REGINALD HILL PASSIONE DOMINANTE (Ruling Passion, 1973) A Pat, di nuovo, con amore e gratitudine Cerca allora la passion...
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REGINALD HILL PASSIONE DOMINANTE (Ruling Passion, 1973) A Pat, di nuovo, con amore e gratitudine Cerca allora la passione dominante: qui solo lo sregolato è costante e il dissimulatore cristallino, il pazzo coerente e il falso sincero; Preti, principi, donne qui non fingono. Questo indizio, scoperto che sia, dipana tutto il resto... Alexander Pope PRIMA PARTE 1 Brookside Cottage, Thornton Lacey. 4 settembre Ciao ciao, Peter Pascoe! Una voce dall'oltretomba! O forse dovrei dire da sottoterra? Il posto da dove Ellie (che mi ha dato la lieta notizia della tua esistenza quando ci siamo incontrati in città, il mese scorso) spera di tirarti fuori, almeno per un po', per riportarti nel mondo dei vivi. Che ironia, pensò il detective sovrintendente Backhouse sbirciando per un attimo l'uomo dal volto pallido seduto di fronte a lui. Non lo disse ad alta voce. Era un tipo gentile, anche se non rifuggiva dagli aspetti crudeli del suo lavoro, quando si rendevano necessari. Continuò a leggere. Ti ha detto senza dubbio che stavamo rimettendo a posto questa catapecchia rurale per farci venire gli smorti cittadini a riprendere colore. Be', adesso è finito e ci piacerebbe molto che tu e Ellie veniste a passare un fine settimana da noi tra quindici giorni (do-
veri polizieschi permettendo, naturalmente!). Timmy e Carlo arrivano dalla metropoli, perciò avremo nostalgia a palate! Non proprio squallido come quell'altro cottage a Eskdale (almeno spero), ma, cosa strana, la vita a Thornton Lacey presenta molte corrispondenze! «Cosa intende dire?», chiese Backhouse. Pascoe fissò la frase indicata dal dito curatissimo del sovrintendente. Gli ci volle qualche istante per mettere a fuoco le parole. «Da studenti, un'estate, trascorremmo alcune settimane a Eskdale», spiegò. «Nel Cumberland». «Con le stesse persone?». Pascoe annuì. «Colin e Rose non erano sposati, a quel tempo». «Cos'è questa storia delle corrispondenze?». «Non lo so. Non è che ricordi molto di quel periodo». A parte una sera: loro sei, immersi nell'oro del sole basso sull'orizzonte, che camminavano in amichevole silenzio attraversando diagonalmente un prato in salita, diretti al villaggio lontano e al suo pub. Sul pendio si erano separati, spargendosi a ventaglio tra i grandi ciuffi d'erba e riunendosi al cancello di legno, nell'angolo più in basso del diroccato muro di pietra. Se possibile facciamo venerdì sera, altrimenti sabato mattina, ma presto. Non contravvenire a questo nostro volere o la nostra collera sarà tremenda, e tu lo sai quanto può essere terribile la mia ira! Non immagini quanto mi renderai felice, se verrai. Non è cosa di tutti i giorni vedere Abelardo ed Eloisa riuniti (con l'equipaggiamento di lui in buono stato, spero!). Baci da tutti e due Colin (e Rose) Backhouse terminò di leggere con un sospiro, prese un appunto su un foglietto, lo agganciò a un foglio più grande di carta giallina e lo infilò in una cartella di plastica di un bel verde pisello. «Questo me lo tengo io, se non è un problema», disse. Sul momento non aveva molta importanza. E nemmeno dopo, probabilmente. Ma preferiva lavorare a quel modo. Sii meticoloso e non te ne pentirai. «Prende un'altra tazza di tè?», chiese.
Prima che Pascoe potesse rispondere, la porta si aprì. L'anziano agente entrò strisciando stancamente i piedi, con in mano alcuni fogli scritti a macchina. «La dichiarazione del signor... cioè... del sergente Pascoe, signore». Posò con cura i fogli davanti a Backhouse e indietreggiò. «Grazie Crowther», disse Backhouse, girando i fogli e spingendoli verso Pascoe. «La legga», disse gentilmente, mentre Pascoe prendeva una biro e si accingeva a mettere una firma in fondo al primo foglio. «Legga sempre prima di firmare. Proprio come lei dirà sempre agli altri di leggere quello che firmano, spero». Pascoe si mise a leggere senza rispondere. Dichiarazione di Peter Ernest Pascoe rilasciata alla stazione di polizia di Thornton Lacey, Oxfordshire, alla presenza del detective sovrintendente D.S. Backhouse. La mattina di sabato 18 settembre mi stavo recando in macchina dallo Yorkshire a Thornton Lacey. Ero in compagnia di un'amica, la signorina Eleanor Soper. La nostra intenzione era quella di trascorrere il fine settimana con alcuni amici di vecchia data, Colin e Rose Hopkins di Brookside Cottage, Thornton Lacey, insieme ad altri due ospiti, il signor Timothy Mansfield e il signor Charles Rushworth, anch'essi amici di vecchia data, anche se non vedevamo loro e gli Hopkins da più di cinque anni. Non so se fosse stato invitato qualcun altro. Avevamo intenzione di arrivare alle nove e trenta ma il viaggio era andato così liscio che ormai era chiaro che saremmo arrivati alle nove... Dopo una notte di pioggia torrenziale, la mattinata era stupenda. Una nebbiolina leggera si stendeva come tulle sui campi e sui boschi, cedendo senza protestare alle gentili pressioni del sole nascente. All'inizio le strade erano deserte. Perfino le fattorie, tradizionalmente sveglie al sorgere del sole, sembravano addormentate tra i campi scintillanti di umidità. «Mi piace», disse Ellie, rannicchiandosi beata sul sedile di fianco al suo, del quale aveva comodamente abbassato lo schienale. «Per certe cose vale la pena che qualcuno ti costringa a svegliarti presto». Pascoe rise.
«So cosa vuoi dire», disse facendo una voce arrochita dalla passione. «Sei un maniaco sessuale», ribatté lei. «Niente affatto. Riuscirò a contenermi finché non troviamo una piazzola di sosta». Ellie chiuse gli occhi con un sorriso. Quando li riaprì era passata un'ora e lei era appoggiata con tutto il peso alla spalla del compagno. «Oh, scusa!», esclamò raddrizzandosi. «E poi si parlava delle attrattive del primo mattino! Siamo piuttosto in anticipo, fra parentesi. Sei sicura che ci vogliano lì per colazione?». «Sicurissima. Quando ho sentito Rose al telefono era molto arrabbiata perché non andavamo ieri sera e ha insistito perché arrivassimo stamattina presto. Povera ragazza, probabilmente aveva arrostito il vitello grasso o qualcosa del genere». «Sì. Mi dispiace. È proprio un peccato». Ellie fece la sua espressione indignata. «Peccato! Quel grassone sadico di Dalziel non sa neppure cosa significhi questa parola!». «Non è stata colpa sua. È questa sfilza di effrazioni che abbiamo avuto. Il telefono si è messo a suonare proprio quando stavo uscendo». «Sì, me l'hai già detto», mugugnò Ellie. «Che cavolo di orario per un furto con scasso... Scommetto che è stato Dalziel». «Il furto è avvenuto qualche giorno prima», spiegò paziente Pascoe. «L'hanno scoperto solo ieri, quando sono tornati dalle vacanze». «Così imparano a tornare prima. Avrebbero dovuto star via anche il fine settimana, così anche noi avremmo potuto goderci tutto il nostro». «Spero comunque che staremo bene», disse Pascoe sorridendole amorevolmente. «Sarà bello rivederli tutti». «Sì, credo anch'io. Specialmente per te», replicò Ellie pensierosa. «Sei rimasto tagliato fuori per troppo tempo». «Forse sì. Ma bada bene che non sono stato sempre io a troncare. E poi troncare è l'immagine sbagliata. Loro sono sempre stati là. Come un capitale ben investito! Non ho mai dubitato che un giorno li avrei rivisti tutti quanti». «Nel mio caso, ci è voluto un incidente per riportarmi alla luce», lo rimproverò Ellie. «'C'è una divinità che dà forma ai nostri piani, comunque noi li abbozziamo'», declamò solennemente Pascoe. «Non è solo Colin a dispensare citazioni».
«Amen», disse Ellie abbandonandosi al calore del sole, ormai trionfante nel cielo. Siamo arrivati a Thornton Lacey alle otto e cinquanta. Ho notato l'ora esatta perché ho guardato l'orologio per vedere quanto fossimo andati vicini all'ora prevista per l'arrivo. Ho suggerito alla signorina Soper di aspettare una mezz'ora prima di presentarci a Brookside Cottage, ma dopo una breve discussione abbiamo deciso di non farlo. Perciò quando siamo arrivati al cottage dovevano mancare due o tre minuti alle nove. Le tende erano tutte tirate e quando abbiamo bussato nessuno ha risposto. «Dovevamo aspettare», disse Pascoe soddisfatto. «Che sciocchezza. Se ieri sera erano ubriachi fradici al punto di non sentirci bussare non sarebbero stati pronti neppure per le nove e mezza». La parte professionale del suo cervello sentiva che in quella frase c'era qualcosa che non andava, dal punto di vista logico o sintattico, ma il lavoro doveva assolutamente restare fuori da quel fine settimana. Così fece un bel sorriso e si allontanò dalla porta d'ingresso, allungando il collo per scorgere un segno di attività dietro le tende della camera da letto. Era un cottage grazioso, proprio al limite del sentimentalismo da scatola di cioccolatini. Tudor, si disse, legno e muratura insieme, senza dubbio pieno di graticci coperti di fango, qualsiasi cosa fossero (erano quelli lì?). Era stato fatto un tentativo, non molto riuscito, di far passare una rosa rampicante sull'arco della porta d'ingresso. Sul tetto di paglia un boschetto di antenne televisive rompeva la brezza mattutina e serenamente cantava il proprio trionfo sulla bellezza e sullo stile Tudor. «Colin è spietato», commentò Ellie seguendo il suo sguardo. «Se vuoi modernizzare, modernizza. Non ci vede niente di buono a fingere che un paio di casette per i braccianti un tempo costituissero un'incantevole residenza del sedicesimo secolo». «E neppure nel mantenere gli orari della fattoria, a quanto pare», disse Pascoe picchiando ancora una volta alla porta con il logoro batacchio d'ottone. «A meno che», aggiunse pensieroso, «non abbiano conservato altre vecchie consuetudini campagnole, come non chiudere mai la porta a chiave». Abbassò la maniglia della porta e spinse. I cardini mandarono un cigolio appropriato mentre la pesante porta di quercia si apriva lentamente.
Era il turno di Ellie a mostrarsi riluttante. «Non è che possiamo comparirgli così, ai piedi del letto», protestò rifiutandosi di avanzare. «Be', non ho intenzione di andare a procurami un mandato», ribatté Pascoe. «Possiamo almeno trovare l'occorrente per prepararci un caffè e fare un sacco di baccano. Andiamo!». La porta d'ingresso si apriva direttamente su un soggiorno dalle proporzioni armoniose, con mobili dall'aspetto confortevole, benché chiaramente più antiquati che antichi. Su un basso tavolino al centro della stanza erano posati due o tre bicchieri da whisky ancora mezzi pieni. Accanto c'era una bottiglia vuota di Teacher's. In un grande portacenere di vetro intagliato un sigaro degno di Churchill si era consumato da solo. Ellie annusò disgustata l'aria. «Che tanfo! Avevo ragione io... ieri sera devono essersi presi una piccola sbornia solitaria». Si mise a tirare le tende per poter aprire una finestra. Anche Pascoe annusava con discrezione, con un'espressione leggermente perplessa. Attraversò la stanza e raggiunse la porta sulla parete opposta. Era accostata: Pascoe la spalancò ed entrò nella stanza adiacente. Si trattava chiaramente della sala da pranzo. Sul tavolo di mogano rotondo e lucidissimo c'erano ancora i resti di una cena. Ma non fu il tavolo ad attirare la sua attenzione. Terreo, si girò per impedire a Ellie di seguirlo. Lei era accanto alla finestra sul retro e stava tirando le tende. «Ellie», disse. Ellie si immobilizzò, la mano posata sul saliscendi della finestra, fissando incredula all'esterno. Un grido sottile composto di una sola nota si fece strada dalle profondità della sua gola. Sul pavimento della sala da pranzo erano stesi due uomini, nella posizione indicata dalla fotografia Al scattata dalla polizia. Entrambi avevano ricevuto gravi ferite di arma da fuoco e sanguinavano copiosamente. Il tipo di ferite e il forte odore di cordite che avevo avvertito nell'aria mi fecero supporre che i colpi fossero stati esplosi a breve distanza da un fucile da caccia. Riconobbi l'uomo steso accanto al tavolo (posizione segnalata dalla X sulla foto) come Timothy Mansfield di Grover Court, Londra, NW2.
Non fui in grado di riconoscere immediatamente l'altro uomo, dato che aveva ricevuto gran parte del colpo nel collo e nella parte bassa del viso, ma più tardi fui in grado di confermare che si trattava di Charles Rushworth, detto Carlo, stesso indirizzo. Mi girai per impedire alla signorina Soper di seguirmi nella stanza, ma lei era chiaramente sconvolta da qualcosa che vedeva dalla finestra posteriore. Guardai nel giardino sul retro della casa e vidi la figura di una donna coricata alla base della meridiana al centro del prato (foto C3). Non fui in grado di riconoscerla dalla finestra perché aveva il viso affondato nell'erba. Aveva perso una grande quantità di sangue dalla testa. «È Rose», disse Ellie come se lei stessa non riuscisse a crederci. «C'è stato un incidente». Avanzò verso la sala da pranzo, cercando una porta per uscire sul retro. Pascoe la afferrò per le spalle. «Il telefono», disse a bassa voce, il cervello che lavorava a velocità supersonica. Dalla sala da pranzo una stretta rampa di scale conduceva al piano superiore. Teneva le orecchie tese per captare un qualsiasi indizio di movimento di sopra. «Sì», disse Ellie. «Un dottore. No, meglio un'ambulanza: abbiamo incontrato l'indicazione per l'ospedale, ti ricordi?». C'era un telefono posato a terra accanto a una delle due poltrone. Si chinò per prenderlo. «No», disse Pascoe, afferrandola per il braccio e spingendola verso la porta d'entrata. «Abbiamo oltrepassato una cabina lungo la strada. Telefona da quella. E chiama la polizia. Di' che ci sarà bisogno di un dottore e di un'ambulanza». «La polizia?», ripeté Ellie. «Sbrigati», disse Pascoe in tono pressante. Sentì la Riley mettersi in moto mentre posava con cautela il piede sul primo scalino. Si udì un forte scricchiolio e, quando il rumore si ripeté sul secondo, Pascoe abbandonò ogni cautela e fece il resto della scala di corsa, evitando per un soffio di battere la testa contro una trave del soffitto che sporgeva a metà percorso. Entrò rapido nella prima porta, abbassandosi. Una camera da letto. Vuota. Letto intatto. Lo stesso quella accanto. Poi un bagno. Un piccolo ripostiglio. Ne rima-
neva una sola. Ormai sicuro che al primo piano non ci fosse nessuno, rischiò di nuovo ed entrò spalancando la porta con violenza. Quando abbassò gli occhi sul letto il cuore gli si fermò. Di traverso sui due guanciali era appoggiato un paio di manette giocattolo. In un anello era infilata una rosa, nell'altro una giovane pianticella d'ortica. Sulla testiera del letto era appiccicato un biglietto che diceva: Eloisa e Abelardo, benvenuti a casa. Pascoe sentì che la corazza della professionalità nella quale si era rifugiato si stava incrinando. Senza guardare fuori dalla finestra, scese velocemente da basso. Con un grande sforzo di volontà si obbligò a confermare con il tatto ciò che già gli aveva detto la vista, e cioè che i due uomini erano morti. Timmy suonava la chitarra e, quando aveva disponibilità di fondi, faceva a coloro che amava regali deliziosamente eccentrici. Carlo (era proprio Carlo, l'unico occhio intatto lo confermava) aveva un temperamento incandescente, adorava i western, manifestava a favore dei diritti civili e odiava i preti. Non li voleva quei ricordi. E ancor meno voleva inginocchiarsi di fianco a quella donna, rigirarla con dolcezza, vedere il macello che il fucile a pallettoni aveva fatto nella tenera carne di Rose Hopkins. La donna indossava un abito da sera di seta lungo fino ai piedi. Perfino la pioggia e la rugiada non avevano offuscato l'iridescente lucentezza del porpora e del verde, simile al piumaggio del fagiano. Ma gli occhi erano opachi. La meridiana contro la quale giaceva aveva un'iscrizione sul piedistallo. Pascoe la lesse, cercando disperatamente di ripristinare la sua corazza. Horas non numero nisi serenas. 'Conto solo le ore felici'. Stava ancora cullando tra le braccia la donna morta quando Ellie tornò, seguita a ruota dalla prima auto della polizia. 2 «Dalziel». «Ciao, Andy. Qui Derek Backhouse». «Così mi hanno detto». La voce di Dalziel non conteneva un briciolo di entusiasmo. «Quanto tempo... E ti deve servire un favore bello grosso per telefonare di sabato mattina».
«Niente favori», disse Backhouse. «Telefono dalla stazione di polizia di Thornton Lacey. C'è qui uno dei tuoi uomini. Un certo sergente Pascoe». «Pascoe!», esclamò Dalziel con tono più vivace. «Non ha mica cagato di nuovo per strada, eh?». «Prego?». «Era uno scherzo», sospirò Dalziel. «Che problema c'è?». «Nessuno, per la verità. È venuto quaggiù a trovare alcuni amici». «Allora?». «Allora quando è arrivato, stamattina, tre dei suoi amici erano morti. Fucile da caccia a distanza ravvicinata». A quel punto ci un fu un silenzio prolungato. «Cristo», disse alla fine Dalziel. Altro silenzio. «Questo è spiacevole», commentò Dalziel. «Non credo che gli siano rimasti abbastanza amici intimi per poterne perdere tre in un colpo». Backhouse fece una smorfietta di disgusto di fronte all'insensibilità di quel commento, benché credesse di aver avvertito nel tono una punta di autentica partecipazione. Ma forse si sbagliava. «Ad ogni modo», disse Backhouse. «Mi interessa solo confermare che lui e la signorina Soper sono arrivati stamattina». «Lei è con lui, vero?», grugnì Dalziel. «La conosci?». «Vagamente. Stammi a sentire, ragazzo mio, non stai mica pensando che Pascoe c'entri con questa storia, eh?». «Controllo e basta, Andy. Dice di essere stato trattenuto da un caso, ieri sera». «Verissimo. Non è che fosse al settimo cielo, ma è un ragazzo ligio al dovere. È rimasto qui fin verso le nove e mezza. Poi abbiamo bevuto qualcosa fino alla chiusura. Ti quadra?». «Direi di sì. Ancora non abbiamo fatto l'autopsia, ma il dottore è sicurissimo che sia accaduto ieri sera. Non è che il sergente mi interessi, ma volevo essere sicuro. Potrebbe esserci di grande aiuto». «Adesso stammi bene a sentire!», esclamò Dalziel in tono minaccioso. «Abbiamo del lavoro da fare anche qui, sai? Niente di così affascinante come un omicidio plurimo, ma qualcuno deve pur prenderli i ladri. E ho bisogno di Pascoe. Deve tornare lunedì. Lo aspetto qui senza storie». «Anche noi abbiamo detective esperti», replicò secco Backhouse. «No, può aiutarci perché conosce bene l'uomo scomparso». «L'uomo scomparso?».
«Non te l'ho detto? Ce ne manca uno. Il padrone di casa, il proprietario del cottage, Colin Hopkins. L'amico intimo del tuo sergente». «Capisco», disse Dalziel. «Credi che sia stato lui, allora?». «Mi piacerebbe parlargli», disse cauto Backhouse. «Ci scommetto! Comunque, mi stai dicendo che vuoi che Pascoe ti aiuti a inchiodare il suo amico? Chiedi un po' troppo, non ti pare?». «Erano suoi amici anche quelli che sono morti», disse Backhouse senza agitarsi. «Be', è un ragazzo a posto. È lì con te? Meglio che gli dica due parole». Backhouse cercò di immaginare i mugugni di condoglianza che Dalziel voleva porgergli. «Al momento si trova con la signorina Soper, la quale ha subito un grave shock». «Dopo, allora. Ma lo voglio qui lunedì, intesi? Ti guarderò in tivù». Dannata zitella, concluse Dalziel mentalmente mentre posava il ricevitore. Si grattò metodicamente il polpaccio da cima a fondo, ma non ne ricavò un grande sollievo. Il prurito ce l'hai dentro, gli aveva detto una volta qualcuno abbastanza in alto da poter osare. Guardò disgustato il mucchio di cartelle sulla sua scrivania. All'improvviso gli sembravano tutte sciocchezze. Stupidi coglioni che spendevano un mucchio di soldi in graziosi gingilli e poi non si prendevano neppure la briga di sorvegliarli adeguatamente. Da qualche parte in quel casino c'era un disegno, un sistema imperfetto. Un punto debole c'era sempre. Un uomo che stava in fondo alla pila e che loro avrebbero trovato, alla fine. Ma quel giorno, in quel preciso momento, sembrava una cosa priva di importanza. Era una sensazione che Dalziel provava molto di rado, perché non era il tipo da prendere alla leggera il proprio lavoro. Ma in quell'occasione si alzò e andò in cerca di qualcuno con cui bere una tazza di tè parlando di calcio o di politica. L'enormità di quanto era accaduto aveva colpito Ellie solo qualche tempo dopo il suo ritorno al cottage. Non era rientrata in casa, ma aveva costeggiato il muro del garage imbiancato a calce ed era entrata nel giardino. In fondo al prato zuppo di rugiada sentiva, senza vederlo, un ruscello profondamente incassato nel terreno e ombreggiato da ontani e salici. Il mormorio dell'acqua, il giardino immerso nella frescura mattutina non ancora riscaldata dal sole color giallo limone, il volo di un merlo con una macchia bianca sulla fronte che scendeva da un melo carico di frutti, tutto contri-
buiva a conferire un aspetto irreale al quadro vivente formato dall'uomo inginocchiato accanto alla donna morta, ai piedi della meridiana. L'unico elemento minaccioso era costituito dallo gnomone dell'orologio solare, che fendeva l'aria fragrante come la pinna di un pescecane. Nell'erba vicino al corpo c'era qualcosa che luccicava più delle gocce di rugiada. Frammenti di vetro. La prima preoccupazione di Ellie fu personale, domestica. Pascoe poteva strapparsi i pantaloni o, peggio, ferirsi le ginocchia. Sapeva, l'aveva capito fin dal primo sguardo lanciato dalla finestra, che Rose era morta. Chiamare l'ambulanza era stato un gesto formale, l'ultimo aggrapparsi del nuotatore sul punto di annegare alla cresta dell'onda che lo sommergerà. Lo spettacolo orrendo, ora visibile perché Pascoe aveva riadagiato la donna sull'erba, era stato il colpo più forte. Ma aveva assorbito anche quello, e si era girata verso il cottage per andare a cercare gli altri. Pascoe l'aveva fermata prima che entrasse dalla portafinestra aperta. Ma era troppo tardi per impedirle di vedere ciò che giaceva all'interno. La stazione di polizia di Thornton Lacey occupava solo la parte frontale del pianterreno di una bella villetta unifamiliare nella quale vivevano l'agente John Crowther e sua moglie, e alla quale i due avrebbero rinunciato con grande dispiacere quando Crowther fosse andato in pensione, nel giro di qualche anno. Né lui né la moglie rimasero particolarmente impressionati dall'arrivo del Crimine con l'iniziale maiuscola nella loro piccola comunità isolata. La cosa per l'agente non portava altro che guai. A quel punto della sua carriera, neppure se avesse risolto personalmente il caso e avesse catturato da solo il colpevole gli avrebbero dato una promozione. Ma era un uomo coscienzioso e, senza che nessuno glielo chiedesse, aveva già preparato per il sovrintendente un riassunto di tutte le informazioni sulla vita del luogo che gli erano sembrate pertinenti. Sua moglie, una donna grinzosa il cui aspetto esteriore nascondeva una grande bontà d'animo, diede un'occhiata a Ellie quando arrivò alla stazione e immediatamente la portò in cucina per approvvigionarla di tè e solidarietà umana. Sottoposta a quel trattamento, Ellie era rapidamente peggiorata (un processo necessario e ben noto alla signora Crowther) e quando Pascoe lasciò l'ufficio di Backhouse il dottore le aveva già somministrato un leggero sedativo e la signora l'aveva trasferita in una camera da letto. Il dottor Hardisty, un uomo allampanato di mezz'età, con una chioma grigia e spettinata che gli dava un'aria perennemente stravolta, incontrò
Pascoe sulla porta della cucina. Si erano già visti a Brookside Cottage. «Lei sta bene?», gli chiese ora con fare esitante. «Bene», rispose Pascoe. Non era del tutto falso. L'atto di firmare la dichiarazione così freddamente formulata aveva prodotto in lui una catarsi temporanea. Per il momento le scoperte del mattino erano diventate semplicemente un 'caso'. Si sentì perfino spinto a chiedere al dottore informazioni sull'esame dei corpi, ma decise di non farlo. Hardisty era un uomo del posto, viveva in paese e frequentava la gente di lì. I corpi ormai stavano viaggiando verso l'obitorio e verso il bisturi indagatore del medico legale. Ormai Timmy, Carlo e Rose stavano per... Fu svelto a bloccare il pensiero. «La signorina Soper?», chiese invece. «Come sta?». «Sta riposando di sopra. Le ho dato qualcosa». «Posso vederla?». «Se è sveglia sì. È proprio di fronte al pianerottolo». Pascoe si girò e iniziò a salire le scale. Quando entrò nella stanza Ellie aprì gli occhi. Il suo abito era ripiegato ordinatamente su una sedia e lei era coricata in mutande sotto una trapunta. «Tutto bene, amore?», chiese Pascoe prendendole la mano. «Completamente rimbambita», rispose lei. «Non voglio dormire. Quando poi ti svegli e ti ricordi è ancora peggio». «Devi dormire, invece», le disse gentilmente Pascoe. Vederla lì distesa, così pallida, lo turbò quasi quanto la scoperta dei tre corpi. Ellie annuì, come se lui avesse messo in opera qualche straordinaria manovra di persuasione occulta, e chiuse gli occhi. Ma mentre Pascoe apriva la porta per uscire, Ellie parlò di nuovo. «Peter», disse, «dov'è Colin? Bisognerà dirglielo». «È tutto sotto controllo», la rassicurò lui. «Dormi adesso». Sulle scale gli venne un capogiro e fu costretto a fermarsi e ad appoggiarsi pesantemente alla ringhiera. Certo che le ricerche di Colin erano sotto controllo, ma le motivazioni erano tutt'altro che pietose. «Tutto ok, sergente?», chiese Backhouse dal fondo della scala. Il suo tono sembrava più partecipe di quello del dottore. «Sì, signore», disse Pascoe riprendendo a scendere. «La signorina Soper dorme?». «Penso di sì». Backhouse lo scrutò con attenzione, il viso sottile da erudito che lo sot-
toponeva a un esame minuzioso e sollecito. «Io torno al cottage. I ragazzi del laboratorio dovrebbero aver finito, ormai. Mi chiedevo se se la sente di accompagnarmi. Le sarei molto grato se volesse fornirmi la sua consulenza». Sulle labbra di Pascoe fluttuò involontariamente il fantasma di un sorriso per quella cortesia formale. Dalziel il ciccione, il suo sovrintendente, doveva aver marinato questa parte delle lezioni del corso di addestramento per funzionari superiori. «Certamente, signore», rispose. Forse per un caso di telepatia, quando salirono in macchina Backhouse disse: «Ho parlato al telefono con il signor Dalziel». «Ah, sì?». «Naturalmente era molto dispiaciuto di apprendere l'accaduto». Naturalmente. Ma scommetto che quello stronzo non si è prodotto nelle consuete espressioni di rammarico. Backhouse stava facendo opera di traduzione. «Dice che lei è troppo importante per poterla lasciare qui oltre il fine settimana, ma io le sarei molto grato per tutto il tempo che può dedicarmi». Grato, di nuovo. Lo stavano trattando col guanto di velluto, e non c'era bisogno di essere un detective per capirne la ragione. Ma dovevano dirglielo a chiare lettere, perché lui non aveva alcuna intenzione di introdurre per primo l'argomento. Pascoe fu sorpreso di aver pensato al plurale: la polizia come 'loro'. «Fermiamoci qui», disse Backhouse all'autista. L'auto si arrestò davanti a un edificio dal tetto alto e l'intonaco di ghiaietto, con le finestre strette come quelle di una chiesa. Un cartello ben tenuto annunciava che quella era la sala civica di Thornton Lacey. Sotto le lettere nere e dorate un foglio scritto a macchina forniva l'elenco delle attività che si tenevano nella suddetta sala durante la settimana. La sera prima, per esempio, si era riunito il Comitato Locale per le Bellezze Artistiche e Naturali del paese. E quella sera il gruppo di danza Vecchi Tempi avrebbe ripercorso il viale dei ricordi a suon di valzer, foxtrot, two-step e polke. Strano, niente danze del Seicento, pensò Pascoe seguendo Backhouse all'interno. La grande sala puzzava di chiuso e brulicava di attività. Poliziotti in maniche di camicia stavano sistemando i tavoli e due tecnici allacciavano i telefoni. Tutte le luci erano accese per aumentare la magra razione di luce che filtrava dalle finestre. «Il posto di polizia è troppo piccolo», spiegò Backhouse. «Specialmente
se questa si rivelerà un'operazione su ampia scala. Ma io spero che non accada». Gettò un'occhiata a Pascoe di fianco a lui, poi distolse rapidamente lo sguardo. Un ispettore in divisa andò incontro ai nuovi arrivati. «Qualche novità?», lo apostrofò Backhouse. «Solo un paio di cosette, signore». L'ispettore rivolse a Pascoe un'occhiata scrutatrice, poi condusse Backhouse all'estremità opposta della sala. Pascoe si chiese se era il caso di seguirli. Aveva un bisogno disperato di scoprire cosa stava succedendo, ma era perfettamente consapevole dell'ambiguità della sua posizione. In qualità di semplice testimone non aveva alcun diritto di trovarsi lì. «Che diavolo succede qui?». A parlare era stato un uomo grande e grosso, dal torace ampio e dalla mascella prominente, che indossava una polo e calzoni da cavallerizzo. Pascoe provò pena per il cavallo che doveva trasportare quella mole che, secondo le sue stime, doveva aggirarsi intorno ai cento chili. Ed era tutta massa solida. L'uomo era sulla quarantina, ma ancora lontano dalla flaccidezza e dai rotolini di grasso. «Allora? Forza, ragazzi, chi è il capo qui?». Aveva attirato l'attenzione di Backhouse, il quale attraversò la sala per andargli incontro. «Buongiorno», disse. «Sono il detective sovrintendente Backhouse. Con chi...?». «Angus Pelman. Cosa diavolo state facendo qui?», domandò l'uomo in un tono di voce appena più basso. «Stiamo conducendo un'inchiesta per omicidio, signor Pelman», rispose Backhouse. «Mi meraviglia che non ne abbia sentito parlare». Sì, è strano davvero, pensò Pascoe. Erano passate più di due ore da quando il crimine era stato riportato. Non aveva dubbi che in breve le telecamere avrebbero iniziato a riprendere e i giornalisti a pattugliare i dintorni di Brookside Cottage - sempre che non fossero già arrivati. Ma Angus Pelman aveva fatto in modo di rimanere all'oscuro di tutto finché non era entrato nella sala. E faceva anche in modo di sembrare profondamente sorpreso dalla notizia. Quando Backhouse aggiunse qualche particolare, piombò a sedere sulla sedia più vicina. «Gli Hopkins di Brookside Cottage?», ripeté incredulo. «Li conosceva, signor Pelman?», chiese Backhouse.
«Direi di sì», rispose quello. «Gliel'ho venduto io quel maledetto posto». Un ricordo perfettamente nitido emerse nella mente di Pascoe. Il cottage a Eskdale, sei (o sette?) anni prima. Il proprietario, un agricoltore che viveva mezzo chilometro più a valle, era un grosso bastardo vizioso e pieno di sé, e aveva preso l'abitudine di capitare di tanto in tanto, per esercitare il proprio diritto a ispezionare, sosteneva, per quanto il principale oggetto delle sue ispezioni fossero chiaramente le due ragazze, Rose in particolare. Sospettavano anche che facesse delle visite anche mentre loro erano fuori per le loro escursioni su per le colline. Alla fine avevano fatto qualcosa, una specie di scherzo... ma il ricordo svanì in fretta com'era arrivato. Doveva chiedere a Ellie. «A fucilate, dice? Tutt'e due?». «Non entrambi gli Hopkins. La signora Hopkins e i loro due ospiti». «E Colin Hopkins?». «Speriamo di contattarlo presto, signor Pelman». «Vuol dire che non ne sa niente? Ma se ieri sera era qui. L'ho visto in paese». Ed ecco sorgere il sospetto, seguito dall'indignazione. «Non vorrà per caso suggerire che abbia qualcosa a che fare con la cosa, vero? Capo, lei dev'essere matto. Lo conosco da poco tempo, ma è fuori questione!». All'improvviso a Pascoe fu un tantino più simpatico. «Non abbiamo ancora raggiunto nessuna conclusione, signore», rispose Backhouse ragionevolmente. «A proposito, se lei non si aspettava di trovarci qui, perché è entrato?». Pelman parve sconcertato. «Perché sono...? Ah, qui dentro, intende. Semplice: sono il presidente del Comitato locale; abbiamo avuto un'assemblea ieri sera e il mattino successivo a queste riunioni la segretaria porta qui i verbali che ha battuto a macchina. Li controlliamo insieme e poi li esponiamo in bacheca perché tutti possano sapere quello che è successo». «Notevole», commentò Backhouse con aria di approvazione. «Notevole». Mentre parlava guardava in direzione della porta e Pascoe, seguendo il suo sguardo, non capì se il commento si riferisse a quel procedimento democratico o alla donna che stava in piedi laggiù. Era una bella donna, se vi piace il genere. Sulla trentina, capelli castani dall'acconciatura perfetta, abbigliamento costoso ma discreto, bella figura;
su nessuna di queste cose Pascoe aveva da obiettare. Ma si sentì sfidato dal suo sguardo di divertita sicurezza mentre osservava attentamente la scena. Alta borghesia, sicura del proprio posto nello schema delle cose, piena di buonsenso e buone opere, membro di un comitato, era o sarebbe diventata un magistrato, copia sputata della brava moglie di deputato conservatore o anche deputato conservatore lei stessa. Una puttana soddisfatta di sé. Pascoe fu sorpreso dalla violenza dei suoi pensieri e dalla ridicola fretta con cui aveva elaborato un'analisi basata esclusivamente sull'intuito. C'era una sorgente di rabbia, in lui, che andava controllata con la massima cura. Cercò di fare tabula rasa e di ricominciare da capo con quella donna, ma lei sembrò intenzionata a confermare le sue conclusioni. «Salve, Angus», disse con una voce chiara, acuta e ben modulata. «Sei ben protetto. Spero che i nostri verbali non siano esplosivi fino a questo punto». Si fece avanti reggendo una cartella di pelle. Dunque era lei la segretaria del Comitato locale. C'era da aspettarselo. «Ciao, Marianne. Hai sentito?». Pelman le riferì brevemente quanto era successo e, mentre parlava, Pascoe osservò attentamente la donna. Due membri importanti della comunità e nessuno dei due aveva saputo la notizia. Avrebbe dovuto rivedere le sue idee sulla natura tribale dei villaggi inglesi. «Vuol sedersi, signora...?», chiese cortesemente Backhouse quando Pelman finì di parlare. «Culpepper», li informò Pelman. «Grazie», disse la donna. Non sembrava particolarmente preoccupata per gli sguardi pieni di livore che le lanciava Pascoe, ma forse l'unico segnale di grande stress consentitole dai canoni della sua educazione era l'irrigidimento del labbro superiore. Entrambe le ipotesi erano possibili. Fece per posare la cartella di pelle su un tavolo vicino, ma le scivolò di mano e cadde aperta sul pavimento. Pascoe la raccolse e la tenne in mano, guardando i fogli coperti di ordinati caratteri di macchina da scrivere. Scorse il primo con la rapidità casuale di un uomo abituato a leggere un migliaio di parole al minuto. A quanto pareva era stata una riunione vivace, incentrata principalmente sul presunto inquinamento del corso d'acqua che attraversava il paese. Quelli a valle del torrente sospettavano quelli a monte di avere fognature inefficienti o addirittura di averne troppe. Quelli a monte negavano con veemenza. Il corso d'acqua in oggetto era probabilmente il ruscello che scorreva dietro Brookside Cottage. L'immagine della meridia-
na in giardino gli balzò vivida davanti agli occhi. Solo le ore felici... «Lo prendo io», disse Pelman, strappando la cartella dalle mani di Pascoe, che peraltro non oppose resistenza. «Non vogliamo trattenerla più a lungo, sovrintendente. Andiamo, Marianne. Ti offro un bel brandy al Bird». Escono John Wayne e signora, pensò Pascoe mentre l'uomo con i calzoni alla cavallerizza guidava Marianne Culpepper verso la porta reggendola per il gomito. Prima di uscire in strada, lei si liberò con grazia. «Mettete qualcuno a quella porta», ordinò Backhouse in tono bonario, «prima che stabiliscano un diritto di passaggio. Mi troverete al cottage». Fece cenno a Pascoe di precederlo e lo fece aspettare accanto alla macchina mentre scambiava qualche altra parola con l'ispettore. La strada era sorprendentemente vuota. Il sole si era fatto più caldo con l'avanzare delle ore, ma Pascoe di tanto in tanto era scosso da un tremito mentre attendeva che Backhouse arrivasse e iniziasse il breve viaggio che l'avrebbe riportato a Brookside Cottage. 3 L'autista parcheggiò la macchina sul bordo erboso della strada a una cinquantina di metri dal cottage, perché l'affollamento di veicoli sparpagliati nelle immediate vicinanze gli impediva di avvicinarsi maggiormente. Tre o quattro giornalisti intercettarono il sovrintendente mentre si avviava a piedi verso il luogo del delitto. Locali, soprattutto, valutò Pascoe. Era ancora troppo presto perché qualcuno fosse riuscito a districarsi dal caos mattutino di un sabato londinese. Ma ci sarebbero riusciti: Tre morti per ferite di arma da fuoco era un titolo troppo goloso per lasciarlo nelle mani di un galoppino locale. Backhouse se ne liberò in modo gentile ma fermo. No, non c'erano ancora sviluppi. Stavano cercando un uomo che forse poteva aiutarli nelle indagini. Il signor Colin Hopkins, sì, proprio lui. Qualora l'avesse ritenuto necessario, avrebbe fornito loro una foto e la descrizione. Mentre le domande si accavallavano, Pascoe era rimasto indietro. Quando Backhouse e i suoi intervistatori si fermarono davanti al cottage, si ritrovò a spingere lo sguardo, dopo aver deliberatamente svuotato la mente da ogni pensiero, lungo il fianco dell'edificio che si trovava fra il garage e il muro. Nel giardino sul retro e oltre si scorgeva del movimento: stavano cercando l'arma. Ogni oggetto rinvenuto veniva esaminato con attenzione,
ovviamente, ma quello che speravano di trovare era l'arma del delitto. Sapere che l'uomo che stavano cercando non era in possesso di un fucile da caccia avrebbe fatto una certa differenza. Pascoe dubitava che l'avrebbero trovato così vicino. Se fosse stato gettato via per il panico nel bosco intorno al ruscello, a quel punto l'avrebbero già rinvenuto. Mentre se l'assassino aveva abbastanza sangue freddo da compiere un tentativo più ragionato di nasconderlo, avrebbe certamente aspettato di arrivare a una distanza di sicurezza dal villaggio. L'assassino. Si mise cautamente alla prova dal punto di vista di distaccata oggettività che bene o male aveva conquistato nelle ultime due ore. Era pronto a considerare l'ipotesi che Colin... perché Colin... No, non era ancora pronto. Raggiunse la porta del garage e guardò dentro, restando sorpreso da ciò che vide. «Sergente!», lo apostrofò Backhouse con tono autorevole. Pascoe ubbidì d'istinto alla convocazione formale, e prima di porsi domande sul suo tono di comando aveva già raggiunto il sovrintendente sulla soglia del cottage. Un nuovo aspetto della psicologia del loro rapporto, forse. Un modo di ricordargli la sua posizione ufficiale di subordinato. O forse il servizio prestato sotto Dalziel l'aveva reso troppo sospettoso nei confronti delle motivazioni che spingevano i sovrintendenti ad agire. Magari Backhouse aveva semplicemente usato il suo titolo ufficiale per non attirare su di lui l'attenzione dei giornalisti. Era chiaro che, mentre si allontanavano in un gruppetto amichevole, quasi spensierato, questi non avevano il minimo sospetto di essere tanto vicini all'uomo che aveva scoperto i cadaveri. Nel cottage la scena era molto cambiata. Dopo la scrupolosa ricerca e il lavoro di esame delle impronte digitali svolto dai poliziotti non era stato fatto alcun tentativo di rassettare. Perché darsi pena, quando non c'era alcuna probabilità che un proprietario arrabbiato andasse a lamentarsi? Backhouse non la pensava così. «Per l'amor del cielo, Hamblyn», disse al detective dai baffi color zenzero che andò ad accoglierlo, «faccia ripulire questo posto. E quelle macchine, là fuori... Quando vorrò un posto di blocco qui, lo chiederò». «Sissignore», disse Hamblyn con voce priva di emozioni. «Novità?». «Niente di utile, signore. Non per quanto ho potuto vedere. Notizie dell'auto, signore?». «Temo di no».
Pascoe parlò a bassa voce, esitante. «C'è una macchina in garage», disse. Mentre lo diceva suonava stupido, ma, al diavolo, doveva dirlo. Non era possibile che non ci avessero guardato... o sì? «Certo, certo, credo bene che ci sia», disse Backhouse. Poi scoppiò a ridere. «Ah, capisco il suo dilemma», riprese. «Sì, è vero che l'auto degli Hopkins è in garage. Ma quella che interessa a noi è l'altra. Mini-Cooper azzurro scuro, secondo quanto ci è stato riferito. Quella con cui sono arrivati il signor Rushworth e il signor Mansfield». Pascoe era mortificato. Hamblyn lo guardava con espressione lievemente disgustata. «Andiamo in giardino», disse Backhouse, come un ospite gentile desideroso di stimolare i succhi gastrici dei suoi ospiti prima di pranzo. Attraversarono la sala da pranzo, scavalcando le sagome tracciate con il gesso e le macchie di sangue evidenziate con i cerchi, e uscirono in giardino dalla portafinestra, fermandosi accanto alla meridiana. Mi riservano proprio il trattamento completo, pensò Pascoe. Cosa si aspettano da me? L'attuale indirizzo di Colin? «L'auto degli Hopkins era nel garage, quella degli ospiti sul vialetto d'ingresso», disse Backhouse. «È la sistemazione più logica, ed è quanto hanno visto le poche persone da noi interrogate che sono passate di qui ieri sera presto». «Non potevano vedere dentro il garage», fece notare Pascoe. «Giusto», disse Backhouse. «Ora, ecco cos'è accaduto, o cosa è probabile sia accaduto, sulla base solida di quanto effettivamente sappiamo. C'era un mucchio di vetri rotti sparsi qui intorno, ha notato? Una bottiglia di whisky: questo è stato piuttosto facile stabilirlo. Erano forti bevitori i suoi amici?». «Solo occasionalmente», rispose Pascoe, sapendo che l'interrogatorio era iniziato. «E raramente l'occasione meritava i soldi spesi per lo scotch. Ma sono passati anni... Le cose cambiano». «Certo, naturalmente. Bene, stiamo facendo un porta a porta completo, ma il primo posto dove sono andati i miei uomini è l'Eagle and Child, il secondo il Queen Anne. Il whisky l'ha comprato lì». «Il whisky?». «Esatto», disse Backhouse soprappensiero. «Verso le nove meno un quarto di ieri sera. Curioso. L'Eagle and Child è più vicino. Fa niente. La
moglie del proprietario che le ha venduto la bottiglia al banco per la vendita al pubblico non ha visto la macchina, ma l'ha sentita allontanarsi. Crede che il rumore fosse più quello di una Mini-Cooper che quello della Cortina degli Hopkins». «Che orecchio fino», commentò Pascoe, guardando un paio di tordi che, avendo deciso che i poliziotti erano innocui, sondavano il terreno alla ricerca di vermi. «Senza dubbio troveremo qualcuno che lo confermi», disse Backhouse. «Per come stanno le cose, sembra probabile che abbiano cominciato a bere dopo cena. Quando lo scotch ha iniziato a calare, la signora Hopkins si è offerta volontaria per andarne a comprare dell'altro; ha preso la macchina degli ospiti, dato che avrebbe dovuto spostarla in ogni caso per tirare fuori la sua. Al ritorno, i casi sono due: o è andata dritto in giardino, o è entrata dalla porta principale e poi è uscita dalla portafinestra». «E poi le hanno sparato», disse Pascoe. «Sembra probabile. Immediatamente dopo il suo ritorno a casa. Aveva ancora in mano la bottiglia piena, sa? Abbiamo trovato il tappo con il sigillo intatto. Deve aver tenuto la bottiglia davanti a sé, per parare lo sparo o per usarla come arma. La fucilata l'ha colpita in pieno. C'erano frammenti di vetro profondamente incastrati nella ferita. È probabile che qualcuno dei suoi amici possedesse un fucile da caccia, secondo lei?». «Non lo so proprio», disse Pascoe irritato. «Gliel'ho già detto, sovrintendente, questa era una specie di rimpatriata. Non vedevo quelle persone da anni. Come posso sapere cosa è probabile che facessero adesso?». «Le persone cambiano così tanto?». «Se cambiano? Quando qualcuno spara loro un paio d'once di pallettoni in piena faccia cambiano eccome!». Pascoe si accorse che stava quasi urlando. Cristo, pensò, dovrei tornare anch'io a stendermi su uno dei comodi letti dell'agente Crowther dopo essermi imbottito delle miracolose pillole del dottor Hardisty. «Signore!». Era Hamblyn dalla portafinestra. Dietro di lui c'erano due uomini. «È il dottor French, il coroner, signore». «Salve, sovrintendente», disse il più alto dei due uomini che stava entrando nel giardino. Era più di un metro e ottantacinque, i lineamenti scarni, una bella abbronzatura, con il naso che mostrava le tacche più pallide caratteristiche di chi si mette spesso gli occhiali. Il suo compagno era più basso di venti centimetri buoni, meno appariscente sotto tutti i punti di vi-
sta, ma il volto pallido e ovale era intelligente e tutt'altro che debole. Entrambi indossavano abiti sportivi, French con una preferenza per i colori accesi, il compagno molto più sobrio. «Mi dispiace che ci abbiamo messo tanto. Avrete pensato che sarei stato il primo ad arrivare, visto che praticamente abito accanto a loro. Ma ero a metà del campo da golf con Culpepper, qui. Che brutta faccenda... Terribile. È meglio che mi diate tutte le informazioni di cui posso aver bisogno». Culpepper, pensò Pascoe mentre Backhouse e il coroner tornavano insieme nel cottage. La segretaria del comitato si chiamava Marianne Culpepper. Il marito, forse? L'uomo si rivolse a lui, e le sue parole sembrarono confermare l'ipotesi. I suoi occhi osservavano ogni cosa. Nonostante l'aria di tranquilla autorità, sentì il bisogno di fornire una spiegazione. «Mi scusi, potrebbe... Lei è con la polizia, vero?». «Pascoe, signore. Sergente Pascoe». «Non è una semplice curiosità morbosa a portarmi qui, sergente. Abito qui vicino. Conoscevo queste persone, gli Hopkins, intendo. Quando il signor French mi ha detto il motivo per cui doveva tornare, non potevo credere alle mie orecchie». Tacque. «Quanto vicino abita, signore?», chiese Pascoe. Era più facile calarsi nel ruolo del poliziotto che spiegare la propria posizione. «Un po' più di mezzo chilometro. Dietro il fianco della collina». Fece un gesto vago verso il rilievo di terreno che si trovava a sud del villaggio. «Cos'è successo qui, sergente? È vero che sono tutti morti?». «La signora Hopkins è morta», disse Pascoe in tono neutro. «E anche i signori Mansfield e Rushworth, due ospiti che passavano la notte da loro». «Oh, mio Dio. E Colin, il signor Hopkins? E gli altri ospiti?». «Gli altri ospiti?», chiese bruscamente Pascoe. «Sì. Ieri sera ho incontrato la signora Hopkins in paese, tornando dall'ufficio. Alle cinque, più o meno. Sembra impossibile... Comunque, li ho invitati a bere qualcosa per quella sera, ma lei mi ha spiegato che avrebbero avuto la casa piena di ospiti. Quattro, ha detto. Come minimo». Pascoe aveva telefonato alle cinque e mezza per dire che lui e Ellie non potevano andare quella sera. Se solo non fosse spuntato fuori quel caso... o se Dalziel non avesse insistito... due persone in più forse avrebbero scoraggiato chiunque volesse tentare qualche sortita con una doppietta. Che cosa versatile era la colpa, così facile da addossare ad altri o da prendere su
di sé. «Conosceva gli Hopkins da molto, signor Culpepper?», chiese Pascoe, glissando a proposito degli ospiti. «Non da molto. Solo due o tre mesi, da quando hanno acquistato Brookside, per la precisione. Ci hanno lavorato così tanto. Quando l'hanno comprato questo non era affatto in buono stato, sa? E loro hanno fatto miracoli, veramente». La sua voce si spense. «So che è stato il signor Pelman a vendere loro il cottage...». «Sì». Qualcosa in quel sì indusse Pascoe a insistere sulla stessa linea. «Viveva qui prima di vendere la casa?». Culpepper sorrise senza allegria. «No. Il cottage sorge al confine del terreno che Pelman comprò quando arrivò qui, cinque anni fa. La sua casa è dall'altra parte del bosco, il suo bosco. Era questo che voleva, naturalmente. Un posto dove potersi cimentare con l'intelligenza di vari piccoli uccelli e animali. Una competizione alquanto impari, temo». Crede che sia troppo tonto per capire la doppia ironia? si chiese Pascoe. «È strano, non trova, che il presidente del Comitato locale lasci andare in rovina una proprietà come questa?», mormorò Pascoe. Culpepper sollevò le sopracciglia. «Le raccoglie in fretta le informazioni, sergente». «Quando siamo in servizio, trascorriamo il tempo a spigolare nei campi altrui, signor Culpepper». L'uomo annuì bruscamente due volte, come se avesse ricevuto la conferma di qualcosa. «Lei è l'amico poliziotto degli Hopkins, vero? Uno dei loro ospiti per il fine settimana». Così ero un oggetto di interesse, degno di una speciale menzione. Come uno scrittore famoso. O un uomo con due teste. E cosa farà adesso, signor Culpepper? si chiese Pascoe. Si indignerà per il mio blando inganno? «Mi dispiace, non avevo capito. Dev'essere una situazione intollerabile per lei», disse Culpepper con una simpatia in apparenza sincera. «Era qui quando è accaduto?». «No», tagliò corto Pascoe. «Li ho trovati stamattina quando siamo arrivati». «Terribile. Ha detto 'siamo'?».
«Un'amica. Sta riposando adesso. È stato un brutto colpo». «Terribile. Terribile. Cose simili ti perseguitano e ti torturano la mente». Ricomparvero Backhouse e French. «Sei pronto Hartley?», lo chiamò il coroner. «Allora oggi alle due e mezzo, sovrintendente. Spero che troviate presto il vostro uomo». Girò lo sguardo su Pascoe e scosse leggermente la testa senza parlare. Culpepper tese la mano. «Arrivederci, signor Pascoe. Mi dispiace che ci siamo conosciuti in queste circostanze. I suoi amici erano compaesani deliziosi. Ci ritenevamo fortunati che fossero venuti ad abitare qui». Pascoe gli strinse la mano. Non c'era niente da replicare, tranne forse che Rose non avrebbe definito una fortuna essere andata ad abitare lì; e neppure Colin, dovunque fosse. Era quella l'unica cosa di cui valeva davvero la pena di parlare. Dov'era Colin. E perché. Ormai Backhouse doveva essere pronto ad affrontare l'argomento. Lo era. French e Culpepper non erano ancora usciti dal giardino che Backhouse fece la domanda cruciale: «Adesso che ha avuto tempo per riflettere, sergente, mi dica: perché un uomo come Colin Hopkins dovrebbe prendere un fucile da caccia e ammazzare la moglie e due amici intimi?». 4 Si aspettava la domanda e aveva sentito le riserve di rabbiosa indignazione accumularsi dentro di sé, pronte a esplodere quando gliel'avessero fatta. Ma per qualche motivo la scintilla non prese fuoco. «Non sappiamo se l'ha fatto», protestò debolmente. «Lei è un poliziotto», replicò Backhouse. «Supponga che questo sia un caso affidato a lei. Su quale ipotesi starebbe lavorando?». «È tutto basato sugli indizi. Se lei conoscesse Colin, saprebbe che non è possibile, punto e basta». «Ho conosciuto qualche assassino», disse Backhouse paziente, «e direi che ne abbia conosciuti un paio anche lei. Una cosa che quasi tutti avevano in comune era un gruppetto di amici fraterni pronti a testimoniare con la più veemente sincerità che l'accusato era incapace di commettere quel crimine. Ho ragione?». «Immagino di sì». «Bene. Ad ogni modo, come mi ha detto prima, pochi anni possono
cambiare le cose. Le situazioni di sicuro. Le persone anche, seppure in misura minore. Perciò mi dica quello che sa, quello che ricorda. È un uomo irascibile?». «Che diavolo significa?», sbottò Pascoe. Se avevano intenzione di interrogarlo come un qualsiasi testimone, allora voleva godere di alcuni dei privilegi di un comune testimone, come per esempio la possibilità di rispondere male al poliziotto che ti sta interrogando. «Lo state cercando comunque. Lo troverete, lo interrogherete. Se avrete prove sufficienti, lo porterete in tribunale. Quindi perché perdere tempo a parlare con me?». «Sa bene perché, sergente», rispose freddamente Backhouse. «È naturale che lo stiamo cercando. E certamente i miei uomini - i suoi colleghi - penseranno che sia molto probabile che abbia commesso il triplice omicidio. Supporranno inoltre che abbia con sé una doppietta e che sia pronto a usarla. Io voglio delle informazioni, tutte le informazioni che posso raccogliere. Voglio sapere qual è il modo migliore per affrontarlo, quali potrebbero essere le sue reazioni. Quando ho saputo che lei era della polizia ho pensato che fosse una fortuna. Un professionista che arriva per primo sulla scena del delitto. Pensavo che la sua sfortuna potesse essere una fortuna per me». «Ricevuto forte e chiaro», disse Pascoe con enfasi forzata. «Semplicemente non riesco a credere che sia stato lui». «Direi che è normale. Allora perché tanto antagonismo? Mi racconti qualcosa che provi la sua innocenza. Era un uomo geloso, secondo lei? Sua moglie gli avrebbe dato motivo di esserlo?». «Difficile», disse Pascoe aggrottando la fronte. «Almeno sembrava che si fossero sistemati per tutta la vita. Chieda a Ellie, la signorina Soper. Lei li ha visti più di me, recentemente. Ma abbiamo parlato molto di loro e di sicuro avrebbe menzionato eventuali segni di rottura». «C'erano due uomini non sposati nella casa, ieri sera», disse Backhouse in tono casuale. «Vecchi amici. Di prima del matrimonio». Pascoe adesso rideva. «Ah, capisco! Il triangolo. O magari il quadrilatero. È un'ipotesi sballata, sovrintendente. Timmy e Carlo erano, se possibile, ancor più uniti di Rose e Colin». «Ho capito», disse Backhouse con voce sommessa. «Ho capito. Ma le cose cambiano, come ha detto lei. E anche i... gusti. Cosa avrebbe potuto provocare uno dei terribili scoppi di collera del signor Hopkins?». «Prego?».
«Nella lettera che mi ha fatto leggere, lui dice qualcosa a proposito del fatto che la sua collera sarebbe stata terribile se lei non si fosse presentato, e aggiunge che lei sa bene quanto possa essere tremenda la sua collera. Un semplice modo di dire?». Pascoe avanzò lentamente di qualche passo, e si fermò sull'orlo del pendio che scendeva ripido fino al ruscello. Tutta l'attività della polizia era concentrata dalla parte opposta del bosco. Una ricerca lenta, metodica e del tutto improduttiva. Nonostante il sole fosse caldo, molti dei poliziotti indossavano copripantaloni impermeabili perché il sottobosco era ancora zuppo per la pioggia torrenziale della sera prima che, se aveva cancellato ogni segno di un passaggio umano, non poteva certo cancellare un fucile. «Non è un modo di dire», riprese Pascoe. «Aveva un carattere focoso. Non violento, però; non si è mai trasformato in violenza contro gli altri. Di certo non era mai arrivato neppure vicino a uno scoppio di rabbia tale da indurre un uomo a imbracciare un fucile, uccidere due amici, ricaricare e sparare a sua moglie. A proposito, si sa qualcosa del fucile?». «Un 410, lo sappiamo dalle cartucce. Ma questo è tutto. Nel cottage non c'è traccia di porto d'armi. Hopkins era il tipo d'uomo che si sarebbe divertito a sparare? Per sport, intendo dire». «Non l'ho mai sentito esprimere un interesse in quel senso. Anche se non era contrario, come Carlo e Timmy». «E sua moglie? Era contraria anche lei?». «Rose? Diavolo, no. Rose è cresciuta in campagna, era abituata all'idea che gli uccelli piombassero giù dai rami degli alberi direttamente nel pasticcio di carne». «Sicché la presenza di questo...» Backhouse fece un cenno in direzione del bosco «... dietro al loro giardino potrebbe aver costituito una tentazione?». «Perché non chiede a Pelman? Certo lui saprà se qualcuno sparava nella sua proprietà». Backhouse sorrise. «Oh, gliel'abbiamo chiesto, non tema. E stiamo controllando ogni singolo porto d'armi rilasciato qui negli ultimi tre mesi. Il signor Dalziel sarebbe fiero di noi. Perciò lei ritiene che non ci sia alcuna possibilità che l'abbia fatto in un accesso di furia cieca?». Pascoe stava iniziando ad adattarsi alla tecnica usata da Backhouse per gli interrogatori e rispose immediatamente: «Nessuna possibilità. Punto». «In un accesso di furia cieca no. Allora che ne dice se l'avesse fatto a
sangue freddo? C'è qualcosa che più di tutto avrebbe indotto il suo collerico ed estroverso amico a prendere in considerazione di sparare a qualcuno a sangue freddo?». «Questa ipotesi è ancora più improbabile dell'altra!». «Perciò è più probabile che l'abbia fatto in un accesso d'ira». «Non ho detto questo», protestò Pascoe. «Mi scusi. Pensavo avesse detto che era meno probabile che l'avesse fatto a sangue freddo». «Per l'amor del Cielo! Non siamo in tribunale!», scattò Pascoe, stufo di quel gioco verbale. «Meglio per il suo amico se non lo siamo», disse Backhouse, voltandosi e procedendo verso il cottage. Pascoe lo seguì avvilito ed entrò insieme a lui nella sala da pranzo. Rimasero in piedi uno vicino all'altro, guardando i profili tracciati col gesso sul pavimento. «Anche questi erano suoi amici», disse Backhouse. «Innocente o colpevole che sia, ha una vaga idea di dove un uomo come Colin Hopkins sarebbe andato dopo una cosa del genere?». «Al più vicino posto di polizia». Backhouse si strinse nelle spalle rassegnato. «Ed è lì che la lascerò, sergente. Grazie per il suo aiuto». «Mi dispiace», disse Pascoe. «A quanto pare non c'è niente di utile che io possa dirle. Mi dispiace». «Non importa. Torni dalla signorina Soper. Farò un'altra chiacchierata con lei, quando se la sentirà. Se ha visto i vostri amici più di recente, forse potrà aiutarmi». «Sì», disse Pascoe precedendolo alla macchina. Nell'uscire dal cottage provò un gran senso di sollievo. «L'inchiesta sarà aperta nella scuola del paese oggi pomeriggio», gli comunicò Backhouse. «Solo identificazione e causa della morte, credo. La solita procedura. Alle due e mezza. Non ci sarà bisogno della signorina Soper in questa fase. Manderò una macchina a prenderla». «Sì». Il resto del breve viaggio trascorse in silenzio. Sono una vera delusione per lui, pensò Pascoe. Tutta quella gentilezza sprecata. Ellie dormiva ancora, perciò Pascoe tornò da basso. La signora Crowther mise la testa fuori dalla cucina e chiese come stava la signora. «Dorme», rispose Pascoe. «Ma ha un colorito migliore». «Bene. Si sentirà meglio. Lei sarà affamato, senza dubbio. Che ne dice
di una fetta di prosciutto con le uova?». «No, non voglio assolutamente che si disturbi», protestò Pascoe, rendendosi conto con un po' di sorpresa di quanta fame avesse. «Ma nemmeno per sogno. Crowther sarà qui a minuti a mangiare, non è affatto un disturbo». Era un pasto ben cucinato, e fu interrotto due volte dal telefono. La prima volta era Dalziel. «Sta bene?», si informò. «Bene», rispose Pascoe. «Ho qui il suo rapporto sull'effrazione dai Cottingley. Lei scrive come un dannato pubblicitario per una dannata rivista femminile. Quando deve dire che ha pisciato nel bollitore, perché diavolo non scrive 'ha pisciato nel bollitore'?». «Mi dispiace». «È un bastardo questo qui. Ma intelligente. Se non lo prendiamo subito, farà in tempo ad andare in pensione. Come sta la sua ragazza?». «Riposa. Si riprenderà». «Buono. Stanno dietro al suo amico, ho sentito». «Sì». «Eh, già. Ci hanno avvertiti di stare in guardia, quassù. Che ne pensa? È stato lui?». «La cosa non si presenta bene». «Ma lei non ci crede, vero? Be', mi ascolti, voglio darle un consiglio. Non si immischi più del necessario. Reciti la sua tiritera, firmi la deposizione e torni a casa. Lasci fare a Backhouse. È un po' una vecchia zitella, ma non è un cattivo diavolo. E non si lasci menare per il naso dalle sue buone maniere. Non ci penserà due volte a metterla nei pasticci, se pensa che sia necessario». «Sì, signore. Probabilmente torneremo domani». «Lo spero proprio, perdio. Lei dev'essere qui alle otto e mezza di lunedì mattina. Niente ritardi. Su con la vita». Altrettanto a te, pensò Pascoe guardando il ricevitore. Il grassone bastardo probabilmente si stava congratulando con se stesso per avergli somministrato una raffinata terapia psicologica. Il telefono suonò di nuovo e la signora Crowther rimise in forno il piatto tenuto in caldo per lui. Questa volta, con sua grande sorpresa, era Hartley Culpepper. «Speravo di trovarla lì, signor Pascoe. Mi è venuto in mente dopo averla
lasciata al cottage: rimane in paese stanotte?». «Be', sì», rispose Pascoe sorpreso. «Sì, immagino che rimarremo qui». «Avete già prenotato da qualche parte?». «No. Non ancora. Non ci ho neppure pensato, per la verità», rispose Pascoe. Era vero: non aveva dedicato neppure un pensiero a dove avrebbero trascorso la notte. Immaginava che i Crowther in caso di necessità avrebbero ospitato Ellie, ma per loro sarebbe stato un grosso disturbo. «Magari in uno dei pub», meditò ad alta voce. «Neanche per sogno», disse deciso Culpepper: «Saremmo felicissimi se vi fermaste da noi. Volevo chiedere a lei e alla sua amica di venire a cena, ad ogni modo. Quindi, perché non vi portate dietro le valige? Siete stati sottoposti a una tensione terribile. Vi farà bene - farà bene a tutti noi trovarvi in una compagnia amichevole. Venite, vi prego». «È molto gentile da parte sua...», disse Pascoe dubbioso. «Perfetto», lo interruppe Culpepper. «Vi aspettiamo intorno all'ora del tè. I Crowther vi daranno tutte le indicazioni. A dopo». Oggi tutti quanti hanno l'ultima parola, pensò Pascoe. L'agente Crowther era arrivato a casa e stava prendendo posto al lato opposto del tavolo da cucina. Fece un cenno di riconoscimento a Pascoe e si apprestò a consumare il suo pranzo. Rimase in silenzio, per la fame o per una forma di diplomazia, e lo stesso Pascoe non parlò finché non ebbe finito di mangiare senza ulteriori interruzioni. «Questa faccenda significherà un mucchio di lavoro per lei», disse alla fine. Crowther annuì. «Un po'. C'è una birra nella credenza dietro di lei, se la vuole». «Grazie», rispose Pascoe. «Di solito è un distretto tranquillo questo?». «Abbastanza. Molti furti con scasso». «Davvero?». Crowther assentì masticando sistematicamente il suo prosciutto. Circa trenta volte prima di ingoiare, calcolò Pascoe. «Vede, ci sono perlopiù uomini d'affari», riprese Crowther, «che lavorano in città. Hanno costruito parecchio». Un altro boccone. Altri trenta masticamenti. «E ristrutturato». «Come a Brookside Cottage?». «Esatto», rispose Crowther, annuendo con convinzione. «Era vuoto quando il signor Pelman ha deciso di venderlo?».
