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ANNE McCAFFREY PERN (Dragonsdawn: Landing, 1988) 1. «Rilevamenti delle sonde in arrivo, Signore,» annunziò Sallah Telgar senza distogliere lo sguardo dalle luci che lampeggiavano sul pannello. «Li passi sullo schermo, per favore, Pilota Telgar,» ordinò l'Ammiraglio Paul Benden. Appoggiata alla sua poltrona di comando, Emily Boll gli stava accanto, gli occhi fissi sul pianeta soleggiato, pressoché inconsapevole dell'attività che ferveva attorno a lei. La Spedizione di Colonizzazione del pianeta Pern era giunta al momento culminante del suo lungo viaggio di quindici anni nello spazio: le tre astronavi dei coloni, la Yokohama, la Bahrain e la Buenos Aires, si stavano avvicinando finalmente all'agognata destinazione. Negli uffici ubicati sotto il Ponte di Comando, gli esperti attendevano con impazienza gli aggiornamenti sui dati riportati tanto prima dalla Squadra di Esplorazione e Valutazione - i cui componenti erano morti ormai da un pezzo - che duecento anni prima aveva raccomandato il terzo pianeta del Sistema di Rukbat quale luogo idoneo per un insediamento coloniale. Il lungo viaggio verso il Settore del Sagittario si era svolto senza intoppi, e l'unico momento di eccitazione era stata la sorpresa provocata dall'avvistamento della Nube di Oort che cingeva il sistema solare verso il quale si stavano dirigendo. Quel fenomeno continuava ad assorbire l'attenzione di alcuni membri del personale spaziale e scientifico; Paul Benden, invece, vi aveva perso ogni interesse da quando Ezra Keroon, Capitano della Bahrain ed Astronomo della spedizione, gli aveva garantito che quella massa nebulosa di meteoriti glaciali non costituiva nulla più di una curiosità astronomica. Ad ogni modo, sarebbe stato meglio tenerla d'occhio come aveva consigliato lo stesso Ezra il quale, pur consapevole che nelle profondità di quella nebulosa si sarebbero potuti formare dei vortici, dubitava però che questi potessero rappresentare una seria minaccia per le tre astronavi o per il pianeta al quale si stavano avvicinando rapidamente. D'altronde, la Squadra di Esplorazione e Valutazione non aveva accennato ad alcuna attività insolita di meteoriti sulla superficie di Pern.
«Monitoraggio dei dati, Signore,» confermò Sallah, «sul due e sul cinque.» Con la coda dell'occhio, scorse l'Ammiraglio abbozzare un sorriso. «In fondo, non c'è nulla di sconvolgente in queste immagini,» mormorò Paul ad Emily Boll mentre sugli schermi apparivano i dati relativi agli ultimi rilevamenti. Le braccia incrociate sul petto, Emily non si era mossa da quella posizione dal momento in cui erano state lanciate le sonde; l'unico segno di vita era dato da un distratto tamburellare delle dita sulle braccia. La donna sollevò il sopracciglio destro in una contrazione cinica e continuò a fissare lo schermo. «Beh, si tratta solo di un'ulteriore procedura di avvicinamento alla superficie. Naturalmente,» aggiunse in tono secco, «tutto ciò che ci viene riferito sembra sorprenderci, ma suppongo che sapremo affrontare qualsiasi eventualità.» «Dovremo affrontarla!», ribatté Paul Benden con una punta di acredine. Il viaggio non prevedeva un ritorno, e ciò era inevitabile considerando l'alto costo richiesto dal trasporto di oltre seimila coloni e dei loro approvvigionamenti in un settore così remoto della galassia. Una volta raggiunto Pern, il carburante rimasto nelle grosse astronavi da trasporto sarebbe stato sufficiente soltanto per mantenere un'orbita sincrona al di sopra della loro destinazione, mentre la gente e le merci sarebbero state traghettate sulla superficie. Per sicurezza, le astronavi disponevano di capsule autoguidate capaci di raggiungere il Quartiere Generale della Confederazione dei Pianeti Senzienti in soli cinque anni. Tuttavia, per uno stratega, anche se in pensione come Paul Benden, quelle fragili capsule automatiche non costituivano una grande sicurezza nell'ottica di un sicuro ritorno. La spedizione diretta a Pern era composta da persone dotate di ingegno e senso di responsabilità, gente che aveva deciso di sottrarsi alla sofisticata tecnologia che dominava la Confederazione dei Pianeti Senzienti. Si trattava di individui capaci di affidarsi esclusivamente alle proprie risorse e, benché la loro destinazione all'interno del Sistema di Rukbat fosse talmente ricca di minerali e metalli preziosi da poter sostenere una società basata sull'agricoltura, essa Testava comunque talmente povera e distante dal centro della galassia da non stuzzicare l'insaziabile appetito dei Tecnocrati. «Ancora un poco, Paul,» mormorò Emily in un sussurro che soltanto l'Ammiraglio poté udire, «e tutti e due ci saremo liberati di un grave peso.»
L'uomo le sorrise, conscio che anche per lei era stata un'impresa sfuggire alle lusinghe dei Tecnocrati riluttanti all'idea di dover perdere due eroi di guerra dotati di un così grande carisma: l'Ammiraglio che aveva vinto la Battaglia Spaziale di Cygnus, e l'eroica Governatrice della Costellazione di Prima del Centauro. Tuttavia, nessuno aveva potuto negare che essi erano i capi ideali per la missione su Pern. «A proposito di pesi,» continuò la donna in tono più sonoro, «sarà meglio che raggiunga la mia Squadra: con l'arrivo delle nuove rilevazioni, mi toccherà fare da giudice tra quegli esperti. Immagino che non abbiano torto nel considerare ciascuno la sua disciplina come la più importante in assoluto, però sono così litigiosi!» Soffocò un borbottio, quindi sorrise, mentre gli occhi azzurri le rilucevano sul viso dai tratti quasi scialbi. «Ancora qualche giorno di discussione e si passerà alle vie di fatto, Ammiraglio.» Lo conosceva bene; l'Ammiraglio detestava quelle interminabili discussioni su argomenti insignificanti che sembravano ossessionare gli addetti alle operazioni di atterraggio. Preferiva le decisioni rapide e la loro immediata attuazione, piuttosto che star lì a dibatterne fino alla morte. «Tu sei più paziente di me con le tue Squadre,» disse calmo l'Ammiraglio. Gli ultimi due mesi, durante i quali le tre astronavi avevano diminuito la velocità entrando nel Sistema di Rukbat, erano stati appesantiti dalla noia delle riunioni e dei dibattiti che, secondo Paul, non avevano fatto altro che far sprecare tempo tra procedure completamente superate già diciassette anni prima, durante la fase di progettazione dell'impresa. La maggioranza dei 2900 coloni che si trovavano a bordo della Yokohama, aveva trascorso l'intera durata del viaggio in uno stato di sonno profondo. Il personale necessario al controllo ed alla gestione delle tre grandi astronavi, si era alternato in turni di veglia di cinque anni ciascuno. Paul Benden aveva scelto di restare sveglio durante il primo e l'ultimo quinquennio. Emily Boll era stata risvegliata poco prima degli altri specialisti ambientali, i quali avevano trascorso tutto il tempo di veglia a mettere in ridicolo la superficialità della relazione presentata dai Corpi di Esplorazione e Valutazione. La donna aveva ritenuto inutile rammentare a quegli esperti con quale entusiasmo avevano commentato quelle stesse parole allorché si erano offerti volontari per la spedizione su Pern. Paul continuava a ricevere le informazioni offerte dal quadro luminoso spostando rapidamente gli occhi da uno schermo all'altro mentre strofinava con aria assorta il pollice destro sulle altre dita.
Pur non essendo il genere d'uomo verso il quale Emily si sentiva attratta, Paul Benden era comunque un individuo di innegabile bellezza, e lo era ancor più adesso che aveva i capelli cresciuti, che gli ricoprivano il capo solitamente rapato, fatto questo che un tempo era stato un suo tratto di distinzione. Agli occhi di Emily, quella folta chioma bionda addolciva i lineamenti decisi del suo volto, ossia il naso piatto, la mascella volitiva e la larga bocca dalle labbra sottili, in quell'istante appena sollevate verso sinistra in un abbozzo di sorriso. Il viaggio gli aveva giovato: appariva in forma e pronto a fronteggiare le difficoltà dei mesi a venire. Emily ne ricordava la spaventosa magrezza alla cerimonia ufficiale della commemorazione per la sua brillante vittoria a Cygnus, quando l'Ammiraglio e la Flotta del Settore Purpureo avevano ribaltato le sorti della guerra contro i Nathi. La leggenda voleva che fosse rimasto sveglio e attivo per tutte le settanta ore che era durata la battaglia cruciale. Ed Emily ci credeva. Lei stessa aveva fatto qualcosa del genere nelle fasi culminanti dell'attacco dei Nathi contro il suo pianeta. Sapeva per esperienza che un individuo poteva fare molte cose se vi era costretto. Si aspettava però che, una volta più avanti negli anni, avrebbe pagato le conseguenze di qualsiasi abuso fisico. Ma ciò non sembrava essere il caso di Benden il quale, nel pieno dei suoi sessant'anni, sfoggiava un aspetto sano e vigoroso. E, quanto a lei, certamente non avvertiva alcun calo delle proprie energie: quattordici anni di sonno profondo sembravano averle tolto di dosso la spaventosa spossatezza inevitabilmente derivata dalla difesa di Prima Centauri. Ed ora, a quale magnifico mondo si stavano avvicinando! Emily sospirò, ancora incapace di distogliere lo sguardo dallo schermo principale per più di un secondo. Sapeva che il personale in servizio sul Ponte di Comando, nonché gli uomini del turno precedente che non avevano lasciato i loro posti, erano del tutto affascinati dalla stupenda visione della loro destinazione. Non ricordava chi lo aveva battezzato Pern; con ogni probabilità le singole lettere che formavano quella parola e che ricorrevano nella relazione stavano a significare qualcosa di diverso, ma ufficialmente quello era Pern, ed apparteneva a loro. Si trovavano adesso su una rotta equatoriale; come poteva osservare dal monitor, la pigra rotazione del pianeta ne celava il continente settentrionale e la catena montuosa che si ergeva sulla costa, mentre ne rivelava il deser-
to occidentale e la terraferma meridionale. La caratteristica topografica predominante era costituita dalla vasta estensione oceanica, 'una massa acquea di una sfumatura appena più verde di quella della vecchia Terra, con un anello di isole sparse qui e là. L'atmosfera era al momento attraversata da una vorticosa spirale di nubi appartenenti ad un'area di bassa pressione che avanzava rapidamente in direzione nordest. Che mondo meraviglioso! Emily sospirò ancora ed incrociò una veloce occhiata di Paul. Gli ricambiò il sorriso senza staccare gli occhi dallo schermo. Un mondo bellissimo! Ed era tutto loro! «Diamine, stavolta non sarà un fallimento!», si disse con fervore. Con tutta quella magnifica terra fertile, i vecchi imperativi non avevano più ragione d'esistere. «Purtroppo no», aggiunse con intimo cinismo, «la gente ne sta già scoprendo di nuovi.» Ripensò agli attriti che aveva percepito tra i promotori della missione che con gran fatica si erano procurati i fondi necessari a finanziare la spedizione su Pern - e gli esperti assunti a contratto perché dotati delle particolari doti richieste per l'impresa. Entrambi ne avrebbero guadagnato un ricco bottino di diritti fondiari e minerari sul nuovo mondo, ma la precedenza nella scelta, accordata ai promotori, era stata il pomo della discordia. Le differenze! Perché dovevano sempre esserci delle distinzioni, arrogantemente ostentate come fattori di superiorità, o derise come inferiorità? Tutti, sul nuovo pianeta, avrebbero avuto le medesime opportunità, indipendentemente dal numero di acri che avrebbero potuto esigere in quanto promotori o che erano stati loro assicurati in quanto contrattisti. Su Pern ogni individuo avrebbe dovuto far vedere quanto valeva in realtà, imponendo i suoi diritti e dimostrando di saper gestire quanta terra desiderava per sé e per i suoi. Questo sarebbe stato l'unico tipo di distinzione. «Una volta atterrati», si disse Emily, «tutti saranno così occupati da non affliggersi certo con la storia delle differenze». Rapita, contemplava una seconda area di bassa pressione che cominciava a discendere in un turbine dal nord, contano oltreoceano. Se i due sistemi metereologici si fossero incontrati, sarebbe esploso un terribile temporale al di sopra della curva orientale delle isole oceaniche. «Non sembra poi tanto male,» mormorò il Comandante Ongola con la sua voce profonda e triste da basso. Nei suoi sei mesi di veglia, Emily non lo aveva visto sorridere neppure una volta. Paul le aveva detto che la moglie, i figli, e tutta la famiglia di
Ongola, erano stati uccisi quandi i Nathi avevano attaccato la Base Militare. Era stato Paul a chiedere espressamente di unirsi alla spedizione. Assegnato al quadro per il controllo scientifico, Ongola stava ora guardando i monitor meteorologici ed atmosferici. «Contenuto atmosferico come previsto. Le temperature del continente meridionale appaiono normali in rapporto alla stagione invernale avanzata. Abbondanti precipitazioni dovute a masse gassose di bassa pressione nel continente settentrionale. Analisi e temperature corrispondenti alla relazione dei CEV (Corpi di Esplorazione e Valutazione già accennati).» La prima sonda stava compiendo una circumnavigazione ad alta quota seguendo un piano di volo tale da consentire di fotografare l'intero pianeta. La seconda, su una rotta a livello più basso, consentiva invece di riesaminare qualsiasi porzione di terreno necessitasse. La terza sonda era programmata per la rilevazione delle caratteristiche topografiche. «Le sonde quattro e sei hanno atterrato, Signore. La cinque si mantiene in quota,» annunziò Sallah interpretando il significato dei lampeggiamenti sullo schermo. «Sganciati i bracci snodati». «Le mostri sugli schermi, Pilota Telgar,» ordinò l'Ammiraglio. Sallah trasferì i dati sugli schermi tre, quattro e sei. L'immagine di Pern continuava a campeggiare sullo schermo principale mostrando il pianeta nel suo lento rotare verso est, dalla notte verso il giorno. La fascia costiera del continente meridionale era illuminata a giorno, e rivelava la dorsale montana e i corsi fluviali. La sonda termica mostrava l'effetto prodotto dalla luce diurna sull'avanzata stagione invernale nel continente meridionale. Le sonde spaziali erano approdate in tre punti specifici non ancora visibili dell'emisfero meridionale, e stavano trasmettendo dati sul suolo e le condizioni attuali. Il continente meridionale era stato sempre indicato come la sede d'appoggio preferibile: la relazione della Squadra di Perlustrazione aveva riferito di una maggiore clemenza metereologica su quegli altipiani elevati, ed aveva accennato all'esistenza di una vasta varietà di vita vegetale, in parte commestibile per gli esseri umani. Aveva anche parlato di estensioni di terra prevalentemente adatte alla coltivazione, e di porti adatti per i pescherecci di duro siliplex, che erano stipati in pezzi numerati nelle stive della Buenos Aires e della Bahrain. I mari di Pern brulicavano di vita acquatica e, sicuramente, qualcuna delle specie esistenti poteva essere mangiata senza correre pericoli. I biologi nutrivano buone speranze di popolare le baie e gli estuari con specie ittiche
provenienti dalla Terra senza danneggiare l'equilibrio biologico esistente. Nelle cisterne surgelatrici della Bahrain, vi erano anche venticinque delfini aggregatisi volontariamente alla spedizione. I mari di Pern si mostravano quasi tutti adatti ad ospitare quei mammiferi intelligenti, felici di vedersi affidare la vigilanza della vita marina nonché di godere dell'opportunità di conoscere nuovi mondi. Le analisi del suolo avevano rivelato che i legumi e i cereali terrestri, già bene adattatisi al suolo di Prima Centauri, sarebbero proliferati su Pern, cosa questa indispensabile visto che le erbe locali erano inutilizzabili per gli animali provenienti dalla Terra. Uno dei primi compiti che attendevano gli agronomi sarebbe stata appunto la semina di foraggi per il sostentamento della varietà di erbivori e ruminanti trasportati in forma di ovuli fecondati dopo essere stati prelevati dalla Banche di Riproduzione Animale della Terra. Affinché i coloni avessero la certezza di poter adattare gli animali terrestri alla vita su Pern, era stato loro accordato - non senza una certa riluttanza - il permesso di ricorrere a talune avanzate tecniche biogenetiche approntate dagli Eridanitve in particolare alla sintesi mentale, alla raffinazione genetica ed al perfezionamento cromosomico. Per quanto Pern si trovasse in un'area isolata della galassia, la Confederazione dei Pianeti Senzienti non voleva assolutamente correre il rischio di altri disastri simili alle alterazioni biologiche contro le quali era sorto il potente Gruppo per la Difesa dell'Umanità Pura. Emily Boll represse un brivido. Quei ricordi appartenevano al passato. Sullo schermo davanti a lei appariva invece il futuro, e la cosa migliore da farsi era scendere dagli specialisti per aiutarli ad organizzarlo. «Beh, adesso basta trastullarsi,» bisbigliò a Paul Benden toccandogli la spalla in segno di commiato. Paul staccò gli occhi dal monitor e le sorrise contraccambiando il saluto con un buffetto amichevole sulla mano. «Va prima a mangiare!» Un suo dito oscillò severamente verso di lei. «Non ti vuoi ricordare che qui a bordo della Yoko non abbiamo i viveri razionati.» La donna lo guardò con occhi spaventati. «Mangerò. Lo prometto.» «Ci attendono giorni meno tranquilli.» «Hmmm, ma così stimolanti!», ammiccò lei con i suoi occhi azzurri. Il suo stomaco a quel punto brontolò sonoramente.
«Vado, Ammiraglio,» disse. Strizzò ancora gli occhi e si allontanò. L'uomo la osservò mentre si dirigeva all'uscita più vicina: era una donna magra, quasi ossuta, con i capelli grigi e naturalmente ondulati che le ricadevano sulle spalle. Ciò che più piaceva di lei a Paul erano la sua forza e la sua tenacia fisica e morale, associate ad una determinazione che talvolta lo spaventava. Emily era dotata di una enorme vitalità personale e bastava trovarsi in sua presenza per riprendere animo. Insieme avrebbero tirato fuori qualcosa di buono da quel nuovo mondo. Rivolse gli occhi allo schermo principale che si trovava alle sue spalle e dal quale si irradiava la vista affascinante di Pern. 2. La grande sala era stata adibita ad ufficio per i Capi delle diverse Sezioni di Esobiologia, Agronomia, Botanica ed Ecologia, nonché per i rappresentanti degli agricoltori appena reduci dal loro periodo di animazione sospesa e per questo ancora un po' barcollanti. Un anello di schermi multipli campeggiava nella sala inviando un costante mutamento di dati microbiologici, rilevazioni statistiche, confronti ed analisi. Un'accesa discussione era in corso tra gli esperti. Gli addetti ai monitor, curvi sui loro schermi e intenti a raccogliere freneticamente i dati in arrivo, cercavano di ignorare la tensione che emanava dai Capi Dipartimento radunati al centro della sala in un gruppo serrato, ciascuno con un occhio allo schermo che proiettava i dati inerenti la propria specializzazione. Mar Dook, Agronomo Capo, era un uomo di piccola corporatura dai cui tratti somatici emergeva palese l'antica origine asiatica e terrestre: smilzo e un po' curvo nelle spalle, i suoi occhi neri luccicavano con ardore e intelligenza per l'eccitazione della sfida. «Il programma è già stato deciso da un pezzo, miei cari colleghi. Noi facciamo parte della prima ondata di sbarco. Le sonde non contraddicono nessuna delle informazioni in nostro possesso. I campioni del suolo e della vegetazione corrispondono. Lungo la costa è stato rilevato sempre lo stesso tipo di alghe verdi e rosse. La sonda marina ha avvistato esseri viventi nelle acque. Una delle sonde di bassa quota ha catturato una cospicua varietà d'insetti rilevati a suo tempo anche dai CEV. L'aereo-fax pervenuto dalla stessa sonda ha rilevato la presenza di - com'è che la squadra li aveva chiamati? - ah, ecco, wherry. (leggera imbarcazione a remi.)»
«Perché proprio "wherry"», domandò Phas Radamanth. Esaminò attentamente la relazione in cerca di quella particolare annotazione. «Ah, ecco», esultò quando la ebbe trovata. «Li hanno chiamati così perché assomigliano a zattere volanti dato che sono schiacciati, grassi e compatti.» Si concesse un sorrisetto per la bizzarria della denominazione usata da quella Squadra ormai morta da tanto tempo. «Sì, ma non vedo nessun riferimento ad altri predatori.» Commentò Kwan Marceau, la fronte piuttosto spaziosa increspata come sempre in un severo cipiglio. «Dev'esserci di certo qualcosa che li divora,» ribatté Phas in tono sicuro. «O si divorano l'un l'altro,» suggerì Mar Dook. Affermazione questa che gli costò una bieca occhiata di Kwan. D'improvviso, Mar Dook indicò eccitato il nuovo fax apparso su uno degli schermi. «Guardate! Il braccio meccanico ha catturato un rettiloide. È un esemplare piuttosto grosso, che misura dieci centimetri di larghezza e sette metri di lunghezza. Ecco il tuo divoratore di wherry, Kwan.» «Un altro braccio è appena finito su una pozza di materiale escretivo, semiliquido, che contiene parassiti intestinali e batteri,» osservò Pol Nietro schedando in fretta la rilevazione per seguire l'ulteriore trasmissione di dati. «Sembra che vi siano anche moltissimi abitatori del suolo di natura simile a quella dei vermi. A mio parere si tratta di una varietà assai significativa. Sono vermi simili a nematodi, insettoidi e bachi, che non sarebbero per nulla fuori luogo nel suolo terrestre. Ted, ecco qualcosa che ti può interessare: sono delle piante simili alla nostra micorriza... funghi arborei. A proposito, mi domando dove la Squadra dei CEV può aver trovato quel micelio luminoso.» Ted Tubberman, uno dei botanici della colonia, emise uno sbuffo sprezzante. Era un uomo grosso e robusto - che nonostante quindici anni di sonno profondo non mostrava alcuna traccia di ciccia superflua - il quale aveva la tendenza ad imporsi sugli altri. «Gli organismi luminosi si trovano solitamente nelle caverne a grande profondità, Nietro, giacché adoperano la luce per attirare le loro vittime", che sono generalmente degli insetti. Il micelio rilevato dalla Squadra si trovava in un sistema di grotte di quella grossa isola situata a sud del continente settentrionale. Pare che questo pianeta possegga un numero considerevole di sistemi di grotte. Come mai non sono stati previsti dei bracci snodati per le esplorazioni sotterranee?», chiese poi in tono offeso. «Abbiamo usato tutti quelli disponibili, Ted,» si giustificò Mar Dook in
tono conciliante. «Ah, guardate! Ecco: questo è proprio ciò che mi aspettavo,» annunziò Kwan, il volto solitamente solenne ora illuminato mentre si chinava fino a sfiorare col naso il piccolo schermo davanti a lui. «Vi sono dei sistemi di scogliere. E sì, anche un'ecologia marina equilibrata seppur fragile lungo gli anelli insulari. Mi sento molto incoraggiato. È possibile che i segni tondeggianti individuati sul suolo derivino da una tempesta di meteoriti.» Ted scartò immediatamente quella ipotesi. «No. Non è dovuto ad un impatto, e la recente crescita di flora non corrisponde ad un tale genere di fenomeno. Ho intenzione di esaminare a fondo il problema non appena mi sarà possibile.» «La prima cosa che dobbiamo fare,» intervenne Mar Dook in tono di gentile rimprovero, «è selezionare le sedi idonee, arare il terreno, esaminarlo e, in caso positivo, introdurvi i funghi e i batteri in simbiosi, e persino i coleotteri necessari per la terra da pascolo.» «Ma noi non sappiamo ancora quale sarà la sede scelta per l'atterraggio.» La faccia di Ted era rossa per la collera. «Delle tre zone che stiamo ispezionando, una vale l'altra,» replicò Mar Dook con un sorriso tollerante. Trovava tediosa la petulante irrequietezza di Tubberman. «Tutte e tre ci offrono una vasta gamma di terreni da sottoporre a controlli ed esperimenti. I nostri compiti fondamentali restano i medesimi, indipendentemente dal luogo sul quale atterreremo. Il problema principale è quello di non perdere la prima stagione di coltivazione e sviluppo che per noi assume un'importanza vitale.» «Gli animali devono essere risvegliati al più presto,» affermò Pol Nietro. Lo Zoologo Capo era impaziente come tutti gli altri di tuffarsi a capofitto nel lavoro vero e proprio. «E contare sulle provviste di foraggio alfalfa, non contribuirà certo ad adattare il loro apparato digerente al nuovo ambiente. Dobbiamo pur iniziare, se intendiamo andare avanti: che sia Pern a provvedere ai nostri bisogni!» Un mormorio di assenso commentò quest'ultima affermazione. «L'unica novità che emerge da questi rilievi,» disse lo xenobiologo Phas Radamanth in tono incoraggiante e senza distogliere gli occhi dagli schemi, «è la densità della vegetazione. Probabilmente ci toccherà sgomberare il terreno più di quanto ci fossimo aspettati nella località Quarantacinque Undici, Est. Vedete qui?» Accennò con un gesto alle diverse immagini. «Laddove le riproduzioni dei CEV avevano evidenziato solo delle sporadi-
che macchie di vegetazione, adesso notiamo una coltre molto più spessa e diffusa, in certi casi di dimensioni più che notevoli.» «Ci mancherebbe altro dopo duecento e passa anni!», proruppe Ted Tubberman irritato. «Quella siccità non mi è mai piaciuta. Mi sapeva di una ecologia depauperata. Ehi! La maggior parte di quelle tracce circolari sono ricoperte da una vegetazione lussureggiante. Felicia, fai scorrere le pellicole riprese dai CEV corrispondenti a quelle zone.» Chinò la sua grossa corporatura al di sopra della spalla dell'operatore così da poter guardare il doppio schermo posto al di sotto del monitor che trasmetteva le immagini rilevate dalla sonda. «Vedete? Quei cerchi adesso si distinguono perfettamente. La Squadra non si sbagliava sull'esistenza di un ciclo vegetale. E non si tratta di un erboide. Se quella è una vegetazione mutante...» Si allontanò dai monitor a passi lenti, scuotendo il capo e tenendo il mento rivolto in avanti. Più volte aveva insistito accanitamente sul fatto che il successo di Pern quale pianeta-colonia, dipendesse dalla condizione del suo apparato vegetale. «Anch'io sono ben lieto di constatare la buona salute della vegetazione ma, stando alle relazioni dei CEV, è...» Mar Dook fu interrotto. «Lascia perdere le relazioni dei CEV. Quelle non ci dicono nemmeno la metà di quanto avremmo bisogno di sapere,» esclamò Ted. «La chiamano indagine, ma non è altro che un rapido colpo d'occhio. Non vi è un minimo di approfondimento: è il rapporto più superficiale che abbia mai letto.» «Condivido totalmente,» intervenne la voce pacata di Emily Boll che era entrata nel momento in cui il botanico dissertava col suo caratteristico tono declamatorio. «La relazione trasmessaci dai CEV appare piuttosto carente se confrontiamo i dati con quanto rileviamo adesso circa la nostra nuova dimora. Questo è vero, tuttavia i punti più cruciali, i fattori maggiormente salienti, sono tutti ben illustrati. Sappiamo ciò che ci occorre sapere, e la Federazione dei Pianeti Senzienti è stata ben lieta di consegnarci un pianeta che evidentemente non aveva nulla che potesse farle gola. «Certamente non si tratta di un pianeta che può interessare ai Sindacati. Ed è proprio per questo che ci è stato concesso di prenderlo. Credo quindi che dovremmo essere riconoscenti verso quella Squadra, e non così critici. «Gli elementi di importanza fondamentale - l'atmosfera, l'acqua, il suolo coltivabile, i metalli, i minerali, i batteri, gli insetti, la vita marina - sono tutti presenti, e quindi Pern è adatto all'insediamento umano. Le lacune, le
indagini in profondità di cui la relazione è carente, sono vuoti che avremo una vita intera per colmare. Una sfida per ciascuno, per tutti noi, e per i nostri figli!» Il timbro basso della sua voce echeggiò nella sala gremita. «Ormai non è più il momento di preoccuparci per quanto non ci è stato detto prima. Troveremo presto da noi tutte le risposte. Adesso concentriamoci piuttosto sul lavoro che ci aspetta tra due soli giorni e che non è poco. Dì un po', Mar Dook: c'è qualcosa nei dati che suggerisca di modificare il programma?» «Niente,» rispose Mar Dook lanciando una cauta occhiata a Ted Tubberman che a sua volta guardava accigliato Emily Boll. «Ma quei campioni di suolo e di materia vegetale ci terranno occupati per un bel po'.» «Ne sono certa,» approvò Emily rivolgendogli un largo sorriso. «Avremo abbastanza da fare... Ah, ecco l'informazione che ti occorreva. Hai di che divertirti, Mar!» «Però non sappiamo ancora dove atterreremo,» si lamentò Ted. «L'Ammiraglio ne sta discutendo proprio adesso Ted,» replicò Emily senza mutare il suo tono di voce. «Saremo tra i primi a saperlo.» Gli agronomi sarebbero stati i primi ad essere sbarcati sulla superficie di Pern giacché, per il futuro della colonia, era d'importanza vitale adattare il suolo alla coltivazione nel più breve tempo possibile. Sicché, mentre gli ingegneri avrebbero approntato le piste di atterraggio, gli agronomi avrebbero effettuato l'aratura dei campi, e Ted Tubberman, coadiuvato dal suo gruppo di collaboratori, avrebbe portato dei campioni e quindi inseminato il prezioso terriccio recato dalla Terra. Pat Hempenstall avrebbe invece preparato un campo sperimentale adoperando del terreno locale al fine di osservare se le varianti terrestri o coloniali sarebbero attecchite spontaneamente in un suolo alieno. Inoltre, era stato portato anche un buon numero di organismi in ceppi innestati, così da poter introdurre dei simbionti. «Sarò molto felice,» sussurrò Pol Metro, «se le nuove rilevazioni confermeranno la presenza di quegli insettoidi alati e sotterranei cui aveva accennato la relazione della Squadra dei CEV. Se si dimostreranno atti a svolgere il lavoro tipico dei coleotteri e delle mosche stercorarie sui nostri detriti di tipo terrestre, gli agronomi avranno senz'altro un ottimo avvio. Il nostro compito è quello di introdurre delle sostanze nutritive nel terreno oltre ai batteri del rumine, ai protozoi ed ai fermenti per le nostre mucche, per le pecore, le oche e i cavalli, che potranno in tal modo prosperare.» «In caso contrario, Pol,» aggiunse Emily, «potremo chiedere a Kitti di
adoperare un pizzico della sua magia molecolare così da riadattare gli organismi disponibili in modo che siano compatibili con quanto Pern ha da offrire.» Ciò detto, sorrise con grande deferenza alla donna minuta che si trovava al centro del gruppetto. «Campioni di suolo in arrivo,» annunziò Ju Adjai. «C'è una mistura vegetale per te, Ted. Vieni un po' a vederla.» Tubberman si precipitò al monitor accanto a Felicia e le dita agili e destre del botanico si impadronirono della tastiera. Nel giro di pochi secondi, il ticchettio dei tasti, accompagnato da mormorii assorti e da altri commenti denotanti un'estrema attenzione, si diffuse nella sala. Emily e Kit Ping si scambiarono alcuni sguardi di divertita compiacenza per le stramberie dei loro giovani colleghi. Poi, l'anziano Kit riportò lo sguardo sullo schermo principale continuando a contemplare il mondo al quale si stavano avvicinando rapidamente. Nel sedersi davanti alla sua postazione di controllo, Emily si domandò a quale buona stella fosse dovuta la grande fortuna grazie alla quale la spedizione aveva potuto avvalersi della partecipazione della più eminente genetista dei Pianeti Senzienti Confederati: l'unico essere umano ad aver frequentato l'Alta Scuola degli Eridaniti. Emily aveva visto soltanto in fotografia gli uomini orribilmente deformi reduci dalla prima missione su Eridano. Represse un fremito. Pern non avrebbe mai richiesto un tal genere di abominevoli manipolazioni. Forse era proprio questo che aveva indotto Kit Ping a desiderare di spingersi fino ai confini della galassia, per concludere quella che era stata la sua lunga e burrascosa esistenza, in una tranquilla laguna dove anche lei avrebbe potuto operare sulla sua memoria un'amnesia selettiva. Erano molti gli iscritti nell'elenco dei componenti della colonia venuti lì per dimenticare quel che avevano visto e fatto in precedenza. «Penetrare quella distesa erboide che ricopre la zona orientale di atterraggio sarà un bel problema,» disse Ted Tubberman accigliato. «C'è un alto contenuto di boro. Spunterà le lame e ostruirà gli ingranaggi.» «Ma ci renderà morbido l'atterraggio,» ironizzò Pat Hempenstall ridacchiando. «Le nostre unità di atterraggio sono approdate senza danni su terreni ben più duri di quello,» rammentò Emily agli altri. «Felicia, mostra sullo schermo le immagini relative alla evoluzione della
vegetazione intorno a quei bizzarri cerchi sul terreno,» aggiunse Ted Tubberman, con gli occhi puntati sui monitor davanti a sé. «C'è qualcosa in quei cerchi che continua a preoccuparmi. Il fenomeno è esteso a tutto il pianeta. Sarei felicissimo di sapere cosa ne pensa quella specie di mago della geologia, Tarzan...» Si interruppe. «Tarvi Andiyar,» lo soccorse Felicia, abituata ai vuoti mnemonici di Ted. «Ecco. Ricordagli di venire a parlare con me quando si sarà risvegliato. Dannazione, Mar, come possiamo cavarcela se soltanto la metà degli esperti sono svegli?» «Splendidamente, Ted! Pern si sta comportando benissimo con noi: finora non abbiamo rilevato una sola differenza coi dati in nostro possesso.» «C'è quasi da preoccuparsi,» commentò Pol Nietro con ironia. Tubberman sbuffò, Mar Dook alzò le spalle, e Kitti Ping sorrise. 3. Il cronometro ronzava al polso dell'Ammiraglio Benden rammentandogli che per lui era ora di andare alla riunione. «Comandante Ongola, mantieni tu il collegamento.» Riluttante, gli occhi fissi sullo schermo principale fino a che il pannello di accesso alla porta di uscita si fu chiuso, Paul si allontanò dal Ponte di Comando. Mentre si dirigeva verso il Quadrato, Paul notò una maggiore animazione lungo i corridoi dell'astronave. Persone rianimatesi da poco si aggrappavano ai corrimano e a strattoni si sgranchivano gli arti irrigiditi cercando di concentrare il corpo e la mente sul compito, improvvisamente rischioso, di reggersi in piedi. Entro poco tempo, la vecchia Yoko sarebbe stata più zeppa di gente che di provviste, ma la promessa della libertà su un mondo completamente nuovo quale premio a tanta pazienza, avrebbe reso senz'altro sopportabile quell'accalcarsi, ai coloni in attesa del proprio turno per sbarcare sulla superficie del pianeta. Paul aveva esaminato con molta attenzione i rilevamenti trasmessi dalle sonde, ed aveva perciò già deciso quale sarebbe stato il luogo dell'atterraggio scegliendolo fra i tre punti raccomandati. Naturalmente, a titolo di cortesia, avrebbe interpellato gli altri due Comandanti del suo staff, ma era
certo che la scelta sarebbe ovviamente caduta sul vasto altopiano situato al di sotto di un gruppo di vulcani. In quel punto la situazione metereologica era al momento buona e il terreno, quasi del tutto piano, era idoneo ad accogliere tutte e sei le navette spaziali. I dati non avevano fatto altro che confermare una vecchia preferenza che l'Ammiraglio aveva già accordato a quel luogo diciassette anni prima, quando aveva studiato le relazioni dei CEV. Le difficoltà relative all'atterraggio non gli avevano mai creato alcuna preoccupazione; era piuttosto l'organizzazione di uno sbarco tranquillo e ordinato a causargli una certa apprensione. I cieli di Pern non erano certo attraversati da unità aeree di salvataggio pronte a intervenire, né vi erano Squadre di Soccorso sulla superficie del pianeta. Nell'organizzare le modalità dello sbarco, Paul aveva assegnato a Fulmar Stone la carica di Ufficiale di Rotta, dato che questi aveva servito con lui durante la campagna di Cygnus. Nelle due settimane precedenti, gli equipaggi di Fulmar avevano controllato i tre veicoli navetta della Yoko e la lancia dell'Ammiraglio, garantendo che tutto avrebbe funzionato a meraviglia nonostante i quindici anni di inattività dei computer collocati sul ponte di volo delle quattro unità. I dodici piloti della Yoko, agli ordini di Kenjo Fusaiyki, avevano effettuato delle esercitazioni simulate estremamente precise, considerando anche le emergenze più impensabili in fase di atterraggio. La maggior parte dei piloti aveva esperienza di combattimento, ed erano perfettamente idonei e ben addestrati a districarsi da situazioni difficili: ciononostante, nessuno di essi raggiungeva i primati che vantava Kenjo Fusaiyki. Alcuni dei piloti meno esperti avevano espresso qualche rimostranza a proposito dei metodi adottati da Kenjo; Paul Benden aveva cortesemente ascoltato ogni lamentela, ma altrettanto cortesemente l'aveva ignorata. La partecipazione di Kenjo alla spedizione, aveva sorpreso e lusingato l'Ammiraglio. Paul immaginava che il pilota si sarebbe di certo aggregato a qualche unità esplorativa continuando a volare finché i riflessi gli avrebbero obbedito. Ma poi si era ricordato che Kenjo era un cyborg munito di una gamba - la sinistra - protetica. Dopo la guerra, i Corpi di Esplorazione e Valutazione avevano avuto a disposizione un numero cospicuo di uomini esperti e sani, per cui avevano impiegato i cyborg nelle mansioni amministrative. A quel pensiero Paul strinse automaticamente la mano sinistra a pugno, sfregando il pollice contro le nocche delle tre dita artificiali che avevano sempre funzionato con la
medesima efficienza di quelle naturali. Ma in quelle pseudofibre non vi era alcuna sensibilità. Cosciente dei suoi movimenti, rilassò la mano attendendosi di udire il noto scricchiolio della plastica nel polso e nelle giunture articolari. Volse quindi la mente a problemi più concreti, primo tra tutti quello dello sbarco, conscio che qualsiasi imprevedibile ritardo o avaria avrebbe potuto bloccare l'intera operazione proprio mentre il carico e i passeggeri avrebbero cominciato a fluire dalle unità orbitanti. Paul aveva già indicato coloro che avrebbero dovuto sovraintendere al trasbordo: erano elementi di valore come Joel Lilienkamp, designato quale Coordinatore sulla superficie e Desi Arthied sulla Yoko. Anche Ezra e Jim, sulla Bahrain e sulla Buenos Aires, erano pienamente sicuri delle capacità del loro personale di sbarco, ma sapevano che il minimo ostacolo avrebbe potuto provocare una interminabile riprogrammazione. Tutto consisteva nel far sì che ogni cosa si muovesse in senso giusto. L'Ammiraglio voltò a destra del corridoio principale e giunse nel Quadrato. Ancora una volta si augurò che la riunione non si trascinasse per le lunghe. Nel sollevare la mano per sfiorare il pannello di accesso, si accorse di essere arrivato un paio di minuti prima degli altri due Comandanti non ancora visibili sullo schermo. Prima di ogni altra cosa, Ezra Keroon doveva espletare, in qualità di Ufficiale di Rotta, una breve formalità, confermando l'esatta ora prevista per l'arrivo nell'orbita di parcheggio, dopodiché si sarebbe deciso il luogo dell'atterraggio. «Finora le scommesse vi danno undici a quattro, Lili,» Paul sentì che Drake Bonneau diceva a Joel mentre il pannello di accesso al Quadrato si apriva col suo caratteristico fruscio. «A favore o contro?», domandò Paul sorridendo mentre entrava. I presenti, imitando l'esempio di Kenjo, scattarono in piedi nonostante un gesto dell'Ammiraglio li avesse invitati a rimanere seduti. Quest'ultimo si accostò ai due schermi vuoti che, dopo novantacinque secondi esatti, avrebbero rivelato le facce di Ezra Keroon e Jim Tillek, senza però trascurare lo schermo centrale dove Pern navigava tranquillo nel nero oceano dello spazio. «Ci sono dei civili convinti che io e Desi non riusciremo ad aggiudicarci la posta in gioco, Paul,» rispose Joel ammiccando soddisfatto ad Arthied il quale annuì solennemente. Non alto di statura, Lilienkamp aveva una massiccia corporatura ed una
simpatica faccia scimmiesca incorniciata da una bruna capigliatura un po' ingrigita che gli ricopriva il capo con dei folti riccioli. Focoso e volubile di temperamento, sapeva essere talvolta caustico. Dotato d'ingegno vivace, possedeva inoltre una memoria eidetica che gli consentiva non soltanto di seguire l'andamento di tutte le scommesse che faceva e di tenerne ben presente l'ammontare e le persone con le quali scommetteva, ma anche di memorizzare l'inventario completo di ogni pacco, collo, cassa e scatola, affidati alla sua custodia. Desi Arthied, il suo vice, spesso giudicava la frivolezza del suo superiore come una vera disgrazia, ma nutriva un sommo rispetto per le sue eccezionali capacità. Sarebbe toccato a Desi trasferire il carico stabilito da Joel sui ponti di caricamento, e quindi a bordo delle navette. «Dei civili? Non vi conoscono molto bene, vero?», domandò Paul seccamente, mentre prendeva posto e sorrideva distratto ad Avril Bitra, di turno alle esercitazioni di simulazione. L'ambizione l'aveva resa più dura. Quante volte Paul, durante il viaggio, si era pentito di aver trascorso tanto del suo tempo da sveglio alle prese con quella focosa brunetta! Ma Avril era davvero uno schianto! E poi, tra non molto, avrebbero avuto tutti troppo da fare per potersi dedicare ai rapporti personali. Intanto, i corridoi si popolavano sempre più di belle ragazze, e lui desiderava che una di loro sposasse Paul Benden, non l'«Ammiraglio». Proprio mentre era assorto in quel pensiero, i due schermi si accesero, e su quello alla sua destra apparve l'immagine di Ezra Keroon col suo solito aspetto afflitto e la caratteristica frangia di capelli grigi. Lo schermo di sinistra mostrò invece la faccia squadrata di Jim Tillek, sulla quale era disegnata la consueta espressione gioviale. «Buongiorno, Paul,» lo salutò quest'ultimo, precedendo di poco il saluto più formale di Ezra. «Ammiraglio,» disse Tillek in tono solenne, «la rotta programmata è stata finora rispettata con assoluta precisione. L'arrivo nell'orbita di parcheggio è previsto tra quarantasei ore, trentatré minuti e venti secondi. Al momento non si prevedono modifiche.» «Perfetto, Capitano,» si congratulò Paul ricambiando il saluto. «Ci sono problemi?» Entrambi i Capitani riferirono che i loro programmi di risveglio procedevano regolarmente e che le navette erano pronte per il lancio allorché fosse stata raggiunta l'orbita prestabilita.
«Bene! Visto che sappiamo quando atterreremo, non ci resta che stabilire dove,» disse Paul, appoggiandosi allo schienale della poltrona ed invitandoli con quel gesto ad aprire la discussione. «Allora diccelo, Paul,» esordì Joel Lilienkamp con la sua solita noncuranza per il protocollo. «Dove atterreremo?» Durante la guerra coi Nathi, l'impertinenza di Joel aveva spesso divertito Paul Benden, specie considerando che a quei tempi le occasioni di ilarità erano rare. Lilienkamp, a quel tempo, si era dimostrato un vero maestro nel raccontare barzellette oscene. La sua impudenza fece accigliare Ezra Keroon e gongolare Jim Tillek. «Di quant'è la giocata, Lili?», fece quest'ultimo con aria scaltra. «Sarà meglio discutere la questione abbandonando ogni pregiudizio,» suggerì Paul. «I tre punti raccomandati dalla Squadra dei CEV sono stati esaminati. Se volete guardare la carta, noterete che essi corrispondono alle coordinate 30° Sud/30°, 13 Est, 45° Sud/11° Est, e 47° Sud/4°, 75 Ovest. «Per me uno solo è quello buono, Ammiraglio,» interruppe eccitato Drake Bonneau puntando il dito sul luogo già prescelto da Paul, quello con la stratificazione vulcanica. «Le sonde dicono che la zona è pianeggiante al punto da sembrare che sia stata livellata apposta per noi, ed è larga a sufficienza da ospitare tutte e sei le navette. Il punto 45° Sud/110° Est, è al momento saturo d'acqua, mentre quello occidentale è troppo distante dall'oceano. Inoltre, le rilevazioni della temperatura indicano quasi il gelo.» Paul vide che Kenjo annuiva, approvando. Lanciò quindi un'occhiata ai due monitor: uno mostrava il cranio prossimo alla calvizie di Ezra chino a consultare i suoi appunti ed allora, con un gesto automatico, Paul lisciò all'indietro la sua folta capigliatura. «Secondo me, il punto 30°, 13 Est è più vicino al mare,» osservò Jim Tillek con voce tranquilla. «C'è un buon porto a circa cinquanta Klick. Anche il fiume è navigabile.» La passione che Tillek nutriva per le imbarcazioni era superata soltanto dal suo amore per i delfini. La possibilità di accedere a grandi masse d'acqua costituiva per lui un fattore di rilevanza determinante nella scelta. «Beh, è certamente un'ottima sede per un osservatorio e per la collocazione di stazioni metereologiche,» ribatté Ezra, «però non disponiamo di alcun dato reale relativo alla climatologia, se ci basiamo solo su quelli preesistenti. Non penserete certo di piazzarmi vicino ai vulcani.» «Giusto, Ezra, però...», Paul si interruppe chiamando sullo schermo i da-
ti relativi alla questione dibattuta «Ecco: non sono state registrate scosse sismiche. Di conseguenza, non ritengo che l'attività vulcanica costituisca un problema immediato. Possiamo comunque chiedere a Patrice de Broglie di darci un'occhiata. Oh, ecco: perfetto! Assenza di rilevazioni di scosse sismiche da parte dei CEV. Quindi, se anche vi è stato in passato un vulcano attivo, abbiamo la certezza che è rimasto addormentato per più di duecento anni. Ad ogni modo, il clima e le altre condizioni generali che caratterizzano gli altri due punti proposti per l'atterraggio sono più sfavorevoli.» «Hmm, sì, è vero. E non sembra che le condizioni atmosferiche siano destinate a migliorare entro i prossimi due giorni,» riconobbe Ezra. «Dannazione! Non è mica detto che dobbiamo per forza rimanere nel posto in cui atterreremo!», esclamò Drake. «A meno che il tempo non si metta a far le bizze,» intervenne Jim Tillek. «Il che sono certo verrebbe immediatamente rilevato dai ragazzi della Sezione Meteo; io direi di optare per il punto 30° Sud 30°/13 Est. D'altronde è quello che era stato preferito anche dalla Squadra dei CEV. E poi, le sonde dicono che è ricoperto da uno spesso strato di terra; cosa che attutirà l'impatto quando ci farai rimbalzare laggiù, Drake.» «Rimbalzare?» Gli occhi grigi di Drake si spalancarono nell'udire quell'innocente battuta. «Capitano Keroon, io non ho mai «spanciato» in nessun atterraggio, fin dal mio primo volo da solo.» «Bene Signori: allora siamo d'accordo su quale sarà il luogo dell'atterraggio?», domandò Paul. Ezra e Jim annuirono. «I dati relativi e le mappe dettagliate vi perverranno entro le 22.00.» «Allora, Joel,» disse Jim Tillek schiudendo le labbra in un sorriso malizioso, «hai vinto?» «Dici a me, Capitano?» L'espressione di Joel era quella dell'innocenza ferita. «Io non ho mai scommesso su una cosa sicura.» «Avete degli altri problemi da sollevare su questa questione, signori?» Paul attese cortesemente volgendo lo sguardo da uno schermo all'altro. «Tutto a posto, Paul. Adesso so che parcheggerò questo bidone al suo posto e in perfetto orario,» disse Jim, «e so anche dove manderò le mie navette.» Dopo un cenno di saluto rivolto ad Ezra, il suo schermo tornò ad essere buio. «Buona sera, Ammiraglio,» si accomiatò Ezra in maniera più formale. Dopodiché, anche la sua immagine svanì dal visore. «È tutto qui, Paul?» domandò Joel.
