Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt ARTURO PEREZ REVERTE. LA PELLE DEL TAMBURO. MARCO TROPEA EDITORE EDIZION...
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Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt ARTURO PEREZ REVERTE. LA PELLE DEL TAMBURO. MARCO TROPEA EDITORE EDIZIONE 1998. Un pirata informatico che si infiltra nella rete del Vaticano. Una chiesa barocca, a Siviglia, che uccide per difendersi. Tre scalcinati imbroglioni che vorrebhero resuscitare la musica popolare spagnola. Una bella nobile andalusa. Un attraente sacerdote, agente segreto In missione per conto del papa. Un banchiere avido e geloso e la sua guardia del corpo schiava del tappeto verde. Una duchessa settantenne che beve solo CocaCola. La cartolina di una donna morta un secolo prima. E la misteriosa donazione del capitano Xaloc, ultimo corsaro spagnolo, scomparso davanti alle coste di Cuba nel 1898. Con questi ingredienti Arturo PérezReverte costruisce nella Pelle del tamburo un'ingegnosa, complessa e seducente trama romanzesca. Con la sua irrefrenabile immaginazione, la sua perfetta padronanza dell'architettura narrativa e della sovrapposizione di generi letterari diversi - mistero, giallo, storia, romanticismo, avventura, feuilleton -l'autore de Il club Dumas e La tavola fiamminga immerge il lettore in una storia che lo cattura, e lo trascina in un mistero la cui chiave si nasconde tra le vecchie banchine del Guadalquivir, dove ancora oggi, nelle notti di luna piena, fantasmi di fanciulle disperate agitano i loro fazzoletti come cenno di saluto all'evanescente equipaggio di golette in rotta per le Antille. Arturo PérezReverte è nato a Cartagena, in Spagna, nel 1951. Ha lavorato per ventun anni come inviato per giornali, radio e televisione, è stato reporter di guerra nei punti caldi del mondo come Cipro, El Salvador, Ciad, Isole Falldand, Libano, Golfo Persico, Croazia e Sarajevo. La sua carriera di scrittore inizia nel 1986 con il romanzo El bu~ar, ambientato durante le guerre napoleoniche; l'affermazione a livello internazionale arriva però nel 1990 con il suo terzo romanzo, La tavola fiamminga, segnalato dal New York Times Book Review come miglior romanzo straniero dell'anno. Nel 1993 decide di abbandonare definitivamente il giornalismo e si dedica all'opera che consacrerà il suo successo nel mondo: Il club Dumas, che nella sola Spagna ha venduto 500.000 copie e in Francia altre 300.000. In Italia Il club Dumas, pubblicato anche dal Club con grande apprezzamento dei soci, è già alla sua seconda edizione. E in lavorazione inoltre una riduzione cinematografica del romanzo, diretta da Roman Polanski e interpretata da Johnny Depp. Ad Amaya, per la sua amicizia. A Juan, per avermi incalzato. A Rodolfo, per la parte che gli tocca. Il pirata informatico si infiltrò nel sistema centrale del Vaticano undici minuti prima di mezzanotte. Trentacinque secondi dopo, uno dei computer collegati alla rete principale dette l'allarme. Solo una spia luminosa intermittente sullo schermo segnalava l'inserimento automatico del controllo di sicurezza in seguito a un'intrusione esterna. Poi in un angolo del monitor comparvero le lettere HK, e il funzionario di guardia, un gesuita che stava immettendo i dati sull'ultimo censimento dello Stato Pontificio, afferrò la cornetta per avvisare il capo servizio. «C'è un hacker» annunciò. Padre Ignacio Arregui, un altro gesuita, uscì nel Corridoio abbottonandosi la tonaca e percorse i cinquanta metri che lo separavano dalla sala dei computer Era magro e ossuto e le sue scarpe scricchiolavano mentre attraversava la penombra, sotto gli a ffreschi. Lanciò un'occhiata fuori dalle finestre, verso la deserta via della Tipografia e la facciata scura di palazzo Belvedere, e brontolò con discrezione, a denti stretti. Il suo malumore nasceva più dall'essere stato svegliato mentre schiacciava un pisolino che dalla comparsa dell'intruso. Le incursioni erano frequenti, ma inoffensive. Di solito si limitavano al perimetro di sicurezza esterno, lasciando solo lievi tracce del loro passaggio: messaggi o piccoli virus. Ai pirati informatici, hackers in gergo tecnico, piaceva far sapere che erano stati lì. In genere si trattava di ragazzi molto giovani, che amavano Religiosi, banchieri, pirati, duchesse e furfanti, i personaggi e le vicende di questo romanzo sono frutto della fantasia, e qualsiasi collegamento con persone o con fatti realmente accaduti Pagina 1
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt deve essere considerato casuale. Qui tutto è fittizio, eccetto lo scenario. Nessuno riuscirebbe mai a inventare una città come Siviglia. viaggiare attraverso le linee telefoniche per esplorare sistemi altrui cercandone, ogni volta, uno più complesso. Per i tossici del chip, per i drogati dell'alta tecnologia, tentare la sorte con la Chase Manhattan Bank, con il Pentagono o con il Vaticano, era sempre un'avventura eccitante. Il funzionario di guardia era padre Cooey, un occhialuto gesuita irlandese, giovane e corpulento. Aggrottava la fronte preoccupato, chino sui tasti del suo computer; seguendo le tracce informatiche del pirata. Quando arrivò al suo fianco, padre Arregui lo vide alzare gli occhi con sollievo. La luce della lampada da lavoro gli illuminava la parte inferiore del volto. «Non può immaginare come sono contento di vederla, padre.» Il superiore si sedette al suo fianco, appoggiando le mani sul tavolo sotto la luce; fissava attentamente le icone rosse e azzurre che lampeggiavano sullo schermo. Il sistema che individuava gli intrusi segnalava senza interruzione i movimenti dell'infiltrato. «E grave?» «Forse sì.» Solo una volta, negli ultimi due anni, si era verificata una situazione preoccupante, quando un pirata era riuscito a infiltrare un bug nella rete vaticana. I bugs erano files destinati a moltiplicarsi all'interno del sistema fino a bloccarlo, e in quel caso ripulire la rete e riparare i danni aveva richiesto mezzo milione di dollari. Identificato dopo una ricerca lunga e complessa, il pirata si era rivelato un ragazzo di sedici anni che abitava in un paesino della costa olandese. Altri gravi tentativi di infiltrare virus o programmi distruttivi erano stati bloccati sul nascere: un giovane mormone di Salt Lake City, una società di integralisti islamici con sede a Istanbul, un prete pazzo, nemico del celibato, che nottetempo utilizzava il computer del manicomio. Il sacerdote, un francese, li aveva tenuti in scacco per un mese e mezzo, ed erano riusciti a neutralizzarlo quando ormai aveva infettato quarantadue files con un virus che riempiva gli schermi di insulti in latino. Padre Arregui mise un dito sul cursore che lampeggiava in rosso: «E il nostro hacker?». «Sì.» «Che nome gli ha assegnato?» Davano sempre un nome a ogni pirata per poterlo identificare e seguire; molti erano vecchie conoscenze. Padre Cooey indicò una riga nell'angolo inferiore destro dello schermo. «"Vespro", a causa dell'ora. E la prima cosa che mi è venuta in mente.» Sul monitor si scurirono le icone di alcuni files e se ne illuminarono altre. Cooey le guardò con attenzione, poi ne puntò una con il mouse e fece clic due volte. Ora che aveva vicino un superiore su cui scaricare ogni responsabilità, il suo atteggiamento era diverso: più rilassato, quasi di attesa. Per un veterano dell'informatica, e quel giovane lo era, l'incursione di un pirata rappresentava una sfida professionale. «Sono dieci minuti che è lì» disse, e a padre Arregui sembrò di percepire un'eco di ammirazione contenuta. «All'inizio si è limitato a esplorare le diverse possibilità di accesso al sistema. Poi all'improvviso vi si è intrufolato. Conosceva già la strada, senza dubbio ci ha già fatto visita in precedenza.» «Che intenzioni ha?» Cooey si strinse nelle spalle. «Non lo so. Ma lavora bene e in fretta, con un sistema triplo per eludere le nostre difese: inizia provando permutazioni semplici di nomi di utenti noti, poi tenta con le voci del nostro database e infine con un elenco di quattrocentotrentadue parole d'ordine.» Quando arrivò a quel punto il gesuita storse leggermente la bocca, come per trattenere un sorriso inopportuno. «Ora sta esplorando gli accessi a INMAvAT.» Inquieto, padre Arregui tamburellò con le dita su uno dei manuali tecnici che ingombravano il tavolo. INMAVAT era un elenco riservato di alte cariche della curia vaticana. Vi si entrava solo mediante una password personale e segreta. «Scanner d'inseguimento?» suggerì. Cooey indicò con il mento un altro monitor, acceso sul tavolo accanto. Il gesto diceva che ci aveva già pensato. Collegato alla polizia e alla rete telefonica vaticana, quel sistema registrava tutti i dati relativi al segnale dell'intruso, e disponeva addirittura di una trappola per hackers: una serie di percorsi esca pieni di meandri, in cui gli infiltrati si attardavano lasciando tracce che permettevano di localizzarli e identificarli. «Non otterremo granché» dichiarò Cooey dopo qualche istante. «Vespro ha nascosto il punto in cui è entrato nel sistema saltando attraverso diverse reti telefoniche. Ogni volta che passa da una a un'altra, bisogna seguire le tracce Pagina 2
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt fino alla centrale d'ingresso... Dovrebbe fermarsi molto a lungo perché fosse possibile ottenere qualche informazione. E nonostante questo, se vuol far danni, ci riuscirà.» «Che altro potrebbe volere?» «Non lo so» la smorfia tra il curioso e il divertito tornò a insinuarsi sulla bocca del giovane, svanendo non appena sollevò il capo. «A volte si accontentano di curiosare, o lasciano un messaggio. Lo sa: "Capitan Zapp è stato qui", e frasi del genere» fece una pausa, osservando il monitor. «Anche se questo si da molto da fare per una semplice passeggiata.» Padre Arregui annuì un paio di volte mentre seguiva, assorto, cosa accadeva al segnale sullo schermo. Poi parve tornare in sé, guardò il telefono illuminato dal cono di luce della lampada e fece per allungare la mano verso la cornetta, ma a metà strada si fermò. «Crede che entrerà in i~~~v~~?» Cooey indicò lo schermo del suo computer: «Lo ha appena fatto» disse. «Santo cielo.» Ora il cursore rosso lampeggiava a tutta velocità, toccando rapidamente una lunga serie di files che scorrevano sullo schermo. «E bravo» disse Cooey, senza più dissimulare la sua ammirazione. «Che Dio mi perdoni, ma questo hacker è bravissimo» fece una pausa e sorrise. «Maledettamente bravo.» Aveva dimenticato la tastiera e, coi gomiti appoggiati sul tavolo, si limitava a guardare. L'elenco dall'accesso ristretto era davanti ai suoi occhi, allo scoperto. Ottantaquattro cardinali e alti funzionari, ciascuno col suo codice di riconoscimento. Il cursore percorse l'elenco da cima a fondo, due volte, e poi si fermò lampeggiando sulla riga contrassegnata VO i A. «Ah, maledetto» mormorò padre Arregui. Il segnalatore di trasferimento indicava una crescita progressiva nella memoria interna, e questo significava che l'intruso aveva fatto saltare la password di sicurezza e stava infiltrando un file pirata nel sistema. «Chi è VOlA?» chiese Cooey. La risposta si fece attendere. Padre Arregui si sbottonò il collare della tonaca, si passò una mano sulla nuca e guardò di nuovo, incredulo, il monitor. Poi sollevò molto lentamente la cornetta del telefono e, dopo aver esitato ancora un istante, compose il numero di emergenza della segreteria del palazzo apostolico. Ci vollero sette squilli prima che una voce rispondesse in italiano. Allora padre Arregui si schiarì la gola e spiegò che un intruso era entrato nel computer personale del Santo Padre. 1.L'uomo di Roma Non a caso porta la spada. È l'agente di Dio. BErNArDo DI cHIARAVALLE, Elogio della milizia templare. Fu agli inizi di maggio che Lorenzo Quart ricevette l'ordine che doveva portarlo a Siviglia. Una perturbazione si stava spostando verso il Mediterraneo orientale e quella mattina il fronte temporalesco passava su San Pietro, a Roma; così Quart dovette camminare lungo il perimetro della piazza, riparandosi dalla pioggia sotto il colonnato del Bernini. Mentre si avvicinava alla Porta di Bronzo, nella penombra del corridoio di marmo e granito scorse la figura di una sentinella con la sua alabarda che si accingeva a identificarlo. Era una guardia svizzera alta e robusta, con il cranio rapato sotto il basco nero dell'uniforme rinascimentale a righe rosse, gialle e azzurre; e Quart notò che osservava con curiosità il taglio impeccabile del suo abito scuro, in tono con la camicia di seta nera, con il collare e le scarpe di pelle fine, cucite a mano, ugualmente nere. Niente a che spartire, diceva quello sguardo, con i grigi bacherozzi, i funzionari della complessa burocrazia vaticana che passavano di lì ogni giorno. Ma non era nemmeno, come si poteva leggere negli sconcertati occhi chiari della guardia svizzera, un aristocratico della curia: uno di quei prelati e monsignori che, quando erano discreti, sfoggiavano una croce, un bordo porpora o un anello. Loro non arrivavano a piedi sotto la pioggia, ma avevano accesso al palazzo apostolico attraverso un'altra porta, porta Sant'Anna, a bordo di comode automobili con chauffeur. Inoltre, l'uomo che si era fermato con cortesia davanti alla sentinella e aveva estratto di tasca un portafoglio di pelle, cercando il documento di riconoscimento fra diverse carte di credito, era troppo giovane per la mitra, nonostante i numerosi fili bianchi che gli striavano i capelli, corti come quelli di un militare. Molto alto, snello, tranquillo, sicuro di sé, lanciò alla guardia svizzera un'occhiata professionale. Unghie curate, orologio con il quadrante bianco, gemelli d'argento dalla linea semplice. Gli dette al massimo quarant'anni. «Guten Morgen...Wie ist der Dienst gewesen?» Non fu il saluto, formulato Pagina 3
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt in perfetto tedesco, a mettere sull'attenti la sentinella e a farle raddrizzare l'alabarda, ma la sigla 10E accanto alla tiara e alle chiavi di San Pietro nell'angolo superiore destro della tessera di riconoscimento che il nuovo arrivato gli mostrava. Nel grosso volume rosso dell'annuario pontificio, l'Istituto per le Opere Esteriori appariva alle dipendenze della Segreteria di Stato, ma anche l'ultima recluta delle guardie svizzere sapeva bene che, per due secoli, l'Istituto era stato il braccio destro del Santo Uffizio, e che ora coordinava tutte le attività segrete dei servizi di informazione del Vaticano. I membri della Curia, maestri nell'arte dell'eufemismo, lo definivano la "mano sinistra di Dio". Mtri si limitavano a chiamarlo, mai però a voce alta, Dipartimento affari sporchi. «Kommen Sie herein.» «Danke.» Quart si lasciò alle spalle la sentinella, varcò la vecchia Porta di Bronzo e si diresse a destra, verso gli ampi gradini della Scala regia; poi, dopo aver presentato i documenti al banco del portiere, salì a grandi passi i gradini di una scalinata di marmo alla fine della quale, dietro una porta a vetri sorvegliata da un'ennesima sentinella, si apriva il cortile di San Damaso. Lo attraversò in diagonale sotto la pioggia, osservato da altre guardie che, avvolte in mantelli azzurri, vigilavano a ogni porta del palazzo apostolico. Quindi salì un'altra breve scala fermandosi al penultimo gradino, davanti a un portone accanto al quale era stata applicata una targhetta metallica poco vistosa: Istituto per le Opere Esteriori. Allora estrasse di tasca un fazzolettino di carta e si asciugò le gocce d'acqua sul viso. Poi, si chinò ed eliminò le tracce di pioggia dalle scarpe, appallottolò il fazzoletto e lo gettò nel portacenere di ottone sul pianerottolo, dopodiché controllò i polsini neri della camicia, si stirò la giacca e infine bussò alla porta. A differenza di altri sacerdoti, Lorenzo Quart era perfettamente cosciente della sua debolezza riguardo a virtù più o meno teologali: la carità o la compassione, per esempio, non erano il suo forte. E nemmeno l'umiltà, nonostante la sua natura disciplinata. Non aveva queste doti, ma non gli faceva difetto la meticolosità, o il rigore, e ciò lo rendeva prezioso per i suoi superiori. Come sapeva bene chi lo aspettava dietro quella porta, padre Quart era preciso e affidabile come un coltello svizzero. In quel momento nel palazzo mancava l'elettricità e l'unica fonte di luce nell'ufficio era il chiarore cinereo di una finestra aperta sui giardini del Belvedere. Mentre il segretario gli chiudeva la porta alle spalle, Quart fece cinque passi oltre la soglia e si fermò esattamente in mezzo alla stanza, in quell'a mbiente familiare dove scaffali in legno pieni di libri e documenti d'archivio nascondevano in parte le mappe geografiche affrescate da Ignazio Danti sotto il pontificato di Gregorio xiii: il mare Adriatico, il Tirreno e lo Jonio. Poi, ignorando la sagoma che si stagliava in controluce davanti alla finestra, rivolse un breve cenno del capo all'uomo seduto dietro un gran tavolo coperto di cartelle piene di documenti. «Monsignore» disse. L'arcivescovo Paolo Spada, direttore dell'Istituto per le Opere Esteriori, ricambiò silenziosamente il saluto con un sorriso di complicità. Era un lombardo di corporatura robusta e massiccia, con le spalle quadrate e possenti; indossava un abito nero con panciotto senza alcun distintivo della sua carica ecclesiastica. Aveva la testa grossa e il collo taurino che gli davano un'aria da camionista, oppure da lottatore o quella, forse più consona all'ambientazione romana, da vecchio gladiatore che avesse ceduto il gladio e il casco da mirmidone in cambio della veste scura della Chiesa. I capelli ancora neri e ispidi come setole ruvide, e le mani enormi, quasi sproporzionate, senza anello arcivescovile, rafforzavano ulteriormente questa impressione. In quel momento stava giocherellando con un tagliacarte in bronzo a forma di daga, con cui indicò la sagoma alla finestra. «Lei conosce già il cardinale Iwaszkiewicz, suppongo». Solo allora Quart guardò alla sua destra e salutò la sagoma immobile. Certo che conosceva Sua Eminenza Jerzy Iwaszkiewicz, vescovo di Cracovia, promosso alla porpora cardinalizia dal suo compatriota papa Wojtyla, nonché prefetto della Santa Congregazione per la Dottrina della Fede, nota fino al 1965 con il nome di Santo Uffizio o Inquisizione. Benché fosse solo una sagoma sottile e scura in controluce, Iwaszkiewicz e ciò che rappresentava erano inconfondibili. «Laudeatur Jesus Christus, Eminenza. Il direttore del Santo Uffizio non rispose al saluto, ma rimase immobile e in silenzio. Fu la voce rauca di monsignor Spada a mediare: «Può sedersi, se vuole, padre Quart. Pagina 4
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt E una riunione ufficiosa e Sua Eminenza preferisce restare in piedi». Aveva utilizzato il termine "ufficiosa", e Quart afferrò la sfumatura. Nel linguaggio del Vaticano, la differenza tra "ufficiale" e "ufficioso" era importante. Quest'ultimo termine indicava una situazione in cui si rivela implicitamente ciò che si pensa di quanto verrà comunicato, o addirittura lo si dice a chiare lettere, anche se poi non si ammetterà mai di averlo detto. Quart guardò la sedia che l'arcivescovo gli indicava con il tagliacarte e scosse leggermente il capo, intrecciò le mani dietro la schiena e attese in piedi al centro della stanza, con aria rilassata e tranquilla, come un soldato pronto a qualsiasi ordine. Monsignor Spada lo guardò con approvazione, socchiudendo gli occhi dall'espressione astuta e dalla sclera solcata di venature scure; occhi simili a quelli di un vecchio cane. Quegli occhi, assieme all'aspetto massiccio e all'ispida capigliatura, gli erano valsi il soprannome di "Mastino", che osavano utilizzare, a voce adeguatamente bassa, solo i membri della curia più illustri e sicuri di sé. «Sono lieto di rivederla, padre Quart. Ne è passato del tempo.» Due mesi, ricordava Quart. E anche quella volta erano in tre nell'ufficio: loro due e un noto banchiere, Renzo Lupara, presidente della Banca Continentale Italiana, uno degli enti legati all'apparato finanziario del Vaticano. Lupara, un signore elegante, bella presenza, irreprensibile dal punto di vista morale davanti al mondo e felice padre di famiglia, benedetto dal Cielo con una bella moglie e quattro figli, aveva fatto fortuna utilizzando la copertura bancaria vaticana per manovrare liberamente il denaro d'imprenditori e politici membri della loggia Aurora 7, di cui lui stesso era l'affiliato numero 33. Era proprio il genere di faccende mondane che richiedevano l'intervento specialistico di Lorenzo Quart, e così per sei mesi si era dedicato a seguire le tracce che Lupara aveva lasciato sulla moquette di certi uffici di Zurigo, Gibilterra e St. Barthélemy, nelle Antille. Frutto di quei viaggi era stato un rapporto esauriente che, aperto sul tavolo del direttore dello Ior, aveva posto il banchiere davanti all'alternativa del carcere o di un discreto exitus che mettesse in salvo il buon nome della Banca Continentale, del Vaticano e, possibilmente, della signora e dei quattro rampolli Lupara. Lì, nell'ufficio dell'arcivescovo, con gli occhi smarriti nell'affresco che rappresentava il mar Tirreno, il banchiere aveva afferrato il nocciolo del messaggio che monsignor Spada gli aveva esposto con molto tatto, ricorrendo alla parabola dei talenti. Poi, nonostante il salvifico ammonimento che, tecnicamente, un massone non pentito muore sempre in peccato mortale, Lupara si era recato a Capri nella sua fastosa villa sul mare, ed era poi precipitato, a quanto pareva senza confessione, giù dal parapetto della terrazza di un bar che si affacciava sulla scogliera, nello stesso posto in cui, come recitava la targa commemorativa, una volta Curzio Malaparte aveva bevuto un vermut. «C'è un caso adatto a lei.» Quart aspettava immobile al centro della stanza, attento alle parole del suo superiore, mentre avvertiva su di sé lo sguardo invisibile di Iwaszkiewicz dal fosco controluce della finestra. Negli ultimi dieci anni, l'arcivescovo aveva sempre avuto un caso adatto al sacerdote Lorenzo Quart, ed erano tutti registrati con nomi e date - Europa centrale, America Latina, ex Iugoslavia - nell'agenda con la copertina di cuoio nero che gli faceva da libro di viaggio: una specie di diario di bordo dove segnava, giorno per giorno, il lungo cammino percorso da quando aveva adottato la nazionalità vaticana ed era entrato nella sezione operativa dell'Istituto per le Opere Esteriori. «Guardi qua.» Il direttore dello Ior stringeva, fra indice e pollice, una stampata da computer. Quart allungò la mano e in quel momento la sagoma del cardinale Iwaszkiewicz si mosse, inquieta, davanti alla finestra. Ancora col foglio in mano, monsignor Spada accennò un lieve sorriso. «Sua Eminenza ritiene che sia un tema delicato» disse senza staccare gli occhi da Quart, anche se le sue parole erano chiaramente destinate al cardinale. «E non è convinto che sia prudente ampliare il numero degli iniziati.» Quart ritirò la mano senza prendere il documento che monsignor Spada continuava a porgergli, e guardò il superiore con aria tranquilla, di attesa. «Naturalmente» aggiunse Spada, il cui sorriso, svanito dalle labbra, aveva trovato rifugio negli occhi «Sua Eminenza non può conoscerla bene come la conosco io.» Quart fece un lieve cenno di assenso e aspettò senza far domande né mostrare impazienza. Allora monsignor Spada si voltò verso il cardinale Iwaszi: iewicz. «Le avevo detto che era un buon soldato.» Cadde il silenzio mentre la sagoma restava immobile contro il cielo nuvoloso e la cortina di pioggia che cadeva sul giardino del Belvedere. Poi il cardinale si staccò Pagina 5
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt dalla finestra, e un chiarore metallico gli scivolò di traverso sulla spalla rivelando una mascella ossuta, il colletto porpora della tonaca, il bagliore di una croce d'oro sul petto, l'anello pastorale alla mano che, tesa verso monsignor Spada, prendeva il documento e lo consegnava direttamente a Lorenzo Quart. «Legga.» Quart obbedì all'ordine, formulato in un italiano gutturale con echi polacchi. Il foglio conteneva un comunicato di poche righe: Santo Padre, questa audacia è giustificata dalla gravità della materia. A volte il trono di Pietro è troppo lontano e le voci umili non riescono a raggiungerlo. C'è un luogo in Spagna, Siviglia, dove i mercanti minacciano la casa di Dio, e dove una piccola chiesa del Seicento, abbandonata tanto dal potere ecclesiastico quanto da quello secolare, uccide per difendersi. Prego Sua Santità, come pastore e come padre, di rivolgere gli occhi verso le più umili pecorelle del suo gregge e di chiedere conto a quelli che le hanno abbandonate alla loro sorte. Implorando la Sua benedizione, nel nome di Gesù Cristo Nostro Signore. «E comparso nel computer personale del papa» spiegò monsignor Spada quando il suo subordinato ebbe concluso la lettura. «Senza firma.» «Senza firma» ripeté Quart, meccanicamente. Aveva l'abitudine di ripetere a voce alta alcune parole, come i timonieri e i sottufficiali ripetono gli ordini dei superiori; quasi che, così facendo, concedesse a se stesso, o agli altri, un'occasione per riflettere. Nel suo mondo alcune parole equivalevano a ordini. E certi ordini, impartiti a volte solo attraverso un'inflessione, una sfumatura, un sorriso, potevano rivelarsi inderogabili. «L'intruso» proseguì l'arcivescovo «ha utilizzato vari trucchi per dissimulare da dove trasmette. Ma l'indagine conferma che il messaggio è stato scritto a Siviglia, con un computer collegato alla rete telefonica locale.» Quart lesse per la seconda volta il foglio, con calma. «Parla di una chiesa...» si interruppe, in attesa che qualcuno completasse la frase per lui. Suonava davvero stupido detto a voce alta. «Si» confermò monsignor Spada «di una chiesa "che uccide per difendersi".» «Una cosa atroce» commentò Iwaszidewicz, senza precisare se si riferiva al concetto in generale o al caso specifico. «In ogni modo» aggiunse l'arcivescovo «è stata confermata la sua esistenza. Mi riferisco alla chiesa» lanciò uno sguardo fugace al cardinale prima di passare un dito sul filo del tagliacarte. «E abbiamo anche riscontrato un paio difatti irregolari e spiacevoli.» Quart posò il documento sul tavolo dell'arcivescovo, ma quest'ultimo non lo toccò, limitandosi a guardarlo come se il gesto potesse avere dubbie conseguenze. Allora il cardinale Iwaszkiewicz si avvicinò, prese il foglio, e dopo averlo piegato in quattro se lo infilò in tasca. Poi si rivolse a Quart: «Vogliamo che vada a Siviglia e identifichi l'autore». Era così vicino che Quart poteva quasi avvertire l'odore del suo fiato e ne fu infastidito. Sostenne lo sguardo del cardinale per qualche secondo e poi, compiendo uno sforzo di volontà per non fare un passo indietro, fissò monsignor Spada da sopra la spalla di Iwaszkiewicz e vide che sorrideva appena, fugacemente, ringraziandolo per il modo in cui dimostrava la sua lealtà alla scala gerarchica. «Quando Sua Eminenza parla al plurale» spiegò l'arcivescovo dalla poltrona «si riferisce, naturalmente, a lui e a me. E al di sopra di noi, alla volontà del Santo Padre.» «Che è la volontà di Dio» precisò Iwaszkiewicz, in tono quasi provocatorio, senza allontanarsi di un passo, con le pupille nere, severamente fisse su Quart. «Che è, effettivamente, la volontà di Dio» confermò monsignor Spada, senza che fosse possibile captare nella sua voce alcuna traccia di ironia. Nonostante il suo potere, il direttore dello Ior conosceva perfettamente i suoi limiti, e il suo sguardo era un ammonimento al subordinato: navigavano entrambi in acque pericolose. «Capisco» disse Quart, e affrontando di nuovo gli occhi del cardinale si inchinò, rapido e disciplinato. Iwaszkiewicz parve rilassarsi un poco, mentre alle sue spalle mo nsignor Spada annuiva soddisfatto. «Le avevo detto che padre Quart...» Il polacco interruppe l'arcivescovo sollevando la mano su cui splendeva l'anello cardinalizio. «Sì, lo so» guardò per l'ultima volta il sace rdote e smise di frapporsi tra i due per tornare presso la finestra. «L'ha detto e ripetuto anche prima. Secondo lei è un buon soldato.» Una leggera ironia trasparì dal tono annoiato delle sue parole, pronunciate le quali si mise a osservare la pioggia come se non volesse più curarsi della faccenda. Monsignor Spada posò il tagliacarte sul tavolo e aprì un cassetto, da cui estrasse Pagina 6
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt una voluminosa cartelletta azzurra. «Identificare l'autore della lettera è solo una parte del lavoro» spiegò mentre posava davanti a sé il plico «...che cosa ha dedotto dalla sua lettura?» «Che potrebbe averla scritta un ecclesiastico» rispose Quart senza esitazioni. Poi fece una pausa, prima di aggiungere: «E che forse è matto da legare». «Può darsi» monsignor Spada aprì la cartelletta e sfogliò un dossier che conteneva ritagli di giornali. «Ma è un esperto informatico e i fatti che cita sono veri. Quella chiesa ha diversi problemi. E ne crea, anche. Le morti sono reali: due negli ultimi tre mesi. C'è odore di scandalo.» «C'è odore di qualcosa di peggio» disse il cardinale senza voltarsi, di nuovo una sagoma delineata in un controluce metallico. «Sua Eminenza» spiegò il direttore dello Ior «sostiene che il Santo Uffizio dovrebbe interessarsi alla faccenda.» Seguì una pausa significativa. «Nel vecchio stile.» «Nel vecchio stile» ripeté Quart. Della Congregazione per la Dottrina della Fede, non amava né il vecchio stile né quello nuovo, anche a causa di ricordi personali. Per un attimo intravide, in un angolo della memoria, il volto di un sacerdote brasiliano, Nelson Corona: un prete delle favelas, militante nella Chiesa della Liberazione. Padre Lorenzo Quart aveva procurato il legno per la sua bara. «Il nostro problema» aveva proseguito monsignor Spada «è che il Santo Padre desidera un'inchiesta in piena regola. Ma coinvolgere il Santo Uffizio gli sembra eccessivo. Come ammazzare le mosche a cannonate.» Fece una pausa calcolata, guardando fisso Iwaszidewicz. «O con il lanciafiamme.» «Ormai non bruciamo più nessuno» sentirono sussurrare il cardinale come parlasse alla pioggia. Sembrava rimpiangerlo. «In ogni modo» proseguì l'arcivescovo «è stato deciso che per il momento» calcò in modo significativo la voce su quel "per il momento" «sia l'Istituto per le Opere Esteriori a compiere l'indagine. E cioè lei. E solo nel caso in cui venissero alla luce prove rilevanti, il problema verrebbe ufficialmente trasferito all'Inquisizione.» «Le ricordo, fratello in Cristo» il cardinale continuava a dare loro le spalle, girato verso il Belvedere «che l'Inquisizione ha cessato di esistere trent'anni fa.» «E vero, mi scusi, Eminenza. Volevo dire che il problema verrebbe trasferito ufficialmente alla Congregazione per la Dottrina della Fede.» «Ormai non bruciamo più nessuno» ripeté Iwaszkiewicz, testardo. Ora nella sua voce c'era una fosca eco, un presagio di minaccia. Monsignor Spada rimase in silenzio qualche secondo, senza staccare gli occhi da Quart. Ormai non bruciano più nessuno, ma gli sguinzagliano dietro i cani, diceva il suo sguardo. Lo perseguitano, gli distruggono la reputazione, ne fanno un morto in vita. Ormai non bruciano più nessuno, ma guardati da lui. Il polacco è pericoloso per te e per me, e, fra noi due, sei tu il più vulnerabile. «Lei, padre Quart» continuò il direttore dello Ior che, riprendendo il discorso, adottò un tono accurato e formale «trascorrerà qualche giorno a Siviglia... Farà il possibile per identificare l'autore del messaggio. Manterrà un prudente contatto con l'autorità ecclesiastica locale. E soprattutto gestirà la faccenda con discrezione e buon senso» posò un altro dossier sopra il primo. «Qui ci sono tutte le informazioni di cui disponiamo. Ci sono domande?» «Solo una, monsignore.» «Allora dica.» «Il mondo è pieno di chiese afflitte da problemi e scandali potenziali. Che cos'ha questa di speciale?» L'arcivescovo lanciò un'occhiata alla schiena del cardinale Iwaszkiewicz, ma l'inquisitore rimase in silenzio. Poi si chinò leggermente sopra le cartelle aperte sul tavolo, quasi si aspettasse una rivelazione dell'ultimo momento. «Suppongo» disse alla fine «che il pirata informatico si sia accollato un compito ardimentoso e che il Santo Padre abbia saputo apprezzarlo.» «Apprezzarlo suona eccessivo» intervenne Iwaszkiewicz, distante. Monsignor Spada scrollò le spalle. «Diciamo, allora, che Sua Santità ha deciso di concedergli un'attenzione personale.» «Nonostante la sua insolenza e la sua audacia» tornò ad aggiungere il polacco. «Nonostante tutto ciò» concluse l'arcivescovo. «Per qualche ragione, il messaggio che ha trovato nel suo computer personale lo incuriosisce. Vuol essere informato.» «Essere informato» ripeté Quart. «Con puntualità.» «Una volta arrivato a Siviglia, devo consultare anche l'autorità ecclesiastica locale?» Il cardinale Iwaszkiewicz si voltò verso di lui. «L'unica autorità a cui lei farà riferimento in questa faccenda è monsignor Spada.» In quel momento ritornò l'elettricità e il gran lampadario del soffitto illuminò la stanza accendendo di bagliori iridescenti i diamanti sulla croce e l'anello sul dito che indicava il direttore dello Ior. «Dovrà riferire a lui. E solo a lui.» La luce elettrica gli addolciva un po'"il volto Pagina 7
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt spigoloso, sfumando la linea stretta e ostinata delle labbra sottili e aride. Una di quelle bocche che in vita loro hanno baciato solo paramenti sacri, pietra e metallo. Quart fece un cenno di assenso. «Solo a lui, Eminenza. Ma la diocesi di Siviglia ha il suo titolare, un arcivescovo. Quali sono le mie istruzioni al riguardo?» Iwaszkiewicz intrecciò le mani sotto la croce d'oro, guardandosi le unghie dei pollici. «Siamo tutti fratelli in Cristo Nostro Signore. Quindi sono auspicabili rapporti distesi, e una certa collaborazione. Tuttavia laggiù lei godrà di una dispensa per quanto riguarda l'obbedienza. La nunziatura di Madrid e l'arcivescovado locale hanno ricevuto istruzioni.» Prima di rispondere al cardinale, Quart si voltò verso monsignor Spada. «Forse Sua Eminenza ignora che non godo delle simpatie dell'arcivescovo di Siviglia...» Era vero. Due anni prima, durante il viaggio papale nella capitale andalusa, una questione di competenze sul servizio di sicurezza aveva causato un aspro scontro fra Quart e l'Illustrissimo don Aquilino Corvo, titolare della diocesi sivigliana. Nonostante il tempo trascorso, i rapporti restavano tesi. «Siamo al corrente dei suoi problemi con monsignor Corvo» ribatté Iwaszkiewicz. «Ma l'arcivescovo è uomo di Chiesa, e saprà preferire il bene superiore alle sue antipatie personali.» «Siamo tutti sulla barca di Pietro» si permise di dire monsignor Spada, e Quart capì che, nonostante i pericoli racchiusi in una partita con Iwaszkiewicz, lo Ior aveva buone carte in quella storia. Aiutami a giocarle, dicevano gli occhi del superiore. «L'arcivescovo di Siviglia è stato informato, per pura cortesia» commentò il polacco. «Ma lei ha piena autonomia per ottenere tutte le informazioni necessarie, utilizzando tutti i mezzi possibili.» «Legittimi, naturalmente» specificò di nuovo monsignor Spada. Quart fu costretto a trattenere un sorriso per non tradirsi. Iwaszkiewicz guardava ora l'uno ora l'altro. «Certo» disse dopo un istante. «Legittimi, naturalmente.» Il cardinale aveva sollevato la mano con l'anello per toccarsi un sopracciglio e il gesto, in apparenza innocente, sembrava contenere un avvertimento. State attenti con i vostri giochetti da oratorio, lasciava trapelare quel cenno. Ride bene chi ride ultimo, e io non ho fretta. Un solo passo falso e sarete nelle mie mani. «Lei, padre Quart» proseguì il cardinale «tenga presente che la sua missione è solo informativa. Perciò manterrà una posizione squisitamente neutrale. In seguito, a seconda del materiale che ci presenterà, decideremo eventuali interventi concreti. Per il momento, qualunque cosa scopra laggiù, eviti qualsiasi pubblicità o scandalo. Con l'aiuto di Dio, naturalmente.» Osservò l'affresco del mar Tirreno e annuì come se vi leggesse un messaggio nascosto. «Ricordi che con i tempi che corrono non sempre la verità ci rende liberi. Mi riferisco alla verità sbandierata in pubblico.»Allungò la mano dell'anello con un gesto imperioso, brusco, le labbra serrate e gli occhi scuri e minacciosi fissi su Quart. Ma quest'ultimo era un buon soldato e sapeva scegliere i suoi superiori, così aspettò appena un secondo più del necessario, e solo allora posò un ginocchio a terra e baciò il rubino rosso dell'anello. Poi il cardinale alzò l'indice e il medio e gli tracciò lentamente il segno della croce sopra il capo, atto che poteva essere interpretato sia come una benedizione che come una minaccia. Poi lasciò l'ufficio. Quart buttò fuori l'aria trattenuta nei polmoni e si alzò in piedi, scuotendosi i pantaloni nel punto in cui aveva appoggiato a terra il ginocchio. Quindi si voltò verso monsignor Spada, con gli occhi colmi di interrogativi. «Che cosa pensa di lui?» chiese il direttore dello Ior. Aveva ripreso in mano il tagliacarte e con un sorriso preoccupato indicava la porta da cui era uscito Iwaszkiewicz. «Commento ufficioso o ufficiale, monsignore?» «Ufficioso.» «Non mi sarebbe affatto piaciuto cadere nelle sue mani due o trecento anni fa» rispose Quart. Il sorriso del superiore si fece più ampio. «Perché?» «Bè, si direbbe un uomo molto ostinato.» «Ostinato?» L'arcivescovo guardò di nuovo verso la porta e Quart vide che il sorriso gli svaniva dalla bocca. «Se non significasse peccare contro la carità verso un fratello in Cristo, io direi che Sua Eminenza è un gran figlio di puttana.» Scesero assieme la scala di pietra che si aprìva su via del Belvedere, dove aspettava l'auto ufficiale di monsignor Spada. L'arcivescovo aveva un appuntamento vicino a casa di Quart, da Cavalleggeri e Figli. Cavalleggeri era, da un paio di secoli, il sarto che vestiva tutta l'aristocrazia della curia, compreso il papa. Il suo laboratorio era in via Sistina, accanto a piazza di Spagna, e l'arcivescovo offrì Pagina 8
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt un passaggio a Quart. Uscirono da porta Sant'Anna e, attraverso i finestrini appannati, videro le guardie mettersi sull'attenti al passaggio dell'automobile. Quart sorrise divertito, perché monsignor Spada non era popolare fra gli svizzeri del Vaticano: un'indagine dello Ior su presunti casi di omosessualità fra le guardie si era conclusa con una mezza dozzina di dimissioni coatte. Inoltre, di tanto in tanto, per ammazzare il tempo, l'arcivescovo metteva alla prova il servizio di sicurezza interno con perverse messinscena, come quando aveva fatto infiltrare nel palazzo apostolico uno dei suoi agenti in borghese con una finta bottiglia di acido solforico destinata all'affresco della crocifissione di san Pietro, nella cappella Paolina. L'intruso si era scattato un'istantanea, in piedi su una panca, davanti al dipinto, con un sorriso smagliante, e monsignor Spada l'aveva spedita, assieme a un biglietto abbastanza mordace, al colonnello delle guardie svizzere. Erano ormai trascorse sei settimane e stavano ancora cadendo teste. «Si chiama Vespro» disse monsignor Spada. L'automobile svoltò a destra e poi a sinistra, dopo essere passata sotto gli archi della porta Angelica. Quart guardò la schiena dell'autista, che una lastra insonorizzante di metacrilato separava dal sedile posteriore dell'automobile. «E tutto quello che sapete di lui?» «Sappiamo che può essere un ecclesiastico, o anche yion esserlo. E che ha accesso a un computer collegato a un modem.» «Età?» «Imprecisata.» «Lei, monsignore, mi racconta ben poco.» «Non mi secchi, accidenti. Le sto dicendo tutto quello che so.» La Fiat si faceva strada nel traffico di via della Conciliazione. Stava spiovendo e verso est, sulle alture del Pincio, il cielo si era un po'"schiarito. Quart si sistemò la piega dei pantaloni e guardò l'orologio, anche se l'ora gli era del tutto indifferente. «Cosa sta accadendo a Siviglia?» Monsignor Spada osservava la strada con aria distratta. Dopo qualche istante, senza voltarsi rispose: «C'è una chiesa barocca... Vecchia, piccola, in rovina. Si chiama Nostra Signora delle Lacrime. Era in restauro, ma sono finiti i soldi e i lavori sono rimasti a metà... A quanto pare, l'immobile è situato in una zona importante, storica: Santa Cruz». «Conosco Santa Cruz. E il vecchio quartiere ebraico, ricostruito agli inizi del secolo. Vicinissimo alla cattedrale e all'arcivescovado.» Quart riservò una smorfia al ricordo di monsignor Corvo. «Un bel quartiere.» «Dev'esserlo, perché i rischi di crollo della chiesa e la paralisi dei lavori hanno risvegliato interessi di ogni tipo: il comune vuole espropriarla, e anche una famiglia dell'aristocrazia andalusa, collegata a una banca, ha rispolverato non so quali diritti secolari.» Erano appena passati sulla sinistra di castel Sant'Angelo e la Fiat avanzava sul lungotevere verso il ponte Umberto i. Quart lanciò un'occhiata alla muraglia grigia e rotonda, simbolo del potere temporale della Chiesa che lui stesso serviva: Clemente vii con la tonaca rimboccata che correva a rifugiarsi dentro le mura mentre i lanzichenecchi di Carlo v saccheggiavano Roma. Memento mori. Ricordati che sei mortale. «E l'arcivescovo di Siviglia?... Mi stupisce che non se ne occupi lui. Il direttore dello Ior guardava la corrente grigia del Tevere attraverso il finestrino rigato dalle gocce di pioggia. «E parte in causa, e qui a Roma non si fidano. Anche il nostro bravo monsignor Corvo vuole speculare. Nel suo caso, naturalmente, si tratta degli interessi terreni di Santa Madre Chiesa... Con tutto ciò, Nostra Signora delle Lacrime cade a pezzi e a nessuno interessa sistemarla. Sembra più preziosa distrutta che in piedi.» «Ha un parroco?» La domanda strappò un lento sospiro all'arcivescovo. «Stranamente, sì. Se ne occupa un sacerdote di una certa età. Credo che sia una persona problematica, e i sospetti sull'identità di Vespro si concentrano su di lui, o sul suo vicario: un giovane in attesa di essere trasferito in un'altra diocesi. Secondo quanto abbiamo scoperto, tutti i suoi appelli sono stati ignorati dal nostro amico Corvo.» Monsignor Spada accennò svogliatamente un lieve sorriso. «Non è irragionevole pensare che uno dei due, se non entrambi, abbiano concepito questo singolare modo di appellarsi direttamente al Santo Padre.» «Devono essere stati loro.> Il direttore dello Ior sollevò di poco una mano dubbiosa. «Forse. Ma bisogna provarlo.» «E se ottengo queste prove?» Il volto dell'arcivescovo si incupì e il suo tono si fece più basso e più grave. «In tal caso rimpiangeranno amaramente la loro inopportuna passione per l'informatica». «E che cosa si sa delle due morti?» «Il problema è proprio questo. Senza Pagina 9
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt di loro, il contrasto sarebbe rimasto uno tra i tanti: un immobile, alcuni speculatori e molto denaro di mezzo. In tempi di crisi, se si trova la scusa giusta, si demolisce la chiesa e si destinano i soldi della vendita a maggiore gloria di Dio. Ma le morti complicano tutto.» Gli occhi con la sclera venata di bruno di monsignor Spada furono distratti da qualcosa fuori dal finestrino: la Fiat adesso era bloccata negli imbottigliamenti vicino a corso Vittorio Emanuele. «In poco tempo sono morte due persone collegate a Nostra Signora delle Lacrime: un architetto del municipio che studiava l'immobile per poterlo dichiarare pericolante e ordinarne lo sgombero, e un sacerdote, il segretariò dell'arcivescovo, che pare fosse da quelle parti per esercitare pressioni sul parroco in vece dell'Illustrissimo don Corvo. ' «Non ci posso credere.» Gli occhi da mastino si fermarono su Quart. «Bè, cominci a crederci. Da oggi è lei che si occupa della faccenda.» Erano ancora bloccati in un immenso ingorgo, fra il rombo dei motori e il frastuono dei clacson. L'arcivescovo si sporse verso il finestrino per dare un'occhiata al cielo. «Possiamo proseguire a piedi. Abbiamo tempo, per cui le offro un aperitivo in quel caffè che le piace tanto.» «Il caffè Greco? Per me va bene, monsignore. Ma il suo sarto l'attende. E il suo sarto è Cavalleggeri, non uno qualsiasi. Neppure il Santo Padre osa farlo aspettare.» Risuonò la risata rauca del prelato, che stava già uscendo dalla macchina. «Questo è uno dei miei rari privilegi, padre Quart. In fin dei conti neppure il Santo Padre sa di Cavalleggeri le cose che so io.» Lorenzo Quart aveva ormai nel sangue l'abitudine di frequentare i vecchi caffè. Fin da quando, quasi dodici anni prima, era arrivato a Roma come studente dell'Università Gregoriana, e aveva oltrepassato per la prima volta l'arco di pietra bianca, era rimasto sedotto dai due secoli e mezzo di vita del caffè Greco, dai suoi impassibili camerieri e dalla sua storia legata ai grandi viaggiatori del Settecento e dell'Ottocento, da Byron a Stendhal. Ora viveva a due passi da lì, in un attico affittato dallo Ior al numero 119 di via del Babuino, dotato di una piccola terrazza verde con una bella vista su parte di Trinità dei Monti e sulle azalee in fiore della scalinata di piazza di Spagna. Il caffè Greco era il posto dove preferiva leggere e aveva l'abitudine di fermarsi li, nelle ore più tranquille, sotto il busto di Vittorio Emanuele ii, al tavolo, dicevano, di Giacomo Casanova e Ludwig di Baviera. «Come ha reagito monsignor Corvo alla morte del segretario?» Monsignor Spada fissò il colore rosso del Cinzano che avevano davanti. C'era poca gente nel locale: un paio di clienti abituali che leggevano il giornale ai tavoli in fondo, una signora elegante con sacchetti di Armani e Valentino intenta a parlare al cellulare, e alcuni turisti inglesi che si fotografavano a vicenda accanto al bancone dell'atrio. La donna con il telefonino sembrava infastidire l'arcivescovo, perché il prelato le rivolse uno sguardo severo prima di girarsi finalmente verso Quart. «L'ha presa male. Decisamente male, direi. Ha giurato che di quella chiesa non resterà pietra su pietra.» Quart scosse il capo. «Mi sembra esagerato. Un edificio non possiede volontà propria. Non può fare del male.» «Lo spero» gli occhi del Mastino non scherzavano. «Lo spero proprio. Sarebbe meglio per tutti.» «Non sarà che monsignor Corvo cerca un pretesto per demolire la chiesa e chiudere la faccenda?» «Senza dubbio è un pretesto. Ma c'è anche dell'altro. L'arcivescovo ne ha fatto una questione personale, con la chiesa o con il parroco. Forse con tutti e due.» Rimase in silenzio a osservare un quadro appeso alla parete: un paesaggio romantico di una Roma ancora città papale, con l'arco di Vespasiano in primo piano e la cupola di San Pietro sullo sfondo, fra tetti e resti di vecchie mura. «Sono state morti naturali?» chiese Quart. L'altro scrollò le spalle. «Dipende da cosa consideriamo naturale. L'architetto è precipitato dal tetto e al sacerdote è crollata addosso una pietra della volta.» «Spettacolare» concesse Quart, portandosi il bicchiere alle labbra. «E cruento, credo. Il segretario era in uno stato pietoso» monsignor Spada indicò con un dito il soffitto. «Immagini un cocomero colpito da dieci chili di fregio. Plaf» L'onomatopea aiutò Quart a immaginarlo senza difficoltà. Fu questo, e non il sapore del vermut, a fargli storcere la bocca. «Cosa dice la polizia spagnola?» «Incidenti. Ecco perché è sinistra quella frase: "una chiesa che uccide per difendersi» Monsignor Spada si accigliò. «Fonte di un'inquietudine che ora angustia anche il Santo Padre, grazie all'insolenza di un pirata informatico. Inquietudine che lo Ior ha l'incarico di dissipare.» «Perché proprio noi?» L'arcivescovo ridacchiò a denti stretti, senza affrettarsi a rispondere. Era vestito da sacerdote, ma non lo sembrava affatto. Quart osservò il suo profilo da gladiatore, che gli ricordava un'antica Pagina 10
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt stampa rappresentante il centurione che crocifisse Cristo. Il collo taurino, le mani robuste, sproporzionate, appoggiate ai lati del tavolo. Dietro il suo rozzo aspetto da contadino lombardo, il Mastino possedeva le chiavi di tutti i segreti di uno Stato che comprendeva tremila funzionari vaticani, tremila vescovi all'estero, e la guida spirituale di mille milioni di anime. Correva voce che nell'ultimo conclave fosse riuscito a impadronirsi della cartella medica di tutti i candidati al trono di Pietro, in modo da studiarne i tassi di colesterolo e prevedere, per quanto possibile, la durata del regno del nuovo pontefice. Quanto a Wojtyla, il direttore dello Ior aveva - predetto il golpe a destra quando le schede col suo nome ancora non bastavano per una fumata bianca. «perché proprio noi?...» disse alla fine, ripetendo la do manda di Quart. «Perché in teoria siamo gli uomini di fiducia del papa. Di ogni papa. Ma il potere in Vaticano è un osso conteso tra molti cani, e ultimamente il Santo Uffizio cresce a nostre spese. Prima collaboravamo in fraterna concordia. Poliziotti di Dio, fratelli in Cristo» fece un gesto con la mano sinistra per scacciare quei luoghi comuni. «E lei lo sa meglio di chiunque altro.» Quart, in effetti, lo sapeva bene. Fino allo scandalo che aveva smantellato tutto l'apparato finanziario vaticano, e alla sterzata della squadra polacca verso l'ortodossia, i rapporti fra lo Ior e il Santo Uffizio erano stati cordiali. Ma la persecuzione e la distruzione del settore liberale aveva finito per scatenare una spietata resa dei conti in seno alla curia. «Corrono brutti tempi» sospirò l'arcivescovo. Sprofondò lo sguardo nel quadro appeso alla parete. Poi bevve qualche sorso e si appoggiò allo schienale della poltrona, facendo schioccare la lingua. «Badi» aggiunse, indicando con il mento la cupola di Michelangelo dipinta sullo sfondo. «Lì solo i papi hanno diritto di morire. Quaranta ettari che racchiudono lo Stato più potente della terra, l'unico la cui struttura resti ancora fedele al modello della monarchia assoluta. Un trono che oggi si regge grazie alla religione trasformata in spettacolo, ai viaggi papali trasmessi in televisione e a tutta quella messa in scena del Totus tuus. E sotto, l'integralismo più reazionario e più fosco: Iwaszkiewicz e compagnia. I suoi lupi neri.» Sospirò di nuovo e, quasi con sdegno, staccò gli occhi dal quadro. «Ora la lotta è all'ultimo sangue» proseguì, cupo. «Senza autorità, la Chiesa non funziona: il trucco è mantenerla indiscussa e compatta. In questa impresa, la Congregazione per la Dottrina della Fede è un'arma così preziosa che la sua importanza continua a crescere fin dagli anni ottanta, quando Wojtyla ha preso l'abitudine di salìre ogni giorno sul Sinai a chiacchierare un po'"con Dio.» Il Mastino fece roteare gli occhi, in una pausa piena d'ironia. «Il Santo Padre è infallibile anche nei suoi errori, e resuscitare l'Inquisizione è un buon sistema per chiudere la bocca ai dissidenti. Ormai chi parla più di Kùng, di Castillo, di Schillebeeckx o di Boff?... La barca di Pietro risolve sempre le sue opposizioni storiche facendo tacere i ribelli, o gettandoli a mare. Le nostre armi sono quelle di sempre: il discredito intellettuale, la scomunica e il rogo... A cosa pensa, padre Quart? Mi sembra molto taciturno.» «Io sto sempre in silenzio, monsignore. «Già. Lealtà e prudenza, vero?... O devo impiegare la parola professionalità?» C'era un giocoso malumore nel tono di voce del prelato. «Sempre la maledetta disciplina che lei indossa come un'armatura... Bernardo di Chiaravalle e quei mafiosi dei templari sarebbero andati d'accordo con lei. Sono sicuro che, catturato dal Saladino, si sarebbe fatto tagliare la gola prima di rinnegare la sua fede. Non per devozione, sia chiaro. Per orgoglio.» Quart scoppiò a ridere. «Pensavo a Sua Eminenza il cardinale Iwaszkiewicz» ammise. «Non ci sono più roghi» vuotò il bicchiere «né scomuniche.» Monsignor Spada emise un grugnito feroce: «In questo mondo ci sono altri modi per gettare la gente nelle tenebre. Li abbiamo praticati anche noi. E anche lei». l'arcivescovo tacque, spiando gli occhi del suo interlocutore come se rimpiangesse di essersi spinto troppo oltre. Comunque, aveva detto la verità. In un primo periodo, quando non appartenevano ancora a fazioni opposte, lo stesso Quart aveva fornito ai lupi neri di Iwaszkiewicz i chiodi per varie crocifissioni. Tornò a vedere davanti a sé gli occhiali appannati, lo sguardo miope e impaurito di Nelson Corona, le gocce di sudore che rigavano il volto dell'uomo che una settimana dopo avrebbe cessato di essere un sacerdote, e quindici giorni dopo di vivere. Ormai erano trascorsi quattro anni, ma il ricordo era ancora nitido nella sua memoria. Pagina 11
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «Sì» ripeté. «Anch'io.» Monsignor Spada colse l'umore del suo agente, e i suoi occhi presero a studiarlo, inquisitori. «Ancora Corona?» chiese con dolcezza. Quart accennò un sorriso. «Con franchezza, monsignore?» «Con franchezza.» «Non solo lui. Anche Ortega, lo spagnolo. E quell'altro, Souza.» Erano tre sacerdoti legati alla cosiddetta teologia della liberazione, avversi alla corrente reazionaria sostenuta da Roma, e in tutti e tre i casi lo Ior aveva fatto da cane da guardia per conto di Iwaszkiewicz e della sua congregazione. Corona, Ortega e Souza erano noti sacerdoti progressisti che esercitavano il loro apostolato in diocesi periferiche, in quartieri molto poveri di Rio de Janeiro e di San Paolo. Gente che voleva salvare l'uomo in terra prima che nel regno dei cieli. Quando era stato incaricato di occuparsi di loro, lo Ior si era messo all'opera sondandone i punti deboli per poi esercitare pressioni. Ben presto Ortega e Souza avevano ceduto. Quanto a Corona, una specie di eroe popolare delle favelas di Rio, flagello dei politici e della polizia locale, era stato necessario metterlo davanti a certi dettagli equivoci del suo apostolato fra i giovani drogati, particolari su cui Lorenzo Quart aveva compiuto un'indagine accurata per varie settimane, senza trascurare alcun pettegolezzo, voce e così via. Ma il sacerdote brasiliano non aveva voluto ravvedersi. Odiato dall'estrema destra, sette giorni dopo essere stato sospeso a divinis ed espulso dalla sua diocesi con foto sulla prima pagina dei giornali, Nelson Corona era stato assassinato dagli squadroni della morte. Il suo corpo era stato ritrovato, con le mani legate e una pallottola nella nuca, in una discarica nei pressi della sua vecchia parrocchia. Comunista e veado: comunista e finocchio, diceva il cartello che gli avevano appeso al collo. «Ascolti, padre Quart. Quell'uomo si era allontanato dal voto di obbedienza e dalle priorità del suo ministero, ed era stato invitato a riconsiderare i suoi errori. Tutto qua. Poi la faccenda è sfuggita di mano, non a noi, ma a Iwaszkiewicz e alla sua Santa Congregazione. Lei non ha fatto altro che obbedire agli ordini. Ha solo facilitato le cose, non è responsabile.» «Con tutto il rispetto che le devo, monsignore, certo che sono responsabile. Corona è morto.» «Lei e io conosciamo anche altri uomini che sono morti. Il finanziere Lupara ad esempio, senza voler andare tanto in là.» «Corona era uno dei nostri.» «I nostri, i nostri... Noi non siamo di nessuno. Siamo soli. Rispondiamo davanti a Dio e davanti al papa.» L'arcivescovo fece una pausa piena di sottintesi: i papi morivano, Dio no. «In quest'ordine.» Quart guardò verso la porta come se volesse lasciar perdere. Poi chinò il capo. «Ha ragione, monsignore» disse in tono spento. L'arcivescovo strinse lentamente un pugno come se stesse per colpire il tavolo, ma poi lo lasciò così, immobile, enorme, contratto. Sembrava esasperato. «Sa, a volte detesto la sua dannata disciplina». «Cosa devo risponderle, monsignore?» «Mi dica quello che pensa.» «In situazioni di questo tipo evito di pensare.» «Non sia idiota. E un ordine.» Quart rimase in silenzio un istante e poi si strinse nelle spalle. «Continuo a credere che Corona fosse uno dei nostri. E per di più un uomo giusto.» L'arcivescovo aprì il pugno e sollevò un po'"la mano. «Con alcune debolezze.» «Forse. Il suo problema fu proprio questo: una debolezza. Un errore. E tutti ne commettiamo.» Paolo Spada scoppiò a ridere, ironico. «Non lei, padre Quart. Mi riferisco proprio a lei. Sono dieci anni che aspetto al varco il suo primo errore, e quando arriverà, mi toglierò la soddisfazione di raccomandarle un buon cilicio, cinquanta frustate e cento Ave Maria come penitenza.» All'improvviso il suo tono divenne acido. «Come riesce a mantenersi così disciplinato e virtuoso?» fece una pausa per passarsi una mano sulle setole che gli ricoprivano il capo e scosse la testa senza aspettare risposta «... ma, tornando a quella disgraziata storia di Rio, sa bene che le vie dell'Onnipotente a volte sono un po'"contorte. E stato un caso sfortunato.» «Non so cosa sia stato. Non mi inquieta troppo, monsignore, ma è un fatto. Una cosa oggettiva: sono stato io. E un giorno forse dovrò renderne conto.» «Quel giorno Dio giudicherà lei così come giudicherà anche tutti noi. Fino ad allora, per quanto riguarda le questioni di lavoro, sa già che ha la mia completa assoluzione, sub condtcione.» Sollevò una delle sue grandi mani per una rapida benedizione. Ora Quart sorrideva apertamente. «Avrei bisogno di qualcosa di più. Inoltre, Illustrissimo, può assicurarmi che oggi agiremmo nello stesso modo?» «Si riferisce alla Chiesa?» «Mi riferisco all'Istituto per le Opere Esteriori. Oggi come oggi, gliele serviremmo Pagina 12
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt con altrettanta facilità quelle tre teste su un vassoio d'argento al cardinale Iwaszidewicz?» «Non lo so. Francamente, non lo so. Una strategia si compone di azioni tattiche.» Il prelato si interruppe, inquieto, osservando il suo interlocutore con improvvisa attenzione. «Spero che niente di tutto questo influisca sul suo lavoro a Siviglia.» «Non influirà. Almeno credo. Ma mi ha chiesto di essere franco.» «Senta. Lei e io siamo professionisti e non siamo nati ieri. Iwaszkiewicz ha comprato o intimidito tutti in Vaticano.» Si guardò attorno come se il polacco stesse per spuntargli davanti da un momento all'altro. «Però non è ancora riuscito a mettere le grinfie sullo Ior. Ormai, presso il Santo Padre, ci difende soltanto il segretario di Stato, Azopardi , che è stato un mio compagno di studi.» «Lei, Illustrissimo, ha molti amici. Ha fatto favori a molta gente.» Paolo Spada fece risuonare la sua risata incredula. «Nella curia si dimenticano i favori e si ricordano le offese. Viviamo in una corte di eunuchi ruffiani, in cui nessuno fa carriera senza l'appoggio dell'altro. Tutti si precipitano a pugnalare chi cade, ma quando la situazione non è chiara nessuno osa fare un passo per paura delle conseguenze. Ricordi la morte di papa Luciani: per determinare l'ora della morte era necessario conoscere la temperatura rettale, ma nessuno osava infilargli un termometro nel culo.» «Ma il cardinale segretario di Stato...» Il Mastino scosse le setole nere. «Azopardi è mio amico, per quel che significa nel nostro ambiente. Deve vegliare anche su se stesso, e Iwaszkiewicz è potente.» Rimase in silenzio per qualche istante, come se avesse messo il potere di Jerzy Iwaszkiewicz sul piatto di una bilancia e il suo sull'altro, e aspettasse con poche speranze di vedere il risultato. «Anche il gesto di quel pirata informatico è una faccenda secondaria» aggiunse alla fine. «In un altro momento non avrebbero neppure pensato di affidarci ciò che, a rigor di logica, riguarda le competenze dell'arcivescovo di Siviglia e i suoi rapporti con i parroci della diocesi. Ma visto come vanno le cose, qualsiasi sciocchezza è buona per una prova di forza. Basta che il Santo Padre mostri un interesse, e abbiamo un nuovo scenario per il nostro regolamento di conti. Per questo ho scelto il mio uomo migliore. Prima di tutto ho bisogno di informazioni. Cioè di far bella figura presentando un rapporto alto così.» Con tre dita indicò la misura desiderata. «Devono vedere che ci muoviamo. Faremo felice Sua Santità, e di conseguenza terremo a bada il polacco.» Un gruppo di turisti giapponesi si affacciò alla porta d'entrata, ammirando l'interno. Alcuni sorrisero con cortesi inchini alla vista dei collari ecclesiastici. Monsignor Spada ricambiò distrattamente il sorriso. «Io la stimo molto, padre Quart» disse poi. «Per questo la metto al corrente della posta in gioco, prima che parta per Siviglia... Non so se sia sempre sincero nella sua posa di buon soldato, ma io le credo, e non mi ha mai dato motivo di pentirmene. L'ho tenuta d'occhio fin da quando era solo uno studente alla Gregoriana, e poi pian piano mi sono affezionato a lei. Questo forse le costerà caro, perché se un giorno cadrò, è probabile che lei cada con me. O anche prima, lo sa: sacrificio di pedoni.» Quart annuì, impassibile. «E se vinciamo?» «Non vinceremo mai del tutto. Come direbbe il suo compatriota sant'Ignazio, abbiamo scelto ciò che Dio ha in abbondanza e che gli altri non vogliono: la tempesta e il combattimento. Le nostre vittorie sono solo rinvii fino all'attacco successivo. Perché Iwaszkiewicz, sinché vive, continuerà a essere cardinale, principe per protocollo, vescovo con consacrazione irrevocabile, cittadino dello Stato più piccolo e, grazie a uomini come lei e come me, meno vulnerabile del mondo. E forse, a causa dei nostri peccati, un giorno arriverà a essere papa. Quanto a noi, non saremo mai "papabili", e forse neppure cardinali. Come si dice nella curia, abbiamo poco pedigree e troppo curriculum. Ma abbiamo potere e sappiamo lottare. Questo ci rende temibili, e quel polacco, nonostante il suo fanatismo e la sua arroganza, lo sa. Noi non ci lasceremo spazzare via come i gesuiti e i settori liberali della curia, a beneficio dell'Opus Dei, della mafia integralista o del Dio del Sinai. Torns tuus, ma non mi fate saltare la mosca al naso. Ci sono mastini che muoiono uccidendo.» L'arcivescovo consultò l'orologio e fece un cenno per richiamare l'attenzione del cameriere. Mentre posava una mano sul braccio a Quart per impedirgli di pagare il conto, estrasse di tasca alcune banconote e le posò sul tavolo. Diciottomila lire esatte, notò Quart. La vita del Mastino era stata troppo dura. Non lasciava mai mance. «Il nostro dovere è combattere, padre Quart» disse mentre si alzavano in piedi. «Perché noi abbiamo ragione, e Iwaszi: iewicz no. Si può essere energici e mantenere l'autorità senza risfoderare i ferri e il cavalletto di tortura come Pagina 13
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt vorrebbero quel polacco e la sua consorteria. Ricordo quando nominarono papa Luciani, e rimase in carica trentatré giorni. Lei ha vent'anni di meno, ma io ero già dentro questo tipo di lavoro» l'arcivescovo storse appena la bocca, guardando Quart. «Quando, appena eletto, gli sentimmo dire quella frase: "In Dio onnipotente vi è più della mamma che del papà", Iwaszkiewicz e i suoi colleghi dell'ala dura erano fuori di sé dalla rabbia. E io mi dissi: questa squadra non funzionerà. Luciani era troppo blando per i tempi che corrono, così, suppongo, lo Spirito Santo fece un buon lavoro liberandoci di lui prima che facesse troppi danni. I giornalisti lo chiamavano il "papa del sorriso", ma chiunque in Vaticano sapeva che il suo era un sorriso particolare... di nervosismo» la smorfia si accentuò ancora di più fino a scoprire, con malizia, un canino. Era uscito fuori il sole e il selciato di piazza di Spagna si stava asciugando. I venditori ambulanti aprìvano i tendoni delle bancarelle di fiori e alcuni turisti iniziavano a sedersi sui gradini, ancora umidi, che salìvano verso Trinità dei Monti. Quart scortò l'arcivescovo su per le scale, abbagliato dal riverbero della luce nella piazza, una luce romana, intensa, ottimista come un buon augurio. A metà strada, seduta su un gradino, una ragazza straniera con uno zaino, un paio di jeans e una camicia a righe azzurre, scattò una foto ai due sacerdoti quando arrivarono alla sua altezza: un flash e un sorriso. Monsignor Spada voltò appena lo sguardo verso Quart, fra l'irritato e l'ironico. «Sa una cosa, Padre Quart? Lei è troppo bello per fare il prete. Nominarla parroco di un convento di monache sarebbe una vera pazzia.» «Mi dispiace, monsignore.» «Non se ne dispiaccia, perché non è colpa sua. Ma riconosco che mi infastidisce un po'. Come riesce a cavarsela?... Mi riferisco al dovere di tenere a bada le tentazioni, lo sa. La donna come invenzione del Maligno e tutto il resto.» Quart scoppiò a ridere. «Preghiere e docce fredde, Illustrissimo.» «Dovevo immaginarlo. Sempre fedele al regolamento, vero? Non l'annoia essere sempre... sì, così moderato e così bravo?» «La domanda è capziosa, monsignore. Rispondere implica accettare la premessa.» Paolo Spada lo guardò con la coda dell'occhio per qual- che istante e alla fine fece un cenno di approvazione. «D'accordo. Ha vinto lei. La sua virtù ha di nuovo superato l'esame, ma non perdo la speranza. Un giorno o l'altro la prenderò in castagna.» «Naturalmente, monsignore. Per i miei innumerevoli peccati.» «Chiuda il becco. E un ordine.» «Come desidera, monsignore.» Ma l'altezza dell'obelisco di Pio iv, l'arcivescovo si voltò e lanciò un'occhiata giù per le scale, alla ragazza con la camicia a righe. «E per quanto riguarda la salvezza eterna» disse «ricordi il vecchio proverbio: se un religioso riesce a tenere le mani lontane dal denaro e i piedi lontani dal letto di una donna fino a cinquant'anni, è molto probabile che si salvi l'anima.» «Ci sto provando, monsignore. Ma mi mancano ancora dodici anni alla meta.» «Non si preoccupi. Sospetto che le sue tentazioni siano altre.» Lo studiò, guardandolo fisso, poi scosse il capo e salì gli ultimi gradini a due a due. «In ogni modo perseveri col sistema delle docce, figliolo.» Passarono davanti all'imponente facciata dell'hotel Hassier Villa Medici prima di percorrere via Sistina. La sartoria era indicata soltanto da una targa poco vistosa sul portone, varcato unicamente dall'élite della curia, esclusi i papi. Questi ultimi, infatti, godevano di un privilegio unico: Cavalleggeri e Figli, investiti fin dai tempi di Leone xiii di un titolo minore di nobiltà pontificia, prendevano loro le misure a domicilio. l'arcivescovo guardò la targa con aria assorta, pensando ad altro. Poi sollevò il volto verso il cielo e infine i suoi occhi venati si posarono sul sacerdote, studiando il vestito dal taglio impeccabile e i sobri gemelli d'argento ai polsini della camicia di seta nera. «Senta, Quart» l'uso del cognome senza titolo, assieme all'espressione, induriva le parole «non si tratta solo dell'orgoglio e del potere, peccati dai quali non siamo alieni. Lei e io, al di là delle nostre debolezze personali e dei nostri metodi, Iwaszkiewicz e la sua sinistra confraternita..., il Santo Padre con il suo irritante fondamentalismo, siamo tutti responsabili della fede di milioni di esseri umani in una Chiesa infallibile ed eterna.» Gli occhi dell'arcivescovo continuavano a soppesare l'espressione dell'interlocutore. «E solo quella fede, sincera nonostante il nostro cinismo curiale, ci giustifica. Ci assolve. Senza di essa, lei, io, Iwaszkiewicz, saremmo solo un branco di ipocriti e canaglie... Capisce ciò che tento di dirle?» Quart ascoltò senza battere ciglio le parole del Mastino. Pagina 14
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «Perfettamente, monsignore» rispose, sereno. Aveva adottato quasi per istinto la posizione della guardia svizzera davanti a un ufficiale: sull'attenti, le braccia lungo i fianchi e i pollici lungo le cuciture dei pantaloni. Monsignor Spada lo osservò ancora un istante con gli occhi socchiusi, poi sembrò rilassarsi un poco. Abbozzò addirittura un sorriso. «Spero che sia così» l'espressione amichevole si diffuse sul volto del prelato. «Lo spero davvero. Perché, per quanto mi riguarda, quando mi presenterò alla porta del Cielo e uscirà a ricevermi il vecchio pescatore brontolone, io gli dirò: Pietro, sii indulgente con questo anziano centurione, soldato di Cristo, che tanto ha lavorato aggottando l'acqua sporca nella sentina della tua barca. In fin dei conti anche il vecchio Mosè dovette ricorrere sottomano alla spada di Giosuè. E anche tu accoltellasti Malco per difendere il Maestro.» Ora fu Quart a scoppiare a ridere davanti all'immagine. «In tal caso mi piacerebbe precederla, monsignore. Non credo che accetterebbero due volte lo stesso alibi.» 2. Tre cattivi Quando arrivo in sempre: chi sono Chi è l'uomo che STENDHAL, Ljcien
una città, chiedo le dodici donne più belle. Chi sono i dodici uomini più ricchi. può farmi impiccare. Ieuwen
Celestino Peregil, guardia del corpo e assistente del banchiere Pencho Gavira, sfogliava con malumore la rivista Q+S mentre si dirigeva al bar Casa Cuesta, nel cuore del quartiere Triana, a Siviglia. L'umore di Peregil non era dei migliori, per tre motivi: un'ulcera recidiva, la delicata missione che lo portava sull'altra riva del Guadalquivir e la copertina della rivista che aveva in mano. Peregil era un tipo grassoccio, piccoletto e nervoso, che nascondeva una calvizie prematura pettinandosi i capelli, ben lisciati all'indietro, con una scriminatura che partiva all'altezza dell'orecchio sinistro. Quanto al resto, aveva una passione per i calzini bianchi, per vistose cravatte di seta stampata, per le giacche doppiopetto con bottoni dorati e per le puttane che battono nei bar. E infine, soprattutto, per la magica trama di numeri sul tappeto verde di qualsiasi casinò in cui lo lasciassero entrare. Questo spiegava perché la sua ulcera quel giorno lo infastidisse più del solito, così come l'appuntamento a cui era svogliatamente diretto. Riguardo al Q+S, la copertina non contribuiva a migliorargli l'umore. Per quanto si possa essere scellerati, e Celestino Peregil lo era, anche molto, non è affatto rassicurante vedere una foto della moglie del proprio capo in compagnia di un altro. Specialmente se siamo stati noi a vendere ai giornalisti le informazioni necessarie per scattare la foto. «Quella gran zoccola» disse a voce alta, e un paio di passanti si voltarono stupiti a guardarlo. Poi ricordò lo scopo del suo appuntamento, e tirando fuori il fazzoletto di seta viola che gli spuntava dal taschino della giacca, si asciugò la fronte. Il sette e il sedici gli ballavano davanti agli occhi sul panno verde come in un incubo. Se riesco a cavarmela anche stavolta, si disse, giuro che non lo faccio mai più. Lo giuro sulla Madonna. Gettò la rivista in un cestino della spazzatura. Poi, dopo aver girato l'angolo sotto un'insegna della birra Cruzcampo, si fermò contro voglia davanti alla porta del bar. Odiava quel genere di locali, coi tavoli di marmo, gli azulejos le tipiche piastrelle smaltate - e le vecchie bottiglie di Centenario Terry coperte di polvere sugli scaffali; quella Spagna con le nacchere e la chitarra, poco ventilata, puzzolente di ceci, misera, a cui si era sottratto non senza fatica. Dopo un paio di colpi di fortuna che gli avevano permesso di passare da una vita di oscuro investigatore privato, specializzato in adulteri da quattro soldi e in frodi alla Previdenza Sociale a Pencho Gavira e l'esclusivo mondo dei banchieri spagnoli, gli era venuto un debole per i bar alla moda con musica d'ambiente, per il whisky con molto ghiaccio, per gli uffici con moquette alta un palmo e il Financial Times sul tavolo dell'atrio, con ronzii di fax, aria condizionata e segretarie trilingui. E Zurigo di qua e New York di là e la borsa di Tokyo, circondato da tizi che profumavano di dopobarba costosi e giocavano a golf. Era stupendo vivere come nelle pubblicità televisive. Gli bastò un'occhiata per tornare ai vecchi incubi: don Ibrahim, il Potro del Mantelete e la Nifla Puiiales erano li ad attenderlo, puntuali come la morte. Li vide non appena varcata la soglia, a destra del bancone di legno Pagina 15
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt scuro coi fiori dorati, sotto un cartello che era là dall'inizio del secolo, "Linea di vaporetti SivigliaSaniùcarMare: servizio quotidiano tra Siviglia e la foce del Guadalquivir". Erano seduti attorno a un tavolo di marmo, e Peregil notò che scorreva già lo xéres La Ina. Alle undici del mattino. «Come vi vanno le cose» disse, e si sedette. Non era una domanda, non gli importava un accidente di come andassero loro le cose. E ne ebbe una tripla certezza sentendo le tre paia di occhi che lo guardavano mentre si sistemava i polsini della camicia, un gesto elegante, imparato dal suo capo, prima di piazzare i gomiti, con cura, sul marmo del tavolo. «Ho un lavoro per voi» annunciò senza giri di parole. Vide che il Potro del Mantelete e la Nina Puiìales rivolgevano lo sguardo a don Ibrahim, e che quest'ultimo annuiva lentamente, con solennità, rigirandosi fra due dita le punte dei baffi grigio rossicci, folti, ispidi, all'inglese. Don Ibrahim era grande e grosso, grassissimo, con un'aria bonacciona e tranquilla a stento smentita dai fieri mostacchi, e si comportava sempre in modo solenne, anche dopo che l'ordine degli avvocati di Siviglia aveva scoperto, qualche tempo prima, che non aveva un titolo valido per l'esercizio della professione. La toga spuria aveva impresso, però, un tono di profonda dignità al modo in cui portava il cappello di paglia chiara a tesa larga e il bastone con l'impugnatura d'argento, e all'ampia curva da una tasca all'altra del panciotto descritta dalla catena dell'orologio, vinto, assicurava, a don Ernesto Hemingway durante una partita a poker nel bordello Chiquita Cruz nell'Avana prerivoluzionaria. «Siamo tutt orecchi» disse. Ogni abitante di Triana e di Siviglia sapeva bene che don Ibrahim il Cubano era un imbroglione e un ladro, ma anche un vero signore. Aveva usato con cortesia il plurale, per esempio, dopo aver rivolto rapidamente uno sguardo al Potro del Mantelete e alla Niiia Puiiales, per far capire che aveva l'onore di rappresentarli a quel tavolo su cui, costretto a restare a distanza per colpa della pancia, appoggiava entrambe le mani da lontano, come gli ormeggi di una pesante nave. «C'è una chiesa e un prete» attaccò Peregil. «Iniziamo male» ribatté don Ibrahim. Aveva un enorme sigaro acceso nella mano sinistra, accanto a un anello d'oro con le iniziali, e si scuoteva la cenere dai pantaloni. Dai tempi della sua scapestrata gioventù nelle Antille conservava il gusto per gli abiti bianchi immacolati, per i cappelli di Panama e per i sigari Montecristo. Perché l'ex falso avvocato era un tipo classico. Sembrava un ricco spagnolo delle colonie, uno di quelli che, nelle stampe popolari dei primi del secolo, sbarcavano nel porto di Siviglia con la borsa piena di monete d'oro, la febbre terzana e un servo mulatto. Ma don Ibrahim era arrivato solo con le febbri. Peregil lo guardò confuso, chiedendosi se questo iniziamo male" si riferisse alla cenere del sigaro, o al fatto che ci fossero di mezzo chiese e preti. «Un prete vecchio» precisò per scoprirlo, minimizzando la cosa, e allora si ricordò dell'altro. «... Bè. in realtà sono due: un prete vecchio e uno giovane.» «Gesù» intervenne la Nifla Puilales con il suo accento gitano, stretto, delle rive del Guadalquivir. «Due preti.» I braccialetti d'argento le tintinnarono sulla pelle sottile dei polsi quando vuotò il bicchiere di xéres con un unico lungo sorso. Al suo fianco, il Potro del Mantelete scuoteva il capo, distante, come se l'arbitro gli avesse appena suggerito che non poteva continuare a picchiare l'avversario sempre sullo stesso sopracciglio. Sembrava assorto nella contemplazione della pesante traccia di rossetto sul bordo del bicchiere della Niiìa. «Due preti» ripeté don Ibrahim come un'eco. Rifletteva con occhi preoccupati mentre le volute di fumo gli si attorcigliavano ai baffi. «In realtà sono tre» precisò Peregil, con onestà. Il cubano rabbrividì, tornando a sporcarsi di cenere i pantaloni. «Ma non erano due?» «No, tre. Uno vecchio, uno giovane e un altro che sta per arrivare.» Peregil li vide scambiarsi delle occhiate circospette. «Tre preti» riassumeva don Ibrahim studiandosi l'unghia del mignolo sinistro, lunga come una spatola. «Proprio così. «Uno giovane, uno vecchio, e un altro che piomberà qui tra poco.» «Proprio così. Viene da Roma.» «Già. Da Roma.» I braccialetti della Nifla Puiiales tintinnarono di nuovo. «Troppi preti» spiegò, lugubre. Toccava ferro sotto il marmo del tavolo, tentando di scongiurare il malocchio. «Ci siamo imbattuti nella Chiesa» concluse don Ibrahim in tono donchisciottesco Pagina 16
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt e declamatorio, come se fosse frutto di una lunga riflessione, e Celestino Peregil soffocò l'impulso di alzarsi in piedi per andarsene e tanti saluti. Non può finir bene, si disse, osservando la cenere sui pantaloni del ciccione ex falso avvocato, il neo finto e il tirabaci sulla fronte vizza della Nifla, e il naso schiacciato del vecchio peso gallo. Non con questa gente. All'improvviso ricordò il sette e il sedici sul tappeto verde, e le foto della rivista, e gli parve che in quel bar facesse un caldo spaventoso. O forse non era il caldo né il bar. Forse era il sudore che gli inzuppava la camicia, la sete pungente della paura in bocca. Hai a disposizione sei testoni per risolvere la seccatura della chiesa, aveva detto Pencho Gavira. Cerca un professionista. Usale come ti pare. «E un lavoro facile» si sentì dire ai tre, e capì, accidenti a lui, che non aveva scelta. «Una cosa pulita. Senza complicazioni. Un testone a testa.» Aveva usato il denaro come gli pareva, in effetti: sei ore di casinò per dilapidare tre dei sei milioni. Cinquecentomila pesetas all'ora. Aveva sperperato anche quello che aveva ottenuto in cambio della soffiata sulla moglie, o ex moglie, del suo capo. E in più c'era quello strozzino, Rubén Molina, sul punto di sguinzagliargli dietro i cani per quasi il doppio. «Perché noi?» chiese don Ibrahim. Peregil lo guardò negli occhi, e per un decimo di secondo avverti l'ansia che palpitava anche là in fondo, nascosta dietro le pupille dilatate e tristi del suo interlocutore. Inghiotti la salìva, si passò un dito fra il collo e il colletto della camicia, e tornò a fissare il sigaro del grasso avvocato proscritto, il naso rotto del Potro, il neo finto della Nifla. Con ciò che gli restava in tasca, era tutto quello a cui poteva aspirare: tre disgraziati senza speranza, più adatti a un ospizio che alla strada. Relitti di naufragio. Tori scartati per la corrida. «Siete i migliori» rispose, arrossendo. Nella sua prima mattina a Siviglia, Lorenzo Quart impiegò quasi un'ora a trovare la chiesa. Uscì per due volte dal quartiere di Santa Cruz e altrettante vi fece ritorno, verificando l'inutilità della sua cartina turistica in quel dedalo di viuzze silenziose, strette, dipinte con terra rossa, ocra gialla e calce, dove qualche rara volta il passaggio di un'automobile lo obbligava a cercare rifugio in portoni freschi, bui, con cancelli che si aprìvano su un patio di aztkjos, gerani e rose. Alla fine si ritrovò in una piazzetta angusta con muri bianchi e ocra, e grate di ferro battuto a cui erano appesi vasi di fiori. C'erano panchine con azulejos che raffiguravano scene del Don Chisciotte, e una mezza dozzina di aranci in fiore che emanavano un intenso profumo. La chiesa era piccola: una facciata di mattoni, larga appena venti metri, faceva angolo reggendosi sul muro dell'edificio accanto. Non sembrava in buone condizioni: il campanile a vela, all'altezza della campana, era puntellato con traverse di legno, grosse travi lignee sostenevano il muro esterno e un'impalcatura in ferro nascondeva parzialmente un azulejo con un Cristo scortato da lampade arrugginite. C'era anche una betoniera accanto a un mucchio di ghiaia e a sacchi di cemento. E così era quella. Fermo in mezzo alla piazza con una mano in una tasca e la piantina piegata nell'altra, Quart osservò l'edificio per un paio di minuti. Non riuscì a notare niente di misterioso in mezzo agli aranci profumati, sotto il cielo sivigliano, nella mattina luminosa, di un azzurro terso. Il portico barocco era incorniciato da due colonne tortili, sopra le quali si aprìva una nicchia con una statua della Madonna. Nostra Signora delle Lacrime, mormorò quasi a voce alta. allora fece qualche passo verso la chiesa, e avvicinandosi, notò che la Vergine era decapitata. Non lontano di lì risuonarono delle campane, e uno stormo di colombe spiccò il volo dai tetti che circondavano la piazza. Le guardò allontanarsi e poi riportò lo sguardo sulla facciata. Qualcosa aveva alterato la sua visione del luogo. Ora, nonostante la luce di Siviglia, nonostante gli aranci e il profumo di zagare, la chiesa aveva preso un altro aspetto ai suoi occhi. All'improvviso, le vecchie travi che puntellavano i muri, il campanile d'ocra che sembrava dilaniato come un brandello di pelle, l'immobile campana di bronzo sulla cui traversa tarlata si arrampicavano erbacce, infondevano all'insieme un carattere inquietante, cupo e grigio. Una chiesa che uccide per difendersi, diceva il misterioso messaggio di Vespro. Quart diede un altro sguardo alla Madonna decapitata mentre rivolgeva un sorriso canzonatorio alle proprie apprensioni. A prima vista, non c'era molto da difendere. Per Lorenzo Quart la fede era un concetto relativo, e monsignor Spada non sbagliava poi molto quando lo chiamava, scherzando solo in parte, un buon soldato. Il suo credo non consisteva tanto nell'ammettere verità rivelate, Pagina 17
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt quanto nell'agire secondo i precetti della fede, senza considerare quest'ultima indispensabile. Da questo punto di vista, la chiesa cattolica gli aveva dato fin dall'inizio ciò che ad altri giovani offriva la vita militare: un posto dove, a patto di non metterne in discussione l'elemento fondante, poteva vedere risolti dal regolamento la maggior parte dei suoi problemi. Nel suo caso, la disciplina prendeva il posto della fede che non aveva. E il paradosso, intuito con perspicacia dal vecchio arcivescovo Spada, era che proprio la mancanza di fede, assieme all'orgoglio e al rigore necessari per sostenerla, rendeva Quart un sacerdote straordinariamente efficiente nel suo lavoro. Ogni scelta ha le sue radici, naturalmente. Orfano di un pescatore affogato durante una tempesta, protetto di un rude parroco di paese che aveva facilitato il suo ingresso in seminario, disciplinato e brillante al punto da far interessare i superiori ai progressi della sua carriera, Quart poteva contare su quella lucidità dei meridionali, così simile a una leggera malattia, provocata a volte dal vento di levante e dai rossi tramonti mediterranei. Una volta, da bambino, era rimasto ore e ore, sul frangiflutti di un porto battuto dal vento e dalla pioggia, mentre in alto mare le modeste barche dei pescatori tentavano, faticosamente, di trovare rifugio in mezzo a una tempesta con onde alte dieci metri. Si scorgevano in lontananza le sagome minuscole, fragili e commoventi fra montagne d'acqua e violenti spruzzi, mentre avanzavano a stento con i loro rantolanti motori a poca macchina. Una era andata perduta, e quando un peschereccio affondava non se ne andava un uomo solo, ma scompariva un figlio, un marito, un fratello o un cognato. Per questo le donne vestite di nero coi bambini attaccati alle sottane e alle mani si erano raccolte accanto al faro per assistere al ritorno dei pescatori, e muovevano le labbra pregando in silenzio con gli occhi fissi sul mare, cercando di capire chi mancava. E quando finalmente le barche avevano iniziato a varcare la bocca del porto, gli uomini che erano a bordo avevano guardato verso l'alto, cercando il punto sul muraglione dove Lorenzo Quart era ancora aggrappato alla mano gelata di sua madre, e si erano tolti i baschi e i berretti. Le onde, il vento e la pioggia avevano continuato a imperversare e alla fine non era rientrato più nessun peschereccio. Quel giorno Quart aveva messo a fuoco un paio di cose. La prima era una constatazione: pregare il mare è inutile. La seconda era una decisione: nessuno lo avrebbe mai aspettato su un frangiflutti, sotto la pioggia. La porta di rovere dai grossi chiodi era aperta. Quart entrò nella chiesa e lo accolse un soffio d'aria fredda, come se avesse appena aperto una tomba. Si tolse gli occhiali da sole prima di bagnare indice e medio nell'acqua santa, e mentre si faceva il segno della croce sentì il fresco dell'acqua sulla fronte. C'erano mezza dozzina di panche di legno allineate davanti al retablo dell'altare - un insieme di figure scolpite i cui ori splendevano in fondo alla navata -` mentre le altre erano state ammucchiate in un angolo, una sull'altra, per far posto a varie impalcature. C'era odore di chiuso e di cera, di umidità vecchia di secoli. Era tutto in penombra eccetto un angolo illuminato da un riflettore, in alto, a sinistra. E quando sollevò gli occhi verso la luce, Quart vide una donna, in cima alla struttura metallica, che fotografava le vetrate a piombo. «Buongiorno» disse. Aveva i, capelli grigi, come lui, ma nel suo caso non erano prematuri. Quarant'anni abbondanti, calcolò vedendola chinarsi sulla ringhiera che coronava l'impalcatura di ferro, cinque metri sopra la sua testa. Poi la donna si aggrappò alla struttura e scese con agilità fino al pavimento della navata. Portava i capelli raccolti dietro la nuca in una corta treccia, indossava una polo a maniche lunghe, jeans macchiati di gesso e scarpe da ginnastica. Di spalle, vedendola scendere, poteva essere scambiata per una ragazzina. «Mi chiamo Quart» si presentò. La donna si pulì la mano destra sui jeans e gliela tese, in una stretta breve e vigorosa. «Io sono Gris Marsala. Lavoro qui.» Aveva un accento straniero, più americano che inglese, le mani ruvide e gli occhi chiari e amichevoli, circondati da rughe. E anche un sorriso franco, aperto, che continuò ad aleggiarle sulle labbra mentre osservava Quart da capo a piedi, con curiosità. «Lei ha un aspetto così distinto» concluse alla fine, disinvolta, soffermandosi sul collare della camici a nera. «Ci aspettavamo qualcosa di diverso.» Lui stava osservando l'impalcatura e le pareti della chiesa, e bloccò a metà lo sguardo, sorpreso dal plurale. «Ci aspettavamo?» «Si. Eravamo tutti in attesa dell'inviato di Roma. Ma ci eravamo immaginati un funzionario bassino con la tonaca, e una valigetta nera piena di messalì, crocifissi e cose del genere.» «Tutti Pagina 18
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt chi?» «Non lo so. Tutti...» la donna si mise a contare con le dita macchiate di gesso «don Pflamo Ferro, il parroco. E padre Oscar, il suo vicario.» Il sorriso si ritrasse un po', come se venisse sostituito da un altro più profondo, parallelo e nascosto. «E anche l'arcivescovo, e il sindaco, e un mucchio di altra gente.» Quart serrò le labbra. Ignorava che la sua missione fosse di pubblico dominio. Per quanto ne sapeva solo la nunziatura a Madrid e l'arcivescovo di Siviglia erano stati informati dallo Ior. Scartato il nunzio, immaginò monsignor Corvo che seminava zizzania. Che il demonio confondesse Sua Eminenza. «Non prevedevo tanta attesa» disse con freddezza. La donna scrollò le spalle, ignorando il tono. «Non si tratta di lei, ma della chiesa.» Alzò una mano a indicare le impalcature contro i muri, il soffitto annerito dove i dipinti si staccavano fra macchie di umidità. «Questo posto ha scatenato molte passioni negli ultimi tempi. E a Siviglia nessuno è capace di mantenere un segreto.» Inclinò leggermente la testa verso di lui e abbassò la voce, parodiando un'aria confidenziale. «Raccontano che perfino il papa si interessi alla cosa.» Per l'amor del cielo. Quart rimase in silenzio un istante, prima guardandosi la punta delle scarpe e poi cercando gli occhi della donna. Infine si disse che quello era un bandolo buono come qualsiasi altro per iniziare a dipanare la matassa. Così le si avvicinò fin quasi a sfiorarla con la spalla, poi cominciò a guardarsi attorno con aria esageratamente diffidente. «Chi lo dice?» sussurrò. La risata della donna era tranquilla come i suoi occhi e come la sua voce, ma il suono si velava nelle cavità della navata deserta. «L'arcivescovo di Siviglia, credo. Che, per inciso, non sembra amarla molto. Alla prima occasione devo ricambiare l'illustrissimo don Corvo per così tanti favori, si ripromise Quart tra sé e sé. La donna lo osservava con gioviale malizia. Disposto ad accettare solo in parte la complicità che lei gli offriva, inarcò le sopracciglia con l'innocenza di un vecchio gesuita. Infatti aveva imparato quella smorfia proprio in seminario. Da un gesuita. «La vedo informata. Ma non dia retta a tutto quello che si dice in giro.» Gris Marsala scoppiò a ridere. «Neanche per idea» ribatté. «Ma è divertente. E poi, come le ho detto, lavoro qui. Sono l'architetto responsabile del restauro di questo posto.» Si guardò di nuovo attorno e sospirò con aria desolata. «Il suo aspetto non depone a mio favore, vero?... Ma è una lunga storia di bilanci che non vengono approvati e di soldi che non arrivano.» «Lei è americana.» «Sì. Mi occupo di questa chiesa da due anni, su incarico della fondazione Eurnekian, che ha finanziato per un terzo il progetto iniziale di restauro. All'inizio eravamo in tre, due spagnoli e io, ma gli altri se ne sono andati... Ormai è un po'"di tempo che i lavori sono quasi fermi.» Lo guardò attenta, aspettando l'effetto di quanto stava per dire. «E poi ci sono stati quei due morti.» L'espressione di Quart rimase imperturbabile: «Si riferisce agli incidenti?» «Si possono anche definire così. Incidenti» continuava a spiare la reazione del suo interlocutore, e parve delusa quando vide che lui non faceva alcun commento. «Ha già visto il parroco?» «Ancora no. Sono arrivato ieri sera e non ho fatto visita neppure all'arcivescovo. Prima volevo dare un'occhiata.» «Bè, ecco qua» fece un gesto con la mano, indicando la navata e l'altare maggiore a stento distinguibili, nella penombra. «Barocco sivigliano del Settecento, retablo di Dunque Cornejo... Un piccolo gioiello che cade a pezzi.» «E quella Madonna decapitata sul portone?» «Alcuni cittadini festeggiarono a modo loro la proclamazione della Seconda Repubblica, nel 1931.» Lo disse con benevolenza, come se in fondo scusasse i colpevoli. Quart si chiese da quanto tempo fosse arrivata in quella città. Molto, senza dubbio. Il suo spagnolo era impeccabile, e sembrava trovarsi a suo agio. «Da quanto tempo vive qui?» «Quasi quattro anni. Ma ci sono venuta molte volte prima di stabilirmi definitivamente. Sono arrivata con una borsa di studio e non me ne sono mai andata del tutto.» «Perché?» La vide scrollare le spalle, come se anche lei si facesse la stessa domanda. «Non lo so. Succede a molti dei miei compatrioti, soprattutto ai giovani. Un bel giorno arrivano e non riescono più ad andarsene. Restano qui e suonano la chitarra, disegnano nelle piazze. Si arrangiano per vivere.» Guardò pensierosa il rettangolo luminoso disegnato dal sole sul pavimento, accanto alla porta. «C'è qualcosa nella luce, nel colore delle strade, che ti indebolisce la volontà. E come una malattia.» Quart avanzò di qualche passo, poi si fermò e sentì spegnersi l'ultima eco in fondo alla navata. Sulla sinistra c'era un pulpito con una scala a chiocciola, seminascosto dalle impalcature, e sulla destra un confessionale, in una piccola cappella che faceva da ingresso alla sacrestia. Passò una mano Pagina 19
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt sul legno di una panca, annerito dall'uso e dagli anni. «Che cosa gliene pare?» chiese la donna. Quart sollevò il capo. La volta, a botte con lunette, copriva una pianta rettangolare a una sola navata con una croce a bracci corti. Una cupola ellittica, coronata da una lanterna cieca, era stata decorata con affreschi ormai irriconoscibili per i danni provocati dal fumo delle candele e degli incendi. Si riusciva ancora a scorgere un certo numero di angeli intorno a una grande macchia nera di fuliggine, e vari profeti barbuti e malridotti, deturpati da bubboni di umidità che davano loro l'aspetto di incurabili lebbrosi. «Non so» rispose. «Piccola, bella. Vecchia.» «Tre secoli» precisò lei, e l'eco riprese quando si avviarono di nuovo fra le panche, verso l'altare maggiore. «Nel mio paese, un edificio antico di trecento anni sarebbe un gioiello storico inviolabile. E qui, guardi: posti come questo cadono a pezzi da tutte le parti, senza che nessuno muova un dito per impedirlo.» «Forse ce ne sono troppi.» «E buffo sentirlo dire da un sacerdote, sia pure dall'aria laica come lei.» Lo osservò di nuovo da capo a piedi, con ironico interesse, stavolta soffermandosi sul taglio impeccabile del vestito scuro e leggero. «Se non fosse per il collare e la camicia nera...» «Li porto da vent'anni» la interruppe freddamente, fissando con lo sguardo un punto alle spalle di lei. «Mi stava parlando della chiesa e dei posti come questo.» Lei rimase un po'"sconcertata e piegò il capo di lato, sforzandosi visibilmente di catalogarlo sotto una qualche specie nota all'interno del sesso maschile. E nonostante la sua disinvoltura, Quart capì che il collare la intimidiva. Succede a tutte, pensò: vecchie e giovani, senza eccezione. Anche la più decisa si mostra insicura quando un gesto, una parola, tradivano all'improvviso il sacerdote. «La chiesa» disse alla fine Gris Marsala, guardandolo come se pensasse ad altro. «Ma non sono d'accordo con lei sul fatto che di posti così ce ne siano sin troppi. In fin dei conti si tratta della nostra memoria storica, non le pare?...» arricciò la bocca e il naso e colpì con un piede le piastrelle consunte del pavimento, quasi chiamandole a testimoniare. «Sono convinta che ogni edificio, ogni quadro, ogni libro antico che viene distrutto o perduto, ci rende un po'"più orfani. Ci impoverisce.» Aveva parlato d'impulso, con ardore, e in qualche punto il suo tono si era velato di un'ombra di amarezza. Vedendo che adesso era Quart a voltarsi sorpreso verso di lei, tornò a sorridere. «Non ha nulla a che vedere con le mie origini» disse, quasi volesse scusarsi. «O forse sì. Queste opere sono patrimonio di tutta l'umanità. Nessuno ha il diritto di lasciare che vadano perdute.» «E perciò si è trattenuta tanto a lungo a Siviglia?» Rifletté, misteriosa. «Forse. In ogni caso è il motivo che mi ha portato qui, in questo posto» guardò verso l'alto, soffermandosi sulla vetrata di una lunetta che si aprìva sulla sinistra della navata, a cui stava lavorando quando era arrivato Quart. «Sa che è l'ultima chiesa costruita in Spagna sotto la casa d'Austria?... I lavori all'edificio si conclusero uffic ialmente il 1 novembre 1700, quando Carlo Il, ultimo rappresentante della sua dinastia, agonizzava. La funzione religiosa inaugurale fu una messa funebre, il giorno successivo, per l'anima del re.» Erano davanti all'altare maggiore. Un fascio di luce obliquo proveniente dalle vetrate accendeva delicati riflessi sui rilievi del retablo, che gettavano la loro ombra sul resto della pala, fra le impalcature. Quart scorse un corpo centrale con la Madonna sotto un ampio baldacchino, sopra il tabernacolo davanti al quale chinò rapidamente il capo. I bracci laterali, che colonne lavorate separavano dal presbiterio, contenevano nicchie con statue, cherubini e santi. «E magnifico» commentò, sincero. «E qualcosa di più.» Gris Marsala si era avvicinata ai piedi dell'opera, dietro l'altare, e aveva fatto scattare un interruttore che illuminò il retablo. La lamina d'oro e il legno dorato presero vita, e una sorgente di luce si riversò fra colonne, medaglioni e ghirlande lavorate con finezza da orafo. Quart ammirò la coerenza di quel variegato insieme, la fusione degli elementi costruttivi e ornamentali in un solo piano attraverso la combinazione di statue, intagli, motivi architettonici e vegetali. «Magnifico» ripeté, impressionato. E, portandosi la mano destra alla fronte, si fece meccanicamente il segno della croce. Alla fine si accorse che Gris Marsala lo osservava attenta, come se trovasse il gesto incongruente. «Non ha mai visto un prete farsi il segno della croce?» Quart nascose il suo disagio dietro un gelido sorriso. «Devono esserselo fatto in molti, davanti al retablo.» «Immagino di sì. Ma erano preti di un altro genere.» «C'è soltanto un genere Pagina 20
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt di prete» rispose lui alla leggera, tanto per dire qualcosa. «...Lei è cattolica?» «Un po'. Il mio bisnonno era italiano» gli occhi chiari lo guardavano con impertinente ironia. «Ho un senso del peccato abbastanza sviluppato, se è a questo che pensa. Ma alla mia età...» Lasciò la frase a mezzo toccandosi i capelli grigi raccolti nella corta treccia. A Quart parve più opportuno cambiare di nuovo argomento. «Stavamo parlando del retablo» ribatté. «E io le dicevo che è magnifico...» La guardò negli occhi, serio, cortese e distante. «Ricominciamo da capo?» Gris Marsala piegò di nuovo leggermente la testa di lato. Donna intelligente, pensò Quart. Ma gli restava qualche perplessità. L'istinto ben addestrato di agente dello Ior captava un'incongruenza, una nota falsa in lei. La studiò in cerca della chiave giusta, ma non c'era modo di avvicinarsi ulteriormente senza accettare una complicità che non desiderava portare troppo oltre. «Per favore» aggiunse Quart. Rimase a guardarlo di sottecchi ancora per qualche secondo, poi fece un cenno di assenso e sembrò li li per sorridere di nuovo, ma non lo fece. «D'accordo» disse alla fine. Si era girata verso il retablo, e Quart la imitò. «Fu realizzato nel 1711 dallo scultore Pedro Dunque Cornejo, che fu ricompensato con duemila scudi da otto reali d'argento. E in effetti è una meraviglia. C'è tutta l'immaginazione e l'audacia del barocco sivigliano.» La Madonna era una bella statua in legno policromo alta quasi un metro. Aveva un manto azzurro e le braccia aperte, con i palmi rivolti in avanti. Una falce di luna le faceva da piedistallo e con il piede destro schiacciava un serpente. «E molto bella» disse Quati. «Realizzata da Juan Martinez Montaiiés quasi un secolo prima del retablo... Era proprietà dei duchi del Nuevo Extremo, e poiché uno di loro aveva contribuito a costruire la chiesa, il figlio donò la statua. Le sue lacrime hanno dato il nome all'edificio.» Quart ne studiava i dettagli. Dal basso le si vedevano brillare le lacrime sul volto, sulla corona e sul mantello. «Un po'"esagerate, mi pare.» «In origine erano palline di cristallo più piccole, ma ora sono perle. Venti perle perfette, portate dall'America alla fine del secolo scorso: una storia che si conclude lì, nella cripta.» «C'è una cripta?» «Sì. L'entrata è nascosta in quel punto, sulla destra dell'altare maggiore: è una specie di cappella privata. Vi riposano varie generazioni di duchi del Nuevo Extremo. Fu uno di loro, Gaspar Bruner de Lebrija, a cedere nel 1687 un terreno di sua proprietà per edificare la chiesa, a condizione che vi si dicesse messa per la sua anima una volta a settimana.» Indicò la nicchia sulla destra della Madonna, con la statua di un cavaliere inginocchiato in atteggiamento di preghiera. «Eccolo lì: scolpito da dunque Cornei o, che realizzò anche la statua raffigurante sua moglie, sulla sinistra... La costruzione dell'edificio fu affidata a Pedro Romero, architetto di fiducia suo e anche del duca di Medina Sidonia. Di lì nasce il legame della famiglia con questa chiesa. Fu il figlio del donatore, Guzmàn Bruner a sostenere le spese per terminare il retablo con l'effigie dei suoi genitori e a donare la statua nel 1711... Il legame con la famiglia continua ancora oggi, anche se in tono minore. E ha a che fare con il conflitto.» «Quale conflitto?» Gris Marsala continuava a osservare il retablo come se non avesse sentito la domanda. Si passò una mano sul collo, mandando un breve sospiro. «Bè, lo chiami come vuole» il suo tono era diventato forzatamente disinvolto. «Una situazione di stallo, potremmo dire. Con Macarena Bruner, con sua madre la vecchia duchessa, e con tutti gli altri.» «Non conosco ancora le signore Bruner. Quando Gris Marsala si voltò verso Quart, c'era una punta di cattiveria nei suoi occhi chiari. «No? Bè, le conoscerà presto» fece una pausa e piegò la testa dilato, divertita. «Tutt'e due.» Quart la sentì ridacchiare mentre faceva scattare l'interruttore della luce. L'oscuritàcoprìdi nuovo il retablo. «Cosa sta succed endo qui?» chiese. «A Siviglia?» «In questa chiesa.» La donna tardò qualche secondo a rispondere. «E lei che deve dirlo» ribatté alla fin e. «L'hanno inviata qui apposta.» «Ma lavora qui dentro. Avrà qualche idea.» «Certo che ho delle idee. Ma le tengo per me. L'unica certezza che ho è che c'è gente più interessata a far crollare la chiesa che a tenerla in piedi.» «Perché?» «Ah, lo ignoro.» Le offerte di collusione sembravano svanite. Ora era lei a chiudersi, distante, e il freddo della navata deserta sembrava penetrato di nuovo fra di loro. «Forse perché in questo quartiere un metro quadrato di terreno vale una fortuna...» scosse il capo, scacciando pensieri fastidiosi. «Troverà Pagina 21
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt ben presto qualcuno disposto a raccontarglielo.» «Ha detto prima che se n'è fatta un'idea.» «Ho detto così?...» Sorrideva con un angolo della bocca, ma si trattava di un gesto poco sincero, forzato. «Può darsi. Comunque non sono affari miei. Il mio compito era salvare tutto il salvabile dell'edificio finché c'erano soldi per pagare i lavori, ma adesso non ce ne sono più.» «Perché allora rimane qui da sola?» «Faccio ore di straordinario. Da quando mi occupo di questa chiesa non ho altri impegni, per cui dispongo di moltissimo tempo libero.» «Molto tempo libero» ripeté Quart. «Proprio così» la sua voce aveva ripreso un tono amaro. «E non ho altri posti dove andare.» Stava per insistere, interessato, quando dei passi alle sue spalle lo fecero voltare. C'era una sagoma nera, piccola e immobile sulla soglia, e la macchia scura della sua ombra cadeva, compatta, sul rettangolo di luce delineato dal sole sulle piastrelle del pavimento. Quando Celestino Peregil uscì dal bar Casa Cuesta, don Ibrahim si mise a contare di nascosto, sotto la lastra di marmo del tavolo, le banconote che l'assistente del banchiere Pencho Gavira aveva lasciato per le prime spese. «Centomila pesetas» disse al termine dell'operazione. Il Potro del Mantelete e la Nifla Puiiales annuirono in silenzio. Don Ibrahim fece tre mazzetti da trentatremila pesetas, se ne infilò uno nella tasca interna della giacca e passò gli altri due ai suoi compari. La banconota rimasta la posò sul tavolo. «Che ve ne pare?» chiese. Il Potro del Mantelete, aggrottando la fronte, lisciò il biglietto e rimase a fissare l'effigie di Hernàn Cortés. «Mi sembra buono» arrischiò. «Mi riferisco al lavoro. All'incarico.» Il Potro continuò a fissare la banconota taciturno e la Nifla Puiìales scrollò le spalle. «Sono soldi» disse, come se quello riassumesse tutto. «Ma impelagarsi coi preti porta male.» Don Ibrahim fece un gesto per minimizzare. Mosse la mano sinistra, con il sigaro fumante accanto all'anello d'oro, e la cenere gli cadde di nuovo sui pantaloni bianchi. «Risolveremo la faccenda con molto tatto» spiegò, chinandosi a fatica sulla pancia per scuotere via la polvere grigia. La Niiìa Puiiales disse: «Gesù!». E il Potro del Mantelete annuì continuando a fissare la banconota. Il Potro doveva essere sui quarantacinque anni, e li portava tutti stampati in faccia. Una gioventù da torero sfortunato gli aveva lasciato nelle pupille e in gola l'amarezza del fallimento in arene di terza categoria, oltre alla cicatrice di una cornata sotto l'orecchio destro. Quanto alla sua breve e oscura carriera in qualità di pugile aspirante al titolo di campione andaluso nella categoria dei pesi gallo fra due arruolamenti nella legione straniera, l'unica cosa che ne aveva ricavato era stato un naso rotto, due sopracciglia Gris Marsala, che come lui si era girata, rivolse a Quart uno strano sorriso. «E ora che conosca il parroco. Non le pare?... Mi riferisco a don Pn'amo Ferro.» gonfie e intermittenti a causa delle cicatrici, e una certa lentezza di riflessi al momento di coordinare azione, parola e pensiero. Nelle truffe di strada ai turisti interpretava bene il ruolo dello scemo: c'era molto di vero nel modo derelitto che aveva di fissare il vuoto aspettando lo squillo di tromba del terzo avviso, o il gong di qualche improbabile conto alla rovescia. «Il tatto è importante» disse lentamente. «Gesù» confermò la Nifla. Il Potro aveva ancora la fronte aggrottata, come ogni volta che si metteva a riflettere su qualcosa. Nello stesso modo, con la fronte aggrottata e riflettendo bene sui dettagli di una faccenda, un giorno era entrato in casa e aveva trovato il fratello paralitico sulla sedia a rotelle con i pantaloni alle ginocchia, e la cognata, cioè la moglie del Potro, seduta sopra, che lanciava gemiti eloquenti. Senza affrettarsi né alzare la voce, annuendo dolcemente mentre il fratello assicurava che era solo un malinteso e che poteva spiegare tutto, il Potro del Mantelete si era piazzato dietro la sedia a rotelle e l'aveva spinta quasi con tenerezza fino al pianerottolo per poi lasciarla cadere, assieme al proprietario, giù dalle scale; il risultato era stato un cloc clac su trentadue gradini e un trauma cranico inevitabilmente mortale. La donna se l'era cavata con un pestaggio metodico e scientifico; risultato: due occhi neri e un KO per gancio di sinistro da cui era rinvenuta dopo mezz ora, giusto in tempo per fare la valigia e sparire per sempre. La faccenda del fratello era stata più difficile da sistemare: a fronte dei trent'anni chiesti dall'accusa, solo l'abilità dell'avvocato era riuscita a sostituire, nella testa del giudice, la tesi dell'assassinio con quella dell'omicidio preterintenzionale, ottenendo così un'assoluzione in dubbio pro reo. Pagina 22
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Quell'avvocato era don Ibrahim, il cui diploma di laurea rilasciato all'Avana era ancora considerato autentico dall'ordine degli avvocati di Siviglia. Ma, con o senza titolo, è certo che l'ex torero e pugile non avrebbe mai dimenticato la commovente arringa che aveva conquistato, palmo a palmo, la sua libertà. Quel focolare distrutto, Vostro Onore. Quel fratello infedele, la drammaticità della situazione, il livello intellettuale del mio cliente, l'assenza di animus necandi e la sedia a rotelle priva di freni. Da allora il Potro del Mantelete nutriva nei confronti del suo benefattore una devozione cieca, eroica, indistruttibile, ancora più colma di abnegazione, se possibile, in seguito all'ignominiosa espulsione di don Ibrahim dall'avvocatura. Una lealtà da levriero silenzioso e duro, pronto a tutto per un ordine o una carezza del suo padrone. «Continuo a pensare che tre preti sono troppi» insisté la Niiia. I braccialetti d'argento tintinnarono di nuovo mentre si rigirava fra le mani il bicchiere vuoto. Don Ibrahim e il Potro si guardarono, e l'ex falso avvocato chiese altri tre bicchieri di fino La Ina e qualche stuzzichino di lonza di maiale insaccata per accompagnarli. Appena il cameriere posò lo xéres fresco sul tavolo, lei si scolò il suo bicchiere d'un fiato mentre i due uomini allontanavano lo sguardo, facendo finta di non vedere il gesto. Vino amaro, che non da allegria, anche se mi ubriaco non posso dimenticare... cantò sottovoce in tono straziante la Nifla Puiìales, passandosi la lingua sulle labbra coperte di rossetto scarlatto, brillanti per le tracce di vino, e il Potro sussurrò un olé senza guardarla, battendo delicatamente il palmo delle mani sul marmo del tavolo. La Niiìa Puitales aveva gli occhi scuri, grandi, tragici, come nelle canzoni popolari, che l'eccesso di trucco e di matita nera facevano sembrare enormi in un volto che mostrava tracce di una bellezza piena, ma appassita sotto il tirabaci di capelli tinti, accuratamente aggiustati sulla fronte. Quando esagerava con lo xéres o con la manzanilla, raccontava che un uomo bruno dagli occhi verdi ne aveva ucciso un altro a coltellate per lei, come nelle sue canzoni, e cercava nella borsa un ritaglio di giornale senza dubbio perduto molto tempo prima. Se davvero era successo, doveva essere stato quando la Nifla compariva sui cartelloni dello spettacolo con la sua aria indomita di bella gitana di razza, come giovane promessa della canzone spagnola. L'erede, dicevano, di donna Concha Piquen Ora, trent'anni dopo il fugace momento di gloria, con la sua scarsa fortuna, la sua triste leggenda e le sue canzoni, si trascinava fra tavoli macchiati di vino in miserabili locali di flamenco, come numero di spalla per circuiti turistici con cena e spettacolo tutto compreso, Siviglia by night, su pedane luride che scheggiava con lo stanco sbattere di tacchi delle sue scarpe da ballo. «Da dove iniziamo?» chiese, guardando don Ibrahim. Anche il Potro del Mantelete alzò gli occhi dal tavolo per fissarli sull'uomo che più rispettava al mondo dopo il defunto torero Juan Belmonte. Consapevole della propria responsabilità, l'ex falso avvocato dette una lunga tirata al sigaro, e lesse e rilesse mentalmente la lista degli stuzzichini del giorno sulla lavagnetta appesa sopra il bancone del bar: polpette. Interiora. Acciughe fritte. Uova alla besciamella. Lingua in salsa. Lingua lardellata". «Come disse, e disse bene, Caio Giulio Cesare» spiegò quando gli parve che fosse trascorso un tempo sufficiente a dare solennità alle sue parole «Gallia est ornnia divisa in panibus infidehbus. Cioè, prima di qualsiasi azione è necessaria una ricognizione in prima persona.» Li passò in rassegna con lo sguardo, come fosse un generale davanti al suo stato maggiore. «Una perlustrazione del territorio, vediamo un po'"se riuscite a capire» sbatté le palpebre, dubbioso. «Avete afferrato?» «Gesù.» «Si.» «Mi fa piacere» don Ibrahim si passò un dito sui baffi, soddisfatto del morale della truppa. «Quello che voglio dire è che dobbiamo dare un'occhiata a quella chiesa e a tutto il resto.» Guardò la Nifla, che sapeva devota. «Con la dovuta attenzione, naturalmente, alla sua natura di luogo sacro.» «Io la conosco» intervenne lei con voce etilica. «E molto vecchia, sempre piena di impalcature. A volte ci vado a messa.» Da vera ballerina di flamenco, era molto devota. Don Ibrahim, per parte sua, anche se era solito dichiararsi agnostico, rispettava la libertà di culto. Si chinò leggermente verso il tavolo, interessato. Una rigorosa raccolta di informazioni, aveva letto da qualche parte - Churchilì, gli sembrava di ricordare, o Federico il Grande -` era la madre di tutte le vittorie. «Com'è il prete? Mi riferisco al parroco titolare.» «Come quelli di una volta» la Niiia Puùales increspò labbra e fronte, sforzandosi di ricordare «vecchio, sempre di malumore... Una volta ha cacciato un gruppetto di turiste che erano Pagina 23
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt entrate a metà della messa. E sceso dall'altare, con la pianeta e tutto il resto, e ha fatto una scenata orribile perché erano in pantaloncini corti. Questo non è né uno stabilimento balneare né un circo, ha detto, perciò aria. E le ha sbattute fuori.» Don Ibrahim annuì, compiaciuto. «Un sant'uomo, a quanto pare.» «Gesù.» «Un sacerdote virtuoso.» «Fino alla punta dei capelli.» Dopo una pausa di riflessione, il cubano sbuffò un anello di fumo e aspettò di vederlo svanire. Ora aveva l'aria preoccupata. «E quindi abbiamo a che fare con un ecclesiastico di carattere» aggiunse, moderando la sua iniziale approvazione. «Se è di carattere, non lo so» disse la Niffa. «Ma di sicuro ha sempre la luna storta.» «Capisco» don Ibrahim fece un altro anello, ma stavolta gli venne malissimo. «E così questo bravo parroco può crearci qualche problema. Mi riferisco al fatto che può ostacolare la nostra strategia.» «Ce la può rovinare del tutto.» «E l'altro sacerdote, il giovane vicario?» «Quello l'ho visto qualche volta mentre aiutava a dire messa. Sembra tranquillo, garbato. Più malleabile.» Don Ibrahim guardò fuori dalla finestra l'altro lato della strada, verso gli stivali camperns Valverde del Camino appesi alla tenda sopra la vetrina del negozio di scarpe La Valenciana. Poi, con un brivido di malinconia, osservò i due volti che aveva davanti. In un altro momento della sua vita avrebbe mandato a quel paese Peregil e il suo incarico, o probabilmente avrebbe chiesto più denaro. Ma, per come andavano le cose, non c'era molta scelta. Osservò sconsolato le labbra dipinte della Niiia, il neo finto, le unghie con lo smalto rosso scrostato sulle punte, le dita scarne intorno al bicchiere vuoto. Poi spostò gli occhi a sinistra per incontrare lo sguardo fedele del Potro del Mantelete, per poi posarli sulla propria mano, appoggiata sul tavolo, quella con il sigaro avana accanto all'anello, falso come Giuda, che di tanto in tanto riusciva a piazzare per cinquemila pesetas - ne aveva diversi - a qualche sprovveduto turista nei bar di Triana. Quei due erano le sue creature, erano sotto la sua responsabilità. Il Potro, per la sua devozione anche nella sfortuna. La Niiia, perché l'ex falso avvocato non aveva mai sentito nessuno cantare Capote de grana y oro come lei, quando, appena arrivato a Siviglia, l'aveva vista su un palcoscenico. L'aveva conosciuta di persona solo molto tempo dopo, quando lei teneva compagnia ai clienti in un locale di flamenco di infimo livello, ormai rovinata dall'alcol e dagli anni, immagine vivente delle canzoni popolari che cantava con quella voce spezzata, sublime, da brividi: La loba, Rornance de valentta, Falsa moneda, Ta tua je. La sera dell'incontro, don Ibrahim aveva giurato a sé stesso di salvarla dall'oblio, non fosse che per rendere giustizia all'Arte. Perché nonostante le calunnie dell'ordine degli avvocati, nonostante gli articoli usciti sulla stampa locale quando lo avevano sbattuto in carcere per un assurdo diploma di cui non importava un accidente a nessuno, nonostante gli intrallazzi a cui doveva piegarsi per guadagnarsi la vita, lui non era un miserabile. Don Ibrahim sollevò il capo, aggiustandosi meccanicamente la catena dell'orologio nei taschini del panciotto. Lui era un uomo perbene, anche se sfortunato. «E semplicemente una questione di strategia» ripeté pensieroso, a voce alta, più che altro per convincere se stesso, e sentì convergere su di sé le speranze dei suoi compari. Celestino Peregil aveva promesso tre milioni, ma forse sarebbero riusciti a spillargliene di più. Si diceva che Peregil fosse il tirapiedi di un banchiere pieno di grana. In quella faccenda si sentiva odore di soldi, e loro avevano bisogno di liquidi per avviare la realizzazione di un vecchio sogno. D on Ibrahim era un uomo istruito, anche se in modo superficiale - altrimenti non avrebbe potuto esercitare per qualche tempo la professione a Siviglia, prima di essere smascherato - e ricordava con grande precisione citazioni dalle sue letture. Ad esempio per i sogni, la migliore era di Thomas D. H. Lawrence, quel tizio d'Arabia che aveva scritto Lady ButterQy: gli uomini che sognano a occhi aperti la durano e la vincono, o qualcosa del genere. Non si faceva molte illusioni su come avessero gli occhi il Potro e la Niiia, ma questo era il meno. Lui li teneva aperti anche per loro. Guardò con affetto il Potro del Mantelete, che masticava lentamente una fetta di lonza di maiale insaccata. «E tu che ne pensi, campione?» Il Potro continuò a masticare in silenzio più o meno per mezzo minuto. «Possiamo farcela, credo» rispose alla fine, quando gli altri ormai avevano quasi dimenticato la domanda. «Se Dio ci aiuta.» A don Ibrahim sfuggì un sospiro rassegnato. «E proprio questo il problema. Con così tanti preti di mezzo, non so Dio da che parte starà.» Il Potro sorrise per la prima volta in tutta la mattina, e lo fece con convinzione. Sorrideva sempre con convinzione e quasi col contagocce, come Pagina 24