«Esatto». Altro boccone. Questa volta Pascoe li contò: ventottoventinove. «Al signor Pelman non piaceva. Era un'entrata comoda dalla strada nel suo bosco per chiunque volesse sparare a qualche uccello. E poi nei cottage entravano sempre a rubare. Non che ci fosse qualcosa da prendere, capisce? Facevano pratica per roba più grossa, ho immaginato. Ma facevano un sacco di danni». Sicché vandali e cacciatori di frodo gironzolavano intorno a Brookside Cottage. E assassini? Era sorprendente sapere quante persone si trovassero nelle condizioni giuste per farlo. Perfino persone che si conoscevano piuttosto bene. «Sicché Pelman l'ha messo in vendita», rifletté Pascoe ad alta voce. «Molto furbo. Ci ha ricavato un po' di soldi e nello stesso tempo aveva qualcuno a presidiare il suo avamposto». «Quello mica tanto», obiettò Crowther. «Si può entrare nei boschi di Pelman da una dozzina di altri punti. E comunque non è che dentro ci sia un granché». «Niente daini rossi e grizzly?». «No», rispose Crowther, e aggiunse, a mo' di rimprovero per la frivolezza dimostrata da Pascoe: «Solo un mucchio di sbirri, al momento». Pascoe sorseggiò la birra. A quanto pareva, Crowther la preferiva scura e tiepida. La cosa gli fece venire in mente i due pub del villaggio, in uno dei quali Rose Hopkins era stata vista per l'ultima volta da qualcuno sopravvissuto per raccontarlo. A parte una persona. «Che differenza c'è tra l'Eagle and Child e il Queen Anne?», domandò. Suonava come un indovinello per bambini, ma Crowther non parve in difficoltà. «L'Eagle non fa parte di una catena. Il proprietario è il maggiore Palfrey. L'Anne è legato alla fabbrica di birra. I Dixon lo gestiscono e basta. Cioè, non 'e basta'. Lo gestiscono molto bene, voglio dire. Coppia simpatica». «Chi frequenta quale? O la gente va semplicemente nel più vicino?». Crowther lo scrutò attentamente. «Non saprei dire», fu la risposta. «Io vado all'Anne». «Solo perché è il più vicino?», insistette Pascoe. «Avrei pensato che i locali rappresentanti della legge fossero tenuti a far mostra di imparzialità nei confronti degli esercizi con licenza». «È quello che faccio», ribatté Crowther. «Quando sono in servizio. Ma fuori servizio mi piace stare comodo quando bevo». Sembrò ricordarsi che Pascoe era un collega e si sporse confidenzial-
mente sul tavolo. «La differenza è - e questo vale solo per me, badi bene - che i Dixon ti fanno sentire il benvenuto, mentre sembra sempre che il maggiore ti stia facendo un favore a portarti una pinta». Annuì con enfasi e iniziò ad arrotolarsi una sigaretta assurdamente sottile con l'aiuto di un'arcaica macchinetta. Pascoe rise con aria d'intesa. «Il maggiore Palfrey pensa di essere il signorotto locale più che il padrone di casa, eh?». «È il guaio di questo posto, al giorno d'oggi», dichiarò con convinzione l'agente, accendendosi la sigaretta che prese fuoco come una miccia. «È pieno di dannati signorotti. E il problema è che non ci sono abbastanza contadini in circolazione». A quanto pareva, l'agente Crowther faceva sempre un pisolino di dieci minuti dopo pranzo e quel giorno non vedeva il motivo di interrompere la sua routine. A Pascoe dispiacque. Trovava interessante la conversazione con quell'uomo, e aveva un disperato bisogno di interessarsi a qualcosa. Decise di fare una passeggiata, magari fino al villaggio, per scoprire come procedevano le cose. Mentre si alzava da tavola si rese conto di non aver comunicato la loro sistemazione per la serata. La signora Crowther entrò in cucina e si affaccendò intorno al marito che russava, sparecchiando senza sforzarsi minimamente di fare poco rumore. «La signorina Soper e io passeremo la notte a casa del signor Culpepper», disse Pascoe. «Però vorrei lasciar dormire la signorina Soper il più possibile. Ci sono problemi?». «Avremmo potuto tenervi qui», rispose la donna. «Il nostro ragazzo poteva dormire sulla branda». «Grazie davvero. Ma non volevo disturbarvi. E il signor Culpepper ha insistito parecchio». Crowther aprì gli occhi e guardò Pascoe dritto in faccia. «Culpepper», disse. Il nome risuonò come un'accusa. Poi si rimise a dormire. Nell'opinione di Crowther, Culpepper era proprio uno di quelli che si erano autonominati signori del luogo, pensò Pascoe, in piedi davanti al posto di polizia nel sole splendente, mentre cercava di orientarsi. Non era sicuro che gli piacesse del tutto quello che vedeva. Non che non fosse grazioso. In un passato non troppo lontano, Thornton Lacey doveva essere stato un borgo di una ventina di case più una chiesa, un emporio e un pub,
che serviva le numerose fattorie della ricca campagna circostante. Ma i tempi erano cambiati. Un giorno, forse solo una ventina d'anni prima, in cima alla collina era spuntato il primo... Il primo cosa? Ricordò l'espressione usata da Colin, 'smorti cittadini'. Il primo smorto cittadino. E presto dovevano esserne arrivate intere orde. E stavano ancora arrivando. Ricordò che mentre arrivavano in macchina, quella mattina, attraversando la periferia del villaggio un cartello aveva attirato la loro attenzione: 'Ampliamento area per residenze di lusso'. Si erano messi a ridere pensando a Rose e Colin in quella compagnia. Molte cose li avevano fatti ridere durante quel viaggio. Con uno sforzo di volontà riportò l'attenzione sul villaggio. Gli smorti cittadini avevano bisogno di servizi. C'era un salone di parrucchiere per signora perfettamente inserito sotto un piano superiore costruito con assi tutte sbilenche. Si vedevano come minimo due antichi negozi con le insegne a lettere gotiche. Gli smorti cittadini di passaggio dovevano essere allettati a fermarsi e investire nel passato. Ma non a fermarsi stabilmente, sospettò Pascoe. Nessuno difende la campagna e le sue tradizioni più ferocemente di colui che ha appena ricevuto la licenza edilizia per il mezzo acro di sua proprietà. Non sapeva perché, ma il Comitato locale non gli pareva proprio un sindacato di lavoratori agricoli. Ancora quella maledetta donna, pensò Pascoe tetro. Perché l'ho presa in antipatia tanto e tanto in fretta? E sto per passare la notte sotto il suo tetto. Ma perché cavolo ho accettato? Non ne avevo la minima intenzione. La rabbia che aveva sobbollito sotto la superficie per tutta la mattina all'improvviso affiorò di nuovo. Aveva camminato per circa duecento metri per la lunga e serpeggiante strada del villaggio e si accorse di trovarsi di fronte al Queen Anne. D'impulso attraversò la strada ed entrò. Era quasi l'ora di chiusura e il bar era vuoto. «Una birra, per favore», disse alla donna attraente e dal corpo sodo che andò a prendere la sua ordinazione. «Questo caldo fa venir sete», disse lei con un sorriso. «Fate anche da locanda?», chiese Pascoe sorseggiando la birra. «No, mi dispiace. Dovrebbe provare all'Eagle and Child. Hanno un paio di stanze e qualche volta le danno». «Grazie. Lei è la signora Dixon, a proposito?», chiese Pascoe. «Esatto», rispose la donna, guardandolo con subitanea circospezione. «Perché?». «Ha servito lei la signora Hopkins, Rose Hopkins di Brookside Cottage,
ieri sera, credo». «Sì, sì, certo». Gettò un'occhiata verso l'altra sala del bar. «Sam, Sam, tesoro. Vieni un attimo?». Un uomo dai capelli rossi e dal viso allegro, robusto come la moglie, entrò con il sorriso sulle labbra. Pascoe capì perché Crowther si sentisse il benvenuto. «Buongiorno, signore. Sì, cara?». «Questo signore chiedeva della signora Hopkins». Sam Dixon compose i lineamenti in un'espressione solenne per la quale evidentemente non erano stati creati. «Una faccenda terribile. È della stampa, signore?». «No», disse Pascoe. Per un attimo l'uomo parve confuso. «Il fatto è», disse alla fine, «che è una cosa sconvolgente. Molly, mia moglie, ha già parlato con la polizia. Ora, normalmente a noi non piace parlare dei nostri avventori, ma in circostanze come questa, specialmente con amici della povera donna...». «Io sono un amico», ribatté prontamente Pascoe. Apprezzava la diplomazia di quell'uomo, ma non poté evitare che dalla sua voce trasparisse l'impazienza. «Ero un amico. Non sono in cerca di qualche titillamento sensazionalistico». «Non ho mai detto che lo fosse, signore», replicò tranquillo Dixon. «No, certo che no. Mi scusi», replicò Pascoe. «Il fatto è che... be'... li ho trovati io, capisce?». Assurdamente si ritrovò incapace di proseguire. Una parte di lui era distaccata, e considerava il fenomeno con una sorta di interesse professionale. Nel suo lavoro aveva assistito a quel momento centinaia di volte, stava in guardia per coglierlo, l'istante in cui il testimone di un crimine o di un incidente percepisce quello che ha visto. Era una sindrome il cui insorgere era del tutto imprevedibile, accompagnata talvolta da un crollo totale o da una lieve amnesia, dal panico cieco o, come nel suo caso, dalla temporanea paralisi degli organi della fonazione. Un bicchierone di brandy comparve dal nulla e gli venne messo sotto il naso. Se dovevi proprio farti commiserare così, disse la sua metà distaccata, decisamente hai scelto il posto giusto. «Si sieda, si sieda. Beva questo. Niente di meglio per schiarire le idee». «Mi dispiace», disse Pascoe recuperando all'improvviso l'uso della lingua. «È ridicolo».
«Niente affatto. Forza, butti giù quel brandy». Pascoe obbedì e si sentì decisamente meglio. «Siete molto gentili», disse cercando di recuperare il controllo della situazione. «Mi dispiace. Avrei dovuto dire chi ero prima di mettermi a fare domande». «Non si preoccupi». Dixon lo scrutò con la consumata perizia del barman esperto che diagnostica le condizioni dei suoi avventori. Evidentemente Pascoe superò l'esame. «Cosa voleva sapere?». «Solo cos'è successo quando la signora Hopkins è entrata. Cos'ha detto. Questo genere di cose». Era idiota. Poteva trovare tutto nei verbali delle indagini, e Backhouse forse glieli avrebbe lasciati consultare. Di certo poteva fare in modo di dare un'occhiata in via non ufficiale. Cosa si aspettava, comunque? Di individuare un indizio celato con incredibile sottigliezza che avrebbe rivelato cos'era accaduto precisamente la sera prima e provare che Colin... era innocente? Doveva per forza essere innocente! Ma allora dove cavolo si era cacciato? «Non c'è niente di speciale da dire su ieri sera», stava dicendo Molly Dixon. «Eravamo molto impegnati. Sarebbe normale a quell'ora di venerdì sera, ma era peggio del solito ed ero da sola con la barista, che è un tantino lenta. Sam era alla riunione del Comitato locale. Rose è venuta al banco per la vendita al pubblico, laggiù». Indicò un piccolo passavivande che si scorgeva attraverso una porta che collegava le due sale bar. «C'è un campanello là dentro. Lei l'ha suonato e io sono andata più presto che potevo. 'Una bottiglia di scotch', ha detto lei. 'Il primo che capita va bene. Vedo che hai molto da fare'. Le ho dato la bottiglia. 'Va bene questo?', ho chiesto. 'Qualsiasi', ha risposto lei. 'Hanno bevuto talmente tanto che potrei anche dargli del tè freddo'. 'Proverei con il caffè bollente, se sono messi così male', ho detto. Mi ha dato i soldi, ha preso la bottiglia ed è uscita. Le dovevo del resto. Le ho urlato dietro, ma non mi ha sentito, e poi ho udito avviarsi una macchina, per cui mi sono ributtata nella mischia». «La Mini-Cooper? Ha sentito la Mini?», chiese Pascoe. «Non sono esperta fino a questo punto! Sembrava un rumore un po' sportivo, ecco tutto». «E non ha detto altro?». «Non che io ricordi. Era una serata molto affollata».
«Certo. Le sono molto grato», disse Pascoe. «Solo un'altra cosa. Ha chiamato la signora Hopkins 'Rose'». «È... era il suo nome, no?», disse Molly perplessa. «Sì, certo. Intendevo chiedere se la conosceva bene». «Oh, sì! Siamo andate molto d'accordo fin dall'inizio. Ho conosciuto lei e Colin solo un paio di mesi fa, ma abbiamo subito legato. Ecco perché è stato un tale colpo... non riesco ancora a crederci». «Non frequentavano l'altro pub, allora? L'Eagle and Child?». Intercettò una breve occhiata fra l'uomo e sua moglie. La intercettò, e credette anche di averla decifrata. «Forse ci sono andati qualche volta», disse Dixon in tono neutro. «Oh, via!», esclamò Pascoe. «Rose è morta e Dio solo sa cos'è successo a Colin. Potete dimenticare per una volta l'etichetta professionale, no?». Un'altra occhiata. Questa volta fu la donna a parlare. «In principio andavano là, credo. Era un po' più vicino al cottage ed è popolare tra...». Esitò. «I signorotti locali», completò Pascoe. «Poi cosa accadde?». «C'è stato qualche problema. Una discussione o qualcosa del genere». «Col maggiore?». «Non sono sicura. Non ce ne hanno parlato finché non ci siamo conosciuti meglio. Voglio dire, non erano tipi da entrare qui dentro e iniziare subito a lamentarsi dell'altro pub», protestò Molly. «Ha ragione», convenne Pascoe. «Non lo erano». «Ne hanno parlato solo come di uno scherzo. Dicendo quanto erano stati fortunati ad essere cacciati fuori dal 'Giardino dell'Eden'. Felix culpa, la chiamava Colin. Gli piaceva fare citazioni». «Sì, è vero», disse Pascoe. «Ma colpa di chi, mi chiedo». Si alzò. «Siete stati molto gentili. Colin e Rose erano sempre fortunati nella scelta degli amici». La frase suonò banale, o come minimo superflua. Ma era sincero, e i Dixon ovviamente lo capirono. La chiacchierata con i Dixon gli aveva risollevato il morale e quando entrò all'Eagle and Child si sentiva quasi allegro. Era una sala piacevole, fresca e gradevolmente rivestita di pannelli di legno. E quasi vuota. Non erano dei gran bevitori da quelle parti, non all'ora di pranzo, perlomeno. Su un tavolo d'angolo, un panino lasciato a metà e un bicchiere quasi vuoto indicavano che qualcuno era andato alla toilette. Ma gli unici avventori che si
vedevano erano seduti al bar. Uno era un uomo dai capelli grigi e dal viso affilato, in maniche di camicia. L'altro era molto più colorato. La lunga chioma rossiccia ricadeva lussureggiante sulle spalle, intorno alle quali era drappeggiata casualmente una giacca di morbida pelle di un giallo pastello. Il viso intelligente dell'uomo aveva un'espressione di attenzione rapita mentre ascoltava il suo compagno. Pascoe andò al banco e aspettò che comparisse qualcuno a servirlo. Non era impaziente. C'era un'aura fuori dal tempo in quella vecchia sala, che si adattava molto bene al suo stato d'animo. Era in qualche modo confortante pensare che Rose e Colin si fossero fatti tanto in fretta degli amici al villaggio. Secondo l'esperienza di Pascoe, la morte faceva emergere i ricordi migliori delle persone, ma nei complimenti dei Dixon aveva percepito qualcosa di sincero. Anche in quelli di Culpepper, e perfino nelle parole di Pelman, se era per questo. All'altro capo del bancone la voce dell'uomo magro si alzò per sottolineare una frase e divenne udibile. Era impossibile non sentire quello che diceva. «Ma se vuole la verità su quel tizio, Hopkins - e non si lasci sfuggire che gliel'ho detto io, mi raccomando - direi che non c'è il minimo dubbio che quell'uomo è un perfetto squilibrato. Fuori di testa. Io l'avevo detto fin dall'inizio». 5 La rabbia di Pascoe alla fine esplose. La parte professionale della sua mente gli stava dando dell'idiota, ma ciò non lo fece minimamente esitare. Attraversò la sala in un paio di falcate e afferrò per le spalle l'uomo dal viso affilato, facendolo girare con tale violenza che a momenti scivolò dallo sgabello, ed evitò di cadere solo mollando il bicchiere e aggrappandosi alla barra. Il bevitore in giacca di pelle balzò indietro con grande agilità e senza versare neppure un goccio della sua bevanda, poi si risedette per osservare con interesse la situazione. «Chi diavolo è lei?», chiese Pascoe in tono basso e incalzante. «Una specie di dottore? Uno psichiatra? Un assistente sociale, magari? O forse solo uno che ha l'incredibile dono di giudicare il prossimo alla prima occhiata?». Si accorse che sottolineava ogni frase sferrando violenti colpi con l'indi-
ce al diaframma dell'uomo. Lungi dal preoccuparsene, si ritrovò a pregustare l'enorme soddisfazione che avrebbe provato mettendo alla prova in un sol colpo tutte le sue abilità pugilistiche e stampando il pugno sulla sgradevole e ghignante faccia di quel tizio. Per essere giusti, il tizio non sembrava spaventato, ma semplicemente preso alla sprovvista dalla violenza dell'attacco. «Ma che diavolo... guarda qui... lei è pazzo!», protestò vivacemente. Pascoe aveva deciso. Neppure il ricordo dell'ultima volta che aveva sferrato un pugno in preda all'ira, con il risultato di procurare una lieve contusione alla vittima e la frattura dell'indice a se stesso, ebbe il potere di trattenerlo. Serrò il pugno. «Pascoe!». Era la voce stessa dell'autorità assoluta. Poteva essere Dalziel. Si girò. In piedi, emerso dall'oscurità dell'angolo in cui si trovava la toilette, c'era Backhouse. Un violento spintone alla schiena lo fece barcollare in avanti per alcuni passi. Il suo avversario aveva approfittato dell'interruzione, si era piazzato saldamente sulle gambe e aveva sferrato il contrattacco. Pascoe spostò lo sguardo alla figura grigia raccolta nella classica posa dell'attacco. Sembrava che sapesse il fatto suo, tuttavia ciò non gli impediva di apparire leggermente ridicolo, e Pascoe sentì defluire la rabbia mentre riconosceva anche la propria assurdità. «Va' all'inferno», disse stancamente, poi tirò fuori una sedia e si sedette di fronte al sovrintendente. Backhouse sembrava ancora in collera, ma non disse una parola. Prese invece il bicchiere non ancora vuoto e si diresse al bar. «Una birra leggera questa volta, per favore; e uno scotch». «Per quello? Lui non lo serviamo. Anzi, se non è fuori di qui entro trenta secondi, chiamo la polizia e lo faccio buttare fuori». Pascoe si girò sorpreso. Il suo avversario stava di fronte a Backhouse con lo stesso atteggiamento aggressivo. Doveva trattarsi di Palfrey, il maggiore, il proprietario del pub. Pascoe gemette internamente. Perfino il più duro dei duri accettava il principio che se si fa a botte in un pub, non bisogna mai prendersela con il proprietario. Si rese conto di aver messo Backhouse in una posizione scomoda. Il tizio dalla giacca di pelle poteva benissimo essere un giornalista. Quasi certamente lo era, a giudicare dal tono delle osservazioni rivoltegli da Palfrey. Non poteva sapere ancora chi fossero gli attori di quel piccolo
dramma, ma lo avrebbe scoperto presto. Pascoe si alzò e si avviò all'uscita. «Non importa», disse a Backhouse nel passare. «Preferisco i pub dove il barman sta dalla sua parte del bancone». Percorse trenta metri, si fermò e aspettò che Backhouse lo raggiungesse. «Il signor Dalziel non mi ha detto che era un violento», disse Backhouse come se stesse chiacchierando amabilmente. «Non lo sa», replicò Pascoe. «Tutte le volte che l'ho aggredito indossavo un pesante travestimento. Quel tizio farà qualcosa?». Fece un gesto in direzione del pub. «Non credo», rispose Backhouse. «Una volta tanto la ben nota riluttanza dei gestori di locali a chiamare la polizia giocherà a nostro favore». «Non sapeva chi era lei?», fu la domanda inutile di Pascoe. «No. Mi mangiavo il mio panino in pace e intanto ascoltavo con grande interesse il maggiore che rivelava alla stampa i suoi ricordi sul suo amico, quando lei l'ha interrotto scortesemente». «Perciò quel tizio vestito da pagliaccio era davvero un giornalista?», chiese Pascoe. «Sì. Per quanto ne so, non è uno che si occupa regolarmente di cronaca nera. Scrive servizi sui settimanali, o qualcosa del genere, si trovava per caso sul posto e cercava uno spunto interessante. Ecco perché è all'Eagle a chiacchierare con il maggiore invece di intrupparsi con gli altri alla scuola, in attesa che inizi l'inchiesta». «Di già?», Pascoe, sorpreso, gettò un'occhiata all'orologio. Erano appena le due. «Per qualche strana ragione si sono fatti l'idea che iniziasse all'una e mezza invece che alle due e mezza. Così sono riuscito a mangiarmi qualcosa in pace». La voce di Backhouse non mostrava traccia di ironia, in nessuna delle sue affermazioni. I sovrintendenti non hanno bisogno di essere ironici, pensò amaramente Pascoe. «Cosa stava dicendo Palfrey su Colin e Rose?», chiese Pascoe bruscamente. «Hanno avuto una discussione, lo sapeva? Per questo andavano al Queen Anne». Backhouse fece un sospiro profondo. «Lo sa, sergente?», disse. «Lei dovrebbe davvero cercare di rinunciare all'abitudine di una vita, o perlomeno di una carriera, e non investigare su questo triste caso. Si fidi dei suoi colleghi. Non farlo le procurerà solo do-
lore. E potrebbe anche finire, il cielo non voglia, per ostacolare la polizia nell'esercizio delle sue funzioni». «Sì», disse Pascoe, senza preoccuparsi di infondere nel suo tono una dose eccessiva di sincero pentimento. «Sicché, cosa stava dicendo Palfrey... signore?». «Poco. Penso che il suo amico fosse un po'... qual è il termine adatto per il personaggio?... bohémien per i suoi gusti. Secondo la sua versione del litigio, è stato lui a escluderli dal suo pub perché il loro linguaggio e il loro comportamento recava offesa a molti dei vecchi e stimati avventori. Ci sono, e adesso sto citando le sue parole, alcuni termini che perfino al giorno d'oggi non vorrebbe far sentir a una donna e sentir dire da una signora. Penso di aver colto bene la sottile distinzione. La signora Hopkins diceva molte parolacce?». «Quando si presentava l'occasione...». «Ma non tanto da creare lei stessa l'occasione?». «Non quando la conoscevo», ripose Pascoe. «Il che, come lei mi ricorda con una certa frequenza, è stato qualche anno fa. Ma andiamo avanti. Sotto l'influsso di un paio di gin, a Palfrey si è sciolta la lingua e ha affermato di non essere affatto stupito che un simile ménage familiare abbia portato a quel risultato, e si era appena lanciato nella sua critica alla sanità di mente del suo amico quando lei l'ha interrotto». «Avrei dovuto rompergli il collo a quell'idiota», disse Pascoe in tono oggettivo. Backhouse sospirò di nuovo. «Avevo suggerito al suo capo di lasciarla restare qui con me per un po'. Ho avuto torto. Più presto torna nello Yorkshire, meglio è. E non si avvicini più all'Eagle and Child prima di andarsene. È un avvertimento ufficiale, ha capito?». «Sissignore», disse Pascoe. «E lei cosa farà?». «Oh, non abbia paura. Lo rivedrò e gli farò qualche domanda. Adesso non era proprio il momento adatto, non crede?». Rise e fece un leggero rutto. «Però non toccherò più un goccio della sua birra. Le sue tubature devono aver bisogno di una bella ripulita». Parlando, erano arrivati davanti alla sala civica. Adesso c'era un agente in uniforme fisso davanti alla porta, che si irrigidì sull'attenti mentre passava il sovrintendente. Pascoe si fermò esitante sulla soglia.
«Meglio che entri», gli disse Backhouse. «Così posso tenerla d'occhio. Andremo insieme all'inchiesta». Il salone adesso ospitava un'unità ordinatamente schierata e sprizzante efficienza, anche se Pascoe si rese conto con un'occhiata che in quel preciso momento c'era ben poca attività. Si verificò una leggera accelerazione del ritmo a beneficio di Backhouse che attraversava la sala, ma l'atmosfera era quella di una routine senza scosse e quasi sonnolenta. Qualche striscia di sole impolverata proveniente dalle strette finestre si inclinava contro i muri in ombra. Sembrava un pomeriggio d'estate in una banca vittoriana. Backhouse si avvicinò guardando l'orologio. «Occorrono circa dieci minuti per arrivare a piedi alla scuola. Lasciamo perdere la macchina, se non le dispiace». «Ma certo». «Bene. Mi piace tenermi in esercizio tutte le volte che posso. Non c'è niente di nuovo, a proposito. Ho mandato gli uomini fuori, nel bosco. Una perdita di tempo. Meglio metterli sul porta a porta». Fuori quasi inciamparono nell'uomo con la giacca gialla, che vedendoli sollevò comicamente le sopracciglia. «Ciao, cari», disse. «Mi pareva che aveste un'aria un po' sbirresca, giù al pub». «È stato gentile da parte sua non farlo presente, signore», disse Backhouse compito. «È normale. Io sono un semplice osservatore, non è vero? Può ricambiare il favore, comunque. Come si arriva alla scuola del paese? Pensavo di poter assistere a questa... inchiesta». «Siamo diretti proprio là. Vuole unirsi a noi?», lo invitò Backhouse lasciando Pascoe a bocca aperta. «Be', suppongo che l'alternativa sia venire con voi o seguirvi a ruota, il che potrebbe sembrare un tantino strano. E questo non è assolutamente il posto in cui è il caso di apparire strani, non trova? Mi figuro che si finisca lapidati se si ha un aspetto bizzarro». «Sembrava cavarsela molto bene con il proprietario del pub», osservò Backhouse mentre si avviavano per la strada serpeggiante e calda di sole. «Be', sì. Vede, io sono La Stampa, e questi gestori campagnoli sperano sempre in un articoletto su carta patinata, se capisce cosa intendo. Ho fatto due o tre servizi sui pub di campagna che offrono specialità gastronomiche, sa, quel genere di cose; bardature ornamentali per cavalli fino alla nausea e un pasticcio di porco meravigliosamente surgelato».
«Lei dev'essere Anton Davenant», disse Backhouse. «Sì, sono io. Che bravo! Sembra il nome di una canzone sconcia francese, eh? E con chi...?». «Backhouse. Detective sovrintendente. E questo è il sergente Pascoe». «Ah». Pascoe sentì che gli occhi dell'uomo lo squadravano rapidamente, come per prendere una cianografia e archiviarla per potersene servire in futuro. Il nome Davenant gli suonava vagamente familiare. Di rado aveva tempo di leggere il supplemento domenicale a colori, ma aveva incontrato il nome da qualche parte, di recente. «Come saranno invidiosi tutti questi duri e insensibili cronisti di nera nel vedermi arrivare in una compagnia tanto illustre!», commentò Davenant. «Per curiosità», disse Backhouse, «cosa ci fa lei qui, in mezzo a questi duri e insensibili cronisti di nera?». «Ho avuto la fortuna di trovarmi nei paraggi, ecco tutto. E il mio attuale editore, sapendo che ero vicino, mi ha contattato immediatamente quando si è diffusa la notizia di questa terribile faccenda. Credo che si aspetti da me qualcosa di pittoresco. Omicidio d'annata, magari. O Primo: cattura il killer tuo. Ha usato parole come 'atmosfera' e 'interesse umano', e alla fine (e qui ho capitolato) 'soldi'. Più che abbastanza per destare il mio interesse. E il vostro? C'è qualcosa che ha fatto capovolgere la prospettiva della vostra affascinante indagine?». «Molto poco finora, signor Davenant», rispose Backhouse garrulo, fermandosi ad ammirare una lussureggiante bordura di dalie e esponendosi a sua volta all'ammirazione di tre figure delineate dietro le tendine di pizzo. Stranamente Davenant sembrò soddisfatto della risposta. «Quella in cima alla collina dev'essere la vecchia scuola del villaggio», disse. «E là vicino mi sembra di scorgere il vecchio emporio. Dovrò fare scorta di sigari. Non aspettatemi, vi prego. Potrei trovarmi nella necessità di indugiare, per impregnarmi dell'atmosfera del luogo». «Non si fermi troppo», consigliò Backhouse. «Si sbrigheranno molto in fretta, credo». Il giornalista scomparve nell'angusto negozietto e i due poliziotti proseguirono per la loro strada. «Non è che abbia dimostrato un grande interesse per le indagini», rifletté Pascoe ad alta voce. «È vero. Certo non come il branco che di sicuro troveremo ad aspettarci lassù».
Backhouse aveva visto giusto. In attesa davanti alla scuola c'era una piccola folla di reporter. E una folla altrettanto grande di bambini del posto si era radunata per guardare i reporter. Backhouse promise a questi ultimi una dichiarazione dopo l'istruttoria, disse un paio di parole di solidarietà allo staff di una rete televisiva che si era persa andando a Thornton Lacey e stava disperatamente cercando di recuperare il tempo perduto, poi entrò. Pascoe, conservando il suo anonimato, lo seguì a ruota. French, il coroner, si trovava già lì, l'abbigliamento da golf sostituito da un abito grigio. Scambiò un paio di parole con Backhouse e molto rapidamente diede avvio all'inchiesta. Anche su questo il sovrintendente aveva ragione. Pascoe fu chiamato a testimoniare brevemente per confermare l'identificazione e l'ora della scoperta; il dottor Hardisty fornì le prove mediche sulla causa della morte, basate in parte sulle sue osservazioni e in parte sul rapporto preliminare del patologo che era appena arrivato. La morte in tutti e tre i casi era dovuta a ferite di arma da fuoco. I due uomini erano stati colpiti da distanza ravvicinata con una cartuccia a testa. Timothy Mansfield aveva ricevuto il colpo in pieno petto ed era morto in seguito ai danni subiti dai polmoni e dal cuore. Charles Rushworth aveva ricevuto il colpo nel collo e nella parte inferiore del viso. La trachea era stata recisa. Rose Hopkins era stata colpita da una distanza maggiore rispetto agli altri due, ma su di lei erano state usate entrambe le canne del fucile. Non erano stati lesi organi vitali, ma era stata recisa la vena giugulare ed era morta per dissanguamento mentre giaceva priva di conoscenza per lo shock dell'aggressione. Pascoe si prese la testa tra le mani e fissò disperatamente il pavimento. Il legno era vecchio e iniziava a scheggiarsi. Pericoloso per i bambini. L'ora della morte era fra le venti e le ventitré, i risultati completi dell'autopsia potevano essere più precisi, ma il coroner doveva rendersi conto che, con tre cadaveri su cui lavorare, non era ancora stato possibile terminare le operazioni. Il coroner disse che si rendeva conto, menzionò brevemente l'orrore dell'accaduto, augurò un rapido successo delle indagini della polizia e dichiarò aggiornata l'istruttoria. Pascoe aveva assistito a un numero sufficiente di istruttorie per sapere che cosa significasse. Ci si aspettava un arresto imminente. Se questo fosse avvenuto e qualcuno fosse stato accusato, non sarebbe stato fatto alcun tentativo di riprendere l'istruttoria. Il coroner avrebbe atteso finché le azioni del tribunale giudiziario fossero concluse, poi avrebbero archiviato il
caso sulla base del verdetto di quel tribunale. E se si prevedeva un rapido arresto, la persona che avevano in mente poteva essere solo una. Mentre si alzava per uscire, si trovò circondato dai giornalisti. Da anonimo poliziotto era stato scaraventato nel ruolo di star del momento. Perché il fatto che lo scopritore dei cadaveri fosse lui stesso un poliziotto, e in più un vecchio amico sia del terzetto di vittime sia del principale sospettato, era una splendida ciliegina su quella prelibata torta di delitto. Furono discreti e compassionevoli quanto era possibile esserlo per una dozzina abbondante di persone che cercavano tutte di farsi rispondere allo stesso tempo. Pascoe provava la sensazione di avere la testa immersa in una nuvola di moscerini amplificati. Per qualche minuto cercò di rispondere alle loro domande, poi, trascinandoseli dietro, si fece largo a spintoni verso la porta. L'auto di Backhouse era parcheggiata accanto ai cancelli della scuola. Pascoe aprì lo sportello e salì. «Il sovrintendente ha detto di riportarmi al posto di polizia», disse all'autista, che partì senza indugio. Non era una bugia, ma piuttosto l'interpretazione del pensiero di Backhouse, pensò Pascoe sistemandosi nel sedile. Mentre l'auto passava davanti al piccolo negozio sulla collina, vide la figura sgargiante di Davenant che ne usciva proprio in quell'istante. Il giornalista lo salutò allegramente con la mano, chiaramente poco preoccupato di essersi perso l'inchiesta. Pascoe lo ignorò. Non si saluta la gente con la mano da una macchina della polizia. Il traffico sulla strada principale si era fatto d'un tratto molto intenso e dovettero attendere qualche minuto all'incrocio. «L'hanno detto al notiziario», disse l'autista con aria ben informata. «Cosa?», chiese Pascoe. «Degli omicidi. Ecco cosa cerca tutta questa gente. È meglio di una tribuna d'onore in un pomeriggio di bel tempo». Non era un fenomeno nuovo per Pascoe. La 'sindrome dello spettatore', come l'aveva definita una volta parlando con Dalziel, il quale si era stretto nelle spalle e aveva commentato che era meglio che guardare i combattimenti dei galli e più a buon mercato degli spogliarelli, e comunque che cazzo significava 'sindrome'? Prima di quel giorno la cosa l'aveva sempre affascinato come sociologo e infastidito come poliziotto. Ma adesso lo riempiva di rabbia e di disgusto. E non serviva a niente dirsi che la mag-
gior parte degli autisti in maniche di camicia probabilmente si stavano dedicando alle loro legittime occupazioni del sabato pomeriggio. Il pensiero che ciascuno di loro avesse deliberatamente scelto di deviare dal proprio percorso per dare un'occhiata al cottage dove la sera prima tre persone erano state uccise a fucilate lo riempiva di un odio indiscriminato. Arrivati a casa di Crowther scese dalla macchina con un rapido cenno all'autista ed entrò in fretta. Con sua sorpresa Ellie era alzata e vestita. Era pallida ma sembrava vigile, e schivò il suo tentativo di un abbraccio confortante. «Hanno trovato Colin?», fu la prima domanda. Pascoe scosse la testa. «Cos'è successo all'inchiesta?». «L'hanno aggiornata». «Ti ho chiesto cos'è successo. Non è che la aprono e poi la aggiornano subito, no?». «No. Hanno controllato l'identificazione e la causa della morte». «Racconta». In principio tentò di obiettare, ma Ellie insistette con forza e la sua capacità di resistenza era talmente scarsa che alla fine gli riuscì più facile rispondere alle domande che evitarle. «Perciò è successo tra le otto e le undici di sera?». «Sì, pensano di sì». «E Rose è morta dissanguata, stesa là priva di conoscenza?». «Sì». Lo disse a voce molto bassa. Sapeva cosa sarebbe seguito e non voleva che lei lo dicesse, ma non sapeva come impedirlo. «Allora è così. Se non fosse stato per te e per quel tuo lavoro di merda, saremmo stati lì ieri sera. Saremmo potuti arrivare in tempo per impedire tutto ciò che è successo. Di certo saremmo arrivati in tempo per aiutare Rose. Ho ragione?». «Immagino di sì. Sì, ci ho pensato anch'io». «Ah, ci hai pensato. Spero proprio che tu lo abbia fatto. Io però mi chiedo, Peter: come diavolo farai a smettere di pensarci?». Si allontanò dalla finestra e lo fronteggiò con aria d'accusa. «A questo hai pensato?». 6 «Quello che vorrei da lei, signorina Soper, se si sente in grado di farlo»,
disse Backhouse con tono comprensivo, «sono le informazioni sull'ambiente. Qualsiasi cosa possa dirci su Rose e Colin Hopkins. E anche sugli altri due, ovviamente». Era arrivato nel bel mezzo dell'amara discussione che era seguita alle accuse di Ellie. La notizia che Ellie si era ripresa abbastanza da alzarsi dal letto gli era stata comunicata da Crowther, e lui si era precipitato lì il più in fretta possibile. Non che ci fosse un'urgenza reale di interrogare la donna. Il guaio era che, ora che il meccanismo si era messo in moto e funzionava senza scosse, nulla era veramente urgente. Era stato deciso di fornire ai giornali e alle televisioni le foto di Hopkins. Lo descrivevano come 'un uomo che la polizia vorrebbe interrogare'. Allo stesso tempo, gli spettatori erano stati avvertiti che se l'avessero visto con la sua macchina, non dovevano prendere iniziative personali, ma chiamare la più vicina stazione di polizia. Perciò adesso era soprattutto questione di mettersi comodi e aspettare che le segnalazioni cominciassero ad affluire. Backhouse guardò impassibile la fotografia che teneva in mano. Non era male. Il fotografo della polizia aveva potuto scegliere fra una varietà di pose diverse, perché gli Hopkins avevano collezionato un gran numero di foto. Ce n'era perfino un paio con un giovanissimo ma riconoscibile Peter Pascoe che sorrideva allegramente all'obiettivo. Ma quella che teneva in mano ritraeva la faccia che stavano cercando. Una faccia intelligente: occhi grandi, una bocca ironica, facile a distendersi in un sorriso o a spalancarsi in una risata, e tuttavia i lineamenti erano pervasi da una specie di smania. La foto della moglie dava un'impressione molto più marcata di tranquilla affidabilità. Forse era questo di cui lui aveva bisogno... di cui aveva avuto bisogno. Adesso avrebbe dovuto farne a meno. «Mi faccia lei delle domande», disse Ellie. «Non so da dove cominciare». «Naturale. È difficile, lo capisco. Le porrò per prima la domanda più importante: ha idea di dove potrebbe essere Colin Hopkins?». «No. Mi dispiace, ma...», spostò lo sguardo da Backhouse a Pascoe che era seduto, pallido e chiuso in se stesso, lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Lei non l'ha ancora capito, pensò Backhouse improvvisamente. Pensa che ieri sera Hopkins sia stato chiamato fuori di casa da un imprevisto, e che stia per ricomparire colmo di orrore e sbigottimento di fronte all'accaduto, che dovrà essere calmato, confortato, consolato. Per l'amor del Cielo, cosa le avrà mai detto Pascoe?
Ricordò l'atmosfera che aveva trovato al suo arrivo. Tesa, forzata, l'aria densa di ostilità. Prima o poi un po' di quell'ostilità avrebbe certo raggiunto anche lui. Tanto valeva togliersi il pensiero. «Signorina Soper», disse con gentilezza, «penso che dovrebbe comprendere la situazione. Il signor Hopkins ieri sera si trovava quasi certamente con la moglie e i due amici. Aveva cenato con loro. Aveva bevuto con loro dopo cena. Lo sappiamo di sicuro. In soggiorno c'era un bicchiere pieno a metà con sopra le sue impronte». «Cosa sta cercando di dire, sovrintendente?», chiese Ellie scostandosi i capelli dalla fronte. Pascoe intervenne dalla sua postazione accanto alla finestra. «Sta dicendo che non cercano Colin per dargli la brutta notizia. Lo cercano come il maggiore, anzi, l'unico sospetto», disse. Ellie si irrigidì con la mano ancora sulla fronte. «Ma certo», disse dopo un po'. «Che sciocca sono stata. Devono essere state quelle dannate pillole che mi hanno dato. È questo che pensate, non è vero? È assurdo, naturalmente, ma è così che lavora il vostro cervello». Almeno la prende con calma, pensò Backhouse. Troppo presto. Ellie si rivolse a Pascoe. «Perciò, mentre io dormivo tu li hai aiutati a dare la caccia a Colin?», sputò fuori in tono offensivo. «E adesso che ti hanno spillato tutto quello che potevano, vogliono vedere se io li posso mettere su qualche altra pista!». «Per essere un'aspirante scrittrice di romanzi, fai un po' di confusione con le metafore», osservò Pascoe freddamente. «Vi prego, vi prego», intervenne Backhouse in tono tranquillizzante. «Prendiamo le cose con calma. Signorina Soper, se la cosa può consolarla in qualche modo - anche se, da donna intelligente e senza dubbio dotata di spirito civico qual è lei, non vedo perché dovrebbe - il sergente Pascoe è stato non collaborativo al massimo grado, quasi antagonistico, riguardo alla nostra ricerca del signor Hopkins. Anzi, ho dovuto intervenire per impedirgli di aggredire fisicamente un uomo che esprimeva critiche sul vostro amico. Una simile lealtà, mi affretto ad aggiungere, non la trovo commovente ma sciocca. Le prove circostanziali contro il vostro amico sono pesanti. Ma anche se si scoprisse che sono ingannevoli, dobbiamo assolutamente trovarlo. Ora, ha intenzione di collaborare?». Ellie annuì, gli occhi fissi su Pascoe. «Sì, se posso», disse a voce bassa.
«Perfetto. Mi racconti di Colin Hopkins, allora». «Eravamo all'università tutti insieme», cominciò Ellie. «Colin, Rose, Timmy, Carlo. E Peter e io. Eravamo molto uniti. Frequentavamo tanta altra gente, ovvio, ma tra noi eravamo molto vicini». «Andavate in vacanza insieme», suggerì Backhouse. «Esatto. A Eskdale». Il ricordo la fece sorridere. «La vita sembrava correre su un binario dritto, allora. Nel senso migliore del termine. Rose e Colin, Peter e io. E...». «Gli altri due uomini erano omosessuali», disse Backhouse in tono neutro. «Sì, esatto», replicò Ellie in tono di sfida. Backhouse ignorò la sfida. «Le cose sembravano funzionare alla perfezione, come ha anticipato», disse. «Ma mi è sembrata incerta...». «Non ho anticipato niente», scattò la donna, ma si placò all'istante. «Mi scusi. No, quando finimmo l'università gli unici a essere rimasti insieme erano Colin e Rose. Si sposarono circa un anno dopo. Non credo badassero molto alla cosa, ma Colin era stato assunto in una casa editrice e pensavano che fosse opportuno rispettare le convenzioni finché non fosse diventato schifosamente ricco. Timmy era specializzato in lingue straniere e trovò lavoro alla Comunità Europea a Bruxelles. Carlo andò a lavorare per una ditta di Glasgow. Io terminai il mio periodo di ricercatrice». «Ricercatrice?», la interruppe Backhouse. «Sì. Io ero già laureata e svolgevo un periodo di ricerca. Mi abbassavo a mischiarmi con i bambocci. Sono un paio d'anni più vecchia degli altri», aggiunse in tono di sfida. Backhouse studiò la figura snella, sostenne lo sguardo degli occhi grigi incastonati nella testa finemente scolpita, con i capelli corvini tagliati corti. «Porta molto bene il suo fardello d'anni», mormorò. «Grazie». Ellie sorrise, per la prima volta da quando lui era lì. «Ottenni un posto di lettrice nelle Midlands. E Peter, naturalmente, si mise in testa l'elmetto da eroe e divenne poliziotto. Penso che l'unica volta che ci siamo ritrovati tutti insieme sia stato al matrimonio di Colin e Rose». «Timmy non c'era», intervenne Pascoe. «Non poteva». «Giusto, non poteva. Be', ci siamo tenuti in contatto in maniera intermittente e qualche volta ci siamo visti. A parte Peter. Dopo un paio d'anni o giù di lì era scomparso completamente dalla circolazione». «Ero molto impegnato. Oltre a ricevere un magro stipendio e a godere di ferie limitate», disse Pascoe.
«Il triste destino del poliziotto», commentò Backhouse. «Naturalmente, era anche un po' complessato. Sentiva che sarebbe stato una specie di fastidio, quasi un intruso nei circoli accademici e culturali progressisti frequentati dai suoi amici», disse Ellie canzonandolo. Il tono, però, era leggero. «Ma lei si vedeva con gli altri?». «Qualche volta. Un paio d'anni fa, Timmy tornò dal continente. Credo che Carlo lavorasse a Londra da sei mesi circa. Presero un appartamento insieme. Colin nel frattempo era andato di bene in meglio ed era diventato il cocco dei suoi capi, al punto da riuscire a convincerli, qualche mese fa, a concedergli un anno sabbatico per poter scrivere il suo libro, che avrebbe fatto la fortuna di tutti quanti. Aveva deciso di stabilirsi a Brookside Cottage per quel periodo. E, dopo il suo ritorno trionfale a Londra, aveva in programma di tenere il cottage come ritiro per il fine settimana». «Capisco», disse Backhouse pensieroso. «E tutto questo l'ha saputo prima di incontrarlo a Londra di recente?». Ellie scoccò una rapida occhiata a Pascoe. «Era scritto nella lettera d'invito che il sergente mi ha mostrato», spiegò Backhouse. «Sapevo vagamente della cosa», disse Ellie. «Ma ho appreso i dettagli solo quando l'ho incontrato». «Un incontro casuale, giusto?». «Sì... casuale. Oh, al diavolo, no. Non casuale. Stavo tentando di vendere un libro scritto da me, un romanzo. Senza molto successo. Ho teso un agguato a Colin. Pensavo che avrebbe potuto aiutarmi». «Non me l'hai mai detto», disse Pascoe sorpreso. «No», replicò Ellie imbarazzata. «Peter mi aveva consigliato fin dall'inizio di mettermi in contatto con Colin», aggiunse rivolta a Backhouse. «Ma ero troppo orgogliosa per farlo. E non mi piace mettere di mezzo gli amici. Ma quando ho visto che le cose non si mettevano troppo bene...». «Ha teso un agguato», completò Backhouse. «Ha avuto fortuna?». «Non l'ho neanche nominato, il libro», sospirò Ellie. «Stava organizzando il trasloco ed era in pieno fermento. Non mi sembrava giusto approfittarne. E quando gli ho detto che Peter e io ci vedevamo, ne è stato sinceramente felice, ha voluto l'indirizzo di Peter e ha detto che saremmo stati il primo esperimento di ospitalità rurale. Ed eccoci qui...». «Per cui in quel momento era un uomo a cui ogni cosa andava per il ver-
so giusto?». «Ogni cosa», fece eco Ellie. Ci fu un colpo alla porta e questa si aprì quasi contemporaneamente. «Una tazza di tè», disse la signora Crowther, entrando nella stanza con un vassoio e l'espressione di una a cui i sovrintendenti non fanno né caldo né freddo. Posò il vassoio di fronte a Ellie e prese un mucchietto di fogli dattiloscritti dalla capace tasca del grembiule. «Ecco, questi sono per lei», disse a Backhouse. «Li ho battuti a macchina per Crowther. Se li prende adesso, gli risparmio un viaggio più tardi. Non che io gli darei questa gran importanza. Il suo lavoro è ascoltare le cose, ma questi Hopkins erano proprio una bella coppia di giovani. È questo che conta, non una mucchio di pettegolezzi maligni». Uscì con l'ombra di una strizzatina d'occhio a Ellie. «Donna interessante», commentò Backhouse scorrendo i fogli. «Sarebbe utile averla nelle nostre fila». «Penso che l'abbiate già», disse Pascoe secco. Backhouse ripiegò con cura il rapporto di Crowther e se lo infilò in tasca. «Per tornare al punto», disse. «Uno di voi due è in grado di immaginare qualcosa che avrebbe potuto provocare tensione e pressioni nei rapporti fra queste quattro persone?». «Direi di no», disse Ellie. «Rose e Colin parlavano sempre con molto affetto degli altri due. E viceversa, per quanto ne so». Lanciò un'occhiata a Pascoe, ma Backhouse non riuscì a decifrare la sua espressione. «Ha parlato al telefono con la signora Hopkins ieri sera», riprese. «Le ha detto qualcosa di particolare sui suoi progetti per la serata?». «Be', forse ne ha parlato. Siamo state al telefono per una decina di minuti. Ma niente che mi abbia colpito, niente di specifico. Mi spiace». Fece un'espressione confusa. Backhouse le batté qualche colpetto sulla mano appoggiata al bracciolo del divano. «Non si preoccupi. Se le viene in mente qualcosa può farmelo sapere. Lei ha qualcosa di nuovo, sergente?». Pascoe scosse la testa. «Allora è meglio che torni al lavoro», disse il sovrintendente alzandosi. «Che progetti avete per stanotte?». «Ci hanno invitati a stare dai Culpepper», disse Pascoe, ricordando in
quel momento la sua decisione di trovare qualcos'altro. Adesso non sembrava valesse la pena. E se l'Eagle era il solo posto nel villaggio in cui avevano delle stanze, le possibilità di successo erano scarse. «I Culpepper? Ricordo: la segretaria del comitato». «Sì, e l'uomo che è arrivato al cottage con il coroner. Sono sicuro che saranno negli archivi di Crowther». «Senza dubbio. Saprò dove trovarvi, allora. Grazie, signorina Soper. Mi è stata molto d'aiuto. La prego di credermi se dico che lei ha la mia più profonda solidarietà». Era più bravo di Dalziel. Non che Dalziel non fosse bravo, quando voleva, ma aveva lo stile del vecchio impresario di teatro. C'era sempre il senso del dare spettacolo. Backhouse era più naturale. C'era perfino la possibilità che fosse sincero. «Solo un'altra cosa», disse fermandosi sulla porta. «Qual era l'argomento del libro che il signor Hopkins stava scrivendo?». «Il libro? Era sulla povertà! Si è messo a ridere dicendomelo. Venire a Thornton Lacey per scrivere un libro sulla povertà nell'Inghilterra moderna era come cacciare l'orso bianco in Africa, ha detto». «Non sembra un argomento molto vendibile», azzardò Backhouse con cautela. «Non lo so. Pieno di casi reali, gente indotta al crimine, l'effetto di una dieta insufficiente sulle prestazioni sessuali... quella roba lì. È il genere di sociologia popolare che potrebbe vendere». «Mi pare che lei disapprovi». «Assolutamente no. Ero invidiosa, forse. Fino a stamattina». «Certo. Adesso c'è poco da invidiare. Arrivederci». Dopo che Backhouse se ne fu andato, rimasero seduti in silenzio per un po'. Ellie parlò per prima. «Mi dispiace», disse. «Per cosa?». «Per prima, per quello che ho detto. Il dolore è un'emozione egoistica, in realtà. Avevo dimenticato che erano anche amici tuoi». «Sì. E Colin lo è ancora». «Sei convinto che sia stato lui, Peter?». Pascoe fece un gesto di disperazione. «Non lo so. Non posso crederci, ma ho dovuto ammettere questa possibilità. Le persone uccidono coloro che amano... Succede di continuo». «Ma eri pronto ad aggredire un povero idiota sconosciuto per aver e-
spresso la stessa opinione? Strano comportamento per un poliziotto», lo canzonò Ellie con affetto. «Sono un poliziotto strano», replicò lui, baciandola con dolcezza. «Grazie», disse lei. «Adesso vado a rimettermi insieme per affrontare il mondo. Qualunque sia la verità, Colin avrà bisogno di amici quando lo prenderanno». Si alzò e stirò le braccia come se si fosse appena svegliata. «Se ho capito bene ci hanno invitato da qualche parte a dormire». Pascoe spiegò brevemente l'invito dei Culpepper, nascondendo la propria irrazionale antipatia nei confronti di Marianne. «Ho capito», disse Ellie. «Mi puzza tanto di sherry dolce ed espressioni di simpatia. Vado a rinfrescarmi, poi non mi dispiacerebbe gustare l'aria di campagna per una mezz'oretta prima di presentarci ai nostri ospiti». «Buona idea. Abbiamo un sacco di tempo», disse Pascoe. La porta si aprì e ricomparve la signora Crowther. «Ah, se n'è andato», mugugnò. Lo sguardo le cadde sul vassoio del tè. «E nessuno vuole il mio tè?». «Oh, mi dispiace», esclamò Ellie. «È colpa mia. Mi sono dimenticata di servirlo!». «Sentite», intervenne Pascoe. «Perché voi due non vi mettete sedute e ne prendete una tazza? Dovrebbe essere ancora caldo. Voglio fare un salto fuori a controllare la macchina. Ultimamente sembra che divori l'olio». Ellie gli lanciò un'occhiata strana, ma lui se ne andò in fretta prima che potesse commentare. Come aveva previsto, la parte della casa riservata agli uffici era vuota. Crowther sarebbe stato molto indaffarato in giro per il villaggio, quel pomeriggio. Andò dritto verso il tavolo sul quale troneggiava la vecchia e solida macchina da scrivere Imperial, e vide subito quello che stava cercando. Nel vassoio di legno accanto alla macchina c'erano le annotazioni di Crowther sul colore locale, più la copia carbone della versione consegnata a Backhouse. Ignorò l'originale scritto con la calligrafia illeggibile dell'agente e prese la copia. Aveva appena iniziato a leggere il primo dei cinque fogli quando una voce parlò alle sue spalle. «Mi scusi». Pascoe sobbalzò con tale violenza che la gamba si contrasse e urtò dolorosamente il bordo della scrivania. Cristo! Pensò, le tue terminazioni nervose sono ben scoperte oggi, ragazzo mio. D'istinto, prima di girarsi lasciò scivolare i fogli nel contenitore di legno.
In piedi dietro al piccolo bancone attraverso il quale il pubblico poteva chiedere udienza al locale custode della legge c'era una vecchia signora dall'aria piuttosto fragile, che indossava quella che sembrava un'uniforme. Volontariato femminile? si chiese Pascoe. «Sì?», disse. «Speravo di trovare il signor Crowther». Aveva una voce lenta e gentile. Opere pie, decisamente, stabilì Pascoe. Esempi morali e brodini nutrienti distribuiti nelle stamberghe dei braccianti agricoli. «Mi dispiace, al momento non è qui. Non so quando tornerà. È urgente?». «Non ne sono sicura». Lo fissò e chiese dubbiosa: «Lei è un poliziotto?». «Be', sì... sì, sono della polizia», rispose Pascoe. «Sergente Pascoe». «Sergente? Ma allora dovrebbe andar bene. Sono Alicia Langdale». Fece una pausa. Ad effetto? si chiese Pascoe. Sarà la signora del maniero? Dovrei rimanere impressionato? «Sì?», suggerì. «La cosa ha a che fare con il mio lavoro, vede. È questo che la rende così delicata». «Qual è il suo lavoro, signora Langdale?». «Signorina. Non lo vede? Sono la postina». Oh, Dio! pensò Pascoe. Ecco l'uniforme! Capì di aver perso quel po' di terreno che aveva guadagnato rivelando il suo grado. «Ma certo», disse con un sorriso. «Mia sorella Anthea e io gestiamo l'ufficio postale. Lei cura gli affari interni e io mi occupo delle consegne. Ciò che accade normalmente, è ovvio, è che le persone imbucano le lettere, queste vengono raccolte da un furgone che le porta nell'ufficio principale in città, dove vengono smistate». «Capisco», disse Pascoe. «Ma qualche volta, se si tratta di posta locale - che dovrei comunque consegnare io, capisce - qualcuno le lascia semplicemente sul banco o le infila nella nostra cassetta postale». Sollevò il mento e guardò con aria di sfida Pascoe, che capì all'istante di cosa si trattava. Prese la lettera che la signorina Langdale aveva estratto dall'ampia tasca e si ritrovò a fissare la caratteristica calligrafia di Colin. 'Sig. J.K. Palfrey, The Eagle and Child, Thornton Lacey'. Un turbine di pensieri si sollevò e si agitò nel cervello di Pascoe. Gli era chiaro quale sarebbe stata la procedura corretta: portare la lettera a Back-
house, il quale a sua volta l'avrebbe consegnata a Palfrey chiedendogli di aprirla in sua presenza. Se non conteneva informazioni rilevanti per l'inchiesta sarebbe finita lì, ma in caso contrario... Non sapeva perché, ma Pascoe non credeva che Backhouse sarebbe stato felice di fargliela leggere. Si accorse con un sobbalzo che l'anziana signorina aveva ripreso a parlare. «Ero quasi arrivata all'Eagle and Child, stamani, quando ho incontrato la signora Anderson che mi ha riferito la notizia. Lei viene a sapere tutto molto in fretta, temo. In genere non le do credito, ma questa volta era diverso. Questa cosa è terribile, terribile. Così ho finito il mio giro senza consegnare la lettera. Anthea e io abbiamo discusso tutto il giorno su cosa dovessimo fare. Il nostro dovere è quello di consegnare la posta della Regina, vede. Ma se, come sembra possibile in queste circostanze, può causare sofferenza... e poi, in un certo senso, non è stata veramente impostata, non è vero? Perciò eccomi qui. Sarebbe così gentile da rilasciarmi una ricevuta?». Il tono si era fatto di colpo sbrigativo, efficiente. Pascoe si guardò intorno alla ricerca di un pezzo di carta e di una penna. Aveva deciso di aprire la lettera, e al diavolo le conseguenze. Ogni istinto nel suo corpo lo diffidava dal farlo, ma allo stesso tempo gli diceva quanto fosse importante quella lettera. Doveva vedere. E quella era forse la sua unica opportunità. «Il registro delle ricevute è nel primo cassetto in alto, sergente». Era Crowther, in piedi tranquillo sulla soglia. L'opportunità era sfumata. «Interessante, questa cosa», disse l'agente sollevando la lettera dopo essersi liberato con abilità della signorina Langdale. «Meglio farla avere immediatamente al super. Grazie per essersi occupato della cosa». Ripose la lettera nella tasca della giubba, riordinò le carte sulla sua scrivania, fissò per un lungo istante le copie carbone in disordine delle sue annotazioni ma non le rimosse, e se ne andò. «Accidenti! Accidenti! Accidenti!», imprecò Pascoe. Ma rabbrividì pensando al pericoloso sentiero in cui stava per incamminarsi. Più presto tornava da Dalziel e dalle perdite subite dagli altri, meglio era. Tornò in soggiorno per prendere Ellie e portarla dai Culpepper. 7 La casa dei Culpepper era un edificio imponente. Costruita con la tradizionale pietra Cotswold, aveva linee e proporzioni inequivocabilmente
moderne, anche se non stridenti. I giardini consistevano in prevalenza in bordure erbacee e prati digradanti verso una fila di alberi. Se la proprietà dei Culpepper si estendesse anche ai boschi non era chiaro. I prati erano estremamente ben tenuti, e solo uno di essi, recintato per il croquet, mostrava segni di uso. Risalendo il viale d'ingresso, Pascoe aveva colto una figura china vestita di arancione brillante che senza fretta scopava via le foglie che il vento d'autunno aveva accumulato su un lato del prato. Un giardiniere fosforescente, pensò, e mentre suonava il campanello si preparò a tutto tranne che essere introdotto in un salottino da un maggiordomo in uniforme. Ma fu lo stesso Culpepper, con impressa sul volto una beneducata sollecitudine, ad aprire la porta. Pascoe capì che Ellie lo trovava antipatico a prima vista. Ricordò la propria reazione davanti a Marianne Culpepper, e gemette internamente al pensiero della serata che li attendeva. Non che da loro ci si aspettasse una grande partecipazione alla vita sociale, ovviamente. E neppure a quella sessuale, aggiunse fra sé quando vide che li avevano sistemati in camere separate. Gli tornò in mente il letto di Brookside Cottage, con i suoi guanciali di benvenuto. Metà delle locali forze di polizia dovevano averli visti. Si sentì in colpa per la futilità di quel pensiero. Era così che funzionava, con il dolore: poteva prendere il completo sopravvento per un periodo relativamente breve, ma riempiva la mente delle trappole del senso di colpa e del disgusto per se stessi per catturare ogni pensiero e ogni emozione che vogliano combatterlo. Ellie si sentiva allo stesso modo. Aveva sollevato divertita le sopracciglia nella sua direzione mentre Culpepper le apriva la porta della camera da letto. Ma era stato un breve guizzo di luce in un cielo scuro. Le prospettive per la serata non migliorarono al ritorno di Marianne Culpepper. Mentre svuotava la ventiquattr'ore, Pascoe sentì il motore di un'auto, e quando lasciò la stanza un minuto dopo per andare a prendere Ellie, la trovò in piedi in cima alle scale, intenta a origliare spudoratamente una conversazione che si teneva al piano di sotto. Il tono neutro di Culpepper era solo un mormorio indecifrabile, ma la voce della moglie, dagli acuti eleganti, si sentiva alla perfezione. Pascoe si ricordò di quando, adolescente, faceva visita al teatro stabile del suo paese (ora riservato al bingo) dove giovani attrici di belle speranze porgevano le loro battute ai più remoti 'dei'. Anche la metà della conversazione era sufficiente a rivelare che Marianne Culpepper era all'oscuro dell'invito fatto
dal marito a Pascoe ed Ellie, i quali si scambiarono uno sguardo malinconico sul pianerottolo. Pascoe andò alla porta più vicina, la aprì e la richiuse sbattendola. Forse sarebbe stato più diplomatico ritirarsi per un po', ma Pascoe si sorprese a non vedere l'ora di testare tutta la buona educazione sfoggiata dai due al piano di sotto. «Scendiamo, ti va?», chiese con un tono di voce esageratamente alto. Mentre avevano luogo le presentazioni, i Culpepper mostrarono un fronte piuttosto compatto. «Non l'ho vista nella sala del municipio, stamattina?», chiese Marianne a Pascoe. «Non ho capito chi era. Pensavo fosse uno dei poliziotti». Oh, lo sono, lo sono, pensò Pascoe. «Sentite», proseguì la donna. «Mi dispiace terribilmente per i vostri amici. Li conoscevo appena... gli Hopkins, voglio dire... ma sembravano persone molto simpatiche». Tutti parlano come se li avessimo persi entrambi, pensò Pascoe. E forse è così. «Sarete stanchi di espressioni di simpatia, lo so. Possono diventare estenuanti». Fece una pausa, come se stesse comunicando qualcosa esclusivamente a se stessa, poi proseguì. «Il che mi porta a questa sera. Siete veramente i benvenuti a casa nostra, ma Hartley e io ci siamo in qualche modo incrociati. Ho chiesto a un paio di amici di venire a cena e a qualche altra persona di fare un salto più tardi a bere qualcosa. Vi prego di non fare complimenti. Se preferite chiamarvi fuori, potete cenare presto ed evitare la pazza folla. Non avete che da dirlo. Non fatevi problemi», L'incrocio era stato reciproco, pensò Pascoe. Hartley sapeva tanto poco degli inviti serali della moglie quanto questa sapeva dei suoi. O lui sapeva? «Credo ci piacerebbe unirci a voi», disse Ellie sorprendendo Pascoe, ma confermando la sua stessa reazione. Le ragioni forse erano diverse, però. «Se non faremo la parte degli spettri alla festa, cioè». «Ma niente affatto. Bene, questa è sistemata. Al sabato facciamo solo uno spuntino freddo, ma sarà meglio che vada a organizzare le cose prima di cambiarmi». Indossava pantaloni sportivi e un maglione pesante, e sembrava scompigliata dal vento, come se rientrasse da un'intensa attività all'aria aperta. «Posso dare una mano?», si offrì Ellie. «Perché no», rispose lei con un sorriso. «Come se la cava a disossare? Hartley è praticamente vegetariano e si arrabbia se deve segare pezzi di animali morti».
«Le interessano le porcellane?», chiese Culpepper quando i due uomini furono soli. «Non ne so molto», rispose Pascoe con cautela. Un altro po' di terapia? si chiese. Dagli scassinatori di Dalziel alla cultura di Culpepper. Devo avere l'aria di uno che accontenta tutti. «Anche le mie conoscenze sono molto limitate», disse Culpepper modesto. «Venga a vedere i miei pochi pezzi». Si alzò, accompagnò Pascoe attraverso l'atrio e aprì una porta di quercia dall'aspetto solido che era chiusa a chiave. Dietro di essa Pascoe vide con sorpresa una griglia metallica che assomigliava ai cancelli a soffietto degli ascensori di una volta. Culpepper inserì un'altra chiave e la griglia scivolò aprendosi automaticamente. Se il valore della collezione giustificasse tali elaborate precauzioni Pascoe non avrebbe saputo dire. I pezzi erano esposti magnificamente. La stanza era priva di finestre e nelle pareti era scavata una serie di nicchie di dimensioni diverse, che ospitavano le porcellane. Ogni nicchia era dotata di una luce propria, controllata autonomamente, perché fosse possibile concentrare l'attenzione su ciascuno dei pezzi a turno. Gli unici pezzi liberi erano due grandi urne con coperchio che occupavano due piedistalli nel centro della stanza. Erano decorate con disegni in stile cinese, ma Culpepper assicurò a Pascoe che erano imitazioni inglesi del diciottesimo secolo. «Sono fuori posto qui, in realtà», disse. «Ma sono i primissimi pezzi che ho comprato quando ho scoperto di avere abbastanza soldi per iniziare a comprare cose». «Quanto vale tutta la collezione?», fu tutto ciò che Pascoe riuscì a chiedere. «Oh, parecchie migliaia», rispose Culpepper vago. «La maggior parte non è ciò che gli esperti definirebbero di prima qualità. Ma per me sono insostituibili e perciò inestimabili». Lo accompagnò fuori, chiudendosi alle spalle la porta a griglia con uno schianto. «Di valore o no, vorrei che più gente prendesse tante precauzioni per i propri averi», disse Pascoe, pensando alla facilità con cui lo scassinatore che aveva per le mani si era procurato liberamente una piccola fortuna. La sera prima a quell'ora stava lavorando sul suo caso. Sembrava incredibile. La cena andò abbastanza bene. Ellie e Marianne sembravano essersi prese in simpatia, anche se a Pascoe non pareva che ciascuna fosse il tipo
dell'altra. Gli ospiti, John e Sandra Bell, erano una coppia abbastanza gradevole sui trentacinque anni, lui estroverso, schietto, quasi troppo esuberante; lei graziosa, molto più tranquilla ma affatto sottomessa. Il nome toccò una corda della memoria di Pascoe. Ma fu solo quando la conversazione, vagliata e censurata accuratamente a beneficio suo e di Ellie, arrivò a toccare la controversia sull'inquinamento delle acque del luogo che Pascoe ricordò di aver notato il nome Bell nei verbali del Comitato. Bell era un devoto 'valligiano' e si lagnava amaramente che il corso d'acqua che bagnava il villaggio fosse stato inquinato a monte dalla gestione sconsiderata della rete fognaria che serviva ancora molte delle proprietà locali. Culpepper, che stava mangiando un uovo con maionese e insalata verde, spinse via il piatto con un'espressione di disgusto. «John, ti prego», intervenne la signora Bell. «Fai venire la nausea a Hartley e annoi a morte i suoi ospiti». «Mi dispiace», disse Bell rivolgendo a Ellie un largo sorriso. «Mi perdoni. Ai ricchi nullafacenti di questa parte del villaggio non tocca. Loro possono permettersi di essere obiettivi. Ma quel ruscello scorre in fondo al mio giardino e ho un figlio piccolo. Si ammala già abbastanza senza rischiare che prenda il tifo. Ma niente paura: ho un piano. Alla prossima riunione del Comitato ci saranno delle sorprese». Strizzò l'occhio con aria da cospiratore mentre Marianne iniziava a sparecchiare. Il primo ospite del dopocena arrivò mentre stavano bevendo il caffè. Marianne andò ad aprire e dopo un intervallo abbastanza lungo fece ritorno in compagnia di Angus Pelman. Pascoe immaginò che quel lasso di tempo fosse stato impiegato a mettere in guardia l'uomo sugli ospiti presenti. Pelman non fece alcun tentativo di evitare l'argomento degli omicidi. «Notizie di Hopkins?», chiese bruscamente dopo essere stato presentato. «Nessuna, credo», interloquì Culpepper diplomaticamente. «Mi chiedevo, signorina Soper, se le farebbe piacere vedere la mia collezione di porcellane». «Oh, al diavolo le tue porcellane, Hartley. La signorina Soper non è mica una bambina, da doverla distrarre con un sacchetto di caramelle». Culpepper si girò e si finse indaffarato a togliere il sigillo a una bottiglia di scotch, mentre una piena per due terzi troneggiava sul buffet. Marianne gli lanciò un'occhiata con una lieve ruga di preoccupazione fra le sopracciglia. «Siamo tutti traumatizzati da quello che è successo», continuò Pelman.
«Erano persone simpatiche, nostri vicini, membri della nostra comunità». «Nella quale non tutti li hanno accolti con gioia», mormorò Culpepper. «Lasci che le versi qualcos'altro da bere, signor Pascoe». «Cioè?», chiese Pelman. «Quella faccenda all'Eagle, tanto per cominciare», replicò Culpepper. «Quella è una cosa tra JP e gli Hopkins», intervenne Bell. «Non c'entra nessun altro. Era una cosa morta e sepolta. E poi all'Anne si beve meglio, ed è anche meno caro». Sorrise affabilmente, versando olio sulle acque agitate. «Chi è JP?», si informò Ellie. «Palfrey, il proprietario dell'Eagle and Child», rispose Marianne Culpepper. «Al quale, benché sia biasimevole, non si può addossare tutta la responsabilità della cosa», disse il marito in tono mite. «E poi c'erano altre cose, eh, Pelman?». Suonarono alla porta. «Vai tu ad aprire, Hartley?», chiese Marianne per separare gli antagonisti. Cercò di consolidare l'armistizio forzato cambiando argomento di conversazione e Pelman sembrò più che pronto ad assecondarla. «Se continua questo tempo, domani possiamo farci una bella cavalcata. Tu esci, John?». «No, purtroppo. Non ho ancora raggiunto l'alto livello dirigenziale di Hartley e devo portarmi a casa il lavoro. In più, Sandra dice che cavalcare fa venire il culo grosso». «John!», protestò la moglie. Ma sostenne lo sguardo canzonatorio di Marianne con il sorriso imperturbabile di chi sa di avere due natiche sode come quelle di un ragazzino. «Di che cosa si occupa, signor Bell?», chiese Pascoe cercando di non sembrare un poliziotto. Di quei tempi non era mai sicuro di riuscirci. «Sono direttore delle vendite alla Nuplax, quelli degli utensili da cucina. A Banbury». «Una grossa responsabilità». «Oh, così... Ma è poca roba se paragonata a quella di Hartley. Lui è ai vertici del gruppo Nordrill». Pascoe fece un'espressione colpita per nascondere l'ignoranza. Aveva sentito parlare della Nordrill, un consorzio di imprese minerarie e petrolifere emergente di cui si parlava molto, ma non aveva idea di cosa comportasse un simile incarico in termini di responsabilità.