«Sappiamo il tempo e il luogo,» replicò Paul, «ma la tabella di orari che hai approntato mi sembra piuttosto impegnativa: credi che riuscirai a rispettarla, Joel?» «C'è un mucchio di soldi che dice di sì, Ammiraglio,» scherzò Drake Bonneau. «Perché credi che abbia impiegato tanto a caricare la Yoko, Ammiraglio?», ribatté Joel Lilienkamp con un largo sorriso. «Sapevo che avrei dovuto scaricarla tutta quindici anni dopo. Vedrai.» Ammiccò quindi verso Desi, la cui espressione mostrava un'ombra di scetticismo. «Allora, Signori,» disse l'Ammiraglio alzandosi, «se dovessero sorgere dei problemi, mi troverete nella mia cabina.» Mentre si allontanava dalla sala, Paul sentì Joel scommettere su quanto tempo avrebbe impiegato la notizia della decisione del luogo per l'atterraggio a diffondersi in tutta la Yoko. La voce gutturale di Avril disse: «Solita posta, Lili.» In quel momento, il pannello della porta si richiuse frusciando. Il morale era alto. Paul sperò che anche la riunione tenuta da Emily si fosse conclusa in maniera soddisfacente. Diciassette anni di progetti e organizzazione stavano per esser messi alla prova. . 4. Sui ponti che alloggiavano i passeggeri in stato di animazione sospesa, il personale medico si dava da fare effettuando doppi turni di lavoro per rianimare i cinquemilacinquecento e passa coloni delle tre astronavi. I tecnici e gli specialisti venivano rianimati secondo un ordine che privilegiava coloro i quali potevano risultare utili nell'operazione di atterraggio. Tuttavia, l'Ammiraglio Benden e la Governatrice Boll avevano insistito sull'esigenza di risvegliare tutti prima che le tre astronavi raggiunsero la posizione di parcheggio temporaneo programmato in un'orbita lagrangiana stabile, sessanta gradi avanti alla luna maggiore, nel punto L-5. Dal momento in cui le tre grandi navi spaziali sarebbero state alleggerite dei loro passeggeri e del carico, non vi sarebbe stata più alcuna possibilità di osservare Pern dallo spazio esterno. Sallah Telgar aveva appena concluso il suo turno di sevizio sul Ponte di Comando e, allontanandosi dalla postazione, decise che le sue ore di volo
spaziale erano più che sufficienti per un'intera vita. Unica figlia superstite di ufficiali in servizio, aveva trascorso l'infanzia sballottata da un quartiere militare all'altro. Rimasta orfana di entrambi i genitori, le era stato consentito di aggregarsi ai membri della colonia. I compensi derivanti dagli eventi bellici cui avevano partecipato i suoi genitori, le avevano inoltre permesso di acquistare un numero sostanzioso di acri di terreno su Pern, proprietà questa che avrebbe potuto esigere non appena la colonia si fosse insediata saldamente. Ma, al di là di qualsiasi altra considerazione, ciò che aveva indotto Sallah ad unirsi alla spedizione, era il desiderio di stabilirsi in un posto e di restarci per tutto il resto della sua vita. Ed era abbastanza contenta che quel posto fosse Pern. Mentre si allontanava dalla zona di pilotaggio diretta verso i corridoi principali, Sallah rimase sorpresa nel vedere tanta gente in giro. Per quasi cinque anni aveva avuto una cabina tutta per sé, un alloggio poco spazioso persino per un solo occupante ma che adesso, diviso con altre tre persone, la privava anche della più piccola forma di intimità. Per nulla desiderosa di tornarci, Sallah si diresse verso la sala di ricreazione dove avrebbe preso qualcosa da mangiare ed avrebbe continuato a contemplare l'immagine del pianeta gentilmente offerto dallo schermo gigante della sala. Giunta all'ingresso del salone, Sallah rimase sorpresa nel vedere pochi posti a sedere ancora disponibili. Nel giro dei pochi secondi necessari a prelevare del cibo dai distributori automatici, le sue possibilità di scelta si ridussero ad una sola: un sedile accanto al muro di sinistra del salone dal quale si aveva una vista distorta di Pern. Sallah si strinse appena nelle spalle. Quasi fosse una droga della quale era incapace di fare a meno, Pern attirava su di sé gli occhi della donna qualunque fosse l'angolazione offerta. Adattandosi alla posizione, anche se scomoda, la donna si accorse di un altro elemento di disturbo: i suoi vicini di posto erano le persone che meno di tutti gradiva a bordo della Yokohama, e cioè Avril Bitra, Bart Lemos e Nabhi Nabol. Sedevano in compagnia di tre uomini che non conosceva, e dalle cui piastrine appese al collo apprese trattarsi di un muratore, un ingegnere meccanico ed un minatore. Quei sei erano anche gli unici nella sala a non tenere gli occhi avidamente incollati allo schermo. I tre uomini stavano ascoltando Avril e Bart sforzandosi di cancellare ogni espressione dalle loro facce, sebbene il più anziano di essi, l'ingegnere, si guardasse intorno di tanto in tanto in tanto per controllare dove convergeva l'attenzione dei presenti seduti lì vicino.
Avril aveva i gomiti poggiati sul tavolo, con il bel volto inasprito dall'aria altera e arrogante che ostentava, e gli occhi neri che le rilucevano mentre si chinava verso lo scialbo Bart Lemos, il quale affondava entusiasticamente il pugno destro nel palmo della mano sinistra, dando così enfasi alle sue rapide e sommesse parole. Nabhi ostentava la sua eterna espressione di superbia, espressione questa che non differiva dallo sguardo feroce di Avril intenta a fissare il geologo. L'atteggiamento di quei due farebbe passare l'appetito a chiunque, rifletté Sallah mentre allungava il collo per vedere Pern. Correva voce che Avril avesse trascorso buona parte degli ultimi cinque anni nel letto dell'Ammiraglio Paul Benden. Obbiettivamente Sallah capiva benissimo che un uomo virile come l'Ammiraglio potesse essere sessualmente attratto dalla bruna e sconvolgente bellezza della Navigatrice Interplanetaria. Un miscuglio etnico di antichi progenitori le aveva conferito il meglio in ogni tratto. Era alta ma non troppo snella, né procace in eccesso, con una chioma lussureggiante che il più delle volte sfoggiava sciolta in onde sericee. L'incarnato, leggermente olivastro, era perfetto, e i movimenti del corpo erano leggiadramente studiati, ma gli occhi, guizzanti di nere fiammate, ne rivelavano l'acuto intelletto e l'estrosa e volubile personalità. Avril non era una donna da contrastare, e Sallah si era tenuta prudentemente a distanza da Paul Benden o da chiunque altro avesse visto più di tre volte in sua compagnia. Se i più maligni notavano la recente e continua assenza di Benden dal fianco di Avril, i più comprensivi dicevano che l'Ammiraglio era impegnato in lunghe riunioni con il suo staff e che il tempo degli amoreggiamenti era ormai finito. Coloro i quali invece erano stati vittime della lingua affilata di Avril, affermavano che lei aveva perso quel tipo di attrattiva necessaria per poter essere la donna dell'Ammiraglio. Ad ogni modo, Sallah aveva ben altro per la testa che pensare ai passatempi di Avril Bitra. Era infatti in attesa di sapere quale luogo fosse stato scelto per l'atterraggio. Sapeva che si era pervenuti ad una decisione e che questa sarebbe stata tenuta segreta fino all'annunzio ufficiale da parte dell'Ammiraglio. Ma sapeva anche che la notizia era destinata a trapelare. Si era persino scommesso clandestinamente sul tempo che la notizia avrebbe impiegato per diffondersi sul resto dell'astronave. Sallah pensò che certamente, di lì a poco, la cosa sarebbe circolata anche nella sala. «È quello il punto,» esclamò all'improvviso un uomo mentre si dirigeva a grandi passi verso lo schermo. Giuntovi, piantò un dito su un punto che
era appena apparso sul visore. La piastrina che recava al collo rivelava la sua appartenenza alla Sezione di Agronomia. «Precisamente...» S'interruppe, mentre l'immagine sullo schermo si frazionava. «È questo qui!». Puntò il dito alla base di un vulcano, visibile soltanto come una capocchia di spillo, eppure riconoscibile come punto di riferimento. «Quanto hai vinto Lili?», domandò qualcuno. «Non badategli,» gridò l'agronomo. «Ho appena vinto un acro a Hempenstall!» Seguì uno scroscio di applausi e di commenti scherzosi, contagiosi abbastanza da indurre Sallah a sorridere, almeno fino a quando il suo sguardo non andò a finire sullo sprezzante sorriso di superiorità che si era delineato sulla faccia di Avril. Nello scorgere quella espressione, Sallah comprese che Avril era già a parte di quel segreto, che lei non aveva svelato neppure ai suoi compagni di tavola. Bari Lemos e Nabhi Nabol avvicinarono le teste chinandosi per scambiarsi alcune concise battute. Avril si strinse nelle spalle. «Il punto di atterraggio non ha importanza.» La sua voce calda, per quanto bassa, giunse all'orecchio di Sallah. «La lancia è sufficientemente attrezzata per qualsiasi atterraggio, credetemi.» Distolse gli occhi dagli interlocutori e incrociò lo sguardo di Sallah. Istantaneamente, una forte tensione le attraversò il corpo, mentre gli occhi le si assottigliavano. Con uno sforzo controllato, rilassò i muscoli e si adagiò pigramente contro lo schienale della sedia senza però interrompere il contatto visivo, con un'insolenza che Sallah giudicò insopportabile. Fu Sallah a distogliere lo sguardo sentendosi quasi imbrattata da quel contatto. Mandò giù l'ultimo sorso di caffè, contraendo le labbra in una smorfia per il sapore amaro che le era rimasto in bocca. Il caffè di bordo era schifoso, ma persino quel surrogato le sarebbe mancato quando la provvista si sarebbe esaurita. Su tutte le colonie planetarie vi era una carenza di caffè, che insorgeva per motivi che nessuno aveva scoperto fino a quel momento. La Squadra di Esplorazione aveva rinvenuto e raccomandato la corteccia di un arbusto pernese come surrogato del caffè, ma Sallah non nutriva molta fiducia in quella scoperta. In seguito all'identificazione del luogo scelto per l'atterraggio, il vocio nella sala era cresciuto fino a divenire un fragore di intensità intollerabile. Con un sospiro, Sallah gettò via i rifiuti nella pattumiera, fece passare il vassoio sotto il getto di detersivo e lo impilò ordinatamente assieme agli
altri. Quindi si concesse un ultimo, lungo sguardo a Pern. Non rovineremo quel pianeta, pensò, ed io, per quanto mi concerne, non permetterò a nessuno di farlo. Nell'accingersi a lasciare la sala, gli occhi le caddero sulla chioma nera di Avril. Strano tipo di colona, pensò Sallah, e non era la prima volta che lo pensasse. Avril era catalogata come contrattista con un compenso notevole quale onorario professionale, tuttavia non sembrava certo il genere di persona che si potesse trovare a proprio agio in un ambiente rurale. Infatti possedeva tutti i modi sofisticati caratteristici di un cittadino. La spedizione su Pern aveva sì attirato numerosi talenti di prim'ordine, ma la maggioranza di coloro con i quali Sallah aveva avuto modo di dialogare, possedevano motivazioni più che valide per lasciarsi alle spalle la tecnocrazia dei Sindacati, nonché la loro bramosia insaziabile di nuove risorse. Sallah era allettata dall'idea di appartenere ad un società autosufficiente, distante dalla Terra e dalle sue altre colonie. Dal momento in cui aveva letto il programma della spedizione su Pern, aveva provato il desiderio di prendere parte all'impresa. A sedici anni, in un periodo in cui vigeva l'obbligo di prestare servizio nell'aspra guerra combattuta contro i Nathi, Sallah aveva scelto l'addestramento da pilota con l'aggiunta di studi circa le tecniche di sondaggio e sorveglianza. Aveva completato l'addestramento proprio quando la guerra era terminata, sicché aveva impiegato le abilità acquisite rintracciando le aree devastate su un pianeta e su due lune. Quando era stata organizzata la spedizione diretta a Pern, la sua presenza come pilota era risultata di indubbio vantaggio, e solo per quella mansione specifica, dato che era in possesso dell'esperienza e delle doti che la rendevano un valido supporto per lo staff di comando. Lasciò la sala di ricreazione per far ritorno al suo alloggio senza però avere la certezza che sarebbe riuscita a dormire. Tra due soli giorni avrebbero raggiunto la meta tanto attesa: la vita allora sarebbe diventata davvero interessante! Non appena ebbe imboccato il corridoio principale, Sallah si imbatté in una ragazzina dai capelli rilucenti di una intensa tonalità di rosso. La piccola barcollò davanti a lei, poi cercò di recuperare l'equilibrio, ma cadde di peso ai piedi di Sallah. Scoppiando in fragorosi singhiozzi, suscitati più dalla frustrazione che dal dolore, la bambina si aggrappò a una gamba di Sallah serrandola in una stretta di una forza sorprendente per una persona
così giovane. «Su cara, non è il caso di piangere. Vedrai che ritroverai l'equilibrio, tesoro,» la confortò Sallah mentre si chinava a carezzarle i capelli e tentava di liberarsi da quella stretta frenetica. «Sorka! Sorka!» Un uomo dai capelli della stessa tinta della ragazzina, arrancava ondeggiando verso Sallah tenendo con una mano un bimbetto e con l'altra una graziosissima donna bruna. Questa recava tutti i segni di chi era stato appena risvegliato: gli occhi non riuscivano a focalizzare perfettamente e, pur sforzandosi di reagire alla situazione, era incapace di concentrarsi. Gli occhi dell'uomo corsero allo stemma che pendeva al collo di Sallah. «Oh, la prego di scusarmi, Pilota,» disse l'uomo dai capelli rossi sorridendo cortesemente. «Non siamo ancora del tutto svegli.» Intanto cercava di liberarsi una mano per aiutare Sallah, ma la donna bruna rifiutava di mollare la presa e, ovviamente, non poteva lasciar andare il bimbetto barcollante. «Bisogna che vi aiuti,» gli venne incontro Sallah con voce amabile, domandandosi quale medico avesse consentito a quel quartetto del tutto malfermo di allontanarsi con le proprie gambe. «Il nostro alloggio si trova soltanto a pochi passi da qui.» L'uomo fece un cenno col capo verso il corridoio che si allungava alle spalle di Sallah. «O almeno è così che ci hanno detto. Ma finora non mi ero reso conto di quanto potessero essere difficili pochi passi.» «Che numero è? Al momento non sono in servizio.» «B-8851.» Sallah alzò gli occhi alle targhe poste agli angoli del corridoio ed annuì. «È proprio nell'ala successiva. Venite, vi aiuto io. Forza, Sorka... è così che ti chiami? Su, voglio solo...» «Chiedo scusa», intervenne l'uomo mentre Sallah stava per prendere in braccio la bambina. «Ci hanno ripetuto più volte che dobbiamo camminare. O meglio, provare a camminare.» «Io non ci riesco,» gridò Sorka. «Non riesco a rimanere in equilibrio.» Si aggrappò più saldamente alle gambe di Sallah. «Sorka! Su, da brava!» L'uomo dai capelli rossi aggrottò le ciglia. «Mi è venuta un'idea!», esclamò Sallah in tono amichevole. «Stringimi tutt'e due le mani - e così dicendo staccò le dita di Sorka dalle sue gambe serrando tra i suoi palmi le manine della ragazzina - e cammina davanti a
me. Penserò io a sostenerti.» Nonostante il sostegno fornito da Sallah, la famigliola procedeva molto lentamente, impedita, oltre che dall'incertezza dei propri passi, dalla marea di passanti che si muovevano più agilmente di loro. «Io sono Red Hanrahan,» si presentò l'uomo, quando la sua andatura cominciò a migliorare. «Sallah Telgar.» «Non avrei mai immaginato che avrei avuto bisogno dell'aiuto di un Pilota prima ancora di giungere su Pern,» disse l'uomo con un largo sorriso. «Questa è mia moglie, Mairi, questo è mio figlio Brian, e quella che sta sorreggendo è mia figlia Sorka.» «Eccoci arrivati,» annunziò Sallah avvicinandosi al loro alloggio del quale aprì la porta con una spinta. L'angustia delle sue dimensioni le fece contrarre il viso in una smorfia, ma subito rammentò che non sarebbero rimasti lì dentro a lungo. Le cuccette erano sollevate contro il muro nella posizione diurna ma, malgrado ciò, lo spazio a disposizione era veramente minimo. «Non è molto più spazioso del posto che abbiamo appena lasciato,» commentò Red anch'egli deluso. «Come pensano che possiamo fare a muoverci qui dentro?», disse la moglie, modulando la voce in una nota piuttosto stridula quando, strusciando il corpo contro lo stipite della porta, riuscì ad infilarsi nella cabina ed a rendersi conto delle sue dimensioni. «Uno alla volta, suppongo,» rispose Red. «Si tratta di rimanerci solo qualche giorno, tesoro, e poi avremo un intero pianeta a disposizione. Forza: Brian, Sorka, entrate! Abbiamo abusato abbastanza del Pilota Telgar. Ci ha davvero salvati, Telgar. Grazie.» Sorka, appoggiatasi contro una parete interna della cabina mentre suo padre incoraggiava il resto della famiglia ad entrare, si lasciò scivolare sul pavimento dove rimase seduta con le ginocchia serrate al petto. Allungò quindi la testolina per incontrare il volto di Sallah. «Grazie anche da parte mia,» disse, e dal suo tono di voce si indovinava che aveva ritrovato l'autocontrollo. «È davvero sciocco non riuscire a tirarsi su o spostarsi da una parte all'altra.» «È vero, ma vedrai che l'effetto sparirà molto presto. È successo anche a noi quando ci hanno risvegliati.» «Davvero?» L'espressione incredula di Sorka si tramutò nel più raggiante dei sorrisi
che Sallah avesse mai visto, e subito si ritrovò a sorridere anche lei. «Proprio così. È successo anche all'Ammiraglio Benden,» mentì, mentre arruffava i capelli di un magnifico color rosso tiziano della bambina. «Allora, aspetto di vederti in giro. Va bene?» «Mentre stai così, Sorka, fai quegli esercizi che ci sono stati mostrati. Poi toccherà a Brian.» La voce di Red Hanrahan giunse all'orecchio di Sallah mentre si richiudeva alle spalle la porta della cabina. Raggiunse quindi il suo alloggio senza altri incidenti, nonostante i corridoi fossero gremiti di passeggeri di recente rianimati che avanzavano a tentoni con un'espressione che dalla concentrazione più intensa si tramutava poi in vero e proprio sgomento. Non appena Sallah aprì la porta, vide le persone addormentate che occupavano la sua cabina. Storse la bocca. Con molta cautela richiuse il pannello e vi si appoggiò con le spalle domandandosi cosa doveva fare. Era troppo su di giri per sperare di addormentarsi, e bisognava che si scaricasse in qualche modo. Decise allora di passare un po' di tempo nella sala di addestramento impegnandosi in una stimolante esercitazione al simulatore. Il momento della verità si stava avvicinando rapidamente: le sue capacità di pilota di navetta sarebbero state presto messe alla prova. Il suo cammino questa volta fu ostacolato da un altro colono, anche lui sveglio da poco, la cui coordinazione motoria soffriva per il prolungato non uso. Era magro come un chiodo, e Sallah temette che con quel suo oscillare da una parte all'altra si sarebbe fratturato qualche osso. «Tarvi Andiyar, geologo,» si presentò cortesemente non appena la donna lo ebbe aiutato a ritrovare la posizione eretta. «È proprio vero che siamo nell'orbita di Pern?» Gli occhi gli si incrociarono mentre guardavano Sallah, e questa riuscì a stento a trattenere il sorriso che l'espressione comica assunta dalla faccia dell'uomo le suscitava. Gli riferì quindi l'esatta posizione dell'astronave. «E lei ha visto con i suoi occhi belli splendenti questo pianeta meraviglioso?» «L'ho visto, ed è proprio bello come avevamo previsto,» lo rassicurò Sallah. L'uomo sorrise, sollevato, mostrando la dentatura bianca e uniforme, dopodiché scrollò la testa, e questo movimento parve correggere l'asse deviato dei suoi globi oculari. Il suo volto era uno dei più belli che Sallah avesse mai visto in un uomo: non le maschie fattezze da guerriero di Benden, ma
un insieme di lineamenti delicatamente sofisticati, quasi scolpiti, simili a quelli di un antico principe indiano o cambogiano di quelli che aveva visto su qualche affresco in rovina. Sallah arrossì al ricordo di ciò quei principi facevano nei murali di cui si era ricordata. «Sa per caso se le sonde hanno trasmesso dei dati aggiornati? Ho una voglia matta di mettermi al lavoro.» Sallah scoppiò a ridere, e il divertimento fugò l'impulso sessuale suscitatole dal volto dell'uomo. «Non riesce neppure a camminare, e già pensa di mettersi al lavoro?» «Non crede che una vacanza di quindici anni sia troppo lunga per chiunque?» Nella sua espressione si leggeva stavolta una punta di biasimo. «Ma non è quella la cabina C-8411?» «Esatto,» disse Sallah, aiutandolo ad attraversare il corridoio. «Lei è altrettanto bella quanto gentile,» disse l'uomo, sostenendosi con una mano al pannello della porta mentre tentava di fare un inchino dei più galanti. Ma non tardò a perdere l'equilibrio e Sallah dovette afferrarlo per le spalle. «Ed anche agile.» Con una prudente inclinazione della testa, e con considerevole dignità vista la circostanza, Tarvi aprì la porta. «Sallah!», esclamò Drake Bonneau avanzando verso di lei dal fondo del corridoio. «Qualcuno ti ha già detto dove atterreremo?» Fece questa domanda con l'espressione bramosa di chi è sul punto di rendere un grosso servigio ad un amico. «Non occorrono più di nove minuti perché una voce si sparga in giro,» rispose Sallah in tono freddo. «Così tanto?» L'uomo finse di essere sdegnato, dopodiché si esibì in uno di quei sorrisi coi quali era convinto di affascinare chiunque. «Beviamoci su. Non ci resta più molto tempo per spassarcela, vero? Allora che ne dici: io e te da soli, eh?» Sallah scacciò la diffidenza che provava per le sue lusinghe. Probabilmente Drake non si rendeva neppure conto della banalità dei suoi complimenti. Lo aveva sentito sciorinare le stesse sdolcinatezze al cospetto di qualsiasi femmina che avesse un minimo di attrattiva ma, in quel momento, trovò la sua involontaria insincerità particolarmente irritante. Però, in fondo, non era un cattivo diavolo, e durante la guerra aveva mostrato di possedere coraggio da vendere. Sallah comprese allora che quella inconsueta intolleranza non era altro che una reazione all'improvviso trambusto, a tutto quel rumore, ed alla vicinanza di tutta quella gente dopo cin-
que anni di tranquillità. «Rilassati», ordinò a se stessa con severità, «durerà soltanto gualche giorno e poi sarai così occupata a volare che non avrai più da preoccuparti per la folla e il rumore.» «Grazie, Drake, ma Kenjio mi aspetta per l'esercitazione al simulatore di volo - lanciò un'occhiata all'orologio da polso - tra cinque minuti. Sarà per un'altra volta.» Per evitare i corridoi pieni di gente, si calò lungo il condotto d'emergenza fino al Ponte di Comando, dove si fece strada tra la grande varietà di merci stipate laggiù dirigendosi poi verso la navetta ammiraglia, la Mariposa. Piccola, massiccia e con le ah a delta, quella navicella appuntita dall'aria impertinente, le avrebbe certo offerto uno spazio sgombro e tranquillo. Sallah fece scattare il meccanismo di apertura del portello. 5. Sallah divideva il successivo turno di guardia con Kenjo Fusaiyki. Non che per tutti e due ci fosse un granché da fare: si trattava soltanto di azionare la barra di comando se qualche guasto fosse intervenuto ad arrestare i programmi inseriti. Stava gironzolando per la sala nel tentativo di trovare qualcosa che la interessasse abbastanza da tenerla sveglia, quando si accorse d'improvviso che Kenjo aveva attivato uno dei monitor più piccoli collocati presso la sua postazione di controllo. «Cos'hai lì?», gli chiese, troppo tardi per ricordare che Kenjo non era proprio quel che si dice un tipo cordiale e che, probabilmente, si sarebbe seccato per quella interruzione. «Cercavo di decodificare la natura di quello strano astro vagabondo,» rispose Kenjo senza alzare gli occhi dallo schermo. «Oh, quello che ha mandato in visibilio tutti gli astronomi?», chiese Sallah. Sorrise quindi al ricordo dell'inconsueto spettacolo offerto da Xi Chi Yuen, un astronomo di temperamento posato, quasi pedante, il quale, con la faccia in fiamme per l'eccitazione, si era messo a ballare sul Ponte di Comando. «Sì, è probabile,» le rispose Kenjo. «Sembra proprio che abbia un'orbita straordinariamente bizzarra, più cometaria che planetaria, per quanto la sua
massa faccia pensare più alle dimensioni di un pianeta. Guarda!» Digitò quindi sulla tastiera facendo apparire sullo schermo una sequenza di dati evidenziami il sistema astrale di Pern in rapporto al suo pianeta primario e ciascun pianeta del sistema in relazione agli altri. «Secondo i calcoli, verrà a trovarsi in posizione più avanzata del quarto pianeta e, ora, sta per entrare nella Nube di Oort al suo afelio. Si suppone che questo sistema planetario sia molto vecchio, o comunque questo è quanto i dati trasmessici dai CEV portano a concludere, sicché quel pianeta dovrebbe avere un'orbita assai più convenzionale.» «Ho sentito dire che potrebbe trattarsi di un mondo randagio attratto dalla stella Rukbat.» Kenjo scosse il capo. «È da escludere.» Digitò un'altra serie di dati e subito il diagramma disegnato sullo schermo lasciò il posto ad un'altra proiezione. Nel giro di pochi secondi, una successione di equazioni ricoprì il diagramma del sistema. «Ecco le cifre che lo smentiscono.» Indicò la probabilità mostrata dal punto lampeggiante a nove cifre. «Dovrebbe essere un'orbita di tipo cometario inserita all'interno del sistema, e invece non lo è.» Le sue dita lunghe e ossute riportarono lo schermo sull'immagine iniziale. «Non riesco a trovare una connessione logica con gli altri pianeti. Ah, sicché il Capitano Keroon sostiene che potrebbe trattarsi di un pianeta catturato da Rukbat circa dieci dei suoi cicli orsono?» «No, credo che Xi Chi Yyen abbia scartato questa ipotesi. Ha difatti calcolato che abbia appena superato l'afelio,» disse Sallah. «Dunque... mi pare dicesse che...», cercò di ricordare. Kenjo stava già digitando sulla tastiera per consultare lo schedario interessato. «La sua relazione riferisce che questo eccentrico asteroide è appena uscito dalla Nube di Oort, portando con sé della materia della nebulosa.» «Ha anche detto - lo ricordo distintamente - che, tra circa otto anni, assisteremo ad uno spettacolare bombardamento di meteoriti non appena il nostro mondo attraverserà la Nebulosa di Oort.» Kenjo sbuffò. «Non ci tengo proprio. Beh, io non faccio molto affidamento sui dati dei CEV, specie ora che li abbiamo confrontati con quello che abbiamo trovato qui. Dopotutto, quei curiosi pois potrebbero essere danni prodotti da una pioggia di meteoriti.»
«Personalmente non credo che ci perderò dietro il sonno.» «Neppure io.» Kenjo incrociò le braccia sul petto mentre i dati continuavano a scorrere sul visore. «Yuen crede evidentemente che, con un'orbita così stravagante, quasi parabolica, questo corpo plutonico possa uscire nuovamente dal sistema solare o incontrarsi col sole stesso.» «Il che non avrebbe molta importanza, non è così?» Kenjo scosse la testa, gli occhi ancora intenti ad esaminare i dati. «È un corpo solido congelato. Troppo lontano da Rukbat per poterne usufruire del calore durante la parte più alta della sua orbita. Resta comunque la possibilità di individuare una coda planetaria visibile quando è in posizione più ravvicinata.» Cancellò i dati dallo schermo e digitò il codice di un nuovo programma. «Le due lune di Pern sono molto più interessanti.» «Perché? Non dobbiamo mica colonizzarle! Ad ogni modo, le scorte di carburante consentono un unico viaggio su quelle lune, che servirà per andarci ad installare i dischi dei ripetitori.» Kenjo alzò le spalle. «Bisogna sempre avere una via di scampo.» «Su una luna?» Sallah era palesemente scettica. «Andiamo, Kenjo: non siamo in guerra con qualcuno o qualcosa così lontano dal Nucleo. Lascia perdere.» Il suo tono era pacato, essendo ben consapevole del fatto che nella guerra con i Nathi le possibilità di scampo per Kenjo erano state assai esigue. «Le vecchie abitudini fanno fatica a lasciarci,» mormorò Kenjo, con un filo di voce che a stento Sallah riuscì a percepire. «Già. Ma qui siamo tutti pronti a ricominciare da zero.» Kenjo si limitò a commentare con un grugnito che segnalò la fine dei suoi discorsi. 6. Le astronavi dei coloni stavano rallentando sempre più la loro corsa e intanto, a bordo, pullulavano di una febbrile attività, mentre i dormienti continuavano ad essere risvegliati, le stive enormi venivano aperte, ed il loro carico trasferito sui ponti, riempiendo tutti i corridoi d'accesso. Quando i coloni si erano procurati le navette spaziali necessarie per il lungo viaggio, queste erano state caricate con tutte le attrezzature atte a predisporre una sicura pista di atterraggio per la massa di persone e di ma-
teriale che sarebbe stata scaricata dalle astronavi della missione. L'esigenza più urgente era quella di disporre del carico successivo - coperte e attrezzi agricoli - già pronto per essere trasferito a bordo non appena le navette avessero fatto ritorno. Gli agronomi avevano promesso che il terreno sarebbe stato arato prima che le navette fossero atterrate per la seconda volta sul pianeta. Le tre astronavi disponevano in tutto di sei navette: tre erano sulla Yoko, due sulla Buenos Aires ed una sulla Bahrain, quest'ultima attrezzata con alloggiamenti speciali per il trasporto di animali. Non appena le navi spaziali avessero raggiunto la loro orbita, lo sbarco avrebbe avuto inizio. Dodici ore prima di tale evento, tutti i dormienti erano stati ridestati. E il conseguente affollamento a bordo delle astronavi aveva suscitato non poche lagnanze. Molti erano del parere che i passeggeri la cui presenza non fosse indispensabile, specie i bambini, avrebbero fatto meglio a rimanere addormentati fino a quando sul pianeta non fossero state completate le strutture per ospitarli. Ma, malgrado gli inconvenienti che quell'assembramento comportava, Sallah approvava in pieno l'annunzio della Governatrice secondo il quale a nessuno dei passeggeri sarebbe stata negata l'opportunità di assistere alla conclusione di quel lungo viaggio e di godere l'incredibile visione del loro nuovo mondo roteante nel buio universo. Sallah non riusciva a staccare gli occhi da Pern, e continuava a contemplarlo su qualunque schermo le si parasse dinanzi, persino sul minuscolo visore collocato nel suo alloggio. Ed era anche riuscita a farsi assegnare il turno più importante dell'intero viaggio previsto dal ruolino di servizio. In seguito, Sallah dichiarò sempre con ferma convinzione di aver avvertito l'istante in cui la Yokohama aveva raggiunto la sua posizione orbitale. La grande astronave decelerava ormai da parecchi giorni e il tenue soffio emesso dai retrorazzi nel momento in cui ridussero la velocità di accelerazione fino a farla collimare con quella del pianeta sottostante, fu infinitesimale. D'improvviso la Yoko si trovò ad accompagnare il pianeta nella sua orbita: era sospesa sopra ad un determinato punto di Pern, e quasi sì aveva l'impressione di stare fermi rispetto al panorama che si poteva vedere al di sotto. Sallah in qualche modo captò quell'istante. Alzò rapidamente gli occhi dalla consolle non appena il timoniere, con eccitazione a stento trattenuta, si rivolse al Comandante. «Siamo arrivati, Signore,» annunciò.
Nel medesimo istante; l'identico annuncio giunse dalla Bahrain e dalla Buenos Aires, e tutti coloro che erano presenti sul ponte di volo, proruppero in un'entusiastica esplosione di urrà e in esultanti e indisciplinate espressioni di gioia e sollievo. Il Comandante Ongola informò immediatamente l'Ammiraglio circa l'esecuzione di tutte le manovre previste, e ricevette delle congratulazioni formali. Ordinò quindi che tutti gli schermi proiettassero l'immagine del pianeta che roteava sotto di loro, con una faccia scura per il buio della notte e l'altra rischiarata dalla fulgida luce del giorno. Sallah si unì al festoso tumulto finché non si accorse di un improvviso silenzio da parte dei rilevatori della sonda, ed allora ne controllò il monitor. La sonda aveva semplicemente mutato la sua direzione come programmato. Alzò quindi gli occhi dallo schermo per incontrare il volto del Comandante Ongola sul quale era disegnata una espressione assai triste, quasi meditabonda. Accortosi di quello sguardo scrutatore, l'uomo inarcò un sopracciglio con fare interrogativo. Sallah gli sorrise comprensiva. «È la fine del suo ultimo viaggio,» pensò. «Chi non sarebbe triste?» Entrambe le pesanti sopracciglia di Ongola si sollevarono e, con grande dignità, il Comandante girò la testa e ordinò che le porte di accesso alle navette fossero aperte. I componenti dell'equipaggio del primo gruppo di atterraggio erano già sistemati a bordo in attesa dello storico comando. Con un soffio di voce, Sallah augurò buona fortuna a Kenjo, Drake e Nabol, i quali avrebbero pilotato le tre navette della Yoko. I segnali acustici annunziarono l'imminente partenza e, simultaneamente, lo schermo principale puntò l'occhio sul luogo prescelto per l'atterraggio. Gli Ufficiali di Guardia presero posizione davanti ai propri quadri di controllo. Gli schermi più piccoli inquadravano le porte di accesso alle navette da diverse angolazioni, dimodoché il personale in servizio sul Ponte di Comando potesse osservare le navette mentre cominciavano a rifluire dall'astronave madre, scivolando rapidamente spinte dai loro reattori prima che si accendessero i motori principali. Sarebbero cadute a vite verso il pianeta entrando nell'atmosfera di Pern al di sopra dei confini occidentali del continente settentrionale, per poi accelerare mentre continuavano a scendere e a roteare attorno al globo fino al raggiungimento del punto di atterraggio situato sull'estremità orientale del continente meridionale.
Alcune telecamere esterne riprendevano le immagini delle altre tre navette che assunsero la loro posizione nella flottiglia. Con grazia, tutte e sei si allinearono per la discesa, e scomparvero alla vista oltre la curva del pianeta. Il turno di Sallah terminò prima dell'ora prevista per l'arrivo su Pern, ma essa si sistemò vicino ad un oblò laterale assieme a tutti gli altri componenti del suo turno, facendo così in modo da avere la vista migliore di Pern. Sapeva che tutti gli schermi sull'astronave stavano trasmettendo in quel momento la stessa informazione, e sapeva pure che l'immagine dell'atterraggio sarebbe apparsa simultaneamente su tutte e tre le navi dei coloni, tuttavia, vista dal ponte di comando, le sarebbe sembrata in qualche modo più ufficiale. Così rimase là, ricordandosi di respirare di tanto in tanto mentre spostava il peso del corpo dall'una all'altra delle gambe gonfie ed affaticate. Si sarebbe sentita assai più sollevata quando la rotazione fosse stata ridotta per facilitare i movimenti del carico, ma presto si sarebbe trovata così vicina al pianeta che non sarebbe certo bastato arrestare il moto rotatorio della nave per ridurre gli effetti della gravità. 7. «Ti sei sbarazzata dei tuoi compagni?», chiese Stev Kimmer mentre si infilava alla svelta nella stanza di Avril dopo aver lanciato una rapida occhiata dietro di sé. Quindi si richiuse la porta alle spalle. Avril si voltò a guardarlo, con le braccia aperte. Uno schiocco delle dita segnalò all'uomo di occupare il vuoto apertosi tra quelle braccia. Avril sorrise con soddisfazione. «Il grado ha i suoi privilegi. Io ho usato il mio. Puoi stare tranquillo. Ogni tanto, quell'idiota di Lensdale cerca di appiopparmi qualche ospite, ma io ho aggiunto tre nomi sotto il mio nell'elenco, e probabilmente si è arreso.» Kimmer, che di li a poco doveva trovarsi sul ponte d'imbarco per prendere posto su una delle tre navette della Yoko, arrivò dritto al punto. «E allora, dov'è questa tua prova inoppugnabile?» Continuando a sorridere, Avril aprì un cassetto e ne trasse una scatoletta nera di legno, priva di serrature o aperture visibili. La porse quindi all'uomo che scrollò la testa. «Ti ho detto che non ho tempo per gli indovinelli. Se questo è uno dei
tuoi giochetti per portarti un uomo a letto, allora, Avril, sei completamente fuori strada.» La donna storse la bocca, irritata da quel frasario e ancor più dal fatto che circostanze diverse dal previsto le avessero imposto di rivolgersi ad altri per aver aiuto nella sua impresa. Il suo piano originale era andato ad infrangersi sulla fitta scogliera creata dalla improvvisa e assolutamente inaspettata indifferenza di Paul Benden nei suoi confronti. Sorrise per scacciare quella fastidiosa sensazione e riportò la scatoletta sul palmo della mano sinistra, quindi, con un rapido movimento sul lato posto di fronte a lei, ne sollevò agevolmente la parte superiore. Come aveva previsto, Stev Kimmer trattenne di botto il fiato per la sorpresa, e i suoi occhi rifletterono nel balenio di un istante il ricco fulgore del rubino che si trovava custodito nella scatola verso cui protese le mani. Avril inclinò leggermente lo scrigno in modo che la gemma scintillò perversamente nella luce. «Magnifica, non è vero?» La voce di Avril era dolce e pervasa da una sensazione di amorevole possesso mentre la sua mano ruotava lentamente lasciando che l'uomo ammirasse il luccichio all'interno del cuore della gemma intagliata in foggia di rosa. D'improvviso, Avril estrasse il gioiello dalla sua custodia e lo porse a Kimmer. «Toccalo. Guardalo controluce. È perfetto!» «Come hai fatto ad averlo?» Kimmer le rivolse uno sguardo accusatore mentre i tratti del suo volto esprimevano un miscuglio di invidia, cupidigia ed ammirazione. Ammirazione che era interamente rivolta allo stupendo gioiello che teneva sollevato controluce mentre ne esaminava la perfezione. «Che tu ci creda o no, l'ho ereditato.» Dinanzi alla sua espressione sospettosa, Avril si appoggiò con grazia al tavolino, le braccia conserte sui seni ben fatti, il volto sorridente. «La mia nonna di settimo grado era uno dei membri della Squadra di Esplorazione e Valutazione che ispezionò questa palla di fango. Shavva, nata Faroud, se vuoi sapere il suo nome da nubile.» «Formidabile!» Stev Kimmer era sinceramente sbalordito. «Inoltre,» continuò Avril approfittando compiaciuta della sua reazione, «possiedo anche i suoi appunti di viaggio originali.» «E come ha fatto la tua famiglia a conservarlo per tutti questi anni? Ha
un valore inestimabile.» Avril sollevò le sopracciglia graziosamente arcuate. «La mia bis-bis-bisnonna non era una stupida. Quel gingillo non è l'unico souvenir che ha portato via da qui o dagli altri pianeti che ha esplorato.» «E perché te lo sei portato dietro?» Kimmer riusciva a fatica a trattenersi dal serrare le dita attorno alla splendida gemma. «Sono l'ultima discendente della mia famiglia.» «Vuoi dire che hai il diritto di esigere una parte di questo pianeta in quanto discendente diretta di quella Squadra dei CEV?» Stev cominciava ad eccitarsi in vista di una simile possibilità. Avril scosse la testa, irritata dalla errata interpretazione del suo interlocutore. «I CEV sono stati maledettamente attenti nell'evitare una simile possibilità. Shavva lo sapeva bene. E sapeva pure che, prima o poi, il pianeta sarebbe stato aperto alla libera colonizzazione. Il rubino e gli appunti di viaggio - qui Avril si interruppe con studiata drammaticità - sono stati tramandati fino a me. Ed ora io - e quegli appunti - stiamo ruotando nell'orbita di Pern.» Stev Kimmer la osservò intensamente per un lungo istante. Poi Avril avanzò verso di lui togliendogli il rubino che prese a lanciare negligentemente in aria con una mano, sotto lo sguardo nervoso di Kimmer. «Allora, vuoi associarti al mio piano?», gli domandò. «Sai: anch'io, come la mia amata e lungimirante antenata, non ho alcuna voglia di rimanere in fondo alla galassia su un pianeta di settima classe.» Stev Kimmer alzò spalle, e gli occhi gli si assottigliarono. «Qualcun altro ha visto il rubino?» «No, ancora nessuno.» Sorrise lentamente con furba malizia. «E, se tu mi aiuterai, rimarrai probabilmente l'unico ad averlo visto.» Quando Stev Kimmer si allontanò in fretta diretto al ponte di imbarco, Avril fu certa della sua collaborazione. Un'occhiata al cronometro le rivelò il suo perfetto tempismo. Si lisciò i capelli, si frizionò ancora un poco con l'intenso profumo muschiato che prediligeva, e si lucidò le unghie per qualche istante fino a che un colpo discreto risuonò sulla porta. Nabhi Nabol entrò. «I tuoi compagni di stanza sono andati via?» 8.
La tensione si impadronì di Kenjo Fusaiyku al primo tremito che scosse la navetta nel momento dell'impatto con l'atmosfera. L'Ammiraglio, seduto tra Kenjo e Jiro Akamoto, il Secondo Pilota, si protese in avanti con impazienza facendo tendere la cintura di sicurezza, e sorrise pregustando il momento che stava per giungere. Anche Kenjo si concesse un sorriso, che istantaneamente mascherò con la consueta freddezza della sua espressione. Le cose procedevano fin troppo bene. Non era insorto alcun problema con la lista di controllo del conto alla rovescia. Considerata una inattività di quindici anni, la navetta spaziale Eujisan rispondeva perfettamente ai comandi. Avevano raggiunto un'ottima angolazione, tale da consentire un atterraggio perfetto su un punto che, stando ai dati trasmessi dalla sonda planetaria, era livellato come una vera e propria pista. Kenjo però non aveva mai smesso di preoccuparsi per la possibilità di imprevisti; un'abitudine questa che aveva fatto di lui uno dei migliori piloti della Flotta del Settore di Cygnus, malgrado il fatto che le poche situazioni di emergenza che si era trovato a dover fronteggiare, erano sempre state di un genere assolutamente imprevedibile. Ma Kenjo era bravo soprattutto proprio perché, nel programmare le possibili avarie, era sempre stato pronto a tutto. L'atterraggio su Pern era tuttavia qualcosa di diverso. Nessuno, ad eccezione dei componenti della Squadra di Esplorazione e Valutazione ormai morti da un pezzo, aveva mai messo piede su quel pianeta. Inoltre, secondo il giudizio di Kenjo, quegli antichi visitatori non avevano trascorso su Pern una quantità di tempo sufficiente per potersi formare un'idea precisa e fedele della realtà. Accanto a lui, Jiro stava leggendo con un filo di voce i dati rassicuranti rilevati dalle sue strumentazioni, ed entrambi i piloti avvertivano la resistenza opposta alla navetta mentre questa penetrava profondamente negli strati dell'atmosfera. Kenjo serrò le dita attorno alla barra di controllo puntando saldamente i piedi e aderendo il più possibile alla poltrona così da ottenere maggiore stabilità. Desiderava che anche l'Ammiraglio, ancora proteso in avanti, si ritraesse nella sua poltrona: era davvero snervante sentirsi sul collo il respiro di qualcuno in un momento come quello. Come aveva fatto a trovare tanta elasticità nella sua cintura di sicurezza? La superficie esterna della navetta andava surriscaldandosi, ma la tempe-
ratura interna rimaneva costante. Kenjo lanciò un'occhiata allo schermo piccolo. La discesa procedeva regolarmente anche per i passeggeri, e nessun collo si era svincolato dalle cinghie che assicuravano il carico. Gli occhi di Kenjo guizzavano da un quadrante all'altro del pannello controllando l'efficienza generale del velivolo. La vibrazione si fece assai più violenta, ma del resto c'era da aspettarselo. Non aveva forse sfondato la barriera gassosa di protezione di un centinaio di mondi in quella stessa maniera, scivolando come un temperino sotto il lembo di una busta, o penetrando come un uomo dentro il corpo della sua amata? Si trovavano adesso sul lato notturno di Pern, mentre una luna irradiava uno splendido bagliore sull'oscura massa continentale. Intanto correvano incontro al giorno, sorvolando l'immenso mare del Pianeta. Controllò la quota raggiunta dalla navetta. Ecco, ora erano dritti sul bersaglio. Il primo atterraggio su Pern non poteva essere perfetto: qualcosa doveva pur andare storto, oppure la sua fede nelle probabilità sarebbe andata in frantumi. Kenjo consultò attentamente il pannello di controllo in cerca di qualche spia rossa rivelatrice o di qualche lampeggiante lucetta gialla indicatrice di un qualche cattivo funzionamento. Invece la navetta continuava a scendere regolarmente col suo moto obliquo mentre un sudore freddo correva lungo la schiena di Kenjo e gli imperlava la fronte al di sotto del casco. Al suo fianco Jiro appariva esteriormente calmo, ma d'un tratto si morse nervosamente un angolo del labbro inferiore. Accortosene, Kenjo girò la testa dall'altra parte, per impedire che l'espressione del suo volto potesse tradire la soddisfazione che provava nello scoprire che anche il suo Secondo Pilota era agitato dalla medesima tensione. Tra di loro, il respiro dell'Ammiraglio Benden si fece più rapido. Che il vecchio gli morisse accanto per la gioia? Kenjo provò un'improvvisa fitta di paura. Sì, poteva anche succedere. La navetta avrebbe atterrato senza problemi, ma l'Ammiraglio Benden avrebbe potuto rimetterci la pelle proprio quando era sul punto di arrivare alla sua Terra Promessa. Sì, ecco l'imprevisto: un errore umano e non un guasto meccanico. Mentre la mente di Kenjo si dilettava con le implicazioni conseguenti a quell'immaginario disastro, la resistenza opposta dalla superficie della navetta cominciò a scemare quando la velocità del veicolo spaziale divenne inferiore alla velocità del suono. Il livello termico all'esterno era ottimale, il veicolo rispondeva con docilità al timone, e la quota era esatta, mentre la
velocità di caduta era uguale a quella programmata. Ricorda, Kenio - raccomandò a se stesso - di usare la minor quantità di carburante possibile. Più ne conservi, più viaggi potrai fare. E poi... Kenjo bloccò il flusso dei suoi pensieri. Ci sarebbero stati ancora molti aerei da pilotare per molti anni a venire. I generatori di energia potevano durare interi decenni se accuratamente ricaricati. E poi, se fosse riuscito ad accaparrarsi i pezzi giusti... il suo spirito non sarebbe rimasto a terra per molto. Rilevò alla svelta i livelli di quota, controllò la bussola, equilibrò gli ipersostentatori, fece un rapido calcolo della velocità e continuò a tuffarsi obliquamente verso la fascia costiera che si stagliava in piena vista davanti a lui. Dagli schermi apprese che le altre navette seguivano alla prescritta distanza di sicurezza. La Eujisan, con Kenjo al timone, e l'Ammiraglio Benden e la Governatrice Boll a bordo, sarebbe stata la prima a toccare il suolo di Pern. La navetta stava volando sopra l'oceano orientale, preceduta dalla sua ombra proiettata sull'acqua mentre sorvolava piccoli gruppi di isolotti e le masse più vaste dell'arcipelago che si trovava a nordest rispetto al luogo dell'atterraggio. Nel momento in cui individuò un perfetto cono vulcanico levarsi al di sopra dell'acqua, Kenjo per poco non perse la concentrazione: la sua rassomiglianza con il celebre Monte Fuji era a dir poco incredibile. Senza dubbio quel vulcano era un buon segno. Kenjo notò la presenza di alcune bolle spumose alla base del promontorio roccioso che segnalava il loro approssimarsi al luogo prescelto per l'atterraggio. «Retrorazzi, due secondi di accensione,» ordinò, compiaciuto nell'udire la propria voce ferma e tranquilla, quasi annoiata. Jiro obbedì, e la navetta sussultò lievemente mentre i retrorazzi ne frenavano la velocità di caduta. Kenjo sollevò il naso che aveva preso a sanguinare un po' per effetto della pressione. «Sganciare il carrello di atterraggio.» Jiro annuì. Kenjo restò in vigile attesa, la mano sospesa sui dispositivi di accensione dei retrorazzi da utilizzare nel caso il carrello non fosse fuoriuscito. Ma, puntuali, le luci verdi si accesero rimanendo tali senza lampeggiare, e Kenjo avvertì l'attrito dell'aria contro le grandi ruote che calarono fino a trovarsi nella posizione prevista.
