PETER BENCHLEY LO SQUALO (Jaws, 1974) a Wendy Parte prima I Il grande squalo scivolava silenzioso nelle acque notturne, ...
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PETER BENCHLEY LO SQUALO (Jaws, 1974) a Wendy Parte prima I Il grande squalo scivolava silenzioso nelle acque notturne, spinto da brevi colpi della coda a mezzaluna. La bocca era aperta solo quel tanto che bastava per far giungere un flusso d'acqua alle branchie. Quasi non c'era altro movimento: un'occasionale correzione della rotta, apparentemente senza meta, con il lieve sollevarsi e abbassarsi di una pinna pettorale, così come un uccello muta direzione inclinando un'ala e alzando l'altra. Gli occhi erano ciechi nel buio fitto, e gli altri sensi non trasmettevano nulla di insolito a quel piccolo, rudimentale cervello. Pareva che dormisse, non fosse stato per il moto dettato in milioni di anni dall'istinto di conservazione: privo della vescica natatoria comune agli altri pesci, e degli opercoli che spingono attraverso le branchie l'acqua con il suo ossigeno, sopravviveva solo grazie a quel movimento. Se si fosse fermato, sarebbe affondato per morire di anossia. La terra era buia quasi quanto l'acqua. Non c'era luna. La costa era separata dal mare solo da una lunga striscia di spiaggia diritta, tanto bianca da apparire luminosa. Le luci di una casa dietro le dune chiazzate d'erba gettavano riverberi gialli sulla sabbia. La porta della villetta si aprì, un uomo e una donna uscirono sulla veranda di legno. Per qualche istante rimasero a guardare l'oceano, si abbracciarono in fretta e si lanciarono giù per la scaletta fino alla spiaggia. L'uomo era ubriaco e incespicò nell'ultimo scalino. La donna scoppiò a ridere, gli afferrò una mano e insieme corsero verso la riva. «Prima una nuotata,» propose la ragazza «per schiarirti la testa.» «Lascia perdere la mia testa» replicò lui, e ridacchiando si lasciò cadere all'indietro sulla rena trascinando la donna con sé. Si strapparono a vicenda gli abiti di dosso, gambe e braccia aggrovigliate, dibattendosi smaniosi di desiderio sulla sabbia fredda. Dopo, l'uomo si allungò sul dorso e chiuse gli occhi. La ragazza lo guar-
dò sorridendo: «E adesso, che ne dici di una nuotata?» domandò. «Vai pure. Io ti aspetto qui.» La donna si alzò e arrivò fino alla battigia dove la risacca le lambì dolcemente le caviglie. L'acqua era più fredda dell'aria notturna: si era solo a metà giugno. Lei si volse a gridare: «Proprio non vuoi venire?». Ma non ebbe risposta, l'uomo si era addormentato. Indietreggiò di qualche passo, poi si lanciò verso l'acqua con lunghi balzi eleganti: una piccola onda le investì le ginocchia. Barcollò, riprese l'equilibrio e si gettò contro l'onda successiva che la bagnò fino alla vita. L'acqua le arrivava solo alle anche, si fermò allontanandosi i capelli dagli occhi e riprese a camminare fino ad avere le spalle sommerse. Allora cominciò a nuotare, da inesperta: bracciate rigide e la testa ben al di sopra dell'acqua. A un centinaio di metri dalla riva lo squalo avvertì un cambiamento nel ritmo del mare. Non vide la donna, non ne percepì l'odore. Lungo tutto il suo corpo correva una serie di sottili canali pieni di muco e punteggiati di terminazioni nervose: queste colsero nuove vibrazioni e le trasmisero al cervello. Lo squalo puntò verso la costa. La donna continuava a nuotare, allontanandosi dalla spiaggia, fermandosi ogni tanto per controllare la sua posizione rispetto alle luci della casa. La corrente era debole e non l'aveva spinta più in su o più in giù. Ma cominciava a essere stanca. Si riposò un momento, muovendo solo le gambe, poi riprese a nuotare verso la riva. Adesso le vibrazioni erano più intense, e lo squalo riconobbe la preda. I colpi di coda si fecero più rapidi, sospingendo il corpo gigantesco a una velocità che turbò le minuscole fosforescenti creature dell'acqua e facendole risplendere, così da avvolgere il pesce in un manto di scintille. L'animale arrivò fino alla donna e filò oltre, tre o quattro metri di lato e un paio di metri sotto la superficie. La ragazza avvertì solo una spinta da sotto che parve sollevarla dall'acqua e poi riadagiarvela. Smise di nuotare, trattenendo il fiato. Non avvertì altro e riprese quelle sue bracciate a scatti. Lo squalo adesso sentiva il suo odore, e quelle vibrazioni - discontinue, precise - erano un segnale di preda in difficoltà. Cominciò a girare in cerchio salendo verso il pelo dell'acqua. La pinna dorsale affiorò e la coda, con le sue possenti sferzate, tagliò con un sibilo la superficie lucente. Il corpo era percorso da una serie di fremiti. Per la prima volta la donna ebbe paura, senza conoscerne il motivo. Una scarica di adrenalina si diffuse in tutto il corpo generando un calore formi-
colante e spingendola a nuotare più in fretta. A occhio e croce si trovava a una cinquantina di metri dalla riva. Poteva scorgere la sottile riga di spuma bianca là dove le onde si infrangevano contro la spiaggia. Le luci della casa erano visibili, le parve anzi di vedere qualcuno passare davanti a una finestra, e questo la rincuorò. L'animale era a una dozzina di metri da lei, di lato, quando puntò bruscamente verso sinistra, si immerse completamente sott'acqua e con due rapidi colpi di coda le fu addosso. Dapprima la ragazza pensò di avere urtato contro uno scoglio o un pezzo di legno galleggiante. Non ci fu dolore immediato, solo un violento strattone alla gamba destra. Abbassò un braccio per toccarsi il piede muovendo la gamba sinistra per tenersi a galla, e muovendo a tentoni la mano in quel buio. Non riusciva a trovare il piede. Cercò più in alto e fu sopraffatta da un'ondata di nausea e vertigini. Le dita cieche avevano incontrato uno spuntone d'osso e carne lacerata. E capì che quel caldo fiotto pulsante contro la sua mano nell'acqua gelida era il suo sangue Dolore e panico l'aggredirono insieme. La donna arrovesciò la testa all'indietro e lanciò un urlo gutturale di terrore. Lo squalo si era allontanato. Inghiottì l'arto della donna senza masticare. Ossa e carne scivolarono oltre l'enorme gola in un'unica contrazione. L'animale si volse di nuovo, seguendo il flusso di sangue che scorreva dall'arteria femorale della preda: una guida chiara e sicura come un faro in una notte senza nubi. Questa volta lo squalo aggredì da sotto. Si scagliò in su, verso la donna, le mandibole spalancate. Il grosso muso conico l'investì come una locomotiva, lanciandola quasi fuor d'acqua. Le mascelle si serrarono attorno al torso, riducendo in poltiglia ossa, carni e organi interni. L'animale, con il corpo della ragazza tra i denti, ripiombò in acqua facendola schioccare violentemente, sollevando spruzzi vistosi di spuma e sangue e fosforescenze. Sotto la superficie lo squalo scosse rabbiosamente la testa resecando con i denti triangolari, seghettati, i pochi tendini che ancora resistevano. Il cadavere si squarciò in due. Lo squalo inghiottì, poi si volse per continuare il pasto. Il cervello ancora registrava segnali di cibo vicino. L'acqua era striata di sangue e brandelli di carne, e l'animale non riusciva a distinguere i segnali dalla sostanza stessa. Guizzò avanti e indietro nella nube di sangue che andava dissipandosi, aprendo e chiudendo le fauci cercando bocconi a caso. Ma ormai gran parte dei brani del corpo si erano dispersi. Alcuni affondarono lentamente fino a posarsi sul fondo sabbioso, oscillanti nella
corrente. Altri si allontanarono, appena al di sotto del pelo dell'acqua, sospinti dalle onde che andavano a smorzarsi a riva. L'uomo si svegliò rabbrividendo nel freddo del primo mattino. Sentiva la bocca impastata e arida, e il primo rutto sapeva di bourbon. Il sole non era ancora sorto ma una fascia rosata a est, sull'orizzonte, indicava che l'alba era vicina. Le stelle baluginavano ancora debolmente nel cielo che andava rischiarandosi. L'uomo si alzò e cominciò a rivestirsi. Era seccato del fatto che lei non l'avesse svegliato quando era rientrata in casa, e gli parve strano che avesse lasciato i suoi abiti sulla spiaggia. Li raccolse e tornò alla villetta. Attraversò in punta di piedi la veranda e aprì pian piano l'uscio, ricordando che cigolava se veniva spalancato bruscamente. Il soggiorno era buio e deserto: bicchieri pieni a mezzo, portacenere e piatti sporchi erano sparsi dappertutto. Attraversò il locale, girò a destra nel corridoio e oltrepassò due porte chiuse. Quella della stanza che lui divideva con la ragazza era aperta, e la luce sul comodino era accesa. Entrambi i letti erano intatti. Buttò su uno gli indumenti della donna, quindi tornò nel soggiorno e accese una lampada. Entrambi i divani erano vuoti. C'erano altre due camere da Ietto nella villetta. I proprietari ne occupavano una. Altri due ospiti dormivano nell'altra. Cercando di fare il meno rumore possibile l'uomo aprì l'uscio della prima stanza. C'erano due letti, ciascuno chiaramente occupato da una sola persona. Richiuse e passò alla camera accanto. Il padrone e la padrona di casa erano distesi sul letto matrimoniale, immersi nel sonno. Riaccostò la porta e tornò nella sua stanza a prendere l'orologio da polso. Erano quasi le cinque. Sedette sulla sponda di un letto e fissò il mucchietto di indumenti deposto sull'altro. Era sicuro che la ragazza non si trovava in casa. A cena non c'erano stati altri invitati, per cui, a meno che non avesse incontrato qualcuno sulla spiaggia mentre lui dormiva, non poteva essersi allontanata con nessuno. E anche in tal caso presumibilmente avrebbe preso con sé almeno qualcosa da mettersi addosso. Solo allora permise alla propria mente di considerare l'eventualità di una disgrazia. In pochi istanti questa possibilità divenne una certezza. Tornò nella camera del padrone di casa, esitò per qualche istante accanto al letto, poi gli posò con delicatezza una mano sulla spalla. «Jack» mormorò, scrollandolo leggermente. «Ehi, Jack.» L'uomo trasse un sospiro e aprì gli occhi. «Sì?»
«Sono io. Tom. Mi spiace molto doverti svegliare, ma ho l'impressione che ci sia qualcosa che non va.» «Cosa non va?» «Hai visto Chrissie?» «Cosa vuoi dire, se ho visto Chrissie? È con te.» «No, non c'è. Ecco, non riesco a trovarla.» Jack si drizzò a sedere e accese la lampada. Sua moglie si mosse un poco e si coprì la testa con il lenzuolo. Jack guardò il suo orologio. «Gesù. Sono le cinque. E tu non riesci a trovare la tua ragazza.» «Lo so» annuì Tom. «Scusami. Ricordi quando l'hai vista l'ultima volta?» «Certo che lo ricordo. Ha detto che sareste andati a fare una nuotata, e siete usciti insieme sulla veranda. E tu, quando l'hai vista l'ultima volta?» «Sulla spiaggia. Poi mi sono addormentato. Vuoi dire che non è rientrata?» «Che io sappia, no. Almeno non prima che noi venissimo a letto, ed è stato verso l'una.» «Ho trovato i suoi vestiti.» «Dove? Sulla spiaggia?» «Sì.» «Hai guardato nel soggiorno?» Tom accennò di sì. «E anche nella camera degli Henkel.» «Nella camera degli Henkel!» Tom arrossì. «Non è che la conosca da molto. Per quel che ne so potrebbe essere un tipo balordo. Idem per gli Henkel. Non è che voglia fare insinuazioni. Solo ho voluto controllare dappertutto prima di svegliarti.» «Cosa hai in mente?» «Comincio a pensare che forse le è capitato qualcosa. Magari è annegata» spiegò Tom. Jack lo fissò per un attimo, poi guardò di nuovo l'orologio. «Non so a che ora prenda servizio la polizia di qui,» mormorò «ma direi che è una buona occasione per appurarlo.» II L'agente Len Hendricks sedeva alla sua scrivania nella stazione di polizia di Amity, immerso nella lettura di un libro giallo intitolato Mortalmente Tua. Nel momento in cui squillò il telefono, la protagonista, una certa
Whistling Dixie, stava per essere violentata da tutta una banda di teppisti. Hendricks lasciò trillare l'apparecchio fino a quando Miss Dixie ebbe castrato il primo dei suoi aggressori con un coltello da linoleum che portava nascosto tra i capelli. Tirò su il ricevitore. «Polizia di Amity, agente Hendricks» annunciò. «In cosa posso essere utile?» «Qui parla Jack Foote, abito nella Old Mill Road. Voglio denunciare la scomparsa di una persona. O almeno credo che sia scomparsa.» «Ripetere, prego.» Hendricks era stato in Vietnam come radiotelegrafista e gli piaceva la terminologia militare. «Una mia ospite è andata a fare una nuotata verso l'una di stanotte» spiegò Foote. «Non è ancora rientrata. Un amico ha trovato i suoi abiti sulla spiaggia.» Hendricks cominciò a prendere appunti sul taccuino. «Come si chiamava questa persona?» «Christine Watkins.» «Età?» «Non lo so. Un attimo. Diciamo sui venticinque. Il suo amico conferma.» «Altezza e peso?» «Un momento.» Ci fu una pausa. «Uno e sessantacinque circa, e tra i cinquantacinque e i sessanta chili.» «Occhi e capelli?» «Senta, agente, a che serve tutto questo? Se la ragazza è annegata, immagino sarà l'unico caso del genere che vi si presenterà, almeno per stanotte, no? Non avrete in media più di un annegamento per notte, no?» «Chi dice che sia annegata, Mr. Foote? Forse è andata a fare quattro passi.» «Nuda come Eva all'una del mattino? Ha avuto segnalazioni di una donna che se ne andava in giro nuda?» Hendricks accolse con gioia l'occasione di dimostrarsi calmo fino all'esasperazione. «No, Mr. Foote, non ancora. Ma una volta iniziata la stagione turistica estiva non si sa mai cosa ci si può aspettare. L'agosto scorso un branco di checche hanno organizzato una festa, vicino al club, tutti nudi come bruchi. Occhi e capelli?» «I capelli sono... oh, sul biondo, direi. Biondo scuro. Non so il colore degli occhi. Devo chiedere al suo amico. No, neanche lui lo sa. Diciamo nocciola.»
«Okay, Mr. Foote. Ce ne occuperemo. Non appena abbiamo qualche notizia, ci metteremo in contatto.» Hendricks riabbassò il ricevitore e guardò l'orologio. Le cinque e dieci. Il Capo si sarebbe alzato tra un'ora, e Hendricks non ci teneva a svegliarlo per una faccenda vaga come la denuncia di una persona scomparsa. Per quel che risultava, in quel momento la ragazza poteva spassarsela tra i cespugli con qualche bel tipo incontrato sulla spiaggia. D'altra parte se le onde l'avessero ributtata a riva da qualche parte, il Capo Brody avrebbe preferito che ci si occupasse della cosa prima del ritrovamento del corpo da parte di una bambinaia al seguito di un paio di marmocchi, e potesse diventare una grana grossa. Buon senso, ecco quel che ci vuole, continuava a ripetere il Capo; ecco cosa distingue un poliziotto in gamba. E la sfida all'intelligenza, insita nel mestiere di poliziotto, aveva avuto un certo peso nella decisione di Hendricks di entrare a far parte della polizia di Amity, quando era tornato dal Vietnam. Lo stipendio era discreto: 9.000 dollari all'inizio, 15.000 dopo quindici anni, oltre i vari contributi e indennità. Un posto nella polizia offriva sicurezza, orari regolari e la possibilità di non annoiarsi: non solo dare una scrollata a ragazzotti turbolenti, o arrestare ubriachi, ma occuparsi di furti con scasso e, ogni tanto, di casi di violenza carnale (l'estate precedente, un giardiniere di colore aveva violentato sette ricche signore di razza bianca nessuna delle quali era stata disposta a presentarsi in tribunale per testimoniare contro l'uomo) e, a un livello un po' più elevato, l'occasione di diventare personaggio rispettato e utile all'interno della comunità. Inoltre fare l'agente ad Amity non era molto pericoloso: di certo nulla di simile a come fare il poliziotto in una grande città. L'ultima morte violenta di un agente di Amity durante il servizio si era avuta nel 1957 quando un poliziotto aveva cercato di bloccare un ubriaco che correva a pazza velocità lungo la Montauk Highway ed era uscito di strada andando a sbattere contro un muretto di pietra. Hendricks era convinto che non appena gli fosse riuscito di mollare quello sciagurato turno da mezzanotte alle otto avrebbe cominciato ad apprezzare il suo lavoro. Per il momento, tuttavia, era una noia solenne. Sapeva perfettamente perché gli avevano assegnato il turno di notte. Il Capo Brody voleva che i novellini si facessero pian piano le ossa assimilando i principi essenziali del lavoro di polizia: buon senso, capacità di valutazione, tolleranza e cortesia, prestando servizio in orari in cui non fossero messi a troppo dura prova.
Il turno di normale amministrazione era quello dalle otto di mattina alle quattro del pomeriggio, e richiedeva esperienza e diplomazia. Sei uomini erano di servizio per quel turno. Uno si occupava del traffico estivo all'incrocio tra la Main e la Water Street. Due ciondolavano con le auto di pattuglia. Uno si occupava del centralino alla stazione di polizia. E il Capo trattava con il pubblico: signore che si lamentavano di non poter dormire a causa del baccano proveniente dal Randy Bear o dal Saxon's, i due bar della cittadina; proprietari di case che reclamavano per via di vagabondi che insozzavano le spiagge o disturbavano la quiete pubblica; e i banchieri, gli agenti di cambio e gli avvocati in vacanza che si presentavano per discutere i loro vari piani per conservare intatto il carattere di centro di villeggiatura molto esclusivo di Amity. Dalle quattro alla mezzanotte si aveva il turno delle noie: i giovani leoni di Hampton che sciamavano verso il Randy Bear e scatenavano risse o semplicemente si sbronzavano al punto di diventare una minaccia sulle strade; e quando, ben di rado, qualche rapinatore di Queens si appostava nelle straine buie per dare una botta in testa ai passanti; e quando, circa un paio di volte al mese, d'estate, raccolte prove sufficienti, la polizia si sentiva in dovere di mettere in piedi un'incursione in una delle grandi ville sulla spiaggia dove si fumava erba. C'erano sei uomini in servizio dalle quattro alla mezzanotte: i sei elementi più nerboruti dell'intero corpo di polizia, tutti tra i trenta e i cinquant'anni. Dalla mezzanotte alle otto di solito regnava la pace. Per nove mesi all'anno la quiete pubblica era virtualmente garantita. L'avvenimento più sensazionale dell'inverno precedente era stata una tempesta elettrica che aveva messo in azione i sistemi d'allarme che collegavano alla stazione di polizia le quarantotto ville più grandi e più lussuose di Amity. Di norma, durante l'estate, il turno da mezzanotte alle otto era coperto da tre agenti. Uno però, un certo Dick Angelo, stava facendosi le sue due settimane di ferie prima che si arrivasse al pieno della stagione. L'altro era un veterano di trent'anni, Henry Kimble, che aveva scelto quel turno perché gli permetteva di recuperare il sonno perduto: di giorno lavorava al Saxon's, come barista. Hendricks cercò di svegliare Kimble via radio, per indurlo a fare una camminata lungo la spiaggia davanti alla Old Mill Road, ma sapeva che era impresa vana. Come sempre, Kimble dormiva della grossa in un'auto di pattuglia ferma dietro la farmacia di Amity. Per cui Hendricks afferrò il ricevitore e formò il numero di casa del Capo Brody. Brody era in quella agitata fase del sonno, subito prima del risveglio, in
cui i sogni mutano rapidamente e si hanno momenti di confuso dormiveglia. Il primo squillo del telefono fu assorbito dal sogno: era ancora al ginnasio e stava brancicando una ragazzina, sulle scale. Il secondo trillo cancellò la visione. Si rigirò per sollevare il ricevitore. «Sì?» «Capo, sono Hendricks. Mi spiace proprio doverla disturbare così presto, ma...» «Che ore sono?» «Le cinque e venti.» «Leonard, sarà bene che il motivo regga.» «Credo che abbiamo per le mani un "galleggiante", Capo.» «Un "galleggiante"? E cosa diavolo sarebbe un "galleggiante"?» Era un'espressione che Hendricks aveva ricavato dalle sue letture notturne. «Un annegato» precisò, imbarazzato. Riferì a Brody la telefonata ricevuta da Foote. «Ho pensato che magari avrebbe preferito dare un'occhiata prima che la gente vada a fare il bagno. A occhio, direi che avremo una bella giornata.» Brody trasse un sospiro volutamente esagerato. «Dov'è Kimble?» domandò, e poi aggiunse in fretta: «Bah, non importa. Domanda scema. Un giorno o l'altro gli sistemo la radio in modo che non possa spegnerla.» Hendricks attese un momento, poi soggiunse: «Come ho detto, Capo, mi rincresce di...». «Sì, lo so, Leonard. Hai fatto bene a chiamarmi. Già che sono sveglio posso anche alzarmi. Mi faccio la barba, la doccia, prendo un caffè e intanto che sono per strada passo a dare un'occhiata alla spiaggia della Old Mill e della Scotch, così mi assicuro che il tuo "galleggiante" non ingombri la spiaggia di qualcuno. Poi, quando arrivano i ragazzi di giorno, andrò a parlare con Foote e con l'amico della ragazza. Ci vediamo poi.» Brody riappese e si stiracchiò. Guardò sua moglie, allungata vicino a lui nel letto a due piazze. Quando il telefono aveva trillato si era mossa un poco, ma appena stabilito che non era nulla di grave era nuovamente scivolata nel sonno. Ellen Brody trentasei anni, cinque meno di suo marito, e il fatto che ne dimostrasse sì e no trenta era motivo di orgoglio e di irritazione a un tempo per Brody; orgoglio perché, essendo bella, giovane e sposata a lui, lo faceva apparire uomo di ottimo gusto e di notevole fascino; irritazione perché lei era riuscita a conservare la propria magnifica linea nonostante la fatica del mettere al mondo tre figli, mentre lui - certo non grasso dati i novanta
chili distribuiti su un metro e ottantotto - cominciava ad angustiarsi per la sua pressione e la vita che andava ingrossandosi. A volte, d'estate, Brody si sorprendeva a occhieggiare con pigra bramosia qualcuna delle ragazzine dalle gambe lunghe che se ne andavano attorno, i seni liberi da pastoie a sussultare sotto le magliette di cotone leggerissimo. Ma quel fatto non gli dava mai piacere, anzi lo induceva sempre a chiedersi se Ellen provava quello stesso rimescolio quando osservava i giovanotti abbronzati e smilzi che fungevano da perfetto complemento alle ragazze dalle gambe lunghe. E non appena quel pensiero gli si presentava si sentiva ancor peggio: era il chiaro segno che si trovava dalla parte rognosa dei quaranta e aveva già vissuto più di metà della sua esistenza. L'estate era un periodo negativo per Ellen Brody perché d'estate era tormentata da idee che avrebbe voluto non avere: pensieri di occasioni perdute e di una vita diversa da quella. Rivedeva le persone con cui era cresciuta: compagne delle scuole medie adesso sposate con banchieri e agenti di cambio, che trascorrevano le vacanze ad Amity e l'inverno a New York: signore eleganti che rilanciavano palle da tennis e ravvivavano la conversazione con uguale scioltezza, signore che, Ellen ne era convinta, scambiavano tra loro battute ironiche su Ellen Shepherd che aveva sposato un poliziotto perché lui l'aveva messa incinta sul sedile posteriore della sua Ford del 1948, il che non era vero. Ellen aveva ventun anni quando aveva conosciuto Brody. Aveva appena terminato il primo anno a Wellesley e stava trascorrendo l'estate ad Amity con i suoi genitori, come aveva fatto nelle undici estati precedenti, da quando il padre era stato trasferito dall'agenzia pubblicitaria, dove lavorava, da Los Angeles a New York. Sebbene, a differenza di molte sue amiche, Ellen Shepherd non avesse l'ossessione del matrimonio, riteneva nebulosamente che nel giro di un paio d'anni alla conclusione degli studi universitari avrebbe sposato un qualche tipo più o meno della sua condizione sociale ed economica. Tale pensiero non la sconvolgeva né l'entusiasmava. Apprezzava il discreto benessere che suo padre offriva alla famiglia, e sapeva che anche sua madre ne era lieta. Ma non ci teneva molto a vivere una ripetizione della vita dei suoi. Conosceva bene i problemi meschini del mondo piccolo-borghese, che l'annoiavano. Si considerava una ragazza semplice, orgogliosa del fatto che sull'Annuario 1953 della scuola di Miss Porter, era definita la Più Sincera. Il primo incontro con Brody era avvenuto per motivi professionali. L'aveva arrestata, o meglio aveva arrestato il ragazzo con cui era uscita. Era
notte tarda e lei veniva riaccompagnata a casa da un giovanotto sbronzo fradicio deciso a guidare a tutta velocità per stradine maledettamente strette. L'auto era stata intercettata e fermata da un agente che aveva colpito Ellen per la giovane età, l'ottima presenza fisica e la cortesia. Dopo avere compilato una citazione, aveva requisito le chiavi dell'auto dell'amico di Ellen e quindi li aveva accompagnati alle rispettive abitazioni. La mattina seguente, mentre era fuori a fare compere, Ellen si trovò nelle vicinanze della stazione di polizia. Come per gioco entrò a chiedere il nome del giovane agente che era stato di turno verso mezzanotte la sera prima. Poi, tornata a casa, scrisse a Brody un biglietto di ringraziamento per essere stato tanto cortese, e scrisse anche una lettera al capo della polizia elogiando il giovane Martin Brody. Brody le telefonò per ringraziarla del bigliettino. Quando poi l'invitò a cena fuori e al cinema, alla prima serata libera, lei accettò, per curiosità. Non le era mai capitato di fare quattro chiacchiere con un poliziotto, e certamente mai di ricevere un simile invito. Brody era nervoso, ma Ellen dimostrava un interesse così genuino per lui e il suo lavoro che a poco a poco riuscì a tranquillizzarsi e a godersi la serata. Ellen lo trovò delizioso: forte, semplice, gentile... sincero. Faceva il poliziotto da sei anni. Raccontò che la sua aspirazione era diventare capo della polizia di Amity, avere dei figli da portare a caccia di anitre in autunno, risparmiare abbastanza da potersi concedere una vacanza come si deve ogni due o tre anni. Si sposarono quello stesso novembre. I genitori di Ellen avrebbero voluto che lei terminasse l'università, e Brody sarebbe stato disposto ad aspettare fino all'estate successiva, ma Ellen non riusciva proprio a vedere come un altro anno di studi avesse un qualche peso nell'esistenza che aveva scelto per sé. Nei primi anni ci furono alcuni momenti un po' difficili. Gli amici di Ellen li invitavano a cena o a pranzo o a fare una nuotata, e loro accettavano, ma Brody si sentiva a disagio e trattato con condiscendenza. Quando uscivano con gli amici di Brody, le origini sociali di Ellen parevano smorzare ogni brio spontaneo. Gli altri si comportavano come se temessero di fare delle gaffes. Via via che le amicizie si rafforzavano, gli imbarazzi scomparvero. Ma non frequentarono mai più gli amici di un tempo di Ellen. L'essersi liberata dal marchio di "villeggiante" le aveva guadagnato l'affetto dei residenti stabili di Amity, ma l'aveva privata anche di molte cose piacevoli a cui lei era stata abituata nei primi ventun anni di vita. Era come se si fosse trasferita in un altro paese.
Fino a quattro anni prima questo cambiamento di situazione non le era pesato. Era troppo presa e troppo felice - c'erano i bambini da allevare per lasciare che la sua mente si soffermasse su alternative ormai superate. Ma quando l'ultimo ragazzo iniziò ad andare a scuola lei cominciò a sentirsi un po' alla deriva, e si scoprì a ricordare come sua madre aveva vissuto la sua vita una volta che i figli avevano cominciato a staccarsi da lei: sortite d'acquisti (divertenti perché disponeva di denaro sufficiente a comperare di tutto, salvo le cose più folli), lunghi pranzi fuori con amiche, partite a tennis, cocktails e viaggetti di fine settimana. Quello che un tempo le era parso futile e banale, guardando indietro, le si profilava come un paradiso. In un primo tempo aveva cercato di ristabilire i contatti con le amiche che non frequentava da dieci anni, ma ogni interesse ed esperienza comune si erano da tempo dissolti. Ellen parlava animatamente di Amity, dell'amministrazione locale, del suo lavoro come infermiera volontaria all'ospedale di Southampton, tutti argomenti di cui le sue vecchie amiche, molte delle quali venivano a passare l'estate ad Amity da più di trent'anni, sapevano ben poco e si interessavano ancor meno. Discutevano della situazione politica di New York, delle gallerie d'arte, dei pittori e degli scrittori che conoscevano. Per buona parte le conversazioni sfociavano in inerti reminiscenze di vecchie amicizie, e a domandarsi chissà dove erano adesso. Per poi concludersi con l'impegno reiterato di telefonarsi e ritrovarsi di nuovo. Di tanto in tanto cercava di farsi nuove amicizie tra i villeggianti che non aveva conosciuto in precedenza, ma si trattava di rapporti forzati ed effimeri. Avrebbero potuto resistere se Ellen fosse stata meno a disagio per quel che riguardava la sua casa, il lavoro di suo marito e il magro stipendio che gli fruttava. Si sforzava di mettere ben in chiaro con le nuove conoscenze che la sua vita ad Amity era iniziata a un livello completamente diverso. Era ben consapevole di questo suo atteggiamento, e si detestava, perché in realtà amava profondamente suo marito, adorava i bambini e, per la maggior parte dell'anno, era perfettamente soddisfatta della sua sorte. Ormai aveva quasi del tutto rinunciato a scorribande tra i villeggianti, ma frustrazioni e rimpianti restavano. Era scontenta e sfogava buona parte del suo scontento sul marito, cosa che entrambi capivano ma solo lui riusciva a sopportare. Ellen avrebbe voluto andare in ibernazione per quei tre mesi estivi. Brody si girò verso Ellen, sollevandosi su un gomito e poggiando la testa contro la mano. Con l'altra allontanò una ciocca di capelli che solleti-
cava il naso di sua moglie facendoglielo arricciare. Era ancora in erezione, strascico dell'ultimo sogno, e si chiedeva se non era il caso di svegliarla per una breve incursione nel mondo dell'eros. Sapeva che lei aveva il risveglio lento e che di prima mattina era d'umore irascibile più che romantico. Ad ogni modo sarebbe stato piacevole. Da un po' di tempo in qua l'attività sessuale nella casa dei Brody scarseggiava. Come sempre, quando Ellen era in crisi estiva. Proprio in quel momento la mascella di Ellen ricadde e lei cominciò a russare. Di colpo Brody si sentì smontato, come se gli avessero versato dell'acqua gelata sul ventre. Si alzò e andò in bagno. Erano quasi le sei e mezzo quando Brody svoltò sulla Old Mill Road. Il sole stava salendo sull'orizzonte. Aveva perso la fiamma rossastra dell'aurora per passare dall'arancio al giallo vivido. Il cielo era sgombro di nubi. In linea teorica c'era, per legge, un diritto di passaggio tra una casa e l'altra, per dare pubblico accesso alla spiaggia che poteva essere di proprietà privata solo fino alla linea mediana dell'alta marea. Ma i passaggi tra buona parte delle costruzioni erano occupati da rimesse o siepi di ligustro. Dalla strada la spiaggia non era visibile, Brody riusciva a scorgere solo la sommità delle dune. Così ogni cento metri circa doveva fermare l'auto e percorrere un sentiero per arrivare a un punto da cui poter scrutare la riva. Non vide ombra di cadaveri. Su quell'ampia distesa bianca c'era solo qualche pezzo di legno arenato, qualche barattolo vuoto e una fascia larga un metro di alghe verdi e brune sospinte a riva dal vento di sud. Non c'erano quasi onde, quindi se ci fosse stato un corpo galleggiante in superficie sarebbe stato visibile. Se c'è un annegato laggiù, si disse Brody, vuol dire che sta sotto il pelo dell'acqua e non lo individuerò finché non viene buttato sulla terraferma. Alle sette Brody aveva perlustrato tutta la spiaggia lungo la Old Mill e la Scotch. Aveva notato una sola cosa che gli era parsa vagamente insolita ed era stato un piatto di carta su cui erano adagiate tre bucce d'arancia tagliate a festone, in modo molto decorativo, indice che i pic-nic sulla spiaggia quell'estate sarebbero stati più raffinati che mai. Tornò indietro lungo la Scotch Road, piegò a nord, verso il centro seguendo Bayberry Lane, e giunse alla stazione di polizia alle sette e dieci. Hendricks stava finendo di lavorare sulle scartoffie quando Brody entrò, e parve deluso nel vedere che non si trascinava appresso una salma. «Andata buca, Capo?» chiese.
«Dipende da cosa intendi per andata buca, Leonard. Se vuoi sapere se ho trovato un cadavere e, in caso negativo, se non è un peccato, la risposta è no a entrambe le domande. Kimble è rientrato?» «No.» «Be', speriamo che non stia ancora dormendo. Farebbe proprio un bell'effetto, averlo lì a russare in un'auto della polizia quando la gente comincia a uscire a fare la spesa.» «Sarà qui alle otto» garantì Hendricks. «Come sempre.» Brody si versò una tazza di caffè, passò nel suo ufficio e cominciò a sfogliare i giornali: la prima edizione del "Daily News" di New York, e del "Leader", un foglio locale che usciva settimanalmente d'inverno e quotidianamente d'estate. Kimble si presentò poco prima delle otto, con l'aria, giustamente, di aver dormito con la divisa addosso, e prese una tazza di caffè in compagnia di Hendricks mentre aspettavano che comparissero quelli del turno diurno. Il rimpiazzo di Hendricks arrivò alle otto in punto, ed Hendricks stava infilandosi il suo giubbotto di pelle quando Brody uscì dal suo ufficio. «Avrei intenzione di andare da Foote, Leonard» disse Brody. «Vuoi venire anche tu? Non sei obbligato, ma avevo pensato che forse volevi seguire il caso del tuo... galleggiante.» Brody sorrise. «Ma sì, perché no» rispose Hendricks. «Non ho altro in ballo per oggi, potrò dormire tutto il pomeriggio.» Presero l'auto di Brody. Mentre infilavano il vialetto della casa dei Foote, Hendricks commentò: «Quanto scommettiamo che dormono tutti come marmotte? Ricordo che l'estate scorsa una tale ha telefonato all'una del mattino chiedendo se potevo andare da lei la mattina, il più presto possibile, perché aveva l'impressione che le mancassero dei gioielli. Mi sono offerto di andare da lei, ma quella ha detto che no, che ora andava a dormire. Ad ogni modo mi sono presentato alle dieci, la mattina dopo, e mi ha buttato fuori. "Non intendevo così presto" mi fa». «Adesso vedremo» disse Brody. «Ma se stanno davvero in pensiero per questa tipa, saranno svegli.» La porta venne aperta prima ancora che Brody avesse smesso di bussare. «Vi stavamo aspettando» spiegò il giovanotto sulla soglia. «Mi chiamo Tom Cassidy. L'avete trovata?» «Sono il Capo della Polizia, Brody. Questo è l'agente Hendricks. No, Mr. Cassidy, non l'abbiamo trovata. Possiamo entrare?» «Oh certo, certo. Scusate. Passate pure nel soggiorno. Vado a chiamare i
Foote.» A Brody occorsero meno di cinque minuti per apprendere tutto quel che gli occorreva sapere. Quindi, più per dimostrarsi meticoloso che per la speranza di trovare qualche elemento utile, chiese di vedere gli abiti della ragazza. Accompagnato nella camera, esaminò gli indumenti buttati sul letto. «Non aveva un costume da bagno con sé?» «No» rispose Cassidy. «È lì, nel primo cassetto. Ho guardato.» Brody fece una breve pausa, scegliendo con cura le parole, poi disse: «Mr. Cassidy, non vorrei sembrare maleducato o altro, ma questa Miss Watkins ha l'abitudine di fare cose strane? Voglio dire, per esempio, allontanarsi nel cuor della notte... o andare in giro nuda?». «Che io sappia no» rispose Cassidy. «Ma in realtà non è che la conosca molto.» «Capisco» mormorò Brody. «Allora penso sia opportuno tornare giù alla spiaggia. Non è necessario che lei venga. Hendricks e io ce la caveremo benissimo.» «Preferirei venire anch'io se non le secca.» «Non mi secca affatto. Solo pensavo che forse non se la sentiva.» I tre discesero in spiaggia. Cassidy mostrò ai poliziotti il punto in cui si era addormentato - l'incavo lasciato dal suo corpo nella sabbia era ancora intatto - e indicò dove aveva trovato gli abiti della ragazza. Brody scrutò la costa a destra e a sinistra. Per quel che poteva vedere più di un miglio nelle due direzioni - la spiaggia era deserta. Alcuni ammassi di alghe erano le uniche chiazze scure sulla rena bianca. «Facciamo una camminata» propose. «Leonard, tu vai verso est, fino al promontorio. Mr. Cassidy, noi due andiamo verso ovest. Hai il fischietto, Leonard? Per ogni eventualità.» «Sicuro» rispose Hendricks. «Posso togliermi le scarpe? È più facile camminare sulla battigia, dove la sabbia è dura, e non vorrei bagnarle.» «Per me fai pure» replicò Brody. «A rigore sei fuori servizio. Puoi toglierti anche le braghe, se ti pare. Naturalmente in questo caso ti arresterei per oltraggio al pudore.» Hendricks si avviò verso est. La sabbia bagnata crocchiava fresca sotto i suoi piedi. Camminava a capo chino, le mani in tasca, osservando le minuscole conchiglie e i grovigli di alghe. Alcuni minuscoli animaletti simili a piccoli scarafaggi guizzavano via al suo avvicinarsi e quando la risacca si ritirava si vedevano le bollicine minute sopra i buchetti dei vermi di sabbia. Era una passeggiata gradevole. Buffo, si disse, passi tutta la tua vita in
un posto e non fai mai nessuna delle cose per le quali arrivano i turisti, per esempio camminare lungo la spiaggia o fare una nuotata. Non ricordava neppure l'ultima volta che si era buttato in acqua. Non era neanche sicuro di avere ancora un costume da bagno. Un po' la stessa cosa che aveva sentito dire per New York: metà di quelli che ci abitano non sono mai stati in cima all'Empire State Building o a visitare la Statua della Libertà. Di tanto in tanto Hendricks sollevava il capo per vedere a che distanza era dal promontorio. Una volta si girò a guardare se Brody e Cassidy avevano trovato qualcosa. Dovevano trovarsi a mezzo miglio circa. Mentre si voltava per riprendere a camminare Hendricks scorse qualcosa più avanti: un viluppo di flora marina che gli parve particolarmente abbondante. Era a una trentina di metri da quell'ammasso quando cominciò a pensare che forse quelle alghe erano abbarbicate a qualcosa. Raggiunto quel groppo, si chinò a scostare alcuni tralci. Di colpo si fermò. Per alcuni secondi rimase a guardare, rigido, paralizzato. Cercò il fischietto nella tasca dei pantaloni, se lo portò alle labbra, cercò di soffiarci dentro. Invece fu preso dal vomito e barcollò all'indietro per poi cadere sulle ginocchia. Aggrovigliata in quell'intrico d'alghe era una testa di donna, ancora attaccata alle spalle, con parte di un braccio e circa un terzo del torso. Quella massa di carne sbrindellata era di un grigio azzurrino e mentre rovesciava lo stomaco sulla sabbia, Hendricks pensò - e questo pensiero gli diede un ulteriore conato - che il seno restante della donna appariva piatto come un fiore essiccato tra le pagine di un libro. «Un momento» disse Brody fermandosi e toccando un braccio a Cassidy. «Mi è parso di sentire un fischio.» Tese l'orecchio socchiudendo gli occhi nel sole mattutino. Scorse un puntino nero sulla sabbia, doveva essere Hendricks, e poi udì più chiaramente il fischio. «Andiamo!» esclamò, e insieme cominciarono a correre. Hendricks era ancora in ginocchio quando lo raggiunsero. Aveva smesso di vomitare ma teneva ancora la testa china, la bocca aperta, e il respiro usciva rantolante, impedito dal muco. Brody, parecchi passi più avanti di Cassidy, disse: «Mr. Cassidy, resti indietro per favore». Scostò alcune alghe e quando vide cosa nascondevano sentì un gusto acre salirgli in gola. Deglutì e chiuse gli occhi. Dopo qualche istante aggiunse: «Adesso può anche guardare, Mr. Cassidy, e dirmi se si tratta o no della ragazza».
Cassidy era atterrito. Il suo sguardo passava da Hendricks, esausto, all'ammasso di alghe. Istintivamente fece un passo indietro. «Quella cosa? Che vuole dire, se è lei o no?» Brody stava ancora sforzandosi di controllare il proprio stomaco. «Credo,» ansimò «che possa essere parte di lei.» Riluttante, Cassidy si trascinò avanti qualche passo. Brody tenne scostate alcune alghe in modo che il giovanotto potesse scorgere chiaramente quel volto grigiastro, dalla bocca spalancata. «Oh, mio Dio» balbettò Cassidy, e si portò una mano alla bocca. «È lei?» Cassidy annuì, sempre fissando quel viso. Poi distolse lo sguardo e domandò: «Che le è successo?». «Con certezza non saprei» mormorò Brody. «Così a occhio direi che è stata aggredita da uno squalo.» Le ginocchia di Cassidy cedettero. Mentre cadeva sulla sabbia biascicò: «Sto per sentirmi male». Abbassò la testa e fu preso da un conato. Il lezzo del vomito raggiunse quasi all'istante Brody che capì di avere perso la sua battaglia. «Uniamoci ai più» disse, e vomitò a sua volta. III Trascorsero parecchi minuti prima che Brody si sentisse in grado di reggersi in piedi, tornare all'auto e richiedere un'ambulanza dall'ospedale di Southampton, e trascorse quasi un'ora prima che l'ambulanza arrivasse e quei resti umani venissero cacciati in una sacca di plastica e portati via. Alle undici Brody era di nuovo nel suo ufficio, a compilare i formulari riguardanti il caso. Era arrivato al "causa del decesso" quando il telefono squillò. «Qui Carl Santos, Martin» disse la voce del medico legale. «Salve, Carl. Che mi dici?» «A meno che tu non abbia motivi per sospettare di un delitto, io direi che si tratta di uno squalo.» «Delitto?» «Non voglio insinuare nulla. Intendo solo dire che è possibile, molto alla lontana, che qualche pazzoide abbia reso il servizio alla ragazza con un'accetta e una sega.» «Non credo si tratti di delitto, Carl. Non abbiamo il movente, né l'arma, né, a meno di tirarlo per i capelli, un indiziato.»
«E allora si tratta di uno squalo. E di una bestiaccia grossa, anche. Neppure l'elica di un transatlantico avrebbe combinato un lavoro simile. Avrebbe potuto tranciarla in due, ma...» «Okay, Carl» lo interruppe Brody. «Risparmiami i particolari macabri. Non ho lo stomaco nelle condizioni adatte.» «Chiedo scusa, Martin. Ad ogni modo io la registro come vittima di squalo. Mi sembra la cosa più verosimile anche per te, a meno che non ci siano... be', sai... altre considerazioni.» «No» dichiarò Brody. «In questo caso no. Grazie della telefonata, Carl.» Riappese, scrisse a macchina "aggredita da uno squalo" nello spazio riservato alla "causa del decesso" sul modulo e si appoggiò allo schienale. La possibilità che in quella faccenda potessero esserci di mezzo "altre considerazioni" non si era presentata alla sua mente. Tali "considerazioni" erano la parte più delicata del lavoro di Brody, e lo costringevano continuamente a studiare il modo migliore per salvaguardare il bene pubblico senza compromettere se stesso o la legge. Si era all'inizio della stagione estiva e Brody sapeva che dal successo o dal fallimento di quelle dodici brevi settimane dipendeva, per Amity, la vita di tutto un anno. Una stagione fortunata significava prosperità sufficiente a far superare il magro inverno al piccolo centro. La popolazione invernale di Amity era di circa mille abitanti; durante un'estate favorevole passava di colpo a diecimila. E quei novemila villeggianti alimentavano i mille residenti stabili per tutto l'anno. I commercianti (dai proprietari del negozio di ferramenta a quello di articoli sportivi, dai due distributori di benzina al farmacista del luogo) avevano bisogno di un boom estivo che li sostenesse nell'inverno, periodo in cui non riuscivano mai a chiudere in pari il bilancio. Le mogli dei falegnami, elettricisti e idraulici, d'estate lavoravano come cameriere o agenti immobiliari per collaborare al mantenimento delle famiglie nella stagione morta. C'erano solo due locali autorizzati a vendere alcolici per tutto l'anno, ad Amity, di conseguenza quelle dodici settimane estive erano fondamentali per buona parte dei ristoranti e dei bar. I pescatori che noleggiavano barche avevano assoluto bisogno di alcune cose ben precise: bel tempo, buona pesca e, soprattutto, gente. Anche dopo l'estate più felice gli inverni erano duri, per Amity. Tre famiglie su dieci vivevano dei sussidi dell'assistenza pubblica. Decine di uomini erano costretti a spostarsi sulla costa settentrionale di Long Island dove si arrabattavano per trovar lavoro, magari a sgusciare molluschi per
pochi dollari al giorno. Brody sapeva che un'estate negativa avrebbe quasi raddoppiato le liste delle persone assistite dal comune. Se le case non venivano tutte affittate non ci sarebbe stato lavoro sufficiente per i neri di Amity che per lo più erano giardinieri, domestici, baristi e cameriere. E due o tre estati cattive di fila - circostanza che, per fortuna, non si verificava da una ventina d'anni potevano dare luogo a un ciclo che avrebbe rischiato di rovinare la cittadina. Se gli abitanti non avevano abbastanza denaro per comperare abiti o benzina o abbondanti scorte alimentari, se non potevano permettersi un'adeguata manutenzione delle loro case, con i relativi accessori, allora i negozianti e coloro che offrivano i vari servizi non avrebbero guadagnato a sufficienza per tenersi a galla fino all'estate successiva. Avrebbero chiuso bottega e i cittadini di Amity sarebbero andati altrove a fare acquisti. L'amministrazione avrebbe visto calare le entrate fiscali. I servizi municipali si sarebbero deteriorati e la gente avrebbe cominciato a trasferirsi altrove. Si era giunti dunque, ad Amity, a un accordo generale, anche se tacito, nato dalla necessità di sopravvivenza. Ognuno doveva fare la sua parte per garantire che Amity continuasse a essere un gradevole centro di villeggiatura. Alcuni anni prima, ricordava Brody, due giovanotti, due fratelli, erano venuti a stabilirsi lì e si erano messi a lavorare come falegnami. Erano giunti in primavera, quando c'era abbastanza lavoro per sistemare le case dei residenti estivi da tenere tutti occupati. Così furono i benvenuti. Parevano abbastanza in gamba nel loro mestiere, e diversi falegnami del luogo cominciarono a passare loro degli incarichi. Ma verso la metà dell'estate cominciarono ad arrivare segnalazioni inquietanti circa i fratelli Felix. Albert Morris, proprietario del negozio di ferramenta, fece sapere che i due acquistavano chiodi d'acciaio scadente invece che zincato, facendoli poi pagare ai clienti come zincati. In un clima marittimo i chiodi d'acciaio cominciano ad arrugginire nel giro di pochi mesi. Dick Spitzer, che gestiva il deposito di legname, riferì a qualcuno che i Felix avevano fatto un'ordinazione di legno scadente, non stagionato, da usare per alcuni armadietti in una casa di Scotch Road. Le ante cominciarono a imbarcarsi poco dopo l'installazione. Una sera in un bar il maggiore dei Felix, Armando, raccontò come un vanto a un compagno di bevuta che nel lavoro che aveva per le mani al momento avrebbe dovuto fissare dei travetti di sostegno a distanza di quaranta centimetri l'uno dall'altro, e che invece li piazzava a sessanta. E il minore dei Felix, Danny, un ragazzotto di ventun anni afflitto da un'acne ostinatissima, si compiaceva
di mostrare ai suoi amici libri a carattere erotico gloriandosi di averli rubati in case dove lavorava. Gli altri falegnami smisero di passare lavoro ai Felix, ma a quel punto i due si erano creati un certo giro che li avrebbe mantenuti in attività per tutto l'inverno. Senza il minimo chiasso la congiura di Amity cominciò a operare. Dapprima ci furono solo alcuni piccoli accenni intesi a far capire ai Felix che non erano più bene accetti. Armando reagì con arroganza. Ben presto cominciò a essere vittima di piccoli incidenti seccanti. Tutti i pneumatici del suo furgoncino si sgonfiarono misteriosamente, e quando lui telefonò al distributore della Gulf per chiedere aiuto gli fu detto che la pompa dell'aria era guasta. Quando si ritrovò senza gas per il fornello di cucina, la ditta locale impiegò otto giorni per fornirgli una nuova bombola. Le sue ordinazioni di legname e altre forniture andavano inesplicabilmente smarrite o le consegne avvenivano con forti ritardi. In negozi dove un tempo comperava a credito adesso era costretto a pagare in contanti. Alla fine di ottobre i fratelli Felix si trovarono nell'impossibilità di continuare a lavorare e levarono le tende. In linea di massima, il contributo di Brody alla congiura di Amity - oltre a mantenere l'ordine e far osservare la legge - consisteva nel mettere a tacere gli scandali e, di conserva con Harry Meadows, il direttore del "Leader" di Amity, porre sempre sotto una certa luce i rari avvenimenti incresciosi che meritavano l'onore della cronaca. Le violenze carnali dell'estate precedente erano sì state segnalate dal "Leader", ma in tono minore (come molestie), in quanto Brody e Meadows avevano convenuto che lo spettro di un maniaco sessuale di colore che faceva la posta a tutte le donne di Amity non avrebbe giovato al turismo. In quel caso c'era in aggiunta il problema che nessuna delle signore che avevano denunciato alla polizia di essere state violentate era disposta a raccontare la cosa ad altri. Se uno dei più facoltosi residenti estivi di Amity veniva arrestato per guida in stato di ebbrezza, Brody era disposto, a quella prima trasgressione, a multarlo per guida senza patente, e tale accusa veniva debitamente riportata sul "Leader". Ma Brody metteva bene in chiaro con la persona in questione che se il fatto si fosse ripetuto sarebbe stato accusato e processato per avere guidato in preda ai fumi dell'alcool. Il rapporto di Brody con Meadows si basava su un equilibrio delicato. Quando dei gruppi di ragazzotti calavano in città da Hampton e combinavano guai, a Meadows venivano passati tutti gli elementi: nomi, età, capi
d'accusa. Quando i giovani di Amity facevano troppo baccano a una festa, di solito il "Leader" pubblicava un paragrafetto senza nomi e indirizzi, a informare il pubblico che la polizia era stata chiamata a intervenire per certi schiamazzi notturni in, diciamo, Old Mill Road. Poiché diversi villeggianti trovavano divertente essere abbonati al "Leader" per tutto l'anno, la questione degli atti vandalici che si verificavano d'inverno ai danni delle residenze estive era particolarmente delicata. Per anni Meadows aveva ignorato la cosa, lasciando che Brody si preoccupasse di informarne il proprietario, punire i responsabili, e spedire chi di dovere per le riparazioni della casa. Ma nell'inverno del 1968, nel giro di poche settimane ben sedici case furono oggetto di atti vandalici. Brody e Meadows riconobbero insieme che era giunto il momento per una campagna in grande stile sul "Leader" contro i teppisti che operavano d'inverno. Come risultato, quarantotto case vennero collegate con impianti elettrici alla stazione di polizia il che - poiché si ignorava quali case fossero collegate e quali no - eliminò quasi completamente le iniziative vandaliche, facilitò di parecchio il lavoro a Brody e diede a Meadows l'aura di giornalista coraggiosamente impegnato per il pubblico interesse. Di tanto in tanto Brody e Meadows si scontravano. Brody era un nemico fanatico degli stupefacenti. Era anche un individuo dotato di antenne giornalistiche di sensibilità eccezionale, e quando captava una notizia - che non fosse suscettibile di "altre considerazioni" - ci stava appresso come un maiale con i tartufi. Nell'estate del 1971 la figlia di una delle più ricche famiglie di Amity era morta nelle vicinanze della Scotch Road. Secondo Brody non c'erano elementi che facessero pensare a un delitto e poiché la famiglia si era opposta all'autopsia, il decesso venne ufficialmente attribuito ad annegamento. Ma Meadows aveva motivo di ritenere che la ragazza facesse uso di droga e che questa le venisse fornita dal figlio di un coltivatore di patate, un polacco. Occorsero quasi due mesi a Meadows per ricostruire i fatti, ma alla fine impose un'autopsia la quale dimostrò che al momento in cui era annegata la ragazza era priva di conoscenza a causa di una dose eccessiva di eroina. Riuscì anche a rintracciare lo spacciatore e smascherò un giro di droga abbastanza ampio che operava nella zona di Amity. Quella vicenda fu un brutto colpo per il piccolo centro, e ancor più per Brody che, comportando il caso diversi reati che riguardavano il governo federale, non poté riscattare la sua negligenza neppure compiendo un paio di arresti. E gli articoli valsero a Meadows due premi giornalistici regionali.
Adesso era la volta di Brody di insistere per una completa divulgazione dei fatti. Intendeva chiudere le spiagge per un paio di giorni, per dar tempo allo squalo di allontanarsi dalla costa di Amity. Ignorava se gli squali, dopo averla assaggiata, imparano ad apprezzare la carne umana (come, a quanto sembra, succede con le tigri) ma era ben deciso a non fornire altro cibo del genere a quella bestia. Questa volta voleva ampia pubblicità, perché la gente avesse paura dell'acqua e se ne tenesse alla larga. Brody sapeva che ci sarebbe stato un solido argomento contro la divulgazione del fatto. Come tutto il resto del paese, Amity risentiva ancora gli effetti della recessione. Ora come ora l'estate si profilava piuttosto mediocre. Gli affitti erano saliti rispetto all'anno precedente, ma non erano poi gran che. C'erano diversi gruppi, bande di dieci o quindici giovani che venivano dalla città e si dividevano le spese di locazione di una casa grande. Almeno una dozzina delle ville sul mare, da 7.000-10.000 dollari a stagione, non erano ancora state affittate, e molte di più, a livello di 5.000 dollari, erano ancora senza inquilini. L'annuncio sensazionale della presenza di uno squalo che aveva già fatto una vittima avrebbe potuto trasformare la mediocrità in crollo totale. Pure, pensava Brody, una disgrazia a metà giugno, prima dell'arrivo del grosso del contingente, forse sarebbe stata presto dimenticata. Di certo avrebbe avuto meno effetto di altri due o tre casi analoghi. Lo squalo poteva benissimo essere già scomparso, ma Brody non era disposto a mettere a repentaglio vite umane puntando su quella possibilità. C'erano buone probabilità in quel senso, ma la posta in gioco era troppo alta. Formò il numero di Meadows. «Salve, Harry» disse. «Sei libero per colazione?» «Mi chiedevo appunto quando mi avresti chiamato» rispose Meadows. «Certo. Da me o da te?» Adesso Brody si pentì di avere telefonato all'ora di pranzo. Aveva lo stomaco in subbuglio e l'idea del cibo gli dava la nausea. Lanciò un'occhiata al calendario appeso al muro. Era giovedì. Come tutti i loro amici che vivevano di entrate fisse, certo non larghe, i Brody facevano la spesa seguendo le offerte speciali del supermarket. L'offerta speciale del lunedì era pollo, il martedì agnello, e così via per tutta la settimana. Via via che si consumavano le provviste, Ellen le annotava sulla lista della spesa per rimpiazzarle la settimana appresso. Le uniche varianti erano rappresentate da pesci-serra o da spigole che comparivano sul loro menu quando qualche pescatore dopo una retata particolarmente abbondante regalava loro del pe-
sce. L'offerta speciale del giovedì erano gli hamburger, e Brody per quel giorno aveva già visto abbastanza carne maciullata. «Da te» rispose. «Perché non ordiniamo qualcosa al Cy? Possiamo mangiare nel tuo ufficio.» «Per me, benissimo» acconsentì Meadows. «Cosa vuoi, tu? Ordino subito.» «Un tramezzino con uova sode, direi. E un bicchiere di latte. Arrivo tra poco.» Quindi telefonò a Ellen per avvertirla che non sarebbe rientrato a pranzo. Harry Meadows era un uomo immenso, per il quale il fatto di tirare il fiato era già uno sforzo sufficiente a imperlargli la fronte di sudore. Era vicino ai cinquanta, mangiava troppo, fumava, uno appresso all'altro, sigari da quattro soldi, beveva whisky di primissima qualità, ed era, per usare le parole del suo medico, il primo candidato del mondo occidentale a un solenne infarto. Quando Brody arrivò, Meadows era in piedi accanto alla scrivania e agitava un tovagliolo in direzione della finestra spalancata. «In omaggio a quello che, in base alla tua ordinazione per il pranzo, mi risulterebbe uno stomaco sossopra,» spiegò «sto cercando di purificare l'aria dalla fragranza dei miei White Owl.» «Te ne sono grato» rispose Brody. Si guardò attorno, nel piccolo locale ingombro, cercando un posto dove sedersi. «Sbatti via la robaccia che sta su quella sedia» consigliò Meadows. «Sono semplicemente relazioni governative. Relazioni mandate dalla contea, relazioni dello stato, relazioni della commissione per le autostrade e della commissione per le acque pubbliche. Probabilmente sono costate un milione di dollari, e dal punto di vista dell'informazione non equivalgono neanche a uno sputo.» Brody raccolse il fascio di documenti e l'ammonticchiò su un calorifero. Quindi accostò la sedia alla scrivania di Meadows e vi si accomodò. L'altro si mise a frugare in un grosso sacchetto di carta tirandone fuori un bicchiere di plastica e un sandwich avvolto nel cellofan che spinse attraverso la scrivania, verso Brody. Poi cominciò a togliere dagli involucri la propria colazione, quattro pacchetti separati che scartocciò disponendoseli dinanzi con la cura amorosa del gioielliere che mostra gemme rare: uno sfilatino con polpette di carne, trasudante salsa di pomodoro; un vassoietto di plastica colmo di patate fritte, untuose; un cetriolo sottaceto
grande quanto uno zucchino; e un buon quarto di crostata al limone. Allungò un braccio dietro di sé e prese da un mini frigorifero una lattina grande di birra. «Che delizia» commentò con un sorriso mentre contemplava il banchetto che aveva di fronte. «Incredibile» borbottò Brody, soffocando un rutto acre. «Cavolo, proprio incredibile. Avrò mangiato un migliaio di volte insieme a te, Harry, e ancora non riesco a farci l'abitudine.» «Ciascuno di noi ha le sue piccole debolezze, amico mio» dichiarò Meadows afferrando il suo sfilatino. «Alcuni danno la caccia alla moglie altrui. Altri si perdono nel whisky. Io trovo conforto nella soddisfazione di appetiti più naturali.» «Bel conforto sarà per Dorothy quando il tuo cuore dirà: "Adesso basta, amico bello, adiòs".» «Ne abbiamo discusso, Dorothy e io» replicò Meadows filtrando le parole attraverso un boccone di carne e pane. «E abbiamo convenuto che uno dei pochi vantaggi che l'uomo ha rispetto agli altri animali è la sua possibilità di scegliere il modo di procurarsi la morte. Il cibo potrà benissimo uccidermi, ma è anche ciò che ha reso tanto piacevole la mia esistenza. Inoltre preferisco senz'altro andarmene con il mio sistema piuttosto che finire nella pancia di uno squalo. E dopo stamattina sono certo che sarai d'accordo anche tu.» Brody, che stava per inghiottire un pezzetto di tramezzino di uova sode, dovette cacciarlo giù a forza lottando con uno spasmo alla bocca dello stomaco. «Non farmi questi scherzi» mormorò. Per qualche minuto mangiarono in silenzio. Brody terminò il tramezzino e il latte, appallottolò il cellofan e lo cacciò nel bicchiere di plastica. Quindi si appoggiò allo schienale e accese una sigaretta. Meadows stava ancora mangiando ma Brody sapeva che nessuna discussione avrebbe potuto alterare il suo appetito. Ricordava una volta in cui Meadows si era recato sulla scena di un orrendo incidente d'auto e aveva attaccato a intervistare agenti e sopravvissuti, leccandosi tranquillo un ghiacciolo alla noce di cocco. «Su questa faccenda della Watkins,» cominciò a dire «avrei un paio di idee, se hai voglia di sentirle.» Meadows annuì. «Per prima cosa direi che la causa della morte è bell'e che definita. Ho già parlato con Santos, e...» «Anch'io.» «Allora sai come la pensa. Si è trattato di uno squalo, senza dubbio. E se avessi visto il corpo saresti d'accordo. Non c'è proprio...» «L'ho visto.»
Brody era sbalordito, più che altro perché non riusciva a capacitarsi di come una persona che avesse avuto sotto gli occhi quella cosa orripilante potesse adesso starsene lì a leccarsi dalle dita la farcitura del dolce al limone. «Allora condividi il parere?» «Sì. Sono convinto che sia stato uno squalo a ucciderla. Ma ci sono alcune cosette che non mi sono molto chiare.» «Per esempio?» «Ad esempio come mai è andata a fare un bagno a quell'ora di notte? Sai che temperatura avevamo verso la mezzanotte? Sedici gradi. E sai a quanto era l'acqua? Circa dieci gradi. Bisogna essere matti da legare per andare a farsi una nuotata in simili condizioni.» «O ubriachi» osservò Brody «e probabilmente lo era.» «Forse. No, hai ragione... è probabile. Mi sono informato un po' attorno e i Foote non pasticciano con erba, mescalina o robaccia del genere. Però c'è un'altra faccenda che mi lascia perplesso.» Brody era seccato. «Per l'amor di Dio, Harry, non andare a caccia di ombre. Capita ogni tanto che la gente muoia per una disgrazia.» «Non si tratta di questo. Solo è maledettamente strano che ci troviamo qui in giro uno squalo quando l'acqua è ancora così fredda.» «Ah, sì? Magari ci sono squali a cui piace l'acqua fredda. Chi ne sa niente sugli squali?» «Ce ne sono diversi tipi. C'è lo squalo della Groenlandia, ma non si spinge mai tanto a sud, e anche se lo facesse di solito non molesta l'uomo. Chi ne sa niente sugli squali, dici? Ti dirò una cosa: ora come ora ne so un mare di più di quanto ne sapessi questa mattina sull'argomento. Dopo avere visto quanto restava di Miss Watkins, mi sono messo in contatto con un ragazzo che conosco, su all'Istituto Oceanografico di Woods Hote. Gli ho descritto i resti e quello ha detto che con tutta probabilità c'è un solo tipo di squalo capace di combinare un lavoro del genere.» «Che squalo?» «Lo squalo bianco. Ce ne sono altri che aggrediscono l'uomo, come lo squalo-tigre, il pesce-martello e magari perfino i mako e le verdesche, ma questo Hooper, Matt Hooper, mi ha detto che per stroncare in due una donna in quel modo deve trattarsi di una bestiaccia con una bocca così,» allargò le mani di quasi un metro «e l'unico che raggiunge simili dimensioni e aggredisce l'uomo è lo squalo bianco. Che ha anche un altro nome.» «Sì?» L'interesse di Brody cominciava a intiepidirsi. «E quale sarebbe?» «Mangiatore d'uomini. Altri squali attaccano l'uomo, a volte, per i moti-
vi più vari: per fame, magari, o perché disorientati, o perché sentono l'odore del sangue nell'acqua. A proposito, la Watkins aveva per caso il ciclo mestruale?» «E come diavolo faccio a saperlo?» «Semplice curiosità. Hooper ha detto che se c'è uno squalo attorno, fare il bagno in quelle condizioni è il sistema infallibile per farselo venire addosso.» «Cosa ha detto circa la temperatura dell'acqua?» «Che è abbastanza normale che uno squalo bianco si spinga in acque così fredde. Qualche anno fa un ragazzo ci ha lasciato le bucce grazie a uno di questi signori, vicino a San Francisco. E l'acqua era a quattordici gradi.» Brody aspirò una lunga boccata della sigaretta e commentò: «Ti sei fatto un bel po' di ricerche, eh, Harrv?». «Mi è parsa un'esigenza, diciamo, dettata dal buon senso e dall'interesse pubblico stabilire esattamente cosa è accaduto e se esistono possibilità che accada di nuovo.» «E hai determinato tali possibilità?» «Naturale. Sono pressoché inesistenti. Da quanto ho potuto capire, si è trattato di un episodio del tutto fuori della norma. Stando a Hooper, l'unico fatto positivo in merito ai pescicane è che sono rari. Abbiamo tutti i motivi per ritenere che quello che ha aggredito la Watkins se ne sia andato da un pezzo. Non abbiamo scogliere, qui attorno. Non ci sono impianti per la lavorazione del pesce o mattatoi che scarichino in acqua sangue o visceri. Dunque non c'è assolutamente nulla che possa destare l'interesse di uno squalo.» Meadows fece una pausa fissando Brody che ricambiò l'occhiata in silenzio. «Mi sembra dunque, Martin, che non vi sia ragione di mettere in allarme il pubblico per un fatto che quasi sicuramente non si ripeterà.» «È un modo di vedere la cosa, Harry. E un altro è: dato che probabilmente non si ripeterà non c'è nulla di male nel rendere noto che si è verificato questa volta.» Meadows trasse un sospiro. «Dal punto di vista giornalistico magari hai ragione. Ma credo sia uno di quei casi in cui dobbiamo lasciar perdere i dettami teorici, Martin, e pensare a cosa è più opportuno per la gente. Non credo che gioverebbe al pubblico interesse diffondere questa notizia. Non sto pensando alla gente del luogo. Quelli che ancora non sono informati verranno a saperlo ben presto. Ma come la mettiamo con quelli che leggono il "Leader" a New York, a Philadelphia, a Cleveland?» «Sei un bel presuntuoso.»
