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L’emergenza infinita La decretazione d’urgenza in Italia A cura di Andrea Simoncini
eum
A Fabrizio
Isbn 88-6056-004-7 Prima edizione: xxxxxxxxx 2006 © 2006 eum edizioni università di macerata Vicolo Tornabuoni, 58 - 62100 Macerata
[email protected] http://ceum.unimc.it Realizzazione e distribuzione: Quodlibet società cooperativa Via S. Maria della Porta, 43 - 62100 Macerata www.quodlibet.it Stampa: Litografica Com, Capodarco di Fermo (AP)
Indice
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Introduzione di Ugo De Siervo
L’emergenza infinita 19
Andrea Simoncini
L’emergenza infinita. Tendenze recenti della decretazione d’urgenza in Italia e linee per una nuova riflessione
Lo scenario 55
Cesare Pinelli
Il decreto-legge e la teoria costituzionale: profili introduttivi 61
Giovanni Pitruzzella
Decreto-legge e forma di governo 71
Alfonso Celotto
Decreto-legge e attività del Governo (nella XIV Legislatura) 105
Roberto Romboli
Decreto-legge e giurisprudenza della Corte costituzionale
La prassi 137
Alessandra Concaro
Decreto-legge e nuovo Titolo V della Costituzione
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INDICE
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Laura Lorello
Introduzione
Decreto-legge e Comitato per la legislazione 171
Nicola Lupo
di Ugo De Siervo
Decreto-legge e manutenzione legislativa: i decreti-legge «milleproroghe» 209
Filippo Vari
Decreto-legge e gestione della politica estera militare 225
Giovanni Di Cosimo
Il parametro in quiescenza 243
Andrea Pugiotto
Una radicata patologia: i decreti-legge d’interpretazione autentica 267
Ana Maria Carmona Contreras
Il decreto-legge in Spagna tra Costituzione e prassi
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Postfazione di Enzo Cheli
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Appendice. Dati e statistiche sui decreti-legge A cura di Andrea Betto e Erik Longo
Le brevi osservazioni introduttive che propongo non avranno ad oggetto la giurisprudenza costituzionale sul decreto-legge, argomento a cui sono dedicati molti dei contributi di questo volume. Come giudice della Corte costituzionale, non posso né pronunciarmi su questioni attualmente sottoposte a giudizio della Corte, né esprimere opinioni su vicende che verosimilmente potrebbero diventare oggetto di futuri giudizi di costituzionalità. Vorrei invece soffermarmi, seppur solo per veloci accenni, su un tema che mi è molto caro per gli studi che ho condotto prima di entrare alla Corte, quando potevo coordinare gruppi di ricerca sul sistema delle fonti normative: il tema del ruolo effettivo del decreto-legge nell’attuale sistema delle fonti. Vorrei quindi suggerire qualche approccio al tema che potrebbe contribuire ad inquadrare i significativi contributi di questo volume1. In primo luogo, mi pare che sia da condividere il titolo scelto: l’emergenza infinita. I dati messi in evidenza dagli studi qui pubblicati ci dicono che ormai si è stabilizzata una media di circa quattro decreti-legge al mese e questo numero, rispetto agli eccessi dei tempi passati, potrebbe far ritenere il fenomeno ormai sotto controllo e quasi trascurabile. A ben riflettere, tuttavia, quattro decreti al mese sono circa uno a settimana, quasi cinquanta all’anno. Se poi si considera il contenuto normativo dei decreti-legge e delle relative leggi di conversione, ci si può agevolmente render conto che una parte molto significativa della ordinaria legislazione viene ormai adottata tramite la decretazione d’urgenza. 1 Alcuni dei contributi del presente volume sono stati discussi durante il convegno L’emergenza infinita. Attualità e prospettive della decretazione d’urgenza, Università degli Studi di Macerata, 21 maggio 2004.
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UGO DE SIERVO
Soprattutto nell’ultima Legislatura, mentre la delegazione legislativa continua ad espandersi in modo rilevante, l’attività legislativa del Parlamento tende a ridursi di molto e ad essere sempre più frutto di processi legislativi di approvazione di proposte del Governo o di testi normativi da questo già adottati: se prendiamo in considerazione la produzione legislativa nella XIV Legislatura2, abbiamo in tutto appena 685 leggi, di cui 218 di ratifica di trattati internazionali (dunque leggi sui generis, visto che con esse il Parlamento si limita ad approvare i trattati negoziati e firmati dal Governo) e ben 193 di conversione di decreti-legge (con una incidenza percentuale che sale di circa dieci punti rispetto alla Legislatura precedente). Dunque, i circa quattro decreti-legge mensili corrispondono a 193 leggi di conversione, un numero quasi pari al trenta per cento di tutte le leggi approvate dal Parlamento (ivi considerate anche quelle di ratifica dei trattati). Il primo dato rilevante da cui muovere, dunque, è che attraverso la decretazione d’urgenza viene oggi posta in essere la disciplina legislativa di moltissimi settori. Partendo da questa evidenza empirica, occorre perciò riflettere e valutare quanto, certe volte, la riflessione dottrinale – che per anni ha persino dubitato del fatto che il decreto-legge potesse essere considerato una vera e propria fonte normativa – sia distante dalla realtà dei fatti. Buona parte del nostro sistema normativo, in realtà, «funziona» attraverso i decreti-legge. Dal momento che su questo punto potrebbe ancora residuare un equivoco, vorrei anche chiarire che costituiscono decreti-legge anche fonti come il decreto-legge n. 269/2003, recante «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dell’andamento dei conti pubblici»: un testo normativo che occupa circa ottanta fitte pagine a stampa della Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2003. Solo per fare un esempio relativo ai suoi enormi contenuti, possiamo ricordare che tutto il problema del nuovo condono edilizio straordinario, di cui la stessa Corte costituzionale si è dovuta a 2
I dati fino al maggio 2005 sono tratti dal Rapporto 2004-2005 sullo stato della legislazione predisposto dall’Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati, Roma, luglio 2005; successivamente si vedano i dati riportati in «Il Sole 24 Ore», 11 febbraio 2006, p. 11.
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lungo interessare, è previsto in un solo suo articolo (peraltro di oltre cinquanta commi). Un articolo sulla base del quale lo Stato prevede di poter incassare oltre tre miliardi di euro e che, per questo, rappresenta un elemento non secondario della manovra finanziaria. Una norma che, una volta pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, consente immediatamente ai cittadini di dichiarare la propria volontà di chiedere il condono, così ottenendo anche l’immediata sospensione dei processi penali e dei procedimenti di demolizione degli edifici abusivamente edificati. Inutile dire che tutto ciò incide seriamente anche sulle posizioni soggettive di tante persone estranee agli abusi edilizi: solo per fare un piccolo esempio, una delle questioni incidentali giunte alla Corte ed avente ad oggetto questo articolo del decreto-legge nasce da un giudizio in cui una signora, che da anni combatteva contro una Asl che aveva costruito irregolarmente un piano ulteriore in un edificio di fronte alla sua abitazione, ne aveva chiesto ed infine ottenuto la demolizione; sulla base dell’art. 32 del decreto-legge n. 369/2003, la demolizione è stata sospesa e la signora continua a vedere il piano sopraelevato, anziché il panorama circostante. Al di là della modestia dell’esempio, mi pare chiaro che attraverso uno strumento come il decreto-legge non solo si alterano le regole sul funzionamento delle istituzioni, ma si giunge sempre più ad incidere sulle posizioni soggettive dei cittadini. Il problema, dunque, è non solo quantitativo, ma qualitativo, poiché riguarda il contenuto della legislazione che passa attraverso la decretazione d’urgenza. Dall’esperienza di studi che ho condotto in questo settore, ritengo che, quando si parla di fonti oramai così diffuse come i decreti-legge, si dovrebbero evitare ricostruzioni condotte soltanto sul piano teorico e concentrarsi, invece, sul funzionamento reale delle nostre istituzioni. Si pensi, ad esempio, alle molteplici conseguenze prodotte dall’intervento di numerosi ed importanti soggetti istituzionali (Governo, Presidente della Repubblica, Parlamento) nelle varie fasi della decretazione d’urgenza. Ogni decreto-legge che viene adottato ed entra in vigore, infatti, non solo è stato deliberato dal Governo, ma è stato necessariamente emanato dal Presidente della Repubblica. Come ben noto, la nostra Costituzione non disciplina i poteri presidenziali in materia
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UGO DE SIERVO
di emanazione degli atti con forza di legge, analogamente a quanto è invece previsto dall’art. 74 Cost. per la promulgazione delle leggi. Diversi indizi, peraltro, fanno ritenere che sia esistito e tuttora esista un controllo analogo posto in essere dai Presidenti già in questa fase (altra cosa è il possibile controllo sulla legge di conversione, seppur evidentemente assai delicato per il termine perentorio entro cui deve essere promulgata la legge di conversione). Questo vuoto di disciplina costituzionale fa sorgere evidentemente non pochi problemi: il Presidente della Repubblica dispone di un potere informale di rinvio o di un vero e proprio potere di veto? Chi è destinatario dell’ipotetico rinvio e chi può decidere di modificare il testo originario del decreto-legge deliberato dal Consiglio dei ministri? Come si conciliano ipotesi del genere, che evidentemente producono ritardi nell’emanazione del decreto-legge, con l’asserita esistenza di una straordinaria situazione di necessità e di urgenza? Non è certo questa la sede per tentare di dare risposte a questi problemi, ma non può sfuggire che proprio di recente, in riferimento ai decreti-legge adottati dal Governo nell’ultima seduta del dicembre 2005, si è avuta una chiara riprova che simili prassi evidentemente esistono e producono ritardi vistosi nella emanazione e pubblicazione di alcuni decreti-legge, con la «scomparsa» tra l’altro di varie disposizioni degli originari testi dei decreti-legge, senza che risultino apposite riunioni e deliberazioni del Governo che quei testi aveva adottato3. Inoltre, il Presidente della Repubblica può intervenire nuovamente in sede di promulgazione della legge di conversione del decreto-legge, peraltro dovendosi far carico dell’eccezionale potere interdittivo che deriva dall’uso del rinvio presidenziale di una legge di conversione: non sembra quindi casuale che l’utilizzazione di questo strumento sia stata finora del tutto episodica. Restano poi i poteri del Parlamento in sede di conversione, che nella ormai lunga prassi repubblicana si sono configurati come praticamente illimitati, al di là dei tentativi dei regolamenti parlamentari di escludere almeno gli emendamenti addirittura estranei alle materie trattate nel decreto-legge. Agli inizi dell’esperienza repubblicana, la legge di conversione del decreto-legge aveva in teoria 3 Cfr. Il Dl omnibus da oggi in vigore con meno aiuti per i Ministeri, «Il Sole 24 Ore», 12 gennaio 2006, e Porti. Ciampi fa saltare il blitz di Lunardi, «La Repubblica», 12 gennaio 2006.
INTRODUZIONE
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dinanzi a sé sia la possibilità di essere configurata come una legge di conversione pura e semplice (il decreto o si converte o si boccia in toto), sia la possibilità di essere configurata come un atto legislativo capace di introdurre modificazioni al testo del decreto-legge. Come sappiamo e constatiamo quotidianamente, la prassi ed i regolamenti parlamentari si sono sviluppati nel senso di considerare la conversione del decreto-legge come occasione di suoi possibili emendamenti, sino ai limiti del totale stravolgimento (malgrado gli stessi buoni pareri del Comitato parlamentare per la legislazione, pareri che troppo spesso sono lasciati cadere come sassi nello stagno dai diversi organi parlamentari). Da ciò deriva che chi deve valutare un decreto-legge convertito – la Corte costituzionale o un qualsiasi giudice ordinario o amministrativo – si trova dinanzi un «prodotto normativo» che assomma una notevole stratificazione di apporti istituzionali e che quindi, al di là dei difetti riscontrabili, appare spesso difficilmente sindacabile. Dunque, i decreti-legge sono certamente ancora molti e soprattutto disciplinano troppe materie, nonostante sia venuto meno, dopo una stagione terribile, il problema della loro reiterazione; ma come è possibile spiegare questo dato? La giustificazione più semplice, probabilmente, è che, malgrado la tendenza alla polarizzazione del sistema politico, malgrado la creazione di maggioranze di governo più forti e soprattutto stabili, non si è formata una vera e profonda omogeneità fra il vertice del Governo e le sue forze parlamentari. Non a caso, infatti, il decreto-legge spesso continua ad apparire una «forzatura» rispetto alla volontà dei parlamentari, un richiamo del Governo alla sua stessa maggioranza. Molti ripetono giustamente la pur risalente formula coniata da Predieri – bella e intelligente – della decretazione d’urgenza come «disegno di legge rinforzato», cioè un intervento voluto dal Governo per «mettere con le spalle al muro» la sua maggioranza e superare magari le difficoltà che si riscontrino nelle commissioni parlamentari. Di recente appaiono anche casi nei quali si vuole superare le resistenze di quelle parti dei gruppi parlamentari della maggioranza governativa che risentono maggiormente degli interessi regionali, rispetto alle accentuate tendenze centralistiche del Governo. Non a caso le Regioni, impugnando le leggi di conversione, affermano che è stata violata la leale collaborazione, dal momen-
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to che inserire in un decreto-legge norme in materia regionale vuol dire superare la relativa forza di cui le Regioni dispongono in parte dei gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione; forza che soprattutto si può esprimere formalmente nella Conferenza Stato-Regioni, la quale, com’è noto, svolge il suo ruolo solo in sede di esame dei disegni di legge, ma non dei decreti-legge e dei relativi disegni di legge di conversione. Recentemente il conflitto originato da questo uso del decretolegge come mezzo per «aggirare» l’opposizione delle Regioni ha assunto un rilievo tale da coinvolgere la stessa presidenza della Repubblica – come abbiamo appreso dai giornali – creando un tangibile conflitto tra Governo e presidenza (non più nascosto dalla opacità dei rapporti endo-istituzionali), testimoniato anche dal sorprendente ritardo della emanazione del decreto-legge rispetto alla deliberazione del Consiglio dei ministri. C’è, infine, un ulteriore aspetto che mi pare vada segnalato, a partire dall’indagine sui contenuti del decreto-legge: il peso dei Ministeri. I decreti-legge molto spesso celano esigenze di riforma organizzativa o legislativa di vari Ministeri, se non addirittura microinteressi burocratici o interventi di tipo provvedimentale. Inoltre uno dei vizi più vistosi della decretazione d’urgenza ed universalmente condannato è l’assenza di omogeneità nei contenuti, che spesso sembra essere appunto il frutto della mera sommatoria degli interessi dei vari Ministeri in qualche decreto-legge (si pensi soltanto, per un esempio eclatante, alla recentissima adozione di un decreto-legge il cui titolo è «Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’Interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi»4). Al di là di tutte le legittime critiche, forse il vero fattore di (scorretta) omogeneizzazione del contenuto di un decreto-legge del genere è proprio l’accorpamento delle diverse esigenze ministeriali al fine di conseguire urgentemente aggiustamenti legislativi, finanziari o organizzativi. Si sconta, con tutta evidenza, il fatto che il policentrismo del nostro Governo è rimasto intatto, mal4 Da mettere in rilievo che questo decreto-legge (n. 272/2005) è stato convertito (legge n. 49/2006) con imponenti integrazioni, che hanno ulteriormente accentuato l’eterogeneità della disciplina.
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grado le polarizzazioni sul piano politico e gli asseriti modelli Westminster. Ciò avviene mentre nei tempi più recenti paradossalmente è stata via via indebolita la presidenza del Consiglio (nella sua dimensione istituzionale), e al tempo stesso c’è stata una chiara ripresa di ruolo e forza di alcuni grandi Ministeri. In conclusione, mi pare che questo volume su «l’emergenza infinita» della decretazione d’urgenza in Italia abbia anzitutto il merito di richiamare l’attenzione su un problema che continua ad essere largamente irrisolto e di cercare di inserire questo fenomeno nel complessivo contesto della forma di governo, così come della stessa forma di Stato. I suoi autori hanno cercato di muovere innanzitutto da una analisi del funzionamento reale delle istituzioni complessivamente responsabili della produzione dei decreti-legge, senza fermarsi al solo versante parlamentare della legge di conversione, così come a quello dei giudizi della Corte costituzionale. Il panorama complessivo che ne risulta può aiutare a comprendere le tendenze attuali di questa rilevantissima fonte legislativa e i numerosi problemi ancora – e gravemente – irrisolti.
L’emergenza infinita
Andrea Simoncini L’emergenza infinita. Tendenze recenti della decretazione d’urgenza in Italia e linee per una nuova riflessione
SOMMARIO: 1. L’«abuso» della decretazione d’urgenza in Italia – 2. La svolta della sentenza n. 360 del 1996: una decisione «storica» e problematica – 3. La «vittoria» della Corte e la fine della reiterazione – 4. Dunque, il decreto-legge è rientrato in un «alveo fisiologico»? Le ragioni di una nuova riflessione critica sul fenomeno della decretazione d’urgenza – 5. Il «tasso strutturale» di decretazione d’urgenza e la funzione del decreto-legge nel nostro ordinamento – 6. Il decreto-legge come strumento «ordinario» dell’azione di Governo – 7. Il decreto-legge come zona «franca» dal sindacato della Corte costituzionale… – 8 (segue)… e la «supplenza» del Presidente della Repubblica – 9. La funzione tecnica e politica del decreto-legge, oggi – 9.1 La funzione tecnica della decretazione d’urgenza (il decreto-legge come fonte politicamente «depotenziata») – 9.2 La funzione politica della decretazione d’urgenza (il decreto-legge come fonte politicamente «potenziata»)
1. L’«abuso» della decretazione d’urgenza in Italia Tra il 1994 ed il 1995 (dunque, dieci anni fa) si svolgono in Italia due convegni destinati a produrre un influsso estremamente rilevante sulla vita del nostro ordinamento giuridico e sullo stesso sistema istituzionale. Nel novembre 1994 la Corte costituzionale organizza un seminario sul tema I decreti-legge non convertiti1 e l’anno seguente l’Associazione italiana dei costituzionalisti dedica il proprio convegno annuale al tema Gli atti legislativi del Governo e rapporti fra i poteri2: le conclusioni sono sintetizzate in maniera estrema1
Il Convegno si svolge a Roma l’11 novembre 1994. Per gli atti v. la pubblicazione AA.VV., I decreti legge non convertiti, Milano 1996 ed i nn. 1, 1996 della «Rivista di diritto costituzionale» e 1, 1996 di «Quaderni costituzionali». 2 Il Convegno si svolge a Parma dal 24 al 25 novembre 1995. Per le relazioni si vedano i nn. 1, 1996 della «Rivista di diritto costituzionale» e 1, 1996 di «Quaderni costituzionali».
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mente efficace dall’editoriale del primo numero del 1996 della rivista «Quaderni costituzionali»3. Un articolo che suona come un vero e proprio «ultimatum»: gli studiosi di diritto costituzionale chiedono espressamente alla Corte costituzionale di uscire dall’inerzia e di intervenire immediatamente recuperando la funzione che gli è propria di garanzia del sistema costituzionale. Cosa giustificava un tono così grave? In effetti, la prassi della decretazione d’urgenza in Italia – ripeto, solo dieci anni fa – aveva raggiunto un livello ed un carattere decisamente preoccupanti; ci si trovava dinanzi ad una situazione che al più alto livello istituzionale non si esiterà a definire come una «degenerazione» in grado di «oscurare principi costituzionali di rilevanza primaria»4. L’emanazione dei decreti-legge aveva toccato la media mensile di 34 decreti; il che stava a significare che il Consiglio dei ministri deliberava – ed il Presidente della Repubblica emanava – più di un decreto-legge al giorno. Come ho osservato altrove5, per trovare una condizione analoga occorre ritornare all’Italia durante la Prima guerra mondiale6. Ma il fenomeno che stava producendo gli effetti più pesantemente distorsivi era la prassi della cosiddetta «reiterazione» dei decreti-legge. In cosa consisteva tale fenomeno? Dinanzi ai decreti-legge che decadevano dopo sessanta giorni per mancata conversione, era invalso l’uso, l’ultimo giorno di vigenza (o il giorno seguente), di riprodurli identicamente, protraendo così la loro vigenza per altri sessanta giorni. In tal modo si erano potute realizzare incredibili «catene» di decreti che, in alcuni casi, avevano «prolungato» la vita di un decreto-legge per oltre tre anni7. 3
L’editoriale è firmato G.Z(agrebelsky)., «Quaderni costituzionali», 1, 1996, pp. 3 sgg. Corte cost., sentenza n. 360/1996, punto n. 8 del considerato in diritto. 5 A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, Milano 2003, p. 4. 6 In cui nel solo 1919 si arrivò alla cifra record di 1029 decreti-legge; complessivamente dal 1914 al 1921 si pubblicano 2832 decreti-legge, cfr. A. Celotto, L’abuso del decreto-legge, Padova 1997, p. 121. 7 Come è avvenuto ad esempio in materia di farmaci al decreto legge n. 552/1993, che ha subito ben 14 reiterazioni giungendo fino al decreto legge n. 224/1996 (scaduto poi al momento della presentazione del disegno di legge del Governo); oppure in 4
L’EMERGENZA INFINITA
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Soprattutto, si era venuto a creare un vero e proprio circolo vizioso: tutto nasceva dall’elevato numero di decreti-legge che non venivano convertiti e che per effetto della reiterazione si «moltiplicavano»; ma questa moltiplicazione finiva, a sua volta, per «ingolfare» il Parlamento di centinaia di nuovi disegni di legge di conversione, con la conseguenza che i tempi parlamentari per l’esame delle proposte legislative si allungavano e la probabilità che un decreto-legge venisse convertito diminuiva sempre più, reinnescando così il meccanismo di «decadenza-reiterazione» e perpetuando la distorsione. In una situazione del genere, l’elemento istituzionale più sorprendente era la sostanziale acquiescenza del Parlamento. La decretazione d’urgenza nella metà degli anni ’90 diviene, in pratica, la modalità ordinaria attraverso la quale si producono norme primarie nel nostro ordinamento8, espropriando di fatto il titolare legittimo della potestà legislativa statale, ovverosia il Parlamento; eppure l’organo costituzionale «leso» da questa pratica del Governo non reagiva, anzi – come spesso succede nella storia delle istituzioni giuridiche italiane –, sembrava quasi accettare l’abuso, contribuendo in qualche modo a «razionalizzarlo»9. Se, infatti, le forze politiche presenti in Parlamento intendevano modificare in qualche punto il testo di un decreto-legge deliberato dal Consiglio dei ministri, bastava che una delle due Camere approvasse un emendamento in sede di conversione; il disegno di legge di conversione, ovviamente, non riusciva ad essere approvato in tempo da entrambi i rami del Parlamento, ma questa approvazione «parmateria di insindacabilità dei parlamentari (art. 68 Cost.) al decreto legge n. 455/1993 che ha toccato le 15 reiterazioni; senza dimenticare infine la cifra raggiunta dal decreto legge n. 110/1993 sulla GEPI di ben 22 reiterazioni. Cfr. sul punto A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 14, nota 14. 8 Nel Rapporto sulle questioni istituzionali – presentato nell’ottobre 2000 dall’allora ministro per le riforme istituzionali Antonio Maccanico – si legge che nel quinquennio 1990-1995 il decreto-legge ha assunto l’abnorme primato di «fonte principale della produzione normativa di grado primario». Cfr. Dipartimento per le riforme istituzionali, Rapporto sulle questioni istituzionali, presidenza del Consiglio dei ministri, Roma 2000, p. 53; ma già aveva definito in tali termini la situazione P. Calandra, Il Governo della Repubblica, Bologna 1986, p. 239. 9 Come osserva G. Zagrebelsky, Editoriale, cit., p. 4, non era proficuo che gli organi di garanzia ingaggiassero «una battaglia per una causa che lo stesso interessato», il Parlamento, «in fondo, coltivava assai blandamente, se non da tempo aveva abbandonato…».
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ANDREA SIMONCINI
ziale» era sufficiente a far sì che il Governo recepisse la modifica nel testo successivamente «reiterato» del decreto-legge10. Si era così venuto a creare una specie di nuovo procedimento legislativo «misto», una sorta di monstrum procedurale in parte governativo, in parte monocamerale, attraverso il quale veniva riversata all’interno del «contenitore» decreto-legge – immediatamente vigente – una serie variegata e numerosissima di disposizioni che producevano norme «precarie», destinate, cioè, a venir meno se non erano «stabilizzate» ad opera della legge di conversione entro sessanta giorni. È questa, difatti, la singolare sorte11 delle norme prodotte dai decreti-legge: esse sono regole giuridiche precarie (e non temporanee come si può facilmente equivocare12), dal momento che sono poste da una fonte – come osserva Paladin – comunque destinata a «svanire»13. 10 Una prassi «secondo la quale i decreti si fanno adottando il testo approvato dalla Camera unica che lo ha votato», come ebbe modo di ricordare il presidente del Consiglio Giuliano Amato al termine di una conferenza stampa del maggio 2000. Cfr., per il testo, A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 356, nota 41. 11 «I decreti-legge configurati dalla Costituzione repubblicana rappresentano dunque un fenomeno unico nel suo genere»: così L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996, p. 236. 12 Sia la norma temporanea che quella precaria sono caratterizzate dall’avere un periodo di vigenza temporalmente delimitato; la norma temporanea una volta trascorso il periodo cessa di essere vigente e, dunque, potrà continuare ad essere applicata per il periodo di vigenza; la norma precaria, invece, una volta cessato il periodo di vigenza scompare e non può essere applicata neppure per il periodo in cui è stata vigente (si veda su questo punto la differenza tra decreto-legge in Spagna ed in Italia nel saggio di A.M. Carmona Contreras, Il decreto-legge in Spagna tra Costituzione e prassi, infra, p. xxxx). 13 «Paradossalmente il decreto-legge svanisce comunque, sia che le Camere lo convertano, sia che esso decada allo scadere dei sessanta giorni o fin dal momento del voto contrario di un ramo del Parlamento, reso noto ai destinatari mediante un apposito comunicato da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale», L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, cit., p. 259; com’è noto, contro questa ricostruzione dell’art. 77 Cost., si collocano quelle letture della legge di conversione come atto del Parlamento che non sostituisce ab origine il decreto, bensì si collega (secondo diverse ricostruzioni) ad esso, supponendo una seppur particolare prosecuzione dell’esistenza del decreto-legge anche dopo la conversione. Cfr. G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, Padova 1989, p. 132; F. Modugno, D. Nocilla, Riflessioni sugli emendamenti al decreto legge, «Diritto e società», 1973, pp. 356 sgg.; diversa, ovviamente, è la prospettiva della sentenza n. 161/1995, in cui la Corte ha esaminato gli effetti prodotti da un decreto-legge dopo la sua decadenza, ma in sede di conflitto tra i poteri: come la stessa Corte precisa, in questo caso il decreto-legge non viene in esistenza come fonte normativa – giacché dopo la decadenza esso non esiste più – ma come mero «comportamento del Governo suscettibile di ledere sfere di attribuzione costituzionalmente garantite» (nostro il corsivo).
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Se infatti il decreto non viene convertito in legge nei sessanta giorni (ovvero viene respinto dal Parlamento il relativo disegno di conversione), esso sarà ritenuto nullo sin dall’inizio, come se non fosse mai esistito (ex tunc) e la stessa sorte spetterà alle norme poste da tale fonte; se, viceversa, esso sarà convertito, quella che continuerà ad esistere nell’ordinamento sarà la fonte «legge di conversione» e non la fonte «decreto-legge». E, come è facile immaginare, è proprio su questa assoluta peculiarità normativa che si è appuntata la riflessione teorico-dogmatica su tale singolarissima fonte del diritto prevista, come abbiamo detto, unicamente dal diritto costituzionale italiano14. Ma è proprio su questo versante, quello della «certezza del diritto» – e non tanto quello degli equilibri politici tra Parlamento e Governo – che a metà degli anni ’90 iniziano i primi segnali di reazione del sistema. Quando l’abuso non intacca più soltanto la «forma di governo», ma ormai attenta alla stessa «forma di Stato», ovverosia il fondamento dell’autorità statale, mettendo a rischio la certezza e l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini, allora cominciano ad intravedersi i primi sintomi di «ribellione». L’ordinamento giuridico italiano in quegli anni si trova ad essere composto in misura crescente da norme giuridiche «precarie», 14 Il decreto-legge, come ha affermato L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, cit., p. 236, è un «fenomeno unico nel suo genere», che ha tratti di «paradossalità». Riguardo al problema generale della natura del decreto-legge, ed in particolare al suo legame con la legge di conversione, si è sviluppata gran parte della riflessione di tipo teorico che ha coinvolto questa fonte. In particolare potremmo ricondurre a tre gli indirizzi fondamentali della riflessione sull’art. 77 Cost.; la prima tesi espressa originalmente da C. Esposito, voce Decreto-legge, «Enciclopedia del diritto», vol. XI, Milano 1962, pp. 832 sgg., e ripresa con originalità in seguito da F. Sorrentino, Spunti sul controllo della Corte costituzionale sui decreti legge e sulle leggi di conversione, in AA.VV., Aspetti e tendenze del diritto costituzionale: scritti in onore di Costantino Mortati, IV, Milano 1977, secondo cui il decreto-legge è un atto di per sé al di fuori della legalità costituzionale; tanto la Costituzione «diffiderebbe» di questa fonte da conferirle una «esistenza effimera», destinata, cioè, a decadere o a essere convertita in un’altra fonte; la tesi espressa dallo stesso Paladin, secondo cui i decreti legge sono manifestazioni di un paradossale, ma legittimo, potere, che va inteso alla maniera di una «provvisoria efficacia» (oltre la fonte citata supra, cfr. anche L. Paladin, Commento all’art. 77, in Commentario breve alla Costituzione, 1990, p. 478); la tesi di G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, Padova 1989, pp. 148 sgg., che vede nell’atto avente forza di legge del Governo e nella legge di conversione del Parlamento un fenomeno di «integrazione» tra fonti normative equiordinate in ordine al medesimo oggetto o alla medesima materia.
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dunque vigenti ma soltanto per sessanta giorni se un altro decreto – «precario» anch’esso – non interviene a prolungarne l’esistenza. Alle leggi di conversione – quando raramente intervengono – deve giocoforza abbinarsi la sanatoria degli effetti delle numerosissime reiterazioni precedenti (in base al terzo comma dell’art. 77 Cost.), per salvare dalla decadenza gli effetti prodotti dai decreti non convertiti, ma reiterati. Nasce così – proprio in quel periodo – una nuova tipologia legislativa che assume una sua ben precisa fisionomia tipica: la legge di «conversione-sanatoria»15. Una legge di conversione specializzata per le catene di decreti reiterati (una sorta di superconversione), in quanto essa converte l’ultimo decreto-legge e contemporaneamente fa salvi gli effetti di tutte le reiterazioni precedenti16. Ovviamente, l’esigenza è quella di dare certezza ai rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge reiterati e decaduti che, ratione temporis, non possono essere compresi nell’effetto di stabilizzazione prodotto dalla legge di conversione dell’ultimo anello della catena. Torna in auge, così, un tipo legislativo – appunto la sanatoria dei decreti-legge – che sino a quel momento era stato utilizzato rarissimamente, tanto da essere considerato poco più che un caso di scuola previsto in Costituzione17: con tale legge il Parlamento non converte – quindi non stabilizza pro futuro le norme del decreto «fissandone» la fonte – ma si limita a dare una regolazione giuridica ai (singoli) rapporti giuridici sorti sulla base dei decre15 Per un’analisi di questo nuovo modello di leggi di sanatoria si veda A. Simoncini, Le funzioni del decreto legge, cit., pp. 54 sgg.; recentissimamente ricomparsa nella vicenda legata alla conversione del decreto legge n. 5/2005 recante «Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, nonché per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione», che contiene la «sanatoria degli effetti dell’articolo 4, comma 1 del decreto legge n. 280/2004» (nostro il corsivo). 16 Contro questa prassi v. V. Angiolini, Decreto-legge, conversione e «sanatoria» nel giudizio in via principale, «Le Regioni», 2, 1998, pp. 423 sgg., e Id., La «reiterazione» dei decreti-legge. La Corte censura i vizi del Governo e difende la presunta virtù del Parlamento?, «Diritto Pubblico», 1, 1997, p. 113. 17 Cfr. L. Paladin, Art. 77, in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, II, Bologna-Roma 1979, p. 93.
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ti-legge decaduti, normalmente sollevando il Governo dalla responsabilità per tali effetti prodotti18. Già agli inizi della XIII Legislatura il Governo, per cercare un rimedio alla situazione fuori controllo della decretazione, aveva proposto una sanatoria generalizzata di tutti gli effetti derivanti da decreti-legge non convertiti19; il Parlamento, in quella circostanza, dinanzi ad una proposta legislativa del genere, si era radicalmente opposto adducendo la ragione che, in tal modo, si sarebbe trovato a deliberare su oggetti sostanzialmente sconosciuti, dal momento che, dato il numero altissimo di decreti decaduti, era praticamente impossibile stimare esattamente quanti e quali effetti avessero prodotto nel periodo di vigenza. Si realizza così una vera e propria trasformazione genetica della fonte prevista dall’ultimo comma dell’art. 77 Cost.: un atto legislativo pensato dalla Costituzione per dare copertura a singoli rapporti giuridici che, per il venir meno di un decreto-legge, si sarebbero trovati senza una giustificazione legale, diventava, nei fatti, una disposizione con cui si riproponeva retroattivamente la stessa disciplina del decreto non convertito, facendola risalire sino alla emanazione del primo decreto della catena; una vera e propria norma di legge retroattiva riferita a periodi temporali che potevano avere l’ampiezza di più anni; in pratica, come è stata definita, una vera e propria conversione tardiva dei decreti postumi20. Dinanzi a questa condizione, sarà il potere giudiziario (e non quello legislativo, si badi) ad innescare una vera e propria reazione ambientale21. La condizione di ormai diffusa «precarietà legislativa» spingerà, infatti, un numero crescente di giudici a non applicare più i 18 Sulla legge di regolazione come un mero bill of indemnity del Governo, cfr. A. Simoncini, La regolazione dei rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti, «Giurisprudenza costituzionale», 4, 1997, p. 2809. 19 Il 3 e il 15 luglio 1996 il presidente del Consiglio Prodi presenta alla Camera dei deputati due disegni di legge dal titolo identico: Sanatoria degli effetti di decreti-legge non convertiti, in Atti parlamentari XIII Legislatura, disegno di legge n. 1574, ed Atti parlamentari XIII Legislatura, disegno di legge n. 1872. Cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 14. 20 Sul punto cfr. V. Angiolini, Decreto-legge, conversione e «sanatoria» nel giudizio in via principale, cit., pp. 423 sgg.; A. Simoncini, Le funzioni del decreto legge, cit., pp. 50 sgg. 21 Cfr. G. Zagrebelsky, Editoriale, cit., p. 5; A. Celotto, Sarà il giudice ordinario a limitare la reiterazione dei decreti-legge?, «Diritto e società», 4, 1995, p. 555.
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decreti-legge reiterati nelle controversie, sollevando alla Corte la questione di legittimità sulla reiterazione stessa22.
2. La svolta della sentenza n. 360 del 1996: una decisione «storica» e problematica È in questo contesto che interviene la Corte costituzionale con la «storica» sentenza n. 360/1996: senza dubbio una delle pronunce del nostro giudice costituzionale che ha avuto maggior eco e impatto, in termini sia di comunicazione pubblica che di efficacia pratica, nel nostro sistema giuridico. Con quella pronuncia la Corte annulla una disposizione di un decreto-legge (l’art. 6, comma 4 del decreto-legge n. 462/1996, recante «Disciplina delle attività di recupero dei rifiuti») per aver «reiterato, con contenuto immutato ed in assenza di nuovi presupposti di necessità ed urgenza, la disposizione» espressa da precedenti decreti-legge decaduti. Nonostante la rilevanza della decisione, l’accoglienza della dottrina non è entusiastica. Una sentenza per un verso ampiamente annunciata23, ma per altro alquanto fraintesa, riteniamo, dagli studiosi. L’accusa principale alla sentenza è sintetizzata in maniera efficace dal titolo di un commento a caldo di Roberto Romboli: la Corte ha fatto «un passo avanti e uno indietro»24. Da un lato, infatti, essa statuisce che la reiterazione25 è incostituzionale e questo rappresenta certamente un passo in avanti decisivo rispetto alla condizione di eversione costituzionale in cui si trovava l’ordinamento giuridico italiano. 22 Come ha affermato A. Celotto, Sarà il giudice ordinario a limitare la reiterazione dei decreti-legge?, cit., p. 556, «si tratterà di una vera e propria ribellione organizzata» che porterà in poco più di un anno a sollevare da parte dei giudici ordinari oltre 120 ordinanze di remissione. 23 Si consideri la lettera che il Presidente della Repubblica Scalfaro indirizzò il 30 maggio 1996 all’allora presidente del Consiglio Romano Prodi, richiamata da R. Romboli, Le vicende della decretazione d’urgenza negli anni 1995-1997 tra Corte costituzionale ed ipotesi di revisione dell’art. 77 della Costituzione, in AA.VV, Studi in onore di Leopoldo Elia, Tomo II, Milano 1999, p. 1502. 24 Cfr. R. Romboli, Il controllo dei decreti legge da parte della Corte costituzionale: un passo avanti ed uno indietro, «Foro italiano», 4, 1996, I, pp. 1113 sgg. 25 Intesa come riproduzione di un testo identico, in assenza di nuovi motivi di urgenza.
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Dall’altro essa afferma, altrettanto chiaramente, che «il vizio di costituzionalità derivante dall’iterazione o dalla reiterazione attiene, in senso lato, al procedimento di formazione del decreto-legge in quanto provvedimento provvisorio fondato su presupposti straordinari di necessità ed urgenza: la conseguenza è che tale vizio può ritenersi sanato quando le Camere, attraverso la legge di conversione (o di sanatoria), abbiano assunto come propri i contenuti o gli effetti della disciplina adottata dal Governo in sede di decretazione d’urgenza». Se quindi, per un verso, si colpisce il vizio del decreto-legge reiterato, dall’altro, si fa marcia indietro rispetto ad un importante precedente (la sentenza 29/1995) in cui la Corte aveva affermato – anche se incidentalmente – che i vizi di legittimità dei decretilegge, «adottati al di fuori dell’ambito delle possibilità applicative costituzionalmente previste» costituivano «un vizio in procedendo della stessa legge di conversione»26. La questione non era (ed è) meramente teorica. Dal momento che è estremamente difficile riuscire ad annullare un decreto-legge – visto che la Corte dovrebbe intervenire nel lasso di tempo molto ristretto dei sessanta giorni di vigenza –, se la legge di conversione sana i vizi (formali) del decreto viene notevolmente ridotta la «sindacabilità pratica»27 sul piano costituzionale della decretazione d’urgenza, ovverosia la possibilità concreta che un decreto-legge che si ritiene incostituzionale possa essere giudicato dalla Corte28. Se viceversa, come aveva ipotizzato la sentenza n. 29/1995, il vizio del decreto-legge illegittimo si trasmette geneticamente alla legge di conversione, allora questo implica un notevole ampliamento della possibilità di sottoporre al sindacato di costituzionalità i decreti-legge, attraverso le leggi di conversione stesse. La sentenza n. 360, quindi, nell’annullare un decreto per «reiterazione», avrebbe contemporaneamente conferito alla legge di «sanatoria» (si badi) o di conversione la capacità di stendere un velo del tutto insuperabile sui vizi dei decreti precedenti. Di qui le perplessità della dottrina e i tentativi ingegnosi di far 26
Corte cost. n. 29/1995. Cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 247 sgg. 28 Su questo punto si veda più avanti Romboli, Decreto-legge e giurisprudenza della Corte costituzionale. 27
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concordare il «discordantium canonum» delle sentenze n. 29/1995 e n. 360/199629. In realtà questi giudizi – assolutamente condivisibili nel merito – derivano da un fraintendimento circa l’«intenzione» che muove la Corte. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 360/1996, è «dominata» dalla preoccupazione per i possibili effetti pratici della propria pronuncia. Non a caso essa tenta quasi di esorcizzare il problema, affermando nel paragrafo n. 8 delle considerazioni in diritto che «questa Corte, nell’adottare la presente pronuncia, è consapevole delle difficoltà di ordine pratico che dalla stessa, nei tempi brevi, potranno derivare sul piano dell’assetto delle fonti normative, stante l’ampiezza assunta dal fenomeno della reiterazione nel corso delle ultime legislature». L’excusatio dimostra che il timore di provocare una paralisi del sistema normativo e, conseguentemente, di spingere gli attori istituzionali ad una sostanziale disapplicazione di questa decisione entrando in aperto conflitto col giudice delle leggi è certamente maggiore rispetto alla necessità di fornire una coerente ricostruzione del sistema costituzionale. D’altronde, come abbiamo ricordato, i decreti-legge reiterati erano diventati il modo ordinario di legiferare in Italia e una pronuncia in grado di «bloccare» ex abrupto tale prassi poteva avere ripercussioni gravissime sull’ordinario svolgimento delle attività istituzionali. I giudici della Consulta cercano, dunque, innanzitutto l’effettività della propria decisione; l’esito sperato è che il sistema politico governativo-parlamentare riesca effettivamente a cessare la produzione fuori controllo dei decreti-legge30. Dinanzi alla situazione esistente (erano 71 i decreti-legge vigen29 Cfr. sul punto R. Romboli, Le vicende della decretazione d’urgenza negli anni 19951997 tra Corte costituzionale ed ipotesi di revisione dell’art. 77 della Costituzione, cit., pp. 1496 sgg., in cui l’Autore cerca di restringere decisamente l’effetto sanante della conversione e sanatoria, cercando così di «salvare» il precedente della sentenza n. 29/1995. 30 Sulla costante preoccupazione della Corte per la effettività delle proprie pronunce sin dagli inizi della sua attività si rinvia a A. Simoncini, L’avvio della Corte Costituzionale e la definizione del suo ruolo. Un problema storico aperto, «Giurisprudenza costituzionale», 4, 2004, pp. 3065 sgg.
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ti al momento della pronuncia31) e considerato che a seguito della sentenza il Governo non avrebbe potuto più reiterarli, occorreva lasciare aperta una via d’uscita per evitare che migliaia di norme decadessero ex tunc, lasciando del tutto privi di disciplina i rapporti e gli effetti che nel frattempo si erano prodotti. Di qui l’«uscita di emergenza» della conversione, ovvero della sanatoria come atti legislativi in grado di sanare i vizi del decretolegge32. La sentenza n. 360/1996 esprime, dunque, un compromesso – come tutte le pronunce della Corte, riteniamo – da valutare non tanto con la misura del rigore dogmatico, quanto con quella della ricerca della maggior effettività possibile sul piano pratico. Come si dirà più avanti in questo volume, fin quando la vicenda è rimasta «soltanto» una questione di sistema delle fonti e forma di governo, la Corte ha mantenuto un atteggiamento di forte self restraint, rispettando – probabilmente oltre il segno – il libero gioco degli attori politici33, ma quando la questione dei decreti-legge è diventata tale da «intaccare la certezza del diritto nei rapporti tra i diversi soggetti […] con conseguenze ancora più gravi quando il decreto reiterato venga a incidere nella sfera dei diritti fondamentali o nella materia penale o sia, comunque, tale da produrre effetti non più reversibili nel caso di una mancata conversione finale», allora essa è uscita dall’inerzia, ma come giudice dei diritti, piuttosto che come giudice dei poteri. Ma, proprio in quanto giudice dei diritti, essa è più preoccupata della effettività della propria decisione, che di un’armonica ricostruzione teorico-ordinamentale.
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Cfr. i dati in A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 17 sgg. Sul punto v. R. Romboli, Le vicende della decretazione d’urgenza negli anni 1995-1997 tra Corte costituzionale ed ipotesi di revisione dell’art. 77 della Costituzione, cit., pp. 1498 sgg., secondo il quale la sanatoria e la conversione sanano il vizio di reiterazione ma non la mancanza dei requisiti. 33 Sul punto sia consentito rinviare a A. Simoncini, Corte e concezione della forma di governo, in V. Tondi della Mura, M. Carducci, R.G. Rodio (a cura di), Corte costituzionale e processi di decisione politica, Torino 2005. 32
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3. La «vittoria» della Corte e la fine della reiterazione La Corte vince questa «scommessa». Il sistema politico, infatti, seppur ampiamente utilizzando la «scappatoia» della sanatoria, in buona sostanza accetta la sentenza e vi si conforma. Questo è il dato veramente rilevante: dinanzi ad una prassi che aveva assunto una fisionomia abnorme, la reiterazione cessa pressoché immediatamente. Se, per descrivere l’impatto della sentenza n. 360/1996, volessimo prendere in considerazione due momenti «simbolici», potremmo pensare a due mesi. Da un lato, il giugno 1996 (ovvero poco prima della prima sentenza) in cui si oltrepassa la soglia critica di un decreto al giorno: in un solo mese il Presidente della Repubblica emana 33 decretilegge! Dall’altro, l’agosto 1999 (ovvero circa tre anni dopo la sentenza); in quel mese viene pubblicata la legge di conversione dell’ultimo decreto-legge allora vigente e fino al settembre di quell’anno non verranno pubblicati nuovi decreti aventi forza di legge. Questo significa che il Parlamento non solo ha smaltito tutto l’arretrato, ma che dai 33 decreti-legge emanati in un solo mese, si passa ad un bimestre (agosto-settembre 1999) in cui il Governo, dopo la conversione dell’ultimo decreto vigente, non ne delibera più; abbiamo così un lasso di tempo – seppur breve – in cui nel nostro sistema normativo non vi sono decreti-legge vigenti. Per trovare un periodo analogo occorre risalire alla fine degli anni ’50, cioè quasi quaranta anni prima. Certamente il prezzo pagato per «uscire dalla reiterazione» è quello di una fase «buia» per il nostro sistema delle fonti: nei quattro mesi successivi alla decisione dell’ottobre 1996 succede praticamente di tutto sul piano legislativo (oltre alle già evocate leggi di «conversione-sanatoria», abbiamo decreti-legge prima convertiti e poi sanati, decreti-legge sanati più volte, etc.34); ma quel che conta è che alla fine il fenomeno della reiterazione, in buona sostanza, scompare.
A seguito, quindi, di questo formidabile risultato prodotto dalla sentenza del 1996 si è diffusa la convinzione – sia tra gli attori del sistema politico, che tra gli studiosi – che il problema «decreto-legge» sia stato in qualche modo risolto e che la decretazione d’urgenza, per ripetere una espressione tutt’ora frequente, sia ormai rientrata in un «alveo fisiologico»; molti, ad esempio, hanno ritenuto che il problema degli atti legislativi del Governo, dopo la sentenza n. 360/1996, si sia spostato dall’art. 77 Cost. all’art. 76 Cost. e cioè dal decreto-legge alla delega legislativa ed al fenomeno, in parte connesso, delle delegificazioni35.
4. Dunque il decreto-legge è rientrato in un «alveo fisiologico»? Le ragioni di una nuova riflessione critica sul fenomeno della decretazione d’urgenza Ed invece, proprio là dove la storia sembra finire, questo volume prende le sue mosse. Siamo quasi a un decennio dalla sentenza del 1996; è trascorso, dunque, un periodo di tempo sufficiente per chiedersi se davvero non esista più un problema «decreto-legge» nel nostro sistema costituzionale. Così nascono i contributi raccolti in questo volume36 che, appunto, esaminano, sotto diversi profili problematici, la realtà attuale della decretazione d’urgenza in Italia, nel periodo di tempo successivo alla sentenza n. 360/1996. L’intenzione è, innanzitutto, quella di verificare se oggi si possa ragionevolmente affermare che il fenomeno della decretazione d’urgenza sia rientrato, quantitativamente e qualitativamente, nello schema previsto dalla Costituzione. La risposta, come si vedrà, è ancora del tutto negativa sul punto. In secondo luogo, visto che ci troviamo ancora dinanzi ad un diritto costituzionale «vivente» del tutto differente rispetto al 35
E. Malfatti, Rapporti tra deleghe legislative e delegificazioni, Torino 1999. Alcuni dei quali sono stati discussi nel convegno L’emergenza infinita. Attualità e prospettive della decretazione d’urgenza, Università degli Studi di Macerata, 21 maggio 2004. 36
34 Per una indagine su tale periodo cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 27 sgg.
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modello originario, cercheremo di determinare quali siano oggi le funzioni effettivamente svolte da questo istituto e se tali funzioni si possano ritenere «compatibili» con il disegno costituzionale generale – rappresentando, quindi, una evoluzione di tale disegno – ovvero se esse siano «incompatibili» con i principi costituzionali – rappresentando, in tal caso, una degenerazione.
5. Il «tasso strutturale» di decretazione d’urgenza e la funzione del decreto-legge nel nostro ordinamento Il primo dato che emerge chiaramente è che dopo la sentenza n. 360/1996 la decretazione d’urgenza rispetto alla fase della reiterazione da un punto di vista quantitativo è effettivamente diminuita. Se osserviamo i dati espressi dalla seguente tabella e dal grafico relativo, il calo complessivo della decretazione è oltremodo evidente. Legislatura
Media mensile totale 37
Media mensile netta 38 0,47
I
0,47
II
1
1
III
0,5
0,5
IV
1,5
1,5
V
1,4
1,3
VI
2,5
2,4
VII
4,7
4,5
VII
5,6
4,1
IX
6,2
3,5
X
8
4,1
XI
20
6,7
XII
27
3,4
XIII (prima della sent. 360/1996)
34
4
XIII (dopo la sent. n. 360/1996)
3,3
3,3
XIV
3,8
3,8
(Tab. 1) 37 38
Incluse le reiterazioni. Escluse le reiterazioni.
Media mensile netta Media mensile totale
(Grafico A)
Da 34 decreti mensili siamo passati a circa 439; e questo dato è sostanzialmente analogo tanto per la parte della XIII Legislatura che segue la sentenza, quanto per la successiva (ed appena conclusa) XIV. Vero è che al suo esordio l’esecutivo guidato dall’on. Berlusconi aveva fatto registrare un trend più elevato (quasi 5 decreti mensili40), ma anche per questo Governo, sebbene di orientamento politico opposto al precedente, nel prosieguo è tornato il numero «magico»41 dei 4 decreti al mese. Questo dato, anche se meramente quantitativo, suggerisce alcune riflessioni. Una prima considerazione, di ordine metodologico. Oggi lo scenario è oggettivamente diverso: nell’epoca della reiterazione il decreto-legge era ormai diventato il canale preferenziale della produzione normativa. La decretazione d’urgenza, dunque, non serviva a produrre certi tipi di provvedimenti, certi tipi di atti normativi, non era, in altri termini, lo strumento specializzato per realizzare particolari 39 Come emerge dalla tabella n. 6, p. XX, il numero dei decreti-legge per mese è sceso dai 7 nel periodo del 1996 successivo alla sentenza, ai 3,6 del 1997; 2,4 del 1998; 3,5 del 1999; 3 del 2000 fino ai 3,6 del 2001, ricadente nella XIII Legislatura. 40 Nella parte del 2001 relativa alla XIV Legislatura è stata adottata dal Governo Berlusconi una media di 4,8 decreti al giorno. Cfr. tabella n. 6, p. XX. 41 C’è infatti una notevole stabilità del dato mensile: 3,6 decreti per mese nel 2002, 4 nel 2003, 3,4 nel 2004, 3 nel 2005, 3,3 nello scorcio di 2006, Cfr. tabella n. 6, p. xx.
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tipologie di interventi (di emergenza). Data la paralisi decisionale del Parlamento (paralisi che, secondo il circolo vizioso che abbiamo già evocato, era a sua volta causata dalla ipertrofia della stessa decretazione d’urgenza), l’art. 77 Cost. era in realtà la strada obbligata per la legislazione tout court; la decretazione d’urgenza coincideva e, in pratica, si sovrapponeva a tutto lo spettro della produzione normativa primaria. In tali condizioni studiare la funzione propria del decreto-legge, era, se non impossibile, estremamente difficile, dal momento che tale fonte non veniva usata per certi scopi, ma, ormai, per tutti gli scopi. Oggi il numero di tali decreti è decisamente diminuito e quelli emanati sono pressoché tutti convertiti. In un certo senso, quindi, si può tornare a studiarli. Soprattutto, si può tornare a chiedersi se esista o meno una funzione specifica del decreto-legge, se sussista, cioè, un uso preferenziale, una causa propria – nel senso tecnico-giuridico del termine – di questa fonte normativa. Ci sembra che, in una fase di profonda trasformazione del sistema politico-costituzionale quale quella che stiamo attraversando, occorrerà riprendere in attenta considerazione la notazione metodologica di chi si è trovato a ripensare, nell’(allora) nuovo scenario costituzionale, un altro potere normativo del Governo: quello regolamentare. Enzo Cheli osservava, nella metà degli anni ’6042, che la chiave per l’impostazione e la comprensione di tutti i più importanti problemi concernenti – in quel caso – la materia della normazione secondaria debba oggi essere cercata «non più sul piano logico, ma su quello storico», facendo prevalere un’analisi di tipo critico a quella di tipo dogmatico-sistematica, affidandosi più all’induzione che alla deduzione. Solo questa particolare attenzione consentirà di cogliere l’essenza di una fonte normativa, che sta nella sua concreta funzione tecnica e politica43. Una seconda considerazione, di ordine valutativo. Se proviamo ad analizzare più attentamente i dati, si possono distinguere due grandi periodi nella nostra storia repubblicana. 42 43
E. Cheli, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Milano 1967. Ibid., p. 460.
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Se torniamo ad osservare la tabella 1, ed il grafico A, possiamo individuare un primo periodo (all’incirca le prime 5 legislature: 1948-1970) in cui il modello costituzionale sostanzialmente tiene. L’ uso della decretazione d’urgenza è alquanto contenuto, tenuto conto anche dei forti timori della dottrina generati dagli abusi perpetrati in tempo liberale e fascista44; le percentuali di conversione sono del 90%45. Segue poi un secondo periodo – che inizia dal passaggio tra la V e la VI Legislatura, a cavallo degli anni ’70, in cui la decretazione d’urgenza inizia a crescere ed il modello costituzionale entra in crisi. Occorre però fare attenzione perché questo dato si può prestare a letture fuorvianti. Osserviamo in particolare il grafico A. Si può, infatti, ritenere che da quel momento in poi la decretazione sia cresciuta in maniera esponenziale fino al 1996, quando la sentenza n. 360 della Corte ha repentinamente «tagliato» questa crescita abnorme. Conseguentemente, in base a tale lettura «quantitativa» della decretazione, a partire dalla sentenza n. 360/1996 inizierebbe una terza e nuova fase (quella attuale), in cui la decretazione sarebbe tornata, per così dire, in un alveo «fisiologico» o, quantomeno, in cui il modello costituzionale sembrerebbe tenere maggiormente rispetto agli eccessi precedenti della reiterazione. Questa considerazione è certamente vera se riferita esclusivamente alla quantità complessiva dei decreti-legge (a quella che nel grafico e nella tabella chiamiamo «media mensile totale»). Ma le valutazioni cambiano radicalmente se proviamo a verificare, dalla IX Legislatura in poi, il dato dei decreti-legge «nuovi», e cioè non quelli che reiterano precedenti decreti decaduti, bensì quelli che presentano un contenuto nuovo (quella che nel grafico e nella tabella chiamiamo «media mensile netta»). Se si pone mente a questo dato, ci si accorge che – sorprendentemente – il tasso dei decreti-legge nuovi per ciascun mese è sostanzialmente costante e si stabilizza (con l’eccezione della par44
Cfr., tra i tanti che mettono in guardia dai rischi della decretazione d’urgenza, le osservazioni di E. Crosa, Lo Stato democratico – presupposti costituzionali, Torino 1946. 45 Le percentuali di conversione sono: 96,5 % per la I Legislatura; 100 % per la II; del 93,3 per la III; 94,6 per la IV; 95,6. Cfr. tabella n. 9, p. XXX(10).
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ticolarissima XI Legislatura46) attorno ai 4 decreti-legge al mese (il «numero magico» di cui parlavamo). Questa cifra, in realtà, non presenta variazioni significative dagli anni ’70 ad oggi; mentre, a causa della reiterazione, il montante della decretazione complessiva cresce esponenzialmente. Esiste, quindi, nel nostro sistema giuridico-normativo, perlomeno negli ultimi 30 anni, quello che altrove ho definito un tasso «strutturale» di decretazione d’urgenza47. E questo tasso strutturale di decretazione d’urgenza diviene particolarmente significativo se poniamo i decreti-legge in relazione ai dati complessivi della legislazione. È, infatti, un dato ormai consolidato quello per cui una volta su tre in cui il Governo esercita la sua iniziativa legislativa parlamentare, lo fa attraverso un (decreto-legge e relativo) disegno di legge di conversione. Come titola questo volume, l’emergenza nel nostro ordinamento è, dunque, infinita. Il decreto-legge è sempre più – come avevano anticipato già Predieri48 e Berti49 – una iniziativa legislativa rinforzata, la cui specialità non è data dal particolare status procedurale, come si vedrà, bensì dall’anticipazione degli effetti normativi. Se oggi dovessimo offrire una definizione di decreto-legge corrispondente non tanto al modello dell’art. 77 Cost. quanto alla funzione che effettivamente esplica nel sistema normativo, dovremmo dire che è un tipo di iniziativa legislativa del Governo in cui l’efficacia normativa è anticipata al momento della presentazione del disegno di legge alle Camere; ragion per cui le Camere si trovano a discutere un disegno di legge che non differisce dalle altre proposte del Governo, se non per i tempi definiti di discussione (60 giorni) e, soprattutto, per il fatto che l’obbligatorietà delle sue statuizioni è anticipata rispetto all’approvazione parlamentare50. 46
Per i dati sintetici sulla XI Legislatura si vedano le tabelle n. 9 e 10 a p. xxx. Cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 308. 48 A. Predieri, Il governo colegislatore, in A. Predieri, F. Cazzola, G. Prilla (a cura di), Il decreto legge fra Governo e Parlamento, Milano 1975, p. XVIII. 49 G. Berti, Manuale di interpretazione costituzionale, Padova 1994, p. 175. 50 Su tale profilo è interessante notare che, nel testo del rinvio del 29 marzo 2002 del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 4/2002, il Presidente della Repubblica Ciampi definì «inspiegabile» l’uso del decreto-legge per prorogare una delega legislativa nel momento in cui già era giacente un disegno di legge governativo ad hoc. Cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 474. 47
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6. Il decreto-legge come strumento «ordinario» dell’azione di Governo Ma questa realtà della «emergenza infinita» suggerisce un ulteriore approfondimento. Il fatto che il decreto-legge dopo la sentenza n. 360/1996 non sia quasi scomparso e cioè non si sia ridotto ai pochissimi casi di reale «straordinaria necessità ed urgenza», ma semplicemente sia cessata la sua crescita esponenziale, pone chiaramente una domanda sulla sua funzione. Se c’è bisogno sempre ed in maniera costante dei decreti-legge, a cosa servono queste fonti normative? Per utilizzare un noto schema logico51, se c’è una persistente regolarità che contraddice o modifica la regola giuridica costituzionale, qual è la ratio di questa regolarità? Questa iniziale constatazione apre un altro fondamentale interrogativo: tale funzione reale del decreto-legge, contrapposta a quella teorica prevista in Costituzione ma rarissimamente rispettata, è compatibile o no con il nostro sistema costituzionale? Infatti non possiamo dimenticare che in un sistema costituzionale come il nostro non è consentito che la funzione di una fonte primaria – ovverosia la sua natura e la sua causa – siano il frutto di una indagine meramente fattuale, quasi che ogni regolarità abbia in sé una forza normativa autosufficiente. Se la fonte de quo, come il decreto-legge, pone in essere norme di valore primario, essa, per il noto principio del numero chiuso delle fonti primarie, dev’essere disciplinata in Costituzione; solo in tale livello normativo, infatti, se rispettiamo il principio di gerarchia52, possono essere cercate le coordinate strutturali essenziali di una fonte normativa primaria. I fatti potranno, semmai, segnalare lo scostamento, ovvero – per riprendere il titolo di una importante monografia sull’argomento – la misura dell’abuso della decretazione53. 51
A. Ruggeri, La crisi di governo tra «regole» costituzionali e «regolarità» della politica, «Politica del diritto», 1, 2000, pp. 28 sgg. 52 Contra A. Pizzorusso, Le fonti del diritto italiano, I, Le fonti scritte, in R. Sacco (a cura di), Trattato di diritto civile, Torino 1998, pp. 34 sgg., secondo il quale ad un principio di gerarchia c.d. normale dovrebbe aggiungersi una gerarchia «logica». 53 A. Celotto, L’«abuso» del decreto legge, cit.
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Su questo punto, a nostro avviso, gioca un ruolo decisivo la stessa formulazione dell’art. 77 Cost. Non intendiamo riprendere il noto dibattito sulla tormentata nascita di questo articolo alla Costituente54, siamo però consapevoli di un dato incontrovertibile: la nostra Costituzione non ha inteso definire la funzione del decreto-legge enumerando i settori ammissibili di intervento ovvero vietandone alcuni (come accade invece in Spagna – sistema sul quale più avanti si soffermerà Ana Carmona55 – o come auspicavano le proposte della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali prima56, e come in seguito vorrebbero alcuni recenti progetti di riforma costituzionale57). L’unico vero limite è stato l’indicazione delle circostanze esterne in presenza delle quali il Governo può emanare provvedimenti aventi valore di legge. Questa formulazione del testo costituzionale ha spostato inevitabilmente su valutazioni di tipo fattuale (e, massimamente, su fatti politici) piuttosto che di tipo tecnico-giuridico l’accertamento della legittimità dei decreti-legge. La valutazione sull’esistenza dei requisiti che giustificano l’adozione di un decreto-legge resta perciò una valutazione fortemente di natura «politica», tanto è vero che essa nel procedimento di conversione legislativa è stata esclusa dal giudizio – solo «tecnico» e non politico – del Comitato per la legislazione, su cui torneremo più avanti nel volume58, e resta affidata al giudizio eminentemente politico – e dunque mai sanzionatorio – delle Commissioni affari costituzionali dei due rami del Parlamento. Ebbe ragione, quindi, la dottrina ad affermare da subito che la «straordinaria necessità» non era determinabile sulla base di oggettivi avvenimenti esterni, quanto era semplicemente la «necessità di provvedere»59. È emblematico che in una recentissima sentenza la 54
Su tale punto v. L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna 2000, pp. 235 sgg. V. A.M. Carmona Contreras, Il decreto-legge in Spagna tra Costituzione e prassi, infra, p. XX. 56 A. Simoncini, Gli atti aventi forza di legge, in P. Caretti (a cura di), La riforma della Costituzione nel progetto della bicamerale, Padova 1998, p. 239. 57 Ad oggi sono presenti due disegni di legge costituzionali di iniziativa parlamentare: AC n. 1781 e AC n. 111, che prevedono criteri per valutare la presenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza oltre il divieto espresso della reiterazione. 58 V. L. Lorello, Decreto-legge e Comitato per la legislazione, infra, p. XX. 59 Sul requisito della necessità v. C. Esposito, voce Decreto-legge, cit. 55
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stessa Corte costituzionale abbia finalmente fatto propria questa formulazione dottrinale per descrivere la necessità di un decreto-legge60.
