di mostrarmi gaia, - allora la faccenda è sistemata, no? - Sì, ora sì, - mi rispose, - ora che è tutto chiaro davanti a noi. Vede, non avrebbero potuto prendersi di tanta simpatia per me, -voleva che capissi fino in fondo, - se non avessero desiderato che fossi io il prescelto. - Capisco: era naturale. - Appunto, perché questo escludeva la possibilità che lo fosse chiunque altro, - concluse Marmaduke. - Ah, non sarebbe mai stato possibile! - commentai ridendo. Il compiacimento che ne traeva lui era impenetrabile, meraviglioso in certo senso. - Vede, i due vecchi non potevano fare gran che per quanto riguardava il futuro e ancor meno lo possono ora; così dovevano limitarsi al passato. - E così hanno fatto, mi pare, - osservai, - hanno fatto moltissimo. - Tutto, semplicemente. Tutto, - ripetè. Poi gli venne un pensiero: glielo vidi balenare in faccia, e me lo espresse, per altro senza mostrarsi insistente o importuno. - Se lei accettasse di venire a Westbourne Terrace... - Ah, non parliamone nemmeno! - lo interruppi. - Se mai ci sarei dovuta venire dieci anni fa: ora sarebbe sconveniente. Ma lui, nel suo lieto stato d'animo, vedeva più in là. - Capisco cosa vuol dire. Ma adesso in casa, c'è molto più di quanto c'era allora. - Può darsi. Le novità si accumulano. Nonostante questo... -stavo per essere travolta dalla mia stessa curiosità. Marmaduke non fece pressione, ma volle che sapessi. - Ci sono le nostre stanze, il nostro appartamento completo. Dubito che abbia mai visto niente di più delizioso: lei aveva un gusto straordinario. Del resto ho dato anch'io molti suggerimenti -. Poi, resosi conto ch'ero di nuovo piuttosto disorientata: - Alludo, - continuò, - all'appartamento preparato per le sue nozze -. Parlava come un principe consorte. - Le stanze erano già pronte, Henry James
532
1970 - Racconti Di Fantasmi
fin nei minimi particolari, non c'era più nulla da aggiungere. E sono rimaste com'erano: non un oggetto è stato spostato, niente di cambiato nella disposizione, non ci entra nessuno all'infuori di noi, e sono tenute in modo splendido. Ci sono esposti tutti i nostri regali... Mi sarebbe piaciuto che li vedesse. Ormai era diventata una tortura: compresi di aver fatto un errore. Ma cercai di rimediare. - Oh, non l'avrei sopportato! - Non fanno tristezza, - disse sorridendo, - sono cose troppo belle, troppo felici per dar malinconia. Ah, quegli oggetti! Trasportato dai nostri discorsi sembrava averli davanti a sé. - Sono davvero così splendidi? - Oh, scelti con una pazienza che li rende addirittura inestimabili. Un vero museo. Niente era troppo prezioso per lei, ai loro occhi. Il museo me l'ero perso, ma pensai che in ogni caso non avrebbe potuto contenere un pezzo raro quanto il mio visitatore. - Ebbene, tu li hai aiutati... questo hai potuto farlo se non altro. Assenti convinto. - Sì ho potuto far questo, grazie a Dio, questo l'ho proprio potuto fare! Ne fui persuaso fin dall'inizio, ed è questo che ho fatto, sì! - Poi, come se vi fosse una connessione diretta: - Tutte le cose mìe sono li. Riflettei un attimo: - I tuoi doni? - I regali che le ho fatto. Li amava uno per uno e di ognuno ricordo il commento particolare che ne fece. Non dovrei essere io a dirlo, - continuò, - ma in verità nessuno degli altri regali può reggere a confronto dei miei. Io li guardo tutti i giorni e le assicuro che non ho da arrossirne. Insomma, evidentemente non aveva badato a spese: e intanto continuava a parlare... Faceva la ruota, come un pavone.
VIII. Ripensando agli intervalli trascorsi tra una visita e l'altra riesco solo a stabilire che, se quella sua presenza in casa mia aveva avuto luogo agli inizi della primavera, dovette essere un giorno di tardo autunno, ma non dello stesso anno - un giorno in cui, a differenza di allora, il sole era velato e sonnolento e le foglie gialle e marroni -quando, imboccata una scorciatoia per attraversare Kensington Gardens, mi imbattei, tra i vialetti non frequentati, in una coppia che occupava due seggiole sotto un albero: Henry James
533
1970 - Racconti Di Fantasmi
appena mi videro si alzarono immediatamente. Io ero stata più lenta di loro nel riconoscerli, forse perché il lutto stretto di Marmaduke, colto con la coda dell'occhio, mi aveva tratto in inganno. Non volevo apparire confusa da quell'incontro e desideravo evitare loro di sentirsi in imbarazzo: li invitai perciò a sedere di nuovo e - visto che c'era a disposizione una terza sedia - chiesi il permesso di riposarmi un po' con loro. Accadde così un minuto dopo che io e Lavinia stavamo sedute di fronte al nostro amico, il quale, in piedi davanti a noi tra le foglie cadute, data un'occhiata al suo orologio, ci esprimeva il dispiacere di doverci lasciare. Lavinia non disse nulla, ma io manifestai il mio rincrescimento; e tuttavia mi parve di non poter aggiungere, senza suonare grossolanamente falsa, di avere interrotto un tenero colloquio, o separato una coppia di innamorati. Potei invece osservare Marmaduke dalla testa ai piedi e mi resi conto che era in lutto stretto. Per accomiatarsi non aveva accampato altro pretesto se non quello di non avere più tempo e di dover tornare a casa. Adesso, la parola «casa» aveva per lui un unico significato: sapevo che si era stabilmente sistemato a Westbourne Terrace. - Mi auguro, - gli dissi, - che non sia accaduto nulla... che tu non abbia perso qualcuno che anch'io conosco. Marmaduke guardò la mia compagna e lei guardò Marmaduke. - Ha perduto sua moglie, - Lavinia rilevò allora. Ah, questa volta temo di avere avuto un lieve sussulto di perfidia; ma fu a lui che mi rivolsi. - Tua moglie? Non sapevo che tu avessi avuto una moglie! - Ebbene, - mi rispose in tono gaio malgrado l'abito nero, i guanti neri, l'alta fascia nera sul cappello, - più si vive nel passato, più ricordi ne affiorano. È un dato di fatto. Capirebbe la verità di quanto affermo se anche la sua vita avesse subito una svolta analoga. - Io vivo nel passato, - s'intromise Lavinia delicatamente come a volerci aiutare tutti e due. - Però, mia cara, - replicai, - non con il risultato di fare scoperte così strampalate! - Il timore di avere la mano leggera sembrava assurdo. - Voglia il cielo che nessuna delle scoperte di Lavinia debba essere più fatale delle mie! - Il tono usato da Marmaduke non era altisonante: aveva il buon gusto di trattare l'argomento con semplicità. - Lo hanno tanto desiderato per lei, - prosegui provocando in me il massimo stupore, - che finalmente abbiamo trovato il modo per arrivarci... intendo dire, arrivare a ciò di cui Lavinia ha fatto cenno -. Parve esitare non più di tre secondi, poi, Henry James
534
1970 - Racconti Di Fantasmi
raggiante, uscì a dire: - Maud-Evelyn ha avuto tutta la felicità a cui la sua giovinezza le dava diritto. Io spalancai tanto d'occhi, ma Lavinia era, in quel suo modo particolare, non meno raggiante. - Il matrimonio ha avuto veramente luogo, - mi spiegò con mirabile pacatezza. Io però ero decisa a non farmi prendere in giro. - Dunque sei vedovo? chiesi con aria compunta. - E il tuo abbigliamento ne è il segno? - Sì, adesso porterò il lutto per sempre. - Ma non ti sembra che sia un po' tardi per cominciare? Era stata una domanda sciocca, lo capii un attimo dopo; ma non importava: Marmaduke fu assolutamente all'altezza della situazione. - Vede, ho dovuto prima aspettare che tutti i fatti inerenti al mio matrimonio me ne dessero diritto -. E di nuovo guardò l'orologio. - Scusatemi, devo proprio andare. Arrivederci, arrivederci -. Strinse la mano a ciascuna di noi e mentre, seduta accanto a Lavinia, lo guardavo allontanarsi, pensavo alla bravura con cui egli sapeva immedesimarsi nel suo personaggio. Su questo punto sentivo di essere all'unisono con Lavinia, mentre lo seguivamo con gli occhi; tuttavia non dissi nulla finché egli non scomparve alla nostra vista. Allora, mosse dallo stesso impulso, ci volgemmo una verso l'altra. - Aveva detto che non si sarebbe mai sposato! - esclamai. Il bel volto sciupato di Lavinia incontrò solennemente il mio sguardo. Non si sposerà, non si sposerà mai. Sarà ancora più fedele. - Fedele a chi, questa volta? - Ma come! A Maud-Evelyn -. Non dissi nulla - soltanto frenai un'esclamazione; tesi una mano a prendere una delle sue, e restammo qualche poco in silenzio. - Si capisce, è solo un'illusione, -riprese infine. Ma mi sembra bella -. Poi continuò rassegnata, eppure convinta: - E ora loro possono morire. - I signori Dedrick? - Rizzai le orecchie. - Sono moribondi? - Non proprio, ma la signora, ormai vecchia, diventa ogni giorno più debole, secondo me non tanto per una malattia ben definita, ma solo perché sente di aver compiuto la sua opera, e di aver consumato, come dice Marmaduke, il suo gruzzolo di amore. Con le sue convinzioni, s'immagini quante ragioni ha per desiderare di morire! E, se se ne va lei, dice Marmaduke, Mr Dedrick la seguirà presto. Proprio come «John Anderson, my Jo». Henry James
535
1970 - Racconti Di Fantasmi
- E le farà compagnia scendendo la collina, sino a giacerle accanto arrivato in fondo? - Sì, dopo aver sistemato ogni cosa. Riflettevo su questo mentre ci allontanavamo dal parco, sul come avrebbero sistemate le cose per la dignità di Maud-Evelyn e a tutto vantaggio di Marmaduke. Quel pomeriggio prima di separarci -avevamo preso una carrozza in Bayswater Road e Lavinia era venuta con me a casa mia - ricordo di averle detto: - Quando loro moriranno lui sarà libero? Parve non afferrare del tutto. - Libero? - Libero di fare quello che vuole. Lavinia si mostrò sorpresa. - Ma già adesso lui fa quello che vuole. - Be', diciamo quello che vuoi tu! - Oh, lei sa già che cosa voglio io...! Ahimè! Le impedii di continuare. - Tu vuoi solo raccontare delle... sì, lo so! Col passare del tempo ciò che Lavinia mi aveva prospettato si verificò: nel corso dell'anno successivo venni a sapere della morte di Mrs Dedrick, e alcuni mesi dopo - senza aver ricevuto nel frattempo nessun segno da Marmaduke, completamente assorbito dal suo benefattore in lutto - seppi che il marito l'aveva seguita. Patetico. A quel momento non mi trovavo in Inghilterra: avevamo dovuto realizzare grosse economie e affittare la nostra piccola proprietà; cosicché passai tre inverni in Italia, uno dopo l'altro e, nei periodi intermedi, di ritorno in patria, mi dedicai completamente a visitare altre persone, per lo più parenti che non conoscevano questi miei amici. Lavinia naturalmente mi scrisse comunicandomi fra le molte cose che Marmaduke era ammalato: da quando aveva perduto la sua «famiglia» non era più stato lo stesso, nonostante il fatto che, come lei stessa mi aveva prontamente comunicato a suo tempo, loro gli avessero lasciato per testamento «quasi tutto». Prima di ritornare, seppi che lei adesso lo vedeva sovente e che gli era di grande appoggio, poiché il cambiamento sopravvenuto aveva affievolito in lui energie e intelletto. Finalmente, appena ci fu possibile incontrarci, gliene chiesi notizie. Al che essa rispose: - Se ne sta andando a poco a poco, - quindi, vedendo la mia sorpresa: - Ha avuto la sua vita! - Vuoi dire che, come diceva lui a proposito di Mrs Dedrick, il suo gruzzolo d'amore è consumato? Henry James
536
1970 - Racconti Di Fantasmi
Lavinia volse il capo: - Lei non ha mai capito. Invece avevo capito, secondo me; e quando poi lo andai a trovare ne fui più che mai sicura. Ma, per quella prima volta, mi limitai a dire che sarei andata subito da lui, dando inizio a quello che ritengo essere l'ultimo capitolo della mia storia. - Ora non abita più a Westbourne Terrace, - ella mi avvertì voltandosi. - Sa, ha preso una vecchia casetta a Kensington. - Allora non ha conservato nulla di quegli oggetti? - Ha conservato tutto -. Sempre più mi guardò come se non avessi mai capito. - Vuoi dire che li ha trasferiti? Si mostrò paziente. - Non ha trasferito nulla. Tutto è rimasto com'era, conservato con la stessa cura perfetta. - Ma se non ci abita? - feci perplessa. - Sì che ci abita. - Allora come mai sta a Kensington? Esitò, anche se era più padrona della situazione di quanto non fosse un tempo. - Sta a Kensington, ma senza abitarci. - Intendi dire che nell'altra casa... - Sì, ci passa gran parte del tempo. Ci si fa portare in carrozza ogni giorno e resta lì per delle ore. È per questo che la conserva. - Capisco, il museo è rimasto. - E rimasto il tempio! - replicò Lavinia con la massima serietà. - Ma allora perché ha traslocato? - Perché, vede, lì a Kensington... - e balbettando un poco concluse: - io potevo andare da lui. E lui mi vuole, - soggiunse con mirabile semplicità. Poco alla volta in me si andava facendo luce. - Anche dopo la morte dei genitori, anche allora non sei mai andata? - Mai! - Così non hai mai visto niente? - Dei tesori di Maud-Evelyn? No, niente. Compresi alla perfezione! Ma non voglio negare di essere stata delusa: avevo sperato in un resoconto dei tesori di lui e compresi immediatamente che non sarebbe toccato a me prendere l'iniziativa che Lavinia aveva rifiutato di assumersi. Quando, un po' di tempo dopo, li vidi insieme nella casa di Kensington Square - alcune ore del giorno lei le passava di regola con lui - notai che tutto ciò che li circondava era nuovo, bello, semplice. Nella loro inconsueta unione finale - se di unione si poteva parlare - si Henry James
537
1970 - Racconti Di Fantasmi
comportavano in maniera molto naturale e commovente: ma si vedeva che Marmaduke era visibilmente malato: portava la sua sofferenza scritta in faccia. Lei gli si muoveva attorno come una suora di carità - comunque, come una sorella. Ormai non era più né florido, né colorito, né -avresti detto - molto presente di spirito, e nel mio intimo ebbi la fantasia di chiedermi dove andasse vagando quella mente, dove si posasse. Ma il povero Marmaduke fu un vero signore fino all'ultimo: si spense con estrema dignità. E morto dodici giorni fa; è stato aperto il testamento e la settimana scorsa, essendo nel frattempo venuta a conoscenza del suo contenuto attraverso Lavinia, mi sono recata da lei. Le lascia tutto quanto lui stesso ha ereditato. Ma Lavinia ne parlava in un modo che mi ha fatto dire stupita: - Non sei ancora stata in quella casa? - Non ancora. Ho soltanto parlato con gli avvocati: mi hanno detto che non ci saranno complicazioni. Qualcosa nel suo tono mi ha indotto a chiederle di più. - Allora non sei curiosa di vedere che cosa c'è? Mi ha guardata con un'espressione turbata, quasi implorante che io ho compreso; di lì a poco mi ha chiesto: - Mi accompagna? - Un giorno o l'altro lo farò con piacere, ma la prima volta no. Ci devi andare da sola. Le «reliquie» che vi troverai, - ho soggiunto, perché avevo letto il suo sguardo, - non devi più considerarle come appartenenti a lei... - Ma a lui? - Forse che la sua morte e lo stretto rapporto che ad esse lo legava, non le ha rese tue? Le si è illuminato il viso: ho capito dalla sua espressione che voleva ringraziarmi per aver tradotto in parole quel concetto. - Sì, capisco. Sono sue. Ci andrò. Ci è andata ed è venuta a trovarmi tre giorni fa. Pare che siano proprio delle meraviglie, dei tesori straordinari, e appartengono tutti a lei. La settimana ventura l'accompagnerò a Westbourne Terrace e finalmente li vedrò. Se ho intenzione di parlargliene, mi chiede? Ma le racconterò tutto, amico mio. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
LA TERZA PERSONA I. Henry James
538
1970 - Racconti Di Fantasmi
Quando, qualche anno fa, due buone signore che mai erano state legate da precedente intimità né da una conoscenza più che superficiale, si trovarono entrambe domiciliate sotto lo stesso tetto nella piccola ma antica cittadina di Marr, ciò avvenne, naturalmente, in seguito a speciali considerazioni. Portavano lo stesso cognome ed erano cugine in secondo grado; ma le loro strade non s'erano fino allora mai incrociate; non v'era stata coincidenza d'età ad avvicinarle; e Miss Frush, delle due la più avanti negli anni, aveva passato molta parte della sua vita all'estero. Era una creatura mite, timida, slavata, che il destino aveva condannato alla monotonia - prevalente sulla varietà - di pensioncine svizzere e italiane; in ciascuna delle quali - col suo cappellino ben annodato, i suoi guanti abbottonati, le solide calzature, il seggiolino pieghevole, l'album da disegno, il romanzo in edizione Tauchnitz - avrebbe potuto egregiamente servire da frontespizio a un manuale di storia naturale della vecchia zitella inglese. E davvero vi avrebbe colpiti, povera Miss Frush, come un esemplare così felice di quel tipo, che a stento sareste stati capaci di attribuirle una dignità individuale. Tuttavia era appunto questa dignità che essa poteva vantare con chi la conosceva più da vicino - una personalità molto marcata, in passato certamente graziosa, ma che adesso, ossuta e sbiadita, timida e sciattamente bizzarra nel vestire, con quel suo modo d'esprimersi tutto vaghe interiezioni e un viso tutto occhiali e denti, si sarebbe potuta classificare senza esitazione e condannare senza riserve. Miss Amy, la sua parente, d'una decina d'anni più giovane, mostrava un aspetto diverso: un aspetto che, strano a dirsi, sebbene alimentato quasi unicamente d'aria inglese, avrebbe potuto molto più facilmente tradire un'influenza straniera. Era bruna, Miss Amy, vivace ed espressiva: quand'era proprio giovane era stata definita addirittura vistosa. Aveva un'innocente vanità: quella del suo piedino, una parte del corpo che considerava in certo senso garanzia d'intelligenza, o quanto meno di buon gusto. Anche se non fosse stato grazioso, si lusingava che sarebbe sempre stato ben calzato: mai e poi mai vi avrebbe rinunciato, come faceva Susan. Gli occhi bruni, intelligenti di Amy erano piuttosto arditi, e si era adattata a Susan come a un manichino fuori moda. Anzi, la considerava un'oca, e come tale la compativa in silenzio. Con tutto ciò era lei stessa mite come un agnello. Henry James
539
1970 - Racconti Di Fantasmi
Questa innocua coppia aveva beneficiato del testamento di una vecchia zia, una signora prodigiosamente decrepita, della quale, negli ultimi tempi di sua vita, era stato loro concesso, essenzialmente per tramite altrui, di ben poco conoscere; così che il modesto patrimonio che era loro toccato ebbe il felice effetto di una fortuna inattesa. Ciascuna delle due, almeno, affermava all'altra di non aver mai sognato... - e in realtà c'era stato ben poco incentivo a sognare nello squallore di quello che ora esse definivano l'«orribile entourage» della defunta. Terrorizzata e raggirata (così ritenevano) dalla parentela, era assai difficile attendersi da Mrs Frush un atto di più o meno illuminata giustizia. Le due donne, nipoti di suo marito, avevano avuto la fortuna che la vecchia - in realtà - sopravvivesse alla maggior parte di quelli che auguravano loro male, sicché alla fine era morta senza l'onta di stornare il bel patrimonio Frush dal buon uso dei Frush medesimi. Delle sue proprie sostanze aveva disposto come le era piaciuto; ma aveva avuto compassione di quella disgraziata esule di Susan e s'era ricordata della povera Amy senza marito, sebbene le avesse associate un po' alla carlona nelle sue ultime volontà. Il testamento stabiliva che, se gli esecutori non avessero trovato soluzione migliore, la vecchia dimora di Marr venisse venduta a congiunto vantaggio delle due cugine. Tuttavia, ciò che avvenne nel caso specifico fu che le legatane, tempestivamente avvertite, colsero prontamente l'occasione - e del tutto senza preventivo accordo -per giudicare sul posto delle loro prospettive. Arrivarono a Marr ciascuna per proprio conto, e ne furono tanto soddisfatte che vi rimasero. L'incontro avvenne così: Miss Amy, accompagnata dal giovane di studio dell'avvocato locale, si presentò alla porta per chiedere alla custode di esservi introdotta. Ma quando la porta si aprì, non sulla custode dovette posare lo sguardo, ma su un'inattesa signora che di nessuno era in attesa e che, vestita di un vecchissimo impermeabile, teneva in mano un occhialino dalla lunga impugnatura, proprio come un bambino tiene un sonaglio. Miss Susan era già sul campo e girellava indagando e riflettendo, mentre la custode s'era allontanata per una commissione. Essa si diede in tal modo a conoscere come proprietaria già insediata: e fu con quella convinzione che, attraverso l'occhialino, le due cugine si scrutarono l'un l'altra con una certa quale intensità, ancora prima che Amy varcasse la soglia. Poi, quando finalmente Amy entrò, fu chiaro che - come del resto Susan - non ne sarebbe più uscita. Ci porterebbe troppo lontano immaginare quel che sarebbe successo se Henry James
540
1970 - Racconti Di Fantasmi
Mrs Frush avesse posto come condizione della propria liberalità che le sue beneficiate dovessero convivere in pace sotto il tetto da lei legato; ma è certo che, quando si trovarono lì, esse ebbero nello stesso momento l'identico spontaneo pensiero. Ciascuna si rese conto all'istante che la cara vecchia dimora era proprio quella che lei voleva e proprio quella che voleva l'altra; rispondeva pienamente all'aspirazione di un porto tranquillo, di un avvenire sicuro: ciascuna, insomma, era disposta a far luogo all'altra pur di avere la casa. Questa non fu dunque venduta; divenne invece, così com'era, la loro casa, con le vecchissime «belle» cose appartenute alla defunta signora, non solo intatte e indivise, ma religiosamente ricomposte e ammirate all'infinito, con grande giubilo degli esecutori testamentari che vedevano la questione tanto semplificata. Può darsi che in privato costoro avessero i loro dubbi, o che li avessero le loro mogli; può darsi che avessero cinicamente preconizzato i più accesi litigi, prima dello scadere di tre mesi, fra le due deluse congiunte, e la cessazione della loro convivenza con ogni conseguente motivo di recriminazione. Bisogna dire che profeti del genere avrebbero profetato in maniera grossolana. Le signorine Frush non erano persone volgari: avevano bevuto sino alla feccia nella coppa della solitudine e l'avevano trovata prevalentemente amara; sapevano bene che cos'erano l'isolamento, la malinconia, e riconobbero con debita umiltà la suprema occasione che si offriva loro nella vita. Prima dello scader di tre mesi, del resto, ciascuna conosceva quanto di peggio v'era nell'altra. Il pisolino pomeridiano Miss Amy lo faceva prima di cena, un'ora così strana in cui Miss Susan non riusciva mai a chiudere occhio - mentre Miss Susan il suo lo faceva subito dopo il pasto, proprio quando Miss Amy era particolarmente incline alla conversazione. Miss Susan, impettita ed eretta, aveva idee proprie di fronte al modo in cui, pressappoco in qualsiasi posizione che potesse definirsi seduta, Miss Amy riusciva a far stare due dei tre cuscini del sofà nel ristretto spazio dello schienale, uno spazio ovviamente più limitato di quello che erano destinati ad occupare. Ma, detto questo, era detto tutto: entrambe continuavano ad avere la gradevole consapevolezza di un proprio terreno non privo di frammentarie rovine in cui scavare. Erano d'opinione di aver avuto vite estremamente diverse, e a ciascuna pareva che l'altra avesse vissuto in modo tanto sconveniente solo per poter dare in pasto alla compagna un'inconsueta scorta di aneddoti. Miss Susan, nelle pensions straniere, aveva conosciuto la nobiltà russa, polacca, danese e talvolta persino qualche fiore di quella Henry James
541
1970 - Racconti Di Fantasmi
inglese, nonché i più straordinari tipi di americani che, secondo la sua espressione, la tenevano in gran conto e coi quali spesso era rimasta in corrispondenza; mentre Miss Amy, dopo tutto meno ligia alle convenzioni, avente alle spalle molti anni passati a Londra, abbondava in reminiscenze del mondo delle lettere, delle arti e persino - Miss Susan ascoltava col fiato corto - del teatro, influenzata dal quale - ecco, lo confessava! - aveva scritto un romanzo pubblicato anonimo e una commedia della quale inaudito! - s'erano tirate a macchina parecchie copie. Dal fascino non minore del pittoresco paesaggio di Marr poteva derivare lo stimolo a sacrificare bellamente (così Amy lasciava intendere) quella «società eterogenea» per far ritorno al «lavoro vero». Aveva in mente centinaia di trame - altrettante spine in cuore per il futuro di Miss Susan. La quale, dal canto suo, aspettava solo che calasse il vento per riprendere a disegnare. A Marr il vento era spesso impetuoso, com'era naturale che fosse in un'antica, storica cittadina, annidata con i suoi tetti rossi sulla costa meridionale, una cittadina che in certo modo (le due cugine non mancavano di rammentarlo una all'altra) era stata in antico «signora della Manica», una piccola città alta ed asciutta in cima alla collina, dalla quale tuttavia il mare non s'era ancora abbastanza ritirato per non mettere addosso un costante umore battagliero. Miss Susan era tornata al paesaggio inglese con un piccolo sospiro di tenerezza, cui la conoscenza delle Alpi e degli Appennini non faceva che conferire un reiterato tremolio; aveva scelto i soggetti e, col capo reclinato da una parte e l'impressione che all'estero fossero più facili, se ne rimaneva seduta a succhiare nervosamente - forse anche un pochino irragionevolmente - il pennello da acquarelli, in esitante attesa. Era accaduto questo: che ciascuna, per proprio conto, aveva riscoperto la campagna; soltanto che Miss Amy, emersa dai quartierini di Bloomsbury, ne parlava in termini di primule e tramonti, mentre Miss Susan, risospinta dall'Arno e dal Reuss sul patrio suolo, la chiamava con timido, laconico orgoglio semplicemente Inghilterra. Comunque la patria era lì, in casa con loro, come pure nel piccolo recinto verde e nella grande cintura turchina tutt'intorno. Erano gli oggetti e i resti del passato che le cugine maneggiavano e ammiravano, trovandovi molti motivi di presunta importanza, molti echi romantici; piccole brecce si riempivano per loro delle storie più fantastiche, ed erano pronte a tirare qualsiasi logoro cordone di campanello capace di far squillare nel passato Henry James
542
1970 - Racconti Di Fantasmi
un roco tintinnio. Erano costantemente in presenza, in ogni caso, dei loro antenati comuni, dei quali, ora più che mai, ammettevano come vero soltanto il meglio. E, del resto, non era forse vero che il meglio - il meglio, s'intende della piccola, melanconica, modesta, abbandonata Marr stava seduto su ogni rigida sedia della decorosa antica dimora, era trapunto nelle toppe variegate di ogni vecchia imbottita? Duecento anni di quel «meglio» si dispiegavano armoniosi nel salotto rivestito di legno scuro, scricchiolavano pazienti sull'ampio scalone e verdeggiavano nella vegetazione del giardino cintato di mattoni. A Marr non c'era nulla che qualcuno avesse fatto o fosse stato, se non l'aveva fatto o non lo era stato un Frush. E tuttavia esse avevano bisogno di un quadro più vasto, e ne fantasticavano conversando. C'erano ritratti - cinque o sei ritratti relativamente recenti (il 1800 lo consideravano relativamente recente) - un mezzo supplizio per una discendente che a Pitti aveva copiato il Tiziano; ma le cugine erano curiose dei particolari e avrebbero voluto popolare più fittamente lo spazio alle loro spalle, crearsi dietro le sedie una parete di figure in rilievo. Improvvisavano teorie, fantasticherie modeste, quasi si ritenessero impegnate in studi di ricerca, tutti condotti in gran pompa e cerimonia. Il loro desiderio era scoprire qualche cosa. Fatta ardita dalla più ampia apertura d'ali della compagna, la stessa Miss Susan non temeva di fare qualche brutta scoperta. Era stata Miss Amy ad ammonire per prima che tale poteva essere il risultato delle loro indagini. Era pure a lei ch'esse eran debitrici del seguente concetto: se qualcosa di molto brutto fosse mai accaduto a Marr in passato, sarebbe stato spiacevole che non ci fosse stato di mezzo un Frush. Fu allora che il coraggio di Miss Susan toccò l'apice: dichiarò con la sua strana risata ansimante - una specie di sussulto prolungato, allarmato o allarmante - che se ne sarebbe addirittura vergognata. E così per un poco ripresero fiato: senza dire proprio fino a che punto erano pronte ad inoltrarsi nel crimine, né dare a questo un nome. Ma un osservatore non avrebbe avuto alcun dubbio che ciascuna delle due era convinta che l'altra non solo non intendeva porsi dei limiti in fatto di delitti, ma anzi li allargava al punto da includervi perfino una delusione un'allegra delusione. Ammesso che Miss Susan chiedesse se Don Giovanni aveva mai toccato quel porto, senza dubbio Miss Amy avrebbe voluto sapere in risposta quale mai porto egli non avesse toccato. Purtroppo però era vero che nessun gentiluomo dei ritratti somigliava lontanamente a Don Giovanni e nessuna delle dame raffigurate rievocava qualche sua vittima. Henry James
543
1970 - Racconti Di Fantasmi
Nondimeno, alla fine le cugine fecero una scoperta. Trovarono una scatola di scartafacci, documenti per lo più: in parte roba stampata, giornali ed opuscoli ingialliti e ingrigiti dal tempo, e per il resto epistolari: diversi pacchi di lettere sbiadite, decifrabili a stento, ma chiaramente scelte per essere conservate, legate con un antiquato nastro a fiorellini e divise a piccoli gruppi. Marr ha, nel suo sottosuolo, solide fondamenta, sostenuta com'è da grandi cantine a volta, sane ed asciutte, simili alle cripte a costoloni delle chiese, e che si presentano alla striminzita concezione moderna come stanze del tesoro degli intrepidi mercanti e banchieri di fervide età remote. Nello spessore di una parete, un recesso - rovistato a fondo dal ragazzotto locale addetto a lavori saltuari, che per caso aveva frugato là dentro per proprio conto - aveva rivelato una raccolta di cianfrusaglie coperte di ruggine, tra le quali la sullodata cassettina portata alla luce. Naturalmente fece subito molta impressione e venne considerata una scoperta; ma come scoperta si rivelò piuttosto deludente allorché, forzata la serratura, non seppe mettere in mostra nulla di meglio di un mucchio di lettere semi-illeggibili. Lì per lì, beninteso, il cuore delle brave signore aveva avuto un palpito di speranza: che si trattasse di antiche ghinee d'oro, del tesoro di un avaro, o magari addirittura di qualche manciata di quelle monete esotiche di cui narrano le vecchie storie: ducati, dobloni, pezzi da otto che si scoprono talvolta nascosti nei porti dopo aver attraversato gli oceani? Ma dovettero rassegnarsi alla loro delusione, e cercarono di farlo rendendo il massimo onore a quelle scartoffie, convenendo cioè di trovarle meravigliose. Ebbene, meravigliose lo erano, non v'è dubbio: il che non impediva che sembrassero, a un esame superficiale, anche un fastidioso enigma. Sconcertanti com'erano comunque agli inesperti occhi di Miss Susan, i pacchetti dal nastro sbiadito rimasero per diverse sere intorno al caminetto, nelle mani di Miss Amy mentre la cugina sonnecchiava beata: col risultato che una volta, svegliatasi verso le nove, Miss Susan trovò la sua compagna di fatiche che dormiva della più bella. Ne segui un'alquanto irritata confessione d'ignoranza del carattere gotico, da cui scaturì infine l'idea di chiedere aiuto a Mr Patten. Mr Patten era il vicario, ed era ben noto che in tale veste egli s'interessava alle antiche cronache di Marr; inoltre, e a parte il fatto che la sua partecipazione agli avvenimenti del giorno sembrava talvolta un tantino sacrificata a indagini del genere, era un uomo dotato di una certa dose d'umorismo, con una faccia rubizza, un paio di folte sopracciglia e un Henry James
544
1970 - Racconti Di Fantasmi
cappello nero a tesa larga portato disinvoltamente sulle ventitrè. - Lui ci dirà se lì dentro c'è qualcosa, - sentenziò Amy Frush. - Ma, - obiettò Susan, - se dovessero contenere cose che no ci piacciono?... - E proprio a questo che penso, - replicò Miss Amy col suo fare distaccato. - Se ci fossero cose che non dobbiamo sapere... - Dobbiamo dirgli semplicemente che non ce le riferisca? Ah, certo, disse la mite Miss Susan. E si assunse anzi l'incarico di avvertire in quel senso Mr Patten quando, invitato dalle nostre amiche, egli venne all'ora del tè per prendere accordi. Miss Amy, seduta accanto a loro, non aveva protestato, ma chiaramente sembrava ripromettersi che, qualunque cosa ci fosse stata da sapere e per quanto riprovevole fosse, lei ne sarebbe venuta a capo a quattr'occhi col loro iniziatore. Si sorprese addirittura a sperare che fosse davvero qualcosa di troppo scabroso per sua cugina, di troppo scabroso per chiunque in genere, e che la faccenda sarebbe rimasta debitamente segreta fra loro due. Quanto a Mr Patten, alla vista delle carte uscì in quest'esclamazione, forse un poco ambigua e nient'affatto ecclesiastica: - Signore Iddio, che pacchia! E dopo tre tazze di tè si accomiatò, con un pastrano rigonfio di bottino.
II. Quella sera, alle dieci come di consueto, le due cugine si separarono per la notte sul pianerottolo del primo piano, davanti alla porta delle rispettive camere; ma Miss Amy non aveva ancora posato la candela sul tavolino da toilette che uno stranissimo suono la fece trasalire, un suono che sembrava provenire non solo dalla stanza ma anche dalla gola della sua compagna. Se avesse dovuto descriverlo, Miss Amy l'avrebbe definito un che di mezzo fra un gorgoglio e un urlo; un suono che, dopo una pausa di muto terrore - in cui ebbe appena il tempo di dirsi: «Ha qualcuno sotto il letto!» -, la riportò, eroica e senza fiato, sul pianerottolo medesimo. Non vi era ancora arrivata che la sua vicina le si precipitò incontro e la trattenne. - C'è qualcuno in camera mia! Si strinsero una all'altra. - Ma chi è? - Un uomo. - Sotto il letto? - No, è lì, in piedi. Henry James
545
1970 - Racconti Di Fantasmi
Continuavano a tenersi avvinte, ma barcollavano. - In piedi? Dove? Come? - Proprio in mezzo alla stanza, davanti allo specchio. Il pallore sul viso di Amy era ormai pari a quello della sua compagna, ma allo spavento si assommava l'ansia di sapere. - Si guarda nello specchio? - No! Gli volta le spalle. Guarda me, - alitò in un sospiro appena percettibile la povera Susan. - Impedisce che mi ci guardi io, -precisò con voce tremula. - È vestito strano, alla moda d'altri tempi. Tiene la testa da un lato. - Da un lato? - fece Amy stupita. - Terribilmente da un lato! - dichiarò la poverina mentre, aggrappate l'una all'altra, le due zitelle misuravano il reciproco coraggio. Per Miss Amy fu quella, in certo senso, la rivelazione decisiva, tale da consentirle lo sforzo di spiccare un balzo indietro a chiudere l'uscio della propria stanza. - Tu allora resti con me. - Oh! - gemette Miss Susan assentendo dal più profondo del cuore, allo stesso modo in cui, se avesse usato un gergo un po' grossolano, avrebbe esclamato: - E come no! - Così passarono insieme la notte, concordi fin dal primo momento nella duplice convinzione che sarebbe stato vano affrontare l'estraneo (dato che non tentavano neppure di fingersi capaci di affrontare un ladro) e che, anche lasciando la casa alla sua mercé, non sarebbe potuto avvenire nulla di peggio di quanto era già avvenuto. Miss Amy si avvicinò di nuovo alla porta tendendo l'orecchio e imponendo silenzio: un gesto che per loro costituì come una profonda, vicendevole illuminazione e che le mise d'un tratto faccia a faccia con la vera natura dell'accaduto. - Ah, - riucì ora ad esclamare Miss Susan, ancora senza fiato, -non è nessuno...! - No, - fu pronta a interromperla la sua compagna in tono di superiorità. - Non è nessuno... - Che possa veramente farci del male, - disse Miss Susan a completamento di quel pensiero. E Miss Amy, come fu provato dai fatti, aveva così incredibilmente anticipato la realtà col pensiero che, prima del mattino, esso si era insinuato in loro per vie misteriose e sottili e vi si era prodigiosamente radicato. Il personaggio che la più anziana delle nostre eroine aveva visto nella sua stanza non era... ebbene, detto in parole povere, non era uno qualsiasi Henry James
546
1970 - Racconti Di Fantasmi
venuto dal di fuori. Era qualcosa di totalmente diverso. Miss Amy l'aveva intuito subito dopo quell'urlo che l'aveva resa conscia dello stato d'agitazione della sua amica: in ogni caso subito dopo aver visto la faccia di Miss Susan. Tutto lì: nient'altro. Nella loro modesta condizione, nel loro scarso rilievo vi era stata finora - lo sentivano bene - come una lacuna: una lacuna che adesso era stata riempita, e di ciò esse erano tanto più chiaramente consapevoli in quanto l'avevano avvertita prima. L'elemento in questione era dunque una terza persona nella loro convivenza, una presenza aleggiante nelle ore di buio, una figura che, con quella testa tanto - troppo - penzoloni da una parte, sicurissimamente le guardava dai luoghi più impensati: sì, non c'era da dubitarne, non faceva altro che starle a guardare. L'avevano finalmente, avevano ciò che era giusto aspettarsi in un'antica dimora dove molte, troppe cose erano accadute, dove le stesse pareti che toccavano, gli stessi pavimenti su cui posavano il piede avrebbero potuto raccontar segreti e rivelare nomi, dove ogni superficie era uno specchio appannato di vita e di morte, uno specchio di quanto era stato sofferto, ricordato, dimenticato! Sì, in quella casa c'erano gli sp... ma la parola si spegneva loro sulle labbra. E prima che fosse giorno, incredibile a dirsi, avevano fatto l'abitudine all'idea - vi si erano addirittura immedesimate. In verità, questo non era tutto: avevano anche concepito una loro teoria. Fra il ritrovamento della cassetta in cantina e l'apparizione nella camera di Miss Susan doveva esserci un rapporto. La greve atmosfera del passato era stata turbata dalla riesumazione di ciò che per tanto tempo era rimasto nascosto. La consegna delle carte a Mr Patten aveva sortito il suo effetto. La mattina, a colazione, si trovarono l'una di fronte all'altra con la certezza che quello strano coabitante ridestato era la manifestazione del violato segreto delle reliquie. Non importa: per amor del segreto avrebbero tollerato le sue attenzioni e - questa era per loro la cosa più bella - sebbene egli accrescesse di molto la loro importanza, dovevano mantenere il più geloso riserbo. Altri potevano aver notizia del contenuto delle lettere, ma non avrebbero mai dovuto saper nulla di lui. Non avevano paura che l'una o l'altra delle cameriere lo vedesse: non era roba da cameriere. Il problema era piuttosto un altro: se avesse continuato a mostrarsi per un pezzo, si sarebbero davvero sentite in grado di coabitare con lui? E tuttavia, se avesse continuato, non avrebbero magari finito col diventare indifferenti? Ne ragionarono, ne discussero, ma continuarono a trascorrere insieme le notti successive. Al terzo giorno, durante la Henry James
547
1970 - Racconti Di Fantasmi
passeggiata pomeridiana, scorsero in distanza il vicario, il quale, appena le vide, si mise ad agitare forsennatamente le braccia (non si capiva bene se a mo' di avvertimento o di scherzo) e venne loro incontro per oltre metà del sentiero. S'incontrarono nel centro - o in ciò che passava per tale - della grande, squallida, deserta, malinconica piazza di Marr: un luogo pubblico, si sarebbe detto, di un'assurda capacità di folla, con la chiesa dalle nobili linee e la grande abside ricoperta di edera: il transetto incompiuto diceva di per sé da quanti secoli ormai, per quanto lo riguardava, avesse rinunciato a crescere. - Dunque, mie care signore, - esclamò Mr Patten avvicinandosi, - non immaginano mai più che cosa sembra risultare dalle loro vecchie scartoffie! - E poiché ora, estremamente guardinghe, esse aspettavano: Né più né meno, non me ne vogliano, che nel secolo scorso un loro antenato, il signor Cuthbert Frush a quanto sembrerebbe chiamarsi, fu impiccato. In seguito non seppero mai chi delle due era stata la prima a ritrovare il proprio sangue freddo, a ritrovare anzi la dignità per replicare: - E di grazia, Mr Patten, per che motivo? - Eh, questo è proprio il punto che non mi è ancora chiaro. Ma, se non hanno nulla in contrario che continui a scavare, - e gli allegri sopraccigli cespugliosi del vicario si volsero dall'una all'altra delle due damigelle, credo di riuscire a scoprirlo. A quei tempi, come sanno, - soggiunse come se avesse scorto alcunché nei loro volti, -s'impiccava la gente per qualsiasi bazzecola! - Oh, speriamo che non si sia trattato di una bazzecola! - ridacchiò un po' insulsamente Miss Susan. - Sì, certo, sarebbe stato meglio, visto che era al dunque... Insomma, come si suol dire, meglio per una pecora che per un agnello! - concluse Mr Patten. - Ma a quei tempi s'impiccava la gente per una pecora? - chiese Miss Amy stupefatta. La domanda provocò una nuova risata da parte del loro amico. - Bisogna vedere se nel suo caso si trattava di una pecora! Ma ne verremo a capo. Ci tengo davvero anch'io, ne siano certe. Ho un mucchio d'impegni, credo però di poter promettere che mi farò vivo presto. A loro non dispiace, vero? - insistette. - Direi che siamo pronte a tutto, - rispose Miss Amy. Henry James
548
1970 - Racconti Di Fantasmi
Al che Miss Susan la squadrò, quasi a cercare nella parente un punto fermo di riferimento. - E, dopo tutto, oggi come oggi, che cos'è per noi questo signore? Amy, con gli occhi fissi negli occhiali dell'altra, dichiarò con gravità: Oh, un antenato è pur sempre un antenato. - Nobili parole e nobili sensi, cara signorina! - approvò il vicario. Qualunque cosa abbiano fatto... - Non capita a tutti, - replicò Miss Amy, - di aver degli antenati di cui vergognarsi. - E noi finora non ce ne vergogniamo! - barbugliò concitatamente Miss Susan. - Mi lascino promettere che non se ne vergogneranno. Solo, -soggiunse Mr Patten, - mi diano tempo, perché ho tante cose da fare. - Eh, ma noi vogliamo la verità! - esclamarono con enfasi le due cugine quando il vicario si accomiatò. Ormai erano in preda a vivissima eccitazione. Per tutta risposta egli si fermò di colpo e si voltò, quasi si fosse sentito sfidato nella sua dignità professionale. - E non è proprio la verità, e solo la verità, che mi sta a cuore? Esse non mancarono di avvertire in quella battuta anche il gusto per la celia, e così rimasero sole nel gradevole - pur se un tantino eccessivo vuoto della piazza: un vuoto che in certi momenti poteva apparire una consapevole manifestazione, addirittura un appello, contro il restringersi della popolazione di Marr a un unico gatto solitario. Continuarono a camminare per un poco, sinché il vicario non si fu allontanato abbastanza da indurle a riprendere il discorso, tanto più che questo discorso doveva ancora una volta cominciare con un silenzio. Si scambiarono un lungo sguardo. - Impiccato! -esclamò Miss Amy. Il suo tono era quasi esultante, ma ciò dipendeva dal fatto che, a scorgerlo, non era stata lei. - Ecco perché la sua testa... - Miss Susan esitava. La sua compagna rincarò la dose: - Penzola in modo così terribile? - È terribile! - spiccicò finalmente l'altra, col tono di chi ha assistito a una ventina d'impiccagioni. Che cosa mai quell'immagine rievocasse alla mente di Miss Amy sarebbe stato, in ogni modo, difficile dire. - Gli si spezza il collo, -specificò dopo un istante. Henry James
549
1970 - Racconti Di Fantasmi
Miss Susan volse lo sguardo. - Sarà per questo, immagino, che ha la testa girata in quel modo sinistro. Fa uno stranissimo effetto. Così strano, si sarebbe detto, da farle di nuovo ammutolire. -Be', allora speriamo che abbia ammazzato qualcuno! - sbottò infine Miss Amy. La sua compagna rifletté. - Non credi che dipenderebbe da chi...? - No! - tagliò corto Amy con la risolutezza che le era caratteristica. E altrettanto risolutamente si rimisero in cammino. Che Mr Patten fosse tremendamente occupato risultò dal fatto che alla fine della settimana non aveva avuto altre novità da comunicare. Fu nel pomeriggio di domenica, tuttavia, che la faccenda ridivenne d'attualità: proprio come la più giovane delle cugine Frush aveva fiduciosamente previsto che da un giorno all'altro dovesse succedere. Stavano per recarsi come sempre in chiesa, al servizio vespertino, al termine del quale solevano rinviare la cena. Stavolta Miss Susan, pronta per prima, aspettava pazientemente la compagna in fondo alle scale. Amy scese infine, abbottonandosi un guanto. Con quello strascico frusciante - così pensava ogni volta la cugina - aveva proprio un'aria giovanile e distinta. Non c'era nessuno a Marr, secondo lei, che vestisse così bene; e va anche detto che Miss Amy conveniva con quest'opinione: solo che la interpretava con spirito diverso. Stava calando il crepuscolo, ma le nostre parsimoniose eroine usavano sempre tardare ad accendere i lumi: nel grigio morir del giorno la più anziana delle due se ne stava, le mani pazientemente congiunte in grembo, seduta su un seggiolone dell'ingresso dall'alto schienale, confortata unicamente dal tenue - sempre tenue - chiarore del caminetto del salotto, visibile attraverso la porta aperta. Miss Amy entrò in salotto per cercare il libro di preghiere che vi aveva lasciato dopo il servizio religioso del mattino, e dal salotto, un minuto dopo e senza il predetto libro, uscì a raggiungere la compagna. Qualcosa nei suoi movimenti parlò, parlò per un istante in maniera così eloquente che non fu più necessario aggiungere nulla finché, con rapida intesa, lasciarono la casa. Lì, sull'uscio, nel freddo, silenzioso crepuscolo di fine inverno, mentre le campane della chiesa suonavano a vespro e i finestroni della grande abside riflettevano un chiarore rossastro sulla piazza deserta, ogni reticenza cadde di nuovo. Ma questa volta fu Miss Susan stessa a prendere l'iniziativa. -C'è? - Davanti al caminetto, di spalle. - Ecco, hai visto? - eclamò Miss Susan con sollievo, come se fino allora Henry James
550
1970 - Racconti Di Fantasmi
l'amica avesse dubitato di lei. - Sì, ho visto, e capisco cosa vuoi dire -. Miss Amy pareva profondamente assorta. - Riguardo alla testa? - È davvero tutta da una parte, - continuò Miss Amy. - Gli dà un aspetto... - rifletté. Ma non seppe continuare, quasi fosse ancora in presenza di lui. - Un aspetto orribile! - sussurrò Miss Susan. - Quel modo che ha di guardarti! - gemette debolmente. Miss Amy assenti col capo. - Davvero! - E i suoi occhi si fissarono sui rossi finestroni della chiesa. - Ma vuol dire qualche cosa! - Lo sa Dio cosa vuol dire! - sospirò l'altra cupa. Poi, un attimo dopo: Si è mosso? - domandò. - No, e io nemmeno. - Oh, io sì! - precisò Susan, ricordando com'era fuggita a precipizio. - Voglio dire che ho preso tempo, ho aspettato. - Di vederlo svanire? Amy per un momento stette zitta, poi: - Il fatto è che non svanisce, disse. - Ah, ma allora ti sei mossa tu! - replicò la cugina. Miss Amy tacque di nuovo per un po'. - Insomma, bisogna pur muoversi. Ma che cosa sia realmente successo, non lo so. Sono tornata a raggiungerti, certo. Voglio dire che l'ho guardato ben bene. - È giovane, soggiunse. - Però è cattivo! - obiettò Miss Susan. - È bello! - uscì a dire Miss Amy dopo un momento. Anzi, si mostrò propensa a continuare: - È splendido. - Splendido!... Con quel collo spezzato, con quello sguardo terrificante? - È proprio quello sguardo che lo rende splendido. Quei meravigliosi occhi. Sono occhi che vogliono dire qualcosa... - Amy Frush meditava. Aveva parlato con una risolutezza di cui poco dopo Susan palesò l'effetto. - E che cosa vogliono dire? Di nuovo Amy aveva posato lo sguardo sulle scintillanti vetrate di St Thomas da Canterbury: - Che è ora di andare in chiesa.