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt se lo sforzo muscolare fosse eccessivo per il suo volto ammaccato dai tori e dai guantoni degli avversari sul ring. «E tutto per la Causa» disse. La Nifla Punales lanciò sottovoce un tenero olé: cantò a mezza voce, posando una mano su quella del Potro del Mantelete. Fin dai tempi del suo traumatico divorzio quest'ultimo viveva solo, e per quanto se ne sapeva non aveva parenti; don Ibrahim sospettava che amasse la Nifla in silenzio, senza mai mostrarlo, per rispetto. Lei, per parte sua, ferma sulla soglia della sregolatezza dei suoi sogni, restava fedele al ricordo dell'uomo dagli occhi verdi che continuava ad aspettarla in fondo a ogni bottiglia. Quanto a don Ibrahim, in materia d'amore nessuno aveva mai potuto addurre prove decisive; benché a lui piacesse, nelle notti di manzanilla e di chitarra, parlare in termini vaghi Giurò di amarmi un uomo senza paura della morte... di episodi romantici della sua gioventù ai Caraibi, quando era amico di Beny Moré, il Barbaro del Ritmo, di Faccia di foca Pérez Prado, e dell'attore messicano Jorge Negrete finché non avevano avuto un diverbio. L'epoca in cui Maria Félix, la divina Maria, la Signora, gli aveva regalato il bastone d'ebano con l'impugnatura d'argento una sera in cui con don Ibrahim e una bottiglia di tequila - Herradura Reposado, un litro - era stata infedele ad Agustin Lara, e quest'ultimo, magro ed elegante, distrutto, aveva composto una canzone immortale per alleviare il dolore delle corna. Ringiovaniva il sorriso del cubano nell'ipotetico ricordo di Acapulco, di quelle serate, di quelle spiagge, Maria dell'anima, Maria la Bella. E la Niiia Puiiales cantarellava piano, fra un bicchiere e l'altro di xéres e di nanzanilla, la canzone che lo immortalava come colpevole seduttore. E il Potro prestava alla scena il suo profilo duro e silenzioso, privo d'ombra, perché questa vagava disorientata sul tappeto dei ring e sulla polvere di miserabili arene improvvisate. In questo modo nessuno corrispondeva e tutti erano corrisposti in quel singolare triangolo fatto di tramonti, fumo di tabacco, vino, applausi, spiagge lontane e nostalgie. E da quando il caso e la vita li avevano riuniti a Siviglia come tronchi alla deriva, i tre compari condividevano l'interminabile risacca delle loro vite in una pittoresca amicizia, di cui, nel cuore della notte, durante una grande sbornia tranquilla, seduti davanti alla corrente ampia e placida del Guadalquivir erano riusciti a scoprire il nobile fine: la Causa. Un giorno avrebbero avuto abbastanza denaro da aprìre un locale di flamenco di gran lusso. Lo avrebbero chiamato il Tempio della copla e lì avrebbero finalmente reso giustizia all'arte della Nifla Puiìales, mantenendo viva la musica popolare spagnola. Bambina, mi dicevo folle di passione... continuava a cantare sottovoce la Nifla. Una venditrice di biglietti della lotteria entrò al Casa Cuesta promettendo vincite strabilianti, e don Ibrahim comprò tre tagliandi. Poi chiamò il cameriere per pagare il conto, e chiese con aria Il nuovo arrivato entrò in chiesa, e la luce che filtrava frastagliata attraverso il portale e pioveva sulle mattonelle del pavimento abbagliò Lorenzo Quart. Così sbatté per un attimo le palpebre, e quando la pupilla riuscì ad adattarsi di nuovo alla penombra interna, don Priamo Ferro era ormai accanto a lui. Allora vide che era peggio di quanto avesse immaginato. «Sono padre Quart» disse tendendogli la mano. «Sono appena arrivato a Siviglia.» La mano rimase immobile nel vuoto, davanti a due occhi neri e penetranti che la guardavano diffidenti. «Cosa ci fa nella mia chiesa?» Brutto inizio, si disse mentre ritirava lentamente la mano, osservando l'uomo che aveva davanti. Aspro come la sua voce, piccolo, magro, i capelli bianchi spettinati e tagliati malamente, la tonaca logora e sporca sotto la quale spuntava un paio di vecchi scarponi che nessuno si era dato la pena di lustrare negli ultimi cinque o sei anni. «Mi è sembrato opportuno curiosare un po'» rispose con calma. La cosa più inquietante era il volto, solcato in tutte le direzioni da segni, rughe e piccole cicatrici che davano al parroco un'aria tormentata, dura, come una fotografia aerea di un deserto, di quelle che servono a rilevare l'erosione, le crepe della crosta terrestre, le tracce profonde di fiumi scomparsi che il tempo ha pian piano disegnato nel terreno e nella roccia. E poi c'erano gli occhi scuri, scontrosi, piazzati in fondo a profonde cavità da dove osservavano il mondo con scarsissima simpatia. Quegli occhi misurarono Quart da capo a piedi, e quest'ultimo notò che si soffermavano sui gemelli della camicia, sul taglio dell'abito signorile il bastone di Maria la Bella e il panama bianco, alzandosi a fatica mentre il Potro del Mantelete, balzato in piedi come se fosse suonato il gong, tirava indietro la sedia della Nifla, che entrambi scortarono fino alla porta. Pagina 25
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Lasciarono sul tavolo la banconota con Hernan Cortés, come mancia. In fin dei conti era una giornata speciale. E come disse il Potro giustificando umilmente la spesa, don Ibrahim era un signore. to e, infine, sul volto. Sembravano molto poco contenti di quello che vedevano. «Lei non ha il diritto di stare qui.» Non c'era l'ombra di una possibilità, capì Quart mentre si voltava verso Gris Marsala in una richiesta di aiuto che sapeva già inutile in partenza, perché lei aveva assistito al dialogo senza proferire verbo. «Padre Quart è venuto qui a cercarla» intervenne la donna svogliatamente. Gli occhi del parroco ignorarono l'architetto. Restarono fissi sul visitatore. «Perché?» L'inviato di Roma sollevò leggermente la mano sinistra, conciliante, vedendo che lo sguardo del suo interlocutore seguiva, con disapprovazione, il bagliore del costoso Hamilton che portava al polso. «Raccolgo informazioni sulla chiesa.» Aveva ormai la certezza che quel primo contatto sarebbe stato un fallimento, ma decise di sforzarsi ancora. Dopo tutto, era il suo lavoro. «Dovremmo fare quattro chiacchiere, padre.» «Io non ho nulla da dirle.» Quart respirò a fondo, lentamente. Era come una penitenza che confermava le sue peggiori paure e, per di più, si legava a fantasmi che non amava rivedere. Tutto ciò che detestava sembrava reincarnarsi davanti a lui: la vecchia miserabile condizione, la tonaca logora, la diffidenza di un parroco di paese intransigente, rozzo, buono solo a minacciare le pene dell'inferno, a confessare beghine dalla cui ignoranza lo separavano solo alcuni inutili anni di seminario e un po'"dilatino. Questa sarà una missione difficile, si disse. Molto difficile. Se quel parroco era Vespro, con una simile accoglienza lo nascondeva a meraviglia. «Mi scusi» insisté, infilando la mano nella tasca interna della giacca per estrarre una busta con la tiara e le chiavi di Pietro stampate in un angolo «ma credo che invece abbiamo molte cose di cui parlare. Sono un incaricato dell'Istituto per le Opere Esteriori, e in questa lettera della segreteria di Stato ci sono le mie credenziali.» Don Priamo Ferro prese la busta e, senza neppure guardarla, la strappò. I pezzi caddero volteggiando a terra. «Non mi importa un fico secco delle sue credenziali.» Guardava Quart dal basso, piccolo e tracotante. Sessantaquattro anni, diceva il rapporto che aveva sul tavolo della camera d'albergo. Venti e rotti come prete di campagna, dieci come parroco a Siviglia. Con il suo fisico avrebbe fatto bella coppia con il Mastino nell'arena del Colosseo: se lo immaginava senza difficoltà come un piccolo e pericoloso reziario, il tridente in una mano e la rete appesa al braccio, intento a studiare il rivale sotto le gradinate che reclamano sangue. Nel corso della sua vita professionale, Quart aveva imparato a capire a colpo d'occhio da quali uomini, fra tutti, è opportuno guardarsi. E padre Ferro era proprio l'oscuro cliente di un bar, seduto in fondo al bancone che, mentre gli altri alzano la voce, beve in silenzio finché all'improvviso spacca una bottiglia e ti taglia la gola di netto. Non avrebbe sfigurato neppure a guadare la laguna di Tenochtitlàn con l'acqua alla vita e la croce tra le mani alzate. O alle crociate, a sgozzare infedeli ed eretici. «Non so cosa sia questa storia delle opere esteriori» aggiunse il parroco senza staccare gli occhi da Quart. «Il mio superiore è l'arcivescovo di Siviglia.» Il quale, saltava agli occhi, aveva coscienziosamente preparato il terreno al fastidioso inviato di Roma. In ogni modo, Quart non perse la calma. Rinfilò la mano nella giacca e mostrò l'angolo di un'altra busta identica a quella che giaceva ai suoi piedi. «E proprio da lui che andrò.» Il parroco fece un cenno di assenso colmo di disprezzo, senza che si riuscisse a capire se era rivolto alle intenzioni di Quart o alla persona di monsignor Corvo. «Bè, vada pure» ribatté, cupo. «Devo obbedienza all'arcivescovo, e quando lui mi ordinerà di parlare con lei, lo farò. Nel frattempo, se lo scordi. ' «Vengo da Roma, e sono stato espressamente inviato. Qualcuno ha chiesto il nostro intervento in questa faccenda. Suppongo che sia al corrente.» «Io non ho chiesto un bel nulla. E comunque Roma è molto lontana e questa è la mia chiesa.» «La sua chiesa.» «Già.» Quart sentiva lo sguardo di Gris Marsala fisso su di loro, in attesa. Sporse il mento e contò in silenzio fino a cinque. «Non è la sua chiesa, padre Ferro, è la nostra chiesa.» Lo vide ammutolire un istante, con gli occhi fissi sui due pezzi di carta per terra, e poi voltarsi leggermente dilato senza guardare nulla in particolare, con una strana espressione, né smorfia né sorriso, sul volto costellato di segni e di cicatrici. «Sbaglia anche stavolta» disse alla fine, come se così potesse liquidare la questione, e si avviò lungo le impalcature al centro della navata, verso Pagina 26
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt la sacrestia. Santo cielo. Facendo violenza a se stesso, Quart compì un ultimo tentativo di riconciliazione. Voleva avere la coscienza pulita il giorno in cui avrebbe presentato il conto che sarebbe toccato a ciascuno. Quello di quel sacerdote, si disse soffocando la collera, sarebbe stato un conforto. Settanta volte sette. «Vengo ad aiutarla, padre» disse alle spalle del parroco, e una volta compiuto lo sforzo gli parve di poter ricominciare alla pari. Con quelle parole saldava il debito verso l'umiltà e la fratellanza ecclesiastica. D'ora in poi, da superbia a superbia, don Priamo Ferro non sarebbe stato l'unico a sentirsi partecipe dell'ira di Dio. Mentre passava davanti all'altare maggiore, il parroco si era fermato per una genuflessione, e Quartsentìuna risata breve e secca, completamente priva di umorismo. «Aiutarmi?... Non so proprio in cosa possa aiutarmi uno come lei.» Mentre si alzava in piedi si era voltato a guardarlo un'ultima volta, e la sua voce era rimbombata nel transetto. «Conosco bene quelli della sua specie... L'aiuto che serve a questa chiesa è di altro tipo, e lei non ce l'ha nelle sue eleganti tasche. E ora se ne vada. Fra venti minuti ho un battesimo.» Gris Marsala lo accompagnò alla porta. Quart, che faceva appello a tutta la sua disciplina e a tutto il suo sangue freddo per non mostrarsi indispettito, ascoltò senza troppa attenzione gli sforzi della donna per scusare il parroco. E sottoposto a una forte pressione, fu la sintetica giustificazione dell'architetto. I politici, le banche e l'arcivescovo gli girano attorno come un branco di lupi. Senza l'ostinazione di padre Ferro, la chiesa sarebbe stata demolita da tempo. «Può darsi che finiscano per demolirla ugualmente» ribatté Quart, dando sfogo a un po'"di astio. «Grazie a lui, e con lui dentro.» «Non dica così.» Aveva ragione. Non doveva dire cose del genere. Non doveva assolutamente dirle, si rimproverò, di nuovo padrone di sé, respirando il profumo di zagare per strada. Un muratore lavorava con una pala accanto alla betoniera, all'angolo formato dalla facciata della chiesa con l'edificio accanto. Quart gli lanciò uno sguardo distratto mentre camminavano fra gli aranci della piazza. «Non capisco il suo atteggiamento» disse. «In fin dei conti, sto dalla sua parte. La Chiesa è dalla sua parte.» Gris Marsala lo guardò, ironica. «A quale Chiesa si riferisce?... A quella di Roma? All'arcivescovo di Siviglia? A lei stesso?...» scosse il capo, incredula. «No. Ha ragione lui, e lei lo sa. Nessuno sta dalla sua parte.» « Non mi stupisce. Sembra deciso a cercarseli, i problemi.» «Ce li ha già. La sua divergenza con l'arcivescovo è una guerra aperta... Quanto al sindaco, minaccia di querelarlo: considera offensivi i termini con cui don Priamo si è riferito a lui un paio di settimane fa, durante l'omelia della messa domenicale.» Quart si fermò, interessato. Di quel fatto non c'era menzione nel rapporto di monsignor Spada. «Come dice?» L'architetto accennò un sorrisetto storto. «L'ha chiamato infame speculatore, prevaricatore e politico senza coscienza.» Lo guardò con la coda dell'occhio, per vedere che faccia faceva. «Se ben ricordo. ' «Ha l'abitudine di tenere questo tipo di sermoni?» «Solo quando si riscalda molto.» Gris Marsala si interruppe, riflettendo un po'. «Ultimamente forse capita con una certa frequenza. Parla dei mercanti che invadono il tempio, e cose del genere.» «I mercanti» ripeté Quart. «Si. Fra le altre cose.» Il sacerdote inarcò le sopracciglia, valutando la situazione. «Niente male» concluse. «Vedo che il nostro parroco è un esperto nell'arte di trovarsi nuovi amici.» «Qualche amico ce l'ha» protestò lei. Poi dette un calcio a un tappo di birra e lo guardò ruzzolare via. «E ci sono anche i parrocchiani, brava gente che viene qui a pregare e che ha bisogno di lui. E lei non può giudicarlo da quanto è successo poco fa.» C'era un velo di passione nella sua voce, e per qualche motivo la faceva sembrare più giovane. Quart negò, infastidito. «Io non sono venuto a giudicare nessuno» si era voltato a osservare il cadente campanile a vela della chiesa, ma in realtà voleva evitare gli occhi della donna. «Saranno altri a farlo.» «Certo» Gris Marsala rimase immobile davanti a lui, con le mani nelle tasche dei blue jeans, fissandolo in un modo che a Quart non piaceva. «Lei è il tipo che stende il suo rapporto e poi se ne lava le mani, vero?... Si limita a portare i sospetti davanti al pretorio e così via. Sono gli altri a dire ibi ad cruceni.» Quart ironizzò con un'espressione di sorpresa: «Non immaginavo che fosse così ferrata nei Vangeli». «Ci sono troppe cose che lei non immagina, mi pare.» A disagio, il sacerdote appoggiò il peso del corpo prima su una gamba e poi sull'altra. Dopodiché Pagina 27
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt si passò una mano sui corti capelli grigi. A una ventina di metri di distanza, il muratore che lavorava accanto alla betoniera si era fermato e li guardava, appoggiato alla pala. Era un giovane con indosso una vecchia divisa militare macchiata di calce. «L'unica cosa che voglio» disse Quart «è garantire un indagine corretta». Ancora davanti a lui, Gris Marsala scosse il capo. «No.» Ora gli occhi chiari lo sezionavano con l'affabilità di un bisturi. «Don Priamo ha azzeccato la diagnosi: lei è venuto qui per garantire un'esecuzione corretta.» «Ha detto questo?» «Sì. Non appena l'arcivescovado ha annunciato che sarebbe arrivato.» Quart spostò lo sguardo sopra la spalla della donna. C'era una finestra e una grata con vasi di gerani, e un canarino immobile nella sua gabbia. «Voglio soltanto essere d'aiuto» disse in tono inespressivo, e all'improvviso la sua voce gli parve quella di un estraneo. Proprio allora, alle sue spalle rintoccò la campana della chiesa, e il canarino si mise a cantare, felice di avere compagnia. Sarebbe stato un lavoro difficile. 3.Undici bar a Triana Devi tagliare, tagliare e tagliare, e devi abbattere senza pietà, finché non si diradano le file degli alberi e il bosco può essere considerato sano. JEAN ANOUILH, La lontra Ci sono cani che decidono per i loro padroni e auto che tradiscono la natura dei loro proprietari. La Mercedes di Pencho Gavira era scura, splendente, enorme, con una minacciosa stella a tre punte ritta sul radiatore come il mirino di una mitragliatrice di prua. Non si era ancora fermata del tutto e già Celestino Peregil era in piedi sul bordo del marciapiede per aprìre lo sportello al suo capo in modo che scendesse. Il traffico davanti alla Campana era intenso, e l'inquinamento macchiava il colletto della camicia color salmone dello scagnozzo, fra la giacca doppio petto blu e la cravatta di seta a fiori rossi, verdi e gialli, che gli brillava davanti come uno squallido semaforo. L'aria sporca del fumo dei tubi di scarico gli faceva ondeggiare i capelli lisci e radi, scompigliando la paziente architettura che costruiva ogni mattina per camuffare la calvizie, con molta cura e molto gel, a partire dall'orecchio sinistro. «Continui a perdere capelli» disse Gavira maligno, osservando, mentre passava, l'acconciatura rovinata. Il finanziere sapeva che quel genere di battute mortificava da morire la sua guardia del corpo e assistente, ma attribuiva all'uso periodico della frusta la virtù di mantenere svegli gli animali della sua scuderia. Inoltre Gavira era un uomo duro, che si era fatto da solo, e la sua natura prevedeva questi esercizi di carità cristiana. Nonostante il traffico e l'inquinamento, si annunciava una bella giornata. Gavira, impettito sul marciapiede, esaminò rapidamente il panorama mentre si sistemava i polsini della camicia in modo che spuntassero dalle maniche della giacca quanto bastava perché i raggi del sole di maggio colpissero i gemelli a ventiquattro carati che tenevano fermi i risvolti di seta azzurro chiaro, confezionati dal miglior camiciaio di Siviglia. Quando si toccò il nodo della cravatta e, con la stessa mano, si passò il palmo sulla tempia per sfiorarsi i capelli neri e folti, leggermente ricci dietro le orecchie, pettinati all'indietro e lucidi di brillantina, sembrava proprio il modello di una rivista di moda maschile, in attesa del fotografo. Pencho Gavira era bruno, attraente, ambizioso, elegante, vincente, aveva molti soldi e stava per ottenerne ancora di più. Di queste sette virtù, quattro o cinque erano interamente frutto dei suoi sforzi, e ciò era ragione di grande orgoglio per lui, e anche di speranza. Era il motivo fondamentale dello sguardo sicuro, soddisfatto, che lanciò prima di avviarsi verso l'angolo di calle Sierpes, con Peregil a testa china incollato ai talloni come uno scagnozzo pentito. Don Octavio Machuca era seduto al solito tavolo della pasticceria La Campana, a controllare le carte che gli passava Cànovas, il suo segretario. Ormai erano alcuni anni che il presidente del Banco Cartujano, invece di trascorrere le mattinate nel suo ufficio all'Arenal, arredato con mobili pregiati e quadri d'epoca, preferiva un tavolo all'aperto e quattro sedie in quel bar dove palpitava il cuore della città. Lì leggeva il quotidiano ABC e guardava scorrere la vita mentre sbrigava le sue incombenze dall'ora di colazione fino a quella dell'aperitivo, prima di pranzare nel suo ristorante preferito, Casa Robles. Ormai non andava quasi mai in banca prima delle quattro del pomeriggio, e ai suoi impiegati e clienti non restava altra scelta che recarsi alla Campana per sbrigare le faccende più pressanti. Toccava anche a Gavira che, come Pagina 28
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt vicepresidente e direttore generale, doveva affrontare quasi tutti i giorni questa seccatura. Era senza dubbio per questo che il suo sguardo da trionfatore si incupiva mentre si avvicinava al tavolo dove l'uomo a cui doveva il suo presente e il suo futuro era seduto davanti a un cappuccino e a mezzo panino al latte col burro. Un'ombra che si accentuò notevolmente quando Gavira, con un'occhiata infausta alla sua sinistra, notò di sfuggita la copertina del Q+S in bella mostra fra le riviste e i giornali di un chiosco. Fu solo un istante, e il finanziere, che sentiva fissi sulla nuca gli occhi di Peregil, proseguì come se niente fosse. Ma la nuvola nera guadagnava terreno e un'ondata di collera gli contrasse il ventre, snellito da un'ora quotidiana di ginnastica e di sauna. Erano due giorni che quella rivista era posata sul tavolo del suo ufficio all'Arenal, e Gavira conosceva, come se le avesse scattate lui stesso, tutte quante le immagini del reportage nelle pagine interne, e la copertina: una foto, un po'"sfocata e sgranata per colpa del teleobiettivo, dove poteva riconoscere sua moglie, Macarena Bruner de Lebrija, erede del ducato del Nuevo Extremo e discendente di una delle tre famiglie di più alto lignaggio dell'aristocrazia spagnola - Alba e Medina Sidonia erano le altre due - che usciva dall'hotel Alfonso xiii alle quattro del mattino in compagnia del torero Curro Maestral. «Sei in ritardo» obiettò il vecchio. Non era vero, e Pencho Gavira lo sapeva senza bisogno di guardare il costoso orologio che portava al polso sinistro. Mantenere la tensione con un discreto e continuo incalzare era una tecnica che aveva imparato proprio da don Octavio Machuca. Metteva i subordinati in una salutare incertezza, evitando che dormissero sugli allori. Peregil, con la scriminatura sopra l'orecchio e i vizi più o meno nascosti, era la sua prima cavia. «Non mi piace che la gente arrivi tardi» insisté Machuca a voce alta, come se lo stesse raccontando al cameriere con il gilet a righe, in attesa di ordini accanto al tavolo, vassoio di ottone in mano, attento al più piccolo dei suoi gesti. Al mattino gli riservavano sempre lo stesso tavolo, accanto alla porta del locale. Gavira accennò un assenso, incassando con calma il rimprovero. Poi chiese una birra al cameriere, si slacciò il bottone della giacca e si accomodò sulla sedia di vimini che il presidente del Banco Cartujano indicava al suo fianco. Dopo un paio di umili cenni del capo, Peregii andò a sedersi a un tavolo più lontano dove Cànovas, il segretario, si era ritirato a sistemare i documenti in una cartella di pelle nera. Il segretario era un tipo magro, con la faccia da topo, padre di nove figli e persona integerrima, al servizio del banchiere fin dai tempi in cui era solo un contrabbandiere di tabacco biondo e profumi da Gibilterra. Nessuno ricordava di averlo mai visto sorridere, forse perché il senso dell'umorismo di Cànovas giaceva nella cappella funebre del suo sovraffollato stato di famiglia. Comunque fosse, il segretario a Gavira stava antipatico, e accarezzava segretamente progetti sul suo futuro: un licenziamento fulminante quando il vecchio si fosse deciso ad abbandonare l'ufficio all'Arenal in cui metteva piede a stento. Senza dire una parola, guardando i passanti e il traffico automobilistico come il suo capo e protettore, Gavira aspettò che arrivasse il cameriere con la birra. Ne bevve un sorso chinandosi in avanti, per evitare che la schiuma gli sgocciolasse sulla riga perfetta dei pantaloni, si asciugò le labbra con un tovagliolo e poi si appoggiò di nuovo alla spalliera. «Il sindaco è nostro» disse alla fine. Octavio Machuca rimase impassibile. Guardava davanti a sé, verso il vecchio cartellone pubblicitario della cordigliera Betica che spiccava, bianco e verde, su un balcone al secondo piano dell'edificio di fronte, accanto al palazzo in stile arabeggiante del Banco de Poniente. Gavira osservò le mani ossute dell'anziano finanziere, lunghe come artigli e segnate da macchie di vecchiaia. Machuca era molto magro e molto alto, con un gran naso sopra il quale un paio di occhi scuri, sempre circondati da profonde occhiaie come per un'insonnia cronica, scrutavano il mondo con espressione da uccello rapace, abituato a cacciare sotto cieli di tutte le stagioni fino a saziarsi. Gli anni non gli avevano impresso tolleranza né pietà nelle pupille, ma solo stanchezza. Sommozzatore e contrabbandiere in gioventù, usuraio a Jerez, banchiere a Siviglia prima di compiere i quarant'anni, il fondatore del Banco Cartujano stava per ritirarsi, e la sua unica aspirazione nota era far colazione al mattino all'angolo di calle Sierpes, davanti alla cordigliera Betica e alla sede bancaria della concorrenza, che il Cartujano aveva appena annesso dopo averla piano piano portata alla rovina. «Era ora» disse Machuca. Pagina 29
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Continuava a guardare dall'altra parte della strada, e Gavira non capì se si riferiva al Banco de Poniente o alla faccenda del sindaco. «Ieri sera abbiamo cenato assieme» commentò per capire, studiando con la coda dell'occhio il profilo del vecchio. «E stamattina abbiamo avuto una conversazione telefonica lunga e cordiale.» «Tu e il tuo sindaco» mormorò Machuca come se si sforzasse di ricordare un volto vagamente noto. Chiunque altro avrebbe potuto prenderlo per un sintorno di senilità, ma Pencho Gavira conosceva troppo bene il suo presidente per tirare semplicistiche conclusioni. «Sì» confermò controllato, all'erta e attento a qualsiasi sfumatura: esattamente il tipo di atteggiamento che lo aveva aiutato a diventare quello che era. «Acconsente a cambiare la categoria del terreno e a vendercelo subito dopo.» Non c'era trionfo nella sua voce, pur essendo legittimo che ci fosse. Era una regola non scritta del mondo che i due condividevano. «Scoppierà uno scandalo» obiettò il vecchio banchiere. «Non gli importa. Tra un mese scade il suo mandato, e sa che non verrà rieletto.» «E la stampa?» «La stampa si compra, don Octavio.» Gavira accennò con le mani il gesto di voltare pagina. «O le si da un osso più saporito da rosicchiare.» Vide che Machuca annuiva, ricollegando le cose. Cànovas aveva appena rinfilato nella cartella un esplosivo dossier ottenuto da Gavira sulle irregolarità nei sussidi di disoccupazione della Giunta regionale dell'Andalusia. Il piano era di renderlo pubblico in contemporanea, in modo che facesse da schermo. «Senza l'opposizione del Comune» aggiunse «e con la Sovrintendenza alle belle arti in tasca, ci resta solo da occuparci dell'aspetto ecclesiastico del problema.» Tacque in attesa di commenti, ma il vecchio rimase in silenzio. «Quanto all'arcivescovo...» Lasciò la frase a metà, cauto, in attesa che l'altro facesse la mossa successiva. Aveva bisogno di indizi, di complicità, di avvisi ai naviganti. «L'arcivescovo vuole la sua parte» disse finalmente Machuca. «A Dio quel che è di Dio, lo sai.» Gavira assentì con sollecitudine: «Naturalmente». Ora il vecchio banchiere si era voltato a guardarlo. «Insomma dagliela, e tanti saluti.» Non era così facile, e lo sapevano entrambi. Quel vecchio stronzo. «Siamo d'accordo, don Octavio» puntualizzò Gavira. «Allora non c'è altro da dire.» Machuca girava il cucchiaino nella sua tazza di cappuccino, immergendosi di nuovo nella contemplazione del manifesto della cordigliera Betica. All'altro tavolo, estranei alla conversazione, il segretario e Peregil si guardavano con ostilità. Gavira scelse con cura il tono e le parole. «Mi scusi, don Octavio, ma c'è ancora qualcosa da dire. Abbiamo fra le mani il miglior affare urbanistico mai realizzato a Siviglia dai tempi dell'Esposizione Universale del 1992: tremila metri quadrati in pieno quartiere di Santa Cruz. E, connesso a questo, l'acquisto di Puerto Targa da parte dei sauditi. Cioè da centottanta a duecento milioni di dollari. Ma lei di certo vorrà che io economizzi il più possibile.» Bevve un po'"di birra per mantenere viva l'eco del verbo economizzare. «Non voglio che paghiamo dieci ciò che potremmo avere per cinque. E l'arcivescovo si è messo a chiedere la luna». «In qualche modo bisognerà pur ringraziare monsignor Corvo per essersene gentilmente lavato le mani» Machuca stringeva un po'"la pelle intorno agli occhi, in una smorfia che non somigliava neppure lontanamente a un sorriso. «O per le agevolazioni tecniche, come diresti tu. Non accade tutti i giorni che un arcivescovo acconsenta a secolarizzare una proprietà come quella, a sfrattarne il parroco e demolirne la chiesa... Non credi?» Aveva alzato una mano ossuta per enumerare tutto, ma poi la lasciò ricadere sul tavolo con gesto stanco. «E stato un lavoro di fino.» «Lo so perfettamente. Mi è costato una bella fatica, se mi è permesso dirlo.» «È la ragione per cui sei arrivato dove sei. Ora paga all'arcivescovo il compenso che ti ha suggerito e chiudi la questione. In fin dei conti, il denaro con cui lavori è mio.» «E degli altri azionisti, don Octavio. Ed è sotto la mia responsabilità. Se ho imparato qualcosa da lei è proprio che bisogna onorare gli impegni senza sprecare un centesimo.» Il banchiere scrollò le spalle. «Come vuoi. In fin dei conti è la tua operazione.» Lo era nel bene e nel male. Un monito echeggiava in parole, ma ci voleva ben altro per far perdere le staffe a Pencho Gavira. «E tutto sotto controllo» affermò. Il vecchio Machuca era affilato come la lama di un rasoio. Gavira, che lo sapeva più che bene, vide che gli occhi rapaci passavano dal cartellone pubblicitario alla facciata del Banco de Poniente. L'operazione di Santa Cruz e di Puerto Pagina 30
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Targa erano più di un buon affare: Gavira ci si giocava la possibilità di succedere a Machuca come presidente; e l'alternativa era ritrovarsi inerme davanti a un consiglio di amministrazione di vecchie facoltose famiglie sivigliane, non molto ben disposte verso gli avvocati giovani, ambiziosi e venuti dal nulla. Sotto il cinturino d'oro del Rolexsentìcinque pulsazioni di troppo. «Come va con il parroco?» Lo sguardo del vecchio si era posato di nuovo su di lui con una scintilla d'interesse sotto l'apparente indifferenza. «Dicono che l'arcivescovo non sia ancora troppo sicuro della sua collaborazione.» «In un certo senso.» Gavira sorrideva per dissipare i sospetti. «Ma abbiamo preso misure per eliminare il malinteso» guardò Peregil, all'altro tavolo, e fece una pausa incerta, poicapìche doveva aggiungere qualcosa, un argomento. «Non è che un vecchio testone.» Fu una distrazione e un errore, e lo capì all'istante. Con visibile piacere, Machuca approfittò della breccia. «Non è da te.» Lo guardava negli occhi come un vecchio serpente che gode a infondere timore. Gavira contò al polso un altro eccesso di almeno dieci pulsazioni. «Anch'io sono vecchio, Pencho. Ma tu lo sai meglio di tutti: ho ancora buoni denti per mordere... Sarebbe pericoloso dimenticarlo, vero?» La pelle intorno agli occhi da rapace tornò a incresparsi. «Specie quando sei così vicino alla meta.» «Non lo dimentico.» Inghiottire salìva senza che l'interlocutore lo noti è difficile, ma Gavira ci riuscì per ben due volte. «Quanto a quel parroco, tra di voi non c'è confronto.» Il banchiere scosse il capo, con aria di rimprovero. «Ti trovo giù di forma, Pencho. Tu che ricorri all'adulazione.» «Lei non mi conosce, don Octavio.» «Non dire stupidaggini. Ti conosco molto bene, per questo sei arrivato così in alto. E salìrai ancora.» «Io le parlo sempre con franchezza. Anche quando non le piace.» «Ti sbagli. Apprezzo sempre la tua franchezza, calcolata come tutto il resto. Come la tua ambizione e la tua pazienza...» Il banchiere guardò dentro la sua tazza, come se vi cercasse altri particolari sul carattere di Gavira. «E per quanto riguarda il confronto, forse hai ragione, quel prete e io non abbiamo niente a che spartire, eccetto gli anni vissuti. Non lo so, perché non lo conosco. Ma ti darò un buon consiglio, Pencho... Tu apprezzi i miei consigli, vero?» «Certo, lo sa, don Octavio.» «Mi fa piacere, perché questo è uno dei migliori. Diffida sempre di un vecchio che si aggrappa a un'idea. E così raro arrivare alla vecchiaia con idee per le quali combattere, che i pochi fortunati non se le lasciano strappare facilmente.» Si interruppe come se si fosse ricordato qualcosa. «Inoltre, credo che la faccenda si sia complicata, no?... Un prete da Roma e tutto il resto.» Il sospiro di Pencho Gavira suonò sincero. E forse lo era davvero. «Lei è sempre al corrente di tutto, don Octavio.» Machuca scambiò un'occhiata con il suo segretario, che era ancora seduto all'altro tavolo, immobile davanti a Peregil, con la cartella di pelle nera sulle ginocchia e l'espressione di un topo che gioca a poker. Muto e cieco fino a nuovo ordine. Peregil, invece, si agitava inquieto e lanciava di sbieco occhiate nervose a Gavira. La vicinanza di don Octavio Machuca, la conversazione che intratteneva col suo capo e la presenza imperturbabile di Cànovas lo intimidivano. «Questa è la mia città, Pencho» disse Machuca. «Non so cosa ci sia da stupirsi.» Gavira estrasse di tasca un pacchetto di sigarette di tabacco biondo e ne accese una. Il presidente non fumava, e lui era l'unico a cui permetteva di farlo in sua presenza. «Stia tranquillo» disse con la prima boccata di fumo. «E tutto sotto controllo.» Esalò la seconda più lentamente. «Non c'è alcun problema.» «Sono perfettamente tranquillo» il banchiere girava il capo, osservando distratto i passanti. «Ti ripeto, è la tua operazione, Pencho. Io a ottobre vado in pensione; bene o male che vada, niente di tutto questo cambierà la mia vita. Ma può cambiare la tua.» Con quelle parole il vecchio parve considerare chiusa la questione. Bevve il resto del suo cappuccino e poi si voltò di nuovo verso Gavira. «A proposito, cosa sai di Macarena?». Era un colpo basso. Bassissimo. Ed era evidente che l'aveva tenuto da parte per il finale. Quella sì che era una gatta da pelare. Gavira guardò il chiosco di giornali e sentì la rabbia martellargli lo stomaco. Perché era stato inopportuno anche il momento: proprio quando aveva appena affidato a Peregil un pedinamento discreto delle scorrerie di sua moglie, quei giornalisti del Q+S la vedevano flirtare col torero e scattavano un'esagerazione di foto. Sfortuna nera e maledetta Siviglia. C'erano esattamente undici bar nei trecento metri che separavano Casa Questa Pagina 31
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt dal ponte di Triana. La media era uno ogni ventisette metri e ventisette centimetri, calcolò mentalmente don Ibrahim, che si destreggiava bene tra libri e numeri. Tutt'e tre i compari potevano recitare la litania completa avanti, indietro, o in ordine alfabetico: Trianera, Casa Manolo, Marinera, Dulcinea, Taverna dell" Mtozano, Dos Hermanos, Cinta, Ibense, Parientes, Angeles, e alla fine, quasi sulla riva del fiume, il chiosco Las Flores accanto all'azulejo con la Madonna della Speranza e alla statua di bronzo del torero Juan Belmonte. Si erano fermati in tutti, dal primo all'ultimo, a discutere la strategia, e ora attraversavano il ponte in stato di grazia, evitando pudicamente di guardare a sinistra, verso le nefaste costruzioni moderne dell'isola della Cartuja, e godendosi il paesaggio offerto sulla destra, la Siviglia di sempre, bella regina araba, con le palme lungo la riva, la torre dell'Oro, l'Arenal e la Giralda. E quasi a un tiro di schioppo, affacciata sul Guadalquivir, l'arena della Maestranza: la cattedrale dell'Universo in cui la gente andava a pregare gli uomini coraggiosi che la Niiia Puiiales cantava nelle sue canzoni. Cammin vano sul marciapiede del ponte, accanto alla ringhiera di ferro, spalla a spalla come nei vecchi film americani, con la Niiia in mezzo e loro due, don Ibrahim e il Potro del Mantelete, ai lati come fidi gentiluomini. E nel riflesso azzurro, ocra e bianco della mattina sul fiume, cullato dai dolci vapori dello xéres La Ina che aveva blandito generosamente i loro spiriti, risuonava un arpeggio di chitarra andalusa che solo loro potevano sentire. Una musica immaginaria, o forse reale, che dava all'andatura a passi corti e un po'"precipitosi con cui si lasciavano alle spalle la familiare Triana per addentrarsi sull'altra riva del Guadalquivir, la fermezza e la decisione del giro iniziale dei toreri nell'arena, fra sole e ombra, alle cinque della sera. Don Ibrahim, il Potro e la Nifla stavano per entrare in guerra, per guadagnarsi la vita in territorio nemico, abbandonando la sicurezza dei loro pascoli abituali. Perciò era inevitabile che l'ex falso avvocato, nel bar Parientes se lo ricordavano bene, sollevasse in aria il panama (che una volta si era tolto per schiaffeggiare Jorge Negrete quando aveva chiesto se era vero che in Spagna non ci fossero più veri uomini) e citasse solennemente un certo Virgilio. O forse era Orazio. Insomma, un classico: Allora, come lupi rapaci nella buia tenebra, ci avviammo verso il centro della fiammeggiante Hispalis. O qualcosa del genere. Il sole si riverberava sulle acque tranquille del fiume. Sotto il ponte, una ragazza dai lunghi capelli neri remava su una barchetta o una piroga, e la scia diritta tagliava in controluce quello scintillio da riva a riva. Quando passò davanti alla Madonna della Speranza, la Niiia Puiiales si fece il segno della croce, sotto lo sguardo agnostico, ma rispettoso, di don Ibrahim, che addirittura si tolse il sigaro di bocca in segno di deferenza. Quanto al Potro del Mantelete, rapido e furtivo, accennò anche lui un segno della croce a capo chino, come quando sentiva squillare la tromba in miserabili arene piene di polvere, paura e mosche, o quando il gong lo obbligava a staccare la schiena dall'angolo e a uscire allo scoperto in mezzo al ring, guardando le gocce del proprio sangue sul tappeto. Nel suo caso però il gesto non era rivolto alla Madonna, ma al profilo di bronzo, alla cappa e al berretto di Juan Belmonte. «Avresti dovuto prenderti miglior cura di tua moglie.» Il vecchio Machuca annuì impercettibilmente, guardando la gente che passava davanti ai tavoli all'aperto della Campana. Aveva tirato fuori di tasca un fazzoletto di batista bianca con le sue iniziali ricamate in azzurro, e si toccava la punta del naso. Pencho Gavira osservò le macchie sulle vecchie mani simili ad artigli. Tutto in lui ricordava un uccello rapace. Una vecchia aquila, immobile e malvagia, intenta a scrutare. «Le donne sono complicate, don Octavio. E la sua figlioccia più di tutte.» Il banchiere ripiegò meticolosamente il fazzoletto. Annuì lentamente, come se stesse ancora meditando sulle sue parole. «Macarena» disse, come se quel nome riassumesse tutto. E stavolta fu Gavira ad assentire. L'antica amicizia di Octavio Machuca con i duchi del Nuevo Extremo risalìva a quarant'anni prima. Il Cartujano aveva finanziato, quasi a fondo perduto, svariati disastrosi affari con cui il defunto Rafael Guardiola FernàndezGarvey, consorte della duchessa e padre di Macarena, aveva liquidato gli ultimi resti del patrimonio familiare. In seguito, dopo che la rovina definitiva era venuta alla luce alla scomparsa del duca (un'angina pectoris nel pieno di una festa gitana, in biancheria intima, alle quattro del mattino), era stato il vecchio Machuca in persona a soddisfare i creditori e a vendere le poche proprietà non pignorate per ricavarne un po'"di liquidi, investiti nella sua banca al più alto interesse possibile. Così era riuscito a conservare Pagina 32
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt come residenza per la vedova e la figlia la Casa del Pestigo, e a ottenere per loro una rendita annua che aveva permesso alla duchessa Cruz Bruner di invecchiare senza lussi, ma con il decoro adeguato al suo nome. Nella Siviglia che conta si conoscevano tutti, non mancò chi sostenne che tale rendita era inesistente e che il denaro usciva direttamente dai fondi privati di Octavio Machuca. Correva anche la voce che il banchiere onorasse così un rapporto un po'"più che amichevole, imbastito quando era ancora in vita il defunto duca. Addirittura, riguardo a Macarena, alcuni commentavano che certe figliocce si considerano come figlie proprie, ma nessuno presentò mai prove al riguardo, né ebbe il coraggio necessario per porre la questione al vecchio. Quanto a Cànovas, che si occupava di tutte le pratiche, i segreti e i conti privati del banchiere, sulla faccenda, come su molti altri affari, era comunicativo quanto un piatto di lingua stufata. «Quel torero...» disse Machuca dopo un po''«Maestral, non è vero?» Gavira sentì un sapore amaro in bocca. Lasciò cadere la sigaretta, prese il bicchiere di birra e ne bevve un lungo sorso, senza però ricavarne sollievo. Posò di nuovo il bicchiere sul tavolo e fissò la goccia che gli era caduta sui pantaloni. Una sonora bestemmia gli venne alle labbra come una tentazione. Il vecchio continuava a osservare i passanti, come se stesse spiando l'arrivo di un volto noto. Aveva tenuto in braccio Macarena Bruner al fonte battesimale della cattedrale, ed era stato lui a condurla lungo la stessa navata, vestita di raso bianco e bellissima, fino all'altare dove Pencho Gavira aspettava. Un matrimonio che le malelingue sivigliane dicevano essere opera del vecchio banchiere, perché garantiva un patrimonio e un futuro alla sua figlioccia e dava, in cambio, la consacrazione sociale al suo protetto, allora giovane e ambizioso avvocato che salìva come una meteora nella gerarchia del Cartujano. «Bisognerebbe fare qualcosa» aggiunse Machuca, pensieroso. Nonostante l'umiliazione e la vergogna, Gavira scoppiò a ridere: «Non vorrà che vada a sparare al torero». «No, certo...» Il banchiere si girò di tre quarti, con una curiosità esagerata negli occhi astuti. «Ma saresti capace di sparare all'amante di tua moglie?» «A dire il vero, don Octavio, è la mia ex moglie.» «Già. E quello che sostiene anche lei. Gavira scosse via con un dito la gocciolina di birra e poi si aggiustò la riga dei pantaloni. Certo che ne sarebbe stato capace, e lo sapevano entrambi. Ma non l'avrebbe fatto. «Non cambierebbe le cose» disse. Ed era vero. Da quando Macarena era tornata alla Casa del P6stigo, il torero era stato preceduto da un banchiere della concorrenza e da un famoso produttore di xéres. Avrebbe avuto bisogno di molte pallottole, se avesse voluto ricorrere a una simile soluzione. E Siviglia non era Palermo. Inoltre, nelle ultime settimane lo stesso Gavira si consolava con una nota modella di Siviglia, specializzata in biancheria intima. Così il vecchio Machuca non poté che convenire con un paio di cenni del capo. C'erano altri sistemi. «Io conosco un paio di direttori di filiale» Gavira sorrideva, agguerrito e pericoloso. «E lei un certo numero di impresari di arene... Forse quel ragazzo, Maestral, avrà vita difficile nella prossima stagione.» La pelle si raggrinzì sugli occhi da rapace del presidente del Cartujano. Era quasi un sorriso. «Che peccato» si lamentò il vecchio. «Non sembra un cattivo torero.» «Ma è carino» puntualizzò Gavira, con rancore. «Gli resta sempre la possibilità di dedicarsi alle telenovelas.» Poi guardò verso il chiosco dei giornali, e la nuvola nera che lo perseguitava tornò a incupirgli la mattinata. Perché il problema non era Curro Maestral, sulla copertina del Q+S con la foto sfocata a causa della poca luce e del teleobiettivo del fotografo al fianco di Macarena Bruner. C'era qualcosa di più importante che non riguardava l'onore matrimoniale di Gavira, ma la sua sopravvivenza all'interno del Cartujano e la sua successione al posto del vecchio Machuca come presidente del consiglio di amministrazione. La manovra immobiliare attorno a Nostra Signora delle Lacrime era ormai perfettamente organizzata, eccetto che per un problema: vigeva un antico privilegio familiare, attestato da un documento del 1687, che fissava una serie di condizioni inderogabili, pena la restituzione ai Bruner del terreno ceduto per l'edificazione della chiesa. Ma una legge più tarda, presentata dal ministro Mendizabàl e approvata nell'Ottocento, nel periodo della espropriazione dei beni ecclesiastici, stabiliva che, in caso di secolarizzazione, la proprietà del terreno sarebbe passata al Comune di Siviglia. Dal punto di vista legale la faccenda era complessa e, se la duchessa e sua figlia si fossero opposte, Pagina 33
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt potevano paralizzare il progetto per qualche tempo. Ma ormai gli investimenti e gli impegni erano tali che un fallimento avrebbe obbligato Octavio Machuca a esautorare il suo delfino davanti al consiglio di amministrazione, dove Gavira aveva nemici giurati, proprio quando il giovane vicepresidente del Cartujano stava per impadronirsi del potere assoluto. Gavira si sarebbe ritrovato con la testa sotto la scure del boia. Testa che, peraltro, come sapeva mezza Andalusia e tutta Siviglia, negli ultimi tempi non stava molto a cuore a Macarena Bruner. Quando Lorenzo Quart uscì dall'hotel Dofla Maria, invece di percorrere i trenta metri scarsi che lo separavano dalla porta dell'arcivescovado, fece qualche passo verso il centro della piazza Virgen de los Reyes e si fermò un istante a guardare il panorama. Si trovava al crocevia di tre religioni: il vecchio quartiere ebraico alle sue spalle, i muri bianchi del convento della Encarnaciòn da un lato, il palazzo arcivescovile dall'altro e, di fronte, accanto al muro dell'antica moschea araba, il minareto trasformato in campanile per la cattedrale cristiana: la Giralda. C'erano carrozze con i cavalli, venditori di cartoline ricordo, zingare con bambini che chiedevano l'elemosina per il latte del piccolo, e turisti che guardavano verso l'alto, stupiti, in coda per visitare il campanile. Una ragazzina straniera con accento statunitense si staccò da un gruppo per chiedere a Quart una banale indicazione su un luogo vicino alla piazza, un pretesto per osservare da vicino il suo volto abbronzato, tranquillo, in netto contrasto con i capelli grigi cortissimi e con il collare bianco e nero. Quart dette una risposta generica e cortese e poi se ne disinteressò. La ragazza ritornò nel gruppo delle compagne accolta da un coro di risate soffocate, sussurri e sguardi di sottecchi. Riuscì ad afferrare le parole hes" gorgeus, è bellissimo. Senza dubbio avrebbero provocato l'ilarità di monsignor Spada. Il ricordo del direttore dello Ior e dei suoi consigli pratici sulla scalinata di piazza di Spagna, a Roma, durante la loro ultima conversazione, lo fecero sorridere. Poi, ancora col sorriso sulle labbra, percorse con lo sguardo la torre della Giralda, dalla base fino alla banderuola che le dava il nome. Sollevò verso il cielo i suoi occhi grigioazzurri come un insolito turista, le mani nelle tasche del vestito nero tagliato su misura da un eccellente sarto romano prestigioso quasi quanto Cavalleggeri e Figli. La Spagna, il Sud, la vecchia cultura dell'Europa mediterranea si potevano afferrare solo da posti come quello. Siviglia era una sovrapposizione di storie, di legami impossibili da spiegare se non nel loro intreccio. Un rosario di tempo, di sangue, e di preghiere in lingue diverse sotto un cielo azzurro e un sole saggio che, col passare dei secoli, livellavano tutto. Pietre sopravvissute di cui era ancora possibile sentire la voce. Bastava dimenticare per un attimo le videocamere, le cartoline, i pullman carichi di turisti e di ragazzine impertinenti, e avvicinare l'orecchio, in ascolto. Mancava mezz'ora al suo appuntamento all'arcivescovado, così percorse calle Mateos Gago e se ne andò a bere un caffè nella birreria Giralda. Lo attirava l'idea di sedersi vicino al bancone, di godersi il pavimento a scacchi bianchi e neri, gli azulejos e le incisioni della Siviglia antica alle pareti. Si tolse di tasca l'Elogio della milizia templare di Bernardo di Chiaravalle, per leggere qualche pagina a caso. Era un vecchissimo volume in ottavo, di cui quotidianamente alternava la lettura con mattutini, laudi, vespri e completa; consuetudine che seguiva in modo rigoroso, con quella sua minuziosa disciplina legata non alla devozione, ma all'orgoglio. Spesso, nelle numerose ore che trascorreva in alberghi, caffè e aeroporti, fra un appuntamento e l'altro o nelle soste tra i viaggi di lavoro, il sermone medievale che per duecento anni era stato la guida spirituale dei monaci soldati che combattevano in Terra Santa lo aiutava a sopportare la solitudine della sua professione. A volte si lasciava trasportare dallo stato d'animo creato in lui dalla lettura, e s'immaginava l'ultimo sopravvissuto della sconfitta di Hattin, della torre maledetta di Acre, delle segrete di Chinon o dei roghi di Parigi: un templare solitario e molto stanco i cui amici erano tutti morti. Lesse qualche riga che in realtà avrebbe potuto recitare a memoria: "Si tonsurano i capelli, vanno in giro coperti di polvere, neri per il sole che li brucia e per l'armatura he li protegge..." e poi sollevò il volto per guardare la luce della strada, i passanti che camminavano sotto le foglie verdi degli aranci. Una donna giovane, snella, di aspetto straniero, si fermò un momento a legarsi i capelli, specchiandosi nel vetro di una finestra socchiusa. Sollevò le braccia nude in un gesto di estrema grazia, bellissima e assorta nella propria immagine, finché i suoi occhi non si spostarono Pagina 34
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt un po'"oltre incontrando quelli di Quart. Per un istante la ragazza sostenne lo sguardo, sorpresa e incuriosita, prima che la naturalezza del gesto andasse persa. Poi un giovane con una macchina fotografica al collo e una piantina in mano giunse al suo fianco e, cingendola alla vita, la portò via con sé. Può darsi che la parola esatta non fosse invidia, o tristezza. Non c'era un termine preciso per definire la desolazione, familiare a qualsiasi religioso, davanti a un profondo legame di coppia; uomini e donne per i quali era legittimo seguire l'antico rituale dell'intimità, gesti come una carezza che scende dalla curva di una nuca fino alle spalle, o che segue la linea dolce di un fianco, oppure come le dita di una donna che sfiorano la bocca di un uomo. E nel caso di Quart, per il quale presumibilmente non sarebbe stato difficile accorciare le distanze con buona parte delle belle donne che incontrava sulla sua strada, era ancora più brutale il risveglio che lo riportava alla consapevolezza di un'autodisciplina sconsolata, dolorosa, simile a quella dei pazienti che ancora sentono formicolio e fitte a mani o gambe ormai amputate. Guardò l'orologio, mise via il libro e si alzò. Dirigendosi verso l'uscita quasi si scontrò con un signore molto grasso, vestito di bianco, che si scusò cortesemente togliendosi il panama. Il ciccione continuò a osservare Quart che, ormai uscito dal locale, si avviava lentamente verso l'edificio rossiccio dalla facciata barocca situato sulla destra della piazza, dietro una fila di aranci. Un portiere si avvicinò per identificare il nuovo arrivato, ma alla vista del collare ecclesiastico gli cedette immediatamente il passo sotto le due colonne doppie che sostenevano il balcone principale, con lo stemma degli arcivescovi sivigliani scolpito nella pietra. Quart entrò nel patio, dove si proiettava l'ombra della Giralda, e poi salì la sontuosa scala sotto una volta affrescata da Juan de Espinal, dalla quale angeli e cherub" m. osservavano i nuovi arrivati con aria annoiata, per ammazzare il tempo nella loro secolare immobilità. Al piano supenore, dove vari uffici si affacciavano ai corridoi, sacerdoti affaccendati andavano di qua e di là con la naturalezza che nasce da una lunga abitudine. Quasi tutti indossavano abiti con il collare, sparati e camicie nere o grigie, alcuni addirittura cravatte o polo sotto la giacca; sembravano più funzionari che sacerdoti. Quart non vide nemmeno una tonaca. Il nuovo segretario di monsignor Corvo gli andò incontro. Era un prete mite, calvo, dall'aria molto linda e dai modi gentili, con collare e abiti grigi. Sostituiva padre Urbizu, morto in seguito al crollo della cornice di Nostra Signora delle Lacrime. Senza dire una parola, lo condusse in un salone con il soffitto diviso in sessanta riquadri raffiguranti emblemi e scene bibliche destinate, inizialmente, a stimolare le virtù dei prelati sivigliani nel governo della loro diocesi. C'erano anche una ventina di affreschi e di tele, tra cui quattro Zurbaràn, un Murillo e un Mattia Preti con un san Giovanni Battista decollato. Mentre camminava accanto al segretario Quart si chiese come mai, nelle anticamere dei vescovi e dei cardinali, ci si imbattesse con molta frequenza nella testa di qualcuno servita su un vassoio. Stava ancora pensandoci quando scorse don Priamo Ferro. Il parroco di Nostra Signora delle Lacrime era in piedi in fondo alla sala, caparbio e cupo come la sua vecchia tonaca. Conversava con un sacerdote molto giovane, biondo e con gli occhiali, che Quart riconobbe: era il muratore rimasto a osservarlo dal portale della chiesa quando aveva conosciuto padre Ferro e Gris Marsala. I due preti s'interruppero per guardarlo, gli occhi del parroco impassibili, aggrondati e pieni di sfida quelli del giovane. Quart rivolse loro un lieve cenno del capo, ma nessuno dei due rispose al saluto. Era evidente che aspettavano da un pezzo, e nessuno aveva offerto loro una sedia. L'Illustrissimo Aquilino Corvo, titolare della sede sivigliana, soleva adottare la posa del Cavaliere con la mano sul petto esposto in una delle sale del museo del Prado. Appoggiava sull'abito nero una mano bianca su cui brillava il segno distintivo della sua carica: un anello con una grossa pietra gialla. Le tempie dai capelli radi, il volto lungo e spigoloso, lo sfavillio della croce d'oro, completavano quella rassomiglianza col personaggio che l'arcivescovo si sforzava con compiacimento di accentuare. Aquilino Corvo era un prelato di razza pura, proveniente da un'accurata selezione ecclesiastica. Abile manovratore, abituato a navigare in mezzo alle tempeste, non era un caso che fosse a capo della sede sivigliana. Godeva di importanti appoggi all'interno della nunziatura di Madrid, contava sul sostegno dell'Opus Dei, e i suoi rapporti sia con i partiti al potere sia con l'opposizione della Giunta regionale andalusa erano ottimi. Pagina 35
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Questo non gli impediva di occuparsi di aspetti marginali, e anche personali, del suo ministero. Per esempio, era appassionato di corride e aveva un posto in prima fila nell'arena della Maestranza ogni volta che toreavano Curro Romero o Spartaco. Era anche socio delle due società calcistiche locali, il Betis e il Siviglia, sia per neutralità pastorale sia per prudenza ecclesiastica: il suo undicesimo comandamento era di non mettere tutte le uova nello stesso paniere. Inoltre odiava Lorenzo Quart con tutta l'anima. Com'era da prevedere dopo l'accoglienza del segretario, la prima parte del colloquio fu fredda, ma corretta. Quart consegnò le sue credenziali, una lettera del cardinale segretario di Stato e un'altra di monsignor Spada, e fornì all'arcivescovo dettagli generici e più che noti sulla sua missione, mentre il suo interlocutore glioffrìappoggio incondizionato, chiedendogli di essere tenuto al corrente. In realtà, Quart sapeva che l'arcivescovo avrebbe ut ilizzato ogni mezzo per sabotare la sua missione, e monsignor Corvo, che non aveva la minima speranza di essere informato da Quart, avrebbe scambiato volentieri un anno di purgatorio con un posto in prima fila il giorno in cui l'incaricato di Roma avesse calpestato una buccia di banana. Ma erano dei professionisti e conoscevano le regole, almeno per quanto riguardava le apparenze. Non fu neppure menzionata la causa per cui si osservavano dai due lati del tavolo come spadaccini la cui falsa indifferenza sarebbe scomparsa, in un lampo, non appena uno dei due avesse scorto la possibilità di assestare all'altro una stoccata. Su entrambi incombeva l'ombra del loro ultimo incontro in quell'ufficio, un paio di anni prima, con sua Eminenza ancora fresco di nomina, quando Quart gli aveva consegnato la copia di un voluminoso rapporto sulle carenze del servizio di sicurezza in occasione della visita del Santo Padre a Siviglia, durante l'ultimo anno eucaristico. Un prete sposato, impenitente e sospeso a divinis, era arrivato a un passo dall'accoltellare il pontefice con il pretesto di consegnargli un memorandum sopra il celibato. Era stato rinvenuto anche un ordigno esplosivo nel convento di monache dove doveva pernottare Sua, Santità, in una cesta di indumenti puliti accuratamente ricamati per l'occasione dalle sorelle. E nell'agenda di ogni terrorista islamico del Mediterraneo figuravano, con agghiacciante abbondanza di dettagli, tutti gli orari e gli itinerari della visita papale, grazie alle continue fughe di notizie dall'arcivescovado alla stampa. Era stato lo Ior, e in concreto Quart, a intervenire tempestivamente modificando il piano di sicurezza originale dell'Illustrissimo, con scherno della curia e disperazione del nunzio. Questi poi aveva commentato il fatto davanti a Sua Santità, in termini tali che monsignor Corvo rischiò non solo di perdere la sede sivigliana appena ottenuta, ma anche di farsi venire un colpo apoplettico. Con il tempo, superato il passo falso, l'arcivescovo si era affermato come un eccellente prelato, ma la crisi da novizio, l'umiliazione e il ruolo giocatovi da Quart gli rodevano ancora il fegato e turbavano la sua placidità in un modo molto poco pastorale. Dettaglio che l'Illustrissimo aveva confidato proprio quella mattina al suo afflitto confessore, un vecchio sacerdote della cattedrale tramite il quale si riconciliava con Dio il primo venerdì di ogni mese. «Quella Chiesa è condannata» disse l'arcivescovo. Con una voce da predica domenicale, chiara e sacerdotale. «E solo questione di tempo.» Parlava con la fermezza conveniente alla sua carica ecclesiastica, forse accentuando un po'"l'enfasi perché si trovava in presenza di Quart. Anche se a Roma non contava nulla, un prelato nella sua sede aveva diritto al rispetto. Monsignor Corvo ne era cosciente, e gli piaceva sottolineare l'autonomia del suo potere locale. Si vantava spesso di non conoscere altro di Roma se non l'annuario pontificio, e di non aprìre mai l'elenco telefonico del Vaticano. «Nostra Signora delle Lacrime» proseguì l'arcivescovo «è in rovina. Per ottenere la dichiarazione ufficiale abbiamo lottato contro una serie di ostacoli amministrativi e tecnici... Apparentemente i primi stanno per risolversi, perché la Sovrintendenza alle belle arti ha rinunciato alla conservazione dell'edificio perché è impossibile restaurarlo, e il Comune di Siviglia sta per controfirmare. Se la pratica non è ancora stata chiusa è perché è costata la vita all'architetto del comune. Un caso sfortunato. Monsignor Corvo fece una pausa contemplando la dozzina di pipe inglesi allineate su un supporto in legno di ciliegio. Alle sue spalle, dietro le tende, si intravedevano la torre della Giralda e gli archi rampanti della cattedrale. Sulla pelle verde che tappezzava il ripiano del tavolo il sole disegnava un rettangolo di luce, su cui il prelato vi posò la mano con l'anello Pagina 36
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt in un gesto apparentemente casuale. La luce strappò un lampo alla pietra gialla e un lieve sorriso a Lorenzo Quart. «Lei, Illustrissimo, ha accennato anche a problemi tecnici» disse. Era seduto su una sedia scomoda davanti alla scrivania dell'arcivescovo dal lato della stanza le cui pareti erano coperte dalle opere dei padri della Chiesa e dalle encicliche papali, rilegate con lo stemma arcivescovile sul dorso. Dall'altra parte dello studio c'era un inginocchiatoio sotto un crocifisso d'avorio, e un piccolo divano con due poltrone e un tavolinetto basso dove monsignor Corvo dispensava udienze meno formali a persone di suo gradimento. Era evidente che l'inviato speciale dello Ior non rientrava nel novero. «La pratica per la secolarizzazione dell'edificio, requisito necessario per procedere alla demolizione, si è molto complicata» la gravità dell'arcivescovo non bastava a dissimulare la sua diffidenza nei confronti di Quart. Sceglieva con estrema cura le parole, calcolando le implicazioni di ciascuna. «Un antico privilegio del 1687, concesso con autorizzazione papale quello stesso anno dal mio illustre predecessore in questa sede sivigliana, parla chiaro: finché nella chiesa, ogni giovedì, verrà celebrata la messa per l'anima di Gaspar Bruner de Lebrija, il suo benefattore, il tempio conserverà le sue prerogative.» «Perché proprio il giovedì?» «A quanto pare il ducamorìquel giorno. I Bruner erano potenti, quindi immagino che don Gaspar dov esse tenere il mio illustre predecessore ben stretto per la collottola.» «E padre Ferro, naturalmente, dice messa ogni giovedì...» «La dice ogni giorno della settimana» confermò l'arcivescovo. «Alle otto del mattino, eccetto la domenica e i festivi in cui ne dice due.» Quart si chinò leggermente verso il tavolo, con falsa innocenza. «Ma lei, Illustrissimo, ha l'autorità per richiamarlo all'ordine.» L'arcivescovo gli lanciò uno sguardo torvo. L'anello si muoveva con la mano impaziente, rovinando il bel gioco di luce. «Non mi faccia ridere» non sembrava minimamente propenso al riso, e il tono si fece secco. «Lei sa bene che non è un problema di autorità. Come può un arcivescovo impedire a un parroco di celebrare la messa?... C'è però un problema di disciplina. Anche se è un uomo di una certa età, addirittura ultraconservatore in certi aspetti del suo ministero, padre Ferro mantiene delle posizioni molto personali. Fra l'altro, se ne infischia di tutte le mie pastorali e richiami all'ordine.» «Illustrissimo, ha mai preso in considerazione la possibilità di sospenderlo dai voti?» «Certo che l'ho fatto...» Monsignor Corvo guardava Quart irritato. «Ma non è così semplice. Ho chiesto a Roma la sospensione ab officio di padre Ferro, ma certe domande vanno avanti lentamente. Temo inoltre che, dopo quella sfortunata incursione informatica, in Vaticano aspetteranno che lei rientri con il suo rapporto da cacciatore di scalpi.» Quart ignorò l'ironia. Non ti vuoi compromettere, pensava. Così passi a noi la patata bollente. Preferisce che i boia siano altri, in modo da rimanere con le mani pulite. «E nel frattempo, monsignore?» «Bè, è tutto bloccato. Il Banco Cartujano ha predisposto un'operazione per il riutilizzo del terreno, da cui la mia diocesi» monsignor Corvo parve riflettere su quel possessivo e si corresse con dolcezza «la nostra diocesi, trarrebbe grandi vantaggi. Anche se l'unico diritto che vantiamo sul terreno è morale, frutto di tre secoli di culto, il Cartujano ci accorda un generoso compenso. Apprezzabile in questi tempi in cui le cassette per le elemosine delle parrocchie sono piene di ragnatele.» L'arcivescovo si concesse un lieve sorriso per la battuta, che Quart si guardò bene dall'assecondare. «Inoltre la banca s'impegna a finanziare l'edificazione di una chiesa in uno dei quartieri più poveri di Siviglia, e a creare una fondazione d'appoggio alla nostra opera di beneficienza all'interno della comunità gitana... Che ne dice?» «E convincente» rispose Quart, pacato. «Eppure, vede, è tutto paralizzato per l'ostinazione di un parroco a un passo dalla pensione.» «Ma è molto amato nella sua parrocchia. Almeno, così dicono.» Monsignor Corvo mosse di nuovo la mano con l'anello. Stavolta la sollevò, fuori dal rettangolo di luce, prima di portarla vicino alla croce d'oro che gli pendeva sul petto. «Non bisogna nemmeno esagerare. La gente del quartiere lo rispetta e una ventina di beghine va a messa. Ma questo non significa nulla. La gente grida "benedetto colui che viene nel nome del Signore", e dopo un po'"si annoia e ti mette in croce.» L'arcivescovo guardava, indeciso, le pipe allineate sul tavolo; alla fine ne scelse una curva, con un anello d'argento. «Ho tentato di tutto per dissuaderlo. Ho addirittura preso in considerazione la possibilità di rovinare il suo prestigio fra i parrocchiani, dopo aver a lungo soppesato il bene e il male che ne sarebbero derivati. Ma temo di spingermi troppo oltre, Pagina 37
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt e che il rimedio sia peggiore del male. E poi abbiamo i nostri obblighi verso quella gente, e padre Ferro è un uomo ostinato, ma sincero.» Dette qualche colpetto col fornello della pipa contro il palmo della mano. «Forse lei, che ha più pratica nel portare la gente da Caifa a Pilato. Era un insulto evangelico formulato in modo impeccabile, così Quart non ebbe nulla da obiettare. L'Illustrissimo don Corvo aprì un cassetto del tavolo, ne estrasse una scatola di tabacco inglese e si mise a riempire il fornello, lasciando il peso della conversazione sulle spalle del suo interlocutore. Quart chinò leggermente il capo; solo guardandolo direttamente negli occhi era possibile percepire il suo sorriso. Ma l'arcivescovo non lo guardava. «Naturalmente, monsignore. L'Istituto per le Opere Esteriori farà il possibile per portare luce in questo disordine.» Vide soddisfatto che l'espressione dell'arcivescovo si irrigidiva. «Anche se forse disordine non è la parola più adeguata...» Monsignor Corvo fu sul punto di perdere il contegno, ma si riprese in modo ammirevole. Per cinque secondi rimase in silenzio, infilando il tabacco nella pipa. Quando finalmente parlò, il dispetto era percettibile nel tono della voce: «Lei è di quelli a cui i sandali del Pescatore vanno stretti, vero?... Avrà le sue mafie a Roma e tutto il resto. Giocate a fare i poliziotti di Dio». Quart sostenne lo sguardo dell'arcivescovo con irreprensibile calma. «Le sue sono parole molto dure, Illustrissimo.» «Lasci perdere quest'illustrissimo dei miei stivali. So perché è venuto a Siviglia, e so che cosa rischia in questa faccenda il suo capo, l'arcivescovo Spada.» «Tutti rischiamo molto, monsignore.» Era vero, e la sfumatura non passò inosservata alle orecchie del prelato. Il cardinale Iwaszkiewicz era pericoloso, ma lo erano anche Paolo Spada e lo stesso Quart. Quanto a padre Ferro, si trattava di una bomba ad orologeria ambulante che qualcuno doveva disinnescare. La tranquillità della Chiesa dipende spesso dalle apparenze, e nel caso di Nostra Signora delle Lacrime le apparenze erano seriamente minacciate. «Senta, Quart» Aquilino Corvo addolcì di malavoglia il tono. «Non desidero complicarmi la vita, e questa storia si sta intricando troppo. Le confesso che la parola scandalo mi fa paura, e non voglio apparire davanti all'opinione pubblica come il prelato che ricatta un povero parroco per arricchirsi con la vendita di un terreno... Capisce?» Quart capiva, e annuì accettando la tregua. «Inoltre» proseguì l'arcivescovo «il Cartujano rischia di fare un buco nell'acqua, proprio a causa della moglie o ex moglie, non ne sono molto sicuro, del finanziere che conduce l'operazione: Pencho Gavira. Un uomo influente, in ascesa. Lui e Macarena Bruner hanno seri problemi personali. E lei ha preso apertamente le parti di padre Ferro.» «E una donna religiosa?» All'arcivescovo sfuggì una secca risata, a denti stretti. Non era il termine giusto, precisò. Non esattamente. Negli ultimi tempi aveva indignato tutta la buona società sivigliana, che per altro non si scandalizzava troppo facilmente. «Forse sarebbe utile se parlasse con lei» disse a Quart. «E con sua madre, la vecchia duchessa. In attesa del benestare per la demolizione e per la sospensione del parroco, se le due donne gli ritirassero il loro appoggio, potremmo frenare per un po'"quel sacerdote. Quart aveva estratto di tasca dei biglietti per prendere appunti; usava sempre il retro dei biglietti da visita propri o altrui. All'arcivescovo non sfuggì che la stilografica era una Mont Blanc, e si lasciò sfuggire un'occhiata critica. Forse gli sembrava inadatta a un sacerdote. «Da quando si è arenata la pratica che deve dichiarare lo stato di rovina dell'immobile?» volle sapere Quart. Lo sguardo di rimprovero che monsignor Corvo rivolgeva alla stilografica si trasformò in inquietudine. «Dalle due morti» rispose, cauto. «Morti misteriose, dicono.» L'arcivescovo, che si era portato la pipa alle labbra e stava avvicinando un fiammifero acceso al fornello, storse la bocca. Non c'era niente di misterioso, spiegò a Quart. Solo due disgrazie Un certo Peùuelas, architetto municipale, era stato incaricato dal Comune di verificare e attestare lo stato di rovina dell'immobile. Non era un uomo cordiale, e aveva avuto un paio di notevoli alterchi con padre Ferro che, per parte sua, non era mai stato un modello di mansuetudine. Nel corso dei sopralluoghi, la ringhiera di legno di un'impalcatura aveva ceduto e Peiiuelas era caduto dal tetto, e aveva avuto la sfortuna di piombare su un tubo metallico montato Pagina 38
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt solo in parte, su cui era rimasto infilzato. «Era solo o in compagnia?» si interessò Quart. Monsignor Corvo afferrò subito il senso della domanda e scosse il capo. Niente di sospetto, riguardo a quel punto. Il defunto era accompagnato da un altro funzionario. Ed era presente anche padre Oscar, il vicario. Era stato lui ad amministrargli l'estrema unzione. «E il suo segretario, Illustrissimo?» L'arcivescovo socchiuse gli occhi dopo una boccata di fumo. L'aroma del tabacco inglese arrivava fino a Quart. «E stato un dolore. Padre Urbizu era mio collaboratore da molti anni» fece una pausa di riflessione, come se giudicasse necessario aggiungere qualcosa in memoria del defunto. «Un'ottima persona.» Quart annuì cortesemente, come se anche lui avesse conosciuto Urbizu e condividesse il dolore per la perdita. «Un'ottima persona» ripeté quasi stesse meditando sull'aggettivo. «Dicono che stesse facendo pressione su padre Ferro in nome suo, Illustrissimo.» L'insinuazione non piacque a monsignor Corvo. Si era tolto la pipa di bocca e guardava accigliato il suo interlocutore. «Far pressione è un'espressione sgradevole. Ed eccessiva.» Quart notò che scaricava l'impazienza colpendo con la mano libera l'angolo del tavolo. «Io non ho tempo di andare a bussare alla porta delle chiese per discutere coi parroci. Così Urbizu ha trattato, in mia vece, con padre Ferro, ma quest'ultimo non ha voluto sentire ragioni. Certi incontri hanno avuto toni un po'"accesi, e padre Oscar era addirittura arrivato a minacciare il mio segretario. «Di nuovo padre Oscar?» «Sì. Oscar Lobato. Aveva un buon curriculum e l'avevo destinato a Nostra Signora delle Lacrime perché mi aiutasse nella scelta del successore del vecchio parroco, come quel film di Bing Crosby..» «Going my way» intervenne Quart. «E io ho seguito la mia strada. Ma dopo una settimana, il mio cavallo di Troia è passato al nemico. Naturalmente, ho preso qualche contromisura» l'arcivescovo fece un gesto come per spazzar via il vicario da sopra il tavolo. «Quanto al mio segretario, ha continuato a visitare la chiesa e i due sacerdoti. Sono anche arrivato a prendere in considerazione la possibilità di togliere loro la statua di Nostra Signora delle Lacrime, un'antica scultura in legno, di grande valore. Ma proprio il giorno in cui il povero Urbizu doveva prospettare loro l'eventualità, un pezzo di cornicione si è staccato dal soffitto e gli ha spaccato la testa.» «C'è stata un'indagine?» L'arcivescovo osservò Quart in silenzio, la pipa fra i denti. Sembrava che non avesse sentito la domanda. «Sì» disse dopo un momento. «Perché stavolta è successo tutto senza testimoni; e poi per me era... bè, una faccenda personale.» Il prelato tornò a posarsi una mano sul petto mentre Quart ricordava le parole di monsignor Spada: "Ha giurato di non lasciare pietra su pietra". Poi l'arcivescovo aggiunse: «... ma anche l'indagine ha concluso che non c'erano indizi di omicidio». «Il rapporto ha escluso completamente la possibilità di una morte provocata?» «No, ma tecnicamente era quasi impossibile. La pietra è caduta dal soffitto. Nessuno può averla lanciata giù da lì.» «Salvo la Provvidenza.» «Non dica stupidaggini, Quart.» «Non è mia intenzione, monsignore. Mi limito a constatare la veridicità del rapporto di Vespro, quando afferma che padre Urbizu è stato ucciso dalla chiesa stessa. Come l'altro.» «Questa è una sciocchezza. Ed è proprio quello che temo: che inizino con le sciocchezze sovrannaturali e tirino in ballo anche noi, come se fossimo in un romanzo di Stephen Kìng. C'è già un giornalista che ci ronza intorno, un tipo sgradevole che va in giro a dar fastidio con le sue domande. Se lo trova sulla sua strada, si guardi da lui. Dirige una rivista scandalistica, Q+S, che proprio questa settimana ha pubblicato una foto compromettente di Macarena Bruner in compagnia di un torero. Il giornalista si chiama, e non è una battuta, Honorato Bonafé.» Quart scrollò le spalle. «Vespro accusava la chiesa. L'edificio uccide per difendersi, ha detto.» «Già. Molto impressionante. E ora mi dica per difendersi da chi. Da noi? Dalla banca? Dal Maligno?... Io ho le mie idee su Vespro.» «Potremmo condividerle, monsignore.» Quando Aquilino Corvo abbassava la guardia, negli occhi gli spuntava il disprezzo che sentiva per Quart, e così accadde per qualche secondo, prima che riuscisse a nasconderlo dietro il fumo della pipa. «Si guadagni lo stipendio. E venuto per questo.» Quart tornò a sorridere. Cortese, controllato. «Allora, Illustrissimo, mi parli di padre Ferro». Per cinque minuti, fra una tirata di pipa e l'altra, con pochissimo senso di carità pastorale, monsignor Corvo si sfogò a ruota libera sulla biografia del parroco. Rozzo prete di campagna per quasi tutta la vita: dai venti e rotti ai cinquantaquattro anni, in un villaggio sperduto dell'alta Aragona, un posto dimenticato da Dio dove i fedeli pian piano gli erano morti uno dopo l'altro, Pagina 39
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt finché era rimasto solo. Poi, dieci anni a Nostra Signora delle Lacrime. Villano, fanatico, ignorante, reazionario e testardo come un mulo. Senza il minimo senso della realtà, del tipo omnia sunt possibilia crede n ti, quel genere di persona che confonde il suo punto di vista con il mondo che lo circonda. Quart, gli consigliò il prelato, avrebbe dovuto assistere a una delle sue omelie domenicali. Un vero spettacolo. Padre Ferro maneggiava le pene dell'inferno con la stessa disinvoltura di un predicatore della Còntroriforma, e teneva i parrocchiani con il fiato sospeso con la vecchia tiritera del fuoco eterno a cui nessuno osava più ricorrere. Ogni volta che terminava un sermone, un sospiro di sollievo si alzava dalle file dei fedeli. «Eppure» concluse l'arcivescovo «in altre circostanze si comporta in modo estremamente contraddittorio e avanzato. Avanzato fino alla sconvenienza, direi.» «Per esempio?» «La sua posizione sugli anticoncezionali, per dirne una: sfacciatamente a favore. O sui sacramenti a omosessuali, divorziati e adulteri. Un paio di settimane fa ha battezzato un bambino a cui era stato negato il battesimo in un'altra parrocchia perché i genitori non erano sposati. E quando il collega dell'altra parrocchia è andato a chiedergli spiegazioni, ha risposto che lui battezzava chi voleva.» All'Illustrissimo monsignor Corvo si era spenta la pipa. Accese un altro fiammifero e guardò Quart da sopra la fiamma. «Insomma» aggiunse. «Una messa in Nostra Signora delle Lacrime è come un viaggio su una macchina del tempo che scarti avanti e i» dietro.» Quart dissimulò un sorriso. «Me lo immagino» disse. «No. Le assicuro che non se lo immagina. Aspetti di vederlo in azione. Recita parte della messa in latino, perché dice che infonde più rispetto.» La pipa adesso tirava, e monsignor Corvo si appoggiò allo schienale della poltrona, soddisfatto. «Padre Ferro appartiene alla specie, ormai quasi estinta, dei vecchi parroci contadini che si facevano preti senza disciplina e senza vocazione, con l'unico scopo di sfuggire alla miseria e alla povertà, e che si inselvatichivano ancora di più in parrocchie di campagna abbandonate da Dio. Aggiunga a tutto questo uno smisurato orgoglio che lo rende incontrollabile, e che ha finito per fargli perdere il senso della realtà in cui vive... In altri tempi lo avremmo fulminato immediatamente, o mandato in America, per vedere se Dio Nostro Signore lo chiamava a sé con le febbri nel golfo di Darién, mentre convertiva indigeni a colpi di crocifisso sulla schiena. Ma ora bisogna avere molto tatto, con i giornalisti e la politica che complicano tutto.» «Perché non è stato sospeso ex in formata conscientia? Così, Illustrissimo, avrebbe potuto allontanarlo dal ministero per motivi riservati, senza pubblicità.» «Dovrebbe aver commesso un crimine di natura civile o ecclesiastica, e non è il suo caso. Inoltre, ciò potrebbe inasprire ancora di più la sua resistenza. Preferisco che tutto segua il corso normale ab officio.» «In altre parole, monsignore, che sia Roma a farsi carico del morto.» «Questo lo dice lei.» «E padre Oscar?» Fra i denti che reggevano la pipa spuntò una smorfia molto sgradevole. Non mi piacerebbe essere nei panni del vicario, si disse Quart. «Oh, è un'altra storia» puntualizzò l'arcivescovo. «Buon bagaglio culturale, seminario a Salamanca. Un futuro promettente buttato alle ortiche. In ogni modo, il suo caso è risolto. Ha tempo fino a metà della prossima settimana per lasciare la parrocchia. l'abbiamo trasferito in una diocesi di Almeria, un deserto rurale accanto a capo Gata, perché si dedichi alla preghiera e mediti sui rischi di lasciarsi trasportare da entusiasmi giovanili.» «Potrebbe essere lui Vespro?» «Sì, potrebbe. Risponde al profilo, se è a questo che si riferisce. Ma frugare nella spazzatura non è compito di un arcivescovo.» Monsignor Corvo fece una pausa carica di significato. «Lo lascio allo Ior e a lei.» Quart fece finta di nulla. «Che funzioni ha?» «Bè, quelle abituali per un vicario: aiuta durante il servizio, dice messa, si occupa del rosario pomeridiano... Nel tempo libero fa anche da muratore per sorella Marsala.» Quart si irrigidì sulla sedia. C'erano pezzi sciolti sparsi da tutte le parti. «Mi scusi, Eminenza. Ha detto sorella Marsala?» «Sì. Gris Marsala, una monaca statunitense che è a Siviglia da sempre. E esperta, o così dicono, nel restauro dei monumenti religiosi... Non l'ha ancora conosciuta?» Attento al rumore dei pezzi che si incastravano nella sua mente, Quart seguiva a stento le parole del prelato. Ecco cos'era, si disse. La nota falsa. «L'ho conosciuta ieri. Ma ignoravo che fosse una monaca.» «Bè, lo è.» Non c'era un briciolo di simpatia nel tono di monsignor Corvo. «Con padre Oscar e con Macarena Bruner forma l'esercito di don Priamo Ferro. Risiede a Siviglia a titolo personale, perché gode di una dispensa del suo ordine ed è fuori dalla mia giurisdizione. Pagina 40
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Non ho l'autorità per ordinarle di andarsene. E non posso nemmeno esagerare, perseguitando preti e monache. Tutto ha oltrepassato un po'"i limiti.» Lanciava boccate di fumo come un polipo che si nasconde nel suo inchiostro. Alla fine gettò un'ultima occhiata alla penna di Quart e si strinse nelle spalle. «Faccio entrare il parroco. L'ho convocato per stamattina, ma prima volevo avere un colloquio privato con lei. Credo che sia ormai tempo di rimettere le cose al loro posto. Non le pare? Una specie di faccia a faccia. L'arcivescovo guardò, senza toccarlo, un campanello che aveva sul tavolo, accanto a un esemplare logoro dell'imirnzione di Cristo, di Tommaso da Kempis. «Un'ultima avvertenza, Quart. Lei non mi sta simpatico, ma è un sacerdote in carriera, e sa bene quanto me che anche in questa professione abbondano i mediocri. Padre Ferro è uno di loro.» Si tolse la pipa di bocca per indicare i volumi rilegati che coprivano le pareti dello studio. «Li c'è il pensiero della Chiesa: da sant'Agostino a san Tommaso, e le encicliche di tutti i pontefici. Si trova tutto fra queste quattro mura, e io ne sono l'amministratore temporale. Questo mi obbliga a maneggiare valori quotabili in borsa e allo stesso tempo a mantenere il voto di povertà, a venire a patti con nemici e a volte a condannare gli amici... Ogni mattina mi siedo a questo tavolo per dirigere, con l'aiuto di Dio Nostro Signore, l'opera di sacerdoti intellettuali, stupidi, fanatici, onesti, politicizzati, contrari al celibato, malvagi, santi e peccatori. La faccenda di padre Ferro l'avremmo risolta col tempo, a poco a poco. Voi vi siete messi di mezzo, avete voluto cambiare musica; quindi adesso ballate. Roma locuta, causa finita. D'ora in avanti io mi limiterò a fare da osservatore. Che il Signore sia indulgente con me, perché me ne lavo le mani e lascio campo libero ai boia.» Schiacciò il campanello e indicò la porta. «Non facciamo aspettare oltre padre Ferro.» Quart chiuse delicatamente il cappuccio della stilografica e se la rinfilò in tasca, con i biglietti da visita coperti dalla sua calligrafia fitta e precisa. Stava diritto sul bordo della sedia, immobile come un soldato. «Ho ricevuto ordini, monsignore» dichiarò sereno. «E li eseguo alla lettera.» L'Illustrissimo don Corvo lo guardò dall'alto in basso, con estrema severità. «Non mi piacerebbe essere al suo posto, Quart» disse alla fine. «Le assicuro, sulla salvezza della mia anima, che non mi piacerebbe affatto.» 4. Zagare e arance amare «Ha visto un eroe» commentò. «E questo vale qualcosa». JOHANN EcKERMANN, Colloqui con Goethe «Credo che vi conosciate» disse l'Illustrissimo. Era appoggiato allo schienale della poltrona con l'aria dell'arbitro che si tiene a distanza perché il sangue non gli schizzi sulle scarpe. Quart e padre Ferro si guardavano in silenzio. Il parroco di Nostra Signora delle Lacrime non aveva accettato la sedia offertagli con un gesto da monsignor Corvo, e se ne stava ritto in mezzo allo studio, piccolo e cocciuto, i lineamenti che parevano incisi a colpi di bulino, i capelli bianchi scompigliati e la tonaca vecchia, logora, sotto cui spuntavano le enormi scarpe impolverate. «Padre Quart desidera farle alcune domande» aggiunse l'arcivescovo. Le rughe e le cicatrici del parroco rimasero impassibili. Fissava un punto indefinito in aria, sopra la spalla del prelato, verso la finestra dietro le cui tende si delineava la sagoma ocra della Giralda. «Non ho niente da dire a padre Quart.» Monsignor Corvo annuì , come se si aspettasse quella risposta. «Molto bene» concesse. «Ma io sono il suo vescovo, don Priamo. E a n'e lei è legato da un voto di obbedienza.» Si era tolto un momento la pipa di bocca e la usava per indicare, a turno, i due sacerdoti. «Quindi, se preferisce, risponderà comunicando a me le risposte alle domande che le porrà padre Quart.» Gli occhi scuri e opachi del parroco esitarono un istante. «E una situazione ridicola» protestò irritato, e Quart vide che si voltava leggermente verso di lui addossandogliene la responsabilità. Sul volto dell'arcivescovo spuntò un sorriso spiacevole. «Mi rendo conto» disse. «Ma con questo espediente da gesuiti saremo tutti soddisfatti. Padre Quart svolgerà il suo lavoro, io assisterò con piacere al colloquio, e lei potrà conservare intatta, almeno dal punto di vista formale, la sua inaudita superbia.» Soffiò in aria una minacciosa boccata di fumo e si appoggiò al bracciolo della poltrona; il divertimento gli brillava già negli occhi. «Può iniziare, padre Quart. E tutto suo.» E Quart iniziò. Fu duro, a volte brutale, per far pagare al parroco la sgarbata accoglienza in chiesa del giorno precedente e l'ostilità manifestata nell'ufficio Pagina 41
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt di monsignor Corvo, e per il malcelato disprezzo che risvegliava in lui la sua condizione di vecchio curato di campagna, testardo, miserabile. Era qualcosa di più complesso, di più profondo di un'antipatia personale, o dei doveri legati alla missione che lo aveva portato a Siviglia. E con sorpresa di monsignor Corvo, e in ultima analisi anche sua, si comportò come un pubblico ministero inclemente, mettendo alle strette il vecchio con un disprezzo acido, spietato, di cui solo Quart conosceva la vera origine. E quando alla fine, consapevole che tutto ciò era ingiusto, si fermò a riprendere fiato, fu turbato all'improvviso dall'idea che Sua Eminenza l'inquisitore Jerzy Iwaszkiewicz avrebbe approvato senza riserve la sua condotta. I due uomini lo guardavano, l'arcivescovo a disagio, la pipa fra i denti e la fronte aggrottata; il parroco immobile, inchiodati su Quart gli occhi che l'interrogatorio, più adatto a un delinquente che a un sacerdote di sessantaquattro anni, aveva arrossato e coperto di un velo lucido, trattenuto, di lacrime che non vogliono uscire. Quart cambiò posizione sulla sedia e nascose il proprio imbarazzo annotando qualcosa su un biglietto. Era come picchiare un uomo legato. «Ricapitolando» addolcì un po'"il tono e consultò senza motivo gli appunti per eludere lo sguardo del parroco «lei nega di essere l'autore del messaggio ricevuto dalla Santa Sede, così come di essere a conoscenza, di qualche dettaglio, o di avere sospetti sull'identità dell'autore e sulle sue intenzioni». «Lo nego» ripeté padre Ferro. «Davanti a Dio?» chiese Quart esagerando, sempre con una certa vergogna. Il vecchio sacerdote si voltò verso monsignor Corvo, in cerca di un aiuto che non poteva essergli negato. Sentirono l'arcivescovo schiarirsi la voce mentre alzava la mano con l'anello pastorale. «Lasciamo l'Onnipotente fuori da questa faccenda, se non le dispiace» il prelato lo fissò attraverso il fumo della pipa. «Non credo che in questo colloquio sia lecito esigere giuramenti.» Quart assentìin silenzio, voltandosi di nuovo verso il parroco. «Che cosa può dirmi di Oscar Lobato?» Il prete si strinse nelle spalle. «Nulla, se non che è un giovane eccellente e un sacerdote preparato» c'era un lieve tremito nel mento mal rasato. «Mi dispiace dovermene separare.» «Il suo vicario ha conoscenze avanzate di informatica?» Padre Ferro strinse gli occhi. Ora il suo era uno sguardo diffidente, simile a quello del contadino che vede avvicinarsi nuvole cariche di grandine. «Questo dovreste chiederlo a lui.» Lanciò un'occhiata alla stilografica del suo interlocutore e indicò cauto la porta con il mento. «E di là che mi aspetta.» Quart sorrideva in modo quasi impercettibile, sembrava sicuro di sé, ma c'era qualcosa in tutta quella faccenda che gli dava la sensazione di camminare nel vuoto. Un particolare fuori posto, una nota stonata. Padre Ferro aveva detto quasi sempre la verità, ma da qualche parte aveva inserito una bugia, forse una sola, forse non troppo grave, ma che turbava la coerenza dell'insieme. «Che mi dice di Gris Marsala?» Le labbra del parroco si irrigidirono. «Sorella Marsala ha una dispensa del suo ordine.» Guardava l'arcivescovo quasi lo chiamasse a testimone. «E libera di andare e venire, e lavora come volontaria. Senza di lei, l'edificio sarebbe crollato.» «Qualcosa è già crollato» disse monsignor Corvo. Non aveva potuto trattenersi: senza dubbio pensava al pezzo di cornicione e al suo defunto segretario. Senza farci caso Quart continuò: «Di quale natura sono i rapporti che intrattiene con lei e con il vicario?». «Di natura normale. «Non so che cosa lei consideri normale.» Quart esprimeva il proprio disprezzo al millimetro, con malizia. «Voi vecchi preti di campagna avete una tradizione di normalità piuttosto ambigua, quanto a perpetue e a nipoti.» Vide con la coda dell'occhio che monsignor Corvo per poco non faceva un salto sulla poltrona. Si trattava di una provocazione calcolata, e lo scopo era ovvio. Colse al volo un lampo di collera. «Senta» l'ira sbiancava le nocche sui pugni stretti del parroco «spero che non stia...» Si interruppe di colpo e fissò Quart come se volesse incidersi nella memoria fino all'ultimo particolare del suo volto. «C'è chi la ucciderebbe per una simile insinuazione.» La minaccia non stonava con l'abito sacerdotale di padre Ferro, né con il suo aspetto caparbio, rigido sotto quella tonaca piena di macchie che oscillava spinta dall'ira. Forse anch'io, diceva quell'aspetto. La questione restava aperta alla libera interpretazione di ciascuno. Quart guardò il sacerdote con perfetta calma. «La sua chiesa, per esempio?» «Per l'amor di Dio!» intervenne l'arcivescovo, scandalizzato. «Ma siete diventati pazzi?» Ci fu un lungo silenzio. Il rettangolo di luce sul tavolo di monsignor Pagina 42
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Corvo si era spostato a sinistra, lontano dalla portata della sua mano, e incorniciava il volume dell'imitazione di Cristo, su cui padre Ferro teneva ora fisso lo sguardo. Quart osservò il vecchio, interessato. Assomigliava molto a un altro sacerdote cui lui non aveva mai voluto assomigliare, l'uomo che era quasi riuscito a cancellare dalla sua memoria - per qualche tempo, dal seminario, una lettera o una cartolina, poi il silenzio - e che Padre Ferro gli riportava alla mente come una sorta di fantasma, come il vento del sud ravvivava odori e suoni acquattati fra i ricordi. Il mare che batteva sugli scogli, l'aria umida e salmastra dell'entroterra, e la pioggia. Odore di braciere in inverno, rosa rosae, Quo usque rnndem abu te re Catilina, Nox atra cava circui "volat i<mbm. Ticchettio di gocce d'acqua sul vetro appannato della finestra, scampanellate all'alba e un volto mal rasato, dalla pelle unta, chino sull'altare a mormorare preghiere a un Dio duro d'orecchio, un uomo e un bambino, officiante e chirichetto, chini su una terra sterile sulle rive di un mare crudele. Lo stesso, dopo cena. Questo è il calice del mio sangue. Andate in pace. E poi, in sacrestia, il respiro roco, da animale affaticato, mentre un giovanissimo Lorenzo Quart lo aiutava a spogliarsi dai paramenti sotto le macchie d'umido che coprivano il soffitto. Il seminario, Lorenzo. Andrai in seminario: un giorno sarai sacerdote, come me. Avrai un futuro, come me. Quart detestava con tutte le sue forze e in tutti i suoi ricordi la rozzezza, la povertà di spirito, la limitatezza oscura e miserabile di quel prete, la messa all'alba, il pisolino pomeridiano sulla sedia a dondolo in un tanfo di chiuso e di sudore, il rosario alle sette, la cioccolata con le beghine, un gatto sul portone, una perpetua o una nipote che in un modo o nell'altro alleviassero la solitudine o gli anni. E poi la fine: la demenza senile, la conclusione di una vita sterile e squallida in un ospizio con la minestra che gli gocciolava giù fra le gengive sdentate. A maggiore gloria di Dio. « Una chiesa che uccide per di fe n de rsi...» Quart fece uno sforzo per tornare al presente e a Siviglia: a ciò che era, e non a ciò che avrebbe potuto essere. «Voglio sapere come interpreta padre Ferro queste parole.» «Non so di cosa stia parlando.» «Figurano nel messaggio che qualcuno ha introdotto nel computer della Santa Sede. E si riferiscono alla sua chiesa... Crede che possa esserci un disegno della Provvidenza in tutto ciò?» «Non sono tenuto a rispondere alla domanda.» Quart si rivolse a monsignor Corvo, ma quest'ultimo se ne lavò le mani con il più diplomatico dei suoi sorrisi. «E vero» confermò, felice per le difficoltà di Quart. «Non ha voluto rispondere nemmeno a me.» Era una perdita di tempo. L'agente dello Ior si rendeva conto che tutto ciò non lo avrebbe portato da nessuna parte, ma bisognava attenersi al rituale. Così adottò un tono molto ufficiale per chiedere al prete se si rendeva conto di cosa ci fosse in gioco. Per tutta risposta padre Ferro, dall'alto dei suoi sessantaquattro anni, lo sbeffeggiò sarcastico. Impassibile, Quart continuò a sgranare le formule convenzionali: necessità del rapporto, possibile punto di partenza per gravi misure disciplinari, eccetera eccetera. Che padre Ferro si trovasse a un anno dalla pensione, al di là del bene e del male, non bastava ad assicurargli la tolleranza dei suoi superiori. Nella Santa Sede... «Non so nulla di quelle morti» tagliò corto il parroco, a cui era evidente che della Santa Sede non importava niente. «Sono stati solo incidenti. Quart intravide uno spiraglio. «Forse molto opportuni dal suo punto di vista.» C'era un leggero tono di complicità nella sua voce, quasi volesse insinuare: su, via, si apra un po', cerchiamo di sistemare questa maledetta faccenda una volta per tutte. Ma il vecchio era sordo come un muro. «Qualche istante fa, ha menzionato la Provvidenza. Le sottoponga la questione, e io pregherò per lei.» Prima di riprovarci, Quart respirò a fondo un paio di volte. Ciò che maggiormente lo irritava era il divertimento che doveva offrire a monsignor Corvo, seduto in platea e trincerato dietro il fumo della pipa. «Lei è in condizione di assicurare, nella sua veste di sacerdote, che non c'è stato alcun intervento umano nelle due morti all'interno della sua parrocchia?» «Vada all'inferno.» « Scusi?» Anche il neutrale monsignor Corvo era di nuovo sobbalzato sulla sedia. Il parroco lo guardava. «Con tutto il rispetto che le devo, Illustrissimo, mi rifiuto di continuare a rispondere a un simile interrogatorio, e da ora in poi rimarrò in silenzio.» Quel da ora in poi era un eufemismo, e Quart lo dichiarò. Erano venti minuti che discutevano, e don Priamo Ferro non aveva fatto altro che restare in silenzio. Monsignor Corvo rispose con una smorfia, soffiando Pagina 43
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt fuori ancora più fumo; lì aveva solo la funzione di accolito. Allora Quart si alzò in piedi. La testa bianca e irsuta del parroco, così simile a quella che non voleva ricordare, gli arrivava all'altezza del secondo bottone della camicia. Aveva fatto ritorno una sola volta, dopo l'ordinazione: una visita rapida alla madre vedova, un'altra all'ombra nera acquattata in chiesa come un mollusco in fondo alla sua conchiglia. E officiato sull'altare davanti al quale tante volte aveva servito come chierichetto, si era sentito straniero nella navata umida e fredda, nei cui angoli vagava lo spettro del bambino smarrito sotto la pioggia davanti al mare. Poi se n'era andato per non tornare mai più, e la chiesa, il vecchio parroco, il paesino di casette bianche, il mare senza pietà e senza sentimenti, si erano pian piano sbiaditi nei suoi ricordi, come un brutto sogno da cui si era risvegliato. Tornò lentamente alla realtà. Tutto ciò che detestava gli stava nuovamente davanti, negli occhi neri che lo fissavano ostinati e severi quasi volessero rimproverarlo. «Ho un'altra domanda. Solo una» aveva riposto gli inutili biglietti e la stilografica. «Perché si rifiuta di abbandonare quella chiesa?» Padre Ferro lo guardò dal basso in alto. Coriaceo come un pezzo di cuoio stagionato, era la definizione giusta. Anche se a Quart ne venivano in mente anche altre. «Non la riguarda» rispose. «E un affare tra me e il mio vescovo.» Quart si congratulò mentalmente per aver indovinato in anticipo la risposta, e fece un gesto dando per conclusa quella sciocchezza. Con sua sorpresa, Aquilino Corvo venne in suo aiuto. «Don Priamo, la prego di rispondere a padre Quart.» «Padre Quart non capirebbe mai.» «Sono certo che farà tutto il possibile per riuscirci. Tenti, la prego.» Allora il parroco fece un gesto goffo e minaccioso, e scosse cocciuto la testa dalla capigliatura scomposta, mormorando che Quart non aveva mai sentito la confessione di una povera donna inginocchiata in cerca di conforto, il pianto di un neonato, il respiro di un moribondo o il sudore di una mano nella sua. Quindi, anche se avesse parlato per ore e ore, lì nessuno avrebbe mai capito un accidente. E Quart, nonostante il passaporto diplomatico che aveva in tasca, l'appoggio ufficiale della curia, la tiara e le chiavi di Pietro che sfoggiava nell'angolo superiore sinistro delle sue credenziali, capì che non aveva alcun potere su quel vecchio scontroso dall'aria miserabile, agli antipodi di ciò che qualsiasi ecclesiastico avrebbe collegato alla gloria di Dio. Fu un lampo di inquietudine che proiettò per un istante, sulla sua disinvoltura, la sagoma di un vecchio fantasma: Nelson Corona. Negli occhi che ora aveva davanti affiorava lo stesso distacco dalla realtà ufficiale, un'identica risolutezza. Con un'unica differenza: dietro le lenti sporche degli occhiali del brasiliano, Quart aveva visto mischiarsi al tempo stesso la determinazione e la paura, mentre lo sguardo velato di padre Ferro emanava soltanto la fermezza di una pietra scura. Il parroco aveva ormai quasi concluso e si accingeva a tornare al silenzio che lo proteggeva come una corazza, quando Quart gli sentì dire che la sua chiesa era un rifugio, una trincea. Era una definizione pittoresca, così l'inviato vaticano inarcò un sopracciglio, ironico, e per tranquillizzarsi tentò di ritrovare il vecchio disprezzo nei confronti del parroco di paese: di nuovo alfiere di élite davanti all'ultimo fante, con il fantasma di Nelson Corona che svaniva in un angolo della scacchiera. « Curiosa definizione.» Quart sorrise, sicuro di sé. All'improvviso era di nuovo forte e senza incrinature, senza rimorsi, e di nuovo vedeva soltanto la tonaca logora e piena di macchie, il mento mal rasato del parroco. E singolare, si disse, quanto tranquillizza il disprezzo. Rimette le cose al loro posto come un'aspirina, un goccio di alcol o una sigaretta. Così decise di porgli un'altra domanda. «Una trincea, davanti a cosa?» Era superfluo, e prima ancora di chiudere bocca capì di colpo che se ne sarebbe pentito. Dal basso, padre Ferro, piccolo e risoluto, guardava Quart direttamente negli occhi: «Davanti a tante ciance» disse. «E a tanta merda.» Le carrozze con i cavalli, dipinte in nero e in giallo, erano allineate in attesa di clienti sotto l'ombra degli aranci. Appoggiato al muro di un negozio di souvenir, il Potro del Mantelete sorvegliava la porta dell'arcivescovado. Le mani infilate nelle tasche di una giacca a quadri troppo stretta, aperta su un maglione bianco a collo alto che metteva in evidenza i pettorali scarni e duri. Passava ritmicamente uno stuzzicadenti da un angolo all'altro della bocca, e socchiudeva gli occhi, sotto le sopracciglia solcate da cicatrici, fissando l'ingresso incorniciato dalle colonne gemelle del portico barocco. Non lo perdere di vista, gli aveva ordinato don Ibrahim prima di infilarsi dentro il negozio a guardare cartoline e a curiosare, perché in tre avrebbero dato nell'occhio a fare da piantoni Pagina 44
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt sul marciapiede. Dato che il Potro era un uomo con la testa sulle spalle, degno di fiducia, e che l'attesa si prolungava, don Ibrahim e la Niiìa Puiìales, dopo aver esaminato sotto lo sguardo diffidente del negoziante tutti gli espositori di cartoline e le vetrine con magliette, ventagli, nacchere e riproduzioni in plastica della Giralda e della Torre dell'Oro, avevano deciso di trasferirsi nel bar più vicino, sull'altro angolo della strada, dove la Nifla doveva ormai essere arrivata al quinto bicchiere di manzanilla. Così il Potro, in assenza di nuovi ordini, non perdeva di vista la porta. Nell'ora abbondante che il prete alto aveva già trascorso là dentro, aveva staccato lo sguardo solo due volte: il tempo che un paio di guardie avevano impiegato a passargli davanti per strada, una volta in un senso e al ritorno nell'altro, momenti dedicati dal Potro a contemplarsi con calma la punta delle scarpe. Quattro cornate, due arruolamenti nella legione straniera e un cervello che funzionava a moltiplica fissa, ammaccato di round in round da colpi e gong, forgiano il carattere. Se don Ibrahim e la Nifla Puiìales si fossero dimenticati di lui sarebbe stato capace di restar lì immobile giorno e notte, sotto il sole e sotto la pioggia, fino a ricevere il cambio o a cadere svenuto, senza staccare gli occhi dalla porta dell'arcivescovado come una zelante sentinella. Allo stesso modo, oltre vent'anni prima in una squallida arena, durante una violenta protesta degli spettatori, quando il suo agente gli aveva detto: povero disgraziato, se non ti ammazza il toro, ti ammazza il pubblico all'uscita, il Potro del Mantelete, con il volto madido di sudore e la paura negli occhi, si era piazzato al centro dell'arena con la muleta alla cintura ed era rimasto lì, immobile, finché il toro, che si chiamava "Macellaio", non gli era piombato addosso, e con la quarta e ultima cornata della sua carriera l'aveva allontanato per sempre dall'arena e dalla tauromachia. In seguito, episodi simili avevano pian piano aggiunto cicatrici al suo corpo e alla sua memoria nel pugilato, nella legione straniera e nel penitenziario di Puerto de Santa Maria. Perché se è vero che la materia grigia del Potro del Mantelete era dura come un mattone, era anche vero che con quei mattoni si poteva costruire un eroe. All'improvviso vide uscire il prete alto. Sembrava trattenersi sulla soglia, indeciso, e guardava l'edificio come se all'interno qualcuno reclamasse la sua attenzione. Poi un giovane biondo e con gli occhiali lo raggiunse e si misero a conversare sulla soglia. Il Potro del Mantelete guardò verso il bar dove aspettavano don Ibrahim e la Niiia Puiìales, ma i due apparivano molto presi dalla manzanilla. allora il Potro si tolse lo stuzzicadenti di bocca, sputò davanti a sé sul marciapiede, e attraversò la piazza per avvertirli descrivendo un cerchio la cui tangente passava dalla porta dell'arcivescovado. Avvicinandosi riuscì a esaminare meglio l'aspetto del prete alto: sarebbe potuto passare per un attore del cinema, se non fosse stato per l'abito nero, per il collare della camicia e per i capelli tagliati in stile da parà o da legionario. Quanto al più giovane, il suo aspetto era trascurato. Aveva la pelle chiara, e il collo punteggiato di acne, come un adolescente. E un'aria molto più da prete dell'altro. «Lo lasci in pace» sentì dire al biondo. Il più alto lo guardava con espressione molto seria. «Il suo parroco è pazzo» ribatté. «Vive in un altro mondo. Se è stato lei a inviare il messaggio, ha reso un cattivo servizio a lui e alla sua chiesa.» «Io non ho inviato nulla. «Dovremo tornare sull'argomento. Con più calma.» Al biondo tremava un po'"la voce. Aveva un atteggiamento aggressivo, ma forse era solo nervoso, o spaventato. «Io non ho nulla da dirle.» «Sembra un disco rotto.» Il prete alto sorrideva in modo sgradevole. «E poi si sbaglia. Ha molte cose da raccontarmi. Per esempio...» Mentre il Potro del Mantelete si allontanava dai sacerdoti, la conversazione sfumava alle sue spalle. Continuò a camminare, un po'"più in fretta, verso il bar. Per terra c'erano segatura e gusci di gamberi, e appesi sopra il banco lonze di maiale e prosciutti. Don Ibrahim e la Niiia Puflales bevevano in silenzio, in piedi davanti al bancone. Alla radio, sistemata su uno scaffale tra due bottiglie di Fundador, cantava Camaròn: Il vino uccide il dolore e i ricordi... Don Ibrahim, che l'arco rotondo della pancia teneva lontano dal bancone, stringeva tra le dita un avana, e la cenere gli cadeva sulle falde della giacca bianca. Al suo fianco, la Nifla Puiiales era passata dalla manzanilla all'anisetta Machaquito, e in quel momento si portava alle labbra il bicchiere con tracce di rossetto carminio sul bordo. Aveva gli occhi molto truccati, un vestito azzurro a pallini bianchi, cerchi d'argento alle orecchie e, sulla fronte segnata di artista sfortunata, il tirabaci nero ben pettinato, come sulle Pagina 45
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt copertine dei tre o quattro vecchi dischi quarantacinque giri che don Ibr, ihim conservava come un tesoro accanto a Nat King Cole, Los Panchos, Beny Moré, Antonio Machin e a un antidiluviano grammofono Telefunken nella camera della pensione in cui alloggiava. A quel punto l'ex falso avvocato e la Niiia Puiìales si voltarono a guardare il Potro, che, fermo sulla soglia, indicò la strada con un cenno del capo. «Occhio» disse. I tre soci si riunirono sulla porta a guardare. Il prete alto si era separato dall'altro e avanzava lungo il marciapiede della piazza, accanto alla moschea. «Accidenti che prete» disse la Nifla con la sua voce rauca da canzone popolare. «Non è male» ammise magnanimo don Ibrahim, socchiudendo gli occhi con aria critica. Il goccetto di Machaquito faceva brillare le pupille malandrine della cantante. «Gesù, vorrei che fosse lui a darmi l'olio santo.» Don Ibrahim scambiò un'occhiata seria con il Potro del Mantelete. Quando si era nel bel mezzo di un'operazione, come in quel momento, certe frivolezze erano fuori luogo. «E quello vecchio?» chiese per tornare in argomento. «E ancora dentro» lo informò il Potro. L'ex falso avvocato biascicava il sigaro, pensieroso. «Dividiamo la nostra masnada» disse alla fine. «Tu, Potro, segui il prete vecchio quando esce, e una volta che è tornato a casa, torni a fare rapporto. La Nifla e il sottoscritto controlleranno il prete alto» e tacque un'attimo per consultare, solennemente, l'orologio di don Ernesto Hemingway. «Prima di passare all'azione, abbiamo bisogno di raccogliere informazioni: la madre di tutte le vittorie, eccetera eccetera. Siete d'accordo?» I suoi compari dovevano essere d'accordo, perché annuirono: serio e compunto il Potro, come se analizzasse il senso di qualche parola pronunciata cinque minuti prima, e con espressione svanita la Nitia, che seguiva il prete con lo sguardo. Aveva ancora il bicchiere in mano e sembrava decisa a scolarsi l'anisetta. Alla radio, Camaròn continuava a cantare storie di vino e abbandoni, e il cameriere, camicia bianca e cravatta nera, teneva il ritmo battendo con discrezione i palmi, dietro il bancone. Don Ibrahim passò in rassegna la sua truppa e decise di risollevare gli animi con un'arringa adeguata. Siviglia è quanto di più grande esista al mondo, o qualcosa del genere. E un giorno sarà nostra. Suonava bene, ma forse era eccessivo. E poi non cadeva a proposito. «La fortuna arride agli audaci» disse, dopo aver riflettuto un po'. E dette un'altra succhiata al sigaro. «Gesù.» La Niiìa Puiìales finì l'ultima goccia di anisetta. Il Potro, ancora pensieroso, alla fine scosse la testa. «Cosa vuol dire masnada?» La disinvoltura di Lorenzo Quart si basava su un grande zelo. Sicché, appena giunto in camera sua, per prima cosa aprì la valigetta di cuoio dove teneva il suo portatile e lavorò per un'ora al rapporto destinato a monsignor Spada. Un documento che il direttore dello Ior ricevette via modem non appena fu redatto. In quelle otto pagine, Quart si asteneva con cura dal trarre conclusioni sui personaggi, sulla chiesa e sulla possibile identità di Vespro, limitandosi a una trascrizione abbastanza fedele delle conversazioni intrattenute con monsignor Corvo, Gris Marsala e Priamo Ferro. Iniziò a rilassarsi solo quando ebbe chiuso il computer, mentre riponeva i cavi e l'alimentatore. In maniche di camicia, con il colletto sbottonato, passeggiava per la stanza accanto ai due letti con baldacchino e alla finestra aperta su piazza Virgen de los Reyes. Era presto per scendere a mangiare, così dette un'occhiata ad alcuni libri su Siviglia che aveva comprato in una piccola libreria davanti al municipio. Nella stessa borsa c'era la rivista Q+S, acquistata in un chiosco dietro raccomandazione di monsignor Corvo. «Perché cominci a familiarizzare un poco con il panorama» aveva suggerito, mordace, il prelato. Osservò la copertina e poi le foto all'interno. "Un matrimonio in crisi" era il titolo. Accanto all'immagine della donna con il suo accompagnatore, ce n'era un'altra di un uomo giovane, molto serio, ben vestito, con il colletto bianco e una scriminatura impeccabile: Coiffermarn la separazione. Mentre il finanziere Gavira consolida la sua posizione di uomo di punta della banca andalusa, Macarena Bruner faceva le ore piccole a Siviglia. Quart strappò le pagine e le infilò nella valigetta. In quel momento si rese conto che sul comodino c'era l'edizione del Nuovo Testamento che i Gedeoni Internazionali distribuivano gratis negli alberghi. Non gli sembrava di averla messa li, ma nel cassetto dove aveva l'abitudine di riporre tutti i documenti, la pubblicità, i fogli e le buste che lo disturbavano. L'aprì a caso e notò che una vecchia cartolina postale segnava due pagine. Nella parte in basso riuscì a leggere: Chiesa di Nostra Signora delle Lacrime. Siviglia, 1895. Pagina 46
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt La fotografia era di cattiva qualità, con una specie di alone chiaro che avvolgeva il soggetto centrale, però la chiesa era lì, con i suoi colori, sbiaditi ma inconfondibili: il portico con le colonne tortili, la statua della Vergine nella sua nicchia con la testa intatta, il campanile a vela. Sembrava in condizioni migliori delle attuali. Davanti, nella piazza, c'era una bancarella. Non c'era timbro postale sul francobollo intatto da venticinque centesimi con l'effigie di Alfonso xiii bambino, e la data scritta a mano in alto era cancellata da una macchia d'umidità. Quart decifrò un nove, e forse un sette alla fine, il che poteva significare 1897. L'indirizzo, invece, era perfettamente chiaro: "Al capitano don Manuel Xaloc. A bordo della nave. Manigua. Porto dell'Avana. Cuba". Prese il telefono e compose il numero della reception. Il portiere disse che nessuno era salìto nella sua stanza né aveva chiesto di lui dalle otto del mattino, ora in cui aveva iniziato il suo turno. Poteva provare a chiedere alle donne delle pulizie. Quart parlò con loro e riappese senza aver scoperto nulla. Non ricordavano di aver toccato il Nuovo Testamento e non sapevano dirgli se era nel cassetto o sul tavolo quando avevano riordinato la stanza. Ma lì non era entrato nessuno, tranne loro. Andò a sedersi davanti alla finestra con la cartolina in mano, continuando a osservarla. Una nave attraccata nel porto dell'Avana nel 1897. Un capitano di nome Manuel Xaloc e una certa Carlota che lo amava e pregava per lui in Nostra Signora delle Lacrime. Avevano un senso le parole scritte dietro la cartolina, o contava soltanto la foto della chiesa?... All'improvviso ricordò il Vangelo dei Gemo con la fascia in vita e il cappello andaluso vendeva verdure a due donne vestite di nero che voltavano le spalle al fotografo. Dall'altra parte, nella stretta viuzza che usciva dalla piazza, si scorgeva l'asinello di un acquaiolo, con due giare sul dorso, assieme al suo padrone trasformato in una sagoma appena visibile, in un fantasma sul punto di svanire nell'alone bianco che bordava l'immagine. Quart girò la cartolina. Vide alcune righe scritte a mano con una calligrafia dagli angoli dolci e con l'inchiostro, ormai quasi illeggibile, trasformato in pallidi tratti color seppia: Qui, nel luogo sacro del tuo giuramento e della mia felicità, prego per te ogni giorno e aspetto che ritorni. Ti amerò sempre. Carlota deoni. La cartolina segnava una pagina, o era messa a caso? Maledisse la sua distrazione mentre si alzava e si avvicinava al tavolo, ma per fortuna aveva lasciato il libro aperto, rivolto verso il basso. Erano le pagine 168 e 169 5. Giovanni, 2 - e anche se non c'era alcun paragrafo sottolineato, riuscì facilmente a trovare la citazione. Era troppo evidente. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». Osservò a turno il libro e la cartolina. Pensava a monsignor Spada e a Sua Eminenza il cardinale Iwaszkiewicz, e decise che non sarebbero stati affatto contenti della svolta che sembrava prendere la faccenda. E lui, ancora meno. A qualcuno piaceva troppo un certo tipo di giochi inquietanti, come infiltrarsi nei computer del papa, nelle stanze d'albergo o nei vangeli altrui. Quart passò in rassegna tutti i volti fino a quel momento conosciuti, chiedendosi se fra di loro ci fosse quello che cercava. Per l'amor del cielo. Si sentiva sempre più esasperato e gettò libro e cartolina sul copriletto. Così come stavano le cose, non ci mancava che un fantasma che giocava a nascondino. Quart usci dall'ascensore al piano terra, passò accanto alla vetrina con la collezione di ventagli dell'albergo e percorse il corridoio che girava attorno all'atrio. La sua sagoma nera e sobria contrastava con l'ambiente. Il Doffa Maria era un albergo turistico a quattro stelle, situato in un bel palazzo antico di calle Don Remondo, a due passi da Santa Cruz. Gli architetti avevano calcato un po'"la mano al piano terra, sovraccarico di motivi folcloristici, toreri e quadri di donne andaluse con pettine e mantiglia. Sulla porta, una giovane guida turistica dall'aria stanca, con una piccola bandiera olandese in mano, aveva raccolto attorno a sé una variopinta comitiva equipaggiata di macchine fotografiche e videocamere. Quando si avvicinò al bancone per lasciare la chiave, Quart lesse il nome sul cartellino di plastica che portava sul petto: V. Oudkerk. Le sorrise con compassione, e la giovane ricambiò rassegnata per poi allontanarsi in testa alla sua truppa. «Don Lorenzo, una signora la sta aspettando. E appena arrivata.» Quart guardò il portiere, sorpreso, poi si voltò verso le poltrone dell'atrio. C'era Pagina 47