7. Il decreto-legge come zona «franca» dal sindacato della Corte costituzionale… Giungiamo così all’interrogativo centrale che si pone a chi oggi affronti la questione della costituzionalità della decretazione d’urgenza: se i dati mostrano che ancora perdura uno scostamento rispetto al modello costituzionale, quale effettiva garanzia di legittimità esiste nei confronti dei decreti-legge? Essi sono ancora, assieme agli altri atti aventi forza di legge, oggetto del giudizio di costituzionalità delle leggi così come prescrive l’art. 134 Cost., oppure costituiscono una sorta di «zona franca» dal controllo di costituzionalità? La domanda nasce, ovviamente, dalla «difficoltà» estrema con la quale la Corte costituzionale è intervenuta a far rispettare l’art. 77 Cost. Come osserva in questo volume Roberto Romboli61, la giurisprudenza della Corte costituzionale è oggi stabilizzata sulla paradossale posizione per cui la mancanza dei requisiti di cui all’art. 77, pur essendo accertata, non è sufficiente a determinare l’incostituzionalità di un decreto-legge. Solo una «evidente» mancanza dei requisiti è, infatti, atta a determinarne l’incostituzionalità. Bisogna proprio ammettere che, in un caso come questo, non v’è nulla di più oscuro che l’evidenza! In primo luogo, sul piano pratico questa evidente carenza, pur essendo stata richiamata decine di volte, non è mai stata riscontrata dalla Corte in un solo caso concreto. In secondo luogo, sul piano teorico, occorrerebbe spiegare perché, mentre per tutte le altre disposizioni della Costituzione è sufficiente la violazione, per il solo art. 77 occorre questo requisito aggiuntivo della evidente violazione. 60
Cfr. Corte cost. n. 62/2005. Cfr. R. Romboli, Decreto-legge e giurisprudenza della Corte costituzionale, infra, p. XXX. 61
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In realtà, l’attributo della evidenza serve a dare alla Corte – caso per caso – la possibilità, dinanzi a decreti-legge pur emanati in assenza di necessità ed urgenza straordinari, di non annullarli. La giurisprudenza costituzionale sulla decretazione d’urgenza è ispirata in realtà al canone della extrema ratio: essa interviene solo quando le condizioni si presentano come alterazioni macroscopiche, in cui non v’è più altro rimedio percorribile che l’intervento giudiziario; è una giurisprudenza potenziale, in cui il parametro dell’art.77 resta prevalentemente quiesciente – come più avanti spiegherà Giovanni Di Cosimo62 – preoccupata a minacciare che essa può annullare un decreto-legge, piuttosto che ad annullarlo realmente63. Questo settore resta, quindi, se non una vera e propria zona franca dal controllo di costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge, un’area di fortissima tensione tra «modello» e «prassi» costituzionale. Da un lato, c’è il modello costituzionale dell’art. 77 Cost., disposizione che dovrebbe continuare a produrre una norma rigida, nonostante il suo impiego da parte della Corte come parametro più potenziale che effettivo. Modello costituzionale che, peraltro, oggi va aggiornato sulla base della riforma del Titolo V della Costituzione la quale, come dimostra Alessandra Concaro nel suo contributo64, ha un impatto tutt’altro che secondario anche sulla operatività di questa fonte. D’altro lato, rispetto a questo modello, la prassi è ancora distantissima se è vero che le figure sintomatiche di abuso precedenti alla sentenza n. 360 sono tutte confermate se non addirittura ampliate nell’esperienza successiva alla sentenza, come dimostrano più avanti il saggio di Alfonso Celotto65 o le osservazioni di Andrea Pugiotto sull’uso della decretazione d’urgenza per porre norme di interpretazione autentica66. 62
Cfr. G. Di Cosimo, Il parametro in quiescenza, infra, p. xxx. Non è un caso, ma le sentenze con le quali la Corte ha annullato un decretolegge sono una rarità assoluta (la sentenza n. 360/1996 è una di queste eccezioni). 64 Cfr. A. Concaro, Decreto-legge e nuovo Titolo V della Costituzione, infra, p. xxx. 65 Cfr. A. Celotto, Decreto-legge e attività del Governo, infra, p. XXX. 66 Cfr. A. Pugiotto, Una radicata patologia: i decreti-legge d’interpretazione autentica, infra, p. xxx. 63
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8. (segue)… e la «supplenza» del Presidente della Repubblica Ebbene, proprio in questa particolarissima area di confine tra prassi e diritto costituzionale – area in cui il controllo successivo della Corte costituzionale risulta essere ben poco incisivo – nei tempi più recenti sembra invece ottenere maggior efficacia il controllo preventivo affidato all’altra istituzione di garanzia del nostro sistema costituzionale: il Presidente della Repubblica. Più volte nella fase di ipertrofia patologica della decretazione, era stato invocato, dinanzi alla scarsa reattività della Corte, l’azione del Capo dello Stato67, organo che, lo ricordiamo, interviene perlomeno tre volte nell’iter di ciascun decreto-legge68. In realtà, fino alla presidenza Ciampi, non si era andati al di là di appelli più o meno espliciti alla correttezza costituzionale69 ovvero di qualche intervento effettivo, ma piuttosto isolato70; durante la decima presidenza repubblicana, invece, si sono registrati alcuni segnali più consistenti che potrebbero far ritenere aperta una «nuova stagione» per i controlli sulla decretazione d’urgenza71. Ovviamente ci troviamo dinanzi ad interventi che configurano una prassi solo iniziale, ma che, se venisse confermata dalla nuova presidenza Napolitano, potrebbe avere non poca incidenza pratica sulla decretazione. In primo luogo, abbiamo avuto due casi di rinvio presidenziale in sede di promulgazione di una legge di conversione; rinvio che, dati i tempi brevi del procedimento di conversione, non è risultato sospensivo – come lo vorrebbe la Costituzione – bensì ha rappresentato un vero e proprio «veto» presidenziale, determi67 Come ricorda nel suo scritto Romboli – cfr. infra, Decreto-legge e giurisprudenza della Corte costituzionale – già il Presidente della Repubblica Scalfaro aveva minacciato di ricorrere ai suoi poteri di garanzia poco prima che la sentenza n. 360/1996 venisse depositata. 68 Il Presidente della Repubblica, infatti, emana il decreto-legge, autorizza la presentazione del disegno di legge di conversione e promulga la legge di conversione. 69 Si veda G. Guiglia, Ancora un intervento del presidente della repubblica in tema di decreti-legge, «Quaderni costituzionali», 3, 1989, pp. 546 sgg. 70 Si vedano i precedenti rinvii di leggi di conversione operati da Cossiga (V. Lippolis, Presidente della Repubblica e controllo in sede di emanazione dei decreti-legge, «Quaderni costituzionali», 3, 1989, pp. 534 sgg.) citati in A. Simoncini, Una nuova stagione per i controlli sulla decretazione d’urgenza?, «Quaderni Costituzionali», 3, 2002, pp. 612 sgg. 71 A. Simoncini, ibid.
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nando la decadenza dei relativi decreti-legge72 e configurando una sorta di rinascita del potere di «sanzione» pre-costituzionale. Ma, in secondo luogo, soprattutto dalla stampa si è venuti a conoscenza di frequenti «dissensi» presidenziali rispetto alla emanazione di decreti-legge deliberati o deliberandi dal Consiglio dei ministri. In questi casi, sarà bene precisarlo, ci muoviamo comunque al di fuori di poteri formali del Presidente della Repubblica quale, ad esempio, il rinvio delle leggi di conversione, potere espressamente disciplinato dall’art. 74 Cost.73. Che il Presidente della Repubblica, in sede di emanazione degli atti normativi del governo e, in particolare, dei decreti aventi valore di legge, sulla base dell’art. 87 Cost. possa «rinviare» il decreto, in analogia a quanto l’art. 74 gli consente espressamente in occasione della promulgazione, è, come noto, oggetto di profondi contrasti dottrinali74. 72 Il 29 marzo 2002 il Presidente della Repubblica Ciampi ha rinviato alle Camere a norma dell’art. 74 Cost. il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 4/2002 che conteneva norme per fronteggiare la crisi del settore zootecnico, della pesca e dell’agricoltura derivante dalla diffusione del cd. morbo della «mucca pazza» (cfr. Camera dei Deputati Doc I, n. 1). Sui motivi del rinvio, come emergono dal messaggio della presidenza della Repubblica, (e dal comunicato della presidenza del 29/03/2002, in www.quirinale.it/comunicati/comunicati.asp.) si veda A. Simoncini, Una nuova stagione per i controlli, cit. e A. Celotto, più avanti in questo volume p. xxx; il 3 marzo 2006 il Presidente della Repubblica Ciampi ha rinviato alle Camere a norma dell’art. 74 Cost. il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 2/2006 recante interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa (cfr. Camera dei Deputati, Doc. I, n. 8). 73 In realtà, va ricordato che vi è chi in dottrina ha ritenuto che in caso di rifiuto della emanazione di un decreto-legge, il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto, analogamente alla promulgazione, inviare un messaggio (formale) alle Camere per attivare la responsabilità del Governo. Cfr. V. Crisafulli e L. Paladin (a cura di), Commentario breve della Costituzione, Padova 1990, pp. 538 sgg. 74 In dottrina, infatti, v’è chi (ad es. G. Guarino, Art. 87, in G. Branca (a cura di), Commentario della costituzione, Roma-Bologna 1978, pp. 206 sgg., o per una posizione analoga P. Barile, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1991, pp. 304 sgg.) ritiene che il Presidente possa, in analogia alla promulgazione, rifiutare l’emanazione di un decreto-legge solo quando essa configuri attentato alla Costituzione, essendo escluso alcun sindacato nel merito; altri ritiene invece che l’emanazione sia un atto non dovuto e dunque esprima una piena partecipazione del Presidente anche al merito dell’atto (Balladore Pallieri, Diritto Costituzionale, p. 209) o chi ritiene che il controllo del presidente possa solo limitarsi ad una richiesta di riesame (C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, p. 439).
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Non intendiamo, però, esaminare in questa sede la vexata quaestio della legittimità costituzionale di un eventuale rifiuto da parte del Presidente della Repubblica di emanare un decreto-legge (ovvero un decreto legislativo75), caso che in questi termini non sembra essersi presentato76. Vorremmo, invece, segnalare la progressiva affermazione nella prassi di una fase di «negoziazione» tra l’Esecutivo e la presidenza della Repubblica avente ad oggetto il contenuto dei decretilegge77; negoziazione che, in alcuni casi, ha «obbligato» il Governo a modificare il contenuto dei suoi decreti-legge prima della emanazione presidenziale. Questi episodi, in realtà, ci inducono ad esplorare quell’ambito particolarmente «opaco» rappresentato dalle relazioni interistituzionali tra Quirinale e Governo, relazioni quasi sempre affidate a comunicazioni riservate ed informali ovvero a quell’attività di «moral suasion» che sin dall’inizio ha caratterizzato l’istituto della presidenza della repubblica78. Sarebbe, quindi, alquanto difficile addentrarsi ad esaminare una fase del procedimento di formazione dei decreti-legge della quale non abbiamo alcuna documentazione formale79. In alcuni di questi casi, però, oltre alle illazioni giornalistiche, è possibile 75 Si è verificato anche questo nella presidenza Ciampi; si veda il caso della emanazione dei decreti legislativi di attuazione della legge delega n. 308/2004 (c.d. delega ambientale) per il quale, quantomeno sulla base delle cronache giornalistiche, pare vi sia stato proprio un rifiuto di emanazione con richiesta di correzione, una revisione governativa del contenuto ed infine l’emanazione presidenziale; cfr. Ambiente, Codice promosso, «Il Sole 24 Ore», 4 aprile 2006. 76 Una potenziale eccezione potrebbe essere il caso, anch’esso desumibile dalla stampa quotidiana, della riforma del sistema delle intercettazioni telefoniche ed ambientali in cui, per espresso intervento della presidenza della Repubblica, il Governo non avrebbe adottato tale provvedimento nella forma del decreto-legge (come ipotizzato, ma senza una votazione del Consiglio dei ministri), bensì come disegno di legge: cfr. «Il Corriere della Sera», 10 settembre 2005. 77 Che sembra essere, in realtà, solo un aspetto particolare di una più ampia ed incisiva partecipazione presidenziale alla determinazione dei contenuti della legislazione, riscontrabile in generale nel corso della presidenza Ciampi durante la XIV Legislatura. 78 Notissima è la vicenda dei rapporti intercorsi tra il presidente Einaudi ed i primi Governi repubblicani, testimoniata nel memoriale dello stesso L. Einaudi, Lo scrittoio del Presidente (1948-1955), Torino 1956. 79 È noto che la stessa verbalizzazione del Consiglio dei ministri a norma dell’art. 13 del DPCM 10 novembre 1993 «regolamento interno del Consiglio dei ministri» è atto riservato.
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tracciare una sorta di «prova documentale» dell’esistenza di un conflitto tra Esecutivo e Capo dello Stato desumibile dallo stesso iter di emanazione del decreto-legge che, com’è noto, è riferito in premessa al decreto-legge. Prendiamo, ad esempio, il caso del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4 «Misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione». Circa tale decreto-legge alcuni giornali hanno riferito l’esistenza di un conflitto tra la presidenza della Repubblica ed il Governo a riguardo di una disposizione deliberata dal Consiglio dei ministri e che attribuiva al Ministero dei trasporti poteri in materia di autorità portuali in violazione delle prerogative costituzionali delle Regioni e degli enti locali80. Ebbene, una evidenza documentale che sicuramente testimonia il forte «rallentamento procedurale» subìto da questo atto d’urgenza del Governo è che dalla premessa del decreto-legge in questione, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 8 del 11 gennaio 2006, si evince che l’atto è stato deliberato dal Consiglio dei ministri il 29 dicembre 2005, ma è stato emanato dal Presidente il 10 gennaio 2006. La distanza temporale tra la data della deliberazione in Consiglio dei ministri e la data dell’ emanazione presidenziale, distanza che a rigor di logica nel caso di un decreto di urgenza non dovrebbe sussistere se non minima, sta, quindi, a confermare quanto ipotizzato in sede giornalistica, ovverosia il contrasto tra il Presidente ed il Governo su una parte del contenuto del decreto-legge ritenuta incostituzionale81. Dunque, dinanzi alla scarsa effettività del controllo (successivo) effettuato dalla Corte costituzionale possiamo dire che si sta aprendo una nuova stagione per il controllo (preventivo) realizzato da parte del Presidente della Repubblica? Riteniamo su questo punto che si debba distinguere tra l’uso di poteri formali del Presidente – quale il rinvio della promulgazio80
Cfr. Ciampi fa saltare il blitz di Lunardi, «La Repubblica» 12 gennaio 2006. Analoga vicenda è quella del decreto-legge n. 8/2006 emanato dal Presidente l’11 gennaio 2006 in cui dinanzi ad un simile ritardo nella emanazione i giornali hanno ipotizzato un conflitto tra Governo e Presidente riguardante alcuni tetti di età pensionabile per i dirigenti ministeriali (cfr. Il Dl Omnibus da oggi in vigore con meno aiuti ai ministeri, «Il Sole 24 Ore», 12 gennaio 2006), anche se in questo caso l’intervento presidenziale sembra giustificato più da motivi di merito che di legittimità costituzionale. 81
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ne ex art. 74 – dall’uso di poteri informali – quale l’eventuale rifiuto (totale o parziale) in sede di emanazione. Nel primo caso, una particolare e rigorosa attenzione del Presidente in sede di promulgazione delle leggi di conversione potrebbe di certo contribuire positivamente a ridurre la perdurante dissociazione tra la prassi parlamentare e l’art. 77 Cost. In questa circostanza,d’altronde, il procedimento di controllo del Presidente è trasparente e formalizzato; vi è un messaggio presidenziale che, accompagnando il rinvio, ne esplicita i motivi e consente, quindi, di cogliere esattamente le ragioni dell’intervento presidenziale, le eventuali difformità costituzionali e, al Parlamento, di tenerne conto eventualmente attivando la responsabilità politica dell’Esecutivo. Maggiori perplessità solleva la prassi del «rifiuto parziale» del Presidente di emanare decreti-legge, rifiuto che apre una fase di «negoziazione» in cui la presidenza della repubblica si trova a «concordare» con il Governo correzioni, ovvero modifiche. Soprattutto l’«opacità» di questa fase rende difficile valutare quale sia il parametro effettivo del controllo esercitato – se la legittimità costituzionale o il merito – ed in ogni caso occorre ricordare che il Governo – a norma dell’art. 77 Cost. – è responsabile innanzitutto dinanzi al Parlamento per il contenuto dei decretilegge e che, se deve esistere un controllo da parte di organi costituzionali «terzi» rispetto al circuito Governo-Parlamento (Presidente o Corte costituzionale), esso deve avere come unico parametro la costituzionalità dell’atto avente forza di legge e non certo la sua opportunità. C’è comunque un dato che va evidenziato conclusivamente e che accomuna i rinvii presidenziali tanto in sede di promulgazione quanto di emanazione: a differenza del sindacato – come abbiamo visto – solo «potenziale» della Corte costituzionale, il controllo preventivo del Presidente ha un elevatissimo tasso di «effettività». Esso, infatti, è capace di incidere definitivamente sulla decretazione provocandone la decadenza ovvero la «non esistenza», ragioni per le quali questa sorta di «supplenza» esercitata da parte del Capo dello Stato, se venisse confermata ed intensificata nella prassi futura, potrebbe svolgere una influenza veramente notevole sull’uso della decretazione d’urgenza da parte del Governo.
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9.1 La funzione tecnica della decretazione d’urgenza (il decreto-legge come fonte politicamente «depotenziata»). Innanzitutto, il decreto-legge è oggi utilizzato per predisporre prevalentemente normative che, per utilizzare una categoria di uso corrente, potremmo definire di manutenzione legislativa. Si osservi il grafico seguente Finalità d.l. XIV Legislatura al 24 dicembre 2003
in te gr az io ne ,c or re zi on e pr or og a, di ffe r. te di rm sc ip in lin i a sp ec ia le ,t an ra tic ns ip ito az ria io ne pd l. di sc ip lin a po nt e
Seguendo l’impostazione metodologica prescelta e, quindi, muovendo dalle indicazioni che ci vengono dalla prassi, emergono alcune spiegazioni della esistenza di questo tasso strutturale di decretazione, che possono costituire la base per una nuova riflessione su questa fonte normativa. Il punto di partenza è che vi sono alcuni settori in cui l’uso del decreto-legge è divenuto ormai, per dire così, «cronico». A dispetto della sua natura di strumento finalizzato a predisporre provvedimenti provvisori per porre rimedio ad emergenze imprevedibili, il decreto-legge è diventato la fonte tipica di certi settori materiali. Si pensi ai decreti-legge in materia di politica estera militare (sui quali si sofferma Filippo Vari82), ma soprattutto ai decretilegge adottati per realizzare quella che viene chiamata la «manutenzione legislativa» (il saggio di Nicola Lupo si sofferma sul caso forse più emblematico di questo genere di decreti: il c.d. decreto «milleproroghe»83); altrove ho evidenziato altri settori materiali in cui il decreto-legge è usato come fonte preferenziale, si pensi, ad esempio, all’intervento in economia, ovvero a certe manovre correttive della stessa legge finanziaria84. In tutte queste aree, pur potendo utilizzare lo strumento della legge ordinaria, il Governo preferisce il decreto-legge essenzialmente perché è una fonte capace di produrre immediatamente i suoi effetti normativi. È questa la vera funzione che emerge dalla prassi: il decretolegge non viene utilizzato in presenza di particolari condizioni esterne (l’emergenza imprevista), ma a causa di una sua caratteristica propria: avere la «forza» della legge, ma non il suo procedimento; esso da un lato entra immediatamente in vigore, dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri e l’emanazione presidenziale, con la pubblicazione in Gazzetta, e dall’altro gode ormai di tempi certi di approvazione parlamentare85.
Si potrebbe, quindi, ipotizzare una sorta di duplice funzione della decretazione d’urgenza, ripercorrendo quella distinzione tra funzione «tecnica» e «politica» di una fonte che abbiamo già richiamato86.
em er ge nz a
9. La funzione tecnica e politica del decreto-legge, oggi
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Cfr. F. Vari, Decreto-legge e gestione della politica estera militare, infra, p. xxx. Cfr. N. Lupo, Decreto-legge e manutenzione legislativa: i decreti-legge «milleproroghe», infra, p. xxx. 84 Decreto-legge n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003; decreto-legge n. 356/2003, convertito in legge n. 48/2004. 85 Essendo i dati sulla conversione altissimi, come abbiamo esposto.
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E. Cheli, Potere regolamentare e struttura costituzionale, cit.
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Con questo termine si intende, in realtà, un insieme di interventi legislativi molto diversi tra loro: dalle misure di proroga di scadenze legislative, alla predisposizione della normativa transitoria che sempre più spesso manca nelle leggi ordinarie; dalla previsione di aggiustamenti o correzioni dovuti alla prima applicazione di una norma (in questo concorre con il parallelo fenomeno delle deleghe «correttive», realizzate con decreto legislativo), alle modifiche rese necessarie da cambiamenti successivi alla entrata in vigore. In ogni caso, il carattere unificante di questo variegato insieme di interventi legislativi a noi sembra essere quello di normative «accessorie», cioè norme riferite a norme preesistenti e finalizzate a permetterne il corretto funzionamento o applicazione. Per «manutenzione legislativa» intendiamo, dunque, un tipo di norme che quasi mai forniscono una normativa nuova di un certo settore, ma che si riferiscono sempre ad altre norme già esistenti, apportandovi modifiche o correzioni. La ragione della scelta del decreto-legge è chiara: questa normativa da «manutenere» è di livello legislativo e, quindi, atti regolamentari o comunque secondari del Governo non sarebbero in grado di apportare le correzioni necessarie. In questo senso la decretazione di urgenza si è rivelata una sorta di «alternativa funzionale» al fenomeno della delegificazione, sovente introdotta proprio per consentire che le modifiche di un esistente assetto legislativo potessero avvenire con una fonte secondaria più rapida e semplificata della legislazione. Laddove non ci sia delegificazione, ovvero sia fallita, ecco, allora, la necessità del decreto-legge che, in quanto fonte primaria, può prorogare termini, differire scadenze, prevedere norme finali o transitorie e quant’altro. In questo caso il decreto-legge opera, se è consentita l’espressione, come una fonte «politicamente depotenziata»; nel senso, che usato in questo modo, raramente attraverso di esso si introducono nuove scelte politiche di indirizzo della legislazione o si esprimono nuovi orientamenti relativi alla materia disciplinata. Difficilmente con questi interventi si modifica la normativa «sostanziale», limitandosi agli aspetti «accessori» della normativa (termini, scadenze, requisiti, misura dei finanziamenti). Sono interventi di natura più «tecnica» che politica (di qui il «depotenziamento»), che ben potrebbero essere realizzati attraver-
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so atti secondari del Governo, se la natura primaria della legislazione di riferimento non richiedesse, a sua volta, una fonte primaria. È ovvio che dietro le scelte di manutenzione sovente si possono nascondere scelte di valore, anche politico; il punto che qui vogliamo evidenziare è che, in questi casi, la scelta del decretolegge è motivata in sede «tecnica» e non politica, per la ragione di dover rapidamente predisporre «correzioni» o «manutenzioni» dei testi legislativi.
9.2 La funzione politica della decretazione d’urgenza (il decreto-legge come fonte politicamente «potenziata»). Ma il decretolegge, curiosamente, viene utilizzato come fonte «tipica» anche in altri casi, che sembrerebbero del tutto opposti rispetto a quelli esaminati al punto precedente. Il nuovo atteggiarsi del nostro sistema partitico in termini tendenzialmente «bipolari»87, rispetto alla più frammentata struttura politica precedente, sta decisamente cambiando la funzione ed il ruolo della sede parlamentare nella produzione legislativa. In un sistema politico frazionato e a «Governi di coalizione», infatti, la sede parlamentare è lo strumento principale per la composizione delle diverse istanze politiche. In tali condizioni – basti pensare all’Italia prima delle riforme elettorali degli anni ’90 – occorre uno strumento capace di accogliere e canalizzare in un processo di negoziazione politica estremamente ampio tutte le diverse forze politiche presenti nel Parlamento e nel Governo. Il procedimento legislativo parlamentare è, quindi, il principale «collettore» incaricato di comporre tali diverse istanze. È evidente qual è il rovescio di tale medaglia: il procedimento legislativo diviene assolutamente deficitario in termini di efficienza e capacità decisionale; soprattutto i tempi di percorrenza parlamentare diventano del tutto indecifrabili. L’iter di una legge è normalmente indecidibile, nonostante i tentativi di introdurre «corsie preferenziali» o strumenti di semplificazione, proprio perché deve dare spazio alle diverse e spesso 87 Cfr. A. D’Andrea (a cura di), Lo sviluppo bipolare della forma di governo in Italia, Bologna 2003.
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conflittuali esigenze delle diverse componenti delle maggioranze di Governo e poi, com’è noto, coinvolgere anche le forze politiche di opposizione nella inevitabile tendenza consociativa di tali regimi politici88. Il sistema bipolare ha creato uno scenario del tutto diverso. Innanzitutto perché, com’è noto, la transizione è ancora incompleta e dunque ci troviamo, rispetto all’assetto precedente, in un sistema politico certamente meno frammentato (quantomeno per l’emersione di due coalizioni pre-elettorali), mentre i Governi restano essenzialmente di coalizione. Il termine coniato in occasione di tale stagione di riforme è quello della «democrazia decidente»89. Si indica con questo concetto l’esigenza, non più prorogabile, che le decisioni – democraticamente legittimate – siano però effettive e soprattutto certe nei tempi. Il controllo sulla tempistica – oltre che tempestività – delle decisioni di grado legislativo, diviene un elemento non più inevitabilmente di secondo grado rispetto alla loro negoziazione con le varie parti politiche. La programmazione dei lavori del Parlamento è un elemento decisivo nella realizzazione dei programmi politici, sui quali ora direttamente si pronuncia il corpo elettorale nella scelta della maggioranza alle elezioni. Dinanzi a queste modificazioni indotte dal nuovo sistema elettorale resta però il dato della esistenza di Governi di coalizione e di un forte tasso di disomogeneità politica interna alle coalizioni stesse. È su questa incompletezza – o se si vuole contraddittorietà – della transizione politico-istituzionale del nostro sistema che trova (altro) fondamento l’uso del decreto-legge. Quando una decisione è presa dalla coalizione di maggioranza – ed in certi casi tali decisioni possono ancora richiedere complesse negoziazioni endo-governative, vista la natura semmai «bipolare», ma non certo «bipartitica» del nostro sistema politico – in molti casi la si anticipa attraverso un decreto-legge. 88
Su tali punti si rimanda a A. Lijphart, Le democrazie contemporanee, Bologna
2001. 89 Secondo l’espressione usata dall’allora presidente della Camera on. Luciano Violante nella Premessa a: Camera dei Deputati, Modificazioni al Regolamento della Camera dei deputati, Roma 1998, p. XI.
L’EMERGENZA INFINITA
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Le procedure parlamentari – esistendo oggi nelle Camere rappresentative maggioranze decisamente più solide, sul piano numerico, di quelle prodotte prima degli anni ’90 – sono sentite nella peggiore delle ipotesi come lungaggini e, nella migliore, come fasi di «controllo» della decisione presa dal Governo piuttosto che come fasi di reale decision-making. Nel caso delle decisioni coinvolgenti l’indirizzo di politica economica, questo è di tutta evidenza: sempre più spesso le decisioni riguardanti la «manovra finanziaria» vengono anticipate per decreto-legge, lasciando al disegno di legge finanziaria in senso proprio solo parti residuali o generali della manovra, comunque le meno urgenti. Con la stessa logica si anticipano per decreto-legge riforme o parti di riforme ad alto valore politico che, in molti casi, hanno richiesto una lunga fase di negoziazione preventiva90. È evidente che, in questa dimensione, il decreto-legge, in realtà, rappresenta solo un aspetto particolare di un problema ben più generale e complesso; quello, cioè, del generale cambiamento degli strumenti dell’azione di Governo nel nuovo quadro istituzionale e politico interno e globale. In ogni caso, nella sua funzione politica, paradossalmente al contrario di quella tecnica, il decreto-legge si atteggia ad una fonte potenziata sul piano politico, ricordando quelle «leggi motorizzate» che già evocava Predieri nei suoi studi precursori sul decreto-legge91. Esso, infatti, esprime non una scelta a basso «valore politico», come nel caso della manutenzione legislativa, ma al contrario manifesta un forte «plusvalore politico» derivante dalla necessità di dare immediata attuazione alla scelta di indirizzo politico del Governo e, quindi, della maggioranza parlamentare. 90 Si pensi a: decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica»; al decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici nella parte in cui fissa norme sulla spesa farmaceutica» (artt. 48 sgg.); decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, recante «Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, nonché per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione. Sanatoria degli effetti dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 280»(artt. 1 e 2). 91 A. Predieri, Il Governo colegislatore, in F. Cazzola, A. Predieri, G. Priulla (a cura di), Il decreto-legge fra Governo e Parlamento, Milano 1975.
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Anche in questo caso la causa dell’atto, in senso proprio, resta la stessa: una fonte primaria in grado di entrare immediatamente in vigore e di essere discussa in tempi certi. Rapidità e certezza dei tempi, due qualità decisive nell’azione dei governi contemporanei.
Lo scenario
Cesare Pinelli Il decreto-legge e la teoria costituzionale: profili introduttivi
Risale al 1962 la voce «Decreto-legge» che Carlo Esposito scrisse per l’Enciclopedia del diritto. Egli si basava su un presupposto di diritto positivo, ossia l’uso dell’aggettivo «straordinari» nell’art. 77 Cost., per desumerne la tesi che i decreti-legge nel nostro ordinamento sarebbero atti invalidi, oltre ad una serie di conseguenze, tutte rigorosamente concatenate l’una all’altra. Anzitutto, i giudici non avrebbero dovuto applicare i decretilegge direttamente; in secondo luogo, la legge di conversione era concepita come legge destinata a rendere valido un atto originariamente invalido; in terzo luogo, gli emendamenti in sede di legge di conversione erano inammissibili; infine, i decreti-legge in materia costituzionale erano ammissibili. Basta aver ricordato queste implicazioni della tesi di Esposito per renderci conto che, a distanza di pochissimi anni dall’entrata in vigore della Costituzione, era ancora possibile fornire una simile configurazione del decreto-legge, su cui peraltro la dottrina dominante, con l’eccezione di Federico Sorrentino, non concorderà. La gran parte dei costituzionalisti continuerà ad escludere che l’aggettivo «straordinario» equivalga a costituzionalizzare atti originariamente invalidi. Prevarrà piuttosto la tesi della conversione come novazione della fonte e dunque come qualcosa di profondamente diverso dall’ipotesi espositiana. Prevarrà l’idea che gli emendamenti siano in linea generale ammissibili, anche sulla base di una prassi che già si andava diffondendo. Mentre l’ammissibilità di decreti-legge in materia costituzionale continuerà a dividere la dottrina: da Mortati, che anche in base ad ascendenze romaniane assumeva la necessità come fonte del diritto, a quanti propendevano per l’inammissibilità.
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Questo brevissimo resoconto di opinioni scientifiche che sono alle nostre spalle potrà servire ai giovani studiosi, affinché sappiano qualcosa di quella che era l’interpretazione del nostro dover essere costituzionale fino a qualche tempo fa (interpretazione, come si vede, già allora non univoca). Nella voce di Esposito c’è inoltre una distinzione, quella tra necessità assoluta e necessità relativa, che credo serva a comprendere l’evoluzione successiva. La necessità assoluta o oggettiva (non necessità come fonte, secondo la tesi di Mortati) equivale per Esposito a requisito di ammissibilità del decreto-legge in senso assoluto, in situazioni davvero straordinarie (i casi dei decreti-catenaccio o dei decreti emanati in occasioni di terremoti e calamità naturali). La necessità relativa o soggettiva è invece quella avvertita come tale dal Governo. Ebbene, astratta dalla complessa configurazione espositiana, la distinzione fra necessità assoluta e necessità relativa avrebbe potuto benissimo giustificare la prassi a cui poi si è assistito. Come sappiamo, i casi di necessità veramente assoluta sono molto limitati, mentre nella stragrande maggioranza delle ipotesi si ha una necessità relativa, cioè avvertita come tale soggettivamente dal Governo, che non a caso si combina nella prassi con un ricorso intensissimo agli emendamenti in sede di legge di conversione del decreto-legge. È intorno a questo scambio fondamentale che credo vada articolata la nostra riflessione. Lo scambio tra valutazione soggettiva del Governo della necessità di adottare provvedimenti provvisori con forza di legge e il potere del Parlamento di intervenire ex post. Su questo si innesteranno poi tesi già «schiacciate» sui fatti, che in realtà chiedono ai costituzionalisti uno sforzo ulteriore. Penso a quella di Predieri del decreto-legge come iniziativa legislativa rinforzata. Che il decreto-legge si avviasse in tale direzione non era discutibile. Eppure l’effettività non si impone mai senza una nostra passiva accettazione: esiste sempre una componente soggettiva di responsabilità dei giuristi – e dei costituzionalisti in particolare – nell’accettare la necessità dell’effettività. Mi sembra che ci sia una connessione tra questo punto e quanto penso emerga da alcuni saggi contenuti in questo volume. I contributi di Pitruzzella1 e di Celotto2 hanno sostanzialmen1 2
xxx.
G. Pitruzzella, Decreto-legge e forma di governo, infra, p. xxx. A. Celotto, Decreto-legge e attività del Governo (nella XIV Legislatura), infra, p.
IL DECRETO-LEGGE E LA TEORIA COSTITUZIONALE: PROFILI INTRODUTTIVI
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te risposto a due esigenze diverse che costituiscono in effetti le domande di partenza di fronte alla vicenda dei decreti-legge. La prima domanda è perché ci troviamo di fronte ad un perdurante ricorso al decreto-legge che riteniamo ecceda i presupposti straordinari di necessità ed urgenza: anche se guardiamo soltanto alla contingenza di queste ultime legislature, l’uso della decretazione d’urgenza non ha avuto un calo significativo. La seconda domanda, invece, è in che cosa consista questo fenomeno, quali sono gli abusi. Ci si chiede in altri termini non più come si spiega, ma in cosa consista questo abuso. Se la domanda è la prima, ci indirizziamo nella direzione di Pitruzzella. Se ci riferiamo alle tendenze di lungo periodo del sistema politico e della forma di governo, dobbiamo constatare che ci troviamo di fronte ad una transizione non ancora conclusa. Io sarei però più specifico a proposito di stabilità, perché tra maggioranza parlamentare e Governo possono attivarsi dei sospetti circa ciò che la maggioranza parlamentare potrebbe fare laddove il Governo presentasse, tramite disegni di legge governativi, tutto ciò che invece adotta per decreto-legge. Questo sospetto è a mio avviso all’origine del perdurante massiccio ricorso al decreto-legge, almeno in una Legislatura come la XIV nella quale il parlamentarismo maggioritario è a prova di bomba, nel senso che ipotesi di scioglimento delle Camere e di instabilità cronica non ce ne sono. Quindi il problema non è più la stabilità del rapporto Governo-Parlamento ma la coesione interna alla maggioranza. È un problema specificamente italiano, che va al di là della pura transizione e che va tenuto presente nel momento in cui parliamo di parlamentarismo maggioritario, a rischio di non intendere tutto quello che c’è da capire per quanto riguarda questo fenomeno. In ogni caso, però, se riconduciamo il fenomeno solo agli andamenti della forma di governo, finiamo per dire che, per avere un ricorso meno intenso ai decreti-legge, dobbiamo attendere che la forma di governo cambi. Ovvero, come si dice a scuola, finiamo fuori tema. Il sospetto per le spiegazioni monocausali mi porta poi a porre un’altra questione. Se ci chiediamo perché le cose funzionano così in Italia e non in altri paesi, oltre alle caratteristiche del nostro sistema politico, non possiamo non rifarci alle caratteristiche di un assetto costituzionale delle fonti che nell’ultimo decennio non
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ha avuto riforme tali da favorire un buon esito neanche sotto questo profilo. Non mi riferisco alla XIV Legislatura, dove le cose non sono cambiate affatto, ma alla precedente, che è stata ricca di innovazioni ed anche di fallimenti. Nel corso della XIII Legislatura, la sentenza n. 360/1996 della Corte costituzionale ha fatto sì che quella sorta di pulsione verso gli atti con forza di legge in luogo del ricorso alla legislazione ordinaria – pulsione che ha mosso da sempre i nostri Esecutivi – si indirizzasse verso la delega legislativa. Il requisito molto condizionante della reiterazione posto dalla Corte ha cioè portato ad incrementare il ricorso alla delega. Un’altra vicenda importante, sempre nel corso della XIII Legislatura, è stata l’uso molto consistente della delegificazione, con introduzione di figure di delegificazione del tutto inconsuete rispetto a quelle previste dalla legge n. 400/1988: basti pensare alla legge n. 50/1999. Ricorso intenso, ma anche sconsiderato, perché fatto in modo tale da prospettare una quantità di modelli di atti di normazione secondaria senza minimamente porsi il problema della stabilizzazione delle fonti, quasi si trattasse di ubbie di qualche teoreta d’altri tempi e non di questioni sentite dai cittadini e dagli operatori economici. La vicenda ha avuto un esito imprevisto, perché come è noto il nuovo testo dell’art. 117 Cost. riduce notevolmente la possibilità di normazione secondaria dell’Esecutivo. A me sembra che il ricorso alla delegificazione abbia avuto simili caratteristiche anche per la tentazione di rilegificare materie delegificate e, sostanzialmente, di manovrare liberamente sugli effetti, derogando largamente alle previsioni della legge n. 400/1988. Questo rapporto è completamente saltato nelle leggi di delegificazione che si sono susseguite nella XIII Legislatura. Tutto ciò è anche conseguenza dell’assenza, almeno secondo le ricostruzioni dominanti, di una riserva di amministrazione. Diversamente, lo stesso ricorso al decreto-legge non avrebbe forse avuto un’altra storia? Il ricorso massiccio ai decreti-legge comporta anche di dover legiferare o di rilegiferare su materie che non necessariamente, per Costituzione, devono avere rango legislativo. Fra ricorso al decreto-legge e potestà illimitata del Parlamento di legiferare al di là delle materie oggetto di riserva di legge potrebbe esservi insomma una connessione tale da innescare effetti perver-
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si, in una misura ben maggiore di quanto di solito non si ritenga. Questa è una spiegazione concorrente con quella della forma di governo, sulla quale varrebbe la pena riflettere. Dunque, cosa possiamo fare durante la c.d. emergenza? Se prendiamo come riferimento l’emergenza, potremo cominciare a classificare le tipologie di abuso come ha provato a fare Alfonso Celotto. È evidente che qui il livello di attese si abbassa, ma nello stesso tempo il compito dei costituzionalisti diventa più realistico. Quanto alle tipologie di abuso, vorrei limitarmi a una distinzione generalissima. Fino a che punto ci troviamo di fronte ad un problema di costituzionalità? Che, ad esempio, uno stesso decreto-legge rechi norme sui Vigili del fuoco e disciplina delle accise sui tabacchi farà anche sorridere. Ma possiamo parlare di violazione dell’art. 77 Cost.? Sinceramente, ho dei dubbi. Dobbiamo allora cercare di attrezzare la nostra indagine sugli abusi per gradi di irragionevolezza, alla ricerca, conducibile in tanti modi e in riferimento a tanti aspetti, di ciò che appare più manifestamente abusivo. Per quanto riguarda le Regioni, fin dalla sentenza n. 302/1988 la Corte ha ammesso il ricorso delle Regioni contro i decreti-legge anche per violazione dell’art. 77 Cost., laddove ciò ridondasse in violazione delle proprie competenze costituzionalmente garantite. È un’altra strada da percorrere. Altra questione è quella dei diritti fondamentali. Quando l’uso del decreto-legge lede un diritto fondamentale? Davvero è sufficiente rispondere che c’è lesione quando c’è violazione della certezza del diritto? Queste, comunque, sono le domande cui dobbiamo cercare di dare una risposta. L’ordine delle fonti è profondamente stravolto, ma con questo stravolgimento dobbiamo fare i conti sapendo che non possiamo affrontare problemi che sono al di là del diritto costituzionale positivo e delle sue interpretazioni, e che riguardano solo il sistema politico. L’abuso del decreto-legge chiama i costituzionalisti soprattutto a uno sforzo del genere.
Giovanni Pitruzzella Decreto-legge e forma di governo
SOMMARIO: 1. Il paradosso dei decreti-legge nell’attuale fase politicoistituzionale – 2. Dati sulla decretazione d’urgenza dopo la svolta maggioritaria e la sentenza della Corte costituzionale n. 360/1996 – 3. Crescita dei poteri normativi del Governo e contraddizioni dell’assetto della forma di governo – 4. Un Parlamento in bilico tra Capitol Hill e Westminster – 5. Decreti-legge ed equilibri della forma di governo
1. Il paradosso dei decreti-legge nell’attuale fase politico-istituzionale Esiste un paradosso dei decreti-legge: i controlli costituzionali sui decreti-legge diventano più penetranti e, al contempo, il potere normativo del Governo si rafforza sicché esistono strumenti di produzione normativa più efficaci della decretazione d’urgenza ma, ciononostante, nel corso della XIV Legislatura il numero dei decreti-legge emanati resta assai elevato. Da una parte, i controlli costituzionali sulla decretazione d’urgenza, da tanto tempo invocati dalla dottrina, sono stati finalmente attivati, cosicché l’abuso della decretazione d’urgenza da problema politico-costituzionale è diventato problema giuridicocostituzionale. Il Presidente della Repubblica, all’avvio della XIII Legislatura, ha inviato una lettera al presidente del Consiglio incaricato con cui definiva il problema della reiterazione dei decretilegge «una usurpazione delle prerogative del Parlamento», facendo seguito al «monito» contenuto nella sentenza n. 302/1989. Vi è stata, poi, la celebre sentenza n. 360/1996, con cui la Corte costituzionale ha rilevato l’incostituzionalità degli atti adottati dal Governo perché «ha reiterato con contenuto immutato ed in
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assenza di nuovi presupposti di necessità e di urgenza le disposizioni espresse in due precedenti decreti-legge»1. D’altra parte, il potere del Governo di indirizzare i processi di produzione normativa è stato notevolmente irrobustito. Ciò è dovuto, in primo luogo, alla riforma dei regolamenti parlamentari, realizzata in entrambe le Camere negli anni ’80 e ’90. Uno dei principali obiettivi è quello di realizzare una «democrazia decidente». Come ha scritto Nicola Lupo, «uno dei fili conduttori che emerge con maggior chiarezza nelle modifiche intervenute nei regolamenti della Camera e del Senato nel corso degli anni ’80 e ’90 è proprio quello del rafforzamento del ruolo della maggioranza di governo e in parte dello stesso Governo in Parlamento»2. Com’è noto, nel 1988, attraverso un’ampia riforma del regolamento del Senato, non soltanto si limita in modo drastico il ricorso al voto segreto, ma vengono riviste altresì le norme sulla programmazione dei lavori parlamentari, stabilendo che il programma sia redatto «tenendo conto delle priorità individuate dal Governo», oltre che «delle proposte avanzate dai gruppi parlamentari nonché dai singoli senatori». L’attuazione del programma e del calendario che da esso discende è garantita attraverso la previsione generalizzata del contingentamento dei tempi, che include anche la determinazione della «data entro cui gli argomenti iscritti in calendario devono essere posti in votazione». Alla Camera dei deputati, con la riforma regolamentare del 1990, si è avuto l’ingresso ufficiale del Governo nella programmazione dei lavori e si è introdotto il contingentamento dei tempi; nel 1997 vi sono state altre modifiche con il fine di rafforzare la posizione del Governo in Parlamento3. Tutto ciò si completa con la crescita significativa dei poteri normativi del Governo attraverso l’uso ampio della delegazione legislativa ed il ricorso ai regolamenti di delegificazione4. 1 Per un’approfondita disamina di questi sviluppi v. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge. La decretazione d’urgenza dopo la sentenza n. 360/1996 della Corte costituzionale, Milano 2003. 2 Così N. Lupo, Il Governo in Parlamento: la fuga verso la decretazione delegata non basta, in S. Ceccanti e S. Vassallo (a cura di), Come chiudere la transizione. Cambiamento, apprendimento e adattamento nel sistema politico italiano, Bologna 2004, p. 227. 3 V. sempre N. Lupo, Il Governo in Parlamento, cit., pp. 228 sgg. 4 Cfr., per tutti, P. Caretti e A. Ruggeri (a cura di), Le deleghe legislative. Riflessioni sulla recente esperienza normativa e giurisprudenziale, Milano 2003.
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2. Dati sulla decretazione d’urgenza dopo la svolta maggioritaria e la sentenza della Corte costituzionale n. 360/1996 Eppure, nonostante l’intensificazione dei controlli costituzionali sulla decretazione d’urgenza e la disponibilità da parte del Governo di una più agevole corsia legislativa e di incisivi poteri normativi, il ricorso alla decretazione d’urgenza resta notevole nella XIV Legislatura. Sta proprio in questo fenomeno il paradosso della decretazione d’urgenza. Gli abusi del decreto-legge sono stati tendenzialmente ricondotti tanto all’indisponibilità da parte del Governo di strumenti di rapida produzione normativa, quanto alla sostanziale assenza di meccanismi costituzionali di controllo. Ora che ci sono gli uni e gli altri la decretazione d’urgenza continua ad attestarsi su dati quantitativi cospicui. Più precisamente, nella XIV Legislatura (fino al 31 marzo 2004) i dati sulla decretazione d’urgenza5 possono essere così sintetizzati: – il totale dei decreti-legge emanati è pari a 196, con una media mensile di 4,04 decreti; – i decreti-legge convertiti sono 118, con una percentuale di conversione pari al 91,4%; – i decreti convertiti con emendamenti sono 105, sicché la conversione con emendamenti rappresenta l’89% sul totale delle conversioni; – le tendenze sono costanti nei tre anni di vita del Governo Berlusconi. Più precisamente, nel primo anno di governo la loro media mensile è di 4,4 decreti, la conversione riguarda il 98% dei decreti emanati, mentre i convertiti con emendamenti rappresentano l’82,6% del totale delle conversioni. Nel secondo anno la media mensile è di 3,8, l’87% dei decreti è convertito e, sul totale delle conversioni, quelle con emendamenti rappresentano il 92,5%. Nel terzo anno di governo la media mensile cresce lievemente, con 4,2 decreti al mese, i convertiti rappresentano l’81% e la conversione con emendamenti costituisce il 93% della conversione complessiva. Rispetto alla situazione precedente alla sentenza n. 360/1996, possiamo cogliere una diminuzione della decretazione, che però 5 I dati riportati sono tratti da A. Betto, E. Longo (a cura di), Dati e statistiche sui Decreti-legge, in appendice al testo, p. xxx.
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resta alta in termini assoluti e che non diminuisce con il progredire della Legislatura. Anzi la media dei decreti-legge emanati tende ad essere addirittura superiore rispetto a quella della XIII Legislatura, dopo la sentenza n. 360. Si è passati da una media di 3 decreti-legge al mese a 4 mensili. Non è un aumento vistoso in termini assoluti, ma indicativo in termini relativi (è un aumento di circa il 25%). Ma è ancora più significativo il fatto che aumenta la percentuale dei decreti convertiti con emendamenti rispetto a quanto avveniva nell’ultima fase della Legislatura precedente. Invero, durante il Governo Prodi la percentuale di decreti-legge convertiti con emendamenti sul totale di quelli convertiti era pari a circa il 90%. Questa percentuale si era ridotta con il primo Governo D’Alema (76%), con il secondo Governo D’Alema (76%) e con il Governo Amato (77%), ma subisce un picco con il Governo Berlusconi nella XIV Legislatura, arrivando all’89%. Il dato sorprendente, pertanto, è che un Governo dotato di un’amplissima maggioranza parlamentare di sostegno (sicuramente più ampia di quella dei Governi D’Alema e Amato) ha subito un numero particolarmente elevato di modificazioni parlamentari dei decreti-legge adottati. I dati richiamati si arricchiscono di ulteriori significati se si tiene conto di come l’ampio numero di decreti-legge e di emendamenti parlamentari si inserisce in un sistema che attribuisce carattere dominante all’iniziativa legislativa, per cui, nella Legislatura in corso, più dell’80% delle leggi approvate sono d’iniziativa del Governo. E sullo stock di leggi di iniziativa governativa, più del 40% sono leggi di conversione di decreti-legge.
3. Crescita dei poteri normativi del Governo e contraddizioni dell’assetto della forma di governo Dai dati fin qui segnalati emerge un quadro contraddittorio che può essere così sintetizzato: – il Governo dispone, dal punto di vista dell’aritmetica parlamentare, di un’ampia maggioranza parlamentare di sostegno, che assicura il successo delle sue iniziative legislative; – la posizione del Governo in Parlamento si è notevolmente rafforzata, sia sul versante della programmazione dei lavori, sia sul piano dei tempi della decisione parlamentare;
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– c’è stata una considerevole crescita dei poteri normativi del Governo. Al riguardo, vanno richiamati i dati sul numero dei decreti legislativi per Legislatura: 129 nella X, 107 nella XI, 51 nella XII, 378 nella XIII, 80 nella XIV al 31 maggio 2003. L’espansione del fenomeno si realizza soprattutto con la legge n. 421/1992, predisposta dal Governo Amato e fatta approvare a colpi di questioni di fiducia. Ma altrettanto rilevante è l’impulso dato alla delegificazione, soprattutto a seguito della legge n. 59/1997, che ha trasferito ai regolamenti di delegificazione la disciplina di procedimenti amministrativi e dell’organizzazione ministeriale, ed ha previsto una nuova specie di leggi a cadenza annuale, le «leggi di semplificazione», incaricate di continuare l’opera di semplificazione amministrativa attraverso la tecnica della delegificazione; – eppure, nonostante il plusvalore politico che ha il Governo per via della sostanziale investitura popolare del Premier e della disponibilità di un’ampia maggioranza parlamentare, nonché dell’accrescimento delle risorse istituzionali che definiscono lo statuto del Governo in Parlamento, la decretazione d’urgenza continua ad avere dimensioni e fisionomia abnormi rispetto al modello che, sulla base dell’art. 77 Cost., ha ricostruito la dottrina. Rispetto al quadro che si è tratteggiato, pare corretto osservare – come fa Nicola Lupo – che, nonostante le accennate trasformazioni, «il ruolo del governo è inadeguato»6. In particolare, poiché «il dominio dell’ordine del giorno dell’Assemblea è assicurato, infatti, tendenzialmente alla “maggioranza parlamentare” e non al Governo in quanto tale. Il Governo, a differenza del modello francese e secondo invece i canoni classici del parlamentarismo, influenza e determina i lavori delle Assemblee parlando attraverso la voce della sua maggioranza, segnatamente dei presidenti dei gruppi parlamentari della coalizione. Il governo dunque è “padrone” dell’ordine del giorno delle assemblee nella misura in cui è in grado di determinare le scelte della sua maggioranza»7. Se, dunque, si condivide l’assunto secondo cui oggi si assiste «più che ad una debolezza del Governo in Parlamento, a una mancata attribuzione al Governo della titolarità di quei poteri di formazione dell’agenda che gli imporrebbero di assumere, di con6 N. Lupo, Il Governo in Parlamento: la fuga verso la decretazione delegata non basta, cit., p. 238. 7 Ibid., p. 238.
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seguenza, le responsabilità politiche che gli competono»8, ciò non spiega ancora perché sia così forte la spinta ad utilizzare il decreto-legge. Paradossalmente, come ha puntualizzato Simoncini, «la strada del decreto-legge è divenuta, all’inverso, la più incerta sul piano dei tempi parlamentari»9. Infatti, alla Camera dei deputati permane l’esclusione – a partire dal c.d. «Lodo Violante» – dei disegni di legge di conversione dal contingentamento dei tempi di discussione. A causa di ciò, la conversione dei decreti-legge «resta attualmente una delle poche procedure all’interno delle quali può essere efficacemente realizzato l’ostruzionismo, strumento oggi molto più debole nelle procedure di esame ordinarie proprio a causa della generalizzazione del contingentamento dei tempi di discussione sui progetti di legge»10. Per spiegare allora come mai, nonostante le attese suscitate dall’evoluzione del parlamentarismo in senso maggioritario-avversariale e dalla sentenza n. 306/1996, la decretazione d’urgenza resti un fenomeno imponente e permanga la negoziazione parlamentare dei contenuti della legge di conversione, occorre ricorrere a più complesse chiavi di lettura, che riguardino l’assetto complessivo della forma di governo.
4. Un Parlamento in bilico tra Capitol Hill e Westminster Dopo la riforma elettorale del 1993, la tendenziale bipolarizzazione del sistema politico e la sostanziale investitura popolare del presidente del Consiglio, si è certamente avuta una modifica del ruolo politico-istituzionale del Parlamento. Siamo ormai lontani da quel modello di «centralità parlamentare», caratterizzato dal prevalere di logiche decisionali di tipo consensuale e compromissorio, con il Parlamento sede-simbolo del predominio della politica dei partiti, cui corrispondeva la debolezza del Governo e la sua frantumazione (il «governo per Ministeri»)11. Ma l’abbandono del modello della «centralità parlamentare» non sembra cor8
Ibid., p. 239. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 446. 10 Ibid., p. 446. 11 Su tale assetto politico istituzionale sia consentito rinviare a G. Pitruzzella, Forme di governo e trasformazioni della politica, Roma-Bari 1996, pp. 37 sgg. 9
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rispondere all’accoglimento del «modello Westminster», in cui prevale la contrapposizione avversariale tra Governo-maggioranza parlamentare, da una parte, e opposizione, dall’altra parte, ed in cui il Governo è il dominus dell’agenda parlamentare e quindi il «comitato direttivo» del Parlamento. Un Parlamento che, conseguenzialmente, vede ridotta la sua capacità di incidere sui tempi e sui contenuti della legislazione, ma diventa la sede istituzionale privilegiata di una permanente e penetrante verifica della capacità di guida del Governo12. Tale dinamica si può innescare in un sistema che resta ancorato al modello del party-government, nel quale, perciò, si è Premier in quanto si è conquistata la leadership del partito che vince le elezioni ed in cui il Governo si sottopone al costante vaglio critico dell’opposizione in vista dell’alternanza ciclica nei ruoli di Governo e opposizione. Ma l’Italia resta ancora lontana dal «modello Westminster». Da una parte, ci sono la permanente frantumazione del sistema partitico ed il basso livello di coesione intrapartitica ed intracoalizionale13. L’esperienza politica successiva al 1993 ha dimostrato che la vittoria elettorale è il risultato di operazioni di ingegneria nella formazione della coalizione. Fra i due schieramenti antagonistici vince le elezioni e conquista il Governo chi riesce a formare la coalizione più ampia, la coalizione «acchiappatutto», che deve essere costruita prima delle elezioni. Proprio la necessità di dare vita a questo tipo di coalizioni rafforza la posizione dei partiti minori, che cambiando alleanze possono ribaltare gli equilibri politici e le coalizioni di governo. Dall’altra parte, per comprendere il funzionamento recente della forma di governo, va dato il necessario risalto all’affermazione di «partiti personali»14. Con questa espressione si sottolinea la crisi profonda e probabilmente irreversibile del tradizionale partito di massa, con il suo legame permanente con una determinata classe sociale e con una sua stabile organizzazione, nonché con una leadership espressa attraverso un’intensa dialettica interna. Piuttosto, ormai, siamo in pre12 Su tale aspetti v. T.E. Frosini (a cura di), Il premierato nei governi parlamentari, Torino 2004. 13 Sia consentito rinviare a G. Pitruzzella, Forme di governo e trasformazioni della politica, cit., pp. 124 sgg. 14 Così M. Calise, Il partito personale, Roma-Bari 2000.
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senza di partiti costruiti attorno ad una personalità, con la conseguenza che, come è stato recentemente notato, la nascita degli Esecutivi primo-ministeriali «ha ricordato molto di più le forme di “elezione diretta” all’americana che non la proiezione del leader partitico-parlamentare»15. Come conseguenza dell’interazione tra sistema politico e Parlamento, vi è la permanenza di una certa autonomia del Parlamento, rispetto al modello della «fusione» con l’azione di governo. Sicché, persuasivamente una ricerca recente sul Parlamento italiano conclude nel senso che esso sarebbe «più ispirato da Capitol Hill che non da Westminster»16.
5. Decreti-legge ed equilibri della forma di governo Nel quadro sinteticamente descritto si inseriscono perfettamente sia l’approvazione a larghissima maggioranza delle leggi, sia il largo uso della decretazione d’urgenza emendata in Parlamento. Quindi, nonostante la crescita dei poteri normativi del Governo (regolamenti e decreti legislativi) e la tendenza del Parlamento a strutturarsi internamente in modo adeguato ad una dinamica di competizione maggioritaria, le caratteristiche del sistema politico fanno sì che debba essere quanto meno arricchita di considerazioni ulteriori la ricorrente rappresentazione dell’attuale assetto della forma di governo italiana tutta imperniata sulla centralità del Governo nei processi di produzione normativa. Viviamo semmai una situazione molto più complessa e contraddittoria. Da una parte la bipolarizzazione della competizione elettorale, la sostanziale investitura popolare del Premier e la ristrutturazione in chiave avversariale-maggioritaria dei meccanismi di funzionamento interni del Parlamento sembrano spingere il sistema verso il modello della democrazia e del parlamentarismo maggioritari. Dall’altra parte, però, vi sono altri aspetti che portano a ridimensionare l’idea dell’accentramento della funzione legislativa nelle mani del Governo. Semmai, il Governo, piuttosto che operare in funzione di una ben precisa visione programmati15 16
Cfr. C. De Micheli e L. Verzichelli, Il Parlamento, Bologna 2004, p. 329. Così in ibid., p. 330.
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ca, sembra muoversi in rapporto alle estemporanee tensioni che si sprigionano nel sistema politico ed all’interno della coalizione. In questa prospettiva vanno richiamati i rapidi tempi di esame di alcuni disegni di legge formalmente presentati da parlamentari, come la «legge Cirami» (legge n. 248/2002) o la legge sulle rogatorie internazionali (legge n. 367/2001), mentre altre iniziative legislative del Governo, pur ritenute qualificanti ai fini dell’attuazione del suo programma, hanno subito andamenti più tortuosi, caratterizzate da brusche accelerazioni e improvvise frenate, per lo più dipendenti dall’evoluzione dei rapporti di forza all’interno della coalizione (come la legge sulla procreazione assistita e quella sull’ordinamento giudiziario). Ma al di là di alcune prove di forza del Governo, sembrano residuare sia una serie di spazi di autonomia rispetto al Governo dei gruppi parlamentari che compongono la maggioranza e che ricercano visibilità e rafforzamento della rispettiva identità, sia una serie di atteggiamenti individualistici dei singoli parlamentari che tendono a privilegiare i legami con determinati gruppi di interesse e la visibilità locale. Il sistema, perciò, oscilla tra Westminster e Capitol Hill, senza trovare un preciso assestamento. Le suddette contraddizioni potranno essere superate con il rafforzamento del carattere avversariale e maggioritario del sistema, attraverso adeguate riforme dei regolamenti parlamentari e del sistema elettorale e, forse, dello stesso sistema costituzionale. Completamente diversa è la prospettiva che tende a rafforzare l’autonomia del Parlamento rispetto al Governo, che, in tal caso, sarebbe costretto a negoziare con i gruppi parlamentari ed i singoli parlamentari il contenuto dei suoi provvedimenti normativi. Questa sembra essere la prospettiva che emerge dalla proposta di revisione costituzionale «Modifiche alla parte II della Costituzione» approvata dal Senato il 16 novembre 2005 che ha previsto la trasformazione della seconda Camera in «Senato federale». Quest’ultimo, infatti, eletto in momenti diversi da quello in cui si elegge la Camera dei deputati e possibilmente con un sistema elettorale pure diverso da quello con cui si eleggono i deputati, potrebbe, con molta probabilità, avere una maggioranza diversa da quella che nella Camera sostiene il Governo. In un contesto politico-istituzionale di almeno relativa autonomia del Parlamento rispetto al Governo, l’uso del decreto-legge
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difficilmente sopporta drastici ridimensionamenti. Infatti, da una parte consente al Governo di dare, anche sul piano simbolico, una risposta immediata alla domanda di intervento legislativo che proviene dai gruppi sociali e dalla lobbies, ovvero da più ampi settori della società; dall’altra parte, escludendo la definitività della regolamentazione normativa, consente di aprire un processo di negoziazione parlamentare in cui possono trovare sbocco interessi, domande sociali, equilibri politico-sociali all’inizio scarsamente rappresentati e considerati. Se la precedente analisi ha un qualche fondamento, la critica in ordine all’abuso del decreto-legge è, per certi aspetti, fuorviante. Come abbiamo visto, è illusorio che il fenomeno possa essere fronteggiato attraverso i meccanismi di controllo (dal Parlamento al Capo dello Stato, per arrivare alla Corte costituzionale). Oggi, come prima della svolta maggioritaria, la dilatazione della decretazione d’urgenza rispetto agli schemi elaborati dalla dottrina costituzionalistica è conseguenza di precise dinamiche del sistema politico e dei connessi equilibri della forma di governo. Senza incidere su di essi è vano il tentativo di riportare il decreto-legge entro gli schemi della effettiva eccezionalità. Perciò, anche sotto questo profilo, è centrale la questione di se e come la classe politica italiana sarà in grado di dare uno sbocco istituzionale alla lunga transizione avviata all’inizio degli anni ’90.
Alfonso Celotto Decreto-legge e attività del Governo (nella XIV Legislatura)
SOMMARIO: 1. Premessa: l’«uso» del decreto-legge nella XIV Legislatura – 2. La questione delle «materie» precluse al decreto-legge – 2.1. Le «funzioni» vietate – 2.2. Gli «oggetti» preclusi – 3. L’adozione di decreti-legge fuori dai «casi straordinari di necessità e d’urgenza» – 3.1. La (rara) ricorrenza di «casi straordinari di necessità e d’urgenza» – 3.2. Casi paradigmatici di carenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza – 3.2.1. Decreti-legge recanti misure «ad efficacia differita» – 3.2.2. Decreti-legge di reiterazione in testo identico o pressoché identico di un precedente decreto non convertito – 3.2.3. Decreti-legge che disciplinano in maniera periodica e cadenzata un medesimo oggetto – 3.2.4. Decreti-legge di proroga di disposizioni vigenti – 3.2.5. Decreti-legge contenenti disposizioni non attinenti all’oggetto dell’intervento normativo d’urgenza: il caso dei decreti «ad oggetto plurimo» – 4. La non provvedimentalità: generalità, astrattezza e disomogeneità dei decreti-legge – 5. I decreti-legge non «provvisori»: il fenomeno della c.d. «reiterazione» – 6. La perdita di efficacia «sin dall’inizio» dei decreti-legge non convertiti: il problema della rimozione degli effetti prodotti – 7. I decreti-legge che convertono precedenti decreti-legge e che regolano gli effetti dei decreti-legge non convertiti
1. Premessa: l’«uso» del decreto-legge nella XIV Legislatura Quando nel 1992 Franco Modugno mi consigliò di iniziare a studiare il decreto-legge – a fronte delle mie perplessità – mi «convinse» con un argomento decisivo: il decreto-legge è un argomento «infinito», «immortale». Alcuni anni passati a «scartare» tra pacchi di decreti-legge mi avevano logorato, forse annoiato, e quindi avevo messo un po’ da parte il «mio» tema. Debbo, allora, ringraziare Andrea Simoncini per avermi «costretto» a tornare al mio «lavoro usato» di classificare decreti-legge. Seguirò lo schema emerso dalle mie ricerche precedenti per verificare gli «abusi» del decreto-legge in questi tre anni di XIV Legislatura.
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Occorre partire, naturalmente, dal dato quantitativo. Il decreto-legge fino alla metà degli anni ’90 è stato la fonte del diritto principale, dal punto di vista anche numerico. Voglio ricordare solo i dati del 1996, in cui, malgrado la contrazione seguita allo «spartiacque» della sentenza n. 360, si sono avuti 533 atti aventi forza di legge, a loro volta ripartiti in 133 leggi, 39 decreti legislativi e 361 decreti-legge; di questi ultimi, soltanto 74 erano decreti «nuovi», mentre i restanti 287 (e cioè il 79,5 %) erano reiterazioni, con più o meno ampie modifiche. In sintesi, la media mensile era di 30,08 decreti-legge, che scendeva al 6.1 d.l./mese depurando il dato dalle reiterazioni. Sappiamo dalle accurate ricerche di Andrea Simoncini che il numero dei decreti-legge non è calato di molto, essendosi comunque attestato il primo anno di XIV Legislatura ad una media di 4,4 decreti-legge per mese, passando a 3,8 nel secondo anno ed a 4,2 nel terzo anno, rispetto ai 3,3 d.l./mese dell’ultima parte della XIII Legislatura1. Sono comunque cifre significative perché, in valore assoluto, non siamo lontani dai dati su cui il decreto-legge è stato attestato fin dagli anni ’70; si pensi che, depurando i dati dalle reiterazioni, nella VIII Legislatura avevamo 4,25 d.l./mese, nella IX 3,5, nella X 5,04, nella XI 6,75 e nella XII 6,88. A livello sistematico, si conferma l’utilizzo del decreto-legge quale mezzo privilegiato di intervento in alcuni settori, come le misure di carattere economico e la materia penale, e – più in generale – come strumento di manutenzione legislativa, con disposizioni spesso di carattere transitorio2, accorpate sovente – prassi abusiva nuova e significativa – in decreti ad oggetto plurimo. Talora si tratta di provvedimenti finalizzati a correggere sviste, anche clamorose, come accaduto con il decreto-legge n. 356/2003, convertito in legge n. 48/2004, che dispone, prima ancora della sua entrata in vigore, l’abrogazione del comma 78 dell’articolo 3 della legge n. 350/2003, per evitare l’entrata in vigore di una disposizione che disponeva la promozione generalizzata di personale del Ministero dell’economia, in violazione dei precetti (anche costituzionali) sulla progressione in carriera dei dipendenti pubblici e dell’autonomia delle fonti contrattuali. Segnale significativo per stigmatizzare la prassi comunque abu1 2
A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, Milano 2003, p. 453. Ibid., pp. 458 sgg.
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siva sono i contenuti del messaggio di rinvio presidenziale della legge di conversione del decreto-legge n. 4/2002, in cui – lasciando comunque aperta una serie di perplessità che riprenderemo – viene contestato l’inserimento in sede di conversione di numerose norme nuove, aventi «un’attinenza soltanto indiretta alle disposizioni dell’atto originario», tra cui anche la proroga di un termine già scaduto per l’esercizio di una delega, con l’effetto di dar vita ad un provvedimento «di difficile conoscibilità nel complesso della normativa applicabile» e la carenza dei presupposti rispetto a tali disposizioni aggiunte. È su questa base quantitativa che ho cercato, in maniera comunque provvisoria, di analizzare la prassi rispetto alle possibili «figure sintomatiche» di abuso del decreto-legge.
