Mark Twain
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Mark Twain
Libertà di stampa
©2010 Piano B edizioni srl, Prato www.pianobedizioni.com Tutti i diritti sono riservati Prima edizione gennaio 2010 ISBN: 978-88-903205-8-3 Stampato sulla carta ecologica Fedrigonî Arcoset 100 gr/m2 e Stucco Acquerello Gesso 300 gr/m2
Mark Twain 1835-1910
elio (He)
PIANO B EDIZIONI - ELEMENTI
Titoli originali delle opere: Privilege of the Grave License of the Press Running far Governor The War Prayer Journalism in Tennessee How I edited an Agricultural Paper A Defence of General Funston As Regards Patriotism My Late Senatorial Secretaryship Lucky Advice to Youth Corn-pone Opinions License of the Press – Corn-pone Opinions trad. Robyn Dale Lucky - The War Prayer - Advice to Youth trad. Alessandro Miliotti Privilege of the Grave - Running for Governor - journalism in Tennessee - How I edited an Agricultural Paper - A Defence of General Funston - As Regards Patriotism - My Late Senatorial Secretaryship trad. Andrea Guarducci
Indice
IL PRIVILEGIO DEI MORTI: SULLA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE.. 4 LIBERTÀ DI STAMPA ........................................................................... 7 UN CANDIDATO GOVERNATORE ................................................... 11 PREGARE IN TEMPO DI GUERRA .................................................... 15 GIORNALISMO NEL TENNESSEE .................................................... 18 COME DIRESSI UN GIORNALE PER AGRICOLTORI ..................... 23 IN DIFESA DEL GENERALE FUNSTON ........................................... 27 A PROPOSITO DI PATRIOTTISMO.................................................... 37 IL MIO EX-IMPIEGO DI SEGRETARIO DI UN SENATORE............ 39 FORTUNA ............................................................................................. 44 AVVISO ALLA GIOVENTÙ ................................................................ 48 OPINIONI DI GRANTURCO................................................................ 51
IL PRIVILEGIO DEI MORTI: SULLA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE
Chi vi dimora — nella tomba — ha un privilegio che non è esercitato da nessun’altra persona vivente: la libertà di parola. Chi è in vita non è del tutto privo, in senso stretto, di un tale privilegio, ma lo possiede solo come vuota formalità: sa di non poterne fare uso, e non può dunque essere considerato come un effettivo possesso. In quanto privilegio attivo è simile al privilegio di poter commettere un omicidio: si può esercitarlo solo se si è disposti a sopportarne le conseguenze. L’omicidio è proibito sia formalmente che di fatto, la libertà di parola è garantita nella forma, ma è proibita di fatto. Per l’opinione comune sono crimini entrambi, tenuti in grande spregio da tutti i popoli civili. L’omicidio è a volte punito, la libertà di parola lo è sempre — quando viene esercitata. Il che è raro. Ci sono almeno cinquemila omicidi per ogni (impopolare) manifestazione di libera espressione. Questa riluttanza a esprimere opinioni impopolari è giustificata: il prezzo da pagare è molto alto, può comportare la rovina economica di un uomo, può fargli perdere gli amici, può esporlo al pubblico ludibrio e alla violenza, può condannare all’emarginazione la sua famiglia innocente e rendere la sua casa un luogo desolato, disprezzato ed evitato da tutti. Nel cuore di ogni uomo si cela almeno un’opinione impopolare sulla politica o sulla religione, e in molti casi se ne trova ben più di una. Più l’uomo è intelligente, maggiore è la quantità delle opinioni di questo tipo che ha e che tiene per sé. Non c’è individuo — compreso il lettore e me stesso — che non nutra convinzioni impopolari, che coltiva e accarezza, ma che il buon senso gli vieta di esprimere. A volte sopprimiamo un’opinione per ragioni che ci fanno onore, non onta, ma più spesso lo facciamo perché non possiamo sostenere l’amaro costo di dichiararla. Nessuno vuole essere odiato e a nessuno piace essere evitato. Il risultato naturale di questa condizione è che, consciamente o inconsciamente, prestiamo più attenzione ad accordare le nostre opinioni con quelle del nostro vicino e a mantenere la sua approvazione, piuttosto che a esaminarle con scrupolo per vedere se siano giuste e fondate. Questa abitudine conduce necessariamente a un altro risultato: l’opinione pubblica che nasce e si alimenta in questo modo non è affatto un’opinione, è semplicemente un’abitudine; non suscita riflessioni, è priva di princìpi e non merita rispetto. Quando viene presentato un progetto politico completamente nuovo e mai sperimentato, la gente reagisce con sorpresa, è ansiosa, intimidita, e per un po’ di tempo se ne resta zitta, reticente, incapace di schierarsi. La maggior parte non cerca neppure di capire la nuova dottrina per farsene un’idea, ma aspetta di vedere quale sarà l’atteggiamento della maggioranza. Il movimento antischiavista, quando ebbe inizio nel Nord tre quarti di secolo fa, non suscitò nessuna simpatia. La stampa, il
clero e la grande maggioranza delle persone rimasero indifferenti. Questo accadde per timidezza, per paura di esprimersi e diventare impopolari, non perché si approvasse la schiavitù o non si avesse pietà per gli schiavi. A questa regola non sfuggono neppure gli Stati, come quello della Virginia, e neanche io stesso: ci siamo aggregati alla causa dei Confederati non perché lo volessimo, non era così, ma perché volevamo essere come gli altri. É semplicemente una legge di natura — e l’abbiamo seguita. E il desiderio di essere uguali agli altri che porta al successo i partiti politici. Non c’è — nella maggioranza — un motivo particolarmente elevato per aderire a un partito, a meno che non si ritenga un motivo valido il fatto che ne facesse parte il proprio padre. Il cittadino medio non è uno studioso delle dottrine dei partiti, e a ragione: né lui né io saremmo in grado di comprenderle. Se gli chiedessimo di spiegare in modo dettagliato perché abbia preferito una bandiera a un’altra, il risultato del suo sforzo sarebbe penoso. Lo stesso vale per la questione delle protezioni doganali. Lo stesso vale per qualsiasi altra grande dottrina politica; perché tutte le grandi dottrine politiche sono piene di problemi difficili — problemi molto al di fuori della portata del cittadino medio. E questo non è strano, dato che sono anche al di sopra della portata delle più acute menti del Paese; dopo tanto chiasso e tante chiacchiere, per nessuna di queste dottrine si è potuta fornire la definitiva dimostrazione che fosse quella giusta, quella migliore. Quando un uomo ha aderito a un partito, è probabile che ci rimanga. Se cambia opinione — intendo il modo di sentire, di pensare — è probabile che continui a restarci ugualmente; i suoi amici appartengono a quel partito; terrà quindi per sé il diverso modo di sentire, e pubblicamente continuerà a sostenere quanto ha già rinnegato in privato. Solo in questo modo può godere del privilegio americano della libertà di espressione. Di questi poveretti se ne trovano in entrambi i partiti, ma non possiamo dire in quale proporzione. Perciò non sapremo mai quale partito abbia realmente ottenuto la maggioranza alle elezioni. La libertà di parola è il privilegio dei morti, il monopolio dei morti. Essi possono dar voce alle loro oneste opinioni senza offendere nessuno. Abbiamo comprensione per cosa dicono i morti. Possiamo disapprovare ciò che dicono, ma non li insultiamo, non li oltraggiamo: sappiamo che non possono difendersi. Se dovessero parlare, che rivelazioni ci sarebbero! Si scoprirebbe che in materia di opinioni nessun defunto era esattamente ciò che sembrava essere in vita; che per paura, o per calcolata saggezza, o per riluttanza a ferire gli amici, si è a lungo tenuto certe insospettabili opinioni all’interno del suo piccolo mondo, portandosele con sé, inespresse, fin nella tomba. Da ciò, dunque, i viventi dovrebbero giungere alla toccante e riprovevole consapevolezza del fatto che anche loro sono condannati alla stessa sorte. Si renderebbero conto, in fondo, che pure loro, e con loro l’intera nazione, non sono davvero ciò che sembrano essere — e che non potranno mai esserlo. Ora, non vi è quasi nessuno tra noi che vorrebbe sinceramente rivelare i propri segreti; sappiamo di non poterlo fare in vita; ma allora perché non farlo dalla tomba e prenderci questa soddisfazione? Perché non parlarne nel nostro diario, invece di tralasciarli con discrezione? Perché non scriverli e lasciare poi il diario agli amici? La libertà di parola è davvero ambita. Me ne sono accorto a Londra, cinque anni fa,
quando i simpatizzanti dei Boeri — persone rispettabili, bravi cittadini che pagano le tasse, con tutto il diritto di avere le proprie opinioni come ogni altro cittadino — sono stati attaccati durante le loro riunioni, e i loro oratori maltrattati e allontanati dal palco da cittadini che la pensavano in modo diverso. Me ne sono accorto anche in America, quando abbiamo aggredito chi si riuniva e picchiato gli oratori. E me ne accorgo particolarmente ogni settimana o due, quando voglio dare alle stampe qualcosa che la discrezione mi direbbe di non pubblicare. A volte i miei sentimenti sono così violenti che devo prendere la penna e riversarli sulla carta per impedire che il loro fuoco si consumi dentro di me; ma tutto quell’inchiostro e quella fatica vanno sprecati, perché non posso pubblicare ciò che scrivo. Ho appena finito un articolo di questo genere, e ne sono molto soddisfatto. Alla mia anima tormentata fa bene leggerlo, e immaginare i problemi che creerebbe a me e alla mia famiglia. Lo lascerò ai posteri, e lo renderò noto dalla tomba. Lì c’è libertà di parola, da lì non si può far danno alla famiglia.
LIBERTÀ DI STAMPA
La stampa si è fatta beffe della religione finché non ha reso popolare la beffa. Ha difeso dei funzionari pubblici criminali, con il pretesto del partito, finché non ha creato un Senato degli Stati Uniti i cui membri sono incapaci di capire la differenza fra il crimine, la legge e la dignità della propria persona, per quanto siano moralmente ciechi. Ha poi preso così alla leggera la disonestà di questi amministratori pubblici che come risultato abbiamo un Congresso che per contratto si impegna a lavorare per una determinata somma e poi, volutamente, ruba dalla tasca pubblica e si finge contrito e sorpreso che chiunque possa dar peso a una sciocchezza del genere. Sto mettendo questo odioso stato di cose sul giornale, perché credo sia lì che debba stare — essenzialmente, almeno. C’è una stampa libera, una stampa che è più di libera — una stampa autorizzata a dire qualsiasi infamia decida di dire riguardo un privato cittadino o un uomo pubblico, o magari di sostenere qualsiasi dottrina denigratoria che ritiene giusta. Non ha alcun limite. L’opinione pubblica, che dovrebbe tenere la stampa entro certi limiti, si è abbassata al suo stesso livello. Esistono leggi per proteggere la libertà di stampa, ma nessuna che faccia qualcosa per proteggere le persone dalla stampa. Una causa per diffamazione porta semplicemente il querelante davanti a un grande tribunale composto proprio dalla stampa, in modo che lì venga processato ancora prima di essere giudicato dalla legge, e dove sarà impietosamente vituperato e messo alla gogna. Il permaloso Charles Reade 1 può fare causa ai giornali inglesi e ottenere dei verdetti: qui in America cambierebbe subito tattica. I giornali (appoggiati da un pubblico ben ammaestrato da quella stessa stampa), gli farebbero ben presto capire che è meglio subire qualsiasi travisamento piuttosto che andare in tribunale con una causa per diffamazione e diventare lo zimbello della comunità. I nostri princìpi morali decadono in modo direttamente proporzionale all’aumento del numero dei giornali. Più giornali ci sono, meno moralità c’è. Per un giornale che fa del bene, ne abbiamo cinquanta che fanno del male. Dovremmo considerare la nascita di un giornale in un villaggio virtuoso alla stregua di una calamità. La differenza di tono e di condotta fra i giornali di oggi e quelli di trenta o quaranta anni fa è notevolissima e molto triste — e parlo del “giornale tipo” (perché anche allora ce n’erano di cattivi). A quei tempi tale “giornale tipo” si faceva paladino di ciò che era giusto e morale, e si occupava coscienziosamente della verità. Non è il caso di oggi. Qualche giorno fa un quotidiano di New York — che gode di buona reputazione — ospitava un editoriale in difesa del furto di stipendio di senatori e rappresentanti, adducendo come giustificazione il fatto che i membri del Congresso non vengono pagati abbastanza — quasi fosse una scusa sufficiente per giustificare quel furto. E 1
Charles Reade (1814-1884). Scrittore inglese, fu coinvolto in numerose faide letterarie e accuse di plagio, da cui si difese con estremo vigore.
indubbiamente, per qualche lettore ottuso, quell’articolo ha posto la questione sotto una nuova luce, perfettamente soddisfacente. Ed è ormai diventato un proverbio sarcastico sostenere che una cosa deve essere vera se la si è letta sul giornale. Questa è la sintesi dell’opinione che hanno le persone intelligenti a proposito di questo mezzo bugiardo. Ma il guaio è che gli stupidi, che costituiscono la stragrande maggioranza di questa e di tutte le altre nazioni, ci credono davvero e sono formati e convinti da ciò che leggono sul giornale, ed è lì che sta il danno. Nella nostra società il giornale ha una potenza immensa. Può creare o macchiare la reputazione di qualsiasi uomo. Ha la perfetta libertà di chiamare truffatore e ladro il miglior uomo della nazione, distruggendolo oltre ogni speranza. Che il signor Colfax 2 sia bugiardo o meno, non lo si può più sapere — lo sarà considerato fino al giorno della sua morte — perché i giornali lo hanno già condannato così. I nostri giornali — tutti, senza eccezione — esaltano il musical Black Crook 3 e lo hanno reso un grande successo. Avrebbero potuto stroncarlo completamente con una sola pagina di sprezzante silenzio, se solo avessero voluto. Gli «Eventi del Giorno» e le «Gazzette della Polizia» 4 prosperano nel paese indisturbati dalla legge, perché i giornali virtuosi, ormai da tempo, hanno coltivato una pigrizia pubblica che ama l’indecenza e non si preoccupa che le leggi siano applicate oppure no. Sui giornali dell’Ovest puoi servirti della voce editoriale degli articoli di fondo per difendere qualsiasi misero e infamante dogma tu voglia. Basta pagare un dollaro al rigo. Praticamente tutti i giornali incoraggiano dei Rozensweig 5 e altri criminali del genere, fornendo loro delle vittime e ospitando le loro pubblicità nelle rubriche. Lo sapete bene. Nel caso dell’omicidio Foster i giornali newyorkesi hanno finto debolmente di sostenere il Governatore e di raccomandare alla gente di appoggiarlo nel pieno rispetto della legge; e hanno stampato un’inserzione a pagamento, un’intera pagina di deboli, patetici appelli alla clemenza. Ma c’è da credere che avrebbero pubblicato altrettante pagine sugli abusi del Governatore da distruggere la sua immagine come pubblico amministratore fino alla fine del suo mandato, se solo qualcuno si fosse offerto di pagarle sotto forma di inserzioni pubblicitarie. Il giornale che ostacola la legge con un pretesto banale, per amor di denaro, diventa un pericoloso nemico del bene comune. Questa terribile forza, l’opinione pubblica di una nazione, è creata in America da un’orda di sempliciotti ignoranti e compiaciuti che hanno fallito come sterratori e calzolai, e che hanno intrapreso il giornalismo lungo il loro cammino verso l’ospizio per poveri. Conosco personalmente centinaia di giornalisti, e — in privato — 2
Twain si riferisce probabilmente a Schüler Colfax (1823-1885), che ricoprì la carica di vicepresidente sotto la presidenza di Ulysses S. Grant. 3 Il Black Crook (lett. Truffatore gobbo) era un terribile musical molto amato dalle classi sociali più basse. Comprendeva musica e danza, e il personaggio principale era una persona chiamata Hertzog, un «crook-backed master of black magic». Il “crook” è una specie di bastone con la curva in alto, quindi una persona “crook-backed” indica una persona ricurva, gobba. 4 «Days Doings» e «Police Gazettes», giornali dell’epoca la cui linea editoriale era basata sul facile sensazionalismo e sul più gretto populismo. Ideali progenitori della moderna rivista scandalistica. 5 Jacob Rozensweig era un medico che praticava aborti. La morte di una delle pazienti creò un grande dibattito intorno alla sua figura, e fu poi condannato a scontare sette anni di reclusione.
l’opinione della maggioranza di questi non varrebbe più di due penny; ma quando parlano sulla stampa, è il giornale che parla (lo scrivano-pigmeo non è visibile) e allora le loro dichiarazioni scuotono come tuoni profetici la comunità. So bene, dalla mia esperienza personale, della tendenza dei giornalisti a mentire. Io stesso, una volta, ho dato vita a un particolare e pittoresco modo di mentire, sulla costa del Pacifico, che ancora oggi è molto in voga. Ogni qualvolta sento parlare di una pioggia di sangue e rane, in California, o del ritrovamento di un serpente marino in qualche deserto, o di una grotta affrescata di diamanti e di smeraldi (trovata sempre da qualche pellerossa deceduto prima di poter finire di dire dove si trovava), io mi dico di essere il padre di questa “creatura” — e che sono io a dover rispondere per questa menzogna. Ed è tutta una questione di abitudine — ancora oggi, se non sto sempre in guardia, ho la tendenza a mentire. La libertà di stampa ha scottato ognuno di noi, ne sono certo. Il povero Stanley 6 era un dio in Inghilterra, il suo elogio era sulle labbra di tutti. Nessuno aveva niente da dire in merito alle sue conferenze, tutti stavano caritatevolmente zitti, accontentandosi di elogiare le sue virtù più alte. Ma i nostri giornali hanno squartato quella povera creatura e ne hanno sparso i frammenti dal Maine alla California, per il semplice fatto che non era un bravo conferenziere. I suoi prodigiosi successi in Africa non contano più niente — l’uomo viene degradato e completamente distrutto — e la persecuzione lo insegue implacabilmente da una città a un’altra, da un villaggio a un altro, come se avesse commesso qualche sanguinoso e abominevole crimine. A un tratto, i nostri giornali hanno strappato Bret Harte 7 dall’oscurità e l’hanno messo su un trono sopra le nuvole. Tutti i direttori di giornale del paese sono usciti anche con il brutto tempo per adorarlo dai loro telescopi e hanno agitato i cappelli fino a consumarli, per poi prenderne in prestito altri; ma la prima volta che la sua famiglia era in difficoltà e che per i suoi guai e le sue vessazioni ha sfornato un articolo abbastanza piatto invece di un altro Heathen Chinee 8 , invece di osannarlo, hanno detto: «Ma quest’uomo è un truffatore!» e hanno cominciato a dargli la caccia. E l’hanno preso, tirato giù, calpestato, l’hanno fatto rotolare nel fango, l’hanno messo alla gogna e infine usato come bersaglio; e da allora non smettono di gettargli fango addosso. Il risultato è che quest’anno Harte ha avuto solo diciannove inviti per fare conferenze e il suo pubblico si è completamente disperso. L’uomo è rovinato — tanto da non potersi più rialzare. Eppure era una persona con grandissime capacità e avrebbe potuto fare grandi cose per la nostra letteratura, se solo gli fosse stata data un’opportunità migliore. Ha anche commesso l’errore di fare un gesto di generosità pecuniaria per un mendicante morente di fame della nostra corporazione — uno appartenente alla classe calzolaia giornalistica — e quel mendicante si è impegnato, 6
Henry Morton Stanley (1841-1904) giornalista ed esploratore statunitense. Raggiunse grande popolarità per aver guidato la missione di ritrovamento in Africa dell’esploratore scozzese David Livingstone di cui si erano perse le tracce da mesi, missione finanziata dal giornale americano «New York Herald». 7 Bret Harte (1839 - 1902) scrittore e poeta americano. Noto soprattutto per i suoi resoconti della vita pionieristica in California. 8 The Heathen Chinee è un poema di Bret Harte che riscosse grande successo. Il testo fu pubblicato nel 1870 dal magazine mensile «Overland Monthly», The Heathen Chinee è un poema satirico contro il pregiudizio, allora molto diffuso nella comunità irlandese, sui cinesi immigrati che rubavano il lavoro agli irlandesi.