III. Henry James
551
1970 - Racconti Di Fantasmi
Il curato quella sera ufficiò da solo; ma l'indomani il vicario venne a trovarle e, appena entrato in sala, spiattellò subito la notizia: - Impiccato per contrabbando! Esse si arrestarono davanti a lui, quasi raggelate per la sorpresa; nell'atmosfera che il loro aspetto diffondeva all'intorno, quel misfatto suonava come il più plebeo del mondo. - Contrabbando? - fece eco Miss Susan delusa, quasi rabbrividisse nell'apprendere che, in fondo, non si era trattato che di una canagliata. - Eh, ma sa, per queste cose s'impiccava tranquillamente, e io sono stato uno sciocco a non averlo dato per scontato nel nostro caso. Da queste parti, se c'era qualcuno che penzolava da un palo, era soprattutto a causa di questo. E non sa che proprio grazie a questo ancor oggi noi viviamo, grazie a tutto ciò di cui quegli sfrontati ribaldi dei nostri antenati non ebbero paura? È di queste cose che sono pavimentate le strade su cui camminiamo, è questo che si annida sotto i tetti che ci riparano. Contrabbandavano con tanto impegno che non gli restava tempo per altro, e se uno rompeva una testa non sua, era soltanto per l'imperizia nel posare a terra i barili d'acquavite. Se dico che a quel tempo di contrabbando si viveva, non voglio certo, care signore, - concluse il bravo Mr Patten, mancare di rispetto ai loro antenati! Del resto, pensavo che pure loro, come tutti noi, lo sapessero. Miss Susan era esterrefatta, evidentemente quasi incredula. - Anche la gente per bene? - Quelli erano peggio di tutti. - Saranno stati i più audaci, - interloquì Miss Amy: ascoltando le franche spiegazioni del vicario, aveva rapidamente riacquistato colore. - E dal momento che, se ne vivevano, erano anche pronti a morirne... - Nulla da dire contro di loro, vero? Sono pienamente d'accordo, - rise il vicario, - anche se porto quest'abito, e arrivo addirittura al punto di affermare, per quanto scandaloso possa apparire, che in questo nostro scialbo, limitato presente, siamo loro debitori di un senso vivo del passato, una specie di sottofondo avventuroso... Sono loro che ci offrono, continuò arguto, sfiorando, pericolosamente per il suo abito, il paradosso vero e proprio, - un pizzico di leggenda, una piccola riserva di fantasmi -. S'interruppe per un istante, come talvolta faceva dal pulpito, ma le signorine non si scambiarono occhiate. In effetti, quello straordinario scossone le aveva già trasportate mille miglia lontano. - Davvero, non c'è Henry James
552
1970 - Racconti Di Fantasmi
un soldo da queste parti che non sia stato guadagnato con arti più sottili, non certo più nobili, nel virtuoso tempo presente (e allora è un peccato che non ce ne siano di più), non c'è un soldo, dicevo, che non sia in qualche modo frutto d'una furfanteria commessa rischiando l'osso del collo, quando gli ufficiali del re volgevano le spalle. È sconveniente quanto sto dicendo, lo so, e lo dico a loro ma non lo direi a nessun altro: io penso alle vecchie cose che intorno a noi testimoniano di queste malefatte con una specie di inconfessata tenerezza, come a reliquie dei nostri tempi eroici. Che cosa siamo adesso? Quanto meno allora eravamo dei tipi in gamba! Susan Frush meditava con aria solenne, cercando di sottrarsi al fascino di quelle rievocazioni. - Ma allora dobbiamo dimenticare che erano gentaglia? - Mai! - rise Mr Patten. - Grazie di ricordarmelo, cara amica. Il guaio è che io sono peggio di loro! - Ma lei farebbe lo stesso? - Ammazzare un guardacoste?... - Il vicario si diede una granatina in testa. - Spero, - uscì a dire inopinatamente Miss Amy, - che lei si difenderebbe -. E lanciò a Miss Susan un'occhiata di superiorità. - Io lo farei - dichiarò chiaro e netto. La cugina, col fiato corto dall'emozione, le troncò la parola: - Froderesti il fisco? Miss Amy esitò solo un attimo; poi, con uno strano scoppio d'ilarità, che fu però lesta a coprire voltandosi di scatto: - Sì! - affermò sorprendentemente. Al che il loro ospite, scherzoso e divertito, la afferrò per un braccio. Allora posso contar su di lei perché venga in mio aiuto allo scoccar della mezzanotte...? - In suo aiuto...? - A portare a terra l'ultimo volume della Tauchnitz. Come se di colpo le si fosse accesa la fantasia, Amy accolse la proposta, mentre la cugina li osservava con l'aria di chiedersi se non stessero improvvisando un gioco di sciarade. - Una missione pericolosa? - Sotto la scogliera. Quando vedrà approdare il bragozzo! - Armata fino ai denti? - Sì, ma in modo che non dia nell'occhio. Un vecchio impermeabile... - Il mio è nuovo. Prenderò quello di Susan! Henry James
553
1970 - Racconti Di Fantasmi
Questa però aveva le sue brave riserve da fare: - Ma non può darsi che uno di loro, una volta o l'altra, si sia pentito? - Pentito di aver mancato dei colpi? - cercò di precisare Mr Patten. - Pentito di aver fatto del male, perché, dopo tutto, era male. - Uno di loro? - Evidentemente si era spinta troppo in là, poiché d'un tratto il vicario pareva aver colto un'allusione nella domanda. Ma il pericolo fu immediatamente fronteggiato dalle due donne unanimi e Miss Susan in particolare diede prova di rara presenza di spirito. - Due! - fece, sorridendo dolcemente. - Non potremmo Amy e io... - Espiare in vece loro? - completò Mr Patten. - Questo dipende, per l'onore della nostra città, da come mostreranno il loro pentimento. - Ma noi non dimostreremo proprio niente! - esclamò Miss Amy. - Ah, allora, - rispose Mr Patten, - sebbene di solito l'espiazione, per aver valore, sia da farsi in pubblico, in segreto loro possono fare tutte le penitenze che vogliono! - Ebbene, io le farò, - dichiarò Miss Susan. Di nuovo l'attenzione del vicario parve colpita da qualcosa nel suo tono di voce. - Lei dunque avrebbe in mente una forma particolare di... - Di espiazione? - Susan arrossi ora, e guardò la cugina come ad implorare aiuto suo malgrado: - Oh, quando si è sinceri una forma la si trova sempre! Amy venne in suo soccorso. - Il modo in cui sovente mi tratta, pur senza nessuna cattiva intenzione, la rende incline al rimorso. Comunque sia, continuò la pili giovane delle Frush, - non potremmo, adesso, riavere le nostre lettere? - Il vicario se ne andò assicurando che l'indomani avrebbero ricevuto il pacco. Erano in verità così unanimi nel celare il loro mistero, che fra loro non ci fu alcun bisogno di accordi espliciti o di scambi di promesse. Da quel momento si dedicarono alla solidale custodia del loro segreto, amministrandolo - si potrebbe anzi dire fruendone - con quell'istinto e in genere con quell'abitudine alla parsimonia che faceva parte della loro natura. Ognuna di loro, per innata inclinazione, per abitudine e per necessità, era solita tenere o per meglio dire arraffare qualsiasi cosa che, come amavano esprimersi, capitasse a tiro; non era questa la prima volta che tale tendenza aveva suscitato in loro un istinto di possesso verso cose magari ridicole, sospette o comunque criticabili. Era loro elementare filosofia che non si sa mai a cosa non possa servire una qualunque Henry James
554
1970 - Racconti Di Fantasmi
carabattola; e c'erano giorni, adesso, in cui avevano l'impressione di aver concluso con gli esecutori testamentari della zia un affare migliore di quanto lasciassero supporre quei papiri, sulle prime timorosamente da loro considerati come attestazioni di vantaggi, in casi particolari, sottratti loro abusivamente. Insomma, avevano ottenuto più di quanto si potesse comunemente - o addirittura malignamente - supporre: un plusvalore incalcolabile, al punto che sarebbe stato più giusto definirlo un incubo anziché un motivo di soddisfazione. Da vecchie zitelle quali erano, si sentivano unite nella sospettosa, gelosa convinzione che un incubo di loro esclusiva proprietà (e che tuttavia, per fortuna, non sottraeva loro nulla d'essenziale) potesse, se conosciuto più da vicino, mutarsi in autentica soddisfazione. In questo tipo di approccio alla vicenda esse si trovarono ad ogni modo imbarcate dopo il loro ultimo incontro con Mr Patten: in una tacita intesa ad astenersi da verbose discussioni, da irriverenti allusioni o profani ripensamenti, un'intesa che tuttavia riposava su un'impressione di possibilità accresciute, di storia fatta propria, di libertà prese col tempo e con lo spazio, che le avrebbe lasciate preparate tanto al peggio quanto al meglio. Il meglio poteva essere che, nascosto fra quelle mura, risultasse esservi qualcosa che in definitiva tornasse a loro vantaggio; il peggio, che finissero con l'esser preda di eccessiva esaltazione. Si sorpresero, in base alle informazioni fornite da Mr Patten, di sentirsi riconciliate col genere di personaggio del loro visitatore; dalla tradizione e dalla lettura dei romanzi avevano imparato che in quell'epoca favolosa anche i briganti erano spesso prodi gentiluomini, sicché un contrabbandiere poteva benissimo appartenere all'aristocrazia del delitto. Quando il pacco di documenti tornò dal vicariato, Miss Amy, alla quale la cugina continuava a lasciarli in custodia, li riprese in mano: ma col rinnovato effetto di provarne scoraggiamento, indifferenza, un'impressione d'inchiostro sbiadito che, insieme a quella balorda ortografia, a quei caratteri contorti, alle allusioni incomprensibili, ai periodi difficilmente collegabili, le faceva venire l'emicrania. Rimise religiosamente insieme le carte sgualcite, e le avvolse con amore in un pezzo di vecchia seta rabescata; poi, solennemente, come se si fosse trattato di documenti d'archivio, o statuti, o titoli di proprietà, le ripose in uno dei tanti stipetti dissimulati nel rivestimento in legno delle pareti. In effetti, ciò che soprattutto sosteneva le nostre eroine era la consapevolezza di avere, in fin Henry James
555
1970 - Racconti Di Fantasmi
dei conti - e contrariamente alle apparenze - un uomo in casa. Questo le escludeva dalla categoria delle senza marito alla quale nessuna donna si rassegna ad appartenere davvero finché non le sia preclusa ogni possibilità. E il loro visitatore costituiva una possibilità, quanto meno per la fantasia: dimodoché, sotto quello stimolo, esse finivano col raggiungere stati d'intensa eccitazione, nei quali si sentivano così compromesse dalle sue apparizioni da provar sollievo al solo pensiero che nessuno ne sapeva nulla. Dapprima, in realtà, la vera complicazione fu che, per varie settimane dopo i discorsi con Mr Patten, le apparizioni cessarono del tutto, la qual cosa diede loro, in certa misura, l'impressione di aver mancato di delicatezza, di tatto. Non avevano mai accennato a lui, certo; ma c'era mancato poco, e senza dubbio, comunque, avevano troppo incautamente aperto uno spiraglio di luce su vecchie cose sepolte e occultate, su antichi crucci e vergogne. A volte erano loro stesse che vagavano per la casa, sole e agitate, quando l'una supponeva che l'altra fosse fuori o impegnata; esitavano e indugiavano, simili a fantasmi silenziosi, negli angoli, nei corridoi, sulle soglie; e talvolta in queste imprese s'incontravano all'improvviso, con un sussulto represso e una muta confessione. Di lui non parlavano praticamente mai; ma ciascuna sapeva come la pensava l'altra, tanto più che (non c'era da sbagliarsi!) la pensava diversamente da lei. Mentre passavano intere settimane senza ch'egli si mostrasse di nuovo, esse erano nondimeno unite nella colpevole sensazione di aver soffiato insieme, con effetto sacrilego, su un mucchio argenteo di antiche ceneri. Vedevano ben chiaro che, possedute com'erano da un'idea tanto strana, per non dire tanto ridicola, non sarebbero state capaci di rimettersi a far qualcosa finché il loro segreto non fosse stato suffragato da nuove prove. Che l'oggetto di esso provocasse in loro timore o diletto, benessere o disagio, restava il fatto ch'egli aveva tolto loro il gusto d'ogni altra cosa. Era lui ad aver trasformato loro in spiriti vaganti! E finalmente un giorno, senza che nulla fosse accaduto a cui esse potessero in seguito attribuire valore determinante, il cambiamento venne; venne simile al tonfo che già una volta aveva turbato la loro quiete, e pallida testimone ne fu ancora Miss Susan. Aspettò a parlarne dopo colazione, o meglio Miss Amy aspettò fin allora a sentirla, poiché durante il pasto mantenne quell'espressione di controllato turbamento che la sua compagna conosceva già e che, stando alle regole Henry James
556
1970 - Racconti Di Fantasmi
del gioco, doveva preludere a qualche rivelazione. Al disopra del loro tè coi toast, la più giovane delle due sorvegliava letteralmente la più anziana, quasi scorgesse in lei per la prima volta un che di ambiguo, quasi la sospettasse della vaga intenzione di tenere per sé quanto era accaduto. Era accaduto questo: che nella notte era riapparsa l'immagine dell'impiccato; ma Miss Amy ne fu messa al corrente soltanto dopo che si furono ritirate nella stanza di soggiorno. - Ero seduta sulla seggiolina bassa accanto al letto, e stavo, -Miss Amy doveva sapere tutto! - stavo togliendomi la scarpa destra. Prima non avevo notato nulla e avevo già cominciato a svestirmi, mi ero messa in vestaglia. Allora, così d'un tratto, alzai per caso lo sguardo, ed eccolo là. E là, completò Susan Frush, - è rimasto. - Ma là, dove? - Nella poltrona alta, la vecchia bergère ricoperta di chintz a fiori, accanto al caminetto. - Tutta la notte? E tu eri in vestaglia? - Poi, come se quell'immagine fosse quasi una sfida alla sua credulità: - Perché non sei andata a letto? domandò Miss Amy. - Con un... una persona nella stanza? - replicò stupefatta sua cugina, e dopo un attimo soggiunse in tono dignitoso: - Non ho voluto rompere l'incantesimo! - E non sei morta di freddo? - Poco c'è mancato. Per non dire che non ho dormito un solo istante, te lo assicuro. Chiudevo gli occhi a lunghi intervalli, ma ogni volta che li riaprivo lui era ancora là; e io non ho perso coscienza nemmeno un momento. Miss Amy emise un gemito di sincera commiserazione. - così adesso ti senti mezza morta, si capisce! La sua compagna volse allo specchio sopra il caminetto due occhi vitrei, spenti: - Ho una faccia impossibile, non c'è che dire. - Davvero, - confermò dopo un attimo Miss Amy, quasi tornando in sé. Anche il suo sguardo vagò in direzione dello specchio e vi indugiò mentre si lasciava assorbire dai suoi pensieri. - Oh via, - rifletté a voce alta e un po' aspra, - se dobbiamo proprio essere ridotte a questo!... - Si sarebbe detto, insomma, che né l'una né l'altra avessero motivo di opporre resistenza. Ma perché, si chiese più tardi Amy in segreto, perché lo spirito inquieto Henry James
557
1970 - Racconti Di Fantasmi
di un avventuriero scomparso doveva rivolgersi nel suo tormento a una creatura bizzarra, stramba, inetta come la sua convivente? Era a lei, si ostinava a pensare con amarezza Miss Amy, che un'anima travagliata dell'antico ceppo doveva mostrare fiducia. A rafforzarla in tale ordine di idee, contribuiva sempre più l'impressione che Susan, grazie alla preferenza dimostratale, ostentasse uno sciocco e vano compiacimento. Lei aveva ben chiara l'idea di quello che, in quel fatale frangente - per usare il suo modo d'esprimersi -«andasse fatto»; e perciò da quel momento Amy, per ripicco, cominciò a non degnarsi nemmeno di discuterne con la cugina. Vero è che la povera Susan Frush dava segno di una nuova, oscura reticenza; e dato che non voleva essere lei a parlare per prima, si pascesse pure di silenzi! Quel silenzio, però, Miss Amy lo popolava di immaginose congetture sul rapporto segreto intrattenuto dalla cugina. Miss Susan, era vero, non dava a divedere nulla più del consueto in nessuna occasione; ma ciò appunto alimentava quella stessa intima felicità che aveva iniziato a renderla più dura, ad esaltarla. Così trascorsero giorni e notti senza la minima consolazione per Amy Frush. Se non le erano riservate emozioni era perché, come sospettava, le emozioni erano tutte per Susan; e (sarebbe stato aberrante se non fosse stato patetico) Amy passò presto ad abbracciare l'idea che Susan fosse egoista e perfino un po' ipocrita. Le forme fra loro erano tuttora osservate, ma la confidenza se n'era andata e vi si erano sostituite esteriori formalità, manifeste cautele. Miss Susan aveva un'aria vaga e rassegnata, il che disgraziatamente valeva ad accentuare la sua aria di superiorità e il sospetto della sua doppiezza. Si comportava come se non capisse il tormento dell'amica, ma un occhio prevenuto avrebbe potuto scambiare la sua condotta per un atteggiamento di sorpresa di fronte a chi sfidava il suo monopolio. L'inattesa resistenza nervosa di cui dava prova era davvero un miracolo: era dunque quello il risultato, persino in una malferma zitellona, di un reiterato succedersi di emozioni? Miss Amy meditò sull'inoppugnabile illazione che, se il primo sgomento non l'aveva prostrata e gli altri non l'avevano indebolita, poteva anche darsi che venissero sopportati... be', diciamo, come una conoscenza sottaciuta, come uno scambio riservato di corrispondenza. Fu colpita dal paragone che le era venuto spontaneo: ma che cos'era anche questo, allora, se non un intrigo come un altro? E pensa un po': Susan che porta avanti un intrigo! Quel resoconto delle lunghe ore notturne passate dalla coppia nelle due poltrone, sempre presente com'era al suo spirito, le dava il senso di Henry James
558
1970 - Racconti Di Fantasmi
una straordinaria dimensione. E la situazione che vi era implicita era soltanto grottesca - o non era addirittura sinistramente grandiosa? Era una cosa e l'altra, se ne rese conto: ma tali erano tutte le loro situazioni. Toccava dunque a lei scoprire il fronte? Si poneva domande senza tregua, fino ad esserne stanca. Le sarebbe bastato disporre di pochi momenti propizi per venirne a capo. E sarebbero venuti, per fortuna.
IV. Fu d'aprile, una domenica mattina, in una giornata traboccante del mutamento di stagione. Prima di recarsi in chiesa Amy era scesa in giardino. Tra una confidenza e l'altra, un battibecco e l'altro, tutt'e due curavano amorosamente, lavoricchiando con uno straordinario apparato di vecchi guanti, di sarchielli e zappette e cartellini botanici infissi su bastoncini, quella parte della loro proprietà su cui potevano ancora pensarla senza timore in modo diverso, ed essere d'accordo senza bisogno di diplomazia: e che adesso, con la sua promessa di primavera, riversava sui loro incerti rapporti bellezze e splendori, luci e spazi, e un gran senso di naturale benessere. Amy era vestita a festa; ma quando Susan, che da una finestra l'aveva vista girellare, chinarsi, esaminare, toccare qua e là, apparve sulla soglia lasciando intendere d'essere pronta, ella si senti di colpo frenata nel suo proposito. - Grazie, - le disse avvicinandosi. - Mi sono vestita, ma dopo tutto credo che non verrò. Avviati pure senza di me, ti prego. Miss Susan la scrutò in viso. -^Non stai bene? - Non del tutto. Ma passerà. E una così bella mattinata... qui fuori! - Ma sei malata veramente? - Appena un po' indisposta; però non c'è bisogno che tu resti con me, grazie. - Allora è una cosa del momento? - No, già vestendomi non mi sentivo bene del tutto. Ma non è nulla. - E vuoi rimanere qui fuori lo stesso? Miss Amy si guardò intorno. Dipenderà. Segui un silenzio che sarebbe bastato a Miss Susan per chiederle da che cosa sarebbe dipeso; invece rimase a guardarla, poi di scatto, accontentandosi di gettarsi dietro le spalle un «Almeno abbiti riguardo!» e tutta frusciante nella sua austerissima tenuta domenicale, se ne andò per i Henry James
559
1970 - Racconti Di Fantasmi
fatti suoi. Miss Amy, rimasta sola come evidentemente desiderava, indugiò un poco nel giardino, dove la sensazione delle cose era resa ancor più dolce dai teneri, inascoltati rintocchi del campanile, e dieci minuti dopo rientrò in casa. Qui la sensazione non era più di dolcezza; era ormai chiaro che, siccome l'una pensava dell'altra ciò che non poteva dire, ogni loro rapporto risultava rigido e falso. Il vero male stava in quel che pensava Susan, e lei, Amy, si sentiva troppo orgogliosa e inasprita per dissipare l'equivoco. Si diresse incerta verso la sala di soggiorno. Dopo il servizio religioso si sedettero, come di consueto, l'una di fronte all'altra per il pranzo domenicale anticipato, ma non ebbero molto da dirsi. Miss Amy adesso si sentiva meglio, la predica l'aveva fatta il curato, non era mancato nessuno, tutti avevano chiesto come mai Amy era rimasta a casa. Amy soddisfece la generale curiosità col sentirsi abbastanza forte per andare in chiesa il pomeriggio; ma stavolta, per motivi ancor meno evidenti di quelli che avevano trattenuto al mattino la sua compagna, rimase a casa Miss Susan. L'amica rientrò tardi, avendo fatto qualche visita dopo le funzioni, e la trovò, all'imbrunire, seduta in salotto, tranquilla e vestita di tutto punto, ma senza che tenesse in mano nulla di simile a un libro di preghiere - letteratura di cui la casa conteneva interi scaffali. Aveva tanto l'aria di chi ha appena salutato un ospite, che Amy le domandò: - E venuto qualcuno? - Ma no, cara: sono stata qui sola soletta. Ancora una volta la risposta aveva un tono vago, tale da destare in Miss Amy una certezza - certezza che, quando anche lei si fu seduta ancora tutta vestita com'era, diede luogo a sua volta, dopo un silenzio prolungato, a un'altra determinazione. Il crepuscolo d'aprile si stava addensando e le due cugine erano ancora lì sedute, senza far altri discorsi. Finalmente, in un tono che non le era del tutto consueto, Miss Amy uscì a dire: - È venuto stamane, mentre tu eri in chiesa. Immagino che sia stata questa la ragione anche se non potrei dirlo di preciso - che mi ha spinto a rimanere a casa -. Aveva dato sfogo ai suoi pensieri, ora, quasi volesse rendersi gradita con le spiegazioni. Ma fu curioso il modo in cui Miss Susan le ribatté: - E tu rimani a casa per lui? Ah, io no! - E per poco non rise di un'idea tanto insulsa. Miss Amy, naturalmente, si senti punta sul vivo e un istante dopo parti al contrattacco. - Allora, perché oggi pomeriggio ci sei rimasta? - Oh, non è stato per quello! - replicò Susan con un leggero tremito Henry James
560
1970 - Racconti Di Fantasmi
nella voce. E precisò: - Io non mi sentivo bene davvero. A questo punto sua cugina divenne esplicita. - Ma lui, è venuto? - Mia cara figliola, - e Susan si gettò a capofitto, in modo inaspettato perfino a se stessa, - da me lui viene così spesso che se dovessi scompaginarmi ogni volta...! - Ma si frenò, come se, alla luce incerta del crepuscolo, avesse scorto qualcosa sul volto della cugina. Amy tuttavia parlò con studiata compostezza. - Hai dunque smesso di agitarti? Se ben ricordi, un tempo mi desti prova della tua agitazione! - E a sua volta tentò una risata. - Ah sì, in un primo momento. Ma da allora l'ho veduto tante volte... Come, tu no? - chiese Susan. Poi, siccome l'amica continuava a guardarla: - Per te è stata davvero la prima volta dacché... ne abbiamo parlato? Amy tacque per un minuto. - Sul serio hai creduto che io... - Che tu stessi godendo per tuo conto quel che mi godo io? Come potevo minimamente dubitarne, - gridò Miss Susan, - con tutte le strane arie di gran donna, lasciamelo dire, che ti davi? Amy esitò. - Vorrei sperare di essermi data le arie di persona ammodo, almeno qualche volta! Ma per fortuna la stoccata non andò a segno, tanto lietamente sorpresa fu Miss Susan dalla rivelazione. - Non hai fatto che aspettare quello che non è mai successo? Nella semioscurità Miss Amy avvampò. - E successo oggi, ti dico. - Meglio tardi che mai! - E Miss Susan si alzò. Amy Frush rimase a sedere guardando nel vuoto. - È stato perché credevi di avere motivo d'essere gelosa che ti sei comportata in maniera così strana? La povera Susan quasi sobbalzò. - Gelosa? Era un tono di voce - mai udito finora da parte di Susan - che fece scattare in piedi Amy Frush; cosicché, nella stanza semibuia dove, in onore della primavera, non era stato acceso il fuoco e si era concentrata la frescura serale, per un momento esse si fronteggiarono, nemiche. Un momento che, per fortuna, fu abbastanza lungo da consentire a una delle due di giudicarlo orribile. - Ma perché dobbiamo metterci a litigare, adesso? - proruppe Amy con altra voce. Susan non fu abbastanza pronta a riprendersi per una replica adeguata. Davvero, è ben penoso. - Ora che siamo pari, - continuò Amy. Henry James
561
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Già, direi proprio che lo siamo -. Dopo, però, quasi ad attenuare la sua ammissione, per un'ultima volta Susan si scostò dalla longanimità. - Sai, si dice che quando le donne bisticciano, in genere è a causa di un uomo. Amy fu pronta a riconoscerlo, ma anch'essa avanzò una riserva: Benissimo! Allora, che ce ne sia uno, almeno! - E tu lui non lo chiami... - No! - dichiarò Amy allontanandosi, mentre la sua compagna le palesava un certo imbarazzo circa la risposta che si sarebbe potuta aspettare nell'occasione. Fu stabilita così la loro parità di privilegi, ma non è sicuro che l'aria con cui Amy lasciò intendere che era meglio abbandonare l'argomento non avesse fatto momentaneamente oscillare dalla sua parte il piatto della bilancia. Amy era sicura di saperla lunga in fatto di uomini. Ed effettivamente per un certo tempo il tema non fu più toccato. D'ora innanzi - questo fu l'accordo - nessuna delle due doveva aspettarsi dall'altra confessioni né resoconti. Dei vari avvenimenti, adesso, si sarebbe parlato come di fatti senza rilievo: linea di condotta di facile attuazione, dal momento che il sospetto di gelosia era stato così radicalmente accantonato da entrambe. Un paio di mesi trascorsero sulla pacifica base di accettare di buon grado ogni cosa; ma alla fine, malgrado gli sforzi di entrambe, non erano riuscite a scovare un argomento degno di sostituire il problema di Cuthbert Frush, e ciò anche se i loro rapporti rispettavano la norma che deve presiedere alla convivenza di due signore. La primavera, fattasi ora più dolce, più intensa, protendeva le tenere braccia ad elargire le sue grazie ritrose: le zolle si aprivano, l'atmosfera si arricchiva di effluvi simili a tocchi e a voci del passato. Le nostre eroine chinavano le schiene in giardino e i nasi su quei promettenti indizi, spalancavano le finestre all'aria mite inseguendola per viottoli e siepi: e tuttavia la pianticella delle loro conversazioni si rifiutava inesorabilmente al rinnovamento generale. Non che quella dolcezza non albergasse anche in loro come ovunque al di fuori; qualsiasi asperità, quanto meno, s'era disciolta; erano più soddisfatte che mai della nuova dimora che, col finire dell'inverno, sembrava svelare ancor più numerosi gli antichi segreti, sembrava risuonare, anche se sommessamente, dei suoi remoti echi e gemere di tanto in tanto nel soffocare palpiti di passati dolori. Il più intimo fascino della primavera di Marr consisteva nel suo essere, in tal modo, un'attestazione di vetustà e di pace. Henry James
562
1970 - Racconti Di Fantasmi
La casa sembrava non aver mai tanto vissuto ed essersi così a lungo rilassata nel tempo come da quando la natura gentile, simile a una fanciulla che invochi benedizioni sul capo di una vecchia, aveva posato le rosee sue mani su quelle chiome inargentate. La nuova stagione era come una luce tenuta alta per mostrare tutta la dignità degli anni, ma insieme anche tutte le rughe, le cicatrici. Sta di fatto che le buone signore di cui discorriamo subirono, in quei giorni felici, un cambiamento: alla fine risultò che non solo la nota invidiosa era caduta, ma che si era addirittura trasformata in musica. L'atmosfera di cui la stagione era impregnata induceva così fortemente a sensi affettuosi, che in certi momenti esse apparivano afflitte l'una per l'altra. Dopo tutto, buone ragioni ne avevano: ciascuna delle due ne trovava nel proprio intimo; ma d'altra parte sembrava che ciascuna, prima di parlare, volesse esser certa di non ferire la compagna. Finalmente, per buona sorte, la corda tesa si spezzò. Il vecchio cimitero di Marr ha conservato la sua antica liberalità. Da tempo immemorabile rende l'estremo omaggio agli abitanti scrivendone nomi e date e ricordi e panegirici, confondendo in prospettiva generazioni e generazioni, alta mensa vuota su cui s'affaccia, al di sopra del basso muro di cinta, come un'imponente vecchia storpia, la chiesa. È una comoda via di passaggio, e il forestiero vi si sorprende a sostare con un senso di rispetto e di compassione per quelle grandi spalle di pietra - che tali gli sembrano - mutile e verdeggianti di edera. Miss Susan e Miss Amy erano ancora sufficientemente estranee al luogo per chinarsi, un mattino di maggio, sulla lastra riscaldata dal sole di un'antica tomba e restare a guardarsi intorno con un'impressione di pace mista ad ansietà. Le loro passeggiate erano ormai senza scopo: pareva che, per un'inconfessata mancanza d'interesse, immancabilmente si fermassero e tornassero indietro, prima di arrivare alla meta. Una meta che, ogni volta che si avviavano, era per entrambe sempre la stessa; ma troppo sovente eran tornate sui loro passi senza esservisi avvicinate. Quel mattino, stranamente, mentre ritornavano ed erano ormai quasi in vista della soglia di casa, vi erano più vicine che mai e sembrava che stessero per raggiungerla, quando Susan usci a dire astrattamente, senza apparente riferimento: - Spero, carissima, che tu non te n'abbia a male se ti dico che provo una gran pena per te. - Oh, lo so, - rispose Amy, - l'ho sentito. Ma per noi, a che giova? chiese. Henry James
563
1970 - Racconti Di Fantasmi
Con pietoso stupore Susan si rese conto allora di quanto poco avesse avuto da temere il risentimento di Amy per quella sua offerta di comprensione e protezione, e capì come profondo e analogo al suo fosse il sentimento che aveva spinto l'amica alla sconfortata domanda: - Provi pena per me! Sulle prime Amy si limitò a guardarla con occhi stanchi, protendendo una mano che restò qualche istante sul braccio della compagna. - Cara! Avresti potuto dirmelo prima, - continuò, man mano che le si chiarivano le idee; - ma, dopo tutto, non l'abbiamo sempre saputo, tu e io? - Ebbene, - disse Susan, - abbiamo aspettato. Non potevamo fare altro. - E allora, se abbiamo aspettato insieme, - replicò l'amica, -questo sì, ci ha aiutato. - Sì, a tenerlo al suo posto. Chi ci crederebbe? - si domandò stancamente Miss Susan. - Se non fosse che né tu né io... - Dubitiamo l'una dell'altra? - Amy completò l'interrogativo. -Sì, non ci crederebbe anima viva. La nostra fortuna è che non abbiamo dubbi, né tu né io. - Se ne avessimo, non ci angustieremmo. - No, salvo che per noi stesse, egoisticamente. Io, te l'assicuro, per me mi affliggo; questa faccenda mi ha invecchiata. Ma comunque, grazie al cielo, abbiamo fiducia una nell'altra. - Sì, - confermò Miss Susan. - Sì, - ripetè Miss Amy: e su quell'affermazione indugiarono alquanto. Ma, a parte il fatto di farci sentire invecchiate, che altro ci ha dato? - Questo è il punto! - E per quanto noi lo si sia tenuto al suo posto, anche lui ci ha tenuto al nostro, - continuò Miss Amy. - Ci abbiamo convissuto, - concluse con amaro senso di giustizia. - E dire che, all'inizio, ci domadavamo se ci saremmo riuscite! - soggiunse ironica. - Non è appunto questo che proviamo adesso? L'impressione di non poterne più? - No, non se ne può più: deve finire. E io, - dichiarò Susan Frush, - ho il mio piano. - Oh, ti garantisco che ce l'ho anch'io! - replicò sua cugina. - Allora, se vuoi attuarlo, non ti dar pensiero per me. - Perché tu certo non te ne darai per me? No, credo di no. Bene! - Amy trasse un respiro come se ciò fosse bastato a darle finalmente sollievo. La sua compagna le fece eco. Rimanevano fianco a fianco: e quello che Henry James
564
1970 - Racconti Di Fantasmi
poteva sembrare simile in apparenza (ossia quanto ciascuna aveva asserito e quanto ancora teneva per sé) non poteva in realtà essere più diverso. L'osservatore che avesse voluto studiare da vicino il loro caso, questo almeno avrebbe accertato in loro favore: che ciascuna delle due, sotto il triste peso della propria esperienza, accettava dell'altra lo straordinario diciamo meglio, l'ineffabile - come un dato di fatto. Non lo nominarono più, e del resto non era facile dargli un nome: tutta la vicenda divenne una questione di scelte, di segretezze individuali; il mettere a raffronto le rispettive osservazioni era diventato impossibile. Una cosa era certa: avevano vissuto ben addentro la loro strana storia come attraverso un'eclissi del consueto attentamente osservata e studiata, come un periodo di reclusione, una crisi finanziaria, sociale o morale; e adesso desideravano solo venirne fuori. Quell'osservatore avrebbe anche potuto pensare che ciascuna per proprio conto avesse sperato di trarre da «lui» qualcosa che alla fine aveva intuito non le sarebbe mai toccato, qualcosa che anzi avrebbe costituito l'ultima essenza del suo segreto, la spiegazione d'ogni suo riserbo. Quanto meno, stando le cose come stavano, esse non si mettevano reciprocamente alla prova, e se in effetti erano deluse e avvilite, si trovavano, passata la lunga bufera, saldamente d'accordo su quel punto. Era chiaro fra loro che si sentivano molto invecchiate. Quando si alzarono dalla pietra tombale riscaldata dal sole, ciascuna ricordando all'altra che era ora di pranzo, fu con disinvoltura indubbiamente maggiore che la mano di Miss Susan s'infilò, durante il tragitto fino a casa, nel braccio di Miss Amy. In tal modo il «piano» di ciascuna era progredito senza dar luogo a discorsi né a malintesi. Si sarebbe detto che ciascuna sperasse di veder l'altra passare all'azione per prima, dal che era facile dedurre che entrambi i progetti presentavano difficoltà e comportavano addirittura delle spese. I grandi interrogativi rimanevano. Ma, insomma, che intenzioni aveva, che pretendeva colui? Assoluzione, pace, riposo, remissione della pena? L'avanzare tali ipotesi non consentiva loro alcun progresso sulla strada che già avevano percorsa. Cosa dovevano fare per lui, dopo tutto? Che cosa offrirgli che potesse accettare? I propositi rispettivamente nutriti dalle due donne ancora non davano frutti, e al termine di un altro mese Miss Susan si sentiva sinceramente preoccupata per Miss Amy. Con pari sincerità Miss Amy ammetteva che la gente doveva per forza aver cominciato a notare i loro strani atteggiamenti e a ricercarne i motivi. Erano cambiate: dovevano Henry James
565
1970 - Racconti Di Fantasmi
tornare quelle di prima.
V. Fu però solo una mattina di mezza estate che, incontrandosi per colazione, la più anziana delle due mosse decisa all'attacco delle ultime posizioni dell'amica. - Povera, povera Susan! - si era detta Miss Amy vedendo entrar la cugina nella stanza; e un istante dopo, per pura compassione, lanciò il suo appello: - Allora, il tuo qual è? - Il mio piano? - Era chiaro, a questo punto, che Susan provava un vago conforto al sentirsi fare quella domanda. Tuttavia replicò desolata: - Oh, non serve a nulla! - Ma come fai a saperlo? - Be', ho tentato... una decina di giorni fa, e lì per lì ho creduto che funzionasse. Ma non ha servito. - È tornato? Stanca, svuotata, Miss Susan cedette. - È tornato. Dopo averle lanciato uno dei lunghi, strani sguardi che erano divenuti ormai la loro consueta forma di dialogo, Miss Amy rimuginò quella risposta. - Ed è sempre lo stesso? - Peggio. - Dio mio! - esclamò Miss Amy, sapendo evidentemente cosa ciò significasse. - E allora, cos'hai fatto? Susan fu esplicita. - Ho fatto il mio sacrificio. Miss Amy, anche se più che mai incuriosita, esitò: - Ma che cosa hai sacrificato? - Be', tutto quel che avevo... o quasi. Il «quasi» parve disorientare Miss Amy, tanto più che non aveva alcuna idea della sostanza così descritta. - Tutto quel che avevi? - Venti sterline. - Soldi? - trasecolò Miss Amy. Il suo tono destò in Miss Susan uno stupore non meno grande. - Ma tu, cosa pensi di offrire? - Io? Io non ho nessuna intenzione di offrirei - gridò Amy Frush. L'aristocratico orgoglio di quella replica fu come una doccia fredda sulla povera, smarrita Susan. - Ma che idea hai, dunque? Miss Amy era troppo sconcertata per muovere rimproveri. - Vuoi dire che accetta denaro? Henry James
566
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Lo accetta il Cancelliere dello Scacchiere... come debito di coscienza'. Il gesto dell'amica rifulse di luce più intensa. - Debito di coscienza? L'hai pagato al governo? - Poi, vedendo che il suo sbalordimento aveva come conseguenza di far apparire Susan addirittura scema, Amy si raddolcì: - Ah, birba d'una fintona che non sei altro! Susan non tardò a riprendersi un poco. - Se un tuo antenato ha frodato il fisco e il suo spirito vaga in preda al rimorso... - Tu paghi per liberartene? Capisco, equivale a quella che il vicario aveva chiamato espiazione per delega. Ma se il rimorso non esiste? chiese malignamente Miss Amy. - Ma qui esiste, o almeno così mi è parso. - A me, mai, - dichiarò Miss Amy. Di nuovo si scambiarono occhiate indagatrici. - Allora si vede che con te è diverso. Miss Amy volse altrove lo sguardo. - Direi! - Insomma, si può sapere qual è il tuo piano? Miss Amy pensò un poco. - Te lo dirò solo se avrà funzionato. - Per amor del cielo, prova dunque! Miss Amy, con lo sguardo ancora assorto, ma ormai ben padrona di sé, continuava a riflettere. - Per fare la prova sarò costretta a lasciarti. Per questo ho tanto aspettato -. Poi, guardando negli occhi l'amica: - Ti senti di restare sola tre giorni? - Oh... «sola»! Vorrei tanto poter essere sola! Al che Amy, come se veramente provasse pietà, le diede un bacio: poiché ormai appariva chiaro (ed era ora!) che, delle due, la più bistrattata era la povera Susan. - Proverò! Ma devo andare a Londra. Non farmi domande. Tutto quello che posso dirti per ora è che... - Ebbene? - invocò Susan, mentre Amy la fissava con solennità. - Lui soffre di rimorsi altrettanto poco quanto io faccio il contrabbando. - Ma cos'è allora? - È una bravata. Un «oh!» più scandalizzato e spaventato di quanti fossero mai usciti dalla sua bocca durante tutta quella faccenda espresse il contraccolpo causato alla povera Susan da quell'asserzione che evidentemente rappresentava ai suoi occhi un'illazione alquanto losca. Amy, senza dubbio, sapeva certe cose per conto suo; e fu su tale scorta ch'essa si accinse senza indugio ai preparativi per quella prima separazione che Henry James
567
1970 - Racconti Di Fantasmi
dovevano affrontare. Conseguenza della quale fu che, due giorni dopo, Miss Susan, curva e inquieta, di ritorno dall'aver lasciato la cugina, risalì a passo lento, sola soletta, l'erta costa che dalla stazione di Marr conduce alla cadente porta cittadina, e passò con cuore afflitto sotto l'antica fortificazione che col suo arco sovrasta la strada. Ma la conclusione definitiva la si ebbe soltanto un mese dopo, in una calda sera d'agosto. Le due amiche sedevano insieme sotto le stelle offuscate, nel piccolo giardino cintato da un muretto. Benché avessero ormai ritrovato - come solo le donne sanno trovare - il segreto di una facile conversazione generica, da mezz'ora non avevano più scambiato parola: Susan si era limitata ad aspettare che l'amica si svegliasse. Negli ultimi tempi Miss Amy indulgeva al piacere di interminabili sonnellini, come se avesse dei vuòti, degli arretrati da recuperare; la si sarebbe detta una convalescente che si rifaceva le ossa lasciando passare le ore una dopo l'altra. Nella calda oscurità Susan Frush la contemplava; il problema ancora insoluto fra loro era, fortunatamente, ormai così semplice da consentirle di trovare l'amica graziosa nel sonno, e di temere di apparire lei stessa, se presa alla sprovvista, meno seducente dell'altra. Si sentiva impaziente, perché la sua ora era finalmente giunta, ma rimaneva in attesa, e nell'attesa rifletteva. Non era certo la prima volta, ma quella sera il mistero del racconto fattole si era infittito - così le pareva - per via dei frequenti silenzi della compagna. Che cos'era stato lo sforzo compiuto tre settimane prima, tanto intenso da provocarle un simile stato di stanchezza? Certo, i segni si erano già manifestati nella poveretta la mattina in cui aveva avuto termine l'assenza prevista: un'assenza per la quale non tre, ma dieci giorni, trascorsi senza una parola né un cenno, si erano rivelati appena sufficienti. Amy era capitata a casa a ora inconsueta, sporca, scapigliata, misteriosa, senza dir nulla lì per lì, se non che aveva fatto un lungo viaggio di notte. Miss Susan si faceva un merito di essere stata al gioco e di averne rispettate - pur tormentandosi - le regole. Aveva la certezza che l'amica era andata all'estero, e ripensando ai propri vagabondaggi di un tempo e alle paure ormai superate, si domandava sgomenta con quale spirito una persona - che, qualsiasi fossero le sue precedenti esperienze, non aveva però mai fatto viaggi - potesse compiere una tale scappata. Era finalmente venuto il momento, per quella persona, di dichiarare a quale rimedio aveva ricorso. Lo esigeva il fatto - e Susan Frush, assorta nelle sue meditazioni, se ne andava sempre più rendendo Henry James
568
1970 - Racconti Di Fantasmi
conto - che, a questo punto, era proprio di un rimedio che si doveva parlare, un rimedio che, diversamente dal suo, era stato efficace; ed Amy, apparentemente, aveva solo aspettato che lei lo ammettesse. Ebbene, ella era pronta ad ammetterlo quando Amy si svegliò - e nello stesso istante lo sguardo di Amy incontrò quello dell'altra rivelando, nell'attimo successivo, la visione di ciò che aveva in mente. - Insomma, cos'è stato? - chiese finalmente Susan. - Cos'è stato il mio piano? Davvero non l'hai indovinato? - Oh, tu la sai più lunga, molto più lunga di me, - sospirò Susan. Amy non la contraddisse; sembrò anzi accettare pacificamente per buona quell'asserzione; ma subito dopo parlò come se, dopo tutto, la differenza non contasse più. - Fortunatamente per noi - non è vero? - oggi come oggi, siamo sulla stessa barca. Posso dire almeno per quel che mi riguarda. Da me, se n'è andato. - Oh, sia ringraziato il cielo! - mormorò piamente Miss Susan. - Perché se n'è andato anche da me. - Ne sei certa? - Credo proprio di sì. - Ma come? - Ebbene, - disse Miss Susan dopo breve esitazione, - come fai tu a esserne certa? Amy tacque a sua volta per un momento. - Be', questo davvero non te lo posso dire. Posso soltanto garantire che se n'è andato. - Allora permetti che anch'io preferisca non dare spiegazioni. Non so perché, ma in quest'ultima mezz'ora mi ha preso un tale senso di sollievo che me ne sento tutta confortata; e questo basta, no? - Oh, basta, eccome! - La facciata della vecchia casa prospiciente il giardino, con una finestra o due poco illuminate, era una massa cupa nella notte estiva: spinte dallo stesso impulso esse le gettarono, attraverso l'aiuola verde, un lungo, affettuoso sguardo. Sì, potevano sentirsi sicure. Basta davvero! - ripetè Amy. - Se n'è andato. Attraverso gli eleganti occhiali, gli occhi più stanchi di Susan si posarono ugualmente vaghi sulla riconsacrata dimora. - Se n'è andato. Ma, - insistette, - come hai fatto? - Be', cara la mia ochetta, - Amy parlava con un certo tono strano, sono andata a Parigi. - A Parigi? Henry James
569
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Per vedere di riportarmi a casa qualcosa che non fosse lecito, qualcosa di proibito. Per fare un colpo, insomma, - volle chiarire Miss Amy. Ma l'altra appariva ancora perplessa. - Un colpo? - Qualcosa da frodare sotto il naso alla dogana. Solo a questo punto cominciò a schiudersi per Miss Susan uno spiraglio di luce. - Volevi fare del contrabbando? Era questo il tuo piano? - Era il suo, - ribatté Miss Amy. - Non voleva che si pagasse per lui un debito di coscienza, - soggiunse ridendo più ardita. -Proprio il contrario voleva... un atto di sfida, come quelli d'una volta; voleva che si corresse qualche grosso rischio. E io l'ho corso -. Si levò di scatto, con un balzo trionfante. La sua compagna la guardò a bocca aperta. - Avrebbero potuto impiccare anche te? Miss Amy levò gli occhi alle pallide stelle. - Sì, se mi fossi ribellata. Ma per fortuna non ce n'è stato bisogno. Quello che ho portato dentro, - e la sua voce vibrò sempre più squillante man mano che parlava, - l'ho portato trionfalmente. Per placare lui, ho sfidato loro. Ho rischiato, a Dover, e loro non se ne sono accorti. - Allora, l'hai nascosto? - Addosso a me. Miss Susan rabbrividì a quell'idea, e ristettero entrambe, cupe. - Era tanto piccolo? - bisbigliò esterrefatta la più anziana. - Grande abbastanza per soddisfarlo, - replicò la sua compagna con una sfumatura d'asprezza. - L'ho scelto, dopo molto riflettere, nella lista delle cose proibite. Quella lista aleggiò per un momento davanti agli occhi di Miss Susan, ma non le suggerì che una vaga congettura. - Un Tauchnitz? Di nuovo Miss Amy comunicò con le stelle d'agosto. - Quello che ha contato è stato lo spirito dell'impresa. - Un Tauchnitz? - insistette l'amica. Infine abbassò gli occhi, e le due signorine si diressero insieme verso la casa. - Bene, ora è soddisfatto. - Sì, - meditò Miss Susan un po' tristemente mentre si avviavano, - e finalmente hai potuto passare una settimana a Parigi! Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
LA BELVA NELLA GIUNGLA Henry James
570
1970 - Racconti Di Fantasmi
I. Poco importa determinare il discorso che durante il loro incontro lo fece sussultare; probabilmente fu soltanto qualche parola pronunciata da lui stesso, a caso, mentre indugiavano e passeggiavano lentamente insieme, dopo aver rinnovato la loro conoscenza. Alcuni amici, un'ora o due prima, l'avevano condotto nella casa dove May Bartram era ospite; questo gruppo di invitati di cui egli faceva parte e grazie al quale aveva potuto, secondo un suo sistema favorito, confondersi come sempre nella folla, era stato trattenuto a colazione. Dopo la colazione gli ospiti si erano sparpagliati per lo scopo che li aveva mossi: la visita di Weatherend, del panorama, dei quadri, degli oggetti di famiglia, e dei cimeli di ogni arte che rendevano quasi celebre il luogo. Nelle sale vaste e numerose gli invitati potevano girovagare a volontà, staccarsi dal gruppo principale e, nei casi in cui davano la maggiore importanza a simile materia, abbandonarsi a misteriosi apprezzamenti e confronti. Si potevano osservare alcune persone o coppie, piegarsi verso un oggetto in qualche angolo appartato e, con le mani sulle ginocchia, dimenare la testa, esattamente come i cani nell'animazione del fiuto eccitato. Quando erano in due, mescolavano le loro osservazioni estatiche o si accomunavano in silenzi anche più significativi; così, per certi aspetti, la riunione prendeva agli occhi di Marcher piuttosto l'aria di uno sguardo preliminare a una vendita largamente strombazzata, che eccita o spegne, secondo i casi, le fantasie di compera. Le fantasie di compera a Weatherend avrebbero dovuto essere veramente folli, e John Marcher si trovò, fra simili suggestioni, quasi ugualmente sconcertato dalla presenza dei troppi iniziati come dalla presenza dei profani. Le grandi sale facevano premere intorno a lui tanta poesia e tanta storia che egli senti il bisogno di appartarsi un poco per ritrovare la necessaria armonia con loro, sebbene tale impulso non fosse, in realtà, come la cupidigia di taluni suoi compagni, da paragonarsi ai movimenti d'un cane che fiuti in una dispensa. Questo suo desiderio diede, abbastanza prontamente, un risultato non prevedibile. Lo guidò in breve, nel corso di quel pomeriggio d'ottobre, a una conoscenza più intima con May Bartram, il cui viso, appena come un richiamo e non ancora come un ricordo, aveva cominciato a turbarlo, ma in modo piuttosto piacevole, mentre sedevano lontani l'uno dall'altra a una lunghissima tavola. Esso lo inteneriva come l'anello di una catena di casi Henry James
571
1970 - Racconti Di Fantasmi
di cui avesse perduto il principio. Sentiva di conoscerlo, e per il momento l'accoglieva volentieri, come una continuazione, pur non sapendo che cosa continuasse; ed era proprio questo a interessarlo, e perfino a divertirlo, tanto maggiormente quanto più si avvedeva, anche senza averne un segno diretto, che la giovane invece non aveva perso il filo. Non l'aveva perso, ma non glielo avrebbe reso, lo capiva, se egli non avesse teso un poco la mano per afferrarlo, e non capiva questo soltanto, ma diverse altre cose abbastanza strane; quando una combinazione fortuita li avvicinò. In quel momento era da notarsi che egli si trovava ancora goffamente alle prese con questa idea: qualsiasi relazione fra loro, nel passato, non doveva aver avuto importanza. Se non aveva avuto importanza, non sapeva dirsi perché adesso la presenza di lei sembrava averne tanta. Potè soltanto rispondere che in una vita del genere di quella condotta in apparenza da loro tutti bisognava per il momento accettare gli eventi quali si presentavano. Era soddisfatto, senza saperne dire il perché - neppure nel modo più vago - che la giovane potesse occupare approssimativamente il posto di una parente povera; soddisfatto pure che non stesse lì per una visita breve, ma fosse più o meno una di famiglia, quasi con un incarico e uno stipendio. Probabilmente godeva di una protezione che ricambiava, aiutando fra altre mansioni a mostrare ed illustrare il luogo, a trattare con la gente noiosa, rispondendo alle domande circa le date della costruzione, lo stile della mobilia, la paternità dei quadri, le passeggiate predilette dallo spettro. Tuttavia ella non aveva certo l'apparenza di una persona cui si possa dare una mancia, non era possibile avere questa apparenza meno di lei. Eppure, quando finalmente attraverso gli ondeggiamenti della folla ella giunse fino a lui, veramente bella, seppure assai meno giovane - meno giovane di quanto l'aveva veduta l'altra volta - si poteva credere che si avvicinasse perché aveva indovinato come in quel paio d'ore egli avesse fantasticato su di lei più che su tutti gli altri insieme, penetrando così fino a una verità per la quale gli altri erano troppo lenti. Infatti, ella si trovava li in condizioni più dure di loro, e in conseguenze di sofferenze patite, in un modo o in un altro, nell'intervallo di quegli anni; e si ricordava di lui proprio come lui di lei, soltanto molto meglio. Quando finalmente giunsero a questi discorsi, si trovavano soli in una stanza - notevole per un bel ritratto sopra il camino - dalla quale i loro amici erano usciti, e l'incanto di quel momento consisteva nel fatto che, prima di aver detto una parola, si erano virtualmente accordati per restare Henry James
572
1970 - Racconti Di Fantasmi
indietro a parlare. Del resto, non vi era punto a Weatherend che non fornisse un motivo per appartarsi. Altri particolari compivano felicemente tale incanto: così il giorno autunnale che mentre moriva guardava per le alte finestre; così la rossa luce che, rompendo alla fine da un cielo basso e scuro, s'affilava in un lungo raggio e rifletteva sui vecchi pannelli di legno, sugli arazzi antichi, sull'oro spento, sul colore sbiadito. E soprattutto si sprigionava dal modo in cui ella gli si accostò come se, incaricata di istruire i più profani, lasciasse a lui - se non desiderava approfondire la sua cultura - la scelta di considerare la sua cortese accoglienza come una parte delle sue mansioni comuni. Però, appena egli ebbe sentito la sua voce, il vuoto si colmò e fu trovato l'anello che mancava; la tenue ironia che egli indovinava nell'atteggiamento di lei perse ogni senso. Volendola prevenire, si fece avanti per primo: - Vi ho incontrata anni e anni fa a Roma. Mi ricordo di tutto -. Ella confessò la sua delusione: era stata così sicura del contrario! E per dimostrare la verità della sua affermazione, egli cominciò a esibire le singole reminiscenze che emergevano come le chiamava. Il viso e la voce di lei, a sua intera disposizione oramai, operarono il miracolo, fecero l'effetto della torcia d'un lampionaio che fa scaturire le fiamme una per volta lungo la fila dei lampioni a gas. Marcher si lusingava che la luminaria fosse splendida, eppure fu in verità anche più contento quando ella gli fece notare divertita che, nella sua fretta di precisare ogni particolare, ne aveva piuttosto sbagliata una gran parte. Non a Roma si erano incontrati ma a Napoli; e non otto anni prima ma quasi dieci. Ella non era stata nemmeno con suo zio e sua zia, ma con la madre e il fratello; egli inoltre non si trovava con i Pemble, ma con i Boyer, venendo con loro da Roma: un punto questo su cui ella insisteva, a maggior confusione di Marcher, e che sapeva appoggiare con particolari calzanti. I Boyer li aveva conosciuti, ma non conosceva i Pemble, sebbene ne avesse sentito parlare, mentre erano stati gli amici di lui a presentarli... L'incidente del temporale che aveva infuriato intorno a loro con tale violenza da costringerli a rifugiarsi negli scavi, questo incidente non era accaduto al Palazzo dei Cesari, ma a Pompei, in occasione di un importante recupero al quale avevano assistito. Marcher accettò le osservazioni, apprezzò gli emendamenti, sebbene, come ella notò, ne scaturisse la morale che in verità non ricordava di lei la minima cosa; e quando tutto fu severamente storico, dovè riconoscere un inconveniente: delle loro relazioni pareva non fosse rimasto nulla di nulla. Henry James
573
1970 - Racconti Di Fantasmi
Indugiarono insieme ancora, ella trascurando le sue mansioni, - dal momento che egli era così ben informato, non aveva nessun vero diritto di dedicargli le sue cure; e disinteressandosi entrambi della casa, soltanto nell'attesa che qualche ricordo dovesse ancora riemergere tra loro. Erano bastati pochi momenti, dopo tutto, perché ciascuno deponesse sul tavolo, come le carte d'un mazzo, il proprio giuoco; ma risultò che il mazzo sfortunatamente non era completo, che il passato, invocato, invitato, incoraggiato, non poteva dar loro, naturalmente, più di quanto avesse. Li aveva riportati al loro antico incontro: lei a vent'anni, lui a venticinque; ma era stranissimo, sembravano dirsi l'uno all'altra, che essendosi messi su questa strada, non fosse stato più generoso con loro. Si guardavano come convinti d'una occasione mancata; il presente sarebbe stato migliore, se il passato, a tanta distanza, in un paese straniero, non fosse stato così scioccamente avaro. A conti fatti non vi erano in apparenza più d'una dozzina di minuti avvenimenti che fossero potuti accadere tra loro; sciocchezze giovanili, cose da ragazzi, ingenuità dell'inesperienza, piccoli germi possibili, ma troppo profondamente sepolti, troppo profondamente, non è vero?, per fiorire dopo tanti anni. Marcher poteva soltanto intuire che avrebbe dovuto renderle allora qualche servigio, salvarla da una barca capovolta nel golfo o almeno ricuperare la sua valigia, predata dalla vettura, in una strada di Napoli, da un lazzarone armato di stiletto. O sarebbe stata una bella cosa se egli si fosse ammalato di febbre solo al suo albergo, ed ella fosse potuta venire per curarlo, per scrivere alla sua famiglia, e accompagnarlo in carrozza convalescente. Allora sì che sarebbero stati in possesso di quell'incognita che adesso sentivano mancare. Eppure questo nuovo incontro appariva troppo bello per essere sciupato; così, per pochi minuti durarono a chiedersi un po' smarriti perché, avendo, pareva, un certo numero di comuni conoscenze, il loro incontro fosse stato differito per tanto tempo. Non osavano definirlo un fallimento, ma quell'indugiare di minuto in minuto a raggiungere gli altri era una specie di confessione che non accettavano. Le varie ipotesi tentate circa le ragioni che li avevano tenuti lontani servivano soltanto a dimostrare quanto poco sapessero l'uno dell'altra. Venne infine un momento in cui Marcher provò una vera fitta al cuore. Era vano fingere che ella fosse una vecchia amica, poiché mancava tra loro ogni comune riferimento; ciononostante, egli capiva che il nome di vecchia amica sarebbe stato il solo adatto per lei. Di Henry James
574
1970 - Racconti Di Fantasmi
nuove amicizie ne aveva abbastanza, ne era circondato per esempio, nell'ambito dell'altra casa; come nuova amica non si sarebbe probabilmente nemmeno accorto di lei. Egli avrebbe voluto inventare qualcosa, indurla a sostenere la finzione che si fosse svolto tra loro un avvenimento qualsiasi di natura romantica o pericolosa. Con l'immaginazione pareva quasi protendersi contro la corrente del tempo a cercare questo spunto necessario, dicendo che se non l'avesse trovato, quel nuovo inizio sarebbe stato viziato fin dalle origini. Si sarebbero lasciati, e ormai senza una seconda o terza possibilità per l'avvenire, avendo già tentato e fallito. Allora, proprio al bivio più pericoloso, come egli più tardi si ripetè, quando ogni altro mezzo accennava a mancare, ella stessa decise di prendere le redini in mano e, in un certo senso, salvare la situazione. Marcher senti, appena May parlò, che ella aveva coscientemente taciuto quel che avrebbe detto ora, perché sperava che si. sarebbero intesi ugualmente. Questo suo scrupolo lo commosse immensamente quando, dopo altri tre o quattro minuti, fu in grado di valutarlo. Quanto ella disse, a ogni modo, rischiarava completamente l'aria aiutando a rintracciare l'anello della catena che non senza leggerezza egli aveva smarrito. - Mi diceste, lo sapete? una cosa che non ho mai dimenticata e che da quel tempo mi ha costretta continuamente a ripensare a voi; fu quel giorno di caldo tremendo, quando andammo a Sorrento, attraverso il Golfo, a cercare un po' di refrigerio. Alludo a ciò che mi diceste, sulla via del ritorno, mentre sedevamo sotto la tenda della barca a godere il fresco. L'avete dimenticato? Egli l'aveva dimenticato, e ne fu più sorpreso che vergognoso. Ma, cosa importantissima, non intuì in ciò nessun volgare richiamo a qualche «tenero» discorso. La vanità delle donne ha la memoria lunga, ma May Bartram non stava vantandosi con lui di un complimento o di un malinteso. Con un'altra donna del tutto diversa, egli avrebbe potuto temere la possibile rievocazione anche di qualche insulsa «offerta». Così nel dover confessare sinceramente di aver dimenticato, riconosceva piuttosto una perdita che un profitto; intravedeva già un interesse nel fatto che ella ricordasse. - Cerco di ricordare, ma vi rinuncio. Eppure non ho dimenticato la giornata di Sorrento. - Non ne sono molto certa, - disse May Bartram dopo un momento, - e non sono molto sicura di doverlo desiderare... È terribile in qualunque Henry James
575
1970 - Racconti Di Fantasmi
momento riportare una persona a ciò che è stata dieci anni prima. Se la vita ve n'ha allontanato, - sorrise, - tanto meglio. - Ah, se non è meglio per voi, perché dovrebbe esserlo per me? - egli domandò. - Essermi allontanata, volete dire, da quel che ero io stessa? - Da quel che ero io, invece. Ero naturalmente un asino, - prosegui Marcher; ma dal momento che ricordate qualche cosa, preferirei sapere da voi precisamente quale specie di asino fossi, piuttosto che non sapere nulla. Ella, però, esitava ancora. - Ma se avete cessato completamente di essere quella specie di...? - Ebbene, allora mi sarà tanto più sopportabile sapere. Del resto, non ho cessato, forse. - Forse. Eppure se ciò fosse, - ella aggiunse, - suppongo che ve ne ricordereste. Non che associ minimamente al mio ricordo l'odioso sostantivo di cui vi servite. Se vi avessi soltanto creduto sciocco, - spiegò, - la cosa di cui parlo non mi sarebbe rimasta in mente. Concerne voi stesso -. Si arrestò come se egli avesse potuto ritrovarla da solo! Ma quando, fissando soltanto con meraviglia il suo sguardo egli non accennava a rispondere, ella tagliò i ponti. - È mai successo? Fu questo il momento in cui, mentre continuava a fissarla, si fece luce in lui e al ricordo il sangue lentamente gli salì al viso, che cominciò ad ardere. - Volete dire che vi parlai? - Ma si trattenne, temendo di tradirsi e che la sua supposizione fosse errata. - Era una cosa che vi concerneva ed era naturale non dimenticarla, anche ricordandosi poco di voi. Ecco perché vi domando, -ella sorrise, - se la cosa cui accennaste allora si sia mai avverata. Oh allora egli vide, ma fu sopraffatto dallo stupore e si trovò imbarazzato. Notò anche come ciò le ispirasse compassione, quasi il suo accenno fosse stato un errore. Gli bastò un momento, però, per sentire che non aveva sbagliato, per quanto la sua meraviglia fosse stata grande. Dopo il primo sussulto di sorpresa la sua consapevolezza, al contrario, cominciò, anche se un po' stranamente, ad acquistare un dolce sapore. Ella era dunque la sola persona al mondo che sapesse, e l'aveva saputo per tutti quegli anni, mentre per lui il ricordo dell'avere così esalato il suo segreto era inspiegabilmente svanito. Nessuna meraviglia se non avevano potuto incontrarsi come se nulla fosse accaduto. - Credo, - disse finalmente, - di sapere che cosa vogliate dire. Soltanto avevo, abbastanza stranamente, perso perfino la sensazione di avervi ammesso sino a tal punto nella mia Henry James
576
1970 - Racconti Di Fantasmi
confidenza. - Perché, vi avete ammesso anche tanti altri? - Non vi ho ammesso nessuno. Non una sola persona da allora. - Così, io sono la sola persona che sa? - La sola persona al mondo. - Ebbene, - May rispose prontamente, - anch'io non ne ho mai parlato. Non ho mai, mai ripetuto una parola di ciò che mi diceste -. Lo guardò in modo tale che egli le credette perfettamente. I loro occhi si incontrarono, e a lui non rimase nessun dubbio. - E non lo farò mai. Ella parlava con una serietà, forse eccessiva, ma che eliminò, quietandolo, ogni derisione. Così in certo modo l'intera questione, dal momento che ella ne era in possesso, venne a palesarsi come un nuovo tesoro per lui. Non aveva assunto un atteggiamento sarcastico; dunque ella simpatizzava con lui, cosa che durante tutto quel lungo tempo non gli era mai accaduta con nessuno. Sentiva che adesso non avrebbe potuto cominciare le sue confidenze, ma poteva forse, approfittando squisitamente del caso favorevole, averlo fatto nel passato. - E allora vi prego di non parlarne mai. Così andiamo proprio bene. - Oh, sì! - ella rise, - se va bene anche per voi! - E aggiunse: - Allora avete sempre lo stesso presentimento? Era impossibile che egli non si rendesse conto, sebbene continuasse a provare come una inquieta sorpresa, che ella si interessava veramente a lui. Per tanto tempo si era sentito abominevolmente solo, ed ecco adesso non lo era più affatto. Pareva che non lo fosse mai stato, neanche per un'ora, dopo quei momenti in barca a Sorrento. Lei, sì, era stata sola, gli pareva di accorgersi mentre la guardava, lasciata sola dalla sua goffa infedeltà. Averle detto quanto le aveva detto, non era stato forse chiederle una grazia? Ed ella aveva concesso, nella sua carità, quella grazia, senza che egli né col ricordo, né ritornando a lei col pensiero, in mancanza di altro incontro, l'avesse nemmeno ringraziata. All'inizio le aveva chiesto semplicemente che non ridesse di lui. Ella se ne era magnificamente astenuta per dieci anni, e se ne asteneva anche ora. Tanto più gli era necessario adesso vedere precisamente in qual modo allora le fosse apparso. - Quale, esattamente, fu l'impressione che vi diedi di me? - Circa la natura del vostro presentimento? Ebbene, semplicissima. Diceste che sin dai vostri primi anni avevate sentito come la vostra più intima realtà, che vi era riservato qualcosa di raro e strano, probabilmente Henry James
577
1970 - Racconti Di Fantasmi
prodigioso e terribile, che presto o tardi vi avrebbe raggiunto e forse sopraffatto secondo un presentimento che avevate nelle ossa. - E vi sembra semplicissimo? - chiese John Marcher. May rifletté un momento. - Forse perché mi pareva, mentre parlavate, di comprendere. - Comprendete davvero? - egli domandò avidamente. Ella tenne di nuovo gli occhi fissi su di lui. - Avete ancora quella persuasione? - Oh! - esclamò egli smarrito. Vi sarebbe stato troppo da dire. - Qualunque cosa debba essere, - ella concluse chiaramente, -non è avvenuta ancora. Egli scosse la testa, arreso del tutto ormai. - Non è avvenuta ancora. Soltanto, sappiatelo, non è qualche cosa ch'io debba fare, compiere nel mondo, e che mi darà reputazione e onori. Non sono asino sino a questo punto. Sarebbe molto meglio, senza dubbio, se lo fossi. - Sarà qualche cosa che dovrete soltanto subire? - Ebbene, diciamo attendere, una cosa che devo incontrare, affrontare, veder esplodere all'improvviso nella mia vita; distruggendo probabilmente ogni ulteriore coscienza, e probabilmente annientandomi; che d'altra parte, potrà alterare ogni cosa, colpendo alla radice tutto il mio mondo e abbandonandomi alle conseguenze, quali esse siano. Ella lo ascoltò con attenzione, ma la luce nei suoi occhi continuava per lui a non essere quella della beffa. - Quanto descrivete non è forse soltanto l'attesa, o in ogni modo il senso del pericolo, ben noto a tanta gente, di innamorarsi? John Marcher rifletté. - Me lo avete già domandato una volta? - No, non ero così disinvolta allora. Ma è un'idea che mi viene adesso. - Naturalmente, - egli disse dopo un momento, - vi viene adesso. Naturalmente viene anche a me. Naturalmente quel che si prepara per me può darsi non sia più di questo. Soltanto, - prosegui, -credo che se avesse dovuto essere questo, oramai lo avrei saputo. - Volete dire, perché infatti siete già stato innamorato? - E poiché egli la guardava in silenzio: - Siete stato innamorato, e la cosa non è stata un cataclisma, non s'è rivelata come la grande prova? - Eccomi qua, vedete. Non mi ha sopraffatto. - Allora non è stato amore, - disse May Bartram. - Ebbene, credevo almeno che lo fosse. Lo presi per tale, l'ho creduto Henry James
578
1970 - Racconti Di Fantasmi
sino ad ora. Era gradevole, era delizioso, era miserevole, -spiegò. - Ma non era strano. Non era ciò che la mia faccenda dev'essere. - Volete qualche cosa per voi solo, qualche cosa che nessun altro conosca o abbia mai conosciuto? - Non è questione di ciò che io «voglio». Dio sa che non voglio nulla. È soltanto questione dell'apprensione che mi perseguita, con la quale vivo giorno per giorno. Egli parlava con tale lucidità e tanto conseguentemente da potersi vedere in qual modo la cosa gli si imponesse. Se ella non se ne fosse interessata prima, se ne sarebbe interessata ora. - È un presentimento di violenza? Evidentemente anche ora gli piaceva parlarne di nuovo. - Non la immagino, quando avverrà, come una cosa necessariamente violenta. La immagino soltanto come naturale e, s'intende, soprattutto come indiscutibile. La penso semplicemente come la cosa. La cosa, in se stessa, apparirà naturale. - E allora in qual modo apparirà strana? Marcher specificò. - Non sembrerà strana a me. - A chi allora? - Ebbene, - egli rispose, sorridendo finalmente, - diciamo a voi. - Oh, dunque devo essere presente? - Come! Siete presente, dal momento che sapete. - Capisco. - Vi rifletté. - Ma voglio dire, alla catastrofe. Poi per un minuto il loro tono scherzoso cedette alla serietà; come se il lungo sguardo che scambiarono li avesse uniti. - Dipenderà solo da voi, se vorrete vegliare con me. - Avete paura? - ella domandò. - Non lasciatemi, ora, - egli prosegui. - Avete paura? - ripetè May. - Mi credete semplicemente fuori di senno? - prosegui egli invece di rispondere. - Vi do soltanto l'idea d'un pazzo innocuo? - No, - disse May Bartram. - Vi capisco. Vi credo. - Volete dire che sentite come la mia ossessione, poveretta! corrisponda forse a qualche possibile realtà? - A qualche possibile realtà. - Allora, volete vegliare con me? Ella esitò, poi per la terza volta pose la sua domanda. - Avete paura? - Vi ho detto di averne, a Napoli? Henry James
579
1970 - Racconti Di Fantasmi
- No, non me lo diceste affatto. - Allora non so. E mi piacerebbe saperlo, - disse John Marcher. - Me lo direte voi stessa se crederete. Se veglierete con me, potrete accorgervene. - Benissimo, allora -. Oramai stavano movendo attraverso la stanza, e alla porta, prima di uscire, si trattennero come per riassumere tutti i termini della loro intesa. - Veglierò con voi, - disse May Bartram.