2. La questione delle «materie» precluse al decreto-legge Come sappiamo, la configurazione preferibile individua la competenza del decreto-legge nel fronteggiare casi straordinari di necessità e d’urgenza, cioè nel provvedere all’imprevedibile, in quanto l’art. 77 Cost. – a parte il diverso caso della guerra – «è l’unica norma sulla normazione, nel nostro ordinamento, che consente di provvedere nell’emergenza, ossia è norma di chiusura del sistema, [per cui] il contenuto normativo del decreto può dirsi praticamente illimitato, nei consueti limiti della provvisorietà e della precarietà»3. Ne discende che il decreto-legge rinviene la propria competenza per materia proprio nei casi straordinari di necessità e d’urgenza4, al ricorrere dei quali, questo strumento è abilitato – a prima vista – a far tutto, tagliando trasversalmente le competenze stabilite in Costituzione5, con l’unico limite del rispetto dell’art. 77 stesso6. 3 In questi termini, F. Modugno, Riflessioni interlocutorie sulle conseguenze della trasformazione del decreto-legge, in AA.VV., Scritti in memoria di A. Piras, Milano 1996, p. 467. 4 È proprio in termini di «competenza per materia» che si esprime C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, Torino 19825, pp. 320 sgg. 5 Per questa impostazione v. A. Pace, Divagazioni sui decreti-legge non convertiti, «Politica del diritto», 3, 1995, p. 402 e nota 59. 6 «Non vi è interesse dello Stato, cui il Governo ritenga opportuno sia data soddisfazione, e che per ragioni contingenti e straordinarie non possa essere soddisfatto nelle vie della ordinaria legislazione, che non possa dare luogo ai provvedimenti disciplinati dall’art. 77»: così C. Esposito, Decreto-legge, «Enciclopedia giuridica», vol. XI, Roma 1962, p. 835.
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I limiti al decreto-legge sono, quindi, primariamente quelli contenuti nello stesso art. 77 Cost, potendosene desumere altri solo residualmente dal resto della Carta costituzionale. È in quest’ottica che viene impostato e risolto il tradizionale problema della esistenza di limiti di materia al decreto-legge, tenendo separate le due diverse accezioni in cui la nozione di materia viene in rilievo – quale «funzione-compito» e quale «oggetto» o «campo materiale» – ed effettuando una verifica casistica, in quanto il problema dei «limiti logici alla normazione del potere esecutivo» «non è in realtà un problema da risolvere apoditticamente, bensì una questione di interpretazione e di ricerca, materia per materia»7.
2.1. Le «funzioni» vietate. Appare senz’altro da escludere, in primo luogo, che il decreto-legge incida sul suo stesso regime e, quindi – ma si tratterebbe di violazioni dello stesso art. 77 Cost. – vada a «modificare o sospendere, nell’atto stesso di porlo in essere, in itinere, il procedimento o la fattispecie considerata dall’art. 77 Cost. stesso»8, ad esempio, convertendo in legge precedenti decreti-legge o sanando gli effetti prodotti da decreti-legge non convertiti. Per le stesse ragioni, non può ammettersi che il decreto-legge vada ad intaccare organi la cui «piena conservazione in funzione [...] costituisce presupposto o elemento integrante dell’istituto contemplato dall’art. 77»9 e, quindi, la funzionalità del Presidente della Repubblica, del Parlamento e della Corte costituzionale, costituzionalmente competenti ad emanare, convertire e sindacare la legittimità degli stessi decreti-legge. Tuttavia, casi del genere non si sono mai verificati, così come accaduto anche in relazione ad altre preclusioni generali di carattere funzionale, in conseguenza del fatto che il decreto-legge non può, più in generale, intaccare i principi della separazione dei poteri e il rispetto dei valori democratici10 e, quindi, andare ad 7 Questa notazione di metodo è di L. Paladin, In tema di decreti-legge, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 3, 1958, p. 549. 8 Così, in senso negativo, ritenendo «certo» quest’ambito di preclusioni, C. Esposito, Decreto-legge, cit., p. 843. 9 Le parole sono ancora di C. Esposito, Decreto-legge, cit., p. 843. 10 Pone in luce questa esigenza – cui peraltro si ricollega anche il necessario dualismo Parlamento-Governo – A. Ruggeri, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale, Torino 1993, p. 338.
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invadere ambiti riservati ad altri poteri o ad altri organi: così, ad esempio, non paiono possibili decreti-legge che modifichino disposizioni dei regolamenti parlamentari, che effettuino nomine riservate al Presidente della Repubblica o al Parlamento in seduta comune o che istituiscano nuove Regioni11. Altre preclusioni funzionali alla decretazione d’urgenza nascono dalla sussistenza di un dualismo necessario tra Parlamento e Governo12, che in via generale risponde al principio fondante dei controlli giuridici, i quali per essere tali implicano la distinzione del controllato dal controllante, oltre che dell’atto controllato dall’atto di controllo13: il Governo, quindi, non potrebbe con un decreto-legge autorizzare la ratifica di un trattato internazionale, approvare i bilanci ed il rendiconto consuntivo, deliberare un’inchiesta parlamentare, oppure accordi con la Chiesa cattolica o intese con altre confessioni religiose; ugualmente inammissibili anche per una sorta di impossibilità logica a che la necessità e l’urgenza giustifichino provvedimenti siffatti14 appaiono decreti-legge che conferiscano la delega legislativa o che incidano su una legge di delega, salvo, al limite, il caso verificatosi anche nella prassi di proroga del termine; e, per le stesse ragioni, decreti-legge di conferimento al Governo dei «poteri necessari» ex art. 78 Cost. e quelli – peraltro frequenti – di delegificazione15. 11 In tale ambito, questione assai problematica è quella dei decreti-legge che invadano le sfere di competenza del potere giurisdizionale, andando a porre nel nulla sentenze: per quanto decreti siffatti ostino con gli stessi principi ispiratori della divisione dei poteri, non mancano casi – basti ricordare il decreto-legge n. 312/1985, (c.d. decreto Galasso) in tema di tutela delle zone di interesse ambientale – di provvedimenti governativi espressamente volti a cancellare annullamenti giurisdizionali di atti regolamentari, superandoli con la propria forza di legge. 12 Per tutti, V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, 1, Padova 19936, p. 101. 13 Sul punto, con specifico riferimento ai limiti che ne discendono per il decretolegge, cfr. C. Esposito, Decreto-legge, cit., p. 842. Maggiori aperture si ritengono possibili per un decreto-legge di concessione dell’esercizio provvisorio del bilancio, configurandosi questo come l’unico strumento – o, forse, il meno dirompente – per «evitare la completa paralisi dello Stato», ove le Camere non facciano in tempo ad approvare né il bilancio preventivo né la legge di esercizio provvisorio. 14 F. Modugno, Atti normativi, «Enciclopedia giuridica», vol. III, Roma 1988, p. 11. 15 Per un caso recente, cfr. art. 7 del decreto legge n. 147/2003, di proroga del termine per l’esercizio della delegificazione disposta dall’art. 28, comma 1 della legge n. 448/2001; per un altro, v. art. 5 del decreto legge n. 351/2001, in tema di fondi comuni d’investimento.
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In quest’ottica, appare discutibile uno dei primissimi atti del Governo Berlusconi, e cioè il noto d.l. n. 217/2001, recante «Modificazioni al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nonché alla legge 23 agosto 1988, n. 400, in materia di organizzazione del Governo» e, quindi, di modifica dell’assetto del Governo pro domo sua, a fini squisitamente politici. Margini di ammissibilità sono invece da riconoscere anche ad un decreto-legge che faccia seguito ad un declaratoria di incostituzionalità per vizi non attinenti al procedimento da parte della Corte costituzionale, in quanto – fermo restando il divieto di ripristino tout court ribadito pure dell’art. 15, comma secondo, lett. e), legge n. 400/1988 – appare innegabile che proprio questo annullamento possa dar luogo ad una straordinaria necessità ed urgenza di intervenire, ad esempio volendo richiamare casi verificatisi al fine di modulare nel tempo gli effetti dell’incostituzionalità. Anche in questa Legislatura abbiamo interventi con decreto-legge finalizzati a dar seguito a sentenze costituzionali, come i decreti-legge nn. 251/2002 e 354/2003, rispetto alle sentenze nn. 305 e 353/2002 in tema di composizione dei Tribunali delle acque; o il decreto-legge n. 315/2003, di attuazione di parte della sentenza n. 303/2003.
2.2. Gli «oggetti» preclusi. Più difficoltoso appare escludere dalla competenza del decreto-legge specifici «oggetti», quanto meno ove essi siano rimessi alla competenza legislativa, ben potendo tale atto innovare qualsiasi disposizione affidata alla legge ordinaria, purché sussistano i requisiti dell’«urgente necessità»16. La piena fungibilità tra decreto-legge e legge ordinaria trova una significativa conferma nel consolidato orientamento del giudice costituzionale teso ad ammettere che “la parificazione alle leggi formali degli atti aventi forza di legge” (tra i quali certamente rientra il decreto-legge) abilita tali atti a incidere validamente, al pari delle leggi, nelle materie a queste riservate»17, con la sola eccezione delle c.d. riserve di legge formale. 16 Le parole sono di C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, vol. II, Padova 19769, pp. 707 sgg. 17 Così sentenza n. 184/1974,«Giurisprudenza costituzionale», 1, 1974, spec. p. 632; più di recente, sentenza n. 330/1996,«Giurisprudenza costituzionale», 4, 1996, pp. 2647 sgg., spec. p. 2664.
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In quest’ottica non appaiono condivisibili i tentativi di escludere dalla competenza del decreto-legge le materie coperte da riserva di assemblea ex art. 72, comma quarto Cost.18, oppure – più specificamente – volta a volta la materia elettorale19, quella referendaria20 o quella penale21, per quanto più gravi appaiano i rischi discendenti dalla eventuale produzione di effetti irreversibili in tali ambiti. Assai più dibattuta è invece la questione della possibilità per i decreti-legge di incidere in materia costituzionale. Malgrado i molti argomenti spesi in senso negativo22, mi pare più convincente, anche in linea con la configurazione di fondo di quest’istituto quale strumento competente tout court a fronteggiare l’imprevedibile, ammettere la possibilità per i decreti-legge di incidere eccezionalmente in materia costituzionale23, pur nella consapevolezza dei problemi che ciò comporta (con che procedimento convertirli?24) e dell’esigenza che il loro intervento non potrà configurare forme di «abrogazione, né di revisione costituzionale, sebbene semplicemente di sospensione delle corrispondenti norme costituzionali»25. Elemento nuovo appare la scarsa attenzione all’incidenza dei decreti sulle competenze regionali nel nuovo assetto dell’art. 117 Cost., di cui si trova traccia solo nella scheda di analisi tecnico18 Ad esempio, G. Grottanelli de’ Santi, Uso ed abuso del decreto-legge, «Diritto e società», 2, 1978, pp. 254 sgg. 19 Già L. Paladin, Decreto-legge, «Novissimo digesto italiano», vol. V, Torino 1960, p. 289. 20 Ricordiamo la sentenza n. 161/1995, ove la Corte ha seccamente rilevato che «tale limite non risulta desumibile, né direttamente né indirettamente, dalla disciplina costituzionale». 21 Cfr. G. Pitruzzella, Sui limiti costituzionali della decretazione d’urgenza, «Foro italiano», 5, 1988, I, pp. 1427 sgg.; R. Tarchi, Incompetenza legislativa del Governo, interposizione del Parlamento e sindacato della Corte costituzionale, «Giurisprudenza costituzionale», 2, 1988, pp. 951 sgg. 22 Per tutti, C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, vol. II, cit., pp. 707 sgg.; G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, Padova 1989, pp. 166 sgg.; L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996, pp. 239 sgg. 23 Ammettono questa possibilità C. Esposito, Decreto-legge, cit., specie pp. 852 sgg.; C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 322; F. Modugno, Atti normativi, cit., pp. 10 sgg. 24 Sulle diverse possibilità cfr. A. Ruggeri, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale, cit., p. 346; C. Esposito, Decreto-legge, cit., pp. 850 sgg.; C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 328. 25 In questi termini F. Modugno, Atti normativi, cit., p. 11.
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normativa, generalmente attraverso una clausola di stile circa la assenza di elementi di interferenza o di compatibilità con le competenze costituzionali delle Regioni. A volte le considerazioni recate dalla ATN lasciano davvero stupiti. Si prenda il caso del decreto-legge n. 8/2002, recante una serie di proroghe relative ai medici a tempo definito, farmaci, formazione sanitaria, ordinamenti didattici universitari e organi amministrativi della Croce rossa. La relazione ATN, pur trattandosi di mere norme di proroga, osserva che «il provvedimento appare pienamente conforme ai principi costituzionali in materia di ripartizione delle potestà legislativa tra Stato e autonomie locali; infatti, nelle materie di competenza concorrente ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, si è intervenuti nel rispetto dei principi fondamentali e delle linee di indirizzo generali; pertanto, al riguardo, non si ravvisano elementi di incompatibilità»26.
3. L’adozione di decreti-legge fuori dai «casi straordinari di necessità e d’urgenza» 3.1. La (rara) ricorrenza di «casi straordinari di necessità e d’urgenza». Conosciamo i problemi interpretativi che ha posto la clausola con cui la Costituzione ha cercato di limitare le ipotesi in cui il Governo è legittimato a ricorrere ai decreti-legge27 e la difficoltà di rispettarla per ragioni politiche e per il disagio da sempre provato dalla Corte costituzionale nel controllarne in termini rigorosi la sussistenza (emblematiche sono le oscillazioni seguite alla notissima sent. n. 29/1995 e, comunque, la mancanza di un annullamento di un decreto-legge per carenza dei presupposti). L’esigenza di rendere più trasparenti le ragioni che hanno portato al decreto, al fine di sindacarle, comporta, quindi, la necessità di far emergere la motivazione che sorregge l’atto, come richiesto 26
Atti Camera, XIV Legislatura, n. 2319 dell’11 febbraio 2002, p. 7. Assai dubbia appare la necessità di estendere la sussistenza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza anche alle norme introdotte in sede di conversione, come peraltro delineato dal Capo dello Stato nel messaggio di rinvio alle Camere della legge di conversione del decreto legge n. 4/2002; sul punto, mi sia consentito il rinvio a Un rinvio rigoroso ma… laconico. Linee-guida per una riflessione, «Rassegna parlamentare», 3, 2002, pp. 810 sgg., specie § 5. 27
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anche dall’art. 15, comma primo della legge n. 400/1988, secondo cui nel preambolo del decreto-legge vi deve essere «l’indicazione delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione». La prassi successiva alla sentenza n. 360/1996 ha curato maggiormente i profili della motivazione nel preambolo del decretolegge, con indicazioni che non si limitano più – salvo eccezioni28 – alla sola ripetizione, quale clausola di stile, del titolo stesso del decreto a sostegno delle ragioni di straordinaria necessità e urgenza. Gli esempi sono numerosi29, emblematico il caso del decretolegge n. 354/2003, recante disposizioni urgenti per il funzionamento dei Tribunali delle acque, nonché interventi per l’amministrazione della giustizia30. 28 Ad esempio, il decreto legge n. 269/2003, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici, pur rappresentando un decreto omnibus complicatissimo, con ben 53 articoli, di cui molti con decine di commi, nel preambolo si limita a rilevare: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici». 29 Ad esempio, decreto-legge n. 369/2001, recante misure urgenti per reprimere e contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale; decreto-legge n. 353/2003, in materia di tariffe postali agevolate per i prodotti editoriali; decreto-legge n. 347/2003, recante misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza. 30 Il cui preambolo recita: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di riorganizzare la giurisdizione dei tribunali regionali e del Tribunale superiore delle acque pubbliche all’esito delle declaratorie di illegittimità costituzionale di cui alle sentenze della Corte costituzionale numeri 305 e 353 del 2002, in attesa della complessiva riforma della disciplina concernente il governo delle acque pubbliche e degli impianti elettrici, che attualmente risale al testo unico approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775; Ritenuta, in attesa della riforma organica della magistratura onoraria, la straordinaria necessità ed urgenza di assicurare la proroga dell’esercizio delle funzioni da parte dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari, di imminente scadenza; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di disciplinare le modalità di conservazione dei dati di traffico connesso ai servizi di comunicazione telefonica e via internet, così da prevenirne la perdita nell’ipotesi in cui ne risulti necessaria l’acquisizione ai fini della repressione di reati di particolare gravità; Sentito l’Ufficio del Garante per la protezione dei dati personali; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di assicurare il funzionamento del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, nonché di intervenire sulla disciplina del contratto di leasing finanziario per garantirne la corretta applicazione in ipotesi di procedure concorsuali, al fine di evitare il pregiudizio all’affidamento collegato alla cartolarizzazione dei relativi crediti».
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La giurisprudenza costituzionale seguita alla sentenza n. 29/199531, mi riferisco soprattutto alle sentenze nn. 270 e 330/199632, ha valorizzato queste indicazioni, delineando tre possibili elementi di verifica della «non evidente mancanza» dei presupposti, veri e propri «indizi» tesi a far emergere quale sia la motivazione che sorregge il decreto-legge33: a. il preambolo (o premessa) del decreto-legge; b. il contesto normativo in cui va ad inserirsi; c. la relazione governativa di accompagnamento del disegno di legge di conversione. La giurisprudenza più recente, dopo oscillazioni poco spiegabili34, ha confermato questo orientamento. Nella sentenza n. 341/2003 la Corte è chiamata a giudicare sull’art. 3 del decreto-legge n. 256/2001 (Interventi urgenti nel set31 Nella sentenza n. 29/1995, la Corte, infatti, non aveva affatto precisato in alcun modo come sarebbe dovuto avvenire tale controllo; né tanto meno, nella successiva sentenza n. 161/1995, cit., spec. p. 1356, aveva fatto emergere come fosse stato possibile ritenere sussistenti i presupposti di necessità ed urgenza rispetto al decreto-legge de quo (sul punto la motivazione è anzi troppo apodittica – «Nel caso di specie non ricorre quella “evidente mancanza” dei requisiti di validità costituzionale relativi alla preesistenza di tali presupposti, che sola potrebbe giustificare una pronuncia di illegittimità di questa Corte» – quasi a far pensare ad un certo timore o ad una certa difficoltà di palesare questa tecnica di giudizio). V. i rilevi critici di P. Carnevale, La Corte riapre un occhio (ma non tutti e due) sull’abuso della decretazione d’urgenza?,«Giurisprudenza italiana», 4, 1996, p. 407. 32 Nella sentenza n. 270/1996, riguardo all’art. 7, comma 9 del decreto-legge n. 88/1995, in tema di abusivismo edilizio, la Corte ritiene debba «escludersi una evidente mancanza dei requisiti della necessità e dell’urgenza, quale enucleata nella premessa del decreto, in relazione al contenuto del capo III con norme in materia di controllo, di semplificazione dei procedimenti in materia urbanistico-edilizia e di incentivazione dell’attività edilizia». Di lì a pochi giorni, nella sentenza n. 330/1996, la Consulta rileva come nel caso in questione, con specifico riferimento al decreto-legge n. 79/1995, in tema di inquinamento, «non ricorre quella “evidente mancanza” dei requisiti, che deve essere affermata per giustificare una pronuncia di illegittimità costituzionale. Il decreto-legge in esame, difatti, pur succedendo ad altri precedenti, analoghi atti non convertiti e decaduti, è sostenuto da una specifica motivazione, resa esplicita nella relazione governativa che accompagna il disegno di legge di conversione». 33 Altri elementi per valutare la (palese) contraddittorietà del decreto-legge con il fine di straordinaria necessità ed urgenza potrebbero essere il titolo del decreto e il tenore delle disposizioni come propone M. Raveraira, Il problema del sindacato di costituzionalità sui presupposti della «necessità ed urgenza» dei decreti-legge, «Giurisprudenza costituzionale», 6-8, 1982, p. 1462. 34 Mi riferisco alle sentenze nn. 419/2000, 376/2001 e 29/2002, che hanno riaffermato la portata sanante della conversione in legge, con la sola sentenza n. 16/2002 in controtendenza.
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tore dei trasporti), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 334/2001, anche per mancanza dei presupposti legittimanti di cui all’art. 77 Cost. In proposito, la Consulta ricorda di aver ripetutamente statuito che «eventuali vizi attinenti ai presupposti della decretazione d’urgenza devono ritenersi sanati in linea di principio dalla conversione in legge» (sentenze nn. 330/1996, 398/1998, 16 e 29/2002); «in linea di principio» perché solo «l’evidente mancanza di quei presupposti configura tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest’ultima valutato erroneamente l’esistenza di presupposti di validità in realtà insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione» (sentenza n. 29/1995). Rispetto al caso di specie osserva, poi, che «non può certamente parlarsi di «evidente mancanza dei presupposti» di cui all’art. 77, comma secondo, Cost.: dai lavori parlamentari, infatti, risulta come la questione abbia formato oggetto di un ampio dibattito e come, pur nella varietà delle opinioni sull’opportunità politica della norma, sia emersa la sua funzione di evitare l’ulteriore proliferare di un già imponente contenzioso innescato dal precedente intervento che sulla legge del 1974 era stato operato (peraltro, con decreto-legge) e di evitare, altresì, agitazioni sindacali nel settore dell’autotrasporto. Esigenze, entrambe, astrattamente idonee a giustificare il ricorso alla decretazione d’urgenza e, quindi, a precludere ogni più penetrante sindacato di questa Corte; dal che l’infondatezza della censura» (§ 4 del considerato in diritto). Si controlla così la non evidente mancanza dei presupposti rispetto a un decreto-legge già convertito: nel caso di specie, tale mancanza è esclusa, anche sulla base dei lavori parlamentari e delle circostanze di fatto, andando così a consolidare altresì l’esigenza di delineare una serie di test, cioè di elementi di verifica da cui emerga la motivazione che sorregge il decreto, rispetto ai quali accertare la non evidente mancanza dei presupposti35. La medesima impostazione la ritroviamo nella sentenza n. 6/2004. Riguardo all’impugnazione in via principale del decretolegge n. 7/2002, convertito in legge n. 55/2002, anche per viola35 Cfr. già sentenze. nn. 270 e 330/1996 e, volendo, A. Celotto, L’«abuso» del decreto-legge, Padova 1997, pp. 426 sgg.
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zione dell’art. 77 Cost., la Corte osserva: «I rilievi sollevati dalla Regione Umbria relativamente alla mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza del d.l. n. 7 del 2002, atto sicuramente incidente sui poteri regionali in materia, sono infondati; se la giurisprudenza di questa Corte sul punto ha più volte affermato che il sindacato sull’esistenza e sull’adeguatezza dei presupposti della decretazione d’urgenza può essere esercitato solo in caso di loro “evidente mancanza” (fra le molte, si vedano le sentt. nn. 16/2002, 398/1998, 330/1996), non può disconoscersi che, nel caso del d.l. impugnato, a fondamento dell’intervento normativo del Governo si pone una situazione nella quale, in assenza di un effettivo e rapido rafforzamento delle strutture di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica, si possono produrre serie situazioni di difficoltà o addirittura interruzioni più o meno estese della fornitura di energia, con conseguenti gravi danni sociali ed economici. Ciò al di là dell’enfasi del primo comma dell’art. 1 del d.l. in questione (nel testo originario), che faceva riferimento all’“imminente pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale” (formula, non a caso, corretta in semplice “pericolo di interruzione” dalla legge di conversione n. 55 del 2002). La sicura esistenza di elementi di fatto contrari all’“evidente mancanza” dei requisiti di urgenza del d.l. n. 7 del 2002 rende inutile la valutazione degli eventuali effetti sananti prodotti dalla legge n. 55 del 2002 di conversione di tale decreto» (§ 3 del considerato in diritto). Anche qui uno scrutinio analitico, una corretta ricostruzione della situazione di fatto legittimante l’adozione del provvedimento straordinario del Governo, ma comunque una «assoluzione» del comportamento governativo, come accade anche nella più recente sentenza n. 178/2004, ove si rileva che «nella giurisprudenza costituzionale è stato ripetutamente affermato che il sindacato sulla esistenza e sull’adeguatezza dei presupposti per la decretazione di urgenza può essere esercitato solo in presenza di una situazione di “evidente mancanza” dei requisiti stessi (cfr. da ultimo le sentenze nn. 6/2004, 341/2003 16/2002). Tale non può certo essere considerata la situazione in esame, giacché la disciplina transitoria, introdotta dai decreti-legge censurati, si è resa necessaria per il fatto che la citata legge n. 149/2001, nel prevedere l’obbligo dell’assistenza legale, non contiene specifiche disposizioni in ordine alla difesa di ufficio in favore di genitori e minori. Dalla carenza di tali disposizioni potrebbe infatti,
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come si rileva anche dalla relazione del Governo ai rispettivi disegni di legge di conversione, nonché, più in generale, dal relativo dibattito parlamentare, derivare un pregiudizio alla effettività del diritto di difesa del minore, soprattutto tenendo conto della necessità di avvalersi nei procedimenti in questione di professionisti in possesso di competenze adeguate alla particolarità e alla delicatezza della funzione da assolvere. Sulla base di queste considerazioni non si può quindi dire che sussista quella “evidente mancanza” dei presupposti di necessità ed urgenza, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, preclude il ricorso alla decretazione di urgenza». Letta in controluce, si tratta di una giurisprudenza che appare piegata ad «accettare» le motivazioni per come esposte e ricostruite dal Governo, senza mai andare oltre, anche a fronte di mere clausole di stile36, sia prima, sia dopo la «svolta» del 199637. Quello che attendiamo, cioè, è una decisione in cui la Corte non si limiti ad «abbaiare», ma si decida anche a «mordere» la (strutturale e, ormai, fisiologica) carenza dei presupposti del decreto-legge.
3.2. Casi paradigmatici di carenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza. Analizzando i numerosi decreti-legge emanati negli ultimi anni è anche possibile cercare di enumerare alcune ipotesi-tipo in cui, sintomaticamente, si può dubitare in maniera più fondata che in altre ipotesi che possano mancare i presupposti di straordinaria necessità ed urgenza. Del resto, in conformità allo spirito stesso del decreto-legge, naturalmente volto a fronteggiare circostanze di per sé imprevedibili, 36 Mi riferisco soprattutto al decreto-legge n. 256/2001, sindacato nella sentenza n. 341/2003, il cui preambolo si limita a rilevare: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di prevedere un regime transitorio che consenta un riassetto normativo del settore dell’autotrasporto, ivi compreso il sistema tariffario». 37 V., ad esempio, il caso esaminato nella sentenza n. 270/1996, cit., p. 2380, ove la Corte ritiene debba «escludersi una evidente mancanza dei requisiti della necessità e dell’urgenza, quale enucleata nella premessa del decreto» (corsivo aggiunto). A ben vedere, nella specie, sia nel decreto originariamente impugnato (decreto-legge n. 88/1995) sia in quello a cui la Corte trasferisce la questione (decreto-legge n. 285/1996) l’indicazione del preambolo si riduce ad una mera «clausola di stile»: in entrambi i casi si tratta di decreti recanti «misure urgenti per il rilancio economico ed occupazione dei lavori pubblici e dell’edilizia privata» ed entrambi nel preambolo recitano: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni al fine di rilanciare le attività economiche e favorire la ripresa delle attività imprenditoriali, nonché per la semplificazione dei procedimenti in materia urbanistico-edilizia».
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non appare possibile individuare a priori né i casi in cui sicuramente ricorrono i presupposti di straordinaria necessità ed urgenza38, né, tanto meno, quelli in cui certamente non sussistono, ma piuttosto cercare di configurare «ipotesi sospette», cioè nelle quali è più probabile ritenere o forse addirittura presumere che manchino. Sulla base della ricerca condotta fino al 1997 era stato possibile enucleare cinque ipotesi.
3.2.1. Decreti-legge recanti misure «ad efficacia differita». Tradizionalmente si ritiene che un decreto-legge che contenga disposizioni non immediatamente applicabili pare smentire ex se i presupposti di necessità ed urgenza che ne consentono l’adozione39: come si può, in linea di principio, ritenere necessario ed urgente un provvedimento che non esplichi immediatamente i propri effetti? Come rilevava già Santi Romano: «La necessità deve essere urgente, e questa urgenza sarebbe negata dallo stesso Governo col differirne l’esecuzione nel momento stesso in cui lo libera»40. Questa posizione è stata anche confermata, a livello positivo, dall’art. 15, comma terzo della legge n. 400/1988, che prevede che «i decreti devono contenere misure di immediata applicazione». Pare, tuttavia, erroneo presumere in maniera assoluta l’illegittimità di qualsiasi decreto-legge che postipici l’efficacia delle proprie norme41, essendo pie38 Il tentativo di enucleazione dei casi in cui sussistono i presupposti di necessità ed urgenza per l’emanazione di un decreto-legge, del resto, non riuscirebbe ad andare molto oltre la delineazione dei «casi classici» in cui si è fatto ricorso a questo strumento: calamità naturali, ordine pubblico, catenacci fiscali, senza alcuna utilità dogmatica. Per una esemplificazione di ipotesi (teoricamente) certe di casi straordinari di necessità ed urgenza, v. comunque, ad esempio, G. Viesti, Il decreto-legge, Napoli 1967, pp. 118 sgg., spec. pp. 121, 124 sgg. 39 Come rileva, ad esempio R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, Padova 1993, p. 178; nel medesimo senso, A. Ruggeri, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale, cit., p. 333, che ritiene un caso di «irrazionalità... tabulare, dichiarata dallo stesso decreto [...] spostare in avanti il tempo della propria efficacia e/o applicazione». 40 Così S. Romano, Sui decreti-legge e lo stato d’assedio in occasione del terremoto di Messina e Reggio-Calabria, «Rivista di diritto pubblico», 1909 ed ora in Scritti minori, vol. I, Milano 1950, p. 309. 41 Più correttamente A. Ruggeri, Fatti e norme nei giudizi sulle leggi e le «metamorfosi» dei criteri ordinatori delle fonti, Torino 1994, p. 134, osserva che «il decreto (in tutto o in parte) non self-executing si presume contrario a Costituzione, per il rivoltamento dei ruoli istituzionali cui esso dà luogo, salva però la prova del contrario».
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namente condivisibili i rilievi espositiani, secondo cui a ben vedere «urgente e necessaria deve essere la emissione del provvedimento, poco importa se il suo contenuto sia di immediata attuazione o non contenga disposizioni oggettivamente necessarie: e che perciò una eventuale dilazione della sua entrata in vigore non prova contro la urgenza (della emissione), né invalida di per sé il d.l. »42. Sarà ovviamente da valutare caso per caso se realmente sussista questa particolare necessità ed urgenza, da affrontare comunque subito, anche se con provvedimenti ad efficacia differita come, del resto, avviene spesso anche in casi in cui non si dubita della legittimità del ricorso al decreto-legge, come per far seguito a calamità naturali o se si tratti soltanto di abusi governativi. In questa Legislatura, emblematico è il caso del decreto-legge n. 251/2002 di abolizione dei Tribunali delle acque, che contiene tutte disposizioni con entrata in vigore successiva, alcune di ben 60 giorni, alla (peraltro mai avvenuta) conversione in legge43. 42
Così C. Esposito, La validità delle leggi (1934), Milano 1964, pp. 139 sgg., nota
206. 43 Art. 1. 1. Decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono abrogati il titolo quarto del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e l’articolo 64 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. Dalla stessa data sono soppressi i tribunali regionali delle acque pubbliche ed il Tribunale superiore delle acque pubbliche. Art. 2. 1. Dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le controversie concernenti le materie di cui all’articolo 140 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, già di competenza dei tribunali regionali delle acque pubbliche, sono instaurate davanti al tribunale ordinario che ha sede nel capoluogo del distretto territorialmente competente, il quale giudica in composizione collegiale. 2. Le controversie nelle materie di cui all’articolo 143 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo. Il ricorso per Cassazione avverso la pronuncia resa in grado di appello dal Consiglio di Stato è limitato ai motivi di cui all’articolo 362 del codice di procedura civile ed è deciso ai sensi dell’art. 374, primo comma dello stesso codice. 3. Le controversie in tema di risarcimento del danno sono attribuite al giudice amministrativo nei casi devoluti alla sua giurisdizione. Art. 3. 1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto è soppresso il posto di presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche, con contemporaneo aumento della pianta organica della magistratura di un posto di presidente aggiunto della Corte di cassazione. Conseguentemente la tabella B allegata alla legge 9 agosto 1993, n. 295, e successive modificazioni, è sostituita dalla tabella di cui all’allegato A. 2. Fino alla data di soppressione del Tribunale superiore delle acque pubbliche le funzioni di presidente sono esercitate da uno dei presidenti aggiunti della Corte di cassazione.
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3.2.2. Decreti-legge di reiterazione in testo identico o pressoché identico di un precedente decreto non convertito. Emblematico della mancanza dei presupposti è il caso – non riscontrabile nella 3. L’organico del personale amministrativo già attribuito al Tribunale superiore delle acque pubbliche è assegnato alla Corte di cassazione. Il relativo personale in servizio all’atto della cessazione dell’attività dell’ufficio mantiene l’inquadramento precedentemente goduto. Art. 4. 1. Dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono sospesi di diritto tutti i procedimenti pendenti avanti ai tribunali regionali delle acque pubbliche ed al Tribunale superiore delle acque pubbliche. Resta fermo l’obbligo di depositare i provvedimenti per le cause assegnate in decisione anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il deposito di provvedimenti, successivamente alla scadenza del termine di cui all’articolo 1, è effettuato presso la cancelleria della Corte di appello relativamente ai provvedimenti del tribunale regionale delle acque pubbliche e presso la cancelleria della prima sezione civile della Corte di cassazione per i provvedimenti del Tribunale superiore delle acque pubbliche. Le cancellerie provvedono agli adempimenti di competenza conseguenti al deposito delle sentenze e delle ordinanze in materia civile previsti dal codice di procedura civile. 2. Entro il termine perentorio di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, gli interessati riassumono le cause pendenti presso i tribunali regionali delle acque pubbliche ed il Tribunale superiore delle acque pubbliche avanti al giudice individuato secondo i criteri specificati all’articolo 2. La mancata riassunzione nel termine determina l’estinzione del procedimento. Le controversie pendenti in secondo grado avanti al tribunale superiore delle acque pubbliche sono riassunte avanti alla Corte di appello territorialmente competente; quelle pendenti avanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche in unico grado sono riassunte dinanzi al Tribunale amministrativo regionale competente, che decide con sentenza appellabile al Consiglio di Stato. 3. Gli atti processuali compiuti presso i tribunali regionali delle acque pubbliche ed il Tribunale superiore conservano la loro validità e la loro efficacia anche dopo la riassunzione. 4. Contro i provvedimenti per i quali non sia decorso il termine di impugnazione, pronunciati dal tribunale regionale delle acque pubbliche nelle materie comprese nell’articolo 2, comma 1, è ammesso l’appello alla Corte d’appello competente per territorio; contro i provvedimenti pronunciati dal Tribunale superiore delle acque pubbliche in unico grado nelle materie di cui all’articolo 2, comma 2, e, in grado di appello, all’articolo 2, comma 1, è ammesso il ricorso per Cassazione nei casi e nelle forme previsti dagli articoli 360 e seguenti del codice di procedura civile. 5. Nei soli casi di cui al comma 4 l’impugnazione è proposta, a pena di inammissibilità, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ovvero dalla data di deposito della sentenza, fatta salva la sospensione dei termini processuali di cui all’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742. 6. Per i giudizi di revocazione, nei casi previsti dagli articoli 395 e seguenti del codice di procedura civile, di opposizione di terzo, nei casi previsti dagli articoli 404 e seguenti del codice di procedura civile, di correzione delle ordinanze e delle sentenze, nei casi previsti dall’articolo 287 del codice di procedura civile, è competente, nelle materie di cui all’articolo 2, comma 1, il tribunale ordinario e, nelle materie di cui al comma 2, il tribunale amministrativo regionale.
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prassi attuale – della reiterazione di un decreto-legge decaduto o non convertito in testo identico al decreto precedente della «catena», ove non si alleghino nuovi ed autonomi presupposti di necessità ed urgenza, ma si ripropongano quelli precedenti. Come confermato dalla Corte nella sentenza n. 360/1996, è da escludere, in linea di principio, soprattutto per la mancanza di straordinarietà del caso, che il «vuoto» normativo creatosi con la stessa decadenza del precedente decreto comporti ex se i requisiti della necessità ed urgenza che legittimano l’emanazione di un nuovo decreto-legge44.
3.2.3. Decreti-legge che disciplinano in maniera periodica e cadenzata un medesimo oggetto. Si è potuto riscontrare di frequente, soprattutto nella prima parte degli anni ’90, che il Governo abbia provveduto con periodicità praticamente fissa a disciplinare una determinata materia mediante decreti-legge. Si pensi al caso dei decreti che annualmente, a cadenze regolari, hanno disposto il fermo temporaneo della pesca45 o disciplinato la prevenzione degli incendi46: in questi casi appare evidente il «difetto della «straordinarietà» dei “casi” disciplinati», in quanto «il riprodursi a breve o periodicamente dei “casi”» disciplinati ne attesterebbe la non ordinarietà»47. 44 Riprendendo le parole della Corte, è da escludere che «il Governo in caso di mancata conversione di un decreto-legge, possa riprodurre con un nuovo decreto, il contenuto normativo dell’intero testo o di singole disposizioni del decreto non convertito, ove il nuovo decreto non risulti fondato su autonomi (e, pur sempre, straordinari) motivi di necessità ed urgenza, motivi che, in ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto». 45 Disposto per il 1993 con d.l. n. 224/1993, reiterato con d.l. n. 355/1993, convertito in l. n. 446/1993; per il 1994 con d.l. n. 267/1994, reiterato con d.l. n. 424/1994, convertito in l. n. 504/1994; per il 1995, con d.l. n. 281/1995, reiterato con dd.ll. nn. 380 e 485/1995 e 16/1996, convertito in l. n. 107/1996; e, ancora, per il 1996 con dd.ll. nn. 463 e 552/1996. 46 Annualmente infatti sono stati emanati – nel corso dei mesi estivi, più soggetti a tale rischio – decreti di prevenzione degli incendi; v. il d.l. n. 332/1993, (convertito in l. n. 428/1993), il d.l. n. 367/1993, (convertito in l. n. 456/1993); il d.l. n. 377/1994 (convertito in l. n. 497/1994); e ancora il d.l. n. 275/1995, convertito in l. n. 339/1995. 47 Così V. Angiolini, Attività legislativa del Governo e giustizia costituzionale, «Rivista di diritto costituzionale», 1, 1996, p. 230.
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Il medesimo fenomeno si è verificato con la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali di pace; per volerci limitare alla XIV Legislatura: il decreto-legge n. 294/2001, convertito in legge n. 339/2001, proroga al 31 dicembre 2001 i termini di scadenza dell’autorizzazione della partecipazione italiana già fissati dal decreto-legge n. 393/2000, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27/2001; a. il decreto-legge n. 451/2001, convertito in legge n. 15/2002, li proroga al 31 marzo 2002; b. il decreto-legge n. 64/2002, convertito in legge n. 116/2002, sposta i termini al 31 dicembre 2002; c. il decreto-legge n. 4/2003, convertito in legge n. 42/2003, li dilaziona al 30 giugno 2003; d. il decreto-legge n. 165/2003, convertito in legge n. 219/2003, contiene la ulteriore proroga di tali attività al 31 dicembre 2003; e. il decreto-legge n. 9/2004, convertito in legge n. 68/2004, sposta ancora il termine al 30 giugno 2004. Non ricorrono gli estremi per parlare di reiterazione, ma almeno la mancanza di straordinarietà del caso è palese. In piccolo, analoga catena di riproposizione la abbiamo per il differimento dei termini relativi alle elezioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all’estero: 1. il decreto-legge n. 411/2001, convertito in legge n. 463/2001, aveva fissato il termine per il rinnovo al 30 giugno 2003; 2. il decreto-legge n. 52/2003, convertito in legge n. 122/2003, aveva spostato tale termine al 31 dicembre 2003; 3. il decreto-legge n. 272/2003, convertito in legge n. 336/2003, ha fissato il nuovo termine di espletamento entro il 31 marzo 2004. Valga anche l’esempio del periodo di sperimentazione della disciplina del prezzo dei libri, disposta all’articolo 1, comma primo del decreto-legge n. 99/2001, convertito dalla legge n. 198/2001, prorogata dal decreto-legge n. 192/2002, convertito dalla legge n. 234/2002, poi dal decreto-legge n. 236/2002, convertito dalla legge n. 284/2002, e ancora dal decreto-legge n. 271/2003, convertito in legge n. 335/2003, che ne ha prorogato la applicazione fino al 31 dicembre 2004.
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3.2.4 Decreti-legge di proroga di disposizioni vigenti. Altrettanto frequenti sono stati i decreti-legge utilizzati per prorogare termini in scadenza previsti da altre disposizioni legislative, come nell’emblematico caso del c.d. decreto «milleproroghe», catena quadriennale nata con il decreto-legge n. 1/1992. Appare eccessivo ritenere che nelle proroghe, in assoluto, «non esisteva nessuna urgenza di provvedere; poiché il termine di scadenza era conosciuto, bastava intervenire per tempo con la legge ordinaria del Parlamento ed evitare così il ricorso al decretolegge»48. Più propriamente bisogna distinguere il caso in cui l’esigenza della proroga matura «quando il ricorso alla legge appare tecnicamente non praticabile» e, quindi, comporta una ??. Decreti-legge recanti misure «ad efficacia differita» «urgenza di provvedere» da quello in cui invece «la necessità della proroga venga avvertita con un certo anticipo rispetto alla sua scadenza e non si provvede tuttavia con legge ordinaria», rispetto al quale si può ben dubitare che «l’evenienza in esame possa essere definita straordinaria»49. Si è continuato ad ignorare queste esigenze, come dimostra il frequente ricorso a decreti omnibus di proroga, come, ad esempio, il decreto-legge n. 147/2003, recante proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali, e finalizzato solo alla postergazione di 17 termini in materie svariate. O il decreto-legge n. 411/2001, convertito in legge n. 463/2001; o, anche, il decretolegge n. 236/2002, convertito in legge n. 284/2002; o ancora il decreto-legge n. 355/2003, convertito in legge n. 47/2004. Si pensi infine a decreti-legge di proroga singola di uno specifico termine, come accaduto per il decreto-legge n. 92/2002, di differimento della disciplina relativa alle acque di balneazione.
3.2.5 Decreti-legge contenenti disposizioni non attinenti all’oggetto dell’intervento normativo d’urgenza: il caso dei decreti «ad oggetto plurimo». Maggior probabilità di contrasto tra un decretolegge (rectius: singole disposizioni) e i presupposti delineati dall’art. 77 Cost. può darsi nel caso di un decreto che contenga norme non 48
Così V. Di Ciolo, Questioni in tema di decreti legge, Milano 1970, p. 230. In questi termini F. Sorrentino, La Corte costituzionale tra decreto-legge e legge di conversione: spunti ricostruttivi, «Diritto e società», 3, 1974, pp. 526 sgg. 49
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attinenti all’oggetto dell’intervento normativo d’urgenza50. È proprio la mancata correlazione della disposizione alla materia oggetto del provvedimento d’urgenza che fa venir meno la congruità e la pertinenza delle disposizioni stesse rispetto al fine della disciplina del caso di straordinaria necessità ed urgenza, in linea con quanto previsto dall’art. 15, comma 3, legge n. 400/1988, ove si richiede che il contenuto dei decreti-legge sia «specifico, omogeneo e corrispondente al titolo». Tale sintomo è rilevabile non tanto nei c.d. decreti omnibus, che raccolgono una serie eterogenea di provvedimenti finalizzati – più o meno – ad uno scopo comune, ma piuttosto nel caso dell’ «intrusione» di una disposizione in un provvedimento d’urgenza vertente in tutt’altra materia. Dalle prime ricerche effettuate non ho riscontrato ipotesi clamorose di norme intruse, anche se spesso, in decreti aventi oggetti assai ampi, non mancano norme poco attinenti alle altre, come ad esempio per l’art. 6 del decreto-legge n. 201/2002, ove si dispongono interventi urgenti per il potenziamento delle strutture dell’amministrazione penitenziaria, nell’ambito di un decreto sulla razionalizzazione dell’amministrazione della giustizia. Particolare è il caso del decreto-legge n. 89/2003, avente non un oggetto, ma tre, come indicato nel titolo del decreto stesso: «Proroga dei termini relativi all’attività professionale dei medici e finanziamento di particolari terapie oncologiche ed ematiche, nonché delle transazioni con soggetti danneggiati da emoderivati infetti». In pratica, si approfitta di un solo atto normativo per disporre tre provvedimenti del tutto eterogenei; si tratta solo di un abuso nell’economia di mezzi giuridici o di una totale assenza dei presupposti, accorpando tre situazioni differenti? A ben vedere il decreto-legge ad oggetto plurimo, di cui si era già avuta traccia a cavallo della sentenza n. 360/1996, è un fenomeno alquanto diffuso, come rivela, emblematicamente, il decretolegge n. 138/2002, il cui titolo – «Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’ economia anche nelle aree svantaggiate» – non rende pienamente contezza dei contenuti; infatti, il provvedi50
In tal senso cfr. G. Pitruzzella, La straordinaria necessità ed urgenza: una «svolta» della giurisprudenza costituzionale o un modo per fronteggiare situazioni di «emergenza» costituzionale?, «Le Regioni», 6, 1995, pp. 1105 sgg., il quale rileva che questa è l’unica ipotesi in cui può profilarsi con sufficiente sicurezza la carenza dei presupposti.
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mento è articolato in capi relativi a proroga di termini, disposizioni in materia tributaria, trasformazione di enti pubblici, razionalizzazione e contenimento della spesa farmaceutica, interventi per il sostegno nelle aree svantaggiate e in agricoltura e, da ultimo, un «disposizioni varie» per dare attuazione alla sentenza n. 221/2002 della Corte costituzionale, e aggiungere disposizioni in materia idrica e un’interpretazione autentica della definizione di rifiuto. Altro caso è quello del decreto-legge n. 24/2004, recante disposizioni su due oggetti del tutto eterogenei, come il personale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e le accise sui tabacchi lavorati. La frequenza di decreti di tal genere fa emergere nitidamente che non si tratta di mere casualità, ma che questi accorpamenti rispondono ad un preciso «disegno» politico del Governo, teso a non ingolfare i lavori parlamentari con troppi decreti e a non far crescere in maniera eccessiva il numero assoluto dei decreti! Ovviamente non serve dilungarsi per stigmatizzare l’abusività di questa prassi, in cui l’assenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza è in re ipsa.
4. La non provvedimentalità: generalità, astrattezza e disomogeneità dei decreti-legge Ritenere che il decreto-legge debba essere un atto meramente provvedimentale, contenente solo prescrizioni a carattere puntuale e concreto – in linea con un’interpretazione letterale del relativo termine usato nell’art. 77 Cost., corroborata peraltro dall’art. 15, comma 3, legge n. 400/1988, ove si richiede che i decreti contengano «misure di immediata applicazione» – renderebbe questo il requisito più trascurato e più violato dalla prassi costituzionale, che conosce stabilmente decreti-legge recanti norme generali, astratte e ripetibili, quali, ad esempio, i decreti di riforma strutturale51, quel51 Non possono non rammentarsi casi «classici» come il decreto-legge n. 580/1973, recante varie riforme del sistema universitario, il decreto-legge n. 657/1974, istitutivo del ministro per i beni culturali e per l’ambiente o, più di recente, il decreto-legge n. 54/1993 e successive reiterazioni di riforma della struttura territoriale e delle competenze della Corte dei conti. In questa Legislatura si segnala la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in S.p.a., avvenuta con decreto-legge n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003.
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li di interpretazione autentica52 e, più in generale, i decreti-legge che fanno da surrogato all’iniziativa legislativa ordinaria53, che sarebbero da ritenere tutti palesemente incostituzionali. Nell’inutilità di predicare esigenze del tutto disattese dalla prassi, la provvedimentalità può essere allora letta come fondamento della omogeneità dei decreti, nel senso di vietare «il ricorso, fin qui assai frequente, al decreto c.d. pluricomprensivo, destinato cioè a regolare oggetti disparati, che costituisce uno scorrettissimo mezzo per comprimere l’area dell’effettiva discrezionalità del Parlamento, nel deliberare la conversione in legge del provvedimento»54. Non sono tuttavia da censurare genericamente tutti i decretilegge c.d. omnibus, cioè che contengono disposizioni vertenti su più oggetti e materie. A ben vedere, l’omogeneità può comunque sussistere in ragione della finalizzazione unitaria delle diverse norme (si pensi ai decreti-legge emanati per fronteggiare una crisi economica, che effettuano una manovra di bilancio operando su svariati capitoli di entrata e di spesa): per cui, il requisito dell’omogeneità applicato ai decreti-legge sta a indicare specificamente l’esigenza che questi atti – in quanto provvedimenti indispensabili a fronteggiare un accadimento imprevedibile – dispongano solo e proprio a questi fini e non invece che interessino un solo «oggetto». L’omogeneità, quindi, deve essere valutata piuttosto nell’ottica della coerenza del mezzo (decreto-legge) con i fini perseguiti (far fronte a un caso straordinario di necessità ed urgenza), per cui 52
Per un caso recente, cfr. l’art. 2 del decreto-legge n. 272/2003, convertito in legge n. 336/2003, sul differimento dei termini relativi alle elezioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all’estero, che dispone l’interpretazione autentica dell’articolo 1 bis del decreto-legge n. 52/2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2003. V. anche art. 3 del decreto-legge n. 256/2001 e art. 14 del decreto-legge n. 138/2002. 53 Ricordiamo, per fare un solo esempio, il tanto dibattuto decreto-legge n. 314/2003, recante disposizioni urgenti per la raccolta, lo smaltimento e lo stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza, dei rifiuti radioattivi, il cui scopo era quello di avviare i lavori per la realizzazione del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, in opera non prima del 2008. O il decreto-legge n. 49/2003, convertito in legge n. 119/2003, recante riforma organica della normativa in tema di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, come si desume dalla stessa struttura assai compiuta e articolata delle disposizioni. 54 Così S. Labriola, Il Governo della repubblica. Organi e poteri, Rimini 1989, p. 180.
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saranno da ritenere illegittime le disposizioni che vanno al di là della ragione giustificativa del decreto55. Anche su questo versante la prassi non è assolutamente migliorata. Interessanti sono le considerazioni che, sul punto, spende il Capo dello Stato nel messaggio di rinvio della legge di conversione del decreto-legge n. 4/ 2002, ove non solo si afferma con decisione l’esigenza di rispettare il requisito dell’omogeneità, rinvenendovi un fondamento nella Costituzione e nella valenza ordinamentale della legge n. 400/198856, ma soprattutto se ne estende la portata anche alla legge di conversione. Questa tesi – implicante l’adesione alla ricostruzione che vuole la legge di conversione «condizionata» alla disciplina adottata dal Governo57, rinforzando il collegamento funzionale-strutturale tra i due atti58 – trova un significativo conforto nei regolamenti parlamentari, ove si limita la potestà di modifica ai soli emendamenti ed articoli aggiuntivi che siano «strettamente attinenti alla materia del decreto»59. È noto, tuttavia, che questa limitazione ha sortito scarsi risultati pratici60 – talora addirittura si arriva a modificare il titolo del decreto-legge in sede di conversione per renderlo comprensivo dei contenuti aggiunti61 – anche in ragione della difficoltà di rinvenire criteri sicuri di delimitazione dell’oggetto del decreto per valu55 Cfr., pressoché testualmente, G. Zagrebelsky, Manuale di diritto costituzionale, vol. I, Torino 1987, p. 294. 56 Aspetto che dà luogo a perplessità circa il problema, risolto ormai in senso negativo da dottrina e giurisprudenza dominanti, della vincolatività della legge n. 400/1988 rispetto agli atti con forza di legge; mi sia consentito rimandare a A. Celotto, Un rinvio rigoroso ma… laconico. Linee-guida per una riflessione, cit., specie § 4. 57 Cfr., diffusamente, G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, cit., specie pp. 194 sgg. 58 Per un’analisi di tale forma di collegamento, cfr. A. Ruggeri, Fonti, norme, criteri ordinatori, Torino 2001, pp. 164 sgg.; v. anche V. Angiolini, Attività legislativa del governo e giustizia costituzionale, cit., 1996, p. 237 sgg. 59 Cfr. specificamente art. 96 bis, comma 8 del regolamento della Camera; questa preclusione è ritenuta applicabile al Senato in forza del più generale divieto dell’art. 97, comma 1 del regolamento del Senato. 60 Ricordiamo la prassi per anni diffusissima – volendo usare le parole di A. Manzella, Il Parlamento, Bologna 1991, p. 272 – di aggiungere «al treno del decreto tanti piccoli vagoni con la più svariata mercanzia». 61 V. ad esempio la legge n. 49/2001, di conversione del decreto-legge n. 1/2001.
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tare l’attinenza degli emendamenti. A tal fine si può pensare ad una lettura che guardi all’omogeneità in senso funzionale, rispetto allo scopo di fronteggiare il presupposto di straordinaria necessità ed urgenza, negli stessi termini in cui si è rilevato occorre valutare il requisito nell’ambito del decreto-legge. Oppure ci si può rifare a più tradizionali opinioni di diritto parlamentare, ricorrendo ad una tesi più generica, che propone di applicare le elaborazioni generalmente impiegate per giudicare l’ammissibilità degli emendamenti ad un disegno di legge nel corso dell’esame in assemblea, che fa riferimento ad argomenti affatto estranei all’oggetto della discussione62; oppure ad una più specifica – inverata dalla prassi63 – secondo cui la legge di conversione può dettare una disciplina che riguardi solamente rapporti ed istituti disciplinati dal decreto-legge, utilizzando a tal fine anche alcuni elementi sintomatici di emersione dell’estraneità all’oggetto, quali un elevato numero di articoli aggiuntivi o l’estensione della disciplina a rapporti non contemplati originariamente nel decreto-legge64. Nel proprio messaggio il Presidente si allinea a questa ultima ricostruzione, dando dell’omogeneità una lettura strettamente riferita all’attinenza all’oggetto del decreto. Questo si denota nitidamente non solo dai rilievi formulati in generale («attinenza soltanto indiretta alle disposizioni dell’atto originario» e oggetto «notevolmente e ampiamente diverso» da quello originario), ma anche dall’esame specifico delle norme aggiunte che appaiono senz’altro rispondenti alla funzione del decreto («disposizioni urgenti finalizzate a superare lo stato di crisi per il settore zootecnico, per la pesca e per l’agricoltura»), ma non strettamente attinenti all’oggetto del decreto originario. Accedendo a tale impostazione il Capo dello Stato mostra di propendere per una configurazione della legge di conversione fortemente – e forse eccessivamente – legata al decreto originario,
dovendo gli emendamenti aggiunti in sede di conversione non solo essere attinenti all’oggetto del decreto, ma anche essere sorretti dai presupposti di necessità ed urgenza del decreto stesso. Viene da chiedersi: se si propende per una lettura della legge di conversione quale atto strettamente funzionalizzato alla finalità di conversione, non sarebbe allora più congruo propendere per ritenere il decreto-legge del tutto inemendabile?
5. I decreti-legge non «provvisori»: il fenomeno della c.d. «reiterazione» Non serve dilungarsi a ripercorrere i problemi della reiterazione, «fenomeno centrale» nella «radicale modificazione della funzione del decreto-legge nel sistema delle fonti»65, soprattutto per le gravissime lesioni del principio di certezza del diritto che comporta66, le quali hanno portato alla declaratoria di incostituzionalità della sentenza n. 360/1996. Nella stessa sentenza la Corte, in linea con i rilievi della dottrina che aveva cercato di differenziare un ambito di reiterazione legittima67, ammette un nuovo intervento governativo che «non potrà porsi in un rapporto di continuità sostanziale con il decreto non convertito (come accade con l’iterazione o con la reiterazione), ma dovrà in ogni caso risultare caratterizzato da contenuti normativi sostanzialmente diversi ovvero da presupposti giustificativi nuovi di natura “straordinaria”»68, precisando pure – al fine di evitare di rilegittimare paradossalmente ogni forma di reiterazione – che tali autonomi motivi di necessità ed urgenza «in ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto». 64
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Così si ritengono vietati in via generale gli emendamenti che nascondano un «controprogetto», tendente ad attuare cioè una disciplina del tutto diversa, sopprimendo o modificando interamente il disegno di legge: cfr. E. Spagna Musso, Emendamento, «Enciclopedia del diritto», vol. XIV, Milano 1965, specie p. 829; A. Pisaneschi, Fondamento costituzionale del potere di emendamento, limiti di coerenza e questione di fiducia, «Diritto e società», 2, 1988, p. 227 sgg. 63 Per un quadro sulla prassi applicativa di tale preclusione, v. G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, cit., p. 194 sgg.
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Cfr. diffusamente G. Pitruzzella, ibid, p. 201 sgg. F. Modugno, Analisi delle disposizioni della legge 400/88 relative alla potestà legislativa del governo. Considerazioni critiche, in AA.VV., Scritti in onore di G. Guarino, Padova 1997, p. 64. 66 S.M. Cicconetti, Nuovi elementi in tema di reiterazione di decreti-legge, «Giurisprudenza costituzionale», 8, 1989, p. 1492. 67 Così L. Paladin, Art. 77, in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma 1977, p. 62 sgg. 68 Corsivi aggiunti. 65
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Da un primo esame della prassi, non abbiamo reiterazioni dirette in questa Legislatura. Oltre a qualche caso di reiterazione «indiretta», nascosta nelle pieghe dei decreti di proroga69, abbiamo varie ipotesi di disciplina ripetuta di un determinato oggetto, come quelle – già ricordate – della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali di pace, del differimento dei termini relativi alle elezioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all’estero, del periodo di sperimentazione della disciplina del prezzo dei libri o al caso del decreto-legge n. 187/2002, che riproduce l’art. 5 del decreto-legge n. 8/2002, sulla proroga degli organi della Croce rossa italiana, spostandone in avanti il termine; tuttavia, non è una vera e propria reiterazione in quanto il decreto-legge n. 8/2002 era stato convertito in legge n. 56/200270.
6. La perdita di efficacia «sin dall’inizio» dei decreti-legge non convertiti: il problema della rimozione degli effetti prodotti Nell’impossibilità di emanare decreti-legge che non producano effetti irreversibili, in quanto ogni effetto, quanto meno materialmente, non è del tutto azzerabile, salvo a non degradare il decreto ad una sorta di disegno di legge, capace di produrre effetti solo dopo l’approvazione parlamentare, il problema si sposta sulle modalità per prevenirne la verificazione, quanto meno quando incidano sui diritti fondamentali. Per contrastare il formarsi di tali conseguenze non pare sufficiente confidare in un uso forte dei poteri di garanzia spettanti al Presidente della Repubblica in sede di emanazione dei decreti, cui troppo sporadicamente si è fatto ricorso, né diversamente potrebbe accadere a fronte di abusi massicci della decretazione d’urgenza71; o affidarsi al buon senso dei giudici di non provocare effetti 69 Il caso più vistoso è quello del decreto-legge n. 81/2004, che riproduce parte del decreto-legge n. 10/2004, in tema di interventi sanitari, come più diffusamente segnalato nell’intervento di N. Lupo, Decreto-legge e manutenzione legislativa: i decretilegge «milleproroghe», infra, p. XXX. 70 Cfr. anche A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 456, nota 33. 71 Per un quadro sui poteri del Presidente in sede di emanazione dei decreti-legge v. – quanto meno – S.M. Cicconetti, Decreti-legge e poteri del Presidente della Repubblica, «Diritto e Società», 3, 1980, p. 559 sgg.
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irreversibili prima della conversione, in forza della ricostruzione espositiana72 o degli auspici lavagnani73, per quanto negli ultimi mesi non siano mancati casi di sistematica non applicazione, specie a fronte di reiterazioni insistite. La migliore forma di tutela preventiva non può che consistere in un ricorso tempestivo alla Corte costituzionale74, che tuttavia – proprio per ragioni di tempo – non può seguire le tortuose strade dell’instaurazione di un sindacato di legittimità in via incidentale. Di queste peculiari esigenze si è fatta carico la stessa Corte costituzionale – nella sentenza n. 161/1995 – mostrando piena consapevolezza del fatto che, a seguito della mancata conversione, la «perdita di efficacia [...] non può far venir meno i mutamenti irreversibili della realtà che lo stesso decreto abbia potuto produrre nel corso della sua precaria vigenza», a dispetto dello «stesso disegno tracciato dall’art. 77 Cost.» in cui «il profilo della garanzia si presenti essenziale e tenda a prevalere [...] su ogni altro». I connessi rischi per la collettività possono «assumere connotazioni ancor più gravi nelle ipotesi in cui l’impiego del decreto-legge possa condurre a comprimere diritti fondamentali [e in particolare diritti politici], a incidere sulla materia costituzionale, a determinare – nei confronti dei soggetti privati – situazioni non più reversibili né sanabili anche a seguito della perdita di efficacia della norma». I giudici della Consulta si sono mostrati ben consapevoli che il cennato profilo di garanzia «verrebbe a risultare, se non compromesso, certamente limitato ove il controllo di costituzionalità dovesse ritenersi circoscritto alla sola ipotesi del sindacato inci72
Secondo cui, prima della conversione, i giudici non devono applicare i decretilegge (C. Esposito, Decreto-legge, cit., p. 845 sgg.). 73 Infatti C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 325, rilevava «la opportunità di evitare il formarsi di giudicati irrevocabili [...] quando si tratti di basarli su decreti non ancora convertiti. In particolare, sarà buon criterio ricorrere all’istituto della sospensione del processo (in quanto possibile, specie se non si eludono gli effetti provvisori del decreto) ed eventualmente degli atti amministrativi conseguenziali al decreto». 74 Come prospettato già da A. Cerri, Sindacabilità da parte della Corte costituzionale dei presupposti della legge e degli atti aventi forza di legge, «Rivista Trimestrale di diritto pubblico», 2, 1965, p. 456, secondo cui «la tempestiva proposizione del ricorso alla Corte costituzionale, ed il tempestivo annullamento da parte di quest’organo impediscono appunto il consolidarsi di quelle situazioni, e rappresentano quindi per il cittadino una garanzia che non può essere sostituita con quella del controllo parlamentare».
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dentale [...] [essendo] noto, infatti, che per il decreto-legge questo tipo di sindacato, per quanto possibile, si presenta di fatto non praticabile in relazione ai tempi ordinari del giudizio incidentale ed alla limitata vigenza temporale dello stesso decreto». È proprio per far fronte a questa irrimediabile mancanza di tutela che la Corte – modificando radicalmente la giurisprudenza costituzionale precedente, in linea con le posizioni della dottrina – ha finito con l’ammettere «la possibilità di utilizzare nei confronti del decreto-legge lo strumento del conflitto tra i poteri dello Stato come controllo da affiancare al sindacato incidentale», in quanto «in tali ipotesi, certamente deprecabili – ma suscettibili di manifestarsi non soltanto attraverso l’impiego della decretazione d’urgenza – il ricorso allo strumento del conflitto tra i poteri dello Stato può dunque rappresentare la forma necessaria per apprestare una difesa in grado di unire all’immediatezza l’efficacia». La dottrina non ha potuto non salutare questa interessante apertura della giurisprudenza costituzionale, al fine di ammettere una «forma suppletiva di garanzia nei confronti dei decretilegge»75, riecheggiando il modello del ricorso diretto a tutela dei diritti fondamentali: nelle situazioni in cui la precaria operatività del decreto-legge può comportare la verificazione di effetti giuridici e materiali di tipo definitivo, «l’accesso diretto alla Corte costituzionale mediante la proposizione del conflitto da parte dei soggetti immediatamente (ma non ancora irreparabilmente) lesi dal provvedimento governativo» è la strada che presenta «maggiori possibilità di successo [...] in relazione all’esigenza di evitare effetti lesivi non più rimediabili o, comunque, particolarmente gravi, producibili pur nel breve, si sa, (ma non sempre tale) tempo prescritto per la conversione in legge»76. In quest’ottica, si consideri l’intervento sul funzionamento dei Tribunali delle acque a seguito delle declaratorie di incostituzionalità nn. 305 e 353/2002. Il decreto-legge n. 251/2002, con gli artt. 1-4 ha disposto la soppressione dei Tribunali regionali delle acque pubbliche ed il Tribunale superiore delle acque pubbliche e 75 Così P. Veronesi, Atti legislativi e conflitti di attribuzione, «Giurisprudenza costituzionale», 3, 1995, p. 1375. 76 Così P. Carnevale, Decreto-legge all’origine di un conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato? Il sì della Corte costituzionale nella sentenza n. 161 del 1995. Spunti di riflessione, in F. Modugno (a cura di), Par condicio e Costituzione, Milano 1997, § 6.
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la sospensione di tutti i procedimenti pendenti, anche se con una decorrenza successiva alla entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sia pur la prima decorsi 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto77. Oltre ad ogni considerazione sulla palese mancanza della necessità e dell’urgenza di disporre con decreto-legge effetti decorrenti di là a 120 giorni, colpisce l’incidenza del provvedimento su affidamenti e aspettative relative a processi in corso, ancor più gravi ove si consideri che questo «turbamento» del corretto decorso della giustizia è venuto meno in sede di conversione del decreto, ove tali norme sono state soppresse. Ma si consideri anche il caso del decreto-legge n. 201/2002, convertito in legge n. 259/2002, recante misure urgenti per razionalizzare l’amministrazione della giustizia, che agli artt. 1-3 conteneva una serie di modifiche alla c.d. legge Pinto sull’equa riparazione in caso di violazione del termine di ragionevole durata del processo, al fine di deflazionare il sovraccarico di lavoro delle Corti d’appello, non convertite in legge per quanto immediatamente applicative.
7. I decreti-legge che convertono precedenti decreti-legge e che regolano gli effetti dei decreti-legge non convertiti Salvo che in epoca statutaria, non esistono ipotesi di decretilegge che convertono altri decreti. Un caso desta comunque interesse, ed è quello del decretolegge n. 4/2003 sulla prosecuzione della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali. Trattandosi di varie operazioni militari internazionali (Macedonia, Kosovo, Albania, Etiopia e così via) i cui termini di partecipazione italiana erano scaduti al 31 dicembre 2002, il decreto-legge si vede costretto, all’art. 9, a disporre che «Sono convalidati gli atti adottati, le attività svolte e le prestazioni effettuate fino alla data di entrata in vigore del presente decreto», in maniera da coprire le attività comunque svolte dal 31 dicembre alla data di entrata in vigore del decreto stesso, 77 In particolare, la soppressione decorsi ulteriori 60 giorni dalla legge di conversione, la sospensione contestualmente alla entrata in vigore.