«Deve fruttargli dei bei soldini», commentò con aria d'intesa. «Be', si può permettere qualche piccola comodità, eh, Marianne?». Il gesto di Bell includeva la donna insieme al lusso privo di ostentazione della stanza. Marianne sorrise senza allegria. «Non sapevo che la sede direttiva della Nordrill fosse nelle Midlands», disse Ellie. «Oh, non è lì. Ma Londra è vicina, con una macchina decente e un piedà-terre se non ti senti di tornare a casa». Che fortuna, il vecchio Hartley! pensò Pascoe. Il vecchio, fortunato Hartley rientrò in compagnia del dottor Hardisty che, a giudicare dal tempo che ci avevano messo, doveva aver dato e ricevuto informazioni. Con lui c'era la moglie, più giovane o meglio conservata, dai movimenti sbrigativi e dal sorriso rassicurante che Pascoe associava al mestiere dell'infermiera. Ed era probabile che fosse proprio così. Ebbero a malapena il tempo di preoccuparsi delle condizioni di Ellie e di rammaricarsi della morte di Rose, allo stesso tempo evitando accuratamente ogni riferimento a Colin, prima che il campanello suonasse un'altra volta. Questa volta andò Marianne e, dopo il solito indugio, ricomparve da sola. «Hartley», disse con voce tranquilla, «hai un istante?». Culpepper uscì dalla stanza. Pascoe andò al buffet e si servì generosamente. Credeva fermamente nella massima sociale: 'prendi da ciascuno secondo le sue possibilità', e lì c'erano le prove evidenti di grandi possibilità. Bell lo raggiunse. «È Palfrey che vende la maggior parte dei liquori, qui intorno?», chiese Pascoe, prendendo la bottiglia di scotch come spunto per la conversazione. «Buon Dio, no!», disse Bell con il suo sorriso attraente. «La vecchia bottiglia a cui si è attaccato lei, forse. Ma chi è disposto a pagare i suoi prezzi quando si può avere la stessa roba in città, a quindici pence in meno? Non si lasci ingannare dalla nostra apparente ricchezza, signor Pascoe. Forse Hartley avrà un antico mercante di vini del massimo livello nascosto nella City, ma il resto di noi spinge ancora il carrello per il supermercato». «Nobile da parte vostra rifiutare di trarre vantaggio dalla vostra ricchezza», disse Pascoe, ammorbidendo il commento con il migliore dei suoi sorrisi. Non voleva assolutamente inimicarsi Bell. Voleva invece parlare di Palfrey, anche se non era sicuro del motivo. Antipatia personale? Dopotutto, non aveva una posizione ufficiale in quel caso, perciò per una volta poteva ignorare la presenza del pregiudizio personale.
«Come si inserisce Palfrey nel locale schema delle cose?», proseguì. Ma la voce del poliziotto doveva essere affiorata. «Le interessa molto il vecchio JP», commentò curioso Bell. «È a causa della lite? In questo caso non penso che dovrei fare commenti. Non nel corso di una chiacchierata casuale a casa di amici». Il fatto di essere privo di posizione ufficiale gli tagliava entrambe le strade. Pascoe tentò un altro sorriso, che non gli parve riuscito bene quanto il primo. «Perché JP?», chiese. «Solo le iniziali?». O c'è qualche dannato giuramento massonico che ti vieta di rispondere anche a questo? Bell si mise a ridere. «Sì, sono le sue iniziali». Si guardò intorno e abbassò la voce. «Ma stanno anche per qualcos'altro. La sua ambizione è quella di diventare giudice di pace. Se dovesse riuscirci, Dio aiuti tutti i delinquenti minori! Ma in realtà gliele ha appioppate il nostro vicario. È un piccolo gallese simpatico, sembra appena uscito dalla miniera. Ricordava che ai vecchi tempi, nel suo villaggio, una fabbrica locale per la fusione del rame pagava un uomo perché andasse tutte le mattine per le strade con due grossi secchi appesi a un bilanciere, nei quali tutti svuotavano i loro vasi da notte!». Rise talmente di gusto che gli altri smisero di parlare e si girarono a guardare. Come uno che disturba a un funerale, pensò Pascoe, sorpreso di scoprirsi imbarazzato. «Usavano quella roba in qualche processo della lavorazione del rame», spiegò Bell. «Sia come sia, l'uomo era conosciuto familiarmente come Jim Piscio! E il vicario, dopo aver assaggiato per la prima volta la birra all'Eagle, quando Palfrey subentrò, raccontò la storia. Il nomignolo attecchì, ma per amor di cortesia divenne JP». Molto divertente, pensò Pascoe. Ma non lo portava da nessuna parte. Non era neppure sicuro di dove volesse andare. I Culpepper erano tornati nella stanza, osservò, ma non si notava nessuna aggiunta alla compagnia. Il che poteva risultare strano, ma anche no. Ellie stava parlando con gli Hardisty e sembrava in preda alla disperazione. Pascoe capì subito il motivo. La coppia emanava una sollecitudine medica quasi palpabile. Si avvicinò per effettuare un salvataggio, ma la cosa si rivelò inutile. «Scusatemi, vi prego», stava dicendo Ellie al duetto medico. «Penso che andrò a letto presto». Più facile di così... pensò Pascoe sorridendo con rimpianto all'occasione
perduta. Nei momenti di sconforto la debolezza degli altri è un'utile fonte di forza, mentre l'autocontrollo di Ellie lo spingeva sempre più a confrontarsi con le proprie emozioni e ad aggrapparsi al ruolo del poliziotto per poter conservare l'equilibrio. Ma che diavolo c'era da investigare in quel posto? Si guardò attorno speranzoso. Ellie era sulla porta e stava rassicurando Marianne che ogni sua necessità era stata soddisfatta. Colse il suo sguardo e gli sorrise brevemente, poi sparì. Pascoe avvertì una sensazione di sollievo con una sfumatura di senso di colpa. Con Ellie fuori scena, forse c'era la possibilità di provocare qualche reazione interessante. Pelman sembrava quello su cui puntare. Al suo arrivo era sembrato il più disposto a parlare fuori dai denti, benché adesso si fosse rassegnato a macinare insulsaggini salottiere insieme agli altri. In quel momento si lamentava per i costi di gestione di una proprietà fondiaria. «Allora lei è un membro attivo della comunità!», disse Pascoe in tono brillante. «Non si limita a dormire qui». I Bell e gli Hardisty si scambiarono un'occhiata che rivelò a Pascoe quanto la sua scelta di termini fosse stata inopportuna. John Bell sembrava molto divertito, gli altri meno. «Sì, signor Pascoe. Ho delle mucche da latte e uno dei più grandi allevamenti di polli di questa parte del mondo. Lavoro per vivere». Un accenno di sottolineatura beffarda su 'lavoro'? Pascoe non ne era sicuro. «Come tutti noi», disse sorridendo il dottor Hardisty, che forse l'aveva avvertita. Pelman emise un brontolio e bevve il suo drink. «Se ti piace quello che fai non è un vero lavoro», disse Bell con finta bigotteria. «A lei piace il suo lavoro?», chiese all'improvviso Sandra Bell. «Cosa fa nella vita, signor Pascoe?». Non lo sa? O sta solo tirando fuori gli artigli? Sembrava una donna simpatica, ma Pascoe non si sentiva affatto competente per giudicare. «Faccio il poliziotto, signora Bell», rispose. «Ah». Crollo di una donna magra. «Reparto investigativo, vero?», chiese Pelman. «Mi dica, qual è la sua prognosi professionale per questo caso?». «Augustus!», protestò Marianne. «Non è obbligato a rispondere se non vuole», disse Pelman, lo sguardo
fisso su Pascoe. «Qualcuno vuole un altro drink?», intervenne Hartley Culpepper. «La procedura seguita dalla polizia è piuttosto semplice in questi casi», disse Pascoe. «Tre cose principali: si cerca l'arma, si cercano persone assenti che potrebbero essere d'aiuto, e si interroga un gran numero di persone, si prendono le dichiarazioni, si accumulano informazioni. Ecco. Niente di molto drammatico. Nella maggioranza dei casi di omicidio, la polizia sa chi è il colpevole entro ventiquattr'ore dalla chiamata. A volte prima». Scrutò il gruppo con un'espressione impassibile. «E in questo caso?», insistette Pelman a bassa voce. «Chi lo sa? Non faccio parte della squadra investigativa», rispose Pascoe. «Sono un semplice testimone. Come voi, forse». «Fino a che punto sarà importante trovare l'arma?», chiese la signora Hardisty per colmare il silenzio che era seguito. «L'importante, nei casi di omicidio, è scoprire a chi appartiene», spiegò Pascoe. Pelman scoppiò in una risata esplosiva ma senza allegria. «Quello non è un problema. Appartiene a me». Nessuno si precipitò a riempire il silenzio provocato da questa uscita, ma Pascoe indovinava i pensieri che, come pesci rossi, nuotavano dietro quegli sguardi sorpresi. Una battuta di cattivo gusto? Una confessione? Un semplice fraintendimento? «Non gliel'ha detto Backhouse?», chiese Pelman. «Le ho detto che non faccio parte della squadra che segue l'indagine», disse Pascoe. «No, certo che no. Ma non è mica un segreto, vero? Il fatto è che quando il sovrintendente ha parlato con me, ha dimostrato molto interesse per i miei fucili. È naturale. Mi era uscito di mente finché non ho controllato». «Ma cosa?», chiese con impazienza Marianne. «Per l'amor del Cielo, questa è una cosa seria, Angus. Non vorrai farne un aneddoto da club del golf!». Pelman subì buono buono la strigliata e proseguì. «Mancava uno dei miei fucili. L'avevo prestato a Colin Hopkins una settimana fa circa e lui non me l'aveva restituito. Non c'era nessuna fretta, comunque. Non stavo andando molto a caccia, e poi ne ho un sacco, di fucili». «Non ne dubito», disse Culpepper. «Perciò pensa che sia il suo fucile quello usato...?». La signora Hardisty
ritenne superfluo terminare la frase. «Sembra probabile». «Perché Colin aveva voluto il fucile?», chiese Pascoe, ascoltando con attenzione il timbro della propria voce. Era leggero e fermo. Stava andando eccezionalmente bene. Tutto sotto controllo. Quel grassone di Dalziel sarebbe stato fiero di lui. La porta del soggiorno si aprì di colpo e lui piroettò come un gatto spaventato, inclinando il bicchiere e versando il whisky. Sulla porta c'era una donna alta e spigolosa di età piuttosto avanzata. Aveva la pelle bruna e rugosa come il collo di una tartaruga, ma gli occhi erano vivaci e attenti. La tuta da lavoro di nylon che indossava era dell'arancio sgargiante dei giubbotti di sicurezza degli addetti ai lavori stradali, e faceva a pugni con i pantaloni viola e le vaporose pantofole rosse. Questo, pensò Pascoe sorpreso, doveva essere il giardiniere. «C'è un uomo di sopra», disse con il monotono accento meridionale del Lancashire. «È tutto a posto, mamma», disse Culpepper in tono rassicurante. «Abbiamo ospiti». «Non sono mica cieca», disse la donna sprezzante. «Per la notte, intendo. Il signor Pascoe, qui. Pascoe, vorrei presentarle mia madre, che ci fa l'onore di vivere con noi». «Non puoi liquidarmi così», disse la donna, fissando Pascoe con evidente mancanza d'entusiasmo. «Non era lui». «Non era...?». «Di sopra». «Allora probabilmente era la signorina Soper, l'altra ospite», disse Culpepper trionfante. «Era un uomo», insistette lei. Marianne Culpepper fece scivolare di lato il pannello di un elegante stipo di noce rivelando il suo contenuto: un impianto stereo dall'aria costosa. «Stamattina è arrivato il nuovo album di Drew Spade», annunciò in tono brillante. «Lo ascoltiamo? Non l'ho ancora sentito nemmeno io, perciò non so come sia». Un'altra mossa diversiva. Che manica di individui contorti! E il suono che iniziava a martellare dalle casse non era certo musica per persone colpite da un lutto. Ma non era abbastanza forte per impedire a Pascoe di sentire il resto dello scambio di battute tra Culpepper e sua madre. «No, doveva essere la signorina Soper», disse Hartley.
«Fai come cavolo ti pare», rispose l'anziana signora scuotendo le spalle ancora dritte. «Io me ne vado a letto. Spero solo che non mi ammazzino nel sonno». L'osservazione agì su Pascoe come un impulso elettrico. Tese il bicchiere a Culpepper, passò in mezzo a lui e a sua madre senza scusarsi e corse leggero su per le scale. Era assurdo. Probabilmente la vecchia signora aveva davvero visto di sfuggita Ellie. Ma sembrava piuttosto lucida. Magari era un peso per Culpepper e sua moglie, ma quelli non erano affari suoi. Per un funzionario della polizia investigativa, ogni cosa è affare suo: uno dei detti memorabili di Dalziel. Spinse con dolcezza la porta di Ellie. Era seduta a letto con le luci accese, e fumava una sigaretta. «Ciao», disse senza mostrare sorpresa. «Ciao», rispose lui. «Torno tra un attimo». La porta della sua stanza era scostata. La camera era buia. La porta si spostò docile al suo tocco e lui scivolò dentro rapidamente, cercando di ricordarsi dov'era l'interruttore. La mano che tastava il muro non lo trovò, ma lui sapeva che c'era qualcuno lì con lui. L'immagine di un fucile gli comparve davanti agli occhi e abbandonò la ricerca dell'interruttore, spostandosi senza far rumore dalla riga di luce che filtrava dal pianerottolo. Chinandosi su un ginocchio di fianco al guardaroba sentì un rumore. Le tende si mossero e il chiaro cielo autunnale poggiò contro il vetro i suoi puntini di luce, finché una figura li assorbì. Tutto tornò immobile di nuovo. Pascoe parlò. «Colin?», disse incerto. Si alzò. «Colin? Sono Peter, Peter Pascoe. Sei tu, Colin?». Ora si trovava accanto al comodino. Le mani scesero sulla lampada che c'era sopra. La nocca del pollice urtò l'interruttore e la luce morbida fiorì nella stanza. La figura alla finestra parlò. «No, mi spiace, signor Pascoe», disse in tono compassionevole. «Non sono Colin». «Lo vedo», disse Pascoe guardando con fermezza l'uomo che gli stava davanti. «Cosa ci fa nella mia stanza, signor Davenant?».
8 «Ah, eccoti, Anton», disse Marianne Culpepper dalla soglia. «Che cosa diavolo stai facendo qui dentro?». «Perdonatemi, cari», rispose Davenant allontanandosi dalla finestra. «Credo di essermi perso, povero me. Quella stanzetta che mi hai dato da basso è carinissima, Marianne, a parte il fatto che non ha il bagno. E, sebbene sia sicurissimo che una casa così signorile sia piena di bagni ovunque, al pianterreno non ne ho trovato nessuno, anche se ho sbirciato attraverso una grata in una stanza piena di robe a forma di pitale». «Ha scambiato la mia stanza per un bagno?», chiese Pascoe con un tono di incredulità accuratamente calibrato. «Ma neanche per sogno. Durante la mia ricerca ho aperto la porta e ho sbirciato dentro, mi sono accorto dell'errore ma poi ho dimenticato ogni cosa quando alla finestra, delineato contro il cielo della sera, ho visto scendere in picchiata un Asio otus». «Un cosa?», chiese Marianne. «Il gufo di palude, detto dalle orecchie lunghe, mia cara. Potrei essermi sbagliato, ma non credo. Quelle orecchie! Tutto il resto mi è uscito di mente. Un richiamo della natura è stato sostituito da un altro più grande, e sono sfrecciato attraverso la stanza per seguirne il volo. Superbo! Poi si è avvicinato qualcuno. Sono rimasto immobile e silenzioso ma, ahimè, sono stato scoperto. Ci perdoni l'intrusione, la prego». Sorrise dolcemente a Pascoe, che atteggiò il viso nell'espressione 'adesso tutto si spiega' che sempre assumeva di fronte a una lampante menzogna. «L'avete preso allora», disse la signora Culpepper senior in tono trionfante. Sbirciò curiosa sopra la spalla della nuora. «È un tizio ben buffo». «Zitta!», disse Marianne. «Questo è il signor Davenant, mamma. Un mio vecchio amico». L'intreccio s'infittisce, pensò Pascoe. E la metafora drammatica portò con sé un senso di messinscena, di qualcosa d'irreale. «Viene da Londra, vero?», chiese la vecchia signora come se si aspettasse la conferma del peggio. «Esatto», rispose Marianne. «Lo pensavo». E se ne andò, annuendo trionfante. «Tesoro», chiamò Culpepper dal piano di sotto. «John e Sandra se ne stanno andando».
«Ci dispiace di essere così di fretta, ma Eric ha il raffreddore e non vogliamo lasciarlo troppo tempo con la baby-sitter», arrivò la voce di Sandra Bell. Marianne guardò incerta Pascoe e Davenant, poi si girò e scese da basso. Davenant fece per seguirla. «Non avevo capito che aveva amici nei paraggi», disse Pascoe sedendosi sul letto. «E perché avrebbe dovuto? Nemmeno io avevo capito che ne avesse lei. Ciò che voglio dire è che non ho capito la sua strana condotta al pub finché più tardi non ho saputo chi era». «Ah. È da molto che conosce i Culpepper?», chiese Pascoe. «No, non da molto. In effetti non li conosco quasi. La cara Marianne ha esagerato un tantino a beneficio della vecchia strega definendomi un vecchio amico... No, anzi...». Esitò e guardò Pascoe soppesando le sue reazioni. Poi proseguì: «Anzi, se proprio mi si deve definire un vecchio amico, allora lo sono dei suoi vecchi amici». «Prego?», disse Pascoe. Poi, stupito: «Intende di Colin e Rose?». «Sì. Be', più di Timmy e Carlo, in realtà», rispose Davenant. «Ma conoscevo bene anche Colin e Rose». Pascoe si alzò e chiuse la porta. «Farebbe meglio a dirmi esattamente cosa fa qui, signor Davenant», disse. A dispetto di tutti i suoi sforzi, non poté evitare di dare una sfumatura minacciosa alla voce. La storia di Davenant era semplice. Si trovava a Oxford per raccogliere materiale per un articolo sulla cucina locale inglese, e a metà mattina aveva sentito la notizia dell'assassinio. Non appena aveva riconosciuto i nomi, era partito per Thornton Lacey. «Tremavo come una foglia, glielo garantisco. Riuscivo a stento a tener dritta la macchina. Ma dovevo venire, lei lo capisce. Quando sono arrivato ho dovuto riprendermi un tantino e mi sono reso conto che sarebbe stato sciocco presentarmi come un amico delle vittime». «Che cosa glielo faceva credere?», domandò Pascoe. «Perché a quel modo sei coinvolto nel cordoglio, e la gente non parla con te come farebbe normalmente. Deve essersene reso conto anche lei». «Immagino di sì», ammise Pascoe controvoglia. «Volevo poter fare domande. Ficcare il naso. Fare il giornalista. Proprio come lei deve morire dalla voglia di fare il poliziotto. Volevo scoprire tutto ciò che potevo su questa terribile faccenda. Così mi sono inventato quel-
la stupida storia dell'editore che mi ha assegnato il lavoro». «È stato molto bravo», mormorò Pascoe. «La ringrazio di cuore. Quando ho scoperto chi era, ho deciso che volevo parlare con lei. Mi hanno detto che era ospite qui. Appena hanno pronunciato il nome Culpepper mi sono detto: 'Buon Dio! Hartley! L'ho incontrato parecchie volte in città a casa di conoscenti comuni!' Sapevo che stava in campagna da queste parti, ma avevo dimenticato che fosse a Thornton Lacey. Una deliziosa coincidenza, in circostanze diverse». «Deliziosa. Così l'hanno relegata da basso?». «Finché gli altri ospiti non se ne fossero andati. Sembrava più facile. Questi paesotti sono pieni di falchi dall'occhio acuto e di vipere dalla lingua biforcuta». «E di gufi dalle orecchie lunghe». «Eh? Ah, sì. Mi chiedo dove si sia cacciato il giovanotto». Si girò verso la finestra e si mise a fissare fuori, nella notte trapunta di stelle. «L'autunno», disse. «Sempre una stagione triste. Adesso mi spiace di essere venuto a disturbarla. Forse dovrei andarmene». «Dove è alloggiato?». «Dal suo ultimo avversario pugilistico», disse Davenant girandosi e sorridendo. «All'Eagle. Se mi avvio adesso, farò in tempo a prendere il bicchiere della staffa al bar». «È venuto a piedi fin qui? Lasci che le dia un passaggio in macchina», si offrì Pascoe. «Molto gentile da parte sua. Ma no, grazie. Mi piace molto camminare. E forse l'Asio otus mi comparirà di nuovo davanti». «Allora la accompagno a piedi», disse Pascoe. «L'aria fresca mi aiuterà a prendere sonno. E anch'io vorrei dare un'occhiata al suo gufo». Dopo i primi minuti, Pascoe scoprì con sorpresa che stava davvero godendosi la camminata. C'erano cose nel suo compagno che ancora non gli erano chiare, e in larga parte la proposta di accompagnarlo era nata dalla volontà di saperne di più. Ma la notte non invitava alle chiacchiere, serie o leggere che fossero, e perfino il suono dei loro passi sulla ghiaia del viale d'ingresso dei Culpepper sembrava fuori luogo. Il viale correva di fronte a loro bianco come un fiume dell'Alaska, e quando finalmente lo abbandonarono per la superficie più scura del viottolo che conduceva alla strada, entrambi esitarono, come incerti su dove posare i piedi. I rumori della notte
pian piano presero il sopravvento: la brezza tra gli alberi, qualcosa che frusciava nell'erba, un chiacchiericcio distante, subitaneamente interrotto, poi una lunga nota fluttuante che faceva aggricciare i nervi. «Eccolo!», esclamò Davenant. «È lui». «Il suo gufo?». «Probabilmente. O magari è solo un gufo fulvo. Sono più comuni. Ascolti». Il richiamo si ripeté. A Pascoe pareva di essere circondato dagli indiani sul punto di attaccare. «Penso sia un fulvo», concluse Davenant. «Simpaticissimi animaletti, ma non è la stessa cosa». Ripresero a camminare. «Mi dica», cominciò Pascoe quando furono sulla strada, «cos'aveva da dire Palfrey su Colin prima che lo interrompessi? O anche dopo...». Avevano svoltato a destra in direzione del villaggio. «Adesso le interessa!», esclamò Davenant. «Ebbene, non era affatto elogiativo, sa? Ho conosciuto Colin attraverso Timmy e Carlo, e non gli sono legato come lei. E poi, ovviamente, avevo deciso di farlo parlare. Perciò non ho reagito come lei». «Non c'è bisogno di scusarsi», disse Pascoe. «Sono stato uno stupido». «Forse sì. Ma di tanto in tanto abbiamo bisogno di manifestare le nostre emozioni. Le cose avevano cominciato ad andare male quasi subito fra lui e gli Hopkins. Stando alla sua assai colorita versione, molto affascinante, ahimè per alcuni dei miei colleghi giornalisti, Colin era un marxista esibizionista e squilibrato. 'Marxista', fra parentesi, è uno degli insulti più sanguinosi nella lista di Palfrey. Affiderebbe il suo bel figlio adolescente alle cure di uno come me piuttosto che lasciarlo in custodia a un marxista». «Ma cosa le ha detto, in particolare?», indagò Pascoe. «Abbastanza poco, benché abbia racimolato una versione molto più dettagliata della storia da altre fonti. A quanto pare ha tentato con i nuovi arrivati la carta della degnazione. Quando non ha funzionato, e lui ha visto che Rose e Colin venivano accettati da quelli dai quali lui, Palfrey, avrebbe voluto farsi accettare, ha tentato la linea 'tutti amiconi nel vecchio buon casino'. I due non hanno aderito neppure a questa, ma essendo persone gentili lo tolleravano, finché una sera ha buttato fuori un paio di ragazzotti piuttosto molesti che erano capitati lì per caso, commettendo l'errore di fare appello al sostegno morale di Rose. Lei si è alzata, ha dichiarato che aveva sempre pensato che la sua birra faceva schifo, ma adesso sapeva il vero
motivo per cui lo chiamavano Jim Piscio, poi è uscita. Palfrey ha detto qualcosa del tipo troia maleducata; Colin, che stava per seguire Rose, si è fermato per il tempo necessario per versare il contenuto del suo bicchiere in testa a Palfrey. Non sono tornati mai più. Dopo un'uscita così bella, come avrebbero potuto?». «Ma la cosa non è finita lì», azzardò Pascoe. «Assolutamente no. L'assenza è servita a indurire il cuore. Palfrey li perseguitava con calunnie e maldicenze e tentava di diffondere voci sulla loro presunta immoralità, estremismo politico e, peggio di tutto per l'orecchio borghese, inaffidabilità economica. Colin e Rose avevano moltissimi amici, ma in un posto come questo ci sono sempre orecchie disposte ad ascoltare». «E...?», sondò Pascoe dopo che ebbero proseguito in silenzio per una cinquantina di metri. «E niente. Finita qui. Anche se mi hanno detto che Colin è stato visto uscire dall'Eagle venerdì mattina, poco prima dell'apertura, e che Palfrey era più silenzioso del solito con i clienti regolari a pranzo». E Colin aveva scritto una lettera a Palfrey quel pomeriggio. Cosa diamine poteva contenere? Backhouse lo sapeva. Ma conosceva anche i retroscena? Ma certo! Proprio come li avrebbe conosciuti lui, Pascoe, se fosse riuscito a leggere gli appunti di Crowther. Raggiunsero il villaggio senza dire molto altro. Si fermarono davanti all'Eagle and Child. «Qualcosa da bere?», chiese Davenant. «Non credo sia il caso», rispose Pascoe. «Non lì dentro, comunque». «No, certo che no. Proviamo nell'altro locale, allora». Arrivarono giusto in tempo per le ultime ordinazioni. Il posto era affollato e Molly Dixon era sotto pressione. Le sue qualità di ostessa trasparivano chiaramente dal modo in cui teneva testa ai clienti, e accolse l'arrivo di Pascoe con un sorriso di benvenuto e un rapido ma sinceramente preoccupato: «Tutto bene?». «Bene», rispose Pascoe. «Non c'è il signor Dixon?», le chiese poi quando portò le ordinazioni. «No», rispose lei. «È alla cena annuale del club di bocce. Per soli uomini: molto comodo. Ultime ordinazioni, signori, prego! Sbrigatevi per favore... il più in fretta possibile. C'è qualcuno senza?». Lo disse come se fosse sinceramente dispiaciuta di dover chiudere. Ammirevole qualità, pensò Pascoe. In particolare quando si è da soli a servire.
Si guardò intorno e si accorse che molti sguardi erano fissi su di lui. Più giornalisti che gente del posto, fu il suo rapido calcolo. Avevano un'aria vigile, in contrasto con la convivialità da ora di chiusura degli altri. Sorseggiò pensoso la propria birra e guardò il suo compagno, chiedendosi se avrebbe fatto da cuscinetto contro i suoi colleghi. Più probabilmente, vedendolo in sua compagnia, sarebbero stati spinti a farsi avanti per timore di essersi persi qualcosa. «Da quanto fa il giornalista?», chiese. «Da secoli, bocconcino», rispose Davenant. «Non si lasci ingannare dal mio profilo aristocratico: vengo da una famiglia povera ma onesta che mi ha incitato a guadagnarmi da vivere il più celermente possibile. Ma, mi dica, che effetto fa a un poliziotto trovarsi d'improvviso toccato così da vicino da un'indagine per omicidio? Un po' come Torquemada che rimane intrappolato accidentalmente nella Vergine di ferro, oserei dire». «Lei dovrebbe saperlo», rispose Pascoe. «Provarlo e saperlo non sono la stessa cosa». Pascoe fu salvato da quel criptico scambio di battute dal clangore lontano della campana dei pompieri. Le conversazioni morirono mentre il suono si avvicinava rapidamente, tanto rapidamente che mentre i più curiosi si facevano sulla porta lo scampanellio stava già diminuendo e tutto ciò che videro furono le luci di posizione che si allontanavano veloci. «Brutta stagione per un incendio», commentò Davenant. «Prego?». «L'autunno. Pagliai alti e granai pieni. Mi chiedo se la graziosa signora dietro il bancone sia aperta ai suggerimenti. Per servirci ancora da bere, intendo». «Ha già chiesto le ultime ordinazioni». «E io proprio quelle ho intenzione di fare». Davenant svuotò il bicchiere e si avvicinò al bar. Quando si fu allontanato, un uomo alto dai capelli grigi si presentò davanti a Pascoe. «Il signor Pascoe? Sono dell'Echo. Potremmo scambiare due parole?». «No», disse Pascoe. «Molto rapidamente, la prego». Altri giornalisti veleggiavano nella sua direzione, notò Pascoe irritato. «Si levi dai piedi», disse. «Oh, andiamo, sergente!». Il suo grado venne pronunciato come una minaccia. Con calma Pascoe posò il bicchiere su un tavolo vicino. Si sentiva perfettamente sotto con-
trollo ma non escludeva la possibilità di colpire la faccia avida e insinuante di quell'uomo. E nel caso avesse deciso di farlo, non voleva avere in mano un bicchiere d'acqua. Non che volesse farlo. Certo che no. «Dev'essere stato un terribile shock per lei, sergente», insistette il reporter. Pascoe cambiò idea, strinse il pugno, ricambiò idea e se lo infilò ben in fondo alla tasca. «Vada via», disse. La porta del bar venne spalancata. Un campagnolo dall'aria eccitata entrò e parlò con quella che doveva essere una conoscenza recente. Altre persone alzarono la testa per ascoltare. Le parole danzarono attraverso la folla di bevitori come driadi in una foresta illuminata dalla luna. Ipnotiche. Difficili da afferrare. «Brookside... Incendio... Cottage... Fuoco... Brookside Cottage è in fiamme!». Il reporter si levò dai piedi. Quando Pascoe arrivò a Brookside l'incendio era domato. A quanto pareva c'era stata un'esplosione in cucina e lo scoppio, benché avesse provocato molti danni, aveva probabilmente estinto la fiamma che l'aveva causato. Un poliziotto in uniforme, lasciato sul posto per sorvegliare la proprietà di notte, aveva deciso che era assurdo stare di guardia fuori ed era entrato nel soggiorno proprio mentre si era verificata l'esplosione. Aveva dei brutti tagli sulla faccia, ma era riuscito a telefonare per chiedere aiuto. Backhouse si trovava sulla scena, ma non sembrò incline ad accordare a Pascoe qualche privilegio particolare. Pascoe non si sentì di biasimarlo, e ciondolò intorno ai margini del gruppetto di giornalisti ai quali Backhouse si rivolgeva in modo amichevole e conciliante. Certo la sua educazione non era quella di Dalziel! «Sembra ci sia stata una fuga di gas in cucina, e probabilmente la fiamma pilota del fornello ha innescato l'esplosione. La cucina stessa ha subito danni estesi, ma le altre stanze sono state toccate solo superficialmente». «Direbbe che è stato un incidente, sovrintendente?». «E che altro?», replicò Backhouse bonario. Sì, cos'altro? si chiese Pascoe. Non credeva nelle coincidenze. I vigili del fuoco iniziarono a riporre l'attrezzatura. Arrivò un furgoncino della Società del gas e un paio di uomini entrarono nel cottage per sistema-
re le tubature danneggiate. Gli spettatori si sparpagliarono e iniziarono ad allontanarsi. Pascoe rimase a guardare. Quando la maggior parte di loro fu salita in macchina, notò una figura vagamente familiare uscire dall'ombra dalla parte opposta della via e incamminarsi in fretta per la strada che portava fuori dal villaggio. Pascoe si frugò nella memoria per capire di chi si trattasse. Sam Dixon, realizzò all'improvviso. Doveva essere di ritorno dalla cena del club delle bocce. Fu mentre affrontava di nuovo il viottolo che portava a casa dei Culpepper, che un altro pensiero lo colpì. Dixon non si trovava al pub neppure la sera prima. Ma non sembrava un pensiero molto importante, almeno non tanto importante, al momento, quanto la preoccupazione di sapere chi lo stesse seguendo attraverso gli alberi che fiancheggiavano entrambi i lati del viottolo. «I nervi», suggerì Ellie. «O quella cosa che Davenant dice di aver visto, l'Anus mirabilis». «Asio otus. No, non era un gufo. Più come un effetto sonoro da film dell'orrore. Ramoscelli spezzati e fruscio nel sottobosco. Sono contento di essere a casa». Al suo ritorno la compagnia si era sciolta. Culpepper l'aveva fatto entrare spiegando che gli ospiti se n'erano andati e offrendogli il bicchiere della staffa. «Marianne è andata a letto», aveva aggiunto. «Spero che la scuserà, ma non avevamo idea di quando sarebbe tornato, e ha avuto una giornata faticosa». «Spero non sia rimasto alzato per me», si scusò Pascoe. «Niente affatto. Ho bisogno di pochissimo sonno. Tre o quattro ore, poi mi alzo. Certe volte non mi prendo neppure la briga di andare a letto e schiaccio un pisolino in poltrona». Quando Pascoe rifiutò un secondo giro, Culpepper non insistette, e si augurarono la buonanotte. Mentre saliva le scale, Pascoe sentì aprirsi la griglia della stanza delle porcellane. Pensò di infilare la testa nella stanza di Ellie, decise che non era il caso di disturbarla e, quando accese la luce nella propria stanza, la trovò seduta accanto alla finestra. «Gesù», disse. «Questo non fa affatto bene ai miei nervi».
«Novità?», si informò lei. Pascoe la aggiornò brevemente su quanto era accaduto da quando era uscito di casa. «Ho sentito il camion dei pompieri», disse Ellie. «Mi sono chiesta che cosa fosse successo». «Naturalmente da quassù si sente», replicò Pascoe. «Strano, Culpepper non me ne ha accennato». «Probabilmente ha altro di cui preoccuparsi. Madonna Marianna, per esempio». «In che senso?». Ellie indicò la finestra. «Non me ne sono rimasta seduta qui immobile come una sentinella per niente. Se pensa che Marianne sia a letto, si sbaglia di grosso. Un quarto d'ora dopo che l'ultimo ospite se n'era andato, lei si è messa a saltellare tutta in ghingheri per il vialetto ed è scomparsa tra gli alberi». Pascoe fece un fischio. «Rischioso». «Meno di quanto tu creda. Non dormono nella stessa camera». «Piccola impicciona! Chi è stato l'ultimo ad andarsene?». «Lo sai già». «Pelman. Tutto torna». «Se spegni la luce possiamo vedere quando torna». Pascoe premette l'interruttore e raggiunse Ellie accanto alla finestra. «Forse era Marianne quella che ho sentito mentre risalivo il vialetto», rifletté. Ellie si appoggiò contro di lui, morbida e calda nella sua camicia da notte. «Non l'ultimo degli zombie?», disse con voce assonnata. «Che peccato». Rimasero a guardare in silenzio per qualche istante. «Ne ho abbastanza», disse quindi Ellie. «Vado a letto. Tutto questo guardare...». Si allontanò da lui ed entrò nel letto. «Ehi», disse Pascoe, «quello è il mio letto». «Non penserai mica che ritorni in camera mia con tutti quegli esseri che si muovono furtivi nel sottobosco, eh?». Il tono era leggero, ma Pascoe sapeva di doverla prendere sul serio. Gli eventi del giorno attendevano pazienti l'oscurità e la solitudine per prendere forma e sostanza nelle loro menti. Si rese conto che essere soli, quella notte, sarebbe stato insopportabile.
Si spogliò in fretta e raggiunse Ellie nel letto angusto. «Peter», disse lei. «Sì?». «Andiamo a casa domattina. Subito. Il più presto possibile». «Sì», rispose Pascoe. «Dormi, adesso. Andremo a casa domattina». SECONDA PARTE 1 «Sembra che si sia portato a letto una pecora», disse Dalziel disgustato. Ha parlato l'ultimo dei damerini, pensò Pascoe, lanciando un'occhiata ai calzoni sformati e alle bretelle militari pericolosamente tese sul giro vita parabolico del suo superiore. Ma fu costretto ad ammettere di essere tornato ricoperto di peli bianchi. «Buffo come certi cani ne perdano tanti senza mai diventare calvi», commentò, cercando senza successo di spazzolarsi i pantaloni. Dalziel ghignò senza allegria, grattandosi l'ispida zucca sale e pepe solcata da profonde stempiature luccicanti. «Bel cane da guardia», disse. «È un volpino di Pomerania», spiegò Pascoe paziente. «Non lo lasciano a casa quando vanno in vacanza. Non per due settimane di fila. La Protezione animali avrebbe qualcosa da dire». «Coglioni», disse Dalziel. «Avrebbero un paio di migliaia di sterline in più se in casa ci fosse stato un cane affamato». «Pagherà l'assicurazione», disse Pascoe con indifferenza. «Ha in mente qualcosa?». «Cosa? No. Cristo, perché dovrebbe tentare una truffa come questa? Ventimila, sì. Ma per loro è robetta. Ha visto la casa?». «No. Ma non si può mai dire. Però ha ragione. È stato quasi di sicuro il nostro tizio. Il suo tizio. Non ce lo vedo il signor Stan Cottingley fare pipì nel suo bollitore». Il pensiero lo rallegrò e la sua risata solitaria terminò in un accesso di tosse soffocato nel fazzoletto kaki misura extra-large. Non sta bene, pensò Pascoe all'improvviso. Non sto bene, pensò Dalziel per la decima volta quella mattina. Sentiva un dolore attraversargli il petto. Era un petto ampio, perciò il dolore era grande. Avesse avuto qualcuno a tergergli la fronte febbricitante e a im-
boccarlo con un brodino nutriente, quel lunedì mattina se ne sarebbe rimasto a casa. O, più probabilmente, avrebbe rifiutato simili smancerie nel suo solito modo brusco e sarebbe andato a lavorare comunque. Guardò cupamente Pascoe e si chiese se doveva dirgli che la sua promozione era praticamente confermata. Ancora una volta decise di non farlo. Una promozione avrebbe dovuto significare qualcosa, essere celebrata con una bevuta e un po' di frizzi e lazzi. Nelle attuali circostanze, dubitava che Pascoe avrebbe avuto la benché minima reazione. Sarebbe stato un peccato sprecare un piccolo trionfo. Pascoe sarebbe potuto diventare ispettore almeno venti mesi prima se fosse rimasto, o avesse voluto tornare, al servizio di scrivania. Ma il ragazzo era stato irremovibile. La carriera di amministratore e uomo di idee per la quale la sua formazione sembrava renderlo adatto non lo attirava. Lui voleva fare il detective. E non lo faceva nemmeno male, pensò Dalziel con l'orgoglio del creatore, mentre esaminava di nuovo il dossier meticolosamente redatto sulla serie di furti con scasso che in quel momento costituiva il caso principale del sergente. L'interesse di Dalziel era duplice. Un singolo furto in una casa privata di rado era sufficiente a tirare in ballo la potenza di fuoco di un sovrintendente. Ma una lunga sequenza - undici al momento, quasi certamente tutti a opera dello stesso uomo - iniziavano ad assumere i connotati di un crimine di vasta portata, specialmente quando c'era ragione di credere che l'autore, se interrotto, sarebbe ricorso a metodi estremamente violenti. Un pensionato che faceva il tuttofare per il vicinato era stato ingaggiato dal proprietario della quinta casa per tenere d'occhio il giardino mentre la famiglia era via. Coscienziosamente, l'anziano signore era arrivato una sera d'estate per innaffiare le bordure inaridite dal caldo. Mentre passava, un uomo era uscito dalla porta della cucina, quasi scontrandosi con lui. Senza esitare l'intruso l'aveva aggredito con violenza. Il vecchio era in motorino e non si era ancora tolto il casco: solo questo gli aveva evitato danni peggiori. Ma la forza del colpo sferrato da quello che era probabilmente un palanchino aveva lasciato tacche profonde nel casco, ed era stata sufficiente a tramortire chi lo indossava. Era stata l'unica volta in cui qualcuno aveva visto il ladro, e la descrizione era praticamente inutile, ma l'incidente in sé era assai preoccupante. Tutte le effrazioni erano avvenute mentre le case erano vuote, in genere quando i proprietari si trovavano in vacanza. Se i furti avessero seguito sempre questo schema, era difficile che si verificassero interruzioni. Ma se fosse accaduto di nuovo, la prossima volta poteva non esserci il casco a
proteggere il malcapitato. Dalziel gettò da parte il dossier con un'altra sfilza di colpi di tosse. La meticolosità non era sufficiente. Non c'era niente lì dentro che lo indirizzasse in una particolare direzione. Magari il cervello di Pascoe poteva programmarsi sulla questione con qualche risultato. Quanto a lui, aveva bisogno di qualcosa di più animalesco: un odore. Annusò, seguendo inconsciamente quel pensiero. Pascoe, decise, aveva bisogno di farsi un giro fuori porta. L'avrebbe distratto dai pensieri tristi. «Sono più di dodicimila adesso, con le cianfrusaglie di Cottingley». «Tredicimilacentotrentacinque», disse Pascoe. «Secondo il calcolo dell'assicurazione, cioè». Guardò l'orologio. Aveva promesso di telefonare a Ellie all'ora di pranzo. Almeno quel contatto era necessario perché forse quella sera non avrebbero potuto vedersi. Troppo spesso in passato era stato costretto a cancellare appuntamenti all'ultimo minuto. Il venerdì precedente, tanto per fare un esempio. «Si dovrà pure liberare della roba da qualche parte». «Il pensiero mi ha attraversato la mente», sogghignò Pascoe. Dalziel si alzò e lo squadrò dall'alto, togliendosi gli occhiali dalla montatura pesante che usava per leggere. Era un gesto carico di minaccia. «Mi sembra che basti, sergente», disse. «È stato un brutto fine settimana per lei, ma non ha pronunciato una parola civile da quando è arrivato stamattina. Spero ardentemente che con Cottingley sia un po' più gentile». Era un rimprovero espresso in tono mite, per gli standard di Dalziel, ma Pascoe avvertì una fitta di imbarazzo. «Mi dispiace», disse. «Signore. Continuo a sentirmi... be', frustrato... come se...». Ma Dalziel non ci teneva affatto a una chiacchierata col cuore in mano. Il suo dolore peggiorava. Indigestione, stabilì con disperato ottimismo. Troppi cibi pesanti, troppo poco movimento. Una camminata veloce fino alla farmacia gli avrebbe fatto bene. «Si metta sotto, sergente», disse stancamente. «Lì c'è qualche buona descrizione. Non può aver riempito i cassetti del comò di roba rubata. Da qualche parte deve pur saltare fuori». Se ne andò. Pascoe avrebbe dovuto sentirsi indignato, perfino ferito. Invece, abbastanza stranamente, sentendo i colpi di tosse allontanarsi lungo il corridoio provò quasi una sensazione di affetto.
«Ciao, amore. Stai bene?». «Sì. Un mucchio di manifestazioni di simpatia per nascondere la morbosa curiosità accademica. Nessuna reazione da parte dei miei studenti, però. Non credono che abbiamo una vita privata. Come hai trovato il grassone?». «Non troppo bene, credo. Ma abbastanza riguardoso, per i suoi standard. Abbiamo un sacco da fare». «Meglio così. Per adesso, almeno. Ma hai da fare fino a tardi?». «Non lo so. Ti telefono quando ho finito». «Sì, Peter, per favore. Ieri notte li ho sognati». «Oh, amore». «Eravamo tornati a Eskdale. Ricordi? Solo che era Brookside Cottage, non quella vecchia fattoria grigia. Mi è venuta in mente una cosa: Colin potrebbe essere tornato laggiù». «Perché?». «Non lo so. Solo un'idea. È dove mi ha portato la mia mente fuggendo dal pensiero che sono morti. Capisci?». «Penso di sì». Rimase in silenzio per un istante. «Senti, devo andare adesso. Prima comincio, più possibilità abbiamo di vederci stasera». «Va bene. Ci sentiamo più tardi. Ciao». «Ciao». Il problema era che quasi tutti gli oggetti sottratti dallo scassinatore di Pascoe erano di valore senza essere unici. Le case che sceglieva erano del genere porcellane abbastanza belle, ottone, bronzo, argento e, occasionalmente, oro, sparpagliato in giro in una forma o nell'altra tanto da rendere redditizie le sue visite. Gioielli, perfino contanti, in genere nascosti in maniera inadeguata, erano una gratifica frequente. La sua tecnica, come l'aveva ricostruita Pascoe, era semplice. Sceglieva case circondate da un giardino abbastanza grande da garantire un sufficiente isolamento; ci arrivava con la macchina (avevano rilevato qualche impronta di copertone del tutto inutile); parcheggiava fuori dalla vista della strada, talvolta nel garage; rompeva il vetro di una finestra per entrare (non si preoccupava del rumore, visto che la casa era isolata: una volta aveva addirittura abbattuto la porta della cucina); esaminava l'interno con comodo; riempiva una valigia o due con gli oggetti che stimava valessero di più; se ne andava.
In principio le effrazioni erano state semplici, senza fronzoli. Nelle prime due case sembrava non ci fosse stato nessuno. Ma a poco a poco erano subentrate tracce di saccheggio: muri imbrattati, tappeti macchiati, mobili sfregiati. In casa dei Cottingley, l'ultima della serie, forse in omaggio al valore del bottino, aveva lasciato solo un bollitore pieno di urina. O magari questo segnava una svolta. La defecazione, e perfino la masturbazione, nel corso di questo genere di furti non erano elementi insoliti di una certa sindrome criminale, spesso associata con un'instabilità mentale ed emozionale più grave. Ricordò con disagio l'aggressione all'uomo anziano. Nessuno degli oggetti trafugati era tornato a galla, non nei dintorni almeno, perciò doveva esserci un efficiente sistema di smercio. Non che, in ogni caso, molto di quel materiale potesse essere identificato con sicurezza. L'ultimo bottino era tipico: piccola quantità d'argento, che aveva tanto valore fuso quanto ne aveva nella sua forma originaria. Alcuni vetri di valore, ma non pezzi unici. Soprammobili. Qualche gioiello. Un orologio antico. E la collezione di pietre e sassi che la signora Cottingley aveva raccolto in giro per il mondo mentre accompagnava il marito nei frequenti viaggi d'affari. Solo l'orologio rappresentava un'opportunità. Gli serviva un collegamento, ma in quel momento nella sua testa non c'era un pensiero utile nemmeno a pagarlo. «Fottiti», disse e prese il giornale del mattino che non aveva ancora avuto tempo di aprire. Colin lo guardava dal fondo della prima pagina. Per un istante pensò che significasse che l'avevano trovato, ma era solo un appello ai lettori. Il breve articolo sugli omicidi non conteneva elementi nuovi. Vi erano citate un paio di frasi insignificanti di Backhouse e, cosa più sorprendente, una piccola arringa di French, il coroner, sull'interesse della comunità, da cui risultava chiaro quanto gli piacesse mettersi in mostra. Girò la pagina per sfuggire alla fotografia. I guai degli altri gli balzavano in faccia a ogni colonna: esplosioni, rivoluzione, disoccupazione, un paio di scioperi, un campione di calcio squalificato, una compagnia mineraria accusata di depredare la verde Scozia. Esaminò più attentamente l'ultimo articolo. La compagnia era la Nordrill, quella per la quale lavorava Culpepper, ricordò. Fu riportato di colpo a Thornton Lacey. Accartocciò il giornale fra le mani e lo gettò nel cestino della spazzatura. Bussarono alla porta e fece capolino un viso giovane e allegro. «Mi scusi, sergente, c'è un certo signor Sturgeon. Dice che vorrebbe vederla».
«E io voglio vederlo?», si chiese Pascoe. «Va bene, fallo entrare». Edgar Sturgeon era la vittima numero sei dello scassinatore. Pascoe lo ricordava bene, in parte perché aveva perduto una collezione di francobolli valutata poco meno di un migliaio di sterline, e in parte perché non era parso granché afflitto nel trovare la casa svaligiata al ritorno dalle vacanze. In certi casi questo poteva destare sospetti, ma Pascoe non aveva trovato motivo di credere che l'anziano signore fosse connivente. Si erano presi in simpatia quasi subito... e questa non era certo una ragione valida per acquietare i sospetti di Dalziel; ma, in ogni caso, Sturgeon stava troppo bene economicamente per aver bisogno di truffare l'assicurazione. Era un uomo che si era fatto da solo e di recente era andato in pensione, vendendo le sue quote di un locale deposito di legname che aveva tirato su dal niente in oltre quarant'anni di attività. Forse non era ancora pronto per la tranquilla vita da pensionato che la sua affabile moglie e i tre gatti dal pelo variegato avevano progettato per lui, e Pascoe, di fronte ai suoi modi esuberanti, aveva sospettato che stesse ancora impiegando il suo fiuto per gli affari in qualcosa di remunerativo. «Salve, signor Sturgeon. Entri», lo accolse Pascoe con un sorriso. «Salve, sergente Pascoe», rispose l'uomo massiccio dai capelli sale e pepe, entrando senza fretta. Sembra più vecchio, pensò Pascoe. E i suoi modi erano tutt'altro che esuberanti. «Cosa posso fare per lei?», chiese. Sturgeon si sedette e tirò fuori una busta dal taschino della giacca. «Mi sono stati restituiti alcuni dei miei francobolli», disse in tono neutro. «Ma davvero? Che bello! Da chi?». «Da un amico. L'ho visto al club sabato e mi ha detto che aveva comprato certi francobolli per il compleanno di suo nipote. Serie dell'incoronazione del 1953. Valore, un paio di sterline. Mi ha chiesto di dare un'occhiata e di dirgli se gli avevano dato una fregatura». Pascoe guardò con interesse i quattro francobolli che aveva scosso con cura fuori dalla busta. Non erano timbrati. «Come fa a essere sicuro che sono i suoi?», chiese, dopo aver cercato invano di individuare qualche segno distintivo. «Sono miei, non ci piove», dichiarò Sturgeon. «Si fidi di me, ragazzo! Ho fatto qualche lavoretto di restauro sul francobollo più grande. Quasi non si vede, ma fa diminuire il suo valore. L'amico è stato fregato! E se
guarda sul retro vede come sono stati fissati. Al giorno d'oggi non si fa più, ma quando ho iniziato li incastravi dentro». «Mi fido della sua parola», disse Pascoe, felice di vedere l'anziano signore animarsi un po'. «E questo amico dove li ha comprati?». «Da Etherege e Burne-Jones. A Birkham». «Birkham? Sì, lo conosco». Era un villaggio pochi chilometri a est di lì. Era un utile punto d'incontro a metà strada per Pascoe e Ellie, in particolare grazie al Jockey, un pub molto gradevole che serviva bistecche eccellenti. L'unico problema era che, come sempre accade, bellezza e bontà attraggono torme di gente, e Birkham era un posto alla moda sia per il turismo sia per andarci ad abitare. Circa un anno prima le delizie architettoniche e gastronomiche del luogo erano state descritte minuziosamente in un articolo di un supplemento domenicale, e ciò ne aveva ovviamente accresciuto la popolarità. Era, si disse Pascoe, realizzandolo con un brivido, la Thornton Lacey dello Yorkshire. Spazzò via il pensiero e si concentrò sui signori Etherege e Burne-Jones. Conosceva di vista il loro negozio, un granaio ristrutturato, ma non c'era mai entrato. Per un poliziotto tutti i negozi di oggetti di seconda mano, che dichiarassero di commerciare in 'antichità' o in 'modernariato', erano sospetti, poiché fornivano lo sbocco commerciale migliore e più ovvio per gli oggetti rubati. Ma secondo la sua esperienza era meno probabile che un negozio alla moda come quello di Birkham venisse utilizzato a tale scopo rispetto ai suoi analoghi urbani. Le opportunità di guadagni legali vendendo vere o presunte antichità erano troppo grandi perché valesse la pena di rischiare con la ricettazione. «Cosa farete?», chiese Sturgeon. «Andremo a dare un'occhiata, naturalmente. Guarderemo se hanno qualcosa d'altro di suo. Mi ha detto che i francobolli le sono stati mostrati sabato sera? Perché non ci ha contattato ieri?». Sturgeon si strinse nelle spalle. «Non mi sembrava così importante da rovinarle il fine settimana», rispose. Pascoe si alzò e andò a uno schedario. Lo aprì e vi guardò dentro. «È stato gentile da parte sua», disse dopo un istante. Se la sua voce suonava strana, Sturgeon ovviamente non lo notò. Sedeva fissando con sguardo vuoto la scrivania di fronte a sé. I francobolli non gli interessano, pensò all'improvviso Pascoe, c'è qualcos'altro.
Estrasse una cartella dallo schedario aperto. «Ho qui un inventario delle sue cose, signor Sturgeon», disse. «Questo sarebbe l'articolo numero 27, non è vero?». Sturgeon lo guardò annuendo. Rapido ed efficiente Pascoe stese una dichiarazione da fargli firmare. Dopo, tuttavia, Sturgeon sembrava restio ad andarsene. «Sergente», disse, «mi farebbe un favore?». «Dipende dal favore», fu la risposta di Pascoe. Sturgeon tirò fuori un foglietto sul quale erano scritti un nome e un numero di telefono e lo porse a Pascoe, che lo lesse senza che gli si accendesse nessuna lampadina. 'Archie Selkirk, Strath Farm, Lochart, Nr Callander'. «Il villaggio di Lochart, nel Perthshire», spiegò Sturgeon parlando in fretta, come ansioso di espellere le parole. «C'è un sergente di polizia di stanza lì. È come nei paesi qui intorno... tutti sanno tutto di tutti. Potrebbe telefonare a questo sergente e chiedergli che cosa sa di quell'uomo?». «Di Archie Selkirk?», chiese Pascoe soprappensiero. «Non sono sicuro, signor Sturgeon... Cos'è che vuole scoprire?». «Niente», rispose Sturgeon. «Niente di particolare. Solo qualcosa che forse si dovrebbe sapere. Può farlo?». «Be', vedrò cosa posso fare. Ma le persone hanno diritto alla riservatezza, sa, signor Sturgeon? Le forze di polizia non possono essere usate come centro informazioni. Per compiere delle indagini dobbiamo avere qualche buona ragione». Sturgeon si alzò, spingendo indietro la sedia con rabbia. «Se non può farlo, non può farlo», disse brusco avviandosi alla porta. «Aspetti!», lo richiamò Pascoe. «Ho detto che vedrò quello che posso fare». «Faccia come crede», disse Sturgeon freddo, e se ne andò chiudendo con forza la porta dietro di sé. Pascoe accennò un paio di passi per seguirlo, poi esclamò: «Merda!», e si risedette. Il suo lavoro era scovare criminali, e quel giorno aveva intenzione di dedicarcisi e di lasciare ad altri la terapia sociale. Si infilò nel taschino il foglietto di Sturgeon e se ne andò a pranzare in mensa. Nel pomeriggio lavorò sodo ma senza alcun risultato. Le carte sembravano assediarlo da ogni parte e anche l'unica incursione nel mondo esterno si rivelò un fallimento. Sulla porta del negozio di Etherege e Burne-Jones,
a Birkham, era appeso il cartello 'chiuso' e durante il viaggio di ritorno scoprì di avere una gomma a terra. Cambiò la ruota a tempo di record, deciso a salvare almeno la serata. Ma tutta quella fretta si rivelò inutile: quando alle cinque e mezza telefonò a Ellie per dirle che sembrava che potesse liberarsi per quella sera, lei rispose con una voce flebile per la stanchezza. «Sono morta, Peter», gli disse. «È successo oggi pomeriggio. Ho dovuto mandare a casa una classe. Probabilmente credono che sia incinta. O che stia entrando in menopausa, più probabilmente». I suoi sforzi per mantenere un tono leggero fallirono miseramente. «Hai chiamato il dottore?», chiese Pascoe preoccupato. «Ma no, dai! Ho preso qualche pillola all'infermeria del college. Garantito che mi stenderanno». «Pillole? Non credi che dovresti...». «Oh, smettila di agitarti!», scattò lei irritata. «Abbiamo un'infermiera diplomata qui, che distribuisce solo due o tre pastiglie alla volta, perciò non corro il rischio di essere ricoverata per overdose». «Non intendevo... volevo solo dire...». «Va bene, Peter. Mi dispiace, tesoro. Tutto ciò che voglio è una dose di oblio, una bella dose efficace. Ti spiace se rinunciamo, per stasera? Diavolo, in ogni caso riusciremmo solo a stare qui seduti a guardarci come due derelitti. Di cosa puoi parlare quando c'è solo una cosa di cui parlare? Nessuna novità?». «Niente». «Bene. Nessuna nuova...». «...nessuna nuova, e basta». «Sì. Mi chiami domani?». «Certo. Senti, Ellie, perché non pranziamo insieme? Domattina devo andare a Birkham. Non è lontano da dove sei tu, e possiamo prenderci una zuppa al Jockey». «Ok. Verso l'una, va bene? Perfetto. Ciao». «Ciao, amore». Pascoe posò pensieroso il ricevitore. «Qual è la principale attrazione di Birkham, a parte la zuppa?». Dalziel era sulla soglia. Si era costretti ad ammirare il modo in cui quell'uomo non faceva il minimo sforzo per nascondersi quando origliava. O forse no. Ma di certo protestare era completamente inutile. Lo aggiornò rapidamente sugli avvenimenti della giornata.
«Un bel cazzo di niente», grugnì Dalziel. «Se ci pagassero per i risultati che otteniamo, ci sarebbe un mucchio di coglioni affamati qui dentro, stasera». Tossì violentemente nel fazzolettone kaki. «Io farei qualcosa per quella tosse, signore», suggerì timidamente Pascoe. «Ah sì, eh?», rispose Dalziel. «Be', sergente, dato che sembra arrivato a un punto morto stasera, potrebbe darmi uno strappo giù al Black Eagle e comprarmi un po' di medicina. George, tu vieni?». L'ispettore così interpellato mentre passava rapidamente davanti alla porta già con l'impermeabile addosso non arrestò la sua veloce avanzata. «Stasera no, grazie, signore», disse mentre si allontanava. «Mi aspettano assolutamente a casa». Pascoe lo ammirò. Ci voleva del coraggio per allontanarsi mentre Dalziel stava parlando. Forse era quella la qualità che mancava a lui, e per tale motivo sarebbe rimasto sergente fino alla fine dei suoi giorni. «La ragazza sta bene?», chiese Dalziel mentre uscivano nell'aria fresca della sera. «Sì, grazie». «Buono. Mi è sembrata abbastanza tosta». Dalziel aveva incontrato Ellie nel corso di un'indagine al college dove lei insegnava, la stessa indagine che aveva rimesso insieme, quasi per forza, Ellie e Pascoe dopo anni che non si vedevano. Pascoe non era ancora sicuro della forza e della profondità del loro rapporto. Si vedevano regolarmente, dormivano insieme quando ne avevano voglia (il che significava quando Ellie ne aveva voglia: Pascoe era quasi sempre disponibile), ma le loro conversazioni più intime riguardavano sempre il passato comune, mai un futuro condiviso. Ripensandoci, il fine settimana a Thornton Lacey era sembrato una specie di banco di prova. E forse in fin dei conti lo era stato. Ma i rapporti che esistevano tra Ellie e Dalziel erano piuttosto chiari: i due non si piacevano. Erano l'uno lo spauracchio dell'altra, mostruoso e contro natura: Dalziel il bruto con il potere e Ellie la donna con un cervello. Certe volte Pascoe provava la sensazione di poter essere stritolato tra i due da un momento all'altro. «Ho parlato con Backhouse prima. Era reticente, ma non ha fatto un passo avanti». Dal tono di Dalziel si capiva che lui al posto di Dalziel ne avrebbe fatti molti, di passi avanti. «Non è che possa fare granché, signore», commentò Pascoe, decidendo
che era meglio assecondare la terapia del tipo 'possiamo discutere freddamente il caso'. «Non finché non trovano Colin». «Se è stato lui. Il che sembra probabile. E quello che sembra probabile in genere è quello che è accaduto. C'è una cosa, però». Ma quale fosse quella cosa non era destino che venisse rivelato immediatamente. Mentre Dalziel parlava attraversarono la porta a molla del bar del Black Eagle. Il barman era al telefono. «Un attimo solo», disse. «Per lei, signor Dalziel». Dalziel ascoltò emettendo solo un paio di grugniti e un lungo colpo di tosse. «Bene», disse alla fine. «Manda una macchina». Rimise a posto la cornetta con energia, mentre Pascoe lo guardava in attesa. «Giusto il tempo per un bicchiere», disse Dalziel. «Due scotch, Tommy. Più svelto che puoi». «Dobbiamo uscire», disse Pascoe. Non era una domanda. «Sì. Bella cosa che la sua gattina sia stanca». Ingollò lo scotch tutto d'un fiato. «Il tizio l'ha rifatto», proseguì. «Solo che questa volta l'hanno interrotto». «Vuol dire che abbiamo un testimone?», chiese Pascoe speranzoso. «No. Da come me l'hanno messa direi che abbiamo un cadavere». 2 Quando Pascoe arrivò al Jockey di Birkham era l'una e mezza. Il pub sorgeva di fianco a una pensione per cani e i cani ivi ospitati gli latrarono contro con fare accusatorio mentre parcheggiava la macchina. Ellie aveva finito la zuppa e stava facendo letteralmente a pezzi un pasticcio di carne, segnali di buon appetito che lui accolse con piacere mentre si scusava e le riempiva il bicchiere. «Mi pareva che avessi detto di essere a Birkham, stamattina», si lamentò Ellie. «Nel frattempo è successo qualcosa». Abbassando la voce le raccontò rapidamente cos'era accaduto la sera prima. Matthew Lewis, quarantatré anni, co-titolare di una compagnia di agenti immobiliari, era stato richiamato da una tardiva vacanza in Scozia per sbrigare un affare urgente. Aveva terminato di lavorare in ufficio alle
sedici e trenta e, avendo deciso di essere troppo esausto per affrontare il lungo viaggio di ritorno verso nord quella sera stessa, era tornato a casa sua. Una vicina l'aveva visto svoltare nel vialetto del suo grazioso bungalow stile ranch alle diciassette e dieci. Alle diciassette e trenta la stessa vicina, la signora Celia Turvey, si era recata all'entrata principale dei Lewis con un pacchetto che aveva ritirato per loro dal postino. La porta d'ingresso era aperta e nessuno aveva risposto ai suoi richiami. Era entrata in casa e aveva scoperto Lewis steso a terra nel soggiorno, morto. Pascoe espose il caso con calma e oggettività, tenendo d'occhio le reazioni di Ellie. Era bello avere tutta la sua attenzione in quel modo, ma quel nuovo atto di violenza poteva facilmente riportare a galla le emozioni del fine settimana appena trascorso. Lo slancio del lavoro sul caso l'aveva trascinato per la maggior parte della sera prima, ma quando la signora Lewis, esausta per il viaggio e pallidissima, era arrivata con i due bambini piccoli, aveva girato i tacchi e se l'era data a gambe per non correre il rischio di doverle parlare. Quest'ultima cosa a Ellie non la disse, come non le disse che la testa di Matthew Lewis era stata percossa con tale violenza che schegge del cranio erano state rinvenute profondamente conficcate nel cervello. Mantenne la faccenda al livello di un problema da risolvere, per la propria tranquillità tanto quanto per quella di lei. Ma la rabbia priva di un bersaglio su cui sfogarsi che aveva avvertito a Thornton Lacey iniziava a grattare insistentemente alla porta della segreta del suo essere in cui l'aveva rinchiusa. Anche Ellie aveva notizie poco allegre. Si era messa in contatto con i genitori di Rose a Worksop e aveva scoperto che avevano recuperato il corpo e che il funerale si sarebbe svolto il giorno seguente. «Hanno fatto in fretta», commentò Pascoe. «Non è una cosa che si possa rimandare», replicò Ellie. «Dopo il funerale, c'è qualche possibilità di ricominciare una vita normale. Puoi andarci? Non è lontanissimo». «Ci proverò», disse Pascoe. «Siamo molto presi, ovviamente». «Oh, al diavolo il tuo maledetto lavoro!», esclamò Ellie alzandosi. «Hai finito? Andiamo a prendere un po' d'aria». Passeggiarono in silenzio lungo la strada in cui si trovava il pub, e alla fine arrivarono al vecchio granaio che sfoggiava il cartello: 'David BurneJones e Jonathan Etherege - Antichità'. Era questo il motivo originario per cui voleva incontrare Ellie a Birkham, ma quella mattina non aveva avuto
tempo di far visita al negozio. Aveva intenzione di farci un salto più tardi, dopo aver lasciato Ellie, ma adesso si fermò e sbirciò attraverso la porta senza dire niente, in attesa di vedere la reazione della sua compagna. «Hai voglia di dare un'occhiata?», chiese lei. «Tutto quello che vuoi». Entrarono. Seduto su una chaise-longue vittoriana, cercando di sembrare a suo agio, c'era un uomo che sembrava aver terminato proprio in quell'istante il suo pranzo al sacco e si stava pulendo i denti con una mela. Sui quarantadue-quarantatré anni, aveva un viso tondo e allegro che si accordava con l'aspetto generale: chi avesse voluto denigrarlo l'avrebbe definito grasso, gli altri solo paffuto, pensò Pascoe ponendo il proprio giudizio nel mezzo. «Buon pomeriggio», disse. «Cercate qualcosa in particolare?». «Vorremmo solo curiosare», disse Ellie. «Accomodatevi pure. Fatemi sapere se incappate in qualcosa di appena decente in mezzo a questo ciarpame». Il negozio era diviso in tre settori, il più grande dei quali conteneva il mobilio, quello accanto l'artigianato locale e il più piccolo, formato solamente da una coppia di vetrinette, francobolli e monete. Pascoe si fermò a guardare attentamente quest'ultimo, cercando con fatica di confrontare gli oggetti con una lista mentale che si era fatto. «Non sapevo ti interessassero i francobolli», disse Ellie comparendogli alle spalle. «Ci sono un sacco di cose che non sai di me», mormorò Pascoe. E viceversa. Tornarono indietro alla sezione dell'artigianato. Pascoe prese in mano un portacenere prodotto da qualche vasaio del luogo. «Se ne possono rubare di più belli al Jockey», osservò. «Ci ho pensato spesso», disse il mangiatore di mele, che era sgusciato senza farsi notare dietro di loro. «Mi scusi», si affrettò a dire Pascoe posando subito il portacenere. «Non ce n'è bisogno», disse l'uomo sorridendo. Pascoe gli sorrise di rimando e prese una decisione: chiunque sapesse ridere dei propri affari meritava di essere definito paffuto. «Questi sono graziosi», disse Ellie. Stava guardando un'esposizione di pendenti e spille fatti con piccole pietre, alcune levigate e altre no, tutte descritte come 'Autentiche pietre dello Yorkshire' come se questo conferisse loro un valore particolare.