«Balle. Sai cosa voglio dire. E sai com'è la situazione degli affitti, qui, quest'estate. Ci reggiamo in piedi appena appena, come pure altri centri, ad esempio Nantucket, Vineyard e East Hampton. C'è gente che non ha ancora deciso il programma dell'estate. E sanno che hanno ampia scelta, quest'anno. Le case da prendere in affitto non mancano di certo... in qualsiasi località. Se pubblico un articolo in cui si dice che una donna è stata sbranata da uno squalo gigantesco al largo di Amity, non affittiamo più una sola casa. Gli squali sono come gli psicopatici che fanno a pezzi la gente con la scure, Martin. La gente reagisce in modo viscerale. Hanno qualcosa di folle, di maligno e incontrollabile. Se andiamo a raccontare che da queste parti c'è uno squalo mangiauomini, possiamo dire ciao ciao alla nostra bella estate.» Brody annuì. «Sono perfettamente d'accordo, Harry, e non intendo far sapere che qui attorno c'è uno squalo mangiauomini. Considera la cosa dal mio punto di vista, solo per un momento. Non voglio mettere in dubbio i tuoi calcoli delle probabilità o altro. Magari vedi giusto. Quel pescecane adesso si trova forse a cento miglia di qui e non si farà rivedere più. La cosa più pericolosa che ci sia in acqua adesso probabilmente è la risacca. Ma, Harry, resta sempre la lontana possibilità che tu ti sbagli, e non credo che dobbiamo correre il rischio. Mettiamo, solo per ipotesi, che non diciamo una parola e che qualcun altro venga aggredito da quell'animale. Che succede allora? Io mi ritrovo con il culo alla finestra. Ho il dovere di proteggere la cittadinanza, e se c'è qualcosa da cui non posso proteggerla, il minimo che possa fare è avvertirla che esiste un pericolo. E anche tu sei con il culo alla finestra. A te sta il compito di dare le notizie e non c'è dubbio che una persona rimasta vittima di un pescecane rappresenti una notizia. Voglio solo che tu pubblichi la cosa, Harry. Intendo chiudere le spiagge, solo per un paio di giorni, e solo come misura di sicurezza. Non sarà un grosso fastidio per nessuno. Non è ancora arrivata molta gente, e l'acqua è fredda. Se lo diciamo chiaro, se spieghiamo quel che è successo e perché ricorriamo a certi provvedimenti, credo che avremo già fatto un passo avanti.» Meadows si appoggiò allo schienale e rifletté per qualche istante. «Non posso dir nulla per quel che riguarda i tuoi compiti, Martin, ma quanto alla mia decisione... è già stata presa.» «Cosa significa?» «Sul "Leader" non comparirà alcuna notizia circa lo squalo.» «Così, punto e basta.»
«Be', non esattamente. Non è stata una decisione solo mia, anche se in linea di massima credo di trovarmi d'accordo. Io sono il direttore di questo giornale, Martin, e ne sono in parte proprietario, ma non in misura tale da permettermi di ignorare certe pressioni.» «Quali, ad esempio?» «Stamattina ho già ricevuto sei telefonate. Cinque da inserzionisti: un ristorante, un albergo, due agenzie immobiliari e una gelateria. Erano ansiosissimi di sapere se avevo o no intenzione di pubblicare un articolo sull'episodio della Watkins, e tenevano profondamente a farmi sapere che ai loro occhi la cosa più salutare per Amity sarebbe stato lasciare che tutta la faccenda sprofondasse in silenzio nelle nebbie dell'oblio. La sesta chiamata era di Mr. Coleman, da New York. Mr. Coleman possiede il cinquantacinque per cento del "Leader". A quanto sembra Mr. Coleman aveva ricevuto a sua volta alcune telefonate. E mi ha comunicato che sul "Leader" non doveva apparire alcuna notizia del fatto.» «Immagino non abbia specificato se il particolare che sua moglie sia proprietaria di un'agenzia immobiliare avesse qualcosa a che vedere con tale sua decisione.» «No» riconobbe Meadows. «L'argomento non è stato toccato.» «Chiaro. Be', Harry, a che punto ci ritroviamo? Tu non hai intenzione di stampare la notizia, e così per quel che riguarda i bravi lettori del "Leader" non è accaduto niente di niente. Io dal canto mio ho intenzione di far chiudere le spiagge e piazzare alcuni cartelli a spiegare il motivo.» «Okay, Martin. Questa è la tua decisione. Ma vorrei rammentarti una cosetta. Tu hai una carica elettiva, giusto?» «Proprio come il Presidente. Per quattro anni saturi di brivido.» «E le cariche elettive possono essere revocate.» «È una minaccia, Harry?» Meadows sorrise. «Non dire assurdità. Inoltre chi sono io per fare minacce? Desidero solo che tu ti renda conto di quel che fai prima di mettere in crisi la linfa vitale di tutte le sagge e perspicaci anime che ti hanno eletto.» Brody si alzò per andarsene. «Grazie, Harry. Avevo sempre sentito dire che ci si sente soli, qui sulla vetta. Quanto ti devo per la colazione?» «Lascia perdere. Non potrei mai accettare denaro da uno la cui famiglia fra poco si ritroverà a dover elemosinare i buoni alimentari del governo.» Brody si mise a ridere. «Scordatelo. Non lo sai? Il vantaggio del lavorare nella polizia, è la sicurezza che ti dà.»
Dieci minuti dopo che Brody era rientrato in ufficio, il telefono interno suonò e una voce comunicò: «C'è il sindaco che desidera vederla, Capo». Brody sorrise. Il sindaco. Non Larry Vaughan, che passava a fare una visitina. Non Lawrence Vaughan dell'Agenzia Immobiliare Vaughan & Penrose, che veniva a lagnarsi di qualche locatario turbolento. Ma il sindaco Lawrence P. Vaughan, il prescelto dalla popolazione con una maggioranza di settantun voti alle ultime elezioni. «Fai passare Sua Eccellenza» rispose Brody. Larry Vaughan era un bell'uomo sui cinquanta, con folti capelli sale e pepe e un fisico mantenuto in forma grazie allo sport. Sebbene nato ad Amity, nel corso degli anni aveva acquisito un'aria di sobria raffinatezza. Aveva guadagnato un bel po' di quattrini con la speculazione edilizia del dopoguerra, ad Amity, ed era il socio principale (alcuni ritenevano l'unico socio, visto che nessuno aveva mai incontrato o parlato con qualcuno che si chiamasse Penrose nell'ufficio di Vaughan) della più fiorente agenzia della cittadina. Vestiva con eleganza discreta, con giacche di stile inglese, sempre classiche, camicie con i bottoncini al colletto, e mocassini. A differenza di Ellen Brody che, passata dal ceto dei villeggianti a quello dei residenti fissi, non era riuscita ad adattarsi, Vaughan era asceso senza attriti dal mondo dei "locali" a quello degli "estivi", superando con garbo ogni fase dell'arrampicata. Non era proprio uno di loro, perché di fatto restava un commerciante del luogo, e di conseguenza non era mai invitato come ospite a New York o a Palm Beach. Ma ad Amity circolava liberamente nella cerchia dei villeggianti - salvo i più altezzosi - il che, si intende, faceva un mondo di bene al suo giro d'affari. Veniva invitato a quasi tutti i parties bene e si presentava sempre solo. Pochissimi dei suoi amici sapevano che a casa aveva una moglie, una donnina semplice, adorante, che trascorreva buona parte del suo tempo a ricamare a piccolo punto davanti al televisore. A Brody Vaughan era simpatico. Non lo vedeva molto durante l'estate, ma dopo il Labor Day, il primo lunedì di settembre, quando la stagione cominciava a declinare, Vaughan si sentiva autorizzato ad abbandonare parte delle sue squame mondane e ogni quindici, venti giorni lui e sua moglie invitavano fuori a cena Brody ed Ellen in uno dei migliori ristoranti di Hampton. Quelle serate erano occasioni speciali per Ellen, e la cosa in sé bastava a far contento Brody. Vaughan pareva comprendere Ellen. Si comportava sempre con estrema amabilità trattandola come se apparte-
nessero al medesimo giro e al medesimo club. Vaughan entrò nell'ufficio e sedette. «Ho appena parlato con Harry Meadows» attaccò subito. Vaughan era chiaramente agitato, e la cosa interessò Brody. Non si era aspettato una simile reazione. «Capisco» mormorò. «Harry non spreca tempo.» «Chi ti dà l'autorità di chiudere le spiagge?» «Me lo chiedi come sindaco, come agente immobiliare, per interesse amichevole o per cosa, Larry?» Vaughan insistette ma Brody vedeva che faceva fatica a contenersi. «Voglio sapere chi te ne dà l'autorità. Voglio saperlo subito.» «Ufficialmente, non credo di averne l'autorità» rispose Brody. «In qualche punto del codice è detto che posso intraprendere ogni azione che ritengo necessaria in casi di emergenza, ma credo che spetti ai consiglieri municipali dichiarare la situazione di emergenza. Non penso che tu voglia imbarcarti in tiritere del genere.» «Proprio no.» «Be', allora, ufficiosamente, ritengo stia a me tutelare nel modo migliore possibile la vita di quelli che abitano qui, e al momento sono convinto che ciò comporti il chiudere le spiagge per un paio di giorni. Se si dovesse scendere al concreto non credo che potrei arrestare chi entra in acqua per farsi una nuotata. A meno» Brody sorrise «di accusarlo di idiozia criminale.» Vaughan ignorò il commento. «Non voglio che tu chiuda le spiagge» dichiarò. «Capisco.» «Sai bene perché. Il quattro di luglio non è lontano, e quelle sono le giornate decisive. Sarebbe un tagliarci la gola con le nostre mani.» «È un'argomentazione che conosco, e di certo tu conosci i motivi per cui io voglio chiudere le spiagge. Non è che io abbia qualcosa da guadagnarci.» «No. Proprio il contrario, direi. Senti, Martin, questa cittadina non ha proprio bisogno di una simile pubblicità.» «E neppure ha bisogno che altri ci rimettano la vita.» «Ma, per amor del cielo, nessun altro ci rimetterà la vita. Se chiudi le spiagge non farai altro che invitare una frotta di cronisti a venire a ficcanasare qui senza una ragione al mondo.» «E con ciò? Arriverebbero e non trovando niente di interessante da offri-
re al pubblico, se ne tornerebbero indietro. Non credo proprio che al "New York Times" interesserebbe pubblicare la cronaca del pic-nic organizzato dalla loggia massonica, o della cena del circolo di giardinaggio.» «Ma dobbiamo comunque evitarlo. Metti che scoprano qualcosa. Ne verrebbe fuori una grossa bega che non farebbe certo comodo a nessuno.» «Scoprirebbero cosa, per esempio, Larry? Che potrebbero scoprire? Io non ho nulla da nascondere. E tu?» «No, certo che no. Stavo solo pensando... magari quei casi di violenza carnale. Qualche scandaletto spiacevole.» «Al diavolo» sbottò Brody. «Quella è acqua passata.» «Maledizione, Martin!» Vaughan cercava in tutti i modi di mantenersi calmo. «Senti, se non vuoi dare retta al buon senso, vuoi dare retta a me come amico? I miei soci mi stanno addosso a cavafiato. Una storia del genere potrebbe essere un bel guaio per noi.» Brody si mise a ridere. «È la prima volta che ti sento ammettere che hai davvero dei soci, Larry. Credevo che mandassi avanti la tua baracca come dittatore indiscusso.» Vaughan era in imbarazzo, come se si accorgesse di avere detto troppo. «I miei affari sono parecchio complessi» spiegò. «Certe volte non so bene neanche io come marciano gli ingranaggi. Fammi questo favore. Questa volta soltanto.» Brody fissò Vaughan, cercando di farsi un'idea dei suoi motivi. «Mi dispiace, Larry. Non posso. Sarebbe un venir meno al mio dovere.» «Se non mi dai ascolto,» dichiarò Vaughan «potresti non avere più ancora per molto un dovere da svolgere.» «Non hai la minima autorità su di me. Non puoi defenestrare nessun poliziotto.» «Buttarlo fuori dal corpo di polizia, no. Ma, tu che ci creda o no, ho una certa possibilità di intervento per quanto riguarda il posto di capo della polizia.» «Non ci credo.» Vaughan trasse dalla tasca della giacca una copia dello statuto del Municipio di Amity. «Leggi tu stesso» disse, sfogliandolo fino a trovare la pagina che cercava. «È qui, a questo punto.» Tese l'opuscolo a Brody attraverso la scrivania. «In sostanza si dice che per quanto tu sia stato eletto alla tua carica dalla cittadinanza, i consiglieri municipali hanno la possibilità di destituirti.» Brody lesse il paragrafo indicato da Vaughan. «Direi che hai ragione,»
commentò «ma vorrei sapere cosa potresti addurre come "motivo valido e sufficiente".» «Spero proprio che non si debba arrivare a questo, Martin. Avevo sperato di non dover giungere a tali estremi, in questo colloquio. Ti credevo più malleabile, una volta saputo come la pensavamo io e la giunta.» «Tutta la giunta?» «La maggioranza.» «Chi, per esempio?» «Non intendo di certo starmene qui a elencarti i nomi. Non sono autorizzato a farlo. Ti basti sapere che ho il consiglio municipale alle spalle, e se tu non vorrai comportarti in modo sensato metteremo al tuo posto qualcuno disposto a farlo.» Brody non aveva mai visto Vaughan così aggressivo e minaccioso. Era affascinato, ma anche un po' scosso. «Tu ci tieni proprio molto, eh, Larry?» «Sì.» Sentendo di avere vinto, Vaughan aggiunse in tono disteso: «Fidati di me, Martin. Non avrai a pentirtene». Brody trasse un sospiro. «Merda» borbottò. «Non mi va questa storia. Puzza. Ma se è tanto importante, okay.» «È davvero importante.» Per la prima volta da che era entrato, Vaughan sorrise. «Grazie, Martin» disse alzandosi. «Adesso mi aspetta il compito abbastanza spiacevole di fare visita ai Foote.» «Come impedirai loro di rifischiare tutta la storia al "Times" o al "News"?» «Mi auguro di riuscire a fare appello al loro senso civico,» rispose l'altro «come con te.» «Palle.» «Abbiamo un elemento a nostro favore. La Watkins non era nessuno. Una che se ne andava attorno. Niente famiglia, né amici intimi. Diceva di essere arrivata qui con l'autostop, dall'Idaho. Per cui nessuno noterà la sua assenza.» Brody arrivò a casa poco prima delle cinque. Lo stomaco gli si era assestato abbastanza da permettergli un paio di birre prima di cena. Ellen era in cucina, indossava ancora l'uniforme rosa delle volontarie dell'ospedale. Stava affondando le mani in un ammasso di carne trita per preparare un polpettone. «Ciao» disse, porgendo la guancia al bacio di Brody. «Che diavolo è
successo?» «Non l'hai saputo all'ospedale?» «No. Oggi era la giornata del bagno alle signore anziane. Sono sempre rimasta nel reparto Ferguson.» «È morta una ragazza, nella zona della Old Mill.» «Come?» «Uno squalo.» Brody aprì il frigorifero e prese una birra. Ellen smise di impastare la carne e lo guardò. «Uno squalo! Non ho mai sentito di disgrazie del genere da queste parti. Se ne vede uno ogni tanto, ma non danno mai fastidio.» «Già, lo so. Anche per me è la prima volta.» «E allora cosa intendi fare?» «Niente.» «Davvero? Ti pare giusto? Voglio dire, non puoi fare nulla?» «Certo, ci sono alcune cosette che potrei fare. In teoria. Ma in pratica ho le mani legate. Quel che pensiamo tu o io non ha grande peso. Gli alti papaveri temono che non farebbe una bella impressione se scatenassimo un cancan solo perché una di fuori è finita in bocca a un pescecane. Sono dispostissimi a puntare sulla possibilità che si sia trattato solo di un incidente sporadico che non si ripeterà. O meglio, sono disposti a lasciare puntare me su detta probabilità, visto che il responsabile sono io.» «Cosa intendi, per alti papaveri?» «Larry Vaughan, per nominarne uno.» «Oh, non avevo pensato che potessi averne discusso con Larry.» «È piombato da me non appena ha saputo che avevo deciso di far chiudere le spiagge. Non si è dimostrato quel che si dice finemente diplomatico nell'annunciarmi che non aveva la minima voglia di vedere chiuse le spiagge. Ha detto che se ci avessi provato, mi sarebbe saltato il posto.» «Non riesco a crederci, Martin... Larry non è tipo da cose del genere.» «Lo pensavo anch'io. Ehi, a proposito, tu ne sai qualcosa dei suoi soci?» «Dell'agenzia? Ho sempre pensato che non ne avesse. Credevo che Penrose fosse un suo secondo nome, o qualcosa di simile. Ad ogni modo ero convinta che fosse lui il proprietario unico.» «E io pure. Ma a quanto sembra non è così.» «Be', mi sento più tranquilla sapendo che hai parlato con Larry prima di prendere una decisione. In genere lui ha una visione più ampia, più globale delle situazioni. Saprà certo qual è la mossa più opportuna.» Brody sentì il sangue affluirgli alla nuca. Si limitò a dire: «Col cavolo».
Quindi strappò la linguetta della lattina di birra, la gettò nella pattumiera e passò nel soggiorno per ascoltare il notiziario TV. Ellen, dalla cucina, gli gridò: «Dimenticavo, è arrivata una telefonata poco fa». «Chi?» «Non ha detto il nome. Era una voce maschile, e mi ha solo chiesto di comunicarti che stai cavandotela a meraviglia. Simpatico da parte sua, non trovi?» IV Nei giorni che seguirono il tempo si mantenne sereno e insolitamente calmo. Il vento spirava morbido e costante da sud, una brezza dolce che increspava la superficie dell'oceano. Solo la notte l'aria era frizzante, e dopo giorni di sole continuo la terra e la sabbia si erano intiepidite. La domenica seguente era il 20 giugno. Le scuole pubbliche sarebbero rimaste aperte ancora per una decina di giorni prima dell'intervallo estivo, ma le scuole private di New York avevano già lasciato liberi gli allievi. Le famiglie proprietarie di villette ad Amity venivano a trascorrervi i fine settimana fin dai primi di maggio. Gli inquilini estivi, i cui contratti andavano dal 15 di giugno al 15 di settembre, avevano disfatto le valigie, sapevano già quali erano gli armadi della biancheria, dove erano le stoviglie buone e la roba di tutti i giorni, quali erano i letti più morbidi e cominciavano a sentirsi a casa propria. Verso mezzogiorno la spiaggia di fronte alla Scotch e alla Old Mill Road era punteggiata di bagnanti. I mariti se ne stavano allungati in stato semicomatoso sugli asciugamani da spiaggia, ad assorbire forze dal sole in vista della pomeridiana partita a tennis e del viaggio di ritorno a New York con il Cannonball della linea di Long Island. Le consorti se ne stavano adagiate contro i poggiaschiena metallici, intente a leggere Helen MacInnes, John Cheever e Taylor Caldwell, interrompendosi ogni tanto per versarsi un bicchierino di vermouth secco dal thermos. Gli adolescenti erano distesi in file compatte, simmetriche: i ragazzi a godersi la sensazione dello sfregare il basso ventre contro la sabbia, pensando agli organi sessuali, e ogni tanto allungavano il collo per una sbirciatina a quelli rivelati, volutamente o no, dalle ragazze stese sul dorso, a gambe larghe. Non erano figli dei fiori. Non ricorrevano mai ai luoghi comuni della
pace e dell'inquinamento dell'aria, della giustizia o della rivolta. Il privilegio era connaturato in loro con certezza genetica. Così come avevano gli occhi azzurri o castani, i loro gusti e la loro coscienza erano determinati dalle generazioni precedenti. Non avevano carenze vitaminiche, né soffrivano di anemia. I denti, per natura o per opportuni interventi del dentista, erano diritti, bianchi, regolari. I corpi erano snelli, con muscoli ben sviluppati da lezioni di pugilato a nove anni, di equitazione a dodici, e di tennis da allora in poi. I loro corpi erano religiosamente deodorati. Quando sudavano le ragazze emanavano un leggero profumo e i maschi odoravano semplicemente di pulito. Il che non vuole dire che fossero stupidi o cattivi. A poter valutare in massa il loro quoziente di intelligenza, si sarebbero piazzati tranquillamente nel dieci per cento più valido. Avevano frequentato, e frequentavano tutt'ora, scuole dove si dava loro una preparazione molto vasta, che includeva una conoscenza dei problemi dei gruppi minoritari, filosofie rivoluzionarie, teorie ecologiche, tattiche politiche, stupefacenti, educazione sessuale. Dal punto di vista intellettuale disponevano di una vasta conoscenza. In pratica avevano optato per il non prendere coscienza. Erano stati condizionati a considerare il mondo (o, se non a considerare, a sentire) come un qualcosa che non li riguardava proprio. E avevano ragione. Nulla poteva toccarli: né i tumulti razziali in posti come Trenton, nel New Jersey, o Gary, nell'Indiana; né il fatto che certi tratti del fiume Missouri erano così inquinati che a volte l'acqua si incendiava spontaneamente; né la corruzione della polizia di New York, o l'aumento del numero degli omicidi a San Francisco; né la notizia che i wurstel contenevano escrementi di insetti e che l'esaclorofene provoca lesioni cerebrali. Neppure risentivano delle crisi economiche che sconvolgevano il resto dell'America. Le oscillazioni della borsa erano seccature che venivano notate, se mai venivano notate, solo come fatti per i quali i padri si lamentavano, a torto o a ragione, delle spese eccessive fatte in casa. Erano quelli che tornavano ad Amity ogni estate. Gli altri, i rinnegati - e ce n'erano alcuni - marciavano, protestavano, firmavano petizioni e impiegavano l'estate in attività con gruppi politici. Ma poiché avevano rifiutato Amity e, al massimo, si facevano vedere solo per il fine settimana del Labor Day, anche loro in pratica non esistevano. I più piccoli giocavano con la sabbia vicino all'acqua, scavavano buche, si schizzavano a vicenda di fanghiglia, inconsapevoli e indifferenti a ciò che erano e che sarebbero diventati.
Un ragazzino di sei anni smise di lanciare sassetti piatti per farli rimbalzare sull'acqua, risalì la spiaggia fino a raggiungere la madre che sonnecchiava e si lasciò cadere giù, accanto all'asciugamano. «Ehi, mamma» disse, tracciando svogliatamente dei ghirigori sulla sabbia. La madre si voltò a guardarlo, proteggendosi gli occhi dal sole con la mano. «Sì?» «Mi annoio.» «Come è possibile che ti annoi. Non siamo neanche a luglio.» «Non importa. Mi annoio. Non ho niente da fare.» «Hai tutta la spiaggia a disposizione per giocare.» «Lo so. Ma non trovo niente da fare. Accipicchia, mi annoio.» «Perché non giochi con la palla?» «Con chi? Non c'è nessuno qui.» «Io vedo un mucchio di gente. Hai cercato gli Harris? E Tommy Converse?» «Non ci sono. Non c'è nessuno. Mi annoio proprio.» «Oh, per amor del cielo, Alex.» «Posso andare a nuotare?» «No. L'acqua è troppo fredda.» «Come fai a saperlo?» «Lo so e basta. E poi sai benissimo che non puoi andarci da solo.» «Non verresti con me?» «In acqua? Proprio no.» «No, dico solo a guardarmi.» «Alex, la mamma è stanchissima, assolutamente sfinita. Non puoi trovare qualcos'altro da fare?» «Posso andare con il mio materassino?» «Dove?» «In acqua. Resto vicino alla riva. Non mi metto a nuotare. Me ne sto solo sdraiato sul materassino.» La madre si drizzò a sedere e mise gli occhiali da sole. Scrutò la spiaggia. A qualche decina di metri un uomo era in acqua, immerso fino alla vita, con un bambino sulle spalle. La donna lo guardò, concedendosi un breve attimo di rimpianto e autocommiserazione per il fatto di non poter più lasciare al marito il compito di far divertire il figlio. Prima ancora che volgesse il capo, il bambino aveva indovinato i suoi pensieri. «Scommetto che papà mi lascerebbe» insinuò. «Alex, dovresti saperlo ormai che è la tattica sbagliata per farmi fare
qualcosa.» Si girò a guardare nell'altra direzione. Salvo alcune coppie molto lontane la spiaggia era deserta. «Oh, d'accordo» cedette. «Vai pure. Ma non spingerti troppo al largo. E non metterti a nuotare.» Fissò il bambino e per fargli capire che diceva sul serio abbassò le lenti scure in modo che potesse guardarla negli occhi. «Certo» promise lui. Si rialzò, prese il suo materassino di gomma trascinandoselo dietro fino alla riva, poi lo sollevò tenendolo davanti a sé e si inoltrò in acqua. Quando l'ebbe alla vita si piegò in avanti. Sopraggiunse un'onda che sollevò il materassino con il piccolo a bordo. Lui si piazzò al centro in modo che il materassino restasse orizzontale, e prese a spingersi a braccia, con movimenti ritmici. Piedi e caviglie sporgevano oltre il bordo di tela gommata. Avanzò di qualche metro, poi virò e prese a vogare su e giù, parallelamente alla spiaggia. Lui non se ne accorse ma una leggera corrente stava allontanandolo pian piano dalla riva. Cinquanta metri più in là il fondo marino calava bruscamente, non a perpendicolo come le pareti di un canyon, ma passando da un'inclinazione di circa dieci gradi a una di quarantacinque e oltre. L'acqua era profonda dieci metri là dove la pendenza si faceva più scoscesa. E poco dopo si arrivava a quindici e poi venti. A trentacinque metri il fondo si faceva piano, per mezzo miglio circa, e quindi risaliva con una secca che quasi sfiorava la superficie, a un miglio dalla costa. Oltre la secca c'era un brusco salto di settanta metri e poi, più avanti ancora, cominciava l'abisso oceanico vero e proprio. A una profondità di dodici metri il grande squalo nuotava lentamente, l'ampia coda ondeggiava quel tanto che bastava a tenerlo in movimento. Non vedeva nulla perché l'acqua era intorbidita da particelle di vegetazione. L'animale avanzava parallelamente alla costa. Ora si volse, inclinandosi leggermente e seguì il risalire graduale del fondo. Percepì una maggior luce nell'acqua, ma ancora non vedeva nulla. Il ragazzo si riposava, le braccia abbandonate verso il basso, i piedi e le caviglie che affondavano ed emergevano a ogni onda. Teneva il capo girato verso la spiaggia e notò di essere stato portato oltre quello che sua madre avrebbe considerato il limite di sicurezza. Poteva vederla, distesa sull'asciugamano, come pure scorgeva l'uomo e il bambino che giocavano nella risacca. Non aveva paura perché l'acqua era calma e in realtà non era molto distante dalla riva, solo una quarantina di metri. Ma voleva accostarsi, altrimenti se la mamma avesse alzato la testa per controllare dov'era lui, poteva ordinargli di uscire dall'acqua. Si spinse un poco indietro in modo
da potersi spingere anche con i piedi. Cominciò a batterli e contemporaneamente a vogare verso la spiaggia. Le braccia spostavano l'acqua quasi senza rumore, ma i piedi scalciando sollevavano spruzzi irregolari e lasciavano vortici di bollicine nella scia. Lo squalo non udì il suono, ma piuttosto registrò gli impulsi bruschi, discontinui emessi da quello scalciare. Erano segnali, deboli ma precisi: lo squalo li localizzò, seguendone la direzione. Salì, dapprima lentamente, poi acquistando velocità man mano che i segnali si facevano più forti. Il bambino si era fermato qualche istante a riposare. I segnali si interruppero. Lo squalo rallentò, girando la testa a destra e a sinistra per rintracciali. Il piccolo stava perfettamente immobile e l'animale passò sotto di lui, sfiorando il fondo sabbioso. E di nuovo invertì la rotta. Il bambino riprese a vogare. Batteva i piedi solo ogni tre o quattro bracciate, perché era più faticoso della placida vogata. Ma quei tonfi saltuari emettevano nuovi segnali per lo squalo. Adesso gli fu sufficiente localizzarli per un attimo soltanto: si trovava quasi immediatamente sotto il ragazzino. Puntò verso la superficie. Era quasi in posizione verticale e adesso scorse la turbolenza nell'acqua. Ma non aveva ancora la certezza che quanto si agitava là sopra fosse cibo, ma quello del cibo non era un concetto determinante. Il suo istinto era di aggredire; se quanto inghiottiva era digeribile, allora si trattava di cibo; in caso contrario più tardi sarebbe stato rigurgitato. La bocca si aprì, e con un ultimo guizzo della coda semilunata lo squalo si avventò. L'ultima, unica impressione del bambino fu quella di essere stato colpito allo stomaco. Non ebbe il tempo di gridare né, se ne avesse avuto il tempo, avrebbe avuto motivo di gridare, perché non vide lo squalo. La testa dello squalo sollevò il materassino dall'acqua. Le mascelle si richiusero violentemente facendo sparire testa, braccia, spalle, tronco, pelvi e gran parte del materassino. L'animale, emerso quasi per metà dall'acqua, scivolò in avanti, verso il basso, ricadendo sul ventre, dilaniando la massa di carne, ossa e tela gommata. Le gambe del bambino, recise all'altezza delle anche, affondarono roteando lentamente. Prèsso la riva l'uomo con il bambino gridò: «Ehi!». Non era sicuro di quanto aveva visto. Guardava verso il largo, e poi stava per voltare il capo quando aveva scorto con la coda dell'occhio un tumulto nell'acqua. Di scatto si era girato di nuovo verso il mare ma ormai c'erano solo le increspature provocate dal tuffo, che si allargavano in cerchio. «Hai visto?» gridò ancora. «Hai visto anche tu?»
«Cosa, papà, cosa?» Il suo piccolo lo guardò, eccitato. «Laggiù! Uno squalo, o una balena o non so che altro! Un qualcosa di enorme!» La madre del ragazzino, semiaddormentata sull'asciugamano socchiuse gli occhi per guardare l'uomo. Lo vide indicare l'acqua mentre diceva qualcosa al bambino che trotterellò verso la riva e si fermò accanto a un mucchietto di abiti. L'uomo si mise a correre verso la madre e lei si drizzò a sedere. Non riusciva a capire cosa stesse dicendo, ma lui indicava l'acqua e così, riparandosi con la mano, scrutò il mare. Dapprima il fatto di non scorgere nulla non le parve strano. Poi ricordò e disse: «Alex». Brody stava pranzando: pollo arrosto con purea di patate e piselli. «Purea di patate» commentò mentre Ellen gli riempiva il piatto. «Ma che intenzioni hai?» «Non voglio che tu deperisca. E poi stai bene, un po' in carne.» Squillò il telefono. Ellen disse: «Vado io» ma Brody si alzò. Così andava sempre. Ellen diceva "Vado io" ma era lui, poi, che andava. Lo stesso quando lei dimenticava qualcosa in cucina. Diceva: "Ho dimenticato i tovaglioli. Vado a prenderli". Ma tutti e due sapevano che sarebbe andato a prenderli lui. «No, lascia stare» le disse. «Comunque probabilmente è per me.» Sapeva che quasi sicuramente la chiamata era per lei, ma quella frase gli venne automatica. «Qui Bixby, Capo» disse la voce dalla stazione di polizia. «Che c'è, Bixby?» «Credo sia il caso che lei venga qui.» «Come mai?» «Be', ecco, vede, Capo...» Evidentemente Bixby non voleva entrare in particolari. Brody gli sentì dire qualcosa a qualcun altro, poi tornare al ricevitore: «C'è qui una signora disperata, Capo». «Perché è disperata?» «Suo figlio. Giù alla spiaggia.» Brody sentì uno spasmo allo stomaco. «Che è successo?» «È...» Bixby si inceppò, poi soggiunse in fretta: «Giovedì». «Senti, testa di cavolo...» Brody si interruppe, comprendendo. «Arrivo subito.» E riagganciò. Si sentiva ribollire il sangue, quasi avesse la febbre. Paura, senso di colpa e rabbia si mescolavano in uno spasimo doloroso, viscerale. Si sentiva
al tempo stesso tradito e traditore, ingannato e ingannatore. Era un criminale costretto al crimine, una prostituta forzata. Era costretto ad assumersi la colpa, che però non era sua ma di Larry Vaughan e dei suoi soci, chiunque fossero. Lui aveva pur voluto fare quel che era giusto, e quelli gliel'avevano impedito. Ma chi erano loro per forzargli la mano? Se non riusciva a tener testa a Vaughan, che razza di poliziotto era? Avrebbe dovuto chiudere le spiagge. Mettiamo che l'avesse fatto. Lo squalo si sarebbe spostato lungo la costa, fino, diciamo, a East Hampton, e avrebbe ammazzato qualcuno di là. Ma non era andata così. Le spiagge erano rimaste aperte al pubblico, e di conseguenza un bambino era stato ucciso. Semplicissimo. Causa ed effetto. D'improvviso Brody si detestò. E, ancora d'improvviso, provò una gran pena per se stesso. «Di che si tratta?» domandò Ellen. «È stato ucciso un bambino.» «Come?» «Da un maledetto pescecane schifo.» «Oh, no! Se avessi fatto chiudere le spiagge...» Si interruppe, imbarazzata. «Già, lo so.» Harry Meadows stava aspettando nel posteggio dietro la stazione di polizia quando arrivò Brody. Aprì la portiera dal lato opposto di Brody e calò la propria mole massiccia sul sedile. «Te lo saluto il mio calcolo delle probabilità» commentò. «Già. Chi c'è là dentro, Harry?» «Uno del "Times", due del "Newsday" e uno dei miei. E la donna. E l'uomo che dice di avere assistito al fatto.» «Come ha fatto quello del "Times" ad avere la notizia?» «Pura scalogna. Si trovava sulla spiaggia. Idem per quelli del "Newsday". Sono entrambi ospiti di amici per il fine settimana. Nel giro di due minuti ci si erano già buttati sopra.» «A che ora è successo?» Meadows guardò il proprio orologio. «Quindici, venti minuti fa. Non di più.» «Quei tipi sono al corrente del caso Watkins?» «Non so. Il mio uomo sì, ma è abbastanza furbo da tenere il becco chiuso. Quanto agli altri, dipende con chi hanno parlato. Dubito che ne sappia-
no qualcosa. Non hanno avuto il tempo di scavare notizie.» «Ci arriveranno, prima o poi.» «Lo so» annuì Meadows. «Verrò a trovarmi in una posizione parecchio difficile.» «Tu! Non farmi ridere.» «Sul serio, Martin. Se qualcuno del "Times" scopre la faccenda e ne fa un pezzo, domani ce lo vediamo sul giornale, insieme a quel che è successo oggi, e il "Leader" ci farà una figura maledetta. Ho intenzione di tirarla fuori io, per coprirmi le spalle, anche se gli altri non lo fanno.» «Tirarla fuori come, Harry? Cosa racconterai?» «Ancora non lo so. Come ho detto, mi trovo in una maledetta posizione.» «Dirai che è stata messa a tacere, e dietro ordine di chi, poi? Di Larry Vaughan?» «Penso proprio di no.» «Ordine mio?» «No, no. Non ho intenzione di affermare che qualcuno ha voluto far passare la faccenda sotto silenzio. Non c'è stata una congiura. Voglio parlare a Carl Santos. Se riusciamo a mettergli in bocca le parole giuste, potremo risparmiarci tutti un sacco di grane.» «E perché non dire la verità?» «Cioè?» «Perché non raccontare semplicemente come sono andate le cose? Dire che io volevo far chiudere le spiagge e avvertire la popolazione, ma che i consiglieri municipali non sono stati dell'idea. E spiegare che siccome io sono stato troppo vigliacco per battermi e mettere a repentaglio il mio posto di lavoro, sono stato al gioco. Dire che tutti i capoccioni di Amity si sono trovati d'accordo nel concludere che non c'era motivo di mettere in allarme la cittadinanza solo perché c'era in giro un pescecane a cui piaceva mangiare bambini.» «Suvvia, Martin. Non è stata colpa tua. Non è stata colpa di nessuno. Siamo giunti a una decisione, abbiamo puntato al buio e ci è andata male. Non c'è altro da aggiungere.» «Splendido. E adesso io me ne vado beato a raccontare alla madre del bambino quanto ci dispiace aver dovuto servirci di suo figlio come fiche.» Brody scese dall'auto e si diresse all'entrata posteriore della stazione di polizia. Meadows, più lento a cavarsi fuori, lo seguì qualche passo più indietro.
Brody si fermò. «Sai cosa mi piacerebbe sapere, Harry? Chi ha preso in realtà la decisione? Tu sei stato al gioco. Io sono stato al gioco. Neanche Larry Vaughan, secondo me, era quello che teneva in mano le redini. Credo che anche lui sia stato al gioco.» «Cosa te lo fa pensare?» «Non so bene. Sai nulla dei suoi soci d'affari?» «Ma non ha sul serio dei soci, no?» «Comincio a chiedermelo. Ad ogni modo, al diavolo... per il momento.» Brody fece un altro passo e vedendo che Meadows insisteva a seguirlo, consigliò: «Meglio che tu passi dalla porta principale, Harry... tanto per salvare le apparenze». Brody entrò nel suo ufficio dalla porta secondaria. La madre del ragazzino era seduta di fronte alla scrivania, e stringeva un fazzoletto tra le dita. Indossava un abitino corto sopra il costume da bagno ed era a piedi nudi. Brody le lanciò un'occhiata nervosa, sentendo di nuovo quel fiotto di senso di colpa. Non poteva dire se la donna stava piangendo perché i grandi occhiali scuri, rotondi, le mascheravano gli occhi. Un uomo era in piedi vicino alla parete di fronte. Doveva essere quello che dichiarava di avere assistito alla disgrazia. Stava osservando distrattamente la collezione di "mementi" di Brody: attestati da parte di alcune associazioni locali, sue foto insieme ad alti dignitari di passaggio. Certo non si trattava di materiale tale da destare grande interesse in un adulto, ma starsene lì a contemplarlo era sempre preferibile al rischio di dover intavolare una conversazione con la donna. Brody non era mai stato molto tagliato per confortare la gente, per cui si limitò a presentarsi e cominciò a fare domande. La signora dichiarò di non avere visto nulla: un attimo prima il piccolo era lì, e subito dopo era scomparso: «Ho visto solo dei brandelli del materassino di gomma». La voce era debole ma ferma. L'uomo raccontò quanto aveva visto, o gli pareva di avere visto. «Dunque nessuno ha propriamente visto lo squalo» mormorò Brody alimentando una fievole speranza lontana. «No» ammise l'uomo. «Penso di no. Ma cos'altro poteva essere?» «Un'infinità di cose.» Brody stava mentendo a se stesso e a loro per vedere se riusciva a credere alle proprie bugie, chiedendosi se una qualche alternativa alla realtà potesse passare per verosimile. «Il materassino potrebbe essersi sgonfiato, facendo annegare il bambino.» «Alex nuota benissimo» protestò la signora. «O... nuotava...»
«E quegli spruzzi, poi?» rincarò l'uomo. «Forse il piccolo si dibatteva in acqua.» «Non ha lanciato neppure un grido. Niente di niente.» Brody si rese conto che era uno sforzo inutile. «Okay» si arrese. «Ad ogni modo lo sapremo presto.» «Cosa intende dire?» chiese l'uomo. «In un modo o nell'altro, chi muore in acqua di solito viene poi ributtato a riva. Se si è trattato di uno squalo, non ci sarà da sbagliarsi.» Le spalle della donna si piegarono in avanti e Brody si maledì per il suo poco tatto. «Mi scusi» mormorò. La donna scosse il capo e cominciò a piangere. Brody pregò la signora e l'uomo di aspettarlo lì nell'ufficio, e passò nell'anticamera. Meadows era vicino all'ingresso, appoggiato alla parete. Vicino a lui un giovanotto - il cronista del "Times", immaginò Brody - gesticolava con l'aria di domandargli qualcosa. Il giovane era alto e snello. Portava dei sandali, un costume da bagno e una maglietta a maniche corte con un piccolo coccodrillo sul petto, a sinistra, particolare che suscitò in Brody un'immediata, istintiva antipatia. Nell'adolescenza Brody aveva considerato quelle magliette come simbolo di ricchezza ed elevata condizione sociale. Tutti i villeggianti le avevano. Brody aveva tormentato sua madre finché lei non aveva acconsentito a comperargliene una. «Una maglietta da due dollari con su una lucertola da sei» aveva commentato. E lui si era sentito molto umiliato quando non si era visto osannare da turbe di villeggianti. Aveva strappato via il coccodrillo e poi usato la maglietta come straccio per pulire la falciatrice con cui si guadagnava il suo reddito estivo. Recentemente Ellen aveva insistito per acquistare diverse tunichette della stessa marca pagando, per il coccodrillo, uno scotto al di sopra delle loro possibilità, e solo per guadagnarsi l'accesso al suo giro di un tempo. Una sera Brody si era scoperto, con sua costernazione, a brontolare con sua moglie che si era comperata «un abito da dieci dollari con su una lucertola da venti». Altri due uomini erano seduti su una panca: i giornalisti del "Newsday". Uno era in costume da bagno, l'altro in pantaloni e giacca sportiva. Il cronista di Meadows - Brody lo conosceva, si chiamava Nat vattelapesca stava appoggiato alla scrivania a chiacchierare con Bixby. Vedendo entrare Brody si interruppero. «Cosa posso fare per voi?» domandò Brody. Il giovanotto accanto a Meadows fece un passo avanti e annunciò: «Sono Bill Whitman, del "New York Times"».
«Sì?» Che dovrei fare? si chiese Brody. Cader giù secco? «Mi trovavo sulla spiaggia.» «Ha visto qualcosa?» Uno di quelli del "Newsday" intervenne: «Niente. C'ero anch'io. Nessuno ha visto nulla. A parte forse quel tale che si trova là dentro, nel suo ufficio. Quello sostiene di avere visto qualcosa». «Lo so,» annuì Brody «ma non sa cosa, esattamente.» Quello del "Times" domandò: «Ha intenzione di attribuire la disgrazia a uno squalo?». «Per ora non intendo attribuirla a niente, e consiglierei che neanche voi altri avanziate opinioni finché non si avranno molti più dati di quanti se ne abbiano ora.» Il giornalista del "Times" fece un sorriso. «Avanti, Capo, cosa pretende che facciamo? Parlare di misteriosa scomparsa? Ragazzino disperso in mare?» Era difficile per Brody resistere alla tentazione di dargli una rimbeccata sarcastica. «Senta, Mr. - Whitman, vero? - Mr. Whitman. Abbiamo solo la testimonianza di una persona che dice di avere visto degli spruzzi d'acqua. Il signore che si trova nel mio ufficio dice di avere scorto una grande forma color argento che ritiene potesse essere uno squalo. Aggiunge di non avere mai visto in vita sua uno squalo in carne e ossa, dunque non si tratta di quello che si può definire la testimonianza di un esperto. Non c'è un cadavere, né prova concreta che al bambino sia successa una disgrazia... salvo il fatto, cioè, che è scomparso. Si può pensare che sia annegato. È possibile che abbia avuto un attacco o una crisi di qualcosa e di conseguenza sia annegato. È possibile che sia stato aggredito da un qualche animale... o anche da una persona, quanto a questo. Sono tutte cose possibili, e finché non abbiamo...» Un rumore di pneumatici che stridevano sulla ghiaia del posteggio di fuori interruppe Brody. Una portiera sbatté e Len Hendricks entrò a precipizio nella stazione di polizia: aveva indosso solo gli slip da bagno. Il suo corpo era di un bianco grigiastro. Si fermò al centro dell'ufficio. «Capo...» Brody era sbalordito di fronte all'inconsueto spettacolo di Hendricks in calzoncini: le cosce segnate da foruncoletti, i genitali messi in evidenza dal costume aderente. «Sei andato a fare il bagno, Leonard?» «C'è stato un altro incidente!» Il giornalista del "Times" si affrettò a chiedere: «Quando è stato il primo?».
Prima che Hendricks potesse rispondere, intervenne Brody: «Stavamo appunto parlandone; Leonard. Non voglio che tu o altri giungiate a conclusioni affrettate prima che si sappia qualcosa di preciso. Per amor del cielo, il ragazzino potrebbe anche essere annegato». «Ragazzino?» ripeté Hendricks. «Quale ragazzino? Era un uomo, un uomo anziano. Cinque minuti fa. Si trovava poco oltre la risacca, e tutt'a un tratto ha urlato aiuto mi ammazzano e la testa gli è andata sott'acqua, poi è riemersa, ha gridato ancora qualcosa ed è finito sotto di nuovo. C'era un gran ribollire, e il sangue che sprizzava dappertutto. E quella bestia che continuava a tornare all'attacco, a colpire, ad azzannare. È un bestione maledetto, il più grosso che abbia mai visto in vita mia. Grande almeno quanto un furgone. Io mi sono precipitato entrando in acqua fino alla vita per tirarlo a riva, ma quell'animale continuava a mordere.» Hendricks si interruppe fissando il pavimento. Il fiato gli usciva dai polmoni in brevi ansiti spezzati. «Poi ha mollato. Forse se n'è andato via, non so. Io mi sono spinto avanti, dove quello galleggiava. Aveva la faccia in acqua. Gli ho preso un braccio e ho tirato.» «E poi?» incalzò Brody. «Mi è rimasto in mano. Lo squalo doveva averglielo stroncato, salvo un po' di pelle.» Hendricks alzò lo sguardo: gli occhi arrossati erano pieni di lacrime di sfinimento e di paura. «Ti senti male?» chiese Brody. «No, direi di no.» «Hai chiamato un'ambulanza?» Hendricks fece segno di no con la testa. «Un'ambulanza?» commentò il giornalista del "Times". «Non equivale a chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati?» «Chiuda il becco lei, saccentone!» esplose Brody. «Bixby, chiama l'ospedale. Leonard, te la senti di riprendere servizio?» Hendricks annuì. «Allora vai a metterti addosso qualcosa e recupera dei cartelli che vietino l'accesso alle spiagge.» «Ne abbiamo?» «Non lo so. Dovremmo. Forse ce n'è nel ripostiglio insieme a quelli con la scritta "Proprietà tutelata dalla polizia". Altrimenti ne prepareremo a mano qualcuno in attesa di quelli regolamentari. Me ne frego. In un modo o nell'altro dobbiamo chiudere quelle maledette spiagge.» Il lunedì mattina Brody arrivò in ufficio poco dopo le sette. «L'hai pre-
so?» domandò a Hendricks. «È sulla sua scrivania.» «Come l'hanno messa? Non importa. Ora vado a vedere.» «Non avrà molto da cercare.» L'edizione cittadina del "New York Times" era al centro della scrivania. A tre quarti della colonna di destra, in prima pagina, vide il titolo: SQUALO FA DUE VITTIME A LONG ISLAND «Merda» ringhiò Brody, e cominciò a leggere. Servizio speciale per il "New York Times" di William F. Whitman Amity, 20 giugno. Un bambino di 6 anni e un uomo di 65 sono rimasti oggi vittime di due diverse aggressioni di uno squalo verificatesi a circa un'ora l'una dall'altra, presso la spiaggia di questo centro balneare. Sebbene il cadavere del ragazzino, Alexander Kintner, non sia stato ritrovato, le fonti ufficiali dichiarano che senza dubbio è stato ucciso da uno squalo. Un testimone oculare, Thomas Daguerre, di New York, ha dichiarato di avere visto una grossa forma color argento sollevarsi dall'acqua, afferrare il piccolo e il suo materassino di gomma e inabissarsi sollevando alti spruzzi. Il medico legale di Amity, Carl Santos, ha dichiarato che le tracce di sangue rinvenute sui brandelli di tela gommata recuperati in seguito non lasciano dubbi sul fatto che il piccolo sia stato vittima di morte violenta. Almeno quindici persone hanno assistito all'aggressione subita da Morris Cater, 65 anni, avvenuta verso le 2 p.m. a un quarto di miglio dal punto in cui è stato assalito il piccolo Kintner. Da quanto risulta, Mr. Cater stava nuotando a pochi metri dalla riva quando è stato improvvisamente aggredito alle spalle. Ha invocato aiuto ma ogni tentativo di salvarlo è stato vano. "Sono entrato in acqua fino alla vita per cercare di afferrarlo" ha dichiarato l'agente di polizia Leonard Hendricks, che al momento si trovava sulla spiaggia, "ma quel mostro ha continuato ad
azzannarlo." Mr. Cater, commerciante di preziosi all'ingrosso, il cui ufficio si trova al N° 1224 di Avenue of Americas, era già deceduto all'arrivo all'ospedale di Southampton. Queste disgrazie sono i primi casi documentati di aggressioni a bagnanti da parte di squali sulla costa orientale da più di vent'anni a questa parte. Stando al Dr. David Dieter, ittiologo del New York Aquarium di Coney Island, si può presumere - ma non è dato certo - che le due tragedie siano state causate dal medesimo squalo. "In questa stagione, e in queste acque" ha detto il Dr. Dieter "ci sono pochissimi squali. Ed è raro, in qualsiasi periodo dell'anno, che questi animali si avvicinino tanto alla riva. Per cui le probabilità che in prossimità della medesima costa si trovino contemporaneamente due squali, e che entrambi aggrediscano qualcuno, sono infinitesimali." Informato che uno dei testimoni aveva definito lo squalo che ha ucciso Mr. Cater "grosso quanto un furgone", il Dr. Dieter ha detto che probabilmente si trattava di uno squalo bianco (Carcharodon Carcharias), una specie nota in tutto il mondo per la sua voracità e aggressività. Nel 1916, ha aggiunto, uno squalo bianco uccise quattro bagnanti, nel New Jersey: l'unico altro caso noto di più persone uccise da squali negli Stati Uniti in questo secolo. Il Dr. Dieter ha definito queste tragedie: mera sfortuna. Da paragonare alla caduta di un fulmine su una casa. Probabilmente lo squalo era solo di passaggio. Per l'appunto era una bella giornata, in acqua c'erano. dei bagnanti e l'animale si trovava nella zona. È stata una pura fatalità. Amity è un centro di villeggiatura sulla costa meridionale di Long Island, a metà strada circa tra Bridgehampton e East Hampton. con una popolazione invernale di 1.000 abitanti. D'estate i residenti salgono a 10.000. Brody terminò di leggere l'articolo e depose il giornale sulla scrivania. Fatalità, sosteneva quel tipo, pura fatalità. Cosa avrebbe detto se fosse stato al corrente della prima disgrazia? Continuava a essere una pura fatalità? O si sarebbe trattato di negligenza, patente e imperdonabile? Adesso le vit-
time erano tre, e due di loro avrebbero potuto essere ancora in vita se solo Brody... «Hai visto il "Times"» commentò Meadows, sulla soglia. «Sì, l'ho visto. Non hanno scoperto l'episodio della Watkins.» «Lo so. Piuttosto strano, soprattutto vista la piccola gaffe di Len.» «Ma tu l'hai tirato fuori.» «Già. Per forza. Ecco qui.» Meadows gli tese una copia del "Leader" di Amity. Il titolo a caratteri cubitali occupava le sei colonne di prima pagina: MOSTRO MARINO FALCIA DUE VITE NELLE ACQUE DI AMITY. E subito sotto, in caratteri più piccoli: Il numero di vittime dello squalo divoratore sale a tre. «Non si può dire che non sbandieri la notizia, Harry.» «Leggi.» Brody lesse: Due villeggianti di Amity sono stati orribilmente straziati ieri da uno squalo mangiatore d'uomini che li ha aggrediti mentre si godevano il bagno nelle fredde acque davanti alla spiaggia della Scotch Road. Alexander Kintner, di sei anni, che alloggiava con sua madre in una casa di Goose Neck Lane, di proprietà di Mr. e Mrs. Packer, è stato la prima vittima: aggredito mentre stava disteso su un materassino di gomma. Il corpo non è stato ritrovato. Meno di mezz'ora dopo, Morris Cater, 65 anni, che trascorreva il fine settimana all'Abelard Arms Inn, è stato aggredito alle spalle mentre nuotava poco lontano dalla riva. Il gigantesco squalo ha colpito più e più volte, dilaniando Mr. Cater che invocava aiuto. L'agente Len Hendricks, che per puro caso stava concedendosi la prima nuotata da cinque anni a questa parte, ha tentato coraggiosamente di trarre in salvo la vittima che si dibatteva, ma lo squalo non ha dato tregua. Mr. Cater era già deceduto quando l'hanno tratto a riva. Si tratta del secondo e del terzo decesso causato da squali nella zona di Amity nel giro di cinque giorni. Lo scorso mercoledì notte, Miss Christine Watkins, ospite di Mr. e Mrs. John Foote, abitanti in Old Mill Road, era andata a fare il bagno ed è scomparsa. Il giovedì mattina il Capo della Polizia Martin Brody e l'agente
Hendricks ne hanno scoperto il cadavere. Secondo la dichiarazione del medico legale, Carl Santos, la causa della morte era da imputarsi "chiaramente e incontestabilmente all'aggressione di uno squalo". Interrogato sul motivo per cui le cause di questo decesso non erano state rese di pubblico dominio, Mr. Santos ha rifiutato di fare commenti. Brody sollevò lo sguardo dal giornale. «Davvero Santos ha rifiutato di pronunciarsi?» «No. Ha detto che nessuno, salvo tu e io, lo aveva interrogato in merito alla causa, per cui non si era sentito tenuto a rivelarla. Capisci bene che non poteva pubblicare una simile risposta. Ogni responsabilità sarebbe ricaduta su te e me. Avevo sperato di riuscire a fargli dire qualcosa come: "La famiglia aveva richiesto che il modo in cui era avvenuta la morte non venisse divulgato e poiché evidentemente non si trattava di un delitto ho acconsentito", ma lui non ha voluto saperne. E non gli do torto.» «E allora cos'hai fatto?» «Ho cercato di mettermi in contatto con Larry Vaughan, ma era via per il fine settimana. Mi pareva che fosse il portavoce più indicato.» «E una volta che non sei riuscito a parlargli?» «Leggi.» Si è saputo, tuttavia, che la polizia e le autorità di Amity avevano stabilito di tenere nascosta la cosa per ragioni di pubblico interesse. "La gente tende a perdere la testa quando si viene a sapere di uno squalo che attacca l'uomo" ha dichiarato un membro del consiglio municipale. "Non volevamo diffondere il panico. E avevamo il parere di un esperto secondo il quale le probabilità di una disgrazia analoga erano infinitesimali.'' «E chi era questo loquace consigliere?» «Tutti e nessuno» rispose Meadows. «Sostanzialmente è quanto tutti hanno dichiarato, ma nessuno voleva essere citato personalmente.» «E quanto al fatto che le spiagge non sono state chiuse? Ne parli?» «Tu l'hai fatto.» «Io?»
Interrogato circa il motivo per cui non avesse ordinato l'interdizione alle spiagge fino a quando lo squalo predatore non fosse stato catturato, il Capo di Polizia Brody ha detto: "L'oceano Atlantico è una distesa enorme. I pesci che lo abitano si spostano continuamente. Non si soffermano nella medesima zona, soprattutto in una zona come questa dove non vi sono fonti di cibo. Che potevamo fare? Se avessimo proibito l'accesso alle spiagge di Amity la gente si sarebbe limitata a spostarsi a East Hampton, e a fare il bagno là. E le probabilità che ci lascino la vita a East Hampton come ad Amity sono pari". Dopo le tragedie di ieri, tuttavia, il Capo di Polizia Brody ha ordinato la chiusura delle spiagge fino a nuovo ordine. «Gesù, Harry» ansimò Brody «mi hai fatto proprio un bel servizio. Qui mi fai sostenere una tesi in cui non ho mai creduto e poi, una volta dimostrato che mi sbagliavo, risulto costretto a mettere in atto le misure che volevo adottare fin dal principio. Direi che è un bello schifo, come giochetto.» «Non ho voluto farti giochetti. Avevo bisogno di una dichiarazione ufficiale, e dato che Vaughan è assente, toccava logicamente a te. Tu stesso ammetti di esserti piegato a questa risoluzione, per cui - di buona o malavoglia - l'hai appoggiata. Non vedevo ragione di sciorinare tutti i panni sporchi delle varie dispute private.» «Immagino. Comunque è fatta. C'è qualcos'altro che devo leggere?» «No. Cito soltanto Matt Hooper, quello di Woods Hote. Dice che sarebbe un caso veramente inconsueto se si verificasse un'altra aggressione. Ma è meno sicuro dell'altra volta.» «Secondo lui si tratta sempre dello stesso animale?» «Non lo sa con certezza, naturalmente, ma così a occhio pensa di sì. Ritiene che si tratti di uno squalo bianco.» «Anch'io. Voglio dire, non me ne intendo di squali bianchi, verdi o blu, ma sono convinto che si tratti di uno solo.» «Perché?» «Non saprei dire con precisione. Ieri pomeriggio ho telefonato alla Guardia Costiera, a Montauk. Ho chiesto se avevano notato la presenza di numerosi squali qui attorno, ultimamente. Mi hanno risposto di non averne visto neanche uno. Neppure uno fino ad oggi. Siamo ancora solo agli inizi della stagione calda, per cui non è molto strano. Mi hanno detto che avreb-
bero mandato una lancia da queste parti e mi avrebbero informato se avessero notato qualcosa. Alla fine poi li ho richiamati io. Pare che abbiano perlustrato la zona avanti e indietro per due ore e di non avere visto assolutamente nulla. Per cui sono certi che non ci sono diversi squali qui attorno. Hanno anche aggiunto che quando ce n'è, si tratta per lo più di verdesche di medie dimensioni - da un metro e mezzo a tre - o di altre specie che di solito non aggrediscono l'uomo. E da quel che Leonard dice di avere visto ieri, non si tratta di una verdesca di medie dimensioni.» «Hooper faceva una proposta» osservò Meadows. «Adesso che le spiagge sono chiuse, potremmo adescarlo. Sai, buttare in acqua visceri di pesce e altri bocconcini. Se c'è uno squalo nei paraggi, ha detto, è certo che arriva di corsa.» «Oh, fantastico. Proprio quel che ci occorre, attirare gli squali. E se risponde all'appello? Noi che facciamo?» «Lo prendiamo.» «Con cosa? Con la mia fida canna da pesca?» «No, con un arpione.» «Un arpione. Harry, non dispongo neanche di un battello della polizia, figuriamoci poi una barca dotata di arpione.» «Ci sono i pescatori che hanno delle barche.» «Già, a centocinquanta dollari al giorno, o quel che è la tariffa.» «È vero. Ma trovo ugualmente...» Un trambusto nell'ingresso interruppe Meadows a metà frase. Sentirono Bixby dire: «Gliel'ho detto, signora, è in riunione». Poi una voce di donna: «Me ne frego. Io entro!». Un rumore di passi in corsa: due piedi, poi quattro. La porta dell'ufficio di Brody venne spalancata e sulla soglia, un giornale stretto in mano, il viso inondato di lacrime, era la madre di Alexander Kintner. Bixby comparve alle sue spalle e disse: «Mi scusi, Capo. Ho cercato di fermarla». «Non importa, Bixby» disse Brody. «Entri, Mrs. Kintner.» Meadows si alzò per offrirle la sedia, che era la più vicina alla scrivania. La donna l'ignorò e si diresse verso Brody in piedi dietro lo scrittoio. «Che posso fare...» La donna gli sbatté il giornale in faccia. Più che fargli male quel gesto lo fece sussultare, soprattutto il rumore, uno schiocco secco che gli risonò a lungo nell'orecchio sinistro. Il giornale finì a terra. «E questa storia?» urlò la donna. «Che mi dice di questa storia?»
«Quale storia?» domandò Brody. «Quel che è scritto lì. Che lei sapeva che era pericoloso andare in acqua. Che già qualcuno era stato ucciso da quello squalo. Che lei ha tenuto nascosta la cosa.» Brody non sapeva che dire. Certo era vero, tutto vero, almeno formalmente. Ma d'altra parte non se la sentiva di ammetterlo, perché non era l'intera verità. «In un certo senso è così» rispose. «Cioè sì, è vero, ma... stia a sentire, Mrs. Kintner...» Stava supplicandola, pregandola di controllarsi finché non avesse potuto spiegare. «È stato lei ad ammazzare Alex!» Quelle parole uscirono in uno strido, e Brody era certo che erano state udite fin nel posteggio, nella strada, nel centro della cittadina, sulle spiagge, in tutta Amity. Era certo che erano giunte fino a sua moglie, ai suoi figli. Formulò il pensiero: Falla smettere prima che dica altro. Ma riuscì solo a emettere uno «Ssst!». «È stato lei! Lei a farlo morire!» Teneva i pugni serrati contro i fianchi, e muoveva la testa a scatti, in avanti, come se volesse sputargli addosso le parole mentre urlava: «Ma non la passerà liscia!». «La prego, Mrs. Kintner» ripeté Brody. «Si calmi. Per un minuto soltanto. Mi lasci spiegare.» Allungò un braccio per toccarle la spalla e farla accomodare sulla sedia, ma lei si ritrasse violentemente. «Mi levi le mani di dosso!» strepitò. «Lo sapeva. Lo sapeva fin da prima, ma non ha aperto bocca. E adesso un bambino di sei anni, un meraviglioso bambino, il mio...» Le lacrime sgorgavano a fiotti e scorrevano lungo le guance, mentre un tremito esasperato scuoteva la donna. «Lei lo sapeva! Perché non ha parlato?» Si strinse tra le braccia, incrociandole come fosse prigioniera in una camicia di forza, e fissò Brody negli occhi: «Perché?». «È...» Brody cercava le parole. «È una storia lunga.» Si sentiva paralizzato, incapace di reagire, come se l'avesse colpito un proiettile. Non sapeva se sarebbe riuscito a spiegare, adesso. Non sapeva neppure se era in grado di parlare. «Oh, ci potrei giurare» replicò la donna. «Oh, che malvagità. Lei è un individuo ignobile, spregevole. Lei...» «La smetta.» Era una preghiera e un ordine a un tempo. E la bloccò. «Stia a sentire, Mrs. Kintner, lei si è fatta un'idea sbagliata, completamente sbagliata. Lo chieda a Mr. Meadows.»
Meadows, inchiodato dalla scena, annuì senza parlare. «Naturale che confermi. Che c'è di strano? Siete compari, no? Magari le ha anche detto che sceglieva la via giusta.» La collera tornava a salire, straripando, resuscitata da una nuova carica emotiva. «Probabilmente l'avete deciso insieme. Così tutto era più semplice, no? Vi siete intascati qualcosa?» «Che?» «Ci avete guadagnato quattrini sul sangue di mio figlio? Vi ha pagato qualcuno per non dire quel che sapevate?» Brody era inorridito. «No! Cristo, certo che no.» «E allora perché? Me lo dica. Mi dica perché. Io sono disposta a pagare. Solo mi dica perché.» «Perché non ritenevamo che potesse accadere di nuovo.» Brody era sorpreso della sua stessa brevità. Era così, di fatto, no? La donna tacque per qualche istante, il tempo di assimilare quelle parole. Pareva ripeterle dentro di sé. Balbettò: «Oh» e dopo un momento: «Gesù». E di colpo, come se un interruttore fosse stato abbassato, a interrompere il flusso di energia, non riuscì più a reggere. Si lasciò cadere sulla sedia accanto a Meadows e cominciò a piangere, con singulti affannosi, strozzati. Meadows tentò di calmarla, ma lei non lo udiva. Né udì Brody quando ordinò a Bixby di chiamare un medico. E non vide, non sentì, non si rese conto di nulla quando il medico giunse nell'ufficio, ascoltò da Brody quanto era accaduto, cercò di parlarle, poi le fece un'iniezione di Librium, la condusse con l'aiuto di due agenti fino alla sua auto e la portò in ospedale. Dopo che se ne fu andata, Brody guardò l'orologio e commentò: «Non sono neppure le nove. Se mai ho avuto bisogno di farmi un goccetto... cribbio». «Se dici sul serio,» propose Meadows «ho del bourbon nel mio ufficio.» «No. Se questo è indice di come andrà il resto della giornata, sarà meglio che non mi scombini il cervello.» «È dura, ma devi cercare di non dare troppo peso a quel che ha detto. Voglio dire, tieni presente che era sotto shock.» «Lo so, Harry. Qualsiasi medico dichiarerebbe che non sapeva cosa stava dicendo. Il guaio è che io avevo già pensato per conto mio parecchie delle cose che ha detto. Non con quelle parole, forse, ma la sostanza era quella.» «Via, Martin, sai bene che non puoi fartene una colpa.» «Lo so. Potrei farne una colpa a Larry Vaughan. O magari anche a te.