La velocità della navetta era ancora un po' troppo elevata per l'atterraggio. La vasta distesa si allungava sotto di loro, ondulata come il mare. Kenjo combatté contro il panico che cominciava a impossessarsi di lui. Controllò la resistenza aerodinamica, la velocità del vento e, piegandosi alla necessità, accese nuovamente i retrorazzi per qualche secondo poi, convintosi che la navetta fosse ora pronta per potersi posare sul suolo di Pern, eseguì una leggera cabrata facendo appena impennare la prua del velivolo. Le grandi ruote toccarono la superficie planetaria, e la navetta sobbalzò impercettibilmente sul terreno irregolare. Frenando giudiziosamente ed utilizzando appieno gli ipersostentatori, Kenjo fece ruotare la navetta in un'ampia virata in modo da trovarsi con la prua rivolta alla direzione dalla quale erano giunti e portando così la Eujisan ad un arresto completo. Kenjo si concesse un sorrisetto di soddisfazione: poi si rivolse verso il pannello di comando e diede inizio alle verifiche di controllo. Nel notare l'esiguità del carburante consumato, emise un borbottio di compiacimento per la propria capacità di economizzare. Il consumo era infatti di parecchi litri al di sotto della quantità prevista. «Splendido atterraggio! Kenjo! Jiro! Le mie congratulazioni,» si complimentò l'Ammiraglio. Kenjo decise di perdonargli l'entusiastica pacca piovutagli sulla spalla. Poi, d'improvviso, lui e Jiro trasalirono nell'udire dei rumori inattesi: era lo schiocco secco di ganci metallici e il sibilo repentino di una rapida fuga d'aria. Allarmato, Kenjo si voltò giusto in tempo per scorgere l'Ammiraglio e la Governatrice sparire giù per l'uscita d'emergenza della cabina di pilotaggio. Kenjo guardò immediatamente la consolle certo che i capi della spedizione dovevano aver reagito ad una qualche emergenza, ma sul pannello si era accesa soltanto la luce rossa d'arresto. L'odore di erba bruciata, di petrolio, e del carburante dei razzi, si diffuse in breve nell'abitacolo risalendo dal portello d'emergenza. Nello stesso momento, i due piloti udirono le grida provenienti dalla cabina dei passeggeri: grida di gioia, non urla di panico. Un'occhiata agli schermi, confermò a Kenjo che i passeggeri stavano slacciando le cinture di sicurezza. Alcuni si erano alzati e provavano a sgranchire braccia e gambe scambiandosi battute eccitate sull'emozione che di lì a poco avrebbero provato calpestando il suolo della loro nuova casa. Ma perché l'Ammiraglio e la Governatrice si erano allontanati dalla navetta così precipitosamente e attraverso il portello d'emergenza, anziché quello principale?
Jiro lo osservò interrogativamente, ma tutto ciò che Kenjo fece, fu di alzare le spalle. Poi, mentre le grida si affievolivano fino a lasciarsi dietro un silenzio interrotto soltanto da nervosi sospiri, Kenjo si rese conto che, in quanto pilota, toccava a lui assumere la direzione delle operazioni successive. Attivò quindi il dispositivo di apertura della stiva; accese i sensori rivolti all'esterno, e posizionò le telecamere che avrebbero immortalato quello storico momento. Ma, soprattutto, dovette fingere che ogni cosa fosse in ordine, malgrado lo strano comportamento assunto dall'Ammiraglio e dalla Governatrice. Kenjo sganciò quindi la sua cintura facendo cenno a Jiro di imitarlo. Si chinò poi per qualche secondo attivando il meccanismo di chiusura del portello. Compì i tre passi che lo distanziavano dal pannello che separava la cabina di pilotaggio da quella dei passeggeri e, appoggiandovi sopra i palmi, lo spinse di lato. Fu salutato da gioiosi urrà e con modestia abbassò il capo e gli occhi. Le grida di esultanza scemarono mutandosi in trepida attesa quando il pilota giunse in fondo alla cabina e sbloccò il portello d'uscita dei passeggeri. Con un vigore non necessario, ma carico di soddisfazione, Kenjo spinse la porta e, mentre questa si spalancava e contemporaneamente veniva allungata la scaletta, l'aria fresca del nuovo mondo penetrò nell'abitacolo. Kenjo non fu l'unico ad inspirare una profonda boccata di quell'aria fragrante e ricca d'ossigeno. Il pilota era incerto sul protocollo da seguire in quella circostanza giacché i candidati più logici avevano già abbandonato il veicolo. Ma d'un tratto Jiro, in piedi al suo fianco, prese a indicare qualcosa con grande eccitazione. Kenjo si affacciò dal portello che si stava aprendo lentamente, e sbatté le palpebre per la sorpresa. Lì davanti, visibili anche dalle altre cinque navette atterrate secondo l'ordine previsto dietro di lui, si vedevano due bandiere. Una recava l'oro e l'azzurro della Confederazione dei Pianeti Senzienti, mentre l'altra rappresentava il nuovo stendardo del pianeta Pern: blu, bianco e giallo, col disegno del falcetto e dell'aratro nell'angolo superiore di sinistra, inteso a significare la natura pastorale della colonia. A tratti, seminascoste dallo sventolio delle bandiere che garrivano nella brezza che aleggiava costante sul prato, si intravedevano le figure trionfanti dell'Ammiraglio Benden e della Governatrice Boll. Kenjo vide che sorridevano entrambi, mentre invitavano entusiasticamente i passeggeri ad uscire dalle navette.
«Amici miei, lasciate che vi dia il benvenuto sul pianeta Pern!», gridò l'Ammiraglio con voce stentorea. «Benvenuti su Pern!», gridò a sua volta la Governatrice. «Benvenuti! Benvenuti!» Si scambiarono quindi un lungo sguardo e cominciarono a declamare in perfetto unisono le seguenti parole ovviamente frutto di diligenti esercitazioni. «In virtù del potere del quale siamo stati investiti dalla Confederazione dei Pianeti Senzienti, noi prendiamo possesso di questo pianeta che chiamiamo Pern!» 9. Gli ingegneri, il gruppo per le risorse energetiche, i factotum, e tutti gli uomini e le donne che sapevano da quale parte impugnare un martello, furono impiegati nel lavoro di picchettaggio delle griglie per le piste di atterraggio. Un altro gruppo di lavoro fu impegnato nella installazione delle strutture prefabbricate destinate a fungere da torre di controllo e stazione metereologica, nella quale si sarebbero insediati Ongola ed i suoi collaboratori. La torre era alta tre piani ed era costituita da due sezioni quadrate alle quali faceva da supporto una base rettangolare di ampiezza e lunghezza superiori ad esse. Inizialmente, il pianterreno sarebbe stato adibito a Quartier Generale per l'Ammiraglio, la Governatrice e il Consiglio provvisorio. Quando in seguito sarebbe stato approntato il settore amministrativo vero e proprio, l'intera struttura sarebbe stata utilizzata esclusivamente per i rilievi metereologici e per le comunicazioni. Il terzo e più esiguo gruppo di lavoro - costituito da tutti e otto gli agronomi di Mar Dook, oltre ad una dozzina di elementi scelti per la loro prestanza fisica, Pol Nietro della Sezione Zoologica, Phas Radamanth, A. C. Sopers della Sezione Xenobiologica e Ted Tubberman con il suo staff aveva il compito di scegliere il luogo adatto per la fattoria sperimentale. Altri elementi furono distaccati nella zona circostante al fine di perlustrarla per rinvenire delle varietà vegetali adatte ad essere convertite in materiali plastici utili per l'edilizia. Sull'unica minislitta disponibile, Emily Boll faceva la spola tra la Sezione di Agronomia e la torre di controllo, trasmettendo a questa i dati rilevati della prima. Non appena fu allestita l'infermeria di pronto soccorso, i me-
dici furono costantemente impegnati nel medicare escoriazioni e contusioni, e nell'ordinare perentori periodi di riposo agli operai più anziani che, spinti dall'entusiasmo, si erano sottoposti ad un rischioso surmenage. A mezzogiorno, ai passeggeri in orbita sulle grandi astronavi si offriva uno spettacolo nonstop delle disciplinate ma costanti attività che fervevano sulla superficie di Pern. «Finalmente a casa,» osservò Sallah rivolgendosi a Barr Hamil, il suo Secondo Pilota, mentre insieme attraversavano i corridoi semivuoti di ritorno dall'hangar principale dove erano andate a controllare le note di carico relative alla loro prima discesa su Pern. «È incantevole, Sal. E noi due saremo proprio lì domani!» Gli occhi di Barr luccicavano, ed un largo sorriso le curvava le labbra. «Non riesco davvero a credere che ora siamo qui, mentre tra un po' saremo lì!», esclamò poi, accennando in basso con la mano. «Sembra quasi un sogno, e continuo ad aver paura che all'improvviso mi sveglierò.» Giunte nel loro alloggio, entrambe non avevano occhi che per il piccolo schermo collocato nell'angolo della stanza. «Meno male,» disse Barr con un sospiro di sollievo. «Hanno già preparato i carrelli scaricatori.» Sallah sorrise. «Il nostro compito è portare giù la navetta tutta d'un pezzo, Barr. Scaricarla è un problema che tocca a qualcun altro.» Ma in fondo anche lei si sentì sollevata nel vedere i carrelli già allineati all'estremità della pista d'atterraggio quasi completata. In questo modo, l'operazione di scarico sarebbe stata assai facilitata, affrettando inoltre il ritorno delle navette alle astronavi madri per il lancio successivo. Erano già state ingaggiate delle competizioni spontanee tra le diverse unità, decise a portare a compimento i propri piani di sbarco con maggiore efficienza e velocità rispetto ai tempi previsti dal programma. Sallah e Barr continuarono a contemplare gli schermi, così come tutti gli altri sull'astronave, fino a quando la buia notte tropicale priva di luna rese la ricezione troppo disturbata. Le trasmissioni dalla superficie sarebbero rimaste poco chiare finché Drake Bonneau e Xi Chi Yuen, con la lancia dell'Ammiraglio, non fossero riusciti ad installare i satelliti per le comunicazioni sulle due lune. Cionondimeno, nell'osservare l'ultima scena ancora visibile, Sallah sentì un groppo di nostalgia stringerle la gola, e rammentò le gite di caccia che soleva fare con i genitori sulle colline di Prima Centauri.
Lo schermo mostrava donne e uomini stanchi seduti intorno ad un immenso fuoco da campo, intenti a consumare il pasto serale preparato in un'enorme marmitta utilizzando carne e verdure congelate e disidratate. A stento si intravedevano, alla luce delle fiamme, le bianche strisce delle piste e i segnavento scossi da improvvisi soffi della brezza vivace. La bandiera del pianeta, così effimeramente spiegata al mattino, era adesso ricaduta intorno all'asta sulla torre di controllo. Qualcuno cominciò ad intonare dolcemente con l'armonica una vecchia, vecchissima melodia, così familiare che Sallah non riuscì a rammentarne il nome. Qualcun altro accompagnò quel motivo col suono di un registratore e, piano piano, esitanti dapprima e poi più sicuri, gli stanchi coloni fecero coro alla musica cantando o accennando le note a bocca chiusa. Altre voci ancora fecero eco al coro, e Sallah ricordò che la canzone era intitolata «A casa, tra i pascoli». Certo che quel giorno non si erano udite parole di scoramento, e quella serenata notturna aveva reso il luogo dell'atterraggio un po' più caldo e accogliente, quasi come una casa. Il mattino seguente, Sallah e Barr erano sveglie già da un pezzo prima che suonasse il segnale. Si erano date da fare a radunare i passeggeri e a compiere le ultime operazioni di controllo del carico. I due piloti avevano ricevuto attente e precise istruzioni dal Comandante Ongola in merito alla necessità di risparmiare carburante. «Possediamo carburante liquido appena sufficiente a trasportare ogni uomo, donna e bambino, animale, cassa, pacco, ed ogni struttura meccanica riciclabile, dalle astronavi giù in superficie. Minor spreco vuol dire minor pericolo. Solo gli stupidi sprecano il carburante! E noi non abbiamo carburante da sprecare. Né abbiamo,» aggiunse col suo mesto e pensoso sorriso, «degli stupidi in mezzo a noi.» Con gli occhi rivolti agli schermi del ponte d'imbarco, Sallah e Barr seguirono il decollo delle sei navette dalla superficie del pianeta. L'immagine si spostò quindi su una vista panoramica della vasta area di atterraggio. «Ti mozza il fiato, Sal, ti mozza il fiato,» commentò Barr. «In vita mia non ho mai visto tanta terra libera in una volta sola.» «Devi abituartici,» replicò Sallah con un sorriso. Impegnate a sorvegliare la regolarità delle operazioni di preimbarco, Sallah e Barr sembrarono non accorgersi del tempo impiegato dalle navette a raggiungere l'astronave. E, prima ancora che i piloti Kenjo e Jiro fossero usciti dalla Eujisan, gli addetti al carico stavano già infilando le prime casse nella stiva.
Sallah si risentì alquanto con Kenjo per la sua brusca maniera di liquidare le domande eccitate di Barr. Persino Jiro sembrò sconcertato dalla severità del suo superiore nell'istruire succintamente Sallah sulle procedure di atterraggio, nel darle consigli sul modo di ovviare alle anomalie della navetta, e nel riferirle la frequenza d'onda per stabilire il contatto con la torre di controllo. Le augurò una tranquilla caduta, salutò, poi si voltò di scatto e lasciò il ponte. «Addio Comandante,» disse Barr ripresasi dalla mortificazione subita. «Anche se Fussy Fusi ci ha fatto girare parecchio, credo che sia meglio fare anche il controllo prevolo,» disse Sallah infilandosi nella stiva della Eujisan proprio davanti ad una enorme cassa che stavano caricando a bordo. Le operazioni di controllo circa l'efficienza della navetta erano già state ultimate, quando il carico fu interamente imbarcato. Barr passò allora ad un'ispezione della cabina passeggeri, accertandosi che il Generale Cherry Duff, l'individuo più anziano della spedizione nonché giudice della colonia, fosse sistemato comodamente. Dopodiché, tutto fu pronto per la discesa. 10. «Siamo appena arrivate,» si lamentò Barr mentre Sallah faceva rullare la Eujisan nella posizione di decollo all'estremità della pista otto ore dopo, «e già ce ne andiamo di nuovo.» «Efficienza è il nostro motto. Minor spreco, minor pericolo,» le ricordò Sallah senza distogliere lo sguardo dagli strumenti, mentre apriva la valvola di regolazione del flusso di carburante per la propulsione al decollo. Quindi storse la bocca, mentre con gli occhi controllava velocemente il livello del carburante e il contagiri, risoluta a non consumare un solo centimetro cubo di carburante più del necessario. «Kenjo e il prossimo gruppo di coloni impazienti si staranno già mangiando le unghie fuori dal portello di imbarco. Dobbiamo andar su, su... e in fretta!» «Kenjo non ha mai commesso un errore in tutta la sua vita?», chiese Barr a Sallah dopo che il famoso pilota ebbe fatto una sprezzante considerazione sul consumo del carburante registrato durante i viaggi compiuti dalle due donne. «Per questo è ancora vivo,» replicò Sallah. Ma il suo commento bruciava di rancore. Benché fosse sicura di non a-
ver utilizzato una quantità di carburante superiore a quella assolutamente necessaria, Sallah cominciò ad annotarsi per suo conto i consumi effettuati per ciascuna corsa. Sapeva di essere un pilota superiore alla media, sia nel volo spaziale che in quello atmosferico, ma non voleva affatto competere con un pilota come Kenjo, provvisto di un'esperienza di gran lunga più vasta della sua. Ad ogni modo, se proprio un confronto si fosse reso necessario, lo avrebbe sostenuto non senza il conforto di una accurata documentazione. Intanto, su Pern, il lavoro procedeva alla svelta e con un'ordinata organizzazione dei diversi incarichi. Ogni mattina si avviava la costruzione delle nuove aree di lavoro e alloggio per coloro che sarebbero arrivati durante il giorno. Le squadre della Sezione Agronomia sgombravano abilmente i terreni designati. L'infermiera aveva già soccorso i suoi primi clienti ma, per fortuna, tutti gli incidenti verificatisi fino a quel momento erano stati di poco conto. Malgrado la dura fatica a cui tutti erano sottoposti, ovunque prevaleva il buon umore. Qualche spiritoso aveva persino piazzato dei segnali stradali che riportavano le distanze di Pern dalla Terra, da Prima Centauri e dagli altri mondi membri della Confederazione dei Pianeti Senzienti. 11. Come tutti gli altri in attesa di scendere su Pern, Sorka Hanrahan trascorreva buona parte del suo tempo ad osservare i progressi compiuti dall'insediamento, battezzato informalmente «Approdo». Per Sorka quello era solo un modo per far passare il tempo, giacché in fondo non era realmente interessata allo spettacolo, specie da quando sua madre continuava a ripeterle che laggiù si stava facendo la storia. Ma la storia era qualcosa che si poteva leggere sui libri. Sorka era sempre stata una ragazzina molto attiva sicché quell'ozio forzato e la costrizione tipica della vita di bordo, avevano ben presto finito per diventare frustranti. Ed era una ben magra consolazione sapere quanto sarebbe stata importante la professione di suo padre - chirurgo veterinario - una volta scesi su Pern. Non bastava certo a rallegrarla dopo aver incontrato nelle sale e nei corridoi affollati quei ragazzini che si accingevano a partire prima di lei e di suo fratello. Brian però non aveva fretta: lui aveva fatto amicizia con i gemelli Jepson, che erano alloggiati a due corridoi di distanza da loro. In verità aveva-
no un fratello maggiore che aveva la stessa età di Sorka, solo che a questa risultava proprio antipatico. La mamma però le ripeteva che su Pern avrebbe trovato molte ragazze della sua età con le quali avrebbe fatto amicizia quando sarebbe andata a scuola. «Ho bisogno di un'amica adesso,» mormorava Sorka tra sé, mentre gironzolava per i corridoi dell'astronave. Una tale libertà di movimenti era un privilegio raro per una ragazza costretta sempre a guardarsi dagli estranei. Persino a casa sua, nella fattoria di Clonmel, non le era permesso aggirarsi se non sorvegliata da un adulto, nonostante la protettiva presenza del suo vecchio cane Chip. Sulla Yokohama invece, non solo non doveva stare all'erta, ma aveva l'intera astronave a disposizione, purché si tenesse alla larga dalla zona motori e dal Ponte di Comando, e non interferisse nelle mansioni dell'equipaggio. Ma, al momento, non aveva alcuna voglia di escursioni in aree ancora sconosciute; desiderava solo un luogo comodo e accogliente. Optò allora per il suo posto preferito, il giardino. Durante la sua prima esplorazione, aveva scoperto la zona dell'astronave nella quale enormi piante, dalle foglie larghe, si inarcavano sotto il soffitto, e con i loro rami intrecciati formavano verdi capanne. Sorka amava l'aroma meraviglioso della terra rorida e dei vegetali, e non provava alcuna inibizione nel riempirsi i polmoni con profonde boccate di quell'aria che le lasciava sul palato un gusto fresco e pulito. Al di sotto dei giganteschi cespugli, cresceva ogni sorta di erba e piantine, tutte etichettate e pronte per essere trasferite sul nuovo mondo. Gran parte di quei nomi le erano ignoti, ma riconosceva alcune delle erbe, delle quali ricordava il nome di uso comune. Nella loro fattoria, la mamma curava un giardino di erbe aromatiche e medicinali, e Sorka sapeva quali foglie le avrebbero lasciato una gradevole fragranza sulle dita. Con audacia strofinò leggermente tra le dita le foglie della maggiorana e poi quelle minuscole del timo. I suoi occhi si abbeveravano dell'azzurro, del tenue giallo e del rosa dei fiori in boccio, e la bambina scrutava con curiosità le centinaia di cassette contenenti dei germogli posti in piccole ampolle d'acqua - fluidi nutrienti, le aveva detto il papà - sbocciati soltanto pochi mesi addietro così da essere pronti per essere piantati una volta giunti su Pern. Si era appena chinata a sfiorare delicatamente la superficie pelosa di una specie sconosciuta di foglia color verde-argento - era convinta che avesse un buon odore - quando scorse un paio di occhi azzurro intenso che nessu-
na pianta poteva aver sviluppato. Deglutì ricordando a se stessa che sulla nave non c'erano estranei, che lì era al sicuro. Quegli occhi potevano appartenere soltanto ad un'altro passeggero che, come lei, stava esplorando il silenzioso giardino. «Ciao,» disse Sorka in tono misto di sorpresa e cordialità. Le palpebre si abbassarono celando per un istante gli occhi azzurri. «Va via. Tu non appartieni a questo posto,» l'ammonì minacciosa una giovane voce maschile. «Perché no? È aperto a chiunque, fintantoché non si danneggiano le piante. Tu, anzi, non dovresti stare accovacciato in quel modo.» «Va via.» Una mano sudicia caricò di enfasi l'ordine. «Non sono obbligata a farlo. Tu chi sei?» Gli occhi di Sorka, adattatisi alla penombra, lessero il risentimento nell'espressione del ragazzo. Sorka si accoccolò fissandolo. «Come ti chiami?», domandò. «Non sono obbligato a dirlo a nessuno.» Il ragazzo parlava con un accento familiare. «Ehi, scusa! Su questo non c'è dubbio,» disse Sorka in tono affettato. Poi si rese conto di aver riconosciuto quell'accento. «Ma tu sei irlandese. Come me.» «Io non sono come te.» «Prova a negarlo che non sei irlandese.» Il diniego non arrivò - e non poteva arrivare, cosa che sapevano bene tutti e due - ed allora la ragazza allungò la testa verso di lui sorridendogli amabilmente. «Capisco benissimo perché vieni a nasconderti qui. Si sta tranquilli e si sente un profumo così fresco! Sembra quasi di essere a casa. Neppure a me piace l'astronave. Mi sento - Sorka si strinse il busto tra le braccia - come se fossi prigioniera e oppressa in ogni momento.» Strascicò le parole perché esprimessero le sue sensazioni. «Io sono di Clonmel. Ci sei mai stato?» «Sicuro.» Il tono del ragazzo era brusco, ciononostante scostò una lunga ciocca di capelli rossi dagli occhi e modificò la sua posizione in modo da guardare il volto della ragazza. «Io sono Sorka Hanrahan.» Lo fissò interrogativamente. «Sean Connell.» Il ragazzo cedette di malavoglia dopo un considerevole indugio.
«Il mio papà è veterinario. Il miglior di Clonmel.» L'espressione di Sean si rischiarò per l'approvazione. «Lavora con i cavalli?» Sorka annuì. «Con qualsiasi animale ammalato. Tu avevi dei cavalli?» «Sì, quando eravamo ancora a Ballinsloe,» si rabbuiò in volto per un'antica sofferenza. «Avevamo dei buoni cavalli,» aggiunse poi in tono fiero. «Avevi anche un pony tutto per te?» Il ragazzo sbatté le palpebre e lasciò ricadere il capo. «Anch'io ho nostalgia del mio pony,» lo confortò Sorka compenetrandosi nel suo dolore. «Ma ne avrò un altro su Pern, e il mio papà ha detto che tra le scorte di sperma ce ne sono alcune speciali proprio per questo.» Non era del tutto sicura di quella cosa, ma le sembrava la più adatta da dire in quella circostanza. «Noi avremo i migliori: ce li hanno promessi. Non possiamo andare da nessuna parte senza cavalli, perché su Pern non ci saranno carri a cuscino d'aria.» «E niente più poliziotti!» Sorka gli sorrise maliziosamente: aveva immaginato che il ragazzo fosse un nomade. Suo padre aveva detto che ce n'erano tra i coloni. «E niente più contadini che ti cacciano via dai loro campi, niente più "sloggia entro ventiquattr'ore", o bettole schifose, e finalmente la libertà di poter scegliere la strada che vuoi fare e... oh, un mucchio di altre cose che desideri veramente, e più nulla di brutto.» «Non potrà essere tutto così bello,» osservò Sean con cinismo. Improvvisamente, l'intercom collocato nel giardino annunziò: «Il segnale d'imbarco per il volo di questa mattina è già stato dato. I passeggeri si portino immediatamente sulla piattaforma d'imbarco del Ponte Cinque.» Ritraendosi come una tartaruga, Sean si nascose tra le ombre. «Ehi, ce l'ha per caso con te?» Sorka cercò di individuare nell'oscurità la faccia di Sean. Le parve di scorgere un debole cenno di assenso. «Ragazzo, sei fortunato a scendere così presto. Al terzo giorno! Che ti prende? Non vuoi andare?» Si mise carponi per vederlo meglio in viso. Poi, lentamente, si ritrasse. Aveva visto la paura vera abbastanza spesso da riconoscerla ora in Sean. «Accidenti, farei volentieri cambio con te. Non ce la faccio più ad aspettare il mio turno. Sai, non è mica un viaggio tanto lungo. E non sarà diverso da quello che abbiamo fatto dalla Terra alla Yoko,» continuò pen-
sando di rassicurarlo. «Non è stato poi male, vero?» Quel trasbordo sulla Yoko lo aveva difatti affrontato con frenetica eccitazione, né la consapevolezza che non appena fosse giunta sull'astronave sarebbe stata immersa in un sonno profondo, era valsa a spegnere il suo entusiasmo. Di fatto, una volta a bordo, aveva avuto coscienza soltanto della pressione prodotta dal decollo. «Quando ci hanno imbarcati eravamo già addormentati.» Le parole del ragazzo furono un sussurro terrorizzato. «Accipicchia, ti sei perso la parte migliore. Naturalmente una metà dei grandi,» aggiunse Sorka con degnazione, «piagnucolava nel guardare la vecchia Terra per l'ultima volta. Io invece fingevo di essere l'astronauta Yvonne Yves, e mio fratello Brian, che è molto più giovane di noi due, faceva finta di essere Tracey Tram.» «E chi sono?» «Ma dai, Sean! Mi risulta che avete dei videoschermi nelle vostre case mobili. Non dirmi che non hai mai visto Avventurieri dello Spazio!» Il ragazzo si mostrò chiaramente sprezzante. «Roba da poppanti.» «Beh, in fondo, ora sei anche tu un Avventuriero dello Spazio e, se è soltanto roba da poppanti, non c'è nulla da aver paura, non ti pare?» «Chi ha detto che ho paura?» «Ah, no? E ti nascondi nel giardino!» «Avevo solo bisogno di una buona boccata d'aria fresca.» Di botto uscì allo scoperto. «Con un intero pianeta pieno d'aria fresca disponibile solo a poche ore sotto di te?» Sorka gli sorrise. «Fa finta d'essere un eroe dello spazio.» L'intercom si fece nuovamente vivo, e la ragazza colse la nota di collera che inaspriva la voce dell'Ufficiale d'Imbarco. Desi Arthied non aveva mai dovuto chiamare nessun passeggero fino a quel momento. «Le navette partono esattamente tra venti minuti. I passeggeri che non si presenteranno alla piattaforma d'imbarco saranno spostati in coda alla lista.» «È furioso,» disse Sorka a Sean. Gli diede una leggera spinta in direzione della porta. «Farai meglio ad andare. I tuoi ti. spelleranno vivo se non li farai partire.» «Sai tutto tu!», disse Sean selvaggiamente, dopodiché si precipitò fuori dalla porta del giardino.
«Un gattino spaventato,» disse piano Sorka, poi sospirò con drammatica enfasi. «Beh, non può farci nulla.» Si rivolse quindi nuovamente alle foglie olezzanti. 12. Il sesto giorno, tutto il personale necessario era stato trasbordato sulla superficie di Pern. I sedili furono rimossi da cinque delle sei navette e collocati intorno allo spiazzo del fuoco fino a che non fossero serviti di nuovo. Montagne di provviste furono portate giù, distribuite ed immagazzinate. Seguirono poi le attrezzature più delicate imballate in contenitori antiurto, assieme allo sperma ed ai preziosi ovuli fecondati provenienti dalla Terra e da Prima. Nel trasportare questo genere di mercanzia, Sallah fu assolutamente sicura di non aver mai udito Barr trarre un respiro più profondo. Gli ovuli immediatamente fecondati vennero inseriti nelle mucche, nelle capre e nelle pecore, che si erano perfettamente riprese dal sonno profondo. Di queste specie animali erano stati portati dei piccoli esemplari dotati di particolare robustezza, non i migliori esponenti genetici disponibili sulla Terra, ma quelli adatti a far da madri succedanee; gli embrioni erano anch'essi diversi, specificatamente adattati per vigore e resistenza. Ne sarebbe risultata una progenie capace - o almeno così si sperava - di digerire il foraggio coltivato su Pern, - un foraggio che avrebbe posseduto un contenuto di boro maggiore di quello presente nei comuni prodotti terrestri - nonché una soddisfacente varietà delle erbe indigene. Se invece fossero insorti dei problemi, Kitti Ping e sua nipote, Wind Blossom, sarebbero ricorse alle tecniche degli Eridaniti mirate a modificare appropriatamente la generazione successiva. Ad ogni modo, secondo i programmi, almeno una parte degli animali sarebbero stati comunque sottoposti a degli adattamenti per far sì che nelle loro ghiandole si generassero gli enzimi richiesti. In tal modo, si sarebbe evitato di utilizzare dei batteri simbiotici come avevano fatto gli antichi predecessori terrestri. L'Ammiraglio Benden osservava con orgoglio come, prima ancora che tutte e tre le astronavi fossero state completamente evacuate, probabilmente su Pern si sarebbero schiuse le prime uova di gallina. E si spinse anche oltre annunziando che sul pianeta vi erano le prove dell'esistenza di ovaiole locali, giacché erano stati rinvenuti dei gusci rotti sulla spiaggia, a mon-
te della linea dell'alta marea, proprio nel punto in cui erano stati costruiti il porto e il vivaio ittico. Gli zoologi si sforzavano di figurarsi quale genere di creatura avesse depositato delle uova simili a quelle delle galline terrestri. In verità speravano che si trattasse delle magnifiche e bizzarre creature alate rettiloidi menzionate dalla squadra dei CEV, e che fino a quel momento non avevano fatto ancora la loro comparsa. Poiché dalle analisi dei gusci era risultata la presenza di un elevato livello di boro, la Squadra aveva posto le uova e i suoi occupanti nella lista degli alimenti indigeni non commestibili. Nei quattro giorni successivi, le navette effettuarono soltanto due viaggi giornalieri, in quanto il carico e lo scarico di tutto quel materiale portava via un mucchio di tempo. «Io preferirei portar giù un pò di passeggeri,» osservò Barr, mentre assieme agli altri piloti non di turno consumava il pasto nella sala mensa. «Sempre casse: grandi, medie, piccole. Sembra quasi che aumentino. E tutte quelle erbe e quei cespugli assolutamente insostituibili! Eppure c'è ancora un sacco di gente da scaricare.» La mensa, per quanto non fosse più gremita, restava comunque ancora piena di persone. Guardandosi attorno, Sallah scorse la famigliola dalle chiome rosse seduta un po'? più lontano alla sua sinistra. Rivolse quindi ai quattro un cenno di saluto e sorrise allegramente ai visini imbronciati dei due piccoli Hanrahan. «Magnifici quei capelli rossi, vero?», disse Sallah con trasporto. «Troppo insoliti,» ribatté Avril in tono canzonatorio. «Non direi,» aggiunse Drake Bonneau osservando il gruppetto. «Col tempo diventeranno assai graziosi.» «È troppo giovane per te, Bonneau!», disse Avril. «Sono un uomo paziente,» ribatté Drake sorridendo: non gli capitava spesso di far uscire dai gangheri quella donna tutta fuoco. «Saprò dove trovarla, quando sarà cresciuta.» Pareva che prendesse seriamente in esame quella prospettiva. «Naturalmente, il marmocchio è irrimediabilmente giovane per te, Avril. Un'intera generazione di divario!» Avril gli scoccò una occhiata lunga e disgustata poi, afferrata la caraffa del vino, si avviò verso i distributori. Sallah incrociò lo sguardo di Barr. Avril era nel primo turno il mattino seguente, e i capricci del vento erano già abbastanza fastidiosi anche senza i postumi di una sbronza. Rivolsero entrambe gli occhi a Nabol, Secondo Pilota di Avril, il quale
si strinse nelle spalle con indifferenza. Del resto, Sallah non si era aspettata una grande collaborazione da parte sua: nessuno riusciva a influenzare Avril. «Ehi, Avril, lascia perdere quella roba,» intervenne Drake alzandosi per fermarla. «Mi avevi promesso una rivincita a gravity-ball. Il campo sarà libero adesso.» La sfidò con un sorriso provocatorio e, dal punto in cui era seduta, Sallah scorse la mano di Drake scivolare in una carezza lungo il braccio di Avril. La bocca di questa si arcuò in un'espressione meno contrariata. «Ci conviene usarlo finché possiamo,» aggiunse l'uomo approfondendo l'intensità del suo sorriso. Il suo braccio risalì fino alle spalle di Avril e, toltale di mano la caraffa, la depose sul tavolo più vicino mentre conduceva la donna fuori della sala senza voltarsi indietro. «Wow! Il fascino ha la sua utilità,» osservò Barr. «Andiamo a vedere se giocheranno proprio a palla nel campo gravitazionale?», suggerì Nabol con un'intrigante luccichio negli occhi. «Ci sono giochi e giochi,» replicò con una scrollata di spalle. «Personalmente ne ho visti di tutti i tipi. Scusatemi.» Si alzò e si allontanò in direzione del tavolo al quale sedevano gli Hanrahan. Sapeva di aver passato a Barr la patata bollente ma, se Nabol l'avesse messa a disagio, avrebbe potuto benissimo andarsene anche lei. «Ciao. Per quando è previsto il vostro sbarco?», domandò non appena ebbe raggiunto la famiglia. «Per domani,» rispose Red con un sorriso di benvenuto. Prese una sedia dal tavolo vicino e la offrì al pilota. «Si accomodi, la prego. Credo che saremo proprio sulla sua navetta.» «Sì.» Sorka gratificò Sallah di un sorriso raggiante. «Avete dovuto aspettare un bel po',» osservò Sallah nel sedersi. «Io sono veterinario e Mairi è una pediatra,» spiegò Red. «Non siamo personale di assoluta necessità.» «Non ora, forse, forse,» replicò Sallah con un largo sorriso che riconosceva l'importanza futura delle loro specializzazioni. «Laggiù è davvero tutto bello come sembra?», domandò Sorka. «Beh, per la verità non ho avuto molto tempo per scoprirlo,» confessò Sallah con aria delusa. «Sai: partiamo, scarichiamo, e poi risaliamo. Ma posso dirti che l'aria è fresca e inebriante come il vino.» Allargò le narici
inspirando l'atmosfera riciclata dell'astronave. «È c'è anche un venticello,» sorrise, «a volte un po' capriccioso.» Si esibì quindi in una mimica degli sforzi necessari a dominare il timone di controllo della navetta. Mairi la osservava con aria pensosa, mentre suo marito manifestava un'ardente partecipazione. Sallah allora si rivolse ai bambini. «La scuola è fantastica. E tenuta all'aperto! Vi si insegna tutto quello che sappiamo sulla nostra nuova casa.» I due ragazzini avevano accennato un grugnito di protesta alla prima frase, ma i loro visini cominciarono ad illuminarsi mentre Sallah continuava. «A volte gli insegnanti ne sanno quanto gli studenti». «Ieri sera non hanno acceso il falò!», si lamentò Brian deluso. «Hanno dovuto issare i piloni per la luce, ma stasera lo vedrai. Non sei l'unico a cui è mancato. Ho sentito dire che è stato deciso di allestire una piazza per il falò, ed ogni sera ha la possibilità di accenderlo uno che abbia lavorato sodo guadagnandosi questo privilegio.» «Fantastico!», esultò Brian. «E cosa dovrò fare io per poterlo accendere?» «Troverai di sicuro qualcosa da fare Brian,» lo rassicurò suo padre. «Allora, vi rivedrò domani, sempre allegri e puntuali?» Sallah si alzò dando un'affettuosa arruffatina ai capelli di Sorka. «Ci saremo prima di lei,» rispose Red con un sorriso. E furono i primi davvero, con sorpresa di Sallah, giacché Mairi aveva voluto arrivare in anticipo per assicurarsi personalmente che il suo prezioso bagaglio venisse depositato senza subire danni nella stiva della navetta. I preziosi cimeli di famiglia erano stati fonte di grande preoccupazione per Mairi, la quale teneva in maniera particolare alla cassa di palissandro nella quale era custodito il suo corredo e che da generazioni accompagnava gli appartenenti alla sua famiglia. Era stata smontata con cura e, malgrado coprisse la maggior parte del peso consentito per i bagagli, Mairi aveva preteso che viaggiasse con loro fino a Pern. E poi anche Sorka non sarebbe riuscita a riconoscere la camera da letto dei genitori senza la cassa sotto la finestra. La ragazza però era stata costretta a ridurre la sua collezione di cavalli giocattolo gelosamente conservata portando con sé soltanto tre dei più piccoli. Ed aveva anche dovuto ridurre a dieci i suoi numerosi video-libri. In quanto a Brian, si era portato dietro dei modellini di navi, anch'essi smontati, e spesso il piccolo si lamentava in quanto non riusciva a trovare la col-
la necessaria. E fu proprio questa la sua richiesta quando Sallah e Barr salutarono la famiglia Hanrahan. «Colla?», ripeté Sallah sorpresa. «Hanno portato giù di tutto: perché mai avrebbero dovuto escludere la colla?» Strizzò un occhio a Red che sorrideva. «Se così non fosse, i nostri esperti locali inventeranno qualcosa: Pern sembra ben fornito. Ed ora a bordo, Clan degli Hanrahan! Siamo soltanto di poco avanti al gruppo di oggi.» In quanto primi ad essere arrivati, gli Hanrahan poterono scegliere i posti, e Sorka suggerì di sedersi nell'ultima fila così da essere i primi ad uscire. Fu davvero angosciante aspettare che tutti prendessero posto e sistemassero le cinture di sicurezza prima che la navetta iniziasse la caduta libera. L'eccitazione quasi soffocava Sorka. Il cattivo funzionamento dello schermo anteriore le provocò una certa delusione, poiché non avrebbe saputo in quale preciso istante la navetta avrebbe lasciato la piattaforma di lancio. Inoltre, la visione di immagini sarebbe servita a distrarla dalle vibrazioni della navetta. Guardò con ansia i genitori, ma entrambi avevano le palpebre abbassate. Brian, invece, strabuzzava gli occhi per la fifa, proprio come lei. Ma Sorka non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di farsi vedere spaventata; d'improvviso, si rammentò di Sean Connel nascosto nel giardino, e costrinse a immaginare se stessa come Yvonne Yves, l'eroina dello spazio, a capo di una eccitante missione su un pianeta misterioso. E poi, finalmente, arrivarono. I retrorazzi spinsero Sorka contro lo schienale della poltrona imbottita e quasi le tolsero il respiro. La navetta quindi sussultò leggermente non appena il carrello d'atterraggio fu a contatto col terreno della pista. «Abbiamo atterrato! Ce l'abbiamo fatta!», gridò. «Non esserne così sorpresa, tesoro!», disse suo padre ridendo e, allungandosi, le diede una pacca sul ginocchio. «Potremo mangiare quando saremo scesi?», domandò Brian con petulanza, suscitando le risatine di qualche passeggero davanti a loro. Sorka udì il sibilo del portello della cabina dei piloti; poco dopo apparvero Sallah e Barr che diedero l'ordine di sbarcare. Una raffica d'aria fresca e il bagliore della luce solare invasero il veicolo spaziale, e Sorka sentì il cuore batterle più in fretta per la felicità. Ridendo, suo padre le sganciò la cintura di sicurezza e la incitò ad alzar-
si. Ma un attimo di ansia la trattenne. «Forza, ochetta,» disse Red, sorridendole per farle capire che comprendeva la sua esitazione. «Ehi, Sorka, adesso puoi scendere,» le gridò Sallah. Le gambe della bambina traballavano appena mentre si alzava. «Sono di nuovo pesante,» esclamò. Sentire nuovamente il proprio peso corporeo era una sensazione nuova dopo il regime di semi-gravità della Yoko. Giunta presso l'uscita, Sorka si arrestò, intimidita dalla prima immagine di Pern: un vasto panorama di un altopiano erboso, con dei buffi bitorzoli di cespugli bluastri sotto il cielo verde-azzurrino. «Non bloccare l'uscita, cara,» disse una donna in piedi vicino alla scaletta. Sorka obbedì alla svelta. Ma come fece a scendere dalla scaletta con tutto quello che c'era da guardare intorno, non riuscì mai a ricordarlo. La vegetazione che ricopriva il suolo era profondamente diversa dall'erba della fattoria. I cespugli, più che essere verdi, sfumavano nel blu, ed avevano le foghe di una foggia assai strana che le ricordavano le forme geometriche ad incastro di un giocattolo che aveva posseduto quando muoveva i primi passi. «Guarda, papà, le nuvole! Proprio come a casa!», gridò eccitata indicando il cielo. Il padre proruppe in una risata e, cingendole le spalle con un braccio, l'attrasse a sé. «Forse ci hanno seguito, Sorka,» disse con dolcezza, la bocca aperta in un largo sorriso. Sorka sapeva che era eccitato proprio quanto lei per aver toccato finalmente il suolo di Pern. La bambina spinse indietro la testa, aspirando la fresca brezza che sussurrava sull'altopiano. Recava il profumo di cose meravigliose, nuove ed entusiasmanti. Desiderò mettersi a ballare, nuovamente libera sotto un cielo senza pareti e senza soffitto ad opprimerla. «Siete gli Hanrahan o i Jepson?», domandò una donna con un registro tra le mani. «Hanrahan,» rispose Red. «Mairi, Peter, Sorka e Brian.» «Benvenuti su Pern,» disse la donna, sorridendo garbatamente prima di vistare il foglio. «Siete stati sistemati all'Alloggio Quattordici, sulla Piazza d'Asia; ecco la vostra pianta della colonia. Tutti i servizi più importanti sono evidenziati con chiarezza. Adesso, se volete essere così gentili da dare
una mano per scaricare la navetta...» Consegnò a Red un foglio, ed accennò con la mano al carrello trasportatore che si avvicinava in retromarcia al portello aperto della stiva. Dopodiché si diresse verso i Jepson, appena usciti dalla cabina passeggeri. «Ce l'abbiamo fatta, amore mio,» disse Red abbracciando sua moglie. Sorka si stupì nel vedere gli occhi dei suoi genitori velarsi di lacrime. La quantità di cose da scaricare andava ben oltre il bagaglio personale dei passeggeri. Cartoni e cartoni di provviste dovevano ancora essere spuntati dalle liste dell'Ufficiale responsabile del carico. «Dite agli spedizionieri che occorrono altri letti,» fu riferito a Sallah quando la stiva della navetta tornò ad essere vuota. «Altrimenti stanotte qualcuno non avrà il letto per dormire.» «E questa me la chiami efficienza!», osservò Sallah rivolta a Barr. Fece un cenno di saluto agli Hanrahan e richiuse il portello della cabina per prepararsi al volo di ritorno. «Presto non ci sarà più nessuno lassù, e delle navi non resteranno che gli scafi.» «Lo so,» convenne Barr. «Mi aspetto quasi di non trovare più neppure le nostre cuccette.» Diedero quindi avvio alle operazioni di controllo per il decollo, e Sallah sorrise nel segnare le sue annotazioni. Il suo atterraggio planato era perfetto, il che significava un risparmio di quasi venti litri di carburante per ogni viaggio. Il vento stava girando a poppa, sicché raccomandò a Barr di affrettarsi con la lista di controllo. «Voglio sfruttare questo vento di coda. Ci farà risparmiare carburante.» «Buon Dio, Sal, sei cattiva come Fussy Fusi.» Quindi Barr completò la lista di controllo aggiungendo un'epressione fiorita. «Quello che vorrei sapere è per quale fottuto motivo dobbiamo darci tanto da fare a risparmiare carburante. Non potremo andare in nessun posto utile con quello che risparmiamo. E, una volta che le astronavi saranno state smantellate, le navette spaziali non ci serviranno più a niente, o mi sbaglio?» Sallah la scrutò con attenzione per poi ridacchiare scherzosamente. «Considerazione molto interessante, amica mia. Davvero interessante. Credo proprio,» aggiunse dopo un momento di riflessione, «che andrò a dare una controllata ai serbatoi mentre Fussy è di turno.» Eppure, dopo che lo ebbe fatto, non riuscì a darsi una risposta soddisfacente. Visto che stavano risparmiando tanto carburante, il livello nei serbatoi avrebbe dovuto essere ben più alto. Barr, impegnata a flirtare con uno
degli ingegneri delle fonti energetiche, si dimenticò completamente della sua casuale osservazione. Ma per Sallah non fu così. E, durante uno dei lanci pilotati da Kenjo, si recò al computer centrale di bordo per fare qualche calcolo. Il consumo di carburante era ad un livello accettabile in ambedue i serbatoi della Yoko. Sallah calcolò il consumo medio di carburante per ciascuno dei viaggi fatti da lei, aggiunse quindi una stima di quelli effettuati da Kenjo, e pervenne ad un consumo totale che avrebbe dovuto lasciarli con duemila litri in più di carburante disponibile. Ricavò allora una percentuale basata sul consumo avvenuto durante i carichi più pesanti, quando i fattori di spinta e il vento avevano richiesto un dispendio maggiore di carburante. Ancora una volta si trovò di fronte ad un deficit, di poco inferiore a quello precedente ma comunque significativo. Che vantaggio si poteva trovare nell'accumulare carburante? C'entrava forse Avril? Ma tra lei e Kenjo non c'era mai stata amicizia. Anzi, in diverse occasioni, Avril aveva fatto degli apprezzamenti diffamanti sul conto di Kenjo, delle calunnie inaccettabili basate su motivi etnici. «Naturalmente, se si vuole mettere qualcuno fuori pista...», sussurrò Sallah a se stessa. Controllando la distanza dal sistema più vicino - vietato un secolo prima delle Squadre di Esplorazione e Valutazione - quella del pianeta abitabile più vicino, e calcolando l'autonomia e la velocità di crociera della lancia dell'Ammiraglio, Sallah pervenne alla conclusione che la Mariposa poteva raggiungere, pur con la guida più attenta ed esperta, soltanto il sistema inabitabile. Ma quale vantaggio se ne poteva trarre? Seccata per il pomeriggio sprecato, Sallah si allontanò alla ricerca di Barr. Erano di turno per il volo serale, il che significava che avrebbero dormito sul pianeta. 13. Con somma delizia di Sorka, la scuola su Pern era interamente focalizzata nell'adattare gli allievi alla loro nuova casa. A tutti furono date istruzioni per usare con sicurezza gli utensili più comuni, mentre ai ragazzi che superavano l'età di quattordici anni fu insegnato il modo di adoperare alcune delle attrezzature meno pericolose. Agli allievi furono mostrati gli esemplari di vegetali da evitare e furono illustrate le specie botaniche classificate fino a quel momento: alcune va-
rietà di frutti, verdure in foglia e tuberi innocui, commestibili seppure con moderazione. Uno degli incarichi da affidare a quei ragazzi sarebbe stata per l'appunto la raccolta di ogni vegetale commestibile al fine di integrare i viveri trasportati dalla Terra. Nel corso delle lezioni furono anche mostrati dei vetrini di insettoidi ed erpetoidi indigeni. Alla fine, i bambini al di sotto dei dodici anni furono riuniti nell'aula principale, mentre i più grandicelli si radunavano all'aperto in attesa dell'assegnazione di un lavoro da svolgere sotto la guida di un caposquadra adulto. «Durante questo periodo di insediamento,» disse Rudi Shwartz, il Direttore della scuola, ai più anziani, «avrete l'opportunità di lavorare con parecchi esperti, e apprenderete così il mestiere o la professione che vi piacerebbe svolgere nel contesto del lavoro che si sarà sviluppato su Pern. È nostra intenzione porre in atto un sistema di apprendistato che funzionò perfettamente sulla vecchia Terra e che ha riscosso un notevole successo anche su Prima Centauri. Questo sistema ci sembra particolarmente adatto alla natura pastorale della nostra colonia. Tutti noi dovremo lavorare sodo per stabilirci su Pern, ma la diligenza sarà premiata.» «Con che cosa?», domandò un ragazzo dal fondo della scolaresca con un tono che suonò alquanto insolente. «Col piacere di ciò che è stato fatto e,» aggiunse Shwartz alzando il timbro della voce e sorridendo al piccolo scettico, «con concessioni di terra o di materiali quando avrai raggiunto la maturità e vorrai continuare per conto tuo. Tutti noi abbiamo le stesse opportunità qui su Pern.» «Però il mio papà dice che i promotori si prenderanno tutta la terra migliore,» disse dal mucchio dei bambini la voce di un maschietto. Ispezionando i bambini con gli occhi un po' socchiusi, Rudolph Shwartz attese che il suo pubblico si spazientisse prima di rispondere. «Lo statuto concede loro il diritto di prima scelta. È vero! Ma questo è un pianeta vasto, con milioni di acri di terreno arabile. E poi, anche i promotori devono dimostrare di meritare la terra che rivendicano. Ne rimarrà certamente un po' per tuo padre, e anche per te. Dunque... quanti di voi sanno già manovrare le macchine per il raccolto automatico?» Sorka, frattanto, aveva studiato tutti i suoi compagni allievi come lei, e con riluttanza aveva concluso che non vi erano "ragazze della sua età. Le ragazzine adolescenti avevano già formato un gruppo dal quale Sorka era esclusa, mentre le altre erano troppo più giovani di lei. Rassegnata, cercò invano Sean Connel. Non era forse tipico di uno zingaro marinare la scuo-
la alla prima buona occasione? La prima parte della lezione mattutina si concluse con l'istruzione relativa alla prassi da seguire per ottenere all'occorrenza il necessario presso il Deposito Viveri e Materiali. Vi si potevano richiedere dolci e leccornie terrestri oculatamente razionate, stivali da campo, biancheria fresca, e così via. Ognuno, aveva insistito il direttore, aveva diritto a certi beni di lusso e, se questi erano disponibili, sarebbero stati certamente elargiti. Dopo un breve invito alla moderazione, gli studenti furono lasciati liberi di consumare il pasto servito dalle cucine della comunità, ubicate presso la Piazza del Falò. Alle ore 13, sarebbero tornati a scuola per i compiti pomeridiani. Dopo circa due settimane di inattività sulla nave, Sorka accolse con allegria l'opportunità di sgranchirsi i muscoli. Fu pressoché l'unica a scegliere la mansione alla quale si dedicò con serietà. Le altre ragazze, specie quelle più grandi, inorridivano all'idea di sottoporsi a lavori pesanti. Ma Sorka, tipica figlia della campagna, si sentiva superiore a quei gigli di città, e lavorava con una diligenza tale nell'aiutare a sgombrare i campi dalle pietre, che la sua capo-squadra le consigliò di non metterci tanto impegno. «Non che non apprezziamo il tuo vigore, Sorka,» le disse con un sorriso, «ma non dimenticare che sei stata inattiva per quindici anni. Fai riabituare i tuoi muscoli con delicatezza.» «Beh, almeno io i muscoli li ho,» replicò Sorka dando un'occhiata sprezzante alla squadra di ragazze intente a piantare i pali di plastica di una recinzione, con i volti astiosamente ingrugnati. «Si abitueranno a Pern. Sono qui per rimanerci,» commentò la caposquadra con una specie di sbuffo. «Tutti dobbiamo abituarci.» Sorka sospirò con una contentezza tale che l'anziana donna non poté far a meno di chinarsi su di lei e arruffarle i capelli. «Hai mai preso in considerazione la carriera di agronomia?» «No: ho intenzione di diventare veterinario come il mio papà,» rispose Sorka allegramente. La caposquadra fu la prima di molti adulti che avrebbero gradito avere Sorka come apprendista. Questa rimase solo qualche giorno nel gruppo della raccolta delle pietre, dopodiché, assieme ad altri cinque ragazzi, fu trasferita al porto ed al vivaio. «Hai dimostrato che sai lavorare senza bisogno di essere sorvegliata, Sorka,» le disse con approvazione Rudolph Shwartz. «Ed è proprio la virtù di cui Pern ha bisogno per andare avanti.»