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visto che le operazioni militari erano proseguite senza soluzioni di continuità. Disposizione identica è contenuta nell’art. 17 del successivo decreto-legge n. 165/2003, di ulteriore proroga di tali attività belliche al 31 dicembre 2003, per «coprire» le attività svoltesi dal 30 giugno (data della precedente scadenza) al 10 luglio. E, poi, dall’art. 15 del decreto-legge n. 9/2004, di ulteriore proroga di tali missioni al 30 giugno 200478. Si tratta, in pratica, di una estensione retroattiva degli effetti del decreto, che tuttavia non viene esplicitamente giustificata nel testo del decreto stesso. Svariati problemi ha posto invece la c.d. sanatoria (o meglio la «cristallizzazione»79) degli effetti dei decreti non convertiti, soprattutto in connessione con la reiterazione a catena. Un problema comunque rimasto aperto è quello del «tempo» della sanatoria, inteso come individuazione dei limiti temporali all’azione di recupero degli effetti di un decreto non convertito. I dubbi non riguardano tanto il dies a quo, in quanto l’intervento legislativo di «cristallizzazione» non potrebbe che essere posteriore alla scadenza del termine costituzionale per la conversione o, comunque, non anteriore alla decisione di non conversione del decreto. Non è tuttavia necessario che avvenga contestualmente alla mancata conversione, come pure inizialmente richiesto dalla Corte costituzionale, che, nella sentenza n. 89/1966, rilevava: «La conversione consegue ipso iure ad un evento negativo (l’inutile decorso di sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto) o, come nel caso in esame, al voto contrario espresso anche da una sola delle assemblee legislative, è da escludere perfino la possibilità che la regolamentazione dei rapporti sorti sulla base del decreto non convertito sia contestuale alla non conversione» (corsivo aggiunto). Assai più difficile ed incerta è, invece, la risoluzione del problema della individuazione del dies ad quem del potere ex art. 77, comma 3, ultimo periodo, Cost., superato il quale la potestà di c.d. sanatoria del decreto non convertito decade. 78
Analoga disposizione era comparsa come art. 2 bis della legge n. 339/2001, di conversione del decreto-legge n. 294/2001; e poi come art. 9 del decreto-legge n. 64/2002. 79 Mi sia consentito rinviare a P. Carnevale, A. Celotto, La regolazione dei «rapporti sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti» nella giurisprudenza costituzionale. Prime considerazioni, «Diritto e Società», 4, 2000, p. 483 sgg.
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Qui, in realtà, non vi è un termine specifico da indicare, quanto semmai può tentarsi, al più, l’individuazione di un criterio. Riprendendo la concettuologia elaborata per definire l’ipotesi di retroattività impossibile, si potrebbe anche nel nostro caso ripetere che l’intervento del legislatore volto a recuperare quanto prodotto dal decreto decaduto non potrà risalire così indietro nel tempo (e, quindi, arrivare a così grande distanza temporale) da interessare situazioni pregresse tali «da aver perso ogni rilievo in termini di attualità»80. Pertanto, laddove la legge di «cristallizzazione» si rivolgesse a salvare effetti giuridici relativi a situazioni così «remote o tali da configurarsi in termini di “estraneità temporale” rispetto all’ordinamento all’interno del quale la norma retroattiva si va a collocare»81, ci troveremmo dinanzi ad una legge c.d. di sanatoria ormai impossibile ratione temporis. Conseguentemente, l’eccessivo decorso del tempo determinerebbe, in tal modo, una sorta di c.d. sanatoria apparente, non dissimilmente da quello che accadrebbe nell’ipotesi in cui l’intervento di recupero ope legis avvenisse a fronte di un decreto-legge che non abbia prodotto alcun effetto sul piano applicativo (ma non anche, evidentemente, su quello normativoordinamentale, giacché sempre producibile, ma tuttavia in sé non recuperabile) e, per certi versi, abbia dato luogo soltanto ad effetti irreversibili materialmente e giuridicamente (in tal caso l’impossibilità della c.d. sanatoria deriverebbe, in modo speculare, dalla impossibilità della decadenza del decreto non convertito ex art. 77, comma 3, primo periodo, Cost.). Nel caso di specie, come già altrove esposto, pare tuttavia necessario un criterio più rigoroso di quello volto a delineare il predetto limite logico assoluto alla legislazione retroattiva. Ciò in quanto, proprio a differenza di quanto si propone la legge retroattiva, la legge di «cristallizzazione» risponde, come detto, all’esigenza di restituire certezza (ed equità) alle posizioni dei destinatari dell’applicazione della disciplina del decreto, travolte (o, comunque, esposte al rischio del travolgimento) a seguito del venir meno di quest’ultimo. Pertanto, è ragionevole ritenere che la certezza non possa essere dispensata se non abbastanza a ridosso dell’insorgenza delle situazioni che essa è destinata a «rassicurare». 80 Così R. Tarchi, Le leggi di sanatoria nella teoria del diritto intertemporale, Milano 1990, p. 212. 81 Ibid., p. 212 sgg.
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Pena, la stessa vanificazione funzionale della legge de qua, che, ove approvata ad una certa distanza di tempo dalla mancata conversione, potrebbe persino non essere più in grado di sopperire alle conseguenze della stessa, stante il consolidamento degli effetti conseguenti alla decadenza del decreto; magari col rischio di aggiungere incertezze ulteriori, piuttosto che conferire salvaguardia al principio della sicurezza dei rapporti giuridici. In questa prospettiva, del resto, si era giustamente criticata la prassi della immissione della clausola c.d. di sanatoria nella legge di conversione dell’ultimo decreto-legge di una lunga catena di decreti reiterati, evidenziando come essa suscitasse qualche dubbio proprio «per il ritardo in cui molte volte la sanatoria finisce con l’intervenire»82. Invece la giurisprudenza costituzionale ha mostrato scarsa sensibilità al problema. Nella sentenza n. 89/2000, relativa ad una complessa vicenda sulla individuazione dei soggetti passivi delle obbligazioni sorte a carico delle soppresse unità sanitarie locali, la Corte deve esaminare due decreti-legge non convertiti – nn. 448/1995 e 553/1995 – ma successivamente fatti salvi da apposita clausola di sanatoria contenuta nella legge n. 4/1997. Pur dovendo decidere intorno ad una sanatoria avvenuta ad oltre un anno di distanza dalla loro mancata conversione, la Corte non spende una parola sul ritardo dell’intervento legislativo, laddove una presa di posizione del giudice costituzionale, sia pure a mezzo di un obiter dictum, sarebbe stata più che auspicabile. Ancor più discutibile appare quindi la recente sentenza n. 120/2004, in cui la Corte ragiona attorno alla catena di decretilegge che dal 1993 al 1996 avevano cercato di dare attuazione al nuovo art. 68, comma 1, Cost., mai convertiti e sanati a distanza di parecchi anni dalla legge n. 140/200383. La Corte esamina 82
F. Sorrentino, Il decreto-legge non convertito, «Politica del diritto», 3, 1995, p.
84. 83 Che all’art. 8 dispone: «1. Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge 15 novembre 1993, n. 455, 14 gennaio 1994, n. 23, 17 marzo 1994, n. 176, 16 maggio 1994, n. 291, 15 luglio 1994, n. 447, 8 settembre 1994, n. 535, 9 novembre 1994, n. 627, 13 gennaio 1995, n. 7, 13 marzo 1995, n. 69, 12 maggio 1995, n. 165, 7 luglio 1995, n. 276, 7 settembre 1995, n. 374, 8 novembre 1995, n. 466, 8 gennaio 1996, n. 9, 12 marzo 1996, n. 116, 10 maggio 1996, n. 253, 10 luglio 1996, n. 357, 6 settembre 1996, n. 466, e 23 ottobre 1996, n. 555.»
DECRETO-LEGGE E ATTIVITÀ DEL GOVERNO (NELLA XIV LEGISLATURA)
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approfonditamente tali decreti e rileva che «la legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione, nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato) si può considerare, a parte l’art. 1 relativo appunto ai processi penali nei confronti delle “alte cariche dello Stato”, in continuità ideale con la serie ininterrotta di 19 decreti-legge in materia di attuazione dell’art. 68 della Costituzione, emanati tra il 1993 ed il 1996 e mai convertiti, e dei quali, non a caso, la stessa legge convalida gli atti e fa salvi gli effetti ed i rapporti giuridici sorti medio tempore». Se neanche in un caso del genere, di sanatoria dopo oltre dieci anni, la Corte nulla dice, ci viene da chiudere con una domanda provocatoria: non ci sono tempi per la sanatoria o la Corte non ha avuto tempo di occuparsene?
Roberto Romboli Decreto-legge e giurisprudenza della Corte Costituzionale
SOMMARIO: 1. Premessa. Il «seguito» delle più importanti affermazioni della giurisprudenza costituzionale del biennio 1995-96 – 2. A) Il controllo dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza – 3. B) Il c.d. effetto trasferimento – 4. C) L’incostituzionalità della reiterazione dei decreti-legge – 5. D) La legge di sanatoria – 6. L’impugnazione di decreti-legge da parte della Regione dopo il nuovo Titolo V della Costituzione – 7. I «nuovi» vizi del decreto-legge ed in particolare quello della necessaria «omogeneità» del contenuto fra Corte costituzionale e Presidente della Repubblica.
1. Premessa. Il «seguito» delle più importanti affermazioni della giurisprudenza costituzionale del biennio 1995-96 Di fronte al fenomeno della decretazione d’urgenza e del suo impiego da parte del Governo ben oltre i limiti ed i confini fissati dal testo costituzionale (casi straordinari di necessità ed urgenza), la Corte costituzionale – pur trattandosi all’apparenza di un’ipotesi rientrante evidentemente tra le competenze ad essa assegnate dall’art. 134 Cost. (un atto avente indubbiamente forza di legge che si pone in contrasto, in alcuni casi anche in maniera palese, con i principi costituzionali) – sembra trovarsi con le armi spuntate. L’intervento a seguito di questione di costituzionalità sollevata in via incidentale incontrava infatti il limite del tempo di vigenza del decreto-legge, certamente inferiore a quello necessario alla Corte per giudicare sulla questione (così le relative eccezioni venivano regolarmente dichiarate manifestamente inammissibili in quanto aventi ad oggetto un atto non più vigente al momento del giudizio), mentre l’impugnazione di un decreto-legge da parte della Regione in via principale era consentito solo a condizione che il
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vizio denunciato avesse dirette ripercussioni sulla sfera di competenza legislativa costituzionalmente garantita alla Regione stessa. Per quanto concerne infine lo strumento del conflitto di attribuzioni, la giurisprudenza costituzionale era costante nell’escludere che oggetto del conflitto potessero essere gli atti legislativi o aventi forza di legge, essendo per questi previsto il ricorso in via diretta o la questione rimessa dal giudice per la via incidentale. Dopo circa quarant’anni di funzionamento, la Corte costituzionale perviene in un biennio (1995-1996) a modificare radicalmente la propria posizione in ordine al problema del controllo sui decreti-legge, con alcune importanti decisioni pronunciate sia nell’ambito di giudizi sulle leggi in via principale, sia di giudizi attivati in via incidentale, sia infine di conflitti di attribuzioni tra poteri dello Stato. Queste decisioni vedono la Corte costituzionale impegnata, vuoi nella sua veste di «giudice dei poteri», con particolare riguardo ovviamente ai rapporti tra Governo e Parlamento nell’esercizio del potere normativo, che in quella di «giudice dei diritti», per i riflessi negativi che l’abuso della decretazione d’urgenza può svolgere sulla garanzia dei diritti fondamentali. Ed in proposito credo si possa anticipare come la Corte si sia mossa in maniera certamente più timorosa, sentendosi forse meno a suo agio, allorché si è trovata ad operare nei riguardi del decreto-legge nella prima veste1, mentre sia intervenuta con maggiore decisione, conseguendo anche maggiori risultati, quando lo ha fatto nella sua funzione più propria di giudice dei diritti fondamentali. Le più importanti affermazioni, a tutti note, fatte dalla Corte costituzionale in questi «formidabili» due anni possono essere sintetizzate in quattro aspetti: 1 Parla di ritrosia ad intervenire nei gangli nodali del rapporto tra Parlamento e Governo da parte del Giudice costituzionale, il quale lo farebbe solo in casi di violazioni gravi ed a lungo ripetute, preferendo per il resto non intervenire su aspetti attinenti al «circuito politico», A. Celotto, La «storia infinita»: ondivaghi e contraddittori orientamenti sul controllo dei presupposti del decreto-legge, «Giurisprudenza costituzionale», 1, 2002, pp. 135-137. In senso analogo v. pure A. Concaro, La decretazione d’urgenza dopo la sent. n. 360 del 1996: è realmente chiusa la stagione degli abusi?, in V. Cocozza e S. Staiano (a cura di ), I rapporti tra parlamento e governo attraverso le fonti del diritto, Torino 2001, p. 409, la quale individua nella giurisprudenza costituzionale un atteggiamento di self restraint della Corte in presenza di questioni che si pongono pur sempre ai confini con le valutazioni discrezionali del legislatore.
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A. la possibilità, per la Corte stessa, di poter sindacare la mancanza dei presupposti straordinari di necessità e di urgenza anche dopo l’avvenuta conversione in legge del decreto, negando quindi, come fin allora ritenuto, l’effetto sanante della legge di conversione, in considerazione del tipo di controllo, a carattere essenzialmente politico, svolto dal Parlamento (sentenza n. 29/1995). Il Giudice costituzionale pare muoversi in questo caso più come «corte dei poteri» che non come «corte dei diritti» ed il giudice relatore di quella storica decisione2, quattro mesi dopo, nella sua qualità di presidente della Corte nel frattempo assunta, invia una lettera ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato, qualificata con molta diplomazia da Andrea Simoncini come un’«iniziativa originale se non del tutto unica»3, richiamando la loro attenzione sull’abuso nel ricorso governativo alla decretazione d’urgenza; B. il carattere non decisivo, per la Corte, dell’identità formale della disposizione denunciata ove invariata rimanga la norma, dichiarando (sentenza n. 84/1996) di conseguenza la possibilità che la censura avente ad oggetto una determinata disposizione che esprime una certa norma possa estendersi ad una diversa disposizione, identica nel nucleo precettivo essenziale o addirittura nella formulazione letterale (c.d. «effetto trasferimento»); C. il contrasto con la Costituzione del fenomeno della reiterazione dei decreti-legge decaduti e ripresentati nello stesso testo, in quanto si finiva con ciò per rendere di fatto stabile la disciplina contenuta in decreti-legge, atti per loro natura aventi carattere provvisorio. La Corte fa riferimento in proposito sia a motivi di carattere istituzionale e di equilibrio tra poteri, sia ai possibili effetti irreversibili che tale disciplina avrebbe potuto svolgere sui diritti fondamentali dei cittadini (sentenza n. 360/1996); D. la dichiarazione di incostituzionalità, contenuta nella pronuncia n. 360, ha infine offerto l’occasione alla Corte per pronun2
F. Angelini, Il controllo della Corte costituzionale sui presupposti giustificativi della decretazione d’urgenza «entra dalla porta e riesce dalla finestra», «Giurisprudenza italiana», 10, 2002, p. 1789 definisce di recente tale pronuncia come «pietra miliare», specie per il superamento della tesi della novazione della fonte, su cui si fondava la ritenuta non sindacabilità dei decreti-legge da parte della Corte costituzionale. 3 A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, Milano 2003, p. 12.
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ciarsi in ordine ai caratteri ed ai presupposti della c.d. legge di sanatoria, di cui all’ultimo comma dell’art. 77 Cost. («le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti»), che fino al momento aveva suscitato scarso interesse. Parlare oggi, a distanza di circa otto anni da quel «biennio di fuoco», del decreto-legge attraverso la giurisprudenza costituzionale significa, a mio avviso, verificare il «seguito» della giurisprudenza sopra richiamata ed in certi casi verificare quanto le attese da quella suscitate siano state poi concretamente realizzate. Per questo organizzerò il mio saggio seguendo i quattro aspetti sopra indicati, aggiungendo poi qualche osservazione sulle conseguenze dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione in ordine all’impugnazione dei decreti-legge in via diretta da parte della Regione ed alcune brevi notazioni conclusive relativamente a quelli che potremmo chiamare i «nuovi» vizi del decretolegge e alla loro sindacabilità.
2. A) Il controllo dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza Il controllo da parte della Corte costituzionale della sussistenza delle condizioni di necessità ed urgenza poneva due ordini di problemi, il primo dei quali, usando la terminologia di Andrea Simoncini, concernente la c.d. sindacabilità teorica, l’altro la c.d. sindacabilità pratica4. Intendo riferirmi all’astratta possibilità della Corte di procedere a verificare la sussistenza dei presupposti di un atto che il Governo assume «sotto la propria responsabilità» e che deve necessariamente essere sottoposto al Parlamento (di fronte al quale l’Esecutivo è responsabile) per la sua conversione, nonché la possibilità concreta di farlo, visti, come detto, i ristretti tempi di vigenza del decreto-legge. Attraverso l’affermazione sub A), contenuta in un obiter dictum del tutto ininfluente per il giudizio in corso, la Corte costituzionale fornisce una risposta positiva alla prima domanda e 4
Ibid., pp. 247 sgg.
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soprattutto indica anche la concreta possibilità di far valere la mancanza dei requisiti di necessità e di urgenza, osservando che essa costituisce un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, «avendo quest’ultima […] valutato erroneamente l’esistenza di presupposti di validità in realtà insussistenti e quindi convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione» e consentendo quindi di far valere il vizio anche successivamente alla conversione in legge del decreto. L’improvvisa apertura della Corte sembra inaugurare una nuova stagione per la verifica dei presupposti costituzionali del decreto-legge, a giudizio di tutti scarsamente osservati da parte del Governo, ma quella porta inaspettatamente spalancata dal Giudice costituzionale si viene negli anni successivi di fatto a richiudere senza aver prodotto alcun utile risultato. L’apertura si rivelerà infatti più apparente che reale e la giurisprudenza costituzionale che ne segue finirà, in concreto, per ribaltare quasi completamente le conclusioni cui, a prima vista, si poteva giungere dopo l’affermazione contenuta nella sentenza n. 29/1995. La mancanza dei requisiti di necessità e di urgenza, previsti dall’art. 77 Cost., nell’emanazione di un decreto-legge non è, secondo la successiva giurisprudenza costituzionale, un vizio sindacabile dalla Corte, la quale può accertare e sanzionare l’esistenza di un simile vizio solamente quando lo stesso appaia «evidente». La successiva giurisprudenza costituzionale viene infatti a valorizzare alquanto il passaggio della sentenza n. 29/1995 in cui si dice che necessità ed urgenza costituiscono un requisito di validità costituzionale del decreto-legge «di modo che l’eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura […] un vizio di legittimità costituzionale», richiedendo, per l’accoglimento delle censure, non la semplice mancanza dei presupposti costituzionali, ma la loro «evidente mancanza». La migliore dimostrazione di come quella porta si sia successivamente e rapidamente richiusa è data dal fatto che – nonostante molte siano state le questioni sollevate dopo la sentenza n. 29 davanti alla Corte costituzionale per supposta mancanza dei requisiti della necessità e dell’urgenza – nessuna di queste sia stata accolta dal Giudice costituzionale, tanto che, dopo la «fiammata iniziale», adesso le questioni di costituzionalità sollevate per sup-
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posta assenza dei requisiti costituzionali del decreto-legge sono in netto calo se non addirittura quasi scomparse. Scendendo nel dettaglio possiamo rilevare come una parte delle questioni sollevate nei confronti di decreti-legge denunciati in quanto privi dei requisiti di necessità e di urgenza, sono state risolte attraverso pronunce di carattere processuale. Così, in alcuni casi la Corte ha provveduto alla restituzione degli atti ai giudici a quibus, sul rilievo che la normativa impugnata era stata, posteriormente alla data di emanazione dell’ordinanza di rinvio, modificata ad opera di successivi decreti, della legge di sanatoria o di altri atti normativi5, in altri la questione è stata dichiarata manifestamente inammissibile in quanto irrilevante nel giudizio a quo o per carenza di motivazione in ordine al requisito della rilevanza6 oppure perché la disposizione impugnata del decreto-legge risultava non convertita, né fatta salva, né riprodotta, neppure parzialmente, in altra norma7. Più interessanti ovviamente le ipotesi in cui la Corte costituzionale ha invece affrontato nel merito la questione di costituzionalità ed in cui, come detto, ha fatto applicazione del criterio sopra ricordato, richiedendo che la mancanza dei presupposti costituzionali del decreto-legge risulti in maniera «evidente», «chiara» o «manifesta». In tal senso la Corte ha sostenuto che l’accoglimento della censura relativa alla mancanza dei presupposti di necessità e di urgenza può intervenire solo in presenza di una «evidente mancanza» e ciò non può dirsi verificato quando nella premessa del decreto impugnato l’urgenza può desumersi dal richiamo ad altra normativa (nella specie in materia di sanatoria edilizia)8, oppure che la mancanza per essere evidente deve essere tale «da far palesemente ritenere che l’atto sia stato adottato dal Governo al di fuori dell’ambito delle possibilità applicative costituzionalmente previste 5 Cfr. Corte cost., ordinanze nn. 165 e 166/1999, «Giurisprudenza costituzionale», 1999, pp. 1601 e 1604; ordinanza n. 221/1999, ibid., p. 1978; ordinanza n. 259/1999, ibid., p. 2215 e ordinanza n. 306/1999, ibid., p. 2490. 6 Cfr. Corte cost., ordinanza n. 258/1999, ibid., p. 2211 e n. 409/2002, ibid., 2002, p. 2962. 7 Cfr. Corte cost., ordinanza n. 506/2000, ibid., 2000, p. 3912; ordinanza n. 591/2000, ibid., p. 4366 e ordinanza n. 356/2001, ibid., 2001, p. 3641. (Attenzione, v. per tutte le ordd. I numeri!!!) 8 Corte cost. n. 270/1996, ibid., 1996, p. 2377.
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per il decreto-legge», escludendolo nella specie in quanto il decreto impugnato, pur facendo parte di una «catena» di decreti non convertiti e riprodotti, «è sostenuto da una specifica motivazione, resa esplicita nella relazione governativa che accompagna il disegno di legge di conversione»9, o ancora che la mancanza dei presupposti deve rivelarsi chiara e manifesta, ritenendo che nella specie (in materia di quote-latte) «i limiti posti in sede comunitaria ai quantitativi nazionali di produzione lattiera e l’esigenza di introdurre misure intese al contenimento di questa rendono non manifestamente implausibile la valutazione governativa, posta a base degli interventi, in ordine al ricorso alla decretazione d’urgenza»10. Più di recente la Corte, con riguardo all’impugnazione di un decreto-legge approvato al solo fine di completare la manovra finanziaria pubblica, ha affermato che questa doveva adeguare i conti pubblici ai parametri previsti dal trattato di Maastricht e, data l’importanza di tale adeguamento, non poteva dirsi che la straordinaria necessità ed urgenza richiesta dall’art. 77 Cost. mancasse in maniera evidente11 o, circa l’impugnazione del decreto-legge contenente interventi urgenti nel settore dei trasporti, ha sostenuto che nella specie non poteva certamente parlarsi di «evidente mancanza dei presupposti» di cui all’art. 77, comma 2, Cost., in quanto «dai lavori parlamentari risulta come la questione abbia formato oggetto di un ampio dibattito e come, pur nella varietà delle opinioni sull’opportunità politica della norma, sia emersa la sua funzione di evitare l’ulteriore proliferare di un già imponente contenzioso […] e di evitare altresì agitazioni sindacali nel settore dell’autotrasporto. Esigenze entrambe astrattamente idonee a giustificare il ricorso alla decretazione d’urgenza e quindi a precludere ogni più penetrante sindacato di questa Corte»12. A seguito di un giudizio proposto in via principale, ha poi ritenuto di poter affermare «la sicura esistenza di elementi di fatto contrari all’“evidente mancanza” dei requisiti di urgenza» nel decreto impugnato, in quanto «a fondamento dell’intervento normativo del Governo si pone una situa9
Corte cost. n. 330/1996, ibid., p. 2647. Corte cost. n. 398/1998, ibid., 1998, p. 3389. 11 Corte cost. n. 16/2002, ibid., 2002, p. 122, con nota di A. Celotto. 12 Corte cost. n. 341/2003, «Foro italiano», I, 2004, p. 357. 10
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zione nella quale, in assenza di un effettivo e rapido rafforzamento delle strutture di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica, si possono produrre serie situazioni di difficoltà o addirittura interruzioni più o meno estese della fornitura di energia, con conseguenti gravi danni sociali ed economici»13. Una recente questione di costituzionalità infine, aveva ad oggetto il differimento, in attesa di un ulteriore intervento legislativo, dell’efficacia delle disposizioni processuali in materia di adozione ed affidamento dei minori ad opera di un decreto-legge, «integrativo» di una legge approvata appena un mese prima. Il termine per l’ulteriore intervento legislativo – introdotto in sede di conversione del primo decreto-legge – è stato poi prorogato per due volte ad opera di due ulteriori decreti-legge, pure questi impugnati dal giudice a quo. Rinviando alle osservazioni fatte da Nicola Lupo in questo volume14 relativamente alla verificabilità dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza nei decreti-legge di proroga dei termini, mi limito a rilevare come anche in questo caso la Corte non ha ritenuto il prolungato rinvio all’entrata in vigore delle suddette disposizioni processuali, a causa dell’inerzia parlamentare, incompatibile con i presupposti di necessità ed urgenza, rilevando come non si possa nella specie parlare di «evidente mancanza», in quanto, dalla mancanza di precise disposizioni in ordine alla difesa d’ufficio in favore dei genitori e dei minori, «come si rileva anche dalla relazione del Governo ai rispettivi disegni di legge di conversione, nonché dal relativo dibattito parlamentare, potrebbe derivare un pregiudizio alla effettività del diritto di difesa del minore, soprattutto tenendo conto della necessità di avvalersi nei procedimenti in questione di professionisti in possesso di competenze adeguate alla particolarità e alla delicatezza della funzione da assolvere»15. In un caso la Corte costituzionale rimprovera l’autorità giudiziaria rimettente perché, in contrasto con la sopra richiamata giurisprudenza costituzionale sulla necessaria «evidenza» della man13
Corte cost. n. 6/2004, G.U., I s.s., n. 3 del 2004. Cfr. N. Lupo, Decreto-legge e manutenzione legislativa: i decreti-legge «milleproroghe», infra, p. XXX. 15 Corte cost. n. 178/2004, G.U., I s.s., n. 25 del 2004. 14
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canza dei presupposti, «ha omesso del tutto di motivare sul punto che, nella specie, i presupposti della decretazione d’urgenza mancano in modo “evidente”»16, mostrando con chiarezza come tale presupposto fosse ritenuto dalla Corte diverso da quello previsto dall’art. 77, comma 2, Cost. che consente al Governo di emanare decreti-legge solo in casi straordinari di necessità ed urgenza. Si tratta quindi di due diversi possibili vizi del decreto-legge, uno derivante direttamente dalla Costituzione che stabilisce i presupposti in base ai quali il Governo può approvare decreti-legge, imponendo allo stesso di motivare circa la loro sussistenza nella specie17, l’altro, creato dalla giurisprudenza costituzionale, che richiede la «evidente mancanza» dei medesimi presupposti. Nel primo caso la eventuale «semplice mancanza» dei presupposti di necessità ed urgenza richiesta dalla Costituzione comporta un vizio che può essere fatto valere solamente nei limiti del rapporto di responsabilità del Governo nei riguardi del Parlamento, sfuggendo al possibile controllo della Corte costituzionale, la quale può prendere in considerazione il vizio solamente nel caso in cui questo appaia «evidente», ponendo in capo al giudice l’onere di dimostrare l’«evidenza». La finalità perseguita dalla Corte attraverso questa distinzione traspare chiaramente da quanto essa stessa rileva, allorché afferma espressamente che «solo in questo caso [evidente mancanza] il sindacato di legittimità della Corte non rischia di sovrapporsi alla valutazione di opportunità politica riservata al Parlamento»18. Per questo l’apertura operata attraverso la sentenza n. 29/1995 è poi risultata più apparente che reale e si è immediatamente richiusa, concludendo la Corte, di fatto, nel senso della insindacabilità del vizio di mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza (come dimostra la già ricordata assenza di pronunce di accoglimento), tranne in casi che potremmo quasi definire di scuo16
Corte cost. n. 16/2002, cit. Secondo G. Marazzita (L’emergenza costituzionale, Milano 2003, pp. 367 sgg.) l’art. 77 Cost. parlando di «responsabilità del Governo» sta a significare che questo opera una scelta («pluralismo delle necessità») da sottoporre alla verifica parlamentare, per cui potrebbe parlarsi di una presunzione iuris tantum di illegittimità del decreto-legge nel senso che spetta al Governo l’onere di provare la ricorrenza delle ragioni di urgenza. 18 Corte cost. n. 398/1998, cit. 17
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la, ossia di macroscopico difetto dei presupposti19, che assai difficilmente si presenteranno nella realtà. La Corte costituzionale, movendosi essenzialmente nell’ambito dei rapporti istituzionali tra poteri dello Stato, ha evidentemente preferito tenere un atteggiamento di estrema cautela20, limitandosi ad un intervento solo in casi del tutto patologici e lasciando invece che il problema sia affrontato e risolto nel rapporto tra i poteri.
3. B) Il c.d. effetto trasferimento L’affermazione (sub B) relativa al principio del c.d. trasferimento (sentenza n. 84/1996) è invece giustificata essenzialmente con riguardo alla tutela dei diritti fondamentali, rispetto ai quali la prassi della decretazione d’urgenza avrebbe potuto determinare danni irreversibili. Nello stesso senso e seguendo la medesima logica, la Corte si era mossa con la sentenza n. 165/1995, attraverso la quale, superando un contrario precedente del 198921, aveva dichiarato ammissibile che oggetto di un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato potesse essere un atto avente forza di legge e specificamente un decreto-legge. La motivazione della importante pronuncia è centrata proprio sulle particolarità del decreto-legge (anche se poi con successiva decisione i medesimi effetti saranno estesi anche alla legge) e sui possibili rischi di lesione dei diritti fondamentali del cittadino. La Corte, infatti, rileva come l’esclusione degli atti aventi forza di legge dagli atti impugnabili con lo strumento del conflitto di attribuzioni – in quanto sussistono specifici strumenti per la loro impugnazione davanti al Giudice costi19 Corte cost. n. 29/2002, «Giurisprudenza costituzionale», 2002, p. 194 (con note di G. Oppo, P. Passaglia, A. Fiadino, R. Defina e L. De Bernardin) e n. 436/2002, ibid., 3, p. 3275, parlano espressamente di «macroscopico difetto dei presupposti della decretazione». 20 In senso analogo A. Celotto, La «storia infinita»: ondivaghi e contraddittori orientamenti sul controllo dei presupposti del decreto-legge, cit., pp. 134 sgg. 21 Corte cost. n. 406/1989, «Giurisprudenza costituzionale», 1989, p. 1831, con note di S.M. Cicconetti, P. Ciriello, in cui era stato escluso che un atto avente forza di legge potesse formare oggetto di un conflitto tra poteri, ritenendo ciò elemento di rottura del nostro sistema di giustizia costituzionale.
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tuzionale – ben si attaglia al caso della legge, ma non a quello del decreto-legge che, in quanto provvisorio, è destinato ad operare per un periodo limitato ed a perdere efficacia se non convertito, il che però non può far venire meno i mutamenti irreversibili della realtà che lo stesso decreto abbia prodotto. In considerazione del rischio di gravi compressioni dei diritti fondamentali in maniera non più reversibile o sanabile, il profilo della loro garanzia assume, a giudizio della Corte, una posizione essenziale e prevalente, per cui, accanto al giudizio incidentale (ipotesi più teorica che reale), è possibile far ricorso al conflitto tra poteri, il quale può quindi rappresentare la forma necessaria per apprestare una difesa in grado di unire all’immediatezza l’efficacia. Anche la sentenza n. 84/1996 – nel sancire il ricordato «effetto trasferimento», che troverà poi applicazione pure al di fuori della situazione di successione di decreti-legge o dei rapporti tra decreto e legge di conversione o di sanatoria – si richiama esplicitamente alla funzione di garanzia dei diritti fondamentali ad essa attribuita dalla Costituzione. La successiva giurisprudenza costituzionale ha in particolare provveduto a specificare il campo di applicazione del suddetto principio del trasferimento, distinguendo innanzitutto a seconda del tipo di vizio ed anche del tipo di giudizio. Così l’effetto trasferimento è stato limitato ai vizi attinenti al merito del decreto-legge impugnato, essendo quelli relativi al procedimento o ad elementi formali ravvisabili solo nei riguardi del singolo decreto e quindi non trasferibili ad altri, successivi. La Corte ha poi operato una distinzione tra il giudizio in via incidentale e quello in via principale, rilevando come il giudice a quo, una volta sospeso il giudizio in attesa della pronuncia della Corte, non è nella condizione di impugnare gli atti normativi sopravvenuti, mentre ciò non vale per la Regione che ha impugnato in via diretta un decreto-legge, per cui non possono valere le stesse ragioni di economia processuale e quindi non può ritenersi operante l’effetto trasferimento, ma sussiste l’onere per la Regione di impugnare le fonti successive a quella impugnata22. Più in specifico la Corte costituzionale si è soffermata sulla operatività del principio in esame nei riguardi della sopravvenuta 22
Cfr. Corte cost. n. 429/1997, ibid., 1997, p. 3832.
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legge di sanatoria, osservando come – date le ragioni che si pongono a fondamento del principio del trasferimento (economia processuale, favor per l’effettività, tempestività e pienezza del controllo) ed i presupposti dello stesso (perdurante identità della norma riprodotta da altra disposizione successiva in un continuum normativo) – la sanatoria non può ritenersi un idoneo equipollente della conversione, avendo un ambito ed un’efficacia diversi, provvedendo solo a «cristallizzare», una volta per tutte, gli effetti prodotti, ma senza poter disporre per il futuro. Sulla base di tali considerazioni la Corte ha provveduto, nell’ambito dei giudizi di costituzionalità sollevati in via incidentale, a restituire gli atti ai giudici a quibus chiedendo loro un nuovo esame della rilevanza23, mentre nei giudizi in via principale ha ritenuto sussistere per la Regione l’onere di impugnare la nuova disposizione in modo da dimostrare così il persistere dell’interesse della stessa al giudizio costituzionale, avendo la legge di sanatoria un ambito temporale ed un effetto più limitato della disposizione sanata24. Particolare infine il caso in cui una Regione aveva impugnato, anteriormente all’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione, un decreto-legge, il quale era poi stato convertito in legge sotto il nuovo Titolo V, con significative e sostanziali modificazioni che tenevano contro pure delle critiche mosse in proposito dalle Regioni. In applicazione della posizione assunta dalla Corte circa il problema del parametro applicabile per la risoluzione dei ricorsi proposti prima dell’entrata in vigore del Titolo V25, i parametri costituzionali applicabili avrebbero dovuto essere quelli vigenti al momento del ricorso, anche se, seguendo la ricordata 23 Corte cost. n. 317/1997, ibid., p. 2945 e n. 323/1997, ibid., p. 2977, dove la restituzione degli atti viene decisa «indipendentemente da ogni valutazione in ordine ai profili attinenti alla decretazione d’urgenza». 24 Nel caso della sentenza n. 37/2003, ibid., 2003, p. 222, la Corte valuta nel merito la legittimità costituzionale della disciplina «salvata», ma non in applicazione del principio del «trasferimento», bensì in quanto la Regione aveva espressamente impugnato la clausola di salvezza. 25 La Corte costituzionale ha infatti affermato in proposito che i ricorsi proposti anteriormente all’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001 debbono essere decisi avendo riguardo esclusivamente alle disposizioni costituzionali vigenti al momento della proposizione del ricorso e che le disposizioni statali approvate in conformità al precedente quadro costituzionale restano in vigore fin quando non siano sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema.
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giurisprudenza costituzionale circa l’effetto trasferimento, la questione avrebbe dovuto trasferirsi sulla legge di conversione (successiva appunto al nuovo Titolo V), ma in questo caso la questione, proprio per la sopravvenuta modificazione del parametro, avrebbe dovuto ritenersi ormai «diversa» da quella proposta con il ricorso regionale. D’altra parte esaminare le disposizioni del decreto-legge (modificato dalla legge di conversione) sulla base dei vecchi parametri avrebbe condotto la Corte a giudicare su una disposizione non più esistente al momento del giudizio nei riguardi di un parametro ormai abrogato26.
4. C) L’incostituzionalità della reiterazione dei decreti-legge L’affermazione (sub C) sicuramente più nota, e certamente più efficace, è quella con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità della prassi della reiterazione dei decreti-legge decaduti e ripresentati nel medesimo testo (sentenza n. 360/1996). Come è stato esattamente rilevato27, il Giudice costituzionale opera una scelta di carattere pratico, badando principalmente al risultato, ossia a bloccare il fenomeno delle catene di decreti-legge non convertiti, il che spiega almeno in parte la decisione della Corte di consentire, in via transitoria, che i decreti-legge illegittimamente reiterati, ma ancora in vigore, potessero essere convertiti in legge nel termine della loro vigenza. Tutti ad eccezione di uno28, quello impugnato, che, seppure astrattamente ancora convertibile, viene dichiarato incostituzionale perché illegittimamente reiterato. Alla medesima logica è da ricollegare altresì la decisione di ritenere il vizio derivante da illegittima reiterazione sanato da parte della sopravvenuta legge di conversione o di sanatoria. 26 Corte cost. n. 228/2003, «Giurisprudenza costituzionale», 2003, p. 1936, in cui la Corte ha concluso per la inammissibilità del ricorso per carenza di interesse da parte della Regione ricorrente, rilevando come il decreto impugnato non avesse ricevuto alcuna applicazione e che pertanto non vi era ragione di porsi il problema della sindacabilità o meno della supposta mancanza di necessità ed urgenza per il decreto impugnato. 27 A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 243 sgg. 28 V., volendo, R. Romboli, La reiterazione dei decreti-legge decaduti: una dichiarazione di incostituzionalità con deroga per tutti i decreti in corso (tranne uno), «Foro italiano», 11, 1996, I, pp. 3269 sgg.
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A nessuno sfugge l’importanza della pronuncia costituzionale e, in dottrina, vengono immediatamente evidenziate le conseguenze che da questa potranno derivare, sia per le massime autorità dello Stato (Governo, Parlamento, Presidente della Repubblica, giudici comuni), sia con riguardo ai futuri giudizi costituzionali che si presume saranno, sulla base di tale pronuncia, instaurati. Viene così da alcuni sostenuto che la Corte dovrà attrezzarsi per svolgere rapidamente il proprio intervento, elaborare criteri di giudizio per valutare la «novità» del decreto rispetto al precedente – e si fa riferimento alla natura «formale» o «sostanziale» della modifica, richiamando l’analogo concetto elaborato ai fini della modifica della legge oggetto di referendum abrogativo – e per definire la nozione di reiterazione, fissare test di continuità che consentano al Giudice costituzionale di essere fedele a se stesso, etc29. La sentenza n. 360/1996 ha avuto, com’è noto, l’effetto di far scomparire il fenomeno della reiterazione, per cui la giurisprudenza costituzionale successiva sul punto è assai scarsa e poco significativa, essendosi la Corte limitata, in qualche caso in cui il decreto-legge ripresentato è stato considerato «nuovo», a restituire gli atti al giudice a quo per un riesame della rilevanza o a dichiarare che il vizio di illegittima reiterazione non può «trasferirsi» alla legge di sanatoria, trattandosi di elemento attinente alla formazione dell’atto e non al contenuto dello stesso30. Qualche discussione è sorta con riguardo al ricordato effetto sanante del vizio di illegittima reiterazione affermato nella sentenza n. 360, anche perché tale affermazione pareva contraddire vistosamente quanto sostenuto nella precedente sentenza n. 29/1995, in cui, come detto (sub A), era stato negato l’effetto sanante della legge di conversione per i vizi relativi ai presupposti di necessità ed urgenza di cui all’art. 77 Cost. Come ho avuto modo di sostenere in altra sede31, vari elementi, ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale, potevano indur29 Si vedano in proposito le osservazioni di S. Bartole, La reiterazione dei decretilegge: una condanna annunciata, «Diritto penale e processo», 1, 1997, pp. 7 sgg. 30 Corte cost., ordinanza n. 392/1997, «Giurisprudenza costituzionale», 1997, p. 3716. 31 R. Romboli, Le vicende della decretazione d’urgenza negli anni 1995-1997 tra Corte costituzionale ed ipotesi di revisione dell’art. 77 della Costituzione, in A. Pace (a cura di), Studi in onore di Leopoldo Elia , Milano 1999, vol. II, pp. 1496 sgg.
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re a concludere nel senso che la Corte avesse inteso tenere distinti i due tipi di vizi (illegittima reiterazione e mancanza di necessità ed urgenza), attribuendo una diversa efficacia all’eventuale conversione in legge del decreto o alla legge di sanatoria. Più in particolare il vizio di reitera di un decreto-legge decaduto sarebbe rilevabile, ed il decreto reiterato «non nuovo» potrebbe essere dichiarato incostituzionale, solamente prima dell’avvenuta conversione in legge dello stesso, la quale avrebbe l’effetto di sanare il suddetto vizio, secondo il principio espresso nella sentenza n. 360/1996, mentre l’assenza delle condizioni straordinarie di necessità ed urgenza, da riferirsi necessariamente al singolo decretolegge, sarebbe al contrario rilevabile anche dopo l’avvenuta conversione, allorché ricorra l’evidente mancanza di tale presupposto, secondo quanto affermato dalla Corte nella sentenza n. 29/199532. Una simile distinzione è stata in un primo momento accolta dalla Corte. Questa, infatti, pronunciandosi in ordine alla questione di costituzionalità di un decreto-legge impugnato per illegittima reiterazione (alla luce della sentenza n. 360/1996) e convertito in legge al momento della pronuncia, ha dichiarato manifestamente inammissibile l’eccezione, richiamando l’effetto sanante dell’intervenuta legge di conversione e sottolineando come il giudice a quo denunciasse esclusivamente il vizio di illecita reiterazione «senza prospettare alcun altro profilo di illegittimità, né affermare la mancanza originaria dei presupposti di costituzionalità per il ricorso alla decretazione d’urgenza», lasciando abbastanza chiaramente intendere che, in quest’ultimo caso, la pronuncia sarebbe stata diversa (e l’effetto sanante della legge di conversione non avrebbe operato)33. Successivamente, come rileva Alfonso Celotto, la giurisprudenza costituzionale sul punto si fa «ondivaga» e meno chiaramente 32 Secondo N. Maccabiani (Le reiterazioni dei decreti-legge successive alla sentenza 360/1996 della Corte costituzionale, «Rassegna parlamentare», 2, 2001, pp. 438439) la distinzione tra vizio per illegittima reiterazione e vizio per assenza delle condizioni di necessità ed urgenza è meramente nominalistica, in quanto il primo è assorbito (come minus rispetto al maius) nella carenza dei presupposti costituzionali di straordinaria necessità ed urgenza, poiché non può esistere illegittima reiterazione che non sia anche carenza dei presupposti. 33 Corte cost. n. 194/1998, «Giurisprudenza costituzionale», 1998, p. 1559, con nota di A. Celotto.
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decifrabile, sembrando in qualche caso giungere alla opposta soluzione (effetto sanante anche per la mancanza di necessità e urgenza). Così per il caso in cui il giudice a quo (con ordinanza pronunciata prima della sentenza n. 360/1996) censurava la mancanza delle condizioni di necessità ed urgenza di un decreto-legge, desunte dalla mera reiterazione dello stesso. La Corte costituzionale ribadisce che il vizio di reiterazione attiene al procedimento di formazione del decreto, in quanto provvedimento provvisorio fondato sui presupposti di necessità ed urgenza, e che lo stesso può ritenersi sanato quando sia intervenuta la legge di conversione. Il Giudice costituzionale rileva poi che deve escludersi ogni rilievo ai supposti vizi di mancanza di necessità ed urgenza «posto che l’efficacia retroattiva della norma convertita in legge è tale da coprire anche il periodo intercorrente tra l’emanazione del decreto-legge e la sua conversione»34. Analogamente allorché, in un obiter dictum, la Corte afferma che «la violazione dell’art. 77 Cost. comunque risulterebbe sanata dall’intervenuta conversione in legge del decreto»35. Più di recente, tornando sull’argomento, il Giudice costituzionale si esprime in termini non chiarissimi, sostenendo che eventuali vizi attinenti ai presupposti costituzionali del decreto-legge debbono ritenersi sanati, in linea di principio, dalla conversione in legge del decreto36. Da alcuni se ne desume che la conversione in legge torna a svolgere, in maniera inequivocabile, effetti sananti, per i quali appare inutile disquisire sul significato ed il valore da attribuire alla formula «in linea di principio»37. La Corte costituzionale non si mostra dello stesso avviso e tiene invece a spiegare quale fosse il suo pensiero in proposito. Ribadendo che i vizi attinenti ai presupposti debbono ritenersi, in linea di principio, sanati dalla legge di conversione, specifica infatti che «in linea di principio» sta a significare che solo la «evidente mancanza» configura un vizio sia del decreto-legge che in procedendo della stessa legge di conversione, avendo essa valutato erroneamente l’esistenza di presupposti inesistenti38.
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Sulla base di quest’ultima (per adesso) specificazione della Corte, sembrerebbe quindi di poter concludere nel senso che essa abbia accolto la distinzione tra i due tipi di vizi, quello da reiterazione e quello da mancanza di necessità ed urgenza, affermando che solo i primi possono ritenersi sanati dall’intervenuta legge di conversione. Con riguardo invece ai secondi, la Corte ribadisce la differenziazione, già notata (sub A), a seconda che trattasi di «semplice mancanza» dei presupposti di necessità ed urgenza oppure di «evidente mancanza» degli stessi, affermando che solo nel secondo caso essi possono essere fatti valere davanti alla Corte e che per questi non vale l’effetto sanante della legge di conversione, nei confronti della quale il vizio può essere fatto valere, secondo quanto già sostenuto nella sentenza n. 29/1995.
5. D) La legge di sanatoria La dichiarazione di incostituzionalità della prassi della reiterazione ha posto, nei riguardi dei molti decreti-legge in corso di conversione e, come detto, espressamente salvati dalla dichiarazione di incostituzionalità, la nota alternativa tra la loro conversione o la decadenza, ma stavolta con la certezza che il medesimo decreto non sarebbe stato più ulteriormente presentabile nello stesso testo. Per questo assume un rilievo del tutto nuovo e inaspettato l’ipotesi della legge di sanatoria (sub D), di cui all’ultimo comma dell’art. 77, la quale, come è stato efficacemente sottolineato39, si trasforma miracolosamente da cenerentola in principessa. In questo periodo (ottobre 1996-gennaio 1997) si assiste infatti a più di cento leggi di sanatoria e sorge, come rilevato, un tipo nuovo di legge che appare un misto tra legge di conversione e legge di sanatoria40. La dottrina che si è interessata al tema ha proceduto a distinguere, in maniera convincente, tra due diverse tecniche di sanato-
34
Corte cost. n. 419/2000, ibid., 2000, p. 3117, con nota di A. Celotto. Corte cost. n. 376/2001, ibid., 2001, p. 3735, con note di R. Pinardi, M. Esposito, D. Sarandrea. 36 Corte cost. n. 29/2002, cit. 37 A Celotto, La «storia infinita»: ondivaghi e contraddittori orientamenti sul controllo dei presupposti del decreto-legge, cit., p. 136. 38 Corte cost. n. 341/2003, cit. 35
39
P. Carnevale, A. Celotto, La regolazione dei «rapporti sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti» nella giurisprudenza costituzionale. Prime considerazioni, «Diritto e società», 4, 2000, p. 485. 40 Cfr., per tali ed ulteriori indicazioni, A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 54 sgg.; M. Maccabiani, Le reiterazioni dei decreti-legge successive alla sentenza 360/1996, cit., pp. 423 sgg.
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ria, quella cioè della c.d. cristallizzazione e quella della c.d. riproduzione. Attraverso la prima si opera sugli effetti del decreto-legge e non sulla sua efficacia, si agisce quindi su ciò che già esiste e non sul futuribile, mentre con la seconda si produce una nuova regolamentazione, anche se solamente rivolta al passato, con effetto di novazione e stabilizzazione del decreto41. Altri invece hanno ritenuto preferibile seguire la tesi tradizionale secondo cui le leggi di sanatoria di cui all’art. 77 Cost. sarebbero leggi di natura retroattiva, equivalenti nella sostanza ad una conversione tardiva e circoscritta al passato42. Contro la possibilità di sanare i decreti illegittimamente reiterati si sono espressi quanti hanno ritenuto che così facendo si verrebbero ad annullare gli effetti prodotti dalla sentenza n. 360/1996, sostenendo che il Parlamento potrebbe regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti solo a condizione che la disciplina dettata si discosti dal contenuto normativo del decreto-legge, risultando in caso contrario un’illegittima conversione tardiva del decreto-legge43. La Corte costituzionale, come già detto (sub B), ha escluso che la legge di sanatoria possa essere considerata un idoneo equipollente della legge di conversione, concludendo, nel caso di giudizi instaurati in via incidentale, con la restituzione degli atti ai giudici a quibus e, per i giudizi in via principale, con l’affermazione dell’onere della Regione di impugnare specificamente la disposizione di sanatoria. Più in particolare, con riguardo alla tecnica della c.d. cristallizzazione, la Corte ha, in due occasioni, affrontato una questione sollevata dalla Regione nei riguardi di disposizioni attraverso le quali si tendeva a dare per verificato l’effetto derivante da un com41 P. Carnevale, A. Celotto, La regolazione dei «rapporti sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti», cit., pp. 505 sgg. 42 F. Dal Canto, La sanatoria degli effetti dei decreti-legge non convertiti ex art. 77, u.c., Cost. nella più recente giurisprudenza costituzionale, in V. Cocozza e S. Staiano (a cura di), I rapporti tra parlamento e governo attraverso le fonti del diritto cit., pp. 442 sgg. 43 V. Angiolini, La «reiterazione» dei decreti-legge. La Corte censura i vizi del governo e difende la presunta virtù del parlamento?, «Diritto pubblico», 1, 1997, pp. 113 sgg., e Id. «Le Regioni», 2, 1998, pp. 423 sgg. Nel senso che ritenere il vizio da illegittima reiterazione sanato con la legge di conversione indebolisce la posizione della Corte costituzionale, impedendole di reagire di fronte alla conversione di un decretolegge illegittimo, v. pure S. Bartole, La reiterazione dei decreti-legge, cit., pp. 8-9.
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portamento qualificato come silenzio-assenso che doveva essere tenuto per un periodo di 180 giorni. Il termine era stabilito in ognuno dei decreti della catena che si erano succeduti nello stesso testo, ma non poteva mai dirsi interamente decorso, data la vigenza di ogni decreto limitata a 60 giorni. Il Giudice costituzionale ha sostenuto che la sanatoria può valere solamente per gli effetti che si sono concretamente prodotti nel periodo di vigenza del singolo provvedimento di urgenza decaduto e non per quelli che avrebbero potuto prodursi, non potendo quindi avere l’effetto di saldare i periodi dei differenti decreti-legge che si sono succeduti, con il risultato di ottenere l’effetto del silenzio-assenso44. Similmente, in altra occasione, la Corte ha affermato che la sanatoria può operare solo sugli effetti giuridici prodotti e sui rapporti giuridici sorti «sulla base» del decreto-legge non convertito e dunque nel periodo del suo provvisorio vigore, e non riguarda quindi la sorte dei rapporti nati dopo la decadenza del decreto-legge né gli effetti prodotti in tale successivo periodo45. La Corte costituzionale inoltre, con riferimento invece alla tecnica che è stata definita della «riproduzione», ha affermato che non possono nutrirsi dubbi circa la possibilità per il legislatore di porre ad oggetto di una legge lo stesso contenuto di un decreto-legge a suo tempo decaduto, non ponendosi in questo caso un problema di conformità con l’art. 77 Cost., ma rientrando nell’art. 70 Cost. il potere del Parlamento di regolare situazioni pregresse rimaste estranee alla disciplina di un decreto-legge anteriormente decaduto, nel rispetto dei limiti costituzionali della retroattività46. Merita infine un accenno la pronuncia n. 120/2004, non tanto per quello che ha detto in merito alla sanatoria di decreti-legge decaduti, quanto per ciò che non ha detto. Con tale decisione la Corte ha affrontato e deciso la questione di costituzionalità delle disposizioni della legge n. 140/2003 che, a distanza di dieci anni dall’avvenuta revisione costituzionale, hanno dato attuazione alla modifica dell’art. 68 Cost. in tema di immunità per i voti dati e le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari. 44
Corte cost. n. 244/1997, «Giurisprudenza costituzionale», 1997, p. 2312. Corte cost. n. 582/2000, ibid., 2000, p. 4339. 46 Corte cost. n. 416/1999, ibid., 1999, p. 3625, con nota di P. Carnevale. 45
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L’art. 8 della suddetta legge ha provveduto a sanare gli effetti dei diciannove decreti-legge non convertiti, stabilendo che «restano fermi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decretilegge» non convertiti. Tale disposizione, seppure non impugnata dai giudici a quibus, è stata espressamente richiamata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 120 come elemento che segna la «continuità ideale» tra la legge impugnata e la «catena» dei decreti-legge. Pare il caso di sottolineare come la legge di sanatoria interviene a distanza di circa sei anni e mezzo dalla decadenza dell’ultimo decreto non convertito47, il che pone innanzi tutto il difficile problema di determinare quali saranno in concreto gli effetti prodotti dalla sanatoria per i giudizi ancora in corso48, anche in considerazione del fatto che i diciannove decreti in certi casi avevano un contenuto assai differente e imponevano al giudice comportamenti diversi. Inoltre quanti si sono specificamente interessati al tema della legge di sanatoria, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 77 Cost., non hanno mancato di porre in rilievo l’esistenza di un dies ad quem, oltre il quale la sanatoria dovrebbe ritenersi non consentita o comunque non più conforme alle finalità per le quali è stata prevista nella Costituzione. È stato, infatti, sostenuto in proposito che l’intervento legislativo di sanatoria non potrà risalire così indietro nel tempo da regolare situazioni tali da aver perso ogni rilievo in termini di attualità, in quanto la sanatoria – sia nella tecnica della c.d. cristallizzazione, sia in quella della c.d. riproduzione – risponde all’esigenza di restituire certezza ed equità alle posizioni dei destinatari, per cui appare logico che ciò debba avvenire abbastanza a ridosso dell’insorgenza delle situazioni che essa è destinata a «rassicurare», in quanto, diversamente, se l’intervento avviene a larga 47 Corte cost. n. 429/1997, ibid., 1997, p. 3832, poneva in rilievo come la legge di sanatoria fosse intervenuta a distanza di circa un mese dalla cessazione degli effetti dell’ultimo decreto-legge della «catena». 48 A. Pace (Immunità politiche e principi costituzionali, in AA.VV., Lo Stato della Costituzione italiana e l’avvio della Costituzione europea, Roma 2003, p. 114) rileva come «processi civili per diffamazione incappati nella vecchia pregiudiziale parlamentare del 1993 sono, per quanto mi risulta direttamente, ancora sub iudice, in primo grado, ancorché iniziati nel 1993 (e ancorché la Camera abbia affermato la sindacabilità delle opinioni diffamatorie)».
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distanza di tempo è forte il rischio di causare, al contrario, ulteriori incertezze49. Da altri è stato pure rilevato che, nel caso di una legge di sanatoria che intervenga a distanza di molto tempo da quello della decadenza del decreto, tale fattore potrebbe essere sintomo di una irragionevolezza della legge di sanatoria, in relazione ai fini della sanatoria stessa50. Non si può pertanto non condividere quanto sostenuto da Alfonso Celotto51, ossia che «se neanche in un caso del genere, di sanatoria dopo oltre dieci anni, la Corte nulla dice, ci viene da chiudere con una domanda provocatoria: non ci sono tempi per la sanatoria o la Corte non ha avuto tempo di occuparsene?»
6. L’impugnazione di decreti-legge da parte della Regione dopo il nuovo Titolo V della Costituzione Nel segnalare la posizione della più recente giurisprudenza costituzionale in tema di controllo sulla decretazione d’urgenza, merita infine qualche cenno l’influenza che può avere (o avrebbe potuto avere) l’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione52 in ordine alla impugnazione diretta da parte della Regione di un decreto-legge davanti alla Corte costituzionale per violazione dei presupposti richiesti dall’art. 77 Cost. Il problema è quello più generalmente riferibile al regime dei vizi denunciabili da parte della Regione nel ricorso diretto contro atti aventi forza di legge dello Stato, rispetto al quale la giurisprudenza costituzionale si è sempre espressa nel senso che, men49 Così P. Carnevale, A. Celotto, La regolazione dei «rapporti sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti», cit., pp. 528 sgg., i quali sottolineano, ed evidenziano con il punto esclamativo, l’ipotesi di una questione di costituzionalità avente ad oggetto un decreto-legge sanato ad oltre un anno di distanza dalla sua mancata conversione, lamentando come in quel caso (sentenza n. 89/2000) la Corte costituzionale non avesse detto neppure una parola, semmai attraverso un obiter dictum, per stigmatizzare il notevole ritardo dell’intervento legislativo. 50 F. Dal Canto, La sanatoria degli effetti dei decreti-legge non convertiti, cit., pp. 454-455. 51 A. Celotto, Decreto-legge e attività del Governo (nella XIV Legislatura), supra, p. XXXX. 52 Sui problemi relativi alla decretazione d’urgenza, dopo l’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione, v. A. Concaro, Decreto-legge e nuovo Titolo V della Costituzione, infra, p. xxx.
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tre lo Stato può far valere nei confronti della legge regionale qualsiasi tipo di vizio di costituzionalità, la Regione è legittimata a denunciare solamente quei vizi che avrebbero comportato una limitazione della propria sfera di competenza, dichiarando, in caso contrario, la mancanza di interesse a ricorrere davanti alla Corte. Con riguardo poi specificamente all’impugnazione regionale di decreti-legge, la Corte costituzionale ha sempre affermato che l’impugnazione di un decreto-legge da parte della Regione può essere ammessa solamente nel caso di una «diretta influenza» della suddetta violazione sulla competenza regionale, secondo il modello che Emanuele Rossi definisce della «triangolazione» (l’atto normativo statale limiterebbe la competenza regionale non ex se, ma in quanto contrastante con la disposizione costituzionale che stabilisce le condizioni in presenza delle quali esso può essere emanato)53. A seguito del profondo mutamento della disciplina costituzionale prodotto con l’approvazione del nuovo Titolo V e dei principi che l’hanno ispirato, la prevalente dottrina ha ritenuto che tale mutamento impone che, ad evitare una evidente disarmonia del sistema, la posizione dello Stato e della Regione debba essere equiparata anche con riguardo ai vizi denunciabili, aprendosi in proposito l’alternativa tra operare un livellamento verso l’alto (entrambi i soggetti possono far valere qualsiasi tipo di vizio di costituzionalità della legge impugnata) oppure verso il basso (entrambi possono denunciare solo vizi relativi alla violazione della propria competenza). La Corte costituzionale si è espressa in merito dapprima attraverso alcuni fugaci riferimenti, i quali sono forse stati eccessivamente sottolineati ed enfatizzati dalla dottrina. In un caso infatti lo Stato, con ricorso proposto ai sensi del nuovo art. 127 Cost., aveva impugnato una legge regionale richiamando come parametri costituzionali, oltre all’art. 117, anche gli artt. 2, 32 e 33, comma 1, Cost. La Corte ha risolto la questione esaminandola esclusivamente sotto il profilo della eventuale vio53 E. Rossi, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via principale, in R. Romboli (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1996-1998), Torino 1999, p. 247.
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lazione dell’art. 117 Cost. ed ha concluso affermando che «restano assorbiti gli altri profili di incostituzionalità denunciati, senza che questa Corte debba porsi il problema della loro ammissibilità in base al nuovo art. 127, comma 1, Cost.»54. Da ciò si è ritenuto di poter dedurre la presa di coscienza della Corte della perdita da parte dello Stato del ruolo tutorio che precedentemente rivestiva e la volontà della stessa di abbandonare la propria precedente giurisprudenza55. In altra, successiva occasione invece la difesa della Regione richiedeva alla Corte una pronuncia di parziale inammissibilità del ricorso governativo, con cui la legge regionale era stata impugnata, per presunta violazione degli artt. 81 e 117 Cost., sostenendo che l’attuale art. 127 Cost. limiterebbe l’impugnabilità delle leggi regionali alla sola violazione delle regole relative alla loro competenza e non consentirebbe di dedurre la violazione di altre disposizioni costituzionali o dei parametri legislativi interposti. La Corte ha respinto tale eccezione osservando che «anche prescindendosi dal fatto che il primo comma dell’art. 127 Cost. ammette il ricorso del Governo in termini identici a quelli utilizzati dal terzo comma del previgente art. 127 Cost., deve notarsi che i rilievi di costituzionalità sollevati sono tutti relativi e riconducibili all’art. 117 Cost.»56. In essa è stata vista la volontà della Corte di seguire una linea di continuità rispetto alla precedente giurisprudenza, criticando l’insensibilità della stessa verso il principio di «parità delle armi», espressivo del nuovo modello, che richiederebbe invece un ripensamento ab novo del problema dei vizi denunciabili57. Successivamente la Corte costituzionale ha invece affrontato la questione in maniera più diffusa ed argomentata, rilevando l’importanza non decisiva dell’elemento letterale, «ben potendo 54 Corte cost. n. 282/2002, «Giurisprudenza costituzionale», 5, 2002, p. 2012, con note di A. D’Atena e D. Morana. 55 A. D’Atena, La Consulta parla… e la riforma del Titolo V entra in vigore, ibid., pp. 2028-2029. 56 Corte cost. n. 94/2003, ibid., 1, 2003, p. 764, con nota di F.S. Marini, La «tutela» e la «valorizzazione dei beni culturali» come «materie-attività» nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale. 57 A. Ruggeri, Riforma del Titolo V e vizi delle leggi regionali: verso la conferma della vecchia giurisprudenza?, in A. Ruggeri, «Itinerari» di una ricerca sul sistema delle fonti. Studi dell’anno 2003, Torino 2004, pp. 285 sgg.
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una norma conservare nel tempo la formulazione originaria e tuttavia consentire una diversa interpretazione in ragione del successivo mutamento del contesto nel quale essa sia inserita», ma sostenendo al tempo stesso che nel nuovo assetto costituzionale è pur sempre riservata allo Stato una posizione peculiare, ricavabile in particolare dalla ripetuta evocazione di un’istanza unitaria (artt. 5, 117, comma 1, 120, comma 2, Cost.), la quale richiede necessariamente che esista un soggetto – ossia lo Stato – avente il compito di assicurarne il pieno soddisfacimento». Sulla base di ciò la Corte conclude, dissipando così qualsiasi dubbio in proposito, che «pur dopo la riforma, lo Stato può impugnare in via principale una legge regionale deducendo la violazione di qualsiasi parametro costituzionale»58. In un caso la Regione ricorrente ha fatto espressamente presente alla Corte costituzionale la necessità, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V, di modificare la propria precedente giurisprudenza, nel senso di ammettere che la Regione possa impugnare direttamente un decreto-legge denunciando la mancanza nello stesso dei presupposti di necessità e di urgenza. La Corte ha invece ribadito la propria posizione sostenendo che il suddetto vizio è denunziabile dalla Regione solamente quando la violazione sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni o delle Province autonome e ne derivi una compressione delle funzioni regionali59.
7. I «nuovi» vizi del decreto-legge ed in particolare quello della necessaria «omogeneità» del contenuto fra Corte costituzionale e Presidente della Repubblica Dai dati in appendice a questo volume ed in particolare dai rapporti del Comitato per la legislazione60 si ricava un lungo ed analitico elenco di usi della decretazione d’urgenza non ricondu58 Corte cost. n. 274/2003, «Giurisprudenza costituzionale», 6, 2003, p. 2238, con note di A. Anzon, G. Mangia, R. Cuocolo. 59 Corte cost. n. 6/2004, cit. 60 Sul punto v. L. Lorello, Funzione legislativa e Comitato per la legislazione, Torino 2003, nonché Decreto-legge e Comitato per la legislazione, infra, p. XXX.