Ma resta il fatto che i due morti di ieri avrebbero potuto essere evitati. Io avrei potuto evitarli, e non l'ho fatto. Punto e basta.» Il telefono squillò. Qualcuno rispose dall'altra stanza, quindi una voce all'apparecchio interno annunciò: «È Mr. Vaughan». Brody schiacciò il pulsante luminoso, sollevò il ricevitore e disse: «Salve, Larry. Ti sei goduto un bel week-end?». «Fino alle undici circa di ieri sera,» rispose Vaughan «quando ho acceso la radio mentre stavo tornando a casa. Volevo quasi telefonarti subito, ma ho pensato che dovevi già aver passato una giornata abbastanza dura anche senza che ti disturbassi a quell'ora.» «Ecco una decisione che mi trova d'accordo.» «Non rigirare il coltello, Martin. Sto già abbastanza male.» Avrebbe voluto rispondere: "Sul serio, Larry?". Avrebbe voluto spargere sale sulla ferita, scaricare su qualcuno parte della sua angoscia. Ma sapeva che sarebbe stato da una parte sleale e dall'altra impossibile, per cui si limitò a mormorare: «Certo». «Mi sono già arrivate due disdette, stamani. Affitti sostanziosi. Ottimi inquilini. Avevano già firmato il contratto e gli ho detto che potevo far causa. Mi hanno risposto: faccia pure ma noi ce ne andiamo da qualche altra parte. Ho paura a rispondere al telefono. Ho ancora una ventina di alloggi sfitti per agosto.» «Vorrei poterti dire altrimenti, Larry, ma si metterà anche peggio.» «Cosa vuoi dire?» «Le spiagge sono chiuse.» «E per quanto credi che dovremo tenerle chiuse?» «Non lo so. Tutto il tempo che occorre. Alcuni giorni. Forse più.» «Sai bene che alla fine della settimana prossima c'è il quattro di luglio.» «Sicuro, lo so.» «È già troppo tardi per sperare in un'estate buona, ma si potrebbe salvare qualcosa - almeno per agosto - se il quattro ci va bene.» Brody non riusciva a interpretare il tono di Vaughan. «Vorresti metterti a discutere, Larry?» «No. Probabilmente stavo solo pensando ad alta voce. E pregando ad alta voce. Ad ogni modo, fino a quando intendi tenere chiuse le spiagge? Indefinitamente. E come farai a sapere quando quell'accidenti si sarà allontanato?» «Non ho avuto il tempo di pensare tanto in là. Non so neanche perché diavolo quella bestia si trova qui. Vorrei chiederti una cosa, Larry. Pura
curiosità.» «Dimmi.» «Chi sono i tuoi soci?» Trascorse un lungo momento prima che Vaughan rispondesse: «Perché vuoi saperlo? Che c'entra?». «Come ho detto, pura curiosità.» «Riserva la curiosità al tuo lavoro, Martin. E lascia che io mi occupi dei miei affari.» «Ma certo, Larry. Senza offesa.» «Allora, che intendi fare? Non possiamo starcene qui a mani giunte, a pregare che quello se ne vada. Nell'attesa potremmo crepare di fame.» «Lo so. Meadows e io stavamo appunto discutendo le possibilità che abbiamo di catturare quella bestia. Che ne diresti di tirar fuori un paio di centoni per noleggiare il battello di Ben Gardner per un paio di giorni? Non so se ha mai catturato squali, ma potrebbe valere la pena di tentare.» «Qualsiasi cosa vale la pena di essere tentata, purché ci liberiamo di quel mostro e torniamo alla normalità. Fai pure. Digli che in qualche modo troverò i quattrini.» Brody riappese e si rivolse a Meadows. «Non so perché ci tengo tanto, ma darei via il culo per saperne di più circa gli affari di Mr. Vaughan.» «Perché?» «È molto ricco. Per quanto possa andare avanti questa storia dello squalo, lui non ne risentirà gran che. Certo, ci perderà un po' di grana, ma la sta prendendo come se si trattasse di vita o di morte... e non intendo solo quella di Amity. Ma la sua.» «Forse è solo un tipo coscienzioso.» «Non era la sua coscienza che parlava al telefono, un attimo fa. Credimi, Harry. Io so cos'è la coscienza.» Dieci miglia a sud della punta orientale di Long Island, un peschereccio a nolo avanzava lento seguendo la corrente. Due lenze metalliche, a poppa, si trascinavano mollemente nella scia oleosa della pastura. Il capitano dell'imbarcazione, un tipo alto, scarno, sedeva su una panca del ponte superiore, lo sguardo fisso sull'acqua. Di sotto, nella cabina, i due che avevano noleggiato la barca stavano leggendo. Uno era immerso in un romanzo, l'altro nel "New York Times". «Ehi, Quint» chiamò quello con il giornale. «Ha visto che c'è uno squalo che ha fatto fuori della gente?»
«Ho visto» rispose il capitano. «Pensa che ci imbatteremo in quella bestia?» «Macché.» «Come fa a saperlo?» «Lo so.» «E se ci mettessimo a dargli la caccia?» «Proprio no.» «Perché no?» «Abbiamo gettato la pastura. Ce ne restiamo qui.» L'uomo scosse il capo e sorrise. «Ragazzi, sarebbe uno spasso formidabile.» «Una bestia del genere non è uno spasso.» «A quanto è Amity da qui?» «Un po' più avanti, sulla costa.» «Be', se si trova qui in giro, magari un giorno o l'altro potrebbe incontrarlo.» «Oh, ci incontreremo, questo è sicuro. Ma non oggi.» V Il giovedì mattina c'era nebbia, una nebbia pesante, bassa, tanto densa da avere un gusto: acre e salso. La gente guidava al di sotto del limite di velocità, con gli anabbaglianti accesi. Verso mezzogiorno la nebbia si sollevò e dei gonfi cumuli vagarono per il cielo sotto un'alta coltre di cirri. Verso le cinque del pomeriggio lo strato di nubi aveva cominciato a sfilacciarsi. I raggi di sole spiovevano tra gli squarci riversando lucenti chiazze di azzurro sulla superficie verde-grigio dell'oceano. Brody sedeva sulla spiaggia pubblica, i gomiti puntati contro le ginocchia per tenere ben fermo il binocolo che stringeva tra le mani. Quando l'abbassava riusciva appena a intravvedere il battello: una macchiolina bianca che spariva e riappariva nel gonfiarsi delle onde. Le forti lenti lo avvicinavano dandone un'immagine nitida anche se un po' vacillante. Brody se ne stava seduto lì da quasi un'ora. Cercava di aguzzare gli occhi, di aumentare le sue capacità visive per delineare più chiaramente la sagoma che stava osservando. Borbottò un'imprecazione e lasciò cadere il binocolo che teneva appeso al collo con la cinghietta. «Ehi, Capo» disse Hendricks, dirigendosi verso Brody. «Salve, Leonard. Che ci fai qui?»
«Stavo passando e ho visto la sua auto. Che sta facendo?» «Cerco di capire cosa diavolo sta combinando Ben Gardner.» «Starà pescando, no?» «Per questo viene pagato, ma è il più strano sistema di pesca che abbia mai visto. Sono qui da un'ora e non ho scorto il minimo movimento sul battello.» «Posso dare un'occhiata?» Brody gli tese il binocolo. Hendricks se l'accostò agli occhi e lo puntò verso il mare. «Già, ha ragione. Quant'è che è fuori?» «Da stamattina presto, suppongo. Gli ho parlato ieri sera e ha detto che sarebbe partito all'alba.» «È andato solo?» «Non so. Ha detto che avrebbe cercato di recuperare il suo socio, Danny comesichiama, ma c'era di mezzo non so bene che appuntamento dal dentista. Ci spero proprio che non sia andato solo.» «Vuole che andiamo a dare un'occhiata? Abbiamo almeno altre due ore di luce.» «E come conteresti di andarci?» «Posso prendere la barca di Chikering. È un AquaSport con un Evinrude da ottanta cavalli. Con quello ci arriviamo.» Brody sentì un brivido di sgomento serpeggiargli lungo la schiena. Come nuotatore valeva poco, e la prospettiva di trovarsi sopra una distesa d'acqua - figuriamoci poi dentro - che gli arrivasse al di sopra del capo gli dava quel che sua madre chiamava la tremarella: mani sudate, continua necessità di deglutire e un nodo allo stomaco: in sostanza quello che certe persone provano in aereo. Nella fantasia di Brody l'acqua fonda era popolata di esseri viscidi, feroci, che risalivano dagli abissi per strappargli la carne a brani, da demoni sghignazzanti e stridenti. «Okay» disse. «Non abbiamo molta scelta, mi pare. Forse quando arriviamo al porto avrà già preso la via del ritorno. Tu vai a preparare il battello. Io passo un momento dalla stazione di polizia per telefonare alla moglie di Ben... almeno sapere se si è fatto vivo via radio.» Il porto di Amity era piccolo: solo una ventina di imbarcaderi, un molo di rifornimento e una baracca di legno dove si vendevano salsicce e molluschi fritti. I pontili si trovavano in una piccola insenatura protetta da un frangiflutti di pietra che chiudeva a mezzo l'imboccatura della baia. Hendricks era sull'AquaSport, il motore già avviato, e chiacchierava con un tale a bordo del cabinato di otto metri ormeggiato all'attracco vicino. Brody
percorse la passerella di legno e passò a bordo scendendo la breve scaletta. «Cos'ha detto la moglie di Ben?» chiese Hendricks. «Niente. È più di mezz'ora che cerca di mettersi in contatto, ma pensa che abbia spento la radio.» «È solo?» «Per quel che le risulta, sì. Il suo socio aveva un dente del giudizio messo male e doveva farselo cavare oggi.» L'uomo sul cabinato osservò: «Se posso dirlo, è piuttosto strano». «Cosa?» domandò Brody. «Spegnere la radio quando si è in mare da soli. Di solito non si fa.» «Non saprei. Ben si lamenta sempre di tutte le chiacchiere che si scambiano tra imbarcazioni quando lui è fuori a pesca. Magari si è scocciato e ha spento.» «Può darsi.» «Partiamo, Leonard» sollecitò Brody. «Sai manovrare questo affare?» Hendricks gettò la cima di prua, passò a poppa, liberò la seconda gomena e la buttò sul ponte. Si diresse ai comandi e spinse in avanti una leva. L'imbarcazione avanzò scoppiettando. Hendricks fece avanzare ancora la leva e il motore assunse un borbottio più regolare. La poppa si abbassò mentre la prua si sollevava. Quando virarono attorno al frangiflutti Hendricks portò la leva fino alla fine della corsa e la prua si abbassò. «Adesso andiamo» mormorò Hendricks. Brody si afferrò a una maniglia d'acciaio di fianco al pannello dei comandi. «Abbiamo delle cinture di salvataggio a bordo?» volle sapere. «Solo i cuscini» lo informò Hendricks. «Reggono benissimo a galla, sempre che si sia dei ragazzini di otto anni.» «Grazie.» Quel po' di vento era calato e non c'era maretta, ma c'erano delle onde piccole e l'imbarcazione le aggrediva con violenza, una dopo l'altra, prendendole in pieno di prua, e poi era percorsa da un lungo fremito che fiaccava i nervi di Brody. «Questa barca andrà in pezzi se non rallenti» osservò. Hendricks sorrise, godendosi quel momento di superiorità. «Niente paura, Capo. Se rallento, beccheggiamo da maledetti. E poi ci occorrerà una settimana per arrivare laggiù, e a lei sembrerebbe di avere lo stomaco pieno di scoiattoli.» Il peschereccio di Gardner si trovava a circa tre quarti di miglio dalla costa. Mentre si avvicinavano Brody ne vedeva la sagoma, sempre più preci-
sa, ondeggiare tra i flutti. Riuscì perfino a leggere i caratteri neri sul fianco: FLIKA. «È all'ancora» osservò Hendricks. «Ragazzi, ce ne vuole a gettare l'ancora in tanta acqua così. Laggiù dobbiamo essere a più di trenta metri.» «Magnifico» borbottò Brody. «Proprio quel che volevo sentirmi dire.» Quando furono a una cinquantina di metri dal Flika Hendricks ridusse la velocità e il battello procedette con un lento rollìo. Poco dopo erano vicini: Brody si portò avanti e salì sulla piattaforma di prua. Non scorgeva alcun segno di vita. Non c'erano canne da pesca negli appositi sostegni. «Ehi, Ben!» gridò. Nessuna risposta. «Forse è di sotto» osservò Hendricks. Brody gridò di nuovo: «Ehi, Ben!». La prua dell'AquaSport si trovava a un metro o poco più dal giardinetto di sinistra del Flika. Hendricks spinse la leva in folle, quindi in retromarcia, brevemente. L'AquaSport si arrestò e, con l'onda successiva, andò a poggiarsi contro la frisata del Flika. Brody vi si afferrò. «Ehi, Ben!» Hendricks prese una cima dall'interponte e l'assicurò a una galloccia sulla prua dell'AquaSport, quindi ne fece un cappio che annodò al corrimano dell'altro battello. «Vuole salire a bordo?» chiese. «Sì» Brody passò sul Flika, seguito da Hendricks, e si fermarono sul quartiere di poppa. Hendricks si affacciò al portello del boccaporto. «Sei lì sotto, Ben?» Guardò attorno, ritrasse il capo e comunicò: «Non c'è». «Non si trova a bordo» affermò Brody. «Su questo nessun dubbio.» «Cos'è quella roba?» domandò Hendricks indicando un secchio in un angolo. Brody vi si avvicinò chinandosi a guardare. Un tanfo di pesce e olio gli investì le narici. Il secchio conteneva visceri di pesce e sangue. «Pastura» commentò. «Budella e altre porcherie. Si buttano in acqua, per attirare gli squali. Non ne ha usata molta. Il secchio è quasi pieno.» Un suono improvviso lo fece sobbalzare. «Whisky, zebra, eco, due, cinque nove» gracchiò una voce alla radio. «Qui il Pretty Belle. Ci sei, Jacke?» «E anche quest'ipotesi cade» osservò Brody. «Non aveva affatto spento la radio.» «Non capisco, Capo. Non ci sono lenze. Non aveva appresso una scialuppa, per cui non può essersi allontanato. Nuota come un pesce, per cui se anche fosse caduto in acqua poteva tranquillamente risalire a bordo.» «Vedi un arpione da qualche parte?»
«Com'è fatto?» «Non lo so. Un arpione. E dei barili. In genere si usano come galleggianti.» «Non vedo niente del genere.» Brody si fermò accanto alla frisata di dritta, guardando l'acqua. Il battello ondeggiò un poco e lui si afferrò al bordo per sostenersi. Avvertì qualcosa di strano e abbassò lo sguardo. Nel punto in cui c'era stata una galloccia si vedevano quattro fori di vite slabbrati. Evidentemente non erano state tolte con un cacciavite: il legno attorno ai fori era scheggiato. «Guarda qui, Leonard.» Hendricks passò le mani sui fori. Guardò a sinistra, dove era saldamente fissata una galloccia d'acciaio lunga più di una spanna. «Pensa che quella che c'era qui fosse altrettanto grossa?» chiese. «Gesù, come si fa a strappar via un accidenti del genere?» «Guarda qui, Leonard.» Brody passò l'indice sul bordo esterno del parapetto. C'era una scalfitura lunga una ventina di centimetri: la vernice era venuta via e il legno era scorticato. «Come se ci avessero lavorato di lima.» «O come se ci avesse sfregato contro una grossa fune tesa al massimo.» Brody si spostò verso sinistra e fece scorrere la mano lungo la parte esterna della murata. «C'è solo quella» mormorò. Arrivato a poppa si protese oltre il bordo e guardò in acqua. Per qualche istante fissò in silenzio la traversa, senza vedere nulla. Poi un segno cominciò a prendere forma, una serie di buchi, delle tacche profonde nel legno, che formavano grosso modo un semicerchio largo quasi un metro. E accanto ce n'era un altro, simile. E sul fondo della traversa, poco sopra l'acqua, tre brevi spruzzi di sangue. Ti prego, mio Dio, pensò Brody, fa che non sia quel che temo. «Vieni qui, Leonard.» Hendricks si avvicinò a poppa e si chinò a guardare. «Cosa?» «Se ti reggo per le gambe, credi di riuscire a sporgerti per osservare da vicino quei fori lì sotto e farti un'idea di cosa è stato a lasciarceli?» «Secondo lei cosa è stato?» «Non lo so. Ma qualcosa di certo. E voglio scoprire cosa. Coraggio. Se non riesci a stabilire nulla in un paio di minuti lasceremo perdere e torniamo indietro, d'accordo?» «Va bene.» Hendricks si piegò sulla traversa. «Mi tenga ben saldo, Capo... per piacere.» Brody si chinò ad afferrare i piedi di Hendricks. «Stai tranquillo» lo ras-
sicurò. Serrò sotto le braccia le gambe dell'agente, sollevandole. Hendricks si diede una spinta lasciandosi scivolare oltre il bordo. «Okay?» domandò Brody. «Un po' di più. Non troppo! Gesù, mi ha mandato con la testa in acqua.» «Scusa. Va bene, ora?» «Okay, benissimo.» Hendricks cominciò a esaminare i fori. «E se un qualche squalo passa adesso da queste parti?» borbottò. «Capace di strapparmi via come niente dalle sue braccia.» «Non pensarci. Limitati a guardare.» «Sto guardando.» Dopo un attimo aggiunse: «La miseria. Cos'è 'sta roba. Ehi, mi tiri su. Ho bisogno del mio coltello». «Che c'è?» domandò Brody quando l'altro fu di nuovo a bordo. Hendricks aprì la lama principale del coltello a serramanico. «Non so» rispose. «Una scheggia bianca, conficcata in uno di quei buchi.» Con il coltello in pugno si fece nuovamente calare oltre il bordo. Si mise all'opera, contorcendosi nello sforzo. Poi gridò: «Okay. Ce l'ho. Tiri». Brody fece un passo indietro issando Hendricks sopra la traversa e facendogli poggiare i piedi sul ponte. «Vediamo» e tese la mano. Hendricks gli mise sul palmo un triangolo d'avorio bianco, lucente. Lungo quasi cinque centimetri. I margini erano fittamente seghettati. Brody lo sfregò contro il parapetto e il legno rimase graffiato. Fissò l'acqua e scosse il capo. «Mio Dio.» «È un dente, vero?» domandò Hendricks. «Signoriddio Onnipotente. Pensa che lo squalo abbia aggredito Ben?» «Non saprei cos'altro pensare.» Brody guardò di nuovo il dente e se lo fece scivolare in tasca. «Possiamo anche andarcene. Qui non abbiamo più niente da fare.» «Che ne facciamo del battello di Ben?» «Lo lasciamo qui fino a domani. E poi manderemo qualcuno a recuperarlo.» «Lo porto indietro io, se vuole.» «E io dovrei manovrare l'altro? Neanche per idea.» «Potremmo rimorchiare uno dei due.» «No. Comincia a imbrunire e non me la sento di dovermi arrabattare per ormeggiare due imbarcazioni al buio. Vai solo a controllare l'ancora di prua per assicurarti che sia salda. Poi ce ne andiamo. Nessuno avrà bisogno di questa barca prima di domani... soprattutto non Ben Gardner.» Arrivarono alla banchina nelle ultime luci del giorno. Harry Meadows e
un altro tale, che Brody non conosceva, stavano aspettandoli. «È sicuro che hai delle buone antenne, Harry» commentò Brody mentre risaliva la passerella fino al molo. Meadows sorrise, compiaciuto. «È il mio mestiere, Martin.» Accennò al tipo che gli stava accanto. «Matt Hooper, il Capo di Polizia Brody.» I due si strinsero la mano. «Lei è quel tale di Woods Hote» commentò Brody, cercando di scrutarlo nella luce morente. Era giovane, sui venticinque, e un bel figliolo: abbronzato, capelli schiariti dal sole. Era alto quasi quanto Brody, circa uno e ottantacinque, ma più magro. Settantacinque chili circa, contro i suoi novanta. E istintivamente cercò di valutarlo come possibile rivale. Poi, con orgoglio da adolescente - Brody se ne accorse concluse che se mai fossero arrivati a un confronto, lui avrebbe avuto la meglio su Hooper. L'esperienza sarebbe stato il fattore decisivo. «Infatti» confermò Hooper. «Harry attingeva informazioni da lei a forza di interurbane» commentò Brody. «Come mai si trova qui?» «L'ho chiamato io» spiegò Meadows. «Ho pensato che forse sarebbe riuscito a capire cosa diavolo sta succedendo.» «Ma va, Harry, bastava che chiedessi a me» replicò Brody. «Potevo dirtelo tranquillamente io. Ecco, capisci, in queste acque circola un certo pesce, e...» «So cosa vuoi dire.» Brody si rese conto del proprio risentimento di fronte all'intrusione di quell'estraneo, delle complicazioni che la specifica competenza di Hooper avrebbe provocato, dell'implicita spartizione di autorità derivante dalla presenza del giovane. E si rese conto che il suo risentimento era stupido. «Ma certo, Harry» mormorò. «Non ci sono problemi. Solo che ho avuto una giornata pesante.» «Cos'hai trovato laggiù?» volle sapere Meadows. Brody stava per tirar fuori di tasca il dente, ma si trattenne. Non aveva voglia di raccontare tutta la storia lì sulla banchina, nell'ombra della sera. «Non so bene» rispose. «Venite alla stazione di polizia e vi racconterò.» «Ben rimarrà là fuori tutta notte?» «Direi di sì, Harry.» Brody si rivolse a Hendricks che aveva terminato di ormeggiare l'imbarcazione. «Tu vai a casa, Leonard?» «Sì. Voglio darmi una ripulita prima di prendere servizio.» Brody arrivò alla stazione di polizia prima di Meadows e Hooper. Erano quasi le otto. Aveva due telefonate da fare: a Ellen, per sapere se gli avanzi
della cena potevano essere riscaldati o se doveva passare a comperare qualcosa, tornando a casa. E l'altra - poter farne a meno - a Sally Gardner. Chiamò prima Ellen: stufato. Lo si poteva riscaldare. Magari sarebbe diventato una specie di suola da scarpe, ma almeno sarebbe stato caldo. Riappese, cercò sulla guida il numero dei Gardner e lo formò. «Sally? Qui Martin Brody.» D'un tratto si pentì di avere telefonato senza essersi preparato al colloquio. Cosa doveva dirle? Non molto, stabilì, almeno non prima di aver potuto controllare con Hooper se la sua ipotesi era plausibile o assurda. «Dov'è Ben, Martin?» La voce era calma anche se leggermente più acuta del normale, per quanto ricordava Brody. «Non lo so, Sally.» «Cosa significa, non lo sai? Sei stato laggiù, no?» «Sì. Non era a bordo.» «Ma la barca c'era.» «Sì, la barca c'era.» «Sei salito a bordo? Hai guardato dappertutto? Anche sottocoperta?» «Sì.» Poi una fragile speranza. «Ben non aveva una scialuppa, no?» «No. Com'è possibile che non ci fosse?» La voce era più stridula adesso. «Io...» «Dov'è?» Brody sentì che un attacco isterico era vicino. Si pentì di non essere andato là di persona. «Sei sola, Sally?» «No. Ci sono i bambini.» Pareva più calma, ma Brody era certo che si trattava di una bonaccia precedente la tempesta di dolore che si sarebbe rovesciata quando lei si fosse resa conto che la paura con cui aveva vissuto ogni giorno per i sedici anni in cui Ben aveva fatto il pescatore - paure segrete, ricacciate nei più lontani recessi mentali e mai espresse perché sarebbero apparse ridicole si erano concretizzate. Brody si frugò nella memoria per ricordare l'età dei figli dei Gardner. Il primo dodici, più o meno; poi nove, e poi sei anni circa. Che tipo era il maggiore? Non lo sapeva. Chi erano i vicini di casa più a portata di mano? Merda. Perché non ci aveva pensato prima? I Finley. «Un attimo solo, Sally.» Si rivolse all'agente di servizio nell'altro ufficio. «Clements, chiama immediatamente Grace Finley e dille di andare al volo a casa di Sally Gardner.» «E se mi chiede perché?»
«Dille solo che l'ho detto io. Che poi le spiegherò.» Tornò all'apparecchio. «Scusami, Sally. Per certo posso dirti solo che siamo arrivati fino al battello di Ben, che è all'ancora. Siamo saliti a bordo e Ben non c'era. Abbiamo guardato dappertutto, anche di sotto, da ogni parte.» Meadows e Hooper entrarono nell'ufficio e Brody indicò loro le sedie. «Ma dove può essere?» chiese Sally Gardner. «Non si lascia così un'imbarcazione, in mare aperto.» «No.» «Ed è impossibile che sia caduto in acqua. Cioè, potrebbe darsi, ma sarebbe risalito immediatamente a bordo.» «Sì.» «Forse è arrivato qualcun altro che l'ha preso a bordo. Magari il motore non ripartiva e lui ha dovuto abbandonare la barca. Hai controllato il motore?» «No» mormorò Brody, imbarazzato. «Allora probabilmente è andata così.» D'un tratto la voce era più distesa, quasi infantile, protetta da una patina di speranza che, quando avesse ceduto, si sarebbe frantumata come vetro. «E se la batteria era scarica si spiega come mai non è riuscito a chiamare via radio.» «La radio funzionava, Sally.» «Un momento. Chi è? Oh, sei tu.» Ci fu una pausa e Brody sentì Sally che parlava con Grace Finley. Poi Sally tornò al ricevitore. «Grace dice che le hai detto tu di venire qui. Come mai?» «Ho pensato...» «Pensi che sia morto, vero? Pensi che sia annegato.» Quella patina si sgretolò e Sally prese a singhiozzare. «Temo di sì, Sally. È l'unica cosa che possiamo pensare, al momento. Vuoi lasciarmi parlare un attimo con Grace?» Qualche istante dopo la voce di Grace Finley disse «Sì?». «Scusami se ti ci ho messa di mezzo, ma non mi è venuto in mente nessun altro. Puoi restare un po' con lei?» «Anche tutta notte. Certo.» «Potrebbe essere una buona idea. Cercherò di passare da voi più tardi. Grazie.» «Che è accaduto, Martin?» «Non sappiamo con esattezza.» «Si tratta di nuovo di... quella cosa?» «Forse. È quel che stiamo cercando di appurare. Ma fammi un favore,
Grace. Non dire mezza parola a proposito di squali con Sally. È già abbastanza dura così.» «D'accordo, Martin. Aspetta. Aspetta un momento.» Coprì il ricevitore con la mano e a Brody giunsero delle parole soffocate. Poi Sally Gardner tornò all'apparecchio. «Perché l'hai fatto, Martin?» «Fatto cosa?» Evidentemente Grace Finley cercava di toglierle il ricevitore perché si udì Sally: «Lasciami parlare, accidenti a te!». Poi gli chiese: «Perché l'hai mandato laggiù? Perché proprio Ben?». La voce non era particolarmente alta, ma aveva un'intensità che colpì Ben come se stesse urlando. «Sally, sei...» «Non era inevitabile» riprese lei. «Avresti potuto impedirlo!» Brody avrebbe desiderato riagganciare. Non voleva una ripetizione della scena con la madre del piccolo Kintner. Ma doveva difendersi. Sally doveva capire che non era colpa sua. Come poteva addossargli quella responsabilità? Sbottò: «Col cavolo! Ben era un pescatore, e in gamba anche. Sapeva i rischi che correva». «Se tu non avessi...» «Piantala, Sally!» Brody si permise di troncarle le parole. «Cerca di stare calma.» E riappese. Era furibondo, ma di una rabbia confusa. Era in collera con Sally Garden che lo accusava; e in collera con se stesso per essere in collera con lei. Se, aveva detto lei. Se cosa? Se non avesse incaricato Ben. Certo. Se gli asini avessero le ali. Se ci fosse andato lui. Ma non era il suo mestiere. Aveva mandato l'esperto. Alzò gli occhi su Meadows. «Hai sentito?» «Non tutto. Ma abbastanza da capire che Ben Gardner è diventato la vittima numero quattro.» Brody assentì. «Temo di sì.» Fece a Meadows e a Hooper il resoconto della sua uscita in mare con Hendricks. Meadows lo interruppe un paio di volte per fargli qualche domanda. Hooper ascoltava, il viso angoloso tranquillo e gli occhi - di un azzurro chiaro, un po' scialbo - fissi su Brody. Al termine della sua relazione Brody si frugò nella tasca dei pantaloni. «Abbiamo trovato questo» aggiunse. «Leonard l'ha estratto dal legno dello scafo.» Buttò il dente a Hooper che lo rigirò tra le mani. «Che ne pensi, Matt?» domandò Meadows. «È uno squalo bianco.» «Grande quanto?»
«Non saprei, ma grosso. Cinque, sei metri. Un bestione enorme.» Guardò Meadows. «Grazie per avermi chiamato» aggiunse. «Avrei potuto dedicare tutta una vita agli squali senza mai imbattermi in uno come questo.» «Quanto può pesare un animale del genere?» volle sapere Brody. «Cinque, seicento libbre.» Brody emise un fischio. «Tre tonnellate.» «Hai una minima idea di quel che può essere successo?» riprese Meadows. «Da quel che ha raccontato il Capo, parrebbe che lo squalo abbia ucciso Mr. Gardner.» «Come?» domandò Brody. «Le possibilità sono molte. Gardner potrebbe essere caduto in acqua. O più probabilmente ci è stato trascinato. Può essersi impigliato una gamba nella fune dell'arpione. Potrebbe perfino essere stato aggredito mentre era chino sopra la prora.» «E come spiega quei segni di denti?» «Lo squalo ha attaccato il battello.» «E perché diavolo?» «Gli squali non sono molto intelligenti, Capo. Vivono di istinti e di impulsi. La spinta verso il cibo è molto forte.» «Ma un'imbarcazione di dieci metri...» «Uno squalo non pensa. Per lui non si trattava di un battello. Era solo qualcosa di grosso.» «E non commestibile.» «Non lo sapeva prima di fare la prova. Deve capire, in acqua non c'è nulla di cui questi animali abbiano paura. Altri pesci si allontanano da forme più grosse di loro. È un istinto. Ma un pescecane non si allontana da nulla. Non conosce la paura. Potrebbe usare una certa prudenza... diciamo quando c'è nelle vicinanze un altro squalo bianco ancora più grosso. Ma avere paura... mai.» «E su cos'altro si buttano?» «Su qualsiasi cosa.» «Così, semplicemente. Su qualsiasi cosa.» «Sì, direi proprio di sì.» «Ha idea del perché continua ad aggirarsi da queste parti e da tanto tempo?» domandò Brody. «Non so se lei conosce queste acque, ma...» «Io sono cresciuto qui.» «Davvero? Qui ad Amity?»
«No, a Southampton. Ci ho passato tutte le estati, dalle elementari all'università.» «Tutte le estati. Dunque non è che sia proprio cresciuto qui.» Brody stava cercando qualcosa che gli permettesse di ristabilire la sua parità, se non la superiorità nei confronti del giovane, e si appigliava a uno snobbismo alla rovescia, atteggiamento non insolito tra i residenti stabili delle località di villeggiatura. Era una sorta di corazza contro la condiscendenza che sentivano emanare dai ricchi che venivano per l'estate. Era un atteggiamento alla "Non ho nulla da invidiarti, amico", un'autoaffermazione sociale che identificava la ricchezza con la decadenza, la semplicità con la probità, e la povertà (entro certi limiti) con l'onestà. Ed era un atteggiamento che, in linea di massima, Brody trovava odioso e sciocco. Ma si era sentito minacciato da quell'uomo più giovane di lui - non sapeva bene perché - e quella sensazione gli era così nuova da fargli indossare l'armatura più a portata di mano, quella che lo stesso Hooper gli aveva offerto. «Lei sta cercando il pelo nell'uovo» ribatté irritato Hooper. «Okay, non sono cresciuto qui. Ma ho passato un bel po' di tempo in queste acque, e ho scritto un saggio su questo litorale. Ad ogni modo ho capito a cosa si riferisce, e ha ragione. Questa costa non è un ambiente che incoraggi uno squalo a una lunga permanenza.» «E allora perché questo qui ci resta?» «Non è possibile dirlo. È sicuramente un fatto anomalo, ma gli squali fanno tante cose anomale che le eccentricità diventano la norma. Chiunque voglia rischiare denaro - e lasciamo perdere la vita - sulla previsione di quel che sarà il comportamento di uno squalo in una data situazione è un pazzo. Questo animale potrebbe essere malato. I suoi moduli di esistenza sono talmente al di fuori del suo controllo che una lesione a un qualsiasi piccolo meccanismo potrebbe disorientarlo e rendere il suo comportamento per lo meno strano.» «Se è così che si comporta quando è malato,» commentò Brody «non vorrei certo vedere quel che combina quando sta in gamba.» «No. Personalmente non credo che sia malato. Ci sono altri agenti che potrebbero trattenerlo qui... in gran parte cose che non arriveremo mai a capire, fattori naturali, stranezze.» «Per esempio?» «Alterazioni nella temperatura dell'acqua o nel flusso delle correnti o negli schemi d'alimentazione. Come si spostano i pesci che forniscono loro cibo, così si spostano i predatori. Alcune estati fa, ad esempio, di fronte al-
le coste di alcuni punti del Connecticut e di Rhode Island, si è avuto un fenomeno del tutto inesplicabile. Tutta la fascia costiera è stata improvvisamente invasa da un certo tipo di pesce che i pescatori chiamano menhaden. Dei banchi enormi. Milioni di pesci. Talmente fitti da sembrare un'unica massa. Erano tanti che si poteva gettare in acqua un amo, senza esca, e tirarne su come niente, e molto spesso capitava di prenderne semplicemente perché l'amo gli si conficcata in corpo. Il pesce-serra e le spigole si nutrono di menhaden, e così di colpo comparvero masse di pesci-serra che facevano razzie tra i banchi, a pochi metri dalla spiaggia. A Waitch Hill, a Rhode Island, la gente entrava in acqua fino alla vita e tirava a riva i pesci coi rastrelli. Rastrelli da giardino! Li spalavano, letteralmente. Poi sono arrivati i grossi predatori: tonni da due, trecento chili. I pescherecci da alto mare catturavano tonni a cento metri dalla costa. A volte perfino nei porti. Poi di colpo il fenomeno è cessato. I menhaden se ne andarono, e così gli altri pesci. Io sono rimasto tre settimane laggiù a cercare di capire come stavano le cose. Ancora oggi non lo so. Rientra tutto nell'equilibrio ecologico. Quando si ha un qualche eccesso da una parte o dall'altra, succedono cose curiose.» «Ma questa è ancora più strana» insisté Brody. «Questo squalo se ne rimane nel medesimo punto, in un tratto d'acqua di appena un paio di miglia quadre, da più di una settimana. Non si è spostato lungo la costa. Non ha toccato nessuno a East Hampton o a Southampton. Perché proprio qui ad Amity?» «Non lo so. Credo che nessuno potrebbe darle una risposta valida.» Meadows insinuò: «Minnie Eldridge conosce la risposta». «Balle» borbottò Brody. «Chi è Minnie Eldridge?» «La direttrice dell'ufficio postale» spiegò Brody. «Dice che è la volontà divina, o qualcosa di simile. È la punizione per i nostri peccati.» Hooper sorrise. «Per il momento, ad ogni modo, è una spiegazione che vale la mia.» «Incoraggiante» commentò Brody. «Ha in mente qualcosa che possa dare una risposta?» «Qualcosina. Farò un prelievo di campioni d'acqua, qui e a East Hampton. Cercherò di scoprire come si comportano gli altri pesci, se c'è qualcosa di anormale o se manca qualcosa che dovrebbe esserci. E cercherò di individuare il nostro squalo. A proposito, c'è un battello disponibile?» «Sì, con mio rincrescimento» rispose Brody. «Quello di Ben Gardner.
Domani l'accompagneremo là fuori e potrà servirsene almeno finché sua moglie non decide altrimenti. Crede davvero di riuscire a catturare quel bestione dopo quanto è accaduto a Ben Gardner?» «Non ho detto che intendevo catturarlo. Non credo che vorrei tentare l'impresa. Non da solo, almeno.» «E allora cosa diavolo conta di fare?» «Non lo so. Dovrò improvvisare al momento.» Brody fissò Hooper negli occhi, poi disse: «Voglio che quello squalo venga fatto fuori. Se lei non ce la fa, troveremo qualcuno disposto». Hooper si mise a ridere. «Sembra un gangster. "Voglio che quello squalo venga fatto fuori." E così intende mettergli un sicario alle calcagna. E a chi affiderà l'incarico?» «Non lo so. Tu che ne pensi, Harry? Tu dovresti sapere tutto quel che succede da queste bande. C'è qualche pescatore in tutta questa maledetta isola, con un'attrezzatura adatta alla cattura di quella bestia?» Meadows rifletté qualche istante prima di rispondere. «Forse ce n'è uno. Non so gran che sul suo conto, ma mi pare che si chiami Quint, e credo che abbia il suo ormeggio dalle parti di Promised Land. Posso informarmi se vuoi.» «Perché no?» replicò Brody. «Direi che è una possibilità.» Hooper intervenne: «Senta, Capo, non può partirsene in tromba a cercar vendetta contro un pesce. Questo squalo non è animato da malvagità. Non è un assassino. Ubbidisce solo ai suoi istinti. Cercare di prendersi la rivincita contro un pesce è assurdo». «Senta un po', lei...» Brody stava andando in collera, una collera nata dalla frustrazione e dall'umiliazione. Sapeva che Hooper aveva ragione, ma sentiva che ragione o torto non c'entravano più. Quell'animale era un nemico. Era calato sulla cittadina e aveva ucciso due uomini, una donna e un bambino. Gli abitanti di Amity avrebbero preteso la morte dello squalo. Avrebbero avuto bisogno di vederlo ucciso prima di sentirsi di nuovo abbastanza tranquilli da riprendere la loro esistenza normale. Soprattutto Brody lo voleva morto perché la morte di quella bestia sarebbe stata una catarsi, per lui. Hooper aveva toccato quel nervo scoperto, e questo lo rendeva ancor più furibondo. Ma soffocò la rabbia e disse: «Lasciamo perdere». Il telefono squillò. «È per lei, Capo» annunciò Clements. «Mr. Vaughan.» «Oh, splendido. Proprio quel che mi ci voleva.» Premette il pulsante il-
luminato e sollevò il ricevitore. «Sì, Larry.» «Salve, Martin. Come va?» Vaughan aveva un tono cordiale, quasi espansivo. Probabilmente si è fatto un paio di bicchierini, si disse Brody. «Bene, nella misura del possibile.» «Lavori fino a tardi. Ti avevo cercato a casa.» «Già. Sai, quando fai il capo della polizia, e i tuoi elettori si fanno ammazzare uno ogni venti minuti, be', sono faccende che ti tengono un po' preoccupato.» «Ho saputo di Ben Gardner.» «Cosa hai saputo?» «Che è scomparso.» «Le notizie viaggiano in fretta.» «Sei sicuro che si tratti di nuovo di quello squalo?» «Sicuro? Sì, credo di sì. Non vedo altre ipotesi che reggano.» «Martin, cosa intendi fare?» C'era un'ansia patetica nel tono di Vaughan. «Ottima domanda, Larry. Stiamo facendo quanto è possibile, per ora. Abbiamo fatto chiudere le spiagge. Abbiamo...» «Ne sono al corrente, ed è il minimo che possa dire.» «Cosa vorrebbe significare questa frase?» «Hai mai cercato di vendere a gente sana terreni di proprietà di un lebbrosario?» «No, Larry» rispose stancamente Brody. «Ogni giorno mi arrivano nuove disdette. Contratti mandati a monte. Da domenica non ho più visto clienti nuovi.» «E allora cosa vorresti che facessi?» «Be', pensavo... cioè, mi sto chiedendo se forse non la mettiamo giù un po' troppo dura per tutta questa storia.» «Stai scherzando. Dimmi che stai scherzando.» «Proprio no, Martin. Senti, calmati. Discutiamone in modo razionale.» «Io sono razionale. Quanto a te, non sono sicuro.» Ci fu qualche istante di silenzio, poi Vaughan chiese: «Che ne diresti di riaprire le spiagge, solo per il fine settimana del quattro luglio?» «Neanche per idea. Niente da fare.» «Stai a sentire...» «No, stammi a sentire tu, Larry. L'ultima volta che sono stato a sentirti ci abbiamo rimesso due vite. Se riusciamo a prendere quella bestia, se ammazziamo quel bastardo, allora riapriremo le spiagge. Ma prima d'allora, scordatelo.»
«E delle reti?» «Per cosa?» «Non potremo stendere delle reti a proteggere le spiagge? Qualcuno mi ha detto che in Australia fanno così.» È ubriaco senz'altro, pensò Brody. «Larry, questa è una costa diritta. Vorresti mettere delle reti lungo due miglia e mezzo di spiaggia? Ottimo. Trova i fondi. Direi che occorre un milioncino di dollari, tanto per iniziare i lavori.» «E delle guardie di sorveglianza? Potremmo impiegare delle lance che pattuglino la costa.» «Non sarebbe sufficiente, Larry. E che ti piglia, adesso? I tuoi soci ti stanno di nuovo alle costole?» «Questi non sono proprio affari tuoi, Martin. Per amor del cielo, questa cittadina sta crepando.» «Lo so, Larry» replicò Brody a bassa voce. «E per quanto mi risulta non posso farci un accidenti di niente. Buonanotte.» E riappese. Meadows e Hooper si alzarono per andarsene. Brody li accompagnò fino all'ingresso anteriore della stazione di polizia. Mentre varcavano la soglia Brody disse a Meadows: «Ehi, Harry, hai dimenticato il tuo accendino». Meadows stava per dire qualcosa, ma Brody glielo impedì. «Torna indietro a prenderlo. Se lo lasci qui in giro è facile che scompaia.» Salutò Hooper con la mano. «Arrivederci.» Tornati nell'ufficio, Meadows trasse di tasca l'accendino e osservò: «Immagino che tu abbia da dirmi qualcosa». Brody richiuse la porta. «Credi di riuscire a scoprire qualche dato sul conto dei soci di Larry?» «Penso di sì. Perché?» «Fin da quando è cominciata questa storia, Larry mi è stato addosso perché non vietassi l'accesso alle spiagge. E ora, dopo tutto quel che è successo, dice che le vorrebbe riaperte per il quattro di luglio. L'altro giorno aveva detto che i suoi soci gli stavano cavando il fiato. Te l'ho raccontato.» «E allora?» «Mi sembra opportuno sapere chi è che ha tanto peso da far dire scemenze a Larry. Non fosse il sindaco di questa città, non me ne curereri. Ma se c'è gente che gli dice come deve comportarsi, mi pare che dovremmo sapere di chi si tratta.» Meadows trasse un sospiro. «Okay, Martin. Farò il possibile. Ma andare a scavare negli affari di Larry Vaughan non è quel che definirei uno spas-
so.» «In questi giorni mica se ne trovano in giro molti di spassi, ti pare?» Brody accompagnò Meadows alla porta, quindi tornò alla scrivania e sedette. Vaughan aveva ragione su un punto, si disse: Amity stava mostrando tutti i sintomi di una fine imminente. Non si trattava solo del mercato immobiliare, anche se quella era una malattia contagiosa come il vaiolo. Evelyn Bixby, moglie di uno degli uomini di Brody, aveva perso il suo impiego in un'agenzia immobiliare e adesso lavorava come cameriera in una tavola calda della Route 27. Due nuove boutiques che avrebbero dovuto aprire l'indomani avevano rimandato l'inaugurazione al tre di luglio, ed entrambi i proprietari si erano fatti premura di telefonare a Brody per comunicargli che se per quella data le spiagge non fossero state riaperte loro non avrebbero aperto affatto i loro negozi. Uno di loro stava già cercando un locale da affittare a East Hampton. Il negozio di articoli sportivi aveva esposto un cartello che annunciava una vendita di liquidazione - vendita che normalmente avveniva dopo il fine settimana del Labor Day. L'unico fatto positivo nell'economia di Amity, per quel che riguardava Brody, era che al Saxon's gli affari andavano così male che avevano dovuto licenziare Henry Kimble. Adesso che non aveva più il lavoro di barista, Kimble di giorno dormiva e di tanto in tanto riusciva ad arrivare in fondo al suo turno di poliziotto senza doversi concedere un sonnellino. A partire dal lunedì mattina - il primo giorno in cui le spiagge erano rimaste chiuse - Brody aveva messo due agenti di guardia. Tra l'uno e l'altro avevano avuto diciassette scontri con persone che volevano a tutti i costi andare a nuotare. Uno di questi era un certo Robert Dexter che rivendicava il suo diritto costituzionale di fare il bagno nelle acque prospicienti la sua spiaggia privata e che aveva lanciato il suo cane contro il poliziotto di servizio, tanto che questi si era visto costretto a estrarre la pistola minacciando di abbattere l'animale. Un altro polverone si era sollevato sulla spiaggia pubblica quando un avvocato di New York aveva attaccato a leggere ad alta voce la Costituzione degli Stati Uniti a beneficio di un agente e di una mandria di ragazzetti plaudenti. Comunque Brody era convinto che, almeno fin'ora, nessuno era entrato in acqua per nuotare. Il mercoledì due ragazzi avevano noleggiato una barchetta a remi e si erano spinti fino a trecento metri dalla riva dove per un'ora ci avevano dato dentro a rovesciare in acqua sangue, visceri di pollo e teste d'anatra. Un
peschereccio di passaggio li scorse e informò della cosa Brody attraverso la radio della guardia costiera. Brody chiamò Hooper e insieme partirono con il Flika e rimorchiarono a terra i due ardimentosi. A bordo i ragazzi avevano una fiocina legata a una fune da bucato lunga duecento metri, assicurata alla prua con un nodino qualsiasi. Spiegarono che intendevano arpionare lo squalo per poi farsi "una bella corsa a rimorchio". Brody spiegò a sua volta che se avessero cercato di ripetere l'impresa li avrebbe arrestati per tentato suicidio. C'erano state quattro denunce di avvistamento di squali. In un caso si era appurato che si trattava di un tronco galleggiante. In altri due, stando ai pescatori che avevano controllato la segnalazione, erano dei banchi di pesciolini. Quanto all'ultimo, per quel che risultava, non c'era stato un bel niente. Il martedì sera, verso l'imbrunire, Brody aveva ricevuto una telefonata anonima. Lo si informava che un uomo stava gettando esche per squali nelle acque di fronte alla spiaggia pubblica. Venne fuori che non si trattava di un uomo ma di una donna con un impermeabile maschile: Jessie Parker, commessa della cartoleria Walden, la quale dapprima negò di avere gettato alcunché in acqua, ma alla fine ammise di aver buttato un sacchetto di carta contenente tre bottiglie di vermouth vuote. «Perché non le ha messe nel bidone delle immondizie?» chiese Brody. «Non volevo che il netturbino pensasse che sono una che beve.» «E allora perché non le ha depositate nel bidone di qualcun altro?» «Non sta bene» rispose lei. «Le immondizie sono... una faccenda così personale, non le pare?» Brody le consigliò, per l'avvenire, di cacciare le bottiglie vuote in un sacchetto di plastica, da infilare a sua volta in uno di carta, e quindi di pestarle con un martello fino a ridurle in frantumi. Così nessuno avrebbe mai potuto capire che un tempo erano state bottiglie. Brody guardò l'orologio. Le nove passate, troppo tardi per far visita a Sally Gardner. Sperava che stesse dormendo. Forse Grace Finley le aveva dato un tranquillante o un bicchiere di whisky per aiutarla a prendere sonno. Prima di lasciare l'ufficio telefonò all'intendenza della Guardia Costiera, a Montauk, e riferì all'agente di turno la faccenda di Ben Gardner. L'agente gli assicurò che alle prime luci del giorno avrebbero inviato una lancia a ricercare il corpo. «Grazie» disse Brody. «Spero che lo troviate prima che venga ributtato a riva.» Di colpo provò orrore per le sue stesse parole. Si trattava di Ben Gardner, un amico. Cosa avrebbe detto Sally se l'avesse sentito parlare di
suo marito in quel modo? Quindici anni di amicizia: cancellati, dimenticati. Non c'era più un Ben Gardner. C'era solo un "corpo" che doveva essere ripescato prima di diventare una macabra spoglia restituita dalle onde. «Faremo il possibile» rispose quello della Guardia Costiera. «Accidenti, mi spiace proprio. Dev'essere un'estate d'inferno, questa, per voi altri.» «Spero solo che non sia l'ultima» concluse Brody. Riappese, spense la luce e uscì dirigendosi alla sua auto. Mentre imboccava il vialetto di casa sua, Brody, scorse la nota luce grigio-azzurrina alle finestre del soggiorno. I ragazzi stavano guardando la televisione. Varcò la porta d'ingresso; spense la luce esterna e si affacciò al soggiorno buio. Il più grande, Billy, era allungato sul divano, appoggiato a un gomito. Martin, quello di mezzo, dodici anni, se ne stava stravaccato in poltrona, i piedi senza scarpe piazzati sul tavolo. Sean, otto anni, sedeva a terra, la schiena poggiata al divano, e accarezzava il gatto che teneva in grembo. «Come va?» chiese Brody. «Bene, papà» rispose Billy, senza staccare gli occhi dal televisore. «Dov'è la mamma?» «Di sopra. Ha detto di dirti che la tua cena è in cucina.» «Okay. Non facciamo troppo tardi, eh, Sean? Sono quasi le nove e mezzo.» «Va bene, papà» annuì Sean. Brody passò in cucina e prese una birra. I resti dello stufato troneggiavano sul tavolo, nel tegame, circondati da una massa di sugo rappreso. La carne era di un marrone grigiastro e aveva l'aria fibrosa. "Cena?" mormorò tra sé. Cercò nel frigorifero qualcosa con cui prepararsi un sandwich. C'erano degli hamburger, un pacchetto di cosce di pollo, una dozzina di uova, un vasetto di sottaceti e dodici lattine di gazzosa. Trovò un pezzo di formaggio, vecchio e rinsecchito, lo piegò e se lo cacciò in bocca. Stette un po' a chiedersi se era il caso di riscaldare lo stufato, poi ad alta voce concluse: «Al diavolo». Recuperò due fette di pane, vi spalmò un po' di senape, prese il coltello dall'asse di legno con il tondino di ferro magnetizzato, appeso alla parete, e tagliò una grossa fetta di stufato. La depose su una di pane, ci mise sopra qualche sottaceto, coprì il tutto con l'altra fetta di pane e schiacciò bene il suo sandwich con il polso. Lo mise su un piatto, prese la birra e salì le scale, verso la camera da letto. Ellen era sotto le coperte, seduta, a leggere "Cosmopolitan". «Ciao» gli disse. «Giornata dura? Non mi hai detto nulla al telefono.» «Giornataccia. Come tutte, in questo periodo. Hai già saputo di Ben
Gardner? Non ero ancora ben sicuro quando ho parlato con te.» Depose il piatto e la birra sul cassettone e sedette sulla sponda del letto per togliersi le scarpe. «Sì. Mi ha telefonato Grace Finley per chiedere se sapevo dove si trovava il dottor Craig. La sua segreteria telefonica non poteva darle indicazioni, e lei voleva dare un sedativo a Sally.» «Sei riuscita a rintracciarlo?» «No. Ma ho mandato uno dei ragazzi a portarle del Seconol.» «Cos'è il Seconol?» «Sonniferi.» «Non sapevo che ne prendessi.» «Infatti no, non spesso. Solo ogni tanto.» «E come li hai avuti?» «Dal dottor Craig, quando sono andata da lui l'ultima volta, per quella mia tensione nervosa. Te l'avevo detto.» «Ah.» Brody buttò le scarpe in un angolo, si alzò, si sfilò i pantaloni che ripiegò con cura poggiandoli sullo schienale di una sedia. Si tolse la camicia, la mise su una gruccia e l'appese nell'armadio. In maglietta e slip sedette sul letto e cominciò a mangiare il sandwich. La carne era asciutta, tigliosa. L'unico sapore riconoscibile era quello della senape. «Non hai visto lo stufato?» domandò Ellen. Brody, a bocca piena, si limitò ad annuire. «E allora cosa stai mangiando?» Lui inghiottì. «Stufato.» «L'hai scaldato?» «No. Mi va bene anche così.» Ellen fece una smorfia. «Puah.» Brody continuò a mangiare in silenzio mentre sua moglie voltava distrattamente le pagine della rivista. Dopo qualche momento la chiuse lasciandosela cadere in grembo e mormorò: «Oddio». «Che c'è?» «Stavo pensando a Ben Gardner. Una cosa talmente orribile. Come se la caverà Sally?» «Non so. Anch'io sto in pensiero. Hai mai parlato di quattrini con lei?» «Mai. Ma non devono avere gran che. Credo che i bambini non vedano un abito nuovo da un anno in qua, e lei ripete sempre che darebbe qualcosa per poter mettere in tavola carne più di una volta alla settimana, invece di dover mangiare il pesce pescato da Ben. Le daranno la pensione?»
«Direi di sì, ma non sarà gran che. Ci sono i sussidi.» «Oh, non accetterebbe mai.» «Aspetta e vedrai. Non potrà certo permettersi dell'orgoglio. Adesso poi, che non ci sarà più nemmeno il pesce.» «Possiamo fare qualcosa?» «Noi personalmente? Non vedo cosa. Neppure noi guazziamo nell'abbondanza. Ma forse il comune potrebbe muoversi. Ne parlerò a Vaughan.» «Hai fatto qualche passo avanti?» «Vuoi dire per la cattura di quella maledetta bestia? No. Meadows ha chiamato quel suo amico oceanografo di Woods Hote, che adesso si trova qui. Ma non vedo cosa possa riuscire a combinare.» «Che tipo è?» «A posto, mi sembra. Giovane, con l'aria per benino. Un po' sul saccente, ma è comprensibile. Pare che conosca a fondo la zona.» «Davvero? Come mai?» «Ha detto che da ragazzo aveva la sua base a Southampton. Ci passava tutte le estati.» «Per lavoro?» «Direi di no, probabilmente ci andava con i suoi. Mi sembra il tipo.» «Che tipo?» «Ricco. Di buona famiglia. Il classico villeggiante di Southampton. Tu dovresti saperlo bene, perdiana.» «Non ti irritare. Chiedevo solo.» «Non sono irritato. Ho semplicemente detto che dovresti conoscere il tipo, nient'altro. Insomma, anche tu sei di quelli.» Ellen sorrise. «Un tempo. Ma adesso sono solo una signora di mezz'età.» «Che panzana» replicò Brody. «Nove su dieci delle pupe estive di Amity non riescono a fare quel che fai tu con su un costume da bagno.» Era felice di vederla andare a pesca di complimenti, e felice di appenderglieli all'amo. Era uno dei loro rituali preludi al fare all'amore, e vedendo Ellen a letto lui si sentiva salire il desiderio. I capelli le scendevano fino alle spalle per poi ripiegarsi morbidamente in sotto. La camicia da notte era così scollata da lasciare i seni quasi completamente scoperti, salvo i capezzoli; e così trasparente che si riusciva quasi a indovinare il cerchio scuro dell'areola. «Vado a lavarmi i denti» disse lui. «Arrivo subito.» Quando rientrò dal bagno si sentiva turgido. Si accostò al cassettone per spegnere la luce. «Sai,» mormorò Ellen «pensavo che dovremmo far prendere lezioni di
tennis ai ragazzi.» «Perché mai? Hanno mai detto di voler giocare a tennis?» «No. Non con queste parole. Ma è bene che lo sappiano giocare. Gli farà comodo quando sono grandi. È una via d'accesso.» «A che.» «Alle persone che è utile conoscere. Se giochi bene a tennis puoi entrare a far parte di qualsiasi club e stringere amicizie. E questa è l'età migliore per imparare.» «E dove andrebbero a prendere lezioni?» «Pensavo al Field Club?» «Non mi risulta che siamo soci del Field Club.» «Potremmo diventarlo. Conosco ancora alcune persone che sono iscritte. Se glielo chiedessi, sono sicura che ci presenterebbero.» «Neanche per sogno.» «Perché?» «In primo luogo non possiamo permettercelo. Scommetto che l'iscrizione costa un migliaio di dollari, e poi si tratterà almeno di un centone all'anno. Non disponiamo di somme simili.» «Abbiamo dei risparmi.» «Non per le lezioni di tennis, Dio santo! Su, lasciamo perdere.» Allungò il braccio verso l'interruttore. «Sarebbe un bene, per i ragazzi.» Brody lasciò ricadere la mano sul piano del cassettone. «Senti, non siamo i tipi che vanno a giocare a tennis. Non ci troveremmo nel nostro ambiente. Io non mi troverei nel mio ambiente. Non ci accetterebbero mai.» «Come fai a saperlo? Non hai mai tentato.» «Senti, non parliamone più, per favore.» Spense la luce, si accostò al letto, sollevò le coltri e si stese accanto a Ellen. «Inoltre,» aggiunse, sfregando il naso contro il collo di lei «c'è un altro sport in cui me la cavo meglio.» «I ragazzi sono svegli.» «Stanno guardando la tele. Se anche scoppiasse una bomba, quassù, loro manco se ne accorgerebbero.» Le baciò il collo e cominciò a sfregarle una mano sul ventre, con movimenti circolari che si allargavano sempre più. Ellen sbadigliò. «Ho un sonno tale» disse. «Ho preso una pastiglia prima che tu rientrassi.» Brody smise di accarezzarla. «E perché diavolo?» «Non ho dormito bene la notte scorsa, e non volevo svegliarmi nel caso
tu fossi tornato tardi. Così ho preso un sonnifero.» «Uno di questi giorni sbatto via quelle porcate.» Le baciò la guancia, poi cercò di raggiungere la bocca ma la colse a metà di uno sbadiglio. «Scusami» mormorò lei. «Temo che non funzionerà.» «Sì, invece. Basta solo che partecipi un pochino.» «Sono così stanca. Ma tu fai pure se vuoi. Cercherò di stare sveglia.» «All'inferno» borbottò Brody, e tornò dalla sua parte del letto. «Scopare con delle salme non è il mio forte.» «Mi sembra un po' gratuito.» Brody non rispose. Rimase disteso sul dorso, a fissare il soffitto, sentendo che l'erezione andava scemando. Ma la tensione interiore permaneva, insieme a un dolore sordo all'inguine. Qualche istante dopo Ellen chiese: «Come si chiama quell'amico di Harry Meadows?». «Hooper.» «Non si tratterà di David Hooper, vero?» «No. Mi pare che si chiami Matt.» «Oh. Anni e anni fa io filavo con un certo David Hooper. Ricordo...» Prima che potesse terminare la frase gli occhi le si chiusero e poco dopo scivolò nel respiro profondo del sonno. A pochi isolati di distanza, in una villetta di legno, un uomo di colore sedeva ai piedi del letto di suo figlio. «Che storia vuoi leggere?» domandò. «Non voglio leggere una storia» rispose il bambino, che aveva sette anni. «Voglio una storia raccontata.» «Okay. Di che cosa vuoi parlare?» «Di uno squalo. Raccontiamoci la storia di uno squalo.» L'uomo ebbe un sussulto. «No. Facciamo una che parli di... di un orso.» «No, uno squalo. Voglio sapere degli squali.» «Allora una favola c'era una volta?» «Sì. Sai, per esempio, c'era una volta uno squalo che mangiava la gente.» «Non mi sembra una favola molto piacevole.» «Perché gli squali mangiano la gente?» «Perché hanno fame, immagino. Non so.» «Esce sangue se uno squalo ti mangia?» «Sì» rispose l'uomo. «Avanti. Raccontiamo una fiaba che parli di un altro animale. Avrai gli incubi se parliamo di pescecani.»
«No, no. Se uno squalo cercasse di mangiarmi io gli darei un pugno sul naso.» «Nessuno squalo cercherà di mangiarti.» «Perché no? Se vado a nuotare scommetto che uno ci proverà. O forse gli squali non mangiano la gente nera di pelle?» «Adesso basta! Non voglio più sentir parlare di squali!» L'uomo afferrò una pila di libri dal comodino. «Ecco qui. Leggiamo Peter Pan.» Parte seconda VI Il venerdì a mezzogiorno, tornando a casa, dopo una mattinata di lavoro come volontaria all'ospedale di Southampton, Ellen passò dall'ufficio postale per comperare dei francobolli e ritirare la corrispondenza. Ad Amity non c'era la consegna della posta a domicilio. In teoria solo gli espressi venivano recapitati direttamente a casa, sempre ehe la casa si trovasse entro il raggio di un miglio dall'ufficio postale; di fatto anche gli espressi (salvo quelli con la chiara intestazione del Governo Federale in qualità di mittente) restavano in giacenza all'ufficio postale finché qualcuno andava a richiederli. L'ufficio postale era una piccola costruzione quadrata in Teal Street, una laterale della Main. Disponeva di 500 cassette per le lettere, di cui 340 erano intestate ai residenti fissi di Amity. Le altre 160 venivano assegnate ai villeggianti, a seconda dei mutevoli atteggiamenti psicologici della direttrice, Minnie Eldridge. Quelli che le erano simpatici potevano noleggiare una cassetta per l'estate. Quelli che non le andavano a genio dovevano far la coda al banco. Poiché lei si rifiutava di noleggiare cassette alla "gente d'estate" per tutto l'anno, questi non sapevano mai da un anno all'altro se avrebbero avuto o no la loro cassetta quando arrivavano, in giugno. Era convinzione generale che Minnie Eldridge fosse vicina ai settanta, e che, chissà come, fosse riuscita a convincere le autorità di Washington di essere al di sotto dell'età di collocamento a riposo. Era piccola, dall'aria ingannevolmente fragile ma robusta e in grado di sollevare pacchi grandi e piccoli quasi con la medesima velocità dei due giovanotti che lavoravano con lei alla posta. Non parlava mai del suo passato o della sua vita privata. Di lei si sapeva solo che era nata sull'isola di Natucket da cui si era partita in un anno imprecisato, poco dopo la prima guerra mondiale. Risiedeva ad
Amity fin dall'epoca a cui risalivano i primi ricordi dei cittadini ancora in vita, e si considerava non solo una del luogo, ma anche l'esperta locale riguardo alla storia del piccolo centro. Non aveva bisogno di sollecitazioni per lanciarsi in lunghe dissertazioni sull'eroina di Amity, una certa Amity Hopewell, vissuta nel diciassettesimo secolo e condannata per stregoneria, e le piaceva moltissimo recitare tutto l'elenco dei principali avvenimenti del passato della cittadina: lo sbarco di un contingente militare britannico durante la Rivoluzione per uno sfortunato tentativo di aggirare alcune forze Coloniali (gli Inglesi si smarrirono e vagarono futilmente su e giù per Long Island); l'incendio del 1823 che aveva distrutto ogni costruzione salvo l'unica chiesa del villaggio; il naufragio, avvenuto nel 1921, di una nave che trasportava rum (in seguito la nave venne recuperata, ma ormai tutto il carico gettato in acqua per alleggerirla si era volatilizzato); il ciclone del 1938, e l'approdo ampiamente pubblicizzato (per quanto mai del tutto accertato) di tre spie tedesche sulla Scotch Road nel 1942. Ellen e Minnie si rendevano nervose a vicenda. Ellen aveva l'impressione di non essere simpatica a Minnie, e non si sbagliava. Minnie si sentiva a disagio con Ellen perché non riusciva a catalogarla. Ellen non apparteneva alla "gente d'estate" né alla "gente d'inverno". Non si era guadagnata la sua cassetta postale fissa per dodici mesi all'anno: se l'era sposata. Quando Ellen entrò Minnie era da sola nell'ufficio, occupata a smistare la posta. «Buon giorno, Minnie.» L'altra alzò lo sguardo verso l'orologio appeso sopra il banco e rispose: «Buonasera». «Potrei avere un foglio di francobolli? da otto cents?» Ellen depose sul banco un biglietto da cinque dollari e tre da uno. Minnie infilò qualche altra lettera nelle cassette, depose il fascio di buste che teneva in mano e si accostò al banco. Consegnò a Ellen il foglio di francobolli e fece sparire le banconote in un cassetto. «Cos'ha intenzione di fare, Martin, per quello squalo?» volle sapere. «Non so. Immagino che cercheranno di catturarlo.» «Puoi forse trarre a riva il leviatano con un amo?» «Scusa?» «Libro di Giobbe» spiegò Minnie. «Nessun essere mortale riuscirà a catturare quel pesce.» «Perché dici questo?» «Il cielo non vuole che noi lo catturiamo, ecco perché. È un segno, per
prepararci.» «A che?» «Lo sapremo quando verrà il momento.» «Capisco.» Ellen mise i francobolli nella borsa. «Be', forse hai ragione. Grazie, Minnie.» Si volse per dirigersi alla porta. «Sarà cosa chiara e indubbia» aggiunse Minnie, rivolta alla schiena di Ellen. Ellen raggiunse la Main Street e svoltò a destra, oltrepassando una boutique e un negozio di antiquariato. Si fermò davanti al ferramenta ed entrò. Il tintinnio del campanello urtato dalla porta quando venne aperta non ebbe immediata risposta. Lei attese qualche istante poi chiamò: «Albert?». Passò nel retro del negozio, fino a un uscio aperto che dava accesso al seminterrato. Sentì delle voci maschili, di sotto. «Arrivo subito» gridò la voce di Albert Morris. «Ecco, qui ce n'è uno scatolone pieno» comunicò Morris all'altro. «Guardi se riesce a trovare quel che le serve.» Morris comparve ai piedi della scaletta e cominciò a salire lentamente, cauto, un gradino per volta, afferrandosi alla ringhiera. Aveva passato da poco i sessanta e due anni prima aveva avuto un attacco cardiaco. «Gallocce» borbottava, quando giunse in cima alla scala. «Come?» domandò Ellen. «Gallocce. Quel tale vuole delle gallocce per una barca. A guardare da come le vuole grandi, deve essere il capitano di una nave da guerra. Be', in che posso servirti?» «Il beccuccio di gomma del mio rubinetto di cucina è tutto screpolato. Sai, è di quelli che hanno la levetta per rompere il getto d'acqua. Ne vorrei uno nuovo.» «Presto fatto. Da questa parte.» Morris guidò Ellen verso uno stipo a metà del negozio. «Questo va bene?» «Perfetto.» «Fa ottanta cents. Metto in conto o paghi subito?» «Pago adesso. È assurdo farti mettere in conto una spesa di ottanta cents.» «Ne ho registrate per meno ancora» replicò Morris. «Potrei raccontartene di quelle da farti rizzare i capelli.» Percorsero la bottega lunga e stretta, fino al registratore di cassa. Mentre batteva lo scontrino Morris commentò: «C'è un sacco di gente preoccupata per questa storia del pescecane».