Dopo un'intera mattinata trascorsa nell'imparare a riconoscere gli esemplari marini già classificati, Sorka e gli altri cinque ragazzini furono divisi in due gruppi e mandati in direzioni opposte lungo l'immensa distesa del porto naturale. Il loro compito consisteva nel raccogliere ogni specie di alga ed erba marina non ancora identificata, e qualunque essere o vegetale sconosciuto rimasto nelle pozze formate dalla marea dopo il temporale della notte precedente. Entusiasta, Sorka si allontanò allegramente con Jacob Chernoff, il quale, in quanto più anziano, fu nominato capogruppo e munito di segnalatore per i casi di emergenza. «Questa sabbia però dovrebbe essere diversa, non così uguale alla nostra,» si lamentò il terzo membro del gruppetto mentre si accingevano alla ricognizione. «Chung, qui su Pern, gli oceani erodono e frantumano le rocce allo stesso modo in cui ciò avviene sulla Terra, e il risultato è identico: sabbia,» spiegò Jacob pazientemente. «Di dove sei?» «Kansas,» rispose Chung. «Ma voi non sapete dove si trova.» Rivolse quindi uno sguardo beffardo a Sorka. «Confina ad est col vecchio stato dei Missouri, a sud con l'Oklahoma, ad ovest col Colorado e a nord col Nebraska,» si difese Sorka con studiata insicurezza. «E non avete sabbia lì da voi. Avete soltanto terriccio!» «Ehi! Diciamo che te la cavi in geografia!», disse Jacob con un sorriso di ammirazione. «Da dove vieni?» «Dal Colorado?», le domandò Chung sarcastico. «Irlanda.» «Oh, una di quelle isole europee,» tagliò corto Chung. Poi Sorka accennò ad un grosso arbusto purpureo situato proprio davanti a loro. «Ehi, lo hanno già, questo?» «Non toccarlo,» l'ammonì Jacob quando lo ebbero raggiunto. Il ragazzo lo sollevò per mezzo di un paio di pinze così da poterlo esaminare da vicino. Un folto fogliame si diramava irregolarmente da uno stelo centrale. «Sembra che sia cresciuto direttamente sul fondo marino,» osservò Sorka, indicando un groviglio di viticci posti alla base che avevano l'aspetto di radici. «Non ci hanno mai mostrato nulla di così grosso,» disse Chung. Avvolsero quindi l'esemplare in un sacchetto per sottoporlo all'esame degli esperti.
Quell'arbusto costituì pressappoco tutto il bottino del pomeriggio, malgrado la loro solerzia nel setacciare numerosi ammassi di vegetazione marina già identificata. Ispezionando gli affioramenti delle ruvide rocce grigie che punteggiavano la lunga spiaggia a semicerchio, si imbatterono in una pozza di cospicue dimensioni animata da una nutrita varietà di popolazione marina: esseri che agitavano freneticamente le molteplici zampe, una coppia di oggetti purpurei di aspetto vescicoide che Sorka ritenne sicuramente velenosi, e diverse creature trasparenti della lunghezza di un dito che all'aspetto sembravano quasi dei pesci. «Come fanno ad essere quasi dei pesci?», protestò Chung quando Sorka ebbe manifestato la sua opinione. «Stanno in acqua, no? Quindi sono pesci,» rispose quella. «Non necessariamente,» intervenne Jacopo. «E, per la verità, non somigliano affatto a dei pesci. Sembrano piuttosto... beh, non saprei dirlo,» ammise. Quella forma di vita pareva possedere delle pinne laterali, alcune delle quali in costante movimento. «Sembrano... pelosi.» «Tutto quello che so, è che non abbiamo visto niente di simile nelle vasche del vivaio,» disse Chung. Estratto un contenitore, si accovacciò presso il margine della pozza per catturarne uno. Jacob riuscì a infilare una delle vesciche in un barattolo, e tre esemplari di quegli esseri con più zampe quasi vi balzarono dentro votandosi volontariamente alla cattura. Gli pseudo-pesci a forma di dito elusero invece le manovre di entrambi i ragazzi. Scartati i suggerimenti di Sorka per catturarli, la ragazza proseguì nella sua esplorazione della spiaggia. Intorno ad un secondo cumulo di macigni, scoprì un massiccio affioramento dall'aspetto simile alla testa di un uomo delle fattezze grossolane, completo della fronte rugosa, del naso, delle labbra e del mento, del quale una parte era sepolta nella sabbia e lambita dalle onde. Compiaciuta e spaventata al tempo stesso, Sorka rimase a guardare la testa in rapita ammirazione. Era meravigliosa, ed era stata proprio lei a trovarla. Una delle ragazze che come lei abitavano nella Piazza d'Asia, era caduta in un fosso che si era poi rivelato uno dei numerosi ingressi ad una serie di grotte che si diramavano verso occidente. Queste erano poi state ufficialmente denominate Grotte di Catherine dal nome della loro casuale scopritrice. Testa di Sorka? Mormorò con un filo di voce.
No, la gente avrebbe potuto pensare che si trattava della sua testa, e lei non le assomigliava affatto! Mentre valutava tra sé la questione, alzò gli occhi alla magnifica e imponente scogliera, e fu allora che avvistò la creatura, apparentemente sospesa nell'aria. Le mancò il fiato dallo stupore perché, proprio in quell'istante, il sole fece sua quella creatura e, avvolgendola nel suo bagliore, la trasformò in una statua d'oro. Poi, d'improvviso, quella si tuffò in picchiata e si celò alla vista della ragazza scivolando dietro la cresta della testa di pietra. Nessuno le aveva mostrato qualcosa che somigliasse a quella stupenda creatura, e Sorka si sentì pervasa da un'intensa eccitazione. Avrebbe riferito qualcosa di prodigioso al suo ritorno al vivaio. Si diresse di corsa verso la massiccia testa che cominciava a perdere la sua illusoria rassomiglianza. Ma di questa a Sorka non importava più ormai. Aveva scoperto qualcosa di gran lunga più importante: una creatura di Pern. Dovette arrampicarsi su per una lunga serie di macigni per raggiungere la sommità. Si fermò poco prima di giungere in vetta, e scrutò intorno nella speranza di vedere ancora e più da vicino la creatura alata. Poi, delusa, sì alzò. Non era visibile nulla oltre alla nuda roccia, sforacchiata qui e là da faglie e buche. Si ritrasse quindi in fretta quando un'ondata, infrangendosi sulla facciata della scogliera, penetrò attraverso una delle buche fuoruscendo come un pennacchio zampillante che la spruzzò di fresca acqua marina. Sconsolata, Sorka completò la scalata fin sulla cresta tenendosi ben alla larga dalle buche piene di spuma. Da quell'altezza poteva godere di una splendida veduta della baia posta a emiciclo. Scorse Jacob e Chung sdraiati presso la pozza, e distinse il movimento di persone nel vivaio e il primo dei pescherecci ancorati. Volse quindi lo sguardo a ponente, e godè di una magnifica vista delle spiaggette delimitate da altri affioramenti rocciosi dello stesso genere di quello sul quale era salita. Dinanzi a lei non vi era altro che l'oceano, ma Sorka sapeva che, in qualche punto oltre la curva del pianeta, si stendeva il continente settentrionale. Si voltò quindi indietro a guardare la fitta vegetazione che cresceva fin sul ciglio del costone roccioso. Improvvisamente ebbe sete. Avvistato quello che le parve un albero di frutti rossi, decise di raggiungerlo per servirsi. Avrebbe potuto portare qualche frutto anche ai due ragazzi, probabilmente desiderosi di concedersi una pausa. Due cose accaddero allora nello stesso istante: per poco Sorka stava per
finire in una larga cavità occupata da una quantità di pallide uova chiazzate quando, improvvisamente, qualcosa si avventò su di lei, mancando di poco la sua testa con gli artigli. Sorka si gettò bocconi sulla superficie rocciosa, scrutando ansiosamente intorno in cerca della cosa che l'aveva attaccata. Questa sfrecciò nuovamente contro di lei, con gli artigli protesi. Sorka aspettò, così come aveva fatto una volta con un toro inferocito, per rotolare via all'ultimo momento. Un'ondata di collera e di offesa le pervase la mente, e fu così intensa che Sorka inavvertitamente prese a gridare. Confusa da quelle emozioni inattese, ma pienamente consapevole dell'immediato pericolo, Sorka si abbassò carponi e si lanciò di corsa verso il margine della scogliera. Urla di rabbia e di frustrazione lacerarono l'aria facendole affrettare la discesa. Vi fu un fruscio, e Sorka abbassò istintivamente la testa per eludere un altro attacco, dopodiché si riparò sotto una sporgenza. Appiattitasi contro la parete di roccia, stavolta poté osservare fin troppo bene da chi proveniva quell'assalto: era una creatura i cui occhi divampavano di fiamme rosse e arancioni. Il suo corpo era color dell'oro; le ali, quasi traslucide, ma di una sfumatura più tenue, si stagliavano contro il cielo verde-azzurrino, e la scura struttura di quella creatura era chiaramente delineata. Quell'essere urlò, confuso e sorpreso, poi si alzò in volo scomparendo alla vista. Sorka si chiese se si sarebbe accorta che era nascosta lì, all'ombra della sporgenza. Sentì che gridava ancora; stavolta però il suono era diverso a causa, sperò, della distanza e dello sciabordio delle onde. Una di queste si infranse impetuosamente sulle rocce circostanti, bagnandola dalla testa ai piedi. Preoccupata, si rese conto che la marea di Pern spingeva le onde sempre più a monte della battigia, ed era perciò consigliabile allontanarsi alla svelta. Si guardò attorno con circospezione, ed aguzzò l'udito per captare gli echi ormai distanti delle grida. Una seconda ondata rese la necessità di allontanarsi ancor più pressante, e Sorka cominciò a dirigersi brancicando verso la parte meno erta della scogliera. I piedi le scivolavano sulle rocce bagnate, e l'ultimo metro fu tutta una caduta incontrollabile. Ondeggiando con le braccia per tenersi in equilibrio, approdò finalmente sulla spiaggia. Ancora abbastanza piccola da piangere per il dolore, proruppe in un gemito angosciato allorché mento, mani e ginocchia, le si sbucciarono nella rovinosa caduta.
Dall'alto giunse un'eco ai suoi lamenti, e Sorka, dimentica del dolore, sollevò la testa per scorgere la creatura alata di prima. «Allora vuoi prenderti gioco di me?» Sorka si sentì di botto adirata, come se qualcuno dei suoi compagni la stesse deridendo. «Mi prendi in giro?», domandò poi rivolta all'aurea creatura. Repentinamente, quella svanì. «Accidenti!», esclamò Sorka sbattendo le palpebre. Scrutò quindi il cielo in cerca della creatura, sbigottita dalla velocità alla quale era scomparsa alla vista. «Incredibile! È più veloce della luce.» Rimessasi in piedi lentamente, Sorka fece un giro fino a compiere un circolo completo, certa che quel volatile sarebbe stato visibile da qualche parte. In quel momento, un'altra onda si infranse ai suoi piedi e, sebbene fosse già bagnata fradicia, la ragazza fu lesta a ritrarsi. Le mani e le ginocchia le bruciavano al contatto con l'acqua salata, ed aveva un bel po' di strada da fare fino al vivaio senza neppure una scusa valida che giustificasse le sue escoriazioni. Inconsciamente, aveva già deciso di non riferire ancora a nessuno del volatile. D'un tratto, in un punto della scogliera sovrastante, i cespugli si scostarono, e Sorka sussultò per la sorpresa quando tra essi si affacciò una testa bionda. «Pezzo d'idiota, l'hai spaventata!» Sean Connell scivolò lungo il dirupo: la sua pelle non era più pallida, ma arrossata dai raggi solari, e dei lampi azzurri gli brillavano negli occhi. «Sono nascosto quassù dall'alba, sperando che cadesse nella mia trappola, e tu hai mandato tutto all'aria. Stupida incapace!» «Le hai teso una trappola? A una creatura così incantevole? E l'avresti portata via dalle sue uova?» Inorridita, Sorka si avventò su Sean, le mani strette a pugno, le dita serrate strettamente mentre bersagliava il ragazzo con una fitta serie di pesanti fendenti. «Non oserai farlo! Non oserai farle del male!» Sean si abbassò tentando di sottrarsi a quella pioggia di colpi. «Non voglio farle del male! Voglio addomesticarla!», gridò, riparandosi con le mani e cercando di evitare i colpi della ragazza. «Noi non uccidiamo nessuno. Voglio solo catturarla. Per me!» Con un affondo insospettato, Sean agguantò Sorka gettandola sulla sabbia e ricadendo a sua volta su di lei. Con la sua corporatura più lunga e più pesante riuscì a inchiodarla efficacemente al suolo. Riprendendo fiato, Sorka si contorse nello sforzo di piegare le gambe per scalciare contro l'avversario.
«Non essere stupida, ragazzina. Non volevo farle del male. La sorveglio da due giorni, e non ho detto a nessuno di lei.» Compreso infine il senso delle sue parole, Sorka desistette rimanendo docile sotto di lui: però continuò a scrutarlo con sospetto. «È così che stanno le cose?» «Già.» «Però non è giusto lo stesso.» Sorka cercò di sollevarsi, ma Sean la respinse facendola affondare nella sabbia con energia ancora maggiore. La schiena le doleva, contusa dai ciottoli. «Non è giusto sottrarla alle sue uova.» «Ci avrei pensato io a sorvegliarle.» «Ma tu non sai se i suoi piccoli hanno bisogno di lei o no. Non puoi catturarla!» Sean fissò Sorka con rabbiosa diffidenza. «E tu allora, cosa stavi facendo? C'è una ricompensa per chi cattura esemplari simili. E a noi i soldi servono più che a voi.» «Non esistono soldi su Pern! Chi ne ha bisogno?» Sorka lo guardò dapprima stupita, quindi intenerita dallo sgomento dipintosi sul volto del ragazzo. «Puoi prendere quello che vuoi ai Magazzini. Non te lo hanno spiegato a scuola?» Sean la guardò con cauta attesa. «Oh, ma tu non ci sei andato abbastanza da imparare queste cose, non è così?», sbuffò sdegnata. «Ora lasciami alzare. I sassi mi stanno scavando dei buchi nella schiena. Sei davvero impossibile!» Libera di sollevarsi, Sorka si rimise in piedi scrollandosi la sabbia dai vestiti. Quindi tornò a guardare Sean. «Ci sei rimasto almeno il tempo di imparare a riconoscere le cose velenose?» Sospirò di sollievo al lento assenso del ragazzo. «La scuola non è poi tanto male. Almeno qui.» «Non esistono soldi?» Sean sembrava incapace di afferrare quell'idea sbalorditiva. «No, a meno che qualcuno non abbia portato qualche vecchia moneta per ricordo. Ne dubito, però: è roba che pesa. Ascolta,» disse poi in fretta, afferrando il braccio di Sean che stava per allontanarsi. «Basta andare all'edificio dei Magazzini, ad Approdo. È la costruzione più grande. Si dice agli addetti di cosa si ha bisogno, si segna il proprio nome su un modulo di richiesta e, se ciò che è richiesto è disponibile, viene consegnato al richiedente. Si chiama istanza di rifornimento, ed ognuno di noi, ragazzi com-
presi, ha il diritto di presentarla per richiedere le cose conservate nei depositi dei Magazzini. Beh, delle cose ragionevoli.» Sorrise, sperando di rischiarare quel volto ingrugnito. «Come sei capitato da queste parti?» Mentre attendeva la risposta, fu alquanto seccata all'idea che se lui e la sua famiglia si aggiravano in quella zona, allora probabilmente non era stata lei la prima persona ad avvistare la roccia a forma di testa, e di conseguenza non avrebbe potuto darle il suo nome. «Come tu stessa mi avevi detto sull'astronave - si interruppe e d'improvviso si sciolse in un sorriso colmo di fascino e malizia - una volta giunti su Pern, saremmo stati liberi di andare dove desideravamo. Solo che non possiamo allontanarci troppo fino a quando non avremo i cavalli.» «Non mi dirai che vi siete portati dietro i carri?» Sorka inorridì al pensiero del peso che avrebbero aggiunto al carico della stiva. «Sono stati portati anche dei carri,» le confermò lui. «Solo, non abbiamo niente per trainarli.» Accennò al folto sottobosco. «Però siamo di nuovo liberi, e ci accamperemo dove vogliamo finché non avremo i nostri animali.» «Ci vorranno un paio d'anni, sai?», disse Sorka in tono serio. Ancora una volta Sean annuì solennemente. «Ma abbiamo già cominciato. Il mio papà è veterinario, ed ha detto che hanno svegliato molte giumente, asine, mucche, capre e pecore e che saranno presto ingravidate.» «Svegliate?», le chiese Sean sbigottito. «Sicuro! Secondo te, chi avrebbe ripulito le stalle se il bestiame fosse rimasto sveglio per quindici anni? Ma ci vorranno ancora undici mesi perché nascano i puledrini, se è loro che state aspettando.» «Sì, i cavalli. Ce li hanno promessi.» Il tono appassionato della voce di Sean suonò pieno di desiderio, e Sorka provò verso il ragazzo un momento di affettuoso trasporto. «Li avrete. Lo ha detto mio padre...», aggiunse, mentendo. «Ha detto che gli zi... i nomadi, saranno i primi della lista.» «Sarà meglio!» Il volto di Sean si rabbuiò minacciosamente. «O saranno guai!» «Farai meglio a rivolgerti a me prima di creare problemi qui. Mio padre ha sempre avuto buoni rapporti con la tua gente a Clonmel. Credimi, avrete i cavalli.» Lesse lo scetticismo negli occhi di Sean. «Però bada: se vengo a sapere che hai fatto del male alla nostra creatura, allora non li avrai di
certo, Sean Connell!» Sottolineò la minaccia sollevando la mano, e atteggiandola in posizione di offesa. «Non che tu possa riuscire a catturarla! È furba quella li! Capisce persino cosa stai pensando.» Sean la guardò, più sprezzante che incredulo. «Sai tante cose di lei!» «Ci so fare con gli animali.» Si interruppe, quindi sorrise. «Proprio come te. Ci vediamo. E ricordati di chiedere la roba che ti serve ai Magazzini!» Si voltò e s'incamminò lungo la spiaggia per ricongiungersi a Jacob e Chung, giusto in tempo per aiutarli a portare al vivaio gli esemplari catturati. 14. Quando Sallah Telgar apprese della richiesta di volontari per costituire un equipaggio ridotto a bordo della Yoko così da consentire al personale che non era mai sceso fino a quel momento in superficie di concedersi un fine settimana di riposo su Pern, esitò ad offrirsi fino a quando non ebbe letto i nomi dei primi tre volontari: Avril, Bart e Nabhi. Quel trio non faceva nulla che non tornasse a proprio vantaggio. Perché si erano offerti? Assalita dal sospetto, Sallah aggiunse immediatamente il suo nome. Inoltre era ancora molto curiosa di scoprire a cosa mirassero le economie di carburante di Kenjo. La Eujisan aveva consumato il carburante regolarmente, eppure i calcoli che aveva fatto lei indicavano una aliquota notevole che non era stata utilizzata dalla navetta, né si trovava nei serbatoi della Yoko. Era veramente molto strano! Ben presto, sulla vecchia Yoko non ci sarebbe stato posto neppure per nascondere un millimetro di carburante, figurarsi il volume dell'ammanco calcolato da Sallah. Ma Kenjo non figurava tra i volontari. Tutte e sei le navette decollarono per andare a prendere i membri dell'equipaggio e caricare altra roba da portare giù. Sallah pilotò la Eujisan con a bordo l'equipaggio ridotto per la Yoko. Un sorriso compiaciuto illuminava il volto di Avril, un sorriso abbastanza singolare tale da confermare a Sallah che la donna aveva dei progetti personali per quel weekend. Per contro, Bart Lemos appariva teso e inquieto, mentre Nabhi continuava ad ostentare la solita aria di superbia. Quelli tramavano qualcosa, Sallah ne era convinta. Ma, cosa tramassero, non riusciva ad immaginarlo. Quando Sallah aprì il portello sul ponte di atterraggio della Yoko, fu quasi travolta da donne e uomini esultanti in attesa di imbarcarsi sulla Eu-
jisan per il loro primo viaggio sulla superficie della loro nuova patria. Sallah non aveva mai assistito ad un imbarco più rapido. Di lì a poco, della Yoko non sarebbero rimasti che lo scafo e i corridoi che conducevano al Ponte di Comando, dove il corpo centrale del computer sarebbe rimasto intatto. Buona parte della memoria del calcolatore era stata duplicata per essere poi utilizzata sulla superficie del pianeta, ma restava ancora a bordo la maggior parte dei piani militari e navali che non sarebbero più serviti. Una volta che i passeggeri e l'equipaggio avessero abbandonato le tre astronavi nella loro orbita, non vi sarebbe stato più alcun bisogno di sapere in che modo condurre una battaglia spaziale. I volontari furono adeguatamente istruiti dai membri dell'equipaggio che andavano a sostituire, dopodiché la squadra in partenza si congedò allegramente. «Mio Dio, questo posto dà i brividi,» sussurrò Boris Pahlevi, mentre in compagnia di Sallah sì dirigeva verso il Ponte di Comando attraverso i corridoi rimbombanti. Questi erano stati da poco muniti di binari di per commento, essendo state smantellate le pavimentazioni che avevano lasciato a nudo gli assiti. «L'ultimo uomo che lascerà la nave non dovrà mica arrotolarsi l'assito alle spalle?», disse Sallah scherzosamente. Rabbrividì però nello scorgere che le uscite di sicurezza tra una sezione e l'altra erano state rimosse. L'illuminazione era stata ridotta a tre unità per corridoio. Cominciò allora a fare attenzione a dove metteva i piedi. «È triste, però,» osservò Boris in tono lugubre mentre si guardava intorno, «squartare così la vecchia carcassa.» «È opera di Ivan il Terribile,» disse Sallah. Era questo il soprannome attribuito dai piloti al Secondo Capo Timoniere incaricato di condurre le operazioni di smantellamento. «È un alaskiano, sai, e un grande arraffatore.» «Ah, ah!» la riprese Boris con beffarda severità. «Siamo tutti Pernesi adesso, Sal. Ma cos'è un alaskiano?» «Caspita! Sei il più ignorante dei bastardi, Boris, anche se fai parte della seconda generazione dei Centauriani. L'Alaska era una regione della Terra, non lontana dal circolo polare artico, e perciò molto fredda. I suoi abitanti avevano la fama di non gettar via mai nulla. Mio padre, per esempio, non ha mai buttato via niente. Dev'essere una peculiarità genetica: lui infatti fu allevato su Prima Centauri, però i miei nonni venivano dall'Alaska.» Sallah sospirò in preda ad un'ondata di nostalgia. «Papà non gettava mai via nulla.
Mi toccò fare piazza pulita di ogni cosa. Diciotto anni di roba accumulata... Beh, non era proprio roba da buttare, e riuscii a cavarne un bel po' di soldi rivedendo praticamente tutto; però fu una faticata. Le stalle di Ercole ad Augia erano pulite al confronto.» «Ercole?» «Non importa,» tagliò corto Sallah domandandosi se per caso Boris non la stesse prendendo in giro fingendo di ignorare i popoli e le antiche leggende della vecchia Terra. Alcuni membri della colonia avevano proposto di distruggere la letteratura, la mitologia, le lingue, insomma tutto ciò che aveva differenziato i popoli l'uno dall'altro. Ma erano prevalsi dei pareri più saggi e tolleranti. Il Generale Cherry Duff, storico e bibliotecario ufficiale della colonia, aveva insistito affinché fossero trasferiti su Pern tutti i documenti scritti e figurativi relativi alle varie culture etniche. Coloro i quali avevano sostenuto l'idea di un inizio completamente nuovo, si consolavano col fatto che, qualsiasi cosa fosse risultata inappropriata al nuovo contesto, sarebbe alla fine caduta in disuso con lo stabilirsi di nuove consuetudini. «Non si può mai sapere,» ammoniva ripetutamente Cherry Duff. «Talvolta le vecchie informazioni diventano nuovamente vitali e valide. Serbiamo perciò tutta la conoscenza!» La valorosa eroina di Cygnus III, una vigorosa donna al suo undicesimo decennio di vita, che si trovava a bordo della Buenos Aires assieme ai suoi bisnipoti, usava un linguaggio ricercato per rendere memorabili le sue considerazioni. «Perché disfarci dell'antica cultura? Non toghe mica spazio a tutte le stupidaggini che trasportiamo!» Sallah e Boris trovarono fortunatamente intatta l'area del Ponte di Comando. Anche le uscite di sicurezza erano al loro posto. Boris occupò la poltrona di comando e chiese a Sallah di verificare la stabilità della loro orbita. Era un ingegnere che si dilettava della programmazione al computer, e probabilmente avrebbe trascorso tutta la fine settimana esaminando il calcolatore. Era certamente qualificato per individuare e correggere qualsiasi deviazione dall'orbita. Aveva accolto con sollievo l'opportunità di esimersi dal lavoro all'esterno, dato che aveva trascurato di proteggersi la pelle dai raggi solari mentre dava una mano a erigere i piloni provvisori per l'unità idroelettrica. Era seccato con se stesso per aver ignorato una così semplice precauzione soltanto perché tutti quelli che gli lavoravano intorno si erano sfilati le cami-
cie in modo da prendere la tintarella planetaria. «Tutto procede secondo il programma,» gli riferì Sallah sistemandosi nella postazione dell'ufficiale di rotta. «La Yoko è perfettamente in orbita.» «L'Ufficiale di Servizio avrebbe fatto meglio a rimanere qui fino a quando non fosse stato sostituito,» mormorò Boris. Sospirò. «Evidentemente temeva che sarebbero partiti senza di lui. Ad ogni modo, non ci sono problemi.» Boris cominciò quindi a mettersi in contatto con le altre stazioni verificando la presenza del personale in servizio previsto dal ruolino che gli era stato consegnato. Avril Bitra e Bart Lemos erano stati assegnati al settore destinato al controllo del funzionamento dei dispositivi che adattavano le condizioni ambientali dell'astronave alle esigenze vitali umane. Nabol invece si trovava nel Settore Scorte ed Approvvigionamenti. Mentre Boris era impegnato nell'appello, Sallah cominciò con discrezione ad effettuare dei controlli sul grande schermo del computer. Digitò un programma che le avrebbe permesso di scoprire chi altri avesse adoperato la memoria centrale. Quel genere di controllo era possibile soltanto attraverso il terminal situato sul Ponte di Comando, e non era quindi effettuabile mediante gli altri terminali dell'astronave, con la sola eccezione dell'unità che si trovava sulla lancia dell'Ammiraglio. Prima di lasciare la Yoko, Sallah voleva sapere chi avesse consultato il calcolatore e quali informazioni avesse richiesto. Il perché di quelle consultazioni non poteva riuscire a saperlo, ma si accontentava lo stesso. «Sai se hanno già portato giù tutti i nastri della videoteca?» si informò Boris, rilassandosi nella poltrona di comando una volta concluso l'appello e la registrazione sul Giornale di Bordo. «Se non sbaglio, il Generale Duff ha detto che sono stati scaricati tutti, ma perché non incidi delle copie personali dal momento che ci sono nastri disponibili?» «Sì, credo che farò qualche registrazione. Del resto, non vedi come mi hanno scorticato la pelle per produrre l'energia necessaria a farli girare?» Sallah scoppiò a ridere ma dentro di sé provava una gran pena. La faccia del povero Boris era completamente spellata per le ustioni solari, e indossava degli abiti larghissimi. Lo fissò assorta finché non lo vide immergersi nella lettura, quindi si rivolse nuovamente al computer. Avril aveva chiesto le cifre relative alle quantità di carburante rimasto nei serbatoi di tutte e tre le astronavi. Nabol invece si era informato sui
macchinari e le unità di rimpiazzo già scaricate sulla superficie del pianeta, chiedendo inoltre la loro esatta collocazione nei Magazzini di Pern. Così non dovrà richiederli se gli serviranno, pensò Sallah. I programmi digitati da Avril erano più preoccupanti, giacché lei era l'unica Navigatrice Interplanetaria esperta e qualificata. Sicché, se tra loro c'era qualcuno che potesse far uso del carburante disponibile, questa era Avril. Ma dov'erano i litri e litri di combustibile che Kenjo aveva fatto sparire? Avril richiese al computer le coordinate del pianeta più vicino adatto alla sopravvivenza di umanoidi. Secondo la relazione dei CEV, due erano i pianeti dotati dei requisiti che indicavano lo sviluppo di una vita cosciente. Erano distanti, ma comunque situati entro il raggio di autonomia della lancia dell'Ammiraglio. Vi rientravano appena. Sallah continuava però a non capire quale interesse potevano rivestire quei pianeti per Avril, pur essendo raggiungibili con la Mariposa. Ammesso che Avril fosse riuscita a calcolare la rotta per raggiungerli, sarebbe stato un viaggio lungo ed estenuante, persino alla massima velocità ottenibile dalla lancia. Poi Sallah si ricordò che il veicolo era munito di due vasche di inanimazione temporanea: una risorsa estrema alla quale lei personalmente non sarebbe mai ricorsa. Se proprio avesse dovuto trovarsi in uno stato di sonno profondo, avrebbe preferito che con lei ci fosse qualcuno sveglio a controllare i quadranti. La cosa non era poi tanto semplice. Ma le vasche erano due. Chi sarebbe stato dunque il fortunato accompagnatore di Avril, se la fuga da Pern era davvero ciò a cui mirava? Ma Sallah si domandava perplessa perché mai uno volesse scappar via da Pern dopo esserci appena arrivato. Un mondo tutto nuovo a disposizione, ed Avril non voleva neppure aspettare il tempo necessario a scoprirne il vero volto! O forse sì? Durante i tre giorni del suo turno, Sallah continuò a sorvegliare le operazioni dei tre sospetti e, prima di cancellare il programma, lo registrò in memoria. Quando giunse il momento di salire a bordo della navetta per tornare sul pianeta, comprese perché l'equipaggio aveva avuto bisogno di quella licenza. La povera vecchia Yoko, quasi del tutto smantellata, era un posto davvero deprimente. E le due navi di dimensione più piccole, la Buenos Aires e la Bahrain, dovevano certo ispirare la claustrofobia. Ma ormai lo smantellamento era quasi completo, e presto le tre astronavi
sarebbero state abbandonate alla loro orbita solitaria, avvistabili soltanto all'alba e all'imbrunire come tre puntini luminosi riflettenti i raggi di Rukbat. 15. Nonostante i genitori di Sorka disapprovassero la sua amicizia con Sean Connell, la ragazzina trovava molte altre buone ragioni per continuare a frequentarlo, specie dopo che Sean aveva abbandonato la naturale diffidenza che inizialmente aveva mostrato nei suoi confronti. E, strano a dirsi, Sorka si era accorta che anche la famiglia del suo compagno non era particolarmente entusiasta della loro amicizia. Il che aggiungeva mordente alla cosa. Quel che li univa era principalmente il fascino esercitato su di loro dalla strana creatura e dalla sua covata. Sorka sorvegliava il nido assieme a Sean, sia per essere presente alla schiusa delle uova, quanto per essere sicura che gli sforzi del ragazzo per catturare la creatura non fossero coronati da successo. Quel mattino - era il suo giorno libero - Sorka si era preparata ad una lunga veglia rifornendosi di una nutrita provvista di sandwich. Ne aveva portati abbastanza per dividerli con Sean. I due ragazzi si erano nascosti distesi bocconi nel sottobosco che delimitava il promontorio roccioso, sistemandosi in un punto dal quale avevano il nido bene in vista. La bestiola color oro si crogiolava al sole sulla sponda del mare; ne scorgevano gli occhi lucenti, fissi a guardia delle uova. «Sembra proprio una lucertola,» sussurrò Sean, solleticandole l'orecchio con l'alito. «Niente affatto,» protestò Sorka, memore delle illustrazioni di un libro di fiabe. «Sembra più un piccolo drago. Sì, un draghetto,» asserì in tono quasi aggressivo. Non sopportava l'idea che un essere così magnifico potesse essere definito col nome di «lucertola». Scacciò via con cautela l'ennesimo insetto che con solerzia sospingeva attraverso il sottobosco il proprio corpo diviso in tre sezioni e dotato di numerosissime zampette. Felicia Grant, l'insegnante di botanica, aveva detto che si trattava di una specie di millepiedi della cui presenza era stata molto lieta. Aveva spiegato alla classe il suo ciclo di riproduzione: l'adulto precedeva il piccolo, che rimaneva attaccato al genitore fino a quando non ne avesse raggiunto le medesime dimensioni, dopodiché si distaccava.
Spesso venivano rimorchiate due di quelle escrescenze. Sean era oziosamente intento ad erigere uno sbarramento di foglie che allontanasse da lui quegli insetti. «I serpenti ne mangiano molti di questi, e gli wherry divorano i serpenti.» «E si divorano anche tra loro,» aggiunse Sorka con tono disgustato al ricordo di quei predatori al lavoro. Sdraiati sull'erba nella calura di mezzodì, sonnecchiavano quasi, quando una sommessa cantilena li mise in allarme. Il piccolo draghetto aureo spiegò le ali. «Protegge i suoi piccoli,» disse Sorka. «No. Dà loro il benvenuto.» Sean aveva l'abitudine di assumere un atteggiamento diametralmente opposto a quello di Sorka, qualunque fosse l'argomento in discussione. Ormai la ragazza ci aveva fatto il callo e quasi si aspettava di esser contraddetta. «Beh, può darsi che faccia tutt'e due le cose,» suggerì Sorka in tono conciliante. Sean si limitò a sbuffare. «Io scommetto che quell'insetto fuggiva via dai serpenti.» Sorka represse un brivido. Non voleva che Sean scorgesse la repulsione che provava per quelle creature viscide. «Hai ragione: dà loro il benvenuto.» Gli occhi della ragazza si spalancarono. «Sta contando!» Sean sorrise nell'udire il suono che si faceva via via più melodioso. La creatura sollevò la testa, sicché ne poterono scorgere la gola scossa da vibrazioni. Tutt'a un tratto, l'aria intorno alla roccia si affollò di draghetti. Sean afferrò Sorka per un braccio manifestando il suo stupore, e intimò alla ragazza di tacere. La bocca aperta per lo sbigottimento, Sorka non sarebbe stata capace di pronunziare una sola sillaba; quella visione era troppo bella per distrarre gli occhi con le parole. Piccoli draghi azzurri, marroni, e bronzei, volteggiavano nell'aria, unendo le loro voci a quelle della creatura aurea. «Devono esserci centinaia di draghetti, Sean.» Dal modo in cui roteavano e sfrecciavano tutt'intorno, pareva che il cielo ne fosse pieno. «Ci sono solo dodici lucertole,» la smontò Sean, impassibile. «Anzi, no, sono sedici.»
«Draghetti,» insisté Sorka con determinazione. Sean ignorò quella interruzione. «Mi domando perché.» «Guarda!» La ragazza indicò un nuovo stormo di draghetti apparsi all'improvviso, muniti di folti fasci di gocciolanti alghe marine. Ne giunsero poi degli altri, ciascuno con una creaturina che si dimenava in bocca e che veniva poi depositata sulle alghe disposte in circolo irregolare attorno al nido. «Quasi come una barriera,» mormorò Sorka con aria stupefatta. Altri volatili, o probabilmente gli stessi di prima tornati di nuovo, portarono degli insetti millepiedi e dei vermi che ricaddero mollemente sulle alghe o andarono a rintanarsi tra esse. Ma ecco che il guscio di un uovo si incrinò e da esso si affacciò una testolina bagnata. A quella vista, Sorka e Sean si aggrapparono l'una all'altro per frenare la furia della loro eccitazione. Cessato il raccolto, le creature alate presero a gorgheggiare dando vita ad un motivo sonoro ed articolato. «Vedi? È un canto di benvenuto!» Sean ebbe la conferma di aver visto giusto. «No! Di protezione!» Sorka, così dicendo, puntò un dito in direzione dei musi schiacciati di due serpenti maculati appostati dall'altro lato del sottobosco. Ben presto gli intrusi furono individuati dai volatili e una mezza dozzina di questi si lanciarono in picchiata verso le teste che sporgevano. Quattro draghetti condussero l'attacco tuffandosi nel folto della vegetazione, e vi fu un agitarsi di rami e foghe finché gli attaccanti non emersero pigolando sonoramente. In quel breve intervallo di tempo si erano schiuse altre quattro uova, e i volatili adulti avevano formato una catena di approvvigionamento mentre il primo nato, disfattosi del guscio, zampettava incerto lamentandosi tristemente. La madre lo sospinse con un moto delle ah accompagnato da incoraggianti pigolii verso un draghetto che gli offriva un tenero bocconcino. Un serpente più temerario, emerso dalla sabbia dove era rimasto nascosto fino ad allora, strisciò issandosi lungo la parete rocciosa e tentò un attacco ai danni di un altro neonato. Cingendogli le ah mediane mentre il piccolo sollevava la testa, dopo aver spalancato la bocca simile a quella di una tartaruga, il serpente fece per agguantare la preda. Fu subito assalito da un gruppo di creature alate. Grazie ad un notevole istinto di conservazione, il piccolo si nascose oltre la barriera di alghe, al-
lontanandosi verso il cespuglio sotto il quale erano nascosti Sorka e Sean. «Vattene,» gli sussurrò Sean a denti stretti. «Sciò!» Agitò la mano per scacciare la piagnucolosa bestiolina. Sean non aveva alcuna voglia di farsi attaccare dai suoi parenti più cresciuti. «Ha fame, Sean,» disse Sorka annaspando intorno in cerca della sacca con i sandwich. «Non riesci a sentire che ha fame?» «Non vorrai mica dargli da mangiare!», bisbigliò il ragazzo, quantunque lui stesso avvertisse l'impulso che animava la creaturina. Ma Sean, visti i volatili dilaniare i pesci con i loro artigli affilati, non desiderava diventare una loro prossima vittima. Prima che potesse fermarla, Sorka aveva già lanciato un pezzetto di sandwich sulla roccia. Il bocconcino andò ad atterrare proprio ai piedi della bestiola gemente che si avventò su di esso e parve quasi inalarlo. Il suo pianto si fece allora più insistente e prese a zampettare con maggiore sicurezza verso quella fonte inaspettata di cibo. Altre due creaturine sollevarono la testa volgendosi nella stessa direzione, incuranti degli sforzi della madre che tentava di indirizzarli verso i succulenti bocconi marini offerti dagli altri draghi adulti. Sean brontolò: «È fatta.» «Ma hanno fame.» Sorka spezzettò ancora il sandwich, lanciando dei bocconi ai tre piccoli. Gli altri due si affrettarono per assicurarsi anche loro una porzione di quella gustosa pietanza. Sotto lo sguardo sgomento di Sean, Sorka era emersa dal loro nascondiglio, ed ora stava offrendo del cibo al draghetto più vicino porgendoglielo direttamente con le dita. Sean tentò di tirarla verso di sé ma, fallendo, riuscì solo a sbucciarsi il mento sulla pietra. La creatura divorò il boccone e si arrampicò sul palmo della mano di Sorka annusando e pigolando. «Oh, Sean, è un amore. E non può essere una lucertola. È caldo e soffice. Dai: prendi un sandwich anche tu e dallo agli altri. Muoiono di fame.» Sean lanciò un'occhiata alla mamma e scorse con grande sollievo che, intenta a cibare gli altri, aveva trascurato i tre rinnegati. L'attrazione che quelle creature esercitavano su di lui prevalse sulla prudenza: agguantò un sandwich e, inginocchiatosi a fianco di Sorka, invitò con dolci moine il draghetto marrone più vicino a dirigersi verso di lui. L'altro draghetto, anch'esso marrone, nell'udire il cambiamento di tonalità nel pigolio del fratello, spiegò le ali bagnate e, con uno stridio acuto, si
unì al banchetto dopo aver fatto un tuffo frenetico. Sean scoprì che Sorka aveva ragione: quelle creature possedevano una pelle morbida ed erano calde al tatto. Non sembravano affatto delle lucertole. Uno dopo l'altro, i sandwich andarono a gonfiare le pance delle bestiole, e Sorka e Sean, senza volerlo, si guadagnarono in tal modo tre amici per la pelle. Presi dalla preoccupazione di cibare le tre creature affamate, non si erano assolutamente accorti della scomparsa degli altri membri della famigliola. A testimoniare il recente evento, restavano soltanto alcuni frammenti vuoti di gusci d'uova abbandonati in una cavità della roccia. «Non possiamo lasciarli qui. La mamma è andata via,» disse Sorka, sorpresa per l'abbandono della genitrice. «Non avevo certo intenzione di lasciare i miei abbandonati per strada,» disse Sean, con una punta d'ironia per il suo imbarazzo. «Io li tengo con me. E, se non vuoi portare il tuo ad Approdo, prendo anche quello. Tua madre non ti permetterà di tenere una bestia selvatica.» «Questo non è selvatico,» protestò Sorka risentita. Con l'indice carezzò il dorso della minuscola lucertola bronzea che stava raggomitolata nella piega del suo braccio. La bestiolina si rannicchiò ancor più emettendo un suono straordinariamente simile alle fusa di un felino. «Mia madre è fenomenale con i piccoli. Figurati che riusciva a salvare gli agnellini che persino mio padre dava per spacciati.» Sean si sentì rassicurato. Infilò i due animaletti marroni nella camicia sistemandoli uno da una parte ed uno dall'altra, poi strinse a dovere la cintura di cuoio che aveva finalmente osato richiedere al deposito della colonia. La facilità con la quale era riuscito ad ottenerla lo aveva sensibilmente incoraggiato a fidarsi di Sorka. La cosa era servita anche a dimostrare a suo padre che gli «altri» distribuivano equamente la quantità di beni trasportati a Pern nelle navi spaziali. Due giorni dopo aver ricevuto la cintura dai Magazzini, Sean cominciò a vedere pentole e tegami veri in sostituzione delle lattine di scarto che fino a quel momento costituivano la dotazione della cucina da campo. E la madre e le sorelle sfoggiavano scarpe e camicie nuove. I draghetti marroni erano tiepidi sulla sua pelle, e un po' lo punzecchiavano con i minuscoli aculei, ma Sean non ci faceva caso entusiasta com'era del suo successo. Le creature possedevano soltanto tre dita, e quello anteriore era ripiegato sugli altri due. Tutti nell'accampamento di suo padre erano andati a caccia di nidi di lu-
certole - beh, di draghetti - e di tane di serpenti lungo la costa. Avevano cercato le tracce delle lucertole solo per divertimento, mentre i serpenti li avevano cercati per motivi di sicurezza. Quei rettili erano pericolosi per le persone alloggiate nei rudimentali capanni fatti di fronde e rami intrecciati. Era infatti successo che qualche esemplare si fosse introdotto nei capanni aprendosi un varco coi denti tra le fragili pareti e, una volta penetrato nel rifugio, aveva morso i bimbi addormentati tra le coperte. Nulla sfuggiva alle loro abitudini predatorie. E oltretutto non erano neppure buoni da mangiare. Il papà di Sean aveva catturato, scuoiato e cotto ai ferri, diversi tipi di serpenti. Aveva quindi assaggiato un pezzettino di ciascuna varietà di rettile sputandolo istantaneamente e risciacquandosi più volte la bocca irritata e tumefatta da quella carne velenosa. Dopo quell'esperimento, era stato diffuso in tutto l'accampamento un ordine tassativo: catturare e uccidere quelle bestie nocive. Naturalmente, non appena avessero avuto dei furetti o dei terrier abili nell'individuare le tane, avrebbero liquidato quella minaccia in quattro e quattr'otto. Porring Connell era molto seccato per il fatto che gli altri membri della spedizione parevano non comprendere l'importanza per la sua gente di possedere dei cani. Gli animali per loro non costituivano degli oziosi passatempi: erano parte integrante dello stile di vita che caratterizzava il suo popolo. Pern o la Terra, era sempre la solita storia! I Connell erano sempre gli ultimi a ottenere qualcosa di utile, e sempre i primi a rimediare batoste. Ad ogni modo, tutte e cinque le famiglie del suo Clan avevano presentato regolare richiesta di un cane. «Tuo padre sarà contento,» disse Sorka, felice della sua contentezza. «Non è così, Sean? Scommetto che sono più bravi dei cani nel cacciare i serpenti. Hai visto come hanno attaccato quei maculati?» Sean sbuffò. «Lo hanno fatto solo per difendere i loro piccoli.» «Dubito che lo abbiano fatto solo per quello. Sono quasi riuscita a sentire il loro odio per quei serpenti.» Sorka voleva credere ad ogni costo che le lucertole volanti fossero straordinarie, allo stesso modo in cui aveva sempre creduto che il suo gatto, Duke, fosse il miglior cacciatore della valle e che il vecchio Chip fosse il pastore più in gamba della Contea di Tipperary. Improvvisamente fu assalita da un dubbio. «Forse dovremmo lasciarli qui ad aspettare la loro mamma.»