non appena rientrato a San Francisco, a pubblicare quattro colonne di rivelazioni su crimini commessi da parte del suo benefattore, i meno gravi dei quali farebbero arrossire qualunque uomo decente. Dunque, il giornale che ha pubblicato quel materiale aveva troppa libertà. In una città del Michigan ho declinato l’invito a pranzo di un direttore in evidente stato di ebbrezza. Egli ha scritto sul suo giornale che la mia conferenza era blasfema, indecente e tesa a incoraggiare il disordine. Eppure quell’uomo non l’aveva mai sentita. Se l’avesse fatto si sarebbe ravveduto. Una volta su un giornale di Detroit hanno scritto che avevo l’abitudine di picchiare mia moglie e che continuavo a praticare questa attività pur avendola resa definitivamente invalida, tanto da non poter essere più in grado di sfuggirmi quando rientravo a casa nel mio solito, disperato, stato mentale. Ora, nemmeno la metà di queste affermazioni era vera. Forse avrei dovuto fare causa a quell’uomo per diffamazione — ma sapevo che era meglio non farlo. Tutti i giornali d’America, con qualche onorevole eccezione, avrebbero allora concluso — con loro grande soddisfazione — che ero un marito violento, e avrebbero divulgato ampiamente la notizia. Per la verità anch’io ho pubblicato diffamazioni brutali — e per questo dovrei essere impiccato prima che giunga la mia ora. Ma non continuerò con questi commenti. Ho una specie di vaga idea generale che ci sia troppa libertà di stampa in questo paese, e che per l’assenza di un sano invito alla moderazione, il giornale sia diventato, in larga misura, una maledizione nazionale, che probabilmente condannerà ancora la Repubblica. I giornali possiedono alcune eccellenti virtù, dei poteri che esercitano una grande influenza per il bene comune; avrei potuto raccontare queste cose, osannandole in modo esauriente — ma così, signori, non avrei lasciato niente da dire a voi.
UN CANDIDATO GOVERNATORE
Alcuni mesi fa fui scelto come candidato alla carica di Governatore del grande Stato di New York per una lista indipendente, in competizione con Mr. John T. Smith e Mr. Blank J. Blank. In qualche modo sapevo di avere un vantaggio importante su questi signori, e in effetti godevo di buona reputazione. Leggendo i giornali si capiva chiaramente che semmai i miei competitori avessero saputo cosa fosse un buon nome, quel periodo era passato da un pezzo. Ed era altrettanto chiaro che in quegli ultimi tempi avevano familiarizzato con ogni genere di vergognosi crimini. Ma proprio nel momento in cui vantavo la mia superiorità — e segretamente ne godevo — una sotterranea corrente di sconforto rodeva nel profondo la mia felicità, nell’udire il mio nome accostato a quello di simile gente. La cosa mi infastidiva sempre più. Alla fine, ne scrissi a mia nonna. La sua risposta fu pronta e tagliente. Diceva così: «Non hai mai fatto in vita tua una sola cosa di cui debba vergognarti, neppure una. Guarda i giornali, guardali, per capire che razza di gente sono questi signori Smith e Blank, e vedi tu se hai proprio voglia di abbassarti al livello di gente simile». Era esattamente ciò che pensavo. Quella notte non riuscii a chiudere occhio. Ma in fondo non potevo ritirarmi, mi ero impegnato, e dovevo andare fino in fondo. A colazione, mentre scorrevo distrattamente i giornali, mi capitò sott’occhio questo pezzo, e posso assicurarvi di non essere mai rimasto così di sasso in tutta la mia vita.
FALSA TESTIMONIANZA «Forse ora che il signor Mark Twain si presenta al popolo come candidato governatore, vorrà spiegare come gli accadde di essere accusato di falsa testimonianza da trentaquattro testimoni a Wakawak, in Cocincina, nel 1863: scopo della falsa testimonianza era di derubare una povera vedova indigena e i suoi indifesi familiari di un magro bananeto che era l’unica loro risorsa e sostegno della loro desolata miseria. Mr. Twain deve a se stesso, come al grande popolo di cui chiede i voti, una spiegazione a riguardo. Ce la darà?»
Pensai di esplodere, tanta era la meraviglia nel leggere un’accusa così infamante. Non avevo mai visto la Cocincina! Mai avevo inteso parlare di Wakawak! Non sarei stato neppure capace di distinguere un bananeto da un canguro! Non sapevo cosa fare, ero furioso e avvilito. Lasciai passare tutta la giornata senza far nulla. La mattina dopo lo stesso giornale riportava due righe, e nient’altro.
MOLTO SIGNIFICATIVO «Facciamo notare che Mr. Twain ha conservato un significativo silenzio sulla falsa testimonianza in Cocincina.»
Per tutto il resto della campagna elettorale quel giornale non fece mai più il mio nome se non per ricordare «quell’infame spergiuro di Twain». Ma non basta. Il giorno dopo fu il turno della «Gazzetta», che pubblicava testualmente: BUONO A SAPERSI «Si degnerà di spiegare il nuovo Governatore ad alcuni suoi concittadini (che accetterebbero di votare per lui!) quel fatterello dei suoi compagni di tenda a Montana, che di tanto in tanto perdevano piccoli oggetti di valore, finché alla fine, visto che questi venivano invariabilmente ritrovati sulla persona di Mr. Twain o nel suo bagaglio (il giornale in cui teneva avvolti i suoi stracci), furono costretti ad ammonirlo amichevolmente, per il suo bene, e lo cacciarono fuori avvertendolo di lasciare definitivamente libero il posto che aveva occupato fin allora? Lo farà?».
Poteva esserci qualcosa di più deliberatamente malevolo di questo? Io non ero mai stato a Montana in vita mia. Dopo ciò, quel giornale continuò a parlare di me come di «Twain, il ladro di Montana». Continuai a sbirciare i giornali con preoccupazione, come chi alzasse una coperta con la vaga idea di trovarci sotto un serpente a sonagli. Un giorno mi capitò sotto gli occhi questo: UNA MENZOGNA VELATA «Dalle testimonianze giurate di Michel O’Flanagan, di Mr. Snab Rafferty e di Mr. Catty Mulligan, risulta che la vile dichiarazione di Mr. Mark Twain, secondo la quale il compianto avo del nostro beneamato portabandiera J. Blank fu impiccato per rapina, è una brutale e gratuita menzogna, senza alcun fondamento. É deprimente per gli uomini onesti veder impiegare, per arrivare a un successo politico, mezzi vergognosi come l’attaccare i morti e coprire i loro onorati nomi di calunnie. Quando pensiamo all’angoscia che questa miserabile menzogna provocherà agli innocenti congiunti e amici del defunto, siamo quasi tratti a incitare il popolo, insultato e oltraggiato, a una sommaria e illegale vendetta sul calunniatore. Ma no! Lasciamolo all’agonia di una coscienza dilaniata (benché, se la folla nella sua cieca ira facesse giustizia sommaria, è troppo ovvio che nessuna giuria potrebbe accusare e nessun tribunale punire coloro che hanno commesso il fatto)».
L’ingegnosa frase finale ebbe l’effetto di catapultarmi frettolosamente giù dal letto quella stessa notte, e pure fuori dalla porta sul retro, mentre il «pubblico oltraggiato e insultato» si accalcava alla porta davanti, sfasciando mobili e finestre nella sua legittima indignazione, e portandosi via tutto quello che potè quando se ne andò. Eppure io posso mettere la mano sulla Bibbia e giurare di non aver mai calunniato il nonno di Mr. Blank. Di più: non avevo neppure mai sentito parlare di lui o parlato di lui prima di quel giorno e di quella data. Aggiungerò, di sfuggita, che il giornale sopra citato da allora in poi si riferì sempre a me come a «Mr. Twain, il calunniatore di cadaveri». Il successivo articolo di giornale che attrasse la mia attenzione fu il seguente: UN BEL CANDIDATO! «Mr. Mark Twain, che ieri sera doveva tenere uno sferzante discorso al comizio degli Indipendenti, non è venuto! Un telegramma del suo dottore affermava che era stato travolto da una carrozza in corsa, e aveva una gamba spezzata in due punti, che era a letto in preda a terribili sofferenze, e altre stupidaggini del genere. E gli Indipendenti hanno cercato in tutti i modi di mandar giù quel basso sotterfugio, e hanno fatto finta di non sapere quale fosse la vera ragione dell’assenza di quell’individuo corrotto che chiamano il loro rappresentante. Ma un certo tizio fu visto scivolare la notte scorsa nell’albergo di Mr. Twain in uno stato di ubriachezza bestiale. È imperativo dovere degli Indipendenti provare che quel brutto intossicato non era Mark Twain in persona. Lo abbiamo finalmente! È questo un caso che esige risposta. La voce del popolo domanda con voce tuonante: “CHI ERA QUELL’UOMO?”».
Era incredibile, assolutamente incredibile, che per un attimo solo il mio nome fosse stato realmente accostato a quel disgraziato. Erano passati tre lunghi anni da quando per l’ultima volta avevo assaggiato birra, vino, o liquori di qualunque tipo. Può servire a dimostrare quale effetto avesse quel periodo su di me, quando mi vidi trattato confidenzialmente come «Mr. Delirium Tremens Twain» sul numero successivo di quel giornale, e non ebbi neppure un sussulto, nonostante sapessi che d’ora in poi quel giornale mi avrebbe chiamato così con monotona fedeltà fino alla fine dei miei giorni. Nel frattempo le lettere anonime stavano diventando una parte importantissima della mia posta. La forma abituale era questa: «Che ne dite di quella vecchia che prendeste a calci perché osava ricordarvi le vostre promesse? Pol. Pry». O questa: «Avete fatto cose di cui solo io sono a conoscenza. Fareste meglio a snocciolarmi un po’ di dollari, o sentirete parlare attraverso i giornali di Handy Andy». Questo per darvi un’idea; e potrei continuare fino ad annoiarvi. In breve, il principale giornale repubblicano mi accusò di corruzione in grande
stile, e il foglio democratico mi accusò di ricatto aggravato. Acquistai così altri due nomi, «Twain il colpevole corruttore» e «Twain il disgustoso ricattatore». Ormai era stato fatto un tale chiasso perché dessi una “risposta” a tutte le terribili accuse rivoltemi, che i giornali e i capi del mio partito decisero che mantenere più a lungo il silenzio avrebbe significato la mia rovina politica. Come per rendere più impegnativo il loro appello, proprio il giorno dopo apparve su un giornale quanto segue: GUARDATE CHE UOMO! «Il candidato indipendente resta ancora in silenzio perché non osa parlare. Tutte le accuse contro di lui sono state ampiamente provate, e sono state rafforzate dal suo eloquente silenzio, sicché ormai egli è per sempre riconosciuto colpevole. Osservate il vostro candidato, Indipendenti! Guardate l’Infame Spergiuro! il Ladro di Montana! il vostro Colpevole Corruttore! il vostro Disgustoso Ricattatore! Osservatelo, pensateci bene e poi decidete se potete dare i vostri onesti voti a un individuo che si è guadagnato questa spaventosa serie di titoli con i suoi vergognosi delitti, e non osa neppure aprire bocca per smentirne uno solo!».
Non era più possibile uscirne e così, con profonda umiliazione, mi accinsi a “rispondere” a quella massa di accuse infondate e di infami cattiverie. Ma non riuscii a portare a termine l’impresa, perché proprio la mattina seguente uscì un giornale con un nuovo orrore, accusandomi — con tutta serietà — di aver dato fuoco a un ricovero di pazzi con tutti i suoi ospiti, perché ostacolava la visuale da casa mia. Questo mi gettò in una specie di panico. Poi venne l’accusa di avere avvelenato mio zio per impadronirmi del suo patrimonio, con la richiesta imperativa che si riaprisse la tomba. Questo mi portò al colmo della disperazione. Dopo tutto ciò fui accusato di impiegare un mio vecchio parente, incapace e senza denti, per preparare il cibo a un ospizio di trovatelli di cui ero consigliere. Vacillai! E alla fine, debito culmine della persecuzione che l’odio politico mi aveva inflitto, nove bimbetti barcollanti, di tutte le sfumature di colore e di tutti i gradi di straccioneria, furono ammaestrati ad arrampicarsi sulla tribuna in un pubblico comizio e ad attaccarmisi alle gambe chiamandomi «papà!». Rinunciai. Ammainai la bandiera e mi arresi. Evidentemente non avevo quello che si richiedeva per una campagna elettorale nello Stato di New York, e mandai le mie dimissioni dalla candidatura, firmandomi, in profonda amarezza di spirito: «Sinceramente vostro, una volta “persona per bene”, ma adesso Mark Twain, I.S, L.M., C.C., D.T., C.C., D.R.». 9
9
Negli Stati Uniti c’è l’usanza di far seguire al proprio nome e cognome le iniziali di tutte le onorificenze conseguite.
PREGARE IN TEMPO DI GUERRA10
Erano tempi di grande ed entusiasmante eccitazione. Il paese era in armi, c’era la guerra, in ogni petto ardeva il sacro fuoco del patriottismo; rullavano i tamburi, suonavano le bande, scoppiettavano le pistole giocattolo, grappoli di petardi fischiavano e crepitavano; su ogni lato e là dove si perdono e sfumano le distese di tetti e balconi una selva di bandiere svolazzanti scintillava sotto il sole; ogni giorno i giovani volontari percorrevano in marcia i lunghi viali, belli e gioiosi nelle loro nuove uniformi, con i padri, le madri, le sorelle e le fidanzate orgogliosi ad acclamarli con voci strozzate dall’emozione, mentre sfilavano loro davanti; ogni sera, assemblee affollate ascoltavano trepidanti l’arte oratoria del patriota che smuoveva gli abissi più profondi del cuore, interrotta a ogni minimo intervallo da un ciclone di applausi, mentre le lacrime scendevano lungo le guance di tutti i presenti; in chiesa, i pastori predicavano la devozione alla bandiera e alla nazione, e invocavano il Dio delle Battaglie, implorando il Suo aiuto nella nostra giusta causa attraverso scariche di fervida eloquenza che scuotevano ogni ascoltatore. Era davvero un momento felice e civile, e quella mezza dozzina di anime imprudenti che osarono disapprovare la guerra e metterne in dubbio la giustezza, ricevettero subito un avvertimento tanto severo e arrabbiato che per la loro stessa incolumità sparirono dalla circolazione, in modo da non offendere più nessuno. Poi venne la domenica mattina — il giorno dopo i battaglioni sarebbero partiti per il fronte; la chiesa era colma di gente; i volontari erano lì, con le loro giovani facce illuminate da sogni marziali, visioni di implacabili avanzate, il momento dell’adunanza, le cariche travolgenti, le sciabole scintillanti, la fuga del nemico, il tumulto, il fumo avvolgente, il feroce inseguimento, la resa! E poi tutti a casa, eroi abbronzati, salutati e accolti, adorati, immersi nei mari d’oro della gloria! Insieme ai volontari sedevano i loro cari, orgogliosi, felici e invidiati dai loro vicini e amici che non avevano figli o fratelli da spedire sul campo d’onore, per combattere e vincere per la bandiera oppure, in caso di sconfitta, per morire nel più nobile dei modi. La funzione proseguì; venne letto un capitolo sulla guerra dal Vecchio Testamento; fu detta la prima preghiera, seguita dal tuonare dell’organo che scosse l’intero edificio; a quel punto i presenti — tutti insieme — saltarono in piedi con occhi luccicanti e i cuori che battevano all’impazzata, prorompendo in quella tremenda invocazione: «Oh Dio tremendo, che tutto predisponi, tuona con la tua tromba e fulmina con la tua spada!». Poi fu il turno della «lunga» preghiera. Nessuno era in grado di ricordarne un’altra 10
The war prayer è un articolo scritto da Twain nel 1905, durante la guerra filippino-americana. L’articolo fu rifiutato dall’editore, perché giudicato “non adatto”. A causa del contratto in esclusiva che legava Twain all’editore, The war prayer rimase inedito per diciotto anni, fino al 1923. A proposito della censura di questo articolo, Twain ebbe a dire: «Finché sono in vita non penso vetta mai pubblicato. Solo ai morti è concesso di dire la verità».