II. Il fatto che ella «sapesse», sapesse eppure non si facesse gioco di lui, né lo tradisse, aveva in breve tempo stabilito tra loro un valido legame, che divenne più tenace quando, entro l'anno seguente al loro pomeriggio di Weatherend, le occasioni di incontrarsi divennero più frequenti. Tale possibilità derivò dalla morte della vecchia signora, prozia di May, sotto le cui ali, dopo la perdita della madre, ella aveva trovato un rifugio sicuro, e la quale, sebbene fosse soltanto la madre del nuovo erede della proprietà, era riuscita, grazie al suo tono decisamente altero e alla energia del suo carattere, a non decadere dal suo posto eminente nella grande casa. La morte - poiché solo la morte potè spodestare quel personaggio - fu seguita da molti cambiamenti, creò specialmente una condizione diversa alla giovane. L'esperta attenzione di Marcher aveva fin da principio notato che ella si trovava in una posizione che faceva soffrire il suo orgoglio senza inasprirlo. Per molto tempo nulla gli aveva dato maggior conforto del pensiero che tale avvilimento sarebbe stato compensato per la signorina Bartram dal trovarsi ormai nella condizione di poter mettere su una sua casetta a Londra. Ella aveva ereditato un piccolo patrimonio - che ammontava a una somma bastevole appena a permetterle questo lusso - e che le veniva dal testamento estremamente complicato di sua zia. Quando tutta la pratica si avviò alla conclusione, e la cosa aveva richiesto qualche tempo, ella gli fece sapere che il felice esito era finalmente prossimo. Marcher l'aveva già rivista prima di quel giorno; perché May aveva accompagnato più d'una volta in città la vecchia signora e perché egli aveva fatto un'altra visita agli amici che tanto a proposito avevano posto in Weatherend un'attrattiva della loro ospitalità. Questi amici ve l'avevano accompagnato di nuovo; ed egli vi aveva ritrovato i suoi tranquilli «a solo» con la signorina Bartram; e a Londra gli era riuscito di persuaderla a più d'una breve assenza da sua zia. In tali occasioni erano andati insieme alla Henry James
580
1970 - Racconti Di Fantasmi
National Gallery e al South Kensington Museum, dove tra i vividi richiami avevano parlato dell'Italia, a lungo, non cercando più di recuperare, come in principio, il sapore della loro giovinezza e della loro ignoranza. Quella ricerca, il primo giorno a Weatherend aveva servito bene allo scopo e offerto loro la spinta di cui avevano bisogno; in modo che ora, secondo il senso di Marcher, non stavano più bilanciandosi sulla sorgente del fiume, ma la loro barca aveva sensibilmente preso l'avvio lungo la corrente. Ormai essi la seguivano insieme, la cosa non era più dubbia per Marcher come non era dubbio che la comunanza del loro segreto, tesoro fino ad allora celato, ne fosse la felicissima causa. Egli aveva con le proprie mani dissepolto quella ricchezza, portato alla luce, alla torbida luce delle loro allusioni e dei loro sottintesi, il gioiello di cui da tanto tempo aveva dimenticato il nascondiglio, dove egli stesso l'aveva interrato. La rara fortuna di essere inciampato proprio ora sullo stesso luogo lo rendeva indifferente a qualsiasi altra questione. Egli avrebbe senza dubbio indugiato più lungamente a considerare la sua strana dimenticanza se non avesse preferito dedicare più tempo alla dolcezza, al conforto, che presentiva nell'avvenire, e che la stessa parentesi d'oblio aveva serbato intatti. Marcher non aveva mai ammesso nei suoi piani che qualcuno dovesse «sapere», soprattutto per la ragione che non si sarebbe mai confidato con nessuno; gli sarebbe stato impossibile, poiché non si aspettava altro che la divertita indifferenza del mondo. Ma, se un fato misterioso gli aveva suo malgrado aperto le labbra tempestivamente, l'avrebbe considerato un compenso e ne avrebbe approfittato fino al limite estremo. Che il suo segreto fosse conosciuto dalla persona veramente adatta, ne temperava l'asprezza, anche più di quanto la sua timidità gli avesse permesso di immaginare; e May Bartram era chiaramente adatta, perché... ebbene, perché c'era. Dal momento che ella sapeva, ogni cosa si semplificava: egli ne era sicurissimo oramai. Senza dubbio quell'elemento nella loro situazione lo induceva troppo a considerarla solo come una confidente, a non darle altra luce se non quella che le veniva dall'interessamento con cui partecipava al suo dramma, dalla sua compassione, simpatia, serietà e dalla certezza che non lo considerava come il più matto dei matti. Consapevole, infine, che ella gli era preziosa appunto perché gli dava questo costante senso di essere serbato a qualche meraviglioso destino, egli aveva premura di ricordarsi che aveva anche una vita propria, con avvenimenti suoi e di cui, nell'amicizia, bisognava Henry James
581
1970 - Racconti Di Fantasmi
tener conto. A questo riguardo qualcosa di abbastanza notevole avvenne in lui, del resto; e fu una certa brusca transizione della sua coscienza, da un estremo all'altro. Finché nessuno sapeva, Marcher si era creduto la persona più disinteressata del mondo, portando con tanta calma concentrato in sé il suo pesante fardello, la sua perpetua tensione; tacendone, non dando ad altri nessun cenno dell'influsso che esercitava sulla sua vita, non giustificandosi con loro, ma concedendo soltanto da parte sua quella sopportazione che gli veniva chiesta. Non aveva imposto alla gente il disagio di dover frequentare un uomo ossessionato, sebbene avesse avuto momenti di tentazione piuttosto acuta, quando udiva confessare da qualcuno di sentirsi mentalmente dissestato. Se fossero stati dissestati come lui - che non era mai stato a sesto per un'ora in vita sua - avrebbero saputo che cosa volesse dire. Eppure non toccava a lui iniziarli, e li ascoltava con sufficiente cortesia. Ecco perché aveva modi così irreprensibili - ma piuttosto incolori - ecco perché, soprattutto, poteva considerarsi, in un mondo arido, come discretamente, e forse eccelsamente, altruista. Per noi, importa dunque accertare che egli valutava abbastanza questo lato del suo carattere per misurare il presente pericolo di venirvi meno, pericolo contro il quale si promise di stare in guardia. Era prontissimo, nondimeno, a essere un po' egoista, poiché certamente non gli si era mai presentata occasione più affascinante. «Quel poco», in una parola, che May Bartram avrebbe permesso giorno per giorno. Egli non sarebbe mai stato minimamente oppressivo, né avrebbe dimenticato i limiti entro i quali il rispetto per lei il più alto rispetto - avrebbe dovuto mantenersi. Avrebbe stabilito in maniera definitiva quale parte gli affari di lei, i suoi desideri, le sue idiosincrasie - giunse persino a concedere loro l'ampiezza di questa denominazione -avrebbero avuto nella loro amicizia. Tutto ciò naturalmente dimostrava come ritenesse già sottintesa questa intimità. Su questo punto non sussistevano dubbi. Esisteva, e basta; era nata fulminea con la prima domanda penetrante che ella gli aveva posta laggiù a Weatherend nella luce autunnale. La vera forma che avrebbe dovuto assumere, per il presupposto tanto ampio da cui nasceva, sarebbe stata il matrimonio. Ma proprio qui stava il lato diabolico: che quel presupposto escludeva il matrimonio. La convinzione, il timore, l'ossessione di lui, in breve, non erano un privilegio ch'egli potesse invitare una donna a condividere. Un'incognita stava in Henry James
582
1970 - Racconti Di Fantasmi
agguato agli incroci e alle curve dei mesi e degli anni, come una belva in agguato nella giungla. Poco importava se la belva in agguato fosse destinata ad abbatterlo o ad essere abbattuta. Il punto fuori questione era l'inevitabile balzo della bestia; e ne derivava, indiscutibile ammonimento, che un uomo di cuore non si fa accompagnare da una signora durante una caccia alla tigre. Tale era l'immagine con la quale si era ridotto a figurare la sua vita. Nondimeno, al principio, nelle sparse ore passate in compagnia, essi non avevan fatto nessuna allusione a quell'aspetto della cosa; ed era un segno, che egli fu signorilmente pronto a dare, di non attendersi, e in realtà non curarsi di parlarne continuamente. Simile atteggiamento, tenuto conto delle sue prospettive, si notava in lui come una gobba sulle spalle. Il suo sottinteso formava il tessuto di ogni attimo in modo del tutto indipendente da ogni ragionamento. Si ragionava, naturalmente, tenendo conto della gobba, perché c'era sempre, se non altro, il viso da gobbo. Quello rimaneva, e May vegliava per Marcher; ma di solito la gente veglia meglio in silenzio, perciò il silenzio sarebbe stato la regola della loro vigilia. Eppure, nello stesso tempo, egli non voleva essere rigido e solenne; rigido e solenne si immaginava di apparire anche troppo con altre persone. Con l'unica persona che sapeva bisognava essere franco e naturale, tendere all'allusione piuttosto che sembrare di evitarla; evitarla, piuttosto che sembrare di cercarla, e mantenerla, in ogni caso, familiare, faceta anche, piuttosto che pedante e superba. Una considerazione di quest'ultimo genere era senza dubbio nella sua mente, per esempio, quando scrisse, scherzando, a May Bartram che forse la grande cosa che da tempo il fato aveva predisposto per lui, non era altro se non questo, che lo interessava così da vicino: l'acquisto fatto da lei di una casa a Londra. Era la prima allusione che fosse corsa di nuovo fra loro, avendone avuto fino ad allora ben poco bisogno; ma quando ella, dopo avergli dato sue nuove, rispose di non essere niente soddisfatta che una simile inezia fosse la conclusione di una attesa tanto singolare, lo indusse quasi a domandarsi se ella non avesse, dell'incognita che lo concerneva, un concetto anche più strano di quello che ne avesse egli stesso. Era destino per lui accorgersi, in ogni occasione, poco per volta, mentre il tempo passava, che ella di continuo stava scrutando la sua vita, la giudicava, la misurava, alla luce del loro segreto, il quale giunse alla fine, attraverso la consacrazione degli anni, a non essere mai menzionato se non come la «verità» sul suo conto. Questa Henry James
583
1970 - Racconti Di Fantasmi
era sempre stata la forma in cui Marcher stesso ne aveva parlato, ma ella la adottò così tranquillamente che, guardandosi indietro, egli sapeva che non avrebbe potuto rintracciare il momento in cui ella si fosse, come egli avrebbe potuto dire, immedesimata coi suoi pensieri e fosse passata da un affettuoso atteggiamento di compassione a quello anche più affettuoso di fede in lui. Gli sarebbe stato possibile accusare May di considerarlo soltanto come il più innocuo dei maniaci, e questo alla lunga - tanto campo abbracciava - fu per lui il senso più naturale della loro amicizia. Marcher appariva a May un po' stravagante, ma ella gli voleva bene egualmente ed era in realtà, contro il resto del mondo, la sua gentile e prudente custode, non compensata ma assai interessata e, in mancanza di altri stretti legami, occupata in un modo non indecoroso. Il resto del mondo naturalmente lo giudicava bizzarro, ma ella, ella soltanto, sapeva quanto e soprattutto perché fosse bizzarro, ed era precisamente ciò a consentirle di stendere su di lui, secondo le pieghe volute, un velo geloso. Ella adottò la medesima gaiezza di lui - giacché essi dovevano accettarla per gaiezza - come ne adottava ogni altra cosa; e certo, col suo tatto infallibile, seppe giustificare sino a questo punto la intuizione più sottile del grado di persuasione cui egli l'aveva condotta. Così non nominava mai il segreto della vita di lui se non come «la verità vera sul vostro conto», e tuttavia sapeva, in modo meraviglioso, farlo sembrare anche il segreto della sua propria vita. In tal modo egli giunse ad avere la sensazione costante dell'indulgenza che May aveva per lui, perché tutto sommato non poteva chiamarla diversamente. Egli indulgeva a se stesso, ma ella, in realtà, indulgeva anche di più; in parte perché, in migliori condizioni per giudicare l'infelice fissazione di lui, la rintracciava in risvolti a lui stesso ignoti. Egli sapeva che cosa sentiva, ma, oltre a questo, ella sapeva anche quale apparenza egli avesse. Egli conosceva ciascuna delle cose importanti che gli erano insidiosamente impedite, ma poteva calcolarne la somma, comprendere quanto, con un peso più lieve sullo spirito, egli avrebbe potuto compiere, e stabilire così in qual modo, e in qual misura, malgrado le sue doti, venisse meno a se stesso. Soprattutto era iniziata al segreto della differenza tra le azioni di lui - quelle riguardanti il suo piccolo impiego governativo, o le cure per il suo modesto patrimonio (e per la sua biblioteca, per il suo giardino in campagna) e i suoi rapporti in Londra con le persone i cui inviti accettava e ricambiava - e il distacco che si celava sotto di esse e rendeva il contegno Henry James
584
1970 - Racconti Di Fantasmi
di Marcher, tutto ciò che poteva minimamente considerarsi un contegno, un atto solo di dissimulazione. Come definitivo risultato egli portava la maschera dipinta della smorfia sociale; ma dalle occhiaie della maschera si sprigionava uno sguardo del tutto in disaccordo con gli altri lineamenti. Questo dissidio, lo stupido mondo anche dopo anni non l'aveva mai scoperto se non a metà. Soltanto May Bartram ne era stata capace e aveva compiuto con arte indescrivibile il prodigio di incontrare simultaneamente - o forse non era se non alternativamente - gli occhi di lui dall'esterno e di mescolare la sua visione, come da dietro le spalle dell'uomo, al loro furtivo sguardo attraverso i fori della maschera. Così mentre invecchiavano insieme ella vigilava con lui, e permetteva che questo sodalizio desse forma e colore alla propria esistenza. Il distacco aveva imparato a insinuarsi anche sotto le sue maniere, e il contegno di lei era divenuto, in senso sociale, un rendiconto falsato. Vi era un solo rendiconto di sé che sarebbe stato costantemente vero e quello non poteva darlo schietto a nessuno, meno di tutti a John Marcher. Tutto l'atteggiamento di lei era una virtuale resa di conti, ma sembrava che la percezione di essa non fosse ancora giunta a lui come una delle molte cose che necessariamente non trovavano più posto nella sua coscienza. Se ella doveva, inoltre, come lui stesso, sacrificarsi alla loro vera verità, doveva sottintendersi che il suo compenso avrebbe potuto sembrarle più pronto e più naturale. Essi conobbero lunghi periodi, durante quel tempo a Londra, nei quali, quando stavano insieme, un estraneo avrebbe potuto ascoltarli senza minimamente drizzare gli orecchi; d'altra parte la verità vera era ugualmente passibile in qualsiasi momento di salire alla superficie, e allora l'uditore si sarebbe domandato di che cosa parlassero. Ben presto avevano stabilito che non essendo la società per fortuna troppo intelligente, il margine che restava per loro era diventato praticamente uno dei luoghi comuni nei loro discorsi. Eppure in alcuni momenti la situazione tornava quasi a rinnovarsi ancora, di solito a causa di qualche battuta di May. Le sue battute senza dubbio si ripetevano, ma gli intervalli erano generosi. Ciò che ci salda, non è vero? è il nostro aspetto così completo d'una apparenza così usuale; quella dell'uomo e della donna la cui amicizia è diventata un'abitudine talmente quotidiana, o quasi, da essere alla fine indispensabile -. Tale osservazione, ella aveva avuto occasione di ripeterla abbastanza spesso, sebbene ogni volta le avesse dato un diverso sviluppo. A noi interessa specialmente il giro che prese da parte sua un pomeriggio Henry James
585
1970 - Racconti Di Fantasmi
in cui Marcher era venuto a farle visita per il suo compleanno. Quell'anniversario era caduto di domenica, in una stagione di nebbia fitta e di generale tetraggine esteriore. Egli le aveva portato la sua consueta offerta, conoscendola ormai da abbastanza tempo per poter stabilire certe piccole tradizioni. Il dono che le portava per il compleanno era una delle prove date a se stesso di non essere caduto in un vero egoismo. Per lo più si trattava di un gingillo, ma sempre un bell'oggetto nel suo genere, ed egli badava per regola di pagarlo più di quanto credesse di potersi permettere. - La nostra consuetudine vi salva almeno, non vi pare? poiché vi accomuna, dopo tutto, per la gente, agli altri uomini. Che cosa è il segno più inveterato degli uomini, in genere? Che cosa, se non la capacità di passare un tempo indeterminato con donne insulse, passarlo, non dico senza noia, ma senza preoccuparsi della noia, senza fuggire per questo? La conclusione è identica. Io sono la vostra donna insulsa, una parte del pane quotidiano per il quale pregate in chiesa. E ciò dissimula le vostre tracce più di qualsiasi altra circostanza. - E che cosa nasconde le vostre? - domandò Marcher, che la sua «donna insulsa» aveva saputo sempre interessare. - Capisco, s'intende, che cosa volete dire quando parlate di salvarmi, in un modo o nell'altro, per quanto riguarda la gente, l'ho capito sempre. Soltanto, che cosa salva voi? Ci penso spesso, sapete. Parve che anch'ella vi avesse pensato qualche volta, ma in maniera piuttosto diversa. - Nei riguardi, volete dire, delle persone? - Ebbene, voi siete tanto impegnata con me, capite, quanto io sono impegnato con voi: è una conseguenza. Parlo dell'immenso rispetto che vi devo, profondamente conscio come sono di tutto ciò che avete fatto per me. Qualche volta mi domando se la cosa sia veramente onesta. Voglio dire se sia onesto l'avervi così coinvolta e interessata a me, giacché lo si può dire: mi sento quasi come se non vi lasciassi il tempo di fare nessun'altra cosa. - Altra cosa se non interessarmi a voi? - domandò May. - Ah, che cosa può esservi di più desiderabile? Se sono stata a «vegliare» con voi, come molto tempo fa ci accordammo che dovessi fare, vegliare è sempre di per se stesso un lasciarsi assorbire. - Oh certamente, - disse John Marcher, - se non aveste avuto la vostra curiosità...! Soltanto non vi pare, col progredire del tempo, che la vostra curiosità non riceva una ricompensa adeguata? Henry James
586
1970 - Racconti Di Fantasmi
May Bartram si concesse una pausa. - Me lo domandate, perché vi sembra che ciò accada un po' anche alla vostra curiosità? Voglio dire, perché vi sembra di dovere aspettare troppo? Oh, egli capiva che cosa ella volesse dire! - Finché succeda la cosa che non succede mai? Finché la belva balzi fuori? No, a questo riguardo mi trovo esattamente al punto in cui mi trovavo prima. Non è questione se possa scegliere, se possa decidere un cambiamento. Non è una questione per la quale vi possa essere un cambiamento. Sta in grembo agli dèi. Ciascuno è nelle mani della propria sorte, ecco tutto. In quanto alla forma che la sorte rivestirà, il modo in cui opererà, riguarda soltanto lei. - Sì, - rispose la signorina Bartram: - s'intende che il destino di ognuno arriva, anzi è già arrivato nella forma sua propria, e nel modo suo proprio, sin dall'inizio. Soltanto, non è vero? la forma e il modo nel vostro caso avrebbero dovuto essere, ebbene, qualche cosa di molto eccezionale e, come si può dire, di particolarissimamente vostro soltanto. Qualcosa in queste parole lo indusse a guardarla con sospetto. - Voi dite «avrebbe dovuto essere», come se in cuor vostro aveste cominciato a dubitare. - Oh! - ella protestò vagamente. - Come se credeste, - egli prosegui, - che ormai non accadrà più nulla. Ella scosse la testa lentamente, ma con aria piuttosto misteriosa. - Siete lontano dal mio pensiero. Marcher continuò a guardarla. - Qual è, dunque? - Ebbene, - ella disse dopo un'altra pausa, - è questo, semplicemente: sono sempre più sicura che la mia curiosità, come la chiamate, sarà anche troppo ricompensata. Anche troppo bene. Erano decisamente seri, oramai; egli s'era alzato dal suo posto, aveva fatto un giro per il piccolo salotto nel quale, anno per anno, aveva proposto il suo inevitabile argomento e, come avrebbe potuto dire, assaporato in ogni salsa la loro stretta unione, dove gli oggetti gli erano noti come quelli della propria casa, e gli stessi tappeti erano consumati dal suo passo inquieto, proprio come le scrivanie nelle vecchie ditte sono consumate dai gomiti d'intere generazioni di commessi. Le generazioni dei suoi torbidi stati d'animo vi avevano operato, e il luogo era la storia scritta di tutta la parte centrale della sua vita. Sotto l'impressione di quanto la sua amica aveva ora detto egli si sentiva, per qualche ragione, più conscio di queste cose; tanto che, dopo un momento, fu indotto a fermarsi di nuovo davanti a Henry James
587
1970 - Racconti Di Fantasmi
lei: - E possibile che siate diventata paurosa? - Paurosa? - Egli pensava, mentre ella rifletteva sulla parola, che la domanda le avesse fatto un poco cambiare colore; e così temendo di aver urtato in una verità, spiegò molto teneramente: - Vi ricordate che avete fatto a me la stessa domanda, molto tempo fa, quel primo giorno a Weatherend? - Oh sì, e voi mi diceste che non lo sapevate, che avrei dovuto giudicare da me. Ne abbiamo parlato poco da allora, anche se è passato tanto tempo. - È vero, - Marcher interruppe, - proprio come se fosse una materia troppo delicata perché se ne potesse trattare liberamente. Proprio come se, a insistervi, potesse accadere di scoprire che io ho davvero paura. Perché allora, - disse, - non sapremmo proprio che fare, non è vero? May, per il momento, non seppe rispondere a questa domanda. - Vi sono state giornate in cui ho pensato che aveste paura. Soltanto, s'intende, - aggiunse, - vi sono state giornate in cui abbiamo pensato a ogni cosa. - Ogni cosa. Oh! - gemette Marcher piano quasi con uno spasimo, per metà soffocato, di fronte all'aspetto dell'incognita che stava sempre con loro, più scoperto in quell'istante di quanto non fosse stato da lungo tempo. Essa per solito, e in momenti imprevedibili, tornava ad affacciarsi biecamente, proprio come gli occhi stessi della belva, e poiché egli vi era abituato, quegli occhi potevano ancora trarre da lui il tributo di un sospiro che sorgeva dalle profondità del suo essere. Tutto ciò che essi avevano pensato dall'inizio ad allora si riversava su di lui; il passato sembrava essersi ridotto a una mera sterile speculazione. Il luogo pareva che fosse occupato dalla tensione dell'attesa, a cui ogni cosa, per eliminazione, era venuta a finire. Rimaneva la tensione soltanto e sembrava pendere nel vuoto che la circondava. Persino la sua paura originaria, se paura era stata, si perdeva nel deserto. - Credo, però, - continuò, - che adesso capirete perché non abbia paura. - Capisco, e intravedo, che avete compiuto una cosa quasi senza precedenti per quel che riguarda l'abitudine al pericolo. Vivendo con esso per tanto tempo e così strettamente, ne avete perduto il senso; sapete che è li, ma vi siete indifferente, e cessate persino, come nel tempo antico, di dover fischiare al buio. Dato che il pericolo esiste, - May Bartram concluse, - sono costretta a dire che non vedo bene in quale modo il vostro Henry James
588
1970 - Racconti Di Fantasmi
atteggiamento potrebbe essere superato. John Marcher sorrise incerto. - E eroico? - Certamente, chiamatelo così. Era proprio così ch'egli avrebbe voluto chiamarlo. - Io sono dunque un uomo coraggioso. - Era quel che dovevate dimostrarmi. Egli però rimaneva ancora perplesso. - Ma l'uomo coraggioso non sa dire di che cosa ha paura, o di che cosa non ha paura. Ecco quel che non so. Non lo metto a fuoco. Non posso dargli un nome. So unicamente di esser esposto a un pericolo. - Sì, ma esposto, come dire? così direttamente, così intimamente. Certo può bastare. - Può bastare a darvi la sensazione, e potremo chiamarla la fine e la conclusione della nostra vigilia, che io non ho paura. - Non avete paura. Ma non è - disse May - la fine della nostra vigilia. Cioè, non è la fine della vostra. Avete ancora tutto da vedere. - Allora perché voi no? - domandò lui. Sin dall'inizio del colloquio, aveva avuto la sensazione che ella tacesse qualche cosa, e l'aveva ancora. La sua impressione si accrebbe (era la prima volta che la percepiva e segnava un poco una data), perché sulle prime May non rispose; il suo silenzio l'indusse a proseguire. - Voi sapete qualcosa che non so -. E la sua voce, per essere quella d'un uomo coraggioso, tremava quasi. - Voi sapete che cosa deve succedere -. Il silenzio e il viso di lei erano quasi una confessione, gliene davano la certezza, oramai. - Voi sapete, e avete paura di dirmelo. È tanto brutto, che avete paura ch'io lo scopra. Tutto ciò poteva essere vero, e infatti May Bartram aveva l'aria come se, inavvertito anche a lei medesima, egli avesse varcato la linea mistica che ella si era segretamente tracciata intorno. Eppure avrebbe potuto, dopo tutto, non preoccuparsene; ma per colmo anche Marcher non pareva che sarebbe stato costretto, in nessun caso, a preoccuparsene. - Non lo scoprirete mai, - ella finì col dire.
III. E fu tutto; ma nondimeno, come ho detto, segnò una data; e in seguito il suo significato si rese più evidente, perché anche dopo lunghi intervalli, ogni volta che tra loro accadeva altro, ebbe sempre, in rapporto a quell'ora, Henry James
589
1970 - Racconti Di Fantasmi
il carattere di richiamo e di conseguenza. Il suo effetto immediato era stato piuttosto di rallentare l'insistenza, quasi di provocare una reazione; come se il loro tema fosse caduto sotto il proprio peso, e come se Marcher avesse riconosciuto, nell'incidente, uno dei soliti ammonimenti contro l'egotismo. Egli aveva conservato (lo sentiva), e abbastanza bene, la consapevolezza di quanto importasse per lui il guardarsi dall'egoismo e in verità non aveva mai peccato in quella direzione senza cercare assai prontamente di equilibrare l'altro piatto della bilancia. Spesso riparava al suo errore con l'invitare la sua amica, la stagione permettendolo, ad accompagnarlo all'opera; e così, piuttosto di frequente accadde che, per dimostrarle il desiderio di non offrire alla sua mente sempre lo stesso cibo, egli la inducesse a farvisi vedere con lui anche una dozzina di volte in un mese. Poteva perfino succedere che, accompagnandola a casa in tali occasioni, incidentalmente entrasse da lei per terminare, come diceva, la serata; e per meglio colorire il suo ragionamento, sedeva alla cenetta frugale ma sempre accurata e pronta per lui. La sua logica lo consigliava a non insistere eternamente su se stesso parlando con lei; per esempio, in certe ore, poiché entrambi sapevano suonare il pianoforte, ripassavano insieme brani d'opera. Per caso, in una di quelle occasioni, egli le rammentò che non aveva risposto a una certa domanda che le aveva fatto durante la loro conversazione nell'ultimo compleanno di lei. - E voi, che cosa vi salva? - salvava lei, egli voleva dire, da quella apparenza eccentrica, in contrasto con la vita comune. Se egli era virtualmente sfuggito all'attenzione altrui, come ella pretendeva, comportandosi nel particolare più importante come la maggior parte degli uomini si comporta, - cercando, cioè di dare un senso alla vita coll'allacciare la loro sorte a quella di una donna che li valga, - come vi era sfuggita lei, come aveva potuto la loro relazione, se relazione era, giacché essi dovevano supporre che avesse più o meno attirato l'attenzione, non aver provocato discorsi piuttosto malevoli sul conto di lei? - Non dissi mai, - rispose May Bartram, - che non avessi fatto parlare molto di me. - Ah bene, allora non ti sei salvata. - Non ve ne è stata questione per me. Se tu hai avuto la tua donna io ho avuto il mio uomo. - E vuoi dire che ciò ti mette a posto? Oh, pareva sempre che vi sarebbe stato troppo da dire! - Non so perché Henry James
590
1970 - Racconti Di Fantasmi
non dovrei essere, umanamente, ed è di ciò che stiamo parlando, così a posto come te. - Capisco, - rispose Marcher. - «Umanamente», senza dubbio, significa che tu vivi per qualche cosa. Cioè, non soltanto per me e per il mio segreto. May Bartram sorrise. - Non intendo dire proprio che io non viva per te. Si tratta, qui, della mia vita intima con te. Egli rise nel capire dove ella andava a parare. - Si, ma poiché come tu dici, sono soltanto, per quanto la gente possa raccapezzarsi, un uomo comune, non è vero? tu non sei, dunque, che una donna comune. Tu mi aiuti a passare per un uomo come un altro. Così, se io sono un uomo come un altro, tu, se ben ti comprendo, non sei compromessa. È così? Ella, secondo il suo solito, attese prima di rispondere, ma parlò in modo abbastanza chiaro. - E' così. E' il mio compito: aiutarti a sembrare un uomo come un altro. Marcher ebbe cura di apprezzare affettuosamente la risposta. - Come sei cara, come sei generosa con me! In quale modo potrò mai ricambiarti? May fece ancora un'ultima grave pausa, come se fosse a un bivio. Però scelse. - Continuando come fai. Ricaddero infatti nella loro consuetudine, e per tanto tempo che venne, inevitabile, il giorno in cui dovettero scandagliare di nuovo le profondità su cui si muovevano. Queste profondità, costantemente unite da un ponte abbastanza solido, malgrado la sua levità e le sue occasionali oscillazioni nell'aria alquanto vertiginosa, richiedevano ogni tanto, nell'interesse dei loro nervi, la calata dello scandaglio e la misurazione dell'abisso. Una differenza, inoltre, era stata creata una volta per sempre dal fatto che May, durante tutto il tempo, non parve sentire la necessità di respingere l'accusa di celare un'idea, che non osava esprimere, accusa che Marcher le mosse proprio alla fine di una delle loro ultime discussioni. Allora era emersa per lui la certezza che ella «sapeva» qualcosa e che quanto sapeva era penoso, troppo penoso per poterglielo dire. Quando egli ne aveva parlato come di una cosa penosa che ella temesse di fargli scoprire, la risposta di May aveva lasciata la questione in sospeso, troppo incerta per essere trascurata eppure, per la speciale sensibilità di Marcher, quasi troppo temibile per essere di nuovo affrontata. Vi girava intorno a una distanza che, volta a volta, aumentava o diminuiva, ma la certezza esistente in lui che ella non poteva sapere nulla più di lui, nemmeno una sillaba, impediva a tale Henry James
591
1970 - Racconti Di Fantasmi
distanza di modificarsi molto. May non aveva nessuna fonte di conoscenza più di lui, se non forse nervi più vigili. Quella speciale sensibilità che si risveglia nelle donne quando s'interessano a qualcosa. A riguardo di certe persone sono capaci di discernere cose che le persone stesse non arrivano a cogliere. La loro sensibilità, la loro immaginazione, i loro nervi, sono veri organi conduttori e rivelatori, e il pregio particolare di May Bartram consisteva nell'aver dedicata questa sensibilità al caso suo. Durante quel tempo Marcher senti, ed era strano che non gli fosse capitato prima, crescere in lui il timore di perderla in seguito a qualche catastrofe. Temeva tanto perché ella aveva cominciato a dargli l'impressione di essergli indispensabile, e perché alcuni sintomi inquietanti e nuovi nella salute di May vennero a coincidere con questa impressione. Una caratteristica del distacco interiore che egli aveva coltivato sino allora con tanto successo, e al quale si riferisce tutta la descrizione del personaggio, era che le sue complicazioni, fossero gravi o leggere, mai, sino allora, erano parse addensarglisi intorno, fino al punto di costringerlo a chiedersi se per caso non si trovasse davvero a portata della vista e dell'udito, a contatto e nell'immediata giurisdizione della cosa che era in agguato. Quando venne il giorno, come doveva venire, in cui la sua amica gli confessò di temere serie alterazioni nella sua salute, egli senti in certo modo l'ombra d'un mutamento e il brivido d'una sorpresa. Cominciò immediatamente ad immaginare complicazioni e disastri, e soprattutto non vide nel pericolo di lei se non la perdita che lo minacciava direttamente. Ebbe anche in questa occasione uno di quei riflussi parziali di equanimità che gli piacevano, si avvide come nella sua mente sovrastasse ogni altra considerazione il timore della perdita che ella stessa avrebbe dovuto subire. «E se dovesse morire prima di sapere, prima di vedere...?» Sarebbe stato brutale, ai primi stadi del malessere, porle una simile domanda; ma gli era balenata immediatamente, e questa possibilità lo addolorò più di ogni altra per lei. Inoltre, se davvero ella «sapeva», vale a dire se le era stata concessa, - come esprimere la cosa? - un po' di mistica luce inequivocabile, la cosa non ne sarebbe stata migliorata, ma piuttosto peggiorata; perché immedesimandosi con l'attesa di lui, ella ne aveva fatto la base della propria vita. Era vissuta nell'attesa di quello che avrebbe dovuto accadere, e sarebbe stato straziante per lei dovere andarsene prima che l'incognita si palesasse. Queste riflessioni, come dico, stimolavano la sua generosità; eppure a qualunque espediente egli si appigliasse, si Henry James
592
1970 - Racconti Di Fantasmi
accorgeva, col passare del tempo, di essere sempre più disorientato. Il periodo passò per lui con una rapidità eccezionale e continua, e per la più strana delle stranezze gli diede, oltre la minaccia di molte complicazioni, quasi l'unica sorpresa positiva che la sua carriera, se carriera si poteva chiamare, avesse ancora da offrirgli. May restava in casa come prima non aveva mai fatto; Marcher dovette recarsi da lei per vederla; ella non poteva incontrarsi con lui in nessun posto adesso, sebbene non esistesse angolo della loro vecchia, amata Londra in cui, in diverse occasioni, non fosse venuta a incontrarlo nel passato. Egli la trovava sempre seduta accanto al fuoco, sprofondata nella vecchia poltrona, che era sempre meno in grado di abbandonare. Un giorno, dopo un'assenza più lunga del solito, fu sorpreso che ella gli apparisse inaspettatamente molto più vecchia di quanto non avesse mai creduto; poi riconobbe che quanto v'era d'inatteso in quell'impressione dipendeva da lui, - constatazione subitanea e semplice. May appariva più vecchia perché inevitabilmente, dopo tanti anni, era vecchia, o quasi; ciò, s'intende, valeva anche in maggior misura per il suo compagno. Se era vecchia, o quasi, John Marcher lo era senza dubbio, eppure questa verità gli fu insegnata da lei; non vi pervenne da se stesso. A questo punto cominciarono le sorprese, e una volta cominciate si moltiplicarono; vennero piuttosto tempestosamente, parve che nella maniera più strana del mondo esse fossero state tutte trattenute, coltivate in un vivaio, serbate per il tardo pomeriggio della vita, per il periodo in cui, per la maggior parte degli uomini, l'imprevisto è tramontato. Una di queste sorprese fu di cogliersi - perché proprio si colse in flagrante - a domandarsi se davvero il temibile accidente stesse per attuarsi adesso, e fosse unicamente la condanna di veder trapassare quella cara creatura, quella mirabile amica. Egli non l'aveva mai qualificata così senza riserve prima che una tale possibilità si affacciasse nel suo intimo; nondimeno, per lui, non restava dubbio che come risposta al suo lungo enigma, anche la semplice scomparsa d'un elemento così prezioso sarebbe stata un'abietta menomazione. Avrebbe rappresentato, riguardo al suo atteggiamento anteriore, una caduta di dignità e in tal caso la sua esistenza non poteva diventare se non il più grottesco dei fallimenti. Era sempre stato lontano dal considerare la sua vita un fallimento, per quanto avesse aspettato a lungo la comparsa del successo. Aveva aspettato una cosa ben diversa, non una cosa come quella. La sua fiducia rantolava ormai, mentre egli riconosceva quanto tempo avesse aspettato, o almeno quanto tempo Henry James
593
1970 - Racconti Di Fantasmi
avesse aspettato la sua compagna. Che a lei, per caso, fosse riservato di aver atteso invano, fu un dubbio che lo impressionò acutamente, tanto più che all'inizio aveva quasi scherzato su tale probabilità. Quel suo turbamento si aggravò, aggravandosi il male di lei; perciò lo stato d'animo che venne così a formarsi in lui e che egli stesso finì per vigilare come se si fosse trattato d'una deformazione fisica, può esser considerato un'altra delle sorprese che lo attendevano. A questa se ne aggiunse un'altra: la coscienza veramente stupefacente, cioè, di una domanda che soltanto se egli avesse avuto un po' più di coraggio sarebbe giunta a prender forma. Che significava quanto accadeva - cioè, che cosa significavano lei, lei e la sua vana aspettazione, la sua probabile morte e il silenzioso ammonimento di tutto ciò - se non che, oramai, era semplicemente, era rovinosamente troppo tardi? Egli non aveva mai, a nessuno stadio della sua bizzarra mania, ammesso nemmeno il sussurro di un tale avvertimento; non era mai stato, se non in questi ultimi mesi, tanto infedele alla sua convinzione, da non credere che l'incognita da lui attesa avrebbe avuto sempre tempo per accadere, senza badare se a lui, Marcher, il tempo sarebbe bastato. Che alla fin fine, egli non ne avesse certo abbastanza o ne avesse soltanto una quantità minima, divenne ben presto, con lo svolgersi dei fatti, l'evidenza con la quale la sua vecchia ossessione dovette fare i conti; né lo confortò in questa lotta, la certezza, sempre più confermata, che la grande incognita, alla cui lunga ombra era vissuto, non possedeva ormai per rivelarsi che un esiguo margine di tempo. E poiché nel Tempo avrebbe dovuto incontrare il suo destino, così nel Tempo il suo destino si sarebbe compiuto; e mentre egli si risvegliava al senso di non essere più giovane, ciò che corrispondeva esattamente al senso di essere logorato, che, a sua volta, equivaleva al senso di essere inetto, i suoi occhi si aprirono anche a un'altra verità. Tutto si concatenava; erano soggetti lui e la grande incognita, a una legge uguale e inscindibile. Quando le stesse possibilità si fossero logorate, quando il segreto degli dèi si fosse rarefatto e forse perfino svaporato del tutto, allora, e allora soltanto, vi sarebbe stato fallimento. Non sarebbe stato fallimento far bancarotta, essere disonorato, messo alla berlina, impiccato; sarebbe stato fallimento non essere nulla. Così, nell'oscura valle dove il suo sentiero improvvisamente era deviato, Marcher si poneva non poche domande, mentre avanzava a tentoni. Non gli importava quale terribile crollo dovesse raggiungerlo, né a quale ignominia o mostruosità egli potesse venire associato - giacché dopo tutto Henry James
594
1970 - Racconti Di Fantasmi
non era troppo vecchio per soffrirne - purché esso fosse almeno decorosamente adeguato al contegno mantenuto da lui, per tutta la vita, di fronte alla minacciosa presenza. Un solo desiderio gli era rimasto: non dover pensare d'essere stato ingannato.
IV. Un pomeriggio, durante quel periodo, mentre la primavera era giovane, May affrontò in un modo tutto suo l'aperta rivelazione che Marcher le fece di queste sue apprensioni. Egli era andato sul tardi a vederla, ma la sera non prevaleva ancora, e May si presentò a lui in quella luce lunga e fresca delle giornate morenti d'aprile che instilla spesso una tristezza più acuta delle ore più grigie d'autunno. La settimana era stata calda, si diceva che la primavera fosse incominciata presto, e May Bartram sedeva, per la prima volta nell'anno, davanti al camino spento; quel particolare, agli occhi di Marcher, conferiva alla scena di cui ella faceva parte un aspetto levigato e definitivo, come a sottintendere, nel suo ordine immacolato e nella sua allegria fredda e insignificante, che mai più si sarebbe riacceso il fuoco. L'aspetto di lei medesima, egli non avrebbe potuto dirne bene il perché, intensificava questa sensazione. Quasi bianca come cera, con tracce e segni sul viso numerosi e fini come se fossero stati incisi con un bulino, con drappeggi morbidi e bianchi messi in rilievo da una sciarpa verde sbiadita, e gli anni ne avevano anche più ingentilito il tono delicato, ella era l'immagine d'una sfinge serena e squisita, ma impenetrabile, la cui testa, o meglio tutta la persona, poteva sembrare incipriata d'argento. Era una sfinge, eppure i suoi petali bianchi e le sue verdi fronde avrebbero potuto renderla anche simile a un giglio, ma soltanto a un giglio artificiale, meravigliosamente imitato e costantemente preservato sotto una chiara campana di vetro senza polvere o macchie, sebbene non immune da una leggera stanchezza e da un intrico di lievissime pieghe. Un ordine domestico perfetto, una raffinata e lucente nettezza, regnavano sempre nelle sue stanze, ma ora sembrava piuttosto che ogni cosa vi fosse stata sistemata, piegata, riposta, in modo che May potesse star lì seduta con le mani incrociate e nient'altro da fare. Ella appariva ormai allo sguardo di Marcher «al di fuori»; il suo lavoro era finito; ella comunicava con lui come attraverso un abisso, o da un'isola di riposo alla quale fosse già approdata, e ciò gli diede uno strano senso d'abbandono. O forse, dopo Henry James
595
1970 - Racconti Di Fantasmi
aver vigilato con lui per tanto tempo, ella aveva visto la risposta alla loro domanda fluttuare verso di lei, e rivelare il proprio volto, in modo che il suo compito era veramente finito. John era giunto a fargliene quasi una colpa dicendole, molti mesi prima, che già allora ella sapeva qualche cosa e voleva nasconderglielo. Su questo argomento non aveva mai osato insistere, temendo vagamente che ne potesse nascere qualche dissenso, o forse un disaccordo tra loro due. Durante questo ultimo periodo Marcher era diventato nervoso, cosa che non gli era mai accaduta in tutti gli altri anni; e, fatto strano, il suo nervosismo aspettò a manifestarsi quando cominciarono i suoi dubbi, mentre non si era mai mostrato finché egli aveva avuto una certezza. Gli pareva, forse, che una parola sbagliata avrebbe fatto cadere qualcosa su di lui, qualcosa che così almeno avrebbe allentato la sua tensione. Ma non voleva dire la parola sbagliata, che avrebbe guastato tutto. Voleva che la cosa ignota gli venisse sopra, se poteva venire, greve di tutto il suo peso augusto. Se May doveva abbandonarlo, toccava certamente a lei prendere congedo. Ecco perché egli non le chiedeva ancora direttamente che cosa sapesse; ma, per lo stesso motivo, abbordando la cosa da un altro lato, le disse nel corso di quella visita: - Quale credi sia la peg-gior cosa che oramai mi possa accadere? Abbastanza spesso le aveva posto una domanda simile; in passato essi si erano, con il curioso ritmo irregolare dei loro dialoghi intensi, e delle loro ritrosie, scambiati a questo proposito idee che poi avevano visto cancellate da freschi intervalli; cancellate come figure disegnate sulla riva del mare. Era sempre stata una caratteristica dei loro discorsi che le più antiche allusioni non richiedessero se non un piccolo segno di reazione per risorgere e apparire nuovissime. così, adesso, ella potè fronteggiare la sua domanda senza stanchezza, pazientemente. - Ah sì, vi ho pensato più volte, soltanto mi pareva sempre, nel passato, che non avrei potuto decidermi. Pensavo a cose spaventose, tra le quali era difficile scegliere; e così devi aver fatto anche tu. - Altro che! Ora mi pare di non aver mai fatto altro. Mi sembrava di aver passato la vita a non immaginare altro se non cose spaventose. Moltissime di esse, a varie riprese, le ho nominate, ma vi sono altre che non potei nominare. - Erano troppo, troppo spaventose? - Troppo, troppo spaventose, alcune. Ella lo guardò un momento, ed egli, nell'incontrare il suo sguardo, nello Henry James
596
1970 - Racconti Di Fantasmi
scorgerne tutta la limpidezza, provò il senso incoerente che i suoi occhi fossero ancora belli come erano stati in gioventù, belli però di una strana luce fredda - una luce che, non si sapeva come, era in parte l'effetto, se non era piuttosto in parte la causa, della pallida e aspra dolcezza della stagione e dell'ora. - Eppure, - disse May finalmente, - vi sono orrori che abbiamo esaminati. Aumentava la stranezza circostante, udire quella donna, in quel quadro, parlare di «orrori», ma pochi minuti dopo ella doveva fare una cosa più strana ancora, e il cui preludio già si annunciava, sebbene anche di questa cosa egli non fosse destinato ad afferrare il valore se non più tardi. A ben guardare era un segno che gli occhi di lei avessero ritrovato la vivida lucentezza della loro bella stagione. Marcher dovette però ammettere quanto ella diceva: - Ah sì, vi furono momenti in cui siamo andati molto in là -. Si sorprese nell'atto di parlare come se tutto fosse finito. Ebbene, avrebbe voluto che fosse finito mentre sentiva sempre più, e con maggior chiarezza, che tale conclusione dipendeva dalla sua amica. May aveva ora un morbido sorriso. - Oh, in là...! Marcher fu leggermente ironico. - Vuoi dire che sei pronta ad andare anche più in là? Ella era fragile e antica e affascinante mentre continuava a guardarlo, eppure sembrava piuttosto che avesse perso il filo. - Ti sembra che siamo andati troppo in là? - Come! Credevo che fosse proprio la cosa di cui ti vantavi or ora, che noi abbiamo guardato in faccia quasi ogni cosa. - Compresi noi due, reciprocamente? - Ella sorrideva ancora. -Ma tu hai perfettamente ragione. Abbiamo seguito insieme grandi fantasie, spesso grandi paure; ma qualcuna tra loro è rimasta inespressa. - Allora, il peggio non l'abbiamo affrontato. Io potrei davvero affrontarlo, credo, se tu mi dicessi quale credi che sia. Mi sento, -egli spiegò, - come se avessi perso ogni capacità di concepire simili cose -. E nel suo intimo si domandava se anche all'esterno apparisse così atono come si sentiva. - Quella capacità è esausta in me. - E allora perché supponi, - domandò, - che in me non lo sia? - Perché in te ho visto proprio i segni del contrario. Per te non si tratta di concepire, immaginare, confrontare. Non si tratta ora di scegliere -. Finalmente egli si liberò. - Tu sai qualche cosa ch'io non so. Me l'hai fatto comprendere. Henry James
597
1970 - Racconti Di Fantasmi
Queste ultime parole l'avevano commossa, egli se ne rese fin troppo conto in un attimo. May parlò con fermezza. - Non ti ho fatto intendere nulla, mio caro. Marcher scosse la testa. - Non puoi dissimularlo. - Oh, oh! - May Bartram attenuò in un mormorio ciò che non sapeva nascondere. Fu quasi un gemito soffocato. - L'ammettesti mesi or sono, quando ne parlai con te come di una cosa che tu temessi di vedermi scoprire. Mi rispondesti che non potevo, che non l'avrei fatto, e non fingo di averlo fatto. Ma tu avevi dunque qualcosa in mente, e capisco ora come quella che ti si è fissata in mente debba essere stata, fra tutte le possibilità, la peggiore. Ecco - prosegui, - perché faccio appello a te. Oggi ho paura soltanto di non sapere, non ho paura di sapere. E poi, - siccome ella per un istante tacque: - sono tanto più sicuro perché vedo nel tuo viso e sento qui, in questa aria e tra queste apparenze, che tu ne sei fuori. Tu hai finito. Tu hai avuto la tua esperienza. Tu mi lasci al mio destino. Ella ascoltava, immota e bianca sulla poltrona, come davanti a una decisione da prendere, in modo che il suo atteggiamento era una evidente conferma, sebbene velata ancora da una piccola e tenue rigidezza interiore, una sorta di una capitolazione imperfetta. - Sarebbe la peggiore cosa, - ella si concesse finalmente. - Intendo, la cosa che non ho mai detta. Ciò lo fece ammutolire per un momento. - Più mostruosa di tutte le mostruosità che abbiamo esaminato? - La più mostruosa. Non ti pare abbastanza, - ella domandò, -chiamarla la peggiore? Marcher rifletté. - Sicuramente, se intendi, come me, qualche cosa che comprenda tutte le perdite e tutte le vergogne concepibili. - Così sarebbe, se dovesse succedere, - disse May Bartram. -Ciò di cui noi stiamo parlando, ricordati, è soltanto una mia idea. - È la tua convinzione, - rispose Marcher. - Ciò mi basta. Sento che le tue convinzioni sono giuste. Perciò se, avendone una, tu non mi illumini di più su essa, tu mi abbandoni. - No, no! - ella ripetè. - Sono con te, ancora, non lo vedi? - E come per rendergli più evidenti le sue parole si alzò dalla poltrona, movimento che raramente arrischiava in quei tempi, e si mostrò, tutta drappeggiata e morbida, nella sua candida snellezza. - Non ti ho abbandonato. Vi era veramente, in quella reazione alla sua debolezza, una promessa Henry James
598
1970 - Racconti Di Fantasmi
generosa, e se il risultato del suo gesto non fosse stato completo come fu, Marcher ne avrebbe ricevuto più dolore che sollievo. Ma il freddo fascino dei suoi occhi si era diffuso, mentre aleggiava davanti a lui, a tutta la sua persona, in modo che per il momento parve quasi aver recuperato la giovinezza. Non poteva provarne compassione, poteva soltanto accoglierla quale appariva, capace, ancora, di soccorrerlo. Pareva anche però che la sua luce potesse a ogni istante spegnersi; e che perciò egli dovesse affrettarsi ad approfittarne il più possibile. Passarono in lui con intensa vividezza i tre o quattro dubbi che più desiderava chiarire; ma la sola domanda che gli venne alle labbra comprendeva in verità le altre. - Allora dimmi se sarò consapevole di soffrire. Ella scosse profondamente la testa. - Mai! Ciò confermò l'autorità che egli le attribuiva, e produsse su di lui un effetto straordinario. - Ebbene, che può esservi di meglio? E questo lo chiami il peggio? - Tu credi che non vi sia nulla di meglio? - ella domandò. Sembrava sottintendere qualche cosa di così speciale che egli rimase ancora profondamente perplesso, sebbene vedesse albeggiare una prospettiva di sollievo. - Perché no, se non si sa? - Dopo di che, mentre i loro occhi, a questa sua domanda, s'incontravano in silenzio, quell'alba si dilatò, quasi tanto quanto egli desiderava e raggiò prodigiosamente dal viso di May. Quello di Marcher, mentre egli la rispecchiava, arrossi improvvisamente sino alla fronte, ed egli ansimò oppresso dalla forza d'una percezione con la quale, sull'istante, venne a concordare ogni cosa. L'ansito del suo respiro riempi l'aria; poi egli riuscì a proferire: - Capisco, se non soffro. Nello sguardo di lei, però, persisteva il dubbio. - Capisci che cosa? - Ma quel che intendi tu, quel che tu hai sempre inteso dire. Ella scosse di nuovo la testa. - Quel che intendo dire non è quel che ho sempre inteso. È diverso. - È qualcosa di nuovo? Ella rifletté un istante. - Qualcosa di nuovo. Non è quel che tu credi. So quel che tu credi. In lui l'assillo di sapere, dopo il sollievo, riprese lena; soltanto l'obiezione di May poteva essere sbagliata. - Sarà, per caso, ch'io sia uno sciocco? - domandò tra avvilito e sarcastico. - È questo forse? E tutta la cosa è stata un solenne errore? Henry James
599
1970 - Racconti Di Fantasmi
- Un errore? - ella echeggiò compassionevolmente. Quella possibilità, per lei, egli lo capì, sarebbe stata mostruosa; e se May lo assicurava che sarebbe immune dal dolore non era dunque quella la cosa che aveva in mente. - Oh, no, - dichiarò. - Non è nulla di questo genere. Non ti sei ingannato. Eppure Marcher non poteva fare a meno di chiedersi se ella, così costretta, non parlasse soltanto per salvarlo. Gli pareva che sarebbe perduto del tutto, se la sua storia fosse sfociata nell'usuale. - Mi dici la verità? Non voglio esser stato un così grande idiota da non essere capace di affrontare la verità. Sono forse vissuto con una vana fantasia, nella più balorda illusione? Ho forse aspettato soltanto per vedermi chiudere la porta in faccia? Ella scoteva ancora la testa. - In qualunque modo la cosa si consideri, non è quella la realtà. Qualunque sia la realtà, è veramente una realtà. La porta non è chiusa, la porta è aperta, - disse May Bar tram. - Allora qualcosa deve avvenire? Lei aspettò ancora una volta, sempre con occhi freddi e dolci fissati su di lui. - Non è mai troppo tardi -. Con il suo passo leggero, aveva diminuito la distanza tra loro, e stava più vicina a lui, accosto a lui, un minuto, come se fosse ancora colma dell'inespresso. Questo movimento avrebbe potuto sottolineare con delicata eloquenza quello che, esitante e a un tempo decisa, stava per dire. Egli era rimasto in piedi accanto al caminetto, privo di fuoco e ornato con semplicità: solo un piccolo orologio francese antico e perfetto e due rosee porcellane di Dresda lo guarnivano. May strinse con la mano il piano del caminetto come a cercarvi appoggio e coraggio mentre lasciava Marcher nell'incertezza. Ella si contentò di lasciarlo aspettare; cioè, egli si contentò di attendere. Fu bello, vivo, per Marcher, capire dal movimento e dall'atteggiamento di lei, che ella aveva ancora qualcosa da dargli; il suo viso consunto ne splendeva delicatamente, riluceva nella sua espressione quasi il chiarore bianco dell'argento. Ella possedeva senza contestazioni la verità, quel che egli vedeva nel suo viso era la verità; e stranamente, senza nesso apparente mentre il loro discorso intorno ad essa come cosa terribile era ancora nell'aria, pareva invece offrirla come cosa d'insolita dolcezza. Quel presentimento lo rese perplesso e sempre più assorto nella sua gratitudine e nell'attesa della rivelazione, in modo che essi restarono per qualche minuto in silenzio, ella irradiando su di lui il chiarore del suo viso, stretta imponderabilmente a lui, ed egli con uno Henry James
600
1970 - Racconti Di Fantasmi
sguardo tutto tenerezza ma anche aspettativa, fisso in lei. Alla fine, nondimeno, quanto Marcher attendeva non accadde. Accadde invece qualche altra cosa, e sembrò un'inezia: May Bartram chiuse gli occhi... Nello stesso istante fu presa da un brivido lento e sottile, e, sebbene egli la fissasse ancora, la fissasse anzi con uno sguardo più intenso, ella si allontanò e tornò alla sua poltrona. Fu la fine del tentativo di May, ma egli rimase a pensarvi ancora. - Ebbene, non mi dici...? Ella, passando, aveva toccato il campanello vicino al caminetto ed era ricaduta stranamente pallida. - Temo di sentirmi male. - Troppo male per dirmi? - Sorse acuto in lui, e quasi gli venne alle labbra, il timore che ella potesse morire senza illuminarlo. Si trattenne in tempo dall'esprimere la sua ansia, ma ella rispose come se avesse sentito le parole. - Non lo sai... ora? - Ora...? - May aveva parlato come se una qualche differenza fosse stata creata in quell'istante. Ma già pronta al richiamo del campanello, la cameriera era entrata. - Io non so nulla -. In seguito doveva rendersi conto di aver parlato con odiosa impazienza, con tale impazienza da mostrare che, supremamente sconcertato, si lavava le mani di tutta la faccenda. - Oh! - disse May Bartram. - Soffri? - egli chiese mentre la donna si avvicinava a lei. - No, - disse May Bartram. La cameriera, che la sosteneva col braccio come per condurla nella sua stanza, fissò su di lui uno sguardo che con la sua espressione supplichevole contraddiceva quella parola; tuttavia, egli insistè nella sua ostinata malafede. - Che cosa è accaduto dunque? Con l'aiuto della compagna, era nuovamente in piedi, ed egli, sentendosi costretto a ritirarsi, aveva goffamente cercato il cappello e i guanti ed era giunto alla porta. Ma aspettò la risposta di lei. - Quel che doveva accadere, - disse May.