Sean aggrottò le ciglia. «Ma se ha fatto così alla svelta a spingere gli altri verso il mare! Avrebbe già dovuto essere di ritorno.» I due ragazzi si alzarono insieme e, facendo attenzione a dove mettevano i piedi così da non disturbare il sonno dei loro piccoli passeggeri, si incamminarono verso la sommità del promontorio. «Oh, guarda!», gridò Sorka indicando con agitazione qualcosa che proprio in quell'istante stava trascinando sott'acqua il corpo dilaniato di un draghetto neonato. «Oh, oh!» Sean osservava impassibile. Sorka voltò la testa serrando i pungi. «Certo che non è affatto una buona madre.» «Solo i migliori sopravvivono,» disse Sean. «I nostri tre sono salvi. Sono stati abbastanza furbi da venire da noi!» Ciò detto inclinò la testa, scrutando Sorka con gli occhi ridotti a due strette fessure. «Ma il tuo sarà al sicuro ad Approdo? Sai che quelli di laggiù ci hanno cercato perché catturassimo degli esemplari per loro? Sanno che mio padre è un fenomeno nell'usare lacci e trappole.» Sorka strinse a sé l'animaletto. «Mio padre farà in modo che non gli accada nulla. Ne sono certa.» Sean si mostrò cinico. «Sì, ma lui non è il capo del suo gruppo.. È costretto ad obbedire agli ordini, non è così?» «Loro vogliono soltanto osservare le diverse forme di vita. Non vogliono mica farle a pezzi!» Sean non era molto convinto, tuttavia seguì Sorka allorché questa si allontanò dal mare per inoltrarsi nel sottobosco, dirigendosi verso la base dell'altopiano. «Ci vediamo domani?», le domandò Sean, riluttante all'improvviso all'idea di interrompere i loro incontri ora che la loro reciproca sorveglianza era giunta alla fine. «Beh, domani è giorno di lavoro; potremmo vederci di sera?» Sorka non rifletté neppure un istante prima di rispondergli. Ormai non vi erano più ad ostacolarla gli austeri dogmi delle restrizioni tipicamente terrestri sulle sue libertà di movimento. Cominciava ad accettare la situazione su Pern con la medesima semplicità con la quale aveva accettato la responsabilità di lavorare per il suo futuro in quel modo. Anche Sean cominciava a godere di quel nuovo senso di sicurezza personale, malgrado l'innata dif-
fidenza che provava per chiunque non appartenesse al suo popolo. Ma, quantunque ne fosse del tutto inconsapevole, un vincolo speciale si era creato tra lui e Sorka dopo la straordinaria esperienza vissuta sul promontorio roccioso. 16. «Sei proprio sicuro che queste creature andranno a caccia di serpenti?», chiese Porring Connell mentre osservava uno degli acquisti di Sean. Il piccolo esserino addormentato rimase immobile quando l'uomo ne spiegò una delle docili ah. «Se hanno fame,» rispose Sean, trattenendo il fiato per timore che suo padre inavvertitamente facesse del male alla lucertolina. Porrig sbuffò. «Staremo a vedere. Se non altro è una creatura del luogo. Sempre meglio che esser mangiati vivi. L'altra notte un serpente azzurro maculato ha aggredito il piccolo di Sinead.» «Sorka dice che i serpenti non possono entrare nelle loro case. La plastica li tiene lontani.» Porrig commentò con un altro dei suoi scettici grugniti, poi fece un cenno verso la lucertolina addormentata. «Badaci tu adesso. È compito tuo.» Nell'Alloggio Quattordici della Piazza d'Asia, la creatura di Sorka suscitò un entusiasmo di gran lunga maggiore. Mairi mandò Brian a chiamare suo padre nel laboratorio di veterinaria, dopodiché preparò un piccolo nido utilizzando uno dei cestini da lei stessa intrecciati con i duri giunchi pernesi, e lo foderò con della fibra tratta da piante essicate. Quindi trasferì teneramente la creatura dal braccio di Sorka al suo nuovo letto, dove, immediatamente, questa si raggomitolò e, con un lungo sospiro che le gonfiò il dorso al pari dello stomaco satollo, piombò in un sonno profondo. «Non somiglia proprio ad una lucertola, non credi?» disse sfiorando delicatamente la pelle tiepida. «Ha la pelle vellutata come camoscio. Invece le lucertole hanno la pelle dura e ruvida al tatto. E poi sorride. Vedi?» Obbediente, Sorka si abbassò a guardarla, e sorrise anche lei in risposta. «Avresti dovuto vederla mentre divorava i sandwich.» «Vuoi dire che non hai mangiato?» Preoccupata, Mairi frugò immediatamente in giro per rimediare alla situazione.
Sebbene le cucine comuni servissero i pasti alla maggioranza dei seimila abitanti regolari di Approdo, un numero sempre crescente di unità familiari cominciava a cucinare per proprio conto con la sola eccezione del pasto serale. La casa assegnata agli Hanrahan costituiva l'alloggio tipico per una famiglia: una camera da letto di medie dimensioni, due più piccole, una sola di soggiorno più spaziosa ed un'unità di servizi igienici. Tutti i mobili, tranne la preziosa casa di palissandro, erano stati recuperati dalle astronavi o costruiti da Red nello scarso tempo libero. Ad una estremità della stanza più grande vi era un blocco-cottura, essenziale ma sufficiente. Mairi era molto fiera delle sue abilità culinarie, e stava sfruttando appieno l'opportunità di cimentarsi in sperimentazioni gastronomiche. Sorka era a metà del terzo sandwich, quando Red Hanrahan giunse in compagnia dello zoologo Pol Nietro e della microbiologa Bay Harkenon. «Non svegliate il piccolino,» li avvertì immediatamente Mairi. Quasi con reverenza i tre si chinarono a guardare la lucertola addormentata. Red Hanrahan lasciò quindi la bestiolina ai due esperti per stringere Sorka tra le braccia. La baciò e le arruffò i capelli con amore ed orgoglio. «Che ragazzina in gamba!», esclamò. Si sedette accanto al tavolo distendendovi sotto le lunghe gambe, infilò le mani nelle tasche, e prese ad osservare i due specialisti impegnati a far commenti su quella autentica creatura indigena di Pern. «Un esemplare magnifico,» osservò poi rivolto a Bay mentre si raddrizzavano. «Così simile a una lucertola,» replicò lei sorridendo a Sorka con stupore. «Vuoi dirci per favore come hai fatto ad attirare verso di te questa creatura?» Sulle prime Sorka esitò un poco, poi, incoraggiata dai rassicuranti cenni di suo padre, riferì tutto ciò che sapeva delle lucertole, raccontando del primo avvistamento della bestiola aurea a guardia delle uova, e poi tutto il resto fino a quando aveva invitato la lucertolina bronzea a prendere il cibo direttamente dalla sua mano. Tuttavia non fece menzione di Sean Connell, sebbene si fosse accorta dai reciproci sguardi dai suoi genitori che questi sospettavano della sua presenza assieme a lei. «Sei stata l'unica fortunata?», le chiese suo padre sottovoce mentre i due biologi erano impegnati a scattare fotografie alla creatura dormiente. «Sean ne ha portati a casa due marroni. Nel suo accampamento stanno
passando dei brutti guai coi serpenti.» «Ci sono delle case pronte per loro nella Piazza Canadese,» le rammentò suo padre. «E lì avrebbero anche tutto lo spazio che desiderano.» A tutti i gruppi di nomadi della colonia erano stati assegnati degli alloggi intenzionalmente ubicati ai margini di Approdo, dove i girovaghi non si sarebbero sentiti troppo reclusi. Ma, dopo avervi dormito qualche notte, se ne erano andati via tutti, scomparendo tra le terre inesplorate al di là dell'insediamento. Sorka alzò le spalle. Poi Pol e Bay presero a rivolgerle altre domande per avere un'idea più chiara e precisa del resoconto offerto dalla ragazza. «Adesso, Sorka, vorremmo che ci dessi in prestito per qualche ora il tuo animaletto.» Bay sottolineò la parola prestito. «Ti assicuro che non le torceremo un... beh, un solo aculeo. Potremmo ricavare un mucchio di informazioni dalla semplice osservazione e da un accurato esame manuale di questo esemplare.» Sorka guardò ansiosa i genitori. «Perché invece non aspettiamo che si abitui prima alla presenza di Sorka?», suggerì Red spontaneamente, una mano poggiata leggermente sui pugni stretti di Sorka. «Sorka ci sa fare con gli animali; sembra che si fidino di lei. Ed io credo che adesso sia molto più importante rassicurare questa bestiola che non metterci a indagare sul suo sistema biologico.» Sorka si ricordò finalmente di respirare e di rilassare i muscoli contratti. Era certa di poter contare su suo padre. «Non vorremo mica spaventarlo! È uscito dal suo uovo soltanto qualche ora fa!» «È lo zelo che mi spinge,» disse Bay Harkenon con un sorriso addolorato. «Ma so che hai perfettamente ragione, Red. Dobbiamo lasciarlo alle cure di Sorka.» La donna fece per alzarsi e, nello stesso istante, il suo collaboratore si schiarì la voce. «Ma se Sorka vorrà prendere nota di quanto mangia, della frequenza dei suoi pasti, di ciò che preferisce...», disse Pol. «Oltre ai sandwich,» aggiunse Mairi ridendo. «Ciò ci consentirebbe di capire qualcosa in più.» Pol si illuminò di un affascinante sorriso che lo fece apparire meno opaco e ammuffito. «Hai detto che per prenderlo ti è bastato attirarlo a te col cibo?» In quell'istante Sorka si figurò nella mente la sagoma goffa e curva dello scienziato in agguato tra i cespugli con una cesta colma di leccornie, inten-
to ad adescare le strane lucertole. «Credo di essere riuscita ad attirarlo perché, subito dopo la schiusa, era terribilmente affamato,» rispose Sorka con aria meditabonda. «Sa: tutte le mattine avevo dei sandwich nelle tasche quando sono andata in spiaggia, ma la creatura aurea non si è mai avvicinata a me per avere del cibo.» «Hmmm. Ottima considerazione. I neonati sono voraci.» Pol seguitò poi a farfugliare qualcosa tra sé e sé, collegando mentalmente le diverse informazioni raccolte. «E davvero gli adulti recavano cibo per i piccoli?», mormorò Bay. «Pesci e insetti? Hmm. Sembra quasi una sorta di rito di imprinting. I piccoli potevano volare non appena le ali si asciugavano? Hmm. Sì. Affascinante. Il mare dovrebbe essere la fonte di cibo più vicina.» Prese una serie di appunti e ringraziò Sorka e i suoi genitori. Dopodiché si allontanò dall'abitazione in compagnia del collega. «Sarà meglio che vada anch'io adesso,» disse Red. «Buon lavoro, Sorka. Ecco cosa si ottiene con la vecchia esperienza irlandese!» «Peter Oliver Plunkett Hanrahan,» lo riprese immediatamente sua moglie, «comincia a pensare in pernese. Pernese. Pernese!» Ad ogni ripetizione, il tono si faceva via via più enfatico e canzonatorio. «Pernese, non irlandese. Noi siamo Pernesi,» recitò Red obbediente e, con un sorriso, si allontanò da casa danzando al tempo di Pernesi, Pernesi. Quella sera stessa Sorka, profondamente imbarazzata e sorpresa, fu chiamata, con grande disappunto del fratellino invidioso, ad accendere il falò. Quando Pol Nietro annunciò il motivo della sua designazione, vi furono grida di esultanza e vigorosi applausi. Sorka rimase stupefatta nel vedere che l'Ammiraglio Benden e la Governatrice Boll, i quasi si erano quasi fatti un dovere di partecipare alla piccola cerimonia serale, gridavano e applaudivano con lo stesso entusiasmo degli altri. «Non sono stata io la sola,» disse Sorka con voce forte e chiara quando fu presentata formalmente munita di torcia dal Sindaco provvisorio di Approdo. «Sean Connell ha preso due lucertole marroni, ma non è qui stasera. È giusto però che sappiate che è stato lui per primo a scoprire il nido, che poi abbiamo sorvegliato insieme.» Sorka sapeva che a Sean Connell non importava di ricevere i dovuti onori, ma a lei sì. Immersa in quel pensiero, affondò il tizzone ardente nel cuore del falò. Balzò quindi indietro alla svelta non appena il materiale secco divampò in una brillante fiammata.
«Ben fatto, Sorka,» le disse suo padre poggiandole piano le mani sulle spalle. «Ben fatto.» 17. Da allora, ogni sera, le spiagge e i promontori furono visitati da folle di esploratori, tuttavia, per circa un'intera settimana, Sorka e Sean rimasero gli unici fieri proprietari delle graziose lucertole. Ma, poco a poco, altri nidi furono scovati e diligentemente sorvegliati. Sicché, seguendo la prassi che Sorka aveva minuziosamente descritto, molte altre creaturine si affidarono alle cure dei Pernesi. E il nome col quale Sorka le aveva battezzate «draghetti» - fu adottato da tutti i coloni. Non passò molto tempo perché Sorka scoprisse le due principali occupazioni che caratterizzavano la vita della sua creatura. Il piccolo draghetto, da lei nostalgicamente denominato Duke in ricordo del vecchio micio, era vorace. Mangiava di tutto a intervalli di tre ore, e la prima notte disturbò il sonno di tutta la piazza coi suoi lamenti affamati. Tra un pasto e l'altro dormiva. Quando Sorka si accorse che la pelle cominciava a screpolarglisi, suo padre prescrisse un balsamo, ottenuto da un miscuglio di oh di pesci locali, dopo essersi consultato prima con una pediatra ed un biologo. La pediatra fu così compiaciuta del risultato, che chiese al farmacista di prepararne dell'altro da usare come una crema per la pelle secca in generale. «Duke sta crescendo, e la sua pelle si distende,» fu la diagnosi di Red. L'attribuzione a Duke del sesso maschile, fu del tutto arbitraria, giacché nessuno era stato capace di esaminare la creatura ad una distanza tale da consentire la scoperta del suo vero sesso, se pure ne avesse avuto uno. I draghetti aurei avevano mostrato generalmente ruoli più femminili nella deposizione delle uova, cosa che fu però contestata da uno dei biologi, il quale rammentò agli altri che sulla Terra i maschi di alcune specie erano custodi delle uova. Le scaglie di pelle caduta alla lucertole furono accuratamente prelevate per sottoporle ad analisi. Gli zelanti zoologi non erano riusciti a radiografare Duke perché pareva quasi che l'animaletto sapesse quando gli altri avevano dei progetti su di lui. Nel suo secondo giorno di vita, gli zoologi aveva tentato di sistemarlo sotto lo schermo fluorescente mentre Sorka attendeva nervosamente fuori della sala raggi. «Mio Dio!»
«Cosa?» Sorka sentì le esclamazioni sbigottite di Pol e Bay nello stesso istante in cui Duke riappariva sulla sua testa, notevolmente agitato. Lasciandosi quindi cadere sulla spalla della ragazza tra grida di rabbia e sollievo, le cinse saldamente il collo con la coda e le piantò gli artigli tra i capelli gridando furiosamente, mentre gli occhi sfaccettati gli scintillavano di iraconde fiammate rosse e arancioni. Improvvisamente, la porta alle spalle di Sorka si spalancò, e Pol e Bay irruppero nella stanza, strabuzzando gli occhi dallo stupore. «È appena apparso,» disse la ragazza ai due scienziati. Ripreso un certo contegno, i due si scambiarono uno sguardo. La faccia larga di Pol si contorse in uno stentato sorriso mentre Bay appariva assai compiaciuta. «Sicché, come vedi, gli Amig non detengono il monopolio dell'abilità telecinetica,» disse Bay con un sorriso soddisfatto. «Io ho sempre affermato, Pol, che non potevano essere gli unici della galassia.» «Come ha fatto?», chiese Sorka ricordando incerta altri casi di partenze dalla rapidità sconcertante. «Duke dev'essersi spaventato alla vista dello schermo. È così piccolo, e lo schermo ha un aspetto alquanto minaccioso,» disse Bay. «Così si è teletrasportato via. Fortunatamente è scappato qui da te: evidentemente ti considera la sua protettrice. Gli Amig ricorrono al trasporto telepatico quando sono minacciati. È uno dote molto utile.» «Mi domando se riusciremo a scoprire in che modo queste creature riescano a farlo,» disse Pol meditabondo. «Potremmo provare con le equazioni degli Eridaniti,» suggerì Bay. Pol volse lo sguardo a Duke. Gli occhi della lucertola erano ancora infiammati dalla collera mentre si teneva aggrappata a Sorka con tenacia. Le ah però, prima distese, erano adesso ripiegate lungo i fianchi. «Per provare con le equazioni, dovremmo prima saperne di più su questo monello e sulla sua specie. Forse, se tu provassi a tenerlo fermo... Che ne dici, Sorka?», le propose Pol. Ma le dolci parole di Sorka non valsero a persuadere Duke a sottoporsi all'esame radiologico. Dopo una buona mezz'ora, Pol e Bay consentirono con riluttanza che il soggetto fosse portato via. Continuando a rassicurarla ad ogni passo, Sorka riportò la lucertola furibonda nel suo luogo natale. Qui trovò Sean, sdraiato all'ombra di un cespuglio, in compagnia dei due draghetti marroni avvolti attorno al suo collo. Le bestiole sentirono i passi
di Sorka e si sporsero a guardarla, gli occhi guizzanti di un pacifico verde azzurrino. Duke pigolò un saluto che fu ricambiato in rima. «Stavo facendo un pisolino,» mormorò Sean con voce indolente, senza neppure prendersi il disturbo di aprire gli occhi per vedere chi fosse arrivato. «Papà mi ha mandato in giro con i piccoli per vedere se spaventano i serpenti.» «Ebbene? Li spaventano?» «Ha, ha!» Sean spalancò le fauci in un cavernoso sbadiglio e pigramente scacciò via un insetto. Immediatamente uno dei due draghetti marroni lo catturò con un rapidissimo scatto e lo ingoiò. «Mangiano di tutto,» disse Sorka in tono ammirato. «Il Dottor Marceau li ha chiamati "onnivori".» Si sedette sulla roccia accanto a Sean. «E possono andare da un posto all'altro quando sono spaventati. Il Dottor Nietro ha tentato di fare una radiografia a Duke e mi ha fatto uscire dalla stanza. Dopo un po', senza che me ne accorgessi, Duke era di nuovo addosso a me come se non mi avesse mai lasciato. Hanno detto che è capace di teletrasportarsi. Usa la telecinesi.» Era molto fiera di aver pronunziato correttamente le parole senza incespicare. Sean aprì un occhio e piegò la testa per guardarla. «Che cosa significa?» «Può sfuggire al pericolo istantaneamente.» La bocca di Sean si spalancò in un altro sbadiglio. «Ah sì? Io e te li abbiamo già visti sparire, e non lo fanno sempre e soltanto in caso di pericolo.» Sbadigliò ancora. «Sei stata furba a prenderne uno solo. Quando uno è sazio, l'altro è digiuno. Mettici poi la guardia ai bambini... sono a pezzi.» Richiuse l'occhio, incrociò le mani sul petto, e riprese a dormire. «Allora io farò come il draghetto d'oro: starò di guardia, così nessun brutto muso di serpente maculato verrà a morderti.» Non lo risvegliò neppure quando scorse uno stormo di lucertole nel cielo; volteggiando disegnarono un perfetto anello, quindi si tuffarono in picchiata esibendosi in una evoluzione aerea che lasciò Sorka senza fiato. Duke osservò con lei, commentando la scena con un canto sommesso. Sorka, costernata, temette che la bestiola scegliesse di ricongiungersi a loro, ma quella non accennò minimamente ad allentare la pressione della coda che cingeva il collo della ragazza. Prima di tornarsene a casa, Sorka
lasciò a Sean un vasetto della pomata che era stata preparata per la pelle di Duke. 18. Quel giorno Sorka non fu l'unica su Pern ad osservare delle evoluzioni aeree. A circa metà continente di distanza, in direzione sud-ovest, Sallah Telgar si sentiva il cuore in gola mentre guardava Drake Bonneau uscire da una virata vertiginosa con la piccola avioslitta su quel vasto lago interno che voleva a tutti i costi battezzare Lago di Drake. Nessun membro della piccola spedizione mineraria gli avrebbe mai negato quel privilegio, ma Drake aveva la tendenza a battere sempre sullo stesso argomento fino all'esasperazione. Allo stesso modo, non cessava mai di mettersi in mostra; non sapeva rinunziare al gusto di sbalordire chiunque con le sue abilità professionali. Per Sallah, quelle buffonate servivano solo a sprecare stupidamente un bel po' di energia, e certamente non aprivano a Drake la strada del suo cuore e della sua stima. Da qualche tempo aveva preso a gironzolare attorno al suo alloggio; ma per il momento non aveva riscosso grandi successi. Ozzie Munson e Cobber Alhinwa uscirono dal capanno nel quale avevano appena sistemato l'attrezzatura, e si fermarono a guardare ciò che aveva attirato l'attenzione di Sallah. «Guarda: l'ha fatto un'altra volta,» disse Ozzie, sorridendo a Sallah con malizia. «Si sfracellerà,» aggiunse Cobber scuotendo il capo, «e quel maledetto lago è così profondo che non lo ripescheremo mai. E neppure la slitta. Che ci serve.» Nel vedere Svenda Olubushtu che avanzava verso di loro, Sallah si affrettò ad allontanarsi dirigendosi verso il capanno principale del piccolo accampamento di esplorazione mineraria. Non aveva nessuna voglia di stare ad ascoltare i commenti ipocriti e gelosi di Svenda. Non che fosse Sallah ad incoraggiare la corte di Drake Bonneau; al contrario, in numerose occasioni aveva sottolineato in pubblico ed esplicitamente il suo disinteresse per lui. Forse ho scelto il modo sbagliato per scoraggiarlo, pensò. Magari, se gli corressi dietro, se pendessi dalle sue labbra, se sfruttassi ogni occasione per stargli alle calcagna come fa Sveda, mi lascerebbe in pace! Nel capanno principale, trovò Tarvi Andiyar già intento a contrassegnare
i campioni rinvenuti quel giorno, sullo schermo grande. Mormorava tra sé, e le sue dita aracnee volavano sui tasti del terminal tanto che persino l'word processor aveva difficoltà a stargli dietro. Nessuno era in grado di capirlo quando parlava a se stesso in quel modo; di fatto si esprimeva nella sua lingua madre, un oscuro dialetto indiano. Se gli veniva chiesto il motivo di questa sua eccentricità, usava rispondere con uno dei suoi disarmanti sorrisi. «Altri orecchi devono udire questa fluida e meravigliosa lingua; essa sarà parlata anche qui su Pern, cosicché vi sarà almeno una persona che la parlerà perfettamente, persino dopo tutti questi secoli,» rispondeva sempre a coloro che lo interrompevano. «Non è forse una lingua leggiadra, ritmica, melodiosa, una vera gioia per l'orecchio?» Ingegnere minerario esperto e dotato di intuito, Tarvi godeva fama di possedere l'abilità di rintracciare vene inafferrabili ubicate oltre numerose faglie e frane sotterranee. Si era aggregato alla spedizione su Pern perché tutto il glorioso tesoro nascosto, "il sangue e le lacrime della Madre Terra", come soleva descrivere i prodotti minerari, era stato strappato al suo seno. Aveva anche compiuto esplorazioni su Prima Centauri, ma i metalli alieni avevano eluso la sua percezione: per questo aveva deciso di viaggiare attraverso la galassia per esercitare il suo mestiere durante quelli che chiamava "gli anni del declino". E dato che Tarvi Andiyar aveva raggiunto soltanto il sesto decennio di vita, questa sua osservazione suscitava in genere lo sperato conforto da parte dei più benevoli, o parole di scherno da coloro che erano al corrente delle sue scappatelle. A Sallah, Tarvi piaceva per il suo spirito acuto e contorto che generalmente se la prendeva con i suoi stessi difetti e non offendeva mai nessun altro. Da quando Sallah lo aveva conosciuto, reduce dal lungo sonno dell'animazione sospesa, l'alta figura quasi emaciata non era ingrassata di un solo etto. «La mia famiglia ha avuto intere generazioni di guru e mahatma, tutti presi a osservare il digiuno per la purificazione dell'anima e del corpo, finché si è venuto a stabilire un imperativo genetico per il quale tutti gli Andyiar sono sottili come un giunco. Ma io sono forte. Non ho bisogno di bicipiti e muscoli gonfi. La mia forza è pari a quella del più potente dei lottatori.» Tutti coloro che lo avevano, visto lavorare un'intera giornata senza sosta
al fianco di Ozzie e Cobber, sapevano che non si trattava di futile spacconeria. Tra tutti gli uomini della colonia, lo sparuto ingegnere era quello che attraeva maggiormente Sallah. Ma, come non riusciva in alcun modo a far capire a Drake Bonneau quanto gli importasse poco di lui, allo stesso modo era incapace di avvicinarsi a Tarvi. «A quanto siamo, Tarvi?» gli domandò, accennando un saluto a Valli Lieb, che in pieno relax stava sorseggiando il suo quikal. Una delle prime cose che i coloni umani facevano su qualsiasi nuovo pianeta era la ricerca immediata e affannosa di prodotti fermentabili così da poterne estrarre una bevanda alcolica nel minor tempo possibile. Tutti i laboratori allestiti ad Approdo, a prescindere dalla loro funzione fondamentale, avevano compiuto esperimenti nella distillazione o fermentazione di frutti locali per farne bevande potabili. Quando la spedizione mineraria si era accampata, il distillatore di quikal era stato il primo attrezzo dell'equipaggiamento ad essere montato e sistemato nell'accampamento. E nessuno aveva avuto nulla da obiettare per il fatto che Cobber e Ozzie avessero trascorso tutta la prima giornata a produrre bibite dai succhi fermentati che si erano portati dietro. Sveda soltanto li aveva fatti oggetto di una severa reprimenda, mentre Tarvi e Sallah erano andati avanti con una prima ispezione della zona. La prima sera che il gruppetto trascorse nell'accampamento, il brindisi fu qualcosa di più di una tradizione: fu una vera conquista. Sveda entrò nel capanno mentre Sallah si stava riempiendo il bicchiere di quikal. Valli si spostò su un lato della panca per farle posto. Si era ripulita a dovere, ed aveva un aspetto assai più attraente di quando, quello stesso pomeriggio, era emersa dalla fitta boscaglia completamente ricoperta di melma ma munita di campioni interessantissimi da sottoporre ad analisi. In quel momento, si udì il rumore della slitta che era atterrata proprio fuori del capanno. Svenda allungò il collo per guardare Drake mentre avanzava lungo il sentiero; assorta, restò immobile, mentre Ozzie e Cobber le passavano accanto per entrare nella stanza. «Che risultati hanno dato le analisi, Valli?», domandò Sallah. «Promettenti, promettenti,» disse la geologa, con il volto illuminato dalla soddisfazione. «La bauxite ha così tanti usi! Questo ritrovamento basta da solo a determinare il successo della spedizione.» «Comunque, il minerale che hai scoperto - Cobber rivolse un formale inchino a Valli - sarà più facile da lavorare in un pozzo aperto.»
«Ha! Ne abbiamo abbastanza da estrarre tutti e due,» disse Ozzie. «C'è sempre bisogno di un minerale di grande impiego.» «E,» aggiunse Tarvi, sedendosi con loro e rifiutando la bevanda che Svenda era stata pronta ad offrirgli, «ci sono buone quantità di rame e alluminio ad una distanza ragionevole da qui; sicché, una città mineraria potrebbe proficuamente stabilirsi presso questo magnifico lago; ci sarebbero le cascate per fornire energia idroeletrica adatta ad alimentare le raffinerie, ed un'ottima via di navigazione per trasportare i prodotti finiti alla costa, e da lì ad Approdo.» «Allora,» disse Svenda, «il posto è abitabile?» Si guardò intorno con un'aria di possesso che impressionò Sallah per la sua intempestività. I promotori avevano comunque la precedenza nella scelta rispetto agli esperti assunti a contratto. «Io la raccomanderò senz'altro,» disse Tarvi, e sorrise in quel modo paterno che aveva sempre infastidito Sallah. Tarvi non era vecchio. Era anche molto attraente ma, se continuava a considerarsi il padre di tutti, come avrebbe mai potuto accorgersi di lei? «Anzi, l'ho già raccomandato,» continuò. «Specialmente perché quel fango nel quale sei caduta oggi, Valli, ha un alto contenuto di olio minerale.» Quando le grida di esultanza furono scemate, Tarvi scosse la testa. «Metalli sì, petrolio no. Lo sapete tutti. Perché la nostra colonia funzioni come si deve, dobbiamo creare un sistema complicato ad un livello tecnologico più basso. È qui che subentra l'abilità, e la necessità di ricordarsene.» «Nessuno è d'accordo con i nostri capi su questo punto,» disse Svenda aggrottando le ciglia. «Noi abbiamo firmato la Carta Costituzionale e siamo tutti d'accordo nel rispettarla,» affermò Valli e, con una rapida occhiata, consultò tutti gli altri per scoprire se qualcuno appoggiasse Svenda. «Idioti,» fu la risposta derisoria della ragazza bionda. Ciò detto, si versò dell'altro quikal nella coppa, e si allontanò dal capannone. Tarvi la seguì con lo sguardo, il mobile volto inquieto. «Quella è una tutto fumo,» gli disse piano Sallah. Tarvi inarcò le sopracciglia e i suoi occhi scuri la fissarono per un istante privi di espressione. Subito dopo, riapparve il consueto sorriso, e con una mano prese a dare dei colpetti sulla spalla di Sallah... proprio come un padre avrebbe fatto con un figlio obbediente.
«Ah, ecco Drake con le provviste e le novità da parte dei nostri compagni.» «Ehi, dove sono finiti tutti quanti?», chiese Drake nello stesso momento in cui metteva piede nel laboratorio, stracarico di pacchetti e fagotti. «C'è ancora altra roba nella slitta.» Sallah abbassò la testa per nascondere l'espressione del volto. «Stiamo festeggiando, Drake,» disse Valli, offrendogli un bicchiere di quikal. «Due nuovi reperti, entrambi ricchi e facilmente estraibili. Ci siamo messi in affari.» «Sicché la Miniera e la Raffineria del Lago di Drake sono in affari?» Tutti risero e, quando Drake sollevò il bicchiere per i brindisi, nessuno gli contestò quel nome. «Anch'io ho delle notizie per voi,» disse, dopo che ebbe bevuto. «Fra tre giorni dovremo tornare tutti ad Approdo.» L'annunzio fu accolto con grande costernazione. Ma, sorridendo nel pregustare il piacere che si sarebbe creato di lì a poco, Drake alzò la mano libera chiedendo di fare silenzio. «Ci sarà una Festa di Ringraziamento.» «Per la nostra scoperta? E come avrebbero potuto saperlo?», disse Valli. «Sarebbe stato più giusto farla in autunno, dopo il raccolto,» disse Sallah. «Perché?», fu tutto quanto disse Tarvi. «Per un inizio bene augurale della nostra nuova vita. L'ultimo carico delle astronavi è giunto ad Approdo. Adesso siamo atterrati ufficialmente.» «Perché fare tanto chiasso?», domandò Sallah. «Non tutti sono degli stakanovisti come te, adorabile Sallah,» disse Drake, stringendole affettuosamente il mento tra le dita. Accortasi che Drake aveva intenzione di baciarla, Sallah fu lesta a scansarsi, sorridendo per fugare l'offesa del suo rifiuto, e lasciando Drake con le labbra protese. Arresosi, quest'ultimo spiegò imbronciato: «I nostri graziosi capi hanno deciso così, e questa sarà l'occasione per molti meravigliosi annunzi. Tutte le Squadre di Esplorazione sono state richiamate, e tutti passeranno una serata indimenticabile.» Sallah era quasi risentita. «Ma siamo arrivati qui soltanto la settimana scorsa!» Quasi fosse stata un fuga da conclusioni spiacevoli, aveva assunto l'incarico di pilotare l'avioslitta che avrebbe condotto geologi e minatori nell'immenso lago interno presso il quale i rilevamenti compiuti dai CEV a-
vevano indicato esserci delle significative concentrazioni di minerali. Sallah aveva sperato che la distanza le avrebbe consentito di trovare una risposta obiettiva agli avvenimenti di cui era stata testimone. Una settimana prima era tornata sulla Mariposa per cercarvi una registrazione che aveva lasciato a bordo durante uno dei suoi primi turni di servizio in qualità di Pilota dell'Ammiraglio Benden. Era già sera quando, d'improvviso, aveva visto Kenjo sbucare dal portello posteriore di servizio, con entrambe le mani piene di sacchetti di plastica. Mossa dalla curiosità, lo aveva seguito mentre si allontanava in fretta tra le ombre. Ad un certo punto, le era quasi parso che fosse sparito. Si era allora nascosta dietro ad un cespuglio in attesa, e lo aveva visto riapparire dopo un po' a mani vuote. Aveva allora cercato di ripercorrere i suoi passi per scoprire dove avesse deposto il suo carico. Dopo aver frugato in giro, ed essersi procurata qualche contusione agli stinchi ed una sbucciatura ad una mano, era finita in una grotta, dove era rimasta sbalordita alla vista della quantità di carburante che l'uomo aveva sottratto. Controllato un cartellino sul quale era segnata la quantità, calcolò che, stipate in maneggevoli sacchi di plastica, dovevano esserci diverse tonnellate di carburante. La fenditura di accesso alla caverna era ben nascosta all'estremo limite della pista di atterraggio, dietro un ammasso di duri cespugli spinosi che i contadini avevano strappato via dai terreni arabili. Due sere dopo, Sallah aveva involontariamente ascoltato un'inquietante conversazione tra Avril e Stev Kimmer, l'ingegnere minerario che aveva visto in compagnia di Avril il giorno in cui era stato annunziato il luogo prescelto per l'atterraggio. «Guarda: quest'isola è zeppa di pietre preziose,» stava dicendo Avril, e Sallah, nascostasi nell'ombra dell'ala a delta della navetta, sentì il rumore di una pellicola di plastica srotolata. «Questa è la copia della relazione originale, e non c'è bisogno di essere un minatore esperto per immaginare il significato di questi simboli misteriosi». La pellicola frusciò ripetutamente sotto il dito di Avril. «Abbiamo una vera fortuna a portata di mano!» Un'aria di trionfo promanava dalla sua voce suadente. «Ed io intendo impadronirmene.» «Beh, ti garantisco che il rame, l'oro e il platino, sono utili in un mondo civilizzato,» cominciò a dire Stev. «Non parlo dell'uso industriale, Kimmer,» disse Avril in tono aspro. «E non mi riferisco a ridicole pietruzze. Quel rubino era solo un piccolo e-
semplare. Leggi qui: sono gli appunti di Shavva.» «Solo esagerazioni per farsi aumentare il compenso!», esclamò Kimmer sbuffando. «Ebbene, io ho quarantacinque carati di esagerazione, uomo, e tu li hai visti. Se non ci stai, vuol dire che troverò qualcun altro che sia all'altezza.» Avril sa bene come lanciare il suo amo, fu il pensiero rabbioso di Sallah. «Quell'isola non rientra nei programmi per molti anni,» notò Stev. Avril soffocò una risata. «So far navigare qualcosa in più delle navi spaziali, Stev. So pilotare una slitta e, come chiunque altro, sono libera di frugare in lungo e in largo questa palla di fango per scegliervi un misero pezzo di terra a cui ho diritto come contrattista. Ma tu sei uno dei promotori e, se mettessimo assieme i nostri lotti, potremmo impadronirci dell'intera isola.» Sallah sentì Kimmer tirare il fiato. «Credevo che i pescatori volessero l'isola per farci quel porto.» «Vogliono soltanto un porto, non un'isola. Sono pescatori, e si occupano di delfini. Non hanno bisogno della terra.» Kimmer mormorò qualcosa oscillando nervosamente sui piedi. «In ogni caso, chi verrebbe a saperlo?», disse Avril con voce carezzevole. «Potremmo andarci durante i weekend, e cominciare con la roba più accessibile che nasconderemmo in qualche grotta. Ce ne sono talmente tante che potresti cercare per anni senza mai trovare quella giusta. E non dovremmo attirare l'attenzione sulle nostre attività picchettando il terreno ufficialmente, a meno che non vi fossimo costretti.» «Ma tu hai detto che c'è della roba anche nella Grande Prateria Occidentale.» «Proprio così,» confermò Avril con una risatina. «E so anche dove: ad un passo dall'isola.» «Hai calcolato tutto, non è vero?» Nella voce di Kimmer si indovinava una punta di sarcasmo. «Certo,» acconsentì Avril prontamente. «Non ho alcuna intenzione di passare il resto della mia vita su questa palla di fango: non quando avrò trovato il sistema per vivere come piace a me.» Di nuovo si sentì la sua risata gorgogliante seguita da un lungo silenzio, interrotto poi dal rumore di labbra umide che infine si separavano. «Ma intanto che siamo qui, Kimmer, cerchiamo di prendere il meglio. Qui, adesso: sotto le stelle.» Sallah era sgattaiolata via, imbarazzata ed al contempo disgustata dalla sessualità sfrenata di Avril. Non c'era da meravigliarsi che Paul Benden
non l'avesse tenuta a lungo nel suo letto. Era un uomo sensuale, ma non certo il tipo da apprezzare per molto la triviale lascivia di una Avril. Ju Adjai, elegante e contenuta, sembrava una candidata ben più adatta, anche se però nessuno dei due sembrava coinvolto al punto da dar vita ad un'unione formale. Ma la voce di Avril era giunta a Sallah grondante di un'insaziabile avidità. Non era giunta tale anche all'orecchio di Stev Kimmer? O le lusinghe della donna gli avevano ottenebrato la mente? Sallah aveva sempre saputo delle ricchezze minerarie di Pern. Il Rubino di Shavva faceva parte delle leggende su Pern così come la Pepita di Liu. La distanza che separava Pern dalla Confederazione dei Pianeti Senzienti era però tale da scoraggiare ogni tentazione che i suoi giacimenti di preziosi avessero potuto suscitare nei più avidi. Tuttavia, se mai qualcuno fosse riuscito a tornare sulla Terra con un carico di quelle gemme, quell'uomo o quella donna avrebbero certo potuto godere di una vita di lussi sibaritici. Il piano di Avril non minacciava certo di esaurire le risorse di Pern. Ciò che crucciava Sallah era il modo in cui la Navigatrice Interplanetaria si sarebbe procurato il carburante per un simile viaggio. Sallah sapeva che, nei serbatoi della Mariposa, la lancia dell'Ammiraglio, era rimasto del carburante. Non erano in molti a saperlo ma, essendo anche lei un Pilota, Avril sarebbe venuta facilmente a conoscenza di quella informazione. A giudicare dai dati chiesti al computer durante il periodo trascorso sulla Yokohama, Sallah sapeva per certo che la donna avrebbe potuto raggiungere un sistema disabitato. E poi? Sallah aveva accompagnato Ozzie e Cobber nella loro escursione, ed ora era troppo stanca per riflettere sul suo problema. Ma, nell'imminenza del ritorno ad Approdo, molti interrogativi tornarono ad assillarla. Se non aveva alcun rimorso a denunciare Avril, esitava però al pensiero di dover rivelare anche le attività segrete di Kenjo. Avrebbe voluto conoscere il motivo che aveva spinto quest'ultimo a sottrarre del carburante. Nutriva forse qualche folle proposito di esplorare le due lune? O forse quel pianeta capriccioso che, secondo i calcoli, avrebbe attraversato l'orbita di Pern tra circa otto anni? Era impossibile immaginare Kenjo in combutta con una persona come Avril Bitra. Sallah era intimamente convinta che l'animosità che contrassegnava i rapporti tra i due non fosse fittizia. Sospettava invece che per Kenjo volare fosse una religione e, al tempo stesso, una malattia inguaribile. Eppure avrebbe avuto un pianeta intero da sorvolare, e le scorte di energia
per alimentare le avioslitte erano destinate, se usate con giudizio, a consentire decenni di voli. Ciò che preoccupava Sallah più di ogni altra cosa era la possibilità, anche se remota, che Avril avesse scoperto il bottino di Kenjo. Aveva pensato di confidarsi con uno degli altri Piloti, ma Barr Hamil non era tipo da mettere a parte di un problema di quella portata; Drake, invece, non l'avrebbe presa sul serio e Jiro, il Secondo Pilota di Kenjo, non avrebbe mai tradito il suo superiore. Gli altri non li conosceva abbastanza da poter prevedere le loro reazioni ad una simile rivelazione. Va in alto, suggerì a se stessa. In casi del genere è la via più sicura. Era certa che Ongola le avrebbe dato ascolto. Lui avrebbe saputo se sarebbe stato opportuno far partecipi anche Paul ed Emily dei suoi sospetti. Dannazione! Sallah serrò i pugni lungo i fianchi. Credeva che Pern fosse al di sopra di intrighi e pettegolezzi. Stiamo tutti lavorando per un obbiettivo comune, pensò. Un futuro prospero e sicuro, libero da pregiudizi. Perché una come Avril deve imbrattare questa splendida prospettiva col suo sporco egocentrismo? In quel momento Ozzie le toccò un braccio distogliendola da quei pensieri deprimenti. «Mi concederai un ballo, Sallah?», le domandò con la sua voce un po' nasale, gli occhi animati da un luccichio provocatorio. Sallah sorrise ed accettò. Appena tornata ad Approdo, avrebbe cercato Ongola e gli avrebbe riferito tutto quanto. Dopodiché si sarebbe lasciata andare alla danza con animo leggero. «E poi,» continuò Ozzie irrefrenabile, «Tarvi potrà ballare con te per darmi il tempo di far riposare i calli.» Tarvi le rivolse uno sguardo di sofferto assenso, non avendo alternative in presenza di tanti testimoni e neanche l'opportunità di inventarsi una scusa. Ma Sallah fu estremamente grata a quel vecchio furbacchione di Ozzie. 19. Quando l'équipe mineraria fece ritorno ad Approdo, il fuoco ardeva vivace nella Piazza del Falò e la festa cominciava a scaldarsi. Sallah puntò verso il perimetro di atterraggio e a stento riconobbe l'insediamento provvisorio. Quasi tutte le finestre risplendevano di luce, e tutte le lampade a stelo erano accese. Su un lato della piazza era stato eretto un palco sul qua-
le dei fari proiettavano luci colorate. Drake aveva detto che, chiunque volesse esibirsi suonando uno strumento, poteva mettersi in lista per quella serata. I cubi di plastica bianca usati per l'imballaggio delle merci punteggiavano il palco pronti a far da sgabelli ai musicisti. Sedie e tavoli erano stati portati dalle abitazioni e sistemati su uno spazio da poco ripulito in fondo alla piazza. Piccoli fossi erano stati scavati qua e là per attizzarvi i fuochi sui quali sarebbero stati arrostiti gli enormi wherry; su spiedi più piccoli già abbrustolivano gli ultimi pezzi di carne congelata portati dalla Terra assieme ad altre carcasse. Quell'aroma di carne arrostita e di pesce alla grìglia faceva venire l'acquolina in bocca. I coloni sfoggiavano i loro abiti migliori, e tutti si davano da fare aiutando, contando, organizzando e sistemando le ultime ghiottonerie portate dai vecchi mondi e conservate per l'ultima scorpacciata sul nuovo. Sallah parcheggiò la slitta di traverso, pensando che, se altri veivoli fossero stati parcheggiati a casaccio lungo la pista, la Mariposa, parcheggiata all'altra estremità del campo, non avrebbe avuto lo spazio sufficiente per decollare. Ma per quanto tempo ancora ci sarebbero state così tante slitte ad Approdo? «Ehi, spicciati, Sallah,» le gridò Ozzie mentre assieme a Cobber saltava giù dal veicolo. «Devo registrare l'atterraggio alla torre di controllo,» disse Sallah, facendo loro allegramente cenno di avviarsi. «Oh, lascia stare,» le suggerì Cobber, ma la ragazza fece nuovamente segno di andare. Ongola stava giusto uscendo dalla torre meterologica quando Sallah vi giunse. Il Comandante annuì, rassegnato a rientrarvi, e riaprì la porta, notando nel frattempo la posizione della slitta sulla pista. «L'hai messa così di proposito, Sallah?» «Sì. È una misura precauzionale, Comandante.» Il tono di Sallah era inteso ad avvertirlo che aveva qualcosa di serio da comunicargli. Il Comandante non si sedette fino a quando Sallah non fu giunta a metà del suo racconto, dopodiché l'uomo si lasciò andare sulla poltrona con un'aria di stanchezza annoiata che fece pentire amaramente Sallah di non aver tenuto la bocca chiusa. «Avvertire vuol dire prevenire, Signore,» concluse la donna. «Già, Pilota Telgar.» Il profondo sospiro del Comandante le fece tornare il dubbio sulla op-
portunità del suo discorso. L'uomo le fece cenno di restare seduta. «Quanto carburante?» Quando Sallah gli riferì con riluttanza le cifre esatte, Ongola apparve sorpreso e sconcertato. «È possibile che Avril sappia del bottino di Kenjo?» Ongola si rizzò sulla sedia così in fretta che Sallah comprese quanto l'uomo considerasse più gravi i sospetti a carico di Avril piuttosto che l'accusa di furto rivolta a Kenjo. «No, no,» si corresse con un rapido gesto della mano, «la loro antipatia è autentica. Informerò l'Ammiraglio e la Governatrice.» «Non stasera, Signore,» disse Sallah sollevando automaticamente la mano in segno di protesta. «Se ho scelto questo momento è perché è stata la prima opportunità che ho avuto di avvicinarla...» «Avvertire vuol dire prevenire, Sallah. Hai riferito i tuoi sospetti a qualcun altro?» Sallah scosse la testa vigorosamente. «No, Signore! Fa già abbastanza male sospettare che la mela sia bucata, senza chiedere a qualcun altro di assaggiarla.» «È vero! l'Eden è ancora una volta corrotto dalla cupidigia umana.» «Di un solo essere umano,» si sentì obbligata Sallah a rammentargli. Il Comandante sollevò due dita significativamente. «Due: c'è anche Kimmer. E chi altri ha parlato con lei a bordo?» «Kimmer, Bart Lemos e Nabhi Nabol, ed altri due uomini che non ho mai più incontrato.» Ongola non parve sorpreso. Emise un profondo sospiro prima di posare le mani sulle cosce ed alzarsi in tutta la sua imponente altezza. «Ti sono grato, e so che l'Ammiraglio e la Governatrice lo saranno altrettanto.» «Grato?» Sallah si alzò. Non provava affatto il sollievo che aveva sperato di trovare dopo aver parlato al suo superiore. «In verità ci eravamo aspettati che sarebbe sorto qualche problema quando la gente avesse cominciato a rendersi conto di essere qui,» disse Ongola, puntando in basso un lungo dito, «e di non poter andare da nessun'altra parte. L'euforia dello sbarco è passata; la festa di stasera si propone proprio di disinnescare ogni meccanismo di rigetto che possa insorgere nella coscienza delle persone. È difficile che gente sazia e allegra, che
si è stancata ballando tutta la notte, pensi a tramare ed a cospirare.» Ongola aprì la porta facendo cortesemente cenno a Sallah di precederlo. Nessuno chiudeva a chiave le porte su Pern, persino quelle degli uffici amministrativi. Sallah ne era stata orgogliosa, ma adesso era preoccupata. «Noi non siamo così stupidi, Sallah,» disse Ongola, quasi le avesse letto nel pensiero. Si diede un colpetto sulla fronte. «Questa resta ancora la migliore banca dati mai inventata.» Con un sospiro di sollievo, Sallah riuscì ad assumere un'aria meno crucciata. «Ci sono ancora tante cose di cui dobbiamo essere riconoscenti a Pern, sai?», le ricordò il Comandante. «Certo!», rispose Sallah, pensando al ballo promesso a Tarvi. Si lavò, indossò il suo abito più elegante, e raggiunse la Piazza del Falò. La festa era già al culmine e l'orchestra improvvisata stava suonando una polka. Sallah si fermò nell'ombra a guardare, lontana dalla luce e dai suoni; era stupefatta dal numero degli insospettati musicisti che pestavano i piedi a tempo di musica in attesa del loro turno. Il ritmo cambiava continuamente ogniqualvolta dei nuovi musicisti andavano a sostituire coloro che si erano già esibiti. Letteralmente sbigottita, Sallah vide persino Tarvi Andiyar estrarre un flauto col quale intonò uno strano motivetto, molto orecchiabile e completamente diverso dai suoni rauchi che lo avevano preceduto. Il repertorio di quella orchestrina alla buona andava dai ballabili agli assolo, e spesso il pubblico veniva invitato a cantare qualche vecchio successo. Emily Boll si esibì alla tastiera, ed Ezra Keroon eseguì al violino uno scatenato potpourry di ballate che tutti accompagnavano a suon di piedi mentre numerose coppie si esibivano in comiche imitazioni delle tradizionali danze dei marinai. Sallah non ballò una. volta soltanto con Tarvi, ma due. Nel bel mezzo del secondo ballo, mentre volteggiavano al suono di un antico motivo, vi fu un istante mozzafiato durante il quale sembrò che anche Pern avesse deciso di danzare al ritmo di quelle nuove melodie. Tutti i piatti sui tavolini tintinnarono, i ballerini persero l'equilibrio e le persone sedute sentirono le sedie traballare. Il terremoto durò il tempo che intercorre tra due battiti di cuore e fu seguito da un silenzio totale. «Sicché anche Pern vuol ballare, non è così?» La voce divertita di Paul Benden si udì in tutta la piazza. L'Ammiraglio
balzò quindi sul palco e protese le braccia quasi considerasse il terremoto un simbolico benvenuto. Il suo commento provocò bisbigli e brontolii, ma servì ad allentare la tensione. Paul fece cenno ai musicisti di riprendere a suonare e, al tempo stesso, scrutò attentamente il pubblico cercando con gli occhi alcune facce. Tarvi, al fianco di Sallah, annuì in maniera quasi impercettibile e lasciò cadere le braccia dalle spalle di lei. «Vieni, dobbiamo andare a controllare l'intensità di questa scossa.» Sallah si sforzò di celare la profonda delusione suscitata da quella drastica interruzione del suo ballo con Tarvi. Il terremoto aveva certo la precedenza. Era la prima volta che avvertiva un movimento tellurico, ma ciò non le aveva impedito di capire all'istante cosa fosse accaduto. Si allontanò quindi dalla pista da ballo insieme a Tarvi muovendosi con circospezione, quasi volesse prevenire la sorpresa di un'altra scossa. Jim Tillek chiamò a raccolta i suoi marinai per accertarsi che le barche fossero ben ormeggiate entro l'argine di recente rinforzato, e sperò che, se si fosse sollevata un'onda gigante, la sua forza si sarebbe dispersa infrangendosi sulle isole antistanti. Gli addestratori dei delfini, ad eccezione di Gus rimasto alla festa per suonare la fisarmonica, si recarono al porto per parlare ai mammiferi marini. Questi avrebbero saputo segnalare l'arrivo dell'onda e stimare la sua potenza distruttiva. Patrice de Broglie radunò un gruppo di persone per andare a piazzare dei sismografi ma, a parer suo, la scossa era stata molto lieve, e originata da un epicentro posto a notevole distanza da Approdo. Sallah tornò in piazza per finire il suo ballo con Tarvi, ma solo perché a quest'ultimo era stato detto che l'assenza di troppi specialisti sarebbe stata fonte d'allarme. Il mattino successivo, l'epicentro era stato localizzato in un punto ad estnord-est, in pieno oceano, dove l'attività vulcanica era stata già riferita dalla Squadra dei CEV. Poiché sulla terraferma non furono avvertite altre scosse, i geologi poterono sciogliere il nodo d'incertezza che aveva offuscato la gaia atmosfera della Festa di Ringraziamento. Quando Tarvi decise di accompagnare Patrice nell'esplorazione della zona dell'epicentro, Sallah si offrì di pilotare la grande slitta. Non si curò minimamente del fatto che il veicolo fosse gremito di geologi curiosi e fosse zeppo di attrezzature. L'unica cosa a cui badò con cura fu di assicurarsi che Tarvi occupasse la
poltrona di guida alla sua destra. 20. Conclusesi le celebrazioni del Ringraziamento, i coloni si dedicarono alle occupazioni di routine. I delfini si erano divertiti un mondo ad inseguire l'onda gigante che, come Tarvi aveva previsto, si era lanciata attraverso il Mare Settentrionale scagliando il massimo della sua violenza contro la penisola orientale e la punta occidentale del continente settentrionale, andandosi poi ad infrangere sulla grande isola. Benché i marosi avessero trasportato con sé una massa di alghe di colore rosso vivo, il porto di Jim Tillek era salvo. La vegetazione abissale era dissimile da qualsiasi altro esemplare rinvenuto fino ad allora, sicché i campioni furono immediatamente smistati al laboratorio per le analisi. Scoprire un'erba marina commestibile sarebbe stata una cosa di grande utilità. Il terremoto aveva messo i delfini in viva agitazione. Essi ne avevano avvertito l'imminenza dalle reazioni delle creature marine più grandi fuggite all'impazzata per mettersi in salvo, ed avevano accolto con gioia la scoperta che nelle forme di vita di quei nuovi oceani vi fosse una tale coscienza. I delfini, come Teresa aveva riferito ad Efrem con una serie di schiocchi e sibili, avevano suonato ripetutamente la campana d'allarme posta all'estremità del molo, ma nessuno dei loro coloni era accorso. I ranger marini dovettero faticare non poco per acquietare quei cetacei azzurri e globicefali. «Che senso ha avuto,» aveva chiesto Teresa, il delfino azzurro più grosso, «fare tutto quel lavoro di sintesi mentale, se voi umani non venite a sentire quel che abbiamo da dirvi?» Frattanto, a settentrione, ai piedi di un grande tavolato, erano stati scoperti ricchi giacimenti minerari di rame, latta e carbone, casualmente ubicati vicino ad un fiume navigabile attraverso il quale il minerale estratto poteva essere trasportato fin giù al grande estuario. Tarvi, adesso Capo Ingegnere minerario di Pern, aveva esplorato la zona con il caposquadra della spedizione mineraria cui si doveva la scoperta, dopodiché, insieme, avevano proposto al Consiglio la possibilità di realizzare un insediamento secondario in quel luogo. I metalli sarebbero stati lavorati in situ e quindi imbarcati e trasferiti alla foce, risparmiando in tal modo un mucchio di tempo, fatica e difficoltà.