«Lo so. Li si può capire.» «E certuni sono del parere che le spiagge dovrebbero venire riaperte.» «Be', io...» «Se vuoi sapere come la penso, secondo me sono... scusa l'espressione, delle teste di cavolo. A mio parere Martin sta dimostrando un gran buon senso.» «Sono lieta di sentirtelo dire, Albert.» «Forse questo tipo di fuori potrà cavarci dai guai.» «Chi?» «Questo esperto di pesci che viene dal Massachusetts.» «Oh, già. Ho sentito dire che è arrivato.» «È proprio qui.» Ellen si guardò attorno, senza vedere alcuno. «Sarebbe a dire?» «Giù, nel seminterrato. È lui quello che cerca delle gallocce.» Proprio in quel momento Ellen sentì dei passi su per le scale. Si volse e vide Hooper che si profilava nell'apertura dell'uscio, e a un tratto si sentì invadere da un nervosismo di adolescente, come se incontrasse un corteggiatore che non vedeva da anni. Quell'uomo le era sconosciuto, pure aveva qualcosa di familiare. «Le ho trovate» annunciò Hooper, sollevando due grossi ganci di acciaio inossidabile. Si accostò al banco, rivolse un sorriso educato a Ellen e continuò rivolto a Morris: «Queste vanno benissimo». Depose gli oggetti sul banco e tese a Morris una banconota da venti dollari. Ellen sbirciò Hooper, cercando di mettere a fuoco i ricordi. Sperava che Albert Morris facesse le presentazioni, ma evidentemente lui neppure ci pensava. «Mi scusi» disse, rivolta al giovanotto. «Vorrei chiederle una cosa.» Hooper si volse a guardarla e di nuovo sorrise. Un sorriso simpatico, cordiale, che ammorbidiva i lineamenti spigolosi e faceva scintillare gli occhi azzurri. «Prego» rispose. «Mi dica.» «Per caso lei non è parente di David Hooper?» «È il mio fratello maggiore. Lei conosce David?» «Sì» confermò Ellen. «O meglio, lo conoscevo un tempo. Ci frequentavamo molto, parecchio tempo fa. Sono Ellen Brody. Prima mi chiamavo Ellen Shepherd. Allora, intendo.» «Oh, ma certo, mi ricordo di te.» «Non è vero.» «Sul serio. Senza scherzi. Ora te lo dimostro. Vediamo... a quell'epoca
avevi i capelli più corti, alla paggio. Portavi sempre un braccialetto con un ciondolo. Me lo ricordo perché era un affare massiccio che somigliava alla Tour Eiffel. E cantavi sempre quella canzone... come si chiamava?... "Shiboom" o qualcosa di simile. Giusto?» Ellen scoppiò a ridere. «Santo Cielo, che memoria di ferro. Mi ero dimenticata quella canzone.» «Incredibile come certe cose restino impresse nei bambini. Tu hai filato con David per quanto... due anni?» «Due estati» precisò Ellen. «Era un bel periodo. Non ci avevo più ripensato, negli ultimi anni.» «Ti ricordi di me?» «Vagamente. Non so bene. Rammento che David aveva un fratellino più piccolo. Tu dovevi avere nove o dieci anni, allora.» «Più o meno. David ha dieci anni più di me. Ecco un'altra cosa che ricordo; tutti mi chiamavano Matt. Mi pareva che fosse molto da adulti. Ma tu mi chiamavi Matthew. Dicevi che aveva un tono più serio. E probabilmente ero innamorato di te.» «Davvero?» Ellen arrossì e Albert Morris si mise a ridere. «Prima o poi» continuò Hooper «mi innamoravo sempre delle ragazze con cui David usciva.» «Oh.» Morris diede il resto a Hooper e questi disse a Ellen: «Io sto andando al porto. Posso lasciarti da qualche parte?». «Grazie, ma ho la mia macchina.» Ringraziò Morris e, seguita da Hooper, uscì dal negozio. «E così adesso fai l'uomo di scienza» osservò lei quando si ritrovarono fuori. «È stato quasi per caso. Ero partito per laurearmi in letteratura inglese. Ma poi ho fatto un corso complementare di biologia marina e, zac!, m'è nata la passione.» «Per cosa? L'oceano?» «No. Cioè, sì e no. Ho sempre avuto la passione per l'oceano. Quando avevo dodici o tredici anni la cosa più fantastica per me era portarmi un sacco a pelo sulla spiaggia e passare la notte sulla sabbia ad ascoltare le onde, a chiedermi da dove venivano e in quali cose straordinarie si erano imbattute prima di venire a smorzarsi a riva. Quello che all'università mi ha proprio entusiasmato sono stati i pesci, o per meglio dire, gli squali.» Ellen ebbe una risata. «Quale atroce oggetto di passione. Come fare follie per i topi.»
«Questa è l'opinione comune» replicò Hooper. «Ma vi sbagliate. Gli squali rappresentano il sogno di qualsiasi scienziato. Sono splendidi... Dio, che magnificenza! Pieni di grazia come gli uccelli. Misteriosi come nessun altro animale sulla terra. Nessuno sa con precisione quanto vivono o a quali istinti ubbidiscono, salvo quello della fame. Abbiamo più di duecentocinquanta specie di squali, e ognuna è diversa dalle altre. Gli specialisti dedicano la loro vita a studiarli, e quando riescono a mettere insieme un dato liscio, preciso, valido come norma, sopravviene qualcosa che lo manda a gambe all'aria. Per più di duecento anni si è cercato di trovare qualcosa per tenere lontani gli squali. Non s'è mai scoperto nulla che funzionasse davvero.» Si interruppe, lanciò un'occhiatina a Ellen e sorrise. «Chiedo scusa. Non volevo tenere conferenze. Come puoi vedere, sono un patito.» «E come tu puoi immaginare,» rispose lei «io non ne so assolutamente nulla. Immagino che tu sia andato a Yale.» «Naturale. Impossibile altrimenti. Da quattro generazioni l'unico maschio della nostra famiglia che non abbia frequentato Yale è un mio zio che si è fatto buttar fuori da Andover ed è finito all'Università di Miami, nell'Ohio. Dopo Yale ho fatto il corso di specializzazione all'Università della Florida. E poi ho trascorso un paio di anni a dare la caccia agli squali un po' per tutto il mondo.» «Deve essere stata un'esperienza interessante.» «Per me era un paradiso. Come dare a un alcolizzato le chiavi di una distilleria. Ho rincorso squali nel Mar Rosso e sono sceso in profondità con loro al largo dell'Australia. Più imparavo cose sul loro conto, più capivo di non saperne nulla.» «Scendevi in profondità?» Hooper assentì. «Di solito in una specie di gabbia, ma qualche volta no. So cosa pensi, probabilmente. Molti sono convinti che io abbia dentro un desiderio di morte... mia madre in particolare. Ma se sai cosa stai facendo puoi ridurre il pericolo quasi a zero.» «Devi essere il più grosso esperto di squali al mondo.» «Non direi proprio» ribatté Hooper con una risatina. «Ma faccio il possibile. L'unica spedizione a cui non ho potuto partecipare, avrei dato qualsiasi cosa, è stata quella di Peter Gimbel. Hanno anche fatto delle riprese subacquee. Ancora la sogno quella spedizione. Si sono trovati a tu per tu con due squali bianchi, come quello che c'è qui adesso.» «Sono lieta che tu non sia stato della partita» commentò Ellen. «Probabilmente avresti cercato di sapere com'era il panorama visto dall'interno di
una di quelle bestie. Ma raccontami di David. Come sta?» «Bene, tutto considerato. Fa l'agente di cambio a San Francisco.» «Cosa significa, tutto considerato?» «Be', è alla seconda moglie. La prima era, forse ne sei al corrente, Patty Fremont.» «Ma certo. Giocavamo a tennis insieme. Si potrebbe dire che ha ereditato David da me. Per dirla in modo gentile.» «È durata più o meno tre anni, fino a quando lei si è cucita a filo doppio a un tale con un'azienda sua e una villa ad Antibes. Così David è andato a beccarsi una tizia il cui padre è il maggior azionista di una compagnia petrolifera. Abbastanza carina, ma con il quoziente di intelligenza di un carciofo. Se David avesse avuto un minimo di buon senso avrebbe capito qual era il filone giusto e non ti avrebbe mollata.» Ellen arrossi mormorando: «Carino da parte tua». «Dico sul serio. Al suo posto io avrei fatto così.» «E tu? Come ti è andata? Chi è la fortunata che ti ha conquistato?» «Nessuna, per ora. Probabilmente abbiamo in circolazione ragazze che non hanno idea di quanto potrebbero essere fortunate.» Hooper scoppiò a ridere. «Dimmi di te. No, aspetta. Lasciami indovinare. Tre figli, giusto?» «Giusto. Non credevo che fosse tanto evidente.» «No, no. Non l'intendevo così. Non è evidente affatto. Per nulla. Tuo marito è, vediamo, avvocato. Avete un appartamento in città e un villino sul mare qui ad Amity. E sei perfettamente felice. Ed è proprio quello che ti auguro.» Ellen scosse il capo sorridendo. «Non è esatto. Non per quanto riguarda l'essere felice. Ma per il resto. Mio marito è il capo della polizia di Amity.» Hooper lasciò che i suoi occhi tradissero la sorpresa un attimo soltanto. Poi si batté una mano sulla fronte ed esclamò: «Che idiota! Ma certo. Brody. Non avevo ricollegato. Incredibile. Ho conosciuto tuo marito proprio ieri sera. Mi è parso un tipo in gamba». A Ellen parve di cogliere un tantino di ironia nella voce di Hooper, ma poi si disse: Non fare la sciocca, sono tue fantasie. «Per quanto ti tratterrai qui?» domandò. «Non lo so. Dipende da come vanno le cose con quel pescecane. Quando se ne va lui me ne vado anch'io.» «Abiti a Woods Hote?» «No, ma poco lontano. A Hyannisport. Ho una casetta vicino alla spiag-
gia. Ho la mania dello stare sempre a pochi metri dall'acqua. Se mi spingo all'interno per più di dieci miglia comincio a soffrire di claustrofobia.» «E vivi da solo?» «Solo. In compagnia di un impianto stereo da cento milioni di dollari e un milione di libri. Ehi, vai ancora a ballare?» «Ballare?» «Sì. Mi è tornato in mente adesso. David diceva sempre che non aveva mai trovato una ragazza che sapesse ballare come te. Avete vinto una gara insieme, no?» Il passato, come un uccello rimasto a lungo prigioniero in una gabbia e d'improvviso liberato, le volava incontro, roteando nella sua mente, inondandola di nostalgia. «Una gara di samba» annuì. «Al Beach Club. Me n'ero dimenticata. No, non vado più a ballare. Martin non ci è tagliato e comunque credo che nessuno suoni più quel genere di musica.» «Peccato. David diceva che eri straordinaria.» «Che magnifica serata, quella» mormorò Ellen lasciando che la sua mente tornasse indietro a recuperare frammenti di ricordi. «C'era il complesso di Lester Lanin. Il Beach Club era tutto addobbato con festoni e palloncini. David indossava la sua giacca preferita, di seta rossa.» «Adesso l'ho io» raccontò Hooper. «L'ho ereditata.» «E suonavano tutte quelle bellissime canzoni. "Mountain Greenery", per esempio. Lui era bravissimo nel passo doppio. Io riuscivo appena a tenergli dietro. L'unica cosa che David non ballava era il valzer. Diceva che gli faceva girare la testa. Eravamo tutti abbronzatissimi. Credo che in tutta quell'estate non ci sia stato un solo giorno di pioggia. Rammento che quella sera avevo scelto un abito giallo, per via dell'abbronzatura. C'erano due gare, una di charleston, e l'hanno vinta Susie Kendall e Chip Fogarty. E quella di samba. Al giro finale hanno suonato "Brazil", e pareva che ne andasse della nostra vita: ballavamo come indemoniati. Alla fine temevo di non riuscire più a reggermi. E sai cosa abbiamo vinto come primo premio? Un pollo in scatola. Me lo sono tenuto in camera per un sacco di tempo, finché la scatola ha cominciato a gonfiarsi e papà me l'ha fatta buttare via.» Ellen sorrise. «Bei tempi. Cerco di non ripensarci molto.» «Perché?» «Perché quando ti guardi indietro il passato ti sembra sempre più bello di quanto apparisse al momento in cui lo vivevi. E il presente non è mai piacevole come risulterà poi, in futuro. Se passi troppo tempo a rievocare gioie lontane ti deprimi. Ti convinci che non avrai mai più bei momenti
come quelli.» «Per me è facile non ripensare al passato.» «Davvero? Come mai?» «Non era gran che, semplicemente. David era il primogenito. Io ero più che altro un ultimo tentativo. Credo che la mia funzione fosse quella di tenere insieme il matrimonio dei miei. E non ci sono riuscito. È un po' dura quando fai fiasco nella prima cosa in cui dovresti riuscire. David aveva vent'anni quando i nostri genitori hanno divorziato. Io non ne avevo ancora undici. E il divorzio non è stato quel che si dice amichevole. E neppure gli anni che lo precedettero furono molto sereni. La solita storia, nulla di speciale, ma non è stato molto piacevole. Forse do troppo peso alla faccenda. Ad ogni modo guardo molto all'avvenire, e ben poco a quanto ho alle spalle.» «Be', forse è un atteggiamento più equilibrato.» «Non lo so. Forse se avessi dei ricordi straordinari ci resterei sempre immerso. Ma... adesso basta. Devo andare giù al porto. Davvero non posso lasciarti da qualche parte?» «No, sul serio. Ho l'auto proprio sull'altro lato della strada.» «Okay. Bene...» Hooper tese la mano. «È stato molto bello rivederti e spero di incontrarti di nuovo prima che me ne vada.» «Mi farebbe piacere» rispose Ellen stringendogli la mano. «Non ho speranza di trascinarti fino a un campo da tennis, uno di questi pomeriggi sul tardi, vero?» Ellen si mise a ridere. «Oh, povera me. Non so più da quanto tempo non prendo in mano una racchetta. Ma grazie ugualmente della proposta.» «Okay, ci rivediamo.» Hooper si volse per dirigersi a passo rapido verso la sua auto, una Ford Pinto verde. Ellen rimase a guardarlo mentre lui metteva in moto, usciva dal posteggio e infilava la strada. Mentre le passava davanti lei sollevò la mano in un saluto un po' esitante, timido. Hooper cacciò fuori dal finestrino la sinistra, agitandola. Poi svoltò l'angolo e scomparve. Ellen si sentì afferrare da una malinconia terribile, dolorosa. Più che mai sentiva che la sua vita - o almeno la fase più bella, la più fresca e spensierata - le stava ormai alle spalle. Riconobbe quella sensazione e si sentì in colpa: era la prova che era una madre insoddisfacente e una moglie insoddisfatta. Detestava la sua esistenza, e si detestava per detestarla. Le venne in mente il verso di una canzone che Billy suonava spesso sul giradischi: "Scambierei tutti i miei domani per un solo ieri". Era disposta a un simile
baratto? Era un interrogativo che restava. Ma a che serviva? I suoi ieri erano sfumati e roteando affondavano sempre più in un pozzo senza fine. Neppure un frammento di quella pienezza, di quella gioiosità poteva essere recuperato. L'immagine del volto sorridente di Hooper le guizzò nella mente. Smettila, si disse. È stupido. Peggio: è autodistruttivo. Attraversò la strada e salì sull'auto. Mentre si immetteva nel traffico scorse Larry Vaughan fermo all'angolo. Dio, pensò, sembra depresso quanto lo sono io. VII Il fine settimana trascorse tranquillo come se si fosse in autunno avanzato. Con le spiagge chiuse, e gli agenti che le sorvegliavano durante le ore diurne, Amity era praticamente deserta. Hooper incrociava lungo la costa, avanti e indietro, con il battello di Ben Gardner, ma come unico segno di vita scorse alcuni banchi di pesciolini e un gruppo di pesci-serra. La domenica sera, dopo avere trascorso la giornata al largo di East Hampton - là le spiagge erano affollate, forse lo squalo sarebbe ricomparso dove c'erano dei bagnanti, si era detto - comunicò a Brody che secondo lui l'animale era tornato nelle acque profonde. «Cosa glielo fa pensare?» volle sapere Brody. «Non ne ho visto traccia» spiegò Hooper. «E ci sono altri pesci nella zona. Se ci fosse in giro uno squalo bianco, tutti gli altri pesci scomparirebbero. È una delle cose che raccontano i sub: quando nelle vicinanze c'è un pescecane, in acqua c'è un vuoto che fa paura.» «Non sono convinto» dichiarò Brody. «Almeno non abbastanza da riaprire le spiagge. Per il momento.» Sapeva che dopo un fine settimana senza incidenti ci sarebbero state insistenze - da parte di Vaughan, di altri agenti immobiliari, di commercianti - perché lui permettesse l'accesso alle spiagge. Quasi avrebbe preferito che Hooper avesse avvistato lo squalo. Quello almeno sarebbe stato un dato certo. Così invece disponeva solo di prove negative e questo, per la sua mentalità di poliziotto, non era sufficiente. Il lunedì pomeriggio, mentre era nel suo ufficio, Bixby gli passò una telefonata di Ellen. «Scusa se ti disturbo,» disse lei «ma volevo chiederti una cosa. Che ne diresti di invitare un po' di amici a cena, uno di questi giorni?»
«Perché?» «Tanto per dare un piccolo party. Sono anni che non lo facciamo. Non riesco neppure a ricordare quando è stata l'ultima volta.» «Già,» mormorò Brody «neanch'io.» Ma era una bugia. Ricordava fin troppo bene quell'ultimo party: tre anni prima, quando Ellen era in piena campagna per riallacciare vecchie amicizie tra i villeggianti. Aveva invitato tre coppie. Persone abbastanza simpatiche, ricordava Brody, ma la conversazione era stata difficoltosa, forzata e goffa. Brody e gli ospiti avevano cercato in tutti i modi, e senza riuscirci, di scoprire qualche interesse o esperienza comune. Così dopo un po' quelli si erano messi a chiacchierare tra loro, sforzandosi cortesemente di far partecipare Ellen non appena lei diceva qualcosa come: «Oh, sì, mi ricordo di lui!». Ellen era stata nervosamente gaia, e dopo che gli ospiti se n'erano andati, dopo aver lavato i piatti e aver detto due volte a Brody: «È stata una bella serata, vero?» si era chiusa in bagno a piangere. «Be', che ne dici?» insisté Ellen. «Non saprei. Mi pare che vada benissimo, se ne hai voglia. Chi vorresti invitare?» «Prima di tutto mi sembra che dovremmo dirlo a Matt Hooper.» «Ma perché? Lui mangia all'Abelard, no? È tutto compreso nel prezzo della camera.» «Ma che c'entra, Martin. Lo sai pure, è qui da solo, e poi è molto simpatico.» «Come fai a saperlo? Non mi risulta che tu lo conosca.» «Non te l'ho detto? L'ho incontrato nel negozio di Albert Morris, venerdì. Sono sicura di avertene parlato.» «No, ma non importa. Non fa differenza.» «Per l'appunto è fratello di quel Hooper che conoscevo una volta. Si ricordava di me molto più di quanto io ricordassi lui. Ma era un ragazzino, allora.» «U-hu. E per quando vorresti organizzare il banchetto?» «Domani sera, pensavo. E non sarà un banchetto. Pensavo semplicemente a una cenetta simpatica e tranquilla con qualche coppia di amici. Sei, otto persone in tutto.» «E pensi di poterli invitare così, da un giorno all'altro?» «Oh, sì. Nessuno ha mai impegni durante la settimana. Qualche partita a bridge, ma niente di più.» «Oh,» mormorò Brody «parli di villeggianti.»
«Sì, era la mia idea. Matt si troverebbe bene. Che ne dici dei Baxter? Ti andrebbe?» «Non mi pare di conoscerli.» «Ma sì che li conosci, sciocco. Clem e Cici Baxter. Lei, prima, si chiamava Davenport. Abitano in Scotch Road. Lui adesso è qui in vacanza. Lo so perché l'ho incontrato per strada stamattina.» «Okay, prova a dirglielo, se vuoi.» «E chi altro?» «Qualcuno con cui possa chiacchierare io. I Meadows?» «Hooper già conosce Harry.» «Ma non Dorothy. È una che sa far conversazione.» «Va bene» acconsentì Ellen. «Immagino che un po' di colore locale non guasti. E poi Harry sa tutto quel che succede da queste parti.» «Non lo dicevo per amor del colore locale» ribatté secco Brody. «Sono nostri amici.» «Lo so. Era così per dire.» «E se vuoi del colore locale, basta che tu dia un'occhiata dall'altra parte del letto.» «Ma sì, certo. Non volevo dir nulla di offensivo.» «Perché non inviti una ragazza?» suggerì Brody. «Dovresti vedere di trovare una compagna giovane e carina per Hooper.» Ci fu una pausa prima che Ellen replicasse: «Se ti sembra il caso». «Non che me ne importi. Solo mi pare che potrebbe trovarsi meglio se c'è qualcuno della sua età con cui chiacchierare.» «Non è poi che sia tanto giovane, Martin. E noi non siamo tanto vecchi. Ma va bene. Vedrò di farmi venire in mente qualcuno che gli possa piacere.» «Ci vediamo più tardi» cpncluse Brody, e depose il ricevitore. Era di malumore: l'idea di quella cena prometteva male. Non era sicuro, ma sospettava - e più ci pensava, più la convinzione si rafforzava - che Ellen stesse varando un'altra campagna per rientrare nell'ambiente a cui lui l'aveva sottratta, e questa volta disponeva di un'arma con cui aprirsi il varco: Hooper. La sera dopo Brody arrivò a casa poco dopo le cinque. Ellen stava apparecchiando la tavola in sala da pranzo. Brody la baciò sulla guancia e commentò: «Accidenti, era parecchio che non vedevo questa argenteria». Era stato il regalo di nozze dei genitori di Ellen. «Infatti. Mi ci sono volute delle ore per lustrarla.»
«E guarda un po' qui.» Brody prese in mano un bicchiere a tulipano. «Dove sei andata a prenderli?» «Li ho comperati al Lure.» «Quanto?» Brody depose il bicchiere sul tavolo. «Non molto» rispose lei, piegando un tovagliolo e disponendolo con cura vicino a due forchette. «Quanto?» «Venti dollari. Ma per una dozzina.» «Non scherzi quando inviti gente.» «Non avevamo più dei bicchieri da vino decenti» si difese lei. «L'ultimo di quelli vecchi si è rotto mesi fa, quando Sean è andato a sbattere contro la credenza.» Brody contò i posti attorno al tavolo. «Solo sei?» domandò. «Come mai?» «I Baxter non hanno potuto venire. Ha telefonato Cici. Clem doveva andare in città per motivi di lavoro, e lei aveva idea di accompagnarlo. E si fermeranno là a dormire.» Il tono aveva una sicurezza fragile, una falsa indifferenza. «Oh» mormorò Brody. «Peccato.» Non osò tradire la propria soddisfazione. «Chi hai pescato per Hooper, una fanciulla carina?» «Daisy Wicker. Lavora per Gibby, al Bibelot. Una ragazza simpatica.» «A che ora arrivano?» «I Meadows e Daisy alle sette e mezzo. Ho detto a Matthew di venire alle sette.» «Mi pareva che si chiamasse Matt.» «Oh, è solo una vecchia storia che mi ha rammentato lui. Quando era piccolo, pare, io lo chiamavo Matthew. Gli ho chiesto di venire prima così i ragazzi potranno conoscerlo. Saranno affascinati.» Brody diede un'occhiata all'orologio. «Se gli invitati non arrivano prima delle sette e mezzo, significa che mangeremo solo verso le otto e mezzo o le nove. E io a quell'ora sarò già morto di fame. Mi farò un panino.» Si diresse in cucina. Brody annusò gli effluvi, sbirciò i vari tegami e pacchetti e chiese: «Cosa stai cucinando?». «Si chiama agnello in bellavista» spiegò lei. «Spero di riuscire a non rovinarlo.» «Ha un buon odore» commentò Brody. «E cos'è questa roba vicino al lavandino? Devo buttar via e lavare la pentola?»
Ellen, dal soggiorno, chiese: «Quale roba?». «Questa qui nella pentola.» «Cosa... oh mio Dio!» gemette precipitandosi in cucina. «Guardati bene dal toccarla.» Vide il sogghigno sul volto di Brody. «Oh, che canaglia.» Gli diede uno sculaccione. «È gazpacho. Una minestra.» «Sei sicura che funzioni?» La prendeva in giro. «Ha un'aria così melmosa.» «Così deve essere, zuccone.» Brody scosse il capo. «Il povero Hooper rimpiangerà di non avere cenato all'Abelard.» «Delinquente. Aspetta di averlo assaggiato. Cambierai musica.» «Può darsi. Se riesco a sopravvivere.» Scoppiò a ridere e si accostò al frigorifero, l'aprì, frugò all'interno pescando del salame e del formaggio per prepararsi un sandwich. Aprì una lattina di birra e puntò verso il soggiorno. «Vado a vedermi il telegiornale; poi faccio la doccia e mi cambio» disse. «Ti ho tirato fuori i vestiti, sono sul letto. E sarà bene che ti faccia anche la barba. È già maledettamente lunga.» «Signoriddio, ma chi viene a cena... il principe Filippo e Jackie Onassis?» «Voglio solo che tu faccia bella figura, ecco.» Alle sette e cinque il campanello suonò e Brody andò ad aprire. Indossava una camicia azzurra di cotone operato, i pantaloni blu dell'uniforme e sandali neri. Si sentiva fresco, in ordine. Sciccoso, aveva detto Ellen. Ma quando aprì l'uscio a Hooper si sentì, se non sciatto, surclassato. L'altro portava dei jeans scampanati in fondo, mocassini, niente calze, e una maglietta rossa con un piccolo coccodrillo sul petto. La tenuta classica della gioventù ricca di Amity. «Salve» disse Brody. «Entri.» «Salve» rispose Hooper. Si strinsero la mano. Ellen arrivò dalla cucina. Indossava una lunga gonna di tessuto indiano, sandali, e una camicetta di seta azzurra. Al collo aveva il filo di perle coltivate che Brody le aveva offerto come regalo di nozze. «Matthew» esclamò. «Sono felice che tu sia venuto.» «Ti sono grato io di avermi invitato» replicò lui stringendole la mano. «Scusa se non ho un aspetto molto formale, ma mi sono portato solo abiti da lavoro. Al massimo posso dire che sono puliti.» «Non dire sciocchezze» ribatté Ellen. «Sei splendido. Quel rosso va ma-
gnificamente con l'abbronzatura e il colore dei capelli.» Hooper si mise a ridere, poi si rivolse a Brody: «Le spiace se do una cosa a Ellen?». «E cioè?» domandò Brody. Si chiese: darle cosa? un bacio? una scatola di cioccolatini? un pugno sul naso? «Un regalino. Una sciocchezza. Solo una piccola cosa.» «Prego, faccia pure» rispose Brody, ancora perplesso per quella domanda. Hooper si frugò nella tasca dei jeans e ne cavò un pacchettino avvolto in carta velina. Lo consegnò a Ellen dicendo: «Alla padrona di casa, per farmi perdonare l'abbigliamento». Ellen ebbe un risolino e aprì con cura l'involto: conteneva una specie di ciondolo, o forse un pendente, largo circa tre centimetri. «È delizioso,» osservò lei «ma cos'è?» «Un dente di squalo» spiegò Hooper. «Di uno squalo tigre, per la precisione. È montato in argento.» «Dove l'hai trovato?» «A Macao. Ci sono passato un paio d'anni fa, per motivi di lavoro. C'era un negozietto mezzo nascosto, di un cinese piccolo piccolo che passava la vita a lucidare denti di squalo e fare le montature d'argento. Non ho resistito alla tentazione.» «Macao» ripeté Ellen. «Non saprei trovarlo su una carta geografica neppure se ci fossi costretta. Dev'essere affascinante.» Brody disse: «È vicino a Hong Kong». «Esatto» confermò Hooper. «Ad ogni modo c'è una credenza popolare a proposito di questi denti, e cioè che proteggono dai pescecani, a portarli addosso. Date le attuali circostanze mi è parso adatto.» «Puoi dirlo» annuì Ellen. «E ne hai uno anche tu?» «Sì,» rispose Hooper «ma non so dove metterlo. Non mi va di portare roba al collo e ho scoperto anche che se si tiene un dente di squalo nella tasca dei pantaloni si corrono due rischi. Uno è quello di trovarselo conficcato nella gamba, e l'altro è farsi un sette nei calzoni. È come portarsi appresso un coltello a serramanico aperto. Così nel mio caso la praticità ha la meglio sulla superstizione, almeno finché sono sulla terraferma.» Ellen rise, poi si rivolse a Brody: «Martin, posso chiederti un favore enorme? Vai di sopra a prendermi quella catenella d'argento che è nel mio astuccio dei gioielli. Voglio mettermi subito al collo questo dente». E a Hooper: «Non si sa mai, potrei anche trovarmi davanti a un pescecane sta-
sera a cena». Brody si avviò su per le scale ed Ellen aggiunse: «Oh, Martin, dì ai ragazzi di scendere». Mentre girava l'angolo del pianerottolo in cima alle scale, Brody sentì la voce di Ellen: «Ma che bello rivederti». Brody andò in camera e sedette sulla sponda del letto. Trasse un profondo respiro, aprendo e chiudendo il pugno. Lottava contro collera e paura, e stava perdendo. Si sentiva minacciato: quell'estraneo era penetrato in casa sua, in possesso di armi subdole, intangibili, cui lui non poteva far fronte: fascino, giovinezza, mondanità e, soprattutto, un'intesa con Ellen nata in un periodo che, Brody lo sapeva, sua moglie avrebbe voluto non si fosse mai chiuso. Aveva pensato che Ellen volesse servirsi di Hooper per far colpo su altri villeggianti, ma adesso sentiva che voleva far colpo proprio su Hooper. Non capiva perché. Forse si sbagliava. Dopotutto Ellen e Hooper si erano conosciuti tanti anni prima. Forse stava ingigantendo la cosa: erano solo due amici che cercavano di ristabilire i contatti. Amici? Cribbio, Hooper doveva avere dieci anni meno di Ellen, o quasi. Come potevano essere stati amici? Conoscenze, al massimo. E allora perché quella scena ultrasofisticata? La sviliva, pensò Brody; ed era umiliante per lui che Ellen cercasse, assumendo una posa, di rinnegare la loro vita insieme. «Al diavolo» disse a voce alta. Si alzò, aprì un cassetto e si mise a frugare cercando l'astuccio dei gioielli. Ne prese la catenina d'argento, richiuse il cassetto e uscì sul pianerottolo. Si affacciò alla stanza dei ragazzi: «Plotone, carica». E si avviò giù per le scale. Ellen e Hooper sedevano alle due estremità del divano, e mentre entrava nel soggiorno Brody sentì Ellen che diceva: «O preferisci che non ti chiami Matthew?». Hooper si mise a ridere e rispose: «Non mi dà affatto fastidio. È un po' come tornare indietro nel tempo, cosa che, a dispetto di quanto dicevo l'altro giorno, non è sgradevole». L'altro giorno? si chiese Brody. Nel negozio di ferramenta? Devono averne fatte di chiacchiere. «Ecco qui» disse consegnando la catenina a Ellen. «Grazie» rispose lei. Sganciò il filo di perle e lo buttò sul tavolinetto. «Adesso, Matthew, fammi vedere come devo metterlo.» Brody raccolse le perle e le infilò in tasca. I ragazzi discesero le scale in fila indiana, tutti per benino in pantaloni e camicia. Ellen si agganciò la catenina d'argento attorno al collo, sorrise a
Hooper e disse: «Venite, ragazzi. Vi presento Mr. Hooper. Questo è Billy. Ha quattordici anni». Billy strinse la mano a Hooper. «E questo è Martin Junior. Dodici anni. E questo è Sean, che ne ha nove... quasi nove. Mr. Hooper è un oceanografo.» «Un ittiologo, per la verità» precisò Hooper. «Cosa vuol dire?» domandò Martin Junior. «Uno zoologo specializzato in pesci.» «E cos'è uno zoologo?» volle sapere Sean. «Io lo so» intervenne Billy. «È uno che studia gli animali.» «Proprio» confermò Hooper. «Bravo.» «Ha intenzione di catturare quello squalo?» chiese Martin. «Voglio cercare di rintracciarlo» spiegò Hooper. «Ma poi, chi lo sa. Potrebbe essersi già allontanato.» «Ha mai catturato uno squalo?» «Sì, ma mai grandi quanto questo.» Sean si informò: «Gli squali depongono le uova?». «Ecco una domanda interessante,» osservò Hooper «e la risposta è complessa. Non come le galline, se è questo che intendi. Però sì, alcuni squali hanno uova.» «Lasciate tirare il fiato a Mr. Hooper, ragazzi» intervenne Ellen. Si rivolse a Brody: «Martin, ci daresti da bere?». «Certo. Cosa volete?» «Per me andrebbe bene un gin con acqua tonica» disse Hooper. «E tu, Ellen?» «Vediamo. Di cosa ho voglia? Credo che prenderò semplicemente un vermouth con ghiaccio.» «Ehi, mamma,» domandò Billy «cos'hai al collo?» «Un dente di squalo. Me l'ha regalato Mr. Hooper.» «Mica male. Posso dare un'occhiata?» Brody passò in cucina. I liquori si trovavano in un armadietto sopra il lavandino. L'anta era bloccata. Diede uno strattone e la maniglia gli restò in mano. Senza pensare la cacciò nel secchio della spazzatura. Prese un cacciavite da un cassetto e riuscì ad aprire l'antina. Vermouth. Di che colore era quell'accidenti di bottiglia? Nessuno beveva mai vermouth con ghiaccio. Quando beveva, e capitava di rado, Ellen prendeva whisky con soda. Verde. Eccola là, proprio in fondo. Brody recuperò la bottiglia, tolse il tappo e annusò. Sembrava uno di quei vini dolciastri, scadenti, che i barboni comperano a settanta cents per mezzo litro.
Brody preparò il gin e il vermouth, poi si versò un whisky. Per forza d'abitudine tirò fuori il misurino poi cambiò idea e riempì il proprio bicchiere per un buon terzo. Vi aggiunse dell'acqua tonica e qualche cubetto di ghiaccio. L'unico sistema per poter portare di là tutti e tre i bicchieri era tenerne uno in una mano e due con l'altra, infilando un dito in uno dei due. Prese una lunga sorsata di whisky e tornò nel soggiorno. Billy e Martin si erano piazzati sul divano insieme a Ellen e Hooper. Sean era seduto sul pavimento. Brody sentì che Hooper parlava di un maiale. Martin esclamò: «Accidenti!». «Ecco qui» annunciò Brody, porgendo il primo bicchiere, quello in cui teneva il dito, a Ellen. «Vorrà dire che non le darò la mancia, signore» disse lei. «Meno male che non hai deciso di fare il cameriere.» Brody la guardò, passando in rassegna tutta una serie di rimbeccate secche, e si decise per un: «Mi perdoni, signora duchessa». Tese l'altro bicchiere a Hooper dicendo: «Spero che vada bene». «Magnifico. Grazie.» «Matt stava raccontandoci di uno squalo che ha catturato» spiegò Ellen. «Aveva nello stomaco un maiale quasi intero.» «Ma davvero» mormorò Brody accomodandosi in una poltrona di fronte al divano. «E non solo, papà» aggiunse Martin. «C'era anche un rotolo di carta catramata.» «E un osso umano» rincarò Sean. «Ho detto che sembrava un osso umano» corresse Hooper. «Era impossibile accertarcene, al momento. Poteva trattarsi di una costola di bue.» «Pensavo che voi specialisti poteste stabilire a colpo d'occhio queste faccende» osservò Brody. «Non sempre» rispose Hooper. «Soprattutto quando si tratta solo di un pezzo di osso come una costola.» Brody prese una lunga sorsata limitandosi a un «Oh». «Ehi, papà,» disse Billy «sai come fa la focena a uccidere uno squalo?» «Con un fucile?» «Macché. A botte in testa. Così dice Mr. Hooper.» «Incredibile» commentò Brody, e scolò il bicchiere. «Io ne prendo un altro. E voi?» «In un giorno feriale?» disse Ellen. «Povera me.» «Perché no? Non capita tutte le sere di dare una cena in grande stile.»
Brody si avviò verso la cucina ma fu interrotto dal campanello. Aprì la porta e vide Dorothy Meadows, piccola e minuta, che indossava come sempre un abito blu scuro e un unico filo di perle. Alle sue spalle c'era una ragazza che Brody immaginò fosse Daisy Wicker: alta, snella, con lunghi capelli lisci, il volto privo di trucco. Indossava pantaloni e sandali. Dietro di lei si profilava la sagoma massiccia e inconfondibile di Harry Meadows. «Ehilà» salutò Brody. «Venite, entrate.» «Buonasera, Martin» disse Dorothy Meadows. «Abbiamo incontrato Miss Wicker proprio mentre imboccavamo il vialetto.» «Sono venuta a piedi» spiegò Daisy Wicker. «È una bella serata.» «Bene, bene. Si accomodi. Sono Martin Brody.» «Lo so. L'ho vista qualche volta sull'auto della polizia. Deve essere un lavoro interessante, il suo.» «Disposto a parlargliene a lungo» rispose Brody ridendo. «Solo che con tutta probabilità lei si addormenterebbe.» Li fece passare nel soggiorno lasciando a Ellen il compito di fare le presentazioni. Chiese cosa volevano bere: bourbon con ghiaccio per Harry, acqua brillante con scorzetta di limone per Dorothy, e gin e acqua tonica per Daisy Wicker. Ma prima di mettere insieme gli aperitivi per la compagnia ne preparò un altro per sé che sorseggiò mentre si affaccendava per gli ospiti. Quando fu pronto a ricomparire nel soggiorno aveva vuotato a mezzo il proprio bicchiere: vi fece una generosa aggiunta di whisky con un goccio di acqua tonica. Consegnò prima i bicchieri di Dorothy e di Daisy, poi tornò in cucina a prendere quelli di Meadows e il proprio. Stava ingollando un ultimo sorso prima di raggiungere gli altri quando Ellen entrò in cucina. «Non sarebbe meglio andarci pianino?» gli domandò. «Sto a meraviglia» rispose lui. «Non preoccuparti.» «Non stai brillando per gentilezza.» «No? Credevo di essere al massimo della simpatia.» «Proprio no.» Le sorrise e disse: «Merda secca» e mentre lo diceva si accorse che Ellen aveva ragione: meglio andarci pianino. Rientrò nel soggiorno. I ragazzi erano tornati di sopra. Dorothy Meadows sedeva sul divano accanto a Hooper e stavano parlando del lavoro di lui a Woods Hote. Meadows, nella poltrona di fronte, ascoltava in silenzio. Daisy Wicker era in piedi, isolata, all'altro capo della stanza, vicino al caminetto, e si guardava attorno con un mezzo sorriso. Brody porse il bicchiere a Meadows e si ac-
costò a Daisy. «Sta sorridendo» osservò. «Davvero? Non me ne ero accorta.» «Pensava a qualcosa di buffo?» «No. Ero semplicemente incuriosita. Non mi sono mai trovata in casa di un poliziotto prima d'oggi.» «Cosa si aspettava: sbarre alle finestre? Una guardia alla porta?» «No, nulla. Ero solo curiosa.» «E che conclusioni ha tratto? Sembra la casa di una persona qualsiasi, no?» «Direi di sì. Più o meno.» «Che vorrebbe dire?» «Nulla.» «Oh.» Lei prese un sorsetto e chiese: «Le piace fare il poliziotto?». Brody non riuscì a stabilire se c'era o no ostilità in quella domanda. «Sì» rispose. «È un lavoro che mi piace, e ha una sua funzione.» «Quale?» «Ma come?» replicò lui un po' irritato. «Far rispettare la legge.» «E non si sente alienato?» «Perché diavolo dovrei sentirmi alienato? Alienato da che?» «Dalla gente. Voglio dire, l'unico fatto che giustifichi la sua esistenza è il dire agli altri cosa non devono fare. Questo non la fa sentire sfasato?» Per qualche istante Brody pensò che lo prendesse in giro, ma la ragazza non sorrideva, né ammiccava, né distoglieva gli occhi dai suoi. «No, niente affatto» dichiarò. «Non vedo perché dovrei sentirmi sfasato più di quanto possa succedere a lei, a lavorare in quel negozio, come si chiama.» «Il Bibelot.» «Già. A proposito, cosa vendete?» «Il passato. La serenità che questo offre.» «Cosa significa, il passato?» «Oggetti d'antiquariato. Vengono acquistati da persone che detestano il loro presente e hanno bisogno della sicurezza del loro passato. O se non del loro, di qualcun altro. Una volta comperato, diventa il loro. Scommetto che anche per lei è importante.» «Cosa, il passato?» «No, la sicurezza. Non è per questo che uno fa il poliziotto?» Brody lanciò un'occhiata agli altri e notò che il bicchiere di Meadows
era vuoto. «Mi scusi,» disse «devo occuparmi degli ospiti.» «Ma certo. È stato un piacere parlare con lei.» Brody portò in cucina il bicchiere di Meadows e il proprio. Ellen stava versando delle patatine fritte in una ciotola. «Dove diavolo sei andata a pescare quella ragazza?» domandò. «Dev'esserci proprio voluto il lanternino.» «Chi, Daisy? Te l'ho detto, lavora al Bibelot.» «Hai mai parlato con lei?» «Qualche parola. Mi è parsa molto carina e sveglia.» «È una stronza. Come certi ragazzi che quando li fermiamo attaccano a fare gli spiritosi.» Preparò il bourbon per Meadows e un altro whisky per sé. Alzò gli occhi e notò che Ellen stava osservandolo. «Che ti piglia?» gli chiese. «Non mi va che degli estranei vengano in casa mia a insultarmi.» «Ti prego, Martin. Sono sicura che non intendeva offenderti. Probabilmente parlava solo con franchezza. Sai che oggi si usa essere molto aperti.» «Be', se si azzarda a insistere con la franchezza, la butto fuori, garantito.» Prese i due bicchieri e si diresse alla porta. Ellen disse: «Martin...» e lui si fermò. «Fallo per amor mio... ti prego.» «Non stare a preoccuparti. Andrà tutto benissimo. Come dicono alla pubblicità, vai tranquilla.» Riempì di nuovo il bicchiere di Hooper e quello di Daisy Wicker ma non il suo. Quindi sedette e centellinò il proprio whisky ascoltando una lunga storia che Meadows stava raccontando a Daisy. Brody si sentiva a posto, ottimamente anzi, e capiva che, se non avesse bevuto altro prima di cena, tutto sarebbe filato liscio. Alle otto e mezzo Ellen portò i piatti della minestra dalla cucina e li dispose attorno al tavolo. «Martin,» chiese «vorresti aprire le bottiglie di vino mentre io faccio accomodare i nostri ospiti?» «Vino?» «In cucina ce ne sono tre bottiglie. Una di bianco in frigorifero, e due di rosso sul ripiano. Puoi aprirle tutte. Quello rosso deve poter "respirare" un po'.» «Naturale» annuì Brody alzandosi. «Come tutti.» «Oh, il tire-bouchin è sul ripiano accanto alle bottiglie.» «Il che?» Intervenne Daisy Wicker. «Si dice tire-bouchon. Il cavatappi.»
Brody provò un piacere maligno vedendo Ellen arrossire: si sentiva vendicato. Trovò il cavatappi e si mise all'opera sulle bottiglie di vino rosso. Il primo tappo venne via liscio, ma il secondo si sbriciolò mentre lo estraeva, e alcuni frammenti caddero dentro. Prese dal frigorifero la bottiglia di vino bianco e mentre la stappava gli si ingarbugliò la lingua nel tentativo di pronunciare il nome del vino: Montrachet. Arrivò a quella che gli parve una pronuncia accettabile, asciugò la bottiglia con uno strofinaccio e la portò nella sala da pranzo. Ellen era seduta all'estremità del tavolo più vicina alla cucina, aveva Hooper alla sinistra e Meadows alla destra. Accanto a Meadows c'era Daisy Wicker, poi un posto vuoto per Brody all'altro capo del tavolo e, di fronte a Daisy, Dorothy Meadows. Brody piegò il braccio sinistro dietro la schiena e, ritto alle spalle di Ellen, le versò del vino. «Mount Ratchet,» annunciò «del 1970, ottima annata. La ricordo bene.» «Basta» mormorò Ellen dando un colpetto al collo della bottiglia. «Non riempire fino all'orlo.» «Chiedo scusa» disse Brody, e passò a versare a Meadows. Quando ebbe terminato di servire il vino, sedette e contemplò la minestra che aveva dinanzi. Poi lanciò un'occhiata furtiva attorno al tavolo e vide che gli altri stavano proprio mangiando: non era uno scherzo. Ne prese una cucchiaiata: era fredda, e non sembrava affatto una minestra, ma non era male. «Io adoro il gazpacho,» dichiarò Daisy «ma è un tale traffico prepararlo che non lo faccio quasi mai.» «Uhm» borbottò Brody, prendendone un'altra cucchiaiata. «Voi lo mangiate spesso?» «No» rispose lui. «Non molto spesso.» «Ha mai provato un E e G?» «Non mi pare.» «Dovrebbe provarlo, una volta. Certo, forse potrebbe non piacerle, visto che è contro la legge.» «Vuol dire che mangiare quella cosa che dice lei è contro la legge? E perché? Di che si tratta?» «Erba e gazpacho. Ma invece delle erbe aromatiche, lo si cosparge con un altro tipo di erba, chiaro? Poi si fuma un pochino, si mangia un pochino, si fuma un pochino, si mangia un altro pochino. È veramente straordinario.»
Occorse qualche istante a Brody per capire, e anche quando comprese non rispose subito. Inclinò la fondina verso di sé, raccolse l'ultima cucchiaiata di minestra, vuotò il bicchiere in un sorso solo e si asciugò la bocca con il tovagliolo. Poi guardò Daisy che gli sorrideva amabilmente, e Ellen, che sorrideva di qualcosa che Hooper stava dicendole. «Sul serio» insisté Daisy. Brody decise di stare calmo - indulgente e al tempo stesso seccato, ma sempre calmo, per non innervosire Ellen. «Sa,» cominciò «non trovo...» «Scommetto che Matt ci ha provato.» «Può darsi. Non vedo cosa...» Daisy alzò il tono di voce per dire: «Matt, scusami». La conversazione all'altro capo del tavolo si interruppe. «Solo per curiosità. Hai mai provato il E e G? A proposito, Mrs. Brody, questo gazpacho è straordinario.» «Grazie» rispose Ellen. «Ma cos'è il E e G?» «L'ho assaggiato una volta» disse Hooper. «Ma è un tipo di cosa che non mi ha mai interessato.» «Spiegatemi» insiste Ellen. «Di che si tratta?» «Glielo dirà Matt» tagliò corto Daisy, e mentre Brody stava per dirle qualcosa, si protese verso Meadows pregandolo: «Mi spieghi ancora quella faccenda del livello dell'acqua». Brody si alzò e cominciò a togliere le fondine. Mentre si dirigeva in cucina cominciò ad avvertire una leggera nausea, e delle vertigini: aveva la fronte madida di sudore. Ma quando ebbe depositato i piatti nel lavello era già passato tutto. Ellen lo seguì in cucina e si legò un grembiule attorno alla vita. «Ho bisogno di una mano per tagliare la carne.» «A tua disposizione» rispose lui cercando nel cassetto il coltello e il forchettone. «Che te n'è parso?» «Di che?» «Quella storia dell'E e G. Hooper ti ha spiegato di che si tratta?» «Sì. Divertente, non trovi? Dev'essere mica male.» «Come fai a dirlo?» «Non hai idea di quel che combinano le signore quando si ritrovano tra loro. Ecco qui, taglia.» Servendosi del forchettone a due denti passò l'arrosto sull'asse di legno. «Fette alte un dito, se puoi, come per il filetto.» Quella strega della Wicker aveva visto giusto almeno su un fatto, si disse Brody mentre affettava la carne: sicuro come l'oro che in questo momento mi sento alienato. La prima fetta di carne cadde sul tagliere e Brody
osservò: «Ehi, mi pareva avessi detto che si trattava di agnello». «Infatti.» «Non è neanche cotto. Guarda qui.» Sollevò il pezzo di carne. Era rosa e, verso il centro, quasi rosso. «Così deve essere.» «No, se è agnello proprio no. L'agnello deve essere cotto a dovere, ben cotto.» «Martin, credimi. L'agnello in bellavista deve essere a mezza cottura. Ti garantisco.» Brody alzò la voce: «Io non mangerò mai dell'agnello crudo!». «Ssst! Per l'amor di Dio! Non puoi parlare piano?» «E allora rimetti in forno quest'affare, a finire di cuocere» replicò Brody in un bisbiglio rauco. «Ma è cotto!» ribatté Ellen. «Puoi anche non mangiarlo, se non vuoi, ma io lo servo così.» «Allora taglialo tu.» Brody buttò coltello e forchettone sull'asse, afferrò le due bottiglie di vino rosso e uscì. «Ci sarà da aspettare un pochino,» spiegò avvicinandosi al tavolo «intanto che la cuoca macella la nostra cena. Voleva servirla così com'era, ma le ha dato un morso a una gamba.» Cominciò a versare il vino e commentò: «Non capisco perché non si possa servire il vino rosso nel medesimo bicchiere in cui si è bevuto quello bianco». «Perché il gusto si rovinerebbe» spiegò Meadows. «Che palato delicato!» Brody riempì i sei bicchieri e sedette. Prese un sorso di vino. «Buono» disse, bevve ancora e se ne versò dell'altro. Ellen arrivò reggendo il tagliere che depose sulla credenza vicino a una pila di piatti. Tornò in cucina e ricomparve con due vassoi di verdura. «Spero che sia buono» disse. «Non l'ho mai fatto prima.» «Cos'è?» domandò Daisy Wicker. «Il profumo è delizioso.» «Agnello in bellavista. Marinato.» «Davvero? Cos'ha messo nella marinata?» «Zenzero, salsa di soia e un mare di altre cose.» Depose su ciascun piatto una grossa fetta di carne, vi aggiunse asparagi e zucchini e li passò via via a Meadows che li distribuì agli altri. Quando tutti furono serviti, ed Ellen fu tornata al suo posto, Hooper sollevò il bicchiere proponendo: «Un brindisi allo chef». Anche gli altri alzarono il bicchiere e Brody borbottò: «Buona fortuna». Meadows prese un boccone di carne, lo masticò assaporandolo e disse:
«Favoloso. Sembra un filetto tenerissimo, ma meglio ancora. Un gusto fantastico». «Detto da te Harry, è un complimento eccezionale» lo ringraziò Ellen. «Delizioso» confermò Dorothy. «Prometti di darmi la ricetta. Harry non me la perdonerebbe mai se non glielo facessi trovare in tavola almeno una volta alla settimana.» «Meglio che si affretti a dare l'assalto a una banca, allora» commentò Brody. «Ma è delizioso, Martin, non trovi?» Brody non rispose. Aveva cominciato a masticare un boccone quando avvertì un'altra ondata di nausea. Si sentiva distaccato, come se il suo corpo fosse controllato da qualcun altro. Quella mancanza di padronanza gli fece paura. Sentiva la forchetta pesantissima e per un attimo temette che potesse scivolargli dalle dita e cadere fragorosamente sul tavolo. La strinse in pugno e tenne duro. Era certo che se avesse cercato di parlare, la lingua aon gli avrebbe ubbidito. Era colpa del vino. Doveva essere il vino. Concentrato al massimo allungò il braccio per allontanare il bicchiere. Fece scorrere le dita lungo la tovaglia per ridurre il rischio di rovesciarlo. Si appoggiò allo schienale e respirò a fondo. La vista gli si offuscò. Cercò di metterla a fuoco su un quadro oltre la testa di Ellen, ma fu distratto dall'immagine di lei che discorreva con Hooper. Ogni volta che gli rivolgeva la parola gli toccava il braccio, appena appena ma, pensò Brody, era un gesto intimo, come se avessero dei segreti in comune. Non riusciva a udire quel che dicevano gli altri. L'ultima cosa che ricordava di avere sentito era: "Non trovi?". Quando era stato? Chi l'aveva detto? Non lo sapeva. Guardò Meadows: stava parlando con Daisy. Poi guardò Dorothy e con voce spessa biascicò: «Sì». «Come hai detto, Martin?» Lei alzò il capo a guardarlo. «Dicevi qualcosa?» Non riusciva a parlare. Avrebbe voluto alzarsi e rifugiarsi in cucina, ma non si fidava delle proprie gambe. Non ce l'avrebbe mai fatta senza aggrapparsi a qualcosa. Resta tranquillo a sedere, si disse. Ora passa. E difatti. La mente cominciò a snebbiarglisi. Ellen stava di nuovo sfiorando Hooper. Parlava e lo toccava; parlava e lo toccava. «Accidenti, che caldo.» Si levò in piedi dirigendosi a passo cauto ma fermo verso una finestra e sollevò il pannello inferiore. Si piegò sul davanzale poggiando la fronte contro il vetro superiore. «Bella serata» mormorò. Poi si raddrizzò. «Vado a prendere un bicchiere d'acqua.» Andò in cucina e scrollò la testa.
Aprì il rubinetto dell'acqua fredda e si bagnò la fronte. Riempì un bicchiere e lo bevve, lo riempì di nuovo e buttò giù anche quello. Respirò a fondo tre o quattro volte, tornò in sala da pranzo e sedette. Guardò il cibo nel suo piatto. Dominò un brivido e sorrise a Dorothy. «Qualcuno ne vuole ancora?» domandò Ellen. «Qui ce n'è in abbondanza.» «Sicuro» rispose Meadows. «Meglio servire prima gli altri, però. A lasciarmi fare spazzerei via tutto.» «E so già cosa diresti domani» disse Brody. «E cioè?» «Non so come ho fatto a mangiare tutta quella roba» dichiarò Brody con voce solenne, profonda. Meadows e Dorothy scoppiarono a ridere. Forse tutto sarebbe andato per il meglio. Giunti al dessert - gelato al caffè innaffiato di crema cacao - Brody stava bene. Si servì due volte di gelato e chiacchierò allegramente con Dorothy. Sorrise quando Daisy raccontò di quando aveva mescolato della marijuana al ripieno del tacchino per il Giorno del Ringraziamento. «L'unico guaio,» spiegò Daisy «è stato che la mattina del Ringraziamento mi ha telefonato una vecchia zia per chiedermi se poteva venire a cena da me. E il tacchino era già bell'e pronto e farcito.» «E com'è andata?» volle sapere Brody. «Ho cercato di passargliene un pezzo senza ripieno, ma lei ne ha voluto a tutti i costi e allora mi sono detta al diavolo e gliene ho servito una buona dose.» «E poi?» «Al termine della cena lei si faceva un sacco di risatine e ha voluto persino ballare. C'era la musica di Hair, pensi un po'.» «Meno male che non ero presente» osservò Brody. «L'avrei posta in arresto per corruzione di vecchietta.» Presero il caffè nel soggiorno e Brody offrì i liquori, ma solo Meadows accettò. «Appena un pochino di brandy, se ne hai.» Brody lanciò un'occhiata a Ellen come per chiederle: ne abbiamo? «Nella credenza, mi pare» rispose lei. Brody servì Meadows e per un attimo ebbe la tentazione di prendere un bicchierino anche lui. Ma resisté dicendosi: non forzare la mano alla buona stella. Poco dopo le dieci Meadows sbadigliò e disse: «Dorothy, sarà meglio
che ci congediamo. Mi è difficile soddisfare le aspettative del pubblico se sto in piedi fino a tardi». «Anch'io dovrei andare» dichiarò Daisy. «Devo essere al negozio alle otto. Anche se in questi giorni non si vende gran che.» «Non è la sola, mia cara» fece notare Meadows. «Lo so. Ma quando si guadagna a provvigione, allora te ne accorgi davvero.» «Be', speriamo che il peggio sia passato. Da quanto dice il nostro esperto qui presente, ci sono buone probabilità che il leviatano se ne sia andato.» Meadows si alzò. «Qualche probabilità» precisò Hooper. «Almeno spero.» Si levò in piedi a sua volta. «Anch'io dovrò salutare.» «Oh, non andartene!» esclamò Ellen. Quella frase le uscì con più impeto di quanto avesse voluto. Invece di un cordiale invito suonò come una supplica. Imbarazzata si affrettò ad aggiungere: «Voglio dire, è ancora presto. Solo le dieci». «Lo so» rispose Hooper. «Ma se domani il tempo è bello conto di alzarmi presto e uscire in mare. Inoltre ho l'auto e potrei dare un passaggio a Daisy.» «Buona idea» commentò l'interessata. La sua voce, al solito, era priva di intonazione o di espressione, non suggeriva nulla. «Possono accompagnarla i Meadows» fece notare Ellen. «Certo» annuì Hooper «ma davvero è meglio che vada, in modo da potermi alzare presto. Grazie del pensiero, comunque.» Sulla porta d'ingresso si scambiarono i saluti: complimenti formali, ringraziamenti esagerati. Hooper fu l'ultimo a uscire, e quando tese la mano a Ellen, lei la prese con entrambe le sue e disse: «E ancora grazie per il dente di squalo». «Ma figurati. Sono contento che ti sia piaciuto.» «E grazie per avere avuto tanta pazienza con i ragazzi. Sono rimasti incantati.» «Anch'io. Mi ha fatto una certa impressione, però. Dovevo avere più o meno l'età di Sean quando ti ho conosciuta. E non sei cambiata molto.» «Be', tu di sicuro sei cambiato.» «Lo spero bene. Non vorrei proprio avere nove anni per tutta la vita.» «Ti rivedremo prima che riparti?» «Contaci.» «Magnifico.» Gli lasciò la mano. Lui rivolse una rapida buonanotte a
Brody e raggiunse la sua auto. Ellen restò sulla soglia finché anche l'ultima auto fu uscita dal vialetto, poi spense la luce esterna. Senza una parola cominciò a radunare bicchieri, tazzine da caffè e portaceneri nel soggiorno. Brody portò una pila di piatti da dessert in cucina, li depose nel lavandino e osservò: «Be', è andata bene». L'aveva detto tanto per dire, e non si aspettava una risposta particolare. «Non per merito tuo» replicò Ellen. «Come?» «Sei stato disgustoso.» «Io?» Era sinceramente sorpreso dalla violenza di quell'attacco. «So di essere stato un po' sgradevole a un certo momento, ma non mi pareva...» «Per tutta la serata, dall'inizio alla fine, sei stato disgustoso.» «Ma che razza di scemenze!» «Sveglierai i ragazzi!» «Non me ne frega un accidenti. Non me ne starò certo qui a lasciarti sfogare le tue nevrosi dicendo a me che sono un cafone.» Ellen ebbe un sorriso acido. «Lo vedi? Ricominci daccapo.» «Ricomincio daccapo cosa? A che ti riferisci?» «Non intendo discuterne.» «Ecco, facile. Non vuoi stare a discuterne. Senti... okay, avevo torto, per quell'arrosto maledetto. Non avrei dovuto fare tante storie. Scusami. E ora...» «Ho detto che non voglio discuterne!» Brody era disposto a litigare, ma si trattenne: capiva che le sue uniche armi erano la crudeltà e le insinuazioni maligne, e che Ellen era prossima alle lacrime. E le lacrime, di dolore o di rabbia, lo sconcertavano sempre. Così si limitò a dire: «Be', ti chiedo scusa». Uscì dalla cucina e salì le scale. In camera da letto, mentre si spogliava, gli venne in mente che la causa di quell'attrito, la fonte di tutta quella tensione era un pesce: un animale ottuso che lui non aveva mai visto. Sorrise di quell'assurdità. Si infilò sotto le coperte e, non appena posò il capo sul cuscino, sprofondò in un sonno senza sogni Un ragazzo sedeva a un'estremità del lungo banco di mogano del Randy Bear, a bere birra insieme alla sua ragazza. Lui aveva diciotto anni, ed era il figlio del farmacista di Amity.
«Prima o poi dovrai dirglielo» osservò lei. «Lo so. E lui farà il diavolo a quattro.» «Non è stata colpa tua.» «Sai cosa sosterrà lui? Che deve essere stata per forza colpa mia. Che devo avere combinato qualcosa, altrimenti mi avrebbero tenuto, e buttato fuori qualcun altro.» «Ma ne hanno licenziati parecchi.» «Ma ne hanno anche tenuti parecchi.» «Come hanno fatto a decidere chi licenziare?» «Non l'hanno spiegato. Hanno solo detto che non avevano abbastanza clienti da giustificare tutto il personale, ed erano costretti a mandare via alcuni di noi. Accidenti, mio padre farà fuoco e fiamme.» «Non può telefonare a quelli là? Conoscerà certo qualcuno. Insomma, se spiega che hai bisogno sul serio di quello stipendio, per l'università...» «Non lo farebbe mai. Sarebbe un chiedere l'elemosina.» Il ragazzo finì la sua birra. «C'è una sola cosa che posso fare. Spacciare roba.» «Oh, Michael, non farlo. È troppo pericoloso. Potresti finire dentro.» «Bella scelta, eh?» commentò acido lui. «L'università o la galera.» «E cosa diresti a tuo padre?» «Non so. Potrei dirgli che mi sono messo a vendere cinture.» VIII Brody si svegliò di soprassalto, con l'impressione che qualcosa non funzionasse. Allungò un braccio per toccare Ellen. Non c'era. Si drizzò a sedere e la vide seduta nella poltrona accanto alla finestra. La pioggia scrosciava contro i vetri, e si sentiva il vento che frustava i rami degli alberi «Che giornataccia, eh?» mormorò. Lei non rispose, continuò a guardare fisso le gocce che scivolavano lungo i vetri. «Come mai in piedi così presto?» «Non riuscivo a dormire.» Brody sbadigliò. «Io proprio non ho avuto difficoltà.» «Non mi stupisce.» «Oddio. Ricominciamo.» Ellen scosse il capo. «No. Scusa. Per carità.» Aveva l'aria depressa, malinconica. «Che succede?» «Niente.»