V. Marcher tornò il giorno successivo, ma ella non potè riceverlo, e siccome era letteralmente la prima volta che una simile cosa accadeva Henry James
601
1970 - Racconti Di Fantasmi
nella lunga vicenda della loro amicizia, egli si allontanò vinto e ferito, quasi adirato - o sentendo almeno che quella rottura delle loro abitudini era veramente il principio della fine - e girovagò, solo, con i suoi pensieri, con quelli specialmente che era meno capace di reprimere. Ella stava morendo, ed egli l'avrebbe perduta; ella stava morendo, e la vita di lui sarebbe volta alla fine. Si fermò nel Parco dove era entrato, fissò davanti a sé il dubbio che sempre tornava. Lontano da lei il dubbio si rifaceva prepotente; vicino a lei egli le aveva creduto, ma ora sentendosi abbandonato si gettò nella spiegazione più a portata di mano, quella dalla quale gli veniva maggior calore, per quanto misero, e meno freddo tormento. Ella l'aveva ingannato per salvarlo, per lasciargli un pensiero in cui trovar pace. Che cosa avrebbe potuto essere l'avvenimento che doveva compiersi, se non proprio, dopo tutto, questa cosa che adesso cominciava ad accadere? La morte di May, e la solitudine che sarebbe sopravvenuta per lui, ecco quel che egli si era figurato come la Belva nella Giungla, ecco quel che dormiva sulle ginocchia degli dèi. Quando egli stava per lasciarla, ella gli aveva detto la parola giusta; che cos'altro avrebbe potuto volere intendere? Non era in sé una cosa mostruosa; non un fatto raro e unico; non un colpo della fortuna che soggioga e rende immortali; portava soltanto il marchio della condanna comune. Ma il povero Marcher in quell'ora giudicava sufficiente la sorte comune. Avrebbe servito al suo scopo, avrebbe piegato il suo orgoglio ad accettarla, perfino quale coronamento di un'attesa infinita. Si sedette sopra una panca nel crepuscolo. Non era stato uno stupido. Qualche cosa, come lei aveva detto, era accaduta, doveva accadere. Prima di alzarsi gli era balenato che quella conclusione veramente si accordava bene con il lungo viale attraverso il quale aveva dovuto passare per giungervi. Come compagna della sua ansia e dando tutta se stessa, dando la sua vita, per condurla a buon termine, May era sempre stata con lui a ogni passo della strada. Egli era vissuto grazie al suo aiuto, e lasciarla indietro gli avrebbe fatto sentire crudelmente, miserevolmente, la sua mancanza. Quale cosa avrebbe potuto abbatterlo di più? Ebbene, dovette saperlo entro quella medesima settimana, poiché se ella lo tenne per un po' lontano, e lo lasciò inquieto e misero per alcuni giorni di seguito (in ciascuno dei quali egli chiese notizie di lei soltanto per allontanarsi di nuovo ogni volta senza averla veduta) ella pose fine alla prova ricevendolo là dove l'aveva sempre ricevuto. Eppure non era stata fatta uscire senza rischio, fra tante cose che, vanamente, consciamente, Henry James
602
1970 - Racconti Di Fantasmi
formavano la metà del loro passato; e poco poteva giovare la gentilezza sopravvissuta del suo schietto desiderio, anche troppo evidente, di calmare l'ossessione di lui e por fine al suo lungo tormento. Ecco chiaramente quanto ella voleva, la sola cosa, la più necessaria alla sua pace, mentre poteva ancora stendere la mano. Egli era così commosso dello stato di lei che, una volta seduto accanto alla poltrona, si sentì portato a lasciar andare ogni cosa; ella stessa lo ricondusse al loro argomento e, prima di congedarlo, riprese l'ultima parola del loro precedente incontro. Dimostrava di voler lasciare le loro faccende in ordine. - Non sono sicura che tu abbia capito. Non hai null'altro da aspettare. È venuta. Oh come egli la guardava! - Veramente? - Veramente. - La cosa che, come tu dicesti, doveva accadere? - La cosa per la quale cominciammo a vigilare nella nostra gioventù. Faccia a faccia con lei egli le credette ancora; alla sicurezza di lei non aveva da opporre che miserie. - Vuoi dire che è venuta come un avvenimento positivo, definito, con un nome e una data? - Positivo. Definito. Non so per quel che riguarda il «nome», ma, oh sì, con una data! Egli si trovò di nuovo sbalzato troppo passivamente in alto mare: - Ma venuta nella notte, venuta e passata accanto a me? May Bartram ebbe il suo strano delicato sorriso. - Oh no, non ti è passata accanto! - Ma se io non me ne sono accorto e se non mi ha toccato...? - Ah, il non essertene accorto tu..., - ed ella parve esitare un istante per considerare la cosa, - che tu non te ne sia accorto è la stranezza nella stranezza, è la meraviglia nella meraviglia -. Parlava quasi con la fiacchezza di un bimbo ammalato, eppure, ora, alla fine, alla fine di tutto, anche con l'esattezza perfetta d'una sibilla. Era visibilmente consapevole di conoscere il segreto, e ciò produsse su di lui l'effetto di qualche cosa che, nella sua suprema elevazione, dipendeva dalla legge sotto il cui dominio era vissuto. Era la vera voce della legge; così per le labbra di lei avrebbe parlato la legge stessa. - Ti ha toccato, - May proseguì. - Ha compiuto la sua funzione. Ti ha fatto tutto suo. - Così completamente senza ch'io l'abbia saputo? - così completamente senza che tu lo abbia saputo -. La mano di Marcher, mentre si chinava verso di lei, era sul bracciolo della poltrona, e Henry James
603
1970 - Racconti Di Fantasmi
sempre fiocamente, sorridendo oramai, ella pose la propria sulla mano di lui. - Basta che lo sappia io. - Oh! - sospirò Marcher confuso, come ella stessa aveva fatto così spesso negli ultimi tempi. - Quel ch'io dissi tanto tempo fa è vero. Non lo saprai più, oramai, e credo dovresti esserne contento. L'hai avuto, - disse May Bartram. - Ma avuto che cosa? - Ebbene, il segno del tuo destino. La prova della tua legge. Ha agito. Sono molto contenta - aggiunse coraggiosamente - di aver potuto vedere che cosa non è. Egli continuò a tenere gli occhi fissi su di lei; sentendo che tutto, anche May stessa, era già oltre lui, egli l'avrebbe ancora ansiosamente incalzata, se non avesse sentito che far qualcosa di più, oltre accettare con devozione quanto ella gli dava, accettarlo in silenzio come di fronte a una rivelazione, sarebbe stato abusare della sua debolezza. Se parlò, fu perché presentiva la sua futura solitudine. - Se tu sei contenta di quel che «non» è; avrebbe dunque potuto essere peggiore? Ella distolse gli occhi, guardò dritto davanti a sé; e dopo un momento: Ebbene, tu conosci i nostri timori. John restava perplesso. - È qualche cosa che non tememmo mai? Allora May si volse lentamente verso di lui. - Sognammo mai, in tutti i nostri sogni, che saremmo stati seduti a parlarne così? Egli cercò per un poco d'intravedere questo ricordo; ma fu come se i loro sogni, tanto numerosi, si sciogliessero in una nebbia densa, fredda, attraverso la quale il pensiero si smarriva. - Ti pare possibile che non ne abbiamo parlato? - Ebbene, - ella fece del suo meglio per lui, - non in questo senso. Questo, tu capisci, - ella disse, - è l'altro senso. - Io credo, - il povero Marcher rispose, - che tutti i sensi siano uguali per me -. Poi, mentre ella scuoteva dolcemente la testa con tenera rimostranza: - Sarebbe anche potuto accadere che non ci riuscisse di arrivare...? - Fin dove siamo, no. Siamo qui, - ella accentuò debolmente, come era solita. - Bel vantaggio per noi! - commentò francamente il suo amico. - Tutto il vantaggio possibile. È già un vantaggio che la cosa non sia più qui. È passata, - disse May Bartram. - Prima... - ma la sua voce cadde. Marcher si era alzato, per non affaticarla, ma gli era difficile frenare il Henry James
604
1970 - Racconti Di Fantasmi
suo assillante desiderio. Ella dopo tutto non gli aveva detto altro se non che la sua luce era venuta meno; lo sapeva benissimo, anche senza di lei. Prima? - echeggiò a vuoto. - Prima, capisci, doveva sempre accadere. Ciò la faceva essere presente. - Oh non importa che cosa possa accadere adesso! Del resto, -Marcher aggiunse, - mi sembra che la preferivo presente, come tu dici, anziché assente con la tua assenza. - Oh la mia! - e le sue pallide mani scongiuravano l'idea. - Che è poi l'assenza di tutto -. Egli aveva il senso spaventoso di star lì davanti a lei, per quanto un'impressione potesse anticipare quella caduta senza fondo, per l'ultima volta nella loro vita. Tale sensazione gravava su di lui con un peso che sentiva di poter appena sopportare, e questo peso apparentemente gli strappava l'ultima protesta che sapesse ancora esprimere. - Ti credo; ma non posso cominciare a fingere di capire. Nulla, per me, è passato; nulla potrà passare sinché non passerò anch'io, e prego le stelle che ciò avvenga il più presto possibile. Diciamo, come tu affermi, - aggiunse, -che io abbia bevuto il mio calice fino all'ultima goccia; come può l'avvenimento che passò inavvertito, essere l'avvenimento a cui ero destinato? Ella lo affrontò meno direttamente, forse, ma lo affrontò senza turbamento. - Tu dai troppa importanza ai tuoi sentimenti. Tu dovevi subire il tuo destino, ciò non significa necessariamente conoscerlo. - Ma come può essere? Che cosa è insomma tale consapevolezza, se non sofferenza? Ella alzò un poco gli occhi su di lui in silenzio. - No, tu non capisci. - Soffro, - disse John Marcher. - No, no, te ne prego! - Ma come posso farne a meno? - No! - May Bartram ripetè. Parlò con un tono così particolare, nonostante la sua debolezza, che egli la fissò, per un attimo, la fissò come se una luce, sinora celata, fosse balenata ai suoi occhi. L'oscurità si addensò nuovamente sopra quella luce, ma la scintilla si era già mutata per lui in idea. - Giacché non ho il diritto di... - Non sapere, quando non è necessario, - ella esortò misericordiosamente. - Non è necessario, perché noi non dobbiamo. - Non dobbiamo? - Avesse soltanto potuto sapere quel che ella Henry James
605
1970 - Racconti Di Fantasmi
intendeva! - No, è troppo! - Troppo? - egli domandò ancora, ma smarrito dietro un caotico miraggio che un istante dopo dovette abbandonare. Le parole di lei, al lume del suo viso consunto, lo commossero per tutto quanto significavano, come piene di un'eloquenza totale; e il senso di quello che la sua incognita aveva rappresentato per lei lo avviluppò in una tale ondata che proruppe in una domanda. - Ma, tu dunque muori di questo? Ella non fece altro se non scrutarlo, gravemente dapprima, come per capire a che punto fosse; e forse potè vedere, o ne ebbe il timore, qualche cosa che la mosse a pietà. - Vivrei per te ancora, se potessi -. Chiuse un poco gli occhi, come se, raccolta in se stessa, facesse un ultimo tentativo. Ma non posso! - disse mentre rialzava lo sguardo su di lui per prendere commiato. Non poteva, infatti, come risultò anche troppo presto e troppo bruscamente, ed egli non ebbe in seguito nessuna visione di lei che non fosse ombra e rovina. Con quella strana conversazione, si erano separati per sempre. L'accesso alla sua camera di dolore, rigidamente sorvegliata, gli fu quasi totalmente proibito: del resto egli sentiva ora, di fronte ai dottori, alle infermiere, ai due o tre parenti attirati senza dubbio dalla presumibile eredità, quanto pochi fossero i diritti, come si chiamano in tali casi, che egli poteva vantare, e quanto poteva anche sembrare strano che la loro intimità non gliene avesse dati di più. Il più stupido cugino in sesto grado vantava maggiori diritti di lui, anche se ella non aveva rappresentato nulla della vita di tale personaggio; mentre era stata l'elemento vitale nella sua. Come infatti sarebbe altrimenti potuta essergli così indispensabile? Strani oltre ogni dire erano i sentieri dell'esistenza, misteriosa l'anomalia, o almeno a lui sembrava tale, che gli toglieva ogni diritto. Una donna poteva essere stata, per dire così, tutto per lui; eppure ciò non bastava a creare fra loro rapporti tali che gli altri fossero costretti a riconoscerli. Se questo contrasto si palesò durante le settimane conclusive, si fece più crudamente sentire in occasione degli ultimi uffici resi, nel grande e grigio cimitero londinese, a quel che era stato mortale, a quel che era stato prezioso, nella sua amica. La gente che segui May Bartram alla tomba non fu numerosa, ma egli si vide trattare non molto diversamente da come sarebbe stato trattato se vi fossero affluite altre mille persone, e da questo momento dovè rendersi conto che ben poco avrebbe potuto profittare dell'interesse Henry James
606
1970 - Racconti Di Fantasmi
che May Bartram aveva sentito per lui. Non avrebbe saputo dire che cosa si fosse aspettato, ma certamente non si aspettava di far capo a una doppia perdita. Non soltanto era venuto a mancargli l'interessamento della sua amica, ma gli sembrava di venire defraudato, e per una ragione che gli sfuggiva, anche della distinzione, della dignità, del decoro se non altro, attribuiti all'uomo colpito da un grave lutto. Era come se agli occhi della società egli non avesse affatto subito una grave sventura, come se gliene mancasse anche il segno e l'attestato, e come se, nondimeno, la sua condizione non potesse mai venire definita, né il vuoto colmato. Vi furono momenti nel corso di quelle settimane in cui egli avrebbe voluto, con qualche atto quasi aggressivo, affermare l'importanza di quella perdita, cosicché, nel caso fosse seriamente messa in dubbio, la sua reazione intervenisse, per sollievo del suo spirito, a definirla; ma tali momenti erano presto seguiti da un'irritazione più inerme; durante la quale, osservando in buona coscienza gli avvenimenti davanti a un vuoto orizzonte, si sorprendeva a domandarsi se non fosse troppo tardi per questi saggi propositi. Veramente si sorprendeva a chiedersi parecchie cose, e quest'ultima speculazione fu seguita da molte altre. Che cosa avrebbe potuto fare, lei vivente, senza in un certo modo tradire entrambi? Non avrebbe potuto far sapere che ella vegliava su di lui, perché ciò avrebbe resa pubblica la superstizione della Belva. E ora, ora che la Giungla era stata rastrellata e ripulita e la Belva era tacitamente scomparsa, la cosa sarebbe risultata troppo sciocca, e questa considerazione gli chiudeva ancora la bocca. La differenza che era venuta a crearsi per lui nel nuovo stato di cose, l'estinzione nella sua vita dell'elemento ansia, era tale infatti da sorprenderlo. Egli avrebbe difficilmente potuto dire a che cosa somigliasse; forse più di qualsiasi altra cosa somigliava alla brusca interruzione d'una musica, a un fermo divieto di suonare in qualche luogo tutto predisposto e tutto assuefatto alla sonorità e all'attenzione. In qualche momento del passato poteva darsi che avesse concepito vagamente la possibilità di sollevare il velo dall'immagine (che cosa aveva fatto, dopo tutto, se non alzarlo per May?). Ma farlo oggi, parlare alla gente in genere, della Giungla esplorata, e confidar loro che adesso gli sembrava sicura, significava rischiare non soltanto che le sue parole venissero ascoltate come un racconto di vecchia comare, ma che egli stesso non ne facesse miglior stima. In breve risultò, per la verità, che il povero Marcher si era Henry James
607
1970 - Racconti Di Fantasmi
ridotto a calpestare le sue erbe frugate, dove nessuna vita si muoveva, dove nessun fiato si faceva sentire, dove nessun occhio cattivo sembrava luccicare in una possibile tana, con tutta l'apparenza di cercare la Belva, e molto più quella di sentirne in modo acuto la mancanza. Errava intorno e dentro un'esistenza che si era fatta stranamente più spaziosa, e fermandosi a capriccio nei luoghi dove il sottobosco della vita gli pareva più folto, si domandava con nostalgia, in segreto e dolorosamente, se la Belva si fosse nascosta qua o là. A ogni modo sarebbe balzata fuori: per lo meno la sua fede nella verità dell'assicurazione ricevuta era intatta. Il mutamento della sua vecchia sensazione nella nuova si palesava assoluto e definitivo; quanto doveva accadere era così assolutamente e definitivamente accaduto che egli si sentiva incapace di nutrire un timore per il futuro, o di concepire una speranza; tanto mancava in lui ogni interrogativo su qualsiasi cosa dovesse ancora avvenire. Doveva vivere esclusivamente con altri interrogativi, quello sul suo passato non accertato, e quello sul suo destino che gli appariva impenetrabilmente ammalato e mascherato. L'incubo di quella visione riempiva così la sua esistenza; non avrebbe forse potuto acconsentire a vivere se non per la possibilità di riflettere. La sua amica gli aveva detto di non indagare; gli aveva proibito, per quanto possibile, di sapere, e gli aveva persino in certo qual modo negato la capacità di conoscere: tutte cose tali, precisamente, da togliergli la pace. Non che avesse voluto (così ragionò per desiderio di esser giusto) che qualche avvenimento passato e compiuto dovesse ripetersi; egli si ribellava soltanto, come a una degradazione, al letargo da cui si era lasciato prendere così profondamente che ora non poteva con uno sforzo del pensiero recuperare quel momento perduto della sua consapevolezza. In certi istanti dichiarava a se stesso che avrebbe ricuperato quell'attimo o avrebbe rinunciato alla coscienza di sé in eterno. Fece di questa idea il suo unico scopo, insomma; ne fece talmente la sua passione che nessun'altra, in confronto, sembrava mai averlo sfiorato. Quel momento di consapevolezza perduto, divenne così per lui come un bambino smarrito o rapito per un padre inconsolabile; si dette a cercarlo dovunque, proprio come se bussasse alle porte e domandasse alla polizia. Con tale animo, inevitabilmente, si mise a viaggiare; parti per un viaggio che doveva essere quanto più lungo possibile; gli lampeggiò alla mente che, siccome l'altro lato del globo non poteva probabilmente aver meno da dirgli, avrebbe potuto, per una possibile suggestione, avere qualcosa di più da rivelargli. Henry James
608
1970 - Racconti Di Fantasmi
Prima di lasciare Londra fece però un pellegrinaggio alla tomba di May Bartram, vi si avviò attraverso gli interminabili viali della tetra metropoli suburbana, la rintracciò nella selva dei sepolcri, e sebbene vi fosse venuto soltanto per rinnovare l'addio, si trovò, quando finalmente vi giunse, irretito in lunghe fantasie. Stette là un'ora, incapace di allontanarsi, e pure incapace di penetrare l'oscurità della morte; fissando il nome di lei e la data incisi, battendo la fronte contro l'evidenza del segreto che celavano, trattenendo il fiato, nell'attesa, come se per pietà di lui qualche rivelazione dovesse sorgere dalle pietre. S'inginocchiò sulla lapide, ma invano; le pietre conservarono quel che nascondevano; e il volto della tomba non divenne un volto per lui, perché i due nomi di lei diventarono un paio d'occhi che non lo conoscevano. Egli diede loro un ultimo lungo sguardo, ma non ne albeggiò nessuna pallidissima luce. In seguito, restò assente per un anno; visitò le profondità dell'Asia, cercò di svagarsi in luoghi pieni di romantico interesse, o di santità eccelsa; ma ovunque il suo pensiero gli ricordava che per un uomo il quale aveva conosciuto quanto egli aveva conosciuto, il mondo era volgare e vano. Lo stato d'animo in cui aveva vissuto per tanti anni si rifletteva ancora su di lui, come una luce ricca di colori e di finezze, rispetto alla quale lo splendore dell'Oriente appariva pacchiano, usuale e stentato. Era una terribile verità: insieme a tutto il resto, egli aveva perduto anche il segno della sua personalità; le cose che vedeva non potevano essere che comuni, perché tale era diventato colui che le guardava. Egli era adesso semplicemente una di esse, stava nella polvere, senza nulla che lo distinguesse, e vi furono ore in cui, davanti ai templi degli dèi e ai sepolcri dei re, il suo spirito si volse, accomunandoli in una stessa nobiltà, alla lapide appena segnata nel sobborgo londinese. Quella tomba era diventata per lui, e più intensamente con il tempo e con la distanza, l'unico segno d'uno splendore passato. Era tutto quanto gli era rimasto come prova o ragione d'orgoglio, e perfino le passate glorie dei Faraoni eran nulla nel suo pensiero al paragone. Nulla di strano quindi che vi ritornasse il giorno dopo il suo rimpatrio. Vi fu attratto in modo irresistibile, come l'altra volta, eppure quasi con fiducia, che era senza dubbio l'effetto dei molti mesi trascorsi. Si era adeguato, suo malgrado, al mutamento dei suoi pensieri, e ramingando per la terra aveva vagato, per così dire, dalla circonferenza al centro del suo deserto. Aveva adattato se stesso alla propria sicurezza e accettato per forza la propria decadenza; raffigurandosi, e non senza Henry James
609
1970 - Racconti Di Fantasmi
vivezza, a somiglianza di certi vecchietti che si ricordava di aver veduti, dei quali, per quanto sembrassero magrolini e raggrinziti, si raccontava che ai loro bei dì avessero combattuto venti duelli o fossero stati amati da dieci principesse. Quelli erano stati straordinari per gli altri, mentre lui lo era stato soltanto per se stesso; e questa fu esattamente la causa che lo sollecitò a ritornare, per ripetere - come avrebbe potuto dire - il miracolo di ritrovare se stesso; che accelerando i suoi passi, gli aveva impedito ogni indugio. La sua visita fu tanto più sollecita quanto più era stato separato da quella sola parte di sé, l'unica che adesso stimava. Dunque non è falso dire che giungesse alla sua meta quasi con lietezza e vi si trovasse nuovamente quasi sicuro di sé. La creatura che giaceva sotto quelle zolle conosceva la sua rara esperienza, in modo che il luogo aveva ora stranamente perso per lui la sua vacua espressione, e l'accolse mitemente e non come in precedenza, con beffa; serbando per lui l'aspetto di cosciente saluto che troviamo, dopo un'assenza, nelle cose che ci sono più intimamente appartenute e che sembrano da sole riconoscere questo vincolo. Il lembo di terra, la lastra incisa, i fiori coltivati, lo commuovevano come se gli appartenessero, ed egli in quell'ora somigliava a un proprietario soddisfatto che ispezioni un suo pezzo di terreno. Qualunque cosa fosse accaduta, ebbene, era accaduta. Egli non aveva portato seco questa volta con la vanità di quella domanda, la sua antica inquietudine; «Che cosa, che cosa?», ora virtualmente tanto logora. Nondimeno mai più si sarebbe allontanato da quel luogo; vi sarebbe tornato ogni mese, perché con il suo aiuto, se non altro, poteva andare a testa alta. Ciò rappresentò per lui, nel modo più singolare, un vantaggio positivo. Ed egli attuò la sua idea di ritorni periodici, i quali presero posto infine tra le sue abitudini meglio radicate. Riuscì, insomma, in modo abbastanza bizzarro, a far sì che alla fine, nel suo mondo così semplificato, quel giardino di morte gli offrisse i pochi metri quadrati di terra dove poteva ancora vivere meglio. Pareva che non essendo nulla in nessun altro luogo e per chiunque, nulla nemmeno per sé stesso, egli qui fosse tutto, e che in mancanza d'una folla di testimoni, o addirittura di qualsiasi testimone fuorché John Marcher stesso, egli avesse per attestare il suo diritto un registro nel quale poteva leggere come in una pagina aperta. La pagina aperta era la tomba della sua amica, ivi erano i fatti del passato, la verità della sua vita, le polle sorgive nelle quali poteva smarrirsi. Vi si smarriva infatti di quando in quando, in modo che gli pareva di riandare Henry James
610
1970 - Racconti Di Fantasmi
agli anni antichi per mano di un compagno, che era, nel modo più straordinario, l'altro se stesso, il suo più giovane io; ed errare, cosa ancora più straordinaria, intorno e sempre intorno a una terza presenza, non vagante, quella, ma ferma, i cui occhi, pure seguendo le sue evoluzioni, non lo abbandonavano mai, e la cui sede era per modo di dire il suo punto di riferimento. Così in breve si assuefece a vivere, aumentandosi della sensazione di aver vissuto una volta, e traendo da essa non solo l'alimento, ma anche l'identità. Tanto gli bastò a modo suo per mesi, e gli fece passare l'anno; senza dubbio l'avrebbe anche condotto oltre, non fosse stato per un incidente, in apparenza minimo, che lo avviò verso tutt'altra direzione, con una forza più grande di qualsiasi impressione ricevuta in Egitto o in India. Fu una cosa prettamente fortuita, e dipese da un batter di ciglia, come egli capì in seguito, sebbene dovesse vivere abbastanza per capire che, se la luce non gli fosse venuta in quel modo, gli sarebbe tuttavia venuta in un altro. Era destinato a vivere abbastanza per giungere a quella conclusione, sebbene non dovesse vivere, ve lo posso accennare con uguale esattezza, per fare gran che d'altro. Concediamogli almeno il beneficio della convinzione, emersa per lui alla fine, che qualunque cosa fosse potuta succedere o non succedere, sarebbe sempre giunta alla luce senza aiuto esterno. Quell'incidente d'una giornata autunnale aveva posto la scintilla alla miccia preparata per lui, nel passato, dalla sua tristezza. Prossimo ormai alla luce, sapeva che anche recentemente la sua sofferenza era stata soltanto soffocata, stranamente attutita; ma, palpitante ancora, al minimo contatto avrebbe cominciato a sanguinare. Il contatto, nel caso specifico, fu il volto d'un altro mortale. Quel volto, un grigio pomeriggio d'autunno, quando le foglie erano ammucchiate nei vialetti del cimitero, si fissò nel volto di Marcher, con una espressione simile al taglio d'una lama. Egli senti l'urto tanto nel vivo che accolse il fendente con una smorfia. La persona che così tacitamente lo assali, come egli giungeva alla propria meta, l'aveva notata assorta a contemplare una tomba a poca distanza, una tomba evidentemente recente, talché l'emozione del visitatore vi si adeguava per un lutto egualmente recente. Questo bastò a Marcher per impedirgli un'attenzione ulteriore, sebbene, durante il tempo che si trattenne, avvertisse confusamente la presenza del suo vicino, un uomo apparentemente di media età, in lutto, le cui spalle curve tra i gruppi di monumenti e i cipressi mortuari, erano costantemente Henry James
611
1970 - Racconti Di Fantasmi
volte verso di lui. La teoria di Marcher, secondo cui gli elementi che lo circondavano erano quelli che lo facevano rivivere, ebbe a subire uno smacco gravissimo. La giornata autunnale era nefasta per lui come nessun'altra negli ultimi tempi, ed egli stava appoggiato con pesantezza mai conosciuta sulla bassa lastra di pietra che portava il nome di May Bartram. Si appoggiava senza capacità di muoversi, come se qualche molla in lui, qualche incanto benignamente concessogli, si fosse improvvisamente spezzato per sempre. Se avesse potuto fare in quel momento come voleva, si sarebbe semplicemente steso sulla lapide che era pronta a riceverlo, considerandola come il luogo preparato ad accogliere il suo ultimo sonno. Per quale cosa al mondo doveva ormai restare sveglio? Guardava cupamente davanti a sé, fisso in questa domanda, quando da uno dei sentieri vicini lo raggiunse l'urto di quel volto. Il suo vicino dell'altra tomba se ne stava andando, come egli stesso, se ne avesse avuto la forza, avrebbe fatto oramai, e avanzava lungo il sentiero per recarsi a una delle porte; perciò gli venne molto vicino, e il suo passo era lento. Così - tanto più che vi era una specie di avidità nel suo sguardo i due uomini si trovarono per un momento faccia a faccia. Marcher riconobbe in lui sull'istante un uomo profondamente colpito - percezione acutissima, che nessun'altra cosa era viva su quella figura, né la veste, né l'età, né il presumibile carattere o classe sociale; nulla viveva oltre la profonda devastazione dei lineamenti che mostrava. Egli li mostrava ecco il punto; era mosso, mentre passava, da qualche impulso che era o un segno di compatimento o, più probabilmente, una sfida a un dolore che gli stava di fronte. Poteva darsi che egli avesse già scorto il nostro amico, e avesse potuto, un'ora prima, notare in lui quella calma consuetudine al luogo con la quale contrastavano i propri sentimenti, e ne fosse stato urtato come da una aperta discordanza. A ogni modo Marcher intuì, in primo luogo, che l'immagine della passione lacerata offerta ai suoi occhi rifletteva una qualche profanazione di quell'aria; e in secondo luogo che, un momento dopo, egli pure, risvegliato, aizzato, scosso, la stava guardando con invidia mentre se ne andava. La cosa più straordinaria che gli capitò - sebbene egli avesse qualificato nello stesso modo altri episodi - ebbe luogo, dopo il suo sguardo immediato e vago, come conseguenza di quell'impressione. Lo sconosciuto passò, ma il crudo bagliore del suo lutto restava, obbligando il nostro amico a chiedersi con pietà quale torto, quale ferita esprimesse, Henry James
612
1970 - Racconti Di Fantasmi
quale inguaribile mutilazione. Quale cosa aveva posseduto quell'uomo, per sanguinare così dopo averla perduta, e tuttavia vivere? Una cosa, e la rivelazione lo fece spasimare, che lui, John Marcher, non aveva avuto, e ciò segnò precisamente l'arida fine di John Marcher. Nessuna passione l'aveva mai toccato, giacché la passione significava questo; egli era sopravvissuto, aveva vagabondato struggendosi, ma dove era la sua profonda devastazione? La cosa straordinaria di cui parliamo fu l'improvvisa irruzione in lui della risposta a questa domanda. Lo spettacolo che ora aveva colpito i suoi occhi stampava per lui, quasi in lettere di viva fiamma, la prova a cui egli era completamente, follemente mancato, e quella cosa tradita faceva di tutto il passato una miccia di fuoco, faceva che essa si risentisse in un'angoscia di palpiti segreti. Egli aveva visto al di fuori della sua vita, e non appreso nel suo intimo, come si piange una donna quando la si è amata per se stessa: con tale forza era convinto di quello che significasse il volto dello sconosciuto, che esso seguitò a divampare per lui come una torcia fumosa. Non gli era venuta, la rivelazione, sulle ali dell'esperienza; l'aveva rasentato, urtato, rovesciato, coll'irriverenza del caso, e l'insolenza dell'accidente. Ora che la rivelazione era incominciata, era divampata sino allo zenit, e a lui non restava se non contemplare che finalmente poteva misurare il vuoto della sua vita. Guardava, ansando, dolorosamente; si voltò nella sua costernazione, e voltandosi vide davanti a sé, con acerrima evidenza, la pagina aperta della sua storia. Il nome sulla lapide lo feriva come lo aveva ferito il passaggio del suo vicino, e quel che gli disse apertamente in faccia fu che May era la sorte mancata. Quello fu il terribile pensiero, la risposta a tutto il passato, la visione nella cui feroce chiarezza egli si fece freddo come la pietra ai suoi piedi. Ogni cosa crollò insieme, confessata, spiegata, vinta; lasciandolo soprattutto stupefatto davanti alla cecità della quale si era compiaciuto. Era andato contento incontro al destino di cui portava il marchio, aveva vuotato la coppa sino alla feccia; egli era il solo uomo del suo tempo, l'unico uomo al quale non doveva succedere nulla affatto. Ecco il colpo raro, ecco il suo castigo. Così egli lo vide, come si suol dire, con pallido orrore, mentre si ricomponevano i frantumi della sua sorte. Così lei aveva visto mentre egli non vedeva, e così lei continuava ancora a ribadire la verità. Verità, vivida e mostruosa; la sua lunga attesa: quella era stata la sua sorte. La compagna della sua vigilia aveva a un certo momento capito, gli aveva offerto la possibilità di eludere la sorte. La propria sorte, però, Henry James
613
1970 - Racconti Di Fantasmi
non si elude mai, e il giorno in cui gli aveva detto che la sua si era compiuta, l'aveva soltanto veduto fissare stupidamente la scappatoia che gli offriva. La scappatoia sarebbe stata amare lei; allora, allora sì egli avrebbe vissuto. Ella aveva vissuto - chi avrebbe ora potuto dire con quale passione? - giacché l'aveva amato per se stesso; mentre egli non aveva mai pensato a lei (ah, con quale evidenza la verità fiammeggiava davanti ai suoi occhi, ora!) se non nel gelo del suo egoismo e al lume di utilità pratica in cui egli la vedeva. Le parole di May tornavano a lui; la catena si allungava all'infinito. La Belva era stata in agguato davvero, e la Belva, al momento giusto, era balzata; era balzata nel crepuscolo di quel freddo aprile quando, pallida, consunta, ma bella, e forse ancora in grado di guarire, si era alzata dalla sua sedia per rizzarsi in piedi davanti a lui e lasciarlo immaginosamente indovinare. Era balzata, la Belva, quando egli non aveva saputo capire; era balzata mentre ella si allontanava disperata da lui, e il marchio, quando oramai egli l'aveva lasciata, era caduto dove doveva cadere. Egli aveva giustificato il suo presentimento e compiuto il suo fato; era fallito, con assoluta esattezza, in tutto quello in cui doveva fallire; e un gemito gli salì ora alle labbra nel ricordare come May aveva supplicato di non voler mai sapere. Quell'orrore del risveglio -quella era la conoscenza, e sotto quel fiato le stesse lacrime sembrarono gelarsi. Attraverso le lacrime, nondimeno, egli cercava di fissarla e trattenerla: la teneva lì davanti a sé così da sentirne tutto il dolore. Almeno questo, in ritardo e con amarezza, aveva un poco il sapore della vita. Ma l'amarezza improvvisamente lo nauseò, e fu come se, orribilmente, avesse veduto, nella verità, nella crudeltà della raffigurazione, ciò che era stato scritto e compiuto. Vide la Giungla della sua vita, e vide la Belva in agguato; poi, mentre guardava, la senti in un fremito dell'aria ergersi, enorme e laida, per il balzo che doveva finirlo. Gli occhi di Marcher si oscurarono - era vicina; e istintivamente voltandosi, nella sua allucinazione, per schivarla, si gettò bocconi sulla tomba. Traduzione di Carlo Izzo.