Il comitato per le risorse energetiche confermò l'opportunità di usufruire dell'energia idroelettrica delle vicine cascate. Il Consiglio propose di sottoporre il progetto alla successiva assemblea mensile. Nel frattempo, le squadre di geologi avrebbero proseguito le esplorazioni di entrambi i continenti. Nuovi progressi furono compiuti nel settore agricolo ed in quello ittico. Il frumento e l'orzo crescevano rigogliosamente sul suolo di Pern, come pure gran parte dei tuberi; le culture di meloni invece presentavano dei problemi che si cercò di risolvere spruzzando delle soluzioni nutrienti. Purtroppo, le radici dei cetrioli e delle zucche, con l'eccezione di due sole specie, sembravano essere suscettibili agli attacchi di una larva fungina e, se gli agronomi non fossero riusciti a combatterla con un controparassita, rischiavano di perdere l'intera famiglia delle cucurbitacee. I tecnici stavano studiando il problema. Gli alberi da frutta, tranne pochi esemplari di ciascuna varietà, erano fioriti e mettevano nuove foglie. I trapianti di due specie di piante da frutta pernesi sembravano attecchire accanto alle specie terrestri, e gli addetti ai lavori speravano in una simbiosi. Due varietà di verdure pernesi si mostrarono suscettibili agli attacchi di un virus di origine umana, ma era prematuro stabilire se quell'attacco fosse simbiotico o nocivo. Fino a quel momento non erano stati ancora trovati terreni adatti alla coltivazione del riso, tuttavia il cartografo della colonia, affaccendato nella traduzione delle immagini inviate dalle sonde in mappe topografiche, era dell'opinione che i terreni paludosi meridionali avrebbero giovato a quel tipo di coltura. Joel Lilienkamp, Direttore del Settore Scorte e Approvvigionamenti, non evidenziò alcun problema, e ringraziò tutti, specie i bambini, per aver procurato considerevoli quantità di prodotti commestibili. Anche gli addetti al settore marino ricevettero uno speciale ringraziamento per la buona pesca effettuata. Alcune creature indigene pesciformi erano molto gustose malgrado l'aspetto poco invitante. Lilienkamp raccomandò ancora una volta di fare molta attenzione alle pinne poste sul corpo di una determinata specie, dato che erano capaci di infettare qualsiasi graffio o taglietto. E, adesso che la produzione di plastica era in grado di fornire pellicole sottili e resistenti, avrebbe iniziato a distribuire dei guanti. Protettivi. Sul fronte zoologico, Pol Nietro e Chuk Havers, fornirono un resoconto più cauto circa la buona riuscita delle gestazioni. Alcune procedevano bene nelle specie più grandi, ma i primi piccoli di tacchino non erano sopravvis-
suti. Tre cagne erano in imminente attesa del parto, e diciassette gattini erano nati da quattro soriane, una delle quali però aveva dato alla luce soltanto un cucciolo. Altre sei cagne o due gatte sarebbero andate presto in calore, e sarebbero state subito inseminate o avrebbero ricevuto degli embrioni. Si era rinunziato con rammarico ad applicare le tecniche eridanite - specie la sintesi mentale - sui cani, in considerazione dei problemi insorti con tali adattamenti sulla Terra. Alcune specie di bestiame, e così pure molti esseri umani, possedevano antenati che erano stati "migliorati" in quel modo, e i loro discendenti mostravano dei segni notevoli di empatia, una cosa alla quale i cani non potevano ovviamente adattarsi. Oche, anitre e galline non manifestavano alcun genere di difficoltà, e deponevano le uova regolarmente. Venivano tenute in pollai all'aperto, in quanto erano ancora troppo preziose per essere lasciate libere di razzolare nei cortili. Un gran numero di bambini e adulti si recava spesso ai pollai. Occorsero circa sei settimane perché gli onnivori wherry - dal nome imposto dalla Squadra dei Cev ai goffi volatili - scoprissero la nuova fonte di cibo e vincessero a causa della fama la loro prudente natura, da qualcuno ritenuta più vile che cauta. Ma quando infine si decisero ad attaccare, lo fecero con un impeto inarrestabile. Fortunatamente in quel periodo vi erano ad Approdo trenta draghetti. Benché più piccoli degli avversari, i draghetti erano dei volatili più agili, e sembravano possedere la facoltà di comunicare tra loro, dimodoché, non appena un wherry veniva scacciato, un draghetto, solitamente un bronzeo, si teneva vicino al fuggiasco per assicurarsi che questi lasciasse davvero la zona. Intanto gli altri draghetti aiutavano i loro compagni a difendersi dal successivo attacco. Intenta ad osservare tra la folla di spettatori, Sorka notò qualcosa di molto strano nella fedele difesa dei draghetti: le era parso che il suo Duke avesse attaccato un wherry particolarmente aggressivo con quella che aveva l'aspetto di una fiammella. Certo fu che alcune nuvolette di fumo si alzarono sui combattenti e il wherry arrestò la sua offensiva battendo in ritirata. La cosa accadde così repentinamente, che Sorka non fu del tutto sicura di ciò che aveva visto, sicché non accennò ad alcuno dello strano fenomeno. In verità una nube maleodorante accompagnava sempre gli wherry: era qualcosa di simile alle esalazioni sulfuree dell'estuario del fiume e delle paludi melmose. Se i volatili arrivavano volando nella direzione del vento,
la loro presenza diventava subito chiaramente manifesta. I draghetti invece emanavano un odore salmastro e talvolta, quando Duke si adagiava raggomitolandosi sul cuscino, Sorka avvertiva una fragranza simile a quella della cannella o della noce moscata, spezie che presto sarebbero diventate soltanto un ricordo, a meno che le serre non ottenessero maggiori successi. Nelle menti dei coloni non vi erano dubbi sul fatto che i draghetti avessero salvato il pollame dal pericolo. «Santo Iddio! Sono dei veri guerrieri!», esclamò l'Ammiraglio Benden con rispetto. Lui ed Emily Boll avevano assistito all'attacco dall'alto della torre di controllo e si erano precipitati ad aiutare i difensori. Benché perplessi ed impreparati, i coloni erano corsi al pollaio afferrando scope, rastrelli, bastoni e qualunque altra cosa avessero a portata di mano. I pompieri, ben addestrati e già impegnati più di una volta a spegnere piccoli incendi, arrivarono con le manichette che misero in fuga i pochi wherry che erano riusciti ad eludere i piccoli difensori. Adulti e bambini spinsero anitre e polli atterriti e starnazzanti dentro delle gabbie. Di tutta quella scena una delle cose più buffe - riferì poi Sorka a Sean - era stata la vista dei dignitosi e austeri scienziati intenti a rincorrere i pulcini spaventati. I graffi provocati dagli artigli acuminati dei wherry furono ben poca cosa rispetto ai danni - probabilmente molto seri - che sarebbero insorti se i draghetti non fossero intervenuti. «È un vero peccato che non siano più grossi,» osservò l'Ammiraglio, «sarebbero stati degli ottimi animali da guardia. Forse le nostre biogenetiste riusciranno a creare dei cani volanti.» Inclinò rispettosamente la testa verso Kitti e Wind Blossom Ping. Kitti Ping annuì con un'aria glaciale. «Non solo quei draghetti hanno agito di loro iniziativa, ma giurerei che comunicassero tra loro. Avete visto come hanno organizzato la sorveglianza tutt'intorno? E come hanno combinato i loro attacchi? Una strategia superba! Io stesso non avrei saputo far di meglio.» Pol Nietro, anche lui colpito dall'episodio, era al momento impegnato nelle progettazioni previste dal programma e non era tipo da sprecare in ozio il tempo libero. Sicché, quando l'ordine fu ristabilito e alcuni giovani coloni furono posti a sentinella dei pollai nel caso vi fosse stata una nuova incursione, Pol si recò insieme a Bay nella Piazza d'Asia. Mairi Hanrahan sorrise nell'udire la sua richiesta. «Sei fortunato, Pol: Sorka è in casa. Duke sta consumando un pranzo super speciale in premio per la sua difesa del pollaio.»
«Ah, allora era lì anche lui.» «Sorka dice che è stato proprio lui a guidare il gruppo dei draghetti,» disse Mairi sottovoce, gli occhi rilucenti di allegria e orgoglio materno. Fece quindi accomodare i visitatori nel soggiorno, che aveva perso il suo carattere anonimo e provvisorio per diventare grazioso e accogliente grazie alle tendine dalle tinte vivaci, alle piante ed ai vasi di fiori - alcuni locali, altri ottenuti da semi terrestri - e grazie ai numerosi disegni e incisioni che rendevano le pareti meno spoglie e ai cuscini variopinti che miglioravano il comfort delle sedie di plastica. «Gruppo di draghetti? Come dire un branco di leoni? O di oche? Sì, sì, è una descrizione veramente appropriata,» approvò Pol Nietro, lanciando delle occhiate maliziose a madre e figlia. «Con ciò non voglio dire che tu sia adatta a quel genere di collaborazione nel gruppo che tutti conosciamo.» «Pol Nietro, se stai gettando calunnie sulla Fiera di Donnibrook, fiera irlandese nota per risse e schiamazzi...», cominciò Mairi con un sorriso. «Calunnie, Mairi? No, non è da me.» Pol strizzò un occhio. «Ma quel gruppo di draghetti si è dimostrato molto utile. Quelle creature sembravano lavorare tutte assieme per uno scopo comune. Paul Benden lo ha notato in maniera particolare e vorrebbe che Kitti ed io...» Mairi lo prese per un braccio, con un'espressione alterata. «Non vorresti...» «No, naturalmente, mia cara.» Le diede un buffetto sulla mano per rassicurarla. «Ma credo che Sorka potrà aiutarci. E anche Duke, se lo vorrà. Noi abbiamo già accumulato una buona quantità di informazioni sui nostri piccoli amici. Il loro potenziale ha già fatto un significativo salto di qualità. E così pure la nostra comprensione della loro natura! Noi non abbiamo portato dalla Terra creature capaci di scacciare dei predatori aerei pericolosi come gli wherry.» Sorka, intanto, stava offrendo da mangiare ad un Duke quasi sazio, che stava ritto sulla tavola, la coda distesa e scossa sulla punta da vivaci movimenti ogniqualvolta l'animaletto si assicurava con grazia il bocconcino portogli dalla ragazza. Il draghetto era circondato da uno strano odore, non del tutto piacevole, che in omaggio al suo eroismo Sorka si sforzava di ignorare. «Ah, il servitore si sta meritando la sua paga,» commentò Pol. Sorka lo fissò a lungo. «Non per essere insolente, Signore, ma non credo che Duke possa con-
siderarsi un servitore di qualsiasi genere. E certamente si è mostrato un buon amico nei nostri confronti!» Con un ampio cenno della mano comprese l'intero insediamento. «Lui e la sua... corte», disse Pol con estremo tatto, «oggi ci hanno dimostrato aldilà di ogni dubbio la loro amicizia.» Si sedette di fianco a Sorka, osservando la creatura nell'atto di agguantare con gli artigli il pezzetto di cibo. Duke scrutò il bocconcino esaminandone tutti i lati, lo annusò, lo leccò, ed infine lo addentò delicatamente. Pol contemplava ammirato. Sorka ridacchiò. «È pieno come un otre, ma non rifiuterà mai del cibo. Adesso ha ridotto i pasti ad uno solo al giorno: forse ha quasi raggiunto la maturità. Ho preso nota della sua crescita e adesso, Signore, sembra che sia diventato proprio grande come quelli selvatici.» «Interessante. Potresti consegnarmi quelle annotazioni Sorka? Le aggiungerò alle altre informazioni già schedate.» Pol si raddrizzò un poco. «Sai, Sorka, siamo dinanzi ad un'evoluzione davvero straordinaria. Specialmente se quei mangiatori di plancton di cui ci hanno riferito i delfini, rappresentano un antenato comune dei serpenti e dei draghetti.» Mairi apparve molto sorpresa. «Serpenti e draghetti?» «Hmmm, sì, perché qui, su Pern, la vita si è evoluta dai mari proprio come è accaduto sulla Terra. Beh, con delle variazioni, naturalmente.» Pol assunse con gioia un'atteggiamento cattedratico di fronte ad un pubblico attentissimo per quanto incredulo. «Sì, un antenato acquatico simile ad' un'anguilla. Con sei arti. Il primo paio,» ed accennò al draghetto che ancora stringeva il boccone tra le chele anteriori, «serviva in origine per catturare. Guarda il movimento dell'artiglio anteriore rispetto alla staticità degli altri due posteriori. I draghetti hanno eliminato il palmo a favore di tre dita. Hanno poi optato per le ah al posto delle pinne, mentre il paio posteriore ha una funzione propulsiva. L'adattamento alla terraferma - gli attuali serpenti - si è realizzato mediante la trasformazione degli arti anteriori in escavatori, quelli medi hanno continuato la loro funzione di equilibratori, specie quando il paio anteriore è impegnato a mantenere il cibo, mentre gli arti posteriori servono ad imprimere la direzione al moto o ad aggrapparsi. Sì, sono sicuro che scopriremo nei mangiatori di plancton gli antenati di questi nostri piccoli amici.» Pol sorrise raggiante a Duke che di sua iniziativa stava afferrando un nuovo bocconcino offertogli da Sorka. «Comun-
que...» Si arrestò. Sorka attese educatamente, avendo intuito che la visita dello zoologo non era priva di scopo. «Per caso sei venuta a sapere di qualche nido indisturbato?», le chiese infine. «Sì, Signore, ma non è una grossa covata, e le uova sono alquanto più piccole delle altre che ho già visto.» «Ah, sì, forse appartengono ad una femmina verde,» disse Pol in tono conciliante. «Bene! Visto che la verde non è protettiva come l'aurea nei confronti del suo nido, non soffrirà troppo se le prendiamo qualche piccolino in prestito. Ma volevo chiederti un altro favore, più grande. Ricordo in particolare il tuo accenno al corpo di un draghetto neonato nell'acqua. È un rischio ricorrente?» Sorka rifletté un poco, quindi rispose con tono ugualmente distaccato. «Credo di sì. Alcuni piccoli non ce la fanno. O non riescono ad alimentarsi abbastanza da superare il trauma della schiusa,» cominciò a spiegare, senza accorgersi del sorrisetto che incurvava un angolo della bocca di Pol Nietro, «o vengono abbattuti dagli wherry. Appena prima della schiusa, i draghetti adulti portano delle alghe con le quali formano un anello attorno alla covata, poi offrono ai piccoli pesce, vermetti e qualsiasi altra cosa riescono a trovare.» «Hmmm, imprimono così un modello comportamentale definitivo,» mormorò Pol. «Mentre i piccoli si riempiono lo stomaco, le ali hanno il tempo di asciugarsi per consentire loro di volare via col resto del gruppo. I draghetti adulti svolgono un lavoro di prim'ordine nel tenere alla larga i serpenti e gli wherry per offrire così ai piccoli una possibilità di sopravvivenza. Un giorno, però, Sean ha visto un animale simile ad un'anguilla attaccare dal mare durante l'alta marea. In quel caso il piccolo non ha avuto alcuna possibilità di sopravvivere.» «Sean è il tuo inafferrabile ma onnipresente alleato?» «Sì, Signore. Abbiamo scoperto insieme il primo nido, e lo abbiamo sorvegliato entrambi.» «Pensi che acconsentirebbe ad aiutarci a trovare i nidi, e... i piccoli?» Sorka fissò a lungo lo zoologo. Pol aveva sempre rispettato la parola data, e il primo giorno si era comportato benissimo a proposito di Duke. Decise che poteva fidarsi, e al tempo stesso non trascurò l'importanza della
sua carica ad Approdo: avrebbe potuto fare qualcosa per Sean. «Se lei promette, Signore, se promette - ed anch'io garantirò personalmente per lei - che la sua famiglia avrà uno dei primi cavalli, Sean farà qualsiasi cosa per lei.» «Sorka!» Mairi era imbarazzata dalla proposta avanzata da sua figlia. La ragazza trascorreva troppo tempo con quello zingaro e stava imparando da lui delle cattive abitudini. Ma, con sua grande sorpresa, Pol sorrise gaiamente a Sorka dandole affettuosamente delle piccole pacche su un braccio. «Un momento, un momento, Mairi: tua figlia ha un buon istinto. Il baratto è già stato praticato come sistema di scambio qui su Pern, sai?» Guardò quindi Sorka con la dovuta solennità. «È uno dei Connell, non è così?» Sorka annuì con pari solennità, autorizzandolo a continuare. «È il primo nome che figura nella lista di coloro che riceveranno degli equini. O buoi, se preferiscono.» «Cavalli. Hanno sempre avuto dei cavalli,» affermò Sorka entusiasta. «E quando potrò scambiare due parole con questo giovanotto?» «Quando vuole, Signore. Va bene stasera? So dove è possibile trovarlo.» Per un istinto dettatole dalla lunga abitudine, Sorka chiese con gli occhi il consenso di sua madre. Mairi annuì. 21. Consultato, Sean concordò sul fatto che da quelle parti vi fossero soltanto uova di draghetto verde, ma propose di andare a dare un'occhiata alle spiagge lontane dai lidi di Approdo che erano già stati accuratamente setacciati. Sorka aveva trovato Sean sulla Testa di Roccia, mentre i suoi due draghetti erano intenti a pescare i pesci-dito nei bacini creati dalle maree dove spesso finivano intrappolati. «Possiamo chiedere il tuo aiuto in questa impresa, Sean Connell?», gli chiese Pol formalmente. Con aria assente, Sean inclinò la testa da un lato e scrutò a lungo lo zoologo con occhi indagatori. «Ed io cosa ci guadagno ad andare a caccia di lucertole?» «Draghetti,» lo corresse Sorka in tono risoluto. Sean la ignorò. «Non ci sono soldi quassù, e mio padre ha bisogno di me all'accampa-
mento.» Sorka si muoveva irrequieta al fianco di Pol, incerta sull'abilità dello scienziato nello sfruttare quell'occasione. Ma Pol non poteva essere diventato il Direttore di un prestigioso seminario zoologico nell'immensa Università di Prima Centauri senza aver imparato a trattare con individui ostinati e permalosi. Quel furfantello che lo adocchiava con un antico, ereditario scetticismo, costituiva un aspetto leggermente diverso di un problema ben noto. A un ragazzo come tutti gli altri, lo zoologo avrebbe offerto l'allettante possibilità di accendere il falò serale, cosa che era diventata un privilegio ambitissimo, ma Pol sapeva che Sean non vi attribuiva alcuna importanza. «Avevi un pony per te sulla Terra?», gli domandò, appoggiandosi ad una roccia e incrociando le corte braccia sul petto. Sean annuì, interessato e sorpreso da una domanda così inaspettata. «Raccontami di lui.» «E cosa c'è da raccontare? Chissà da quanto tempo è finito in bistecche, e probabilmente anche quelli che le hanno mangiate ormai non sono che un mucchio di vermi.» «Non aveva nulla di speciale? A parte il fatto che era speciale per te?» Sean lanciò a Pol una lunga occhiata obliqua, poi posò per un istante gli occhi su Sorka che mantenne un'aria del tutto assente. Non aveva intenzione di farsi coinvolgere ulteriormente in quella faccenda; avvertiva difatti una punta di rimorso per aver fornito a Pol una chiave per interpretare il desiderio più profondo di Sean. «Era un incrocio di gallesi e connemara. Non ne sono rimasti molti come lui.» «Quanto era alto?» «Quattordici palmi,» rispose Sean in tono quasi rabbioso. «Colore?» «Grigio acciaio.» Sean si accigliò, diventando più sospettoso. «Perché vuoi saperlo?» «Tu sai cosa faccio io su questo pianeta?» «Ne tagli a pezzi gli esemplari.» «Sì, anche quello, naturalmente. Ma li combino pure, li metto assieme, ne compongo le caratteristiche, il colore, il sesso. Questo è quello che facciamo generalmente io ed i miei colleghi. Grazie ad una giudiziosa manipolazione dei modelli genetici, possiamo produrre ciò che il cliente - Pol fece un cenno con la mano in direzione di Sean - desidera.»
Sean continuava a fissarlo; non comprendeva appieno i termini usati dallo zoologo, e non osava sperare ciò che Pol Metro sembrava suggerire. «Potresti riavere il tuo Cricket, qui su Pern,» disse Sorka con voce dolce, gli occhi luminosi. «Può fare anche questo. Può darti un pony uguale al tuo Cricket.» Sean trattenne il respiro. Gli occhi volavano da Sorka al vecchio zoologo che lo stava osservando con estrema tranquillità. Infine puntò il pollice su Sorka. «Ha ragione?» «Sul fatto ch'io sia capace di produrre un cavallo grigio - se me lo consenti, direi che sei un po' troppo alto per un pony - con tutte le caratteristiche fisiche del tuo Cricket, sì, ha ragione. Abbiamo portato con noi dello sperma nonché ovuli fecondati prelevati da una vasta gamma di specie equine terrestri. Mi risulta inoltre che possediamo sia i genotipi gallese che connemara. Sono entrambi assai resistenti. È un'operazione molto semplice.» «Proprio come trovare uova di lucertola?» La natura sospettosa di Sean prevalse sul timore reverenziale nei confronti della scienza. «Uova di draghetto,» lo corresse tenacemente Sorka. Il ragazzo la guardò con occhi minacciosi. «Stiamo barattando uova con uova, giovanotto. Uno scambio leale: un cavallo da sella contro le tue uova, modificato a seconda delle tue richieste come ricompensa per la tua disponibilità di tempo e fatica nella ricerca.» Sean volse ancora una volta lo sguardo verso Sorka, la quale annuì rassicurandolo. Sputò quindi nel palmo della mano destra che tese a Pol Nietro. Senza esitare, lo zoologo suggellò il patto. La velocità con la quale Pol Nietro organizzò la spedizione, lasciò senza fiato molti dei suoi collaboratori nonché l'équipe amministrativa. Al mattino, Jim Tillek aveva acconsentito a concedere l'uso della Croce del Sud a condizione che lui stesso capitanasse l'equipaggio. Gli era stata chiesta per compiere una perlustrazione costiera della durata non superiore ad una settimana. Gli Hanrahan e Porring Connell concessero a Sorka e a Sean il permesso di prender parte alla spedizione. Dal canto suo, Pol Nietro aveva convinto Bay Harkenon a portare il microscopio portatile ed una certa quantità di cassette per la custodia degli esemplari, vetrini ed altri aggeggi simili. Con grande sorpresa di Sorka e di Sean, l'Ammiraglio Benden era sul
molo ad augurare la migliore fortuna all'impresa, e ad aiutare l'equipaggio a liberarsi dagli ormeggi. Con quella benedizione ufficiale, la Croce del Sud salpò dalla baia e prese il largo sospinta da una brezza fresca e vivace. Sean, che fino a quel momento era sempre stato saldamente vincolato alla terraferma, non era poi così entusiasta di quella prima esperienza di navigazione, ma riuscì in qualche modo a controllare sia la paura che la nausea. Voleva a tutti i costi guadagnarsi il suo cavallo e non mostrarsi debole dinanzi a Sorka, la quale invece manifestava di godere appieno e con entusiasmo quell'avventura. Sean trascorse gran parte del viaggio seduto con le spalle appoggiate all'albero, lo sguardo rivolto a prua mentre carezzava i draghetti marroni ai quali piaceva dormire sdraiati sul ponte assolato. Duke invece preferiva restare appollaiato sulla spalla di Sorka, con uno degli artigli delicatamente aggrappato al suo orecchio per tenersi in equilibrio, mentre con la coda le cingeva il collo senza però stringerlo troppo. Di tanto in tanto la ragazza lo sfiorava col naso per rassicurarlo, o era la bestiola a pigolarle qualcosa nell'orecchio proprio come se fosse sicuro che lei lo capisse. La Croce del Sud, una corvetta di dodici metri, disponeva di un equipaggio di tre persone, aveva otto posti letto, ed era stata progettata per servire da nave esplorativa nonché da corriere espresso. Jim Tillek si era spinto fino all'estremo occidente, aveva poi navigato lungo il fiume cristianamente battezzato "Giordano" e, insieme ad un equipaggio attrezzato per la misurazione dell'attività sismica, aveva raggiunto la distante isola vulcanica la cui eruzione aveva interrotto la Festa di Ringraziamento. Il navigatore sperava di ottenere il permesso di effettuare la lunga traversata che lo avrebbe portato fino alla grande isola situata al largo del continente settentrionale e di esplorare il delta del fiume indicato dalla Sezione Mineraria per il trasporto dei minerali o dei metalli già lavorati dalla progettata città mineraria. Jim Tillek raccontò a Sorka, affascinata, dei suoi viaggi attraverso tutti i mari e gli oceani della Terra, compiuti durante i periodi di licenza dal mercantile di cui era comandante. Aveva pure navigato lungo tutti i fiumi navigabili: il Nilo, il Tamigi, il Rio delle Amazzoni, il St. Lawrence, il Columbia, il Reno, il Volga, lo Yangtze e molti altri corsi meno noti. «Naturalmente non lo facevo professionalmente, e su Prima Centauri non c'era una grande richiesta di marinai, così questa spedizione mi ha offerto la possibilità di dedicarmi al mio hobby come se fosse un lavoro,» le
confidò. «Sono stato maledettamente contento di venire!» Inspirò profondamente. «L'aria qui è favolosa. Sembra uguale a quella che avevamo tanto tempo fa sulla Terra. Si dice che era così per via dell'ozono! Respira profondamente!» Sorka inspirò con gioia. Proprio in quel momento, Bay Harkenon emerse dalla cabina; aveva senz'altro un aspetto migliore di quando era discesa in tutta fretta preferendo dar di stomaco in privato. «Ah, la pillola ha funzionato?», s'informò Jim Tillek con sollecitudine. «Non potrò mai ringraziarti abbastanza,» disse la microbiologa con un sorriso tremulo ma colmo di riconoscenza. «Non immaginavo di soffrire il mal di mare.» «Avevi mai navigato?» Bay scosse la testa, e i riccioli grigi le ondeggiarono sulle spalle. «E allora come potevi saperlo?», le chiese Tillek in tono comprensivo. Spinse quindi lo sguardo in lontananza, dove la penisola e la bocca del fiume Giordano erano già visibili. Lontano, l'imponente Monte Garden così chiamato dal nome del senatore che si era tanto prodigato per spianare la via alla spedizione attraverso gli intricati percorsi della burocrazia dei Pianeti Senzienti Confederati - dominava il paesaggio, il cono magnificamente stagliato contro il limpido cielo del mattino. Vi erano state molte pressioni per far accettare dai suoi tre compagni i nomi dei componenti originali della Squadra CEV che per prima era atterrata sul pianeta: Shavva, Liu e Turnien. Non era stata presa però alcuna decisione alle riunioni mensili degli addetti alla toponomastica tenute attorno al falò serale, né durante le sedute ufficiali del Consiglio. Il Capitano Tillek abbassò gli occhi sulle carte e, servendosi del compasso, misurò la distanza dal molo alla foce del fiume, e poi ancora fino alla terra aldilà di esso. «Perché i colori si interrompono in questo punto?», domandò Sorka, notando che buona parte della mappa non era colorata. Con un sorriso di approvazione, il Capitano picchiettò sulle cartine. «È stato Fremlich a farmele basandosi sulle immagini inviate dalle sonde, e finora si sono rivelate precise al millimetro. Ma, quando attraversiamo a piedi le terre che vi sono disegnate, oppure navighiamo lungo le coste indicate dalle carte, allora io le coloro in maniera appropriata. È un ottimo sistema per sapere dove siamo già stati e dove dobbiamo ancora andare. Ho anche aggiunto delle annotazioni utili per un marinaio, relative ai venti prevalenti ed alla velocità delle correnti.»
Soltanto allora Sorka si accorse di quei segni aggiunti. «Una cosa è vedere e una cosa è sapere, non è vero?» Il Capitano le pizzicò una delle lunghe trecce color tiziano. «Eh già, l'importante è proprio arrivarci.» «E noi saremo veramente le prime persone a giungere... qui?» Così dicendo, appoggiò la punta dell'indice sul disegno che riproduceva la penisola. «Proprio così,» rispose Tillek con viva soddisfazione. Jim Tillek non era mai stato così soddisfatto e felice in tutta la sua vita, vita che aveva già oltrepassato la soglia dei sessanta. L'amore profondo che lo legava al mare ed alle navi, faceva di lui un pesce fuor d'acqua in una società organizzata secondo criteri di alta tecnologia. E ciò, unitamente alla noia delle monotone traversate per conto della Compagnia di Navigazione per la quale era stato costretto a lavorare, data la mancanza di tatto e l'incorruttibile onestà che lo contraddistinguevano, lo avevano indotto a preferire Pern, che Tillek trovava un pianeta perfetto. Qui, oltretutto, poteva provare l'ulteriore soddisfazione di essere il primo a navigare sui suoi mari e di scoprire ogni novità. Di corporatura robusta, statura media, e dotato di profondi occhi colore azzurro pallido, Tillek aveva tutto l'aspetto di un vecchio lupo di mare completo di berretto con visiera ben calcato sulle orecchie, e di un pesante maglione di lana per proteggersi dalla brezza pungente del mattino. La Croce del Sud avrebbe potuto benissimo navigare elettronicamente, guidata direttamente dalla cabina di comando grazie al semplice tocco di un pulsante. Ma Jim Tillek preferiva il vecchio timone e, per assettare le scotte, si affidava soltanto al suo istinto per i venti. Intanto la sua ciurma era intenta a ripulire le funi dei ponti in plastiplex e occupata nella normale conduzione della piccola imbarcazione. «Arriveremo all'imbrunire. Ecco: probabilmente da queste parti, dove la carta segnala la presenza di un porto in una profonda insenatura. Bisognerà aggiungere dell'altro colore. Forse vi troveremo anche quello che stiamo cercando.» Ammiccò rivolto a Sorka e a Bay Harkenon. Quando la Croce del Sud fu ancorata a sei braccia di profondità, Jim condusse i passeggeri sulla spiaggia con la piccola barca a motore. Sean, che aveva avuto fin troppa compagnia fino ad allora, consigliò a Sorka di cercare i nidi dei draghetti verso oriente mentre lui si sarebbe incamminato nella direzione opposta lungo la spiaggia.