altrettanto appassionata, commovente ed espressa con parole tanto belle. Il senso della supplica al misericordioso e benevolo Padre di tutti noi era di vigilare sui nostri giovani e nobili soldati, e di aiutarli, confortarli e incoraggiarli durante la loro opera patriottica; di benedirli e proteggerli nel giorno della battaglia e nell’ora del pericolo, di sorreggerli nella Sua mano possente, e renderli forti e fiduciosi, invincibili nel sanguinoso attacco; di aiutarli ad annientare il nemico, e di garantire a loro, alla bandiera e al paese onore e gloria immortali... Un vecchio forestiero entrò e attraversò la navata principale con passo lento e silenzioso, gli occhi fissi sul ministro, la sua lunga figura vestita con un abito che arrivava fino ai piedi, la testa scoperta, i lunghi capelli bianchi che gli cadevano sulle spalle come una tempestosa cascata; il volto scarno, di un pallido innaturale, addirittura spettrale. Attraversò la navata in silenzio; tutti gli occhi lo fissarono incuriositi; senza fermarsi salì dalla parte del pastore e lì si fermò, ad aspettare. Con le palpebre chiuse il pastore non si era accorto della sua presenza, e continuava con quella commovente preghiera, che concluse con queste parole, pronunciate in tono di ardente implorazione: «Proteggi i nostri soldati, concedici la vittoria, o Signore nostro Dio, Padre e Protettore della nostra terra e della nostra bandiera!». Lo sconosciuto gli toccò il braccio, gli fece cenno di mettersi da parte, cosa che lo sbigottito ministro fece, e ne prese il posto. Per qualche istante osservò tutti i presenti incantati con espressione solenne, in cui ardeva una luce soprannaturale. Poi disse con voce profonda: «Vengo dal Trono, e vi porto un messaggio da parte di Dio Onnipotente!». Quelle parole colpirono la sala, turbandola. Lo straniero se ne era accorto, ma proseguì. «Egli ha sentito la preghiera del Suo servo e vostro Pastore, e la esaudirà se tale rimarrà il vostro desiderio dopo che io, Suo messaggero, ve ne avrò spiegato il significato — intendo dire, il pieno significato. Poiché essa, come molte delle preghiere degli uomini, richiede più di quanto chi la pronuncia sia consapevole di chiedere — a meno che non si soffermi a pensare. «Il servo di Dio e vostro ha detto la sua preghiera. Si è per caso soffermato a riflettere? Credete sia solo una, la preghiera? No, sono due: una espressa e l’altra no. Ma entrambe hanno raggiunto l’orecchio di Colui che ascolta tutte le suppliche, quelle dette e quelle non dette. Riflettete su questo, ricordatevelo. Se vi capitasse di implorare una benedizione per voi stessi, fate attenzione! Per timore che involontariamente, al contempo, invochiate una maledizione sul vostro vicino. Se pregate perché arrivi la pioggia sul vostro raccolto che ne ha bisogno, con quella stessa preghiera è probabile che mandiate una maledizione sul raccolto di qualcun altro che non ha bisogno della pioggia, e che potrebbe esserne danneggiato. Avete ascoltato la preghiera del vostro servo, o almeno la prima parte di essa. Io sono stato incaricato da Dio di esprimere a parole anche l’altra parte, quella che il pastore, e anche voi nei vostri cuori, pregate ardentemente in silenzio. Senza sapere e senza riflettere? Dio assicura che è così! Avete ascoltato queste parole: «Concedici la vittoria, o Signore nostro Dio!». Ciò è sufficiente. Tutto il senso della preghiera sta in queste dense parole. Non occorreva aggiungere altro. Nel momento in cui avete pregato per la vittoria avete pregato anche per molti effetti non detti che seguono la guerra, che sempre la seguono, che non possono non seguirla. Lo spirito di Dio
Padre, che tutto ascolta, ha colto anche la parte inespressa della preghiera. Egli mi ha ordinato di tradurla in parole. Ascoltate! «O Signore, nostro Padre, i nostri giovani patrioti, idoli dei nostri cuori, vanno in battaglia; che Tu sia sempre con loro — con loro, con il loro spirito, partiamo anche noi dalla dolce pace dei nostri amati focolari domestici per annientare il nemico. O Signore e Padre nostro, aiutaci a ridurre a brandelli insanguinati i soldati nemici con i nostri proiettili; aiutaci a coprire i loro campi ridenti con le esanimi forme dei loro patrioti morti; aiutaci a disperdere il tuono delle armi nelle urla dei loro feriti straziati dal dolore; aiutaci a devastare le loro umili case con uragani di fuoco; aiutaci a straziare il cuore delle loro vedove indifese con un inutile dolore; aiutaci a lasciarli in mezzo a una strada, con i figli piccoli, a vagare senza aiuto per i deserti della loro terra desolata affamati, assetati e coperti di stracci, zimbelli dell’infuocato sole estivo e del gelido vento invernale, affranti nello spirito, spossati dal duro lavoro, mentre Ti implorano di trovare rifugio nella tomba, un rifugio che tu dovresti negare: per la salvezza di coloro che Ti adorano, o Dio, annienta le loro speranze e distruggi la loro vita, protrai il loro amaro pellegrinaggio il più possibile, appesantisci i loro passi, bagna di lacrime il loro percorso, macchia la neve bianca con il sangue dei loro piedi feriti! Noi lo chiediamo, in nome dell’amore, in nome di Colui che è la Fonte dell’Amore, e che rappresenta il rifugio e l’amico leale di tutti coloro che sono afflitti e che chiedono il Suo aiuto con l’animo umile e contrito. Amen.» Poi fece una pausa. «Voi avete fatto questa preghiera; se è ancora questo ciò che desiderate, parlate! Il messaggero del Signore Celeste aspetta.» In seguito, si pensò che quell’uomo fosse pazzo, poiché quanto aveva detto non aveva alcun senso.
GIORNALISMO NEL TENNESSEE
Mi fu detto dal medico che un clima mite mi avrebbe fatto bene alla salute; e così me ne andai giù nel Tennessee e trovai un posto come condirettore alla «Gloria del mattino e grido di guerra della contea di Johnson». La prima volta che mi recai al lavoro, trovai il direttore responsabile allungato all’indietro su una sedia a tre gambe e con i piedi su un tavolo di pino. Nella stanza c’era un altro tavolo di pino e un’altra sedia sgangherata, ed entrambe le cose erano mezze seppellite sotto mucchi di giornali, di ritagli e di manoscritti. C’era pure una cassetta di legno con la sabbia piena di cicche spente e bottiglie tristi, e una stufa con lo sportello penzolante dal cardine superiore. Il direttore responsabile indossava una redingote nera con le code lunghe e pantaloni di lino bianco. Portava piccoli stivali ben lucidati, una camicia pieghettata, un grosso anello con sigillo, un rigido colletto vecchio stile e un fazzoletto da collo a scacchi con le punte penzoloni. Data del costume: 1848 circa. Stava fumando un sigaro, e mentre cercava una parola si toccava i capelli arruffati. Era paurosamente accigliato e pensai stesse redigendo un editoriale particolarmente pungente. Mi disse di prendere i giornali inviatici in scambio, di darci un’occhiata e di scrivere lo Spirito della stampa del Tennessee condensando nell’articolo tutte le notizie che mi sembravano interessanti. Ecco quanto scrissi: LO SPIRITO DELLA STAMPA DEL TENNESSEE I direttori del «Terremoto bisettimanale» sono evidentemente vittime di un equivoco per quanto riguarda la ferrovia di Ballyhack. Non rientra tra i programmi della compagnia tagliare fuori Buzzardville. Al contrario, la considerano una delle stazioni più importanti della linea e di conseguenza non possono avere interesse a evitarla. I cari colleghi del «Terremoto» saranno certamente lieti di pubblicare una rettifica. L’eccellente John W. Blossom, l’abile direttore del «Tuono e grido di battaglia della libertà di Higginsville» è arrivato ieri in città. Alloggia alla pensione Van Buren. Osserviamo che il nostro collega dell’«Urlo del mattino di Mud Springs» ha commesso un errore supponendo che l’elezione di Van Werter non fosse un fatto compiuto, ma avrà senza dubbio scoperto il suo errore ben prima dell’arrivo di questa nota. È stato indubbiamente tratto in errore dai risultati elettorali incompleti. É un piacere notare che la città di Blathersville è in trattative con dei signori di New York per pavimentare con rivestimenti Nicholson le sue strade ormai quasi impraticabili. L’«Hurrah quotidiano» sostiene lodevolmente l’iniziativa e appare fiducioso del successo finale.
Passai il manoscritto al direttore responsabile perché lo approvasse, lo modificasse
o lo distruggesse. Gli diede un’occhiata e immediatamente si rabbuiò. Lo sguardo passò sulle pagine e il suo contegno si fece portentoso. Era chiaro che qualcosa non andava bene. Poi saltò su e disse: «Tuoni e fulmini! Credi forse che io abbia intenzione di parlare di quelle vacche da latte in questo modo? Credi che i miei abbonati siano disposti a sorbirsi una pappetta del genere? Dammi la penna!». Non ho mai visto una penna grattare e aprirsi la strada in modo così insinuante, arare tra i verbi e gli aggettivi altrui con tanto accanimento. Ma proprio nel bel mezzo del suo lavoro qualcuno gli sparò attraverso la finestra aperta, rovinando però la simmetria del mio orecchio. «Ah» disse, «è quel mascalzone di Smith del “Vulcano morale”, doveva venire ieri». Allora sfoderò dalla cintura un revolver della Marina e fece fuoco. Smith cadde colpito a una coscia. Il colpo rovinò la mira di Smith che stava proprio per sparare di nuovo e beccò un estraneo. Me. Solo un dito tranciato. Poi il direttore responsabile continuò con le sue cancellature e interpolazioni. Aveva appena finito che una bomba a mano piombò giù dal tubo della stufa e l’esplosione sbriciolò la stufa in mille pezzi. Ma non fece altri danni, a parte il fatto che una scheggia vagante mi fece saltar via un paio di denti. «Quella stufa è completamente andata» disse il direttore responsabile. Gli dissi che era senz’altro vero. «Beh, non importa, con questo clima non è necessaria. So chi è stato. Lo prenderò. Adesso, ecco il modo in cui dovrebbe essere scritta questa roba». Presi il manoscritto. Era talmente rovinato dalle cancellature e dai cambiamenti che non lo avrebbe riconosciuto neanche sua madre, se mai ne avesse avuta una. Ecco come suonava: LO SPIRITO DELLA STAMPA DEL TENNESSEE Quei bugiardi incalliti del «Terremoto bisettimanale» stanno facendo ogni sforzo nel tentativo di gettare addosso a gente nobile e cavalleresca un’altra delle loro vili e brutali menzogne a proposito di quell’eccellentissimo risultato del diciannovesimo secolo che è la ferrovia di Ballyhack. L’idea che Buzzardville dovesse essere tagliata fuori ha avuto origine solo nei loro cervelli bacati, o meglio in quella poltiglia che loro si ostinano a considerare cervelli. Faranno meglio a ingoiarsi questa bugia se vogliono evitare alle loro insignificanti carcasse di rettili la fustigazione che così ampiamente meriterebbero. É arrivato in città quel deficiente di Blossom, del «Tuono e grido di battaglia della libertà di Higginsville» e sta a scrocco da Van Buren. Vediamo che quel delinquente rimbambito dell’«Urlo del mattino di Mud Springs» sta spargendo la voce, con la sua abituale propensione per le menzogne, che Van Herter non verrà eletto. La missione celestiale del giornalismo è diffondere la verità, sradicare l’errore, educare, rifinire ed elevare il tono della morale e del costume pubblico e rendere tutti gli uomini più gentili, più virtuosi, più caritatevoli e in ogni caso migliori, più santi, più felici; e tuttavia questo farabutto dal cuore nero degrada i suoi grandi compiti perseverando a disseminare falsità, calunnie, insulti e volgarità.
Blathersville vuole una pavimentazione Nicholson, ma ha maggior bisogno di una prigione e di un ospizio. Che balordaggine quella di pavimentare una città di quart’ordine, dove ci sono solo due spacci d’alcolici, un maniscalco e quel giornale buono solo per fare i cartocci dell’«Hurrah quotidiano». Quell’insetto strisciante, Buckner, che dirige l’«Hurrah» raglia su quest’affare con la sua solita imbecillità, credendo di dire cose di buon senso.
«Questo sì che è il modo di scrivere, pepato e dritto al sodo. Il giornalismo da mammolette mi fa venire il nervoso». Più o meno in quel momento piombò dalla finestra un mattone in un fracasso di vetri rotti, e mi prese in pieno sulla schiena. Mi misi fuori portata, cominciando a pensare di essere di troppo. Il capo disse: «Deve essere il colonnello. Lo aspetto da due giorni. Sarà qui tra un momento». Aveva ragione. Il colonnello apparve sulla porta un attimo dopo con in mano un revolver da dragone. Disse: «Signore, ho forse l’onore di parlare al disgraziato che dirige questo foglio ributtante?». «Sì, sono io. Si accomodi, signore. Stia attento alla sedia, una delle gambe se n’è andata. Credo di aver l’onore di rivolgermi a quel putrido bugiardo del colonnello Blatherskite Tecumesh.» «Giusto, signore. Ho un piccolo conto in sospeso con lei. Se è pronto, possiamo iniziare.» «Dovrei finire un articolo sull’Incoraggiante progresso dello sviluppo morale e intellettuale in America, ma non c’è fretta. Cominciamo.» Entrambe le pistole esplosero con feroce clamore nel medesimo istante. Il capo perse una ciocca di capelli mentre il proiettile del colonnello terminò la sua carriera nella parte carnosa della mia coscia. La spalla sinistra del colonnello venne appena colpita. Fecero fuoco di nuovo. Questa volta mancarono il bersaglio, ma io ebbi comunque la mia parte, un buco nel braccio. Al terzo colpo entrambi i gentiluomini rimasero leggermente feriti e io ne ebbi un’articolazione scheggiata. A questo punto dissi che preferivo uscire a fare una passeggiata, dato che si trattava di una questione privata e mi pareva indelicato partecipare ulteriormente. Ma entrambi i gentiluomini mi implorarono di rimanere seduto, rassicurandomi che non ero d’impiccio. Poi, mentre ricaricavano, parlarono delle elezioni e del raccolto e io pensai a medicarmi le ferite. Ma ripresero immediatamente a sparare con entusiasmo e ogni colpo andò a segno — ma è giusto far notare che cinque colpi su sei toccarono a me. Il sesto colpì a morte il colonnello il quale, con fine umorismo, osservò che era venuto il momento di congedarsi perché aveva degli affari da sbrigare in città. Chiese dove poteva trovare un becchino e se ne andò. Il capo si rivolse a me, dicendo: «Aspetto degli ospiti per cena, e devo andare a prepararmi. Mi fai un gran favore se mi correggi le bozze e ricevi i clienti». Trasalii un pochino all’idea di ricevere i clienti, ma ero troppo terrorizzato dalla sparatoria che ancora mi echeggiava nelle orecchie per riuscire a pensare a qualcosa
da dire. Riprese: «Jones sarà qui alle tre: frustalo. Gillespie arriverà un po’ prima: buttalo fuori dalla finestra. Ferguson passerà verso le quattro: uccidilo. Questo è tutto per oggi, credo. Se trovi il tempo, scrivi un articolo tosto sulla polizia: fai vedere i sorci verdi all’ispettore capo. Le fruste sono sotto il tavolo; le armi nel cassetto, le munizioni là nell’angolo, e garza e bende laggiù nello schedario. Se ti capita qualcosa, vai da Lancet, il chirurgo, al piano di sotto. Si fa pubblicità e ci paga in natura». Se ne andò. Rabbrividii. Di lì a tre ore ero passato attraverso pericoli così terribili che tutta la mia serenità e l’allegria mi avevano abbandonato. Gillespie era venuto e aveva buttato me fuori della finestra. Jones era arrivato subito e, quando stavo per frustarlo, mi aveva subito tolto lo scudiscio di mano. Nell’incontro con uno sconosciuto, del tutto imprevisto, avevo perduto lo scalpo. Un altro sconosciuto, di nome Thompson, mi ridusse a una carcassa di stracci strappati. E alla fine, stretto in un angolo e incalzato da una infuriata massa di direttori, bari, politici e banditi che erano dappertutto, bestemmiavano e brandivano le armi sul mio capo tanto che l’aria sembrava scintillare di quei lampi d’acciaio, stavo per rassegnare le mie dimissioni quando arrivò il capo e con lui un mucchio di amici affezionati ed entusiasti. Ne seguì una sommossa e una carneficina tale che nessuna penna umana o d’acciaio potrebbe descrivere. Si presero a pistolettate, gente infilzata, smembrata, fatta esplodere, gettata fuori della finestra. Ci fu un breve tornado di torbida blasfemia con una confusa e frenetica danza di guerra, e poi tutto finì. In cinque minuti ci fu silenzio; il capo sanguinante e io sedemmo da soli a ispezionare la cruenta rovina che si stendeva sul pavimento intorno a noi. Disse: «Ti piacerà questo posto, quando ci avrai fatto l’abitudine». Dissi: «Devi scusarmi, ma penso che forse, dopo un po’, riuscirei anche a scrivere come piace a te; potrei farcela, una volta fatto un po’ di esercizio ed essermi impadronito della lingua. Ma, a essere sincero, quelle espressioni così energiche hanno i loro inconvenienti e l’uomo è suscettibile alle interruzioni. Lo vedi anche tu. La scrittura vigorosa è senza dubbio adattissima a elevare il pubblico, ma non me la sento di attrarre tutte le attenzioni che richiamano questo modo di fare. Non posso scrivere a mio agio quando vengo interrotto ogni volta, come è successo oggi. L’incarico mi piace, ma non mi va di essere lasciato qui a ricevere i clienti. Sono esperienze fantastiche, devo ammetterlo, e in un certo senso anche divertenti, ma non sono distribuite equamente: un signore ti spara dalla finestra e colpisce me; una bomba a mano viene giù dal tubo della stufa in tuo omaggio e mi schianta in gola lo sportello della suddetta; arriva un amico per fare quattro chiacchiere con te e m’impallina così tanto che i miei princìpi non stanno più nella pelle; te ne vai a cena e Jones arriva con la frusta, Gillespie mi butta fuori della finestra, Thompson mi strappa tutti i vestiti, un perfetto sconosciuto mi prende lo scalpo con la tranquilla confidenza di un vecchio amico; in meno di cinque minuti tutti i fuorilegge del paese arrivano in assetto da guerra e iniziano a terrorizzarmi a morte con i loro tomahawk. Per concludere, in tutta la mia vita non ho mai passato una giornata più movimentata di questa. No; tu mi piaci e mi piace pure la calma imperturbabile con cui spieghi le
cose ai clienti, ma vedi da te che non ci sono abituato. Il cuore del Sud è troppo impulsivo; l’ospitalità meridionale è troppo generosa per uno straniero. I paragrafi che ho scritto oggi e nelle cui fredde frasi tu hai infuso il fervente spirito del giornalismo del Tennessee scateneranno un altro vespaio. Verrà un’altra masnada di direttori affamati, e vorranno qualcuno da mangiare a colazione. Sono costretto a dirti addio. Rinuncio a essere presente a quelle celebrazioni. Sono venuto al Sud per la mia salute, e me ne vado subito per la stessa ragione. Il giornalismo del Tennessee è troppo movimentato per me». Poi ci separammo con reciproco rammarico, e presi una camera all’ospedale.