L'ANGOLO PREDILETTO - Tutti mi chiedono che cosa io pensi di questo o di quello, -disse Spencer Brydon; - e io rispondo come posso: aggirando la domanda, eludendola; insomma, me la cavo con una qualsiasi banalità. Del resto, per Henry James
614
1970 - Racconti Di Fantasmi
loro non farebbe differenza, - continuò, - perché, se anche fosse possibile dar risposta su due piedi a così sciocca domanda su un argomento tanto vasto, i miei pensieri si riferirebbero per lo più a qualcosa che riguarda soltanto me stesso -. Brydon si rivolgeva a Miss Staverton, con la quale da un paio di mesi cercava ogni possibile occasione d'intrattenersi. Così come la situazione si presentava, le risorse d'appoggio, conforto e disponibilità ch'ella gli offriva, avevano immediatamente occupato un posto preminente nel susseguirsi di sorprese piuttosto amare che lo avevano atteso al suo ritorno in America, tanto incredibilmente differito. Tutto costituiva in certo modo una sorpresa; il che era forse naturale per chi aveva, così a lungo e così coerentemente, trascurato tutto, unicamente preoccupato di lasciare ampio campo d'azione alle sorprese. Aveva concesso loro più di trent'anni - trentatre, per l'esattezza - e adesso gli pareva che, per organizzare la loro rappresentazione, esse si fossero bene adeguate a quella lunga licenza. Aveva lasciato New York a ventitrè anni: ora ne aveva cinquantasei, a meno che non ne tenesse conto affatto, come talvolta era stato tentato di fare da quando era rimpatriato; nel qual caso la sua vita sarebbe stata più lunga di quanto non sia comunemente concesso all'uomo. Ci sarebbe voluto un secolo, si ripeteva spesso, e lo diceva anche ad Alice Staverton; ci sarebbe voluta un'assenza più prolungata - e una mente ancor più distratta di quanto, ignominiosamen-te, non avesse già dato prova di avere - per accumulare le diversità, le stranezze, le novità, ma soprattutto gli eccessi, nel bene e nel male, che oggi si presentavano ai suoi occhi ovunque li posasse. Il gran fatto era stato, tuttavia, l'imprevedibilità. Di decennio in decennio egli si era creduto capace di ammettere - nel più generoso e intelligente dei modi - cambiamenti grandiosi: ora invece scopriva che non aveva saputo ammettere un bel nulla: sentiva la mancanza di ciò che si era ritenuto sicuro di ritrovare, e trovava al contrario ciò che non avrebbe immaginato di trovare. Proporzioni e valori erano rovesciati: gli orrori che si era aspettato, gli obbrobri visti nella sua lontana giovinezza, quando fin troppo presto si era destato al senso del brutto, ebbene, erano proprio quegli inquietanti obbrobri ad esercitare adesso un certo fascino su di lui; mentre la «pacchianeria» moderna, le mostruosità già famose - per vedere le quali lui stesso aveva (come ogni anno facevano migliaia di ingenui curiosi) attraversato apposta l'oceano - formavano l'oggetto della sua costernazione. Erano come altrettante trappole predisposte per destare in Henry James
615
1970 - Racconti Di Fantasmi
lui indignata reazione, allorché il suo piede inquieto ne faceva scattare la molla. Senza dubbio, lo spettacolo non mancava d'interessarlo, ma sarebbe stato troppo sconcertante se, a salvare la situazione, non ci fosse stata una verità più sottile. Considerando le cose a una più serena luce dei fatti, era chiaro che non solamente per le mostruosità egli era tornato: era venuto - e non solo in ultima analisi, a dire il vero -, per un motivo che con le nuove architetture nulla aveva a che fare. Era venuto - se vogliamo usare un fraseggio pomposo - a vedere la sua «proprietà», dalla quale era rimasto separato da quattromila miglia durante un terzo di secolo; oppure, usando un'espressione meno gretta, aveva ceduto al capriccio di rivedere la sua prediletta casa d'angolo, com'era solito definirla affettuosamente: la casa in cui aveva visto la luce, in cui vari membri della sua famiglia erano vissuti e morti, in cui aveva trascorso le vacanze della sua troppo studiosa infanzia o dove aveva colto i pochi fiori che il mondo aveva offerto ai gelidi anni della sua adolescenza; la casa che, rimastagli così a lungo estranea, era adesso, in conseguenza delle morti successive dei suoi due fratelli e dello scadere di vecchi contratti, divenuta esclusivamente sua proprietà assoluta. Possedeva anche un'altra casa, non altrettanto «buona» che da gran tempo quella dell'angolo prediletto era stata splendidamente ampliata e innovata. Il valore di questi due edifici costituiva la maggior parte del suo capitale, con un reddito rappresentato, negli ultimi anni, dai loro affitti; i quali - grazie appunto al loro alto valore originario - non erano mai stati così bassi da deprimerlo. Sui proventi di questi cospicui affitti newyorkesi egli era vissuto in Europa, e con tanta maggior larghezza dal giorno in cui, essendo scaduto dopo un anno il canone d'affitto dell'edificio ristrutturato (un semplice numero nella fila delle sue proprietà), si era dimostrato felicemente possibile il rinnovarlo con notevole vantaggio. Si trattava in effetti di beni di proprietà vera e propria; eppure Brydon si era trovato fin dal suo arrivo a fare una chiara distinzione tra l'uno e l'altro. L'edificio che dava sulla strada, costituito da due isolati volti a ovest e gremiti di locatari, era già in corso di ristrutturazione per divenire un gran palazzo ad appartamenti: qualche tempo prima egli aveva dato la sua approvazione a certi progetti per questo tipo di trasformazione, e, ora che i lavori stavano procedendo, era rimasto alquanto stupefatto di essere capace, lì sul posto e senza un minimo di esperienza precedente, di parteciparvi con una certa intelligenza, anzi con una certa autorità. Aveva Henry James
616
1970 - Racconti Di Fantasmi
vissuto tutta la sua vita voltando le spalle a faccende del genere, lo sguardo orientato ad altre di natura talmente diversa, che quasi non sapeva come affrontare il mutamento improvviso di quel settore della mente, rimasta fino allora del tutto impenetrabile al senso degli affari, al gusto dell'architettura. Queste doti, adesso così diffuse, erano state come assopite in lui, quasi dormendo il sonno del giusto. Ora, nella stupenda stagione autunnale - se non altro l'autunno almeno era una vera e propria grazia in quel luogo orrendo - egli andava girovagando per il suo «cantiere», tranquillo eppure intimamente agitato; per nulla preoccupato del fatto che il progetto fosse - come diceva la gente - comune e banale; pronto ad arrampicarsi sulle scale a pioli, a camminare sulle assi, a maneggiare materiali dandosi arie da intenditore, a far domande, a provocare spiegazioni, insomma, ad «entrare» nelle cifre. La cosa lo divertiva, lo affascinava addirittura, e divertiva ancor più Alice Staverton, che però ne era assai meno affascinata. Lei non se ne sarebbe certo trovata in posizione di maggior agiatezza come - e quanto! se ne sarebbe trovato lui. Nulla c'era - Brydon lo sapeva - che l'avrebbe resa ancor più agiata di quanto già non fosse ora, nel pomeriggio della vita, in quanto modesta proprietaria e occupante di una casetta di Irving Place, alla quale aveva abilmente cercato di rimaner aggrappata per la sua quasi ininterrotta permanenza a New York. Se egli sapeva come ritrovare quella casa meglio di qualunque altro domicilio, in mezzo allo spaventoso moltiplicarsi delle numerazioni (che gli sembrava ridurre quei luoghi a un'enorme pagina di libro mastro, cresciuta a dismisura e pullulante di colonne, di linee intersecantesi, di numeri e cifre) - se, per sua consolazione, aveva preso quell'abitudine, non ultima ragione era l'aver subito il fascino di un piccolo scenario immoto dove oggetti e riflessi delicati mantenevano l'acuto delle note di una voce di soprano perfettamente educata e la parsimonia vi si diffondeva come il profumo di un giardino. La sua vecchia amica viveva con una sola domestica: spolverava personalmente le sue reliquie, assettava le lampade e lucidava l'argenteria. Nella calca terribile del giorno d'oggi si teneva in disparte, se appena poteva, ma partiva all'attacco e dava battaglia quando veniva sfidato lo «spirito», quello spirito che poi, con timido orgoglio, rivendicava essere quello del tempo migliore, gli anni da loro trascorsi in comune, gli anni di un ordine sociale ormai trapassato, antidiluviano. Quando non ne poteva fare a meno si serviva dei tranvai, quei terribili cosi Henry James
617
1970 - Racconti Di Fantasmi
su cui la gente si arrampica, così come chi ha paura del mare si arrampica sulle barche; se costretta, affrontava, senza però dare nell'occhio, tutte le occasioni di scontro o di pubblico giudizio, con quella sottile grazia mistificatrice del suo aspetto esteriore, che sfidava a dire se si trattasse di una bella donna giovane che un qualche dispiacere faceva apparire più vecchia, o di una distinta signora anziana dall'aspetto giovanile, dovuto a un atteggiamento di studiata indifferenza. Soprattutto Miss Staverton valeva per lui come punto di riferimento in tutti i ricordi, in tutti gli eventi in cui anch'egli aveva avuto parte. Per lui, ella era squisita come un pallido fiore appassito (cosa rara, tanto per cominciare); in mancanza di altre dolcezze, era compenso sufficiente al suo sforzo. Avevano un patrimonio culturale comune, di quella cultura «loro» (lei aveva costantemente sulle labbra il discriminante possessivo), un gruppo di comuni conoscenze, persone di altri tempi, presenze sulle quali, per quanto lo riguardava, s'era deposto uno strato di esperienze come uomo e come giramondo: uno strato fatto di piaceri, d'infedeltà, di scorci di vita a lei estranei e confusi; in una parola: «l'Europa», che a Miss Staverton appariva tuttavia ancor sempre limpida, ancora aperta e amabile nella pia visitazione spirituale da cui mai ella si era allontanata. Un giorno lo aveva accompagnato a vedere come progrediva la sua casa ad appartamenti. Lui l'aveva aiutata a superare con un salto qualche passo difficile, mentre le andava spiegando i progetti. Il caso volle che, lei presente, egli si fosse trovato a sostenere una breve ma animata discussione col sovrintendente dell'impresa di costruzioni che aveva l'appalto dei lavori. Brydon si scoperse in grado di «tener testa» al detto personaggio sulla sua mancata osservanza di un certo particolare previsto nell'accordo stipulato fra loro, e perorò il proprio punto di vista con tanta chiarezza che - oltre a far assai graziosamente arrossire sul momento la sua amica, in quanto partecipe del suo trionfo - la indusse a dire più tardi (sia pure con un'intenzione di velata ironia) che per troppi anni egli aveva trascurato un vero e proprio talento. Se fosse rimasto in patria sarebbe stato lui a inventare il grattacielo. Fosse rimasto a casa, avrebbe scoperto il proprio genio in tempo ancor utile per creare una specie nuova di mostruosità architettonica che avrebbe inseguito sino a farla rintanare dentro una miniera d'oro. Di quelle parole si sarebbe ricordato, col passare delle settimane, per il suono argentino che avevano fatto vibrare nelle più latenti e profonde fibre dell'animo suo, così smorzate, così attutite negli Henry James
618
1970 - Racconti Di Fantasmi
ultimi tempi. Dopo i primi quindici giorni dal suo rimpatrio aveva cominciato ad essere presente in lui, per esplodere poi a un tratto con inaudita violenza, questo singolare, incontrollabile stato d'animo. Lo assaliva di colpo - ed era questa l'immagine con cui egli si raffigurava il fenomeno, mentre il sangue fluiva in lui più rapido, facendolo palpitare - quasi fosse rimasto colpito da un'apparizione sconosciuta, un inquilino inaspettato, all'angolo di un corridoio buio in una casa vuota. La curiosa analogia non lo abbandonava, anzi lo ossessionava quando si faceva più intensa: gli pareva allora di aprire una porta dietro la quale era certo non avrebbe trovato niente, una porta che dava in una stanza vuota dalle persiane chiuse, e di giungere tuttavia così, con un gran sussulto represso, in presenza di qualcuno che, ritto in piedi nel mezzo della stanza, lo affrontava nel buio. Dopo la visita alla casa in costruzione, andò con la sua compagna a vedere quell'altra, di gran lunga migliore, che in direzione est formava uno degli angoli - l'angolo «prediletto» appunto - fra la strada ormai così generalmente degradata e sfigurata nelle sue propaggini verso ovest, e la Avenue dal tono relativamente conservatore. La Avenue aveva ancora pretesa di un certo decoro, come diceva Miss Staverton; gli abitanti d'un tempo se n'erano andati quasi tutti, i vecchi cognomi erano sconosciuti, e qualche antico circolo sembrava essersi smarrito là in mezzo, come una persona molto anziana che esca ad ora troppo tarda: tu la incontri per caso e senti l'impulso di sorvegliarla o di seguirla per gentilezza, per offrirle ristoro e rifugio. Entrarono insieme, i nostri due amici; Brydon aprì con la sua chiave poiché lì non manteneva servitù, preferendo per suoi motivi personali, come spiegò, lasciare vuoti i locali affidandoli semplicemente a una buona donna del vicinato che veniva un'ora al giorno ad aprire le finestre, a spolverare e spazzare. Spencer Brydon aveva le sue buone ragioni, e sempre più ne diveniva consapevole; ogni volta che si recava in quel luogo, esse gli apparivano più valide, pur non facendone parola alla sua compagna, non più di quanto le avesse mai confidato finora quanto spesso, quanto assurdamente spesso egli visitasse la casa. Mentre attraversavano le ampie stanze deserte, egli le mostrò soltanto il gran vuoto che vi regnava, e come a tentare i ladri, altro non vi fosse che, in un angolo, la scopa di Mrs Muldoon. Mrs Muldoon, la quale si trovava per l'appunto sul posto, scortò i Henry James
619
1970 - Racconti Di Fantasmi
visitatori con grande loquacità, precedendoli di stanza in stanza, spalancando le imposte, riavvolgendo le tende: tutto per mostrar loro, come non mancò di far notare, che c'era ben poco da vedere. Ed invero ben poco c'era da vedere nel gran guscio deserto, dove la pianta generale e la suddivisione dello spazio, rispecchiando lo stile d'un'e-poca che concedeva maggiori ampiezze, conservava per il proprietario un messaggio di onesta supplica, come quella di un buon vecchio servo, di un fedelissimo dipendente per un benservito o una pensione. In più Mrs Muldoon gli dichiarò che, pur lieta com'era di rendergli servizio con quel suo giro durante le ore del giorno, c'era una cosa ch'essa sperava Brydon non le avrebbe mai chiesto: se, per una qualsiasi ragione, egli avesse voluto incaricarla di quel lavoro dopo buio, lei gli avrebbe detto di rivolgersi per piacere a qualcun altro. Il fatto che non ci fosse niente da vedere non contrastava, per la brava donna, con ciò che si sarebbe potuto vedere: come ebbe a dichiarare in tutta franchezza a Miss Staverton, non si poteva pretendere - nevvero? - che a una signora facesse piacere «arrampicarsi su, fino in cima, nelle ore brutte». Dentro casa non c'era gas né luce elettrica, ed essa riuscì a evocare con una certa bravura la raccapricciante visione di se stessa in marcia, al lume di una tremolante candela, attraverso le grandi camere buie - con tante che ce n'erano, oltretutto! Miss Staverton rispose con un sorriso allo sguardo onesto della donna, asserendo che anche lei si sarebbe certamente sottratta a una simile avventura. Intanto Spencer Brydon taceva - almeno per il momento; la questione delle «ore brutte» nella sua vecchia dimora si era già fatta troppo seria per lui. Da un po' di tempo sentiva aleggiare là dentro un qualche cosa, una presenza; e sapeva bene perché, tre settimane prima, egli avesse riposto di sua propria mano -in fondo a un cassetto della bella credenza antica situata in un recesso della sala da pranzo - un pacco di candele destinato a quella ricerca. Sul momento egli rise delle sue interlocutrici, pur affrettandosi a cambiare argomento, innanzitutto perché la sua risata gli era parsa rimandargli all'orecchio, o alla fantasia, una strana eco, una voluta risposta umana (non sapeva bene come esprimersi) prodotta dai rumori allorché si era trovato là dentro da solo; in secondo luogo perché immaginò Alice Staverton sul punto di chiedergli, per divinazione, se si fosse mai aggirato furtivamente per quelle stanze. C'erano divinazioni a cui non era preparato; comunque, quando Mrs Muldoon si fu allontanata, diretta ad altri locali, quella tale domanda era ormai scongiurata. Henry James
620
1970 - Racconti Di Fantasmi
Per buona sorte c'erano, in un luogo tanto sacro, parecchie cose di cui parlare con franchezza, liberamente; sicché un'intera sequela di asserzioni tenne dietro al commento fatto - dopo aver rivolto tutt'intorno uno sguardo carico di nostalgia - dalla sua amica: «Spero proprio che non ti vogliano far demolire tutto questo!» La risposta di lui venne pronta, ridestata dall'ira che gli covava dentro: era proprio quello che si pretendeva da lui, la ragione per cui gli stavano quotidianamente «alle costole» con l'insistenza di persone del tutto incapaci di comprendere che un uomo possa essere soggetto a sentimenti elevati. Quel luogo era per lui, così com'era e più di quanto egli sapesse esprimere, fonte di interesse e di gioia. Esistevano altri valori oltre quei maledetti redditi, e dopo tutto, dopo tutto...! Fu allora che Miss Staverton lo interruppe: «Dopo tutto, dal tuo grattacielo puoi trarre tanto profitto che, vivendo lussuosamente di quei proventi immeritati, ti puoi ora permettere per un momento di fare il sentimentale!» Il sorriso che accompagnò quelle parole ebbe per lui la particolare tenue ironia di cui erano per lo più soffusi i discorsi di lei: un'ironia senza fiele, derivata appunto dal fatto ch'ella era dotata di una gran fantasia, tanto diversa dai facili sarcasmi con cui la gente di mondo pretende di passare per intelligente, senza in realtà esserlo affatto. Gli era gradevole pensare che, avendole risposto un po' esitante: - Be', sì, proprio così, - lo spirito di lei gli avrebbe ancora reso giustizia. Le spiegò che, anche qualora dall'altra casa non gli fosse venuto mai neppure un dollaro, egli avrebbe comunque continuato a prediligere questa; e più tardi, mentre indugiavano e girovagavano per le stanze, insistette sullo stupore che già stava suscitando, sull'autentica mistificazione che capiva di stare creando. Parlò del valore di tutto ciò che lui vi percepiva; gli bastava la semplice vista delle pareti, il taglio delle stanze, lo scricchiolio dei pavimenti, la sensazione stessa di toccare con le proprie mani i vecchi pomoli argentati delle porte di mogano, sulle quali si erano poggiate le palme dei morti, gli bastavano insomma i settant’anni di passato che queste cose rappresentavano, quasi annali di tre generazioni: quella del nonno, quella che tra quei muri si era spenta, e le ceneri impalpabili della propria giovinezza lontana volteggianti nell'aria, come microscopici granelli di polvere. Miss Staverton ascoltava ogni cosa, rispondendo nel suo intimo, capace di assentire, di concordare, soprattutto d'incoraggiare, ma senza sproloqui, senza parlare a vanvera, senza dar fiato a nugoli di parole. Soltanto all'ultimo si spinse un po' più in là di quanto avesse fatto lui. - E Henry James
621
1970 - Racconti Di Fantasmi
poi, come fai a saperlo? Può darsi che, dopo tutto, tu possa ancora desiderare di vivere qui -. Egli fu colto da una certa sorpresa, perché non era stato quello il suo pensiero, almeno non nel significato che lei gli aveva attribuito. - Vuoi dire che io potrei decidere di rimanere qui per amore di questo? - Ma via, con una casa simile!... - Ma, da quella persona squisita che era, aveva troppo tatto per mettere i puntini su delle i tanto mostruose, proprio a dimostrare come non amasse parlare a ruota libera. Come poteva, chiunque avesse un minimo di spirito, insistere sul fatto che chiunque altro avrebbe potuto «desiderare» di vivere a New York? - Oh, - rispose Brydon, - avrei potuto benissimo vivere qui, visto che me n'era stata offerta la possibilità dalla nascita: tutti questi anni avrei potuto passarli qui. Tutto sarebbe stato allora abbastanza diverso, anzi, diciamo abbastanza «divertente». Ma questa è un'altra faccenda. E poi il bello - il bello del mio atteggiamento perverso, del mio rifiuto di concludere un «affare» - sta appunto nella totale mancanza di un motivo. Non capisci che se avessi una ragione per rifiutare, dovrebbe inevitabilmente trattarsi della ragione opposta, di una ragione di dollari? In questo paese non esistono ragioni se non di dollari. Perciò non accampiamo nessuna ragione, nemmeno il fantasma di una ragione. Intanto erano tornati nel vestibolo, pronti ad uscire, ma dal punto in cui si trovavano si offriva, attraverso una porta aperta, una vista completa del grande salone principale, in cui spazi arditi s'interponevano tra una finestra e l'altra, con un respiro di tempi lontani. Distogliendone gli occhi, lo sguardo di Alice Staverton s'incontrò per un attimo con quello di lui. - Sei davvero sicuro che il «fantasma» di una ragione non sia di qualche utilità? Spencer Brydon ebbe la sensazione precisa di essere impallidito. Ma per il momento non si spinsero oltre. Poiché egli credette di rispondere accigliato, con un sogghigno: - Già, fantasmi! Si capisce, in un posto come questo devono pullulare! In caso contrario me ne vergognerei. La povera Mrs Muldoon ha ragione: per questo le ho chiesto di venire a dare soltanto un'occhiata. Di nuovo Miss Staverton lasciò vagare lo sguardo nel vuoto: le passavano per la mente cose che - era chiaro - si tratteneva dal dire. Forse in quel momento le era anche parso che, nella bella sala lontana, prendesse corpo un elemento indefinito, il quale, apparendole come la maschera mortuaria di un volto avvenente, si animasse tanto da divenire espressiva. Henry James
622
1970 - Racconti Di Fantasmi
Quali che fossero le sue reazioni, non riuscì tuttavia ad esprimere che un'insulsa banalità: - Ebbene, se fosse soltanto ammobiliata e abitata...! Pareva lasciar intendere che, se la casa fosse stata ancora ammobiliata, egli si sarebbe forse mostrato meno contrario all'idea di un ritorno. Ma, quasi a volersi lasciare quelle parole dietro le spalle, passò rapida nel vestibolo. Un attimo dopo Brydon aveva aperto la porta d'ingresso e ora si trovava con lei sugli scalini. Richiusa la porta e rimesse le chiavi in tasca, insieme a lei volse lo sguardo su e giù, e insieme si resero conto dell'aspra realtà della avenue. A lui ricordò il barbaglio della luce del deserto, quando abbacina il viaggiatore all'uscita da una tomba egizia. Prima di scendere in strada arrischiò la risposta che aveva formulato fra sé alle parole di lei. - Per me è abitata. Per me è ammobiliata -. Al che le fu facile sospirare un - Eh già! - vago e discreto: poiché i genitori e la sorella prediletta di lui, per tacere di altri congiunti numerosi, là dentro avevano concluso il loro corso e incontrato la morte. C'era, dentro quei muri, una vita incancellabile. Fu qualche giorno dopo che, durante un'ora passata di nuovo con lei, egli ebbe ad esprimere la sua intolleranza della troppo lusinghiera curiosità - da parte delle persone con cui veniva a contatto - circa il suo giudizio su New York. Non ne aveva maturato alcuno che fosse ripetibile in società, e in quanto ai suoi «pensieri» (positivi o negativi che fossero per ciò che vi aveva trovato), uno solo era quello che assorbiva la sua mente. Si trattava di puro e vano egoismo, anzi, se lei ne conveniva, di un'ossessione maniacale. Egli trovava che ogni cosa tornava a proporre il quesito di ciò che lui personalmente sarebbe potuto essere, di quale corso, quale «sbocco» avrebbe potuto avere la sua vita, se egli non vi avesse fin dall'inizio rinunciato. E, ammettendo per la prima volta l'intensità di questa assurda meditazione - un'ulteriore riprova della sua abitudine a pensare troppo egoisticamente - egli confermava l'inesistenza di qualsiasi altra fonte d'interesse, l'inefficacia di qualunque richiamo della terra natia. Cosa sarebbe stato di me, cosa avrebbe fatto di me questa città? Continuo a domandarmelo, da perfetto idiota; come se fosse mai possibile dare una risposta! Vedo cos'ha fatto New York a decine di altri individui fra quelli che incontro, e provo una tale intima sofferenza, una fitta così lancinante che davvero mi duole dentro: altrettanto avrebbe fatto di me. Ma cosa? Non riesco a decifrarlo. E lo struggimento, la meschina rabbia per una curiosità insoddisfatta, mi fa pensare a ciò che ricordo di aver provato un Henry James
623
1970 - Racconti Di Fantasmi
paio di volte allorché, dopo matura riflessione, giudicai cosa saggia bruciare una lettera importante prima di aprirla. Mi è dispiaciuto, me ne sono amaramente pentito - ma non ho mai saputo cosa la lettera contenesse. Naturalmente a te sembrerà una sciocchezza... - Non è una sciocchezza, - lo interruppe seria Miss Staverton. Era seduta davanti al caminetto di casa sua: dinanzi a lei, in piedi, irrequieto, egli camminava su e giù, preso a tratti dall'intensità del suo pensiero, a tratti dalla curiosità d'ispezionare distrattamente, attraverso il monocolo, i cari vecchi ninnoli sulla mensola del camino. L'interruzione gli fece posare sulla sua compagna uno sguardo più duro del consueto. Anche se tu lo pensassi, non me ne importerebbe! - rispose tuttavia, ridendo; - comunque, non è che un modo di dire per esprimere quello che provo adesso. Avere perversamente seguito, rischiando la maledizione di mio padre, il mio destino giovanile, non aver fatto nulla, dal giorno in cui partii fino ad oggi, per portarmelo appresso, laggiù, e ciò senz'ombra di dubbio o di tormento; soprattutto non esserne stato soddisfatto, non averlo amato, non averlo profondamente amato certo a causa della mia abissale presunzione: ecco, qualche variante a tutto questo, intendo, avrebbe determinato un cambiamento nella mia vita, nel mio modo di essere, nella mia «forma». Sarei dovuto rimanere qui, se fosse stato possibile: ma a ventitrè anni ero troppo giovane per essere in grado di giudicare pour deux sous se era possibile. Se avessi aspettato, avrei forse scoperto che era possibile, e allora, restando qui, sarei diventato più simile a questa gente, così duramente temprata, resa così affilata dalle condizioni di vita. Non che io li ammiri molto: se qualcosa ha un fascino su di loro che non sia quello di far denaro, è cosa che non mi riguarda; ciò che mi preme è sapere quale straordinaria evoluzione (tuttavia comprensibilissima) della mia natura io possa essermi lasciato sfuggire. Mi viene l'idea di aver avuto a quel tempo profondamente radicato in me un bizzarro alter ego, così come un fiore in boccio sta racchiuso nella gemma piccola e compressa: io poi ho scelto la rotta, ho trasferito il bocciolo in un clima che l'ha appassito per sempre. - E ti domandi che ne è stato del fiore, - disse Miss Staverton. - Anch'io me lo chiedo, se vuoi saperlo: sono tutte queste settimane che me lo domando. Io ho creduto in quel fiore, - continuò, -avevo la sensazione che dovesse fiorire splendido, enorme, formidabile. - Soprattutto formidabile! - fece eco il suo visitatore; - e al tempo stesso Henry James
624
1970 - Racconti Di Fantasmi
brutto e malefico. - No, tu non ci credi, - replicò lei; - se ci credessi, non staresti a porti delle domande. Sapresti, e ti basterebbe. Ciò che tu senti, e che io sento per te, è che saresti stato uomo di potere. - E tu mi avresti voluto bene a quel modo? - egli domandò. Alice Staverton prese un attimo di tempo. - Come avrei potuto non volerti bene? - Ho capito. Ti sarei piaciuto, anzi, mi avresti preferito miliardario! - Come avrei potuto non volerti bene? - ella ripetè con semplicità. Brydon si arrestò davanti a lei, reso muto da quella domanda. Cercava di afferrarla per quel che valeva: il fatto che egli non rispondesse ne attestava l'ambiguità. - Se non altro, so quello che sono, - riprese: - il rovescio della medaglia è abbastanza chiaro. Non sono stato un modello di virtù, ma molta gente ritiene che mi sia comportato degnamente. Ho seguito strani sentieri, ho adorato strani dèi; anche tu devi, volta a volta, averne avuto notizia; tu stessa hai ammesso che durante questi trent'anni io ho condotto una vita egoistica, frivola, scandalosa. Vedi bene come mi ha ridotto. Ella rimase in attesa, sorridendogli: - Guarda come ha ridotto me. - Ah, tu sei una persona che nulla può cambiare. Tu sei nata per essere quella che sei, ovunque e comunque: tu possiedi una perfezione che niente potrebbe guastare. E non afferri che, non fosse stato a causa del mio esilio, non avrei aspettato fino adesso...? -Ma s'interruppe, attanagliato da una strana fitta. - Lo straordinario, - osservò lei poco dopo, - mi sembra essere questo: nulla si è sciupato. Non si è sciupato il tuo così atteso ritorno. Non si è guastato questo... nostro dialogo... - Dopo tutto si trovava a balbettare anche lei. Egli si chiedeva cosa potesse significare la contenuta emozione della sua amica. - Allora credi, ma no, è impossibile! che io sia veramente così buono? - Oh no! Nemmeno per sogno! - e in così dire si alzò e gli si fece più vicina. - Ma non ha importanza, - aggiunse sorridendo. - Vuoi dire che sono accettabile anche così come sono? Alice Staverton rifletté un istante. - Mi crederai se te lo dico? Voglio dire: risolverei così il tuo problema? - E poi, come intuendo dall'espressione del suo viso ch'egli cercava di sottrarsi alla domanda, quasi non riuscisse ad allontanare un certo pensiero, per quanto assurdo: Henry James
625
1970 - Racconti Di Fantasmi
Oh, non importa nemmeno a te... in maniera diversa, però: a te importa solo di te stesso. Spencer Brydon annui: in realtà era la filosofia che aveva sempre professato. Ma ci tenne a specificare: - Quello non sono io. È assolutamente il contrario, un'altra persona. Ma io voglio vederlo, soggiunse. - E ci riuscirò. Lo sguardo che si scambiarono bastò perché lui comprendesse che lei aveva intuito la sua strana sensazione. Ma nessuno dei due lo rese in alcun modo manifesto; e l'evidente comprensione di lei - senza protesta, senza ironia - lo commosse più profondamente di quanto mai finora fosse avvenuto: era come se alla sua repressa malignità fosse stata offerta una boccata d'aria pura. E tuttavia gli giunse inaspettato sentirla dire: - Ebbene, io l'ho visto. -Tu...? - L'ho visto in sogno. - Oh! In sogno! - Ne fu deluso. - Sì, due volte di seguito, - ella continuò. - L'ho visto come vedo te adesso. - Hai sognato due volte lo stesso sogno?... - Due volte di seguito, - ripetè lei. - Lo stesso identico sogno. Questo non mancò di provocare in lui un certo effetto, lusingandolo. - Sogni di me con tanta frequenza? - Ah, io sogno di lui! - E gli sorrise. Di nuovo gli occhi di Brydon la scrutarono. - Allora tu sai tutto di lui -. E poiché lei non aggiungeva nulla: - Che aspetto ha, quel disgraziato? Ella esitò e, quasi contrariata dalla sua insistenza per motivi suoi personali, finì per voltargli le spalle. - Te lo dirò un'altra volta!
II. Dopo questa conversazione divenne in lui più intenso il desiderio, più sottile l'attrazione, più grottesca l'emozione segreta per quel particolare cedimento alla propria ossessione, per quel concentrarsi su ciò che sempre più egli riteneva essere un privilegio suo, e che era stato in quelle settimane la sua ragione di vita. Non appena usciva di scena Mrs Muldoon, egli aveva la sensazione che cominciasse la sua vera vita: visitava allora la vasta casa dalla soffitta alla cantina, accertandosi di essere solo, al sicuro; era allora che, come diceva tacitamente a se stesso, si lasciava andare. Henry James
626
1970 - Racconti Di Fantasmi
Capitava che vi tornasse due volte nelle ventiquattro ore; più gli piaceva il momento dell'addensarsi dell'oscurità, delle brevi serate d'autunno: ogni volta si sorprendeva a sperare da quell'ora qualcosa di più. Gli pareva di potere, in solitaria attesa, vagare, indugiare, tendere l'orecchio, godendo della propria attenzione, mai stata in vita sua così acuta, quasi vigile al pulsare del grande spazio vuoto. Prediligeva le ore in cui i lampioni non erano ancora accesi; si augurava soltanto di poter prolungare ogni giorno l'incanto dell'ora crepuscolare. Più tardi - raramente prima di mezzanotte, ma allora per una veglia prolungata - si muoveva adagio, tenendosi all'erta, nella luce tremolante della candela, il lume levato in alto per proiettarne lontano la luce, godendo soprattutto e quanto più possibile degli ampi spazi vuoti, delle possibilità di comunicazione fra una camera e l'altra, dei corridoi, offrendo così l'occasione, o un modo, avrebbe detto, alla rivelazione ch'egli pretendeva evocare. Era un'abitudine che aveva preso, cui credeva di poter cedere in pieno, senza destare commenti, che nessuno ne sapeva nulla; persino Alice Staverton - che del resto era un pozzo di discrezione - se lo sarebbe mai immaginato. Andava dentro e fuori con la calma sicurezza del padrone. La buona sorte l'aveva finora favorito al punto che, semmai un corpulento «guardiano» della Avenue lo aveva una volta visto entrare alle undici e mezzo, mai fino a quel momento lo aveva però sorpreso alle due del mattino, quando ne usciva. Vi si recava a piedi, nella pungente notte novembrina, arrivando regolarmente al termine della serata. Se aveva cenato fuori, era facile farlo quanto andare al club o all'albergo. Se al contrario non era uscito per cena, ma era rimasto al club, faceva finta di tornare in albergo; se poi lasciava l'albergo dopo avervi trascorso parte della serata, fingeva di recarsi al club. Insomma tutto era facile, tutto pareva cospirare ad aiutarlo: in effetti la stessa tensione nervosa della sua singolare esperienza conteneva un balsamo che, intorpidendo quel poco di consapevolezza rimasta in lui, rendeva ogni cosa più semplice. Andava in giro, chiacchierava, socievole e gioviale rinnovava relazioni di un tempo, ne stabiliva possibilmente di nuove. Produceva così nel complesso l'impressione che - nonostante il suo passato e nonostante i contatti così diversi di cui aveva parlato a Miss Staverton (e così poco atti a destare edificazione in chi l'avesse allora seguito da vicino) - egli riusciva simpatico piuttosto che il contrario, pur rimanendo uno scolorito personaggio di secondo piano in un ambiente che di lui non aveva un'idea Henry James
627
1970 - Racconti Di Fantasmi
precisa. Le accoglienze che gli venivano tributate, quello schioccare di tappi in suo onore, erano solo un vacuo suono in superficie - così come i suoi gesti di risposta altro non erano che ombre stravaganti, sproporzionate al loro significato, quasi un gioco di ombres chinoises. Durante tutto il giorno egli si proiettava col pensiero al di là di quella fitta schiera di zucche vuote, verso quella che era la sua vera vita; essa cominciava per lui all'angolo prediletto, non appena udito quel clic del grande portone di casa che aveva per lui l'incanto delle prime battute d'una magnifica musica che segue immediatamente al colpo di bacchetta del direttore d'orchestra. Coglieva subito il picchiare del puntale metallico del suo bastone sul vecchio pavimento di marmo del vestibolo, sui grandi quadrati bianchi e neri che, lo ricordava, avevano costituito l'ammirazione della sua infanzia e avevano poi contribuito - se ne rendeva conto ora - a instillare in lui giovinetto il concetto di stile. Quel battito era come l'eco offuscata di qualche campanello lontano, nascosto chissà dove nei meandri della sua casa, del suo passato, di quell'altro mondo mistico che si sarebbe forse schiuso per lui, nella buona e nell'avversa fortuna, se egli non l'avesse abbandonato. Quest'impressione gli faceva sempre compiere un identico gesto: deponeva il bastone in un angolo, senza far rumore, più che mai colpito dalla somiglianza del luogo con una coppa concava, di prezioso cristallo, delicatamente vibrante al gioco di un dito umido intorno al bordo. Era come se il concavo cristallo contenesse quest'altro mistico mondo e il mormorio infinitamente delicato del bordo ne fosse il respiro, patetico rimpianto - appena percettibile al suo orecchio teso - di tutte le sue occasioni eluse e deluse. Ciò ch'egli faceva, con la sua tacita presenza, era di risvegliarlo a quel tanto di vita da fantasma che esse forse potevano ancora godere. Erano timide, quelle occasioni, irreparabilmente timide ma non veramente sinistre; almeno non lo erano state, come le aveva sentite fino a quel momento - prima di prendere la Forma ch'egli tanto si struggeva di dare loro, la Forma che a volte si scorgeva nell'atto di rincorrere da una camera all'altra, da un piano all'altro, in punta di piedi nelle sue scarpe da sera. Era questa l'essenza della sua visione, che a volte, quand'era fuori da quelle mura o diversamente occupato, gli appariva pura follia, ma che, non appena egli si appostava nel vestibolo, in agguato, diventava perfettamente verosimile. Brydon sapeva ciò che aveva in mente, ciò che voleva: per lui era chiaro come la cifra scritta su un assegno presentato all'incasso. Lasciava che il suo alter ego camminasse (era così Henry James
628
1970 - Racconti Di Fantasmi
ch'egli se lo raffigurava con la fantasia) spostandosi, mentre lui perseguiva il suo bizzarro passatempo; unico suo desiderio era di aspettarlo al varco e affrontarlo. Vagava lento, stracco, ma senza un attimo di sosta, - Mrs Muldoon aveva ben ragione nell'e-vocare quell'immagine di macabri fruscii; la figura di cui egli era in attesa avrebbe anch'essa vagato senza tregua. Sarebbe stata cauta e mutevole non meno di lui. Notte dopo notte il sottrarsi alla fuga del suo alter ego era divenuto per Brydon un fatto addirittura percettibile, e aveva finito col ridurlo in uno stato di tensione come mai aveva provato l'uguale. Molte persone, inclini ad emettere un giudizio superficiale sostenevano - gli era noto - ch'egli stava sciupando la propria vita abbandonandosi alle sensazioni, e tuttavia mai aveva gustato un piacere pari all'attuale stato di tensione, mai aveva praticato uno sport che richiedesse al tempo stesso la pazienza e il sangue freddo necessari a braccare una creatura più astuta, e forse, una volta stanata, più formidabile di qualunque belva della foresta. I termini, i confronti, i gesti stessi della caccia gli tornavano alla memoria; anzi, v'erano momenti in cui certi episodi della passata vita di cacciatore, rievocando reminiscenze di paludi, di montagne e deserti, non facevano che accrescere in lui la tensione. Appena posato il candeliere su una mensola di camino o in qualche angolo recondito, si sorprendeva a volte a retrocedere nel buio in cerca di protezione, nascondendosi dietro un uscio o dietro lo sguancio di una finestra, come un tempo aveva cercato rifugio dietro una roccia o un albero: allora tratteneva il respiro e viveva la gioia dell'istante, la suprema tensione che soltanto la caccia grossa riesce a procurare. Non aveva paura. Se l'era domandato, com'era certo che se l'erano domandato - del resto, per loro stessa ammissione - i cacciatori di tigre nel Bengala o quanti si erano trovati faccia a faccia con il grande orso delle Montagne Rocciose; e la risposta era stata negativa (qui almeno poteva concedersi di essere del tutto sincero!), per l'intima stranissima convinzione di provocare egli stesso un timore e in ogni caso un'angoscia di gran lunga superiore a quella che lui provava. I segni d'allarme creati dalla sua presenza, dalla sua vigilanza gli erano divenuti così famigliari da distinguerli addirittura in categorie, pur restando egli sempre sbalordito di aver determinato un rapporto che aveva del prodigioso, mantenendo una consapevolezza unica nell'esperienza umana. Da che mondo è mondo, quanta gente non ha avuto terrore delle apparizioni? Ma chi mai, prima di lui, aveva saputo invertire le parti, divenendo egli stesso motivo Henry James
629
1970 - Racconti Di Fantasmi
d'incommensurabile paura nel mondo dei fantasmi? Se avesse osato porvi mente, forse la cosa gli sarebbe parsa sublime, ma in verità non teneva a riflettere troppo su questo suo privilegio. Con l'assuefazione e il continuo ripetersi delle visite aveva acquisito in maniera straordinaria il potere di penetrare nel buio degli angoli, di smascherare i tranelli innocenti dell'incerta luce, come le sagome che l'oscurità faceva scambiare per ombre vere, grazie a certi giochi di correnti, a ingannevoli effetti di prospettiva. Posava allora il suo debole lume e continuava a vagare senza di quello, passando da una stanza all'altra, solo consapevole di averlo a portata di mano in caso di bisogno, per indicargli il percorso, per proiettare a suo vantaggio un relativo chiarore. Tale facoltà acquisita gli dava l'impressione di essere diventato una specie di mostruoso gatto ladro, e si chiedeva se, in quei momenti, i suoi occhi non proiettassero bagliori giallastri: chissà quali erano, in realtà, le sensazioni di quel disgraziato alter ego, pressato così da vicino da un essere del genere. Gli piacevano tuttavia le imposte aperte e le spalancava ovunque Mrs Muldoon le avesse chiuse, badando a rinserrarle poi con ogni cura in modo che la donna non se ne accorgesse: nelle stanze di sopra amava - oh, questa l'amava davvero, specialmente lassù! - l'impressione che il solido argento delle stelle d'autunno penetrasse attraverso i vetri delle finestre; quasi altrettanto gradito gli era il riverbero dei lampioni giù in strada, il bianco bagliore elettrico che solo dei tendaggi avrebbero potuto attenuare. Ciò era reale, umano, proprio del mondo in cui aveva vissuto, ed egli si sentiva più a suo agio, senza dubbio, per il contegno freddo e impersonale che gliene derivava, malgrado qualche suo cedimento. Naturalmente erano soprattutto le camere sulla facciata e sul fianco lungo la casa quelle che più lo incoraggiavano nella sua ricerca; quel sostegno gli veniva quasi a mancare nelle ombre dell'interno e del retro. Ma benché nei suoi giri per le stanze si rallegrasse a volte dell'ampio campo visivo a sua portata, era spesso la parte posteriore della dimora ad affascinarlo come una giungla in cui ricercare la preda. Là lo spazio era più suddiviso: c'era, in particolare, un'ala da cui erano state ricavate numerose stanze per i domestici, dove abbondavano rientranze e angoletti, sgabuzzini e piccoli corridoi, e si ramificava un'ampia scala di servizio, dalla cui ringhiera si era sporto più d'una volta, serio e severo come sempre, eppur conscio che, agli occhi altrui, sarebbe potuto sembrare uno scioccone intento a giocare a rimpiattino. In effetti, una volta fuori di lì, avrebbe potuto egli stesso fare Henry James
630
1970 - Racconti Di Fantasmi
quell'ironico rapprochement; ma tra quelle mura e malgrado le finestre luminose, la coerenza del suo pensiero teneva testa alla cinica luce di New York. Ormai il pensiero dell'esasperata consapevolezza della sua vittima non lo abbandonava più. Si era ripetuto fin dall'inizio - eccome! - che ciò avrebbe affinato la sua capacità di percezione (il che equivaleva a definire con un altro termine il suo modo di passare il tempo). A forza d'esercizio la stava migliorando, perfezionando; così acuta era diventata da renderlo cosciente di ogni impressione, a conferma del suo postulato, così che nulla avrebbe potuto coglierlo di sorpresa. Era questo il fenomeno più specifico che da ultimo si verificava con una certa frequenza nelle stanze del piano superiore. S'era reso conto - senza possibilità di errore e a partire da un momento ben preciso, quando cioè aveva ripreso la sua campagna dopo un'interruzione diplomatica (un'assenza, calcolata, di tre notti) - di venire decisamente braccato, a una distanza mantenuta accuratamente costante, con il preciso scopo di fargli intendere che non doveva ritenersi il solo inseguitore, doveva mostrare minor fiducia in sé, minore arroganza. La scoperta lo turbò, lo sconvolse addirittura, perché di quante avrebbe saputo concepirne era quella che meno di tutte si conformava al suo piano. Era tenuto d'occhio mentre, dal canto suo, in sostanza rimaneva all'oscuro. Ricorreva a giri improvvisi, riguadagnando rapidamente terreno; poi tornava sui propri passi, quasi a voler sentire sul viso l'aria smossa dalla fuga fulminea di qualcun altro. Lontano da quell'ambiente, il ricordo di simili manovre gli rammentava il Pantalone della pantomima di Natale, vittima delle botte e degli scherzi dell'onnipresente Arlecchino; ma, non appena si esponeva di nuovo alle busse, ritrovava tutta la validità di quel raffronto, tanto che, se gli avesse consentito di diventare pensiero costante, l'assillo che già provava non avrebbe fatto che aumentare d'intensità. Per creare sul luogo l'inconsistente impressione di una tregua, come ho detto, si era assentato per tre sere; il risultato della terza non fu che una conferma della seconda. Tornato quella sera, successiva alla sua ultima assenza, si fermò nel vestibolo e guardò le scale con certezza più intima di quanta avesse mai provato. - E lassù, in cima, e mi aspetta: questa volta non si ritrae per scomparire, come di solito; non abbandona il terreno, ed è la prima volta: il che prova, nevvero? che gli è successo qualcosa -. Così ragionava Brydon con una mano sulla balaustra e un piede sullo scalino più basso, e Henry James
631
1970 - Racconti Di Fantasmi
gli pareva che l'atmosfera fosse raggelata dalla sua logica come non mai. Si senti a sua volta raggelare comprendendo d'un tratto cosa stava accadendo. - L'ho messo alle strette? sì, lui lo capisce, si rende conto che sono tornato, come si suol dire «per restare». Dopo tutto non gli garba, non lo tollera: la sua rabbia, il suo interesse minacciato non sono ora minori del suo terrore. Gli ho dato la caccia finché s'è arreso. Ecco cos'è successo lassù: è come un animale munito di zanne o di corna messo alle strette -. Ebbe la piena percezione di ciò, ma con un'acutezza maggiore di quanto io abbia saputo descrivere; e un attimo dopo era coperto di un sudore che mai avrebbe ammesso di attribuire alla paura, né tanto meno accettato come stimolo all'azione. Fu tuttavia un'emozione prodigiosa, fatta certo d'improvviso sgomento, ma che gli procurò un istante dopo, con lo stesso sussulto interiore, il più straordinario, il più lieto, vorrei quasi dire il più baldanzoso sdoppiamento di personalità. - Ha tentato di sfuggirmi, di battere in ritirata, di nascondersi, ma accecato adesso dall'ira, accetterà la sfida! - si disse Brydon in un misto di terrore e di trionfo. Ma il portentoso stava nel fatto che il senso di trionfo per la rivelazione ricevuta era così vivo in lui perchè - se era quest'altro se stesso ch'egli stava mettendo a terra -voleva dire che quell'ineffabile presenza non era dunque, in ultima analisi, indegna di lui. Si rizzava lì presso, a portata di mano, per quanto ancora invisibile, come il proverbiale verme calpestato si rizza e freme ancora. Fu in quell'istante che Brydon provò una sensazione più complessa di quante mai finora avesse creduto compatibili con la sanità mentale. Provava come un senso di vergogna all'idea che un personaggio così legato a lui fosse alla fine riuscito trionfalmente a evitare lo scontro, quasi non volesse arrischiarsi in campo aperto. Sul momento, il dissolversi del pericolo gli diede un gran senso di sollievo. Con un altro raro espediente di finezza mentale Brydon si trovò a misurare quanto maggiore sarebbe stato un proprio terrore; e si rallegrò di riuscire, in modo diverso, a ispirare quella paura - nello stesso tempo tremando al pensiero di poterla passivamente subire. Il timore di venirne a conoscenza dovette poco dopo aumentare in lui, e il momento forse più straordinario della sua avventura, il più memorabile e, ripensandoci, il più veramente interessante della sua crisi, fu segnato da certi istanti di consapevole intimo combat, dalla sensazione di aver bisogno di aggrapparsi a qualcosa, come prova chi continua a scivolare lungo un ripido declivio, e soprattutto dall'istinto irrefrenabile di doversi Henry James
632
1970 - Racconti Di Fantasmi
muovere, agire, attaccare in qualche modo qualcuno o qualcosa: dimostrare insomma a se stesso di non avere paura. Questa condizione di «tenersi aggrappato» era dunque lo stato in cui in quel momento era ridotto; se in quel grande vuoto ci fosse stato qualcosa da afferrare, sarebbe stato conscio di averlo afferrato, come avrebbe fatto, in preda a uno spavento, con la spalliera della sedia più vicina trovandosi in casa sua. In ogni modo era stato trascinato di sorpresa - e di questo era ben consapevole - in qualche cosa che non aveva mai sperimentato da quando aveva preso possesso del luogo: per un lungo minuto chiuse gli occhi ben stretti, preso a un tempo dall'istinto della paura e dal terrore di vedere. Quando li riaperse, la stanza e le altre contigue gli parvero, stranamente, più luminose: così chiare che lì per lì credette si fosse fatto giorno. Rimase immobile per quanto potè, nello stesso punto in cui si era fermato: l'aver opposto resistenza gli aveva giovato, come avesse superato un pericolo. Comprese poco dopo quale esso fosse: era stato sul punto di darsi alla fuga. Per non fuggire, aveva dovuto fare appello a tutta la sua volontà, altrimenti si sarebbe diretto verso le scale e le avrebbe discese (così gli pareva) ad occhi chiusi, arrivando dritto e veloce fino in fondo. Ebbene, poiché aveva resistito, eccolo ancora quassù in cima, nell'intrico delle stanze del piano superiore, di fronte alla difficile prova cui lo attendevano le altre stanze e tutto il resto della casa, proprio quando era l'ora solita di abbandonare il luogo. Sì, sarebbe andato via all'ora solita, solo a quella: non usciva forse ogni notte alla stessa ora? Trasse di tasca l'orologio, c'era luce sufficiente per consultarlo: non era ancora l'una e un quarto; mai si era ritirato così presto. Di solito rientrava all'albergo alle due, facendo un quarto d'ora di strada a piedi. Avrebbe aspettato i tre quarti: non si sarebbe mosso fino a quel momento, e teneva gli occhi fissi sull'orologio riflettendo fra sé: quest'attesa deliberata, voluta, forzata, avrebbe giovato perfettamente alla testimonianza che intendeva rendere. Avrebbe dimostrato il suo coraggio - a meno che questo non venisse, in verità, meglio dimostrato allontanandosi di lì. Ciò che sentiva adesso, visto che dall'inizio non aveva abbandonato il campo, era soprattutto l'impegno di mantenere alta, di sbandierare la propria dignità: mai in vita sua gli era sembrato di possederne tanta. Aveva di questo impegno un'immagine quasi fisica, degna di un'epoca più romantica, un'immagine che un attimo dopo rifulse ai suoi occhi di una luce più splendente, poiché, in fin dei conti, quale epoca romantica avrebbe potuto essere paragonata vuoi allo stato Henry James
633
1970 - Racconti Di Fantasmi
della sua mente, vuoi «obiettivamente», come si usa dire, alla eccezionalità della sua situazione? L'unica differenza sarebbe stata che allora - e cioè in un'epoca di romantiche imprese - egli avrebbe sbandierato la sua dignità sopra la testa, come un rotolo di pergamena, e si sarebbe diretto in fondo alle scale impugnando con l'altra mano una spada sguainata. In realtà, per il momento, la sua spada poteva essere rappresentata solo dal lume che aveva posato sulla mensola del camino, nella stanza accanto, e in un attimo egli fece il numero di passi necessari per impadronirsene. La porta fra le due stanze era aperta, e dalla seconda un'altra porta immetteva in una terza. Ricordava che quelle stanze davano tutte e tre su un corridoio comune, ma al di là di esse ce n'era una quarta senza sbocco se non verso la precedente. L'essersi mosso, l'aver udito di nuovo il proprio passo, era stato un aiuto apprezzabile, e tuttavia, pur ammettendolo, egli indugiò ancora un poco presso il caminetto su cui aveva posato il lume. Quando si mosse nuovamente, ancora esitando nella direzione da prendere, si sorprese a considerare una circostanza che, dopo una prima e relativamente vaga percezione, lo fece sussultare, come sovente avviene quando ci assale un ricordo lancinante e all'improvviso ci si accorge di aver interrotto un felice stato di oblio. Era giunto in vista della porta dove aveva termine la breve catena di comunicazione; la osservava ora dalla soglia più vicina, non esattamente di fronte, ma un poco spostata a sinistra. Quella porta l'avrebbe introdotto nell'ultima delle quattro stanze, quella senz'altro sbocco o uscita. Ma ora era chiusa, mentre - e di ciò era assolutamente convinto - l'aveva trovata aperta quando era passato di lì poco prima, forse un quarto d'ora avanti. Dinanzi al fatto prodigioso sbarrò gli occhi, fermandosi di nuovo sui due piedi e trattenendo ancora il fiato nello sforzo di capire. Dunque la porta era stata chiusa dopo: cioè, quand'era passato di lì prima, essa era, fuor d'ogni dubbio, aperta! Si rese pienamente conto che doveva nel frattempo essere accaduto qualcosa: nel giro fatto quella sera, non si era accorto di quell'eccezionale barriera. Fu tale l'agitazione da cui venne colto in quel punto che qualunque ricordo poteva sembrargli adesso confuso; cercò di convincersi che forse era entrato in quella stanza, e, uscendone, si era automaticamente tirato l'uscio alle spalle. Ma proprio lì stava il punto: era quella una cosa che non faceva mai, in contrasto con ciò che avrebbe definito la sua politica: quella di lasciare sgombra ogni visuale. Fin dall'inizio, lo sapeva benissimo, le stanze gli erano rimaste impresse: veder profilarsi in fondo a Henry James
634
1970 - Racconti Di Fantasmi
una di loro la strana apparizione della sua «preda» elusa (e per chiamarla «preda» bisognava ricorrere a un'acuta ironia!) era la forma di successo che la sua immaginazione aveva più accarezzato, attribuendole sempre una bellezza raffinata. Cento volte aveva sentito di essere sul punto di percepire quello che poi si dissolveva; cento volte si era detto trasalendo «Eccolo!», colpito da una sorta di breve allucinazione. Nemmeno a farlo apposta, la casa si prestava mirabilmente: gli consentiva di fare considerazioni sul gusto e l'architettura originale di un'epoca specifica in cui ci si dilettava dell'abbondanza di porte, tutto all'opposto dell'architettura moderna che, di fatto, le proscrive quasi completamente: aveva contribuito, lo stile di quel tempo, a provocare in lui la presenza ossessiva di un succedersi di elementi come visti al telescopio, messi a fuoco e centrati in una fuga di prospettive. Tutti codesti elementi sembravano occupare ora la sua mente, consentendogli di scorgere un prodigio in ciò che si offriva ai suoi occhi. Egli non poteva aver bloccato quell'apertura nemmeno in un attimo di distrazione: e se non l'aveva fatto, se la cosa era addirittura impensabile, ebbene, cosa c'era di più evidente che a farlo era stato qualcun altro in sua vece? Qualcun altro? Soltanto un attimo prima aveva sentito su di sé - così gli era parso - il fiato stesso di quell'entità; quando mai le era stato così vicino come in quell'atto così semplice, logico e personale? Era, cioè, così logico che lo si sarebbe potuto scambiare per personale; eppure, come lo interpretava lui? Brydon se lo domandò ansimando debolmente, mentre gli pareva che gli occhi gli schizzassero fuori dalle orbite. Ah, finalmente eccole lì tutt'e due, le opposte proiezioni di se stesso; e questa volta, non c'era scampo: gli si affacciava alla mente il problema del pericolo e con esso, più che mai esplicito, il problema del coraggio. Sembrava che l'ottuso battente della porta gli dicesse: - Fammi vedere quanto ne hai! - Lo fissava, gli ricambiava lo sguardo di sfida, gli poneva le due alternative: doveva o non doveva aprirla? Oh, avere questa consapevolezza voleva dire pensare, e pensare - Brydon lo sapeva mentre rimaneva lì fermo e i minuti si susseguivano -pensare voleva dire non agire - questa era la pena, l'angoscia: non agire significava in effetti sentire il tutto in modo nuovo e terribile. Quanto tempo rimase fermo davanti a quella porta, a discutere con se stesso? Non fu in grado di calcolarlo, perché la tensione che lo teneva era già mutata, proprio per effetto della sua stessa intensità. La situazione si era capovolta: chiuso là dentro, tenuto in scacco, in Henry James
635
1970 - Racconti Di Fantasmi
atteggiamento di sfida - quasi a dimostrare che il prodigio si era compiuto tangibilmente, manifestandosi come un'insegna luminosa - Brydon comprese finalmente il significato della trasformazione. Non era che un ammonimento di diversa natura: il monito per lui supremo del valore della Discrezione! Il concetto si affacciò alla sua mente a poco a poco; intanto egli era rimasto sulla soglia immobile, senza il coraggio di avanzare né di retrocedere. La cosa più singolare era che, se ora, fatti dieci passi, avesse posto la mano sulla maniglia, o anche soltanto, se necessario, avesse spinto l'uscio con la spalla e il ginocchio, tutto il suo iniziale famelico bisogno di sapere sarebbe stato appagato, la sua sconfinata curiosità soddisfatta, placata la sua irrequietezza. Era un fatto singolarissimo sì, ma anche squisitamente raro: sarebbe bastato un tocco, e quell'urgenza, quell'insistenza l'avrebbe d'un tratto abbandonato. Discrezione. La parola lo fece sussultare: non precisamente perché avesse il potere di proteggergli i nervi e la pelle, ma perché (e questo contava assai di più) salvava la situazione. Quando dico «sussultare» ho l'impressione che il termine ben si addica al fatto che egli - non so di preciso quanto tempo dopo - riprese a muoversi, dirigendosi verso l'uscio. Non volle toccarlo (ora gli sembrava che, se avesse voluto, avrebbe potuto farlo: intendeva solo aspettare un momento, per mostrare, per dimostrare che non voleva). Si fermò dunque di nuovo presso il sottile diaframma che gli precludeva la rivelazione: gli occhi bassi, le mani tirate indietro, imponendosi un'assoluta immobilità. Rimase in ascolto, quasi ci fosse stato da udire qualcosa, ma finché durò quell'atteggiamento il solo messaggio che gli giunse proveniva da lui stesso. - Non vuoi? D'accordo: rinuncio e ti risparmio. Mi fai pena, perché sembri davvero appellarti alla mia pietà: mi convinci che per motivi intransigenti e sublimi - che ne so? - avremmo entrambi dovuto soffrire. Rispetto questi motivi, dunque; e benché commosso e avvantaggiato quanto, ne sono certo, mai uomo lo fu, - io mi ritiro, rinuncio - né mai più ci riproverò, parola d'onore. Riposa dunque per sempre e... lascia stare anche me! Tale fu per Brydon l'intimo senso di quell'ultima dimostrazione: solenne, misurata, diretta; almeno a suo giudizio. Conclusa che l'ebbe, si voltò: e solo allora seppe davvero quanto era stato profondo il suo turbamento. Tornando indietro, egli riprese la candela -consumata, notò, fin quasi alla base. Per quanto cercasse di attutirlo, udiva distintamente il rumore dei propri passi. Un momento dopo si ritrovò all'altro lato della casa, dove fece Henry James
636
1970 - Racconti Di Fantasmi
quello che non aveva ancora mai fatto in quelle ore: sollevò a metà una finestra della facciata, lasciando entrare l'aria della notte, cosa che, in qualsiasi altro momento, avrebbe considerato una brusca rottura dell'incantesimo. Sì, l'incantesimo adesso era spezzato, ma non importava: spezzato dalla sua concessione e dalla sua resa, il che avrebbe, d'ora innanzi, vanificato qualsiasi suo ritorno. La strada deserta - il cui vuoto, ravvivato soltanto dalla gran luce dei lampioni - era lì, a portata di mano, a portata di voce; rimase affacciato all'alto davanzale, quasi volesse trovarsi di nuovo in strada; guardava giù, in cerca di un qualche avvenimento comune che gli desse conforto, una qualunque banale nota umana: il passaggio di uno spazzino o di un ladro, lo svolazzare di un qualsiasi uccellaccio notturno. Avrebbe benedetto quel segno di vita; avrebbe salutato con gioia il lento avvicinarsi del suo amico poliziotto che finora aveva sempre cercato di evitare; e se mai avesse visto passare la ronda, chissà che non avrebbe ceduto, con un pretesto, all'impulso di fare un cenno agli uomini da lassù, dal quarto piano, tanto per scambiare due parole. Non aveva chiaro in mente quale pretesto: non avrebbe dovuto essere né troppo sciocco, né troppo compromettente: una spiegazione che salvasse la sua dignità evitando al suo nome di apparire sui giornali. Preso com'era dal pensiero della propria Discrezione -quasi effetto del giuramento appena pronunciato al suo intimo avversario - l'importanza di questa si era ingigantita, sovvertendo in lui, in modo assolutamente ironico, il senso delle proporzioni. Se nella notte, sulla facciata dell'edificio fosse stata appoggiata una scala a pioli, o anche una di quelle vertiginose scale aeree a perpendicolo, usate da imbianchini e conciatetti e là abbandonata, egli si sarebbe in qualche modo arrangiato, a cavalcioni sul davanzale, allungando un braccio e una gamba, a raggiungere quel mezzo di discesa. Ci fosse stato uno di quegli inquietanti aggeggi che aveva talvolta trovato nelle camere d'albergo, una pompa antincendio tutta arrotolata o uno scivolo di corda, se ne sarebbe servito come dimostrazione... ebbene, sì, come prova della propria Discrezione. Cullarsi in quel sentimento era inutile; e, data la situazione - dopo un altro incalcolabile lasso di tempo, poiché dal mondo esterno non era giunto al suo spirito il conforto di una risposta -, capì che quel sentimento stava anzi trasformandosi in una vaga angoscia. Gli pareva di stare attendendo da un'eternità un fremito, sia pur minimo, dal grande silenzio cupo; anche la vita della città giaceva sotto un Henry James
637
1970 - Racconti Di Fantasmi
incantesimo, così innaturale in quella prospettiva di case ben note e piuttosto brutte dove perdurava il vuoto del silenzio. Avevano mai, Brydon si chiese, quei palazzi dalle facciate impenetrabili che adesso, nella luce dell'alba, cominciavano a illividire, avevano mai risposto così poco alle esigenze del suo spirito? Grandi vuoti costruiti, grandi silenzi stipati di voci, assumono spesso nel cuore delle metropoli, ad ore piccole, una specie di maschera sinistra, e di quel vasto nulla collettivo Brydon si rese conto di lì a poco, tanto più che - incredibile! - il giorno stava per spuntare, dimostrandogli quale lunga notte avesse trascorso. Guardò di nuovo l'orologio e constatò come avesse stravolto i valori del tempo: aveva preso le ore per minuti, anziché i minuti per ore, come in altre drammatiche situazioni. L'aspetto insolito delle strade altro non era che il debole e cupo tingersi di rosso di un'alba che racchiudeva ancora ogni cosa. Unica nota di vita era stato il suo inespresso appello dalla finestra aperta. Non gli restava adesso che abbandonarsi a una disperazione ancor peggiore. Tuttavia, pur così profondamente demoralizzato, fu ancora capace di uno slancio che denotava - almeno in base al suo attuale concetto di misura -uno straordinario coraggio: tornare sui suoi passi, fino a raggiungere il punto in cui si era sentito agghiacciare, quando si era dileguato in lui l'ultimo barlume di dubbio sul fatto che ci fosse sul posto, oltre la sua, un'altra presenza. Quella spinta richiese uno sforzo tanto grande da provocargli la nausea; ma era così fortemente motivata che egli superò, sul momento, ogni possibile remora. C'era da attraversare tutto il resto della casa, e dove avrebbe trovato l'audacia necessaria per farlo, se la porta che aveva visto chiusa fosse ora aperta? Poteva aggrapparsi all'idea che l'averla trovata chiusa fosse da considerare un atto di clemenza verso di lui, una possibilità offertagli di scendere le scale, uscire, togliersi da quel luogo e non tornare a profanarlo mai più. Il concetto teneva, funzionava: ma il significato che aveva per lui dipendeva ormai chiaramente dalla dose di indulgenza suscitata dalla sua recente azione (o non, piuttosto, inazione?) L'immagine dell'«entità» - o qualunque cosa fosse - che stava ad aspettare di vederlo allontanarsi, non era mai stata tanto concreta per i suoi nervi come allorché si era fermato di colpo, proprio sul punto in cui ne avrebbe potuto avere la certezza. Poiché, nonostante tutto il suo coraggio - o più esattamente tutta la sua paura -egli si era all'improvviso fermato, ritraendosi dal voler vedere. Il rischio era troppo grande, troppo precisa la sua paura: anzi, essa aveva preso in quel Henry James
638
1970 - Racconti Di Fantasmi
momento una tremenda forma specifica. Sapeva - sì, lo sapeva con assoluta certezza - che, qualora avesse visto la porta aperta, ciò avrebbe segnato la sua fine ignominiosa. Chi l'avrebbe coperto di vergogna (poiché il colmo dell'ignominia era per lui la vergogna) si trovava nuovamente in libertà e padrone del luogo; e l'azione a cui l'avrebbe condotto incombeva cupa e torva dinanzi ai suoi occhi. Si sarebbe diretto verso la finestra che aveva lasciato aperta e da quella finestra - ci fossero o no la lunga scala a pioli e la fune sospesa - egli vedeva se stesso incontrollabilmente insanamente fatalmente buttarsi in strada. A quell'orrenda possibilità poteva sottrarsi soltanto rifuggendo in tempo dalla certezza. Gli rimaneva ancora da percorrere tutta la casa, era un fatto incontrovertibile; ma ormai sapeva che solo l'incertezza poteva ridargli l'avvio. Si ritrasse strisciando dal punto in cui aveva frenato il suo impulso - quel semplice fatto gli parve d'improvviso la salvezza - e, infilato alla cieca lo scalone, si lasciò alle spalle le stanze spalancate e vuote e i corridoi rimbombanti. Eccolo in cima all'ampio scalone rischiarato da una luce incerta e suddiviso da tre spaziosi pianerottoli. Cercò istintivamente di non far rumore, ma i passi risonavano secchi sull'impiantito; stranamente, allorché se ne rese conto qualche minuto dopo, ne trasse un senso d'aiuto. Non parlava, non avrebbe potuto, il suono della sua voce l'avrebbe spaventato; e la volgare illusione o risorsa di «fischiettare nel buio» (letteralmente o in senso metaforico) gli sembrò meschina e triviale; nonostante tutto, gli piaceva sentirsi in moto; e quando, senza affrettarsi ma con passo costante, ebbe raggiunto il primo pianerottolo, quell'iniziale successo gli strappò un lungo respiro di sollievo. All'interno la casa gli parve immensa, gli spazi addirittura smisurati; le stanze aperte come bocche di caverna (su nessuna egli posò lo sguardo) emanavano qualche chiarore attraverso le imposte socchiuse; solo dall'alto lucernario che copriva il profondo cavedio proveniva una luce sufficiente per consentirgli di proseguire in quello che, per la bizzarria dei colori, sarebbe potuto sembrare un mondo subacqueo. Brydon cercò di rivolgere per la mente pensieri nobili: quella sua proprietà era davvero grandiosa, splendida, ma quello stesso nobile pensiero si trasformò all'istante nell'innegabile senso di piacere con cui l'avrebbe presto sacrificato. Venissero pure, adesso, i costruttori, i distruttori: venissero al più presto possibile. Al termine della rampa mediana si trovò in un'altra zona, e a Henry James
639
1970 - Racconti Di Fantasmi
metà della terza, quando non gliene rimaneva che una, notò la luce proveniente dagli scuri mezzo abbassati delle finestre del pianterreno, e i rari sprazzi della luce dei lampioni riflessa dal lucido rivestimento del vestibolo. Era questo il fondo del mare, e mostrava una sua luce particolare: quando, a un certo momento, egli si fermò per lanciare oltre la balaustra un lungo sguardo sul fondo, vide che esso era pavimentato dei riquadri di marmo della sua fanciullezza. Ormai - come avrebbe detto per una vicenda più comune - si sentiva indubbiamente sveglio; si concedette una sosta per riprendere fiato e, alla vista delle piastrelle bianche e nere di un tempo, quel senso di sollievo aumentò. Ma ciò che soprattutto sentì, fu che ora, trascinato, come gli pareva di essere, dalle mani ferme e dure della salvezza, ciò che avrebbe potuto vedere all'ultimo piano - avesse avuto il coraggio di rivolgere un altro sguardo in su - era risolto. La porta chiusa, oramai fortunatamente lontana, era tuttora chiusa; insomma, a lui non restava altro che raggiungere quella di casa. Riprese a scendere, attraversò l'andito che dava accesso all'ultima rampa; e se a questo punto si fermò di nuovo un istante fu per l'emozione dell'ormai quasi raggiunta libertà, un'emozione che gli fece addirittura chiudere gli occhi; ma li riapri davanti all'ultimo tratto di scale che gli diede un ulteriore senso di sicurezza - quasi eccessivo, in quanto le luci dell'esterno, che la lunetta a ventaglio della porta d'ingresso lasciava trasparire, si riflettevano nell'interno del vestibolo. Un istante dopo realizzò che l'effetto era prodotto dall'essere il vestibolo aperto e i due battenti della porta interna spalancati. Questo suscitò di nuovo in lui una domanda che per poco - così gli parve - non gli fece schizzare gli occhi dalle orbite, com'era accaduto prima, nella parte alta della casa, davanti all'altro uscio. Se aveva lasciato aperto quello, forse che non aveva chiuso questi battenti? E non si trovava forse ora nell'immediata presenza di qualche inconcepibile azione occulta? Domanda penetrante come la lama d'un coltello nel fianco; ma la risposta stentò a venire, quasi perdendosi nell'oscurità diffusa, cui la pallida luce dell'alba, trapelando a forma d'arco sopra la porta esterna, aggiungeva un bordo semicircolare: un freddo alone argenteo che sembrava trastullarsi un poco - come ebbe a notare spostandosi, allargandosi, restringendosi. Era come se all'interno di questo salone vi fosse qualcosa che, protetto dalla semioscurità, corrispondeva in dimensione alla superficie opaca retrostante, i pannelli verniciati dell'ultima barriera posta alla sua fuga: il Henry James
640
1970 - Racconti Di Fantasmi
portone, di cui Brydon aveva in tasca la chiave. Mentre la fissava, la visione confusa si prese ancora gioco di lui, dandogli l'impressione di velarsi e nello stesso tempo di sfidarlo; per cui, dopo avere esitato un istante sull'ultimo gradino, egli si abbandonò alla sensazione che, finalmente, ci fosse lì qualcosa cui muovere incontro, qualcosa da toccare, da prendere, da conoscere: qualcosa di spaventoso, d'innaturale che bisognava però affrontare: era per lui la condizione di libertà o di estrema sconfitta. La densa penombra oscura faceva da schermo a una figura che in essa si ergeva, immobile come una statua dentro una nicchia, o come una sentinella dalla nera visiera, a guardia di un tesoro. Solo in seguito fu dato a Brydon di capire, rievocando e analizzando, ciò che aveva provato mentre scendeva gli ultimi gradini. Nel grande, luminoso alone grigio egli vide man mano attenuarsi il confuso punto centrale, che assunse invece la forma per cui, in tutti quei giorni, si era consumata la sua appassionata curiosità. Essa si delineava cupa, era qualcosa, qualcuno, il prodigio di una presenza umana. Rigido e cosciente, spettrale eppure umano, un uomo della sua stessa sostanza e statura lo attendeva lì come per misurarsi con lui, per incutergli terrore. Solo questo poteva significare - solo questo. Finché, avanzando, Brydon comprese: ciò che ne offuscava il volto erano le due mani alzate a coprirlo: un volto che, lungi dal mostrarsi in atteggiamento di sfida, si celava come per un oscuro rimprovero. Così Brydon lo vide, ritto dinanzi a lui; grazie alla sua rigida immobilità e alla luce radente che proveniva dall'alto, ne colse ogni particolare: la sua realtà, la testa grigia e china, le mani bianche levate a mascherare il viso; colse la singolare modernità dell'abito da sera, dell'occhialetto appeso a una catenella, dei lucidi risvolti di seta, del candido lino dello sparato, del bottone di perla, della custodia d'oro dell'orologio, dei lucidi scarpini. Nessun ritratto di grande pittore contemporaneo avrebbe potuto rendere quell'uomo con intensità maggiore, farlo uscire dalla sua cornice con arte più raffinata, trattando il soggetto con maestria consumata in ogni sua luce, in ogni sua ombra. Prima che il nostro amico se ne fosse reso conto, un senso di ripugnanza s'impadronì di lui: e nel momento in cui comprese, senti di cedere all'imperscrutabile manovra dell'avversario. Stordito, rimase ritto di fronte all'altro se stesso, che in preda a questa nuova angoscia mostrava di non essere in grado di affrontare lui, Brydon, testimone vittorioso di una vita piena, goduta, trionfale. Non lo dimostravano forse le splendide mani, levate a coprire il Henry James
641
1970 - Racconti Di Fantasmi
viso, quelle mani forti, dalle dita aperte? Così intenzionalmente aperte che - malgrado il particolare verismo con cui erano state ritratte, e il fatto che una di esse avesse perso due dita, ridotte a due monconi, quasi mozzate da un colpo d'arma da fuoco - il volto in realtà era protetto, era salvo. «Salvo» lo sarebbe poi stato davvero? Brydon se lo chiese con un sospiro: la stessa sicurezza del suo atteggiamento, la stessa fissità del suo sguardo furono causa, gli parve, d'un moto improvviso, rivelatosi per un attimo come un prodigio maggiore: la testa si era alzata, lasciando trasparire un proposito ancora più ardito. Brydon guardò le mani che cominciavano a muoversi, a distendere le dita; poi, come per improvvisa decisione, si staccarono dal viso, lasciandolo scoperto, esposto. A quella vista l'orrore lo afferrò alla gola, soffocando un suono che non riuscì ad emettere: la rivelata identità di quell'essere era troppo orribile per assomigliargli; e il suo sguardo espresse un'appassionata protesta. Quel Viso, il viso di Spencer Brydon? Egli lo scrutò ancora, ma allontanandone gli occhi in disperato diniego, precipitando dall'alto della propria sommità. Era quello un volto sconosciuto, inconcepibile, mostruoso, quanto mai improbabile! Nel dare la caccia a una simile preda - ammise con un gemito interiore - egli era stato truffato: la presenza che gli stava dinanzi era una presenza, l'orrore che provava nell'intimo era orrore, ma la perdita di tante notti era stata semplicemente grottesca, il successo che aveva coronato la sua avventura era una pura ironia. Un'identità simile non aveva nulla in comune con la sua: l'alternativa era una mostruosità. Quanto più gli si faceva vicina, quella faccia era - sì, mille volte -, la faccia di un estraneo. Gli si accostava come una di quelle fantastiche immagini che s'ingrandivano nella lanterna magica della sua infanzia: poiché l'estraneo, chiunque fosse - malvagio, detestabile, invadente, volgare - gli si appressava per aggredirlo, ed egli sapeva di star per cedere terreno. Poi, incalzato ancor più da vicino, sconvolto dalla violenza dell'emozione, ricadde all'indie-tro, come sospinto dal soffio ardente e la rabbiosa esplosione di una vita più grande della sua, la furia di una personalità di fronte alla quale la sua crollava; vide oscurarsi tutto, si senti mancare, il terreno parve cedergli sotto i piedi. La vertigine lo colse, si senti venir meno; perse conoscenza.