«Come vuoi tu.» Brody scivolò dal letto e andò in bagno. Dopo essersi fatto la barba e vestito scese dabasso in cucina. I ragazzi stavano terminando la prima colazione; Ellen era ai fornelli, a preparare un uovo al burro per lui. «Che programmi avete per oggi, con questo tempo, ragazzi?» domandò Brody. «Io pulisco le falciatrici» rispose Billy, che durante l'estate lavorava in un vivaio di fiori e piante. «La miseria, che schifo i giorni di pioggia.» «E voi altri due?» chiese rivolto a Martin e Sean. «Martin va al Beach Club» spiegò Ellen. «E Sean passerà la giornata dai Santos.» «E tu?» «Io ho giornata piena all'ospedale. Ora che mi viene in mente: non torno a casa per pranzo. Ti spiace mangiare qualcosa fuori?» «No, certo. Non sapevo che il mercoledì facessi la giornata intera.» «Di solito no. Ma una delle ragazze è malata e ho detto che l'avrei sostituita.» «Oh.» «Sarò a casa per l'ora di cena.» «Bene.» «Potresti accompagnare Sean e Martin mentre vai in ufficio? Io ho bisogno di fare alcune compere prima di andare all'ospedale.» «D'accordo.» «Passerò a prenderli quando rientro.» Brody e i due più piccoli uscirono per primi. Poi Billy, avvolto in un gran mantello impermeabile, prese la bicicletta per andare al lavoro. Ellen guardò l'orologio alla parete di cucina. Mancava qualche minuto alle otto. Troppo presto? Forse. Ma meglio rintracciarlo subito, prima che lui magari uscisse e non riuscisse più a trovarlo. Tese il braccio e cercò di controllare il tremito delle dita, senza riuscirvi. Sorrise della propria agitazione e commentò tra sé: "Bel tipo di spregiudicata". Salì di sopra, sedette sulla sponda del letto e prese la guida telefonica. Trovò il numero dell'Abelard Arms Inn, posò la mano sull'apparecchio, esitò un attimo, quindi sollevò il ricevitore e formò il numero. «Abelard Arms.» «La stanza di Mr. Hooper, per favore. Matt Hooper.» «Un momento, prego. Hooper. Ecco qui. Quattro zero cinque. Glielo passo.» Ci fu il primo squillo, poi un secondo. Ellen sentiva il battito del proprio
cuore, vedeva pulsare la vena del polso. Riappendi, si disse. Riappendi. Sei ancora in tempo. «Pronto» disse la voce di Hooper. «Oh.» Mio Dio, pensò, magari c'è Daisy Wicker in stanza con lui. «Pronto?» Ellen inghiottì e balbettò: «Salve. Sono io... cioè, sono Ellen». «Oh, salve.» «Spero di non averti svegliato.» «No. Stavo giusto scendendo a fare colazione.» «Meno male. Non è una gran bella giornata, vero?» «No, ma non ci soffro. È un lusso per me poter dormire fino a quest'ora.» «Puoi... ti sarà possibile lavorare, oggi?» «Non so. Stavo appunto cercando di decidere. Di sicuro non posso uscire con il battello e sperare di combinare qualcosa.» «Oh.» Fece una pausa, cercando di controllare la tensione. Avanti, si ordinò. Chiediglielo. «Avevo pensato...» No, attenta, prendila alla larga. «Volevo ringraziarti per quel magnifico ciondolo.» «Ma figurati. Sono contento che ti piaccia. Ma dovrei essere io a ringraziare te. È stata una bellissima serata.» «Anche per me... per noi. Sono contenta che tu sia venuto.» «Ah.» «Era come ai vecchi tempi.» «Sì.» Adesso, si disse. Avanti. Le parole uscirono fluide. «Stavo pensando che se oggi non puoi lavorare, cioè se non puoi uscire con il battello o altro, mi chiedevo se... se magari non avresti voluto... se sei libero per colazione.» «Colazione?» «Sì. Ecco, vedi, se non hai altro da fare pensavo che potremmo fare colazione insieme.» «Vuoi dire tu, il Capo e io?» «No, solo tu e io. Martin di solito mangia qualcosa in ufficio. Ma non voglio disturbare i tuoi programmi o altro. Cioè, se hai parecchio da fare...» «No, no. Va benissimo. Certo, perché no? Sicuro. Hai già in mente qualche posto?» «C'è un locale molto simpatico su a Sag Harbor. Il Banner's. Lo conosci?» Sperava di no. Neppure lei c'era mai stata, il che significava che nes-
suno l'avrebbe riconosciuta. Ma aveva sentito dire che era un buon locale, tranquillo, in penombra. «No, non ci sono mai andato» rispose Hooper. «Ma, Sag Harbor è parecchio distante.» «Non poi tanto in realtà, appena quindici venti minuti d'auto. Potremmo trovarci là, all'ora che ti va meglio.» «Qualsiasi ora mi va bene.» «Verso le dodici e mezzo, allora?» «Dodici e mezzo, d'accordo. Ci vediamo là.» Ellen riappese. Le mani ancora le tremavano, ma si sentiva euforica, elettrizzata. I suoi sensi erano desti e incredibilmente acuti. Respirava gustando tutti gli odori dell'aria, percepiva la sinfonia dei piccoli rumori domestici: cigolii, fruscii, ticchettii. Si sentiva intensamente femminile, come non le succedeva da anni: una sensazione calda e umida, piacevolissima e fastidiosa a un tempo. Andò in bagno e fece la doccia. Si depilò gambe e ascelle. Rimpianse di non avere uno di quei deodoranti intimi femminili di cui aveva visto la pubblicità, ma in mancanza di quello si cosparse di borotalco e si passò dell'acqua di colonia dietro le orecchie, all'interno dei gomiti, sul seno e sul pube. In camera da letto c'era un grande specchio e vi si pose dinanzi, a scrutarsi. La merce era di qualità? L'offerta sarebbe stata accettata? Aveva faticato per tenersi in forma, per conservare le linee agili e sinuose della giovinezza. Non tollerava il pensiero di vedersi respinta. Sì, la merce era di qualità. Le rughe al collo erano poche e si notavano appena. Il volto era levigato, senza segni. Non c'erano borse, linee appesantite o flaccide. Si tenne eretta e ammirò il contorno dei seni. La vita era sottile, il ventre piatto: frutto di ore e ore di ginnastica dopo ogni parto. L'unico problema, si disse mentre osservava criticamente il proprio fisico, erano i fianchi. Con tutta la buona volontà possibile non si potevano definire anche da adolescente. Indicavano a tutte lettere la maternità. Erano, come aveva detto una volta Brody, fianchi di fattrice. Quel ricordo suscitò un breve lampo di rimorso, ma l'eccitazione lo cancellò in fretta. Le gambe erano lunghe e, salvo il cuscinetto di grasso in alto, snelle. Le caviglie delicate e i piedi, con le unghie ben curate, eleganti, tali da soddisfare qualsiasi feticista. Indossò l'uniforme dell'ospedale. Poi prese dal fondo dell'armadio una borsa di plastica in cui mise un paio di minuscoli slip, un reggiseno, un a-
bito estivo color lavanda, ripiegato con cura, un paio di scarpette a tacco basso, una bomboletta di deodorante spray, un flacone di plastica di borotalco, uno spazzolino da denti e un tubetto di dentifricio. Portò la borsa nella rimessa, la buttò sul sedile posteriore della Volkswagen, usci dal vialetto in retromarcia e si diresse all'ospedale di Southampton. Quel tragitto noioso accrebbe la stanchezza che si sentiva addosso da ore. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Prima se n'era rimasta distesa a letto, poi si era seduta vicino alla finestra a combattere con emozioni aggrovigliate: voce della coscienza, desiderio e rimpianto, nostalgia e recriminazioni. Non sapeva esattamente quando si era decisa a quel colpo di testa chiaramente temerario, pericoloso. L'aveva avuto in mente - e aveva cercato di allontanarlo - fin dal giorno che si era imbattuta in Hooper. Aveva soppesato i rischi ed era giunta alla conclusione che valeva la pena di correrli, per quanto non sapesse con precisione cosa potesse guadagnare da quell'avventura. Sapeva di volere qualcosa di diverso, non importava cosa. Voleva avere la certezza di essere desiderabile, non solo agli occhi di suo marito, cosa che dava per scontata, ma anche per quelli dell'ambiente a cui sentiva ancora di appartenere. Aveva la sensazione che se non interveniva in qualche modo, quella parte di sé a cui più teneva si sarebbe spenta. Forse il passato non poteva tornare a vivere, ma forse poteva essere rievocato fisicamente oltre che mentalmente. Voleva un'iniezione, una trasfusione dell'essenza del suo passato, e Matt Hooper era ai suoi occhi l'unico possibile donatore. L'idea di un "amore" non l'aveva neppure sfiorata. Né desiderava o si aspettava una relazione profonda e durevole. Voleva solo un episodio che la placasse, la rinnovasse. Per fortuna all'ospedale le assegnarono dei compiti che richiedevano concentrazione e la costringevano a parlare, così che non poteva pensare. Lei e un'altra volontaria cambiarono le lenzuola ai letti di anziane ricoverate per le quali l'ospedale era ormai un surrogato di casa, e che alcune non avrebbero più lasciato. Doveva tenere a mente i nomi di figli che si trovavano in città lontane, doveva inventare sempre nuove giustificazioni alla mancanza di lettere. Doveva fingere di avere presenti le trame dei telefilm e fare ipotesi sul perché quel certo personaggio aveva lasciato la moglie per una donna che chiaramente era un'avventuriera. Alle dodici meno un quarto Ellen disse alla capo infermiera di non sentirsi bene. La tiroide aveva ricominciato a darle dei fastidi, ed era vicina al ciclo mestruale. Sarebbe andata a sdraiarsi per un po' nella sala del personale. E se con un sonnellino non si fosse rimessa in sesto, aggiunse, magari
se ne sarebbe tornata a casa. Anzi, se non si fosse ripresentata entro l'una e mezzo voleva dire che se n'era andata. Una spiegazione abbastanza vaga, sperava, da evitare che qualcuno si desse daffare per rintracciarla. Andò nella sala del personale, contò fino a venti, poi socchiuse la porta per vedere se il corridoio era deserto. E difatti. Quasi tutto il personale a quell'ora si trovava, o stava andando, alla tavola calda all'altro capo dell'edificio. Uscì nel corridoio, richiuse piano l'uscio dietro di sé, svoltò in fretta l'angolo e raggiunse un'uscita secondaria che dava sul posteggio riservato al personale. Fece buona parte del tragitto fino a Sag Harbor, e si fermò a una stazione di servizio. Dopo avere fatto il pieno, e avere pagato, chiese dov'era la toilette. L'inserviente le diede la chiave, lei portò l'auto a lato del distributore, vicino ai gabinetti. Aprì l'uscio ma prima di entrare restituì la chiave all'inserviente. Tornò alla macchina, prese dal sedile posteriore la borsa di plastica, entrò nello sgabuzzino e premette il bottone che faceva scattare la serratura. Si spogliò e, a piedi nudi sul freddo pavimento, guardando la propria immagine nello specchio sopra il lavandino, provò un brivido d'eccitazione. Si spruzzò il deodorante sotto le ascelle e sui piedi. Prese dalla borsa gli slip e li infilò. Fece cadere un po' di talco nelle coppe del reggiseno prima di metterlo. Poi il vestito: gli diede una scrollatina, controllò che non fosse spiegazzato e l'indossò. Cosparse di talco anche l'interno delle scarpe e prima di metterle si strofinò le piante dei piedi con un asciugamano di carta. Quindi si lavò i denti e si pettinò. Cacciò l'uniforme nella borsa e riaprì la porta. Guardò a destra e a sinistra e, assicuratasi che nessuno stava osservandola, uscì, buttò la borsa nell'auto e salì a bordo. Mentre si allontanava dalla stazione di servizio si tenne china sul volante in modo che l'addetto, se per caso le avesse dato un'occhiata, non si accorgesse che si era cambiata di abito. Erano le dodici e venti quando arrivò al Banner's, un piccolo ristorante dove servivano bistecche e frutti di mare, vicino alla spiaggia. Il posteggio era sul retro: Ellen ringraziò il cielo. Nella lontana eventualità che qualcuno di sua conoscenza potesse passare lungo la strada di Sag Harbor non voleva certo che la sua auto fosse lì bene in vista. Il Banner's - ecco uno dei motivi per cui l'aveva scelto - era un ristorante frequentato soprattutto la sera da turisti di passaggio e villeggianti, il che significava che probabilmente a mezzogiorno la clientela era scarsa. Ed era caro, per cui quasi certamente nessuno degli abitanti o commercianti di
Amity sarebbe andato a pranzo là. Ellen controllò il portafoglio. C'erano quasi cinquanta dollari: tutti i contanti che lei e Brody tenevano in casa di scorta per ogni evenienza. Prese mentalmente nota dei biglietti: uno da venti, due da dieci, uno da cinque, e tre da un dollaro. Intendeva restituire esattamente quanto aveva preso dal barattolo del caffè nell'armadietto di cucina. C'erano altre due auto nel posteggio: una Chevrolet Vega e una macchina più grossa, color nocciola. Ricordava che quella di Hooper era verde. Scese dall'auto e, tenendosi le mani sopra la testa per ripararsi dalla pioggia sottile, entrò nel ristorante. Il locale era buio, ma data la giornata plumbea, le occorsero solo pochi secondi per abituarsi alla penombra. C'era un'unica sala, con un bar alla destra entrando, e una ventina di tavoli al centro. La parete di sinistra era occupata da otto séparés. Le pareti erano rivestite di legno scuro, con manifesti di corride e di film. Una coppia sulla trentina stava bevendo qualcosa a un tavolo presso la finestra. Il barista, un giovanotto con la barba a pizzetto e una camicia classica, sedeva vicino alla cassa immerso nella lettura del "Daily News" di New York. Non c'era nessun altro. Ellen guardò l'orologio. Quasi le dodici e trenta. Il barista alzò lo sguardo e chiese: «Vuole bere qualcosa?». Ellen si accostò al bar. «Sì... sì. Tra un momento. Ma prima vorrei... può dirmi dov'è la toilette?» «Là in fondo, a destra. Prima porta a sinistra.» «Grazie.» Ellen oltrepassò in fretta il banco, girò a destra ed entrò nella toilette. Davanti allo specchio tese il braccio. Le dita tremavano: le serrò a pugno. Calmati, si disse. Devi stare calma, altrimenti è stato tutto inutile. Va tutto in fumo. Le pareva di sudare. Si toccò l'ascella ma la sentì asciutta. Si ravviò i capelli e controllò i denti. Ricordava l'osservazione di un ragazzo con cui era uscita una volta: Non c'è niente che mi rivolti lo stomaco in una ragazza quanto i denti sporchi. Guardò di nuovo l'orologio: le dodici e trentacinque. Tornò nella sala e si guardò attorno. Ancora quella coppia, il barista e una cameriera vicino al bar, occupata a piegare tovaglioli. Quest'ultima vide comparire Ellen all'altro capo del banco e disse: «Buongiorno. Desidera?». «Un tavolo, per piacere.»
«Per uno?» «No. Per due.» «Bene» disse la ragazza. Depose un tavogliolo, prese un blocchetto di carta e guidò Ellen a un tavolo al centro della sala. «Questo le va bene?» «No. Cioè, sì. Va benissimo. Ma preferirei quello nel séparé d'angolo, se non le spiace.» «Ma certo. Come preferisce. C'è posto in abbondanza.» Precedette Ellen che si accomodò voltando le spalle alla porta. Hooper l'avrebbe trovata senza difficoltà. Sempre che venisse. «Vuole bere qualcosa?» «Sì. Un gin con acqua tonica, per favore.» La cameriera si allontanò ed Ellen ebbe un mezzo sorriso. Era la prima volta, da quando si era sposata, che beveva alcolici di giorno. La cameriera le servì l'aperitivo ed Ellen ne bevve subito metà, ansiosa di provare il calore rilassante dell'alcool. Continuava a sbirciare la porta e l'orologio. Non verrà, pensava. Erano quasi le dodici e quarantacinque. Non se l'è sentita. Ha paura di Martin. Forse di me. Che faccio se non arriva? Mangerò qualcosa e torno all'ospedale. Ma deve venire! Non può farmi uno scherzo del genere. «Salve.» Ellen trasalì e mormorò: «Oh». Hooper scivolò lungo il sedile di fronte a lei e disse: «Non volevo spaventarti. E scusa il ritardo. Ho dovuto fermarmi a fare benzina e al distributore c'era la fila. Un traffico spaventoso. Non è gran che come giustificazione. Avrei dovuto partire prima. Mi spiace davvero». La guardò negli occhi e sorrise. Lei abbassò lo sguardo sul bicchiere. «Non è il caso che ti scusi. Anch'io sono arrivata in ritardo.» La cameriera si avvicinò al tavolo. «Le porto qualcosa da bere?» domandò a Hooper. Lui notò il bicchiere di Ellen e rispose: «Oh, sì, certo. Visto che bevi anche tu. Gin e acqua tonica». «Io ne prendo un altro» aggiunse Ellen. «Questo l'ho quasi finito.» La cameriera si allontanò e Hooper disse: «Di solito non bevo a colazione». «Neppure io.» «Dopo tre bicchierini comincio a dire sciocchezze. Non ho mai retto molto bene l'alcool.» Ellen assentì. «So cosa vuoi dire. Io tendo a diventare un po'...»
«Impulsiva? Io pure.» «Davvero? Non riesco a immaginarti impulsivo. Pensavo che agli scienziati non succedesse mai.» Hooper sorrise e replicò in tono caricato: «Potremo forse apparire legati anima e corpo alle nostre provette, signora. Ma sotto questa gelida maschera battono cuori temerari e avventurosi». Ellen si mise a ridere. La cameriera arrivò con i bicchieri e lasciò due menu sul tavolo. Parlarono, o meglio chiacchierarono in tono frivolo, dei vecchi tempi, delle conoscenze di allora, delle ambizioni di Hooper nel suo lavoro: l'ittiologia. Non accennarono neppure allo squalo, a Brody, ai figli di Ellen. Era una conversazione tranquilla, divagante, che andava molto bene. Il secondo bicchiere le distese i nervi: Ellen cominciò a sentirsi serena e padrona della situazione. Desiderava che Hooper bevesse ancora qualcosa, ma sapeva che lui non avrebbe preso l'iniziativa di ordinare un altro aperitivo. Prese uno dei menu, sperando che la cameriera notasse il gesto, e disse: «Vediamo un po' cosa c'è di interessante». Hooper prese l'altro e cominciò a scorrerlo, e dopo un paio di minuti la cameriera si avvicinò. «Vuole ordinare?» «Non ho ancora deciso» rispose Ellen. «Sembrano tutte cose molto buone. Tu hai scelto, Matthew?» «Non ancora» rispose lui. «Perché non beviamo qualcos'altro mentre decidiamo?» «Per tutt'e due?» domandò la cameriera. Per un attimo Hooper parve esitare, poi annuì e disse: «Ma sì. È un'occasione speciale». Ripresero a studiare in silenzio la lista. Ellen cercava di stabilire come si sentiva. Tre gin avrebbero avuto un certo effetto e non voleva assolutamente trovarsi con la mente confusa o la lingua annodata. Cosa si diceva in proposito? Che l'alcool accresceva il desiderio ma andava a scapito delle prestazioni? Ma solo per quel che riguarda gli uomini, si disse. Meno male che io non devo avere simili preoccupazioni. Ma, e lui? Mettiamo che non riesca... come me la cavo io? Sciocchezze. Di sicuro non per due bicchierini. Ce ne vogliono almeno cinque o sei. E deve trattarsi di uno già impotente. A meno che abbia paura. Lui ha paura? Sbirciò Hooper al di sopra del menu. Non pareva nervoso. Caso mai leggermente perplesso. «Che hai?» domandò. Lui alzò gli occhi. «Cosa intendi dire?»
«Sei tutto accigliato. Come fossi incerto per qualcosa.» «Oh, no, nulla. Stavo solo guardando qui, le cocquilles Saint-Jacques, o almeno come tali le presentano. Con tutta probabilità si tratta di filetto di sogliola tagliato a tondini.» La cameriera portò i gin e chiese: «Avete deciso?». «Sì» annuì Ellen. «Io prendo un cocktail di gamberetti, e poi del pollo.» «E per l'insalata, che tipo di condimento desidera? Abbiamo salsa citronnette, Roquefort, Thousand Island, e semplice olio e aceto.» «Roquefort, grazie.» Hooper chiese: «Sono davvero cocquilles Saint-Jacques?». «Immagino di sì» rispose la ragazza. «Se c'è scritto.» «Va bene. Per me le Saint-Jacques, e insalata con salsa citronnette.» «Come primo, nulla?» «No» rispose Hooper sollevando il bicchiere. «Basta questo.» Dopo qualche minuto arrivò il cocktail di gamberetti per Ellen. Quando la cameriera si fu allontanata Ellen disse: «Sai cosa mi piacerebbe? Del vino». «Idea molto interessante» commentò Hooper, guardandola. «Ma tieni a mente quel che ho detto a proposito dell'impulsività. Rischio di diventare irresponsabile. Potrei non rispondere più delle mie azioni.» «La cosa non mi preoccupa» replicò Ellen, sentendo un lieve rossore salirle alle guance. «D'accordo allora, ma prima lasciami controllare le finanze.» Infilò la mano nella tasca posteriore. «Oh, no. Offro io.» «Non dire sciocchezze.» «No, sul serio. Ti ho invitato io.» Cominciò a sentirsi prendere dal panico. Non aveva previsto che lui potesse insistere per pagare. Non voleva appiccicargli un conto salato. D'altra parte non voleva sembrare condiscendente, offendere la sua mascolinità. «Lo so» rispose Hooper. «Ma preferirei essere io a invitarti.» Era una mossa strategica? Non sapeva. In tal caso non voleva sottrarsi al gioco, ma lo faceva per pura cortesia... «Sei un tesoro,» mormorò «ma...» «Sul serio. Ti prego.» Abbassò lo sguardo e giocherellò con l'ultimo gamberetto rimasto sul piatto. «Be'...» «Lo so che stai solo preoccupandoti per me,» insisté Hooper «ma non è il caso. David non ti ha mai raccontato di nostro nonno?»
«Che io ricordi, no. Che c'entra?» «Il vecchio Matt era soprannominato, e non molto affettuosamente, il Bandito. Se fosse vivo oggi probabilmente io sarei il primo a volerne la pelle. Così invece ho dovuto solo decidere se volevo tenermi il malloppo che mi aveva lasciato oppure darlo in beneficienza. Non è stato un problema morale molto spinoso. Ho concluso che tanto valeva che li spendessi io.» «Anche David dispose di un grosso patrimonio?» «Sì. È una delle cose che mi hanno sempre lasciato perplesso in lui. Ne ha abbastanza da mantenere a vita se stesso e tutte le mogli che vuole. E allora perché la seconda volta si è sposato una tale pizza? Lei ha ancor più quattrini di lui. Non so. Forse denaro deve sposare denaro, per star bene.» «Di cosa si occupava tuo nonno?» «Ferrovie e miniere. In teoria, almeno. Sostanzialmente era un grosso filibustiere. A un certo punto si era ritrovato a essere il proprietario di quasi tutta Denver. Era il padrone del quartiere delle case di malaffare.» «Doveva rendere parecchio.» «Meno di quel che credi» rispose Hooper ridendo. «Da quel che ho sentito raccontare, preferiva riscuotere gli affitti in natura.» Quella sì doveva essere una mossa strategica, si disse Ellen. Cosa rispondere? «Pare che sia la fantasia ricorrente di tutte le ragazzine» commentò in tono scherzoso. «Cosa?» «Essere... be', sì, una prostituta. Andare a letto con un'infinità di uomini.» «Era così anche per te?» Ellen si mise a ridere, sperando di nascondere il rossore. «Non ricordo se si trattava proprio di questo» rispose. «Ma immagino che tutti abbiamo delle fantasie morbose.» Hooper sorrise e si appoggiò allo schienale del panchetto. Fece cenno alla cameriera e chiese: «Ci può portare una bottiglia di chablis, ben freddo?». È accaduto qualcosa, pensò Ellen. Si chiese se anche lui aveva intuito - o fiutato, come un animale? - l'invito sottinteso. Ad ogni modo era passato all'attacco. Adesso doveva solo evitare di scoraggiarlo. Arrivarono le portate, seguite qualche attimo dopo dal vino. Le SaintJacques di Hooper erano grosse come castagne. «Sogliola» commentò lui dopo che la cameriera si fu allontanata. «Avrei dovuto immaginarlo.»
«Come fai a dirlo?» domandò Ellen. E subito si pentì: non voleva che la conversazione divagasse. «Per prima cosa sono troppo grandi. E i bordi troppo perfetti. Chiaro che sono tagliate.» «Puoi rimandarle indietro.» Sperava che non lo facesse; una discussione con la cameriera poteva annullare il clima che si era creato. «Lo farei anche» osservò Hooper rivolgendole un sorrisetto «in circostanze diverse.» Le versò un bicchiere di vino, poi riempì il suo e lo sollevò in un brindisi. «Alle fantasie» disse. «Raccontami le tue.» I suoi occhi erano di un azzurro vivido, lucente, e le labbra si socchiudevano in un mezzo sorriso. Ellen scoppiò a ridere. «Oh, non sono molto interessanti. Penso che si trattasse delle normali fantasie, comuni a tutti.» «Non ci sono cose comuni a tutti» replicò lui. «Raccontami.» Non esigeva, non incalzava, ma Ellen sentiva che il gioco da lei stessa iniziato richiedeva una risposta. «Oh, be', sai» mormorò. Provava un senso di calore allo stomaco e alla nuca. «Le solite cose. Essere violentata, per esempio.» «Come avviene?» Lei rifletté e rammentò le volte in cui, sola con i suoi pensieri, lasciava che la propria mente intessesse immagini carnali. Di solito era a letto, spesso con il marito disteso al fianco. A volte scopriva che, inconsciamente, si toccava, si accarezzava. «In vari modi» rispose «Raccontamene uno.» «Certe volte mi trovo in cucina, la mattina, dopo che tutti gli altri sono usciti, e un operaio che sta lavorando in una delle case accanto si presenta alla porta. Per usare il telefono o chiedere un bicchiere d'acqua.» Si interruppe. «E poi?» «Lo faccio entrare e lui minaccia di uccidermi se non faccio quello che vuole.» «Ti fa male?» «Oh, no. Cioè, non ha coltelli o altro.» «Ti picchia?» «No. Solo... mi violenta.» «È piacevole?» «Dapprima no. Ho paura. Ma poi, dopo, quando mi ha...»
«Sollecitata come si deve.» Ellen lo guardò negli occhi cercandovi una traccia di ironia, sarcasmo o crudeltà. Non ne scorse. Hooper si passò la lingua sulle labbra e si piegò in avanti portando il viso a una spanna da quello di Ellen. Lei pensò: la porta è aperta, adesso; non ti resta che varcare la soglia. Disse: «Sì». «E allora diventa piacevole.» «Sì.» Si agitò sul sedile perché quel ricordo cominciava a diventare fisico. «Arrivi mai all'orgasmo?» «Qualche volta» rispose. «Non sempre.» «E lui, è grosso?» «Alto? Non...» Fino a quel momento avevano parlato a bassa voce. Ora Hooper calò al bisbiglio. «Non mi riferivo all'altezza. Voglio dire, è... mi capisci... grosso?» «Di solito sì» ammise Ellen con un risolino. «Smisurato.» «È di colore?» «No. Ho sentito dire che certe donne hanno fantasie erotiche in cui sono violentate da un nero, ma a me non è mai successo.» «Raccontamene un'altra.» «Oh, no» ribatté lei ridendo. «Adesso tocca a te.» Sentirono dei passi e si voltarono verso la cameriera che si dirigeva al loro tavolo. «Tutto bene?» domandò la ragazza. «Benissimo» rispose brevemente Hooper. «Tutto perfetto.» La cameriera si allontanò. «Pensi che abbia sentito?» sussurrò Ellen. Hooper si protese verso di lei. «Macché. Su, dimmene un'altra.» Ecco, adesso, pensò Ellen. E d'un tratto si sentì nervosa. Avrebbe voluto dirgli perché si comportava in quel modo, spiegargli che non era una sua abitudine. Probabilmente mi considera una sgualdrinella. Lascia perdere. Non tirare fuori luoghi comuni o rovinerai tutto. «No» insisté con un sorriso. «Tocca a te.» «Per me, di solito si tratta di ammucchiate» raccontò lui. «O almeno cose a tre.» «A tre come?» «Io e due ragazze.» «Che ingordo. E che fate?»
«Varia di volta in volta. Tutto l'immaginabile.» «E tu, sei... grosso?» «Aumento di minuto in minuto. E tu?» «Non so. Rispetto a che?» «Alle altre. Ce ne sono di maledettamente strette.» Ellen fece una risatina. «Hai l'aria di uno che va a fare la spesa confrontando i prezzi.» «Sono un consumatore coscienzioso.» «Non so come sono io» disse Ellen. «Non ho termini di paragone.» Abbassò gli occhi sul suo pollo mangiato a metà, e si mise a ridere. «Che c'è?» «Mi stavo chiedendo» mormorò, e la risata salì. «Mi stavo solo chiedendo se... oddio, mi sento una fitta qui... se i polli hanno...» «Ma certo!» assicurò lui. «E anche stretta!» Risero tutt'e due, e quando si calmarono Ellen propose d'impulso: «Inventiamo una fantasia». «Okay. Cosa proponi come inizio?» «Cosa faresti se noi volessimo... mi capisci.» «Ecco una domanda interessante» osservò lui con finta serietà. «Ma prima di dire cosa, dovremmo stabilire dove. C'è sempre la mia camera d'albergo.» «Troppo pericoloso. All'Abelard mi conoscono tutti. Amity sarebbe comunque troppo pericolosa.» «Che ne diresti di casa tua?» «Mio Dio, no. Uno dei ragazzi potrebbe tornare a casa. Inoltre...» «Lo so. Non profaniamo il talamo. Okay, dove allora?» «Devono pur esserci dei motel tra qui e Montauk. O meglio ancora tra qui e Orient Point.» «Giusto. E ad ogni modo c'è sempre l'auto.» «In piena luce del giorno? Le tue fantasie sono scatenate sul serio.» «Nella fantasia tutto è possibile.» «E va bene. Diamolo per scontato. Dunque, cosa faresti?» «Mi pare che dobbiamo procedere cronologicamente. Prima di tutto ce ne andremmo di qui con una sola auto. Probabilmente la mia, perché è meno nota. E più tardi passeremmo a recuperare la tua.» «Okay.» «Poi, mentre puntiamo verso la meta... no, prima ancora, prima che usciamo di qui, ti direi di andare alla toilette per toglierti le mutandine.»
«E perché?» «In modo da poterti... esplorare durante il tragitto. Tanto per tener su di giri il motore.» «Già» mormorò lei, cercando di sembrare disinvolta. Si sentiva calda, eccitata, e le pareva che la sua mente stesse vagando distaccata dal corpo. Era una terza persona che ascoltava quella conversazione. Doveva controllarsi per non agitarsi sul sedile in finta pelle. Avrebbe voluto muovere le anche, sfregare le cosce, ma aveva paura di lasciare una macchia sul panchetto. «Poi,» riprese Hooper «mentre andiamo, tu sei seduta alla mia destra, e ti toccherei un po'. Magari avrei la patta aperta. O forse no, però, perché magari ti faresti venire delle idee, il che senza dubbio mi farebbe perdere ogni controllo e questo di sicuro provocherebbe un incidente di gravissima entità da cui usciremmo entrambi cadaveri.» Ellen ebbe un'altra risatina, figurandosi la scena di Hooper abbandonato sul lato della strada, duro come un manico di scopa, e di se stessa, lì accanto, con il vestito tirato su fino alla vita e il sesso scoperto, umido, esposto al mondo intero. «Cercheremo di trovare un motel,» prosegui Hooper «a villini separati o per lo meno dove le stanze non siano appiccicate l'una all'altra.» «Perché?» «Il rumore. I muri di solito sono fatti di carta e sputo, e non è certo il caso che ci facciamo inibire dall'idea di un commesso viaggiatore con l'orecchio contro la parete, nella stanza accanto, che si cava i suoi sfizi ascoltandoci.» «E se non trovassimo un motel così?» «Lo troveremo di sicuro» garantì Hooper. «Come ho detto, in una fantasia tutto è possibile.» Ma perché insiste su questa nota? si chiese Ellen. Non sta certo solo giocando con le parole, costruendo una fantasia che non ha intenzione di realizzare. Cercò disperatamente una domanda con cui tenere in vita quel dialogo. «Che nome daremmo?» «Ah, già. Me n'ero dimenticato. Oggi come oggi non direi proprio che ci si preoccupi di particolari del genere. Ma hai ragione: avremmo bisogno di un nome nel caso ci imbattessimo in un gestore della vecchia scuola. Che ne diresti di Mr. e Mrs. Al Kinsey? Potremmo dire che stiamo facendo dei sondaggi per un'inchiesta approfondita nel settore.» «E gli prometteremmo una copia con autografo del nostro saggio.»
«Anzi, glielo dedicheremmo!» Scoppiarono a ridere; Ellen chiese: «E dopo avere preso la stanza?». «Be', posteggeremmo l'auto davanti al nostro nido, daremmo un'occhiata attorno per controllare se c'è qualcuno nelle stanze vicine, a meno che abbiamo un villino tutto per noi, e poi ci chiuderemmo dentro.» «E poi?» «E qui si aprono le varie possibilità. Io probabilmente sarei così arrapato che ti salterei addosso... magari sul letto, e magari no. E quella volta penserei solo a me. Il tuo turno verrebbe dopo.» «Cosa vuoi dire?» «La prima volta non riuscirei a controllarmi: una faccenda che come parti arrivi e ciao. Poi sarei più padrone di me e la seconda volta riuscirei a prepararti.» «E come?» «Con sottile sagacia.» La cameriera stava avvicinandosi al tavolo; si raddrizzarono e smisero di parlare. «Prendono qualcos'altro?» «No» rispose Hooper. «Ci porti il conto.» Ellen si aspettava che la ragazza tornasse al banco per preparare il conto, invece rimase accanto al tavolo a fare la somma. Ellen scivolò lungo il sedile e disse, alzandosi: «Scusami. Vorrei darmi una rinfrescata prima di andare». «Lo so» annuì lui sorridendo. «Davvero?» mormorò la cameriera mentre Ellen le passava accanto. «Accidenti, guarda cosa può fare il matrimonio. Spero che nessuno riesca mai a conoscermi così a fondo.» Ellen arrivò a casa poco prima delle quattro e mezzo. Salì di sopra, andò in bagno e riempì la vasca. Si spogliò e cacciò tutti gli indumenti nel portabiancheria, mescolandoli con quelli che già c'erano. Si guardò allo specchio per esaminarsi viso e collo. Non c'era alcun segno. Dopo avere fatto il bagno si cosparse di borotalco, si lavò i denti. Andò in camera, mise un paio di slip e una camicia da notte, scostò le coperte e si infilò a letto. Chiuse gli occhi sperando che il sonno le venisse addosso subito. Ma la stanchezza non riusciva a cancellare un ricordo che continuava a ripresentarsi alla sua mente. Era l'immagine di Hooper, con gli occhi sbarrati, fissi sulla parete, mentre si avvicinava all'orgasmo. Occhi qua-
si fuori dall'orbita al punto che, un attimo prima della conclusione, Ellen aveva temuto che potessero letteralmente schizzargli fuori. Lui teneva i denti serrati, e li digrignava, come capita a volte durante il sonno. Dalla gola gli usciva un gemito gorgogliante che andava via via crescendo nell'assalto rabbioso. Perfino dopo il suo chiaro, violento orgasmo, l'espressione di Hooper non era mutata. Continuava a digrignare i denti, a tenere lo sguardo fisso sulla parete e ad agitarsi con furia dentro di Ellen, dimentico della persona sotto di lui. Un minuto buono dopo l'orgasmo Hooper non si era ancora rilassato ed Ellen aveva provato paura - di cosa non sapeva bene, ma la ferocia e l'intensità con cui lui l'aveva presa le davano l'impressione di essere solo un mezzo. Dopo qualche istante gli aveva dato un colpetto sulla schiena dicendogli in un bisbiglio: «Ehi, ci sono anch'io». E di colpo le palpebre di lui si erano chiuse e Matt era crollato contro la sua spalla. In seguito, quando si erano nuovamente uniti, Hooper era stato più tenero, più controllato, meno distaccato. Ma la furia di quel primo contatto restava ancora, inquietante, nella memoria di Ellen. Infine la stanchezza ebbe il sopravvento, e lei si addormentò. Un attimo dopo, o così le parve, fu svegliata da una voce: «Ehi, tu, ti senti bene?». Aprì gli occhi e vide Brody seduto ai piedi del letto. Lei sbadigliò: «Che ore sono?». «Quasi le sei.» «Oh. Devo andare a prendere Sean. Phillys Santos non ne potrà più.» «Ci sono andato io» disse Brody. «Mi è parso opportuno, visto che non riuscivo a rintracciarti.» «Mi hai cercata?» «Un paio di volte. Ho telefonato all'ospedale verso le due. Mi hanno detto che dovevi essere tornata a casa.» «Infatti. Stavo da cani. Quelle mie pillole per la tiroide non fanno grande effetto. Così sono rientrata.» «Ti ho cercata anche qui.» «Oddio, doveva essere una faccenda urgente.» «Nulla di urgente. Se lo vuoi sapere, chiamavo per scusarmi per ieri sera. Eri così seccata.» Ellen sentì un breve lampo di colpa, ma passò. «Sei un tesoro, ma non preoccuparti. È già dimenticato.» «Oh» mormorò Brody. Aspettò che lei dicesse qualcos'altro, ma visto che non aggiungeva nulla le domandò: «Insomma, dov'eri?». «Te l'ho detto, ero qui!» La voce le uscì più dura di quanto volesse. «So-
no venuta a casa e mi sono cacciata a letto, dove mi hai trovata.» «E non hai sentito il telefono? È proprio qui.» Brody accennò al comodino dall'altro lato del letto. «No, io...» Stava per dire che aveva bloccato la suoneria, ma le venne in mente che a quell'apparecchio la suoneria non poteva essere eliminata del tutto. «Ho preso un sonnifero. Neanche i gemiti dei dannati riuscirebbero a svegliarmi dopo che ho preso una di quelle pillole.» Brody scosse il capo. «Ora mi decido sul serio a buttare nel gabinetto quelle porcherie. Stai diventando una drogata.» Si alzò e andò nel bagno. Ellen sentì che sollevava il coperchio del water e cominciava a urinare: un fiotto rumoroso, possente, continuo, che sembrava non finire mai. Sorrise: fino a quel giorno aveva pensato che Brody fosse una specie di fenomeno; poteva resistere quasi tutta una giornata senza urinare. Poi, quando lo faceva, pareva che andasse avanti all'infinito. Già da tempo aveva concluso che la sua vescica doveva essere grande quanto un'anguria. Adesso sapeva che una vescica così capace era semplicemente una caratteristica maschile. Adesso, si disse, sono una donna di mondo. «Si è fatto vivo, Hooper?» chiese Brody. Ellen rifletté un attimo, poi rispose: «Ha telefonato questa mattina, per ringraziare. Perché?». «Ho cercato di rintracciare anche lui, oggi. Verso mezzogiorno, e un paio di volte nel pomeriggio. All'albergo mi hanno detto che non sapevano dove fosse. A che ora ha chiamato qui?» «Subito dopo che sei uscito tu.» «Ti ha detto che programmi aveva per la giornata?» «Ha detto... ha detto che forse sarebbe uscito con il battello, mi pare. Non ricordo bene.» «Oh, strano.» «Cosa?» «Mi sono fermato al porto mentre tornavo a casa. Il capitano mi ha detto di non avere visto Hooper in tutta la giornata.» «Forse ha cambiato idea.» «Magari stava facendosela con Daisy Wicker in qualche stanza d'albergo.» Ellen sentì che quel fiotto scemava riducendosi a un gocciolio. Poi ci fu lo scroscio dello scarico. IX
Il giovedì mattina Brody fu convocato all'ufficio di Vaughan per una riunione del consiglio municipale, fissata per mezzogiorno. Sapeva di cosa si sarebbe discusso: la riapertura delle spiagge per il fine settimana del quattro luglio, la domenica successiva. Quando lasciò il suo ufficio diretto al municipio aveva già schierato e passato in rassegna tutti i possibili pro e contro che era riuscito a individuare. Sapeva che le sue argomentazioni erano soggettive, negative, dettate dall'intuito, dalla prudenza, da un latente senso di colpa che lo rodeva. Ma era convinto di essere nel giusto. Riaprire le spiagge non sarebbe stata una soluzione né una conclusione. Sarebbe stato un gioco d'azzardo in cui Amity - e Brody - non avrebbero mai potuto vincere. Non avrebbero mai avuto la certezza che lo squalo se ne fosse andato. Avrebbero vissuto giorno per giorno nella speranza di essere assistiti dalla fortuna. E un giorno, Brody ne era certo, avrebbero perso. Il municipio si trovava in fondo alla Main Street, dove questa terminava, attraversata da Water Street. L'edificio stava in cima alla T formata dalle due strade. Si trattava di un affare imponente, in stile pseudo-georgiano, di mattoni rossi con cornicioni bianchi e due colonne bianche ai lati dell'ingresso. Sul prato antistante c'era un obice della seconda guerra mondiale, in memoria dei cittadini di Amity che avevano combattuto. L'edificio era stato donato al piccolo centro verso la fine degli anni '20 da un banchiere che chissà come si era convinto che prima o poi Amity sarebbe diventato il cuore commerciale della zona est di Long Island. A suo parere i pubblici funzionari della cittadina dovevano operare in un ambiente all'altezza della loro missione e non - come era stato fino ad allora - guidare le sorti di Amity da quattro o cinque stanzette soffocate, sopra un bar, il Mill. (Nel febbraio del 1930 detto banchiere, dimostrata scarsa chiaroveggenza per il proprio destino come per quello di Amity, ormai con l'acqua alla gola, tentò, senza successo, di riprendersi l'edificio, sostenendo di averlo voluto semplicemente dare in prestito al municipio.) L'interno della palazzina era assurdamente grandioso, quanto l'esterno. I locali erano enormi, con soffitti altissimi, dotati ciascuno di un fastoso lampadario. Piuttosto che tirare fuori i soldi per suddividere questi saloni in ufficietti più piccoli, le amministrazioni che si erano succedute ad Amity si erano limitate a stivarci un numero sempre maggiore di impiegati. Solo il sindaco aveva ancora il privilegio di svolgere le sue mansioni, per poche ore al giorno, in splendida solitudine.
L'ufficio di Vaughan si trovava all'angolo sud-est del primo piano; dalle finestre si poteva contemplare buona parte della cittadina e, in lontananza, l'oceano Atlantico. La segretaria di Vaughan, Janet Sulmer, una ragazza semplice, graziosa, era alla sua scrivania. Per quanto la vedesse di rado, Brody provava un affetto paterno per lei, e si stupiva vagamente che, a ventisei anni, non fosse ancora sposata. Di solito, prima di passare nell'ufficio di Vaughan non mancava di chiederle come andava la sua vita amorosa. Quel giorno si limitò a domandare: «Sono tutti là dentro?». «Tutti i convocati.» Brody si avviò verso la porta e Janet osservò: «Non vuole sapere con chi filo attualmente?». Lui si fermò, sorrise e rispose: «Certo. Mi scusi. Oggi ho la testa andata. Allora, di chi si tratta?». «Di nessuno. Sono in temporanea clausura. Ma le dirò una cosa.» Abbassò la voce piegandosi in avanti. «Non mi dispiacerebbe far piedino con quel Mr. Hooper.» «C'è anche lui?» Janet annuì. «Quando mai è stato eletto consigliere?» «Non saprei» rispose Janet. «Ma certo non è niente male.» «Spiacente, Janet, è già prenotato.» «Da chi?» «Daisy Wicker.» Janet scoppiò a ridere. «Che c'è di buffo? Non ha il cuore spezzato?» «Come, lei non sa di Daisy Wicker?» «Be', no.» Janet abbassò di nuovo la voce. «Sta dall'altra parte della barricata. Abita con un'amica e via dicendo. E neanche è ambidestra. È una lesbica allo stato puro.» «Ma mi venga» commentò Brody. «Certo che il tuo è un lavoro interessante, Janet.» Mentre entrava nell'ufficio di Vaughan si domandò: Okay, e allora dove diavolo era Hooper, ieri? Non appena fu dentro Brody capì che avrebbe dovuto combattere da solo. Gli unici consiglieri presenti erano amici e alleati di vecchia data di Vaughan: Tony Catsoulis, un impresario edile fatto come un idrante; Ned Thatcher, un vecchietto rinsecchito la cui famiglia era proprietaria dell'Abelard Arms Inn da tre generazioni; Paul Conover, proprietario della botti-
glieria di Amity, e Rafe Lopez, un portoghese di pelle olivastra, eletto al consiglio dai neri del luogo di cui era paladino. I quattro consiglieri sedevano attorno a un tavolinetto in un angolo dell'enorme stanza. Vaughan sedeva alla sua scrivania all'angolo opposto. Hooper stava in piedi accanto a una finestra e guardava fuori. «Dov'è Albert Morris?» chiese Brody a Vaughan dopo avere salutato brevemente gli altri. «Non è potuto venire» spiegò Vaughan. «Mi pare che non stesse bene.» «E Fred Potter?» «Idem. Dev'esserci un'influenza in giro.» Vaughan si alzò. «Be', mi pare che ci siamo tutti. Prendi una sedia e andiamo al tavolo.» Dio, come s'è ridotto, pensò Brody mentre osservava Vaughan che spostava una sedia. Gli occhi erano infossati, circondati da ombre scure. La pelle era giallastra. O ieri ha bevuto troppo, concluse Brody, o non dorme da un mese. Quando furono seduti Vaughan cominciò: «Sappiamo tutti perché siamo qui. E credo di poter affermare che dei presenti ce ne sia uno solo che ancora vada convinto di quanto è necessario fare». «Vuoi dire me» specificò Brody. Vaughan annuì. «Martin, cerca di vederla dal nostro punto di vista. Questa città sta morendo. La gente non ha lavoro. Certi negozi che dovevano aprire, restano chiusi. Nessuno affitta case, e tanto meno, ne acquista. E per ogni giorno che teniamo chiuse le spiagge, piantiamo un chiodo in più nella nostra bara. Equivale alla dichiarazione ufficiale che questo centro non è sicuro: tenetevi alla larga. E la gente ci dà retta.» «Mettiamo che tu apra le spiagge per il quattro di luglio, Larry» replicò Brody. «E mettiamo che qualcuno ci rimetta la vita.» «È un rischio previsto, ma ritengo... riteniamo che valga la pena di correrlo.» «Perché?» «Mr. Hooper?» disse Vaughan. «Per diversi motivi» rispose questi. «In primo luogo nessuno ha visto lo squalo da una settimana in qua.» «Nessuno è entrato in acqua, d'altra parte.» «Vero. Ma io sono uscito tutti i giorni in battello a cercarlo... tutti i giorni eccetto uno.» «Già, volevo proprio chiederglielo. Dov'era ieri?» «Pioveva» rispose Hooper. «Si ricorda?»
«E allora che ha fatto?» «Ho...» Fece una breve pausa, poi continuò. «Ho esaminato dei campioni di acqua. E ho letto.» «Dove? Nel suo albergo?» «Per alcune ore, sì. Dove vuole arrivare?» «L'ho cercata, all'albergo. Mi hanno detto che è stato fuori tutto il pomeriggio.» «E va bene, ero fuori!» sbottò irritato Hooper. «Non sono tenuto a mettermi in contatto ogni cinque minuti, no?» «No. Ma lei si trova qui con un compito preciso, non per sfarfallare nel giro dei club che frequentava un tempo.» «Senta un po', mica sono pagato. Posso fare quel diavolo che mi pare.» Vaughan intervenne. «Andiamo. Questi sono discorsi inutili.» «Ad ogni modo,» riprese Hooper «non ho visto traccia di quella bestia. Neanche l'ombra. Poi c'è la questione dell'acqua. Ogni giorno la temperatura sale. Ormai siamo quasi a ventun gradi. Di norma - e so che le norme servono solo a essere infrante - i pescecani preferiscono acque più fredde.» «Dunque pensa che si sia spostato verso nord?» «O in acque più profonde e più fredde. Potrebbe anche essere andato a sud. Non si può prevedere cosa farà un animale del genere.» «Proprio quel che intendo dire io» osservò Brody. «Non si può prevedere. Dunque le sue sono solo ipotesi.» Vaughan fece notare: «Non puoi pretendere una garanzia, Martin». «Vallo a dire a Christine Watkins. O alla mamma del piccolo Kintner.» «D'accordo, d'accordo» annui Vaughan impaziente. «Ma bisogna pur fare qualcosa. Non possiamo starcene qui ad aspettare un segno divino. Dio non ci metterà la scritta in cielo "Lo squalo se n'è andato". Dobbiamo soppesare i fatti e prendere una decisione.» Brody assentì. «Già, immagino. E cos'altro ha tirato fuori il nostro cervellone?» «Ma insomma, che le piglia?» si ribellò Hooper. «Siete stati voi a chiedere il mio parere.» «Certo» riconobbe Brody. «Okay, che altro può aggiungere?» «Solo cose che già sappiamo. Non c'è motivo per cui quello squalo resti da queste parti. Io non l'ho visto. La Guardia Costiera non l'ha visto. Non sono emersi banchi di scogli, dalla sera alla mattina. Nessuno scarica rifiuti in mare. La fauna marina qui attorno non è eccezionale. Non c'è proprio motivo per cui quell'animale se ne resti qui.»
«Ma non c'è mai stato un motivo, no? Eppure c'era.» «È vero. Non riesco a trovare una spiegazione. Non credo ce ne sia una.» «Volontà divina, allora.» «Se vuole metterla così.» «E dalla volontà di Dio non c'è scampo, vero, Larry?» «Non so dove vuoi andare a parare, Martin» rispose Vaughan. «Ma dobbiamo arrivare a una decisione. Per quel che mi riguarda c'è una sola via d'uscita.» «La decisione è già stata presa» osservò Brody. «Direi proprio di sì.» «E se ci troviamo un'altra vittima per le mani? Chi si piglierà la colpa, questa volta? Chi andrà a parlare con il marito, la madre o la moglie per dire: "Abbiamo rischiato e ci è andata male"?» «Non vedere così nero, Martin. Quando verrà il momento, e io scommetto di no, allora ci penseremo.» «Basta, maledizione! Sono stufo di dover rispondere di tutte le tue stronzate.» «Calma, Martin.» «Dico sul serio. Se proprio volete riaprire le spiagge dovete anche accollarvene la responsabilità.» «Cosa vuoi dire?» «Dico che finché io sono il capo della polizia di questa città, e finché sono responsabile dell'incolumità della popolazione, le spiagge restano chiuse.» «Ti dirò io una cosa, Martin» ribatté Vaughan. «Se le spiagge restano chiuse nel week-end del quattro luglio, non avrai il tuo posto ancora per molto. E non è una minaccia. È un'informazione. La stagione non è perduta del tutto. Ma dobbiamo dire alla gente che qui non ci sono pericoli. Ma gli abitanti di Amity, venti minuti dopo avere saputo che non riapri le spiagge, ti destituiranno, o piglieranno un forcone per correrti appresso. Siete d'accordo con me, signori?» «Ci puoi giurare» rispose Catsoulis. «Disposto a darglielo io il forcone.» «La mia gente non ha lavoro» rincarò Lopez. «Se non li metti in condizioni di lavorare, neanche tu lavorerai.» Brody replicò seccamente: «Puoi prenderti il mio posto quando vuoi». Il telefono sulla scrivania di Vaughan squillò. Lui si alzò, irritato, per andare a rispondere. «Ti avevo detto che non volevo essere disturbato!»
sbraitò. Ci fu un momento di silenzio, poi Vaughan si rivolse a Brody. «È per te. Janet dice che è urgente. Puoi usare questo apparecchio o quello di fuori.» «Vado fuori» rispose Brody, chiedendosi cosa poteva esserci di tanto urgente da chiamarlo durante una riunione con i consiglieri. Di nuovo lo squalo? Uscì richiudendosi la porta alle spalle. Janet gli passò il ricevitore, ma prima che lei premesse il pulsante per stabilire la comunicazione Brody chiese: «Dimmi una cosa: stamattina Larry ha telefonato ad Albert Morris e a Fred Potter?». Janet distolse lo sguardo. «Ho l'ordine di non parlare mai di cose d'ufficio, con nessuno.» «Rispondi, Janet. Ho bisogno di saperlo.» «Ce la metterà una buona parola per me con il biondino che è là dentro?» «Affare fatto.» «No. Gli unici che mi è stato detto di chiamare sono i quattro che ha visto.» «Passami la linea.» Janet premette il pulsante. «Pronto» disse Brody. Nel suo ufficio, Vaughan sollevò pian piano il ricevitore coprendolo con la mano. Lanciò un'occhiata agli altri, spiandone le reazioni. Nessuno ricambiò lo sguardo, neppure Hooper che a quel punto aveva deciso che meno si impelagava negli affari di Amity, meglio era. «Sono Harry» disse Meadows. «So che sei in riunione e che non hai molto tempo. Quindi ascolta, sarò breve. Larry Vaughan è indebitato fino al collo.» «Non ci credo.» «Ascolta, ti ho detto. Il fatto che sia indebitato non vuole dire nulla. Quel che conta è con chi. Parecchio tempo fa, circa venticinque anni, prima che Larry facesse quattrini, sua moglie si è ammalata. Non ricordo cosa avesse, ma era una faccenda seria. E costosa. Adesso non saprei dirti di preciso, ma rammento di avergli sentito dire, dopo, che era stato aiutato da un amico da cui si era fatto fare un prestito per cavarsi dai guai. Doveva trattarsi di parecchie migliaia di dollari. Larry mi aveva detto anche il nome della persona in questione. Non ci avrei fatto gran caso, ma Larry aveva aggiunto che quel tale era sempre disposto a dare una mano se qualcuno era in difficoltà. Allora ero giovane e neanch'io avevo grandi finanze. Così ho preso nota del nome e l'ho messo tra le mie carte. E non ci ho più pensato, fino a che tu mi hai chiesto di vedere un po' come stavano le cose.
Questo tale si chiama Tino Russo.» «Vieni al punto, Harry.» «Ci arrivo adesso. Torniamo ai giorni nostri. Un paio di mesi fa, prima che saltasse fuori questo squalo, è stata fondata una società, la Caskata Estates. Una società finanziaria. All'inizio non aveva grossi capitali. Prima ha comperato un grosso campo di patate, a nord dello Scotch Road. Quando l'estate si è rivelata poco promettente, la Caskata ha cominciato ad acquistare altre proprietà. Tutto perfettamente legale. Evidentemente questa gente aveva dei capitali alle spalle, di provenienza ignota, e stava approfittando della situazione del mercato per comperare a prezzi bassi. Poi, non appena sui giornali è uscita la notizia del pescecane, la Caskata ha cominciato a fare razzie sul serio. Più i prezzi calavano, più quelli comperavano. Tutto molto in sordina. Adesso i prezzi sono talmente bassi che sembra di essere tornati ai tempi di guerra, e la Caskata ancora compera. D'accordo tira fuori poca roba. Tutte cambiali a breve scadenza. E firmate da Larry Vaughan che figura come presidente della società. Amministratore delegato della Caskata Estates è Tino Russo, che da due anni il "Times" indica come pesciolino di taglia media di una delle cinque famiglie mafiose di New York.» Brody emise un fischio tra i denti. «E quel figlio di cane ha continuato a fare il pianto perché non riusciva più a vendere niente. Però questo ancora non mi spiega perché gli stanno addosso per riaprire le spiagge.» «Non saprei. Non sono neanche sicuro che qualcuno gli stia addosso. Può darsi che insista perché ha paura per sé. Immagino che abbia messo troppa carne al fuoco. Adesso non potrebbe più comperare niente, anche se i prezzi calano ancora. L'unica cosa che potrebbe salvarlo sarebbe un rialzo del mercato. Allora potrebbe rivendere e guadagnarci su, O magari sarebbe Russo a guadagnarci, bisogna vedere com'è l'accordo iniziale. Se i prezzi continuano a scendere, in altre parole se la città continua a essere ufficialmente zona pericolosa, prima o poi dovrà pagare quelle cambiali. Cosa che non è assolutamente in grado di fare. Direi che a questo punto ha già tirato fuori più di mezzo milione in contanti. Perderà gli acconti e le proprietà che torneranno a chi le aveva prima o verranno rilevate da Russo, se riesce a mettere insieme il liquido. Non credo che Russo sarebbe disposto a correre il rischio. I prezzi potrebbero continuare a scendere nel qual caso lui andrebbe a picco insieme a Vaughan. Secondo me Russo conta ancora di fare grossi guadagni, ma l'unica via è che Vaughan faccia riaprire le spiagge. Poi, se non interviene niente di nuovo, se il pescecane non fa fuori altri,
i prezzi andranno su e Vaughan potrà vendere. Russo si prenderà la sua fetta, una metà o quel che è, e la società sarà sciolta. Vaughan si intascherà quel che avanza, probabilmente abbastanza da evitargli il fallimento. Se lo squalo invece ammazza qualcun altro, l'unico a essere fregato sarà Vaughan. Per quel che ne so, Russo non ha mai messo un soldo in questa società. È tutto...» «Sei un lurido bugiardo, Meadows!» urlò la voce di Vaughan. «Provati a pubblicare una sola parola di questa storia e ti impianto una causa da farti venire i capelli bianchi!» Poi uno scatto: Vaughan aveva sbattuto giù il ricevitore. «Ecco qui l'integrità dei rappresentanti della popolazione» commentò Meadows. «Cosa intendi fare, Harry? Si può pubblicare qualcosa?» «No, non ancora, almeno. Non ho abbastanza dati in mano. Sai quanto me che la mafia sta allungando sempre più le mani su Long Island: imprese edili, ristoranti, tutto. Ma ce ne vuole per arrivare a dimostrare un'attività illegale. Nel caso di Vaughan, non so neppure se ci sia qualcosa di illegale nel senso strétto della parola. Tra qualche giorno, quando avrò scavato un po' di più, dovrei essere in grado di mettere insieme un pezzo dicendo che Vaughan ha dei legami con un noto gangster. E voglio che regga nel caso che Vaughan mi faccia causa.» «A me pare che già adesso tu abbia elementi abbastanza concreti» osservò Brody. «So i fatti, ma non ho le prove. Non ho documenti, né copie. Li ho visti e basta.» «Credi che ci sia dietro anche qualche consigliere? Larry li ha montati contro di me.» «No. Ti riferisci a Catsoulis e Conover? Sono solo dei vecchi amici a cui Larry ha fatto dei favori. Se c'è Thatcher, è troppo vecchio e ha troppa fifa per pronunciarsi contro Larry. E Lopez è in buona fede. Lui si preoccupa davvero per la sua gente.» «E Hooper, c'entra in qualche modo? Si sta battendo per la riapertura delle spiagge.» «No, credo proprio di no. Io stesso ho riunito le fila solo poco fa, e ci sono ancora dei punti oscuri.» «E cosa dovrei fare io, secondo te? Forse ho già mollato la mia carica. L'ho messa a disposizione un attimo prima della tua telefonata.» «Cristo, non mollare. Per prima cosa, abbiamo bisogno di te. Se te ne
vai, Russo si metterà d'accordo con Vaughan e saranno loro a scegliere il tuo successore. Magari tu sei convinto che tutti i suoi uomini sono onesti, ma scommetto che Russo riuscirà a trovarne uno disposto a cedere un po' di integrità in cambio di qualche dollaro, o anche solo per la carica.» «E allora, cosa mi resta da fare?» «Fossi in te, riaprirei le spiagge.» «Per l'amor di Dio, Harry! È proprio quel che vogliono! Diventerei il loro burattino.» «Hai detto anche tu che ci sono delle buone ragioni per riaprire le spiagge. Penso che Hooper abbia ragione. Prima o poi dovrai riaprirle, anche se quella bestia non si fa più vedere. Tanto vale farlo subito.» «E lasciare che la mafia si intaschi i quattrini e fili.» «Che altro puoi fare? Le tieni chiuse, e Vaughan trova il modo di sbarazzarsi di te e le riapre. E tu sarai completamente fuori gioco. In tutti i sensi. Per lo meno in questo modo se riapri le spiagge e non succede nulla, la città potrebbe anche cavarsela. Poi, in seguito, potremmo anche trovare il sistema per incastrare Vaughan. Non so come, ma ci sarà pure il modo.» «Merda» borbottò Brody. «D'accordo, Harry, ci penserò su. Ma se le riapro, lo farò a modo mio. Grazie della telefonata.» Riappese e tornò nell'ufficio di Vaughan. Il sindaco era in piedi accanto alla finestra, con le spalle rivolte alla porta. Sentendo i passi di Brody, disse: «La seduta è chiusa». «Cosa significa, chiusa?» volle sapere Catsoulis. «Non abbiamo preso nessuna maledettissima decisione.» Vaughan si girò di scatto. «È chiusa, Tony!» sbottò. «Non piantare grane. Le cose andranno come vogliamo noi. Solo lasciami parlare un momento con il Capo. Okay? Adesso fuori tutti.» Hooper e i quattro consiglieri uscirono. Brody osservava Vaughan che li scortava alla porta. Avrebbe dovuto provare pietà per Vaughan, ma non riusciva a soffocare il disprezzo che gli bruciava dentro. Vaughan richiuse l'uscio, andò al divano e vi si lasciò cadere. Puntò i gomiti sulle ginocchia massaggiandosi le tempie con le dita. «Eravamo amici, Martin» mormorò. «Spero che lo saremo ancora.» «Quanto di quel che ha detto Meadows è vero?» «Non ti rispondo. Non posso. Basti dire che un tale una volta mi ha fatto un favore e adesso pretende che glielo ricambi.» «In altre parole, è tutto vero.» Vaughan sollevò lo sguardo e Brody notò che gli occhi erano arrossati,
lucidi. «Ti giuro, Martin, se avessi avuto idea che le cose sarebbero arrivate a questo punto non mi sarei mai lasciato intrappolare.» «Quanto gli devi?» «La cifra iniziale era diecimila. Ho cercato di restituirla due volte, parecchio tempo fa, ma si sono sempre rifiutati di incassare i miei assegni. Continuavano a dirmi che era un regalo e che non dovevo preoccuparmi. E non mi hanno mai restituito il mio pagherò. Quando si sono ripresentati da me, un paio di mesi fa, ho offerto centomila dollari, in contanti. Mi hanno risposto che non bastavano. Non volevano soldi. Volevano che facessi qualche investimento. Ci avremmo guadagnato tutti, dicevano.» «E adesso di quanto sei fuori?» «Sa Dio. Fino all'ultimo centesimo. E magari di più. Probabilmente quasi un milione di dollari.» Vaughan trasse un profondo respiro. «Puoi darmi una mano, Martin?» «L'unica cosa che posso fare è metterti in contatto con il procuratore distrettuale. Se sei disposto a testimoniare, potresti farli incriminare per strozzinaggio.» «Non tornerei vivo a casa dall'ufficio del procuratore, ed Eleanor rimarrebbe senza niente. Non è questo l'aiuto che volevo.» «Lo so.» Brody fissò Vaaughan: animale ferito, raggomitolato. E allora sentì compassione per lui. Cominciava a tentennare circa la riapertura delle spiagge. Era contrario perché si sentiva in colpa, o perché temeva future tragedie? Era per vigliaccheria, per andare sul sicuro o perché sentiva di dover proteggere la cittadina? «Senti, Larry. Riaprirò le spiagge. Non per darti una mano, ma perché se non lo facessi tu troveresti il modo di liberarti di me, e le riapriresti tu. Lo faccio perché non sono più tanto sicuro di che cosa sia giusto fare.» «Grazie, Martin. Ti sono veramente grato.» «Non ho ancora finito. Come ho detto le farò riaprire, ma metterò degli agenti di guardia lungo la spiaggia. E chiederò a Hooper di sorvegliare le acque, con il battello. E farò in modo che tutti sappiano qual è il pericolo.» «Non puoi fare una cosa del genere!» esclamò Vaughan. «Tanto vale che le lasci chiuse.» «Non solo posso farlo, ma lo farò, Larry.» «Cosa intendi? Mettere dei cartelli a segnalare la presenza di un pescecane? Un annuncio sul giornale: "Spiaggia aperta. State alla larga"? Nessuno andrà alla spiaggia, se pullula di poliziotti.» «Non so cosa farò. Ma qualcosa. Non fingerò certo che non sia mai ac-
caduto nulla.» «D'accordo, Martin.» Vaughan si alzò. «Non mi lasci molta scelta. Se ti togliessi la carica probabilmente ti metteresti a correre su e giù per la spiaggia, come privato cittadino, a strillare "Attenti al pescecane!". E va bene. Ma... mano leggera, se non per me, per la città.» Brody uscì. Mentre scendeva le scale guardò l'orologio. Era l'una passata e aveva fame. Si avviò lungo Water Street, diretto al Loeffler's, l'unica tavola calda di Amity. Il proprietario era Paul Loeffler, un ex compagno di scuola di Brody, alle medie. Mentre apriva la porta a vetri, Brody sentì Loeffler: «... come un maledetto dittatore, proprio. Non so cos'abbia in testa». Scorgendo Brody diventò rosso. Alle medie era stato un ragazzino pelle e ossa, ma non appena si era messo a lavorare nel negozio di suo padre aveva ceduto alle terribili tentazioni che lo circondavano per dodici ore al giorno, sette giorni alla settimana, e adesso aveva la forma di una pera. Brody sorrise. «Non stavi mica parlando di me, per caso, Paulie?» «Cosa te lo fa pensare?» rispose l'altro, sempre più rosso. «Nulla. Lascia perdere. E se mi prepari un sandwich con pane di segala, prosciutto, formaggio e senape ti darò una notizia che ti farà felice.» «Mi ci vorrebbe proprio.» Loeffler cominciò a preparare il panino. «Per il quattro riapro le spiagge.» «Questa è davvero una bella cosa.» «Gli affari vanno male?» «Malissimo.» «Gli affari a te vanno sempre male.» «Non come adesso. Se non arriva una schiarita, provocherò un tumulto razziale.» «Cioè?» «Dovrei assumere due ragazzi per quest'estate. Mi sono impegnato. Ma non posso permettermene due. Senza contare che a questo punto non ho abbastanza lavoro per due. Uno è bianco e l'altro è di colore.» «E quale prendi?» «Quello nero. Penso che i soldi facciano più comodo a lui. Grazie a Dio quello bianco non è ebreo.» Brody arrivò a casa alle cinque e dieci. Mentre imboccava il vialetto la porta sul retro si spalancò ed Ellen uscì di corsa. Aveva pianto e pareva ancora sconvolta.
«Che succede?» «Grazie al cielo sei tornato. Ho cercato di chiamarti in ufficio ma eri già uscito. Vieni, presto.» Lo prese per mano conducendolo presso lo sgabuzzino dove si tenevano i bidoni per l'immondizia. «Là dentro» disse, indicandone uno. «Guarda.» Brody sollevò il coperchio. In un viluppo inerte e contorto, sopra un sacchetto pieno di spazzatura, c'era il gatto di Sean, Frisky, un gattone robusto, poderoso. Aveva la testa girata completamente all'indietro, e il muso adesso si trovava dalla parte della schiena. «Come diavolo è successo?» domandò Brody. «Un'auto?» «No, un uomo.» Il respiro di Ellen era affannoso. «È stato un uomo. Sean era proprio qui quando è successo. Quel tale è sceso da un'auto. Ha preso il gatto e gli ha torto il collo spezzandoglielo. Sean ha detto che c'è stato uno schiocco orrendo. Poi ha gettato il gatto sul prato, è risalito in macchina e se n'è andato.» «Ha detto nulla?» «Non so. Sean è in casa. È fuori di sé e posso capirlo. Martin, cosa sta succedendo?» Brody lasciò ricadere il coperchio. «Maledetto figlio di puttana!» ringhiò. Sentiva la gola stretta e serrò i denti gonfiando i muscoli della mascella. «Andiamo dentro.» Cinque minuti dopo Brody uscì dalla porta posteriore. Strappò via il coperchio dal bidone, gettandolo da parte. Tirò fuori la carcassa del gatto, la portò all'auto e la buttò dentro attraverso il finestrino, quindi salì. Uscì a marcia indietro e partì con uno stridio di ruote. Fatti cento metri, in un impeto di rabbia, mise in azione la sirena. Gli ci volle solo un paio di minuti per arrivare alla casa di Vaughan, una grande villa in stile Tudor sulla Sprain Drive, una trasversale di Scotch Road. Scese dall'auto e trascinandosi dietro il gatto morto tenendolo per una delle zampe posteriori salì i quattro gradini e suonò il campanello. Sperava che non fosse Eleanor Vaughan ad aprirgli. Sulla soglia comparve Vaughan. «Salve, Martin, io...» Brody sollevò il gatto quasi sbattendoglielo in faccia. «E cosa mi dici di questo, razza di porco?» Gli occhi di Vaughan si dilatarono. «Cosa significa? Non capisco cosa stai dicendo.» «Questa è opera di uno dei tuoi amici. Proprio davanti a casa mia, sotto gli occhi di mio figlio. Hanno fatto fuori 'sto gatto! Gliel'hai detto tu?»