COME DIRESSI UN GIORNALE PER AGRICOLTORI
Non fu certo senza qualche preoccupazione che assunsi la direzione temporanea di un giornale per agricoltori. Così come un contadino non assumerebbe il comando di una nave senza un po’ di apprensione. Ma ero in circostanze tali che mi facevano mettere i soldi al primo posto. Il direttore di ruolo doveva andare in vacanza, quindi accettai le condizioni che mi offriva e ne presi il posto. La sensazione di essere di nuovo al lavoro era grandiosa e m’impegnai duramente tutta la settimana, con piacere. Andammo in stampa e attesi con ansia tutto il giorno per vedere se i miei sforzi avrebbero attirato l’attenzione dei lettori. Quando al tramonto lasciai l’ufficio, un gruppo di uomini e di ragazzi ai piedi della scala si disperse all’istante per lasciarmi passare e ne sentii due che dicevano: «É lui!». Naturalmente mi fece piacere. Il mattino dopo trovai un assembramento simile ai piedi della scala, coppie sparse per la strada e individui qua e là sul mio cammino; mi guardavano tutti con interesse. Mentre mi avvicinavo, il gruppo si divise indietreggiando, e sentii un uomo dire: «Guardate i suoi occhi!». Feci finta di non accorgermi dell’interesse che stavo suscitando, ma ne fui segretamente compiaciuto e mi riproposi di scriverne un resoconto a mia zia. Salendo la breve rampa di scale, e avvicinandomi alla porta che aprii, sentii delle voci allegre e colsi all’improvviso due giovanotti dall’aspetto campagnolo che, al vedermi, sbiancarono in viso, dopodiché si gettarono tutti e due fuori dalla finestra con gran frastuono. Ne fui sorpreso. Dopo circa una mezz’ora entrò un anziano gentiluomo dalla barba fluente e un bel viso piuttosto austero che, al mio invito, si sedette. Sembrava che qualcosa lo preoccupasse. Si tolse il cappello e lo mise sul pavimento; ne tirò fuori un fazzoletto di seta rossa e una copia del nostro giornale. Si mise il giornale in grembo e, mentre si puliva gli occhiali con il fazzoletto, mi chiese: «É lei il direttore?». Dissi che era così. «Non ha mai diretto prima un giornale per agricoltori, vero?» «No» dissi. «É il mio primo tentativo.» «Come immaginavo. Ha qualche esperienza nella pratica dell’agricoltura?» «No, credo di no.» «Me l’aveva suggerito l’istinto» disse il vecchio gentiluomo, rimettendosi gli occhiali e squadrandomi freddamente attraverso le lenti, mentre piegava il giornale nella forma dovuta. «Vorrei leggerle cosa mi ha risvegliato tale istinto. É stato questo editoriale. Ascolti e mi dica se è stato lei a scriverlo: “Non bisogna mai strappare le rape, si rovinano. É molto meglio far salire un ragazzo per scuoterne l’albero”.
«Ora mi dica cosa ne pensa. Penso proprio che l’abbia scritto lei.»
«Cosa ne penso? Diamine, credo che vada bene. Penso che sia un’idea ragionevole. Senza dubbio ogni anno milioni e milioni di quintali di rape si rovinano solo in questa zona per essere strappate ancora mezze verdi, quando, se si mandasse un ragazzo a scuotere l’albero...» «A scuotere sua nonna! Le rape non crescono sugli alberi!» «Oh, ma davvero? Dice davvero? E chi l’ha detto? È chiaro che si capisce che parlavo per immagini, assolutamente per immagini. Chiunque ne sappia qualcosa capirà che intendevo dire che il ragazzo doveva scuotere la vite.» A quel punto l’anziano signore si alzò, strappò il giornale in mille pezzi, li calpestò, ruppe diversi oggetti con il suo bastone, urlò che ero istruito quanto una vacca, quindi se ne andò sbattendo la porta dietro di sé: in breve, si comportò in un modo tale che immaginai fosse dispiaciuto per qualcosa. Ma non conoscendo i suoi guai, non potevo essergli di alcun aiuto. Poco dopo irruppe attraverso la porta una creatura lunga e cadaverica con i capelli sciolti sulle spalle e la barba di una settimana che prosperava sulle colline e le valli della sua faccia. Si fermò, immobile, con un dito sulle labbra e la testa e il corpo piegati come nell’atto di tendere l’orecchio. Non si udì alcun suono. Ascoltò ancora. Poi girò la chiave nella porta e si avvicinò a me in punta di piedi con una precauzione esagerata, mi giunse vicino e, dopo aver esplorato per un po’ la mia faccia con intenso interesse, tirò fuori dal petto una copia del nostro giornale e disse: «Ecco, l’ha scritto lei. Me lo legga, presto! Mi aiuti. Soffro». Lessi quanto segue; e, mentre le frasi mi uscivano dalla bocca, riuscivo a notare che si stava riprendendo. Osservai i muscoli tesi rilassarsi, l’ansia abbandonare il suo volto e la quiete e la pace diffondersi sopra i suoi lineamenti come un pietoso chiaro di luna sopra un paesaggio desolato: «Il guano è un bell’uccello, ma ci vuole molta cura nell’allevarlo. Non lo si dovrebbe importare prima di giugno né più tardi di settembre. Durante l’inverno bisogna tenerlo al caldo, dove possa covare i suoi piccoli. È evidente che siamo in netto ritardo per la stagione del grano. Pertanto sarebbe bene che i fattori cominciassero a tirare fuori i covoni e a piantare le focacce di grano saraceno in luglio invece che in agosto. A proposito della zucca. Questa bacca è molto gradita agli indigeni dell’interno del New England, che la preferiscono all’uva spina per fare le crostate e inoltre la ritengono superiore ai lamponi per ingrassare le vacche, dato che sazia di più ed è più nutriente. La zucca è l’unica varietà commestibile della famiglia delle arance che attecchisce al Nord, eccetto il melone e una o due varietà di cocomeri. Ma l’abitudine di piantarla a cespugli di fronte alle case sta rapidamente scomparendo, perché al giorno d’oggi si ammette generalmente che la zucca come albero da ombra sia un fallimento. Ora, dal momento che si avvicina il caldo e i galli incominciano a deporre le uova...».
Il mio eccitato interlocutore si precipitò su di me a stringermi la mano e disse: «Ecco, ecco, basta così. Adesso so che va tutto bene perché l’ha letto così come l’avevo letto io, parola per parola. Ma, straniero, quando l’ho letto questa mattina per
la prima volta, ho creduto di essere pazzo — e non ci avevo mai e poi mai creduto prima, sebbene i miei amici lo pensassero; ma adesso so di esserlo; e così ho cacciato un urlo bestiale e sono uscito per ammazzare qualcuno — perché, sa, ero sicuro che prima o poi sarebbe successo e che quindi tanto valeva cominciare. Ho riletto un’altra volta uno di quei paragrafi, così, tanto per esserne sicuro, poi ho dato fuoco alla mia casa e sono scappato. Ho ferito parecchie persone e scaraventato un tizio sopra un albero, dove posso sempre riprenderlo se mi va. Ma mentre passavo qui davanti, ho pensato di entrare un attimo per essere assolutamente certo della faccenda; e adesso che è sicura le posso dire che è una fortuna per quel tizio sull’albero. Lo avrei certamente ucciso al mio ritorno. Addio, signore, addio; mi ha tolto un gran peso dal cuore. La mia ragione ha resistito allo sforzo di leggere uno dei suoi articoli per gli agricoltori, e so che ora più nulla potrà minacciarla. Addio, signore». Provai un po’ di disagio per i feriti e gli incendi con cui questa persona si era divertita, perché non potei fare a meno di sentirmi in qualche modo collegato a essi. Ma questi pensieri vennero presto banditi perché entrò il direttore regolare! (Pensai tra me e me: «Se tu fossi andato in Egitto come ti avevo raccomandato, forse avrei avuto la possibilità di fare un po’ di pratica; non hai voluto farlo, ed eccoti qua. Quasi quasi ti aspettavo»). Il direttore aveva un’aria triste, sconcertata e smarrita. Dopo aver considerato il disastro prodotto da quel vecchio attaccabrighe e da quei due giovani contadini, disse: «È una faccenda triste, una faccenda tristissima. La bottiglia della colla rotta, sei finestre in frantumi, la sputacchiera e due candelieri fracassati. Ma non è quello il peggio. La reputazione del giornale è rovinata per sempre, temo. É vero che non c’è mai stata prima tanta richiesta per il giornale, che non ha mai venduto tanto e non ha mai raggiunto una tale celebrità, ma c’è da rallegrarsi a diventare famosi per la propria pazzia, a prosperare grazie all’infermità di mente? Amico mio, come è vero che sono un uomo onesto, la strada fuori è piena di gente e altri sono abbarbicati sulla palizzata in attesa di vederla perché pensano che lei sia matto. E ne hanno tutte le ragioni dopo aver letto i suoi editoriali. Lei è una disgrazia per il giornalismo. Ebbene, che cosa mai le è saltato in testa per pensare di poter dirigere un giornale di questo tipo? Lei non possiede i minimi rudimenti dell’agricoltura. Parla di un solco e di un aratro come se fossero la stessa cosa; parla della stagione in cui le vacche cambiano le piume; dà consigli su come addomesticare le puzzole dato che sono giocherellone e utili per acchiappare i topi! La sua osservazione che la musica ha il potere di tranquillizzare le vongole era inutile, completamente inutile. Niente agita le vongole. Le vongole stanno sempre calme. Alle vongole non importa assolutamente nulla della musica. Ah, Dio del cielo, amico mio! Se avesse fatto della conquista dell’ignoranza lo scopo della sua vita, non avrebbe potuto laurearsi con maggior gloria di quella conseguita qui, oggi. Non ho mai visto una cosa simile. Le sue osservazioni per cui l’ippocastano sta diventando un articolo molto richiesto sono calcolate per distruggere il giornale. Voglio che lei molli tutto e se ne vada. Non ho più bisogno di vacanze, non riuscirei a godermele. Certo, non con lei al mio posto. Vivrei nel terrore di quello che potrebbe consigliare la prossima volta. Mi fa ancora perdere la pazienza ripensare al suo articolo sull’allevamento delle ostriche dal titolo
L’arte del giardinaggio. Voglio che lei se ne vada. Niente al mondo mi potrà persuadere a prendere un’altra vacanza. Ma perché non mi ha confessato di non sapere niente di agricoltura?». «Dirlo a lei? Pannocchia, testa di cavolo e figlio di un cavolfiore? È la prima volta che sento un rimprovero così insensato. Faccio il giornalista da quattordici anni ed è la prima volta che sento dire che un uomo deve essere competente per dirigere un giornale. Barbabietola! Sa chi scrive le recensioni nei giornali di second’ordine? Una congrega di calzolai che ha fatto carriera e garzoni di farmacisti che sanno di buona recitazione quanto io so di agricoltura, e niente più. Chi recensisce i libri? Gente che non ne ha mai scritto uno. Chi scrive i commenti sulla situazione finanziaria? Disgraziati che si sono sempre trovati nella situazione migliore per non capirne nulla. Chi critica le campagne contro gli indiani? Signori che non distinguono un grido di guerra da una tenda e che non hanno mai fatto una gara di corsa con un tomahawk o acceso il fuoco dell’accampamento con le frecce strappate dai vari familiari. Chi scrive gli appelli in favore della temperanza e strepita contro i rischi dell’alcolismo? Avvinazzati che puzzeranno di whisky anche nella fossa. Chi dirige i giornali per agricoltori? Lei, eh? Di solito poeti falliti, autori di romanzi dalle copertine ingiallite dal tempo, drammaturghi scandalistici, pettegolari. Alla fine capitombolate sull’agricoltura nel temporaneo sforzo di frenare la caduta in un ospizio. Lei vorrebbe insegnare a me come si fanno i giornali! Signore, io conosco questo mestiere dall’alfa all’omega e le dico che meno uno sa, maggiore è il trambusto che provoca e migliore lo stipendio che prende. Lo sa il cielo che, se fossi stato ignorante invece che colto, e impudente invece che timido, avrei potuto farmi un nome in questo mondo gelido ed egoista. Me ne vado, signore. Dato che mi ha trattato in questo modo, è mio pieno diritto andarmene. Ma ho fatto il mio dovere. Ho onorato il mio contratto fin dove mi è stato possibile. Le dissi che avrei reso questo giornale interessante per ogni tipo di lettore, e l’ho fatto. Le dissi che avrei raggiunto una tiratura superiore alle ventimila copie: se avessi avuto altre due settimane a disposizione, ce l’avrei fatta. E le ho anche dato la migliore categoria di lettori che un giornale per agricoltori abbia mai avuto; non ci sarebbe stato nessun contadino, non un singolo individuo in grado di distinguere un albero di meloni da una vigna di pesche anche a costo della vita. È lei a rimetterci da questa rottura, e non io, razza di albero da crostate. Adios». E me ne andai.
IN DIFESA DEL GENERALE FUNSTON11
I 22 febbraio. Oggi è il grande Anniversario 12 ; ed è stato celebrato così ampiamente in tutto il mondo che le differenze di fuso orario hanno provocato curiosi episodi con alcuni dei telegrammi che testimoniano il rispetto dovuto al sublime nome che questa data richiama alle nostre menti: sebbene siano stati spediti all’incirca tutti alla stessa ora, alcuni, per noi, riportavano la data di ieri, mentre altri quella di domani. E sui giornali si parlava del generale Funston. Né Washington né Funston sono stati fatti in un giorno. Ci è voluto parecchio tempo per mettere insieme tutto il materiale. In entrambi i casi, la base morale dell’uomo — il suo scheletro morale — era frutto di una predisposizione innata, qualcosa di solido come la roccia, e che dalla culla alla bara non subisce mai alcun mutamento effettivo o reale. In entrambi i casi il “corpo morale” (vale a dire il carattere) fu costruito e forgiato intorno allo scheletro dall’addestramento, dalle compagnie e dalle circostanze. Dato uno scheletro incline alla disonestà, nessun potere né influenza sulla terra potrebbero plasmare una figura davvero onesta attorno a esso. L’addestramento, le compagnie e le circostanze possono rafforzarla, sostenerla, supportarla, la possono allungare e stringere in un’informe figura artificiale che può durare fino alla fine, finendo con ingannare non solo lo spettatore, ma l’uomo stesso. Ma lì non vi è che artificio, e se in qualsiasi momento i sostegni e i legami venissero rimossi, la forma collasserebbe nella sua propria e originaria disonestà. Washington non creò lo “scheletro morale” — ossia la predisposizione — che era in lui; era innato, e il merito della sua perfezione non era suo. Essa, e solo Essa, lo spinse a cercare e a preferire le compagnie adeguate al suo spirito, ad accogliere le influenze che lo allietavano e lo soddisfacevano; a disdegnare e a disinteressarsi delle influenze che non incontravano il suo favore. Attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, anno dopo anno, la sua predisposizione restava dritta nell’incessante turbinìo delle piccole influenze, arrestando e trattenendo, come un magnete di mercurio, tutte le particelle d’oro che gli giravano intorno; e con automatico disprezzo respingeva alcune minuscole particelle di rifiuti; e con la stessa automatica indifferenza permetteva al resto di quella vile parentela di passare inosservata. Aveva un’innata affinità per ogni influenza bella e grandiosa, e donava loro ospitalità e rifugio 11
Frederick N. Funston (1865-1917) fu Generale dell’esercito degli Stati Uniti. Il suo ruolo nelle guerre ispanoamericana e filippino-americana lo portò alla ribalta nazionale. Questo articolo satirico fu pubblicato dalla «North American Review» nel 1902. 12 Anniversario della nascita di George Washington.