III. Henry James
642
1970 - Racconti Di Fantasmi
Ciò che più tardi lo fece tornare in sé - dopo quanto tempo? -fu chiaramente la voce di Mrs Muldoon, che gli giungeva molto da vicino, così vicino che, levando lo sguardo verso di lei, gli parve di vederla inginocchiata per terra lì accanto. Si trovava non proprio sdraiato sul pavimento, ma mezzo sollevato e sostenuto con affetto - sì, di questo era conscio, e in particolare teneva la testa poggiata su un cuscino straordinariamente morbido e delicatamente profumato. Cercò di raccapezzarsi con la semicoscienza che gli era rimasta. Poi, del tutto chino sopra il suo, un altro viso comparve, e allora finalmente capì che Alice Staverton aveva fatto del proprio grembo un ampio guanciale per lui, sedendosi sullo scalino più basso della scala e lasciando che il resto della lunga persona di Brydon rimanesse disteso sulle vecchie lastre di marmo bianche e nere. Erano freddi, quei riquadri di marmo della sua gioventù, ma, in certo modo, non si sentiva freddo lui, in quel felice ritorno di coscienza: l'ora più splendida che, attimo per attimo, avesse mai vissuto gli concedeva un'abissale passività piena di gratitudine, conservandogli attorno al tempo stesso un tesoro di umana comprensione di cui appropriarsi poco alla volta, dissolta, avrebbe detto, nell'atmosfera di quel luogo, illuminato ora dal raggio dorato di un tardo pomeriggio autunnale. Era tornato, sì: era tornato da lidi lontanissimi ove nessuno all'infuori di lui si era spinto: ma lo strano era che ciò a cui era tornato gli appariva ora come la cosa più importante, quasi avesse compiuto tutto quel prodigioso viaggio a quello scopo. Lentamente ma sicuramente andava riprendendo coscienza, andava rendendosi conto della propria condizione: era stato un miracolo a riportarlo indietro, a sollevarlo e ritrasportarlo delicatamente nello stesso punto in cui l'avevano raccolto, al limite estremo di un interminabile corridoio buio. Lo avevano lasciato riposare, e ciò che ora lo aveva restituito alla lucidità era stata l'interruzione di quel dolce, prolungato dondolio. Lo aveva riportato alla realtà, sì, alla realtà, questo era il bello, e sempre più il suo stato somigliava a quello di chi, andato a dormire dopo aver avuto notizia di una grande eredità e avendone con altri sogni scacciata la memoria profanandola con fatti ad essa estranei, si risvegli con la serena certezza di dover soltanto rimanere coricato, a guardarla crescere. Doveva solo lasciarsi cullare in quello stato di passività: doveva lasciar risplendere su di sé quella serena certezza. Del resto, doveva essere stato a più riprese nuovamente sollevato e Henry James
643
1970 - Racconti Di Fantasmi
trasferito altrove; come e in che modo avrebbe altrimenti potuto ritrovarsi più tardi - quando la luce del crepuscolo s'era già fatta più intensa - non ai piedi delle scale di casa, situate (così gli pareva adesso) all'altro estremo del suo lungo tunnel, ma su un largo sedile sottostante la finestra del salone e su cui lo avevano adagiato come su un divano, dopo che v'era stato disteso un mantello di stoffa morbida, foderato di pelliccia grigia che i suoi occhi riconoscevano e che, con una mano, egli continuava a palpare con amore, come prova di verità? La faccia di Mrs Muldoon era scomparsa, mentre l'altra, la seconda che aveva riconosciuto, era china su di lui in una posizione che dimostrava chiaramente come egli fosse ancora sostenuto e puntellato. Percepiva ogni cosa, e quanto più percepiva, tanto più pareva sufficiente a infondergli pace, come se avesse mangiato e bevuto. Erano state le due donne a trovarlo, quando Mrs Muldoon all'ora consueta aveva fatto scattare la serratura. Era arrivata proprio mentre Miss Staverton, tutta agitata, si stava allontanando dalla casa, dopo avere a lungo e invano bussato alla porta, tenendo conto dell'orario dei servizi della brava donna; e questa, benedetta lei, era sopravvenuta quando Miss Staverton si trovava ancora là. Entrate insieme, avevano visto Brydon disteso per terra oltre il vestibolo, proprio come adesso ancora giaceva sulla panca -cioè come si poteva supporre fosse caduto, ma miracolosamente indenne da ferite e contusioni; solo immerso in un profondo letargo. Ora, man mano che andava acquistando lucidità, egli si rendeva conto che per un lungo, ineffabile momento Alice Staverton non aveva avuto il minimo dubbio sulla sua morte. - Dovevo proprio esser morto, - riuscì a dire mentre la sua amica lo sosteneva. - Sì, ero già morto. Tu mi hai letteralmente riportato alla vita. Dimmi solo, - le chiese alzando lo sguardo su di lei, - dimmi: come hai fatto, in nome del cielo?! Le fu d'uopo un istante per chinare il viso e baciarlo. Qualcosa in quel bacio, nel modo in cui le mani di lei gli afferrarono il capo e lo tennero stretto, facendogli assaporare la benefica freschezza e la virtù delle sue labbra, qualcosa in tutto quello stato d'ebbrezza gli diede la risposta: - E ora ti tengo, - gli disse. - Oh, tienimi, tienimi! - egli supplicò, mentre il viso di lei era ancora chino sul suo. Per tutta risposta ella abbassò nuovamente il capo sopra di lui e gli si tenne avvinta. Fu il sigillo del loro rapporto, ed egli cercò d'imprimerselo nella mente in un lungo momento di tacita beatitudine. Poi Henry James
644
1970 - Racconti Di Fantasmi
si riprese: - Ma come hai fatto a saperlo?... - Ero turbata. Dovevi venire da me, ricordi?... E non mi hai fatto sapere più nulla. - Sì, ricordo: dovevo venire da te oggi, all'una -. Era un riaggancio alla loro «vecchia» vita, alla loro relazione, così vicine eppure già così lontane. - Io restavo nella mia oscurità piena di mistero... dov'era?... cos'era? Devo esserci rimasto molto a lungo... - Brydon non finiva di stupirsi della durata e della profondità del suo mancamento. - Già da ieri sera? - domandò lei con un'ombra di timore di apparire indiscreta. - Dev'essere stato questa mattina: nell'alba fredda e grigia di stamani. Dove sono stato? - gemette indistintamente, - dove sono stato? - Senti la stretta di lei farsi più ferma e ciò parve aiutarlo ad emettere con piena sicurezza un lieve lamento. - Che lunga giornata buia! Ella attese un momento prima di rispondergli. Poi, con inalterata tenerezza: - Nell'alba fredda e grigia? - domandò esitante. Ma lui stava già ricomponendo i pezzi del prodigioso avvenimento. Dato che non mi facevo vedere, sei venuta direttamente qui? Ella tergiversò nel rispondere. - Per prima cosa sono andata al tuo albergo, dove mi fu detto che non c'eri. Avevi cenato fuori la sera prima e non eri più rientrato. Ma, a quanto pareva, ti credevano al club. - Perciò sei stata tu ad avere il sospetto di... questo? - Di cosa? - Be', di ciò che è successo. - Quanto meno, ho creduto che tu fossi qui. L'ho sempre saputo che ci venivi, - soggiunse. - Saputo? - Insomma ne ero certa. Non ti dissi più nulla dopo la conversazione che avemmo un mese fa... ma ne ero sicura. Sapevo che saresti venuto, affermò. - Che avrei persistito, intendi dire? - Che l'avresti visto. - Ah, ma io non l'ho veduto, - esclamò Brydon in un prolungato lamento. - C'era qualcuno, una bestia spaventosa, che io, in preda a terribile angoscia, sono riuscito a ridurre agli estremi. Ma quell'essere non ero io. Ella si curvò di nuovo su di lui, e i loro sguardi s'incontrarono. - No, no: non eri tu -. Se il viso di lei non fosse stato così vicino, quasi a contatto del Henry James
645
1970 - Racconti Di Fantasmi
suo, egli avrebbe potuto scorgervi un significato speciale, velato da un sorriso. - No, grazie al cielo, - ripetè lei, - non eri tu! Certo che non poteva essere te! - E invece lo era, - insistè lui pacatamente. E continuò a guardar fisso davanti a sé, come già faceva da tante settimane. - Fui costretto a riconoscermi in lui. - Non potevi riconoscerti in lui! - ribatté lei in tono consolatore. E poi, quasi tornando indietro come a spiegare meglio ciò che aveva fatto personalmente: - Ma non fu solo il non averti trovato a casa, non fu solo quello, - continuò. - Ho aspettato fino all'ora in cui incontrammo Mrs Muldoon il giorno nel quale venni qui con te; e la brava donna arrivò, come ti ho raccontato, giusto quando, non riuscendo a farmi aprire da nessuno dall'interno, mi ero seduta disperata sui gradini davanti al portone, pensando che, se non fosse arrivata - ma per fortuna arrivò - sarei in qualche modo riuscita a scovarla. Però, - soggiunse Alice Staverton, come volesse di nuovo sottintendere qualcosa, - non è stato soltanto questo. Supino com'era, Brydon volse gli occhi in su, a guardarla. - Che altro, allora? - Alice tenne testa alla curiosità che aveva suscitato. - «Nell'alba fredda e grigia», hai detto? Ebbene, nell'alba fredda e grigia di stamani anch'io ti ho veduto. - Mi hai visto? - Ho visto lui, - rispose. - Dev'essere stato nello stesso momento. Egli rimase un istante immobile, come a voler capire, ad assicurarsi di essere nel pieno possesso del proprio intelletto. - Nello stesso momento? - Si... di nuovo in sogno, lo stesso sogno di cui ti ho già parlato. È tornato. Allora l'ho interpretato come un segno: era venuto da te. A queste parole Brydon si alzò a sedere: doveva vederla meglio in faccia. Resasi conto del suo movimento, Alice lo aiutò, e Brydon le si accostò sul sedile sotto la finestra, stringendo nella mano destra la sinistra di lei. - Lui da me non è venuto. - Sei tu che sei venuto a te stesso, - gli sorrise lei dolcemente. - Oh, io sono venuto a me stesso ora, e grazie a te, mia diletta. Ma quel bruto con quella faccia orribile, quello è un mostro sconosciuto. Non ha nulla di me, anche se io sarei potuto essere così, -affermò ostinatamente Brydon. Ma lei manteneva quella sua chiarezza che era come il soffio dell'infallibilità. - Tutta la questione non verteva sul fatto che tu saresti Henry James
646
1970 - Racconti Di Fantasmi
stato diverso? A quel pensiero egli si rabbuiò. - Ma diverso a quel punto?... Ancora una volta lo sguardo di lei gli apparve come la più bella cosa di questo mondo. - Non era precisamente quello che desideravi sapere: quanto diverso? Così stamani mi sei apparso, - concluse. - Come lui? - Un mostro sconosciuto! - Come hai fatto, allora, a capire che ero io? - Perché, come ti dissi parecchie settimane or sono, avevo tanto sforzato mente e fantasia a immaginare ciò che tu saresti potuto essere, e ciò che non saresti potuto essere: vedi quanti pensieri ti ho dedicato. Fu a quel punto che tu venisti a cercarmi, per consentirmi di rispondere ai miei interrogativi. Allora compresi, - prosegui - e fui persuasa che anche tu avresti cercato per tuo conto, dal momento che, come mi avevi detto quel giorno, la questione ti stava molto a cuore. E stamattina quando l'ho rivisto, ho intuito che era perché tu pure l'avevi visto, e anche, fin dal primo momento... che tu avevi bisogno di me. Lui stesso pareva dirlo. E allora, perché, -soggiunse con uno strano sorriso, - perché non dovrebbe piacermi? Quella domanda fece scattare in piedi Spencer Brydon. - Ti piace quel... quel mostro? - Avrebbe potuto piacermi. Per me, - aggiunse, - non era un mostro. Io l'avevo accettato. - Accettato?! - le fece eco Brydon con un singolare tono di voce. - Sì, già da prima. Perché m'interessava quanto era diverso da te, appunto. E poiché, conosciutolo, non lo rinnegai, diversamente da quanto hai fatto tu, mio caro, che lo hai crudelmente rinnegato, mettendolo di fronte alla sua diversità... ebbene, forse per questo a me è sembrato meno terribile. M'è parso che sarebbe stato contento che lo commiserassi. Stava in piedi accanto a lui, seguitando a tenergli la mano, a sostenerlo con il braccio. Ma benché nella mente di lui si aprisse uno spiraglio di luce confusa, risentito, adirato, Brydon domandò: - Lo hai commiserato? - È stato infelice; lo hanno distrutto, - rispose lei. - Forse che anch'io non sono stato infelice? Forse che non sono stato distrutto? Non hai che da guardarmi. - Non dico di preferire lui, - concedette Alice, dopo aver riflettuto. - Ma lui è devastato, distrutto... Gliene sono successe di cose! E per aiutarsi a Henry James
647
1970 - Racconti Di Fantasmi
vedere, non si serve di un bel monocolo come il tuo! - No, - rispose Brydon colpito: - non avrei potuto andare in città con il monocolo, mi avrebbero preso in giro. - Le sue grosse doppie lenti a pince-nez. … le ho notate, ne ho riconosciuto il tipo: servono alla sua povera vista rovinata. E la sua povera mano destra...! - Ah! - Brydon rabbrividì, fosse per la dimostrata sua identità o per le dita perdute. Poi, con lucido cinismo, soggiunse: - Ma ha un milione di dollari all'anno. Però non ha te. - E non è, no, non è te! - mormorò Alice, mentre Brydon se la stringeva al petto. Traduzione di Maria Luisa Castellani Agosti.
Il Soprannaturale di Henry James Di Leon Edel Per capire come l'autore di The Turn o fthe Screw creò i suoi fantasmi, bisogna prima di tutto considerare certi elementi della sua storia personale. Una vicenda di spettri, avvenuta quando Henry James era ancora in fasce, aveva segnato la sua infanzia e la sua adolescenza. Suo padre, Henry James senior, si era trasferito all'estero con la famiglia. Nella primavera del 1844 abitavano una casa situata al limitare del parco di Windsor, in Inghilterra. Henry senior si dilettava di teologia ed era un appassionato studioso delle Scritture; era un uomo dinamico, socievole, molto attivo malgrado avesse una gamba di legno, conseguenza di un incidente occorsogli da bambino. Di temperamento vivace, irlandese di spirito, possedeva una grande eloquenza polemica. Negli ultimi anni della sua vita, nel libro Society the Redeemed Form of Man (e precisamente nel capitolo My Moral Death and Burlai) raccontò come un giorno, nella sua casa di Windsor, dopo un buon pasto, sedesse fissando pigramente le fiamme del camino «non pensando a nulla, in preda a quello stato di euforia che si accompagna a una buona digestione». La sua mente vagava, ed egli si abbandonava a pensieri quotidiani e a sogni ad occhi aperti. Improvvisamente provò quella «paura e tremore» descritti nei Salmi e sperimentati da molti profeti e santi. Fu colto da un'orribile sensazione di panico. «Apparentemente, - scrisse, - era un terrore del tutto folle ed abietto, senza causa evidente». Non vedeva nulla. La luce del giorno Henry James
648
1970 - Racconti Di Fantasmi
riempiva la stanza; sulla grata ardevano le braci; davanti a lui la tavola con gli avanzi del pasto. Eppure egli aveva la certezza che ci fosse «una qualche dannata forma, a me invisibile, accovacciata all'interno della stanza e che emanava dalla sua fetida personalità influssi letali». In dieci secondi, Henry senior si senti «un rottame» ridotto, come egli scrisse, «da uno stato di piena, vigorosa e felice maturità, alla condizione quasi disperata di un bambino». Agghiacciato, rimase paralizzato sulla sedia. Voleva invocare aiuto, voleva correre fuori in strada per chiedere ai passanti di proteggerlo da quella visione di dannazione. Ma, come ricordò, seppe controllare i suoi «impulsi deliranti». Non fu in grado di dire quanto tempo fosse trascorso. Gli sembrò un'ora, durante la quale fu «travolto da una tempesta di dubbio, di ansia, e di disperazione che cresceva sempre più, senza poter trovare alcun sollievo in nessuna delle verità in cui mi ero mai imbattuto, tranne che in un pallidissimo e lontano barlume di coscienza dell'esistenza divina». Alla fine trovò la forza di abbandonare l'impari lotta e chiese alla moglie di venirgli in aiuto. Gli annali famigliari registrarono spesso le conseguenze di quest'episodio soprannaturale: di come Henry senior nei successivi due anni soffrisse di una «condizione mentale turbata da allucinazioni»; di come i dottori gli raccomandassero riposo, sonno, «cure» in stazioni termali. Niente gli fu di giovamento, finché una signora gli consigliò gli scritti di Emmanuel Swedenborg, il visionario svedese. Fu nei suoi libri e nei suoi insegnamenti che il padre del romanziere trovò pace e conforto. Swedenborg gli diede l'immagine di un uomo che aveva l'aspetto mirabile di Dio e che era capace di parlare con gli angeli. Lo aiutò a superare la paura della divinità calvinista della collera. Come ci si può attendere, questa «devastazione» - come i seguaci di Swedenborg definirono il suo momento di paura e tremore - rimase a lungo e profondamente nei ricordi della famiglia. James, fin dall'inizio, fu posto in grado di avere il senso della presenza di un male sovrumano, l'idea che un uomo poteva venir perseguitato - come era accaduto a suo padre - da fantasmi in pieno giorno. Nei suoi primi anni, il fratello maggiore del romanziere, William James, colui che avrebbe fondato lo studio della psicologia in America, ebbe un'esperienza che sembrò quasi una replica di quella del padre, tranne che egli materializzò la forma invisibile del Maligno. Nel registrare il fatto, William James osserva che si era ritrovato in uno stato di «pessimismo filosofico e di generale depressione psichica». Una sera, entrò nello Henry James
649
1970 - Racconti Di Fantasmi
spogliatoio di casa sua per prendere alcune cose «quando improvvisamente mi assali, senza alcun preavviso, proprio come se uscisse dal buio, un'orribile paura della mia esistenza». La paura assunse le sembianze di un paziente epilettico che egli ricordava di aver visto in manicomio, «un giovane dai capelli neri e dalla pelle verdastra, completamente idiota, che se ne stava seduto tutto il giorno su una delle panche addossate alla parete, o meglio su un'asse, con le ginocchia rannicchiate contro il mento, e la povera maglia grigia, che era il suo unico indumento, tirata sopra le ginocchia ad avvolgere l'intera figura. Sedeva là come una specie di gatto egizio scolpito o di mummia peruviana; non muoveva altro che gli occhi neri e sembrava un essere assolutamente non umano». «Quella forma sono io, - disse tra sé William James, - almeno potenzialmente» e divenne «una massa tremante di paura». Come suo padre, per giorni e giorni; poi, si svegliò con «un senso di insicurezza della vita». Non aveva mai conosciuto tale insicurezza prima e non la provò più in seguito. «Fu come una rivelazione», disse. William James continuò le sue ricerche nel campo dell'occulto per tutta la vita, accanto ai suoi studi psicologici e filosofici. Frequentò sedute spiritiche, osservò i medium, indagò ogni manifestazione del «mondo degli spiriti» di cui veniva a conoscenza. Alla fine scrisse il suo ispirato libro, The Varieties of Religious Experience. Henry James junior non ebbe, in stato di piena coscienza, esperienze paragonabili a quelle del padre e del fratello. Ma riportò, nei suoi libri autobiografici, il ricordo di un incubo che descrisse come «spaventoso» e che definì nello stesso tempo «mirabile», un'«avventura della fantasia». Vi erano mescolati paura e piacere. Sognò che stava difendendosi, in preda a un terrore abietto, da un intruso; lottava per impedirgli di spalancare la porta chiusa della sua stanza. Improvvisamente la situazione si capovolse. La porta si aprì, ma egli vide che, invece di entrare, il mostro si era dato alla fuga, tra tuoni e fulmini, lungo un grande corridoio pieno di opere d'arte. Riconobbe il luogo: era la Galerie d'Apollon al Louvre. Ciò che era cominciato come un faccia a faccia da incubo terminava con una piena vittoria. A differenza di suo padre e di suo fratello, James sembrava dire con il dottor Johnson: «Io, signore, avrei spaventato il fantasma». È particolarmente interessante la rivelazione di James di aver fatto questo sogno in età avanzata. Sembra che esso appartenga a un periodo più tardo rispetto a quello in cui scrisse la maggior parte dei suoi racconti di Henry James
650
1970 - Racconti Di Fantasmi
fantasmi e fa pensare che, in qualche strano modo, egli abbia scoperto i mezzi con cui poter contemporaneamente sognare il terrore e trovare in sé la capacità di controllarlo e respingerlo. A quanto pare, molte furono le battaglie di tal genere che dovette combattere, perché ci sono testimonianze di altri e simili sogni in cui ricorre questo tema. Lady Ottoline Morrell riporta nelle sue memorie che James le raccontò un sogno in cui «si trovava in una casa o in un negozio pieno di mobili, c'erano immense stanze con begli armadietti e sedie e tavoli. Si aggirava per tutta la casa sentendo una presenza vaga e misteriosa. Infine, arrivando al piano superiore, si trovò in una stanza in cui c'era un vecchio seduto su una sedia... Gli si rivolse ad alta voce: "Vigliacco, tu hai paura di me". L'uomo rispose di no, e Henry James replicò: "Sì, che hai paura, io lo so. Vedo il sudore sulla tua fronte"». C'è in questi incubi una straordinaria «manipolazione» di sogni. James comincia con una forte sensazione di terrore o di ansietà, poi, nello stesso sogno, ricorre a un'azione che si oppone a questa ansietà. Spaventato, capovolge la situazione e diventa colui che minaccia. Ciò è espresso nel sogno del Louvre: «Io, nel mio stato di paura, ero probabilmente ancora più terribile dello spaventoso essere, creatura o presenza che fosse». Non lo avrebbe mai dimenticato: il terrore di una persona perseguitata può anche risultare terrorizzante. È quanto ci viene chiaramente suggerito in The Turn of the Screw. E’ il tema dell'incompiuto romanzo di fantasmi The Sense of the Fast, nel quale un uomo si ritrova proiettato dal presente nel passato ed è atterrito all'idea di rimanervi prigioniero. Nella sua paura egli suscita terrore negli altri personaggi. I sogni prendono la forma di un faccia a faccia reale tra «io» e «non-io», come nell'ultimo suo racconto soprannaturale The Jolly Corner. Da questo genere di esperienze famigliari, dai suoi sogni segreti, dalle sue immaginazioni, derivano dunque i racconti di fantasmi di Henry James: dal sentire del romanziere che l'uomo è in una qualche relazione con forze impenetrabili e misteriose, al di là di sé, al di là dell'umano controllo - come lo erano state le esperienze del padre e di William. Ciò indusse James a scrivere non solo storie in cui troviamo fantasmi materializzati, ma anche un altro genere, che egli definisce «raccapricciante» e «quasi soprannaturale». I suoi primi racconti, degli anni 1860, sono abbastanza convenzionali. Il secondo gruppo, tra cui The Tum of the Screw, appartiene alla sua età matura, quando si trovava in uno Henry James
651
1970 - Racconti Di Fantasmi
stato fortemente ansioso e depressivo. È in questi racconti che egli crea i suoi fantasmi alla luce del sole, fantasmi che camminano senza bisogno di bianche lenzuola, di macchie di sangue, di grida, di rumori ultraterreni e altri elementi gotici. L'ultimo gruppo, scritto nel nuovo secolo, contiene alcuni dei fantasmi e anti-fantasmi più interessanti, alcuni demoniaci e spaventosi, altri benevoli, talvolta anche comici. I più bei racconti di James sono spesso del tutto privi di fantasmi, ma sono costruiti in un'atmosfera di «strano e sinistro intessuti proprio sul normale e sul facile». Come per la «devastazione» del padre, James cercò di creare quello che potrebbe essere definito «il terrore dell'usuale». C'è, inevitabilmente, diseguaglianza di stile nei diversi periodi; ciò nondimeno tutti i racconti sono opera di un narratore nato, ed anche quando James ci racconta una storia banale, come nell'apparizione dell'«inquilino fantasma», riesce a infondere un'atmosfera di sottile terrore nella sua descrizione della vecchia casa e dello stato mentale dello studente di teologia di Harvard. The Friends of the Friends è uno dei suoi racconti di maggior successo, poiché gli eventi sono descritti in modo da renderli insieme indubbi e incontrollabili. Quanto ai racconti soprannaturali The Aitar of the Dead e The Beast in the Jungle, queste non sono affatto storie di fantasmi in senso tradizionale; costituiscono strani avvenimenti nella vita di inquieti signori di mezza età. L'«altare», con i suoi ceri accesi per il «caro defunto», diventa una specie di luogo di incontro di fantasmi; e The Beast in the jungle è insieme il ritratto di uno stato di ossessioni -cioè di un'ansietà immediata - e la storia dell'orrore di un uomo per il suo eterno anonimato. Nella sua evocazione di esseri indistinti in un mondo urbano rarefatto e crepuscolare, questo racconto anticipa i sinistri timori kafkiani e il moderno concetto dell'«assurdo». La critica si è divisa sulle interpretazioni di The Turn of the Screw, ma è stata unanime nel sostenere che il racconto è, nel suo genere, un capolavoro. James ha detto che in questa storia (che è stata trasposta in tutti i media moderni, compresa l'opera) voleva rendere un'atmosfera «esalante» il male. La storia ci è raccontata da una giovane istitutrice in un manoscritto da lei lasciato dopo la sua morte. Ciò che è in gioco è la credibilità di questa giovane donna come testimone. James ci mette sull'avviso nella Prefazione, quando dice di aver dovuto mantenere la testimonianza di lei in modo «cristallino» perché tante erano le ambiguità e anomalie da lei descritte. Comunque, subito aggiunge queste Henry James
652
1970 - Racconti Di Fantasmi
significative parole: «con ciò non intendo naturalmente la spiegazione che essa ne dà, che è un'altra cosa». Non si tratta del fatto che la giovane donna veda i fantasmi di Peter Quint e di Miss Jessel. Riconosciamo anche lo sforzo straordinario da lei compiuto per mantenere la calma di fronte al male che le incute spavento. Il male, comunque, è nella sua mente; quando ha la «certezza» che i fantasmi sono venuti per i bambini, il lettore deve stabilire se essa sta affermando un fatto o enunciando una teoria. Ripercorrendo il suo racconto, scopriamo che il resoconto circostanziato del comportamento dei bambini li definirebbe «normali». Il piccolo Miles vuol sapere quando sarà rimandato in collegio; la fuga in barca della piccola Flora è perfettamente in carattere con una bambina di otto anni. Ma è l'istitutrice a far sì che il loro modo di fare sembri sinistro. Il vero «giro di vite» - il particolare acuirsi della pena nel racconto - sta in ciò che l'istitutrice fa ai bambini. Essi, dal canto loro, tentano costantemente di adattarsi alla sua ottica. James ha affermato di voler trasmettere «ai bambini la comunicazione del male, del pericolo più infernale che si possa immaginare: la loro condizione di essere così esposti, come si può umanamente concepire lo siano dei bambini». Esposti, possiamo giudicare noi, non ai fantasmi, che essi non vedono neppure, ma all'istitutrice, che li vede. Nella scena finale, orribile nella sua intensità e violenza, ella ottiene una strana vittoria. Crede di essere riuscita a cacciar via dal piccolo Miles lo spirito maligno, di aver salvato la sua anima. Ma, come nei racconti di possessione demoniaca, «il suo piccolo cuore, liberato, aveva cessato di battere». The Tum of the Screw è un racconto potente di possesso, come nelle antiche fiabe di demoni e diavoli; ed è l'istitutrice ad essere posseduta. La sua immaginazione demoniaca e malvagia trasforma le sue ansietà, i suoi sensi di colpa, le sue chimere romantico-sessuali - che lei considera «peccaminose» - in demoni e spiriti dannati. Nel tentativo di lottare contro i suoi demoni, infetta quelli che le stanno intorno - come Hitler, con farneticanti e deliranti discorsi, infettò un'intera nazione della sua isteria. Il contagio, cioè la capacità insita in un'immaginazione malvagia di diffondersi come un'epidemia, è l'orrore di fondo del racconto di James. Ed è forse perciò che molti l'hanno trovato il racconto di fantasmi più spaventoso che mai sia stato letto. L'effetto provocato deriva dalle teorie del soprannaturale di James. «Fino a che gli eventi sono nascosti, - spiegò una volta, -l'immaginazione Henry James
653
1970 - Racconti Di Fantasmi
correrà senza freni e dipingerà ogni sorta di orrori, ma appena si alza il velo, ogni mistero sparisce». Tutto nel racconto di James è ambiguo; ogni parte di The Tum of the Screw sembra essere concreta, ma in tutta la narrazione c'è un rifiuto alla specificazione, al chiarimento. La storia stessa, come ci viene detto, è la versione stampata di una copia dell'antico manoscritto. L'istitutrice non ha nome; non si descrive. Non sappiamo che vestiti indossi. Conosciamo soltanto dettagli molto scarni della sua vita. Siamo informati solo dei suoi sogni ad occhi aperti, che sono numerosi e fantastici. Nella Prefazione, scritta dieci anni dopo aver pubblicato il racconto, James è esplicito su quanto ha fatto. Egli ci dice di aver dato a ogni lettore, per così dire, un assegno in bianco dicendogli di ritirare dalla sua banca privata dell'orrore tutti i fondi necessari. «Rendi abbastanza intensa nel lettore la visione del male... e la sua propria esperienza, la sua propria immaginazione... gli forniranno più che abbondantemente tutti i particolari. Fa' che lui pensi il male, fa' che sia lui a pensarci da solo, e tu sarai sciolto dall'impegno di fiacche descrizioni particolareggiate». Jàmes parla dei fantasmi di Miss Jessel e di Peter Quint come se non fossero affatto tali in senso usuale, ma «demoni, elfi, diavoli, spiriti del male creati in maniera ambigua come quelli degli antichi processi per stregoneria». Essi rappresentano tutte le forme assunte dalle buone e cattive fate dell'intelletto - le streghe inclini alla violenza o le fate «del tipo leggendario, che allettano le loro vittime per vederle danzare al chiaro di luna». Per James il racconto di fantasmi era «la forma di fiaba più accettabile». Nelle fiabe, grandi prodigi diventano realtà per i bambini; si incontrano orchi e giganti; Cenerentola trova il suo principe; i tappeti volano. Così i prodigi dell'immaginazione nel racconto di fantasmi - i diavoli e i demoni del mondo intimo dell'uomo - prendono forma e si realizzano nel prodigio dell'arte del narratore. James espresse questo concetto in altro modo nella scena fortemente drammatica di The Golden Bowl, il suo ultimo romanzo, quando la protagonista osserva una partita di bridge in cui il marito infedele e la sua amante sono compagni di gioco. Ella pensa all'«orrore di scoprire il male accomodato a suo completo agio, dove lei aveva sognato solo il bene; l'orrore della cosa orribilmente nascosta dietro a tanto simulate, e così tanto credute, nobiltà, intelligenza, tenerezza». Era la prima «scaltra falsità» in cui si fosse mai imbattuta, e James immagina la falsità come un fantasma: «le era andata incontro come un estraneo dalla brutta faccia, Henry James
654
1970 - Racconti Di Fantasmi
sorpreso in uno dei corridoi ricoperti da uno spesso tappeto di una casa silenziosa, una domenica pomeriggio». Questo è il più orribile genere di paura - una casa silenziosa, una domenica pomeriggio, e improvvisamente una presenza abietta, l'orrore della cosa dietro la calma apparenza. Le cose conosciute della vita non presentano problemi; è il misterioso, l'incognito, l'orrore immaginato, la cosa dietro, che fa tremare il cuore e la mente. Nella sua tecnica letteraria, James rifiuta di fornire chiarimenti razionali. Non spiegherà la «devastazione» del padre. Il terribile fantasma era invisibile, ma il terrore del padre era reale, il suo stato di «possessione» era stato orribile. James cercò di catturare questo tipo di realtà nell'esperienza occultistica. Ed è perciò che i suoi racconti di fantasmi, anche quelli scritti senza impegno per le edizioni natalizie delle riviste, possiedono un senso di strano, evocano un mondo inafferrabile di segreti fantasmi. Il romanziere aggiunge al soprannaturale poche situazioni nuove; non inventa nuove apparizioni ossessionanti. Ma ha preso l'abusato racconto di fantasmi e lo ha lasciato incommensurabilmente arricchito. Ci ha mostrato che l'irreale e il fantastico sono in molteplici punti uniti all'esistenza quotidiana; e ha attirato i suoi lettori nel misterioso mondo dei fantasmi alla luce del sole con la sottile presa di un narratore che sa tenere l'uditorio, come il creatore delle Arabian Nights. Sapeva - misteriosamente - come farci camminare in sua compagnia, nella piena luce della vita, e con i nostri fantasmi. LEON EDEL New York, 1970.
Note Ai Racconti La romanzesca storia di certi vecchi vestiti Il primo racconto del soprannaturale di Henry James preannuncia la sua tematica più tarda: narra una storia realistica di vita nel puritano New England e la rivalità che divide due sorelle. L'evento occulto è tenuto in serbo per la conclusione. Sembra in effetti che James riprenda dal punto in cui Hawthorne si è interrotto: la parola «romanzesca» del titolo si riallaccia alla prima maniera dell'autore: quella di mescolare il «prodigioso» col reale. Ma, mentre Hawthorne lasciava filtrare nel corso dei suoi racconti un'atmosfera in certo modo sovrumana, James costruisce in primo luogo un quadro circostanziato, e solo allora è pronto a introdurvi Henry James
655
1970 - Racconti Di Fantasmi
l'elemento soprannaturale. Quando questo racconto fu pubblicato nel febbraio 1868 sull'«Atlantic Monthly», Henry James aveva venticinque anni: era il suo primo racconto di fantasmi, il settimo pubblicato. La famiglia James si era trasferita da Boston a Cambridge nel 1866, un anno dopo la prima comparsa di Henry sulla carta stampata, ed egli rimaneva in casa, dove conduceva vita tranquilla e sedentaria scrivendo recensioni di libri e novelle brevi, vita che s'interruppe soltanto con il suo primo viaggio da adulto in Europa, nel 1869. All'epoca in cui scriveva La romanzesca storia, la vita a Cambridge, «o almeno in questa casa, - era, secondo la sua descrizione, - vivace quanto l'interno di un sepolcro». In una lettera al fratello William, allora in Germania, Henry si lamentava di non trovare distrazioni mondane. «Quando viene la sera a Boston, e io sono stanco di leggere e so che farei meglio a fare qualche altra cosa, come faccio a andare a teatro? Mi ci sono provato ad nauseam. Lo stesso con le visite. A chi?» Da queste poche parole si possono facilmente dedurre i limiti della vita di Henry James fra il 1867 e il 1868: un libro, una commedia, il tavolo da lavoro, una rara visita mondana e il viaggio in un carro da trasporto per i cavalli da Cambridge a Boston costituiscono l'avventura di un'intera serata. Di questo racconto James fece la revisione per includerlo nella prima raccolta di novelle dal titolo A Passionate Pilgrim (1875) e dieci anni più tardi lo rivide nuovamente, e radicalmente, per includerlo nei tre volumi di Stories Revived (1885). Quello qui pubblicato è appunto il testo definitivo. Nella revisione del racconto per il 1885 James cambiò i nomi di alcuni suoi personaggi; i principali furono: il cognome della famiglia, da Willoughby in Wingrave (cognome che avrebbe usato anche per un altro racconto di fantasmi), e quello della maggiore delle sorelle che, da Viola, divenne Rosalind. A partire dal 1885 James si rinsaldò nell'abitudine di scegliere nomi adatti non solo ai personaggi, ma all'argomento stesso del racconto. La Rosalind shakespeariana era una creatura più aggressiva che non Viola; ovvero, per insistere sull'argomento con termini di giardino, la violetta è un fiore schivo, non così la spinosa rosa. Questo racconto di un vaso di Pandora del New England ne anticipa un altro molto più sinistro che James scrisse trent'anni dopo, The Other House. I due hanno in comune una promessa fatta da un marito al letto di morte della moglie, la quale ostacola le ambiziose aspirazioni della donna che vuol prenderne il posto. Rosalind riesce a sostituire la sorella nel ruolo di moglie, ma Henry James
656
1970 - Racconti Di Fantasmi
intervengono elementi soprannaturali a sconvolgere e castigare; mentre «la cattiva» di The Other House - a cui l'autore ha dato il nome di Rose - è devastata dalla stessa propria passione distruttrice.
De Grey: una storia drammatica Pubblicato sull'«Atlantic Monthly» del luglio 1868, questo racconto registra l'uso del tema «vampiro» che James introduce per la prima volta nella sua narrativa. Scritto a 25 anni, esso ha il tono melodrammatico del suo stile giovanile, e mostra l'influenza esercitata sull'autore dalle storie romanzate francesi. Gli ingredienti in questo caso sono: una maledizione inflitta a una famiglia, una donna appassionata, e la caratteristica formula cara a Henry James del marito che distrugge la moglie - oppure dell'inverso: la moglie distrugge il marito. Nelle prime opere di James il matrimonio appare come una minaccia alla vita, spesso con la conseguente condanna per uno dei coniugi. Appartiene allo stesso periodo di The Romance of Certain Old Clothes e la parola «romance» del titolo rievoca, come si è già accennato, la mescolanza cara a Hawthorne del reale col «prodigioso». James non ripubblicò questo racconto sinché fu in vita: gli appariva come una specie di lavoro di apprendistato, e l'artista, fatto maturo, era troppo consapevole dei difetti strutturali e delle imperfezioni stilistiche in esso contenute. Tuttavia è un racconto esemplificativo della sua bravura di narratore fin dagli inizi. La presenza di un prete nel racconto - il cappellano di casa - fa parte piuttosto della tradizione dei romanzi francesi che delle normali condizioni di vita americana. Ma vale la pena di accennare all'interesse per il cattolicesimo dimostrato da Henry James. Uomo certamente non religioso nel senso convenzionale del termine, sentiva l'eredità presbiteriana in gran parte attraverso i ricordi del nonno e l'evolversi dei conflitti religiosi del padre. Il cattolicesimo lo affascinava - come del resto la Chiesa d'Inghilterra - in quanto istituzione ed elemento di forza all'interno del contesto sociale. Studiò monasteri e cattedrali, il rituale, la storia della religione, il ruolo da essa sostenuto nelle antiche famiglie aristocratiche d'Europa. Come il fratello, il filosofo William, Henry James portò interesse particolare alla «varietà dell'esperienza religiosa»: la fede, la devozione, la religiosità, soprattutto la rinuncia. Nelle sue memorie Henry James
657
1970 - Racconti Di Fantasmi
accenna all'assenza di figure ecclesiastiche nella sua infanzia, lasciando intendere che le avrebbe accolte volentieri, forse come nei romanzi di Trollope. Queste figure non mancano nella sua opera, come per esempio il fanatico pastore protestante di The American, il giovane pio Guy Domville, o il filosofo comodamente sistemato in casa De Grey, il Padre Herbert di questo racconto giovanile. Ricordiamoci anche dello studente di teologia che la curiosità spinge a scoprire The Ghostly Rental: tutti questi racconti ci presentano una serie di rinunce: Guy e Madame de Cintré scelgono la vita monastica; ricordiamoci lo sfolgorio dell’«altare dei morti», situato in «un tempio della fede primitiva». E quando James trasferisce il suo letterato del «luogo benedetto» sceglie «la grande sede di un ordine religioso, una sorta di benevolo Monte Cassino, di Grande Chartreuse». E interessante notare che, nell'anno in cui scrisse la storia dei De Grey, James recensì due opere cattoliche: la vita della grande convertita Madame Swetchine e uno studio sulla vita «interiore» del famoso Padre Lacordaire. James sarà stato pure affascinato dal romanzo che il suo amico William Dean Howells aveva scritto di un prete di Venezia che s'innamora di una giovane americana. L'immagine del celibato, della svolta da una vita della carne a una vita dello spirito corrispondeva alla deliberata riflessione di James a quell'epoca: «coltivare un'arte o una passione»? La maledizione che grava sulla famiglia dei De Grey segna il primo punto di qualche importanza biografica nei racconti di fantasia di James. Allorché Padre Herbert rivela a Margaret qual è il fato riservato alle spose dei De Grey, l'eroina, con tipico atteggiamento di spirito americano, si oppone alla maledizione del Vecchio Mondo che minaccia il suo matrimonio con Paul De Grey, ma deve scoprire all'improvviso che la maledizione si capovolge. «Ma lei, cieca, insensibile, crudele, gli aveva a poco a poco succhiato dalle vene la linfa vitale: mentre lei sbocciava e fioriva, egli languiva e si sfibrava. Mentre lei viveva per lui, lui moriva di lei». E lo stesso tema vampiresco che ritroviamo in un altro racconto, Longstaffs Marrìage, pubblicato dieci anni dopo De Grey e sbocciato nell'elaborata fantasia di The Sacred Fount, uscito nel 1901. In questo romanzo l'autore immagina un uomo giovane a cui la consorte più vecchia assorbe la linfa di giovinezza, una donna che ringiovanisce man mano ch'egli invecchia, e ci presenta insieme un uomo che va acquistando bravura e intelligenza mentre lo spirito della sua compagna va a poco a Henry James
658
1970 - Racconti Di Fantasmi
poco offuscandosi fino a uscir di senno. Edmund Wilson parlò una volta di questo romanzo come di un'opera «mistificatrice, persino capace di condurre il lettore alla follia», soggiungendo: «Sono sicuro che se qualcuno fosse in grado di penetrare il romanzo fino in fondo, riuscirebbe ad illuminare lo stesso James». Da quali profondità scaturisse questa fantasia possiamo evincerlo leggendo la lettera che Henry scrisse a William all'epoca della morte della loro cugina Minnie Tempie: in essa egli descrive come lui stesso andasse gradualmente riacquistando forze, mentre lei si faceva debole e moriva: «Io uscivo adagio adagio da uno stato di debolezza, di atonia, di sofferenza, per riacquistare energie e salute e speranza: lei abbandonava ogni luminosa gioia di vivere fino al declino, alla morte... Per quanto mi concerne, è come se ella si fosse spenta dopo aver adempiuto al suo compito: quello di stare bene in seno al mondo, continuando a sollecitare me a proseguire, grazie al suo intenso, luminoso esempio». Dopo la morte di James, il racconto De Grey è stato ristampato una volta in Travelling Companions e pubblicato nel 1919, a cura di Albert Mordell.
L'ultimo dei Valerii Il 4 gennaio 1873 Henry James si spinse con un amico fuori Porta San Giovanni a Roma. Percorsero la Via Appia nuova ammirando il paesaggio della campagna dai toni verdi e bruni, gli antichi acquedotti, i piccoli centri sparsi sui Colli Albani. Si fermarono alla basilica di Santo Stefano, del V secolo, e qui il giovane scrittore (aveva allora 29 anni) potè esaminare la tomba dei Valerii dissepolta da sotto le fondamenta della chiesa «... una sola stanza dal tetto ad arco, ornato di modanature di stucco perfettamente intatte: figure squisite e arabeschi così nitidi e delicati come se l'impalcatura dello stuccatore ne fosse stata appena rimossa». E aggiunse: «È abbastanza curioso pensare che queste cose - e tante ce ne sono sopravvivano in forma perfetta alle loro immemori eclissi, ed emergano dal mare del tempo come sommozzatori da gran tempo scomparsi». Fu questa una delle «briciole» che entrarono in questa storia. Nel febbraio del 1873 James annotò di aver oziato passeggiando avanti e indietro in una giornata di sole davanti ai grandi scavi allora in corso a Roma: «Quale singolare impressione è quella che si prova, ritti lì in piedi, nel vedere il passato, il mondo antico, materialmente riesumato grazie ad Henry James
659
1970 - Racconti Di Fantasmi
una vanga...» E ancora un'altra briciola ci viene offerta dall'appunto scritto nell'aprile dello stesso anno dopo una visita alla Villa Ludovisi, che Hawthorne aveva visitato prima di James. Esaminando le sculture conservate nella serra, quest'ultimo aveva notato la «testa della grande Giunone cacciata in un angolo dietro una persiana...» Più tardi scrisse che avrebbe stimato maggiormente il buonsenso della padrona di casa che gli aveva offerto ospitalità «se avesse fatto togliere quella Giunone da dietro la persiana». Ecco dunque una serie di svariati elementi introdotti nel racconto: il nome dei Valerii, lo spettacolo delle vanghe che, dappertutto, mettono in luce le pietre del passato, la trascurata testa di Era nella villa romana; e tutto questo sullo sfondo sfarzoso della Roma di quegli anni, le ville e i giardini, le statue e i tesori d'arte, e i pellegrini, gli artisti, gli americani trapiantati. Nei racconti di Henry James molto del senso occulto deriva dalla capacità di lasciar intuire al lettore che il passato alberga in sé un male inesprimibile, ossessionante. The Last of the Valerii mescola ombre e luci, la vita quotidiana con la rievocazione di muffe antiche e riti pagani. L'occulto circonda la bella statua disseppellita nel giardino della villa romana dove la giovane donna americana vive con il nobile italiano suo marito. Lo spunto per questo racconto derivò a James da una vecchia novella di Prosper Mérimée, La Véttus d'Ille, dove si narra di una dissepolta Venere di bronzo che pretende l'amore di un giovane sposo nella sua prima notte nuziale e lo soffoca a morte. Osservando nel 1873-74 gli scavi in corso a Roma, James diede al suo racconto un finale di tono meno violento. Ciò ch'egli sembra aver voluto dire con questa storia è che il passato è bene rimanga sepolto, che ridestare dal loro sonno elementi primitivi è pericoloso, e che l'uomo di oggi farà cosa saggia a tenere opportunamente celato il lato primordiale del suo carattere. The Last of the Valerti fu riveduto da James per A Passionate Pilgrim (1875) e poi nuovamente per Stories Renewed (1885) nel testo qui riprodotto.
L'inquilino fantasma È questo uno dei rari racconti del soprannaturale di Henry James in cui l'autore introduce la tradizionale casa abitata dagli spiriti. Ma si tratta di Henry James
660
1970 - Racconti Di Fantasmi
abitatori molto speciali. Come in tutta l'opera di James, la casa non è che l'immagine della vita che vi si svolge all'interno, e l'influsso malefico di questa casa in particolare è risolto, in termini umani, nel dissidio tra un padre e una figlia. Nel finale c'è il preannuncio di una delle più possenti espressioni jamesiane dell'occulto: il persecutore diventa il perseguitato. La novella apparve sullo «Scribner's Monthly» nel settembre 1876; James la scrisse poco dopo essersi stabilito a Parigi in gran fretta, a puro «scopo di lucro». Aveva bisogno di denaro. Aveva affittato un comodo appartamento al terzo piano al 29 Rue du Luxembourg (oggi Rue Cambon) non lontano dalle Tuileries. Qui, durante i pochi mesi successivi, compose parte del suo romanzo The American, diversi racconti brevi, una serie di lettere da Parigi per il «Tribune» di New York, e continuò la sua attività di critico e di commentatore per la «Nation». Trascorse in Francia un anno ricco di attività, anche se non del tutto felice. Fece la conoscenza di Turgenev, Flaubert, Zola, Daudet, Renan, Edmond de Goncourt, ma conobbe poco del mondo privato francese. Contava amici specialmente tra gli esuli russi e americani, e non riuscì ad ottenere una visione più intima della vita locale né a farne parte: il che lo indusse - come ebbe a spiegare ad eleggere dimora tra il mondo tanto più eclettico e socievole di Londra, dove si stabili nell'inverno del 1876. In The Ghostly Rental, che lascia trasparire qua e là la lettura dell'opera di Poe, James attinge ai suoi ricordi di studente della Facoltà di Legge a Harvard, che aveva frequentato per breve tempo fra il 1862 e il 1863, e rievoca la bellezza dell'autunno americano, sempre così vivo nella sua memoria. Non sono conservati appunti riguardanti questo lavoro, né è possibile documentare in qualche modo la sua origine. Tuttavia, nelle sue Notes of a Son and Brother, pubblicate circa quarant’anni dopo, egli ci racconta che, mentre era a Harvard, in casa di una certa Miss Upham, presso la quale alloggiava insieme al fratello William, fece la conoscenza di due studenti di teologia, amici del fratello; di tanto in tanto i James si univano a loro nella «povera piccola vecchia Facoltà di Teologia (Divinity Hall) dove tenevano dibattiti e discussioni, ardenti giovanili simposi dello spirito». A James piaceva il «libero scambio» di Divinity Hall. Uno degli studenti, John May, era figlio di un abolizionista: era un giovane con lunghi baffi e una barbetta scura e a Henry rammentava qualche antico ritratto di scuola spagnola; dell'altro ricordava appena il nome, Salter, un pallido rappresentante del New England, «a corto di allegria e colorito, ma Henry James
661
1970 - Racconti Di Fantasmi
dotato di brillante energia... e raffinatezza intellettuale». Scrivendo di quel periodo James rievoca le «estati indiane - di Cambridge -, quando i boschi di Norton li presso formavano un'unica massa di scarlatto e arancione, e quando entrare in una casa, salire una scala, bussare a una porta e poi, lieti dell'invito a entrare, abbandonarsi su una panca sotto la finestra aspirando la vaga aria dorata novembrina e la più densa atmosfera della stanza in cui già aveva emesso il primo vagito un"idea' sul punto di nascere, ecco, quello era godere come mai mi era accaduto prima la poesia dell'iniziazione che mi faceva diventare adulto». Lo stile del racconto riflette la «poesia dell'iniziazione», ma James si era già impadronito di parecchi trucchi della narrativa del soprannaturale. Il protagonista della storia (che egli stesso racconta), si ripete che «non esistono case abitate dai fantasmi», ma presto incomincia a capire che una casa è un contenitore di vita umana e di quella vita assume tutti gli attributi. Sotto tale aspetto, questo racconto giovanile è già un annuncio dei molti tipi di case che James avrebbe creato nella sua narrativa più tarda e dei valori simbolici che avrebbe loro conferito. Si pensi alla serie di dimore di The Spoils of Poynton, o al modo in cui le varie abitazioni sono trattate in The Other House. Tutti i racconti «di fantasmi» di James tengono in gran conto «il significato del luogo»: l'appartamento di The Jolly Corner è quasi un personaggio della narrazione. Così pure Bly, con le sue torri merlate, si erge viva davanti ai nostri occhi mentre seguiamo l'istitutrice nel corso delle sue vicende. Sulle case di James non è mai stata svolta una ricerca, ma potrebbe essere un lavoro importante, poiché egli possedeva un occhio acuto non soltanto per la struttura fisica di un'abitazione, ma anche per l'architettura della casa e il modo in cui essa si inserisce nello spazio. In tutte le sue opere la casa rappresenta la continuità, la «famiglia» - come ben sanno i lettori dell'incompiuto The Sense of the Past, dove descrive una vecchia casa inglese a cui fa ritorno un discendente americano della famiglia. È interessante notare com'è vasto il campo di letture introdotto in questo racconto: vi sono allusioni a Pascal, a E. T. A. Hoffmann, alla fiaba di Barbablu che James aveva amato da bambino. E questo un testo che possiede lo speciale «giro di vite» che l'autore ricercava nei suoi racconti del soprannaturale. Chi insegue un fantasma deve, alla fine, scontrarsi con lui.