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cibili alla natura dell’istituto ed al suo modello costituzionale. A questo si può aggiungere quanto previsto nella circolare n. 1088 del 2 maggio 2001 della presidenza del Consiglio dei ministri, contenente regole per i decreti-legge ed i disegni di legge di conversione, dove sono indicate una serie di ipotesi nelle quali, quanto a contenuto, il Governo non può emanare decreti-legge, riprendendo quelle indicate nell’art. 15, comma 2, legge n. 400/1988 con alcune importanti aggiunte (ad esempio inammissibilità di subordinare l’efficacia o l’attuazione di disposizioni contenute nel decreto all’adozione di regolamenti attuativi). Nella stessa circolare vengono poi elencate, «come ausilio alla verifica dei requisiti costituzionali», le materie per le quali più frequentemente ricorrono «realmente» i presupposti di necessità ed urgenza61, concludendo che «è bene ancorare la verifica dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza dei decreti-legge anche alla materia, oltre che alla situazione concretamente dedotta, atteso che quei requisiti vanno intesi in senso oggettivo e non riconducibile, in via di principio, a scadenze prevedibili». In ordine alle predette ipotesi di abuso del decreto-legge ed alla eventuale loro futura verificabilità, vorrei limitarmi a ricordare come la più volte citata sentenza n. 360 è giunta alla dichiarazione di incostituzionalità del fenomeno della reiterazione quando, pur nella generale condanna dell’abuso della decretazione d’urgenza, parte della dottrina riteneva lo stesso perfettamente conforme al dettato costituzionale e alla stessa conclusione pareva esser pervenuto il legislatore allorché aveva approvato l’art. 15, comma 2, lett. c), legge n. 400/1988, che vietava l’uso del decreto-legge per «rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere». Fra i limiti sopra richiamati all’uso della decretazione d’urgenza, sono da segnalare alcuni interventi della Corte costituzionale in ordine alla richiesta «omogeneità» del contenuto del decreto-legge, carattere comunemente ritenuto dalla prevalente dottri-
61 Le materie sono: emergenze internazionali ed adempimento di obblighi internazionali; emergenze di ordine pubblico interno e repressione dei reati; protezione civile; emergenze valutarie e tributarie; emergenze sanitarie e ambientali.
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na tra quelli aventi natura «integrativa» e non «ricognitiva o esecutiva» del dettato costituzionale62. In una prima occasione erano state impugnate, in quanto disomogenee rispetto al contenuto del decreto-legge, alcune disposizioni introdotte in sede di conversione in legge del decreto. La Corte ha innanzitutto affermato che il carattere della necessaria omogeneità del contenuto del decreto-legge è stato introdotto dall’art. 15, comma 3, legge n. 400/1988, «previsione indubbiamente giustificata, ma sprovvista della forza costituzionale», rilevando altresì che comunque tale previsione vale esclusivamente per il contenuto del decreto-legge e non per le disposizioni eventualmente introdotte per la prima volta in sede di conversione63. In altro caso era stata impugnata la disciplina contenuta in un decreto-legge, convertito in legge, in base alla quale venivano attribuite all’esclusiva cognizione del giudice statale le controversie, già oggetto di compromesso arbitrale, relative al programma straordinario di edilizia residenziale per Napoli. In particolare veniva censurato il fatto che nel decreto-legge, relativo ad una specifica calamità naturale, fosse stata inserita una disposizione di carattere generale riguardante le controversie relative alle opere pubbliche comprese in tutti i programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali. La Corte ha escluso la sussistenza di una violazione dell’art. 77 Cost., rilevando che «una norma di carattere generale in tema di programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali non può certo ritenersi estranea o disomogenea rispetto alla materia di un decreto-legge adottato in conseguenza della straordinaria necessità ed urgenza di provvedere in merito ad una specifica calamità naturale»64. Sul tema della necessaria omogeneità del contenuto del decre62 Su tale distinzione e le conseguenze che ne vengono tratte v. D. Sarandrea, La eterogeneità del contenuto come figura sintomatica della carenza dei presupposti costituzionali del decreto-legge o come autonomo vizio di legittimità costituzionale?, «Giurisprudenza costituzionale», 6, 2001, pp. 3771 sgg., spec. p. 3777, ed autori ivi citati alla nota 19. 63 Corte cost. n. 391/1995, ibid., 6, 1995, p. 2824, con nota di G. Guzzetta. 64 Corte cost. n. 376/2001, cit. Si poteva dubitare che le ragioni di necessità ed urgenza, poste a fondamento del decreto-legge con riguardo ad una specifica e ben individuata calamità naturale, potessero legittimare altresì la previsione della norma di carattere generale.
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to-legge è poi da sottolineare il messaggio del 29 marzo 2002, da altri già ricordato65, con cui il Presidente della Repubblica ha restituito alle Camere, ai sensi dell’art. 74 Cost., la legge di conversione del decreto-legge n. 4/200266. In esso sono contenute affermazioni di notevole importanza per il tema in oggetto, molte delle quali hanno la caratteristica di porsi in contrasto con quanto sostenuto allo stesso proposito dalla Corte costituzionale. Il Presidente della Repubblica sostiene infatti che la legge n. 400/1988 (e le previsioni ivi contenute all’art. 15 con riguardo al decreto-legge), «pur essendo una legge ordinaria, ha valore ordinamentale in quanto è preposta all’ordinato impiego della decretazione d’urgenza e deve quindi essere, del pari [alle norme costituzionali], rigorosamente osservata»67. A proposito del requisito della omogeneità, viene lamentato che il testo risultante dalla legge di conversione contenga «tante norme disomogenee», sottolineando in particolare che ciò è stato causato dall’accoglimento, da parte della legge, degli emendamenti avanzati in sede di conversione del decreto, aventi «un’attinenza soltanto indiretta alle disposizioni dell’atto originario. Cosicché viene sottoposta per la promulgazione una legge che converte un decreto-legge notevolmente e ampiamente diverso da quello da me a suo tempo emanato»68. Con ciò si viene all’evidenza a ritenere, in contrasto con la ricordata giurisprudenza costituzionale, che il requisito della omogeneità si rivolge anche alla parte introdotta in sede di conversione in legge del decreto. Su questo aspetto della decretazione d’urgenza pare quindi dover rilevare, con preoccupazione, come non sia stata raggiunta quella uniformità di posizioni – particolarmente auspicabile – tra 65 Si vedano in particolare A. Celotto, Decreto-legge e attività del Governo (nella XIV Legislatura), infra, p. xxx, e N. Lupo, Decreto-legge e manutenzione legislativa: i decreti-legge «milleproroghe», infra, p. xxx. 66 Nel senso che il rinvio presidenziale della legge di conversione non appare né logicamente né praticamente conciliabile con l’esigenza di una immediata restaurazione dell’ordine delle competenze conseguente all’approvazione della legge di conversione, v. A. Celotto, voce Decreto-legge, Postilla di aggiornamento, «Enciclopedia giuridica Treccani», vol. X, Roma 2001, p. 14. 67 In senso esattamente opposto si è espressa, come già ricordato, Corte cost. n. 391/1995, cit. 68 Il messaggio parla inoltre, sempre in contrasto con la giurisprudenza costituzionale, della necessaria sussistenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza con riguardo a norme inserite in sede di conversione del decreto-legge.
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i «due custodi» della Costituzione che si verificò, al contrario, con riguardo al fenomeno della decretazione d’urgenza e che ha concorso a determinare la felice soluzione del problema, sancita dalla dichiarazione di incostituzionalità della sentenza n. 360/199669.
La prassi
69 Il Presidente Scalfaro, in data 30 maggio 1996, indirizzò al presidente del Consiglio incaricato Prodi, immediatamente prima della votazione sulla fiducia al Governo, una lettera in cui definiva «anomalo e grave», nonché «assolutamente insostenibile» il fenomeno della reiterazione dei decreti-legge, qualificato come «un’usurpazione delle prerogative del Parlamento […] e una permanente lesione dei principi fondamentali della ripartizione delle funzioni tra gli organi costituzionali, fino a minare lo stesso concetto di divisione dei poteri, che costituisce il nucleo essenziale di tutte le costituzioni moderne». Egli auspicava che «prima del prossimo autunno, e cioè prima della sessione di bilancio, il problema [potesse] essere avviato a definitiva soluzione». La sentenza n. 360 della Corte costituzionale sarà depositata il 24 ottobre dello stesso anno.
Alessandra Concaro Decreto-legge e nuovo Titolo V della Costituzione
SOMMARIO: 1. L’impatto del nuovo Titolo V della Costituzione sul sistema delle fonti normative – 2. Competenze regionali e situazioni di urgente necessità: l’ipotesi di inerzia della Regione e l’ammissibilità di una «sostituzione» legislativa da parte dello Stato – 3. Il decreto-legge come strumento per fronteggiare situazioni di urgente necessità indipendentemente dal riparto delle competenze fissato dall’art. 117 Cost. – 4. Riflessioni conclusive: un problema «trascurato» da Governo e Parlamento?
1. L’impatto del nuovo Titolo V della Costituzione sul sistema delle fonti normative Lo scenario che si è aperto a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione arricchisce il panorama delle problematiche che si pongono rispetto all’utilizzo del decretolegge: difatti è opinione unanimemente condivisa che la riforma costituzionale, nel modificare radicalmente il ruolo delle fonti regionali nell’ordinamento, sia destinata ad incidere profondamente sull’intero sistema delle fonti normative, in particolare a seguito della ridefinizione dell’assetto delle competenze legislative di Stato e Regioni delineata dal nuovo art. 117 Cost. In tal senso, una riflessione sull’attualità e le prospettive della decretazione d’urgenza non può prescindere da un’analisi sull’impatto che la legge cost. n. 3/2001 potrà produrre sul modo di atteggiarsi del decreto-legge. Quello della decretazione d’urgenza nelle materie di competenza regionale è un tema che fino ad ora ha occupato un ruolo marginale nel dibattito dottrinale, ma che, probabilmente, sarà destinato in futuro ad acquisire un sempre crescente rilievo: il nuovo riparto delle competenze legislative definito dalla legge cost. n. 3/2001, che fa dello Stato non più l’ente a com-
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petenza legislativa generale, ma l’ente dotato di competenza enumerata e circoscritta, pone infatti il problema di stabilire chi è competente ad intervenire qualora, nelle materie di competenza regionale, si verifichino quei «casi straordinari di necessità e d’urgenza» che, in base all’art. 77, giustificano l’adozione di decreti-legge1. Si tratta, peraltro, di una questione non meramente teorica2: stando ai dati che emergono dalla prassi più recente della decretazione d’urgenza, almeno 1/3 dei decreti-legge emanati a partire dalla fine del 2001, tocca (anche se, talvolta, solo marginalmente) settori di competenza regionale; e, pur con le dovute cautele che necessariamente si impongono in una fase di transizione come quella attuale, nella quale, nonostante le numerose precisazioni che stanno via via intervenendo da parte della giurisprudenza costituzionale, regna ancora molta incertezza sulla reale portata degli ambiti materiali definiti dal nuovo art. 117 Cost.3, le indicazioni della prassi ci dicono che il problema si pone. Occorre infatti chiedersi se questi decreti siano da considerare a priori viziati da incompetenza, in quanto intervengono in settori preclusi alla funzione normativa primaria dello Stato, oppure se la questione possa essere analizzata sotto una luce differente. E se, come è evidente, il problema emerge più marcatamente con riguardo alla potestà «esclusiva», che l’art. 117, comma 4 riserva alle Regioni nelle materie «residuali», esso non manca di coinvolgere (sia pure in maniera più velata) anche la potestà ripartita, nella configurazione che risulta dal nuovo testo dell’art. 117 comma 3 Cost.: il verificarsi di circostanze tali da richiedere un intervento legislativo tempestivo potrebbe infatti imporre (anzi, per definizione, impone) l’adozione, accanto alla normativa di principio, di una normativa di dettaglio che sia immediatamente appli1 Sul punto, cfr. N. Zanon, Decreti-legge, Governo e Regioni dopo la revisione del Titolo V della Costituzione, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. 2 Anche se, come è stato giustamente sottolineato, occorre fin da ora rilevare che, pur nella difficoltà di confinare il decreto-legge in ambiti materiali predefiniti, i settori rimessi alla competenza dello Stato sono quelli nei quali è maggiormente prevedibile un ricorso alla decretazione d’urgenza: cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decretolegge, Milano 2003, p. 227. 3 Per un quadro d’insieme sui chiarimenti fino ad ora pervenuti dalla giurisprudenza costituzionale in ordine al significato delle formule utilizzate dal nuovo art. 117 Cost., cfr. A. Concaro, Rapporti tra Stato, Regioni ed Enti locali, in V. Onida (a cura di), Viva vox Constitutionis. Temi e tendenze nella giurisprudenza costituzionale dell’anno 2002, Milano 2003 e in Id., Viva vox (2003), Milano 2004.
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cativa. Tuttavia, la nuova formulazione dell’art. 117, comma 3, nel disporre che «nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato», stando a quanto sembra trasparire dalle recenti prese di posizione della Corte costituzionale, non parrebbe compatibile con il vecchio schema della normativa statale di dettaglio «cedevole»4, ma sembrerebbe semmai presupporre una più marcata distinzione fra competenza statale, rivolta esclusivamente alla definizione dei principi fondamentali della materia, e competenza regionale.
2. Competenze regionali e situazioni di urgente necessità: l’ipotesi di inerzia della Regione e l’ammissibilità di una «sostituzione» legislativa da parte dello Stato Sulla portata del nuovo art. 117 Cost. non è il caso di soffermarsi: è evidente che il nuovo quadro costituzionale ha operato una restrizione degli ambiti materiali assegnati alla competenza 4 Anche se si tratta di un punto non ancora del tutto chiarito, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 282/2002, ha affermato, in un celebre obiter dictum, che la nuova formulazione dell’art. 117, comma 3 «esprime l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina» (corsivo nostro); mentre, nella altrettanto celebre sentenza n. 303/2003, si legge che «l’inversione della tecnica di riparto delle potestà legislative e l’enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali nelle materie di legislazione concorrente». Sul problema della perdurante configurabilità del meccanismo della «cedevolezza» della legislazione statale di dettaglio, come noto la dottrina si è divisa: tra i favorevoli, cfr. R. Tosi, La legge costituzionale n. 3 del 2001: note sparse in tema di potestà legislativa ed amministrativa, «Le Regioni», 6, 2001, pp. 1237 sgg.; A. Ruggeri, La riforma costituzionale del Titolo V e i problemi della sua attuazione, con specifico riguardo alle dinamiche della normazione e al piano dei controlli, in S. Mancini (a cura di), Il nuovo Titolo V della parte II della Costituzione. Primi problemi della sua attuazione, Milano 2002, pp. 51 sgg.; B. Carovita di Toritto, Una vicenda piccola, una questione importante; alcune riflessioni in ordine ad un recente rinvio presidenziale, in www.federalismi.it; L. Antonini, Sono ancora legittime le normative statali cedevoli? Intorno ad una lacuna «trascurata» del nuovo Titolo V, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. In senso contrario si sono invece espressi, tra gli altri, M. Luciani, Le nuove competenze legislative delle Regioni a statuto ordinario. Prime osservazioni sui principali nodi problematici della l. cost. n. 3 del 2001, in «Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni», suppl. 2002, p. 7; G. Falcon, Modello e transizione nel nuovo Titolo V, «Le Regioni», 6, 2001, pp. 1254 sgg.; A. D’Atena, La difficile transizione. In tema di attuazione della riforma del Titolo V, ibid., 2/3, 2002, p. 318.
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legislativa dello Stato, che vengono ora elencati tassativamente (pur essendo riconosciuto – ora anche dalla Corte costituzionale – il carattere «trasversale» di alcuni settori)5, lasciando alla Regione la competenza a legiferare in via esclusiva in tutti gli ambiti non espressamente indicati (o rimessi alla potestà concorrente). Da questa premessa dovrebbe conseguire, necessariamente, la preclusione per lo Stato di intervenire in via legislativa nelle materie regionali, anche attraverso un provvedimento governativo d’urgenza il quale, pur se legittimato da situazioni di urgente necessità, andrebbe inevitabilmente incontro all’ostacolo della incostituzionalità della legge di conversione «incompetente»6. A questa stregua, qualora nelle materie di competenza regionale (esclusiva o concorrente) si configurino dei «casi straordinari di necessità e d’urgenza» tali da richiedere un intervento legislativo immediato, la Regione dovrebbe essere l’unico ente competente a predisporre le misure idonee a farvi fronte7. Questo approccio, tuttavia, a mio parere non dà una risposta soddisfacente ad alcuni problemi cruciali: anzitutto, cosa fare in caso di inerzia regionale? È pensabile che lo Stato si sostituisca alla Regione quando le circostanze rendano necessaria l’adozione immediata di un atto con forza di legge, e quest’ultima non intervenga? Il problema è più ampio, e non riguarda soltanto l’individuazione degli strumenti azionabili per fronteggiare situazioni di urgente necessità nelle materie di competenza regionale. Come noto, già all’indomani dell’entrata in vigore della riforma costituzionale, il nuovo assetto delle competenze legislative regionali ha imposto alla dottrina di interrogarsi sui possibili rimedi cui far ricorso nelle ipo5 Cfr. le sentenze nn. 282/2002 e 88/2003, in tema di «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali»; nn. 407 e 536/2002 e 307/2003 in tema di tutela dell’ambiente; nn. 14 e 272/2004 in tema di tutela della concorrenza. 6 Sul punto, cfr. B. Caravita di Toritto, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V. Stato, Regioni e autonomie fra Repubblica e Unione europea, Torino 2002, p. 54 sgg., e A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 232. 7 Il problema si sovrappone a quello dell’ammissibilità del decreto-legge regionale, che già in passato era stato oggetto di un vivace dibattito dottrinale, e che è ora tornato di attualità a seguito della ridefinizione dell’autonomia statutaria attuata dal nuovo art. 123 Cost.: per una disamina più approfondita del tema e per una sintesi del dibattito dottrinale, sia consentito rinviare a A. Concaro, I casi straordinari di necessità e d’urgenza nelle materie di competenza regionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, «Giurisprudenza costituzionale», 4, 2002, pp. 3127 sgg.
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tesi di inerzia dei legislatori regionali: in particolare, ci si è chiesti se (e, eventualmente, in quali termini) il legislatore statale sia legittimato a «sostituirsi» alla Regione che abbia omesso di intervenire nelle materie di sua esclusiva competenza, o che non abbia provveduto a disporre la normativa di adeguamento alla legislazione statale di principio nelle materie di competenza ripartita. La questione è assai complessa e una sua analisi specifica esula dalle finalità del presente lavoro. In questa sede mi limiterò soltanto ad osservare che i dubbi sono alimentati dalla infelice formulazione dell’art. 120 Cost., il quale conferisce al Governo il potere di sostituirsi agli organi regionali in caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, di pericolo grave per l’incolumità e per la sicurezza pubblica, per la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e «quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica»; ma non chiarisce se tale «sostituzione» debba essere limitata al solo campo dell’amministrazione o possa invece operare anche in ambito legislativo (un punto sul quale, peraltro, la dottrina pare profondamente divisa)8. Come dicevamo prima, il problema di cui ci stiamo occupando è più circoscritto, e si interseca solo in parte con la tematica della 8 E che non viene chiarito neppure dall’art. 8 della legge «La Loggia», laddove si parla di sostituzione «normativa». Sul dibattito che è intervenuto in ordine all’ammissibilità della sostituzione legislativa si sono espressi in senso contrario, tra gli altri, R. Tosi, La legge costituzionale n. 3 del 2001: note sparse in tema di potestà legislativa ed amministrativa, cit., pp. 1233 sgg.; C. Mainardis, I poteri sostitutivi statali: una riforma costituzionale con (poche) luci e (molte) ombre, «Le Regioni», 6, 2001, pp. 1357 sgg.; A. Corpaci, Revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione e sistema amministrativo, ibid., p. 1323; B. Caravita di Toritto, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, cit., p. 136; P. Bilancia, Verso un federalismo cooperativo?, in AA.VV., Problemi del federalismo, Milano 2001, pp. 81 sgg.; S. Mangiameli, La riforma del regionalismo italiano, Torino 2002, p. 151; A. Anzon, I poteri delle Regioni dopo la riforma costituzionale. Il nuovo regime e il modello originario a confronto, Torino 2002, p. 217. Sono invece favorevoli, pur con alcune diversità di vedute, C. Pinelli, I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l’ordinamento internazionale e con l’ordinamento comunitario, «Foro italiano», 7-8, 2001, V, pp. 198 sgg.; G. Guzzetta, Problemi ricostruttivi e profili problematici della potestà regolamentare dopo la riforma del Titolo V, «Le istituzioni del federalismo», 6, 2001, p. 1135; P. Caretti, L’assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale, alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione:aspetti problematici, «Le Regioni», 6, 2001, pp. 1223 sgg.; G.M. Salerno, La disciplina legislativa dei poteri sostitutivi tra semplificazione e complessità ordinamentale, in www.federalismi.it.
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configurabilità, nel nuovo ordinamento costituzionale, di un potere surrogatorio di carattere legislativo: difatti, qui non si tratta tanto di individuare gli eventuali strumenti atti a coprire qualunque inerzia regionale, attraverso un intervento del legislatore statale di tipo successivo. Si tratta, semmai, di predisporre misure immediate e tempestive allo scopo di fronteggiare una situazione che, per definizione, non può tollerare ritardi od omissioni da parte delle Regioni: si tratta, in sostanza, di intervenire prima ancora che si concretizzi l’eventuale inerzia regionale, attraverso una valutazione che tenga conto non solo delle esigenze peculiari delle singole Regioni interessate, ma anche degli interessi generali coinvolti. Vi è poi un secondo ordine di obiezioni che, a nostro avviso, merita di essere valutato. Proviamo a pensare all’ipotesi in cui la situazione di urgente necessità riguardante la materia di competenza regionale sia diffusa uniformemente su tutto il territorio nazionale o, comunque, abbia una portata territoriale che travalichi i confini della singola Regione. In tal caso è evidente che, trattandosi di settori sottratti alla disponibilità del legislatore statale, la predisposizione delle misure necessarie a fronteggiare l’emergenza dovrebbe essere rimessa all’iniziativa di ciascuno degli enti coinvolti, i quali, a loro volta dovrebbero poter decidere in piena autonomia quanto alle modalità e ai tempi dell’intervento: spetterebbe cioè alla singola Regione (e solo ad essa) stabilire se, come e quando intervenire nel proprio territorio. Ma, se è perfettamente ammissibile (anzi, in piena sintonia con la logica del nuovo sistema) che ciascuna Regione, nelle materie di propria competenza, definisca e valuti la misura degli interventi in relazione alle proprie esigenze peculiari, non si possono d’altro canto trascurare i rischi connessi ad una completa «rimessione» del problema nelle mani del singolo ente: il rischio di dare luogo ad una serie di interventi frammentari e non omogenei, se non addirittura incompatibili fra loro; il rischio di ritardi nella definizione di una linea di condotta da perseguire; il rischio, soprattutto, che alcune Regioni intervengano, ed altre no; o, ancora, che i diversi interventi vengano in essere in tempi differenti9. 9
Sul punto, cfr. N. Zanon, Decreti-legge, Governo e Regioni dopo la revisione del Titolo V della Costituzione, cit., e A. Concaro, I casi straordinari di necessità e d’urgenza nelle materie di competenza regionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., p. 3147.
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Insomma, il rischio è che la sommatoria degli interventi predisposti dai singoli enti all’atto pratico si riveli complessivamente inadeguata a fronteggiare l’emergenza.
3. Il decreto-legge come strumento per fronteggiare situazioni di urgente necessità indipendentemente dal riparto delle competenze fissato dall’art. 117 Cost. Di fronte a questa pluralità di obiezioni, a parere di chi scrive, il verificarsi di una situazione di necessità e urgenza in una materia di competenza (esclusiva o concorrente) regionale, che coinvolga interessi tali da richiedere una gestione unitaria, dovrebbe comunque legittimare lo Stato ad intervenire: e l’unico strumento idoneo a soddisfare esigenze di tempestività e immediatezza è tuttora rappresentato dal decreto-legge10. Difatti, pur nell’ambito di una riforma che ha voluto tracciare in modo più netto la linea di demarcazione fra competenze legislative statali e regionali, e che ha voluto allineare quanto più possibile le Regioni allo Stato, mirando ad una vera e propria parificazione fra i due enti, non si può prescindere dal riconoscere allo Stato un ruolo unificante, che gli consenta di attivarsi anche nei settori rimessi alla competenza delle Regioni, laddove entrino in
10 L’idea che il legislatore nazionale, nonostante il silenzio della Carta costituzionale, abbia in ogni caso il potere di esercitare le competenze legislative delle Regioni inadempienti, e di esercitarlo proprio attraverso lo strumento del decreto-legge, è stata sostenuta da più parti: cfr. A. Cerri, Alla ricerca dei ragionevoli principi della riforma regionale, in AA.VV., Problemi del federalismo, cit., p. 211; P. Caretti, L’assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale, alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione: aspetti problematici, cit., p. 1229; M. Luciani, Le nuove competenze legislative delle Regioni a statuto ordinario. Prime osservazioni sui principali nodi problematici della l. cost. n. 3 del 2001, cit.; G. Guzzetta, Problemi ricostruttivi e profili problematici della potestà regolamentare dopo la riforma del Titolo V, cit.; E. Gianfrancesco, Il potere sostitutivo, in T. Groppi, M. Olivetti (a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino 2003, pp. 237 sgg. Secondo G.U. Rescigno, Note per la costruzione di un nuovo sistema delle fonti, «Diritto pubblico», 3, 2002, p. 816, il decreto-legge adottato allo scopo di fronteggiare situazioni di urgente necessità in materie di competenza regionale, sarebbe «un atto doppiamente provvisorio: provvisorio in attesa della legge di conversione; provvisorio in attesa dell’esercizio da parte della Regione della competenza legislativa supplita».
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gioco interessi di carattere generale11. E nonostante il nuovo Titolo V abbia inciso profondamente sull’intera configurazione delle fonti normative, l’art. 77 Cost. resta pienamente vigente, mantenendo la funzione per la quale era stato originariamente concepito: creare le condizioni per predisporre un intervento rapido, in presenza di situazioni oggettivamente eccezionali che richiedano l’adozione di misure immediate. D’altronde, la riforma costituzionale non manca di invocare in più parti il necessario rispetto di esigenze di carattere unitario, che presuppone, inevitabilmente, un intervento dello Stato anche nei settori rimessi alla competenza delle Regioni: si pensi al richiamo, contenuto all’art. 117, alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»; si pensi allo stesso art. 120, in virtù del quale l’esercizio del potere sostitutivo deve essere finalizzato alla tutela dell’unità giuridica ed economica «prescindendo dai confini territoriali dei governi locali»; si pensi, soprattutto, al richiamo al principio di sussidiarietà, il quale non comporta soltanto una allocazione delle competenze ai livelli di governo più «bassi», più vicini agli amministrati, ma presuppone, semmai, che la loro distribuzione avvenga in base ad una valutazione degli interessi coinvolti, ammettendo, dunque, l’eventuale «scorrimento verso l’alto» dell’esercizio di funzioni che coinvolgono interessi non frazionabili localmente. Peraltro, proprio su quest’ultimo punto sono ora intervenute precise conferme da parte della Corte costituzionale: nella sentenza n. 303/2003 si fa espresso richiamo ad una vocazione «dinamica» del principio di sussidiarietà, «che consente ad essa di operare non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell’ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie», rendendo meno rigida la stessa distribuzione delle competenze legislative12. 11 In argomento, v. L. Elia, Introduzione, in T. Groppi, M. Olivetti (a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, cit., p. 20; A. Barbera, Chi è custode dell’interesse nazionale?, «Quaderni costituzionali», 2, 2001, p. 345; R. Bin, L’interesse nazionale dopo la riforma: continuità dei problemi, discontinuità della giurisprudenza costituzionale, «Le Regioni», 6, 2001, pp. 1213 sgg. 12 Una posizione sulla quale, come noto, la dottrina ha espresso forti dubbi interpretativi, ma che risulta confermata dalla giurisprudenza successiva: cfr. la sentenza n. 6/2004.
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In questa prospettiva, si può forse ipotizzare che la presenza di casi straordinari di necessità ed urgenza valga a fondare un preciso titolo di legittimazione dello Stato a intervenire13: la situazione di emergenza farebbe cioè scattare in capo allo Stato uno specifico potere/dovere di predisporre i rimedi per farvi fronte, indipendentemente dalla natura e dalla spettanza della materia coinvolta. Del resto, si è sempre detto che i casi straordinari di necessità ed urgenza, per definizione, non possono essere incardinati entro schemi preconcetti, né essere vincolati entro rigidi riparti di competenza. E allora si potrebbe forse pensare che il decreto-legge, in quanto fonte abilitata a predisporre le misure atte a fronteggiare una situazione di urgente necessità, rimanga al di fuori della ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni definita dall’art. 117 Cost.14: in sostanza, il verificarsi di un evento contingente e imprevedibile, che richieda la tempestiva adozione di un provvedimento di rango legislativo, autorizzerebbe il Governo ad intervenire anche al di fuori della competenza statale. Peraltro qui non si tratta di giustificare, sulla base del solo art. 77, un generico potere governativo di surrogazione legislativa; si tratta, semmai, di individuare uno strumento in grado di soddisfare interessi di carattere generale, che necessitano di misure tempestive e immediate, rispetto alle quali una gestione «localizzata» nel territorio della singola Regione potrebbe condurre a risultati insoddisfacenti. Proprio su questo punto, merita un richiamo la sentenza n. 6/2004, che è stata resa con riferimento al decretolegge n. 7/2002 (recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale). Dalla decisione sembrerebbe infatti emergere l’implicita ammissione di un ruolo «privilegiato» della decretazione d’urgenza nell’esercizio delle funzioni unitarie da 13 Cfr. A. Celotto, L’«abuso» del decreto-legge, Padova 1997, il quale osserva che «il decreto-legge rinviene la propria competenza per materia proprio nei casi di straordinaria necessità ed urgenza». 14 Come noto, l’idea che l’interpretazione sistematica dell’art. 77 Cost. autorizzi il Governo ad intervenire oltre il «disponibile con legge ordinaria», consentendogli di derogare al normale ordine delle competenze costituzionalmente attribuite, risale a C. Esposito, voce Decreto-legge, «Enciclopedia del diritto», vol. XI, Milano 1962, pp. 835 sgg. Sulla possibilità per il Governo, ove ricorrano situazioni di urgente necessità, di sostituirsi al legislatore regionale, cfr. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Padova 2003, p. 347.
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parte dello Stato, laddove si esclude l’incostituzionalità del decreto censurato, in quanto, pur incidendo in un ambito certamente regionale («produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»), ad avviso del Giudice delle leggi risulterebbe giustificato in ragione di una situazione «nella quale, in assenza di un effettivo e rapido rafforzamento delle strutture di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica, si possono produrre serie situazioni di difficoltà o addirittura interruzioni più o meno estese della fornitura di energia, con conseguenti gravi danni sociali ed economici»15. Certo, non è che non si vedano i rischi connessi ad un simile approccio: il fatto di ritenere che la presenza di circostanze straordinarie possa tutt’ora legittimare l’adozione di decreti-legge da parte del Governo, pur in ambiti materiali ormai spettanti alle Regioni, potrebbe giustificare interventi pervasivi dello Stato, consentendogli di riconquistare surrettiziamente spazi di competenza che gli erano stati sottratti con la riforma costituzionale. E il rischio è ancor più evidente se si considera la cattiva prova che ha dato nella prassi lo strumento del decreto negli anni passati16. In tal senso diviene indispensabile che l’ordinamento attivi tutti i meccanismi di cui dispone per arginare i rischi di abuso che, inevitabilmente, si pongono: dalla necessità che la valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti sia estremamente rigorosa, dovendosi ammettere il ricorso alla decretazione solo in casi oggettivamente eccezionali; alla necessità che i controlli sul decreto (compreso quello esplicabile dalla Corte costituzionale, anche su ricorso della Regione interessata) vengano attuati in modo stringente. L’interpretazione qui prospettata non mira certamente a riconoscere allo Stato un pretesto per recuperare, a danno delle Regioni, gli spazi di competenza sottrattigli dalla riforma costituzionale, né, tantomeno, ad introdurre un nuovo elemento di conflittualità fra Stato e Regioni. La necessità di un uso accorto dello strumento del decreto permane e, anzi, risulta rafforzata alla luce del nuovo assetto delle fonti normative delineato dalla riforma del 15
Cfr. il punto n. 3 del considerato in diritto. Proprio evocando tali rischi, esprime una totale contrarietà alla decretazione d’urgenza nelle materie di competenza regionale A. Simoncini, Le funzioni del decretolegge, cit., pp. 232 sgg., il quale individua nel riparto delle competenze fissato dall’art. 117 Cost. «un nuovo e pregnante profilo d’incostituzionalità del decreto-legge». 16
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Titolo V17: il decreto deve valere, oggi ancor più che in passato, come extrema ratio, come rimedio da utilizzare soltanto al termine di un’attenta ponderazione degli interessi coinvolti.
4. Riflessioni conclusive: un problema «trascurato» da Governo e Parlamento? Che dire, allora, di quel 30% di decreti che, dalla fine del 2001 ad oggi, è stato emanato in settori di competenza regionale? È pensabile che rientrino tutti nel modello che si è tentato di delineare nei paragrafi precedenti? È evidente che simili dati quantitativi (anche se, precisiamo subito, frutto di una stima molto approssimativa) non possano lasciare indifferenti: esimendoci dall’esaminare nei dettagli i singoli decreti intervenuti (e il merito delle scelte operate), e volendo fare soltanto una panoramica molto sommaria dei profili più significativi dell’azione governativa, possiamo osservare che la prassi ha fatto registrare interventi in materie di competenza concorrente quali protezione civile, tutela della salute, tutela e sicurezza del lavoro18, professioni19, governo del territorio20; oltre che in materie esclusive quali agricoltura e pesca. Ma più che il dato numerico, ciò che colpisce è la totale indifferenza degli organi istituzionali, e in particolare del Parlamento in 17 E questo vale anche per i settori che sono stati mantenuti alla competenza dello Stato, per il carattere trasversale che molti di essi rivestono: sul punto, cfr. le considerazioni di L. Cassetti, Decreto-legge, fonti statali primarie e potestà legislativa regionale, in www.federalismi.it. 18 In argomento si segnala il decreto legge n. 210/2002, convertito in legge n. 266/2002, recante «Disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale», contro il quale aveva promosso ricorso dinanzi alla Corte costituzionale la Regione Umbria (poi rinunciandovi): v. ordinanza n. 382/2003. 19 Su cui si segnala il decreto-legge n. 107/2002, convertito in legge n. 173/2002, recante «Disposizioni urgenti in materia di accesso alle professioni», che non si limita a dettare norme di principio, ma contiene anche disposizioni estremamente minute e dettagliate. 20 Su cui è da segnalare la contestatissima vicenda del condono edilizio, disposto con decreto-legge n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003, contro il quale vi era stata una netta levata di scudi delle Regioni, che denunciavano anche la lesione delle proprie attribuzioni (esclusive) in materia di edilizia e urbanistica: la Corte ha definito le questioni con le decisioni nn. 196, 197 e 198/2004.
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sede di conversione, rispetto al problema della possibile invasione di sfere di competenza regionale, che non viene minimamente preso in considerazione: si tratta infatti di un profilo di cui non si trova praticamente traccia nei lavori parlamentari21. Di qui la necessità che tra le valutazioni operate, in sede di esame dei disegni di legge di conversione, dalle commissioni parlamentari competenti per materia e dal Comitato per la legislazione, inizi ad occupare un ruolo di primo piano anche la valutazione in ordine alla possibile lesione di sfere di competenza regionale.
Laura Lorello Decreto-legge e Comitato per la legislazione
SOMMARIO: Premessa – 1. Alcuni problemi della decretazione d’urgenza – 2. Il nuovo art. 96 bis del regolamento della Camera – 2.1 Il ruolo delle commissioni permanenti – 2.2 Il ruolo del Comitato per la legislazione – 2.3 L’attività del Comitato per la legislazione – 3 Considerazioni conclusive
Premessa Nelle riflessioni della dottrina si riscontra spesso l’affermazione dell’esistenza di un nesso tra il sistema delle fonti normative statali e il concreto atteggiarsi della nostra forma di governo1. Di questo nesso la decretazione d’urgenza rappresenta un esempio utile per tentare di ricostruire almeno alcuni degli aspetti che caratterizzano le relazioni tra Parlamento e Governo. Il carattere «aperto»2 delle previsioni della Costituzione sulla forma di governo, come è noto, ha consentito che nel tempo i rapporti tra Legislativo ed Esecutivo si siano definiti assumendo forme diverse, legate agli assetti del circuito politico, delle quali si è cercato di indagare la compatibilità con le «varianti interpretative» offerte dal testo costituzionale. Nel quadro di queste varianti è possibile contemplare l’ipotesi di un Esecutivo stabile che può ricorrere con sicurezza al procedimento legislativo parlamentare; ovvero il caso di una debole maggioranza politica, che, al contrario, potrà indurre l’Esecutivo a soluzioni differenti che non lo espongano (subito) alle difficoltà del confronto parlamen21 Salvo un generico richiamo, nella scheda di analisi tecnico-normativa, all’assenza di elementi di incompatibilità con il riparto delle competenze legislative dettato dall’art. 117, che viene però fatto non a seguito di un’analisi specifica del contenuto del decreto, ma attraverso l’utilizzo di mere clausole di stile: sul punto cfr. A. Celotto, Decreto-legge e attività del Governo (nella XIV Legislatura), supra, p. xxx.
1 V. le attente osservazioni di G. Pitruzzella in Forme di governo e trasformazioni della politica, Roma-Bari 1996, e in La legge di conversione del decreto-legge, Palermo 1988, cap. I. 2 V. la definizione di L. Elia, Governo (forme di), «Enciclopedia del diritto», vol. XIX, Milano 1970, pp. 634 sgg., spec. p. 640.
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tare3. La scelta di ciascuna fonte normativa può risultare, così, legata al diverso equilibrio che si costruisce, volta per volta, nel rapporto tra Parlamento e Governo. Il terreno del decreto-legge, sotto questo profilo, rappresenta un osservatorio privilegiato per individuare gli elementi più salienti di questo rapporto4 e per verificare, al contempo, l’incidenza pratica dell’intervento del Comitato per la legislazione, che nello stesso rapporto entra, come si vedrà, nella fase della conversione del decreto-legge.
1. Alcuni problemi della decretazione d’urgenza Riguardo alla decretazione d’urgenza è la stessa Costituzione a stabilire i caratteri essenziali: la sussistenza dei casi straordinari di necessità ed urgenza legittima il Governo all’adozione di provvedimenti provvisori dotati della forza di legge e riconducibili alla più ampia categoria delle fonti primarie5. Di tali provvedimenti il 3
In particolare, in un contesto di parlamentarismo c.d. compromissorio, il frequente ricorso all’adozione di decreti-legge veniva letto, come è ben noto, quale soluzione necessitata all’azione di Governi che quotidianamente dovevano confrontarsi con una debolezza strutturale e permanente, aggravata dalla quasi totale carenza nelle mani del presidente del Consiglio di strumenti di direzione e di guida dell’attività dei singoli ministri. La via della decretazione d’urgenza diveniva, allora, ordinaria e alternativa al percorso fisiologico dell’iniziativa legislativa governativa, tanto da essere configurata come «corsia preferenziale» e facilitata per l’attuazione del programma di Governo. Un elemento di novità, rispetto al quadro così delineato, è sembrato essere l’introduzione del sistema elettorale semi-maggioritario, che, a partire dal 1993, ha consentito di individuare attraverso il voto la futura maggioranza di Governo e, seppur informalmente, il presidente del Consiglio. Ciò avrebbe dovuto dare al Governo la compattezza e la stabilità necessarie per realizzare il proprio programma, facendo uso degli strumenti che la Costituzione gli rende disponibili e riconducendo la decretazione d’urgenza nel suo ambito fisiologico di utilizzo. Infatti, nella scelta di ricorrere all’adozione del decreto-legge risulta accentuata la responsabilità del Governo, che, in un contesto «piano» che gli consente di intraprendere con successo la via dell’iniziativa legislativa ordinaria, deve fornire motivazioni adeguate e fondate. 4 V. sul punto più recentemente A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge. La decretazione d’urgenza dopo la sentenza n. 360/1996 della Corte costituzionale, Milano 2003. 5 Il riconoscimento del carattere della forza di legge al decreto-legge, così come al decreto legislativo, riecheggia la previsione dell’art. 134 Cost., che individua, quali atti sono soggetti al controllo di costituzionalità, ovvero le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. In questo senso, come ricorda G. Silvestri, Legge (controllo di costituzionalità), «Digesto delle discipline pubblicistiche», Torino 1994, pp. 128 sgg., spec. p. 137, la forza di legge è attribuita «solo agli atti direttamente subor-
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Governo assume subito la piena responsabilità, nell’attesa del futuro ed eventuale avallo parlamentare, dato dalla conversione in legge6. Anche in questo caso, le previsioni costituzionali si sono prestate ad interpretazioni diverse, legate agli equilibri della forma di governo ed all’assetto più o meno solido della maggioranza politica che sosteneva l’Esecutivo, interpretazioni, però non sempre compatibili con il dettato costituzionale. In questo quadro si è tentata, nell’ambito della più estesa disciplina dell’attività normativa del Governo, una definizione precisa dei caratteri delle disposizioni recate dal decreto-legge, insieme ad una egualmente precisa indicazione dei contenuti che, invece, questo non può assumere. Si fa riferimento alle previsioni dell’art. 15 della legge n. 400/1988, che, dando svolgimento alle indicazioni costituzionali, dispone che i decreti-legge debbano contenere «misure di immediata applicazione» e che il loro contenuto sia «specifico, omogeneo e corrispondente al titolo», e preclude che i provvedimenti d’urgenza conferiscano deleghe legislative, provvedano nelle materie coperte da «riserva d’assemblea», rinnovino disposizioni di precedenti decreti-legge dei quali una delle Camere abbia negato la conversione con proprio voto, regolino i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e, infine, ripristinino l’efficadinati alla Costituzione e sovraordinati, nel campo di loro competenza, ad ogni altra fonte» e si accompagna all’idea di primarietà di una fonte, che è tale perché espressamente prevista dalla Costituzione e, quindi, immediatamente subordinata ed inferiore alla stessa. 6 La conversione del decreto in legge si configura, come è noto, quale atto di novazione, mediante il quale la legge parlamentare si sostituisce integralmente ed originariamente al decreto governativo. Con tale atto il Parlamento «fa proprio» l’operato del Governo, condividendone le scelte e giustificandole sul piano della opportunità politica. Sul punto, G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, cit., pp. 21 sgg. e pp. 34 sgg. In proposito, nella sentenza (12/1) 27/1/1995, n. 29 («Giurisprudenza costituzionale», 1995, pp. 278 sgg.), la Corte costituzionale ha affermato che «l’evidente mancanza» del requisito di validità del decreto-legge, cioè dei presupposti di necessità ed urgenza, si configura tanto come vizio di costituzionalità del decreto-legge, quanto come vizio in procedendo della legge di conversione, che non poteva convertire in legge «un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione» (ibid., p. 299), e rientra pertanto pienamente nell’oggetto del controllo del giudice costituzionale. Diversamente, i profili «di tipo prettamente politico, sia con riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti della stessa» (ibid., p. 299) sono sottratti all’esame della Corte, perché appartengono esclusivamente alla sfera delle valutazioni politiche, che solo il Parlamento può operare e che le Camere compiono in sede di conversione.
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cia di disposizioni che la Corte costituzionale abbia dichiarato illegittime per vizi non attinenti al procedimento7. In realtà, già la scelta della via legislativa8, della «sola» fonte ordinaria per porre limiti e condizioni all’uso del decreto-legge non lasciava spazio a molte illusioni: il Governo, infatti, è rifuggito «disinvoltamente»9 dal loro rispetto, e ciò nonostante all’art. 15 della legge n. 400 venisse riconosciuto il carattere di disposizione legislativa «qualitativamente pregevole» e di «attuazione costituzionale»10. Ma sarebbe stato ben sorprendente l’operato di un Esecutivo indifferente alle prescrizioni della Costituzione, ma rigorosamente attento a quelle di una legge ordinaria! Sul fronte dei regolamenti parlamentari, le previsioni normative sembravano ben rispondere ad un assetto «compromissorio» dei rapporti tra Parlamento e Governo. Infatti erano le commissioni parlamentari competenti (la I Commissione permanente al Senato, art. 78 r.S. e la Commissione Affari costituzionali alla Camera, art. 96 bis r.C. del vecchio testo) ad essere incaricate della verifica dei presupposti di necessità ed urgenza che legittimano il ricorso al decretolegge11. Alle commissioni non si richiedeva di svolgere un «control7
V. l’art. 15, commi 3 e 2 della legge n. 400/1988. G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, cit., pp. 176 sgg. 9 F. Modugno, A. Celotto, I rimedi all’abuso del decreto-legge, «Giurisprudenza costituzionale», 5, 1994, pp. 3232 sgg. 10 Così G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, cit., p. 180. 11 In particolare l’art. 78 del regolamento del Senato stabilisce che il disegno di legge di conversione presentato al Senato o trasmesso dalla Camera viene deferito alla commissione competente lo stesso giorno della presentazione o della trasmissione (comma 2). Il disegno di legge di conversione è, inoltre, deferito alla I Commissione permanente (affari costituzionali, affari della presidenza del Consiglio e dell’Interno, ordinamento generale dello Stato e della pubblica amministrazione, art. 22 del regolamento del Senato) che deve trasmettere il proprio parere alla commissione competente entro cinque giorni. Se il parere della I Commissione è contrario «per difetto dei presupposti richiesti dall’art. 77, secondo comma della Costituzione o dei requisiti stabiliti dalla legislazione vigente», viene trasmesso immediatamente alla commissione competente ed al presidente del Senato, che deve entro cinque giorni sottoporlo al voto dell’Assemblea. Lo stesso esito si produce laddove ne faccia richiesta un decimo dei componenti del Senato, entro il giorno successivo a quello in cui il parere è stato richiesto. Sul parere contrario della I Commissione l’Assemblea si esprime «con votazione nominale con scrutinio simultaneo» (art. 78, comma 3 del regolamento). In caso di pronuncia negativa dell’Assemblea, ovvero di non sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 77, comma 2, Cost. o dei requisiti stabiliti dalla legislazione vigente, il disegno di legge di conversione «si intende respinto»; tale deliberazione può investire anche singole parti o disposizioni del decreto-legge o del disegno di legge di conversione, che, in tal caso, si considerano soppresse (art. 78, comma 4 del regolamento). Anche alla Camera, anteriormente alle riforme del 1997-1999, il procedimento rical8
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lo-verificazione» ancorato a criteri oggettivi e predefiniti12, ma, piuttosto, di compiere valutazioni di merito, fondate su elementi di tipo politico. Sicché, la conversione o meno del decreto-legge, così come l’eventuale modifica del testo nel corso dell’esame parlamentare, risultava più legata alla maggiore o minore consistenza della maggioranza che sosteneva il Governo, che non, invece, alla effettiva sussistenza delle condizioni prescritte dall’art. 77, comma 2, Cost. La prevalenza del momento politico, rispetto alle indicazioni costituzionali, nelle scelte del Governo in materia di decretazione d’urgenza e il diffondersi del fenomeno della reiterazione del decreto-legge hanno indotto, poi, come è ben noto, la Corte costituzionale ad intervenire con la sentenza n. 360/199613, che, se è cava nella sostanza quello del Senato, prevedendosi una pronuncia in via pregiudiziale della Commissione affari costituzionali, cui il disegno di legge di conversione era assegnato, riguardo alla sussistenza dei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza, sulla quale poi si esprimeva l’Assemblea con proprio voto, sia nel caso di parere contrario, che in quello di parere favorevole (art. 96 bis, commi 2 e 3 del vecchio testo del regolamento della Camera). Diversamente oggi, come si dirà, il nuovo testo dell’art. 96 bis del regolamento affida tale verifica alla commissione permanente per materia, accentuando, però, il ruolo del Governo, chiamato a dimostrare l’urgente necessità del decreto-legge; altri profili di carattere tecnico competono, invece, al Comitato per la legislazione (art. 96 bis, commi 1 e 2 del regolamento). Questo sistema di controllo, come fa notare A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 99 sgg., si poneva solo sul piano politico: si trattava di avallare o meno le scelte del Governo ed il suo indirizzo politico, rilevando in misura minore, nei fatti, l’effettiva verifica dei presupposti di necessità ed urgenza. Infatti, evidenzia l’Autore, quasi nullo era il numero dei decreti-legge per i quali le commissioni competenti deliberavano l’insussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza in sede di conversione. 12 Su questa valutazione v., per tutti, G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, cit., pp. 245 sgg. 13 V. ancora A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 3 sgg. Tra i primi commenti alla sentenza n. 360/1996 si segnala F. Teresi, Decreti-legge reiterati e sindacato di costituzionalità: la scure sulla reiterazione nel travagliato percorso del giudice delle leggi, «Archivio di diritto costituzionale», 1997, pp. 27 sgg.; V. Angiolini, Attività legislativa del Governo e giustizia costituzionale, «Rivista di diritto costituzionale», 1, 1996, pp. 223 sgg.; dello stesso autore, La «reiterazione» dei decreti-legge, La Corte censura i vizi del Governo e difende la presunta virtù del Parlamento?, «Diritto pubblico», 1, 1997, pp. 113 sgg.; R. Romboli, Le vicende della decretazione d’urgenza negli anni 1995-1997 tra Corte costituzionale ed ipotesi di revisione dell’art. 77 della Costituzione, in A. Pace (a cura di), Studi in onore di Leopoldo Elia, vol. II, Milano 1999, pp. 1479 sgg.; A. Simoncini, La regolazione dei rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti, «Giurisprudenza costituzionale», 4, 1997, pp. 2777 sgg.; e A. Celotto, L’«abuso» del decreto-legge. I. Profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica, Padova 1997. Si rinvia infine all’ampia bibliografia richiamata in A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit.
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riuscita a limitare ed a ridurre la pratica del rinnovo degli effetti dei decreti-legge non convertiti, non sembra tuttavia avere inciso in modo significativo sui caratteri e sulla frequenza della decretazione d’urgenza, che si sono mantenuti tutto sommato stabili ed uniformi nel tempo14. Ciò trova conferma nel fatto che dall’inizio dell’attuale Legislatura il Governo ha presentato ben 136 disegni di legge di conversione di decreti-legge15 e nel fatto che buona parte dei decreti-legge adottati dal Governo contiene disposizioni di carattere ordinamentale ed interviene su ambiti di grande rilievo politico, introducendo, pertanto, discipline che sembrano destinate a permanere. Ma potrebbe non essere estranea al fenomeno una certa linea evolutiva dell’istituto della decretazione d’urgenza, volta più a guardare al contenuto del decreto-legge, alla sua idoneità ad introdurre in modo immediato discipline di particolare rilievo e alla sua capacità di innovazione sostanziale, che alla necessità e straordinarietà dell’intervento in sé considerato.
2. Il nuovo art. 96 bis del regolamento della Camera La sostanziale evanescenza delle prescrizioni costituzionali e legislative e la limitata incidenza della sentenza della Corte costituzionale n. 360/1996 non hanno distolto, tuttavia, dal tentativo di ricondurre la decretazione d’urgenza ad una configurazione che, seppur ancorata all’assetto concreto della forma di governo, rimanga comunque compatibile con il dettato della Costituzione. È però un tentativo, come già accennato, consapevole del peso che gli equilibri politici hanno sulla scelta dell’uso del decreto14 Ibid., pp. 244 sgg., che ritiene che il decreto-legge continui a rappresentare «uno strumento fondamentale nell’attività normativa “ordinaria” dell’Esecutivo», p. 247. 15 Il dato è riferito al periodo che va dall’inizio della legislatura fino al 31 marzo 2004. Fino al 25 dicembre 2003, il numero dei disegni di legge di conversione era di 114, come riportato nel Rapporto sull’attività svolta dal Comitato per la legislazione – terzo turno di presidenza 25 febbraio 2003 – 25 dicembre 2003, p. 10. Nello stesso documento si evidenzia una media mensile di decreti-legge emanati del 4,02% (contro il 3,36% della precedente Legislatura), con una percentuale di leggi di conversione approvate del 32% rispetto all’intera produzione legislativa, percentuale in incremento rispetto alla precedente Legislatura, nella quale le leggi di conversione approvate costituivano il 19,2% della produzione legislativa.
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legge; un tentativo che, pertanto, non segue il percorso difficile e finora improduttivo dei limiti e delle regole poste per via legislativa, ma che cerca criteri e soluzioni alternativi, che coinvolgano, a vario titolo, tanto il Governo, quanto il Parlamento. Un primo risultato di questo tentativo è il nuovo testo dell’art. 96 bis r.C., che si colloca all’interno di una più estesa riforma del regolamento della Camera dei deputati, e che tocca il procedimento legislativo nel suo complesso, con riferimento all’istruttoria dei provvedimenti ed ai tempi e modi della loro discussione in sede parlamentare. Si tratta di profili strettamente legati all’affermarsi di una logica collaborativa nei rapporti tra Parlamento e Governo, che richiede di ridisegnare il ruolo del primo, per restituirgli funzionalità, capacità decisionale, centralità nei processi di produzione normativa, rispetto ad un Esecutivo rafforzato dalla nuova legittimazione che gli deriva da un’elezione quasi diretta16. In particolare, l’art. 96 bis, comma1, r.C. sembra articolare su piani distinti la verifica del rispetto delle prescrizioni costituzionali in materia di decretazione d’urgenza e delle disposizioni dell’art. 15 delle legge n. 400 che vi danno attuazione. Più esattamente, la disposizione regolamentare individua un piano governativo, cui si è già fatto cenno, che vede l’Esecutivo come primo difensore e sostenitore del ricorso al decreto-legge, non solo provando la sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza, ma anche dimostrando di prevedere e di avere piena contezza degli effetti che si attendono dall’attuazione del provvedimento e delle conseguenze che ne deriveranno sull’ordinamento nel suo complesso17. Si tratta, naturalmente, di valutazioni prevalentemente politiche, che però, proprio per questo, si riflettono immediatamente sull’impegno del Governo e sulla sua responsabilità. Si potrebbe, forse, dire che più le ragioni a sostegno del 16 Su questo profilo A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 91 sgg., parla di reciproca influenza tra decretazione d’urgenza e riforma del regolamento della Camera, della quale la prima è oggetto ma anche causa (p. 97). Ci sia consentito anche di rinviare sul punto a L. Lorello, Funzione legislativa e Comitato per la legislazione, Torino 2003, pp. 124 sgg. e pp. 133 sgg. 17 A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 100 sgg., sottolinea come risulti accentuata l’esigenza che il Governo giustifichi le proprie scelte ed evidenzia come il nuovo testo dell’art. 96 bis del regolamento della Camera rappresenti il «fallimento» delle previsioni dell’art. 15 della legge n. 400/1988, riguardo all’indicazione nel preambolo del decreto-legge dei presupposti di necessità ed urgenza.
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decreto-legge si presentano legate al merito, cioè alle scelte politiche dell’Esecutivo, maggiore dovrà essere la sua capacità di giustificarle di fronte al Parlamento. Un secondo piano prospettato dall’art. 96 bis r.C. è quello parlamentare, che viene, per così dire, biforcato su due distinti interventi: quello delle commissioni competenti per materia, che operano in sede referente; e quello del Comitato per la legislazione, cui il presidente della Camera assegna i disegni di legge di conversione all’atto della loro presentazione. In tal modo, tutti i disegni di legge di conversione risultano sottoposti ad un intervento parlamentare, connotato, tuttavia, in modo differente, a seconda che a compierlo sia la commissione competente, ovvero il Comitato per la legislazione.
mono carattere politico ed appaiono indissolubilmente legate alle scelte politiche dell’Esecutivo18. E del resto altro non sembra potersi chiedere alle commissioni permanenti, composte da parlamentari, non a caso in misura proporzionale alla consistenza dei gruppi parlamentari, che, in qualità di soggetti politici, sono chiamati a farsi portatori degli interessi della «parte» politica che rappresentano. Nella sede della commissione, quindi, potranno e dovranno confrontarsi questi diversi interessi, e dovrà definirsi una loro composizione, che, volta a volta, potrà tradursi nella scelta di sostenere o disattendere l’operato del Governo. Sullo sfondo resterà, invece, ogni aspetto di carattere «tecnico» relativo al contenuto del decreto-legge, al suo ambito di intervento, ai limiti che questo incontra.
2.1 Il ruolo delle commissioni permanenti. La circostanza che l’art. 96 bis, comma 1, r.C. faccia esplicito riferimento alla sede referente, rende disponibili alla commissione competente per materia tutti gli strumenti tipici dell’istruttoria legislativa, dettagliatamente indicati dall’art. 79, comma 4, r.C. Così, allo scopo di acquisire «gli elementi di conoscenza necessari per verificare la qualità e l’efficacia delle disposizioni contenute nel testo», l’esame delle commissioni è volto ad accertare la necessità del singolo intervento normativo, in riferimento all’uso di strumenti diversi in grado di realizzare il medesimo obiettivo; la compatibilità del contenuto della disciplina esaminata con la Costituzione, il diritto dell’Unione europea, le competenze regionali e locali; l’esatta definizione degli obiettivi dell’intervento e la congruità dei mezzi scelti per realizzarli, insieme con l’indicazione di termini adeguati di attuazione e degli oneri connessi per la pubblica amministrazione, i cittadini e le imprese; e, infine, il carattere inequivoco e chiaro delle definizioni e delle disposizioni e l’idonea sistemazione del contenuto del provvedimento in articoli e commi. Questo ricco strumentario, di cui ogni commissione permanente dispone, può servire, nel caso dei disegni di legge di conversione, soprattutto a valutare le ragioni di fondo dell’adozione del decreto-legge, e cioè quei presupposti di necessità ed urgenza che, soli, possono legittimarlo. Ma si tratta di valutazioni che, per essere strettamente connesse al merito del provvedimento, assu-
2.2. Il ruolo del Comitato per la legislazione. Ed è proprio qui che l’art. 96 bis, comma 1, r.C. disegna il secondo intervento, coinvolgendo obbligatoriamente il Comitato per la legislazione nell’esame del disegno di legge di conversione. Al Comitato è affidato il compito di analizzare il provvedimento, pronunciandosi, entro cinque giorni, non solo riguardo ai profili indicati dall’art. 16 bis, comma 4, r.C., e cioè la qualità del testo in riferimento alla sua omogeneità, chiarezza, semplicità, proprietà di formulazione ed efficacia per la semplificazione e il riordino normativo; ma anche guardando alle regole sulla specificità e omogeneità e sui limiti di contenuto del decreto-legge, regole la cui violazione consente al Comitato di richiedere alla commissione competente la soppressione delle disposizioni così viziate. Si tratta di criteri oggettivi e predefiniti, contenuti all’interno di una fonte normativa, il regolamento, che disciplina ogni attività parlamentare. In sostanza, il Comitato svolge le proprie funzioni utilizzando parametri tecnici, che servono a formulare valutazioni tecniche19. A ciò si aggiunge la sua particolare composizione: 18 V. la lettera del presidente della Camera del 15/1/1998, in Camera dei Deputati, XIII Legislatura, L’attività del Comitato per la legislazione, vol. I, Roma 2001, p. 114. 19 Su questo aspetto v. ancora A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 104 sgg.
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non solo un numero pari di membri, ma, soprattutto, una struttura paritaria, che vede una presenza numericamente uguale (e non proporzionale alla consistenza dei gruppi parlamentari come accade per le commissioni) di esponenti della maggioranza e delle opposizioni (art. 16 bis, comma1, r.C.). Di rilievo sono anche gli strumenti di cui il Comitato dispone nella definizione del contenuto del parere per le commissioni parlamentari: questo può, infatti, contenere osservazioni e condizioni, secondo quanto già previsto dall’art. 73, comma 3, r.C., che, nella prassi, presentano contenuti sostanzialmente simili, perché volte, comunque, a garantire la qualità dei testi legislativi. Tuttavia, l’art. 16 bis, comma 6, r.C. dota le condizioni di un’efficacia vincolante che le osservazioni non posseggono: infatti, laddove le commissioni di merito non intendano adeguare il testo del progetto alle condizioni espresse dal Comitato, sono tenute ad indicarne esplicitamente le ragioni nella relazione predisposta per l’Assemblea. Inoltre, come già ricordato, l’art. 96 bis, comma 1, r.C. abilita il Comitato a chiedere alle commissioni competenti la soppressione delle disposizioni del decreto-legge che siano in contrasto con le regole di specificità e omogeneità e sui limiti di contenuto del decreto-legge: e ciò avviene sempre ricorrendo alla formulazione di una condizione. Con questi caratteri e con queste funzioni il Comitato per la legislazione potrebbe, dunque, essere quella sede, tanto ricercata, nella quale realizzare in modo efficace il tentativo di ricondurre la decretazione d’urgenza all’ambito che le è proprio, tracciato sia dalla Costituzione che dalla legislazione ordinaria. E potrebbe, altresì, essere la via attraverso cui operare un controllo «interno» e preventivo sull’uso del decreto-legge, nella fase della sua formazione/conversione, rispetto al momento «esterno» e successivo, affidato all’intervento del giudice costituzionale. Ciò, tuttavia, non nascondendosi che l’adozione del decreto-legge, proprio per la sua particolare natura, attira su di sé valutazioni di opportunità politica che non possono essere evitate, ma che possono, diversamente, essere bilanciate da giudizi di tipo tecnico ed imparziale. E così, nel disegno dell’art. 96 bis r.C., si ritrovano le prime, affidate all’impegno e alla responsabilità del Governo nella relazione che accompagna il disegno di legge di conversione, e all’esame della commissione permanente nel parere espresso in sede referente; e si
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ritrovano anche i secondi, compito del Comitato per la legislazione ed esito di un’analisi oggettiva e neutrale.
2.3. L’attività del Comitato per la legislazione. Il Comitato per la legislazione, dunque, sembra configurarsi come strumento attraverso il quale operare valutazioni di tipo tecnico rispetto ad un ambito, quello della decretazione d’urgenza che, diversamente, resterebbe esclusivamente affidato alle ragioni della politica. E che sia così è evidente fin dagli inizi della sua attività, quando, in riferimento proprio all’esame dei disegni di legge di conversione e allo specifico caso della reiterazione del decreto-legge, fu precisato che spetta al Comitato «verificare se ricorrono ipotesi di reiterazione sotto il profilo tecnico-giuridico, valutando in particolare se vi sia, anche in presenza di formulazioni differenti, sostanziale identità di contenuto normativo tra le disposizioni del decreto-legge in esame e quelle di precedenti provvedimenti di urgenza non convertiti»20. Dunque, il suo intervento deve coprire i soli aspetti tecnici del disegno di legge di conversione, senza toccare i profili dei presupposti di necessità ed urgenza che, risultando connessi alle valutazioni del Governo, rientrano nel sindacato esclusivo delle commissioni competenti per materia21. Allo stesso modo, l’eventuale ampliamento del contenuto del disegno di legge in sede di conversione nel corso dell’esame al Senato, che ne ha reso disomogeneo il testo, può essere giustificato solo dalla sussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza, la cui valutazione, tuttavia, «non spetta al Comitato»22, pur se è «opportuno che la commissione di merito valuti con attenzione tale profilo»23. Sul 20 V. la seduta del Comitato per la legislazione del 24/2/1998, Comunicazioni di presidente, «Boll. giunte e comm.», 24/2/1998, p. 3. 21 Sul punto ancora A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 117 sgg. e L. Lorello, Funzione legislativa e Comitato per la legislazione, cit., pp. 266 sgg. 22 Parere del 29/4/2003 (AC 3905), in Resoconto della seduta del 29/4/2003, pp. 3-4. 23 Parere del 8/10/2003 (AC 4345), in Resoconto della seduta dell’8/10/2003, p. 6. Non sempre, tuttavia, all’interno del Comitato si è registrata unità di posizioni riguardo alla natura dei rilievi formulati. In particolare, nella seduta del 5/11/2003 (AC 4447), in Resoconto della seduta del 5/11/2003, pp. 4 sgg., l’on. Mattarella rilevava che il provvedimento esaminato, oltre a non contenere misure urgenti e di immediata applicazione e a recare norme disomogenee e di carattere ordinamentale, si configurava come disegno di legge collegato alla manovra finanziaria, pur non essendo formalmente definito come tale. La sua analisi, pertanto, compiuta disgiuntamente dagli altri
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ruolo del Comitato per la legislazione è di rilievo, ancora, il parere del 12/5/200424. In quella sede veniva denunciata, in aperto contrasto con le previsioni dell’art. 15, comma 2 c) della legge n. 400/1988 e con i principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale, un’ipotesi di reiterazione di disposizioni di un precedente decreto-legge non convertito perché respinto dalla Camera. Mentre da parte di alcuni si evidenziava come tale valutazione non attenesse alle funzioni del Comitato, in quanto relativa ai profili di costituzionalità del decreto-legge, e dovesse, pertanto, essere lasciata alla competenza delle commissioni di merito e della Commissione affari costituzionali, diversamente il presidente del Comitato confermava la piena riconducibilità di tale indagine all’ambito di intervento proprio dell’organo. Infatti, la finalità propria dei limiti posti dall’art. 15, il cui rispetto è compito del Comitato assicurare, è quella di impedire «l’ingresso nell’ordinamento di norme contenute in decreti-legge precedentemente respinti dalle Camere»25, non rilevando, peraltro, il fatto che tali norme siano state formulate dal Governo in sede di confezione del decreto-legge, ovvero introdotte nel corso dell’esame parlamentare per la sua conversione26. In sostanza, in questo caso il rispetto dei limiti di contenuto del decreto-legge, da parametro tecnico, sembra farsi strumento per un’analisi, seppur indiretta, sulla sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza del decredocumenti finanziari, violava l’art. 119 del regolamento della Camera, che richiede, appunto, l’esame degli stessi nell’apposita sessione di bilancio, come sede di esame contestuale di norme di merito con effetti finanziari e dei connessi strumenti contabili; e violava anche l’art. 123 del regolamento della Camera che, al fine del buon andamento dei lavori parlamentari, prescrive la discussione congiunta in Assemblea sulle linee generali del disegno di legge finanziaria e del bilancio (ibid., pp. 9-10). «L’aver collocato i contenuti tecnici della legge finanziaria in un decreto-legge al di fuori della sessione di bilancio», proseguiva l’on. Mattarella, «viola sostanzialmente le citate norme regolamentari della Camera e non consente il rispetto delle funzioni di garanzia procedurale propria di queste» (ibid., p. 10). Replicava a tali considerazioni l’on. D’Alia, relatore del provvedimento, che, pur ringraziando l’on. Mattarella per il suo intervento, considerava i suoi rilievi estranei alla competenza del Comitato, che «svolge solo considerazioni tecniche al fine di migliorare la fruibilità e la leggibilità dei testi normativi» ed auspicava che fosse la commissione di merito a far proprie le osservazioni formulate (ibid., pp. 10-11). 24 (AC 4978), in Resoconto della seduta del 12/5/2004, pp. 4 sgg. 25 Ibid., p. 6. 26 Ibid., p. 6. Oltre alla posizione del presidente, on. Soda, v. anche quelle dell’on. Mattarella, dell’on. D’Alia e dell’on. Trantino, relatore del parere.