permanente. Aveva un’innata avversione per tutte le influenze meschine e grossolane, e le superava. Essa ha scelto le sue compagnie, ha selezionato le sue influenze, ha scelto i suoi ideali; e tra tutti i materiali che aveva pazientemente raccolto, ha costruito e forgiato il suo carattere d’oro. E noi diamo a lui il merito! Noi diamo il merito a Dio e lo lodiamo per essere onnisciente e onnipotente; ma questo è tutto un altro discorso. Nessun contributo esterno, nessuna ereditarietà gli ha conferito tali poteri. Lui sì che si è fatto da solo. Ma la predisposizione di Washington era innata, non l’ha creata lui; Lei è stata l’architetto del suo carattere; e il suo carattere l’architetto dei suoi successi. Se la mia predisposizione fosse nata in lui e la sua in me, il corso della storia sarebbe stato diverso. É un nostro privilegio ammirare lo splendore del sole, la bellezza dell’arcobaleno e il carattere di Washington; ma non c’è occasione per lodarli per queste qualità perché non sono stati loro a creare la fonte da cui queste qualità sgorgano; il fuoco del sole, la luce che attraversa le gocce di pioggia, la sana, pulita e benevola predisposizione innata del Padre della Patria. A che serve dunque avere un Washington, se non gli possiamo riconoscere un merito personale per ciò che è stato e ciò che ha fatto? Un valore deve esserci necessariamente, un valore così immenso da essere inestimabile. Le influenze positive dell’ambiente esterno sono state i materiali da cui la predisposizione di Washington ha forgiato il carattere di Washington e lo ha preparato alle sue grandi imprese. Supponiamo non ce ne fosse stata alcuna. Che fosse nato e cresciuto in un caverna di pirati. I materiali recepiti dall’ambiente sarebbero mancati e il carattere di Washington non sarebbe esistito. Fortunatamente per noi, per il mondo, per i secoli e per le generazioni future, egli nacque in un luogo dove influenze e compagnie degne della sua predisposizione erano disponibili, in un luogo che rese possibile la formazione del suo carattere nel modo migliore e più elevato, e dove il caso di circostanze favorevoli lo facilitò nel dotarlo di un ben visibile campo in cui esercitare ed esibire al meglio le sue capacità di comando. E dunque, il grande valore di Washington è in ciò che ha conseguito? No. Quello non è stato che un valore secondario. Il suo maggior valore, il più grande, l’incommensurabile valore che ha per noi, per il mondo, per le generazioni future e gli anni a venire, è nella sua immutevole e maestosa evidenza in quanto esempio. Noi siamo fatti, mattone dopo mattone, da influenze, pazientemente costruite intorno all’ossatura della nostra innata predisposizione. Questo è il solo processo di formazione, e non ce n’è un altro. Ogni uomo, ogni donna e ogni bambino è un’influenza, un’influenza quotidiana e continua che non cessa mai di operare, e non cessa mai di modellare nel bene e nel male il carattere attorno ad essa; alcune apportano oro, altre soltanto immondizia, ma in entrambi i casi contribuiscono alla costruzione senza fermarsi mai a riposare. Il calzolaio influenza due dozzine di conoscenti; il borseggiatore ne influenza quattro dozzine; il parroco del paese i suoi cinquecento fedeli; il famoso nome del rapinatore di banche e la sua fama influenzano centinaia di conoscenti e altre tremila persone che non l’hanno mai visto; le rinomate fatiche dei filantropi e i generosi regali dei milionari inducono a una
benevola collaborazione e a generose offerte di denaro centomila persone che non hanno mai incontrato e che non incontreranno mai; all’edificazione del carattere di ogni individuo così influenzato questi promotori hanno aggiunto un mattone. Il giornale senza princìpi aggiunge ogni giorno viltà a milioni di caratteri decadenti; il giornale di alti princìpi contribuisce al quotidiano miglioramento del carattere di un altro milione. I saccheggiatori che si sono arricchiti velocemente e i rapinatori del sistema ferroviario sminuiscono l’etica commerciale di un’intera nazione per tre generazioni. Un Washington, innalzatosi sull’estremo vertice del mondo, eternamente visibile, eternamente vestito di luce, un sereno, ispiratore, incoraggiante esempio e ammonimento, è un’influenza che innalza il livello del carattere in tutti gli uomini, in tutti i popoli ricettivi all’estero e in patria; e i termini del suo amorevole lavoro non sono misurabili su fugaci generazioni, ma solo con l’incessante marcia dei secoli. Washington è stato più che il padre della nazione; è stato il padre del suo patriottismo — il patriottismo nel senso più alto e nobile. Ed era così potente la forza del suo esempio che quel magnifico patriottismo è rimasto inoffuscato e onorato per cento anni meno uno 13 ; e il sentimento del nostro popolo è così profondamente giusto in grazia dei suoi nobili e imperituri insegnamenti, che si rivolge oggi alla sua stessa patria, mettendo da parte il patriottismo straniero d’importazione e recuperando quello che Washington diede ai suoi padri, che è americano e solo americano, che è durato novantanove anni e che sarà buono per un altro milione di anni. Il dubbio — il dubbio di avere agito bene con i filippini — cresce sempre più nell’animo della nazione. E al dubbio seguirà la condanna. La nazione parlerà; la sua volontà è legge. Non c’è altro sovrano su queste terre. E quel giorno rimedieremo al torto che noi stessi abbiamo commesso. Smetteremo di stare attaccati ai mantelli degli incoronati sovrani europei — ladri di terre — e torneremo a essere ciò che eravamo prima, una vera potenza mondiale, la più grande di tutte, per diritto delle uniche mani innocenti della cristianità, le uniche mani senza l’onta del sordido bottino di libertà rubata a popoli indifesi, mani liberate dal peccato dal patriottismo washingtoniano e ancora degne di toccare l’orlo della veste della sua venerata ombra, di stare in sua presenza senza vergogna. È stato l’esempio di Washington a fare Lincoln e tutti gli altri veri patrioti che l’America ha conosciuto. È stato l’esempio di Washington a fare i soldati che hanno salvato l’Unione, e questo esempio ci salverà sempre, e ci riporterà sulla retta via quando la perderemo. E così, quando ci viene dato un Washington o un Lincoln o un Grant, cosa dovremmo fare? Se sappiamo — come sappiamo — che un inconfutabile buon esempio vale molto più di un miliardo di cattivi esempi, è dunque in forza di ciò che dobbiamo assegnargli un alto valore, farne un fuoco sacro e tenerlo acceso con vigore: negli asili, nelle scuole, nelle università, sui pulpiti, sui giornali, persino al Congresso, se una tal cosa fosse possibile. L’innata predisposizione fu dunque necessaria per dare vita a un Washington; per svilupparlo e completarlo servirono poi le influenze dell’ambiente, le circostanze e un ampio terreno in cui dare prova di sé. 13
Twain si riferisce probabilmente allo scoppio della guerra ispano-americana, avvenuta nel 1898, novantanove anni dopo la morte di George Washington (1732-1799), a cui seguì, qualche mese dopo, la guerra filippino-americana. Entrambi i conflitti furono aspramente criticati da Twain.
Lo stesso si può dire per Funston. II. «La guerra è finita». Fine del 1900. Un mese dopo fu trovato il rifugio di montagna del capo dei filippini, sconfitto, depredato e deposto, ma non ancora privo di speranza. Le sue milizie erano disperse, la sua repubblica estinta, il suo più abile statista deportato, i suoi generali morti o prigionieri di guerra. Il ricordo del suo nobile sogno era entrato a far parte della storia, per essere d’ispirazione a patrioti meno sfortunati nei secoli futuri. Il sogno stesso era morto senza possibilità di risorgere, sebbene lui non potesse crederci. Giunse l’ora della sua cattura. Un autore suo ammiratore ci racconterà di lui. Bisogna credere al suo racconto perché è un riassunto puntuale della confessione volontaria resa all’epoca dal generale Funston. I corsivi sono miei. «Fu solo nel febbraio del 1901 che questo rifugio venne scoperto. L’indizio si presentò sotto forma di una lettera da parte di Aguinaldo che ordinava a suo cugino, Baldormero Aguinaldo, di mandargli quattrocento uomini armati, e lo stesso messaggero avrebbe fatto da guida al rifugio. L’ordine era cifrato, ma tra le cose sequestrate in diverse occasioni era stata trovata anche una copia del linguaggio cifrato dei ribelli. Il messaggero degli insorti fu poi indotto a ravvedersi (anche se la storia non rivela esattamente di che) e si offrì di fare da guida al rifugio di Aguinaldo. Ecco un’opportunità che prospettava un’avventura senza eguali nella letteratura da quattro soldi. Era proprio il tipo di impresa temeraria che affascinava il romantico Funston. Non era certo normale, per un brigadiere generale, lasciare le sue truppe per trasformarsi in esploratore, ma per Funston era irresistibile. Formulò la strategia e chiese il permesso al generale MacArthur. Era impossibile porre un rifiuto a un tale coraggioso avventuriero, l’eroe del Rio Grande. Così Funston si mise a lavoro, imitando la calligrafia di Lacuna, l’ufficiale ribelle al quale era destinato il comunicato di Aguinaldo. Poco prima che venisse catturato il corriere tagalog 14 , erano state trovate alcune lettere di Lacuna, insieme al codice cifrato di Aguinaldo. Dopo aver perfezionato la firma di Lacuna, Funston scrisse due lettere, una datata il 24 e l’altra il 28 febbraio, affermando di aver ricevuto il messaggio di Aguinaldo e informandolo che lui — il “finto” Lacuna — gli stava mandando alcuni dei suoi migliori soldati al comando. Oltre a questo perfetto falso il generale Funston dettò una lettera a un ex ribelle unitosi alle sue truppe, in cui diceva ad Aguinaldo che il manipolo che arrivava in suo soccorso aveva sorpreso e catturato un distaccamento di soldati americani, facendo cinque prigionieri e che, data la loro importanza, li avrebbero consegnati a lui. Questo stratagemma serviva a giustificare la presenza dei cinque ufficiali: il generale Funston, il capitano Hazzard, il capitano Newton, il 14
Il tagalog è una delle lingue principali delle Filippine.
tenente Hazzard, e il braccio destro del generale Funston, il tenente Kitchell, che dovevano prendere parte alla spedizione. Settantotto macabebe 15 , nemici storici dei tagalog, furono scelti da Funston per formare il grosso della truppa. Questi duri e temerari indigeni parteciparono al piano per vendetta. Furono invitati a unirsi alla truppa anche tre tagalog e uno spagnolo. Ai macabebe furono fatte indossare vecchie divise da ribelli e agli americani lacere divise da soldati semplici. Per tre giorni furono date loro razioni di cibo e a ogni uomo fu consegnato un fucile. La nave Viksburg fu scelta per portare gli audaci impostori in un punto della costa est vicino a Palanan, dove Aguinaldo si nascondeva. Il gruppo sbarcò sulla costa a Casignan, poco distante dalla nascosta capitale dei ribelli. Tre macabebe che parlavano bene il tagalog furono mandati in città per avvisare gli abitanti che stavano portando rinforzi e importanti prigionieri americani ad Aguinaldo, e per richiedere guide e assistenza alle autorità locali. Il capo dei ribelli acconsentì immediatamente e il piccolo gruppo, dopo essersi ristorato e aver mostrato i prigionieri, affrontò le novanta miglia di viaggio per Palanan, un rifugio di montagna all’interno della costa nella provincia di Isabella. Gli avventurieri passarono per declivi pietrosi e attraverso la fitta giungla, guadando ruscelli e attraversando angusti passaggi, con i piedi doloranti e le ossa rotte, finché non finirono le scorte di cibo ed erano troppo deboli per continuare, sebbene mancassero solo otto miglia all’incontro con Aguinaldo. Fu mandata avanti una staffetta per informare Aguinaldo della loro posizione e per implorare del cibo. Il capitano ribelle rispose prontamente mandando del riso e una lettera all’ufficiale in capo, con l’istruzione di trattare bene i prigionieri americani ma di lasciarli fuori dalla città. Quali migliori condizioni avrebbe potuto, lo stesso Funston, dettare di persona? Il 23 marzo il gruppo raggiunse Palanan. Aguinaldo inviò undici uomini a prendersi cura dei prigionieri americani ma Funston e i suoi ebbero gioco facile nell’evitarli nascondendosi nella giungla, finché non furono superati dagli uomini di Aguinaldo che andavano incontro agli americani credendoli più indietro. Raggiungendo immediatamente il suo gruppo, Funston ordinò al suo piccolo manipolo di temerari di marciare fieramente in città e presentarsi ad Aguinaldo. Al rifugio dei ribelli furono ricevuti dalle guardie del corpo di Aguinaldo, vestiti con uniformi blu e cappelli bianchi, in stile militare. Il portavoce infinocchiò così bene Aguinaldo che mai sospettò dell’inganno. Nel frattempo i macabebe, guidati dallo spagnolo, circondarono il luogo scegliendo le posizioni migliori, finché non furono tutti pronti. A quel punto lui gridò: «Macabebe, tocca a voi!» e loro scaricarono i fucili sulle guardie del corpo di Aguinaldo... Gli americani presero parte allo scontro e due dello stato maggiore di Aguinaldo furono feriti ma riuscirono a scappare; il tesoriere del governo rivoluzionario si arrese, tutti gli altri ufficiali filippini fuggirono. Aguinaldo si arrese con rassegnazione sebbene avesse molta paura della vendetta dei macabebe; ma Funston gli garantì l’incolumità personale, allora si calmò, iniziando a discutere la situazione. 15
Macabebe è una regione delle Filippine. È anche il nome dei suoi abitanti.
Era afflitto per la sua cattura e disse che in nessun altro caso si sarebbe lasciato prendere vivo. Questa ammissione esaltò ancorpiù il successo di Funston, perché Aguinaldo rappresentava un caso difficile e disperato e richiedeva metodi straordinari.» Alcune delle consuetudini di guerra non sono piacevoli per i civili; ma anni e anni di esperienza ci hanno riconciliato con esse, e noi le accettiamo senza esitazioni, anche se ci fanno rabbrividire. Ogni dettaglio del piano di Funston, tranne uno, è stato impiegato in guerre del passato, e la storia lo assolve da ogni vergogna. Nelle consuetudini di guerra è permesso, nell’interesse di un’impresa come quella di cui stiamo parlando, che un brigadiere generale (se è di quelli che scelgono di agire così) corrompa o persuada un messaggero a tradire il suo mandato; che rimuova i distintivi del suo alto rango e si travesta; che menta, organizzi trappole, falsifichi; che si allei con gente idonea, per addestramento e istinto, a un lavoro del genere; che accetti una cortese accoglienza per poi uccidere chi l’ha accolto, quando le sue mani sono ancora calde dell’amichevole stretta di mano. Per le usanze di guerra, tutte queste cose sono innocenti e nessuna è biasimevole: tutte sono giustificabili; nessuna di queste è nuova, sono state tutte praticate in passato, anche se non da un brigadiere generale. Ma c’è un dettaglio che è nuovo, assolutamente nuovo; che non è riscontrabile in nessuna epoca della storia, in nessun paese, in nessun popolo selvaggio o civilizzato, ed è quello rappresentato da Aguinaldo quando dice che «per nessun altro motivo si sarebbe fatto prendere vivo». Quando un uomo è stremato dalla fame, tanto da essere «troppo debole per muoversi», egli ha diritto di implorare il suo nemico per salvarsi la vita; ma se prende anche un solo boccone di quel cibo — che è sacro secondo i precetti di tutti i tempi e di tutte nazioni — gli è vietato, in quell’occasione, alzare la mano contro il nemico. É toccata a un brigadiere generale dei volontari dell’esercito americano la vergogna di violare un uso che persino i depravati frati spagnoli avevano rispettato. E per questo lo abbiamo promosso. Il nostro presidente, all’oscuro di tutto, stava per stringergli la mano quando il suo assassino gli sparò 16 . Il mondo stupito si è soffermato su questo triste episodio, se ne è preoccupato, ne ha discusso, ne è arrossito, ha detto che era un marchio di vergogna sulla nostra razza. Ebbene, per quanto cattivo, egli non aveva supplicato del cibo dal presidente per rinforzare le sue deboli membra per compiere il suo perfido lavoro; non si è scagliato contro la vita del benefattore che gli aveva appena salvato la sua. 14 aprile. Sono stato assente per alcune settimane nelle Indie Occidentali, e ora vorrei riprendere la mia “difesa”. Mi sembra che l’apprezzamento del generale Funston per quella cattura necessiti di qualche revisione. Mi sembra che nei suoi discorsi dopo cena, in occasione di banchetti, egli la ammanti di eroismo con mano forse troppo generosa — e lo dico con deferenza e pronto a essere corretto. Il generale è un uomo coraggioso; lo ammetterebbe sinceramente anche il suo peggior 16
William McKinley (1843-1901) venticinquesimo presidente degli Stati Uniti, fu ucciso in un attentato da Leon Czolgosz.