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt una donna bruna, con i capelli neri lunghi fin sotto le spalle: occhiali scuri, jeans, mocassini e una giacca marrone su una camicia celeste. Gli parve molto bella. Quando Quart le fu accanto, lei si alzò in piedi e l'impressione iniziale fu rafforzata dal contrasto della collana d'avorio sulla pelle abbronzata, dal braccialetto d'oro al polso, e dalla borsa di pelle di Ubrique sul divano, al suo fianco. Pronta al saluto, gli tese una mano sottile, elegante, dalle unghie perfette. «Mi chiamo Macarena Bruner.» L'aveva riconosciuta qualche secondo prima che si presentasse, grazie alle foto della rivista. Quart non poté evitare di fissarle la bocca. Era grande, ben disegnata, socchiusa sul lieve bagliore degli incisivi candidi sotto il labbro superiore a forma di cuore. Sfumata con un po'"di matita rosa pallido, quasi incolore. «Accidenti» disse lei. Sembrava studiarlo accuratamente dietro i suoi occhiali scuri, un po'"sorpresa. «Ha davvero un bell'aspetto.» «Anche lei» rispose Quart, con calma. Era un po'"più bassa di lui, che sfiorava il metro e ottantacinque. Sotto la giacca, i jeans e la cintura di cuoio delineavano due fianchi torniti. Aveva tre gattini ricamati sulla camicetta, generosamente colma, e Quart ritenne più opportuno allontanare lo sguardo, vagamente imbarazzato, con il pretesto di consultare l'orologio. Lei continuava a osservarlo, riflettendo. «Vorrei parlarle» disse alla fine. «Certo. Gliene sono grato, perché avevo intenzione di venire a farle visita.» Quart si guardò attorno. «Come ha fatto a trovarmi?» «Un'amica. Gris Marsala.» «Non sapevo che foste amiche.» La vide sorridere con disinvoltura: tra le labbra un bagliore d'avorio uguale a quello della collana sulla pelle color tabacco biondo. Saltava agli occhi che era una donna sicura di sé, tanto per il suo status quanto per la sua bellezza, ma Quart era cosciente che il severo abito nero e il collare la sconcertavano un po', come era successo anche a Gris Marsala. Una reazione consueta: le donne, belle o brutte che fossero, si comportavano spesso come se l'abito sacerdotale collocasse l'uomo al di fuori della loro portata. «Possiamo parlare adesso?» «Certo.» Si accomodarono l'uno davanti all'altra. Lei accavallò le gambe, seduta sul divano su cui l'aveva atteso; lui scelse la poltrona accanto. «So perché è venuto a Siviglia.» «Non speri di sorprendermi.» Quart abbozzò un sorriso rassegnato. «Il mio viaggio sembra essere di dominio pubblico.» «Gris ha insistito perché la incontrassi.» La guardò con rinnovato interesse. Portava ancora gli occhiali scuri, e si chiese come fossero i suoi occhi. «Che strano. Ieri la sua amica non sembrava disposta a collaborare.» I capelli di Macarena Bruner le scivolarono sopra la spalla coprendole a mezzo e volto, e lei li gettò all'indietro con una mano. Erano neri e folti, notò Quart. Una bellezza andalusa simile a quelle dipinte da Romero de Torres, o alla Carmen della fabbrica dei tabacchi descritta da Mérimée. Qualsiasi pittore, qualsiasi francese o qualsiasi torero avrebbe potuto perdere la testa per quella donna. Per una frazione di secondo si chiese se poteva perderla anche un qualsiasi sacerdote. «Non deve farsi un'idea sbagliata sulla chiesa» spiegò lei. Tacque un momento, poi aggiunse: «Né su padre Ferro». Quart si concesse una risatina contenuta il cui scopo era, più che altro, di rimettere al suo posto quella scomoda frazione di secondo. Così cercò di recuperare la disinvoltura con il sarcasmo. «Non mi dica che fa parte anche lei del suo club di ammiratori.» Quart lasciava penzolare una mano dal bracciolo della poltrona e, nonostante gli occhiali scuri, si rese conto che lei la osservava. La ritirò con discrezione, intrecciandola con l'altra. Macarena Bruner rimase qualche istante in silenzio. Si era di nuovo scostata i capelli dal volto e sembrava riflettere se valesse o no la pena di proseguire la conversazione. «Senta» disse alla fine «io e Gris siamo amiche. E per quanto la riguarda, ritiene che la sua presenza qui potrebbe essere utile, anche se le sue intenzioni non fossero buone.» Quart captò il tono conciliante. Alzò una mano e vide che lei seguiva di nuovo il movimento. «C'è qualcosa che mi irrita in tutto questo, sa?... Non so come devo chiamarla. Signora Bruner?» Era a disagio davanti allo sguardo nascosto dalle lenti scure, e lei se ne rendeva perfettamente conto. «Mi chiami Macarena.» Si tolse gli occhiali neri, e colse di sorpresa Quart con la bellezza degli occhi grandi, scuri con riflessi di miele. Sia lodato Gesù Cristo, avrebbe detto a voce alta se avesse realmente creduto che Dio si occupasse di questo genere di cose. Così si limitò a sostenere lo sguardo di quegli occhi come se ne dipendesse la salvezza della sua anima. Pagina 48
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt E forse era così, dopo tutto, se davvero c'era un'anima e una Provvidenza. «Bene, Macarena» disse, chinandosi verso di lei fino ad appoggiare i gomiti sulle ginocchia. Quando si avvicinò sentì il suo profumo: dolce, come gelsomino. «C'è qualcosa che mi irrita molto in questa storia. Tutti danno per scontato che io sia a Siviglia per infastidire don Priamo Ferro. E non è vero. Sono venuto per stendere un rapporto sulla situazione. E non ho idee preconcette. Il problema è che il parroco è molto poco disposto a collaborare.» Si appoggiò allo schienale della poltrona, irritato. «In realtà nessuno è disposto a collaborare.» Adesso fu lei a sorridere. «Nessuno si fida, ed è logico.» « Perché?» «Perché l'arcivescovo ha parlato male di lei. La chiama "il cacciatore di scalpi".» Quart fece una smorfia. Sant'uomo, l'Illustrissimo. «Sì. Ci conosciamo da un pezzo. ' «Ma il problema con padre Ferro si può sistemare» si morse il labbro inferiore. «Forse potrei fare qualcosa.» «Sarebbe meglio per tutti, e in particolare per lui. Ma mi dica, perché lo farebbe... Cosa ci guadagna?» Scosse di nuovo il capo, come se non avesse importanza, e i capelli tornarono -a scivolarle sopra la spalla. Li tirò indietro, fissando Quart. «E vero che il papa ha ricevuto un messaggio?» Senza dubbio Macarena Bruner conosceva bene l'effetto dei suoi occhi. Quart deglutì senza farsene accorgere, metà per lo sguardo, metà per la domanda. «E un argomento confidenziale» replicò, addolcendo la risposta con un sorriso. «Deve capirmi se non confermo né smentisco.» Lei scrollò le spalle sprezzante. «E sulla bocca di tutti». «In questo caso, mi permetta di non aggiungere la mia.» Gli occhi scuri brillarono, pensierosi. Macarena Bruner si appoggiò al bracciolo del divano, e con quel movimento fece sgranchire gli insinuanti gattini ricamati sotto la sua giacca. «L'ultima parola su Nostra Signora delle Lacrime sta alla mia famiglia» spiegò. «Cioè a me e a mia madre. Se l'edificio verrà dichiarato in rovina, e l'arcivescovado autorizzerà la sua demolizione, la decisione finale sulla sorte del terreno spetterà a noi.» «Non del tutto» obiettò Quart. «Secondo le mie fonti, anche il Comune ha voce in capitolo.» «Faremo causa.» «Ma lei, tecnicamente, è ancora sposata. E suo marito interruppe, scuotendo il capo. «Sono sei mesi che viviamo in case separate. Mio marito non ha diritto ad agire per proprio conto. «E non cerca di convincerla?» «Sì che tenta.» Ora Macarena Bruner sorrideva in un altro modo: un'espressione sprezzante e distaccata, quasi crudele, le induriva la bocca. «Ma non importa. La chiesa sopravviverà.» «Sopravvivere?» si stupì Quart. «Che strana parola. Ne parla come se fosse viva.» Lei gli guardava di nuovo le mani. «Forse è così. Molte cose sono vive, anche se non sembra». Era rimasta assorta un momento, e parve ritornare bruscamente alla realtà. «Ma mi riferivo al fatto che è necessaria. E anche padre Ferro lo è. «Perché? Ci sono altri parroci e altre chiese a Siviglia.» allora lei scoppiò a ridere di cuore. Una risata franca e sonora, talmente contagiosa che Quart, del tutto a sproposito, fu sul punto di imitarla. «Don Priamo è speciale, e lo è anche la sua chiesa.» Sorrideva ancora, e i riflessi di miele ricomparvero nel suo sguardo, fisso su Quart. «Ma non so spiegarglielo a parole. Deve andarci. «Ci sono già stato. E il suo parroco preferito è stato li lì per cacciarmi fuori a calci. Macarena Bruner ebbe un nuovo scoppio di ilarità. Quart non aveva mai sentito ridere una donna in modo così rumoroso e simpatico. Con sua grande meraviglia, scopri che desiderava ascoltare ancora quella risata. Nel suo cervello ben addestrato risuonarono allarmi di ogni genere. La faccenda cominciava ad assomigliare molto ai vagabondaggi nei giardini da cui i suoi vecchi mentori ecclesiastici consigliavano di tenersi lontani: serpenti, mele, incarnazioni di Dalila e tutto il resto. «Si» disse lei. «Gris me lo ha raccontato. Ma ci provi un'altra volta. Vada a messa, osservi cosa accade. Forse capirà meglio.» «D'accordo. Lei va alla messa delle otto?» Non c'erano cattive intenzioni nella domanda, ma lo sguardo di Macarena Bituner si fece diffidente, improvvisamente serio. «Non è affar suo.» aprìva e chiudeva le stanghette degli occhiali da sole. Quart sollevò leggermente entrambe le mani in segno di scusa, e segui un breve e imbarazzato silenzio. Per salvare la situazione si guardò attorno in cerca di un cameriere e le chiese se voleva bere qualcosa. Lei scosse il capo. Ora sembrava più rilassata, e Quart formulò un'altra domanda: «Cosa pensa delle due morti?». Stavolta la risata fu sgradevole, a denti stretti. «Che non si deve scherzare con l'ira divina.» Quart la guardò con aria molto seria. «Singolare punto di vista.» «Perché?» sembrava sinceramente sorpresa. «Loro, o chi li aveva mandati, se la sono cercata.» «Non è un sentimento molto cristiano.» Pagina 49
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Con un gesto spazientito, prese la borsa che aveva al suo fianco e la rimise giù. Intrecciava e scioglieva le dita nella cinghia della tracolla. «Lei non capisce, padre...» lo guardò, indecisa. «Come devo chiamarla? Reverendo? Padre Quart?» «Può chiamarmi Lorenzo, e basta. Non sarò io a confessarla.» «E perché no? In fin dei conti è un sacerdote.» «Un po'"singolare, forse» ammise Quart. «E non sono qui esattamente in questa veste.» Mentre parlava aveva allontanato gli occhi per un paio di secondi, incapace di sostenere fino in fondo la situazione. Quando tornò a guardarla, lei lo osservava con una curiosità nuova, quasi maliziosa. «Sarebbe divertente confessarmi con lei. Le piacerebbe?» Quart respirò con calma una, due volte. Poi increspò leggermente le labbra, come se volesse considerare sul serio la questione. La copertina del Q+S gli passò davanti agli occhi come un brutto presagio. «Forse» disse. «Ma temo che non sarei obiettivo con quel sacramento, nel suo caso. Lei è troppo...» «Troppo che?» Non era onesto da parte sua, si disse con amarezza. Esercitava la pressione fino al limite. Una pressione esagerata, e questo era troppo anche per un tipo con i nervi del sacerdote Lorenzo Quart. Respirò altre due volte, come se fosse una seduta di yoga. Guardala in questo modo, si disse. Fà che la calma non ti abbandoni proprio adesso. «Attraente» rispose con assoluta freddezza. «Suppongo che sia la parola giusta. Ma lei lo sa meglio di me.» Macarena Bruner accolse la risposta con un breve silenzio pieno di apprezzamento. Notevole, dicevano i suoi occhi. «Gris ha ragione» disse. «Lei non sembra un prete.» Quart annuì senza abbassare del tutto la guardia. «Immagino che padre Ferro e io apparteniamo a specie diverse...» «Ha indovinato. Lui è il mio confessore.» «Sono sicuro che si tratta di una buona scelta» fece con cura una pausa per privare d'ironia ogni sua parola. «E un uomo severo. Lei non si lasciò ingannare dall'aggettivo. «Non sa nulla di lui.» «E proprio quello che vorrei. Sapere. Ma non trovo nessuno che mi spieghi.» «Lo farò io.» «Quando?» «Non lo so. Domani sera. La invito a cena alla Albahaca.» Quart tentava di pensare in fretta. «La Albahaca» ripeté, per guadagnare tempo. «Sì. In piazza Santa Cruz. Di solito vogliono la cravatta, ma trattandosi di lei credo che il collare non sia un problema. Anche se è un sacerdote, sa vestirsi abbastanza bene.» Lui tardò altri tre secondi a dare un cenno di assenso. Perché no? Dopo tutto, per questo era venuto a Siviglia. Sarebbe stata una buona occasione per bere alla salute del cardinale Iwaszkiewicz. «Posso mettermi la cravatta, se lo desidera. Anche se non ho mai avuto problemi in alcun ristorante.» Macarena Bruner si era alzata in piedi, e Quart la imitò. Lei gli osservava di nuovo le mani. «Come posso saperlo?» accentuò il sorriso mentre si metteva gli occhiali scuri. «Non ho mai cenato con un prete.» Don Ibrahim si faceva vento con il cappello nell'aria profumata di zagare e di arance amare. Al suo fianco, su una panchina di piazza Virgen de los Reyes, la Niiia Puiìales lavorava all'uncinetto mentre sorvegliava con lui la porta dell'hotel Dofla Maria: quattro volanti, ne salto due, una bassa e una alta. La Nifla ripeteva la sequenza muovendo le labbra in silenzio come se pregasse, con il gomitolo in grembo mentre il pizzo le cresceva pian piano fra le mani e i braccialetti d'argento le tintinnavano ai polsi. Era per un'altra coperta del suo corredo. Da quasi trent'anni il corredo di nozze della Nifla Puflales ingialliva tra palline di naftalina in un'armadio del suo minuscolo appartamento, nel quartiere di Triana, ma lei continuava ad aggiungere pezzi come se il tempo le si fosse fermato sulle dita, in attesa dell'uomo bruno con gli occhi verdi che un giorno sarebbe venuto a cercarla fra canzoni che parlavano di acquavite e luna bianca. Una carrozza a cavalli attraversò la piazza, portando in giro quattro hooligans inglesi che bevevano birra con in testa cappelli del Cordoba - il Betis giocava contro il Manchester e don Ibrahim la seguì con lo sguardo arricciandosi i baffi tra sospiri di scoramento. Povera Siviglia, sussurrò dopo un istante, sventolandosi più forte con il panama bianco, e la Nifla Puiiales annuì senza alzare il capo, attenta al suo lavoro: quattro volanti, ne salto due. Ora don Ibrahim aveva gettato via il mozzicone del sigaro e lo guardava consumarsi fumante per terra. Alla fine, con somma cura, lo aiutò a spegnersi con la punta del bastone; detestava i tipi brutali capaci di schiacciare il mozzicone di un buon sigaro come se, invece di spegnerlo, lo assassinassero. L'anticipo di Peregil gli aveva permesso di comprarsi una scatola intera, nuova, sigillo intatto, di Montecristo, spesa che non poteva permettersi dai tempi in cui il capo Finisterre era fattorino. Due spuntavano, splendidi, dal taschino Pagina 50
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt della giacca del suo stropicciato completo di lino bianco. Si portò una mano al petto, sfiorandoli con tenerezza. Il cielo era azzurro, l'aria profumava di zagare, era a Siviglia, aveva tra le mani un buon affare, sigari avana in tasca e trentamila pesetas nel portafoglio. Perché la sua felicità fosse completa, mancavano soltanto tre biglietti per la corrida, tre posti in gradinata, all'ombra, e, nell'arena, il Faraon de Camas, o quella giovane promessa, Curro Maestral, che secondo il Potro ci sapeva fare, anche se nulla a che spartire con il defunto Juan Belmonte, pace all'anima sua. Lo stesso Curro Maestral che, sulle riviste, infilzava le mogli dei banchieri. Cosa che, a ben guardare, restava sempre una faccenda di corna. E a proposito di donne. Il prete alto era appena comparso sulla porta dell'albergo e conversava con una tipa alla sua altezza. Don Ibrahim dette una gomitata alla Nifla Puiìales, che interruppe il suo lavoro. La donna portava occhiali scuri ed era ancora giovane, piacevole di aspetto, vestita in modo informale, ma con quel tocco di classe, elegante e disinvolto, caratteristico delle donne andaluse di buona famiglia. Lei e il prete si strinsero la mano. La novità introduceva varianti insospettate nella faccenda, così don Ibrahim e la Nifla Puiìales si scambiarono occhiate d'intesa. «Qui gatta ci cova, Nifla.» «Proprio così. L'ex falso avvocato si alzò in piedi non senza difficoltà, e si mise il panama di paglia bianca impugnando il bastone di Maria Félix con aria risoluta. Impartì istruzioni alla Nifla perché continuasse a lavorare all'uncinetto senza perdere di vista il prete alto, e poi si mise in marcia con la massima discrezione, incamminando faticosamente i suoi centodieci chili sui passi della donna con gli occhiali scuri. La seguì così mentre si addentrava in Santa Cruz e girava a sinistra in calle Guzmàn el Bueno, finché non la vide scomparire nel portone di un palazzo noto come Casa del Postigo. Pensieroso e circospetto, don Ibrahim si avvicinò all'arco sulla facciata, dipinta in ocra gialla e calce, fra gli inevitabili aranci della piazzetta su cui si affacciava. La Casa del Postigo era un edificio molto noto a Siviglia: un palazzo del Cinquecento, tradizionale residenza dei duchi del Nuevo Extremo. Il cubano ne prese accuratamente nota mentre effettuava una ricognizione tattica. Le finestre erano protette da inferriate, e sotto il balcone principale uno stemma sovrastava l'entrata con l'elmo ornato da un cimiero a forma di leone, una bordura con ancore e teste di mori o di cacicchi indios, un nastro con dentro una melagrana, e il motto O&rint duin probent. Che annusino prima di assaggiare, o qualcosa del genere, tradusse fra sé l'ex avvocato, lodando l'evidente buon senso della frase. Poi varcò distrattamente il portone in penombra, dirigendosi verso il cancello in ferro battuto che chiudeva il passo al patio, splendido cortile interno dalle colonne mozarabiche con grandi vasi di piante e fiori attorno a una fontana molto bella in marmo e azulios. Rimase li finché una domestica in uniforme nera non si avvicinò al cancello, guardinga. Allora le dedicò il suo sorriso più innocente e, sollevando un po'"il cappello, uscì di scena avviandosi verso la strada con la goffaggine di un turista distratto. Una volta fuori, si fermò di nuovo davanti alla facciata. Sorrideva ancora sotto i folti baffi macchiati di nicotina quando estrasse di tasca uno dei sigari e gli tolse con cura il sigillo. "Montecristo, Habana" c'era scritto intorno al minuscolo giglio. Forò l'estremità con un coltellino a serramanico che portava attaccato alla catena dell'orologio. Il coltellino era un gentile pensiero, così raccontava di solito, dei suoi amici Rita e Orson, in ricordo di quell'indimenticabile pomeriggio nell'Avana Vecchia in cui aveva mostrato loro la fabbrica di tabacchi Partagas, all'angolo fra Dragones e Barcelona, e poi lui e Rita avevano ballato al Tropicana fino all'alba. Erano da quelle parti a girare La signora di Shan" ghai o qualcosa del genere, Orson si era preso una sbronza colossale e tutti si erano scambiati baci e abbracci, e alla fine gli avevano regalato quel coltellino con cui citizen Welles tagliava la punta ai vegueros, i sigari fatti con un'unica foglia di tabacco. Assorto nel ricordo, o forse nella fantasia, don Ibrahim si infilò l'avana tra le labbra e lo rigirò assaporando la foglia che lo avvolgeva. Interessanti, si disse, le amicizie femminili del prete alto. Poi avvicinò l'accendino alla punta del Montecristo, pregustando la mezz'ora di piacere che lo aspettava. Per don Ibrahim, la vita era inconcepibile senza un sigaro cubano in bocca. Il suo aroma operava il miracolo di ricostruirgli un passato glorioso, Siviglia e L'Avana, così simili, la sua gioventù ai Caraibi in cui neppure lui era più capace di distinguere il vero dall'inventato, si fondevano con la prima boccata di fumo in un sogno tanto straordinario quanto perfetto. La luce del night club era rossa, la voce di Julio Iglesias si levava dallo stereo. Il bicchiere di Celestino Peregil tintinnò quando Dolores la Negra Pagina 51
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt gli mise altro ghiaccio nel whisky. «Sei una libidine, Loli» disse Peregil. Era l'enunciazione di un fatto oggettivo. Dolores fece ondeggiare i fianchi dietro il bancone, passandosi un cubetto di ghiaccio sull'ombelico nudo, sotto la maglietta corta che le strizzava due seni enormi, ondeggianti al ritmo della musica. Era una femmina alta e robusta, dall'aria gitana, ben oltre la trentina, tenuta di mira più della finestra di un bosniaco. «Ti scoperò alla grande» annunciò Peregil, passandosi una mano sulla testa per accomodarsi i capelli che gli camuffavano la calvizie. «Da sfondare il letto.» Abituata a questi protocolli e alle scopate alla grande di Peregil, Dolores accennò due passi di ballo guardandolo negli occhi, poi gli mostrò la punta della lingua fra le labbra, gli gettò nel bicchiere il cubetto di ghiaccio che si era passata sull'ombelico e andò a servire altro spumante catalano a un secondo cliente, un tizio a cui le ragazze avevano già spillato due bottiglie e stavano per spillare la terza. Allo stereo, Julio Iglesias insisteva sul fatto che lui era un pirata ed era un signore, e subito dopo si impegnò in una discussione con José Luis Rodriguez, detto il Puma, per chiarire se per farsi una donna fosse indispensabile essere un torero o no. Indifferente alla polemica, Peregil bevve un sorsetto di whisky puntando Fatima, l'araba, che ballava da sola sulla pista con una minigonna inguinale, stivali fino alle ginocchia e una scollatura in cui i seni le saltellavano allegramente. Fatima era la sua seconda opzione per quella serata, così si mise a considerare i pro e i contro. «Salve, Peregil.» Non li aveva sentiti arrivare, né avvicinarsi. Gli si misero uno da un lato e uno dall'altro, appoggiati al bancone come se contemplassero le file di bottiglie sugli scaffali decorati da specchi. Peregil li vide riflessi davanti a sé, tra le etichette e le brocche omaggio: il Gitano Mairena alla sua destra, vestito di nero, magro e pericoloso con la sua aria da ballerino di flamenco, e un enorme anello d'oro accanto al moncone del mignolo che lui stesso si era tagliato di netto durante una rivolta, nel penitenziario di Ocafla. E il Pollo Muelas alla sua sinistra, biondo, elegante e minuto, che sembrava ce l'avesse sempre d iro per via del rasoio che portava nella tasca sinistra dei pantaloni, e che diceva sempre mi scusi prima di rifilare a qualcuno una coltellata. «Cioffrìda bere?» chiese il gitano tranquillo, benevolo, divertito dalla situazione. E all'improvviso Peregil ebbe molto caldo. Con l'aria di chi sta per svenire, richiamò l'attenzione di Dolores. Gin tonic per Mairena, e anche per il Pollo Muelas. Tutti e due i bicchieri rimasero sul bancone, intatti. Nello specchio, entrambi gli sguardi erano inchiodati su di lui. «Abbiamo un messaggio per te» disse il gitano. «Da parte di un amico» precisò l'altro. Peregil deglutì, sperando che con quella luce rossa non si notasse troppo. L'amico si chiamava Rubén Molina ed era un usuraio del Baratillo a cui da mesi firmava cambiali ormai scadute, per un importo complessivo che lo stesso Peregil non riusciva a ricordare senza sentirsi sull'orlo del collasso. Rubén Molina era famoso in certi ambienti di Siviglia, per il trattamento che riservava ai suoi debitori. Aveva l'abitudine di inviare solo due messaggi per sollecitare un pagamento rapido: la prima volta a parole e la seconda coi fatti. Mairena e il Pollo Muelas erano i suoi ambasciatori ufficiali. «Ditegli che pagherò. Ho un affare tra le mani.» «Diceva così anche Frasquito Torres.» Il Pollo Muelas sorrideva, pericolosamente comprensivo e simpatico. Dall'altra parte, nello specchio, la lunga faccia ascetica del gitano era allegra quasi come se avesse appena sepolto sua madre. Vedendosi circondato, Peregil tentò di deglutire per la seconda volta, ma senza successo: l'allusione a Frasquito Torres gli aveva lasciato la gola troppo secca. Frasquito era un tipo di buona famiglia, un vero scapestrato, molto noto a Siviglia, che per qualche tempo aveva fatto ricorso, come Peregil, ai fondi dell'usuraio Molina. Poiché non poteva pagare, quando fu scaduto il termine, qualcuno lo aveva aspettato sul portone di casa per fargli sputare di bocca, uno per uno, tutti i denti. Lo avevano lasciato lì, con i denti dentro un cono di carta di giornale infilato nel taschino della giacca. «Mi basta soltanto una settimana.» Il Gitano Mairena alzò un braccio e lo posò sulle spalle di Peregil con un gesto così inaspettatamente amichevole da farlo impallidire di paura. Il moncone del mignolo mutilato gli sfiorava il mento. «Guarda un po'"che caso.» La camicia nera del gitano puzzava di sudore rancido e di fumo di sigaretta. «E proprio quello che hai a disposizione, amico. Sette Pagina 52
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt giorni giusti giusti e neppure un minuto di più.» Peregil si era aggrappato al bancone per evitare che gli tremassero le mani. Sugli scaffali di fronte a lui, le etichette delle bottiglie si confondevano fra loro: White Larios, Johnnie Ballantiné s, Dyc Label, Four Horses, Centenario Walker. La vita è letale, pensò. Alla fine ti ammazza sempre. «Dite a Molina che non c'è problema» balbettò. «Sono una persona seria, io. E sto per concludere una buona operazione, così estinguerò immediatamente il debito.» Poi prese il bicchiere e lo vuotò tutto d'un fiato. Un cubetto di ghiaccio, sbattendogli contro i denti, scricchiolò, sinistro, come per ricordargli che Frasquito Torres aveva dovuto indebitarsi con un altro usuraio per comprarsi una protesi da quarantacinquemila pesetas. Il gitano gli teneva ancora il braccio sulle spalle. «Come suona bene» lo sfotté il Pollo Muelas. «Estinguere.» Julio Iglesias continuava con le sue storie. Accennando passi di danza e facendo ondeggiare i fianchi, Dolores la Negra li raggiunse dietro il bancone per intrattenerli. Infilò un dito nel whisky di Peregil, se lo leccò succhiandolo bene con le labbra, sfregò il ventre contro il bancone e agitò il contenuto della sua camicetta con impeccabile perizia professionale, per poi fissare i tre uomini, delusa. Peregil sembrava che avesse visto un fantasma, gli altri due se ne stavano li con una faccia molto poco amichevole e per di più, indizio inquietante, i loro gin tonic erano ancora intatti. Così Dolores fece dietrofront e si tolse di mezzo, senza smettere di dimenare i fianchi al ritmo della musica. Aveva passato una vita sui due lati di un bancone, e sapeva benissimo quando era meglio lasciar perdere. 5.Le venti perle del capitano Xaloc Ho amato anche donne morte. HEINRICH HEINE, Notti fiorentine Il vicecommissario Simeon Navajo, capo della sezione investigativa della questura di Siviglia, finì di mangiare un pezzo di tortilla e guardò Quart con affetto. «Senta, padre. Io non so se è la chiesa, il caso o l'arcangelo Gabriele.» Fece una pausa, accompagnando lo spuntino con un sorso di birra dalla bottiglia che aveva sulla scrivania del suo ufficio. «Ma quel posto porta male.» Era piccolo, molto magro, simpatico, con mani irrequiete, occhiali rotondi dalla montatura d'acciaio e un paio di baffi folti che sembravano spuntargli dalle narici. Si sarebbe detto una caricatura in scala di un intellettuale anni sessanta, somiglianza rafforzata dai blue jeans, dall'ampia camicia rossa di cotone e la fronte piuttosto stempiata, sottolineata dai capelli lunghi che portava a coda di cavallo. Erano venti minuti che controllavano assieme i fascicoli sulle due morti in Nostra Signora delle Lacrime, e le conclusioni della polizia coincidevano con i referti dei medici legali: si era trattato di decessi accidentali. Il vicecommissario Navajo rimpiangeva di non avere sotto mano un colpevole da esibire, ammanettato, all'agente di Roma. E stato un caso sfortunato, padre, diceva. Può succedere. Una ringhiera avvitata male, un pezzo di gesso che cade, un paio di poveretti che non hanno mai vinto alla lotteria, però quel giorno, guarda un po', esce il loro numero. Uno ahi e l'altro paf, e pace all'anima loro. Perché almeno, trattandosi di una chiesa, il vicecommissario dava per scontato che dovevano riposare tranquilli in paradiso. «Il caso di Peiiuelas, l'architetto del Comune, è chiaro.» Navajo muoveva due dita sul bordo del tavolo, imitando l'ipotetica andatura del defunto. «E stato mezz'ora a passeggio sul tetto della chiesa in cerca di argomenti per dichiarare l'immobile inagibile, e alla fine si è appoggiato a una ringhiera di legno che c'è accanto al campanile... Il legno era marcio, ha ceduto, e Peiìuelas è caduto giù e si è infilzato in un tubo metallico in fase di montaggio come un pollo allo spiedo.» Il vicecommissario aveva smesso di portare a spasso le due dita e sollevò l'indice di una mano come fosse il tubo, facendoci cadere sopra il palmo dell'altra; Quart immaginò che la mano rappresentasse Peiìuelas nelle vesti del pollo. «E successo tutto in presenza di testimoni, e la successiva ispezione non ha riscontrato manomissioni nella ringhiera. Il vicecommissario bevve un altro sorso di birra dalla bottiglia e si asciugò i baffi con il dito su cui si era infilzato l'architetto Peiiuelas. Poi rivolse al sacerdote un sorriso volenteroso. Si erano conosciuti un paio di anni prima, durante la visita del papa. Simeon Navajo era il referente di Quart all'interno della polizia locale, e i due si erano capiti a meraviglia. L'inviato di Roma aveva permesso al vicecommissario di attribuirsi il merito per tutti Pagina 53
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt gli spettacolari colpi messi a segno, compresa l'individuazione del sacerdote nemico del celibato che voleva pugnalare il San- to Padre, e la faccenda del Semtex nascosto nel cesto della biancheria delle suore del Santissimo Sacramento. Navajo ci aveva guadagnato le congratulazioni personali del ministro dell'Interno e di Sua Santità, una foto sulla prima pagina dei giornali e la croce al merito della polizia con distintivo rosso. Da allora nessuno in questura aveva più osato continuare a chiamarlo "Miss Magnum" perché portava il codino. La Magnum, calibro 357, era posata in una vaschetta piena di carte, sul tavolo. Non la metteva quasi mai nella fondina sotto l'ascella, eccetto quando, nel fine settimana, andava a prendere i figli a casa della sua ex moglie. Così, diceva, lei lo rispettava di più. E ai bambini piaceva. Quart si dette un'occhiata intorno. Dietro un pannello di vetro si vedeva la testa di un magrebino con un occhio nero come un funerale. Era seduto davanti a un robusto poliziotto in maniche di camicia che muoveva le labbra con aria poco amichevole, come in un film muto. Sul muro, di qua dal vetro, c'era una foto incorniciata del re, un calendario dove i giorni trascorsi erano stati cancellati con accanimento, un archivio grigio con un adesivo dell'Expo 92 e uno con una foglia di marijuana, un ventilatore, foto di ricercati su un pannello di sughero, un bersaglio con freccette e tutto attorno sulla parete numerosi buchi, e un poster con vari poliziotti statunitensi che davano una ripassata coi fiocchi a un nero sotto la scritta: "Chi ti vuol bene ti farà piangere". «Cosa si sa di padre Urbizu?» chiese Quart. Il vicecommissario si grattò un orecchio e quando alla fine si guardò il dito, parve deluso. «Su per giù è la stessa storia, padre. Stavolta non c'erano testimoni, ma i miei uomini hanno controllato la chiesa centimetro per centimetro. Forse voleva appoggiarsi a un'impalcatura, o l'ha mossa accidentalmente.» Si mise a fare ondeggiare le mani per imitare un ponteggio oscillante, con tanto realismo che si fermò subito, come se gli fossero venute le vertigini. «L'estremità superiore dell'impalcatura ha urtato un grosso pezzo di gesso del cornicione sul soffitto facendolo saltar via; forse era già pericolante e stava su per miracolo, se mi permette l'espressione, sorretto dalla stessa struttura metallica. In ogni modo Urbizu è stato così sfortunato che non appena il ponteggio si è mosso un po', quei dieci chili abbondanti gli sono caduti in testa. Immagino che abbia sentito un rumore, abbia guardato in alto e zac.» Il racconto era accompagnato da un'adeguata mimica, che il vicecommissario concluse rovesciando una mano sul tavolo col palmo rivolto verso l'alto per rappresentare padre Urbizu nel momento di passare a miglior vita. Poi rimase a fissare pensieroso la mano agonizzante, e allungò l'altra verso la bottiglia. «Un altro caso di sfiga» disse, pensieroso, dopo aver terminato la birra. Quart, che aveva tirato fuori un paio di biglietti per prendere appunti, rimase con la stilografica a mezz'aria. «Ma perché è caduta la cornice?» «Dipende.» Navajo guardava con diffidenza i biglietti. Poi iniziò a scuotersi via dalla camicia briciole di tortilla. «Secondo Newton, perché a causa dell'attrazione terrestre e della forza centrifuga di rotazione, qualsiasi oggetto abbandonato a se stesso in prossimità della superficie della Terra acquista un'accelerazione verticale, diretta, sulla testa dei segretari arcivescovili che si alzano con il piede sbagliato» guardò Quart, come per chiedergli se era soddisfatto. «Spero che se lo sia annotato con cura. E poi dicono che la polizia non lavora su basi scientifiche.» Quart afferrò il messaggio. Scoppiò a ridere, mettendo di nuovo via biglietti e stilografica. Il vicecommissario lo osservava con aria innocente. «E secondo lei?» Navajo scrollò le spalle sotto l'ampia camicia rossa. Niente di tutto ciò era importante, né segreto, ma saltava agli occhi che desiderava dare un carattere ufficioso a quel che stava per dire. Una volta stabilito che si trattava di morte accidentale, Nostra Signora delle Lacrime restava una faccenda esclusivamente ecclesiastica. Correvano voci sulle pressioni speculative del Comune e delle banche, e icapìdi Navajo preferivano tenersi in disparte. In fin dei conti, anche se di origine spagnola, sacerdote e vecchio amico del vicecommissario, Quart era l'agente di un paese straniero. «Secondo i nostri esperti» rispose Navajo «la cornice è caduta perché il frammento era già pericolante, come ha dimostrato la successiva perizia. Abbiamo individuato nel muro una sacca di umidità creatasi, nel corso degli anni, in seguito a infiltrazioni nel tetto». «Davvero scartate completamente ogni intervento umano?» Il vice commissario cercò di trattenere un lampo d'ironia. In fin dei conti, era in debito Pagina 54
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt con Quart. «Senta, padre. Qui, nella polizia, non scartiamo al cento per cento neppure che Giuda sia stato assassinato da qualcuno dei suoi undici colleghi, perciò limitiamoci a unfatto. Quando si congedò dal vicecommissario, Quart aveva l'impressione che Vespro avesse esagerato. O forse quel discorso che la chiesa uccideva per difendersi era una versione libera, peculiare e simbolica, della verità pura e semplice. Ma quantificare la capacità di liquidare personaggi fastidiosi che poteva avere, in se stesso o con l'aiuto del caso o della Provvidenza, un cadente edificio vecchio di tre secoli era tutta un'altra storia. Comunque, arrivati a questo punto, il caso non era più di sua competenza, e neppure dello Ior. Gli aspetti conflittuali del sovrannaturale riguardavano un altro settore di specialisti, più vicino alla sinistra confraternita del cardinale Iwaszkiewicz che al rude centurione incarnato da monsignor Spada, nel cui mondo, lo stesso del buon soldato Quart, uno più uno faceva due fin da quando in principio era il Verbo. Diretto in chiesa, era immerso in simili riflessioni quando gli parve di sentire un rumore di passi alle sue spalle mentre si addentrava fra le viuzze strette di Santa Cruz. Fermatosi un paio di volte, non vide niente di sospetto, così proseguì, cercando di tenersi sotto l'esigua ombra che offrivano le grondaie delle case. Il sole picchiava forte a Siviglia, e le facciate bianche e ocra riverberavano il calore come pareti di un forno, facendo sì che la giacca nera gli pesasse sulle spalle come piombo incandescente. Se davvero esisteva l'aldilà, si disse Quart, i sivigliani in peccato mortale si sarebbero sentiti a casa loro: dell'inferno avevano già esperienza per vari mesi all'anno, sulla terra. Quando arrivò nella piazzetta della chiesa, si fermò accanto all'inferriata coi gerani, invidiando il canarino che, all'ombra nella sua gabbia, si bagnava il becco in una vaschetta d'acqua. Non tirava un alito di vento e tutto era immobile: le tende della finestra, le foglie delle piante e degli aranci. Vele nel mare dei Sargassi. Fu un sollievo varcare la soglia di Nostra Signora delle Lacrime. I muri racchiudevano un'oasi d'ombra fresca che odorava di cera e di umidità: proprio quello di cui aveva urgentemente bisogno. Così si fermò a riprendere fiato accanto alla porta, ancora abbagliato dalla luminosità esterna. Li vicino c'era una piccola statua lignea del Nazareno, un torturato Cristo barocco nel cortile del Pretorio dopo un terzo grado: quanti siete, dove tieni l'oro e i denari dei tuoi seguaci, cos'è questa impertinenza di farti chiamare Figlio del Padre, indovina chi ti ha picchiato. Aveva i polsi legati con una corda e grosse gocce di sangue gli scendevano sulla fronte coronata di spine e sollevata verso l'alto nella speranza che qualcuno gli desse una mano e lo tirasse fuori da lì valendosi dell'habeas corpus. Quart non aveva mai avvertito, al contrario della maggior parte dei suoi colleghi, la certezza della parentela divina dell'uomo di cui aveva davanti la statua; neppure in seminario, durante quelli che chiamava i suoi anni di addestramento, quando i professori di teologia smontavano e rimontavano minuziosamente i meccanismi della fede nella mente dei giovani destinati a diventare sacerdoti. «Abba, abba, perché mi hai abbandonato?» era la domanda critica che bisognava evitare a ogni costo. A lui, che era giunto in seminario con quell'interrogativo già formulato e convinto dell'assenza di risposta, la formattazione del dischetto teologico era fallita, ma era un giovane prudente e aveva saputo tacere. Negli anni del tirocinio, per Quart era stata importante la scoperta di una disciplina, di norme secondo le quali riordinare la sua vita, tenendo sotto controllo la certezza del vuoto sperimentato sul frangiflutti davanti al mare, durante la tempesta. Sarebbe anche potuto entrare nell'esercito, in una setta o, come scherzava monsignor Spada che in realtà era serissimo, in un ordine medievale di monaci soldati. All'orfano del pescatore disperso in un naufragio bastavano il suo orgoglio, la sua autodisciplina e un regolamento. novantacinque per cento. In ogni modo è improbabile che qualcuno abbia detto a quel poveretto: senti, aspetta qui un momento, e poi si sia arrampicato sull'impalcatura, abbia sfasciato un pezzo di cornicione e glielo abbia sbattuto addosso, fiuuuuu, mentre il tizio guardava in su.» Le dita del vicecommissario si erano arrampicate sull'impalcatura, erano ridiscese sotto forma di oggetto contundente, e adesso, come era da aspettarsi, giacevano inerti sul tavolo in attesa del medico legale. «Succede così soltanto nei cartoni animati.» Contemplò di nuovo la statua. In ogni caso quel Nazareno aveva fegato. Nessuno Pagina 55
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt doveva vergognarsi di inalberare la sua croce come bandiera. Spesso provava nostalgia per l'altra specie di fede, o anche solo della fede e basta, quando uomini neri per la polvere e il sole sotto un'armatura gridavano il nome di Dio e si lanciavano in combattimento spinti dalla speranza di farsi strada a fendenti verso il Cielo e la vita eterna. Vivere e morire era più facile e il mondo era molto più semplice, qualche secolo prima. Si fece meccanicamente il segno della croce. Intorno al Cristo, protetto da un'urna di vetro, erano appesi una cinquantina di polverosi ex voto: mani, gambe, occhi, corpi di bambini in ottone e cera, trecce di capelli, lettere, nastri, biglietti e targhe che ringraziavano per una guarigione o per un rimedio. C'era addirittura una vecchia medaglia militare della guerra d'Africa legata assieme ai fiori secchi di un mazzolino da sposa. Come ogni volta che si trovava davanti simili prove di devozione, Quart si chiese quante angosce, quante notti in bianco accanto al letto di un malato, quante preghiere, storie di dolore, di speranza, di morte e vita, erano racchiuse in ciascuno di quegli oggetti che, a differenza di altri parroci più al passo con i tempi, don Priamo Ferro conservava accanto al Nazareno nella sua piccola chiesa. Era la religione di una volta, quella di sempre, del sacerdote con la tonaca e il latino, imprescindibile intermediario fra l'uomo e i grandi misteri. La chiesa della consolazione e della fede, quando le cattedrali, le vetrate gotiche, i retablo barocchi, le statue e i dipinti che mostravano la gloria di Dio compivano la missione svolta adesso dagli schermi del televisore: tranquillizzare l'uomo davanti all'orrore della sua solitudine, della morte e del vuoto. «Salve» disse Gris Marsala. Era scivolata fino a lui dai tubi di un'impalcatura e ora lo guardava, in attesa, con le mani nelle tasche posteriori dei jeans. Indossava gli stessi abiti macchiati di gesso della volta precedente. «Non mi aveva detto che era una monaca» la rimproverò Quart. La donna soffocò un sorriso, toccandosi i capelli grigi, che continuava a portare legati in una corta treccia. «E vero. Ha ragione.» Gli occhi chiari e amichevoli lo studiarono da capo a piedi, come se cercassero una conferma. «Credevo che un sacerdote sarebbe stato capace di capirlo da sé senza l'aiuto di nessuno.» «Sono un sacerdote molto ottuso. ' Ci fu un breve silenzio. Gris Marsala sorrideva. «Bè. non è quello che dicono di lei.» «A chi si riferisce?» «Lo sa: arcivescovi, parroci infuriati.» L'accento americano si faceva più pesante fra tante erre e doppie erre. «Belle donne che la invitano a cena.» Quart scoppiò a ridere. «Come fa a saperlo? E impossibile.» «Perché? Esiste un'invenzione chiamata telefono. Una lo prende in mano e parla. Macarena Bruner è mia amica.» «Strana amicizia. Una monaca e la moglie di un banchiere che scandalizza Siviglia... Gris Marsala lo guardò con durezza. «Non è affatto divertente.» Si era girata, il viso teso; lui scosse il capo, conciliante, sicuro di essersi spinto troppo oltre. Al di là del puro interesse tattico, avvertiva l'ingiustizia della sua riflessione. Non giudicate e non sarete giudicati. «Ha ragione. Scusi.» Allontanò lo sguardo. A disagio, preoccupato per il passo falso, tentava di chiarire i motivi della sua impertinenza. I riflessi di miele e la collana d'avorio sulla pelle di Macarena Bruner gli tornavano nella memoria, inquietanti. Affrontò di nuovo Gris Marsala. Ora non sembrava arrabbiata, ma dispiaciuta. «Non la conosce come me.» «Certo.» Quart annuì, per scusarsi, e fece qualche passo in cerca di una tregua. Si addentrò così nella navata per osservare ancora una volta le impalcature contro i muri, la maggior parte delle panche spostate in un angolo, i dipinti anneriti del soffitto. In fondo, accanto al retablo in penombra, brillava la lampada del Santissimo. «Lei cosa c'entra con tutto questo?» «Gliel'hò detto: lavoro qui. Sono davvero un architetto specializzato in restauri. Laureata. Università di Los Angeles e di Siviglia.» I passi di Quart risuonavano nella navata. Gris Marsala camminò al suo fianco, silenziosa con le sue scarpe da tennis. Fra le macchie di umidità e di fumo che annerivano la volta spuntavano resti di dipinti: le ali di un angelo, la barba di un profeta. «Sono persi per sempre» spiegò la donna. «Ormai è impossibile restaurarli.» Quart guardava la crepa che fendeva la fronte di un cherubino come un colpo d'ascia. «E vero che la chiesa sta crollando?» Gris Marsala fece un cenno spazientito. Sembrava aver sentito la domanda troppe volte. «E quello che dicono il Comune, la banca e l'arcivescovado per giustificarne la demolizione.» Alzò una mano, indicando con il gesto tutta la navata. Pagina 56
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «L'edificio è malridotto e negli ultimi centocinquant'anni nessuno se ne è preso cura, ma la struttura è ancora solida. Non ci sono crepe irreversibili né nei muri né nella volta.» «Ma a padre Urbizu» obiettò Quart «è caduto addosso un pezzo di soffitto.» «Sì. E successo là, vede?» La donna indicava una piccola lesione di quasi un metro nel cornicione che girava attorno alla navata a dieci metri d'altezza. «Quel frammento di gesso dorato che manca sopra il pulpito. Un caso sfortunato.» «Il secondo caso sfortunato.» «L'architetto del Comune è caduto dal tetto per conto suo. Nessuno gli aveva detto che poteva salìrci.» Considerato che si trattava di una monaca, il tono di Gris Marsala suonava poco pietoso nei confronti dei defunti. Se l'erano voluta, sembrava essere il messaggio implicito. Quart soffocò il sarcasmo, chiedendosi se anche lei otteneva l'assoluzione da padre Ferro. Poche volte si trovavano greggi così fedeli al loro pastore. «Immagini» Quart guardava le impalcature, sospettoso «di non aver nulla a che vedere con questa chiesa, e io vengo e le dico: salve, buongiorno, mi sottoponga la relazione tecnica.» La risposta arrivò immediatamente, senza la minima esitazione. «Vecchia e trascurata, ma non in rovina. Quasi tutti i danni sono nei rivestimenti, per le cattive condizioni della copertura che ha permesso l'infiltrazione d'umidità. Ma il problema lo abbiamo già risolto risistemando il tetto con calce, cemento e sabbia; quasi dieci tonnellate di materiale sollevate a quindici metri di altezza, con queste mani» Gris Marsala le agitava davanti a Quart, coperte di calli, robuste, con le unghie corte, spezzate, sporche di gesso e di vernice «e con quelle di padre Oscar. Alla sua età, don Priamo non è più in grado di girare sui tetti. «E il resto dell'edificio?» La monaca si strinse nelle spalle. «Può resistere se riusciamo a terminare i lavori essenziali. Una volta eliminate le infiltrazioni d'acqua, bisognerebbe rinforzare le travi di legno, che in alcuni punti sono marce per i tarli o per l'umidità. L'ideale sarebbe sostituirle, ma ci mancano i finanziamenti.» Con il pollice e l'indice mimò il gesto di contare soldi e lo concluse con un sospiro scoraggiato. «Questo per quanto concerne la struttura dell'edificio. Per l'aspetto ornamentale, invece, si tratta di restaurare a poco a poco le parti più danneggiate. Per le vetrate, ad esempio, ho trovato il modo. Un amico chimico che lavora in una vetreria artigianale si è impegnato a fabbricare gratis pezzi colorati per sostituire quelli perduti. Il procedimento è lento, perché a parte la fabbricazione dobbiamo ripristinare l'impiombatura. Ma non c'è fretta.» «Davvero non c'è?» «No, se riusciamo a vincere la battaglia.» Quart la guardò con interesse. «Sembra una questione personale.» «E una questione personale» ammise lei con semplicità. «Sono rimasta qui apposta. Sono venuta a Siviglia per risolvere alcuni problemi, e in questo posto ho trovato la soluzione.» «Problemi professionali?» «Si. Una crisi, suppongo. Succede di tanto in tanto. Lei ha già avuto la sua?» Quart scosse il capo, cortese, pensando ad altro. Devo chiedere la sua scheda a Roma, si annotava mentalmente. Quanto prima. «Stavamo parlando di lei, sorella Marsala.» Gli occhi chiari si socchiusero fra le rughe intorno alle palpebre. Nessuno avrebbe potuto giurare che si trattava proprio di un sorriso. «E sempre così riservato, o è una posa?... A proposito, mi chiami Gris. Altrimenti suona ridicolo, visto il mio aspetto. Ma le stavo dicendo che sono venuta qui per mettere ordine nel cuore e nella testa, e ho trovato la risposta in questa chiesa.» « Quale risposta?» «Quella che tutti andiamo cercando. Una causa, suppongo. Qualcosa in cui credere e per cui lottare.» Rimase muta qualche istante e poi, a voce leggermente più bassa, aggiunse: «Una fede». «Quella di padre Ferro.» Lo fissò di nuovo in silenzio. La treccia grigia si era un po'"disfatta e lei la prese fra le dita e intrecciò di nuovo i capelli senza staccare gli occhi da Quart. «Ognuno ha la sua fede» disse alla fine. «E la fede è molto importante in questo secolo che agonizza così dolorosamente, non le pare?... Sono state tentate tutte le rivoluzioni e sono rimaste solo le sconfitte. Le barricate sono deserte, e i paladini delle solidarietà si sono trasformati in solitari che si aggrappano a ciò che possono per sopravvivere.» Gli occhi chiari lo osservarono, inquisitori. «Non si è mai sentito come uno di quei pedoni rimasti indietro, abbandonati in un angolo della scacchiera, che odono spegnersi il rumore della battaglia mentre si sforzano di restare in piedi, chiedendosi se c'è ancora un re da continuare a servire?» Visitarono la chiesa. Gris Marsala mostrò a Quart l'unico dipinto di valore: un'Immacolata Concezione attribuita senza troppa certezza a Murillo, che vigilava l'ingresso della sacrestia dalla navata, accanto al confessionale. Poi si avvicinarono alla Pagina 57
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt cripta, protetta da una cancellata di ferro su gradini di marmo che si perdevano nell'oscurità, e la donna spiegò che chiese piccole come quella di solito ne erano prive. Ma Nostra Signora delle Lacrime godeva di un privilegio speciale. Vi riposavano quattordici duchi del Nuevo Extremo, compresi quelli deceduti prima della costruzione della chiesa. A partire dal 1865 la cripta era caduta in disuso, e le sepolture erano state effettuate nella cappella di famiglia, nel cimitero di San Fernando. L'unica eccezione era stata Carlota Brunen «Come ha detto?» Quart aveva appoggiato una mano sull'arco d'ingresso alla cripta, ornato da un teschio su due tibie. Il freddo della pietra gli gelava il sangue nel polso. Gris Marsala si voltò, sorpresa dal tono incredulo del sacerdote. «Carlota Bruner» ripeté, ancora confusa. «La prozia di Macarena. E morta agli inizi del secolo ed è stata sepolta in questa cripta.» «Possiamo vedere la tomba?» C'era un'ansia malcelata nel tono di voce di Quart. La donna continuava a osservarlo, stupita. «Certo.» Andò a prendere un mazzo di chiavi in sacrestia, e dopo aver aperto il catenaccio del cancello girò un antiquato interruttore di porcellana. Una lampadina da pochi watt, coperta di polvere, illuminò la scala. Quart chinò il capo, per la breve discesa. Si ritrovò in un piccolo locale a pianta quadrata, con i muri coperti da lapidi mortuarie disposte su tre ordini. I muri di mattoni mostravano grandi macchie bianche e nere di umidità, e nell'aria fluttuava un odore di muffa e di chiuso. Una delle pareti ostentava, scolpito nel marmo, uno stemma con il motto: Oderint dum probent, che mi odino purché mi rispettino, tradusse fra sé, interrotto da una croce nera. «Quattordici duchi» ripeté Gris Marsala al suo fianco. Parlava con voce involontariamente bassa, come se il luogo la intimidisse. Quart guardò le iscrizioni delle lapidi. La più antica portava le date 1472- 1551: Rodrigo Bruner de Lebrija, conquistatore e soldato cristiano, primo duca del Nuevo Extremo. La più recente si trovava accanto alla porta, fra due loculi vuoti, ed era l'unica a portare un nome di donna in quel luogo riservato a esploratori, politici e guerrieri: CARLOTA vI ORìA AMELIA BRUNER DE LEBRIJA MONCADA 1872 - 1910 RIPOSA NELLA PACE DEL SIGNORE Quart passò le dita sul rilievo del nome scolpito nel marmo. Ne era assolutamente certo: aveva in tasca una cartolina scritta un secolo addietro da quella donna, dieci o dodici anni prima della sua morte. Come se avesse introdotto un tassello nel punto giusto, personaggi e fatti sparsi iniziavano a ricollegarsi fra loro. E al centro, come crocevia comune, c'era quella chiesa. «Chi era il capitano Xaloc?» Gris Marsala osservava le dita di Quart, immobili sul nome Carlota. Sembrava un po'"sconcertata. «Manuel Xaloc era un marinaio sivigliano che emigrò in America nell'ultimo decennio del secolo scorso. Fu corsaro nelle Antille prima di scomparire in mare durante la guerra del 1898 fra Spagna e Stati Uniti.» "Qui prego per te ogni giorno" rilesse mentalmente Quart. "E aspetto che ritorni." «Quali furono i suoi rapporti con Carlota Bruner?» «Lei impazzì per lui. O per la sua assenza.» «Incredibile.» «Proprio così.» La donna era ancora incuriosita dall'interesse di Quart. «Credeva che succedesse solo nei romanzi?... Fu una di quelle storie da feuilleton romantico, la cui unica originalità è la mancanza di un lieto fine: una giovanissima aristocratica si ribella ai suoi genitori e un giovane marinaio emigra in cerca di fortuna. L'aristocrazia andalusa si oppone, fa ostruzionismo, le lettere non arrivano. E una donna si consuma alla finestra, con il cuore in gola davanti a ogni veliero che va e viene sul Guadalquivir.» Ora fu Gris Marsala a toccare la lapide, ritirando subito la mano. «Non riuscì a sopportare e impazzì.» "Nel luogo sacro del tuo giuramento e della mia felicità" concluse Quart fra sé e sé. All'improvviso voleva trovarsi fuori da lì, alla luce di un sole che cancellasse le parole, i giuramenti e i fantasmi che era venuto a turbare in quella cripta. «Si rividero mai?» «Sì. Nel 1898, poco prima che Scoppiasse il conflitto a Cuba. Ma lei non lo riconobbe. Ormai non era più in grado di riconoscere nessuno.» «E lui cosa fece?» Gli occhi chiari della donna sembravano contemplare un mare calmo, grigio come il suo nome . «Tornò all'Avana, giusto in tempo per prendere parte alla guerra. Ma prima lasciò qui la controdote che le aveva portato. Le venti perle che sfoggia la Vergine delle Lacrime sono quelle che Manuel Xaloc aveva raccolto per la collana che doveva indossare Carlota il giorno delle nozze» guardò la lapide per l'ultima volta. «Lei aveva sempre desiderato sposarsi in questa chiesa.» Uscirono dalla cripta. Gris Marsala chiuse il cancello di ferro Pagina 58
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt e accese la luce dell'altare maggiore perché Quart potesse vedere meglio la statua della Vergine delle Lacrime. In petto aveva un cuore trafitto da sette pugnali, e le venti perle del capitano Xaloc brillavano sul suo volto, sulla corona di stelle e sull'azzurro del manto. «Una cosa non capisco» commentò Quart, pensando all'assenza di timbri sulla cartolina postale. «Lei, un attimo fa, ha parlato di lettere che non arrivavano. Ma durante quegli anni di separazione Manuel Xaloc e Carlota Bruner devono aver intrattenuto una corrispondenza... Cosa accadde?» Gris Marsala sorrideva, triste e distante. Ricordare quella storia sembrava non rallegrarla. «Mi ha detto Macarena che stasera cenerete assieme. Può chiederlo a lei. Nessuno conosce meglio di Macarena la tragedia di Carlota Bruner.» Spense la luce, e il retablo fu di nuovo coperto dall'ombra. Dopo che Gris Marsala fu tornata alle sue impalcature, Quart uscì passando dalla sacrestia. Ne approfittò per dare un'occhiata. A una parete era appesa una tela molto scura e rovinata: un'Annunciazione di autore anonimo. C'era anche una malridotta statua lignea di san Giuseppe con il Bambino, un crocifisso, due ammaccati candelabri di ottone, un enorme cassettone di mogano e un armadio. Rimase immobile al centro della stanza, guardandosi attorno, e poi aprì a caso alcuni cassetti del comò. Trovò messali, oggetti liturgici e paramenti sacri. L'armadio conteneva un paio di calici, un ciborio, un'antica pisside di ottone dorato, mezza dozzina di pianete e un vecchissimo piviale ricamato in oro. Quart richiuse senza toccare nulla. Quella parrocchia era tutt'altro che prospera. La sacrestia aveva due porte. Una conduceva in chiesa attraverso la piccola cappella del confessionale dalla quale era entrato Quart. L'altra portava in strada, nella piazza, attraverso un angusto vestibolo che serviva anche da ingresso all'abitazione del parroco. Quart osservò la scala con la ringhiera di ferro che salìva fino al pianerottolo illuminato da una finestrella, e guardò l'orologio. Sapeva che in quel momento don Priamo Ferro e padre Oscar si trovavano in un ufficio dell'arcivescovado, convocati dal vicario della loro zona per una riunione burocratica opportunamente suggerita dallo stesso Quart. Se tutto andava liscio, aveva a disposizione un'altra mezz'ora. salì lentamente i gradini di legno della scala scricchiolante. La porta sul pianerottolo era chiusa, ma rientrava nei suoi compiti superare anche simili inconvenienti. Quanto a serrature, la più difficile della sua carriera era stata la combinazione di lettere e numeri dell'abitazione di un vescovo di Dublino; aveva dovuto scoprirla sul posto, davanti alla porta, alla luce di una torcia Maglite, con l'aiuto di uno scanner collegato al suo computer portatile. Dopodiché il vescovo, un tipo rubicondo dai capelli rossi di nome Mulcahy, era stato chiamato con urgenza a Roma, dove il suo bel colorito vivace aveva ceduto il posto a un pallore mortale quando un monsignor Spada per nulla gioviale gli aveva mostrato una copia fotografica di tutta la corrispondenza intrattenuta dal prelato con gli attivisti dell'Esercito Repubblicano Irlandese: lettere che aveva commesso l'imprudenza di conservare, in ordine di tempo, dietro i tomi della Summa theologiae allineati nella sua biblioteca. L'avvertimento servì a ispirare prudenza al fervore nazionalista di monsignor Mulcahy, e a convincere i gruppi speciali del SAS britannico che non era necessario procedere drasticamente alla sua eliminazione fisica. Secondo le informazioni confidenziali ottenute dallo Ior in cambio di diecimila sterline a carico dei fondi segreti della Segreteria di Stato, l'azione era prevista durante una visita a breve del prelato dublinese al suo collega, il vescovo di Londonderry e gli inglesi ne avrebbero astutamente fatto ricadere la responsabilità sui gruppi paramilitari unionisti dell'Ulster. La serratura di don Priamo Ferro non presentava tante difficoltà. Era un modello antiquato, convenzionale. Dopo un breve esame, Quart estrasse dal portafoglio una sottile lamina di acciaio, un po'"più stretta di una lima per unghie, e la infilò dentro aiutandosi con una piccola chiave Allen scelta da un mazzo che portava in tasca. La mosse dolcemente, senza forzare, finché sentì fra le dita il lieve clic dei denti che cedevano. Allora la girò in modo da far scorrere il chiavistello e la porta si aprì. Si avviò nel corridoio, studiando l'appartamento. Era un abitazione umile con due camere, una cucina, un bagno e un piccolo soggiorno. Quart iniziò da quest'ultimo, ma non riuscì a trovare nulla di interessante, eccetto una fotografia in un cassetto della credenza. Era un'istantanea di cattiva qualità. Era stata scattata in un patio andaluso: il pavimento era a mosaico e si vedevano vasi con fiori e piante e una fontana di marmo con azulejos. Pagina 59
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Don Priamo Ferro, con la sua immancabile tonaca nera lunga fino ai piedi, era seduto a un tavolinetto basso davanti a una colazione, o una merenda. Gli tenevano compagnia due donne: una vecchia signora, vestita in abiti chiari, estivi, un po'"passati di moda. L'altra era Macarena Bruner, e tutti e tre sorridevano all'obiettivo. Era la prima volta che Quart vedeva sorridere padre Ferro, e gli parve una persona diversa da quella che aveva conosciuto in chiesa e nello studio dell'arcivescovo. Ora la sua era un'espressione tenera e triste, che gli ringiovaniva i lineamenti segnati da cicatrici, addolcendo la durezza degli occhi neri e del mento ostinato, sempre bisognoso di una buona rasatura. Sembrava un altro uomo, più innocente. Più umano. Prima di chiudere il cassetto Quart si infilò la foto in tasca. Poi si avvicinò alla macchina da scrivere portatile su un tavolinetto, aprì la custodia e dette un'occhiata alla carta. Per riflesso professionale, mise un foglio nel rullo e premette vari tasti in modo da avere un campione dei caratteri, qualora dovesse prima o poi controllare la provenienza di un dattiloscritto. Si infilò il foglio piegato nella stessa tasca della fotografia. Dette un'occhiata ai libri sulla credenza, una ventina, per vedere se nascondevano qualcosa dietro. Erano di argomento religioso, torni logorati dall'uso con la liturgia delle ore, un'edizione del Catechismo del 1992, due volumi di citazioni latine, il Dizionario della storia ecclesiastica spagnola, la Storia della filosofia di Urdanoz, e la Storia degli eterodossi spagnoli di Menéndez Pelayo in tre torni. Non era il genere di libri che Quart si aspettava, e fu sorpreso dal trovare anche vari titoli di astronomia che sfogliò con curiosità, senza scoprirvi nulla di significativo. Il resto era privo di interesse, salvo forse l'unico romanzo che vide: una vecchissima e rovinata edizione economica dell'Avvocato del Diavolo Quart trovava detestabile Morris West e i suoi tormentati preti da best seller - con un paragrafo segnato a penna a pagina ventinove: Ci siamo allontanati per molto tempo dal nostro dovere di pastori. Abbiamo perso il contatto con le persone che ci tengono in contatto con Dio. Abbiamo ridotto la fede a un concetto intellettuale, a un arido consenso della volontà, perché non l'abbiamo vista agire nella vita della gente comune. Abbiamo perso la compassione e il timore reverente. Lavoriamo seguendo canoni, non secondo la carità. Rimise il romanzo al suo posto e controllò il telefono. Si trattava di un attacco fisso, antiquato. Niente a cui potesse essere collegato un computer Uscì dal soggiorno lasciando la porta come l'aveva trovata, aperta a formare un angolo di quarantacinque gradi, percorse il corridoio fino a quella che riconobbe come la camera di padre Ferro. C'era odore di chiuso e di solitudine clericale. Era una stanza semplice, con una finestra che si aprìva sulla piazza, ammobiliata con un letto di metallo sotto un crocifisso appeso al muro e un armadio con lo specchio. Nel comodino trovò un libro di preghiere, un paio di pantofole vecchissime e un vaso da notte di porcellana che gli strappò un sorriso. Nell'armadio c'era un vestito scuro, un'altra tonaca in condizioni non migliori di quella di tutti i giorni, alcune camicie ecapi di biancheria intima. Trovò a stento altri oggetti personali, eccetto una cornice di legno con una fotografia ingiallita dove una coppia, uomo e donna, di aspetto contadino e in abiti domenicali, posavano accanto a un sacerdote nel quale, nonostante i capelli neri e la giovanile gravità del volto, Quart riconobbe senza difficoltà il parroco di Nostra Signora delle Lacrime. La foto era molto vecchia e aveva una macchia in un angolo. Scattata almeno quarant'anni prima, calcolò basandosi sull'aspetto di padre Ferro: il mento e gli occhi mostravano tutto il loro vigore. E lo sguardo orgoglioso e solenne dell'uomo e della donna, sulle cui spalle appoggiava le mani il giovane religioso, lasciava supporre che l'istantanea celebrasse una recente ordinazione. L'altra camera da letto era senza dubbio di Oscar Lobato. Sulla parete c'era una litografia di Gerusalemme vista dall'Orto degli Ulivi e un manifesto del film Easy rider con Peter Fonda e Dennis Mopper in sella alle loro motociclette. In un angolo, Quart scorse anche una racchetta da tennis e scarpe da ginnastica. Il comodino e l'armadio non contenevano niente di interessante, così concentrò le sue ricerche sul tavolo contro la parete, accanto alla finestra. Trovò diverse carte, libri di teologia e di storia della chiesa, la Morale di Royo Marin, la Patrologia di Mtaner e i cinque volumi del Mysterium Salutis, il lungo saggio Clerici di Eugen Drewermann, una scacchiera elettronica, una guida turistica della Città del Vaticano, una scatoletta di antistaminici Pagina 60
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt e un vecchio libro di avventure di Tintin, Lo scettro di Ottokar. E in un cassetto, in premio alla pazienza di Quart, venti cartelle su San Giovanni della Croce stampate a computer in caratteri Courier New, e cinque contenitori di plastica con una dozzina di dischetti da 3,5" ciascuno. Poteva essere Vespro e poteva non esserlo. Da un certo punto di vista era poco, e dall'altro troppo. Scarso come prova ed eccessivo come materiale da controllare sul posto, concluse Quart seccato mentre esaminava il contenuto delle scatole. Controllare tutto richiedeva parecchio tempo e l'occasione giusta, ma a lui mancavano entrambi. Avrebbe dovuto ingegnarsi per poter tornare di nuovo lì e copiare tutti i dischetti sul disco rigido del suo portatile, in modo da controllarli in seguito, con calma, in cerca di indizi. Fare le copie poteva richiedere più di un'ora, oltre alla difficoltà di allontanare di nuovo i due sacerdoti per il tempo necessario. Il caldo filtrava attraverso le tende, facendo sudare Quart sotto la leggera giacca di alpaca nera. Prese un fazzolettino di carta per asciugarsi la fronte, poi lo appallottolò e se lo infilò in tasca. Rimise a posto i dischetti e chiuse il cassetto, chiedendosi dove si trovasse l'attrezzatura informatica con cui padre Oscar utilizzava quella roba, Chiunque fosse il pirata, aveva bisogno di un computer molto potente, collegato a una linea telefonica di facile accesso, oltre all'equipaggiamento complementare. Ci sarebbero voluti spazi e installazioni tecniche del tutto impensabili in quella casa. Oscar Lobato, o chiunque altro, di certo non agiva da lì. Quart si guardò attorno indeciso. Era ora di andarsene. E in quel momento, proprio mentre tirava indietro il polsino sinistro della camicia per guardare l'orologio, sentìscricchiolare i gradini della scala. Allora capì che i problemi stavano per iniziare. Celestino Peregil riappese il ricevitore e fissò il telefono, pensieroso. Da un bar vicino alla chiesa, don Ibrahim gli aveva appena fatto l'ultimo rapporto sui movimenti di tutti i vari personaggi della storia. L'ex falso avvocato e i suoi seguaci stavano prendendo l'incarico molto alla lettera. Troppo, secondo Peregil, un po'"stufo di ricevere telefonate ogni mezz ora per essere informato che il tal prete aveva comprato dei giornali nel chiosco di Curro, o che il tal altro sacerdote era seduto nel bar Laredo a prendere il fresco. Fino a quel momento, l'unica informazione realmente preziosa si riferiva a un colloquio intercorso fra Macarena Bruner e l'inviato di Roma nell'hotel Doiia Maria, particolare che Peregil aveva accolto all'inizio con incredulità e poi con una sorta di soddisfazione colma di aspettativa. Quel genere di faccende si rivelava sempre un asso nella manica. E a proposito di gioco. Nelle ultime ventiquattr'ore il tappeto verde gli aveva complicato un altro po'"la vita. Dopo aver anticipato centomila pesetas a don Ibrahim e ai suoi compari come acconto sui tre milioni promessi per il lavoro, l'assistente di Pencho Gavira era caduto nella tentazione di utilizzare i restanti due milioni e novecentomila per rimettere in sesto la sua critica situazione finanziaria. Era stato un colpo di testa, una di quelle sensazioni che si presentano all'improvviso assieme all'intuizione, pericolosa, che certi giorni sono diversi dagli altri, e che quello era uno di loro. Inoltre c'era un certo fatalismo arabo nel sangue andaluso di Peregil. La fortuna non passa mai due volte dalla stessa porta se nessuno le dice hai gli occhi neri, questo era l'unico consiglio che gli aveva dato suo padre da bambino, esattamente il giorno prima di scendere a comprare le sigarette e di fuggire con la salumaia del negozio all'angolo. Così, nonostante fosse certo di camminare sull'orlo dell'abisso, all'improvviso capì, mentre mangiava qualche stuzzichino al bancone di un bar; che se non avesse seguito quel presentimento, l'angoscia perciò che sarebbe potuto accadere e non era accaduto lo avrebbe tormentato tutta la vita. Perché il tirapiedi dell'uomo simbolo del Banco Cartujano poteva essere tante cose: una canaglia, uno che si vergognava della sua calvizie, un imbroglione capace di vendere l'anziana madre, il capo o la moglie del capo per una cartella della tombola, ma gli bastava immaginare il rumore di una pallina che girava in senso contrario alla roulette per diventare una tigre. Così stavano le cose. Quella sera stessa, Peregil si era messo una camicia pulita e una cravatta con crisantemi rossi e viola, e se n'era andato al casinò come chi si imbarca alla volta di Troia. Fu lì lì per riuscire nel suo intento, e questo la dice lunga sul suo intuito da habitué del tappeto verde. Ma non ci fu nulla da fare. E come sosteneva Seneca, quando non c'è nulla da fare non c'è nulla da fare, è impossibile e basta. I due milioni e novecentomila, forse Seneca non l'aveva detto, seguirono la strada degli altri tre. Così le finanze di Celestino Peregil Pagina 61
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt erano rimaste completamente all'asciutto, e i fantasmi del Gitano Mairena e del Pollo Muelas lo perseguitavano come la sua sfortuna. Si alzò in piedi, inquieto, e fece qualche passo nel suo angusto ufficio invaso da fotocopiatrici e da carte, due piani sotto il suo capo, con vista sull'Arenal e sul Guadalquivir. Vedeva la Torre dell'Oro, il ponte di San Telmo e le coppiette che passeggiavano lungo il fiume, fra i tavoli all'aperto dei bar. Benché fosse in maniche di camicia e avesse acceso l'aria condizionata, respirava a fatica oppresso da un caldo fastidioso; allora andò a prendere la bottiglia, mise del ghiaccio in un bicchiere e bevve tre dita di whisky tutte di un fiato. Si chiedeva, visto come andavano le cose, per quanto tempo avrebbe potuto osservare quel panorama. Una tentazione gli girava nella testa. Nulla di definito, ma, a prima vista, offriva qualche possibilità di ottenere respiro sotto forma di liquidità. Significava mettersi di nuovo a scherzare con il fuoco, ma è anche vero che non gli restava molta scelta. L'importante era che Pencho Gavira non scoprisse che la sua guardia del corpo e scagnozzo prediletto giocava con due mazzi. Fatta trapelare in modo discreto, quella storia poteva continuare a fruttare denaro. Dopo tutto, il prete alto era molto più fotogenico di Curro Maestral. Mentre rimuginava senza fretta sull'idea, Peregil si avvicinò al tavolo in cerca dell'agenda, e il suo indice si fermò sul numero di telefono che aveva già composto un paio di altre volte. Dopo un attimo chiuse la rubrica di scatto, come se stesse lottando contro i cattivi pensieri. Sei un topo di fogna, si rimproverò con un'onestà insolita in un individuo del genere. Ma non era la sua indole morale a tormentare l'ex investigatore privato, agitato dallo stato catalettico delle sue finanze personali. Il turbamento proveniva da una fastidiosa certezza: i rimedi, se se ne abusa, a volte uccidono. Ma uccidevano anche i debiti, soprattutto quelli contratti con l'usuraio più pericoloso di Siviglia. Così, dopo averci pensato e ripensato, aprì di nuovo l'agenda e cercò ancora una volta il numero di telefono della rivista Q+S. Dalla padella nella brace. Una volta qualcuno aveva detto che tradire era semplicemente un problema di giorni, ma nel mondo di Peregil poteva essere questione anche solo di ore. Inoltre, tradire era un verbo troppo solenne. Lui si limitava a sopravvivere. «Cosa ci fa lei qui?» All'arcivescovado non erano stati capaci di trattenere padre Oscar per tutto il tempo necessario. Era nel corridoio e gli bloccava il passo con faccia molto poco amichevole. Quart gli rivolse un sorriso freddo che dissimulava appena il suo sconcerto e il suo fastidio. «Davo un'occhiata.» «Così pare.» Oscar Lobato annuì più volte, come se stesse rispondendo da solo alle sue domande. Indossava una polo nera, pantaloni grigi e scarpe sportive. Non era affatto un giovane robusto. Aveva un colorito pallido, anche se ora appariva arrossato dallo sforzo di salìre di corsa. Era alquanto più basso di Quart, e aveva l'aspetto - ventisei anni, secondo la scheda - di chi dedica più tempo allo studio e alla vita sedentaria che all'esercizio fisico. Ma sembrava furioso, e Quart non sottovalutava mai le reazioni di un uomo in preda all'ira, chiaramente leggibile nei suoi occhi: lo sguardo sperduto dietro le lenti degli occhiali, su cui ricadeva un ciuffo spettinato di capelli biondi. E i pugni stretti. Non c'erano parole che potessero risolvere la situazione, così Quart alzò una mano invitandolo alla calma, poi fece un gesto per chiedere il passaggio mentre si spostava dilato come se volesse andarsene per lo stretto corridoio. allora padre Oscar si spostò verso sinistra, tagliandogli la strada, e l'inviato di Roma capì che l'incidente stava per avere conseguenze più gravi del previsto. «Non sia stupido» disse, slacciandosi il bottone della giacca. Non aveva ancora finito di parlare che arrivò il colpo. Fu un pugno sferrato alla cieca, rabbioso, assolutamente privo di mansuetudine sacerdotale; Quart l'aveva visto arrivare e lo mandò a vuoto con un precipitoso passo indietro. «Ma è assurdo» protestò. Era vero. Prendersela tanto non aveva alcun senso. Allora Quart sollevò le mani per placare gli animi, ma la rabbia traboccava dal volto e dagli occhi del suo avversario, che gli sferrò un secondo cazzotto. Stavolta lo colpi di sfuggita alla mascella. Era un destro senza forza, assestato quasi a caso, ma sufficiente a irritare Quart. Forse il vicario pensava che nella vita reale la gente si picchiasse come al cinema. Non che Quart fosse un esperto nel fare a botte nei corridoi, ma nell'esercizio delle sue funzioni aveva acquistato un certo numero di competenze eterodosse. Niente di spettacolare, solo una mezza dozzina di trucchi per cavarsela nelle brutte situazioni. Così, non senza una certa tenerezza per quel giovane dal volto paonazzo e dal fiato corto, finse Pagina 62
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt di appoggiarsi al muro e gli tirò un calcio all'inguine. Padre Oscar si fermò di botto, la sorpresa dipinta sul volto. Quart, sapendo che sarebbero passati cinque secondi prima che il calcio facesse completamente effetto, gli sferrò un pugno dietro l'orecchio, non molto forte, solo per evitare qualche reazione dell'ultimo momento. Un istante dopo il vicario era in ginocchio per terra, con la testa e la spalla destra contro la parete. Guardava fisso gli occhiali che gli erano caduti sul pavimento, ancora intatti. «Mi dispiace» disse Quart, massaggiandosi le nocche indolenzite. Era sincero. Gli dispiaceva davvero e si vergognava per non essere riuscito a evitare quella sciocchezza. Due sacerdoti che si picchiavano come bifolchi era una cosa del tutto ingiustificabile, e la gioventù dell'avversario non faceva che accrescere il suo imbarazzo. Padre Oscar; paonazzo e immobile, boccheggiava inspirando con difficoltà l'aria che gli mancava nei polmoni. Gli occhi miopi, umiliati, continuavano a fissare, senza vederli, gli occhiali sulle piastrelle del pavimento. Quart si chinò a raccoglierli e glieli mise in mano, Poi gli passò un braccio sotto l'ascella, aiutandolo ad alzarsi. Raggiunsero il piccolo soggiorno, dove il vicario, ancora piegato in due dal dolore, si lasciò cadere in una poltrona di pelle sintetica, su un mucchio di copie della rivista Vita Nuova che caddero a terra o gli rimasero spiegazzate sotto le gambe. Quart prese in cucina un bicchier d'acqua che il giovane bevve d'un fiato. Si era infilato gli occhiali, su una delle lenti era impressa un'enorme impronta digitale. Aveva i capelli biondi incollati alla fronte da gocce di sudore. «Mi dispiace» ripeté Quart. Con lo sguardo fisso nel vuoto, il vicario annuì debolmente. Poi sollevò una mano per scostarsi i capelli dalla fronte e la lasciò li, come se cercasse di schiarirsi la mente. Gli occhiali scivolati sulla punta del naso, la polo aperta sul collo, il pallore del volto, gli davano un'aria così inoffensiva da muovere a pietà. Doveva essere grande la tensione a cui era sottoposto per perdere il controllo in quel modo. Quart si appoggiò al bordo del tavolo. «Sto svolgendo il mio lavoro» disse nel tono più dolce che riuscì a mettere insieme. «Non c'è nulla di personale.» l'altro annuì di nuovo, evitando di guardarlo. «Credo di aver perso la testa» mormorò alla fine con voce spenta. «L'abbiamo persa tutti e due.» Quart accennò un sorriso amichevole, destinato al malridotto amor proprio del giovane. «Ma voglio mettere bene in chiaro un fatto: io non sono venuto qui per infastidire nessuno. L'unica cosa che sto cercando di fare è capire.» Ancora con lo sguardo sfuggente e la mano sulla fronte, padre Oscar gli chiese cosa diavolo voleva capire perquisendo una casa dove non era stato invitato. E Quart, consapevole del fatto che era la sua ultima opportunità per farselo amico, adottò con discrezione un tono cameratesco, menzionò il concetto dell'obbedienza dovuta, parlò del pirata informatico e del messaggio ricevuto a Roma, passeggiò su e giù per la stanza, guardò fuori dalla finestra, e alla fine si fermò davanti al giovane sacerdote. «C'è chi pensa» il suo tono era incredulo e confidenziale, del genere: detto fra noi, pensa che razza di idea stupida «che lei sia Vespro». «Non dica sciocchezze.» «Niente affatto. Per lo meno risponde al profilo fisico: età, studi, interessi...» Si appoggiò di nuovo al bordo del tavolo, con le mani nelle tasche. «Come se la cava con l'informatica?» «Come tutti.» «E quelle scatole di dischetti?» Il vicario sbatté un paio di volte le palpebre. «Sono cose private. Lei non ha il diritto...» «Naturalmente.» Quart sollevò le mani con i palmi rivolti verso l'alto, conciliante, per dimostrare che non nascondeva nulla. «Ma mi dica una cosa... Dov'è il computer che usa?» «Non credo che abbia importanza.» «Bè, si sbaglia. Ce l'ha.» L'espressione di padre Oscar aveva guadagnato in fermezza, ormai non sembrava più un ragazzino umiliato. «Senta» raddrizzò la schiena sulla poltrona e i suoi occhi sostennero lo sguardo di Quart «qui si combatte una guerra e io ho scelto da che parte stare. Don Priamo è una brava persona e un uomo onesto, gli altri no. E tutto ciò che ho da dire.» «Quali altri?» «Tutti. Dalla gente della banca fino all'arcivescovo» ora, per la prima volta, sorrideva. Una smorfia scontrosa, piena di rancore. «Compreso chi l'ha inviata qui da Roma.» A Quart non importava nulla, non era di quelli che si scaldano per gli insulti alla bandiera. Sempre ammesso che Roma fosse la sua bandiera. «Bene» rispose, oggettivo. «Questo lo addebitiamo alla sua giovinezza. Alla sua età il senso drammatico della vita è più intenso. Ed è più facile schierarsi a favore delle cause perse e degli ideali. Il vicario lo guardò Pagina 63
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt con disprezzo. «Gli ideali mi hanno portato al sacerdozio» sembrava chiedersi quali fossero quelli di Quart. «Quanto poi alle cause perse, Nostra Signora delle Lacrime non è ancora persa.» «Ma se ci sarà un vincitore in questa storia, non sarà certo lei. Il suo trasferimento ad Almeria...» Il giovane si raddrizzò ancora un po', eroico. «Tutti devono pagare un prezzo per la loro dignità e la loro coscienza. Forse il mio è questo.» «Bella frase» ironizzò Quart. «In altre parole, butta a mare una brillante carriera... Ne vale davvero la pena?» «A che serve all'uomo avere tutto se perde la sua anima?» Il vicario guardava il suo interlocutore con aria soddisfatta come se l'argomento fosse schiacciante. «Non mi dica che ha dimenticato questa citazione. Quart soffocò la voglia di scoppiare a ridere davanti agli occhiali sporchi dell'altro. «Non vedo alcun rapporto» disse «fra la sua anima e Nostra Signore delle Lacrime». «Sono molte le cose che non vede. Chiese più necessarie di altre, ad esempio. Forse per quello che racchiudono in sé, o che simboleggiano. Altre chiese sono trincee.» Dentro di sé Quart sorrideva. Ricordava che padre Ferro aveva utilizzato un'espressione identica durante il colloquio nell'ufficio di monsignor Corvo. «Trincee» ripeté. «Si.» «Mi dica da cosa volete difendervi.» Padre Oscar si alzò dolorante, senza staccargli gli occhi di dosso, e poi con difficoltà avanzò di qualche passo verso la finestra. Lì aprì le tende, lasciando entrare aria e luce. «Vogliamo difenderci dalla Santa Madre Chiesa» disse alla fine, senza voltarsi. «Così cattolica, apostolica e romana che ha finito per tradire il suo messaggio originario. Con la Riforma ha perso mezza Europa, e nel Settecento ha scomunicato la Ragione. Cento anni dopo ha perso i lavoratori, i quali hanno capito che stava dalla parte dei padroni e degli oppressori. In questa fine secolo sta perdendo i giovani e le donne. Sa cosa resterà di tutto questo?... Topi che scorrazzano fra panche vuote.» Rimase in silenzio per qualche istante, immobile. Quart lo sentiva respirare. «E soprattutto vogliamo difenderci» proseguì il vicario «da ciò che lei è venuto a portar qui: la sottomissione e il silenzio.» Ora guardava gli aranci della piazza con aria ostinata. «In seminario ho capito che tutto il sistema si basa sulla forma, in un gioco di ambizioni e di capitolazioni. Nel nostro ufficio nessuno si avvicina a un altro se non per avanzare nella carriera. Fin da giovanissimi scegliamo un professore, un amico, un vescovo che ci aiuti a farci strada.» Quart ascoltò la sua risata spenta, a denti stretti; non c'era più niente di giovanile nell'aspetto di padre Oscar. «Io credevo che un sacerdote compisse soltanto quattro tipi di inchino davanti all'altare, finché non ho conosciuto esperti in ogni genere di inchini. Anch'io ero uno di loro, destinato all'impossibilità di dare alla gente il segno che ci chiede, senza il quale cadono nelle mani di chiromanti, astrologi e spregevoli mercanti dello spirito. Ma quando ho conosciuto don Priamo ho capito cos'è la fede; è del tutto in pendente dal fatto che Dio esista. La fede è un salto alla cieca verso qualcuno che ti accoglie a braccia aperte. E il conforto davanti a paure e dolori incomprensibili. La fiducia del bambino nella mano che lo toglie dall'oscurità. ' «Lo ha raccontato a molta gente?» «Certo. A tutti quelli che mi hanno voluto ascoltare.» «Bè, credo che avrà qualche problema.» «Li ho già, e lei lo sa meglio di chiunque altro. Ma non me ne lamento. Non ho ancora compiuto ventisette anni, e suppongo che potrei intraprendere qualsiasi mestiere, altrove. Ma resterò, e ovunque mi mandino combatterò...» Scoccò a Quart una lunga occhiata, sgradevolmente insolente. «E sa una cosa?... Ho scoperto la mia vocazione di prete scomodo.» Con la testa affondata nello schienale di cuoio nero della poltrona, Pencho Gavira contemplava lo schermo del suo computer. Il messaggio era lì, infiltrato nell'archivio della posta interna: Lo spogliarono dei suoi vestiti e sulla sua tunica gettarono i dadi, ma non poterono distruggere il tempio di Dio. Perché la pietra scartata dal costruttore è diventata testata d'angolo. Essa conserva memoria di coloro che furono strappati dalla nostra mano. Di passaggio, per divertirsi un po', l'intruso aveva aggiunto un virus inoffensivo, una fastidiosa pallina da pingpong che rimbalzava sui quattro lati dello schermo sdoppiandosi ogni volta, finché scontrandosi fra loro, non scoppiavano stile fungo nucleare e tutta la sequenza ricominciava da capo. Gavira non se ne preoccupava molto, perché poteva essere eliminato con facilità; il settore informatico della banca era già al lavoro, per controllare anche Pagina 64
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt l'eventuale presenza di altri virus nascosti dagli effetti molto più distruttivi. Inquietante era la naturalezza con cui l'aggressore, un impiegato della banca o un hacker burlone, aveva inoculato la sua pallina ballerina, e lo strano riferimento evangelico che, senza dubbio, aveva a che vedere con l'operazione di Nostra Signora delle Lacrime. In cerca di conforto, il vicepresidente del Cartujano allontanò lo sguardo dal computer e lo rivolse al quadro appeso alla parete principale dell'ufficio. Era un preziosissimo KIaus Paten, acquistato poco più di un mese prima insieme a tutti i beni mobili e immobili del Banco de Poniente. Il vecchio Machuca non era un estimatore dell'arte moderna, preferiva Mufloz Degrain, Fortuny e cose del genere, così Gavira se lo era autoaggiudicato come bottino di guerra. Un tempo i generali si fregiavano delle bandiere strappate al nemico, e il Klaus Paten era più o meno la stessa cosa: lo stendardo dell'esercito vinto, una superficie blu cobalto di due metri e venti per un metro e ottanta con un tratto rosso e un'altro giallo che lo attraversavano in diagonale, intitolata Ossessione numero cinque, sotto la quale si era riunito negli ultimi trent'anni il consiglio di amministrazione della banca appena assorbita dal Cartujano. Ma ormai il suddetto consiglio era disperso, prigioniero e disarmato, e il Poniente, l'unico ente finanziario ad aver messo in ombra il Cartujano in Andalusia, era stato cancellato per sempre dalla faccia della terra, dopo un fallimento tecnico di cui Gavira era stato lo spietato artefice. Il Poniente, un'istituzione di tipo familiare con una clientela di piccoli correntis ti di campagna, mancava di quel quid imprescindibile per riconoscere ciò che permetteva di guadagnare denaro e ciò che permetteva di evitare di perderlo, cosa necessaria visti i tempi. Così, mediante una serie di colpi di mano e di infiltrazioni nella politica del concorrente, Gavira lo aveva spinto in un campo minato: il tentativo di lanciare un superconto unico insostenibile per la sua struttura finanziaria, con una conseguente contaminazione del passivo e una fuga della sua clientela tradizionale. Dopodiché il Poniente era calato a picco, e Gavira era li, con il suo sorriso più ampio e le braccia spalancate, pronto a dare una mano al collega in difficoltà. La mano era andata direttamente alla giugulare, con una campagna di persecuzione e demolizione camuffata dietro avalli, prestiti e buone intenzioni degenerate poi in una selvaggia pulizia etnica di carattere quasi balcani co. Alla fine, del Banco de Poniente non era rimasto altro che il nome e alcuni immobili in cui erano impegnati perfino i portaceneri dei corridoi; l'assorbimento era stato inevitabile, e il presidente dell'istituzione familiare aveva dovuto scegliere fra spararsi un colpo e accettare una piccola carica on orifica nel consiglio di amministrazione del Cartujano. Aveva optato per la seconda possibilità, e tutto questo conferiva un incontestabile carattere simbolico alla presenza del KIaus Paten davanti alla scrivania di Pencho Gavira, al piano nobile del palazzo dell'Arenal. Quella era una spoglia gloriosa. Un trofeo per il vincitore. Vincitore: Gavira articolò la parola quasi a voce alta, ma una ruga di preoccupazione gli segnò la fronte quando tornò a guardare lo schermo del computer; pieno di palline che rimbalzavano in tutte le direzioni, proprio nel momento in cui due di esse si scontravano scatenando la deflagrazione nucleare. Bum. Un'altra pallina solitaria iniziò da capo il ciclo. Esasperato, Gavira girò di centottanta gradi la poltrona e si voltò verso l'enorme vetrata che si aprìva sulla riva del Guadalquivir. Nel suo mondo, nel campo di battaglia del mors tua vita mea in cui vagava in cerca di fortuna, era necessario lo stesso movimento continuo di quella maledetta pallina. Fermarsi equivaleva a soccombere, come lo squalo ferito che diventa vulnerabile all'attacco di altri squali. Una volta il vecchio Machuca, con la sua solita calma e quell'oscura malizia dietro le palpebre socchiuse da cui spiava la vita, glielo aveva detto: «Per te è come andare in bicicletta: se smetti di pedalare, cadi». Pencho Gavira, per sua natura, era destinato a pedalare senza posa, immaginando nuove strade, attaccando senza tregua nemici reali o mulini a vento fabbricati appositamente. Superava ogni opposizione con una fuga in avanti, ogni vittoria portava con sé un nuovo combattimento. In questo modo, il vicepresidente e direttore generale del Banco Cartujano stava costruendo la complicata ragnatela della sua ambizione. Qualcosa di cui avrebbe conosciuto il fine ultimo solo dopo averlo raggiunto, se mai ci fosse riuscito. Premette alcuni tasti del computer per uscire dalla posta interna, e dopo aver inserito il codice segreto penetrò nell'archivio privato a cui solo lui aveva accesso. Là, al sicuro da intrusi, c'era un rapporto riservato che poteva davvero metterlo in difficoltà: il lavoro di un'agenzia privata specializzata Pagina 65
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt in indagini economiche, realizzato per conto di un gruppo di consiglieri contrari al fatto che Gavira succedesse a Octavio Machuca alla presidenza del Cartujano. Quel rapporto era un'arma letale, e i cospiratori avevano intenzione di tirarlo fuori dal cilindro nel corso della riunione prevista per la settimana successiva, ma ignoravano che Gavira, grazie al pagamento di una notevole somma, era riuscito a ottenerne una copia: 5 & B Riservato. Sintesi dell'indagine interna B. C. affare RT. e altri. - A metà dell'anno passato si è osservato un anormale incremento nell'attivo della banca, e di conseguenza nei debiti interbancari accesi nei mesi precedenti. La vicepresidenza (Fulgencio Gavira è investito di tutte le facoltà, eccetto quelle non delegabili) ha sostenuto che tali incrementi si sono prodotti soprattutto per i finanziamenti a Puerto Targa e ai suoi azionisti, ma che si trattava di operazioni puntuali e transitorie sul punto di essere regolarizzate con la imminente vendita della società Puerto Targa a un gruppo straniero (Sun Cafer Alley, di capitale saudita), il che avrebbe prodotto un'importante plusvalenza per gli azionisti e un'alta commissione per il Cartujano. La vendita ha ottenuto l'adeguata autorizzazione della Giunta regionale dell'Andalusia e del Consiglio dei ministri. - Puerto Targa è una società con un capitale sociale originario di cinque milioni di pesetas, il cui obiettivo è la creazione, in una zona protetta vicina alla riserva ecologica del parco naturale della Donana, di un campo da golf e di un insediamento di lussuose ville con porticciolo. Le difficoltà amministrative per la costruzione in zona protetta sono state eliminate di recente, in modo inaspettato, dalla Giunta regionale dell'Andalusia, che fino a poco tempo fa si opponeva recisamente al progetto. Il 78% delle azioni della società sono state comprate dalla banca su richiesta della vicepresidenza (Gavira), dopo un aumento che ha innalzato il suo capitale a nove miliardi di pesetas. Il restante 2 2% è rimasto in mano ad azionisti privati, ed esistono fondati sospetti che la società H. P. Sunrise, con sede a St. Barthelemy (Antille francesi), che ha acquisito un importante pacchetto, possa essere ricollegata allo stesso Fulgencio Gavira. - Il tempo è trascorso senza che la vendita di Puerto Targa si sia ancora perfezionata. Ma nel frattempo i rischi non hanno fatto che crescere. Da parte sua, la vicepresidenza ha continuato ad affermare che l'incremento dell'attivo osservato è in parte dovuto a liquidazioni di interessi, a sconto di carta e a finanziamento puro, ma che la vendita di azioni è imminente e che questo porterà all'importante ribasso di rischi atteso. L'indagine, però, ha dimostrato che l'incremento di rischi osservato era dovuto a partite deliberatamente occultate all'epoca, che sono venute alla luce nel corso dell'indagine fino a raggiungere la cifra di 20.028 milioni di pesetas, di cui solo 7.020 corrispondevano all'operazione Puerto Targa. Tuttavia la vicepresidenza continua ad affermare che il perfezionamento dell'acquisto, da parte di Sun Qafer Alley, delle azioni di Puerto Targa normalizzerà la situazione. - Dopo aver portato a termine la relativa indagine, si è potuto giungere a questa conclusione: la Puerto Targa è una società che, dopo una complessa operazione di ingegneria finanziaria basata su società con sede a Gibilterra, è sempre stata finanziata nella sua quasi totalità dal Banco Cartujano, fatto questo che è rimasto nascosto alla maggior parte dei membri del consiglio di amministrazione. Si potrebbe dire che praticamente è stata creata, in primo luogo, per registrare un utile fittizio nel precedente bilancio del Banco Cartujano, quando sono stati fatti figurare come entrate i 7.020 milioni di pesetas dell'acquisto della società, che in realtà la banca ha pagato a se stessa autovendendosi Puerto Targa attraverso le imprese schermo di Gibilterra. Il secondo obiettivo era risanare il bilancio della banca con le plusvalenze prodotte quando si fosse realizzata la successiva vendita a Sun Qafer Alley. In altri termini: tappare il "buco" di oltre diecimila milioni di pesetas prodotto nel Banco Cartujano dalla gestione dell'attuale vicepresidenza e da pesi derivati da precedenti gestioni. - La vendita, che secondo l'attuale vicepresidenza triplicherebbe il valore attuale della società, non si è a ncora realizzata, e come nuova data è stata fissata la me tà o la fine del corrente mese di maggio. E possibile che, come sostiene la vicepresidenza, l'operazione Puerto Targa normalizzi la situazione interna. Ma per il momento quello che si può affermare è che l'occultamento sistematico della vera situazione prova fin d'ora un chiaro maquillage nei conti consuntivi del Banco Cartujano. Questo significa che durante l'ultimo anno Pagina 66
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt si è tenuta nascosta al consiglio di amministrazione la situazione di rischio e la mancanza di risultati positivi, così come numerosi errori di gestione e irregolarità, anche se a onor del vero non tutto è imputabile alla gestione dell'attuale vicepresidenza. - Come segno di questo occultamento si può segnalare: frenetica ricerca di nuove e costose risorse, contabilità falsa con violazione delle norme bancarie, e il rischio, da considerarsi temerario, che senza il perfezionamento della prevista vendita di Puerto Targa a Sun Qafer Alley (annunciata per una cifra di circa centottanta milioni di dollari) possa prodursi una perdita dalle gravissime conseguenze per il Banco Cartujano, così come uno scandalo pubblico che diminuirebbe considerevolmente il suo prestigio sociale all'interno di un azionariato fatto di piccoliazionisti di carattere conservatore. - Quanto alle irregolarità dir ettamente imputabili all'attuale vicepresidenza, l'indagine ha messo in luce una generale carenza di oculatezza, con importanti somme pagate a professionisti e a privati senza le debite pezze di appoggio (anche a persone e a istituzioni pubbliche, con casi che possono essere decisamente definiti come corruzione), così come l'intervento dell'attuale vicepresidenza in affari con clienti e il possibile, anche se non provato, incasso di determinati utili e commissioni. - Visto quanto sopra, e a parte le irregolarità di gestione individuate, appare evidente che il fallimento dell'operazione Puerto Targa metterebbe il Banco Cartujano in gravi difficoltà. Risultano inoltre preoccupanti le possibili ripercussioni che le operazioni compiùte da questa vicepresidenza in relazione alla chiesa di Nostra Signora delle Lacrime e al complesso dell'operazione Puerto Targa, una volta diventate di pubblico dominio, potrebbero avere sull'opinione pubblica e sulla clientela tradizionale della banca, classe media di carattere conservatore e spesso cattolica. In linea di massima, era tutto vero. Negli ultimi due bilanci, Gavira era dovuto ricorrere ad autentici giochi di prestigio per far apparire accettabile la sua gestione di una banca che era arrivata nelle sue mani viziata da una politica aziendale conservatrice e mediocre. Puerto Targa e altre operazioni simili erano espedienti per guadagnare tempo mentre lui consolidava la sua posizione a capo del Cartujano. Era un po'"come salìre una scala rimettendosi davanti i gradini già passati, ma fino al colpo definitivo era l'unica tattica possibile. Aveva bisogno di respiro e di credito, e l'operazione di Nostra Signora delle Lacrime, esca per i sauditi che avrebbero comprato Puerto Targa, era fondamentale: avrebbe trasformato la zona nord di Santa Cruz in un gioiello per il turismo di élite. La documentazione del progetto - un piccolo albergo di lusso estremamente raffinato, con tutti i servizi adeguati, a cinquecento metri dall'antica moschea di Siviglia, caprìccio personale di Kemal ibn Saud, fratello del re dell'Arabia Saudita e principale azionista di Sun Qafer Alley - era protetta da un codice segreto nel disco rigido del suo computer; assieme al rapporto sulla sua gestione e ad altri segreti di Gavira, con copie in dischetti e cD nella cassaforte nascosta proprio dietro il KIaus Paten. C'era troppo in gioco per lasciare che le manovre di quattro consiglieri rovinassero tutto, Dette un'altra occhiata allo schermo, corrugando la fronte. Lo preoccupava la presenza dell'intruso informatico e della sua pallina ballerina. Se si trattava di un hacker, era poco probabile che avesse decifrato il codice di sicurezza accedendo così all'archivio segreto, anche se non era impossibile. Ma quella gente di solito lasciava tracce del suo passaggio, e la pallina l'avrebbe messa dentro, non fuori. Il pensiero gli fece venire un caldo spaventoso: non era piacevole veder passeggiare un intruso nelle immediate vicinanze di quel genere di informazioni. Come diceva il vecchio Machuca: meglio un non si sa mai" di un "chi l'avrebbe detto", così premette i tasti per cancellare l'archivio. Poi fissò la corrente grigioverde del Guadalquivir e la calle Betis, alta sull'altra riva. Il sole faceva splendere il fiume e il suo riverbero incorniciava la sagoma compatta della Torre dell'Oro. Nel mondo di Pencho Gavira era legittimo aspirare che tutto ciò alla fine fosse suo, che il riflesso di metallo brunito scivolasse ogni mattina esclusivamente per lui, sul suo volto e sulla parete dove era appeso il KIaus Paten, illuminando il suo trionfo e la sua gloria. Accese una sigaretta e lasciò salìre il fumo nell'ampio tratto di luce dorata che arrivava di taglio dal basso, attraverso la finestra, come un riflettore puntato sul centro della scena. Poi aprì il cassetto della scrivania ed estrasse, per l'ennesima volta, la rivista dove sua moglie usciva dall'Alfonso ii assieme al torero. Sfiorando con una mano le immagini sentì di nuovo un'ansia morbosa e oscura, quel malessere invadente, perverso, che provava sfogliando le pagine per rivedere foto ormai note. I suoi occhi Pagina 67
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt passarono dalla copertina al ritratto di Macarena che aveva sul tavolo, in una cornice d'argento: un primo piano con una. blusa bianca che le lasciava nuda una spalla. Era una fotografia che aveva scattato lui stesso quando credeva di possederla sempre e non solo mentre facevano l'amore. Prima che arrivasse la crisi, con la chiesa di mezzo e il figlio che Macarena aveva voluto avere nel momento meno opportuno. Prima che lei iniziasse ad accarezzargli il sesso con il disinteresse di chi legge un noioso testo in braille. Si agitò, inquieto, sulla poltrona di cuoio. Sei mesi. Ricordò sua moglie nuda sotto la luce al neon, seduta sul bordo della vasca da bagno mentre lui si lavava senza sapere che avevano fatto l'amore per l'ultima volta. Lo guardava come non aveva mai fatto prima, quasi fosse davanti a un perfetto sconosciuto. Poi si era alzata all'improvviso e, quando Gavira era entrato in camera da letto tutto gocciolante sotto l'accappatoio, lei era già vestita e stava facendo la valigia. Non aveva detto una parola, neppure un rimprovero. Aveva avuto per lui solo uno sguardo silenzioso, cupo, prima di avviarsi verso la porta senza dargli il tempo di opporre una ragione o un gesto. Erano passati sei mesi. E non aveva acconsentito a rivederlo. Mai. Rinfilò la rivista spiegazzata nel cassetto mentre spegneva con accanimento la sigaretta nel portacenere, finché non vide estinguersi l'ultima brace, come se trovasse sollievo in quel gesto di violenza su piccola scala. Ah, se potessi fare lo stesso col parroco, si disse, e con quella monaca dall'aria lesbica, e con tutti quei preti usciti dai confessionali, e dalle catacombe, e dal passato più obsoleto e più nero, per venire ad amareggiarmi la vita. E anche con quella Siviglia orgogliosa, tarlata, miserabile, pronta a ricordargli la sua condizione di arricchito non appena la figlia della duchessa del Nuevo Extremo gli aveva voltato le spalle. Un'ondata di collera gli fece tremare la mascella, e con il dorso della mano rovesciò il ritratto della moglie. Lo giurava su Dio, o sul diavolo, o su chi era responsabile della faccenda, tutti avrebbero pagato molto cara la vergogna e l'incertezza che gli stavano facendo ingoiare. Prima gli avevano rubato la moglie, e ora volevano rubargli la chiesa, e il futuro. «Vi spazzerò via» sibilò a voce alta. «Tutti quanti.» E così dicendo spense il computer; il rettangolo luminoso dello schermo si rimpicciolì fino a scomparire completamente. Era pronto a far sì che la frase si compisse alla lettera. Mettere alcuni preti fuori dalla circolazione una lezione, un'anca rotta - era una cosa che a Pencho Gavira non avrebbe causato alcun rimorso degno di essere preso in considerazione. E se lo mettevano proprio alle strette, neppure un rimorso e basta. Così, quando allungò il braccio per prendere il telefono interno, era convinto che fosse necessario muoversi. «Peregil» gli disse alla cornetta «i tuoi uomini sono sicuri?» Ci può giurare, fu la risposta dello scagnozzo. Allora Gavira guardò la cornice capovolta, sul tavolo, e abbozzò quell'espressione da macellaio che nel mondo delle banche andaluse gli era valsa il soprannome di "Pescecane dell'Arenal". Era il momento di passare all'azione, si disse. E di una cosa era certo: a quei guastafeste con la tonaca avrebbe spezzato la schiena. «Passa all'azione» ordinò. «Brucia la chiesa, o come ti pare. Devono sparire dalla faccia della terra.» 6. La cravatta di Lorenzo Quart In lei ci sono tutte le donne del mondo. JOSEPH CONRAD, La freccia d'oro. Lorenzo Quart aveva solo una cravatta. Era di seta blu e l'aveva acquistata in un negozio di camicie di via Condotti a cento metri da casa sua. Aveva sempre portato lo stesso genere: un taglio classico, un po'"più stretto di quello normalmente di moda. La usava poco, sempre con abiti molto scuri e camicie bianche, e quando era logora o sporca ne comprava un'altra identica per sostituirla. Ma accadeva solo un paio di volte all'anno, perché portava soprattutto camicie nere con il collare che si stirava da solo con la cura di un vecchio soldato, pronto a subire inaspettate ispezioni dell'uniforme da parte di superiori ossessionati dal regolamento. Tutti gli atti della vita di Quart si articolavano attorno a un presunto regolamento. L'aveva osservato rigidamente fin da quando poteva ricordare, molto tempo prima del giorno in cui, sdraiato a faccia in giù con le braccia in croce e il volto contro le pietre fredde del pavimento, era stato ordinato sacerdote. Già dal seminario, Quart aveva eletto la disciplina della Chiesa a norma Pagina 68
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt efficace per dare ordine alla sua vita. In cambio aveva ottenuto sicurezza, un futuro, e una causa per la quale impiegare il suo talento, ma a differenza di altri compagni, né allora né in seguito, una volta ordinato, aveva mai venduto l'anima a un protettore o a un amico potente. Credeva, ed era forse la sua unica ingenuità, che bastasse osservare le regole per assicurarsi il rispetto degli altri. E in effetti non erano mancati superiori colpiti dalla disciplina e dall'intelligenza del giovane sacerdote. Ciò aveva dato impulso alla sua carriera: sei anni di seminario e due di università studiando filosofia, storia della chiesa e teologia, e una borsa di studio a Roma per specializzarsi in diritto canonico, il sistema legale interno della Chiesa. Là i professori dell'Università Gregoriana avevano proposto il suo nome all'Accademia Pontificia per Ecclesiastici e per Nobili, dove Quart aveva frequentato corsi sulla diplomazia e sui rapporti fra Stato e Chiesa. Poi la Segreteria di Stato lo aveva inviato a far pratica in un paio di nunziature europee, finché monsignor Spada non l'aveva reclutato formalmente per l'Istituto delle Opere Esteriori, a ventinove anni appena compiuti. Così Quart era andato da Renzo Rinaldi e aveva comprato la sua prima cravatta pagandola centoquindicimila lire. Da allora erano passati dieci anni, e continuava ad avere problemi con il nodo. Non che non sapesse come si incrociano le due estremità di una cravatta, come se ne passa una da destra a sinistra e poi dall'alto in basso. Ma immobile davanti allo specchio del bagno, osservava il colletto bianco della camicia e la seta blu che aveva fra le dita con la certezza di un'estrema vulnerabilità. Fare a meno del collare e della camicia nera durante una cena con Macarena Bruner gli sembrava pericoloso, come se un templare avesse rinunciato all'armatura per parlamentare con i mammalucchi sotto le mura di Tiro. L'idea gli strappò un sorriso inquieto, mentre consultava l'orologio al polso sinistro. Aveva giusto il tempo di vestirsi e di raggiungere a piedi il ristorante dell'appuntamento, che con l'aiuto della cartina localizzò in piazza Santa Cruz, a pochi passi dalle antiche mura arabe. Il che dava un brutto presentimento allo pseudo templare. Lorenzo Quart era puntuale come tutti quegli automi svizzeri con i capelli rapati e le uniformi multicolori che montavano la guardia in Vaticano. Calcolava sempre le ore dividendole in frazioni di tempo ben precise, proprio come se avesse un'agenda mentale. Questo gli permetteva di sfruttare al massimo qualsiasi momento disponibile. C'era tempo a sufficienza per occuparsi della cravatta, così si costrinse a fare il nodo con calma, aggiustandolo accuratamente. Gli piaceva muoversi lentamente, perché era orgoglioso del suo autocontrollo, e la memoria dei suoi rapporti con il resto del mondo consisteva in uno stato continuo di tensione per evitare un gesto precipitoso, o una parola fuori luogo, un troppo presto o un troppo tardi, un movimento impaziente che infrangesse la serenità della regola. Sempre, prima di tutto, contava la regola, grazie alla quale, anche quando trasgrediva codici diversi dal suo - atto che monsignor Spada, con provato talento per l'eufemismo, definiva "muoversi sul bordo esterno della legalità" - formalmente la morale era salva. La sua unica fede era la fede del soldato. E nel suo caso non era esatto il vecchio detto della curia: "Tutti i preti sono falsi". Che tutti i preti fossero o meno dei simulatori era una cosa che non gli faceva né caldo né freddo. Lorenzo Quart era un tranquillo e onesto templare. Forse per questo motivo, dopo aver contemplato per un istante la propria immagine nello specchio, Quart sciolse il nodo della cravatta e se la tolse. Poi fece la stessa cosa con la camicia bianca, e la gettò sopra lo sgabello del bagno. A torso nudo aprì l'armadio, estrasse dal cassetto una camicia nera da sacerdote, con il collare, e la indossò al posto dell'altra. Mentre l'abbottonava, le sue dita sfiorarono la cicatrice che aveva sotto la clavicola sinistra, ricordo dell'operazione subita per una frattura alla spalla provocata dal calcio del fucile di un soldato americano durante l'invasione di Panama. Era l'unica cicatrice professionale, la rossa insegna del coraggio o la palma del martirio, come ironizzava monsignor Spada. E anche se la cosa impressionava molto l'Illustrissimo e i codardi esaminatori di curriculum della curia, lui avrebbe preferito che l'energumeno fornito di casco, fucile M- 16 e scritta d'identificazione J. Kowalski sopra il giubbotto antiproiettile - "un altro polacco", avrebbe notato poi, acido, monsignor Spada -, avesse preso più sul serio il passaporto diplomatico vaticano quando gli era stato sventolato sotto il naso nella nunziatura, il giorno in cui Quart aveva negoziato la resa del generale Noriega. Salvo il colpo con il calcio del fucile, l'operazione panamense era stata Pagina 69
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt impeccabile e ormai, all'interno dello Ior, veniva considerata un modello classico di una diplomazia in crisi. Poche ore dopo l'invasione statunitense e l'ingresso di Noriega nella legazione diplomatica vaticana, Quart era atterrato fulmineo con un volo rischioso dal Costa Rica. Ufficialmente la sua missione era di assistere il nunzio, ma in realtà doveva controllare i negoziati e informare direttamente lo Ior, sollevando dal compito monsignor Héctor Bonino, un italoargentino estraneo alla carriera diplomatica, che al momento di gestire faccende eterodosse non ispirava piena fiducia alla Segreteria di Stato. E in effetti il quadro era singolare: i soldati statunitensi, fra reticolati e cavalli di Frisia, avevano installato un potente sistema di megafoni che ventiquattr'ore su ventiquattro faceva rimbombare l'aria con rock duro a tutto volume, per minare la resistenza psicologica del nunzio e dei suoi rifugiati. All'interno dell'edificio, alloggiati negli uffici e nei corridoi, vegetavano un nicaraguense capo del controspionaggio di Noriega, cinque baschi, , un consigliere economico cubano che minacciava continuamente di suicidarsi se non lo riportavano sano e salvo all'Avana, un agente del CESiD spagnolo che entrava e usciva con naturalezza per giocare a scacchi con il nunzio e informare Madrid, tre narcotrafficanti colombiani, e il generale Noriega in persona, altrimenti detto Faccia d'ananas, con quel volto devastato da crateri lunari su cui gli americani avevano messo una taglia. In cambio dell'asilo, monsignor Bonino esigeva che i suoi invitati assistessero quotidianamente alla messa, ed era toccante vederli scambiarsi fraternamente un segno di pace, il cubano e i narco, gli attivisti dell'e il nicaraguense, quest'ultimo e l'uomo del cEsiD, con Noriega tutto litanie e colpi sul petto sotto il volto accigliato del nunzio, mentre per strada Bruce Springsteen martellava Bom in the USA. La notte critica dell'assedio, quando i commando Delta con il naso dipinto di nero avevano cercato di assaltare la nunziatura, Quart in contatto telefonico con gli arcivescovi di New York e di Chicago, aveva ottenuto che il presidente Bush ritirasse l'autorizzazione all'irruzione. Alla fine Faccia d'ananas si era consegnato senza troppe condizioni, il nicaraguense e gli uomini dell'erano stati trasportati con discrezione fuori da Panama, e i narco erano svaniti senza chiasso ricomparendo in seguito a Medellin. Solo il cubano, che era uscito per ultimo, aveva avuto qualche problema quando i marines avevano scoperto la sua presenza nel portabagagli di una vecchia Chevrolet Impala noleggiata da Quart, con cui l'agente del CESiD spagnolo lo stava portando fuori dalla nunziatura per amore dell'arte, giocandosi la carriera. L'accordo negoziato per la sua uscita era segreto, e quindi il soldato Kowalski non ne era al corrente. Del resto le sottigliezze diplomatiche non rientravano nelle sue competenze, e quindi il tentativo di mediazione di Quart era finito con una spalla rotta nonostante il collare sacerdotale e il passaporto pontificio. Quanto al cubano, un tipo nervoso di nome Gir6n, aveva passato un mese in un carcere di Miami. E non solo non aveva tenuto fede alla promessa di suicidarsi, ma all'uscita aveva ottenuto asilo politico negli Stati Uniti dopo un'intervista al Readers" Digest dal titolo: "Anche io sono stato ingannato da Castro." Quando Quart uscì dall'ascensore, uno sconosciuto seduto nell'atrio scattò in piedi. Doveva essere vicino ai quaranta, aveva la pancetta e i capelli lisci, laccati dal parrucchiere, ormai radi sopra la testa. «Mi chiamo Bonafé» si presentò. «Honorato Bonafé.» Quart si disse che pochi nomi contraddicevano così sfacciatamente la fisionomia del proprietario. Onorabilità e buona fede erano gli ultimi concetti associabili alla pappagorgia prematura che sembrava un prolungamento delle guance, e alle palpebre gonfie degli occhi piccoli e astuti, che osservavano l'interlocutore come chiedendosi quanto avrebbero potuto ricavare dal suo vestito e dalle scarpe, se fossero riusciti a impossessarsene per venderli di seconda mano. «Possiamo parlare un momento?» Era un tipo sgradevole, ma lo era ancora di più il suo sorriso: una smorfia fissa, al tempo stesso ossequiosa e vile, simile a quella di un chierico della vecchia scuola che tentasse di guadagnarsi il favore di un vescovo. A uno così, pensò Quart, sarebbe stata bene la veste talare invece dello stropicciato abito beige e del borsello in cuoio assicurato al polso sinistro. Il polso di una mano piccola, grassoccia e molle, di quelle che quando ne stringono un'altra offrono solo la punta delle dita. Quart si fermò in silenzio, disponendosi all'ascolto, guardando sopra la testa del visitatore l'orologio a muro che segnava un quarto d'ora all'appuntamento con Macarena Brunen L'uomo seguì la direzione del suo sguardo, assicurò che sarebbe stata solo questione di un attimo, e poi alzò la mano dal borsello fin quasi ad appoggiarla sul braccio del sacerdote. Quart fissò la mano per sconsigliare il contatto, allora Bonafé interruppe il gesto a mezz'aria, Pagina 70