I due draghetti marroni svolazzarono sulla sua testa canticchiando allegramente. Irritato dal modo in cui Sean aveva ordinato alla ragazza di andarsene da sola, Jim Tillek fu sul punto di punire il ragazzo affidandogli qualche compito faticoso, ma Pol Nietro fu lesto ad arrestarlo con uno sguardo, e il Capitano desistette dal suo intento. Sean si stava già inoltrando nella fitta vegetazione che fiancheggiava la spiaggia. «Ci sarà un buon pasto caldo per voi quando sarete di ritorno,» gridò Pol ai due ragazzi. Sorka si fermò, agitando le braccia in segno di assenso. Quando i due giovani esploratori tornarono al tramonto per il pasto promesso, entrambi riferirono notizie positive. «Credo che i primi tre nidi che ho trovato appartengano ad una verde,» disse Sorka con tranquilla sicurezza. «Sono troppo vicini all'acqua per appartenere ad un'aurea. Anche Duke è d'accordo. Sembra che non gli piacciano le verdi. Però, il nido che abbiamo trovato più avanti, è situato ad una certa distanza dai segni dell'alta marea, e le uova sono più grosse. Inoltre, credo che siano troppo dure perché possano schiudersi presto.» «Due covate sono di verdi, e due sono sicuramente di auree,» riferì sinteticamente Sean e subito prese a mangiare, interrompendosi soltanto per offrire ai due marroni la loro porzione del suo pasto. «Ce ne sono un mucchio qui attorno. Avete intenzione di portar via tutti quelli che riuscirete a trovare?» «Mio Dio, no!», esclamò Pol alzando le mani costernato. I capelli bianchi, folti e ispidi, gli aleggiavano come un nembo intorno alla testa conferendogli un aspetto benevolo che ben si confaceva alla sua personalità. «Non faremo quell'errore su Pern.» «Oh no, mai,» confermò Bay, protendendosi verso Sean come se volesse toccarlo per rassicurarlo. «Sai: le nostre tecniche investigative non richiedono più un numero infinito di esemplari per confermare le conclusioni.» «Esemplari?» Sean aggrottò le ciglia, e Sorka assunse un'aria preoccupata. «Rappresentanti tipici forse rende meglio il concetto.» «E, naturalmente, useremo le uova delle... verdi,» si affrettò ad aggiungere Pol, «giacché le femmine verdi non sembrano mostrare un'inclinazione materna sensibile quanto le auree.» Sean era confuso. «Allora non volete delle uova di auree?» «Non tutte,» ripeté Bay con aria seria. «E un solo piccolo cadavere di colore diverso, se riusciremo ad averlo. Abbiamo avuto già abbastanza vit-
time tra i verdi.» «Soltanto morto può sperare di prenderne uno,» mormorò Sean. «Probabilmente hai ragione,» convenne Bay con un sospiro. Era una donna corpulenta, quasi sulla sessantina, ma in ottima forma e agile abbastanza da non intralciare l'andamento della spedizione. «Non sono mai stata capace di stabilire un buon rapporto con gli ammali». Guardò con desiderio il bronzeo di Sorka adagiato nel totale rilassamento del sonno attorno al collo della ragazza, le zampe ciondolanti sul petto di lei, la coda mollemente distesa fino a toccarle la vita. «Un draghetto alla nascita è talmente affamato che accetterebbe cibo da chiunque,» disse Sean con assoluta mancanza di tatto. «Oh, non credo di poter privare qualcuno del...» «Beh, si suppone che qui siamo uguali, non è così?», disse Sean. «Lei ha gli stessi diritti di chiunque altro, no?» «Ben detto, furfantello,» disse Jim Tillek. «Ben detto!» «Se solo i draghetti fossero un po' più grossi,» mormorò Pol, traendo poi un lungo sospiro. «E cosa accadrebbe se fossero un po' grossi?», domandò Tillek. «Allora gli wherry se la vedrebbero con degli avversari pari a loro.» «Lo sono già!», disse Sean con gran senso di obbiettività, mentre carezzava uno dei suoi draghetti marroni. Se mai aveva dato loro un nome, non lo faceva sapere. Aveva però addestrato le bestiole a rispondere agli ordini impartiti mediante delle diverse tonalità di fischi. Una sorta di scontrosa timidezza tratteneva Sorka dal chiedergli come avesse fatto. Non che Duke fosse meno obbediente, ma bisognava che prima valutasse ciò che lei voleva. «Forse hai ragione,» disse Pol, scrollando piano la testa. «La manipolazione non va presa alla leggera. Sai bene quanti esperimenti falliscono o danno risultati abnormi.» Bay sorrise per mitigare il leggero rimprovero. «Manipolazione?» Sean si mise in allarme. «Non ce l'hanno mica con te, sciocco», lo rassicurò Sorka sottovoce. «Perché vorreste... ahem... manipolare,» domandò Jim, «delle creature che sono riuscite a proteggersi perfettamente per secoli?» «Sono pochi a sopravvivere nel vivaio della creazione, e spesso non sono le specie più appropriatamente e congenialmente adattate all'ambiente,» spiegò Pol con un lungo e paziente sospiro. «Per me è sempre sorprenden-
te osservare ciò che la razza acquisisce quando si evolve per diventare l'antenato di un nuovo grande gruppo. Non mi sarei mai aspettato di scoprire su un altro pianeta l'esistenza di qualcosa di tanto simile ai nostri vertebrati come lo sono appunto gli wherry e i draghetti. È una coincidenza veramente curiosa che i nostri fantasiosi autori di leggende abbiano fatto riferimento tanto spesso a creature alate di fatto mai esistite sulla Terra. Ed ora eccole qui, a centinaia di anni luce dalla gente che le ha soltanto immaginate.» Indicò Duke addormentato. «Straordinario! È sicuramente strutturato meglio di quegli antichi draghi cinesi così mal congeniati.» «Mal congeniati?», domandò il marinaio divertito. «Guarda un po' Duke. È un fatto davvero eccezionale possedere sia le zampe anteriori che le ali. I volatili terrestri hanno optato per le ali rinunziando agli arti anteriori, anche se alcune specie presentano artigli residui di ciò che un tempo era stato un dito prima che l'arto si tramutasse in ala. Vi garantisco che una zampa posteriore curva è assai utile per spiccare il volo - e quelle dei draghetti sono molto potenti essendo dotate di un'ottima muscolatura posteriore di supporto - mentre quella lunga coda è piuttosto vulnerabile. Mi domando in che modo questi draghetti organizzino la meccanica dei loro muscoli per poter rimanere in posizione eretta tanto tempo senza muoversi.» Pol si chinò a sbirciare Duke addormentato e gli sfiorò la coda mollemente distesa. «Vi è però un piccolo miglioramento: il foro escretivo è collocato nella biforcazione della coda anziché trovarsi al di sotto di essa. E poi le narici e i polmoni dorsali costituiscono un progresso notevole. Gli esseri umani sono strutturati in maniera davvero infelice, sapete...», continuò lo zoologo, felice di poter esprimere le sue teorie preferite dinanzi ad un pubblico affascinato. «Sicuramente noterete quanto sia ridicolo avere un tubo respiratorio - e si toccò il naso - che attraversa quello del cibo.» A quel punto si toccò il pomo d'Adamo alquanto sporgente. «Rischiamo sempre di strozzarci quando mangiamo. Per non parlare del cranio: è così vulnerabile, che basta un urto violento per finire menomati se non addirittura morti stecchiti. I Vegani invece hanno il cervello ben protetto in resistenti sacche interne. Non si riuscirebbe mai a provocare una commozione cerebrale ad uno di loro.» «A dir la verità, preferisco aver mal di pancia qui nelle budella piuttosto che un'emicrania,» disse Tillek comicamente. «E poi, da quello che ho vi-
sto una volta, mi pare che i Vegani abbiano altri meccanismi estremamente scomodi: prendi per esempio gli organi riproduttivi.» Pol sbuffò. «Sicché pensi che l'esistenza di una zona erogena per i due sessi abbia più senso?» «Non ho detto questo, Pol» rispose Jim Tillek frettolosamente lanciando un'occhiata ai bambini, i quali però non stavano molto attenti al discorso degli adulti. «Resta comunque più comodo.» «E più vulnerabile. Oh, Dio, ecco che assumo nuovamente un atteggiamento didattico. Ad ogni modo ci sarebbe un infinità di modi per migliorare proficuamente gli esseri umani...» «È quello che stiamo cercando di fare, non è vero caro Pol?», disse Bay con molto garbo. «Oh, sì, lo facciamo ciberneticamente, e possiamo correggere in vitro certi errori genetici veramente madornali. È anche vero che ci è consentito di ricorrere alla sintesi mentale degli Eridaniti anche se personalmente non saprei dire se la nostra reazione a questa tecnica sia stata un successo o no. Il fatto è che rende le persone troppo empatiche con gli animali sui quali effettuano gli esperimenti. Naturalmente non possiamo spingerci molto nelle nostre ricerche a causa delle leggi imposte dai Puristi che proibiscono modifiche troppo radicali.» «Beh, ma chi vorrebbe delle trasformazioni drastiche?», domandò Tillek accigliandosi un poco. «Noi no,» si affrettò a rassicurarlo Bay. «Su questo mondo non abbiamo una tale esigenza. Ma a volte penso che il Gruppo per l'Umanità Pura abbia avuto torto ad osteggiare le modifiche che avrebbero consentito agli esseri umani di utilizzare i mondi acquatici di Ceti IV. Sostituire le branchie ai polmoni, ed aggiungere delle membrane alle mani ed ai piedi, non mi sembra poi un adattamento così radicale o blasfemo. In fondo, il feto attraversa nell'utero uno stadio simile, e prove attendibili dimostrano un trascorso acquatico per gli adulti. Pensa un po' quanti pianeti si aprirebbero agli esseri umani se questi non fossero così limitati a quelle zone di terraferma che rispondano alle loro esigenze atmosferiche e gravitazionali! Anche se li dotassimo di enzimi speciali per sopravvivere ad alcuni dei gas nocivi... Il cianuro, ci ha impedito l'accesso a molti luoghi. Perché...» Sollevò le mani dato che le vennero a mancare le parole appropriate. Sean scrutava i due scienziati con aria sospettosa. «Sono solo chiacchiere per passare un po' di tempo,» disse Sorka con a-
ria saggia. «Non fanno mica sul serio.» Sean si limitò a sbuffare, poi, sistemati con cura i due draghetti marroni, si alzò in piedi. «Ho intenzione di alzarmi prima dell'alba, domattina. È l'ora più propizia per sorprendere i draghetti mentre prendono il cibo, e per sapere chi bada ai nidi.» «Anch'io,» disse Sorka rizzandosi. Tillek aveva piazzato le tende molto al di sopra della linea che delimitava i livelli raggiunti dall'alta marea, per proteggere i dormienti dalle burrasche improvvise che parevano essere caratteristiche della stagione estiva. Dalle coperte termiche - opportunatamente cucite - erano stati ricavati dei sacchi a pelo, e Sorka si infilò soddisfatta in uno di essi. Duke, senza dar cenno di svegliarsi, si adattò comodamente alla nuova posizione della ragazza la quale, invece, incontrò qualche difficoltà a prendere sonno perché, per un istante, le parve che la spiaggia si sollevasse sotto di lei, imitando il movimento delle onde. A destarla fu il fievole pigolio di Duke. Gli adulti russavano ancora, ma quando i suoi occhi si furono abituati alla penombra antelucana, Sorka scorse Sean alzarsi dal suo giaciglio. Riuscì solo a vederne la testa rivolta per un attimo verso di lei e quindi a ponente. Con la massima cautela, il ragazzo strisciò fino alle ceneri del fuoco acceso la sera prima e frugò senza far rumore nei sacchi delle provviste, estraendone parecchie cose che infilò nella camicia. Sorka attese che Sean scomparisse dalla sua vista, dopodiché si alzò anche lei. Dopo essersi rifornita di una buona razione di cibo nonché di diversi frutti rossi raccolti prima di cena, lasciò un messaggio col quale avvertiva gli adulti che si era recata a controllare i nidi in compagnia di Sean, e che sarebbero tornati assieme subito dopo l'alba per riferire circa gli sviluppi della situazione. Mentre trotterellava lungo la spiaggia, mangiò uno dei frutti rossi scartandone la parte intaccata da una muffa, proprio come un tempo - sulla Terra - mangiava le mele strappate ai rami dal vento gettandone via i pezzetti macchiati di marrone. A breve distanza dai nidi, Sorka aveva sistemato dei mucchietti di sassi bianchi levigati dalle acque dell'oceano, così da ritrovare senza fatica i nidi ed evitare di inciamparvi dentro. Avvistò i primi due immediatamente, e si affrettò a raggiungere il terzo, l'unico che a suo parere potesse appartenere ad un'aurea. Un tenue chiarore si intravedeva nel cielo d'oriente, e la ragazza voleva nascondersi tra i ce-
spugli prima che facesse giorno. Era meraviglioso trovarsi sola, e al sicuro, in un luogo di un mondo che non aveva mai conosciuto il passo di un uomo. Sorka aveva studiato i resoconti e le carte dei CEV con un'accuratezza sufficiente a possedere la certezza che quegli intrepidi esploratori non avevano mai messo piede su quella spiaggia. Esultava perciò per la stupenda magia di esser la prima, e sospirava nel godere di tale privilegio. Il suo vecchio desiderio di intitolare un luogo col suo nome si era mutato nel sogno di scoprire il posto più bello di quel nuovo mondo, un posto veramente unico per il quale anche lei sarebbe stata ricordata. Ancor meglio sarebbe stato se i coloni avessero desiderato di battezzare una montagna, un fiume o una valle col nome di Sorka Hanrahan per qualcosa di speciale che lei aveva fatto. Si era talmente persa in quel sogno, che per poco non incespicò nel cumulo di sassi finendo sul nido semisepolto. Fu Duke a salvarla con un cinguettio di allarme. Sorka carezzò con riconoscenza la sua piccola guida. Se mai avesse potuto modificare qualcosa in Duke, di certo gli avrebbe dato la parola. Aveva di fatto imparato a interpretare con precisione i diversi suoni emessi dalla bestiola, ed era capace di capire ciò che gli altri draghetti dicevano ai loro padroni, tuttavia desiderava poter comunicare con Duke nella lingua normale. Qualcuno però le aveva detto che le lingue biforcute non riuscivano ad articolare un linguaggio vero e proprio, e lei non intendeva assolutamente operare modifiche radicali nella conformazione del suo piccolo protetto, specie nelle sue dimensioni: appena più grosso di così, e sarebbe stato assai scomodo portarlo in giro sulla spalla. Forse sarebbe stato opportuno far due chiacchiere con i ranger marini che lavoravano con i delfini. Questi comunicavano tra di loro e rinunciavano a discutere di argomenti complicati. Proprio come facevano i draghetti, o almeno così era parso a giudicare dal modo in cui avevano messo in fuga gli wherry. Persino l'Ammiraglio Benden aveva espresso dei commenti sulla cosa. Ripensando all'eroe di Cygnus, Sorka decise che anche lei doveva usare un'attenta strategia e nascondere le sue tracce. I draghetti aurei erano molto più astuti e intelligenti degli sciocchi verdi. Con un ramo ben fronzuto trovato nel sottobosco, Sorka coprì le impronte impresse nella sabbia asciutta, infilandosi tra i cespugli prima di raggiungere un ottimo punto d'osserva-
zione vicino all'obbiettivo, ma ben nascosto alla spiaggia ed al nido. L'alba fu salutata da un festoso coro mattutino che uno stormo di draghetti intonò mentre planava verso la zona costiera. Soltanto il draghetto aureo si avvicinò al nido; gli altri, dei bronzei e degli azzurri, restarono ad una discreta distanza da esso. Osservandone i corpi nitidamente stagliati contro la sabbia bianca, Sorka poté apprezzare la differenza delle loro dimensioni. La femmina aurea era la più grossa, più alta dei bronzei di due dita: questi sembravano seguirla immediatamente in grandezza, anche se uno o due draghetti marroni si avvicinavano molto alla loro statura. Gli azzurri erano sicuramente più piccoli; si muovevano con rapidi passi nervosi, esaminavano le alghe, ne scartavano alcune e ne portavano altre verso il nido con pigolii soddisfatti. I bronzei e i marroni sembravano intenti a discutere di qualcosa, bisbigliando e cinguettando tra loro, mentre gli azzurri erano palesemente interessati soltanto alla ricerca di tutto ciò che potesse essere commestibile. O almeno, così le sembrava di capire. Il nido cominciò poi ad essere circondato di alghe e, quando la barriera fu completata, i marroni e i bronzei si diedero da fare per deporvi gli animaletti marini che Sorka aveva visto alla schiusa della covata di Duke. Con uno stridulo verso imperioso, la femmina aurea si levò dal nido, scendendo in picchiata sopra le teste dei bronzei e dei marroni e bagnando le ali degli azzurri mentre si allontanava verso il mare. Gli altri la seguirono alla svelta anche se non con eguale grazia. Sorka osservò lo stormo innalzarsi sulle onde volteggiando delicatamente e poi tuffarsi d'improvviso, cinguettando trionfalmente per la fruttuosa pesca. Quindi, bruscamente, tutti i draghetti sparirono. Un attimo prima erano lì, sospesi sull'oceano: l'attimo successivo, il cielo era completamente sgombro dei loro corpi sfreccianti. Sorka sbatté le palpebre sbalordita. D'un tratto ebbe un'idea: se le uova erano così prossime alla schiusa, e se lei fosse riuscita a portarne uno a Bay Harkenon in tempo perché la biologa potesse offrire il cibo al piccolo, finalmente la donna avrebbe posseduto una creatura tutta sua. La scienziata era una signora dolce e gentile, per nulla noiosamente austera come alcuni degli altri Capi Sezione, e un draghetto le avrebbe tenuto buona compagnia. Sorka non stette a pensarci un momento di più, e passò all'azione. Guizzando come un baleno fuori dal nascondiglio, si lanciò verso il nido, afferrò l'uovo che si trovava in cima alla covata e quindi più a portata di mano, e corse più veloce che poté a rituffarsi nel sottobosco.
Fece appena in tempo; i rami del cespuglio oscillavano ancora, quando i draghetti furono di ritorno in uno stormo che sembrava più numeroso di prima. La piccola aurea atterrò direttamente vicino alle uova mentre i bronzei, i marroni e gli azzurri, depositavano all'interno del circolo di alghe dei pesciolini che continuavano inutilmente a dimenarsi. D'improvviso ebbe inizio il coro di benvenuto, e Sorka fu dibattuta tra il desiderio di assistere al momento magico della schiusa e la necessità di portare in tempo a Bay l'uovo che aveva sottratto. Fu proprio allora che sentì l'uovo, che aveva infilato sotto il pullover per dargli calore e protezione, muoversi sulla pelle. «Non oserai dir nulla, Duke!», sussurrò in tono minaccioso quando sentì il petto di Duke cominciare a brontolare. Gli prese quindi le piccole mascelle tra le dita e lo fissò dritto negli occhi sfaccettati animati dai colori della gioia. «Mi ucciderebbe!» Duke capì alla perfezione il suo avvertimento e si rannicchiò ancora di più vicino a lei, aggrappandosi con le unghie ai suoi capelli e nascondendo il muso tra le sue trecce. Sorka sgattaiolò strisciando oltre i limiti della spiaggia fino a che fu sufficientemente riparata dai cespugli per rischiare di alzarsi in piedi. I rami secchi e le foghe morte le si attorcigliavano intorno ai piedi mentre correva, e più volte si imbatté in minacciosi roveti e arbusti acuminati. Ma li affrontò entrambi senza paura. Quando non udì più le grida dei draghetti, Sorka piegò verso ponente e, apertasi un varco tra i cespugli, usci nuovamente allo scoperto sulla spiaggia. I piedi le affondavano nella sabbia avanzando più veloci che mai, e la ragazza proseguiva svelta ignorando la fitta che le torturava un fianco, assai attenta ai capricci dell'uovo che le premeva sulle costole. Duke le volteggiava attorno alla testa, accompagnadola con un fievole lamento colmo di obbediente ansia. Doveva essere ormai vicina all'accampamento. Ma era quello il primo cumulo di sassi che oltrepassavano? O era il secondo? Ad un certo punto inciampò, e Duke lanciò un terribile grido di allarme, un suono stridulo e acuto simile al verso dei pavoni che un tempo erano stati nella fattoria di suo padre, un rantolo spettrale come quello di un essere nell'estrema agonia. Il draghetto quindi si tuffò prontamente, infilandosi con destrezza sotto la sua spalla, quasi volesse sorreggerla. Quello stridio era bastardo a destare i dormienti. Jim Tillek fu il primo a mettersi faticosamente in piedi, muovendo uno o due passi con le estremità ancora imprigionate nel sacco a pelo. Pol e Bay furono più lenti nel rico-
noscere Sorka. Questa, trascurando le insistenti domande di Tillek e ignorandone le mani pronte a darle assistenza, si lanciò arrancando verso la grassoccia microbiologa, lasciandosi cadere pesantemente in ginocchio e frugandosi nel pullover in cerca dell'uovo. Doveva consegnarlo immediatamente nelle mani di Bay, perché aveva appena sentito uno scricchiolio attraversarne il guscio. «Prenda! Prenda, questo è suo, Bay!» ansimò, afferrando le mani della donna sbigottita e serrandogliele intorno all'uovo. La prima reazione di Bay fu di restituirlo subito alla ragazza, ma Sorka si era precipitata vicino ai sacchi di provviste, frugandovi per trovare qualcosa di mangiabile, e aprendo una scatola di barrette proteiche che spezzettò in minuscole briciole. «Si sta schiudendo, Sorka. Pol! Cosa faccio? Si sta aprendo tutto!», esclamò Bay confusa. «È suo Bay: un animale che amerà solo lei,» spiegò Sorka ancora affannata, mentre si ritraeva faticosamente aiutandosi con entrambe le mani. «Si sta schiudendo. Sarà suo! Ecco, gli dia da mangiare questi. Pol, Capitano: guardate se c'è qualcosa da mangiare sotto le alghe. Farete come fanno i bronzei. Osservate cosa sta facendo Duke.» Il draghetto, tra cinguettii di esultanza, stava trascinando un enorme fastello di alghe dalla linea dell'alta marea. «Avvolgi le alghe, Pol,» disse Tillek dopo avergli mostrato in che modo fare. «Si è schiuso!», gridò Bay, felice e impaurita al tempo stesso. «C'è una testolina! Sorka! Cosa faccio adesso?» Venti minuti dopo, il sole, levatosi sulla linea dell'orizzonte, risplendeva su un quartetto stanco ma entusiasta mentre Bay, il volto animato dall'espressione più beata e incredula che vi fosse mai stata impressa, cullava un adorabile draghetto aureo tenendolo nell'avambraccio. La testolina le ornava il dorso della mano, e le zampette anteriori le cingevano il polso. L'addome disteso trovava un comodo supporto nell'avambraccio bene in carne di Bay, le zampe posteriori ciondolavano intorno al suo gomito e la coda era delicatamente attorcigliata al braccio della donna. Si poteva udire un rumore fievole, simile al russare. Bay accarezzava di tanto in tanto la creatura addormentata; era stupita dalla vellutata consistenza della sua pelle, dagli artigli forti ma delicati, dalle ali trasparenti, e dalla forza della coda che le avvolgeva il braccio. La
scienziata lodava senza interruzione la perfezione di quella creatura. Jim Tillek riattizzò il fuoco e servì una bevanda bollente per contrastare la fredda brezza che tirava dal mare. «Credo che dovremmo tornare al nido, Pol,» disse Sorka, «per vedere... se... se...» «Se qualcuno non ce l'ha fatta?», finì la frase Jim per lei. «Tu hai bisogno di mangiare qualcosa.» «Ma poi sarà troppo tardi!» «Probabilmente è già troppo tardi, signorinella,» disse Tillek con determinazione. «E comunque hai già fatto un lavoro superbo, portando un draghetto aureo. Rappresenta il livello più elevato della specie, non è vero?» Pol annuì, sbirciando con distacco la creatura addormentata sul braccio di Bay. «Non credo che nessun altro biologo ne possegga ancora uno. È buffo.» «Sono sempre l'ultimo a sapere le cose, eh?», disse Jim, aggrottando sardonicamente le sopracciglia e sorridendo. «Ah, chi abbiamo adesso?» Puntò il lungo mestolo verso la figura che avanzava da occidente. «Ha qualcosa con sé. Sorka, tu riesci a vedere meglio di me con i tuoi giovani occhi?» «Forse sta portando altre uova: così anche voi due ne avreste uno.» «Non conterei troppo sul suo altruismo, Sorka,» osservò Pol seccamente. Sorka arrossì. «Su, su bambina. Non voglio mica essere critico. È solo che avete differenti caratteri e atteggiamenti.» «Porta qualcosa, ed è più grande di un uovo; ed i suoi due draghetti sono molto eccitati. No,» si corresse Sorka, «sono turbati!» Sulla sua spalla, Duke si rizzò sulle zampe posteriori emettendo uno stridulo verso interrogativo. Poi sentì che si riabbassava non appena ebbe ricevuto una risposta. La bestiola emise un lieve gemito che a Sorka parve quasi un singhiozzo. La ragazza allora allungò un braccio per accarezzarlo, e Duke le sfiorò col muso il palmo della mano apprezzando la sua comprensione. Sorka avvertiva la tensione che animava il corpo del draghetto: la sentiva soprattutto dal modo in cui le sue zampe si avvinghiavano al pullover. Ancora una volta fu lieta che sua madre ne avesse rinforzato la trama per evitare che gli artigli le pungessero la pelle. Sorka voltò la testa strofinando la guancia sul fianco della bestiola. Frattanto tutti osservavano Sean mentre avanzava attraverso l'accampamento. Presto il suo carico apparve distintamente, rivelandosi come un in-
volto fatto con strati di larghe foghe, legate saldamente con verdi viticci di piante rampicanti. Il ragazzo si accorse del modo in cui gli altri lo stavano scrutando. Appariva stanco e, agli occhi di Sorka, alquanto triste. Si avvicinò direttamente ai due scienziati e con cautela depose l'involto vicino a Pol. «Ecco ciò che cercava. Ce ne sono due. Uno appena toccato. E ci sono anche alcune uova di verdi. Ho dovuto frugare in tutti e due i nidi per trovarne qualcuno che non fosse stato già succhiato dai serpenti.» Pol toccò con una mano l'offerta di Sean. «Grazie, Sean. Ti ringrazio moltissimo. I due provengono... dalla covata di un'aurea o di una verde?» «Di un'aurea, naturalmente,» disse Sean con uno sbuffo sprezzante. «I verdi raramente riescono a nascere. Vengono quasi sempre divorati dai serpenti. Sono arrivato appena in tempo.» Guardò Sorka con aria di sfida. La ragazza non sapeva cosa dire. «Anche Sorka, ne ha portato uno» replicò Jim Tillek con orgoglio, accennando a Bay. Solo allora Sean si accorse del draghetto addormentato. Un miscuglio di sorpresa, ammirazione e rabbia, gli balenò sul volto. Si lasciò cadere seduto per terra con un tonfo. Sorka sfuggì il suo sguardo. «Io non sono stata così brava,» sentì dire dalla sua voce. «In fondo non ho portato ciò che ci era stato richiesto. Tu invece sì.» Sean si limitò a grugnire, senza conferire alcuna espressione al volto assente. Sopra alla sua testa, i draghetti marroni si scambiarono le rispettive impressioni col bronzeo di Sorka in una rapida raffica di cinguettii, pigolii e mormorii. Poi tutti e tre ripiegarono le ali e si adagiarono al sole per carpirne i tiepidi raggi. «La zuppa è cotta,» annunziò Jim Tillek. Cominciò quindi a riempire i piatti di pesce fritto, contornandolo con le noci locali, assai più gustose se cucinate. 22. «Allora, Ongola, cos'hai da riferire?», domandò Paul Benden. Emily Boll versò una dose del prezioso brandy di Benden in tre bicchieri che distribuì prima di mettersi a sedere. Ongola sfruttò quell'intervallo per
riordinare le idee. I tre si erano riuniti, com'erano soliti fare, nella torre di controllo posta da lato della pista d'atterraggio, e che adesso veniva utilizzata dalle slitte e dall'unica navetta modificata per servire esclusivamente da cargo per il trasporto delle merci. Sia l'Ammiraglio che la Governatrice, entrambi di carnagione chiara per natura, avevano acquistato un colorito bruno quasi quanto quello del nero Ongola. Tutti e tre avevano lavorato sodo nei campi, sui monti e sul mare, partecipando attivamente in tutti i modi ad ogni impresa compiuta dalla colonia. Una volta che i coloni avessero rilevato i loro appezzamenti individuali e i traguardi di Approdo fossero stati compiutamente raggiunti, i capi provvisori avrebbero assunto la veste di semplici consulenti, con un'autorità pari a quella di ciascun altro possessore di terreni. Il Consiglio si sarebbe riunito regolarmente per discutere questioni di interesse generale e per risolvere problemi che investivano l'intera colonia. Un'assemblea democratica annuale si sarebbe espressa mediante il voto in merito a qualsiasi promulgazione che richiedesse il consenso di tutti i coloni. Il giudice Cherry Duff amministrava la giustizia ad Approdo, e gli sarebbe stato attribuito un mandato per la sanzione dei reati e la risoluzione del contenzioso. Secondo quando stabilito dalla Costituzione di Pern, promotori e contrattisti avrebbero goduto di uguale autonomia sui propri fondi. Il progetto era forse idealistico ma, come Benden insisteva nel dire ripetutamente, la terra a disposizione era più che sufficiente, e così pure le risorse erano tali da consentire a ciascuno spazi considerevoli. Fino a quel momento vi erano state pochissime lamentele a proposito della gestione delle scorte di materiale che veniva distribuito su richiesta da Joel Lilienkamp. Tutti erano ben consapevoli del fatto che, una volta esaurite le provviste importate, ognuno avrebbe dovuto giocoforza imparare ad arrangiarsi con ciò che aveva, oppure sopperire alle carenze ricorrendo alla propria ingegnosità. Come ultima ipotesi si sarebbe potuta adottare la soluzione del baratto. Molte persone cominciavano di già a vantarsi della loro capacità di improvvisazione, e tutti conservavano con gran cura strumenti ed attrezzature insostituibili. Intanto, tra le riunioni informali settimanali e l'Assemblea Generale mensile nel corso della quale i coloni erano chiamati a votare sulle principali questioni di carattere amministrativo, la vita della colonia procedeva senza grosse difficoltà. Durante una delle prime assemblee mensili, era stata eletta una commis-
sione arbitrale composta da tre ex Giudici, due ex Governatori e quattro membri, con durata biennale. Si sarebbe occupata dei reati e della risoluzione delle controversie relative ai fondi individuali, o della corretta interpretazione e applicazione dei contratti. La colonia disponeva di quattro esperti giuristi e di due procuratori, ma si sperava che si sarebbe fatto scarso ricorso alla loro attività legale. «Non v'è disputa tanto aspra che non possa essere giudicata da una commissione imparziale o da una semplice giuria,» aveva affermato in tono appassionato e persuasivo Emily Boll durante una delle prime assemblee generali che avevano visto la partecipazione di tutti i coloni, compresi i bambini in fasce, addormentati nelle loro culle. «La maggior parte di voi ha conosciuto la guerra personalmente.» Si era interrotta con una pausa carica di drammaticità. «Guerre di logoramento sulla terra e sul mare, e guerre terribili nello spazio. Pern è lontano, lontano da quei remoti campi di battaglia. Voi siete qui perché avete desiderato sfuggire al contagio del desiderio di possesso della terra che ha infestato l'umanità sin dagli inizi del tempo. E, laddove vi è un intero pianeta con magnifiche terre, molte delle quali con ricchezze e grandi promesse per il futuro, non esiste più la necessità di desiderare i possedimenti del proprio vicino. Prendete possesso dei vostri fondi, erigete le vostre case, vivete in pace con tutti, ed aiutateci a costruire un mondo che sia veramente un paradiso.» La forza che si sprigionava dalla sua voce risonante e la sincerità delle sue fervide parole, spronarono in quella sera memorabile ogni colono a contribuire alla realizzazione di quel sogno. Emily Boll sapeva però essere anche realistica, ed era perciò ben consapevole della presenza di alcuni elementi fomentatori di dissenso tra coloro che avevano ascoltato il suo discorso in silenzio con grande senso di educazione, aspettando che fosse concluso per esplodere in una esultante ovazione. Avril, Lemos, Nabol, Kimmer e qualche altro, erano già stati individuati come dei possibili sobillatori. Ma Emily sperava ardentemente che quei dissidenti sarebbero stati ben presto talmente coinvolti e impegnati in quella nuova esperienza di vita su Pern, da avere poco tempo, poca energia e scarse occasioni, per dedicarsi ai complotti. La carta costituzionale e i contratti provvedevano il diritto di infliggere sanzioni a carico dei firmatari che avessero compiuto «atti contrari al bene comune». L'esatta natura di tali atti attendeva ancora una definizione. Emily e Paul si erano consultati sull'opportunità di redigere una sorta di
Codice Penale. Paul Benden propendeva per la «punizione corrispondente al reato,» intesa come una oggettiva lezione da infliggere ai furfanti ed ai troppo frequenti disturbatori della «pace e tranquillità dell'insediamento.» Egli, inoltre, preferiva applicare la sanzione disciplinare immediatamente, svergognando i colpevoli in pubblico ed obbligandoli ad assolvere a qualcuno dei compiti più spiacevoli ma necessari per la gestione della colonia. Fino ad allora, tale giustizia di tipo pragmatico si era rivelata sufficiente. Frattanto si era continuato a sorvegliare con discrezione un certo numero di persone, e Paul ed Emily si incontravano di tanto in tanto con Ongola per discutere sul morale della comunità e su determinate questioni per le quali era consigliabile mantenere una certa riservatezza. Paul ed Emily avevano fatto in modo da essere costantemente disponibili verso tutti i coloni, sperando di risolvere i piccoli malcontenti prima che questi si dilatassero trasformandosi in gravi problemi. I due avevano delle «ore d'ufficio» per il ricevimento dei coloni durante sei giorni della settimana, convenzionalmente stabilita di sette giorni. «Forse non saremo religiosi nell'accezione antica di questa parola, ma è giusto e ragionevole concedere a chi lavora ed agli animali un giorno di riposo,» disse Emily durante la seconda Assemblea Generale. «La vecchia Bibbia giudea utilizzata da alcune antiche sette religiose della Terra, conteneva molti suggerimenti basati sul buon senso adatti a una società rurale, nonché alcune tradizioni etiche e morali degne di essere conservate - alzò una mano, sorridendo benevolmente - ma senza alcuna traccia di fanatismo! Questo lo abbiamo lasciato sulla Terra assieme alla guerra!» Seppur consapevoli che persino quella libera forma di governo democratico sarebbe probabilmente venuta a cadere non appena i coloni si fossero allontanati da Approdo sparpagliandosi nei vari appezzamenti, i due capi della colonia speravano che le abitudini acquisite sarebbero state sufficienti. I primi pionieri americani di quella memorabile spinta nel lontano occidente, avevano mostrato un acuto senso di indipendenza e di assistenza reciproca. Le più recenti comunità australiane e neozelandesi si erano ribellate all'isolamento ed ai governi tirannici, per dar vita a uomini di carattere, ingegno e incredibile capacità di adattamento. La prima Base Lunare internazionale aveva perfezionato l'arte dell'indipendenza, della cooperazione e della ingegnosità. I primi colonizzatori di Prima Centauri erano in buona parte la progenie degli ingegnosi minatori della Luna e della fascia di asteroidi, e la colonia di Pern comprendeva un gran numero di discendenti di
quegli originari gruppi di prigionieri. Paul ed Emily proposero di istituire dei raduni annuali per coloro che occupavano degli insediamenti isolati, in modo da riaffermare nei limiti del possibile i principi basilari della colonia, prendere conoscenza dei progressi compiuti, e collaborare alla soluzione di problemi generali. Una tale assemblea sarebbe anche stata l'occasione per scambi commerciali e celebrazioni di festività sociali. Cabot Francis Carter, uno degli esperti di Diritto, aveva proposto di riservare una determinata zona, situata nella parte centrale del continente, da destinare a questi raduni annuali. «Questo potrebbe essere il migliore di tutti i mondi possibili,» aveva detto Cabot con quella sua melliflua voce di basso che sovente aveva turbato le Corti Supreme sulla Terra e su Prima Centauri. Una volta Emily aveva detto a Paul che Cabot era uno dei meno accreditati tra i membri promotori della colonia, ma in realtà era stato proprio il suo ufficio legale a stilare la Costituzione ed a farla passare attraverso tutti i canali della burocrazia fino ad essere ratificata dal Consiglio dei Pianeti Senzienti Confederati. «Può darsi che non riusciremo a realizzarlo su Pern. Però possiamo almeno provarci!» Con Emily e Ongola, Paul ricordò quell'eccitante sfida mentre, aiutandosi con le dita callose, enumerava i nomi dei sospetti. «Ecco perché credo che dovremmo continuare a tenere sotto controllo persone come Bitra, Tashkovich, Nabol, Lemos, Olubushtu, Kung, Usuai e Kimmer. Considerando quanti siamo qui su Pern, la lista è misericordiosamente corta. Non vi aggiungo Kenjo, perché non ha mostrato assolutamente alcuna connivenza con qualcuno degli altri.» «La cosa continua a non piacermi. La sorveglianza segreta mi ricorda troppo quei sotterfugi usati da altri governi in tempi più pericolosi,» disse Emily con amarezza. «È indegno per me e per la carica che ricopro far ricorso a simile tattiche.» «Non vi è nulla di indegno nel sapere chi è contro di te,» ribatté Paul. «Un servizio segreto di informazioni si è sempre rivelato di valore inestimabile.» «Nelle rivoluzioni, guerre e lotte di potere, sì, ma non qui su Pern.» «Qui, come in qualunque altro posto della galassia, Em,» la incalzò Paul vigorosamente, «gli uomini, per non parlare dei Nathi - ed entro certi limiti persino gli Eridaniti - dimostrano in diversi modi che la cupidigia è un fatto universale. Non vedo come Pern potrebbe cambiare questa ca-
ratteristica.» «Dimenticatevi questa vecchia storia, amici miei,» intervenne Ongola con uno dei suoi saggi e mesti sorrisi. «I passi necessari sono stati già fatti, e la lancia è stata messa fuori uso. Come tu mi hai raccomandato - accennò con la testa verso Paul - ho sottratto molti pezzi minori ma essenziali al sistema di iniezione, cosa questa che produrrebbe un effetto subito riscontrabile, ed ho sostituito due dispositivi del modulo di guida, il che, invece, non risulterebbe immediatamente evidente.» Con un gesto accennò poi alla pista fuori della finestra. «Alle slitte è stato permesso di parcheggiare liberamente, in modo che la lancia non abbia la possibilità di decollare di nascosto. Ma, in verità, non vedo proprio perché lei dovrebbe andarsene.» Paul Benden sussultò, e gli altri due rivolsero altrove lo sguardo, consapevoli del fatto che l'Ammiraglio si era concesso con quella donna un'intimità eccessivamente prolungata durante il viaggio interplanetario. «Beh, io sarei molto più preoccupato se Avril fosse a conoscenza della riserva di carburante occultata da Kenjo,» disse Paul. «Le cifre di Telgar indicano una quantità pari a mezzo serbatoio della Mariposa.» Storse la bocca. Non gli era stato facile credere che Kenjo Fusaiyuco avesse potuto rubare tanto carburante. Suo malgrado, Paul provava ammirazione per la portata straordinaria di quel furto, anche se non riusciva a comprenderne il movente, né soprattutto i rischi che Kenjo aveva corso durante tutti quei viaggi compiuti facendo un'eccezionale economia di carburante. «Avril ci concede così di rado l'onore della sua compagnia, che non temo affatto abbia scoperto il segreto,» disse Emily con un sorriso. «Inoltre ho fatto in modo che Lemos, Kimmer e Nabol fossero assegnati a reparti diversi, con scarse occasioni di ritornare qui. "Dividi e conquista" disse l'uomo.» «È inappropriato, Emily,» replicò Paul sorridendo. «Se, e sottolineo il se, Avril dovesse scoprire e utilizzare il combustibile accumulato da Kenjo,» cominciò a dire Ongola, sollevando un dito per enumerare ogni punto della questione, «e ancora, se dovesse riuscire a trovare i pezzi che mancano nella lancia per poi riuscire a svignarsela a bordo della lancia, avrebbe comunque a disposizione ben mezzo serbatoio. Perciò non attingerebbe alle scorte delle astronavi in maniera pericolosa. Francamente, in questo modo ci sbarazzeremmo di lei e di chiunque altro essa volesse condurre con sé. Ma ritengo che abbiamo già speso troppo tempo su
quest'argomento. Le rilevazioni sismiche provenienti dall'arcipelago orientale sono assai più preoccupanti. Il Monte Young sta fumando di nuovo, e gli tremano i piedi.» «Sono d'accordo con te,» approvò Paul, dedicandosi volentieri a problemi più immediati. «Sì, ma a quale scopo Kenjo ha sottratto tanto carburante?», insisté Emily. «Non avete dato alcuna risposta a questo quesito. Perché ha rischiato la sicurezza dei passeggeri e del carico? E lui è un colono sinceramente convinto! Ha già scelto il suo appezzamento individuale.» «Un pilota dell'abilità di Kenjo non ha rischiato niente,» replicò Paul in tono conciliante. «Non si sono verificati incidenti durante i suoi voli. So per certo che volare costituisce tutta la sua vita.» Ongola osservò l'Ammiraglio con aria alquanto sorpresa. «Non ha già volato abbastanza?» Paul sorrise comprensivo. «Non Kenjo. Per lui - e posso capirlo perfettamente - pilotare una semplice slitta è declassante, è addirittura una perdita di prestigio e di reputazione, se si considera il genere di unità aeree con le quali ha volato sinora ed i luoghi in cui è stato. Hai detto che ha già scelto i suoi acri, Emily? Dove?» «A sud, dall'altra parte di quello che la gente comincia a chiamare Mar d'Azov, il più lontano possibile da Approdo, su un altopiano che, stando ai rilievi della sonda, sembra piuttosto bello,» rispose Emily, sperando in cuor suo che la riunione si concludesse al più presto. Pierre le aveva promesso un pasto speciale, ed Emily si era accorta di gradire quei tranquilli pranzi assai più di quanto avesse immaginato. «Come diavolo ha intenzione di utilizzare tutto quel carburante laggiù?», domandò Kenjo. «Sospetto che dovremo aspettare per saperlo,» rispose Ongola con un'ombra di sorriso sulle labbra. «Kenjo ha diritto come chiunque altro ad usare le slitte per trasportare le sue cose, e in questo periodo ha compiuto parecchi prelievi preso il deposito delle scorte e provviste. Ritenete opportuno che mi rivolga a Joel per sapere qualcosa sulle richieste fatte da Kenjo?» Emily lanciò una rapida occhiata a Paul, il quale si dimostrò inamovibile nella sua difesa di Kenjo. «Bene, a me non piacciono gli enigmi irrisolti. Preferirei una chiara spiegazione, e sono certa che ciò vale anche per te, Paul.»
Benden annuì con una certa riluttanza, ed Emily disse che sarebbe andata lei a parlare con Joel Lilienkamp. «Torniamo allora a quella terza scossa,» suggerì Paul Benden. «Come procede il lavoro di rinforzo dei magazzini e del deposito di scorte medicinali? Non possiamo assolutamente rischiare di perdere queste scorte insostituibili.» Ongola consultò i suoi appunti. Scriveva con una chiara grafia angolare che, vista da dove si trovava Emily, somigliava alle decorazioni degli antichi manoscritti. Tutti a tre, e come loro la maggioranza dei Capi Sezione, si erano assunti il dovere di ricominciare a prendere appunti in una maniera meno sofisticata della elaborazione sonora al computer. Gli accumulatori di energia, la cui ricaricabilità era buona ma non infinita, erano stati riservati per gli usi essenziali, cosicché tutti riscoprivano ora l'arte della calligrafia. «Il lavoro sarà ultimato entro la prossima settimana. La rete sismica è stata estesa fino al vulcano attivo situato nell'arcipelago orientale, e poi fino al Lago di Drake.» Paul fece una smorfia. «Allora gliela diamo vinta?» «Perché no?», disse Emily sorridendo. «Nessuno contesta a Drake la paternità della scoperta del lago. Una comunità che si insediasse lì avrebbe un'infinità di spazio per svilupparsi, ed un valido supporto industriale.» «Il nome da attribuire al lago sarà messo ai voti?», chiese Paul, dopo aver gustato un'altra sorsata del suo brandy. «No,» disse Ongola accennando un altro sorriso. «Drake è ancora impegnato nella campagna di propaganda a suo favore. Non vuole opposizioni e, se mai ce ne fosse stata qualcuna, ormai è stata liquidata.» Paul sbuffò, ed Emily alzò in alto gli occhi, scherzosamente esasperata dal singolare pilota. Poi Paul volse pensosamente lo sguardo a quanto rimaneva del suo brandy. Mentre Emily passava ad illustrare il punto successivo all'ordine del giorno, l'Ammiraglio bevve un altro sorso, e trattenne un po' il liquore in bocca per assaporare fino in fondo la bevanda prossima ad esaurirsi. Qualche volta beveva il quikal, ma lo trovava troppo aspro per un palato avvezzo a ben altre raffinatezze. «In linea di massima tutto procede regolarmente,» stava dicendo Emily in tono vivace. «Avrete saputo che uno dei delfini è morto, ma la morte di Olga è stata accettata dalla sua comunità con grande serenità d'animo.
Stando a quanto dicono Ann Gabri ed Efrem, avevano temuto altri decessi. Evidentemente Olga era,» aggiunse con un sorriso, «più vecchia di quanto dicesse, e non aveva voluto lasciare che il suo ultimo piccolo si avventurasse nello spazio senza di lei.» Tutti e tre ridacchiarono e seguirono l'esempio di Paul che sollevò il bicchiere in un brindisi all'amore materno. «Anche i nostri... nomadi... si sono sistemati,» proseguì Emily dopo aver consultato il taccuino. «O farei meglio a dire che si sono sparpagliati per il territorio.» Batté leggermente la matita sul blocchetto, dato che non era ancora abituata agli appunti scritti a mano, ma si sforzò di accettare l'uso di quei sistemi arcaici. L'unico dispositivo con voce sintetica ancora in funzione era l'interfaccia collegata con l'unità centrale del computer situato sulla Yokohama, ma veniva ormai adoperato molto di rado. «I nomadi hanno effettuato diverse visite ai depositi di abbigliamento ma, quando il vestiario sarà esaurito, non si faranno più vivi, e allora dovranno provvedere da soli o ricorrere al commercio, come del resto accadrà a tutti noi. Abbiamo localizzato tutti i loro accampamenti. Il contingente dei tuareg riesce a percorrere a piedi delle distanze sbalorditive, però piantano il campo solo per brevi periodi.» «Beh, hanno un intero pianeta per disperdersi,» disse Paul in modo conciliante. «Hanno sollevato qualche altro problema, Ongola?» L'interpellato scosse la grossa testa abbassando le palpebre sugli occhi infossati. Era gradevolmente sorpreso dalla tranquillità con cui avevano iniziato la loro vita su Pern. Ogni settimana, ciascun gruppo inviava un suo rappresentante ai laboratori di veterinaria. Le quarantadue giumente trasportate in animazione sospesa sul pianeta erano tutte gravide, e i capi tribù avevano accettato il fatto che anche su Pern, come sulla Terra, la gestazione durasse undici mesi. «La cosa è sopportabile fino a quando i veterinari conserveranno il loro senso dell'humour. Ma Red Hanrahan sembra capire il loro modo di fare, e riesce a discutere con loro.» «Hanrahan? Non è stata sua figlia a trovare i draghetti?» «Sì, assieme ad un ragazzo, uno dei nomadi,» rispose Ongola. «Hanno anche procurato i corpi che i biologi hanno sottoposto ad analisi.» «Potrebbero diventare delle creature molto utili,» disse Benden. «Lo sono già,» aggiunse Emily risolutamente. Ongola sorrise. Un giorno, pensava, anche lui avrebbe trovato una cova-
ta sul punto di schiudersi, e così avrebbe avuto una di quelle incantevoli creature amichevoli e quasi intelligenti da coccolare come un suo protetto. Un tempo aveva imparato la lingua dei delfini, ma non era mai stato in grado di vincere la paura di dover rimanere sott'acqua per capire il loro mondo nella maniera più appropriata. Aveva bisogno di spazio intorno a lui. Una volta, durante uno dei lunghi turni che aveva diviso con Paul durante il viaggio verso Pern, l'Ammiraglio aveva espresso con molta eloquenza la sua opinione circa i pericoli che insidiavano la vita umana nello spazio, considerando invece il mare per molti versi più sicuro. «L'acqua significa assenza di aria,» aveva detto, «però contiene ossigeno e, quando un giorno la teoria dei Puristi che impedisce l'adattamento degli uomini ad altre condizioni sarà messa da parte, se mai ciò dovesse accadere, allora saremo capaci di nuotare senza sussidi artificiali. Lo spazio invece è totalmente privo d'ossigeno.» «Ma nello spazio perdi il tuo peso. L'acqua invece ti comprime con la sua pressione. La senti!» «Lo spazio è preferibile sentirlo,» aveva risposto Paul con una risata, senza ulteriori commenti. «Adesso passiamo a cose più piacevoli,» disse Paul. «Quanti matrimoni saranno registrati domani, Emily?» La donna sorrise, sfogliando le pagine dell'agenda per arrivare al foglio relativo al successivo Settimo Giorno, giacché si era convenuto di ufficiare tali celebrazioni esclusivamente in quella giornata della settimana. Al fine di arricchire il patrimonio genetico della generazione successiva, la Carta Costituzionale consentiva unioni di svariata durata, comunque non inferiori al periodo di gravidanza della donna, ed al mantenimento del figlio risultante per i suoi primi anni di vita. Gli aspiranti partner potevano scegliere le condizioni che meglio rispondevano alle loro esigenze, ma esistevano delle sanzioni severe, fino alla espropriazione dell'appezzamento individuale, che venivano comminate a coloro che trasgredivano il contratto concordato e firmato in presenza di un numero stabilito di testimoni. «Tre!» «C'è un calo,» osservò Paul. «Io la mia parte l'ho fatta,» disse Ongola dando un'occhiata maliziosa ai due incalliti single. Ongola aveva fatto a Sabra Stein una corte così efficace e discreta che nessuno dei suoi due amici si era accorto della cosa fino a quando i nomi della coppia non erano apparsi nella lista matrimoniale sei settimane pri-
ma. Sabra era già incinta, il che aveva indotto Paul a considerare che "il cannone non aveva sparato a salve". In fondo, questo suo umorismo osceno era stato solo un modo per mascherare il grande sollievo che aveva provato a quella notizia; l'Ammiraglio sapeva bene quanto Ongola soffrisse ancora per la sua prima moglie e la famiglia che aveva avuto in gioventù. L'odio del Comandante per i Nathi, e il suo implacabile desiderio di vendetta, lo avevano sorretto durante tutta la guerra. A lungo Paul aveva nutrito la preoccupazione che il suo valoroso braccio destro non sarebbe mai riuscito a vincere quell'odio inesauribile, neppure in un ambiente più pacifico. «E Pierre ha già acconsentito, Emily?», le domandò Ongola, mentre un sorriso scaltro rischiarava il suo volto serio che nemmeno la felicità del suo stato riusciva a liberare dal velo di mestizia che lo offuscava sempre. Emily era sbigottita. Era convinta che la relazione esistente tra lei e Pierre fosse più che discreta. Però, ultimamente, la Governatrice aveva notato in lei la tendenza a sorridere con più libertà e a perdere spesso il filo del discorso senza evidenti motivi. Lei e Pierre formavano una combinazione di personalità assai improbabile, ma forse una buona metà del piacere che li univa era dovuto proprio a questo. Il loro rapporto era iniziato inaspettatamente la quinta settimana, o giù di lì, dopo l'atterraggio, quando Pierre le aveva chiesto la sua opinione a proposito di un piatto fatto interamente con ingredienti locali. Era lui che gestiva il servizio generale di refezione di Approdo, e lo faceva molto bene, considerando la vasta gamma di gusti e le esigenze dietetiche. Quando Emily mangiava nel grande refettorio, aveva cominciato a servirle dei piatti speciali; poi, quando la Governatrice era stata costretta a lavorare durante le ore dei pasti, Pierre de Courci le portava su un vassoio le pietanze che aveva ordinato. «Se fossi un tipo possessivo, mi assicurerei la sua cucina,» rispose Emily.» Abbiate la cortesia di ricordare che ho superato l'età della fertilità, un vantaggio questo che voi uomini avete su di me. E tu Paul? Farai anche tu la tua parte?» Emily sapeva bene che nel suo tono tagliente c'era molta invidia. Nessuno dei suoi figli, tutti adulti, aveva voluto accompagnarla in quel viaggio senza ritorno. Imperturbabile, Paul Benden si limitò a sorridere enigmaticamente e a sorseggiare ancora un po' del suo brandy.