«Quelle al Jockey non le trova», disse il negoziante. «Tutti bei lavori locali. Molto locali. Miei, per la precisione. Fai felice il tuo artigiano locale». «Felice e ricco», disse Pascoe asciutto, gettando un'occhiata al cartellino del prezzo del pendente di pietra verde screziata di rosso che sembrava interessasse molto ad Ellie. «E va bene», replicò l'uomo. «Sconto di venticinque pence sull'unghia, giusto per vedere se le interessa veramente». Ellie guardò Pascoe sorridendo divertita di fronte al suo imbarazzo. Pascoe prese il portafogli e pagò. Il sorriso da solo valeva tutti quei soldi. «Grazie», gli disse lei. «Adesso che ho ottenuto quello che volevo, devo scappare. Ho una lezione alle due e mezza. Mi telefoni per domani?». «Va bene», disse Pascoe. «Io mi fermo ancora un po'». La guardò allontanarsi, quindi si rivolse al negoziante. «Il signor Burne-Jones?», chiese. «Quasi indovinato. Etherege», rispose lui. Quando Pascoe si presentò non fece una piega e assunse un'espressione vuota quando gli mostrò i francobolli. «Mi spiace», disse. «Per me sono solo pezzetti di carta. Mai stato capace di distinguerli, io. È il mio socio che si occupa di queste cose. Non che ci rendano qualcosa, in realtà, ma a lui interessano». «Si riferisce al signor Burne-Jones? Posso parlare con lui?». «No, per qualche giorno. È in vacanza in Corsica. È partito proprio stamattina». «Accidenti», disse Pascoe. Tirò fuori una copia della lista completa degli oggetti rubati. «Ha già visto questa, immagino». «Certo», disse Etherege. «Passano di qua continuamente, ma come può vedere qui dentro trattiamo soprattutto mobilia. Un po' troppo ingombrante per il suo scassinatore-gatto, e ad ogni modo li compro io stesso alle vendite, perciò so da dove vengono». «E che mi dice dei francobolli?». «Dio solo lo sa. Qualche volta penso che David, il mio socio, gironzoli attorno ai parchi giochi e poi faccia dei bliz. Senta, se vuole può vedere se c'è qualcosa che corrisponde alla sua lista e portarselo via per un ulteriore controllo». «Molto generoso da parte sua», disse Pascoe, che stava per fare proprio quello, ma tanto per cambiare fu sollevato di non dover intavolare una di-
scussione. «Non proprio», disse Etherege. «Non c'è niente che valga più di qualche sterlina. Nessun penny black, temo». C'erano un paio di francobolli, non di grande valore o rarità, che corrispondevano a voci del catalogo di Sturgeon, e per i quali Pascoe rilasciò una ricevuta a Etherege. «Se non corrispondono li riavrà indietro, ovviamente». «E se corrispondono?». Pascoe si strinse nelle spalle. «Non si preoccupi. Li detrarrò dagli utili di David», sorrise Etherege. «Addio, sergente. Torni pure a curiosare. E porti la giovane signora. Sembra che sia brava a farla spendere, oltre che a confiscare! Anche lei nella polizia, a proposito?». «Non abbiamo una simile fortuna», replicò Pascoe. «Arrivederci». Tornò al parcheggio del pub con la convinzione che fosse una giornata piuttosto produttiva. Mentre si avvicinava alla macchina, parcheggiata contro la staccionata che circondava la pensione per cani, sentì gli animali abbaiare di nuovo, invocando desolati i loro padroni. Il dolore di Dalziel, dissolto o dimenticato nella frenesia di organizzare una caccia all'assassino, era rispuntato dopo pranzo. L'elemento tempo supportava la sua diagnosi di indigestione ma, dopo essersi perso invano nei meandri delle più svariate cure farmacologiche e popolari, con riluttanza prese un appuntamento con il suo dottore. La cosa provocò un immediato miglioramento delle sue condizioni e la reazione ottimistica era ancora evidente mentre discuteva con Pascoe del caso Lewis. «Dobbiamo prenderlo. Questo tizio è un pazzo». «Signore?». «L'ha visto, Lewis. Non c'era nessun bisogno di conciarlo così. Il primo colpo l'avrebbe intontito, quello dopo messo fuori combattimento. Doveva essere lungo disteso sul pavimento quando gli ha dato l'altra mezza dozzina, quelli che l'hanno ammazzato». «Panico?», suggerì Pascoe. «Non credo. Quando ti prende il panico scappi. Magari urti qualcosa correndo, ma nient'altro. Non ci sono segni che questo tizio se la sia data a gambe. Se ne va in modo ordinato, senza perdere tempo. Tutto sta a indicare che si tratta di uno svitato. Li abbiamo visti i segni». «Uccidere un uomo non è come pisciare in un bollitore», protestò Pa-
scoe. «Non lo so. Lasciarlo lì disteso in mezzo alla stanza come un mucchio di spazzatura... in fin dei conti un morto non è altro che questo». Pascoe fece un'espressione dubbiosa. Era abituato a fare la parte della spalla con Dalziel. Era un esercizio che spesso produceva buoni risultati. «Non abbiamo neppure l'assoluta certezza che si tratti dello stesso uomo», fece notare. Dalziel sbuffò con supremo disprezzo. «Abbiamo un farabutto che si fa le case isolate di taglia medio-grande mentre i proprietari sono in vacanza. Si è dimostrato pronto a ricorrere alla violenza. Il proprietario di una casa isolata medio-grande...». «Un bungalow», precisò Pascoe. «... che sarebbe dovuto essere in vacanza viene ammazzato a sprangate da qualcuno sorpreso sul fatto. Pertanto...». «È stato ucciso da un cliente insoddisfatto che ha preso qualche oggetto per farlo sembrare un furto». «Ottimo. Tranne che nessuno sapeva che sarebbe andato a casa quel giorno. Doveva essere in vacanza, ricorda?». «Ma è tornato per un incontro d'affari, signore», ribatté Pascoe. «Qualcuno doveva pur saperlo». Dalziel sospirò come se Pascoe avesse privato la sua vita di ogni piacere. «E va bene. Parli con la gente dell'ufficio, se vuole. Ogni pietra dev'essere rivoltata. O rimossa, se è necessario. In qualche modo dobbiamo arrivare a quel ragazzo. E se è lui il nostro ladro, abbiamo solo due punti di partenza: le stesse effrazioni o lo smercio della refurtiva. Il che a tutt'oggi significa qualche cavolo di francobollo. Etherege è stato di qualche utilità?». «No. Oh, un paio di modi per tirar su qualche sterlina in fretta li conosce, ma non credo ci sia qualcosa per noi là. Ho preso qualche francobollo da far vedere a Sturgeon». «Il che ci riporta al suo crimine», disse Dalziel dando inizio a una lunga grattata spiraleggiante che partiva dal polpaccio e prometteva di raggiungere il cavallo dei calzoni. Pascoe taceva. Tutti coloro che si erano occupati del caso avevano lavorato duramente e a lungo alla ricerca di un comune denominatore che potesse condurre da qualche parte. Ma non era facile trovarlo. In due casi conoscevano perfino il giorno e l'ora in cui i crimini erano avvenuti. Il primo, quando l'anziano giardiniere era stato aggredito, era un mercoledì alle diciannove e trenta. Il secondo,
quando era stato ucciso Lewis, era un lunedì alle diciassette e quindici. Più presto, ma non significava nulla. Se si trovavano nelle condizioni di poter scegliere, quasi tutti gli scassinatori preferivano compiere le effrazioni alla luce del giorno. Non dovevano preoccuparsi delle luci e c'era un rischio minore che qualche poliziotto si informasse casualmente del motivo della loro presenza per strada. Il solo collegamento potenzialmente prezioso fra i crimini era che tutti i proprietari erano in vacanza. Il ladro doveva avere qualche fonte di informazione. Il problema era che esistevano molti modi in cui un ladro professionista poteva scoprire che una casa era vuota. Anche se Pascoe non era così sicuro che avessero a che fare con un professionista, e nutriva seri dubbi sul fatto che fosse conosciuto alla polizia. Ogni delinquente con qualche attinenza al caso era stato esaminato con grande solerzia e spiegamento di forze nei due casi nei quali era conosciuta l'ora, senza ottenere alcun risultato. E l'uccisione deliberata di Lewis (ammesso che quello che era penetrato in casa fosse il loro uomo) preoccupava notevolmente Pascoe. Il ladro aveva un grande istinto di conservazione: poteva anche mandare in frantumi quello che si trovava sulla sua strada durante la fuga, ma difficilmente avrebbe indugiato a farlo di proposito. «Eppure non sono ancora convinto che sia un pazzo», asserì Pascoe, lasciando Dalziel a grugnire di soddisfazione per aver raggiunto il culmine della sua grattata. Nel corridoio incontrò il detective ispettore George Headingley, l'uomo dotato della forza di resistere agli inviti di Dalziel. Teneva in mano un foglio. «Ci sono più cose nel piscio di quelle che saltano agli occhi», disse l'ispettore con aria dotta. «Cosa?». «È stata tua l'idea di mandare il contenuto del bollitore al laboratorio della scientifica, no? Un punto a tuo favore: il nostro uomo è diabetico». «Cosa?». «Ha il diabete, il che può restringere un po' il campo. Sto giusto andando a dirlo al super. Vieni con me. È capace di baciarti su tutt'e due le guance, se non sei svelto a scappare». Tornarono insieme nella stanza di Dalziel. Il grassone aveva la cornetta all'orecchio. Dopo un istante la posò e guardò Pascoe con aria abbacchiata. «Tanto vale che lo sappia», disse. «Ho chiesto a quelli di tenermi infor-
mato sul suo guaio personale. C'è un tizio a Nottingham che collabora alle indagini. Backhouse è andato da lui per cercare il suo amico, Hopkins. Non so bene per che cosa, ma mi dispiace». 3 «Falso allarme», disse Backhouse. «Quando sono arrivato erano appena riusciti a identificarlo. Era un buonissimo candidato, sembrava proprio quello giusto e non spiccicava una parola». Fece una breve risata. «È saltato fuori che era un polacco che praticamente non parlava una parola d'inglese e al quale le precedenti esperienze con l'autorità avevano insegnato che il silenzio è d'oro. Ho passato la notte a Nottingham, ho visto una bella cosa di Pinter a teatro e, trovandomi da queste parti, ho deciso di fare un salto qui oggi». 'Qui' era il piccolo paese vicino a Worksop dove era nata Rose Hopkins e dove solo pochi minuti prima era stata calata nella fossa. Pascoe si chiese cos'avrebbe detto Dalziel di Pinter. Era rimasto sorpreso dal numero di persone presenti al funerale, e in particolare da una o due facce che non si era aspettato di vedere. L'interesse di Backhouse, ovviamente, doveva essere soprattutto professionale, benché lo dissimulasse piuttosto bene. E forse non era così strano vedere Anton Davenant, non avrebbe saputo dire se nella veste di amico o in quella di giornalista. Il suo abbigliamento molto poco luttuoso gli aveva attirato gli sguardi incuriositi e qualche mormorio di disapprovazione da parte della gente del posto. Ma la sorpresa più grande era stato scorgere fra i dolenti Marianne Culpepper e Angus Pelman. In Pascoe si agitò una sorta di atavico puritanesimo a quella dichiarazione così plateale e disdicevole della loro relazione. Erano tutti riuniti nella sala bar del pub del villaggio, dopo aver cortesemente declinato l'invito a partecipare al rinfresco funebre offerto dai genitori di Rose. Ellie era seduta al tavolo con Pelman, Davenant e Marianne, mentre i due poliziotti al banco del bar intrattenevano quella che probabilmente appariva come una conversazione tra due cospiratori. La birra, spillata da una botte di legno, era alquanto torbida, ma la bevvero senza lamentarsi. «Qualche progresso nelle indagini, signore?», chiese Pascoe con cautela. «Temo di no», rispose Backhouse. «Da quando se n'è andato lei le cose
sono molto tranquille a Thornton Lacey». «Mi dispiace di averle causato disturbo». «Nessun disturbo, sergente. No, quello che mi disturba veramente è quel posto. Stanno succedendo cose, si percepiscono tensioni, probabilmente niente che abbia a che fare con il crimine, ma intorbidano le acque. O magari c'entrano col delitto. Accettiamo la soluzione più ovvia: Hopkins ha ucciso la moglie e i due amici. No, mi lasci parlare. È l'ipotesi che si è imposta fin dall'inizio perfino a lei, sospetto. Dunque, è stato lui. L'assassino è lui. Deve essere stato sottoposto a una pressione che va oltre qualsiasi cosa io abbia mai sperimentato. Eppure ho la sensazione che pressioni simili non siano mai molto distanti in un posto come Thornton Lacey, a meno che tu sia sempre in movimento, all'erta, e non le lasci accumulare». «Ma lui era lì da poco tempo!», protestò Pascoe. «Cosa diavolo può essere successo così in fretta?». «È riuscito a farsi almeno un nemico giurato, a quanto ne sappiamo». «Palfrey?». Backhouse assentì. «Cosa c'era scritto nella lettera?», chiese Pascoe senza aspettarsi davvero una risposta. Backhouse lo guardò soppesandolo. «E perché no?», disse quasi a se stesso. «Palfrey stava diventando una seccatura per il suo amico, il quale aveva deciso di reagire e gli era venuta l'idea geniale di rovistare nei cosiddetti precedenti militari del maggiore. Probabilmente rimase deliziato scoprendo che non esisteva alcuna creatura denominata 'maggiore' Palfrey, benché il reggimento al quale dichiarava di appartenere avesse ospitato un tempo nelle sue fila un sergente addetto agli approvvigionamenti. Evidentemente Hopkins aveva chiamato Palfrey venerdì mattina, gliel'aveva detto e l'aveva diffidato dal continuare con le sue presunte calunnie». «E la lettera?». «La lettera si diffondeva semplicemente in maggiori particolari sullo stesso argomento, esponendo freddamente quello che era stato detto in termini piuttosto infuocati quella mattina stessa. Una specie di lettera di ricatto, immagino». «Il che rappresenta un movente molto antico e molto popolare», disse Pascoe pensieroso. «Vero», replicò Backhouse. «Palfrey dichiara di aver servito per tutta la
sera pinte di birra torbida nel suo pub. Sorprendentemente difficile da controllare. Mi chiedo se abbia qualche legame con questo posto». Esaminò tristemente la sua birra, poi la spinse da parte e si alzò. «Sono sicuro che la rivedrò ancora, sergente. Forse presto. Il signor French, il coroner, è straordinariamente smanioso di esercitare i suoi limitati poteri su questo caso». Scosse il capo con aria di disapprovazione, e Pascoe ne comprese il motivo. Un coroner che non si lasciava guidare dalla polizia poteva diventare motivo di fastidio. «Arrivederci, signora Culpepper. Signorina Soper...». Con un cenno a Pelman e Davenant, Backhouse se ne andò e Pascoe si unì agli altri, che smisero all'istante di parlare. E per ottenere un silenzio perfetto, pensò Pascoe, aggiungete un poliziotto all'impasto. «Qualcuno vuole un altro drink?», chiese. Nessuno ne voleva. «Come sta il signor Culpepper?», chiese a Marianne, sentendosi all'improvviso un tantino aggressivo. «Benissimo», rispose lei con il suo timbro di voce freddo e chiaro. «Doveva venire oggi, ma c'è stato un contrattempo. Affari». Non è da lei fornire una spiegazione non richiesta a uno come me, pensò Pascoe. Ma poteva essere vero. «C'è qualcosa che non va?», chiese. «Ho letto sul giornale stamattina che la Nordrill dice di voler abbandonare le esplorazioni in Scozia». Pelman e Marianne si scambiarono uno sguardo indecifrabile. «Buono per gli ambientalisti, dico io», intervenne Davenant. «È stato bello rivedervi tutti quanti, nonostante la triste circostanza. Signor Pascoe, mi accompagnerebbe alla macchina?». Uscirono e si incamminarono verso la Citroën GS di un rosso squillante che in qualche modo sembrava rispecchiare la personalità di Davenant. «Volevo solo chiederle se c'è qualcosa di nuovo. Lo chiedo in qualità di amico, non di giornalista, sa?». «No, niente di cui sia a conoscenza». «Capisco. Mi chiedevo solo se il caro signor Backhouse non avesse scovato qualcosa di sensazionale, magari». «Se l'ha fatto, non me l'è venuto a dire». «Ah, be'... spero che le cose non si trascinino così in eterno». Salì in macchina. «Piacere di averla rivista. E anche la signorina Soper. Una
gemma dell'intelletto sul diadema della polizia! Ciao ciao!». «A quanto pare si è innamorato di te», disse Pascoe mentre tornavano a casa. «Spero proprio di no!», esclamò Ellie. «Mi è sembrato paternalisticamente meravigliato che io, una semplice lettrice universitaria, bazzicassi gli ambienti della polizia. Allora, ti ha detto qualcosa Backhouse?». «No», mentì Pascoe. I poliziotti qualche volta devono mentire alle proprie donne. Fa parte dei rischi del mestiere. «E nessun segno di Colin». «No. Dovunque si trovi, sta volando a bassa quota». Il cielo, che prometteva male fin dal mattino, diventò spaventosamente scuro mentre lasciavano la Al a doppia corsia. Ci si mette anche la natura, pensò Pascoe. Sta per succedere qualcosa di spaventoso, ma ti prego, Dio, non a me. Fa' che non succeda a me. Una Rover bianca li oltrepassò viaggiando nella direzione opposta, e svoltò verso sud sulla Al. Pascoe non la notò neppure. 4 Quando tornò in ufficio, Pascoe trovò un messaggio sulla scrivania. Sturgeon aveva telefonato più volte quella mattina. «Sembrava urgente», era la criptica indicazione del biglietto, «ma non ha detto per cosa». Quel vecchio sciocco! pensò Pascoe. Pensa forse che non abbia niente di meglio da fare che mettermi a telefonare in Scozia? Ma prese la cornetta, cercando contemporaneamente nel taschino il foglietto di Sturgeon. Con qualche sforzo riuscì a selezionarlo tra l'ampia collezione di carta ripiegata che la tasca conteneva. Era diventata una specie di archivio portatile (e permanente). La paga di un sergente non favoriva una grande varietà di abbigliamento. Il telefono suonò per un minuto abbondante prima che rispondessero. «Può aspettare?», chiese una voce dall'accento scozzese, il cui proprietario apparentemente lasciò cadere il ricevitore sul pavimento e tornò a dedicarsi a qualsiasi attività fosse stata interrotta. Attività che, a giudicare dai suoni che uscivano dalla cornetta, comportava trascinare una lamina di metallo su una superficie di vetro. Alla fine tornò e, dopo qualche lusinga, gli fece sapere di essere il sergente Lauder. Fu ancor più riluttante ad accettare il fatto che Pascoe fosse proprio Pascoe; e solo un invito esasperato a posare il ricevitore e compie-
re ulteriori indagini alla centrale del Mid-Yorkshire lo convinse a darsi per vinto. Ma non appena Pascoe nominò Archie Selkirk di Strath Farm, tutti i dubbi di Lauder sembrarono assalirlo di nuovo. «È lei?», si informò. «È ancora lei, amico?». «Sono io. Il sergente Pascoe. Per l'amor del Cielo, non capisce?». «Non c'è bisogno di bestemmiare, chiunque lei sia. Allora non è quello che ha telefonato ieri?». «No, non lo sono. Se avessi telefonato ieri, lei non sarebbe... oh, lasci perdere! Cosa mi dice di Archie Selkirk?». «Già, be', Archie Selkirk, eh? È la stessa cosa che mi ha chiesto quello di ieri». «Come?». L'interesse di Pascoe si destò di colpo. «Non ha detto come si chiamava?». «No. Niente nomi». «Aveva l'accento dello Yorkshire?». «Forse. Può darsi. Ma a me voialtri sembrate tutti uguali». «Ok, e cosa gli ha detto?», chiese Pascoe. «Proprio la stessa cosa che sto per dire a lei, sergente Pascoe», rispose Lauder, sempre con quell'intonazione che faceva in modo di infondere la massima incredulità nelle ultime due parole. «E cioè?». «Semplicemente che quell'uomo non c'è. Ossia, non ha una fattoria qui intorno». «È sicuro?». Con un silenzio carico di disprezzo Lauder gli fece capire che era sicuro. «E Strath Farm?». «No». «Niente fattoria». «Già». «E lei l'ha detto all'uomo di ieri». «Già». I pezzi cominciavano a incastrarsi. «Questo costerà un bel po' di soldi ai contribuenti», disse Lauder, sentendosi costretto ad abbandonare i monosillabi. «Già», rispose Pascoe. «Grazie». Premette il tasto di fine chiamata, riottenne la linea e compose il numero di Sturgeon. Il vecchio seccatore deve essersi spazientito e ha deciso di arrangiarsi da
solo, pensò Pascoe. Come mai non l'avesse fatto subito, lo sapeva il cielo. E perché aveva telefonato con tanta urgenza quella mattina? Il telefono stava ancora suonando. Gettò un'occhiata all'orologio e gemette. Il tempo passava e c'era un sacco di lavoro da fare. Sturgeon avrebbe aspettato. In ogni caso, quasi certamente sapeva già quello che Pascoe aveva da dirgli. Anche se lo tormentava non sapere quello che poteva significare. Ma c'era un omicidio che aspettava di essere risolto. Rimise a posto la cornetta e uscì per andare all'ufficio del defunto Matthew Lewis. Dalziel uscì da dietro il paravento con tutta la verecondia, e probabilmente anche il volume complessivo, delle tre scolarette di Gilbert. Si ricompose cogliendo il lampo di divertimento negli occhi dell'unico testimone e spostò la mano che per istintivo pudore aveva portato al basso ventre. «Perché uno ricco sfondato come te non riesce a scaldare questo posto?», abbaiò soffiandosi sulle mani. «Facciamola finita prima che muoia congelato». «Adesso sai cosa provano quei poveri bastardi che torturi nelle tue celle», borbottò Grainger, il medico. Lui e Dalziel si conoscevano da tempo. Ognuno dei due fingeva di credere che l'altro incarnasse tutte le false opinioni popolari e i sospetti legati alla loro professione. E segretamente non erano del tutto convinti che non corrispondessero alla realtà. Grainger iniziò la visita. Quando Dalziel l'aveva chiamato per prendere il suo primo appuntamento in sei anni, era sembrata una magnifica opportunità per fargli una revisione completa. Adesso, ignorando le proteste intolleranti di Dalziel, si prese tutto il tempo necessario per l'esame, passando con calma da una fase a quella successiva. «Ti pagano all'ora?», bofonchiò il sovrintendente. «Senti, intanto che sono qui, potresti anche renderti utile. Cosa puoi dirmi sul diabete? O quando ti sei diplomato al negozio di barbiere non l'avevano ancora scoperto?». «Non penserai mica di avere il diabete, eh?», chiese Grainger. «Non ce l'hai. Chissà cos'altro hai che non funziona, ma non è diabete». «Grazie tante. No. C'è qualcuno che siamo ansiosi di trovare e che ha il diabete». «E come lo sai?», chiese Grainger. «Girati, per favore, se riesci a farlo senza l'aiuto di una leva».
«Si è lasciato dietro un bollitore pieno di piscio». «Gesù!», esclamò Grainger, fermandosi con lo stetoscopio sospeso in aria. «E io che credevo che il mio lavoro mi mettesse a contatto con la vita allo stato brado!». «Ma se non sai nemmeno di essere vivo... Allora, questo diabete? Cosa puoi dirmi del nostro uomo?». «Non è così semplice», rispose Grainger, «come anche il tuo medico legale sarebbe felice di dirti. Tanto per cominciare ci sono tre tipi di diabete: il tipo A, il tipo B...». «... e il tipo C. Cristo, è questo che hai studiato in cinque anni? Tutto il dannato alfabeto?». «... e il tipo AB», proseguì Grainger imperturbabile. «Il tipo A è la forma più conosciuta, anche se non la più comune. Sei hai contratto il diabete di tipo A significa che sei dipendente dalle iniezioni di insulina per il resto della vita. In genere si manifesta nelle persone giovani. I sintomi conclamati sono fame eccessiva, sete e frequente bisogno di urinare». «In un bollitore», completò Dalziel interessato. «Quello potrebbe essere un sintomo da sottoporre a uno psicologo, non a me», disse il dottore. «Seduto. Mio Dio, che pancia ti è venuta, Andy. Se tu dovessi avere il diabete, sarebbe di tipo B. Di solito non si manifesta fino alla mezza età e i colpiti sono quasi tutti sovrappeso. È la forma più comune della malattia e di norma viene trattata per via orale piuttosto che con le iniezioni di insulina». «Vuoi dire che bevono quella roba?». «No! L'insulina può solo essere iniettata. Assumono un'altra sostanza, un agente ipoglicemico... significa qualcosa che abbassa il tasso di zuccheri nel sangue». «E il tipo AB?». «Diabete da stress. È una forma provocata da un eccessivo stress fisico o emotivo. Viene alle persone fra i trenta e i cinquant'anni. Nella forma più lieve i sintomi sono quelli del tipo B, solo che chi ne soffre non è sovrappeso, anzi, al contrario, spesso è sottopeso. Ma uno stress violento può provocare una reazione altrettanto violenta e obbligare il paziente a far uso di insulina, per un po', almeno. Adesso in piedi». Dalziel ubbidì mugolando. «Be', certo che mi sei stato di grande aiuto... Cerchiamo un uomo magro fra i trenta e i cinquanta, o un uomo grasso tra i quaranta e i sessanta, o un uomo magro o grasso che può avere praticamente qualsiasi età».
«Potrebbe anche essere una donna», suggerì il dottore. «Va' a quel paese. Ma per l'amor del cielo, quanto deve durare ancora questa roba? Ho del lavoro da fare!». «Altri venti minuti. Qui, voglio dire», fu la risposta di Grainger. «Poi ti ho prenotato delle radiografie all'ospedale. All'ora del tè sarà tutto finito». «Cosa diavolo pensi che abbia?», chiese Dalziel con un'aggressività che nelle sue intenzioni doveva suonare sarcastica. Ma nella sua voce sentì la supplica terrorizzata del sospettato che si informa della natura del delitto di cui viene accusato. La Lewis e Cowley Immobiliare era il tipo di società che non mette in vetrina i prezzi delle sue proprietà. Cosa rara nello Yorkshire, pensò Pascoe, dove si tendeva a mettere il cartellino del prezzo su ogni cosa. I soldi erano una sorta di affare pubblico. Alla vetrina con le tende di velluto era appeso il cartello 'chiuso', ma Pascoe vide che all'interno c'era movimento. Bussò deciso alla porta, poi, dopo qualche secondo, bussò di nuovo. Apparve un uomo dal viso magro, fissò Pascoe valutandolo, decise giustamente che come potenziale cliente non prometteva granché e fece dei cenni verso il cartello 'chiuso'. Per tutta risposta Pascoe estrasse il tesserino, lo premette sul vetro e imitò il gesto dell'altro. L'uomo indietreggiò, si girò e sembrò parlare con chiunque fosse nell'ufficio con lui. Poi si decise ad aprire la porta. «Il signor Cowley?», chiese Pascoe. «Sì?». «Sono il sergente Pascoe, signore. Posso entrare?». Cowley era sulla trentina o poco più, era eccessivamente magro e aveva l'aria famelica, e teneva la testa spinta in avanti in atteggiamento aggressivo. Nel complesso faceva venire in mente a Pascoe la picca dei guardiani della Torre di Londra. «È per Matthew? Ho parlato con qualcuno dei vostri ieri, sa? A lungo». Pascoe lo seguì nell'ufficio sul davanti. Nessun banco volgare, ma, sparsi in giro, sedie comode e tavolini bassi sui quali luccicavano copie di Country Life e Vogue. Su quella stanza si aprivano tre porte, una contrassegnata 'Signor Lewis', un'altra 'Signor Cowley', mentre la terza, quella centrale, non recava alcuna targa e presumibilmente era quella dell'ufficio della segretaria.
«Non la tratterrò molto», disse Pascoe. «Possiamo sederci?». Cowley lanciò uno sguardo alla porta del suo ufficio, che era accostata. Pascoe, compito, tenne sospese le natiche quindici centimetri sopra la sedia più vicina e guardò su in attesa. Come un cane che aspetta il biscotto. «E va bene», disse Cowley. Con un plateale sospiro di sollievo, Pascoe affondò nella pelle morbida. «Ma facciamo in fretta, le spiace? C'è un cliente da me in questo momento». Pascoe avvertì un'ombra di disappunto per il fatto che l'uomo avesse ammesso apertamente di non essere solo. Parte della soddisfazione di essere un investigatore consisteva nell'avere qualcosa su cui investigare. «Gli affari non si fermano, eh?», mormorò in tono triste. «È naturale, così dev'essere. Cercherò di non farle perdere tempo, signore. Ora, da quanto ho capito, il signor Lewis è tornato in macchina dalla Scozia lunedì per partecipare a una riunione d'affari». «Esatto». «Capisco. Ora, alla riunione eravate presenti lei, il signor Lewis e...». «E nessun altro. C'eravamo solo noi». «Davvero?», disse Pascoe, infondendo nella voce una sfumatura di educata sorpresa. «La vostra segretaria?». «No». «No. Capisco. Ma lei si trovava qui... da qualche parte?». Con la mano accennò vagamente verso l'ufficio centrale. Gli era sempre piaciuto recitare il ruolo del giovanotto svagato del Foreign Office. «No. Il lunedì il nostro personale ha mezza giornata libera. Non osserviamo l'orario degli altri negozi. Così le nostre ragazze possono fare spesa». «E i negozianti possono cercarsi una casa? Comodo. Così c'eravate solo voi due?». «Gliel'ho detto», rispose Cowley esasperato. «Qual è il problema?». «Nessun problema. Mi chiedevo semplicemente perché non avete tenuto la riunione per telefono, visto che partecipavate solo voi due. Perché interrompere le vacanze del signor Lewis? Se penso a come sono preziose le mie due settimane di pace e tranquillità, be'...». «Ah, sì, eh? A Matthew invece piaceva lavorare e, in ogni caso, andava avanti e indietro dalla Scozia almeno sei volte all'anno. Possiede - possedeva - un cottage lassù, perciò tornare a casa non gli faceva né caldo né freddo».
«Un cottage. Bello. Bene, capisco cosa intende, signor Cowley, ma lo stesso dev'essersi trattato di una questione piuttosto importante». «Non esattamente. Avevo bisogno di prendere in fretta una decisione, ecco tutto». «Su una questione d'affari?». «È ovvio». «Di routine, ma urgente? Da giudicare con una certa attenzione, voglio dire». «Esattamente. Ha capito bene. Ora per favore, sergente, possiamo proseguire?». «Ma certo. Ancora un minuto, signore». Il minuto si trasformò in dieci. Pascoe non avrebbe saputo dire con precisione perché stesse cercando di indispettire quell'uomo, tranne che la sua aria di perenne impazienza sembrava attirarsi un simile trattamento, proprio come certuni hanno un atteggiamento talmente modesto e umile che risulta difficile non prevaricarli. Ma, dopo dieci minuti, tutto ciò che Pascoe era riuscito ad ottenere era la stessa confusione di prima e l'irritazione di Cowley aveva raggiunto proporzioni legittimamente enormi. Alla fine Pascoe decise per una ritirata strategica, sentendo di aver sprecato il suo tempo. Nonostante ciò perse un altro quarto d'ora seduto in macchina a trenta metri dal negozio finché Cowley non uscì accompagnato da un uomo massiccio dai capelli grigi con un vecchio abito di tweed. Pascoe non l'aveva mai visto e non sembrava probabile che lo rivedesse. Guardò il suo taccuino dove aveva scritto il nome e l'indirizzo delle due segretarie-dattilografe di Lewis e Cowley. Senza dubbio si stavano godendo l'inatteso giorno di libertà, forse un tantino preoccupate per il lavoro in più che avrebbero avuto con la morte di una metà dei loro datori di lavoro. Chiuse di scatto il taccuino e appoggiò la testa contro il vetro fresco del finestrino. Era così facile... così facile dimenticare cosa potesse significare per gli altri la morte di una persona. Per quanto ne sapeva, poteva esserci una relazione stretta fra Lewis e la sua segretaria. Sessuale, forse, per rimanere nel luogo comune. O magari a lei il suo capo piaceva e basta, lo ammirava, scherzava con lui. Che importava? L'importante era che lui, il detective sergente Peter Pascoe, non avrebbe dovuto svilire con tanta facilità persone che non conosceva. Consultò di nuovo il taccuino. Marjory Clayton, 13 Woodview Drive. Non lontano dalla casa del vecchio Sturgeon, se ricordava bene. Avrebbe
dovuto fare un salto e scambiare due parole con lui, già che era sulla strada. Ma era meglio andare per ordine. Sollevò il piede dal pedale della frizione e si avviò verso Woodview Drive. Durante l'ultima mezz'ora, Sturgeon aveva guidato velocemente in direzione sud. Sapeva di non andare abbastanza svelto, ma il piede destro sembrava senza peso, incapace di assolvere il compito di premere sull'acceleratore. Ferrybridge e le sue alte torri di raffreddamento, una Stonehenge dell'età industriale, gli era passata lentamente di fianco qualche minuto prima. La tangenziale di Doncaster non era lontana, e lì la strada si sarebbe divisa in due consentendogli di scegliere fra la Al e la Ml, i due grandi condotti alimentari attraverso cui il nord inviava i suoi prodotti a Londra. Londra per lui era ancora un nome che evocava immagini peccaminose. È vero che nei suoi sessantotto anni di vita c'era stato una ventina di volte, o forse anche di più; ma quella che ricordava era sempre la prima volta, e la sua vecchia nonna che non era mai stata più a sud di Newark che cuciva il borsellino alla sottoveste di lana per difendersi dai borseggiatori. Ma adesso non era più tempo per simili precauzioni. Sorrise alla doppia ironia di quella riflessione e guardò l'orologio. Mavis, sua moglie, sarebbe rincasata di lì a poco. Di rado tornava tardi dal suo giro di compere, perché non le piaceva lasciare i gatti da soli. Anche se, ovviamente, pensava che in casa ci fosse qualcuno. Ma non si sarebbe allarmata, non Mavis. Non subito. Si sarebbe messa a preparare il tè con i gesti svelti e abili derivati dalla lunga pratica. Le doveva molto. Quando si erano sposati lui non era alla sua altezza, e i parenti di lei l'avevano detto chiaro e tondo o semplicemente accennato. Lei aveva un bel po' di soldi, ma Sturgeon non li aveva mai toccati. Gliel'aveva fatta vedere lui, con i suoi sforzi, con le sue mani. Gliel'aveva fatta vedere lui. Aveva iniziato a piovere, una pioggerella sottile simile a una foschia dalla quale emerse all'improvviso un autocarro che procedeva lentamente davanti a lui, riportandolo di colpo al presente. Sterzò bruscamente per sorpassarlo. Dietro di lui un furgoncino azzurro, superando il limite di velocità sulla corsia esterna, piombò su di lui senza rallentare, lampeggiando. Adesso premette sull'acceleratore, ritrovando la forza. La Rover fece un balzo in avanti, la fibbia sciolta della cintura di salvataggio che sbatacchiava rumorosamente contro lo sportello. In pochi secondi raddoppiò la velocità. Era davvero solo questione di tempi. All'improvviso si sentì prendere
dall'ottimismo. Era la cosa giusta da fare, non c'erano alternative. La strada bagnata luccicava. Dietro di lui, l'autista del furgoncino azzurro assisteva incredulo e inorridito all'inizio della sbandata. Non poteva essere successo solo perché aveva lampeggiato. Non era possibile! In quel punto la strada era leggermente rialzata rispetto alla campagna circostante. L'auto slittò con grazia e uscì dalla superficie asfaltata, colpì il ciglio erboso e poi scartò di lato e superò l'alzaia. Il tempo che l'autista del furgoncino si fermasse e raggiungesse la macchina, e tutto era ritornato a una calma immobile. Anche la Mini-Cooper azzurro scuro, infilata col muso in avanti in un tunnel di erica e rovi, era immobile e silenziosa. Il bambino si avvicinò con cautela. Era rimasto a osservarla dal suo nascondiglio per dieci minuti buoni. Alla fine si era convinto che era disabitata come lo era la prima volta che l'aveva notata, due giorni prima. Il ragazzino aveva una ragione molto buona per desiderare di non essere osservato. Di tutti i posti che gli erano stati vietati dai quei guastafeste dei suoi genitori, quello era oggetto della proscrizione più severa. Rischiava le punizioni più tremende se lo trovavano lì. Il motivo si trovava una quindicina di metri dietro di lui, dove le pareti a strapiombo della vecchia cava d'argilla, ora circondate da un doppio spessore di filo spinato, cadevano per quindici metri nelle opache acque al di sotto. Raggiunse l'auto e sbirciò dentro. Era vuota, come si aspettava. Ma le chiavi erano inserite, il che poteva significare che il proprietario, chiunque fosse, si trovava nei paraggi. Eppure era certo che la posizione della macchina non fosse cambiata dalla prima volta che l'aveva vista. Tutto considerato, valeva la pena di rischiare di guardare all'interno. Con suo grande disappunto, c'era molto poco di interessante. Sul sedile del passeggero c'era un foglio coperto di una scrittura fitta, ma non è che ci capisse molto. Alcune gocce di pioggia macchiarono il parabrezza: era tempo di andare. Tornò indietro verso la cava d'argilla e penetrò attraverso un'apertura nel filo spinato per guardare ancora una volta l'acqua là in basso. Se fosse continuato a piovere, la superficie dell'acqua avrebbe raggiunto l'orlo? Era un'ipotesi interessante, ma il contributo crescente dato dalle nubi temporalesche lo indusse a interrompere le speculazioni e a tornare indietro. Era un'apertura molto comoda, quella. Un giorno o l'altro qualcuno l'avrebbe
notata e riparata, ma non veniva molta gente da quelle parti. Come la macchina, per il momento rimaneva un suo segreto. Bagnato ma felice si incamminò verso casa sua, al villaggio. 5 Quando Pascoe arrivò davanti alla casa di Sturgeon vide un'auto della polizia. Marjory Clayton non era stata di grande aiuto. Era una ragazza sui vent'anni dall'aspetto insignificante e dal colorito anemico. Indossava un cardigan informe che sembrava essere stato lavorato intorno a un sacco di patate. Appariva genuinamente addolorata per la morte del principale e Pascoe l'aveva trattata con gentilezza. Lunedì aveva mezza giornata libera, e dopo mezzogiorno non si era avvicinata all'ufficio. Durante la mattinata non era accaduto nulla di insolito, anzi, praticamente niente del tutto. Nessun cliente, poche telefonate. Gli affari, a quanto pareva, andavano molto, molto a rilento. No, non sapeva che il signor Lewis sarebbe tornato dalla Scozia quel pomeriggio, ma la cosa non l'aveva sorpresa. Ci passava un sacco di tempo e sembrava felice di andare avanti e indietro a intervalli frequenti. L'altra segretaria, Jane Collinwood, abitava al capo opposto della città, e avrebbe dovuto attendere. Iniziava a profilarsi una giornata persa. Ma la scena che si trovò davanti quando entrò dalla porta d'ingresso aperta di casa Sturgeon spazzò via dalla sua mente tutte le preoccupazioni. Un agente a disagio stava aiutando Mavis Sturgeon, trasformatasi di colpo da energica sessantenne in novantenne incartapecorita, a infilarsi il cappotto. La donna era in evidente stato di shock e non diede segni di riconoscerlo. «Cos'è successo?». «Lei è un amico, signore?». «Sono un sergente dell'investigativa, figliolo. Allora, cos'è successo?». «È il signor Sturgeon, sergente. C'è stato un incidente e mi hanno mandato...». «Sì». Pascoe circondò col braccio le spalle della donna. «Hai mandato a chiamare un dottore?». «Be', no. Lei non... ha insistito per andare subito all'ospedale», rispose l'agente con aria impacciata. «Ma per l'amor di Dio, ragazzo! Non è in condizioni di farlo, non lo ve-
di?». La rabbia di Pascoe svanì rapidamente. Fare il messaggero di morte e disastri non era un compito adatto a un uomo giovane. Indicò la rubrica degli indirizzi rilegata in pelle accanto al telefono nell'ingresso. «Lì probabilmente troverai il numero del dottore. Immagino sia Andrews. Chiamalo e digli di venire immediatamente. Poi vai alla porta accanto, scova una vicina e portala qui». «Per favore, devo andare da Edgar», disse la signora Sturgeon in tono lamentoso. «Sì, cara. Presto. Venga a sedersi un istante», rispose Pascoe guidandola gentilmente in soggiorno. «Era così preoccupato ultimamente. Così preoccupato... Non ha voluto dirmi perché. Avrei dovuto insistere di più. Avrei dovuto impormi». Scoppiò a piangere e il terzetto di gatti che aveva assistito alla scena con aria sospettosa dall'angolo più buio della stanza avanzò, miagolando pietosamente, e le saltò in grembo. La donna affondò le dita nella loro pelliccia, piangendo in silenzio. Pochi minuti dopo l'agente arrivò accompagnato da una vicina, una giudiziosa signora di mezz'età che assunse il controllo della situazione con la spiccia efficienza di una preside di istituto femminile. Pascoe si ritirò nell'ingresso a parlare con l'agente. «Sì, sergente, piuttosto grave, credo. Quando l'hanno portato all'ospedale era ancora vivo, ma a quell'età...». «Sai com'è successo?». «No, niente. Nessun altro è rimasto coinvolto: è tutto quello che so». «E si trovava sull'A1?». «Quasi a Doncaster. È dove l'hanno prelevato». Dopo essersi assicurato che la porta del soggiorno fosse ben chiusa, Pascoe andò al telefono. Dovette attendere qualche istante perché il centralinista rispondesse, e lo sguardo gli corse alla rubrica aperta. Un numero attirò la sua attenzione. Un numero di Lochart, ma il nome scritto accanto non gli diceva nulla. Alla fine il centralinista rispose e con una velocità che compensava l'attesa lo mise in comunicazione con il Royal Infirmary di Doncaster. Si fece riconoscere e chiese notizie di Sturgeon. Gli dissero che l'anziano signore stava molto male: tagli al viso, costole rotte, rotula sinistra in frantumi, niente lesioni interne gravi, per quanto avevano potuto constatare, ma aveva perso una gran quantità di sangue e le sue condizioni erano preoccupan-
ti. Se c'era qualcuno che voleva vederlo vivo, consigliavano di fare il più presto possibile. «Grazie», disse Pascoe e posò la cornetta. Ospedali, dottori, sangue, violenza, morte. «È una maniera assurda di guadagnarsi da vivere», disse rivolto all'agente dal viso florido. «Aspetti tu qui fino all'arrivo del dottore?». «Sì, sergente. Lei se ne va?». «Ho del lavoro dal fare», disse Pascoe. Dalziel aveva deciso di saltare il tè, in parte in seguito al consiglio datogli da Grainger di cercare di perdere qualche chilo, e in parte perché la visita medica gli aveva tolto il suo appetito generalmente feroce. Aveva lasciato campioni di tutto ciò che si poteva estrarre o rimuovere dal suo corpo. L'aveva reso consapevole al massimo grado di essere uno scheletro d'ossa con carne, sangue e visceri stipati negli interstizi. Il pensiero di panini col prosciutto o salsicce non aveva poi tutto questo fascino. Ma né la sua mente né il suo corpo trovarono alcunché di sbagliato nell'idea di un bicchierone di scotch robusto (puro malto, tracannato con un'abbondante dose di soddisfazione), e di conseguenza si sistemò nella sua stanza con la succitata medicina e cercò di riflettere sul caso che avevano per le mani. Rimase sconcertato nel constatare quanto poco gli interessasse. Quando un uomo aveva dedicato la vita a qualcosa - se l'era perfino rovinata, avrebbe detto qualcuno, per quel qualcosa - il minimo che quel qualcosa potesse fare era non annoiarlo. Squillò il telefono. Era il sergente in servizio. «Spiacente di disturbarla, signore, ma mi chiedevo se sa quando torna il sergente Pascoe. So che è fuori a fare qualcosa per lei e...». «Non sono il dannato guardiano di Pascoe! E non sono neanche un fottuto servizio di segreteria telefonica. Cosa vuoi da lui?». «Non io, signore. È la signorina Soper, quella che era con lui nel fine settimana, sa... Ha insistito molto per mettersi in contatto con lui, perciò credevo che date le circostanze avrei potuto chiedere...». Sentimento. C'è una brutta epidemia di sentimento in questo dannato posto, pensò Dalziel. I sintomi erano i soliti: sovrabbondanza di simpatia umana, mancanza di comportamento dignitoso. Ingollò il whisky rimasto. «Passamela», disse d'impulso. «Pronto?». «Pronto, signorina Soper. Parla Dalziel».
«Ah». «Il sergente Pascoe non è qui, al momento, ma spero di vederlo più tardi. È una questione urgente?». «No. Non proprio». «Mi perdoni la domanda, signorina Soper, ma è una faccenda privata? O un affare della polizia?». «Non mi ero resa conto che lei distinguesse tra le due cose, sovrintendente». Così va meglio, pensò Dalziel. Ecco l'autentica liberal-radical-sinistroide nota di odio nei confronti di Dalziel. «Se la cosa riguarda la polizia, signorina Soper, sono sicuro che il sergente vorrebbe che me la riferisse». «A che genere di affare poliziesco si riferisce?». Con la mano libera Dalziel si versò un altro scotch. «Lei è coinvolta in un'inchiesta in corso, signorina Soper. Voglia accettare, la prego, le mie più sincere condoglianze per quanto è accaduto nel fine settimana. Dev'essere stato molto provante per lei». «Oh, sì, sono stata provata. Molto, molto provata». Dalziel sospirò e bevve un lungo sorso. «Ma, per favore, se può fornire una qualsiasi informazione pertinente, ci pensi bene prima di scaricarne il peso su Pascoe. È sbagliato mettere eccessivamente alla prova la lealtà di un uomo. Sbagliato per tutti». «Piantiamola con le circonlocuzioni, vuole? Cosa sta cercando di dire, sovrintendente?». «Sto cercando di suggerirle», replicò Dalziel alzando suo malgrado la voce, «che se per esempio quell'uomo, Hopkins, dovesse mettersi in contatto con lei, sarebbe suo dovere informarne le autorità. Sarebbe sbagliato, stupido e maledettamente egoista dirlo a Pascoe e poi tentare di fargli tenere nascosta l'informazione. Ecco cosa sto cercando di dire, signorina Soper. Non che avesse bisogno che glielo dicessi, dato che sembra sia tanto intelligente. Pascoe è un bravo ragazzo, ha una bella carriera davanti, ammesso che nessuno si metta in testa di mandarla a monte. Lei si limiti a dargli il conforto del soldato di notte e lasciargli fare il suo mestiere per il quale è pagato di giorno. Ecco cosa sto cercando di dirle». Si fermò e ascoltò, in attesa di un'esplosione verbale o del suono della cornetta sbattuta. Invece, sentì un suono ritmico e attutito, come un ronzio intermittente. Poteva essere il suono di un pianto o di una risata. «Signorina Soper?», disse. «Signorina Soper!».
La linea cadde. Si versò altre due dita di whisky. Come al solito aveva visto giusto, pensò fissando il bicchiere. Questa esplosione di sentimento si stava diffondendo. Stava diventando difficile evitare il contagio. «Ciao, Eric, il bambino che va pian pianino», disse Angus Pelman sorridendo dal finestrino della Land-Rover al bambino zuppo sul bordo della strada. Eric Bell non fu divertito da quel saluto faceto. Non l'aveva fatto ridere la prima volta che l'aveva sentito e da allora il suo atteggiamento non era cambiato. «Buongiorno, signor Pelman», disse compito. In fin dei conti quell'uomo era un amico dei suoi genitori, anche se la parola 'amico' sembrava avere un significato ben strano, nel mondo dei grandi. Sua madre e suo padre avevano sempre un'aria molto felice in compagnia del signor Pelman, lo trattavano bene, gli offrivano da bere. Ma, dopo che se n'era andato, le cose che dicevano di lui, anche se non sempre erano comprensibili, chiaramente non erano complimenti. «Faresti meglio a salire in macchina», lo invitò Pelman. «Anche se più bagnato di così...». Eric si arrampicò sul sedile. «Niente scuola oggi?», chiese Pelman. «No. Le maestre hanno un'assemblea». «Ah, sì? Con tutte le vacanze che hanno, si crederebbe che le riunioni le potrebbero fare nel loro tempo libero. Non sei d'accordo, Eric?». Eric non si preoccupò di rispondere, ignorando deliberatamente la regola numero uno: 'Conviene sempre essere gentili con gli adulti'. Stava per pagarne il prezzo, come constatò subito dopo. «Eri tu quello che ho visto arrampicarsi su per Poplar Ridge, poco fa?», chiese Pelman in tono casuale. «Su per Poplar Ridge?». «Esatto». «Può essere». «Ah. Non c'è granché da vedere lassù, eh?». «Non molto». «No», aggiunse Pelman, «a parte la cava d'argilla». Eric fissò lo sguardo sul vetro disseminato di gocce di pioggia davanti a lui. Il tergicristallo dalla parte del passeggero era rotto, e riusciva solo a sbattere spasmodicamente come l'ala rotta di un uccello abbattuto.
Il suo cervello lavorava in fretta. Non c'era motivo al mondo per cui dovesse fidarsi di Pelman. Non aveva riso alle sue battute, che è il più grave dei peccati contro un maschio. Di conseguenza Pelman avrebbe quasi certamente insinuato l'idea della cava d'argilla nella testa di sua madre. E sarebbe stata fatta. Quando si trattava di cavare informazioni, i torturatori cinesi erano una manica di tontoloni a paragone di sua madre. L'unica speranza era creare un diversivo. «Sì», disse. «La cava d'argilla è lassù. Ma non è per quello che ci sono andato. Sono andato a vedere la macchina». «La macchina?». «Sì. C'è un'auto lassù. Sono andato a vedere se c'era ancora». «Che tipo di macchina?», chiese Pelman rallentando. «Una macchina azzurra. Una Mini». La Land-Rover si fermò dolcemente sul ciglio della strada. Pelman scrutò il ragazzino con attenzione. «Una Mini azzurra, Eric. L'hai trovata tu o te ne ha parlato qualcuno?». Eric pensò in fretta. Suonava meglio se diceva che era semplicemente andato a controllare una cosa che gli aveva detto qualcun altro, decise. «Me l'ha detto qualcuno», disse, aggiungendo in tono virtuoso: «Non ci sarei mica andato lassù». «Molto interessante», disse Pelman, rimettendo in moto la Land-Rover. «Allora è meglio che lo diciamo a qualcun altro, non credi?». In apparenza, Jane Collinwood era ancor più addolorata della collega per la morte del suo capo, ma Pascoe sospettava che stesse godendosi fino in fondo l'eccitazione di essere coinvolta così da vicino in un vero omicidio. Era una ragazza graziosa, a parte i denti piuttosto storti, e non poteva avere molto più di diciassette anni. Era colma del vigore incurante della gioventù, che tracimava perfino nei piccoli scoppi di pianto con i quali le sembrava opportuno intercalare il suo discorso. Le pose le solite domande nutrendo scarse speranze. Aveva notato qualcosa di strano? Aveva ragione di credere che qualcuno volesse far del male a Lewis? Le sue risposte rendevano sempre meno probabile l'ipotesi che dietro l'omicidio ci fosse una questione personale. Dalziel aveva ragione, come sempre. Lo scassinatore si era visto disturbato ed era stato assalito dal panico. E tanto peggio per Lewis. «Sa perché il signor Lewis era tornato lunedì?», chiese alla fine, apprestandosi ad andarsene.
«No, non esattamente». «Non esattamente? Ma ha qualche idea?», chiese Pascoe improvvisamente interessato. «Ha sentito qualcosa, quella mattina?». «No, non ho sentito niente. Non avevo idea che dovesse tornare. È stato solo più tardi, quando ho sentito... la notizia...». «Si soffi il naso», ordinò Pascoe con l'autorevolezza di una preside. Parve funzionare. «Immagino avesse qualcosa a che fare con il signor Atkinson». «Chi è?». «Veramente non lo so», rispose la ragazza. Pascoe iniziava ad avvertire una certa irritazione, ma si controllò. Le chiacchiere inconcludenti della ragazza gli stavano arrivando alle palle degli occhi, per usare un'espressione che aveva sentito da Dalziel in uno dei suoi momenti più scozzesi. «Allora perché dice... insomma, cos'è che vuol dire, in realtà?». Credette di esserci cascato di nuovo, ma lei si riprese. Era difficile mostrare solidarietà umana per molto tempo, si rese conto di colpo. Il dolore era talmente contrario alla vita... Era una relazione con un morto, necrofilia emotiva. «Il signor Atkinson e il signor James e il signor Matt...». «Chi?». «Il signor Cowley e il signor Lewis. Li ho sempre chiamati...». «Sì, va bene, vada avanti». «Be', stavano trattando un affare insieme da tanto tempo. Sembrava una cosa privata, voglio dire che non si scambiavano lettere, in ogni caso non chiedevano a me di scriverle». «Alla signorina Clayton, magari?». «Può darsi. Lei aveva più anzianità di me». Detto da lei, l'anzianità suona come una malattia, pensò Pascoe. «Comunque, conoscevo il signor Atkinson di vista. Salutava sempre, quando veniva in ufficio». «E che cosa le fa pensare che sia stato questo affare a far tornare il signor Lewis lunedì?». La ragazza lo guardò esasperata. «Stavo per dirglielo. Quel pomeriggio il signor Atkinson è andato in ufficio. Ecco perché penso che fosse per quell'affare. Perché altrimenti sarebbe dovuto andare all'ufficio, dal momento che era chiuso?». Pascoe si trattenne con qualche difficoltà dallo scuotere la ragazza fino a
farle sbattere forte i denti. «Però lei non era in ufficio lunedì pomeriggio...». «No. Ma stavo facendo spese in High Street e ho visto il signor Atkinson e il signor James entrare in ufficio». «Ah». Per il momento non sembrava ci fosse molto altro da dire. «E questo a che ora è stato?». «Verso le tre. Forse un po' più tardi». «Ma non ha visto il signor Lewis?». «No». «Ne è sicura?». «Ma certo! L'avrei notato, non pensa? Specialmente visto che doveva trovarsi in Scozia». «Immagino di sì. Ora, questo signor Atkinson...». Fece una pausa. All'improvviso si era ricordato dove aveva visto quel nome. 'John Atkinson. Lochart 269'. Sull'agenda telefonica di Sturgeon. Era una coincidenza assurda. «Che aspetto ha?». «L'aspetto... Be', non lo so...». «Alto? Alto come me?». «Oh, no. Un po' più basso, direi. Ma più largo di spalle. E più vecchio, anche. Ha i capelli grigi. E un bel sorriso». «Grazie, signorina Collinwood», disse Pascoe. «È stata di grande aiuto. Un'ultima cosa». Era assurdo, ma doveva chiederlo lo stesso. «Dove si trova in Scozia il cottage del signor Lewis?». «Dove? In un villaggio, da qualche parte. Vicino a un posto di nome Callander». «Lochart?». «Esatto. Come fa a saperlo? Sembrava un bel posto, da come ne parlava. Una volta mi ha detto che potevo andarci per un po', quando lui e la sua famiglia non c'erano, naturalmente». «Naturalmente», disse Pascoe, e questa volta non si accorse neppure delle lacrime incipienti. Aveva la testa troppo occupata altrove. La sua indifferenza sembrò avere un effetto terapeutico, perché all'improvviso la ragazza si illuminò e gli sorrise dolcemente. «Sta andando in città? Non è che può darmi un passaggio? Voglio prendere un appuntamento dalla parrucchiera. Sabato è il mio compleanno».
«Ma certo», rispose Pascoe. Quando sorrideva diventava molto carina. Avrebbe dovuto farlo più spesso. Forse tutti dovrebbero. Ma non credeva che qualche possibile sviluppo di quel caso in particolare potesse suscitare molto divertimento. 6 «Non dica idiozie», esordì Dalziel, più per abitudine che per convinzione. «Che razza di nesso potrebbe esserci?». «Non lo so, signore», rispose Pascoe. «Quello che so è che il nesso esiste». «Vediamo... Lewis possiede un cottage in un villaggio chiamato Lochart, lo stesso posto dove pare che Sturgeon abbia delle conoscenze. Non è un granché!». «Al contrario, pare che Sturgeon non abbia delle conoscenze, questo è il punto. Non dimentichi che Harry Lauder, o come diavolo si chiama, ha negato di aver mai sentito parlare di questo tale, Archie Selkirk». Dalziel fischiettò qualche nota di Roamin' in the Gloamin', terminando con una stecca. «E poi c'era l'altro uomo, Atkinson, che aveva un numero di telefono di Lochart». «Ah, sì? E l'ha già chiamato?». «Non ancora. Volevo fare prima un tentativo con Lauder». «E allora lo faccia», ordinò Dalziel, indicandogli il telefono sulla scrivania. Preso!, pensò Pascoe. Era ancora un po' presto per far ammettere a Dalziel che la teoria lo convinceva, ma aveva abboccato all'amo. «C'è un'ulteriore connessione», disse Pascoe mentre attendeva in linea la comunicazione. «Sarebbe?», disse Dalziel, che nel frattempo si era tolto la scarpa sinistra e si stava grattando la pianta del piede sull'angolo della scrivania. «Entrambi sono stati derubati». «Ah, ecco! Ma è successo a una dozzina di persone. Non starà davvero pensando che Lewis non è stato ucciso da un delinquente bensì da qualcuno che ce l'aveva proprio con lui, vero?». «Non ne sono sicuro, signore». «Si sarà reso conto che c'è solo una persona che potrebbe fare al caso nostro, ed è il suo amico Sturgeon. E allora quale sarebbe la teoria? Stur-
geon vuol fare fuori Lewis, così lo aspetta nascosto nel suo cottage, lo colpisce a morte e fa sembrare l'esito di un furto uguale a quello che anche lui ha subito? Le è sembrato il tipo del super-criminale?». «Al contrario», disse Pascoe. «Ma le persone fanno strane cose quando... ehi, pronto! Sergente Lauder? Ecco, parla il sergente Pascoe, Mid-York... PASCOE, sì. Ci siamo già sentiti. No, questa volta non è per Archie Selkirk. No, no, è per John Atkinson... come dice, prego?». La linea telefonica venne attraversata da una scarica e finalmente la voce di Lauder tornò forte e chiara, per quanto consentito dall'accento dialettale del sergente. «Naa, non c'è nessuno con questo nome. Sergente Pascoe, che accidente si è messo in mente, che tutti quelli che sono scomparsi nello Yorkshire stiano arrivando qui a Lochart? Noi siamo solo un villaggio, che cavolo! Non è che ci ha scambiati per Glasgow, per caso?». Dalziel strappò la cornetta dalla mano di Pascoe e se la avvicinò alle labbra. «Parla il sovrintendente detective Dalziel. Mi stia a sentire, sergente, cerchiamo di non sbattere via il denaro pubblico, quindi risponda semplicemente alle domande, mi sono spiegato? Il numero di telefono Lochart 269 a quale abbonato corrisponde?». «Buonasera a lei, sovrintendente Dalziel. Non è che lei è di queste parti vero? Perché se stava cercando qualche Dalziel, qui ne abbiamo almeno una dozzina. Pare che stiano tutti qui». Ce ne sono troppi, ovunque siano, pensò Pascoe, cercando di non mettersi a ridere. «Allora, 269», proseguì Lauder. «Be', è facile. È l'albergo. Il Lochart Hotel. Molto accogliente, a quanto ne so». «Non me ne frega niente, non ci devo andare!», tuonò Dalziel. «Senta, mi interessa un uomo che si chiama Atkinson, John Atkinson, che può essere stato ospite dell'albergo di recente. Non so quanto di recente. Se non fosse di troppo disturbo per lei, potrebbe scoprire se è stato all'albergo, per quanto tempo e, se possibile, perché? Gliene sarei infinitamente grato». 'Descrizione', mimò Pascoe con la bocca, cercando di farlo sembrare un gesto casuale. «Chiedo anche una descrizione?», domandò Lauder. «Tanto per essere sicuro che sia l'uomo giusto...». «Sì, grazie», mormorò Dalziel con un autocontrollo di cui Pascoe non l'avrebbe ritenuto capace. «Faccia più in fretta che può, d'accordo?».
Lasciò a Lauder il suo numero di telefono, posò la cornetta e la riprese in mano subito dopo. «Può passarmi l'ospedale di Doncaster?», chiese. «Voglio parlare con qualcuno che mi sappia dire le condizioni di un paziente, Edgar Sturgeon. E non voglio parlare con qualche ometto marrone che non distingue un termometro da una banana». Se potessero espellere Dalziel dal Commonwealth, pensò Pascoe, forse ci sarebbe qualche speranza per la pace nel mondo. «Pascoe, oggi ha telefonato la sua ragazza», disse Dalziel improvvisamente. «Che cosa?». «Le ho parlato». «Cosa?! Intendo, per quale motivo ha telefonato, signore?». «E che cavolo ne so? Mi ha detto di andare a prendermelo in quel posto...». Una flebile voce arrivava dalla cornetta che Dalziel stava usando per massaggiarsi la testa. Alla fine riuscì a catturare l'attenzione del sovrintendente. «Pronto!», tuonò questi, riducendola al silenzio. Dopo aver declinato le proprie generalità, Dalziel si mise in ascolto. «Nessuno ci aiuterà dall'ospedale», disse alla fine della telefonata. «Ho paura che Lewis e Sturgeon avranno di nuovo qualcosa in comune: il fatto di essere morti». Gli uomini perlustrarono il terreno per oltre un'ora. Poi lo esaminarono di nuovo, questa volta con un metal detector. Solo dopo questa seconda ricerca e dopo aver fotografato la zona da tutte le angolazioni possibili e immaginabili, e anche qualcuna in più, Backhouse ordinò che la Mini azzurra venisse rimossa con un carro attrezzi. Guidarla era assolutamente fuori questione: il motorino di accensione, rimasto acceso, aveva scaricato la batteria, e il motore era bagnato fradicio; inoltre le ruote erano affondate nel terreno, ridotto a un acquitrino dalle recenti piogge. Backhouse oltrepassò il varco nel filo spinato e scrutò attentamente nella cava d'argilla. «Se fossi in lei non starei troppo vicino all'orlo, signore», lo avvertì l'agente Crowther, e mise subito in pratica il consiglio facendo a sua volta due passi indietro. Sempre fiducioso negli esperti locali, Backhouse ubbidì prima di chiedere perché.
«Se dà un'occhiata dall'altra parte, noterà che c'è una sporgenza. Come vede, continua per tutto il perimetro. Il terreno è stato scavato molto a fondo sui lati, fino a quando l'area non è stata dichiarata inutilizzabile». «E quando è stato?», chiese Backhouse. «Ah, be', io ero ancora un ragazzo. Sono nato da queste parti, e ricordo che c'erano sempre problemi di drenaggio. L'acqua entrava, ma non trovava facilmente una via d'uscita. Alla fine trovarono una corrente sotterranea. Appena smettevano di pompare via l'acqua, la zona semplicemente si riempiva di nuovo.» «Quindi è molto profondo?». «Parecchio, specialmente dopo la pioggia di questi giorni. Profondo e pericoloso. Intere porzioni di quelle sporgenze ogni tanto si staccano e cadono. È per questo che tutta l'area è stata recintata col filo spinato. Non che questo fermi dei ragazzini che vogliono oltrepassarlo, o chiunque avesse intenzione di scavalcarlo a tutti i costi». «Quindi?», disse Backhouse osservando il filo spinato tagliato di netto. «Ci sono mai stati incidenti?». «Tre, signore, a quanto ne so», rispose l'agente. «Bambini?». «È quello che ci si aspetterebbe, signore, ma la risposta è no. Se si fosse trattato di bambini, avrebbero fatto qualcosa già da parecchio tempo. Solo uno dei tre era quasi un bambino, un ragazzino di sedici anni. Era qui con alcuni amici a far cagnara, scivolò e cadde. Non sapeva nuotare». «E gli altri?». «Un uomo e una donna signore. Un doppio suicidio. Erano amanti e la loro situazione era difficile. Entrambi volevano divorziare, ma c'erano poche speranze. Così pare che abbiano deciso di farla finita, sono arrivati fin qui e si sono buttati di sotto, insieme». «Buon Dio! Mi pare di ricordare qualcosa. Una decina di anni fa, vero?». «Esatto signore». «Non ero ancora in questa zona allora, ma la vicenda era finita sulla stampa nazionale. Aspetti, uno dei due si chiamava...». «Sì, signore. Pelman, Mary Pelman. Era la moglie di Angus Pelman». «Già.. C'è una cosa, Crowther...», disse Backhouse. Non era chiaro se intendesse commentare le informazioni di Crowther o l'arrivo del carro attrezzi, che si avvicinava arrancando lungo il sentiero fangoso. «La trovammo quasi subito», riprese Crowther. «Il corpo riemerse in su-
perficie. Lui invece venne trattenuto sul fondo dal fango. Ci vollero tre settimane per tirarlo fuori». «A chi appartiene l'area, Crowther?», chiese Backhouse, tenendo d'occhio il carro attrezzi che si stava mettendo in posizione per poter caricare la Mini. «In realtà a nessuno», disse Crowther. «Pelman è il proprietario di gran parte del terreno su questo lato, cioè a sud. La sua casa è dietro quel costone là in fondo. Il resto del terreno diventa soprattutto area boscosa, fino al villaggio». «Il bosco dietro Brookside Cottage?», chiese Backhouse. «Esattamente. Non ci sono strade che ci arrivano direttamente, o per lo meno non con l'automobile. Per arrivare qui bisogna passare dalla strada principale e poi prendere il vecchio sentiero. Circa cinque chilometri». «Qualcosa sembra essere passato di qui regolarmente», rifletté Backhouse, osservando attentamente il terreno. «Mi chiedo perché. E chi aveva interesse a tagliare il filo spinato?». «Non saprei, signore», disse Crowther. «Pensa che Hopkins sia là sotto?». «Ancora non lo so. E non so nemmeno se glielo auguro. Di sicuro risolverebbe le cose, ma non lo so». Dimenticando le raccomandazioni di Crowther, Backhouse si spinse di nuovo fino all'orlo del precipizio, pensando allo strano, enigmatico biglietto trovato nell'automobile. In quel momento era alla centrale e la scientifica lo stava analizzando accuratamente. Impronte digitali, calligrafia, tipo di carta, tutto sarebbe stato esaminato nei minimi particolari. Ma quello che interessava Backhouse era lo stato d'animo di chi l'aveva scritto. Poteva essere letto come una confessione, l'ultimo grido disperato di un uomo che stava per suicidarsi annegandosi? Poteva essere. A quanto pareva Hopkins era un tipo particolare. Forse valeva la pena di prendere in considerazione anche l'opinione di quell'altro tizio, altrettanto originale, il sergente Pascoe. Sempre che ottenerla non innescasse una situazione esplosiva. Il carro attrezzi avanzava dall'intrico di alberi dove la Mini era stata spinta. Backhouse si voltò a guardare. Il mezzo non poteva girarsi verso il sentiero fino a quando l'automobile non fosse stata liberata dagli arbusti, quindi continuava ad avanzare verso di lui. Per una terrificante frazione di secondo Backhouse pensò che non si sarebbe fermato, ma il guidatore cominciò a sterzare una sessantina di metri prima. In ogni caso, non sarebbe riuscito a oltrepassare il filo spinato.
Una delle ruote del carro attrezzi perse aderenza sul terreno morbido e cominciò a girare rapidamente. Stupidamente l'autista cominciò a mandare il motore su di giri e un minuto dopo entrambe le ruote giravano a vuoto. Molto astuto, pensò Backhouse, ritrovandosi a barcollare leggermente. Sto per svenire? si chiese. Il primo segnale di un attacco cardiaco? Era una sensazione terribile, come se il terreno si muovesse sotto i suoi piedi. «Sovrintendente!», gridò Crowther. Backhouse, ancora sorpreso, avanzò di un passo verso di lui, poi fece un salto mentre dietro di lui il terreno si muoveva. Crowther lo afferrò per la mano e lo allontanò violentemente dall'orlo della pozza. Mossa inutile, pensò Backhouse girandosi a guardare. Ci vollero un paio di secondi prima che una lunga porzione di terreno, incluso il punto in cui si era trovato anche lui, scivolasse nella pozza sottostante, fuori dalla vista. Era difficile notare qualche differenza rispetto a pochi attimi prima. Se non fosse stato per i pali cui era attaccato il filo spinato, che ora penzolavano nel vuoto come ubriachi, sarebbe stato difficile accorgersi di quanto era successo. «Togliete quell'affare di là prima che faccia altri danni!», ordinò Backhouse, indicando il carro attrezzi. «Se Hopkins è sotto quell'ammasso di terra, signore, sarà difficile trovarlo», osservò Crowther. «Lo troveremo, non tema», disse Backhouse. «Anche se fosse seppellito sotto una montagna, lo troveremo». «Ciao! Peter?», chiamò Ellie incerta, ferma davanti alla porta d'ingresso aperta. «Ciao amore», disse Pascoe, comparendo nel corridoio. «Vieni dentro». Ellie entrò, ancora perplessa, e lo seguì in una sala accogliente, piena di mobili vecchio stile. «Che stai facendo qui?», chiese. «O, piuttosto, che ci stiamo facendo tutti e due qui? Non è un modo sottile di mettere in scena una richiesta di matrimonio vero? Perché se è questa la tua idea di casa, io rifiuto!». «Non è male!», protestò Pascoe. «Molto accogliente». «Ah, sarebbe accogliente? Puzza di il-posto-di-una-donna-è-la-sua-casa. C'è in te qualcosa del padre di famiglia vittoriano». «Ci sono destini peggiori», replicò Pascoe. «Che stiamo facendo qui, Peter?». «Cerchiamo dei gatti. O meglio, un gatto. Ne ho già rinchiusi due in cucina. Lascia che ti spieghi».