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt mentre iniziava a spiegare confusamente le sue intenzioni con una sfumatura di complicità che accentuò ancora di più il disgusto di Quart. Ma fu il nome della rivista Q+S a far scattare il campanello d'allarme. «In breve, padre, sono a sua completa disposizione.» Quart si accigliò, diffidente e perplesso. Che fosse maledetto se quel tipo non gli aveva appena strizzato un occhio. «Gliene sono grato. Ma temo di non capire. «Non capisce» Bonafé scosse il capo come se apprezzasse una battuta divertente. «Eppure è tutto molto chiaro, no?... Cosa fa a Siviglia.» Santo cielo. Non ci mancava che un individuo simile immischiato in quella che Roma voleva fosse un'indagine riservatissima, condotta con i piedi di piombo. Soffocando il suo fastidio, Quart si chiese come fossero possibili tante indiscrezioni. «Non so a cosa si riferisca.» Il suo interlocutore lo guardava con mal celata insolenza, «Davvero non lo sa?» Era troppo, per cui Quart dette un'occhiata all'orologio. «Mi scusi. Ho un appuntamento.» Si avviò nell'atrio verso la strada, senza salutare. Ma l'altro lo seguì. «Mi permette di accompagnarla?... Potremmo conversare strada facendo.» «Non ho niente da dirle.» Lasciò la chiave alla reception e uscì dall'albergo con il giornalista alle calcagna. C'era ancora un vago chiarore nel cielo su cui si stagliava la sagoma scura della Giralda. In piazza Virgen de los Reyes si stavano accendendo le luci in quel momento. «Non credo che abbia capito» insisté Bonafé, estraendo dalla tasca una copia del Q+S. «Lavoro per questa rivista.» Fece una pausa tendendola a Quart, ma quando vide che non mostrava interesse la mise di nuovo via. «Le chiedo solo una chiacchierata amichevole. Lei mi racconta un paio di cosette e io farò il bravo ragazzo. Le assicuro che trarremo vantaggio entrambi da questa collaborazione.» Su quelle labbra rosee, la parola collaborazione acquistava sfumature oscene. Quart fece uno sforzo per soffocare la sua ripugnanza. «La prego di non insistere.» «Su, forza!» La villania spuntava sotto il tono amichevole. «Il tempo di bere una cosa.» Erano arrivati all'angolo del palazzo arcivescovile, sotto la luce di un lampione. All'improvviso Quart si fermò e si voltò. «Senta, Buonafé.» «Bonafé» puntualizzò l'altro. «Bonafé o come si chiama. La mia occupazione a Siviglia non è affar suo. E in ogni caso non mi verrebbe mai in mente di andare a raccontarlo in giro. Il giornalista protestò, imbronciando la bocca ammiccante mentre sfoderava i luoghi comuni del mestiere: il dovere dell'informazione, la ricerca della verità, eccetera eccetera. Il pubblico aveva il diritto di sapere. «Inoltre» aggiunse, dopo aver riflettuto un istante «per voi è meglio star dentro che fuori.» Quella frase sembrava nascondere una minaccia, e Quart cominciò a spazientirsi. «Voi?... Si riferisce a qualche tipo di associazione?» «Ma no, accidenti. Lo sa voi...» sorrideva di nuovo, viscido e conciliante «il clero, insomma.» «Ah. Il clero.» «Proprio così.» «Il clero, insomma. ' La pappagorgia fece tre pieghe quando Bonafé annuì di nuovo, speranzoso. «Vedo che ci capiamo.» Ora Quart lo guardava con calma, le mani intrecciate dietro la schiena. «Che cosa desidera sapere, esattamente?» «Bè, un po'"di tutto.» Bonafé si grattò un'ascella sotto la giacca. «Cosa pensano a Roma di Nostra Signora delle Lacrime, per esempio. Qual è la situazione canonica del parroco... E tutto quello che può raccontarmi sul suo incarico qui» accentuò il sorriso metà servile, metà complice. «Gliela metto giù facile facile. ' «E cosa succede se mi rifiuto?» Il giornalista fece schioccare la lingua come se, visti i loro rapporti, la domanda fosse fuori luogo. «Bè, l'articolo finirò per scriverlo comunque. E chi non è con me è contro di me» mentre parlava si dondolava sulle punte dei piedi «...non dice così il Vangelo?» «Senta, Buonafé...» «Bonafé.» Sollevò un indice, preciso. «Honorato Bonafé.» Quart l'osservò un istante in silenzio. Poi guardò a destra e a sinistra e si avvicinò a lui di un passo con aria confidenziale. Ma c'era qualcosa nel suo gesto, forse la differenza di statura o l'espressione negli occhi del sacerdote, che fece indietreggiare l'altro fino al muro. «In realtà non mi importa un accidente di come si chiama» disse Quart sottovoce «perché spero di non rivederla mai più.» Si avvicinò ancora un po'"finché non vide Bonafé sbattere le palpebre, a disagio. «Quello che voglio dirle è che non so se è un insolente, un ricattatore, un idiota o tutte e tre le cose assieme. In ogni caso, nonostante l'abito, sono incline al peccato dell'ira, per cui le consiglio di sparire. Immediatamente.» La luce del lampione gettava ombre verticali sul volto del giornalista. Svanito il sorriso, Bonafé guardava Quart con dispetto. «E sconveniente per un sacerdote» protestò con la pappagorgia tremolante. «Mi riferisco al suo atteggiamento.» «Le pare?» Pagina 71
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Ora era Quart a sorridere, e lo fece in modo molto poco amichevole. «La sorprenderebbe la quantità di sconvenienze di cui sono capace.» Gli voltò le spalle e si allontanò, chiedendosi quanto gli sarebbe costata quella piccola vittoria. L'unica certezza era la necessità di concludere l'indagine prima che tutto si complicasse troppo, se non era già successo. Un giornalista che frugava nelle sacrestie era la goccia che faceva traboccare il vaso. Assorto in queste riflessioni, Quart attraversò piazza Virgen de los Reyes senza prestare attenzione a una coppia seduta su una panchina, un uomo e una donna che si alzarono in piedi e si avviarono, pedinandolo da una certa distanza. Lui era grasso, con un abito bianco e un panama, lei aveva un vestito a pallini e un curioso tirabaci sulla fronte. Seguivano Quart sottobraccio, come una coppia qualsiasi, marito e moglie, che si godono tranquilli il fresco del tramonto, ma passando davanti a un uomo con maglione dolcevita, una giacca a quadri, e uno stuzzicadenti in bocca appoggiato alla porta del bar Giralda, scambiarono con lui uno sguardo d'intesa. In quel momento le campane di Siviglia iniziarono a suonare, svegliando le colombe che sonnecchiavano nella penombra delle grondaie. Quando il prete alto entrò all'Albahaca, don Ibrahim mandò il Potro del Mantelete con una moneta da venticinque pesetas nella cabina telefonica più vicina, per presentare rapporto a Peregil. Meno di un'ora dopo, lo scagnozzo di Pencho Gavira faceva un salto da quelle parti per dare un'occhiata al panorama. Aveva l'aria stanca e stringeva in mano un sacchetto di Marks & Spencer. Trovò le sue truppe strategicamente sistemate in piazza di Santa Cruz, davanti all'antico palazzo del Seicento trasformato in ristorante: il Potro immobile contro il muro, vicino all'uscita che portava alle mura arabe, e la Nifla Puflales che lavorava all'uncinetto seduta sul basamento della croce di ferro al centro della piazza. Quanto a don Ibrahim, spostava da una parte all'altra la sua ombra imponente facendo oscillare il bastone, un Montecristo acceso sotto l'ampia tesa del cappello di paglia bianca. «E dentro» disse a Peregil. «Con la signora. Poi espose in sintesi il suo rapporto, consultando alla luce di un lampione l'orologio che tirò fuori dal panciotto. Venti minuti prima aveva mandato in avanscoperta la Nifla, con il pretesto di vendere fiori, e poi era entrato lui stesso a scambiare qualche parola con i camerieri approfittando dell'acquisto, nel tabacchi del ristorante, del sigaro avana che ora fumava. La coppia occupava l'angolo migliore in una delle tre piccole sale del locale - pochi tavoli e clientela esclusiva - sotto una copia accettabile degli Ubriachi di Velazquez. Avevano ordinato insalata di capesante con basilico e tartufi la signora, e foie d'oca fresco saltato in salsa d'aceto e miele il reverendo padre. L'acqua minerale era naturale, di Lanjaròn, e il vino un rosso Pesquera delle rive del Duero, del quale don Ibrahim si scusava di non aver potuto controllare l'annata, ma, come si giustificò con Peregil rigirandosi la punta di un baffo, forse un eccessivo interesse avrebbe risvegliato dei sospetti fra il personale di servizio. «E di cosa stanno parlando?» chiese Peregil. L'ex falso avvocato fece un gesto solenne d'impotenza. «Questo» spiegò «è al di là dalla mia portata.» Peregil analizzava la faccenda. La situazione era sempre sotto controllo, don Ibrahim e i suoi due gregari si stavano comportando bene, e le carte che gli servivano erano buone. Nel suo mondo, come nella maggior parte dei mondi possibili, l'informazione era sempre denaro: tutto stava nel ricavarne il maggior profitto, scegliendo l'offerente giusto. Naturalmente lui avrebbe preferito che in ultima istanza tutte le informazioni passassero al suo capo naturale, Pencho Gavira, principale interessato per la sua duplice condizione di banchiere e di marito. Ma il buco di sei milioni di pesetas e il debito con l'usuraio Rubén Molina continuavano a impedirgli di scorgere la realtà con chiarezza. Erano vari giorni che dormiva malissimo, e ancora una volta l'ulcera gliene faceva vedere di tutti i colori. Al mattino, quando si piazzava davanti allo specchio del bagno per nascondersi la pelata pettinandosi secondo la complessa architettura con la riga sull'orecchio sinistro, Peregil scorgeva solo desolazione nella brutta faccia piena di malumore che lo guardava dallo specchio. Stava diventando calvo, aveva lo stomaco distrutto, doveva sei testoni al suo capo e quasi il doppio all'usuraio, e per di più nutriva il sospetto che la sua ultima deliziosa fatica con Dolores la Negra gli avesse lasciato un allarmante pizzicore all'apparato genitourinario. Proprio quello che ci mancava, dannazione. La vita era proprio una merda. Pagina 72
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Con un'aggravante. Peregil dette un'occhiata alla rotonda sagoma bianca di don Ibràhim, che aspettava istruzioni, e poi alla Niffa Puiiales che lavorava all'uncinetto alla luce dei lampioni, e al Potro del Mantelete appoggiato all'angolo. A tutte le complicazioni della sua vita, si aggiungeva ora una variante secondaria e scomoda: le informazioni ottenute grazie ai tre soci erano ormai sul mercato, perché Peregil aveva urgente bisogno di liquidi. Proprio quel pomeriggio Honorato Bonafé, il direttore del Q+S, gli aveva dato un altro assegno al portatore, stavolta come pagamento per alcune confidenze sul prete di Roma, sulla ex - o quello che era - del suo capo, e sulla faccenda di Nostra Signora delle Lacrime. Visto il precedente, la tentazione era ovvia: Macarena Bruner e il prete elegante significavano un'altra prima pagina su una rivista di Siviglia. E quella cena all'Albahaca e le sue eventuali conseguenze, per quanto decaffeinate potessero rivelarsi, facevano risuonare il cling di un registratore di cassa nelle orecchie di Peregil. Ma Bonafé, benché pagasse bene, era un tipo imprevedibile e pericoloso. Vendergli un prete, anche più di uno, poteva andare. Ma aggiungere al lotto, per la seconda volta, la moglie del capo, significava passare dalla mascalzonata all'alto tradimento istituzionalizzato. E la farina del diavolo va tutta in crusca. Non ci rimetteva nulla, però, ad analizzare ogni possibilità. Dagli anni in cui era investigatore privato, Peregil ricordava che il piano si elabora secondo l'ipotesi più probabile, e le misure di sicurezza si prendono secondo l'ipotesi più pericolosa. Ma più rischioso di tutto era non mettere insieme neppure una coppia quando tutti avevano poker d'assi e scala reale; così, per una questione di sopravvivenza, accumulare informazioni era la sua personale assicurazione sulla vita. Assorto in queste riflessioni, si girò verso il volto serio di don Ibrahim, che aspettava nell'ombra fumando il suo avana sotto i baffi, con il bastone al braccio e i pollici negli scavi del panciotto, sotto le ascelle. Era soddisfatto di lui e dei suoi colleghi, e questo gli iniettò un po'"di ottimismo, al punto da mettersi la mano in tasca per pagargli il Montecristo del ristorante, ma si trattenne in tempo. Non era il caso di abituarlo male. Inoltre, forse, la storia del sigaro era una bugia. «Un buon lavoro» disse. Don Ibrahim non rispose all'elogio, limitandosi a dare un paio di tirate al sigaro mentre guardava in direzione della Nifla Puiiales e del Potro, facendo capire a Peregil che era giusto dividere la gloria con loro. «Voglio che continuiate così» aggiunse lo scagnozzo di Pencho Gavira. «Il prete non deve andare a pisciare senza che io lo sappia.» «E la signora?» Quello era terreno minato. Peregil si morse il labbro inferiore, inquieto. «Discrezione assoluta» concluse alla fine. «Mi interessano soltanto i suoi rapporti con il prete giovane, o con quello più vecchio. Su questo non voglio che vi sfugga nulla.» «E dell'altra faccenda?» «Quale altra faccenda?» «Bè, non so. Uhmm. L'altra faccenda.» Don Ibrahim si guardava attorno, a disagio. Leggeva quotidianamente l'ABC, ma di tanto in tanto dava un'occhiata anche al Q+S, che la Nifla Putiales comprava con Hola, la Semana e il Diez Minutos, benché secondo l'ex falso avvocato fosse molto scandalistico e di cattivo gusto. Le foto della signora Bruner e del torero, per esempio, erano sconvenienti. In fin dei conti lei apparteneva a una famiglia illustre, e per di più era una donna sposata. «I preti» disse Peregil. «Voi concentratevi sui preti.» All'improvviso si ricordò di quello che aveva nel sacchetto e ne estrasse una macchina fotografica Canon con uno zoom da ottanta a duecento millimetri. L'aveva appena comprata di seconda mano e sperava che alla fine valesse la pena aver sostenuto la spesa, un'altra coltellata all'inguine delle sue malridotte finanze. «Sapete usarla?» Don Ibrahim fece un gesto di sufficienza, come se il dubbio fosse offensivo. «Certo» si toccò il petto con la mano che stringeva il bastone. «Io, in gioventù, ho fatto il fotografo all'Avana.» Meditò un istante, poi aggiunse: «E così che mi sono pagato gli studi». Sotto la luce fioca della piazza, Peregil vedeva brillare sulla pancia dell'ex falso avvocato la catena d'oro con l'orologio di Hemingway «Gli studi?» «Proprio così.» «Quelli da avvocato, suppongo.» Anni prima la faccenda era uscita sui giornali in ogni dettaglio ed entrambi lo sapevano benissimo, come tutta Siviglia, ma don Ibrahim ingoiò la salìva, sostenendo con gravità lo sguardo del suo interlocutore. «Naturalmente.» Poi fece una pausa piena di dignità e aggiunse, con coraggio: «Non ho altre lauree». Peregil gli consegnò il sacchetto senza fare commenti. Pagina 73
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Dopo tutto che sarebbe di noi senza noi stessi, pensava. La vita è un naufragio e ciascuno sta a galla come può. «Voglio molte foto» ordinò. «Ogni volta che il prete e la signora s'incontrano, ovunque siano, voglio che facciate loro una foto. Con discrezione, eh?... Senza che se ne accorgano. Avete anche due rullini di pellicola ad alta sensibilità nel caso in cui ci sia poca luce, e che non vi venga in mente di usare il flash.» Erano andati sotto un lampione, e don Ibrahim guardava il contenuto del sacchetto. «E difficile che ci venga in mente» ribatté. «Qui non c'è il flash.» Peregil, che si stava accendendo una sigaretta, guardò il cubano scrollando le spalle. «Che cazzo. Il più economico costa venticinquemila pesetas. La Mbahaca era un antico palazzo del Seicento. Il proprietario abitava al secondo piano, e tre saloni della parte bassa erano stati trasformati in ristorante. Benché tutti i tavoli fossero occupati, il ma tre, che Macarena Bruner chiamava Diego, gliene aveva riservato uno nella sala più bella, vicino al grande caminetto e accanto a una vetrata a piombo che si affacciava sulla piazza di Santa Cruz. Avevano fatto un'entrata spettacolare, vestiti entrambi di nero, lei bellissima nel suo tailleur con minigonna, scortata dalla sagoma scura e sottile di Lorenzo Quart. La Albahaca era uno dei posti in cui un certo tipo di sivigliani portava gli ospiti stranieri, per mostrarli e per farsi vedere, e l'ingresso della figlia della duchessa del Nuevo Extremo con il sacerdote non passò assolutamente inosservato. Macarena aveva scambiato un paio di saluti entrando, e dai tavoli più vicini non le toglievano gli occhi di dosso. Le teste si chinavano, le bocche sussurravano piano e i gioielli splendevano fra le candele accese. Domani, si disse Quart, lo saprà tutta Siviglia. «Non sono più stata a Roma dal mio viaggio di nozze» raccontava lei, apparentemente indifferente alla curiosità suscitata. «Il papa ci ricevette in udienza speciale. Io ero in nero, con pettine e mantiglia. Molto spagnola... Perché mi guarda così?» Quart gustò lentamente l'ultimo pezzettino di foie d'oca e posò coltello e forchetta sul bordo inferiore del piatto, leggermente inclinati verso destra. Da sopra la fiamma della candela, gli occhi di Macarena Bruner seguivano tutti i suoi movimenti. «Non sembra una donna sposata. Lei scoppiò a ridere e la fiamma strappò riflessi di miele ai suoi occhi scuri. «Crede che la vita che conduco non si addica a una donna sposata?» Quart appoggiò un gomito sul tavolo piegando leggermente la testa dilato, evasivo. «Non sono un buon giudice in materia.» «Ma è venuto con il collare, invece della cravatta che mi aveva promesso. Si guardarono senza fretta. Ora il bagliore della candela nascondeva la parte inferiore del volto della donna, anche se Quart indovinò il sorriso nello splendore del suo sguardo. «Per quanto riguarda la mia vita» disse Macarena Bruner «non ne faccio segreto: ho abbandonato il domicilio coniugale. Ho anche un amico, un torero. E prima del torero ce ne è stato qualche altro.» La pausa fu calcolata, perfetta, e molto a malincuore lui ammirò quella tempra. «Non è scandalizzato?» Quart posò un dito sopra l'impugnatura del coltello, sul bordo del piatto. Non era compito suo scandalizzarsi per scelte del genere, ripeté con dolcezza. La faccenda riguardava piuttosto padre Ferro, il confessore della signora. Anche fra i preti c'erano specializzazioni. «E qual è la sua?... Cacciatore di scalpi, come dice l'arcivescovo?» Allungò una mano, scostando il candeliere acceso in mezzo al tavolo. Ora poteva vederle la bocca, grande e ben disegnata, con il labbro superiore a forma di cuore e lo scintillio candido degli incisivi, identico a quello della collana di avorio sulla pelle abbronzata del collo. Sotto la giacca indossava una camicetta scollata e leggera di seta ecrù. La gonna era molto corta, con un bordo di pizzo sopra le calze nere e le scarpe dal tacco basso, dello stesso colore. L'insieme sottolineava gambe troppo lunghe e ben tornite per la tranquillità spirituale di qualsiasi sacerdote, compreso Quart, anche se lui aveva un passato più ricco della maggior parte dei preti di sua conoscenza. Ma nemmeno questo garantiva nulla. «Parlavamo di lei» disse, divertito dal curioso istinto che lo spingeva a rivolgerle il fianco, come nei vecchi duelli, quando la gente si metteva di profilo per schivare il colpo di pistola. Ora gli occhi di Macarena Bruner si colmarono di ironia. «Di me? Che altro può interessarla?... Sono alta un metro e settantaquattro, ho trentacinque anni ma non li dimostro, sono laureata, appartengo alla confraternita della Vergine del Rocio, e alla fiera di Siviglia non mi vesto mai in stile flamenco, ma con abito andaluso e cappello cordobese.» Fece una breve pausa, come Pagina 74
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt se cercasse di ricordare, e si guardò il braccialetto d'oro al polso sinistro, privo di orologio. «Alle mie nozze, mia madre mi ha ceduto il ducato di Azahara, titolo che non uso, e alla sua morte ne erediterò un'altra trentina, di cui dodici come Grande di Spagna, la Casa del Postigo con qualche mobile e qualche quadro, e quanto basta per vivere salvando le apparenze. Sono io che mi occupo di conservare quanto è rimasto, e di mettere in ordine gli archivi di famiglia. Ora sto lavorando a un libro sui duchi del Nuevo Extremo sotto gli Asburgo... Quanto al resto, non c'è bisogno che glielo racconti io.» Prese il bicchiere di vino per portarselo alla bocca. «Lo trova in una rivista qualsiasi.» «Non sembra che le importi molto.» Bevve un piccolo sorso e fissò Quart, il bicchiere ancora sollevato a mezz'aria. «E vero. Non mi importa. Vuole che le faccia delle confidenze?» Quart scosse la testa solcata da fili grigi. «Non lo so» si sentiva sincero e tranquillo. E anche pieno di aspettativa, con una strana e divertente lucidità. Senza pensarci lo attribuì al vino, che però aveva assaggiato appena. «In realtà non so perché mi abbia invitato a cena stasera.» Vide che Macarena Bruner tornava a bere. Più lentamente, riflettendo. «Mi verrebbe in mente più di una ragione» disse lei alla fine, posando il bicchiere sulla tovaglia. «E estremamente cortese, per esempio. Molto lontano dalla gentilezza ipocrita di alcuni sacerdoti... In lei la cortesia sembra un modo di tenere gli altri a distanza.» Gli dette una rapida occhiata valutativa alla parte inferiore del volto, la bocca forse, pensò Quart, e poi gli fissò le mani, che lui ora teneva sul tavolo, i polsi appoggiati al bordo, sui due lati del piatto che in quel momento un cameriere si accingeva a cambiare. «E taciturno, non stordisce la gente come un ciarlatano da fiera. In questo mi ricorda don Priamo...» Il cameriere aveva portato via i piatti e lei sorrise a Quart. «Inoltre ha i capelli con qualche filo bianco prematuro e li porta molto corti, come un soldato, come uno dei miei personaggi preferiti: Sir Marhalt, il vecchio e impassibile cavaliere delle Gesta di re Artù e dei suoi nobili cavalieri di John Steinbeck. Appena lo lessi, da ragazzina, mi innamorai follemente di Marhalt. Le sembrano motivi sufficienti?... Poi, come ha detto Gris, lei è un prete che porta bene gli abiti. Il prete più interessante che abbia mai visto, se può esserle utile.» Gli rivolse un ultimo sguardo, che per Quart si rivelò faticoso perché durò cinque secondi di troppo. «Può esserle utile?» «Non molto, nella mia specializzazione.» Macarena Bruner annuì dolcemente, apprezzando quella risposta tranquilla. «Mi ricorda anche» proseguì «un cappellano della mia scuola, che era gestita da religiose. Si capiva con molti giorni di anticipo ogni volta che doveva dire messa, perché tutte le madri erano agitate. Alla fine scappò con una di loro, la più grassottella, che ci teneva lezioni di chimica. Non sa che le suore a volte si innamorano dei preti?... E successo anche a Gris. Era direttrice di un college, a Santa Barbara, in California. E un giorno scoprì, con orrore, che amava il vescovo della sua diocesi. Avevano annunciato la sua visita, e lei si ritrovò davanti allo specchio, a depilarsi le sopracciglia per poi stendere un po'"di ombretto sugli occhi... Che ne dice?» Fissò Quart, spiando la sua reazione, ma lui rimase impassibile. Anche Macarena Bruner sarebbe rimasta sorpresa dalla quantità di sacerdoti e di religiose dei cui amori e odi approfittava lo Ior. Si limitò a scrollare un po'"le spalle, incoraggiandola a proseguire. Se era sua intenzione scandalizzarlo, sbagliava mira, E di parecchio. «E come ha risolto la cosa?» Alzò una mano, come colpendo l'aria, e il braccialetto risplendette scivolando verso l'incavo del gomito. Dai tavoli vicini due dozzine di occhi seguivano ogni suo gesto. «Bè, colpì lo specchio, lo ruppe, e si tagliò le vene. In seguito parlò con la madre superiora e le chiese un periodo di libertà per riflettere. Ormai è passato qualche anno.» Il ma tre era al suo fianco, imperturbabile come se non avesse sentito una parola. Sperava che tutto andasse bene, forse la signora desiderava qualcos'altro. Lei aveva ordinato solo un'insalata, e neanche Quart volle il secondo, né il dessert che la casa, desolata per la mancanza d'appetito della signora duchessa e del reverendo padre, desiderava offrire loro. Decisero di andare avanti col vino mentre aspettavano il caffè. «E molto che conosce sorella Marsala?» «E buffo sentirla chiamare così. Sorella Marsala... Non ho mai pensato a lei in questo modo.» Il suo bicchiere era quasi vuoto. Quart prese la bottiglia dal tavolino che avevano accanto e glielo riempì. Il suo era ancora pressoché intatto. «Gris è più grande di me» proseguì lei «ci siamo incontrate varie volte a Siviglia, tempo fa. Veniva spesso con i suoi allievi americani: corsi estivi per stranieri, belle arti... Pagina 75
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt L'ho conosciuta quando facevano pratica di restauro nella sala da pranzo estiva di casa mia. Sono stata io a presentarla a padre Ferro e a farla inserire nel progetto, quando i rapporti con l'arcivescovo erano ancora cordiali. «Perché tanto interesse per quella chiesa?» Lo studiò come se avesse fatto una domanda stupida. L'aveva costruita la sua famiglia. Vi erano sepolti i suoi antenati. «Bè, a suo marito non sembra importare molto.» «Certo che non gli importa. Pencho ha altri interessi.» La luce della candela strappò bagliori rossastri al vino del Duero quando avvicinò il bicchiere alle labbra. Stavolta fu un lungo sorso, e Quart sisentìin obbligo di non lasciarla bere da sola. «Ed è vero» chiese poi, asciugandosi le labbra con un angolo del tovagliolo «che non vivete più assieme pur essendo ancora sposati?» Lo guardò con espressione interrogativa. Quella sera non si aspettava due domande di seguito sulla sua vita coniugale. Ora, nei riflessi di miele ballava una luce divertita. «E vero» rispose, dopo una pausa di silenzio. «Non viviamo assieme. Ma nessuno ha chiesto il divorzio, né la separazione, né altro. Forse lui spera di riconquistarmi. Ero il suo crisma sociale, perciò mi ha sposato con il plauso di tutti.» Quart scorse con lo sguardo le persone sedute ai tavoli vicini, poi si chinò leggermente verso di lei. «Mi scusi. Non capisco bene questo tutti. Il plauso di chi?» «Non conosce il mio padrino? Don Octavio Machuca era amico di mio padre, ed è particolarmente affezionato alla duchessa e a me. Dice che sono. la figlia che non ha mai avuto. Così, per assicurare il mio futuro, ha appoggiato le mie nozze con il più brillante giovane talento del Banco Cartujano, con l'uomo destinato a succedergli ora che sta per andare in pensione.» «Si è sposata per questo? Per assicurare il suo futuro?» Era una domanda priva di sfumature. I capelli le erano scivolati davanti coprendole il volto a metà, e li scostò con un gesto della mano. Fissava Quart valutando il suo interesse. «Bè, Pencho è un uomo attraente. Ha, diciamo così, una mente brillante. E una virtù: è coraggioso. E fra i pochi uomini che conosco capaci di giocarsi davvero tutto per un sogno o un'ambizione. E nel caso di mio marito, ex marito o come preferisce chiamarlo, il suo sogno è la sua ambizione» un vago sorriso le affiorò sulle labbra. «Credo di averlo sposato addirittura perché ero innamorata di lui.» «E dopo cos'è successo?» Lo osservava di nuovo come prima, quasi tentasse di indovinare quanto interesse personale metteva nelle domande. «Niente, in realtà» disse in tono distaccato. «Io ho fatto la mia parte e lui la sua. Ma ha commesso un errore. O forse più d'uno. Di certo avrebbe dovuto lasciare in pace la nostra chiesa.» «Nostra?» «Mia. Di padre Ferro. Dei fedeli che vengono a messa ogni giorno. Della duchessa.» Stavolta era Quart a sorridere. «Si riferisce a sua madre chiamandola sempre duchessa?» «Quando parlo di lei con terzi, sì» rispose, e sorrise con una tenerezza che Quart non le aveva mai visto prima di allora. «Le piace. Le piacciono anche i gerani, Mozart, i preti all'antica e la Coca Cola. Quest'ultimo è un gusto po'"insolito, no?, in una donna di settant'anni che dorme una volta alla settimana con la sua collana di perle e che insiste a chiamare chauffeur l'autista... Non l'ha ancora conosciuta? Potrebbe venire a prendere il caffè da noi domani. Don Priamo ci fa visita ogni pomeriggio, per recitare il rosario.» «Dubito che padre Ferro abbia voglia di vedermi. Non gli sono simpatico.» «Lasci fare a me. O a mia madre. Lei e don Priamo vanno d'accordo. Forse sarà la volta buona e voi due riuscirete a parlare da uomo a uomo... Si dice da uomo a uomo anche trattandosi di preti?» Quart sostenne il suo sguardo, impassibile. «Quanto a suo marito...» «Lei non la smette più di far domande. E venuto apposta, suppongo.» Per scherzo fingeva di rimpiangere che fosse quello il motivo. Continuava a guardare le mani di Quart come quando si erano visti per la prima volta nell'atrio dell'albergo, e lui le aveva ritirate un paio di volte dal tavolo, a disagio. Alla fine decise di lasciarle immobili sulla tovaglia. «Cosa vuol sapere di Pencho?» proseguì lei. «Che si è sbagliato credendo di avermi comprato? Se è a causa di quella chiesa che gli ho dichiarato guerra? Che a volte sceglie di comportarsi come un figlio di buona donna?...» Disse tutto con molta calma, in tono calmo e oggettivo. Un gruppo si alzò da un tavolo vicino e alcune persone la salutarono. Tutti guardavano Quart con curiosità, soprattutto le donne, bionde e abbronzate, sicuramente andaluse di buona famiglia che non avevano mai sofferto la fame in vita loro. Macarena Bruner rispose con un cenno del capo e un sorriso. Quart la osservava con attenzione. «E perché non chiede il divorzio?» «Perché sono cattolica. Impossibile capire se parlava sul serio o se scherzava. Pagina 76
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Rimasero tutti e due in silenzio, e lui si appoggiò un po'"allo schienale della sedia continuando a studiare la donna. La collana e la camicetta di seta ecrue sotto la giacca nera mettevano in risalto la pelle bruna della scollatura, dorata dallo splendore della candela sul tavolo. Guardò gli occhi grandi e scuri che restavano tranquilli, fissi nei suoi. E capì che qualcosa si stava spingendo troppo lontano per la salute della sua anima. Ogni volta che arrivava a questo punto cominciava un po'"a sragionare, e se la sua anima fosse stata quotata in borsa, in quel momento nessuno avrebbe dato un centesimo per la sua salvezza. Aprì bocca e disse qualcosa tanto per dire, per colmare il silenzio; una frase qualsiasi, opportuna e nel tono adeguato, e cinque secondi dopo aveva già dimenticato le parole, ma aveva soddisfatto il suo desiderio di riempire il vuoto. Poi Macarena Bruner riprese a parlare, e Quart pensò a monsignor Paolo Spada. Preghiere e docce fredde, aveva ribadito sorridendo il Mastino, sulla scala di piazza di Spagna. «Ci sono cose che mi piacerebbe spiegarle» diceva lei «ma non credo di esserne capace...» Guardava sopra la spalla di Quart mentre lui annuiva senza saperne il perché, l'importante era che riusciva di nuovo a prestare attenzione. «Nella vita ci sono lussi che si pagano cari, e ora tocca a Pencho pagare il suo. E di quelli che chiedono il conto senza scomporsi, picchiando con le nocche sul bancone per chiedere quant'è. In questo è un vero uomo» ironizzò. «Molto spavaldo. Ma è solo l'apparenza, e lui sa che lo so. Siviglia è un nido di vipere, che amano spettegolare. Ogni diceria, ogni sorriso dissimulato alle sue spalle, è una pugnalata al suo orgoglio» si guardò in giro nella sala, divertita. «Immagini cosa diranno quando si saprà che sono stata a cena con lei.» «E questa la sua intenzione?» Quart era di nuovo padrone di sé. «Esibirmi come un trofeo?» Lo guardò con una saggezza un po'"annoiata, vecchia di secoli. «Forse. Noi donne siamo molto complicate in confronto agli uomini, così diretti nelle loro bugie, così infantili nelle loro contraddizioni... Così coerenti nella loro vigliaccheria.» Fu il n'altre in persona a portare il caffè, macchiato per lei, nero per lui. Macarena Bruner vi mise una zolletta di zucchero e sorrise assorta. «Quello di cui può star sicuro è che domani mattina Pencho lo saprà. Perdio, ci sono debiti che si pagano lentamente.» Bevve un piccolo sorso e quando guardò Quart aveva le labbra umide. «Forse non avrei dovuto dire "perdio", vero? Suona come una bestemmia. Non nominare il nome di Dio invano e cose del genere.» Quart posò con cura il cucchiaino a lato della tazzina. «Non si preoccupi» la tranquillizzò. «Anch'io nomino Dio di tanto in tanto. ' «E curioso» si chinò un po'"sui gomiti e la sua camicetta di seta leggera sfiorò il bordo del tavolo. Per un secondo Quart ne intuì il contenuto: pesante, bruno e morbido. Ci sarebbe voluta più di una doccia fredda per dimenticarsene. «Conosco don Priamo fin da quando è arrivato in questa parrocchia dieci anni fa, ma non riesco a immaginare la vita interiore di un sacerdote. Non ci avevo mai pensato fino a oggi, quando ho conosciuto lei.» Osservò di nuovo le mani di Quart, e poi il suo sguardo risalì fino al collare. «Come ve la cavate con i tre voti?» Se ci sono domande inopportune, pensò lui, questo era il momento giusto per formularle. Guardò il bicchiere di vino, facendo appello a tutto il suo sangue freddo. «Ciascuno si arrangia come può. C'è chi se li prospetta come obbedienza dialogata, castità condivisa e povertà di liquidi.» Sollevò leggermente il bicchiere come in un brindisi, senza toccare il vino, e poi lo posò sulla tovaglia per bere qualche sorso di caffè, mentre Macarena Bruner rideva in quel suo modo così franco, sonoro, così contagioso che Quart fu sul punto di imitarla. «E lei?» chiese la donna, continuando a sorridere. «E obbediente?» «Di solito sì.» Posò la tazzina e si asciugò le labbra, poi piegò con cura il tovagliolo e lo posò sul tavolo. «E vero che cerco di essere flessibile, ma sempre nel rispetto della disciplina. Ci sono strutture che non funzionano senza disciplina, e l'organizzazione in cui lavoro è una di quelle.» «Sta pensando a don Priamo?» Quart inarcò le sopracciglia con calcolata indifferenza. In realtà non si riferiva a nessuno in particolare, spiegò. Ma visto che lo nominava, padre Ferro era un esempio poco raccomandabile. Fatto a modo suo, per dirla con misericordia. Peccato capitale numero uno, te lo insegnano appena entri nel catechismo. «Lei non sa niente della sua vita, quindi non può giudicare.» «Non voglio giudicare» si permise di dire con enfasi «ma capire.» «Non può neppure capire» Pagina 77
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt insisté lei con calore. «E stato parroco di campagna per una vita, in un paesino sperduto dei Pirenei... Passava mesi e mesi bloccato dalla neve, e a volte doveva fare nove o dieci chilometri per portare l'estrema unzione a un moribondo. C'erano solo vecchi che, con il tempo, sono morti tutti. Li ha seppelliti con le sue mani, fino all'ultimo. Un'esperienza che gli ha fatto maturare certe idee molto precise sulla vita e sulla morte, e sul ruolo che voi sacerdoti svolgete nel mondo... Per lui, questa chiesa è importantissima. La giudica necessaria, sostiene che ogni chiesa chiusa o perduta sia un pezzo di cielo che scompare. E siccome nessuno gli bada, invece di arrendersi, lotta. Dice sempre che ha già perso troppe battaglie lassù, tra i monti.» Non c'era assolutamente niente di male, ammise Quart. Era molto commovente. Addirittura aveva visto un paio di film con una trama simile. Ma padre Ferro restava soggetto alla disciplina ecclesiastica. Noi preti, precisò, non possiamo andare in giro proclamandoci per conto nostro repubbliche indipendenti. Non con i tempi che corrono. Lei scosse il capo. «Non lo conosce abbastanza. «E lui che non me lo permette.» «Domani vi porremo rimedio. Glielo prometto.» Gli guardò di nuovo le mani. «Quanto alla sua povertà di liquidi, sembra reale. Assaggia a stento il vino... Riguardo all'altra, lei veste molto bene. So riconoscere gli abiti costosi, anche addosso a un sacerdote.» «E un obbligo legato al mio lavoro. Devo trattare con molta gente, uscire a cena con attraenti duchesse sivigliane.» Si fissarono negli occhi e stavolta nessuno sorrise. «La consideri un'uniforme.» Ci fu un breve silenzio che nessuno volle colmare e che Quart affrontò con calma. Alla fine, dopo un momento, fu lei a riprendere il discorso. «Ha anche la tonaca?» «Certo. Ma la uso poco.» Portarono il conto e Quart avrebbe voluto impossesarsene, ma Macarena Bruner non glielo permise. Sono stata io a invitarla, gli disse, inflessibile. Così lui la fissò mentre estraeva dalla borsa un'American Express carta oro. Mando sempre i conti a mio marito, spiegò maliziosamente quando il cameriere se ne fu andato. Per lui è sempre più economico degli alimenti. «Ci resta da commentare l'ultimo dei suoi tre voti» aggiunse poi. «Pratica anche la castità condivisa?» «Temo di praticare la castità e basta.» La vide annuire e poi percorrere la sala da pranzo con lo sguardo, che poi tornò a posare su di lui. Ora gli osservava la bocca e gli occhi, valutandolo. «Non mi dica che non è mai stato con una donna.» Ci sono domande a cui non si può rispondere a fine serata in un ristorante di Siviglia al lume di candela, ma lei non sembrava aspettare una risposta. Estrasse con calma dalla borsa un pacchetto di sigarette, se ne mise in bocca una, e poi, con una sfacciataggine al tempo stesso naturale e calcolata, infilò la mano destra nella scollatura, in cerca di un accendino di plastica che teneva sotto la spallina sinistra del reggiseno a contatto con la pelle. Quart la osservò mentre si accendeva la sigaretta, rifiutandosi di pensare. Solo più tardi si domandò in quale maledetto imbroglio si stava cacciando. In realtà, sia per l'educazione ricevuta a Roma sia per il lavoro svolto negli ultimi dieci anni, l'atteggiamento di Quart riguardo al sesso aveva avuto un'evoluzione diversa da quella dei sacerdoti sottoposti alle maldicenze, alla grettezza del seminario e alle norme generali dell'istituzione ecclesiastica, in un mondo chiuso, retto dal senso di colpa che spingeva a rifiutare il contatto con la donna e dove l'unica soluzione ufficiosamente accettata era la masturbazione o il sesso clandestino con successiva espiazione attraverso il sacramento della penitenza. La vita diplomatica e il lavoro per l'Istituto delle Opere Esteriori facilitavano ciò che monsignor Spada, sempre abile con gli eufemismi, definiva alibi tattici. Posto il bene generale della Chiesa come fine ultimo, giustificava a volte l'impiego di mezzi non propriamente leciti. Il fascino che un attraente, giovane e interessante segretario di nunziatura esercitava sulle mogli di ministri, finanzieri e ambasciatori, solleticandone l'istinto materno, aprìva molte porte altrimenti sbarrate a monsignori o eminenze più vecchi e coriacei. Era ciò che monsignor Spada chiamava sindrome di Stendhal" in memoria di due personaggi, Fabrizio del Dongo e Julian Sorel, le cui vicende aveva consigliato di leggere a Quart appena entrato nello Ior. Per il Mastino, infatti, la cultura non contrastava con l'addestramento. Era piuttosto una questione di discrezione morale e di intelligenza individuale, di ciascun soldato di Dio sul campo di battaglia dove poteva avvalersi delle armi della preghiera e del buon senso. Perché i vantaggi di un'intimità ottenuta nel corso di ricevimenti, conversazioni private o confessioni, non si ottenevano senza rischi. Molte donne ricercavano un sostituto affettivo di uomini irraggiungibili o di mariti indifferenti, e nulla turbava di più il vecchio Adamo, sempre in agguato sotto buona parte Pagina 78
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt delle tonache, dell'innocenza di un'adolescente o delle confidenze di una donna frustrata. In ultima istanza, l'indulgenza ufficiosa dei superiori era più o meno assicurata - l'antica barca di Pietro aveva superato tante prove ed era saggia - ma solo alla condizione che non ci fossero scandali e ci fossero invece risultati operativi. Paradossalmente un uomo come Quart, che possedeva soltanto la fede del soldato di professione, la pensava diversamente. E vero che in lui la castità era più un peccato di orgoglio che una virtù, ma questa era la regola sulla quale aveva impostato la sua vita. E per scacciare alcuni fantasmi che gli tenevano compagnia nell'oscurità, il templare con la spada, suo unico appoggio sotto un cielo senza Dio, aveva bisogno di ricorrere alla regola, se voleva affrontare con dignità il rimbombo della cavalleria saracena che si avvicinava laggiù, dalla collina di Hattin. A fatica tornò nel presente. Lei fumava con il gomito sul tavolo, il mento appoggiato nel palmo della mano che stringeva la sigaretta. Per qualche ragione, senza neppure sfiorarle, sentì la conturbante vicinanza delle sue gambe. La luce fioca della candela le dorava gli occhi scuri; erano vicinissimi, gli sarebbe bastato allungare il braccio per sfiorarle con le dita la pelle del viso, sotto i capelli neri che le ricadevano sulle spalle, l'avorio della collana, l'oro del braccialetto, il candore degli incisivi che risplendevano dolcemente tra le labbra socchiuse. E allora si costrinse a infilare nella tasca interna della giacca la mano sulle cui dita sentiva solleticare il desiderio e, presa la cartolina del capitano Xaloc, la posò fra loro due, sulla tovaglia. «Mi parli di Carlota Bruner.» Cambiò tutto in un attimo. Lei spense la sigaretta nel portacenere e lo fissò sconcertata. I riflessi di miele erano svaniti. «Dove ha trovato questa cartolina?» «Qualcuno l'ha messa nella mia stanza.» Macarena Bruner osservava l'immagine ingiallita della chiesa. Scosse il capo. «Impossibile, è mia. Era nel baule di Carlota». come vede ce l'ho io.» Quart prese la cartolina fra l'indice e il pollice e la girò, mostrando il lato scritto. «Perché non ha timbro postale?» Gli occhi della donna passavano dalla cartolina a Quart, preoccupati. Allora lui ripeté la domanda e lei annuì, ma prima di rispondere rimase per un pezzo in silenzio. «Perché non è mai stata spedita.» Aveva preso la cartolina e la studiava. «Carlota era una mia prozia. Era innamorata di Manuel Xaloc, un marinaio senza un soldo. Gris mi ha detto che le ha raccontato la storia...» Scosse il capo come se volesse negare qualcosa, anche se forse era un moto desolato, d'impotenza o di tristezza. «Quando il capitano Xaloc emigrò in America, lei gli scrisse una lettera o una cartolina quasi ogni settimana, per anni. Ma suo padre, il duca Luis Bruner; il mio bisnonno, non approvava. Così corruppe i funzionari delle poste cittadine. In sei anni lei non ricevette neppure una lettera, e lui neanche, credo. Quando Xaloc tornò a cercarla, Carlota aveva perso la ragione. Passava le giornate alla finestra, a guardare il fiume. Non fu in grado di riconoscerlo.» Quart indicò la cartolina. «E le lettere?» «Nessuno osò distruggerle. Finirono nel baule dove furono riposte le cose di Carlota alla sua morte, nel 1910. Quel baule mi affascinava da bambina: mi provavo i vestiti, le collane di giaietto...» Quart la vide accennare un sorriso, che le scomparve dalle labbra appena i suoi occhi tornarono alla cartolina. «Da giovane, Carlota era andata con i miei bisnonni all'Esposizione Universale di Parigi, a Tunisi, dove aveva visitato le rovine di Cartagine e aveva trovato alcune monete antiche... Ci sono anche opuscoli di viaggi, di navi e di alberghi: il riepilogo di una vita, fra vecchi pizzi e mussole tarlate. Può immaginarne l'effetto su una ragazzina di dieci o dodici anni: lessi le lettere una per una e rimasi affascinata dal personaggio romantico della mia prozia. Mi affascina ancora oggi.» Tracciò con un'unghia dei segni sulla tovaglia, intorno alla cartolina. Dopo un istante si fermò, pensierosa. «Una bella storia d'amore» aggiunse, alzando gli occhi su Quart. «E come tutte le belle storie d'amore, fu una storia sfortunata.» Quart restava in silenzio per paura di interromperla. Ci pensò il cameriere, avvicinandosi con la ricevuta della carta di credito. Quart osservò la firma: nervosa, irta di angoli aguzzi come pugnali. Lei ora fissava, assente, il mozzicone spento nel portacenere. «C'è una bellissima canzone» proseguì dopo un momento «la canta Carlos Cano, le parole sono di Antonio Burgos: "Ricordo ancora il pianto I di quella bambina I che era a Siviglia..." e ogni volta che la sento mi vien voglia di piangere... Sa che esiste addirittura una leggenda su Carlota e Manuel Xaloc?». Alla fine sorrise, insolitamente timida e incerta, e Quartcapìche credeva a quella leggenda. «Nelle notti di luna, Carlota torna alla sua finestra mentre, Pagina 79
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt sul Guadalquivir; la goletta fantasma del suo amante scioglie l'ancora e salpa verso il mare.» Si era chinata sul tavolo, di nuovo con riflessi d'oro negli occhi, e Quart tornò a sperimentare l'inquietante certezza di esserle troppo vicino. «Da piccola ho passato notti intere appostata nella mia stanza, a spiarli. E una volta li ho visti. Lei era una sagoma pallida alla finestra, e sotto, sul fiume, in mezzo alla nebbia, le vele bianche di un'antica nave scivolavano via lentamente fino a sparire.» Tacque di colpo. Si era appoggiata allo schienale della sedia, ricreando la distanza fra lei e Quart. «Dopo Sir Marhalt» aggiunse «il mio secondo amore fu il capitano Xaloc...» Il suo sguardo era una provocazione. «Le sembra una storia assurda?» «Assolutamente no. Ognuno ha i suoi fantasmi.» «Quali sono i suoi?» Ora toccò a Quart sorridere da molto lontano. Così lontano che Macarena Bruner non avrebbe mai potuto arrivare a vedere di che si trattava, anche nell'improbabile caso in cui lui avesse corredato di parole quel sorriso. Vento, sole, e pioggia. Sapore di sale in bocca. Ricordi tristi di un'infanzia umile, ginocchia sporche di fango e lunghe attese davanti al mare. Fantasmi di una giovinezza intellettuale bigotta, dominata dalla disciplina, con qualche ricordo felice di cameratismo in comunità e brevi periodi di ambizione soddisfatta. La solitudine in un aeroporto, in un libro, in una stanza di albergo. La paura o l'odio negli occhi di altri uomini: il banchiere Lupara, Nelson Corona, Priamo Ferro. Cadaveri reali e immaginari, passati e futuri, sulla sua coscienza. «Non hanno nulla di speciale» rispose impassibile. «Ci sono anche barche che salpano e non ritornano. E un uomo. Un templare con indosso l'armatura, appoggiato alla sua spada, in un deserto.» Lei lo guardò in modo strano, come se lo vedesse per la prima volta. E non disse nulla. «Ma i fantasmi» aggiunse Quart dopo la pausa di silenzio «non lasciano biglietti nelle stanze d'albergo.» Macarena Bruner toccò la cartolina, che era ancora sulla tovaglia e mostrava il lato con la scritta: "Qui, nel luogo sacro del tuo giuramento...". Le sue labbra si mossero mute leggendo le parole che non erano mai giunte al capitano Xaloc. «Non capisco» disse. «Era a casa mia, con il baule e le altre cose di Carlota. Qualcuno l'ha presa da li.» «Chi?» «Non ne ho la minima idea.» «Quanti conoscono l'esistenza delle lettere?» Lo fissò come se non avesse capito bene e aspettasse di sentire ripetere la domanda, ma Quart la deluse. Saltava agli occhi che rifletteva il più velocemente possibile. «No» concluse. «E troppo assurdo. Quart mosse una mano e vide Macarena Bruner indietreggiare quasi impercettibilmente sulla sedia, seguendo il gesto come se ne temesse le conseguenze. Prese la cartolina e la voltò dal lato della foto. «Non ce niente di assurdo» ribatté lui. «Si tratta del luogo dove è sepolta Carlota Bruner; accanto alle perle del capitano Xaloc. l'edificio che suo marito vuole demolire e che lei difende. Un luogo che è il motivo del mio viaggio a Siviglia e dove, incidenti o no, sono morte due persone.» Alzò gli occhi per guardarla. «Una chiesa che, secondo un misterioso pirata informatico chiamato Vespro, uccide per difendersi.» Lei abbozzò un altro sorriso che svanì prima ancora di prendere forma. Al suo posto rimase un'espressione preoccupata, assorta. «Non dica così. Mi fa paura.» C'era più malumore che apprensione in quelle parole. Quart guardò l'accendino di plastica che lei rigirava fra le mani, e capì che stavolta Macarena Bruner gli aveva mentito. Non era una di quelle donne che si spaventano tanto facilmente. passando la ronda notturna delle guardie svizzere. Arregui frugò nelle tasche della tonaca, cercando altre monete per tentare di nuovo. Stavolta il caffè uscì senza zucchero, quindi per addolcire l'intruglio dovette ricorrere al bicchiere precedente, che per fortuna era rimasto in piedi nel cestino. Poi tornò nella sala dei computer; scottandosi l'indice e il pollice attraverso la plastica del bicchiere. «Eccolo li, padre.» Cooey, l'irlandese, si era tolto gli occhiali e si puliva le lenti con un fazzolettino di carta, guardando eccitato lo schermo del suo computer. Un altro giovane gesuita, un italiano di nome Garofi, batteva disperatamente sui tasti di un secondo computer a caccia dell'intruso. «E Vespro?» chiese Arregui. Guardava lo schermo da sopra la spalla di Cooey, affascinato dal lampeggiare delle icone rosse e azzurre e dalla vertiginosa velocità con cui sfilavano i files scorsi dal pirata informatico. Quest'ultimo computer riproduceva i movimenti dell'hacker, mentre quello di Garofi lavorava alla sua identificazione e localizzazione. «Credo di sì» rispose l'irlandese, inforcando gli occhiali con le lenti pulite. Pagina 80
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «O per lo meno conosce la strada e va molto veloce. «E arrivato alle Ts?» «Ad alcune. Ma è furbo: non ci casca.» Padre Arregui bevve un sorso di caffè che gli scottò la lingua. «Maledetto.» Le TS, trappole sadducee nel gergo dell'équipe, erano un programma informatico di sicurezza disposto come una rete alla foce di un fiume, perché i pirati vi entrassero perdendo l'orientamento o rivelando dati che rendevano possibile la loro identificazione. Quelle allestite contro Vespro erano sofisticati labirinti elettronici, specchietti per le allodole percorrendo i quali l'intruso era portato a scoprire le carte del suo gioco, rendendosi vulnerabile. «Sta cercando iNMAVAT» annunciò Cooey C'era di nuovo un'ombra di ammirazione nella sua voce, e padre Arregui guardò, accigliato, il collo e la nuca del suo giovane esperto, che seguiva l'avanzata dell'hacker chino sullo schermo con il mouse sotto le dita della mano destra. Era inevitabile, si disse mentre finiva il suo caffè. Da quando Vespro aveva dato segno di vita una settimana prima, padre Ignacio Arregui e la sua équipe di gesuiti esperti in informatica sorvegliavano a turni di dodici ore il sistema centrale del Vaticano. Quella notte mancavano dieci minuti all'una, e Arregui era andato a prendere un caffè al distributore automatico nel corridoio. La macchina si era ingoiata le monete da cento lire, ma in cambio gli aveva fornito solo un bicchiere vuoto e uno schizzetto di zucchero, e il gesuita, arrabbiatissimo, guardava dietro la finestra l'ombra scura di palazzo Belvedere, dall'altra parte della strada illuminata da lampioni sotto i quali stava Lui stesso non poteva evitare una certa eccitazione professionale quando vedeva agire un membro della confraternita informatica, soprattutto se era un clandestino e abile come Vespro. Sebbene fosse un delinquente e un pirata che non gli faceva chiudere occhio da una settimana. «Eccolo» disse l'irlandese. Perfino Garofi aveva smesso di battere sui tasti e stava a guardare. iNMAVAT, l'archivio riservato alle alte cariche della curia, sfilava a tutta velocità sullo schermo, con le viscere all'aria. «Sì. E Vespro» confermò Cooey, nel tono di chi riconosce la firma di un vecchio amico. Il bicchiere di plastica risuonò come un'esplosione quando padre Arregui lo strizzò nella mano prima di gettarlo nel cestino. Nel computer di Garofi lampeggiava il cursore che segnalava il collegamento con la polizia e con il Vaticano. «Sta facendo come l'altra volta» disse l'italiano. «Camuffa il suo punto d'entrata saltando attraverso diverse reti.» Padre Arregui teneva gli occhi inchiodati sul cursore lampeggiante che passeggiava su e giù per la lista di ottantaquattro utenti di iNMAVAT. Avevano lavorato vari giorni per installare una trappola sadducea destinata a chi tentava di infiltrarsi in VOlA, il terminale privato del Santo Padre. La trappola, inerte quando si accedeva all'archivio con la normale parola d'ordine, funzionava solo se l'intruso proveniva dall'esterno: varcando la soglia di iNMAVAT trascinava con sé un codice nascosto, di cui lo stesso pirata ignorava l'esistenza. Qualcosa di simile a una remora invisibile. Quando arrivava a VOlA, il segnale bloccava l'entrata al bersaglio reale e deviava il pirata verso uno fittizio, VOlATS, dove qualunque cosa facesse non avrebbe potuto causare danni, e dove avrebbe lasciato, credendo di farlo nel computer personale del papa, qualsiasi nuovo messaggio portasse con se. Il cursore si fermò lampeggiando in VOlA. Furono dieci lunghi secondi durante i quali i tre gesuiti trattennero il fiato, attenti allo schermo del computer gemello. Alla fine il cursore fece clic e comparve l'orologio dell'attesa. «Sta entrando» Cooey lo disse a voce molto bassa, come se Vespro potesse sentirli. Aveva il volto arrossato, e negli occhiali, di nuovo appannati, si rifletteva lo schermo. Padre Arregui si mordeva il labbro inferiore e si allacciava e slacciava un bottone della tonaca. Se la trappola non avesse funzionato o Vespro ne avesse sospettato l'esistenza, il pirata avrebbe potuto arrabbiarsi. E un pirata furibondo in un archivio delicato come iNMAVAT era imprevedibile. In ogni modo, l'équipe di esperti vaticani aveva ancora un asso nella manica: bastava premere un tasto per tagliare iNMAVAT fuori dal sistema. Il problema era che, in tal caso, Vespro avrebbe capìto che erano sulle sue tracce, e avrebbe potuto scomparire immediatamente. O peggio ancora, tornare un'altra volta con una tattica diversa e inaspettata. Per esempio, un programma assassino destinato a infettare e a distruggere tutto ciò che incontrava. Scomparve l'orologio e la schermata cambiò. «Ecco!» intervenne Garofi. Pagina 81
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Vespro era dentro VOlA, e per un lunghissimo istante i tre gesuiti studiarono angosciati il monitor per vedere alla fine in quale dei due archivi, reale o fittizio, si fosse intrufolato. Man mano che compariva il codice, Cooey iniziò a leggere con voce tesa: «ViZeroUnoATiEsse». Poi abbozzò un sorriso ampio, orgoglioso, soddisfatto. Vespro si era infiltrato nella trappola sadducea, e il computer personale del papa era ormai irraggiungibile per lui. «Il Signore sia lodato» disse padre Arregui. Aveva finito per strappare il bottone della tonaca. Con quello in mano si chinò a leggere il messaggio che compariva sullo schermo del computer: Il nemico ha devastato tutto nel tuo santuario. Ruggirono i tuoi avversari nel tuo tempio, issarono i loro vessilli come insegna. Come chi vibra in alto la scure nel folto di una selva, con l'ascia e con la scure frantumavano le sue porte. Hanno dato alle fiamme il tuo santuario, hanno profanato e demolito la dimora del tuo nome. Fino a quando, o Dio, ci insulterà l'avversario? Dopodiché Vespro interruppe il contatto e il suo segnale scomparve dallo schermo. «Impossibile localizzarlo.» Padre Garofi puntava inutilmente il cursore del mouse sul suo computer. «In ogni movimento si lascia alle spalle piccole bombe che distruggono le sue tracce quando se ne va. Questo hacker sa quel che fa.» «E conosce anche i Salmi» disse padre Cooey mettendo in funzione la stampante per avere una copia del testo. «E il sessantatré, vero?» Padre Arregui scosse il capo. «Il settantatré. Salmo settantatré» lo corresse, mentre continuava a fissare preoccupato lo schermo del computer di Garofi. «"Lamento davanti al tempio devastato".» «Però sappiamo qualcosa di più su di lui» disse all'improvviso padre Cooey. «E un pirata con senso dell'umorismo. Gli altri due sacerdoti guardarono lo schermo acceso. Ora al suo interno saltellavano palline da pingpong, raddoppiando ogni volta che rimbalzavano ai lati dello schermo, e quando due di esse si scontravano si produceva una minuscola deflagrazione nucleare, un piccolo fungo al cui centro si formava la scritta bum. Arregui era indignato. «Canaglia!» disse. «Eretico!» All'improvviso si accorse del bottone della tonaca che aveva in mano, e lo gettò nel cestino. Con gli occhi fissi sullo schermo, padre Cooey e padre Garofi ridevano sottovoce. 7.La bottiglia di anisetta Ai tempi ormai lontani in cui, studiando la sublime Scienza, ci chinavamo sul mistero colmo di gravi enigmi. FULcANELLi, Il mistero delle cattedrali Erano da poco passate le otto del mattino quando Quart attraversò la piazza diretto a Nostra Signora delle Lacrime. Il sole illuminava la facciata sbiadita, senza superare il margine delle grondaie delle case, dipinte in ocra rossa e calce bianca. Un'ombra fresca e piacevole copriva ancora gli aranci, il cui profumo lo accompagnò fino al portale della chiesa, dove un mendicante chiedeva l'elemosina seduto per terra, con le stampelle appoggiate al muro. Quart gli dette una moneta e varcò la soglia, fermandosi un istante accanto al Nazareno degli ex voto. La messa non era ancora arrivata all'offertorio. Raggiunse le ultime panche e si sedette. Davanti a lui una ventina di fedeli occupavano metà della navata. Il resto delle panche e degli inginocchiatoi era ancora ammucchiato contro un muro, fra le impalcature che coprivano le pareti. La luce che illuminava il retablo sopra l'altare maggiore era accesa, e sotto il variegato insieme di statue sacre e profane, ai piedi della Vergine delle Lacrime, don Priamo Ferro officiava la messa con padre Oscar come accolito. La maggior parte dei suoi parrocchiani erano donne e vecchi: abitanti del quartiere di aspetto modesto, impiegati diretti al lavoro, pensionati, casalìnghe. Alcune donne avevano a fianco le borse di paglia o i carrelli per la spesa. Due o tre anziane signore erano vestite di nero, e una vecchietta inginocchiata vicino a Quart aveva il capo coperto con uno di quei veli da messa caduti in disuso vent'anni prima. Padre Ferro venne avanti a leggere il Vangelo. Portava paramenti bianchi, e Quart notò che al collo, sotto la pfaneta e la stola, spuntava il bordo dell'amitto: l'antico panno di lino che i sacerdoti si mettevano sulle spalle Pagina 82
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt come primo indumento per la messa prima del Concilio Vaticano Il, in ricordo del telo che aveva coperto il volto di Cristo. Solo gli officianti molto anziani o molto tradizionalisti lo indossavano, ma non era l'unico anacronismo nelle vesti e negli atteggiamenti di padre Ferro. La vecchia pianeta, per esempio, era del tipo detto "a chitarra" con lunghi tagli sui lati, invece del modello usuale, simile alla dalmatica, che aveva finito per sostituirlo perché più comodo e leggero. In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli... Il parroco, che doveva aver letto il testo centinaia di volte nel corso della sua vita, guardava appena il libro aperto sul leggìo, assorto nella contemplazione di un punto indefinito dello spazio fra lui e i suoi fedeli. Non c'erano microfoni, la piccola chiesa non ne aveva comunque bisogno, e la sua voce aspra, tranquilla, priva di inflessioni o sfumature, colmava con autorevolezza il silenzio della navata, fra le impalcature e i dipinti anneriti del soffitto. Non lasciava spazio alla discussione né al dubbio: tutto, al di fuori delle parole pronunciate in nome di un Altro, era privo di valore o di importanza. Era il verbo della fede. In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. E Io vi vedrò di nuovo, e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia... Parola di Dio, disse tornando dietro l'altare, e i fedeli recitarono il Credo. allora, senza troppa sorpresa, Quart scoprì Macarena Brune Era tre panche avanti a lui, con occhiali scuri, jeans, i capelli raccolti a coda di cavallo e la giacca sulle spalle, il volto chino in preghiera. Poi, tornando all'altare, gli occhi di Quart incontrarono quelli di padre Oscar che lo osservavano, imperscrutabili, mentre don Priamo Ferro continuava a officiare, estraneo a tutto ciò che non fosse il rituale dei suoi gesti e delle sue parole. Benedictus est, Domine, Deus universi, quia de tua largitate accepimus panem... Attonito, Quart prestò attenzione alle parole del sacerdote: stava celebrando in la ti no. In effetti, tutte le parti della messa che non erano direttamente rivolte ai fedeli o non potevano essere recitate dalla collettività, padre Ferro le pronunciava nella vecchia lingua canonica della Chiesa. Non era un'infrazione grave, naturalmente: alcune chiese con uno speciale privilegio ne avevano facoltà, e lo stesso pontefice, a Roma, celebrava spesso la messa in latino. Ma le disposizioni ecclesiastiche stabilivano, fin dai tempi di Paolo vi, che la messa fosse celebrata in lingua volgare per permettere ai fedeli una maggiore comprensione e partecipazione. Era evidente che padre Ferro accettava solo in parte lo spirito della modernità ecclesiastica. Per huius aquae et vini niysteflum... Quart lo studiò con cura durante l'offertorio. Una volta disposti gli oggetti liturgici sul corporale, il parroco elevò al cielo l'ostia posata sulla patena e poi, mescolando alcune gocce d'acqua al vino portato nelle ampolline da padre Oscar; fece lo stesso con il calice. Infine si voltò verso il suo accolito, che gli offriva una piccola bacinella con la brocca d'argento, e si lavò le mani. Lava me, Domine, ab iniquitate mea. Quart seguiva il movimento delle sue labbra che pronunciavano le frasi latine a voce bassa. Il lavacro delle mani era un'altra abitudine in via di estinzione, anche se accettata nell'ordine normale della messa. Ebbe modo di notare altri dettagli anacronistici, visti raramente da quando, a dieci o dodici anni, assisteva come chierichetto il prete della sua parrocchia: padre Ferro congiunse i polpastrelli delle dita sotto il getto d'acqua che gli versava l'accolito e poi, una volta asciugate le mani, tenne pollici e indici uniti formando un cerchio per impedire che entrassero in contatto con qualcosa; anche le pagine del messale le girava con le altre tre dita, che teneva rigide. Tutto ciò era squisitamente ortodosso in accordo all'antica usanza, e tipico di vecchi preti restii ad accettare il cambiamento dei tempi. Ci mancava solo che officiasse voltando le spalle ai fedeli, rivolto verso il retablo e la statua della Vergine, come si faceva trent'anni prima. E a don Priamo Ferro, sospettava Quart, non sarebbe affatto dispiaciuto. Vide che recitava il canone chinando la testa cocciuta, gli irsuti capelli bianchi, tagliati in qualche modo: Te igitur; clementissime Pater. Il mento dalle ombre nere e grigie mal rasate sprofondava nel collo della pianeta mentre il parroco pronunciava a voce bassa, appena percettibile nel silenzio assoluto della chiesa, le preghiere del sacrificio della messa nello stesso modo in cui erano Pagina 83
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt state pronunciate da altri uomini, vissuti e morti prima di lui, negli ultimi milletrecento anni. Per ipsum, et cum ipso, et in ipso, est tibi Deo Patri Omnipotenti... Molto a malincuore, con tutto il suo scetticismo professionale sulle spalle e il disprezzo che gli ispirava la figura di padre Ferro, il sacerdote che era in Lorenzo Quart non poté fare a meno di commuoversi davanti alla singolare solennità che il rituale composto di gesti e parole conferiva al vecchio parroco. Era come se la trasformazione simbolica che in quel momento si compiva sull'altare trasfigurasse anche il suo aspetto di rozzo prete di provincia per rivestirlo di un'autorità, di un carisma che faceva dimenticare la tonaca vecchia e sporca e le scarpe inzaccherate sotto la pianeta dal collo logoro, con fili dorati e decorazioni sbiadite dal passare del tempo. Se davvero c'era un Dio dietro il legno dorato, barocco, splendente intorno alla Vergine delle Lacrime, avrebbe senza dubbio acconsentito a posare per un istante la mano sulla spalla del vecchio brontolone che, chino sull'ostia e sul calice, celebrava il mistero dell'incarnazione e della morte del Figlio. Inoltre, si disse Quart guardando i volti che aveva davanti, compresa Macarena Bruner girata verso l'altare e attenta, come gli altri, alle mani del sacerdote, era assolutamente irrilevante, in quel momento, che ci fosse o no, da qualche parte, un Dio pronto a impartire premi e castighi, dannazione o vita eterna. Ciò che contava in quel silenzio in cui la voce aspra di padre Ferro recitava la liturgia, erano i volti seri, tranquilli, attenti alle sue mani e alla sua voce, che mormoravano assieme all'officiante parole più o meno comprese, sintetizzabili in una sola: conforto. Cioè calore davanti al freddo, o una mano amica nel buio. E come loro, genuflesso sul suo inginocchiatoio con i gomiti sullo schienale della panca successiva, Quart ripeté fra sé le parole della consacrazione mentre si agitava a disagio, cosciente di aver appena varcato la soglia della comprensione riguardo a quella chiesa, al suo parroco, al messaggio di Vespro e a ciò che lui stesso stava facendo lì. Era più facile, scoprì, disprezzare padre Ferro che stare a guardarlo, piccolo e ribelle sotto l'antiquata pianeta, mentre creava con le parole del vecchio mistero un umile angolo di pace dove una ventina di volti, perlopiù stanchi, invecchiati, chini sotto il peso degli anni e della vita, guardavano con timore, rispetto, speranza, il pezzetto di pane che il vecchio sacerdote teneva orgogliosamente tra le mani. E dove onoravano il vino, frutto della vite e del lavoro dell'uomo, che il sacerdote innalzava subito dopo nel calice di ottone dorato e poi riabbassava trasformato nel sangue di quel Gesù che, nello stesso modo, finita la cena, aveva dato da mangiare e da bere ai suoi discepoli con le stesse parole che padre Ferro faceva risuonare adesso, immutabili, venti secoli dopo, sotto le lacrime di Carlota Bruner e del capìtano Xaloc. Hoc facite in meam commemorationem. Fate questo in memoria di me. La messa era finita. La chiesa era deserta. Quart era ancora seduto immobile sulla panca, dopo che don Priamo Ferro aveva detto Ite, missa est allontanandosi dall'altare senza rivolgere una sola volta lo sguardo nella sua direzione. A uno a uno i fedeli se n'erano andati, compresa Macarena Bruner; che gli era passata accanto con gli occhiali scuri senza dar segno di averlo visto. Per un po', la vecchia beghina con il velo era stata l'unica compagnia di Quart, e mentre lei continuava a pregare, padre Oscar era uscìto dalla sacrestia ed era tornato sull'altare, aveva spento i ceri e la luce elettrica del retablo, per poi ritirarsi nuovamente, sempre con gli occhi chini a terra. Se n'era andata anche la beghina, e l'agente dello Ior era rimasto solo nella penombra della chiesa vuota. Nonostante i suoi atteggiamenti e il rigore con cui si atteneva alla regola, Quart era un uomo lucido. E questa lucidità per lui era una sorta di tranquilla maledizione che gli impediva di approvare completamente l'ordine naturale delle cose, senza fornirgli in cambio alibi che rendessero tollerabile tale coscienza. Nel caso di un sacerdote, come di qualsiasi altra professione che imponga di credere nella posizione privilegiata dell'uomo all'interno dell'armonia dell'universo, tutto ciò risultava spiacevole e pericoloso; poche cose sopravvivevano alla certezza di come sia insignificante la vita umana. Quanto a Quart, solo la forza di volontà, incarnata nella sua disciplina, gli permetteva di tenere a bada la pericolosa frontiera dove la verità nuda tenta gli uomini, pronta a presentare il conto sotto forma di debolezza, apatia o disperazione. Era per questo, forse, che rimaneva seduto sulla panca della chiesa, sotto la volta scura che odorava di cera e di pietra vecchia e fredda. Guardava attorno a sé le impalcature appoggiato alle pareti, i polverosi ex voto accanto al Nazareno dagli sporchi capelli naturali, il legno dorato del retablo nella penombra, le pietre del pavimento che i passi di gente morta avevano Pagina 84
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt logorato, cento, duecento o trecento anni prima. E rivedeva il volto mal rasato e cupo di padre Ferro che si chinava sopra l'altare, pronunciando frasi ermetiche davanti a una ventina di visi che la speranza di un Padre onnipotente, di un conforto, di una vita migliore dove i giusti avrebbero ottenuto il loro premio e gli empi il loro castigo, sollevava dal dolore della condizione umana. Quel luogo umile era molto lontano dai palcoscenici all'aria aperta, dagli schermi televisivi giganti, dal folclore e dalla volgarità delle vistose chiese multicolori dove tutto era permesso: le tecniche di Goebbels, i palcoscenici rock, la dialettica dei mondiali di calcio, l'acqua benedetta con l'aspersorio elettronico. Ecco il motivo per cui i pedoni rimasti indietro a cui alludeva Gris Marsala, estranei, ormai lontani dal clamore della battaglia che si spegneva alle loro spalle, abbandonati alla propria sorte senza sapere se c'era ancora un re per cui combattere, sceglievano la loro casella sulla scacchiera, come si sceglie un posto dove morire. Padre Ferro aveva scelto il suo, e Lorenzo Quart, qualificato cacciatore di scalpi per conto della curia romana, lo capiva senza troppa fatica. Perciò, forse, ora non si sentiva troppo sicuro di sé, seduto su una panca di quella chiesa piccola, malridotta e solitaria, trasformata dal vecchio parroco nella sua Torre Maledetta: una ridotta per difendere le ultime pecorelle fedeli dai lupi che fuori vagavano ovunque, pronti a strappar loro gli ultimi brandelli d'innocenza. Quart rimase a lungo assorto in queste riflessioni. Poi si alzò e percorse il corridoio centrale fino all'altare maggiore, ascoltando l'eco dei propri passi sotto la copertura ellittica del transetto. Si fermò davanti al retablo, accanto alla lampada accesa del Santissimo, e guardò le sculture in preghiera che ritraevano gli antenati di Macarena Bruner ai lati della statua centrale della Vergine delle Lacrime. Sotto il baldacchino regale, scortata da cherubini e santi tra foglie e motivi decorativi in legno dorato, l'opera di Martinez Montaflés si delineava nella penombra, grazie ai fasci di luce obliqui che le vetrate facevano passare attraverso la struttura geometrica, razionale, delle impalcature. Era molto bella e molto triste, con il viso leggermente rivolto verso l'alto come in un rimprovero, e le mani vuote, aperte, tese ai due lati come se chiedesse in nome di che cosa le avevano strappato il figlio. Le venti perle del capìtano Xaloc riflettevano una luce dolce sul suo volto, sulla corona di stelle e sulla tunica azzurra, sotto la quale un piede nudo, posato su una falce di luna, schiacciava la testa a un serpente. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua... La voce che citava la Genesi risuonò dietro di lui e voltandosi Quart scopri gli occhi chiari di Gris Marsala. Non l'aveva sentita entrare e avvicinatasi in silenzio grazie alle scarpe da tennis era già alle sue spalle. «Lei cammina come i gatti» disse Quart. La donna rise, scuotendo il capo. Portava come sempre i capelli raccolti dietro la nuca in una corta treccia, una polo ampia e un paio di jeans sporchi di vernice e di gesso. Quart la immaginò mentre si truccava davanti allo specchio prima della visita del vescovo, e poi davanti allo sguardo freddo, moltiplicato nei frammenti di vetro dopo il pugno. Le cercò la cicatrice sui polsi; eccola lì: un tratto livido di tre centimetri sul lato interno di quello destro. Si chiese se l'avesse mostrato con intenzione. «Non mi dica che è venuto a messa qui» esordì lei. Quart annuì e la vide sorridere in modo indefinibile. Le osservava ancora la cicatrice, e Gris Marsala, notandolo, girò l'avambraccio e la nascose. «Il parroco» disse Quart. Stava per aggiungere qualcosa, ma restò in silenzio come se così riassumesse tutto. Dopo un attimo lei tornò a sorridere, stavolta in modo più enigmatico, come un cenno d'intesa dopo parole rimaste inespresse. «Sì» mormorò. «Si tratta proprio di questo.» Sembrava sollevata, e smise di proteggersi il polso. Poi gli chiese se aveva visto Macarena Bruner; e Quart annuì. «Viene ogni mattina, alle otto» spiegò lei. «Il giovedì e la domenica, con sua madre.» «Non la immaginavo così devota.» Il sarcasmo non era intenzionale, ma Gris Marsala incassò il commento infastidita. «Lasci che le dica una cosa. Non mi piace il suo tono». Lui fece qualche passo davanti al retablo, guardando la statua della Vergine. Poi si voltò di nuovo verso la donna. «Forse ha ragione. Ma ieri sera ho cenato con lei e sono ancora sconcertato.» «So che avete cenato assieme» gli occhi chiari lo studiavano con attenzione, e con curiosità. «Macarena mi ha svegliato all'una di notte e mi ha tenuto quasi mezz'ora al telefono. Fra tutte le altre cose, mi ha detto anche che lei sarebbe venuto a messa.» «E impossibile» obiettò Quart. «Fino a pochi minuti fa neppure Pagina 85
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt io ne ero sicuro.» «Bè, evidentemente lei lo era. Ha detto che forse così avrebbe iniziato a capìre...» S'interruppe, con aria interrogativa. «Ha iniziato a capìre?» Quart la guardò impavido. «Che altro le ha detto?» Fece la domanda in tono superficiale, quasi ironico, ma se ne pentì prima ancora di completare la frase. Era davvero interessato a ciò che Macarena Bruner poteva aver detto all'amica suora, e gli seccava che fosse evidente. Gris Marsala guardava il collare della camicia del sacerdote, pensierosa. «Ha detto molte cose. Che lei è una persona simpatica, per esempio. E che non è così diverso da don Priamo come crede» e prese a squadrarlo da capo a piedi, valutandolo con intenzione. «Ha anche detto che è il prete più sexy che abbia mai visto.» Il sorriso che le spuntò sulla bocca sfiorava la provocazione. «Ha detto proprio così: sexy Che ne pensa?» « Perché mi racconta tutto ciò?» «Che domanda sciocca, me l'ha chiesto lei.» «Non mi prenda in giro» si portò un indice alla tempia. «Ho i capelli grigi, come lei.» «Mi piacciono i suoi capelli così corti. E anche a Macarena.» «Non ha risposto alla mia domanda, sorella Marsala.» Lei rise e innumerevoli piccole rughe le circondarono gli occhi. «Ometta il titolo, la prego.» Rideva mostrando i suoi jeans sporchi e le impalcature ai muri. «Non so se tutto questo si addica a una monaca.» No, non si addiceva, pensò Quart. E tanto meno il suo ruolo nello strano triangolo formato da loro due e da Macarena Bruner; o forse quartetto se includevano l'immancabile padre Ferro. Non la vedeva nemmeno con l'abito sacro, in un convento. Sembrava aver compiuto un lungo cammino da Santa Barbara. «Pensa mai di tornare?» Tardò un po'"a rispondere. Guardava in fondo alla navata. Le panche ammucchiate vicino alla porta. Teneva i pollici nelle tasche posteriori dei pantaloni, e Quart si chiese quante suore sarebbero state capaci di portare dei jeans aderenti come li portava Gris Marsala; era snella come una ragazzina nonostante l'età. Solo il volto e i capelli erano invecchiati e anche così il suo modo di muoversi emanava un fascino particolare. «Non lo so» disse, con aria assente. «Forse dipende da questo posto, da cosa accadrà qui. Credo sia la ragione per cui non me ne sono andata.» Ora si rivolgeva a Quart senza guardarlo, gli occhi socchiusi davanti ai raggi del sole che filtravano ormai dai bordi illuminati della porta. «Non ha mai sentito all'improvviso un vuoto inaspettato, là dove pensa di avere il cuore?... Fa tac e si ferma un momento, apparentemente senza motivo. Poi riprende la sua marcia, ma si capìsce che non è più la stessa cosa e ci si chiede, inquieti, se non stia per succedere qualche disgrazia.» «Crede che qui potrà scoprirlo?» «Non ne ho idea. Ma ci sono luoghi che racchiudono risposte. E una sensazione che ci costringe a restare nei paraggi, all'erta. Non crede?» A disagio, Quart spostò il peso del corpo prima su un piede e poi sull'altro. Non era il genere di conversazione che preferiva, ma aveva bisogno di capìre. Tra le parole poteva nascondersi il bandolo della matassa. «A mio parere vaghiamo per tutta la vita intorno alla nostra tomba. Ecco, forse, la risposta.» Mentre lo diceva sorrise un po'"per minimizzare la serietà del commento. Ma Gris Marsala non si lasciò distrarre. «Avevo ragione. Lei non è un sacerdote come tutti gli altri.» Non disse perché, né davanti a chi faceva valere quella ragione, e Quart non volle chiedere. Cadde allora un silenzio che nessuno dei due accennò a colmare. Si avviarono uno di fianco all'altra lungo la navata. Quart guardava le pareti, i dipinti scrostati e gli ori sbiaditi delle cornici. Accanto all'eco dei suoi passi, Gris Marsala camminava in silenzio. Alla fine riprese a parlare. «Ci sono cose» disse «ci sono posti e persone attraverso i quali non è possibile passare impunemente... Sa di cosa parlo?» Si fermò un istante a osservare Quart e poi rincominciò a camminare scuotendo il capo. «No, non credo che se ne sia ancora accorto. Mi riferisco a questa città. A Siviglia. A questa chiesa. E anche a don Priamo e a Macarena.» Si era fermata di nuovo con un sorriso di scherno sulle labbra. «E bene che sappia a cosa va incontro.» «Forse non ho niente da perdere.» «E buffo sentirglielo dire. Macarena assicura che è la cosa più interessante di lei. E proprio l'impressione che fa.» Erano ormai vicino alla porta, e la luce della strada faceva contrarre le iridi chiare negli occhi della donna. «Si direbbe che, in questo, lei assomiglia a don Priamo.» Il cameriere girò la manovella del tendone finché l'ombra noncoprìil tavolo a cui si erano accomodati Pencho Gavira e Octavio Machuca. Seduto ai piedi del vecchio banchiere, un lustrascarpe si dava da fare con il lucido. Battendo il manico della spazzola contro il palmo della mano disse: «l'altra, signore». Obbediente, Machuca ritirò il piede destro dalla cassetta con borchie dorate e specchietti e appoggiò nello stesso punto il sinistro. Il lustrascarpe mise Pagina 86
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt i protettori per non macchiare i calzini e proseguì coscienziosamente il suo lavoro. Era molt o magro, di aspetto gitano, ultracinquantenne, con le braccia piene di tatuaggi e biglietti della lotteria che gli spuntavano dal taschino della camicia. Ogni giorno, il presidente del Banco Cartujano si faceva lustrare le scarpe a trecento pesetas a servizio, mentre guardava scorrere la vita dal suo tavolo all'angolo della Campana. «Accidenti, fa un caldo» disse il lustrascarpe. Si asciugava con il dorso della mano nera di vernice le gocce di sudore che gli scivolavano sul naso. Pencho Gavira accese una sigaretta e ne offrì una all'uomo, che se la mise sopra un orecchio senza smettere di spazzolare le scarpe di Machuca. La tazzina di caffè e l'ABC sul tavolo, il vecchio banchiere osservava soddisfatto il lavoro. Alla fine, tese una banconota da mille pesetas al lustrascarpe, che si grattò la nuca, perplesso. «Non ho spiccioli, signor Machuca.» Il presidente del Cartujano, che era un cliente abituale, sorrise accavallando le lunghe gambe. «Allora ti pago domani, Rafita. Quando hai il resto.» Il lustrascarpe gli restituì la banconota, portandosi due dita alla fronte in un gesto vagamente militaresco, e si allontanò verso piazza dunque de la Victoria con il panchetto e la cassetta sotto il braccio. Pencho Gavira vide che passava accanto a Peregil, che aspettava a rispettosa distanza, accanto alla vetrina di un negozio di scarpe e a pochi passi dalla Mercedes blu scuro ferma accanto al marciapiede. Cànovas, il segretario di Machuca, controllava alcune carte a un tavolo vicino, disciplinato e silenzioso, in attesa di sbrigare le incombenze della giornata. «Pencho, come va con la chiesa?» Apparentemente era una domanda di routine, come quelle sul tempo o sulla salute di un parente. Il vecchio Machuca aveva preso il giornale e lo sfogliava senza prestare attenzione, finché non arrivò ai necrologi. Allora si mise a leggere con cura. Gavira si appoggiò allo schienale di vimini e guardò le macchie di sole che guadagnavano terreno ai suoi piedi, avanzando lentamente da calle Sierpes. «Ci stiamo lavorando» disse. Machuca socchiudeva gli occhi preso dai necrologi. Alla sua età gli sembrava una consolazione vedere quanti conoscenti pian piano se ne andavano prima di lui. «I consiglieri si spazientiscono» commentò senza smettere di leggere. «Per essere esatti, alcuni si spazientiscono e altri sperano che tu ti rompa la zucca.» Girò pagina, dedicando un sorrisetto alla lunga sfilza di figli, nipoti e altri parenti che pregavano per l'anima dell'eccellentissimo don Luis J orquera de la Sintacha, figlio illustre di Siviglia, commendatore dell'Ordine di Maliara, siniscalco della Reale Confraternita della Carità Perpetua, passato a miglior vita dopo aver ricevuto i santi sacramenti, eccetera eccetera: Machuca e con lui tutta Siviglia erano al corrente che l'eccellentissimo defunto in vita era stato un autentico mascalzone, e che si era arricchito nel dopoguerra con il traffico di penicillina. «Tra pochissimi giorni dovremo discutere il tuo progetto sulla chiesa.» Gavira annuì, la sigaretta in bocca, consapevole che ventiquattr'ore prima della riunione i sauditi di Sun Cafer Alley sarebbero atterrati all'aeroporto cittadino per comprare finalmente Puerto Targa. E con quell'accordo firmato sul tavolo, nessuno avrebbe fiatato. «Sto mettendo a punto gli ultimi dettagli» disse. Machuca annuì un paio di volte. I suoi occhi, circondati da profonde occhiaie, passavano dal giornale alla gente per strada. «Quel prete» commentò. «Il vecchio.» Gavira ascoltò con attenzione, ma il banchiere tacque come se non riuscìsse a mettere a fuoco l'idea. O forse si limitava a provocare il suo delfino. Comunque Gavira rimase in silenzio. «E lui la chiave di tutto» proseguì Machuca. «Finché non si arrende, il sindaco continuerà a non vendere, l'arcivescovo a non secolarizzare, e tua moglie e sua madre manterranno la loro posizione. Le messe del giovedì ti stanno rovinando.» Continuava a riferirsi a Macarena Bruner come alla moglie di Gavira, e questo, anche se dal punto di vista tecnico era vero, portava a imbarazzanti implicazioni per il presunto marito. Machuca si rifiutava di accettare la fine del matrimonio di cui era stato testimone. In ciò era racchiuso anche un ammonimento: finché continuava quell'equivoca situazione coniugale, che Macarena continuava a sbandierare, non si sarebbe risolto nulla per il suo successore. La buona società di Siviglia, che aveva accettato Gavira dopo le sue nozze con la bambina del Nuevo Extremo, non perdonava un certo genere di comportamenti. Qualunque cosa facesse, con preti o toreri di mezzo, Macarena era una di loro, ma Gavira no. Senza sua moglie non era altro che un disinvolto avventuriero Pagina 87
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt arricchito. «Non appena avrò risolto la faccenda della chiesa» disse «mi occuperò di lei». Machuca sfogliava le pagine, scettico. «Non ne sono così sicuro. La conosco fin da quando era bambina.» Si chinò sul giornale per bere un sorso dalla sua tazza. «Anche se metti fuori gioco il parroco e demolisci la chiesa, perderai l'altra battaglia. Macarena l'ha presa come un fatto personale.» «E la duchessa?» Spuntò l'ombra di un sorriso sotto il grosso naso affilato del banchiere. «Cruz rispetta molto le decisioni di sua figlia. E riguardo alla chiesa sta dalla sua parte, incondizionatamente.» «l'ha vista negli ultimi tempi? Parlo della madre.» «Certo. Ogni mercoledì.» Era vero. Un pomeriggio a settimana, Octavio Machuca mandava la sua macchina a prendere Cruz Bruner; e l'aspettava nel parco di Maria Luisa per una passeggiata. Nei pomeriggi di sole li si poteva vedere sotto i salìci, o seduti su una panchina della piazzetta di Bécquer. «Ma sai com'è fatta tua suocera.» Il sorriso di Machuca si allargò leggermente. «Chiacchieriamo solo del tempo, delle piante del suo patio e dei fiori del giardino, dei versi di Campoamor... E ogni volta che le recito "Le figlie delle donne che ho amato tanto / mi baciano ormai come si bacia un santo", ride come una bambina. Parlare di suo genero, o della chiesa, o del fallimento matrimoniale della figlia, le sembrerebbe una volgarità.» Indicò l'estinto Banco de Poniente, sull'angolo di Santa Marta de Gracia. «Scommetterei quel palazzo che non sa neppure che siete separati.» «Non esageri, don Octavio.» «Non esagero affatto.» Gavira bevve un sorso di birra in silenzio. Era un'esagerazione naturalmente, ma rendeva bene il carattere della vecchia signora che abitava nella Casa del Postigo come una monaca di clausura nel suo convento, passeggiando fra ombre e ricordi nel vecchio palazzo ormai troppo grande per lei e sua figlia, cuore di un quartiere antico fatto di marmi, azulejos, cancelli e cortili interni con piante, sedie a dondolo, canarini, siesta e pianoforte. Incurante di quanto accadeva fuori, eccetto la passeggiata settimanale nella nostalgia con l'amico del suo defunto marito. «Non è che voglia intromettermi nella tua vita privata, Pencho.» Il vecchio lo spiava da dietro le palpebre socchiuse. «Ma spesso mi chiedo cosa sia successo con Macarena.» Gavira scosse il capo, sereno. «Niente di particolare, glielo assicuro. Suppongo che la vita, il mio lavoro, abbiano creato delle tensioni...» Dette una tirata alla sigaretta e lasciò uscìre il fumo dal naso e dalla bocca. «Inoltre, come sa, lei voleva un figlio adesso, subito» esitò un istante. «Io sono nel pieno della lotta per guadagnarmi un posto al sole, don Octavio. Non ho tempo per i biberon, e le ho chiesto di aspettare...» all'improvviso si sentiva la bocca molto asciutta e bevve di nuovo un sorso di birra «di aspettare un po', tutto qui. Credevo di essere riuscìto a convincerla e che andasse tutto bene. All'improvviso, un giorno, zac. Se n'è andata sbattendo la porta e mi ha dichiarato guerra. E non ha più cambiato idea. Forse il fatto è coinciso con la nostra incomprensione sulla chiesa, non so.» Fece una smorfia. «Forse è stata tutta una coincidenza.» Machuca lo fissava freddamente. Quasi con curiosità. «La storia del torero» suggerì «è stata un colpo basso». «Davvero.» Lo era anche tirarla in ballo, ma Gavira si astenne dal dirlo. «Però lei sa che ce ne sono stati anche altri due, subito dopo che se n'era andata. Vecchi amici di quando era nubile, e poi anche quel Curro Maestral, che anche prima faceva lo stupido con lei.» Lasciò cadere la sigaretta fra le scarpe e la schiacciò girando il tallone, con accanimento. «E come se all'improvviso avesse deciso di recuperare il tempo perso con me. «O di vendicarsi.» «Può essere.» «Tu le hai fatto qualcosa, Pencho.» Il vecchio banchiere scuoteva il capo, convinto. «Quando vi siete sposati, Macarena era innamorata di te.» Gavira si guardò attorno, senza far troppo caso alla gente che passava per strada. «Le giuro che non capisco» rispose alla fine «neppure la vendetta. La prima avventura dopo il matrimonio l'ho avuta più di un mese dopo che Macarena mi aveva lasciato, quando ormai si era fatta vedere in giro con quel produttore di vini di Jerez, Villalta. Al quale, a proposito, don Octavio, col suo permesso, ho appena rifiutato un credito.» Machuca alzò una mano magra come un artiglio, come dire che tutto ciò non aveva importanza. Era al corrente della relazione, recente e superficiale, del suo delfino con una modella della pubblicità, e sapeva che quest'ultimo diceva la verità. E comunque Macarena, per l'educazione ricevuta, non avrebbe mai provocato uno scandalo pubblico per una semplice scappatella del marito. Se avessero fatto tutte così, povera Siviglia. Quanto alla chiesa, il banchiere ignorava se era il problema o il pretesto. Gavira si toccò il nodo della cravatta, a disagio. «Bè, siamo pari, Pagina 88
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt don Octavio. Un padrino e un marito completamente all'oscuro.» «Con una differenza» Machuca sorrideva di nuovo sotto il naso affilato, crudele. «Chiesa e matrimonio sono affari tuoi... No? Io sono solo uno spettatore.» Gavira lanciò un'occhiata a Peregil, che era ancora di guardia accanto alla Mercedes. Strinse le mascelle. «Aumenterò la pressione.» «Su tua moglie?» «Sul prete.» La risata del vecchio banchiere risuonò aspra. «Su quale? Si moltiplicano come conigli ultimamente.» «Sul parroco. Su padre Ferro.» «Già» anche Machuca guardò con la coda dell'occhio in direzione di Peregil, poi gli sfuggì un lungo sospiro. «Spero che tu abbia il buon gusto di risparmiarmi i dettagli.» Passarono dei turisti giapponesi carichi di enormi zaini e ormai sull'orlo della disidratazione. Machuca posò il giornale sul tavolo e rimase per qualche istante in silenzio, appoggiandosi allo schienale di vimini della sedia. Alla fine si girò verso Gavira. «E duro vivere sulla corda, vero?» Gli occhi da rapace avevano un'aria canzonatoria nei loro cerchi scuri. «Ho trascorso così molti anni della mia vita, Pencho. Da quando passai il primo carico di contrabbando da Gibilterra, finita la guerra. O da quando comprai la banca, chiedendomi in che razza di pasticcio mi stavo cacciando. Quelle notti senza dormire, con tutte le paure del mondo nella testa...» Scosse brevemente il capo. «Poi all'improvviso, un giorno scopri che hai varcato la meta e che tutto ti è indifferente. Che i cani non ti raggiungeranno più, per quanto abbaino o corrano. Solo allora cominci a goderti la vita, o quel che te ne rimane.» Storse la bocca in un'espressione a metà fra il divertimento e la stanchezza. Un sorriso freddo gli gelava gli angoli delle labbra. «Spero che ci arriverai anche tu, Pencho» aggiunse. «Fino a quel momento, accredita interessi senza fiatare.» Gavira non rispose subito. Con un gesto chiamò il cameriere e ordinò un'altra birra e un altro caffè macchiato, si passò il palmo della mano sui capelli pettinati con cura sopra la tempia sinistra, e lanciò un'occhiata distratta alle gambe di una donna che passava. «Io non mi sono mai lamentato, don Octavio.» «Lo so. Per questo hai un ufficio al piano nobile dell'Arenal e una sedia accanto a me, a questo tavolo. Un ufficio che io ti do e una sedia che io ti cedo. E nel frattempo, leggo il giornale e ti osservo.» Arrivò il cameriere con birra e caffè. Machuca mise una zolletta di zucchero nella tazza e girò il cucchiaino. Due monache di Suor Angela de la Cruz passarono per strada, con le loro vesti brune e i veli bianchi. «A proposito» disse all'improvviso il banchiere. «Che cosa mi racconti dell'altro prete?» Guardò allontanarsi le monache. «Quello che ieri sera ha cenato con tua moglie.» La tempra di Pencho Gavira si vedeva in momenti simili. Mentre calmava il fastidioso battito del sangue nelle orecchie, si costrinse a seguire con lo sguardo un'automobile da quando spuntò a quando scomparve dietro l'angolo successivo. Più o meno dieci secondi. Poi inarcò un sopracciglio. «Niente di particolare. Secondo le mie fonti, continua a investigare per conto di Roma. Stavolta ho tutto sotto controllo.» Machuca fece un cenno di approvazione. «Lo spero proprio, Pencho, che tu abbia tutto sotto controllo» si portò la tazza alle labbra con un lieve grugnito di soddisfazione. «Bel posto, la Albahaca» bevve un altro sorso. «E un po'"di tempo che non ci vado.» «Riporterò a casa Macarena. Glielo prometto.» Il banchiere annuì di nuovo. «Ricordati che ti ho nominato vicepresidente perché l'hai sposata.» «Lo so.» Gavira sorrise indispettito. «Non mi sono mai fatto illusioni al riguardo.» «apri bene le orecchie.» Machuca si era girato verso di lui. «Tu vali. Non c'era futuro migliore per Macarena, ne sono stato certo fin dall'inizio.» Con una mano sfiorò leggermente il braccio di Gavira: un contatto ossuto e secco. «Io ti apprezzo, Pencho. Forse sei la cosa migliore adesso per la banca, ma il fatto è che ormai la banca mi è indifferente.» Ritirò la mano e lo fissò. «Forse è di tua moglie che mi importa. O di sua madre. Gavira rivolse lo sguardo sul chiosco di giornali all'angolo. A volte si sentiva come un tonno che cerca inutilmente un buco nella rete. Pedalare, si ripeté. Pedalare sempre per non cadere. «Bè, se e concesso dirlo, l'affare della chiesa sarebbe stato il futuro anche per loro due.» «Ma soprattutto il tuo, Pencho...» Machuca gli rivolse un'occhiata maliziosa «sacrificheresti il progetto della chiesa e l'operazione di Puerto Targa per recuperare tua moglie?» Gavira indugiò. Era questo il punto, e lo sapeva meglio di chiunque altro. «Se perdo questa opportunità» disse, evasivo «perdo tutto.» «Tutto, no. Solo il tuo prestigio. E il mio appoggio.» Con calma, Gavira si concesse un sorriso. «Lei è un uomo molto severo, don Octavio.» «Può darsi.» Il vecchio contemplava il cartellone Pagina 89
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt turistico della cordigliera Betica. «Ma sono giusto: l'operazione della chiesa è stata un'idea tua, e anche il tuo matrimonio. Per quanto io abbia facilitato un po'"le cose.» «Allora vorrei farle una domanda.» Gavira posò una mano sul tavolo e poi l'altra. «Se è tanto attaccato a Macarena e a sua madre, perché adesso non mi aiuta?... Basterebbe che parlasse con loro perché fossero più ragionevoli.» Machuca si voltò molto lentamente verso di lui. Aveva le palpebre così socchiuse da ridurre le pupille a una linea sottile. «Può darsi» disse, quando ormai Gavira non aspettava quasi più una risposta. «Ma allora tanto valeva che Macarena sposasse un imbecille qualsiasi. Vediamo un po'"se capìsci, Pencho: è come chi ha un cavallo, un pugile, o un buon gallo. Mi piace vederti combattere.» Detto questo, senza aggiungere altro, fece un cenno al segretario. l'udienza era terminata, e Gavira si alzò in piedi abbottonandosi la giacca. «Sa una cosa, don Octavio?» si era messo degli occhiali scuri dal design italiano e se ne stava davanti al tavolo, freddo, impeccabile. «A volte lei da l'impressione di non desiderare un risultato concreto... Come se in fondo tutto le fosse indifferente: Macarena, la banca, io stesso.» Dall'altra parte della strada, una ragazza con una gonna cortissima e gambe lunghe era uscìta con un secchio e una scopa a lavare il gradino davanti alle vetrine di un negozio di vestiti. Pensieroso, il vecchio Machuca ne osservò i movimenti. Alla fine, molto tranquillamente, si voltò verso Gavira. «Pencho... Ti sei mai chiesto perché vengo qui tutti i giorni?» Sorpreso, una mano in tasca, Gavira lo guardava senza sapere che dire. Chissà come mai tirava fuori quel discorso, pensava. Dannato vecchio. «Bè, don Octavio» borbottò a disagio. «Io non volevo. Voglio dire che...» C'era una scintilla beffarda, dura, dietro le palpebre socchiuse del banchiere. «Una volta, moltissimo tempo fa, io ero seduto proprio qui e passò una donna.» Machuca tornò a guardare la ragazza del negozio, quasi le attribuisse il ricordo. «Una donna molto bella, di quelle che mozzano il fiato... La vidi passare e i nostri sguardi si incrociarono. Mentre se ne andava pensai che dovevo alzarmi, trattenerla. Ma non lo feci. Pesarono di più le convenzioni sociali, il fatto che ero conosciuto a Siviglia... Non potei abbordarla e se ne andò. Mi consolai dicendo che l'avrei vista di nuovo. Ma non è più passata da qui. Mai più.» Lo aveva raccontato senza traccia d'emozione: il mero resoconto di un fatto oggettivo. Cànovas si avvicinò, la cartella sotto il braccio, e dopo un secco cenno del capo rivolto a Gavira prese possesso della sedia che lui aveva appena abbandonato. Appoggiato allo schienale della sua, Machuca gratificò il vicepresidente del Cartujano con un altro dei suoi gelidi sorrisi. «Sono molto vecchio, Pencho. In vita mia ho vinto alcune battaglie e ne ho perse altre, ma ora le considero tutte battaglie altrui, anche le mie.» Prese fra le mani magre come artigli il primo dei documenti che gli tendeva il segretario. «Più che voglia di trionfo, provo curiosità. Come quando si chiude uno scorpione e un ragno in una bottiglia e si rimane a guardare, capìsci?... Senza provare simpatia per nessuno dei due.» Si concentrò sui documenti, e Gavira mormorò un saluto e si avviò per strada, verso la macchina. Aveva una profonda ruga verticale sulla fronte, e le piastrelle del marciapiede sembravano muoverglisi sotto i piedi. Peregil, che si lisciava i capelli sulla pelata con una mano, distolse lo sguardo quando lo vide arrivare. Sull'angolo bianco e ocra dell" Hospital de los Venerables, la luce del sole rimbalzava come una pallonata. Dall'altra parte della strada, sotto il cartello che annunciava la corrida della domenica nell'arena della Maestranza, due turisti dalla pelle pallida agonizzavano seduti a un tavolo, sull'orlo di un'insolazione acuta. Dentro Casa Romàn, in salvo dall'intensa luce che si riverber ava in quel forno di candida calce, e di ocra rossa e gialla, Simeòn Navajo tolse con cura il guscio a un gambero, e con quello in mano guardò Quart. «Il Gruppo crimini informatici non ha nulla che possa servirle. Nessun precedente. Niente.» Detto questo mangiò il gambero e si scolò in un sorso mezzo boccale di birra. Era sempre impegnato in colazioni supplementari, aperitivi, spuntini e panini, e Quart, osservando la figura piccola e magra del vicecommissario, si chiese dove andasse a finire tutto quello che mangiava. Perfino la 357 Magnum gli sporgeva talmente che preferiva tenerla in una borsa a tracolla; una borsa araba di cuoio sbalzato con frange, che puzzava ancora di mercato marocchino e di pelle di cammello conciata male. Insieme ai capelli radi e lunghi, raccolti a coda di cavallo, gli occhiali rotondi di acciaio e l'ampia camicia indiana a fiori che sfoggiava quella mattina, la borsa dava a Simeòn Navajo un'aria peculiare. Qualcosa che contrastava con l'alta figura vestita di nero, sottile e severa, del sacerdote. Pagina 90
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «Nei nostri archivi» proseguì il poliziotto «non c'è alcun riferimento alle persone che le interessano... Abbiamo qualche studentello che si diverte con le birichinate informatiche, un mucchio di gente che mette in commercio copie pirata di programmi, e un paio di tizi di un certo livello che di tanto in tanto vanno a passeggio dove non dovrebbero. Uno di loro, un paio di mesi fa, ha tentato di entrare nei conti correnti del Banksur e di accreditarsi una certa cifra. Ma del pirata che cerca lei, non c'è traccia.» Erano in piedi davanti al bancone, sotto una fila di insaccati appesi al soffitto. Il poliziotto prese un altro gambero dal piatto, gli strappò la testa per succhiarla di gusto, e poi si mise a pelare il resto con mano esperta. Quart guardò il bicchiere appannato della sua birra, quasi intatta. «Ha fatto la ricerca che le avevo chiesto con le ditte commerciali e con la società dei telefoni?» «l'ho fatta.» Navajo annuiva con la bocca piena. «Nessuno della sua lista ha acquistato, almeno con il proprio nome e codice fiscale, materiale informatico avanzato. Quanto alla società dei telefoni, il capo della sicurezza è amico mio. A sentir lui, il suo Vespro non è l'unico che si infila clandestinamente nella rete per andare all'estero, in Vaticano o altrove. Tutti i pirati lo fanno. Alcuni li beccano e altri no. Il suo sembra furbo. Entra ed esce da Internet, e a quanto pare usa un sistema complicato, lasciandosi alle spalle un programma che cancella le sue tracce e manda completamente in tilt i sistemi di identificazione.» Si mangiò il gambero, finì la birra, e ne chiese un'altra. Una zampa della bestiola gli era rimasta impigliata nei baffi. «E tutto ciò che posso dirle. ' Quart sorrise al poliziotto. «Non è granché, ma gliene sono grato.» «Non deve ringraziarmi di nulla.» Navajo attaccava già con un altro gambero: il mucchietto di guscì sotto i suoi piedi cresceva a velocità vertiginosa. «Mi piacerebbe moltissimo poterle dare davvero una mano, ma i miei capi sono stati molto chiari: collaborazione ufficiosa, nei limiti del possibile. Deve restare un favore personale, fra lei e me. In nome dei vecchi tempi. Ma non vogliono complicarsi la vita con chiese, preti, Roma e tutto il resto. Sarebbe diverso se qualcuno commettesse o avesse commesso un crimine concreto, di mia competenza. Ma il giudice ha ritenuto accidentali le due morti... E del fatto che un hacker si dedichi a infastidire il papa da Siviglia non ci importa un cazzo.» Succhiò rumorosamente la testa del gambero, guardando Quart da sopra gli occhiali. «Se mi permette l'espressione.» Il sole scivolava piano sul Guadalquivir; senza un alito di vento, e sull'altra riva le palme sembravano sentinelle immobili che montavano la guardia all'arena della Maestranza. Il profilo del Potro del Mantelete si delineava statuario alla finestra, contro il riverbero del fiume: una sigaretta in bocca, immobile come il bronzo del suo maestro Juan Belmonte. Don Ibrahim, seduto davanti al tavolo della sala da pranzo, sentiva arrivare dalla cucina il profumo delle uova fritte con sanguinaccio assieme alla canzone canticchiata dalla Nifla Puiìales: Perché mi sveglio tremando agitata e guardo la strada buia e deserta? Perché ho la sensazione che mi metterai in croce? l'ex falso avvocato annuì un paio di volte in segno di approvazione, muovendo silenziosamente le labbra sotto i baffi per accompagnare le parole che la Nifla cantava piano piano, con la sua voce rauca all'acquavite, mentre con la spatola in pugno e il grembiule sul vestito a pallini friggeva le uova allargando bene l'albume, come piaceva a don Ibrahim. Quando non si arrangiavano con gli stuzzichini nei bar di Triana, i tre compari avevano l'abitudine di ritrovarsi per mangiare qualcosa a casa della Nifla, un modesto secondo piano in calle Betis che però aveva una vista su Siviglia con l'Arenal a un tiro di schioppo e la Torre dell'Oro e la Giralda, che i re, i miliardari e i divi del cinema con tutta la loro grana se la sognavano. La finestra sul Guadalquivir era l'unico patrimonio della Nifla Puflales: aveva comprato l'appartamento molto tempo prima, con i magri guadagni che era riuscìta a mettere insieme grazie alla sua fama passeggera, e diceva, a mò di consolazione, che era l'unica cosa che non le avevano portato via con l'imbroglio. Abitava lì senza bisogno di pagare l'affitto, con alcuni vecchi mobili, uno splendente letto di ottone, una stampa della Vergine della Speranza, una foto con dedica di Miguel de Molina, e un cassettone dove ingiallivano le coperte, le tovaglie e le lenzuola ricamate del corredo intatto. Il risparmio le permetteva di destinare puntualmente le sue esigue risorse alle rate mensili del Tramonto SA, tramite le quali da vent'anni si pagava un umile loculo e una lapide nell'angolo più assolato del cimitero di San Fernando. Perché la Nifla era esageratamente freddolosa. Mi hai guardato e un fiume di canzoni mi ha cantato nelle vene il tuo vero Pagina 91
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt amore... Don Ibrahim mormorò un olé senza rendersene conto, concentrato nel suo lavoro. Aveva il cappello, la giacca e il bastone appoggiati su una sedia accanto a sé, era in camicia, con le maniche fermate sopra i gomiti dagli elastici. Il sudore gli aveva lasciato aloni umidi sotto le ascelle grassocce e attorno al colletto aperto, dove aveva allentato il nodo della cravatta a righe azzurre e rosse. Affermava che era stata un regalo di quello spilungone inglese, Graham Greene, quando era stato all'Avana per scrivere un romanzo di spionaggio in cambio di un Nuovo Testamento e di una bottiglia di Four Roses; una cravatta che, oltre al valore sentimentale, era originale di Oxford. A differenza della Nifla, né don Ibrahim né il Potro del Mantelete avevano un'abitazione propria. Il Potro aveva subaffittato una casa galleggiante nella stessa zona, una barca per turisti semiabbandonata che gli aveva lasciato un amico conosciuto ai tempi delle corride e ritrovato nella legione straniera. Da parte sua, il grasso cubano era cliente fisso di una modesta pensione dell'Altozano - gli altri erano un commesso viaggiatore di pettini da uomo e una signora matura dalla bellezza appassita e dalla dubbia professione, o meglio, niente affatto dubbia - gestita dalla vedova di una guardia civile ammazzata dall'ETA nel nord. Ma non ti accorgi che amandoti come ti amo dall'anima fino alla bocca mi si rovescia il cuore Altro che Concha Piquer o Pastora Imperio o chicchessia, pensava don Ibrahim sentendo che la Nifla concludeva la canzone con quel suo tono intenso di femmina flamenca che tutta quella risma di impresari e di critici e di vili cialtroni alla fine non aveva voluto saperne di riconoscere. Era impressionante sentirla durante la settimana santa, quando le arrivava l'ispirazione a un angolo qualsiasi, e si metteva a cantare una strofa alla Madonna della Speranza o a suo figlio, il Cucciolo di Triana in un modo che i tamburi tacevano e faceva venire la pelle d'oca alla gente. Perché la Nifla Puflales era la canzone popolare spagnola e andalusa, ed era la Spagna autentica: non quella del folclore a buon mercato e facilone per turisti e spagnoli da quattro soldi, ma l'altra, la vera. La leggenda che sapeva di fumo di taverna, con gli occhi verdi e il sudore del maschio di razza. La memoria drammatica di un popolo che sfogava i dolori cantando e la rabbia impugnando coltelli disperati, splendenti come la falce di luna che illuminava il Potro del Mantelete quando di notte saltava le recinzioni, nudo per non strapparsi l'unica camicia, sicuro che avrebbe avuto il mondo ai suoi piedi e che si sarebbe riempito il portafoglio con banconote da mille pesetas, prima che i tori gli lasciassero uno sfregio sul collo e la sconfitta in fondo agli occhi. La stessa Spagna che aveva cancellato dai cartelloni la Nifla Putiales, la migliore voce flamenca dell'Andalusia e del secolo, senza neppure un sussidio di disoccupazione per tirare avanti alla meglio. La patria lontana che don Ibrahim sognava nelle notti di gioventù ai Caraibi, dove aveva pensato di tornare un giorno come gli emigranti di un tempo, con una Cadillac decappottabile e un sigaro, ma che in realtà gli aveva dato solo incomprensione, scherno e vilipendio con quella disgraziata faccenda del falso titolo di avvocato cubano. Ma anche i figli di puttana devono qualcosa alle loro madri, ragionava don Ibrahim, e le amano. E quella Spagna ingrata aveva posti come Siviglia, quartieri come Triana, bar come Casa Cuesta, cuori fedeli come il Potro, e voci di splendida tragedia come la Nifla. Una voce in onore della quale, non appena fossero andate bene le cose, avrebbero aperto un gran locale, quel Tempio della canzone popolare che nelle notti di xéres, manzanilla, fumo e conversazione, i tre immaginavano formale, solenne, con sedie di vimini, camerieri vecchi e silenziosi - l'impassibile Potro sarebbe stato direttore di sala - bottiglie sui tavoli, un riflettore sulla pedana, e gli arpeggi di una chitarra che avrebbe suonato vera musica per la Nifla Pufiales, la voce roca restituita al pubblico con ancora più arte e sentimento. Accesso riservato, ingresso proibito ai turisti in comitiva e ai rompiscatole con il telefonino. E don Ibrahim non si aspettava altra ricompensa che sedersi a un tavolo buio, in fondo alla sala, e bersi qualcosa lentamente con un Montecristo acceso in mano e un nodo alla gola ascoltando cantare la Nifla Puflales. Solo questo desiderio, e che la cassa andasse bene. Del resto, una cosa non escludeva l'altra. Versò di nuovo un po'"di benzina nella bottiglia, con gran cura perché non debordasse. Aveva messo qualche foglio di giornale sul tavolo per proteggere la vernice, e asciugava con uno straccio le gocce di combustibile che scivolavano sul vetro sfaccettato e sull'etichetta della anisetta. La benzina era senza piombo e del tipo migliore, a novantotto ottani perché, Pagina 92
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt come aveva spiegato la Nifla con molto buon senso, non avevano certo intenzione di appiccare il fuoco a una chiesa consacrata con robaccia qualsiasi. Così avevano mandato il Potro con una lattina vuota di olio di oliva Carbonelì a prenderne un litro dal distributore più vicino. Con un litro brucerà come paglia, aveva detto molto serio don Ibrahim con l'austerità dello specialista acquistata, affermava, quando Ernesto Che Guevara gli aveva spiegato, mentre bevevano mojitos, rum con la menta, a Santa Clara, come fare un cocktail molotov. Invenzione russa di Carì Marx. Il liquido gorgogliò e cadde fuori dal collo della bottiglia. Don Ibrahim lo asciugò con il fazzoletto fradicio, che poi mise nel portacenere, sul tavolo. La bomba incendiaria era destinata a funzionare con un meccanismo un po'"rudimentale, ma efficace, della cui invenzione don Ibrahim era orgoglioso: un pezzo di candela sottile, cerini, una sveglia a carica, due metri di spago di canapa, una bottiglia che cade. E lo scoppio quando i tre compari fossero stati in un bar sotto gli occhi di tutti, per curare nei dettagli Falibi. Il legno delle panche ammucchiate contro il muro e le vecchie travi del tetto avrebbero fatto il resto. Non era necessario che la distruzione fosse totale, aveva precisato Peregil dando loro istruzioni per facilitare le cose. Bastava rovinarla un po', e se poi tutto l'edificio andava a farsi fottere, tanto meglio. Ma soprattutto, aveva spiegato guardandoli inquieto a uno a uno, deve sembrare un incidente. Don Ibrahim versò un altro po'"di benzina e l'odorecoprìper un momento il profumo delle uova fritte. Si sarebbe volentieri acceso un sigaro avana, ma non c'era da scherzare, con tutta quella benzina e lo straccio umido nel portacenere. All'inizio la Nifla Puflales si era opposta con le unghie e con i denti, perché era comunque un luogo sacro, ed erano riuscìti a convincerla solo ricordandole la quantità di messe che avrebbe potuto far dire per penitenza in altre chiese con il denaro che avrebbero ricavato da tutta la faccenda. Inoltre, secondo il vecchio principio, ad auctores redit sceleris coacti tamarindus pulpa, o qualcosa del genere, loro tre si limitavano a eseguire un crimine progettato da altri, e chi era causa della causa, cioè Peregii in ultima analisi, lo era anche del male causato. Tuttavia, nonostante una così rigorosa impostazione giuridica, la Nifla continuava a rifiutarsi di prendere parte al gesto ignifero, accettando nell'operazione semplici lavori di appoggio, come per esempio le uova col sanguinaccio. Don Ibrahim rispettava la sua posizione, perché era un sostenitore della libertà di coscienza. Quanto al Potro, il meccanismo dei suoi pensieri era difficile da penetrare. Sempre che i suoi pensieri avessero dietro un meccanismo, e anche che ci fossero dei pensieri. Lui si limitava ad annuire dopo un po'"con aria impassibile, fatalista e fedele, sempre in attesa del gong o della tromba che lo facessero alzare dall'angolo del ring o uscìre da dietro il riparo nell'arena come un automa. Non aveva fatto obiezioni quando don Ibrahim aveva prospettato la faccenda dell'incendio della chiesa. Cosa strana: il Potro non era un uomo religioso nonostante il suo passato da torero - tutti i toreri, per quanto ne sapeva don Ibrahim, credevano in Dio ma ogni venerdì santo si metteva il vecchio vestito blu scuro delle sue infauste nozze, una camicia bianca senza cravatta abbottonata fino al collo, si pettinava accuratamente con la colonia, e accompagnava la Nifla fra lumi di candela e rullio di tamburi per le strade di Siviglia, dietro il trono della Madonna della Speranza. Don Ibrahim, al quale la sua formazione di libero pensatore impediva di prendere parte a riti oscurantisti, li guardava passare dietro il manto della vergine alle prime luci dell'alba, mantiglia nera e in preghiera la Nifla Puflales, silenzioso e serio, dandole il braccio, il Potro del Mantelete. Davanti al duro profilo delineato nel controluce della finestra, don Ibrahim sorrise fra sé, con paterna tenerezza. Era orgoglioso della lealtà del Potro. Molti potenti della terra ottenevano lealtà solo comprandola col denaro. Ma se un giorno, quando fosse stato sul punto di tirare le cuoia, qualcuno gli avesse chiesto cosa aveva fatto nella vita che valesse la pena, lui avrebbe potuto rispondere, con la testa ben alta, che il Potro del Mantelete era stato un amico fedele, e che aveva sentito cantare Capo te de grana y oro alla Nifla Puflales. «Si mangia» disse la Nifla, dalla porta della cucina. Si asciugava le mani sul grembiule. Il tirabaci nero sulla fronte, il neo finto e il rossetto color sangue erano ancora impeccabili, ma il trucco degli occhi era un po'"sbavato perché aveva tagliato le cipolle per l'insalata. Don Ibrahim notò che guardava la bottiglia di anisetta con aria critica: continuava a non approvare la faccenda. «Non si fanno frittate» spiegò conciliante «senza rompere qualche uovo.» «Bè, quelli che ho appena fritto si freddano» ribatté Pagina 93