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to-legge, la cui verifica rimane, comunque, oggetto diretto e tipico delle valutazioni politiche compiute dalle commissioni di merito. Carattere problematico, riguardo all’ambito di azione del Comitato, presenta, infine, la questione dell’esame di un disegno di legge di conversione proveniente dal Senato. Emergono qui due aspetti distinti. Sotto un primo profilo, vi è il problema del tempo disponibile al Comitato per concludere la sua analisi sul testo, tempo necessariamente breve, data la scadenza imposta dall’art. 77, comma 2, Cost. Tuttavia, se è vero che l’intervento del Comitato non può pregiudicare i tempi della conversione, ciò non può comportare un «vincolo a non modificare il testo», richiedendosi, semmai, un coordinamento con l’altra Camera, allo scopo di meglio cadenzare i termini dell’esame27. Nel caso in cui, poi, il testo del disegno di legge di conversione giunga al Comitato nel corso della seconda lettura del provvedimento alla Camera, si pone il problema dei limiti posti alla sua analisi. Sicuramente, sul piano dell’oggetto, questa deve essere circoscritta alle modifiche introdotte dal Senato; ma, sul piano degli strumenti, il Comitato dispone del potere di formulare sia osservazioni che condizioni, poiché nessuna costrizione può derivare alle sue funzioni se non «dalla Costituzione o dal Regolamento»28. Entrambi i profili hanno più volte spinto il Comitato a sollecitare il Senato perché istituisca un organo con compiti equivalenti ai propri, ovvero a definire con questa Camera modalità concertate d’esame dei disegni di legge di conversione, che siano rispettose delle prerogative di entrambi i rami del Parlamento29. 27 V. il parere del 20/5/1998 (AC 4891), «Boll. giunte e comm.», 20/5/1998, pp. 89; sul punto sia consentito anche richiamare L. Lorello, Funzione legislativa e Comitato per la legislazione, cit., pp. 274 sgg. 28 V. il parere del 23/5/2000 (AC 6989), in Resoconto della seduta del 23/5/2000, pp. 3 sgg., spec. p. 4. Per questi profili si veda anche A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 113, e L. Lorello, Funzione legislativa e Comitato per la legislazione, cit., pp. 274 sgg., spec. p. 276, nota 736. 29 V. su questo aspetto il Rapporto sull’attività svolta dal Comitato per la legislazione – 2/2003 – secondo turno di presidenza (26/4/2002 – 24/2/2003), pp. 12 sgg., nel quale si rilevava proprio come il differente regime regolamentare di Camera e Senato riguardo alla conversione dei decreti-legge «è suscettibile di creare squilibri nei passaggi parlamentari dei provvedimenti, non sempre superabili a causa della ristrettezza dei tempi di esame» (ibid., p. 12).
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A rivelare la dimensione tecnica dell’intervento del Comitato è, soprattutto, l’indagine sul concreto modo di utilizzare i parametri regolamentari a sua disposizione30. A. Il rispetto della circolare dei Presidenti delle Camere e del presidente del Consiglio dei ministri dell’aprile del 2001 e dell’art. 15 della legge n. 400/1988 Tra le violazioni più frequentemente denunciate dal Comitato riguardo ai disegni di legge di conversione, vi sono quelle relative alle prescrizioni della circolare del 2001 e dell’art. 15 della legge n. 400/1988. Relativamente alla prima, le ipotesi oggetto dei rilievi del Comitato attengono, tra l’altro, alla tecnica della novellazione (punto 9 della circolare del 2001), utilizzata in modo improprio, senza tenere conto che l’unità minima del testo da sostituire con una novella è il comma (o comunque un periodo o una lettera), anche nel caso in cui si modifichi una singola parola, «per consentire una più agevole comprensione della modifica»31. Inoltre, il Comitato si sof30
Si è fatto prevalentemente riferimento, nell’analisi che segue, ai pareri formulati dal Comitato nel periodo fine febbraio 2003-luglio 2004. 31 V. il parere del 14/1/2004 (AC 4594), in Resoconto della seduta del 14/1/2004, pp. 5 sgg., spec. p. 6. V. anche i pareri del 10/4/2003 (AC 3865), in Resoconto della seduta del 10/4/2003, p. 7; del 29/4/2003 (AC 3905), in Resoconto della seduta del 29/4/2003, p. 4; del 7/5/2003 (AC 3916), in Resoconto della seduta del 7/5/2003, p. 4; del 3/6/2003 (AC 3998), in Resoconto della seduta del 3/6/2003, p. 5; del 2/7/2003 (AC 4102), in Resoconto della seduta del 2/7/2003, p. 3; del 9/7/2003 (AC 4118), in Resoconto della seduta del 9/7/2003, p. 3; del 17/7/2003 (AC 4154), in Resoconto della seduta del 17/7/2003, p. 4; del 25/7/2003 (AC 4199), in Resoconto della seduta del 25/7/2003, p. 4; del 22/10/2003 (AC 4375), in Resoconto della seduta del 22/10/2003, p. 3; del 2/12/2003 (AC 4515), in Resoconto della seduta del 2/12/2003, p. 8; del 4/2/2004 (AC 4644), in Resoconto della seduta del 4/2/2004, pp. 4-5; del 3/3/2004 (AC 4761), in Resoconto della seduta del 3/3/2004, p. 5; del 10/3/2004 (AC 4781), in Resoconto della seduta del 10/3/2004, p. 10; dell’1/4/2004 (AC 4833), in Resoconto della seduta dell’1/4/2004, p. 4; del 6/4/2004 (AC 4781), in Resoconto della seduta del 6/4/2004, p. 3; del 27/4/2004 (AC 4903), in Resoconto della seduta del 27/4/2004, p. 4; del 12/5/2004 (AC 4978), in Resoconto della seduta del 12/5/2004, pp. 4 sgg., spec. p. 7; del 18/5/2004 (AC 4962), in Resoconto della seduta del 18/5/2004, pp. 3 sgg., spec. p. 4; del 22/6/2004 (AC 5072), in Resoconto della seduta del 22/6/2004, pp. 3 sgg., spec. p. 4; del 30/6/2004 (AC 5087), in Resoconto della seduta del 30/6/2004, pp. 5 sgg., spec. p. 6; del 15/7/2004 (AC 5137), in Resoconto della seduta del 15/7/2004, pp. 4 sgg.; del 21/7/2004 (AC 5150), in Resoconto della seduta del 21/7/2004, pp. 3 sgg., spec. p. 4; e del 21/7/2004 (AC 5151), in Resoconto della seduta del 21/7/2004, pp. 6 sgg., spec. p. 7.
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ferma sul titolo del provvedimento, rilevando la necessità che esso espliciti almeno l’oggetto principale della disciplina normativa introdotta, evitando espressioni generiche, semplici citazioni per data e numero di promulgazione o di emanazione di legge e decreti, cioè il c.d. titolo muto (regola n. 1 della circolare del 2001)32. In altri casi si richiede la soppressione di disposizioni di rango legislativo che intervengono in modo frammentario su atti privi di forza di legge, «al fine di evitare che questi ultimi presentino un diverso regime di “resistenza” ad atti modificativi successivi» (punto 3, lett. e) della circolare del 2001)33. Riguardo all’art. 15 della legge n. 400/1988, emergono, tra gli altri, due distinti profili. Da un lato, il Comitato rileva la frequente violazione del comma 3 dell’art. 15, che prescrive che i decretilegge contengano misure di immediata applicazione34, evitando, ad esempio, di rinviare ad un successivo decreto ministeriale la definizione delle modalità di attuazione della disciplina che il provvedimento esaminato dovrebbe, invece, recare35. Più specificatamente, nel parere del 25/6/200336, in una raccomandazione relativa all’efficacia per la semplificazione e il riordino normativo37, le prescrizioni dell’art. 15, comma 3 vengono direttamente connesse alla ratio dell’art. 77, comma 2, Cost. e vengono ricollegate espressamente all’intento di «escludere che i decreti-legge possano trasformarsi in “contenitori” di interventi non volti all’adozione di misure immediate per fronteggiare le circostanze straordinarie di 32
V. il parere del 14/1/2004 (AC 4595), in Resoconto della seduta del 14/1/2004,
p. 5. 33
V. il parere del 30/7/2003 (AC 4102-B), in Resoconto della seduta del 30/7/2003,
p. 3. 34 Parere del 26/2/2003 (AC 3688), in Resoconto della seduta del 26/2/2003, p. 5; del 27/3/2003 (AC 3800), in Resoconto della seduta del 27/3/2003, p. 4; del 9/7/2003 (AC 4118), in Resoconto della seduta del 9/7/2003, p. 4; del 17/7/2003 (AC 4154), in Resoconto della seduta del 17/7/2003, p. 4; del 10/9/2003 (AC 4257), in Resoconto della seduta del 10/9/2003, p. 3; dell’8/10/2003, in Resoconto della seduta dell’8/10/2003, p. 5; del 18/5/2004 (AC 4962), in Resoconto della seduta del 18/5/2004, pp. 3 sgg. Nel parere del 20/5/2004 (AC 5015 Governo – approvato dal Senato), in Resoconto della seduta del 20/5/2004, pp. 3 sgg., il Comitato sottolinea come nel corso dell’esame al Senato siano state inserite nel provvedimento disposizioni prive del requisito della «immediata applicabilità». 35 Parere del 9/4/2003 (AC 3841), in Resoconto della seduta del 9/4/2003, p. 4. 36 AC 4086, in Resoconto della seduta del 25/6/2003, pp. 3 sgg. 37 Ibid., p. 4.
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necessità ed urgenza che ne giustificano l’adozione»38. Dall’altro lato, si evidenzia la necessità di rispettare i limiti di contenuto del decreto-legge, così come previsti dall’art. 15, comma 2 della legge n. 400/1988. In particolare, in un caso il Comitato rileva la necessità di sopprimere una disposizione che si pone in contrasto con la lett. e) dell’art. 15, comma 2, che vieta al Governo «in attuazione del disposto dell’art. 136 Cost.» di ripristinare con decreto-legge l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non attinenti al procedimento39. Più ampiamente, in una raccomandazione sui limiti di contenuto del decreto-legge40, il Comitato lega il rispetto delle «norme ordinamentali» che definiscono i limiti di contenuto del decretolegge, e specialmente l’art. 15 comma 2, lett. c) delle legge n. 400/1988, che preclude al Governo di rinnovare disposizioni di provvedimenti di urgenza delle quali una delle Camere abbia negato la conversione con proprio voto, alla garanzia del «corretto impiego» di tale strumento normativo41. Ancora, sempre riguardo ai limiti di contenuto del decreto-legge, il Comitato in una raccomandazione42 esprime l’esigenza che «ciascuno strumento normativo sia utilizzato in modo coerente con le proprie caratteristiche», sì da assicurare il corretto uso del decreto-legge, «con specifico riferimento alle norme ordinamentali che ne definiscono i limiti di contenuto»43. 38
V. il parere del 30/6/2003 (A 4102-B), in Resoconto della seduta del 30/6/2003,
p. 4. 39 V. il parere del 3/3/2003 (AC 4761), in Resoconto della seduta del 3/3/2003, p. 5. Riguardo, in generale, al rispetto dei limiti di contenuto del decreto-legge, si richiamano i pareri del 9/7/2003 (AC 4118), in Resoconto della seduta del 9/7/2003, p. 4; del 30/7/2003 (AC 4102-B), in Resoconto della seduta del 30/7/2003, p. 4; del 10/9/2003 (AC 4257), in Resoconto della seduta del 10/9/2003, p. 3; dell’8/10/2003 (AC 4332), in Resoconto della seduta dell’8/10/2003, p. 5; del 5/11/2003 (AC 4447), in Resoconto della seduta del 5/11/2003, p. 6; del 4/2/2004 (AC 4644), in Resoconto della seduta del 4/2/2004, p. 5. 40 Parere del 12/5/2004 (AC 4978), in Resoconto della seduta del 12/5/2004, p. 8. 41 Si trattava, in particolare, di un decreto-legge che, a seguito delle modifiche introdotte dal Senato nel corso della conversione, riproduceva in buona parte il contenuto di un precedente decreto-legge che era stato respinto dalla Camera dei deputati con l’approvazione di questioni pregiudiziali di costituzionalità (ibid., p. 7). 42 V. il parere del 18/5/2004 (AC 4962), in Resoconto della seduta del 18/5/2004, p. 5. 43 V. anche il parere del 21/7/2004 (AC 5150), in Resoconto della seduta del 21/7/2004, p. 6.
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Il rispetto dei limiti di contenuto del decreto-legge viene, infine, richiamato in una condizione a proposito di disposizioni che contengono proroghe o differimenti di termini di esercizio di deleghe legislative, o che conferiscono nuove deleghe, e di disposizioni che dettano norme interpretative di un principio di delega44. In entrambi i casi il Comitato ne richiede la soppressione, poiché, da un lato, «l’inserimento in un disegno di legge di conversione di disposizioni di carattere sostanziale» non è conforme ad un corretto utilizzo del decreto-legge; e, dall’altro lato, il limite di contenuto del decreto-legge, così come indicato dall’art. 15, comma 2, lett. a) della legge n. 400/1988, «vietando al Governo di conferire deleghe mediante decreto-legge, appare ricomprendere anche il divieto di incidere anche in via indiretta, su norme della delega stessa»45. B. I rilievi relativi all’omogeneità e alla specificità di contenuto del decreto-legge Il contenuto del decreto-legge viene all’attenzione del Comitato anche sotto il profilo dell’omogeneità e della specificità, considerati come requisiti irrinunciabili per una disciplina che debba imporsi come urgente e necessaria. Il carattere puntuale del provvedimento, la limitazione del suo ambito ad un solo oggetto o a pochi tra loro strettamente connessi, la completezza e l’esaustività della normativa da introdurre sembrano essere gli elementi nei quali deve trovare consistenza la dimensione della straordinarietà. E l’omogeneità viene, così, valutata in riferimento al rapporto tra le singole disposizioni ed il contenuto del decreto-legge46, o all’esigenza di coordinare una singola disposizione con il titolo del provvedimento47, o alla necessità di sopprimere una disposizione che risulti disomogenea rispetto al resto dell’atto48, ovvero, ancora, rispetto alla trattazione di materie diverse, che, se inserite tutte 44 V. ancora il parere del 21/7/2004 (AC 5150), in Resoconto della seduta del 21/7/2004, p. 4. 45 V. il parere del 18/5/2004 (AC 4962), in Resoconto della seduta del 18/5/2004, pp. 4-5. 46 Parere del 9/4/2003 (AC 3843), in Resoconto della seduta del 9/4/2003, p. 5, del 15/12/2003 (AC 4548), in Resoconto della seduta del 15/12/2003, p. 3. 47 Parere del 26/2/2003 (AC 3688), in Resoconto della seduta del 26/2/2003, p. 5. 48 Parere del 29/4/2003 (AC 3905), in Resoconto della seduta del 29/4/2003, p. 4, e del 7/5/2003 (AC 3916), in Resoconto della seduta del 7/5/2003, p. 4.
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nello stesso provvedimento, rendono disomogeneo il suo contenuto49. Riguardo a questo profilo, il Comitato, in una raccomandazione relativa alla specificità e omogeneità di contenuto, sollecita la commissione a limitare «quanto più possibile la disomogeneità ab origine del contenuto dei decreti-legge», poiché essa determina «per l’utente, una difficoltà conoscitiva dei contenuti dello stesso», difficoltà che viene ancor più aggravata dall’eventualità che il testo del provvedimento riceva ulteriori emendamenti in sede parlamentare50. In alcuni casi, infine, la disomogeneità del provvedimento viene causata o aggravata dalle modifiche introdotte nel corso dell’esame al Senato51, rendendo «arduo rinvenire elementi unificanti del complesso dell’articolato»52. 49 Pareri del 7/5/2003 (AC 3927), in Resoconto della seduta del 7/5/2003, p. 5, del 2/7/2003 (AC 4102), in Resoconto della seduta del 2/7/2003, p. 4, del 20/2/2004 (AC 4696), in Resoconto della seduta del 20/2/2004, p. 3. Il Comitato prende in considerazione anche la distribuzione di diverse materie all’interno dello stesso articolo ed in riferimento alla rubrica, che deve essere congrua rispetto al contenuto dell’articolo (v. i pareri del 9/7/2003 (AC 4118), in Resoconto della seduta del 9/7/2003, p. 4, e dell’11/2/2004 (AC 4653), in Resoconto della seduta dell’11/2/2004, p. 3). 50 V. il parere del 2/7/2003 (AC 4102), in Resoconto della seduta del 2/7/2003, p. 4. V. anche il parere del 30/7/2003 (AC 4102-B), in Resoconto della seduta del 30/7/2003, p. 3 e del 5/11/2003 (AC 4447), in Resoconto della seduta del 5/11/2003, p. 5. Sempre riguardo alla specificità e omogeneità di contenuto il Comitato si esprime a proposito di una disposizione per chiedere che se ne chiarisca la natura o di norma di interpretazione autentica, per la quale è opportuna la formulazione di un articolo autonomo, adeguatamente rubricato, ovvero di disposizione modificativa con effetti retroattivi (v. il parere del 25/7/2003 (AC 4199), in Resoconto della seduta del 25/7/2003, p. 4). In alcuni casi, tuttavia, il Comitato è pronto a rilevare il carattere omogeneo delle disposizioni contenute nel provvedimento d’urgenza e nel relativo disegno di legge di conversione. Così nei pareri del 20/5/2004 (AC 5015 Governo – approvato dal Senato), in Resoconto della seduta del 20/5/2004, pp. 3 sgg.; del 22/6/2004 (AC 5072), in Resoconto della seduta del 22/6/2004, pp. 3 sgg.; del 30/6/2004 (AC 5088), in Resoconto della seduta del 30/6/2004, pp. 3 sgg., in cui il Comitato evidenziava come il provvedimento d’urgenza esaminato contribuisse «a porre le basi di una futura disciplina stabilmente applicabile alle missioni di contingenti all’estero» (p. 4). V. anche i pareri del 30/6/2004 (AC 5086), in Resoconto della seduta del 30/6/2004, pp. 3 sgg.; del 15/7/2004 (AC 5137), in Resoconto della seduta del 15/7/2004, pp. 3 sgg.; e del 21/7/2004 (AC 5152), in Resoconto della seduta del 21/7/2004, pp. 8 sgg. 51 V. il parere del 14/7/2004 (AC 5122), in Resoconto della seduta del 14/7/2004, pp. 11 sgg. 52 V. il parere del 21/7/2004 (AC 5150), in Resoconto della seduta del 21/7/2004, pp. 3 sgg., spec. pp. 3-4. Nello stesso parere il Comitato lamentava anche che il testo trasmesso dal Senato fosse in contrasto con l’uso coerente ed ordinato delle diverse fonti normative e con il corretto utilizzo dell’iniziativa legislativa da parte del Governo.
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C. I rilievi sui caratteri delle disposizioni del decreto-legge, sul corretto uso degli strumenti normativi, sulla conoscibilità effettiva delle disposizioni Come si è già evidenziato, il Comitato sembra legare la possibilità di adottare provvedimenti urgenti in relazione alla straordinarietà della situazione, che richiede una disciplina immediata, particolare e, per questo, limitata alla fattispecie esaminata. È per tale ragione che il decreto-legge non deve contenere disposizioni ordinamentali, destinate ad incidere in modo permanente sulla normativa già vigente, né disposizioni che introducano discipline di tipo sostanziale e che mirino alla riforma organica di interi settori normativi53. In particolare, riguardo all’introduzione nel provvedimento di urgenza di disposizioni di carattere sostanziale, il Comitato evidenzia il loro contrasto con «un ordinato e coerente impiego delle fonti normative e con un corretto utilizzo dell’iniziativa legislativa da parte del governo»54. Ma il ricorso al decreto-legge deve, altresì, essere compatibile con l’esigenza di un uso corretto e proprio dei diversi strumenti normativi55. Così, il Comitato lamenta l’introduzione in un disegno di legge di conversione di una disposizione di carattere sostanziale, della quale pertanto si richiede la soppressione, che «non appare corrispondente ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato da tale tipologia di legge»56. Sotto lo stesso profilo, in una raccomandazione sull’efficacia per la semplificazione e il riordino normativo e sui limiti di contenuto del 53
V. i pareri del 9/4/2003 (AC 3841), in Resoconto della seduta del 9/4/2003, pp. 3-4; del 2/7/2003 (AC 4102), in Resoconto della seduta del 2/7/2003, p. 3, in cui il Comitato rileva come il titolo del provvedimento faccia riferimento a disposizioni «urgenti ordinamentali»; dell’8/10/2003 (AC 4332), in Resoconto della seduta dell’8/10/2003, p. 5; del 5/11/2003 (AC 4447), in Resoconto della seduta del 5/11/2003, p. 5; del 25/2/2004 (AC 4725), in Resoconto della seduta del 25/2/2004, p. 9; e del 3/3/2004 (AC 4761), in Resoconto della seduta del 3/3/2004, p. 5. 54 V. il parere del 4/2/2004 (AC 4644), in Resoconto della seduta del 4/2/2004, p. 4, e il parere del 21/7/2004 (AC 5150), in Resoconto della seduta del 21/7/2004, pp. 3 sgg. 55 V. i pareri del 27/3/2003 (AC 3664/B), in Resoconto della seduta del 27/3/2003, p. 5, del 14/1/2004 (AC 4593), in Resoconto della seduta del 14/1/2004, p. 7, del 18/5/2004 (AC 4962), in Resoconto della seduta del 18/5/2004, p. 5, in raccomandazione sul profilo dei limiti di contenuto del decreto-legge. 56 V. il parere del 4/2/2004 (AC 4644), in Resoconto della seduta del 4/2/2004, p. 5.
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decreto-legge, il Comitato invita il legislatore a valutare «la coerenza degli strumenti normativi utilizzati» e in special modo il ricorso al decreto-legge «in materie per le quali sono aperti i termini per l’esercizio della delega legislativa (nel caso di specie, integrativa e correttiva)», ovvero nel caso in cui siano all’esame del Parlamento progetti di legge sulla stessa materia57. E in un’altra raccomandazione, sempre in materia di efficacia per la semplificazione e il riordino normativo, sollecita ancora un uso coerente di ogni strumento normativo rispetto alle proprie caratteristiche, «anche al fine di contribuire ad un corretto ed equilibrato rapporto tra i diversi atti normativi», e per evitare «l’inflazione normativa e la incoerente sovrapposizione di norme di rango diverso»58. Al buon uso di ciascun atto normativo può ricollegarsi, poi, la necessità di esprimere un contenuto chiaro e facilmente conoscibile ai cittadini. In particolare, l’intervento con decreto-legge su materie già oggetto di disciplina apposita, senza ricorrere alla sua novellazione, può rendere il provvedimento di difficile lettura, in contrasto con l’esigenza, particolarmente forte in materia tributaria, che la legislazione individui in modo più chiaro possibile gli adempimenti e l’ambito applicativo delle norme59; così come il richiamo nel provvedimento di urgenza di precedenti atti normativi, che dispongano ulteriori proroghe della disciplina trattata, «[rende] difficilmente conoscibili per gli utenti le disposizioni finali»60. 57 V. il parere del 9/7/2003 (AC 4118), in Resoconto della seduta del 9/7/2003, p. 5, e il parere dell’1/4/2003 (AC 4833), in Resoconto della seduta dell’1/4/2003, p. 6, in raccomandazione sull’efficacia e il riordino normativo e sui limiti di contenuto del decretolegge. V. anche i pareri del 21/7/2004 (AC 5150), in Resoconto della seduta del 21/7/2004, p. 4, e 21/7/2004 (AC 5151), in Resoconto della seduta del 21/7/2004, p. 8, in raccomandazione sull’efficacia del testo per la semplificazione e il riordino normativo. 58 V. il parere del 29/4/2003 (AC 3909), in Resoconto della seduta del 29/4/2003, p. 5. 59 V. il parere del 25/7/2003 (AC 4199), in Resoconto della seduta del 25/7/2003 p. 4. Sempre in materia tributaria, l’art. 1 della legge n. 212/2000 richiede che le proprie disposizioni siano derogate o modificate solo in modo espresso e «mai da leggi speciali», esigenza che il Comitato richiama nel parere 15/7/2004 (AC 5137), in Resoconto della seduta del 15/7/2004, p. 5. 60 V. i pareri dell’11/2/2004 (AC 4653), in Resoconto della seduta dell’11/2/2004, p. 4, e del 3/3/2004 (AC 4738), in Resoconto della seduta del 3/3/2004, pp. 3-4. Nel parere del 14/7/2004 (AC 5122), in Resoconto della seduta del 14/7/2004, pp. 11 sgg., il Comitato sottolinea come il differimento di un termine, previsto in una disposizione che a sua volta conteneva una proroga, può rendere difficilmente conoscibili agli utenti le prescrizioni finali.
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Sul piano del drafting normativo e a garanzia della effettiva comprensione degli atti normativi, infine, si sofferma il Comitato lamentando la presenza nel testo del provvedimento d’urgenza di «termini o espressioni eccessivamente generiche, inappropriate», o di «neologismi» (come «farmaci orfani»), ovvero ancora di terminologie straniere di uso non comune (come ad es. ruling di standards o De tax), o di disposizioni scritte in forma discorsiva, che incidono negativamente sulla «qualità del testo»61; ovvero rileva la necessità di una redazione dello stesso distribuita in articoli che siano corredati da rubriche in grado di indicarne sinteticamente il contenuto, sempre allo scopo di rendere più facile la lettura del provvedimento per l’utente62.
3. Considerazioni conclusive Ancora una volta il tema della decretazione d’urgenza fornisce all’osservatore indicazioni interessanti che, dall’ambito delle relazioni tra fonti normative, si proiettano sul rapporto tra Esecutivo e Legislativo e, più ampiamente, sul funzionamento della forma di governo. Pur nella molteplicità delle sfaccettature, compiutamente e autorevolmente descritte dai diversi saggi di questo volume, il ricorso al decreto-legge sembra aver mantenuto nel tempo una caratteristica costante, e cioè la sua difficoltà a restare all’interno del modello riconducibile alla Costituzione, una sorta di «genetica insofferenza» rispetto ai confini delineati dall’art. 77 Cost. Ciò può trovare una spiegazione, come più volte ricordato, nella inevitabile dimensione politica del provvedimento d’urgenza, fondato sulle scelte compiute dall’Esecutivo e confermate dalla maggioranza che lo sostiene su un terreno che necessariamente è (e non potrebbe non essere) politico. Un terreno per il quale, pertanto, è difficile tracciare confini e coordinate in via preventiva e astratta. Ed è significativo, in tal senso, che lo stesso scenario si sia ripetuto, con poche eccezioni, in presenza di maggioranze di 61
V. il parere del 5/11/2003 (AC 4447), in Resoconto della seduta del 5/11/2003,
p. 5. 62
p. 4.
V. il parere del 27/3/2003 (AC 3744), in Resoconto della seduta del 27/3/2003,
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governo fondate su più o meno fragili coalizioni post-elettorali, così come in presenza di «poli» formati in sede pre-elettorale, potenzialmente più stabili. In questo quadro, come già ricordato, ci si può chiedere in che modo oggi la decretazione d’urgenza sia riconducibile alle previsioni costituzionali e quale sia il possibile percorso da seguire. Non appare, infatti, utile intervenire sul decreto-legge dall’esterno, cioè nella fase del controllo di costituzionalità, quando il suo contenuto è già definitivamente fissato e si tratta di rilevarne il patologico rapporto con la Costituzione, come, del resto, sembra avere insegnato l’esperienza della sentenza n. 360/1996. Diversamente, può essere più proficuo agire dall’interno, riportando l’attenzione per il rispetto dei caratteri costituzionali nella fase della definizione dell’atto, cioè nel momento del particolare confronto tra Governo e Parlamento63 che si disegna nel procedimento di conversione; consapevoli, tuttavia, del peculiare peso che le motivazioni politiche rivestono nel campo dei provvedimenti d’urgenza. A questo scopo, come già evidenziato, sembra orientarsi il nuovo art. 96 bis r.C. e, in particolare, la competenza tecnica del Comitato per la legislazione nel procedimento di conversione del decreto-legge. Ed infatti, ragionevolmente, l’accertamento dei presupposti di necessità ed urgenza, che sono fondati su valutazioni politiche, sfugge alla conoscenza del Comitato, proprio perché rimane affidato al momento politico del confronto tra Parlamento e Governo, tra maggioranza e opposizione. Non così altri profili della decretazione d’urgenza, che non ricadono nelle logiche «di parte» e possono essere oggetto dell’esame del Comitato, come organo tecnico ed oggettivo64. E posso63 Si potrebbe qui richiamare la categoria dei procedimenti duali, nei quali l’atto finale di decisione, cioè nel caso del decreto-legge la conversione in legge, è il risultato del concorso di due diversi «centri di autonomia normativa»: il Parlamento che converte, e il Governo che produce «il nucleo normativo originario», su cui «le Camere intervengono», v. A. Manzella, Il Parlamento, Bologna, 1977, pp. 254 sgg., spec. p. 255. 64 Sul punto v. G. Verde, Aspetti e tendenze della funzione legislativa nell’epoca della semplificazione normativa, in E. Catelani, E. Rossi (a cura di), L’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) e l’analisi tecnico-normativa (ATN) nell’attività normativa del Governo, Atti del Seminario di studi di Pisa, 10/6/2002, Milano 2003, pp. 217 sgg., spec. pp. 252 sgg., nota 91. In questo senso, sottrarre i presupposti di necessità ed urgenza all’esame diretto del Comitato e ribadire, invece, la competenza per il loro controllo delle commissioni vale a fugare ogni dubbio circa la natura tecnica ed oggettiva dell’organo. Questa non viene compromessa da un’analisi solo indiretta sui
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no esserlo perché il Comitato si esprime con una voce imparziale e paritaria, una voce che non si identifica con la maggioranza, né con l’opposizione, così come a nessuna di esse appartengono in via esclusiva gli obiettivi di razionalità e di coerenza dell’ordinamento giuridico nel suo complesso. E questi obiettivi il Comitato, in sostanza, difende e persegue ogni volta che richiama l’attenzione delle commissioni di merito sul rispetto dei limiti di contenuto del decreto-legge, sui requisiti di specificità e omogeneità dello stesso, sull’opportunità e proprietà del suo utilizzo65, agendo, appunto, dall’interno del procedimento di conversione, per definire il contenuto del decreto-legge nel rispetto delle prescrizioni costituzionali sin dalla fase della sua formazione. In questo senso, l’intervento del Comitato per la legislazione può, dunque, essere uno dei percorsi attraverso i quali riportare la decretazione d’urgenza nei limiti del modello tracciato dai nostri costituenti, che vollero sottrarre la decretazione d’urgenza agli incerti confini della necessità del provvedere, per situarla, invece, nel quadro dei principi fondamentali che reggono il nostro ordinamento costituzionale.
primi, attraverso i profili del corretto uso del decreto-legge o, più estesamente, dal rispetto del corretto metodo della legislazione. Su questo aspetto, A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 118, evidenzia anche come la riforma del regolamento della Camera metta l’accento di più rispetto al passato sull’attività di informazione che il Governo deve svolgere verso il Parlamento, in sede di presentazione del disegno di legge di conversione, dando conto dei presupposti di necessità ed urgenza non solo nella premessa del decreto-legge e nella relazione che accompagna il disegno di legge di conversione, ma anche nella redazione dell’Analisi tecnico-normativa e dell’Analisi di impatto della regolazione (ibid., p. 136). 65 Sul punto ci si permette di rinviare alle note conclusive del volume L. Lorello, Funzione legislativa e Comitato per la legislazione, cit., pp. 324 sgg.
Nicola Lupo Decreto-legge e manutenzione legislativa: i decreti-legge «milleproroghe»
SOMMARIO: 1. Premessa: un caso (o, meglio, una serie di casi) da cui emergono i nodi non sciolti sulla decretazione d’urgenza. Un (apparente) elemento di continuità tra il pre- e il post- sentenza n. 360/1996: ovvero, quando l’esperienza non insegna… – 2. I presupposti di straordinaria necessità ed urgenza nei decreti-legge di proroga termini – 3. I requisiti della specificità e dell’omogeneità nei decreti-legge «milleproroghe» – 4. L’arricchimento del contenuto dei decreti-legge «milleproroghe» in sede di conversione: il diverso orientamento delle due Camere sull’ammissibilità degli emendamenti – 5. Le norme di proroga e differimento termini tra delega, delegificazione, rilegificazione, e modifica con (decreto-)legge di norme regolamentari – 6. Una «Repubblica fondata sulle proroghe»? Alle radici delle norme di proroga, tra difetti di istruttoria legislativa, pressione degli interessi e mutamenti nel rapporto tra diritto e tempo
1. Premessa: un caso (o, meglio, una serie di casi) da cui emergono i nodi non sciolti sulla decretazione d’urgenza. Un (apparente) elemento di continuità tra il pre- e il post- sentenza n. 360/1996: ovvero, quando l’esperienza non insegna… È ormai considerazione pressoché pacifica che l’analisi e l’inquadramento dell’istituto del decreto-legge non possano prescindere da una conoscenza della realtà effettuale, cioè dei caratteri della prassi attuativa dell’art. 77 Cost. e di come questi caratteri si siano riflessi sugli equilibri della forma di governo. L’acquisizione, già affermatasi grazie agli studi condotti negli anni ’70 sotto la guida di Alberto Predieri1, può desumersi, esemplificativamente – 1
Cfr. F. Cazzola, A. Predieri, G. Priulla (a cura di), Il decreto legge fra governo e parlamento, Milano 1975, spec. pp. IX sgg., e F. Cazzola, M. Morisi (a cura di), L’alluvione dei decreti. Il processo legislativo tra settima e ottava Legislatura, Milano 1981, spec. pp. 23 sgg.
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oltre che, com’è ovvio, dagli scritti politologici sull’argomento, che necessariamente prescindono da ogni valutazione di tipo prescrittivo2 – dalla circostanza che le due più recenti monografie che hanno affrontato frontalmente la tematica nell’ottica del diritto costituzionale sono corredate, nelle note o in calce al volume, di tabelle e dati statistici volti a dare, appunto, un’idea del rilievo quantitativo dell’istituto3. Non avrebbe perciò senso, oggi, dopo oltre cinquantacinque anni di esperienza repubblicana, riproporre interpretazioni del testo costituzionale che ignorassero i caratteri che l’istituto è andato assumendo, nelle sue varie stagioni, e che mirassero ad una lettura per così dire «vergine», scevra cioè da ogni condizionamento derivante dalla prassi istituzionale e normativa, della disposizione di cui all’art. 77 Cost.4; o che ritenessero di riproporre in via interpretativa – e senza i necessari «controbilanciamenti» relativamente ai rapporti Governo-Parlamento e maggioranza-opposizione, nonché riguardo ai controlli sull’effettiva sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza – la tesi dell’inemendabilità dei decreti-legge5, pur autorevolmente prospettata da una dottrina minoritaria in fasi nelle 2
Tra gli altri, cfr. C. De Micheli, L’attività legislativa dei governi al tramonto della Prima Repubblica, «Rivista italiana di scienza politica», 1, 1994, pp. 151 sgg. e S. Vassallo, Le leggi del governo. Come gli esecutivi della transizione hanno superato i veti incrociati, in G. Capano, M. Giuliani (a cura di), Parlamento e processo legislativo in Italia. Continuità e mutamento, Bologna 2001, pp. 85 sgg. 3 Il riferimento è a A. Celotto, L’«abuso»del decreto-legge. I. Profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica, Padova 1997, spec. pp. 177, 216, 275 sgg., 279 e 493, e A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge. La decretazione d’urgenza dopo la sentenza n. 360/1996 della Corte Costituzionale, Milano 2003, pp. 495-514. 4 Sembra questo il limite della pur acuta ed accurata analisi svolta da M. Esposito, Decreto-legge, indirizzo politico e rapporto di fiducia, in V. Cocozza, S. Staiano (a cura di), I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto. La prospettiva della giurisprudenza costituzionale, Atti del convegno svoltosi a Napoli nei giorni 12 e 13 maggio 2000, Torino 2001, pp. 167 sgg., il quale propone una lettura dell’art. 77 Cost. volta a riconnettere all’adozione del decreto-legge la sospensione del rapporto di fiducia e di affermare la natura fiduciaria della votazione sulla legge di conversione. Proprio le vicende che saranno oggetto della presente analisi mostrano infatti che la prassi sembra collocarsi, e non certo da ora, esattamente nel senso opposto, quello cioè di un ricorso alla decretazione d’urgenza come strumento «ordinario» di normazione. 5 A favore dell’introduzione dell’inemendabilità dei decreti-legge, a quanto sembra di capire senza necessità di rivedere l’art. 77 Cost., ha preso posizione, ad esempio, l’attuale ministro della funzione pubblica, cfr. Servono decreti «prendere o lasciare», «Il Messaggero», 21 marzo 2004, p. 10.
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quali la prassi della decretazione d’urgenza era molto diversa da quella attuale6. In questa chiave, al fine cioè di corredare l’analisi costituzionalistica dell’istituto con qualche ulteriore elemento proveniente dalla prassi – e pur nella consapevolezza che tale analisi non deve appiattirsi nella constatazione di mere regolarità, dovendo invece andare alla ricerca delle regole e porsi il problema del loro effettivo rispetto7 – può forse essere utile esaminare più da vicino una particolare tipologia di decreti-legge, che viene in genere ricondotta sotto l’etichetta giornalistica di decreti-legge «milleproroghe»: i decreti-legge ricompresi in tale categoria si caratterizzano per il contenere una serie di disposizioni relative ad una molteplicità di settori materiali, accomunate dal solo fatto di consistere in proroghe (cioè, a termine ancora aperto) e/o in differimenti (a termine già scaduto) di termini8, all’evidenza già fissati da altre norme precedentemente entrate in vigore9, talvolta unitamente a 6 In risposta a tali opinioni dottrinali (risalenti, tra gli altri, a C. Esposito e a G. Balladore Pallieri) e proprio alla luce della prassi, si è autorevolmente osservato, già venticinque anni or sono, che «solo una modifica costituzionale potrebbe vietare l’emendabilità dei decreti-legge»: cfr. L. Paladin, Commento all’art. 77, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma 1979, pp. 42 sgg., spec. p. 76. 7 Si utilizza qui la terminologia cui fanno ricorso, tra gli altri, sin dal titolo dei loro lavori, M. Dogliani, Indirizzo politico. Riflessioni su regole e regolarità nel diritto costituzionale, Napoli 1985, spec. pp. 24 sgg.; e A. Ruggeri, Le crisi di governo tra «regole» costituzionali e «regolarità» della politica, «Politica del diritto», 1, 2000, pp. 27 sgg. 8 Per la distinzione tra proroga e differimento di termini cfr. il punto 4, lettera o) delle circolari recanti regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, del 20-21 aprile 2001. La circolare del presidente del Consiglio, identica a quelle dei Presidenti delle Camere, è pubblicata in G.U., s. g., n. 97 del 27 aprile 2001, pp. 56 sgg. 9 È il caso di precisare che, accanto ai decreti-legge «milleproroghe», continuano ad essere emanati decreti-legge contenenti una sola norma di proroga, talvolta accompagnata da altre disposizioni normative: su alcuni di essi si avrà anche modo di soffermarsi occasionalmente nel corso dell’analisi. Per un elenco di decreti-legge degli anni dal 1996 al 2001 che nel titolo usano l’espressione «proroga» o «differimento» si veda A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 381, nonché, per quelli del 2002, p. 458. Per dati statistici, cfr. Osservatorio sulla legislazione, Rapporto 2002 sullo stato della legislazione, Camera dei deputati, Roma 2004, pp. 116 sgg., ove se ne contano ben 38 tra il 30 maggio 2001 e il 31 dicembre 2002. Si può osservare, infine, che alcuni decreti-legge di proroga si susseguono con regolarità: ad esempio, si vedano i decreti-legge che, nel corso dei primi tre mesi di ciascun anno, prorogano il termine per la deliberazione del bilancio di previsione degli enti locali, fissato al 31 dicembre dall’art. 151 del testo unico sull’ordinamento degli enti locali (e accompagnato da una clausola di flessibilità che ne consente la proroga con decreto ministeriale, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali): cfr. i decreti-legge nn. 50/2003 e 80/2004 e, sempre relativamente alla medesima questione, il decreto-legge n. 13/2002.
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qualche disposizione di altro genere ad esse (più o meno strettamente) collegabile. L’idea di fondo è che l’analisi dei contenuti di questi decreti-legge e del percorso parlamentare che è stato seguito dai rispettivi disegni di legge di conversione consente di far emergere alcuni dei principali problemi che oggi sembrano porsi con riferimento al rispetto di previsioni costituzionali che – come si vedrà meglio nel prosieguo del lavoro – tendono ad essere interpretate talvolta in modo anche radicalmente diverso dagli organi costituzionali coinvolti. Nelle conclusioni del lavoro, si allargherà ulteriormente il campo di analisi allo scopo di inserire tali decreti-legge nell’ambito degli interventi che si tende in genere a qualificare come di «manutenzione legislativa» e per cercare di cogliere alcune delle cause che rendono oggi così frequenti interventi legislativi riconducibili a questa categoria. Il fenomeno dei decreti-legge «milleproroghe» non è tipico della XIV Legislatura, benché proprio in questi ultimi anni abbia conosciuto un nuovo e sensibile incremento, essendosi fatto ricorso ad essi, specie in prossimità delle date che più frequentemente sono individuate come termine ad quem, ossia il 31 dicembre e il 30 giugno di ogni anno. Possono infatti pacificamente ricondursi a questa categoria i seguenti decreti-legge10: – decreto-legge n. 411/2001, recante «Proroghe e differimenti di termini», convertito in legge, con modificazioni, n. 463/2001: il testo originario del decreto-legge era composto da 9 articoli; nella legge di conversione essi sono diventati 20; – decreto-legge n. 236/2002, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi in scadenza», convertito in legge, con modificazioni, n. 284/2002: il testo originario del decreto-legge era composto da 14 articoli; nella legge di conversione, approvata dopo tre letture (Senato-Camera-Senato), essi 10 Per un caso in qualche modo «di confine» cfr. il decreto-legge n. 8/2002, recante «Proroga di disposizioni relative ai medici a tempo definito, farmaci, formazione sanitaria, ordinamenti didattici universitari e organi amministrativi della Croce rossa», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56/2002: esso contiene infatti più norme di proroga, riconducibili però ad un numero piuttosto limitato di settori (di competenza di due Ministeri: della salute e dell’università e della ricerca scientifica), e una disposizione che non risulta avere natura di proroga (relativa alla Commissione nazionale per la formazione continua).
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sono diventati 28 (nonostante la soppressione di un articolo del decreto-legge); – decreto-legge n. 147/2003, recante «Proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali», convertito in legge, con modificazioni, n. 200/2003: il testo originario del decreto-legge era composto da 18 articoli; nella legge di conversione, approvata dopo tre letture (Camera-Senato-Camera), essi sono diventati 29, a cui vanno aggiunte 4 ulteriori norme di proroga inserite, in altrettanti commi aggiuntivi, nell’art. 1 della legge di conversione; – decreto-legge n. 355/2003, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 47/2004: il testo originario del decretolegge era composto da 24 articoli; nella legge di conversione, approvata anch’essa dopo tre letture (Senato-Camera-Senato), essi sono diventati 42. La semplice elencazione dei quattro casi appena richiamati è già piuttosto impressionante, specie se si considera il progressivo e assai sensibile incremento sia degli articoli originariamente presenti nel decreto-legge, sia di quelli aggiunti nel corso dell’iter parlamentare. Eppure si tratta di un fenomeno, come si accennava, non certo inedito. Nell’esperienza della decretazione d’urgenza anteriore allo «spartiacque» costituito dalla sentenza n. 360/1996 della Corte costituzionale non sono mancati decreti-legge con caratteristiche tali da farli ricomprendere nella categoria dei decreti-legge «milleproroghe»: anzi, è proprio con riferimento ad essi che ha iniziato ad affacciarsi, nelle letture giornalistiche ma non solo, la terminologia che qui si utilizza. Particolarmente significativa, e già a suo tempo oggetto di attente analisi in dottrina11, è infatti la vicenda del decreto-legge n. 1/1992, recante «Differimento di termini previsti da disposizioni legislative e interventi finanziari vari», decaduto e reiterato una ventina di volte – ma con un’interruzione, nel corso della quale era stata formalizzata una corrispondente inizia11 Cfr. D. Cabras, Un caso estremo di reiterazione prolungata: il decreto-legge in materia di differimento termini, «Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari», 1-3, 1995, pp. 133 sgg., L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996, pp. 247 sgg. e A. Celotto, L’«abuso»del decreto-legge I. Profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica, cit., p. 447.
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tiva legislativa ordinaria da parte del Governo – fino al decretolegge n. 55/1995, recante «Disposizioni urgenti in materia di differimento di termini previsti da disposizioni legislative»12. Decaduto anche questo decreto-legge, che era giunto a consistere di 79 articoli (i due precedenti ne avevano 81), furono emanati cinque decreti-legge13, che riproducevano le proroghe in esso contenute suddividendole per «blocchi di materie» maggiormente omogenei. Anche tali decreti-legge furono oggetto di reiterazione e, infine e progressivamente, di conversione in legge (salvo il decreto-legge n. 443/1996, recante «Differimento di termini previsti da disposizioni legislative in materia di opere pubbliche e politiche ambientali e territoriali, nonché disposizioni urgenti per il recupero edilizio nei centri urbani», che fu respinto dalla Camera)14. È vero che il divieto di reiterazione che la Corte costituzionale ha desunto dall’art. 77 Cost. – e che sostanzialmente il Governo ha fin qui rispettato, seppure con qualche limitata eccezione15 – 12 In qualche caso, peraltro, la Commissione affari costituzionali della Camera si espresse negativamente sulla sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza, venendo però (in 3 casi su 4) smentita dalla votazione in Assemblea. 13 Si trattava dei decreti-legge nn. 140, 141, 142, 143 e 144, tutti emanati il 29 aprile 1995 e relativi alle seguenti (macro-)materie: opere pubbliche e politiche ambientali e territoriali; ordinamenti finanziari e contabili; rapporti internazionali; interventi in campo economico e sociale; interventi concernenti la pubblica amministrazione. 14 Cfr. A.C., XIII Legislatura, res. sten., 9 ottobre 1996, sed. pom., p. 4051 (il decreto fu respinto nella sua votazione finale, per quattro voti di scarto). 15 Cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 265, il quale rileva che, a seguito della sentenza n. 360/1996, se si eccettua il periodo immediatamente successivo alla pronuncia, «non si ha più reiterazione dei decreti-legge, quantomeno nella forma presa in considerazione dalla Corte costituzionale, con la sola eccezione della successione tra il decreto-legge n. 485/1999 ed il decreto-legge n. 46/2000, entrambi in materia di costo delle prestazioni sanitarie. Il caso è stato “scoperto” dal Comitato per la legislazione ed anche il secondo decreto-legge è decaduto». Nella XIV Legislatura, sempre in materia sanitaria, può segnalarsi il recente caso del decreto-legge n. 81/2004, recante «Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica», che sostanzialmente riproduce, sia pure con alcune variazioni nel dettato normativo (ma non negli stanziamenti finanziari), quanto disposto dal decreto-legge n. 10/2004, recante «Interventi urgenti per fronteggiare emergenze sanitarie e per finanziare la ricerca nei settori della genetica molecolare e dell’alta innovazione», respinto dalla Camera a seguito dell’approvazione delle questioni pregiudiziali. In proposito, il Comitato per la legislazione, nell’esaminare il disegno di legge di conversione (ampiamente modificato dal Senato, sulla falsariga delle modifiche già apportate al precedente decreto-legge) ha evidenziato, nella premessa del suo parere, che il decreto-legge «anche a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, ripropone in gran parte il con-
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rende i casi di decreti-legge «milleproroghe» che si sono verificati nella presente Legislatura meno traumatici, in quanto gli operatori giuridici, al massimo entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della disposizione di proroga, sono in grado di sapere se le Camere l’hanno confermata o meno; ma la ripresa del fenomeno, che era rimasto silente nel corso della XIII Legislatura, sembra, per un verso, mostrare l’incapacità del nostro legislatore di apprendere dall’esperienza o, se si vuole, dai propri errori, e, per altro verso, attestare il carattere non contingente dell’esigenza che è alla base del ricorso ad essi. Ciò costituisce un indizio del sostanziale fallimento – almeno in parte qua – della linea di politica istituzionale delineatasi, non a caso, all’indomani della sentenza n. 360/1996, diretta a valorizzare il procedimento legislativo ordinario e ad incoraggiare i processi di delegificazione in favore di fonti secondarie, in nome dell’obiettivo di realizzare un miglioramento della qualità della legislazione e di garantire il superamento della fase di emergenza non solo istituzionale, ma anche normativa, che aveva caratterizzato le «legislature della transizione»16. tenuto del precedente decreto-legge 21 gennaio 2004, n. 10 – a sua volta modificato al Senato durante il procedimento di conversione – successivamente respinto dalla Camera con l’approvazione di questioni pregiudiziali di costituzionalità (6 articoli su 10 complessivi sono riprodotti in termini assolutamente identici, un articolo è ripetuto solo in parte; un altro articolo, infine, è riformulato ma di contenuto sostanzialmente coincidente)»; tuttavia, non ha formulato una condizione soppressiva, limitandosi ad esprimere «forti dubbi in ordine alla compatibilità di tali contenuti con i limiti fissati dall’articolo 15 della legge n. 400 del 1988» e a raccomandare che fosse «assicurata l’esigenza di assicurare il corretto impiego dello strumento normativo del decreto legge». Il decreto-legge è stato poi convertito, a seguito della posizione della questione di fiducia presso la Camera sull’articolo unico del disegno di legge di conversione, con le modifiche apportate dal Senato (cfr. A.C., XIV Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 12 maggio 2004, pp. 7 sgg.). In tema, cfr. anche N. Maccabiani, Le reiterazioni dei decretilegge successive alla sentenza 360/96 della Corte costituzionale, «Rassegna parlamentare», 2, 2001, pp. 423 sgg. 16 Per un’attenta ricostruzione di quel periodo cfr. G. Pitruzzella, Forme di governo e trasformazioni della politica, Roma-Bari 1996, spec. pp. 120 sgg. Nel senso che negli anni 1992 e 1993 si sarebbe avuto «un regime commissariale con Camere “moriture e mitissime”» e con una «distribuzione dei poteri» di tipo «contingente», cfr. S. Cassese, Un’opinione dissenziente, in AA.VV., I decreti-legge non convertiti. Atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta nel giorno 11 novembre 1994, Milano, 1996, pp. 97 sgg. Per un’enunciazione di quella linea di politica istituzionale cfr. U. Zampetti, Il procedimento legislativo, in Associazione italiana dei costituzionalisti, Annuario 2000. Il Parlamento, Atti del XV Convegno Annuale Firenze 12-13-14 ottobre 2000, Padova 2001, pp. 131 sgg.
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2. I presupposti di straordinaria necessità ed urgenza nei decreti-legge di proroga termini Un primo problema che si pone con riferimento ai decreti-legge «milleproroghe», e per la verità a tutti i decreti-legge contenenti proroghe o differimenti di termini, è rappresentato dalla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall’art. 77 Cost. Nella dottrina costituzionalistica vi è chi nega recisamente che ai decreti-legge di proroga o di differimento di termini possa riconoscersi in particolare il requisito della straordinarietà, in virtù del quale i casi che giustificano l’adozione di decreti-legge devono consistere in «casi che stanno fuori dagli accadimenti normali e sono, di conseguenza, imprevedibili»17; e tali non sarebbero, per definizione, le scadenze di termini già fissati da leggi vigenti, posto che «la scadenza del termine è talmente prevedibile da essere espressamente “prevista” dalla disposizione a cui il decreto-legge pone deroga»18. Vi è chi, in proposito, si mostra perplesso, osservando come occorra valutare a seconda del caso, potendosi dubitare che possa essere definita straordinaria l’evenienza in cui «la necessità della proroga venga avvertita con un certo anticipo rispetto alla sua 17 Così L. Carlassare, Conversazioni sulla Costituzione, Padova 1996, pp. 121 sgg. (corsivo nell’originale), la quale prosegue: «Dov’era la straordinarietà del caso, dov’era l’imprevedibilità, in tutti i decreti di proroga (del regime di blocco dei fitti, delle normative sulle borse di studio universitarie, etc.) che si sono susseguiti per decenni? La necessità sicuramente e l’urgenza erano presenti, non però in conseguenza di fatti straordinari sopravvenuti, ma per l’inerzia del legislatore che non aveva tempestivamente provveduto a dare una disciplina definitiva a situazioni regolate in modo provvisorio, benché conoscesse con largo anticipo la necessità di provvedere!». Discute approfonditamente il quesito se la lentezza dei lavori parlamentari può legittimare il ricorso a decreti-legge di proroga, anche alla luce di esempi, V. Di Ciolo, Questioni in tema di decreti-legge. I, Milano 1970, pp. 230 sgg., il quale risponde nel senso di negare che tale lentezza possa costituire, «di per sé, causa legittimatrice per la emanazione di un decreto-legge»; lo stesso Autore, peraltro, riconosce che «può accadere però che, durante i lavori parlamentari, la necessità di un intervento legislativo in una certa materia si faccia così urgente ed assoluta da non consentire di attendere l’approvazione del relativo d.d.l. da parte del Parlamento» e che, «ove un caso siffatto si produca, legittimamente il Governo potrà adottare un decreto-legge; ma, si badi bene, il presupposto giustificativo del decreto è (e deve essere) sempre e soltanto la straordinaria necessità ed urgenza di provvedere, e non già la lentezza dei lavori parlamentari». 18 In questi termini si esprime G. Marazzita, L’emergenza costituzionale. Definizioni e modelli, Milano 2003, spec. p. 338, per il quale è dunque «il requisito della imprevedibilità a mancare radicalmente».
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scadenza e non si provveda tuttavia con legge ordinaria»19. In altri termini, la violazione dei requisiti richiesti dall’art. 77 Cost. si verificherebbe solo «quando l’esigenza della proroga sia avvertibile con un congruo anticipo rispetto alla scadenza e malgrado ciò non si provveda con lo strumento della legge ordinaria»20. Ma vi è anche chi – peraltro nell’ambito di un’interpretazione volta a sostenere la sindacabilità dei presupposti dei decreti-legge ad opera della Corte costituzionale – ritiene che in capo ai decreti-legge di proroga vada in linea di massima riconosciuta la sussistenza di tali presupposti, stante il fatto che né l’osservazione per cui al legislatore era noto il termine di scadenza, né l’imputabilità alla stessa maggioranza governativa della lentezza dei lavori parlamentari vanno ad incidere, in linea di principio, «sull’obiettiva necessità di adottare urgentemente l’atto legislativo, poiché (ed in quanto) questa risulta confermata dalla improrogabilità dell’immediato effetto della disposizione di proroga»21. Nei preamboli dei decreti-legge «milleproroghe», nei quali occorre indicare, ai sensi dell’art. 15, comma 1 della legge n. 400/1988, le «circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione»22, il Governo tende a collocare 19 Così F. Sorrentino, La Corte costituzionale tra decreto-legge e legge di conversione. Spunti ricostruttivi, «Diritto e società», 3, 1974, pp. 506 sgg., spec. pp. 526 sgg., il quale osserva che «l’imputazione del ritardo nel provvedere, al governo, al Parlamento o in genere alle forze di maggioranza non appare un motivo sufficiente per ritenere violate le prescrizioni dell’art. 77: il quale prescinde del tutto dall’imputazione soggettiva della necessità e dell’urgenza e considera obiettivamente la situazione che riveste quelle qualità». Si richiama a tale autore A. Celotto, L’«abuso» del decretolegge I. Profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica, cit., pp. 446 sgg., giungendo peraltro a ritenere il c.d. decreto «milleproroghe» (quello originato dal già ricordato decreto-legge n. 1/1992) «emblematico della mancanza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza». 20 Cfr. S.M. Cicconetti, Le fonti del diritto italiano, Torino 2001, p. 304. Nel senso che nella maggioranza dei casi in cui si ricorre a decreti-legge di proroga «la urgente necessità non è mai “straordinaria”, ovverosia imprevedibile, dal momento che, essendo la funzione del Governo proprio quella di curare l’attuazione delle leggi, si suppone che esso sia costantemente informato dello “scadenziario normativo”», cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 382. 21 Così M. Raveraira, Il problema del sindacato di costituzionalità sui presupposti della «necessità ed urgenza» dei decreti-legge, «Giurisprudenza costituzionale», 6-8, 1982, pp. 1433 sgg., spec. pp. 1454 sgg. 22 Sul punto, cfr. L. Ventura, Motivazione degli atti costituzionali e valore democratico, Torino 1995, pp. 195 sgg.; C. Salazar, La motivazione nella più recente pro-
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affermazioni estremamente generiche circa «pressanti esigenze sociali ed organizzative»23 che spingerebbero in favore dell’adozione delle proroghe, oppure circa la finalità di assicurare «una più concreta attuazione»24 degli adempimenti con riferimento ai quali sono previsti i termini oggetto di proroga. Dalle relazioni che corredano i disegni di legge di conversione si può cogliere qualche ulteriore e più specifico elemento relativo alla «motivazione» della necessità e dell’urgenza dei decreti-legge, in conformità del resto a quel che riconosce la giurisprudenza costituzionale e a quanto espressamente previsto dal regolamento della Camera25. Ad esempio, si fa riferimento alla circostanza che una delle norme di proroga è stata concordata con le associazioni di categoria; oppure al fatto che una disposizione di proroga va riconnessa all’esigenza di attendere una modifica della disciplina in via di definizione in sede parlamentare o in seno allo stesso Governo; o ancora, alla circostanza che il termine in questione è stato già oggetto di altri provvedimenti di proroga, evidentemente rivelatisi insufficienti. Allo scopo di supportare la necessità e l’urgenza delle proroghe, nelle relazioni governative si insiste inoltre, in genere, sugli effetti negativi che discenderebbero dalla mancata proroga del termine, sottolineandosi perciò che la proroga è attesa dagli operatori del settore, che serve a garantire il rispetto dell’intento alla base della disposizione originaria o che è necessaria per superare i problemi interpretativi e applicativi da essa derivanti. Pressoché inesistente è, in proposito, il controllo parlamentare sui presupposti di necessità ed urgenza dei decreti-legge in questione: trova infatti conferma la tendenza della Commissione affari costituzionali e dell’Assemblea – già preconizzata da una parte della dottrina sin dall’inizio degli anni ’80, quando si introdusse il duzione legislativa: niente di nuovo sotto il sole?, «Rassegna parlamentare», 2, 1996, pp. 417 sgg., spec. pp. 430 sgg.; F. Modugno, Analisi delle disposizioni della legge 400/88 relative alla potestà normativa del governo. Considerazioni critiche, in AA.VV., Scritti in onore di G. Guarino, vol. III, Padova 1998, pp. 53 sgg., spec. p. 65. 23 Così, ad esempio, il preambolo del decreto-legge n. 355/2003. 24 In questi termini è il preambolo del decreto-legge n. 147/2003. 25 Per la giurisprudenza costituzionale, cfr. Corte cost. n. 330/1996, «Giurisprudenza costituzionale», 1996, pp. 2647 sgg., laddove fa riferimento alla «specifica motivazione» di un decreto-legge, «resa esplicita nella relazione governativa che accompagna il disegno di legge di conversione». Sull’art. 96 bis, comma 2 del regolamento della Camera ci si sofferma infra, nel corso del paragrafo.
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sub-procedimento di verifica dei presupposti26 – a sovrapporre alla valutazione oggettiva sulla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza quella, prettamente politica, sull’opportunità del provvedimento. Ed è noto che è stato proprio l’esito insoddisfacente di tale procedura27 a consigliare alla Camera, nel 1997, la sua soppressione e, in sua vece, il coinvolgimento nel procedimento di conversione dei decreti-legge di un organo a composizione paritaria quale il Comitato per la legislazione, chiamato ad operare, però, sulla base di parametri differenti, nei quali non è incluso l’art. 77 Cost. In effetti, al Senato la Commissione affari costituzionali, nell’esprimere, attraverso un parere che in questi casi è reso a se stessa28, la propria valutazione sui presupposti di costituzionalità dei decreti-legge e sul rispetto dei requisiti stabiliti dalla legislazione vigente, sui decreti-legge «milleproroghe» non si è soffermata neppure, almeno a stare ai resoconti, sulle singole disposizioni, benché il regolamento consenta che il sub-procedimento di verifica dei presupposti si concluda con una deliberazione negativa «selettiva», riferita solo ad alcune parti del decreto-legge29. Inoltre, sui decreti-legge in esame non risulta mai essere stata attivata, ad opera di un decimo dei componenti del Senato, la procedura, pre26 Si vedano, in particolare, V. Lippolis, Il procedimento di esame dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge, «Quaderni costituzionali», 1, 1982, pp. 227 sgg., e G. Bertolini, Conversione dei decreti legge e controllo parlamentare al Senato, ibid., pp. 449 sgg. Tra gli autori che cercarono di valorizzare questa procedura, cfr. invece A. Casu, La decretazione d’urgenza nella VIII Legislatura, «Politica del diritto», 4, 1980, pp. 710 sgg. e A. D’Andrea, Le nuove procedure regolamentari per l’esame dei decreti legge in Parlamento: un primo bilancio, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1, 1983, pp. 90 sgg. 27 Sull’esito largamente insoddisfacente di questa procedura cfr., anche per ulteriori indicazioni, G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto legge, cit., pp. 245 sgg., G. Rizzoni, La verifica parlamentare dei presupposti per l’emanazione dei decreti-legge: appunti per un bilancio, «Bollettino di informazione costituzionale e parlamentare», 1-3, 1993, pp. 107 sgg., e, volendo, il nostro, Il «fattore tempo» nella conversione dei decreti-legge, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, «Quaderno n. 3», Milano 1993, pp. 321 sgg., spec. pp. 332 sgg. 28 Come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo, i decreti-legge «milleproroghe», nell’impossibilità di individuare una materia prevalente, tendono ad essere infatti assegnati, in sede referente, alle Commissioni affari costituzionali. 29 Così A. Manzella, Il parlamento, Bologna 20033, p. 361. Cfr. anche V. Lippolis, Il procedimento legislativo, in T. Martines, C. De Caro, V. Lippolis, R. Moretti (a cura di), Diritto parlamentare, Rimini 1992, pp. 317 sgg., spec. p. 399.
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vista dall’art. 78, comma 3 del regolamento, che consente alle minoranze il coinvolgimento dell’Assemblea nella valutazione dei presupposti di costituzionalità, e che dovrebbe valere almeno a dare maggiore pubblicità ed evidenza all’illegittimità in ipotesi compiuta dal Governo. Le opposizioni sembrano invece preferire la tecnica dell’emendamento, chiedendo cioè, in cambio di un atteggiamento meno rigido nell’esame del disegno di legge di conversione, l’accoglimento di talune proposte emendative30. Eppure, un tentativo di valorizzare la funzione di controllo parlamentare sulla sussistenza dei requisiti emerge piuttosto chiaramente nel regolamento della Camera, che nel 1997 ha scelto la strada di rimettere la valutazione dei presupposti di costituzionalità alla stessa commissione di merito, riservando invece al Comitato per la legislazione il giudizio sul rispetto dei limiti di contenuto stabiliti dalla legislazione vigente31. A questo scopo, l’art. 96 bis, comma 2 del regolamento richiede che nella relazione del Governo, che accompagna il disegno di legge di conversione, sia «dato conto dei presupposti di necessità e urgenza per l’adozione del decreto-legge» e vengano «descritti gli effetti attesi dalla sua attuazione e le conseguenze delle norme da esso recate sull’ordinamento». Questi elementi, che configurano «un importante riconoscimento positivo nel nostro ordinamento di una verifica di fattibilità degli atti normativi»32 e che dovrebbero altresì agevolare il loro eventuale controllo da parte della Corte costituzionale33, possono poi essere integrati su richiesta parlamentare, essendosi previsto che la commissione che esamina il disegno di legge di conversione in sede referente possa «chiedere al Governo di integra-
re gli elementi forniti nella relazione, anche con riferimento a singole disposizioni del decreto-legge». Tuttavia tale previsione, come le altre dedicate a potenziare l’istruttoria legislativa in commissione, ha ricevuto applicazioni piuttosto limitate e non molto significative, con riferimento ai decreti-legge «milleproroghe» ma non solo. E ciò è tanto più da rimarcare dal momento che, in via di prassi, il combinato disposto di tale articolo con l’art. 79 del regolamento della Camera – che appunto contiene la disciplina generale dell’istruttoria legislativa – è stato interpretato come idoneo a consentire anche alle minoranze parlamentari l’attivazione di un potere siffatto34. Semmai, le opposizioni hanno preferito fare ricorso al «tradizionale» strumento della questione pregiudiziale, che, ove riferita ai disegni di legge di conversione, è specificamente disciplinata dall’art. 96 bis, comma 3 del regolamento, che prevede una procedura accelerata e semplificata: esso consente alle opposizioni (basta un presidente di gruppo o venti deputati) di portare i problemi, di costituzionalità e di merito, all’attenzione dell’Assemblea, benché con scarse possibilità di successo35. L’unico modo di assicurare il rispetto del dettato costituzionale sembra perciò, almeno allo stato delle cose, derivare dalla giurisprudenza costituzionale, che, come è noto, si è riservata, in un obiter dictum giustamente celebre contenuto nella sentenza n. 29/1995, una valutazione sulla «evidente mancanza» dei presupposti, che viene a configurare «tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge […] quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione»36.