«Sarebbe bello...». Pascoe aveva telefonato per andare a trovare Mavis Sturgeon in ospedale. La donna era confinata a letto, ma ora era più vigile. La sua principale preoccupazione era naturalmente per la sorte del marito. Sembrava fidarsi delle rassicurazioni che lui stava meglio ma che era ancora troppo debole per ricevere visite. Interrogandola con delicatezza, Pascoe aveva cercato di capire se fosse in grado di dirgli qualcosa, ma i nomi di Cowley e Atkinson non significavano nulla per lei. Aveva letto di Lewis sui giornali e sapeva vagamente che era membro del Liberal Club, a cui era iscritto anche Edgar da più di quarant'anni. Mavis aveva confermato che il marito era diventato chiuso e irritabile nell'ultima settimana o giù di lì, dopo un periodo di inspiegabile euforia ed entusiasmo. «All'inizio ero preoccupata del fatto che era andato in pensione», aveva detto la donna. «Il lavoro gli mancava molto. Poi era tornato di buonumore, aveva cominciato a interessarsi alle cose. Pensavo che... pensavo...». Aveva cercato di ricacciare indietro le lacrime. Pascoe era intervenuto gentilmente. «Lei ha idea di dove stesse andando oggi?», le aveva chiesto. «No. È questo che è strano. Non aveva alcun motivo di trovarsi su quella strada. Non mi è mai piaciuta quella strada. Sempre incidenti, sempre qualche problema». Pascoe si era alzato per andarsene, promettendo, quasi automaticamente, di fare qualsiasi cosa potesse aiutarla, ed era rimasto sorpreso di trovarsi subito messo alla prova. «Sono i suoi gatti. Lei sa che i vicini li nutrono, ma sarebbe più contenta se venissero accuditi nel solito pensionato. Così le ho detto che ce li avrei portati. E siccome non è un lavoro per un uomo solo, ti ho lasciato un messaggio». «Molte grazie». «Perché mi hai telefonato, prima?», chiese Pascoe in tono casuale. «Oh, niente, volevo fare due chiacchiere», replicò Ellie. «So che le hai fatte con Dalziel». «Abbiamo parlato». «Che cosa ha detto?». «Mi ha ricordato i miei diritti costituzionali. E i miei doveri. E mi ha fatto notare che il posto di una donna è a casa. In particolare in camera da letto». «Ha detto questo?». «Sì».
«Troviamo il gatto, ti va?». Ellie prese un portacenere di ceramica dal caminetto e lo sbatté rumorosamente contro il muro. Dopo dieci secondi una forma liscia e rossiccia scivolò da dietro una poltrona e si strusciò sul braccio di Pascoe, che stava accovacciato. Quando Ellie lo prese in braccio il gatto cominciò a fare le fusa. «Ben fatto, san Francesco. Qual è il segreto?». «Fai un rumore come quello di una ciotola della pappa e queste creature arrivano anche se sono lontane chilometri e chilometri. Al contrario, se non ne hanno voglia puoi blandirle o minacciarle tutta la notte senza alcun risultato». «Mi ricordano te». «Questo ti costerà una bistecca». «Come volevasi dimostrare». Questo scambio di battute vagamente surreale, volutamente leggero, durò finché arrivarono alla pensione, che scoprirono essere dietro al Jockey, a Birkham. Mentre uscivano dall'ufficio, un uomo stava scaricando casse di carne e scatole per gatti da un furgone blu. La scritta sul furgone diceva che si trattava di Jim Jones, Distributore di Cibo per Gatti di Alta Classe. «Non ti fa venire l'acquolina in bocca?», chiese Pascoe. «No, ma ho fame». Pascoe guardò l'orologio. Erano le sei e mezzo. «Non è troppo presto? Saremo i primi al Jockey. Non fa le sue consegne anche lì vero?», aggiunse scherzoso rivolgendosi all'uomo che si era fermato per lasciarli passare. Lui non rispose e si limitò a guardare Pascoe senza espressione scuotendo la testa. Se prendi sul serio uno scherzo fai afflosciare le vele a chiunque, pensò Pascoe, sconcertato. Era una delle battute preferite da Dalziel. Non erano i primi nel pub, ma furono i primi a ordinare una bistecca. Ellie bevve assetata la sua birra, poi si sedette giocherellando con il pendente di pietra che Pascoe le aveva comprato. «Peter», disse, «quando ho parlato con Dalziel, lui mi ha ammonito di non metterti in imbarazzo». «Che cosa ha fatto?!». «Insomma, mi ha detto che dovrei stare attenta a condividere informazioni con te in qualità di amico, che potrebbero causarti difficoltà come poliziotto. Per esempio se Colin mi ha contattato per chiedermi aiuto».
«Lo ha fatto?», chiese Pascoe con voce piatta, fissando il suo bicchiere. «No. Ma quello che Dalziel ha detto mi ha fatto riflettere e preoccupare. Be', lui ha torto. L'ho appena deciso. Ciccio Dalziel ha torto». «Mettimelo per iscritto», disse Pascoe con un sorriso. «Che cavolo, non sono stata completamente onesta. Meglio tenere per sé alcune cose. Ma non per i motivi che intende Dalziel. Non al punto che tu possa trasformarti in un delizioso sovrintendente ciccione come lui». «Sono d'accordo», disse Pascoe. «Non è una buona ragione per non dirmi le cose. Anche se vorrei vedere un po' più da vicino queste cose che sarebbe meglio tenere per sé». «Potresti rimanerne scioccato!», disse Ellie in tono scherzoso. «Il vero motivo per cui ti ho telefonato oggi pomeriggio è una faccenda strana. Dopo che mi hai lasciato in città, non sono andata subito al college. Non avevo nulla da fare lì e comunque dopo stamattina avevo la sensazione di essere stata a contatto con troppe persone. Così sono andata in giro a fare compere per un paio d'ore. Poi, saranno state le quattro, sono tornata indietro. Stavo attraversando Birkham e mi sono fermata al negozio di antiquariato per dare un'occhiata. Però era chiuso». «Non è un gran commerciante il nostro signor Etherege», commentò Pascoe. «Il quale peraltro è appena entrato nel bar». Dal modo in cui scambiava convenevoli con il padrone e altri clienti, Etherege sembrava conosciuto nel pub. «Comunque», disse Ellie, «stavo giusto per risalire in macchina, quando un'altra auto si è piazzata dietro la mia. Mi pareva di averla riconosciuta, una Citroën rosso brillante. Ne salta fuori Anton Davenant, mi saluta calorosamente e dice che stava venendomi a trovare al college». «Interessante», disse Pascoe. «Cosa diavolo voleva, dopo che ci eravamo visti stamattina?». «Me lo sono chiesta anch'io. L'unico motivo plausibile mi pareva il fatto che tu non c'eri!». «Molto lusinghiero. Va bene, e che ha detto?». «Non so... Sembrava del suo solito umore, sai cosa intendo. Ha parlato di Colin e degli altri, soprattutto di Timmy. Evidentemente si erano conosciuti a Bruxelles durante il periodo in cui Timmy lavorava alla sede del Mercato Comune. Davenant era capitato lì durante una specie di grand tour gastronomico-architettonico». «Poi Timmy è tornato e ha ripreso i rapporti con Carlo. Interessante», disse Pascoe.
«L'ho pensato anch'io. Ho cominciato a chiedermi se Davenant oggi fosse nei paraggi del tutto casualmente oppure no». «Questo è il classico cattivo pensiero che si suppone possano avere soltanto i poliziotti». «Dalziel sarebbe contento. Ma ho cominciato a chiedermi se Colin potesse essere in contatto con Davenant e lui volesse tastare il terreno per capire se poteva fidarsi dell'amante di un poliziotto». «E poteva?», chiese Pascoe. «Evidentemente no. Comunque non ha detto niente. Sembrava molto interessato al libro che Colin sta scrivendo, ma di quello non ho saputo cosa dirgli. Forse Colin è preoccupato a proposito del manoscritto e degli appunti?». «Dovunque sia Colin», disse Pascoe con aria indifferente, «avrà da preoccuparsi molto di più per sé che non per la salute del suo manoscritto. Ah, e così mi hai telefonato per fare due chiacchiere?». «Esatto. Davenant era ancora lì con me, ma era andato un attimo alla toilette. Pensavo volessi saperlo». Le loro bistecche arrivarono e con loro anche Etherege. Non accennò a sedersi ma rimase in piedi a guardarli, il gin in una mano e una bottiglietta di acqua tonica nell'altra. «Salve di nuovo», disse con un sorriso. «Mi dispiace interrompere, ma mi stavo chiedendo che fine avessero fatto quei francobolli». «Non siamo ancora riusciti a esaminarli, mi dispiace», rispose Pascoe, pensando al povero Sturgeon, gravissimo e forse in quel momento già morto. «Nessun problema. Nessuna fretta. Faccia un salto da me qualche volta e scelga un altro regalo per la signora! Salute!». Si girò e si allontanò. «Non mi pare una cattiva idea», disse Ellie. «A quei prezzi?», Pascoe assaggiò la bistecca e annuì soddisfatto. «Attento», lo avvertì Ellie. «Jones-cibo-per-gatti è appena entrato». Pascoe diede un'occhiata verso il bar. Ellie aveva ragione. L'uomo dall'aria solenne era appena entrato nel pub. Pascoe sogghignò. «Se si servono da lui in questo posto», commentò, «tutto quello che posso dire è: quanto è bello essere uno dei gatti della signora Sturgeon!». Dalziel in quel momento era ancora in ufficio, intento a bere una tazza di
tè con metà della razione usuale di zucchero e pensava rassegnato a una cena senza patate. Il telefono squillò. «Mi spiace di averci messo tanto, sovrintendente, ma c'è stata un'emergenza». «Qualche problema nella valle?», chiese Dalziel acido. «Già. Roba del genere. Dunque, il tizio, Atkinson, quello dell'hotel, è di sicuro il suo uomo. La descrizione calza a pennello». «Perfetto. Altro?». «Be', niente indirizzo, purtroppo. Si è registrato solo col nome della città, Londra. Ho dato una strapazzata al direttore e d'ora in poi saranno molto più precisi, glielo prometto». «Questo mi rende davvero lieto». «Bene, bene. Dunque, sovrintendente, il tizio è stato là parecchie volte, mi sono scritto le date; pochi giorni ogni volta, e mai in vacanza, a quanto pare. O almeno non si comportava come uno in vacanza». «E come si comportava?». «Come un uomo d'affari, a quanto dicono. Il ragazzo alla reception lo ha sentito parlare di qualche affare con la compagnia mineraria Nordrill». «E chi diavolo sono?». «Be', se lei vivesse quassù, non avrebbe bisogno di chiederlo». «Sergente, se lei vivesse quaggiù morirebbe dalla voglia di darmi una dannata risposta! Allora, si dia una mossa!». «Già, be'... sono una delle compagnie che girano dappertutto in questo periodo, sembra, cacciando sonde nel terreno per scoprire se c'è qualcosa da tirare fuori. Forse avrà letto qualcosa su di loro in Galles e nel Peak District in Inghilterra. Be', qui abbiamo lo stesso problema». «E Atkinson probabilmente lavora per loro?». «Pare di sì». «Bel lavoro, Lauder», disse Dalziel. «Mi dia solo quelle date e può tornarsene al suo fuoco di torba». Dalziel stava uscendo quando il telefono squillò di nuovo. Ascoltò per qualche minuto senza fiatare. «Bene», disse alla fine. «Glielo dirò. Buona notte». Ma non stasera, pensò, guardando l'orologio. Sarà fuori con quella ragazza. Meglio che si divertano stasera, se ci riescono. Del resto, non aveva la più pallida idea di dove fossero.
7 Pascoe stava facendo una rapida colazione quando arrivò il giornale del mattino. Ellie, che aveva più tempo a disposizione ma carburava molto più lentamente, vagava di quando in quando dalla cucina piazzando tazze di caffè e fette di pane tostato in punti strategici del percorso. «Perché non regoli la sveglia più presto?», gli chiese. «Quando dormo da solo è abbastanza presto». «Allora è colpa mia, eh?». Pascoe non rispose ma andò nell'entrata piccola e buia del suo appartamento a prendere la posta e il giornale. «Tieni», disse lanciandolo a Ellie, che si mise seduta sul tappetino di fronte alla cucina a gas per bere il caffè e leggere i titoli. Pascoe era in bagno quando la sentì chiamare. Accorse all'istante, riconoscendo nella voce di lei una nota che segnalava qualcosa di serio. «L'hanno trovato», disse Ellie. «Cosa? Fammi vedere». Prese il giornale e lesse l'articolo, che parlava del ritrovamento dell'auto, diceva che dentro era stato trovato un biglietto e riportava il succo di un'intervista, ovviamente non compromettente, a Backhouse. Questi rifiutava di commentare il suggerimento che la sua indagine per omicidio fosse a quel punto terminata, e interrogato sulla cava d'argilla rispondeva semplicemente che avrebbe avuto luogo una ricerca approfondita. Il giornalista chiudeva con il resoconto delle altre morti avvenute nella pozza. «Hai detto che l'avevano trovato», disse Pascoe in tono accusatorio. «È come se l'avessero fatto», disse Ellie, il viso bianco come un lenzuolo. «No, non è lo stesso. Ce lo vedi Colin togliersi la vita?». «Dipende da cosa ha fatto». Pascoe si portò la mano alla fronte e chiuse strettamente gli occhi. Notte. Vento tra gli alberi. La luna fra le nubi in corsa che toccavano l'acqua increspata giù in basso. Un passo avanti. No, era tutto troppo gotico. E poi, abbandonarsi senza lottare! Colin era un buon nuotatore. Non poteva essere vero! Ma il resto era vero. L'aveva visto con i propri occhi: Carlo e Tim assassinati e soprattutto Rose, che moriva dissanguata ai piedi della meridiana. Se quello era vero, allora poteva esserlo qualsiasi cosa. «Andiamo», disse bruscamente. «Muoviamoci. Chiederò a Dalziel cosa
sta succedendo». «Non so se ci riesco», disse Ellie con voce spenta. «Io rimango qui, Peter. Vai tu». «No», replicò lui. «Tu non devi venire con me, amore. Tu vai al college come una brava piccola lettrice. È quello per cui ti strapagano. Perciò diamoci una mossa, ok?». Era importante tenersi occupati. Agire impediva di riflettere. L'azione avrebbe evitato loro almeno per qualche tempo di visualizzare il poliziotto, impacciato dall'impermeabile di rigida cerata blu, che sondava le profondità della pozza con un uncino da barca mentre il guscio di noce bucato e cigolante tesseva la sua accurata trama di ricerche sull'acqua scura. Avanti e indietro, avanti e indietro, finché l'uncino non si impigliava... grazie a Dio c'era un sacco di lavoro da fare. Non era affatto come Pascoe se l'era immaginato. La barca c'era, e aveva ripreso le ricerche dal punto in cui le aveva interrotte la sera prima a causa del buio. Ma era tornato il bel tempo del fine settimana e la pozza della cava rifletteva il cielo azzurro e il sole mattutino. Sarebbe stato uno spettacolo idilliaco se i sondaggi che si svolgevano più sotto non avessero sollevato un tanfo disgustoso. E comunque sarebbe stata una giornata da passare in maniche di camicia, pensò Backhouse. Di tutti i periodi dell'anno, quello che amava di più era l'estate indiana. Rappresentava una confortante allegoria della mezza età: un tempo dorato di calore e maturità, con quel tanto di elegiaco sufficiente a infondergli un po' di interesse senza renderlo deprimente. Sarebbe stato bello sgattaiolare via per qualche giorno e godersi la compagnia di Proust nel piccolo frutteto circondato da un muro che si stendeva dietro la fattoria di suo fratello come un presagio del giardino dell'Eden. Sarebbe stato molto bello. Il prezzo era semplice. Il cadavere gonfio d'acqua e putrefatto, trascinato a forza sulla superficie dell'acqua tirata a lucido dal sole che lui stava guardando dall'alto. Ne aveva già visti. Nessun'altra forma di morte sembrava stampare sul volto di un uomo una simile disperazione. Era questione di tempo, immaginò. Le altre morti dovevano accontentarsi di ciò che potevano imprimere nei lineamenti di un uomo nel momento preciso della morte. Solo l'acqua continuava a lavorare, lisciando, plasmando anche dopo che la vita era fuggita. Sarebbe stato un prezzo molto caro da pagare per i pochi giorni nel frutteto.
«Salve, sovrintendente!». Era French, il coroner, che assennatamente si era messo un paio stivaloni di gomma i quali con ogni probabilità avrebbero rovinato la piega dell'abito dal taglio perfetto da avvocato di campagna. «Ancora niente?». «No, signore». «È un brutto posto, questo», commentò French. «Ho già seguito anche troppe inchieste collegate con queste acque». «Non sappiamo ancora di sicuro se ce ne sarà un'altra». «No. Certo che no. Però le probabilità sembrano a favore. La prima volta era la mia prima inchiesta in assoluto. La moglie del povero Pelman, forse ricorda il fatto». «Solo dai giornali, signore». «E poi ci fu quel ragazzo. È stato dopo quella volta che l'hanno circondato con il filo spinato. Un provvedimento del tutto inadeguato». «Specialmente se qualcuno ritaglia un'apertura con il tronchese», sottolineò arcigno Backhouse. «Davvero? Che strano. Bisogna essere un suicida molto determinato per arrivare a tanto». «Sì. Però questo è stato fatto prima dello scorso fine settimana. Abbiamo un testimone esperto, il signor Eric Bell, con il quale ho stretto un patto. Lui mi avrebbe detto tutto ciò che sapeva e in cambio io avrei detto ai suoi genitori soltanto lo stretto necessario». French rise. «Capisco. Ma perché qualcuno dovrebbe...». «Un'idea ce l'ho, signor French, ma per il momento preferisco rimanga tale». Per mutuo accordo si allontanarono dalla cava e si avviarono verso il folto di cespugli nel quale era stata trovata la Mini. «Il terreno è molto sconvolto», osservò French. «Sì», disse Backhouse. «C'era qualcosa in particolare che voleva discutere con me, signor French?». Il coroner lo studiò. «Cosa pensa troverà nella pozza, sovrintendente? Sia sincero». «Posso solo dirle ciò che le prove fin qui raccolte suggeriscono, e cioè che dovremmo trovare il corpo di Colin Hopkins». «E una di queste prove è un biglietto lasciato nella macchina, immagino?».
«Esatto, signore. Biglietto che, naturalmente, sarà messo nelle sue mani non appena verrà trovato un corpo e si renderà necessaria un'inchiesta». «E fino ad allora...?». «Fino ad allora è semplicemente una prova della polizia. Come tutto ciò che abbiamo trovato nell'auto». French trasse un profondo respiro. «Ne deduco quindi che non mi è permesso vederlo?». È una follia litigare con il proprio coroner, pensò Backhouse, ma per qualche motivo aveva voglia di puntare i piedi. Quando si sentiva oggetto di pressioni, la sua reazione non era mai accomodante. «Non direi, signore», cominciò con cautela. «Il biglietto in questo momento è sottoposto a esame nei nostri laboratori. Le dico subito che è un messaggio estremamente incoerente e non credo che saprei citarlo a memoria. Naturalmente consulteremo anche uno psichiatra esperto che si pronunci sulle condizioni mentali dello scrivente». French annuì come se fosse soddisfatto della risposta. «Nel villaggio, come saprà, circola una sensazione di grande disagio», disse. «Tutti sono ansiosi di vedere concludersi questa sfortunata faccenda. Il disagio continuerà finché non ci sarà un arresto, o qualcosa d'altro». Fece un gesto incerto in direzione della cava. «Per dirla senza mezzi termini, penso che prima qualcuno potrà dichiarare ufficialmente quello che tutti sembrano dire in privato, meglio sarà». «Il mio dovere è investigare sui crimini, signore, e rendere noti ai miei superiori i risultati delle indagini», replicò gelido Backhouse. «Questo lo so, sovrintendente. Il mio dovere non è dissimile dal suo. Solo che il mio dovere è di rendere noti a tutti i risultati delle mie indagini. Spero che trovi ciò che sta cercando qui. Forse ricorderà che ci vollero tre settimane per recuperare il corpo di Robert Hand. È un bel po' di tempo». «Hand?». «L'amante della signora Pelman». «Sì, questo lo ricordo. Come le ho detto, ho letto i giornali. Ricordo anche che il sommozzatore della polizia quasi perse la vita nella ricerca. Sono acque molto infide queste, signore. Sono nere e luride e nelle pareti della fossa si trovano ogni sorta di buche e tunnel. Farò tutto quello che posso per assicurare una ricerca approfondita, ma se occorreranno tre settimane, ci metteremo tre settimane. Magari anche di più. Ma non metterò a repentaglio delle vite umane. E non anticiperò i risultati». «Ma certo che no, sovrintendente», disse French, improvvisamente tutto
sorrisi. «Sarebbe sbagliato se lo facesse. Le auguro una buona giornata». «Buona giornata», rispose Backhouse. Si sentiva infelice senza sapere perché. Il frutteto inondato di sole all'improvviso gli sembrò un sogno del tutto privo di sostanza. Quando era arrivato in ufficio, quella mattina, Dalziel aveva trovato un biglietto sommamente sgradito che lo invitava a passare dal dottor Grainger a mezzogiorno, se gli fosse stato possibile. Chiamò immediatamente l'ambulatorio di Grainger, riuscendo a parlare solo con una segretaria dalla voce suadente che al suo orecchio ultrasensibile parve diventare cordiale in modo sospetto dopo aver saputo il suo nome. Ma Grainger era molto occupato, insistette lei, e un paio d'ore non era un tempo di attesa troppo lungo, non è vero? E di nuovo a Dalziel parve di aver colto l'allusione al fatto che, una volta arrivato mezzogiorno, avrebbe desiderato che l'attesa fosse stata ancor più lunga. Come Pascoe, si gettò con entusiasmo nella consolazione offerta dal lavoro e iniziò alacremente a esaminare i risultati della varie inchieste che i suoi accoliti avevano intrapreso. La Nordrill Mining Company, scoprì con interesse, non aveva fra i suoi dipendenti un John Atkinson, né, per quanto ne sapevano lì, l'aveva mai avuto. Ci rimuginò un poco, poi andò al telefono e compose un numero urbano. «Parla il sovrintendente Dalziel», annunciò alla ragazza che rispose. «Vorrei parlare con il signor Nolan, per favore». Ci fu una breve pausa. «Ciao, Andy», disse dopo pochi istanti una voce briosa con l'accento dello Yorkshire. «Stiamo per subire una rapina?». «No. Ma potreste averla già subita. Avete controllato i vostri caveau?». «Cosa?», chiese Nolan allarmato. «Scherzo, Willie», rispose Dalziel. «Stavo solo controllando se eri ben sveglio e arzillo come dovrebbe esserlo un bravo piccolo bancario». «Che razza di scherzo! A momenti me la facevo addosso. Cos'è che vuoi, Andy? Ho del lavoro da fare». I due si conoscevano da lungo tempo e negli anni avevano stabilito un mutuo e vantaggioso sistema di scambio di favori, basato su una forma di domande trasversali che permetteva a entrambi di evitare danni eccessivi alle rispettive coscienze professionali. «Se volessi comprare una casa, chi mi consiglieresti come agente?».
«Dipenderebbe da quello che hai in mente». «Qualcosa di gran classe, penso. Tu mi conosci: niente roba squallida. Che ne dici di Lewis e Cowley?». Ci fu una lunga pausa. «Mi è dispiaciuto sentire quello che è successo a Lewis», disse Nolan alla fine. «Ah, sì?». «Sì. Famiglia simpatica. Saranno pressati da tutte le parti, adesso». «Ma erediteranno sicuramente un bel gruzzolo», disse Dalziel infondendo sorpresa nella voce. «Potrebbero trovarsi nei guai, se contano di ricevere soldi dalla ditta», disse Nolan. «Davvero? Ma ci dev'essere dell'altro. Hanno una bella casa. E poi c'è il cottage in Scozia. Oh, la moglie starà benone, non preoccuparti, Willie. Un uomo d'affari come Lewis pensa sempre alle persone a carico». «Forse hai ragione, Andy. Forse il suo patrimonio lo cura qualcun altro». «Capisco. Bene, mi terrò la mia vecchia catapecchia ancora per un po'. Ciao, Willie. Ci vediamo al club qualche sera». Le cose stavano così, dunque. Per quanto ne sapesse Nolan (e in questioni finanziarie c'era poco che accadesse in città senza che Willie ne sentisse l'odore), Lewis e Cowley navigavano in cattive acque, una crisi negli affari che si rifletteva anche sulla vita privata di Lewis. Aveva l'impressione che sarebbe stato facile ma praticamente inutile verificare le dritte di Nolan. Sulla casa doveva gravare una pesante ipoteca, come pure sul cottage, e a prima vista doveva esserci una forte copertura assicurativa su entrambi. Tutto sommato, era il caso di compiangere Matthew Lewis. Ma c'era qualcosa in tutta quella storia che lo disturbava. Forse era giunto il momento che James Cowley fosse messo a confronto con la piena autorità di un sovrintendente invece che con le innocue minacce di un sergente. Il che gli fece ricordare Pascoe, che non aveva ancora visto. Si sentì vagamente colpevole. Ormai il ragazzo doveva averlo letto sul giornale. E comunque, quella era la vita. Aprivi il giornale e leggevi che qualcuno che conoscevi era morto. O stava per morire. O stava per essere ucciso. E un giorno il nome sul giornale era il tuo. Bussarono alla porta e, cosa non sorprendente, Pascoe entrò. «Ha visto i giornali, sergente?». «Sì, signore».
«Mi dispiace. Se avessi saputo dove si trovava ieri sera, gliel'avrei detto io. Ma non hanno trovato ancora nessun corpo». «No, signore». «Mi dica, sergente, questo suo amico scriverebbe una lettera di suicidio in versi?». «Come?». «Poesia». «Il biglietto era in versi?». Pascoe rifletté in fretta. «Ne dubito... be', nessuno potrebbe... però potrebbe citare i versi di qualcun altro. Lui era - è un grande amante della citazione appropriata. Non è che per caso lei sa cosa diceva il biglietto?». «No, ragazzo. Non sono cose che si rivelano alla leggera, nemmeno fra poliziotti. Ad ogni modo, se lo levi dalla testa. C'è dell'altro lavoro da fare. Questa storia di Lewis». Rapidamente aggiornò Pascoe sulle nuove informazioni in loro possesso. «Nulla che abbia preso forma», concluse. «È tutto frammentario. Penso che debba andare a parlare con Sturgeon, se ce la fa». «A Doncaster?». «Se le è scomodo», ribatté Dalziel stancamente, «potremmo chiedergli di venirle incontro a metà strada. In fondo è solo un uomo di sessantotto anni mezzo morto dopo un incidente d'auto. È anche l'unica persona che può confermare o negare quella che in apparenza sembra un'idea balorda, e cioè che è stato lui a uccidere Lewis. Se è stato lui, mi piacerebbe sentire la sua prima che tiri le cuoia. Perciò corra». «Sì, signore», disse Pascoe senza entusiasmo. «La moglie come sta?», chiese Dalziel. «Ancora all'ospedale, ma sta meglio. Era preoccupata per i gatti». «Ospedali», disse cupo Dalziel. «Questa è stata una buona settimana per i dottori. Vada, allora, sergente. Dovremmo dare l'illusione del movimento, anche se è tutto un dannato correre sul posto. A proposito, intanto che c'è, scopra tutto quello che può sulle circostanze dell'incidente di Sturgeon, vuole? Sto cominciando ad avere una strana sensazione in proposito». «Anch'io. Ma non sono sicuro di quale sia». «Suicidio dopo omicidio. Non è insolito». «No, non lo è», disse Pascoe con voce piatta. «Oh, merda!», sbottò Dalziel. «Mi dispiace. Continuo a dimenticarmi... senta, quanto è coinvolto in questo altro affare, sergente? Fino a che punto
bisogna andarci piano?». «Mi disturba», ammise Pascoe. «Va meglio, ma il pensiero è sempre lì. E certe volte sento questa rabbia che mi cresce dentro. Una rabbia tale che potrei...». Si rese conto di aver stretto i pugni e si sforzò di calmarsi. Perché sto dicendo questo a Dalziel? si chiese. A un vecchio piedipiatti grasso convinto che in un uomo le lacrime siano una prova incontestabile di tendenze omosessuali. «Se la tenga stretta, ragazzo», fu il consiglio di Dalziel. «Uno di questi giorni potrebbe tornarle utile. A proposito, mi sono dimenticato: non abbiamo chiesto a Lauder se sapeva qualcosa di Lewis. Gli dia un colpo di telefono prima di avviarsi verso la soleggiata Doncaster». Ha detto 'mi sono dimenticato', notò Pascoe. Da parte di Dalziel era una specie di dimostrazione di simpatia. «Sarai stato in ansia, eh, Andy?», si informò il dottor Grainger. «Ottimo. Speravo che ti preoccupassi». «Lo speravi?». «Esatto. Scommetto che la tua fertile immaginazione abbia scorso tutte le malattie note all'uomo e ne abbia inventata qualcuna. Ebbene, sarai lieto di sapere che non hai nessuna di quelle». «Nessuna? Vuoi dire che non ho niente che non va?», ringhiò Dalziel cominciando a rizzare gli aculei per la rabbia. «Non essere così deluso. Sei tutt'altro che perfetto, te l'assicuro. Ecco perché un pizzico di sana paura può tornare utile. Lascia che ti elenchi le tue magagne. Fumi troppo, bevi troppo e mangi troppo. E in più cerchi di interrompere il tuo medico. Volevi delle cattive notizie? Sto per dartele. Se non segui il mio consiglio nel giro di un anno, due al massimo, ti ritroverai a letto, forse in maniera permanente, con uno o più di una mezza dozzina di disturbi». «Del tipo?», chiese Dalziel quasi con umiltà. «Dinne uno. Pressione alta, bronchite, cirrosi, trombosi». «Dio onnipotente!», esclamò Dalziel in tono incredulo. «Non posso averli tutti!». «Credimi», disse Grainger, «tutti ne soffriamo. Solo che certi ne soffrono più degli altri. Ti ho scritto una dieta da seguire. Dovrai perdere almeno sei chili, tanto per cominciare. E non sarà una cosa facile per te, specialmente senza il sostegno di alcol e tabacco, perciò ti prescrivo un blando tranquillante, solo perché non diventi troppo molesto verso te stesso e verso gli altri. Ok?».
«Ok», rispose Dalziel disperato. «Ma tu sei un maledetto sadico». «Fa' come ti dico e forse sopravviverai per danzare leggero sulla mia tomba». «Una cosa prima di andare», disse Dalziel guardando incredulo e disgustato il foglio della dieta che gli veniva consegnato. «Fai parte del comitato del Liberal Club, vero?». «Sì. Non vorrai mica iscriverti, dopo tutto questo tempo?». «Non sono così malato», grugnì Dalziel con sdegno. «No, è che mi è capitato di incappare in un paio dei vostri membri, ultimamente». «Matt Lewis ed Edgar Sturgeon, vuoi dire? Tragico, tragico. Sono tutti desolati giù al club». «Erano in termini molto amichevoli? L'uno con l'altro, intendo». «Non particolarmente. Anche se li ho visti insieme una volta o due da quando Edgar è andato in pensione». «Capisco. Qualche parola su uno dei due al tavolo delle boccette?». «Prego?». «E dai!», esclamò Dalziel. «Conosco i club. Qualche pettegolezzo ghiotto, scandali, capisci?». «Sono il tuo dottore, Andy, non uno dei tuoi informatori!», protestò Grainger indignato. «E va bene. Chiedere non è peccato. Dopo tutto quello che ho dovuto subire avrò sicuramente qualche diritto!». Sbatté in aria con violenza il foglio della dieta. «Lo pensi davvero? Benissimo, allora. Negherò di averlo detto ma, in confidenza, circolava voce che Lewis fosse un uomo molto scaltro negli affari». «Vuoi dire un imbroglione?». «Voglio dire che spuntava sempre un largo margine di profitto in tutto quello che faceva». «Ah, ecco. E se ti dicessi che era praticamente in mutande quando è morto?». Grainger annuì senza mostrarsi sorpreso. «E perché no? Il guaio di essere un imbroglione in un posto come questo è che lo si viene a sapere. Quella piccola società ha sempre trattato roba 'di classe', non certo le tue bifamiliari di periferia. Perciò, le persone interessate al genere di proprietà che Lewis e Cowley potevano procurare erano le stesse che avevano sentito le chiacchiere. Uomini d'affari, l'aristocrazia della grana. Così si innesca una spirale. Meno affari per la ditta, e poi an-
cor meno affari perché tutti sanno che sta facendo meno affari! Aggiungici il ritmo al quale Lewis riusciva a spendere il denaro». «Cosa comprava?». «Povero me, Andy, cosa combinano i tuoi scagnozzi di questi tempi? È un amante della bella vita, o meglio lo era. Vino, donne e canzoni. Così mi hanno riferito, ci tengo a dire. Non sono mai stato coinvolto in nessuno di questi eccessi». «Non te la prendere così tanto», disse Dalziel alzandosi e avviandosi alla porta. «E Sturgeon?». «Tipo simpatico. Uno che si è fatto da solo, dal niente è diventato proprietario di una piccola attività ben avviata nel campo del legname. Sua moglie l'ha convinto a forza di chiacchiere a vendere e ad andare in pensione, credo; ma lui non voleva adagiarsi e non fare niente. Sai come sono questi cavolo di tipi dello Yorkshire!». «Chi meglio di me? Grazie. Devo andare. Mi mandi il conto?». «Puoi scommetterci», disse Grainger, raccogliendo il foglio della dieta che Dalziel aveva posato sulla scrivania. «E paga alla svelta, visto che vuoi lasciarmi qui questo. Non voglio sobbarcarmi la noia di reclamare presso i tuoi eredi». «Oh, dai qua!», sbuffò Dalziel afferrando il foglio e infilandoselo con noncuranza nella tasca della giacca. «Non fare troppe operazioni illegali. Baci!». Uscì facendo un sacco di rumore. Grainger scosse la testa, sorridendo. Ma negli occhi gli passò un'ombra di preoccupazione. 8 A Pascoe sembrava di aver trascorso tutta la mattina al telefono, dividendosi equamente tra questioni ufficiali e questioni ufficiose. La prima chiamata fu per il sergente Lauder di Lochart, che riconobbe subito la sua voce. «È bello sentirla di nuovo, sergente Pascoe», disse. «La giornata non è completa senza di lei». «A questo punto manca solo il Valzer delle Candele», replicò Pascoe. «Stavolta si tratta di un uomo di nome Lewis, Matthew Lewis. Aveva un cottage da qualche parte vicino a Lochart, credo. Ora, mi risponda, perché stavo riflettendo proprio su questo?», indagò Pascoe. «Perché non credo assolutamente nelle coincidenze, sergente, e quando
devo dire a una donna di nome signora Lewis che ha un cottage per i fine settimana a Lochart che suo marito è stato ucciso, e quando i miei colleghi dello Yorkshire cominciano a telefonarmi due o tre volte al giorno, cavolo, allora sospetto un collegamento». «Spero che questo significhi che ha anticipato le mie indagini». «Forse sì. Il tizio, Lewis, è venuto qui per circa tre anni, per il fine settimana, e d'estate per più tempo. Per quanto ne sanno quelli di qui, era uno che si faceva i fatti suoi. Di solito era con la moglie e i figli». «Di solito?», chiese Pascoe attento. «Già. Ma ce ne sono stati altri. Uomini e donne. Queste cose le notano qui. Un'altra donna, in particolare». Vecchio sporcaccione di un Lewis, pensò Pascoe. «Nient'altro?». «Non molto. Certe persone giù al villaggio stanno badando al loro cane. La signora Lewis voleva solo tornare a casa il più in fretta possibile quella notte, capisce? Magari può chiedere come far tornare la bestiolina». «Lo farò. Molte grazie, sergente». «Un'altra cosa. Visto che le interessava tanto quell'uomo, Atkinson, che stava all'albergo, ho scorso all'indietro il registro, giusto per vedere se qualcosa attirava la mia attenzione. Mi sono scritto un paio di nomi, gente con l'indirizzo delle sue parti che si è fermata qui quest'estate. Le interessano?». «Sicuro!». L'elenco non era lungo. Un solo nome balzava agli occhi, e Pascoe non fu stupito di sentirlo. Signore e signora E. Sturgeon. Controllò le date. Si erano fermati lì per tre giorni all'inizio dell'estate; certamente la vacanza durante la quale la loro casa era stata svaligiata. «Grazie, sergente», disse. «Non dubito che avremo occasione di risentirci». Il Doncaster Royal Infirmary, l'ospedale in cui era ricoverato Sturgeon, era la prossima tappa della lista. Le condizioni di Sturgeon non erano mutate, ed era impossibile stabilire se una visita sarebbe stata utile o meno. Qui il tono si fece di disapprovazione, ma loro non avevano mai sentito il tono di disapprovazione di Dalziel, pensò Pascoe mentre posava il ricevitore. Doveva andarci. Per ultimo contattò il garage per conoscere i risultati dell'esame sull'auto di Sturgeon. Ci ripensò qualche tempo dopo, mentre superava in macchina la scena
dell'incidente. Non che ci fosse qualcosa da vedere. L'auto di Sturgeon ovviamente era stata rimossa e, alla velocità alla quale procedeva Pascoe, un varco nella siepe e qualche zolla d'erba sollevata erano difficili da individuare. L'auto era stata esaminata accuratamente, e secondo il rapporto che gli avevano comunicato per telefono l'incidente non aveva molto senso. Le gomme erano a posto e lo sterzo era solidissimo. Non erano stati trovati guasti meccanici. Il rapporto completo avrebbe potuto dimostrare il contrario, ma Pascoe sentiva aumentare la sensazione di disagio. Il medico con il quale parlò non fece che confermarla. Per quanto avevano potuto stabilire, non c'era una spiegazione fisica per l'incidente. Tutti i danni erano stati chiaramente provocati dall'incidente stesso, non vi avevano contribuito. «Che probabilità ci sono che se la cavi?», chiese Pascoe. «Molto poche, direi», rispose il medico. «È stato sballottato duramente e ha perso un sacco di sangue. Ma non è solo questo. Non sembra che gli interessi granché restare al mondo». «Come fa a dirlo?», protestò Pascoe. «È qui da ventiquattr'ore soltanto. Non ci si può certo aspettare che si metta a saltare per la gioia dopo quello che ha passato». «Senta», ribatté il dottore. «Io non mi metto ad arrestare gli automobilisti e lei non si metta a fare diagnosi, d'accordo? E le dico questo: se non fosse per il fatto che sono convinto che potrebbe morire entro domattina, lei adesso non sarebbe autorizzato a parlarci». Quel poco che si poteva vedere della faccia di Sturgeon confermava le parole del medico. Era di un pallore mortale e aveva un'espressione sofferente, come se il sangue gli fosse stato strizzato fuori a forza. Gli occhi erano scampati per miracolo alle schegge del parabrezza che gli aveva lacerato il cuoio capelluto e la fronte mentre veniva scaraventato in avanti, ma il lampo di riconoscimento mentre si fissavano su Pascoe fu un movimento impercettibile su una superficie di disperazione. Non era il momento di perdersi in convenevoli. «Signor Sturgeon, ho telefonato a Lochart», disse Pascoe con calma. «L'agente che mi ha risposto dice che non c'è nessun Archie Selkirk nel distretto». Non ci fu alcuna reazione. «Mi ha detto che aveva telefonato anche lei. Cosa voleva da quell'uomo, da Selkirk?».
Sturgeon chiuse gli occhi, ma stava ancora ascoltando. «Allora mi dica di John Atkinson», proseguì Pascoe. «Qual è il suo legame con lui? Conosce James Cowley? Conosceva Matthew Lewis?». Le palpebre si serrarono più strettamente. Questo non li portava da nessuna parte. Un'infermiera di passaggio aprì la porta, gettò un'occhiata all'interno della stanza e proseguì per la sua strada. «Mi ascolti, Edgar», lo incalzò Pascoe chinandosi su di lui, «questo non le fa bene. Io voglio aiutarla. Lei voleva aiutarmi. Mi dica solo cosa sta succedendo e cercherò di sistemare le cose. Ha qualcosa a che vedere con il furto? Con i suoi francobolli?». Ancora niente. A quel punto era difficile capire che direzione prendere. Quell'uomo non era nelle condizioni di sostenere l'impatto devastante di rispondere a domande su un omicidio. Pascoe stentava a credere che un tipo come Sturgeon potesse aver avuto la volontà o la forza di uccidere Lewis, ma il fatto che fosse innocente avrebbe potuto soltanto accrescere il suo shock. «Bene, Edgar, adesso me ne vado», disse rivolto agli occhi chiusi. «Tornerò». Si alzò per uscire. Gli occhi si aprirono. «Mavis?», sussurrò Sturgeon. «Mavis? Sì, sono stato a trovarla». «A trovarla?». Sturgeon era perplesso. Ovviamente non sa che anche la moglie si trova all'ospedale, pensò Pascoe. Si chiede perché ci sia io al suo capezzale e non lei. «Glielo dirò», disse in tono rassicurante, ora ansioso di andarsene. «La faccia venire. Voglio spiegarle». Le parole erano quasi impercettibili. La porta si aprì e il comparvero il dottore e l'infermiera. Pascoe li ignorò. «Spiegare cosa, Edgar?». «Vedo che lo ha rianimato», disse il dottore. «Cos'ha detto?». «Stava chiedendo di sua moglie». «Sua moglie? Per l'amor del cielo, amico, non gli avrà detto che anche lei è in ospedale, eh?». «In ospedale? Mavis è in ospedale?». Adesso la voce era tutt'altro che flebile. «Io no, ma lei sì», rispose Pascoe rivolto al dottore. «Senta, Edgar, è tutto a posto, sua moglie starà bene. È rimasta sconvolta quando ha saputo del suo incidente, ecco tutto. Lei guarirà, sua moglie si riprenderà, sempli-
ce, no?». Sturgeon alzò su di lui gli occhi ora pieni di passione. «Che siano maledetti», disse. «Che siano sodomizzati a morte, maledetti loro!». «Chi, Edgar? Chi?», chiese Pascoe. Sturgeon lo ignorò e trasse due o tre respiri profondi. «Come sono messo, dottore?», chiese con voce flebile. «Mi riprenderò?». «Ma certo, vecchio mio. Con le cure tornerà come nuovo in un paio di mesi». La previsione suonò molto convincente. «Bene», disse Sturgeon. «Adesso vorrei dire una parola al sergente Pascoe». Il dottore lo guardò dubbioso per un momento, ma quello che vide sul viso dell'anziano paziente, qualsiasi cosa fosse, sembrò soddisfarlo. «Cinque minuti», concesse. «Non di più». Sturgeon iniziò a parlare ancor prima che medico e infermiera lasciassero la stanza. La voce era bassa e tremante, ma parlava velocemente, come uno che avesse una gran fretta. Pascoe non fece domande, non lo interruppe mai. Dopo dieci minuti l'infermiera tornò e lo cacciò via rabbiosamente. Fuori incontrò il dottore. «È servito a qualcosa?», gli chiese questi allegro. «Penso di sì. Che mi dice di lui?». Si girò a guardare la figura immobile nel letto. «Be', direi che se non l'ha ucciso, l'ha guarito. Lo sapremo col tempo. La terrò informata». Con sommo sollievo, Pascoe uscì nella fosca luce di una giornata di Doncaster e si diresse verso una cabina telefonica. Avrebbe potuto chiedere di usare un telefono dell'ospedale, ma gli era sembrato fondamentale uscire all'aperto il più presto possibile. Anche gli ospedali più spaziosi, moderni e meglio attrezzati possono assordare la mente con immaginarie grida di dolore e disperazione. Dalziel ascoltò con interesse quello che aveva da dirgli. Non sembrò sorpreso. «Pensavo che fosse qualcosa del genere», disse. «Stupido coglione. Ci si chiede come facciano a guadagnarsi da vivere, eh?». «Sarà fortunato se riesce a cavarsela», commentò Pascoe. «Come? Ah, già. Pensa che abbia ucciso Lewis?». «No».
«Sembra molto sicuro. Non può aspettarsi una confessione sul letto di morte se il tizio dopotutto è deciso a non morire. Ci ha pensato? Quel furto. No, non quello da Lewis, quello a casa di Sturgeon. Potrebbe averlo inscenato da solo per avere i soldi dell'assicurazione, per tirare avanti per un po'?». «Difficile, signore», rispose Pascoe. «Si trovava a Lochart quella settimana, ricorda? Non aveva ancora firmato, e anche quando l'ha fatto gli ci è voluto un bel po' di tempo per cominciare a capire di essere stato truffato». La storia raccontata da Sturgeon era talmente incredibile che doveva per forza essere vera. Stancatosi di rimanere in ozio dopo solo pochi mesi di pensione, era stato tanto imprudente da rivelare la propria inquietudine in presenza di Matthew Lewis. Durante le settimane successive (secondo la ricostruzione di Pascoe), Lewis aveva fatto in modo di incappare piuttosto di frequente in Sturgeon al Liberal Club, e aveva portato la conversazione sulle proprie avventure sul mercato azionario, dimostrando un interesse particolare per la Nordrill (le cui azioni, come Pascoe accertò più tardi, a quel tempo godevano di una crescita stabile). Sturgeon si era interessato blandamente alla cosa, ma il suo interesse era aumentato quando Lewis aveva iniziato a far cadere allusioni sul fatto che era in grado di trarre profitto dalla Nordrill in più di una maniera. Una sera, probabilmente fingendo di aver bevuto troppo, rivelò di aver ottenuto da fonti interne informazioni a proposito di una scoperta mineraria potenzialmente ricca, in seguito a un test compiuto non lontano dal suo cottage per le vacanze, a Lochart. Dopodiché le cose si erano mosse con tragica inevitabilità: Sturgeon, nella veste di uomo d'affari risoluto e dalla vista lunga quale immaginava di essere, misurava ogni passo con la massima cura e Lewis, con cura ancora maggiore, si assicurava che ci fosse sempre un pezzetto di terreno solido sotto i piedi di Sturgeon. Per prima cosa Atkinson venne presentato come l'ingegnere del sito, che li aveva perfino condotti a visitare il luogo della trivellazione una domenica pomeriggio, dopo aver senza dubbio convinto il guardiano a restare nella sua baracca in compagnia di un paio di biglietti da cinque. Naturalmente Atkinson aveva confermato la scoperta. Poi era apparso sulla scena Archie Selkirk di Strath Farm, presunto proprietario di una vasta estensione di quello che eufemisticamente veniva definito terreno collinoso coltivabile sotto il quale giaceva gran parte del minerale roccioso. Era più che disposto a lasciare che altri si assumessero il rischio delle negoziazioni con la Nordrill, se mai si fosse arrivati a quel
punto, e vendeva il terreno a metà del prezzo potenziale. Lewis ne aveva comprato quanto se ne poteva permettere. Sturgeon aveva fatto da testimone alla transazione. Ma a quel punto era saldamente agganciato. Fu stilato un accordo per un'altra porzione di terreno. Atkinson all'improvviso lasciò capire che la notizia sarebbe trapelata sulla stampa nazionale la settimana successiva e gli agenti immobiliari della stessa Nordrill si sarebbero messi al lavoro il giorno dopo. Sturgeon vendette tutto quello che aveva, tramutò in contanti tutte le sue risorse, usando anche la casa come garanzia per un prestito, e comprò ogni acro che Selkirk aveva da offrirgli. Il terreno gli costò più di quarantamila sterline. «Non gli rimane un soldo», concluse Pascoe. «Ci ha messo un bel po' per cominciare a nutrire sospetti, ma quando ha letto sul giornale di lunedì che si nutrivano perplessità sulle intenzioni della Nordrill in Scozia, si è preoccupato. Ha tentato di contattare Lewis al suo ufficio, ma ovviamente lunedì mattina lui non si trovava lì. Poi, quando l'ho contattato per la faccenda dei francobolli, ha colto l'occasione di chiedermi di fare un controllo su Archie Selkirk. Io ero troppo preso per occuparmene. Forse se avessi insistito a fargli domande...». «La smetta di fare il maledetto martire e vada avanti», lo interruppe Dalziel. «Allora martedì ha telefonato lui stesso alla stazione di polizia di Lochart, e Lauder gli ha confermato che quella persona non esisteva. Dopodiché Sturgeon guarda il giornale e vede che Lewis è morto. E il mercoledì mattina la Nordrill annuncia che sospenderà i lavori in Scozia. Sturgeon cerca di telefonarmi, nessuno sa perché. Vorrei tanto... Sia come sia, prima dell'ora di pranzo di mercoledì si è messo in testa che la cosa più importante è che sua moglie sia al sicuro dal punto di vista finanziario. Con la morte di Lewis, aveva scarse speranze di recuperare il suo denaro. Però aveva sottoscritto una buona assicurazione. Così prende la Al con l'intenzione di ammazzarsi e di farlo sembrare un incidente. Per fortuna ha deciso che nessun altro doveva rimanere coinvolto, ma invece di assicurarsene attraversando l'aiuola spartitraffico e provocando un incidente grave, ha oltrepassato il bordo della strada. Quando si è reso conto che la notizia del suo incidente ha mandato Mavis all'ospedale, si è reso conto di quale pazzia avesse commesso. E ha parlato». «Cristo, e noi che ridiamo quando ci raccontano la storiella dell'americano che compra la torre Eiffel!», commentò Dalziel. «E Cowley? Sturgeon l'ha nominato?».
«No. Di lui non sa niente, da quanto ho potuto capire». «Ma lei l'ha visto con Atkinson? Meglio scambiarci due parole. Volevo andarlo a trovare in ogni caso. Portiamolo qui da noi. Probabilmente chiudono alle cinque e mezza. Ce la farà? Bene. Ci vediamo là». Pascoe con la sua macchina raggiunse Dalziel, in piedi sul bordo della strada, alle cinque e mezza precise. «E se non c'è, signore?», chiese guardando gli uffici di Cowley e Lewis al di là della strada. «C'è, c'è, non si preoccupi», replicò Dalziel in tono allegro. «Gli ho telefonato e ho fissato un appuntamento». «Ah», fece Pascoe. Poi, rendendosi conto di aver lasciato trapelare la sua sorpresa, aggiunse: «Pensavo che volesse prenderlo alla sprovvista, ecco tutto». «Eh? Non sia sciocco, ragazzo. Lui non sa che noi stiamo arrivando. Aspetta un ricco gonzo in cerca di una casa! Andiamo». Il segnale fu la comparsa sulla porta delle due segretarie, Marjory Clayton e Jane Collinwood. Quest'ultima riconobbe Pascoe, e lui e Dalziel attraversarono decisi la strada e le indirizzarono un piccolo cenno con la mano. «Signor Cowley!», sbraitò Dalziel nell'ingresso. La porta contrassegnata col nome di Cowley si aprì e l'uomo si presentò, il sorriso di benvenuto al cliente che si spegneva in un'espressione perplessa mentre registrava la presenza di Pascoe. «Il signor Cowley? Sono il detective sovrintendente Dalziel. Non ci conosciamo, ma penso lei conosca il mio sergente, qui. Potremmo avere qualche istante del suo tempo prezioso?». Dalziel avanzò a passo di carica e Cowley fu costretto a farsi da parte per non essere travolto. Pascoe seguì docile il suo capo nell'ufficio. Questo sfoggiava un arredamento costoso ma piuttosto mal combinato. Un tappeto indiano di forma ovale occupava tutto il pavimento. Sulla scrivania dal ripiano di pelle intarsiata era aperta una scatola per le sigarette in onice, ovviamente rifornita di fresco. Dalziel la prese in mano e la guardò con aria ammirata. «Bella», commentò. «Possiamo parlare, adesso, signor Cowley?». «In realtà sto aspettando un cliente», iniziò a dire Cowley gettando un'occhiata all'orologio in similoro posato su uno scaffale al di sopra di quello che sembrava il caminetto originale della stanza, di pietra intagliata
dello Yorkshire prima che cominciassero a lucidarla. C'era qualcosa che tormentava Pascoe, e adesso ricordò che nella visita precedente, che risaliva solo a ventiquattr'ore prima, l'ufficio di Cowley era l'altro. Non aveva perso tempo. E la stanza in cui si trovavano recava chiaramente il marchio del tipo d'uomo che era stato Lewis, se le fonti di Dalziel erano nel giusto. Pascoe ricordò anche gli oggetti rubati dalla casa di Lewis. Tutto concorreva a formare il ritratto di un uomo che si godeva le cose buone della vita con bella incoscienza. «Solo un paio di minuti, se non le dispiace», disse Dalziel, aggiungendo magnanimo: «Ce ne andremo non appena arriva il suo cliente, è ovvio». Posò la scatola di sigarette e si accomodò sulla sedia più confortevole. Cowley, a mo' di maggiordomo, prese la scatola e la presentò a Dalziel. «Una sigaretta, sovrintendente?». «No, grazie. È un'abitudine alla quale ho rinunciato». Ma da quando? si chiese Pascoe. Da stamattina, al più tardi! Certuni rinunciano alle abitudini più in fretta di altri. «Ora, signor Cowley, la faccenda è questa: noi siamo ansiosi di metterci in contatto con un conoscente del signor Lewis, il signor Atkinson. Per caso lo conosce?». «Be', sì. Penso di sì. Se è la stessa persona. Aspetti un attimo, le spiace?». Si alzò, aprì un mobiletto di noce piuttosto elaborato e prese una cartella. «Ecco qua: Atkinson, John. Questo era uno dei cinque o sei clienti per i quali Matt nutriva un interesse molto personale. Guardando la documentazione mi torna in mente il motivo. Aveva incontrato il signor Atkinson su a Lochart, dove Matt aveva il cottage, sa. Questo è uno dei suoi indirizzi, il Lochart Hotel». «E l'altro?». «Un altro albergo. Lo Shelley, a Bayswater. È a Londra». «Grazie», disse Dalziel. «Quali sono gli interessi del signor Atkinson qui da noi?». «Credo che fosse vicino alla pensione. Aveva conosciuto la zona molto tempo fa e Matt gli aveva rinfrescato i vecchi ricordi. Perciò si stava guardando attorno, ma in modo piuttosto discontinuo. Sa, capitava qui occasionalmente durante i suoi viaggi fra Londra e la Scozia». «Quand'è stata l'ultima volta che l'ha visto, signor Cowley?», chiese Dalziel. «Giusto ieri mattina. In effetti, credo fosse qui quando è venuto il suo
sergente. Se solo avesse pensato a chiedermelo ieri, sergente...». Dalziel guardò Pascoe con aria di rimprovero, scuotendo la testa. «Peccato. Perché si trovava qui, signor Cowley?». «Ecco, aveva letto della morte di Matt, naturalmente, ed era venuto giù soprattutto a vedere cos'era successo. Credo che sia andato a trovare la signora Lewis. Era molto addolorato. La cosa strana è che era capitato qui per caso lunedì pomeriggio, e ha incontrato Matt che era tornato dalla Scozia». «Per caso, ha detto?», chiese Dalziel scambiando un'occhiata con Pascoe. «Sì. Ha semplicemente fatto un salto qui, senza ricordarsi che di solito l'ufficio di lunedì pomeriggio è chiuso. Così abbiamo chiacchierato un po', poi, vedendo che avevamo da fare, è andato per la sua strada. Era molto colpito dalla coincidenza». «Eh, sì, lo credo. Ieri ha detto che Atkinson è venuto giù, vero? Intende dalla Scozia?». «Non ne ho idea», disse Cowley. «Forse sì». Prese una sigaretta e la accese con un accendino da tavolo abbinato alla scatola. «Il che vorrebbe dire che lunedì stava venendo su da Londra». «Immagino di sì». «Ma lui non si trovava a Lochart lunedì o martedì, signor Cowley», disse Dalziel con voce dolce. «Abbiamo controllato». «Forse era dalla parte opposta». «Cioè è venuto giù da Lochart lunedì? E ha fatto un salto qui, sapendo che il suo amico, il signor Lewis, era ancora in Scozia?». «Non credo che vivessero appiccicati l'uno all'altro, sovrintendente». «No, certo che no. Dove si fermava a dormire, quando andava a caccia di case?». «Non ne ho idea, davvero. Era un cliente di Matt, come le ho detto. L'ho incontrato solo due o tre volte, e solo per un paio di minuti. Tutto qui quello che voleva chiedermi, sovrintendente?». «Lei è mai stato a Lochart, signor Cowley?». «No. Mai». Poteva esserci stata un'esitazione, pensò Pascoe. Nella sua testa stava prendendo forma un'idea. «Conosce un certo Edgar Sturgeon?», intervenne. Dalziel gli lanciò un'occhiata tagliente, poi si sistemò meglio sulla sedia come per godersi lo spettacolo.
«No, non credo», rispose Cowley. «Robusto, capelli grigi, sui sessantacinque, in pensione», sparò a raffica Pascoe. «Mi spiace, non mi fa suonare nessun campanello». Probabilmente era un'idea stupida, ma tanto valeva provare. Estrasse il taccuino. «Mi chiedevo se ricorda dove si trovava durante questo fine settimana, signore», disse, leggendo ad alta voce la data dell'incontro fra Archie Selkirk e Sturgeon. Cowley lanciò un fischio. «E chi lo sa? È passato un sacco di tempo». «Me ne rendo conto, signore, ma la prego di provare. Un'agenda, magari...», suggerì Pascoe. «Non ne ho una personale, solo quella dell'ufficio, e non copre i fine settimana», disse Cowley scorrendo le pagine dell'agenda da tavolo rilegata in pelle. «Però aspetti. È fortunato». «Sì?». «Be', la maggior parte di quel fine settimana l'ho passata qui. Lavorando sui conti, controllando la lista degli indirizzi e i particolari delle proprietà, cose di questo genere. È un lavoro che facciamo ogni sei mesi, a turno. Questa volta toccava a me. Il povero Matthew, ricordo, era in Scozia». Girò l'agenda verso di loro in modo che potessero vedere la pagina. «Quindi era da solo, signor Cowley?». «Sì». «E vive anche da solo, vero?». «A quanto pare sa un mucchio di cose sul mio conto», disse Cowley aggressivo. «Abbiamo controllato a fondo chiunque fosse collegato alla vittima», ribatté Dalziel in tono pacato. «Sergente, dove vuole arrivare? Non dobbiamo far aspettare il cliente del signor Cowley». Che faccia di bronzo! pensò Pascoe. «Da nessuna parte, in realtà. Mi interessavano i movimenti del signor Cowley durante quel fine settimana. Sono sicuro che qualcuno l'ha visto...». «Visto? Ma certo che qualcuno mi ha visto!», Cowley fissò Pascoe come se appartenesse a qualche specie animale rara e piuttosto schifosa. «Tanto per cominciare, non faccio il lavoro da solo, sa? La signorina Clayton e la signorina Collinwood erano qui a fare la loro parte. Glielo chieda! Sovrin-
tendente, non capisco il suo sottoposto. Se avesse voluto sapere di questo fine settimana o di lunedì pomeriggio, l'avrei capito, ma tutto quel tempo...». «Non si preoccupi, signor Cowley. Stiamo controllando anche quello», disse Dalziel alzandosi. «Ancora nessun segno del suo cliente? Sergente, dia un'occhiata». Con fare solenne, Pascoe guardò nell'atrio. «No, signore. Vuoto». «Povero me. Spero che non l'abbiamo fatto scappare. Bene, grazie per il tempo che ci ha dedicato. Se il signor Atkinson dovesse mettersi in contatto di nuovo, la prego di farcelo sapere. Buona sera». Fuori, Dalziel guardò con aria da intenditore il sole che stava tramontando. «Può offrirmi qualcosa da bere», disse alla fine. «Al Black Eagle, signore?». «No. Da qualche parte dove i telefoni non suonano. Dietro l'angolo c'è un posto che può andare». Nel pub piccolo e brutto scovato da Dalziel, a quell'ora della sera erano gli unici clienti. Al posto del suo solito scotch, Dalziel ordinò un gin con acqua tonica priva di zucchero. Pascoe espresse la sua sorpresa. «Ci sto dando un taglio», disse Dalziel aggiungendo due gocce di acqua tonica al suo gin e ingoiando la mistura con un brivido. «Ah», fu il commento di Pascoe. «La sua brillante idea che Cowley e Selkirk possano essere la stessa persona è colata a picco come una cacca di testuggine, eh? Immagino si sentisse al sicuro». «Chi lo sa? Ne dubito, ma posso essermi lasciato condizionare. Quell'uomo non mi piace granché». Era come se il papa ammettesse di avere qualche dubbio sulla posizione dei mormoni. «Qual è la prossima mossa, signore?». «Proveremo con lo Shelley, ma dubito che avremo molta fortuna. Parli con la signora Lewis, veda cosa ci può dire di Atkinson. E dopo, Dio solo lo sa». Si strinse nelle spalle con fatalismo e terminò il suo gin. Sembrava stanco. «È possibile che anche Lewis fosse una vittima? Che non facesse parte
dell'imbroglio?». «No. Su Cowley ammetto di avere qualche dubbio, ma su Lewis no. Sarà meglio che chiamiamo un esperto della sezione frodi. Quei quaranta devono ben essere da qualche parte. Ne vuole un altro?». «No, grazie. Ho parlato con Lauder dei Lewis. Immaginavo che Lewis se la spassasse un po', lassù». «Sì, quadra. Un uomo ha bisogno dei suoi passatempi. Qualcos'altro?». «No, eccetto che vuol sapere cosa farne del cane dei Lewis». «Un cane?». Dalziel parve interessato. «Un cane? Questo mi ricorda che prima mi era venuta un'idea. Ma no. Non è che serva molto, eh?». «Che cosa non serve molto?», chiese Pascoe con aria paziente. «Questi furti con scasso. A quanto pare ci sono un sacco di animali nei paraggi. I gatti di Sturgeon. Il cane di Cottingley. Lei che mi torna coperto di peli come il culo di un gorilla. Se ci fosse un informatore che viene da un canile, mi spiegherei come fa il nostro amico a sapere quale casa è vuota e quando. Ma se il cane dei Lewis era andato con loro, non funziona». «A meno che, come lei ha suggerito prima, il lavoro dai Lewis non facesse parte della serie». «E nemmeno quello di Sturgeon?». «No. Ma resta ancora Atkinson. E forse Cowley. E quarantamila sterline». «È vero, sergente. Controlli le altre case i cui proprietari avevano animali domestici. Veda se esiste un collegamento». «Adesso, signore?». «Ha detto che non vuole fare il bis, perciò non ha altro da fare, qui». La vecchia logica di Dalziel. Pascoe finì la sua birra. Doveva aver raggiunto la maturità, visto che non avvertiva neppure un'ombra di irritazione. «Credo di poterle riservare una mezz'ora del mio tempo, signore», disse in tono leggero. La reazione lo lasciò a bocca aperta. «Lei può riservarmi tutto il dannato tempo che io le chiedo», disse Dalziel con forza. «Non siamo impiegati e non possiamo permetterci di avere una vita privata. Non l'ha ancora imparato?». «Ho imparato che se per tutta la vita fai una cosa sola, alla fine diventi meno di niente», rispose Pascoe sentendo evaporare il suo recente senso di matura invulnerabilità. «Si può esagerare con la dedizione». «Ah, sì? E che diavolo ne sa lei, sergente? Vuole passare la vita in compagnia di quelli che ci chiamano 'porci'?». «Sta per caso parlando di Ellie Soper?».