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt la Nifla, un po'"irritata. Don Ibrahim si lasciò sfuggire un sospiro di rassegnazione mentre versava l'ultimo goccio di benzina. Asciugò quella di troppo con lo straccio e lo posò di nuovo, bagnato, nel portacenere. Poi appoggiò le mani sul tavolo per sollevarsi, a fatica. «Abbi fiducia, donna. Abbi fiducia.» «Le chiese non si bruciano» insisteva la Nifia, la fronte aggrottata sotto il tirabaci. «E una cosa da eretici e da comunisti.» Il Potro del Mantelete, silenzioso come sempre, si staccò dalla finestra e si portò una mano alla bocca, dove il mozzicone della sigaretta era ormai consunto. Devo dirgli che non si avvicini alla benzina, pensò fugacemente don Ibrahim, ancora attento alla Nifla. «Le vie del Signore sono imperscrutabili» disse, tanto per dire qualcosa. «Bè, questa via porta proprio male.» A don Ibrahim dispiaceva l'incomprensione della Nifla Puflales. Lui non era un capo che imponeva decisioni alla truppa, ma cercava di discuterne. In fin dei conti erano la sua tribù, il suo clan. La sua famiglia. Cercava un argomento per chiudere la questione fino a dopo le uova fritte, quando con la coda dell'occhio vide che il Potro passava accanto al tavolo, diretto in cucina, e con un gesto istintivo allungava la mano con il mozzicone per spegnerlo nel portacenere. Proprio dov'era lo straccio bagnato di benzina. Che sciocchezza, pensò. Non poteva venirgli in mente di fare una simili sciocchezza. In ogni modo si voltò leggermente verso di lui, inquieto. «Senti, Potro» disse. Ma l'altro stava già per spegnere il mozzicone nel portacenere. allora don Ibrahim tentò di impedirglielo e con il gomito rovesciò la bottiglia di anisetta. 8.Una dama andalusa «Nonsentìprofumo di gelsomini?» «Di quali, se non ce ne sono?» «Di quelli che un tempo erano qui.» ANTONIO BURGOS, Siviglia Se esiste il sangue blu, quello di Maria Cruz Eugenia Bruner de Lebrija y Alvarez de Còrdoba, duchessa del Nuevo Extremo e dodici volte Grande di Spagna, doveva essere blu notte. La madre di Macarena Bruner aveva avuto antenati nell'assedio di Granada e nella conquista dell'America, e solo due casati della vecchia aristocrazia spagnola, Mba e Medina Sidonia, la superavano in lignaggio. Tuttavia era un pezzo che i suoi titoli erano nomi vuoti. Il tempo e la storia avevano pian piano inghiottito le terre e il patrimonio, e il lungo elenco di qualifiche che attraversava in tutte le direzioni il suo albero genealogico e i quartieri dei suoi stemmi gentilizi, era una sfilza di conchiglie vuote come quelle che, spinte dal mare a riva, sbiadiscono sulla spiaggia. Alla vecchia signora che sorseggiava Coca Cola davanti a Lorenzo Quart nel cortile della Casa del Postigo mancava un mese e sette giorni per compiere settant'anni. I suoi antenati potevano andare da Siviglia a Cadice senza uscìre dalle loro terre, il re Alfonso xiii e la regina Victoria Eugenia l'avevano tenuta a battesimo, e dopo la guerra civile lo stesso generale Franco, nonostante il suo disprezzo verso l'antica aristocrazia spagnola, non aveva potuto evitare di baciarle la mano in quello stesso patio andaluso, inchinandosi molto a malincuore sul mosaico romano che copriva il pavimento fin da quando, quattro secoli prima, era stato portato lì direttamente dalle rovine di Italica. Ma il tempo scorre implacabile, recitava il motto dell'orologio inglese da muro che segnava le ore e i quarti nella galleria con colonne e archi mudéiar, arredata con tappeti delle Mpujarras e stipi cinquecenteschi decorati che la familiare amicizia col banchiere Octavio Machuca aveva salvato da un triste destino nelle aste di Siviglia. Dell'antico splendore restavano il patio pieno di profumi e di vasi con gerani, aspidistre e felci, l'inferriata plateresca, il giardino, la sala da pranzo estiva con busti romani in marmo, e qualche mobile e i quadri alle pareti. E lì dentro, con una cameriera, un giardiniere e una cuoca come unico aiuto in una casa dove era cresciuta, fin da bambina, fra una ventina di persone di servizio, viveva la vecchia dama coi capelli bianchi e la collana di perle al collo, con l'aria assente di un'ombra tranquilla china sulla sua memoria. La stessa dama che offriva ancora caffè a Quart, mentre si faceva aria con un logoro ventaglio con un paesaggio dipinto e la dedica personale di Julio Romero de Torres. Quart se ne servì un altro po'"nella tazzina, leggermente screpolata, della Compagnia delle Indie. Era in camicia, perché la duchessa aveva insistito tanto per fargli togliere la giacca a causa del caldo che non gli era rimasta altra scelta che obbedire, appendendola allo schienale della sedia. Una camicia a maniche corte, nera, con un impeccabile collare, che gli lasciava allo scoperto gli avambracci abbronzati e robusti. I suoi capelli grigi cortissimi Pagina 94
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt e l'aspetto sportivo e pulito gli davano l'aria di un missionario, aitante, sano, in contrasto col piccolo e duro padre Ferro, che occupava la sedia accanto con indosso la sua logora tonaca piena di macchie. Sul tavolinetto basso sistemato nel patio, accanto alla fontana centrale, c'erano caffè, cioccolata, e un'insolita bottiglia di Coca Cola formato famiglia. La vecchia duchessa, le avevano appena sentito spiegare, non sopportava le lattine. Il sapore era diverso, metallico. Perfino le bollicine pizzicavano in modo differente. «Ancora cioccolata, padre Ferro?» Il parroco annuì seccamente senza guardare Quart, tendendo la tazza perché Macarena Bruner la riempisse di nuovo sotto lo sguardo di approvazione della madre. La duchessa sembrava contenta di avere due sacerdoti in casa. Erano anni che padre Ferro andava puntualmente ogni giorno, alle cinque del pomeriggio, eccetto il mercoledì, per recitare il rosario con la vecchia signora e poi per essere invitato a merenda, nel patio quando faceva bel tempo, o nella sala da pranzo estiva nei giorni di pioggia. «Che fortuna vivere a Roma» commentava la duchessa aprendo e chiudendo il ventaglio. «Così vicino a Sua Santità.» Era straordinariamente sveglia e vivace per i suoi anni. Aveva i capelli bianchi con lievi riflessi azzurrini, e macchie di vecchiaia sulle mani, sulle braccia e sulla fronte. Sottile, minuta, dai lineamenti angolosi, la sua pelle era coperta di rughe come un chicco d'uva sultanina. Un sottile tratto di rossetto le delineava le labbra quasi ine sistenti, e alle orecchie portava orecchini con piccole perle, identiche alla collana. Gli occhi erano scuri come quelli della figlia, ma il tempo li aveva inumiditi, circondati di cerchi rossastri. Continuavano a essere, però, risoluti e intelligenti, con uno splendore che spesso si faceva opaco, quasi che ricordi, pensieri, vecchie sensazioni, passassero loro davanti, incupendoli come una nuvola che va per la sua strada. Durante l'infanzia e la giovinezza era stata bionda, come Quart ebbe modo di vedere in un quadro di Zuloaga appeso nel salottino accanto all'ingresso, molto diversa nell'aspetto dalla figlia, a parte la somiglianza degli occhi. I capelli neri di Macarena provenivano senza dubbio dal marito, un bel signore che compariva in una foto incorniciata vicino allo Zuloaga. Bruno, un sorriso smagliante, il consorte della duchessa sfoggiava baffi sottili, si pettinava i capelli all'indietro con la riga molto alta, e portava una spilla d'oro che fermava, sotto la cravatta, le punte del colletto della camicia. Quart si disse che se fossero stati inseriti in un computer tutti i dati seguiti dalle parole signonno andaluso, sarebbe uscìta fuori la foto. Ormai conosceva abbastanza la storia familiare di Macarena Bruner per sapere che Rafael Guardiola FernàndezGarvey era stato l'uomo più attraente di Siviglia: cosmopolita, elegante e capace di dilapidare in quindici anni di matrimonio i resti del già esiguo patrimonio della moglie. Se Cruz Bruner era il frutto della Storia, suo marito era stato il frutto dei peggiori vizi dell'aristocrazia sivigliana. Tutti gli affari intrapresi erano finiti in clamorosi fallimenti, e solo l'amicizia col banchiere Octavio Machuca, che accorreva sempre, fedele, a togliere le castagne dal fuoco, aveva evitato che il consorte della duchessa del Nuevo Extremo si ritrovasse al fresco. Era rimasto senza un soldo, rovinato dall'ultimo affare, un allevamento di cavalli, e dalle baldorie a suon di flamenco fino all'alba, con la salute distrutta da litri di manzanilla, da quaranta sigarette e tre sigari avana al giorno. Aveva chiesto a gran voce il prete, come nei vecchi film e nei feuilleton romantici, si era confessato e aveva ricevuto gli ultimi sacramenti. Lo avevano seppellito con l'uniforme di cavaliere della Real Maestranza di Siviglia, pennacchio e sciabola compresi, e al funerale aveva partecipato, vestita a lutto e con i tiri a quattro, tutta la buona società locale. Per metà, aveva puntualizzato un malevolo cronista mondano, si trattava di mariti cornuti, desiderosi di assicurarsi che effettivamente riposava in pace. l'altra metà erano creditori. «Una volta sono stata ricevuta in udienza dal Santo Padre» disse a Quart la vecchia duchessa. «Anche Macarena, alle sue nozze.» Chinò un po'"la testa, rievocando l'episodio, osservando il disegno fantasia del suo vestito scuro come se fra i piccoli fiori rossi e gialli vi fosse una traccia dei tempi perduti. Fra la sua visita a Roma e quella della figlia era passato più di un terzo di secolo e vari papi, ma si riferiva a Sua Santità come se fosse sempre lo stesso, e Quart si disse che doveva essere l'impostazione mentale della donna. Quando si arriva a settant'anni, alcune cose cambiano troppo in fretta oppure non cambiano più per nulla. Padre Ferro continuava a contemplare, arcigno, il fondo della sua tazza Pagina 95
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt di cioccolata, e Macarena Bruner osservava Quart. La figlia della duchessa del Nuevo Extremo indossava dei jeans e una camicia azzurra a quadri, portava i capelli raccolti in una coda di cavallo, ed era senza trucco. Si muoveva con calma, tranquilla e sicura di sé, con la chicchera della cioccolata per il parroco o con la caffettiera in mano, attenta a sua madre e agli invitati, e soprattutto a Quart. Sembrava divertita dalla situazione. Cruz Bruner bevve un sorso di Coca Cola e sorrise affabile, con il bicchiere in mano e il ventaglio in grembo. «Che gliene pare della nostra chiesa, padre?» Aveva una voce ferma nonostante gli anni. Insolitamente ferma e serena. Ora lo guardava in attesa di risposta. Sentendo su di sé anche gli occhi di Macarena Bruner; Quart accennò un sorriso cortese. «Intima» disse, sperando che quello non lo compromettesse troppo in un senso o nell'altro. Con la coda dell'occhio avvertiva la presenza oscura, silenziosa, di padre Ferro. Erano su terreno neutrale, e in presenza della duchessa e di sua figlia si erano scambiati alcune formule di cortesia. Il resto del tempo cercavano di non rivolgersi la parola, ma Quart intuiva che erano solo al prologo di qualcosa. Così si risparmiava per dopo. Nessuno invita a prendere un caffè un cacciatore di scalpi e la sua presunta vittima senza avere in mente qualcosa. «Non crede che sarebbe un peccato perderla?» Quart scosse il capo, tranquillizzante. «Spero che non accada mai.» «Pensavamo» disse Macarena Bruner; con intenzione «che fosse il motivo del suo viaggio a Siviglia.» La collana d'avorio spiccava sotto il colletto aperto della camicia, e Quart non poté fare a meno di chiedersi se anche quel pomeriggio nascondeva un accendino di plastica sotto la spallina del reggiseno. Avrebbe scontato volentieri due mesi di Purgatorio per vedere l'espressione di padre Ferro mentre lei si accendeva una sigaretta. «Vi sbagliate» disse. «Sono qui perché i miei superiori vogliono farsi un'idea esatta della situazione.» Bevve un altro sorso di caffè e posò con cura la tazza sul piattino, sopra il tavolinetto intarsiato. «Nessuno vuole sfrattare padre Ferro dalla sua parrocchia.» l'interessato si raddrizzò sulla sedia. «Nessuno?» Sotto i capelli bianchi scomposti, la faccia segnata da cicatrici si rivolse verso le gallerie del piano superiore, come se qualcuno stesse per affacciarsi lassù per rispondere. «Mi vengono in mente vari nomi e vari enti, così, a bruciapelo. l'arcivescovo, per esempio. Il Banco Cartujano. Il genero della signora duchessa...» Gli occhi scuri e diffidenti si inchiodarono su Quart. «E non mi dica che Roma perde il sonno per difendere una chiesa e un prete.» Vi conosco fin troppo, dicevano i suoi occhi. Perciò non starmi a raccontare storie. Sentendosi osservato da Macarena Bruner; Quart fece un cenno conciliante. «A Roma importa di ogni chiesa e di ogni prete.» «Non mi faccia ridere» ribatté padre Ferro. E rise controvoglia. Cruz Bruner gli toccò affettuosamente un braccio col ventaglio. «Sono sicura che padre Quart non vuol farla ridere, don Priamo.» Guardava Quart chiedendogli conferma alle sue parole. «Sembra un sacerdote molto serio, e credo che la sua missione sia importante. Visto che deve raccogliere informazioni, dovremmo collaborare con lui» lanciò una rapida occhiata alla figlia prima di sventolarsi un po'"con aria stanca. «La verità non fa mai male a nessuno.» Il parroco chinò la fronte testarda, rispettoso e ribelle al tempo stesso. «Vorrei condividere la sua innocenza, signora.» Bevve un po'"di cioccolata, e una goccia gli rimase sospesa nei riflessi bianchi e grigi, mal rasati, del mento. Se l'asciugò con un fazzoletto enorme, sporco, che estrasse dalla tasca della tonaca. «Ma temo che all'interno della Chiesa, come nel resto del mondo, quasi tutte le verità siano menzogne.» «Non dica così.» La duchessa si scandalizzò, un po'"per scherzo e un po'"sul serio. «Si dannerà l'anima.» Chiudeva e aprìva il ventaglio agitandoselo davanti agli occhi. E allora, per la prima volta, Lorenzo Quart vide sorridere davvero padre Ferro. Una smorfia bonacciona e scettica, simile a quella di un orso adulto infastidito dagli orsacchiotti. Un gesto che gli addolciva il volto inciso col bulino, umanizzandolo in modo inaspettato, come nell'istantanea che aveva nella sua stanza d'albergo, scattata in quello stesso patio. Per associazione, Quart si ricordò di monsignor Spada, il suo capo dello Ior. Arcivescovo e parroco sorridevano nello stesso modo, come vecchi gladiatori per i quali la direzione del pollice, su o giù, era la cosa meno importante. Si chiese se lui avrebbe mai sorriso così. Macarena Bruner continuava a osservarlo, e anche lei sembrava possedere il segreto di quel sorriso. La duchessa guardò sua figlia e poi Quart. «Ascolti, padre» disse, dopo Pagina 96
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt una breve riflessione «quella chiesa è importante per la mia famiglia... Non solo perciò che rappresenta, ma perché, come dice don Priamo, una chiesa che viene distrutta è un pezzo di cielo che scompare. E mi dispiacerebbe che il luogo dove voglio andare si riducesse in estensione.» Portò alle labbra il bicchiere di Coca Cola, socchiudendo gli occhi con piacere quando le bollicine le solleticarono il naso. «Confido nel nostro parroco perché mi ci faccia arrivare in un lasso di tempo ragionevole.» Padre Ferro si soffiava rumorosamente il naso con il fazzoletto. «Lei ci andrà, signora» si soffiò di nuovo il naso «ha la mia parola.» Si mise il fazzoletto in tasca, guardando Quart come se lo sfidasse a smentire la sua facoltà di fare promesse simili. Cruz Bruner applaudiva con il ventaglio contro il palmo della mano, felice. «Vede?» disse a Quart. «Questo è il vantaggio che si ottiene invitando a merenda un sacerdote sei giorni su sette... Si ha diritto a certi privilegi.» Gli occhi umidi guardavano padre Ferro con gratitudine, seri e scherzosi al tempo stesso. «Certe sicurezze.» Il parroco si agitò sulla sedia, a disagio per il silenzio di Quart. «Senza di me ci andrebbe ugualmente» disse cupo. «Forse sì e forse no. Ma sono sicura che, se non mi dovessero lasciar entrare, lei sarebbe capace di fare una bella scenata.» La vecchia signora dette un'occhiata al rosario di giaietto posato sul tavolino pieno di riviste e di quotidiani, accanto a un libro di preghiere, e sospirò speranzosa. «Alla mia età, è tranquillizzante.» Dal giardino vicino, dietro la grata che si aprìva sotto uno degli archi della galleria, arrivava il canto dei merli. Una melodia soave, costellata di tonalità dolci, che ogni volta terminava con due trilli acuti. Maggio era il mese degli amori, spiegò la contessa, girata di fianco per ascoltare. I merli avevano l'abitudine di posarsi vicino al muro che si affacciava su un convento di clausura, e spesso il loro canto risuonava assieme a quello delle sorelle. Suo padre il duca, il nonno di Macarena, aveva passato gli ultimi anni della sua vita a registrare il canto di quegli uccelli. I nastri e i dischi erano ancora in giro per casa, da qualche parte. A volte, fra i trilli dei merli, si potevano sentire i passi del nonno sulla ghiaia del giardino. «Mio padre» aggiunse la vecchia duchessa «era un uomo di altri tempi. Davvero un gran signore. Non gli sarebbe piaciuto vedere come è andato a finire il mondo che conosceva.» Dal modo in cui chinava il capo dicendolo, era evidente che neppure a lei piaceva. «C'è un libro pubblicato prima della guerra civile, I latifondi in Spagna, che mette la mia famiglia fra le più ricche dell'Andalusia. Ma già allora lo era solo sulla carta. Il denaro ha cambiato mano: le grandi proprietà sono delle banche e dei finanzieri, di uomini che possiedono ville con cancelli elettrici, e jeep di lusso, e comprano tutte le case vinicole di Jerez. Gente furba che si è arricchita in quattro giorni, come vuol fare mio genero.» «Mamma.» La duchessa alzò una mano in direzione della figlia. «Lascia che dica ciò che voglio. Anche se a don Priamo non è mai piaciuto Pencho, a me sì. E che tu ti sia separata da lui non cambia le cose.» Agitò di nuovo il ventaglio, con vigore insospettato per una persona della sua età. «Ma riconosco che nella faccenda della chiesa non si sta comportando da signore.» Macarena Bruner scrollò le spalle. «Pencho non lo è mai stato.» Aveva preso una zolletta dalla zuccheriera e la succhiava, distratta. Quart la osservò finché all'improvviso non alzò gli occhi su di lui, con lo zucchero che le si scioglieva in bocca. «Né vuol farsi passare per tale.» «No, è chiaro.» l'ironia sibilò all'improvviso, inaspettata, in bocca alla vecchia signora. «Tuo padre sì che era un signore. Un vero signore andaluso.» Rimase pensierosa, toccando con la punta delle dita lo zoccolo di azulejos che circondava la fontana del patio. Quegli azu le los, spiegò inaspettatamente a Quart cambiando discorso, erano del Cinquecento ed erano disposti secondo le più ortodosse leggi dell'araldica: non avrebbe trovato in tutta la casa un solo colore accanto a un altro colore, né un metallo accanto a un metallo. Rosso e verde, o argento e oro, non erano mai accoppiati, ma di fronte. «Un vero signore andaluso» ripeté dopo un istante di silenzio. E il tratto di rossetto sulle sue labbra appassite e quasi inesistenti tremò leggermente, quasi che un sorriso amaro non fosse giunto a mostrarsi in pubblico. Macarena Bruner scuoteva il capo come se il silenzio precedente fosse destinato a lei. «Per Pencho la chiesa non significa nulla.» Sembrava rivolgersi a Quart più che a sua madre. «Si traduce in metri quadrati di terreno edificabile. Non possiamo pretendere che condivida il nostro punto di vista». Intervenne di nuovo la duchessa. «Certo. Forse l'avrebbe fatto qualcuno della tua classe.» A sua figlia quelle parole non piacquero. Ora la guardava con aria Pagina 97
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt molto seria. «Tu ha i sposato un uomo della tua classe.» «Hai ragione.» La vecchia signora continuava ad abbozzare un sorriso triste. «Almeno tuo marito è un uomo dalla testa ai piedi. Coraggioso, con l'insolenza che deriva dalla necessità di contare solo sulle proprie forze...» rivolse una rapida occhiata al parroco «ci piaccia o meno ciò che farà della nostra chiesa.» «Non ha ancora fatto nulla» ribatté Macarena. «E nulla farà, se riesco a evitarlo.» Cruz Bruner increspò ancora un po'"le labbra. «Bè, glielo stai facendo pagare molto caro, figliola.» - - Si addentravano su un terreno in cui la vecchia signora - - sembrava a disagio, e il modo con cui si rivolgeva alla figlia lasciava trasparire una certa censura. Quest'ultima fissò il vuoto dietro la spalla di Quart, soddisfatto di non essere l'oggetto assente di quello sguardo. «Non ha ancora finito di pagare» mormorò Macarena. «In un modo o nell'altro» dichiarò la madre «sarà sempre tuo marito, che tu viva con lui o meno. Vero, don Priamo?...» Di nuovo padroni di sé, gli occhi umidi e scherzosi si posarono su Quart. «A padre Ferro non piace mio genero, ma sostiene il carattere indissolubile del matrimonio. Di qualsiasi matrimonio.» «E vero.» Al parroco erano cadute gocce di cioccolata sulla tonaca e cercava di scuoterle via con la mano, arrabbiato. «Quello che un sacerdote unisce sulla terra non può scioglierlo neppure Dio.» Com'è difficile, pensava Quart, tracciare una linea oggettiva fra orgoglio e virtù. Fra verità ed errore. Deciso a tenersi al margine, guardava sotto le sue scarpe il mosaico romano portato da Italica dagli antenati di Macarena Bruner. Una nave con attorno dei pesci, e qualcosa che sembrava un'isola con alberi e una donna sulla riva con un orcio, o un'anfora. C'era anche un cane con la scritta Cave canem e una donna e un uomo che si toccavano. Alcune tessere erano staccate, e le sistemò col piede. «E cosa dice di tutta questa faccenda quel banchiere, Octavio Machuca?» chiese, e vide immediatamente addolcirsi l'espressione della duchessa. «Octavio è un buon amico, da molto tempo. Il migliore che abbia mai avuto.» «E innamorato della duchessa» intervenne Macarena. «Non dire sciocchezze.» La vecchia signora si faceva vento guardando la figlia con disapprovazione. Macarena insisté, scoppiando a ridere, e la duchessa fu costretta ad ammettere che Octavio Machuca all'inizio, appena stabilitosi a Siviglia, quando lei era ancora nubile, le aveva fatto la corte. Ma all'epoca il matrimonio sarebbe stato impensabile. Poi lei si era sposata. il banchiere non lo aveva mai fatto, ma non si era nemmeno insinuato nella vita di Rafael Guardiola, che era suo amico. Lo disse come se in qualche modo lo rimpiangesse, senza che Quart riuscìsse a capìre se si riferiva a una cosa o all'altra. «Ti aveva chiesto di sposarlo» intervenne Macarena. «Questo è successo dopo, quando ormai ero vedova. Ma mi è sembrato meglio lasciare le cose come stavano. Ora ogni mercoledì andiamo assieme a passeggio nel parco. Siamo buoni amici da tanto tempo. ' «Di cosa parlate?» si interessò Quart, sorridendo per addolcire la sua indiscrezione. «Di nulla» rispose la figlia. «Li ho spiati, e si limitano a civettare in silenzio.» «Non le badi. Lo prendo a braccetto e chiacchieriamo dei nostri ricordi. Del tempo passato. Di quando lui era un giovane avventuriero, prima di mettere la testa a posto.» «Don Octavio le recita il Treno espresso, di Campoamor.» «Come fai a saperlo?» «Me lo ha raccontato lui.» Cruz Bruner si raddrizzò toccandosi la collana di perle, con un'ombra di antica civetteria. «Bè, sì, è vero. Sa che mi piace molto. "La mia lettera, che è felice perché va a cercarvi, / vi darà conto della memoria mia...".» I versi rimasero sospesi in un sorriso malinconico. «Parliamo anche di Macarena. Le vuol bene come a una figlia ed è stato il suo testimone di nozze... Guardi la faccia che fa padre Ferro. A lui non piace neppure Octavio.» Il parroco corrugava la fronte, indispettito. Si sarebbe detto che quelle passeggiate lo ingelosissero. Il mercoledì era il giorno in cui la duchessa del Nuevo Extremo recitava il rosario senza di lui, e non lo invitava neppure a merenda. «Non è questione di piacere o non piacere, signora» spiegò a disagio. «Ma la posizione di don Octavio Machuca riguardo al problema di Nostra Signora delle Lacrime mi sembra biasimabile. Pencho Gavira è un suo subordinato e poteva proibirgli di andare avanti in un simile sacrilegio.» Il dispetto gli induriva ancora di più il volto pieno di cicatrici. «Così non ha fatto un buon servizio neppure a voi due.» «Octavio ha un senso della vita straordinariamente pratico» affermò Cruz Bruner. «La chiesa gli è del tutto indifferente. Rispetta i nostri legami sentimentali, ma è anche convinto che mio genero abbia preso la decisione giusta.» Fissò gli stemmi nobiliari che spiccavano negli spazi triangolari fra un arco e l'altro del patio. «Il futuro di Macarena, diceva lui, non era di mantenersi a galla aggrappata ai relitti del naufragio, ma di salìre Pagina 98
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt su uno yacht nuovo fiammante. E solo mio genero può permetterglielo.» «In ogni modo» intervenne la figlia «bisogna dire che don Octavio non prende partito né a favore né contro. Rimane neutrale.» Don Priamo Ferro sollevò un dito apocalittico. «Non conosco persone neutrali quando c'è di mezzo la casa di Dio.» «Per favore, padre» Macarena gli sorrideva con dolcezza «non si riscaldi. E prenda un altro po'"di cioccolata.» Il parroco rifiutò una terza tazza con aria dignitosa, per fissare, stizzito, la punta delle sue grosse scarpe bisognose di una lucidata. Ora so chi mi ricorda, si disse Quart. Jock, il terrier scozzese combattivo e brontolone di Lilli e il vagabondo, ma molto più irascibile. Guardò la vecchia duchessa. «Prima lei si è riferita a suo padre il duca... Era il fratello di Carlota Bruner?» La vecchia dama sembrò sorpresa. «Conosce la storia?» Giocherellò un istante con le stecche del ventaglio, poi guardò sua figlia e infine di nuovo Quart. «Carlota era mia zia: la sorella maggiore di mio padre. E una triste faccenda di famiglia, come forse lei saprà... Da bambina, Macarena era ossessionata da quella storia. Passava tutto il giorno accanto al suo baule, a leggere le infelici lettere mai arrivate a destinazione, provandosi vecchi vestiti alla finestra dove dicono che si affacciasse Carlota.» C'era qualcosa di nuovo nell'aria. Padre Ferro allontanò lo sguardo, imbarazzato, come se non si sentisse affatto a suo agio per l'argomento. Quanto a Macarena, sembrava preoccupata. «Padre Quart» disse «ha una delle cartoline di Carlota.» «Ma è impossibile» obiettò la duchessa. «Sono dentro il baule, nella colombaia.» «Bè, ce l'ha. Una in cui si vede la chiesa. Qualcuno gliel'ha lasciata nella sua stanza d'albergo.» «Che sciocchezza. Chi farebbe una cosa del genere?» La vecchia dama guardò Quart brevemente, con diffidenza. «Te l'ha restituita?» chiese alla figlia. Questa fece lentamente cenno di no con il capo. «Gli ho permesso di conservarla. Per il momento.» La duchessa sembrava perplessa. «Non me lo spiego. Nella colombaia salìte solo tu e i domestici.» «Sì.» Macarena guardava il parroco. «E anche don Priamo.» Padre Ferro fu lì li per sobbalzare sulla sedia. «Per l'amor di Dio, signora!» Il suo tono era offeso, a metà fra l'indignazione e lo stupore. «Non starà insinuando che io...» «Scherzavo, padre» disse Macarena, con un'espressione così indefinibile che Quart si chiese se avesse davvero parlato per scherzo. «Ma il fatto è che la cartolina è arrivata all'hotel Dotia Maria. E questo è un mistero.» «Cos'è la colombaia?» chiese Quart. «Da qui non si vede, ma dal giardino sì» spiegò Cruz Bruner. «Chiamiamo in questo modo la torre della casa, perché una volta c'era una colombaia. Mio nonno Luis, il padre di Carlota, era appassionato di astronomia e creò un osservatorio. Col tempo fu trasformato nella stanza dove la mia povera zia passò, reclusa, i suoi ultimi anni... Adesso è don Priamo a lavorarci.» Quart guardò il parroco senza nascondere la sua sorpresa. Ora si spiegava i libri trovati nella sua abitazione. «Non sapevo che fosse appassionato di astronomia.» «Sì.» Il parroco sembrava infastidito. «E non vedo come mai dovrebbe saperlo, perché non è affar suo né di Roma. La signora duchessa è così gentile da permettermi di usare l'osservatorio. «E vero» confermò Cruz Bruner; compiaciuta. «Tutti gli strumenti sono antiquati, ma padre Ferro li conserva puliti, in ordine. E mi racconta le sue osservazioni. Non ha materiale da scoperte, naturalmente. Ma è piacevole.» Si colpì dolcemente le gambe con il ventaglio, sorridendo. «Ormai non ho più la forza di salìre su, ma Macarena a volte ci va.» Di sorpresa in sorpresa, pensava Quart. Era insolito il club di padre Ferro. Il prete indisciplinato e astronomo. «Neppure lei mi aveva parlato del suo interesse per l'astronomia.» Si voltò verso gli occhi scuri di Macarena, chiedendosi quali altre sorprese racchiudessero. «Mi interessa la pace» ribatté lei, con semplicità. «E lassù, vicino alle stelle, c'è pace. Padre Ferro lavora e mi permette di star lì, a leggere o a guardare, tranquilla.» Quart osservò il cielo sopra le loro teste: un rettangolo azzurro incorniciato dalle grondaie del patio andaluso. C'era una sola nuvola, in lontananza. Era piccola, solitaria e immobile come padre Ferro. «Una volta» disse «era una scienza proibita per gli ecclesiastici. Troppo razionale, e pertanto pericolosa per l'anima.» Ora sorrideva sinceramente al vecchio sacerdote. «L'inquisizione lo avrebbe incarcerato per questo.» il parroco chinò la fronte. irritato. Duro. «L'inquisizione» mormorò «mi avrebbe incarcerato per un mucchio Pagina 99
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt di cose, oltre all'astronomia.» «Ma ormai non lo fanno più» disse Quart, ricordando il cardinale iwaszkiewicz. «Non credo che sia per mancanza di voglia.» Per la prima volta risero tutti assieme, compreso lo stesso padre Ferro, a denti stretti prima e poi nello stesso modo bonaccione della volta precedente. Era come se parlando di astronomia Quart si fosse avvicinato un po'"di più a lui. Macarena se ne rendeva conto e sembrava soddisfatta, guardando ora l'uno ora l'altro. i suoi occhi avevano di nuovo riflessi di miele, e sembrava felice, ritrovando la risata sonora e franca, da ragazzo. Allora suggerì al parroco di mostrare a Quart la colombaia. il telescopio di ottone splendeva accanto agli archi n'udéjar aperti come un loggiato sui quattro lati della torre, sui tetti di Santa Cruz. In lontananza, fra antenne della televisione e stormi di colombe che volavano in tutte le direzioni, si poteva vedere la Giralda, la Torre dell'Oro e un tratto del Guadalquivir con le pennellate azzurre delle jacarande in fiore sulle sue rive. il resto del paesaggio davanti al quale un secolo prima aveva languito Carlota Bruner adesso era occupato da moderni edifici in cemento, acciaio e vetro. Non c'era nessuna vela bianca in vista, né barche ondeggianti nella corrente, e i quattro pinnacoli dell'Archivio delle indie sembravano sentinelle dimenticate sull'antico palazzo Lonja che conservava la carta, la polvere e la memoria di un tempo ormai morto. «Magnifico posto» disse Quart. Padre Ferro non fece commenti. Si era tolto di tasca il fazzoletto sporco e sfregava il tubo del telescopio, alitandoci su. Lo strumento era un modello azimutale a lenti, molto vecchio, di quasi due metri di lunghezza, piazzato su un cavalletto di legno. Il lungo tubo di ottone e tutti i pezzi metallici erano lucidati con cura e splendevano sotto i raggi del sole che scendeva lentamente verso l'altra riva, su Triana. Non c'era molto altro di interessante nella colombaia: un paio di vecchie poltrone di cuoio screpolato dal tempo, una scrivania con molti cassetti, una lampada, un'incisione della Siviglia del Seicento appesa al muro, e qualche libro rilegato in pelle: Tolstoj, Dostoevskij, Quevedo, Heine, Galdòs, Blasco ibànez, Valle Inclàn, e anche trattati di cosmografia, meccanica celeste e astrofisica. Quart si avvicinò per dare un'occhiata: Tolomeo, Porta, Alfonso di Cordova. Alcune edizioni erano molto antiche. «Non l'avrei mai immaginato» commentò. «Mi riferisco a lei, e all'astronomia.» il suo era un tono conciliante, non del tutto privo di sincerità. C'era qualcosa nella sua opinione su padre Ferro che cambiava rapidamente nelle ultime ore. Da parte sua, il parroco sfregava il telescopio come se dentro il tubo di ottone ci fosse un genio addormentato in grado di dare tutte le risposte. Dopo un istante scrollò le spalle sotto la tonaca così logora e piena di patacche che sembrava virare dal nero al grigio. Era un curioso contrasto, pensò Quart: il piccolo e trascurato sacerdote e lo strumento che splendeva sotto le zelanti cure del suo fazzoletto. «Mi piace osservare il cielo di notte» disse alla fine. «La signora duchessa e sua figlia mi permettono di venire un paio d'ore al giorno, dopo cena. Posso salìre qui direttamente dal patio, senza dar fastidio a nessuno.» Quart toccò il dorso di uno dei libri. Della celeste fisionomia, 1616. Al suo fianco c'erano delle Tabulae astronomicae delle quali non aveva mai sentito parlare in vita sua. Rozzo prete di campagna, aveva detto l'illustrissimo Aquilino Corvo. il ricordo lo fece sorridere tra sé mentre sfogliava le tavole astronomiche. «Quando le è venuta questa passione?» Padre Ferro, che ormai sembrava soddisfatto dello stato del telescopio, si era rimesso il fazzoletto in tasca e, giratosi verso Quart, ne osservava i gesti con diffidenza. Dopo un momento gli tolse il libro dalle mani e lo rimise a posto. «Ho vissuto molti anni in montagna. Di notte, quando mi sedevo sotto il portico della chiesa, non c'era altra distrazione che guardare il cielo.» Tacque di colpo, bruscamente, come se avesse detto più di quello che richiedevano le circostanze. Non era difficile immaginarlo immobile all'imbrunire sotto il portico di pietra della sua chiesa di campagna, a osservare la volta celeste là dove nessuna luce umana poteva turbare l'armonia delle sfere che giravano nell'universo. Quart prese un volume delle Impressioni di viaggio di Heine, e lo aprì a caso su una pagina segnata con un nastro rosso: Pagina 100
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt La vita e il mondo sono il sogno di un Dio ebbro, che fugge silenzioso dal banchetto divino e va a dormire su una stella solitaria, ignorando che quando sogna crea... E le immagini di questo sogno si presentano, ora con una variegata stravaganza, ora armoniose e sensate... l'Iliade, Platone, la battaglia di Maratona, la Venere dei Medici, il Munster di Strasburgo, la rivoluzione francese, Hegel, le navi a vapore, sono pensieri che si sono staccati da quel lungo sogno. Ma un giorno il Dio si sveglierà sfregandosi gli occhi addormentati, sorriderà, e il nostro mondo sprofonderà nel nulla senza essere mai esistito... Soffiava una lieve brezza calda. Dai cortili e dalle strade che si stendevano ai suoi piedi, fra i tetti dalle tegole brune e le terrazze, arrivavano fino alla colombaia suoni smorzati dall'altezza e dalla distanza. Dietro le finestre di una scuola vicina, un coro di voci infantili recitava una lezione, una poesia o una canzone. Quart aguzzò l'orecchio: qualcosa a proposito di nidi e di uccelli. All'improvviso cessò la recitazione e il coro scoppiò in grida e risate. Verso l'Alcazar una campana mandò tre rintocchi. Quindici minuti alle sei. «Perché le stelle?» chiese Quart, rimettendo a posto il libro di Heine. Padre Ferro si era tolto dalla tasca della tonaca una scatolina di latta stretta e ammaccata, e ne estrasse una sigaretta di tabacco nero, senza filtro, che si mise in bocca dopo averne inumidito un'estremità con le labbra. «Sono pulite» disse. Accese la sigaretta con un fiammifero nel cavo della mano, chinando la testa rapata malamente, e il gesto gli rabbuiò ancora di più il volto segnato da vecchie cicatrici. il fumo uscì dagli archi della galleria mentre l'odore, forte e acre, arrivava fino a Quart. «capisco» disse quest'ultimo, e gli occhi scuri del parroco si fermarono su di lui con una scintilla di interesse, o di curiosità, mentre sulla sua bocca si delineava, indefinibile, una sorta di sorriso. A disagio, senza sapere se rimpiangerlo o esserne lieto, Quart capì che qualcosa era cambiato. il carattere neutrale della colombaia, sospesa fra cielo e terra, dissipava in parte la reciproca sfiducia, quasi avessero trovato rifugio in un luogo sacro, come ai tempi andati. Per un istantesentìl'impulso cameratesco che spesso, non troppo spesso nel suo caso, nasceva fra religiosi. Soldati sperduti, solitari, che si riconoscevano nella confusione di un campo di battaglia ostile. «Quanto tempo ha trascorso lassù?» il parroco lo guardava con la sigaretta che gli si consumava in bocca. «più di vent anni» rispose. «Una parrocchia piccola, suppongo.» «Molto piccola. Quarantadue abitanti al mio arrivo. Nessuno quando sono partito: o morivano o se ne andavano. La mia ultima parrocchiana aveva ottant'anni, e non ha resistito alle nevi dell'ultimo inverno.» Una colomba si era posata sul davanzale della galleria e passeggiava su e giù, vicino al sacerdote. Padre Ferro la fissò come se aspettasse di trovarle un messaggio legato a una zampa. Ma quando spiccò il volo sbattendo le ali, il parroco mantenne lo sguardo fisso nello stesso posto. i suoi gesti goffi, la sua trascuratezza, continuavano a ricordare a Quart il vecchio e detestabile prete della sua infanzia, ma ora era in grado di avvertire importanti differenze. Aveva creduto che la ruvidezza di padre Ferro fosse dovuta a uno stato primitivo, originario. Che il parroco fosse solo uno di quei gregari marginali e miserabili, ecclesiastici incapaci, come il lontano sacerdote che occupava la memoria di Quart, di superare la propria ignoranza e mediocrità. Ma la colombaia svelava una diversa varietà clericale: la regressione volontaria, la rinuncia all'esercizio brillante della vocazione o della professione prescelta potevano manifestarsi con un passo indietro compiuto in piena coscienza. Saltava agli occhi che un tempo padre Ferro era stato, e in qualche modo continuava a esserlo, quasi clandestinamente, qualcosa di più di un rozzo prete di campagna, o del parroco arcigno e chiuso che si trincerava nel latino preconciliare per dire la messa in Nostra Signora Pagina 101
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt delle Lacrime. Non era un problema di cultura né di età, ma di atteggiamenti. Volendo usare i riferimenti di Quart: se si trattava di scegliere una bandiera, era evidente che don Priamo Ferro aveva scelto la sua. Sulla scrivania c'era un quaderno aperto su disegni a matita di una costellazione. Quart pensò al sacerdote chino davanti al suo telescopio, di notte, assorto nel silenzio del firmamento che girava lentamente verso l'altra estremità della lente, mentre Macarena Bruner leggeva Anna Karenina o la Sonata seduta su una delle vecchie poltrone, con le farfalle notturne che svolazzavano attorno alla luce della lampada. All'improvviso sentì un inquietante desiderio di scoppiare a ridere. Tutto ciò lo ingelosiva terribilmente. Quando alzò gli occhi incontrò lo sguardo pensieroso di padre Ferro, come se l'espressione che aveva lasciato trasparire gli avesse dato da pensare. «Orione» disse, e Quart, sconcertato, tardò qualche secondo a capìre che si riferiva allo schizzo disegnato sul quaderno. «in questo periodo dell'anno si può vedere solo la stella superiore della spalla sinistra del Cacciatore. Si chiama Betelgeuse e spunta da quella parte.» indicò un punto nel cielo ancora azzurro, all'orizzonte. «Verso ovestnordovest.» Aveva ancora la sigaretta in bocca, e la brace del pessimo tabacco gli cadeva sul davanti della tonaca. Quart sfogliò pagine piene di annotazioni, disegni e cifre. Riconobbe solo la costellazione del Leone, il suo segno zodiacale, sul cui corpo di metallo, secondo la leggenda, rimbalzavano i giavellotti di Ercole. «Lei è di quelli convinti» chiese «che tutto è scritto nelle stelle?» il parroco prese un'espressione acida, agli antipodi di qualsiasi sorriso. «Tre o quattro secoli fa» disse «questo genere di domande costavano la testa a un prete.» «Le ripeto che vengo in pace.» Raccontalo a qualcun altro, dicevano gli occhi di Priamo Ferro. Ora rideva a voce bassa, sarcastico. Una specie di cigolio. «Lei parla di astrologia» spiegò alla fine. «Mentre la mia è astronomia. Spero che nel suo rapporto per Roma la sfumatura non vada perduta.» Poi tacque, ma continuava a guardare Quart con curiosità, come se volesse valutarlo di nuovo dopo una sfortunata prima impressione. «ignoro dove siano scritte le vicende umane» aggiunse dopo una lunga pausa «ma basta darle un'occhiata per capìre che non leggiamo lo stesso alfabeto.» «Mi spieghi questo discorso.» «Non c'è molto da spiegare. Che creda o non creda nella Chiesa, lei è al servizio di una multinazionale il cui statuto si basa su tutta una demagogia che ci hanno inculcato l'umanesimo cristiano e l'illuminismo: attraverso la sofferenza l'uomo si evolve verso stadi superiori, il genere umano è chiamato a emendarsi, la buona volontà spinge alla buona volontà...» Si voltò verso la finestra, e altra brace gli cadde sul petto. «Oppure: la verità con la maiuscola esiste e basta a se stessa.» Quart scosse il capo. «Lei non mi conosce» protestò. «Non sa nulla di me.» «Conosco i suoi datori di lavoro, e tanto mi basta. Si avvicinò di nuovo al telescopio, dando la caccia a un ultimo granello di polvere. Infilò le mani nelle tasche della tonaca come per tirare fuori il fazzoletto, ma poi le tenne lì. «Cosa ne sa lei» aggiunse «e cosa ne sanno i suoi capi a Roma, con la loro mentalità da funzionari?... Cosa ne sanno dell'amore e dell'odio, salvo definizioni teologiche e sussurri da confessionale?...» Si domandava un po'"sui piedi, le mani ancora nelle tasche «basta guardarla: dal suo modo di parlare, e di muoversi, si capìsce che renderà conto di peccati di omissione, non di peccati commessi. Appartiene a quei telepredicatori, pastori di una chiesa senz'anima, che parlano ai fedeli con il linguaggio che le televisioni usano per riferirsi al pubblico.» «Si sbaglia sul mio conto, padre. È il mio lavoro..» A denti stretti, il parroco fece sentire di nuovo quello stridio simile a una risata. «il suo lavoro!» si era voltato di colpo verso Quart. «Ora vuol dirmi che si sporca le mani, vero?... Anche se va in giro sempre lindo e lisciato. Ma sono sicuro che non le mancano né giustificazioni né alibi. E giovane, forte, e i suoi superiori le danno vitto e alloggio, pensano a lei e le gettano gli ossi perché li roda. E un perfetto poliziotto di una corporazione potente che dice di servire Dio. Sicuramente non ha mai amato una donna, non ha mai odiato un uomo, non ha mai avuto compassione di un disgraziato. Non ci sono poveri che la benedicono per il suo pane, o infermi per il suo conforto, o peccatori per la sua speranza di salvezza... Lei fa quello che le ordinano, e nient'altro.» «io seguo le regole» disse Quart, e si pentì immediatamente di averlo detto. «Davvero?» il parroco lo guardava con intensa ironia. Pagina 102
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «Congratulazioni. Ciò significa che si salverà l'anima. Chi segue le regole va sempre in cielo...» storse la bocca portando le dita al mozzicone, che finì con un'ultima tirata «a godere della luce di Dio.» Buttò il mozzicone fuori dalla finestra e lo guardò cadere. «Mi chiedo se lei abbia ancora fede.» Quart lo fissava con durezza. Sulla sua bocca, quella frase suonava come un paradosso, e lo stesso Quart ne era perfettamente consapevole. inoltre, il suo incarico non prevedeva tali domande, più adatte ai cani neri del Santo Uffizio. Come avrebbe detto monsignor Spada, nello Ior non lavoriamo con ciò che gli altri pensano, ma con ciò che fanno. Limitiamoci a essere bravi centurioni, lasciando a Sua Eminenza Jerzy iwaszkiewicz il pericoloso compito di frugare nel cuore umano. Nonostante tutto ciò, Quart aspettò una risposta durante il lungo silenzio che seguì. il parroco si muoveva lentamente accanto al telescopio, e il riflesso della sagoma nera scivolò lungo il tubo di ottone brunito. «Ancora è un avverbio di tempo.» Finalmente l'aveva detto, fosco, accigliato, chiuso in se stesso, e poi rimase un po'"in silenzio, riflettendo sul tempo, o sugli avverbi. Sembrava seguire il filo di un ragionamento segreto. «Ma io perdono i peccati» aggiunse poi come conclusione. «E aiuto a morire in pace.» Si sarebbe detto che pensasse di aver spiegato tutto, anche se Quart era lontano dall'immaginare cosa. Ebbe la tentazione di essere malevolo. «Non è lei a perdonare» puntualizzò, mordace. «Solo Dio può farlo.» il parroco lo guardò, sorpreso di vederlo ancora lì. «Quando ero un giovane sacerdote» disse all'improvviso «ho letto tutta la filosofia dell'antichità: da Socrate a sant'Agostino. L'ho dimenticata tutta, e mi è rimasto un gusto agrodolce di malinconia e di disinganno. Ora, a sessantaquattro anni, l'unica cosa che so degli uomini è che ricordano, che hanno paura e che muoiono.» Quart doveva avere un'espressione singolare, di sorpresa e d'imbarazzo, perché padre Ferro annuì con gli occhi neri e duri fissi su di lui, come se con quel gesto lo invitasse a dar credito alle sue parole. Poi rivolse gli occhi al cielo. La nuvola solitaria - forse non era più la stessa - se n'era andata verso il sole al tramonto e ora tingeva di un bagliore rossastro le sagome degli edifici lontani. «Per molto tempo» proseguì il parroco «l'ho cercato lassù. Mi sarebbe piaciuto scambiare qualche parola con Lui: una specie di resa dei conti, da pari a pari. Ho visto soffrire e morire molta gente... Dimenticato dal mio vescovo e da coloro che lo circondavano, ho vissuto in una solitudine atroce, dalla quale uscìvo ogni domenica per dire messa in una chiesa piccola e quasi vuota, o per camminare sotto la neve e la pioggia, sguazzando nel fango, per portare l'estrema unzione a vecchi che aspettavano solo il mio arrivo per morire. E per un quarto di secolo, seduto al capezzale di agonizzanti che si aggrappavano alle mie mani perché io ero il loro unico conforto, ero sempre io a parlare. Non ho mai ottenuto risposta.» Si interruppe e sembrava che stesse ancora dando un'opportunità a quella risposta, ma si sentivano solo i rumori smorzati dalla distanza e il tubare delle colombe sulle grondaie della torre. Fu Quart a parlare, adesso. «O si nasce e si muore secondo un piano, o si nasce e si muore per caso.» La vecchia citazione teologica non era né un'affermazione né una risposta. Solo un invito a proseguire il ragionamento interrotto. Per la prima volta Quart capiva l'uomo che aveva davanti, e vide che l'altro se ne rendeva conto. Una luce di riconoscimento addolciva lo sguardo del vecchio sacerdote. «Come proteggere, allora» proseguì il parroco «il messaggio della vita in un mondo che porta il timbro della morte?... L'uomo si spegne, sa di spegnersi, e che a differenza di re, papi e generali, non resterà alcuna memoria di lui. Deve esserci qualcos'altro, si dice. in caso contrario, l'universo è uno scherzo di cattivo gusto, un caos privo di senso. E la fede si trasforma in una sorta di speranza. Di consolazione. Forse per questo ormai neppure il Santo Padre crede in Dio.» A Quart sfuggi una risata che spaventò le colombe. «Per questo lei difende la sua chiesa con le unghie e con i denti.» «Bè, certo.» Padre Ferro aggrottò la fronte irritato. «Che importa se ho fede o meno?... Coloro che vengono da me ce l'hanno. Ed è una giustificazione sufficiente per l'esistenza di Nostra Signora delle Lacrime. Badi, non è un caso che si tratti di una chiesa barocca: l'arte della Controriforma, non pensate che è una faccenda da teologi, contemplate invece gli intagli e le dorature, gli altari sontuosi, le passioni che, fin da Aristotele, sono la molla essenziale per affascinare le masse... Storditeli con la gloria di Dio. Un'analisi eccessiva vi ruba la speranza: distrugge il concetto. Solo noi siamo Pagina 103
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt la terraferma che vi mette in salvo dal torrente tumultuoso. La verità uccide prima del tempo.» Quart alzò una mano. «C'è un'obiezione morale, padre. Questa si chiama alienazione. Messa così, la sua chiesa è la televisione del Seicento.» «E allora?» il parroco scrollò le spalle, con disprezzo. «Che cosa fu l'arte religiosa barocca se non un tentativo di, strappare pubblico a Lutero, a Calvino?... inoltre, mi dica dove sarebbe il papato moderno senza la televisione. La fede nuda non sta in piedi. La gente ha bisogno di simboli con cui coprirsi, perché fuori fa molto freddo. Siamo responsabili dei nostri ultimi fedeli innocenti, quelli che hanno continuato a credere, come nell'Anabasi, che li avremmo riportati al mare e a casa. Almeno le mie vecchie pietre, il mio retablo e il mio latino sono più dignitosi di tutte quelle canzoni amplificate, gli schermi giganti e la santa messa trasformata in spettacolo per masse stordite dall'elettronica. Credono che così conserveranno la clientela, ma ci avviliscono e sbagliano. La battaglia è persa, è giunto il tempo dei falsi profeti.» Chiuse la bocca e chinò la testa, cupo, dando per conclusa la conversazione. Poi andò ad appoggiarsi alla finestra e si mise a osservare il fiume. Dopo un istante Quart, che non sapeva più che cosa fare o che dire, si appoggiò al davanzale al suo fianco. Non erano mai stati tanto vicini l'uno all'altro, la testa del parroco gli arrivava all'altezza della spalla. Rimasero così per un pezzo, senza proferire parola, fino a molto tempo dopo che le campane di Siviglia ebbero mandato sei rintocchi. La nuvola solitaria si era disfatta e il sole scendeva nel cielo che continuava a dorarsi lentamente, a ponente. allora don Priamo Ferro parlò di nuovo. «So soltanto una cosa: quando finirà la seduzione, finiremo anche noi, perché la logica e la ragione significano la fine. Ma finché una povera donna avrà bisogno di inginocchiarsi in cerca di speranza o di conforto, la mia piccola chiesa deve restare in piedi.» Estrasse di tasca il fazzoletto sporco e si soffiò rumorosamente il naso. La luce del tramonto metteva in risalto i peli bianchi del mento mal rasato. «Nonostante la loro mi serabile condizione, i preti come me continuano a essere necessari... Siamo la pelle del tamburo, vecchia e rattoppata, su cui rulla ancora la gloria di Dio. E solo un pazzo invidierebbe il nostro segreto. Noi conosciamo...» il parroco storse la bocca fra le cicatrici, in una smorfia assorta e oscura «conosciamo l'angelo che ha la chiave dell'abisso.» 9.Il mondo è piccolo Degna si essere bruna e sivigliana. Campoamor, Il treno espresso I riflettori che illuminavano la cattedrale creavano uno spazio irreale fra luce e notte. Disorientate dal contrasto, le colombe volavano in tutte le direzioni, spuntando all'improvviso per poi scomparire nell'oscurità, nell'immensa e armoniosa montagna di cupole, pinnacoli e archi rampanti su cui campeggiava la torre della Giralda. Sembrava quasi finto, pensò Lorenzo Quart. Un fondale straordinario come nei vecchi colossal hollywoodiani creati con tela dipinta e molta cartapesta. La differenza stava nel fatto che piazza Virgen de los Reyes era autentica, costruita a forza di mattoni e di secoli - la parte più antica risalìva al Xii, e non c'era studio cinematografico capace di riprodurre il suo aspetto impressionante, per quanti soldi o talento vi investisse. Era una quinta unica, irripetibile. Uno scenario perfetto. Soprattutto quando Macarena Bruner vi fece qualche passo per poi fermarsi sotto l'enorme lampione centrale della piazza, e rimanere li, immobile contro il chiarore dorato della pietra e dei fari. Alta e snella, la collana d'avorio sulla pelle abbronzata del collo, i capelli raccolti in una coda di cavallo. Gli occhi neri, tranquilli, fissi su Quart. «Posti come questo sono quasi unici» disse. Era vero, e l'uomo di Roma si rendeva conto fino a che punto la presenza di quella donna accentuasse il fascino del luogo. La figlia della duchessa del Nuevo Extremo era vestita come quel pomeriggio nel patio della Casa del Postigo. Ora portava una giacca leggera sulle spalle, e in mano una borsa di cuoio simile a un tascapane da caccia. Erano arrivati fin chè camminando quasi in silenzio, dopo che Quart aveva lasciato padre Ferro nell'osservatorio e si era congedato dalla duchessa. Torni a trovarci, aveva detto la vecchia signora, compiaciuta, e gli aveva offerto in ricordo un piccolo azulejo dell'antica decorazione della casa: un uccello che i capomastri rnudeiar avevano inserito nel rivestimento del patio, e che, Pagina 104
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt caduto dal muro in seguito ai bombardamenti del 1843, se ne stava da un secolo e mezzo fra varie dozzine di pezzi rotti o difettosi, in uno scantinato vicino alle vecchie scuderie. Poi, quando Quart era uscìto con il suo azulejo in tasca, Macarena l'aveva fermato vicino al cancello d'ingresso. il suggerimento di fare una passeggiata per poi mangiare qualche stuzzichino come cena nelle osterie di Santa Cruz era venuto da lei. Se non ha altri impegni, aveva aggiunto osservandolo dal fondo dei suoi occhi scuri e sereni. Magari con un vescovo o qualcosa del genere. Quart era scoppiato a ridere, abbottonandosi la giacca, e la donna gli aveva guardato le mani di nuovo, e poi la bocca, e ancora le mani, finché non si era messa a ridere con la sua risata franca e sonora come quella di un ragazzo. E ora erano lì tutti e due, in piazza Virgen de los Reyes, con la cattedrale illuminata sullo sfondo e le colombe che vi volteggiavano sopra, fra luce e notte. Macarena continuava a guardare Quart e Quart a guardare lei. E niente di tutto ciò, pensava lui, con la calma lucida che era solito mantenere in quel genere di situazioni, contribuiva alla salutare tranquillità di spirito che i Sacri precetti raccomandavano per la salvezza eterna di un sacerdote. «Voglio ringraziarla» disse lei. «Perché?» «Per don Priamo.» Passarono altre colombe dirette incontro alla notte. Ora si erano incamminati verso l'Alcazar e l'arco aperto nelle mura. Macarena si voltò a osservare Quart, mentre un lieve sorriso di tanto in tanto le aleggiava sulla bocca. «Siete riuscìti a comunicare, no?» aggiunse. «Forse adesso riuscìrà a capìre.» Quart fece un gesto ambiguo. Poteva comprendere alcune cose. Il mondo è piccolo Degna di essere bruna e sivigliana. cAMPoAMoR, Il treno espresso disse. L'atteggiamento del parroco, o l'intransigenza riguardo alla chiesa e l'impegno in suo favore. Ma questa era solo una parte del problema. La sua missione a Siviglia consisteva in un rapporto generale sulla situazione, che includesse, possibilmente, l'identità di Vespro. E sul pirata informatico, l'indagine era ancora a zero. Padre Oscar stava per andarsene senza che Quart avesse chiarito i suoi possibili legami con il caso. Doveva anche controllare i rapporti della polizia e le inchieste dell'arcivescovado sulle morti nella chiesa. Inoltre, restava ancora da risolvere il mistero della cartolina di Carlota Bruner si toccò la giacca all'altezza della tasca interna in cui la teneva - e del brano segnato nel Nuovo Testamento della sua stanza. «Di chi sospetta?» chiese lei. Erano sotto l'arco nelle mura, accanto al piccolo altare barocco della Vergine racchiuso in un'urna di cristallo, e lo scoppio d'ilarità di Quart strappò degli echi alla volta. Una risata secca, priva di umorismo. «Di tutti» disse, osservando l'immagine sacra come se fosse incerto se includerla o meno in quel tutti. «Don Priamo Ferro, padre Oscar, la sua amica Gris Marsala... E anche lei. Qui tutti sono indiziati, per azione o per omissione.» Guardò a destra e a sinistra quando uscìrono nel cortile dell'Alcazar come se si aspettasse di trovare uno di loro lì in agguato. «Sono sicuro che vi coprite a vicenda.» Fece qualche passo, si fermò un momento e si guardò di nuovo attorno. «Basterebbe che uno di voi parlasse con franchezza per trenta secondi perché la mia indagine fosse risolta.» Macarena Bruner era al suo fianco e lo guardava fisso, la borsa di cuoio stretta al petto. «Lo crede veramente?» Quart aspirava l'aroma degli aranci che riempivano il cortile. «Ne sono certo» disse. «Assolutamente certo. Immagino che Vespro sia uno di voi, che abbia inviato il messaggio come esca per attrarre l'attenzione di Roma e aiutare padre Ferro a conservare la sua chiesa... Crede che un appello al papa significhi ristabilire la verità e far si che risplenda. Perché la verità, si dice il nostro ingenuo pirata informatico, non può pregiudicare una causa giusta. Allora atterro io a Siviglia, deciso a cercare il tipo di verità che interessa a Roma e che forse non coincide con la vostra. Forse per questo motivo nessuno mi aiuta, ma create mistero su mistero, e mi riferisco anche all'indovinello della cartolina.» Si avviarono di nuovo attraverso la piazza. A volte i loro passi li avvicinavano e Quart percepiva il suo profumo: qualcosa di simile al gelsomino, con fragranze di fiori d'arancio. Macarena Bruner profumava come la sua città. «Forse l'obiettivo non è aiutare lei» disse la donna dopo un momento «ma aiutare altri. Forse è tutto per farle comprendere cosa sta accadendo.» «D'accordo: Pagina 105
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt io posso capìre l'atteggiamento di padre Ferro. Ma la mia comprensione non vi serve a niente. Avete inviato il vostro messaggio aspettandovi un bravo sacerdote pieno di amore e di comprensione, e invece vi hanno mandato un soldato con la spada di Giosuè.» Scosse un po'"il capo, con malumore. «Perché io sono un soldato, come quel Sir Marhalt che le piaceva tanto da ragazzina. Mi limito a informare dei fatti e a individuare i responsabili. La comprensione e le soluzioni, se esistono, toccano ad altri» fece una pausa, prima di aggiungere un debole sorriso. «Non serve a nulla sedurre il messaggero. Erano arrivati al passaggio che metteva in comunicazione il cortile con il quartiere di Santa Cruz. Sotto la luce all'angolo, le loro ombre scivolarono assieme sui muri a calce. Tutto ciò creava una strana sensazione di intimità, e Quart provò sollievo quando uscìrono dall'altra parte, nella notte aperta. «E questo che pensa?» chiese Macarena Bruner. «Che voglio sedurla? Quart non rispose. Continuarono a camminare in silenzio lungo le mura, e poi per una delle strette viuzze che si addentravano nel quartiere ebraico. «Anche Sir Marhalt» disse lei dopo qualche istante «prendeva partito per le cause giuste.» «Erano altri tempi. E poi il suo Sir Marhalt l'ha inventato John Steinbeck. Ormai non ci sono più cause giuste. Nemmeno la mia lo è.» Rimase in sospeso, come se meditasse sulla verità di quelle parole. «Ma è la mia.» «Dimentica padre Ferro.» «Quella non è una causa giusta. E un puntiglio personale. Ciascuno si arrangia come può.» Quart camminava guardando avanti, ma si accorse che lei faceva un gesto di impazienza. «Per favore. Ho visto Casablanca venti volte. Mi mancava solo un prete che gioca a fare l'eroe disilluso...» Era andata un po'"avanti e ora si voltava verso di lui, sprezzante e irritata. «A fare Humphrey Bogart. » «No. Io sono più alto. E lei sbaglia. Non ha visto nulla, né sa nulla di me.» Aveva voglia di prenderla per il braccio e fermarla mentre parlava, ma si trattenne. Lei continuava a precederlo di qualche passo, e guardava di nuovo avanti come se si rifiutasse di ascoltare. «Non sa perché sono prete, né perché sono qui, né cosa ho fatto per essere qui. Non sa quanti Priamo Ferro ho conosciuto in vita mia, né sa come mi sono comportato con loro, quando mi hanno dato ordini in merito.» Lo disse con un'amarezza che cadde nel vuoto: Macarena Bruner non poteva sapere. Vide che si girava su se stessa. «Sembra che rimpianga di non avere una testa da mandare a Roma a stretto giro di posta.» Lo affrontò faccia a faccia, il corpo leggermente teso in avanti. «Credeva che sarebbe stato tutto facile, vero?... Ma io ero sicura che le cose sarebbero andate diversamente quando avesse conosciuto la vittima da vicino.» «Sbaglia.» Quart scosse il capo sostenendo il suo sguardo. «Il fatto che io conosca meglio padre Ferro non cambia nulla, almeno dal punto di vista formale.» «E quanto al resto?» Si toccava la fronte con un dito. «Le sue idee.» «Il resto è affar mio. Sappia che ho conosciuto da vicino molte delle mie vittime, come dice lei. E non ha cambiato nulla.» Lasentìsospirare con disprezzo. «Immagino di no. Suppongo che sia anche il motivo per cui le comprano abiti su misura da buoni sarti, e per cui ha scarpe costose e carte di credito, e un orologio stupendo al polso.» Lo guardava sprezzante, provocandolo con insolenza. «Sono i suoi trenta denari, non è vero?» Troppo aggressiva. Troppo disprezzo nelle sue parole perché tutto ciò le fosse indifferente, così Quart iniziò a chiedersi disperatamente dove volesse arrivare. Erano fermi uno davanti all'altra in una delle stradine strette con lampioni di ferro e balconi carichi di fiori che quasi si toccavano sopra le loro teste. «Mi fa piacere che lo immagini, perché è così.» Quart prese fra due dita il risvolto della giacca, mostrandogliela. «I vestiti, e le scarpe, e le carte di credito, e l'orologio, sono molto utili quando si tratta di impressionare un generale serbo, o un diplomatico statunitense... Ci sono preti operai, preti sposati, preti che dicono messa alle otto, e ci sono preti come me. E non saprei dirle quale sia il tipo di prete che rende possibile la sopravvivenza degli altri.» Accennò un sorriso amaro, ma il suo pensiero era ormai volato lontano dalle parole che pronunciava; Macarena Bruner era ancora troppo vicina, in quella strada troppo stretta. «Anche se su qualcosa siamo d'accordo, il suo padre Ferro e io, nessuno dei due si fa illusioni per quanto riguarda il nostro ufficio.» Poi rimase in silenzio, perché all'improvviso ebbe paura del suo bisogno di giustificarsi davanti a lei. Erano soli per strada, alla luce di un lampione lontano, ed era molto bella mentre lo guardava in silenzio, con la bocca socchiusa che lasciava intravedere la punta degli incisivi candidi. Respirava piano, con la serenità della bella donna che è pienamente cosciente di esserlo. Pagina 106
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt La sua espressione non era più di disprezzo, come se questo si fosse esaurito nelle parole, e quella di padre Quart era una paura maschile e reale, fisica, molto simile a una vertigine. Tanto che dovette trattenersi per non fare il passo indietro che lo avrebbe portato con le spalle al muro. «Perché non mi racconta quello che sa?» Vide che lo guardava come se si fosse aspettata altre parole, un altro gesto. Gli occhi della donna, fino allora fissi nei suoi, gli scivolarono sul volto e sul collare della camicia nera. «Può anche non crederci, ma io so molto poco» rispose, dopo un silenzio che parve straordinariamente lungo. «Posso indovinare alcuni particolari, forse. Ma non sarò io a raccontarglieli. Lei svolga il suo lavoro e lasci che gli altri facciano il proprio, Detto ciò rimase di nuovo in silenzio, immobile, in attesa di vedere cosa avrebbe risposto stavolta Quart. Ma lui non disse nulla, si avviò per la strada stretta, e lei lo seguì in silenzio, stringendosi al petto la borsa di cuoio. Da Las Teresas c'erano prosciutti appesi fra bottiglie di La Guita, vecchi manifesti della settimana santa e della fiera d'aprìle, e foto di toreri magri e seri, morti da tempo, con l'inchiostro delle loro dediche che ingialliva dietro il vetro delle cornici. I camerieri annotavano i prezzi delle consumazioni sul bancone di legno, mentre Pepe, l'addetto, tagliava fette sottili di prosciutto di Jabugo con un coltello lungo e affilato come un rasoio: Come mi rallegra, cugino, come mi rallegra, mangiare prosciutto dalla zampa nera. Cantava fra sé sul ritmo delle tipiche canzoni popolari di Siviglia. Aveva chiamato donna Macarena 1 accompagnatrice di Quart e aveva servito loro, senza che nessuno dei due avesse avuto occasione di chiedere nulla, gli stuzzichini di carne magra di maiale con pomodoro, pesciolini fritti, lonza insaccata, champignon alla griglia e due bicchieri sottili, col gambo lungo, pieni per due terzi di fragrante e dorata manzanilla. Vicino alla porta, con i gomiti appoggiati sul bancone accanto a Quart, un tipo con l'aria da cliente abituale e il volto paonazzo si scolava coscienziosamente un bicchiere di rosso dietro l'altro; Pepe di tanto in tanto smetteva di cantare e, senza staccare gli occhi dalle fette di prosciutto, gli diceva qualcosa a proposito di una certa partita di calcio che stava per essere giocata fra il Siviglia e il Betis. «Grandioso» puntualizzava il tipo rubizzo, con alcolica caparbietà, e mentre Pepe annuiva, ricominciando a cantare, l'altro sprofondava di nuovo il naso nel bicchiere di vino. Dal taschino della giacca gli spuntava la t sta di un topolino grigio, un topolino vivo, al quale talvolta offriva pezzettini di formaggio dal piatto che aveva accanto, sul bancone. Il roditore divorava con cura il formaggio, e nessuno sembrava minimamente sorpreso. Macarena beveva inanzanilla sorseggiandola lentamente. Appoggiava un gomito sul bancone, sicura come se fosse nella Casa del Postigo. In effetti, aveva avuto modo di notare Quart, si muoveva per tutta Santa Cruz come se fossero le stanze di casa sua, e in un certo qual modo lo erano, o lo erano state per secoli. Saltava agli occhi che ogni angolo era inscritto nella sua memoria genetica, nel suo istinto territoriale. Ancora una volta Quart ebbe l'impressione, per nulla tranquillizzante, che gli era molto difficile concepire il quartiere e la città senza la presenza di quella donna e di ciò che significava. Capelli neri legati dietro la nuca, denti bianchi, occhi scuri. Ricordò di nuovo i dipinti di Romero de Torres, la Manifattura dei tabacchi ora trasformata in università. Carmen la sigaraia e le foglie umide arrotolate, col palmo della mano, contro l'interno di una coscia di donna dalla pelle bruna. Sollevò gli occhi e incrociò lo sguardo di lei fisso nel suo. Di nuovo bagliori di miele, pensierosi. Tranquilli. «Le piace Siviglia?» chiese all'improvviso Macarena. «Molto» rispose turbato, chiedendosi se lei penetrasse i suoi pensieri. «E un posto speciale.» Continuava a guardarlo senza smettere di spiluccare dai piatti, ora mangiava uno champignon arrostito. «Qui il passato convive senza problemi con il presente. Gris dice che noi sivigliani siamo vecchi e saggi. Tutto è accettabile, tutto è possibile...» guardò brevemente il suo vicino con la faccia rubizza e sorrise «perfino dividere il formaggio con un topo al bancone di un bar.» «La sua amica è esperta in informatica?» Lo guardò stupita. Quasi ammirata. «Non si da per vinto, vero?» Infilzò un altro cha mpignon con uno stuzzicadenti e se lo portò alla bocca. «Lei è un uomo ossessivo. Perché non lo chiede a Gris?» «L'ho fatto. Ed è stata evasiva, come tutti.» Guardava verso la porta, sopra la spalla della donna, e vide entrare un ciccione vestito di bianco, sui cinquant'anni, che per un istante non gli parve del tutto sconosciuto. Quando passò loro accanto, il ciccione si tolse il cappello, dette Pagina 107
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt un'occhiata intorno come se cercasse inutilmente qualcuno, consultò l'orologio che tirò fuori da una tasca del panciotto e scomparve dall'altra porta, dondolando un bastone con l'impugnatura d'argento. Quart notò che aveva la guancia sinistra arrossata, coperta di crema o di pomata, e uno strano baffo corto e molto rattrappito, come se glielo avessero appena bruciacchiato. «E cosa si sa della cartolina?» chiese a Macarena, proseguendo la conversazione. «Gris Marsala ha accesso al baule della sua prozia Carlota?» La vide sorridere un po', divertita dalle sue fissazioni. «Qualche volta c'è arrivata vicino, se è quello che intende. Ma può essere stato anche don Priamo. O forse padre Oscar o io stessa. O mia madre... Immagina la duchessa, nel cuore della notte, con la sua Coca Cola e un berretto da basebalì messo al contrario, che fa saltare i codici di sicurezza del Vaticano?» Infilzò un pezzetto di carne col pomodoro e l'offrì a Quart. «Ho paura che così la sua indagine possa sfiorare il grottesco.» Quart prese la punta dello stuzzicadenti e le sue dita sfiorarono quelle di Macarena. «Mi piacerebbe dare un'occhiata al baule.» Si portò lo stuzzichino alla bocca mentre lei lo guardava. «Noi due da soli?» sorrideva. «E un'idea un po'"audace, ma temo che lo scopo sia solo vedere se ho un computer pirata.» Pepe aveva messo sul bancone il piatto di prosciutto e lei guardava, distratta, le fette di un rosso cupo venate di grasso profumato. «Perché no. Potrò raccontarlo alle mie amiche, e mi piace immaginare che faccia farà l'arcivescovo quando verrà a saperlo.» Chinò il capo, pensierosa. «O mio marito.» Quart guardava i cerchi d'argento che aveva ai lobi delle orecchie, sotto i capelli lisci, pettinati con cura all'indietro. «Non vorrei crearle altri problemi.» Di colpo lei scoppiò a ridere. «Problemi?... Spero che Pencho scoppi di rabbia e di gelosia. Se oltre alle seccature della chiesa, gli raccontano che c'è un sacerdote interessante di mezzo, può anche diventare matto.» Osservò Quart, attenta. «E pericoloso. «Lei mi inquieta.» Quart finì il suo bicchiere di manzanilla, ed era evidente che non provava alcuna inquietudine. Macarena rifletteva. «in ogni modo» disse «dare un'occhiata al baule di Carlota è una buona idea. capìrà meglio cosa significa Nostra Signora delle Lacrime.» «La sua amica Gris.» Quart assaggiò una fetta di prosciutto. «Si lamenta della mancanza di fondi per continuare i lavori...» «E vero. La duchessa e io abbiamo solo quanto ci basta per vivere, e la parrocchia è senza un soldo Lo stipendio di don Priamo è esiguo, e la colletta domenicale non copre neppure la cera delle candele. A volte ci sentiamo come gli esploratori dei film, con l'ombra degli avvoltoi che planano sulle nostre teste... Il giovedì, soprattutto, si verifica uno spettacolo curioso.» Allora spiegò a Quart, davanti a un altro paio di bicchieri di manzanilla, che Nostra Signora delle Lacrime era intoccabile finché ogni giovedì, alle otto del mattino, vi si diceva messa per l'anima del suo antenato Gaspar Bruner de Lebrija, scomparso quel giorno di una settimana del 1709. E per questo motivo ogni giovedì si potevano vedere, nell'ultima fila di panche, un inviato dell'arcivescovo e un notaio pagato da Pencho Gavira, entrambi che aspettavano al varco un'irregolarità o una distrazione. Quart non riuscìva a crederci, ed entrambi risero assieme. Ma l'ilarità di Macarena si spense prima della sua. «Sembra infantile, vero?...» era diventata improvvisamente seria «che tutto dipenda da una simile stupidaggine.» Sollevò il bicchiere per portarselo alle labbra, ma si interruppe a metà, posandolo di nuovo sul bancone. «Qualsiasi altro sacerdote che non dicesse messa o trascurasse la formula condannerebbe la chiesa al piccone, e tanto l'arcivescovo di Siviglia quanto il Banco Cartujano avrebbero partita vinta... Per questo ho paura che, allontanato padre Oscar, tentino qualcosa contro don Priamo.» Guardava Quart con un'inquietudine apparentemente sincera. E il sacerdote non sapeva che pensare. «E un'esagerazione» dichiarò alla fine. «Monsignor Corvo non mi è simpatico, ma sono sicuro che non tollererebbe mai...» Lei allungò una mano in modo istintivo, e fu li lì per posargliela sulle labbra. Quart fu stupito di non sentire il contatto. Macarena dovette interpretare il suo sguardo, perché ritirò la mano appoggiandola sul bancone. «Non mi riferivo all'arcivescovo.» Giocherellava con il gambo del bicchiere di Quart. Tu vuoi confondermi, si disse lui all'improvviso. Ignorava se la donna lo facesse di sua iniziativa o per conto di terzi, se l'obiettivo fosse sedurre il messaggero o neutralizzare il nemico: ma di certo fra tutti, sotto il pretesto di mostrargli l'altro lato della trincea, gli stavano facendo perdere ogni proporzione. Hai bisogno di un punto fermo a cui aggrapparti, pensò. Il tuo lavoro, l'indagine, Pagina 108
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt la chiesa, qualunque cosa. Dati e fatti, anche se non servono a nient'altro. Domande e risposte, una testa tranquilla. Una grande serenità come quella che lei lascia trasparire in ogni istante, donna strumento del Maligno, faro della perdizione, nemica del genere umano e dell'anima immortale. Mantieni le distanze o sei perduto, Lorenzo Quart. Come diceva monsignor Spada?... Se un religioso riuscìva a tenere il denaro lontano dalle tasche e le gambe fuori dal letto di una donna, aveva molte possibilità di salvarsi l'anima. O qualcosa di simile. «Tornando al discorso del denaro» disse. Bisognava parlare, formulare domande, sia pure inutili. Lui era venuto per investigare, non perché la Carmen della Manifattura di tabacchi gli posasse le dita sulle labbra. «Avete mai pensato di vendere i quadri custoditi nella sacrestia per finanziare i lavori di restauro?» «Le tele non valgono niente. Anche il Murillo non è un Murillo.» «E le perle?» Lo guardava come se avesse appena sentito una gigantesca stupidaggine. «Allora anche il Vaticano» suggerì «potrebbe vendere la sua pinacoteca e dare i soldi ai poveri.» Finì di bere e poi cercò il portafoglio nella borsa e chiese il conto. Quart insisté per pagare, ma lei non glielo permise. L'addetto alla cassa si scusò con un sorriso. Mi perdoni, padre, donna Macarena è una cliente, eccetera eccetera. uscìrono in strada, dove un lampione proiettò le loro ombre allungate sul selciato. Nei tratti con poca luce subentrava la luna, bianca e quasi piena fra le ombre delle grondaie e i balconi che si sfioravano sopra le loro teste. Dopo un istante Macarena menzionò di nuovo le perle, e nel farlo sembrava burlarsi di Quart. «Lei continua a non capìre» disse. «Sono le lacrime di Carlota. Il testamento del capìtano Xaloc.» Nelle stradine strette risuonava facilmente l'eco dei passi, così i tre furfanti si tenevano a distanza dalla coppia, dandosi il cambio in prima fila per non insospettirli: a volte don Ibrahim con la Nifla Puflales, e il Potro del Mantelete che li seguiva più indietro, e a volte il Potro da solo, o con la Nifla a braccetto del braccio sano, perché l'altro, bruciato, lo portava appeso al collo, sempre in contatto visivo con il prete e la giovane duchessa. Il compito non era facile, perché il tracciato di Santa Cruz era irregolare, con molti giri, e passaggi senza uscìta. Una volta i tre soci avevano dovuto togliersi di mezzo e fare marcia indietro in fretta e furia, correndo in punta di piedi fra le ombre, presi dal panico, perché Quart e Macarena erano arrivati in una piazzetta chiusa e, dopo essersi fermati un paio di minuti a chiacchierare, erano tornati sui loro passi. Ora andava tutto bene. La coppia camminava in una strada con svolte dolci e ampi androni dove era facile seguirli senza troppi rischi. Così, più rilassato, una grossa macchia chiara nella penombra, don Ibrahim tirò fuori di tasca un sigaro avana e se lo mise in bocca facendolo girare voluttuosamente fra le dita. Otto o dieci passi avanti camminavano il Potro del Mantelete e la Nifla PuflMes, controllando i movimenti della coppia, e l'ex falso avvocato sentì un'ondata di tenerezza osservando i suoi compari. Compivano coscienziosamente il loro dovere, attenti al doppio obiettivo che li precedeva per strada. In posti molto silenziosi la Nifla si toglieva le scarpe col tacco per non far rumore, e camminava scalza con una particolare grazia che gli anni non erano riuscìti a strapparle, i piedi nudi e le scarpe in mano, accanto alla borsa dove teneva il lavoro all'uncinetto, la macchina fotografica di Peregil e l'inesistente ritaglio di giornale in cui si raccontava che un uomo dagli occhi verdi come il grano verde una volta ne aveva ammazzato un altro per questioni d'amore. Eterna Nifla col vestito a pallini, i capelli tinti, il tirabaci alla Estrellita Castro, e quell'aria folcloristica da ballerina di flamenco sempre pronta per una pedana ormai inesistente. Al suo fianco, serio, virile, il Potro le dava il braccio sano con la deferenza di chi sa, o intuisce, che questo gesto cortese, da uomo rispettoso e a posto, come sempre sono stati i veri uomini, era l'omaggio più prezioso che una donna come la Niiia potesse ricevere al mondo. Con il bastone sottobraccio, don Ibrahim chinò il capo per accendere il sigaro nascondendo la fiamma sotto la tesa larga del panama, e mentre si rimetteva in tasca l'ammaccato accendino d'argento - stavolta ricordo di Gabriel Garcia Màrquez, che aveva conosciuto, diceva, quando l'autore di Nessuno fa visita al colonnello Priramo era un umile cronista a Cartagena de Indias - sentì i biglietti per la corrida della domenica, che il Potro del Mantelete aveva comprato, proprio quel pomeriggio. Nei momenti liberi, l'ex torero ed ex pugile si guadagnava la vita con le combriccole di truffatori che si piazzavano vicino al ponte di Triana facendo da spalla all'artista dei tre bussolotti - la bonega, nel gergo del mestiere - sulla scatola di cartone: qui ce l'ho qui non ce l'ho, Pagina 109
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt qui la vedo qui non la vedo, questa vince e questa perde, venga a scommettere venticinquemila pesetas, signore. I compari attorno fingevano di vincere in continuazione, e un paio di soci all'angolo avvisavano se spuntava la pula, cioè gli sbirri. Con la sua aria seria, formale, e la giacca a quadri troppo stretta, il Potro ispirava fiducia alla gente; così, grazie alla sua partecipazione come richiamo, quella mattina lui e i suoi colleghi avevano alleggerito un turista portoricano di un bel fascio di dollari. Allora, per farsi perdonare la stupidaggine dell'anisetta, il Potro era saltato fuori con tre posti all'ombra per la corrida. Tre biglietti nei quali aveva investito, pari pari, tutti quanti i suoi guadagni ai bussolotti, perché il programma era incredibile: Curro Romero, Espartaco ed Enrique Ponce Curro Maestral l'avevano cancellato dal programma all'ultimo minuto, senza spiegazioni - con sei tori di Cardenal e Murube, sei. Don Ibrahim esalò una boccata di fumo, aprendo e chiudendo le mascelle per controllare le condizioni dell'epidermide accuratamente coperta di crema per bruciature. I peli dei baffi e delle sopracciglia erano strinati, ma non poteva lamentarsi: per poco non era successa una disgrazia con la benzina, anche se poi era tutto finito con qualche scottatura superficiale, il tavolo bruciato, una macchia di fumo sul soffitto, e lo spavento. Uno spavento da restarci secchi, soprattutto quando avevano visto il Potro correre per la stanza con un braccio in fiamme - per fortuna era un vero uomo e fumava con la sinistra - come nel film di Vincent Price, sui delitti al museo delle cere, finché la Niùa con grande presenza di spirito, esclamando Madonna Santissima, non aveva spruzzato lui e don Ibrahim con il sifone che aveva in cucina, prima di gettare una tovaglia sul tavolo per spegnere il fuoco. Poi era seguito fumo, spiegazioni, vicine di casa che si accalcavano alla porta, e un rammarico immenso quando erano arrivati i pompieri e non c'era più nulla da spegnere, eccetto la bruciante umiliazione dei tre soci. Con tacito accordo, nessuno aveva più fatto allusione all'infausto avvenimento. Perché, disse don Ibrahim chiudendo il discorso dopo aver sollevato accademicamente un dito mentre la Nifla tornava dalla farmacia con un tubo di pomata e le garze, la vita ha dei capìtoli dolorosi che è necessario dimenticare a razzo. il prete e la giovane duchessa dovevano essersi fermati a conversare, perché la Nifla e il Potro si erano appostati con discrezione all'angolo, incollandosi al muro e facendo finta di nulla. Don Ibrahim fu grato della pausa - sospingere i suoi cento chili di peso in lunghe camminate non era compito facile - guardò la luna sopra il profilo scuro della strada stretta, assaporando l'aroma del sigaro, mentre il fumo salìva in dolci spirali nella luce argentata che inondava Santa Cruz non appena i lampioni elettrici si allontanavano o scomparivano dietro l'angolo. Neppure l'odore di urina e di sporcizia nei pressi di alcuni bar, nelle vie più buie, riuscìva a coprire il profumo degli aranci, delle belle di notte e dei fiori che spuntavano dai balconi con le imposte chiuse dietro le quali si sentiva, passando, musica smorzata, frammenti di conversazione, il dialogo di un film o gli applausi di un quiz televisivo. Da una casa vicina si diffondevano le note di un bolero che ricordarono a don ibrahim altre notti di luna piena in tempi lontani e in strade straniere, e il cubano si cullò nella nostalgia delle sue due gioventù ai Caraibi, quella reale e quella immaginaria, che si mescolavano nel ricordo di notti eleganti sulle calde spiagge di San Juan, di lunghe passeggiate per l'Avana Vecchia, di aperitivi nei Portales di Vera Cruz con i mariachi che cantavano Donne divine, del suo amico Vicente, o quella Mar! a bella che lui stesso aveva ispirato. O forse, si disse con un'altra lunga tirata al sigaro avana, era solo la nostalgia della gioventù, e basta. E dei sogni che poi la vita fa in modo di strapparti pian piano a morsi. Comunque, mentre vedeva il Potro e la Niiìa riprendere la marcia e si avviava dietro di loro, pensò che gli sarebbe sempre rimasta Siviglia che, secondo lui, celava angoli nascosti molto simili a quelli che avevano contrassegnato gli anni dei suoi ricordi. Perché era l'unica città a conservare, agli incroci, nei colori e nella luce, il rumore del tempo che pian piano svanisce, anche se in realtà siamo noi a svanire assieme alle cose transitorie cui leghiamo la nostra vita e la nostra memoria. Ma il brutto delle lunghe agonie è che uno rischia di perdere la compostezza. Don Ibrahim dette un'altra tirata al sigaro mentre scuoteva tristemente il capo: in un androne, sotto giornali e cartoni, dormiva l'ombra vaga di un mendicante, e il cubano intuì, più che vedere, il piattino vuoto dell'elemosina, al suo fianco. Istintivamente infilò la mano in tasca e frugò, scostando Pagina 110
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt i biglietti della corrida e l'accendino di Garcia Màrquez, fino a trovare una moneta da cento pesetas che, chinandosi a fatica sulla pancia, depositò accanto al corpo addormentato. Dieci passi dopo ricordò che non gli restavano spiccioli per il rapporto telefonico a Peregil, e prese in considerazione la possibilità di tornare indietro a riprendersi l'elemosina, ma si trattenne, confidando nel fatto che il Potro o la Nilia avessero qualche moneta. Un gesto è una professione di fede. E quello non sarebbe stato onorevole. Il mondo è piccolo, ma dopo quella sera Celestino Peregil si sarebbe chiesto spesso se l'incontro del suo capo Pencho Gavira con la giovane duchessa e il prete di Roma fosse stato casuale, o se lei lo avesse portato apposta a passeggio nelle sue vicinanze, sapendo bene che era l'ora in cui il marito, ex marito o quello che tecnicamente era ormai il banchiere, beveva sempre qualcosa nel bar del Matto della Collina. In ogni modo Gavira era seduto a uno degli affollati tavoli all'aperto, insieme a un'amica, mentre Peregil era rimasto dentro, al bancone vicino alla porta, per guardargli le spalle. Il suo capo aveva chiesto whisky scozzese di malto con molto ghiaccio e assaporava il primo sorso guardando la sua accompagnatrice. Era un'attraente modella di Siviglia che, nonostante il suo noto deficit intellettuale, o forse proprio per quello, iniziava a essere conosciuta per un breve spot pubblicitario di una certa marca di reggiseni che passava su Canal Sur. La sua battuta era il busto è mio", e la modella - una tale Penelope Heideggei; che aveva grossi motivi anatomici per affermarlo - la pronunciava con devastante sensualità. Pencho Gavira, saltava agli occhi, si preparava molto seriamente a dividere con lei nel corso della serata, e non era la prima, il titolo di proprietà del busto in questione. Un modo come un altro, pensava Peregil, di dimenticarsi per un po'"del Banco Cartujano, della chiesa e del gran casino che faceva vedere a tutti e due i sorci verdi. Lo scagnozzo si risistemò i capelli sulla testa con il palmo della mano e si guardò attorno. Dalla sua postazione accanto al banco e alla porta poteva vedere calle Placentines fino all'angolo, compresa la generosa porzione di cosce di quella tale Penelope che la sua esigua minigonna in lycra scopriva sotto il tavolo, accanto alle gambe accavallate di Pencho Gavira. Il banchiere era in maniche di camicia, con la cravatta allentata e la giacca appesa allo schienale della sedia perché la temperatura era gradevole. Nonostante ciò che gli stava capìtando, Gavira aveva un bell'aspetto: accuratamente pettinato con la gommina e il ricciolino nero dietro l'orecchio, ben piantato e con aria danarosa, l'orologio d'oro che splendeva al polso robusto e abbronz ato. La filodiffusione del bar mandava Europa, di Santana. Una scena felice, tranquilla, quasi domestica. Peregil si disse che tutto sembrava andare liscio come l'olio. Non c'era traccia del Gitano Mairena né del Pollo Muelas, e il bruciore all'uretra se n'era andato con una bottiglia di Blenox. Ma proprio nel momento in cui si sentiva più rilassato e tranquillo, ed era convinto di potersela godere come il suo capo - teneva d'occhio un paio di tardone niente male sedute in fondo al bar con le quali aveva già stabilito un contatto visivo - e ordinava un altro whisky di dodici anni - tuelfyears old, aveva detto al cameriere con disinvoltura cosmopolita - si chiese dove fossero a quell'ora don Ibrahim, il Potro e la Nifla, e come andasse la faccenda che avevano tra le mani. Secondo le ultime istruzioni dovevamo essere sul punto di bruciare un poco la chiesa, quanto bastava per metterla fuori uso e impedire la messa del giovedì, ma per il momento non c'erano notizie. Senza dubbio rientrando a casa avrebbe trovato qualche messaggio nella segreteria telefonica. Assorto nella riflessione, Peregil si scolava il contenuto del bicchiere che gli avevano appena servito, quando vide la giovane duchessa e il prete di Roma girare l'angolo, e fu lì li per strozzarsi con un cubetto di ghiaccio. Si allontanò un po'"dal bancone, avvicinandosi alla porta senza uscìre per strada. Presentiva una catastrofe. Nonostante l'imponente presenza di Penelope e del suo busto, non era affatto un segreto che Pencho Gavira continuava a essere geloso della moglie, peraltro ancora legittima. E se anche non lo fosse stato, la copertina del Q+S e le foto col torero Curro Maestral offrivano una gran varietà di motivi per cui il banchiere poteva scaldarsi, e molto. Per colmo d'ironia il prete aveva un aspetto affascinante, ben vestito, in forma, di classe. Come Richard Chamberlain in Uccelli di rovo, ma più maschio. Così Peregil iniziò a tremare, soprattutto quando alle loro spalle vide apparire con discrezione, da dietro l'angolo, la testa del Potro del Mantelete con la Nifla Puiiales sottobraccio. Dopo poco furono raggiunti da don Ibrahim, e i tre soci rimasero lì, sconcertati, cercando goffamente di fare i disinvolti, e Peregil si disse potessi sprofondare. Ci hanno rotto Pagina 111
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt le uova nel paniere. Pencho Gavira sentiva il sangue battergli alle tempie mentre si alzava lentamente, cercando di dominarsi. «Buona sera, Macarena.» Non agire mai sotto il primo impulso, gli aveva detto il vecchio Machuca, agli inizi della sua carriera. Fai qualcosa che ti diluisca l'adrenalina, tieni occupate le mani e lascia liberi i pensieri. Prendi tempo. Così si infilò la giacca e l'abbottonò con cura mentre la fissava; gli occhi di sua moglie erano freddi come due cerchi di brina nera. «Ciao, Pencho.» Appena uno sguardo per l'accompagnatrice, un'espressione quasi impercettibile di disprezzo all'angolo della bocca davanti alla gonna stretta e alla scollatura che comprimeva un busto considerato patrimonio nazionale. Per un momento, Gavira si chiese chi dovesse sentirsi colto in flagrante. Tutti i clienti seduti ai tavolini intorno, dentro il bar e i passanti per strada li stavano guardando. «Volete bere qualcosa?» I suoi nemici, molti, potevano dire di lui qualunque cosa, ma non che non avesse sangue freddo. Riuscì anche ad abbozzare un sorrisetto cortese, benché avesse tutti i muscoli del corpo in tensione e un velo rosso gli stesse calando sugli occhi mentre il martellio gli aumentava nel cervello, e il sangue gli batteva forte nelle orecchie. Si sistemò il nodo della cravatta e i polsini della camicia in modo da mostrare i gemelli, guardando il prete in attesa delle presentazioni. Il sacerdote era molto elegante, con un abito scuro, leggero, tagliato su misura, camicia di seta nera e collare. Inoltre era molto alto. Quasi due palmi più di lui. Pencho Gavira non sopportava gli uomini alti. In particolare quando si mostravano di sera per Siviglia in compagnia di sua moglie. Si chiese se sarebbe stato un gesto molto criticabile spaccare la faccia a un prete sulla porta di un bar. «Pencho Gavira. Padre Lorenzo Quart.» Nessuno accennò a sedersi, e Penelope Heidegger rimase sulla sua sedia, momentaneamente dimenticata, ai margini della storia. Gavira tese la mano all'altro, stringendo forte, e notò che questi rispondeva con fermezza. Il prete di Roma aveva occhi inespressivi e tranquilli, e il banchiere si disse che, in fin dei conti, non c'era motivo per cui dovesse essere al corrente di alcunché. Ma quando si voltò a guardare sua moglie, gli occhi di Macarena gli parvero banderillas nere. Iniziò a provare più rabbia di quanto non riuscìsse a controllare. Avvertiva fissi su di sé gli sguardi della gente: quell'incontro avrebbe fornito argomenti di conversazione per tutta la settimana. «Ora esci con i preti?» Non voleva dirlo così. In realtà non avrebbe voluto dirlo neppure in altro modo, ma ormai era fatta. allora vide scivolare un lievissimo sorriso di trionfo sulle labbra di Macarena e capì di essere caduto nella trappola. Perciò si infuriò ancora di più. «Hai detto una volgarità, Pencho.» L'impostazione era chiara, e qualunque cosa avesse detto o fatto sarebbe andata a suo sfavore. Lei stava solo passando di li, e tutta la Siviglia seduta a quei tavoli era testimone. Poteva addirittura presentare il prete alto come la sua guida spirituale. Intanto, il prete alto li guardava entrambi senza dire una parola, prudente e in attesa. Era ovvio che preferiva evitare eventuali problemi, ma non sembrava nemmeno preoccupato, o a disagio, per la situazione. Aveva addirittura un aspetto simpatico, così silenzioso e con l'aria sportiva, da giocatore di pallacanestro vestito a lutto da Giorgio Armani. «Come andiamo con il celibato, padre?» Sembrava che un altro Pencho Gavira diverso da lui stesse prendendo le redini della situazione, e che il banchiere si lasciasse trasportare senza riuscìre a opporre resistenza. Dopo queste parole sorrise, quasi rassegnato alla sua sorte. Era un sorriso ampio, inquietante. Che siano maledette tutte le donne del mondo, diceva quel sorriso. Per colpa loro, io e lei ora siamo qui a guardarci in faccia. «Bene, grazie» la voce del sacerdote suonava cauta, padrona di sé, ma Gavira notò che si era messo di tre quarti. Non lo fronteggiava più come prima, ma sembrava volesse farsi schermo con la spalla sinistra. Aveva, anche, levato la mano sinistra dalla tasca. Questo prete, si disse il banchiere, non è la prima volta che affronta la battaglia. «Sono giorni che cerco di parlare con te.» Gavira si rivolse a Macarena, senza perdere di vista l'altro. «Ma non rispondi al telefono. Lei scrollò le spalle, sdegnosa. «Non abbiamo nulla da dirci» disse molto lentamente, con chiarezza. «E poi sono stata occupata.» «Vedo. Sulla sua sedia, la Heidegger accavallava ora una gamba ora l'altra a beneficio dei passanti, del pubblico e dei camerieri. Abituata a essere al centro delle Pagina 112
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt conversazioni, si sentiva spiazzata. «Non mi presenti?» chiese da dietro a Gavira, infastidita. «Stà zitta» il banchiere guardava di nuovo il sacerdote. «Quanto a lei... Vide con la coda dell'occhio che Peregil si era avvicinato un po'"alla porta, per vedere se aveva bisogno di lui. Nello stesso momento passò per strada un tipo con la giacca a quadri e un braccio appeso al collo. Aveva il naso schiacciato, come i pugili, e guardò fugacemente Peregil come se aspettasse un segnale da lui. Visto che non otteneva risposta passò oltre, scomparendo dietro l'angolo. «Quanto a me?...» disse il sacerdote. Era maledettamente tranquillo, e Gavira si chiese come uscìre dal frangente senza perdere la faccia o dare scandalo. Fra i due, Macarena si godeva lo spettacolo. «Siviglia è una trappola, padre» disse Gavira. «La stupirebbe quanto può essere pericolosa, se non se ne conoscono le regole.» «Le regole?» L'altro lo guardava con molta calma. «Lei mi sorprende, Moncho.» «Pencho.» «Ah.» Il banchiere sentiva che stava per perdere la testa. «Non mi piacciono i preti senza tonaca» aggiunse, aspro. «Sembra che si vergognino di essere sacerdoti.» Quart guardava Gavira, imperturbabile. «Non le piacciono» ripeté, come se ciò gli desse da pensare. La «Per nulla» il banchiere scuoteva la testa. «E qui da noi le donne sposate sono sacre.» «Non essere idiota» disse Macarena. Il prete guardò distrattamente le cosce della Heidegger e poi di nuovo il suo interlocutore. «capisco» disse. Gavira alzò una mano, puntando l'indice al petto dell'altro. «No.» La voce gli era diventata calma, pastosa, piena di echi minacciosi. Si pentiva di ogni parola appena l'aveva pronunciata, ma non riuscìva a evitarlo; nel complesso era un vero incubo. «Lei non capìsce nulla di nulla.» Il prete fissava il dito, come se fosse sorpreso di vederlo li. il velo rosso si addensava davanti agli occhi di Gavira, che sentì, più che vedere, Peregil, il quale si era avvicinato un altro po'"da buon subalterno pronto a scattare in sua difesa. Adesso sì che c'era l'inquietudine negli occhi di Macarena, come se tutto si stesse spingendo molto più in là del previsto. Gavirasentìun irrefrenabile desiderio di schiaffeggiarli entrambi, prima lei e poi il prete, e di sfogare nel gesto tutta la rabbia e il malumore accumulato nelle ultime settimane: la crisi del suo matrimonio, la chiesa, Puerto Targa, il consiglio di amministrazione che da lì a pochi giorni avrebbe deciso il suo futuro a capo del Cartujano. Per un momento gli passò davanti agli occhi tutta la sua vita, la lotta passo dopo passo per sollevare la testa, il lavoro snervante con don Octavio Machuca, le nozze con Macarena, le innumerevoli volte che si era giocato tutto a testa o croce e aveva vinto. E ora che stava per farcela, Nostra Signora delle Lacrime spuntava lì, in mezzo a Santa Cruz, come uno scoglio. Tutto o nulla: o lo schivi o affondi; e il giorno in cui smetti di pedalare cadi, come ripeteva il vecchio. Fece uno sforzo di volontà per non tirare un pugno al prete alto. Allora vide che Quart aveva preso un bicchiere dal tavolo, il suo, e lo teneva fra le dita con aria distratta, ma molto vicino al bordo dove poteva romperlo con un semplice gesto del polso, e Gaviracapìche non era uno di quei sacerdoti che porgono l'altra guancia. La scoperta ebbe la virtù di calmarlo di colpo, facendogli guardare l'altro con curiosità. Addirittura, con uno strano rispetto. «Quello è il mio bicchiere, padre.» C'era quasi sconcerto nel tono della sua voce. Il sacerdote si scusò con un dolce sorriso, posando il bicchiere sul tavolo dove Penelope Heidegger tamburellava impaziente con le unghie smaltate di rosa. Poi fece un lieve cenno col capo, prima di riprendere con Macarena la passeggiata senza altri commenti. Pencho Gavira si portò il bicchiere di whisky alle labbra e li osservò allontanarsi. Bevendo, pensieroso, un lunghissimo sorso, si sentiva persino grato, mentre alle sue spalle Perè gil esalava un sospiro di sollievo. «Portami a casa» disse la Heidegger che adesso teneva il broncio. Gavira, che aveva gli occhi fissi sull'angolo dietro il quale erano scomparsi sua moglie e il prete, non si voltò neppure. Si scolò il bicchiere, soffocando la voglia di lanciarlo per terra. «Chiedilo a tua madre.» Poi dette il bicchiere a Peregil, con uno sguardo che era un ordine. E Peregil, con un nuovo rassegnato sospiro, lo ruppe davanti ai suoi piedi nel modo più discreto possibile, facendo sussultare una stravagante coppia che stava passando davanti al bar: un ciccione vestito di bianco, con cappello e bastone, sottobraccio a una donna con un vestito a pallini, tirabaci alla Estrellita Castro e una macchina fotografica in mano. Si riunirono tutti e tre dietro l'angolo, sotto il porticato arabo della Pagina 113
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt moschea, sui gradini che puzzavano dello sterco dei cavalli delle carrozze e della Siviglia di sempre. Don Ibrahim si sedette con difficoltà appoggiandosi al bastone, e la cenere del sigaro gli cadde sull'immensa pancia. «Abbiamo avuto fortuna» disse. «C'era abbastanza luce per le foto.» Era di buon umore, soddisfatto di aver compiuto il proprio dovere e si meritava un riposo di un paio di minuti. Audaces fortuna ridete così via, anche se non era molto sicuro del verbo. La Nifla Puflales venne a sedersi al suo fianco, tintinnando a causa di braccialetti e orecchini, la macchina fotografica in grembo. «Te lo dico io» confermò la sua voce rauca di acquavite. Aveva lasciato le scarpe da una parte e si massaggiava le caviglie ossute, piene di varici. «Stavolta Peregil non può lamentarsi. Proprio no.» Don Ibrahim si sventolava con il panama, accarezzandosi i baffi strinati. In quel momento di trionfo il profumo dell'avana gli sembrava paradisiaco. «No» concluse, allegro. «Non può. E lui stesso testimone oculare che tutto è stato eseguito in modo impeccabile, quasi militaresco. Non è vero, Potro?... Impostazione, punto cruciale e conclusione. Come i commando nei film.» in piedi come se montasse la guardia, perché nessuno gli aveva detto di sedersi, il Potro del Mantelete fece un cenno affermativo. «Proprio così» disse. «Impostazione e tutto il resto.» «Dove vanno i piccioncini?» si interessò l'ex falso avvocato, mettendosi di nuovo il cappello. Il Potro dette un'occhiata giù per la strada e rispose che si dirigevano verso l'Arenal; avevano tutto il tempo di raggiungerli. La luce giallastra dei lampioni gli induriva ancora di più il volto intorno al naso schiacciato. Don Ibrahim prese la macchina fotografica dalla gonna della Nifla e gliela consegnò. «Su, tira fuori il rullino, che non si rovini.» Obbediente, con la mano del braccio appeso al collo e l'altra sana, il Potro aprì la macchina fotografica mentre don Ibrahim cercava un rullino nuovo. Finalmente lo trovò, aprì l'involucro e lo passò al compare. «Immagino che tu l'abbia riavvolto bene» commentò di passaggio «prima di aprìre la macchina.» Il Potro rimase perfettamente immobile, come se l'arbitro gli avesse appena ordinato di non abbassare troppo la testa, e guardò fisso don ibrahim. Poi chiuse di scatto lo sportellino della macchina fotografica. «Cos'è che dovevo riavvolgere?» chiese sospettoso, sollevando un sopracciglio. Con il rullino nuovo in una mano e il sigaro nell'altra, don Ibrahim lo fissò a lungo. «Porca miseria» disse. Camminarono in silenzio fino all'Arenal. Quart notò che Macarena di tanto in tanto si voltava a guardarlo, ma nessuno dei due disse nulla. Non che ci fosse molto da dire, eccetto chiarire i dubbi del sacerdote sull'incontro con il marito: casuale o premeditato. Ma suppose che non sarebbe mai riuscìto a saperlo. «E da qui che se ne andò» disse finalmente Macarena quando arrivarono al fiume. Quart si guardò attorno. Erano ai piedi dell'antica costruzione araba detta Torre dell'Oro, e scendevano un'ampia scalinata verso il molo del Guadalquivir Non c'era un alito di vento, e la luce della luna immobilizzava le ombre delle palme, delle jacarande e delle piante di bouganville. «Chi?» «il capìtano Xaloc.» La riva appariva deserta, con i battelli turistici bui e immobili, ormeggiati alle loro bitte accanto ai pontoni di cemento. L'acqua nera rifletteva le luci di Triana sull'altra riva, delimitata da fari di automobili sui ponti Isabella li e SaWTelmo. «E l'antico porto di Siviglia» disse Macarena. Teneva la giacca sulle spalle e continuava a stringersi al petto la borsa di cuoio. «Solo un secolo fa, qui attraccavano battelli a vapore, velieri... Le ultime tracce del grande centro di commercio con l'America che fu Siviglia, quando le navi salpavano per raggiungere via fiume Saniùcar e poi Cadice, prima di attraversare l'Atlantico.» Fece qualche passo e si fermò accanto a una delle scale che scendevano fino all'acqua scura. «Nelle vecchie foto d'epoca si vedono brigantini, golette, lance e imbarcazioni di ogni genere ormeggiate alle due rive... Dall'altra parte c'erano i pescherecci e le barche con i tendoni bianchi che portavano qui, da Triana, le sigaraie della fabbrica dei tabacchi. Su questo molo si trovavano i capannoni del porto, le gru e i magazzini.» Rimase in silenzio a guardare in alto la passeggiata dell'Arenal, la cupola dell'arena della Maestranza, gli edifici moderni che si levavano fra quelli antichi, la torre della Giralda, illuminata in lontananza, e la nascosta Santa Cruz. «Sembrava un bosco di alberi e di vele» aggiunse dopo un istante. «Era questo il paesaggio che Carlota scorgeva dalla torre della colombaia.» Avevano ripreso a passeggiare sotto l'ombra lunare degli alberi, lungo il molo. Una coppietta Pagina 114
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt si baciava nel cerchio di luce di un lampione di ferro, e Quart vide Macarena guardarli con un sorriso pensieroso. «Sembra che abbia nostalgia» disse lui «di una Siviglia che non ha mai conosciuto.» Il sorriso della donna si accentuò, ma un momento dopo il suo volto tornò di nuovo in penombra. «Sbaglia. L'ho conosciuta molto bene. E la conosco. Ho letto e ho sognato molto su Siviglia. Alcune storie mi sono state raccontate da mio nonno e da mia madre. Altre non me le ha dette nessuno.» Si toccò il polso, là dove doveva palpitarle il sangue. «Le sento qui.» «Perché ha scelto Carlota Bruner?» Macarena tardò qualche passo a rispondere. «E stata lei a scegliere me.» Si voltò leggermente verso Quart. «I sacerdoti credono ai fantasmi?» «Non molto. I fantasmi sono refrattari alla luce elettrica, all'energia nucleare... Ai computer.» «Forse è il loro fascino. Io sì, ci credo, o almeno credo in un certo genere di s pettri. Carlota era una giovane romantica che leggeva romanzi. Viveva nella bambagia, chiusa in un mondo artificiale, al sicuro da tutto. E un giorno conobbe un uomo. Intendo un uomo vero. Fu come se fosse stata colpita da un fulmine, e non riuscì a rassegnarsi. Disgraziatamente anche Manuel Xaloc si innamorò di lei.» A volte passavano accanto all'ombra immobile di un pescatore seduto sul molo, la brace della sigaretta, un bagliore in cima alla canna e sulla lenza, un guizzo nell'acqua tranquilla. Un pesce si agitava sulle pietre del molo, e la luna brillò sulle squame bagnate finché una mano scura non lo buttò nel secchio da cui era fuggito nella sua agonia. «Mi parli di Xaloc» chiese Quart. «Era giovane e povero, aveva trent'anni ed era secondo ufficiale su uno dei vaporetti della linea Siviglia - Saniùcar. Si conobbero durante un viaggio che Carlota fece con i suoi genitori alla foce del fiume. Dicono che fosse un uomo aitante, e immagino che l'uniforme abbia contribuito. Lo sa, succede spesso con i marinai, con i militari...» Sembrava sul punto di aggiungere "e con certi sacerdoti", ma la frase rimase nell'aria. Passarono accanto a un battello turistico, buio e silenzioso, ormeggiato lungo il molo. Alla luce della luna, Quart riuscì a distinguerne il nome: Canela fina. «Comunque» proseguì Macarena «Manuel Xaloc fu sorpreso ad aggirarsi nelle vicinanze della cancellata di Casa del Postigo, e il mio bisnonno Luis fece in modo che venisse licenziato. Non solo, ma ricorse a tutte le sue conoscenze, ed erano molte, perché non trovasse più lavoro. Disperato, il giovane decise di andare in America in cerca di fortuna, e lei giurò di aspettarlo. E una trama perfetta per un feuilleton romantico, vero?...» Camminavano uno accanto all'altra, e i loro passi li avvicinarono di nuovo fino a sfiorarsi. Macarena schivò una bitta nell'oscurità, e il movimento la portò fino a Quart. Per la prima volta gli fu molto vicina, contro il fianco. Gli parve che tardasse un'eternità a riallontanarsi. «Xaloc si imbarcò proprio qui» aggiunse lei «a bordo di una goletta di nome Nausicaa. E a Carlota non permisero nemmeno di dirgli addio. Guardò il veliero andarsene sul fiume dalla colombaia, e anche se è impossibile che riuscìsse a scorgerlo da così lontano, giurava che lui era a poppa e che agitava un fazzoletto, finché la nave non scomparve dalla vista.» «Come se la cavò il marinaio?» «Bene. Dopo un po'"di tempo ottenne il comando di una nave e si dedicò al contrabbando fra il Messico, la Florida e le coste cubane.» C'era una traccia di ammirazione nella voce di Macarena, e Quart intravide fugacemente Manuel Xaloc sul ponte di una nave, all'imbrunire, con una colonna di fumo che lo inseguiva all'orizzonte. «Raccontano che non fosse esattamente un sant'uomo, e che si sia dato anche alla pirateria. Alcune navi che avevano incrociato la sua riapparvero alla deriva, misteriosamente saccheggiate, o affondarono senza lasciare traccia. Suppongo che avesse fretta di far soldi per tornare... Per sei anni navigò nel mare dei Caraibi, e divenne famoso. Gli Stati Uniti misero una taglia sulla sua testa. E un giorno, inaspettatamente, sbarcò di nuovo qui con una fortuna in certificati bancari e in monete d'oro, oltre a una borsa di velluto con dentro venti perle meravigliose per le sue nozze.» «Nonostante non avesse ricevuto notizie da Carlota?» «Proprio così.» Si erano fermati su un molo di pontoni, i cui pilastri di cemento affondavano nell'acqua, in mezzo a giunchi e ad alghe. «Suppongo che anche Manuel Xaloc fosse un romantico. Aveva intuito che era stato il mio bisnonno a impedire a Carlota di comunicare con lui. Ma confidava nel suo amore. Ti aspetterò, gli aveva detto. E in un certo senso non sbagliava. Carlota continuava ad attenderlo nella torre, guardando il fiume.» Anche Macarena osservava la corrente scura, sotto il molo. «Erano due anni che aveva perso la ragione.» «Riuscìrono a rivedersi?» «Sì. Il mio bisnonno era distrutto, Pagina 115
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt ma all'inizio mantenne fermo il suo rifiuto. Era un'arrogante canaglia, e incolpava Xaloc della disgrazia. Alla fine, su consiglio dei medici e su preghiera della moglie, acconsentì a un colloquio. Il capìtano arrivò un pomeriggio nel patio che lei conosce, con l'uniforme della marina mercantile: blu scura, bottoni dorati... Immagina la scena? Aveva la pelle bruciata dal sole, e i baffi e le basette erano ormai grigi. Dicono che dimostrasse vent'anni più della sua età. Carlota non lo riconobbe. Lo trattò come un estraneo, senza rivolgergli la parola. Dopo dieci minuti suonarono i rintocchi di un orologio e lei disse: "Devo salìre sulla torre. Lui può tornare da un momento all'altro". E se ne andò.» «E cosa disse Xaloc?» «Non aprì bocca. La mia bisnonna piangeva e il mio bisnonno era sprofondato nella disperazione. Allora il capìtano prese il suo berretto e uscì. Andò nella chiesa dove avevano sognato di sposarsi, e consegnò al parroco le venti perle di Carlota. La notte la passò camminando per Santa Cruz, e all'alba partì con il primo veliero che sciolse gli ormeggi. Stavolta nessuno lo vide agitare un fazzoletto.» C'era una lattina di birra, vuota, per terra. Macarena la spinse con il piede, facendola cadere in acqua. Si sentì un lieve spruzzo ed entrambi fissarono la piccola macchia scura che veniva trascinata via dalla corrente. «Il resto» disse «può leggerlo sui giornali dell'epoca. Era il 1898, e mentre Xaloc tornava ai Caraibi, il Maine saltò in aria nel porto dell'Avana. Il governo spagnolo autorizzò una guerra di pirateria contro l'America del Nord, e lui si imbarcò immediatamente come corsaro. La sua barca era uno yacht armato molto veloce, il Manigua, con un equipaggio reclutato fra la marmaglia delle Antille. Andò a forzare il blocco. Nel giugno del 1898 attaccò e affondò due mercantili nel golfo del Messico, ci fu poi uno scontro notturno con la cannoniera Sheridan, che procurò a tutt'e due grosse perdite...» «Lo dice con orgoglio.» Macarena scoppiò a ridere. Era vero, confermò. Era orgogliosa dell'uomo che avrebbe potuto essere il suo prozio, se non fosse stato per la stupida cecità della famiglia. Manuel Xaloc era un vero uomo, e lo era stato fino alla fine. Sapeva, Quart, che era passato alla storia come l'ultimo corsaro spagnolo, e l'unico che aveva agito nel corso della guerra di Cuba?... Durante la sua ultima prodezza aveva aperto un varco nel blocco del porto di Santiago, ed era entrato di notte con messaggi e rifornimenti per l'ammiraglio Cervera. All'alba del tre luglio aveva preso il largo con le altre navi. Avrebbe potuto restarsene in porto, perché apparteneva alla marina mercantile e non era agli ordini della squadriglia di vigilanza, che tutti sapevano condannata al disastro: vecchie bagnarole con cattive macchine e poveramente armate contro corazzate e incrociatori yankee. Ma aveva voluto salpare. Lo aveva fatto per ultimo, quando tutte le altre navi spagnole che avevano preso il largo erano già affondate o in fiamme. Si era rifiutato di fuggire, e aveva fatto rotta sulle navi nemiche, a tutta macchina, con una bandiera nera issata accanto a quella spagnola. Era affondato mentre tentava ancora di speronare la corazzata diana. Non c'erano stati superstiti. Le luci di Triana, riflesse nel fiume, tremavano dolcemente sul volto di Macarena. «Vedo» disse Quart «che ne conosce bene la storia.» Il sorriso di lei si delineò lentamente, senza arrivare ad allargarsi del tutto. «Certo che la conosco. Ho letto i resoconti di questa battaglia centinaia di volte. Conservo addirittura i ritagli di stampa nel baule.» «Carlota non lo seppe mai?» «No.» Si era seduta su una delle panchine di pietra, davanti a un imbarcadero galleggiante, e cercava le sigarette nella borsa. «Aspettò altri dodici anni alla finestra, guardando il Guadalquivir. Col tempo le navi scomparvero e il porto andò in declino. Le golette smisero di percorrere il fiume. E un giorno anche lei scomparve dalla finestra.» Si mise la sigaretta in bocca e s'infilò la mano nella scollatura, verso la spalla sinistra, per prendere l'accendino. «Ma ormai, la storia di Carlotta e del capìtano Xaloc era una leggenda. Come le ho detto, furono addirittura composte canzoni su di loro. Così fu sepolta nella cripta della chiesa dove avrebbe voluto sposarsi. E mio nonno Pedro, che era diventato il capofamiglia dopo la morte del padre di Carlota, fece incastonare le venti perle, come lacrime, nella statua della Vergine.» Accese la sigaretta proteggendo la fiamma dell'accendino nell'incavo della mano, aspettò che si raffreddasse e lo rinfilò sotto la spallina del reggiseno senza badare al modo in cui Quart seguiva i suoi movimenti. Era assorta nel ricordo del capìtano Xaloc. «Fu l'omaggio di mio nonno» proseguì con la sigaretta fra le dita «alla memoria di sua sorella e dell'uomo che avrebbe potuto diventare suo cognato. Ora la chiesa è tutto ciò che resta di loro. Oltre ai ricordi di Carlota, alle Pagina 116
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt lettere e al resto.» Guardò Quart come se all'improvviso ricordasse la sua presenza. «Compresa la cartolina.» «Resta anche lei, Macarena, e la sua memoria.» La luce della luna era sufficiente a illuminare il sorriso della donna. Non c'era un'ombra di allegria o di serenità in lei. «Io morirò, come sono morti gli altri» disse a bassa voce. «E il baule e il suo contenuto finiranno all'asta, tra altri oggetti coperti di polvere.» Aspirò una boccata di fumo e la soffiò fuori in fretta, quasi con dispetto. «Come finisce tutto.» Quart si era seduto accanto a lei. Le loro spalle si sfioravano leggermente, ma non fece alcuno sforzo per aumentare la distanza. Era piacevole la vicinanza. Gli arrivava il profumo dolce del gelsomino mischiato all'odore del tabacco biondo. «E il motivo per cui combatte la sua battaglia?» Lei annuì. «Si. Non quella di padre Ferro, ma la mia. Una battaglia contro il tempo e l'oblio.» Parlava a bassa voce, tanto che Quart dovette fare uno sforzo per afferrare le sue parole. «Io appartengo a una casta che si va estinguendo, e me ne rendo conto. E quasi meglio così, perché non c'è più posto per personaggi come quelli che abbiamo in famiglia, o per ricordi come i miei... O per storie belle e tragiche come quella di Carlota Bruner e del capìtano Xaloc.» La brace della sigaretta brillò sulla sua bocca. «Mi limito a combattere la mia guerra personale, a difendere il mio spazio.» Alzò il tono della voce e non sembrava più assorta. Ora si rivolgeva direttamente a Quart. «Quando sarò in fondo, scrollerò le spalle e accetterò che sia arrivata la fine con la coscienza tranquilla, come i soldati che si arrendono solo dopo aver sparato l'ultima cartuccia. Dopo aver fatto il mio dovere nei confronti del cognome che porto e di ciò che amo, inclusi Nostra Signora delle Lacrime e il ricordo di Carlota. «Perché deve finire tutto così?» chiese Quart, con dolcezza. «Potrebbe avere dei figli.» Il volto della donna fu come colpito da una frustata. Poi ci fu un silenzio sconcertante, molto lungo, e alla fine riprese a parlare. «Non mi faccia ridere. I miei figli sarebbero stati degli extraterrestri seduti davanti allo schermo di un computer vestiti come nelle commedie yankee della televisione, e il nome del capìtano Xaloc gli sarebbe sembrato il titolo di una serie di cartoni animati.» Lanciò la sigaretta nella corrente del fiume, e Quart seguì con gli occhi la traiettoria della brace finché non scomparve nell'acqua. «Quindi mi risparmierò un simile finale. Ciò che deve morire, morirà con me. ' «E suo marito?» «Non lo so. Per il momento l'ha visto: è in buona compagnia.» Si lasciò sfuggire una breve risata, così sprezzante e crudele che Quart si augurò di non essere mai oggetto di un'ilarità del genere. «Facciamogli pagare tutto... Del resto Pencho è il tipo d'uomo a cui piace picchiare con le nocche sul bancone e poi uscìre a testa alta.» Chinò la fronte e il gesto sembrava un augurio, o una minaccia. «Ma stavolta il conto sarà molto alto. Troppo, per lui.» «Ha ancora qualche possibilità?» Si voltò a studiarlo con scherzoso stupore. «Con chi? Con l'affare della chiesa? Con quella volgare tettona?... Con me?» Muovendosi nell'ombra, gli occhi scuri riflettevano luci distanti, il pallido chiaro di luna. «Chiunque ne ha più di lui. Anche lei.» «Mi lasci fuori dalla faccenda» disse Quart. il suo tono dovette essere convincente, perché la donna piegò leggermente la testa dilato, interessata. «Perché dovrei lasciarla fuori? Sarebbe una bella vendetta. E piacevole. Almeno spero.» «Una vendetta contro chi?» «Contro Pencho. Contro Siviglia. Contro tutto.» L'ombra grossa e silenziosa di un rimorchiatore passò sul fiume, delineandosi nel controluce dell'altra riva. Dopo poco li raggiunse un sordo rumore di macchine, che però non sembrava provenire dalla barca. Era come se scivolasse senza aiuto sulla corrente. «Sembra una nave fantasma» disse lei. «Come la goletta su cui se ne andò il capìtano Xaloc.» L'unica luce visibile dell'imbarcazione, un solitario fanale a sinistra, le tingeva di rosso il volto. Lo seguì con lo sguardo finché, ormai nell'ansa del fiume, iniziò a girare e apparve anche la luce verde dell'altr a fiancata. Poi pian piano la luce rossa rimase nascosta e restò solo la minuscola traccia verde che rimpicciolì fino a sparire del tutto. «Viene in notti come questa» aggiunse dopo qualche istante. «Notti di luna. E Carlota si affaccia alla finestra. Vuole andare a vederla?» «Chi?» «Carlota. Possiamo avvicinarci al giardino, e aspettare. Come quando ero bambina. Non le piacerebbe accompagnarmi?» «No.» Lo guardò a lungo in silenzio. Sembrava sorpresa. «Mi chiedo» disse poi «da dove tiri fuori il suo maledetto sangue freddo.» «Non è così freddo come crede.» Quart scoppiò a ridere, piano piano. «Adesso mi tremano le mani.» Era vero. Doveva Pagina 117