nemico, ma per il suo bene è un peccato che il coraggio non gli sia servito nell’episodio in questione. Che fosse in grado di esprimerlo non ne abbiamo alcun dubbio; ma per sua stessa ammissione l’unico pericolo che ha corso in occasione della cattura è stato quello di morire di fame. Lui e il suo gruppo erano ben travestiti, con divise disonorate, americane e dei ribelli; erano in sovrannumero rispetto alle guardie di Aguinaldo; con le sue menzogne e falsificazioni aveva sopito ogni sospetto; il suo arrivo era atteso, la strada spianata; il suo cammino era passato attraverso luoghi disabitati, e non vi era il pericolo di agguati nemici; il suo gruppo era ben armato; avrebbero preso la loro preda mentre sorrideva nell’accoglierli e con le mani tese per stringersi amichevolmente — niente lo costringeva a sparare a questa gente. Invece è quello che ha fatto. Ha ripagato l’ospitalità in modo assolutamente nuovo, aggiornato alla moda della moderna civiltà: sarebbe stato ammirato da molti. «Il portavoce infinocchiò così bene Aguinaldo, che neppure sospettò dell’inganno. Nel frattempo i macabebe, guidati dallo spagnolo, circondarono il luogo scegliendo le posizioni migliori, finché non furono tutti pronti. A quel punto lui gridò: “Macabebe, tocca a voi!” e loro scaricarono i fucili sulle guardie del corpo di Aguinaldo...» La completa riuscita della sorpresa, la totale assenza di sospetti garantita da menzogne e falsificazioni è resa ancora più evidente dai divertenti racconti di Funston sull’episodio in uno dei suoi travolgenti discorsi: proprio quello che lui pensava che il presidente avesse detto di volere vedere ripubblicato; anche se poi si è scoperto che era solo un sogno. Il sogno di un giornalista. Il generale disse: «I macabebe spararono a quegli uomini e due caddero morti; gli altri si ritirarono, sparando mentre correvano e dovrei dire che fuggivano con tanta velocità ed entusiasmo che buttarono diciotto fucili e mille cartucce». «Sigismondo corse in casa, puntò il revolver sugli ufficiali ribelli e intimò loro di arrendersi. Tutti alzarono le mani a eccezione di Villia, capo di stato maggiore di Aguinaldo; aveva una di quelle nuove pistole Mauser e voleva provarla. Ma prima ancora di estrarla dalla fondina fu colpito due volte; Sigismondo era un buon tiratore.» «Alambra fu colpito in faccia. Saltò fuori dalla finestra. Ma la casa era proprio sulla riva di un fiume; si buttò giù dalla finestra e cadde dritto nel fiume, che scorreva profondo venticinque piedi sotto la riva. Scappò, lo attraversò a nuoto e sparì, per arrendersi cinque mesi più tardi.» «Villia, colpito alla spalla, lo seguì fuori dalla finestra e nel fiume, ma i macabebe lo videro, corsero giù alla riva del fiume, lo guadarono e lo ripescarono. Lo presero a calci per tutta la strada lungo l’argine, chiedendogli se gli piacesse.» (risate) È vero che i nostri temerari quella volta non corsero alcun rischio; ma è altrettanto vero che precedentemente si trovarono in terribile pericolo; rischiando una morte così orrenda che una fine rapida — colpiti da una pallottola, da un’ascia, da una spada, impiccati, affogati, o bruciati — sarebbe stato un atto di gentile pietà se paragonato a
quella; una morte così orrenda che tra le umane agonie occupa il posto supremo, senza alcun confronto: la morte per fame. Aguinaldo li aveva infatti salvati da quella fine. Dunque, i fatti sono questi, arriviamo al punto: Funston è da condannare? Credo di no. E perciò penso sia stato fatto anche troppo chiasso su questa vicenda. Funston non è responsabile della sua natura, ci è nato. É Lei che ha scelto i suoi ideali, non li ha scelti lui. È Lei che ha scelto il tipo di compagnia che voleva, il tipo di amici che preferiva, e glieli ha imposti, rifiutando gli altri; lui non poteva farci nulla; è Lei che ammirava tutto ciò che Washington non ammirava, e che ha benevolmente accolto e viziato ogni cosa che Washington avrebbe cacciato fuori dalla porta. Ma Lei, e Lei sola, è da condannare, non Funston; la sua natura si è nutrita con naturalezza di scarti morali, così come Washington scelse l’oro morale, ma solo Lei è da biasimare, non Funston. Il suo senso morale, se mai ne avesse avuto uno, era daltonico, ma questa non è colpa di Funston, e lui non può farsi carico dei risultati. Lei aveva una predilezione innata per comportamenti disgustosi, e sarebbe veramente sleale rimproverare Funston per gli effetti di questa mancanza, così come sarebbe ingiusto rimproverarlo perché la sua coscienza gli scivolò fuori da qualche poro quando ancora era un bambino — cosa che non aveva potuto evitare e non avrebbe comunque evitato in ogni caso; Lei è stata capace di dire a un nemico: «Abbi pietà di me, sto morendo di fame; sono troppo debole per muovermi, dammi del cibo; io sono tuo amico, sono un tuo compagno patriota e sto lottando per la libertà della nostra amata patria, come te — abbi pietà di me, dammi del cibo, salvami la vita, non ce la faccio più!»; e Lei è stata capace di sfamare e rinvigorire la Sua marionetta con del cibo, per poi sparare a chi glielo aveva dato mentre la sua mano era ancora tesa in segno di benvenuto: proprio come quella del presidente. E se responsabilità c’era, e colpa, e slealtà, e viltà, non erano di Funston, ma di Lei sola; Lei ha il nobile dono dell’umorismo e può far quasi morire dalle risate i commensali se ha un buffo episodio da raccontare; e questo può far rileggerlo ancora e ancora e ancora: «I macabebe spararono a quegli uomini e due caddero morti; gli altri si ritirarono, sparando mentre correvano e dovrei dire che fuggivano con tanta velocità ed entusiasmo che buttarono diciotto fucili e mille cartucce». «Sigismondo corse in casa, puntò il revolver sugli ufficiali ribelli e intimò loro di arrendersi. Tutti alzarono le mani a eccezione di Villia, capo di stato maggiore di Aguinaldo; aveva una di quelle nuove pistole Mauser e voleva provarla. Ma prima ancora di estrarla dalla fondina fu colpito due volte; Sigismondo era un buon tiratore.» «Alambra fu colpito in faccia. Saltò fuori dalla finestra. Ma la casa era proprio sulla riva di un fiume; si buttò giù dalla finestra e cadde dritto nel fiume, che scorreva profondo venticinque piedi sotto la riva. Scappò, lo attraversò a nuoto e sparì, per arrendersi cinque mesi più tardi.» «Villia, colpito alla spalla, lo seguì fuori dalla finestra e nel fiume, ma i macabebe lo videro, corsero giù alla riva del fiume, lo guadarono e lo ripescarono. Lo presero a calci per tutta la strada lungo l’argine, chiedendogli se gli piacesse.» (risate)
Ma è solo la sua Natura che sta parlando, non Funston. Con giubilo giovanile Lei può vedere affogare le semplici creature che avevano risposto alle sue flebili suppliche per del cibo, e senza rimorso può fissare lo sguardo di rimprovero nei loro occhi spenti; ma per amore di verità dobbiamo ricordare che questa è solo Lei, e non Funston; per procura, nella persona del suo servo dalla nascita, Lei può fare i suoi giochetti, e praticare le sue ingratitudini e i suoi sorprendenti inganni, indossando la divisa dei soldati americani e marciando sotto l’autorità della bandiera americana. Ed è Lei — non Funston — che ora torna in patria per insegnare a noi bambini che cos’è il patriottismo! Certo, Lei dovrebbe saperlo. É chiaro per me e penso che debba essere chiaro per tutti che Funston non ha alcuna colpa per ciò che ha fatto, fa, pensa e dice. Ora, dunque, abbiamo Funston; è successo, ce ne dobbiamo occupare. La domanda è: che ne facciamo? Come affronteremo l’emergenza? Abbiamo visto cosa è successo nel caso di Washington: è diventato un esempio grandioso, un esempio per il mondo intero e per ogni epoca — perché il suo nome e le sue gesta sono conosciute ovunque e hanno ispirato e ancora adesso ispirano e sempre ispireranno ammirazione e inciteranno all’emulazione. Allora, ciò che il mondo deve fare è rovesciare la facciata dorata della cattiva fama di Funston ed esporre alla gioventù della nostra terra la facciata posteriore, che è il lato corretto, quello malvagio. Altrimenti diventerà un esempio e un modello per i ragazzi, e dolorosamente e grottescamente porterà il suo genere di patriottismo in competizione con quello di Washington. Un confronto, purtroppo, che è già iniziato. Qualcuno potrebbe non crederci, ma è assolutamente vero che ci sono già insegnanti e presidi di scuole pubbliche che portano Funston come un modello di eroe e di patriota nelle scuole. E se questa mania funstoniana dovesse continuare, il funstonismo finirebbe con infettare l’intero esercito. E in effetti è già successo. In tutti gli eserciti ci sono ufficiali poveri di cervello e poveri di principi, e questi sono sempre pronti a imitare metodi che abbiano successo nell’acquisire fama, che siano buoni o cattivi. Il fatto che Funston abbia raggiunto la celebrità, paralizzando l’universo con un’idea innovativa e orribile, è sufficiente per questo genere di persone, e lo chiamerebbero in aiuto, se potessero, e lo farebbero ancora meglio se ne avessero l’occasione. L’esempio di Funston ha allevato molti epigoni e altri orribili fatti si sono aggiunti alla nostra storia: la tortura dei filippini attraverso la tremenda «cura dell’acqua» 17 , per esempio, per farli confessare — cosa? La verità? O delle bugie? Come si può capire cos’è che stanno raccontando? Un uomo sottoposto a un dolore insopportabile confessa qualsiasi cosa gli venga chiesta, vera o falsa, e la sua confessione è inutile. Eppure, sulla base di queste testimonianze — e voi siete al corrente di queste atrocità che il ministero della Guerra ha nascosto per un anno o due, e dell’ordine di massacro 17
Water-cure, tortura che consiste nel forzare il prigioniero a inghiottire una grande quantità di acqua in brevissimo tempo. Dopodiché il prigioniero viene colpito sullo stomaco per costringerlo a vomitare, così da riprendere la tortura. Lo stesso generale Funston fu accusato di aver praticato la water-cure su centosessanta nativi nelle Filippine, causando la morte di ventisei uomini.
del generale Smith, ormai noto in tutto il mondo — ufficiali americani hanno così riassunto dalla stampa, dalla testimonianza del maggiore Waller: «Uccidi e brucia, non è il momento di fare prigionieri, più ne uccidi e ne bruci meglio è — uccidi tutti quelli sopra i dieci anni, fai di Samar una landa desolata!» 18 . Ecco ciò che in così poco tempo ha prodotto l’esempio di Funston, addirittura prima di aver fornito l’esempio. Ha fatto progredire la nostra civiltà tanto quanto l’Europa l’ha fatta progredire in Cina. E non c’è dubbio che è stato l’esempio di Funston a far sì che noi (e l’Inghilterra) copiassimo l’orrore reconcentrado di Weyler 19 dopo che, con un sorrisetto compiaciuto da catechismo domenicale e i nostri bei nasini rivolti all’insù, l’avevamo chiamato «demonio». É lo spaventoso terremoto a Krakatoa, che ha distrutto l’isola e ucciso più di due milioni di persone... no, quello non è stato per colpa di Funston; ora che ci penso, non era neppure nato. E comunque, per tutte queste cose io condanno solo la sua Natura, non lui. In conclusione l’ho difeso meglio che ho potuto, e devo dire che è stato abbastanza semplice; penso di aver rimosso qualsiasi pregiudizio su di lui e di averlo riabilitato nella pubblica stima e rispetto, credo. Non ho potuto fare nulla per la sua Natura, essendo Lei al di fuori dalla mia giurisdizione, come da quella di Funston e di chiunque altro. Come credo di avere dimostrato Funston non è da biasimare per le sue terribili azioni; e se ci provassi potrei anche dimostrare che non è da condannare per il fatto che ancora teniamo in catene l’uomo che ha catturato con mezzi illeciti, che non avremmo maggior diritto di tenere come prigioniero di quanto non ne avremmo di tenere del denaro rubato. Egli ha diritto alla sua libertà. Se lui fosse un re di una grande nazione o un ex presidente della nostra repubblica, anziché essere l’ex presidente di una repubblica piccola e abolita, la Civiltà (con la C maiuscola) criticherebbe e protesterebbe finché non fosse liberato. P.S.
16 aprile: questa mattina il presidente farà un discorso alla nazione, proprio mentre questo articolo va in stampa, e non c’è alcuna incertezza riguardo al tono. E il discorso e lo spirito del presidente di un popolo, non di un partito, e piace a tutti noi, Traditori e non. Credo di poter parlare per gli altri Traditori, perché sono sicuro che al riguardo la pensino come me. Spiegherò che prendiamo il nostro titolo dai Patrioti Funstoniani, gratuitamente. Ci fanno sempre piccole cortesie come questa; sono degli adulatori nati questi ragazzi.
18
Questi sono gli ordini del generale Jacob Smith, ordini eseguiti dal maggiore dei marines L.T. Waller. Entrambi furono sottoposti a corte marziale ed estromessi dall’esercito. 19 Valeriano Weyler (1838-1930), militare spagnolo. Twain si riferisce alla “fama” di Weyler guadagnata a Cuba e durante la guerra con i Boeri. Weyler dette infatti vita a tremendi campi di concentramento, che furono da modello per i successivi campi nazisti e comunisti.
A PROPOSITO DI PATRIOTTISMO
Siamo d’accordo, in questo paese, che se un uomo può scegliersi la religione in modo da soddisfare pienamente la propria coscienza, non spetta poi a lui preoccuparsi se la sua scelta vada bene agli altri oppure no. Questo non accade in Austria e in molti altri paesi. Lì è lo Stato a decidere la religione di un uomo, e l’individuo non ha alcuna voce in capitolo. Il patriottismo non è che una religione: amore per il paese, adorazione per il paese, devozione alla bandiera e onore e prosperità. Nelle monarchie assolute viene consegnato, belle pronto, dal trono al suddito; in Inghilterra e in America viene consegnato — ben confezionato — dal giornale e dal politico. Questo patriota confezionato dal giornale e dal politico, ha spesso, in privato, frequenti conati di vomito quando gli tocca ingoiare la medicina, ma la prende e se la tiene sullo stomaco meglio che può. Beati i mansueti. A volte, all’inizio di un folle, malandato stravolgimento politico, egli è fortemente spinto a ribellarsi, ma non lo fa — non è certo scemo. Sa bene che il suo creatore lo scoprirebbe, o meglio: lo scoprirebbe il creatore del suo patriottismo; quel logorroico e incoerente vicedirettore da sei dollari del giornale del suo paese raglierebbe dalla carta stampata chiamandolo «traditore». E sarebbe terribile. La coda gli si infilerebbe tra le gambe, tremerebbe tutto. Sappiamo tutti — e il lettore lo sa bene — che in Inghilterra e in America, due o tre anni fa, nove decimi delle code degli uomini fecero proprio questo. Vale a dire che nove decimi dei patrioti inglesi e americani diventarono traditori per non venire chiamati traditori. Non è forse vero? Sapete che è vero. E non è strano? Eppure non era una cosa di cui vergognarsi davvero. Raramente — molto, molto raramente — un uomo riesce a combattere e vincere contro tutto ciò che gli è stato insegnato; è una scommessa impari. Per molti anni, e forse da sempre, la formazione di queste due nazioni è stata fermamente in contrasto con la crescita di un pensiero politico indipendente, e ostinatamente inospitale nei confronti di un patriottismo plasmato da sé, fatto in casa propria, frutto di un ragionamento del tutto autonomo, saggiato, comprovato e verificato davanti alla propria coscienza. Il risultato: un patriottismo logoro e di seconda mano. Al patriota non era dato sapere né come né quando né da dove provenivano le sue opinioni, e neanche gliene importava finché restava dalla parte di quella che sembrava la maggioranza, che è la cosa che conta davvero, la cosa sicura, la cosa comoda. Per caso il lettore conosce tre persone che hanno vere ragioni per giustificare il proprio patriottismo, e che siano in grado di esporle? Meglio che non indaghi, se non vuole rimanerci male. Molto probabilmente scoprirà che i suoi tre uomini hanno sviluppato il loro patriottismo attingendo dall’abbeveratoio pubblico, senza
partecipare in alcun modo alla sua formazione. L’ammaestramento fa cose meravigliose. Ha spinto la gente di questo paese a opporsi alla guerra in Messico; poi l’ha spinta ad adeguarsi a quella che riteneva essere l’opinione della maggioranza — il patriottismo della maggioranza è il patriottismo tradizionale — e quindi ad andare laggiù e combattere. Prima della guerra civile ha reso il Nord indifferente nei confronti della schiavitù e ben disposto nei confronti degli interessi schiavistici; in nome di quell’interesse ha reso il Massachusetts ostile alla bandiera americana, tanto che quello Stato non aveva piacere che venisse issata sul palazzo del governo — poiché ai suoi occhi si trattava di una bandiera di parte. E poi, a poco a poco, il Massachusetts è stato addestrato a spostarsi dall’altra parte, tanto che il suo esercito andò a imperversare al Sud per combattere proprio sotto quella bandiera e contro quello stesso interesse che prima difendeva. Non c’è nulla che l’addestramento non possa fare. Nulla è al di sopra o al di sotto della sua portata. Può trasformare i cattivi princìpi in buoni, e i buoni in cattivi; può annientare ogni principio, e poi ricrearlo; può abbassare gli angeli al livello dell’uomo ed elevare gli uomini ad angeli. E può realizzare uno qualunque di questi miracoli in un solo anno, e anche in sei mesi. Dunque gli uomini possono essere educati a forgiare da sé il proprio patriottismo. Possono essere educati a elaborarlo nella propria mente e nel proprio cuore e nella riservatezza e indipendenza delle proprie idee. E l’educazione può addestrarli a smettere dì subire il patriottismo a comando, come fa l’austriaco con la religione.
IL MIO EX-IMPIEGO DI SEGRETARIO DI UN SENATORE
Ora non sono più segretario di un senatore. Mantenni l’impiego due mesi in serenità e letizia d’animo, ma poi il pane che avevo gettato sopra le acque cominciò a ritornare... vale a dire, le mie parole tornarono e si rivelarono. E allora pensai che avrei fatto meglio a dare le dimissioni. Ecco come andò: Una mattina, piuttosto presto, il mio principale mi mandò a chiamare, e, non appena ebbi finito di inserire clandestinamente alcuni giochi di parole nel suo ultimo gran discorso sulle finanze, mi presentai al suo cospetto. C’era un non so che di minaccioso nella sua persona. Aveva la cravatta sciolta, i capelli arruffati, e il suo volto recava tutti i sintomi di una tempesta pronta a scoppiare. Stringeva nervosamente un pacco di lettere, e capii subito che la temuta posta del Pacifico era arrivata. Egli disse: «Vi credevo degno di fiducia». Io dissi: «Sissignore». Egli disse: «Vi avevo dato una lettera di certi miei elettori dello Stato del Nevada, i quali chiedevano che venisse aperto un ufficio postale al Ranch di Baldwin; e vi avevo detto di rispondere il più abilmente possibile, con gli argomenti giusti per convincerli che in quel luogo non c’era una vera necessità di un ufficio postale». Mi sentii un po’ più tranquillo. «Oh, se questo è tutto, Eccellenza, è proprio quello che ho fatto.» «Sì, l’avete fatto. Vi voglio leggere quello che avete risposto, a vostra umiliazione.» Washington, 24 novembre Signori Smith, Jones e altri. Signori, Cosa diamine credete di farci con un ufficio postale al Ranch di Baldwin? Non vi servirebbe proprio a niente. Se ci arrivasse qualche lettera, non sareste capaci di leggerla, lo sapete, e per di più, se dovessero transitare di lì delle lettere con dei quattrini dentro, dirette ad altre località, non ce la farebbero a passare, lo capite da soli; e questo ci metterebbe nei guai tutti quanti. No, non vi date pensiero per un ufficio postale nel vostro accampamento. A me stanno molto a cuore i vostri interessi, e sento che non si tratterebbe che di una follia ornamentale. Quello che vi ci vuole è una bella prigione, sapete, una bella prigione solida e una scuola elementare. Queste sarebbero per voi benefici permanenti. Queste vi farebbero veramente felici e contenti. Mi occuperò subito della cosa. Vostro ecc. Mark Twain (per James W. N., Senatore degli Stati Uniti).
«Ecco come avete risposto a quelle lettere. Questa gente dice che m’impiccherà, se rimetterò piede nel loro distretto; e sono convintissimo che lo faranno.» «Be’, signore, non credevo di far nulla di male. Volevo soltanto persuaderli.» «Ah! sì, li avete persuasi. Non ne dubito affatto. Ora, ecco un altro campione. Vi avevo dato una petizione di certi signori del Nevada che mi pregavano di ottenere, per mezzo del Congresso, un decreto che incorporasse allo Stato del Nevada la chiesa metodista episcopale. Vi avevo detto di rispondere che la creazione di una legge del genere era più propriamente di competenza della Legislatura di Stato, e di cercare di dimostrare loro che, dato l’attuale debole sentimento religioso della nuova Repubblica, l’opportunità di incorporarvi la chiesa era discutibile. E voi, che cosa avete scritto?» Washington, 24 novembre Rev. John Halifax e altri. Signori, Andate alla Legislatura di Stato per questa vostra speculazione... il Congresso, di religione, non ne sa niente. Ma non abbiate fretta di andare neanche là, perché quello che vi proponete di fare costaggiù, in quel paese nuovo, non è opportuno... anzi, è ridicolo. I vostri religiosi, da voi, sono troppo deboli... in fatto d’intelletto, di morale, di devozione... deboli in ogni cosa e deboli parecchio, anche. Fareste meglio a lasciar perdere... La cosa non funziona. Non ce la farete a emettere azioni con una corporazione simile... e se ci riuscite servirà solo a cacciarvi nei guai. Le altre ditte la boicotterebbero e speculerebbero al ribasso, la svenderebbero e la farebbero fallire. Farebbero con la vostra società esattamente quello che farebbero con una delle vostre miniere d’argento... cercherebbero di far credere a tutti quanti che è una speculazione sbagliata. Non dovreste commettere azioni che possano portare discredito a una cosa sacra. Vi dovreste vergognare, ecco ciò che penso. Chiudete la vostra petizione con le parole: «E pregheremo sempre». Credo che fareste bene. Ne avete bisogno. Vostro aff.mo ecc.