«Non l'ho nemmeno nominata», grugnì Dalziel. «Mi stia bene a sentire», disse Pascoe con tranquilla veemenza. «Mi è stato riferito il succo di quello che le ha detto al telefono l'altro giorno. Vorrei che capisse bene, signore, che le mie decisioni le prendo da solo. Non ho bisogno di un guardiano, né di protezione. Lei è il mio superiore, ma quello che faccio nella vita privata sono affari miei. E anche con chi lo faccio». Dalziel non disse niente ma andò al banco e ordinò un altro giro. Per Pascoe uno scotch grande, per sé un altro gin tonic. «Questo per cos'è?», chiese Pascoe guardando sospettoso il bicchiere. «Lo butti giù. La sua promozione è cosa fatta. Verrà resa pubblica la prossima settimana». «Cosa?». «Sì. Congratulazioni». Pascoe bevve, la testa piena di pensieri frammentari. «Probabilmente sarà trasferito da qualche altra parte». «Davvero?». «In genere lo fanno». Pascoe sorrise, quasi a scusarsi. «Dovrà trovarsi un altro ragazzo», disse. «Questa volta potrei provare con un uomo», rispose Dalziel. Ma nelle loro parole non c'era energia, non c'era passione. Invece galleggiavano nell'aria come i depressi, rassegnati, del tutto inadeguati addii degli amici che si separano, senza essere certi di rivedersi. Il giorno dopo Pascoe venne a sapere che l'inchiesta di Thornton Lacey sarebbe stata riaperta, e che avrebbe avuto luogo il martedì successivo. TERZA PARTE 1 Quali improvvise orribili visioni si levano! Un amante nudo legato e sanguinante si muove più in fretta ancora da quel petto che mi ha fatto innamorare meglio riuscirà a ritrarli chi darà tutto quello che potrai ottenere e lasciami sognare il resto la tenebrosa presenza di lei e un orrore ancora più oscuro qui tutto è calmo in questo sonno eterno, persino la morte, solo la morte può irrompere qui, e anche allora la mia polvere gelida rimarrà riesco a vedere il cri-
mine che ho commesso ma mi illumino al pensiero arrivo! Arrivo! Io vado colà dove i peccatori possono trovare il loro riposo tu vestito con abiti sacri insegnami ora e da me impara a morire condannato. Il foglietto era sporco e spiegazzato dopo essere stato maneggiato e analizzato. Il margine superiore frastagliato indicava che era stato strappato da un foglio più grande. La calligrafia, secondo Pascoe, era senza dubbio quella di Colin, e gli esperti lo avevano confermato. «Che cos'hanno trovato?», chiese, aggrappandosi a una domanda razionale nel caos di pensieri provocato dal biglietto che aveva appena letto. «Impronte digitali di Hopkins. Le hanno confrontate con quelle rilevate nel cottage che per eliminazione sono state riconosciute come sue. Anche del bambino che ha trovato l'automobile. Non ce ne sono altre. Il messaggio è stato scritto di recente. Inchiostro e carta sono dello stesso tipo trovato nel cottage. Che cosa ne deduce, sergente Pascoe?», chiese Backhouse. «Mi pare un testo molto confuso, signore», rispose Pascoe, allungando a Backhouse la busta di plastica che conteneva il biglietto. «Lo è sicuramente. Il nostro geniale psichiatra ha impiegato parecchie ore per giungere alla stessa conclusione, o piuttosto al fatto che chiunque abbia scritto quel biglietto si trovava in uno stato di confusione mentale. Il che coinciderebbe con le circostanze sospette. Lo psichiatra si è dilungato molto sulla presenza delle citazioni letterarie. L'uso delle parole altrui indica uno stato d'animo in cui la mente si rifiuta di confrontarsi direttamente con ciò che è accaduto». «Lei pensa allora che Colin sia in quella cava?», chiese Pascoe. Backhouse sembrava pensieroso. Aveva l'aria stanca e tirata. Pascoe pensò a Dalziel. Era questa costante tensione il prezzo da pagare per un avanzamento di carriera? «È possibile. Abbiamo trovato una scarpa», rispose Backhouse. «Di Colin?», chiese Pascoe. «Stiamo controllando, ma non è un indizio significativo. Se una persona decidesse di scrivere un biglietto di suicidio pur non essendo realmente intenzionato a commetterlo, che tipo di biglietto scriverebbe?». Pascoe rifletté un momento, poi annuì. «Credo di capire dove intende arrivare, signore». «Un classico messaggio, chiaro, senza margini di ambiguità, tipo: 'Ho sbagliato e non posso più continuare a vivere...', ecco cosa scriverebbe. A
meno che non fosse una persona particolarmente intelligente, è ovvio». Pascoe guardò fuori dalla finestra dell'ufficio dell'agente Crowther. Il sole lanciava i suoi ultimi raggi sulle case di pietra di Thornton Lacey. «Colin era molto intelligente», disse. «Lo penso anch'io... ma lo era fino a questo punto?», chiese Backhouse sventolando un foglio di carta. «No, in circostanze simili non ce lo vedo a fare una cosa del genere». «Vede, sergente, lei comincia a parlare come se si stesse convincendo che Hopkins, dopotutto, potrebbe essere l'assassino», disse Backhouse con una nota di pietà nella voce. «Penso che sia così», replicò Pascoe, ammettendo la possibilità per la prima volta anche con se stesso. «È il problema del nostro lavoro, vero, signore? Dopo un certo periodo si comincia a pensare che chiunque possa fare qualsiasi cosa». «Con le pressioni giuste al momento giusto...», convenne Backhouse. «Però, se mi permette di dirlo, signore, lei mi sembra propendere per l'innocenza». «Intende dire che non sono fermamente convinto della colpevolezza di Hopkins? No, infatti, era ed è tuttora solo un'ipotesi. Le informazioni via via si accumulano e la teoria potrebbe rivelare una verità diversa, anche se per ora è tutto quello che abbiamo. Mi dica, sergente, tra annegarsi o spararsi un colpo in testa con un fucile da caccia, come preferirebbe uccidersi?». «Nessuna delle due mi convince», rispose Pascoe. «Forse sceglierei il fucile, ma non è come usare una pistola, giusto? Intendo dire, un conto è spararsi una pallottola, un altro conto è una manciata di pallini!». «È un punto di vista come un altro», disse Backhouse meditabondo. «Io preferirei comunque un'arma da fuoco. Lei salterebbe dentro una cava profonda con un fucile in mano?». «No, ma se fossi un coltivatore locale e m'imbattessi in una macchina con un fucile abbandonato sul sedile posteriore, credo che mi verrebbe l'idea di rubarlo». «I miei uomini stanno parlando con tutti i possibili indiziati», disse Backhouse in tono di blando rimprovero. «Be', adesso devo andare. Ci vediamo domani all'inchiesta, sergente». «Per quale motivo viene riaperta?», chiese Pascoe. «Il coroner può sempre riaprire un'inchiesta, è una sua prerogativa», rispose Backhouse. «Benché, come lei ha intuito, sia abbastanza singolare,
in un caso come questo. Non posso leggere nei pensieri di French, ma suppongo che in questo momento stia subendo una discreta pressione locale. La gente vuole dormire tranquilla nel proprio letto. Un verdetto di omicidio contro Hopkins servirebbe allo scopo». «Ma al giorno d'oggi non succede più!», protestò Pascoe. «Lo sentirà domani con le sue orecchie. Cerchi di comportarsi bene, sergente», lo ammonì Backhouse, e uscì. Pascoe non riuscì a capire se Backhouse intendesse riferirsi al suo comportamento durante l'inchiesta oppure nel frattempo, tuttavia trovò vagamente lusinghiero essere giudicato potenzialmente pericoloso. Come il pistolero nel villaggio del West, soddisfatto del silenzio che suscitava quando entrava in un saloon. Il pensiero del saloon gli fece guardare l'orologio. Troppo presto per un drink, ahimè. Il suo sguardo riprese a vagare cupo fuori dalla finestra. Pascoe non riusciva ancora a comprendere che cosa lo avesse portato a sacrificare una giornata di riposo per fare un viaggio fino a Thornton Lacéy. L'aggiornamento dell'inchiesta non sarebbe cominciato prima delle dieci del mattino seguente. Ellie, dal canto suo, si era categoricamente rifiutata di arrivare anche solo un minuto prima. Probabilmente era stata più saggia. Decise di dare un'altra occhiata al cottage. Backhouse non aveva obiettato e di certo nessun altro avrebbe avuto qualcosa da ridire. Crowther aveva in custodia la chiave in caso qualcuno ne facesse legittimamente richiesta, e l'unico era stato proprio Pascoe, che ora la teneva in tasca, indeciso se usarla oppure no. La signora Crowther fece capolino dalla soglia. «Una tazza di tè, sergente?», chiese. «E una fettina del mio dolce di pastafrolla?». Era una tentazione, ma come un seno nudo scosso in modo seducente davanti a un devoto puritano, la proposta ottenne l'effetto opposto. «No grazie», rispose Pascoe, «devo uscire». «Come preferisce», brontolò la signora Crowther. «Ci sarà per cena?». «Certo, la ringrazio». Pascoe era ospite dei Crowther. L'unica alternativa sarebbe stata andare di nuovo dai Culpepper, ma il ricordo dell'ultima volta in cui era stato a casa loro non lo incoraggiava affatto. Certo, avrebbe potuto trovare una stanza all'albergo, ma questo avrebbe significato essere lontano dal villaggio e non era con quell'intento, benché non formulato chiaramente, che era andato a Thornton Lacey quel giorno.
Lasciò l'automobile al parcheggio e si avviò a piedi, godendosi l'ultimo sole pomeridiano. Raggiunse presto i margini del villaggio e le case cominciarono a diradarsi. Un piccolo gruppo di 'residenze signorili' era spuntato al lato destro della strada. Gli sembrò di scorgere Sandra Bell davanti al garage di una delle villette, ma lei non mostrò di averlo riconosciuto. Poi fu la volta di un gruppetto di vecchi cottage ancora non toccati, benché probabilmente tenuti d'occhio, dai restauratori. La sontuosa abitazione di Culpepper, costruita di recente, era da qualche parte sul lato sinistro della via. Probabilmente sarebbe stata visibile dalla strada a partire dall'autunno inoltrato, che penetrava tra gli alberi e scuoteva i rami lasciandoli spogli, mentre ora il fogliame splendeva del fulgore dell'estate, orlato d'oro ma non ancora pronto a cadere. Oltrepassò alla sua destra il sentiero sconnesso che portava alla residenza di Pelman: i boschi di sua proprietà parevano ancora più densi e tenebrosi, forse perché il sole filtrava attraverso gli alberi e allungava le ombre fino al marciapiede sul quale Pascoe stava camminando. Tipo interessante, Pelman. Non lo avrebbe detto un tipo da prendere alla leggera la relazione di sua moglie con un bracciante. Affittuario, si corresse Pascoe, ricordando quanto gli aveva raccontato Crowther. Ma era sbagliato vedere la cosa troppo alla Lady Chatterley. E poi i due amanti erano finiti annegati nella cava, il che metteva fuori gioco Lawrence e le sue trame. Una Land Rover si avvicinò, rallentò e si accostò al marciapiede. «Pascoe, vero?», disse il guidatore sporgendosi dal finestrino. Era Pelman. Pascoe ebbe l'impressione di averlo evocato. «Salve», gli disse. «È qui per l'inchiesta? Non riesco a capire come funziona la legge, anche se immagino che per lei sia tutto chiaro». Pelman era in maniche di camicia e sembrava di ritorno da una lunga giornata di lavoro. «Posso darle un passaggio da qualche parte o sta solo prendendo una boccata d'aria?», proseguì. «Sto andando a Brookside», rispose Pascoe. «Grazie per l'offerta, ma sono arrivato: è là dietro la curva». Una Citroën GS li superò, diretta al villaggio. Rallentò per una frazione di secondo, come se il guidatore volesse fermarsi, ma riprese subito velocità. Davenant, pensò Pascoe. Aveva espresso a Backhouse le sue considerazioni su quell'uomo, ma non ne aveva ricevuto niente in cambio, eccetto
cortesi ringraziamenti. «Che fa stasera?», chiese Pelman. «Venga a bere qualcosa, se può. Ci saranno altre due o tre persone, li conosce già. Abbiamo una riunione del Comitato. Ci vediamo da me perché per ovvie ragioni non possiamo usare la sala del municipio. Per le otto e mezzo dovremmo aver finito». «Grazie», disse Pascoe. «Cercherò di venire». Un tipo molto interessante, pensò di nuovo Pascoe, mentre guardava la Land Rover allontanarsi. Non riusciva a immaginarselo come membro di un comitato. Era un individualista, non bisognava dimenticarlo. Pascoe non aveva ancora deciso cosa pensare esattamente di lui, ma il fatto che avesse difeso istintivamente Colin splendeva ancora come una buona azione nel Libro degli Angeli. Raggiunse Brookside pochi minuti dopo, senza aver incontrato nessun altro. Non riusciva a capire esattamente perché desiderasse vedere di nuovo il cottage. In realtà non aveva grandi speranze di trovare indizi che Backhouse poteva aver trascurato, ma certamente uno dei motivi era il desiderio di provare a guardare quel luogo con l'occhio del poliziotto, cosa impossibile durante la visita precedente. Inoltre Pascoe avvertiva un certo senso di responsabilità. Qualcuno doveva esaminare le cose di Colin e Rose, non in via ufficiale, ma con l'idea di sistemarle. Senza dubbio sarebbe stato nominato qualcuno per occuparsene, tuttavia per ora tutto era fermo. Del resto, in termini di legge, nulla poteva succedere. Tutto ciò che era stato di Rose, ora era patrimonio di Colin. Colin legalmente era ancora vivo. Dunque nessuno poteva toccare niente. Eccetto, forse, un amico che per caso era un poliziotto che per caso si stava convincendo ogni giorno di più che Colin era morto. Dopo l'esplosione la casa era stata ripulita e, a parte la cucina, il cottage sembrava quasi normale. Qualcuno aveva chiuso le tende, difficile dire se per un atto di pietà o di difesa. Pascoe procedette a tentoni finché non trovò l'interruttore della luce. La corrente elettrica era stata staccata. Ovviamente anche gas e acqua erano fuori uso dopo il botto. Sembrava la tipica situazione di una famiglia che stesse partendo per le vacanze. Si diresse alla finestra sul retro e cominciò ad aprire le tende, fermandosi quando vide la meridiana. Horas non numero nisi serenas. Un bel pensiero per una meridiana. Dietro di lui, squillò il telefono. Pascoe si guardò intorno. L'apparecchio era sul pavimento. Gli ritornò in
mente che era nella stessa identica posizione quando Ellie e lui erano arrivati, nove giorni prima. Dopo un unico squillo, tornò il silenzio. Mentre fissava il telefono, Pascoe cominciò a chiedersi se lo squillo fosse stato uno scherzo della sua immaginazione. Afferrò il telefono e tenne la mano sul ricevitore sperando che ricominciasse a suonare. Cominciò a contare i secondi. Mille, duemila, tremila, aveva raggiunto il diecimila quando il telefono squillò di nuovo. Contemporaneamente qualcosa lo colpì alla nuca. La suoneria gli penetrò nel cervello e si trasformò in uno scampanio che dal centro della sua testa batteva colpi martellanti in cerca di una via d'uscita. Alla fine si allontanarono, lasciando solo l'oscurità. Quando aprì gli occhi, Pascoe ebbe la sensazione di risvegliarsi nel paradiso degli ubriaconi, circondato da proprietari di pub. Sam Dixon gli stava bagnando la testa mentre il maggiore Palfrey continuava a camminare avanti e indietro. «Brandy», disse Pascoe, pregustandolo. «Sshh», disse Dixon, «non ce n'è». «Due proprietari di pub e nemmeno un po' di brandy? Dovrebbero togliervi la licenza». «Sono lieto di sentirla così vispo, signor Pascoe», disse Dixon con un sorriso di sollievo. Perfino il burbero Palfrey sembrava contento di vedere che il poliziotto riusciva a mettersi seduto. Pascoe guardò l'orologio. Cinque e dieci. Doveva essere rimasto privo di sensi per quasi dieci minuti. «Cos'è successo?», chiese Palfrey nel suo conciso stile militare. «E chi lo sa? Ero appena entrato nel cottage quando è squillato il telefono. Mi sono chinato per rispondere e bang! Qualcosa mi è caduto addosso». «Si è preso una bella randellata», disse Dixon, con l'aria esperta di chi aveva gestito un pub nei peggiori sobborghi di Liverpool. «Probabilmente siamo stati noi a disturbare il tizio, magari aveva intenzione di darci dentro ancora un po'». «Grazie», disse Pascoe, sobbalzando mentre Dixon continuava a tamponargli la ferita. «Come ci siete arrivati qui?». «Stavo passando da queste parti in macchina», raccontò Palfrey, «ho visto che la porta del cottage era aperta. Be', mi ha fatto uno strano effetto e... insomma mi sono fermato e sono venuto a dare un'occhiata».
«E io ho fatto la stessa cosa due minuti dopo, quando ho visto la macchina del maggiore», disse Dixon. «Sarebbe meglio che il dottor Hardisty le desse un'occhiata. La pelle è lacerata, ma non so dire se c'è qualcos'altro che non funziona». «No, sto bene», disse Pascoe, appoggiandosi a Palfrey per alzarsi in piedi. Il maggiore non aveva brandy con sé ma, a giudicare dall'alito, ne aveva bevuto parecchio. «Avanti», disse Palfrey con una certa gentilezza, «si faccia dare un'occhiata». «Va bene» rispose Pascoe, riconoscendo che il consiglio era sensato. «Però dobbiamo avvertire Crowther». «Gli do io un colpo di telefono mentre lei prende la macchina», si offrì Dixon. Aiutato dal maggiore, Pascoe camminò abbastanza spedito fino alla sua automobile. Era piacevole uscire di nuovo all'aria fresca, dopo l'atmosfera calda e soffocante del cottage, che odorava di stantio. Appena salì in macchina lo assalì una nuova fitta di dolore, forse perché aveva mosso qualche passo. La sua mente non riusciva a visualizzare chiaramente ciò che era appena successo, ma continuava a divagare sulle vicende dei giorni precedenti. Gli apparve davanti agli occhi Sturgeon. Era andato ancora a trovarlo in ospedale durante il fine settimana, questa volta portando con sé anche Mavis, che si era ristabilita a sufficienza e poteva affrontare il viaggio. Pascoe si era sentito a disagio a imporre la sua presenza nel momento in cui i due coniugi si rivedevano, ma il dottore aveva concesso pochi minuti alle visite, perché le condizioni di Sturgeon erano ancora critiche. E Pascoe aveva bisogno di qualsiasi informazione l'uomo fosse in grado di fornire. Atkinson era introvabile, così come il misterioso Archie Selkirk. Non c'erano legami con Cowley e nessuna traccia delle quarantamila sterline. «Non sopportavo di vederti povera», aveva spiegato Sturgeon a Mavis. «Ti ricordi tanti anni fa, quando pranzavamo con due patate e due croste di pane? Quelli sì che erano tempi difficili. Non potevo pensare di farteli passare ancora». «Le cose sono cambiate», aveva protestato Mavis, «non succederà più. E poi ce la siamo cavata, non è vero? Finché tu sei con me, io posso farcela». «Sì, sì, tesoro hai ragione. Ma sembrava la soluzione migliore... Sono stato uno stupido Mavis. Tutti i soldi che avevamo andati per sempre... E la casa... Sembrava la cosa migliore da fare...». La voce gli era mancata. I
due erano rimasti vicini a piangere cercando di consolarsi a vicenda. Il ricordo della coppia venne sostituito dall'immagine di Ellie. Lei era da qualche parte, minacciata da qualcuno, ma Pascoe non aveva idea da chi. A meno che non fosse Anton Davenant... Ma perché poi avrebbe dovuto... Anche questa immagine si dissolse e la realtà ora aveva la faccia del dottor Hardisty, e dietro di lui Backhouse. «Non è grave», dichiarò il dottore. «Potrebbe esserci una lieve commozione cerebrale, ma niente di rotto. Queste dovrebbero fermare il mal di testa prima che diventi insopportabile», aggiunse porgendogli un flacone di pastiglie. Da come si comportava il medico, Pascoe dedusse che anche durante la visita doveva essere riuscito a dare un'impressione di lucidità. Non era confortante sapere che il corpo riusciva a rispondere automaticamente ai comandi mentre la mente vagava in mondi paralleli. «Thornton Lacey non le ha portato molta fortuna, sergente», gli disse Backhouse. «No, signore». «Torniamo da Crowther, ora. Lei ha bisogno di riposo». «E l'uomo che mi ha aggredito?». «La polizia si sta muovendo con la massima efficienza», rispose Backhouse con un sorriso. «Probabilmente sarà stato qualche delinquentello della zona che sapeva che la casa era disabitata». «Probabilmente», convenne Pascoe. Tuttavia, mentre usciva dallo studio del dottore per andare a prendere l'automobile, un telefono continuava a squillare nel suo cervello. 2 Dalziel non sapeva se essere contento o vergognarsi della frequenza crescente dei suoi attacchi di desiderio. Nella sua classifica degli appetiti, il sesso aveva sempre mantenuto un misero terzo posto, dopo il whisky e il cibo. Forse era stata la dieta che aveva iniziato di recente a sbilanciare l'ordine, fatto sta che il desiderio era balzato alla prima posizione, cogliendolo di sorpresa. Ancora più sorprendente ne era l'oggetto: Ellie Soper, in un semplice vestito di cotone reso trasparente dalla luce del sole. Dalziel si alzò vedendola avvicinarsi al tavolo. Era gradevole il giardinetto del Jockey, con quell'estate che stava durando più del solito e che faceva apparire meno ridicoli gli ombrelloni con la scritta 'Martini'.
«Le piace quello che sta guardando?», gli chiese Ellie sedendosi. Dalziel si rese conto che la stava fissando. «Fra un'ora sarà freddo», le disse. «Cosa?», ribatté lei. Meglio piantarla di farsi venire strane idee sulle fidanzate dei propri subordinati, pensò Dalziel. Soprattutto se avevano la lingua tagliente e non erano ben disposte nei suoi confronti. «Che cosa beve?», le chiese risedendosi bruscamente. «Sam!». «Desidera, signor Dalziel?», chiese il cameriere comparendo in un batter d'occhio. «Gin tonic», disse Ellie. «Dev'essere bello essere riconosciuti». «Non sempre. Qui comunque è bello», Dalziel annuì con approvazione pensando al villaggio di Birkham. «È comodo, a metà strada. Mi piace incontrare le persone a metà strada». Che ci sto facendo qui? si chiese Dalziel. «Allora, che ci facciamo qui?», chiese Ellie. «E chi lo sa?», grugnì Dalziel. «Devo darle qualche spiegazione. Può considerarle delle scuse, se le fa piacere». «Ammesso che lo siano. Divento sospettosa quando un uomo di mezz'età comincia a telefonarmi appena il mio fidanzato si trattiene una notte fuori città». «Non si illuda troppo», disse Dalziel grattandosi un'ascella. Se il mondo pensava che lui fosse schifosamente repellente, be', allora non l'avrebbe deluso. «Domani c'è l'inchiesta», cominciò. «Sì». «Lei ha idea del motivo per cui l'hanno riaperta? Normalmente non accadrebbe. La polizia di solito becca un tizio, questo tizio viene giudicato e condannato. L'ufficiale di stato civile lo inserisce nel registro degli assassini. Omicidio, omicidio preterintenzionale o quello che è. Questo caso è molto diverso. All'inchiesta emetteranno un verdetto di omicidio a carico di Colin Hopkins», concluse Dalziel. «Per quale motivo?». «Nessuno laggiù pensa che il corpo verrà mai ritrovato. O quantomeno è piuttosto difficile. E senza un corpo la giustizia fatica a seguire il suo corso. Però ne hanno altri tre su cui il coroner può lavorare». Arrivò il gin tonic di Ellie. Il barman guardò con ironica sorpresa il bic-
chiere di Dalziel, ancora pieno. «Non beve più?», si informò. «Me lo tengo in caldo, Sam». «Non si dimentichi, ce n'è un altro pronto nella bottiglia tutto per lei». Dalziel aspettò che si allontanasse e riprese il discorso. «Hanno trovato un biglietto. Verrà letto in aula. Verranno tratte le conclusioni. Hopkins sarà accusato e tutti torneranno a dormire tranquilli nei loro letti». «Ma se Colin fosse ancora vivo?», protestò Ellie. «E chi se ne frega? Un finto biglietto di suicidio è una confessione tanto quanto uno vero». «Già» disse Ellie rassegnata. «Anche Peter pensa la stessa cosa». «E fa bene», disse Dalziel con tono di approvazione. «Lo sa che sta per essere promosso? Domani la notizia sarà ufficiale». «Ho sentito. Non è che ha in mente qualche altro avvertimento per me, vero?». Dalziel scoppiò a ridere. «No, affatto. Ne abbiamo già parlato, giusto? Lo so che devo andarci piano. Da questi ragazzi posso ottenere tutto quello che voglio. Proprio tutto». «Già, l'ho sentito dire», disse Ellie asciutta. «Però quello che è successo mi ha fatto riflettere. Non avrei dovuto parlarle a quel modo, al telefono». «Già, non avrebbe dovuto». «No», convenne Dalziel. «E quindi si sta scusando?». «A che serve scusarsi? Ormai è andata». «Oh, Cristo... e allora?». «Allora che?». «Allora che cosa ci stiamo facendo qui?». Dalziel ingollò con aria distratta la bevanda in un solo sorso e guardò malinconico il bicchiere vuoto. «Senta, io sono una brava persona. Per il tipo di poliziotto che sono, probabilmente sono uno dei migliori con cui Pascoe si troverà mai a lavorare. Intendiamoci, ho rotto i coglioni a troppa gente per poter fare carriera. Pascoe, lo riconosco, fa parte di una nuova generazione di poliziotti e può andare molto avanti. Eccellente. Se campo abbastanza a lungo e lui continua sulla sua strada, potrei vederlo arrivare ai piani alti prima di andare in
pensione. Diciamo che il mio interesse per lui è in parte egoistico». «Non potrebbe prenderlo così com'è?», chiese Ellie. Si era leggermente raddolcita, ma era ancora sospettosa nei confronti di quel ciccione bastardo. «A volte mi diverte», disse Dalziel. «Mi succede con poche persone». «Penso che potrei sposarlo», disse Ellie pensierosa. «Bene», disse Dalziel. «Bene. Questo sarebbe il massimo. Sono contento di sentirglielo dire, bene». «Bene?», ripeté Ellie. «Ma certo, ecco quello che vuole, brutto grassone bastardo! Se non riesce a separarci, allora vuole renderci rispettabili!». «Gliel'ho detto che appartengo alla vecchia scuola. Non c'è niente in una donna che non possa essere curato con qualche dose di televisione, da una moquette che va da una parete all'altra e da un paio di marmocchi», disse Dalziel calcando apposta la mano. Ellie pensò di mollargli un calcio nelle palle. Invece cominciò a ridere. Rideva talmente forte che la gente si girò a guardarla e i cani del canile vicino cominciarono a ululare in risposta. «Prendiamone un altro», suggerì Dalziel appena Ellie riuscì a ricomporsi. «Giusto. Un altro. Peter mi telefonerà alle otto. Possiamo ansimare al telefono anche se non siamo sposati, che ne dice?». Ellie ricominciò a ridere. Questa volta scoppiò a ridere anche Dalziel. Pascoe dormì un'ora e si svegliò con le ossa rotte. Si alzò dal letto per prendere un'altra pastiglia, decise che si sentiva meglio e telefonò a Ellie. Lasciò squillare per dodici volte. Nessuna risposta. Guardò l'orologio. Erano le sette. Probabilmente era fuori a cena. Tornò a letto. Ellie si stava divertendo. Prima di allora, tutte le volte che aveva incontrato Dalziel era sempre nata una controversia. Quella sera invece entrambi erano riusciti a mantenersi su un terreno neutrale e per lei era un'esperienza gradevole. Come una partita di calcio giocata il giorno di Natale durante la guerra nella terra di nessuno. Dalziel le stava parlando di Sturgeon. «C'è un unico vero crimine, ed è essere poveri», affermò. «Ssscicuro», disse Ellie al suo quarto gin tonic. Dalziel interpretò la risposta come l'approvazione di un'ubriaca. «Si può giudicare un uomo in base a come reagisce se rimane povero in
canna», continuò Dalziel. «Mi sta dicendo che più soldi hai fatto peggio stai se rimani senza?», chiese Ellie sospettosa. «Più comprensione per il ricco e quel genere di stronzate?». «No, affatto. Alcuni riescono a sopportarlo. Altri sono talmente attaccati al lusso e alla posizione che hanno raggiunto che farebbero qualsiasi cosa per nascondere la crisi. Altri ci sono già passati e sono assolutamente intenzionati a non ripassarci di nuovo». «Rossella», disse Ellie. Anche tenendo conto dell'effetto del gin, delle chiacchiere della gente e dell'ululato dei cani, Dalziel non riusciva a capire cosa Ellie intendesse dire. «O'Hara», chiarì Ellie. «Via col vento. Fine del primo tempo, prima dell'intervallo». «Sì», disse Dalziel. «Grande film. Sturgeon era come lei. Non per sé, badi bene. Per sua moglie. Ha deciso che avrebbe potuto vivere meglio con i soldi dell'assicurazione. Lei non era d'accordo». «Rendetegli il suo denaro». «Che cosa?». Ellie si sporse verso di lui, deliziosa nel crepuscolo. «Ridategli i suoi dannati soldi. Vi pagano per questo, giusto?». «Mi piacerebbe che fosse così facile». Il rapporto preliminare della squadra antifrodi era arrivato quel pomeriggio. Molto semplicemente, non erano riusciti a trovare un caso su cui dare delle risposte, e siccome Dalziel a sua volta non riusciva a trovare una risposta a questo non-caso, la questione era a un punto morto. Risultava che era stata acquistata, legittimamente, una porzione di terreno ai margini dell'immensa proprietà del Conte di Callender, vicino a Lochart. Era un terreno che serviva a ben poco tranne che per far pascolare le pecore e, stando ai termini del contratto di vendita, non poteva avere nessun altro utilizzo. Era stato acquistato a buon prezzo. L'agente immobiliare che aveva negoziato l'affare agiva per conto di un certo Archibald Selkirk, del quale non sapeva nulla se non che aveva a disposizione una quantità di denaro sufficiente a coprire il prezzo della terra e le spese. Sulla proprietà sorgeva una vecchia fattoria malandata. Nella registrazione dell'atto di vendita, Archibald Selkirk aveva inserito, dopo un'unica menzione alla fattoria, le parole «di seguito denominata Strath Farm». E così, la terra che Edgar Sturgeon aveva acquistato per qualcosa come trenta volte il suo valore originale era stata legalmente la proprietà di
Archie Selkirk di Strath Farm. Dove fosse ora Archie Selkirk, o comunque dove fosse finito il denaro di quella transazione, era impossibile da stabilire. Sturgeon non possedeva alcun documento che non fosse perfettamente legale. Le uniche prove di frode erano il prezzo sproporzionato pagato da Sturgeon per il lotto di terreno, e ovviamente la storia che lui aveva raccontato. «Così hanno fregato quel poveretto!», esclamò Ellie indignata. «Non del tutto. Se riusciamo a trovare una traccia di quell'Atkinson, o di Selkirk, avremo qualcosa su cui lavorare. Ma naturalmente la nostra carta migliore era Lewis, ed è morto». «Era implicato di sicuro?». «Certo. Nessun pezzo di quel terreno che si suppone abbia acquistato da Selkirk è registrato a suo nome. Il povero Sturgeon ha acquisito il lotto. Da un certo punto di vista è una cosa positiva». «Perché?». «È il suo unico patrimonio!», disse Dalziel con un sogghigno. Ellie si alzò stringendosi la borsa allo stomaco. «Avevo ragione su di lei», disse Ellie scandendo chiaramente le parole. «Lei è un vecchio bastardo senza cuore». «Se ne sta andando?», chiese Dalziel. «Vado alla toilette. E quando torno voglio trovare un altro gin». I bagni del Jockey avevano una brutta fama. Quello degli uomini consisteva in un piccolo fabbricato scoperto di mattoni, un'esperienza terrificante in una notte di pioggia. Il bagno delle donne almeno era all'interno dell'edificio, anche se si trovava alla fine di un lungo corridoio buio lontano dal bar. Nello Yorkshire rurale l'epoca in cui le donne non bevevano e gli uomini usavano il muro esterno per le loro necessità non era poi tanto lontana. Ellie si trovava a metà corridoio quando udì un rumore dietro di lei. Cominciò a voltare la testa, ma era riuscita a girarla di appena di quarantacinque gradi quando qualcosa di freddo, liscio e viscido le venne infilato sulla testa. Allo stesso tempo un ginocchio le premette con forza contro la base della spina dorsale. Ellie prese fiato per gridare e risucchiò una boccata di quel materiale liscio e freddo. Sentì che la borsa le veniva sfilata dalle dita. Per un momento la mano dell'aggressore scese verso il suo seno, ma il movimento era per prendere, non per toccare. Ellie sentì che il pendente che aveva al collo le veniva strappato mentre veniva spinta con violenza. I suoi stinchi colpiro-
no qualcosa di duro e metallico e cadde a terra. Una porta si chiuse. Poi tutto fu calmo, tranne il suo respiro affannoso. Le ci vollero diversi minuti per capire di essere caduta tra i secchi in uno stanzino per le pulizie, che sulla sua testa c'era un sacchetto di plastica e che, per fortuna, era sola. La porta dello sgabuzzino non aveva la maniglia e le ci vollero altri cinque minuti per attirare l'attenzione di qualcuno. «Ci ha messo parecchio», le disse Dalziel. «Mi è successa una cosa strana mentre stavo andando alla toilette». E cominciò a raccontare. Pascoe stava dormendo bene per la seconda volta. Il leggero bussare della signora Crowther lo svegliò da un sogno abbastanza tranquillizzante nel quale stava lentamente inseguendo Pelman nel Kruger National Park. «Non volevo svegliarla», gli disse la donna, «ma c'è al telefono la sua fidanzata, la signorina Soper. Se non riesce a parlare con lei penserà che sia morto!». Ci vollero diversi minuti per convincere Ellie che lui era davvero ancora parecchio lontano dalla soglia della morte, ma alla fine, anche se riluttante, Ellie accettò la realtà. «È stata davvero una serataccia», gli disse. «Sono stata aggredita anch'io». «Che cosa!?». «Sì, un'aggressione mentre andavo alla toilette al Jockey. Probabilmente sono tutta scorticata. E sono stata derubata». Gli raccontò la storia senza calcare la mano, ma Pascoe era terribilmente preoccupato. «Ascolta amore, se hanno preso le tue chiavi di casa, non dovresti rimanere sola». «Oh, ma non sono sola, sono ben protetta». «Da chi?», chiese Pascoe improvvisamente sospettoso. «Da quel perfetto cavaliere... da chi altri? Il sovrintendente Dalziel. Si sta librando nell'aria qui intorno... credo voglia dirti due parole». «'Sera, sergente. Di nuovo nei guai? Backhouse comincerà a pensare che non ce la sappiamo cavare da queste parti». «Posso sapere esattamente cos'è successo, signore?», domandò Pascoe impaziente. «Chi lo sa. Un caso? Qualcuno ha pensato di colpire nel pub, arraffare
qualcosa e tornarsene a casa. Nessuno ovviamente ha notato nulla!». «Che cosa le hanno rubato?». «Poca roba. Qualche sterlina, cosmetici. Il pendente. Niente davvero di valore, mi assicura la signorina Soper. Sembra che i suoi fidanzati non si possano permettere braccialetti di diamanti e fili di perle», Dalziel fece una risata di gola. «Non sembra che ne valesse la pena, le pare?». «È questo che mi preoccupa signore». «Non stia in ansia, sergente. Succede di continuo. Se non lo sappiamo noi che siamo poliziotti...». Pascoe si rese conto che Dalziel stava facendo il diplomatico. Il tono leggero che stava usando era tutto a beneficio di Ellie, ma in realtà avrebbe esaminato attentamente ogni possibile implicazione dell'aggressione. Dalziel disse ancora qualcosa, difficile capire se lo stava facendo per ribadire il suo ruolo di tutore o perché soffrisse di horror vacui. Passò poi alle ultime notizie sul caso Sturgeon. La reazione di Pascoe fu la stessa di Ellie. «Povero Cristo!». «Be', comunque il terreno è suo. Probabilmente riuscirà a venderlo, almeno per tenere lontani da casa gli squali dell'ipoteca. Dopo di che suppongo che potrà rivolgersi all'assistenza sociale oppure tornare a lavorare. Mi è parso un tipo indipendente. Nessuna dannatissima carità o cose del genere». «È una brutta età per fare fiasco», disse Pascoe. «Qualsiasi età lo è. Lewis deve essersi sentito allo stesso modo. La merda era arrivata all'orlo. Cowley sostiene che la situazione sia decisamente peggiore di come lui si era immaginato. Dice che il suo socio probabilmente stava spillando quattrini assolutamente al di fuori dei loro accordi d'affari senza avergli detto nulla». «Sì, ero là anch'io stamattina», gli ricordò Pascoe. «Già. Sembra passato tanto tempo. E non ha ancora visto il rapporto di quello strambo scozzese. Gesù! I dettagli! Niente di nuovo. Una descrizione coi fiocchi della ragazza di Lewis, ovviamente vista attraverso le lenti colorate del desiderio. Sembra una tizia molto esotica, molto truccata, vestiti trasparenti, grandi tette, in pratica il tipo adatto alle fredde notti nelle Highlands». «Ellie è ancora lì signore?», chiese Pascoe in tono di rimprovero. «Certo. Sembra che trovi molto divertenti queste faccende di polizia. Lei è sicuro di star bene? Non vada troppo in giro dopo aver rilasciato la sua
deposizione, chiaro? Abbiamo bisogno di lei qui. A presto, sergente». «Ciao amore», disse Ellie. «Stai attento, hai capito?». «Dalziel è ancora lì?». «No, è andato a fare una pisciatina diplomatica». «Che diavolo ci stavi facendo con lui stasera? Non ha cercato di nuovo di intromettersi, vero?». «Calma, tesoro», rise Ellie. «No, au contraire, come si usa dire. Vuole che ci sposiamo». «Che cosa vuole!?». «Che ci sposiamo. Io e te, non io e lui!». «Dio sia ringraziato!». «Gli ho detto che ci avrei pensato». «Perché no?», disse Pascoe. Gettò un'occhiata all'orologio. Erano appena passate le otto. Sembrava fermo. Lo scosse per essere sicuro che stesse ancora funzionando. «Sei sempre lì?», chiese Ellie. «Sì, stavo solo controllando l'ora». «Ah, capisco», disse Ellie con un tono leggermente deluso. «Non voglio trattenerti dal tornare al tuo letto di dolore, tesoro. Ci vediamo domani». «Sì, certo. Stai attenta». Pascoe si accorse di sentirsi davvero meglio. Solo un leggero mal di testa. Riattaccò il ricevitore e guardò di nuovo l'orologio. Si sentiva davvero molto meglio. 3 «Ordine! Ordine!», intimò Angus Pelman. «Dobbiamo dare la parola a John». «Gliela diamo a ogni riunione», disse il reverendo Matthias. «Propongo un emendamento per il quale John ci lascia un po' di spazio». «Non è molto cristiano da parte sua, vicario», disse John Bell. «Non lo metterei a verbale, Marianne. Non vogliamo che tolgano la tonaca al vicario». «Ordine», disse Pelman. Sembrava meno convinto del solito, pensò Marianne sbirciando l'orologio. Quella riunione pareva non finire mai. Come sempre, il motivo che la faceva andare per le lunghe era la campagna anti-inquinamento di John Bell. «Mi perdoni, signor presidente», disse John. «Come sapete, sono da
tempo preoccupato a causa del torrente che corre attraverso il villaggio. Ognuno di noi sa bene qual è il suo corso. Parte dalla fattoria di Cobbett, attraversa i boschi di Angus e poi segue lo stesso percorso della strada verso il villaggio, passando dietro il piccolo terreno, che fra l'altro sta acquistando valore, dove si trova la mia casa. Tutti noi abbiamo in funzione lo stesso sistema di drenaggio, ma appena superata quest'area, quattrocento metri circa a monte, ci sono tre cottage più vecchi che invece non ce l'hanno. Conosco qualcuno alla Direzione delle Acque e con il suo aiuto ho potuto testare la qualità dell'acqua durante tutta la scorsa settimana». Fece passare alcune fotocopie. «Osservate questi dati. Prove evidenti di inquinamento». Sorrise trionfante. Gli altri fissavano i fogli che avevano davanti. «Mi spiace, John», disse Pelman, «ma questi fogli non mi dicono proprio un accidente». «Lasciami spiegare...». «Non disturbarti... Troverò qualche esperto che darà un'occhiata a questo materiale». «Ma la prova è qui! Se non credi nei dati scientifici, vai là fuori e annusa quell'acqua. Da quando è aumentata la temperatura e il livello del torrente è diminuito, ha cominciato a puzzare. Ci deve essere qualche difetto nei sistemi di fognatura di quei tre cottage». John batté con vigore il pugno sul tavolo. «Perché i cottage, John?», chiese Matthias. «La corrente torna indietro fino alla fattoria di Cobbett». «Sì, ma c'è solo Brookside dalla parte opposta della strada fino alla casa di Angus. Comunque, ho preso dei campioni di acqua nei boschi per compararli». «Che cosa hai fatto?!», esplose Pelman. «Hai oltrepassato i confini della mia proprietà, te ne rendi conto? Io non ho mica messo quei cartelli per scherzo». «Per l'amor del Cielo!», gridò Bell. «Non puoi impedire alle persone di passare nei tuoi dannati boschi, lo sai? I giorni del signore del maniero sono finiti da un pezzo, Angus, ed è ora che tu te ne renda conto». Si alzò una confusione di voci, ben più alta di quanto potesse essere ragionevole per un comitato locale composto da sei membri. Pascoe e Hartley Culpepper, che stavano bevendo whisky nella stanza accanto, fino a quel momento non avevano ammesso apertamente che stavano ascoltando la discussione che si svolgeva oltre la porta socchiusa. A
quel punto però si sorrisero e Culpepper disse: «È confortante sapere che Westminster non è l'unico luogo dove i dibattiti democratici degenerano in assemblee tumultuose». «Non ci sono mai stato», ribatté Pascoe. «In Parlamento, voglio dire. Lei passa molto tempo nei corridoi del potere?». «Prego?». «Per il suo lavoro, intendo. So che si sta ritirando dalla Scozia, ma Nordrill deve aver bisogno di una lobby ben forte per mettere anche solo la punta del mignolo nei parchi nazionali». «Infatti, ne abbiamo proprio bisogno. Un altro drink o la sua testa preferisce di no?». «Posso farcela a berne un altro, credo». «Ecco a lei», disse Culpepper porgendogli un bicchiere di whisky pieno. «Bel posticino qui, vero? Pelman non è un collezionista, naturalmente. È troppo preso a piantare, arare, nutrire e uccidere. Ma se una famiglia si ferma abbastanza a lungo in un luogo, almeno un paio di belle cose si finisce per collezionarle». «Immagino di sì. Ha aggiunto qualche pezzo alla sua collezione di porcellane, ultimamente?». «Non un gran che. Mercoledì scorso ero da Sotheby's per la vendita della collezione Cantley. Uno o due pezzi erano davvero belli, ma un po' oltre le mie possibilità. Ad ogni modo, era già una soddisfazione stare a guardare. Non si può ottenere tutto». «Pensavo che 'ottenere' fosse il credo del collezionista! Il tipo di collezionisti con cui ho a che fare di sicuro ci crede ciecamente!». «Forse dovrei imitare i loro metodi», disse Culpepper. Improvvisamente Pascoe fu colpito dal pensiero che, sebbene l'entusiasmo da collezionista di Culpepper non lo avrebbe mai portato a rubare, egli aveva appena ammesso che mentre Rose Hopkins veniva seppellita, lui vagava per le sale di Sotheby's a coltivare la sua passione. Forse si era trattato di un'ora strappata a una dura giornata di lavoro, pensò Pascoe cercando di essere comprensivo. La porta della sala riunioni si aprì e i membri del comitato cominciarono a entrare nella stanza. Adesso avevano tutti un'aria molto amabile, osservò Pascoe. Sam Dixon gli fece un cordiale cenno di saluto. «Mi dispiace di avervi fatto aspettare», disse Pelman, «ma il dovere è dovere. Alan, non penso che lei conosca il sergente Pascoe. Alan Matthias, il nostro padre spirituale».
«Lieto di conoscerla, signor Pascoe. Mi è spiaciuto moltissimo sapere della morte dei suoi amici». Be', se non altro è un tipo diretto, pensò Pascoe. Marianne Culpepper si unì a loro. Guardava sorpresa suo marito. «Hartley, non pensavo che rientrassi dalla città stasera». «Ti avevo detto che volevo essere qui per l'inchiesta di domani». «Davvero? Non me lo ricordavo». «Non voglio sconvolgere i tuoi progetti, mia cara», disse Culpepper «La mamma si occuperà di me, sono sicuro». «Ne sono certa. Si occupa benissimo anche di me, quando tu non ci sei». «Le piace Thornton Lacey?», chiese Pascoe a Matthias, nel tentativo di colmare la pausa seguita a questo malcelato litigio. «Diverso dall'ambiente delle valli». «Non so», rispose il vicario. «Dovunque si vada ci sono tunnel oscuri sotto la superficie». «Alan è un moralista amante dell'allegoria», intervenne Pelman. «È la malattia gallese. Hartley, naturalmente sei il benvenuto, ma è successo qualcosa di particolare?». «No, niente di importante. Ho preferito fare una passeggiata per togliermi un po' di polvere londinese dai polmoni». «Dev'essere durissimo stare ai posti di comando!», intervenne John Bell. «Angus, devo andare. Grazie per il drink. Guarderai la relazione che ti ho lasciato, vero?». «Me la porterò a letto», promise Pelman. «Forse avrà l'effetto che non riescono ad avere le pillole di Hardisty. Farmi dormire!». Un buon posto per curare l'insonnia, pensò Pascoe. Anche lui era convinto che non avrebbe fatto tanta fatica a prendere sonno. Una nuvola non più grande dell'unghia di un pollice continuava a fluttuargli nel cervello. Un altro bicchiere, e grandi cumuli potevano oscurare completamente l'orizzonte. E se rimaneva in giro troppo a lungo, le nuvole avrebbero potuto essere lacerate da saette e scosse dal rombo dei tuoni. «Mi perdona se me ne vado anch'io?», chiese a Pelman. «Ma la notte è giovane! È appena arrivato!». «Zitto, Angus», lo rimproverò Marianne. «Il signor Pascoe si è preso un colpo in testa oggi. Dev'essere stato uno shock per lei. Spero che lo prendano, chiunque sia stato». «Lo spero anch'io», disse Pascoe. «Credo di aver stimato le mie capacità di recupero con troppo ottimismo. Mi scusi. Buona notte a tutti».
Pascoe se ne andò rapidamente, sentendosi molto debole. Nella fresca aria della sera si sentì meglio e guidò per il lungo sentiero fino alla strada seguendo le luci di posizione dell'automobile di Bell. Almeno Culpepper aveva reso il sentiero che arrivava alla sua casa carrozzabile, ma Pelman, da proprietario terriero che vive solo di quello, ovviamente accettava cunette, buche e solchi come parte della vita stessa. Pascoe guidava con attenzione per non rovinare gli ammortizzatori, ma la sua testa si rivelò più sensibile agli sbandamenti dell'auto e dovette fermarsi prima di raggiungere la strada asfaltata. I boschi di Pelman si allineavano scuri alla sua destra, e a sinistra, a circa quattrocento metri, Pascoe poteva vedere le luci del gruppo di cottage che apparivano sospetti agli occhi di Bell. Tra gli altri rumori della notte sentiva lontano il mormorio dell'acqua. Forse era il torrente a creare tutte quelle controversie. Magari si trattava di qualche tubo di scarico sotterraneo che trasportava l'acqua oltre la proprietà di Pelman. Pascoe aprì la portiera e scese a prendere una boccata d'aria fresca. C'era un odore sgradevole, tutt'altro che fresco, ma Pascoe non se la sentiva di riprendere il viaggio. Si appoggiò al cofano e lasciò che le immagini gli si affollassero liberamente nella testa. I luoghi: Thornton Lacey, Birkham, Lochart. I morti: Rose, Timmy e Carlo, Matthew Lewis, Sturgeon, quasi. Gli scomparsi: Colin, Archie Selkirk, Atkinson. I traditi: la signora Lewis, Culpepper. I misteriosi: Davenant, Etherege. Etherege. Perché stava pensando a lui? Per quello che era successo a Birkham. Troppe cose succedevano intorno a Birkham. Troppe? Un negozio di antiquariato che aveva venduto qualche sterlina di francobolli rubati. Non era gran che. Che altro? Il Jockey, naturalmente. Ellie era stata aggredita. Legami? Si sapeva che Ellie aveva una relazione con un poliziotto di scarsa importanza, lui stesso. Poi si fa vedere con un pesce più grosso, Dalziel. Fare meta e defilarsi. L'immagine lo divertì. Tornò alla macchina, la sua mente ora lavorava troppo velocemente per avvertire le buche del sentiero di Pelman, e Pascoe arrivò in pochi minuti al telefono di Crowther. «Perché non sei a letto?», chiese Ellie. «Mi sono alzato un attimo», mentì Pascoe. «Senti, amore, Dalziel ha detto che una delle cose che hai perso stasera è stato il pendente. È quello che ti ho comprato a Birkham?».
«Purtroppo sì», disse Ellie. «Perché me lo chiedi?». «Non ne sono sicuro», disse Pascoe. «Ci dev'essere qualcosa che striscia nella tua testaccia sospettosa», disse Ellie. «Aspetta un momento. Ho un'informazione che forse potrebbe aiutarti. Quel frammento di pietra non era certamente di provenienza locale, come invece aveva detto il tizio cicciotto del negozio. Al college uno dei geologi lo ha ammirato. Credo che fosse attirato da me. Comunque, ha detto che era una specie di eliotropio originario probabilmente del Sudamerica. Il che rende il negozietto dell'antiquario un tantino sospetto. Probabilmente una partita che arrivava da Buenos Aires!». «Sei meravigliosa», disse Pascoe, «sei meravigliosa! Ti amo!». «Deve essersi preso una botta in testa più forte di quanto pensassi», disse Dalziel. «Facciamo il punto. Secondo lei la collezione di pietre della signora Cottingley è stata passata a Etherege che le ha lucidate, incastonate in un braccialetto o roba simile, e le ha venduti nel suo negozio?». «Perché no? Avrebbe creato uno smercio perfetto per oggetti impossibili da identificare. O quasi impossibili». «Impossibili da identificare», grugnì Dalziel. «Non puoi mica identificare un pezzo di roccia». «Però si può dire che, dovunque sia stata raccolta, non era certo lo Yorkshire». «Potresti se l'avessi in mano! Ed è per questo che crede che la sua bella sia stata aggredita? Per il pendente?». «È possibile». «Guarda troppa televisione», disse Dalziel. In sottofondo Pascoe sentiva le voci indistinte della televisione del sovrintendente, ma diplomaticamente non disse nulla. «Allora», riassunse Dalziel. «Se sta pensando che sia stato Etherege ad aggredire la sua ragazza, meglio che ci ripensi». «Non ho mai detto...». «Perché ho telefonato al negozio mentre stavo andando all'incontro con la signorina Soper. Avevo con me quei francobolli. Sturgeon non aveva saputo dire niente di certo in proposito, così ho pensato che potevo passare a dare un'occhiata. Etherege non c'era, ma una vecchia pollastra che gli fa i lavori di casa mi ha detto che era a una vendita a Durham da qualche parte, e che sarebbe tornato tardi». «Era solo un'idea», concluse Pascoe rassegnato. Tutte le loro idee bril-
lanti su quel caso sembravano non approdare da nessuna parte. L'intuizione di Dalziel che il canile potesse essere una fonte di informazioni sulle case disabitate si era rivelata altrettanto infruttuosa. Di fatto era vero che tutte le persone derubate erano proprietarie di animali, ma questi erano stati affidati a pensioni diverse e, almeno in un caso, quello di Lewis, il cane era andato in vacanza con la famiglia. «Meglio che dorma un po'», gli consigliò Dalziel. «Ci vediamo domani». Il sovrintendente riattaccò il telefono e rimase pensieroso per un momento. La televisione rombava nella stanza accanto, ma la casa sembrava vuota. Il suo stomaco brontolava, ricordandogli i vuoti provocati dalla dieta di Grainger all'interno del suo corpo. Pascoe è un bravo ragazzo, pensò Dalziel. Ha i suoi momenti di merda, ma chi non li ha? Su gran parte di quello che aveva detto valeva la pena di riflettere. Guardò l'orologio. Erano solo le dieci meno un quarto. Si poteva fare una telefonata. 4 Thornton Lacey era incantevole nel sole del mattino, e sorprendentemente tranquillo. Ellie guardò l'orologio mentre guidava lungo High Street. Era in ritardo per il traffico di dirigenti d'industria delle nove del mattino. Si rese conto che stava proiettando sull'ambiente esterno la tensione per l'inchiesta imminente, aspettandosi in qualche modo che l'atmosfera del villaggio fosse nervosa e tirata come una città del Far West prima del grande duello. Pascoe la aspettava fuori dalla casa di Crowther e la salutò con un bacio appassionato, molto soddisfacente, non perché Ellie in quel momento sentisse un irrefrenabile bisogno di sesso, ma perché la rassicurò sul fatto che lui si sentiva bene davvero. In ogni caso, Pascoe era pallido ed Ellie guardò la fasciatura sulla sua nuca come se potesse rivelarle qualcosa sulla natura della ferita che nascondeva. «Sto bene», affermò Pascoe, che a dir la verità aveva dormito tranquillo fino alle sei, quando si era svegliato con un caos di pensieri in testa che solo ora stava cominciando a riordinare. Pascoe aveva da tempo acquisito l'abitudine (che faceva sorridere Ellie) di mettere tutte le sere sul comodino matita e taccuino, in modo tale che le intuizioni della notte non dovessero essere sacrificate alla pigrizia. Il taccuino adesso era in tasca.
Pascoe condusse Ellie in casa. «E tu come stai?», le chiese. «È stata una strana faccenda». «L'hai detto! Sto bene. Ciccio Dalziel mi ha propinato tanto di quel gin che ho dormito come un sasso. È un brav'uomo, davvero. Mi ha anche telefonato ieri sera per sapere se andava tutto bene». «Ti ha telefonato? Verso le dieci meno un quarto?». «Esatto», rispose sorpresa Ellie. «Perché me lo chiedi?». Pascoe fece una risata. Era bello sentirlo ridere, ed Ellie non lo interruppe, anche se era perplessa. «Rido al pensiero del vecchio zio Andy che ti telefona per sapere come stai», spiegò. «Con lui si tratta sempre di affari». Le spiegò brevemente la sua conversazione telefonica con Dalziel la sera precedente. Ellie non era affatto entusiasta della teoria che essa implicava. «Intendi dire che Etherege è un ricettatore?». «In un certo senso». «E mi ha aggredito ieri sera per riprendersi il pendente?». «Be', non sarà stato Etherege», ammise Pascoe. «Probabilmente lui ha un alibi». «Ah ecco! Uno dei suoi migliori amici, intendi dire, che era convinto di dare una mano al suo socio mettendomi un sacchetto di plastica sulla testa e sbattendomi nello sgabuzzino delle scope? E tutto per un vecchio sasso?». «Il sasso è la chiave», disse Pascoe, ritirandosi in fretta dal sentiero incerto sul quale Ellie lo stava sfidando. Rapidamente le parlò della collezione di pietre della signora Cottingley. «L'affare era sicuro», concluse. «Ma tu sei stata la prima a comperarne una, e lui si è reso conto che eri la ragazza di uno sbirro, ed è il genere di cose che può fregare. Così quando vede che te la spassi con il sovrintendente detective Ciccio Dalziel, decide di improvvisare». «Ma chi? Hai detto che non era Etherege. E allora chi era?». «Questo è il problema, temo», disse Pascoe pensieroso. «Chi altri avrebbe potuto avere abbastanza interesse? C'è solo una risposta: lo stesso che ha commesso i furti. Il che significa che ieri sera era al Jockey». Pascoe rise. «Peccato che Dalziel non ci abbia pensato. Avrebbe fatto mettere in fila tutti i clienti del pub e li avrebbe fatti pisciare in un bollitore». «Che cosa?». «Non ti ricordi che ti ho raccontato di quel tizio? Abbiamo fatto fare tut-
te le analisi e abbiamo scoperto che è diabetico. Una traccia debole, ma pur sempre una traccia». «E sarebbe lo stesso uomo che ha ucciso l'agente immobiliare? Lewis?». «Probabilmente». Ellie rabbrividì al ricordo del cupo corridoio del Jockey. Per un attimo davanti agli occhi le balenò qualcos'altro che aveva a che fare con il Jockey, di cui avrebbe voluto parlare con Pascoe. Poi scomparve di nuovo. «Forse ho avuto fortuna», disse. «Forse», disse Pascoe mettendole un braccio intorno alle spalle. «Credo che sia quasi ora di andare». Mentre guidava verso Birkham, Dalziel si sentiva fortunato. Se Pascoe aveva ragione ed Etherege stava facendo il ricettatore, Andrew Dalziel era l'uomo da mettergli alle calcagna. Poteva dimostrarsi solidale: «La gente tende ad approfittarsi di un uomo nella sua posizione». Fare promesse: «Lei ci dice quello che sa e andrà tutto bene. A buon intenditor poche parole, eh?». O minacce: «C'è di mezzo un omicidio qui. Nascondere informazioni può costarti dieci anni di galera». Ma prima di tutto Dalziel doveva stabilire che tutta la teoria non era solo il delirio di un uomo che aveva preso un colpo in testa. Avrebbe recitato la parte del cliente, tanto per cominciare. Dare un'occhiata in giro. Prendere le misure all'uomo. Era addirittura impaziente. Era tempo di concedersi un po' di respiro. C'erano stati tutti quei furti, un omicidio non risolto, le quarantamila sterline di Sturgeon scomparse senza lasciare traccia, fatti che in qualche modo erano legati tra loro. Una bella pausa avrebbe potuto dare un senso all'insieme. Forse era il momento buono. Cominciò a fischiettare qualche nota di Oklahoma!, prendendo una stecca quando arrivò a: «Che mattina meravigliosa!». «Comprendo bene, signor Backhouse, perché non ritenga opportuno darci un resoconto dettagliato delle sue indagini su queste tragiche e terribili morti, ma poiché qualsiasi cosa lei abbia scoperto potrebbe essere direttamente in relazione con l'attuale inchiesta di questa corte, vorremmo sentire che cosa ha da dirci». Il tono di French era ragionevole, quasi deferente, ma lo sguardo che fissò su Backhouse da sopra le lenti aveva un lampo di sfida. Pascoe si guardò intorno nell'affollata aula scolastica. I banchi erano stati tutti impilati fuori nel corridoio, ma la stanza recava
i segni inequivocabili della sua normale e più innocente funzione. I disegni dei bambini adornavano le pareti e un diagramma appeso dietro di lui mostrava che Celia era la più alta della classe, perfino più alta di James e Antony. Povera Celia... Pascoe sperò che il tempo le avrebbe dato il giusto equilibrio. Backhouse stava spiegando con la sua consueta combinazione di efficienza e cortesia che non era ancora in grado di dare un contributo ufficiale all'inchiesta. Ellie diede una gomitata a Pascoe. «Dov'è Pelman?», bisbigliò. Pascoe guardò di nuovo nell'aula. C'erano i Culpepper, i Dixon, i Bell, gli Hardisty, le sorelle Langdale dell'ufficio postale, Jim 'Piscio' Palfrey, Anton Davenant che prendeva appunti, ma nessuna traccia di Pelman. «Suppongo che avrà avuto da fare. Perché me lo chiedi?». «Per nessun motivo. Mi sono ricordata di qualcosa, aspetta». French era finalmente riuscito in quello che era stato chiaramente il suo intento fin dall'inizio, cioè presentare come prova il biglietto trovato nella macchina abbandonata. «È stato stabilito che questo biglietto è stato scritto dalla mano di Colin Hopkins, marito della donna uccisa?». «Sì», rispose Backhouse. «E sono sue le impronte digitali trovate sul biglietto?». «Sì». «Grazie. Non è generalmente costume di questa corte leggere a voce alta documenti acquisiti in tali circostanze, ma in questo caso penso possa essere di pubblico interesse partire da questa prova. Un crimine come questo provoca sentimenti di orrore e repulsione in ognuno di noi, ma tra coloro che vivono vicino alla scena del delitto emergono anche sentimenti di preoccupazione e timore che eventi del genere si ripetano. Lo scopo di questa corte è allontanare tali paure». French diede due colpi di tosse e cominciò a leggere il biglietto che aveva davanti. Pascoe chiuse le orecchie e rivolse i suoi pensieri altrove, ma le frasi continuavano ad attraversargli la mente... qui per sempre, devo restare... un amante nudo, legato e sanguinante... tutto è calmo in questo sonno eterno... «Pope», bisbigliò Ellie. «Che cosa?». «Pope, il poeta. Sta citando Pope».
Ellie gli stringeva forte la mano e lui sentì che stava ascoltando le parole che French pronunciava cercando di circoscriverle in un freddo e razionale contesto letterario, lontano dall'auto sferzata dalla pioggia che, sbandando e finendo nelle buche, si dirigeva verso la pozza mefitica nella cava. «Oh, Peter, è Eloisa ad Abelardo», disse Ellie. Si alzò in piedi e uscì dall'aula. Non scoppiò in lacrime, niente di drammatico. Era come se si fosse ricordata di avere un appuntamento da qualche altra parte. Con un'occhiata di scuse a French, Pascoe la seguì. La raggiunse nel cortile della scuola. «Non capisci?», disse Ellie. «Il poema gli è venuto in mente perché siamo noi. In qualche modo è come se lui avesse pensato a noi, alla fine». Ellie lo abbracciò singhiozzando. Pascoe la tenne stretta, ma non riusciva ad abbandonarsi a sua volta alle emozioni. «Intendi perché noi stavamo venendo qui per il fine settimana e uno dei suoi scherzi era paragonarci a due amanti medievali, che una poesia del Settecento su quel soggetto ci sarebbe venuta in mente dopo che lui aveva ucciso sua moglie, due cari amici e aveva deciso di suicidarsi?». «Per l'amor di Dio, Peter, devi essere così preciso e analitico su tutto?», gridò Ellie spingendolo via. Ma aveva smesso di piangere. «È parecchio tempo che non leggo Pope. Di che cosa parla la poesia?». «Si suppone sia una lettera di Eloisa dopo la loro forzata separazione. Pietro Abelardo era stato castrato, lo sapevi questo? Lei è in convento o un posto simile, ma la passione è ancora intatta. È una poesia molto appassionata». «Una strana scelta. Senti, cara, me ne starò in giro per un po' a pensarci su. Ti dispiace?». Una delle principali virtù di Ellie era che sapeva quando non era il caso di fare obiezioni. «Come vuoi. Io sto bene. Adesso torno dentro». «D'accordo. Ancora una cosa: che mi volevi dire a proposito di Pelman?». «Be', non è proprio su di lui, o meglio, non direttamente. È solo che mi sono ricordata qualcosa su quella vacanza a Eskdale. Quell'orribile contadino che continuava a gironzolarci intorno, quello che ci aveva affittato il posto, ti ricordi? Viveva da solo e la gente del posto nel pub diceva che sua moglie se n'era andata con uno dei suoi lavoranti pochi anni prima. Nessuno li aveva più visti».
Pascoe strinse una sbarra dell'inferriata del cortile con entrambe le mani e fissò senza vederlo il prato pieno di sole che circondava la scuola. «Hai ragione», disse Pascoe, «ora ricordo. E non furono Colin e Tim che una notte, un po' fuori di testa, andarono a spaventarlo? Si erano travestiti con delle lenzuola e correvano intorno alla sua legnaia mentre lui stava tornando a casa». «Proprio così», disse Ellie con un ampio sorriso. «Mi ricordo». Per un attimo erano tornati tutti vivi. «Ora vado», disse Pascoe. «Ci vediamo più tardi». «A dopo». Lo guardò attraversare il cortile con il suo lungo passo atletico e oltrepassare il cancello. Qualcosa la spinse a gridargli dietro: «Fai attenzione!», ma pensò che lui non avesse sentito. Per una incomprensibile associazione di idee, le tornò in mente che cosa voleva dirgli a proposito del Jockey. Poteva aspettare. Prima doveva arrivare in fondo a quella mattinata. «Non ne so molto di antiquariato», dichiarò Dalziel, «ma so quello che mi piace». «Davvero?», disse Jonathan Etherege, un sorriso che gli illuminava il bel viso. «Posso solo sperare che lei possieda una dispendiosa mancanza di gusto. Vuole dare un'occhiata in giro?». «Come no», rispose Dalziel, divertendosi nel suo ruolo di grasso filisteo. Ruolo? pensò. Io sono davvero un grasso filisteo! Il pensiero non fece altro che aumentare il suo divertimento. «È da molto in affari, signor Etherege?», chiese mentre passeggiava nel settore antichità del negozio, confrontando mentalmente gli oggetti con la lista di merce rubata che aveva in testa. Non che nutrisse qualche speranza: era più una questione di routine. «Da parecchio tempo, sì», rispose Etherege. «Ho cominciato facendo affari con qualche rimasuglio e poi sono andato giù per quella direzione». «Lei è molto franco», disse Dalziel. «Perché ha detto 'giù'?». «Un mezzo scherzo». «E l'altra metà?». «Be', diciamo che se le vendo un paio di tubi di piombo da cinquanta chili lei conosce il prezzo corrente e può decidere se li vuole oppure no. Con questo genere di cose, invece, tutti pensano in termini di valore. Non è solo una questione di peso». «Ancora però non riesco a capire perché ha detto giù», grugnì Dalziel,
mentre cercava inutilmente di aprire il cassetto superiore di un discreto scrittoio vittoriano. Etherege si chinò in avanti, tirò e il cassetto si aprì senza sforzo. «Il prezzo è sempre più alto del valore, signore», disse. «Così bisogna volare bassi». «Troppo dannatamente intelligente per me», disse Dalziel. «Eppure lei mi sembra un uomo onestamente disonesto. Le piace la grana, vero?». «Non ne ho avuto per un po'», disse Etherege. «Se posso evitarlo, vorrei non capitasse più». «Già. Tutti pezzi locali questi?». Erano approdati al settore artigianale. «La maggior parte. Le piacerebbe un cesto per sua moglie? Oppure degli ornamenti per cavalli in ottone?». «Per mia moglie? Non mi pare un omaggio adeguato», disse Dalziel. Non riusciva a scorgere segni di alcun oggetto simile al pendente che Ellie aveva descritto. Cominciò a girare intorno a un gruppo di gioielli disposti su un grande vassoio di legno. «Molto belli», disse. «Ma vorrei qualcosa che possa stare al collo. Non proprio un collare, un comesichiama». «Un pendente?», suggerì Etherege. «Ne abbiamo una coppia qui. Un design semplice, se le piace questo genere». «No, no», disse Dalziel. «Qualcosa di più decorativo». «Mi dispiace. Avevamo dei pezzi molto belli fatti con pietre locali incastonate in ceramica, ma purtroppo sono stati tutti venduti», rispose Etherege. «Peccato». Ha capito, pensò Dalziel improvvisamente. Il tizio sa. Sa chi sono e che cosa sto cercando. Merda! Se è così tosto, sarà difficile pizzicarlo. Dalziel guardò l'orologio. Forse valeva la pena di andare a prendere un mandato di perquisizione e buttare all'aria il negozio. Ma ne dubitava. Anche Etherege guardò l'orologio. «Può scusarmi un momento?», disse. «Continui pure a guardare tutto quello che vuole». Bastardo arrogante, pensò Dalziel mentre osservava Etherege sparire in quello che sembrava un piccolo ufficio dietro la vetrinetta dei francobolli. Probabilmente è uscito per lo spuntino di metà mattina perché io mi possa convincere che qui non c'è niente. Il pensiero della sua solita pausa caffè con un paio di ciambelle gli fece brontolare lo stomaco. Negli ultimi giorni aveva avuto discreto successo
nel tagliare i beveraggi, tuttavia l'effetto complessivo non era tale da far pensare a Dalziel di potercisi rassegnare. Si guardò intorno nel granaio ristrutturato, pieno di avversione e frustrazione. I suoi gusti personali, per quanto potessero essere chiamati gusti, in fatto di stile di vita, potevano essere definiti 'all'antica'. Questo perché si erano formati dalle aspirazioni morali e materiali di una famiglia operaia degli anni venti. Le conquiste consapevoli della maturità non erano per lui. Gli piaceva il vecchio tavolo di quercia sul quale faceva colazione da solo (e pochissimo altro, da quando sua moglie lo aveva lasciato) perché era stato della sua famiglia e gli apparteneva. Forse era appartenuto persino ai suoi nonni, non aveva idea di quanto fosse vecchio. Non era importante. Ma se avesse dovuto acquistarne un altro, sarebbe stato qualcosa di nuovo. Questa roba era solo di seconda mano. Testimonianza dell'uso e strauso della propria famiglia era una questione, graffi e abrasioni di altra gente era tutta un'altra storia. No, qui per lui non c'era nulla, né dal punto di vista professionale né da quello personale. Dalziel si voltò per andarsene, poi d'impulso passò oltre la vetrina dei francobolli e spinse la porta dell'ufficio. Voleva solo lasciare a Etherege qualche gentile e velata minaccia. Dalziel era un uomo a cui non piaceva la sensazione di essere preso in giro. Gli ci volle qualche istante per digerire il significato di ciò che vide quando aprì la porta. Etherege era seduto alla scrivania senza giacca, e la manica sinistra della camicia era arrotolata sopra l'avambraccio. Nella mano destra teneva una siringa ipodermica. Alzò lo sguardo, furibondo per l'intrusione. «Per favore aspetti fuori», disse in tono tagliente. Dalziel non si mosse. «Va tutto bene», disse Etherege, sempre tagliente ma ora anche ironico. «Non mi sto bucando. È la mia dose di insulina». «Lei è diabetico», disse Dalziel, facendo un passo avanti. «Bene, bene, bene». Gli rivolse un ampio sorriso. Quella era la mattina del colpo di fortuna, dopotutto. Aveva sbagliato a valutare la situazione. Etherege non era semplicemente un ingordo ricettatore. Il negozio era il luogo dove l'azione veniva organizzata nel dettaglio. Questo aveva molto più senso. «È un crimine?», chiese Etherege. «Forse è meglio chiamare la polizia». Pensa davvero di essere in una botte di ferro, pensò Dalziel. È convinto che non possiamo toccarlo. Forse non possiamo davvero, però di sicuro ci proveremo.