«Non dire sciocchezze, Martin.» Vaughan pareva sinceramente turbato. «Non farei mai una cosa del genere. Mai.» Brody abbassò il gatto e chiese: «Hai telefonato ai tuoi compari dopo che me ne sono andato?». «Be'... sì... Ma solo per dire che domani avremmo riaperto le spiagge.» «Non hai detto altro?» «No. Perché?» «Maledetto bugiardo!» Brody gli scaraventò addosso quella carcassa che finì a terra. «Sai cosa ha detto quel tipo dopo aver fatto questo bel servizio? Sai cosa ha detto a mio figlio, quello di otto anni?» «No. Certo che no. Come faccio a saperlo?» «Ha detto la stessa cosa che mi hai detto tu. "Di' a tuo padre: mano leggera."» Si volse e discese gli scalini piantando lì Vaughan accanto a quella massa contorta di pelo e ossa. X Il venerdì era nuvolo, con qualche scroscio ai pioggia ogni tanto, e gli unici a entrare in acqua fu una giovane coppia che fece un rapido bagno la mattina presto, proprio mentre l'agente di Brody arrivava alla spiaggia. Hooper, con il battello, percorse la costa per sei ore senza vedere nulla. Venerdì sera Brody chiese alla Guardia Costiera le previsioni meteorologiche. Non sapeva bene cosa augurarsi. Sapeva che avrebbe dovuto sperare in un tempo magnifico per quei tre giorni di vacanza, così sarebbe arrivata gente e se non accadeva nulla, se non si fosse avvistato nulla, il martedì avrebbe potuto cominciare a convincersi che il pescecane si era allontanato. Se non fosse successo nulla. Ma dentro di sé sarebbe stato felice di tre giorni di burrasca che avrebbero tenuto deserte le spiagge per tutto quel fine settimana. Comunque andasse, pregava le sue divinità personali perché non avvenissero incidenti. Avrebbe voluto che Hooper se ne tornasse a Woods Hote. Non tanto perché il giovane fosse sempre lì: l'esperto, in polemica con la sua prudenza. Ma Brody sentiva che in qualche modo Hooper era penetrato nella sua casa. Sapeva che dopo quella cena Ellen aveva ancora parlato con lui: il piccolo Martin aveva detto che forse Hooper li avrebbe portati a fare un pic-nic sulla spiaggia, e poi in cerca di conchiglie. E c'era quella storia di mercoledì. Ellen aveva detto di essersi sentita poco bene, e di certo aveva
l'aria sfinita quando era rientrata. Ma Hooper, dove era stato quel giorno? Perché era stato così vago quando lui, Brody, gli aveva fatto delle domande in merito? Per la prima volta, da quando si era sposato, Brody aveva dei dubbi, e il dubbio faceva sorgere una sgradevole ambivalenza: rimorso per sospettare di Ellen, e il timore che in effetti ci fosse motivo di sospettare. Il bollettino meteorologico prevedeva bel tempo, sole, venti debole da sud-ovest. Be', si disse Brody, forse è meglio così. Se il week-end fila liscio e non ci sono incidenti, magari riesco a mettermi tranquillo. E Hooper se ne andrà. Brody aveva detto a Hooper che l'avrebbe chiamato dopo avere parlato con la Guardia Costiera. Era vicino al telefono di cucina. Ellen stava lavando i piatti. Lui sapeva che Hooper alloggiava all'Abelard Arms. Vide la guida telefonica sepolta sotto un mucchio di fatture, blocchetti per appunti e giornali a fumetti sul ripiano dell'armadio. Stava per prenderla, ma interruppe il gesto. «Devo telefonare a Hooper» disse. «Sai dov'è la guida?» «È sei cinque quattro tre» rispose Ellen. «Cosa?» «Il numero dell'Abelard. Sei cinque quattro tre.» «Come fai a saperlo?» «Ho buona memoria per i numeri telefonici. Lo sai, l'ho sempre avuta.» Già, lo sapeva, e si diede dello stupido per quel giochetto subdolo. Formò il numero. «Abelard Arms.» Era una voce maschile, giovane: l'impiegato notturno. «Mr. Hooper, per favore.» «Non sa il numero della stanza?» «No.» Brody posò una mano sul ricevitore e chiese a Ellen: «Sai per caso il numero della stanza?». Ellen si girò a guardarlo ed esitò un attimo. Poi scosse il capo. L'impiegato disse: «Eccolo qui. Quattro zero cinque». Il telefono squillò due volte prima che Hooper rispondesse. «Qui parla Brody.» «Oh, salve.» Brody guardava il muro cercando di immaginare la camera di Hooper. Si figurava una stanzina immersa nell'ombra, un letto in disordine, lenzuola macchiate, gli afrori del sesso. Stava uscendo dal razionale, e se ne accorse. «Avremo da fare anche domani» disse. «Le previsioni del tempo sono buone.» «Sì, lo so.»
«Allora ci troviamo al porto.» «A che ora?» «Alle nove e mezzo, direi. Nessuno andrà a fare il bagno prima di quell'ora.» «Okay. Nove e mezzo.» «Bene. Oh, a proposito» riprese Brody. «Come è andata poi con Daisy Wicker?» «Come?» Brody si pentì di quella domanda. «Nulla. Ero solo curioso. Mi chiedevo solo se avevate quagliato.» «Be'... sì, visto che me lo chiede. Fa parte delle sue incombenze occuparsi della vita sessuale altrui?» «Lasci perdere. Come non detto.» Riagganciò. Bugiardo, si disse. Cosa diavolo ti sta succedendo? Si rivolse a Ellen: «Ah, senti, volevo chiederti... Martin ha accennato a un pic-nic sulla spiaggia. Per quando sarebbe?». «Nulla di stabilito» rispose lei. «Era solo un'idea.» «Oh.» La fissò ma lei non ricambiò l'occhiata. «Direi che hai bisogno di dormire.» «Cosa te lo fa pensare?» «Non stai molto bene. È la seconda volta che lavi quel bicchiere.» Prese una birra dal frigorifero. Strappò via la linguetta che gli si ruppe in mano. «Cristo!» sbottò, e buttò la lattina ancor piena nel secchio della spazzatura, e uscì. Il sabato a mezzogiorno Brody era su una duna da cui teneva d'occhio la spiaggia lungo la Scotch Road, e si sentiva metà agente segreto e metà idiota. Indossava una maglietta e il costume da bagno: aveva dovuto comperarne uno appositamente. Si vergognava delle proprie gambe bianche, quasi senza peli per l'attrito di anni contro i pantaloni. Avrebbe voluto avere con sé Ellen, per dar meno nell'occhio, ma lei si era scusata: visto che in quei giorni lui non sarebbe stato a casa, era una buona occasione per sbrigare le faccende arretrate. Vicino a Brody era un'ampia borsa con un binocolo, un walkie-talkie, due lattine di birra e un sandwich avvolto in cellofan. Al largo, a qualche centinaio di metri dalla riva, il Flika avanzava lentamente verso est. Brody fissò il battello e si disse: per lo meno oggi so dov'è. Quelli della Guardia Costiera avevano detto bene: la giornata era splendida: limpida e calda con una leggera brezza di mare. La spiaggia non era
affollata. Una decina di ragazzi e ragazze formavano le solite file rituali. Alcune coppie erano distese a sonnecchiare, immobili, come se il minimo movimento potesse alterare i ritmi cosmici che generano l'abbronzatura. Una famigliola era raccolta attorno a un fuoco, e il profumo della carne che stava arrostendo giungeva fino alle narici di Brody. Nessuno era ancora entrato in acqua. Due volte alcuni genitori avevano accompagnato i bambini fino alla riva, lasciandoli sguazzare nella risacca, ma dopo qualche minuto - annoiati o timorosi - li avevano riportati indietro. Brody sentì dei passi che facevano crepitare le erbe secche dietro di lui e si volse. Un uomo e una donna - dovevano avere passato i quarantacinque, tutti e due decisamente in carne - arrancavano su per la duna, trascinandosi appresso due ragazzini lagnosi. Lui indossava pantaloni di tela, maglietta e scarpe da tennis. La donna aveva un vestito a fiori che le risaliva sulle cosce molli. Teneva in mano un paio di sandali. Alle loro spalle Brody scorse una grossa familiare posteggiata sulla Scotch Road. «Posso esservi utile?» chiese quando la coppia arrivò in cima alla duna. «È questa la spiaggia?» domandò la signora. «Che spiaggia sta cercando? Quella pubblica è...» «Oh, sì, è proprio questa» interruppe l'uomo cavando di tasca una cartina. Parlava con l'accento inconfondibile del newyorkese di Queens. «Siamo usciti dalla Route Ventisette per prendere questa strada. È questa di sicuro.» «E allora dov'è il pescecane?» domandò uno dei figli, un ragazzetto grasso sui tredici anni. «Avevi detto che saremmo venuti a vedere un pescecane.» «Zitto» ordinò il padre. E si rivolse a Brody: «Dov'è questo famoso pescecane?». «Che pescecane?» «Quello che ha ammazzato tutta quella gente. L'ho visto alla TV su tre canali diversi. C'è un pescecane che fa fuori la gente. Proprio qui.» «C'era un pescecane» spiegò Brody. «Ma ora se n'è andato. E, se ci va bene, non tornerà.» L'uomo fissò Brody per un secondo, poi sbraitò: «Vuole dire che abbiamo fatto tutta questa strada per vedere il pescecane e quello se n'è andato? Mica l'ha detto la Tele». «Non posso farci niente. Non so chi le ha detto che avrebbe visto il pescecane. Non è che arrivino fin sulla spiaggia a presentarsi, capisce?»
«Non faccia lo spiritoso con me, amico.» Brody si alzò. «Senta, signore» disse estraendo il portafoglio infilato nella cintura dei calzoncini da bagno e mostrando la sua tessera. «Sono il capo della polizia di qui. Non so chi è lei, o chi crede di essere, ma non può venirsene qui su una spiaggia privata di Amity e comportarsi da cafone. Adesso mi dica cosa va cercando oppure si tolga dai piedi.» L'altro cambiò atteggiamento. «Mi scusi» disse. «È solo che dopo tutto questo traffico e i ragazzi che strillavano in auto, pensavo che avremmo almeno potuto dare un'occhiata al pescecane. Abbiamo fatto tutta questa strada apposta.» «E lei si è fatto due ore e mezzo di macchina per vedere uno squalo? Come mai?» «Tanto per fare qualcosa. L'altro week-end siamo andati al Parco Nazionale. Per questo qui, avevamo pensato di andare alla spiaggia nel New Jersey. Poi abbiamo sentito che ad Amity c'era un pescecane. E i ragazzi non hanno mai visto un pescecane.» «Be', spero che non ne vedano uno neppure oggi.» «Porca miseria» commentò l'uomo. «Ma ci avevi detto che avremmo visto un pescecane» gemette uno dei ragazzini. «Chiudi il becco, Benny!» L'uomo si rivolse a Brody. «Possiamo fare colazione qui?» Brody sapeva che avrebbe potuto dirottarli alla spiaggia pubblica, ma senza il permesso speciale per i residenti avrebbero dovuto lasciare la loro auto a più di un miglio dalla spiaggia, per cui rispose: «Direi di sì. Se qualcuno protesta dovrete spostarvi, ma credo che nessuno protesterà oggi. Fate pure. Ma non lasciate niente in giro: carta stagnola o fiammiferi, o dovrò multarvi». «Senz'altro.» L'uomo si rivolse alla moglie. «Hai portato la roba?» «L'ho lasciata in macchina. Non sapevo che ci saremmo fermati.» «Al diavolo!» L'uomo cominciò a discendere la duna, ansimando. La signora e i due ragazzi si allontanarono di venti o trenta metri e sedettero sulla sabbia. Brody gettò uno sguardo all'orologio: le dodici e un quarto. Prese dalla borsa il walkie-talkie, schiacciò il pulsante e disse: «Ci sei, Leonard?». Poi allontanò il dito. Un attimo dopo giunse la risposta, un po' gracchiante. «La sento, Capo. Passo.» Hendricks si era offerto di passare i giorni del fine settimana sulla
spiaggia pubblica, come terzo punto del triangolo di sorveglianza. («Stai diventando un tipo da spiaggia» aveva commentato Brody alla proposta di Hendricks che si era messo a ridere e aveva risposto: «Naturale, Capo. Quando si vive in un posto come questo vale la pena di adeguarsi al bel mondo».) «Come vanno le cose?» domandò Brody. «Niente di nuovo?» «Niente di speciale, solo è saltata fuori una faccenda strana. C'è gente che continua a venire a consegnarmi dei biglietti. Passo.» «Biglietti per cosa?» «Per venire in spiaggia. Dicono di avere comperato in centro dei tagliandi che autorizzano l'accesso alla spiaggia. Dovrebbe vederli. Ne ho giusto uno qui. C'è scritto "Spiaggia dello Squalo. Valido per una persona. Due e cinquanta". Secondo me c'è in giro qualche furbastro che si sta riempiendo le tasche vendendo biglietti fasulli. Passo.» «E come reagiscono quando gli dici che il biglietto non serve a nulla?» «Prima si incavolano da maledetti, quando gli spiego che li hanno bidonati e che non c'è niente da pagare per andare alla spiaggia. Poi si inferociscono ancora di più quando gli dico che, biglietto o no, non possono lasciare le auto al posteggio senza il permesso speciale. Passo.» «Ti sei fatto dire chi è che vende questi tagliandi?» «Un tizio, pare. L'hanno incontrato sulla Main Street e quello gli ha detto che non potevano scendere alla spiaggia senza un biglietto. Passo.» «Bisogna scoprire chi è che vende questa roba, Leonard, e fargliela piantare. Vai alla cabina telefonica del parcheggio, chiama la stazione di polizia e di' che mandino un uomo in Main Street ad arrestare quel bastardo, che è ordine mio. Se viene da fuori, che lo facciano filare via. Se è di qui, che lo sbattano dentro.» «Sotto quale accusa? Passo.» «Non lo so, non importa. Trova tu qualcosa. Truffa. Basta che lo si tolga di mezzo.» «Okay, Capo.» «Altri problemi?» «No. Sono arrivati certi tizi della TV con uno di quei loro furgoncini, ma non fanno niente di particolare, solo intervistano gente. Passo.» «A che proposito?» «La solita roba. Tipo: lei ha paura di andare a fare il bagno? Cosa ne pensa dello squalo? Fesserie così. Passo.» «Da quanto tempo sono lì?»
«Da stamattina. Non so quanto ci resteranno ancora, anche perché nessuno entra in acqua. Passo.» «Basta che non diano fastidio.» «Mi pare di no. Passo.» «Okay. Ehi, Leonard, non è mica il caso che tu dica "passo" tutte le volte. Me ne accorgo bene quando hai finito di parlare.» «Forza dell'abitudine, Capo. Tanto per chiarezza. Passo e chiudo.» Dopo un momento Brody schiacciò di nuovo il bottone e disse: «Hooper, qui Brody. Novità?». Non ebbe risposta. «Brody chiama Hooper. Mi sente?» Stava per chiamare una terza volta quando gli giunse la voce di Hooper. «Mi scusi. Ero giù a poppa. Mi pareva di avere visto qualcosa.» «Cosa?» «Niente. Sono sicuro che non era niente. Uno scherzo della vista.» «Cosa credeva di avere visto?» «Non so come descriverlo. Un'ombra, forse. Niente di più. È il sole che abbaglia.» «Non ha notato altro?» «Proprio nulla. In tutta la mattinata.» «Speriamo che continui così. Richiamo poi.» «Bene. Tra un minuto o due sarò davanti alla spiaggia pubblica.» Brody rimise il walkie-talkie nella borsa e prese il sandwich. Il pane era freddo e indurito dal contatto con i sacchetti di plastica pieni di ghiaccio per tenere fresche le lattine di birra. Alle due e mezzo la spiaggia era quasi deserta. La gente era andata a giocare a tennis, o in barca, o dal parrucchiere. Gli unici rimasti erano una decina di ragazzi e la famiglia proveniente da Queens. Le gambe di Brody avevano già cominciato ad arrossarsi: sulle cosce e sul collo dei piedi stavano apparendo delle chiazze. Si riparò con l'asciugamano. Riprese il walkie-talkie per chiamare Hendricks. «Succede nulla, Leonard?» «Niente, Capo. Passo.» «Nessuno è entrato in acqua?» «No. Magari a bagnarsi le gambe, ma niente di più. Passo.» «Idem qui. Hai saputo nulla di quel tale che vendeva i biglietti?» «Nulla. Ma nessuno è più venuto a presentarci pezzi di carta, quindi immagino che l'abbiamo fatto filare. Passo.» «E quelli della TV?»
«Se ne sono andati. Pochi minuti fa. Volevano sapere dove era lei. Passo.» «Perché?» «Non ne ho la più pallida idea. Passo.» «Gliel'hai detto?» «Sì. Perché no? Passo.» «Okay. Ci sentiamo poi.» Brody decise di fare quattro passi. Premette un dito contro una delle macchie rosa sulle cosce: impallidì per poi arrossarsi di colpo quando tolse il dito. Si alzò, si avvolse l'asciugamano attorno alla vita per proteggersi le gambe e, portando con sé il walkie-talkie, si incamminò verso l'acqua. Sentì il motore di un'auto, si girò e tornò indietro. Un furgone bianco si era fermato sulla Scotch Road. Su un lato era scritto in caratteri neri: "WNBC-TV. La portiera del guidatore si aprì e uscì un tale che cominciò ad arrancare sulla sabbia verso Brody. Mentre si avvicinava, Brody ebbe l'impressione di averlo già visto. Era giovane, con i capelli lunghi, ricci, e un gran paio di baffi. «Il capo della polizia Brody?» chiese il giovanotto quando fu a qualche passo. «Sono io.» «Mi hanno detto che l'avrei trovato qui. Sono Bob Middleton, notiziario del quarto canale.» «Giornalista?» «Sì. La troupe è sul furgone.» «Mi pareva infatti di averla già vista. Cosa desidera?» «Vorrei intervistarla.» «Per cosa?» «Tutta questa storia dello squalo. Come mai ha deciso di riaprire le spiagge?» Brody rifletté un istante, poi disse: al diavolo, un po' di pubblicità può far comodo ad Amity, visto che, almeno per oggi, le possibilità che capiti qualche guaio sono abbastanza ridotte. «D'accordo» rispose. «Dove ci mettiamo?» «Giù, sulla spiaggia. Ora chiamo gli altri. Ci vorrà qualche minuto per sistemare la roba, quindi se ha qualcosa da fare faccia pure. Le do un grido quando siamo pronti.» Middleton caracollò verso il furgone. Brody non aveva nulla di particolare da fare, ma dato che prima aveva avuto intenzione di fare quattro passi, tanto valeva seguire quell'ispirazio-
ne. Si avviò verso il mare. Arrivato all'altezza del gruppo di ragazzi ne sentì uno che diceva: «Allora, si fa? Qualcuno ha il coraggio? Dieci dollari sono dieci dollari». Una ragazza disse: «Dài, Limbo, smettila». Brody si fermò a cinque metri, fingendo di osservare qualcosa al largo. «E perché?» replicò il ragazzo. «Come offerta non è da sputarci. Non credo che qualcuno di voi abbia tanto fegato. Cinque minuti fa stavate tutti a dirmi che questo squalo non è più nei paraggi.» Un altro ragazzo disse: «E se tu sei un tal campione, perché non ci vai tu?». «Sono stato io a fare la proposta» replicò il primo. «Nessuno ha offerto dieci dollari a me per andare in acqua. Allora, che mi dite?» Ci fu un momento di silenzio, poi l'altro ragazzo chiese: «Dieci dollari? In contanti?». «Eccoli qui» rispose il primo, sventagliando un biglietto da dieci. «Quanto in là devo andare?» «Vediamo. Un centinaio di metri. Mi sembra una distanza giusta. Okay?» «Come faccio a sapere quando sono a cento metri?» «Tira a indovinare. Continua a nuotare per un po' e poi fermati. Se mi pare che tu sia a cento metri ti faccio segno.» «D'accordo, ci sto.» Il ragazzo si levò in piedi. La ragazza intervenne: «Sei matto, Jimmy. Perché vuoi entrare in acqua? Non hai certo bisogno di dieci dollari». «Credi che abbia paura?» «Nessuno ha parlato di paura» ribatté lei. «Ma è una cosa senza senso, ecco.» «Dieci dollari non sono mai una cosa senza senso» replicò il ragazzo. «Specialmente quando tuo padre ti ha tagliato i viveri per avere fumato un po' d'erba al matrimonio della zia.» Il ragazzo si volse e cominciò a correre verso l'acqua. Brody lo chiamò. «Ehi!» Il ragazzo si fermò. «Sì?» Brody gli si avvicinò. «Cosa vorresti fare?» «Una nuotata. Chi è lei?» Brody tirò fuori il portafoglio e gli mostrò la tessera. «Vuoi davvero andare a nuotare?» chiese. Notò che il ragazzo lanciava un'occhiata agli amici, più indietro.
«Certo. Perché no? Mica è proibito.» Brody annuì. Non sapeva se gli altri potevano sentire, per cui abbassò la voce e domandò: «Vuoi che ti ordini di non farlo?». Il ragazzo lo guardò, esitò un istante, poi scrollò il capo. «No. Quei dieci dollari mi fanno comodo.» «Non rimanerci troppo» lo ammonì Brody. «D'accordo.» Il ragazzo entrò in acqua sguazzando. Si lanciò contro una piccola onda e cominciò a nuotare. Brody sentì dei passi in corsa dietro di sé. Bob Middleton l'oltrepassò di carriera e gridò al ragazzo: «Ehi! Torna indietro!». Agitò le braccia e lo chiamò di nuovo. Il ragazzo si fermò drizzandosi in piedi. «Che c'è?» «Niente. Volevo solo riprenderti mentre entri in acqua. Ci stai?» «Certo. Perché no?» rispose il ragazzo. E camminando tornò a riva. Middleton si volse a Brody. «Meno male che sono arrivato prima che fosse troppo in là. Almeno potremo far vedere qualcuno che entra in acqua.» Altri due tipi si avvicinarono. Uno portava una cinepresa da 16 mm. e un cavalletto. Aveva degli scarponi militari, pantaloni e camicia kaki, e una specie di gilet di pelle. L'altro era più piccolo, più vecchio e più grasso. Indossava un abito grigio tutto stazzonato e reggeva una cassetta rettangolare piena di quadranti e di bottoni. Attorno al collo aveva un paio di auricolari. «Mettiti pure lì, Walter» disse Middleton. «Quando sei pronto dimmelo.» Prese di tasca un taccuino e cominciò a fare delle domande al ragazzo. Il più anziano degli altri due si avvicinò a Middleton e gli consegnò il microfono. Tornò accanto all'operatore srotolando la massa di filo che aveva in mano. «Siamo pronti» annunciò l'operatore. «Fammi provare la voce del ragazzo» disse quello con gli auricolari. «Di' qualcosa» disse Middleton al ragazzo tenendogli il microfono a un palmo dalla bocca. «Cosa vuole che dica?» «Bene così» dichiarò il tecnico del suono. «Okay» disse Middleton. «Cominciamo in primo piano, Walter, e poi in campo medio, va bene? Dammi tu il via.» L'operatore guardò nel mirino, alzò un dito puntandolo contro Middleton: «Via». Middleton si rivolse alla cinepresa e cominciò: «Ci troviamo qui sulla
spiaggia di Amity da stamattina presto, e per quanto ci risulta, nessuno fino ad ora ha osato avventurarsi in acqua. Lo squalo non è stato avvistato ma la minaccia persiste. Mi trovo qui con Jim Prescott, un giovanotto che ha deciso di farsi una nuotata. Dimmi, Jim, stai un po' sulle spine all'idea di quel che potrebbe esserci laggiù a nuotare insieme a te?». «No. Non credo che ci sia proprio niente.» «Dunque non hai paura.» «No.» «Nuoti bene?» «Abbastanza.» Middleton gli tese la mano. «Bene, buona fortuna, Jim. Grazie.» Il ragazzo gli strinse la mano. «Già» disse. «Cosa faccio adesso?» «Alt!» ordinò Middleton. «Ora riprendiamo dall'alto, Walter. Un attimo solo.» Si rivolse al ragazzo. «Non mi chiedere niente, Jim, d'accordo. Dopo che ti ho ringraziato, voltati e vai in acqua.» «Okay» annuì il ragazzo. Stava rabbrividendo e si sfregò le braccia. «Ehi, Bob» osservò l'operatore. «Il ragazzo dovrebbe asciugarsi. Come mai è bagnato se non è ancora entrato in acqua?» «Già, hai ragione» convenne Middleton. «Ti spiace asciugarti, Jim?» «Ma certo.» Raggiunse gli amici e si sfregò con un asciugamano. Una voce alle spalle di Brody chiese: «Che succede qui?». Era il tipo di Queens. «La televisione» spiegò Brody. «Vogliono riprendere qualcuno che fa il bagno.» «Oh, davvero? Avrei dovuto portarmi il costume.» L'intervista venne ripetuta e dopo che Middleton ebbe ringraziato il ragazzo questi corse in acqua e cominciò a nuotare. Middleton si avvicinò all'operatore dicendo: «Continua a girare, Walter. Irv, puoi staccare il suono». «Quanto ne vuoi?» chiese l'operatore, continuando a tenere inquadrato il ragazzo. «Una trentina di metri» rispose il giornalista. «Ma restiamo qui fino a che torna fuori. Tienti pronto, per ogni evenienza.» L'orecchio di Brody si era talmente abituato al lontano ronzio del motore del Flika che quasi non lo notava più. Era divenuto parte integrante della spiaggia come l'infrangersi delle onde. D'un tratto il suono del motore passò da un borbottio sommesso a uno strepito iroso. Brody guardò oltre il ragazzo che nuotava e vide il battello compiere una brusca virata molto stret-
ta, ben diversa dalle curve morbide e lente che Hooper aveva tracciato fino a quel momento. Si accostò il walkie-talkie alla bocca e chiese: «Visto qualcosa, Hooper?». Brody vide il battello rallentare e fermarsi. Middleton sentì la voce di Brody. «Attacca l'audio, Irv» ordinò. «Riprendi qui, Walter.» Si avvicinò a Brody e chiese: «Successo qualcosa, Capo?». «Non lo so. È proprio quello che voglio sapere.» Parlò ancora nel walkie-talkie. «Hooper?» «Sì,» rispose la voce di Hooper «ma ancora non so di che si tratti. Di nuovo quell'ombra. Ora non la vedo più. Forse ho gli occhi stanchi.» «Hai registrato, Irv?» chiese Middleton. Il tecnico del suono scosse il capo in diniego. «C'è un ragazzo in acqua» comunicò Brody. «Dove?» chiese Hooper. Middleton cacciò il microfono davanti alla faccia di Brody che lo allontanò, ma il giornalista si affrettò a piazzarglielo di nuovo a pochi centimetri dalla bocca. «Trenta, quaranta metri da riva. Meglio richiamarlo indietro.» Brody infilò il walkie-talkie nell'asciugamano che aveva legato alla vita, si portò le mani attorno alla bocca e urlò: «Ehi, laggiù! Torna indietro!». «Cristo!» gemette il tecnico del suono. «Mi ha quasi spaccato i timpani.» Il ragazzo non sentì. Stava puntando direttamente verso il largo. Quello che aveva messo i dieci dollari di posta, sentì il richiamo di Brody e si avvicinò al bordo dell'acqua. «Che sta succedendo?» «Niente» rispose Brody. «Ma è meglio che il tuo amico torni indietro.» «Chi è lei?» Middleton si era messo tra Brody e il ragazzo, e spostava il microfono dall'uno all'altro. «Sono il capo della polizia» spiegò Brody. «E adesso fila!» Si rivolse a Middleton. «E mi tenga lontano questo fottuto microfono.» «Niente paura, Irv» disse Middleton. «Questa poi la tagliamo.» Brody parlò nel walkie-talkie. «Hooper, il ragazzo non mi sente. Non potrebbe avvicinarsi e dirgli di tornare a riva?» «Certo» rispose Hooper. «Sarò lì tra un attimo.» Lo squalo era sceso in profondità, adesso, e si aggirava sul fondo, venticinque metri sotto il Flika. Da ore il suo sistema sensorio percepiva quello strano rumore che proveniva dall'alto. Due volte si era portato a un paio di
metri dalla superficie per identificare con vista, odorato e terminazioni nervose, la creatura che passava così rumorosamente sopra di lui. Due volte si era inabissato. Non c'era stato stimolo ad attaccare né ad allontanarsi. Brody vide che il battello, poco prima diretto verso ovest, puntava verso la costa. La prua tagliava l'acqua sollevando alti spruzzi. «Riprendi il battello, Walter» raccomandò Middleton. Giù, in basso, lo squalo avvertì un mutamento nel suono che divenne più forte per poi svanire mentre la barca si allontanava. Lo squalo virò inclinandosi dolcemente come un aereo e seguì il rumore. Il ragazzo interruppe le bracciate, sollevò il capo e guardò verso riva. Brody agitò le braccia gridando: «Torna indietro». Il ragazzo rispose al cenno e puntò verso la spiaggia. Nuotava bene, girando la testa a sinistra per respirare, battendo i piedi in sincrono con le bracciate. Brody calcolò che si trovasse a una sessantina di metri da terra e che gli sarebbe occorso un minuto o poco più per raggiungere la spiaggia. «Cosa succede?» volle sapere una voce accanto a Brody. Sempre il tipo di Queens. Appresso a lui c'erano due ragazzini che sorridevano eccitati. «Nulla» rispose Brody. «Solo non voglio che il ragazzo si allontani troppo.» «C'è lo squalo?» domandò il padre dei due ragazzini. «To', che bello» commentò il figlio più piccolo. «Lascia perdere» borbottò Brody. «Su, vai indietro.» «Via, Capo» si intromise l'uomo. «Abbiamo fatto tutta questa strada fin qui.» «Se ne vada!» sbottò Brody. A una velocità di quindici nodi, Hooper in trenta secondi percorse i duecento metri che lo separavano dal ragazzo. Si fermò a pochi metri, il motore al minimo. Si trovava appena al di là del punto in cui le onde si frangevano e non osò accostarsi di più nel timore di essere trascinato dalle onde. Il ragazzo sentì il motore e sollevò il capo. «Che succede?» chiese. «Nulla» rispose Hooper. «Continua a nuotare.» Il ragazzo riprese. Un'onda lo sollevò spingendolo più in fretta, e dopo altre due o tre bracciate poté posare i piedi sul fondo. L'acqua gli arrivava alle spalle. Cominciò a camminare verso riva. «Sbrigati!» urlò Brody. «Arrivo!» rispose il ragazzo. «Ma cosa c'è, insomma?» Qualche metro dietro Brody c'era Middleton, con il microfono in mano. «Cosa stai inquadrando, Walter?» domandò.
«Il ragazzo. E il poliziotto. Tutti e due. In campo lungo.» «Okay. Tu registri, Irv?» Il tecnico annuì. Middleton parlò nel microfono. «Signore e signori sta succedendo qualcosa ma non sappiamo esattamente cosa. Possiamo solo dire che Jim Prescott è andato a fare una nuotata e poi a un tratto l'uomo sul battello al largo ha notato qualcosa. Adesso il capo della polizia Brody sta cercando di far arrivare a riva il ragazzo il più in fretta possibile. Potrebbe trattarsi del pescecane, non c'è nulla di preciso.» Hooper inserì la retromarcia per allontanarsi dalle onde. Mentre scrutava l'acqua, verso poppa, vide un guizzo argenteo che si muoveva nell'acqua grigio-blu. Sembrava far parte del moto delle onde, ma ne era indipendente. Per un attimo Hooper non vide chiaramente l'animale. Gridò: «Attenti!». «Che c'è?» gridò Brody di rimando. «Quella bestia! Tiri via il ragazzo! Presto!» Il ragazzo sentì e cercò di correre. Ma nell'acqua che gli arrivava al petto i movimenti erano lenti e difficili. Un'onda lo spinse. Lui incespicò, riprese l'equilibrio e si lanciò in avanti. Brody si precipitò in acqua, tendendo le braccia. Un'onda gli investì le ginocchia spingendolo indietro. Middleton parlò nel microfono: «L'uomo sul battello ha detto qualcosa a proposito di una bestia. Ma non so se si riferisca allo squalo». «È il pescecane?» domandò il tale di Queens, fermo accanto a Middleton. «Non lo vedo.» Middleton chiese: «Chi è lei?». «Mi chiamo Lester Kraslow. Vuole intervistarmi?» «Se ne vada.» Il ragazzo avanzava più in fretta adesso, spingendosi nell'acqua con il petto e le braccia. Non vide la pinna emergere alle sue spalle, una lama affilata, di un grigio brunastro, che tagliava l'acqua. «Eccolo!» urlò Kraslow. «Lo vedi, Benny? E tu, Davey? Eccolo là.» «Io non vedo niente» rispose uno dei due. «Guardalo là, Walter» esclamò Middleton. «Lo vedi?» «Sto mettendo a fuoco» rispose l'operatore. «Sì, eccolo.» «Sbrigati!» gridò Brody. Si protese verso il ragazzo che aveva gli occhi sbarrati, pieni di paura. Dalle narici dilatate uscivano acqua e muco. Brody riuscì ad afferrargli una mano e tirò. Lo prese sotto le ascelle e insieme ar-
rancarono fuori dall'acqua. La pinna sparì sotto la superficie. Seguendo la pendenza del fondo lo squalo si allontanò verso il largo. Brody era vicino alla riva e con un braccio reggeva il ragazzo. «Tutto bene?» domandò. «Voglio andare a casa.» Il ragazzo tremava. «Ci credo.» Brody lo guidò verso il gruppo dei suoi amici, ma Middleton li intercettò. «Può ripeterlo per me?» «Ripetere cosa?» «Quel che ha detto al ragazzo. Vogliamo rifarlo?» «Ma si tolga dai piedi!» urlò Brody. Accompagnò il ragazzo dai suoi amici e si rivolse a quello che aveva proposto la scommessa. «Portalo a casa. E dagli i suoi dieci dollari.» Il ragazzo, pallido e spaventato, annuì. Brody vide il suo walkie-talkie galleggiare nella risacca. Andò a ripescarlo, l'asciugò, premette il pulsante e disse: «Leonard, mi senti?». «La sento, Capo. Passo.» «Lo squalo è passato di qui. Se c'è qualcuno in acqua dalle tue parti, fallo uscire, e al volo. E resta lì finché non ti mandiamo qualcuno a darti il cambio. Che nessuno si avvicini all'acqua. La spiaggia è ufficialmente chiusa.» «Okay, Capo. Vittime? Passo.» «No, grazie a Dio, ma solo per miracolo.» «Okay, Capo. Passo e chiudo.» Brody si incamminò verso il punto in cui aveva lasciato la sua borsa, e Middleton lo chiamò: «Ehi, Capo, la facciamo quest'intervista, allora?». Brody si fermò, con la tentazione di dirgli di andare a prenderselo. Poi rispose: «Cosa vuole sapere? Lei ha visto tutto quanto me». «Solo un paio di domande.» Brody trasse un sospiro e tornò verso Middleton e gli altri due. «E va bene» acconsentì. «Avanti.» «Quanta pellicola hai ancora, Walter?» «Un centocinquanta metri. Falla breve.» «Okay. Dammi il via.» «Via.» «Bene, Mr. Brody,» attaccò Middleton «è stata una bella fortuna, non le pare?» «Una grossa fortuna. Il ragazzo avrebbe potuto rimetterci la pelle.»
«Pensa che si tratti dello stesso squalo che ha fatto le altre vittime?» «Non lo so» rispose Brody. «Direi di sì.» «E cosa intende fare?» «Le spiagge sono chiuse. Per il momento è tutto quello che posso fare.» «Vale a dire che non ci si può ancora fidare di fare il bagno qui ad Amity?» «Direi di sì.» «E questo, quali conseguenze avrà per Amity?» «Brutte, Mr. Middleton. Siamo in una situazione molto grave.» «Considerando la cosa adesso, come vede la decisione di riaprire le spiagge oggi?» «Come la vedo? Ma che razza di domande mi fa? Io so solo di essere angosciato, furioso, sconvolto. Grato al cielo che nessuno ci abbia rimesso la pelle. Le basta?» «Certamente» rispose Middleton con un sorriso. «Grazie mille.» Fece una pausa, poi riprese: «Okay, Walter, è tutto. Torniamo alla base e cominciamo a montare questa roba». «Che ne diresti di un primo piano?» domandò l'operatore. «Mi restano ancora otto metri.» «D'accordo. Aspetta che penso qualcosa di profondo da dire.» Brody prese l'asciugamano e la borsa, e superò la duna diretto alla sua auto. Quando giunse sulla Scotch Road vide la famiglia di Queens accanto alla loro familiare. «Era quello lo squalo che ha fatto fuori quei tali?» domandò l'uomo. «Chi lo sa?» rispose Brody. «Che importanza ha?» «Non che se ne sia visto gran che, solo una pinna. I ragazzi ci sono rimasti un po' male.» «Senta, razza di idiota» esplose Brody. «Un ragazzo ci ha quasi rimesso le bucce pochi minuti fa. Lei c'è rimasto male perché se l'è cavata?» «Cosa c'entra» replicò l'altro. «Quel coso non gli era neanche molto vicino. Scommetto che è stata tutta una montatura per quelli della Tele.» «Senta, si tolga dai piedi. Lei è tutta la sua dannata prole. Se li porti via, subito!» Rimase lì fino a che l'uomo fu salito in macchina con tutta la famiglia e aveva messo in moto. Mentre si allontanava lo sentì dire alla moglie: «Io me l'aspettavo che tutta la gente di qui doveva avere la puzza sotto il naso. E avevo ragione. Perfino i poliziotti».
Alle sei Brody era nel suo ufficio con Hooper e Meadows. Aveva già parlato con Larry Vaughan il quale, ubriaco e in lacrime, aveva fatto discorsi incoerenti sulla propria vita rovinata. L'apparecchio sulla scrivania di Brody squillò. Sollevò il ricevitore. «Un certo Bill Whitman vorrebbe vederla, Capo» annunciò Bixby. «Dice che è del "New York Times".» «Oh, per... Okay, al diavolo. Fallo passare.» La porta si aprì e sulla soglia comparve Whitman. «Disturbo, forse?» «Ma si figuri» rispose Brody. «Si accomodi. Si ricorderà di Harry Meadows. Questo è Matt Hooper, di Woods Hote.» «Certo che mi ricordo di Harry Meadows» annuì Whitman. «È stato proprio grazie a lui che mi sono trovato a fare di corsa la Quarantatreesima Strada, con il mio capo che mi azzannava le chiappe.» «Come mai?» domandò Brody. «Mr. Meadows si era molto opportunamente dimenticato di dirmi del fatto di Christine Watkins. Ma non si è dimenticato di raccontarlo ai suoi lettori.» «Deve essermi sfuggito di mente.» «Cosa posso fare per lei?» chiese Brody. «Vorrei sapere se siete certi che si tratti dello stesso squalo che ha ucciso gli altri.» Brody accennò a Hooper che dichiarò: «Non posso affermarlo con sicurezza. Non ho visto l'animale che ha fatto le altre vittime, e non è che abbia potuto osservare molto bene quello di oggi. Ho visto solo una specie di guizzo, di un grigio argenteo. So di che si tratta, ma era la prima volta che lo vedevo. Posso solo fare delle ipotesi: con tutta probabilità si tratta del medesimo pescecane. È un po' inverosimile, almeno per me, che ci siano contemporaneamente due squali mangiatori d'uomini vicino alla costa di Long Island». Whitman si rivolse a Brody. «Cosa intende fare, Capo? Voglio dire oltre a chiudere le spiagge, cosa che, a quanto ho sentito, è già stata fatta.» «Non lo so. Cosa si può fare? Cristo, preferirei un ciclone. O addirittura un terremoto. Con quello per lo meno una volta passato non se ne parla più. Si può cominciare a guardarsi attorno, vedere i danni e decidere il dafarsi. Sono fatti concreti, in cui si può intervenire. Hanno un principio e una fine. Questa invece è pura follia. Come avere un pazzo che se ne va attorno a far fuori la gente quando gli gira. Si sa chi è ma non si riesce a cat-
turarlo né a farlo smettere. E, quel che è peggio, non si sa perché lo faccia.» «Pensa a Minnie Eldridge» intervenne Meadows. «Già» brontolò Brody. «Comincio a pensare che non abbia tutti i torti.» «Di chi si tratta?» volle sapere Whitman. «Oh, una testa matta.» Ci fu un momento di silenzio, un silenzio stanco, come se si fosse detto tutto quel che si poteva dire. Poi Whitman chiese: «Be'?». «Be', cosa?» «A questo punto bisognerà pur prendere qualche iniziativa, fare qualcosa.» «Se lei ha dei suggerimenti da offrire, lieto di ascoltarli. Personalmente penso che siamo fottuti. Sarà una fortuna se la città esisterà ancora, alla fine dell'estate.» «Non le pare di esagerare un po'?» «Non credo proprio. Tu che ne pensi, Harry?» «Sono d'accordo» convenne Meadows. «Questa città vive sul turismo estivo, Mr. Whitman. Lo chiami parassitismo, se vuole, ma così stanno le cose. Ogni estate arriva l'animale ospite, e Amity lo succhia furiosamente, traendone tutto il nutrimento possibile prima che l'ospite riparta, dopo il Labor Day. Senza l'animale ospite noi siamo come zecche senza un cane cui attaccarci. Moriamo di fame. Il prossimo inverno, nella migliore delle ipotesi, sarà il più gramo nella storia di questa cittadina. Ci sarà una tale disoccupazione che Amity sembrerà Harlem.» Ebbe una risatina. «Harlem marittima.» «Darei non so cosa per sapere come mai è capitata proprio a noi» disse Brody. «Perché proprio ad Amity? Perché non a East Hampton, o Southampton, o Quogue?» «Non lo sapremo mai» rispose Hooper. «Perché?» chiese Whitman. «Non vorrei dare l'impressione che cerco delle scuse per avere sbagliato nelle mie previsioni,» spiegò Hooper «ma in natura avvengono molte cose per le quali non c'è una spiegazione logica, e molte altre per le quali non si ha una risposta precisa e soddisfacente. Prendiamo due che stiano nuotando, uno dietro l'altro, un pescecane piomba su di loro, oltrepassa quello dietro e attacca quello davanti. Perché? Magari avevano un odore diverso. Magari il primo si agitava di più nell'acqua. Mettiamo che quello dietro, che non è stato aggredito, vada in aiuto dell'altro. Il pescecane potrebbe
anche non toccarlo, anzi addirittura evitarlo, e continuare ad accanirsi contro la vittima scelta. Pare che gli squali bianchi preferiscano acque più fredde. Ma allora come mai se n'è trovato uno al largo del Messico, soffocato da un cadavere umano che non era riuscito a inghiottire? Si può dire che i pescecani siano come i cicloni. Colpiscono qui ma non là. Radono al suolo una casa, poi di colpo mutano direzione risparmiando la casa accanto. E quello che ha avuto la casa distrutta si chiede: "Perché proprio a me?". E il suo vicino pensa: "Mi è andata bene".» «D'accordo» assentì Whitman. «Ma ancora non capisco perché non si possa catturare questo squalo.» «Forse si potrebbe» rispose Hooper. «Ma non credo che noi ne siamo in grado. Per lo meno non con i mezzi a nostra disposizione. Forse potremmo tentare di nuovo con la pastura.» «Già» commentò Brody. «Ben Gardner può darci ampie istruzioni in merito.» «Conoscete per caso un certo Quint?» domandò Whitman. «L'ho sentito nominare» rispose Brody. «Ti sei poi informato sul suo conto, Harry?» «Per quel poco che c'era da sapere. Da quanto risulta non ha mai fatto niente di illegale.» «Be',» mormorò Brody «forse vale la pena di sentirlo un po'.» «Ma scherza» obiettò Hooper. «Davvero ricorrerebbe a questo tizio?» «Senta, Hooper. A questo punto se si presentasse qualcuno a dirmi che è Superman e che con una pisciata mi libera di questa bestia, io gli direi ottimo, faccia pure. Disposto anche a reggergli il pinco.» «Sì, ma...» Brody lo interruppe. «Tu che ne pensi, Harry? Lo troviamo sulla guida telefonica?» «Ma dice sul serio allora?» Hooper non si capacitava. «Ci può giurare. Ha qualcosa di meglio da proporre?» «No, è solo che... Come facciamo a sapere che questo tale non è un cialtrone, un ubriacone o altro?» «L'unica per saperlo è provare.» Brody prese l'elenco telefonico dal primo cassetto della scrivania e l'aprì alla lettera Q. Fece scorrere il dito lungo la pagina. «Ecco qui. "Quint". Non c'è altro. Solo il cognome. Ma è l'unico che ci sia. Deve essere lui.» Formò il numero. «Quint» rispose una voce. «Mr. Quint, sono Martin Brody. Il capo della polizia di Amity. Abbiamo
un problema da risolvere.» «Ho sentito.» «Oggi lo squalo è ricomparso.» «Preso nessuno?» «No, ma quasi un ragazzo ci rimaneva.» «Per una bestia così grossa ce ne vuole di cibo» commentò Quint. «Lei l'ha visto?» «Macché. L'ho cercato un paio di volte, ma non avevo molto tempo da perdere. I miei clienti non spendono i loro quattrini per andare in cerca. Vogliono roba concreta.» «E come fa a sapere quanto è grande?» «Ho sentito le descrizioni. Ho fatto una media e ho tolto due metri e mezzo. E ne è venuto fuori sempre un bel bestione.» «Lo so. Mi chiedevo se lei poteva darci una mano.» «Già. Me l'aspettavo.» «E allora?» «Dipende.» «Da che?» «Da quanto siete disposti a tirar fuori, per dirne una.» «Le daremo la sua solita tariffa. Quello che lei chiede a giornata. La pagheremo giorno per giorno, finché ammazziamo quella bestia.» «Ah no» replicò Quint. «Qui non è il lavoro solito.» «Sarebbe a dire?» «La mia tariffa normale è di duecento al giorno. Ma questo è un caso speciale. Voglio il doppio.» «Neanche pensarci.» «La saluto.» «Un momento! Avanti. Perché mi prende per il collo?» «Tanto non può rivolgersi a nessun altro.» «Lei non è l'unico pescatore.» Brody sentì la risata di Quint, un breve latrato beffardo. «Certo che ce ne sono» replicò. «Ne ha già mandato uno. Ne mandi un altro. Ne mandi mezza dozzina. Così poi quando si rivolge di nuovo a me, magari dovrà darmi il triplo. Io non ho fretta.» «Senta, non voglio chiederle dei favori» insisté Brody. «So che per lei è un lavoro. Ma questa bestia sta ammazzando della gente. Io voglio farla finita, evitare nuove vittime. Ho bisogno del suo aiuto. Non potrebbe almeno farmi la tariffa solita?»
«Mi si spezza il cuore» rispose Quint. «Qui c'è uno squalo che deve essere eliminato, e io cercherò di farlo. Non garantisco niente ma farò del mio meglio. E il mio meglio costa quattrocento dollari al giorno.» Brody trasse un sospiro. «Non so se i consiglieri mi concederanno i fondi.» «Li troverà da qualche altra parte.» «Quanto pensa che ci vorrà per prendere questo squalo?» «Un giorno, una settimana, un mese. Chi lo sa. Magari non lo troveremo neanche. Può darsi che se ne vada.» «Fosse vero» mormorò Brody. Fece una pausa. «Okay. Non abbiamo scelta, mi pare.» «Direi di no.» «Possiamo cominciare domani?» «No. Non prima di lunedì. Domani ho un impegno.» «Un impegno? Cos'è, invitato a cena?» Quint si mise di nuovo a ridere, la stessa risata secca. «Dei clienti. Mica è tanto sveglio, lei.» Brody arrossì. «Già, forse. Non può trovare una scusa? Con una cifra del genere mi pare che ci meritiamo un trattamento di favore.» «Proprio no. Si tratta di clienti fissi. Non posso fargli uno scherzo del genere, rischio di perderli. Lei la vedrò solo questa volta.» «E mettiamo che si imbatta in quello squalo domani. Cercherebbe di prenderlo?» «Sarebbe un bel risparmio per lei, vero? No, non lo incontreremo. Andiamo verso est. Pesca magnifica giù di là. Dovrebbe provarci una volta o l'altra.» «Aveva già pensato a tutto, eh?» «Un'altra cosa» aggiunse Quint. «Mi servirà un uomo. Ho perso il mio socio e non sarei tranquillo a metter le mani su un bestione come quello senza un aiuto.» «Ha perso il suo socio? In mare?» «No, ha mollato. Dava i numeri. Succede a parecchi dopo un po' che si fa questo mestiere. Finisce che si pensa troppo.» «Ma a lei non succede?» «No. Io so di essere più sveglio dei pesci.» «E questo le basta, solo l'essere più sveglio?» «Fino a oggi sì. Sono ancora vivo. Be', allora? Mi può mandare qualcuno?»
«Non può trovare lei qualcuno che le dia una mano?» «Non così su due piedi, e per una faccenda come questa, poi.» «E chi viene con lei domani?» «Un ragazzo. Ma non me lo porterei appresso per uno squalo bianco.» «Certo, la capisco» riconobbe Brody. Cominciava a chiedersi se era poi stata una buona idea rivolgersi a Quint. Senza pensare aggiunse: «Ci sarò anch'io, sa». Appena pronunciate queste parole si sentì sgomento, inorridito dall'impegno assunto. «Lei. Bah!» Il disprezzo di Quint lo punse sul vivo. «Mica sono un bambino.» «Può darsi. Non la conosco. Ma come fa a cavarsela con uno squalo del genere se non ne sa niente di pesca? Sa nuotare?» «Certo. Ma cosa c'entra?» «Capita anche di finire in acqua, e a volte ci si impiega un po' di tempo a virare e riprendere a bordo l'interessato.» «Non si preoccupi.» «Se lo dice lei. Ma lo stesso ho bisogno di uno che se ne intenda un po'.» Brody lanciò un'occhiata a Hooper. L'ultima cosa che voleva era passare giornate intere su un battello in sua compagnia, soprattutto in una situazione in cui Hooper gli sarebbe stato superiore per competenza se non per autorità. Poteva sempre mandare Hooper da solo, e lui restare a terra. Ma, sentiva, sarebbe stato un cedere le armi, ammettere in ultima analisi di non essere in grado di affrontare e sconfiggere quello strano nemico che aveva dichiarato guerra alla sua cittadina. Inoltre, forse, in quelle lunghe ore in mare, Hooper avrebbe potuto lasciarsi sfuggire qualcosa che rivelasse dove si era trovato il mercoledì precedente, il giorno che aveva piovuto. L'idea di scoprire cosa aveva fatto Hooper quel giorno cominciava a essere un'ossessione: ogni volta che esaminava le varie possibilità, si bloccava sempre su quella che più temeva. Voleva avere la certezza che Hooper era stato al cinema, o a giocare a backgammon al Field Club, o a fumare roba insieme a qualche hippie, o a scopare qualche ragazzetta. Non gli importava cosa, pur di sapere che non era stato con Ellen. O che c'era stato. In tal caso... Era un pensiero troppo angoscioso, intollerabile. Posò una mano sul ricevitore e chiese a Hooper: «Vuole venire anche lei? C'è bisogno di un aiuto». «Ma come, non ha un socio? Che razza di organizzazione.» «Lasci perdere. Vuole venire o no?»
«Sì» rispose Hooper. «Magari me ne pentirò, ma vengo. Ci tengo a vedere quello squalo, e mi sembra l'occasione buona.» Brody disse nell'apparecchio: «Okay, abbiamo anche l'uomo». «Se ne intende di barche?» «Sicuro.» «Lunedì mattina, alle sei. Portatevi da mangiare. Sa come arrivare qui?» «Si prende la Ventisette fino all'uscita per Promised Land, giusto?» «Sì. Si chiama Cranberry Hote Road. Si attraversa il centro. Un centinaio di metri dopo le ultime case si gira a sinistra, su una strada in terra battuta.» «C'è un cartello?» «No, ma è l'unica strada da quelle parti. Porta diritto al mio pontile.» «E c'è solo la sua barca?» «Solo quella. Si chiama Orca.» «D'accordo. A lunedì.» «Un'altra cosa» aggiunse Quint. «In contanti. Giorno per giorno. In anticipo.» «D'accordo, ma perché?» «È il mio sistema. Non voglio che finiate in acqua con i miei quattrini in tasca.» «Va bene» annuì Brody. «Li avrà.» Riagganciò e disse a Hooper: «Lunedì mattina alle sei, va bene?». «Benissimo.» «Da quel che hai detto mi pare di avere capito che ci vai anche tu, Martin» osservò Meadows. Brody annuì. «È mio dovere.» «Direi che questo va un po' al di là.» «Be', ormai è fatta.» «Come si chiama il battello?» chiese Hooper. «Mi pare che abbia detto Orca» rispose Brody. «Non so cosa vuole dire.» «Si riferisce all'orca marina.» Meadows, Hooper e Whitman si alzarono. «Buona fortuna» augurò il giornalista. «Quasi le invidio la spedizione. Dev'essere emozionante.» «Di certe emozioni ne farei anche a meno» rispose Brody. «Voglio solo chiudere la storia.» Sulla soglia Hooper si volse e disse: «L'orca marina mi ha fatto venire in mente una cosa. Sa come gli australiani chiamano i pescecani?».
«No» rispose Brody senza interesse. «Come?» «Morte bianca.» «Doveva proprio raccontarmelo, eh?» borbottò Brody richiudendo la porta. Stava andandosene quando l'agente del turno serale lo fermò: «C'è stata una chiamata per lei, poco fa, Capo. Non mi è parso il caso di disturbarla». «Chi?» «Mrs. Vaughan.» «Mrs. Vaughan!» A memoria di Brody, in vita sua non aveva mai parlato al telefono con Eleanor Vaughan. «Mi ha detto di non disturbarla, che non era urgente.» «Meglio che la richiami. È così timida che se avesse la casa in fiamme telefonerebbe ai pompieri scusandosi dell'incomodo per chiedere se la prima volta che passano dalle sue parti possono fermarsi un attimo da lei.» Mentre rientrava nel suo ufficio, Brody ricordò una cosa che Vaughan gli aveva detto a proposito di Eleanor: quando compilava un assegno non metteva mai le due sbarrette dopo la cifra, le pareva offensivo, come insinuare che a chi l'incassava poteva anche venire in mente di aggiungerci qualche cents. Brody formò il numero di casa dei Vaughan, ed Eleanor rispose al primo squillo. Stava proprio seduta accanto al telefono, si disse Brody. «Sono Martin Brody, Eleanor. Mi avevi chiamato?» «Oh, sì. Scusami tanto se ti disturbo, Martin. Se non hai tempo...» «No, va benissimo. Cosa c'è?» «È... be', ti ho chiamato perché so che oggi hai parlato con Larry. Pensavo che forse tu sapevi se... se c'è qualcosa che non va.» Brody pensò: non sa nulla, nulla di nulla. Be', non sarò certo io a dirglielo. «Perché? A cosa ti riferisci?» «Non saprei come spiegare esattamente, ma... be', Larry non beve poi tanto, lo sai. Molto di rado, soprattutto a casa.» «Sì?» «Questa sera, quando è rientrato, non ha aperto bocca. Si è chiuso nel suo studio e, almeno credo, si è scolato quasi una bottiglia intera di whisky. Adesso dorme, in poltrona.» «Non starei a preoccuparmene. Avrà qualche preoccupazione. Capita a tutti di esagerare un po', prima o poi.» «Lo so. Solo... c'è qualcosa che non va. Sono sicura. Sono parecchi giorni ormai che si comporta così. Pensavo che magari... tu sei suo amico.
Hai idea di cosa può essergli successo?» Suo amico, pensò Brody. Anche Vaughan l'aveva detto, ma con maggior precisione: "Eravamo amici" aveva detto. «No, Eleanor, non ne so nulla» mentì. «Ma se vuoi provo a parlargli.» «Davvero, Martin? Te ne sarei molto grata. Ma... ti prego... non dirgli che ti ho chiamato. Non ha mai voluto che mi preoccupassi dei suoi affari.» «Non glielo dirò. Stai tranquilla. Cerca di riposare.» «Sarà il caso di lasciarlo lì in poltrona?» «Ma certo. Basta che gli togli le scarpe e gli metti addosso una coperta. Starà benissimo.» Paul Loeffler, dietro il banco della sua tavola calda, guardò l'orologio. «Le nove meno un quarto» disse rivolto alla moglie, Rose, carina e grassoccia, che stava mettendo nel frigorifero i panetti di burro. «Che ne diresti di chiudere un quarto d'ora prima?» «Dopo una giornata come questa, d'accordissimo» rispose lei. «Nove chili di mortadella! Da quando in qua abbiamo consumato nove chili di mortadella in un giorno?» «E l'emmenthal!» rincarò Loeffler. «Quando mai siamo rimasti senza emmenthal prima d'oggi? Mica male farci qualche altra giornata così. Roast-beef, salsiccia di fegato, tutto quanto. Sembrerebbe che tutti, da Brooklyn a East Hampton, si siano fermati qui a mangiare dei sandwich.» «Altro che da Brooklyn. Dalla Pennsylvania. Un tizio mi ha detto che arrivava dalla Pennsylvania. Solo per vedere uno squalo. Ma non ne hanno mai visti di squali in Pennsylvania?» «Chi lo sa?» rispose Loeffler. «Qui sembra di stare a Coney Island.» «La spiaggia pubblica sarà ridotta a un immondezzaio.» «Ne vale la pena. Ci meritiamo qualche giornata di incassi.» «Ho sentito che le spiagge sono di nuovo chiuse» osservò Rose. «Già. Piove sul bagnato, dico io.» «Ma che stai a dire?» «Non lo so. Chiudiamo.» Parte terza XI
Il mare era piatto, come una gelatina. Non c'era un alito di vento a incresparne la superficie. Il sole aspirava vibranti ondate di calore dall'acqua. Di quando in quando una rondine marina si tuffava a catturare cibo per poi tornare a innalzarsi lasciando dietro di sé cerchi che andavano allargandosi all'infinito. Il battello immobile sull'acqua seguiva la corrente impercettibile. Le lenze metalliche di due canne da pesca, nei loro sostegni a poppa, si trascinavano nella scia oleosa di pastura che si allargava dietro il battello. Hooper sedeva a poppa, accanto a sé aveva un grosso secchio in cui, a intervalli di pochi secondi immergeva una mestola che poi rovesciava in acqua. A prua, sui due lati, c'erano dieci barilotti di legno disposti in fila, accanto a ciascuno era un rotolo di grossa fune, una trentina di metri. A un capo era legata la punta d'acciaio di un arpione, e l'altro girava più volte attorno al barile assicurandolo saldamente. Brody sul sedile girevole da pesca fissato al ponte cercava faticosamente di tenersi sveglio. Era accaldato e sudaticcio. Da sei ore erano in mare e non c'era mai stato un minimo soffio di brezza. Aveva la nuca già scottata dal sole e ogni volta che girava il capo il colletto della camicia dell'uniforme sfregava dolorosamente contro la pelle. L'odore del proprio sudore e il tanfo dei visceri e sangue di pesce che venivano buttati in acqua gli davano la nausea. Si sentiva tutto appiccicoso. Alzò lo sguardo verso la figura sul ponte superiore: Quint. Portava una maglietta bianca, un paio di jeans scoloriti, calzini bianchi e un paio di scarpe da tennis grigiastre. Doveva essere sulla cinquantina. Era alto più di un metro e novanta, e abbastanza magro, sugli ottanta chili. Era completamente calvo, non rapato, ma calvo come se non avesse mai avuto capelli, e quando come adesso il sole era alto e rovente, portava un berretto a visiera. La faccia, come tutto in lui, era scarna e angolosa, dominata da un naso lungo e diritto. Gli occhi erano scuri come Brody non ne aveva mai visti. La pelle era bruciata e indurita dal vento salmastro e dal sole. Era rivolto a poppa e fissava la scia di pastura. Brody si mosse un poco sentendo un rivoletto di sudore lungo il torace. Girò il capo, provando una nuova fitta al collo, cercando di scrutare la scia. Ma il riverbero del sole sull'acqua gli fece male agli occhi e distolse lo sguardo. «Ma come fa lei, Quint» commentò. «Non porta mai occhiali scuri?» Quint abbassò lo sguardo su di lui e rispose: «Mai». Il tono era completamente neutro, né amichevole né ostile. Né invitava alla conversazione.
Ma Brody si annoiava e aveva voglia di parlare. «Come mai?» «Non servono. Così vedo le cose come sono. È meglio.» Brody guardò l'orologio: le due e qualche minuto. Ancora tre o quattro ore prima di rientrare. «Ne passa spesso di giornate così?» L'eccitazione, l'entusiasmo del mattino si erano ormai spenti, e Brody era certo che per quel giorno non avrebbero avvistato il pescecane. «Come così?» «Come questa. A starsene seduti tutto il giorno senza che succeda niente.» «Qualche volta.» «E la gente la paga anche se non prende pesci?» «È la regola.» «Anche se niente abbocca?» Quint annuì. «Non capita molto spesso. Di solito qualcosa che abbocchi o da infilzare lo si trova.» «Infilzare?» «Con un ferro.» Indicò gli arpioni a prua. Hooper chiese: «Che generi di pesci infilza, Quint?». «Quel che capita.» «Davvero? Non mi...» Quint lo interruppe. «Qualcosa sta abboccando.» Riparandosi gli occhi con la mano Brody scrutò a poppa ma non riuscì a individuare alcun movimento nell'acqua piatta, immobile. «Dove?» chiese. «Aspetti» rispose Quint. «Vedrà.» Con un leggero sibilo metallico la lenza di dritta cominciò a filare fuori bordo, duro filo argenteo che tagliava l'acqua. «Prenda la canna» ordinò Quint a Brody. «E quando glielo dico io, blocchi.» «È il pescecane?» domandò Brody. L'idea che finalmente avrebbe affrontato lo squalo - il mostro, l'incubo - gli fece martellare il cuore. Aveva la bocca arida. Si strofinò le mani contro i pantaloni, tolse la canna dallo scalmo e l'infilò nel supporto fissato al sedile. Quint ebbe una risata, un breve nitrito sarcastico. «Quell'affare lì? Macché. È robetta piccola. Ma le servirà a farsi un po' di ossa per quando il suo squalo ci trova.» Quint tenne d'occhio la lenza per qualche altro secondo, poi disse: «Blocchi». Brody spinse in avanti la leva del mulinello, chinandosi, poi tirò. La punta della canna si inarcò. Con la destra Brody cominciò a girare la ma-
novella per tirare il pesce. Ma il mulinello non ubbidì e la lenza continuò a srotolarsi. «Non sprechi energie» consigliò Quint. Hooper, che se ne stava seduto sulla traversa, si alzò e disse: «Aspetti che stringo meglio il freno». «Neanche per sogno!» intervenne Quint. «Non tocchi quella canna.» Hooper alzò lo sguardo con aria sconcertata e un po' offesa. Brody notò la sua espressione e pensò: ecco, ti sta bene. Dopo qualche istante Quint aggiunse: «A non lasciargli abbastanza gioco si rischia di strappargli l'amo di bocca». «Oh» mormorò Hooper. «Sbaglio o lei era quello che si intendeva di pesca?» Hooper non rispose. Si volse e tornò a sedere. Brody serrava la canna con entrambe le mani. Il pesce era sceso a fondo e si spostava lentamente di qua e di là, ma senza più tirare la lenza. Brody riavvolgeva, chinandosi in avanti e girando in fretta la manovella recuperando il filo che si allentava, e poi tirandosi indietro irrigidendo i muscoli delle spalle e del dorso. Il polso sinistro gli doleva, e cominciava ad avere i crampi alle dita della destra. «Cosa diavolo c'è attaccato?» chiese. «Una verdesca» rispose Quint. «Deve pesare mezza tonnellata.» Quint si mise a ridere. «Diciamo settanta chili.» Brody continuò a ritirare pazientemente la lenza finché sentì Quint: «Ci siamo. Basta così». E smise di riavvolgere. Con movimento agile, tranquillo, Quint discese la scaletta del ponte sopraelevato. In mano teneva un fucile militare, un vecchio M-1. Andò al parapetto e guardò giù. «Vuole vederlo?» disse. «Venga a guardare.» Brody si alzò e, continuando a recuperare la lenza, raggiunse Quint. Nell'acqua scura lo squalo era di un azzurro vivido. Lungo circa due metri e mezzo, snello, con lunghe pinne pettorali, nuotava lentamente senza più dibattersi. «È splendido, vero?» commentò Hooper. Quint tolse la sicura al fucile e quando la testa dello squalo arrivò a una spanna dalla superficie, esplose tre colpi in rapida successione. I proiettili aprirono netti fori tondi nella testa dell'animale, senza che uscisse sangue. La verdesca fu percorsa da un fremito e smise di muoversi. «È morto» disse Brody. «Macché» replicò Quint. «Istupidito, ma niente di più.» Poi trasse un
guanto dalla tasca dei calzoni, l'infilò sulla destra e afferrò la lenza metallica. Da un fodero attaccato alla cintura prese un coltello. Sollevò dall'acqua la testa dello squalo chinandosi sulla frisata. La bocca del pesce era socchiusa di quattro dita. L'occhio destro, velato in parte da una membrana bianca, fissava vacuamente Quint che cacciò la lama in quella bocca cercando di fargliela aprire di più, ma l'animale serrò le mascelle imprigionando il coltello tra i piccoli denti triangolari. Quint diede degli strattoni, rigirando il coltello finché riuscì a liberarlo. Lo rimise nel fodero e si cavò di tasca un paio di pinze tagliafili. «Direi che mi pagate abbastanza, posso anche sprecare un amo e un po' di filo» commentò. Stava per tagliare la lenza. «Un momento» aggiunse, rimettendosi la pinza in tasca e tirando nuovamente fuori il coltello. «State a vedere. Questo fa sempre un grande effetto.» Tenendo la lenza con la sinistra sollevò quasi completamente lo squalo dall'acqua e con un solo colpo di lama ne aprì il ventre dalla pinna anale fino alla gola. Dallo squarcio uscirono le interiora insanguinate, bianche rosse e azzurre, che si rovesciarono nell'acqua come panni da un cesto della biancheria. Poi tagliò la lenza con le pinze e l'animale ricadde. Appena fu sotto la superficie la verdesca cominciò a dibattersi in quella nube di sangue e visceri, azzannando tutto ciò che trovava. Il corpo si contorceva mentre lo squalo inghiottiva i pezzi del proprio intestino che subito uscivano dal ventre lacerato per essere poi di nuovo divorati. «State a vedere» disse ancora Quint. «Se abbiamo fortuna tra un attimo arriveranno altre verdesche a dargli una mano a mangiarsi. E se ne viene un certo numero sarà una vera orgia. Mica male come spettacolo. Alla gente piace.» Brody, esterrefatto, rimase a guardare l'animale che continuava a mordere quei visceri. Dopo un attimo notò un'ombra azzurra risalire dal basso. Un piccolo squalo - non più di un metro e venti - si gettò sul pesce sventrato. Richiuse le mandibole su un lembo di quelle carni aperte, scosse violentemente la testa e il suo corpo ebbe un guizzo serpentino. Un brano di carne si strappò e il piccolo squalo inghiottì. Poco dopo ne comparve un altro, e un altro ancora, e l'acqua cominciò a oscurarsi. Il sangue si mescolava agli spruzzi d'acqua che agitavano la superficie. Quint prese una fiocina da sotto il parapetto. Si sporse, tenendola alta, poi diede un colpo e la ritrasse di scatto. Infilzato sulla punta era un piccolo squalo che si agitava convulsamente. Con il coltello Quint gli aprì il ventre e lo ributtò in mare. «Adesso vedrete.»