30 Per un esempio, cfr. l’intervento del sen. Turroni, nel corso della seduta dedicata all’espressione del parere sui presupposti del decreto-legge n. 355/2003 (A.S., XIV Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 14 gennaio 2004, 352a seduta), nel quale prospetta l’inserimento di una norma di proroga di delega all’interno del disegno di legge di conversione in esame. 31 Sul punto, cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 150 sgg., ad avviso del quale, peraltro, «lo specifico istituto parlamentare della “verifica dei presupposti costituzionali della decretazione d’urgenza” imputato alla Commissione affari costituzionali, quindi, non si è “trasferito” alle commissioni di merito, come in qualche caso erroneamente si afferma, ma è, più semplicemente scomparso». 32 Cfr. A. Celotto, A. Mencarelli, Prime considerazioni sul nuovo art. 96 bis del regolamento della Camera, «Rassegna parlamentare», 3, 1998, pp. 651 sgg., spec. pp. 676 sgg. 33 Come osserva A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 130.
34 Cfr. A.C., XIII Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 6 aprile 2000, pp. 9 sgg., su cui sia consentito il rinvio al nostro La verifica parlamentare della relazione tecnicofinanziaria come modello per l’istruttoria legislativa, «Rassegna parlamentare», 2, 2001, pp. 347 sgg., spec. pp. 390 e 410. 35 È peraltro da segnalare il recente (e già accennato) caso del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 10/2004, nel quale l’approvazione, a sorpresa, delle questioni pregiudiziali ha comportato la reiezione del decreto-legge. Con riferimento a questa eventualità, si discuteva in dottrina se il suo effetto consistesse nella reiezione del decreto-legge: in senso affermativo, cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 132 sgg. e A. Manzella, Il parlamento, cit., p. 269; in senso negativo, cfr. A. Celotto, A. Mencarelli, Prime considerazioni sul nuovo art. 96 bis del regolamento della Camera, cit., pp. 658 sgg. 36 Le espressioni virgolettate sono tratte dalla sentenza n. 29/1995, «Giurisprudenza costituzionale», 1995, pp. 278 sgg., su cui cfr., tra gli altri, G. Pitruzzella, La
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D’altronde, non ci si può neanche nascondere l’estrema delicatezza di una valutazione sulla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza dei decreti-legge, specialmente di quelli contenenti proroghe di termini. Tuttavia, sulla scorta di opinioni già avanzate in dottrina37, sembrano individuabili alcune ipotesi di norme di proroga in cui l’assenza dei presupposti di costituzionalità risulti particolarmente evidente o macroscopica: si pensi, tra le altre, a decreti-legge di proroga che si ripetano con periodicità regolare o che proroghino ripetutamente il medesimo termine; o a decreti-legge di proroga che intervengono in materia già oggetto di delega legislativa (in conformità ai principi e criteri direttivi di questa); o ancora a decreti-legge che proroghino termini previsti da norme secondarie; o, infine, a decreti-legge che proroghino termini ancora piuttosto lontani dalla loro scadenza. Su alcune di queste ipotesi, tutt’altro che meramente teoriche, ci si soffermerà nel prosieguo del lavoro.
straordinaria necessità ed urgenza: una «svolta» nella giurisprudenza costituzionale o un modo per fronteggiare situazioni di «emergenza» costituzionale, «Le Regioni», 6, 1995, pp. 1100 sgg., V. Angiolini, Attività legislativa del Governo e giustizia costituzionale, «Rivista di diritto costituzionale», 1, 1996, pp. 207 sgg., spec. pp. 211 sgg., R. Romboli, Le vicende della decretazione d’urgenza negli anni 1995-1997 tra Corte costituzionale ed ipotesi di revisione dell’art. 77 della Costituzione, in A. Pace (a cura di), Studi in onore di Leopoldo Elia, Milano 1999, pp. 1479 sgg., spec. pp. 1485 sgg., e A. Concaro, Il sindacato di costituzionalità del decreto-legge, Milano 2000, pp. 41 sgg. Per due recenti casi di applicazione del sindacato prefigurato dalla sentenza n. 29/1995, cfr. la sentenza n. 341/2003 («Giurisprudenza costituzionale», 2003, pp. 3569 sgg.), nella quale la Corte nega che sia riscontrabile, con riferimento al decreto-legge n. 256/2001 («Interventi urgenti nel settore dei trasporti»), l’evidente mancanza dei presupposti di cui all’art. 77 Cost. anche alla luce dei lavori parlamentari della legge di conversione (legge n. 334/2001) e la sentenza n. 6/2004, in cui la Corte egualmente esclude tale evidente mancanza per il decreto-legge n. 7/2002 (recante «Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale» e convertito con modificazioni dalla legge n. 55/2002), rilevando che «a fondamento dell’intervento normativo del Governo si pone una situazione nella quale, in assenza di un effettivo e rapido rafforzamento delle strutture di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica, si possono produrre serie situazioni di difficoltà o addirittura interruzioni più o meno estese della fornitura di energia, con conseguenti gravi danni sociali ed economici». 37 Il riferimento è, in particolare, a V. Angiolini, Attività legislativa del Governo e giustizia costituzionale, cit., pp. 230 sgg., da cui sono tratte le due prime fattispecie delineate subito infra nel testo.
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3. I requisiti della specificità e dell’omogeneità nei decreti-legge «milleproroghe» Se, dunque, sulla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza in capo ai decreti-legge «milleproroghe» si può discutere e in effetti si è discusso, appare difficilmente negabile la violazione, ad opera di tali decreti-legge, del requisito posto dall’art. 15, comma 3 della legge n. 400/1988, laddove richiede che il contenuto dei decreti-legge sia «specifico, omogeneo e corrispondente al titolo». Anche in questo caso, peraltro, si pongono rilevanti questioni sia circa l’effettivo significato di tale previsione, sia circa la possibilità di assicurarne, in concreto, il rispetto. In dottrina, infatti, si propone una lettura riduttiva della disposizione legislativa suddetta, considerata idonea ad indicare, «piuttosto che un limite giuridico per il Governo, una regola di tecnica legislativa»38. Altra parte della dottrina cerca invece di valorizzare tale previsione, intesa come necessità di una omogeneità oggettiva, sostenendo che essa vieta il ricorso al decreto-legge «c.d. pluricomprensivo, destinato cioè a regolare oggetti disparati, che costituisce uno scorrettissimo mezzo per comprimere l’area della effettiva discrezionalità del Parlamento, nel deliberare la conversione in legge del provvedimento»39. Un altro e più diffuso orientamento, infine, opta per una lettura non in senso oggettivo ma in senso teleologico del vincolo dell’omogeneità, rilevando, in ana38 Così G. Pitruzzella, La legge di conversione, cit., pp. 182 sgg., il quale fonda questa affermazione sulla ipotizzata inesistenza di una nozione oggettiva di straordinaria ed urgente necessità. G. Zagrebelsky, Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino 1990, pp. 294 sgg., pur qualificando la norma in esame come «esplicitazione di un limite di carattere costituzionale», non la ritiene «di per sé decisiva per ostacolare gli abusi della prassi. Una volta convertito, l’eventuale vizio viene sanato. Al più essa potrà costituire un criterio di buon comportamento per il governo e le camere, una ragione per l’opposizione parlamentare all’opposizione, ovvero lo spunto per obiezioni del Presidente della Repubblica in sede di emanazione. Dunque, anche qui un consiglio, piuttosto che un dovere tassativo». Quanto al controllo parlamentare su tale requisito, Zagrebelsky, dopo aver ricordato la disciplina contenuta nei regolamenti delle Camere, osserva che, «dal punto di vista pratico, è facile prevedere che le camere continueranno a valutare requisiti di legittimità della decretazione d’urgenza alla stregua di quei criteri esclusivamente politici che necessariamente finiscono con sovrintendere all’esercizio delle loro funzioni». 39 In questi termini, S. Labriola, Il Governo della Repubblica. Commento alla legge 23 agosto 1988, n. 400, Rimini 19972, pp. 220 sgg.
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logia con il requisito che il giudice costituzionale richiede in capo al quesito del referendum abrogativo, che essa va valutata «nell’ottica della coerenza del mezzo (decreto-legge) con i fini perseguiti (far fronte a un caso straordinario di necessità ed urgenza), per cui saranno da ritenere illegittime le disposizioni che vanno al di là della ragione giustificativa del decreto»40. Non è questa la sede per soffermarsi sui rilevanti problemi sorti intorno al valore delle disposizioni che la legge n. 400/1988 dedica ai decreti-legge e sulle diverse soluzioni prospettate in dottrina e nella prassi, legate per un verso alla questione del «rango» delle prescrizioni della legge n. 400/198841 e per altro verso alla natura esecutiva o integrativa del dettato costituzionale degli obblighi e dei divieti ivi indicati42. 40 L’espressione virgolettata appartiene a A. Celotto, L’«abuso» del decreto-legge, cit., pp. 458 sgg., per il quale il controllo sull’omogeneità dovrebbe essere «volto a verificare solo la non difformità delle singole disposizioni dal fine del decreto e, quindi, ad esempio, la presenza di “norme intruse”». Cfr., più specificamente, F. Modugno, Referendum abrogativo e decreto-legge a confronto, oggi, «Rassegna Parlamentare», 1, 1998, pp. 67 sgg., spec. pp. 74 sgg., per il quale le disposizioni del decreto-legge debbono ricondursi ad una «matrice razionalmente unitaria». 41 In proposito, l’opinione prevalente è quella per cui le previsioni della legge n. 400/1988, in quanto contenute in una legge ordinaria, non sono in grado di dettare efficacemente limiti ad atti aventi essi stessi efficacia legislativa, quali sono i decreti legislativi e i decreti-legge: cfr., per tutti, G. Zagrebelsky, Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, cit., pp. 288 sgg., e L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, cit., pp. 254 sgg. Contra, cfr. soprattutto F. Modugno, voce Validità (dir. cost.), «Enciclopedia del diritto», vol. XLVI, Milano 1993, pp. 66 sgg. (ad avviso del quale «le norme sulla normazione (e sulla produzione) si pongono, ut sic, in quanto vertono su altre norme, in quanto sono costitutive dell’esistenza o della validità di esse, su un piano superiore a quello delle norme su cui vertono, del tutto indipendentemente dalla gerarchia formale delle fonti che producono le une e le altre»), e R. Guastini, Teoria e dogmatica, Milano 1998, pp. 523 sgg. (secondo il quale «la funzione esecutiva è, per definizione, un’attività subordinata alla legge: il potere esecutivo non può far nulla che non costituisca esecuzione della legge o che non sia comunque autorizzato dalla legge»; pertanto, «le norme della legge n. 400/1988 non fanno altro che regolare una specifica attività del Governo, e sono per esso vincolanti»). Sul tema cfr. inoltre, con ampi riferimenti alla prassi, U. De Siervo, Contributo al dibattito sulle norme sulla produzione normativa contenute in fonti primarie (a proposito del c.d. statuto dei diritti del contribuente), in U. De Siervo (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2001, Torino 2002, pp. 1 sgg. 42 Cfr., in proposito, A. Pace, I ridotti limiti della potestà normativa del Governo nella legge n. 400 del 1988, «Giurisprudenza costituzionale», 9, 1988, pp. 1483 sgg., spec. pp. 1489 sgg., il quale appunto distingue gli obblighi e i divieti contenuti nell’art. 15 della legge n. 400/1988 in «esecutivi» e in «integrativi» della Costituzione: in questa seconda categoria, sprovvista dunque di valore precettivo, rientrerebbero unicamente l’obbligo di assumere la denominazione di «decreto-legge» ed il divieto di prov-
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Si può solo ricordare, con riguardo all’aspetto qui considerato, che coloro i quali cercano di argomentare la natura esecutiva delle previsioni costituzionali, in ipotesi propria della prescrizione sull’omogeneità e sulla specificità di contenuto dei decreti-legge, fanno leva sulla denominazione di «provvedimenti» proposta dall’art. 77 Cost.: questa, infatti, farebbe supporre, nelle intenzioni del costituente, un loro contenuto più specifico e puntuale rispetto ai disegni di legge e comunque tale da non configurarli come un omnibus43. In proposito, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 391/199544, invece, espressamente qualifica tale limite come integrativo dell’art. 77 Cost., affermando che si tratta di una previsione «indubbiamente giustificata, ma sprovvista della forza costituzionale»; inoltre, la Corte, nella medesima sentenza, specifica che tale previsione risulta riferita al contenuto del solo decretolegge e non può essere estesa ad una norma introdotta, per la vedere nelle materie indicate nell’art. 72, comma 4, Cost. Sul punto si vedano anche – con soluzioni non sempre coincidenti – G. Zagrebelsky, Il sistema costituzionale, cit., pp. 294 sgg., F. Sorrentino, G. Caporali, voce Legge (atti con forza di), in «Digesto delle discipline pubblicistiche», vol. IX, Torino 19944, pp. 121 sgg., F. Crisafulli, Nota di aggiornamento, in V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale II. 1. Le fonti normative, Padova 19936, pp. 102 sgg., e R. Tarchi, Incompetenza legislativa del Governo, interposizione del Parlamento e sindacato della Corte costituzionale, «Giurisprudenza costituzionale», 5, 1988, pp. 941 sgg., pp. 955 sgg. 43 Cfr. F. Sorrentino, G. Caporali, voce Legge (atti con forza di), cit., pp. 120 sgg. Si noti però che l’argomentazione, almeno nell’ottica qui prescelta, sembra «provare troppo», in quanto finisce col porre in dubbio la stessa natura dei decreti-legge come vere e proprie fonti del diritto (coerentemente del resto con le premesse da cui muove la dottrina in questione: cfr. F. Sorrentino, La Corte costituzionale tra decreto-legge e legge di conversione, cit., pp. 507 sgg. e Id., Le fonti del diritto amministrativo, Padova 2004, pp. 152 sgg.; peraltro, in quest’ultimo lavoro si sostiene la tesi che il precetto contenuto nell’art. 15, comma 3 «non assurga a limite costituzionale»). 44 La sentenza n. 391/1995 è in «Giurisprudenza costituzionale», 1995, pp. 2824 sgg. Su di essa, cfr. G. Guzzetta, Questioni in tema di entrata in vigore, limiti e sindacabilità (per i vizi formali) della legge di conversione, ibid., pp. 4493 sgg. Il medesimo principio è stato ora ribadito dalla sentenza n. 196/2004 (punto 18 del considerato in diritto), ove la Corte costituzionale ritiene «sufficiente rilevare che non si tratta di requisito costituzionalmente imposto (seppur opportunamente previsto dal comma 3 dell’art. 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante “Disciplina dell’attività di governo ed ordinamento della presidenza del Consiglio dei ministri”)». In un altro caso (sentenza n. 376/2001, «Giurisprudenza costituzionale», 2001, pp. 3735 sgg.), la Corte effettua invece un sindacato sull’omogeneità di un decreto-legge, concludendolo peraltro in senso positivo e chiarendo che, ove esso avesse avuto esito negativo, l’eventuale violazione dell’art. 77 Cost. «risulterebbe sanata dall’intervenuta conversione in legge del decreto».
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prima volta, in sede di legge di conversione. Un’idea molto diversa del requisito dell’omogeneità sembra invece emergere nel messaggio di rinvio del Presidente della Repubblica relativo alla legge di conversione del decreto-legge n. 4/2002, sul settore zootecnico45: in esso, per un verso, si sottolinea che la legge n. 400/1988, «pur essendo una legge ordinaria, ha valore ordinamentale in quanto è preposta all’ordinato impiego della decretazione d’urgenza e deve quindi essere, del pari, rigorosamente osservata»; per altro verso, si riferisce il requisito dell’omogeneità anche alle disposizioni introdotte dal Parlamento in sede di conversione. In ogni caso, anche ove alle prescrizioni poste dalla legge n. 400/1988 non si voglia riconoscere un valore giuridicamente vincolante, è noto che ad esse hanno fatto implicito ma chiarissimo riferimento i regolamenti parlamentari, secondo quel «giuoco di sponda» determinato dal rinvio alla legislazione vigente, che trasforma i limiti contenutistici ivi previsti in limiti da far valere nel procedimento di conversione dei decreti-legge. In particolare, è stato il regolamento del Senato ad includere tempestivamente i vincoli posti dalla legislazione vigente (e dunque anzitutto dall’art. 15 della legge n. 400/1988) nel parametro del controllo parlamentare dei decreti-legge: come si è accennato, ai sensi dell’art. 78 del regolamento, come modificato nel novembre del 1988, la Commissione affari costituzionali e poi (eventualmente) l’Assemblea sono chiamate a pronunciarsi sulla sussistenza non solo «dei presupposti richiesti dall’articolo 77, secondo comma, della Costituzione», ma anche «dei requisiti stabiliti 45 Cfr. A.S., XIV Legislatura, doc. I, n. 1, trasmesso il 29 marzo 2002. Si trattava del decreto-legge n. 4/2002, recante disposizioni urgenti finalizzate a superare lo stato di crisi per il settore zootecnico, per la pesca e per l’agricoltura. A commento dei contenuti del messaggio di rinvio presidenziale, cfr. N. Maccabiani, La mancata conversione di un decreto-legge per effetto del rinvio presidenziale, in www.forumcostituzionale.it, G. D’Amico, Gli argini della Costituzione ed il «vulcano» della politica. Brevi considerazioni a riguardo del rinvio presidenziale della legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2002, n. 4 e del suo «seguito» governativo, ibid., A. Buratti, Il Presidente della Repubblica rinvia alle Camere una legge di conversione di un decretolegge disomogeneo e privo dei presupposti di necessità ed urgenza, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, A. Simoncini, Una nuova stagione per i controlli sulla decretazione d’urgenza, «Quaderni costituzionali», 3, 2002, pp. 613 sgg., A. Celotto, Un rinvio rigoroso ma… laconico. Linee guida per una riflessione, «Rassegna parlamentare», 3, 2002, pp. 810 sgg., e P. Carnevale, Mancata promulgazione di legge di conversione e rinvio alle Camere: il caso del messaggio presidenziale del 29 marzo 2002, ibid., 2003, pp. 385 sgg.
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dalla legislazione vigente»46. Tuttavia, analogamente a quel che si è visto accadere con riguardo alla sussistenza dei presupposti, neppure per i profili della specificità e dell’omogeneità di contenuti la Commissione affari costituzionali del Senato ha formulato rilievi riferiti ai decreti-legge «milleproroghe»; e le stesse minoranze si sono guardate bene dal coinvolgere l’Assemblea su una questione che, evidentemente, ritenevano dall’esito scontato. Alla Camera, proprio il rispetto delle «regole sulla specificità e omogeneità e sui limiti di contenuto dei decreti-legge», previste dalla vigente legislazione, costituisce il parametro su cui è precipuamente chiamato, nell’esaminare i disegni di legge di conversione dei decreti-legge, il Comitato per la legislazione, ai sensi dell’art. 96 bis, comma 1 del regolamento47. In uno dei lavori che ripercorrono i pareri espressi dal Comitato per la legislazione sui disegni di legge di conversione nella XIII Legislatura48, si osserva come questo organo tenda ad oscillare tra varie nozioni di omogeneità: tra l’omogeneità oggettiva, che appare quella più restrittiva; l’omogeneità soggettiva, riferita cioè alla competenza di un singolo Ministero; e l’omogeneità fun46 Cfr., per tutti, S.M. Cicconetti, Nuovi elementi in tema di reiterazione di decreti-legge, «Giurisprudenza costituzionale», 8, 1989, pp. 1470 sgg., spec. pp. 1488 sgg. 47 All’esame dei disegni di legge di conversione si applicano peraltro, come si è da subito chiarito in un’apposita seduta congiunta di Giunta per il regolamento e Comitato per la legislazione, anche i parametri generali previsti dall’art. 16 bis, comma 4 del regolamento, il quale richiede che il Comitato per la legislazione «esprima parere sulla qualità dei testi, con riguardo alla loro omogeneità, alla semplicità, chiarezza e proprietà della loro formulazione, nonché all’efficacia di essi per la semplificazione e il riordinamento della legislazione vigente». Sul punto, cfr. N. Maccabiani, La conversione dei decreti legge davanti alla Camera dei deputati. La prassi del Comitato per la legislazione, Brescia 2001, pp. 15 sgg., e A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 140 sgg., nonché, volendo, il nostro Il Comitato per la legislazione tra le norme e la prassi, testo della lezione nell’ambito del ciclo «Diritto costituzionale vivente» organizzato dalla cattedra di diritto costituzionale dell’Università di Macerata, 3 maggio 2001, in www.dirittopubblicomc.org/iniziative.htm. 48 Il riferimento è a N. Maccabiani, La conversione dei decreti legge davanti alla Camera dei deputati, cit., pp. 38 sgg. Nel senso invece che il Comitato per la legislazione abbia dato, nel corso della XIII Legislatura, «una interpretazione assai restrittiva del terzo comma dell’art. 15 della legge 400/1988» cfr. A. Raffaelli, I pareri del Comitato per la legislazione sui decreti legge, in E. Rossi (a cura di), Il Parlamento «consulente». Dati e tendenze relativi alla funzione consultiva parlamentare nella XIII Legislatura, Napoli 2002, pp. 151 sgg., spec. pp. 173 sgg., il quale segnala anche, a fine Legislatura, un miglioramento quanto all’omogeneità di contenuto dei decreti-legge. Si veda anche l’analisi accurata dei pareri del Comitato sul punto svolta da L. Lorello, Funzione legislativa e Comitato per la legislazione, Torino 2003, spec. pp. 247 sgg.
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zionale o teleologica, riferita cioè all’unità del fine del decreto (in genere, per come individuato dal suo titolo). Per la verità, sembra che l’oscillazione, prima ancora che agli orientamenti del Comitato per la legislazione, sia da attribuirsi agli stessi decreti-legge, che talvolta hanno un contenuto effettivamente specifico (almeno all’origine), talaltra nascono come raccolta delle esigenze più pressanti di ciascun Ministero, talaltra ancora contengono interventi di diversa natura e di diverso oggetto, magari messi insieme allo scopo di non «intasare» le Camere con la presentazione di un numero eccessivo di disegni di legge di conversione49. Il Comitato, di fronte a questa situazione, ha cercato di individuare la matrice unitaria alla base di ciascun decreto-legge, segnalando poi – spesso ma, purtroppo, non sempre – in apposite condizioni soppressive le disposizioni che, rispetto a questa matrice, apparivano come estranee o, appunto, disomogenee. Nella XIV Legislatura, il Comitato per la legislazione, chiamato ad esprimersi, per la prima volta, sui decreti-legge «milleproroghe», si è, in generale, mantenuto fedele a questa linea. Sin dal primo parere reso su un decreto-legge di tal fatta50, la matrice unitaria è stata individuata, come era del resto naturale, nella «finalità di prorogare o differire termini disposti con precedenti atti normativi», sottolineando peraltro che le disposizioni del decreto-legge riguardavano «materie del tutto disomogenee». D’altronde, l’eterogeneità materiale rappresenta un elemento costitutivo dei decreti-legge «milleproroghe», come attestano, sul versante governativo, il numero assai elevato dei ministri che in genere li sottoscrivono, unitamente al presidente del Consiglio, e, sul versante parlamentare, il fatto che i relativi disegni di legge di conversione siano assegnati in sede referente, alla Camera come al Senato, alla Commissione affari costituzionali, con il coinvolgimento, in sede consultiva, della quasi totalità delle altre tredici commissioni permanenti. L’unica alternativa ad un approccio di questo tipo sarebbe dunque potuta consistere in una soluzione più radicale, quella cioè di rifiutare l’idoneità della finalità di prorogare termini a costituire 49 Per indicazioni sulla prassi nella prima fase della XIV Legislatura cfr. C. Di Andrea, La statistica e i decreti-legge, 11 febbraio 2002, in www.forumcostituzionale.it, e, amplius, A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., spec. pp. 453 sgg. 50 Cfr. il parere sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 411/2001: A.C., XIV Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 15 dicembre 2001, pp. 7 sgg.
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un vero e proprio elemento unificante, e di richiedere conseguentemente, nel parere, la soppressione di tutte le proroghe tranne una (o tranne un piccolo gruppo ritenuto relativo ad una materia omogenea). Evidentemente, si sarebbe trattato di una via più rigorosa sul piano logico, ma tale da chiamare il Comitato ad individuare, con scelta inevitabilmente politica, la proroga più importante e soprattutto da porlo in contrasto frontale con tutti gli altri soggetti coinvolti nel procedimento di formazione e di conversione dei decreti-legge (e, quindi, non solo con il Governo, ma anche con il Presidente della Repubblica e con l’altro ramo del Parlamento, oltre ovviamente alla Commissione affari costituzionali). Pur senza giungere a questa soluzione estrema, in alcuni pareri il Comitato ha comunque manifestato il proprio sfavore nei confronti dello strumento dei decreti-legge «milleproroghe». E lo ha fatto segnalando, in premessa o in apposita raccomandazione, l’esigenza di «limitare quanto più possibile la disomogeneità ab origine del contenuto dei decreti-legge al fine di evitare per l’utente [recte: per il cittadino] una difficoltà conoscitiva dei contenuti del provvedimento», riconoscendo inoltre che tale difficoltà è «ulteriormente aggravata dalla possibilità di ampi interventi emendativi in sede parlamentare»51. Ciò posto, il Comitato per la legislazione ha individuato, nelle premesse del parere52 e/o in apposite condizioni soppressive53, le disposizioni che apparivano 51 Le espressioni virgolettate sono tratte dal (secondo) parere sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 147/2003: A.C., «Boll. giunte e comm.», 30 luglio 2003, pp. 3 sgg. 52 È questo il caso del già ricordato parere sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 411/2001, nel quale si segnala che «le disposizioni recate dal provvedimento, ad eccezione dell’articolo 8-nonies, sono accomunate esclusivamente dalla finalità di prorogare o differire termini». Analoga è la formulazione della premessa del (primo) parere sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 147/2003, ove peraltro le eccezioni (come si desume anche dal titolo del provvedimento, che richiama anche «disposizioni urgenti ordinamentali») sono più numerose, essendo contenute nell’art. 7, comma 2, nell’art. 8, nell’art. 13 e nell’art. 14: cfr. A.C., XIV Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 2 luglio 2003, p. 3 sgg. 53 Ad esempio, cfr. il parere sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 236/2002, in cui il Comitato, dopo aver segnalato in premessa che «le disposizioni recate dal provvedimento, ad eccezione degli articoli 13-bis e 13-ter, sono accomunate esclusivamente dalla finalità di prorogare o differire termini disposti con precedenti atti normativi e che le stesse riguardano materie del tutto disomogenee, chiede, in apposita condizione, la soppressione delle predette disposizioni «in quanto non omogenee rispetto alla finalità del provvedimento»: cfr. A.C., XIV Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 5 dicembre 2002, pp. 6 sgg.
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estranee ad una finalità di proroga di termini, unitamente a quelle che risultavano contrastanti con altri limiti di contenuto riferiti ai decreti-legge (ad esempio, perché prorogavano il termine di scadenza di deleghe legislative), ovvero con i canoni di corretta relazione tra le fonti (ad esempio, in quanto modificavano testualmente disposizioni di rango regolamentare)54. Il quadro è stato peraltro complicato dal fatto che il Comitato per la legislazione, in quasi tutte le occasioni qui considerate, è stato chiamato ad esprimersi sul testo del disegno di legge in seconda lettura, come modificato, cioè, dagli emendamenti approvati dal Senato, in genere – come si vedrà nel prossimo paragrafo – numerosi e, a volte, contenenti norme diverse dalla mera proroga di termini. Peraltro, ai fini della valutazione del Comitato, questo aspetto non altera il parametro di giudizio, posto che tale organo, dopo qualche iniziale esitazione55, tende ormai a riferire i limiti di contenuto previsti dalla legislazione vigente tanto alle disposizioni originariamente presenti nel decreto-legge, quanto alle disposizioni inserite dal Parlamento56, con emendamenti relativi al decreto-legge o al disegno di legge di conversione57. Si dà 54
Si tornerà su tali punti infra, nel paragrafo 5. Cfr. N. Maccabiani, La conversione dei decreti legge davanti alla Camera dei deputati, cit., pp. 48 sgg. 56 Nel senso che il divieto posto dalla legge n. 400/1988 per i decreti-legge comporti, «onde evitare elusioni, un limite di contenuto anche dei disegni di legge di conversione», cfr. la relazione relativa al primo semestre di attività del Comitato per la legislazione presentata dal presidente on. Giorgio La Malfa (in A.C., XIII Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 30 giugno 1998, pp. 6 sgg.). Sul punto cfr., in dottrina, A. Raffaelli, I pareri del Comitato per la legislazione sui decreti-legge, cit., pp. 161 sgg. e L. Lorello, Funzione legislativa e Comitato per la legislazione, cit., pp. 253 sgg. 57 La distinzione tra emendamenti parlamentari riferiti al decreto-legge o al disegno di legge di conversione appare meramente nominalistica, in entrambe le ipotesi trattandosi di disposizioni inserite con un emendamento parlamentare nel corso della conversione in legge del decreto-legge. Peraltro, in senso diverso sembra orientarsi la giurisprudenza costituzionale, almeno a stare a quanto affermato da Corte cost. n. 63/1998, «Giurisprudenza costituzionale», 1998, pp. 668 sgg., ove ha respinto le censure dirette a lamentare la violazione dell’art. 76 Cost. da parte di una legge di conversione nella quale il Parlamento aveva introdotto, agli articoli 2 e 3, altrettante norme di delega, sulla base della considerazione che tali articoli contengono «disposizioni del tutto autonome rispetto al decreto-legge e alla sua conversione, essendo stati introdotti, come norma aggiuntiva, alla legge di conversione nel corso dell’esame dello stesso disegno di legge». Del tutto patologica deve ritenersi l’ipotesi in cui, invece, sia il Governo ad introdurre nel disegno di legge di conversione, sin nella sua originaria formulazione, oltre alla disposizione di conversione (in genere posta nell’art. 1, comma 1 dello stesso) e 55
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così luogo – come è stato osservato58 – ad un’interpretazione «quantomeno estensiva» dell’art. 15 della legge n. 400/1988 che ha, da ultimo, portato il Comitato per la legislazione a ritenere che persino il «vizio da reiterazione», almeno nella fattispecie individuata dall’art. 15, comma 2, lettera c) della legge n. 400/1988 (ossia a seguito di decadenza del precedente decreto-legge derivante dal voto contrario di una delle due Camere), possa cogliersi non solo nelle disposizioni contenute nel decreto-legge originario, ma anche in quelle inserite in sede parlamentare59.
all’eventuale clausola di salvezza di altri decreti-legge (come accadeva per le «catene» di decreti-legge reiterati, anche a seguito del divieto di inserire tale clausola nel decreto-legge posto dell’art. 15, comma 2, lettera d), della legge n. 400/1988: cfr. P. Carnevale, A. Celotto, La Corte e la regolazione dei «rapporti sorti sulla base dei decretilegge non convertiti». Qualche considerazione sulla legge di cui all’art. 77, terzo comma, ultimo periodo, della Costituzione alla luce del suo trattamento nella giurisprudenza costituzionale, in V. Cocozza, S. Staiano (a cura di), I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto. La prospettiva della giurisprudenza costituzionale, cit., pp. 361 sgg., spec. p. 372), disposizioni normative ulteriori, più o meno direttamente connesse al decreto-legge, ma non incluse in questo: il disegno di legge di conversione costituisce unicamente il mezzo (non previsto dalla Costituzione, ma mutuato dalla prassi statutaria: cfr. A.P. Tanda, Riflessione sui decreti-legge, «Bollettino di informazione costituzionale e parlamentare», 1982, pp. 249 sgg., spec. p. 256) attraverso cui il Governo adempie all’obbligo di trasmettere alle Camere il decreto-legge e assume la forma di un disegno di legge (cui è allegato il testo del decretolegge) soltanto perché l’esito prefigurato dalla Carta costituzionale consiste nella conversione in legge del decreto medesimo, attraverso, appunto, la legge di conversione. Eppure, non sono mancati, nella prassi, alcuni sporadici casi devianti, di uso improprio del disegno di legge di conversione da parte del Governo: si vedano, in particolare, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 331/1993 (A.C., XI Legislatura, n. 3080, presentato il 31 agosto 1993) e il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 16/2004 (A.C., XIV Legislatura, n. 4644, presentato il 28 gennaio 2004). In quest’ultimo caso, peraltro, la disposizione introdotta dal Governo, conformemente a quanto chiesto dal Comitato per la legislazione (il cui parere è in A.C., XIV Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 4 febbraio 2004, pp. 4 sgg.), è stata soppressa dall’Assemblea della Camera (A.C., XIV Legislatura, res. sten., 11 marzo 2004, p. 34). Nel senso che il disegno di legge di conversione «non può che avere il contenuto tipico di un testo di conversione», cfr. ora, chiaramente, Corte cost. n. 196/2004 (punto 27 del considerato in diritto). 58 A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 144 sgg., al quale si rinvia per le opportune esemplificazioni. 59 Si veda, in tal senso, il già ricordato parere espresso sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 81/2004, e in particolare l’intervento del presidente Soda (A.C., XIV Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 12 maggio 2004, pp. 6 sgg.); in senso contrario si esprime, pur senza formulare un’opinione dissenziente, il deputato D’Alia, il quale ritiene che i limiti dell’art. 15 siano applicabili al solo Governo.
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4. L’arricchimento del contenuto dei decreti-legge «milleproroghe» in sede di conversione: il diverso orientamento delle due Camere sull’ammissibilità degli emendamenti Come si accennava, la disomogeneità dei contenuti dei decreti-legge «milleproroghe» rende assai arduo individuare un limite all’ammissibilità degli emendamenti ad essi riferiti. Nell’impossibilità di individuare un settore materiale proprio del decreto-legge, l’unico criterio per evitare che tali disegni di legge di conversione diventino dei «treni» idonei a caricare «vagoni» di qualsiasi tipo sembra risiedere nella tenuta della finalità esclusiva del decretolegge, ossia nel fatto di prorogare o differire termini previsti da norme legislative, senza disporre altro (salvo, forse, la copertura finanziaria, ove resa necessaria per fare fronte agli oneri derivanti direttamente dalle norme di proroga). Questa difficoltà si unisce alla notevole diversità degli orientamenti che la Camera e il Senato seguono, ormai da alcuni anni, relativamente all’ammissibilità degli emendamenti ai disegni di legge di conversione dei decreti-legge. La differenza deriva, almeno in parte, da una diversa disciplina regolamentare: al Senato per i disegni di legge di conversione vale l’ordinario regime di ammissibilità degli emendamenti previsto dall’art. 97, comma 1 del regolamento, ai sensi del quale devono essere dichiarati inammissibili solo gli emendamenti «estranei all’oggetto della discussione»60. Invero, nella prassi anche del Senato, per una certa fase si è tentata un’interpretazione più restrittiva del parametro regolamentare con riferimento ai disegni di legge di conversione: in particolare, la Giunta per il regolamento, in un parere dell’8 novembre 1984, ha affermato che la norma dell’articolo 97, comma 1 del regolamento «deve essere interpretata in modo particolarmente rigoroso, che tenga conto anche della indispensabile preservazione dei caratteri di necessità e di urgenza già verificati con la procedura prevista dall’articolo 78 del regolamento, con riferimento sia al decreto-legge che al disegno di legge di conversio-
60 Cfr. V. Di Ciolo, L. Ciaurro, Il diritto parlamentare nella teoria e nella pratica, Milano 20034, p. 462.
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ne»61; in questo quadro si inserisce anche la previsione di cui all’articolo 78, comma 6 del regolamento, ai sensi del quale gli emendamenti approvati dalla commissione in sede referente non entrano a far parte, come di solito accade, del testo che l’Assemblea esamina, ma «debbono essere presentati come tali all’Assemblea»62. Tuttavia, specie nelle ultime legislature, è evidente che la presidenza del Senato tende a non operare alcun vaglio particolarmente stretto nei confronti degli emendamenti riferiti ai decreti-legge o alle relative leggi di conversione63. Alla Camera, invece, esiste un parametro regolamentare specifico, posto dall’art. 96 bis, comma 7 del regolamento, ai sensi del quale il presidente giudica inammissibili gli emendamenti «che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge»: si tratta dunque di un criterio ben più stringente rispetto a quello ordinario, disciplinato dall’art. 89 del regolamento, ai sensi del quale il presidente ha facoltà di negare l’accettazione di emendamenti che siano «relativi ad argomenti affatto estranei all’oggetto della discussione». Tale parametro, inoltre, tende ad essere appli61 A commento di tale pronuncia, che fa espresso riferimento all’esigenza di evitare che per il «tragitto preferenziale» riservato alla conversione dei decreti-legge passino «ipotesi normative del tutto svincolate dalla necessità e dall’urgenza che giustificarono l’emanazione del decreto-legge» (pubblicata nelle note al regolamento del Senato), cfr. G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto legge, cit., pp. 195 sgg. 62 Cfr., in proposito, V. Lippolis, Il procedimento legislativo, cit., p. 402, il quale rimarca la singolarità di tale innovazione, «estranea allo schema dell’ordinario procedimento legislativo quanto agli esiti dell’esame in sede referente» e fa presente che esso «consente al presidente del Senato di esercitare direttamente ed in prima battuta il vaglio sull’ammissibilità di qualsivoglia emendamento». 63 Cfr. C. Rizzuto, La tendenza a regolare l’emendabilità dei decreti-legge, «Bollettino di informazione costituzionale e parlamentare», 1-3, 1995, pp. 130 sgg. Sintomatica può considerarsi la risposta del presidente della Commissione affari costituzionali del Senato, sen. Pastore, al già ricordato intervento del sen. Turroni, che gli chiede come procedere per prorogare il termine per l’adozione del codice dei beni culturali e ambientali: «la previsione di tale differimento può essere disposta mediante la proposizione di un emendamento all’articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge» (cfr. A.S., XIV Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 14 gennaio 2004, 352a seduta). Per una seduta, in sede referente, nella quale i deputati di opposizione, tra cui lo stesso sen. Turroni, anche richiamandosi al parere della Giunta per il regolamento citato nel testo, invitano, senza successo, il presidente della Commissione a dichiarare l’inammissibilità di un articolo aggiuntivo ad un disegno di legge di conversione di un decreto-legge «milleproroghe», ottenendo peraltro, previa esplicita «minaccia» di ostruzionismo, il ritiro dell’articolo aggiuntivo da parte del relatore, cfr. A.S., XIV Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 24 luglio 2003, 292a seduta.
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cato con un certo rigore anche agli emendamenti presentati in commissione, previo vaglio preventivo del presidente della Camera, e, in alcuni casi, anche a quelli che siano stati approvati nel corso dell’esame in sede referente (essendo consentito al presidente della Camera di cancellare tali emendamenti ove non preventivamente sottoposti al suo giudizio)64. La divergenza tra Camera e Senato quanto alla valutazione di ammissibilità degli emendamenti si coglie in modo piuttosto chiaro se si ripercorre sommariamente il cammino dei disegni di legge di conversione dei quattro decreti-legge «milleproroghe» della XIV Legislatura. Anzitutto, e in linea generale, appare di un certo interesse la circostanza che tre su quattro siano stati presentati in prima lettura al Senato, quasi a voler incoraggiare la loro emendabilità in sede parlamentare: è noto infatti che, in genere, l’attività emendativa delle Camere, specie in sede di esame dei disegni di legge di conversione, si concentra solo nel ramo del Parlamento che li esamina in prima lettura, l’altro limitandosi per lo più a prendere atto, con qualche ritrosia (che trova per lo più sfogo in ordini del giorno), delle decisioni già assunte. Peraltro, può rilevarsi che, salvo il primo decreto-legge «milleproroghe», gli altri sono stati convertiti dopo tre letture: ed il dato è particolarmente significativo se si considera che, invece, la stragrande maggioranza dei decreti-legge della XIV Legislatura è stata convertita dopo due sole letture65. Più specificamente, merita di essere richiamata la vicenda del decreto-legge n. 147/2003, il quale già all’inizio conteneva, oltre ad una cospicua serie di proroghe o di differimenti di termini, anche alcune disposizioni di carattere diverso, definite «ordinamentali» nel titolo del decreto-legge66. Nel corso dell’esame in 64 Cfr., sul punto, G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto legge, cit., pp. 196 sgg., V. Lippolis, Il procedimento legislativo, cit., pp. 401 sgg., C. Rizzuto, La tendenza a regolare l’emendabilità dei decreti-legge, cit., pp. 130 sgg., e A. Menè, Ammissibilità degli emendamenti alla Camera nella XII Legislatura, «Rassegna parlamentare», 4, 1996, pp. 911 sgg., spec. pp. 916 sgg. 65 Al 15 maggio 2004, 100 dei 128 decreti-legge convertiti nel corso della XIV Legislatura lo sono stati nel corso di due sole letture; per i restanti 28 è stato invece necessario ricorrere ad una terza (e definitiva) lettura. 66 Cfr. A.C., XIV Legislatura, n. 4102.
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prima lettura la Commissione affari costituzionali della Camera, cui il testo è stato assegnato in sede referente, si è limitata ad aggiungere un articolo, contenente una nuova norma di proroga, e a modificarne formalmente altri tre: il presidente della Commissione ha invece dichiarato l’inammissibilità di quattro emendamenti e tre articoli aggiuntivi, «in quanto volti ad introdurre disposizioni non riconducibili all’oggetto del decreto-legge concernente proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali», nonché un articolo aggiuntivo «in quanto volto a prorogare il termine di esercizio di una delega legislativa»67. L’elenco delle proposte emendative dichiarate inammissibili in Assemblea è ancora più cospicuo, ammontando nel complesso a 25 tra emendamenti e articoli aggiuntivi68. L’Assemblea della Camera, quindi, ha approvato, oltre ad una serie di emendamenti, altri 7 articoli aggiuntivi, contenenti 6 ulteriori norme di proroga e una norma di copertura finanziaria. Il disegno di legge è stato quindi trasmesso al Senato, che vi ha apportato una serie cospicua di modifiche, senza che risulti alcuna dichiarazione di improponibilità di emendamenti, né in Commissione, né in Assemblea69. Tra le modifiche 67
Cfr. A.C., XIV Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 2 luglio 2003, pp. 110 sgg. Cfr. A.C., XIV Legislatura, res. sten., 8 luglio 2003, pp. 25 sgg. Tra gli articoli aggiuntivi inammissibili, ve ne è anche uno del Governo, riferito al disegno di legge di conversione, relativamente al quale la presidenza della Camera osserva che esso è rivolto «a differire, nell’ambito di un procedimento di conversione di un decreto-legge, il termine scaduto per l’esercizio di una delega legislativa relativa all’emanazione di un testo unico, modificando, altresì, la procedura per l’adozione del decreto legislativo». Sempre la presidenza ricorda che «tale dichiarazione di inammissibilità è in sintonia con la prassi costante adottata dalla presidenza della Camera volta a non ammettere, in osservanza dei criteri stabiliti in materia dalla legislazione vigente riguardo al contenuto proprio dei decreti-legge, differimenti di termini di deleghe, anche se contenute nel disegno di legge di conversione» e, infine, rileva che «nel messaggio di rinvio alle Camere del disegno di legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2002, n. 4, si menziona, tra i motivi del rinvio, l’inserimento nel disegno di legge di conversione di una proroga già scaduta di una delega al Governo». Un ulteriore emendamento del Governo è dichiarato inammissibile nella seduta del giorno successivo (A.C., XIV Legislatura, res. sten., 9 luglio 2003, p. 12). 69 In una dichiarazione di voto, in particolare, si segnala che le materie trattate da molti emendamenti erano «palesemente estranee a questo contesto legislativo e come tale avrebbero dovuto essere dichiarate non ammissibili dalla presidenza», richiamandosi anche il parere della Giunta per il regolamento sopra ricordato, e si afferma che l’inserimento del contenuto di un decreto-legge decaduto origina «una situazione di reiterazione che è stata espressamente esclusa dalla Corte costituzionale» (cfr. l’intervento del sen. Petrini in A.S., XIV Legislatura, res. sten., 29 luglio 2003, a.m.). 68
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apportate dal Senato, si segnala, per un verso, l’introduzione di un articolo che, sostituendo una disposizione dell’originario decreto-legge relativa all’UNIRE, ha inserito nel decreto-legge l’intero contenuto di un precedente decreto-legge (il n. 45/2003, contenente «Disposizioni urgenti relative all’UNIRE ed alle scommesse ippiche»), decaduto qualche giorno prima per decorrenza dei termini; e, per altro verso, l’inserimento di alcuni commi aggiuntivi all’art. 1 del disegno di legge di conversione che, oltre a far salvi gli effetti del decreto-legge decaduto, prorogano alcuni termini di deleghe legislative, con disposizioni analoghe a quelle dichiarate inammissibili nell’altro ramo del Parlamento70. Aspetti di notevole interesse presenta anche l’iter dell’ultimo decreto-legge «milleproroghe» qui preso in considerazione, che mostra con chiarezza la difficile tenuta del vaglio di ammissibilità presidenziale. Nel corso della prima lettura presso il Senato, invero, anche a seguito di una significativa dichiarazione del rappresentante del Governo – che ha citato espressamente il messaggio di rinvio del Presidente Ciampi, richiamando la presidenza del Senato alle sue responsabilità71 – si è registrata la dichiarazione di improponibilità di 24 tra emendamenti ed articoli aggiuntivi, tutti quelli cioè non contenenti l’introduzione di una norma di proroga, ma volti ad intervenire in vario modo su discipline vigenti. Nel corso della seconda lettura alla Camera, in coerenza con i precedenti, il presidente – anche sulla scorta delle decisioni assunte dal presidente della I Commissione – ha dichiarato l’inammissibilità di numerosi emen70 Ad esempio, si veda l’art. 1, comma 5 della legge di conversione, analogo all’articolo aggiuntivo 5, comma 1, dichiarato inammissibile in Commissione. Oppure si veda l’art. 17 ter del testo poi approvato, analogo all’articolo aggiuntivo 17, commi 5, 6 e 12, dichiarati inammissibili in Assemblea. Sulla questione dell’ammissibilità delle proroghe di deleghe (e di nuove deleghe) all’interno dei decreti-legge e dei rispettivi disegni di legge di conversione sia consentito il rinvio al nostro Una delega legislativa può essere inserita nella conversione di un decreto-legge?, «Iter legis», 6/2003-1/2004, pp. 43 sgg. 71 Si veda l’intervento del sottosegretario ai rapporti con il Parlamento Ventucci (in A.S., XIV Legislatura, res. sten., 28 gennaio 2004, a.m.), il quale riconosce «che l’amministrazione del nostro Stato ha bisogno di continui aggiornamenti e correzioni, spesso normati nella legge finanziaria a fine anno», ma ricorda che «nell’ultima finanziaria tale attività è stata solo parzialmente attuata, anche per il ricorso allo strumento della fiducia» e rileva la presenza di emendamenti che danno «luogo a sconfinamenti evidenziati dal Capo dello Stato ma anche difformi dalle stesse norme che regolano i lavori di quest’Assemblea».
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damenti, sia di tipo ordinamentale, sia contenenti norme di proroga ulteriori rispetto a quelle presenti nel decreto-legge, come modificato dal Senato, alcuni dei quali presentati dallo stesso Governo; tuttavia, ha poi ammesso, in via eccezionale, tre articoli aggiuntivi, contenenti norme non di mera proroga, sulla base di un singolare riferimento all’ampio consenso che essi raccolgono72. Dalle vicende appena riassunte esce dunque rafforzata la convinzione che, dietro questi differenti orientamenti sull’ammissibilità degli emendamenti ai disegni di legge di conversione, sussista una divergenza assai marcata circa la concezione della legge di conversione e del suo rapporto con il (rispettivo) decreto-legge. In proposito, si confrontano, da tempo, due orientamenti, radicalmente contrapposti, che qui possono richiamarsi solo sommariamente, e perciò con qualche inevitabile semplificazione. Il primo orientamento73 tende ad affermare l’idea della legge di conversione come ordinaria manifestazione della funzione legislativa delle Camere, idonea perciò a ristabilire l’ordine corretto delle competenze tra Parlamento e Governo e ad assumere, al tempo stesso, qualsivoglia contenuto normativo che la funzione legislativa può fare proprio, fino a «novare» la fonte delle disposizioni originariamente dettate dal decreto-legge e a sanarne perciò tutti i vizi attinenti al procedimento di formazione74. 72 Si veda A.C., XIV Legislatura, res. sten., 24 febbraio 2004, pp. 2 sgg., in cui la presidenza, dopo aver rilevato che anche i tre emendamenti in questione «presentano profili di inammissibilità», ha ritenuto, «in considerazione dell’oggettiva eterogeneità del provvedimento e del fatto che le prime due proposte emendative in questione sono state sottoscritte dai rappresentanti di tutti i gruppi e che la terza di esse è stata sottoscritta da tutti i gruppi, tranne quello di Rifondazione comunista, che, in tal modo, hanno fatto presente l’urgenza di adottare gli interventi da esse previste», di poter ammettere alla votazione «in via eccezionale» tali proposte emendative. Due dei tre emendamenti in questione sono stati poi approvati dall’Assemblea (cfr. A.C., XIV Legislatura, res. sten., 25 febbraio 2004, pp. 89 sgg.). 73 Si vedano, anche per ulteriori indicazioni, F. Modugno, D. Nocilla, Riflessioni sugli emendamenti al decreto-legge, «Diritto e società», 2, 1973, pp. 351 sgg., L. Paladin, Commento all’art. 77, cit., pp. 42 sgg., spec. pp. 82 sgg., Id., Le fonti del diritto italiano, cit., pp. 62 sgg. 74 Va da sé che questa interpretazione, prevalsa sin dai primi anni successivi all’entrata in vigore della Carta del 1948 anche sulla scorta di una lettura «continuista» dell’istituto rispetto alla prassi statutaria, ha di fatto contribuito ad aprire la strada ad un utilizzo assai intenso e sostanzialmente incontrollato della decretazione d’urgenza, almeno nei casi in cui Governo e Parlamento abbiano trovato una specifica – e reciproca – convenienza nell’adottare questa forma di produzione normativa.
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Il secondo orientamento75, invece, propone l’idea che quello di conversione sia un procedimento legislativo – e, perciò, che da esso origini un atto-fonte – per più versi specializzato e, in quanto tale, di contenuto fortemente limitato per effetto della necessaria ed inscindibile connessione (che sarebbe, secondo alcuni, di tipo endoprocedimentale)76 con il relativo decreto-legge, le cui violazioni dell’art. 77 Cost. tendono perciò a trasferirsi sulla legge di conversione. Non mancano, ovviamente, posizioni intermedie, che, in particolare, differenziano la natura della legge di conversione (funzionalmente limitata a convalidare la fonte delle disposizioni introdotte dal Governo) rispetto a quella degli emendamenti attraverso di essa introdotti (con i quali il Parlamento eserciterebbe anche la sua normale potestà legislativa)77; oppure che qualificano la legge di conversione come legge di natura meramente formale, configurando gli emendamenti al disegno di legge di conversione come «atto atipico di iniziativa legislativa»78. Piuttosto singolare è la circostanza che il primo orientamento sia stato accolto, sia pure implicitamente e con qualche oscilla75
M. Raveraira, Necessità ed urgenza dei decreti-legge e legge di conversione, «Giurisprudenza costituzionale», 4, 1986, pp. 602 sgg., R. Tarchi, Incompetenza, cit., spec. pp. 975 sgg., G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto legge, cit., pp. 194 sgg., V. Angiolini, Attività legislativa del governo e giustizia costituzionale, «Rivista di diritto costituzionale», 1, 1996, pp. 238 sgg., A. Concaro, Il sindacato di costituzionalità sul decreto-legge, cit., spec. pp. 116 sgg. 76 Nel senso che decreto-legge e legge di conversione compongono un unico procedimento di natura complessa, cfr. V. Di Ciolo, Questioni in tema di decreti-legge, cit., spec. pp. 304 sgg., e G. Silvestri, Sulla conversione in legge dei decreti legge iterati e reiterati, in AA.VV., I decreti-legge non convertiti, cit., pp. 161 sgg.; nel senso che quello di conversione del decreto-legge costituisce un procedimento «duale» si veda A. Manzella, Il parlamento, cit., p. 357; nel senso che l’art. 77 richiede il «concorso necessario di una fonte legislativa di derivazione governativa con una legge del parlamento sul medesimo oggetto» cfr. G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto legge, cit., pp. 75 sgg., il quale peraltro esclude espressamente (pp. 125 sgg.) che decreto-legge e legge di conversione costituiscano due fasi dello stesso procedimento (inteso in senso stretto, come una serie di atti funzionalmente collegati, che trovano la propria ragion d’essere in un atto totale). 77 Il riferimento è alla tesi in più sedi illustrata da F. Sorrentino (da ultimo in Le fonti del diritto amministrativo, cit., spec. pp. 169 sgg.), il quale riconosce che in questo modo «la legge di conversione con emendamenti avrebbe natura ancipite: per un verso conversione e per altro verso esercizio del normale potere legislativo». 78 In questi termini, cfr. S. Labriola, La legge di conversione, in Id., Il Governo e alcune sue funzioni (Studi), Padova 1981, pp. 177 sgg., spec. pp. 230 sgg.
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zione (la principale delle quali è rappresentata dal già ricordato obiter dictum della sentenza n. 29/1995), dalla Corte costituzionale, e possa ritenersi sottostante agli orientamenti assunti dal Senato della Repubblica; mentre più coerenti con il secondo orientamento appaiono le linee-guida contenute nel già ricordato messaggio di rinvio del Presidente della Repubblica e le prassi prevalenti (anche se non prive di eccezioni) presso la Camera dei deputati. L’auspicio, perciò, è che si giunga presto, o ad opera della giurisprudenza costituzionale o attraverso la stipulazione di un’apposita intesa interistituzionale tra il Governo e i due rami del Parlamento, ad una configurazione più pacifica dei rapporti tra il decreto-legge e il disegno di legge di conversione79, chiarendosi in particolare la misura in cui i presupposti costituzionali di straordinaria necessità ed urgenza e i limiti stabiliti dalla legge n. 400/1988, nonché lo stesso divieto di reiterazione affermato dalla sentenza n. 360/1996, siano applicabili alla legge di conversione.
5. Le norme di proroga e differimento termini tra delega, delegificazione, rilegificazione, e modifica con (decreto-)legge di norme regolamentari Tra i casi nei quali appare evidentemente insussistente il requisito della straordinaria necessità ed urgenza, la dottrina tende a ricomprendere quelli in cui, nella materia in cui interviene il decreto-legge, risulti già operante una delega legislativa80; e ciò, come correttamente si è osservato, almeno relativamente al caso in cui «la sostanza del decreto-legge fosse conforme alla legge delegan79 Sul punto, cfr., per l’esperienza italiana, A. Palanza, La perdita dei confini: le nuove procedure interistituzionali nel Parlamento italiano, in L. Violante (a cura di), Il parlamento. Storia d’Italia. Annale n. 17, Torino 2001, pp. 1211 sgg., e, per l’esperienza comunitaria, A. Vedaschi, Istituzioni europee e tecnica legislativa, Milano 2001, spec. pp. 127 sgg., G.U. Rescigno, Le tecniche della legislazione nella CE (resoconto a cura di F. Clementi e P. Zuddas), in S. Panunzio (a cura di), I costituzionalisti e l’Europa, Milano 2002, pp. 485 sgg., e L. Ronchetti, Gli accordi interistituzionali nell’ordinamento comunitario, «Diritto pubblico», 1, 2003, pp. 1 sgg. 80 Sugli «intrecci» tra decreti-legge e deleghe legislative cfr. ampiamente, anche per ulteriori indicazioni, A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 402 sgg.
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te»81. Ebbene, un caso del genere appare sicuramente rinvenibile in uno dei decreti-legge «milleproroghe»: l’art. 9 del decreto-legge n. 147/2003 ha infatti disposto la proroga di un termine in modo esattamente conforme a quanto il Governo era stato delegato a fare da una legge di delega entrata in vigore qualche mese prima, e a quel momento ancora inattuata82. Ancora più evidente appare essere tale insussistenza dei requisiti costituzionali per quelle norme di proroga di termini in origine fissati non da atti legislativi, ma da fonti regolamentari. Di queste norme i decreti-legge «milleproroghe» offrono esempi piuttosto numerosi. Peraltro, con riferimento ad essi, occorre operare una distinzione, a seconda della tecnica legislativa con cui tali proroghe sono operate. In linea generale, la tecnica legislativa con cui intervengono le norme di proroga o di differimento termini presenti nei decretilegge «milleproroghe» è assai variegata. In alcuni casi, si opera mediante l’introduzione di una disposizione autonoma, la quale stabilisce che «il termine di cui all’articolo “x” della legge “y” è differito (o è prorogato) alla data “z”». In altri casi, secondo una modalità che in più occasioni è stata suggerita dal Comitato per la legislazione in quanto rende più agevole l’opera dell’interprete, si interviene espressamente sulla norma previgente attraverso una «novella», in genere formulata con la sostituzione delle sole parole che individuano il termine83. 81 Cfr. V. Angiolini, Attività legislativa del Governo e giustizia costituzionale, cit., p. 231, per il quale «in tale evenienza, ed in essa soltanto, si potrebbe ritenere che l’“urgenza” del decreto-legge difetti, avendo il Governo a disposizione, per normare, lo strumento alternativo del decreto delegato». Diversa è la posizione argomentata da A. Pace, Sull’uso alternativo del decreto legge, in luogo del decreto delegato, per eludere i principi della delega, «Giurisprudenza costituzionale», 2, 1992, pp. 1786 sgg. 82 Si tratta dell’aumento da 24 a 36 mesi (dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 228/2001) del termine per la trasformazione della veste giuridica delle associazioni dei produttori agricoli. Non a caso, il Comitato per la legislazione, nel suo (primo) parere sul disegno di legge di conversione di tale decreto-legge, ha indicato in una condizione tale disposizione, segnalando che, «secondo quanto previsto dall’art. 1, co. 1, lettera q) della legge 7 marzo 2003, n. 38, il Governo è stato delegato a modificare il termine citato, portandolo – analogamente a quanto dispone il decreto-legge – da 24 a 36 mesi». 83 Questa tecnica novellistica, sempre secondo un rilievo più volte avanzato dal Comitato per la legislazione, non appare conforme a quanto previsto dalle circolari contenenti regole e raccomandazioni sulla redazione tecnica dei testi legislativi, ai sensi delle quali «l’unità minima da sostituire con una “novella” è preferibilmente il comma (o comunque un periodo o una lettera di un comma, o un numero contenuto in una let-
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Ebbene, entrambe queste soluzioni si riscontrano con riferimento alle norme dei decreti-legge «milleproroghe» che prorogano termini fissati da fonti regolamentari. Mentre la prima soluzione produce sì l’effetto di comportare una legificazione o una rilegificazione della materia, quanto meno relativamente all’individuazione del termine, ma non origina ulteriori inconvenienti, la seconda soluzione solleva con forza la questione del rango della disposizione in origine regolamentare ed ora oggetto di modifica, limitata ad alcune parole, ad opera di un atto legislativo: non è un caso che il Comitato per la legislazione abbia, in queste ipotesi, chiesto la soppressione di tali disposizioni, in quanto volte «a novellare un atto di rango secondario, in difformità da quanto previsto, da ultimo, al punto 3, lett. e) della circolare recante regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi dell’aprile 2001», ai sensi della quale «non si ricorre all’atto legislativo per apportare modifiche frammentarie ad atti non aventi forza di legge, al fine di evitare che questi ultimi presentino un diverso grado di “resistenza” ad interventi modificativi successivi»84. Si produce così, in effetti, quello che è stato giustamente definito come un «atto a natura mostruosa», trattandosi di un atto normativo «di rango secondario, in cui “galleggiano” alcune parole con forza di legge», con «notevolissime difficoltà non solo pratiche ma soprattutto teoriche» derivanti dalla presenza di una disposizione formata da termini di rango diverso85. Ed è evidente tera)». Tuttavia, va anche considerato che la tecnica suggerita dalle circolari presenta alcuni inconvenienti, sia perché non consente di cogliere subito in che cosa consista l’innovazione, sia perché rischia di ampliare oltremodo le possibilità emendative delle Camere: sul punto, sia consentito rinviare al nostro Tecnica e politica della legislazione nelle circolari sulla redazione degli atti normativi, «Quaderni regionali», 1, 2004, pp. 97 sgg., spec. p. 112. 84 Così il parere sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 236/2002, in A.C., XIV Legislatura, «Boll. giunte e comm.», 5 dicembre 2002, pp. 6 sgg. L’inciso «da ultimo» deve, con ogni probabilità, attribuirsi al fatto che già la circolare del presidente della Camera sull’istruttoria legislativa in commissione, del 10 gennaio 1997, ha stabilito (punto 5.2) che debbano essere dichiarati inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che «modifichino in modo del tutto frammentario e parziale disposizioni contenute in atti normativi non aventi forza di legge». 85 In questi termini, cfr. A. Celotto, La «frammentazione dell’atomo» (dei decretilegge che modificano atti regolamentari), «Rassegna parlamentare», 2, 1997, pp. 461 sgg., spec. pp. 473 sgg., il quale osserva che viene così messa «in crisi la stessa concezione tradizionale che vede le disposizioni quali unità minima del linguaggio giuridico». Lo stesso può dirsi – sia consentito aggiungere – nel caso, esattamente opposto, di sosti-
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che così facendo si origina comunque un effetto di legificazione o di rilegificazione, come mostra il fatto che, al fine di disporre un’ulteriore proroga di un termine già prorogato nel modo suddetto (essendo il richiamato parere del Comitato per la legislazione rimasto privo di esito), vi è stato bisogno di intervenire nuovamente con una disposizione legislativa di modifica espressa di un regolamento avente, in parte qua, forza di legge, inserita dal Senato all’interno di un decreto-legge «milleproroghe»86.
6. Una «Repubblica fondata sulle proroghe»? Alle radici delle norme di proroga, tra difetti di istruttoria legislativa, pressione degli interessi e mutamenti nel rapporto tra diritto e tempo Alla domanda sulle ragioni alla base di un così intenso e continuo utilizzo della decretazione d’urgenza per l’introduzione di norme di proroga o di differimento di termini, su cui si è registrata una vasta convergenza tra Governo e Parlamento e, spesso, anche tra maggioranza e opposizione, si può tentare di rispondere sulla base di una varietà di approcci. Un primo approccio potrebbe consistere nel sottolineare le peculiarità del «caso italiano». Analogamente a quanto, qualche anno or sono, si osservava in dottrina con riferimento al fenomeno – per più versi accostabile a quello qui esaminato – dei decreti legislativi integrativi e correttivi, qualificati come «un espediente tipico di quello che un tempo si sarebbe definito il “genio italico”», che in ipotesi sarebbe «dedito più ad apprestare rimedi successivi alle inefficienze che ad impedire in origine il rischio stesso tuzione, attraverso regolamenti di delegificazione, di singole parole all’interno di un atto normativo di rango primario. Inutile sottolineare che quelli appena citati sono fenomeni ben distinti rispetto ai testi unici «misti», in cui la frammistione è esplicitamente voluta dal legislatore e le disposizioni primarie e secondarie sono collocate sì in un unico contesto, ma «con le opportune evidenziazioni». 86 Alla luce delle considerazioni di cui nel testo, non si può concordare, sul punto, con il già citato (secondo) parere sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 147/2003, nel quale il Comitato per la legislazione ha chiesto la soppressione dell’art. 9 bis, posto che tale articolo novellava sì un termine previsto da disposizione contenuta in un regolamento, ma che era stato già novellato con un atto di rango legislativo e che quindi, a rigore, non poteva essere oggetto di modifica ad opera di una fonte secondaria.