Si chinò verso l'antiquario e prese la confezione di insulina che stava sul tavolo. «Vede, signor Etherege», disse, «non dovrebbe andare in giro a pisciare nei bollitori altrui». Etherege si immobilizzò. Era quasi possibile visualizzare la sua mente mentre lavorava a pieno regime per capire esattamente che cosa intendesse dire Dalziel. «Il mondo è pieno di diabetici», disse, sforzandosi di mantenere un contegno freddo. Dalziel notò lo sforzo e con aria truce posò con forza la mano sulla spalla sinistra dell'uomo. «Jonathan Etherege», cominciò. «Devo chiederle di accompagnarmi ... Cristo!». Dalziel fece un salto indietro, mandando a sfracellarsi sul pavimento una sedia, una rubrica e un bollitore elettrico, e si guardò il polso. La siringa ipodermica dondolava grottescamente dal polso dove Etherege l'aveva infilata con violenza. La vista nauseò Dalziel e lo rese incapace di difendersi dall'attacco che seguì. Il ginocchio di Etherege lo colpì nello stomaco e lo spinse contro l'angolo di una cassettiera. I ricordi della potenziale - e concreta - violenza dell'uomo che cercavano da tanto si mescolava a nere ombre di dolore che cercavano di fondersi e di trascinarlo nella completa oscurità. Ci fu una pausa di pochi secondi, sufficiente a fargli tornare le immagini davanti agli occhi, sebbene confuse e ondeggianti. Etherege, si rese conto Dalziel, non aveva affatto mollato la presa. Si era semplicemente guardato intorno per trovare qualcosa con cui ucciderlo. La risposta al suo problema era un grande cane di ceramica. Uno spaniel King Charles. Roba dello Staffordshire, sette sterline il paio. La nonna di Dalziel ne aveva posseduta una coppia, finché il giovane Andrew non ne aveva decapitato uno con una palla da cricket. La sua mente scacciò l'assurdo pensiero che questa poteva essere la terribile vendetta del suo compagno. Più tardi Dalziel avrebbe affermato che a dargli la forza di reagire era stato il pensiero del divertimento che avrebbero provato i suoi nemici alla notizia che la sua morte era stata causata da un cane di ceramica. Ma in quel momento ad agire fu solo l'istinto di sopravvivenza. Si buttò in avanti per schivare il cane, cinse con le braccia Etherege e lo trascinò sul pavimento. Per un momento pensò che la indubbia superiorità di peso sarebbe stata sufficiente per immobilizzare l'avversario, ma con le mani libere Etherege afferrò il bollitore elettrico e riuscì a colpire Dalziel a un lato della
testa. Stordito, Dalziel non riuscì a non rotolare su un fianco, ma il primo calcio che Etherege gli sferrò lo riportò alla lucidità e quando l'uomo cercò di colpirlo una seconda volta al torace, il grasso poliziotto lo afferrò per la caviglia e gli fece perdere l'equilibrio. Etherege cadde all'indietro, attraverso la porta aperta, nel locale principale. Entrambi si alzarono nello stesso momento e non appena si guardarono compresero che i ruoli si erano rovesciati. Dalziel era stato invaso da una corrente di rabbia furibonda, che gli aveva fatto scordare il dolore e i colpi ricevuti. Con aria disinvolta si tolse dal polso l'ago della siringa e lo gettò a terra. «Allora, dannatissimo signor Etherege», disse avanzando verso di lui. Etherege si girò e cominciò a correre, ma il negozio stipato di oggetti rallentò la sua fuga. La vetrinetta con le ceramiche cadde e si ruppe quando l'uomo ci inciampò. Un orologio Barraclough dell'epoca del nonno crollò davanti a Dalziel e suonò per l'ultima volta mentre il detective calpestava senza badarci i meccanismi sparsi a terra. Etherege, rendendosi conto che non sarebbe riuscito ad arrivare alla porta, fuggì verso il piano superiore, attraverso tavoli e sedie, teche e cassettiere. Gli oggetti tardovittoriani ressero bene, ma i pezzi più antichi vennero seriamente danneggiati, specialmente per intervento di Dalziel. A quel punto, l'intento puro e semplice del poliziotto era di colpire Etherege. Non capiva da dove avesse preso forma quel suo desiderio incredibilmente violento, e non gliene fregava niente di saperlo. Era come se la violenza repressa in trent'anni di lavoro in polizia avesse finalmente affermato il suo diritto di esistere. Etherege lo sapeva, e quella consapevolezza lo rese incredibilmente agile. Quando Dalziel salì con tutto il suo ingombrante peso su una credenza di mogano, l'uomo sgusciò attraverso un set di sedie da soggiorno Chippendale autenticamente false e si diresse verso la porta che si aprì proprio nel momento in cui era riuscito a raggiungerla. Un uomo e una donna se ne stavano lì in piedi, bloccando l'uscita e guardando inebetiti la scena che si presentava ai loro occhi. La corsa di Etherege rallentò, e a quel punto Dalziel gli fu sopra. Lo spinse contro un tavolo e cominciò a colpirlo in faccia e sul corpo. L'uomo non si difendeva, pareva quasi incosciente. «Ehi, che sta facendo...», disse il cliente appena arrivato, facendo un passo avanti, ma ne fece uno indietro ancora più rapido appena vide l'espressione di Dalziel.
Tuttavia qualcosa dentro gli stava dicendo di smettere. Era sbagliato. Non aveva mai perso il controllo in questo modo in tutta la sua vita. Un rumore dietro di lui lo distrasse e una mano gli calò sulla spalla. «Chiamate la polizia!», disse la voce di un uomo e lui si sentì spingere indietro da Etherege. La furia tornò. Dalziel si voltò e vide un uomo sulla quarantina con lo sguardo indignato. A Dalziel lo sguardo e la mano dell'uomo non fecero né caldo né freddo. Alzò il pugno e colpì lo sconosciuto in faccia più forte che poté. 5 Questa volta la prima cosa che fece Pascoe appena arrivato a Brookside Cottage fu perquisire la casa. Soggiorno, sala da pranzo e cucina annerita dall'incendio; poi il primo piano con le camere da letto, il bagno e il ripostiglio. Quando fu sicuro di essere davvero solo, tornò nel soggiorno e comincio a far scorrere lo sguardo sulla libreria. Ciò che cercava non era lì e, deluso e perplesso, continuò a guardarsi in giro. «Lo scrittoio!», disse a voce alta. Era un bel mobile e, quando si rese conto che era chiuso a chiave, si sentì quasi in colpa di doverlo scassinare. Ma una cosa che aveva imparato da Dalziel era che, una volta che ti lanci in un'azione, devi passarci in mezzo con forza e determinazione, non importa quanto possano essere amare le conseguenze. La serratura cedette facilmente al coltello che aveva preso in cucina. Pascoe annuì soddisfatto mentre prendeva il libro e spingeva indietro il ripiano dei fogli per macchina da scrivere. Li sfoglio rapidamente e annuì ancora. Era sempre bello avere ragione. Anche questo l'aveva imparato da Dalziel. O forse le parole esatte del ciccione erano che era bello avere sempre ragione. Quel bastardo egoista. Ma Pascoe in quel momento avrebbe voluto che fosse lì. Restò seduto qualche istante e si concentrò sul problema. Che non era affatto un problema, ammise dopo averci riflettuto. I fatti, come li vedeva lui, suggerivano una teoria. Era una teoria che lui poteva facilmente verificare. Sarebbe stato altrettanto facile prendere il telefono e chiamare Backhouse, ma non sarebbe stato il modo giusto di procedere. Non questa volta. Con un sospiro si alzò e uscì nel giardino. Si fermò davanti alla meridiana e guardò in basso. Il tappeto nella sala da pranzo recava ancora le macchie scure e deturpanti, ma fuori la pioggia, la rugiada e il ciclo della cre-
scita non avevano preservato alcuna traccia tra i verdi e robusti germogli. La sua ombra cadeva sulla meridiana e Pascoe si spostò di lato per vedere il punto indicato dallo gnomone, ma il bordo di una nuvola bianca coprì momentaneamente il sole e lui non stette ad aspettare che passasse oltre. Invece andò fino al ruscello e lo attraversò con un breve salto, trovandosi nei boschi di proprietà di Pelman. L'acqua scorreva lenta e poco profonda, ma meravigliosamente chiara. Lunghe piante acquatiche si muovevano sotto la superficie, puntando nella direzione della corrente, e Pascoe ne seguì il corso. Per venti o trenta metri fu possibile camminare parallelamente al ruscello, poi gli alberi cominciarono a chiudersi intorno a ciascuna delle due sponde, e il groviglio di erica e ginestra lo costrinse a decidere se inoltrarsi nel bosco oppure scendere in acqua. Scelse senza indugio questa seconda strada. All'inizio cercò di restare sul terreno asciutto procedendo con cautela lungo lo stretto margine, ma questo presto scomparve e dopo aver messo i piedi nell'acqua una prima volta non se ne preoccupò più e coraggiosamente continuò a procedere. Presto intravide la fine del viaggio: il rialzo del terreno che conduceva il sentiero dalla strada fino alla casa di Pelman. Il condotto di scarico che incanalava il corso d'acqua sotto il sentiero era visibile come un buio semicerchio sulla superficie dell'acqua che scintillava perfino con i pochi raggi di sole che penetravano attraverso le fronde degli alberi. Pascoe si fermò dopo circa trecento metri. I muscoli delle gambe sembravano essersi addormentati, come se avesse immerso i piedi in qualche veleno che rilasciava lentamente i suoi effetti. I boschi erano pieni di rumori che prendevano il sopravvento, ora che lo sciabordio dei suoi passi nell'acqua era cessato. Gli uccelli lanciavano i loro richiami striduli, musicali, allarmati, languidi; le foglie si muovevano nella brezza, producendo un suono ancora pieno, nonostante cominciassero ad avvertirsi i primi secchi fruscii dell'autunno; un'ape mormorava lì intorno e da qualche parte di fronte a lui udì, o immaginò di udire, il ronzio di molte mosche. Poi colse un rumore che non si aspettava di sentire. Qualcosa si muoveva tra gli alberi alla sua sinistra. Pascoe si accucciò contro il rialzo e ricordò di aver camminato lungo quel sentiero fino alla strada dei Culpepper, e di aver sentito il passaggio del suo inseguitore nella notte. Con cautela, sollevò la testa sopra la sponda e colse una figura muoversi lentamente verso il torrente. L'occhiata fu troppo rapida per riuscire a identificare chi fosse, ma lunga abbastanza per riconoscere l'oggetto che l'uo-
mo reggeva davanti a sé, con attenzione, come durante la processione del santo patrono. Un fucile. Pascoe cominciò a spostarsi. Una mossa stupida. Avrebbe fatto rumore. Ma non aveva alcuna intenzione di starsene lì quieto contro il rialzo mentre l'uomo armato si avvicinava. Dopo pochi passi, Pascoe si rese conto che muoversi con cautela era tempo sprecato: stava facendo un rumore tremendo, come una mandria di vacche che stesse guadando un fiume. Cominciò a correre più veloce che poteva. «Chi è là?», urlò una voce. Pascoe doveva uscire dal corso d'acqua. Gli alberi dal lato dove proveniva la voce erano più radi, ma Pascoe non se la sentì di salire da quella parte. Invece si aggrappò ai rami dei salici che crescevano come una staccionata dall'altra parte e si tirò su. «Fermo!», ordinò la voce. Se solo riesco a mettere qualche albero di distanza fra me e lui, pensava Pascoe, se solo riesco a condurlo sulla strada, se riesco a tornare al villaggio, ce l'avrò fatta; niente più indagini solitarie, lo giuro, Signore, ti prego, facciamo un patto, per favore, se solo... Alle sue spalle il fucile sparò producendo uno strano rumore smorzato. Qualcosa gli sibilò accanto all'orecchio. Pascoe si voltò e scivolò lentamente indietro fino alla sponda del ruscello. Sull'altra riva, a circa trecento metri a monte del corso d'acqua, l'arma ancora fumante tra le mani, c'era Angus Pelman. È un fucile a una canna o a due? si chiese Pascoe. Dovrà ricaricarlo? Ma non era importante. Perché meravigliosamente, incredibilmente c'erano altre voci nel bosco, e Backhouse apparve dietro a Pelman, mentre Ellie correva verso di lui, saltando nell'acqua, gli occhi colmi d'amore e di paura. Curiosamente, Pascoe non si sentì troppo male finché non gli dissero che era stato colpito da una scheggia di legno che si era stata staccata da un tronco in seguito allo sparo. Fu in quel momento che si ricordò che cosa stava facendo lì. «Se lei prosegue fino al limite del canale di scolo», disse a Backhouse con voce lenta e chiara, «e guarda dentro, credo che troverà il corpo di Colin». Poi cadde in ginocchio sul soffice cuscino di erba bagnata e cominciò a sentirsi davvero male.
«Sa», disse il dottor Hardisty, «cucirle le ferite sta diventando un'abitudine». «Sì», disse Pascoe. «Generalmente sono un uomo molto discreto, e mi faccio gli affari miei», continuò il medico, «ma questa volta le dispiacerebbe dirmi cosa diavolo sta succedendo?». Erano tornati dai Crowther. Pascoe non aveva la minima intenzione di parlare col dottore, e scoccò uno sguardo allusivo a Ellie che gentilmente ma con decisione mise l'uomo alla porta. «Sei stata brava», le disse Pascoe. «Lo so», replicò Ellie. Per un po' non parlarono. Erano rimasti nel bosco fino a quando uno degli uomini di Backhouse, armato di una torcia, era entrato nel grande tubo di scarico. Quando le sue grida, un misto di sorpresa e orrore, li avevano raggiunti, si erano allontanati e si erano fatti riaccompagnare al villaggio. «Come l'hai capito?», chiese infine Ellie. «Ho cominciato a pensare. C'erano molte cose, un mucchio di 'se'. Se Colin non si era suicidato, allora qualcuno voleva farci pensare che l'aveva fatto. Se qualcuno voleva che lo pensassimo, allora presumibilmente era per distogliere i sospetti dal vero assassino. Se si erano presi la briga di mollare nella cava la macchina e il biglietto, allora Colin doveva essere morto. Se Colin era morto, allora il suo corpo doveva essere nascosto da qualche parte. E così via. Oggi quando hai detto che quelle citazioni provenivano da Eloisa ad Abelardo ho avuto improvvisamente la certezza. Era uno degli scherzi di Colin. O piuttosto, avrebbe dovuto esserlo. Non hai visto la stanza da letto, vero?». «No», disse Ellie. Pascoe gliela descrisse brevemente, la decorazione sul cuscino, la firma. «Voleva aggiungere qualcos'altro e, con la sua passione per la pertinenza, ha preso la poesia di Pope. Ho trovato nello scrittoio l'opera completa di Pope. Tutti i versi che compaiono nel presunto biglietto di suicidio erano stati sottolineati. Senti che roba: Dolce rapporto. Io vengo, vengo! Meglio potrà ritrarli chi meglio li sentirà. Nessuna esplosione di disperazione, ma deliziosi doppi sensi! Probabilmente li avevano scelti insieme, Rose e Colin; anche Timmy e Carlo. Ma non ha mai fatto nient'altro che segnare qualche verso». «Perché?».
«Oh, niente di drammatico. Forse era ora di cena. O forse si erano ubriacati. Roba del genere. Più tardi, naturalmente, è successo quello che è successo». Pascoe si accorse che Ellie stava tremando. Si alzò impacciato per qualche secondo, poi si avvicinò e la abbracciò. «Perché Peter?», chiese Ellie. «Perché?». «Forse Pelman ce lo dirà», rispose Pascoe. «Avresti potuto morire anche tu», disse Ellie. «Forse. Ma dovevo seguire quel ruscello. Continuava a venirmi in mente quel tizio, Bell, che parlava sempre dell'acqua, a proposito di qualcosa che inquinava il torrente. Aveva detto una cosa sul fatto che l'acqua era improvvisamente peggiorata negli ultimi giorni. E io ho pensato al caldo e al tempo che ci vuole per... be', insomma, mi si è fissato in testa e dovevo andare a vedere». Si mise a ridere a disagio, una risata priva di allegria. «Sai, in un certo senso sono contento di essere stato interrotto prima di riuscire a raggiungere il canale di scolo». «Io sono contenta che Pelman sia stato interrotto prima di raggiungere te», disse Ellie. «Dopo l'inchiesta Backhouse ha chiesto dov'eri andato e sembrava che avesse fretta di vederti. Deve aver sospettato qualcosa». «A proposito, cos'è successo all'inchiesta?» chiese Pascoe. «Come?», disse Ellie. «Ah, già, tu non hai sentito. Hanno emesso un verdetto di omicidio contro Colin». Più tardi, Pascoe stava guardando il viso devastato dall'acqua di Colin Hopkins. Stranamente non provava quasi nessuna emozione, come se gli eventi del giorno fossero stati catartici. «Sì», rispose alla domanda di Backhouse. «Sì, posso identificarlo. È Colin Hopkins». «Bene», disse Backhouse, e il lenzuolo tornò a coprire il viso. «Questo fa apparire French un tantino sciocco» disse Pascoe mentre lasciavano l'obitorio. Avvertiva la necessità di rafforzare la sua sensazione di normalità con qualche chiacchiera oziosa. Qualcosa era finito. Il suo interesse ora sarebbe stato nuovamente professionale. E distante. Era pronto a tornare a casa. «Sì», disse Backhouse. Era molto riservato, troppo persino per un tipo come lui. Pascoe sentiva che l'uomo avrebbe voluto dire qualcosa, ma era altrettanto certo che non avrebbe aperto bocca.
Forse vuole ringraziarmi per il mio aiuto, pensò. Ma sapeva che non si trattava di quello. E si chiese ancora una volta per quale motivo l'uomo non stava interrogando Pelman. «Mi terrà informato signore?», chiese. «Naturalmente. Tuttavia si ricordi che lei è solo un testimone, d'accordo, ispettore? Congratulazioni per la promozione, a proposito». «Grazie». «Ora andiamo alla stazione di polizia perché lei possa firmare la deposizione. Torna subito nello Yorkshire?». «Sì, anche la signorina Soper. Viaggiamo in carovana. A meno che lei non voglia che rimanga per qualche motivo». «No, penso non sia necessario». Tornarono indietro attraverso le strade piene di traffico, un forte contrasto con la quiete dei dintorni di Thornton Lacey. Ellie attendeva nell'ufficio di Backhouse. Un agente comparve con la deposizione battuta a macchina, la porse al superiore e gli mormorò qualcosa all'orecchio. Il sovrintendente lasciò la stanza mentre Pascoe dava una rapida occhiata alla deposizione e la firmava. «Pronta, amore?», le chiese. «Pronta», rispose Ellie. Pascoe la prese per mano. Uscendo incontrarono Backhouse, che aveva l'aria preoccupata. «Arrivederci signore», disse Pascoe. «Noi andiamo». «Ispettore», disse Backhouse, «ho paura di doverle dare una notizia strana e sgradevole. Sto cercando di verificare l'informazione che è arrivata all'orecchio di uno dei miei agenti. Conosce un uomo di nome BurneJones?». «Di nome», rispose Pascoe. «Ecco, il signor Dalziel è stato arrestato per averlo aggredito. Gli ha rotto la mascella!». «Povero Dalziel», commentò Ellie mentre raggiungevano il parcheggio. «Pensi che sia andato fuori di testa? A proposito, Peter...». «Sì?». «Mi sono ricordata una cosa. È stata sommersa da tutto quello che è successo in questi giorni e probabilmente è una sciocchezza. Tu hai detto qualcosa a proposito di un diabetico? Bene, Etherege, quando si è avvicinato quella sera al Jockey, aveva in mano una bottiglietta di acqua tonica per diabetici. Potrebbe essere importante?». Pascoe si fermò e tornò alla stazione di polizia.
«Potrebbe», disse. «Sarà meglio che dica agli agenti di passare la voce. La prudenza non è mai troppa!». 6 La prima persona che Pascoe incontrò sulla via del ritorno fu l'ispettore Headingley, che rise di gusto alle sue domande ansiose. «No, non è in cella. È al piano di sopra. Sarà contento di vederla. Abbiamo ricevuto il suo messaggio su Etherege. Dalziel le è stato davvero grato!». Pascoe trovò il ciccione nel suo ufficio che guardava una coppia di agenti intenti a levare da alcune scatole di cartone oggetti che puzzavano di pesce. «Bentornato», disse Dalziel. «Un po' in ritardo, non crede?». «Sono accadute parecchie cose». «Anche qui. Se lei avesse avuto una delle sue visioni interiori un po' prima, avrebbe potuto risparmiare grandi dolori». Per un momento Pascoe pensò che Dalziel si stesse riferendo, con un moto di solidarietà, a Burne-Jones. Poi però sollevò la mano destra fasciata. «Mi sono rotto il dannato pollice», disse. «E ho scoperto tutto su Etherege nel peggiore dei modi». «È il nostro uomo?». «Certamente. Mi ha ficcato un merdoso ago di siringa nella mano per provarmelo. E quello è stato il suo errore. Evidentemente una dose di insulina può rendere un nondiabetico irritabile fino a fargli perdere la testa. Soprattutto se è a stomaco vuoto. Io sono a dir poco sull'orlo del collasso. E muoio di fame da giorni. Così quando Burne-Jones mi ha afferrato la spalla, l'ho colpito». «È ferito?». «Niente di grave. Una mascella rotta. È stato davvero divertente». Il ciccione rise di gusto al ricordo, mentre si strofinava contro il bordo di una scrivania per grattarsi una natica ballonzolante. «C'era una coppia di anziani. Hanno chiamato la polizia e l'ambulanza. È comparso un piccolo agente moccioso. Non mi conosceva e io ero tutt'altro che in condizioni normali! Così il deficiente mi ha arrestato! Le cose si sono chiarite quando quel ciarlatano di un medico mi ha dato un'occhiata e ha ascoltato quello che era successo. Potrebbe esserci un'inchiesta, ma so-
pravviverò». «Ne sono certo», disse Pascoe guardando con interesse l'assortimento di oggetti che gli agenti stavano estraendo dalle scatole puzzolenti. Ne riconobbe alcuni, anche se li vedeva per la prima volta. «Allora ha trovato parte del bottino?», chiese. «Nel negozio di Etherege?». «Ma neanche per sogno! Non è mica scemo, quello. No, abbiamo avuto un colpo di fortuna. Anche Burne-Jones era nell'affare. Non attivamente, sostiene, ma ce ne accerteremo. In ogni modo, il mio gancio destro lo ha ammorbidito parecchio e quando ha saputo che il suo socio si era beccato un'accusa per omicidio mentre lui era in vacanza, è stata solo la mascella fratturata a impedirgli di starnazzare come un'oca! E sa un'altra cosa? Si ricorda della mia idea a proposito della pensione per cani?». Improvvisamente tutto acquistò un senso nella testa di Pascoe. Annusò l'odore di pesce e annuì. «Jim Jones, l'uomo del cibo per i gatti!», disse. «Chi è? Suo fratello?». «Cugino» disse Dalziel indispettito. «Sta diventando una cattiva abitudine, questo fare il saputello dopo che le cose sono successe. Comunque ha ragione. Burne-Jones in realtà è semplicemente Jones. Jim Jones distribuisce il cibo ad almeno una dozzina di canili. Un mucchio di occasioni per vedere la lista dei cani presenti. Credo che la maggior parte di quei poveri imbecilli mettano sulle cucce dei maledetti cani una placca con il nome e l'indirizzo del proprietario. Lui passava i nomi. Suo cugino ed Etherege sceglievano quelli che parevano interessanti. Facile». «E per quanto riguarda lo smercio?», chiese Pascoe. «Etherege e Burne-Jones probabilmente ne vendevano un po' per conto proprio o attraverso normali canali commerciali. Ma sospettiamo che la roba che contava davvero fosse smerciata da una terza persona. Su questa questione Burne-Jones ha tenuto il becco chiuso. Credo che si fosse pentito di aver parlato tanto e la mascella cominciava a fargli male. Però ha detto abbastanza. Jones-carne-per-gatti sostiene di non sapere nulla su questo fantomatico terzo personaggio, tranne il fatto che esiste. Mi sembra un intermediario che conosce compratori interessati a un certo tipo di merce e non troppo curiosi. A un certo segnale di Etherege lui arriva e rovista nell'ultimo carico». «Qualche possibilità di mettere le mani su di lui?», chiese Pascoe, guardando tristemente il piccolo schieramento di oggetti rubati dalla casa di Sturgeon. Non c'era molto che valesse davvero. E non c'era traccia della
cosa più preziosa, l'album di francobolli del vecchio. «Una c'è, credo», disse Dalziel allegramente. Prese un'agendina dalla scrivania. «Come lei aveva ipotizzato, nel negozio di Etherege non c'erano oggetti molto preziosi, ma abbiamo trovato questa. La sua agenda. Niente di incriminante, però guardi qui». Puntò l'indice sulla pagina dell'8 febbraio. Nell'agenda c'erano solo orari. Ore 11. Continuò a girare le pagine. 1° marzo, ore 18; 23 marzo ore 13; 20 aprile ore 9.30. «E va avanti così», disse. «E allora?», chiese Pascoe. «E allora tutte queste date cadono nel periodo durante il quale sono avvenuti i furti. Nel caso dei due di cui conosciamo la data precisa, queste date ricompaiono nell'agenda tre giorni dopo. Ora, io credo che questi siano appuntamenti con il ricettatore, uno che faceva sparire gli oggetti più preziosi e identificabili. Furbo, non c'è che dire. Generalmente la roba veniva fatta sparire prima che i proprietari di casa tornassero dalle vacanze e che scoprissero di essere stati derubati. Nessun rischio!». «Capisco», disse Pascoe pensieroso. «La casa di Lewis è stata svaligiata lo scorso lunedì, il che significherebbe che uno scambio dovrebbe essere avvenuto il mercoledì o il giovedì successivo». «Ben detto!», disse Dalziel con aria condiscendente. «Un appuntamento per mercoledì era stato cancellato. Guardi, sembra che fosse stato spostato a stamattina, però è stato cancellato di nuovo». «Evidentemente hanno avuto un contrattempo. Forse è stato un bene, signore. Anche con l'insulina, sarebbe stata dura per lei affrontare tre persone». «Molto divertente», disse Dalziel. «Domani mattina sarò da solo, comunque. E ce ne sarà uno soltanto». «Prego?», disse Pascoe. Poi cominciò a capire. «Intende dire...». «Esattamente, ispettore. Domattina alle dieci. Vuole venire con me?». «Mi scusi, signore», disse uno degli agenti. «Che c'è, Ferguson?». Il giovane agente indicò il gruppo di oggetti più numeroso. «Questo lotto sembra provenire dalla casa di Lewis, signore. C'è quasi tutto. Non hanno avuto il tempo di smistare la merce». Dalziel scoccò a Pascoe la sua finta occhiata di orgoglio ferito. «Il futuro è salvo ispettore!», disse.
Pascoe rimase imperturbabile. Prese una scatola di cedro intagliato di foggia orientale. «Ci sono delle carte qui dentro, signore. Sembrano interessanti». Lo erano. Matthew Lewis aveva sentito la necessità di tenere un registro finanziario dettagliato delle sue transazioni scozzesi. Era tutto scritto in quelle carte. L'ammontare pagato dal misterioso Archie Selkirk per l'appezzamento di Callender, la somma (più di venti volte maggiore) pagata da Sturgeon per lo stesso terreno, dettagli delle parcelle dell'avvocato, albergo e altre spese contrassegnate con A («Atkinson», disse Dalziel) e, ancor più interessante, spese che indicavano l'utile lordo contrassegnate con una C. «Bene. Questo potrebbe essere utile ai ragazzi della sezione frodi», disse Dalziel sfregandosi le mani. «Certamente farà una bella figura in tribunale». «Tribunale?», disse Pascoe confuso. «Certo. Quando Sturgeon citerà in giudizio la proprietà di Lewis, come presumo abbia intenzione di fare. Prima c'era ben poco a cui attaccarsi, se ben ricorda». «Potrebbe significare anche qualcos'altro», disse Pascoe puntando il dito sulla C. Dalziel si strinse nelle spalle. «Ne dubito. Non c'è un cavolo di niente in un nome e c'è un cavolo di tutto in un'iniziale. No. Se Cowley era coinvolto in qualche affare, ci vuole molto più di questo per trascinarlo in tribunale. C'è stata una verifica a tappeto e non c'è niente che dimostri che si è intascato quarantamila sterline. Comunque, qual era il suo ruolo del cazzo? Non ce lo vedo Lewis che lo tira dentro l'affare per amore». Pascoe non si decideva a mollare. Studiò di nuovo i documenti. «C'è qualcos'altro qui», disse. «O forse qualcosa che manca. Guardi, signore. Le spese contrassegnate con C. Giusto? Che cosa manca?». «Le spese di Selkirk», interruppe Ferguson vivacemente. «Il che potrebbe significare che C e Selkirk sono la stessa persona». «E io che pensavo che fosse lei quello intelligente, giovane e terribile», disse Dalziel a Pascoe. «Molto bene. Ma si rende conto che questo esclude del tutto Cowley?». «Perché, signore?», chiese Ferguson. Pascoe non aveva bisogno di chiedere. E fu lui a rispondere. «Perché non solo Cowley nega recisamente di essersi anche solo avvicinato a Lochart, ma per quel fine settimana in cui Sturgeon ha incontrato
Selkirk ha un ottimo alibi». «E non corrisponde alla descrizione fisica fatta da Sturgeon», disse Dalziel. «Tuttavia, non gli abbiamo mai mostrato una fotografia di Cowley, vero? Non è stata pubblicata sull'Evening News al tempo della morte di Lewis? Ferguson, vai a vedere se riesci a trovarne una copia. Sturgeon se n'è già andato da Doncaster?». «Sì, oggi hanno deciso che poteva essere trasferito al General», disse Dalziel. «Bene, allora andiamo a trovarlo». «Andiamo?», chiese Dalziel. «Suppongo di sì. Sa una cosa? Quell'iniezione di insulina deve avermi fatto bene. Prima avevo sempre questa fissazione di essere un sovrintendente e di avere autorità su tutti. Strano, non le pare?». Lasciò la stanza scuotendo la grossa testa taurina. «Cos'hai tu da sogghignare?», chiese Pascoe a Ferguson. «Va' a cercare quel giornale, e fai in fretta!». Sturgeon, una volta accettata l'idea di guarire, lo stava facendo in fretta. Era seduto sul letto, circondato da frutta e mazzi di fiori, e il suo colorito cominciava ad assumere un aspetto sano. Li salutò con calore, come vecchi amici. «Va tutto bene. Anche per Mavis. Questo è quello che conta», disse quando si furono seduti, Dalziel in poltrona e Pascoe sul bordo del letto. «Le abbiamo portato qualcosa anche noi», disse Pascoe. Cominciò a tirar fuori il contenuto della scatola che aveva con sé. «Sì, questo è mio. Anche quello. E quello... È tutto nostro. E i francobolli?». «Mi dispiace» disse Pascoe con gentilezza. «Niente francobolli». «No? Be', immagino che se ne siano liberati presto perché valevano qualcosa vero? Non si preoccupi. Questo significa che è stato lui?». «Noi pensiamo di sì, signor Sturgeon. Ora vorremmo che lei guardasse attentamente questa fotografia». Pascoe tirò fuori una busta e ne estrasse un trafiletto di giornale, che gli porse. «No», disse Sturgeon. «Mi è solo vagamente familiare. Come se l'avessi incontrato per strada, o qualcosa del genere». «Provi adesso», disse Pascoe. Prese una penna e disegnò gli occhiali e
due baffi che Sturgeon aveva citato nella descrizione di Selkirk. Sturgeon guardò la foto, perplesso. «È il suo hobby», spiegò cortesemente Dalziel. «Ha l'aspetto di Selkirk adesso?», chiese Pascoe disperato. Dalziel grugnì alla domanda tendenziosa. «Sì, un po'», disse Sturgeon con cautela. «Ma se facesse la stessa cosa con una sua foto, credo che anche lei gli somiglierebbe!». Nell'ascensore dell'ospedale, Dalziel guardò Pascoe con attenzione. «È stato colpito alla testa due volte», dichiarò, accennando per la prima volta ai due cerotti che adornavano la testa di Pascoe. Il neoispettore cominciò a raccontare al sovrintendente che cosa era accaduto, ma Dalziel lo interruppe. «Ho telefonato a Backhouse dopo il suo interessante messaggio a proposito delle abitudini alcoliche di Etherege. Sembrava seccato che non mi avessero rinchiuso nella Torre di Londra, ma mi ha spifferato tutto sulla sua giornata». Pascoe per un momento si commosse alla sollecitudine del ciccione. «Se fossi stato Backhouse, le avrei torto il collo», continuò Dalziel. «Pensa che questo tizio, Pelman, sia il suo uomo?». «Potrebbe essere», disse Pascoe, che non voleva apparire troppo sicuro di sé. «Sì. Nemmeno Backhouse sembrava troppo contento», disse Dalziel, sorprendendo Pascoe. «Comunque, ha avuto una giornata dura. Adesso non cominci a prendere scorciatoie stiracchiando ogni indizio per farlo combaciare con le sue teorie. Dimentichi Cowley e vada a letto presto». «Penso che potrei farlo», acconsentì Pascoe. «Lo deve fare. Ha bisogno di riposo, sergente. Scusi, ispettore. Ora che è stato promosso suppongo che dovrei chiamarla per nome. Cosa può fare un avanzamento, eh?». Erano arrivati alle rispettive automobili. Nel parcheggio Dalziel gli diede una pacca sulla spalla. «Se ne vada a casa, adesso», disse. «Dritto a letto. Buona notte, Paul». Dalziel si allontanò a grandi passi. «Mi chiamo Peter», gli gridò dietro Pascoe, ma immaginò che Dalziel non lo avesse sentito. I suoi progetti per una serata tranquilla non ebbero vita lunga. Quando entrò nel suo appartamento il telefono stava squillando. Era Ellie, che stava reagendo in maniera molto diversa da lui ai convulsi avvenimenti del
giorno. «Peter, se la tua testa se la sente, mi piacerebbe andare in qualche posto carino, vivace e rumoroso, e mangiare una cena faraonica con un po' di musica». «Sembra roba da Dick Turpin», disse Pascoe, riferendosi al locale notturno più grande e alla moda tra quelli che erano spuntati come funghi in città cinque o sei anni prima, da quando i gusti sofisticati cominciavano a penetrare anche nel nord del paese. «Potrebbe andare», disse Ellie. «Mi piacerebbe sbronzarmi». Il Dick Turpin era affollato anche nei primi giorni della settimana e furono fortunati a trovare un tavolo. Una band di cinque elementi suonava i suoi pezzi originali insieme ai brani più in voga al momento, e la piccola pista da ballo era già affollata di corpi che si contorcevano. «Balliamo», disse Ellie mentre aspettavano il cocktail di scampi che avevano ordinato. «Questo è un lato della tua personalità che furbescamente mi hai tenuto nascosto», disse Pascoe, mentre la seguiva riluttante fino al bordo della pista. Per fortuna dopo un paio di minuti i musicisti si placarono, o forse si erano semplicemente stancati, e il ritmo rallentò fino a diventare una musica da ballo lenta e romantica. Ellie si strinse a Pascoe così forte che lui la trasportava letteralmente per la pista. «Che succede ora, amore?», gli chiese improvvisamente. «In che senso?». «Non è ancora finita, vero? Sai, tornando a casa in macchina da Thornton Lacey, ho quasi immaginato che tutto fosse finito. Ma ora capisco che non ci siamo nemmeno vicini. Intendo dire, ogni cosa è ancora lì: l'indagine, il processo, l'appello; semplicemente segue il suo corso. È solo nei romanzi che tutto finisce quando si arresta l'assassino». Ed è solo nei romanzi che si può avere la certezza di averlo preso, pensò Pascoe, ma non lo disse. «Non me li scorderò mai», proseguì Ellie. «Un momento prima erano là, quel venerdì, tutti e quattro. Contenti, un po' sbronzi, certamente vicini uno all'altro. Poi bang! E tutto è finito». «Ci sediamo, tesoro?», chiese Pascoe. «No, mi piace stare qui. Sto bene, davvero, Peter», gli disse, scostandosi un po' da lui. «Mi ha fatto capire quanto ho bisogno dell'illusione della stabilità. Sposiamoci. Oppure andiamo a vivere insieme. Non mi interessa
quale delle due, solo immagino che essere sposati aumenti il numero degli amici e faccia una buona impressione nel tuo lavoro. Che ne dici?». La band aveva riacquistato vigore. Senza alcun avvertimento, era esplosa in una nuova baraonda di suoni e Pascoe difficilmente avrebbe potuto dare una risposta udibile. Del resto non fece nessuno sforzo in quel senso. La sua attenzione era completamente concentrata sull'angolo più lontano della pista da ballo. In quel punto, il viso contratto dallo sforzo, gli occhi luccicanti, la bocca atteggiata a un sorriso, il corpo che si muoveva avanti e indietro come una scimmia in fregola, c'era James Cowley. Ma fu la sua accompagnatrice a colpire l'attenzione di Pascoe: capelli rossi e lunghi, grande bocca sensuale e abito attillato che copriva appena il seno che si muoveva nel vortice della danza. Il primo pensiero di Pascoe fu che la rossa corrispondeva perfettamente alla descrizione della donna che ogni tanto accompagnava Lewis a Lochart. Il secondo pensiero fu che questa non era l'unica ragione che gliela rendeva familiare. E il terzo pensiero che fece scendere la pioggia di monetine nel suo cervello sbalordito era che dietro i folti capelli, il trucco e il vestito attillato c'era la discreta e timida segretaria del socio dell'azienda o, per dirla ancora meglio, la metà dell'alibi scozzese di Cowley, Marjory Clayton. Pascoe agì con notevole astuzia, il che gli avrebbe procurato la successiva approvazione di Dalziel, ma provocò il presente disappunto di Ellie. La scortò velocemente al loro tavolo, raccattò le loro cose e la trascinò via, non senza proteste, dagli scampi in arrivo. «C'è qualcuno che non voglio incontrare», le spiegò. «Perché? Ma chi è? Pensavo che i criminali si nascondessero dalla legge, non il contrario. E la mia cena?». «Andremo da qualche altra parte. E la risposta è sì». «Non voglio andare da nessun altra parte. Quale risposta?». «Alla tua domanda. Dove andiamo ora?». «Ah, be', in tal caso non ho più fame». Due ore dopo mangiavano pesce e patate fritte in macchina. Marjory Clayton, tornata al suo aspetto di brutto anatroccolo, venne prelevata il mattino successivo mentre si recava al lavoro. Era più che contenta di seguirli alla stazione di polizia per aiutare nell'inchiesta per la morte del povero signor Lewis, ma non poteva almeno avvertire il signor Cowley
che sarebbe arrivata tardi? Parte del calore del suo sorriso svanì quando le assicurarono che il signor Cowley sarebbe stato troppo occupato per notare la sua assenza. E il sorriso scomparve del tutto quando Dalziel, che aveva stampata in faccia la sua espressione più seria, la salutò sbattendo un taccuino sulla scrivania davanti a lei e tuonò: «Bene! Cerchiamo di essere veloci! Voglio i dettagli dell'accordo col quale avete fregato quarantamila sterline a Sturgeon. Ogni secondo che perde potrebbe significare un mese in più di reclusione». Occorsero due tentativi per farle scrivere tutto in maniera decifrabile. Pascoe ebbe vita più dura con Cowley, che rifiutava di lasciare il suo ufficio e divenne quasi subito piuttosto irascibile. Alla fine prese il telefono e cominciò a formare un numero. Un avvocato? si chiese Pascoe. Ma aveva torto. «Ne ho le tasche piene di queste seccature e intendo parlare col suo superiore», scattò Cowley. «Dalziel», disse Pascoe. «Cosa?». «Il signor Dalziel», ripeté Pascoe, e si sedette con aria imperturbabile mentre Cowley cominciava a snocciolare a gran velocità una ben poco elegante serie di proteste. Finalmente l'elenco ebbe termine e con un'aria di trionfo Cowley passò il telefono a Pascoe. «Le vuole parlare». «Pascoe? Ascolti, la ragazza sta cantando talmente in fretta da mettere alla prova l'abilità di stenografo di Ferguson. La sostanza è che lei aveva una relazione con Lewis e non sapeva che lui stava facendo qualcosa di disonesto. Ah ah! Era contenta di fargli un favore versando i soldi in banca, su un piccolo conto che aveva aperto a Leeds. Nega di conoscere un qualsiasi documento Cowley-Selkirk, ma sta mentendo. Riconosce che nel mese di maggio i due avrebbero potuto aver chiuso i conti con una settimana d'anticipo. Sostiene che potrebbe essersi confusa tra il bank holiday di primavera e quello di Pentecoste! Abbiamo fatto due chiacchiere con la ragazza Collinwood, che conferma. È così scema che confermerebbe qualsiasi cosa! Porti dentro Cowley, le spiace? Gli metta paura, se preferisce. Poi lo faccia star zitto finché arrivo io». «Signore?». «Ho un appuntamento con il galoppino di Etherege, ricorda? Mi spiace che se lo debba perdere. Torno alle undici. Ciao».
Pascoe riattaccò la cornetta tranquillamente. «Bene», disse Cowley, «mi spiace averlo dovuto fare, ma lei deve imparare a...». Pascoe lo ignorò e si alzò. «James Cowley, lei può restare in silenzio, ma la devo avvertire che qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lei. Ora le sarei grato se mi seguisse alla stazione di polizia, dove credo ci possa aiutare nella nostra inchiesta». «Questo è oltraggioso», disse Cowley. Ma non sembrava molto convinto. Dalziel non tornò fino alle undici e mezza e non era dell'umore migliore. «Non ha avuto fortuna?», chiese Pascoe. «No. Non una dannatissima anima si è avvicinata al negozio per tutta la mattina. Dev'essere girata la voce». «E se non si trattasse del negozio? Noi abbiamo solo un'annotazione di ora e non di luogo». «Sì, ci ho pensato anch'io. Ma il meglio che potessi fare era mettere sotto sorveglianza il magazzino di Jones-carne-per-gatti. Niente. E avevo mandato un paio di ragazzi a controllare chiunque si fermasse a Birkham tra le dieci e le undici. Ne sono arrivati solo tre e solo per una tazza di caffè. Uno di loro era addirittura un pastore metodista!». Dalziel tirò fuori un foglio di carta, come se fosse la prova dell'esistenza di una creatura tanto straordinaria. Pascoe gettò un'occhiata distratta al foglio, poi cominciò a osservarlo con maggiore interesse. «Che c'è?», chiese Dalziel. «Chi ha parlato con queste persone?». «Ferguson o Dove. Perché?». «A quest'ora saranno in mensa, suppongo. Mi scusi, signore». «Sì» disse Ferguson. Per la precisione è lui che ha parlato con me». «Che cosa intendi dire?». «Stavo tenendo d'occhio chiunque girasse intorno al negozio quando una macchina si è fermata. Il tizio ha abbassato il finestrino e ha guardato fuori. Io mi sono avvicinato e lui mi ha chiesto se c'era un posto nelle vicinanze dove si poteva bere un caffè». «E poi?». «Gli ho detto che ero un agente di polizia e ho finto di voler controllare
la sua macchina. Lui sapeva il numero di registrazione, patente e assicurazione erano a posto. Mi sono scusato e l'ho lasciato andare». «A che distanza era dal negozio quando si è fermato?». «Trenta, quaranta metri. Dalla parte opposta della strada». Pascoe tornò nell'ufficio di Dalziel, che era rimasto vuoto, e prese il telefono. Ci volle qualche minuto per ottenere la linea. «Ellie?», disse. «Peter. Mi hai interrotto durante una lezione. Che succede?». «Non sentiranno la tua mancanza. Ascolta amore, Anton Davenant si è messo in contatto con te oggi?». «No. Perché avrebbe dovuto farlo?». «Nessuna ragione in particolare, ma puoi controllare? Guarda se ha lasciato un messaggio o qualcosa del genere». «Resta in linea». Dalziel tornò in ufficio, sfregandosi allegramente le mani. «Ho appena dato un'occhiata a Cowley. Solo un'occhiata accusatrice. È un fascio di nervi. Lo schiacceremo come una noce». «Sì, signore», disse Pascoe. «Pronto, amore». «Pronto», disse Ellie. «Non c'è nessun messaggio. Che sta succedendo?». «Te lo dirò più tardi». «Più tardi non avrai tempo. Sarai troppo impegnato a comperarmi un grosso e volgarissimo anello». «A presto». «Le ha detto qualcosa a proposito di un anello?», chiese Dalziel mentre Pascoe riattaccava. Pascoe non rispose, ma fissava pensieroso il telefono come se dovesse memorizzare il numero. «Gesù Cristo!», esclamò Dalziel. «Sono diventato invisibile?». «Mi scusi signore. È che uno di questi uomini comparsi a Birkham era Anton Davenant, che in qualche modo è legato con la faccenda di Thornton Lacey». Rapidamente spiegò a Dalziel chi era Davenant. «E allora?», disse Dalziel. «Mercoledì scorso, quando era stato annotato da Etherege il primo appuntamento dopo-Lewis, Davenant era da quelle parti. Ellie lo aveva incontrato per caso e lui le aveva detto che stava proprio andando a trovarla. Ma era tutto piuttosto vago».
«Interessante», disse Dalziel. «E c'era un appuntamento cancellato per ieri». «E ieri», aggiunse Pascoe, «Davenant era presente all'inchiesta a Thornton Lacey». «Non male», approvò Dalziel. «Ancora una coincidenza e compro tutta la partita. Va in giro parecchio l'amico, eh?». «Sì. Fa parte del suo lavoro. Aspetti», disse Pascoe. «Forse riesco a procurarle l'ultima coincidenza». Riprese in mano il telefono e dopo averci riflettuto un momento chiamò la biblioteca locale. «Bravo ragazzo», disse Dalziel quando Pascoe ebbe finito. «Adesso compro tutto». E io vendo, pensò Pascoe. La bibliotecaria non aveva abbastanza spazio per archiviare tutti i supplementi domenicali a colori, ma ne aveva tenuto uno perché era di interesse locale. L'articolo dell'Observer sul villaggio di Birkham in generale e sul negozio di Etherege in particolare, pubblicato l'autunno precedente con sfarzose foto a colori, portava la firma di Anton Davenant. 7 Fu una giornata impegnativa e Pascoe ebbe poche occasioni per riflettere sul suo futuro con Ellie, sebbene di tanto in tanto la superficie dei suoi pensieri fosse mossa da correnti sotterranee di piacere e disagio allo stesso tempo. Pascoe fece ordine nei suoi sentimenti per giungere all'inquietante consapevolezza di essere un uomo molto solitario. Ma non riusciva a decidere se questa fosse una ragione per sposarsi o, al contrario, per rimanere scapolo. Tra l'abitudine alla vita solitaria e il sentirsi soli il confine era molto sottile, e questo lo spaventava. Pascoe credeva di ravvisare caratteristiche simili in Ellie, ma se questi aspetti comuni della loro personalità fossero una base positiva per un buon matrimonio non riusciva a deciderlo. Allo stesso tempo, non riusciva neppure lontanamente a concepire una vita senza Ellie. Che è una buona definizione di amore, quant'è vero che sono un poliziotto, si disse Pascoe. Le ragioni per sposarsi sono varie e imprevedibili quanto le ragioni che spingono a un omicidio. Suonava un po' come il tipo di magra consolazione che senza dubbio avrebbe potuto offrirgli Dalziel! Cercò di riportare i suoi pensieri sull'indagine. Era soprattutto questione
di ascoltare in un momento in cui tutti sembravano avere una gran voglia di parlare. Etherege era sveglio e si sentiva meglio. Appena ricevuta la notizia, Dalziel spedì Pascoe all'ospedale per interrogarlo. «Dubito che parlerebbe con me», fu il suo commento. L'antiquario ammise allegramente i dodici furti che gli erano stati affibbiati. L'unico rammarico che espresse era che il suo piano non aveva funzionato fino in fondo. Aveva organizzato la 'visita' nel modo consueto all'inizio della settimana, ma i proprietari avevano cambiato idea ed erano rimasti a casa. Emerse poi che Matthew Lewis era stato un suo cliente e aveva avuto la sfortuna di menzionare il fatto che non ci sarebbe stato nessuno a casa quella settimana per poter andare a ritirare il tavolo che Etherege gli stava restaurando. «In condizioni normali non mi sarei mai sognato di derubare un cliente», dichiarò Etherege con aria virtuosa, «ma, sfumato l'altro affare, sembrava un peccato perdere tutto. Il diavolo trova il lavoro giusto per le mani giuste, non le pare?». «Capisco. È per questo che l'ha ucciso?», chiese Pascoe. «Perché l'aveva riconosciuta?». «Impossibile!», esclamò l'antiquario. «Portavo una calza di nylon sulla faccia. Gli ho semplicemente dato un colpo in testa per difendermi quando lui mi ha aggredito. Un semplice incidente, glielo assicuro». Pascoe non credeva una sola parola, ma non era compito suo decidere sulla natura dell'accusa che sarebbe stata contestata a Etherege. «Che cosa ha detto Davenant quando ha saputo che lei aveva ucciso un uomo?», gli chiese in tono casuale. «Non penserà che sia andato in giro a dirlo a tutti quanti!», protestò Etherege. «Oddio, era una trappola o lei già sapeva di Anton?». «Lo sapevamo», asserì Pascoe. «Come ha fatto ad avvertirlo?». «Avevamo un sistema. Io esponevo nella vetrina laterale un orribile quadretto familiare vittoriano se si poteva concludere un affare. Piuttosto ingegnoso». «Che cosa è successo mercoledì scorso?». «Oh, non ho potuto organizzare l'incontro, non con la faccenda di Lewis ancora così fresca in testa e il mio partner che non era lì a tranquillizzarmi. Ero terribilmente preoccupato per ciò che era accaduto, capisce? Anton più tardi aveva telefonato e fissato un appuntamento per ieri, ma l'ha cancellato e al suo posto è arrivato quel terribile ciccione. Ehi, non è stato Dave-
nant a mettervi sulle mie tracce vero?». «Non siamo autorizzati a divulgare la fonte delle nostre informazioni», disse Pascoe gravemente. Etherege annuì come se i suoi sospetti fossero stati confermati e quando Pascoe se ne andò, dieci minuti dopo, aveva in tasca una lista dettagliata di tutti gli oggetti che Davenant aveva ricevuto da Etherege. Dalziel, tornato in ufficio, non stava invece ottenendo i risultati che si era aspettato con Cowley e la Clayton. Come Etherege, i due stavano cercando di mantenersi in bilico tra la confessione di ciò che era impossibile negare e la negazione di ciò che avrebbe aggravato la loro colpevolezza. Cowley cominciò negando recisamente di essere a conoscenza delle attività del suo socio, ma quando si trovò davanti le dichiarazioni della ragazza cambiò rapidamente le carte in tavola e affermò invece che la sua complicità era consistita solo nel silenzio. Dalziel continuò a spremerlo fino a fargli ammettere anche l'ultima informazione utile sulla faccenda, poi lo accusò di essere Archie Selkirk e si produsse in una rauca risata quando Cowley negò. «Nostri agenti stanno passando al setaccio il cottage di Lewis in cerca delle impronte digitali», disse. «Troveranno anche le sue. Non avrà potuto sempre indossare i guanti!». Cowley rifletté per un momento. «Sì, è ovvio», disse, «sono stato al cottage, quindi ci saranno sicuramente le mie impronte». «Aveva detto che non si era mai avvicinato alla casa». «Davvero? Mi dispiace, me n'ero dimenticato». «Suppongo che mentre si trovava là, potrebbe inavvertitamente aver maneggiato i documenti che riguardavano il trasferimento di proprietà da Selkirk a Sturgeon, giusto?». «È probabile. Lewis mi ha mostrato dei documenti, ma li ho scorsi solo velocemente. Non volevo essere coinvolto». «Che uomo accorto», disse Dalziel. «Mi dica, la signora Lewis sapeva della frode?». «Probabilmente si era accorta che stava succedendo qualcosa. Questioni d'affari. Nient'altro». «Esattamente come lei». «Esattamente». «Parliamo della ragazza. Perché dovrebbe muoverle tutte queste accuse?».
«Per coprire se stessa, è ovvio. Non sarete mica così tonti da crederle... In ogni modo, la ragazza dice che mi sono spacciato per quel tizio, come ha detto che si chiama, Selkirk?». Ovviamente la ragazza non aveva fatto niente del genere. Nonostante la sua ovvia paura, o forse proprio a causa di quella, era ancora in grado di capire che ammettere di essere in possesso di alcuni documenti avrebbe potuto aggravare la sua incriminazione. Però aveva fornito loro nuovi elementi sull'altro uomo, Atkinson, e Dalziel aveva fatto avviare un'indagine a Londra. Inoltre, non appena Pascoe telefonò dall'ospedale, venne organizzata la ricerca di Anton Davenant. Su suggerimento di Pascoe, contattarono Thornton Lacey, e nel lasso di tempo che occorse a Pascoe per tornare alla stazione di polizia, scoprirono che Davenant aveva lasciato l'Eagle and Child il pomeriggio precedente, destinazione ignota. Ma ci furono altre notizie che turbarono Pascoe. «Hanno rilasciato Pelman», disse a Ellie quella sera. «Oh, mio Dio! Perché?». «Niente prove». «Niente prove!? Ha cercato di farti saltare la testa con un fucile!». «Lui sostiene che non aveva idea che fossi io. Aveva sentito un rumore, aveva visto qualcuno oltrepassare il confine della sua proprietà, presumeva un cacciatore di frodo che avanzava nel letto del torrente, gli aveva intimato di fermarsi e aveva sparato puntando sopra la testa solo per spaventarlo. Pare che sia molto scioccato dal fatto che io sia stato ferito da una scheggia!». «Backhouse deve essere pazzo. Non avrei mai detto che avrei preferito Ciccio Dalziel come sbirro, ma Cristo! Sono sicura che lui non avrebbe permesso che Pelman se la cavasse così». «Ma una ragione c'è», protestò Pascoe. «Ha un alibi ragionevole, pare. La riunione del Comitato locale è finita alle otto e trenta, quella sera. Noi sappiamo che Rose ha lasciato il Queen Anne alle otto e cinquanta, e tutte le prove, circostanziali e mediche, indicano che l'omicidio è avvenuto più o meno a quell'ora. Marianne Culpepper afferma di essere rimasta alla sala civica dopo la riunione per fare un po' di lavoro d'ufficio insieme a Pelman e si sono fermati fin dopo le nove. Quindi è impossibile che lui abbia commesso il delitto». Ellie sbuffò vigorosamente, producendo un rumore molto espressivo. Pascoe improvvisamente la immaginò sbuffare di dispetto, seduta al loro
tavolo da pranzo, a proposito di qualcosa che aveva appena detto il capo della polizia. Ellie sarà la mia parte 'dalzeliana', pensò, e ci trovò qualcosa di allegro in questa riflessione. «Sicuramente Backhouse non ha dato alcun peso al fatto che le dichiarazioni di Marianne servissero a difendere Pelman vero? Se avesse detto che lui aveva trascorso le ultime ore a rotolarsi con lei in sagrestia, avrebbe avuto più senso!». «Forse, nel suo modo sottile, era proprio quello che stava dicendo», suggerì Pascoe. «In ogni caso questo sembra aver convinto Backhouse». «E questo significa che siamo molto più lontani dalla fine di quanto non avessi pensato, Peter. E che cavolo! Per me è finita, lo giuro. Voglio mettere montagne di gioia tra me e quella mattina di sabato. Grandi, insormontabili montagne di gioia. Per tutti e due. Ho ragione?». «Sì», disse Pascoe. Erano di nuovo a Birkham, seduti al Jockey a bere qualcosa. Pascoe ricordò che Etherege si era rifiutato di ammettere di essere a conoscenza dell'aggressione a Ellie. Pascoe era certo che stesse mentendo, così come era certo che fosse stato Jones-carne-per-gatti ad assalirla. Probabilmente vedendo Ellie in compagnia di Dalziel si era convinto che fosse pericoloso lasciare in suo possesso anche un indizio così vago come il pendente. Il furto della borsa era stato una semplice copertura. Ma Jones non stava confessando niente, e probabilmente era una mossa sensata da parte sua. L'aggressione a una donna avrebbe potuto aggiungergli un paio d'anni di galera. «Qualche dubbio?», chiese Ellie interrompendo i suoi pensieri. «A proposito di che?». «Sull'aver accettato la mia proposta. Non che conti molto. Avevo un registratore attaccato alla coscia». «Non l'ho notato». Pascoe sorrise. «No, nessun dubbio. In effetti stavo pensando che sono sempre più sicuro ogni minuto che passa. Ero solo un po' distratto, tutto qui. Non so perché, ma stavo pensando alla signora Lewis. Montagne di gioia mi facevano pensare a lei. Non so dove potrebbe andare a prenderle. Il marito è stato assassinato. Non le è rimasto un centesimo. Ha due figli piccoli. Ora sta per scoprire che il suo amato defunto aveva in ballo una piccola, o meglio grande, relazione con la segretaria. Da quello che dice la ragazza, il prossimo passo sarebbe stato il grande trasloco, che avrebbe lasciato la signora Lewis e famiglia abbandonati e senza aiuto».
«Da come lo dici, sembrerebbe che debba stare meglio ora che il marito è morto». «Non ho detto questo», disse Pascoe serio. «In questo caso il passo successivo sarebbe la pistola, il coltello o il veleno». «Filosofia da poliziotto! Stai cercando di dire che noi siamo relativamente fortunati?». «Relativamente», disse Pascoe. «Spero che lo saremo. Da questo momento Thornton Lacey non esiste più. Cominciamo a spalare, le montagne di felicità non si fanno da sole!». Ma Thornton Lacey non aveva ancora finito con Pascoe. La mattina dopo, mentre si preparava a uscire di casa, il telefono squillò. Era Dalziel. «Ha chiamato Backhouse. Sembra che le indagini dell'agente Crowther su Davenant non siano state improduttive. Ha ricevuto una telefonata anonima ieri sera che sosteneva che Davenant era tornato a Thornton Lacey, ospite indovini di chi?». «Dei Culpepper?». «Le piace questo giochetto, eh? Naturalmente lo ha fatto sapere a Backhouse. E Backhouse, per qualche strana ragione, pensa che sarebbe una buona idea che lei andasse là a prendere Davenant. La aspetta a mezzogiorno, quindi cerchi di sbrigarsi. Ferguson l'accompagnerà per tenere la manina di Davenant nel viaggio di ritorno. Lui e un mandato di arresto sono in attesa alla sua scrivania». «Grazie», disse Pascoe. Tornò in camera da letto dove Ellie, che aveva la mattina libera dalle lezioni, era ancora semiaddormentata. «Ti avrei preparato la colazione», lo rimproverò, «se mi avessi svegliato. Stai uscendo?». «Sì», disse Pascoe. Ebbe un attimo di esitazione, poi si chinò e la baciò. «Ci vediamo stasera». Arrivato all'ingresso, fece dietro-front e tornò in camera. «Era Dalziel al telefono», disse. «Sto andando a Thornton Lacey ad arrestare Davenant. È dai Culpepper. A presto, amore». Se ne andò più contento. Il futuro poteva essere pieno di cose delle quali non parlare e ci sarebbero stati molti momenti in cui non ci sarebbe stato nemmeno il tempo di farlo. Ma non ora. Non ancora. 8
Il viaggio verso Thornton Lacey fu rapido e senza sorprese. L'agente investigativo Ferguson era contento di scampare la routine dell'ufficio per un giorno, e chiacchierava con la vivacità di chi è convinto che nessun gradino della carriera sia insormontabile. La radio riempiva i rari momenti di silenzio del suo monologo. Pascoe guidava (era un pessimo passeggero. Fortunatamente Ellie non era come lui) e la voce di Ferguson non lo disturbava. Lo sentiva appena. Era una mattinata splendida e il sole teneva sospesa sui campi che costeggiavano la strada una leggera foschia. L'automobile sembrava muoversi sempre più lentamente in un paesaggio dove i suoni erano attutiti come durante una nevicata. Pascoe guidava in modo automatico; la macchina sembrava avanzare per conto suo, sospinta nelle curve, fluttuando sulle creste delle colline, come se non si stesse semplicemente muovendo, ma fosse in una relazione particolare con la campagna intorno. La mente di Pascoe, di solito poco incline ai voli di immaginazione, era stranamente passiva, pronta ad accettare l'eventualità che questo viaggio potesse proseguire per sempre verso un luogo senza tempo. Oppure che il tempo potesse essere truccato e, ancora una volta, si sarebbero trovati su quella strada, quel sabato mattina di dodici giorni prima, senza nulla di cui aver paura al termine del viaggio. «Thornton Lacey», disse Ferguson con un cenno di approvazione. «Ha fatto presto sergente. Mi scusi, signore». «Si», disse Pascoe. Si diresse subito alla stazione di polizia. Crowther era dietro il banco. «Buongiorno», disse. «Buongiorno», disse Pascoe. «Credo che lei abbia qualcuno per noi». «Backhouse sta bevendo un caffè nel salottino, signore. Vuole che dica alla signora Crowther di portarne una tazza anche a lei?». «Molto gentile», disse Pascoe senza entusiasmo. Aveva sperato di essere abbastanza fortunato da poter prelevare Davenant e tornare indietro. «Salve, Peter. È questo il suo nome di battesimo vero?», Backhouse si alzò sorridente, come un gentiluomo di campagna che saluti un ospite invitato per il pranzo. Improvvisamente tutti mi chiamano per nome, pensò Pascoe. Forse si è sparsa la voce che sono destinato a diventare sovrintendente. «Sì, signore», rispose. «Questo è l'agente investigativo Ferguson. Ha qui Davenant per noi?».
«A dire la verità non l'abbiamo», disse Backhouse. «Si sieda, la prego. Ferguson, forse le interesserebbe vedere come funziona una piccola stazione di polizia di campagna? Sono certo che l'agente Crowther sarà felice di farle fare un giro». Ferguson rimase incerto per un momento. Il fatto era che con Dalziel funzionava così: se ti dava una possibilità di scelta, potevi scegliere davvero cosa fare. E quando voleva che ti levassi dai piedi, te lo diceva chiaro e tondo. Pascoe lanciò un'occhiata significativa alla porta e Ferguson uscì mentre la signora Crowther entrava con il caffè. Finalmente soli, detto senza sottintesi romantici, i due uomini sorbirono il loro caffè in silenzio per qualche minuto. «Davenant se n'è andato signore?», suggerì Pascoe alla fine. «No, no. È ancora dai Culpepper. C'è uno dei miei uomini che sorveglia la casa, non tema. Pensavo che valesse la pena di scambiare due parole con lei prima di portarlo via». «In qualità di...?». «Prego?». «Come funzionario di polizia o...». «Ah, capisco! Oppure come testimone reticente, che è stato il suo ruolo principale a Thornton Lacey? Non ne sono sicuro, davvero non ne sono sicuro!». Backhouse si sistemò più comodo sulla sedia, appoggiò la tazza del caffè sul pavimento e congiunse le dita delle mani con un gesto da parroco. «Come prima cosa», esordì, «mi lasci dire due parole a proposito di Pelman. Naturalmente, anche quando sembrava che Colin Hopkins fosse un sospettato, io stavo tenendo d'occhio altri possibili candidati. Pelman era, al massimo, un tipo un po' originale, e sono rimasto davvero sorpreso quando l'ho trovato con in mano un'arma ancora fumante puntata contro di lei». «Più sorpreso di quanto sia stato trovando il corpo di Colin crivellato di colpi?», chiese Pascoe. «Sì», ammise Backhouse. «Credo proprio di sì. Lo stavamo cercando, certo non avrei mai pensato che potesse essere così vicino. Ad ogni modo, più parlavo con Pelman, meno mi sembrava l'assassino. Ne ero già quasi convinto prima che lei se ne andasse, martedì». «Credevo ci fosse qualcos'altro», disse Pascoe. «Molto perspicace... Comunque, quando la signora Culpepper ha con-
fermato l'ora in cui aveva lasciato il municipio quella sera, non c'erano altre ragioni per trattenerlo. Pelman è molto dispiaciuto di averle sparato. Ha sufficiente buonsenso per capire dove finiscono i diritti di un proprietario terriero. A proposito, ho scoperto una cosa. È stato Pelman a tagliare il filo spinato nella cava». «Che cosa?», esclamò Pascoe. «Sì, usava la pozza nella cava per scaricarci le deiezioni del suo allevamento di polli. Ecco la ragione di quella puzza. Gli spiace molto anche per quello». «Immagino che l'abbia sfiorata il sospetto», disse Pascoe esitante, «che la testimonianza della signora Culpepper potrebbe non essere affatto imparziale». «Andrei molto cauto a suggerire una cosa del genere», lo avvertì Backhouse con un sorriso. «La contrizione di Pelman potrebbe non essere abbastanza intensa da tollerare che si facciano supposizioni calunniose sull'onore di una signora. In ogni caso, mi permetta di considerarmi il miglior giudice a proposito dell'indagine a Thornton Lacey». «Mi perdoni, signore», disse Pascoe. «Sono pronto a concederle la stessa prerogativa per quanto accade nello Yorkshire», disse Backhouse. «Questo è il motivo per cui tenevo così tanto a sapere la ragione del suo interesse per Davenant. Dalziel mi ha dato tutti i dettagli. È un suo grande ammiratore, come lei senza dubbio sa». «Ogni tanto mi lascia andare a casa prima di mezzanotte», disse Pascoe con aria modesta. «Così, sembra che Davenant sia riuscito ad apparire ai margini di due casi di omicidio. Una strana coincidenza, non crede?». «Perché?», chiese Pascoe. «È successo anche a me. E alla signorina Soper». Backhouse sollevò le sopracciglia e sorrise. «Vuole fare l'avvocato del diavolo? E sia. Nel suo caso, non è poi così strano: la sua professione la pone costantemente in contatto con il crimine. Quando si è trovato coinvolto su un piano personale, non era strano che fosse impegnato contemporaneamente in un'indagine professionale. Sarebbe stato strano il contrario. Ma nel caso di Davenant...». «Anche Davenant ha la sua connessione professionale, signore. Se è vero che è un criminale di mestiere, il ragionamento vale anche per lui». «Sì, il discorso fila. C'è anche la coincidenza che si tratta degli stessi crimini in cui anche lei è coinvolto. E, come lei, Davenant svolge la sua
professione nello Yorkshire mentre è qui a Thornton Lacey... potremmo dire a livello personale ed emotivo». «Certamente. Sembra avesse una relazione intima con Timmy». «Posso conoscere la fonte delle sue informazioni?». Pascoe era perplesso. «Be', credo... Davenant in persona, naturalmente, ed Ellie, la signorina Soper. Lui le ha raccontato molte cose...». Pascoe lasciò cadere il discorso. Backhouse disse a voce alta quello che lui aveva sottinteso. «In un'occasione in cui aveva bisogno di un motivo per essere da queste parti, credo. Qual è l'ipotesi della signorina Soper sul motivo della sua visita?». «È stato tutto molto vago», rispose Pascoe. «Ma perché lui dovrebbe... sembrava davvero preoccupato». «Forse lo era. Ho osservato molto attentamente il signor Davenant. E l'ho notato dalla prima volta che è comparso, ovviamente. E dopo ciò che è accaduto martedì, tengo attentamente d'occhio chiunque. Finora sono emersi un paio di elementi interessanti, secondo lei, Davenant è omosessuale?». «Perché... sì», rispose Pascoe. «Non trova che la cosa balzi anche troppo agli occhi? Da indagini discrete svolte da uno dei miei colleghi di Londra è emerso che i suoi gusti sessuali sono entusiasticamente etero. Questo potrebbe solo significare che lui è... com'è la parola?... non ambidestro... insomma, ha capito cosa intendo. Certamente le opinioni confermerebbero che Davenant non aveva una particolare passione per nessuno dei suoi amici». La mente di Pascoe stava galoppando, ma sentiva che Backhouse aveva ancora qualche carta da giocare, così restò in silenzio, benché lo sguardo interrogativo del sovrintendente lo invitasse a esprimersi. «Molto bene», disse alla fine Backhouse, «dunque non è stato l'amore a portarlo qui da Oxford. Lui peraltro si trovava davvero a Oxford. Naturalmente ho verificato. Ha lasciato l'albergo il sabato mattina. La cosa più interessante, tuttavia, è che nessuno ricorda di averlo visto venerdì sera. Il custode del garage dell'albergo è quasi sicuro che la macchina di Davenant, una Citroën GS, una macchina che si nota qui da noi, non era al suo posto alle ventitré quando lui ha finito il turno. Troppo presto, secondo lei? Sono d'accordo. Comunque, nei nostri sforzi di controllare eventuali segni della presenza della Mini-Cooper intorno al villaggio venerdì sera, abbia-
mo fatto molte domande sulle automobili. Un paio di persone hanno menzionato una strana Citroën. Uno dei miei agenti migliori ha preso nota. E io leggo tutti i rapporti». Pascoe si alzò e si diresse alla porta. «Dove sta andando?», chiese Backhouse. «Sono venuto a prendere Davenant, signore. Credo sia arrivato il momento», disse Pascoe. «Deve rispondere ad alcune domande». «Che cosa c'è in questo posto che la costringe a compiere gesti improvvisi?», chiese rassegnato Backhouse. «Tutte le qualità che Dalziel trova in lei, perché le lascia al nord?». «Chiedo scusa, signore. Dopo quello che mi ha appena detto, mi sembrava ancor più urgente interrogare Davenant». «Si sieda e mi ascolti!», tuonò Backhouse. Con la faccia impietrita, Pascoe obbedì. «Questo è quello che mancava vero? La voce da sirena antinebbia stile Andy Dalziel. Me ne ricorderò. Senta, non l'ho fatta venire fino qui per farle carpire qualche informazione a Davenant. Qui ci sono questioni aperte e molte possibili soluzioni. Lei è particolarmente adatto per darci una mano. Esaminiamo i fatti. Davenant è nella zona al momento degli omicidi. La cosiddetta connessione sessuale di Davenant con i suoi amici sembra una menzogna. Davenant è sospettato di essere una specie di ricettatore ambulante, una via di mezzo tra il ladro e il compratore di objects d'art rubati. Come poliziotto, qual è la sua ipotesi?». Alla fine, Pascoe capì. Si era dimostrato insolitamente ottuso. Si ricordò di aver detto, pensando con compassione alla signora Lewis, che la morte riservava strane sorprese, e in quel momento Backhouse gliene stava facendo balenare alcune davanti agli occhi. «Lei pensa che Colin e Rose potessero essere coinvolti nel giro di Etherege e Davenant?», chiese in tono controllato. «Oppure gli altri due. O uno qualsiasi di loro, o addirittura tutti. Che ne pensa?». «È stato trovato qualcosa?». «No. Ma lei non si sarebbe aspettato il contrario giusto? Non se Davenant ha avuto a che fare con gli omicidi». «C'è qualche prova decisiva di cui non sono al corrente?». «No», disse Backhouse dopo aver riflettuto un momento. «No. Ma il continente è il mercato più ovvio per la merce più facilmente identificabile. E Timothy Mansfield aveva lavorato per un periodo a Bruxelles, spostandosi di frequente dalla Gran Bretagna al Belgio. Inoltre viaggiava an-
che nel resto d'Europa. Davenant ha detto alla signorina Soper di averlo conosciuto qui, ma non era stato il loro primo incontro». «Lei non può aver pensato tutto questo dopo aver parlato con Dalziel», disse Pascoe in tono accusatorio. «No», replicò Backhouse. «Io cerco di mantenermi a una certa distanza dalla cieca casualità. Ma a volte arriva e ti colpisce nella schiena, come quando lei, improvvisamente, nel corso delle sue indagini crea un legame con Davenant. Fino a quel momento si tratta solo di informazioni di sfondo. Sapeva che il suo amico, Mansfield, aveva dovuto abbandonare il lavoro a Bruxelles? Era riuscito a tenersi alla larga da un brutto affare, ma solo per un soffio». «Conoscendo Timmy, avrà avuto le sue buone ragioni», protestò Pascoe debolmente. «Che cosa diavolo importano, a me o a lei, le ragioni?», esplose Backhouse. «Per un poliziotto, comprendere i motivi è solo un mezzo per arrivare a un fine. E il fine è arrestare i colpevoli. Voglio dire che chiunque abbia sparato ai suoi amici sosterrà di avere avuto un buon motivo, e potrà anche impressionare un giudice, o una giuria, o uno psichiatra, oppure la sua mammina dai capelli bianchi che sa per certo che costui è un bravo ragazzo. Ora, lei vuole Davenant. Può darsi che lo voglia anch'io. Avevo in mente un piano, ma non sono sicuro di potermi fidare di lei. Volevo suggerirle di andare dai Culpepper e prelevarlo dando l'impressione che l'interesse della polizia nei suoi confronti sia limitato al legame con il suo antiquario-ricettatore, Etherege. Sia un po' titubante, incerto, se vuole, come se avesse in mano molto meno di quello che ha realmente». «Che del resto è solo la parola di Etherege», disse Pascoe. «Ah, sì? Sono sicuro che Dalziel non si fermerà a quella. Ad ogni modo, reciti la parte del vecchio amico, faccia un viaggio nei ricordi con lui, rievochi le vostre comuni conoscenze. In altre parole, cerchi di capire se riesce a incastrarlo su Thornton Lacey mentre lui è tutto occupato a stare all'erta per le vicende che lo riguardano nello Yorkshire. Ecco quello che le volevo suggerire. Posso fidarmi di lei, ispettore? Lo devo sapere». «Penso di sì, signore», rispose Pascoe. Le apparenze ingannano. In confronto a quest'uomo, Dalziel era la nonnina delle filastrocche. «Allora le suggerirei di andare a prenderlo e portarlo qui. Gli dia l'impressione che deve fermarsi alla stazione di polizia solo per firmare un documento o qualcosa del genere prima di condurlo al nord. Potrebbe funzionare».