Mark Twain (per James W. N., Senatore degli Stati Uniti).
«Questa luminosa epistola mi sistema definitivamente con il mio elettorato religioso. Ma affinché il mio assassinio politico fosse certo, non so quale malvagio istinto mi istigò a porgervi questo memoriale dell’austero consesso di autorità che compone il Consiglio Comunale della città di San Francisco, perché vi ci esercitaste un po’ la mano; un memoriale in cui si prega di far sancìre da un decreto del Congresso il diritto della città sui bacini idrici antistanti la città stessa. Vi avevo detto che era una questione delicata. Vi avevo detto di scrivere agli assessori una lettera non impegnativa, una lettera ambigua... una lettera che evitasse, per quanto possibile, di prendere in vera considerazione e di discutere la questione dei bacini. Se ancora vi
resta un qualche sentimento... un po’ di pudore... di sicuro questa lettera da voi scritta in ottemperanza a quell’ordine non potrà mancare di evocarlo, allorché le parole qui contenute andranno a colpire il vostro orecchio:
Washington, 27 novembre Onorevole Giunta Comunale. Signori, George Washington, il venerato Padre della Patria, è morto. La sua lunga e brillante carriera si è chiusa, ahimè! per sempre. Era rispettato in questa parte del paese, e la sua prematura scomparsa ha steso un’ombra su tutta la comunità. È morto il 14 dicembre 1799. É spirato serenamente, abbandonando la scena dei suoi onori e delle sue grandi gesta, l’eroe più compianto e più amato che mai la terra abbia ceduto alla Morte. In un momento come questo, voi parlate di bacini idrici! Qual fato non fu il suo! Cos’è mai la fama! La fama è un caso. Sir Isaac Newton scoprì una mela che cadeva a terra (scoperta insignificante, per la verità, e che milioni di uomini avevano fatto prima di lui), ma i suoi genitori erano persone influenti, e così gonfiarono quella piccolezza fino a farne qualcosa di spettacolare, e, ecco qua!, il mondo sempliciotto prese l’imbeccata e in un batter d’occhio quell’uomo diventò famoso. Fate tesoro di questi pensieri. Poesia, dolce poesia, chi potrà mai calcolare ciò che il mondo ti deve! Mary aveva un agnellino, tutto bianco e ricciolino, e dovunque Mary andava la seguiva l’agnellino. Ambaraba ciccì cocòo, tre civette sul comò che facevano l’amore con la figlia del dottore. Il dottore si ammalò, ambaraba ciccì coccò. Per la loro semplicità, per l’eleganza della dizione e per l’assenza di tendenze immorali, considero questi due poemi due veri gioielli. Si adattano a qualsiasi grado d’intelligenza, a qualsiasi sfera sociale... alla vita militare, alla stanza dei giochi, alla sala del Consiglio. Soprattutto le Giunte Comunali non dovrebbero mai esserne prive. Venerabili fossili! Scrivete ancora. Nulla migliora l’uomo quanto l’amichevole corrispondenza. Scrivete ancora... e se in quel vostro memoriale c’è qualcosa che si riferisca a qualcosa in particolare, non siate riluttanti a spiegarlo. Saremo sempre felici di sentirvi cinguettare. Vostro aff.mo ecc. Mark Twain (per James W. N., Senatore degli Stati Uniti).
«Questa è un’epistola atroce, terribile! Dannazione!» «Eh... signore, mi rincresce moltissimo se c’è qualcosa di sbagliato, ma... ma mi pare di avere schivato la questione dei bacini idrici.» «Schivato un corno! Ma non fa nulla. Visto che si deve andare in rovina, che la
rovina sia completa. Sia completa, e la vostra ultima esecuzione che sto per leggervi ne sia Fatto definitivo. Sono un uomo distrutto. Eppure ho avuto i miei dubbi quando vi ho dato la lettera da Humboldt in cui si chiedeva che la carrozzabile fra Indian Gulch e Shakespeare Gap e punti intermedi venisse in parte deviata verso la vecchia mulattiera dei Mormoni. Ma ve l’avevo detto che era una questione delicata, e vi avevo avvertito di destreggiarvi... di rispondere in modo dubbio e di lasciarli un po’ all’oscuro. E la vostra fatale imbecillità vi ha spinto a inviare questa disastrosa risposta. Dovreste tapparvi gli orecchi, se non foste sordo a ogni sentimento di vergogna.
Washington, 30 novembre Signori Perkins, Wagner e altri. Signori, la questione di quella mulattiera indiana è una questione delicata, ma, trattata con la debita destrezza e ambiguità, non dubito che riusciremo in un certo qual modo o altrimenti, perché il punto dove la strada lascia la Prateria di Lassen, laggiù in fondo dove quei due capi shawnee, Vendetta-Sbrindellata e Mordi-le-Nuvole, furono scotennati l’inverno scorso, essendo questa la direzione favorita di alcuni, ma altri preferendo qualche altra cosa per naturale conseguenza, e la mulattiera dei Mormoni partendo da Mosby alle tre del mattino e passando per il Piano della Mandibola fino a Blucher e poi giù costeggiando il Manico della Brocca, la strada che gli passa a destra e naturalmente lo lascia anche a destra e Dawson a sinistra della mulattiera, dove questa passa a sinistra del detto Dawson e da lì prosegue verso Tomahawk, in tal modo rendendo il cammino più a buon mercato e più facile l’accesso a tutti coloro che ce la fanno ad arrivarci, e comprendendo tutti gli scopi desiderabili da altri e, perciò, mettendo il massimo bene a portata del massimo numero, e, di conseguenza, mi sento incoraggiato a sperare che ce la faremo. Pur tuttavia sarò pronto e felice di procurarvi ulteriori schiarimenti in proposito, di tanto in tanto, via via che lo desiderate e che il Ministero delle Poste e Telegrafi sarà in grado di fornirmi. Vostro aff.mo ecc
Mark Twain (per James W. N., Senatore degli Stati Uniti).
«Ecco. E dunque, che ve ne pare?» «Be’, non saprei, Eccellenza. È... insomma, mi sembra abbastanza dubbia.» «Dub... Esci da questa casa! Sono rovinato. Quei selvaggi di Humboldt non mi perdoneranno mai di avergli confuso le idee con questa lettera disumana. Ho perduto la stima della Chiesa Metodista, della Giunta Comunale...» «Be’, quanto a questo non posso dir niente, perché può anche darsi che in questo caso io non sia stato proprio all’altezza... ma con quella gente del Ranch di Baldwin sì che sono stato bravo, generale!»
«Lasciate questa casa! Lasciatela per sempre e in perpetuo, anche.» Interpretai queste parole come una specie di discreta allusione al fatto che si poteva fare a meno dei miei servigi, e così presentai le mie dimissioni. Non farò mai più da segretario privato a un senatore. Non si riesce a contentare certe persone. Non capiscono niente. Non sono capaci di apprezzare gli sforzi della gente.
FORTUNA
Nota: Questo non è un racconto di fantasia. Me l’ha riferito un sacerdote che era istruttore a Woolwich una quarantina di anni fa. E che si è fatto garante della veridicità di questa storia. M.T.
Accadde a Londra, in occasione di un banchetto in onore di uno di quei due o tre nomi di militari illustri di questa generazione. Per ragioni che al momento mi sfuggono mi tratterrò dal rivelare il suo nome e i suoi titoli, e lo chiamerò Generale Lord Arthur Scoresby, V.C., K.C.B., etc. etc. Quanto fascino si cela in un nome di fama! Dunque, l’uomo sedeva là, in carne e ossa, l’uomo del quale avevo sentito parlare così tante volte da quel giorno di trent’anni fa, quando il suo nome colpì improvvisamente lo zenith di un campo di battaglia in Crimea, per rimanere eternamente celebrato. Era lì che mangiava e beveva, e io che guardavo, guardavo, guardavo quel semidio. Esaminavo, cercavo... ma niente, la tranquillità, la riservatezza, la nobile gravità dell’espressione, la semplice onestà che si esprimeva piena su di lui, la dolce incoscienza dell’inconsapevole grandezza di centinaia di occhi estasiati che lo fissavano; inconsapevolezza del profondo, amorevole, sincero culto che zampillava dal petto di quelle persone e scorreva su di lui. Il sacerdote a sinistra era una mia vecchia conoscenza — oggi sacerdote, ma che aveva trascorso la prima metà della sua vita come istruttore nella scuola militare di Woolwich. Proprio nel momento in cui stavo per parlare, una luce velata e singolare luccicò nei suoi occhi, si chinò e mormorò piano, rivolgendosi a me, indicando l’eroe del banchetto: «Che rimanga tra noi — è un idiota assoluto». Questo verdetto fu una grande sorpresa. Se il soggetto fosse stato Napoleone o Socrate o Salomone il mio stupore non sarebbe stato maggiore. Di due cose sono certo: che il sacerdote era un uomo di rigorosa sincerità, e pure un buon conoscitore di uomini. E sapevo, oltre ogni dubbio e domanda, che il mondo intero si sbagliava a proposito del suo eroe: era davvero un idiota. Così ho cercato di scoprire come il reverendo, da solo e senza aiuti, era riuscito a carpirne il segreto. Alcuni giorni dopo mi si presentò subito l’occasione, e questo è ciò che il sacerdote mi disse:
«Circa quarantanni fa sono stato istruttore presso l’Accademia militare di Woolwich. Ero presente in una delle sezioni giudicanti quando il giovane Scoresby fece l’esame preliminare. Ne ebbi immediatamente pietà. Il resto della classe aveva risposto brillantemente e abbondantemente, mentre lui, povero me, non sapeva nulla, per così dire. Era certamente una brava persona, dolce, amabile e innocente; e fu
veramente doloroso vederlo lì, sereno come una statua a rilasciare risposte che erano autentici miracoli di stupidità e ignoranza. Destò tutta la mia compassione. Mi dissi che quando sarebbe stato nuovamente esaminato, gli avrei dato una mano; così, un semplice e innocuo atto di carità per alleviare la sua caduta per quanto mi fosse stato possibile. Lo presi in disparte e scoprii che sapeva un po’ di storia di Cesare; e visto che non sapeva nient’altro mi misi come un schiavo a lavorare su di lui su certe domande riguardo Cesare, che sapevo sarebbero state chieste. Credimi, quel giorno l’esame andò a meraviglia! Con quella sgobbata da poco passò prendendosi pure i complimenti, mentre gli altri, che sapevano mille volte meglio di lui, furono spennati. Per qualche genere di strano accidente — uno di quelli che non accadono due volte in un secolo — non gli fu chiesta nessuna cosa che oltrepassava i limiti angusti della sua preparazione. Fu stupefacente. Per tutto il corso l’osservai quasi con il sentimento che una madre prova per un figlio storpio. Ma si è sempre salvato per miracolo, a quanto pare. Ora, ovviamente, la cosa che l’avrebbe fatto scoprire e che l’avrebbe fatto cadere era l’esame di matematica. Così decisi di rendere la sua morte più dolce possibile. L’esercitai e lo feci sgobbare su quelle domande che gli esaminatori avrebbero probabilmente chiesto, per poi lanciarlo verso il suo destino. Ebbene, signore, provate a immaginare il risultato: per la mia costernazione, riuscì a prendere il primo premio! Fu un’ovazione di complimenti. Il sonno? Per me non esisteva più il sonno da almeno una settimana. La mia coscienza mi torturava giorno e notte. Ciò che avevo fatto, l’avevo fatto solo per carità, e solo per facilitare la caduta di quel poveretto; mai neppure sognai di un risultato così assurdo come invece capitò. Mi sentivo in colpa come il creatore di Frankestein! Stavo di fronte a una testa di legno che avevo brillantemente messo nella condizione di ottenere promozioni e prodigiose responsabilità! Non poteva che accadere una cosa sola: che lui e la sua responsabilità andassero in rovina alla prima occasione! La guerra di Crimea era appena scoppiata. Naturalmente doveva esserci una guerra, mi sono detto. Non potevamo stare in pace e dare a questo asino la possibilità di morire prima di essere scoperto. Aspettai il terremoto. E arrivò. E quando arrivò vacillai. Gli fu assegnato il grado di capitano in un reggimento di marcia! Meglio che gli uomini invecchino e incanutiscano in servizio prima di raggiungere vette tanto sublimi. E chi avrebbe mai potuto prevedere che sarebbero andati a mettere un tale carico di responsabilità su delle spalle così giovani e inadeguate? Avrei potuto sopportare che l’avessero fatto “cornetta”, ma capitano — pensate! Ho creduto che i miei capelli diventassero tutti bianchi! Pensa a ciò che ho fatto, io, che tanto amo il riposo e la tranquillità. Sentendomi responsabile di ciò, mi sono imposto di seguirlo per cercare di proteggere il paese, per quanto mi fosse stato possibile. Così ho preso il mio piccolo capitale, messo da parte in anni di lavoro e di risparmi, con un sospiro ho acquistato il grado di cornetta nel suo reggimento e poi via, siamo andati al campo.
E là — oh caro, è stato terribile. Errori? Non ha fatto altro che errori. Ma, vedete, nessuno aveva capito il personaggio, e ogni volta mal interpretavano le sue performance — e di conseguenza prendevano le sue gaffe idiote per le ispirazioni di un genio; e lo facevano onestamente! I suoi errori più innocui bastavano a far piangere un uomo sano di mente — e hanno fatto piangere e vaneggiare anche me. E la cosa che mi teneva sempre in apprensione era il fatto che ogni nuovo errore non faceva che aumentare il lustro della sua reputazione! E io continuavo a dire a me stesso: “arriverà così in alto che quando finalmente si scoprirà l’inganno, sarà come il sole che cade dal cielo”. Ed egli tirò avanti, di grado in grado, sui cadaveri dei suoi superiori, fino alla fine, fino al momento più caldo della battaglia... fino alla morte del nostro colonnello, e il cuore mi balzò in bocca, perché Scoresby era l’ufficiale rimasto più alto in grado! Allora, pensai, arriveremo tutti a Sheol 20 in dieci minuti, sicuro! La battaglia fu terribilmente dura, gli alleati stavano costantemente cedendo il proprio settore. Il nostro reggimento occupava una posizione di vitale importanza, un errore adesso poteva significare la distruzione. In un momento cruciale come quello, che cosa non poteva fare quell’immortale idiota se non staccare il reggimento dal proprio posto per comandare una carica su una collina vicina, dove non c’era traccia di un nemico? “Va bene” mi dissi, “almeno la finiamo”. E allora siamo andati, ed eravamo già oltre il crinale della collina prima che la folle manovra fosse scoperta e intercettata. E cosa abbiamo trovato? Un intero e inaspettato esercito di russi in riserva! E cosa è successo? Siamo stati mangiati? Che è ciò che sarebbe necessariamente successo in novantanove casi su cento. Ma no, quei russi erano convinti che non sarebbe arrivato neanche un reggimento a dare un’occhiata lì intorno in un momento del genere. E allora doveva essere l’intero esercito inglese, che aveva bloccato e individuato lo scaltro piano russo! Così ci rivolsero la coda e scapparono via, alla rinfusa, sopra la collina e giù nei campi, in modo selvaggio, e noi dietro; loro stessi ruppero il solido settore centrale del loro esercito, lo fecero a pezzi, e in poco tempo ci fu la resa più grande che abbiate mai visto, e la probabile sconfitta degli alleati fu trasformata in una vittoria assoluta, splendida! Il maresciallo Canrobert guardò stordito, con stupore, ammirazione e piacere, e dopo aver fatto chiamare Scoresby, lo abbracciò e lo decorò sul campo, in presenza di tutti gli eserciti! E quale fu l’errore di Scoresby quella volta? Semplicemente il confondere la mano destra con la sinistra, tutto qui. Il suo ordine era di ripiegare e sostenere il nostro fianco destro, ma lui invece riprese in avanti e girò sulla collina, a sinistra. E malgrado tutto il nome che vinse quel giorno ha riempito il mondo della sua gloria, come un genio militare meraviglioso e intramontabile, almeno finché esisteranno i libri di storia. 20
Sheol è il termine ebraico usato nell’Antico Testamento per indicare il regno dei morti.
Ancora oggi Scoresby è una persona altrettanto buona e dolce e amabile e senza pretese, come può esserlo un uomo che non sa bene se uscire quando piove. Ed è assolutamente vero: Scoresby è l’asino supremo dell’universo, e fino a mezz’ora fa non lo sapeva nessuno, tranne lui e me. Egli è stato perseguitato, giorno dopo giorno, anno dopo anno, dalla fortuna più fenomenale e sorprendente che sia mai esistita. In tutte le nostre guerre è stato un soldato brillante, e ha disseminato tutta la sua vita militare con errori, ma senza mai commetterne uno che gli ha impedito di essere un cavaliere o un baronetto o un signore o qualcosa del genere. Guardate il suo petto; è pieno di decorazioni nazionali e straniere. Ebbene, signore, ognuna di quelle decorazioni è la testimonianza di qualche urlante idiozia o altro, e nel loro insieme sono la prova che, in questo mondo, la cosa migliore che possa capitare a un uomo è nascere fortunato. Lo ribadisco, come ho già detto al banchetto, Scoresby è un idiota assoluto».