Henry James
662
1970 - Racconti Di Fantasmi
Sir Edmund Orme Con Sir Edmund Orme si giunge alla piena maturità del racconto del soprannaturale di James, e al suo primo caratteristico fantasma alla luce del sole. Il fantasma in questa storia ha una funzione di «controllo»: compare sulla scena sia per proteggere sia per perseguitare. James considerava il racconto come un modello «del più leggiadro raccapricciante». Ciò che egli cercò di evocare era, come dichiarò, l'atmosfera della Brighton di Thackeray «il cui mare scintillante e l'aria mossa dalla brezza, e l'ampio, affettuosamente ondeggiante, animato e multicolore» lungomare, gli fornirono il genere di quadro circostanziato di cui aveva bisogno per «lo strano e il sinistro ricamati sul tipo stesso del normale e del facile». Così cominciò la sua famosa serie dei racconti del soprannaturale degli anni 1890, che culminò nel capolavoro jamesiano dell'orrore: The Turn of the Screw. Quindici anni erano trascorsi tra la pubblicazione di The Ghostly Rental e Sir Edmund Orme, gli anni del grande, precoce successo di Henry James, e della graduale perdita del suo pubblico più vasto. Verso i cinquant'anni, con l'avvento degli anni Novanta, James si propose di tentare «un vero e deciso attacco al teatro». Ciò significò che non poteva dedicarsi al romanzo: la sua decisione doveva limitarlo all'«estrema brevità». «A la Maupassant'.», ripetè più e più volte a se stesso mentre cominciava a stendere brevi racconti a margine della sua produzione teatrale. Durante il secondo dei suoi «anni drammatici» scrisse tre racconti di fantasmi. Il primo ad essere pubblicato fu Sir Edmund Orme nel numero di Natale 1891 di una nuova rivista, il «Black and White». Il racconto era stato abbozzato brevemente sui Taccuini di James, una dozzina di anni prima: una giovane che «a sua insaputa, è seguita, costantemente, da una figura che altre persone vedono». Quando pervenne alla composizione del racconto, la madre della ragazza ne divenne il personaggio centrale. Perseguitata dal senso di colpa per aver abbandonato, in gioventù, un innamorato, ella vede il fantasma dell'uomo seguire la figlia ignara e cerca di proteggerla dalla «giustizia punitiva che scendeva a castigare nei figli i peccati delle madri». Tra la data della sua annotazione sui Taccuini (22 gennaio 1879) e la stesura di Sir Edmund Orme, James aveva scritto Louisa Pallant (1888), un racconto simile, non Henry James
663
1970 - Racconti Di Fantasmi
di fantasmi. In quest'ultimo la situazione si è rovesciata: la madre, donna di mondo, che aveva un tempo commesso un errore - anche lei aveva abbandonato un uomo, in questo caso il narratore della storia -, riconosce nella frivola figlia la reincarnazione di ciò che lei era stata e cerca di espiare la sua antica colpa opponendosi al matrimonio della giovane. Ella disprezza in sua figlia («La mia unica figlia, il mio castigo, la mia unica figlia, il mio marchio d'infamia!») ciò che nel corso degli anni ha imparato a disprezzare in se stessa più giovane. La sua espiazione diventa un atto di aggressione - innaturale e non materno - nei confronti della sua più giovane copia, ostinata e dura di cuore, sotto il pretesto di risparmiare l'ardente giovane innamorato. Il racconto fu ripubblicato in The Lesson of the Master and Other Tales nel 1892 e fu ampiamente rivisto per la «New York Edition» sedici anni dopo. Si riproduce qui l'ultima versione.
Nona Vincent C'è un tocco di occultismo in questo racconto di vita di palcoscenico ai tempi dei teatri illuminati a gas: un uso dell'extrasensoriale e della trasmissione del pensiero. Il finale fa pensare a una visione o a un sogno; il tormentato giovane commediografo, in una sorta di allucinazione, vede la sua primadonna che, dopo più d'un tentativo fallito nelle prove, ha finalmente capito che tipo di personaggio deve interpretare. L'esperienza è così viva che il giovane parla dell'attrice non col suo vero nome, ma con quello che le ha assegnato nella parte, il nome che dà il titolo al racconto. Henry James scrisse questa novella dopo aver letto, davanti alla British Society for Psychical Research, un dotto saggio di suo fratello William sulla famosa medium Mrs J. Piper. William, durante il suo soggiorno all'estero negli anni 1882-83, aveva frequentato la clinica di Charcot a Parigi e alcuni spiritisti inglesi, (Frederick Myers, Edmund Gurney e Henry Sidgewick) ed era rimasto affascinato da quel mondo. Conduceva le sue ricerche con gli stessi intenti scientifici che lo spinsero poi a fondare il primo laboratorio psicologico in America. La medium, Mrs Piper, poteva entrare in trance sotto il controllo - così fu dichiarato - di uno spirito che si presentava come quello di un medico francese. Costui era considerato l'intermediario tra i presenti alle sedute e i loro amici morti. William James non solo partecipava personalmente, ma convinceva Henry James
664
1970 - Racconti Di Fantasmi
anche gli amici e la sua stessa moglie, a tentare l'esperimento. Diceva che alcuni erano sorpresi dalle comunicazioni di Mrs Piper; venivano nominati fatti e persone che evidentemente la medium non poteva aver conosciuto. William James era convinto dell'onestà della donna, ma pensava che certi «successi» potevano essere effetto di fortunate coincidenze o di qualche cosa che ella già sapeva sui partecipanti. Provò a ipnotizzare Mrs Piper nella speranza di trarne qualche informazione, ma quando la donna cadeva in una specie di sonno, non diceva nulla. Lo psicologo tentò anche la via della trasmissione del pensiero servendosi di carte da gioco, ma non ottenne risultato. Questo, in sostanza, fu quanto William James voleva comunicare alla British Society for Psychical Research, e Frederick Myers ebbe l'idea che tale comunicazione del fratello venisse letta in pubblico da Henry James. Henry entrò nello spirito della cosa «anche se lontanissimo da tutta la faccenda»; aggiunse che le considerazioni del fratello lo trovavano d'accordo «perché non sembri ch'io ti voglia rifiutare un qualsiasi vantaggio». Lesse la comunicazione il 31 ottobre 1890. William era molto divertito: «il fatto che tu legga il mio articolo sulla Piper mi pare la cosa più comica ch'io abbia mai sentita». Pearsall Smith, che presiedeva, presentò il newyorkese Henry James come «il più Bostoniano dei Bostoniani»! Il romanziere disse a suo fratello: «Sei stato molto facile da leggere e interessante; e, tutto sommato, l'attrattiva maggiore della riunione eri tu». La commedia di James The American fu scritta poco dopo; e l'esperienza teatrale, combinata con l'episodio di ricerca psicologica, sfociarono insieme nel racconto intitolato Nona Vincent. The American era verso la metà delle sue rappresentazioni, a Londra, quando James annotò nei suoi taccuini: «Devo immediatamente occuparmi del lavoro promesso a Kinloch-Cooke. Sto emergendo a fatica da tutti i déboires e i dispiaceri conseguenti alla rappresentazione di The American... e non ho bisogno di parlarne qui, per ricordare a me stesso che cosa ha significato questo episodio per me, e ancora, in certa misura, significa; e nemmeno per sentire quanto esso mi suggerisce per il futuro. Io vivrò, spero, per molte cose; ma una di particolare importanza sicuramente sarà la ferma - anche se squisitamente silenziosa e radicata in profondità - risoluzione di raggiungere, nella produzione teatrale, il solido, onorevole (per quanto di onorevole possa esserci in questo campo!), assoluto e interessante Henry James
665
1970 - Racconti Di Fantasmi
successo». La materia prima di Nona Vincent deriva direttamente dall'esperienza teatrale di James. Ad alcune amiche ben disposte egli aveva letto la commedia, immedesimandosi nella parte del suo giovane protagonista; e in The American aveva messo come primadonna Elizabeth Robins, l'attrice del Kentucky capace di recitare in maniera brillante i drammi di Ibsen, ma che non riusciva ad adattarsi all'eroina della sua commedia, una donna così passiva e scolorita. I critici di Londra, infatti, trovarono l'interpretazione della Robins «lacrimosa, isterica, malinconica». Osservarono che essa era fatta «per lottare e piangere, per agitarsi e contorcersi», mentre l'attrice l'aveva presa in tono «troppo lugubre e violento». Miss Robins era più adatta a rendere Hedda Gabler, che sfida il mondo, piuttosto che la protagonista di James, che vi rinuncia. Possiamo avere un'idea dei pensieri di James in proposito da una lettera da lui scritta a Mrs Mahlon Sands, una celebre bellezza americana della società londinese: «Non sono soddisfatto della pettinatura di Miss Robinson... mi piacerebbe che vedesse Lei». Nel racconto, l'attrice vede realmente la bella signora, e il suo atteggiamento si trasforma. James, che non si lasciava influenzare da ricerche psicologiche, alla fine sfiora leggermente il soprannaturale. Non vi è fantasma, ma una bella visione di quella Nona Vincent che egli avrebbe desiderato ritrovare nella sua attrice sul palcoscenico, visione che, nel racconto come nella vita, la sua attrice non riuscì a rendere. C'è un altro risvolto, una suggestione di trasferimento del pensiero o di chiaroveggenza, quando il protagonista ha la sua visione proprio nel momento in cui - come saprà più tardi - l'eroina riceve la visita della donna che la ispira. Nona Vincent apparve su «English Illustrated Magazine» in due puntate, nel febbraio-marzo 1892, e fu ristampata in The Real Thing and Other Tales l'anno seguente. E questo il testo che viene qui riportato.
La vita privata In questo racconto le apparizioni sono quelle di persone vive, e il soprannaturale è qui trattato con una vena di comicità e di ironia. È un classico racconto di alter ego, di doppia personalità. La storia trae origine in James dall'osservazione di Robert Browning, incontrato nei salotti londinesi e alle cene mondane. Henry James trovò il poeta «una presenza Henry James
666
1970 - Racconti Di Fantasmi
vistosa, solida, normale, cordiale, un uomo così apertamente dogmatico e così pieno di risposte pronte, di opinioni risapute, di giudizi usuali». Essere un poeta così grande e un uomo così comune! Era questo il mistero che James decise di sondare in The Private Life. Ci dovevano essere due Browning, la celebrità sociale e il poeta del suo studio privato. Con la sua predilezione per gli opposti, James immaginò poi un altro genere di figura: l'uomo che esiste solo in pubblico e che svanisce in privato. Il riferimento reale di questo personaggio fu Frederic Leighton, il pittore classico vittoriano. Nel suo caso, «ben lungi qui dal trattarsi di una questione di alter ego, di doppia personalità, a malapena si trattava di una persona reale e di un singolo». Il risultato è uno dei più fantasiosi racconti di James dell'occultismo benevolo. Robert Browning era morto il 12 dicembre 1889 a Venezia e, durante la settimana di Natale, le sue ceneri furono sepolte nel Poets' Corner dell'Abbazia di Westminster. James fu presente alla funzione celebrata nell'Abbazia per il suo vecchio amico, e pochi giorni dopo scrisse un breve omaggio anonimo in memoria del poeta su «The Speaker». Aveva frequentato il Browning londinese per una ventina d'anni - il Browning che aveva lasciato l'Italia di metà secolo (e la tomba di Elizabeth Barrett) per rifarsi una vita nuova [in italiano] sulle rive del Tamigi. A James era sempre sembrato che l'affabile figura londinese fosse un enigma. Poteva essere lo stesso Browning che aveva corteggiato e conquistato Elizabeth Barrett? Egli si chiedeva anche come la «stessa persona, l'illustre e qualunque Browning, avesse potuto scrivere le sue cose immortali». Questa era la fantasia creata da James intorno alla figura di Browning, una visione del poeta pacato e apparentemente prosaico, sognata all'epoca in cui egli, Henry James, aveva diviso la sua vita in modo rigido tra lo studio solitario e il teatro. In realtà si trattava di una vecchia idea che ora James aveva collegato all'anziano poeta. In Benvolio, una piccola allegoria scritta negli anni Settanta, James descrisse un giovane poeta diviso tra il mondo e la sua arte, che aveva sistemato la propria casa in zone separate, in una delle quali scriveva in abito talare, mentre nell'altra, in vesti sgargianti, riceveva gli amici. Ma nella fantasia su Browning deve essere messa in evidenza un'importante differenza: in Benvolio, scrisse, «era come se l'anima di due uomini diversissimi fosse stata modellata con uno stesso stampo»; nell'immagine di Browning diviso, James si figurava due anime complementari, non in conflitto, ma addirittura di aiuto l'una per Henry James
667
1970 - Racconti Di Fantasmi
l'altra. Nelle sue meditazioni intorno a un racconto di «doppia personalità» -mentre egli stesso si alternava tra l'uomo di azione in teatro e l'uomo di studio nella sua abitazione di De Vere Gardens - James, per divertirsi, decise di usare la figura di Leighton. A quanto pare Lord Leighton conduceva una vita affascinante a Londra, essendo il massimo esponente dell'arte classica dell'epoca vittoriana. Era baciato dal successo, in tutti i campi: era un oratore consumato nelle serate mondane, «il più compiuto degli artisti e il più abbagliante degli uomini». Ma quando morì, e James partecipò al suo funerale, lo scrittore scopri che la sua intuizione per la storia di The Private Life trovava conferma nella realtà. La reputazione di Leighton era svanita. Egli era stato solo una figura pubblica; quella privata non sembrava esistere più in nessun luogo. Pare che James avesse meditato il suo racconto il 27 luglio 1891, poiché in quella data ne annotò il titolo e le frasi iniziali sui Taccuini. Il 3 agosto scrisse che la storia era «certamente una chimera bella e buona, ma come tale non può forse essere resa in modo divertente e grazioso? Deve essere molto breve, molto agile, molto vivace. Lord Mellifont è l'artista pubblico, l'uomo la cui intera personalità prorompe nella rappresentazione di sé, nell'aspetto, nella risonanza, nel frasario, nel risultato e nell'esposizione così da essere tutta lì». Si interruppe a questo punto e, sempre sui Taccuini, vergò questo incitamento a se stesso: «ma io lo vedo. Incomincia! Non parlarne più soltanto e smetti di girarci intorno». Terminò rapidamente il racconto e lo mandò all'«Atlantic Monthly» su cui apparve nell'aprile 1892. La sua stesura precede Nona Vincent e probabilmente anche Sir Edmund Orme, sebbene questi racconti siano stati pubblicati prima. Henry James ripubblicò il racconto in The Private Life and Other Stories (1893). Il testo qui tradotto è quello rivisto per la «New York Edition».
Sir Dominick Ferrand Alice James, sorella dello scrittore, morì a Londra il 6 marzo 1892. Alcuni mesi prima della fine, per alleviare le sue sofferenze, fu fatto ricorso alla ipnosi. Nei Taccuini di James, in data 23 ottobre, un'annotazione testimonia il suo rinnovato interesse al mesmerismo: in Henry James
668
1970 - Racconti Di Fantasmi
essa egli riprende il tema di Trilby di George Du Maurier: «l'ipnotizzazione di un carattere debole da parte di uno più forte», ma non andò mai oltre questa osservazione. Tempo addietro, come molti scrittori del xix secolo, si era interessato di magnetismo animale, di mesmerismo o di idee analoghe, derivanti dalla convinzione che si poteva trasferire il pensiero dalla mente dell'ipnotizzatore a quella dell'ipnotizzato. In Sir Dominick Ferrand il trasferimento del pensiero e la chiaroveggenza sono stranamente riferiti da James a documenti di famiglia e lettere. La prima annotazione sui taccuini dello scrittore, dopo la morte della sorella, registra l'idea di una persona di servizio sospettata di «leggere lettere, diari, di sbirciare, di spiare...» e venti giorni dopo (il 26 marzo 1892) spunta «l'idea della responsabilità di distruggere... distruggere lettere, annotazioni, ecc. connesse con la storia privata e personale di qualche nome importante e onorato...» Questa osservazione, che diede luogo alla storia di Sir Dominick Ferrand, è strettamente collegata con quella citata più sopra. Nei due casi si parla di lettere: e l'unico modo di preservare documenti - sia da servi ficcanaso, sia da «canaglie di pennaioli» - è quello di chiuderli sotto chiave o, come James preferiva, di distruggerli. The Aspem Papers, The RealRight Thing, The Reverberator, The Abasement of the Northmores, ]ohn Delavoy: queste opere trattano tutte di momenti differenti di fama o di pubblicazioni postume, di irruzioni di pubblica curiosità su vite private. James liquidò la questione delle proprie carte, poco dopo l'inizio del secolo, facendo una sera un «immenso falò» nel quale gettò la maggior parte di una quarantina d'anni di noterelle e di corrispondenza. La presenza di simili annotazioni, subito dopo la morte della sorella, fa pensare a un desiderio di tornare sulla storia di famiglia, sui relativi documenti, sul «Journal» che Alice aveva tenuto e che rimaneva nelle mani della sua fedele compagna Katharine Loring. Vi era stato un avvenimento al quale James si sarebbe potuto collegare per Dominick Ferrand: Mrs B. W. Procter, vedova del poeta Barry Cornwall, una brillante conversatrice che aveva conosciuto tutti i grandi uomini del suo tempo, era morta da poco in tarda età. James, che le era molto devoto e aveva parlato di lei come di «una finestra sul passato», aveva spesso goduto della vastità dei suoi ricordi, della riserva di aneddoti e pettegolezzi, attraverso cui si muovevano personalità come Leigh Hunt, Thackeray, Dickens, Lamb e molti dei contemporanei di James. In una lettera del 16 novembre 1891, James allude allo «strano e triste, o Henry James
669
1970 - Racconti Di Fantasmi
benedetto e benefico, olocausto delle carte di Mrs Procter, bruciate da George Smith per preservarle... dall'uso volgare... che le... minacciava». Strano e triste, benedetto e benefico! Ecco la contraddizione di questi racconti: come salvare il passato, salvando contemporaneamente la sacralità di una vita privata? Lo scrittore o il biografo non avranno mai documenti abbastanza; ma vi sono doveri e responsabilità, carte da tener lontano da mani rapaci, ricordi e segreti da nascondere per sempre. Il «fantasma» in Sir Dominick Ferrand è un pacchetto di lettere. La protagonista reagisce a queste carte di famiglia, scoperte per caso dal giovane Peter Baron, come se fossero cose vive che invocano il suo aiuto. Quando Peter le trova in una vecchia scrivania -una di quelle scrivanie a ribaltina che Maupassant descrive in La chevelure, in circostanze altrettanto misteriose - la protagonista è attratta da esse come da una calamita. La loro presenza nella casa esercita su di lei un'influenza mesmerica. «Mi mettono in uno stato... mi perseguitano», dice. Solo il distruggerle potrà consentire la felice soluzione del racconto. Questo fu pubblicato in due puntate in luglio e agosto sul «Cosmopolitan» col titolo Jersey Villas, e cambiò titolo quando venne incluso in The Real Thing and Other Tales (1893). Qui riproduciamo il testo della seconda edizione.
Owen Wingrave Il fantasma in questo vivace e breve racconto è il fantasma di famiglia: il senso del passato - come peso morto - usato per costringere il giovane Owen Wingrave a entrare nell'esercito in cui i suoi antenati hanno servito con distinzione e gloria. Lo stesso nome simbolico evoca l'onore e l'eroismo della famiglia: Owen significa «giovane soldato» in scozzese o in gallese, così che il titolo del racconto è in realtà The young soldier wins bis grave [il giovane soldato conquista la sua tomba]. Quando James cercò di ricordare che cosa gli avesse fatto venire in mente un soggetto come Owen Wingrave, rammentò solo che un pomeriggio d'estate, molti anni prima, mentre sedeva nei Giardini di Kensington, un giovane prese posto vicino a lui, «un giovane alto, quieto, snello, studioso, davvero ammirevole». Sedeva sotto un albero, su una sdraia a nolo, leggendo un libro. «Quel giovane diventò forse immediatamente Owen Wingrave, determinando la situazione col solo Henry James
670
1970 - Racconti Di Fantasmi
fascino del suo aspetto, creando d'un colpo tutte le implicazioni e riempiendo di sé tutto il quadro?» Se così era, «dove, donde, perché e come si insinuò, in così pochi istanti, tanta penetrazione e una così grande precisione?» Una risposta parziale alle domande che James rivolge a se stesso si può trovare nei suoi Taccuini. Nei giorni che seguirono la morte della sorella, egli leggeva le memorie di un generale napoleonico, Marcelin de Marbot (1782-1854), pubblicate in Francia nel 1891 e tradotte in Inghilterra l'anno dopo. «L'idea del soldato - scrisse il romanziere, - è scaturita in parte dall'affascinante lettura delle magnifiche memorie di Marbot. L'immagine, il tipo, la visione, il carattere, come forza trasmessa, ereditaria, mistica, quasi soprannaturale, la sfida, lo stimolo, la quasi ossessiva presenza di fantasmi, nella vita e nella coscienza di un discendente, discendente dal temperamento e dalle caratteristiche totalmente diversi». Era così incantato dalle memorie che pochi giorni dopo spedì i tre volumi francesi nella lontana Samoa al suo amico Robert Louis Stevenson: «Ti invio per posta le magnifiche Mémoires de Marbot... Alcuni, credo, considerano questo affascinante guerriero un Munchausen bien-conditionné, ma abbasso l'ingiurioso pensiero! Quanto a me, non solo mi incanta, ma anche mi persuade». La viva storia delle guerre napoleoniche, piena di folle e di aneddoti, vista attraverso il rude animo militare di un membro di una famiglia che, in meno di mezzo secolo, aveva dato tre generali alla Francia, aveva catturato l'immaginazione di Henry James. La sua copia personale dei volumi suggerisce la natura di questo fascino. I suoi segni a matita ci rimandano a brani di forza e di gloria: la descrizione di una carica di cavalleria, l'ardire di soldati senza nome, le battaglie di Austerlitz e Aspern, i fedeli attendenti, le alterne vicende del combattimento; Marbot che riprende conoscenza dopo essere stato ferito e si ritrova nudo nella neve, spogliato della sua uniforme e del suo equipaggiamento ad opera di coloro che l'avevano dato per morto; i costanti riferimenti del generale alla madre; l'Imperatore che gli dice: «Bada che io non ti do un ordine; esprimo solo un desiderio»; il fascino emanante dalla personalità di Napoleone e il suo effetto magnetico sulle truppe; il grande freddo di Vilna; la delizia di dormire in un letto, dopo settimane di notti sulla nuda terra. Se rifuggiva dalla violenza, James ammirava il coraggio fisico e l'idea di «gloria». Lo scrittore sottolineò in modo analogo anche le memorie del Henry James
671
1970 - Racconti Di Fantasmi
feldmaresciallo visconte Wolseley, e particolarmente i seguenti passi: «una nazione senza gloria è come un uomo senza coraggio, una donna senza virtù», e «la gloria per una nazione è ciò che è la luce del sole per tutti gli esseri umani». Scrivendo a Wolseley, James disse che «per una povera larva, amante della pace e della quiete come me, l'essere così in contatto con la tempra e il tipo dei militari è di interesse irresistibile». Scrisse che avrebbe dato tutti i suoi averi per un'ora «della vostra coscienza retrospettiva, uno dei vostri ricordi più intensi». Le memorie personali di James sulla Guerra di Secessione - la sola guerra che l'avesse toccato da vicino fino alla Guerra Mondiale del 1914 erano quelle di un non-combattente; ma egli aveva visto riportare a casa il fratello ferito nell'attacco a Fort Wagner e rammentava il campus di Harvard pieno di tende e il profondo sconforto provato nel visitare gli accampamenti e nel parlare con i soldati feriti. Si sarebbe comportato nello stesso modo dopo il 1914, immaginandosi emulo di Walt Whitman. Queste memorie erano probabilmente riaffiorate con la lettura di Marbot, all'epoca della morte della sorella: pensieri legati alla propria famiglia e realistiche scene di guerra contribuirono verosimilmente a risvegliare molti ricordi, spingendolo a scrivere Owen Wingrave. Nel racconto si può vedere l'ambigua posizione di James: pacifista e fautore della nonviolenza, nello stesso tempo ammirava gli uomini di azione e di coraggio. Napoleone lo appassionava anche se nel racconto un personaggio parla di lui come di un «bruto» e di una «canaglia». E un altro esclama: «Al diavolo il temperamento militare!» Fin dal principio egli vide elementi fantastici nel soggetto. Nella sua prima annotazione parlò di «forza soprannaturale... ossessiva presenza di fantasmi». C'era invero un fantasma - l'esigente spettro della tradizione militare - e con lui un membro di quella specie di persone che, nei Giardini di Kensington, in un pomeriggio estivo, preferisce leggere le poesie di Goethe piuttosto che la dura prosa di Clausewitz. Ma c'era anche un risvolto supplementare: «L'erede di questa tradizione sarebbe stato, a dispetto di se stesso, un soldato, capace di eroismo militare». L'8 maggio 1892, in un'altra annotazione dei Taccuini, James scrisse: «Vi si potrebbe introdurre un elemento soprannaturale». Il racconto fu elaborato sostanzialmente durante la stesura, che fu portata a termine poco dopo. «Si tratta di un piccolo soggetto per il "Graphic" : quindi non devo farne un Henry James
672
1970 - Racconti Di Fantasmi
racconto "psicologico" poiché loro lo capirebbero non più di quanto un asino capisca un violino». Owen Wingrave è nondimeno un racconto psicologico - quello di un giovane sottoposto alle pressioni della famiglia, diviso fra la sua doppia lealtà, con la sua virilità messa in dubbio, e messa in dubbio non solo dalla famiglia, ma anche dalla ragazza che desidera sposare. Egli si trova in un conflitto lacerante: destinato alla guerra, è un intransigente obiettore di coscienza. Il tipo del soldato è raro nell'opera di James: per trovare soldati - eccetto i pochi britannici in uniforme, o americani con gradi militari che compaiono in alcuni suoi scritti - dobbiamo risalire al primo racconto che James pubblicò, The Story of a Year (1865), sulla Guerra di Secessione, e A Most Extraordinary Case (1868) che tratta delle conseguenze di essa. Ma anche qui non è della guerra in sé che scrive, ma degli individui che ne sono stati travolti: in entrambi i casi, un soldato ferito, ritornato dalla battaglia. Diversamente da Owen, questi uomini sono stati spezzati dal combattimento, sono creature confuse, distrutte e impotenti che hanno combattuto coraggiosamente per una causa, ma che non hanno più la forza di battersi per se stessi e sono pronti a rendere l'anima, come in effetti avviene. In Owen Wingrave il fantasma non si vede mai. Sappiamo solo che il protagonista ha dormito nella camera visitata dallo spettro e che là è morto. Né James voleva che il fantasma fosse visto. L'apparizione aleggia solo come oscuro spirito di ambiente, di famiglia: un severo antenato. Nella prima versione, Mrs Coyle chiede: «Vuoi dire che la casa ha uno spettro?» Nella versione rivista, James modificò la frase - e vi si può scorgere un'allusione al fantasma «verificato» dalla ricerca psichica: «Vuoi dire che la casa ha notoriamente uno spettro?» Questo punto è ulteriormente illuminato nella versione teatrale del racconto, un atto unico non pubblicato, che James scrisse nel 1908. Lo spettacolo fu rappresentato a Londra da Gertrude Kingston, che portò sulla scena, al momento culminante, una bianca e ondeggiante figura. Quando James ne fu informato (a quell'epoca era in America), ne rimase inorridito. Scrisse subito a Miss Kingston: «Non c'è assolutamente nulla nel mio testo che autorizzi o che suggerisca tale inserimento, che io disapprovo nel modo più assoluto». La riduzione teatrale venne letta da Bernard Shaw che ne fu indotto a scrivere a James una lunga, caratteristica lettera di rimostranze: Henry James
673
1970 - Racconti Di Fantasmi
È realmente colpa grave tratteggiare con tale consumata arte una casa piena di ciarpame e l'incubo mortale di un padre che si aspetta di essere gettato in un canto; portare in scena il protagonista con torcia e pala per smantellarla; e poi, quando il pubblico è pieno di interesse e esultante di speranza, in attesa del trionfo e della vittoria, annunciare con tutta calma che le macerie hanno soffocato l'eroe e che l'incubo è il vero grande padrone delle nostre anime. Perché hai fatto questo? Se fosse vero per natura, se fosse scientifico, se avesse senso comune, io direi: ebbene prendiamone atto, diciamo amen. Ma non è così. Ogni uomo che realmente vuole la sua chiave di casa, ce l'ha. Nessun uomo che non crede ai fantasmi ne ha mai visto uno. Famiglie come questa vanno in rovina ogni giorno e i loro membri si salvano da un futuro di schiavitù non grazie all'intervento di giovani eroi, ma perché una ragazza va fuori casa a guadagnarsi la vita o prende un qualsiasi diploma. Perché predichi la viltà a un esercito che ha sempre e facilmente la vittoria a portata di mano? James rispose che l'intento artistico della storia era precisamente che Owen, combattendo contro il militarismo, dovesse morire come un soldato. «Semplifichi troppo», ribatté. E Shaw gli replicò aspramente: «Non puoi eludere le mie argomentazioni in questo modo. La questione se l'uomo deve avere la meglio sul fantasma o il fantasma sull'uomo non è una questione artistica: tu puoi assegnare, con uguale arte, la vittoria a uno come all'altro». Al che James rispose: «Allora avremmo calorosamente applaudito un Owen Wingrave sopravvissuto, una incarnazione, per noi, d'un fallimento, d'un'inettitudine». Quando James fece la revisione del racconto per la «New York Edition», l'ironia che aveva voluto infondervi emerse nettamente. Nella prima versione, l'ultima frase di Owen Wingrave diceva: «Sembrava un giovane soldato caduto sul campo di battaglia». La versione riveduta suona: «Aveva in tutto e per tutto l'aspetto del giovane soldato caduto sul campo della vittoria». James sentiva che nella morte Owen aveva ottenuto una vittoria: la sua fine era stata quella di un soldato. Lo spirito di famiglia aveva trionfato in lui e su di lui aveva prevalso. James, l'artista, che aveva accuratamente descritto il soverchiante potere della famiglia e della tradizione, non poteva capire - ed era proprio ciò che Shaw, il crociato e il riformatore, aveva cercato così duramente di dirgli - che quella di Owen era una vittoria di Pirro. Lo spirito di famiglia vince: uccide Owen, che muore da vero Wingrave, ma in questo modo lo spirito ha distrutto l'ultimo Henry James
674
1970 - Racconti Di Fantasmi
discendente, ha cioè finito per distruggere se stesso. In fondo, le opinioni di James e di Shaw non erano del tutto inconciliabili: James era l'artista creativo, che rifletteva l'esperienza e accettava il mondo intorno a lui così com'era; Shaw si considerava prima di tutto un socialista e poi un artista. Owen Wingrave apparve sul numero di Natale del «Graphic», nel 1892, e fu ripubblicato in The Wheel of Time nel 1893 negli Stati Uniti, e in The Private Life in Inghilterra nello stesso anno. Si pubblica qui la versione rivista per la «New York Edition».
L'altare dei morti E' la storia di un uomo che, nel corso della sua vita, si preoccupa più dei morti che dei vivi. Il suo «altare» è popolato di fantasmi: ogni cero è il simbolo di un amico defunto. James considerava questo racconto come appartenente al genere che definiva «quasi-soprannaturale». Il racconto ha del lugubre e insieme dell'eloquente; l'altare ha una funzione soggettiva ed egotistica. Il lambiccato concetto - originale e fantasioso com'è - è reso dai virtuosismi sonori della prosa di James. Il romanziere doveva dopo tutto avere la sensazione che questo «altare dei morti» fosse un altare dello spirito «acceso nel buio» dell'anima del suo personaggio. I Taccuini jamesiani del 1894 pullulano di fantasie di morte. Un'annotazione dopo l'altra tradisce una profonda intima disperazione, un senso sconfinato di frustrazione. Lo scrittore reagiva in quell'anno a un succedersi di disillusioni nel campo del teatro, al senso del tempo irrevocabilmente perduto, alla sensazione che era andata crescendo in lui negli ultimi cinque anni dopo la pubblicazione del suo ultimo romanzo: si riteneva un artista trascurato dal pubblico, non apprezzato dalla critica, non desiderato nel mondo letterario. Le sue lettere, le pagine dei suoi Taccuini testimoniano questi stati di frustrazione, ciò che per lui rappresenta la morte artistica. Sono immagini di persone che vivono una sorte di mortein-vita, di uomini morti di morte emozionale, oppure che hanno barattato emozioni e passioni con opportunità materiali e vivono una vita di irrisione. È in questo stesso anno che James abbozzò per iscritto la sua idea del «leone» letterario, il letterato che, scoperto dai critici a carriera inoltrata, soffocato da adulazioni acritiche, finisce per morire trascurato da tutti in una grande casa di campagna, dove la garrula padrona colleziona personaggi celebri. Durante quello stesso 1894 annotò lo spunto di «un Henry James
675
1970 - Racconti Di Fantasmi
essere giovane, una creatura... che, a vent'anni, sulla soglia di un'esistenza che poteva apparire illimitata, è all'improvviso condannata a morire...»: otto anni più tardi quell'idea doveva diventare The Wings of the Dove. E durante lo stesso anno tracciò qualche appunto sulla stravagante immagine che doveva sbocciare ne L'altare dei morti. Tre soli racconti pubblicò nel 1894, e due di essi -The Death of the Lion e The Altar of the Dead - sono intitolati alla morte. Al volume nel quale radunò questi due insieme a The Coxon Fund (storia di uno scrittore che consuma il suo talento in chiacchiere ed è perciò un «morto-vivente») e a The Middle Years (dove uno scrittore agonizzante si augura di poter rinascere per scrivere cose migliori) diede il titolo di Terminations. Quell'anno, il 1894, fu davvero un anno di «terminations» e culminò nell'episodio conclusivo della sua stagione più drammatica: la messinscena di Guy Domville agli inizi del '95. Henry James aveva compiuto i cinquant'anni, il momento della vita in cui le figure che ci sono famigliari iniziano a lasciarci con intensità crescente. Durante i mesi in cui si era dedicato alla stesura della sua opera teatrale, Guy Domville, era morta sua sorella Alice, come Wolcott Balestier, e l'amico di molti anni, James Russell Lowell, e la vecchia Mrs Procter, e Fanny Kemble e Constance Fenimore Woolson; e poi la fine del 1894 doveva segnare la morte di Robert Louis Stevenson. Un anno si era trovato in carrozza con Robert Browning al funerale di Mrs Procter, l'anno dopo assisteva all'ufficio funebre per Browning, nell'Abbazia di Westminster. La vita era diventata una sequela di funerali. Probabilmente ciò che gli forni l'ispirazione per questo racconto fu il suicidio di Constance Fenimore Woolson a Venezia, nell'inverno 1894. Miss Woolson gli era stata per molti anni amica fedele e devota. Americana, autrice di successo di romanzi provinciali, aveva conosciuto Henry James nei primi anni Ottanta: era stata una di quelle amicizie «distaccate» tipiche di James: formale e tuttavia con un certo grado d'intimità, un'amicizia nella quale Miss Woolson aveva mostrato per lui interesse assai maggiore di quanto lui ne avesse mostrato per lei. Probabilmente James aveva accettato quell'amicizia senza rendersi conto dell'attrazione che Miss Woolson provava. Di solito s'incontravano in Italia. Ma nei primi anni Novanta Constance trascorse qualche tempo in Inghilterra, forse per essere vicina a lui. Dopo la morte di Alice James, che aveva reso Henry molto più libero del proprio tempo, essa si era resa conto che poca di quella libertà le sarebbe stata dedicata, e fece ritorno in Italia Henry James
676
1970 - Racconti Di Fantasmi
stabilendosi a Venezia. Si può leggere la testimonianza degli ultimi tristi giorni di Constance Woolson nelle note di diario pubblicate dalla nipote di lei dopo la morte. Morte che scosse profondamente James: forse si era destato in lui un certo senso latente di colpa: in qualche modo deve aver pensato di esserne stato inconsapevolmente responsabile. Nella primavera del 1894 si recò a visitare la tomba di Miss Woolson a Roma; durante l'autunno lo ritroviamo a Oxford in compagnia del suo amico Paul Bourget, anch'egli in una disposizione d'animo malinconica. Bourget e James passavano le ore del giorno alle loro scrivanie al Randolph Hotel, poi, sul far della sera, andavano a passeggio per vecchie vie e giardini. Oxford godeva della tranquilla pace della pausa estiva, e i due amici potevano approfittare dell'ombrosa quiete dei porticati dei college: se accettiamo la testimonianza dei Taccuini di James e del biografo di Bourget, entrambi erano ossessionati dai rispettivi fantasmi. Possiamo raffigurarceli mentre camminano lenti e impettiti per le strade, fermandosi qui e là per ammirare l'architettura dell'antica cittadina e rievocandone le figure del passato: l'austero James dalla nera barbetta che comincia a chiazzarsi di grigio, lo sbarbato Bourget dai lunghi baffi spioventi alla moda dei dandy parigini dell'epoca; James corpulento, pacifico, prelatesco; Bourget al suo fianco, smilzo, assorto, maestro e discepolo (più tardi Bourget riconobbe di essere stato debitore a James, in specie per The Death of the Lion e The Altar of the Dead), tutt'e due parlando alternativamente francese e inglese, gesticolando, recando nelle vie di Oxford la parlata del salon francese. Era questo lo sfondo per la notazione suggerita a James nei suoi Taccuini in data 29 settembre 1894: «Mi sembra d'intravedere una buona idea per un racconto breve al quale darei il titolo di The Altar of the Dead». Lo scrittore appare colpito dal modo in cui i morti vengono dimenticati, «spinti via, fuori di vista... consegnati a una morte anche più grande di quella cui il destino, cogliendoli di sorpresa, non li abbia designati». E un altare spirituale quello a cui James pensa in primo luogo. Anni dopo, scrivendo la prefazione a The Altar - che diede il titolo al volume contenente le storie di fantasmi della New York Edition - James rievocò che un suo «distinto amico, uno straniero per qualche anno ufficialmente residente in Inghilterra» (forse Jules Jusserand dell'Ambasciata francese) il quale aveva osservato una volta, mentre insieme guardavano «un corteo funebre. .. che si snodava gaiamente nei Henry James
677
1970 - Racconti Di Fantasmi
pressi»: «Mourir à Londres, e 'est ètre bien mori». Ma nella prefazione James ci dice di non riuscire a ricordare come la storia gli fosse venuta in mente. I Taccuini ci rivelano che la scrisse in fretta. In data 24 ottobre ne aveva già completato la maggior parte, e pur avendo una certa difficoltà ad arrivare alla fine - gli erano sorti dubbi che il racconto fosse un po' «arzigogolato» e, una volta messo nero su bianco, non reggesse abbastanza - volle tener duro, come faceva sempre quando aveva iniziato una novella. Quanto al lato autobiografico di questo racconto, lo si potrebbe cogliere nella impressione provata da James alla morte di Miss Woolson, una morte rimasta senza spiegazioni, che in qualche modo aveva violato l'altare artistico dello scrittore, il suo altare privato. C'è in questo mesto racconto un riflesso della personalità offesa mescolato a un senso di lutto e di malinconia, un riflesso della conturbante mistificazione di cui egli avrebbe sofferto per diversi anni, fino alla composizione di The Beast in the Jungle. La traduzione che qui presentiamo è stata condotta sul testo della «New York Edition». Particolari del rapporto complesso di James con Miss Woolson sono narrati nel II e III volume di Life of Henry James - The Conquest of London e The Middle Years, di Leon Edel.
Gli amici degli amici Con la metà degli anni Novanta i racconti del soprannaturale di Henry James si sono fatti sempre più complessi. Pienamente padrone dei suoi mezzi, lo scrittore è impegnato in una mistificazione sempre più vasta, offrendo al lettore così pochi «fatti» da far apparire il racconto come sospeso in una boccia di vetro: nulla vi si può aggiungere, niente gli deve essere sottratto. È un'isterica la donna che racconta il fatto, un essere reso folle dalla gelosia? O ha davvero visto un fantasma, ha avuto una sorta d'esperienza soprannaturale? Non lo si saprà mai. Il racconto sembra scritto nella tradizione di Defoe: i fatti sembrano veri; alla fine il lettore rimane in dubbio: è stato in compagnia di un fantasma o di una persona viva? Come The Beast in the Jungle, anche questo racconto si basa sull'idea del «troppo tardi» - ma il ritardo non è dovuto a errori introspettivi commessi precedentemente: esso è originato dal formarsi «di un'amicizia o una passione, o un legame - un qualche affetto a lungo atteso e desiderato Henry James
678
1970 - Racconti Di Fantasmi
che nasce troppo tardi nella vita. Non c'è forse qualcosa di valido nell'idea di due persone che possono incontrarsi (come se si fossero cercate per anni) solo in tempo per rendersi conto di quanto avrebbe significato per loro l'essersi incontrate prima? E un'idea vaga, nebulosa, non è che il suggerimento di uno spunto». Tuttavia era lo spunto per Gli amici degli amici. E’ solo al 21 di dicembre di quell'anno (1895) che James traccia la variante a quella fantasia. Scrive: «L'idea di un brandello di racconto sulla base di un brandello di fantasia: due persone che hanno sempre sentito parlare una dell'altra e di continuo si sono "mancate", sempre sul punto d'incontrarsi e sempre perdendone l'occasione per un soffio. Non si sono mai incontrate, anche se di continuo è stato ripetuto loro che dovrebbero conoscersi». Forse perché trovava questa «una fantasia alquanto esile», James ritenne necessario elaborare la vicenda, come risulta da un'annotazione nei suoi Taccuini, episodio per episodio. Il racconto, ora pianificato, consiste di dieci brevi capitoli, che saranno poi condensati in sette. Esso costituisce un esempio perfetto dei racconti di fantasmi jamesiani: l'angolo visuale da cui viene narrato è uno solo, e ci viene presentato come un documento, una specie di diario da accettare o respingere per quel che vale. Il racconto diventa al tempo stesso uno studio psicologico della narratrice, la cui personalità - come del resto tutti gli elementi di questa storia - anticipano la figura dell'istitutrice del Turn of the Screw, scritto pochi mesi dopo. Pubblicato in un primo tempo con il titolo The Way it Carne contemporaneamente nel «Chap Book» del 1° maggio 1896 e nel «Chapman's Magazine of Fiction» del maggio dello stesso anno, il racconto apparve con quel titolo nel volume Embarrassments nel 1896. James ne fece la revisione per la «New-York Edition» e ne cambiò il titolo. Quella che qui si presenta è l'edizione definitiva.