Brody non aveva idea di quanti squali ci fossero in quel ribollire. Pinne che tagliavano la superficie, code che sferzavano l'acqua. In quella lotta furibonda si udiva ogni tanto il tonfo dei corpi che si urtavano con violenza. Brody abbassò lo sguardo sulla propria camicia e la vide chiazzata di acqua e sangue. Quello sconvolgimento si protrasse per parecchi minuti, fino a che rimasero solo tre grandi squali a nuotare avanti e indietro sotto il pelo dell'acqua. Gli uomini rimasero a guardare in silenzio finché anche quelli sparirono. «Gesù» mormorò Hooper. «Non approva, eh?» disse Quint. «Proprio no. Non mi piace vedere morire degli animali per far divertire la gente.» Quint ebbe un sogghigno e Hooper chiese: «E a lei?». «Che mi piaccia o no non c'entra. Io ci campo.» Quint prese dalla ghiacciaia un altro pezzo di lenza con l'amo che era già stato innescato prima della partenza: un grosso calamaro infilzato e legato al gambo e al dardo dell'amo. Servendosi delle pinze Quint attaccò il filo supplementare alla lenza principale, poi buttò l'esca in acqua lasciandole una trentina di metri di filo. Hooper riprese a pasturare. Brody chiese: «Qualcuno vuole una birra?». Quint e Hooper annuirono, lui scese sottocoperta e prese tre lattine dalla ghiacciaia. Mentre usciva dalla cabina notò due vecchie foto screpolate fissate con un paio di puntine alla parete. In una si vedeva Quint immerso fino alle anche in un ammasso di grossi pesci che Brody non riuscì a riconoscere. L'altra era la foto di uno squalo morto, su una spiaggia. Nella foto non comparivano elementi che servissero come termine di paragone, per cui non poté farsi un'idea delle dimensioni dell'animale. Tornò di sopra, distribuì le birre e riprese il suo posto. «Ho visto quelle foto dabasso» disse rivolto a Quint «Quel mucchio di pesci, cos'erano?» «Tarponi» rispose Quint. «È stato parecchio tempo fa, quando ho fatto un po' di pesca in Florida. Mai vista una cosa del genere. Ne avremo presi trenta o quaranta, e grossi, in quattro notti.» «E li avete tenuti?» domandò Hooper. «Lo sa che bisogna ributtarli in mare?» «I miei clienti li volevano. Per le foto, immagino. Ad ogni modo una volta fatti a pezzi non sono male come pastura.» «In altre parole secondo lei sono più utili morti che vivi.» «Sicuro. Come quasi tutti i pesci. E un sacco di altri animali. Non ho
mai provato a mangiare un manzo vivo.» Si mise a ridere. «E quello dell'altra foto cos'è?» volle sapere Brody. «Uno squalo qualsiasi?» «Be', non uno qualsiasi. Era uno squalo bianco, di quattro metri e mezzo, o forse cinque. Pesava più di una tonnellata e mezzo.» «E come l'ha preso?» «L'ho infilzato. Ma le assicuro» Quint ridacchiò «per un po' non è stato chiaro chi dei due avrebbe preso l'altro.» «Cioè?» «Quell'accidenti ci è venuto addosso. Mica gli avevamo fatto niente. Ce ne stavamo lì a badare ai fatti nostri, e bang! Come se fossimo stati investiti da un treno. Il mio socio è finito lungo disteso, e il cliente si è messo a berciare aiuto affondiamo. E poi quel bastardo ci ha dato un'altra botta. Io gli ho cacciato un ferro in corpo e l'abbiamo inseguito... Cristo, dobbiamo essergli stati appresso fino a metà Atlantico.» «Come avete fatto a seguirlo?» chiese Brody. «Come mai non è andato sotto?» «Non poteva, con quel barile appresso. Roba che galleggia. Se l'è portato sotto per un po', ma poi quando non ce l'ha più fatta è risalito. Così siamo stati appresso al barile. Dopo un paio d'ore siamo riusciti a piantargli addosso altri due ferri e alla fine è venuto su che manco si muoveva; gli abbiamo girato una fune attorno alla coda e ce lo siamo rimorchiato a terra. E per tutto il tempo il cliente dava i numeri, diceva che sicuro come l'oro saremmo affondati e quello ci avrebbe mangiati. «E il più bello è che alla fine, mentre ce lo riportavamo indietro, ben legato e tranquillo e di affondare non se ne parlava più, quello stronzo viene ad offrirmi cinquecento dollari se racconto che il pesce l'ha preso lui con amo e lenza. Pieno di buchi com'era, vuole farmi dire che se l'è beccato con amo e lenza! Allora poi attacca tutta una manfrina dicendo che dovevo fargli metà prezzo perché non gli avevo neanche dato la possibilità di prenderlo con la lenza. Gli ho detto che se l'avessi lasciato tentare mi sarei trovato fuori di un amo, di trecento metri di lenza, di canna e mulinello, e pure di un pesce. Allora quello tira fuori la storia di tutta la pubblicità che avrei cavato da un viaggio che alla fine aveva pagato lui. Allora gli ho risposto di darmi i quattrini, e che la pubblicità se la poteva mettere lui dove gli pareva.» «Non ho capito quella storia di lenza e amo» disse Brody. «Cioè?»
«Quel che diceva prima. Mica è possibile prendere una bestia come quella che cerchiamo noi con lenza e amo, no?» «Certo che no. Da quel che ho sentito dire, in confronto al vostro, il mio pescecane era un bebé.» «E allora come mai ci sono fuori quelle lenze?» «Per due ragioni. Primo, uno squalo bianco potrebbe interessarsi anche a un'esca da niente come quei calamari. Trancerebbe subito il filo, ma almeno sapremmo che l'abbiamo attorno. Sarebbe un segnale. L'altra è che non si sa mai cosa può attirare una scia di pastura come quella che stiamo buttando in acqua. Anche se il vostro squalo non si fa vivo, potrebbe sempre abboccare qualcos'altro.» «Per esempio?» «Chi lo sa. Magari qualcosa di utile. Delle volte mi è successo che un pescespada si ingollasse uno dei miei calamari, e con tutte queste storie del governo sul mercurio nessuno li pesca più per commercio, e si può chiedere anche cinque dollari al chilo, a Montauk. O potremmo trovarci alle prese con un mako, roba che impegna sul serio. Visto che tirate fuori quattrocento dollari al giorno, tanto vale che vi divertiate un po'.» «E mettiamo che arrivi il pescecane,» riprese Brody «che farebbe per prima cosa?» «Cercherei di tenerlo qui attorno, finché non riusciamo a colpirlo. Non è difficile, sono bestie molto stupide. Dipende da come ci trova. Se fa lo stesso scherzo di quell'altro e ci viene addosso, noi cominciamo a scaraventargli in corpo i nostri ferri, a tutta velocità, e poi ci allontaniamo e aspettiamo che si stanchi per conto suo. Se invece si attacca a una lenza, neanche pensare di fermarlo se vuole filarsela. Comunque cercherei di farlo girare verso di noi, bloccare la lenza anche a rischio di perderla. Probabilmente si strapperebbe via l'amo come niente, ma può darsi che riusciamo a tirarcelo abbastanza vicino per arpionarlo. E una volta fatto questo, è solo questione di tempo.» «Con tutta probabilità ci troverà seguendo la nostra scia di pastura, in superficie o appena sotto. E allora lì, sì, la faccenda non sarà semplice. Cosa se ne fa di un calamaro? Una bestia di quelle dimensioni se lo ingollerebbe senza neanche accorgersene. Per cui bisogna offrirgli qualcosa di speciale a cui non sappia dire di no, qualcosa che abbia dentro un bell'amo grosso che lo trattenga almeno quel tanto che basta per servirgli un paio di arpioni.» «Ma se l'amo è troppo visibile,» obiettò Brody «non potrebbe rifiutare
l'esca?» «No. Questi animali hanno il cervello di una pulce. Buttano giù qualsiasi cosa. Quando stanno mangiando gli si potrebbe buttare anche un amo senza niente e quelli, se lo vedono, lo inghiottono. Un mio amico una volta ne ha trovato uno che ha cercato di mangiargli il motore della barca. L'ha sputato fuori solo perché non riusciva a mandarlo giù.» Da poppa, dove stava ancora gettando pastura, Hooper chiese: «E cos'è qualcosa di speciale, Quint?». «Vuole dire il bocconcino a cui non sappia dire di no?» Quint sorrise e accennò a un bidone di plastica verde messo in un angolo. «Vada a guardare. È là dentro. L'ho tenuto apposta per un campione come il nostro. Per qualsiasi altro sarebbe sprecato.» Hooper si avvicinò al bidone, fece scattare i due morsetti laterali, sollevò il coperchio e restò senza fiato. Nel bidone pieno d'acqua galleggiava, in posizione verticale, una piccola focena lunga poco più di mezzo metro; la testa senza vita, dal muso arrotondato, ondeggiava dolcemente col movimento del battello. Un grosso amo da squali penetrava poco sotto la bocca, e dal ventre ne emergeva la punta uncinata. Hooper strinse con forza i bordi del recipiente e disse: «Un piccolo». «Meglio ancora» precisò Quint con un sogghigno. «Un feto.» Hooper contemplò quella forma per qualche istante ancora, poi riabbassò con violenza il coperchio e domandò: «Dove l'ha preso?». «Oh, a una decina di chilometri da qui, più o meno. Verso est. Perché?» «Voglio dire, dove l'ha trovato?» «Che domanda. Nella madre.» «L'ha uccisa?» «No.» Quint sbottò in una risata. «È saltata a bordo e si è inghiottita una manciata di sonniferi.» Fece una pausa aspettandosi una risata che non venne. Allora aggiunse: «Non è che li vendano al mercato». Hooper lo fissò. Era furibondo, sdegnato. Ma si limitò a dire: «Lo sa che è proibito». «Amico, quando pesco prendo quel che voglio.» «E le leggi? Non...» «Lei di che si occupa, Hooper?» «Sono un ittiologo. Studio i pesci. Per questo mi trovo qui. Non lo sapeva?» «Quando qualcuno mi noleggia la barca, io domande non ne faccio. E va be', lei i pesci li studia. Ma se dovesse camparci sui pesci - e voglio dire fa-
re un lavoro in cui quel che guadagni te lo sudi - allora le leggi le vedrebbe in un altro modo. Certo, è vietato prendere le focene. Ma questa legge non è certo fatta per me che ne prendo un paio ogni tanto come esca. È per impedire che se ne peschino in quantità, per impedire che dei cretini le facciano fuori per divertimento. Perciò senta, Hooper: lei può protestare e disperarsi quanto vuole. Ma non venga a raccontarmi che non posso prendere qualche pesce per tirare avanti.» «Quint, il fatto è che queste focene rischiano di venire eliminate del tutto, di estinguersi come razza. E lei accelera il processo.» «Non mi dica fesserie! Vada a dire a quelli che pescano il tonno di piantarla di catturare focene con le reti. Dica ai pescherecci giapponesi di smetterla di prenderne all'amo. Le risponderanno di andare a quel paese. Hanno delle bocche da sfamare. E io pure. La mia.» «Certo, chiaro» replicò Hooper. «Ne approfitti finché ce n'è, e poi quando non ce n'è più, va be', passeremo a qualcos'altro. Che razza di mentalità!» «Attento a quel che dice, ragazzo» disse Quint con voce piatta, fissando Hooper negli occhi. «Come?» «Non mi insulti.» Hooper non aveva alcuna intenzione di insultarlo e quella reazione lo sorprese. «Per amor del cielo, non avevo nessuna intenzione di...» Brody dal suo sedile, a mezzo tra i due, decise che era il caso di intervenire. «Lasciamo perdere, Hooper, okay? Non siamo qui per un dibattito ecologico.» «Cosa ne sa lei di ecologia, Brody?» replicò l'altro. «Scommetto che per lei significa solo che adesso non può più bruciare le foglie secche dietro la casa.» «Stia a sentire. La faccia finita con 'ste fregnacce da figlio di papà.» «Ah, ecco! "Fregnacce da figlio di papà"! È la faccenda del figlio di papà che veramente le brucia, eh?» «Ma insomma, perdiana! Siamo qui per dare la caccia a uno squalo, e se una focena può servire a salvare Dio sa quante altre vite, a me sembra che ne valga la pena.» Hooper fece una smorfia e replicò: «E così adesso mi diventa pure un esperto in fatto di salvare vite. Vediamo un po'. Quante ne avrebbe potuto salvare se avesse chiuso le spiagge dopo il...». Brody era già in piedi, diretto verso Hooper, prima di accorgersene.
«Tenga il becco chiuso, lei!» esplose. D'istinto si portò la destra al fianco. Non trovò la fondina e si bloccò rendendosi conto improvvisamente e con orrore che se avesse avuto la pistola avrebbe potuto usarla. Rimase immobile di fronte a Hooper che lo fissava torvo. La breve risata di Quint venne a spezzare la tensione. «Che coppia di pici» commentò. «L'avevo capito come siete saliti a bordo stamattina.» XII Il secondo giorno di caccia era calmo come il primo. Quando si allontanarono dal pontile, alle sei di mattina, spirava una lieve brezza da sudovest, che prometteva una giornata più fresca. Quando passarono Montauk Point c'era maretta. Ma alle dieci quel venticello era caduto e il battello era immobile sulla liscia distesa d'acqua, come un bicchiere di carta in una pozzanghera. Non c'erano nubi ma il sole era appannato da una densa foschia. Mentre si recava in auto all'imbarcadero, Brody aveva sentito alla radio che l'inquinamento dell'aria a New York aveva raggiunto una fase critica: si parlava di inversione di correnti. La gente si ammalava, e di quelli che già erano malati, alcuni morivano. Quel giorno Brody aveva indossato abiti più adatti. Aveva una maglietta bianca, a maniche corte, pantaloni di cotone leggero, calzini bianchi e scarpe da tennis. Si era anche portato un libro avuto da Hendricks, per far passare il tempo, un giallo erotico intitolato La vergine che uccide. Non se la sentiva di occupare quelle ore facendo conversazione, una conversazione che avrebbe potuto sfociare in uno scontro come quello del giorno prima, con Hooper. Se n'era vergognato, e anche Hooper, pensava. Quel giorno si scambiarono a malapena qualche parola, preferendo rivolgersi quasi esclusivamente a Quint. Brody temeva di non riuscire a essere neppure formalmente corretto con Hooper. Aveva notato che di mattina Quint era silenzioso, chiuso nel suo mutismo. Bisognava strappargli le parole. Ma con il trascorrere delle ore si lasciava andare e diveniva più loquace. Quella mattina, ad esempio, dopo che avevano preso il largo, Brody gli aveva chiesto in base a cosa sceglieva il punto in cui aspettare lo squalo. «Bah» aveva risposto Quint. «Non lo sa?» Quint aveva scosso il capo. «E allora come fa a decidere?»
«Ne scelgo uno.» «Con che criterio?» «Nessuno.» «Non si basa sulle correnti?» «Be', anche.» «E la profondità dell'acqua, ha importanza?» «In parte.» «In che senso?» Per qualche istante Brody pensò che Quint non gli avrebbe risposto. Guardava fisso dinanzi a sé, gli occhi all'orizzonte. Poi, come se gli costasse uno sforzo enorme, disse: «Uno squalo così probabilmente non lo si trova in acque troppo basse. Ma non si sa mai». Brody capì che non era il caso di insistere: meglio lasciare in pace Quint. Ma l'argomento gli interessava, per cui chiese ancora: «Allora se lo troviamo, o lui trova noi, sarà solo fortuna?». «Più o meno.» «Come trovare un ago in un pagliaio?» «Non proprio.» «Perché?» «Se la corrente è buona, in una giornata possiamo buttare una scia di pastura lunga quindici chilometri e più.» «Non sarebbe meglio star fuori anche la notte?» «E perché mai?» «Per fare una scia più lunga. Se in un giorno possiamo coprire quindici chilometri, fermandoci anche la notte ne copriremmo trenta e passa.» «Un lavoro del genere non serve a niente.» «Perché?» «Verrebbe dispersa. A restare fuori un mese copriremmo tutto l'oceano. E che ci caviamo?» Quint ebbe un sogghigno, forse all'idea di una scia di pastura grande quanto l'oceano. Brody rinunciò e si immerse nella Vergine che uccide. A mezzogiorno Quint era più ben disposto. Le lenze si trascinavano in acqua da più di quattro ore. Per quanto nessuno gli avesse esplicitamente assegnato quel compito, appena erano arrivati al largo Hooper si era seduto a poppa a gettare metodicamente pastura in mare. Verso le dieci un pesce aveva abboccato alla lenza di dritta offrendo qualche istante di emozione. Ma si trattava di un bonito di due o tre chili che non riusciva neanche a mordere l'amo. Alle dieci e mezzo una piccola verdesca abboccò alla lenza
di sinistra. Brody la tirò su, Quint l'infilzò con la fiocina, le aprì lo stomaco e la ributtò in acqua. L'animale addentò fiaccamente qualche pezzo dei propri visceri, quindi scivolò giù nel profondo. Non sopraggiunsero altri squali. Poco dopo le undici Quint notò l'aguzza pinna dorsale di un pescespada che li seguiva nella scia. Attesero in silenzio, pregando che inghiottisse un'esca, ma quello ignorò i due calamari tenendosi a una cinquantina di metri, verso poppa. Quint diede uno strattone a una lenza per far muovere l'esca, come fosse viva, ma il pescespada non vi badò. Alla fine Quint decise di prenderlo con l'arpione. Accese il motore, ordinò a Brody e a Hooper di ritirare le lenze e fece tracciare al battello un ampio cerchio. Un arpione era già inserito sull'asta. Quint spiegò la tattica: Hooper doveva governare la barca. Quint si sarebbe portato sul pulpito di prua, reggendo l'arpione sulla spalla destra. Come si fossero avvicinati al pesce, Quint avrebbe indicato con l'asta, puntandola a destra o a sinistra, la direzione necessaria. Hooper avrebbe virato fino a rimettere l'arpione in linea retta con la prua. Era come seguire l'ago di una bussola. Se tutto andava bene sarebbero riusciti a sorprendere il pesce da dietro, e Quint avrebbe tirato l'arpione con un lancio quasi perpendicolare, di tre metri e mezzo circa. Brody sarebbe rimasto vicino al barilotto per assicurarsi che la gomena non si aggrovigliasse mentre il pesce andava sotto. Tutto filò liscio fino all'ultimo momento. Il battello, con il motore al minimo, appena un borbottìo, arrivò lentamente sul pesce che stava quasi immobile vicino alla superficie. Il timone era molto sensibile e Hooper poteva seguire facilmente le indicazioni di Quint. Ma l'animale avvertì la presenza della barca. Nel momento in cui Quint sollevava il braccio per tirare, il pesce diede un colpo di coda lanciandosi in avanti e guizzò via verso il fondo. Quint lanciò l'arpione urlando: «Lurido schifoso!» e lo mancò di quasi due metri. Adesso si trovavano di nuovo al punto da cui avevano iniziato la manovra. «Ieri mi aveva chiesto se ne capitano molte di giornate così» disse Quint rivolto a Brody. «Non capita spesso che ne infiliamo due di seguito. A questo punto dovremmo aver preso almeno qualche verdesca.» «È per via del tempo?» «Può darsi. Tira i nervi alla gente. Magari succede lo stesso anche ai pesci.» Fecero colazione - panini e birra - e quando ebbero finito Quint controllò
la carabina per vedere se era carica. Poi scese di sotto e tornò reggendo un apparecchio che Brody non aveva mai visto. «Ha ancora la sua lattina di birra?» domandò Quint. «Sì. A che le serve?» «Ora le faccio vedere.» Quel congegno sembrava una granata a mano: un cilindro di metallo con un manico a un'estremità. Quint infilò la lattina nel cilindro e avvitò finché si udì un clic. Poi prese dalla tasca della maglietta una cartuccia a salve calibro 22. L'inserì in un piccolo foro alla base del cilindro e poi girò il manico finché ci fu un altro clic. Consegnò l'ordigno a Brody. «La vede questa leva?» chiese indicando l'estremità del manico. «Lo tenga puntato verso il cielo e quando glielo dico, prema.» Quint prese il suo M-1, tolse la sicura, si appoggiò il calcio alla spalla e disse: «Via». Brody fece scattare la leva. Ci fu una detonazione forte, secca, un lieve sobbalzo e la lattina, sparata via, volò in aria, girando su se stessa e nella vivida luce del sole brillava come un razzo. Al culmine della sua traiettoria - in quella frazione di secondo in cui rimase sospesa in aria - Quint fece fuoco. Mirò basso, per colpire la lattina all'inizio della parabola discendente, e centrò il fondo. Si sentì una specie di miagolio acuto e la lattina precipitò in mare. Non affondò subito, ma galleggiò un po' sghemba, ondeggiando sul pelo dell'acqua. «Vuole provarci?» chiese Quint. «Quest'è certo» rispose Brody. «Veda di prenderla quand'è al punto massimo e miri poco sotto. Se tira mentre sta salendo o mentre ricade deve spostare la mira molto di più, ed è più difficile. Se la manca, punti più basso anticipandola e spari ancora.» Brody consegnò l'ordigno a Quint prendendo l'M-1 e si pose contro il parapetto. Appena Quint ebbe ricaricato l'apparecchio Brody disse: «Via!». Quint fece partire la lattina. Brody sparò un colpo. Niente. Tentò di nuovo al culmine della parabola. Niente ancora. E mirò troppo basso mentre ricadeva. «Cribbio, non è uno scherzo.» «Ci vuole un po' di pratica» annuì Quint. «Veda se ci riesce adesso.» La lattina galleggiava diritta nell'acqua immobile, a quindici o venti metri dalla barca, emergendo a metà. Brody prese la mira, volutamente un po' bassa, e tirò il grilletto. Ci fu uno schiocco metallico quando il proiettile la colpì, all'altezza dell'acqua. La lattina scomparve. «Hooper?» disse Quint. «C'è ancora una lattina, e possiamo sempre bere dell'altra birra.»
«No, grazie» rispose Hooper. «Come mai?» «È solo che non mi va di sparare, ecco.» Quint sorrise. «Si preoccupa per quelle lattine in acqua? Certo che scarichiamo in mare un bel po' di banda stagnata. Probabilmente arrugginiscono e cadono sul fondo e fan disordine dappertutto.» «Non è questo» replicò Hooper, attento a non abboccare all'esca di Quint. «Non c'è un motivo particolare. Solo che non ne ho voglia.» «Ha paura delle armi?» «Paura? No.» «Ha mai sparato un colpo?» Brody, affascinato, osservava Quint che incalzava e Hooper che si sottraeva, ma non capiva i motivi di Quint. Forse quando non prendeva pesci e si annoiava diventava aggressivo. Neanche Hooper capiva perché Quint si comportava in quel modo, ma la cosa comunque non gli piaceva. Intuiva che quella manovra aveva un qualche fine. «Certo,» rispose «mi è capitato di sparare.» «Dove? Sotto le armi?» «No. Io...» «Ha fatto il militare?» «No.» «Già, lo pensavo.» «Be', cosa vorrebbe dire?» «Cribbio, scommetterei perfino che è ancora vergine.» Brody fissò il viso di Hooper per leggervi la reazione, e per un attimo ne incrociò lo sguardo. Hooper distolse subito gli occhi. Cominciava ad arrossire. «Che le piglia, Quint? Dove vuole arrivare?» Quint si appoggiò allo schienale del sedile e sogghignò. «A niente» rispose. «Solo quattro chiacchiere per far passare il tempo. Le spiace darmi la sua lattina di birra quando l'ha finita? Magari a Brody piacerebbe tentare ancora.» «Faccia pure» rispose Hooper. «Ma mi lasci in pace, va bene?» Un'ora trascorse in silenzio. Brody sonnecchiava sul suo sedile, con un cappello calato sul volto a ripararsi dal sole. Hooper sedeva a poppa, a versare pastura, e ogni tanto scrollava il capo per tenersi sveglio. E Quint stava sul ponte sopraelevato, a osservare la scia, il berretto spinto indietro. A un tratto la voce di Quint: inespressiva, calma, indifferente: «Abbiamo
visite». Brody si riscosse di colpo. Hooper si alzò. La lenza di dritta filava via veloce, senza strattoni. «Prenda la canna» ordinò Quint. Si strappò via il berretto, lasciandolo cadere sulla panca. Brody tolse la canna dallo scalmo, l'infilò nel supporto del suo sedile e la tenne ben stretta. «Quando glielo dico io,» continuò Quint «blocchi il mulinello.» La lenza si fermò. «Un momento. Si sta girando. Tra poco ricomincia. Meglio non dargli strattoni adesso altrimenti sputa l'amo.» Ma la lenza rimase immobile in acqua, floscia, senza un fremito. Dopo parecchi secondi Quint disse: «Mi venga un colpo. Riavvolga». Brody girò il mulinello e la lenza venne su liscia, fin troppo. Non si sentiva neppure la debole resistenza dell'esca. «Tenga il filo con due dita altrimenti si arruffa» consigliò Quint. «Qualunque cosa fosse si è soffiato via l'esca, dolce come un bacio.» Il filo emerse dall'acqua a penzolare dalla canna. Non c'era amo, né esca, né la lenza supplementare. Il filo metallico era stato tranciato di netto. Quint balzò giù dal ponte superiore, l'afferrò facendo scorrere le dita attorno all'estremità mozzata, poi scrutò la scia. «Credo che abbiamo incontrato il vostro amico» disse. «Che?» sbottò Brody. Hooper saltò giù dalla traversa esclamando eccitato: «Ma scherza. È fantastico». «È solo un'idea» rispose Quint. «Ma ci scommetterei. Questo filo è stato reciso pulito pulito. Al primo colpo. Nessuna difficoltà. Non ci sono altri segni. Quella bestia probabilmente non si è neppure accorta di averlo in bocca. Ha semplicemente ingoiato l'esca, ha richiuso la bocca ed è bastato.» «E allora, che facciamo adesso?» chiese Brody. «Aspettiamo di vedere se si prende anche l'altra, o se viene su.» «Perché non buttiamo la focena?» «Solo quando saprò che è proprio lui» rispose Quint. «Quando gli avrò dato un'occhiata e saprò che quel bastardo è abbastanza grosso da meritarsela, allora gli servo la focena. Sono come le macchine trita-rifiuti, quelle bestie, e non voglio sprecare un'esca così per una mezza cartuccia.» Attesero. Nulla si muoveva in superficie: né guizzi di pesci, né uccelli che si tuffavano. L'unico suono era il tonfo molle della pastura che Hooper
rovesciava in acqua. Poi la lenza di sinistra cominciò a filare. «La lasci nello scalmo» disse Quint. «Inutile darsi daffare se poi mi trancia anche questa.» L'adrenalina scorreva nel corpo di Brody. Era a un tempo emozionato e spaventato, sgomento al pensiero dell'animale che nuotava sotto di loro, una creatura di cui non riusciva a immaginare la forza. Hooper era fermo vicino al parapetto, a fissare come ipnotizzato la lenza che scorreva via. Il filo si arrestò e perse tensione. «Merda» borbottò Quint. «Lo stesso scherzo.» Prese la canna dal sostegno e cominciò a girare il mulinello. La lenza emerse, recisa esattamente come la prima. «Tentiamo ancora una volta» disse Quint. «Adesso ci piazzo qualcosa di più resistente. Non che potrà bloccarlo se è l'animale che credo io.» Cercò nella ghiacciaia un'altra esca e ne tolse il filo metallico. Da un cassetto nella cabina di comando prese una catena grossa un dito e lunga poco più di un metro. «Sembra un guinzaglio» commentò Brody. «Lo era, infatti» rispose Quint. Ne fissò un'estremità all'amo innescato e l'altra alla lenza. «Riuscirà a tranciarla?» «Immagino di sì. Magari gli ci vorrà un po' più di fatica, ma se vuole ce la fa. Sto solo cercando di stuzzicarlo un po' e farlo salire in superficie.» «E se non funziona, che si fa?» «Ancora non lo so. Potrei prendere un amo da squali e una catena come si deve e buttarla in acqua con un bel po' di esca attaccata. Ma se abboccasse non saprei cosa fare. Mi strapperebbe via tutte le gallocce della barca, e finché non lo vedo con i miei occhi non mi sogno di sprecare materiale prezioso.» Quint buttò in acqua l'amo innescato facendolo seguire da qualche metro di lenza. «Avanti, malnato» borbottò. «Fatti un po' vedere.» I tre rimasero a fissare la lenza. Hooper si chinò, prese un ramaiolo di pastura e lo vuotò in acqua. Con la coda dell'occhio scorse qualcosa, a sinistra. Si girò e quel che vide gli strappò un'esclamazione rauca, inarticolata, ma sufficiente a far voltare anche gli altri due «Gesù Cristo!» balbettò Brody. A meno di tre metri da poppa, un po' verso dritta, si delineava il muso piatto e allungato dello squalo, che emergeva dall'acqua di circa mezzo metro. La parte superiore della testa era grigiastra, e vi si aprivano gli occhi neri. Ai due lati del muso, in fondo, là dove il grigio sfumava in un bianco sporco, c'erano gli spiracoli, profonde aperture nella pelle durissi-
ma. La bocca era aperta a mezzo: oscura, fosca caverna protetta da enormi denti triangolari. Uomini e squalo rimasero a fissarsi per una decina di secondi. Poi Quint urlò: «Prendete un ferro!» e, ubbidendo a se stesso, corse a prua e cominciò a recuperare un arpione. Brody afferrò il fucile, ma proprio allora lo squalo si lasciò scivolare dolcemente all'indietro, nell'acqua. La lunga coda semilunata ebbe un guizzo - Brody mirò e la mancò - e l'animale disparve. «È andato» mormorò Brody. «Fantastico!» esclamò Hooper. «Quella bestia è proprio come l'avevo immaginata. E meglio ancora. Incredibile! La testa doveva essere larga più di un metro.» «Può darsi» disse Quint, venendo a poppa. Depositò due arpioni, due barili e due rotoli di gomena. «Nel caso che torni» spiegò. «Ha mai visto uno squalo del genere, Quint?» domandò Hooper. Gli brillavano gli occhi. Si sentiva elettrizzato, vibrante. «Direi di no» rispose Quint. «Quant'è lungo, secondo lei?» «Difficile dirlo. Sei metri. Magari di più. Non so. Con quelle bestie lì, passati i sei metri non fa molta differenza. Una volta che toccano i sei metri, sono grane. E 'sto dannato è una grana.» «Dio, spero proprio che torni» disse Hooper. Brody fu percorso da un brivido. «Mi ha fatto una strana impressione» mormorò. «Aveva l'aria di sogghignare.» «È l'effetto che fanno quando tengono la bocca aperta» spiegò Quint. «Non lo faccia più di quello che in effetti è Solo un bestione scemo pronto a ingollare di tutto.» «Come può dirlo?» ribatté Hooper. «Quell'animale è splendido. Una di quelle cose che fanno credere in Dio. La dimostrazione di quel che riesce a fare la natura, quando vuole.» «Le palle» replicò Quint, risalendo la scaletta del ponte superiore. «Ha intenzione di usare la focena?» volle sapere Brody. «Inutile. L'abbiamo attirato in superficie una volta. Tornerà.» In quel mentre un rumore fece voltare Hooper: un suono sibilante, un fruscio liquido. «Guardate» disse Quint. A dieci metri da loro una pinna dorsale triangolare, alta più di trenta centimetri, puntava verso il battello fendendo l'acqua in cui lasciava una piccola scia increspata. Era seguita da un'alta coda che dava rapidi colpi possenti. «Ci viene addosso!» gridò Brody, e istintivamente indietreggiò fino a ur-
tare contro il suo sedile. Quint si precipitò giù imprecando. «Niente preavviso, stavolta» commentò. «Mi dia quel ferro.» Lo squalo era quasi addosso alla barca. Sollevò la testa piatta - uno di quegli occhi cupi fissò indifferente Hooper - poi si immerse per passare sotto il battello. Quint sollevò l'arpione e si girò verso babordo. L'asta andò a urtare contro il sedile di Brody e la punta d'acciaio si staccò cadendo sul ponte. «Porco fottuto!» urlò Quint. «È ancora lì?» Si chinò ad afferrare l'arpione che ricacciò nell'asta. «È dalla sua parte!» gridò Hooper. «Di qui è già passato sotto.» Quint si volse in tempo per vedere la sagoma grigio-scuro dello squalo che si allontanava dal battello per inabissarsi. Mollò l'arpione e in un impeto di rabbia afferrò la carabina e la scaricò in acqua dietro l'animale. «Bastardo!» ringhiò. «Dammi un po' di preavviso la prossima volta.» Poi lasciò il fucile e si mise a ridere. «Dovrei ringraziare il cielo, probabilmente» commentò. «Per lo meno non è venuto addosso alla barca.» Lanciò un'occhiata a Brody e aggiunse: «Le ha fatto venire un mezzo colpo, eh?». «Più che mezzo» mormorò Brody. Scosse il capo, come per riordinarsi le idee. «Ancora non riesco a crederci.» Nella mente gli turbinavano ancora le immagini di una grande forma scura allungata che nel buio risaliva verso l'alto per sbranare Christine Watkins; del piccolo sul materassino di gomma, ignaro e tranquillo, improvvisamente preda di una creatura d'incubo; e degli altri incubi che, lo sapeva, lo avrebbero perseguitato: sogni di violenza e sangue e di una donna a urlargli che le aveva assassinato il figlio. «Non ditemi che è un pesce» disse. «Sembra piuttosto uno di quegli affari che si vedono in certi film. Sapete, il mostro degli abissi.» «Si tratta proprio di un pesce» replicò Hooper, ancora visibilmente emozionato. «E che pesce! Quasi un megalodon!» «Di che diavolo sta parlando?» chiese Brody. «Ho un po' esagerato,» ammise Hooper «ma se c'è una bestia del genere a vivere in mare, come si può affermare che non ci sia anche il megalodon? Lei che ne pensa, Quint?» «Io penso che il sole le abbia picchiato in testa.» «No, sul serio. Che lunghezza possono raggiungere questi squali, secondo lei?» «Io non so tirare a indovinare. Direi che questo è sui sei metri, per cui dico che arrivano ai sei metri. Se domani ne vedo uno lungo sette metri,
dico che arrivano ai sette. Far congetture lascia il tempo che trova.» «Ma a che lunghezza possono arrivare, insomma?» volle sapere Brody. E subito si pentì di averlo chiesto. Quella domanda lo metteva in condizioni di inferiorità rispetto a Hooper. Ma questi al momento era troppo eccitato, troppo elettrizzato ed entusiasta per assumere un atteggiamento paternalistico. «È proprio questo il punto» rispose. «Nessuno lo sa. In Australia ne hanno recuperato uno che si era impigliato in certe catene, ed era morto per asfissia. E quasi toccava i dodici metri, almeno così hanno detto.» «E cioè il doppio di questo» commentò Brody. Già gli era difficile accettare l'animale che aveva appena visto: impossibile visualizzare l'immensità di quello descritto da Hooper. Hooper annuì. «In genere sì considera che i dieci metri siano la lunghezza massima, ma è una supposizione arbitraria. È come ha detto Quint. Se domani ne vedessimo uno di venti, lo prenderemmo per quel che è. Quel che dà i brividi, quel che veramente sconvolge è immaginare che - e potrebbe essere - che nelle zone abissali ci siano squali bianchi lunghi fino a trenta, trentacinque metri.» «Minchiate» disse Quint. «Non sto affermando che ci siano» precisò Hooper. «Ma solo che potrebbero esserci.» «Sempre minchiate.» «Forse. O forse no. Senta, il nome latino di questo animale è carcharodon carcharias. Il suo antenato più prossimo è un pesce chiamato carcharodon megalodon, esistito circa trenta, quarantamila anni fa. Abbiamo trovato i resti fossili dei denti del megalodon, lunghi quindici centimetri, di conseguenza doveva essere lungo dai venticinque ai trentacinque metri. E i denti sono perfettamente uguali a quelli che troviamo oggi negli squali bianchi. Voglio dire, insomma, che questi due animali potrebbero in realtà appartenere alla medesima specie. Chi può dire che il megalodon sia davvero estinto? E perché dovrebbe? Non certo per mancanza di cibo. Se ce n'è abbastanza per le balene, ce n'è di certo anche per tenere in vita squali di queste dimensioni. Il semplice fatto che non ne abbiamo mai visti di lunghi trenta metri non significa necessariamente che non ci sono. Non avrebbero motivo di salire in superficie. Tutte le loro fonti di nutrimento si troverebbero giù negli abissi. E da morti non verrebbero ad arenarsi sulle coste perché non hanno vescica natatoria. Ve lo immaginate uno squalo lungo trentacinque metri? Vi figurate cosa potrebbe fare, che forza avreb-
be?» «Non voglio neanche pensarci» dichiarò Brody. «Sarebbe una specie di locomotiva con una bocca irta di coltellacci da macellaio.» «Vuole dire che questo è solo un esemplare giovane?» Brody cominciava a sentirsi abbandonato a se stesso, vulnerabile. Un animale grande come quello che Hooper stava illustrando poteva ridurre in briciole quel battello. «No, è uno squalo adulto» rispose Hooper. «Di questo sono sicuro. Ma è come per gli uomini. Alcuni sono alti uno e cinquanta, altri due e dieci. Accidenti, mi piacerebbe proprio vedere un grosso megalodon.» «Ma lei è matto» commentò Brody. «Ma no, ci pensi un po'. Sarebbe come trovare l'Abominevole Uomo delle Nevi.» «Ehi, Hooper,» intervenne Quint «ce la fa a piantarla con le favole e mettersi a buttar pastura? Ci terrei abbastanza a prendere quella bestia.» «Certo» annuì Hooper. Riprese il suo posto a poppa rimettendosi al lavoro. «Pensa che tornerà?» chiese Brody. «Non so» rispose Quint. «Non si può mai dire cosa faranno quei bastardi.» Prese di tasca un taccuino e una matita. Tese il braccio sinistro puntandolo verso terra. Chiuse l'occhio destro mirando lungo l'indice della sinistra, poi scribacchiò qualcosa. Spostò la mano di qualche centimetro a sinistra, mirando di nuovo, e prese un altro appunto. Prevenne la domanda di Brody spiegando: «Segno la nostra posizione. Voglio sapere dove ci troviamo in modo che se per quest'oggi non si fa più vedere, so dove tornare domani». Brody guardò la costa. Anche riparandosi con la mano e socchiudendo gli occhi riusciva appena a scorgere un'indistinta linea grigiastra. «A cosa fa riferimento?» «Il faro sul promontorio e la torre serbatoio in città. Sono allineate in modo diverso a seconda di dove ci si trova.» «Riesce a vederli?» Brody aguzzò la vista ma riuscì a distinguere solo una piccola protuberanza. «Sicuro. Anche lei ci riuscirebbe se fosse stato in mare per trent'anni.» Hooper sorrise. «Crede davvero che lo squalo rimarrà nella zona?» «Non lo so» replicò Quint. «Ma è qui che l'abbiamo trovato oggi, e non l'abbiamo mai visto da altre parti.» «E si è sempre tenuto nei paraggi di Amity, questo è sicuro» aggiunse
Brody. «Perché ha trovato cibo» osservò Hooper. Non c'era ironia o provocazione nel suo tono, ma quella frase penetrò come un ago nel cervello di Brody. Attesero altre tre ore ma lo squalo non ricomparve. La corrente diminuì, rallentando ancor più la scia di pastura. Poco dopo le cinque Quint disse: «Possiamo anche rientrare. Ci siamo rotti abbastanza». «Dove pensa che sia andato» chiese Brody. Domanda oziosa: sapeva che non c'era risposta. «Dove gli pare» rispose Quint. «Quando li cerchi, non si fanno trovare. È solo quando non li vuoi e non te li aspetti che te li trovi davanti. Maledetto spirito di contraddizione.» «E ha detto che non è il caso di passare qui la notte, per continuare a pasturare.» «No. Gliel'ho spiegato. Se la scia si allarga troppo, non serve più a niente. E poi non abbiamo da mangiare. E, in definitiva, non mi pagate per ventiquattro ore al giorno.» «Se riuscissi a mettere insieme il denaro, ci starebbe?» Quint rifletté un istante. «No. Però mi tenta, perché non credo che potrebbero succedere grandi cose di notte. La scia di pastura si allargherebbe disperdendosi, e anche se quello venisse su a un metro da noi a guardarci in faccia, neanche ce ne accorgeremmo, a meno che ci tiri un morso. Per cui mi intascherei i vostri quattrini solo per farvi dormire a bordo. Ma non accetto, per due motivi. Primo, se la scia si allarga troppo, siamo fregati per il giorno dopo. Secondo, di notte preferisco tenere la barca all'ormeggio.» «Non posso darle torto» assentì Brody. «Anche sua moglie preferirà averla a casa, la notte.» Quint replicò in tono piatto: «Non ho moglie». «Oh, mi spiace.» «Non è il caso. Mai sentito il bisogno di averne una.» Quint si volse e risalì la scaletta del ponte sopraelevato. Ellen stava preparando la cena per i ragazzi quando suonò il campanello della porta. I tre stavano guardando la televisione nel soggiorno e lei gridò: «Uno di voi vada ad aprire, per favore». Sentì l'uscio che veniva aperto, lo scambio di qualche parola e poi, dopo
qualche istante, scorse Larry Vaughan sulla soglia della cucina. Erano passate meno di due settimane dall'ultima volta che l'aveva visto, ma era talmente cambiato che rimase a guardarlo, sbalordita. Come sempre era inappuntabile: giacca blu a due bottoni, camicia classica, pantaloni grigi e mocassini di Gucci. Ma il volto era cambiato. Vaughan era dimagrito e come molti che non hanno eccesso di grasso, lo si notava soprattutto nel viso. Gli occhi si erano infossati, e a Ellen parvero più chiari del solito: un grigio opaco. Anche la pelle era grigiastra, e si afflosciava sotto gli zigomi. Aveva le labbra umide, continuava a passarvi la lingua. Si accorse di fissarlo e, imbarazzata, abbassò lo sguardo e disse: «Salve Larry». «Ciao, Ellen. Sono passato per...» Vaughan fece qualche passo indietro e sbirciò nel soggiorno. «Prima di tutto, potrei avere qualcosa da bere?» «Ma certo. Sai dov'è tutto quanto. Serviti. Farei io, ma ho le mani impiastricciate.» «Figurati. Mi arrangio da solo.» Vaughan aprì l'armadietto dove c'erano i liquori, tirò fuori una bottiglia e si versò un buon bicchiere di gin. «Come dicevo prima, sono passato per salutarti.» Ellen smise di rigirare i pezzi di pollo nel tegame e chiese: «Ve ne andate? Per quanto?». «Non so. Forse per sempre. Qui per me non c'è più niente da fare.» «E la tua agenzia?» «Andata. O è lì lì.» «Come sarebbe a dire, andata? Un'agenzia non sparisce così.» «Già, ma non sarà più mia. Quel po' di capitale che resta passerà ai miei... soci.» Sputò quella parola e poi, come per sciaquarsi la bocca da un sapore sgradevole, prese una lunga sorsata di gin. «Martin ti ha detto del nostro colloquio?» «Sì» Ellen abbassò lo sguardo sul tegame, mescolando. «Immagino che tu non abbia più una gran stima di me.» «Non sta a me giudicarti, Larry.» «Non ho mai voluto nuocere a nessuno. Spero che tu mi creda.» «Ti credo. Eleanor è al corrente?» «Non sa nulla, poveretta. Voglio risparmiarla, se possibile. Questo è uno dei motivi per cui preferisco andarmene. Mi ama, lo sai, e io non voglio distruggere questo affetto... né per lei né per me.» Vaughan si appoggiò al lavandino. «Sai una cosa? Qualche volta penso - e ci ho pensato spesso in questi anni - che tu e io avremmo fatto una magnifica coppia.»
Ellen arrossì. «Cosa vuoi dire?» «Tu vieni da una buona famiglia. Conosci tutta la gente che io sono riuscito ad avvicinare solo con molti sforzi. Saremmo stati bene insieme, e ben inseriti ad Amity. Sei una donna bella, buona e forte. Saresti stata preziosa per me. E penso che avrei potuto offrirti una vita piacevole.» Ellen sorrise. «Non sono forte quanto pensi, Larry. Non credo che ti sarei stata così... preziosa.» «Non sottovalutarti. Spero solo che Martin sappia apprezzarti come meriti.» Vaughan finì il gin e mise il bicchiere nel lavello. «Ad ogni modo, inutile perdersi in fantasie.» Si avvicinò a Ellen, le mise una mano sulla spalla e la baciò sul capo. «Addio, mia cara» mormorò. «Pensa a me ogni tanto.» Ellen lo fissò. «Certo.» Lo baciò sulla guancia. «Dove andrete?» «Non so ancora. Forse nel Vermont, o nel New Hampshire. Potrei vendere terreni agli appassionati di sci. Chi lo sa? Magari mi darò anch'io allo sci.» «L'hai già detto a Eleanor?» «Le ho detto che forse ci saremmo trasferiti. Ha sorriso e ha detto "Come vuoi tu".» «Partirete presto?» «Non appena avrò parlato con i miei avvocati circa i miei... passivi.» «Mandateci una cartolina per farci sapere dove siete.» «Senz'altro. Arrivederci.» Vaughan uscì ed Ellen sentì la porta che si richiudeva alle sue spalle. Dopo aver fatto cenare i ragazzi Ellen salì di sopra e sedette sulla sponda del letto. "Una vita piacevole" aveva detto Vaughan. Che genere di vita avrebbe potuto offrirle? Buone condizioni finanziarie e prestigio sociale. Non avrebbe mai dovuto rimpiangere la sua vita di ragazza che non avrebbe visto interruzioni. Non desiderio di evasioni, di sicurezza e conferma della propria femminilità, non il bisogno di un'avventuretta con un Hooper. O forse no. Magari ci sarebbe stata spinta dalla noia, come capitava a tante signore che venivano in vacanza ad Amity lasciando i mariti a New York. La vita con Larry Vaughan sarebbe stata un'esistenza senza lotta, una vita di facili soddisfazioni. Mentre rifletteva su quanto le aveva detto Vaughan, cominciò a rendersi conto di quanto la sua attuale vita fosse piena: un rapporto con Brody molto più profondo di quello che Larry Vaughan avrebbe mai potuto offrirle; una mescolanza di piccoli ostacoli e piccoli trionfi che, assommati, davano
qualcosa di molto simile alla gioia. E con il chiarirsi di questi pensieri venne il rammarico di avere impiegato tanto a capire lo spreco di tempo e di emozioni con quel suo aggrapparsi al passato. D'un tratto ebbe paura: paura di cominciare a crescere troppo tardi, paura che qualcosa potesse succedere a Brody prima di poter godere con lui quella nuova consapevolezza. Guardò l'orologio: le sei e venti. Avrebbe dovuto essere a casa ormai. Gli è successo qualcosa, pensò. Oddio, ti prego, non a lui. Sentì aprirsi la porta d'ingresso. Si alzò di scatto, corse sul pianerottolo e giù per le scale. Buttò le braccia al collo di suo marito e lo baciò con forza sulla bocca. «Santiddio» commentò lui quando lo lasciò andare. «Questo sì che è un benvenuto.» XIII «Quella roba, sulla mia barca, lei non la carica» affermò Quint. Si trovavano sul pontile, nella luce del primo mattino. Il sole aveva schiarito l'orizzonte ma era celato dietro un banco di nubi basse sul mare. Da sud spirava una lieve brezza. Il battello era pronto alla partenza. I barilotti disposti in fila, a prua; le canne da pesca erette nei sostegni, le lenze pronte. Il motore borbottava sommesso, e i gas di scarico gorgogliavano in bollicine nell'acqua per poi disperdersi nell'aria. In fondo all'imbarcadero un furgone si avviò lentamente lungo la strada in terra battuta. Sulla portiera era scritto: "Istituto Oceanografico di Woods Hote". Quint, in piedi sul pontile, le spalle rivolte all'Orca, fissava Brody e Hooper che si trovavano accanto a una specie di gabbia di alluminio, alta poco meno di due metri, larga altrettanto e profonda circa un metro e venti. All'interno c'era un quadro di comando, e sopra due serbatoi cilindrici. Sul fondo della gabbia c'era una bombola d'ossigeno, con il suo cannello, una maschera e una muta. «Perché no?» protestò Hooper. «Non pesa molto, la si può sistemare in modo che non stia fra i piedi.» «Prende troppo spazio.» «È quel che gli ho detto anch'io» intervenne Brody. «Ma non mi dà retta.» «Cosa diavolo è, ad ogni modo?» chiese Quint. «Una gabbia anti-squalo» spiegò Hooper. «I sub le impiegano per pro-
teggersi quando si immergono in mare aperto. Me la sono fatta mandare da Woods Hote, con quel furgone che è partito adesso.» «E cosa vorrebbe farci?» «Quando troviamo lo squalo, o quando lui trova noi, voglio calarmi in acqua nella gabbia e filmarlo. Nessuno è mai riuscito a fare delle riprese di un esemplare di queste dimensioni.» «Neanche per idea» dichiarò Quint. «Non sulla mia barca.» «Perché no?» «È un'idiozia, ecco perché. Una persona di buon senso conosce i propri limiti. E questa faccenda è al di là dei suoi.» «Come fa a saperlo?» «È al di là dei limiti di chiunque. Uno squalo grosso come quello potrebbe ingollarsi la sua gabbia come spuntino.» «Ma lo farebbe, poi? Io non credo. Potrebbe dare qualche colpo, magari cercare di addentarla, ma non credo che tenterebbe veramente di mangiarla.» «Sì, invece, se ci vedesse dentro un bocconcino succoso come lei.» «Ne dubito.» «Be', niente da fare.» «Senta, Quint, è un'occasione unica. Non solo per me. Non mi era neanche venuto in mente prima di vedere quello squalo, ieri. È assolutamente eccezionale, almeno in questo emisfero. Sono già state fatte riprese cinematografiche di squali bianchi, ma nessuno ha mai fotografato un pescecane di sei metri in pieno oceano, mai.» «Ha detto niente da fare» intervenne Brody. «Quindi rinunci. Inoltre non me la sento di assumermi questa responsabilità. Siamo qui per ammazzare quella bestia, non per farci delle filmine.» «Quale responsabilità? Mica è responsabile per me, lei.» «Oh, sì invece. È il comune di Amity a pagare questa spedizione, quindi si fa come dico io.» Hooper si rivolse a Quint. «Sono disposto a pagarla.» L'altro sogghignò. «Oh davvero? E quanto?» «Lasci perdere» interruppe Brody. «Quint può dire quel che vuole, ma io le assicuro che non caricherà a bordo quell'affare.» Hooper non gli badò e disse a Quint: «Cento dollari. In contanti. In anticipo, come piace a lei». Tirò fuori il portafoglio. «Ho detto di no!» sbottò Brody. «Che ne dice, Quint? Cento dollari. In contanti. Eccoli qui.» Contò cin-
que banconote da venti e le tese a Quint. «Ma, non saprei.» Ma poi Quint prese il denaro e aggiunse: «All'inferno, non sta a me impedire a uno di lasciarci la pelle se proprio ci tiene». «Se questa gabbia va sul battello,» lo avverti Brody «non avrà i nostri quattrocento dollari.» Se Hooper vuole farsi fuori, pensava, che lo faccia a spese sue. «E se non viene la gabbia,» si ostinò Hooper «non vengo neanche io.» «Vada a quel paese» proruppe Brody. «Può restarsene a terra per quel che mi riguarda.» «Non credo che Quint ci starebbe. Dico bene, Quint? È disposto a uscire in mare a catturare quello squalo, voi due da soli? Le piace l'idea?» «Troveremo qualcun altro» dichiarò Brody. «Faccia pure» scattò Hooper. «Buona fortuna.» «Non è possibile,» obiettò Quint «così su due piedi.» «E allora al diavolo» esplose Brody. «Usciremo domani. Hooper può tornarsene a Woods Hote a trastullarsi con i suoi pesciolini.» Hooper era furioso, più di quanto si rendesse conto, e gli uscì detto: «Potrei anche fare altro... ah, lasciamo perdere». Per diversi secondi un silenzio di piombo calò sui tre. Brody fissava Hooper: non voleva credere a quanto aveva udito, e non sapeva quanto di concreto ci fosse in quelle parole, e quanto fosse vuota minaccia. Poi di colpo fu preso dalla rabbia. Con due passi fu addosso a Hooper, lo afferrò per il colletto premendogli i pugni contro la gola. «Cos'è questa storia?» ringhiò. «Cos'ha detto?» Hooper riusciva appena a respirare. Cercò disperatamente di afferrare le dita di Brody. «Niente!» ansimò. «Niente!» cercò di liberarsi ma Brody rafforzò la stretta. «Cosa intendeva con quella frase?» «Niente, le dico. Ero in collera. Erano solo parole.» «Dov'era mercoledì pomeriggio?» «Da nessuna parte!» Hooper si sentiva pulsare le tempie. «Mi lasci! Mi sta strozzando!» «Dov'era?» Brody gli premette ancor più i pugni contro la trachea. «In un motel! Adesso molli!» Brody allentò la presa. «Con chi?» volle sapere. Tra sé pregava: Dio, fa' che non si tratti di Ellen, fa' che la sua spiegazione regga. «Daisy Wicker.» «Bugiardo!» Lo attanagliò di nuovo, sentendo che le lacrime comincia-
vano a sprizzargli dagli occhi. «Ma perché?» Hooper si divincolava. «Daisy Wicker è una maledetta lesbica. Cosa facevate insieme, un po' di lavoro a maglia?» La mente di Hooper si stava annebbiando. Le nocche di Brody bloccavano l'afflusso di sangue al cervello. Le palpebre ebbero un fremito mentre Hooper cominciava a perdere conoscenza. Brody lo mollò dandogli uno spintone. Hooper cadde a sedere sul pontile, respirando affannosamente. «Allora, che mi racconta?» incalzò Brody. «È un tale fuoco d'artificio che riesce a farsi anche le lesbiche?» Hooper si riprese in fretta. «No. Non l'avevo capito fino a quando era... troppo tardi.» «Ah sì? Vuole darmi da intendere che l'ha seguito buona buona in un motel e poi le ha detto di no? Nessuna lesbica si sognerebbe mai di venire in un motel con lei.» «Ma c'è venuta!» insisté Hooper, cercando disperatamente di tener testa a Brody. «Ha detto che voleva... che voleva provarci, una buona volta. Ma poi non se l'è sentita. È stato un disastro.» «Mi sta raccontando delle gran frottole!» «Proprio no! Può controllare se vuole.» Hooper sapeva che la sua storia non poteva reggere. Brody poteva controllare senza difficoltà. Ma non era riuscito a trovare altro. Quella sera, mentre tornava in albergo, poteva fermarsi a una cabina telefonica per chiamare Daisy Wicker e pregarla di confermare le sue parole. O semplicemente poteva non farsi mai più vedere ad Amity: dirigersi a nord e prendere il traghetto da Orient Point e lasciare lo stato prima che Brody riuscisse a mettersi in contatto con Daisy Wicker. «Controllerò» disse Brody. «Può star certo.» Dietro di sé udì la risata di Quint. «Questa è la più buffa che abbia mai sentito. Tentare di scoparsi una lesbica.» Brody scrutò il viso di Hooper, cercandovi un segno che tradisse la menzogna, ma l'altro teneva lo sguardo fisso sul pontile. «Allora, che mi dice?» riprese Quint. «Partiamo o no, quest'oggi? In tutti e due i casi dovrà pagarmi.» Brody era scosso. Aveva quasi la tentazione di rimandare la sortita per tornare ad Amity e appurare la verità sul conto di Hooper ed Ellen. Ma mettiamo che fosse vero il peggio. Cosa avrebbe fatto? Affrontare Ellen? Picchiarla? Lasciarla? A che sarebbe servito? Aveva bisogno di tempo per
riflettere. «Partiamo» rispose. «Con la gabbia?» «Con la gabbia. Se questa testa di cavolo vuole rimetterci le bucce, è affar suo.» «Per me va bene» dichiarò Quint. «Avanti, facciamo salpare il baraccone.» Hooper si alzò avvicinandosi alla gabbia. «Io vado a bordo» disse con voce rauca. «Se la spingete fino al bordo del pontile e l'inclinate verso di me, e poi uno scende sul battello a darmi una mano riusciremo a sistemarla in un angolo.» Brody e Quint fecero scivolare la gabbia lungo le assi di legno e Brody si stupì di quanto fosse leggera. Anche con l'attrezzatura da sub all'interno, doveva pesare meno di cento chili. La ribaltarono verso Hooper che ne afferrò due sbarre e la resse finché Quint lo raggiunse sul ponte. Insieme la spostarono agevolmente per un metro o due fino a spingerla in un angolo sotto il ponte superiore dove Hooper l'assicurò con due funi. Brody saltò a bordo e disse: «Andiamo». «Non dimentica qualcosa?» domandò Quint. «Cosa?» «I quattrocento dollari.» Brody trasse di tasca una busta e gliela consegnò. «Morirà ricco, lei.» «È quel che voglio. Sleghi la gomena di poppa, per favore.» Quint mollò quella di prua e di centro lanciandole sul pontile, e, vista libera anche quella di poppa, spinse la leva facendo allontanare la barca. Virò a destra e il battello avanzò rapido sul mare calmo, oltre Hicks Island e Goff Point, attorno ai promontori di Shagwong e di Montauk. Poco dopo il faro di Montauk fu alle loro spalle, e loro si dirigevano a sud sud-ovest in mare aperto. A poco a poco, con il beccheggio morbido del battello sul ritmo delle lunghe onde dell'oceano, la rabbia di Brody si placò. Forse Hooper aveva detto la verità. Era possibile. Non si inventa una storia così facilmente verificabile. Ellen non lo aveva mai tradito prima, di questo era certo. Non aveva mai neppure civettato con altri. Ma, si diceva, c'è sempre una prima volta. E di nuovo quel pensiero gli diede un senso di costrizione alla gola. Si sentiva geloso e ferito, impotente e sdegnato. Scese dal suo sedile e risalì sul ponte superiore. Quint gli fece posto sulla panca e Brody sedette accanto a lui. Quint ridacchiò. «Per poco voi due non vi scazzottavate sul serio, prima.» «Non è nulla.»
«A me è sembrato qualcosa. Cos'è, pensa che se la sia fatta con sua moglie?» Posto di fronte ai suoi stessi pensieri espressi in modo così brutale, Brody trasalì. «Non solo affari suoi» replicò. «Come preferisce. Ma se vuole il mio parere, quel tipo non è all'altezza.» «Nessuno le ha chiesto niente.» Brody voleva cambiare argomento. «Torniamo dove eravamo ieri?» «Proprio. Tra poco ci siamo.» «Quante sono le possibilità che lo squalo sia ancora laggiù?» «Chi lo sa? Ma non possiamo fare altro.» «L'altro giorno, al telefono, diceva qualcosa a proposito dell'essere più furbo dei pesci. Tutto qui, allora? È questo l'unico segreto?» «Tutto qui. Basta prevenirli. Non è difficile. Sono scemi come la luna.» «Non ha mai trovato un pesce furbo?» «Finora, mai.» Brody rammentò quel muso sogghignante, maligno, che era emerso dall'acqua, a fissarli. «Chi sa» mormorò. «Certo che quello squalo, ieri, aveva un'aria malvagia. Come se volesse essere malvagio. Come se sapesse quel che faceva.» «Macché, non sanno niente di niente.» «E sono diversi, come personalità?» «I pesci?» Quint scoppiò a ridere. «Questo è sopravvalutarli. Non li può considerare come persone, anche se tanta gente è scema come i pesci. No. Si comportano in modo diverso, certe volte, ma dopo un po' si viene a imparare tutto quel che possono fare.» «Non è una sfida, allora. Non è come combattere contro un nemico.» «No. Non più di un idraulico che cerchi di svitare un tubo. Magari gli tira degli accidenti, o lo pesta con la chiave inglese. Ma sa bene che non ha di fronte un individuo. Certe volte mi capita di trovare un pesce scorbutico che mi dà più grane di altri, ma io mi limito a usare strumenti diversi.» «Ma ci sono pesci che non riesce a prendere, no?» «Oh, certo, ma questo non significa che siano in gamba o furbi o altro. Vuole dire semplicemente che non hanno fame quando si cerca di farli abboccare, o che sono troppo veloci, o che si sta usando l'esca sbagliata.» Quint tacque per qualche istante, poi riprese: «Una volta per poco uno squalo non ha preso me. È stato una ventina d'anni fa. Era una verdesca abbastanza grandetta, e l'avevo infilzata con una fiocina, ma quella ha dato
un gran strattone e mi sono ritrovato in acqua». «E che ha fatto?» «Mi sono ributtato al di qua della traversa così veloce che quasi volavo. Mi è andata bene che sono caduto da poppa che è bassa, vicino alla superficie. Se mi fossi trovato a metà fiancata non so come ne sarei uscito. Ad ogni modo ero già schizzato fuori prima ancora che quella bestia si accorgesse che ero finito a bagno. Era troppo occupata a scrollarsi di dosso la fiocina.» «E se dovesse finire in acqua con questo pescecane, potrebbe fare qualcosa?» «Certo. Pregare. Sarebbe come cadere da un aereo senza paracadute e sperare di finire su un mucchio di fieno. L'unico a potermi salvare sarebbe Dio, e visto che sarebbe stato Lui a voler farmi andar giù, non darei un soldo per la mia pelle.» «Secondo una certa signora di Amity è proprio per questo che ci troviamo nei guai» mormorò Brody. «È convinta che sia una specie di castigo divino.» Quint sorrise. «Può darsi. È stato Lui a creare quel bestione, e saprà dirgli Lui cosa deve fare.» «Dice sul serio?» «No, certo che no. Le faccende religiose non mi dicono niente.» «E allora secondo lei perché quella gente ci ha rimesso la vita?» «Scalogna maledetta.» Quint tirò indietro la leva. Il battello rallentò adagiandosi tra i flutti. «Vedremo di rimediare.» Tirò fuori di tasca un foglietto, lo aprì, lesse gli appunti e, sempre servendosi del braccio teso, controllò la posizione. Girò la chiave dell'avviamento e il motore si spense. Quel silenzio improvviso aveva un peso, uno spessore. «Bene, Hooper,» disse Quint «attacchi a buttare in acqua quella roba.» Hooper tolse il coperchio al secchio della pastura e si mise al lavoro. La prima ramaiolata si riversò nell'acqua tranquilla e lentamente la chiazza oleosa si allargò in direzione ovest. Alle dieci si era alzata la brezza, non forte ma sufficiente a increspare l'acqua e rinfrescare gli uomini che sedevano a scrutare l'oceano senza dire nulla. L'unico rumore era lo scroscio flaccido della pastura che Hooper, da poppa, rove sciava a intervalli regolari. Brody occupava il solito sedile, tenendosi sveglio a fatica. Sbadigliò, poi gli venne in mente che aveva lasciato sottocoperta la copia letta a mezzo della Vergine che uccide. Si alzò, stiracchiandosi, e discese i tre scalini che
portavano nella cabina. Recuperò il libro e stava per tornare di sopra quando lo sguardo gli cadde sulla ghiacciaia. Guardò l'orologio e si disse: al diavolo, qui fuori il tempo non esiste. «Io prendo una birra» gridò. «Ne volete?» «No» rispose Hooper. «Ma sì» rispose Quint. «Possiamo sparare alle lattine.» Brody prese due birre, strappò le linguette metalliche e risalì gli scalini. Aveva posato il piede sull'ultimo quando gli giunse la voce calma, inespressiva di Quint. «Eccolo qua.» In un primo momento Brody pensò che si riferisse a lui, ma poi vide Hooper schizzare via dalla traversa lanciando un fischio, per poi esclamare: «Accidenti! È proprio lui!». Brody sentì accelerare i battiti del proprio cuore. Salì in fretta sul ponte e chiese: «Dove?». «Proprio lì» rispose Quint. «Dritto a poppa.» Gli occorse qualche istante per mettere a fuoco la vista, poi scorse la pinna, un triangolo bruno-grigiastro, dai contorni irregolari, che tagliava l'acqua seguita dalla coda a falce che si muoveva in brevi colpi spasmodici da destra a sinistra. Lo squalo era almeno a trenta metri dal battello, calcolò Brody. «È sicuro che sia lui?» «È lui» confermò Quint. «Cosa intende fare?» «Niente. Finché non vediamo cosa fa lui. Hooper, continui a versare pastura. Facciamolo accostare.» Hooper issò il secchio sulla traversa per rovesciarne il contenuto in acqua. Quint andò a prua e inserì un arpione sull'asta di legno. Sollevò un barilotto cacciandoselo sotto il braccio, infilò sull'altro il rotolo di fune serrando in mano l'arpione. Trasportò il tutto a prua deponendolo sul ponte. Lo squalo si spostava da un lato all'altro della scia di pastura, come cercando la fonte di quel miasma sanguinolento. «Ritiri quelle lenze» ordinò Quint a Brody. «Non servono più adesso che lo abbiamo in superficie.» Brody le recuperò, una dopo l'altra, lasciando cadere sul ponte i calamari infilati sugli ami. Lo squalo si avvicinò un poco al battello, sempre con quel suo moto oscillante. Quint issò il barile sulla traversa, a sinistra del secchio di Hooper, vi depose accanto il rotolo di gomena, quindi montò in piedi sull'asse, il braccio piegato a reggere l'arpione. «Avanti» incitò. «Vieni qui.»