AVVISO ALLA GIOVENTÙ
Non appena mi fu detto che avrei dovuto parlare, mi misi a pensare a che tipo di discorso fare. Mi suggerirono di dire qualcosa adatto ai giovani — di didattico, istruttivo, insomma sul genere dei “buoni consigli”. Molto bene. Ho un po’ di cose in mente che ho sempre desiderato dire sul tema dei “consigli ai giovani”; poiché è proprio nella tenerezza dei primi anni che determinati principi mettono le radici migliori, e divengono più durature e preziose. ... E allora parlerò a voi, miei giovani amici — e sarà un discorso accorato, convincente. Obbedite sempre ai vostri genitori, quando sono presenti. Questa è la politica migliore sul lungo periodo, poiché se non lo farete, vi obbligheranno a farlo. La maggior parte dei genitori pensa di avere più giudizio di voi, e voi potete fare di più ironizzando su questa superstizione che non agendo seguendo il vostro miglior giudizio. Portate rispetto ai superiori, se ne avete, e agli stranieri, e a volte anche agli altri. Se una persona vi offende e non siete sicuri se l’offesa sia stata intenzionale o meno, non ricorrete a misure estreme; semplicemente, calcolate le vostre chance e tirategli un mattone. Sarà sufficiente. Se poi verrà fuori che quello non intendeva offendervi, fatevi avanti sinceramente e confessate di essere colpevole di averlo colpito. Riconoscetelo da uomo e ditegli che non intendevate farlo. Sì, evitate sempre la violenza. In quest’epoca di carità e gentilezza, è finito il tempo per certe cose. La dinamite lasciatela agli ignoranti e ai rozzi. Andate a letto presto e alzatevi presto — ecco, questo è saggio. Alcuni uomini autorevoli dicono di levarsi con il sole; altri dicono di alzarsi con una cosa, altri ancora con un’altra. Ma un’allodola è la cosa migliore con cui svegliarsi 21 . Dona una splendida reputazione con chiunque sappia che vi alzate con le allodole; e se riuscite a trovare l’allodola giusta, e ci lavorate un po’ su, potete facilmente insegnargli ad alzarsi verso le nove e mezzo, ogni volta — e non è uno scherzo. Ora passiamo alla questione delle bugie. Dovete stare molto attenti a mentire, altrimenti finirete senz’altro con l’essere sbugiardati. Una volta colti in fallo, non sarete mai più, agli occhi dei buoni e dei puri, le persone che eravate prima. Molti giovani sono rimasti feriti per sempre da un’unica, goffa e mal architettata bugia, risultato dell’incuria nata da un addestramento incompleto. Alcune autorità ritengono che i giovani non dovrebbero mai mentire. Questo, di certo, è metterla più dura del necessario; ma io non voglio spingermi così lontano, bensì mantenere — e credo di avere ragione — l’idea che il giovane debba essere temprato nell’uso della grande arte della menzogna fino a quando la pratica e 21
Get up with the lark: svegliarsi molto presto (con le allodole) al mattino.
l’esperienza non gli daranno la fiducia, l’eleganza e la precisione che sole possono rendere la sua riuscita graziosa e redditizia. Pazienza, diligenza, meticolosità e cura dei dettagli: questi sono i requisiti principali; questi, se insegnati in tempo, creeranno lo studente perfetto; su questi presupposti e solo su questi si può far affidamento come solida base per una distinzione futura. Pensa a quei tediosi anni di studio, di riflessione, pratica ed esperienza, finiti nell’equipaggiamento dell’impareggiabile vecchio maestro che è stato capace d’imporre sull’intero mondo l’elevata e altisonante massima per cui “la verità è potente e prevarrà” — che è la più maestosa frattura esposta della realtà che ogni nato da donna abbia mai conosciuto. Nella storia della nostra razza, e in quella dell’esperienza di ogni individuo, sono seminate dovunque le prove che una verità non è difficile da ammazzare e che una bugia detta bene è immortale. A Boston c’è un monumento all’uomo che ha scoperto l’anestesia; ma molte persone sono venute a conoscenza, proprio in questi ultimi giorni, che quell’uomo non ha scoperto un bel niente, ma che rubò la ricerca a un altro scienziato: è questa verità potente, o almeno abbastanza potente da prevalere? Ah, no, miei uditori, un monumento è fatto di materiale resistente, ma la menzogna che gli sta dietro gli sopravviverà per un milione di anni. Una bugia fiacca, debole, che fa acqua da tutte le parti è una cosa che richiederebbe studi incessanti per essere evitata; e una bugia di quel tipo, in ogni caso, non avrà una vita più lunga di una media verità. Una debole, assurda, ridicola menzogna non vivrà più di due anni — giusto il tempo di calunniare qualcuno. La menzogna è indistruttibile, certo, ma non per merito vostro. Un ultimo consiglio: iniziate prima che potete la pratica della menzogna, di questa graziosa e bella arte — iniziate subito. E ancora. Non maneggiate armi da fuoco con noncuranza. Quanto dolore e sofferenza sono stati causati attraverso l’uso innocente, ma sconsiderato, delle armi da fuoco da parte dei giovani! Solo quattro giorni fa, proprio nel casolare accanto a quello dove di solito trascorro l’estate, una vecchia nonna, grigia e dolce, uno degli spiriti più belli del paese, era seduta al suo tavolo da lavoro, quando il suo giovane nipote le si avvicinò furtivamente imbracciando un vecchio e malconcio fucile arrugginito inutilizzato da molti anni, e che credeva scarico. Lo prese e lo puntò verso di lei, ridendo e minacciando di fare fuoco. La donna, terrorizzata, corse urlando e invocando aiuto verso la porta dall’altra parte della stanza; ma come superò lo sciagurato nipote questo puntò la canna del fucile contro il suo petto e tirò il grilletto! Credeva che il fucile non fosse carico. E aveva ragione — non lo era. E nessuno si fece male. Ma questo è l’unico caso del genere che abbia mai sentito. E di certo non cambia le cose, perciò non ti immischiare con vecchie e scariche armi da fuoco, che sono gli oggetti più mortali e infallibili che siano mai stati creati dall’uomo. Non dovete preoccuparvene, non dovete avere alcuna curiosità sulle armi, non dovete neppure prendere la mira. Ci sono molti tipi di libri, ma quelli per ragazzi sono i migliori. Ricordatevelo bene. Sono un grande, inestimabile e indicibile strumento per migliorarsi. Quindi dovete fare attenzione nello sceglierli, miei giovani amici, dovete stare molto attenti; limitatevi esclusivamente ai sermoni di Robertson, al Saint’s Rest di Baxter, a The Innocents Abroad e opere di questo tipo.
Ora ho detto abbastanza. Spero facciate tesoro dei consigli che vi ho dato, che possiate farne una guida per i vostri passi e una luce per la vostra comprensione. Costruite il vostro carattere su questi precetti, premurosamente e coscienziosamente, e via via, quando l’avrete costruito, rimarrete sorpresi e gratificati nel vedere quanto amabilmente e aggressivamente assomiglia a quello di tutti gli altri.
OPINIONI DI GRANTURCO
Cinquanta anni fa, quando ero un ragazzo di quindici anni e contribuivo a popolare un piccolo villaggio del Missouri sulla riva del Mississippi, avevo un amico la cui compagnia mi era molto cara, poiché mia madre mi vietava di frequentarlo. Era un ragazzo nero, allegro, impudente, satirico e delizioso — uno schiavo — che teneva sermoni quotidiani da sopra la catasta di legna del suo padrone; e io ero tutto il suo pubblico. Egli imitava lo stile da tribuno dei numerosi sacerdoti del villaggio, e lo faceva bene, con una bella passione — con energia. Per me era una meraviglia. Lo credevo il più grande oratore degli Stati Uniti e immaginavo che un giorno tutti avrebbero parlato di lui. Ma questo non accadde mai. Nella distribuzione dei meriti, è stato trascurato. Succede così, in questo mondo. Interrompeva di tanto in tanto le sue prediche per segare un pezzetto di legno; ma era tutta una recita: non faceva che imitare perfettamente il suono che — strillando — fa una sega a telaio mentre trapassa il legno. Ma funzionava: impediva che il padrone uscisse per controllare come procedeva il lavoro. Io ascoltavo le sue prediche attraverso la finestra aperta di un ripostiglio situato sul retro della casa. Uno dei suoi testi era questo: «Dimmi dove un uomo prende il suo pane di granturco e ti dirò quali sono le sue opinioni». Non potrò mai dimenticarlo. Mi lasciò proprio il segno. Ma non Jerry, mia madre. E non nella mente, altrove. Era entrata furtivamente mentre ero assorto e non stavo controllando la finestra. L’idea del filosofo nero era che un uomo non è indipendente, e che non può permettersi di avere delle idee che potrebbero compromettere il modo in cui si guadagna il pane. Se vuole prosperare, deve seguire la maggioranza. Per questioni molto importanti, come la politica e la religione, deve pensare e sentire come la maggior parte dei suoi vicini, altrimenti subirà danni alla sua posizione sociale e ai guadagni negli affari. Deve limitarsi alle opinioni da pane di granturco — almeno, in superficie. Deve prendere le sue opinioni dagli altri, non deve ragionare da solo, non deve aver nessun punto di vista personale, diretto. Secondo me Jerry nel complesso aveva ragione, ma credo avrebbe potuto andare anche oltre. i. La sua idea era che un uomo segue l’opinione della maggioranza per calcolo e per intenzione. Questo accade, ma non credo sia la regola. ii. La sua idea era che esiste un’opinione personale, un’opinione originale, una opinione pensata, frutto del lucido ragionamento di un uomo grazie a un’analisi profonda dei fatti in questione, senza coinvolgere il cuore e con la camera di consiglio dei giurati indifferente a ogni influenza esterna. Può darsi che un’opinione del genere sia nata da qualche parte, in qualche momento, ma suppongo sia scappata prima che riuscissero ad acchiapparla e a imbalsamarla per infilarla in qualche museo.
Sono convinto che un verdetto lucidamente ponderato e indipendente riguardo alla moda nel vestirsi, al comportamento, alla letteratura, alla politica, alla religione o a qualsiasi altra questione venga proiettata nel nostro campo visivo o di interesse, sia una cosa rarissima, e mi chiedo se effettivamente sia mai esistita. Spunta una nuova moda nel vestire — la gonna a crinolina 22 , per esempio, e i passanti rimangono scioccati, si ride di gusto. Ma sei mesi dopo sono tutti d’accordo, la moda si è affermata, ora è ammirata e non ride più nessuno. Prima l’opinione pubblica non la sopportava, ora l’accetta e ne è pure contenta. Perché? Hanno messo in discussione l’intolleranza con la ragione? No. É stato quell’istinto che ci dirige verso il conformismo a operare. Conformarci è nella nostra natura. È una forza alla quale pochi riescono a resistere. E dove risiede? Nell’esigenza innata dell’approvazione di sé. Ci dobbiamo tutti inchinare, senza eccezioni. Perfino la donna che dall’inizio alla fine si rifiuta di indossare la gonna a crinolina è sottoposta a quella stessa legge, e ne è schiava. Non sarebbe capace di indossare la gonna e di avere la propria approvazione, eppure la deve avere, non può farne a meno. Di regola la nostra autostima ha la sua fonte in un unico posto — uno solo — e in nessun altro luogo: nell’approvazione degli altri. Una persona importante può introdurre qualsiasi novità nel vestire e il mondo intero la farà propria, spinto in primo luogo da quell’istinto naturale a cedere passivamente al cospetto di quella cosa che chiamiamo “autorità”, e in secondo luogo dall’istituto umano di accodarsi alla massa e avere la sua approvazione. La gonna a crinolina è stata introdotta da un’imperatrice, e conosciamo il risultato. Qualcuno che non era nessuno introdusse i mutandoni, e conosciamo il risultato. Se dovesse ritornare Eva, con la sua fama matura, e reintrodurre il suo stile bizzarro — beh, sappiamo che cosa accadrebbe. E saremmo davvero imbarazzati, almeno all’inizio. La gonna a crinolina fa il suo corso e sparisce. Nessuno ci riflette. Una donna abbandona la moda, la sua vicina la nota e ne segue l’esempio, questo influenza la donna successiva e così via di seguito, e dopo poco la gonna è sparita dal mondo, nessuno sa come o perché, e nemmeno importa a qualcuno — infatti. Ritornerà ancora, prima o poi, e con il tempo se ne andrà di nuovo. Venticinque anni fa, in Inghilterra, sei o otto bicchieri da vino stavano raggruppati vicino al piatto di ciascun invitato a cena, e venivano usati, non lasciati inutilizzati e vuoti. Oggigiorno ce ne sono solo tre o quattro nel gruppo, e l’invitato tipico usa con parsimonia solo due di questi. Noi non abbiamo ancora adottato questa nuova moda, ma lo faremo entro breve. Non ci metteremo a riflettere sulla questione, semplicemente ci conformeremo e finirà lì. Le nostre nozioni, le nostre abitudini, le nostre opinioni sono prese da forze esterne — non dobbiamo farne uno studio esauriente. I nostri modi a tavola, in compagnia e per strada cambiano di tanto in tanto, ma tali cambiamenti non sono ponderati. Semplicemente, ne prendiamo atto e ci adeguiamo. Noi siamo creati da influenze esterne, e come regola non pensiamo, ma imitiamo soltanto. Non siamo in grado di inventare norme che rimarranno; ciò che sbagliando consideriamo norme, 22
La crinolina era un accessorio di abbigliamento femminile utilizzato nel corso del xix secolo, consisteva in una sottogonna rigida che sosteneva e rendeva gonfie le gonne.
non sono altro che delle mode, e quindi deperibili. Possiamo continuare ad ammirarle, ma smettiamo di farne uso. Notiamo tutto ciò in letteratura. Shakespeare rappresenta una norma, e cinquanta anni fa scrivevamo delle tragedie che era impossibile distinguere da quelle di qualcun altro, ma ora non lo facciamo più. La qualità della nostra prosa, tre quarti di secolo fa, era elaborata e diffusa. Qualche autorità — senza sapere chi — l’ha cambiata nella direzione della compattezza e della semplicità, e a ciò è seguito un conformismo senza obiezioni. A un tratto nasce il romanzo storico, e si diffonde in tutto il paese. Tutti ne scrivono uno e la nazione ne è felice. In passato avevamo dei romanzi storici, ma nessuno li leggeva, e ognuno di noi si conformava — senza riflettere. Adesso ci stiamo conformando nel senso opposto. Le influenze esterne ci invadono sempre, e noi obbediamo ai loro ordini e accettiamo i loro verdetti. Agli Smith piace la nuova commedia, i Jones vanno a vederla ed essi imitano il verdetto degli Smith. I valori morali, le religioni e la politica ricevono i loro seguaci quasi esclusivamente da influenze e dall’ambiente circostante, non dallo studio, non dal pensare. Prima di tutto un uomo deve — e dovrà avere — la propria approvazione, e la deve avere in ogni momento e in ogni circostanza della sua vita, anche se poi deve pentirsi di un’azione un momento dopo averla compiuta, per poter riavere di nuovo la sua approvazione di sé. Ma parlando in generale, l’autostima di un uomo nelle grandi questioni della vita ha la sua fonte nell’approvazione delle persone che lo circondano, e non in un approfondito esame personale del problema. I maomettani sono maomettani perché sono nati e cresciuti fra quella setta, non perché ci hanno ragionato e possono fornire delle salde ragioni per essere maomettani; noi sappiamo perché i cattolici sono cattolici, perché i presbiteriani sono presbiteriani, perché i battisti sono battisti, perché i mormoni sono mormoni, perché i ladri sono ladri, perché i monarchici sono monarchici, perché i repubblicani sono repubblicani e i democratici sono democratici. Sappiamo che è una questione di associazione e di simpatia, non di ragionamento e di indagine; quasi nessun uomo al mondo ha acquisito un’opinione sulla moralità, sulla politica o sulla religione se non attraverso le sue compagnie e le sue simpatie. In generale, esistono soltanto opinioni da pane di granturco. E sempre in generale, il pane di granturco rappresenta autostima e approvazione di sé. Questa si ottiene dall’approvazione altrui. E il risultato è il conformismo. Qualche volta questo conformismo nasconde un sordido interesse commerciale — ciò che riguarda il modo in cui ci si guadagna il pane — ma non nella maggior parte dei casi, almeno credo. Penso che sia quasi sempre inconsapevole e non calcolato; che sia frutto del desiderio naturale dell’uomo di essere ben visto dai suoi compagni e di avere l’ispirazione che deriva dalla loro approvazione e dai loro elogi, un desiderio che di solito è talmente forte e insistente — a cui non si può resistere in modo efficace — che prende il sopravvento. Una crisi politica porta alla luce l’opinione di granturco in tutta la sua forza e nelle sue due principali varianti: la versione tascabile che ha la sua origine nell’interesse personale, e quella più grande, la versione sentimentale, che non può sopportare di essere inammissibile, non può accettare di essere guardata con disapprovazione, che non tollera la freddezza, che vuol fare bella figura con gli amici, che vuole essere approvata e accolta con riguardo, che vuole sentire le preziose parole: «Lei è sulla
strada giusta!», pronunciate forse da un asino, ma comunque da un asino di alto livello, un asino la cui opinione vale oro e diamanti per un asino più piccolo; e che conferisce gloria, onore e felicità oltre che appartenenza al branco. Per questi ornamenti molti uomini abbandoneranno per strada i loro princìpi di una vita, insieme alla loro coscienza. Lo abbiamo già visto accadere. Milioni di volte. Gli uomini credono di riflettere su grandi questioni della politica, e lo fanno. Ma pensano con il partito, non autonomamente. Leggono la sua letteratura ma non quella dell’altra sponda; arrivano alle loro convinzioni ma queste derivano da una visione parziale della questione in esame e non hanno nessun valore particolare. Essi sciamano insieme al partito, provano sentimenti insieme al partito, sono felici per l’approvazione del loro partito e laddove questo li porterà, loro lo seguiranno, sia attraverso qualcosa di giusto e onorevole, che passando attraverso sangue, sporco e una poltiglia di morali mutilate. Nel nostro ultimo sondaggio la metà della nazione credeva appassionatamente che la salvezza si trovasse nell’argento, mentre l’altra metà, con altrettanta passione, credeva invece che avrebbe portato alla distruzione. Credi che una decima parte della gente da qualsiasi delle due parti avesse una scusa razionale per motivare una qualsiasi opinione riguardo alla questione? Io ho studiato fino in fondo questo grande tema — e ne sono uscito a mani vuote. La metà della nostra gente crede appassionatamente nelle tariffe alte, l’altra metà la pensa diversamente. Questo significa studio ed esame, o solo sentimento? Solo quest’ultimo, credo. Ho studiato a fondo anche questa questione — senza esito. Non facciamo altro che sentire, e l’abbiamo confuso col pensare. E da tutto ciò non si ottiene che un aggregato che consideriamo una benedizione. Il suo nome è Opinione Pubblica. È considerata con riverenza. Risolve tutto. Alcuni credono che sia la Voce di Dio.