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt trattenersi per non afferrare sotto la coda di cavallo la nuca della donna, e attrarla a sé. Per l'amor del cielo. Da un punto remoto della sua coscienza gli arrivavano le risate di monsignor Paolo Spada. Creature abominevoli, Salomè, Gezabele. Invenzione del Maligno. Lei allungò una mano e intrecciò le dita con quelle di Quart, sentendo che il tremore era reale. La mano era calda e accogliente, ed era la prima volta che non si toccavano solo per un saluto formale. allora Quart si liberò delicatamente, strinse un pugno e colpì con gran forza la panca di pietra dove erano seduti. Il dolore gli arrivò fino alla spalla come un'esplosione. «Credo che sia ora di rientrare» disse, alzandosi in piedi. Lei gli guardò la mano e poi il volto, sconcertata. Dopodiché si alzò senza proferire parola ed entrambi si avviarono lentamente verso l'Arenal, evitando con cura di sfiorarsi l'un l'altro. Quart si mordeva le labbra per non gemere di dolore. Sentiva il sangue gocciolargli sulle dita, dalle nocche malridotte. Ci sono notti troppo lunghe, e quella non era ancora finita. Quando Quart arrivò all'hotel Dona Maria e ricevette la chiave dalle mani di un assonnato portiere, Honorato Bonafé era seduto in una poltrona dell'atrio ad aspettarlo. Fra i molti tratti sgradevoli di quell'individuo, pensò seccato il sacerdote, c'era quello di comparire nei momenti più inopportuni. «Possiamo parlare un momento, padre?» «No. Non possiamo.» Con la mano ferita in tasca e la chiave nell'altra, Quart fece per proseguire fino all'ascensore, ma Bonafé gli tagliò la strada. Sorrideva nello stesso modo viscido della volta precedente. Portava anche abiti identici, uno stropicciato vestito beige e il borsello assicurato al polso con una cinghia. Quart guardò dall'alto i capelli del giornalista, che il parrucchiere aveva riempito di lacca, la precoce pappagorgia e gli occhi piccoli e astuti che lo osservavano. Qualunque motivo l'avesse condotto, non poteva essere che malvagio. «Ho svolto qualche indagine» annunciò Bonafé. «Se ne vada» ribatté Quart, deciso a chiedere al portiere di cacciarlo via. «Non le interessa sapere cosa ho scoperto?» «Nulla di quanto ha a che vedere con lei mi interessa.» Le labbra umide di Bonafé passarono da un broncio dolente a un sorriso al tempo stesso ossequioso e spregevole. «Peccato» deplorò. «Saremmo potuti arrivare a un accordo. E la mia offerta è generosa.» Ancheggiava un po'"con i fianchi grassocci. «Lei mi racconta un paio difatti che io possa citare sulla chiesa e sul suo parroco, e in cambio io le do un'interessante informazione che lei ignora...» il sorriso si accentuò «e nel frattempo evitiamo di parlare delle sue passeggiate notturne.» Quart rimase immobile, senza riuscìre a credere alle sue orecchie. «Di che cosa sta parlando?» Il giornalista sembrava contento di aver risvegliato il suo interesse. «Di ciò che ho scoperto su padre Ferro.» «Mi riferisco al discorso delle passeggiate notturne.» Quart era rimasto perfettamente immobile e lo guardava fisso. L'altro sollevò la mano piccola, con le unghie lucidate dalla manicure, come per minimizzare. «Oh, bè, cosa vuole che le dica. Lo sa meglio di me.» Gli strizzò un occhio. «La sua intensa vita mondana a Siviglia.» Quart strinse la chiave nella mano sana mentre prendeva in considerazione la possibilità di utilizzarla contro quel parassita. Ma era impossibile. Nessun sacerdote, neppure uno così privo di mansuetudine cristiana e con l'inquietante specializzazione di Lorenzo Quart, poteva prendere a pugni un giornalista per il nome di una donna, in piena notte e a venti metri dall'arcivescovado di Siviglia, poche ore dopo aver subito pubblicamente una scenata da un marito geloso. Benché appartenesse allo Ior, lo avrebbero mandato a evangelizzare l'Antartide per molto meno. Così fece uno sforzo inaudito per non perdere la testa e contenersi. Mia è la vendetta, aveva detto teoricamente Colui che sta nell'alto dei cieli. «Le propongo un patto, padre» disse Bonafé, che andava al sodo. «Ci raccontiamo un paio di cose, io non faccio il suo nome nell'articolo e amici come prima. Di me può fidarsi. Il fatto che sia un giornalista non significa che non abbia un codice morale.» Si toccò il petto all'altezza del cuore in modo teatrale, con gli occhietti che sprizzavano cinismo fra le palpebre gonfie. «In fin dei conti, la mia religione è la Verità.» «La Verità» ripeté Quart. «Proprio così.» «E quale verità vuole raccontarmi su padre Ferro?» Il sorriso dell'altro si allargò di nuovo. Una smorfia servile. Complice. «Bè.» Si guardava le unghie, come per verificare che splendessero. «Ha avuto qualche problema.» «Ne abbiamo tutti.» Bonafé schioccò la lingua con aria vissuta. «Non del genere che intendo io.» Aveva abbassato il tono, temendo di essere udito dal portiere. «A quanto pare, quando era nella sua precedente parrocchia Pagina 118
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt aveva bisogno di denaro. Così ha venduto alcuni oggetti: una statua di valore, un paio di quadri... Non si è preso cura della vigna del Signore in modo adeguato...» rideva, divertito dalla sua battuta «o si è bevuto il vino.» Quart rimase impassibile. Era stato addestrato per molto tempo prima ad assimilare informazioni e ad analizzarle poi. Tuttavia sentì una fastidiosa ferita nell'orgoglio. Se era vero, lui avrebbe dovuto saperlo, ma nessuno lo aveva informato. «E cosa c'entra tutto ciò con Nostra Signora delle Lacrime?» Bonafé strinse la bocca, valutando la faccenda. «Nulla, in linea di principio. Ma converrà che si tratterebbe di un bello scandalo.» Il sorriso che Quart detestava tanto acquistò sfumature sornione. «Il giornalismo è fatto così, padre: di tutto un po'... Basta un tocco di verità, e abbiamo già una storia da prima pagina. Poi si smentisce, si completano le informazioni, o quello che è. Ma nel frattempo, in una settimana hai venduto duecentomila copie.» Quart lo guardò con disprezzo. «Un momento fa ha detto che la sua religione era la Verità. «Davvero?...» Il disprezzo del sacerdote rimbalzava sul sorriso, apparentemente blindato, di Bonafé. «Senza dubbio mi riferivo alla verità con la minuscola, padre. ' «Se ne vada.» «Scusi?» Bonafé non sorrideva più. Indietreggiò di un passo, guardando con diffidenza la punta aguzza della chiave che il suo interlocutore stringeva fra le dita della mano sinistra. Quart aveva tolto la destra di tasca, con le nocche gonfie e coperte da una crosta di sangue secco, e gli occhi del giornalista passavano dall'una all'altra, inquieti. «Le ho detto di andarsene, altrimenti la farò cacciare via. Potrei addirittura dimenticare di essere un religioso e cacciarla io stesso.» Fece un passo verso Bonafé, che indietreggiò di due. «A calci.» Il giornalista protestò debolmente. La mano ferita di Quart lo intimidiva. «Lei non oserà...» Non fece a tempo ad aggiungere altro. C'erano precedenti evangelici: i mercanti del tempio e tutto il resto. Addirittura a pochi metri da lì, sulla porta della moschea, c'era un espressivo rilievo sull'argomento, fra san Pietro e un san Paolo che, a proposito, impugnava una spada. Così la mano sana di Quart lo fece arretrare di due o tre metri verso la porta, davanti agli occhi sorpresi del portiere di notte. Era come trascinasse un pupazzo piccolo e molle, senza consistenza. Sconcertato, Bonafé tentava di riprendersi sistemandosi i vestiti, quando ricevette un ultimo spintone che lo proiettò direttamente in strada attraverso la porta aperta. Il borsello che portava al polso gli era scivolato a terra. Quart si chinò a raccoglierlo e lo lanciò ai piedi del giornalista, sul marciapiede. «Non voglio rivederla» disse «mai più.» Alla luce di un lampione, il giornalista cercava di rimettere insieme i cocci della sua dignità. Gli tremavano le mani ed era spettinato, pallido per l'umiliazione e la rabbia. «Non ho ancora finito con lei» riuscì finalmente ad articolare. La voce era spezzata in un singhiozzo quasi femminile. «Figlio di puttana.» Non era la prima volta che lo chiamavano così, per cui Quart scrollò le spalle. Poi, disinteressandosi della faccenda, si voltò e attraversò l'atrio diretto alla sua stanza. Dietro il bancone della reception, ancora con una mano accanto al telefono, pronta a chiamare la polizia, il portiere di notte aveva gli occhi sbarrati, grandi come piatti. Vedere per credere, diceva il suo sguardo, con un misto di stupore e di rispetto. Accidenti che prete. A parte l'infiammazione e i graffi alle nocche, Quart poteva muovere l'articolazione della mano destra senza problemi. Perciò, maledicendo a voce alta la propria stupidità, si tolse la giacca e andò in bagno a lavarsi la ferita con il Multidermol. Poi applicò sulla mano un fazzoletto con tutto il ghiaccio che riuscì a trovare nel minibar della stanza. Rimase così per un pezzo, alla finestra, guardando piazza Virgen de los Reyes e la cattedrale illuminate dietro la grondaia dell'arcivescovado, senza riuscìre a togliersi dalla testa Honorato Bonafé. Quando il ghiaccio fu completamente sciolto, la mano non gli doleva quasi più. Allora si avvicinò alla giacca e svuotò le tasche, mettendone il contenuto sul cassettone prima di attaccare l'indumento a una gruccia nell'armadio: portafoglio, stilografica, biglietti per appunti, fazzolettini di carta, spiccioli. La cartolina del capìtano Xaloc era rivolta all'insù, mostrando la vecchia foto ingiallita della chiesa, l'acquaiolo con il suo asinello pallido come un fantasma nell'alone biancastro che circondava l'illustrazione. l'immagine, la voce, il profumo di Macarena Bruner, arrivarono di colpo, come se si fosse rotta la diga dove aspettavano il momento di traboccare. La chiesa, la sua missione a Siviglia, Bonafé, sbiadirono all'improvviso come l'evanescente Pagina 119
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt sagoma dell'acquaiolo, e rimase solo lei: il sorriso accennato nella penombra sul molo del Guadalquivir, il riflesso di miele negli occhi scuri, l'odore tiepido della sua vicinanza, la pelle della coscia dove Carmen la sigaraia arrotolava foglie di tabacco umido sotto la gonna rimboccata disordinatamente... Macarena nuda in un pomeriggio caldo, contrasto su lenzuola bianche e il sole che filtra in fasci orizzontali attraverso le persiane, con minuscole gocce di sudore alle radici dei capelli neri, sul pube scuro, e sulle ciglia. Continuava a fare molto caldo. Era quasi l'una di notte quando aprì la doccia e lentamente si spogliò, lasciò cadere i vestiti ai suoi piedi fissando lo specchio dell'armadio che gli restituì l'immagine di uno sconosciuto. Un uomo alto dallo sguardo cupo che si toglieva le scarpe, le calze e la camicia, e poi, a dorso nudo, si chinava per slacciare la cintura e far scivolare a terra i pantaloni neri. I boxer di cotone bianco scesero lungo le cosce, scoprendo il sesso eccitato dal ricordo di Macarena. Per un istante Quart osservò l'estraneo che lo guardava con attenzione dall'altro lato dello specchio. Snello, il ventre piatto, i fianchi stretti, i pettorali marcati, saldi, come la curva dei muscoli delle spalle e delle braccia. Era un uomo di bell'aspetto, silenzioso come un soldato senza età e senza tempo, privo della sua armatura e delle sue armi. E si chiese a che diavolo gli servisse tutto ciò. Il rumore dell'acqua e la coscienza del proprio corpo gli portarono il ricordo di un'altra donna. Era successo a Sarajevo, nell'agosto del 1992, durante un breve e rischioso viaggio che Quart aveva compiuto nella capìtale bosniaca per trattare l'evacuazione di monsignor Franjo Pavelic, un arcivescovo croato molto stimato da papa Wojtyla, di cui sia i musulmani bosniaci sia i serbi volevano la testa. Allora Quart aveva dovuto portare centomila marchi tedeschi in una valigetta legata al polso con una catena a bordo di un elicottero delle Nazioni Unite e con una scorta di caschi blu francesi, perché gli uni e gli altri acconsentissero all'evacuazione del prelato a Zagabria, senza sparargli durante un controllo lungo la strada come già avevano fatto con il suo vicario, monsignor Jesic, ucciso da un cecchino. Era la Sarajevo del periodo duro, con le bombe sulle code per l'acqua e per il pane, venti o trenta morti al giorno e centinaia di feriti che si ammucchiavano, senza luce né medicine, nei corridoi dell'ospedale del Kosovo, quando ormai non restava più terra libera nei cimiteri e le vittime venivano sepolte nei campi da calcio. Jasmina non era esattamente una prostituta. C'erano ragazze che sopravvivevano offrendosi come interpreti a giornalisti e diplomatici nell'hotel Holiday Inn, e che spesso scambiavano con loro qualcosa di più delle parole. Il prezzo di Jasmina era relativo come tutto in quella città: un barattolo di conserve, un pacchetto di sigarette. Si era avvicinata a Quart attirata dal suo abito ecclesiastico, raccontandogli una storia poco originale nella città assediata: un padre invalido e senza tabacco, la guerra, la fame. Quart promise di cercarle delle sigarette e un po'"di cibo. Più tardi lei tornò, vestita di nero per sfuggire ai cecchini. Per un pugno di marchi Quart le aveva trovato mezza stecca di Marlboro e un pacchetto di razioni militari. Quella sera c'era acqua corrente nelle stanze, e lei chiese il permesso di farsi la prima doccia dopo un mese. Si era spogliata alla luce della candela, infilandosi sotto il getto dell'acqua mentre lui la guardava affascinato, la schiena appoggiata allo stipite della porta. Era bionda e aveva la pelle chiara e seni grandi e sodi. Li, con l'acqua che le scorreva sul corpo, si era girata a guardare Quart con un sorriso d'invito, piena di gratitudine. Ma lui era rimasto immobile, limitandosi a ricambiare il sorriso. Non era stata questione di regole. Semplicemente, non si potevano accettare quel tipo di inviti, se arrivavano in cambio di mezza stecca di sigarette e di una razione di cibo. Così, quando si fu asciugata e vestita, erano scesi al bar dell'albergo e alla luce di un'altra candela si erano bevuti mezza bottiglia di cognac mentre fuori le bombe serbe continuavano a cadere. Poi, con la sua mezza stecca e le sue razioni, Jasmina aveva delicatamente posato un rapido bacio sulla bocca del sacerdote e se n'era andata correndo fra le ombre. Ombre e volti di donna. L'acqua fredda che gli scorreva sul viso e sulle spalle fece davvero bene a Quart. Teneva la mano ferita fuori dal getto, appoggiata alle piastrelle della parete, e per un po'"rimase così, immobile, con la pelle d'oca. Poi uscì, e l'acqua che gli gocciolava su tutto il corpo lasciò tracce sulle piastrelle del pavimento. Si asciugò un poco con una salvietta e andò a sdraiarsi sul letto, supino. Volti di donna e ombre. Sotto il suo corpo nudo, sulle lenzuola, restò impressa la sua sagoma umida. Si mise la mano ferita tra le gambe e sentì crescere la carne, vigorosa, indurita dai pensieri e dai ricordi. Scorgeva, in lontananza, la sagoma di un uomo che camminava da solo, all'imbrunire. Un templare solitario, in una pianura desertica, sotto Pagina 120
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt un cielo senza Dio. Chiuse gli occhi, angosciato. Tentava di pregare, sfidando il vuoto nascosto in ogni parola. Sentiva un'immensa solitudine. Una tranquilla e disperata tristezza. 10. In ictu oculi Guardate questa casa. L'ha costruita uno spirito santo. Barriere magiche la proteggono. Il libro dei morti Era mattina inoltrata quando Quart si recò in chiesa, dopo una visita all'arcivescovado e un'altra al vicecommissario Simeòn Navajo. Nostra Signora delle Lacrime era deserta, e l'unico segno di vita era la lampada del Santissimo che ardeva vicino all'altare. Si sedette su una panca e rimase a lungo a guardare le impalcature contro i muri, il soffitto annerito, i rilievi dorati del retablo in penombra. Quando Oscar Lobato uscì dalla sacrestia, non parve sorpreso di trovarlo li. Si avvicinò e si fermò in piedi al suo fianco, guardandolo con aria inquisitoria. il vicario indossava una camicia grigia da sacerdote, jeans e scarpe da tennis. Sembrava invecchiato dopo l'incidente dell'ultimo colloquio. Aveva i capelli biondi spettinati e occhiaie scure sotto le lenti degli occhiali. La pelle era coperta da un velo lucido, come se si fosse alzato molto presto o avesse passato la notte sveglio. «Vespro ha colpito di nuovo» disse Quart. Poi gli mostrò la copia del messaggio che aveva appena ricevuto via fax da Roma; l'originale era arrivato in Vaticano verso l'una di notte, la stessa ora in cui lui discuteva con Bonafé nell'atrio dell'hotel Dofla Maria. Ma l'agente dello Ior non raccontò nulla di tutto ciò a padre Oscar e nemmeno che, come la volta precedente, l'équipe di padre Arregui era riuscìta a deviare l'intruso verso un archivio parallelo, dove l'acker aveva lasciato il messaggio credendo fosse il computer personale di Sua Santità. Padre Garofi aveva seguito a ritroso il percorso dello hacker ed era giunto alla linea telefonica dei grandi magazzini El Corte Inglés, nel centro di Siviglia, dove il pirata aveva usato il solito sistema per dissimulare le sue tracce: Il tempio del Signore è campo di Dio, è edificio di Dio. Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio. «Prima lettera ai Corinzi» disse padre Oscar; restituendo il foglio a Quart. «Ne sa niente?» Il vicario lo fissò con aria abbattuta, quasi sul punto di parlare. Ma si limitò a scuotere il capo, mentre si accomodava al suo fianco. «Lei continua a sparare alla cieca» disse alla fine. Per un po'"rimase in silenzio, poi storse la bocca. «Non è così in gamba come dicevano» aggiunse. Quart si rinfilò in tasca il messaggio di Vespro. «Quando parte?» «Domani pomeriggio. «Credo che la sua nuova destinazione sia un brutto posto.» «Anche peggio.» Sorrideva con tristezza. «Piove un giorno e mezzo all'anno. E come se mi avessero esiliato nel deserto di Gobi.» Guardava di sbieco il suo interlocutore, quasi dandogliene la colpa. Quart sollevò una mano per mostrare il palmo vuoto. «Io non c'entro» disse dolcemente. «Lo so.» Oscar Lobato si passò le dita fra i capelli, all'indietro, e rimase qualche istante in silenzio, guardando la piccola lampada accesa dell'altare. «E monsignor Aquilino Corvo in persona che mi fa pagare il conto. Pensa che lo abbia tradito.» Scoppiò in una risatina piena di malumore e si voltò verso Quart. «Sa?... Io ero un giovane sacerdote di fiducia, con un futuro davanti. E stato il motivo che lo ha spinto a piazzarmi accanto a don Priamo, perché gli stessi appiccicato. E invece di fare la talpa dell'arcivescovado, sono passato al nemico.» «Alto tradimento» disse Quart. «Proprio così. Ci sono cose che la gerarchia ecclesiastica non perdona. Quart annuì. Questo poteva attestarlo. «Perché l'ha fatto? Sapeva meglio di chiunque altro che era una battaglia persa.» Il vicario incrociò i piedi sull'inginocchiatoio di legno della panca, guardandosi le scarpe da tennis. «Credo di aver già risposto alla domanda durante la nostra ultima conversazione.» Gli occhiali gli scivolavano sul naso accettuando la sua aria inoffensiva. «Prima o poi don Priamo sarà allontanato dalla parrocchia e arriverà il momento dei mercanti... La chiesa sarà abbattuta e si giocheranno ai dati la sua tunica» rideva con amarezza, sempre con lo sguardo fisso davanti a sé. «Solo non mi è più così chiaro che la battaglia sia persa. Fece un lungo sospiro silenzioso, chiedendosi se parlarne con Quart servisse a qualcosa. Poi alzò lo sguardo sull'altare e sulla volta della chiesa, e rimase Pagina 121
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt così, immobile. Sembrava molto stanco. «Fino ad appena un paio di mesi fa ero un sacerdote brillante» aggiunse alla fine. «Bastava restare incollato alla poltrona dell'arcivescovo e tenere la bocca chiusa... Ma qui ho scoperto la mia dignità come uomo e come sacerdote.» Si guardava attorno e sembrava trovare nelle pareti coperte da impalcature ragioni nascoste per il suo discorso. «E paradossale, vero?, che questo mi sia stato insegnato da un vecchio parroco detestabile nell'aspetto e nei modi; un prete aragonese, cocciuto come un mulo, con la passione del latino e dell'astronomia.» Si appoggiò allo schienale della panca, incrociando le braccia, girato di nuovo verso Quart. «Incredibile. Un tempo, la destinazione che mi aspetta avrebbe significato una tragedia. Oggi la vedo diversamente. Dio è ovunque, in ogni angolo, perché è con noi. Gesù Cristo digiunò quaranta giorni nel deserto. Monsignor Corvo non lo sa, ma solo adesso sento davvero di essere sacerdote, di avere una ragione per lottare e resistere. Con l'esilio ottengono solo di rendermi più combattivo e più forte.» Il suo sorriso disperato, triste, si accentuò. «Mi hanno appena rafforzato la fede.» «E lei Vespro?» Padre Oscar si era tolto gli occhiali e li puliva con la camicia. Gli occhi miopi guardavano Quart con diffidenza. «Le importa solo di questo, vero?... La chiesa, padre Ferro, io stesso, le siamo indifferenti.» Schioccò la lingua, con disprezzo. «Lei ha la sua missione.» Pulì lentamente una lente e poi l'altra, distratto, come se i suoi pensieri fossero molto lontani da lì. «Chi sia Vespro» aggiunse alla fine «è il meno. Si tratta di un avvertimento, o di un appello, a quanto di nobile resta nelle fondamenta dell'impresa in cui lavoriamo sia lei sia io...» si mise gli occhiali «un monito che esistono ancora l'onestà e la decenza.» Quart sorrise con scarsa simpatia. «Quanti anni ha? Ventisei?... Le assicuro che il suo atteggiamento se ne andrà con gli anni.». Un'espressione di disprezzo storceva la bocca di padre Oscar «Il suo cinismo glielo hanno trasmesso a Roma, o è innato?...» Scosse il capo. «Non sia stupido. Padre Ferro è un uomo onesto.» Quart trattenne una battuta piena di sarcasmo. Un'ora prima era stato all'arcivescovado per effettuare un'accurata ricerca negli archivi dove era conservato il fascicolo personale di don Priamo Ferro. I punti salìenti della documentazione gli erano stati particolareggiatamente confermati dallo stesso monsignor Corvo durante un breve colloquio intercorso nella galleria dei Prelati, sotto i ritratti degli Illustrissimi Gaspar Borja (1645) e Agustin Spinola (1640). Dieci anni prima, nella diocesi di Huesca, le autorità ecclesiastiche avevano sottoposto padre Ferro a un procedimento disciplinare in seguito a una vendita non autorizzata di beni della Chiesa. Durante il suo ultimo periodo a capo della parrocchia di Cillas de Anso, sui Pirenei, erano scomparsi un dipinto e un crocefisso. Il Cristo non era gran cosa, ma il vescovo locale aveva notato la mancanza della tavola, che risaliva al primo quarto del Quattrocento ed era attribuita al Maestro di Retascon. In ogni modo era una parrocchia sperduta e, all'epoca, incidenti del genere non erano rari, anche perché i parroci potevano disporre quasi con piena libertà del patrimonio sotto la loro custodia. Padre Ferro se l'era cavata con poco, un semplice ammonimento del suo diocesano. La coincidenza dei dati con le informazioni suggerite da Honorato Bonafé era singolare, e Quart notò che l'arcivescovo Corvo, sempre reticente in passato, questa volta aveva francamente lasciato capìre di non essere affatto dispiaciuto che la notizia di una macchia nel passato di padre Ferro circolasse un po'"in giro. Quart era arrivato addirittura a chiedersi se la fonte d'informazioni del giornalista non sfoggiasse, in modo più o meno diretto, l'anello episcopale e il bordo porpora alla tonaca. Comunque la storia di Cillas de Anso era vera, e Quart aveva ottenuto la seconda puntata del romanzo d'appendice alla centrale di polizia, quando il vicecommissario Navajo aveva fatto un paio di telefonate al suo collega di Madrid, l'ispettore capo Feijoo, responsabile del gruppo investigativo per le opere d'arte. Un retablo del Maestro di Retascòn, che corrispondeva punto per punto con quello scomparso a Cillas de Anso, era stato acquistato legalmente, con la debita ricevuta, dalla casa d'aste Claymore di Madrid, che l'aveva rivenduto ad alto prezzo. Il direttore di Claymore, un noto mercante d'arte di nome Francisco Montegrifo, aveva confermato il pagamento di una certa somma al sacerdote don Priamo Ferro Ordàs. Somma irrisoria in confronto alla cifra, sei volte tanto, che il quadro aveva raggiunto all'asta. Ma la rivalutazione dell'opera, aveva precisato Montegrifo con l'ispettore capo Pagina 122
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Feijoo e quest'ultimo con il vicecommissario Navajo, era legata alle leggi della domanda e dell'offerta. «A proposito dell'onestà di padre Ferro» disse Quart al vicario. «Lei non ha prova che sia sempre stata adamantina.» Oscar Lobato lo guardò infastidito. «Non so cosa voglia insinuare, ma non mi importa. Io rispetto l'uomo che conosco. Quindi cerchi altrove il suo Giuda.» «E la sua ultima parola?... Forse siamo ancora in tempo.» Non disse per cosa. L'altro lo guardava con curiosità ostile. «In tempo? Questo sa di offerta di perdono. Sarete buoni con me se collaboro?» Scosse con forza il capo senza riuscìre a credere a quello che stava accadendo, e si alzò in piedi. «E buffo. Ieri don Priamo, dopo una conversazione che a quanto pare avete avuto in casa della duchessa, ha commentato che forse lei stava iniziando a capìre. Ma a lei non interessa capìre. Le importa solo di eliminare l'autore dei messaggi, vero?... Per lei e per i suoi capì, il male non è il problema, ma che qualcuno abbia osato denunciarlo. Tutto si riduce a una testa da tagliare.» Scosse di nuovo il capo nello stesso modo, e con un ultimo sguardo di disprezzo si allontanò verso la sacrestia. All'improvviso sembrò pensare qualcosa, perché si fermò a metà strada. «Può darsi che Vespro si sia sbagliato, dopo tutto» disse, voltandosi un poco verso Quart con una voce alta che risuonò sotto la volta. «Forse neppure il Santo Padre merita i suoi messaggi. Un raggio di sole si muoveva molto lentamente da sinistra a destra sulle pietre logore del pavimento, ai piedi dell'altare maggiore. Quart lo osservò per qualche istante, poi alzò gli occhi fino alla vetrata da cui entrava la luce: una deposizione nella quale mancavano proprio i vetri colorati che rappresentavano il dorso, la testa e le gambe di Cristo, con il risultato che san Giovanni e la Madonna sembravano deporre dalla croce solo due braccia nel vuoto, e i piombi intorno alla sagoma assente somigliavano all'impronta di un fantasma: una presenza evanescente che rendeva inutile la sofferenza e lo sforzo della madre e del discepolo. Si alzò in piedi e si avvicinò all'altare maggiore e all'ingresso della cripta. Accanto al cancello di ferro, chiuso sui gradini che scendevano verso l'oscurità, toccò il teschio scolpito sull'architrave, e come la volta precedente il freddo della pietra gli gelò il palpito del sangue nel polso. Vincendo la sensazione sgradevole che producevano in lui il silenzio della chiesa, i gradini bui e l'aria umida e stantia che veniva dal basso, Quart si obbligò a restare lì, immobile, guardando le tenebre della cripta. Dal greco kriptos, nascosto, mormorò. Dove la pietra nascondeva le chiavi di altri tempi e di altre vite. Dove giacevano le ossa di quattordici duchi del Nuevo Extremo e l'ombra di Carlota Brunei: Massaggiandosi il polso intorpidito, Quart si voltò verso il retablo dell'altare maggiore, che la luminosità delle vetrate inondava di un dolce splendore dorato, lasciando in penombra i dettagli interni per mettere in risalto i rilievi esterni, le foglie e gli angeli, le teste delle statue in preghiera di Gaspar Bruner de Lebrija e della moglie. E al centro, nella sua nicchia sotto il baldacchino, dietro la struttura di tubi metallici che sostenevano una piccola piattaforma, la statua della Vergine alzava gli occhi al cielo con le perle del capìtano Xaloc che le scorrevano come lacrime sul volto e sulla tunica azzurra, ritta sulla falce di luna e con un piede che schiacciava la testa al serpente colpevole di aver strappato agli uomini il paradiso in cambio della lucidità, della medusa la cui visione li aveva poi trasformati in pietra, perché custodissero il terribile segreto. Iside o Cerere, o Astarte, o Tanit, o Maria: non importava il nome scelto per riassumere il concetto di rifugio, madre, protezione, paura dell'oscurità, e del freddo, e del nulla. Dava le vertigini, rifletté Quart, pensare alla quantità di simboli che si potevano ritrovare in quell'immagine e nella sua evoluzione attraverso le religioni e i secoli. In piedi su una falce di luna, vestita di azzurro, colore simbolo dell'astro notturno e anche delle ombre cimmerie, il nero dell'araldica, la terra, la morte. Il raggio di sole sul pavimento si era spostato su una pietra più a destra e si rimpiccioliva sempre più quando l'agente dello Ior raggiunse il centro della navata e percorse con lo sguardo il cornicione, sopra le impalcature, da cui si era staccato il pezzo fatale al segretario dell'arcivescovo. Si avvicinò e tentò di muovere la struttura metallica, ma era bloccata e adesso restava ferma. Si piazzò più o meno dove si trovava padre Urbizu quando aveva ricevuto il colpo in testa. Dieci chili di stucco che cadono da un'altezza di quasi dieci metri sono inevitabilmente mortali. Sulla passerella dell'impalcatura, accanto al cornicione, c'era spazio sufficiente perché Pagina 123
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt qualcuno li avesse fatti cadere, ma il rapporto della polizia escludeva l'ipotesi. Anche la storia dell'architetto municipale scivolato dal tetto - stavolta davanti a testimoni, pensò Quart con sollievo, sembrava escludere l'intervento umano e i due decessi potevano, come sostenevano Vespro e padre Ferro, essere imputati all'ira divina. O a quella del Destino, che secondo Quart era una buona spiegazione per i caprìcci di un crudele orologiaio cosmico che sembrava svegliarsi ogni mattina con la voglia di scherzare. O forse al caso di divinità rabelaisiane, sonnolenti e goffe come quelle descritte da Heine, alle quali di tanto in tanto a colazione sfuggiva di mano una fetta di pane tostato che cadeva sempre dalla parte del burro. A quel punto dell'indagine, Quart aveva compreso alla perfezione l'ingenuo movente di Vespro. I suoi messaggi erano un appello alla giustizia e al buon senso di Roma: la rivendicazione di un vecchio prete che combatteva la sua ultima battaglia in un angolo dimenticato della scacchiera. Ma su una cosa aveva ragione padre Oscar: Vespro aveva sbagliato a inviare i suoi messaggi. Né Roma poteva capìrli, né monsignor Spada aveva mandato la persona giusta. il mondo e le idee a cui faceva appello il pirata informatico avevano cessato di esistere da molto tempo. Era come se, dopo una guerra nucleare che avesse distrutto la terra, i satelliti nello spazio continuassero a inviare segnali inutili a un pianeta morto, mentre loro giravano fedeli e silenziosi lassù, nella solitudine dello spazio infinito. Quart fece qualche passo indietro, percorrendo con lo sguardo la struttura dei ponteggi e le vetrate deteriorate delle finestre che si aprìvano nella parete sinistra della chiesa. Poi si voltò verso la navata, e Gris Marsala era lì che lo guardava. Quando il sindaco della città dichiarò inaugurata la mostra L'Arte sacra nella Siviglia barocca, gli applausi colmarono le sale della fondazione culturale del Banco Cartujano. Poi, una dozzina di camerieri in giacca bianca servirono vassoi con bevande e tartine, mentre gli invitati ammiravano i capolavori che per venti giorni sarebbero rimasti esposti nell'edificio dell'Arenal. Fra il Cristo della buona morte di Juan de Mesa, ceduto dall'Università, e un San leandro di Murillo proveniente dalla sacrestia maggiore della cattedrale, Pencho Gavira salutava i signori e baciava le mani alle signore sorridendo a destra e a manca. Indossava un impeccabile abito grigio scuro e la riga nei capelli impomatati era non meno perfetta del candore dei polsini e del colletto della camicia. «Sei stato bravissimo, sindaco.» Manolo Almanzor sindaco di Siviglia, pieno di gratitudine scambiò pacche sulla schiena con il banchiere. Era un tipo baffuto e grassottello, con una faccia onesta che gli era valsa il favore popolare e una rielezione, ma uno scandalo per accordi irregolari, un cognato arricchitosi in modo oscuro e una denuncia per molestie sessuali presentata contro di lui da tre delle sue quattro segretarie in municipio lo mettevano con un piede in strada a meno di un mese dalle elezioni comunali. «Grazie, Pencho. Ma questo è il mio ultimo atto pubblico.» Il banchiere sorrise per consolarlo. «Verranno tempi migliori. Il sindaco scosse il capo, dubbioso e triste. In ogni caso, Gavira gli avrebbe addolcito l'addio alla politica. In cambio della riqualificazione comunale del terreno di Nostra Signora delle Lacrime, del contratto preliminare di vendita e del ritiro di qualsiasi ostacolo al progetto urbanistico di Santa Cruz, Mmanzor otteneva la cancellazione automatica di un generoso credito con il quale aveva appena acquistato una lussuosa abitazione nel quartiere più caro ed esclusivo di Siviglia. Con la sua freddezza da giocatore di poker il direttore generale del Cartujano gli aveva prospettato mirabilmente la possibilità qualche giorno prima, durante una cena nel ristorante Becerra, presentandogli senza giri di parole l'offerta: i dispiaceri passano, sindaco, le case restano. Arrivò un cameriere con un vassoio e Gavira prese un bicchiere di xéres freddo, bagnandosi le labbra mentre si guardava attorno. Fra signore in abito da cocktail e signori incravattati - Gavira richiedeva l'abito scuro sui biglietti d'invito agli incontri mondani del Cartujano - era presente anche il secondo fronte, quello ecclesiastico. L'illustrissimo arcivescovo di Siviglia passeggiava in un angolo della sala al fianco di Octavio Machuca, apparentemente scambiando impressioni sul Valdés Leal ceduto per la mostra dalla chiesa dell" Hospital de la Caridad. hi ictu oculi: la morte spegneva una candela davanti alla corona e alle tiare di un imperatore, di un vescovo e di un papa. Ma Gavira sapeva che non era quello l'argomento della conversazione. «Stronzi» sentì dire al sindaco, al suo fianco. Pagina 124
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Manolo Mmanzor non si riferiva né all'arcivescovo né al banchiere. Gavira vide che guardava, gli invitati che gli voltavano vistosamente le spalle. Tutta Siviglia era al corrente che sarebbe rimasto in carica meno di un mese. Il candidato alla successione, un politico del suo stesso partito, ANDALUSISMO ANDALUSO, girava nella sala ricevendo congratulazioni anticipate con un sorriso cauto. Gavira gli strizzò l'occhio per incoraggiarlo. «Beviti un bicchierino, sindaco.» Gli prese un whisky dal vassoio, e l'altro ne ingoiò metà d'un fiato mentre inchiodava sul banchiere, con gratitudine, il suo sguardo di cane bastonato. Era sorprendente, rifletté Gavira, la rapidità con cui i morti che camminano si creano il vuoto attorno. Manolo Almanzor, in altri tempi oggetto di adulazione, puzzava di cadavere politico ambulante e nessuno gli si avvicinava più, per paura di restare socialmente contaminato. Erano le regole del gioco: nel loro mondo non c'era pietà per i vinti, eccetto un bicchierino alla vigilia dell'esecuzione. Anche Gavira era ancora al suo fianco, e gli offriva whisky a nome del Cartujano dopo avergli fatto inaugurare la mostra, in parte perché aveva sempre bisogno di lui, e in parte perché l'aveva comprato e ciò implicava una certa responsabilità per il suo orgoglio. Si chiese se prima o poi qualcuno avrebbe offerto un bicchierino anche a lui. «Fà fuori quella chiesa, Pencho.» Il sindaco si scolò il bicchiere, con rancore. «Costruisci quel cazzo che ti pare e fottili tutti. Gavira annuì, distratto, pensando di nuovo alla coppia che conversava vicino al Valdés Leal e, scusandosi con Almanzor, iniziò una manovra di avvicinamento che fece apparire casuale, una specie di zigzag, come un veliero che bordeggia. Lungo la strada sorrise alle persone giuste, strinse e baciò alcune mani e un paio di guance truccate, corretto, sicuro, sentendosi invidiato dagli uomini e ammirato dalle donne, che si avvicinarono a lui non appena si fu un po'"allontanato dal sindaco. Per due volte udì sussurrare alle sue spalle il nome di Macarena, ma riuscì a fare in modo che il suo sorriso restasse imperturbabile. Posò il bicchiere su un vassoio, si toccò il nodo della cravatta, e un attimo dopo era accanto a monsignor Corvo e a don Octavio Machuca. «Bel quadro» disse, tanto per dire qualcosa. L'arcivescovo e il banchiere guardarono la tela come se prima non l'avessero notata. La morte portava la falce in mano e un feretro sotto il braccio scarnito. Ai suoi piedi, un mappamondo, una spada, libri e pergamene, erano un'allegoria del suo trionfo sulla vita, sulla gloria, sulla scienza e sui piaceri terreni. Con l'altra mano ossuta spegneva la fiamma di una candela, e le due orbite vuote del teschio guardavano lo spettatore. In ictu oculi. Gavira non sapeva il latino, ma il quadro era molto famoso a Siviglia, e il suo significato appariva evidente. La morte colpisce chiunque in un batter d'occhio. «Bello?» L'arcivescovo scambiò un'occhiata con il vecchio Machuca. Seguendo le ultime direttive papali sulla comparsa in pubblico dei prelati, Aquilino Corvo indossava una tonaca filettata, un discreto ma eloquente bordo rosso che completava la croce d'oro sul petto e lo splendore della pietra gialla sulla mano che teneva sotto la croce. «Solo un giovane può definire così questa scena terribile.» Tirò indietro la testa, guardando cupo la tiara episcopale della tela, così simile alla sua. «Sembra tutto molto lontano visto dalla sua prospettiva, caro Gavira. Quanto a noi, il quadro ci tocca un po' più da vicino,.. Non le pare, don Octavio?» Il vecchio banchiere annuì, gli occhi rapaci All'erta sopra il naso aquilino. In realtà monsignor Corvo era di quasi vent'anni più giovane di lui, ma al titolare della sede sivigliana piaceva darsi un'aria venerabile, per via della dignità dell'incarico. «Pencho è un trionfatore» intervenne Machuca «e non teme che gli spengano il cero.» C'era una luce beffarda dietro le palpebre socchiuse del vecchio. Una delle sue mani era sprofondata nella tasca della giacca doppiopetto di taglio antiquato, e l'altra penzolava lungo il fianco, quasi altrettanto scarna di quella che spegneva la fiamma nella tela di Valdés Leal. L'arcivescovo sorrise, complice. «Siamo tutti sottoposti alla volontà di Dio» disse in tono professionale. Gavira lo ammise distratto, senza mettere in discussione la faccenda. Guardava il vecchio banchiere, che interpretò la sua espressione. «Stavamo parlando della tua chiesa.» Aquilino Corvo ignorò il possessivo continuando imperturbabile a sorridere, cosa che Gavira considerò di buon augurio. in fin dei conti, l'arcivescovado avrebbe ricevuto un sostanzioso indennizzo, oltre all'impegno contratto dal Cartujano di costruire una chiesa in un'altra sede. Senza dimenticare la fondazione per l'opera sociale all'interno della comunità gitana, Pagina 125
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt che l'arcivescovo aveva fatto scivolare abilmente nel pacchetto. in un'ultima analisi, qualcuno aveva dovuto pagare a Pilato anche le spese della bacinella. «E ancora la chiesa dell'illustrissimo arcivescovo» precisò con cortesia Gavira, che non chiudeva mai tutte le strade a nessuno. Conosceva i rischi di rifiutare ritirate dignitose. Monsignor Corvo ringraziò della gentilezza con un gesto della mano su cui brillava l'anello. Visto che si trattava di chiese, sembrava d'obbligo un commento ufficiale al riguardo. «Un conflitto doloroso» disse dopo un breve silenzio in cerca della frase adeguata. «Ma inevitabile» aggiunse Gavira. Prese un'aria da condoglianze per addolcire la puntualizzazione. Un tono grave, da uomo a uomo, da persone consapevoli delle penose decisioni che a volte imponeva il progresso. Con la coda dell'occhio vide intensificarsi la luce beffarda dietro le palpebre socchiuse di Octavio Machuca, e ricordò che il vecchio era al corrente del fatto che, nell'offerta presentata dal Cartujano all'illustrissimo, era compreso un rapporto ancora inedito sul comportamento per niente ossequioso del voto di celibato di una mezza dozzina di preti della sua diocesi. Erano tutti sacerdoti molto amati nelle loro parrocchie, e la pubblicazione ditali dati, fotografie e dichiarazioni incluse, avrebbe creato un bel subbuglio. Aquilino Corvo non aveva né i mezzi né l'autorità tecnica per affrontare il problema, e uno scandalo poteva obbligarlo a prendere decisioni che desiderava meno di chiunque altro. Quei sacerdoti erano brave persone, e in tempi di cambiamento e di scarsità di vocazioni, qualsiasi decisione precipitosa rischiava di essere inopportuna e deprecabile. Così monsignore aveva accettato con sollievo l'impegno di Gavira a comprare e bloccare il rapporto. All'interno della Chiesa cattolica, problema rimandato significava problema risolto. in ogni modo, concluse Gavira, era difficile che Octavio Machuca conoscesse il retroscena dell'operazione, anche se lo sguardo del vecchio banchiere gli faceva sospettare che fosse al corrente. Una sensazione scomoda, tenuto conto che era stato lo stesso Gavira a ispirare la manovra, dopo aver pagato l'agenzia investigativa che aveva compiuto il lavoro ed essere poi ricorso alle sue conoscenze all'interno della stampa per camuffare da favore quello che, a rigore, non era che un'impeccabile ricatto ai danni dell'arcivescovo. «L'illustrissimo garantisce la sua neutralità» commentò Machuca continuando a osservare le reazioni di Gavira. «Ma mi raccontava un momento fa che il provvedimento disciplinare contro padre Ferro va avanti lentamente. A quanto pare» le palpebre ridussero il loro sguardo a una stretta fessura «il sacerdote inviato da Roma non è riuscìto a raccogliere abbastanza prove contro di lui.» Monsignor Corvo alzò una mano, invitando a una maggiore precisione. Ora, sotto la sua placidità pastorale, appariva infastidito. Non era esattamente così, spiegò con la sua voce grave, perfetta per il pulpito. Padre Lorenzo Quart non era venuto a Siviglia per agire contro il parroco di Nostra Signora delle Lacrime, ma per fornire a Roma informazioni precise. Con squisita enfasi, il prelato ricordò ai suoi interlocutori che la sede di Siviglia, per pura burocrazia ecclesiastica, non poteva agire direttamente. Abbozzò poi i concetti di penoso problema, parroco in età avanzata, questione di disciplina e tutto il resto. C'era con Roma una coincidenza di intenti, ma con sfumature diverse. A questo punto Aquilino Corvo evitò gli occhi di Gavira e guardò Octavio Machuca, per consultarlo silenziosamente sull'opportunità di proseguire. il vecchio era imperscrutabile, così l'illustrissimo spiegò che l'indagine di padre Lorenzo non procedeva con la, ehm, auspicata diligenza. Lo stesso arcivescovo aveva avvertito i suoi superiori del problema, ma su simili questioni aveva le mani legate. Guardava i tori dalla barriera, se gli era concesso un paragone laico. Sperava di essersi spiegato bene. «Vuol dire che non prevede un imminente allontanamento di padre Ferro?» Gavira aggrottò la fronte, irritato. Stavolta l'arcivescovo sollevò entrambe le mani, come se stesse per dire loro ite, missa est. «Più o meno.» Ora guardava la cravatta di Gavira, evasivo. «Ci arriveremo, naturalmente. Ma non in due o tre giorni. Forse in un paio di settimane.» Si schiarì la voce, a disagio. «Un mese, al massimo. Vi ho già detto che la faccenda è fuori dalla mia portata. Anche se lei, naturalmente, ha tutta la mia simpatia. Gavira sollevò gli occhi sul Valdés Leal, prendendo tempo per reprimere Pagina 126
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt una reazione sconveniente. Provava il desiderio di mordersi le labbra, o di dare un cazzotto sul naso all'arcivescovo. Contò fino a dieci guardando gli occhi vuoti della morte, e alla fine si costrinse ad accennare un sorriso. Machuca non gli toglieva gli occhi di dosso. «Troppo tempo, non è vero?» chiese il banchiere. Sembrava si fosse rivolto all'arcivescovo, ma le fessure delle sue palpebre rapaci continuavano a puntare Gavira. Monsignore si credette in obbligo di rispondere. Per quanto riguardava la sua autorità, precisò, finché non giungeva un ordine da Roma e padre Ferro continuava a dir messa ogni giovedì, non poteva far nulla. Gavira non riuscì a nascondere il suo malumore. «Forse l'illustrissimo non avrebbe dovuto affidare la faccenda a Roma» arrischiò, aspro. «Poteva decidere sotto la sua responsabilità, quando eravamo ancora in tempo.» il rimprovero fece impallidire l'arcivescovo. «Può darsi.» Si era impettito e con la coda dell'occhio guardava Octavio Machuca. «Ma anche noi prelati abbiamo la nostra coscienza, signor Gavira. Col suo permesso.» Fece seccamente un cenno col capo e passò fra loro, allontanandosi con aria poco amichevole. Machuca arricciò il naso un paio di volte, senza che Gavira riuscìsse a capìre se era desolato o divertito dalla scena. in ogni caso, pensò, aveva commesso un errore. Perché era un errore tutto ciò che non produceva benefici a corto, medio o lungo termine. «Hai offeso la sua dignità pastorale» disse Machuca, sarcastico. Soffocando una bestemmia a fior di labbra, perché sarebbe stata un secondo errore, Gavira fece un gesto spazientito. «La dignità di monsignore ha un prezzo, come tutto. Un prezzo che io posso pagare.» Esitò un istante, per riguardo al vecchio banchiere. «Che il Cartujano può pagare.» «Ma per il momento il prete è ancora h.» Machuca fece una pausa di tre secondi. Una pausa incredibilmente malvagia. «Mi riferisco al prete vecchio.» Osservava Gavira con una curiosità, di cui l'altro era fin troppo cosciente. Si toccò la cravatta e i polsini della camicia, guardandosi attorno. Una bella donna gli passò accanto e si scambiarono un sorriso distratto. «La sua presenza» proseguì Machuca, guardando allontanarsi la donna «mantiene Macarena e tua suocera in prima linea. Per il momento.» Era inutile. Gavira si era ripreso e affrontava la situazione, impassibile. «Non si preoccupi» disse. «Ci riuscìrò.» «Lo spero, perché il tempo a tua disposizione sta per finire. Quanti giorni ti restano alla riunione?... Una settimana?» «Lo sa benissimo.» il vecchio aveva detto ti restano e a tua disposizione. Era odiosa, pensò Gavira, quella sensazione di dover superare un esame dietro l'altro, di essere sempre sottoposto a una specie di continua prova conclusiva. «Otto giorni.» Machuca scosse lentamente il capo. «Una finale da infarto, come direbbero i tifosi del Betis.» Si guardò attorno come se altri fatti gli occupassero la mente, poi all'improvviso si voltò verso di lui. «Sai una cosa, Pencho?... Sono sinceramente curioso di vedere come porterai a termine la faccenda. Nel consiglio ti daranno addosso.» Sorrideva con la bocca incartapecorita, come un serpente sul punto di cambiare pelle. «Ma se ci riesci, congratulazioni. Quel che non ammazza, ingrassa.» Machuca si allontanò, reclamato da alcuni conoscenti, e Gavira rimase solo sotto il Valdés Leal. C'era lì vicino un tipo molle e grassottello, con una pappagorgia che sembrava un prolungamento delle guance, i capelli pieni di lacca e un borsello di pelle al polso. Quando i loro sguardi si incrociarono, lo sconosciuto si avvicinò. «Sono Honorato Bonafé, della rivistaQ+S.» Allungò una mano, per salutare. «Possiamo parlare un momento?» Gavira ignorò la mano mentre si guardava attorno, accigliato, chiedendosi chi avesse lasciato entrare un'individuo del genere. «Le ruberò solo qualche minuto.» «Telefoni alla mia segretaria» suggerì freddamente il banchiere, voltandogli le spalle. «Uno di questi giorni.» Fece qualche passo tra la gente, allontanandosi. Con sua sorpresa Bonafé lo seguì. Lo guardava con la coda dell'occhio, imbronciato, ossequioso ma sicuro di sé. Disgustoso, concluse Gavira fermandosi: era la definizione esatta per il tipo. «Sto preparando un reportage sulla chiesa che le interessa» disse l'altro rapidamente, prima che potesse congedarlo in malo modo. «E io che c'entro?» Bonafé alzò una mano piccola e flaccida, la stessa che aveva ignorato Gavira. ......» continuava ad atteggiare la bocca in una smorfia remissiva «se teniamo conto che il Banco Cartujano è il principale interessato nella demolizione di Nostra Signora delle Lacrime, credo che un colloquio, una dichiarazione... Lei mi capìsce.» Gavira rimase impassibile. «No. Non capisco assolutamente.» Pagina 127
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Untuoso, paziente, lionorato Bonafé offrì al banchiere un rapido abbozzo del panorama: il Cartujano, la chiesa e la nuova qualifica del terreno. il parroco, un individuo un po'"controverso, che si opponeva all'arcivescovo di Siviglia ed era sottoposto a procedimento disciplinare, o qualcosa di simile. Due morti accidentali, o chissà. Un inviato papale di Roma. E, bè, una bella moglie, o ex moglie, figlia della duchessa del Nuevo Extremo. E lei e il prete di Roma... Si fermò all'improvviso, vedendo l'espressione di Gavira. il banchiere aveva fatto un passo verso di lui e lo guardava da molto vicino. «Bene, ora mi capìsce» chiuse il discorso Bonafé riassumendo di colpo. «Glielo racconto perché se ne faccia un'idea: titoli, copertina e tutto il resto. Pubblichiamo la storia completa la prossima settimana. E naturalmente, la sua opinione o le sue parole hanno un gran peso.» il banchiere era rimasto immobile, e lo guardava in silenzio. Honorato Bonafé abbozzò un sorriso, ma poi lo lasciò aleggiare, incompiùto, sulle labbra rosate in posa paziente, in attesa di risposta. «Lei» disse alla fine Gavira «vuole che io le racconti qualcosa. «Proprio così. Passò Peregil, e a Gavira parve di notare in lui uno sguardo allarmato quando vide Bonafé. Fu tentato di chiamarlo per chiedergli se aveva a che vedere con la presenza del giornalista alla mostra, ma non era il momento giusto per un confronto. Ciò che veramente desiderava era cacciar via a calci quell'essere grassoccio e molle con modi da ricattatore. «E cosa ci guadagno a parlare con lei?» il sorriso del giornalista finalmente si allargò, insolente e sicuro. Questo sì che è parlare, suggeriva l'espressione della bocca. «Bè, controlla l'informazione. Fornisce la sua versione dei fatti...» Bonafé fece una pausa carica di doppi sensi «ci spinge dalla sua parte, tanto per capìrci.» «E se non lo faccio?» «Ah, bè. Allora è diverso. il reportage verrà ugualmente pubblicato, ma lei avrà perso la sua opportunità.» Ora toccò a Gavira sorridere, e lo fece con la sua smorfia più pericolosa: da Pescecane dell'Arenal. «Suona come una minaccia.» L'altro scosse il capo senza cogliere né sorrisi né sfumature. «No, perdio. Metto solo le carte in tavola.» Gli occhietti con le borse, porcini, brillavano di avidità. «Gioco pulito con lei, signor Gavira.» «E perché gioca pulito con me?» «Oh, bè... Non lo so.» Bonafé si stirava le falde della giacca spiegazzata. «Suppongo che, presso l'opinione pubblica, la sua immagine suscìti simpatia, mi capìsce: giovane banchiere che impone un nuovo stile, eccetera eccetera. Lei è fotogenico, piace alle signore. in una parola: vende. E un uomo di moda, e la mia rivista può contribuire molto e bene a farla rimanere tale. La consideri un'operazione d'immagine. Mentre sua moglie...» fece una faccia di circostanza. «Che problema c'è con mia moglie?» Le parole suonavano come schegge di ghiaccio, ma Bonafé non sembrava far caso ai segnali di pericolo. «Anche lei viene bene nelle foto» disse, sostenendo lo sguardo del suo interlocutore con grande disinvoltura. «Però credo che il torero... Bè, lo sa. Ormai è una storia finita. Proprio adesso che il sacerdote di Roma... Sa a cosa mi riferisco?» Gavira pensava molto in fretta, soppesando i pro e i contro. Aveva bisogno soltanto di una settimana di tregua, poi qualunque cosa fosse successa non avrebbe cambiato nulla. E bisognava capìre il prezzo di quel giornalista. «Sì, capisco» rispose, ancora con aria assente. «E mi dica: quanto calcola che possa costarmi questa operazione d'immagine?» Bonafé sollevò entrambe le mani e unì i polpastrelli delle dita in un gesto di preghiera, o di ringraziamento. Sembrava rilassato. Felice. «Oh, bè... io avevo pensato a un bel colloquio sulla chiesa. Uno scambio di impressioni. E poi, non so.» Lanciò uno sguardo significativo al banchiere. «Forse le interessa investire nella stampa.» Peregil passò di nuovo nei paraggi, guardandoli come per caso. Gavira notò che il suo assistente continuava a essere preoccupato. il banchiere fece un ultimo sorriso voltandosi verso Bonafé, ma nessuno avrebbe interpretato il gesto come un segno di simpatia. Nemmeno l'altro dovette considerarlo tale, perché sbatté le palpebre un istante, inquieto. «E un po'"di tempo che non investo nella stampa» disse Gavira. «Ma il fatto è che non avevo ancora dovuto occuparmi di gente come lei.» il giornalista atteggiò la bocca in una smorfia complice, e la pappagorgia gli tremolò come gelatina. Gavira, osservandolo, pensò che Honorato Bonafé era perfetto per il personaggio, abietto e viscido, che di solito viene assassinato nei film. «il particolare che mi affascina di più dell'Europa» disse Gris Marsala «è la sua lunga memoria. Basta entrare in un posto come questo, guardare Pagina 128
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt un paesaggio, appoggiarsi a un vecchio muro, ed è tutto lì. il tuo passato, i tuoi ricordi. Tu stessa.» «E il motivo per cui è ossessionata dalla chiesa?» chiese Quart. «Non è solo la chiesa.» Si trovavano all'entrata, davanti al Nazareno coi capelli naturali e gli ex voto polverosi appesi al muro. Sullo sfondo, sotto le impalcature, nella penombra che circondava la statua della Vergine e le figure in preghiera dei duchi del Nuevo Extremo, splendevano gli ori del retablo. «Forse bisogna essere americani per capìrlo» aggiunse Gris Marsala dopo qualche istante. «Là hai l'impressione, a volte, che sia stato costruito tutto da sconosciuti, estranei. All'improvviso, un giorno vieni qua e capìsci che è anche la tua storia. Che anche tu, attraverso la mano dei tuoi antenati, hai messo pietra su pietra. Può darsi che sia la spiegazione del fascino che lega molti miei compatrioti all'Europa.» Sorrise a Quart, assorta. «inaspettatamente giri un angolo e ricordi. Ti credevi orfana e salta fuori che non è così. Forse è il motivo per cui adesso non voglio tornare.» Era appoggiata al muro bianco, accanto all'acquasantiera. Portava, come sempre, i capelli grigi legati in una piccola treccia dietro la nuca e la vecchia polo blu che puzzava leggermente di sudore. Aveva infilato i pollici nelle tasche posteriori dei jeans macchiati di gesso e di calce. «Mi hanno reso orfana varie volte. Ed essere orfani significa essere schiavi. La memoria ti da sicurezza. Sai chi sei e dove vai. O dove non vai. Senza, sei alla mercé del primo che arriva e ti chiama figliola. Non crede?» Aspettò, finché non vide che il suo interlocutore annuiva in silenzio. «Difendere la memoria è difendere la libertà. Solo gli angeli possono permettersi il lusso di essere spettatori.» Quart accennò un gesto di comprensione senza impegnarsi in nessun senso. Stava pensando al rapporto su Gris che aveva ricevuto da Roma, e che ora era sul tavolo della sua stanza d'albergo, con alcuni paragrafi sottolineati in rosso. ingresso a diciotto anni in un ordine religioso. Architettura e belle arti all'università di Los Angeles, con corsi di specializzazione a Siviglia, Madrid e Roma. Brillante curriculum accademico. Per sette anni professoressa di arte. Per quattro anni direttrice di un college religioso a Santa Barbara. Crisi personale con complicazioni di salute. Dispensa a tempo indefinito. Da tre anni a Siviglia, dove viveva dando lezioni a studenti statunitensi di belle arti. Discreta, senza nulla da segnalare, manteneva a stento contatti con una sede locale dell'ordine a cui apparteneva. Domiciliata in un'abitazione privata. Non aveva chiesto di essere esentata dallo stato di religiosa. Non risultava che avesse compiuto studi particolari d'informatica. Quart guardò la monaca. Fuori, nella piazza, la luce cresceva d'intensità e il caldo iniziava a farsi sentire. Apprezzò il rifugio fresco che offriva la chiesa. «E la sua memoria recuperata, allora, a trattenerla qui.» «Più o meno. Gris Marsala sorrise con tristezza, osservando la medaglia militare legata ai fiori secchi del mazzolino da sposa, fra gli ex voto del Nazareno - gambe, braccia, figurine di ottone e di cera - con l'aria di chiedersi dove fossero finite le mani che avevano portato quei fiori. Si era indurita l'espressione dei suoi occhi, il cui chiarore veniva intensificato dalla luce esterna. «i futuristi» disse dopo un nuovo silenzio «proposero di far saltare in aria con la dinamite la città di Venezia, per distruggere un modello. Allora sembrava un paradosso snob, ma oggi è diventato realtà in architettura, in letteratura... E anche nella teologia. Distruggere città bombardandole è solo un esempio esagerato, una scorciatoia brutale.» Sorrideva assorta e triste, guardando il mazzolino da sposa secco. «Ci sono metodi più sottili.» «Voi non potete vincere» disse dolcemente Quart. «Noi La monaca lo guardò sorpresa. «Non si tratta di un clan, o di una setta. Siamo solo gente unita attorno a questa chiesa, ciascuno con motivi personali diversi.» Scuoteva il capo, era tutto ovvio. «Padre Oscar, per esempio, è giovane e ha scoperto una causa di cui innamorarsi, avrebbe potuto essere una donna, o la teologia della liberazione... Quanto a don Priamo, mi ricorda un magnifico libro spagnolo che ebbi occasione di studiare all'università, Ramòn Sender L'ivventura equinoziale de Lope de Aguirre. Un conquistatore piccolo, diffidente e duro, che zoppicava per vecchie ferite e girava sempre armato nonostante il caldo, perché non si fidava di nessuno!... Come lui, il nostro parroco ha deciso di ribellarsi a un re lontano e ingrato, e di combattere la sua guerra personale. Non è divertente?... Anche a persone come Aguirre i re inviava uomini fidati come lei, con l'ordine di incarcerarli Pagina 129
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt o di giustiziarli» sospirò e poi rimase un istante in silenzio. «immagino che sia inevitabile.» «Mi parli di Macarena.» Quando sentì il nome, Gris Marsala guardò Quart con attenzione. Ma il sacerdote sopportò l'esame, impassibile. «Macarena» disse alla fine la monaca «difende la sua memoria: alcuni ricordi, il baule della prozia e le letture che l'hanno segnata da bambina. Si dibatte in ciò che lei stessa, con un pizzico di umorismo, chiama l'effetto Buddenbrok: la coscienza di un mondo che si estingue, la tentazione gattopardesca di allearsi con i nuovi ricchi per sopravvivere. La disperazione dell'intelligenza.» «Nient'altro?» «Non c'è molto da raccontare. E tutto davanti agli occhi.» Gris Marsala guardò attraverso la porta aperta la piazza piena di sole. «Ha ereditato un mondo che non esisteva più, tutto qui. Anche lei è un'orfana che si aggrappa ai relitti del suo naufragio.» «E io che ruolo gioco in tutto ciò?» Si sentì a disagio non appena la domanda gli fu uscìta di bocca, ma lei non parve darle troppa importanza. Vide che scrollava le spalle sotto la polo macchiata di gesso. «Non lo so. Lei si è trasformato in un testimone.» Sembrò riflettere ancora un istante. «Sono tutti così soli che hanno bisogno di qualcuno che veda e ricordi. immagino che desiderino la sua comprensione, o meglio la comprensione di chi l'ha inviata qui. Così come Aguirre, in fondo, anelava a quella del suo re.» «Anche Macarena?» Stavolta Gris Marsala tardò un po'"a rispondere. Guardava i graffi sulle nocche della mano di Quart. «Lei piace a Macarena» disse alla fine, con semplicità. «Come uomo, intendo. E non mi sorprende. Non so se ne è cosciente, ma la sua presenza a Siviglia rende tutto un po'"speciale. immagino che stia tentando di sedurla, a modo suo.» Sorrise silenziosamente, con un'espressione da ragazzino crudele. «E non mi riferisco all'aspetto fisico della faccenda.» «Le dispiace?» La monaca gli rivolse uno sguardo di spassionata curiosità. «E perché dovrebbe dispiacermi?... Non sono lesbica, padre Quart. Glielo dico nel caso in cui la preoccupi la natura della mia amicizia con Macarena.» Scoppiò in una breve risata, appoggiandosi con disinvoltura alla vecchia porta di rovere. Quart pensò ancora una volta che, nonostante i capelli grigi come il suo nome e le borse sotto gli occhi, aveva un corpo da ragazza sottile e agile, accentuato dai jeans aderenti e da silenziose scarpe da tennis bianche. «Quanto ai maschi in generale e ai sacerdoti attraenti in particolare, ho quarantasei anni e sono vergine per voti e per mia scelta.» Quart guardò verso la piazza da sopra la spalla della donna, a disagio. «Che problemi ha Macarena con suo marito?» «Che lo ama.» Sembrava un po'"sorpresa, come se fosse così evidente da non esserci bisogno di spiegazioni. Poi osservò Quart con cura, e sulla bocca le si delineò lentamente un sorriso ironico. «Non faccia così, padre. Salta agli occhi che lei frequenta poco il confessionale. Non sa nulla delle donne.» Quart uscì fuori e il sole cadde sulle spalle della sua giacca grigia come un mantello di piombo. Gris Marsala lo seguì mentre evitava un mucchio di sabbia e di ghiaia e si fermava davanti alla betoniera. il sacerdote guardò il campanile a vela della chiesa, fra le impalcature di assi e di tubi avvitati assieme, e poi fermò il suo sguardo sulla Vergine decapìtata sopra la porta. «Vorrei visitare la sua casa, sorella Marsala.» il suono dei passi della monaca sulla ghiaia si interruppe. «Mi sorprende.» «Non ne vedo il motivo. Calò il silenzio. Quando Quart si girò verso di lei vide che l'osservava, fra il seccato e il divertito. «Detesto sentirmi chiamare da lei sorella Marsala. O forse è solo un modo per dare un tono ufficiale alla richiesta?...» Ora inarcava le sopracciglia, ironica. «in fin dei conti chiede di visitare la casa dove vive una monaca da sola. Non la preoccupa cosa diranno? Monsignor Corvo, per esempio. O i suoi capi a Roma...» Si dette una botta esagerata sul fianco col palmo della mano, sarcastico, fingendo di essersene appena resa conto. «Anche se, naturalmente, è lei a informare i suoi capi a Roma.» Quart esitò un istante, incerto se accigliarsi o scoppiare a ridere. Scoppiò a ridere. «E solo un suggerimento» disse. «Un'idea. Sto mettendo insieme i pezzi di un rompicapo» si guardò attorno, osservò di nuovo il campanile a vela fra le impalcature, la statua mutilata, e ancora lei. «Vedere come vive mi aiuterebbe.» Ora affrontava direttamente i suoi occhi. Era sincero, e Gris Marsala se ne rese conto. «Adesso capisco. Cerca le tracce del delitto, vero?» «Proprio così.» «Computer collegati con Roma e prove del genere.» «Esatto.» «E se mi rifiuto, entrerà comunque, come ha fatto in casa di don Priamo?» «Come fa a saperlo?» «Me lo ha detto padre Oscar.» Circolavano troppe informazioni, pensò Quart Pagina 130
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt irritato. Tutti si raccontavano tutto, legati com'erano in quello strano sodalizio, e l'unico che doveva tirar fuori ogni informazione con le pinze era lui. Sentì una grande stanchezza con il sole spietato sulla testa e sulle spalle, ed ebbe la tentazione di sbottonarsi il collare o di togliersi la giacca. Ma rimase immobile, una mano nella tasca, in attesa. Gris Marsala si muoveva lentamente intorno alla betoniera, con una mano sul bordo. Vi guardava dentro come se si aspettasse di trovarvi un oggetto dimenticato. Sorrideva anche, pensierosa. «Perché no?» disse alla fine. «Negli ultimi tre anni non è mai entrato un uomo in casa mia. Non è male che una controlli come si sente.» Lasciò scivolare su Quart una lunga occhiata valutativa. «Spero di non saltarle addosso appena chiusa la porta... Si difenderebbe come santa Maria Goretti, o è disposto a concedermi una possibilità?» Con il dito indice compì uno strano gesto, un movimento circolare sulle zampe di gallina che aveva intorno agli occhi, e poi fece scivolare il dito lungo il naso fino alla bocca. «Anche se alla mia età temo proprio di non mettere più alla prova il celibato di nessuno... E duro, sa?, per una donna, rendersi conto che ha perso la sua avvenenza per sempre» Si indurì nuovamente l'espressione degli occhi chiari, le cui pupille sembravano sparire, contratte dalla luce accecante della piazza. «Soprattutto per una monaca.» «Si metta comodo» disse Gris Marsala. Chiaramente era una battuta. Le comodità offerte dal salottino minuscolo erano minime. L'appartamento, un secondo piano, aveva uno stretto balcone, ornato da vasi di fiori e protetto dal caldo e dalla luce da una stuoia di sparto, che si affacciava su calle San José, nei pressi di Porta della Carne. Avevano impiegato solo dieci minuti per raggiungerlo da Nostra Signora delle Lacrime, attraverso strade che il sole trasformava in forni intonacati a calce, con un chiarore lacerante che penetrava fin negli angoli più insospettati. Siviglia era soprattutto luce. Muri bianchi e luce in tutte le sfumature, concluse Quart, che aveva camminato accanto a Gris Marsala muovendosi a serpentina per cercare l'ombra delle grondaie e degli angoli come quando a Sarajevo si spostava con monsignor Pavelic da un riparo all'altro, a causa dei cecchini. Si fermò al centro della stanza mentre metteva via gli occhiali da sole nella tasca interna della giacca, e si guardò attorno. Era tutto immacolato e in perfetto ordine. C'era un divano tappezzato in stoffa con centrini all'uncinetto sui braccioli e sullo schienale, un televisore, un mobiletto con libri e cassette musicali, una scrivania con matite e penne infilate in brocche di ceramica, carte e cartelline. E un personal computer. Sentendo gli occhi di Gris Marsala fissi su di sé, Quart si avvicinò al Pc: un 486 con stampante. Sufficiente per Vespro, anche se senza modem. il telefono era dall'altra parte della stanza, inoltre era di quelli con attacco antiquato, incastrato direttamente nella parete, incompatibile con il computer Si avvicinò a guardare le cassette e i libri. in campo musicale predominava il barocco; ma trovò molto flamenco classico e moderno, con tutto Camaron. i libri erano trattati d'arte e di restauro, con manuali tecnici o studi su Siviglia. Dall'Architettura barocca sivigliana di Sancho Corbacho e dalla Guida artistica di Siviglia e provincia spuntavano molti postit con annotazioni, che segnavano le pagine. L'unico libro di argomento religioso era una Bibbia di Gerusalemme in pelle, col dorso molto logoro. Sulla parete, protetta da un vetro, c'era una stampa con la riproduzione di un quadro. Dette un'occhiata alla scritta in calce: l'a partita a scacchi di Pieter Van Huys. «Colpevole o innocente?» chiese Gris Marsala, alle spalle di Quart. «innocente, per il momento» rispose. «Ma per mancanza di prove.» La sentì ridere e si voltò verso di lei, sorridendo anche lui. Mentre si girava, vide la propria immagine riflessa sulla parete opposta, in uno splendido specchio antico dalla cornice in legno molto scuro, alle spalle della donna. Era l'unico oggetto che stonava nella modesta abitazione, e attrasse l'attenzione di Quart. Doveva essere uno specchio molto costoso. La monaca seguì la direzione del suo sguardo. «Le piace?» chiese. «Molto. ' «Ho passato vari mesi a mangiare pane e mortadella per poterlo pagare.» Si guardò un attimo allo specchio e scrollò le spalle. Poi andò in cucina e tornò con due bicchieri d'acqua fresca. «Cos'ha di speciale?» chiese Quart, dopo che ebbe posato il bicchiere vuoto sul tavolo. «Lo specchio?...» Gris Marsala esitò un istante. «Può considerarlo una specie di rivincita personale. Un simbolo. E l'unico lusso che mi sono concessa Pagina 131
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt da quando vivo a Siviglia.» Guardò Quart con ironica malizia. «Lo specchio, e lasciar entrare un uomo, benché prete, in casa mia» piegò la testa dilato, facendo un bilancio con se stessa. «Non sono molte debolezze, vero?, per tre anni.» «Non mi è saltata addosso» disse Quart. «Ha un buon autocontrollo.» «E che noi vecchie monache siamo gente dura. Sospirò con esagerata tristezza prima di unire il suo sorriso a quello del sacerdote. Sorrideva ancora quando prese i due bicchieri e li portò in cucina. Si sentì scorrere l'acqua del rubinetto e lei tornò un attimo dopo, asciugandosi le mani nella polo, con aria pensierosa. Guardò lo specchio, il salottino, e alla fine di nuovo Quart. «Fin da quando sei novizia ti insegnano che nella cella di una religiosa gli specchi sono pericolosi. La tua immagine, secondo la regola, deve riflettersi nel rosario e nel libro di preghiera. Non possiedi nulla di tuo: il vestito, la biancheria intima, addirittura gli assorbenti igienici, devi riceverli dalle mani della comunità. La salvezza della tua anima non tollera individualismi né decisioni personali.» Rimase in silenzio come se avesse già detto quanto voleva dire, e fece qualche passo verso la finestra, sollevando un po'"la stuoia di sparto. La luce inondò la stanza, abbagliando Quart. «Sono stata fedele alle regole per tutta la vita» aggiunse lei. «E lo sono anche qui a Siviglia, nonostante questa piccola infrazione al voto di povertà. » Si avvicinò allo specchio e si guardò a lungo il viso. «Ho avuto un problema. Lei ne è a conoscenza, perché Macarena mi ha detto di averglielo raccontato. Un problema di malattia dello spirito, più che fisico. Ero la direttrice di un college femminile, a Santa Barbara. Non ho mai scambiato una parola col vescovo della mia diocesi se non per questioni professionali. Ma mi sono innamorata di lui, o credevo di esserlo, il che è lo stesso... E il giorno in cui mi sono vista davanti a uno specchio, a truccarmi con discrezione gli occhi a quarant'anni suonati perché lui aveva annunciato una visita, ho capìto cosa stava accadendo.» Si guardò la cicatrice al polso prima di mostrarla a Quart riflessa sulla superficie dello specchio. «Non è stato un tentativo di omicidio come sospettavano le mie consorelle, ma un attacco di collera. Di disperazione. E quando sono uscìta dall'ospedale e ho chiesto consiglio alle madri superiori, tutto quello che hanno saputo fare è stato raccomandarmi preghiere, disciplina e l'esempio della nostra cara sorella santa Teresa di Lisieux. Rimase un momento in silenzio, massaggiandosi i polsi come se cercasse di cancellare la cicatrice. «Ricorda Teresa di Lisieux, padre?» aggiunse mentre il sacerdote annuiva in silenzio. «Nonostante soffrisse di tubercolosi e dormisse in una cella gelata, non chiese mai una coperta per combattere il freddo notturno, ma fu capace di sopportare umilmente i dolori della sua malattia... E il buon Dio ricompensò tante sofferenze prendendola con sé all'età di ventiquattro anni! Sembrava ridesse molto silenziosamente, a detti stretti, socchiudendo gli occhi come se osservasse qualcosa molto lontano da lì, con tutte le piccole rughe che si facevano più visibili sul suo volto. Doveva essere stata una bella donna, pensò Quart. in un certo senso lo era ancora. Si chiese quanti religiosi, uomini o donne, avrebbero avuto il coraggio di fare ciò che aveva fatto lei. Gris Marsala andò a sedersi sulla poltrona e Quart rimase in piedi, la giacca aperta e le mani nelle tasche, appoggiato al mobile con i libri e con le cassette, guardandola. Lei gli rivolse un sorriso straordinariamente amaro. «Ha mai visitato un cimitero di monache, padre Quart?... File di piccole lapidi allineate, tutte uguali, con inciso sopra il nome religioso, non quello di battesimo. Tutta la loro vita sta esclusivamente nell'appartenenza a un ordine: il resto non conta davanti a Dio. impossibile trovare sepolture che ispirino maggiore tristezza. E come nei cimiteri di guerra con migliaia di croci che portano la scritta "ignoto". Provocano un'insopportabile sensazione di solitudine. E anche la domanda da un milione di dollari: a che è servito tutto ciò?» Giocherellava con uno dei centrini all'uncinetto sistemati sui braccioli del divano, e all'improvviso sembrava del tutto inerme, molto lontana dalla solita disinvoltura che rafforzava ogni sua parola, ogni suo gesto. Quart soffocò l'impulso di sedersi accanto a lei: non si trattava di pietà, ma di opportunità tattica. Forse non c'era miglior occasione per illuminare gli angoli in ombra di Gris Marsala. Scelse le parole con gran cura, un pescatore che non tende troppo la lenza perché il pesce non si spaventi e scappi: «Sono le norme. Le conosceva quando ha preso i voti». Pagina 132
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Lei lo guardò come se avesse parlato in un'altra lingua. «Quando ho preso i voti ignoravo il senso di parole come repressione, intolleranza o incomprensione» scosse il capo. «Ecco la vera norma. Come in 1984 di Orwell, con l'occhio della Grande Sorella su dite. E quanto più sei giovane e attraente, peggio è. Pettegolezzi, consorterie, amiche del cuore, gelosie, invidie... Conosce il vecchio detto: si uniscono senza conoscersi, vivono senza amarsi, muoiono senza piangersi... Se mai smettessi di credere in Dio, spero di continuare a credere nel giudizio universale. Come mi piacerebbe incontrarvi alcune delle mie compagne e tutte le mie madri superiori quel giorno!» «Perché si è fatta monaca?» «Questa chiacchierata assomiglia sempre di più a una confessione. Non l'ho portata qui per scaricarmi la coscienza... Perché lei si è fatto prete?... La vecchia storia del padre oppressivo e della madre troppo affettuosa?» Quart scosse il capo, a disagio. Non era quello il terreno su cui voleva portare la conversazione. «Mio padre è morto quando io ero ancora piccolo» spiegò. «Già. Un altro caso di proiezione edipica, come direbbe quel vecchio porco di Freud.» «Non credo. Avevo anche pensato di dedicarmi alla carriera militare.» «Com'è letterario. Il rosso e il nero.» Si era messa il centrino sulle ginocchia e lo piegava e ripiegava con cura, con aria distratta. «Mio padre era geloso, dominante. E io temevo di deluderlo. Se analizza a fondo alcune vocazioni femminili, soprattutto di ragazze che erano carine, scoprirà con insospettata frequenza l'angoscia di anni trascorsi sotto l'assedio continuo di un padre: tutti gli uomini vogliono la stessa cosa, eccetera eccetera. A molte religiose, come nel mio caso, hanno insegnato fin da bambina a guardarsi dagli uomini e a non perdere il controllo davanti a loro... Sarebbe sorpreso di sapere quante fantasie sessuali di monache girano attorno al tema della bella e la bestia.» Si guardarono a lungo, senza bisogno di parole. Ora fra i due aleggiava, percepì il sacerdote, la sensazione più gradevole che si potesse ricavare dall'ufficio che entrambi, in un modo o nell'altro, svolgevano, una solidarietà singolare e dolorosa che era possibile solo fra religiosi che si riconoscevano a vicenda in un mondo difficile. Un cameratismo fatto di rituali, sottintesi, intuizione, istinto di gruppo e solitudini parallele, comprensibili. Solitudini condivise. «Cosa può fare» aggiunse Gris Marsala «una monaca che a quarant'anni capìsce di essere rimasta la stessa bambina di un tempo dominata dal padre?... Una creatura che, per l'ansia di non dispiacergli, di non commettere alcun peccato, ha commesso il peccato più grande: non ha mai veramente vissuto una sua vita... Ha fatto bene o è stata una stupida e un'irresponsabile quando, a diciott'anni, ha rinunciato all'amore terreno che comprende parole come fiducia, abbandono, o sesso?» Osservò Quart come se davvero si aspettasse da lui una risposta. «Che fare quando simili riflessioni arrivano troppo tardi?» «Non lo so» disse lui, amichevole e sincero. «Sono soltanto un prete di fanteria, senza troppe risposte.» Passò lo sguardo per la stanza, sui mobili modesti e il computer, e tornando a lei abbozzò un sorriso. «Forse rompere uno specchio, e poi comprarne un altro.» Fece una pausa. «Ci vuole molto coraggio.» Gris Marsala rimase per qualche istante in silenzio. Poi spiegò lentamente il centrino, collocandolo con cura sul bracciolo del divano. «Forse» disse alla fine. «Ma l'immagine riflessa non è più la stessa.» C'era una disperata ironia nei suoi occhi chiari quando li risollevò su Quart. «Sono pochi i fatti così tragici nella vita come scoprire una verità importante nel momento sbagliato.» Lo stavano aspettando a Casa Cuesta, puntuali attorno al tavolo sotto la pubblicità dei vaporetti Siviglia - Saniùcar - mare come una banda di malfattori pentiti intorno a una bottiglia di La ina. «Siete un disastro» disse Celestino Peregil. «Mi state facendo fare una figuraccia tremenda.» Don ibrahim guardava la cenere del suo sigaro, lì lì per cadergli sul panciotto bianco. Aveva la fronte aggrottata e si passava, a disagio, un dito sui peli strinati dei baffi mentre Peregil iniziava con la lavata di capo. Al suo fianco, il Potro del Mantelete teneva gli occhi fissi sulla superficie del tavolo, in un punto indefinito che più o meno era situato fra la sua mano sinistra, ancora bendata con la garza e la pomata per le bruciature, e il cerchio umido di vino lasciato dal bicchiere che si stava portando alla bocca. La Niiìa Puiìales era l'unica che sembrava immune alla vergogna generale, con gli occhi neri, degni di una canzone, assenti, fissi su un cartellone ingiallito appeso alla parete: Arena di Linares, 1947; Gitanillo de Triana, Manolete e Dominguin, con le mani lunghe, brune e scarne dalle unghie rosse come le labbra, gli orecchini di corallo, e i braccialetti d'argento ai polsi che tintinnavano nel viavai fra il suo bicchiere e la bottiglia. Lei da sola ne aveva bevuto più di metà. «Accidenti a quando mi sono fidato di voi» aggiunse Peregil. Pagina 133
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Era furioso, giù di forma, con il nodo della cravatta storto e la pelle e la pelata coperte di un velo untuoso, disfatta la complicata architettura dei capelli appiccicati col fissatore dall'orecchio sinistro in su. Meno di un'ora prima, Pencho Gavira gli aveva dato una strapazzata. Risultati, idiota. Ti pago perché tu mi fornisca risultati, ed è una settimana che meni il can per l'aia. Ti ho dato sei milioni di pesetas per sistemare la faccenda, ed è ancora tutto come prima, e per di più un giornalista, quel Bonafé, vuole mangiarci su. E a proposito, Peregil, quando abbiamo cinque minuti mi racconti che c'entri tu con quel tizio, d'accordo? Me lo racconti con calma, perché mi sa tanto che qui gatta ci cova. Quanto all'altra faccenda, hai tempo fino a mercoledì per risolvermi la seccatura. Mi senti? Fino a mercoledì. Perché giovedì nella chiesa non dovrà entrare neppure Dio. in caso contrario, cazzo, ti faccio risputare i sei testoni fino all'ultimo soldo. Subnormale. Sei proprio un subnormale. «Lavorare con i preti porta una gran iella» spiegò don ibrahim. Peregil lo guardò con durezza. «iella la portate voi.» il Potro chinò un po'"la testa, come quando un tempo era ammonito dall'arbitro o sopportava, stoico, i rimproveri del pubblico nelle arene piene di polvere e di sole. «L'incidente della benzina» disse la Nifla Puiiales «è stato un avviso del Cielo. Le fiamme del Purgatorio.» Continuava a guardare, assente, l'ultimo cartellone di Manolete e una mosca che, dopo aver bevuto nei cerchi di vino sul tavolo, passeggiava sui suoi braccialetti d'argento. Don ibrahim osservò con tenerezza il suo profilo gitano, il trucco che le si screpolava intorno alle zampe di gallina e sulle labbra rosse, e ancora una volta sentì il fastidioso peso della responsabilità. il Potro sollevò la testa e gli lanciò uno sguardo da cane fedele. Senza dubbio aveva ormai digerito il "portate iella" di Peregil, e aspettava un segnale per sapere come affrontare la situazione. Don ibrahim lo tranquillizzò con gli occhi, poi guardò di nuovo la cenere del sigaro per fissare, infine, con malinconia, il panama appeso allo schienale della sedia, accanto al bastone che gli aveva regalato Maria Félix. Che cosa succede, si disse tristemente classico, quando Ulisse, di notte , con la terribile lucidità del capìtano sul ponte della sua nave, ode le onde frangersi sugli scogli a prua e sente, allo stesso tempo, fissi su di sé gli occhi fiduciosi dei suoi argonauti pelagici? Legatemi quella mosca per la coda. Se avessero indovinato i suoi pensieri, anche l'ultimo argonauta sarebbe saltato fuori bordo. E don ibrahim, per primo. «Un avviso del Cielo» ammise, appoggiando la tesi della Nifla per rispetto e in mancanza d'altro, mentre cercava di conferire al suo volto l'adeguata gravità omerica. «in fin dei conti non si può lottare contro gli elementi. » «Gesù.» Peregil sintetizzò la sua opinione sugli avvisi celesti con una bestemmia articolata e barocca, legata alle ipotetiche mutande della Madonna, che fece sollevare la testa con interesse al cameriere intento a lavare bicchieri dietro il bancone. «Mi state dicendo» indagò Peregil quando ebbe ripreso fiato «che volete mollare?» Don ibrahim, con dignità esemplare, si posò sul petto la mano con l'anello d'oro falso, e fece cadere, alla fine, la cenere dell'avana sulla pancia. «Qui non molla nessuno.» «Nessuno» ripeté il Potro come un'eco, fissando assorto il tappeto del ring. «Allora poi mi farete sapere» disse Peregil. «il tempo è agli sgoccioli. il prossimo giovedì nella chiesa nessuno deve dire messa. L'ex falso avvocato sollevò la mano. «Scartato il contenitore» suggerì «occupiamoci del contenuto. Anche se per ragioni di coscienza abbiamo deciso di non attentare a un luogo sacro, non c'è ostacolo, o impedimento alcuno, che ci trattenga dall'occuparci dell'elemento umano.» Dette una tirata al sigaro e guardò l'anello di fumo cubano che si allontanava. «Mi riferisco al prete.» «A quale dei tre?» «Al parroco.» Don ibrahim accennò un sorrisetto d'intesa. «Secondo le informazioni ottenute dalla Nifla nel vicinato e fra le parrocchiane, il giovane vicario si mette in viaggio domani, martedì, quindi il titolare della parrocchia resta solo davanti al pericolo.» i suoi occhi arrossati e tristi, privi di ciglia dopo l'episodio della benzina, si posarono sul sicario di Pencho Gavira. «Mi segui, amico Peregil?» «Ti seguo.» Peregil cambiava posizione sulla sedia, interessato. «Ma non so dove.» «Tu, o chi per te, non volete che ci sia messa giovedì... giusto?» «Giusto. «Bè, se non c'è prete, non c'è messa. «Certo. Ma l'altro giorno mi avete detto che avevate qualche scrupolo di coscienza a rompere una gamba al vecchio. E io, sia detto per inciso, della Pagina 134
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt vostra coscienza ne ho pieni i coglioni. «Non c'è bisogno di spingersi tanto in là.» il cubano si guardò attorno e poi fissò il Potro e la Nina, prima di abbassare il tono, cauto. «immagina che il degno sacerdote, il venerabile ministro del Signore, scompaia per un paio di giorni senza danni fisici.» Un raggio di speranza illuminò il sorriso dello scagnozzo.«Potete occuparvene voi?» «Certo.» Don ibrahim dette un'altra tirata al sigaro. «Una cosa pulita, senza complicazioni né fratture di mezzo. Solo che ti costerà un po'"di più.» Peregil lo guardò con diffidenza. «Quanto di più?» «Nulla, poco.» Don ibrahim guardò fugacemente i suoi compari e arrischiò una cifra. «Mezza cocuzza a testa per vitto e alloggio.» Quattro milioni e mezzo di pesetas non erano nulla a quel punto, così Peregil fece un gesto per indicare che la questione era priva d'importanza. Era ormai completamente all'asciutto, ma se funzionava, Pencho Gavira non si sarebbe messo a lesinare su simili sciocchezze. «Come pensate di muovervi?» Don ibrahim guardava fuori dalla finestra, verso lo stretto arco bianco del vicolo dell'inquisizione, incerto se fornire particolari. Aveva caldo, molto caldo nonostante il vino fresco, e sentiva il desiderio di mettersi in maniche di camicia e respirare a fondo. Prese il ventaglio della Niiia e si fece aria. Chissà come sarebbe finita tutta la faccenda. «C'è un posto giù al fiume» anticipò. «Una barca dove vive il Potro. Possiamo trattenere lì il prete fino a venerdì, se vuoi.» Peregil guardò gli occhi inespressivi del Potro e inarcò le sopracciglia. «Andrebbe bene?» Don ibrahim annuì di nuovo, serio e sicuro. intanto diceva a se stesso che ci sono momenti della vita in cui gli uomini restano prigionieri dei propri passi, come Cortés quando fece il discorso che a Tenochtitlàn si va passando di h. Si sventolò sollevando un po'"la testa in cerca di aria fresca, come se ricacciasse dietro le spalle l'odore di fumo delle navi che bruciavano sulle spiagge di Veracruz. «Andrà bene.» Come tutti gli uomini che vogliono essere tranquillizzati, ora Peregil sembrava più tranquillo. Tirò fuori un pacchetto di sigarette americane di tabacco biondo e ne accese una. «Siete sicuri che non gli farete del male?... Perché state sicuri che farà resistenza.» «Per favore.» Don ibrahim lanciò uno sguardo inquieto con la coda dell'occhio alla Niiia e poi posò la mano col sigaro sulla spalla del Potro. «Un vecchio sacerdote. Un sant'uomo. Peregil continuava a mostrarsi d'accordo. Ma era necessario, ricordò loro, mantenere anche la sorveglianza sul prete di Roma e sulla, ehm, signora. E le foto. Soprattutto non dovevano dimenticare le foto. «Sapete che l'idea non è male?» aggiunse poi, tornando alla faccenda del parroco. «Come vi è venuta in mente?» Mentre si accarezzava quanto restava dei baffi, don ibrahim fece un sorriso fra il lusingato e il modesto. «Da un film che hanno dato ieri alla televisione: Il prigioniero di Zenda.» «Mi sembra di averlo visto.» Peregil si toccava i capelli che gli penzolavano sull'orecchio, tentando di coprirsi di nuovo la pelata. il suo umore era cambiato. Aveva addirittura fatto cenno al cameriere perché portasse una seconda bottiglia, che la Nifla Puflales guardava avvicinarsi con occhi impassibili di giaietto, mentre le sue unghie lunghe, dallo smalto scrostato, accarezzavano il vetro del bicchiere vuoto. «E la storia di un tizio che gli amici fanno arrestare, e poi trova un tesoro e si vendica?» Don ibrahim scosse il capo. il cameriere aveva stappato la bottiglia e lo xéres gorgogliava riempiendo i bicchieri, mentre la Nifla lo accompagnava muovendo le labbra, in silenzio. «No» disse. «Quello è Il conte di Montecristo. il nostro invece è la storia del fratello cattivo che sequestra il re per incoronarsi lui, ma poi arriva Stewart Granger e lo salva. «E incredibile.» Peregil annuiva, compiaciuto, guardando il Potro. «E proprio vero che con la televisione si impara un casino.» Honorato Bonafé possedeva alcune qualità suine, e non solo per quanto riguardava l'aspetto morale del suo carattere. Quando arrivò nella penombra fresca dell'atrio, il sudore gli scorreva abbondante sulla pappagorgia rosea, inzuppandogli il colletto della camicia. Tirò fuori di tasca un fazzoletto e si asciugò, con piccoli tocchi delle sue mani minute e molli, mentre guardava gli ex voto appesi al muro, la metà delle panche ammucchiate su un lato della navata, e le impalcature contro le pareti e sopra l'altare maggiore. Scendeva la sera su Santa Cruz. L'ultima luce che entrava dalle vetrate incomplete era dorata e rossastra, e gettava un alone di mistero sulle figure scrostate e polverose intagliate nel legno. Due angeli avevano lo sguardo fisso nel vuoto, e le statue in preghiera dei duchi del Nuevo Extremo sembravano figure reali, acquattate nelle ombre del retablo. Pagina 135
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Fece qualche passo incerto guardando la volta, il pulpito e il confessionale, la cui porta era aperta. Non c'era nessuno lì e nemmeno nella sacrestia. Si avvicinò al cancello di ferro della cripta, guardò i gradini che scendevano nell'oscurità e poi tornò verso l'altare. La Vergine era nella sua nicchia, circondata dai tubi e dalle piattaforme delle impalcature. Bonafé la contemplò per qualche istante dal basso e poi, con la decisione di chi esegue movimenti ben ponderati, raggiunse la scala del ponteggio e salì fino alla statua, a circa cinque metri d'altezza. La luce rossastra che entrava dalle vetrate illuminava di scorcio la figura barocca, il cuore trapassato da pugnali sul petto, gli occhi della Dolorosa sollevati al cielo. E sulle guance, sul manto azzurro e sulla corona di stelle che le cingeva il capo, splendevano le perle del capìtano Xaloc. Bonafé estrasse di nuovo il fazzoletto di tasca, per asciugarsi il sudore sulla fronte e sulla pappagorgia, e infine se ne servì per togliere la polvere che copriva le perle, mentre le osservava con molta attenzione. Si voltò a guardare la navata deserta della chiesa, prima di estrarre di tasca un piccolo coltello a serramanico che aprì con cura. Poi grattò leggermente una delle perle incastonate nel manto della statua e la studiò per qualche istante, pensieroso. Dopo un attimo di esitazione, con molta prudenza, infilò la punta del coltello nell'incastonatura premendo fino a staccare la perla dal suo alveolo. Era grossa, delle dimensioni di un cece, e la tenne per un po'"sul palmo della mano prima di mette rla nella tasca della giacca con un sorriso soddisfatto. La luce del crepuscolo entrava attraverso il Cristo senza corpo della vetrata rotta, tingendo di rosso le gocce di sudore sul molle profilo di Bonafé. Si asciugò di nuovo la faccia con il fazzoletto. E all'improvviso sentì un lieve fruscìo alle sue spalle, mentre una leggera vibrazione faceva tremare tutta la struttura del ponteggio. 11.Il baule di Carlota Bruner C'è tutta la saggezza del mondo negli occhi di questi bambolotti di cera. VALÉRY LARBAUD, Poesie Mentre stavano finendo il dolce, l'orologio inglese mandò dieci rintocchi e Cruz Bruner propose di bere il caffè al fresco, nel patio. Lorenzo Quart offrì il braccio alla duchessa per uscìre dalla sala da pranzo estiva, dove avevano cenato fra busti di marmo portati quattro secoli prima dalle rovine di italica come il mosaico che ornava il pavimento del patio principale. Nel corridoio che lo circondava, antenati dall'espressione grave, in gorgiera bianca e vesti scure, li guardarono passare dalle loro tele sotto il soffitto a cassettoni mudeiar. La vecchia signora, che indossava un abito di seta nera con piccoli fiori bianchi al colletto e ai polsini, li indicava uno a uno a Quart, appoggiandosi al suo braccio: un ammiraglio del Mare Oceano, un generale, un governatore dei Paesi Bassi, un viceré delle indie Occidentali. Quando passarono accanto ai lampioni cordobesi, l'ombra sottile del sacerdote si proiettò, assieme a quella minuta e curva della duchessa, fra gli archi della galleria. E dietro di loro, con i sandali, un vestito scuro e leggero, lungo fino alle caviglie, un cuscìno per sua madre fra le braccia e un sorriso silenzioso sulle labbra, camminava Macarena Bruner. Si accomodarono sulle sedie di ferro verniciate di bianco: Quart fra le due donne, accanto alla fontana di azulejos disposti secondo le più rigorose leggi dell'araldica. il patio era pieno di vasi di fiori e di foglie verdi, e il profumo di gelsomino si annunciava nei teneri germogli. Non appena la domestica ebbe posato il vassoio sul tavolinetto intarsiato, Macarena la congedò e servì lei stessa il caffè. Nero per Quart, macchiato per sé. Una Coca Cola non troppo fredda per sua madre. «Come sa, è la mia droga» disse la vecchia signora, in risposta all'interesse di Quart. «i medici mi proibiscono il caffè.» Macarena rivolse una smorfia desolata al sacerdote. «Dorme molto poco, e se va a letto presto finisce per svegliarsi e restare insonne fino alle tre o alle quattro del mattino. La Coca Cola l'aiuta a restare sveglia più a lungo la sera. Ne beve così tanta per la caffeina. Le diciamo tutti che non può farle bene, ma non ascolta nessuno.» «Perché dovrei ascoltarvi?» chiese Cruz Brunen «Questa bibita è l'unica cosa che mi piace degli Stati Uniti.» Macarena la guardò con dolce rimprovero. «Anche Gris ti piace, mamma.» «E vero» concesse l'anziana duchessa fra un sorso e l'altro. «Ma lei viene dalla California: è quasi spagnola.» Macarena si voltò verso Quart, che aveva piattino e tazzina in mano e mescolava il caffè Pagina 136
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt con il cucchiaino. «La duchessa crede che in California ci siano ancora i grandi possidenti con la giacca ricamata, i pantaloni aderenti, la camicia bianca e i bottoni d'argento, che frà Ginepro predichi nelle chiese, e che Zorro cavalchi su e giù battendosi a colpi di spada per i poveri. «E non è così?» chiese Quart, divertito. Cruz Bruner fece un vigoroso cenno affermativo. «Così dovrebbe essere» disse, e poi guardò sua figlia come se il commento del sacerdote fosse decisivo. «in fin dei conti, il tuo trisavolo Fernando era governatore della California prima che ce la togliessero.» Lo disse con la sicurezza del suo sangue e dei seri signori ritratti sulle tele del corridoio; sembrava che avessero portato via la California direttamente a lei o alla sua famiglia. Era singolare la mescolanza di familiarità e di cortese tolleranza, un po'"altezzosa, con cui Cruz Bruner si rivolgeva ai suoi simili, con tutta la lunga memoria che sfilava in silenzio nei suoi occhi arrossati, lucidi e tristi, nei quali all'improvviso spuntava il sorriso come lo schianto di un vetro rotto. Quart osservò le mani e il volto pieni di rughe, segnati da macchie scure, la pelle secca e il lieve tratto di rossetto rosa pallido che tracciava l'immaginario contorno di due labbra appassite. i capelli bianchi dai riflessi azzurrini, la collana di piccole perle intorno al collo, il ventaglio di Romero de Torres. Donne così non ne restavano quasi più. Conosceva alcune sopravvissute: dame solitarie che portavano in giro il loro tempo perduto e le loro nostalgie in paesini della Costa Azzurra, matrone dell'antica nobiltà italiana, secche reliquie centroeuropee con risonanti cognomi austroungarici, pie signore spagnole, e sapeva che dello stampo originale ne restavano pochissime e Cruz Bruner era fra le ultime. i figli e le figlie erano scapestrati, senza arte né parte, prede della stampa scandalistica, oppure lavoravano dalle nove alle sei in un ufficio o in una banca, gestivano case vinicole, negozi o discoteche alla moda, e stavano al gioco dei finanzieri e dei politici dai quali dipendeva il loro sostentamento. Studiavano negli Stati Uniti, andavano a New York prima che a Parigi o a Venezia, non sapevano parlare francese, e si sposavano con gente divorziata, con modelle di alta moda o con nuovi ricchi la cui unica memoria erano i numeri di un conto corrente appena inaugurato con la speculazione e i colpi di fortuna. Lo aveva detto lei stessa durante la cena, con un sorriso e un lampo di umorismo intelligente e sardonico. Come le balene e le foche, appartengo anch'io a una specie minacciata: l'aristocrazia. «Certi mondi non finiscono con terremoti o con gran clamore.» La settantenne guardava Quart con aria dubbiosa, chiedendosi se fosse capace di comprendere le sue parole. «Si limitano a estinguersi con un gemito discreto, senza chiasso.» Si sistemò il cuscìno dietro la schiena prima di tacere un istante, in ascolto. Nel giardino, accanto al muro del vicino convento, cantavano i grilli, e un lieve bagliore nel cielo annunciava che era sorta la luna. «in silenzio» ripeté. Quart guardò Macarena. Aveva la luce dei lampioni della galleria alle spalle, e metà del volto in penombra sotto i capelli che le erano scivolati davanti alla spalla. Teneva le gambe accavallate sotto il lungo vestito di cotone scuro, con i sandali che mostravano i piedi nudi. L'avorio della collana le splendeva dolcemente sul collo. «Non è il caso di Nostra Signora delle Lacrime» arrischiò Quart. «La sua decadenza, invece, fa rumore.» Macarena non disse nulla. Fu sua madre a scuotere un po'"il capo. «Non tutti i mondi si rassegnano a scomparire» sussurrò. il commento suonava come un sospiro. «Lei non ha nipoti» disse Quart. Cercò di esprimersi in tono neutro, casuale. in modo che non potesse essere considerato una provocazione o un'impertinenza, benché fosse in parte entrambe le cose. Ma Macarena rimase impassibile e fu Cruz Bruner a parlare, guardando sua figlia. «Ha ragione. Non ne ho.» Ci fu una pausa di silenzio che Quart rispettò, con la speranza di non aver sbagliato il tiro. Ora Macarena aveva spostato avanti il volto quanto bastava perché la luna che spuntava da sopra la grondaia illuminasse uno sguardo ostile fisso su Quart. «Non sono affari suoi» disse alla fine a voce molto bassa. «Può darsi che non siano neppure affari miei.» Concesse la duchessa, andando in aiuto del suo invitato. «Ma è un peccato.» «Perché deve essere un peccato?» il tono di Macarena era tagliente come un coltello; parlava a sua madre, ma continuava a guardare il sacerdote. «A volte è meglio non lasciarsi dietro nulla.» Fece un gesto violento, esasperato, per scostare i capelli. «Sono Pagina 137
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt fortunati i soldati che vanno in guerra con tutto ciò che possiedono: il cavallo e la spada, o il fucile. Senza nessuno per cui preoccuparsi e soffrire.» «Come certi sacerdoti» concluse Quart, che ugualmente non le toglieva gli occhi di dosso. «Forse.» Macarena ora rideva controvoglia, molto lontana dalla sua abituale risata franca, da ragazzo. «Deve essere meraviglioso sentirsi così irresponsabile e così egoista. Scegliere la causa che si ama o che più ci convince, come fa Gris. O come lei. Nulla di ereditato o di imposto.» Con le ultime parole rimase una traccia di amarezza. Cruz Bruner intrecciava le mani intorno al ventaglio. «Niente ti ha costretto a occuparti della chiesa, figliola. Né a prenderla come un fatto personale.» «Per favore. Sai meglio di chiunque altro che ci sono obblighi che non scegli, ma che ricadono su di te. Bauli che non si aprono impunemente... Ci sono vite governate da fantasmi.» La duchessa fece risuonare il ventaglio con uno schiocco. «La sente, padre. Chi ha detto che le eroine romantiche erano scomparse?... » Si sventolò un po'"prima di chiudere le stecche pensando ad altro. Guardava, distratta, i graffi sulle nocche del sacerdote. «Ma i fantasmi fanno male solo in gioventù. il tempo li moltiplica, è vero, ma lenisce anche i loro effetti: il dolore diventa malinconia. Tutti i miei fantasmi nuotano in un mare liscio come l'olio.» Fece vagare lentamente lo sguardo sugli archi mudéjar del patio, sulla fontana di azulejos e sulla luna che salìva nel rettangolo di cielo blu notte. «Neppure questo mi fa più male.» Guardò sua figlia. «Solo tu, forse. Un po'.» La vecchia signora piegò la testa di lato, con un gesto identico a quello di Macarena, e all'improvviso Quart scoprì sul suo volto i lineamenti familiari della figlia. Fu una visione rapida che lo fece affacciare per uno strano momento al futuro, trenta o quarant'anni dopo, della bella donna che era al suo fianco e lo guardava in silenzio mentre ascoltava sua madre. Tutto cambia, si disse Quart. E tutto finisce. «Per qualche tempo ho confidato nel matrimonio di mia figlia» aveva ripreso a dire Cruz Bruner. «Era una consolazione al pensiero che prima o poi l'avrei lasciata sola. Octavio Machuca e io concordavamo sul fatto che Pencho era l'ideale: intelligente, aitante, un grande futuro davanti... Sembrava molto innamorato di Macarena, e sono sicura che lo è ancora, nonostante quanto è successo.» Le labbra inesistenti della duchessa si incresparono. «Ma dalla sera alla mattina tutto ha cominciato a cambiare.» Rivolse uno sguardo fugace alla figlia. «La bambina ha abbandonato la sua casa ed è tornata con me.» il tono della vecchia signora era passato al rimprovero, ma Macarena restava impassibile. Quart bevve un ultimo sorso dalla sua tazzina e la posò sul tavolo. Aveva la continua sensazione di sfiorare certezze, senza riuscìre a toccarle. «Non oso chiedere perché» arrischiò. «Non osa.» Cruz Bruner si faceva vento col ventaglio, guardandolo con ironia. «Neppure io oso. Anni fa avrei definito tutto questo una disgrazia, ma ormai non so più cosa sia meglio... Sono la penultima della mia stirpe, con quasi tre quarti di secolo sulle spalle e una galleria di ritratti di avi che nessuno più teme, rispetta o ricorda.» La luna raggiunse il centro del rettangolo di cielo. Cruz Bruner fece spegnere tutti i lampioni. La luce divenne azzurrina e argentata, mentre tutto ciò che vi era di bianco nel patio - i disegni degli azulejos, le sedie, le sfumature chiare nel mosaico del pavimento spiccava nella penombra come se fosse giorno. «E come varcare una soglia» proseguì la duchessa, e Quart capì che continuava la conversazione interrotta. «E, visto dall'altra parte, il mondo è diverso.» «E che cosa c'è dall'altra parte?» La vecchia signora lo guardò con finta sorpresa. «Sulla bocca di un sacerdote è una domanda inquietante... io e le donne della mia generazione siamo sempre convinte che voi abbiate risposte per tutto. Quando chiedevo consiglio al mio vecchio confessore, ormai defunto, riguardo alle sregolatezze di mio marito, mi esortava sempre a rassegnarmi, a pregare e a offrire le mie angosce a Gesù Cristo. Secondo lui, la vita privata di Rafael andava da una parte, e la mia salvezza dall'altra. Non avevano nulla a che spartire. Guardava a turno ora sua figlia ora Quart, e quest'ultimo si chiese quali consigli coniugali avesse dato don Priamo Ferro a Macarena. «Da questa parte della soglia» proseguì Cruz Bruner, riprendendo il filo «c'è una certa curiosità spassionata. Una tenerezza tollerante verso coloro che, prima o poi, arriveranno fin qui, e non lo sanno.» «Come sua figlia?» La vecchia signora rifletté un momento. «Per esempio» disse alla fine, e studiò Quart, interessata. «O anche lei. Non sarà sempre un sacerdote aitante che attrae le sue parrocchiane.» Quart Pagina 138
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt ignorò l'allusione. Continuava a sfiorare certezze, senza poterle afferrare. «E che cosa ha a che fare tutto ciò con padre Ferro?... Qual è la sua visione dall'altro lato?» Con un gesto la vecchia signora dichiarò la sua ignoranza. La conversione iniziava ad annoiarla. «Dovrebbe chiederlo a lui. Mi sembra che don Priamo non sia né tenero, né tollerante. Ma è un sacerdote onesto, e io credo nei sacerdoti. Credo nella Chiesa cattolica, apostolica e romana, e spero di salvarmi l'anima per la vita eterna...» Si toccò il mento con il ventaglio chiuso. «Credo perfino nei sacerdoti come lei, che non dicono messa né altro, e addirittura in quelli che portano i jeans e le scarpe da tennis, come padre Oscar... Nel mondo scomparso da cui provengo, un sacerdote significava qualcosa. D'altra parte» guardò sua figlia «Macarena vuole molto bene a don Priamo, e io credo anche in Macarena. Mi piace vederla combattere le sue battaglie personali, anche se a volte non la capisco. Battaglie impossibili quando io avevo la sua età.» Quart rifletteva sull'integrità del parroco di Nostra Signora delle Lacrime. Era la seconda volta in due giorni che sentiva proclamare la sua onestà, ma ciò era in contraddizione con il rapporto su Cillas de Ansò. Guardò l'orologio. «Padre Ferro è già nell'osservatorio?» «E troppo presto» rispose Cruz Bruner. «Va su più tardi, verso le undici... Le piacerebbe aspettarlo?» «Sì. Ci sono un paio di cose di cui devo parlare con lui.» «Ottimo. Così godremo per più tempo della sua compagnia.» i grilli ricominciavano a cantare, e la vecchia signora ascoltava attenta, voltata leggermente verso il giardino. «Ha scoperto chi le ha mandato la nostra cartolina?» Lo guardò di nuovo solo dopo aver fatto la domanda; Quart aveva messo la mano nella tasca interna della giacca e aveva posato sul tavolo la cartolina mai ricevuta dal capìtano Xaloc. «Non ne ho la minima idea.» Si sentiva osservato da Macarena. «Ma almeno adesso so a chi era indirizzata, e perché.» «Davvero lo sa?» Cruz Bruner chiudeva e aprìva il ventaglio, e alla fine toccò con la punta il rettangolo di cartoncino che spiccava sul tavolo. «in tal caso, mentre aspetta don Priamo, potrebbe essere l'occasione giusta per riportare la cartolina nel baule di Carlota. Quart guardò le due donne, indeciso. Macarena si era alzata e aspettava, immobile, con la cartolina in mano e la luna che le disegnava con una linea pallida la sagoma dei capelli e delle spalle. Si alzò e la seguì attraverso il patio e il giardino. Quando salìrono nella colombaia, alcune nuvole sfioravano la parte inferiore della luna, e il chiarore velato conferiva un aspetto irreale alla città ai loro piedi. i tetti di Santa Cruz erano disposti come in un vecchio scenario teatrale, in piani d'ombra interrotti a intervalli dalla luce di una finestra, di un lampione distante in un vicolo stretto fra due grondaie, di una terrazza dove i panni stesi penzolavano come sudari nella notte. La Giralda s'innalzava illuminata sullo sfondo come se l'avessero dipinta su un telone scuro, e il campanile a vela di Nostra Signora delle Lacrime sembrava molto vicino, quasi a portata di mano, dietro le lunghe tende bianche che ondeggiavano lentamente, mosse dal vento. «Non è la brezza del fiume, ma del mare» spiegò Macarena. «Arriva di notte da Saniùcar.» Poi infilò le dita nella scollatura a sinistra, tirando fuori l'accendino da sotto la spallina del reggiseno, e si accese una sigaretta. il fumo uscì attraverso gli archi della stanza, fra lo sciame di insetti notturni che svolazzava attorno alla lampada accesa e nell'alone luminoso che proiettava accanto al baule aperto. «Ecco ciò che resta di Carlota Bruner» disse. Nel baule c'erano scatole laccate, palline di giaietto, una statuina di porcellana, ventagli rotti, una mantiglia di pizzo molto vecchia e consunta, spilloni da cappello, stecche da busto, una borsetta di sottile maglia d'argento, un binocolo da teatro decorato con madreperla, fiori di stoffa appassiti, carta e cera, un cappello, album di foto e di cartoline, vecchie riviste illustrate, astucci di pelle e di cartone, un paio di guanti insoliti, lunghi e rossi, di camoscio, logori libri di poesia e quaderni di scuola sciupati, piccoli cilindri di legno per il tombolo, una treccia di capelli castani molto chiari lunga quasi trenta centimetri, un catalogo dell'Esposizione Universale di Parigi, un pezzo di corallo, una gondola in miniatura, un vecchissimo dépliant turistico delle rovine di Cartagine, un pettine di tartaruga, un fermacarte di vetro con dentro un cavalluccio marino, varie monete antiche, romane, e altre d'argento con l'effigie di isabella il e di Alfonso Mi. Quanto al fascio di lettere, era spesso e legato con un nastro. Quart calcolò che fossero una cinquantina: quasi due terzi erano buste che contenevano fogli piegati in tre, e il resto cartoline postali. Pagina 139
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt L'inchiostro era sbiadito sulla carta ingiallita e fragile, e virava dal nero o dal blu a un evanescente color bruno che a volte diventava illeggibile. Nessuna portava timbri ed erano tutte scritte con la calligrafia obliqua e sottile di Carlota. Dirette al capìtano don Manuel Xaloc, porto dell'Avana, Cuba. «Di lui non ce ne sono?» «No.» inginocchiata davanti al baule, Macarena prese varie lettere e le controllò con la sigaretta accesa fra le dita. «il mio bisnonno le bruciava man mano che gliele consegnavano all'ufficio postale. E un peccato. Conosciamo ciò che scriveva lei, ma non i racconti di lui.» Seduto in una delle vecchie poltrone, con gli scaffali pieni di libri alle sue spalle, Quart dette un'occhiata alle cartoline. Erano tutte stampe popolari di Siviglia come quella che aveva ricevuto lui: il ponte di Triana, il porto con la Torre dell'Oro e una goletta ormeggiata davanti, un cartellone della Fiera, la riproduzione di un quadro della cattedrale. Ti aspetto, ti aspetterò sempre, con tutto il mio amore, tua per sempre, aspetto notizie, ti amo, Carlota. Estrasse una lettera dalla busta. La data in cima era li aprìle 1896: Caro Manuel, non mi rassegno a vivere senza tue notizie. Ho la certezza che la mia famiglia intercetta la tua posta, perché so che non mi hai dimenticato. C'è qualcosa nel mio cuore, un piccolo tic tac come nel tuo orologio, che mi dice che le mie lettere e la mia speranza non viaggiano invano. Ti invio questa mia attraverso una domestica che credo sicura, e spero che le mie parole giungano fino a te. Con esse rinnovo il mio messaggio d'amore e la mia promessa di aspettarti sempre, fino al tuo sospirato ritorno. Come è lunga l'attesa, tesoro! Passa il tempo e continuo ad aspettare che una delle vele bianche che risalgono il fiume ti porti con sé. Alla fine la vita deve per forza essere generosa con chi tanto soffre per conservare fiducia in lei. A volte mi mancano le forze, piango, mi dispero, arrivo a credere che non tornerai più. Che mi hai dimenticato, nonostante il tuo giuramento. Vedi come posso essere ingiusta e sciocca? Ti aspetto sempre, ogni giorno, sulla torre dalla quale ti ho visto partire. All'ora della siesta, quando tutti dormono e la casa è immersa nel silenzio, vengo quassù e mi siedo sul dondolo a guardare il fiume sul quale tornerai. Fa molto caldo, e ieri mi è sembrato di veder salpare e navigare i galeoni dipinti nei quadri sulla scala. Ho sognato anche bambini che giocavano su una spiaggia. Credo che sia di buon augurio. Forse in questo momento sei già in viaggio per tornare da me. Vieni presto, amore mio. Ho bisogno di sentire la tua risata, e di vedere i tuoi denti bianchi e le tue mani buone e forti. E di sentirmi guardata come mi guardi tu. E di rinnovare il bacio che una volta mi hai dato. Torna, per favore. Ti supplico. Torna o morirò. Sento che sto morendo dentro. Ti amo. Carlota «Manuel Xaloc non ha mai letto questa lettera» disse Macarena «come nessuna delle altre. Lei rimase in sé ancora per sei mesi, e poi sopraggiunse l'oscurità. Non esagerava: stava morendo dentro. E quando finalmente lui tornò a farle visita e si sedette nel patio con la sua uniforme blu e i suoi bottoni dorati, Carlota ormai era morta. Quella che si muoveva davanti a lui, senza riuscìre a riconoscerlo, era solo un'ombra.» Quart piegò la lettera, restituendola al suo cimitero di carta ingiallita, di buste come lapidi su messaggi lanciati alla cieca, nell'oscurità e nel vuoto. Si sentiva imbarazzato, a disagio, quasi colpevole di violare, intromettendosi, l'intimità di un oscuro dialogo fatto di grida di aiuto, di parole d'amore che non avevano mai trovato risposta. La lettera gli provocava un'indefinibile vergogna. Una tristezza infinita. «Vuole leggerne altre?» chiese Macarena. Quart scosse il capo. La brezza che risalìva il Guadalquivir da Saniùcar muoveva le tende, scoprendo a tratti la sagoma cupa del campanile a vela della chiesa. Macarena si era seduta per terra, appoggiata al baule, e rileggeva alcune lettere alla luce della lampada, che strappava riflessi scuri alla chioma nera scivolatale a metà sul volto. Quart ammirò la curva del collo, la pelle abbronzata della scollatura e l'inizio delle spalle, i piedi nudi nei sandali di cuoio. Emanava una sensazione di tepore così intensa che dovette trattenersi per non allungare una mano e sfiorarle la carne del collo con le dita. «Guardi qua» disse lei. Gli tendeva un foglio: il bozzetto di una barca e sotto un testo scritto a mano con la calligrafia di Carlota. Era intitolato: "Yacht armato Manigua". Seguivano le caratteristiche tecniche della barca, ed era evidente che era stato copiato da una rivista dell'epoca. Pagina 140