Ma lo squalo non si accostò a più di quindici metri dal battello. «Non capisco» borbottò Quint. «Dovrebbe avvicinarsi a dare un'occhiata. Brody, mi prenda le pinze dalla tasca dei pantaloni, tagli via quelle esche e le scaraventi in acqua. Magari un po' di cibo lo farà venir vicino. E faccia un bel po' di trambusto in acqua quando le butta. Tanto per fargli capire che c'è qualcosa di interessante.» Brody eseguì battendo violentemente una fiocina sulla superficie, sollevando molti spruzzi, e sempre tenendo d'occhio quella pinna: già immaginava lo squalo che emergeva all'improvviso per attanagliargli il braccio. «Ne butti anche qualcun'altra, già che c'è» riprese Quint. «Sono in quella ghiacciaia. E getti anche le birre.» «Le birre? E perché?» «Più roba buttiamo in acqua, meglio è. Non ha importanza cosa, pur di tenergli desta la curiosità.» «E la focena?» domandò Hooper. «Ma come, Mr. Hooper,» commentò Quint «mi pareva che non approvasse.» «Lasci perdere» replicò eccitatissimo Hooper. «Voglio vedere quell'animale!» «Ora vedremo» rispose Quint. «Se è il caso di usarla, la userò.» L'acqua aveva trasportato un calamaro verso lo squalo, e una delle lattine di birra ondeggiò brevemente in superficie prima di scomparire. Ma lo squalo ancora si teneva lontano. Attesero: Hooper a pasturare; Quint in piedi sulla traversa; Brody accanto a una delle canne. «Merda» disse Quint. «Non ho altra scelta.» Posò l'arpione e saltò giù. Sollevò il coperchio del grosso recipiente accanto a Brody che scorse gli occhi senza vita della piccola focena che galleggiava nell'acqua. Quella vista lo disgustò, e distolse lo sguardo. «Be', piccola» disse Quint. «È venuto il tuo momento.» Dal cassone prese una catena e ne assicurò un'estremità all'anello dell'amo che usciva da sotto la mascella della focena. E all'altro capo legò una grossa gomena. Ne srotolò alcuni metri, la tagliò e la passò attorno alla galloccia della frisata di dritta. «Ma aveva detto che questo squalo poteva strappar via qualsiasi galloccia» osservò Brody. «Certo che può» rispose Quint. «Ma scommetto che riesco a cacciargli in corpo un ferro e a tagliare la gomena prima che la tiri abbastanza da far-
la saltar via.» Quint afferrò la catena e salì sulla traversa sollevando la preziosa esca. Estrasse il coltello dal fodero che portava alla cintura e, reggendo la focena dinanzi a sé, con la destra le aprì una serie di tagli lungo il ventre. Un liquido acre, scuro, colò dall'animale gocciolando in acqua. Quint la buttò in mare, lasciandole un paio di metri di cavo che poi bloccò con il piede. La focena galleggiò sotto il pelo dell'acqua, a un metro e mezzo dal battello. «Mi sembra un po' vicina» osservò Brody. «Per forza» replicò Quint. «Se è a dieci metri non arrivo a colpirlo.» «Perché tiene il piede sulla fune?» «Per mantenere l'esca a questa distanza. Troppo vicina per legarla a una galloccia. Se abboccasse e non avesse corda comincerebbe a dibattersi e ci manderebbe in pezzi.» Quint sollevò l'arpione fissando la pinna del pescecane. Lo squalo si accostava, sempre con quel lento moto serpeggiante ma accorciando sempre più la distanza. Poi si arrestò, a sette, otto metri, e per un attimo restò immobile nell'acqua, puntato verso la barca. Poi la coda calò sotto la superficie, la pinna dorsale scivolò indietro scomparendo e la grande testa si sollevò, la bocca aperta in un largo sogghigno selvaggio, occhi neri e foschi. Brody lo fissò, ammutolito dall'orrore, con la precisa sensazione di trovarsi di fronte al demonio. «Ehi, squalo!» gridò Quint. Era sulla traversa, a gambe larghe, la mano piegata attorno all'asta dell'arpione poggiato sulla spalla. «Vieni a vedere cosa ti abbiamo preparato!» Per un attimo ancora lo squalo rimase sospeso sull'acqua, osservandoli. Poi, senza il minimo suono, la testa slittò indietro e sparì. «Dove va?» chiese Brody. «Adesso torna» affermò Quint. «Avanti, bello» lo invitò. «Vieni qui. Vieni a mangiare.» Indicò con l'arpione la focena che galleggiava. D'un tratto la barca rollò violentemente di lato. Quint scivolò cadendo di schiena sulla traversa. La punta dell'arpione si staccò dall'asta e finì rumorosamente sul ponte. Brody perse l'equilibrio, si afferrò allo schienale del sedile girevole che ruotò facendolo finire sull'altro lato. Hooper ruzzolò all'indietro andando a sbattere contro la murata. Il cavo che tratteneva la focena si tese vibrando. Il nodo con cui era assicurato alla galloccia si strinse assottigliandosi, quando parte delle fibre si spezzarono. Il legno della frisata cominciò a cedere. Poi la gomena schioc-
cò all'indietro, per ricadere floscia in acqua. «Mi venga un colpo!» sbottò Quint. «Come se avesse capito le sue intenzioni» ansimò Brody. «Come se sapesse che era una trappola.» «Maledizione! Non ho mai visto un pesce fare una cosa del genere, fino a oggi.» «Ha capito che facendola cadere avrebbe potuto prendersi la focena.» «Col cavolo, stava solo mirando alla focena e l'ha mancata.» «Mirava alla focena dall'altra parte della barca?» ribatté Hooper. «Be', non ha importanza» concluse Quint. «Comunque ha funzionato.» «E come avrà fatto a strappar via l'amo?» domandò Brody. «Non ha divelto la galloccia.» Quint si accostò al parapetto di dritta e cominciò a recuperare la fune. «O ha tranciato la catena, oppure... già, come avevo immaginato.» Si sporse sul parapetto e afferrò la catena tirandola a bordo. Era intatta, con il moschettone ancora agganciato all'anello dell'amo. Ma l'amo d'acciaio era irriconoscibile: quasi perfettamente diritto, solo con due piccole protuberanze là dove prima si ripiegava. «Cristo!» esclamò Brody. «E c'è riuscito con la bocca?» «L'ha spianato come niente» annuì Quint. «Probabilmente non l'ha trattenuto più di un paio di secondi.» A Brody vennero le vertigini. La punta delle dita gli formicolava. Sedette sul sedile e respirò a fondo, più volte, cercando di reprimere la paura che gli saliva dentro. «Dove se n'è andato, secondo lei?» chiese Hooper che, in piedi a poppa, scrutava l'acqua. «È qui attorno» rispose Quint. «Ma tornerà. Quella focena, per lui, era come un'acciuga per una verdesca. Verrà a cercare altro cibo.» Inserì di nuovo l'arpione sull'asta, arrotolò la fune e posò il tutto sulla traversa. «Dobbiamo solo aspettare. E continuare a buttar pastura. Io preparo qualche altra esca.» Brody osservò Quint che legava i calamari con una sagola e li buttava in acqua assicurando la funicella a gallocce, scalmi e ogni altro possibile ancoraggio. Dopo aver sistemato una dozzina di calamari tutt'attorno al battello, a profondità diverse, Quint salì sul ponte superiore e sedette. Brody commentò: «Certo che questo sembra uno squalo furbo». E sperava di essere contraddetto. «Furbo o no, non saprei» rispose Quint. «Ma non ne ho mai visto nessu-
no comportarsi così.» Fece una pausa e poi, quasi tra sé, aggiunse: «Ma lo piglio, quel maledetto. Questo è sicuro». «Come fa a esserne certo?» «Lo so e basta. Adesso mi lasci in pace.» Era un ordine, non un invito, e sebbene Brody desiderasse parlare - di qualsiasi cosa, perfino dello squalo, pur di allontanare dalla mente l'immagine del mostro in agguato sotto di loro - non disse più nulla. Guardò l'orologio: le undici e cinque. Attesero, aspettandosi da un momento all'altro di scorgere verso poppa quella pinna che si profilava in superficie. La pastura cadeva in acqua con un gorgoglio liquido, nauseante. Alle undici e trenta Brody trasalì a un crac secco, sonoro. Quint discese in un lampo la scaletta, percorse il ponte e salì sulla traversa. Raccolse l'arpione e reggendolo contro la spalla scrutò l'acqua, a poppa. «Che diavolo è stato?» domandò Brody. «È di nuovo qui.» «Come fa a saperlo? Cos'è stato quel rumore?» «Una sagola che si è spezzata. Ha preso un calamaro.» «Ma perché si è spezzata? Come mai non l'ha tagliata?» «Probabilmente non ha dato un morso. Se l'è succhiata e quando ha richiuso la bocca la fune si è tesa. Poi avrà fatto così,» Quint girò di scatto la testa «e la fune è partita.» «Come mai si è sentito il rumore, se si è spezzata sott'acqua?» «Non si è spezzata sott'acqua, accidenti! Ha ceduto qui!» Indicò una spanna di corda che pendeva da una delle gallocce di centro. «Oh» mormorò Brody. Mentre osservava quel pezzo di sagola, un'altra, un metro più avanti, si spezzò. «Ci ha rifatto» disse. Si alzò dirigendosi al parapetto e ritirò la fune. «Deve essere proprio sotto di noi.» Quint chiese: «Qualcuno vuole farsi una nuotata?». «Caliamo in acqua la gabbia» propose Hooper. «Ma sta scherzando» replicò Brody. «No, proprio no. Forse lo farebbe venire fuori.» «Con lei dentro?» «Non subito. Prima vediamo come reagisce. Che ne dice, Quint?» «Proviamo» rispose questi. «Mettiamola pure in acqua, visto che ha pagato.» Posò l'arpione e si avvicinò alla gabbia, insieme a Hooper. L'appoggiarono su un fianco, Hooper aprì lo sportello e si infilò dentro. Prese la bombola, la maschera e la muta e posò tutto sul ponte. Rimisero in
piedi la gabbia e la spinsero fino al parapetto. «Ha un paio di gomene?» chiese Hooper. «Voglio attaccarla alla barca.» Quint scese di sotto e tornò con due rotoli di fune. Ne assicurarono i capi a due gallocce, una a poppa e l'altra al centro, poi vi attaccarono la gabbia. «Okay» disse Hooper. «Caliamola giù.» La sollevarono inclinandola e la fecero scivolare oltre la frisata. La gabbia, trattenuta dalle funi, affondò per un metro circa, e poi si fermò a ondeggiare dolcemente. I tre erano vicini al parapetto, e fissavano l'acqua. «Perché pensa che questa roba lo faccia venire su? x chiese Brody. «Non ho detto "su"» replicò Hooper. «Ho detto "fuori" da sotto il battello. Credo che verrà a dare un'occhiata, a vedere se è roba da mangiare.» «Il che non ci servirà a niente» osservò Quint. «Non posso certo colpirlo se è quattro metri sott'acqua.» «Se viene fuori,» fece notare Hooper «magari verrà anche su. Visto che non abbiamo altro mezzo...» Ma lo squalo non venne fuori. La gabbia rimase tranquilla in acqua, indisturbata. «Ecco che si è beccato un altro calamaro» esclamò Quint, indicando verso poppa. «È proprio qui sotto!» Si sporse oltre il parapetto e urlò: «Maledetta bestia. Vieni fuori e vediamocela un po'!». Dopo un quarto d'ora Hooper disse: «Oh, be'» e scese sottocoperta. Ricomparve dopo qualche minuto con una cinepresa in una custodia impermeabile e quello che a Brody sembrò una specie di bastone, con un cappio a un'estremità. «Cosa intende fare?» domandò Brody. «Scendo in acqua. Magari si deciderà a uscire.» «Ma le ha dato di volta il cervello. E se viene fuori, lei che fa?» «Prima di tutto giro un po' di pellicola. Poi cercherò di ucciderlo.» «Con che cosa, di grazia?» «Con questo.» Hooper mostrò il bastone. «Ottima idea» commentò Quint con una risatina sarcastica. «E se non dovesse funzionare potrà sempre farlo morire di solletico.» «Cos'è?» domandò Brody. «Una specie di fucile subacqueo.» Tirò le due estremità e il bastone si separò in due parti. «Qui» spiegò Hooper, indicando una camera nel punto in cui l'ordigno si era diviso, «si mette una cartuccia calibro dodici.» Ne prese una di tasca e l'infilò, poi rimontò l'arma. «Poi, quando si arriva abbastanza vicini al pesce, glielo si pianta contro e il colpo parte. Se lo si
prende in un punto vitale, e il cervello è l'unico veramente sicuro, è spacciato.» «Anche un animale di queste dimensioni?» «Credo di sì. Se lo colpisco nel punto giusto.» «E se non ci riesce? Potrebbe sbagliare il colpo, magari solo di un pelo.» «È proprio questo che mi preoccupa.» «La capisco» annuì Quint. «Non vorrei proprio trovarmi di fronte a due o tre tonnellate di dinosauro inferocito che cerca di mangiarmi.» «Non pensavo a questo» precisò Hooper. «È che se manco il colpo c'è rischio che si allontani. Probabilmente si inabisserebbe e non sapremo mai se è morto o no.» «Fino a che non si mangia qualcun altro» aggiunse Brody. «Già.» «Lei è suonato come una campana.» «Davvero, Quint? Non mi pare che lei stia cavando molti ragni dal buco con questo squalo. Potremmo restarcene qui un mese intero e continuare a sfamarlo con le sue esche.» «Verrà su» insisté Quint. «Glielo dico io.» «Quint, lei sarà morto di vecchiaia prima che venga su. Quello squalo la sta mettendo in difficoltà. Non si comporta secondo le regole.» Quint fissò Hooper e chiese in tono calmo: «Mi vuole insegnare il mio mestiere, ragazzo?». «No. Ma le sto dicendo che quella bestia non è pane per i suoi denti.» «Davvero, ragazzo? Crede di poter fare meglio di Quint?» «La metta come vuole. Io penso che riuscirò a ucciderlo.» «Magnifico. Si accomodi pure.» Brody intervenne: «Avanti. Non possiamo lasciarlo scendere in quella gabbia». «Ma cos'ha lei da protestare» ribatté Quint. «Da quel che ho potuto vedere lei sarebbe ben contento che scendesse in acqua e non tornasse più a galla. Così non potrebbe più...» «Chiuda il becco!» Brody era in preda a sentimenti contrastanti. Da un lato non gli interessava che Hooper vivesse o morisse, anzi, l'idea della sua morte poteva addirittura fargli piacere. Ma una vendetta del genere sarebbe stata assurda, e magari anche ingiusta. Poteva davvero desiderare la morte di qualcuno? No. Non era ancora a quel punto. «Coraggio» disse Quint a Hooper. «Entri là dentro.» «Subito.» Hooper si tolse la camicia, le scarpe, i calzoni e cominciò a in-
filarsi la muta. «Quando sarò dentro,» aggiunse, rivolto a Brody, cacciando le braccia nelle maniche «si metta qui e tenga gli occhi ben aperti. Magari, se lo squalo viene in superficie, potrebbe usare il fucile.» Lanciò un'occhiata a Quint. «Lei può tenersi pronto con l'arpione... se vuole.» «So io quel che devo fare» ribatté Quint. «Lei pensi per sé.» Una volta pronto, Hooper attaccò il cannello alla bombola, strinse il galletto per fissarlo bene e aprì la valvola dell'aria. Aspirò due boccate per assicurarsi che funzionasse. «Per piacere, mi aiuti» disse a Brody. Brody sollevò la bombola e la resse mentre Hooper faceva passare le braccia nelle cinghie e si agganciava la terza attorno al petto. Si mise in capo la maschera. «Avrei dovuto portare della zavorra» mormorò. Quint replicò: «Avrebbe dovuto portarsi del buon senso». Hooper infilò il polso nel cappio del fucile subacqueo, prese con la destra la cinepresa e disse: «Okay». Si accostò al parapetto. «Prendete le funi e tirate su la gabbia, per piacere. Io apro lo sportello, entro, e dopo potrete lasciar andare. Non gonfierò i galleggianti a meno che una delle funi si spezzi.» «O venga tranciata da un morso» aggiunse Quint. Hooper gli lanciò un'occhiata e sorrise. «Che pensiero incoraggiante.» Quint e Brody issarono la gabbia. Quando lo sportello raggiunse la superficie Hooper disse: «Okay, basta così». Sputò sul vetro della maschera e lo strofinò ben bene, quindi se l'applicò al volto. Prese il cannello, strinse tra i denti il boccaglio e inspirò. Si protese sul parapetto e tolse la sicura del portello, aprendolo. Stava per poggiare un ginocchio sulla murata, ma si interruppe. Tolse il boccaglio e disse: «Ho dimenticato una cosa». La maschera gli copriva metà faccia e la voce uscì un po' impastata, nasale. Attraversò il ponte e raccolse i propri calzoni. Frugò nelle tasche e trovò quel che cercava. Aprì la cerniera della muta. «Cos'è?» domandò Brody. Hooper mostrò un dente di squalo, montato in argento, identico a quello che aveva regalato a Ellen. L'infilò all'interno della muta e richiuse la cerniera. «La prudenza non è mai troppa» commentò con un sorriso. Riattraversò il ponte, rimise il boccaglio e si inginocchiò sul parapetto. Prese di nuovo fiato e si tuffò attraverso lo sportello aperto. Brody lo seguì con lo sguardo chiedendosi se davvero voleva appurare la verità sul conto di Hooper ed Ellen. Hooper si fermò prima di toccare il fondo della gabbia. Girò su se stesso e si mise in piedi. Allungò il braccio verso lo sportello e Io richiuse. Poi
guardò in su verso Brody, piegò a cerchio pollice e indice della, sinistra a indicare "Okay" e riabbassò il capo. «Molliamo» disse Brody. Lasciarono andare i cavi e la gabbia discese e si fermò: lo sportello nella parte superiore era poco più di un metro sotto la superficie. «Prenda il fucile» ordinò Quint. «È sottocoperta. È già carico.» Montò sulla traversa e prese l'arpione reggendolo sulla spalla. Brody scese dabbasso, trovò il fucile e tornò in fretta di sopra. Aprì la culatta e inserì una cartuccia. «Quanta aria ha?» «Non so» rispose Quint. «Ma per quanta possa averne dubito che riuscirà a respirarla tutta.» «Forse ha ragione. Ma anche lei ha detto che non si sa mai cosa faranno queste bestie.» «Già, ma qui è diverso. È come mettere una mano nel fuoco e sperare di non bruciarsi. Una persona di cervello non lo fa.» Di sotto, Hooper aspettò che le bollicine provocate dalla sua discesa si fossero dissipate. Nella maschera era entrata dell'acqua: arrovesciò il capo all'indietro, premette la mano contro il vetro e soffiò aria dal naso fino a vuotare la maschera. Si sentiva bene, pervaso da quel senso di libertà e di sicurezza che provava sempre durante le immersioni. Era da solo nell'azzurro silenzio percorso da lame di luce solare che danzavano nell'acqua. L'unico suono era quello del suo respiro, un ansito sordo quando inspirava, e il ribollire morbido di bollicine quando espirava. Trattenne il fiato e il silenzio fu completo. Senza zavorra era troppo leggero e doveva tenersi alle sbarre per evitare che il respiratore andasse a battere contro lo sportello, in alto. Si volse a guardare lo scafo della barca, una massa grigia sopra di lui, che ondeggiava lentamente. In un primo momento la gabbia gli diede fastidio. Gli limitava i movimenti, lo imprigionava, non gli permetteva di godersi il piacere dell'immersione. Poi rammentò perché c'era dentro, e ringraziò il cielo. Si guardò attorno per individuare lo squalo. Sapeva che non poteva starsene fermo sotto il battello, come aveva detto Quint. Non poteva "starsene fermo" da nessuna parte: era costretto a muoversi continuamente per sopravvivere. Nonostante il sole splendente, in quelle acque torbide la visibilità era scarsa: non oltre i dodici metri. Hooper si girò lentamente, frugando con lo sguardo in quelle ombre per cogliervi un movimento o una fuggevole macchia chiara. Scrutò sotto il battello, dove l'acqua da azzurra si faceva grigia e poi nera. Nulla. Guardò l'orologio: se non sprecava aria avrebbe
potuto restare sotto almeno un'altra mezz'ora. Trascinato dalla corrente, uno dei calamari si infilò tra le sbarre della gabbia, legato alla sagola, e fluttuò davanti al suo viso. Lo spinse fuori. Guardò verso il basso e mentre stava per distogliere gli occhi qualcosa attrasse bruscamente la sua attenzione. Dall'azzurro più cupo del fondo saliva verso di lui, lento e fluido, lo squalo. Saliva senza sforzo apparente, un angelo della morte librato verso un appuntamento predestinato. Hooper lo fissò, come ipnotizzato, con l'impulso di fuggire ma incapace di muoversi. L'animale si accostava: ne ammirò i colori: il bruno grigiastro e opaco che si era visto in superficie era scomparso. La parte superiore di quel corpo immenso era di un grigio-ferro molto scuro, con sfumature azzurrine là dove i raggi di sole lo sfioravano. Più sotto il ventre era di un bianco spettrale. Hooper avrebbe voluto sollevare la cinepresa, ma il braccio non ubbidiva. Tra un momento, si disse. Tra un momento. Lo squalo venne ancora più vicino, silenzioso come un'ombra e Hooper si ritrasse. La testa era a un metro dalla gabbia quando lo squalo virò per passare davanti a Hooper: indifferente, quasi a ostentare la propria mole di incalcolabile forza. Prima il muso, poi le mascelle, socchiuse, come sorridenti, irte di molte file di punte triangolari seghettate. E poi l'occhio nero, impenetrabile, apparentemente fisso su di lui. Le fessure branchiali palpitavano: ferite senza sangue nella pelle color acciaio. Un po' esitante, Hooper allungò una mano tra le sbarre e toccò il fianco dello squalo. Lo sentì freddo e duro, non viscido ma liscio come materia plastica. Lasciò scorrere le dita su quella carne: le pinne pettorali, quella pelvica, gli spessi, robusti organi copulatori, finché - l'animale pareva non finire mai - la coda, con un breve colpo, lo allontanò. Lo squalo proseguì, allontanandosi dalla gabbia. Hooper sentì dei piccoli schiocchi sordi e vide tre spirali di bollicine turbolente sfrecciare dalla superficie per poi rallentare e fermarsi, molto al di sopra del pesce. Pallottole. Non ancora, si disse. Che passi ancora una volta, per filmarlo. Lo squalo cominciò a virare, inclinando le flessibili pinne pettorali. «Cosa diavolo sta facendo là sotto?» chiese Brody. «Perché non ha usato il suo fucile?» Quint non rispose. Stava in piedi sulla traversa, l'arpione stretto in pugno, a scrutare nell'acqua. «Vieni su» disse. «Vieni da Quint.» «Lo vede?» chiese Brody. «Cosa sta facendo?» «Niente. Almeno per ora.»
Lo squalo era giunto al limite del campo di visibilità di Hooper: era una macchia spettrale grigio-argento che tracciava un lento arco. Hooper sollevò la cinepresa e abbassò la levetta. Sapeva che avrebbe sprecato pellicola se lo squalo non si fosse accostato di nuovo, ma voleva riprenderlo mentre emergeva dall'ombra. Attraverso il mirino vide l'animale girare verso di lui. Si muoveva veloce, con possenti colpi di coda, aprendo e richiudendo la bocca come ansimando. Hooper sollevò la destra per cambiare il fuoco. Devo ricordarmi di spostarlo di nuovo quando gira, si disse. Ma il pesce non mutò direzione. Un fremito gli percorse il corpo mentre si avvicinava alla gabbia. La colpì di testa, cacciando il muso tra due sbarre, allargandole. Colpì Hooper al petto, sbattendolo all'indietro. La cinepresa volò via e il boccaglio gli sfuggì. Lo squalo si girò sul fianco e a colpi di coda penetrò ancor più nella gabbia. Hooper cercò a tentoni il boccaglio senza riuscire a trovarlo. Sentiva nel petto la convulsa necessità d'aria. «Sta attaccando!» urlò Brody. Afferrò una delle gomene cercando disperatamente di sollevare la gabbia. «Dio ti maledica!» urlò Quint. «Tiri! Tiri!» «Non posso! Devo averlo in superficie. Vieni su, maledetto fottuto!» L'animale scivolò fuori dalla gabbia e virò bruscamente a destra tracciando uno stretto cerchio. Hooper allungò una mano dietro di sé, trovò il cannello e lo seguì fino ad afferrare il boccaglio. Se Io cacciò in bocca ma, dimenticando di soffiarci dentro, prima, aspirò acqua. Quasi senza fiato riuscì affannosamente a vuotare il cannello e poté infine aspirare, frenetico, una boccata d'aria. Fu allora che vide l'ampio varco tra le sbarre e quella testa mastodontica che vi piombava dentro. Alzò le braccia sopra la testa, afferrandosi al portello. Lo squalo si accaniva contro le sbarre allargandole sempre più ad ogni colpo di coda. Hooper, appiattito contro il fondo, vide quella bocca farsi più vicina, protesa verso di lui. Si ricordò del fucile e cercò di abbassare il braccio destro per impugnarlo. Lo squalo si spinse ancora più addentro, con violenza, e Hooper capì con terrore che era finita, che quella bocca l'avrebbe afferrato. Le mandibole si chiusero attorno al suo torso. Hooper sentì una pressione terribile che lo schiacciava inesorabilmente. Colpì con il pugno quell'occhio cupo. Lo squalo serrò i denti e l'ultima cosa che Hooper vide prima di morire fu quell'occhio che lo fissava attraverso la nube del suo san-
gue. «L'ha preso!» urlò Brody. «Faccia qualcosa!» «Ormai è morto» dichiarò Quint. «Come fa a dirlo? Forse possiamo salvarlo.» «È morto.» Lo squalo indietreggiò scivolando fuori dalla gabbia, con Hooper chiuso tra le mascelle. Si lasciò affondare per un paio di metri, masticando, inghiottendo i visceri che vennero spinti attraverso la gola. Poi ebbe un tremito e con un colpo di coda si lanciò, con la preda, verso l'alto. «Sta salendo!» gridò Brody. «Prenda il fucile!» Quint si preparò a lanciare l'arpione. Lo squalo eruppe dall'acqua a cinque metri dal battello, tra fontane di spruzzi. Il corpo di Hooper sporgeva ai due lati della bocca: testa e braccia, inerti e abbandonate, da una parte; ginocchia, polpacci e piedi dall'altra. Nei pochi attimi in cui il pescecane emerse a Brody parve di scorgere attraverso il vetro della maschera gli occhi spenti e sbarrati di Hooper. Come in segno di disprezzo e trionfo lo squalo restò sospeso per un secondo, quasi a sfidare la vendetta. Brody afferrò la carabina e contemporaneamente Quint lanciò l'arpione. Il bersaglio era vasto, una distesa di ventre bianco, e la distanza non era eccessiva, ma mentre Quint tirava lo squalo cominciò a sprofondare e il ferro passò troppo alto. Per un istante ancora lo squalo rimase in superficie, la testa fuori dall'acqua, Hooper prigioniero in quella bocca. «Spari!» urlò Quint. «Cristo, spari!» Brody fece fuoco senza prendere la mira. I primi due proiettili colpirono l'acqua, davanti allo squalo. Il terzo, con suo orrore, si conficcò nel collo di Hooper. «Qui, mi dia quell'accidenti!» sbottò Quint strappando il fucile dalle mani di Brody. Con un unico rapido movimento si portò l'arma contro la spalla ed esplose due colpi. Ma il pescecane, con un'ultima occhiata indifferente, stava già scivolando sotto il pelo dell'acqua e le pallottole finirono, inoffensive, nel piccolo gorgo dove poco prima era stata la testa. Tutto come prima. Non c'era il minimo rumore, tranne il fruscio della brezza. Dall'alto la gabbia appariva intatta. L'acqua era calma. Unica differenza: Hooper non c'era più. «Cosa facciamo adesso?» balbettò Brody. «Cosa possiamo fare, in nome di Dio? Più niente. Possiamo anche tornare indietro.»
«Sì, torniamo indietro» assentì Quint. «Per il momento.» «Per il momento? Cosa vuole dire? Non possiamo fare nulla. Quella bestia è al di sopra delle nostre forze. Non è una cosa reale o naturale.» «Cede le armi, amico?» «Sì, rinuncio. A questo punto possiamo solo aspettare che chi ci impone questo castigo, Dio, la natura o il diavolo, decida che ne abbiamo passate abbastanza. È fuori dalla nostra portata.» «Non dalla mia» replicò Quint. «Io farò fuori quel maledetto.» «Non credo che potrò ottenere altro denaro dopo quel che è avvenuto oggi.» «Si tenga il suo denaro. Qui non si tratta più di quattrini.» «Cosa intende dire?» Brody guardò Quint che, in piedi sulla traversa, fissava il punto in cui si era trovata la testa del pescecane come se si aspettasse di vederla ricomparire serrando tra i denti quel corpo dilaniato. Scrutava il mare, quasi a chiedere un nuovo incontro con l'avversario. «Io farò fuori quella bestia» ripeté Quint. «Può venire con me, se vuole. Altrimenti se ne stia a casa. Ma io ammazzerò quel pesce.» Mentre Quint parlava, Brody lo fissava negli occhi. Erano cupi e foschi come quelli dello squalo. «Verrò» rispose Brody. «Credo di non avere scelta.» «No» confermò Quint. «Non abbiamo scelta.» Trasse il coltello dal fodero e lo tese a Brody. «Prenda. Tagli i cavi di quella gabbia e andiamocene.» Quando il battello fu ormeggiato, Brody si avviò alla sua auto. In fondo al pontile c'era una cabina telefonica. Vi si fermò accanto, ricordando la sua intenzione di chiamare Daisy Wicker. Ma ricacciò quell'impulso e proseguì verso la macchina. A che pro? si chiese. Se c'è stato qualcosa, ormai è finito. Tuttavia, mentre si dirigeva verso Amity, Brody si chiese quale fosse stata la reazione di Ellen quando la Guardia Costiera le aveva telefonato per darle la notizia della morte di Hooper. Quint si era messo in contatto radio con la Guardia prima di puntare verso terra, e Brody aveva chiesto all'agente di servizio di chiamare sua moglie per dirle che lui, almeno, era sano e salvo. Quando giunse a casa, Ellen aveva finito di piangere già da tempo. Aveva pianto automaticamente, con collera e con dolore, non tanto per Hooper quanto per l'irreparabilità e l'amarezza di un'altra morte ancora. Era stata
più addolorata per la distruzione di Larry Vaughan, che era stato un amico affettuoso e vicino. Hooper era stato un "amante" solo nel senso più superficiale della parola. Non lo aveva amato. Lo aveva usato, e per quanto gli fosse grata di ciò che le aveva dato, non si sentiva legata a lui. Le spiaceva che fosse morto, certo, così come le sarebbe spiaciuto venire a sapere che il fratello di lui, David, era morto. Ai suoi occhi erano ormai entrambi immagini del suo lontano passato. Sentì l'auto del marito imboccare il vialetto e andò ad aprire la porta sul retro. Dio, è distrutto, pensò, mentre lo guardava venire verso la casa. Aveva gli occhi rossi, infossati, e camminava tenendo le spalle un po' curve. Sulla soglia lo baciò e disse: «A guardarti hai bisogno di un bicchierino». «Puoi dirlo.» Passò nel soggiorno e si lasciò cadere in poltrona. «Cosa preferisci?» «Non ha importanza. Basta che sia forte.» Ellen andò in cucina, riempì un bicchiere di vodka e succo d'arancia in parti uguali e glielo portò. Sedette sul bracciolo della poltrona e gli passò una mano sul capo. Sorrise e disse: «Guarda qui, il punto dove cominci a perdere i capelli. Era tanto tempo che non lo toccavo che me n'ero dimenticata». «Mi stupisce che ancora me ne restino. Cristo, non mi sono mai sentito vecchio come oggi.» «Ci credo. Be', adesso è finita.» «Lo vorrei» rispose Brody. «Lo vorrei proprio.» «Cosa vuoi dire? È finita, no? Non puoi fare altro.» «Domani usciamo di nuovo in mare. Alle sei.» «Scherzi?» «Magari.» «Ma perché?» Ellen era sbigottita. «Cosa credi di poter fare?» «Catturare quella bestiaccia. E ucciderla.» «E credi di riuscire?» «Non sono sicuro. Ma Quint ne è convinto. Convinto fino al midollo.» «E allora che vada lui. Che ci rimetta lui la pelle.» «Non posso.» «Perché no?» «È mio dovere.» «Non è tuo dovere!» Era in collera e spaventata, e gli occhi cominciarono a riempirlesi di lacrime. Brody rifletté qualche istante, poi ammise: «No, hai ragione».
«E allora perché?» «Non te lo so dire. Neanch'io lo so.» «Cerchi di dimostrare qualcosa?» «Forse. Non so. Prima non la pensavo così. Dopo che Hooper è stato ucciso, ero pronto a rinunciare.» «Cosa ti ha fatto cambiare idea?» «Quint, credo.» «E allora ti lasci dire da lui cosa devi fare?» «No. Non mi ha detto niente. È una sensazione. Non so spiegarti. Ma rinunciare non risolve nulla. Non è una soluzione.» «Perché poi bisogna arrivare a una soluzione?» «Per diversi motivi. Per Quint, se non fa fuori quella bestia, tutte le sue convinzioni vanno in fumo.» «E tu?» Brody si sforzò di sorridere. «Quanto a me, credo di essere un povero poliziotto incastrato.» «Non dire sciocchezze!» esclamò Ellen, e le lacrime sgorgarono. «Non pensi a me e ai ragazzi? Vuoi rimetterci la vita?» «No, buon Dio, no. Solo...» «Tu pensi che sia tutta colpa tua. Ti senti responsabile.» «Responsabile di che?» «Per quel bambino, e l'uomo. Sei convinto che uccidendo quello squalo ti metterai la coscienza a posto. Vuoi vendetta.» Brody sospirò. «Forse sì. Non so. Mi pare... credo che se vogliamo far tornare a vivere questa città, l'unico modo sia uccidere quell'animale.» «E sei disposto a farti ammazzare nel tentativo di...» «Non dire stupidaggini! Non sono affatto disposto a farmi ammazzare. Non sono neppure molto disposto - se vogliamo usare questa parola - a salire su quel maledetto battello. Credi che mi diverta, là fuori, in mare? Ho una tale fifa, per tutti i minuti che ci passo, da avere il vomito.» «E allora perché ci vai?» Lo supplicava, lo implorava. «Non riesci mai a pensare ad altri che a te stesso?» Brody rimase colpito da quell'accusa di egocentrismo. Non gli era mai passato per la mente di comportarsi in modo egoista, di lasciarsi andare a una necessità personale di espiazione. «Io ti amo» disse. «Lo sai... qualsiasi cosa accada.» «Oh, certo» replicò lei amaramente. «Sì, certo, lo so.» Cenarono in silenzio. Quando ebbero terminato Ellen sparecchiò, lavò i
piatti e salì di sopra. Brody fece il giro del soggiorno per spegnere le luci. Stava per premere l'interruttore dell'anticamera quando sentì bussare alla porta d'ingresso. Aprì e vide Meadows. «Salve, Harry. Entra.» «No» rispose Meadows. «È tardi. Volevo solo lasciarti questo.» Tese a Brody una grossa busta. «Cos'è?» «Aprila. Ci sentiamo domani.» Meadows si volse e percorse il vialetto fino alla strada dove era ferma la sua auto, con luci e motore accesi. Brody richiuse la porta e aprì la busta: conteneva una bozza della prima pagina del "Leader" dell'indomani. I primi due articoletti di fondo erano segnati in rosso. Brody lesse. UNA NOTA DI CORDOGLIO... Nelle ultime tre settimane Amity è stata sconvolta da un succedersi di tragedie. I suoi cittadini e i suoi amici sono stati colpiti da un'atroce calamità che nessuno può arrestare né spiegare. Ieri un'altra vita umana è stata stroncata dal mostruoso squalo bianco. Matt Hooper, il giovane oceanografo di Woods Hote, è stato ucciso mentre tentava di eliminare, da solo, l'animale. Si potrà mettere in dubbio l'opportunità dell'audace tentativo di Mr. Hooper. Ma che lo si consideri coraggioso o avventato, non possono esserci dubbi sui motivi che l'hanno spinto alla sua missione fatale. Stava cercando di aiutare Amity, metteva a disposizione il proprio tempo e il proprio denaro nel tentativo di riportare la pace in questa comunità minacciata. Era un amico, e ha dato la sua vita perché noi, suoi amici, potessimo vivere. ...E UN RINGRAZIAMENTO Fin dal primissimo giorno in cui lo squalo predatore è comparso ad Amity, un uomo ha impiegato ogni istante delle sue giornate nello sforzo di proteggere i suoi concittadini. Quest'uomo è il Capo della Polizia, Martin Brody. Già dopo il primo incidente, il Capo Brody voleva informare il pubblico del pericolo e chiudere le spiagge, ma un coro di voci
meno prudenti, compresa quella del direttore del presente quotidiano, gli si oppose dicendo che era una mossa sbagliata. Teniamo la cosa in sordina, abbiamo detto, e la minaccia sparirà. Eravamo noi a sbagliare. Alcuni, ad Amity, sono stati lenti a capire la lezione. Quando, dopo nuove disgrazie, il Capo Brody ha insistito per tenere chiuse le spiagge, si è visto vilipeso e minacciato. Alcuni dei suoi più accesi critici erano mossi non da impegno civico ma da avidità personale. Il Capo Brody non ha ceduto e, ancora una volta, ha dimostrato di essere nel giusto. Adesso Martin Brody rischia la propria vita nella medesima spedizione che è costata quella di Matt Hooper. Dobbiamo tutti far voti perché torni sano e salvo... e offrirgli il nostro grazie per la sua straordinaria forza d'animo e integrità. «Grazie a te, Harry» disse Brody ad alta voce. Verso mezzanotte si alzò un forte vento da nord-est che sibilava tra gli interstizi delle tapparelle, seguito poco dopo da una pioggia sferzante che fece una pozza sul pavimento della camera da letto. Brody si alzò a chiudere la finestra. Cercò di riprendere sonno, ma era troppo agitato. Si alzò di nuovo, mise la vestaglia, scese nel soggiorno e accese la TV. Passò da un canale all'altro fino a trovare un film con Fred Astaire e Ginger Rogers. Poi si sistemò in poltrona e subito scivolò in un dormiveglia agitato. Si riscosse verso le cinque, al ronzio del monoscopio; spense l'apparecchio e rimase ad ascoltare il vento che si era smorzato e pareva avere mutato direzione, ma la pioggia continuava a scrosciare. Voleva quasi telefonare a Quint, poi si disse: no, inutile, usciremo in mare anche se si scatena una burrasca. Salì di sopra e si vestì senza far rumore. Prima di uscire dalla stanza guardò Ellen che dormiva, con la fronte un po' aggrottata. «Ti amo davvero, sai» sussurrò, e la sfiorò con un bacio. Stava per discendere le scale poi, d'impulso, andò a dare un'occhiata nella camera dei ragazzi. Erano tutti immersi nel sonno. XIV Quando giunse al pontile, Quint stava già aspettandolo: alta figura imperturbabile. Il suo mantello giallo di tela cerata risaltava contro il cielo
cupo. Stava affilando una punta d'arpione contro una pietra di carborundo. «Volevo quasi chiamarla» disse Brody, mentre si infilava l'impermeabile. «Com'è 'sto tempo?» «Niente» rispose Quint. «Tra un po' cambia. Ma anche se non cambia, non importa. Quello sarà là.» Brody alzò lo sguardo verso le nubi che si accavallavano. «Giornata lugubre.» «Molto in carattere» commentò Quint balzando a bordo. «Siamo solo noi due?» «Solo noi. Aspetta qualcun altro?» «No. Ma pensavo che avrebbe preferito avere due braccia in più.» «Lei conosce questa bestia quanto me ormai, e una terza persona non cambierebbe la situazione. Inoltre è una faccenda che riguarda solo noi.» Brody si calò dal pontile sulla traversa e stava per saltare sul ponte quando notò un telone che copriva qualcosa, in un angolo. «Cos'è?» chiese. «Una pecora.» Quint girò la chiavetta dell'accensione. Il motore tossicchiò, poi si mise in moto con un borbottio regolare. «Per cosa?» Brody scese sul ponte. «Vuole fare un sacrificio?» Quint ebbe una breve risata sardonica. «Si potrebbe anche» rispose. «No, è un'esca. Tanto per offrirgli uno spuntino prima di dar battaglia. Molli la gomena di poppa.» E andò a sciogliere quella di prua e il traversino. Mentre Brody afferrava il cavo sentì il motore di un'auto. Due fari si avvicinavano veloci lungo la stradicciola e poi ci fu uno stridio di pneumatici mentre la macchina si arrestava in fondo al pontile. Un uomo ne saltò fuori e corse verso l'Orca. Era il cronista del "Times", Bill Whitman. «Appena in tempo» ansimò. «Che vuole?» domandò Brody. «Vorrei essere della partita. O meglio, ho avuto l'ordine di venire con voi.» «Col cavolo» replicò Quint. «Non so chi sia lei, ma nessuno viene con noi. Brody, molli la gomena.» «Perché no?» insisté Whitman. «Non darò il minimo fastidio. Anzi, potrei dare una mano. Senta, è una faccenda grossa. Se dovete catturare quella bestia, vorrei esserci anch'io.» «Ma vada a fa'...» consigliò Quint. «Prendo un battello a nolo e vi seguo.»
Quint ebbe una risata. «Faccia pure. Veda se riesce a trovare qualcuno tanto suonato da portarla in mare. E poi cerchi di rintracciarci. L'oceano è grande. Butti il cavo, Brody.» Brody lanciò la fune sul pontile. Quint spinse avanti la leva e il battello si allontanò dolcemente. Brody si volse a guardare Whitman che tornava verso la sua auto. Al largo di Montauk il mare era grosso: il vento, che adesso spirava da sud-est, contrastava la corrente. La barca rollava tra le onde, e la prua le colpiva con violenza sollevando un manto di spruzzi. La carcassa della pecora, a poppa, sobbalzava. Quando giunsero in mare aperto, diretti a sud-ovest, il beccheggio diminuì. Gli scrosci di pioggia erano diminuiti e adesso cadeva un'acquerugiola fitta, e a ogni istante le bianche increspature spumeggianti in cui le onde si aprivano divenivano più rade. Avevano superato il capo solo da un quarto d'ora quando Quint tirò indietro la leva riducendo i giri del motore. Brody guardò verso terra. Nella luce che andava aumentando distingueva chiaramente la torre serbatoio: una sagoma nera che si alzava sulla linea grigia della costa. Il faro era ancora acceso. «Non siamo al largo come le altre volte» osservò. «No.» «Non più di un paio di miglia dalla costa.» «Più o meno.» «E allora perché si è fermato?» «Ho una sensazione.» Quint indicò a sinistra, verso un gruppo di piccole luci, sulla costa. «Là c'è Amity.» «E allora?» «Non credo che oggi sarà molto in fuori. Credo che si trovi tra qui e Amity.» «Perché?» «Gliel'ho detto. Una sensazione. Non c'è sempre un perché in queste faccende.» «Per due giorni di fila l'abbiamo trovato più in là.» «O ci ha trovati lui.» «Non capisco, Quint. Per essere uno che sostiene che non esiste un pesce furbo, di questo qui me ne fa un genio.» «Non arriverei a dir tanto.» Brody era irritato dal tono sornione, enigmatico di Quint.
«Ma a che gioco sta giocando?» «Nessun gioco. Se mi sbaglio, mi sbaglio.» «E cercheremo in un'altra zona domani.» Brody quasi sperava che Quint si sbagliasse, che ci fosse un giorno di dilazione. «O quest'oggi, più tardi. Ma non credo che dovremo aspettare tanto.» Quint spense il motore, andò a poppa e sistemò il secchio di pastura sulla traversa. «Al lavoro» disse, tendendo il mestolo a Brody. Tirò via il telone dalla pecora, le legò una corda intorno al collo e la depose sul parapetto. Le aprì il ventre e la gettò in acqua lasciando che si allontanasse di sei o sette metri prima di legare il cavo a una galloccia di poppa. Poi andò a prua, prese due barili e li portò a poppa insieme alle loro gomene e gli arpioni. Li piazzò sui due lati della traversa e infilò una punta d'acciaio sull'asta di legno. «Okay» concluse. «Adesso stiamo a vedere quanto ci mette.» Ormai era giorno e il cielo era di un grigio chiaro. Una dopo l'altra le luci lungo la costa si spensero. Il tanfo della roba che Brody rovesciava in acqua gli dava il voltastomaco, e si pentì di non avere mangiato qualcosa prima di uscire. Quint sedeva sul ponte superiore, a osservare i ritmi del mare. Brody aveva le natiche indolenzite dalla dura traversa, e sentiva il braccio stanco. Si alzò stiracchiandosi e si voltò completamente verso poppa, cercando una posizione più comoda per pasturare. Improvvisamente scorse la testa mostruosa dello squalo, a neppure un metro e mezzo, tanto vicino da poterlo toccare con il mestolo, allungando il braccio: occhi neri che lo fissavano, il muso grigio-argento puntato verso di lui, le mascelle aperte in un sogghigno. «Oddio!» boccheggiò, chiedendosi atterrito da quanto poteva trovarsi lì il pesce, prima che lui si voltasse. «Eccolo!» In un attimo Quint discese la scaletta arrivando a poppa. Mentre balzava sulla traversa, l'animale sparì in acqua e, un secondo più tardi, si avventò contro la barca. Le mandibole si serrarono sul legno mentre la testa dava violenti strattoni. Brody si afferrò a una galloccia per reggersi, incapace di distogliere lo sguardo. La barca sussultava e sobbalzava sotto i colpi del pescecane. Quint scivolò cadendo in ginocchio sulla traversa. Lo squalo lasciò la presa e sprofondò sotto la superficie. Il battello si stabilizzò. «Ci stava aspettando!» ansimò Brodv. «Lo so» annuì Quint. «Come faceva...»
«Non ha importanza. Adesso è nostro.» «Nostro? Ma ha visto cosa ha fatto alla barca?» «Le ha dato una bella scrollata, eh?» La fune legata alla pecora si tese, vibrò per un istante, poi si afflosciò. Quint si rialzò e afferrò l'arpione. «Si è fatto la pecora. Un minuto ancora e torna.» «Come mai non l'ha mangiata prima?» «Non conosce l'educazione» ridacchiò Quint. «Avanti, figlio di puttana. Vieni a prenderti il fatto tuo.» Quint era come preso da una febbre: un ardore gli accendeva gli occhi neri, un sorriso distorto gli scopriva i denti, una smania gli irrigidiva i tendini del collo e gli sbiancava le nocche. Il battello ebbe un nuovo fremito, e ci fu un duro tonfo sordo. «Cosa sta combinando?» chiese Brody. Quint si sporse oltre la frisata e urlò: «Vieni fuori di lì sotto, schifoso lavativo! Fatti avanti! Non riuscirai a farmi affondare prima che ti becchi!». «Cosa vuole dire, farci affondare?» domandò Brody. «Cosa sta facendo?» «Sta attentandomi il fondo di 'sta fottuta barca, ecco cosa! Guardi nella sentina. Vieni fuori, maledetto figlio di mignotta!» Quint tenne alto l'arpione. Brody si inginocchiò e sollevò la botola del pozzetto. Scrutò in quella cavità oscura, col puzzo di petrolio. C'era dell'acqua nella sentina, ma non più del normale e non vide fori. «Mi sembra tutto a posto,» disse «grazie al cielo.» La pinna dorsale e la coda emersero a dieci metri, sulla destra della poppa e cominciarono a riaccostarsi al battello. «Eccoti qua, bello» lo invitò Quint. «Vieni, su, da bravo.» Si alzò, a gambe larghe, la mano sinistra sul fianco, e la destra, con l'arpione, tesa verso il cielo. Quando la bestia fu a un metro o due, e continuava a puntare verso la barca, Quint lanciò il ferro. L'arpione si conficcò nello squalo, poco davanti alla pinna dorsale. Poi il pescecane colpì la barca, spingendo la prua di lato e Quint ruzzolò all'indietro, andando a sbattere con la testa contro il predellino del sedile girevole, e un rivoletto di sangue cominciò a colargli giù per il collo. Quint si rimise in piedi e urlò: «Ti ho colpito! Ti ho colpito, lurido vigliacco!». Il cavo attaccato alla punta dell'arpione si srotolò fuggendo via mentre lo squalo andava sotto, seguito alla fine dal barilotto che fu trascinato oltre la traversa, cadde in acqua e scomparve.
«Se l'è portato appresso» esclamò Brody. «Non per molto» rispose Quint. «Tornerà e gliene tireremo un altro, e un altro, e poi un altro ancora, finché si arrende. E l'avremo in pugno.» Quint si protese sulla traversa guardando in acqua. La sicurezza di Quint era contagiosa e Brody adesso si sentiva elettrizzato, euforico, sollevato. Provava un senso di liberazione, come se fosse emerso dalle brume della morte. Urlò: «L'abbiamo fottuto!». Poi notò il sangue sul collo di Quint e disse: «Si è ferito al capo». «Prenda un altro barilotto!» ordinò Quint. «Lo porti qui. E stia attento a non aggrovigliare la gomena. Deve andar via liscio.» Brody si precipitò a prua, afferrò un barilotto, si infilò il rotolo di fune sul braccio e portò il tutto a Quint. «Eccolo che arriva» disse Quint, indicando a sinistra. Il barilotto emerse in superficie, sobbalzando. Quint tirò la sagola assicurata all'asta di legno, recuperandola. Vi inserì il nuovo arpione e lo alzò al di sopra del capo. «Sta salendo!» Lo squalo emerse, a pochi metri dal battello, con la violenza di un razzo: muso, mascelle, pinne pettorali si sollevarono dall'acqua. Poi il ventre bianco-fumo, la pinna pelvica e i grandi organi copulatori. «Finalmente ti vedo tutto, bastardo!» gridò Quint, e lanciò un secondo ferro, accompagnandolo con il movimento della spalla. L'arpione colpì lo squalo al ventre, proprio nel momento in cui quel corpo smisurato cominciava a ricadere. Il ventre si abbatté contro l'acqua con un tonfc fragoroso sollevando un'ondata di spruzzi che investì il battello. «È finita per lui!» esclamò Quint mentre la seconda fune si srotolava finendo in acqua. La barca ebbe un violento rollio improvviso, poi un secondo, poi si sentì uno scricchiolio soffocato. «Attaccami pure» gridò Quint. «Non ci avrai, stronzo sbruffone!» Si precipitò a prua e avviò il motore. Spinse avanti la leva e il battello si allontanò dai barili che sussultavano nell'acqua. «Ha fatto danni?» chiese Brody. «Qualcosa. Siamo un po' bassi di prua. Probabilmente ci ha aperto una falla. Niente da preoccuparsi. Ora la pompiamo fuori.» «È fatta, allora» esultò Brody. «Cosa?» «È bell'e spacciato.» «Non proprio. Guardi.» I due barili di legno verniciati di rosso seguivano il battello senza la-
sciarsi distanziare. Non ondeggiavano. Trascinati dall'enorme forza del pescecane, tagliavano l'acqua sollevando una piccola onda davanti e lasciandosi dietro una scia. «Ci sta appresso?» Quint annuì. «Perché? Non può considerarci ancora un possibile cibo.» «No. Ma non si è dato per vinto.» Per la prima volta Brody notò un'espressione turbata sul volto di Quint. Non paura, non vera preoccupazione, piuttosto inquietudine e perplessità, come se, in una partita, le regole fossero state improvvisamente mutate, o la posta aumentata. Davanti a quel cambiamento Brody ebbe paura. «Si è mai trovato davanti a uno squalo che si comportasse così?» domandò. «No, proprio così no. Come le ho detto, è capitato che mi attaccassero la barca. Ma per lo più, una volta che gli hai cacciato un ferro in corpo smettono di prendersela con te e cercano di liberarsi dell'arpione.» Brody guardò verso poppa. Il battello avanzava a velocità moderata, piegando a destra o a sinistra ubbidendo al timone che Quint manovrava a casaccio. I barili continuavano a seguirli. «Al diavolo» borbottò Quint. «Se vuole guerra, l'avrà.» Mise in folle, saltò giù dal ponte superiore e salì sulla traversa. Afferrò l'arpione. Il suo volto era di nuovo animato. «Okay, merdone» gridò. «Fatti sotto!» I barili continuavano ad avvicinarsi, solcando la superficie: a trenta metri, poi venticinque, poi venti. Brody vide quella piatta superficie grigia passare lungo la fiancata di dritta del battello, meno di due metri sotto il pelo dell'acqua. «È qui!» urlò. «Ci sta sorpassando.» «Merda!» sbottò Quint, maledicendosi per avere calcolato male la lunghezza delle gomene. Staccò dall'asta la punta dell'arpione, strappò la sagola che assicurava l'asta a una galloccia, balzò dalla traversa e corse a prua. Là si piegò a legare la sagola a una galloccia, liberò un barilotto e infilò l'arpione sull'asta. Poi si mise in posizione di tiro. Il pescecane era già passato oltre, fuori portata. La coda emergeva circa sette metri davanti al battello. I due barili andarono a sbattere contro la poppa, quasi simultaneamente. Rimbalzarono per poi sgusciar via di lato, dividendosi e strisciando lungo la fiancata della barca. A trenta metri lo squalo invertì la rotta. La testa si sollevò dall'acqua, e tornò a immergersi mentre la coda, ritta come una vela, dava violente sferzate. «Eccolo che arriva!» avvertì Quint.
Brody salì di corsa la scaletta fino al ponte sopraelevato, giusto in tempo per vedere Quint che si preparava a lanciare l'arpione col braccio destro e tutto teso sulla punta dei piedi. Il pescecane si avventò di testa contro la prua, con un rimbombo da esplosione soffocata. Quint scaraventò il ferro che colpì l'animale al capo, sopra l'occhio destro, e vi si conficcò profondamente. La fune calò lenta in acqua mentre lo squalo si allontanava. «Perfetto!» commentò Quint. «Questa volta l'ho colpito alla testa.» Adesso in acqua c'erano tre barili: scivolarono via per poi sparire. «Diotifulmini!» sbraitò Quint. «Non è mica da tutti riuscire a immergersi con tre ferri piantati dentro e tre barili a tenerlo su.» Il battello tremò, quasi sollevandosi, poi ricadde. I barili schizzarono su, due da un lato e uno dall'altro della barca. Poi tornarono sotto. Pochi istanti dopo ricomparvero a venti metri. «Vada di sotto» ordinò Quint, mentre preparava un altro arpione. «Veda un po' se quel fottuto ci ha combinato dei guai a prua.» Brody si precipitò sottocoperta. Tirò indietro la stuoia logora, trovò una botola e la sollevò. Un fiotto d'acqua entrava da poppa sotto l'assito della cabina. Stiamo affondando, si disse, e tutti i ricordi dei suoi incubi d'infanzia gli si affollarono nella mente. Tornò di sopra e comunicò a Quint: «Non va molto bene. C'è un sacco d'acqua sotto la cabina». «Meglio che vada a dare un'occhiata. Tenga qui.» Tese l'arpione a Brody. «Se ricompare mentre sono giù, gli tiri questo tanto per buona misura.» Si allontanò per scendere di sotto. Brody rimase a prua, reggendo l'arpione, lo sguardo fisso sui barilotti. Erano praticamente immobili: lo squalo di sotto dava solo qualche strattone di tanto in tanto. Quanto ci metti a morire? chiese Brody dentro di sé. Udì il rumore di un motore elettrico che si avviava. «Niente di grave» lo rassicurò Quint tornando verso di lui. Riprese l'arpione. «Ci ha dato un bel colpo, certo, ma ora le pompe sistemano tutto. Potremo rimorchiarcelo.» Brody si asciugò il palmo delle mani contro il fondo dei calzoni. «Davvero pensa di rimorchiarlo?» «Certo. Quando è crepato.» «E cioè, quando?» «Quando non ce la fa più.» «E fino ad allora?» «Aspettiamo.»
Brody guardò l'orologio: le otto e mezzo. Attesero per tre ore seguendo i barili che avanzavano, sempre più lenti, senza una direzione precisa. Dapprima, ogni dieci o quindici minuti sparivano per poi riemergere dieci metri più in là. Poi quelle immersioni si fecero sempre più rade finché, alle undici, era quasi un'ora che non sparivano. Alle undici e mezzo i barili oscillavano in superficie. La pioggia era cessata e il vento era calato diventando una piacevole brezza. Il cielo era un'uniforme distesa grigia. «Che ne dice?» domandò Brody. «Sarà morto?» «Ne dubito. Ma forse c'è abbastanza vicino: potremmo girargli un cappio attorno alla coda e trascinarlo finché muore.» Quint prese un rotolo di fune da uno dei barili a prua. Ne legò un capo a una galloccia e all'altra estremità fece un nodo scorsoio. Ai piedi del paranco c'era un motorino elettrico. Quint l'accese per controllare se funzionava, poi spense. Azionò la leva per accostarsi ai barili. Avanzava piano, con cautela, pronto a virare se lo squalo avesse attaccato. Ma i barili restarono immobili. Arrivato vicino Quint mise in folle. Si sporse sul parapetto e con una gaffa agganciò una gomena issando a bordo un barile. Cercò di slegare la fune ma il nodo era bagnato e strettissimo. Trasse il coltello dal fodero e tagliò il cavo. Piantò il coltello nella frisata per poter afferrare la gomena con la sinistra mentre con la destra spingeva via il barile. Salì sulla frisata, fece passare la fune sulla puleggia in cima al paranco e poi attorno al tamburo, le diede qualche giro e avviò il motorino. Quando la corda fu tesa il battello si inclinò fortemente verso dritta, tirato dal peso dello squalo. «Basterà quest'argano a tirarlo su?» chiese Brody. «Direi di sì. Non riuscirò certo a tirarlo fuori dall'acqua, ma scommetto che con questo sistema riusciamo a farlo salire.» Il tamburo girava lentamente, ronzando, compiendo un giro completo ogni tre o quattro secondi. La gomena vibrava sotto lo sforzo, spruzzando gocce d'acqua sulla maglietta di Quint. Poi la fune si smollò di colpo, aggrovigliandosi e ritorcendosi sul tamburo. Il battello si raddrizzò bruscamente. «Si è rotta la gomena?» chiese Brody. «Merda, no!» rispose Quint, e adesso Brody lesse la paura sul suo volto. «Quel figlio di puttana sta venendo su!» Si precipitò ai comandi e ingranò la marcia. Ma troppo tardi.
Lo squalo esplose dall'acqua a fianco del battello in uno scroscio assordante. Si alzò verticalmente e per un attimo Brody vide in tutto il suo orrore quella mole smisurata. Torreggiava sopra di lui come un'enorme ombra scura. Le pinne pettorali vibravano come ali, rigide e dritte e, mentre l'animale ricadeva in avanti, parevano protendersi verso di lui. Lo squalo si abbatté sulla poppa della barca con uno schianto strepitante, facendola sprofondare. L'acqua inondò la traversa e in pochi istanti Quint e Brody si trovarono immersi fino alle anche. Lo squalo rimase là, la mascella a meno di un metro dal petto di Brody. Il corpo sussultava, e in quell'occhio nero, grande quanto una palla da tennis, a Brody parve di vedere riflessa la propria immagine. «Dio maledica la tua anima dannata!» urlò Quint. «Mi hai affondato la barca.» Un barilotto galleggiava nella cabina di comando e la sua gomena si contorceva come un verme. Quint afferrò la punta dell'arpione assicurata alla fune e, con la mano, l'affondò nel bianco ventre del pesce. Il sangue sprizzò dalla ferita bagnando le mani di Quint. Il battello stava affondando. La poppa era completamente sommersa e la prua stava sollevandosi. Lo squalo rotolò giù, finendo sotto le onde. La fune collegata all'arpione che Quint aveva piantato nell'animale lo seguì. D'un tratto Quint perse l'equilibrio e cadde all'indietro in acqua. «Il coltello!» urlò, sollevando la gamba sinistra, e Brody vide la fune attorcigliata attorno al piede. Brody si volse verso la frisata di dritta. Il coltello era là, conficcato nel legno. Si lanciò per recuperarlo, lo strappò via e si girò cercando di correre nell'acqua sempre più alta. Non fu abbastanza veloce. Rimase a guardare con orrore impotente Quint che, le mani freneticamente tese verso di lui, gli occhi sbarrati e supplichevoli, veniva trascinato lentamente nell'acqua oscura. Per un attimo regnò il silenzio, rotto solo dal risucchio dell'acqua mentre il battello sprofondava a poco a poco. L'acqua arrivava alle spalle di Brody che si aggrappava disperatamente all'argano. Il cuscino di un sedile emerse in superficie vicino a lui: l'afferrò. ("Reggono benissimo a galla," Brody ricordava le parole di Hendricks "sempre che si sia dei ragazzini di otto anni.") Brody vide la coda e la pinna dorsale profilarsi venti metri più in là. La coda diede un colpo a sinistra, uno a destra, e la pinna dorsale si fece più vicina. «Via, vai via, maledetto!» urlò Brody.
Lo squalo continuò ad accostarsi, muovendosi appena, seguito dai barili e dalle funi aggrovigliate. Il paranco finì sotto e Brody se ne staccò. Cercò di arrampicarsi verso la prua, adesso quasi verticale. Prima che potesse raggiungerla, questa si sollevò ancor più e poi, rapida e senza rumore, scivolò sotto la superficie. Brody si afferrò al cuscino e si accorse che tenendolo davanti a sé, poggiandovi le braccia e battendo i piedi, poteva tenersi a galla senza troppa fatica. Lo squalo avanzava ancora. Era quasi a un metro. Brody ne scorse il muso appuntito. Lanciò un urlo strozzato d'angoscia in attesa di uno strazio che non poteva immaginare. Non accadde nulla. Riaprì gli occhi. Il pescecane quasi lo sfiorava, a mezzo metro, ma si era fermato. E poi, sotto gli occhi di Brody, quel corpo grigio-ferro cominciò a recedere, scivolando giù nell'acqua cupa. Pareva una lenta caduta, un'apparizione che svaniva nell'oscurità. Brody mise la faccia in acqua e aprì gli occhi. Attraverso il velo bruciante dell'acqua salsa vide lo squalo affondare in una lenta, morbida spirale, trascinando con sé il corpo di Quint: le braccia allargate, il capo arrovesciato all'indietro, la bocca spalancata in una muta protesta. Lo squalo disparve. Ma, trattenuto dai barili, non giunse in profondità, rimanendo a fluttuare in acque dove la luce non giungeva. Il corpo di Quint restò sospeso, ombra che ruotava lentamente nel chiarore indistinto. Brody continuò a guardare fino a quando i polmoni gli fecero male. Sollevò il capo, sbatté le palpebre, avvistò in lontananza la sagoma scura della torre serbatoio. Poi cominciò a spingersi verso la costa. FINE