23. «Grotte!», gridò Sallah dando uno strattone al braccio di Tarvi, mentre con l'altra mano indicava la barriera rocciosa situata dinanzi a loro, la cui facciata a strapiombo era costellata di aperture perfettamente visibili nel chiarore solare. Tarvi reagì all'istante con grande entusiasmo, colto da quel genere di gioia innocente per le scoperte, che Sallah trovava così attraente in lui. La continua rivelazione delle bellezze di Pern non aveva ancora stancato Tarvi Andiyar. Ogni nuova meraviglia veniva salutata col medesimo interesse dedicato a quella precedente, e lodata per la sua magnificenza, ricchezza o potenzialità. Sallah aveva imbrogliato spudoratamente per farsi assegnare alla sua spedizione in qualità di pilota. Era il terzo viaggio che compivano assieme, ma quella era la prima escursione che effettuavano da soli. Sallah stava conducendo con cautela il suo gioco, concentrandosi sulla tattica di rendersi professionalmente indispensabile a Tarvi di modo che l'opportunità di esternare la sua femminilità al momento giusto non lo avrebbe costretto a ritirarsi nel suo abituale guscio fatto di impersonale cortesia. Aveva visto altre donne più apertamente intraprendenti verso l'attraente e affascinante geologo, mortificate dal suo contegno; il modo in cui Tarvi aveva eluso le loro avances le aveva sorprese, sconcertate e talvolta ferite. Per un po' Sallah si era chiesta se per caso Tarvi non gradisse affatto le donne, per contro, però, il geologo non aveva mostrato alcuna predilezione per alcuno degli omosessuali di Approdo. Tarvi trattava tutti, uomini, donne e bambini, con la stessa ammaliante affabilità e comprensione. E, quali che fossero le sue preferenze sessuali, si aspettava comunque che qualcosa di lui fosse tramandato alla generazione successiva. E Sallah era fermamente decisa ad essere lei il tramite. Bisognava solo cogliere il momento propizio. Questo momento era forse arrivato. Tarvi nutriva una passione speciale per le grotte; in diverse occasioni le aveva definite orifizi della Madre Terra, accessi ai misteri della sua creazione e struttura, finestre sulla sua magia e generosità. Anche se ora si trattava di Pern e non della Terra, venerava ugualmente il mistero che aveva dominato la sua vita fino a quel momento. Il viaggio che lo vedeva impegnato, stavolta si proponeva una ricogni-
zione aerea dei siti di parecchi depositi minerari rilevati dalle sonde metallurgiche. Ferro, vanadio, manganese e persino germanio, erano stati rinvenuti nella catena montuosa verso la quale Sallah stava dirigendo l'avioslitta seguendo il corso di un fiume fino alla sua sorgente. Il pilota Telgar procedeva, inoltre, rispettando la direttiva generale in base alla quale era opportuno registrare e fotografare i luoghi insoliti per offrire la più ampia possibilità di scelta. Soltanto un terzo degli aventi diritto aveva indicato il territorio desiderato per l'attribuzione. Vi era una tacita pressione intesa a far rimanere tutti nel continente meridionale - almeno nel corso delle prime generazioni - ma una tale direttiva non era comunque contemplata dalla Costituzione. L'ampia vallata nella quale scorreva il lungo fiume posto alla loro destra mentre si approssimavano al precipizio era, secondo l'opinione di Sallah, il luogo più bello che avessero visto fino a quel momento. Rene Mallibeau, il più convinto viticultore della colonia, era tuttora in cerca di un pendio e di un suolo adatti ai suoi vigneti, sebbene avesse già dato inizio al suo progetto utilizzando parte del suolo speciale trasportato in contenitori sigillati per avviare degli esperimenti di viticultura. Il quikal non era stato accettato universalmente quale sostituto dell'alcool tradizionale. Nonostante svariate operazioni di filtraggio e l'impiego di additivi, nulla riusciva ad eliminare completamente il gusto aspro che lasciava in bocca. Rene si era assicurato l'uso dei serbatoi metallici per il carburante rivestiti di ceramica che, una volta ripuliti perfettamente, sarebbero diventati dei contenitori di ottima qualità. Naturalmente, quando le più congeniali foreste di querce avrebbero raggiunto dimensioni adeguate per la produzione di doghe, i suoi discendenti sarebbero tornati alle tradizionali botti di legno. «Spettacolare quel precipizio, vero, Tarvi?», disse Sallah, sorridendo quasi scioccamente, come se quella veduta fosse una sorpresa che lei aveva preparato apposta per lui. «Sì, lo è veramente», mormorò Tarvi con la sua voce calda e profonda. «"Grotte incommensurabili per un uomo"!», concluse Sallah, attenta a non apparire soddisfatta per aver riconosciuto la fonte della citazione di Tarvi. Questi era solito menzionare oscuri testi in sanscrito e pashti, lasciandola a brancolare in cerca di una risposta adeguata. «Precisamente, o luna della mia delizia.» Sallah trattenne una smorfia. Talvolta le parole di Tarvi erano ambigue, e sapeva bene che il geologo non intendeva dire ciò che i suoi complimenti
suggerivano. Non sarebbe mai stato così ovvio nelle sue manifestazioni. O forse sì? Era dunque riuscita a penetrare quella esteriore soavità? Si costrinse a contemplare l'immenso baluardo di pietra. Le colonne scanalate sembravano scolpite da un artista inesperto o distratto, eppure quella imperfezione contribuiva ad accentuare la bellezza complessiva del baratro. «Questa valle è lunga sei o sette Klick,» osservò Sallah in tono tranquillo, intimidita però dall'impressionante imponenza di quel monumento della natura. Dopo una ripida caduta ad angolo retto, il costone roccioso correva in linea pressoché diritta per circa tre Klick prima di ricadere in una facciata irregolare che digradava in lontananza fino ad andare ad incontrarsi col fondo della valle. Sallah virò a dritta, il muso della slitta rivolto a monte del fiume, e furono quasi accecati dal bagliore solare riflesso dalla superficie del lago rilevato dalla sonda. «No, atterra qui,» disse in fretta Tarvi afferrandole il braccio per sottolineare la sua insistenza. Non era un uomo incline al contatto personale, e Sallah si sforzò di non scambiare l'entusiasmo con qualcosa di diverso. «Devo vedere quelle grotte.» Slacciò la cintura di sicurezza e fece ruotare la poltrona. Alzatosi, si portò in coda alla slitta e prese a frugare tra le provviste. «Avremo bisogno di torce, luce, corde, cibo, acqua, strumenti di registrazione, e una cassetta per i campioni prelevati,» mormorava, ed intanto con rapidi e abili movimenti riempiva i due zaini. «Stivali? Hai messo degli stivali adatti?... Ah, sì, quelli che hai vanno bene, sono perfetti. Complimenti Sallah, sei sempre ben equipaggiata.» Tarvi attenuò l'involontaria offesa ai sentimenti di lei con uno dei suoi sorrisi più accattivanti. Ancora una volta Sallah scosse la testa per la singolarità del suo sentimento che l'aveva indotta a perdere la testa per uno degli uomini più inafferrabili che conoscesse. Naturalmente - diceva a se stessa per consolarsi tutto ciò che si poteva ottenere facilmente non valeva la pena di esser posseduto. Atterrò infine alla base dell'imponente precipizio, il più vicino possibile alla lunga e stretta bocca della grotta. «Picchetti, rampini... Quella prima lastra di roccia sembra alzarsi per circa cinque metri dalla ghiaia. Prendi, Sallah!» Le porse lo zaino aspettando soltanto il tempo necessario affinché Sallah
ne afferrasse una cinghia, dopodiché fece scattare il meccanismo di apertura del tettuccio, balzò giù dal velivolo e, in pochi secondi, stava già dirigendosi a grandi passi verso il torreggiante contrafforte montuoso. Con una rassegnata scrollata di spalle, Sallah accese il radiofaro di segnalazione, l'unità di intercomunicazione e il registratore per gli eventuali messaggi in arrivo, s'abbottonò a dovere il giubbotto, sistemò lo zaino che era alquanto pesante sulle spalle, e seguì il geologo, richiudendosi il tettuccio alle spalle. Tarvi risalì il ghiaione e si fermò dinanzi alla gigantesca lastra appoggiandovi sopra un palmo e alzando gli occhi verso quel maestoso e terrificante promontorio, l'espressione rapita per lo stupore. Delicatamente, come in una carezza, la sua mano corse lungo la roccia prima di esaminarla per valutare il punto migliore dal quale iniziare la scalata verso la grotta. Con un improvviso sorriso innocente, segnalò a Sallah di essersi accorto della sua presenza e di aver colto il suo tacito assenso all'arrampicata. «Dritto di qua! Non ci sarà molto da arrampicarsi con i picchetti.» La scalata si rivelò ardua e faticosa. Sallah avrebbe potuto concedersi una pausa dopo essersi issata strisciando sulla sporgenza, ma proprio lì si apriva la bocca di accesso alla grotta e nulla avrebbe trattenuto Tarvi dall'entrarvi immediatamente e dall'esplorarla all'interno. Beh, in fondo, erano solo le 13,00. Avevano tutto il tempo per riposare. Si alzò in piedi, sganciò la torcia dalla cintura qualche secondo dopo Tarvi, e fu al suo fianco quando questi si affacciò a guardare oltre l'apertura della grotta. «Per tutti gli Dei!» L'invocazione di Tarvi fu soltanto un sussurro, solenne e timoroso, appena l'eco di un bisbiglio. La vasta caverna iniziale era più grande della stiva della Yokohama. Quel raffronto balzò istantaneo alla mente di Sallah, memore della misteriosa suggestione che le aveva ispirato quell'immenso spazio vuoto durante il suo ultimo viaggio. Un attimo dopo, Sallah si domandò come sarebbe apparsa quella caverna se fosse stata occupata: un salone spettacolare, nella tradizione medievale della Terra, ma ancora più maestoso. Tarvi trattenne il respiro protendendo con esitazione la torcia ancora spenta, quasi fosse restio a penetrare con la luce la maestosità della caverna. Sallah lo sentì inspirare, raccogliendo forza prima di commettere quel sacrilegio, dopodiché sopraggiunse la luce. Un frullio d'ali animò la grotta mentre ombre silenziose svanivano si-
nuosamente in recessi più oscuri. I due esploratori si abbassarono di botto mentre gli alati occupanti della caverna si allontanavano in ordinati stormi, sfiorando quasi le loro teste, nonostante l'ingresso fosse alto almeno quattro metri. Ignorando quell'esodo, Tarvi si introdusse con reverenza nel vasto spazio. «Stupefacente,» mormorò, mentre proiettava in alto la luce della torcia giudicando che il rivestimento della parete esterna sovrastante avesse uno spessore di appena due metri. «Una facciata molto sottile.» «Una specie di fregatura,» disse Sallah in tono volutamente dissacratorio per riacquistare il controllo dopo l'iniziale prostrazione. «Guarda, ci si potrebbe scavare una scalinata lì dentro,» disse, puntando il fascio luminoso su una prominenza rocciosa obliqua che culminava in una piattaforma presso la quale la vasta oscurità indicava la presenza di un'altra grotta. Sallah parlava ad orecchie distratte, perché Tarvi stava già scrutando in giro, determinando l'ampiezza dell'apertura di ingresso e le dimensioni della caverna. Sallah si affrettò dietro di lui. Il primo vano del sistema di grotte misurava nella sua massima estensione ben cinquantasette metri di profondità. Ad entrambe le estremità si restringeva: quarantasei metri sulla sinistra e quarantadue sulla destra. Lungo la parete posteriore si contavano innumerevoli aperture irregolari poste su livelli diversi; alcune erano situate al livello di base e conducevano ad altri sistemi di tunnel, la maggior parte dei quali erano alti a sufficienza da ospitare per intero la statura di Tarvi lasciando anche uno spazio considerevole sopra la sua testa; altre invece, simili ai grandi occhi bucati di un teschio, si affacciavano dall'alto della parete interna. Con l'aiuto di Sallah, Tarvi cominciò a disegnare un'accurata planimetria della camera principale, delle aperture delle camere secondarie e dei sistemi di tunnel che si diramavano verso l'interno. Il geologo si inoltrò in ciascuno di essi fino a una distanza di cento metri, legato con una fune a Sallah che si guardava continuamente alle spalle, cercando con gli occhi l'apertura della caverna dove il giorno, ormai quasi in declino, spandeva il suo rassicurante chiarore. Gli appunti presi disordinatamente furono riordinati con precisione alla luce del fornello a gas sul quale Sallah cucinò il pasto serale. Tarvi aveva preferito che si accampassero in un punto ben addentro nella grotta, così da essere protetti dalla rigida brezza che soffiava giù nella vallata, e decentrati all'estrema sinistra in modo da non interferire con le abitudini dei normali
abitanti della caverna. Più tardi, la fievole fiammella del fornello a gas avrebbe scoraggiato la maggior parte della vita selvatica di Pern dall'indagare sulla natura di quegli intrusi. In effetti Sallah si sentiva proprio un'intrusa in quella grotta, anche se la cosa non l'aveva infastidita in precedenza. Quel luogo era veramente terrificante. Tarvi era sceso alla slitta per procurarsi altri strumenti da disegno e il tavolino pieghevole sul quale si era chinato pressoché immediatamente. Senza fare alcun commento, aveva mangiato lo stufato preparato con cura da Sallah, porgendole il piatto con aria assente in attesa di una seconda porzione. La concentrazione di Tarvi suscitava in Sallah due opposti sentimenti. Da un lato, essendo una brava cuoca, gradiva che la sua abilità venisse riconosciuta. D'altro canto, invece, era contenta del fatto che Tarvi fosse così distratto. Una delle farmaciste le aveva dato un pizzico di una sostanza che la donna aveva giurato fosse un potente afrodisiaco indigeno: Sallah lo aveva messo nel cibo di Tarvi. Lei non ne aveva certo bisogno, non con le vibrazioni che le facevano fremere il corpo e la mente in presenza di Tarvi, in quella solitudine totale. Sallah però cominciava a domandarsi se l'afrodisiaco fosse forte abbastanza da vincere l'incanto che quella grotta esercitava sul geologo. Le era capitata la fortuna di averlo tutto per lei per una notte o due, e lui invece era completamente ammaliato dalla Cara Vecchia Madre Terra vestita di abiti pernesi. No, non si sarebbe lasciata sfuggire quell'occasione unica. Dopo tutto il tempo che aveva atteso! Poteva aspettare. Tutta la notte. Ed anche l'indomani. Le restava ancora abbastanza di quella polvere della felicità da usare anche la sera successiva. Forse occorreva aspettare un po' perché cominciasse a funzionare. «È qualcosa di veramente spettacolare nelle sue proporzioni, Sallah. Guarda qui!» Raddrizzò il torso, arcuando la schiena contro i muscoli contratti, e Sallah si portò dietro di lui, si inginocchiò, e cominciò a massaggiargli premurosamente i muscoli tesi delle spalle al di sopra delle quali si affacciò a guardare ciò che Tarvi le indicava. Lo schizzo bidimensionale era stato tracciato con grande maestria e chiarezza: Tarvi aveva aggiunto proiezioni ottagonali posteriori, frontali e
laterali, che si arrestavano fedelmente la dove le misurazioni erano terminate. Il che rendeva la grotta ancora più imponente e misteriosa. «Nell'antichità sarebbe stata una fortezza inespugnabile!» Volse lo sguardo all'interno buio, i grandi occhi sereni rilucenti e il volto illuminato mentre l'immaginazione trasformava il vano che gli si spalancava davanti. «Avrebbe potuto ospitare intere tribù, e proteggerle per anni dalle invasioni. C'è acqua fresca, capisci, giù nel terzo tunnel di sinistra. Naturalmente, l'intera valle sarebbe stata difesa, e questa rupe avrebbe rappresentato la cittadella interna fortificata, protetta dalla liscia facciata di roccia assai difficile da scalare. Ci sono non meno di diciotto diverse uscite nella camera principale.» Frattanto le mani di Sallah risalirono fino al collo di Tarvi, toccarono i muscoli trapezoidali e rifluirono fino ai deltoidi, massaggiando con vigore ma lasciando che le dita indugiassero in un movimento che aveva scoperto di grande efficacia in altre occasioni, quando aveva desiderato far rilassare un uomo. «Ah, come sei gentile, Sallah; sai perfettamente quali muscoli distendere.» Si contorse lievemente, non per eludere le dita che lo massaggiavano vogliosamente, ma per guidarle nei punti più dolenti. Spinse da un lato il basso tavolino, e le braccia gli ricaddero naturalmente in grembo mentre faceva roteare il capo. «C'è un punto, sull'undicesima vertebra...» suggerì, e Sallah, trovato diligentemente il nodo muscolare da sciogliere, prese a distenderlo con sapiente abilità. Tarvi sospirò simile ad un flessuoso e scuro felino. Sallah non parlava, ma pian piano si accostò sempre più a lui, finché il suo corpo sfiorò quello dell'uomo. E, mentre le sue dita risalivano sul collo di lui, con una lieve e provocante pressione fece sì che i seni gli carezzassero le scapole. La donna sentì i capezzoli inturgidirsi al contatto, e il proprio respiro farsi più rapido. Le dita allora smisero di massaggiare e cominciarono a carezzare, scendendo fino al petto di Tarvi con lunghi e lenti movimenti. L'uomo le prese le mani e Sallah sentì la sua arrendevolezza, un'arrendevolezza della mente e del respiro, poi il corpo di lui fu scosso da un lieve fremito. «Forse questo è il momento,» disse, riflettendo come se fosse solo. «Non ce ne sarà mai uno migliore. E dev'essere fatto!» Con la flessuosità che era sua tipica al pari dell'ineffabile fascino, Tarvi Andiyar prese Sallah tra le braccia attirandola a sé. La sua espressione, cu-
riosamente distaccata come se stesse osservando la donna per la prima volta, non era affatto tenera e affettuosa come lei aveva desiderato. I grandi e profondi occhi marroni erano quasi tristi benché le labbra dal disegno perfetto si incurvassero in un dolce sorriso, come se... il pensiero si insinuò in Sallah arrecandole un gaio sollievo... come se temesse di spaventarla. «E così Sallah,» disse Tarvi con la sua voce profonda e sensuale, «sei tu.» Sallah sapeva che avrebbe dovuto riflettere per interpretare il messaggio di quella enigmatica osservazione, ma poi Tarvi cominciò a baciarla, esprimendo con le mani una carica straordinaria di raffinato erotismo, ed allora non desiderò interpretare più nulla. 24. Quattro giumente, tre delfine e dodici mucche, partorirono i loro piccoli contemporaneamente, o almeno così risultava dai documenti registrati quell'alba. Sean aveva concesso a Sorka il permesso di assistere alla nascita del puledrino a lui assegnato da Pol e Bay. Il ragazzo aveva mantenuto un atteggiamento scettico a proposito del sesso e del colore del nascituro, nonostante tre giorni prima fosse stato testimone della nascita del primo degli animali da tiro prodotti apposta per il Clan di suo padre. Dinanzi ai suoi occhi era stata partorita una puledra corrispondente esattamente alle caratteristiche richieste: era una robusta saura, con gli zoccoli bianchi e una macchia bianca sulla fronte, pesante più di settanta chili alla nascita, e che in età adulta sarebbe stata un'immagine fedele del vigoroso stallone da tiro morto da un pezzo il cui sperma le aveva dato vita. Qualche spirito allegro aveva scherzato sulla cosa dicendo che i documenti di Approdo si stavano trasformando nelle cronache bibliche delle procreazioni di Pern. In due anni, la nuova generazione si era ben assestata, ed aumentava quotidianamente. Le nascite umane venivano registrate con un minore precisione rispetto ai successi conseguiti con gli animali, però, quantomeno, erano festeggiate con la medesima allegria. I greggi di pecore e capre nubiane che si erano adattate al nuovo pianeta - laddove altre specie avevano fallito - pascolavano nei prati di Approdo, e di lì a poco sarebbero passate nelle fattorie individuali situate nelle fasce temperate del continente meridionale. Le mandrie e i greggi in costante crescita erano, sorvegliati da un eserci-
to di draghetti proliferati in un numero tale che gli ecologisti avevano cominciato a nutrire qualche preoccupazione sulla perdita da parte di quegli animali delle naturali abilità di badare alla propria incolumità. I draghetti domestici si erano dimostrati straordinariamente fedeli verso gli esseri umani da essi identificati, secondo un processo di imprinting, come adulti protettori al momento della nascita. E tale incrollabile fedeltà perdurava anche quando la voracità del primo periodo di vita veniva ad essere attenuata dalla raggiunta maturità, e i draghetti erano in grado di sostentarsi da soli. Ogni giorno il Dipartimento di Biologia apprendeva qualcosa di nuovo su quelle piccole creature. Bay Harkenon e Pol Nietro avevano scoperto un fenomeno particolarmente sorprendente. Quando la piccola Regina di Bay si accoppiò con un bronzeo sul quale Pol aveva posto l'imprinting, la sensualità delle due bestiole stupì i due studiosi per la sua eccezionale intensità, ed essi stessi reagirono allo stimolo eccitante in una maniera tipicamente umana. Dopo lo shock iniziale, gli scienziati giunsero ad una comune conclusione, e presero un alloggio più spazioso insieme. Sconcertati dal potenziale empatico dei draghetti, Bay e Pol chiesero ed ottennero - il permesso di Kitti Ping per sperimentare sulle quattordici uova concepite da Mariah, l'aurea di Bay, durante il volo nunziale, le manipolazioni genetiche basate sulle tecniche di sintesi mentale. La piccola Mariah fu fatta oggetto di cure esagerate, ma né lei né la sua covata ebbero a soffrire alcun inconveniente. Quando Mariah diede alla luce le uova trattate in un ambiente speciale che riproduceva le caratteristiche ambientali di una spiaggia, Bay e Pol ne furono orgogliosamente compiaciuti. L'inserimento della sintesi mentale - sviluppata originariamente dai Beltrae, una civiltà isolata di Eridani a struttura di alveare - portò alla luce abilità empatiche latenti. I draghetti avevano già dimostrato di possedere tale facoltà, e la loro empatia - in alcune occasioni - consentiva una comunicazione pressoché telepatica con determinate persone. I draghetti costituivano innegabilmente un esempio di evoluzione che, come nel caso dei delfini, aveva prodotto un animale che comprendeva l'ambiente circostante... e lo controllava. Quindi, incoraggiati dai successi ottenuti con la tecniche evolutive applicate ai delfini, Bay e Pol speravano che i draghetti avessero sviluppato con gli esseri umani un livello di empatia ancora più elevato.
Inizialmente gli esseri umani addestrati presso i Beltrae erano stati guardati con grande sospetto ma, non appena le loro notevoli facoltà empatiche con gli animali e le altre persone erano state valutate appieno, quella tecnica era diventata assai diffusa. Molti gruppi poterono disporre alla fine di preziosi guaritori le cui abilità erano state amplificate con quel sistema. Fortunatamente, tutto ciò era accaduto molto prima che il Gruppo per l'Umanità Pura divenisse così potente. Dagli studi condotti sui serpenti e gli wherry, Bay e Pol erano giunti ad una precisa valutazione del potenziale di quegli utili e affascinanti draghetti. Erano stati necessari innumerevoli esperimenti nel corso dei quali erano stati utilizzati i tessuti delle bestiole e parecchie generazioni di piccoli serpenti. In questo modo, il sistema della sintesi mentale poteva essere effettuato con successo; ma il merito principale risiedeva comunque nella lunga esperienza acquisita con i delfini e, naturalmente, con l'uomo. Tutti ad Approdo avevano finito col formarsi una conoscenza approfondita delle esigenze dei draghetti, e delle loro abitudini biologiche nonché psicologiche, in quanto esistevano delle ottime ragioni per essere riconoscenti a quelle creature e tollerare i pochi, naturali eccessi. Bay aveva saputo che alcuni degli altri possessori di draghetti sembravano percepire gli "stimoli primitivi" di quelle creature: la fame, la paura, la rabbia, ed un intenso impulso all'accoppiamento. Ma non avrebbe mai immaginato di essere altrettanto vulnerabile quanto le sue colleghe più giovani. Per lei era stata una sorpresa estremamente deliziosa. Red e Mairi Hanrahan erano molto grati del fatto che Sorka e Sean si fossero impressi - la parola, che si riferiva all'atto dell'imprinting operato su un draghetto, era ormai invalsa nell'uso comune - su dei draghetti che non desideravano accoppiarsi tra di loro. I coniugi continuavano a disapprovare l'attaccamento di Sorka per quel ragazzo, e pensavano che lei fosse ancora troppo giovane per essere sottoposta a stimoli irresistibili. Quel mattino, dodici mesi circa dopo l'atterraggio, la cavalla che Sean aveva scelto come genitrice del puledro promessogli, era in pieno travaglio, e senza alcun dubbio, Sorka, che allora aveva tredici anni e Sean, che ne aveva quindici, erano in intima comunicazione mentale con i rispettivi draghetti in trepida e ansiosa attesa dell'evento. I due marroni e il bronzeo si erano appollaiati sul punto più alto della parete divisoria all'interno della stalla, e i loro occhi roteavano per la crescente eccitazione mentre intonavano il consueto canto della nascita. La piccola
puledra saura si lasciò cadere sulla paglia per espellere le zampe anteriori e la testa del piccolo. Sopra di lei, le travi della scuderia parevano ondeggiare, adorne di una grande quantità di draghetti di Approdo che pigolavano e gorgheggiavano continui incoraggiamenti. I draghetti sentivano molto l'emozione delle nascite e non ne perdevano una, strombazzando con acuti da tenore ad ogni nuovo arrivo. Fortunatamente restavano con discrezione al di fuori delle abitazioni degli umani. Gli ostetrici della colonia ultimamente avevano avuto un gran da fare, e subito avevano selezionato e arruolato un corpo di infermiere assumendo tra esse delle apprendiste. Una schiera di draghetti appollaiati su un tetto costituiva il segno inconfondibile di una nascita imminente: i draghetti non sbagliavano mai. Gli ostetrici potevano agevolmente giudicare lo stadio del travaglio dalla crescente intensità del canto di benvenuto intonato dai draghetti. Il coro probabilmente privava del sonno il vicinato, ma la maggioranza della comunità lo accettava di buon grado. Anche i più avversi a quelle bestiole le avevano viste adoperarsi strenuamente nella difesa di greggi e pollai e, giocoforza, dovettero apprezzarne il valore. La puledra saura si alzò di nuovo per un'ulteriore espulsione. Le zampe, la testa e il quarto anteriore del puledrino, erano bagnati dei liquidi natali, e Sean non riusciva a distinguere il colore dell'animale. Poi emerse il resto del corpo, seguito, con una spinta finale, dal quarto posteriore. Non vi era alcun dubbio che il piccolo fosse non- soltanto pezzato di scuro, ma anche di sesso maschile. Con un grido di gioia incredibile, Sean si lanciò verso la testa del puledrino asciugandogliela prima ancora che la madre potesse consolidare il legame col suo piccolo. Col viso impolverato rigato dalle lacrime, Sorka si strinse le braccia pervasa dalla gioia. Confusamente le giungevano all'orecchio le voci delle levatrici di altri animali ospiti della spaziosa stalla. «È l'unico puledro,» disse il papà di Sorka rivolgendosi a Sean ed alla sua figliola, «come ordinato.» Sebbene la colonia abbisognasse al momento del maggior numero possibile di femmine, la preferenza di Sean per un maschio era stata debitamente rispettata. Se non altro uno stallone locale sarebbe stato una salvaguardia, anche se vi era una scorta di sperma più che sufficiente. - «Gran bel puledro, però,» osservò Red, annuendo con aria di approvazione. «Dev'essere alto sedici palmi buoni, e direi che dovrebbe pesare un'ottantina di chili. Veramente un ottimo puledro, e sua madre lo ha portato come
un cavallo da carico.» Il veterinario accarezzò il collo della giumenta, intenta a leccare il puledrino che a sua volta succhiava con vigore. «Andiamo, Sorka,» continuò poi scorgendo il visino rigato di lacrime. «Manterrò la promessa di fare avere un cavallo anche a te.» Quindi l'abbracciò per rassicurarla. «So che lo farai, pà,» disse lei rifugiandosi contro il petto del padre. «Piango perché sono così felice per Sean. Lui non credeva a Bay, sai. Non le ha creduto neppure per un momento.» Red Hanrahan rise piano per non farsi sentire da Sean. Non che questi badasse a qualcos'altro che non fosse il suo puledro, che agitava la piccola coda quasi che ciò lo aiutasse a succhiare con maggiore energia. Per una volta l'espressione di Sean, abitualmente diffidente e spesso cinica, si era addolcita di stupita tenerezza mentre divorava con gli occhi il piccolo puledro. Sorka ricambiò l'abbraccio di suo padre, ringraziandolo tacitamente delle sue rassicurazioni, poi si allontanò da lui. Il draghetto bronzeo scivolò prontamente sulla sua spalla e con felici gorgheggi le cinse possessivamente il collo con la coda. Dopo un po', si protese ad esaminare da vicino il nuovo arrivato, gli occhi luccicanti di scintille azzurre e verdine. Incoraggiata da Duke, la coppia di marroni di Sean discese fino al bordo più basso della parete della stalla e prese a scambiare cinguettii e pigolii con Duke. «Approvate?», domandò Sean, sorridendo malgrado il tono provocatorio della domanda. Agitando su e giù la testa vigorosamente, i marroni spiegarono le ah, ciascuno lamentandosi dell'intralcio costituito dall'ala dell'altro, poi le agitarono all'indietro manifestando loquacemente a Sean la loro approvazione. Il ragazzo commentò con un sorriso. «È una vera bellezza, Sean. Proprio come lo volevi tu,» disse Sorka. Incorreggibile, Sean scosse la testa con aria dubbiosa. «È troppo giovane per dire se sarà uguale a Cricket.» «Oh, sei insopportabile!», esclamò Sorka con rabbia. La ragazza quindi uscì dalla stalla e quasi sbatté la porta che richiuse con considerevole veemenza. «Cos'ho detto di male?», domandò Sean a Red Hanrahan. «Credo che dovrai capirlo da te, ragazzo!», disse Red accompagnando le sue parole con alcune leggere pacche sulla spalla di Sean. Il veterinario era dibattuto tra il divertimento ed una certa apprensione per la figlia. «Dà da mangiare alla giumenta prima di andartene, d'accordo?»
Mentre Red percorreva il corridoio della stalla controllando i nuovi arrivati, la sua mente era volta a considerare il comportamento di Sorka. Adesso aveva tredici anni, ma era una ragazza ben sviluppata che già da un anno aveva un regolare ciclo mestruale. Che fosse cotta di Sean era palese a tutti tranne che a Sean: lui la tollerava, e così pure la sua famiglia. Mairi e Red ne avevano discusso più volte, diffidenti per il contesto sociale da cui proveniva il ragazzo, eppure entrambi consapevoli della necessità di liberarsi dai vecchi pregiudizi. Anche Sean del resto aveva ceduto su parecchi punti. Che fosse stato incitato dalla competizione con Sorka o semplicemente dall'arroganza maschile, stava di fatto che il ragazzo aveva migliorato le sue capacità di lettura e scrittura, e di frequente adoperava un visore per esaminare i testi di veterinaria nell'ufficio di Red. Questi aveva coltivato con cura l'interesse del ragazzo, e lo aveva incoraggiato a prestare il suo aiuto per gli animali da riproduzione. Il ragazzo possedeva indiscutibilmente un'innata abilità nel trattare con gli animali, e non solo con i cavalli, anche se ignorava completamente le pecore. «Sean dice che le pecore servono solo per essere rubate, vendute o mangiate,» aveva spiegato Sorka a suo padre quando questi aveva notato quel particolare. Mairi si lamentava spesso del fatto che Sorka facesse inevitabilmente coppia con Sean durante le spedizioni zoologiche. Ma, come Sorka le aveva spiegato allegramente, lei ci si trovava bene insieme, ed erano tutti e due più abituati a trattare con gli animali e con le forme di vita selvatica, che non con i loro coetanei cortesi ed educati. Durante le ore di lavoro obbligatorio per la colonia - cosa che facevano volentieri - erano loro a condurre il gioco. Il contributo che Sean svolgeva a favore di Approdo, superava di gran lunga l'opera svolta dalla maggioranza della sua gente. Una sera, Mairi osservò pensosamente che, per la gente della colonia, Sean e Sorka diventavano sempre più indissolubilmente uniti. E, con sua grande sorpresa, Red si ritrovò a fare la parte dell'avvocato del diavolo. Ma ormai, proprio come Sorka, si era abituato al modo di far di Sean, e sapeva a quali cose non doveva dare peso. L'esibizione di esasperazione femminile che Sorka aveva offerto quella mattina, era la prima del suo genere - almeno così risultava a Red - e il veterinario si domandava se la pazienza di sua figlia per l'ottusità di Sean si fosse esaurita, o se invece il loro rapporto fosse entrato in una nuova fase. Sorka aveva ricevuto un'appropriata educazione sessuale teorica ma, fino a
quel giorno, aveva mostrato solamente una paziente accettazione del comportamento e delle stramberie di Sean. Bisognava che ne parlasse a Mairi quando ne avesse avuto l'occasione. «Red! Reeed!», lo chiamò allarmato un altro veterinario. Red accorse. Fu soltanto più tardi, durante la notte, che si ricordò del problema di Sorka e Sean, ma Mairi dormiva già da un pezzo e, pur essendo nel secondo trimestre di gravidanza, lavorava abbastanza duramente nel nido per godersi il riposo. 25. La piccola escrescenza di terra che fuoriusciva dal continente settentrionale, puntava come un dito direttamente verso la grande isola a ponente, e questa si stagliava color lavanda sul grigio del mare mattutino. Avril aveva decollato dall'accampamento nel deserto molto prima che spuntasse l'alba, ed aveva lasciato un messaggio col quale riferiva di essersi concessa un giorno di libertà. Gli altri non se la sarebbero presa: era stanca di Ozzie Munson e Cobber Alhinwa, quanto questi lo erano di lei. Il giorno prima, i due minatori avevano trovato degli stupendi turchesi e rifiutavano di rivelarle dove li avevano trovati, ma la provocavano lasciandole intravedere scorci fugaci dello splendido minerale dalle striature azzurro cielo. Quando erano giunti all'accampamento la sera precedente, Avril aveva saputo che gli esploratori erano molto eccitati per il reperto che portavano avanti e indietro. Lei aveva chiesto semplicemente di poterlo vedere, e non era riuscita a trattenere la collera allorché i due minatori avevano reagito opponendo una assurda segretezza alla sua richiesta. Avrebbe dovuto usare molta cautela con quei due: si credevano assai furbi! Ad ogni modo i turchesi, per quanto godessero di una buona valutazione sulla Terra, non valevano certo il fastidio di doversi ingraziare quei due imbecilli. Poi, a cena, quando si era accorta che Ozzie e Cobber continuavano a bisbigliare tra loro guardandola con sorrisi maliziosi, aveva cominciato a domandarsi se per caso avevano saputo qualcosa di particolare che li aveva indotti a reagire in quel modo alla sua garbata e disinteressata richiesta. Avril cercò di ricordare se in qualche occasione Bart Lemos avesse partecipato ad una delle loro spedizioni. Ma Lemos si trovava al giacimento di Andiyar. Per una volta almeno, sperò che avesse tenuto il becco chiuso
sulla pepite d'oro che aveva estratto dal fiume che scorreva dalla montagna sovrastante l'accampamento. Obbediente al patto che avevano stretto sulla Yoko, Lemos gliele aveva consegnate per custodirle nel suo nascondiglio ad Approdo. Lei, però, non gli aveva confidato granché del suo piano, poiché sapeva che Bart Lemos era uno di quelli che, dopo un paio di boccali di quikal, raccontava a chiunque la storia della sua vita. Forse, come complice, Stev Kimmer non valeva quanto aveva creduto inizialmente quando lo aveva sentito esprimere dei giudizi sarcastici su quel pianeta abbandonato da Dio durante l'ultimo anno del loro interminabile viaggio nello spazio. Kimmer, poi, era più attraente degli altri; sì, estremamente attraente e, quel che più contava, era sensuale e disponibile a qualsiasi nuova «esperienza» una dote questa che il tanto elogiato Ammiraglio Benden non aveva mai mostrato. Era una vera noia a letto, quel caro Ammiraglio! Maledetto Paul Benden! Perché era diventato così freddo nei suoi confronti? Dopo tutte quelle dimostrazioni di ammirazione e dedizione! Si era sentita sicura di avere già tra le mani il contratto di matrimonio. Poi, d'improvviso, quando mancava poco meno di un anno all'arrivo a destinazione, quando Rukbat da una minuscola scintilla si era trasformato in un intenso bagliore nell'oscurità dello spazio, Benden era cambiato. D'un tratto aveva cominciato a non aver più tempo per lei. Peggio per lui, avrebbe scoperto di cos'era fatta Avril Bitra! Ma allora sarebbe stato troppo tardi. Sulla Terra, l'idea della colonizzazione le era sembrata niente male, specie quando l'eccitazione della Guerra coi Nathi si era attenuata. Ogni alternativa, ad eccezione di Prima Centauri - che come tutti sapevano era dominato dalle Prime Famiglie e dalle Compagnie Fondatrici - non era migliore della Terra o dell'ammuffire lentamente su qualche mercantile sconquassato. Per un po' aveva giocato a navigare sulle rischiose navi minerarie all'interno della Cintura di asteroidi finché il Roosevelt Dome era esploso senza alcuna ragione apparente, uccidendo quasi tutti i diecimila abitanti. La possibilità di conquistare e dominare un nuovo mondo l'aveva fortemente attratta. Nel corso degli anni aveva acquisito una notevole esperienza con i test psicologici, tale da riuscire a controllare i propri impulsi e consentire di rispondere opportunamente alle domande più o meno stupide che pretendevano di distinguere la verità dalla finzione. Fu così che era stata accettata nella spedizione per Pern in qualità di Na-
vigatrice Interplanetaria. Ma, visto che non era riuscita ad accalappiare Paul Benden, che sarebbe stato il capo supremo di Pern - a suo giudizio, una volta atterrati su Pern, la già opaca Emily Boll sarebbe stata ulteriormente offuscata dalla brillante personalità dell'Ammiraglio - aveva deciso che vivere il resto della sua vita nell'ombra e in fondo alla Via Lattea sarebbe stato assolutamente insopportabile. Dopotutto lei era una Navigatrice qualificata, e le sarebbe bastata un'astronave, completa di carte e vasca di animazione sospesa, per dirigersi verso un altro pianeta più sofisticato, in grado di assicurarle un tenore di vita rispondente ai suoi desideri. Si era messa con Stev Kimmer in buona parte per placare la collera di aver perduto Paul Benden. Poi, quando si era accorta che Bart Lemos le stava appiccicato quando Stev era di turno, aveva incoraggiato anche lui. Una sera si era aggiunto al gruppo anche Nabhi Nabol, assieme a parecchi altri. Bart e Nabhi erano Piloti, ciascuno dotato di un'utile specializzazione secondaria: Bart nell'ingegneria mineraria e Nabhi nei computer. Stev era ingegnere meccanico con una fantastica abilità nel diagnosticare i guasti ai computer e nel manipolare i chip, facendo sì che rendessero il doppio di quanto dovevano. In funzione del piano che aveva preso forma nella sua mente, Avril si era curata di mettere insieme degli elementi utili. Buona parte di loro erano contrattisti come lei, oppure dei promotori assegnatari di piccoli fondi, che cominciavano a pensare di essere stati truffati. Nel fondo dei pensieri di Avril covava l'idea che sarebbe stato divertente riuscire a fomentare tanta discordia da rovesciare il governo dei due benevoli capi ed imporre il suo dominio su Pern, anziché arrivarci indirettamente come consorte di Paul Benden. Ma per tutto ciò doveva attendere il momento propizio, una volta che la colonia si fosse definitivamente sistemata e fossero cominciati i primi guai. Fino a quel momento, salvo degli inconvenienti di nessuna importanza, non si era verificato nessun problema di quelli che lei avrebbe potuto sfruttare per i suoi fini. Tutti erano troppo presi da un'attività veramente febbrile: esploravano, mettevano su casa, allevavano bestiame e guizzavano da un posto all'altro per badare alle loro proprietà. Avril, invece, disprezzava i coloni per l'entusiasmo che manifestavano verso quel mondo deserto, con la sua rumorosa vita selvatica e le miriadi
di esseri che vi strisciavano, vi si contorcevano o vi volavano. In tutto il pianeta non c'era un solo animale locale veramente utile, e non ne poteva quasi più di mangiare pesce o wherry. Spesso la carne di wherry era più sapida di quanto lo fosse ciò che veniva pescato nel mare. Persino la carne in scatola era più gradevole. Sempre di più si andava consolidando in lei la determinazione di abbandonare quel noioso e squallido pianeta. Ma lo avrebbe fatto con stile, e all'inferno tutti gli altri. Stev Kimmer le era indispensabile per la fuga. Le stava già costruendo un radiofaro di segnalazione per le emergenze, utilizzando pezzi che aveva "trovato" sulla Yokohama; senza quello strumento essenziale, il suo piano sarebbe irrimediabilmente fallito. Inoltre Kimmer le sarebbe servito al momento di appropriarsi della lancia. La sua complicità era ancora più importante al fine di scegliere come fondo di assegnazione le aree dell'isola nelle quali Avril sapeva erano localizzati i giacimenti dei preziosi. La sua bis-bisnonna Shavva, le aveva lasciato un'eredità di cui lei, quale unica discendente, doveva assolutamente impadronirsi. Kimmer doveva richiedere formalmente l'uso di una slitta per sette giorni con lo scopo, del tutto legittimo, di compiere una ricognizione grazie alla quale avrebbe potuto scegliere il fondo che gli spettava. Si supponeva che avrebbe sorvolato il continente meridionale. In quanto veterano della guerra con i Nathi, aveva diritto all'assegnazione di un lotto di estensione pari al doppio di quello spettante ad Avril. Che i promotori avessero diritto ad una proprietà più grande di quella stabilita per i contrattisti - compresa lei stessa, Pilota e Ufficiale di Rotta che li aveva scaricati sani e salvi su quella squallida palla di fango - era un fatto che non era mai riuscita a digerire. Per non parlare di Dann Muson e Alhinwa! Avrebbero potuto ben dirle dove avevano dissotterrato quel turchese! Pern era un mondo vergine, ricco di metalli e minerali, non toccato dalle mani avide di minatori e affaristi senza scrupoli. Ce n'era abbastanza per tutti. Su mondi più sofisticati, tutti quei grossi ciottoli colorati sarebbero stati senz'altro contesi da ardenti collezionisti e... quanto più alto ne fosse stato il prezzo, tanto più avidamente sarebbero stati ricercati dagli amatori! Ma come mai non aveva più avuto notizie da Nabhi? Avril sospettava che stesse cercando di attuare un suo piano personale. Quello era uno da tenere d'occhio: era infatti il classico tipo da cambiare idea all'ultimo mo-
mento. Proprio come lei! Nel viaggio interplanetario era lei a condurre il gioco, perché lei soltanto era capace di mantenere la rotta e Nabhi non possedeva quelle nozioni che gli avrebbero consentito di tornare a casa da solo. Aveva bisogno di lei, ma non lei di lui. A meno che non le andasse a genio. Nabol non era utile ai suoi propositi tanto quanto Kimmer, ma poteva tornar utile in caso di necessità. Avril aveva quasi completamente coperto la distanza che separava il continente dall'isola, e già scorgeva le onde che sferzavano le rocce di granito. Virò a babordo, cercando la bocca del porto naturale dove si era accampata secoli prima la Squadra di Esplorazione. Si era accordata con Kimmer per incontrarsi in quel punto. Avril preferiva trovarsi in un luogo che fosse già stato occupato da qualcun altro. Non sopportava l'idiozia dei coloni che andavano su e giù per il continente in cerca di luoghi da vedere per "primi" o da calpestare per "primi". E la nauseavano le dispute sui nomi da attribuire a quei luoghi, dispute che costituivano l'argomento dominante delle conversazioni che sera dopo sera si intrecciavano stupidamente attorno al falò. Quello sporco Lago di Drake! Fatuo idiota! Era anche un pessimo giocatore di gravity-ball! Quando fu in vista delle due sporgenze rocciose naturali che formavano un frangiflutti di argine al porto dai contorni approssimativamente ovali, corresse la rotta. Kimmer avrebbe nascosto la slitta soltanto in caso... Ma abbandonò subito quel pensiero e sbuffò con cinico divertimento. - Come se su quel mondo di innocenti pastorelli qualcuno si potesse mettere a spiare un altro! «Qui siamo tutti uguali.» Lo avevano ordinato i loro nobili e ardimentosi condottieri. «Con eguale diritto di dividere la ricchezza di Pern.» Potete scommetterci, pensò Avril. Solo che io mi prenderò la mia parte prima di tutti gli altri, e scrollerò via dai miei stivali la polvere di questo dannato pianeta! Proprio mentre sorvolava l'argine roccioso, Avril scorse sulla destra un luccichio metallico sotto il fogliame lussureggiante che sovrastava una piattaforma a monte della spiaggia sabbiosa. Lì dappresso si levava il fumo di un piccolo fuoco acceso da Kimmer. La donna atterrò vicino alla slitta del compagno. «Avevi ragione a proposito di questo posto, piccola,» la salutò lui, scuotendo il pugno chiuso e sollevato in segno di vittoria. «Sono arrivato ieri pomeriggio - ho avuto un ottimo vento di coda - così mi sono fatto un gi-
retto qua attorno. E guarda la prima cosa che ho trovato!» «Fammi un po' vedere,» disse Avril, manifestando la sfrenata bramosia che le mozzava il respiro, malgrado fosse alquanto seccata per quelle perlustrazioni effettuate da Kimmer da solo. Questi sorrise allegramente mentre schiudeva piano le dita e abbassava la mano così da consentirle di vedere la grossa pietra grigia che vi era serrata dentro. La delusione di Avril soverchiò la sua bramosia fino a quando il suo occhio non colse l'inconfondibile luccichio verde, semicelato in una estremità del sasso. «Fantastico!» Gli strappò di mano la pietra e la mise contro il sole, ormai levatosi alto sull'oceano. Quindi si umettò le dita e le strofinò sul verde luccicore. «Ho trovato anche questo,» continuò Kimmer. Alzando gli occhi, Avril vide una pietra verde quadrangolare, delle dimensioni della cavità di un cucchiaio, ruvida nel margine staccato dalla cava calcarea alla quale apparteneva. Quasi gettò via la pietra grigia col suo tesoro ancora celato all'interno per la brama di togliere lo smeraldo grezzo dalle mani di Kimmer. Sollevò anche questo esponendolo al sole, e vide una macchia, ma non espresse alcuna lamentela sul verde limpido e profondo della pietra. La soppesò: quello smeraldo doveva pesare da trenta a quaranta carati. L'intaglio sapiente di un orafo esperto avrebbe eliminato l'erosione calcarea ricavandone una gemma di una quindicina di carati. E, se quella pietra era soltanto uno degli esemplari... L'idea di fare apprendistato usando come modello quel magnifico gioiello la stuzzicava e la divertiva. «Dove?», domandò, ansimando per la fretta di sapere. «Lassù.» Kimmer si voltò indicando un punto nella folta vegetazione. «Ce n'è un'intera cava incassata nella roccia.» «Ti sei fatto un giretto e lei ti ha strizzato un occhio invitandoti ad entrare?» Avril si sforzò di parlargli in tono allegro e divertito, sorridendo con approvazione al suo volto raggiante. Kimmer appariva così maledettamente soddisfatto di sé! E lei continuò a sorridergli, scoprendo i denti. «Ho del Klah per te,» le disse Kimmer, accennando al fuoco dove aveva sistemato uno spiedo ed un grosso masso a protezione del bollitore. «Quella roba abominevole!», fece lei. Avril preferiva il caffè forte, e l'ultimo era stato servito durante quel patetico baccanale del Ringraziamento... andando poi a finire miseramente in
terra quando il tremore del suolo aveva scosso i recipienti sui banchi. L'ultimo caffè della Terra era colato, senza essere bevuto, sul terreno polveroso di Pern. «Bah, se ci metti parecchio dolcificante, non è poi tanto male.» Kimmer gliene versò una tazza senza che lei gliel'avesse chiesta. «Dicono che contenga la stessa quantità di caffeina del caffè o del tè. Il segreto sta nel berlo tutto d'un sorso prima di sentire il gusto.» Aggiuntovi il dolcificante, le porse la tazza aspettandosi un cenno di gratitudine per la sua premura. La donna, dal canto suo, non poteva permettersi di inimicarsi Kimmer anche se questi le appariva in quel momento come un bravo, piccolo colono, estimatore della bontà dei surrogati coloniali. «Scusami, Stev,» disse con un sorriso mentre accettava la tazza. «Sai: sono un po' nervosa al mattino, e il caffè mi manca davvero tanto.» Kimmer alzò le spalle. «Non ci mancherà ancora per molto, non è così?» Avril esibì prontamente il solito sorriso chiedendosi se Kimmer si rendesse conto di quanto appariva sciocco. Poi, con severità, richiamò se stessa alla prudenza: se solo fosse stata più cauta con Paul, sarebbe potuta diventare la First Lady di Pern. Ma dove aveva sbagliato? Era stata più che sicura di riuscire a mantenere elevato l'interesse di Paul per lei. Tutto era andato perfettamente fino a quando erano entrati nel sistema di Rukbat. Da allora era stato come se lei non fosse più esistita. Ed era stata proprio lei a portarli laggiù! «Avril?» L'impazienza nel tono di Kimmer la riportò di colpo al presente. «Scusami!», rispose. «Ho detto che ho già il cibo sufficiente per oggi, così, non appena avrai finito, possiamo andare.» Avril rovesciò la tazza, osservando il liquido scuro macchiare la sabbia bianca. La agitò un poco per disperdere le ultime gocce poi, da brava piccola colona, la ripose capovolta accanto al fuoco. Quindi si alzò offrendo a Kimmer un sorriso smagliante. «Bene, andiamo!» FINE