Pascoe si alzò e raggiunse la porta. «Ancora una cosa, signore», disse. «I Culpepper. Perché Davenant è da loro? Qual è il legame?». Backhouse emise un gemito. «Stia nello Yorkshire, ragazzo mio», fu il suo gentile consiglio. «Qui non farebbe carriera. È ovvio, non le pare? Il signor Culpepper, l'esteta, il conoscitore di porcellane di valore, è probabilmente un cliente regolare del nostro amico Davenant!». 9 «Fermati qui», disse Pascoe. Ferguson obbedì alla lettera e, nonostante stessero viaggiando a velocità ridotta, slittarono sul vialetto di ghiaia. Avevo ragione a voler guidare io, pensò Pascoe con un brivido mentre scendeva dall'automobile. «Non è detto che succeda qualcosa», disse aprendo la portiera. «Ma tieni gli occhi aperti. Fai un giro intorno al garage e guarda se riesci a trovare la Citroën». Sbatté la portiera e contemporaneamente una mano gli afferrò la spalla. La filosofia di Dalziel includeva il precetto: «Se qualcuno ti afferra da dietro, non pensare, sbarazzatene subito». Pascoe si voltò lentamente e sorrise alla madre di Culpepper. Era contento di aver ignorato il consiglio di Dalziel, non solo per un fatto di cavalleria, ma anche perché dubitava che la sua mossa di judo potesse competere con le cesoie dall'aspetto minaccioso che la donna brandiva. «Può rovinare il tosaerba!», scattò la donna, guardando la strisciata di ghiaia che era schizzata sul prato. «Non ha un minimo di considerazione?». «Mi perdoni», disse Pascoe. «Ferguson, accertati che la ghiaia torni al suo posto, vuoi?». «Che ci fa qui? Lei è quel poliziotto vero?». «Sì, sono quel poliziotto. Vorrei solo scambiare due parole con suo figlio», disse Pascoe, attraversando il prato diretto all'entrata principale. La donna gli camminava a fianco, seguendolo passo passo. «Lo sapevo che ci sarebbero stati dei problemi», disse improvvisamente. «Prego?». «Quand'ero giovane, se arrivava a casa la polizia, significava guai». «Diamo problemi solo a chi li dà a noi», replicò Pascoe con un sorriso.
Si erano fermati davanti alla porta d'ingresso. Pascoe non notò alcun movimento attraverso le finestre. «Mi piacevano i suoi amici», disse la vecchia spingendo la porta per aprirla. «Certe cose sono inspiegabili. Entri». «Grazie», disse Pascoe. Lanciò un'occhiata al giardino dietro di sé. Ferguson era inginocchiato nell'erba in cerca di ghiaia, una lieve brezza gli faceva danzare davanti agli occhi un lungo ciuffo di capelli. «Possiamo dire addio al bel tempo», disse la vecchia signora con aria sinistra e, come a conferma delle sue parole, una sventagliata di foglie secchie arrivò mulinando dal lato della casa e li precedette nell'ingresso. I Culpepper erano seduti in soggiorno e, quando si accorse del nuovo venuto, Hartley si alzò per andare a stringergli la mano. Sembrava perfettamente a proprio agio, e Pascoe era sicuro che avesse tutte le ragioni per esserlo. Se mai c'era stato qualche oggetto di dubbia provenienza nella collezione di Culpepper, probabilmente era ormai lontano. «Spero che si sia ripreso perfettamente. Parlavo con Pelman ieri sera. Era in uno stato terribile, terribile. Pover'uomo, averla quasi ferita era già stato orribile, ma rendersi conto di essere sospettato degli omicidi!». «Sì, mi sono ripreso, grazie». Pascoe notò che nessuno sembrava propenso a chiedergli che cosa volesse. Sperava che Davenant non se la stesse svignando tranquillamente dalla porta della cucina. In quel caso, si augurava che Ferguson lasciasse perdere la caccia alla ghiaia e stesse all'erta. «È difficile trovare qualcosa da dire», proseguì Culpepper. «Nessuno che conoscesse Colin credeva davvero possibile che fosse un assassino, ma non volevamo certo che la sua innocenza venisse provata in questo modo». «Qualcuno lo pensava», obiettò Pascoe. «La giuria del coroner e il coroner stesso, tanto per cominciare. Ma questo non mi riguarda, non ufficialmente, almeno. Signor Culpepper, credo che Anton Davenant sia suo ospite in questo momento...». Il campanello d'entrata squillò. Solo la vecchia signora Culpepper sembrò restia a rispondere. Suo figlio e sua nuora parevano invece desiderosi di uscire dalla stanza. Vinse Marianne di una spanna. «Ah, è Davenant che sta cercando? Bene, bene. Le va qualcosa da bere o è troppo presto?». Come in risposta alla sua richiesta, la porta si aprì e il maggiore Palfrey entrò tenendo strette due bottiglie avvolte in una carta marrone. «'Giorno Hartley, 'giorno signora Culpepper». Vide Pascoe e gli fece un
neutrale cenno di saluto con la testa. «Scusate l'intrusione, ma come stavo giusto dicendo a Marianne, ci hai presi in contropiede, vecchio mio. È un guaio che non fossi lì quando hai telefonato. Il mio barista è un po' ottuso! È che siamo un po' a corto di alcolici in questo momento. Posso darti un paio di bottiglie, ma le casse sono fuori discussione, mi spiace». Recitava in modo più raccapricciante del solito, intuì Pascoe. Ma a che scopo? Forse perché ci sono io? Riesco sempre a tirare fuori il peggio dalle persone? «Non ti preoccupare JP», disse tranquillo Culpepper. «Sam Dixon probabilmente riuscirà a portarci il resto. Dagli un colpo di telefono Marianne, ti dispiace? So che all'Anne hanno un discreto smercio anche a domicilio». «Credo di sì», disse Palfrey come se sospettasse di essere stato denigrato. «Devi avvertirci se hai intenzione di fare affari anche da queste parti. Allora, è di nuovo con noi sergente Pascoe? Che cosa l'ha portata qui, questa volta?». «Volevo scambiare due parole con il signor Davenant. È qui, signor Culpepper?». Culpepper scambiò un'occhiata con la moglie, ma prima che uno dei due potesse parlare, intervenne la madre. «Be', se c'è devono averlo tenuto nascosto. Non l'ho visto in giro da nessuna parte». «Grazie, signora Culpepper. Allora, è qui?». «Certo che c'è, miei cari. Anche se stava per andarsene». Fermo sulla porta, una mano sul fianco l'altra dietro la testa, c'era Anton Davenant. Dietro di lui, nell'ingresso, Pascoe vide di sfuggita la figura di Ferguson. «Non avevo idea che lei fosse qui, amico mio. E mi stavo preparando a una piccola passeggiata in cerca di Natura, 'rossa nei denti negli artigli', quando sono incappato nel suo ragazzo». Pronunciò 'ragazzo' come se avesse l'acquolina in bocca. Pascoe trattenne un sorriso. Doveva essere stata una bella prova per l'autocontrollo di Ferguson sotto stress. «Vorrei scambiare due parole con lei, se posso, signor Davenant», disse Pascoe. «Ma naturalmente. Qui?». «Volete usare il mio studio?», intervenne Culpepper prima che Pascoe
riuscisse a suggerirgli di seguirlo alla stazione di polizia. Dopotutto poteva essere una buona idea cominciare in quella casa. Gli eventi bollivano in pentola, anche se lui non era sicuro che razza di pietanza ne sarebbe venuta fuori. «Grazie», disse, «molto gentile». Culpepper li guidò attraverso il soggiorno in una stanza adiacente a quella delle porcellane. «Io vado a telefonare a Sam Dixon», saltò su Marianne all'improvviso. «Per i beveraggi». «Sì, tesoro», disse Culpepper. «Di qui, signori, prego». Mentre passava davanti a Ferguson, Pascoe si fermò. «Bella presa», mormorò. «Torna da Backhouse a dirgli che io inauguro le danze». Lo studio era più simile all'ufficio di un uomo d'affari che non al rifugio di un gentiluomo di campagna, come Pascoe per qualche ragione si era aspettato. Una scrivania moderna con una macchina da scrivere, una libreria piena di volumi tecnici e di consultazione, un classificatore; niente che mostrasse il desiderio di emulare la nobiltà rurale. «Finalmente soli», disse Davenant. «Esatto, signor Davenant. Che stava facendo ieri mattina al villaggio di Birkham?» «Ero di passaggio, ragazzo mio». «È un po' fuori dalle strade battute». «Dipende da quale strada si arriva e dove si è diretti». «E dov'era?». «Cosa?». «Cosa?». «Da o verso?». «Cominciamo dall'inizio per favore», disse Pascoe, che si stava divertendo. Dalziel a questo punto avrebbe stretto i pugni ed emesso sinistri e sonori grugniti. L'unica cosa che toglieva a Pascoe il buonumore era l'oscuro legame tra quest'uomo e Brookside Cottage. «Bene, vediamo... dall'inizio? Allora da Barnsley». «Barnsley!». «Perché è così sorpreso? Contrariamente a quanto si dice, Barnsley non è una cavità vulcanica piena di fiamme, fumo e puzza di zolfo. Un filino naïve, certo; una sorta di città di frontiera. Ma non senza le sue attrattive, una delle quali è un magnifico ristorante, le cui delizie recensisco tutti gli
anni per la Guida del Gourmet. Allora, ho lasciato Thornton Lacey martedì, dopo l'inchiesta, perdendomi tutta l'eccitazione e ovviamente la tragedia, e mi sono diretto a Barnsley». «E da Barnsley...?». Davenant alzò le mani in un gesto di esasperazione. «Ma è evidente! Mi sono diretto qui no!? Sono arrivato ieri sera, quindi ero proprio diretto qui, le pare?». «Non so se lei consulta le carte stradali, signor Davenant, ma Birkham la portava molti chilometri fuori dalla sua rotta». «Naturalmente, capisco la sua perplessità. Volevo dare un'occhiata al vecchio mulino, sette chilometri a nord. Lo conosce? Affascinante. Lo sa che ho trascorso una settimana a Birkham l'anno scorso per scrivere un servizio speciale e non ho mai trovato un momento per andare a vedere il vecchio mulino? E così mentre ero a Barnsley...». Stava recitando benissimo, Pascoe doveva ammetterlo. Inseriva ogni fatto in una cornice ragionevole. E lo faceva così bene che Pascoe doveva continuamente tenere a mente tutti gli altri pezzi del puzzle. Tutti? Principalmente la dichiarazione di Etherege che lui era l'intermediario! Pascoe fissò la scrivania di Culpepper in cerca di ispirazione. Il piano era vuoto, tranne per un raccoglitore da tavolo che conteneva il supplemento di economia del Sunday Times. Con un pizzico di narcisismo, era aperto sulla pagina del rapporto sull'assemblea annuale della Nordrill, che si era tenuta il mercoledì pomeriggio precedente. Ossia nel preciso momento - il pensiero balzò su nel suo cervello come una fetta di pane perfettamente tostata - in cui Culpepper stava vagando da Sotheby's, sperando di poter acquistare qualche oggetto. Quel pensiero faceva emergere una prima, ovvia domanda e una seconda meno ovvia. Ma non era quello il momento giusto per porsele. «Mi sta facendo queste domande a proposito del povero Jonathan Etherege?», domandò Davenant. Pascoe alzò lo sguardo, piacevolmente sorpreso. Le sue elucubrazioni su Culpepper inaspettatamente avevano provocato una sottile breccia nell'impassibilità di Davenant. «Chi?», disse. «Etherege. Ho letto di lui sui giornali e mi ha sconvolto apprendere che è per questo che voi poliziotti trovate improvvisamente Birkham così affascinante. Attenzione, deve esserci un errore! Jonathan come ladro è davve-
ro troppo. Come assassino, poi, non ci siamo proprio!». «Molte persone scoprono di poter essere assassini», disse Pascoe sornione. Il campanello d'entrata squillò di nuovo e contemporaneamente qualcuno bussò alla porta dello studio. Pascoe aprì. Marianne Culpepper entrò con un vassoio di caffè, ma aveva lo sguardo rivolto verso l'anticamera. «Angus. Che bello vederti. Entra!», disse Culpepper. Pascoe allungò il collo, quasi sbattendo la testa contro quella di Marianne. Pelman stava entrando nell'ingresso. Quando vide Pascoe si bloccò, poi avanzò a passo spedito. «Pascoe. Ho saputo che era qui. Mi dispiace di non averla potuto vedere martedì. Mi lasci dire quanto sono costernato. È stato terribile. Terribile. Non riesco a dirle quanto sono dispiaciuto». Pascoe si rese conto che Pelman si stava riferendo alla scoperta del corpo di Colin, non al fatto di avergli sparato. Le priorità non facevano una piega, fu costretto ad ammettere. Ma Pelman non aveva ancora finito. «E mi dispiace di averle sparato. O meglio, quasi sparato. Il sovrintendente mi è saltato addosso con tale rapidità che ho saputo molto più tardi che lei era stato ferito da una scheggia. Sta bene ora?». «Mi ha fatto male per un po' quando sorridevo», disse Pascoe. Pelman rise. «Ottimo, amico mio. L'avevo scambiata per un bastardo cacciatore di frodo. Comunque, per scusarmi, quando ho sentito che era da queste parti ho messo in macchina dei fagiani. Se si è beccato una fucilata come cacciatore di frodo, almeno se ne torni a casa come uno che si rispetti! Hartley, dammi una mano, ti dispiace?». I due uomini uscirono e Pascoe tornò nello studio. C'era qualcosa di ammirevole in Pelman. L'uomo non aveva neppure accennato alle sue vicissitudini come sospettato, per parecchie ore, di omicidio. Si voltò verso Davenant che stava versando il caffè. «Nero?», chiese l'uomo. «Sì, grazie», rispose Pascoe. Non stava andando da nessuna parte. Backhouse voleva che giocasse pulito, ma se Backhouse insisteva nel tenere alte le sue carte, allora lui si sentiva autorizzato a continuare col gioco sporco! «Etherege dice che è stata una idea sua organizzare i furti», disse con piglio salottiero.
Davenant fece quasi un balzo indietro. «Quali furti? Non intenderà...? Buon Dio, che furbo! Sta cercando di ottenere un verdetto per infermità mentale!». «Credevo che lei avesse detto che era impossibile che fosse colpevole». «Sì, l'ho detto. Ma non ho detto che era impossibile che trovaste le prove della sua colpevolezza!» «Parola d'onore», disse Pascoe. «Credevo che lei amasse noi poliziotti». «Un semplice ragazzo di campagna deve stare attento di chi si innamora, ispettore». «Come lei amava Timmy?». Ecco fatto. Si era spinto ben oltre i binari tracciati da Backhouse. «Forse», disse Davenant. «Ma è morto, giusto? Peccato che lei non abbia potuto essere qui venerdì sera, sarebbe stato d'aiuto». «Perché?», chiese Pascoe, cercando di mantenere la calma. «Lei c'era, e questo non ha aiutato affatto». Davenant posò la tazza di caffè e il suo sguardo vagò per la stanza, per poi tornare a fissarsi in quello di Pascoe. Voleva fuggire? Cercava un'arma? si chiese Pascoe. Quello studio funzionale e asettico offriva ben poco di utile per entrambe le possibilità. «No», disse Davenant tristemente. «Non è servito, eh?». Per un momento Pascoe non riuscì ad afferrare il senso di quelle parole. «Lei era là?», chiese infine. «Lo ammette?». «Sì», disse Davenant, «ero là». Fuori nel corridoio ci fu un rumore fragoroso seguito da un insieme di voci che si alzavano di tono. Pascoe fu felice del diversivo e aprì la porta dello studio per guardare fuori. Appena al di qua della porta d'entrata c'era Sam Dixon con un contenitore di cartone fra le braccia. Un altro giaceva sul pavimento, e una larga macchia si stava allargando tra i cocci. Si sentiva un fortissimo odore di whisky. La vecchia signora Culpepper era di fianco a Dixon e lo guardava furiosa, mentre suo figlio e la nuora uscivano dal soggiorno per capire il motivo di quel fracasso. Pelman e Palfrey li seguivano. «Che è successo?», chiese Culpepper. «Mi dispiace», disse Dixon. «Un incidente. Colpa mia». La vecchia borbottò qualcosa di incomprensibile e uscì in giardino. «I fagiani sono sul sedile posteriore della sua macchina», disse Pelman a Pascoe. «Non se li dimentichi! Ora devo proprio andarmene, Marianne, Hartley... Il lavoro mi chiama!».
Si diresse verso il vestibolo ma il passaggio gli venne impedito da un nuovo arrivo. Questa volta si trattava di Backhouse, con Crowther al seguito. «Posso entrare?», chiese il sovrintendente, annusando l'aria. «Che profumo interessante. Non state cercando di corrompere l'ispettore Pascoe, mi auguro!». Entrò in soggiorno facendo un cenno di saluto a Pelman mentre passava. Ora che la via d'uscita era libera, l'impeto di Pelman sembrava completamente esaurito e lui non fece alcun tentativo di andarsene. «Mi perdoni l'intrusione, signor Culpepper, ma dovevo scambiare una parola con l'ispettore Pascoe». «Certamente», disse Culpepper. Pascoe tornò nello studio. Davenant si era acceso una sigaretta e sembrava perfettamente a suo agio. «Allora?», disse Backhouse. «Ha ammesso di essere stato là». «Dove?». «Al Brookside Cottage, la notte degli omicidi». Backhouse alzò gli occhi al cielo. «Come ho fatto bene ad arrivare subito!», mormorò. «Lei sembra incapace di seguire le istruzioni, ispettore. Devo considerarmi fortunato che non lo abbia picchiato fino a farlo svenire? Può aspettare fuori? Crowther, venga dentro lei». «Signore...», disse Pascoe e uscì, oltrepassando Crowther sulla porta. Stava cominciando a sentire di nuovo la rabbia ribollirgli dentro. Sembrava dovesse essere il suo normale stato emotivo a Thornton Lacey. Il corridoio ora era vuoto; si erano ritirati tutti in soggiorno, indubbiamente per discutere sull'arrivo dei poliziotti. Pascoe, che non era in vena di chiacchiere, si diresse verso la porta principale. Si fermò sugli scalini e fece due respiri profondi nell'aria fresca. Ora faceva decisamente più freddo. L'anziana signora aveva ragione. Era l'odore dell'inverno. Il vialetto davanti alla casa sembrava un parcheggio. La Land Rover di Pelman era ancora là. La macchina di Palfrey, il furgone di Dixon e, naturalmente, la berlina ufficiale di Backhouse. «Mi scusi, signore», disse Ferguson dietro di lui. «Sì?». «Non so se è importante, ma quando il tizio grosso è uscito a prendere quegli uccelli dalla Land Rover, ha dato qualcosa al signor Culpepper».
«Che cos'era?». «Un pacchetto. Grande così. Avvolto in carta bianca». «Sapevano che li stavi guardando?». «No. Non l'hanno fatto di nascosto o cose del genere. Soltanto in fretta, mi spiego? Poche parole. È quello che me l'ha fatto notare». «Che cosa ha fatto Culpepper con il pacchetto?». «Se l'è messo in tasca. Non ho visto altro. Era piuttosto voluminoso e deve essersene liberato da qualche parte, adesso che ci penso». «Ben fatto, occhio di falco», disse Pascoe. Si voltò e tornò in casa. Tutto era tranquillo. Un uomo della ricchezza e del buongusto di Culpepper non costruiva porte che lasciassero filtrare le conversazioni. Rifletté di nuovo su Culpepper e Davenant. Fino a che punto era colpevole il collezionista? Aveva nutrito dei semplici sospetti sulla provenienza degli oggetti in vendita o sapeva benissimo che erano stati rubati? La legge faceva poca distinzione tra i due comportamenti, ma la coscienza individuale era una bestia più raffinata, capace di cogliere e discernere definizione e qualificazione. Quei pensieri gli frullavano in testa mentre saliva silenzioso e rapido le scale. Davenant era ospite nella stanza che era stata occupata da Ellie. C'erano sorprendentemente poche tracce della sua presenza - pigiama, articoli da bagno, tutti con le sue iniziali ricamate sopra, ma niente di veramente personale. Lasciò la stanza e rimase per un momento in ascolto prima di scendere le scale. Al piano di sotto tutto taceva. Si mosse, basandosi sui suoi ricordi della topografia della casa, verso la stanza di Culpepper. Sebbene fosse chiaramente la camera occupata da un uomo, c'erano evidenti tracce di un'occasionale presenza femminile che stavano a indicare che il distacco di Marianne dal letto coniugale non era definitivo. Cosa sto facendo qui? si chiese Pascoe mentre guardava gli acquerelli cinesi che adornavano le pareti. Backhouse non sarebbe contento se Culpepper mi trovasse qui e si metterebbe a farmi la ramanzina. Chi se ne frega di Backhouse. Cominciò a cercare. Non ci volle molto. Non era stato fatto nessun tentativo di nascondere il pacchetto, posato tra il telefono verde pastello e il tavolino da notte. Il nastro adesivo era ancora intatto. Qualsiasi cosa contenesse il pacchetto, Culpepper non aveva sentito la necessità di controllare, o forse non ne
aveva avuto il tempo. Allentando il nastro adesivo con la massima attenzione, Pascoe aprì la carta bianca. Di primo acchito non sembrava niente di speciale, ma un'occhiata più attenta gli chiarì il quadro di ciò che vedeva. Era sorprendente quanto poco spazio occupassero mille sterline in pezzi da cinque. 10 A Pascoe occorsero un minuto per pensare e cinque minuti di telefonata per decidere come agire. Era arrivato il momento della scena madre. Aprì la porta del soggiorno, entrò e sbatté la mazzetta di soldi sul tavolino da caffè. I presenti lo guardarono esterrefatti. Una ripresa al rallentatore e uno psichiatra d'esperienza avrebbero potuto essere molto esaurienti sulle diverse espressioni di sorpresa che si dipinsero sulla faccia di ognuno, ma Pascoe fu costretto ad accontentarsi di un rapido giudizio. Sincera confusione da parte di Palfrey e Dixon, ma, com'era prevedibile, qualcosa di diverso sulle facce degli altri tre. «Ci sono mille sterline qui», disse Pascoe. «A cosa servono?». Culpepper era terreo per l'indignazione. «Che diritto ha lei di perquisire la mia casa? Questo è un sopruso!». «Sì. Pelman, perché ha portato qui tutto questo denaro?». Pelman e Marianne si scambiarono un'occhiata difficilmente decifrabile. «Sono affari miei, non crede?», replicò Pelman. «Forse. Il ricatto è un crimine, lo sa, vero? E questi sono affari miei». Pelman lo guardò sbalordito, poi cominciò a ridere. Sembrava sincero. «Sono contento che tu ti diverta Angus», disse Culpepper. «Mi spiace, ma io non ci riesco. Scusatemi». Si alzò e uscì a grandi passi dalla stanza. «Che cosa diavolo sta succedendo?», chiese Dixon, il viso dall'espressione aperta corrugato per la confusione, mentre Palfrey prendeva il bricco del caffè e guardava il denaro con aria ingorda. Culpepper tornò in soggiorno. Con lui c'erano Backhouse e Crowther, seguiti a ruota da Davenant. «Sovrintendente», disse Culpepper, «vorrei che lei spiegasse quale autorità ha un funzionario di polizia, non invitato e privo di mandato, di perquisire una casa privata».
«Il fine talvolta giustifica i mezzi», disse Backhouse. «Che cosa ha trovato, ispettore Pascoe?». Senza aprir bocca, Pascoe gli mostrò il denaro. «Interessante, ma non incriminante. Presumo che abbia una teoria in proposito». Non vuole far saltare il coperchio della pentola, pensò Pascoe. Non ancora. Per adesso mi lascia continuare il lavoro sporco. «Non è questo il punto», disse Culpepper rabbioso. «Sì, signore. Ho una teoria. Il denaro è stato portato da Pelman. Per adesso chiamiamolo un prestito». «Crede che io venga ricattato», interruppe Pelman. «Chissà cosa credete che abbia fatto, stavolta! Ah, e anche Hartley, perché presumo sia lui l'autore del ricatto». «Peggio ancora!», esclamò Culpepper. «Non credo che le cose stiano in questi termini», disse Backhouse serio. «Ispettore!». «Chiamiamolo un prestito», ripeté Pascoe. «La domanda più importante al momento è: perché Culpepper voleva il denaro così rapidamente e in contanti? La mia ipotesi è semplice. Ne aveva bisogno per darlo a Davenant». «Ma perché avrei dovuto dare mille sterline a Davenant?», chiese Culpepper. «Perché? Perché Davenant le era stato d'aiuto per acquisire alcuni pezzi per la sua collezione che lei sapeva o sospettava fossero stati rubati. Davenant ha fretta di andarsene, capisce che gli stiamo addosso. Piomba qui e se ne sta nei dintorni in attesa che arrivino i soldi, quando purtroppo arrivo io». Culpepper sorrise. La rabbia sembrava svanita, ed era un peccato. Sembrava freddo e all'erta. «Ha raccontato una bella storia, ispettore. Ma è una favola, ovviamente. Lei può ispezionare la mia collezione per controllare se ci sono oggetti rubati». «Non dubito che siano stati tolti di mezzo quando è arrivato Davenant», replicò Pascoe. Notò, particolare interessante, che Pelman aveva l'aria più preoccupata che mai. Era ora che Backhouse facesse la sua mossa. Aveva insistito a più riprese che il caso di Brookside Cottage era suo. Pascoe gli aveva consegnato Davenant, che aveva ammesso di essere stato là la notte degli omicidi, e ora anche Pelman, che aveva appena portato mille sterline
in banconote usate a casa della donna che con la sua testimonianza aveva confermato il suo alibi. Che fosse il sovrintendente, ora, a tirare le fila di tutta la faccenda. Ma Backhouse non diede alcun segno di essere pronto a muoversi. Palfrey guardò l'orologio e si alzò. «Credo che questa sia una grave violazione, Hartley», disse, scoccando un'occhiata malevola a Pascoe. «Se vuoi qualcuno che testimoni contro questo enorme abuso d'autorità della polizia, fammelo sapere. Ma ora devo andare al pub». «Grazie JP», disse Culpepper. «La sua storia fa acqua da tutte le parti, Pascoe. Per esempio, se avessi avuto bisogno di soldi con tanta fretta, perché avrei dovuto passare attraverso tutta la complicazione di contattare Angus? Perché non sono andato a prendermeli da solo?». Fece un ampio sorriso, come un prestigiatore che avesse tirato fuori il coniglio dal cilindro. Povero bastardo, pensò Pascoe. Era riluttante a proseguire. Un uomo aveva diritto alla propria riservatezza. Perché il piccolo segreto di Culpepper avrebbe dovuto essere rivelato proprio in quel momento? Perché, si disse Pascoe guardando le facce intorno a lui, perché aveva, o poteva avere qualcosa a che fare con un crimine. E forse anche a causa di qualcosa che leggeva in quei volti: stanchezza, attesa, allarme o, nel caso di Marianne Culpepper, sdegnoso disinteresse. Specialmente quello. «Perché, signor Culpepper», disse, «lei non lavora più per la compagnia mineraria Nordrill. In effetti credo che lei al momento non lavori per nessuno. Lei è disoccupato, lo è da sei mesi, ed è praticamente indigente». Se si era aspettato che questa fosse una rivelazione esplosiva, rimase deluso. Culpepper sedeva immobile, l'espressione irrigidita come se la pellicola si fosse fermata su un singolo fotogramma, ma gli altri non manifestarono alcuna sorpresa. «Non vedo come la situazione finanziaria di Hartley abbia a che fare con lei», disse Pelman sprezzante. «E allora?», disse Dixon con una sorprendente ondata di aggressività. Persino Palfrey arrischiò uno sbuffo sdegnato, mentre Marianne si limitò a guardare altrove. Solo Davenant ebbe un moto di sorpresa. «Lo sapevate tutti?», chiese. «Bene, bene. Interessante, non ti pare? Tutti
lo sapevano, Hartley, vecchio mio». «Così sarebbe questa la sua notizia-bomba», mormorò Backhouse, conducendo Pascoe accanto alla finestra. «Anch'io lo sapevo. Credo che fosse uno dei primi elementi emersi che Crowther aveva appuntato nel suo taccuino. Come l'ha scoperto?». «Ho telefonato alla Nordrill, facendo un po' di scena», ammise Pascoe, che si sentiva improvvisamente stupido e travolto dalla vergogna. «C'erano alcune discrepanze, la data dell'assemblea annuale della Nordrill e quella dell'asta da Sotheby's per esempio; e altre cose. Pensavo di essere stato in gamba». «Sicuramente è stata un mossa più intelligente che non fare a pugni. Ma ho paura che lei abbia inferto un duro colpo al nostro garbato ospite». Culpepper certamente ora appariva a disagio. Il poco colore era sparito dalle sue guance, e l'uomo sembrava prestare scarsa attenzione ai gentili tentativi di conversazione che tutti i presenti stavano facendo. Solo Marianne non sembrava disposta a unirsi alle generali attestazioni di simpatia per Hartley. Presumibilmente avrebbe dovuto essere a conoscenza della faccenda... o aveva tenuto nascosto anche a lei la sua situazione di insolvenza? Impossibile. Pelman sapeva, e Pelman sicuramente l'avrebbe detto a Marianne. Fu proprio lui a tornare all'attacco. «Abbiamo subito accuse e accenni di accuse, sovrintendente», disse a Backhouse. «Penso che sia il momento di vedere qualche carta sul tavolo». «Una splendida idea. Forse potrebbe cominciare proprio lei, signore, dicendoci quando ha scoperto che il signor Culpepper versava in difficoltà finanziarie, e come mai le è venuto in mente di prestargli mille sterline». Per un attimo Pelman sembrò a disagio, ma si riprese subito. «Perché?! L'ha appena detto! Perché sapevo che aveva qualche problema finanziario, ecco perché. C'è un motivo migliore per prestare del denaro a un vicino? Non si presta denaro quando non è necessario, non crede?». «Non sapevo che foste così amici», disse Backhouse con un sorriso. Seguì una pausa di silenzio. Sicuramente sa che Pelman ha qualcosa in ballo con Marianne, pensò Pascoe. Sono soldi per scaricarsi la coscienza. L'importante era sapere come aveva intenzione di usarli Culpepper. Davenant si teneva in disparte rispetto al gruppo, con l'aria apparentemente disinvolta e a proprio agio. Sarebbe stata una buona idea condurlo fuori dalla stanza e isolarlo dalla di-
scussione in corso. Ma prima che potesse suggerirlo, Backhouse aveva preso di nuovo la parola. «La domanda è sempre valida», disse rivolto a Culpepper, che per tutto quel tempo era rimasto immobile come una statua vicino alla porta. «Che cosa stava per farci con quel denaro?». «Credo di dover chiarire una cosa», intervenne Davenant. «Ciascuno ha il diritto di conoscere tutti i fatti, è d'accordo, sovrintendente? Le ho già detto che ero a Brookside Cottage quella sera. Eh, sì. Colpo di scena, tutti trattengono il fiato... Quando me ne sono andato, dopo le sette, era tutto a posto e io mi sono rifugiato a casa del vecchio Hartley, dove siamo stati seduti a bere il suo ottimo whisky e a parlare di questioni altamente culturali fino a - che ora era Hartley, tesoro? - le nove e mezzo?». Dannazione! pensò Pascoe. Era successo quello che aveva temuto. Non riusciva a capire la strategia di Backhouse. Separare i sospetti e i testimoni di solito era essenziale per le indagini come separare i bianchi e i rossi dell'uovo per fare il soufflé. Ora Davenant stava invitando Culpepper davanti a tutti a confermare un alibi. O ricordandogli che si erano messi d'accordo. Ma la reazione di Culpepper non fu certo tranquillizzante. Lo fissò freddamente, quasi senza vederlo, si girò e uscì dalla stanza. Marianne, con un rapido sorriso di scusa da perfetta padrona di casa, lo seguì. «Bene signor Davenant», disse Backhouse. «Sono sicuro che il signor Culpepper sarà in grado di confermare la sua storia quando si sentirà meglio. O c'è qualcun altro che ci può aiutare? La signora Culpepper è tornata a casa mentre lei era qui?». «No, non esattamente», disse Davenant. «Almeno, io non l'ho vista. Per quello che ne so, naturalmente, potrebbe anche essere rientrata prima, aver sentito me e Hartley chiacchierare e deciso di non interromperci, ritirandosi nella sua stanza. È una possibilità, ovviamente. Sì, è decisamente una possibilità». Arrogante bastardo! pensò Pascoe. Sta inventando pubblicamente i suoi alibi man mano che parla. Marianne ovviamente non è qui a sentire, ma il suo 'fidanzato' sì, però. E Davenant lo sa! Lentamente un quadro cominciava a formarsi nella mente di Pascoe. Non era ancora completo, ma le linee principali erano chiare. E mentre lo analizzava e trovava che la composizione appariva sempre più equilibrata, il grumo di rabbia nel suo petto cominciò ancora una volta gonfiarsi a dismisura, finché fu pronto a prorompere in un'esplosione di nero odio.
Contro Davenant. Contro Davenant che era comparso a Brookside Cottage quel fatale venerdì sera. Contro Davenant che era stato seduto a bere e chiacchierare con Rose e Colin e Timmy e Carlo. Contro Davenant che per ragioni ancora non chiare aveva preso un fucile e lo aveva scaricato contro Timmy e Carlo, facendoli scomparire dalla faccia della terra. Che aveva incontrato Rose in giardino e l'aveva lasciata sotto la meridiana sanguinante e moribonda. Davenant che aveva dato la caccia a Colin, lo aveva ucciso e aveva gettato il suo corpo in una fogna puzzolente in pasto alle mosche. Pensa logicamente! si ingiunse Pascoe. Pensa! Va bene. Davenant sapeva che Culpepper viveva da queste parti, lo aveva già incontrato in uno dei suoi viaggi 'di confine'. Forse era andato a trovarlo quella sera. Forse era stata una menzogna utile da tenere in serbo in caso di necessità. Ed era stato necessario. Stava subendo pressioni da tutte le parti. Dallo Yorkshire, dove il piccolo impero di Etherege stava crollando. E quaggiù, dove la sua automobile era stata notata nella zona quel venerdì sera. E così Davenant ritorna da Culpepper. Ha bisogno di due cose: un alibi e del denaro. Minacciando di rivelare la loro relazione d'affari - ricettazione e acquisto di merce rubata - il suo scopo è mettere fuori gioco Culpepper, che però non ha soldi. Fatteli prestare, suggerisce Davenant. Ma da chi? Perché non provare con Pelman? dice Davenant con uno sguardo significativo a Marianne. Sì, doveva aver scovato l'informazione senza difficoltà. E Pelman era d'accordo a giocare la partita. Coscienza sporca? Paura dello scandalo? Desiderio di proteggere Marianne? Chi lo sa. Quello era un dettaglio da inserire più avanti. Ma il piano di Davenant era minacciato. La pubblica rivelazione che Culpepper era disoccupato lo aveva messo in crisi. Forse era stato anche quello un elemento nella minaccia di ricatto? Certamente sembrava che la questione del lavoro avesse avuto un peso rilevante per Culpepper, relegando al secondo posto la sua preoccupazione per l'immediato futuro. Era chiaramente arrivato il momento di parlare con lui, mentre era ancora confuso e prima che recuperasse sufficiente sicurezza per confermare la storia di Davenant. Ma Backhouse non sembrava pronto a muoversi in quella direzione. Stava parlando con Pelman, Palfrey e Dixon, nessuno dei quali sembrava disposto ad andarsene nonostante non avessero motivi per restare. La porta si aprì e Marianne entrò in soggiorno. Sembrava preoccupata. «Sta riposando nella stanza delle porcellane», disse rispondendo alla
domanda inespressa. «È un po' sconvolto. Ha cercato disperatamente per mesi un nuovo lavoro, ma ha trovato solo posti da venditore o da impiegato, insomma, quel genere di occupazioni sempre disponibile». «Avrebbe potuto aiutarlo, lavorando a sua volta», disse Pascoe tagliente, colpito dal tono in cui era stato pronunciato di 'quel genere di occupazioni'. Marianne lo guardò con aria stanca e rassegnata. «Signor Pascoe», disse, «perché non va a fare in culo?». L'invito, pronunciato con eleganza, fu sorprendente, quasi scioccante. E peggio ancora, Pascoe sentì di esserselo meritato. «Forse vorrebbe portare il signor Davenant di nuovo nello studio e cercare di ottenere una dichiarazione sui suoi movimenti», disse Backhouse. Alla fine si è svegliato e ha compreso il pericolo, pensò Pascoe. E io vengo mandato di nuovo a fare il lavoro sporco. «Sì, signore», rispose. In sala, accanto alla porta d'ingresso, c'era Ferguson che beveva una tazza di caffè. «Me l'ha preparata la vecchia signora», disse sulla difensiva. «Lei suscita l'istinto materno in ognuno di noi», disse Pascoe. «Lui è ancora là dentro?». Fece un cenno col capo alla stanza delle porcellane. Ferguson annuì. «Bene, da questa parte signor Davenant, prego». «Non ha un senso di déja vu?», chiese Davenant mentre entrava ancora una volta nello studio. «Come disse il parroco in uno strip-club». «Tralasciamo le battute», disse Pascoe chiudendo la porta. «E lei può anche lasciar perdere le sue pose da omosessuale». «Non mi ami più?», chiese Davenant ancheggiando verso di lui, le braccia teatralmente spalancate. Pascoe lo colpì allo stomaco, non forte, ma abbastanza da farlo piegare in due e farlo crollare su una sedia. «Gesù Cristo», annaspò Davenant, premendosi le braccia incrociate sullo stomaco. «Allora succede davvero! La storia del manganello di gomma. Non ci ho mai creduto». «Sono contento che siamo riusciti a sorprenderla. È seduto comodo? Allora cominciamo». «Che cosa diavolo vuole?», chiese Davenant, guardando con intenzione la porta. Pascoe notò con interesse che il suo accento e il modo di parlare erano completamente cambiati. Le vocali strascicate e i toni acuti erano scomparsi. Ora rimaneva un tono piatto, quasi monotono, con un lieve ac-
cento del nord. «Da quanto tempo fa il ricettatore?», chiese Pascoe, pronto a ricevere un diniego e chiedendosi come si sarebbe comportato in quel caso. «Da dieci anni. Regolarmente da sei. Ho cominciato subito dopo aver accettato la prima bustarella per menzionare un ristorante puzzolente in un pezzo che stavo scrivendo. Avrà notato come un crimine porta a commetterne un altro». «Cominciamo a essere franchi, vedo», disse Pascoe, preso leggermente alla sprovvista. «Senta, amico, lei è un uomo che mette paura. Io mi rendo conto che è andato un po' fuori di testa a causa di questa faccenda. Ma non abbastanza da picchiarmi di fronte agli altri testimoni. Non mi piace essere picchiato in qualsiasi caso, quindi le dirò tutto. Ma, come nel caso dei suoi pugni, niente testimoni». «Quanti anni ha?», chiese Pascoe. «Quarantatré». «Sembra più giovane». «Grazie infinite», disse Davenant, ritornando per un momento al vecchio stile. «È meraviglioso cosa riescono a fare un po' di trucco e un parrucchino. La verità è morta». Ora Pascoe non lo vedeva più come l'omosessuale affascinante e senza età, cinico e sofisticato, ma come un uomo di mezza età abbigliato per una festa in maschera alla quale non aveva più voglia di partecipare, con segni visibili di preoccupazione che dagli occhi arrivavano alla bocca a completare le profonde rughe dell'età sulla fronte. Un uomo spaventato. Pascoe, osservando, aveva imparato quanto fosse facile per un uomo spaventato uccidere. Così come sapeva per esperienza quanto fosse facile colpire per un poliziotto arrabbiato. Strinse i pugni nelle tasche della giacca e cercò di tenere calmo il tono della voce quando chiese: «Perché li ha uccisi?». «Per l'amor di Dio!», esclamò Davenant. «Che domanda stupida!». «Forse intende dire che la risposta è ovvia!». «No! Sì, certo che è ovvia: non l'ho fatto. Le ho detto la verità. Ero là. Ci ero andato per affari; non le fa piacere scoprirlo, vero? Me ne sono andato alle sette. Sono venuto dai Culpepper. E da qui sono tornato a Oxford». «Lei è un bugiardo», disse Pascoe, facendo un passo avanti. Davenant scattò in piedi impaurito, la sedia dietro di lui cadde a terra. La porta si aprì e comparve la testa di Ferguson.
«Tutto bene, signore?». «Sì. Mi ascolti, Davenant, lei pensa di avere un alibi, giusto? Bene, lo controlleremo. Nessuno fin qui ha detto una sola parola che confermi la sua storia. E non credo che lo faranno. Ferguson, sta' qui e sorveglialo. Non farti fregare dalla sua espressione di cucciolo maltrattato. È una bestia pericolosa». Si voltò e lasciò lo studio, con la furia che gli bruciava dentro. Culpepper era la chiave. Se lui non confermava la storia, Davenant era nei guai. Il gruppo in soggiorno sembrava ancora in sessione. Buon segno: era meglio muoversi con Backhouse fuori dai piedi. Nella stanza delle porcellane, Culpepper era in piedi tra i due enormi vasi pseudocinesi e dava la schiena alla porta. Le luci erano accese in tutte le nicchie e i pezzi della collezione irradiavano tranquillamente la loro fredda bellezza. «Perché non venderli?», chiese Pascoe. «Le darebbero un po' di respiro». «Come? Oh, signor Pascoe. Sì, suppongo che dovrei... penso che dovrei». Le parole esprimevano assenso, ma il tono era quello che si usa per scoraggiare un bambino insistente. «Cosa stava per fare con il denaro che le ha portato Pelman?». «Quello? Lo sa già. Era per Davenant». Era meglio di quanto Pascoe avesse sperato. Avrebbe voluto uscire e andare a cercare Backhouse, ma temeva di rovinare l'atmosfera. «La stava ricattando». «In un certo senso». «Questo perché parte della sua collezione proveniva da lui?». «In un certo senso». «Che altro voleva da lei?». «Mi scusi?». «Le ha chiesto qualcos'altro? Era davvero qui, venerdì notte?». «Oh, sì, era qui». «E a che ora se n'è andato?». «Non me lo ricordo». «Andiamo, signor Culpepper! Davenant sostiene di essere rimasto qui fin dopo le dieci. Lei cosa dice? È vero?». «No, se n'è andato prima delle otto e mezzo». Pascoe emise un sospiro di sollievo. La sua intuizione era stata esatta.
Culpepper non era dell'umore di giocare con gli alibi. In seguito se ne sarebbe pentito, ma sarebbe stato troppo tardi. «Grazie, signor Culpepper», disse voltandosi. Dietro di lui c'era l'anziana signora. «Se ne sta andando?», gli chiese. «Sì. Non la disturberemo più a lungo». «Oh, già». Scosse la testa, non si capiva bene se per negare o annuire. «Aspetti un momento», disse, facendo un passo nella stanza. Pascoe la guardava, impaziente di tornare da Davenant per presentarsi a Backhouse con il suo omicida, e tornarsene a casa. Lentamente la vecchia attraversò la stanza e si fermò dietro al figlio. «Sì, mamma?», disse Culpepper. «Questo intelligente poliziotto se ne sta andando, Hartley. Non vuoi parlargli?». Non disse altro, ma rimase in silenzio a guardare la schiena rigida del figlio. Poi fece una cosa strana. Si voltò e si buttò con tutto il suo peso su uno dei vasi cinesi. Pascoe fece un balzo in avanti mentre il vaso oscillava sul basamento, ma era troppo tardi. Il vaso colpì il pavimento ed esplose in una miriade di frammenti verdi, blu e bianchi. Qualcosa comparve in mezzo ai cocci come la sorpresa dell'uovo di Pasqua. Un fucile da caccia. Pascoe si mosse velocemente, ma l'anziana signora gli intralciava il passo e il fucile si trovò nelle mani di Culpepper prima che Pascoe potesse strapparglielo di mano. «Mi dispiace, figlio mio», disse la donna. «Ho aspettato abbastanza, troppo a lungo, forse. Avresti dovuto dirlo tu». La mente di Pascoe correva a tutta velocità. Non c'era spazio per la paura, adesso, o almeno c'era solo per la paura di non riuscire a scoprire mai più la verità. «Perché?», gridò. «Perché?». «Il suo amico stava per dirlo a tutti», disse Culpepper, il viso alterato in una richiesta di comprensione. «Non aveva il diritto, lo capisce? E io non mi ero reso conto che tutti già lo sapevano. Ma io non avrei mai pensato... mai pensato...». Nel soggiorno si udirono i due colpi di fucile, quasi simultanei. Per una frazione di secondo nessuno si mosse. Poi tutti si precipitarono in corridoio e guardarono la scena che si presentava davanti a loro con diversi gradi di
consapevolezza. Pascoe, la vecchia signora Culpepper e suo figlio erano nella stanza delle porcellane e osservavano i danni causati alla collezione dalla doppia detonazione partita dal fucile di Hartley. Alcuni pezzi erano ancora intatti. Culpepper fece un passo avanti e li distrusse con il calcio del fucile. Alla fine, soddisfatto, gettò a terra l'arma e si diresse verso il corridoio, dove si fermò e guardò senza espressione sua moglie che stava singhiozzando nelle braccia di Sam Dixon. Dixon? si chiese Pascoe, che a questo punto non riusciva più a sorprendersi di nulla. La porta dello studio si aprì e ne uscirono Davenant e Ferguson. Davenant guardò nella stanza delle porcellane e scosse la testa di fronte a quello scempio. Poi si girò verso Pascoe. «Peccato», disse. «Speravo proprio che le avesse fatto saltare il cervello». 11 Dichiarazione di Antony Neville Dick, resa alla stazione di polizia di Thornton Lacey, Oxfordshire, in presenza del detective sovrintendente D.S. Backhouse. Sono uno scrittore free-lance di servizi giornalistici, lavoro sotto lo pseudonimo di Anton Davenant. La natura della mia professione mi ha portato a stretto contatto con numerose persone che hanno legami con l'arte e l'antiquariato e occasionalmente ho svolto il ruolo di mediatore nella compravendita di alcuni oggetti. Mai ho avuto motivo di sospettare che un compratore con il quale ero in contatto non fosse pienamente titolato a smerciare gli oggetti per i quali stavo trattando. «Può cavarsela con così poco?», chiese Pascoe, quasi ammirato. «Possiamo solo sperare che nello Yorkshire lei faccia un lavoro migliore di quello che ha svolto qui», replicò Backhouse. Venerdì 17 settembre, alle ore diciannove circa, telefonai a Brookside Cottage, Thornton Lacey. Il mio scopo era in parte conviviale, poiché conoscevo i proprietari, il signore e la signora Hopkins, e in parte di affari. Il signor Timothy Mansfield, ospite in
quel momento presso gli Hopkins, aveva portato con sé una statuetta che io avevo accettato di mostrare a un collezionista locale, il signor Hartley Culpepper. «C'è qualcos'altro oltre alle affermazioni di Davenant che possa collegare Timmy ai suoi traffici?», chiese Pascoe. «Solo prove circostanziali». «Ma lei ci crede?». «Sembra probabile, tutto qui». «E gli altri?». «Clienti, forse. Nel sopralluogo dopo l'incendio, dal cottage mancavano un paio di oggetti. Sospettai che Davenant li avesse presi solo per evitare che venissero scoperte delle prove sul luogo del delitto». «È stato lui ad appiccare il fuoco?». «Ha lasciato aperto un rubinetto del gas. Più tardi la fiamma pilota ha innescato l'incendio. Ma è da tutto da provare». Avevo già avuto a che fare con il signor Culpepper. Mi doveva quasi quattromila sterline da un affare precedente, ed ero naturalmente preoccupato quando il suo nome era stato menzionato in rapporto con il libro che il signor Hopkins stava scrivendo. Il tema era la povertà nella società del benessere e non trattava tanto la questione analizzando la situazione delle classi più modeste, bensì questioni come il tenore di vita al di sopra dei propri mezzi, l'analisi degli sprechi, situazioni di disoccupazione dei dirigenti, quel genere di argomenti. Il signor Hopkins aveva ottenuto l'accesso ad alcune informazioni da una delle più importanti agenzie di collocamento per dirigenti, e aveva notato il nome del suo nuovo vicino di casa. Era rimasto colpito dal fatto che Culpepper continuasse a sostenere di essere impiegato presso la Nordrill e sperava di ottenere la sua collaborazione per poter usare la sua esperienza come materiale per il libro, sebbene non glielo avesse chiesto direttamente. Subito dopo le diciannove e trenta lasciai Brookside Cottage e chiamai casa Culpepper. Hartley si mostrò interessato alla statuetta, ma disse che non aveva abbastanza denaro contante disponibile per pagarla e mi chiese di aggiungerla a quanto già mi doveva per gli acquisti precedenti. Tenuto conto delle informazioni che
avevo appena ricevuto, questa volta rifiutai e gli spiegai perché. All'inizio negò, poi si arrabbiò molto e chiese di sapere come l'avevo scoperto. Gli parlai del libro di Hopkins e suggerii che forse valeva la pena, dal punto di vista economico, di cooperare con lui, e mi offrii persino di agire come suo agente nel caso volesse vendere la sua collezione di porcellane. A questo punto era talmente irritato che decisi di lasciar perdere e tornai a Oxford. «Ho paura che questo sia tutto quello che riusciremo a ottenere dal signor Davenant», disse Backhouse. «E Culpepper?». «Una lunga e tormentosa deposizione che oscilla tra l'autogiustificazione e la recriminazione. Non credo che lei voglia leggerla». «No». «È abbastanza chiaro quello che è accaduto. Culpepper si è recato a Brookside Cottage a protestare con Hopkins. La signora Hopkins era appena uscita per andare al pub. Lui e Hopkins hanno avuto un alterco in sala da pranzo. Il suo amico era piuttosto ubriaco, naturalmente, e forse non ha compreso che cosa stava provocando in Culpepper il suo lavoro». «Cioè?», chiese Pascoe. «La distruzione di un'immagine pubblica», disse lentamente Backhouse. «Culpepper viene da una famiglia povera, lo sapeva? Raggiungere la posizione che aveva ottenuto era stato il lavoro di tutta una vita. Di più: forse la sua vita stessa. Improvvisamente Hopkins deve aver messo a fuoco la gravità della minaccia. Ha preso il primo oggetto che facesse al caso suo, cioè un fucile che aveva preso in prestito da Pelman, e l'ha colpito in testa. Poi, mezzo intontito, è uscito in giardino dalla portafinestra. Gli altri due sono arrivati dal soggiorno per capire cosa stava succedendo. Hartley ha preso il fucile e ha premuto due volte il grilletto. A quella distanza non aveva bisogno di essere un gran tiratore». «E Colin?». «Sente i colpi di fucile dal giardino e scappa verso il letto del torrente, seguendo la corrente. È sul punto di collassare, se lo ricordi. Culpepper è ancora più furioso per quello che ha appena fatto. Hopkins che l'ha costretto a farlo... così la pensa lui. C'è una scatola di cartucce nel cassetto. Ricarica il fucile ed esce, in cerca di Hopkins. Sfortunatamente, la signora Hopkins sta tornando in quel preciso istante e gira intorno alla casa per entrare attraverso la portafinestra. Nulla può fermare Culpepper, ormai. Le spa-
ra senza nemmeno riflettere e va a cercare Hopkins. Lo trova all'altezza del canale di scarico». «Oddio». «Ecco come è andata. Non appena ritorna in possesso di un barlume di lucidità, Culpepper cerca di ripulire tutto. Torna al cottage e scopre gli appunti del libro del suo amico. Deve distruggerli. Poi trova le citazioni dalla poesia e cerca di trovare un modo per farle apparire come un biglietto di suicidio. Così organizza tutto. È fortunato. Nessuna interruzione e più tardi la pioggia sarà talmente forte che porterà via tutte le tracce della fuga di Hopkins verso il torrente. Torna a casa. Sua moglie è fuori - ovviamente con Sam Dixon - e lui è salvo. Tranne che per una cosa: sua madre lo vede, e in quel momento, o subito dopo, scopre l'arma. Povera vecchia. Ha sospettato qualcosa, ma con la scomparsa di Hopkins e i sospetti di omicidio concentrati su di lui, si è persuasa che tutto fosse tornato alla normalità. Più tardi tuttavia... non è un bel modo per arrivare alla fine della propria esistenza». «No», disse Pascoe. «Davenant ha sospettato qualcosa?». «Sostiene di aver creduto come tutti che fosse stato Hopkins. Io penso che sia tornato al cottage per far sparire le porcellane sospette e per prendere gli appunti del libro. Era preoccupato in caso qualcuno, scoprendo dei riferimenti a Culpepper, potesse mettere in relazione il fatto che si conoscessero e gli facesse pressioni. Un interesse puramente egoistico, è ovvio. Ha cercato di appiccare il fuoco al cottage, casomai il manoscritto fosse ancora là da qualche parte, e ha passato al setaccio la sua stanza mentre lei era ospite dai Culpepper, Pascoe, solo nel caso lei potesse averlo in quanto amico di Hopkins. Ma ancora una volta, questa è pura teoria. Niente da mostrare alla corte». «Ha senso. Più di tutte le mie congetture su questo caso. Nella mia testa avevo risolto tutto, ma le premesse erano false! A volte mi chiedo se sono adatto a fare questo mestiere!». «Non per questo caso in particolare, naturalmente», disse Backhouse con gentilezza. «Ma' non c'è da meravigliarsi. Credo che lei faccia un ottimo lavoro a casa sua». «Casa», disse Pascoe. «Che bella parola. È solo un vecchio e trasandato appartamento da scapolo, ma per adesso mi basta. Ecco cosa vorrei fare ora. Andare a casa». «Non c'è niente di meglio della propria casa», disse Dalziel, con il tono
di un uomo che stia facendo una scoperta assolutamente straordinaria. «Vero», confermò Pascoe. «È lì che hanno beccato quel tizio, Atkinson, in una casa di riposo a Romford. Ha detto agli agenti che aveva settantadue anni! È un vecchio truffatore sul viale del tramonto. Non ho dubbi che quando ho finito con lui si sentisse settantadue anni sul groppone! Ora abbiamo prove sufficienti per incastrare Cowley per un bel pezzo». «Ne sono lieto», disse Pascoe, rilassandosi sulla sedia e osservando la stanza con orgoglio. Era sorprendente quanto il suo appartamento fosse diventato un posto civilizzato. Le candele sul tavolo erano parse un po' eccessive nella luce del pomeriggio, ma adesso erano perfette. Il tocco di una donna faceva miracoli. Ah, sì, senza dubbio. Dalziel e Pascoe erano seduti uno di fronte all'altro, e stavano finendo di bere il vino bianco secco che aveva accompagnato la trota al forno. «Ho imparato una cosa», disse Pascoe improvvisamente. «Che cosa?». «Le informazioni. Se sei tagliato fuori dai canali locali, sei perso! Tutti sapevano di Culpepper tranne me. Tutti sapevano che era Sam Dixon ad avere una storiella con Marianne, eccetto me». «Backhouse si teneva strette le sue carte», disse Dalziel. «Spero che la sua promozione non la faccia trasferire da qualche parte vicino a lui. Non gli ha fatto una buona impressione!», rise. «Ma lui non è un gran giudice. Pensa la stessa cosa di me!». «Stupefacente», commentò Pascoe. «A ogni modo è stato Dixon a telefonare a Crowther e dirgli che Davenant era dai Culpepper. Marianne aveva accennato che era tornato e Sam era geloso! Non di suo marito, badi bene. Nessuna competizione da quel lato. La vecchia signora Culpepper sapeva cosa c'era in ballo, naturalmente. Sapeva tutto. Per quel motivo era così arrabbiata quando Dixon si è presentato a casa. Gli ha fatto rompere mezza cassa di scotch!». «Terribile», fece Dalziel. «Ma se lui sapeva che Culpepper era nei guai, perché accettava di portargli la roba lo stesso?». «Gli abituali fornitori di Culpepper stavano cominciando a rifiutarsi di vendere. Pare che l'ammontare dei conti non pagati sia enorme. Ecco perché lui cominciava a rivolgersi ai pub locali. Palfrey non aveva intenzione di perderci. Aveva portato un paio di bottiglie tanto per fare bella figura, diciamo, e ha raccontato la storiella degli scarsi rifornimenti. Dixon inve-
ce, be'... Dixon era innamorato. E questo lo faceva agire irrazionalmente. Le ho detto che era stato lui a darmi un colpo in testa a Brookside Cottage?». «Sì», rispose Dalziel. «Un posto maledettamente macabro per incontrarsi con l'amante». «Già. Pelman aveva incontrato Marianne al villaggio e le aveva accennato al fatto che mi stavo dirigendo al cottage. Lei si è precipitata al telefono più vicino per avvertire Dixon. Un secondo squillo, un segnale convenuto in modo che lui sapesse chi era. Naturalmente, non voleva che riconoscessi la sua voce. Quindi, bang!». «Una bella cricca di maneschi, a Thornton Lacey». «Sì, non lo dica a me! Poi Dixon se ne va, spaventato di aver esagerato. Prende la macchina e torna indietro per far finta di avermi trovato per caso. Ma il buon vecchio maggiore Palfrey ha fatto il lavoro per lui. Così il suo segreto colpevole è salvo. Era salvo. Ora l'orgogliosa Marianne è uscita allo scoperto. Povera Molly Dixon! Sembravano una coppia perfetta!». «Già, be', succede», commentò Dalziel cupo. «Che cosa succede?», chiese Ellie allegramente, arrivando dalla cucina con una zuppiera di verdure. «I poliziotti fanno le cose per bene e si fanno incastrare», rispose Dalziel col suo spirito greve. «Che cosa arriva? Ha un buon profumo». «Sorpresa», disse Ellie, sorridendo a Pascoe mentre tornava in cucina. Non era stata molto entusiasta alla prospettiva di fare da padrona di casa per Andrew Dalziel, ma sembrava che si dovesse proprio invitarlo a cena. Perché, lei proprio non riusciva a immaginarlo! Tuttavia, era entrata nella parte e si stava divertendo da morire, soprattutto per il comportamento di Dalziel, una via di mezzo tra l'ospite vecchio stampo e la consueta, grassa volgarità. «Così Dixon era un cavallo che poteva riservare delle sorprese», riassunse Dalziel, quando fu sicuro che Ellie fosse fuori dalla portata d'orecchio. «Ma il suo ruolo era del tutto marginale, non è vero?». «Oh, sì. Anche se mi ha spaventato a morte quando mi ha seguito sul vialetto dei Culpepper quella sera, mentre andava al suo incontro con Marianne!». «Il tizio, Pelman, sembra più interessante». «Lo era», disse Pascoe. «Backhouse mi ha detto dopo che, alibi a parte, non avrebbe potuto sospettare seriamente che la stessa persona che buttava merda di gallina nella cava dove la moglie e l'amante si erano uccisi potes-
se commettere un assassinio del genere. Strano ragionamento». «Mica tanto», rispose Dalziel. «È saper ragionare a quel modo che fa di te un sovrintendente! Non capisco perché Pelman volesse prestare a Culpepper mille bigliettoni. Non erano grandi amici, e lui sapeva che Culpepper era scoppiato». «Oh, i sentimenti non c'entravano niente, stia certo!», rise Pascoe. «Culpepper era andato a trovarlo la sera prima per chiedergli un prestito. E Pelman aveva preso in garanzia una mezza dozzina di oggetti da collezione - tutti i pezzi che Davenant gli aveva venduto e che Culpepper voleva restassero lontani dalla vista per un po'». «Furbo, il vecchio Culpepper!», disse Dalziel. «Sì», disse Pascoe con passione improvvisa. «Spero non sia tanto furbo da non essere sbattuto dentro per sempre!». «Probabile», disse Dalziel, guardando a disagio verso la cucina. «Mi scusi, signore», disse Pascoe. «È solo che è relativamente facile essere oggettivi e impersonali nel nostro lavoro. Ti sforzi di esserlo ogni volta. X uccide Y. Trovarlo. Formulare l'accusa. Dimenticarlo. X ha molti nomi, passiamo tutta la nostra vita a cercare X. Non è unico. Ma a volte Y ha un nome particolare. Y è unico. Qualcosa che per te personalmente è insostituibile se n'è andato per sempre. E allora cominci a pensare che è sempre così per qualcuno». «Dimentichi i nomi», disse Dalziel secco. «Rimanga a X e Y. La vita è una serie di naufragi. Lei si assicuri che i sopravvissuti tornino sempre a riva». «Uffa», disse Ellie sulla porta della cucina. «La promozione contempla anche un corso di filosofia? Mi spiace interrompere il momento socratico, ma è pronto». Trionfante, portò in tavola un largo piatto da portata nel quale erano allineati due fagiani arrosto. «Gesù!», esclamò Dalziel ammirato. «La mia dieta va a farsi fottere!». Risero tutti. Davanti alla disinvolta e genuina allegria di Ellie, Pascoe sentì la risata morirgli dentro. Si mise ad armeggiare con il trinciapolli e l'affilato coltello d'acciaio. Era facile diventare cronicamente diffidenti di fronte alla felicità, non assaporare alcuna gioia se non controllando ogni volta da sopra la spalla se qualcuno ti sta osservando: forse era questa la formula per la sopravvivenza che Dalziel aveva da offrire, anche se, guardando il ciccione in quel momento, non ne era affatto sicuro. Ma poi, a vedere Ellie che stava spiegando orgogliosamente attraverso
quali ingegnosi sistemi i fagiani erano arrivati a essere così succulenti, chi l'avrebbe mai detto che la stessa Ellie solo qualche ora prima si fosse fatta trovare in lacrime mentre guardava i due fagiani sul tavolo della cucina, il verde piumaggio iridescente venato di color porpora, come la seta dell'abito da sera di una donna? Stare attenti, essere all'erta non era un brutto ruolo, soprattutto se non lo si faceva pesare troppo. Posò il trinciapolli e affrontò i fagiani con il coltello. Con aria imperturbabile, tagliò la testa di uno dei due, fece un cenno in direzione di Dalziel e chiese a Ellie: «Qual è la sua?». Scoppiarono a ridere di nuovo. Questa volta anche Pascoe rise di gusto e senza riserve. FINE