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «Questa cartella è posteriore» disse Macarena, passandogli uno scartafaccio legato con un nastro. «Fu mio nonno a metterla qui dentro, dopo la morte di Carlota. E l'altro epilogo della storia.» Quart aprì la cartella. Conteneva vecchi ritagli di giornale e di riviste illustrate; si riferiva tutto alla fine della guerra di Cuba e al disastro navale del 3 luglio 1898. Una copertina della fiustrnciòn ricostruiva con un'incisione artistica la distruzione della flotta dell'ammiraglio Cervera. C'era anche una pagina con il resoconto della battaglia, una pianta della costa di Santiago di Cuba, e ritratti dei più importanti ufficiali morti in combattimento, fra i quali Quart trovo quello che cercava. Non era di grande qualità, e la scritta in calce dell'illustratore lo definiva "realizzato sulla base di testimonianze degne di fede". il ritratto mostrava i lineamenti di un uomo attraente, con il collo della giacca abbottonato fin sopra un fazzoletto bianco e l'espressione malinconica. Era l'unico a indossare abiti civili, e sembrava che il disegnatore avesse voluto sottolineare l'accidentalità della sua appartenenza alla flotta di Cervera. Aveva i capelli corti, lunghi baffi e folte basette: "capìtano della marina mercantile don Manuel Xaloc Ortega, comandante del Manigua". Lo avevano ritratto mentre guardava verso un luogo imprecisato oltre le spalle di Quart, come se in fondo non gli importasse un accidente di figurare tra gli eroi di Cuba. Più sotto, sulla stessa pagina, c'era il testo:..Mentre linfanta Maria Teresa, dopo aver retto per quasi un'ora al fuoco serrato della flotta statunitense, si incagliava sulla costa avvolta dalle fiamme, le restanti navi spagnole iniziavano a uscìre dalla bocca del porto di Santiago, tra i forti del Morro e di Socapa, ed erano immediatamente accolte dal fitto tiro di cannoni delle corazzate e degli incrociatori di Sampson, la cui superiorità come artiglieria e corazzatura era schiacciante. Con le sue torri inutilizzate, ponti e strutture crivellate, con un enorme numero di morti e di feriti a bordo e tutto il lato di sinistra in preda alle fiamme, l'Oquendo passò davanti al punto in cui si era incagliata la sua ammiraglia, e incapace di proseguire, perduto ormai il suo comandante (capìtano di vascello Lazaga), andò a incagliarsi un miglio più a ovest per non cadere in mano nemica. il Vizcaya e il Cristobal Colòn forzarono le macchine navigando paralleli alla costa, stretti contro di essa da un diluvio di fuoco statunitense. Passarono così accanto ai loro compagni distrutti, i cui sopravvissuti tentavano di raggiungere a nuoto la costa. Più rapido, il Colòn staccò lo sfortunato Vizcaya che si ritrovò bersaglio di tutte le unità nemiche. La nave fu avvolta dalle fiamme, e dopo che il suo comandante (capìtano di vascello Eulate) ebbe tentato inutilmente di speronare la corazzata Brnokiyn, andò a incagliarsi sotto l'intenso fuoco dello Ioa e dell'Oregon, con la bandiera in fiamme, finché non fu calata. Giunse poi il turno del Colon (capìtano di vedetta Diaz Moreu), che all'una del pomeriggio, inseguito da quattro navi statunitensi, indifeso e senza artiglieria pesante, fu gettato contro la costa e affondato dal suo stesso equipaggio. Contemporaneamente, rimaste indietro senza più nessuna speranza di sopravvivere, uscìvano dal porto una dietro l'altra le unità leggere della flotta, i cacciatorpedinieri Pli tòn e Furor, ai quali nelle ultime ore si era unito lo yacht armato Manigua, il cui comandante (capìtano della marina mercantile Xaloc) si era rifiutato di restare al sicuro nel porto, dove la sua imbarcazione sarebbe stata catturata assieme alla città ormai prossima alla resa. Le piccole unità, coscienti dell'impossibilità di fuggire, andarono direttamente incontro alle corazzate e agli incrociatori statunitensi. il Ph" tòn (tenente di vascello Vàzquez) si incagliò dopo essere stato spezzato in due da un grosso proiettile dell'Yndiana, e il Furor (comandante Villaamil) fu mandato a picco dal fuoco della stessa corazzata e del Gloucester. Quanto al leggero e rapido Manigua, uscì per ultimo dalla bocca del porto di Santiago quando la costa era ormai un susseguirsi di navi spagnole incagliate e in fiamme, issò un insolito vessillo nero accanto alla bandiera nazionale, girò intorno alle secche del Diamante sostenendo il fuoco nemico e, senza esitare, fece rotta sull'unità statunitense più vicina, la corazzata Indiana. Manigua navigò così per tre miglia avvicinandosi a zigzag alla corazzata, sotto un fuoco intensissimo, e affondò all'una e venti minuti del pomeriggio, con la coperta distrutta e avvolto dalle fiamme da prua a poppa mentre ancora tentava di speronare il nemico... Quart rimise il ritaglio dentro la cartella e la rinfilò nel baule, con il resto dei documenti. Ormai sapeva che cosa guardavano gli occhi indifferenti del capìtano Xaloc nel ritratto pubblicato dalla rivista: i cannoni della Pagina 141
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt corazzata Indiana. Per un momento lo intravide aggrappato alla battagliola del ponte, in mezzo al fragore delle cannonate e al fumo della nave incendiata, deciso a porre fine al suo lungo viaggio verso nessun posto. «Carlota l'ha mai saputo?» Macarena sfogliava le pagine di un vecchio album di foto. «Non lo so. Nel luglio del 1898 aveva ormai perso completamente la ragione, per cui ignoriamo cosa poté significare per lei. Credo che le abbiano nascosto la notizia. Comunque continuò a salìre quassù ad aspettare, fino alla sua morte.» «Che storia triste.» Lei teneva aperto l'album su una delle pagine, e gliela mostrò. C'era incollata una vecchia foto, una cartolina rettangolare con il marchio dello studio fotografico in un angolo. Mostrava una giovane con indosso chiari abiti estivi, un ombrellino chiuso in mano e un cappello a tesa molto larga, con fiori simili a quelli di stoffa e cera conservati nel baule. La stampa fotografica era così sbiadita che tutti i tratti erano gialli e in buona parte cancellati dal tempo, ma si potevano ancora scorgere le mani sottili che tenevano guanti e ventaglio, i capelli chiari raccolti dietro la nuca, l'ovale pallido del volto, il sorriso triste e lo sguardo assente. Non era bella, ma aveva un aspetto gradevole, dolce e sereno. Quart le dette poco più di vent'anni. «Forse si era fatta ritrarre per lui» azzardò Macarena. Un soffio di brezza più forte mosse le tende, e Quart scorse di nuovo il vicino campanile a vela di Nostra Signora delle Lacrime. Per soffocare il suo malessere si alzò in piedi, si avvicinò a uno degli archi mozarabici, si tolse la giacca, la piegò e l'appoggiò sopra il davanzale, e guardò il tetto della chiesa delinearsi nell'oscurità. Sentiva una desolazione profonda, la stessa che Manuel Xaloc doveva aver provato quando era uscìto per l'ultima volta dalla Casa del Postigo e si era diretto in chiesa per lasciarvi le perle dell'abito da sposa che Carlota Bruner non avrebbe mai indossato. «Mi dispiace» mormorò alla notte, incapace di precisare a chi rivolgeva le sue scuse. Non sapeva neppure di cosa scusarsi, ma sentiva il bisogno di farlo. Avvertiva il freddo dell'arco della cripta nei polsi, lo sfrigolio delle candele che ardevano durante la messa di padre Ferro, l'odore di un passato sterile emanato dal baule aperto. Un templare solitario in una pianura deserta, appoggiato esausto alla sua spada, vedeva passare lentamente davanti ai suoi occhi lo yacht armato Manigua che prendeva il largo il 3 luglio 1898, con una sagoma immobile sul ponte di comando e, accanto alla bandiera spagnola, un vessillo nero come la disperazione. Ci fu un fruscìo alle sue spalle. Macarena gli si era avvicinata e guardava anche lei il campanile di Nostra Signora delle Lacrime. «Ora» disse «ne sa quanto basta.» Era verissimo. Quart sapeva più di quanto avrebbe desiderato conoscere, e Vespro aveva raggiunto il suo inutile scopo. Ma nulla di tutto ciò poteva essere tradotto nella prosa ufficiale del rapporto atteso dallo Ior. Contavano solo le risposte che monsignor Spada e Sua Eminenza Jerzy iwaszkiewicz e Sua Santità il pontefice desideravano ricevere: l'identità del pirata informatico e la possibilità di uno scandalo intorno alla piccola parrocchia di Siviglia. il resto, le storie e le vite racchiuse fra i muri della chiesa, non importavano a nessuno. L'appassionata gioventù di padre Oscar aveva colpito nel segno: Nostra Signora delle Lacrime era troppo lontana da Roma. Era soltanto, come il Manigua del capìtano Xaloc, una piccola nave che solcava il mare a lungo in una rotta tortuosa, e il destino ormai segnato, davanti all'impavida mole d'acciaio di una corazzata priva di anima. Macarena gli aveva posato una mano sul braccio, lo stesso della mano ferita, ed era rimasto immobile, senza ritrarlo, anche se lei doveva aver notato che i muscoli si indurivano sotto le sue dita. «Lascio Siviglia» disse alla fine Quart, sottovoce. Lei sul momento rimase in silenzio. Dopo un po', sentì che si voltava a guardarlo. «Crede che capìranno, a Roma?» «Non lo so. Ma che capìscano o no, non ha alcuna importanza.» Quart fece un cenno indicando il baule, il campanile, la città buia ai suoi piedi. «Loro non sono stati qui. Siviglia per loro è solo un punto minuscolo nella cartina, su cui un audace intruso informatico ha attratto per un po'"la loro attenzione. il mio rapporto sarà archiviato pochi minuti dopo essere stato letto.» «Non è giusto» protestò Macarena. «Si tratta di un luogo speciale.» «Sbaglia. il mondo pullula di posti così. Ogni angolo, ogni storia, hanno una Carlota che aspetta a una finestra, un vecchio parroco testardo, una chiesa che cade a pezzi da qualche parte... Voi non siete così importanti da togliere il sonno al papa.» «E a lei?» «Non ha affatto importanza. io dormivo poco anche prima.» «capisco.» Ritirò la mano appoggiata sul suo braccio. Pagina 142
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «Non le piace sentirsi coinvolto, vero?... A meno che non si tratti di compiere ordini...» Si tirò indietro i capelli di scatto, spostandosi in modo da costringerlo a guardarla in faccia. «Non mi chiede perché ho lasciato mio marito?» «No. Non glielo chiederò. Non è necessario per il mio rapporto.» Risuonò la risata bassa, sprezzante, della donna. «Mi importa ben poco del suo rapporto. Lei è venuto qui a far domande e ora non può dire che se ne va ed evitare le risposte... Ha curiosato nelle vite di tutti, e adesso deve completare il quadro della mia.» i suoi occhi non si staccavano da Quart. La voce le prese un tono assorto, grave, come se prima di modularsi percorresse un lungo tratto dentro di lei. «io volevo un figlio, sa?... Speravo di attenuare la sensazione di essere sull'orlo di un abisso... io volevo un figlio e Pencho no.» il tono si fece sarcastico, «Le ragioni può immaginarsele: è troppo presto, è un brutto periodo, è un momento cruciale nelle nostre vite, c'è bisogno di concentrare sforzi ed energie, lo avremo più avanti... Non gli ho badato e sono rimasta incinta. Perché si gira dall'altra parte, padre Quart?... E scandalizzato?... immagini di essere in un confessionale. in fin dei conti, è il suo lavoro.» Quart annuì, improvvisamente sicuro di sé. L'unica cosa che aveva ancora chiara era proprio il suo lavoro. «Sbaglia di nuovo» ribatté con dolcezza. «Non lo è. Le ho già detto una volta che non voglio confessarla.» «Non posso evitarlo, padre.» Quart percepì dispetto e ironia nel tono della donna. «Mi consideri un'anima afflitta che il suo ministero le impedisce di respingere...» sopraggiunse un silenzio «e poi non sto chiedendo un'assoluzione.» Lui scrollò le spalle, come se ciò bastasse per chiamarlo fuori dal gioco. Ma lei aveva gli occhi pieni di riflessi di luce, di luna, di notte, e non sembrò notare il gesto. «Sono rimasta incinta» proseguì nello stesso tono di prima «e a Pencho è crollato il mondo addosso. Troppo presto, troppi problemi prima del tempo, insisteva. Ha fatto pressione su di me come non mi era mai successo con nessuno in vita mia... Ha fatto pressione perché me ne liberassi.» Così era questo. i pezzi rimasti in sospeso continuarono a incastrarsi lentamente nelle riflessioni del sacerdote. Macarena restava in silenzio, e lui non poté evitare di intervenire, suo malgrado. «E lei l'ha fatto» disse. Non era una domanda. Si girò a guardarla, e la vide sorridere con un amarezza che non le aveva mai visto prima. «L'ho fatto.» Santa Cruz continuava a riflettersi nei suoi occhi, pallida a causa della luna. «Sono cattolica e ho resistito quanto ho potuto. Ma amavo davvero mio marito. Contro l'opinione di don Priamo, sono entrata in clinica e ho perso il bambino. Solo che ci sono state complicazioni: ho avuto una perforazione uterina con emorragia arteriosa, e hanno dovuto praticarmi d'urgenza un'isterectomia... Sa cosa significa? Che non potrò mai più essere madre.» Alzò gli occhi e le si inondarono di luna, mentre scompariva ogni traccia del resto. «Mai più. «Che cosa ha detto padre Ferro?» «Nulla. E vecchio e ne ha viste tante. Continua a darmi la comunione quando gliela chiedo.» «Sua madre lo sa?» «No.» «E suo marito?» Ora scoppiò in una risata breve e secca. «Neppure» passava la mano sul davanzale, vicino al braccio di Quart, ma adesso senza arrivare a toccarlo. «Non lo sa nessuno eccetto padre Ferro e Gris. E ora, lei.» Esitò un momento, come se stesse per aggiungere un altro nome. Ma Quart la guardava, sorpreso. «Sorella Marsala aveva approvato la sua decisione di abortire?» «Al contrario. Per poco non mi è costata la sua amicizia. Ma quando in clinica sono sorte le complicazioni, è corsa al mio fianco... Quanto a Pencho, non avevo voluto che mi accompagnasse all'intervento, e ha sempre creduto che l'aborto fosse andato normalmente. Sono tornata a casa, convalescente, e a lui sembrava che andasse tutto bene.» Rimase un istante in silenzio, guardando la Giralda illuminata in lontananza, e poi si voltò verso il sacerdote. «C'è un giornalista» disse. «Un certo Bonafé, lo stesso che ha pubblicato la settimana scorsa alcune foto... Tacque, aspettando senza dubbio un commento, ma Quart non disse nulla. Le fotografie dell'hotel Alfonso xiii erano il meno. Lo preoccupava il nome di Honorato Bonafé in bocca a Macarena. «Un tipo sgradevole» proseguì lei, dopo un istante. «Molliccio, lurido... Un uomo a cui non daresti mai la mano perché sai che è umida.» «Lo conosco» disse alla fine Quart. Macarena gli rivolse un'occhiata diffidente, chiedendosi come mai conoscesse un simile individuo. Poi inclinò la testa e i capelli neri calarono giù fra loro. «E venuto a trovarmi stamattina» proseguì. «in realtà Pagina 143
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt mi ha bloccata sulla porta, perché non lo avrei mai ricevuto qui. L'ho mandato a quel paese, ma prima di sparire ha insinuato qualcosa sulla clinica... E andato in giro a fare domande.» Santo cielo. Quart storse la bocca, immaginando la scena. Per un momento rimpianse di non essere stato più categorico con Bonafé durante il loro ultimo colloquio. Miserabile topo di fogna. Desiderò con tutta l'anima di incontrarlo di nuovo al suo ritorno, nell'atrio dell'albergo, per cancellargli dalla faccia il suo viscido sorriso. «Sono un po'"inquieta» confessò Macarena. Lo disse in un tono preoccupato, insicuro, che non le aveva mai sentito. Quart immaginò senza fatica come Bonafé avrebbe sfruttato la storia. «Abortire» commentò «non è più un problema in Spagna.» «No. Ma quell'uomo e la sua rivista vivono di scandali.» incrociò le braccia, strette. All'improvviso sembrava avere freddo. «Sa come avviene un aborto, padre Quart?...» Si era voltata a studiarlo, cercando una risposta sul suo volto per poi scrutarla alla fine con una smorfia sprezzante. «No, non credo che lo sappia. Voglio dire che non lo sa sul serio. Una luce accecante, il soffitto bianco, le gambe aperte. E la voglia di morire. Un'infinita, fredda, spaventosa solitudine...» Si staccò bruscamente dalla finestra. «Che siano maledetti tutti gli uomini del mondo, lei compreso. Tutti, dal primo all'ultimo.» Si fermò con un sospiro molto profondo, soffiando fuori l'aria come se le dolesse nei polmoni. il contrasto di luci e ombre sul suo viso sembrava invecchiarla, o forse era il tono della voce, lento e amaro, che la trasformava in un altra donna, più dura e più spossata. «Mi rifiutavo di pensare» proseguì dopo un momento. «Di riflettere su quanto era successo. Vivevo in uno strano sogno dal quale desideravo svegliarmi... E un giorno, tre mesi dopo il mio ritorno, sono entrata in bagno mentre Pencho era sotto la doccia dopo che avevamo fatto di nuovo l'amore per la prima volta. Era sotto il getto dell'acqua, si insaponava, e io mi sono seduta sul bordo della vasca da bagno a guardarlo. All'improvviso ha sorriso, e allora mi è sembrato un perfetto sconosciuto... Uno senza alcun rapporto con l'uomo che amavo, e per il quale avevo perso la possibilità di avere figli.» Tacque ancora una volta esasperando Quart che, anche se avrebbe preferito non sapere, tuttavia pendeva dalle sue labbra. Per un attimo parve che avesse terminato, ma poi si avvicinò di nuovo alla finestra, una mano immobile sul davanzale a metà strada fra lei e il sacerdote, sulla giacca ripiegata. «Mi sono sentita molto vuota e molto sola» proseguì finalmente. «Peggio che in clin ica. Allora ho fatto le valigie e sono venuta qui... Pencho non ha mai capìto. Continua a non capìre.» Quart respirò lentamente cinque, sei volte. Lei sembrava aspettarsi un commento da parte sua. «E il motivo per cui cerca continuamente di ferirlo» disse alla fine. Nemmeno ora era una domanda. «Ferirlo?... Nessuno può farlo. il suo egoismo e le sue ossessioni sono corazze. Ma posso fargli pagare un alto prezzo sociale: la chiesa, il suo prestigio come finanziere e il suo orgoglio come uomo. Siviglia passa molto facilmente dall'applauso ai fischi... Parlo della mia Siviglia, quella al cui riconoscimento aspira Pencho. E pagherà per questo.» «La sua amica Gris sostiene che lei lo ama ancora.» «Gris a volte parla troppo.» Rise di nuovo, con identica amarezza. «Forse sì, il problema sta nel fatto che lo amo. O nel contrario. in un modo o nell'altro, non cambia nulla.» «E io?... Perché mi ha raccontato tutto?» La luna guardava Quart. Due dischi bianchi. Opaca. «Non lo so. Ha detto che se ne va, e all'improvviso l'idea mi infastidisce.» Era così vicina che quando arrivò un altro soffio di brezza i suoi capelli sfiorarono il volto di Quart. «Forse al suo fianco mi sento meno sola; lei sembra incarnare, suo malgrado, l'immagine atavica che è sempre stato il sacerdote per buona parte delle donne: un uomo forte e saggio in cui aver fiducia, o con cui confidarsi... Forse è il suo vestito nero e il collare, o forse il fatto che è anche un uomo attraente. Può darsi che il suo arrivo da Roma, e ciò che rappresenta, attragga il mio interesse. Forse sono io il suo Vespro. Può darsi che tenti di guadagnarla alla mia causa, o semplicemente di infliggere una nuova e più perversa offesa all'onore di Pencho... Potrebbe anche trattarsi di alcune o di tutte queste ragioni assieme. Nella mia vita attuale, padre Ferro e lei siete i due limiti di un terreno tranquillizzante: opposti e complementari.» «Quindi, se difende quella chiesa» concluse Quart «è perché ne ha bisogno quanto gli altri.» Macarena aveva alzato le braccia, sollevando fino alla nuca i capelli raccolti nelle mani. il collo era una linea dolce e scura dai lobi delle orecchie all'inizio delle spalle. Pagina 144
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «Forse anche lei ne ha più bisogno di quanto creda.» Aprì le mani e i capelli ricaddero giù in una cascata nera, nascondendole collo e spalle. «Per quel che mi riguarda, non so di cosa ho bisogno. Forse della chiesa, come dice lei. Forse di un uomo attraente e silenzioso che mi faccia dimenticare, o che mi conceda, almeno, il dono dell'indifferenza. E di un altro, anziano e saggio, che mi assolva dal fatto di cercare l'oblio. Sa una cosa?... Un paio di secoli fa era una fortuna essere cattolica. Risolveva tutto: bastava giustificarsi con un prete e sperare. Ora neppure voi preti credete in voi stessi. C'è un film, Il ritratto di lennie... Le piace il cinema?... A un certo punto, durante un dialogo, Joseph Cotten, il pittore protagonista, dice a Jennifer Jones: "Senza di te sono smarrito". E lei risponde: "Non dire così. Non possiamo essere smarriti tutti e due". Lei è così smarrito come sembra, padre Quart?» Si voltò verso la donna lasciando la giacca abbandonata sulla finestra, senza una risposta sulle labbra. La luna rideva di lui col suo doppio riflesso pallido. E si chiese come fosse possibile che una bocca di donna sorridesse scherzosa e tenera allo stesso tempo, così svergognata e così timida, e così vicina. E nel momento in cui stava per aprìre la sua, deciso a dire qualcosa che ancora ignorava, un orologio vicino fece risuonare undici rintocchi sopra i tetti, e Quart si disse che, senza dubbio, lo Spirito Santo aveva appena finito il suo turno di guardia. Dio mio. Alzò una mano verso il volto della donna, la mano ferita, ma riuscì a dominarsi abbastanza da fermarla a metà strada. Allora, senza poter stabilire se era delusione o sollievo la sensazione che lo pervadeva, vide che don Priamo Ferro si trovava sulla porta, e li guardava. «Troppa luna» commentò padre Ferro. Era in piedi accanto al telescopio, e osservava il cielo. «Non è un buon momento per lavorare.» Macarena se n'era andata scendendo le scale, lasciandoli soli nella colombaia. Quart si chinò a chiudere il baule di Carlota e restò immobile, attento alla figura piccola e secca che gli voltava le spalle, così cupa nella sua tonaca nera. «Spenga la luce» disse il parroco. Quart obbedì, e i dorsi dei libri, e il baule di Carlota, e l'incisione con la Siviglia del Seicento appesa alla parete, furono inghiottite dall'oscurità. Ora la sagoma della finestra sembrava più compatta e vigorosa. La notte ne rafforzava una qualità singolare, fatta d'ombra. «Voglio parlare con lei» disse Quart. «Lascio Siviglia.» Padre Ferro non fece alcun commento. Continuava a guardare il cielo, una sagoma immobile contro l'arco della finestra illuminata di scorcio dalla luna. «Berenice» disse alla fine. «Vedo la chioma di Berenice.» Quart gli si avvicinò. il telescopio era fra i due, puntato sul cielo. «Quelle tredici stelle» aggiunse padre Ferro. «A nordest. Lei offrì la chioma per ottenere la vittoria dei suoi eserciti. Quart non guardava il cielo, ma il profilo cupo del parroco, rivolto verso l'alto. Quasi volesse soddisfare in ritardo i loro desideri, il campanile illuminato della Giralda si spense all'improvviso come se fosse appena svanito nella notte. Un istante dopo, mentre le retine di Quart si adattavano alla nuova situazione, il suo contorno scuro iniziò a profilarsi di nuovo sotto la luna. «E là, più lontano» proseguì padre Ferro «quasi allo zenit, ci sono i Cani da Caccia.» Pronunciò il nome con infinito disprezzo: intrusi che invadevano un territorio amato. Stavolta Quart guardò verso l'alto e riuscì a distinguere, verso nord, una stella grande e un'altra piccola che sembravano viaggiare assieme nello spazio. «Non le stanno simpatiche» commentò. «No. Detesto i cacciatori. Specialmente quando cacciano per conto di altri... in questo caso, per di più, sono i cani dell'adulazione. La stella grande è Cor Caroli. Halley la battezzò così perché brillò con più intensità il giorno del ritorno a Londra di Carlo il.» «Allora il cane non ha colpa. Risuonò la risata stridente, spenta, del parroco. Alla fine aveva girato il capo per guardare Quart, dal basso in alto, da sopra la spalla. La luna accentuava il bianco dei suoi capelli tagliati malamente, li faceva quasi sembrare puliti. «La trovo molto sulla difensiva, padre Quart. E poi sarei io il diffidente!» Rise di nuovo, quieto. «Parlavo solo di stelle.» Si infilò una mano nella tasca della tonaca per tirar fuori una sigaretta da un'ammaccata scatola di latta. Quando si chinò sulla fiamma, protetta dall'incavo della mano, il bagliore rossastro illuminò cicatrici e rughe sul suo volto devastato, i peli bianchi e neri della barba mal rasata e già lunga, le macchie grigiastre sul collo e sulle maniche della tonaca. «Perché se ne va?» Spento il fiammifero, la sigaretta era una brace Pagina 145
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt incandescente sul profilo duro. «Ha già smascherato Vespro?» «Vespro è il meno, padre. Può essere uno qualunque di voi, o tutti, o nessuno. La sua identità non cambia nulla.» «Mi piacerebbe sapere che cosa racconterà a Roma.» Quart glielo disse: da un lato le due morti erano stati deprecabili incidenti e la sua indagine confermava la versione della polizia, dall'altro un vecchio parroco combatteva una guerra privata e svariati parrocchiani lo appoggiavano. Era una storia vecchia quanto san Paolo, perciò secondo lui nessuno nella curia se ne sarebbe scandalizzato. Se non ci fosse stato il pirata informatico e il messaggio a Sua Santità, la faccenda non sarebbe mai uscìta dall'ambito della diocesi di Siviglia. Ecco, in sintesi, il panorama. «E quale sarà la mia sorte?» «Oh, niente di speciale, suppongo. Visto che monsignor Corvo ha già presentato un provvedimento disciplinare al quale si unirà il mio rapporto, immagino che le toccherà un pensionamento anticipato, discreto, un po'"prima del consueto... Forse una cappellania di monache, anche se è più probabile una residenza per sacerdoti di una certa età. Lo sa: riposo.» La brace della sigaretta si muoveva davanti al profilo. «E la chiesa?» Quart allungò una mano verso la sua giacca, che era ancora sul davanzale. La spiegò e poi la ripiegò di nuovo, per poi tornare a posarla dov'era prima. «Non rientra nelle mie competenze» disse. «Ma da come stanno le cose, vedo poco futuro. A Siviglia ci sono troppe chiese e mancano i preti. inoltre il reverendo don Aquilino Corvo le ha già detto il requiescat.» «Alla chiesa o a me?» «A tutti e due.» Stridette la risata malevola del parroco. «Lei possiede tutte le risposte, a quanto vedo.» Quart meditò qualche istante. «A dire il vero me ne manca una» ribatté alla fine. «Un fatto che compare nel suo fascicolo personale, ma non vorrei citarlo nel mio rapporto senza conoscere la sua versione... Lei ha avuto un problema quando era parroco lassù, in Aragona. Un certo Montegrifo. Non so se ricorda.» «Ricordo perfettamente il signor Montegrifo.» «Dice che ha comprato un retablo dalla sua parrocchia.» Padre Ferro rimase in silenzio per qualche istante. Con la coda dell'occhio, Quart vide che il profilo scuro restava girato verso il cielo con la brace della sigaretta quasi spenta accanto alla bocca. il chiarore della luna, scivolandogli sulla spalla, gli illuminava una delle mani appoggiata sul tubo d'ottone del telescopio. «Era una piccola chiesa romanica» disse il parroco dopo un lungo silenzio. «Travi marci e muri crepati. Vi facevano il nido i corvi e i topi... Era una parrocchia molto povera, tanto che a volte non avevo i soldi neppure per il vino per la messa. E i miei parrocchiani vivevano sparsi per vari chilometri tutt'intorno. Gente umile, pastori e contadini. Gente anziana, malata, senza istruzione né futuro. E io, ogni giorno, durante la settimana solo per me e la domenica per loro, dicevo messa davanti a un retablo minacciato dall'umidità, dalle infiltrazioni di acqua piovana, dai tarli... La Spagna era piena di posti così, di opere d'arte indifese che venivano rubate da trafficanti, che scomparivano quando crollava il tetto della chiesa, o restavano esposte al fuoco, alla pioggia, alla miseria... Un giorno è venuto a farmi visita un forestiero che era già stato nella zona: era accompagnato da un altro individuo, elegante, di bell'aspetto, che si presentò come direttore di una casa d'aste di Madrid. Fecero un'offerta per il Cristo e per il piccolo retablo dell'altare.» «Era un retablo di valore» intervenne Quart. «Del Quattrocento.» il parroco si spazientì. La brace della sigaretta brillò con maggiore intensità. «Che importa il secolo?... Lo pagavano. Non era una somma straordinaria, ma era un tetto nuovo per la chiesa e, ancora più importante, un aiuto per i miei parrocchiani.» «E così l'ha venduto?» «Certo che l'ho venduto! Senza esitare un attimo. Così ho riparato il tetto, ho avuto medicine per i malati, ho rimediato in parte ai danni delle gelate e delle malattie del bestiame... Ho aiutato la gente a vivere e a morire.» Quart indicò la sagoma scura del campanile. «Eppure ora difende questa chiesa. Sembra contraddittorio.» «Perché?... A me del valore artistico di Nostra Signora delle Lacrime importa quanto a lei o all'arcivescovo. Lascio a sorella Marsala l'interesse artistico. i miei parrocchiani, per pochi che siano, valgono più di una tavola dipinta.» «Allora lei non crede...» iniziò a dire Quart. «A cosa?... Ai retablo del Quattrocento? Alle chiese barocche? Al Supremo Meccanico che lassù stringe le nostre piccole viti una per una?...» La brace della sigaretta brillò per l'ultima volta prima che padre Ferro la gettasse fuori dalla finestra. «Che importa» disse. Muoveva il telescopio senza guardare nell'obiettivo, come se cercasse qualcosa ne}le stelle. «Loro sì, credono. «il retablo aragonense ha lasciato una macchia Pagina 146
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt sul suo fascicolo personale» intervenne Quart. «Lo so.» il parroco continuava a muovere il telescopio. «Ho anche avuto uno sgradevole colloquio con il mio vescovo... Se a Roma facessero la stessa cosa, replicai, canterebbe un altro gallo. Ma per ora l'unico gallo che abbiamo sentito cantare è stato quello di san Pietro. Poi sono tutte lacrime e quo vadis domine e mettetemi in croce a testa in giù, ma nel frattempo noi restiamo fuori, rinnegando la nostra coscienza, mentre nel pretorio risuonano i ceffoni.» «Accidenti. Nemmeno san Pietro le è simpatico, a quanto vedo.» Stridette di nuovo la risata spenta del sacerdote. «Ha ragione. Avrebbe dovuto farsi uccidere nel Getsemani, quando tirò fuori la spada per difendere il Maestro.» Ora fu Quart a scoppiare a ridere. «in tal caso saremmo rimasti senza il primo papa.» «Cosa crede!...» il parroco scosse il capo. «Nel nostro lavoro ci sono fin troppi papi, chi manca è la gente con i coglioni.» Si era chinato e avvicinava un occhio al telescopio mentre faceva girare le rotelle di regolazione. il tubo si spostò lentamente verso l'alto e verso sinistra. «Quando osservi il cielo...» Padre Ferro parlava senza staccarsi dalla lente «... le cose girano lentamente fino a occupare un posto differente nell'universo... Sa che la nostra piccola Terra dista dal Sole solo centocinquanta miserabili milioni di chilometri, mentre Plutone ne dista cinquemilanovecento? E che il Sole non è che un minuscolo puntino in confronto alla superficie di una stella media come Arturo? Per non parlare di Aldebaràn, che misura trentasei milioni di chilometri, o di Betelgeuse, che è dieci volte più grande.» Fece descrivere al telescopio un breve arco verso destra, staccò l'occhio dalla lente e indicò a Quart una stella con il dito. «Guardi: è Altair. A trecentomila chilometri al secondo, la sua luce impiega sedici anni ad arrivare fino a noi... Chi le assicura che nel frattempo non sia esplosa e che vediamo la luce di una stella che non esiste più?... A volte, quando guardo verso Roma, ho la sensazione di star guardando Altair. E sicuro che tutto sarà ancora lì, intatto, al suo ritorno?...» invitato a dare un'occhiata, Quart si chinò per avvicinare un occhio alla lente. Più si allontanava dallo splendore della luna, più comparivano fra stella e stella infiniti punti luminosi, grappoli di bagliori e nebulose rossastre, azzurrine e bianche, intermittenti o immobili. Una di loro si allontanò e poi scomparve offuscata da un'altra: una stella cadente, o forse un satellite artificiale. Facendo ricorso alle sue scarse conoscenze astronomiche, Quart cercò l'Orsa Maggiore e risalì dalla linea di Merak e Dubhe verso l'alto, quattro volte tanto, gli sembrava di ricordare. O forse cinque. La stella polare era lì, grande e brillante, sicura di sé. «Quella è Polaris.» Padre Ferro aveva seguito i movimenti del telescopio. «La sommità dell'Orsa Minore, che indica sempre la latitudine zero della Terra. Ma non è immobile.» indicò un punto sulla sinistra, invitando Quart a muovere la lente fin lì. «Cinquemila anni fa era l'altra, il Drago, a essere adorata dagli egiziani come custode del nord... il suo ciclo è di venticinquemilaottocento anni, e ne sono trascorsi solo tremila. Così, fra duecentoventotto secoli, sostituirà di nuovo la stella polare.» Guardava verso l'alto, tamburellando con le unghie sul tubo di ottone. «Mi chiedo se allora ci sarà qualcuno sulla terra a notare il cambiamento.» «da le vertigini» disse Quart, staccando l'occhio dalla lente. il parroco schioccò la lingua in segno di conferma. Sembrava compiaciuto dalla vertigine di Quart, come un chirurgo esperto che vede impallidire gli studenti durante un'autopsia. «E buffo, vero?... L'universo è uno scherzo divertente. La stessa Polaris che lei guardava un momento fa si trova a quattrocentosettanta anni luce. Significa che ci orientiamo sullo splendore che è partito da una stella agli inizi del Cinquecento, e che ha impiegato quasi cinque secoli ad arrivare fino a noi.» indicò un altro punto nella notte. «E più in là, ma che non si possono scorgere a occhio nudo, nella nebulosa dell'Occhio del Gatto, strati concentrici di gas, anelli e lobi gassosi formano il fossile finale di un astro che è morto mille anni fa: resti di pianeti morti che girano attorno a una stella morta.» Si staccò dal telescopio e si avvicinò a uno degli archi della torre, dove il chiarore della luna illuminava meglio i suoi lineamenti. Rimase lì, piccolo e secco nella sua tonaca troppo corta da cui spuntavano le grosse scarpe. Poi, da lontano, si rivolse di nuovo a Quart. «Mi dica che cosa siamo. Che ruolo svolgiamo qui, nel grande scenario che si estende sopra le nostre teste. Che significato hanno le nostre miserabili vite, le nostre ansie.» Sollevò leggermente la mano verso l'alto, senza guardare dove indicava. «Cosa importa a queste luci del suo rapporto a Roma, della Pagina 147
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt chiesa, del Santo Padre, di lei o di me?... in che punto di questa volta celeste risiedono i sentimenti, la compassione, il calcolo delle nostre povere vite, la speranza?» Risuonò di nuovo la risata spenta, aspra, inquietante. «Anche se brillano supernove e agonizzano stelle, anche se muoiono e nascono pianeti, tutto continuerà a girare, apparentemente immutabile, quando ce ne saremo andati.» Quart sentì di nuovo una solidarietà istintiva che nel suo mondo di religiosi faceva le veci dell'amicizia. Guerrieri esausti, ciascuno nella sua casella della scacchiera, isolati, lontani da re e da principi. impegnati a combattere l'incertezza con le loro sole forze e a modo loro. Gli sarebbe piaciuto avvicinarsi al piccolo e vecchio parroco e mettergli una mano sulla spalla, ma si trattenne. Le regole prevedevano anche la solitudine di ognuno. «in tal caso» disse lentamente «non mi piace l'astronomia. Sconfina nella disperazione.» L'altro lo guardò un istante in silenzio. Sembrava sorpreso. «Disperazione?... Tutto il contrario, padre Quart. da serenità. Perché dispiace perdere soltanto ciò che è seno, prezioso, importante... Niente resiste alla spietata lucidità di sentirsi una minuscola gocciolina d'acqua nel mare, nel rosso tramonto dell'universo.» Fece una pausa e si voltò a guardare il campanile a vela della chiesa fra le tende mosse dalla brezza. «Eccetto, forse, una mano amica che ci ispiri rassegnazione e conforto, prima che le nostre stelle si spengano una a una, arrivi il gelo, e tutto finisca.» Poi padre Ferro non disse più nulla. Quart allungò la mano verso l'interruttore della lampada. L'accese, e le stelle scomparvero. Scese in giardino con la giacca sulla spalla, aspirando il profumo della notte. Lei lo aspettava in un angolo, con il chiarore della luna che le delineava, sul volto e sulle spalle, l'ombra delle foglie di bouganville e di arancio. «Non voglio che se ne vada» disse. «Non ancora. Le brillavano gli occhi, e gli incisivi sembravano bianchissimi nella bocca socchiusa, e la collana d'avorio era un tratto pallido sul collo bruno in penombra. Quart socchiuse le labbra lasciandosi sfuggire un sospiro lungo e spento che poteva essere anche un gemito infantile o una protesta. Faceva caldo. Una persiana, nel pomeriggio, lasciava filtrare sottili raggi di sole sul corpo bruno di una donna nuda, e Carmen la sigaraia arrotolava foglie di tabacco sul lato interno della coscia, dove brillavano minuscole gocce di sudore vicino a un sesso femminile scuro, ricciuto e umido. Ci fu un soffio di brezza. Le foglie degli aranci e della bouganville fremettero sul volto di Macarena Bruner, e la luna scivolò sulle spalle del sacerdote Lorenzo Quart come un armatura, una corazza caduta ai suoi piedi. il templare si raddrizzò e si guardò attorno, stanco, ascoltando il rumore della cavalleria saracena verso la collina di Hattin, sui cui fianchi il sole calcinava le ossa dei cavalieri franchi. E il mare infuriato colpiva il muraglione del faro, sotto il temporale, mentre le fragili barchette tentavano di mettersi al riparo. Una donna vestita a lutto stringeva la mano di un bambino sulla quale scivolavano gocce di pioggia come lacrime. C'era odore di minestra che bolle in una pentola mentre accanto a un caminetto un vecchio parroco declinava rosa, rosae. E l'ombra del bambino, perduto in un mondo che si orientava alla luce di una stella vecchia di cinque secoli, si delineò sulla sottile parete che lo teneva in salvo dal freddo intenso che regnava là fuori. Proprio quell'ombra si avvicinò pian piano all'altra che aspettava sotto la bougainville e gli aranci fino a respirarne il profumo e il tepore, e il respiro. Ma un secondo prima di infilarle le dita nei capelli per sfuggire per una notte alla solitudine - minuscole gocce rosse in un immenso tramonto - l'ombra, il bambino, l'uomo che osservava il corpo nudo sotto le righe luminose della persiana, il templare inerme ed esausto, si voltarono tutti contemporaneamente a guardare indietro, in alto, la finestra illuminata a stento della torre della colombaia. Là dove un vecchio sacerdote solitario, scettico e coraggioso, decifrava il terribile segreto di un cielo privo di sentimenti, in compagnia del fantasma di una donna che cercava vele bianche all'orizzonte. 12.L'ira di Dio E scomparso davanti ai nostri occhi senza che riuscìssimo a capìre come. Gaston Leroux, Il fantasma dell'opera Dietro il fumo della pipa all'arcivescovo di Siviglia brillavano gli occhi per la soddisfazione. «E così Roma si arrende» disse. Quart posò la tazzina nel suo piattino e si asciugò le labbra con un tovagliolo ricamato dalle monache sacramentine. il suo sorriso sembrava un sospiro. «Può vederla anche così, illustrissimo.» Monsignor Corvo continuò a soffiar fuori fumo. Erano seduti uno davanti all'altro, separati dal tavolinetto basso Pagina 148
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt con due coperti su vassoi d'argento. Al mattino l'arcivescovo aveva l'abitudine di offrire la colazione al suo primo visitatore. il caffè con pane tostato, burro e marmellata di arance amare in realtà era destinato al decano della cattedrale, ma la visita inaspettata di Quart, che veniva a congedarsi, aveva modificato il protocollo. E l'arcivescovo detestava il caffè freddo. «Le avevo detto che non era una faccenda facile da risolvere.» Quart si appoggiò allo schienale della poltrona. Avrebbe volentieri privato l'arcivescovo del piacere di salutarlo con sarcasmi e sorrisetti affumicati dal tabacco inglese, ma le regole esigevano che gli presentasse i suoi rispetti prima di andarsene. E quindi era lì. «Ricordo all'illustrissimo che non sono venuto a risolvere nulla, ma solo a osservare la situazione per poi informarne Roma. Ed è ciò che mi accingo a fare. Monsignor Corvo gongolava. «Senza aver scoperto chi è Vespro» sottolineò. «E vero.» Quart guardava l'orologio. «Ma il problema non è semplicemente Vespro. il pirata informatico è solo un particolare aneddotico e la sua identità prima o poi finirà per essere scoperta. L'importante è la situazione di padre Ferro e di Nostra Signora delle Lacrime... il mio rapporto permetterà che qualsiasi decisione al riguardo venga presa con cognizione di causa.» Brillò la pietra gialla dell'anello arcivescovile quando il prelato sollevò una mano, tagliente. «Lasciamo perdere i cavilli da gesuita, padre Quart. in questa faccenda ha fallito.» Lo guardò con gioia appena dissimulata dal fumo della pipa. «Vespro si è preso gioco di Roma e di lei. Quart era irritato dalla sua disinvoltura a scovare pagliuzze negli occhi altrui. «E un punto di vista, illustrissimo.» Ammise senza dissimulare il suo sdegno. «Ma visto che ne parla, mi permetto di ricordarle che né io né Roma saremmo mai intervenuti se lei, reverendo, si fosse svegliato un po'"prima... Tanto Nostra Signora delle Lacrime quanto padre Ferro appartengono alla sua diocesi. Ed è noto il detto evangelico: pecorelle sparpagliate, pastore addormentato.» A quelle parole monsignor Corvo per poco non fece un salto sulla sedia. il fatto che la citazione fosse apocrifa non gli era di alcun conforto. L'agente dello Ior lo vide mordere il bocchino della pipa, esacerbato. «Senta, Quart» la voce gli uscìva fuori dura, a denti stretti «qui l'unica pecorella che pascola lontano dal suo gregge è lei. Crede forse che sia stupido? So delle sue visite alla Casa del Postigo e di tutto il resto. Delle sue passeggiatine e delle sue cene.» E subito dopo, rotti gli argini, monsignor Corvo, il cui talento per il pulpito era molto apprezzato nella diocesi, sintetizzò mirabilmente il suo dispetto e il suo malumore in un'aspra omelia di un minuto e mezzo, la cui tesi centrale era che l'inviato dello Ior si era lasciato coinvolgere dal parroco di Nostra Signora delle Lacrime e dalla sua personale "Greenpeace" di monache, aristocratiche e beghine, fino a perdere il senso della prospettiva e a tradire la sua missione a Siviglia. Seduzione alla quale non era estranea la figlia della duchessa del Nuevo Extremo. Che fra l'altro, aggiunse con evidente malignità, era ancora la signora Gavira. Quart incassava impavido la filippica, ma l'ultima allusione gli fece storcere la bocca. «Qualora abbia accuse precise da muovermi, sarei molto grato a monsignore se le mettesse per iscritto.» «Certo che lo farò.» Aquilino Corvo era contento di aver finalmente assestato una stoccata a Quart. «E invierò tutto ai suoicapi in Vaticano, al nunzio, al Padreterno. Lo farò per scritto, per telefono, per fax, e con sottofondo di chitarra e di un bel battimano flamenco.» Si tolse la pipa di bocca scoprendo un ampio sorriso. «Lei si ritroverà senza reputazione come io mi sono ritrovato senza segretario.» A quel punto non c'era altro da dire. Quart piegò il tovagliolo, lasciandolo cadere sul vassoio, e si alzò in piedi. «Se non desidera altro, reverendo...» « Nient'altro, figliolo.» L'arcivescovo lo guardava sprezzante. Era ancora seduto e si guardava la mano come se esitasse a chiudere la faccenda offrendo a Quart l'anello pastorale da baciare. Poi squillò il telefono e si limitò a congedarlo con un gesto, mentre si alzava per raggiungere la scrivania. Quart si abbottonò la giacca e uscì nel corridoio. i suoi passi risuonarono sotto i dipinti veneziani del soffitto della galleria dei Prelati, e poi sul marmo della scala principale. Fuori dalla finestra vedeva la Giralda, oltre il patio dove un tempo si trovava il carcere della Pergola, usato dai vescovi sivigliani per rinchiudere i sacerdoti indisciplinati. Si disse che molto probabilmente, un paio di secoli prima, padre Ferro e forse lui stesso si sarebbero scambiati impressioni là sotto, mentre monsignor Corvo inviava Pagina 149
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt a Roma, per via ordinaria e lentissima, la sua versione dei fatti. Quart rifletteva sui vantaggi della modernità e del telefono quando, giunto ormai all'ultima rampa di scale, sentì pronunciare il suo nome. Si fermò e guardò verso l'alto. l'arcivescovo in persona era affacciato alla balaustra e lo chiamava. Gli era svanita dalla faccia l'aria soddisfatta di chi ha appena riscosso un vecchio debito. «Venga su, padre Quart. Dobbiamo parlare.» Tornò sui suoi passi, incuriosito. E man mano che salìva i gradini verso l'illustrissimo, notò il pallore del suo volto. Aveva la pipa fra le dita e la colpiva distrattamente, con aria cupa. Le braci e la cenere macchiavano il marmo nero e rosa della balaustra, vuotando il fornellino, ma lui non sembrava rendersene conto. «Non può andarsene» disse a Quart quando questi gli fu accanto. «E successa un altra disgrazia nella chiesa.» Passò fra la betoniera e due macchine della polizia. Nostra Signora delle Lacrime era tutta un viavai di agenti in borghese e in uniforme. Quart ne contò una dozzina, compreso il poliziotto sulla porta e quelli dentro che scattavano le foto, a caccia di impronte digitali, o intenti a controllare pavimento, panche e impalcature. Risuonavano i rumori e le loro conversazioni a bassa voce. Gris Marsala era seduta sui gradini dell'altare maggiore, sola. Quart si diresse verso di lei percorrendo il corridoio centrale, e quando era ormai a metà gli venne incontro Simeon Navajo. il vicecommissario portava come sempre i capelli a coda di cavallo, gli occhiali rotondi sopra gli enormi baffi, la camicia di un vivace rosso garibaldino e la borsa di cuoio arabo alla spalla, con dentro la 357 Magnum, immaginò il sacerdote. Pensò assurdamente che Navajo stonava molto nello scenario della chiesa: l'altare barocco illuminato per i poliziotti, le vetrate e i dipinti del soffitto in rovina, il confessionale di legno scuro all'ingresso della sacrestia, gli ex voto appesi accanto al Cristo della porta. Si strinsero la mano. Navajo sembrava contento di vedere Quart. «E fanno tre, padre.» Lo disse in tono noncurante, come se fosse una conferma alle loro conversazioni sull'indice potenziale di mortalità di Nostra Signora delle Lacrime. Si appoggiò con disinvoltura all'inginocchiatoio di una panca e Quart, guardando da sopra la sua testa, notò che dal confessionale spuntavano due piedi immobili. Si avvicinò senza dire parola, subito seguito da Navajo. La porta del confessionale era aperta. Quart pensò che i piedi erano in una posizione strana. Poi riuscì a scorgere gli spiegazzati pantaloni beige. il resto del corpo era coperto da un telo azzurro, ma si vedeva una mano con il palmo aperto verso l'alto e una ferita che l'attraversava dal polso all'indice. La mano aveva il colore giallastro della cera vecchia. «Strano posto, vero?» il vicecommissario fece una pausa conciliante guardando il cadavere e poi il sacerdote, pronto ad ascoltare qualsiasi suggerimento valido. «Per morire.» «Chi è?» La domanda che Quart aveva formulato con voce rauca, assente, era superflua. Aveva riconosciuto le scarpe, i pantaloni beige, la mano piccola, molle e flaccida. il poliziotto si accarezzava i baffi con aria distratta. Sembrava che l'identità del defunto fosse trascurabile e che lui stesse pensando ad altro. «Si chiama Honorato Bonafé ed è un giornalista piuttosto noto a Siviglia.» Quart annuì. Troppe domande, pensava. Troppe visite inopportune. Ora, invece, Navajo lo guardava. «Lo conosce, vero?... Lo immaginavo. A quanto mi dicono, negli ultimi giorni il poveretto si era dato da fare andando molto in giro... Vuole vederlo, padre?» il vicecommissario si piegò dentro il confessionale, con il codino che si agitava come la coda di uno scoiattolo diligente, e sollevò il telo che copriva il cadavere. Bonafé era perfettamente immobile e completamente giallo, appoggiato nell'angolo al sedile di legno del confessionale, con il mento sprofondato nelle pieghe della grassa pappagorgia. Aveva un ematoma violaceo, molto esteso, sul lato sinistro della faccia, e gli occhi chiusi. La sua espressione era placida, forse stanca. Un umore grigiastro, ormai secco, gli colava dal naso e dalla bocca, allargandosi sul collo e sul davanti della camicia. «il medico legale gli ha appena dato un'occhiata.» il vicecommissario indicò un giovane che prendeva appunti su una delle panche. «Emorragia interna, dice, con qualche frattura. Un colpo, forse, o una caduta. Non è però chiaro come si sia infilato qui. O come ce lo abbiano messo.» Per mero riflesso professionale, vincendo la ripugnanza che, in vita, l'individuo aveva risvegliato in lui, Quart mormorò una breve preghiera per i defunti e fece sul suo corpo il segno della croce. Alle sue spalle, Navajo lo osservava con interesse. «io al suo posto non mi affaticherei, padre. E un pezzo Pagina 150
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt che è così. Perciò, in qualunque posto dovesse andare» le sue mani imitarono due alucce che volavano da qualche parte «sarà ormai già arrivato. «Quando è morto?» «E presto per dirlo» spiegò il medico legale. «Ma così, a occhio, credo tra le dodici e le quattordici ore.» Alcuni poliziotti salìti sull'impalcatura accanto alla Madonna conversavano animatamente, e le loro voci risuonavano sotto la volta. il vicecommissario li redarguì e loro abbassarono il tono confusi, come bambini richiamati all'ordine nella cappella della scuola. Quart si voltò verso Gris Marsala che, ancora seduta, lo guardava. Per la prima volta gli parve fragile, molto sola, immobile sui gradini dell'altare. Mentre copriva di nuovo Bonafé, il poliziotto disse che era stata la monaca a trovarlo quando era arrivata lì di buon mattino. «Vorrei parlare con lei.» «Certo, padre.» Navajo metteva ogni cura nel coprire il cadavere col telo e sorrideva torcendosi i baffi, deciso e comprensivo. «Ma se non le dispiace, preferirei che prima mi raccontasse lei, brevemente, perché conosce il defunto... Così non mischiamo le testimonianze ed è tutto molto più spontaneo.» Si alzò, osservandolo da sopra gli occhialini tondi. «Non crede?» «Come vuole. Ma in realtà dovrebbe parlare col parroco.» il poliziotto sostenne un istante il suo sguardo, senza rispondere. Poi annuì vigorosamente. «Sì. Credo anch'io. il problema è che stamattina non c'è modo di rintracciare don Priamo Ferro. Strano, vero?» Si guardava attorno, come se si aspettasse di scoprire il parroco dietro un'impalcatura, o in qualche angolo buio della navata. «Siete stati a casa sua?» chiese Quart. Navajo si voltò a guardarlo con compatimento per una simile stupidaggine. Sembrava deluso, come se si aspettasse più aiuto da parte sua. «A quanto mi dicono» spiegò «è sparito dalla faccia della terra. Alé, hop. Sul carro del profeta Elia. ' Quart raccontò dettagliatamente a Simeòn Navajo ciò che sapeva di Honorato Bonafé, e tutto ciò che ricordava dei loro incontri nell'atrio dell'hotel Dolia Maria. La conversazione fu interrotta due volte dagli squilli di un cellulare, che il poliziotto estrasse dalla borsa marocchina chiedendo puntualmente scusa a Quart. La prima telefonata ribadì che padre Ferro continuava a non dare segno di vita. Era stato come ogni sera nella colombaia della Casa del Postigo, particolare confermato da Quart, compresa l'ora in cui si erano salutati, e poi era scomparso senza lasciare traccia. Quanto alla canonica, la donna delle pulizie assicurava che il letto nella camera del parroco era intatto. Riguardo al vicario, padre Lobato era partito alla volta della sua nuova parrocchia la sera precedente, in pullman, e il viaggio era lungo e si facevano varie ipotesi. Polizia e Guardia Civil stavano cercando di rintracciarlo... indiziati?, il vice commissario mise via il cellulare dopo l'ultima chiamata. Finché non venivano determinate le cause del decesso, nessuno era ancora sospetto. O, in altri termini, lo erano tutti. Anche se alcuni più di altri. Guardava da sopra gli occhiali con un velato sorriso di scusa sotto i baffi. «Come andiamo a percentuali stavolta?» si interessò Quart. Navajo si grattò il dorso del naso. «Bè, detto fra noi, padre, direi che stavolta qualcuno ha aiutato un pochino la chiesa. Quart non dette segni di sorpresa. Non era certo un esperto di cadaveri, anche se ne aveva visto qualcuno. Ma quanto a Bonafé, bastava dargli un'occhiata. «Assassinato?» Lo chiese, in realtà, per spingere il vicecommissario ad aggiungere qualche informazione. Navajo abbozzò un sorriso, assecondandolo, e si portò la mano alla nuca per mostrare i capelli raccolti nel codino. «Mi ci gioco l'appendice.» Poi si fece serio e scrollò le spalle. «E il suo collega, il parroco, sembra avere i numeri vincenti.» «Per la sua assenza?» «Certo. A meno che il medico legale non cambi parere.» Un agente venne a reclamare l'attenzione di Navajo che lo seguì. Quart avanzò verso i gradini dell'altare maggiore, dove era ancora seduta Gris Marsala. «Come si sente?» Si abbracciava le gambe, appoggiando il mento sulle ginocchia. «Stordita, suppongo.» il suo accento statunitense era più pesante del solito. «Ma sto bene.» «L'ha infastidita molto la polizia?» La monaca rifletté un momento, senza cambiare posizione. «No» disse alla fine. «Mi hanno trattato con gentilezza.» Era vestita come sempre, una polo e i jeans macchiati di gesso. La treccia era fermata con un elastico. Lì, seduta nella chiesa invasa dal viavai, dai rumori e dalle voci dei poliziotti, sembrava più sola e inerme del solito. «Cercano padre Ferro.» Quart le si sedette accanto. All'improvviso gli parve che le sue parole suonassero eccessive, così dopo una pausa aggiunse. «E anche padre Lobato.» Lei annuì leggermente. Continuava a guardare il confessionale, assorta. Di tanto in tanto sbatteva le palpebre, come cercasse di tracciare Pagina 151
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt i confini tra sogno e realtà. Dopo un istante sospirò a fondo e tornò ad annuire. «E possibile» disse alla fine «che Oscar sia andato a far visita ai suoi genitori, che vivono in un paesino in provincia di Malaga, prima di proseguire il viaggio verso meria... Per questo tardano a rintracciarlo.» Furono abbagliati dal lampo di un flash. Uno dei poliziotti fotografava qualcosa per terra, alle loro spalle. Quart si sbottonò la giacca e si chinò in avanti, intrecciando le dita. «E don Priamo?» Lei si aspettava la domanda, che senza dubbio le avevano già fatto in precedenza. «Non lo so. Sono venuta stamattina, come ogni giorno, alle nove. E ho trovato la chiesa chiusa... L'aprìva sempre uno dei due alle sette e mezzo, per la messa delle otto. Oggi nessuno ha detto messa. «Mi hanno riferito che è stata lei a trovarlo.» «Sì. Prima sono andata nella canonica, ma non rispondeva nessuno. Così sono entrata dalla porta della sacrestia con la mia chiave.» Fece un'espressione perplessa, scrollando le spalle. «All'inizio non ho visto nulla. Mi sono avvicinata all'impalcatura della vetrata, ho acceso le luci e ho preparato le mie cose. Ma mi sembrava tutto molto strano, così ho deciso di telefonare a Macarena per sapere se don Priamo aveva lavorato nella colombaia la sera... E andando in sacrestia ho visto l'uomo nel confessionale.» «Lo conosceva?» Gli occhi chiari s'indurirono un istante. «Sì. Una volta ha abbordato per strada me e Oscar, facendoci domande sui lavori nella chiesa e su don Priamo. Oscar l'ha mandato al diavolo.» Quart le guardava le scarpe da tennis, la pelle pallida delle caviglie, la cicatrice al polso. Continuava ad abbracciarsi le gambe, il mento appoggiato sulle ginocchia. L'irruzione di tanta gente nella chiesa sembrava sconcertarla, strappandole la sicurezza del terreno noto. Quart si agitò, a disagio. Aveva un mucchio di faccende di cui occuparsi, non aveva ancora avuto modo di mettersi in contatto con Roma, ma non si decideva ad abbandonare la donna in quello stato. indicò Simeòn Navajo, che andava e veniva controllando il lavoro dei suoi uomini. «Temo che il vicecommissario continuerà a infastidirla. Tre morti ormai sono davvero molti. E stavolta l'ipotesi dell'incidente appare improbabile... Vuole che telefoni al suo console?» L'offerta gli valse un sorriso di gratitudine. «Non credo che sia necessario. i poliziotti si stanno comportando molto bene.» «Ha parlato con Macarena?» Quart provò un estremo turbamento pronunciando il nome che fino a quell'istante aveva saldamente trattenuto nella sua testa. Poteva lasciarsi andare alla deriva, senza il minimo sforzo, dietro le quattro sillabe che aveva pronunciato solo qualche ora prima sulle labbra stesse della donna, dentro la sua bocca. E all'improvviso tutto era di nuovo penombra, splendore avariato, tocco della carne tiepida di cui portava ancora il profumo sulla pelle, sulle mani, sulle labbra che lei aveva morso fino a farle sanguinare. il corpo bruno che si materializzava dalle sue fantasticherie, linee di luce e ombra nell'immenso candore delle lenzuola che li accoglievano come un deserto di neve o di sale. Lei, tesa, snella, che si dibatteva per fuggire senza volerlo realmente, per scappare desiderando restarsene lì, la testa rovesciata indietro, un'espressione assente sul bel volto trasfigurato, egoista come una maschera, gemendo contratta fra le braccia che la trattenevano decise e dure, inchiodata alla carne dell'uomo a cui cingeva i fianchi con le sue cosce nude. Riprendendo fiato tra il caldo e la salìva sulla pelle umida, il sesso umido, la bocca umida, la curva umida dei suoi seni fino alla spalla, il collo tiepido, il mento, e di nuovo la bocca e il gemito, le cosce tese, aperte come una sfida, un riparo o un rifugio. Lunghe ore intense di pace e di combattimento trascorse in un solo istante, perché in ogni attimo lui sapeva che quanto stava accadendo aveva un limite e una fine. Fine giunta con l'alba e con il suo ultimo fremito, lungo, intenso, sotto la luce grigia, ingrata, che filtrava ormai dalle finestre della Casa del Postigo. E all'improvviso Quart si era ritrovato di nuovo solo nelle strade deserte di Santa Cruz, senza sapere, qualora ci fosse qualcos'altro sotto la carne esausta, se si era appena dannato l'anima o se l'aveva salvata. Scosse il capo per cacciar via il ricordo. Disperazione era la parola esatta. Per non cedere iniziò a guardarsi attorno, la chiesa, le impalcature, la statua della Madonna nel retablo adesso illuminato, i poliziotti che chiacchieravano animatamente accanto al cadavere di Honorato Bonafé, e ricorse alla vicinanza della tragedia come meccanismo di controllo. in seguito, si disse con uno sforzo di volontà. Forse in seguito. Tenere la mente occupata con tutto ciò gli dava un sollievo molto vicino all'oblio. «Stamattina non ci siamo ancora parlate. Gris Marsala si era voltata e lo fissava, Quart tardò qualche istante a ricordare che lei stava rispondendo a una sua domanda. Si chiese cos'altro sapesse degli avvenimenti delle ultime Pagina 152
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt ore, sia della chiesa, sia di lui e Macarena. «Ma la polizia è andata a farle visita» aggiunse la monaca. «Credo che ci siano ancora gli agenti alla Casa del Postigo.» il sacerdote aggrottò la fronte, Simeòn Navajo non era un uomo che perdeva tempo. E neppure lui poteva restare indietro. Mezz'ora prima, all'arcivescovado, monsignor Corvo glielo aveva detto chiaramente per evitare malintesi: che Vespro c'entrasse o no, la faccenda riguardava esclusivamente Roma, e cioè Lorenzo Quart, e l'illustrissimo se ne lavava le mani. La musica doveva ballarla chi l'aveva fatta suonare, e non era il caso del diocesano di Siviglia. Naturalmente Quart e lo Ior potevano contare su tutto il suo appoggio e le sue preghiere, eccetera eccetera. Quindi buona fortuna e tanti saluti. «Dov'è padre Ferro?» Senza aspettare la risposta di Gris Marsala, Quart si immerse nell'analisi della situazione. Simeon Navajo era in vantaggio, ma la corsa dovevano finirla in parità: a Roma non avrebbero incassato bene l'arresto di un sacerdote prima che Quart potesse dar loro informazioni per ammortizzare il colpo. Anche se l'ideale sarebbe stato che fosse la Chiesa stessa a prendere l'iniziativa. Era necessario cercare un buon avvocato per il parroco e difendere la sua innocenza fino a prova contraria, ma anche, in caso di colpevolezza manifesta, facilitare al massimo l'azione della giustizia secolare. Come sempre, l'importante era salvare le forme. Restava solo da vedere come risolvere gli eventuali problemi di coscienza dello stesso Quart, ma era un problema che poteva aspettare tempi migliori. «Di don Priamo ne so quanto lei» Gris Marsala gli rivolse un lungo sguardo, sorpresa dalla scarso interesse che lui sembrava mostrare per le sue risposte. «L'ho visto qui ieri un momento, a metà pomeriggio. Tutto normale.» Anche Quart l'aveva visto a mezzanotte, tutto normale, e nel frattempo Honorato Bonafé era morto. Guardò l'orologio, inquieto. il problema della sua corsa contro Simeon Navajo era che il poliziotto poteva contare su mezzi migliori, e non c'era ancora l'autopsia per determinare responsabilità o piste verso le quali orientarsi. Nelle ore successive avrebbe dovuto compiere ogni mossa alla cieca, basandosi su intuizioni. «Chi ha chiuso la chiesa?» Gris Marsala esitava. «La porta sulla strada o la sacrestia?» «La porta sulla strada.» «io, come sempre.» Aggrottò la fronte, riordinando i ricordi. «in questo periodo lavoro finché c'è luce, fino alle sette, sette e mezzo di sera. Ho fatto così anche ieri... Quella della sacrestia la chiudono Oscar o don Priamo, alle nove.» Oscar Lobato era irraggiungibile, così Quart si rassegnò a scartarlo per motivi pratici. Navajo sarebbe stata l'unica fonte d'informazione riguardo al vicario. Si consolò pensando che per il resto il clero era in vantaggio. Ma era urgente telefonare a Roma, recarsi alla Casa del Postigo, tenere sotto controllo Gris Marsala e, soprattutto, rintracciare il parroco. Perché il colpo più duro poteva arrivare proprio da lì. Puntò il dito verso il confessionale. «ieri ha visto quell'uomo gironzolare qua attorno?» «Fino alle sette e mezzo, assolutamente no. Non ho lasciato la chiesa neppure per un attimo.» La monaca rifletté qualche istante. «Deve essere entrato più tardi, dalla sacrestia.» «Fra le sette e mezzo e le nove» la spinse a precisare Quart. «Suppongo di sì.» «Chi ha chiuso la sacrestia?... Padre Lobato?» «Non credo. Oscar è venuto a salutarmi a metà pomeriggio, perché il suo pullman partiva alle nove. Quindi non poteva chiudere la porta della sacrestia. E stato sicuramente padre Ferro. Però non so a che ora.» «In ogni modo, avrebbe visto Bonafé nel confessionale.» «E possibilissimo che non l'abbia visto. Stamattina neppure io l'avevo visto, all'inizio. Forse don Priamo non è nemmeno entrato in chiesa e si è limitato a chiudere la porta dal corridoio che comunica con casa sua.» Quart fece mente locale. Come alibi era debole, ma per il momento era l'unico che potevano mettere insieme: se l'autopsia determinava che Bonafé era morto fra le sette e mezzo e le nove, il ventaglio di possibilità era un po'"più ampio, considerando che il parroco poteva aver chiuso la porta senza affacciarsi. Ma se la morte era avvenuta più tardi, le cose si sarebbero complicate con la porta chiusa, e soprattutto con la scomparsa di padre Ferro che lo trasformava in persona sospetta. «Dove sarà?» mormorò Gris Marsala. La perplessità e un tocco d'angoscia rendevano più trascurato il suo spagnolo, evidenziando l'accento statunitense. Quart sollevò leggermente le mani, impotente, senza sapere che dire, pensando ad altro. La sua testa funzionava come un orologio, avanti e indietro, mettendo insieme orari e alibi. Da dodici a quattordici ore, aveva detto Navajo. in teoria c'era tutta una serie difatti Pagina 153
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt imponderabili, di personaggi sconosciuti che potevano essere implicati, ma era inutile arrischiare supposizioni. Nell'ambiente più vicino, la lista invece non era né lunga né difficile. Se si voleva includere tutti, padre Oscar poteva aver ucciso Bonafé e poi essersene andato. Anche padre Ferro aveva avuto tempo d'avanzo per ammazzarlo, chiudere la porta della sacrestia e andare alla colombaia, dove aveva incontrato Quart alle undici in punto, prima di sparire. E in ogni modo, come metteva in evidenza la logica poliziesca di Simeon Navajo, la sua scomparsa lo metteva in cima alla lista, con grande vantaggio sugli altri. Seguendo l'elenco degli indiziati, anche Gris Marsala era un personaggio da prendere in considerazione, visto che si muoveva per la chiesa come un gatto, con la porta principale chiusa e la sacrestia aperta fino alle nove, senza che nessuno potesse confermare le sue dichiarazioni. Quanto a Macarena Bruner, Quart era andato a cena a casa sua alle nove, e lei era lì, in compagnia di sua madre. Quindi, in linea di massima, si poteva scartarla, ma l'ora e mezzo precedente collocava anche lei in una zona a rischio. Senza contare che temeva di essere ricattata da Bonafé. Santo cielo. irritato con se stesso, Quart dovette compiere nuovamente uno sforzo per mantenere la concentrazione. L'immagine di Macarena disperdeva i suoi pensieri, ingarbugliando il filo logico tra la chiesa, il cadavere e i personaggi noti della storia. in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per avere la testa tranquilla e fregarsene di tutti loro. Era arrivato il giudice istruttore. i poliziotti si raggrupparono vicino al confessionale, pronti a procedere al trasferimento del cadavere. Quart vide che Simeon Navajo conversava con il giudice sottovoce, e di tanto in tanto guardavano verso di lui e Gris Marsala. «Forse dovrà rispondere ad altre domande» disse alla monaca. «Preferisco che d'ora in avanti lo faccia con l'assistenza di un avvocato. Finché non troveremo padre Ferro e il vicario, è preferibile essere prudenti. D'accordo?» «Sì.» Quart scrisse un nome su un biglietto e glielo consegnò. «E una persona di piena fiducia, specializzata in diritto canonico e penale, a cui ho telefonato dall'arcivescovado. Si chiama Arce e ha lavorato per noi altre volte. Arriverà da Madrid a mezzogiorno... Gli racconti tutto ciò che sa e segua le sue istruzioni alla lettera.» Gris Marsala guardò il nome scritto sul foglio. «Lei non fa venire un avvocato così importante solo per me.» Non appariva impaurita, ma immensamente triste. Sembrava che la chiesa fosse davvero crollata davanti ai suoi occhi. «Certo che no.» Quart voleva confortarla con un sorriso. «E per tutti noi. La faccenda sta diventando molto delicata, è intervenuta la giustizia civile. E meglio essere assistiti da uno specialista.» Lei piegò con cura il biglietto prima di infilarlo in una delle tasche posteriori dei jeans. «Dov'è don Priamo?» chiese di nuovo. C'era un rimprovero nei suoi occhi chiari, quasi incolpasse Quart per la scomparsa del parroco. Quest'ultimo scosse il capo. «Non ne ho la minima idea» rispose a voce bassa. «Ed è questo il problema.» «Non è uno che scappa. ' Era d'accordo con lei, ma non aggiunse nulla. Guardava il confessionale. i poliziotti avevano tolto il telo azzurro e stavano portando via il corpo di Bonafé infilandolo in un sacco di plastica metallizzata che sis temarono su una barella. Senza smettere di conversare con il giudice, il vicecommissario Navajo li osservava. «So che non è uno che scappa» disse alla fine Quart. «Ed è proprio questo l'altro problema.» impiegò meno di cinque minuti a percorrere il tratto di strada che separava Nostra Signora delle Lacrime dalla Casa del Postigo. Non sudava mai, ma quando suonò il campanello, la camicia nera, sotto la giacca, gli si era incollata alle spalle e alla schiena. Aprì la domestica, e non appena ebbe chiesto di Macarena, Quart la vide sotto gli archi del patio che parlava con due poliziotti, un uomo e una donna. Lei avverti la sua presenza e lo fissò, perfettamente immobile, poi si congedò dagli agenti e gli andò incontro. indossava una camicetta a quadrettini azzurri, i jeans e i sandali della sera prima, era senza trucco e aveva i capelli sciolti e ancora umidi. Profumava di schiuma da bagno. «Non è stato lui» disse. All'inizio Quart non rispose. Quando decise di farlo, fu sul punto di chiederle a chi si riferisse. il patio profumava di citronella e di basilico, e il sole del mattino, riflesso nei vetri del piano superiore, sfiorava già con rettangoli di luce le lunghe foglie verdi delle felci e i vasi di gerani sul pavimento Pagina 154
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt a mosaico appena lavato. instillava anche gocce di miele negli occhi scuri della donna, e tutti i punti di riferimento su cui Quart basava la sua disinvoltura andarono di nuovo alla deriva, disorientandolo. «Dov'è?» chiese alla fine. Macarena chinò il volto, seria, e lo fissò. «Non lo so. Ma non ha ammazzato nessuno.» Erano molto lontani dalla notte, dal giardino sotto la finestra illuminata della colombaia, dalle foglie di bouganville e di arancio che si delineavano con ombre lunari sul volto e sulle spalle di lei. Dalla maschera assorta piena di chiaroscuri. L'avorio non era lo stesso sulla pelle appena lavata del mattino, e non c'era più mistero, né complicità, né sorriso. il templare esausto si guardò attorno un po'"sconcertato, sentendosi nudo sotto il sole, la spad a rotta, l'armatura distrutta. Mortale come il resto dei mortali, vulnerabile e banale come tutti loro. Smarrito, come aveva detto Macarena con estrema precisione poco prima di operare nella sua carne il cupo miracolo. Perché era scritto: "Lei distruggerà il tuo cuore e la tua volontà". E le vecchie scritture erano sagge. La squisita, innocente malvagità legata al potere distruttore di ogni donna, lasciava alla vittima la lucidità necessaria per contemplare i danni della sconfitta. E a Quart bastava per ritrovarsi ad affrontare la propria condizione, coinvolto suo malgrado, privato per sempre di un alibi con cui mettersi in pace la coscienza. Guardò l'orologio senza riuscìre a leggere l'ora, si toccò il collare della camicia, palpò la giacca all'altezza della tasca dove teneva i biglietti per prendere appunti. Cercava l'ultima goccia di sangue freddo dietro i soliti gesti familiari. Macarena lo guardava paziente, in attesa. Parlare, si disse lui. Parlare lontano dal giardino e dalla sua pelle e dalla luna. C'è un mistero da risolvere ed è il motivo che mi ha spinto qui. «E tua madre?» Era imbarazzante darsi del tu per la prima volta alla luce del sole, ma Quart, anche se ormai non era più un buon soldato, detestava le ipocrisie da sacerdote che si scandalizza da solo. indifferente alle sfumature, Macarena accennò distratta alla galleria al primo piano. «E su a riposare. Non sa nulla.» «Che cosa sta succedendo?» Lei scosse il capo. Le punte dei capelli le lasciavano tracce umide sulla camicia, sulle spalle. «Non lo so» pensava ancora a padre Ferro, non a Quart. «Ma don Priamo non farebbe mai un'azione del genere.» «Neppure per la sua chiesa?» «Neppure. i poliziotti dicono che Bonafé è morto in prima serata. E tu, ieri sera, sei stato con don Priamo. Credi che sarebbe venuto qui, tranquillamente, a guardare le stelle dopo aver ucciso un uomo?... Alzò le mani invocando un po'"di buon senso, e poi le lasciò ricadere giù. «E ridicolo.» «Ma è fuggito. Macarena parve incerta. «Non ne sono sicura. Ed è la ragione per cui mi preoccupo.» «allora dammi un'altra spiegazione. O aiutami a trovarlo.» Ora lei contemplava i disegni del pavimento, assorta. Quart studiò il suo volto: la nascita delle linee dolci, in basso, sotto il colletto sbottonato della camicia che suggeriva la spallina di un reggiseno bianco. Sentì un formicolio sulle dita riconoscendo quel cammino buio e tiepido, con la desolazione di ciò che è perduto per sempre. Macarena Bruner continuava a essere assolutamente bella anche alla luce del giorno. «i poliziotti sono venuti un'ora fa e non ho quasi avuto il tempo di riflettere... Ma c'è qualcosa. Un particolare che non torna.» Aggrottò la fronte dividendo la sua perplessità con Quart. «immagina per un momento che don Priamo non c'entri affatto. E che ieri sera si sia comportato in modo così naturale per questo motivo.» «Non è tornato a dormire a casa» ribatté lui. «E supponiamo che abbia chiuso la chiesa con il cadavere dentro.» «Non posso crederci.» Ora Macarena gli appoggiava una mano sul braccio. «E se fosse successa una disgrazia? Non so. A volte accadono incidenti.» Quart fece uno scatto brusco di lato, allontanandosi dalla mano, ma lei, indifferente a tutto eccetto che alla propria inquietudine, non se ne rese conto. Fra i due, l'acqua cantava nella fontana sugli azulejos. «Tu hai qualcosa in mente» disse lui. «Qualc osa che io non so. Dove sei stata ieri, prima di cena?» La vide tornare da molto lontano. «Con mia madre.» Sembrava sorpresa della domanda. «Ci hai visto qui, assieme.» «E prima?» «Ho fatto una passeggiata in centro, sono andata a guardare i negozi... » S'interruppe di colpo, fissandolo stupita. «Non mi dirai che sospetti di me.» «i miei sospetti non hanno importanza. E la polizia che mi preoccupa.» Lo osservò ancora un istante e poi soffiò fuori l'aria trattenuta nei polmoni. Non sembrava arrabbiata, ma confusa. «i poliziotti sono stupidi» mormorò. «Ma non fino a questo punto. O almeno lo spero.» iniziava a fare molto caldo. Quart si sbottonò la giacca e rimase immobile davanti a Macarena. Era l'unica carta che gli dava un leggero vantaggio Pagina 155
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt su Simeon Navajo, anche se la distanza si accorciava di minuto in minuto. Forse avevano già rintracciato Oscar Lobato, con la sua versione dei fatti. «E domani è giovedì» disse lei. Si appoggiava al bordo della fontana, desolata, e Quart capì immediatamente a cosa aveva pensato tutto il tempo, da quando i poliziotti le avevano comunicato la notizia: se il giorno dopo non veniva celebrata la messa, il privilegio di Nostra Signora delle Lacrime poteva considerarsi estinto. L'arcivescovo di Siviglia, il Comune e il Banco Cartujano si sarebbero tuffati come avvoltoi sulla loro preda. «Ora la chiesa è il problema minore» disse con malumore. «Se ricompare padre Ferro, è molto probabile che domani venga arrestato.» «A meno che non c'entri affatto...» «Prima bisogna trovarlo. E chiederglielo. Meglio noi che la polizia.» Macarena scosse il capo come se non fosse quella la questione. Si era portata una mano alla bocca per mordersi, assorta, l'unghia del pollice. Quart temeva di spaventarla, di interrompere i suoi pensieri. Lei era la sua unica speranza. «Domani è giovedì» ripeté Macarena, ancora assente. il suo tono era di verso da quello della prima volta. Ora traspariva una collerica certezza, e anche una minaccia contro qualcosa, o contro qualcuno. E Quart la vide annuire lentamente, con espressione cupa. il lustrascarpe finì di lucidare le scarpe di Octavio Machuca, gli vendette un biglietto della lotteria e se ne andò con la sua scatola di vernici sotto il braccio, canticchiando una canzone popolare. i raggi del sole cadevano a picco, e un cameriere del Campana faceva cigolare la manovella del tendone per mettere al riparo i tavoli all'aperto. Seduto accanto a Machuca, Pencho Gavira beveva con piacere una birra gelata. i parabrezza delle automobili riflettevano le luci della strada nelle lenti dei suoi occhiali scuri e negli splendenti capelli neri pettinati all'indietro con la brillantina. il vecchio banchiere raccontava qualcosa, un episodio collegato all'ultima seduta degli azionisti, e Gavira annuiva distratto, voltato verso di lui, ma senza prestargli troppa attenzione. il segretario di Machuca ormai se n'era andato, e il presidente del Banco Cartujano ammazzava gli ultimi minuti di tempo prima di andare a pranzo a Casa Robles. Di tanto in tanto, Gavira dava di nascosto un'occhiata all'orologio. Aveva un appuntamento di lavoro: un pranzo con tre consiglieri che la settimana successiva avrebbero deciso il suo futuro. Gavira era propenso ad abundare, piuttosto che deficere, perciò nelle ultime ore aveva messo in marcia un delicato gioco di pressioni. Dei nove membri del consiglio, quei tre erano malleabili con gli argomenti opportuni, e contava anche su un Quart, del quale certe informazioni molto private, alcune foto su uno yacht di Sotogrande in compagnia di un ballerino con la passione per i banchieri maturi e per la cocaina, permettevano di prevedere una cooperazione più o meno entusiasta. Ecco perché, contrariamente alle sue abitudini, non prestava la dovuta attenzione alle parole del suo capo e protettore, limitandosi ad annuire di tanto in tanto fra un sorso di birra e l'altro. Si concentrava come un samurai prima del combattimento, pensando già alla disposizione dei posti a tavola, ai termini in cui avrebbe presentato la faccenda, al climax e al prevedibile finale. Gavira sapeva molto bene, per esperienza, che non era lo stesso corrompere tre consiglieri di banca o un impiegatuccio qualsiasi. Anche se in fondo si rivelavano sempre più facili i consiglieri, lo stile era diverso e le apparenze erano un po'"più costose. il cameriere interruppe la chiacchierata di Machuca: c'era una telefonata per don Fulgencio Gavira. il giovane banchiere si scusò ed entrò nel locale, togliendosi gli occhiali da sole. Era senza dubbio Peregil, che non aveva dato segno di vita in tutta la settimana. Si avvicinò a un angolo del bancone e prese la cornetta dalla mano della cassiera. Non era Peregil, ma la sua segretaria, e chiamava dall'ufficio dell'Arenal. Nei tre minuti successivi Gavira ascoltò in silenzio, senza fare il minimo commento. Poi ringraziò e riappese. impiegò un'eternità ad arrivare alla porta, toccandosi il nodo della cravatta come se volesse allentarlo. Doveva riordinare le idee, che si confondevano per il caldo, il brusio delle conversazioni, la luce abbagliante e il frastuono delle automobili. Era difficile stabilire se ciò che era successo era un bene un male, ma i suoi piani erano sconvolti, e gliene servivano di nuovi. Tuttavia Gavira aveva sangue freddo d'avanzo: prima di arrivare alla porta aveva già guardato l'orologio, cosciente dell'impossibilità di annullare il pranzo previsto, aveva maledetto Peregil per non essere a disposizione quando aveva più bisogno di lui, e aveva individuato almeno tre buone ragioni per considerare positivo quanto aveva appena saputo. Sfiorò quasi l'ottimismo mentre uscìva Pagina 156
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt ancora con gli occhiali da sole in mano, meditando sul modo di porgere la notizia a don Octavio Machuca. Ma il vecchio non era solo. Si era alzato in piedi a baciare Macarena, scortata dal prete alto venuto da Roma, e ora lo stavano guardando. allora Gavira sbottò a denti stretti in una bestemmia sonora come una frustata, che fece voltare due scandalizzate signore di una certa età che lo incrociarono sulla soglia. Fu Macarena a dire quasi tutto. Stava seduta sul bordo della sedia, davanti a Machuca, chinandosi verso di lui mentre parlava. Aggrottava la fronte concentrata, cupa, e Lorenzo Quart osservò il suo profilo fra i capelli che le ricadevano sulle spalle, le maniche della camicia a quadretti azzurri rimboccate sopra gli avambracci abbronzati, e le mani lunghe ed espressive, che agitava vicino alle ginocchia del vecchio banchiere. Quest'ultimo, di tanto in tanto, le prendeva una mano per stringerla dolcemente fra i suoi artigli scarni, nel tentativo di tranquillizzarla. Macarena però non sembrava inquieta, ma furiosa. Erano il suo terreno, suo marito, il suo padrino. Le sue simpatie e le sue fobie, la sua memoria e le sue ferite. Per cui Quart doveva tenersi in disparte, lasciarsi guidare da lei, ascoltare mentre osservava i due uomini che, in un modo o nell'altro, avevano nelle loro mani la sorte di Nostra Signora delle Lacrime. Finalmente Macarena terminò, appoggiandosi di scatto allo schienale della sedia con un'occhiata carica di odio a Pencho Gavira, che era rimasto in silenzio e fumava con le gambe accavallate. Impavido, aprìva e chiudeva le stanghette degli occhiali da sole sul tavolo, rivolgendo di tanto in tanto silenziose occhiate a Quart. Tutti osservavano lui, adesso. E fu il vecchio Machuca a parlare per primo. «Pencho, che cosa ne sai della faccenda?» Quart vide che Gavira lasciava in pace gli occhiali. La stessa mano si avvicinò alla bocca con fermezza, tenendo la sigaretta fra due dita. «Non scherziamo, don Octavio. Cosa vuole che ne sappia. La birra, ormai senza schiuma, si scaldava nel bicchiere. Arrivò un mendicante a chiedere una moneta e Machuca lo allontanò con un gesto. «Non stiamo parlando del morto» disse Macarena. «Ma della scomparsa di don Priamo.» Gavira dette un'altra tirata alla sigaretta e passò un'eternità prima che soffiasse fuori il fumo. Continuava a guardare Quart. «Una cosa sarà legata con l'altra. Secondo me.» Macarena strinse il pugno, come per colpire il tavolo. O suo marito. «Sai bene che non hanno niente a che vedere.» «Sbagli. Non so proprio nulla.» La bocca di Gavira divenne una piega crudele. «L'esperta in chiese e in preti sei tu» indicò Quart «che non vai da nessuna parte senza il tuo padre spirituale.» «Idiota. Octavio Machuca sollevò una mano magra per calmare gli animi. Quart, che restava in silenzio, al margine del colloquio, notò che da dietro le palpebre socchiuse il vecchio banchiere non perdeva di vista Gavira. «Pencho, la verità» disse Machuca. «Voglio la verità.» Gavira finì la sigaretta e la gettò sul marciapiede, ai piedi di un venditore della lotteria che si avvicinava per offrire loro un biglietto. Poi guardò il suo capo negli occhi. «Don Octavio. Le giuro che non so nulla del morto in chiesa, salvo che era un giornalista e, a quanto dicono, una gran canaglia. Non so nemmeno dove diavolo possa essersi cacciato il prete.» Allungò una mano per giocare di nuovo con le stanghette degli occhiali, ma poi la abbandonò immobile sul tavolo. «So soltanto che la mia segretaria un momento fa per telefono mi ha raccontato che c'è un cadavere, padre Ferro è sospettato e la polizia lo sta cercando.» Osservò di nuovo Macarena, e poi Quart. «Il resto è un'assurdità, invenzioni tirate per i capelli.» «E un pezzo che vai tramando intrighi per impadronirti della chiesa» insisté lei. «Hai sempre manovrato tutto. Non posso credere che tu sia estraneo a questa faccenda. «E invece è così» Gavira era perfettamente sereno. «Non nasconderò che un po', in effetti, mi sono mosso. Qualcuno, su mie istruzioni, è andato qua e là, in giro, a studiare la situazione.» Si voltò verso Machuca, facendo appello al suo buon senso. «Guardi se non sono sincero, don Octavio, vi dico addirittura che ho preso in considerazione la possibilità di convincere il parroco con metodi drastici... E stato tutto studiato, con i pro e i contro. Ma niente di più. Ora salta fuori che padre Ferro si è cacciato in un pasticcio, che il privilegio della chiesa va all'aria, e che tutto mi cade a puntino... » si allargò il sorriso del Pescecane dell'Arenal «bè, che cosa volete che vi dica. Mi dispiace per il parroco ma sono contento per me stesso.» Fece un gesto per coinvolgere il vecchio Machuca. «Per me e per il Cartujano. Pagina 157
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Nessuno verserà lacrime per quella chiesa.» Macarena gli rivolse un'occhiata sprezzante. «Io lo farò.» Si avvicinò una fioraia offrendo gelsomini per la signora, e Gavira la scacciò seccamente. Ora guardava più apertamente sua moglie. «E l'unica cosa che rimpiango in questa storia. Le tue lacrime.» Per un istante il tono sembrò addolcirsi un po'. «Continuo a non capìre che cosa sia successo fra noi due.» Dura occhiata di sottecchi a Quart. «Né ciò che è accaduto dopo.» Lei scosse il capo, rifiutando di addentrarsi in quel terreno. «E tardi per parlare di noi. Padre Quart e io siamo venuti a chiederti notizie di don Priamo. Gli occhi neri di Gavira mandarono un lampo. «Bè, inizio a essere stufo di incontrare padre Quart.» «E io di incontrare lei» ribatté Quart, la cui mansuetudine professionale era arrivata agli sgoccioli. «Tutto ciò le accade perché è intervenuto nella storia di una chiesa quando nessuno gliel'aveva chiesto.» Una vampata d'ira indurì la bocca del banchiere, e per un secondo Quart credette che gli si sarebbe lanciato addosso. Sentì l'adrenalina scorrergli nelle vene, ma l'altro sorrideva già, di nuovo pericoloso e tranquillo. Era passato tutto in un attimo, senza un gesto fuori luogo, né una minaccia. Ora Gavira si rivolgeva a Macarena. «Ti assicuro che non ho nulla a che fare con la sparizione del prete.» «No.» Lei si chinò di nuovo in avanti, i gomiti sul tavolo, assolutamente seria. «Ti conosco, Pencho. Non saprei dire perché, ma sono sicura che menti. Bada alle mie parole: anche se sei sincero, menti. Ci sono conti che non tornano, circostanze che non si spiegano senza il tuo intervento. Anche se tu non c'entrassi affatto, la scomparsa di don Priamo, proprio oggi, reca la tua impronta. Il tuo stile.» Quart vide Gavira esitare un istante. Fu solo un attimo, un dubbio fulmineo negli occhi scuri e impassibili. Le dita aprìrono e piegarono due volte le stanghette degli occhiali sul tavolo e poi rimasero di nuovo immobili. «No» disse. Più che una negazione rivolta a loro, sembrava una risposta a una riflessione interiore. Octavio Machuca socchiuse ancora di più le palpebre, osservandolo con curiosità, e allora Quart ebbe la certezza che Macarena non aveva sparato alla cieca. «Pencho» disse Machuca. Era un rimprovero e una preghiera formulati a bassa voce. L'espressione di Gavira era di nuovo imperscrutabile, ma sollevò leggermente una mano, come se chiedesse un momento di calma per riflettere. Un guidatore bloccato da una macchina parcheggiata male li assordò tutti con il suo clacson. «Se c'entri in qualche modo, Pencho...» insisté Machuca. Ora sembrava davvero a disagio, e lanciava a Macarena e a Quart brevi sguardi preoccupati. «In effetti ci sono strane coincidenze» mormorò Gavira, assorto, molto lontano da lì. Poi, con l'aria di muoversi nel vago limite fra realtà e sogno, guardò Quart e Macarena, quasi aspettando che confermassero i suoi pensieri inespressi. Aprì la bocca sul punto di dire qualcosa, o forse perché gli mancava il respiro. Era ancora risoluto, ma la sua disinvoltura era scomparsa. Un semaforo passò dal rosso al verde e la sfilata dei parabrezza delle automobili li abbagliò con una serie di lampi e riflessi di sole. Gavira sbatté le palpebre, arrossendo violentemente. Colpito da un'ondata di caldo inaspettato. «Ora dovete scusarmi» disse. «Ho una colazione di lavoro.» Strinse un pugno portandoselo al mento, come se volesse colpirsi da solo. E alzandosi in piedi rovesciò il bicchiere di birra. 13.Il Canela fina «Ah, Watson» disse Holmes. «Forse neppure lei si comporterebbe molto elegantemente se venisse privato in un istante della moglie e delle ricchezze.» A. CONAN DOYLE, Le avventure di Sherlock Holmes. Un altoparlante amplificava il discorso della guida, qualcosa a proposito degli otto secoli della Torre dell'Oro, con unpaso doble come musica di sottofondo. A mano a mano che si avvicinava, il motore della barca turistica risuonava più forte sulle acque del fiume, e dopo qualche istante le onde della sua scia arrivarono fino ai fianchi del Canela fina, provocando un beccheggio nell'imbarcazione attraccata al molo. La cabina puzzava di rancido e di sudore, fra le paratie di legno riverniciato e le macchie di ruggine sulle lamiere di ferro. Mentre motore e musica si allontanavano, don Ibrahim vide che un raggio di sole, penetrando dalla porta aperta, si spostava lentamente a dritta sul tavolo, fra gli avanzi di cibo, facendo brillare i braccialetti d'argento ai polsi della Nilia Puflales, per poi tornare lentamente a sinistra e fermarsi sulla mal celata calvizie di Peregil. Pagina 158
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «Potevate scegliere un posto che si muovesse meno» disse quest'ultimo. Aveva i capelli in disordine sulla testa sudata e si asciugava la fronte con un fazzoletto. Le superfici oscillanti non gli piacevano per nulla: gli occhi di uno splendore smorto, come quelli di un toro mansueto che aspetta il colpo di grazia, la pelle con un'inconfondibile sfumatura slavata che segnala il mal di mare. Le barche dei turisti erano molte, e ogni Ondata lo stravolgeva sempre più. Don Ibrahim non disse nulla. L'esistenza gli aveva insegnato ad avere rispetto degli uomini e a essere pietoso con le loro miserie e le loro vergogne. In fin dei conti la vita era una scala, e tutti finivano con l'inciampare in un gradino. Così tolse in silenzio la fascetta a un Montecristo per accarezzarne delicatamente la superficie morbida, percorso dalle lievi nervature, delle scurissime foglie di tabacco. Poi lo forò con il coltellino di Orson e si portò il sigaro alle labbra, facendolo girare voluttuosamente mentre ne inumidiva la punta. Assaporava l'aroma di quella perfetta opera d'arte. «Come si comporta il prete?» chiese Peregil. La barca aveva smesso di oscillare e lui sembrava essersi un po'"ripreso, benché fosse ancora bianco come i ceri della parrocchia che i suoi tre mercenari avevano lasciato, temporaneamente, senza titolare. Con il sigaro ancora spento in bocca, don Ibrahim annuì con grande serietà. Un gesto appropriato alla gravità dell'argomento, infatti si riferivano a un degno sacerdote, a un sant'uomo. E in un certo senso, un sequestro non significava mancare di rispetto. Era una regola che aveva imparato in America Latina, dove si fucilava la gente dandogli sempre del lei. «Si comporta bene. E molto calmo e tranquillo. Come se la cosa non lo riguardasse.» Appoggiato al tavolo e cercando di tenere gli occhi lontani dagli avanzi di cibo, Peregil ebbe la forza di accennare un debole sorriso. «E un duro, il vecchio.» «Gesù» disse la Nifla «è un prete con i coglioni». Lavorava all'uncinetto, quattro volanti e ne salto due, muovendo le mani rapida in un tintinnio di braccialetti, e di tanto in tanto posava tutto in grembo per bersi un goccetto dal bicchiere di manzanilla che aveva accanto, vicino alla bottiglia già più che mezza vuota. Il caldo le allargava la macchia scura di trucco intorno agli occhi, ingrandendoglieli, e la manzanilla le aveva sbavato un po'"il rossetto. Quando l'imbarcazione dondolava, oscillavano anche i suoi lunghi orecchini di corallo. Don ibrahim confermò il commento della Nilia Puiìales inarcando le sopracciglia. Riguardo al parroco non esagerava nemmeno un po'. Gli erano andati incontro dopo mezzanotte, nel vicolo su cui si affacciava la porta del giardino della Casa del Postigo, e c'era voluto del bello e del buono per buttargli in testa una coperta, legargli le mani e infilarlo nel furgoncino, noleggiato per ventiquattr'ore e appostato all'angolo. Nella mischia, a don Ibrahim aveva spezzato il bastone di Maria Félix, il Potro si era beccato un occhio nero, e alla Nifla erano saltate via le otturazioni di due denti. Era incredibile fino a che punto un nonnino piccoletto e rinsecchito, nonché prete, potesse difendere la pellaccia. Oltre che nauseato, Peregil era inquieto. Rapire un sacerdote e tenerlo per un paio di giorni fuori dalla circolazione non era esattamente il tipo di crimine che fa diventare comprensivi i giudici. Anche don Ibrahim aveva qualche timore, ma era perfettamente conscio che ormai era tardi per fare marcia indietro. E poi si trattava di una sua idea e gli uomini come lui facevano fronte al bello e al cattivo tempo senza battere ciglio. E, oltre tutto, quattro testoni e mezzo, sommando quanto toccava a ogni compare, erano un sacco di grana. Peregil si era tolto la giacca come don Ibrahim. Ma a differenza delle sobrie maniche di camicia bianca del cubano, con elastici sopra i gomiti, l'assistente di Pencho Gavira sfoggiava un devastante insieme di righe bianche e azzurre a un colletto color salmone e una cravatta a crisantemi verdi, rossi e viola che gli penzolava in mezzo al petto come un mazzo appassito. Un cerchio di sudore gli bagnava il colletto. «Spero che vi atterrete al piano.» Don Ibrahim gli lanciò un occhiata di rimprovero, offeso. Lui e i suoi compari erano precisi come bisturi - si passò con cautela un dito sui baffi e sulla pelle bruciacchiata - salvo imprevisti aleatori come quello del Potro con la benzina, o la propensione di certi rullini fotografici a sbiadire quando prendevano luce. Inoltre, il piano operativo non era certo una missione impossibile. Si trattava semplicemente di trattenere il parroco altre trentasei ore, per poi metterlo alla porta. Un'operazione facile, piacevole e a buon Pagina 159
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt mercato, con un tocco, un non so che di elegante nell'esecuzione. Stewart Granger e James Mason, e anche Ronald Colman e Douglas Fairbanks junior - don Ibrahim, il Potro e la Nifla erano andati in una videoteca per noleggiare tutte le versioni e documentarsi adeguatamente -, l'avrebbero trovata impeccabile. «Quanto ai nostri emolumenti. L'ex falso avvocato lasciò la frase a metà, per delicatezza, concentrandosi nell'accensione del sigaro. Parlare di denaro fra gente per bene era fuori luogo. Peregil era per bene quanto poteva esserlo una testa di cazzo, ma ciò non impediva, almeno formalmente, che gli fosse concesso il beneficio del dubbio. Così avvicinò la fiamma dell'accendino alla punta del Montecristo, riempiendosi la bocca e le narici con la prima deliziosa boccata di fumo, e sperò che l'altro completasse il suggerimento. «Quando avrete lasciato andare il prete» intervenne Peregil un po'"più disinvolto «vi pago tutti e tre. Un milione e mezzo ciascuno, esentasse.» Rise fra i denti della battuta mentre tirava di nuovo fuori il fazzoletto per asciugarsi la fronte, e la Nifla Puflales staccò un momento lo sguardo dall'uncinetto per lanciargli un'occhiata sotto le ciglia finte ispessite dal mascara. Anche don Ibrahim rivolse uno sguardo allo scagnozzo in mezzo al fumo dell'avana, ma nel suo caso fu di preoccupazione. Non gli piaceva quell'individuo e ancora meno la sua risata, e per un attimo rabbrividì al sospetto che Peregil potesse non avere abbastanza denaro da pagare gli onorari e stesse bluffando. Con un sospiro fatalista dette un'altra tirata al sigaro e tolse l'orologio, in fondo alla sua catena, dalla giacca appesa allo schienale della sedia. Non era facile essere il capo, pensava. Non era per niente comodo mostrarsi sicuro, dare ordini o suggerire comportamenti senza farsi tradire dalla voce, dissimulando l'incertezza dietro un gesto, uno sguardo o un sorriso adeguato. Forse anche Senofonte, quello dei cinquecentomila, o Colombo, o Pizarro quando tracciò la riga per terra con la spada e disse da qui in là oro e coglioni, avevano sperimentato, come lui, la scomoda sensazione di chi, mentre dipinge il soffitto, si sente sparire la scala sotto i piedi e rimane attaccato al pennello, come nei fumetti di Mortadelo. Don Ibrahim guardò con tenerezza la Nifla Puflales. La sua vera preoccupazione, se per caso fossero finiti in carcere, era che lì avrebbero dovuto separarsi... E allora chi si sarebbe preso cura di lei? Senza di lui, e senza il Potro, per dirle olé quando canticchiava una canzone popolare, per lodare il bollito col cavolo e i ceci alla domenica, per portarla alla Maestranza quando c'era un buon programma, per darle il braccio quando esagerava nei bar con la bionda di Sanì icar, la poverina sarebbe morta come un uccellino fuori dalla sua gabbia. E poi c'era anche il locale che dovevano aprìre a ogni costo, per trattarla come una regina. «Nifla, sostituisci il Potro.» La Nifla contò un altro paio di maglie all'uncinetto, muovendo silenziosamente le labbra, fino a completare la serie. Poi si alzò in piedi, scolandosi contemporaneamente il bicchiere di manzanilla, e si lisciò la gonna del vestito a pallini mentre dava un'occhiata fuori dal portello. Dietro i gerani piantati in latte vuote di tonno Albo, appassiti anche se il Potro del Mantelete li innaffiava ogni sera, si vedeva il vecchio molo, un paio di barche ormeggiate e, in fondo, la Torre dell'Oro e il ponte di San Telmo. «E tutto tranquillo» disse. Poi, portandosi dietro il lavoro all'uncinetto, attraversò la sala, accompagnata dallo svolazzio di gale inamidate della gonna, lasciandosi alle spalle una pesante scia di profumo di Legni di Oriente, che Peregil accusò visibilmente al suo passaggio. Quando si aprì la porta della cabina, don Ibrahim intravide per un momento il parroco: di schiena, seduto su una sedia, con gli occhi bendati da un fazzoletto di seta della Nitia e i polsi legati alla spalliera con un grosso cerotto comprato la sera prima in una farmacia di calle Pureza. Il vecchio sacerdote era rimasto nella stessa posizione in cui lo avevano messo: immobile, ermetico, per non dire pio, eccetto quando gli chiedevano se voleva farsi un panino, un goccetto o una pisciata, e allora si limitava a mandarli a quel paese. Entrò la Nifla e uscì il Potro del Mantelete, chiudendosi la porta alle spalle. «Come l'ha presa?» chiese Peregil. «Chi?» Il Potro si era fermato accanto al tavolo, l'aria perplessa, un occhio malridotto per la baruffa notturna. Sotto la canottiera gli si delineavano i pettorali scarni e duri, lucidi di sudore. Portava ancora una benda Pagina 160
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt all'avambraccio sinistro. Sull'altra spalla, vicino al segno del vaccino, aveva una testa di donna tatuata in azzurro, con il berretto da legionario e un nome illeggibile sotto. Don Ibrahim non gli aveva mai chiesto se era il nome della femmina infedele, causa della sua rovina, né il Potro lo aveva mai menzionato. Forse non se lo ricordava neppure. E comunque ognuno aveva i suoi segreti. «Il prete» insisté Peregil con voce debole. «Chiedevo come l'ha presa. L'ex torero ed ex pugile rifletté a lungo sulla questione. Aggrottò la fronte dondolandosi un po'"sulle gambe e alla fine guardò don Ibrahim come un levriero che ha ricevuto un ordine da un estraneo e si gira verso il padrone in cerca di conferma. «L'ha presa bene» rispose alla fine, non trovando obiezione negli occhi del suo padrone e compare. «Sta buono e non dice nulla. «Non ha fatto domande?» Il Potro si sfregò con le dita il naso schiacciato mentre cercava di ricordare, pieno di buona volontà. Il caldo non gli acuiva i riflessi. «No» rispose alla fine. «Gli ho sbottonato un po'"la tonaca per dargli un po'"di respiro, e nemmeno allora ha detto una parola» rifletté a lungo su tutto ciò. «Neanche fosse muto.» «E naturale» intervenne don Ibrahim. «Si tratta di un uomo di chiesa. E la dignità offesa.» Si scosse un po'"le pieghe della camicia, perché gli era già caduta sulla pancia la prima cenere del sigaro, mentre il Potro annuiva lentamente, guardando verso la porta chiusa come se avesse appena risolto un enigma su cui si fosse a lungo scervellato. Sarà per quello, ripeté due volte. Per la dignità. Peregil boccheggiava, pallido e sudato. Il fazzoletto era ormai da strizzare. «Me ne vado» disse. Era evidente che il fumo del sigaro, unito al rollio, gli stava dando il colpo di grazia. «Quindi seguite con attenzione le mie istruzioni.» Iniziò ad alzarsi, sistemandosi meccanicamente i capelli sulla pelata. Ma in quel momento il Canela fina oscillò al passaggio di un altro battello turistico, e lo sguardo di Peregil seguì, con fissità ossessiva, il movimento, da dritta a manca, del raggio di sole che entrava dal portello dei gerani. La pelle gli si fece più unta e più pallida e aspirò l'aria come un tonno appena pescato, guardando don Ibrahim e il Potro con occhi smarriti. «Scusate» mormorò, la voce soffocata, prima di precipitarsi verso l'uscìta e la scaletta. Fu il peggior pranzo della sua vita. Pencho Gavira assaggiò a stento le fave fresche coi calamari e il salmone alla griglia, e solo facendo ricorso a tutto il suo sangue freddo arrivò al dolce con un sorriso imperturbabile, senza allontanarsi dal tavolo ogni cinque minuti per telefonare alla sua segretaria, che cercava affannosamente Peregil per tutta Siviglia. A volte, nel bel mezzo della conversazione con i consiglieri del Cartujano, il banchiere perdeva completamente il filo del discorso, mentre gli altri seguivano attenti la sua spiegazione, e solo con un inaudito sforzo di volontà riuscìva a concludere il discorso sensatamente. Avrebbe avuto bisogno di tempo per pensare, per tracciare piani e soluzioni alle varie ipotesi alternative che si susseguivano nella sua mente per l'assenza dello scagnozzo, ma non aveva tregua. Anche quella riunione era decisiva per il suo futuro e non poteva trascurare i suoi commensali. Si batteva, perciò, su due fronti: come Napoleone contro un esercito inglese e uno prussiano a Waterloo. Un sorriso, un sorso di Rioja, un chiarimento, una riflessione segreta giusto nell'attimo necessario ad accendersi una sigaretta. A poco a poco i consiglieri erano costretti a piegarsi al suo volere, ma la mancanza di notizie da parte di Peregil iniziava a essere angosciosa. Gavira aveva ormai la certezza che il suo assistente era coinvolto nella scomparsa del prete e temeva, ipotesi agghiacciante, che potesse esserlo anche nella morte di Bonafé. Al pensiero gli correvano brividi lungo la spina dorsale, ma il banchiere era un osso duro e nonostante tutto reggeva la parte. Al suo posto, un altro con meno fegato sarebbe scoppiato a piangere sulla tovaglia. Il maitre girava fra i tavoli guardandolo con insistenza e Gavira capì che doveva comunicare con lui. Soffocando l'impulso di balzargli incontro dal suo posto, concluse la frase che stava pronunciando, spense la sigaretta nel portacenere, bevve un sorso di acqua minerale, si asciugò accuratamente le labbra con il tovagliolo e si alzò in piedi, con un sorriso rivolto ai consiglieri. «Scusate un attimo.» Poi si avviò verso l'atrio facendo un paio di cenni col capo per salutare alcuni conoscenti, la mano destra in tasca per evitare che gli tremasse. Il buco che aveva nello stomaco si allargò vedendo Péregil con i radi capelli spettinati sulla pelata e una cravatta spaventosa. «Ho buone notizie» annunciò il gorilla. Pagina 161
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Erano soli. Gavira quasi lo spinse nella toilette degli uomini, e si chiuse la porta alle spalle dopo essersi assicurato che dentro non ci fosse nessuno. «Dove sei stato?» Peregil fece una smorfia soddisfatta. «A far sì che domani nessuno dica messa» rispose. Tutta la tensione, tutta l'angoscia accumulata, scattarono in Gavira come una molla. Avrebbe ammazzato Peregil lì dove si trovava. Con le sue mani. «Cosa hai combinato, stronzo? All'assistente sparì il sorriso dalla bocca. Sbatteva le palpebre, stordito. «Bè, che cosa vuole che abbia fatto» balbettò. «Ho eseguito gli ordini. Ho neutralizzato il prete.» «Il prete?» Lo scagnozzo s'appoggiò la schiena al lavabo contro il quale Gavira lo aveva messo alle strette. La luce al neon gli faceva brillare la pelata sotto le ciocche di capelli che salìvano dall'orecchio sinistro. «Sì» confermò. «Certi amici lo terranno fuori dalla circolazione fino a dopodomani. In perfette condizioni di salute.» Osservava sconcertato il suo capo, senza capìre la ragione dell'atteggiamento aggressivo. Gavira indietreggiò di un passo mentre faceva alcuni calcoli. «Quando l'hanno preso?» «Ieri sera» Peregil arrischiò un timido sorriso, attento alle reazioni del capo. «E in un posto sicuro ed è in buone condizioni. Venerdì prossimo lo lasciamo andare e tanti saluti.» Gavira scosse la testa. Non gli tornavano i conti. «E l'altro?» «Quale altro?» «Bonafé. Il giornalista.» Vide arrossire Peregil come se gli avessero pompato un litro di sangue in faccia. «Ah, quello!» Ora l'assistente sembrava sconvolto. Levò le mani in aria come per delimitare la cosa. «Bè... Le posso spiegare tutto, mi creda.» Sotto il neon, il sorriso forzato sembrava un buco nero in mezzo alla faccia. «La storia è piuttosto complicata, ma gliela posso spiegare. Lo giuro.» Gavira fu travolto da un'ondata di panico. Se il suo assistente era collegato alla morte di Honorato Bonafé, i problemi erano appena iniziati. Fece qualche passo per la stanza, cercando di riflettere più in fretta possibile. Ma le piastrelle bianche gli ispiravano il vuoto più assoluto. Si voltò a guardare Peregil. «Bè, allora è meglio che la tua spiegazione sia buona. Il prete è ricercato dalla polizia.» Contrariamente a quanto si aspettava, Peregil non parve troppo impressionato. Mostrò piuttosto sollievo per il cambiamento dell'argomento di conversazione. «Che rapidità. Ma lei non si preoccupi.» Gavira non credeva alle sue orecchie. «Non devo preoccuparmi?» «No, assolutamente.» Lo scagnozzo abbozzò un sorrisetto nervoso. « Ci costerà soltanto cinque o sei testoni in più.» Gavira gli si avvicinò di nuovo. Era indeciso se stenderlo con un cazzotto e prendergli a calci il cranio, o continuare a interrogarlo. Vincendo se stesso, tornò a chiedere: «Dici sul serio, Peregil?». «Sì. Stia tranquillo.» «Senti» sforzandosi di mantenere la compostezza, il banchiere si passò i palmi delle mani sulle tempie «tu mi stai prendendo in giro.» «Non mi passa neanche per l'anticamera del cervello, capo» Peregil sorrideva con candore. «Neppure fossi sbronzo perso. Gavira fece un'altra passeggiatina per la stanza. «Vediamo un po'... Mi stai dicendo che hai sequestrato un prete che è ricercato dalla polizia per assassinio, e vuoi che non mi preoccupi?» Peregil rimase a bocca aperta. «Come sarebbe a dire per assassinio?» «Proprio così.» Lo scagnozzo guardò la porta chiusa. Poi quella del gabinetto. Poi di nuovo Gavira. «Ma di che cavolo di assassinio sta parlando?» «Del giornalista. E accusano il tuo dannato prete.» «Ma via, su.» Peregil scoppiò in una risata breve, colma di assoluta disperazione. «Non mi prenda in giro, capo.» Gavira gli si avvicinò a tal punto che l'altro dovette quasi sedersi sul lavabo. «Guardami in faccia. Ho l'aria di uno che scherza?» Non ce l'aveva, e all'assistente non restò alcun dubbio. Ora Peregil era bianco come le piastrelle della parete. «Un assassinio? «Proprio così.» « Un assassinio vero?» «Sì, cazzo. E dicono che è stato il prete.» L'altro sollevò una mano chiedendo tempo per digerire tutto con più calma. Era così sconvolto che le lunghe ciocche di capelli gli penzolavano sull'orecchio. «Prima o dopo che lo abbiamo beccato?» «E io che ne so. Prima, suppongo.» Peregil ingoiò la salìva con molta difficoltà e molto rumore. «Vediamo se riuscìamo a capìrci, capo. L'assassinio di chi?» Dopo aver lasciato Peregil a vomitare nel gabinetto, Pencho Gavira si congedò dai consiglieri, salì sulla Mercedes parcheggiata davanti al ristorante, disse all'autista di accendere l'aria condizionata e di portarlo a bere qualcosa, e con il cellulare in mano rifletté un momento. Era sicuro che il suo assistente gli aveva raccontato la verità e, passato il panico iniziale, il chiarimento dava al problema nuove prospettive. Era difficile stabilire se si trattava di una serie di strane combinazioni, o se davvero gli uomini di Peregil erano incorsi nella Pagina 162
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt straordinaria coincidenza di sequestrare il parroco subito dopo che quest'ultimo aveva ammazzato il giornalista. Il fatto che la polizia avesse stabilito che la morte di Bonafé era avvenuta nelle prime ore della sera, e che la scomparsa del parroco fosse avvenuta, secondo la testimonianza di Macarena e del prete di Roma, soltanto dopo la mezzanotte, lasciava Priamo Ferro senza alibi. In ogni modo, colpevole o no, così cambiava la posizione di tutti. Il sacerdote era sospettato e la polizia lo stava cercando: trattenerlo ancora appariva rischioso. Gavira era sicuro che rimetterlo in libertà non avrebbe arrecato danno ai suoi progetti. Anzi, li avrebbe favoriti, perché il prete sarebbe stato molto preso fra indagini e interrogatori. Se lo avessero rilasciato di notte, con la polizia sulle sue tracce, di certo il giorno dopo non ci sarebbe stata messa a Nostra Signora delle Lacrime. Il colpo da maestro, perciò, poteva arrivare in modo inaspettato. L'importante era sbarazzarsi del parroco e restituirlo alla vita pubblica con l'opportuna abilità, senza scandali. Che fuggisse o che si consegnasse alla polizia, per Gavira era indifferente. In un modo o nell'altro Priamo Ferro sarebbe rimasto fuori gioco per qualche tempo, e forse una telefonata anonima, una denuncia o qualcosa del genere avrebbe potuto contribuire. L'arcivescovo di Siviglia non avrebbe certo avuto fretta di trovargli un sostituto. Quanto a don Octavio Machuca, per il pragmatico banchiere tutto era bene ciò che finiva bene. Restava da risolvere la questione di Macarena, ma anche lì la nuova situazione forniva alcuni vantaggi. Sarebbe stata una mossa perfetta farle credere che la liberazione del parroco era un favore, e al contempo dimostrarsi estraneo all'eccesso di zelo di Peregil. Qualcosa del tipo: non appena me l'hai detto sono intervenuto, eccetera eccetera. Con la faccenda di Bonafé che pesava su tutti, e in particolare sul suo stimato don Priamo, lei sarebbe stata ben attenta a non essere irriguardosa. Le circostanze potevano addirittura facilitare un riavvicinamento fra i due. Quanto al parroco, che Macarena e il prete di Roma lo prendessero in consegna, con la polizia o senza. Gavira non aveva nulla contro il vecchio curato: che si costituisse o che emigrasse per lui era uguale. Con un briciolo di fortuna era finito come la sua chiesa. L'aria condizionata, grazie al delicato borbottio del motore, manteneva una temperatura perfetta dentro la Mercedes. Più rilassato, Gavira si abbandonò contro il sedile di pelle nera e appoggiò la testa allo schienale, contemplandosi soddisfatto nello specchietto retrovisore. Forse non era una brutta giornata, dopo tutto. Quando compose il numero telefonico della Casa del Postigo, sul suo volto abbronzato splendeva il sorriso del Pescecane dell'Arenal. Quando riappese la cornetta, Macarena Bruner fissò Quart. Sembrava riflettere, immobile come una statua, appoggiata al tavolo coperto di riviste e di libri, in un angolo della stanza al primo piano trasformata in studio. Uno studio singolare, con azulejos che riproducevano motivi floreali e croci di Malta, travi scure sul soffitto e un gran caminetto di marmo nero. Era lo studio di Macarena e la sua impronta era ovunque: un televisore col videoregistratore, uno stereo, libri d'arte e di storia, antichi portacenere di bronzo, comode poltrone in velluto scuro, cuscìni ricamati. In un grande armadio a muro erano archiviati antichi faldoni manoscritti, volumi rilegati in pergamena ingiallita e videocassette, e alle pareti c'erano un paio di quadri di valore: un san Pietro di Monso Vàzquez e un altro di autore ignoto che rappresentava una scena della battaglia di Lepanto. Accanto alla finestra, la statua lignea e accigliata di un arcangelo sollevava la spada sotto una campana di vetro che lo proteggeva dalla polvere. «Ecco fatto» disse Macarena. Quart si alzò in piedi, teso, pronto all'azione. Ma lei rimase immobile, come se non avesse ancora detto tutto. «E stato un errore e si scusa. Assicura che lui non c'entra affatto e che alcune persone, indirettamente alle sue dip endenze, hanno passato il limite senza il suo consenso.» A Quart ciò non interessava. In seguito ci sarebbe stato tutto il tempo per stabilire le responsabilità di ciascuno. L'importante era arrivare al parroco prima della polizia. Colpevole o meno, era un ecclesiastico: la Chiesa non poteva stare a guardare. «Dove lo tengono?» Macarena gli rivolse uno sguardo dubbioso, ma durò solo un attimo. «E sano e salvo, su un battello attraccato all'antico molo dell'Arenal... Pencho chiamerà quando avrà sistemato tutto.» Fece qualche passo per la stanza, prese una sigaretta da sopra il tavolo ed estrasse l'accendino dalla scollatura. «Lo offre a me, invece che alla polizia, in cambio di pace. Pagina 163
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Anche se la storia della polizia, naturalmente, è un bluff» Quart si soffiò l'aria fuori dai polmoni, sollevato. Almeno una parte del problema era risolta. «Lo dirai a tua madre?» «No. E meglio che non sappia nulla finché non è tutto sistemato. Una notizia del genere potrebbe ucciderla.» Prese un'espressione desolata. Teneva ancora in mano accendino e sigaretta, ma sembrava averli dimenticati. «Se avessi sentito Pencho» aggiunse. «Gentile, affascinante, a mia disposizione... Sa che sta per vincere la partita e ci vuole abbindolare con un'alternativa inesistente. Quando lo libereranno, don Priamo non potrà più fuggire.» Lo disse freddamente, presa da un'unica preoccupazione: il parroco. Quart la ascoltava desolato, ma non per le sue parole. Ogni volta che un gesto di Macarena risvegliava ricordi recenti, lui era invaso da una tristezza immensa, disperata. Dopo che gli si era avvicinata così tanto portandolo su un terreno in cui i limiti sfumavano e tutto, eccetto la solitudine condivisa e la tenerezza, era privo di senso, tornava ad allontanarsi. Era presto per valutare le perdite e i guadagni del sacerdote Lorenzo Quart con la carne tiepida di quella donna, ma la figura tradita del templare lo perseguitava come un rimorso. Era una trappola antica e vasta, con il fiume tranquillo in cui scorreva il tempo che non ha rispetto per nulla, e che prima o poi conferma la condizione umana degli uomini. Che trascina nella polvere le bandiere dei soldati valorosi. Quanto a Quart, Siviglia gli strappava troppe certezze in troppo poco tempo, lasciandogli in cambio solo una dolorosa coscienza di sé. Anelava al rullo di tamburo che gli restituisse la pace. Quando tornò alla realtà, gli occhi scuri, egoisti, di Macarena erano fissi nei suoi. Ma non era Quart l'oggetto del suo interesse. Non vide gocce di miele, né la luna che rifletteva foglie di bouganville e di aranci. Non vi era nulla che lo riguardasse, e per un attimo l'agente dello Ior si chiese che diavolo ci facesse ancora lì, riflesso in occhi estranei. «Non vedo perché padre Ferro dovrebbe fuggire» disse, compiendo lo sforzo di tornare alle parole e alla disciplina che gli imponevano. «Se la causa della sua scomparsa è stata un sequestro, i sospetti su di lui si attenueranno.» l'argomento non parve tranquillizzarla affatto. «Non cambia nulla. Diranno che ha chiuso la chiesa con il cadavere dentro.» «Sì. Ma forse, come ha detto la tua amica Gris, può dimostrare che non l'ha visto. Sarà un bene per tutti che anche lui dia la sua versione. Un bene per te e per me. E un bene anche per lui.» Lei scosse il capo. «Devo parlare con don Priamo prima della polizia.» Si era avvicinata alla finestra. Guardava il cortile interno, appoggiata agli infissi. «Anch'io» disse Quart raggiungendola. «Ed e meglio che si presenti spontaneamente, assieme a me e all'avvocato che ho convocato da Madrid» consultò l'orologio «e che adesso deve essere con Gris al commissariato di polizia. «Lei non accuserà mai don Priamo.» «No, certo.» Si voltò verso Quart. l'ansia si rifletteva negli occhi scuri. «Lo arresteranno, vero?» Avrebbe voluto sollevare le dita e sfiorarle la bocca, l'espressione di Macarena però non apparteneva a lui, ma a un altro. Che assurdità essere geloso di un vecchio prete piccolo e sporco, eppure era così. Tardò qualche secondo a rispondere. «Non lo so.» Dopo un attimo di dubbio stornò lo sguardo verso il patio. Seduta in un dondolo accanto alla fontana con gli azulelos, Cruz Bruner, ignara di tutto, leggeva tranquillamente sventolandosi con il ventaglio. «Da ciò che ho visto in chiesa, temo di sì.» «Credi che sia stato lui, vero?» Anche Macarena guardò sua madre. Lo fece con un'immensa tristezza. «Per quanto non sia scomparso di sua volontà, tu credi ancora che sia stato lui.» «Io non credo nulla» negò Quart irritato. «Credere non è il mio mestiere. Gli tornò alla memoria il salmo della Bibbia che faceva riferimento alla storia di Uzza, il quale osò toccare l'arca dell'Alleanza, e l'ira del Signore si accese contro di lui per la sua audacia, lo percosse ed egli n'on" sul posto, presso l'arca di Dio... Macarena aveva chinato il volto, aveva sfatto la sigaretta fra le dita, senza arrivare ad accenderla, e le briciole di tabacco le cadevano ai piedi. «Don Priamo non farebbe mai una cosa del genere. Quart scosse il capo, ma non disse nulla. Pensava a Honorato Bonafé morto nel confessionale, fulminato dalla collera implacabile dell'Onnipotente. Proprio padre Ferro, secondo lui, poteva compiere un'azione del genere. Un quarto alle undici. Appoggiato a un lampione sotto il ponte di Triana, Celestino Peregii sentì i rintocchi delle campane senza distogliere lo sguardo dalle luci riflesse nell'acqua scura del fiume. I fari delle automobili che attraversavano il ponte correvano lungo la ringhiera di ferro, sopra Pagina 164