Il giro di vite Giovedì, 10 gennaio 1895, cinque giorni dopo il fiasco della sua commedia Guy Domville, Henry James si recò a Croydon, a tredici miglia da Londra, per far visita a Edward White Benson, arcivescovo di Canterbury, nella residenza arcivescovile di Addington Park. Addington era stato un feudo reale e dal 1807 era la dimora di campagna degli arcivescovi. Aveva molte grandi stanze, un refettorio dalle alte volte, e una Henry James
679
1970 - Racconti Di Fantasmi
cappella del xvi secolo. Nel salotto, davanti al camino, dopo l'ora del tè, James si ritrovò solo con l'arcivescovo, e il discorso cadde sulle apparizioni e le «paure notturne». Il romanziere e il prelato si dissero d'accordo sul fatto che tutti i buoni racconti di fantasmi sembravano ormai essere stati narrati. L'arcivescovo si ricordò allora di una storia che aveva udito una volta, anni prima, e che riguardava certi servi morti e i bambini da loro perseguitati. Dai Taccuini di Henry James, 12 gennaio 1895: Annoto qui la storia di fantasmi raccontatami a Addington (sera di giovedì 10) dall'arcivescovo di Canterbury: il semplice, vago, impreciso e incerto abbozzo di essa - tutto quanto insomma gli era stato riferito (molto male e incompiutamente) da una signora che non possedeva l'arte di narrare, né era dotata di chiarezza: la storia di certi bambini (numero ed età imprecisati) lasciati alle cure di servi in una vecchia casa di campagna, a causa - presumibilmente - della morte dei genitori. I servi, malvagi e depravati, corrompono e depravano i bambini; i bambini sono cattivi, empi a un livello sinistro. I servi muoiono (il racconto lascia nel vago sul come) e i loro fantasmi, le loro figure, ritornano a perseguitare la casa e i bambini, ai quali sembrano far cenni, invitandoli e sollecitandoli, da luoghi pericolosi (come il profondo fossato scavato dal crollo di un recinto, ecc.) così che i bambini, rispondendo ai loro richiami, possano distruggersi, perdersi, e cadere in loro potere. Fintanto che i bambini ne sono tenuti lontani, non si perdono; ma queste presenze malvagie cercano e ricercano in ogni modo di impossessarsene. Tutto sta a vedere se i bambini sono spinti ad «andare dove esse si trovano». L'ambiente, la storia, tutto è oscuro e imperfetto, ma contiene una suggestione stranamente raccapricciante. La storia dev'essere raccontata - ovviamente in modo accettabile - da uno spettatore esterno, un osservatore. All'inizio dell'autunno 1897 James rilesse la vecchia annotazione e «colpito di nuovo, la trasformai in una novella fantastica, che, concepita dapprima come brevissima, finì per diventare un racconto di una certa lunghezza». Nell'anno precedente aveva cominciato ad usare la tecnica della dettatura diretta a un dattilografo; aveva assunto al suo servizio un giovane scozzese, William McAlpine, a cui dettò il racconto durante le ultime settimane del 1897. Il 1 dicembre 1897 Henry James aveva scritto alla cognata, moglie di William: «Ho finalmente terminato il mio piccolo Henry James
680
1970 - Racconti Di Fantasmi
libro, che è solo un libretto...» Il libretto era The Turn of the Screw. Posso citare due aneddoti che, malgrado alcune evidenti coloriture, ci rendono accorti delle emozioni di uno scrittore che narra una storia di fantasmi. Secondo William Lyon Phelps, James aveva detto: «Intendevo spaventare il mondo intero con questo racconto, - e aveva poi riferito che, quando lo dettava al giovane McAlpine, questo scozzese di ferro non tradiva la più pallida ombra di turbamento. Io gli dettavo frasi che pensavo l'avrebbero fatto saltare sulla sedia: egli le stenografava come se si fosse trattato di geometria; e ogni volta che facevo una pausa per vederlo crollare mi chiedeva secco secco: "E poi?"». Edmund Gosse asserì che James gli aveva detto: «L'altra notte ho dovuto correggere le bozze del mio racconto di fantasmi e, quando ebbi finito, ero così spaventato che avevo paura a salire al piano superiore». L'aneddoto suona apocrifo (come il cenno a McAlpine che usa la stenografia in quello riportato da Phelps), ma è certamente verosimile che James possa aver provato un po' del terrore che cercava di suscitare. Un incubo è terrificante soprattutto per chi lo sogna. Nella prefazione a The Turn of the Screw scritta per la «New York Edition» - tredici anni dopo la sera trascorsa a Addington e undici dopo la prima pubblicazione - James mise per iscritto la storia del racconto come la ricordava. Ma ora c'erano nella sua mente due racconti - quello che gli aveva riferito l'arcivescovo e quello da lui scritto successivamente. Il resoconto che ne dà li unisce entrambi; per certi aspetti rende l'originale conforme alla sua versione: Egli [l'arcivescovo] non aveva mai dimenticato l'impressione suscitata in lui, quando era giovane, dalla visione fugace, trattenuta, per così dire, di un episodio terribile raccontato anni prima, e con così scarsi particolari, a una signora con cui aveva parlato da ragazzo. La storia sarebbe stata emozionante se soltanto la signora se la fosse ricordata meglio; era la vicenda di due bambini, fratello e sorella, in un luogo isolato, ai quali si credeva fossero apparsi gli spiriti di certi «malvagi» servitori (morti mentre erano al servizio nella casa), che volevano «impadronirsi» di loro. Tutto qui, ma la storia era ben più complessa; senonché la vecchia interlocutrice del mio amico ne aveva smarrito il filo; poteva solo assicurarlo delle straordinarie dichiarazioni che aveva un tempo sentite. Egli stesso non poteva fornire che quest'ombra di un'ombra... C'è una differenza significativa tra questa versione e l'annotazione dei Henry James
681
1970 - Racconti Di Fantasmi
Taccuini. Dapprima James aveva scritto che i servi «perseguitano la casa e i bambini». Ora ci dice che «si credeva che gli spiriti fossero apparsi». Non pone più come postulato che i fantasmi perseguitino i bambini, il racconto è diventato una storia di convinzione - di asserzione, altra parola da lui usata. Questa convinzione è concentrata nella mente di una singola persona, il narratore, «lo spettatore esterno, l'osservatore» a cui si allude nell'annotazione. In altre parole, l'immaginazione di James si è messa a lavorare sul nebuloso aneddoto originale. La materia ambigua e cupamente misteriosa acquista ora specificità: un luogo, un narratore, un'atmosfera. Ci viene dato il resoconto di un testimone oculare. La storia raccontata è strana, colma di terrore e di pathos, e strutturata in modo tale che dobbiamo stabilire noi stessi se il testimone è credibile. Ed è intorno a tale questione che si sono imperniate le innumerevoli interpretazioni del racconto. James usa qui il suo metodo della «mistificazione», senza il quale la maggior parte della narrativa d'invenzione {fiction) diventa piatta come la cronaca di un giornale. Egli organizza, comunque, i suoi fatti ambigui in modo tale che il lettore provi difficoltà ad ottenere e a dare un resoconto del tutto coerente degli avvenimenti. Le fantasie del lettore tendono a confondersi con quelle dell'istitutrice, che racconta la sua storia con tanta sicurezza di sé - come se tentasse di convincere se stessa. Il racconto si può leggere in primo luogo come una «pura» storia del soprannaturale. I fantasmi sono reali per l'istitutrice, che è entrata nella vicenda in tutto il suo splendore giovanile, con i suoi dignitosi modi vittoriani, con la sua visione del mondo da parrocchia, e con la sua tendenza a ricamare sulle cose, a romanzarle, o, come si direbbe oggi, a dare libero sfogo alle «fantasie». Se si vuole, il racconto può anche essere studiato come un «caso» psicologico e, infine, come una «fantasia» di James, cioè come una parte della sua vita di immaginazione. La testimonianza lasciata dallo stesso James è che egli aveva intenzione di fare di questa storia il documento della mente della giovane istitutrice, così come aveva fatto con gli altri personaggi nei suoi racconti di fantasmi. Che le scoperte psichiatriche del nostro tempo potessero dimostrare che persone così ossessionate sono nevrotiche, sessualmente represse, o vittime di allucinazioni, è solo un ulteriore tributo alla maestria e all'immaginazione con cui James le ha descritte: ne ha fatto creature in carne ed ossa, dando a noi il contenuto manifesto delle loro menti, così che Henry James
682
1970 - Racconti Di Fantasmi
potrebbe essere validamente tentata una «diagnosi» psichiatrica, se si volesse dotare un personaggio immaginario di una realtà da caso clinico. Va tenuto conto della familiarità di Henry James con la scienza psicologica del suo tempo, con l'opera di Charcot, le ricerche del fratello, e il fatto ch'egli fu testimone, nella sua stessa famiglia, della prolungata malattia nervosa che precedette la morte di Alice James, e delle terapie adottate dagli eminenti medici che la ebbero in cura. Da dove veniva questa istitutrice che cerca così assiduamente di districare la trama della sua fantasia, da dove venivano Miss Jessel, che l'aveva preceduta, il cameriere Peter Quint, la prosaica Mrs Grose, il piccolo Miles e la sorellina Flora, simboli di purezza corrotta; e da dove le torri merlate, il lago, l'atmosfera di Bly? Uno studioso scopri una vecchia illustrazione sulla rivista in cui fu pubblicato Sir Edmund Orme - il disegno di una casa abitata dagli spettri, con una torre, un lago e due bambini spaventati - e cercò di dimostrare che questa poteva essere stata uno spunto per il racconto. Potrebbe esserlo stata, ma dovremmo sapere che James vide effettivamente l'immagine e che avendola vista, la conservò nella mente dove, combinandosi con il racconto dell'arcivescovo, si trasformò in The Turn of the Screw. James stesso parlò in diversi momenti del «pozzo profondo dell'attività mentale inconscia», della «debole e pallida attività della coscienza»; disse a proposito di The Turn of the Screw, che «la verità mi stava fitta in capo», intendendone la sostanza, lo svolgimento, i valori. Fitta in capo, nel «pozzo profondo» dell'inconscio, gli stava un'intera vita di esperienza e di osservazione. I sorpassati e spesso screditati metodi della dotta «ricerca delle fonti» sono comunque di poca utilità in un racconto ricco come questo e di fronte a un'immaginazione così fervida come quella di James, nutrita non solo dalle sue esperienze ma anche da vaste letture. Si potrebbero elencare tutte le istitutrici che James aveva avuto da bambino - ne ha parlato nelle sue memorie - e cercare castelli con torri merlate nei suoi giornali di viaggio; o tentare di dimostrare che James avesse letto precocemente Freud, prima che fossero tradotti gli studi dello scienziato viennese sull'isteria (James leggeva assai poco il tedesco), o sostenere, come ha fatto un teorico accademico, che James stava scrivendo la storia segreta della lunga malattia della sorella - come se avesse bisogno di nascondere questa storia, ammesso che volesse servirsene, in un'epoca in cui sua sorella era sconosciuta e il diario di lei si trovava in mani private. E ci sono stati i Henry James
683
1970 - Racconti Di Fantasmi
patiti del lieto fine, che hanno cercato di dimostrare che il Douglas, che tira fuori il manoscritto dell'istitutrice, è in realtà il piccolo Miles, ormai di mezza età, il piccolo Miles che non è mai morto. L'ossessionante sforzo di critica è facilmente intrappolato dalle paranoiche esperienze dell'istitutrice. Il fatto che siano fiorite tante teorie intorno a questo racconto mostra semplicemente che la «trappola magica» di James è scattata più e più volte. Le teorie sono diventate sempre più fantasiose e un recente articolo psicanalitico ha cercato di indicare in Mrs Grose, l'illetterata governante, la vera anima nera del racconto. L'aver spiegato tutto in un centinaio di modi differenti finisce per non spiegare nulla. Le stesse osservazioni di James sono di scarsa rilevanza, poiché egli era determinato a non svelare il racconto, sebbene in una o due circostanze abbia confidato in privato alcune opinioni a certi amici. Scrisse a F. W. H. Myers, compagno di ricerche del fratello nel campo dello spiritismo, di aver voluto creare l'impressione de «la comunicazione ai bambini del male più infernale che si possa immaginare e del pericolo, la condizione da parte loro di essere così esposti come si può umanamente concepire lo siano solo dei bambini». Anche questa affermazione ha le sue ambiguità. Esposti ai fantasmi? All'istitutrice? Se mai la «comunicazione» di cui parla James viene dall'istitutrice, non dai fantasmi, perché è lei, e non i bambini, a vedere le apparizioni. Molto tempo prima delle interpretazioni moderne di questo racconto, un recensore anonimo, su «Critic» (nel dicembre 1898, l'anno in cui il racconto fu pubblicato per la prima volta), sottolineò che l'istitutrice «non ha assolutamente nulla su cui basare le sue profonde e allarmanti sensazioni. Ella percepisce ciò che è al di là di ogni percezione». Questo critico vide subito, e per primo, l'elemento essenziale del racconto - la sua linea continua di «fantasia», la maniera con cui l'istitutrice, raccontando la sua storia in modo autorevole, interpola in essa le sue immaginazioni fantastiche e idiosincratiche, come quando, nella scena con Miles che ha dieci anni, pensa a sé e a lui come sposi in luna di miele in una locanda - comunicandoci così non solo i suoi sentimenti erotici, ma anche il fatto che guarda al bambino non come a un ragazzino di dieci anni, ma come a una figura adulta e sessualmente attraente. Per chi desideri leggere i misteri dell'ammette di James c'è un terreno concreto: le revisioni di James di The Turn of the Screw, dieci anni dopo averlo scritto, ce lo mostrano costantemente impegnato a rendere la narrazione più soggettiva. La parola «percepii» è ora trasformata in Henry James
684
1970 - Racconti Di Fantasmi
«sentii»; «Io ora ricordo» diventa «Io ora sentivo»; «Mi apparve Mrs Grose» è cambiato in «Mi colpi». In tutti i casi la natura della testimonianza dell'istitutrice è trasformata da un resoconto di cose osservate in quello di cose provate soggettivamente, «sentite». Un critico, proseguendo nell'approccio testuale, ha concluso che oltre la parola «sentire» ci sono «altre parole ripetute più e più volte, per mostrarci che l'istitutrice sta raccontando non ciò che è dimostrabile, ma ciò che lei prova o immagina o sente, come le cose le appaiono o lo sembrano». Siamo ugualmente su un terreno concreto nelle due significative scene in cui sono messi di fronte l'istitutrice e i bambini. Nel cimitero, una domenica mattina, quando il piccolo Miles chiede perché non è stato rimandato in collegio, l'istitutrice reagisce alla semplice domanda infantile in modo sproporzionato. Attribuisce al bambino motivi sinistri: eppure egli si lamenta soltanto di essere un ragazzino sempre in compagnia femminile, intendendo sua sorella di otto anni, l'istitutrice, la governante; lui vuole stare con il suo «genere» - cioè con i ragazzi. La reazione dell'istitutrice è quasi isterica. Si abbandona realmente all'isteria nella scena con Flora che ha attraversato in barca un piccolo stagno. Questa volta l'istitutrice accusa Flora di vedere Miss Jessel, ma Mrs Grose, che è presente, non vede l'apparizione, e anche la bambina diventa isterica e si mette a inveire contro l'istitutrice. Lei è, comunque, schietta come il fratello. La reazione dell'istitutrice, secondo il suo stesso racconto, è quella di gettarsi sul terreno bagnato e di avere una crisi di pianto, senza neppure sapere quello che fa. Quanto alla scena finale, che è una scena di puro orrore ed isterismo, ella afferra convulsamente il piccolo Miles, «si avventa» su di lui, e lo aggredisce quasi fisicamente per estorcergli il nome di Peter Quint. Miles invece pronuncia subito quello di Miss Jessel, perché il suo nome era stato pronunciato nella scena del giorno prima con sua sorella. Ci si domanda invero perché ci sia stato tanto agitarsi della critica su questo racconto, dal momento che le fantasie dell'istitutrice rivelano chiaramente la sua immaginazione malvagia e come il senso di colpa la spinga verso questa perfidia ogni volta che ha un pensiero buono. Siamo ricondotti all'originale teoria dell'«allucinazione» di Edmund Wilson degli anni 1930, e se egli forse interpretava i simboli del racconto in modo troppo rigidamente freudiano, era però essenzialmente corretto nelle sue osservazioni; prima di lui, il professor Harold Goddard, in un articolo Henry James
685
1970 - Racconti Di Fantasmi
pubblicato postumo, aveva ragione di chiederci di leggere il racconto alla luce delle reazioni dei bambini. Essi cercano di compiacere l'istitutrice, ma non sanno mai che cosa pretenda da loro. A loro non rivela mai che cosa sospetta e, quando lo fa, si comporta in modo così isterico - come nella scena con Flora allo stagno - da oltrepassare i limiti della loro comprensione. Eppure i due piccoli cercano continuamente di secondarla. Ed è questa forse la più grande dimensione dell'orrore nel racconto, quella dei bambini che cercano istintivamente di far fronte ad un'autorità irrazionale e «disturbata». Siamo così ricondotti all'unica dichiarazione veramente importante che James ci ha dato del racconto: la troviamo nella prefazione, quando l'autore dice che doveva far sì che l'istitutrice sembrasse raccontare una storia semplice e chiara. Ciò non voleva dire - aggiunge - che le interpretazioni che lei dava di quanto stava narrando fossero valide. James lo ha espresso come «l'intento generale della nostra giovane di mantenere cristallina la sua testimonianza di così intense anomalie ed oscurità - con ciò ovviamente non intendo la spiegazione che ella ne dà, che è un'altra cosa». Ciò che James rivelò in questo racconto fu dunque la sua ampia comprensione del concetto di «fantasia» nel senso in cui l'odierna psicanalisi usa il termine - cioè le immaginazioni a cui tutti siamo soggetti, ma che alcune persone disturbate scambiano, in misura più o meno grande, per «fatti». L'istitutrice non solo immagina ogni sorta di cose, ma crede a ciò che immagina; ed è isterica. Non deve essere trattata - nessun personaggio letterario dovrebbe esserlo - come una persona viva: è un'invenzione dell'immaginazione del suo creatore, una figura di sogno evocata per noi dall'arte verbale di James, ma la sua verosimiglianza è straordinaria e le sue manie sono schiaccianti. L'«esposizione» di bambini a una simile donna è l'orrore nascosto di questo racconto. Molti lettori lo sentono in modo subliminale, anche quando leggono la storia come una narrazione veritiera, messa per iscritto da una giovane coscienziosa e timorata di Dio, da poco uscita da un vicariato dell'Hampshire. Resta da parlare dell'abile arte del romanziere e la sua grande padronanza delle attività dell'immaginazione umana. La scoperta del dottor Harold Rypins, avvenuta alcuni anni fa, del Caso 97 riferita in un libro sull'angina pectoris dell'eminente cardiologo londinese Sir James Mackenzie, ci fornisce la testimonianza di una conversazione privata tra Henry James
686
1970 - Racconti Di Fantasmi
Henry James e il suo medico intorno a The Turn of the Screw, e aiuta a documentare la teoria jamesiana del «terrore» nei suoi racconti di fantasmi. Nel «Caso 97» il dottor Mackenzie ha parlato di «un insigne romanziere» che l'aveva consultato. Il dottore aveva «letto uno dei suoi brevi racconti in cui si parlava di uno straordinario avvenimento capitato a due bambini. Venivano descritte parecchie scene in cui, a quanto pareva, i bambini tenevano conversazione con persone invisibili, in seguito alle quali essi rimanevano profondamente sconvolti. Alla fine di uno di questi dialoghi, uno di loro si voltò, fuggi urlando di terrore, e morì nelle braccia di chi narrava la storia». Il dottor Mackenzie sottopose ad esame medico il romanziere del «Caso 97» e poi gli disse: «Lei non ha spiegato la natura dei misteriosi abboccamenti». Il resoconto continua: «Egli mi espose subito i principi su cui creare un mistero. Fino a che gli eventi sono nascosti, l'immaginazione correrà senza freni e dipingerà ogni sorta di orrori, ma, appena si solleva il velo, ogni mistero sparisce e con esso la sensazione di terrore». Ciò spiega la deliberata «ambiguità» di James nei suoi racconti del soprannaturale. Il seguito della cartella clinica del dottor Mackenzie descrive come il medico applicò la teoria allo stesso romanziere per dimostrargli che si creava uno stato di paura, immaginando una seria cardiopatia. Senza dubbio il dottor Mackenzie non capì l'unicità di The Turn of the Screw, altrimenti avrebbe con più cura tenuto nascosti i suoi elementi d'informazione. Quando il dottor Rypins gli chiese apertamente se quel paziente era stato Henry James - questo avvenne alcuni anni dopo la morte del romanziere - egli confermò che il «Caso 97» era effettivamente James. The Turn of the Screw è nella tradizione delle Bronté; molta della sua atmosfera, e anche il linguaggio, rappresentano il tentativo di James di conservare quella tradizione nel suo racconto. E alle Bronté, più che al movimento della moderna psicologia allora nascente in Vienna, che si deve collegare questo racconto - e alla stessa comprensione di James del modo in cui le persone hanno sogni e fantasie che incorporano nel loro senso del «reale». Per di più, questo racconto ci rivela la straordinaria comprensione di James delle relazioni umane e dei rapporti tra adulti e bambini. Ma la ricchezza di questo racconto sembra essere inesauribile, come si può vedere dalla grande quantità di interpretazioni critiche che continua a ispirare. Era forse inevitabile che The Turn of the Screw inducesse alcuni critici a Henry James
687
1970 - Racconti Di Fantasmi
parlare dell'istitutrice come di una «narratrice inattendibile». Ma ella è pienamente attendibile; avrebbe raccontato la stessa storia sotto giuramento. Essa ci dà un resoconto completo di ciò che le accadde. Vide davvero i fantasmi, davvero credette che i bambini fossero in pericolo a causa loro. Per il lettore il quesito consiste semplicemente nello stabilire la sua credibilità. James ammise che il suo era un racconto fatto di «trucchi»: spostando dall'autore al lettore la responsabilità di caratterizzare i personaggi, anticipava la moderna narrativa psicologica in cui dobbiamo giungere a conoscere un personaggio in base al suo «flusso di coscienza». In seguito a questo racconto, una serie di critici hanno cercato di scoprire altri «narratori inattendibili» in James, ma in realtà tutti sono pienamente attendibili, in quanto essi si caratterizzano da sé. Forse dobbiamo piuttosto parlare di lettori o di critici «inattendibili», perché non tengono in dovuto conto gli elementi d'informazione. Il narratore di The Aspem Papers, per esempio, non soltanto è credibile, ma ci offre una grande quantità di prove schiaccianti contro se stesso. Si potrebbe dire che è ingenuo e non percettivo e talvolta certamente insensibile. Rasenta la psicopatia, ma non è uno psicopatico. Se lo fosse stato, avrebbe sposato Miss Tina, piantandola in asso sulla soglia dell'altare, dopo aver preso possesso delle preziose lettere che ella gli offriva. Invece fa marcia indietro, è capace di provare un senso di colpa e di intuire di essere stato crudele anche quando si riteneva gentile. Ci è consentito affermarlo perché egli si è rivelato così ampiamente nella sua narrazione, ha svelato se stesso come sordo ai sentimenti di una donna attempata, anche mentre si atteggiava a uomo di mondo sofisticato e amante dell'arte. Il «trucco» in The Turn of the Screw consiste semplicemente nel fatto che James ci invita a mettere in dubbio l'onniscienza del narratore, anche se ne abbiamo sempre avuto piena fiducia. Dostoevskij ha fatto altrettanto nel suo Memorie del sottosuolo, ma mentre egli fornisce dei segnali al lettore, James non ne dà affatto. L'istitutrice racconta una storia «fredda». Solo riesaminandola scopriamo quanto ha romanzato e infiorettato - e reso quindi sinistra - la sua preziosa testimonianza. E sempre interessante cercare di capire le origini biografiche di un racconto così intenso come The Turn of the Screw. Si scalfisce solo la superficie quando si parla delle istitutrici dell'infanzia di James o delle possibili fonti letterarie della sua ispirazione, ha fiction utilizza fatti e tradizioni, ma è scritta senza emozione, e sono i sentimenti dell'autore che Henry James
688
1970 - Racconti Di Fantasmi
lo spingono a intraprendere lo sforzo intellettuale e verbale richiesto, per raccontare una storia così piena di terrore e mistero. Non riusciamo a ritrovare sentimenti o chiarire misteri, ma ci sono sempre allusioni e spiragli che suggeriscono la magia del «processo creativo». La possibile chiave di lettura di questo racconto è il piccolo Miles. Egli è la reincarnazione di Henry James, impetuoso fanciullo, il ragazzo che in una deliziosa lettera infantile, recentemente scoperta, scriveva a un vecchio cugino generoso: «Mi piacerebbe più di tutto una buona robusta spada di latta. Billy [diminutivo di William, il fratello maggiore] vuole un sifone di acqua di seltz». Il piccolo Harry James era, come Miles (che è la parola latina per «soldato»), un ragazzino che si comportava in modo maschio, ma presto si era accorto quanto pericoloso fosse essere troppo deciso - gli adulti tendono a punire un eccesso di vivacità nei bambini. Imitando la tranquilla passività della sorella, il giovane Henry scoprì che poteva ottenere l'approvazione dei grandi - fino ad essere chiamato «angelo» dalla famiglia. Alcune di tali precoci «difese» psicologiche erano presenti nella personalità informazione di Henry James jr. Se siamo nel giusto, ciò spiegherebbe i racconti successivi di James di bambine che riescono sempre a sopravvivere e di bambini che muoiono sempre. La «morte del fanciullo maschio» sarebbe potuta essere un modo di esprimersi riguardo a certe crisi nello sviluppo del romanziere. Il suo «travestitismo» emotivo, come lo si potrebbe definire, lo rese capace di diventare alla fine lo storico immaginario della «ragazza americana». Ma la sua fondamentale energia maschile gli permise di essere il potente creatore di un grande dominio letterario. Potremmo arrischiare come congettura che ci sia in Miles e Flora qualche parte della storia personale di James, mentre l'istitutrice rappresenta quella fase della sua prima maturità in cui egli era insaziabilmente curioso nei confronti del mondo erotico. The Turn of the Screw fu pubblicato a puntate su «Collier's», dal 27 gennaio al 16 aprile 1898, e nel corso di quell'anno apparve in un volume dal titolo The Two Magics. Il testo è tratto dalla revisione fatta per la «New York Edition».
La via giusta Questo sobrio e breve racconto si sposta dall'occulto al ghostly, dai misteriosi avvenimenti che accadono nello studio di un uomo famoso da Henry James
689
1970 - Racconti Di Fantasmi
poco scomparso all'apparizione della sua forma soprannaturale nel vano della porta. Il giovane biografo è stato invitato dalla vedova a lavorare nello studio stesso del soggetto della sua ricerca, tra i libri e le carte del morto. La vedova vuol seguire «la via giusta» per il suo defunto marito; desidera una biografia appropriata, una «Vita» ben scritta. Quale sia «la via giusta» il racconto a poco a poco comincia a chiarirlo, e non è poi così «giusta» come poteva sembrare. Il fantasma sulla soglia ci offre la risposta. Scritto al volgere del secolo, il racconto è nello stile dell'ultimo James e riflette alcune sue preoccupazioni a quel tempo. Egli si era impegnato a scrivere una biografia di William Wetmore Story, scultore e scrittore dilettante vissuto a Roma, morto alcuni anni prima. Story era stato amico di molti amici di James; e i suoi figli avevano fatto pressione sul romanziere, ritenendo che solo lui, che aveva conosciuto la Roma di Roderick Hudson, avrebbe potuto render pienamente giustizia a Story e alla vasta reputazione di cui aveva goduto ai suoi giorni. In privato, James pensava che lo scultore fosse stato uomo di grande presunzione, dilettante e superficiale in tutto ciò che aveva fatto. Aveva visitato il suo studio d'artista a Roma, aveva attentamente osservato le sue opere, ed era intimo della cerchia di Story. Per molto tempo James esitò, e invero non avrebbe scritto la biografia, se non fosse stato spinto da necessità finanziarie. Durante il suo lungo indugio possiamo supporre che gli si fosse presentata alla mente «la via giusta». La storia della stesura di questa biografia, un genere insolito per lui e per molti aspetti contrario alla sua indole, non va discussa qui. Alla fine James risolse il suo problema, inserendo in essa una grande quantità di ricordi personali così che il lavoro risulta tanto un'autobiografia quanto una biografia. Lo spunto che portò James alla composizione di The Real Right Thing fu una casuale osservazione fattagli da Augustine Birrell, una sera a casa del conte di Rosebery, nell'aprile o nel maggio 1898, James scrisse sui suoi Taccuini: «La cosa suggeritami da quanto Augustine Birrell mi accennò l'altra sera da Rosebery, su Frank Lockwood, cioè il fatto che si sia messo a scrivere, subito dopo la sua morte e fra tutte le cose di lui, la Vita di F. L., al passato, e con la "sensazione che egli potesse entrare da un momento all'altro"». Birrell, ex presidente del Board of Education e segretario capo per l'Irlanda, era noto per la sua serie di Obiter Dieta e aveva appena Henry James
690
1970 - Racconti Di Fantasmi
terminato una biografia ricca di aneddoti di Lockwood, che era stato viceprocuratore nel breve ministero del conte di Rosebery a metà degli anni 1890. L'osservazione di Birrell toccava da vicino le preoccupazioni che James aveva all'epoca intorno alla biografia. Il risultato fu The Real Right Thing. «Il Biografo», annotò James sui Taccuini come ulteriore promemoria, e quindi scrisse di getto il racconto, che apparve su «Collier's Weekly» il 16 dicembre 1899 e fu incluso in The Soft Side ( 1900). Il testo qui riprodotto è tratto dalla «New York Edition».
Il luogo benedetto Questa novella ha una nota di magico, quasi di onirico, nell'apparizione del provvidenziale giovane che, venuto a far visita al famoso scrittore, gli sfiora la mano e lo spedisce nella più gradevole avventura di sogno; una «gita» a un grande monastero di quiete, un Monte Cassino o una Grande Chartreuse laici, raffigurati anche come una sorta di luogo di Fratellanza che, nello stesso tempo, offre l'idea di un ritorno benefico all'infanzia. Uno dei «Fratelli» infatti parla del «luogo benedetto» come di una specie di «giardino d'infanzia». Lo scrittore George Dane replica: «Adesso non verrai a dirmi che siamo tutti poppanti!» Quell'erotica fantasia è poi trasferita sul paesaggio: «Di qualche tenera e invisibile madre che si dilata nello spazio e il cui grembo è la vallata intera?» Dane completa l'immagine: «E il suo seno è la cima elevata della nostra collina? Perfetto». Se, da un lato, The Great Good Place può far pensare a un clima omoerotico, dall'altro suggerisce l'idea di un «ritirarsi» in qualche monastero o torre d'avorio, o nella gratificazione dei sensi. In certo modo il racconto realizza l'idea di ambedue le sensazioni: la fratellanza ecclesiale e l'ecclesiale maternità della Madre Chiesa. Il benessere fisico, comunque, sembra altrettanto importante di quello spirituale. Qui c'è molto dei sogni pieni di desideri descritti da Freud. Come trama, The Great Good Place é una delle più esili storie nel campo del quasi-soprannaturale trattato da James; ma vi è in essa grande ricchezza di tessitura e l'abilità del tardo James a portare avanti una continua fantasia. I Taccuini ci dicono poco riguardo alla sua origine e, nella Prefazione, James tralascia di proposito ogni notizia. «Rimane The Great Good Place, - scrive, -ma riguardo ad esso, mi colpisce il fatto che Henry James
691
1970 - Racconti Di Fantasmi
ogni chiosa o commento al suo significato costituirebbe una sfida inopportuna, e comporterebbe un giudizio arbitrario; il racconto è la realizzazione di un effetto calcolato, e ritengo che immergervisi, anche solo per un'occhiata favorevolmente prevenuta, scelta che in realtà consiglio, significherebbe lasciar fuori tutto il resto. A questo punto non vado oltre con i miei consigli». L'unico accenno nei Taccuini è in relazione ad un altro racconto di vita di scrittore, The Middle Years. Nel progetto James accennava a un romanziere che desiderava una tregua dalla malattia, perché gli si offrisse una «seconda chance» per scrivere qualcosa di sommo. E aggiungeva: «Un sonno profondo nel quale egli sogna di ottenere questa tregua». Se cerchiamo l'origine della novella, forse possiamo trovarla nel fatto che James aveva appena lasciato Londra (1898) e si era sistemato in una casa georgiana nel Sussex, a Rye, dove visse i suoi ultimi anni. Lamb House era una specie di «luogo benedetto», anche se da ultimo si dimostrò, nei lunghi mesi invernali, un rifugio alquanto solitario. Il «luogo benedetto» del sogno dell'agitato scrittore è una «confraternita», una sorta di monastero fornito di tutte le comodità. Il simbolismo centrale presenta un certo interesse; fa parte di una delle fantasticherie del James più vecchio: quella di ritirarsi in una istituzione non religiosa, ma simile a un monastero. Ed è interessante notare che il nome di George Dane - per quella magica associazione d'idee di cui James scrisse - fa parte di quel genere di nomi che egli sembrava scegliere per alcuni dei suoi protagonisti, scrittori o anacoreti, come Dencombe in The Middle Years, Doyne in The Real Right Thing, Domville, il giovane destinato al sacerdozio. Certamente Domville, «Città di Dio», può essere considerato un «luogo benedetto». Un autore tormentato può sognare ad occhi aperti di essere in una specie di paradiso in terra; ma bisogna riconoscere che i luoghi di sogno di James spesso sono piuttosto mondani e non dissimili da raffinati club. Se vogliamo continuare in questo genere di speculazione - dato per scontato che si tratta di pura e semplice congettura -scopriamo che Dane Hall era la Facoltà di Legge a Harvard nel breve periodo in cui James frequentò quell'università nel 1862. Un periodo brevissimo, in verità: si iscrisse nell'autunno e passò il tempo a leggere Sainte-Beuve e altri scrittori, invece di consultare ponderosi tomi giuridici; e pare che abbia avuto anche qualche smacco spiacevole in prove d'esame. Tra le carte di quando era a Harvard, c'è un'annotazione frammentaria in cui James, per una rivista americana, Henry James
692
1970 - Racconti Di Fantasmi
cercava d'individuare «la svolta decisiva» della sua vita. Non finì mai l'articolo, ma il pensiero dovette fissarglisi in mente, perché scrisse: «Proprio lì, nell'ombra fredda di quello strano piccolo Dane Hall, mi sono trovato davanti al bivio della mia vita». Una strada portava alla letteratura, l'altra verso la giurisprudenza o verso qualche pratica carriera professionale che lo avrebbe allontanato dalla vita dell'arte e della fantasia. Basta questo pensiero a suggerire quanto lavorio di consapevolezza si nasconde dietro ogni opera d'arte; anche se si tratta d'un jeu d'esprit leggero come The Great Good Place. Il sogno di James di sottrarsi agli impegni quotidiani, al mondo dei libri, alla corrispondenza, ai giornali, scivola leggero verso il «sacro convento silenzioso», nell'ineffabile tranquillità ch'egli trova nel «luogo» con la constatazione che «la vita interiore si risveglia». Molto tempo prima - circa un quarto di secolo - aveva scritto nello stesso spirito il romanzo Roderick Hudson, in cui descriveva un convento nelle vicinanze di Fiesole. Qui Rowland Mallet trova la pace nella frescura di un chiostro e, appoggiando la mano sul braccio d'un Fratello, gli parla delle tentazioni del demonio. Nei monasteri i rumori del mondo possono allontanarsi... anche nei monasteri della mente. In certo senso questo era il tema del poco fortunato Guy Domville, il dramma in cui il candidato al sacerdozio, dopo aver lasciato il chiostro per il «mondo», si scotta subito le dita e torna in convento. George Dane - se vogliamo continuare la disamina dei nomi - ha le stesse iniziali di Guy Domville; sono in certo modo scolpiti nello stesso materiale immaginativo. C'è un altro elemento nel materiale di fantasia di questo racconto: il desiderio di sognare. La storia fu scritta a cavallo del secolo, quando James era sui sessant'anni. Il «materiale» consiste nel fatto che George Dane si identifica col giovane venuto a casa sua per aiutarlo. Il luogo benedetto è la giovinezza. «Giovinezza, - scrisse nei Taccuini, - la più bella parola che vi sia». Nella religione laica dell'arte, per James il «luogo benedetto» è anche «il grande desiderio appagato»; e il desiderio non è tanto quello di «annullare se stessi», come avviene in un ritiro religioso: è «ritrovare se stessi, se soltanto si ha un'anima che vale due soldi». Si può immaginare il racconto come una sorta di Walden dello spirito, ma un Walden assai piacevole, con tutte le comodità d'una casa, con molta compagnia, una biblioteca a disposizione e un paesaggio protettivo, materno. Questo racconto va visto come il riscontro di una vecchia novella Henry James
693
1970 - Racconti Di Fantasmi
di James, Benvolio, scritta durante gli anni di New York, quando trovò insopportabile l'oppressione di quella città, e immaginò un'allegoria secondo la quale il suo eroe aveva una finestra sulla grande piazza della vita e una tranquilla camera da letto verso il giardino. Si collega anche a The Private Life, in cui James rappresenta un Browning mondano e una controfigura ritirata a scrivere poesie e a sbrigare tutto il lavoro. Ma la controfigura prevale troppo in questa novella. Dane ha dormito tutto il giorno, dalle dieci alle sei di sera, mentre il simpatico giovanotto ha svolto il lavoro per lui. Per l'atmosfera, per il rumore della pioggia che cade, per quel tanto di soprannaturale o di sfera di sogno, per la benefica «gita», in questo racconto il lettore può gustare tutta l'arte di un maestro della narrazione, che sa evocare «la pura dolcezza del sogno» in poche, anche se a volte, stucchevoli pagine. La novella fu pubblicata in gennaio del 1900 sullo «Scribner's Monthly» e ristampata in The Soft Side quello stesso anno. James la incluse nella «New York Edition». Questo è il testo che qui proponiamo.
Maud-Evelyn Questo è uno dei racconti che James definiva «quasi-soprannaturali»: qui rovescia il concetto dello spiritismo, trasferendo su chi vive certe aspirazioni nei confronti del morto, quasi che la persona coinvolta possa conoscere ciò che il morto sente. Marmaduke, il passivo giovanotto protagonista del racconto, si imbatte in certe delusioni dei genitori di una ragazza defunta. La storia a questo punto ha uno strano risvolto, quasi una doppia morte: nei suoi aspetti morbosi Maud-Evelyn rispecchia in realtà per lui da un lato la paura della fanciulla viva, dall'altro l'accettazione di lei solo da morta. Un giorno, a Torquay, Paul Bourget narrò a James una storia che aveva udito da uno scrittore italiano, Luigi Gualdo: una giovane coppia senza figli aveva commissionato a un pittore il ritratto di un bambino che essi potessero considerare loro figlio, «dato che ne desideravano tanto uno e non potevano averlo altrimenti». James, nella prima annotazione sui suoi Taccuini (22 settembre 1895), scrive: «Riprendere poi l'idea del grazioso soggetto di Gualdo a proposito del bambino». Parlandone con Bourget aveva avuto l'impressione che Gualdo avesse pubblicato un racconto del genere: tuttavia pensava che l'argomento gli si confacesse, e col tempo ne Henry James
694
1970 - Racconti Di Fantasmi
trasse due varianti che divennero Maud-Evelyn e The Tone of Time. Ma, solo nel settembre del 1900, scopri, interrogando Bourget, che Gualdo non aveva mai messo per iscritto la storia originale. «Me voilà dons libre. Bon!» annotò con evidente soddisfazione nei Taccuini. Ora era libero di impadronirsi del soggetto e più tardi cominciò a scrivere il racconto della coppia senza figli: ma non fu mai portato a termine. Abbiamo qui un esempio curioso di due varianti, completate e pubblicate, su un tema che di per sé non fu mai scritto del tutto. Le varianti furono annotate nei Taccuini due anni e mezzo dopo l'episodio di Torquay, il 7 maggio 1898. Nella prima James proponeva di rovesciare l'idea di Gualdo: invece del bambino mai esistito, preferiva qualcuno che fosse vissuto, che poi era morto, ma continuava ad essere considerato vivo: Immaginiamo un'anziana coppia che prende in simpatia un giovane: Lei avrebbe dovuto sposare nostra figlia. - Vostra figlia? - Quella che è morta. Lei sarebbe stato il suo fiancé, o il suo mari. Immaginiamo la posizione di un giovane, che più o meno ha accettato la cosa, nei confronti di una ragazza viva. Ne è suggestionato, ha giurato fedeltà a una memoria, finisce per crederci davvero. Vive con i genitori di lei, che gli lasciano il loro patrimonio. Lo incontro qualche tempo dopo. È vedovo. Poi muore, per raggiungere la sposa. Lega i suoi beni alla ragazza che non sposa. 35 pagine... Questo è l'abbozzo di Maud-Evelyn. Subito sotto, James aggiunge un'altra annotazione: «(Nella stessa chiave). La donna che vuole essere stata sposata... che vuol essere diventata vedova, può anche lei andare, à la Gualdo, dal pittore per avere un ritratto dipinto...» Questa è l'idea per The Tone of Time. Il 16 febbraio 1899 James scriveva: «Prendo in considerazione per un minuto l'idea del ritratto à la Gualdo... e mi ossessiona: oh, quante cose, quasi turbini di ossessioni!» L'argomento lo perseguitava ben a ragione: conteneva l'elemento di molte vecchie fantasie sul tema del morto vivente e del vivo morto, di gente fisicamente viva, ma spiritualmente morta... degli incapaci, dei frustrati, degli impotenti. In Maud-Evelyn Marmaduke rinuncia al matrimonio con una donna in carne e ossa, per accettare un matrimonio immaginario con un fantasma. Asseconda i genitori della ragazza, più ancora asseconda se stesso: la cosa diventa una folie à trois. Pieno di paura, preso al laccio, egli accetta la facile tranquillità di una vita impotente, senza protesta; nella sua totale passività, è il meno interessante Henry James
695
1970 - Racconti Di Fantasmi
dei personaggi di James perseguitati dai fantasmi. In The Altar of the Dead, Stransom prova un sentimento intenso e vivo per il «suo» morto. John Marcher arriva a vere crisi di tormento in The Beast in the Jungle. Marmaduke è un fantasma vivente accoppiato a un fantasma vero. Delle due variazioni sul tema Gualdo, è interessante notare che solo una corrisponde al modello dei fantasmi jamesiani. Maud-Evelyn è realmente «macabra», dato che il protagonista fa del suo fantasma una realtà. La figlia morta dei Dedrick foggia e controlla la vita di lui. In The Tone of Time la situazione è un po' da commedia: la donna, che va alla ricerca del ritratto di un marito che non ha mai avuto, si abbandona a una fantasia non più soprannaturale di quanto lo siano i sogni ad occhi aperti di una fanciulla romantica. James scrisse Maud-Evelyn nel 1899; la novella fu pubblicata sull'«Atlantic Monthly» nell'aprile del Novecento. La incluse nel volume di racconti The Soft Side (1900), ed è questo il testo sul quale è condotta la traduzione.
La terza persona Per quanto riguarda The Third Person, la più solare, la più divertente delle storie di fantasmi di James, l'autore non ci ha lasciato annotazioni o commento d'alcun genere. Non la incluse nella «New York Edition» e perciò non ve n'è traccia nelle Prefazioni all'edizione stessa. Pare non aver avuto il privilegio di essere pubblicata su qualche rivista: finché visse Henry James il racconto apparve un'unica volta in The Soft Side (1900) dove figura accanto a Maud-Evelyn, a The Real Right Thing e a The Great Good Place. Non è però necessario inoltrarsi molto nella lettura per scoprire che il racconto sbocciò per James proprio sulla soglia di casa sua. La cittadina, inventata, di Marr è Rye, nel Sussex, e la vecchia casa in cui le garbate zitelle vivono in compagnia della loro muta apparizione dal collo torto ricalca i tratti generici di Lamb House, la dimora di James. Il quadro che egli dà nel racconto de «la storica cittadina, annidata con i suoi tetti rossi sulla costa meridionale», un tempo «signora della Manica» dalla quale il mare s'è ritirato abbastanza per lasciarla «alta ed asciutta in cima alla collina», è la stessa Rye che James aveva descritto in una lettera come «la Rye accoccolata, sormontata dalla sua chiesa». Questo saggio, dal titolo Henry James
696
1970 - Racconti Di Fantasmi
Winchelsea, Rye and "Denis Duval", fu pubblicato sullo «Scribner's Monthly» nel gennaio 1901, vale a dire pochi mesi dopo The Third Person. Racconto e saggio valgono a chiarirsi reciprocamente: entrambi sono originati dall'entusiastica attrazione per la storia e l'aspetto della cittadina subito da James, e lo stimolo derivatogli da una rilettura di Denis Duval, di William M. Thackeray. Il romanzo di Thackeray si svolge tra Winchelsea e Rye nella seconda metà del xviii secolo. James riguardò quell'opera incompiuta per cogliervi una descrizione di «più recente antichità» (ciò che altrove definì «il visitabile passato»), e scopri che Thackeray aveva scritto di persone e fatti «evitando accuratamente il paesaggio sullo sfondo». Ed era proprio questo di cui Henry James era in cerca: egli sentiva fortemente il paesaggio, e le cittadine gemelle di Rye e Winchelsea offrivano «colpo d'occhio, posizione, colore, spunti». Denis Duval invece, ha osservato James, «avrebbe veramente potuto essere scritto senza che l'autore avesse messo piede sul posto». Un simile addebito non si può certo fare all'autore de The Third Person, che non descrisse mai un luogo senza averlo prima visitato. Nei diari di Mrs James T. Fields è riportata una conversazione a cui ella assistette, conversazione che si svolse tra Sarah Orne Jewett e Henry James, in occasione di una visita che la scrittrice fece a Lamb House: - So che le faccio una domanda sciocca - disse James, - ma lei è proprio stata in quel luogo che descrive in Pointed Fin? - No, - rispose lei, - non esattamente; scrissi il libro per lo più prima di recarmi sul luogo. - E su quell'isola? - continuò James. - No, non proprio, - rispose di nuovo la scrittrice. - Ah! L'avevo immaginato, - replicò James meditabondo. La Rye evocata in questo racconto è la piccola città che Henry James descrive nel suo saggio e nelle sue lettere; si era trasferito a Lamb House nell'estate del 1898 dopo aver firmato un contratto d'affitto di ventun'anni, e nel 1900 aveva finito per comprarla, tanto si era ormai ambientato in quei luoghi. Si immerse nel loro passato, lesse antichi testi, studiò vecchie mappe, si fece raccontare storie e leggende di altri tempi, studiò e decifrò nomi di località e di famiglie in cui inglese e francese si mescolavano. Un bel passo del saggio contiene la descrizione di quella «recente antichità» che riecheggia in The Third Person: Queste comunità sembrano aver avuto, nel loro lungo declino, scarso commercio, all'infuori dei piccoli traffici clandestini con altre coste, nel corso dei quali si impadronirono completamente dell'arte di «turlupinare», Henry James
697
1970 - Racconti Di Fantasmi
come si suol dire, gli ufficiali della dogana. Ancor oggi fa parte della piccola storia romanzata di Rye il fatto di poter teneramente pensare che la limitata ricchezza di cui mena vanto, ha le sue radici nel malcostume degli antenati - non troppo rozzi considerando la loro astuzia -, nelle cospirazioni notturne, nei tranelli, nei sussulti, tutto un affrettarsi, un nascondersi, uno strisciare che sarebbe bastato in qualunque momento a mettere un cappio intorno a più di una gola. Rye e Winchelsea vantavano una storia che risaliva agli albori dell'Inghilterra. Avevano conosciuto violenze e guerre, erano state invase dai francesi e a loro volta dato asilo a quei francesi che a frotte avevano attraversato la Manica per trovare rifugio dopo la revoca dell'Editto di Nantes. A poco a poco le acque si ritirarono e la città si ritrovò infine, verso la fine del xviii secolo, «porto», ma soltanto di nome, spogliata della sua antica grandezza, non più uno dei porti di guardia della costa meridionale. Erano scomparsi i costruttori di navi, partiti i vascelli, cessato il commercio che di essa aveva fatto una prospera città costiera. Rye, che era stata una porta aperta verso il continente, si era ormai chiusa in se stessa. Con il suo declino divenne il centro di contrabbando che James ci descrive. The Third Person riflette in ogni pagina, in ogni riga, l'affetto che lega Henry James alla piccola città. La sua descrizione dei cambi di stagione, il colore delle erte stradine acciottolate, la tranquilla esistenza delle cugine Frush, lo coglie nel suo momento più felice di simpatia umana, di gusto della commedia ironica. E scomparso l'«incubo» dei suoi ultimi racconti di fantasmi: un fantasma gentile, mite, un po' infelice, si sostituisce alle apparizioni ossessive. Le «possedute» zitelle sono addirittura allietate per un po' di tempo dalla presenza del loro malinconico spettro. È una storia di fantasmi senza i terrori che i fantasmi sono soliti suscitare. L'antenato dei Frush sembra non meno spaventato delle donzelle che dovrebbe ossessionare. E gli sforzi che le zitelle compiono per pacificare il triste fantasma tornano a suo vantaggio non meno che al loro.
La belva nella giungla Questo racconto potrebbe essere definito un'ossessione senza fantasma, essendo il fantasma - in questo caso - una belva simbolica che John Marcher crede vedrà un giorno irrompere nella giungla della propria vita. Henry James
698
1970 - Racconti Di Fantasmi
Nella quarantina di pagine di cui si compone il racconto, James ci fa sentire lo scorrere del tempo di un'intera esistenza; e lo fa lasciandoci intuire gli umori, le stagioni, la monotonia dei giorni, le abitudini fisse dei solitari protagonisti, le cui vite si intrecciano mentre essi si muovono sul fondale anonimo di una città indefinita appena adombrata. Gli stessi nomi usati evocano il tempo, i mesi, i tardi pomeriggi, i crepuscoli di cui si compongono le scene. La casa dove l'uomo e la donna si incontrano di chiama Weatherend. Il nome di lei è May, quello di lui Marcher; il loro colloquio decisivo avviene in aprile; ed il protagonista entra nella schiera degli anonimi in un viaggio esistenziale tra vita e morte. Il racconto è molto sostenuto nel tono, ed è intriso di profonda malinconia. Le immagini storiche di James rievocano nazioni senza tempo, grandi monumenti - in Asia, in Egitto, in India - deserti, templi. Al culmine del racconto, Marcher vede d'un tratto May Bartram come una Sfinge, metà donna e metà animale. Ella ha trovato la risposta all'enigma di lui, ma non gliela rivelerà. «Tu dovevi subire il tuo destino, - gli dice, - ciò non significa necessariamente conoscerlo», e con questo mistero tormentoso, lo lascia. Scritto quando James aveva compiuto sessant'anni, questo racconto è da molti considerato il risultato più alto raggiunto dallo scrittore nelle composizioni brevi. Fu incluso nei racconti del soprannaturale, poiché sembra che Henry James lo avesse concepito come la rappresentazione di uno stato ossessivo. The Beast in the jungle è realmente la rappresentazione di un'ossessione, ma è anche altro: è la descrizione di ciò che James definiva «un'avventura negativa». A Marcher infatti non accadde nulla, eppure egli è continuamente perseguitato dalle sue paure. Il racconto, con l'atmosfera e lo stato d'animo che suggerisce, colloca James tra i moderni che hanno tentato di leggere in modo diverso il mistero dell'esistenza e di penetrare la tragedia universale del ventesimo secolo: l'individuo che si estrania dal genere umano e per ciò stesso dall'amore. Marcher è il più agghiacciante della lunga lista di egotisti di James. Il contenuto biografico del racconto - l'elemento personale nell'impersonale - ci riporta alla graduale percezione dello scrittore di non essere riuscito, nonostante la sua grande capacità di intuito, a capire il proprio legame con la sua amica Miss Woolson, la romanziera americana che si suicidò a Venezia nel 1894. James aveva nutrito nei suoi confronti amicizia, e anche un sentimento di devozione, ma, nel suo egotismo, non aveva compreso quale effetto esercitasse su di lei e quanto ella lo avesse Henry James
699
1970 - Racconti Di Fantasmi
amato, come testimoniano alcune lettere allo scrittore. Dopo una decina d'anni, quella profonda e intima esperienza fu trasposta da James in questo strano e ossessivo racconto. Dalle note del dattilografo di James, risulta che The Beast in the jungle fu scritto in pochissimo tempo, in tre o quattro mattinate di intenso lavoro, nel 1902, proprio dopo che lo scrittore aveva ultimato The Wings of the Dove. Questo romanzo ha per tema la «morte a Venezia», avendo in effetti dato forma concreta alla tragedia, vissuta da James otto anni prima, della scomparsa di Miss Woolson. La protagonista Milly Theale muore in solitudine nel suo palazzo veneziano, circondata unicamente da domestici e con un solo amico vicino. Anche Miss Woolson era morta sola, e James scelse la stessa stagione dell'anno - l'epoca in cui i canali e la grande piazza sono battuti dalla pioggia frequente e dalle tempeste. Egli era a Londra quando Miss Woolson morì: non c'era stato un ultimo incontro. E così anche per il protagonista di The Wings of the Dove: anch'egli è a Londra e non vede più Milly. Nel racconto, invece, sembra che James cerchi di immaginare le scene rimaste fuori dalla sua vita e dal suo romanzo: qui infatti c'è un confronto fra i due protagonisti. May muore, e Marcher, visitando la sua tomba - come James aveva fatto a Roma nel 1894 - ha la rivelazione. James scrisse per The Beast in the jungle una sola annotazione nel 1901. In The Ambassadors aveva ritratto un anziano signore che scopre, quando non è ancora del tutto troppo tardi, che può ancora vivere intensamente la vita. «Vivi quanto puoi» si dice Lambert Strether, che scopre in sé zone sommerse di sentimento, mentre, al volgere del secolo, si trova a Parigi. Avendo raccontato questa vicenda, James annotò sui suoi Taccuini l'idea per la storia di un uomo che non fa questa scoperta, e per il quale è davvero «troppo tardi». Egli aveva già scritto una serie di appunti, trastullandosi con l'«idea del troppo tardi - di qualche amicizia, o passione, o vincolo - qualche affetto a lungo desiderato e atteso, che nasce troppo tardi... una passione che avrebbe potuto essere». Gli derivò da ciò l'idea di vita sprecata e, come scrisse, «lo spreco della vita implica di per sé la morte». Un anno prima aveva annotato, in un'altra simile fantasia, il tema di un uomo che sacrifica per la carriera politica le sue ambizioni di artista; fa un matrimonio di interesse, abbandonando la giovane che aveva ascoltato le sue poesie e Henry James
700
1970 - Racconti Di Fantasmi
aveva creduto nel suo genio e nel suo futuro. James pensava che quest'uomo avesse scelto la via della morte spirituale e vivesse per esserne lo spettatore. «La donna che egli sposa lo ha rapito; ma egli è morto, per così dire, nelle sue mani. Il suo cadavere si galvanizza in politica, in pubblico: ha successi, notorietà, figli, ma è morto per se stesso. Egli incontra di nuovo la prima donna, e la parte morta di lui torna a vivere. Anche lei si è nel frattempo sposata, e suo marito e i suoi figli sono morti. Ella è circondata dalla morte, eppure la sua esistenza è piena di vita. L'altra donna, sua moglie, è circondata dalla vita, ma vive con la morte...» Questa annotazione è del 1894, e l'anno dopo, 1895, James riformulò il tema in sintesi: «Lei è l'Io morto di lui: egli è vivo in lei e morto in se stesso». Da questa trama fantastica possiamo districare i fili usati da Henry James nella stesura di The Beast in the Jungle: il tema del «troppo tardi», il tema della morte-in-vita, il tema dello spreco, la donna sensibile con una «identità di sensazioni, di vibrazioni... la Pena della Comprensione». In tutte queste fantasie c'è la nota ricorrente, profondamente sentita, della vita non vissuta. Ma questi temi, con insistenza anche maggiore, assumono la forma della vita non vissuta con una donna, quella cioè di una vita di passione non realizzata. James vide, infine, questo racconto come una. fantaisie: «un uomo ossessionato, sempre di più, per tutta la vita, dalla paura che gli succederà qualcosa, senza sapere di che cosa si tratti». Aveva apparentemente dimenticato che gli appunti di Miss Woolson, che forse aveva letto (gli era stato consentito di consultare le sue carte), contenevano un'idea analoga: «Immaginare un uomo che trascorre la vita cercando e aspettando il suo "grande momento". "E questo il mio momento?" "Questo stato di cose me lo porterà?" Ma il momento non giunge mai. Quando egli è vecchio e malato, esso arriva invece tramite un vicino a cui non ha mai pensato». Come Balzac, James ha usato una grande quantità di metafore animali, e nei suoi racconti del soprannaturale egli vede sempre chi perseguita e chi è perseguitato - il cacciatore e la preda -, in termini di belve della giungla. L'istitu-trice di The Turn of the Screw descrive il periodo di calma che precede le apparizioni dei fantasmi come «quella penombra quieta in cui qualcosa si acquatta o prende vigore. Difatti il mutamento fu simile al balzo d'una belva». E nell'ultimo racconto di fantasmi di James, The Jolly Corner, l'uomo che cerca il suo «alter ego» nella vecchia casa di New York si vede come un cacciatore di caccia-grossa, mentre insegue Henry James
701
1970 - Racconti Di Fantasmi
furtivamente il suo fantasma come fosse una tigre del Bengala, o un grande orso delle Montagne Rocciose; ed egli stesso nella sua immaginazione, confrontandosi con l'altro, prende la forma di un animale «un mostruoso gatto ladro... con grandi occhi gialli fosforescenti». James scrisse The Beast in the Jungle, questo fulgido racconto, attingendo alle grandi profondità della sua esperienza interiore e alla sua immaginazione creatrice di simboli. Non cercò di ridurlo a puntate; lo voleva pubblicare in The BetterSort (1903), un volume di racconti che aveva bisogno di essere «rimpolpato». Con poche revisioni fu ristampato nel volume della «New York Edition» contenente i racconti del soprannaturale. È qui tradotta questa versione definitiva.
L'angolo prediletto Con la sua ultima «storia del soprannaturale» Henry James ha creato una delle sue funzioni più raffinate: il fantasma di un uomo alla ricerca di se stesso; anzi, di quell'aspetto di se stesso ch'egli ha ripudiato. Lo scrittore era tornato negli Stati Uniti nel 1904-905 dopo un'assenza di vent'anni: aveva ripreso possesso del suo vecchio New England, della sua vecchia New York, e per la prima volta era stato nel Sud e nell'Ovest del Paese. Ma alcune delle sue ore migliori le aveva passate a New York, nei paraggi della Washington Square della sua infanzia, tra le vie di Greenwich Village, alla riscoperta di alcuni edifici superstiti, di certi vecchi angoli della sua adolescenza. Conseguenza diretta di questa riscoperta fu - nel 1907 - la stesura di The Jolly Corner. L'io a confronto con se stesso, l'americano rimpatriato che va alla ricerca del personaggio che avrebbe potuto essere se fosse rimasto a casa, in patria. James introdusse in questo racconto ciò che costituiva il mito centrale della sua vita: il mito dell'America in contrasto con l'Europa, il problema della propria identità personale. È questo uno dei più autobiografici dei racconti di James, ed è nello stesso tempo parabola di ogni vita, una ricerca di «ciò che sarebbe potuto essere». Prima d'iniziare questo viaggio Henry James aveva progettato un romanzo nel quale un giovane americano eredita una casa a Londra - una casa che era appartenuta al ramo inglese della sua famiglia: metter piede in questa casa, per l'americano, è come far ritorno nel passato. Questo romanzo, che James intitolò The Sense of the Past, fu lasciato in disparte. Henry James
702
1970 - Racconti Di Fantasmi
Nell'intenzione dell'autore doveva essere uno dei più ghostly che avesse mai scritto; in realtà l'uomo del presente che fa ritorno nel passato avrebbe suscitato un senso di terrore nei vari personaggi di quei primi anni; essi, a loro volta, avrebbero terrorizzato lui che sarebbe vissuto nel continuo senso del disagio di rivelarsi. Andando in America, James si rese conto di stare appunto vivendo l'inverso del romanzo che aveva in mente. Era, la sua, la proiezione di un americano europeizzato che si aggira nella dimora del suo passato americano. The Jolly Corner derivò dunque in certo modo dal romanzo incompiuto intitolato The Sense of the Past, che incompiuto era rimasto alla morte di James. Il romanzo e il racconto sono complementari uno all'altro: in entrambi riscontriamo il meraviglioso faccia-a-faccia del vivo che incontra se stesso in un tempo diverso. Per comprendere appieno l'effetto di questa situazione, bisogna saper apprezzare il «senso del passato» caratteristico di Henry James. Meglio della maggior parte degli storici egli era riuscito, in molte delle sue pagine, a evocare persone e cose delle abitazioni di un tempo; nessun narratore suo contemporaneo si è mai tanto interessato da vicino agli oggetti, ai manufatti di altre epoche studiandoli come reliquie di vite umane, come testimonianze di costumi lontani. Citiamo un brano del suo romanzo incompiuto, dove il giovane storico americano rievoca il passato e pensa agli elementi che vorrebbe introdurre nel romanzo: Voleva l'ora del giorno in cui questo e quello era accaduto, e la temperatura, e il tempo e i rumori, e più ancora voleva il silenzio proveniente dalla strada, e lo sguardo preciso che se ne coglieva dalla finestra, e l'occhiata che si poteva lanciare all'interno, sulle pareti rischiarate dalla luce dei pomeriggi ormai alla fine. Era alla ricerca di eventi impensabili, di quelle piccole note di verità per le quali la lente comune della Storia - per fiero che sia il cipiglio con cui la Musa le scruta - non è forte abbastanza. Aveva bisogno di testimonianze, di una specie per cui non c'erano mai stati documenti sufficienti, o, per quante fossero, le documentazioni non si sarebbero mai dimostrate bastanti. Insomma, era davvero quello il sistema che deve usare l'artista nel cercare di prendersi un braccio ottenendo un dito. Dobbiamo cogliere in questo passo l'aspirazione del narratore curioso ancor più che dello storico: The Jolly Corner ci offre giusto il contrario: il cronista che conosce il passato - il proprio - ma che non saprà mai «quello che avrebbe potuto essere». Henry James
703
1970 - Racconti Di Fantasmi
William Dean Howells, in quell'anno (1899), stava tentando di lanciare il progetto di una pubblicazione edita dagli scrittori americani per i giornali riuniti in sindacato. Era lui che aveva suggerito a James di dar vita a un «fantasma internazionale», qualcosa che avrebbe fuso il successo di The Turn of the Screw col tema «internazionale» degli americani all'estero, tema sul quale si era basata inizialmente la fama di Henry James. Questi rispose che aveva proprio cominciato una storia di quel genere, ma che la trovava «maledettamente difficile»; non era certo di poterla portare a termine in cinquantamila parole, cioè la lunghezza proposta da Howells. Gli spiegò che «quando uno l'ha fatto, e più di una volta come nel mio caso, non è facile "cucinare" un "fantasma" di una certa freschezza. Il disagio, inoltre, è fortissimo quando si deve procedere in base a una determinata scala di lunghezza. Si possono facilmente buttar giù uno o due fantasmi se si tratta di racconti di modeste dimensioni, ma tirare in lungo la storia costituisce uno sforzo che il risultato non basta a far dimenticare del tutto, anche se in passato io ho già trattato la faccenda». Il progetto di Howells non andò in porto e Henry James, da parte sua, decise di non voler continuare The Sense of the Past. Aveva iniziato a scrivere The Ambassadors, una storia che incoraggiava a vivere; perciò, al momento, morte e spauracchi erano lontani dal suo spirito. Scrisse a Howells che aveva accantonato le centodieci pagine del romanzo sui fantasmi, ma che non le aveva scartate del tutto «per amore di qualcosa che in esse c'è, ma per cui ora sono troppo oberato di lavoro e preso da altri pensieri per dedicarvi più tempo a farle venire alla luce». Quel «qualcosa che in esse c'è» era The Jolly Corner. «L'angolo prediletto» - la casa di New York in cui Spencer Brydon insegue lo spettro di se stesso - è situata sulla «Avenue»: una di quelle vecchie case che James aveva rivisitato di recente. «Nell'andare e venire dove l'Undicesima Est e la Decima Ovest aprono le loro corte braccia affettuose... mi accorsi di riconoscere intimamente ciascuno di quegli edifici che i miei esuberanti dieci anni mi avevano indotto a considerare come sede di un'immaginaria avventura. .. così come c'erano degli angoli della Quinta con cui il rapporto era davvero delizioso». Il ritorno a New York aveva rappresentato per James il ritorno «a casa», e la casa significava il tetto materno e paterno. In The Jolly Corner incontriamo una figura materna che aveva aspettato Brydon per tutti gli anni del suo volontario esilio in Europa: il suo nome è Alice e abita in Irving Place... : Henry James
704
1970 - Racconti Di Fantasmi
un riferimento alla famiglia, perché Alice era stato il nome della sorella di Henry, e William James aveva sposato un'Alice, e abitavano a Cambridge, in Irving Street. L'elemento più importante di The Sense of the Past - che Henry James pensava di «carpire» per The Jolly Corner - è il tema di colui che ossessiona e viene a sua volta ossessionato. Questa era l'idea fondamentale del progettato racconto di fantasmi, quel confronto tra uomo e fantasma di cui Bernard Shaw aveva avvertito la mancanza in Owen Wingrave. È abbastanza curioso che, nell'incubo descritto nell'introduzione a questo volume, Henry James abbia tradotto in pratica l'idea di Shaw : egli aveva fatto irruzione da una porta in un momento di massimo panico e aveva messo in fuga un fantasma intruso facendogli percorrere la Galerie d'Apollon del Louvre. Nel suo A Small Boy and Others, descrivendo quest'incubo, James aveva annotato: «La lucidità, per non dire la sublimità della crisi, consisteva nel grande pensiero che io, nel mio stato di ossessionato, ossessionavo a mia volta forse più del terribile fantasma, creatura o parvenza che fosse...» Scriveva questo nel corso del 1912. Due anni dopo, quando cominciò di nuovo a lavorare a The Sense of the Past, descrisse la scena centrale di questo romanzo di fantasmi alludendo al fatto di essersene valso in The Jolly Corner, e prosegui: Punto su ciò che fin dall'inizio mi ha colpito come il centro del mio tema, e l'elemento in esso contenuto dal quale ho detto più sopra di essermi un po' discostato nella trama di The Jolly Corner. L'idea essenziale di questo racconto è che l'avventura del mio protagonista prende qui, per così dire, la forma del rovesciamento di posizione, del cambiare le carte in tavola - come credo di aver detto - di fronte a un «fantasma» o qualunque cosa sia, un'apparizione che veniva a visitarlo o a perseguitarlo, destinata comunque ad ossessionarlo; e che poi, riportando una sorta di vittoria grazie all'aspetto e all'evidenza, questa creatura, questa presenza, era più pesantemente ossessionata da lui che non lui da essa. È questa una nuova descrizione dell'incubo che, nel 1914, sette anni dopo la stesura del racconto, James definiva il tema di The Jolly Corner. In questo racconto, tuttavia, Spencer Brydon non atterrisce lo spettro, ne è lui stesso terrorizzato, sopraffatto. James era più coraggioso nell'inconscia fantasia del suo incubo che non nella più consapevole ideazione della sua novella: il che può forse spiegare il fatto che egli serbava dell'incubo Henry James
705
1970 - Racconti Di Fantasmi
subito un ricordo più preciso che non del racconto che ne aveva tratto. La novella fu respinta da vari direttori di riviste, e Henry James progettò d'includerla nella «New York Edition», senza che fosse prima pubblicata altrove. Stava radunando i racconti di fantasmi (voi. XVII), quando si presentò l'occasione di pubblicarla sulla «English Review», la rivista appena fondata da Ford Madox Hueffer; e in essa comparve nel dicembre 1908. Fedele alla sua abitudine di revisore, persino l'ultima stesura subf, nel passaggio dalla rivista all'edizione in libro, qualche trascurabile alterazione, come la modifica del nome della donna delle pulizie da Mrs Muldoody in Mrs Muldoon. Ma, sotto altri aspetti, il racconto è lo stesso: l'ultima e definitiva registrazione o «analisi», come precisò James, di uno stato ansioso: il fantasma della mente inseguito, un alter ego braccato che il protagonista finisce per accettare.
Henry James
706
1970 - Racconti Di Fantasmi