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt gli archi inchiavardati e i pilastri di pietra, e anche oltre il parapetto che si innalzava sul viale Cristoforo Colombo al di là dei giardini e dei bar all'aperto, accanto all'arena della Maestranza. Ma sotto, sulla riva, tutto era tranquillo. Si avviò sullo spiazzo sotto il ponte, verso gli antichi moli dell'Arenai. La brezza di Saniùcar iniziava a increspare dolcemente la superficie scura del Guadalquivir, e il fresco della sera risollevò l'animo dello scagnozzo. Dopo le emozioni delle ultime ore, tutto tornava alla normalità. Anche l'ulcera sembrava disposta a lasciarlo in pace. l'appuntamento era fissato per le undici accanto al battello dove aspettavano don Ibrahim e i suoi gregari; lo stesso Gavira aveva dato le istruzioni a Peregil e assicurazioni di ogni tipo per evitare errori: sarebbero venuti la signora e il prete alto, e lui doveva limitarsi a effettuare il rilascio senza problemi. Il parroco sarebbe stato portato fuori dal Canela fina e la coppia l'avrebbe preso in consegna in uno dei vecchi magazzini del molo di cui Peregil aveva in tasca la chiave. Quanto al denaro per i tre furfanti, l'assistente era riuscìto a fatica a convincere il capo a mollare il necessario, ma l'urgenza del caso e la voglia del banchiere di levarsi di torno il parroco avevano facilitato le cose. Con un sorriso interiore, lo scagnozzo si toccò la pancia: aveva nascosto i quattro milioni e mezzo di pesetas in banconote da diecimila sotto la camicia, fermandole con l'elastico delle mutande, e a casa sua ne aveva altre cinquecentomila che era riuscìto a spillare al suo capo all'ultimo minuto, per il rotto della cuffia, col pretesto di spese imprescindibili per portare la faccenda a buon fine. Tutti quei bigliettoni intorno alla vita lo obbligavano a camminare rigido, come se portasse un busto. Iniziò a fischiettare, ottimista. Eccetto alcune coppiette o un pescatore isolato, la passeggiata fino ai moli appariva deserta. Le rane gracidavano fra i giunchi della riva, e Peregil le ascoltò compiaciuto. Su Triana spuntava la luna e il mondo era meraviglioso. Le undici meno cinque. Affrettò il passo. Voleva farla finita con tutta la commedia e andare diritto al casinò, per vedere quanto avrebbe fruttato il mezzo testone. Dopo aver messo via venticinquemila pesetas per un omaggio a Dolores la Negra. «Accidenti, Peregil. Che sorpresa.» Si fermò di colpo. Due sagome sedute su una delle panchine di pietra si erano alzate al suo passaggio. Una sottile, alta, sinistra: il Gitano Mairena. Un'altra minuta, elegante, con movimenti precisi da ballerino: il Pollo Muelas. Una nuvola nascose la luna, o forse in realtà furono gli occhi di Peregil ad annebbiarsi all'improvviso. Puntini neri gli ballavano davanti agli occhi e un'ulcera che si risvegliava. Gli si piegarono le gambe. Ora svengo, pensò. Svengo e cado giù secco e duro. «Indovina che giorno è oggi.» «Mercoledì» la voce gli uscìva fuori debole, appena percettibile, in un tentativo di protesta. «Mi resta un giorno.» Le due ombre si avvicinarono, una più alta dell'altra: su tutt'e due splendeva la brace di una sigaretta. «Hai fatto male i conti» disse il Gitano Mairena. «Ti resta un'ora, perché giovedì inizia stasera a mezzanotte in punto.» Accese un fiammifero, e la fiamma illuminò la mano con il mignolo amputato e il quadrante di un orologio. «Un'ora e cinque minuti.» «Pagherò» disse Peregii. «Ve lo giuro.» Risuonò la risata simpatica del Pollo Muelas. «Bè, certo. E il motivo per cui ci metteremo qui a sedere tutti e tre assieme, su questa panchina, per farti compagnia finché non arriva giovedì.» Accecato dal panico, Peregil si dette un'occhiata attorno. Le acque del fiume non gli offrivano alcuna protezione e avrebbe avuto le stesse possibilità con una corsa disperata sul molo deserto. Quanto alla possibilità di negoziare un accordo, i soldi che aveva addosso potevano risolvere momentaneamente la faccenda, con due obiezioni: non coprivano del tutto il debito con l'usuraio, né lui poteva giustificarne la perdita davanti a Pencho Gavira, dal quale aveva ormai ricevuto la cifra di undici milioni come undici cannonate. Senza contare il sequestro del parroco che aveva in sospeso come una spada sulla testa, l'appuntamento con la signora e con il prete alto, e la faccia che avrebbero fatto don Ibrahim, il Potro del Mantelete e la Nifla Puflales se li piantava in asso in un simile casino. A tutto ciò poteva aggiungere il morto in chiesa, la polizia, e tutte le altre disgrazie che gli erano piombate addosso. Osservò di nuovo la corrente scura del fiume. Forse faceva prima a buttarsi in acqua e affogarsi. Sospirò a fondo, molto a fondo, e tirò fuori un pacchetto di sigarette. Guardò l'ombra alta e poi la bassa, rassegnato davanti all'inevitabile. perché avere strizza, penso. Tanto ci sono gli ospedali. «Avete da accendere?» Il Gitano Mairena non fece Pagina 165
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt in tempo a tirar fuori il fiammifero che già Peregil stava correndo a razzo lungo il molo, diretto al ponte di Triana, come se fosse in gioco la sua vita. Ed in effetti era proprio così. Per un momento si credette in salvo. Correva a più non posso respirando a tempo, uno due, uno due, col cuore che gli batteva fortissimo nelle tempie e nel petto, e i polmoni in fiamme come se glieli stessero tirando fuori per rovesciarli. Correva quasi alla cieca nell'oscurità, ascoltando alle sue spalle le falcate degli altri, le imprecazioni del Gitano Mairena, gli ansiti del Pollo Muelas. Un paio di volte gli parve che gli sfiorassero la schiena o le gambe e, impazzito di terrore, accelerò il galoppo, sentendo che aumentava la distanza fra lui e i suoi inseguitori. Le luci delle automobili sul ponte si avvicinavano rapidamente. La scala, si disse in fretta e furia, offuscato dalla fatica. C'era una scala da qualche parte sulla sinistra, e sopra strade, luci, automobili, gente. Girò a destra volgendosi in diagonale verso il muro, e qualcosa lo colpì alla spalla, così accelerò di nuovo mentre si lasciava sfuggire un grido d'angoscia. La scala era lì, nell'ombra: la intuì, più che vederla. Fece un ultimo sforzo, ma era sempre più difficile coordinare i movimenti delle gambe. Perdevano il ritmo, il suo vantaggio diminuiva, il corpo cadeva in avanti, nel vuoto. I polmoni erano una piaga dolorosa e non trovavano aria da respirare. Arrivò così ai piedi della scala e pensò, fugacemente, che forse ce l'avrebbe fatta. Ma proprio allora gli mancarono le forze e cadde in ginocchio, piegato in due, come se lo avessero steso con una fucilata. Era distrutto. Sotto la camicia, il sudore gli incollava le banconote al corpo. Si girò fino a restare sdraiato supino sul primo scalino, e tutte le stelle del cielo iniziarono a ruotargli attorno, come in una giostra. Dov'è finito tutto l'ossigeno, si chiese, una mano che frenava i salti del cuore perché non gli scappasse dalla bocca aperta. Al suo fianco, ansimanti, appoggiati al muro, il Gitano Mairena e il Pollo Muelas tentavano di riprendere fiato. «Che figlio di puttana» sentì dire al Gitano con voce spezzata. «Corre come un fulmine.» Il Pollo Muelas si era messo in ginocchio e respirava come una cornamusa piena di buchi. La luce di un lampione del ponte illuminava un sorrisetto simpatico. «Cazzo, sei stato fantastico, Peregil, davvero» disse quasi con tenerezza, accarezzandogli la faccia con dei lievi schiaffetti. «Ci hai impressionato un casino. Parola.» Si alzò in piedi a fatica, e senza smettere di sorridere gli dette un altro paio di schiaffetti amichevoli sulla guancia. Poi gli saltò sul braccio destro, e glielo fratturò con un leggero scricchiolio. E cominciarono a spaccargli sistematicamente le ossa. Macarena Bruner guardò l'orologio per l'ennesima volta. Erano le undici e quaranta minuti. «Qualcosa sta andando storto» disse a bassa voce. Quart ne era sicuro, ma non fece commenti. Aspettavano nell'oscurità, accanto al cancello chiuso di un imbarcadero di mosconi. Sopra le loro teste, oltre le palme e le piante di bouganville, dietro i bar all'aperto ora deserti dell'Arenal, si scorgeva la cupola illuminata della Maestranza e un angolo del palazzo del Banco Cartujano. Circa trecento metri più giù, lungo la riva, la Torre dell'Oro illuminata montava la guardia accanto al ponte di San Telmo. E proprio a metà, ormeggiato al molo, c'era il C'anela fina. «Qualcosa è andato storto» insisté Macarena. Portava un maglione sulle spalle, con le maniche annodate davanti. Era tesa, inquieta, attenta al molo dove doveva presentarsi l'uomo di Pencho Gavira. l'imbarcazione su cui secondo suo marito, o ex marito, si trovava padre Ferro, appariva buia e silenziosa, senza traccia di vita. Per un po', dato che avevano tempo a disposizione, Quart considerò fra sé e sé la possibilità che il banchiere avesse giocato loro un brutto tiro, ma dopo una breve riflessione scartò l'idea. Visto come stavano le cose, c'erano imbrogli che Gavira non poteva permettersi. Un soffio di brezza fece scricchiolare le tavole dell'imbarcadero. l'acqua sci abordò debolmente contro i pilastri del molo. Non sapeva di che si trattasse, ma qualcosa aveva modificato il piano, e la faccenda minacciava di evolversi in modo meno tranquillizzante del previsto. l'istinto diceva a Quart che lo stallo lasciava presagire nuovi problemi. Supponendo che il parroco fosse sulla barca, e l'unico motivo per crederlo era la parola di Gavira, il suo rilascio sarebbe stato molto più complicato se il presunto mediatore non si fosse presentato. Quart guardò il profilo scuro e vigile di Macarena, e poi pensò al vicecommissario Navajo. Forse si stavano spingendo troppo oltre. «Mi chiedo se non sarebbe meglio chiamare la polizia» disse con dolcezza. Pagina 166
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «Non ci penso neppure.» Lei non staccava gli occhi dal molo deserto e dalla barca. «Prima dobbiamo parlare con don Priamo.» Quart guardò da una parte e dall'altra, sotto le acacie che bordavano la riva. «Ma non si vede anima viva.» «Verrà. Pencho sa cosa si gioca con questa storia.» Ma all'appuntamento non venne nessuno. Passò mezzanotte e la tensione si fece insopportabile. Macarena passeggiava nervosa accanto al cancello dell'imbarcadero. Per di più aveva dimenticato le sigarette. Quart rimase a sorvegliare il Canela fina, mentre lei raggiungeva una cabina telefonica sul viale per chiamare suo marito. Tornò indietro cupa. Il banchiere assicurava che Peregil si era impegnato ad andare all'appuntamento alle undici in punto, con i soldi del riscatto. Non si spiegava cosa potesse essere successo, ma li avrebbe raggiunti in un Quart d'ora. Comparve poco dopo, camminando sotto le acacie fino a unirsi a loro accanto all'imbarcadero. Sotto la giacca indossava una polo, pantaloni leggeri e scarpe sportive. Nell'oscurità sembrava molto più abbronzato del solito. «Non capisco dove sia finito Peregil» disse come saluto. Non ci furono scuse, né commenti inutili. In poche parole lo misero al corrente della situazione. Il banchiere era molto preoccupato per l'assenza del suo assistente, e pronto a tutto purché non immischiassero le forze dell'ordine. Passi che la polizia se la vedesse con il parroco in libertà, ma che gli agenti dovessero liberarlo da un sequestro più o meno imputabile a Gavira era un altro paio di maniche. Mentre parlavano, Quart ammirò il suo sangue freddo: non gesticolava, né protestava la sua innocenza, né cercava di convincere nessuno. Aveva portato le sigarette, e lui e Macarena se ne accesero una proteggendo la fiamma nell'incavo della mano. Il banchiere, più che parlare, ascoltava a testa china, padrone di sé. l'unica sua preoccupazione sembrava essere che la faccenda si risolvesse in modo gradito a tutti. Alla fine guardò di rettamente Quart. «Lei cosa ne pensa?» Stavolta non c'era diffidenza, né aggressività nel tono. Era obiettivo e tranquillo: pane al pane e vino al vino, una consulenza tecnica prima di passare all'azione. I capelli pettinati con brillantina riflettevano le luci del fiume. Quart esitò solo un istante. Nemmeno lui era felice che il parroco passasse dalle mani dei suoi sequestratori al vicecommissario Navajo, senza neppure il tempo per un lungo scambio di impressioni. Guardò il C'anela fina. «Bisognerebbe entrare» dichiarò. «Allora andiamo» disse Macarena, decisa. «Un momento» ribatté Quart. «Prima bisognerebbe sapere che cosa ci troveremo.» Gavira glielo spiegò. Secondo i rapporti di Peregil, la banda era formata da tre persone. Un ciccione, grande e grosso, sui cinquanta, che era il capo. C'erano anche una donna e un ex pugile. Quest'ultimo poteva essere pericoloso. «Ha un'idea di come sia all'interno?» gli chiese Quart. Gavira disse di no, anche se era una comune imbarcazione per turisti: una coperta superiore con varie file di sedili, un ponte a prua, e dentro mezza dozzina di cabine, la sala macchine e un salone. Comunque il barcone era da molto tempo fuori servizio, abbandonato. l'aveva notato a volte mentre beveva qualcosa nei bar all'aperto dell'Arenal. Man mano che si andava definendo l'azione, i fantasmi che nelle ultime ore avevano turbato Quart a poco a poco si allontanarono. La notte, il battello buio, un imminente confronto, lo riempivano di un'aspettativa quasi gioiosa, un po'"infantile. Significava ricominciare a giocare, ritrovare i vecchi gesti abituali, l'autocontrollo. Percorrere le caselle del sorprendente gioco dell'oca che era la vita. Ritrovava finalmente il suo territorio, il paesaggio incerto del mondo in cui si muoveva di solito, e tornava a essere se stesso. All'improvviso la presenza di Macarena si collocava in modo tranquillizzante nell'ordine esatto delle cose, e il templare insicuro poteva ritrovare la pace del buon soldato. Con suo grande stupore, scopriva addirittura in Pencho Gavira un inaspettato camerata, portato dalla brezza marina e dalle acque del fiume che scorreva lento e mansueto ai suoi piedi, diluendo l'antipatia che era arrivato a sentire in precedenza, e che senza dubbio sarebbe tornato a provare l'indomani. Ma almeno per una notte, tutti gli amici morti di un templare non erano morti. Era contento che il banchiere fosse venuto a piedi, senza scorta, camminando da solo sotto le acacie scure della riva, invece di trincerarsi dietro la paura di ciò che aveva da perdere e gli piaceva anche che ora si accingesse ad abbordare il C'anela fina senza altre parole se non quelle strettamente necessarie. «Andiamo una buona volta» si spazientì Macarena. In quel momento le erano indifferenti sia l'uno che l'altro. Pagina 167
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Aveva occhi solo per il battello ormeggiato lungo il molo. Gavira guardava Quart. I denti gli risplendevano sul viso in ombra. «Dopo di lei, padre.» Si avvicinarono, cercando di non far rumore. La barca era legata alle bitte del molo con due grosse funi, una a prua e l'altra a poppa. salìrono con cautela sulla passerella e arrivarono in coperta dove si ammucchiavano rotoli di corde, salvagenti rovinati, pneumatici, tavoli e sedie vecchie. Quart infilò il portafoglio in una tasca dei pantaloni, poi si tolse la giacca e la posò, ripiegata, su uno dei sedili. Gavira lo imitò senza dir nulla. Attraversarono il ponte superiore. Per un attimo parve loro di sentire un lieve fruscìo sotto i piedi, e sul molo si accese una luce fioca, come se qualcuno avesse dato un'occhiata da dentro uno dei portelli. Quart tratteneva il fiato, cercando di camminare in silenzio come gli avevano insegnato i suoi istruttori dei corpi speciali della polizia italiana: prima il tallone, poi il bordo del piede, poi la pianta. La tensione gli tamburellava sui timpani, cercò di calmarsi per riuscìre a sentire i rumori attorno. Arrivò così alla plancia, dove il timone e gli strumenti erano coperti da fodere di tela, e andò ad appoggiarsi alla paratia di ferro, con le orecchie tese. C'era odore di abbandono e di sporcizia. Vide che Macarena e poi Gavira entravano dopo di lui e si fermavano tesi al suo fianco, le loro ombre delineate dalla luce distante dei lampioni dell'Arenal. Il banchiere, tranquillo, scambiò con Quart un'occhiata interrogativa. Macarena, con la fronte aggrottata, li guardava a turno in attesa di un segnale, risoluta come se avesse passato tutta la vita ad assaltare barche a mezzanotte. C'era una porta di legno dietro cui si sentiva, attutito, il brusio di una radio. Alla base, sulla soglia, spuntava un sottile filo di luce. «Se ci sono complicazioni, uno su ogni uomo» sussurrò Quart indicando se stesso e poi Gavira, prima di puntare il dito su Macarena. «E lei si occupa di padre Ferro.» «E la donna?» chiese Gavira. «Non lo so. Se interviene, vedremo. Sul momento.» Il banchiere suggerì che forse avrebbero potuto tentare con le buone, lasciandolo parlare a nome di Peregii. Discussero brevemente la faccenda a bassa voce. Il problema, conclusero, era che i sequestratori aspettavano la consegna del riscatto, e Gavira aveva con sé solo le carte di credito. Quart rifletteva più in fretta possibile, mentre i suoi compagni di avventura lo guardavano in attesa; gli lasciavano la decisione finale, da religioso a religioso, con i rischi che ogni scelta implicava. Rimpiangendo un'ultima volta di non essere ricorso alla polizia, Quart tentò di ricordare come affrontare quel genere di problemi. Con le buone: molta calma e molte chiacchiere. Con le cattive: rapidità, sorpresa, abilità. In entrambi i casi, non dare mai all'avversario il tempo di riflettere. Stordirlo con una valanga di impressioni che bloccano la sua capacità di reagire. E nel peggiore dei casi si augurava che la Provvidenza, o chi era di guardia quella notte, evitasse disgrazie. «Entriamo.» Tutto questo è grottesco, si disse. Poi prese da sopra la chiesuola della bussola un tubo massiccio di acciaio, lungo tre palmi. Chi di spada ferisce, mormorò tra sé. Forse la faccenda si sarebbe conclusa senza che nessuno ferisse nessuno. Poi, prima di aprìre la porta, si riempì d'aria i polmoni ossigenandoli una mezza dozzina di volte. Quando era già a metà strada si chiese se avrebbe dovuto farsi il segno della croce. Don Ibrahim si rovesciò la tazza del caffè sui pantaloni. Il prete alto era comparso sulla porta della plancia, in maniche di camicia, con il collare e una sbarra di ferro nella mano destra. Mentre si alzava in piedi a fatica, schiacciando la pancia contro il bordo del tavolo, scorse dietro di lui un altro uomo bruno, di bell'aspetto, nel quale riconobbe il banchiere Gavira. Poi comparve la giovane duchessa. «State calmi» disse il prete alto. «Siamo venuti per parlare.» Il Potro del Mantelete si era alzato a sedere sulla cuccetta, in canottiera, con il tatuaggio legionario sulla spalla lucido di sudore, appoggiando i piedi scalzi per terra. Fissava don Ibrahim con sguardo interrogativo, come per sapere se dovesse considerare la visita come fuori programma o no. «Ci manda Peregil» annunciò il banchiere Gavira. «E tutto a posto.» Se fosse stato tutto a posto, pensò don Ibrahim, loro non sarebbero stati lì, Peregil avrebbe posato quattro milioni e mezzo di pesetas sul tavolo e il prete alto non avrebbe avuto la sbarra in mano. Doveva essere saltata fuori una complicazione. Guardò alle spalle dei nuovi arrivati aspettandosi di veder spuntare gli sbirri da un momento all'altro. «Dobbiamo parlare» ripeté il prete alto. Ciò che dovevano fare, pensò don Ibrahim, era svignarsela a razzo, lui, la Nifla e il Potro. Ma non era così facile. Pagina 168
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt La Nifla era nella cabina con il prete vecchio, e i tre intrusi stavano proprio davanti all'uscìta. Che fosse maledetto, si disse. Che fosse maledetta la sua sfortuna, tutti i Peregil e tutti i preti del mondo. Lavorare con le tonache di mezzo portava iella. Era chiaro come il sole, e lui era un idiota. «Ci dev'essere un malinteso» disse per guadagnare tempo. Il prete alto aveva una faccia come di pietra, con la mano stretta intorno alla sbarra di ferro che si addiceva al suo collare come due pistole a un Cristo. Don Ibrahim si appoggiò al tavolo, stordito, con il Potro che lo guardava come un cane in attesa dell'ordine del padrone per lanciarsi all'attacco o per leccare la mano. Se almeno avesse potuto mettere in salvo la Nifla, pensò. In modo che lei non venisse implicata se tutto andava a farsi fottere. Era assorto nella riflessione quando i fatti decisero per lui. La giovane duchessa non sembrava assolutamente intimidita, tutto il contrario. Si guardava attorno con gli occhi che mandavano lampi. «Dove lo tenete?» chiese. Poi, senza aspettare risposta, si avviò verso la porta chiusa della cabina. Quella ragazza era davvero inviperita, si disse don Ibrahim. Più per istinto che altro, il Potro si alzò in piedi, tagliandole la strada. Guardava il suo compare, indeciso, ma il cubano era incapace di reagire. Allora il banchiere Gavira avanzò verso la donna come per soccorrerla, e il Potro, con le idee più chiare visto che si trattava di un maschio adulto, e per il discorso che è meglio prevenire che eccetera eccetera, gli mollò un destro che lo mandò a sbattere contro la paratia. Miora la situazione si complicò. Come se in un punto della sua malridotta memoria fosse risuonato il gong, il Potro si mise a saltellare per tutto la sala della barca, con i pugni sollevati, tirando un colpo dietro l'altro, deciso a difendere il titolo di peso gallo. Nel frattempo il banchiere aveva sbattuto contro un armadio pieno di tazze di metallo che venne giù con fragore, la giovane duchessa evitò un altro destro del Potro mentre si dirigeva risoluta verso la porta della cabina dove era rinchiuso il parroco, e don Ibrahim si mise a gridare a tutti di calmarsi senza che nessuno gli badasse. Poi si scatenò il finimondo. perché la Nina Puflales aveva sentito il rumore ed era uscìta a vedere cosa stesse accadendo, scontrandosi con la giovane duchessa, e nel frattempo il banchiere Gavira, per rifarsi del cazzotto del Potro, si era avviato verso don Ibrahim con pessime intenzioni. Il prete alto, dopo aver guardato indeciso la sbarra di ferro che aveva in mano, l'aveva gettata via ed era indietreggiato di qualche passo per schivare i colpi che il Potro continuava a lanciare contro tutto ciò che si muoveva, compresa la propria ombra. «Calma!» supplicava don Ibrahim. «Calma! Alla Nifla Punales venne un attacco isterico, dette uno spintone alla giovane duchessa e si lanciò contro il banchiere decisa a cavargli gli occhi con le unghie. Gavira, con pochissima cavalleria, la bloccò di colpo con un ceffone che rispedì la Nifla nella cabina, in uno svolazzìo di gale e di pallini, proprio ai piedi della sedia dove, con le mani legate e gli occhi bendati, il prete vecchio cercava di girare la testa per scoprire le ragioni del trambusto. Quanto a don Ibrahim, lo schiaffo alla Nifla aveva distrutto le sua ansie conciliatrici e adesso vedeva rosso. Così, accettando l'inevitabile, il ciccione ex falso avvocato rovesciò il tavolo, chinò la testa come gli avevano insegnato Kid Tunero e don Ernesto Hemingway nel bar Floridita all'Avana e, rispolverando un grido di guerra - "Viva Zapata" fu la prima cosa che gli venne in mente -,lanciò i suoi centodieci chili di peso contro lo stomaco del banchiere, portandolo con sé fino dall'altra parte della sala, proprio mentre il Potro assestava in faccia al prete alto un bel destro e l'aggredito si aggrappava alla lampada per non cadere a terra. I cavi della luce, strappati di netto, crepitarono e la barca rimase al buio. «Nifla! Potro!» gridò don Ibrahim, ansimante per la lotta e liberandosi del banchiere Gavira. Qualcosa si ruppe con strepito. Da tutte le parti c'erano grida e colpi nell'oscurità. Qualcuno, senza dubbio il prete alto, cadde sopra il cubano, e prima che quest'ultimo potesse rialzarsi gli mollò una gomitata in faccia che gli fece vedere le stelle. Accidenti al clero e all'altra guancia e a chi li ha inventati. Sentendosi colare il sangue dal naso don Ibrahim si allontanò gattoni, trascinando la pancia. Faceva un caldo spaventoso e tutto il grasso che aveva addosso gli impediva di respirare. Sulla porta si delineò per un attimo la sagoma del Potro, che continuava a tirar cazzotti a destra e a sinistra, per i fatti suoi. Si sentirono altri colpi e grida di diversa provenienza, e qualcosa andò Pagina 169
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt in frantumi. Una scarpa col tacco calpestò la mano a don Ibrahim, e poi un corpo gli cadde addosso. Riconobbe immediatamente la gonna con le gale e il profumo di Legni d'Oriente. «La porta, Nifla!... Corri alla porta!» Don Ibrahim si alzò a fatica, trovò a tentoni la mano della Nifla e se la trascinò dietro, mollò un cazzotto, mancandolo alla grande, a qualcuno che si era messo sulla sua strada, e con la forza della disperazione guidò la Nifla verso la plancia e la coperta. Salì senza fiato, scoprendo che il Potro era già fuori e saltellava attorno al timone, colpendone la fodera di tela come se fosse stata un sacco da boxe. Col cuore che perdeva i colpi, distrutto, sicuro che da un momento all'altro gli sarebbe venuto un infarto, don Ibrahim prese il Potro per un braccio e, senza lasciare la mano della Nifla, li condusse in fretta e furia verso la scaletta per scendere a terra. Là, spingendoli davanti a sé, riuscì a farli incamminare su per il molo. La Nifla Puflales singhiozzava stordita stringendogli la mano. Accanto a lei, la fronte china e respirando dal naso, hop, hop, il Potro del Mantelete continuava ad assestare cazzotti alle ombre. Portarono padre Ferro in coperta superiore e si sedettero accanto a lui, malridotti e indolenziti, godendosi l'aria fresca della notte dopo la zuffa. Avevano trovato una torcia, così Quart poté vedere lo zigomo infiammato di Pencho Gavira, che iniziava a chiudergli l'occhio destro, la faccia sporca di Macarena, con un graffio superficiale sulla fronte, e l'aspetto disastrato del vecchio parroco, con la tonaca abbottonata male e la barba lunga di quasi due giorni che gli copriva il volto di ruvidi peli bianchi fra le antiche cicatrici. Quart non era in condizioni migliori: il cazzotto che gli aveva assestato l'uomo con l'aria da pugile prima che si spegnesse la luce gli aveva irrigidito la mascella, e il timpano corrispondente gli ronzava in modo fastidioso. Con la punta della lingua si esaminò un dente, che sembrava dondolare. Maledizione. Era una situazione strana. La coperta del C'anela fina piena di sedili rovinati, le luci dell'Arenal sopra il parapetto, la Torre dell'Oro illuminata dietro le acacie, più giù, sulla riva. Lui, Macarena e Gavira che formavano un semicerchio intorno a padre Ferro, che non aveva ancora pronunciato una parola né un lamento. Non aveva avuto neppure un gesto di gratitudine. Guardava la superficie scura del fiume come se fosse molto lontano da lì. Gavira parlò per primo. Si era messo la giacca sulle spalle, ordinato e perfettamente tranquillo. Senza eludere le sue responsabilità, raccontò di Celestino Peregil e di come avesse interpretato male le sue istruzioni. Ecco perché era venuto quella sera, per cercare di porre rimedio il più possibile ai danni causati. Era pronto a offrire al parroco ogni tipo di soddisfazione, compresa la squartatura di Peregil non appena fosse riuscìto a mettergli le mani addosso, ma era meglio mettere bene in chiaro che tutto ciò non cambiava affatto il suo atteggiamento riguardo alla chiesa. Erano due faccende indipendenti, spiegò. Poi lasciò cadere un breve silenzio, si passò le dita sullo zigomo gonfio, e accese una sigaretta. «Quindi» dopo un istante di riflessione aggiunse «adesso torno ai margini di questa faccenda.» E non aprì più bocca. Subito dopo fu Macarena a parlare, facendo un resoconto minuzioso di ciò che era successo in assenza del parroco, e quest'ultimo la ascoltò senza dar segno d'emozione, neppure quando lei raccont ò della morte di Honorato Bonafé e dei sospetti della polizia. A questo punto prese la parola Lorenzo Quart. Ora padre Ferro si era voltato verso di lui e lo guardava. «Il problema» disse Quart «è che lei non ha un alibi». Alla luce della torcia, gli occhi del parroco sembravano più scuri ed ermetici. «perché dovrei averne bisogno?» chiese. «Bè» Quart si chinò verso di lui, i gomiti sulle ginocchia. «C'è un orario critico, per così dire, nella morte di Bonafé: dalle sette, sette e mezzo di sera fino alle nove, più o meno. Dipende da quando ha chiuso la chiesa. Se ci fosse un testimone di ciò che ha fatto in quelle due ore, risolverebbe molti problemi.» Il parroco aveva la testa dura, pensò ancora una volta mentre aspettava la risposta. I capelli bianchi tagliati malamente, il naso largo, la faccia segnata come se l'avessero scolpita a martellate. La luce della torcia ne accentuava l'aspetto. «Non c'è nessun testimone» disse. Sembrava indifferente a ciò che significava. Quart scambiò uno sguardo con Gavira, che rimaneva in silenzio, e poi sospirò scoraggiato. «La situazione si complica. Macarena e io possiamo testimoniare che lei è venuto alla Casa del Postigo verso le undici, e che il suo atteggiamento, naturalmente, era al di sopra di ogni Pagina 170
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt sospetto. Gris Marsala, da parte sua, confermerà che fino alle sette e mezzo non è successo nulla di insolito... La prima domanda che le farà la polizia, suppongo sarà come possa non aver visto Bonafé nel confessionale. Ma lei non è entrato in chiesa, vero?... E la spiegazione più logica. E suppongo che l'avvocato che metteremo a sua disposizione le chiederà di confermare questo punto.» «perché dovrei farlo?» Quart lo guardò, irritato dall'ovvietà della risposta. «Bè, che cosa vuole che le dica. E l'unica versione credibile. Sarà più difficile sostenere la sua innocenza se racconta che ha chiuso la chiesa sapendo che dentro c'era un morto». Don Priamo Ferro rimase impassibile, come se niente di tutto ciò lo riguardasse. Allora Quart, in tono aspro, gli ricordò che erano passati i tempi in cui le autorità accettavano come articolo di fede la parola di un sacerdote, specialmente se gli spuntavano cadaveri nel confessionale. Ma il parroco non prestava attenzione alle sue parole, e si limitava a rivolgere lunghi sguardi silenziosi a Macarena. Poi rimase un altro po'"in silenzio, di nuovo assorto a contemplare il fiume. «Mi dica un po'... Che cosa conviene a Roma?» Era l'ultima domanda che Quart si sarebbe aspettato di sentire. Si agitò sulla sua sedia, spazientito. «Lasci perdere Roma» ribatté con malumore. «Lei non è così importante. In ogni modo ci sarà uno scandalo. Può immaginare: un sacerdote sospettato di assassinio, e nella sua stessa chiesa.» Se lo aveva immaginato, non lo disse. Si era portato una mano al volto e si grattava la barba. Per qualche strana ragione sembrava in attesa. Quasi divertito. «Bene» assentì alla fine. «Sembra che quanto è successo convenga a tutti. Lei si libera della chiesa» disse a Gavira, che rimase in silenzio. «E voi» a Quart «vi liberate di me.» Macarena balzò in piedi con un'esclamazione di protesta. «Non dica così, don Priamo. C'è gente che ha bisogno della chiesa e che ha bisogno di lei. Io ne ho bisogno. E anche la duchessa» guardò suo marito, con sfida. «E domani è giovedì, non lo dimentichi.» Per un momento il duro profilo di padre Ferro sembrò addolcirsi un po'. «Non lo dimentico» disse. La torcia disegnava di nuovo il rilievo della pelle incisa col bulino. «Ma certe decisioni non sono più nelle mie mani... Mi dica, padre Quart: lei crede alla mia innocenza?» «Io sì, ci credo» disse Macarena, e le sue parole suonarono come una supplica. Ma gli occhi del parroco restarono fissi su Quart. «Non lo so» rispose quest'ultimo. «Davvero non lo so. Anche se ciò che io credo o non credo non ha importanza. Lei è un religioso, un confratello. Il mio dovere è di aiutarla il più possibile.» Priamo Ferro guardò Quart in modo singolare, come non aveva mai fatto fino ad allora. Uno sguardo per una volta privo di durezza. Grato, forse. Il mento del vecchio tremò un attimo, come se stesse per pronunciare parole che facevano resistenza sulle sue labbra. All'improvviso sbatté le palpebre stringendo i denti, e tutto fu cancellato di colpo dal suo volto, rimase solo il piccolo parroco brusco che fece girare attorno uno sguardo ostile, prima di fissarlo di nuovo su Quart. «Lei non può aiutarmi» disse. «Nessuno può farlo... Non ho bisogno di alibi, né di testimoni, perché quando ho chiuso la porta della sacrestia, c'era un morto dentro il confessionale. Quart chiuse gli occhi un secondo. La frase del sacerdote non lasciava via di scampo. «Come può esserne sicuro?» chiese, anche se conosceva la risposta. «perché l'ho ucciso io.. Macarena si voltò bruscamente, soffocando un gemito, e si aggrappò al parapetto sul fiume. Pencho Gavira accese un'altra sigaretta. Quanto a padre Ferro, si era alzato in piedi abbottonandosi goffamente la tonaca. «E ora» disse a Quart «è meglio che mi consegni alla polizia. La luna si spostava lentamente sul Guadalquivir verso la Torre dell'Oro che si rifletteva in lontananza, sulla corrente. Seduto lungo la riva, coi piedi che penzolavano a poca distanza dall'acqua, don Ibrahim chinava il capo, abbattuto, tamponandosi con il fazzoletto il sangue che gli gocciolava dal naso. Le falde della camicia gli erano uscìte fuori dai pantaloni, scoprendo la grossa pancia macchiata di caffè e grasso di barca. Sdraiato accanto a lui, prono come se avessero contato fino a dieci e ormai per lui fosse tutto indifferente, anche il Potro del Mantelete guardava l'acqua scura, in silenzio, un sopracciglio inarcato, perso in lontani sogni di arene e di pomeriggi di gloria, di applausi sotto i riflettori, sul tappeto di un ring. Immobile come un levriero stanco e fedele che aspetta accanto al suo padrone. E le dicono i mattinieri: Mana Paz cos'è che aspetti... Ai piedi della scalinata di pietra che scendeva al fiume, la Nina Puiìales Pagina 171
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt si bagnava l'orlo del vestito fra i giunchi della riva e se lo passava sulle tempie, canticchiando piano una canzone. La sua voce rauca di manzanilla e di sconfitta suonava spenta sul mormorio dell'acqua. Le luci di Triana strizzavano l'occhio dall'altra riva, mentre la brezza che veniva da Saniùcar, dal mare e, raccontavano, dall'America, increspava leggermente il fiume per alleviare le pene dei tre compari: Don Ibrahim si portò meccanicamente una mano al petto e poi la lasciò ricadere in grembo. Aveva abbandonato, a bordo del C'anela lina, l'orologio di don Ernesto Hemingway e l'accendino di Garcia Marquez, il cappello di Panama e i sigari. E con gli ultimi brandelli di dignità e di vergogna, i quattro milioni e mezzo di pesetas mai viste, con le quali dovevano aprìre un locale alla Nifla. Aveva fatto molti affari disastrosi in vita sua, ma mai nessuno così. Sospirò molto a fondo, un paio di volte, e appoggiandosi alla spalla del Potro si alzò faticosamente in piedi. La Nifla Puiìales salìva su dal fiume, sollevando con grazia la gonna umida con i pois e le gale, e alla luce dei lampioni dell'Arenal l'ex falso avvocato contemplò con tenerezza il tirabaci disfatto sulla fronte, le ciocche scarmigliate dello chignon sulle tempie, il mascara sciolto degli occhi e la bocca appassita da cui era scomparso il rossetto. Anche il Potro si alzò, con la sua canottiera bianca, e una zaffata di onesto sudore maschile arrivò fino a don Ibrahim. Allora al cubano, nascosto dall'oscurità, sulla guancia ancora bruciacchiata dalla bottiglia di anisetta, scivolò un lacrimone tondo, che gli rimase appeso al mento dove già iniziava a trasparire, azzurrina, la barba di una nottata così infausta. Ma erano tutti e tre in salvo, e ancora a Siviglia. La domenica successiva toreava Curro Romero alla Maestranza. Triana si ergeva illuminata sull'altra riva del fiume, come un rifugio, vigilata da una sentinella impassibile, il profilo di bronzo di Juan Belmonte. C'erano undici bar in trecento metri, nell'Altozano. La saggezza, il tempo mutevole e la pietra immutabile aspettavano in fondo alle bottiglie di vetro nero e di nianzanilla bionda. E da qualche parte risuonavano gli arpeggi di una chitarra impaziente, in attesa della voce che intonasse una canzone. Dopotutto, niente era poi così importante. Un giorno don Ibrahim, il Potro, la Niffa, il re di Spagna e il papa a Roma, sarebbero morti tutti. Ma la città sarebbe rimasta lì, dov'era sempre stata, col suo profumo di zagare, di arance amare, di bella di notte e di gelsomino in primavera. A guardarsi nel fiume sul quale si erano avvicendate tante cose belle e brutte, tanti sogni e tante vite: Hai fermato il cavallo, io luce ti ho fatto e furono due verdi stelle di maggio i tuoi occhi per me... Cantò la Niiìa. E come se la canzone fosse un segnale, un lontano rullo di tamburo o un sospiro dietro una grata, i tre compari si misero in marcia, uno accanto all'altro, senza voltarsi indietro. La luna li seguì silenziosamente sulle acque del fiume, finché non sparirono fra le ombre e alle loro spalle rimase soltanto, molto fioca, l'eco dell'ultima canzone della Niiìa Puiìales. 14.La messa delle otto Ci sono persone, fra le quali mi annovero, che detestano il lieto fine. VLADIMIR NABoKov, Dietro il vetro blindato, il poliziotto di guardia osservava con curiosità il vestito nero e il collare di Lorenzo Quart. Dopo un po'"lasciò il suo posto fra i quattro monitor del circuito chiuso che sorvegliava l'esterno del commissariato di polizia e gli portò una tazza di caffè. Quart ringraziò, rinvigorito dal liquido caldo, mentre guardava allontanarsi la schiena con le manette e i due caricatori di pallottole accanto al calcio della pistola. I passi della guardia, e poi la porta della garitta che si chiudeva, risuonarono nel silenzio dell'atrio, che era freddo, luminoso e bianco, di una pulizia ossessiva. La luce al neon dava un tono asettico, da ospedale, al marmo del pavimento e alla scala con il corrimano di acciaio inossidabile. Sulla parete, accanto a una porta chiusa, un orologio digitale segnava, numeri rossi su sfondo nero, le tre e mezzo del mattino. Si trovava lì da quasi due ore. Quando era sceso dal C'anela fina, Pencho Gavira se ne era andato direttamente a casa, dopo aver scambiato qualche parola con Macarena e aver teso a Quart la mano che l'altro aveva stretto in silenzio. Siamo in pace, padre. l'aveva detto senza sorridere, guardandolo fisso prima di voltarsi e andarsene, la giacca sulle spalle, verso la scalinata che portava all'Arenal. Era impossibile sapere se si riferiva alla faccenda del parroco o a Macarena. Comunque fosse, quel gesto sportivo costava molto poco al banchiere. Attenuata la sua responsabilità nel sequestro grazie Pagina 172
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt a un intervento all'ultimo minuto, sicuro che né Macarena né Quart gli avrebbero creato problemi, inquieto solo per la sorte del suo assistente e del denaro del riscatto, Gavira aveva avuto la delicatezza di non sottolineare la posizione in cui lo avevano collocato gli ultimi sviluppi della vicenda di Nostra Signora delle Lacrime. Dopo la confessione di padre Ferro, il vicepresidente del Banco Cartujano era senza dubbio il grande vincitore della serata. Difficile immaginare che qualcuno potesse ancora mettersi sulla sua strada. Quanto a Macarena, sembrava muoversi sul limitare di un incubo. Sulla coperta del C'anela fina, rivolta verso il fiume, Quart aveva visto le sue spalle tremare mentre diceva addio, fra le lacrime, al sogno che sprofondava nelle acque scure, ai suoi piedi. Poi era ammutolita. Dopo aver accompagnato il parroco al commissariato di polizia, Quart l'aveva portata a casa in taxi, e anche allora Macarena era rimasta in silenzio. l'aveva lasciata nel patio, seduta vicino alla fontana con gli azulejos, in mezzo all'oscurità, e quando le aveva sussurrato un saluto incerto prima di andarsene, lei stava guardando la torre spenta della colombaia. Nel rettangolo nero del cielo, la notte continuava a sembrare un telone teatrale con dei puntini luminosi dipinti sopra la Casa del Postigo. Senil aprìre una porta, voci e passi in fondo al vestibolo bianco, Quart si mise in allerta, la tazza del caffè ancora in mano. Ma non comparve nessuno, e dopo un momento c'era di nuovo silenzio sotto il neon e l'immagine immobile, in bianco e nero, della strada deformata dall'obiettivo grandangolare nei monitor della polizia. Quart si alzò in piedi e fece qualche passo senza meta, quando fu davanti al pannello di vetro blindato l'agente gli sorrise con imbarazzata simpatia. Abbozzò a sua volta un Sorriso simile e si affacciò alla porta che dava sulla strada. Là c'era un'altra guardia, con il giubbotto antiproiettile blu e una mitraglietta alla spalla, che passeggiava annoiata sotto le grandi palme dell'ingresso. Il commissariato era situato nella parte moderna della città e all'incrocio, deserto vista l'ora, i semafori passavano lentamente dal rosso al verde, dal verde al giallo. Si sforzava di non pensare. O meglio, rifletteva solo sugli aspetti tecnici del caso. La nuova situazione di padre Ferro, le prospettive giudiziarie, i rapporti che doveva mandare a Roma non appena fosse giunto il mattino... Cercava di evitare che tutto il resto - sensazioni, incertezze, intuizioni - si impadronisse di lui, togliendogli la serenità necessaria al suo lavoro. Dietro una leggera barriera, spiando la minima fessura per invadere il panorama, i suoi vecchi fantasmi combattevano per unirsi ai nuovi, con la differenza che stavolta il sacerdote Lorenzo Quart sentiva il rullo del tamburo sulla propria pelle. Era facile tenersi al margine quando qualcosa, anche solo una particolare idea di se stessi, si inseriva fra l'azione e le sue conseguenze, ma non lo era altrettanto mantenere il polso fermo quando si sentiva il respiro della vittima. O quando si riconosceva un alter ego, e i concetti di bene e di male, di giusto e di sconveniente, sfumavano i loro contorni in una terribile certezza. Si contemplò a lungo nel riflesso scuro del vetro della porta. I capelli grigi cortissimi di chi in altri tempi era stato un buon soldato. Il volto magro che reclamava un rasoio e schiuma da barba. Il collare nero e bianco che ormai non poteva più difenderlo da nulla. Aveva percorso un lungo cammino per ritrovarsi di nuovo sul frangiflutti battuto dalla pioggia, con le gocce d'acqua che cadevano sulla mano fredda, inerme come quella del bambino che vi era aggrappata. Come le braccia che scendevano dalla croce di un Cristo di vetro inesistente, ridotto a una sagoma vuota delineata dal piombo nella finestra che Gris Marsala si ostinava a ricomporre. Si aprì una porta dall'altra parte dell'atrio e un brusio di voci giunse fino a Quart. Quando si voltò vide che Simeòn Navajo veniva verso di lui: la sua camicia di un rosso garibaldino era una pennellata di colore nel bianco asettico del vestibolo. Così restituì la tazza vuota alla guardia della garitta e gli andò incontro. Il vicecommissario si asciugava le mani con una salvietta di carta. Era appena uscìto dal bagno e i capelli umidi erano pettinati all'indietro, ben stretti alla nuca nel codino. Aveva cerchi di stanchezza intorno agli occhi, e gli occhiali rotondi gli scivolavano sulla punta del naso. «Ecco fatto» disse gettando la salvietta in un cestino. «Ha appena firmato la dichiarazione.» «Sostiene di aver ucciso Bonafé?» «Sì.» Navajo scrollava le spalle quasi scusandosene. Sono cose che succedono, di&eva il gesto, non è colpa né sua né mia. «E interrogato sulle altre due morti, una semplice formalità, è saltato fuori che né le rivendica né le nega. E una seccatura, perché erano casi chiusi, e ora ci obbliga a riaprìre l'indagine... Pagina 173
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Infilò le mani nelle tasche, fece qualche passo verso la porta e là si fermò, guardando le luci nella strada deserta. «A dire il vero» aggiunse «il suo collega non pare molto comunicativo. Si è limitato quasi sempre a rispondere sì o no, o a restare in silenzio come gli consigliava l'avvocato.» «Tutto qui. «Tutto qui. Neppure quando abbiamo fatto il confronto con la signora, o signorina... o sorella Marsala, comunque si dica, l'ho visto battere ciglio.» Quart guardò verso la porta. «Gris è ancora dentro?» «Sì. Sta firmando le ultime dichiarazioni, con l'avvocato che ha fatto venire lei. Fra un momento potrà tornare a casa.» «Conferma la confessione di don Priamo?» Navajo fece una smorfia. «Tutto il contrario. Insiste che non ci crede. Il parroco è incapace di uccidere chiunque, assicura.» «E lui cosa risponde?» «Nulla. La guarda e non dice nulla.» Tornò ad aprìrsi la porta in fondo al vestibolo, e Arce, l'avvocato, venne verso di loro. Era un tipo tranquillo, vestito di scuro, con il distintivo dorato di un'università sul risvolto della giacca. Erano anni che si occupava di faccende giuridiche per conto della Chiesa e aveva una meritata fama di specialista in ogni genere di irregolarità, comprese situazioni simili. Fra onorari e diarie costava una fortuna. «E sorella Marsala?» chiese Navajo. «Ha appena firmato la sua dichiarazione» disse Arce. «E ha chiesto un paio di minuti con padre Ferro, per congedarsi. I suoi colleghi non hanno visto violazioni, così li ho lasciati a parlare qualche minuto. Sotto vigilanza, naturalmente.» Diffidente, il vicecommissario guardò Quart e poi l'avvocato. «Bè, ormai sono più di due minuti» suggerì. «Quindi è meglio che ve la portiate via.» «Chiuderete il parroco in cella?» chiese Quart. «Stanotte dormirà in infermeria.» Arce indicò con un cenno che dovevano il riguardo al vicecommissario. «E domani deciderà il giudice.» Si aprì di nuovo la porta, e Gris Marsala venne verso di loro accompagnata da un agente che teneva in mano dei fogli battuti a macchina. La monaca aveva l'aria prostrata, esausta. Indossava ancora gli stessi jeans e le scarpe sportive che aveva in chiesa, e un giubbotto, sempre di jeans, sulla polo azzurra. Nella luce cruda e bianca del vestibolo sembrava ancora più inerme che al mattino. «Che cosa ha detto?» le chiese Quart. Lei impiegò un'eternità a voltarsi verso il sacerdote, come se facesse fatica a riconoscerlo. «Nulla.» Le parole uscìrono lentamente, inespressive. Muoveva la testa da una parte all'altra, con disperazione. «Dice che l'ha ucciso e poi tace.» «E lei ci crede?» Da qualche parte nell'edificio, spenta e lontana, risuonò una porta che si chiudeva. Gris Marsala guardò Quart, senza rispondere. I suoi occhi chiari riflettevano un infinito disprezzo. Quando l'avvocato Arce se ne fu andato in taxi con la suora, Simeòn Navajo sembrò rilassarsi, sollevato. Detesto tipi simili, confidò a Quart sottovoce. Con i loro trucchi, i loro habeas corpus e tutto il resto. Sono una disgrazia, padre, e il suo è un vero volpone. Dopo lo sfogo, il vicecommissario dette un'occhiata ai fogli che aveva portato l'altro poliziotto, prima di passarli al sacerdote. «Ecco una copia della dichiarazione. Non è una procedura molto regolare, per cui mi faccia il favore di non sbandierarla troppo in giro. Ma fra noi...» Navajo fece un sorrisetto. «Bè. Mi sarebbe piaciuto esserle di maggiore aiuto in tutta la faccenda.» Quart lo guardò con gratitudine. «Lo ha fatto.» «Non mi riferisco a stasera. Voglio dire che un sacerdote arrestato per assassinio...» Navajo si toccò il codino, a disagio «mi capìsce. Non ti fa sentire soddisfatto del tuo lavoro.» Quart sfogliava le pagine fotocopiate, redatte in linguaggio burocratico. A Siviglia, in data tale, compare don Priamo Ferro Ordàs, nato a Tormos, provincia di Huesca. In calce all'ultima pagina c'era la firma del parroco: un tratto goffo, quasi uno scarabocchio. «Mi racconti come ha fatto.» Navajo indicò le pratiche. «E tutto lì. Il resto possiamo dedurlo dalle sue risposte affermative alle nostre domande, o dal rifiuto a rispondere. A quanto pare, Honorato Bonafé era in chiesa verso le otto, otto e mezzo. Probabilmente era entrato dalla porta della sacrestia. Padre Ferro era andato in chiesa per fare il suo solito giro prima di chiudere, e l'ha trovato là.» «Stava ricattando tutti» intervenne Quart. «Forse è stato il motivo. Appuntamento previo o caso, il fatto è che il parroco dice di averlo ucciso, punto e basta. Senza altri dettagli. Ha aggiunto solo che poi ha chiuso la porta della sacrestia, lasciandolo dentro.» «Nel confessionale?» Navajo scosse il capo. «Non si pronuncia. Ma i miei uomini hanno ricostruito l'accaduto. Bonafé doveva essere salìto sull'impalcatura dell'altare maggiore, accanto alla statua della Pagina 174
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Vergine. Secondo tutti gli indizi, si è arrampicato su anche il parroco» accompagnava il racconto con i soliti gesti delle mani, due dita che camminavano verso l'alto come se salìssero sull'impalcatura, e poi altre due dita che si avvicinavano. «Si sono messi a discutere, a lottare o quel che è. Comunque Bonafé è caduto, oè stato spinto di sotto, da cinque metri d'altezza.» Navajo intrecciò le due paia di dita per un istante e poi imitò la caduta di uno dei contendenti. «La ferita alla mano se l'è procurata nel tentativo di aggrapparsi a una vite dell'impalcatura. Per terra, ferito gravemente ma ancora vivo, si è trascinato per qualche metro e poi si è tirato su.» Quart seguiva, quasi angosciato, il lento strisciare delle dita del poliziotto. «Ma non riuscìva a camminare, e il primo posto che ha trovato è stato il confessionale. Così si è lasciato cadere lì dentro ed è morto.» Adesso le dita che rappresentavano Bonafé giacevano immobili, sul palmo dell'altra mano che fungeva da improvvisato confessionale. Grazie alla mimica di Navajo, Quart poteva immaginare la scena senza sforzo, eppure gli tempestavano la mente tutte le congiunzioni avversative che aveva imparato da bambino, a scuola. Ma. Però. Bensì. Malgrado ciò. Ciò nonostante. «Don Priamo lo conferma?» Navajo prese un'espressione seccata. Sarebbe stato bello. Era chiedere troppo. «No. Si limita a tacere.» Si tolse gli occhiali per guardarli in controluce davanti al neon, come se la pulizia delle lenti gli infondesse un tono professionale. «Dice che è stato lui, e poi ammutolisce.» «Questa storia non ha né capo né coda.» Il vicecommissario sostenne lo sguardo scettico di Quart senza battere ciglio, in un silenzio che era solo cortese. «Non sono d'accordo» disse alla fine. «Come sacerdote è possibile che lei desideri ulteriori indizi, o circostanze. Immagino che sia l'aspetto morale del fatto a ripugnarle, e capisco. Ma si metta nei miei panni.» Si infilò gli occhiali. «Io sono un poliziotto e i miei dubbi sono minimi: ho il rapporto del medico legale e un uomo, sacerdote o no, in pieno possesso delle sue facoltà mentali, che confessa di aver ucciso. Come diciamo qui: liquido bianco in bottiglia, con una mucca sull'etichetta, non può essere altro che latte. Pastorizzato, scremato o con panna, come preferisce, ma sempre latte.» «D'accordo. Lei sa che è stato lui. Ma io ho bisogno di sapere come e perché l'ha fatto.» «Bene, padre. In fin dei conti sono affari suoi. Anche se sui particolari forse posso fornirle qualche altro dato. Ricorda che Bonafé era sopra l'impalcatura dell'altare maggiore quando è stato sorpreso dal parroco?» Estrasse dalla tasca dei pantaloni un sacchettino di plastica con dentro una pallina di madreperla. «Bè, guardi cosa abbiamo trovato addosso al cadavere.» «Sembra una perla. «Lo è» confermò Navajo. «E una delle venti perle che la Nel suo ufficio, circondato da scrivanie deserte, il vicecommissario fornì a Quart il resto dei particolari mentre gli serviva un altro caffè e lui si scolava una bottiglietta di birra. C'era voluto tutto il pomeriggio e parte della serata per compiere le relative verifiche, ma adesso si poteva affermare con certezza che qualcuno, mesi prima, aveva sostituito le perle della statua con altre venti identiche, d'imitazione. Navajo fece leggere al confuso Quart i relativi rapporti e fax. Il suo amico, l'ispettore capo Fejoo di Madrid, aveva lavorato fino a tardi per seguire la pista delle perle. La faccenda non era ancora stata chiarita in ogni dettaglio, ma anche stavolta tutti gli indizi portavano a Francisco Montegrifo, il mercante d'arte madrileno che era già entrato in contatto con padre Ferro per la vendita irregolare del retablo di Cillas, dieci anni prima. E Montegrifo aveva messo in circolazione le perle del capìtano Xaloc. O almeno la descrizione coincideva con una partita ritrovata nelle mani di un ricettatore, un gioielliere catalano confidente della polizia, esperto nel riciclare preziosi acquisiti illegalmente. Naturalmente non c'era alcuna prova della presunta mediazione di Montegrifo, ma gli indizi erano più che ragionevoli. Quanto al denaro ottenuto, la data fornita dal confidente coincideva con una ripresa dei lavori nella chiesa, con l'acquisto di materiale edile e con il noleggio dei macchinari. I fornitori contattati dagli uomini del vicecommissario Navajo affermavano che il costo delle consegne superava le possibilità dello stipendio del parroco e della cassetta delle elemosine della chiesa. «Così abbiamo un movente» concluse Navajo. «Bonafé è sulla pista giusta, va in chiesa e trova conferma che le perle sono false... Tenta di ricattare il parroco, o forse quest'ultimo non gliene da neppure il tempo.» Le mani del vicecommissario tornarono a rappresentare la scena, stavolta sul piano del tavolo, con il vassoio di carte che faceva le veci della statua della Vergine Pagina 175
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt ha incastonate sul volto, sul manto e sulla corona. E Bonafé l'aveva in una tasca della giacca. Quart guardava il sacchettino di plastica, sconcertato. « E allora? «Bè, è falsa. Come le altre diciannove.» «Forse l'ha sorpreso in flagrante e l'ha ucciso. Poi ha chiuso a chiave la porta della sacrestia e ha passato un paio d'ore nella torre della Casa del Postigo, a riflettere. E alla fine è sparito per un giorno intero.» Alla fine del discorso, il poliziotto fissò il suo interlocutore con aria interrogativa, incoraggiandolo a completare le lacune del racconto. Parve deluso quando Quart rimase in silenzio. «A proposito» proseguì svogliatamente «padre Ferro non ha voluto raccontare niente della sua scomparsa. Strano, vero?...» Ora faceva scivolare uno sguardo dolente sopra gli occhiali. «Su questo punto nemmeno lei, padre, mi permette, mi ha aiutato molto.» Come in cerca di una consolazione, sì avvicinò con la sedia al piccolo frigorifero alle sue spalle, tirò fuori un'altra bottiglietta di birra e un panino al prosciutto avvolto in carta stagnola, ne offrì a Quart un pezzo, e poi si mise a divorarlo con ferocia mentre il sacerdote si chiedeva dove mettesse il minuto vicecommissario una simile quantità di cibo, e birra. «Preferisco tacere che mentirle» disse Quart mentre l'altro masticava. «Comprometterei persone che non c'entrano affatto. Forse più avanti, quando sarà tutto finito... Ma può contare sulla mia parola di sacerdote: niente di tutto ciò riguarda direttamente il caso.» Navajo dette un morso al panino, lo mandò giù con un sorso di birra e osservò Quart, pensieroso. «Segreto di confessione, vero?» «Mettiamola così.» «Bene.» Un altro morso. «Non mi resta che crederle, padre. Inoltre ho ricevuto istruzioni dai miei capi che mi invitavano, cito alla lettera, a essere squisitamente discreto in tutta la faccenda...» Fece un sorrisetto, con la bocca piena, invidiando le conoscenze professionali di Quart. «Anche se devo confessarle che, non appena avrò risolto i problemi più immediati, ho intenzione di occuparmi dei lati oscuri del caso, anche solo a titolo personale... Sono un poliziotto maledettamente curioso, se mi permette l'espressione.» Per un momento lo sguardo del vicecommissario si fece serio dietro le lenti degli occhiali. «E non mi piace essere preso in giro.» Poi appallottolò la stagnola del panino e la gettò nel cestino della carta straccia. «Comunque, non dimentico che sono in debito con lei.» Sollevò improvvisamente un dito. Si era ricordato qualcosa. «A proposito. Nell'ospedale Regina Sofia è stato appena ricoverato un uomo in pessime condizioni. l'hanno trovato sotto il ponte di Triana, poco fa.» Ora Navajo scrutava Quart con molta attenzione. «E un investigatore privato di bassa lega, che a quanto dicono fa da scorta a Pencho Gavira, il marito, o quello che è, della signora Bruner figlia. Che serata piena di coincidenze, vero?... Immagino che non saprà nulla nemmeno di lui.» Quart sostenne lo sguardo del poliziotto, impassibile. «No.» Navajo si frugava tra i denti con un'unghia. «Lo supponevo» disse. «E non sa quanto mi sollevi, perché quell'individuo è ridotto da far pietà: ha le braccia rotte e la mandibola fratturata. C'è voluta mezz'ora per fargli articolare due parole. E quando c'è riuscìto, ha detto che era caduto dalle scale.» Non c'era più molto da aggiungere. Poiché Quart era l'unico rappresentante ecclesiastico a portata di mano, Navaio gli consegnò alcuni documenti ufficiali con il mazzo di chiavi della chiesa e della canonica. Gli fece anche firmare una breve dichiarazione sul carattere volontario della costituzione di padre Ferro. «Nessun altro religioso, a parte lei, ha fatto atto di presenza al commissariato. Nel pomeriggio ci ha telefonato l'arcivescovo, ma è stato per lavarsene le mani con molta arte. E anche per pregarci di tenere i giornalisti lontani dalla faccenda. Poi buttò la bottiglietta vuota nel cestino, iniziò uno sbadiglio spropositato, e dopo aver guardato l'orologio fece capìre che aveva voglia di andarsene a letto. Quart chiese di vedere un'ultima volta il parroco, e Navajo, dopo un attimo di riflessione, dichiarò che se l'interessato dava il suo consenso, non c'erano problemi . Andò a preparare la pratica, nel frattempo lasciò la perla falsa nel sacchettino di plastica sul tavolo. Quart la osservò senza toccarla, mentre pensava a Honorato Bonafé con la perla in tasca. Era grossa, e nella parte dove un tempo aderiva all'alveolo della statua la vernice lucida era scrostata. Per l'assassino, chiunque fosse padre Ferro, la chiesa stessa, uno dei personaggi che vi orbitavano attorno Pagina 176
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt - la perla, una volta fuori dal posto in cui era stata incastonata, aveva un valore tale da giustificare l'omicidio. Bonafé era andato a passeggio senza saperlo proprio sul filo del mistero: qualcosa che trascendeva i limiti polizieschi della faccenda. Non profanate la casa di mio Padre. Non minacciate il rifugio di coloro che cercano conforto. Da lì in poi, la morale convenzionale era inadeguata a considerare i fatti. Bisognava andare oltre, nelle tenebre della vita terrena, sugli inospitali sentieri che il parroco piccolo e tenace percorreva da anni, sostenendo sulle sue spalle stanche il peso desolante, eccessivo, di un cielo privo di sentimenti. Pronto a dar pace, riparo, misericordia. Pronto a perdonare i peccati, e addirittura, come quella notte, a farsene carico. Non era così grande il mistero, in fin dei conti. Quart abbozzò un triste sorriso al rallentatore, con gli occhi fissi sulla perla falsa di Nostra Signora delle Lacrime, mentre tutto intorno a lui girava lentamente, come nella volta scura. che ogni notte padre Ferro scrutava inseguendo la più agghiacciante delle certezze. A Quart parve tutto incredibilmente semplice, ora che i pezzi si incastravano in maniera perfetta: la perla, la chiesa, la città, il punto dello spazio e del tempo in cui tutto si collocava. Personaggi riflessi nel fiume ampio, vecchio e saggio, diretto a un mare immenso, immutabile, un mare che avrebbe continuato a battere spiagge deserte, rovine, porti abbandonati, barche arrugginite con ormeggi immobili, anche molto tempo dopo che tutti loro se ne fossero andati. Era così ridotto lo spazio, così precario il rifugio, così fragile il conforto, che non era difficile capìre chi sguainava la spada di Giosuè per combattere la battaglia che dava un senso a tutto, e chi portava la Croce con peccati altrui. Erano due facce della stessa medaglia: l'unico eroismo possibile, il coraggio lucido privo di bandiere e di vittoria. Pedoni solitari in fondo alla scacchiera che si sforzano di terminare il loro gioco con dignità anche se sopraffatti dalla sconfitta, come quadri di fanteria il cui fuoco si è spento a poco a poco in una valle inondata da nemici e da ombre. Ecco la mia casella, sono qui, qui muoio. E al centro di ogni casella, uno stanco rullo di tamburo. «Quando vuole, padre» annunciò Navajo, affacciandosi alla porta. Ecco il senso. Era proprio questo il senso, e non importava chi avesse spinto Honorato Bonafé dall'alto dell'impalcatura. Quart allungò una mano fino a sfiorare con le dita l'involucro della perla. E così, guardando la lacrima finta di Nostra Signora, il soldato smarrito sul fianco della collina di Hattin riconobbe, in lontananza, la voce rauca e il rumore del ferro di un altro fratello impegnato a combattere nel suo stesso angolo della scacchiera. Non c'erano più mani amiche che seppellissero poi in cripte eroiche, illuminate dalla luce dorata delle feritoie, fra statue di cavalieri giacenti, con le mani guantate e il leone ai piedi. Ora il sole era allo zenit e le ossa di uomini e cavalli si offrivano sotto la collina, in pasto a sciacalli e avvoltoi. Così, trascinando la spada, sudato sotto l'armatura, il guerriero stanco si alzò in piedi e seguì Simeon Navajo nel corridoio lungo e bianco. E là in fondo, in una stanzetta con una guardia davanti alla porta, padre Ferro era seduto su una sedia, senza tonaca, con dei pantaloni grigi sotto i quali spuntavano le sue vecchie scarpe da lucidare, e una camicia bianca abbottonata fino al collo. Avevano avuto il riguardo di non ammanettarlo, ma anche così sembrava molto piccolo e inerme, gli irsuti capelli bianchi scomposti, la barba di quasi due giorni fra segni, rughe e cicatrici. I suoi occhi scuri, arrossati vicino alle ghiandole lacrimali, osservarono il nuovo arrivato, impassibili. allora Quart si avvicinò e, mentre il vicecommissario e l'agente lo guardavano attoniti dalla porta, si inginocchiò davanti al vecchio sacerdote. «Mi perdoni padre, perché ho peccato.» Erano le sue scuse, i suoi ossequi, la sua contrizione, e aveva bisogno di renderli pubblici. Per un istante lo stupore turbò lo sguardo del parroco. Rimase così, immobile, senza staccare gli occhi dall'uomo che aspettava inginocchiato e fermo davanti a lui. Mia fine alzò lentamente una mano e fece il segno della croce sopra la testa di Lorenzo Quart. Negli occhi del vecchio c'era una luce umida di riconoscenza; gli tremavano il mento e le labbra mentre pronunciava in silenzio, senza parole, l'antica formula del conforto e della speranza. E allora finalmente sorrisero, sollevati, tutti i fantasmi e tutti gli amici morti del templare. Si lasciò alle spalle le tre palme e attraversò la piazza deserta, fra i semafori che passavano dal verde al rosso e dal rosso al giallo. Poi si avviò sul viale camminando diritto davanti a sé verso il ponte di San Telmo, nella solitudine e nel silenzio assoluto del cuore della notte. Pagina 177
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt Vide la luce di un taxi libero alla sua fermata, ma proseguì: aveva bisogno di camminare. E camminò mentre i lampioni allungavano e rattrappivano la sua ombra sui marciapiedi. Mentre si avvicinava al Guadaiquivir l'umidità si fece più intensa, e per la prima volta da quando era a Siviglia ebbe freddo. Si alzò il collo della giacca. Vicino al ponte, a quell'ora senza luci né turisti ad ammirarla, la torre degli Mmohadi si fondeva con l'oscurità, assorta in un tempo perduto. Attraversò il ponte. I getti d'acqua della fontana della Porta di Jerez non zampillavano quando passò accanto alla facciata di mattoni e azulejos dell'hotel Alfonso Mii. Proseguì lungo le mura dell'Alcazar, e nel cortile due spazzini municipali allontanarono al suo passaggio il getto d'acqua di una splendente bocchetta di rame. Aspirò l'aria profumata di aranci e di terra umida camminando verso l'arco della Juderia, e poi per le strade strette di Santa Cruz, preceduto dall'eco dei suoi passi sotto i lampioni dalla luce fioca. Non sapeva quanto aveva camminato, ma certo la passeggiata lo aveva portato molto lontano, fuori dal tempo, in un luogo imprecisato dove, come in un sogno, si ritrovò all'improvviso in una piazzetta piccola, fra case dipinte con ocra rossa e calce bianca che illuminava l'oscurità come se fosse giorno. Una piazza con grate, e vasi di gerani, panchine decorate da azulejos con scene del Don Chisciotte. E in fondo, fra impalcature che puntellavano il suo decrepito campanile a vela, custodita da una Madonna senza testa che l'oscurità nascondeva quasi completamente nella sua nicchia, si innalzava, vecchia di tre secoli e della lunga memoria degli uomini che sotto il suo tetto avevano trovato rifugio, la chiesa di Nostra Signora delle Lacrime. Andò a sedersi su una delle panchine e la osservò da lì, immobile, per molto tempo. Si succedevano i rintocchi all'orologio della torre vicina, e ogni volta i rondoni e le colombe svolazzavano inquieti, strappati al sonno, per poi posarsi di nuovo al riparo delle grondaie. La luna era scomparsa dal cielo. Le stelle erano ancora lassù, e brillavano gelide; verso l'alba il freddo si fece più intenso, attanagliando le cosce e la schiena del sacerdote. Tutto diventava più definito nel suo spirito pieno di pace, come il chiarore che iniziava a insinuarsi da est e cresceva lentamente delineando con maggiore precisione la sagoma del campanile a vela, che sembrava incupirsi per contrasto con le tenebre in ritirata alle sue spalle. Risuonarono altri rintocchi, e di nuovo colombe e rondoni placarono il loro svolazzio. Il giorno si annunciava ormai con decisione nel chiarore rossastro che spingeva la notte verso l'altro lato della città, nel profilo nitido del campanile a vela, del tetto, delle grondaie della piazza e dei colori che rafforzavano le loro cupe sfumature d'oro e terra sulla calce bianca dei muri. Cantarono i galli, perché Siviglia era una di quelle città in cui c'erano ancora galli che cantavano all'alba. Allora Lorenzo Quart si alzò in piedi come se si risvegliasse da un lungo sogno. O forse ne era ancora avvolto, come avrebbe detto chiunque avesse visto il modo in cui camminava verso la chiesa. Sotto l'arco del portale si tolse la chiave di tasca e la fece girare nella porta, che si aprì con un cigolio. Entrava ormai abbastanza luce dalle vetrate per permettergli di avanzare con sicurezza fra le panche ammucchiate in fondo alla navata e le altre disposte sui due lati della navata centrale, davanti all'altare e al retablo, ancora pieno di ombre, accanto al quale brillava il lumino del Santissimo. Ascoltando l'eco dei passi si diresse al centro della chiesa, e da lì guardò il confessionale con la porta aperta, le impalcature sulle pareti, le pietre logore del pavimento e la bocca nera della cripta dove riposavano i resti di Carlota Brunen Poi si inginocchiò su una delle panche e aspettò immobile finché non fu completamente giorno. Non pregava, perché non sapeva davanti a chi farlo, e nemmeno l'antica disciplina dei riti professionali gli sembrava appropriata alle circostanze. Quindi si limitò ad aspettare con la mente libera, lasciandosi cullare nel silenzioso conforto dei vecchi muri, sotto il soffitto annerito dal fumo delle candele, dagli incendi e dalle macchie di umidità che si allargavano sopra la sua testa, là dove il chiarore crescente suggeriva il volto barbuto di un profeta, le ali di un angelo, una nuvola vuota o una sagoma irriconoscibile come un fantasma che svaniva nella quiete del tempo. Alla fine arrivò la luce del sole, penetrando proprio attraverso la sagoma a piombo del Cristo scomparso dalla finestra, e il retablo divenne un arabesco barocco di foglie d'oro, colonne bionde che mostravano la gloria di Dio. Il piede della Madre schiacciava la testa del serpente, ed era, suppose Quart, l'unica cosa davvero importante. Poi salì nel coro e suonò la campana. Aspettò un quarto d'ora seduto per terra, sotto la fune che terminava in grossi nodi, poi si tirò su e la suonò di nuovo con gli ultimi due rintocchi spaziati alla fine. Mancava un quarto d'ora alla Pagina 178
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt messa delle otto. Accese la luce del retablo e i sei ceri, tre su ogni lato dell'altare. Poi dopo aver preparato i libri e le ampolline, andò in sacrestia e si lavò le mani e la faccia, sfregandosi con un asciugamano i capelli umidi. aprì l'armadio e i cassetti del comò, dispose gli oggetti liturgici e scelse i paramenti adeguati al periodo dell'anno. Quando fu tutto pronto, si vestì con calma, nell'ordine e nel modo che gli avevano insegnato in seminario e che nessun sacerdote dimentica mai. Iniziò con l'amitto di lino bianco ormai caduto in disuso, che continuavano a usare solo i sacerdoti integralisti o molto anziani come padre Ferro. Seguendo i movimenti rituali, baciò la croce al centro prima di allargarselo sulle spalle e di annodare i suoi nastri incrociati dietro la schiena. Nell'armadio c'erano tre camici, la veste bianca che copriva l'officiante dalle spalle ai piedi, due erano troppo corti per la sua statura, ma il terzo, senza dubbio utilizzato da padre Lobato, era di una lunghezza ragionevole. Lo indossò, allacciandosi il nastro al collo, e lo strinse in vita con il cingolo. Poi prese l'alta fascia di seta bianca chiamata stola, e dopo aver baciato la croce al centro la passò sopra l'amitto, la incrociò sul petto, e si sistemò le punte sui fianchi stringendole sotto il cingolo. Prese infine la vecchia pianeta di seta bianca, con uno sbiadito filo d'oro che ricamava l'anagramma di Cristo sulla parte anteriore, e infilò la testa nell'apertura, lasciandosela ricadere addosso. Una volta vestito rimase immobile, le mani appoggiate sul cassettone, guardando l'ammaccato Crocifisso tra i pesanti candelieri d'argento che aveva davanti. Anche se non aveva dormito, provava la stessa lucidità e la stessa pace di quando aspettava seduto sulla panchina in piazza. l'aver ritrovato gli antichi gesti familiari, l'inizio del rito, rafforzavano la sua sensazione. Era come se la solitudine non importasse più, mitigata dall'esecuzione di movimenti che altri uomini, altre solitudini, avevano ripetuto nello stesso modo, finita la Cena, per quasi duemila anni. Non contava che il tempio fosse danneggiato e malridotto, che le impalcature puntellassero il campanile a vela, che nella volta svanissero come fantasmi antichi dipinti, che nel quadro alla parete Maria chinasse davanti a un angelo il volto rosso di vergogna su una tela rovinata, piena di crepe e di macchie, scurita dall'ossidazione della vernice. O che in fondo al vecchio telescopio di padre Ferro, a milioni di anni luce, il freddo palpito degli astri si burlasse sghignazzando di tutto ciò. Forse quell'ebreo intelligente di nome Heinrich Heine aveva ragione, e l'universo era solo il sogno di un Dio ebbro che andava a dormire su una stella. Ma il segreto, chiuso sotto chiave a tre mandate dietro la porta dell'abisso, era ben custodito. Padre Ferro si accingeva a finire in prigione per difenderlo, e né Quart né altri avevano il diritto di rivelarlo alla brava gente che ora aspettava di là, nella chiesa, e il cui rumore - un colpo di tosse, uno scalpiccio, gli scricchiolii di una panca dove qualcuno si inginocchiava - arrivava attraverso la porta della sacrestia, accanto al confessionale dove era morto Honorato Bonafé per aver toccato il velo di Tanit. Guardò l'orologio, ed era giunta l'ora. 15. Vespro Qualche giorno dopo il suo rientro a Roma e la presentazione del rapporto su Nostra Signora delle Lacrime, Quart ricevette una visita di monsignor Paolo Spada nella sua casa di via del Babuino. Pioveva di nuovo sulla città come tre settimane prima, quando gli avevano dato l'ordine di andare a Siviglia. Ora Quart se ne stava in piedi davanti alla vetrata aperta sulla terrazza, guardando cadere l'acqua sui tetti, sui muri ocra delle case, sul riflesso grigio del selciato e sulla scalinata di Piazza di Spagna, quando suonò il campanello della porta. Monsignor Spada era sulla soglia, massiccio e quadrato sotto un impermeabile nero ormai fradicio, e scrollava il capo per scuotere via l'acqua dalle sue dure setole da mastino. «Passavo di qui» disse «e ho pensato che forse poteva offrirmi un caffè.» Senza aspettare risposta appese l'impermeabile a un attaccapanni e passò nell'austero salottino, dove si accomodò in una delle poltrone vicino alla terrazza. Rimase li in silenzio, guardando cadere la pioggia, finché Quart non tornò dalla cucina con la caffettiera fumante e un paio di tazzine su un vassoio. «Il Santo Padre ha ricevuto il suo rapporto.» Quart annuì lentamente mentre si serviva un cucchiaino di zucchero, e poi aspettò in piedi, mescolando il caffè. Aveva le maniche della camicia rimboccate sugli avambracci, e il colletto aperto senza la striscia di celluloide bianca. Il Mastino piegò dilato la pesante testa Pagina 179
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt da gladiatore, guardandolo da sopra la sua tazza. «Inoltre» aggiunse «ha ricevuto un altro rapporto dall'arcivescovo di Siviglia, in cui è menzionato anche lei. Fuori imperversava la pioggia e il ticchettio dell'acqua sulla terrazza attrasse per un momento l'attenzione dei due uomini. Quart posò la tazzina vuota sul vassoio e sorrise. l'espressione triste, distante, preparata molto tempo prima, con la certezza che un giorno ne avrebbe avuto bisogno. «Mi dispiace di averle creato problemi, monsignore.» Era il solito vecchio tono. Disciplinato, rispettoso. Benché a casa sua restava in piedi senza sedersi, quasi sul punto di allineare i pollici alle cuciture dei pantaloni neri. Il direttore dello Ior gli lanciò un'occhiata affettuosa e poi scrollò le spalle. «Lei a me non ha causato alcun problema» disse con dolcezza «al contrario: ha fatto rapporto puntualmente a tempo di record, ha sbrigato un lavoro difficile e ha preso le decisioni adeguate riguardo alla costituzione di padre Ferro alla polizia e alla sua difesa legale...» Rimase un momento in silenzio, guardandosi le enormi mani fra le quali la tazzina quasi scompariva. «Sarebbe stato tutto perfetto se si fosse limitato a ciò.» Il sorriso triste di Quart si accentuò. «Ma non l'ho fatto.» Gli occhi da vecchio cane dell'arcivescovo, solcati da venature marroni, guardarono a lungo il suo agente. «No, non l'ha fatto. Alla fine ha deciso di prendere partito.» Esitò un istante, corrugando la fronte. «Lasciarsi coinvolgere, suppongo, sia l'espressione giusta. E l'ha fatto nel modo e nel momento meno opportuni.» Quart lo guardò con franchezza. «Per me lo erano, monsignore. l'arcivescovo chinò di nuovo la fronte, benevolo. «Ha ragione, mi scusi. Per lei lo erano, naturalmente. Ma non per lo Ior.» Posò la sua tazzina accanto all'altra, sul vassoio, e fissò il suo interlocutore con curiosità. «E neppure per il ruolo imparziale che le era stato ordinato di svolgere. «Sapevo che era inutile» insisté Quart. «Un simbolo, Utilizzare il suo vero nome sarebbe stato contro il Codice. nient'altro...» rimase assorto a ricordare «ma ci sono momenti in cui i gesti simbolici sono importanti.» concesse monsignor Spada «in realtà non è stato del tutto inutile. Secondo le mie fonti, questa mattina la nunziatura di Madrid e l'arcivescovado di Siviglia hanno ricevuto istruzioni di salvare Nostra Signora delle Lacrime, e anche di procedere alla nomina di un nuovo parroco...» Studiò l'espressione di Quart prima di dedicargli una strizzatina d'occhio ironica e piena di buonumore. «Le sue considerazioni finali sul pezzettino di cielo che scompare, sulla pelle rattoppata del tamburo e tutto il resto hanno sortito il loro effetto. Molto emotivo e convincente. Se avessimo conosciuto le sue doti retoriche, le avremmo utilizzate già da un pezzo.» Detto questo, il Mastino tacque. Ora tocca a te chiedere, diceva il suo silenzio. Facilitami un po'"le cose. «E una buona notizia, monsignore.» Quart lo fissava in attesa. «Ma le buone notizie si danno per telefono... Qual è la cattiva?» Il prelato sospirò. «La cattiva si chiama Sua Eminenza Jerzy Iwaszkiewicz.» Stornò un momento lo sguardo e tornò a sospirare. «Al nostro amato fratello in Cristo è scappato il topo fra gli artigli, e vuole rifarsi in qualche modo... Ha fatto fruttare il più possibile il rapporto dell'arcivescovo di Siviglia. La conclusione è che lei ha abusato dei suoi poteri. E per di più Iwaszkiewicz ha dato credito ad alcune insinuazioni di monsignor Corvo sulla sua condotta personale... La verità è che fra tutti e due l'hanno messa giù piuttosto dura.» «E lei, Illustrissimo?» «Oh, bè.» Monsignor Spada sollevò una mano, scartando se stesso. «Io sono meno attaccabile, ho in mano dossier e cose del genere. Godo del relativo appoggio del segretario di Stato... In realtà mi hanno offerto la pace in cambio di un piccolo compenso.» «La mia testa.» «Più o meno.» l'arcivescovo si era alzato per fare qualche passo nella stanza. Ora era alle spalle di Quart, e contemplava un piccolo bozzetto appeso, nella sua cornice, alla parete. «Si tratta di un fatto simbolico, deve capìrmi. Più o meno come la sua messa di giovedì scorso... Tutto ciò e ingiusto lo so La vita e ingiusta. Roma e ingiusta Ma è così. Sono le regole del nostro gioco, e lei lo ha sempre saputo.» Girò attorno al sacerdote finché non gli fu davanti. Aveva le mani intrecciate dietro la schiena e l'aria pensierosa. «Mi mancherà, padre Quart» disse. «Prima e dopo Siviglia lei resta sempre un buon soldato. So che ha svolto il suo compito nel modo migliore che ha potuto. Forse negli anni ho scaricato sulle sue spalle il peso di troppi fantasmi. Spero che quello del brasiliano, Nelson Corona, ora riposi in pace.» Pagina 180
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «Come procederete nei miei confronti?» Era una domanda neutra, oggettiva, senza la minima traccia d'ansia. Monsignor Spada alzò le mani al cielo, impotente. «Iwaszkìewicz, sempre così pietoso, voleva mandarla come funzionario in qualche oscura segreteria... l'arcivescovo fece schioccare la lingua, lasciandogli intuire che qualsiasi altro tipo di provvedimento l'avrebbe sorpreso. «Per fortuna avevo qualche asso nella manica. Non voglio dire che mi sono giocato il collo per lei, ma avevo preso la precauzione di portarmi dietro il suo curriculum, e ho messo in evidenza i servizi prestati, compresa la missione di Panama e il vescovo croato che ha portato fuori da Sarajevo. Così alla fine Iwaszkiewicz si è dovuto accontentare della sua espulsione formale come agente dello Ior.» Le spalle quadrate tornarono a sollevarsi leggermente sotto la giacca del Mastino. «Così il polacco mi ha mangiato un alfiere, ma la partita resta patta.» «E qual è il verdetto?» si interessò Quart. Pensava a se stesso lontano da tutto ciò. Forse non sarà così difficile, si disse. Forse sarà più duro e farà più freddo, ma fa freddo anche dentro. Per un momento si chiese se, davanti a una sentenza eccessiva, avrebbe avuto il coraggio di abbandonare tutto. Di iniziare da zero altrove, senza l'abito nero che lo aveva sempre protetto e che era la sua uniforme e la sua unica patria. Il problema, dopo Siviglia, era che c'erano meno posti dove andare. «Il mio amico Azopardi» stava dicendo monsignor Spada «il segretario di Stato, si è offerto di darci una mano. Ha promesso di occuparsi di lei. l'idea è di trovarle un posto come addetto in una nunziatura, possibilmente in America Latina. Fra qualche tempo, se soffieranno venti migliori e io sarò ancora a capo dello Ior, tornerò a reclamarla...» Sembrava sollevato dal fatto di non scorgere alcuna reazione in Quart. «Lo consideri un esilio temporaneo, o una missione più lunga delle altre. In poche parole: deve sparire per un bel pezzo. In fin dei conti, anche se l'opera di Pietro è eterna, i papi e le loro squadre passano. I cardinali polacchi invecchiano, vanno in pensione, si scoprono un cancro, lo sa.» Concluse con un sorrisetto storto. «E lei è giovane.» Quart si era avvicinato alla vetrata della terrazza. La pioggia continuava a ticchettare sulle mattonelle, ai suoi piedi, era un mantello grigio che scivolava sui tetti delle case vicine. Aspirò l'aria umida. l'ocra delle facciate e di piazza di Spagna splendeva nella strada deserta come un olio sotto una vernice fresca. «Che notizie ci sono di padre Ferro?» Il Mastino inarcò le sopracciglia. La faccenda non è più di mia competenza, faceva capìre l'espressione. «Secondo quanto dice la nunziatura di Madrid» rispose «il legale che lei gli ha trovato sta portando avanti la faccenda abbastanza bene. Pensano di poter ottenere la libertà puntando sull'età avanzata e mancanza di prove o, nel peggiore dei casi, una sentenza lieve in accordo con le leggi spagnole. E un uomo anziano, provato dall'età, e ci sono un mucchio di ragioni che possono far pendere i giudici dalla sua parte. Per il momento si trova nell'ospedale penitenziario di Siviglia, in condizioni ragionevolmente comode, ed è possibile sollecitare il suo ricovero in una residenza per vecchi sacerdoti... Ho l'impressione che se la caverà bene, anche se alla sua età non sono sicuro che gli importi poi molto.» «No» ammise Quart. «Non credo che gli importi.» Monsignor Spada era tornato al tavolo per servirsi dell'altro caffè. «Un personaggio incredibile, quel parroco. Davvero crede che sia stato lui?... » Guardava Quart con la tazzina di nuovo piena in mano. «Non abbiamo più avuto notizie di Vespro. E un peccato che alla fine non sia riuscìto a scoprire l'identità del pirata. Conoscerla mi avrebbe permesso di difenderla meglio davanti a Iwaszkiewicz.» Fece una pausa, cupo, bevendo un sorso. «Il polacco sarebbe stato felicissimo di mordere quell'osso.» Quart annuì in silenzio. Era ancora immobile davanti alla vetrata aperta della terrazza a guardar cadere la pioggia e la luce esterna rendeva più grigi i suoi capelli corti da soldato. Piccole gocce d'acqua gli spruzzavano il viso. «Vespro» disse. Quella sera, l'ultima, era sceso nell'atrio dell'albergo per incontrarla come la prima volta, seduta sulla stessa poltrona. Da allora era trascorso pochissimo tempo, ma a Quart sembrava fosse passata un'eternità, sembrava di essere sempre stato a Siviglia, come l'immensa nave di pietra, pinnacoli e archi rampanti, incagliata a pochi metri di distanza sull'altro lato della piazza. Come le colombe che attraversavano disorientate il tratto di notte illuminato dai riflettori. Come Santa Cruz, il fiume, la torre degli Almohadi e la Giralda. Come Macarena Bruner, che ora lo guardava avvicinarsi. E quando si alzò dalla poltrona, in piedi a testa alta nell'atrio Pagina 181
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt deserto, Quart pensò che la sua presenza lo turbava ancora fino al midollo delle ossa. Per fortuna, rifletté mentre le andava incontro, lei non lo amava. «Sono venuta a salutarla» disse Macarena. «E a ringraziarla. uscìrono in strada per fare una breve passeggiata. Era proprio un commiato: frasi brevi e monosillabi, luoghi comuni, accenni di cortesia come tra perfetti sconosciuti, e neppure un riferimento a loro due. A Quart non passò inavvertito il ritorno al lei. Macarena mostrava la solita disinvoltura, ma evitava i suoi occhi e si soffermava sul collare da sacerdote. Per la prima volta la vide intimidita. Parlarono di padre Ferro, del viaggio che Quart avrebbe intrapreso la mattina dopo. Della messa che lui aveva celebrato in Nostra Signora delle Lacrime. «Non avrei mai immaginato di vederla lì» concluse Macarena.. A volte, come la sera che avevano passato in giro per Santa Cruz, i loro passi li portavano casualmente a sfiorarsi, e ogni volta Quart provava l'acuta certezza fisica di quanto aveva perso: una sensazione di vuoto, un'immensa e disperata tristezza. Adesso camminavano in silenzio perché tutto era stato chiarito fra loro due, e continuare a parlare avrebbe richiesto parole che nessuno voleva proferire. La luce dei lampioni proiettò le loro ombre sulle mura arabe e lì si fermarono, una davanti all'altra. Quart guardò gli occhi scuri, la collana d'avorio sulla pelle color tabacco biondo. Non le portava rancore. Si era lasciato usare in piena coscienza: lui era un'arma buona come qualsiasi altra, e per Macarena era legittimo combattere per una causa che riteneva giusta. Quanto a Quart, il dare e l'avere si mischiavano confusi nei suoi pensieri, che la serenità delle ultime ore aveva appena iniziato a rimettere in ordine. Presto sarebbe rimasto solo il vuoto della perdita, debitamente attenuato dall'orgoglio e dalla disciplina. Ma né quella donna né Siviglia si sarebbero mai cancellate dai suoi sensi e dalla sua memoria. Cercò una frase. Una parola, almeno, da pronunciare prima che Macarena scomparisse per sempre dalla sua vita. Qualcosa che lei potesse ricordare, in armonia con le mura secolari, i lampioni di ferro, la torre illuminata sullo sfondo e il cielo dove brillavano le gelide stelle di padre Ferro. Ma dentro di sé trovò soltanto il nulla più assoluto. Una stanchezza vecchia, oggettiva, rassegnata, inesprimibile se non con uno sguardo, o un sorriso. Così sorrise dolcemente nella penombra, davanti agli occhi di una donna in cui un tempo aveva visto riflettersi due belle lune gemelle in un giardino. Lei lo guardò per la prima volta in volto, socchiudendo le labbra come se vi aleggiasse sopra una parola che anche lei non riuscìva a esprimere. Allora Quart si girò e si allontanò, sentendo gli occhi della donna fissi sulla sua schiena. Nel frattempo pensò stupidamente che se in quel momento lei gli avesse gridato "ti amo", lui si sarebbe strappato il collare della camicia, e sarebbe tornato indietro per stringerla fra le braccia come gli ufficiali che si rovinavano la carriera tra le braccia di donne fatali, nei vecchi film in bianco e nero, o come altri maschi ingenui - Sansone, Oloferne - del Vecchio Testamento. l'idea gli fece rivolgere a se stesso una smorfia ironica. Sapeva, lo aveva sempre saputo, che Macarena Bruner non avrebbe più detto a un uomo quelle parole. «Aspetti!» disse lei inaspettatamente. «Voglio mostrarle una cosa. ' Quart si fermò. Non era la formula magica, ma bastava per voltarsi e poterla guardare di nuovo. E allora vide che era ancora ferma nello stesso posto, accanto all'ombra che proiettava sulle mura. Sembrava aver riflettuto a lungo prima di decidersi a chiamarlo. Si tirò indietro i capelli con un movimento energico della testa, in un gesto di sfida rivolto più a se stessa che a Quart. «Se lo è meritato» aggiunse. Sorrideva. La Casa del Postigo era immersa nel silenzio. l'orologio inglese nella galleria mandò dodici rintocchi quando attraversarono il patio con la fontana di azulejos, tra gerani e felci. Tutte le luci erano spente, e la luna che spuntava sopra gli archi faceva scivolare le ,loro ombre sul mosaico del pavim ento, che brillava per 1 acqua dei vasi appena innaffiati. Nel giardino vicino cantavano i grilli, ai piedi della torre buia della colombaia. Macarena guidò Quart nella galleria, arredata con stipi antichi e tappeti, e dopo aver attraversato un salottino lo condusse su per una scala dai gradini di legno e dalla ringhiera di ferro, con agli angoli splendenti palle di bronzo. Arrivarono così al piano superiore, nel loggiato chiuso da vetrate che circondava il patio. In fondo c'era una porta ed è là che si diressero. Prima di aprìrla, Macarena si fermò a guardare Quart con aria seria. Pagina 182
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt «Non dovrà saperlo nessuno, mai e poi mai» sussurrò. Poi si posò un dito sulle labbra, aprì silenziosamente la porta, e furono raggiunti dalle note del Flauto magico. C'erano due stanze comunicanti e nella prima, immersa nel buio, si distinguevano mobili coperti da fodere di tela bianca, e una finestra fra le cui tende penetrava la luce della luna. La musica veniva dal fondo. Là, dietro una porta a vetri scorrevole spalancata, la luce di una lampada illuminava un tavolo con una complicata apparecchiatura Pc, due monitor Sony ad alta definizione, una stampante laser e un modem. E davanti al computer, con il ventaglio di Romero de Torres e due bottiglie vuote di Coca Cola appoggiate su una pila di copie della rivista Wired, attenta allo schermo dove lampeggiavano lettere e icone, assorta nella fuga che ogni notte la liberava da quella casa, da Siviglia, da se stessa e dal suo passato, Vespro viaggiava in silenzio attraverso l'infinito ciberspazio. Non mostrò alcuna sorpresa. Batteva lentamente sui tasti, con gli occhi fissi su uno dei monitor. Quart osservò che lo faceva con estrema attenzione, come se temesse di premere un tasto sbagliato col rischio di rovinare qualcosa di importante. Dette un'occhiata allo schermo pieno di cifre e di simboli di cui gli sfuggiva del tutto il senso, ma il pirata informatico sembrava muoversi comodamente là in mezzo. Indossava una vestaglia di seta scura e pantofole da camera, con la bella collana di perle al collo. Sconcertato, Quart guardò Macarena e poi scosse il capo, pensando che fosse tutto un grosso scherzo che volevano giocargli tra madre e figlia. Ma all'improvviso sullo schermo cambiarono i simboli e ne comparvero altri, nuovi, e gli occhi di Cruz Bruner, duchessa del Nuevo Extremo, splendettero intensamente. «Ci siamo» le sentì dire. Con inaspettata agilità, le mani della vecchia signora percorsero la tastiera, prendendo il controllo dello schermo. Un codice e alcuni simboli cedettero il passo ad altri, e dopo qualche istante premette il tasto invio e rovesciò leggermente la testa indietro, con l'aria soddisfatta di chi ha compiuto un lungo sforzo. Le sue labbra appassite si distesero. Gli occhi, rossi affaticati dallo schermo del computer, scintillavano di malizia quando finalmente guardò sua figlia e il sacerdote. «Come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore...» citò, rivolgendosi a Quart. «Non è vero, padre?... Prima ai tessalonicesi, mi pare. Cinque, due. Nonostante l'età, gli occhi stanchi e l'ora tarda, sembrava più intelligente e sveglia che mai. Sua figlia le aveva posato una mano sulla spalla e osservava Quart. La vecchia signora chinò verso di lei la testa bianca dai riflessi lilla sotto la luce della lampada da tavolo. , «Se avessi immaginato una visita a quest ora, mi sarei messa un po'"in ordine.» Si toccava la collana di perle, in tono di dolce rimprovero. «Ma visto che è stata Macarena a portarla qui, ha fatto bene...» sollevò una mano per stringere quella della figlia «ora conosce il mio segreto.» Quart non riuscìva ancora a crederci. Guardò le bottiglie vuote delle bibite, le pile di riviste specializzate in inglese e in spagnolo, i manuali tecnici che riempivano i cassetti del tavolo, le scatole di dischetti. Cruz e Macarena Bruner spiavano le sue reazioni, una divertita, l'altra seria. Arrendendosi all'evidenza, strinse le labbra come se stesse per fischiare, ma non lo fece. Da quella scrivania, una settantenne aveva messo in scacco il Vaticano. «Come c'è riuscìta?» disse. «E incredibile.» «Non è necessario che qualcuno ci creda» ribatté Cruz Bruner. «Non è nemmeno conveniente. Né probabile.» La vecchia signora sollevò la mano che appoggiava su quella della figlia per farla scivolare sopra la tastiera del computer. Come fosse un pianoforte, si disse Quart. Le vecchie duchesse si limitavano a suonare il solito pianoforte a fare ricami e pizzi al tombolo o a cullarsi nelle acque morte del tempo, non si trasformavano durante la notte in pirati informatici stile dottor Jekyll e mister Hyde. Era tutto un incubo, e tanto valeva che Macarena contasse in anticipo sul suo silenzio. La duchessa aveva ragione: anche se Quart l'avesse raccontato, nessuno gli avrebbe creduto. «Mi riferisco a lei» protestò. «Mi riferisco a tutto. Non avrei mai pensato... «Che una vecchia signora possa muoversi con facilità nella tecnologia?... » Raddrizzò un po'"la testa, lo sguardo assente, riflettendo. «Bè, è insolito, lo ammetto. Ma vede. Un giorno ti avvicini, per curiosità. Premi un tasto e scopri un mondo nuovo sullo schermo. Che puoi andare in posti incredibili e fare esperienze che non avresti mai sognato di fare...» Le labbra incartapecorite si in curvarono in un altro sorriso che le ringiovanì il volto. «E più divertente che ricamare o guardare telenovelas venezuelane.» «Da quanto tempo ci si dedica?» «Oh, non molto. Tre, quattro anni.» Si voltò verso Pagina 183
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt la figlia, chiedendole di aiutarla a ricordare. «Sono sempre stata una donna curiosa, incapace di passare davanti a due righe stampate senza fermarmi a leggerle... Un giorno Macarena ha comprato un computer per il suo lavoro. Quando si allontanava, io mi sedevo lì davanti, impressionata. C'era un gioco, una specie di pallina da pingpong, e così ho imparato a usare la tastiera. Poi come sa, non riesco a dormire, le ore passate davanti al computer si sono moltiplicate... Credo di aver sviluppato una dipendenza.» «Alla sua età» disse Macarena, dolcemente. «Bè, sì.» La vecchia signora guardava Quart come per incoraggiarlo a esprimere la sua riprovazione. «Ma vede. Ero così curiosa che ho iniziato a leggere tutto quanto era connesso all'informatica. Parlo inglese da quando l'ho studiato da bambina dalle Irlandesi, così è finita che mi sono iscritta a corsi per corrispondenza e abbonata a riviste specializzate...» Fece una risatina coprendosi la bocca con una mano, quasi scandalizzandosi da sola. «Per fortuna, anche se la mia salute lascia a desiderare, la testa mi funziona ancora bene. In poco tempo mi sono trasformata in un'esperta... E le assicuro che, alla mia età, è terribilmente divertente. «Si è anche innamorata» disse Macarena. Ora madre e figlia risero assieme. Quart si chiese se non fossero tutte e due un po'"svanite: sembrava tutto una gigantesca presa in giro. O forse era un altro cervello, il suo, che cominciava a perdere colpi. Siviglia ti ha dato alla testa, pensò in fretta e furia. Fai bene a svignartela finché sei in tempo. «Mia figlia esagera» spiegava Cruz Bruner. «In realtà ho trovato l'equipaggiamento appropriato e a poco a poco sono uscìta fuori. E bè, sì, ciberneticamente parlando mi sono innamorata. Una notte sono entrata per caso nel computer di un giovane hacker di sedici anni... Dovrebbe guardarsi allo specchio, padre. Ha la faccia più stupefatta che abbia visto in vita mia. » «Non spererà che lo trovi normale.» «No. Credo di no.» La vecchia signora avvicinò la mano al mucchio di riviste tecniche che aveva sul tavolo e passò il pollice sulle pagine di alcune. Poi indicò il modem collegato alla linea telefonica. «Immagini» aggiunse «cosa può aver significato per una vecchia signora di quasi settant'anni scoprire un mondo simile... Il mio amico rispondeva al nick, il soprannome in gergo informatico, di "Mad Mike"; anche se a volte operava sotto il nome di Wisconte di "Valmont". E per mano al mio visconte, di cui ignorerò sempre voce e volto, ho iniziato a percorrere i meandri di questo mondo affascinante... Il suo computer aveva un BBS pirata, e così sono entrata in contatto con altri drogati dell'alta tecnologia, spesso ragazzi che passano ore e ore da soli nelle loro stanze, manipolando computer altrui.» Lo disse con espressione piena di orgoglio, come se si riferisse al club più esclusivo. Lo sconcerto doveva riflettersi di nuovo sul volto di Quart, perché Macarena tornò a sorridere. «Spiegagli cos'è un BBS pirata» disse a sua madre. «Una specie di bacheca piena di annunci.» La vecchia signora posò una mano sulla tastiera. «Un computer dotato di software specializzato, collegato a un modem telefonico. Se vi accedi, significa che sei arrivato a un certo livello di clandestinità informatica. Quando chiami per la prima volta, loro ti chiedono il tuo vero nome di utente e il numero di telefono, e gli incauti che rispondono con i dati autentici non vengono accettati... Il trucco sta nell'inserire uno pseudonimo e un numero di telefono falso: una certa dose di paranoia è il miglior avallo per un hacker». «Qual è il suo pseudonimo?» «Davvero le interessa?... E contro le norme, ma glielo dirò, visto che stanotte, grazie a Macarena, lei è arrivato così lontano.» Drizzò la testa, orgogliosa e ironica. «"Regina del sud", ecco il mio nick.» Qualcosa si mise a lampeggiare sullo schermo, e la duchessa si interruppe per premere alcuni tasti. Un lungo testo, dai caratteri piccoli e fitti, si allineò sul monitor. Cruz Bruner guardò sua figlia senza dir nulla e poi riprese a parlare con Quart. «Il fatto è» spiegò «che dopo i BBS telefonici ho cominciato ad accedere ai siti clandestini nascosti nella rete, in Internet... Se il BBS è una bacheca piena di annunci, il sito è come una taverna di pirati. Lì stringi amicizie, ti diverti e scambi trucchi, giochi, virus, informazioni utili e cose del genere. A poco a poco ho imparato a muovermi in tutte le reti, a viaggiare all'estero, a camuffare le entrate e le uscìte, a penetrare in sistemi protetti... Non sono mai stata così felice come il giorno in cui sono entrata nel Comune di Siviglia per manipolare le mie ricevute delle tasse urbane.» «E un crimine» la rimproverò sua figlia, non per la prima volta evidentemente. «Quando me ne sono accorta sono andata Pagina 184
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt negli uffici comunali. Aveva saldato tutte le ricevute fino all'anno 2005!... Ho dovuto dire che si trattava di un errore.» «Forse sono crimini» acconsentì la vecchia signora. «Ma quando sei qui seduta non sembra affatto. Niente lo sembra» sorrise a Quart con un misto di innocenza e di malizia. «Perciò è divertente.» Parlare delle sue avventure la ringiovaniva. Il sorriso le rinfrescava le labbra, e gli occhi lacrimosi e arrossati scintillavano con furbizia. «Ora» proseguì «oltre che con il mio visconte preferito, ho contatti abituali con vari siti e BBS di alto livello, e con una ventina di hackers che per lo più non superano i vent'anni... Ignoro il loro vero nome e il loro sesso, conosco solo gli pseudonimi. Ma abbiamo appassionanti appuntamenti cibernetici in posti come le Galeries Lafayette di Parigi, l'Imperial War Museum o le succursalì della Confederazione Bancaria Russa... Le quali, tra parentesi, sono così vulnerabili che anche un bambino potrebbe manipolare i conti là dentro. Di solito vengono usate come piste di prova per i pirati novellini.» Era proprio lei. Vespro in persona. Finalmente Quart la immaginò senza fatica, china notte dopo notte sul computer, intenta a viaggiare in silenzio nel ciberspazio, incontrando sul suo cammino altri navigatori solitari. Incontri inaspettati, fugaci, scambi di informazioni e di sogni, l'eccitazione di violare segreti e di trasgredire i limiti del proibito: una confraternita segreta nella quale il passato e il presente, il tempo, lo spazio, la memoria, la solitudine, il trionfo o il fallimento perdevano il loro senso tradizionale per creare uno spazio virtuale dove tutto era possibile e nulla era soggetto a limiti concreti, a norme inviolabili. Una fantastica via di fuga piena di infinite possibilità. A modo suo, anche Cruz Bruner si vendicava della Siviglia incarnata nell'uomo aitante ritratto nell'atrio, accanto alla bambina bionda dipinta da Zuloaga. « Come è riuscìta a entrare nel Vaticano? «Per caso. Un contatto romano, Deus ex machina, che sospetto sia un seminarista o un giovane sacerdote, aveva passeggiato nel sistema in modo periferico, semplicemente per gioco. Abbiamo simpatizzato e mi ha passato un paio di buone piste. E successo sei o sette mesi fa, quando qui si poneva con maggiore gravità il problema di Nostra Signora delle Lacrime... Né l'arcivescovado di Siviglia né la nunziatura di Madrid davano ascolto a padre Ferro, e mi è venuto in mente che il computer poteva darmi un buon modo per farsi sentire a Roma.» «Si è consultata con lui? «No, assolutamente. E neppure con mia figlia, che l'ha saputo molto più tardi, quando si è scoperta l'esistenza dell'hacker che voi avete battezzato come Vespro... » Quando pronunciò il nome, la vecchia signora lo fece con evidente soddisfazione, e Quart si chiese che faccia avrebbero fatto Sua Eminenza Jerzy Iwaszkiewicz e monsignor Paolo Spada se l'avessero sentita. «All'inizio la mia idea era di lasciare un semplice messaggio nel sistema centrale del Vaticano, sperando che cadesse in buone mani. l'idea di -manipolare il computer del papa mi è venuta dopo, man mano che approfondivo la mia conoscenza del sistema. Ho trovato un archivio inaspettato, iNMAVAT, molto protetto, e ho capìto che conteneva qualcosa di importante. Così ho fatto un paio di tentativi d'ingresso, sono ricorsa ai trucchi dei miei amici più esperti, e una notte mi sono infilata dentro... Ho continuato a visitare iNMAVAT per una settimana, finché non ho capìto di cosa si trattasse. Così, dopo aver individuato ciò che mi interessava, ho disposto le mie forze e sono andata all'assalto. Il resto lo sa già.» «Chi mi ha mandato la cartolina?» lA; «Oh, quella storia. Sono stata io, naturalmente. Visto che era qui, mi è sembrata una buona idea che iniziasse a vedere l'altro lato del problema. Così sono salìta nella Colombaia e ho cercato qualcosa di appropriato nel baule di Carlota. E stato un espediente un po'"rocambolesco, ma ha sortito il suo effetto.» Suo malgrado, Quart scoppiò a ridere. «Come è arrivata fino nella mia stanza?» La vecchia signora sembrava scandalizzata. «Cielo, non l'ho mica fatto personalmente. Mi ci vede in punta di piedi nei corridoi del suo albergo?... Ho risolto il problema in modo più prosaico. La mia cameriera ha dato una mancia alla donna delle pulizie.» Si voltò leggermente verso la figlia. «Quando lei le ha mostrato la cartolina, Macarena ha capìto subito che ero stata io. Ma ha avuto la delicatezza di non rimproverarmi troppo.» Quart lesse la conferma negli occhi della figlia. Del resto non aveva bisogno che nessuno confermasse nulla: in fondo tutto risultava di una veridicità schiacciante. Guardò lo schermo del computer «Mi racconti di cosa si occupa adesso.» «Oh, questo» Cruz Bruner seguì la direzione degli occhi del sacerdote. «Potremmo chiamarla un'ultima resa dei conti... Ma non si allarmi. Stavolta non ha niente a che vedere con Roma. Pagina 185
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt E una cosa più vicina. Più personale.» Quart dette un'occhiata. 5 & B Riservato, riuscì a leggere. Sintesi dell'indagine interna B. C. affare R T e altri. I nomi del Banco Cartujano e di Pencho Gavira comparivano nel testo: - Come segno di questo occultamento si può segnalare: frenetica ricerca di nuove e costose risorse, contabilità falsa con violazione delle norme bancarie, e il rischio, da considerarsi temerario, che senza il perfezionamento della prevista vendita di Puerto Targa a Sun Qafer Alley (annunciata per una cifra di circa centottanta milioni di dollari) possa prodursi una perdita dalle gravissime conseguenze per il Banco Cartujano, così come uno scandalo pubblico che diminuirebbe considerevolmente il suo prestigio sociale all'interno di un azionariato fatto di piccoli azionisti. Guardò Macarena e poi la duchessa. Il rapporto era una cannonata alla linea di galleggiamento dell'ex marito. Per un momento ricordò il finanziere, la sera prima, al molo: la breve corrente di simpatia che si era stabilita fra i due quando si accingevano a liberare il parroco. «Cosa volete farne?» Non mi riguarda, diceva l'espressione di Macarena. La mia resa dei conti è una cosa più personale. Fu Cruz Bruner a chiarire 1 «Voglio riequilibrare un po'"la situazione. Tutti hanno fatto molto per la chiesa. Anche lei, con la messa di ieri, ci ha concesso un'altra settimana di tempo...» Osservò il sacerdote e poi Macarena. «Suppongo sia il motivo per cui mia figlia ha ritenuto che fosse giusto condurla qui stasera.» «Lui non dirà nulla» intervenne Macarena, serissima, gli occhi fissi su Quart. «Non lo farà?... Me ne rallegro.» La fissò con improvvisa attenzione, la fronte aggrottata, prima di rivolgere un'altra occhiata a Quart «Mi sta succedendo la stessa cosa che è successa a padre Ferro. Alla mia età tutto cessa di avere importanza, e si può osare senza paura delle conseguenze.» Accarezzò distrattamente la tastiera del computer «Ora per esempio, farò giustizia. So che non è un sentimento molto cristiano, padre Quart.» C'era un'inflessione nuova nella sua voce, il tono si era indurito. Una determinazione che a lui parve improvvisamente pericolosa. «Poi dovrò confessarmi, immagino. Sto per peccare contro la carità. «Mamma. «Lasciami in pace, figliola, per favore.» Si rivolgeva a Quart, mostrandogli il testo sullo schermo, come se si aspettasse più comprensione da lui che da Macarena. «Quest o è un rapporto, basato su una revisione dei conti interni del Banco Cartujano, che mette allo scoperto i problemi di Pencho e tutta la montatura su Nostra Signora delle Lacrime. Renderlo pubblico danneggerà un po'"la banca e molto mio genero. Moltissimo, suppongo.» Un sorrisetto le addolcì la bocca. «Non so se Octavio Machuca me lo perdonerà mai.» «Hai intenzione di dirglielo?» chiese Macarena. «Naturalmente. Non lancerò il sasso per poi nascondere la mano. Ma è vissuto a sufficienza per capìre... E poi per la banca non ha più alcun interesse. Con l'età è diventato un irresponsabile.» «Da dove ha tirato fuori il rapporto?» chiese Quart. «Dal computer di mio genero. Il suo codice di sicurezza non è difficile.» Scosse il capo, mostrando un rammarico che sembrava sincero. «E mi dispiace davvero, perché Pencho mi è sempre stato simpatico. Ma o lui o la chiesa. Ognuno ha ciò che merita.» Una luce lampeggiava nel sistema di collegamento con la linea telefonica, e Quart se ne interessò. Cruz Bruner guardò un istante la lucetta e poi, voltandosi verso il sacerdote, tutte le generazioni di duchi del Nuevo Extremo che riposavano nel suo sangue si risvegliarono in lei. «E il fax» disse con gli occhi scintillanti. E le sue labbra incartapecorite si distesero in una smorfia che Quart non aveva mai visto: sprezzante e crudele. «Sto trasmettendo il rapporto a tutti i giornali di Siviglia.» In piedi al suo fianco, il volto in penombra, Macarena era indietreggiata e guardava nel vuoto. I lenti rintocchi dell'orologio inglese risuonarono sotto, fra i quadri dalla vernice scura che montavano una guardia secolare fra le ombre della Casa del Postigo. Tutta la vita possibile tra pareti morte sembrava rifugiarsi sotto la luce della lampada che illuminava la tastiera del computer e le mani ossute della vecchia signora. Quart ebbe la certezza che, nello stesso istante, il fantasma di Carlota Bruner sorrideva sulla torre del giardino, e le vele bianche di una goletta scivolavano su per il fiume, spinte dalla brezza che ogni notte risalìva dal mare. Accompagnate da un necrologio con il lungo elenco di titoli nobiliari della defunta e l'invito di sua figlia Macarena Bruner, erede al titolo, a pregare Pagina 186
Arturo perez Reverte - La Pelle Del Tamburo.txt per la sua anima. Un paio di settimane dopo arrivò una busta con il timbro di Siviglia e dentro soltanto un piccolo biglietto ricordo per defunti listato a lutto, che più o meno ripeteva il testo del necrologio. Non era accompagnato da alcuna lettera, ma dalla cartolina di Nostra Signora delle Lacrime indirizzata da Carlota Bruner al capìtano Xaloc, che una volta Quart aveva trovato nella sua stanza d'albergo. Col tempo venne casualmente a sapere altri dettagli sui diversi epiloghi della storia. Una lettera di padre Oscar Lobato, che aveva seguito un complicato itinerario da un paesino in provincia di Almeria fino a Roma ed era stata poi rispedita da lì a Bogotà, gli portò la notizia, assieme ad alcune considerazioni di carattere generale e a un paio di rettifiche sull'opinione che il giovane vicario si era fatto di Quart, che Nostra Signora delle Lacrime era ancora aperta al culto e funzionava come parrocchia. Riguardo a Pencho Gavira, l'unica notizia che Quart venne a sapere era una breve menzione sulle pagine economiche dell'edizione americana del Pais, dove si rendeva noto il pensionamento di don Octavio Machuca dal vertice del Banco Cartujano di Siviglia, e la nomina di uno sconosciuto a presidente del consiglio di amministrazione. Il comunicato stampa parlava anche delle dimissioni di Pencho Gavira e della sua rinuncia a tutte le facoltà esecutive come vicepresidente e direttore generale della banca. Quanto a padre Ferro, Quart ricevette sporadicamente notizie sul suo soggiorno nell'ospedale penitenziario, sul processo che lo dichiarò colpevole di omicidio preterintenzionale, e sul suo successivo confino in una residenza vigilata della diocesi sivigliana riservata a sacerdoti anziani. Era ancora lì, in precarie condizioni di salute, alla fine dell'inverno in cui era morto Vespro, e secondo la breve e cortese lettera che il direttore del centro aveva inviato in risposta a Quart quando quest'ultimo si era interessato al vecchio parroco, era poco probabile che vivesse fino alla primavera. Passava i giorni nella sua stanza senza intrattenere rapporti con nessuno, e le notti stellate usciva ingiardino in compagnia di un guardiano, si sedeva su una panchina e contemplava in silenzio il cielo. Cruz Bruner de Lebrija, duchessa del Nuevo Extremo, spirò agli inizi dell'inverno, quando Lorenzo Quart era ormai da cinque mesi terzo segretario della nunziatura apostolica di Santa Fe di Bogotà. Lo scoprì leggendo alcune righe nell'edizione internazionale del giornale ABC. Del resto dei personaggi le cui vite avevano incrociato quella di Quart durante le due settimane che aveva trascorso a Siviglia, non seppe più nulla. Sprofondarono lentamente nella sua memoria, unendosi ai fantasmi di Carlota Bruner e del capìtano Xaloc che spesso lo accompagnavano nelle sue lunghe passeggiate al tramonto nel quartiere coloniale della vecchia Santa Fe. Scomparvero tutti meno uno, e anche la visione che ebbe di quest'ultimo fu fugace, incerta, tanto da lasciarlo sempre un po'"nel dubbio. Accadde molto tempo dopo, quando Quart, appena trasferito in un'altra segreteria ancora più oscura a Cartagena delle Indie, sfogliava un giornale locale con un articolo sull'insurrezione contadina nello stato messicano del Chiapas. Il reportage mostrava la vita in un anonimo villaggio della zona rurale sotto il controllo della guerriglia, e nella scuola del luogo un gruppo di ragazzi era stato fotografato assieme alla loro maestra. La foto era confusa, e anche quando la osservò con una lente di ingrandimento Quart non riuscì a chiarire granché, eccetto la somiglianza: la donna portava dei jeans, aveva i capelli grigi raccolti in una corta treccia, e appoggiava le mani sulle spalle dei suoi alunni guardando la macchina fotografica con occhi chiari e freddi, pieni di sfida. Occhi identici a quelli che Honorato Bonafé aveva visto per l'ultima volta prima di cadere fulminato dall'ira divina.. Fine. 863.64 (Letteratura. Narrativa spagnola, 1945-) PÉREZREVERTE, Arturo La pelle del tamburo i Arturo PérezReverte traduzione di Ilide Carmignani. - Milano : Marco Tropea Editore, 1998. - 448 p. 23 cm (I Marlin). - Trad. di: La piei del rnmbor. - I5BN 88-438-0119-8 Finito di stampare nel mese di settembre 1998 dalla Milanostampa S. p. A. - Farigliano (CN) Printed in italy
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