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delle inefficienze»87, sarebbe facile ricollegare il successo dei decreti-legge «milleproroghe» a caratteristiche ritenute tipiche dell’ordinamento e dello stesso popolo italiano. Si pensi, per tutte, alla ricorrente battuta circa la «vera» formulazione dell’art. 1 della Costituzione che qualificherebbe l’Italia come una «Repubblica fondata sulla proroga e sulla deroga». Si tratta, peraltro, di un approccio che non ha nulla di scientifico e che inevitabilmente sconfina, come riconosce anche chi lo ha fatto proprio, nel luogo comune88. Un secondo approccio, interno al procedimento legislativo, potrebbe segnalare come ogni caso di proroga di un termine fissato da una legge precedente riveli un’istruttoria non soddisfacente al momento dell’approvazione della legge che ha fissato quel termine. Basti qui ricordare come, tra i contenuti obbligatori dell’istruttoria legislativa in commissione individuati dall’art. 79 del regolamento della Camera, compaia un espresso riferimento alla «adeguatezza dei termini previsti per l’attuazione della disciplina». Il ricorso a norme di proroga sembra altresì presupporre, nella maggior parte dei casi, l’inosservanza della disposizione che nel 1988 è stata introdotta nell’art. 73 bis del regolamento del Senato, ai sensi della quale «la presidenza del Senato tiene nota delle leggi che stabiliscono un termine per la loro efficacia o per l’emanazione di altre leggi ovvero per la presentazione di disegni di legge o la adozione di provvedimenti da parte del Governo, curandone la segnalazione al presidente del Consiglio dei ministri ed alle commissioni permanenti competenti per materia, almeno due mesi prima della scadenza»89. 87
Le espressioni virgolettate nel testo appartengono a A. Spadaro, Decreti legislativi integrativi e correttivi: un fehlerkalkül all’italiana? Ovvero il «calcolo dei vizi» come previsione di riforme… riformande, in V. Cocozza, S. Staiano (a cura di), I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto. La prospettiva della giurisprudenza costituzionale, cit., pp. 567 sgg. Assai diverso è l’approccio, nei confronti del medesimo fenomeno, proposto da M. Cartabia, L’effettività come presupposto e vittima dei decreti legislativi «integrativi e correttivi», in A. Bardusco, F. Pizzetti (a cura di), L’effettività tra sistema delle fonti e controlli. Alcuni casi emblematici, Milano 1998, pp. 73 sgg. 88 Cfr. ancora A. Spadaro, Decreti legislativi integrativi e correttivi, cit., p. 573. 89 Un cenno in tal senso è in A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 382, il quale ipotizza che la disposizione in questione sia stata «dimenticata». Sulla base di questa previsione, risulta peraltro che l’Amministrazione del Senato (e in particolare il Servizio per la qualità degli atti normativi) operi un monitoraggio della legislazione vigente al fine appunto di rilevare le principali scadenze fissate dalla legislazione vigente.
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Un terzo approccio, per certi versi complementare rispetto al precedente e basato anche su nozioni di scienza politica, potrebbe sottolineare che la permeabilità che Governo e Parlamento sembrano mostrare nei confronti delle norme di proroga costituisce un’ennesima conferma della vicinanza degli interessi rispetto ai Ministeri e alle stesse istituzioni rappresentative: la richiesta di una proroga proveniente dai gruppi di interesse o dalle stesse amministrazioni pubbliche è una richiesta che ha un’elevata probabilità di essere accolta, specie in assenza di un indirizzo politico forte e di una capacità di filtro e di sintesi ad opera del sistema politico. Si tratta insomma dello stesso fattore che si ritiene essere, tra gli altri, alla base dell’inflazione legislativa, e che viene individuato in un «potere legislativo incerto e fragile, che non riesce a operare da filtro selezionatore dinanzi alle richieste della burocrazia così come del resto dinanzi alle pressioni di lobbies e camarille»90. Alla luce di questo approccio, si comprende meglio anche il senso dei decreti-legge «milleproroghe». Essi, diversamente dagli ordinari decretilegge di proroga di un singolo termine, traggono origine da una serie di pressioni nessuna delle quali è sufficientemente forte da ottenere, se considerata isolatamente, l’emanazione di un decreto-legge: è solo dalla sommatoria di queste pressioni, provenienti per definizione da Ministeri diversi, da forze politiche differenti e anche da aree geografiche disparate, che il decreto-legge ottiene la forza sufficiente per giungere all’emanazione e poi – caricato in genere di nuovi contenuti derivanti da ulteriori pressioni, magari uscite soccombenti dalla fase endogovernativa – alla conversione in legge. Infine, un quarto approccio, ispirato da studi di sociologia giuridica relativi agli effetti che il processo di globalizzazione produce sugli ordinamenti contemporanei, potrebbe ricondurre il successo delle proroghe ad un mutamento nel rapporto tra diritto e tempo e alle sue conseguenze sul ruolo e sui caratteri della legislazione. Infatti, si osserva che la globalizzazione, tra i suoi numerosi effetti, tende ad ampliare la sfera del presente a danno di quella del passato e del futuro, e così a porre in crisi i caratteri fondanti dello Stato di diritto, e anzitutto «la scelta della legislazione come 90
Così, sinteticamente, M. Ainis, La legge oscura. Come e perché non funziona, Roma-Bari 20022, spec. p. 60. Più specificamente, sulle tendenze del processo legislativo parlamentare in Italia, cfr., in un’ottica politologica, C. De Micheli, L. Verzichelli, Il Parlamento, Bologna 2004, spec. pp. 213 sgg.
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architrave del sistema delle fonti», come opzione nel senso della stabilità e della prevedibilità dei comportamenti e delle conseguenze ad esse riconnesse dall’ordinamento91. Alla luce di quest’ultimo approccio, dunque, i decreti-legge «milleproroghe», così come gli stessi decreti legislativi integrativi e correttivi, lungi dall’essere il frutto di una peculiarità italiana, sarebbero il prodotto di mutamenti di ordine più profondo, e diffusi in tutti gli ordinamenti europei, che alterano quel carattere di stabilità della legislazione che sembra ormai essere andato (definitivamente?) perduto. Muovendosi (implicitamente) proprio in conformità a quest’ultimo approccio, si è recentemente avanzata, sulla base delle classificazioni proposte dai Rapporti sullo stato della legislazione predisposti ogni anno dall’Osservatorio sulla legislazione della Camera, la tesi per cui la funzione prevalente dei decreti-legge sarebbe appunto quella descrivibile con l’immagine della «manutenzione legislativa», intesa in senso generalissimo, di disciplina che «si connette ad altre discipline»92. E si è riscontrata, a conclusione dell’analisi, svolta distintamente a seconda della fonte con cui si connette il decreto-legge, «una sorta di resistenza (o di debolezza) nel prevedere i problemi applicativi già nella fase preparatoria delle legge, rinviandoli a momenti ulteriori ed estranei all’iter legis»93. Evidentemente, i decreti-legge «milleproroghe» costituiscono l’esempio più lampante di un fenomeno di tal fatta, testimoniando le difficoltà che il legislatore incontra nell’assicurare l’effettiva e tempestiva applicazione delle discipline innovative che esso stesso introduce e mostrando la necessità che esse siano accompagnate da assestamenti e da collaudi in genere sottovalutati dallo stesso legislatore nel momento in cui esse sono state predisposte94. Quello che, però, occorre domandarsi è se un problema così delicato e con radici così profonde possa essere 91 Il riferimento è a M.R. Ferrarese, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna 2002, spec. pp. 21 sgg., a cui appartengono le espressioni virgolettate. 92 Il riferimento è a A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 345 sgg. 93 Cfr. ibid., pp. 382 sgg. 94 Un caso particolarmente interessante è quello relativo alla ripetuta proroga, ovviamente con decreti-legge, del periodo di sperimentazione della disciplina del prezzo di libri, analizzato da A. Simoncini, La decretazione d'urgenza e il collaudo delle leggi, «Quaderni costituzionali», 1, 2004, pp. 149 sgg.
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affrontato con uno strumento come quello del decreto-legge, immaginato a tutt’altro scopo, e al momento caratterizzato da una serie di incertezze che rendono piuttosto accidentato e pieno di incognite il suo percorso tanto governativo quanto parlamentare.
Filippo Vari Decreto-legge e gestione della politica estera militare
SOMMARIO: 1. La gestione della politica estera militare mediante il ricorso alla decretazione d’urgenza – 2. I dubbi sulla legittimità costituzionale della prassi per gli interventi a carattere bellico – 3. I dubbi sulla legittimità costituzionale della prassi per gli interventi privi di carattere bellico – 4. Osservazioni finali
1. La gestione della politica estera militare mediante il ricorso alla decretazione d’urgenza Anche per l’impiego dei decreti-legge nel settore della politica estera militare si può a ragione parlare, come felicemente si fa nel titolo di questo volume, di una «emergenza infinita». È, infatti, da quasi tre lustri che la decretazione d’urgenza costituisce lo strumento principale per gestire la partecipazione italiana agli interventi posti in essere dalla comunità internazionale, con sempre maggiore frequenza dopo la caduta del muro di Berlino1, per garantire – almeno nelle intenzioni ufficialmente dichiarate – il rispetto dei diritti umani e assicurare condizioni di pace in diverse aree di crisi disseminate nel mondo2. 1 Cfr. sul punto i dati riportati da P. Carnevale, Il ruolo del Parlamento e l’assetto dei rapporti fra Camere e Governo nella gestione dei conflitti armati. Riflessioni alla luce della prassi seguita in occasione delle crisi internazionali del Golfo persico, Kosovo e Afghanistan, «Diritto e società», 1, 2003, pp. 104 sgg. V., inoltre, F. Lanchester, Il ripudio della guerra nella Costituzione italiana, in S. Amorosino, G. Morbidelli, M. Morisi (a cura di), Istituzioni, mercato e democrazia, Liber amicorum per gli ottanta anni di Alberto Predieri, Torino 2001, pp. 345 sgg. 2 Cfr., però, il monito di C. Schmitt, secondo il quale, come noto, l’umanità è «strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche ed è, nella sua forma eticoumanitaria, un veicolo specifico dell’imperialismo economico» (Il concetto di «politico», in C. Schmitt, Le categorie del politico, Bologna 1972, p. 29). Sul punto v. M. Luciani, Il disperso ritrovato (fra le categorie del politico), in AA.VV., Nuto Revelli. Percorsi di memoria, numero monografico de «Il presente e la storia», 55, 1999, pp. 173 sgg.
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Ragioni di spazio impongono di prescindere, in questa sede, da un’analisi specifica e particolareggiata della natura e delle modalità delle singole missioni, etichettate con i termini proteiformi di interventi d’umanità o di operazioni di polizia internazionale3. È sufficiente qui ricordare come, sin dalla prima guerra del Golfo, il Governo abbia fatto ricorso, contestualmente o, più spesso, successivamente all’impiego di reparti e mezzi militari nelle zone di operazioni, all’adozione di decreti-legge volti ad autorizzare, con prevalente riguardo agli impegni finanziari4, la partecipazione italiana alle diverse missioni internazionali5: si è potuto, così, dare un qualche fondamento normativo agli atti, agli ordini militari adottati ed alle attività materiali intraprese che, nell’assenza di una disciplina organica o, ben si potrebbe dire, «istituzionale» di tali emergenze, ne sarebbero altrimenti risultati privi. Si consideri, oltretutto, che l’invio fuori dal territorio nazionale di reparti armati e/o l’impiego di mezzi e strumenti bellici in operazioni di tale rilievo comporta, ogni volta, la necessità di affrontare imponenti oneri finanziari e di conseguire comunque l’approvazione, mediante atto normativo primario, delle relative spese. Su tali problemi le Camere sono spesso intervenute soltanto in un momento successivo alla decisione ultima dell’invio o, addirit3 Sul punto v., tra i tanti, P. Hassner, From War and Peace to Violence and Intervention. Permanent Moral Dilemmas under Changing Political and Technological Conditions, in J. Moore (a cura di), Hard Choices. Moral Dilemmas in Humanitarian Intervention, New York-Oxford 1998, p. 16. È opportuno ricordare come i suddetti concetti ricomprendano un ampio ventaglio di fattispecie, che vanno dalla istituzione di aree protette e di corridoi umanitari, come in Bosnia, ad operazioni di tipo propriamente bellico, come avvenuto per la «crisi del Kosovo» e l’intervento in Afghanistan. 4 Sul punto v. L. Vigorita, Procedure di comando costituzionale delle Forze Armate: rapporti tra Presidente della Repubblica, Governo e Parlamento, in «“1989”. Rivista di Diritto Pubblico e Scienze Politiche», 1993, pp. 129 sgg.; D. Cabras, Il controllo parlamentare nazionale nell’impiego delle truppe impegnate in missioni di pace, in N. Ronzitti (a cura di), Comando e controllo nelle forze di pace e nelle coalizioni militari, Roma 1999, p. 122. 5 Sull’uso del decreto-legge in funzione instaurativa delle crisi v., per tutti, G. Motzo, Politica della difesa e comando costituzionale delle Forze armate, «Quaderni costituzionali», 2, 1988, p. 312; Id., Costituzione e guerra giusta alla periferia dell’impero, ibid., n. 2/1999, p. 376. Per numerosi esempi v. U. Villani, Missioni militari all’estero e competenze degli organi costituzionali, «Associazioni per gli studi e le ricerche parlamentari», 7, 1996, Torino 1997, p. 189.
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tura, all’avvenuto impiego delle unità militari: o in occasione della approvazione di documenti politici e, in particolare, di mozioni o risoluzioni o, addirittura, al momento della conversione in legge dei provvedimenti adottati in via d’urgenza dal Governo6. Dal momento che i decreti-legge contenevano disposizioni, anche retroattive, volte a dare base giuridica alle missioni7, in tali evenienze la conversione è servita, oltre che a stabilizzare gli effetti dei provvedimenti provvisori del Governo, anche a ratificare il comportamento tenuto nel corso delle crisi. Si è trattato, in sostanza, di un bill d’indennità8, che è valso a definire ogni questione sulla legittimità del ricorso alla decretazione d’urgenza e sul mancato coinvolgimento preventivo delle Camere nella decisione di inviare le Forze armate e di impiegare mezzi e strumenti militari. La prassi descritta ha permesso di conseguire risultati analoghi, per vari aspetti, a quelli raggiunti, negli anni ’80, attraverso l’esecuzione provvisoria di trattati con cui l’Italia si impegnava ad inviare contingenti militari all’estero9: anche allora le irregolarità concernenti il processo decisionale si sono ritenute sanate dall’accordo raggiunto, in sede parlamentare, sul merito politico della missione10. 6 Cfr. P. Carnevale, Il ruolo del Parlamento e l’assetto dei rapporti fra Camere e Governo nella gestione dei conflitti armati. Riflessioni alla luce della prassi seguita in occasione delle crisi internazionali del Golfo persico, Kosovo e Afghanistan, cit., p. 110. 7 Cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge. La decretazione d’urgenza dopo la sentenza n. 360/1996 della Corte costituzionale, Milano 2003, pp. 361 sgg. 8 Sull’istituto del bill d’indennità, v. C. Esposito, voce Decreto-legge, «Enciclopedia del diritto», vol. XI, Milano 1962, p. 832; F. Sorrentino, Le fonti del diritto, Genova 20025, p. 79; P.F. Grossi, Considerazioni introduttive per uno studio sulle fonti, Roma 20036, p. 39. V., inoltre, F.P. Contuzzi, voce Bill d’indennità, in «Digesto italiano», vol. V, Torino 1890-1899, p. 764; L. Rossi, Lo stato d’assedio nel diritto pubblico italiano, «Archivio di diritto pubblico», IV, 1894, pp. 107 sgg.; Id., voce Bill d’indennità, «Novissimo digesto italiano», vol. II, Torino 1957, p. 428; G. Treves, voce Bill d’indennità, in «Enciclopedia del diritto», vol. V, Milano 1959, pp. 480 sgg.; D. Donati, voce Bill, «Enciclopedia italiana», vol. VII, Roma 1930, rist. 1949-1952, p. 34. Richiama l’istituto, da ultimo, A. Pizzorusso, La Costituzione ferita, Roma-Bari 1999, p. 128. 9 Su tali vicende, oltre alla dottrina citata nella nota successiva, v. da ultimo P.A. Capotosti, Le politiche della sicurezza: i nuovi equilibri tra Parlamento e Governo, relazione tenuta in occasione del Convegno annuale della Associazione italiana dei costituzionalisti, Bari 17-18 ottobre 2003, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. 10 Sul punto v. A. Barbera, Gli accordi internazionali: tra governo, parlamento e corpo elettorale, «Quaderni costituzionali», n.3/1984, p. 463; A. Massai, I militari italiani in Libano e il controllo parlamentare, «Politica internazionale» 2, 1984, pp. 63 sgg.; Id., Parlamento e politica estera: l’Italia, «Quaderni costituzionali», 3, 1984, p. 585.
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Questi rilievi, sia pure concisi, dimostrano come per il settore in esame siano ancora attuali le conclusioni alle quali era giunta la dottrina prima della sentenza n. 360/1996 della Corte costituzionale, e cioè che, a seguito di un continuo ricorso alla decretazione d’urgenza, il Governo «non è più “colegislatore” […] ma senz’altro e direttamente un legislatore, anzi è – in via principale – il legislatore»11.
2. I dubbi sulla legittimità costituzionale della prassi per gli interventi a carattere bellico L’applicazione del modello innanzi descritto per deliberare e gestire la partecipazione italiana alle diverse missioni internazionali suscita, invero, non poche perplessità. Il ricorso alla decretazione d’urgenza per autorizzare e gestire la partecipazione ad operazioni di tipo bellico, senza una preventiva e «formale» decisione del Parlamento, contrasta chiaramente con quanto previsto dall’art. 78 Cost., il quale, come noto – accogliendo il principio, già affermatosi all’epoca della Rivoluzione francese, secondo il quale «la guerre ne peut être déclarée que du consentement du corps législatif»12 – esige che siano le Camere a deliberare lo stato di guerra13. E ciò è ancor più evidente ove si consideri che l’organizzazione delle spedizioni alle quali ha sinora preso parte l’Italia è sempre avvenuta in un lasso di tempo tale da consentire agevolmente l’attivazione del meccanismo predetto. A prescindere da una puntuale analisi delle dottrine relative al significato del termine guerra nella Costituzione14, nell’ordina11 Così A. Celotto, L’«abuso» del decreto-legge, Padova 1997, p. 278. In tal senso cfr., inoltre, A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 5. 12 Così B. Mirkine-Guetzévitch, Les nouvelles tendances du droit constitutionnel, Paris 1931, p. 61. 13 Sull’art. 78 Cost. v., per tutti, P.F. Grossi, Considerazioni introduttive per uno studio sulle fonti, cit., p. 38; F. Sorrentino, Le fonti del diritto, cit., pp. 98 sgg. V., inoltre, M. Scudiero, Aspetti dei poteri necessari per lo stato di guerra, Napoli 1969; A. Giardina, Commento dell’art. 78 della Costituzione, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma 1979, pp. 94 sgg.; C. Fresa, Provvisorietà con forza di legge e gestione degli stati di crisi, Padova 1981, pp. 99 sgg. 14 Cfr., in tema, G. Motzo, Il comando delle Forze armate e la condotta dei regimi di emergenza nel sistema costituzionale italiano, Milano 1957, pp. 153 sgg.; A. Loiodice, Contributo allo studio sulla libertà d’informazione, Napoli 1969, p. 368. Sul
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mento italiano continua a trovare spazio una tendenza, già affermatasi in epoca statutaria, in virtù della quale «non risulta che sia stato mai emanato un atto contenente la deliberazione ufficiale e formale della guerra»15, pur quando era indiscutibile il carattere bellico della fattispecie e, dunque era necessario attivare le procedure sopra richiamate, come nel caso della prima guerra del Golfo, della guerra del Kosovo e di quella in Afghanistan16. Si perpetua, in tal modo, il fenomeno che autorevole dottrina denunciava con l’icastica espressione di «belligeranze non instaurate e non dichiarabili o dichiarate»,17 da ritenere oggigiorno connesse anche alla circostanza che la guerra «sfugge» alle forme solenni per la sua proclamazione18 e alla conseguente perdita di rilievo di classici strumenti quali l’ultimatum, l’annuncio di mobilitazione e la dichiarazione di guerra. punto sia consentito rinviare a F. Vari, Necessitas non habet legem? Alcune riflessioni sulle situazioni di emergenza nell’ordinamento costituzionale italiano, «Rivista di diritto costituzionale», 2003, pp. 191 sgg. 15 G. Ferrari, voce Guerra (dir. cost.), «Enciclopedia del diritto», vol. XIX, Milano 1967, p. 818. 16 Cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 467 sgg. Sulle procedure seguite in occasione della partecipazione italiana alla prima guerra del Golfo, v. G. Guiglia, Il comando e l’impiego delle Forze Armate: considerazioni alla luce della normativa esistente e della prassi, «“1989”. Rivista di Diritto Pubblico e Scienze Politiche», 1993, p. 281; L. Vigorita, Procedure di comando costituzionale delle Forze Armate: rapporti tra Presidente della Repubblica, Governo e Parlamento, ibid., pp. 134 sgg. Quanto all’intervento in Afghanistan, v. P. Carnevale, Il ruolo del Parlamento e l’assetto dei rapporti fra Camere e Governo nella gestione dei conflitti armati, cit., pp. 114 sgg.; M. Franchini, Brevissime note a proposito dei nuovi impegni militari italiani in Afghanistan, in AA.VV., Studi per Giovanni Motzo, Milano 2003, pp. 203 sgg. 17 Così G. Motzo, Politica della difesa e comando costituzionale delle Forze armate, cit., pp. 316 sgg. 18 Sul punto v. J.G. Starke, An Introduction to International Law, London 19584, p. 353; nonché N. Ronzitti, Diritto internazionale dei conflitti armati, Torino 1998, p. 96, il quale sottolinea che «gli Stati si guardano bene dal qualificare come esercizio dello ius ad bellum il ricorso alla forza armata, a causa della proibizione stabilita dalla Carta delle Nazioni Unite e dei controlli ed autorizzazioni cui, nelle democrazie parlamentari sono sottoposti gli esecutivi in ordine alla possibilità di “dichiarare guerra”». In questo senso v. anche L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996, p. 225. Da ultimo, sul punto v. P.A. Capotosti, Le politiche della sicurezza: i nuovi equilibri tra Parlamento e Governo, cit. In proposito, appare opportuno comunque ricordare che della tendenza a non dichiarare più la guerra c’era consapevolezza anche tra alcuni costituenti: v., ad esempio, l’intervento dell’on. Nobile, in Atti Assemblea costituente, II sottocommissione, I sez., seduta del 20 dicembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, a cura del Segretariato generale della Camera dei deputati, Roma 1970, vol. VIII, p. 1759.
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Tale tendenza finisce per produrre conseguenze perniciose anche nell’ambito di altri sistemi giuridici come dimostra, con riferimento a quello statunitense, la vicenda del trattamento dei prigionieri nella base di Guantanamo19. È significativo che di questo fenomeno si sia tenuto conto, sia pure parzialmente, nella novella al codice penale militare di guerra, il cui art. 165, così come modificato ad opera delle leggi nn. 6 e 15/2002, stabilisce che le norme del titolo IV del suddetto codice, intitolato «Dei reati contro le leggi e gli usi della guerra», si applicano «in ogni caso di conflitto armato, indipendentemente dalla dichiarazione dello stato di guerra»20 e, «in attesa dell’emanazione di una normativa che disciplini organicamente la materia», anche «alle operazioni militari armate svolte all’estero dalle forze armate italiane». A quanto detto si potrebbe obiettare che il Parlamento manifesta comunque il proprio orientamento mediante procedure «atipiche», e cioè con l’approvazione delle mozioni o risoluzioni che generalmente accompagnano il ricorso alla decretazione d’urgenza, autorizzando la partecipazione italiana alle diverse operazioni. In realtà, come si è innanzi evidenziato, queste procedure non sempre sono state tempestivamente attivate e hanno talora portato all’approvazione di documenti contraddistinti da un contenuto estremamente ambiguo e generico21. Inoltre, il rispetto di tali procedure più «sbrigative» rimane affidato alla buona volontà della maggioranza, come dimostra il caso increscioso del Kosovo, allorquando la decisione di parteci19
V., sul punto, G. Bascherini, L’emergenza e i diritti. Un’ipotesi di lettura, «Rivista di diritto costituzionale», 2003, pp. 51 sgg., nota 51 sgg. Ivi ampia bibliografia. Come noto, la Corte suprema degli Stati Uniti d’America è intervenuta sulla vicenda: in proposito v. S. Santoli, U.S.A: Eppur (r)esistono. Habeas corpus, due process of law, checks and balances. In margine alle sentenze della Corte Suprema del 28/6/2004, in www.forumcostituzionale.it. Sul tema inoltre v., da ultimo, A. De Petris, Guantánamo: un buco nero nella «terra della libertà», in www.associazionedeicostituzionalisti.it. 20 Sul punto v. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 468; P. Carnevale, Il ruolo del Parlamento e l’assetto dei rapporti fra Camere e Governo nella gestione dei conflitti armati, cit. Il successivo comma 3 dello stesso articolo chiarisce che «ai fini della legge penale militare di guerra, per conflitto armato si intende il conflitto in cui una almeno delle parti fa uso militarmente organizzato e prolungato delle armi nei confronti di un’altra per lo svolgimento di operazioni belliche». 21 P. Carnevale, Il ruolo del Parlamento e l’assetto dei rapporti fra Camere e Governo nella gestione dei conflitti armati, cit.
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pare a una vera e propria guerra è stata presa senza né informare le commissioni competenti né coinvolgere in alcun modo il Parlamento nelle decisioni. In quella circostanza, considerata la posizione assunta da alcuni partiti facenti parte della maggioranza di governo, la via meno rischiosa e più semplice a disposizione del Governo per gestire la crisi si è rivelata quella di agire sul piano di fatto, mediante direttive non sorrette da adeguato fondamento giuridico22. La mancata formalizzazione delle decisioni prese ha comportato, nonostante la partecipazione ad un vero e proprio conflitto, un’emarginazione del Parlamento ancor più marcata del passato, dal momento che non soltanto ogni chiave instaurativa (anche impropria) è stata gestita dall’Esecutivo, ma neanche in un momento successivo si è provveduto ad una effettiva «parlamentarizzazione» della crisi23.
3. I dubbi sulla legittimità costituzionale della prassi per gli interventi privi di carattere bellico Parzialmente diversa si presenta la situazione allorquando si tratta della partecipazione ad operazioni che non abbiano invece carattere bellico. Tanti sono gli esempi che si possono citare: dal Mozambico alla Somalia, dall’Albania a Timor Est. Anche se tali fattispecie non rientrano nei paradigmi di cui all’art. 78 Cost., il processo per decidere le missioni innanzi descritto suscita alcuni interrogativi. In molte occasioni, infatti, a tacere dei problemi riguardanti l’eventuale violazione dell’art. 80 Cost.24, sembrerebbe comunque 22 V., per tutti, C. Pinelli, Argomenti e posizioni nel dibattito dei costituzionalisti sulla guerra del Kosovo, in N. Ronzitti (a cura di), Nato, conflitto in Kosovo e Costituzione italiana, Milano 2000, pp. 194 sgg. 23 Sul punto sia consentito rinviare a F. Vari, La «vecchia» Costituzione e la «nuova» guerra: breve analisi della «crisi del Kosovo», in M. Dogliani, S. Sicari (a cura di), Diritti umani e uso della forza. Profili di diritto costituzionale interno e internazionale, Torino 1999, pp. 128 sgg. 24 Cfr. P.A. Capotosti, Le politiche della sicurezza: i nuovi equilibri tra Parlamento e Governo, cit.
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mancare una situazione tale da poter essere ricondotta nell’ambito dei presupposti di cui al secondo comma dell’art. 77 Cost. Un’interpretazione rigorosa, volta a rimarcare la valenza giuridica dei requisiti di cui alla suddetta disposizione25, non potrebbe ignorare quella dottrina che, invero non da oggi, considera condizione per giustificare il ricorso alla decretazione d’urgenza una «situazione di cose, che esprime un’esigenza improrogabile di un divenire dell’ordinamento giuridico, sia nel senso che una nuova norma si produca, sia nel senso che si estingua o si modifichi una norma esistente»26 e che «è tale da non essere possibile ricorrere all’ordine di competenze normative precostituite, e da rendere “necessitato” quell’atto derogatorio di produzione giuridica che è il decreto-legge»27. In questa prospettiva, perché non sia disatteso l’art. 77 – al di là dei problemi legati al significato proprio di ciascuno dei termini che compongono il sintagma «casi straordinari di necessità e d’urgenza»28 –, appare indispensabile la presenza di due requisiti: a) l’esigenza imprescindibile di intervenire sulle circostanze di fatto mediante l’adeguamento dell’ordinamento vigente richiesto dalla situazione insorta; b) l’impossibilità oggettiva di perseguire l’adeguamento suddetto mediante l’esercizio, anche in via d’urgenza, della funzione legislativa da parte delle Camere29.
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In questo senso v., per tutti, F. Sorrentino, Le fonti del diritto, cit., pp. 86 sgg. Sul punto v., inoltre, A. Pizzorusso, Ripensando i controlli sui decreti-legge alla luce dell’esperienza recente, in AA.VV., I decreti-legge non convertiti, Atti del Seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, nel giorno 11 novembre 1994, Milano 1996, p. 12, il quale rileva che «un’interpretazione rigorosamente letterale di tale testo non può non portare a configurare la sussistenza del presupposto in questione come una condizione sine qua non della costituzionalità formale del decreto-legge». Sul dibattito dottrinale sorto al riguardo v., per tutti, G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, Padova 1989, pp. 56 sgg. Da ultimo v., inoltre, A. Concaro, Il sindacato di costituzionalità sul decreto-legge, Milano 2000, pp. 25 sgg. 26 Così a proposito della decretazione d’urgenza, già nel vigore dello Statuto albertino, T. Perassi, Necessità e stato di necessità nella teoria dommatica della produzione giuridica (1917), in Scritti giuridici, vol. I, Milano 1958, p. 196. 27 C. Fresa, Provvisorietà con forza di legge, cit., p. 48. 28 Per un’analisi del dibattito sorto in dottrina v., per tutti, A. Celotto, L’«abuso» del decreto-legge, cit., pp. 388 sgg. 29 Così anche G. Zagrebelsky, Manuale di diritto costituzionale, I) Il sistema delle fonti del diritto, Torino 1990, p. 177.
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È superfluo evidenziare il fondamentale rilievo di queste due condizioni per evitare che il decreto-legge, lungi dall’essere una «ipotesi eccezionale»30, finisca per divenire, per dirla con uno dei sostenitori della tesi della relatività dei presupposti, «una fonte normativa primaria pienamente concorrenziale con la legge parlamentare, indipendentemente dalla urgente necessità del provvedere, oltre che del provvedimento»31. Quanto a quest’ultimo punto di vista, si può osservare che, ad accoglierlo, non soltanto si finirebbe per uscire dal disegno tracciato dal costituente32, anche con riguardo agli stessi pilastri che reggono la forma di governo33; ma «in una situazione in cui l’emergenza, la urgenza necessitata, la diuturna e protratta gestione delle crisi, la ingovernabilità, sembrano costituire elementi della vita del paese» sarebbe lecito chiedersi, paradossalmente, se l’esercizio della funzione legislativa non «debba essere stabilmente attribuito al Governo, in quanto in grado di adottare quell’atto che, per la forma e la forza tipica, risulta il più idoneo a disciplinare con tempestività le situazioni in questione»34. Alla luce di queste considerazioni appare, pertanto, assai dubbia la legittimità costituzionale della prassi frequentemente seguita dal Governo con l’adozione ritardata dei decreti-legge «instaurativi», al fine di costringere il Parlamento a pronunciarsi su operazioni già iniziate o addirittura concluse e, dunque, con lo scopo 30 Così il § 4. del considerato in diritto della sentenza n. 360/1996, «Giurisprudenza costituzionale», 5, 1996, pp. 3147 sgg., con note di F. Sorrentino, La reiterazione dei decreti-legge di fronte alla Corte costituzionale, e di S.M. Cicconetti, La sent. n. 360 del 1996 della Corte costituzionale e la fine della reiterazione dei decreti-legge: tanto tuonò che piovve. Su tale decisione v. R. Romboli, La reiterazione dei decretilegge decaduti: una dichiarazione di incostituzionalità con deroga per tutti i decretilegge in corso (tranne uno), «Foro italiano», 1996, I, pp. 3269 sgg.; V. Angiolini, La «reiterazione» dei decreti-legge. La Corte censura i vizi del governo e difende la presunta virtù del parlamento, «Diritto pubblico», 1, 1997, pp. 113 sgg. 31 Così F. Modugno, Analisi delle disposizioni della legge 400/88 relative alla potestà legislativa del Governo. Considerazioni critiche, in AA.VV., Scritti in onore di G. Guarino, vol. III, Padova 1998, p. 62. 32 Sul punto v. i rilievi dello stesso F. Modugno (ibid.), il quale parla, «rispetto alla previsione della Costituzione formale», di un «uso distorto» della decretazione d’urgenza. V., inoltre, A. Ruggeri, La Corte e le mutazioni genetiche dei decreti-legge, in Id., «Itinerari» di una ricerca sul sistema delle fonti, II, Studi degli anni 1992-1995, Torino 1996, p. 334. 33 In argomento v. A. Celotto, L’«abuso» del decreto, cit., pp. 322 sgg. 34 Solleva quest’obiezione C. Fresa, Provvisorietà con forza di legge, cit., p. 90.
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di porre le Camere di fronte al classico «fatto compiuto» o, meglio ancora, al «fatto più che compiuto»35. Il ricorso alla decretazione d’urgenza, in occasione degli interventi all’estero delle Forze armate, dovrebbe essere quanto mai immediato36: l’adozione di un decreto d’urgenza per legittimare la missione cui l’Italia prende parte potrebbe, dunque, giustificarsi nel momento in cui effettivamente viene presa la decisione; non altrettanto può dirsi quando essa avviene in funzione di legittimazione retroattiva dei vari interventi, atteso che, nel lasso di tempo che intercorre tra l’inizio delle operazioni e l’emanazione ex post del provvedimento governativo, ben potrebbe essere approvata – è ragionevole ritenere – una legge formale di contenuto identico al decreto. Il fatto, dunque, che l’Esecutivo non tenti la strada parlamentare, presentando tempestivamente un disegno di legge per dare fondamento normativo all’intervento, ma ricorra direttamente e con ritardo all’adozione di decreti-legge – ovviamente quando non sopravvengano nuovi e diversi presupposti valutabili ai sensi del secondo comma dell’art. 77 Cost. – finisce per costituire un evidente sintomo dell’abuso nel ricorso al decreto-legge, in tutti i casi in cui vi sia la possibilità per le Camere di esercitare, anche in via d’urgenza, la funzione legislativa. In proposito, è significativo ricordare l’ordine del giorno approvato, nel corso della XII Legislatura, dalla IV Commissione permanente del Senato, il 9 febbraio 1995, con il quale preso atto che «il Parlamento si è trovato in più occasioni a esaminare decreti-legge relativi all’impiego di unità delle Forze armate italiane in operazioni umanitarie o di pace all’estero», che «la discussione di tali decreti si è svolta sempre ad operazioni già iniziate, o addirittura concluse» e che «in tale situazione non è consentito al Parla35 Valga come esempio quello della partecipazione italiana alla forza multinazionale di intervento a Timor Est. In questa circostanza si è, infatti, verificata l’emanazione di un decreto-legge dopo oltre un mese dall’inizio delle operazioni che lo stesso provvedimento è andato retroattivamente ad autorizzare e disciplinare. Sul punto sia consentito far rinvio a F. Vari, Dopo il Kosovo, Timor Est, «Quaderni costituzionali», 1, 2000, pp. 117 sgg. Sul punto v. i dati riportati da A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 362. Quanto agli effetti irreversibili prodotti dai decreti-legge v., in generale, A. Ruggeri, La Corte e le mutazioni genetiche dei decreti-legge, cit., pp. 360 sgg. 36 A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit.
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mento di esprimere senza condizionamenti il proprio avviso su iniziative di tale rilievo e delicatezza», si impegnava il Governo «a presentare i decreti-legge concernenti l’impiego all’estero di unità delle Forze armate nazionali in operazioni umanitarie o di pace, con adeguato anticipo rispetto all’avvio delle operazioni, in modo che il Governo possa procedere alla definizione dei propri impegni internazionali avendo acquisito quei pareri e quei consensi che al Parlamento compete esprimere». Anche alla luce dei dubbi legati all’interpretazione della legge n. 27/199737 e, comunque, alla «scarsa incidenza»38 della disciplina ivi prevista39, sembrerebbe, in realtà, più opportuno chiedersi se, in una prospettiva di «manutenzione costituzionale», non sia forse giunto il momento di novellare l’art. 78 Cost., prevedendo, così come facevano con riferimento alla Camera dei deputati i progetti di revisione della Costituzione elaborati dalla ultima Commissione bicamerale per le riforme istituzionali40, che sia il Parlamento a deliberare, «su proposta del Governo, l’impiego delle Forze armate fuori dai confini nazionali per le finalità consentite dalla Costituzione». E ciò sia per gli ingenti capitali che vengono impiegati in tali missioni41 e il cui utilizzo comporta notevoli tagli alle altre spese, 37 Per i quali v. P.A. Capotosti, Le politiche della sicurezza: i nuovi equilibri tra Parlamento e Governo, cit. 38 Cfr. ibid. 39 Come noto, l’art. 1, comma 1 della suddetta legge stabilisce: «Il ministro della difesa, preposto all’amministrazione militare e civile della difesa e massimo organo gerarchico e disciplinare: a) attua le deliberazioni in materia di difesa e sicurezza adottate dal Governo, sottoposte all’esame del Consiglio supremo di difesa e approvate dal Parlamento». In proposito v. G. Guiglia, Il comando delle Forze armate e il ruolo del Consiglio Supremo di Difesa alla luce della nuova legge sui vertici militari, «Rassegna parlamentare», 4, 1997, pp. 885 sgg.; P. Bonetti, Ordinamento della difesa nazionale e Costituzione italiana, Milano 2000. 40 V. l’art. 109 del progetto del 30 giugno 1997 e l’art. 100 del progetto del 4 novembre dello stesso anno. 41 I dati relativi ai costi per il 2003 di tutte le missioni nelle quali sono impegnate forze italiane possono essere rinvenuti nella relazione della Corte dei conti al Parlamento per l’anno 2003. In essa si sottolinea la rilevanza dell’istituzione, con la legge «Finanziaria per il 2004», n. 350/2003, del Fondo «Missioni internazionali», per provvedere alle esigenze connesse alla proroga delle missioni internazionali. L’istituzione di tale fondo consente di superare le riserve in ordine alla prassi di reperire le risorse destinate alle missioni ricorrendo al «Fondo missioni impreviste» «per una tipologia di spesa che», secondo la Corte dei conti, «non rientrava nell’elencazione “tassativa” delle spese che a detto fondo potevano accedere» (così la relazione al Parlamento per l’anno 2003).
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come ben esemplifica il decreto-legge n. 9/2004, che, prorogando sino al 30 giugno 2004 la partecipazione italiana a diverse operazioni internazionali, tra le quali anche quella in Irak, contempla uno stanziamento di circa 1.000 miliardi di vecchie lire per 6 mesi; sia, soprattutto, per le impressionanti implicazioni che la partecipazione a tali operazioni comporta, come reso evidente dai drammatici avvenimenti legati all’intervento della forza internazionale sul territorio irakeno42. Un cenno, infine, va fatto ai decreti-legge con i quali viene disposta la proroga di missioni già intraprese. In proposito, le considerazioni innanzi esposte in ordine al significato dei presupposti di cui all’art. 77 Cost. portano a concludere che il ricorso alla decretazione d’urgenza si può giustificare qualora intervengano nuovi eventi che richiedano la prosecuzione dell’impegno nelle missioni intraprese; esso, altrimenti, finisce – riprendendo un’espressione antica di Federico Cammeo – per costituire uno strumento per «forzare la mano al Parlamento presentando ad esso il fatto compiuto»43.
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Sui problemi legati alla seconda guerra del Golfo, tra i tanti, v. U. Villani, Il disarmo dell’Iraq e l’uso della forza nel diritto internazionale, in AA.VV. Il disarmo dell’Iraq fra guerra e diritto, Bari 2003, pp. 15 sgg.; Id., Il Papa e la guerra all’Irak, in A. Loiodice, M. Vari (a cura di), Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia, Roma 2003, pp. 903 sgg.; L. Elia, L’art. 11 nel dibattito all’Assemblea Costituente, in Pace, guerra, ordine internazionale. L’articolo 11 della Costituzione, Atti del Seminario tenutosi a Roma, il 16 gennaio 2003, Roma, 2003, pp. 7 sgg.; M. Luciani, La Costituzione e la guerra nel nuovo secolo, ibid., pp. 16 sgg.; C. Pinelli, Grozio e la dottrina dell’intervento preventivo, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; M., Franchini, Brevissime note a proposito dei nuovi impegni militari, cit., pp. 212 sgg. Sia, inoltre, consentito il rinvio a F. Vari, Brevi considerazioni sulla seconda guerra del Golfo, in www.forumcostituzionale.it. 43 F. Cammeo, Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo. Legge ed ordinanza (decreti e regolamenti), in V.E. Orlando (a cura di), Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano, vol. III, Milano 1901, p. 200. A. Celotto, Decreto-legge e attività del Governo (nella XIV Legislatura), supra, p. xxx, chiarisce come per i decreti in esame non siano rispettati i presupposti di cui all’art. 77, comma 2, Cost. Vale la pena evidenziare come di recente si sia verificato un caso «virtuoso», nel quale la proroga della partecipazione italiana alle missioni internazionali è stata disposta senza ricorrere al decreto-legge, bensì in forza della legge n. 208/2004.
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4. Osservazioni finali In conclusione, l’analisi del ricorso alla decretazione d’urgenza nel settore della politica estera militare sembrerebbe confermare la tesi secondo la quale è erroneo ritenere che la sentenza n. 360/1996 della Corte costituzionale abbia portato alla fine dell’abuso della decretazione d’urgenza44. L’uso «distorto» del decreto-legge costituisce uno degli strumenti mediante i quali si perpetua il legame tra il potere esecutivo e il lockiano potere federativo, facendo sì che la determinazione dell’indirizzo della politica estera militare rappresenti uno dei settori «da troppo tempo dominio degli esecutivi»45.
44 V. sul punto R. Romboli, La reiterazione dei decreti-legge decaduti, cit., p. 3275, il quale rileva come, a seguito delle posizioni assunte dalla Corte in tale decisione, le possibilità «di sindacare l’abuso del ricorso allo strumento del decreto-legge da parte del governo […] a differenza di quanto in un primo momento è sembrato ai più, si sono certamente ridotte». Cfr., inoltre, i rilievi di V. Angiolini, La «reiterazione» dei decreti-legge, cit., p. 121. V., pure, A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 471. Sui problemi sollevati in ordine alla c.d. efficacia sanante della legge di conversione dalla decisione citata e dalla successiva giurisprudenza della Corte costituzionale che ad essa si conforma v. A. Celotto, La «storia infinita»: ondivaghi e contraddittori orientamenti sul controllo dei presupposti del decreto-legge, «Giurisprudenza costituzionale», 2, 2002, pp. 133 sgg.; Id., voce Decreto-legge, «Enciclopedia giuridica», postilla di aggiornamento, Roma 2001, p. 4. Sul punto v., inoltre, A. Simoncini, Una nuova stagione per i controlli sulla decretazione d’urgenza, «Quaderni costituzionali», 3, 2002, pp. 613 sgg. Sul tema v., inoltre, l’analisi della più recente giurisprudenza svolta da A. Celotto, Decreto-legge e attività del Governo (nella XIV Legislatura), supra, cit. 45 Così, a proposito delle scelte di politica internazionale e delle loro implicazioni, M. Luciani, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, in AA.VV., Scritti in onore di G. Guarino, vol. II, cit., p. 806, il quale evidenzia che «nei vari sistemi, il problema non è tanto quello di una riforma costituzionale (benché non si possa sottovalutare il significato anche simbolico che avrebbe un rafforzamento delle attuali garanzie) quanto quello di una piena attuazione delle previsioni già vigenti».
Giovanni Di Cosimo Il parametro in quiescenza
SOMMARIO: 1. Intrecci – 2. Il decreto-legge che rinvia a decreti non regolamentari – 3. Una vexata quaestio – 4. Materie interdette al regolamento statale – 5. Il caso dei contributi allo spettacolo – 6. Il decreto-legge che conferisce una delega – 7. Il decreto-legge che modifica un contenuto essenziale di una delega – 8. Vizio di incompetenza e legge di conversione – 9. Il decreto-legge che disciplina un oggetto precluso al decreto legislativo – 10. Un paradosso
1. Intrecci Solitamente il tema degli intrecci fra il decreto-legge e gli altri atti normativi del Governo viene affrontato dall’angolo visuale dell’art. 77, comma 2, Cost. Ci si interroga, per esempio, sulla legittimità costituzionale del decreto-legge che autorizza un regolamento destinato ad essere emanato in un momento successivo, e dunque in assenza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza1. In realtà, sembra piuttosto improbabile che sulla base dell’art. 77, comma 2 si giunga a sanzionare gli intrecci fra il decreto-legge e gli altri atti normativi del Governo. Oggi la decretazione d’urgenza non presenta quei caratteri degenerativi che nel 1996 spinsero la Corte costituzionale ad intervenire. Per restare all’esempio fatto, è improbabile che il decreto-legge che rinvia ad un successivo regolamento venga annullato a causa dell’assenza dei requisiti di necessità e urgenza. Come ha ricordato da ultimo la Corte, «il sindacato sull’esistenza e sull’adeguatezza dei presupposti della decre1 Sul punto cfr. Cons. Stato, parere Ad. gen. dell’11 aprile 1996, «Giurisprudenza costituzionale», 3, 1996, pp. 2071 sgg., con nota di F. Cerrone, La delegificazione che viene dal decreto-legge.
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GIOVANNI DI COSIMO
tazione d’urgenza può essere esercitato solo in caso di loro “evidente mancanza”» e quindi, si deve dedurre, solo eccezionalmente2. Del resto, sappiamo che la sentenza n. 360/1996 ha affrontato una situazione eccezionale, dove le deviazioni nell’uso del decretolegge, sotto forma del fenomeno della reiterazione, avevano alterato «i caratteri della stessa forma di governo e l’attribuzione della funzione legislativa ordinaria al Parlamento». Ora, l’allarme è sceso di livello, ma non siamo ancora tornati ad un andamento realmente fisiologico. A dimostrazione della persistenza di tratti patologici bastano due dati che si ricavano dal recente volume di Andrea Simoncini. Il primo è che l’80% dei decreti-legge è ancora adottato in assenza dei requisiti di necessità e urgenza. Il secondo è che la media mensile dei decreti-legge resta costante, segno del fatto che il decreto-legge costituisce pur sempre uno strumento di legislazione ordinaria e non straordinaria3. Fintanto che dura questo abuso moderato della decretazione d’urgenza, restano difficilmente sanzionabili le violazioni del «confine politico» fra Parlamento e Governo4. Di fronte a un simile stato di fatto sembra opportuno trovare alternative all’art. 77, comma 2. Questo contributo è perciò dedicato alla ricerca di ulteriori parametri costituzionali, diversi dall’art. 77 comma 2, che consentano di affrontare i problemi di legittimità posti dagli intrecci fra il decreto-legge e gli altri atti normativi del Governo. 2. Il decreto-legge che rinvia a decreti non regolamentari Alcuni recenti decreti-legge autorizzano l’adozione di «decreti non aventi natura regolamentare» da parte di singoli ministri. Il ricorso ai decreti non regolamentari rappresenta una tendenza che caratterizza l’intera legislazione dell’ultimo periodo5. Si possono fare
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gli esempi dell’art. 26 (relativo ai progetti di innovazioni tecnologica) e dell’art. 72 (relativo ai trasferimenti alle imprese per contributi alla produzione e agli investimenti) della finanziaria 2003, entrambi impugnati per sospetto aggiramento dell’art. 117, comma 6, Cost., che tratteggia la sfera regolamentare dei diversi livelli di governo6. Limitando l’analisi alla decretazione d’urgenza, non si può negare che in queste ipotesi il decreto-legge rinvia a un atto che, stando a quel che dichiara il suo nome, non appartiene al novero dei regolamenti. E tuttavia, i regolamenti c’entrano, non fosse altro perché i decreti non regolamentari sono talvolta destinati a prendere il posto in precedenza occupato da regolamenti. Ragione per cui, anziché arrestarsi alle etichette, conviene cercare di capire se il decreto-legge rimanda ad atti (pur sempre) normativi7. Vanno pertanto presi in considerazione i decreti non regolamentari che hanno «struttura normativa», nel senso che contengono norme al pari degli atti normativi8. Talora, la natura normativa del decreto non regolamentare appare con una certa evidenza, perché la stessa previsione parla di «disposizioni» oppure di «norme». Penso all’art. 5, comma 11, lett. c), del decreto-legge n. 269/2003 relativo alla gestione separata della Cassa depositi e prestiti, secondo cui il ministro del tesoro con decreto di natura non regolamentare deve fissare «le norme in materia di trasparenza, pubblicità, contratti e comunicazioni periodiche». Altre volte la natura normativa del decreto pare meno certa, dato che si parla di «criteri», come nell’esempio del decreto-legge n. 24/2003 sui contributi allo spettacolo9, oppure di «criteri e modalità applicative», come nell’esempio del decreto-legge n. 41/2004 sulla vendita di immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione. Stessa incertezza quando il decreto non regolamentare 6
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Corte cost. n. 6/2004; cfr. anche Corte cost. nn. 341/2003 e 196/2004 (punto 18 del considerato in diritto). 3 A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, Milano 2003, pp. 422 e 308 sgg. 4 Sull’atteggiamento (quanto meno) prudente della Corte cfr., da ultimo, A. Simoncini (ibid., pp. 231, 273, 274), dove si usa l’espressione «total restraint»; sulla distinzione fra «sindacabilità teorica» e «sindacabilità pratica» v. ibid., pp. 250 e 295. 5 Se è vero che il ricorso ai decreti non regolamentari non caratterizza i soli decreti-legge, è comunque opportuno discuterne perché pone il problema, che merita di essere qui approfondito, dei parametri costituzionali che possono essere applicati quando vi facciano ricorso i decreti-legge.
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Ricorso n. 25/2003 della Regione Emilia-Romagna contro la legge n. 289/2002. Naturalmente, anche un decreto-legge che rinviasse a un regolamento statale in materia riservata al regolamento regionale sarebbe incostituzionale per violazione dell’art. 117, comma 6, Cost., ma non ho trovato esempi recenti di questo tipo. 8 Dietro a ciò si affaccia l’antica (e mai del tutto risolta) questione, che qui posso soltanto evocare, dei caratteri distintivi delle norme giuridiche e degli atti normativi. 9 V. anche art. 13 del decreto-legge n. 147/2003, che assegna al decreto non regolamentare il compito di stabilire i criteri per l’attribuzione di contributi per attività educative (questa norma modifica una precedente disposizione di legge – l’art. 2, comma 7 della legge n. 289/2002 – che prevedeva un decreto ministeriale da adottarsi con la procedura di cui all’art. 17, comma 3 della legge n. 400/1988). 7
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deve stabilire le «procedure e le modalità di erogazione delle disponibilità del fondo» per la lotta al carovita10. Altre volte ancora parrebbe che il decreto abbia effettivamente natura meramente amministrativa. Penso all’art. 6 del decretolegge n. 269/2003 relativo alla trasformazione dell’Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero (SACE) in società per azioni (SACE Spa), che attribuisce al decreto non regolamentare il compito di determinare i «trasferimenti e conferimenti di beni e partecipazioni societarie dello Stato a favore della SACE Spa» oltre che «il relativo valore di trasferimento o conferimento»11.
3. Una vexata quaestio Accertare la natura normativa dei decreti non regolamentari è questione interpretativa che ripropone il complesso tema della definizione della potestà regolamentare e l’antitesi fra criteri formali e criteri materiali. Esula dagli intenti (e dalle forze) di questo contributo affrontare la vexata quaestio di quali siano i tratti specifici e distintivi della potestà regolamentare12. Mi limito ad osservare che sembra indice abbastanza sicuro di natura normativa il fatto che il decreto non regolamentare debba porre norme o disposizioni. La sola qualificazione formale dell’atto non basta ad identificarlo per quello che esso effettivamente è. Soprattutto quando il legislatore d’emergenza offra due dati contrastanti, nel senso che indica un nome (decreto non avente natura regolamentare) e contemporaneamente dei contenuti (disposizioni e norme) che non si conciliano con quel nome13. Poco conta che l’intervento sia realizzato da un atto dichiaratamente non regolamentare se la sostanza dell’atto è propriamente normativa. 10
Art. 23, comma 2 del decreto-legge n. 269/2003. Oppure, al decreto non regolamentare che determina le funzioni e una serie di parametri economici della Cassa depositi e prestiti (art. 5, comma 3 del decreto-legge n. 269/2003). Il Comitato per la legislazione dubita della congruità di questi due rinvii a decreti non regolamentari contenuti nel decreto-legge n. 269/2003 (parere del 5.11.2003). 12 Da ultimo sul tema cfr. G. Della Cananea, Gli atti amministrativi generali, Padova 2000; G. Clemente di San Luca, L’atto amministrativo fonte del diritto obiettivo, Napoli 2003. 13 È implicita in questa affermazione la consapevolezza che i regolamenti costituiscano atti normativi; un dato che, come noto, si ricava pure dalla tradizionale definizione secondo cui i regolamenti sono atti sostanzialmente normativi e formalmente amministrativi. 11
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Così ragionando, ci si muove sulla scia di quella giurisprudenza della Cassazione secondo cui «ai fini del riconoscimento della natura regolamentare o meno di un decreto ministeriale, occorre avere riguardo essenzialmente al contenuto dell’atto medesimo, essendo, altrimenti, facilmente eludibile, ad opera del potere esecutivo, la procedura di cui al citato art. 17 [legge 400], omettendo di denominare come “regolamenti” provvedimenti aventi invece un intrinseco contenuto di regolamento»14. Questo passo è importante non tanto perché la Cassazione sostiene la bontà del criterio materiale, quanto perché allude all’intento elusivo che spingerebbe il Governo. Nel nostro caso, il criterio materiale torna utile quando sorga il sospetto che il decreto sia stato definito «non regolamentare» allo scopo di conseguire risultati interdetti al regolamento statale.
4. Materie interdette al regolamento statale La legittimità del rinvio ai decreti non regolamentari da parte dei decreti-legge dipende dalla materia. Se i decreti non regolamentari cadono in una materia esclusiva statale non ci sono problemi, perché rientrano nel campo riservato al regolamento statale. Esempi di questo tipo mi sembrano i decreti non regolamentari previsti dall’art. 5 del decreto-legge 269/2003 a proposito della trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni. Se viceversa cadono in materia concorrente o residuale, e quindi riservata al regolamento regionale, non si può escludere che i decreti non regolamentari abbiano proprio lo scopo di aggirare il confine fra le potestà regolamentari tracciato dall’art. 117, comma 6, Cost. Non si può escludere che il decreto-legge rimandi ai decreti non regolamentari allo scopo di eludere i limiti che la Costituzione fissa per i regolamenti statali. Per riprendere una fortunata espressione di qualche anno fa, un simile ricorso ai decreti non regolamentari configura (l’ennesima) «fuga dal regolamento», ora connotata da un intento elusivo. Fra l’altro, si tratta di un problema di legittimità che non può essere sanato dalla legge di conversione, posto che certamente l’art. 117, comma 6 vincola tutti gli atti normativi primari. 14
Cass. civ., III sez., n. 1972/2000.
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Non è semplicissimo trovare esempi di decreti non regolamentari a struttura normativa previsti da decreti-legge in materie interdette al regolamento statale. Occorre scovare decreti che risultino positivi all’esame dei due indici: materia preclusa ai regolamenti statali e struttura normativa. Il primo indice implica che ci si impegni nella individuazione della materia, il tormentone che affatica gli interpreti dopo la riforma del Titolo V, che ha puntato ancora una volta sul criterio degli elenchi delle materie15. Si pensi al già citato art. 21 del decreto-legge n. 269/2003. Si poteva supporre che l’assegno per il secondo figlio riguardasse la materia dell’assistenza sociale e che tale materia fosse assegnata alla potestà regionale residuale e quindi rientrasse fra i casi di cui stiamo discutendo. Invece, la recente sentenza n. 287/2004 ha classificato l’assegno come una misura di previdenza sociale, che è una materia esclusiva statale16. La riconduzione a una materia riservata al regolamento regionale sembra più sicura per il decreto non regolamentare relativo alla esternalizzazione dei servizi da parte delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere17. Salvo sorprese, in questo caso dovremmo rientrare nella tutela della salute, che è una materia concorrente18. Il secondo indice riguarda la struttura normativa del decreto non regolamentare. Sotto questo profilo l’art. 21 del decreto-legge n. 269/2003 stabilisce che il decreto non regolamentare relativo all’assegno per il secondo figlio debba dettare «disposizioni». Se si considera inoltre che le disposizioni sono esplicitamente finalizzate all’attuazione della fonte primaria, compito tipicamente assolto dai regolamenti (di attuazione, appunto), non dovrebbero esserci molti dubbi sulla natura normativa di questo decreto non regolamentare. Meno lineare l’altro caso citato, quello del decreto non regolamen15 Cfr. R. Bin, «Problemi legislativi e interpretativi nella definizione delle materie di competenza regionale» – Rileggendo Livio Paladin dopo la riforma del Titolo V, in AA.VV., Scritti in memoria di Livio Paladin, Napoli 2004; A. Ruggeri, C. Salazar, Le materie regionali tra vecchi criteri e nuovi (pre)orientamenti metodici d’interpretazione, in www.federalismi.it. 16 L’art. 21 è stato impugnato dalla Regione Emilia-Romagna con ricorso n. 13/2004, che però non fa cenno alla violazione dell’art. 117, comma 6, Cost. 17 Art. 49, comma 1 del decreto-legge n. 269/2003. 18 A meno che si debba considerare prevalente il profilo fiscale, visto che il decreto non regolamentare serve per ripartire un fondo alimentato con le maggiori entrate sull’IVA conseguenti alla esternalizzazione dei servizi.
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tare relativo alla esternalizzazione dei servizi in campo sanitario: anche se non si parla di norme o disposizioni, l’atto deve stabilire le «procedure e le modalità per l’attuazione» della disposizione del decreto-legge, e quindi serve ad attuare la fonte primaria, che sappiamo essere un tipico compito del regolamento. In altre parole, il decreto ha il compito di fissare regole (come fanno solitamente gli atti normativi), piuttosto che di applicare la fonte primaria al singolo caso (come fanno solitamente gli atti amministrativi). D’altro canto, se si guarda alla giurisprudenza costituzionale, si scopre che l’esame del secondo indice non è poi così essenziale. Quando la Corte ha valutato la legittimità della disposizione della finanziaria 2002 che prevede incentivazioni per gli allevamenti ippici, si è concentrata sul primo indice, escludendo che si tratti di materia esclusiva statale (sentenza n. 12/2004)19. Dopodiché, senza soffermarsi sulla natura normativa del decreto (e quindi senza esaminare il secondo indice), ha giudicato l’illegittimità della disposizione nel punto in cui prevede che «con decreto del ministro dell’economia e delle finanze sono stabilite le disposizioni per l’attuazione del presente comma». Secondo la Corte, il potere conferito al Ministero viola «la chiara previsione dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, che attribuisce la potestà regolamentare allo Stato nelle sole materie di competenza legislativa esclusiva», e questo, si badi, anche se la disposizione non parla esplicitamente di regolamento statale. Il senso di questa pronuncia è che in materia preclusa al regolamento statale, la disposizione di legge che rimanda per la sua attuazione a un decreto ministeriale viola l’art. 117, comma 6, Cost., indipendentemente dal fatto che il decreto sia qualificato come regolamento o meno. A ben vedere, la sentenza n. 12/2004 ha implicitamente attribuito natura normativa al decreto, altrimenti non avrebbe potuto riferirsi all’art. 117, comma 6, Cost., che ripartisce sfere di competenza regolamentare (e dunque normativa)20. Se così è, la natura normativa del decreto non può che derivare dall’unico dato noto, vale a dire la funzione attuativa della norma primaria. 19
La disposizione impugnata è l’art. 52, comma 39 della legge n. 448/2001. E tuttavia la giurisprudenza della Corte non è univoca su questo punto. Nella sentenza n. 36/2004, per esempio, la Corte afferma che «una volta riconosciuta la competenza del Ministero a provvedere al coordinamento informativo, non ha fondamento la censura secondo cui si attribuirebbe ad esso una potestà regolamentare fuori dalle materie di competenza statale esclusiva, non dovendosi considerare il decreto ministeriale pre20
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Certo, nel caso dei decreti non regolamentari il passo è più lungo, perché la disposizione primaria dice esplicitamente che il decreto non ha natura regolamentare e quindi sembra escluderne la natura normativa. Nondimeno, se si accerta che il decreto ha in realtà struttura normativa, magari proprio perché serve per attuare la fonte primaria, e se supponiamo che la sua qualifica «non regolamentare» sia collegata all’intento di eludere il confine segnato dall’art. 117, comma 6, ecco che la differenza con l’ipotesi in cui la fonte primaria rimandi semplicemente a un decreto ministeriale non appare poi così rilevante. In entrambi i casi abbiamo che un atto sostanzialmente normativo sconfina nell’area interdetta al regolamento statale, in qualunque modo l’atto sconfinante venga definito dalla fonte primaria che lo prevede.
5. Il caso dei contributi allo spettacolo Il decreto-legge n. 24/2003 prevede che il Ministero per i beni e le attività culturali stabilisca con decreti non regolamentari i criteri e le modalità di erogazione dei contributi alle attività dello spettacolo21. A rendere interessante questo caso concorrono due circostanze: da un lato, che il decreto-legge abbia abrogato il regolamento che disciplinava il riparto dei fondi (di cui il decreto non regolamentare è destinato a prendere il posto)22; dall’altro, che il Consiglio di Stato abbia stoppato il tentativo del Ministero per i visto dalla disposizione in esame quale espressione di potestà regolamentare» (punto 9 del considerato in diritto). Come si vede, in questo caso l’impugnazione regionale viene respinta sul presupposto che la legge statale non autorizzi un regolamento, ma un atto non regolamentare. 21 Nonché le aliquote di ripartizione annuale del Fondo unico per lo spettacolo. 22 Si tratta del decreto-ministeriale n. 470/1999 relativo alla legge n. 163/1985 che ha istituito il Fondo unico per lo spettacolo. Sulla vicenda cfr. G. Di Cosimo, Storia di un regolamento mai nato. In margine al decreto-legge 24/2003, in www.forumcostituzionale.it; A. Patroni Griffi, De albo facit nigrum... Note a margine del d.l. n. 24/2003 e sulle funzioni consultive di Consiglio di Stato e Conferenza Stato-regioni, ibid.; F. Modugno, A. Celotto, Un «non regolamento» statale nelle competenze concorrenti, «Quaderni costituzionali», 2, 2003, pp. 355 sgg.; F. Cintioli, A proposito dei decreti ministeriali «non aventi natura regolamentare», 4, ibid., pp. 820 sgg.; N. Lupo, La potestà regolamentare del Governo dopo il nuovo Titolo V della Costituzione: sui primi effetti di una disposizione controversa, in P. Caretti (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2002, Torino 2003, pp. 261 sgg.
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beni e le attività culturali di sostituire il precedente regolamento con un nuovo regolamento23. Per quanto riguarda l’individuazione della materia (primo indice), la Corte ha di recente chiarito che i contributi allo spettacolo rientrano nella materia concorrente della «promozione ed organizzazione di attività culturali»24. Il che significa che la competenza spetta al regolamento regionale ai sensi dell’art. 117, comma 6 Cost. Per quanto riguarda l’altro indice, il decreto-legge n. 24/2003 parla di «criteri» e «modalità» e quindi si potrebbe ritenere che non risulti con immediatezza la struttura normativa del decreto non regolamentare. D’altro canto, i precedenti dell’abrogazione del regolamento che disciplinava la materia e del tentativo di provvedere a mezzo di un nuovo regolamento sembrano confermare che si tratta effettivamente di un intervento normativo. All’esame dei due indici, il decreto non regolamentare sui contributi alla spettacolo si rivela pertanto un esempio abbastanza chiaro di un atto a struttura normativa previsto da un decreto-legge in materia preclusa al regolamento statale25: di qui il sospetto che il decreto-legge n. 24/2003 abbia voluto aggirare il confine tracciato dall’art. 117, comma 6, Cost. E infatti il decreto-legge è stato impugnato proprio per violazione dell’ambito di potestà regolamentare assegnato alle Regioni dalla disposizione costituzionale. La Corte costituzionale ha però salvato la disciplina statale in forza del principio di continuità dell’ordinamento e della «specificità della legislazione vigente», intendendo con ciò l’esistenza di un fondo unico per lo spettacolo che solo il legislatore statale può adeguare al nuovo Titolo V della Costituzione. Il salvataggio della Corte si basa anche sul fatto che la disciplina attuale è «esplicitamente temporanea»26. In tal modo la sentenza dribbla la questione del mancato 23
Pronuncia della Sezione consultiva per gli atti normativi n. 3608/2002. Corte cost. n. 255/2004. 25 Preoccupazione che emerge anche dal parere reso l’8.4.2003 dalla Commissione affari costituzionali della Camera in sede di conversione del decreto-legge. 26 Corte cost. n. 255/2004. La Corte si riferisce all’art. 1 della legge n. 82/2003 (che ha convertito il decreto-legge n. 24/2003) secondo cui si provvede con i decreti non regolamentari al riparto del fondo «in attesa che la legge di definizione dei principi fondamentali di cui all’art. 117 della Costituzione fissi i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato». Ma i due argomenti sembrano in contraddizione: se è vero che il decreto-legge ha novato la materia dopo la riforma del Titolo V, il principio di continuità non dovrebbe trovare applicazione. 24
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rispetto dell’art. 117, comma 6 che era stata sollevata dalla Regione ricorrente. Anche se fa rientrare i contributi alla spettacolo in una materia concorrente, la Corte non si sofferma sulla titolarità della leva regolamentare in tali materie e, soprattutto, non risponde alla tesi della ricorrente secondo cui i decreti non regolamentari hanno in realtà carattere normativo e servono per eludere il confine tracciato dall’art. 117, comma 6.
6. Il decreto-legge che conferisce una delega Veniamo agli intrecci fra decreto-legge e decreto legislativo. Il caso più macroscopico è il decreto-legge con il quale il Governo autorizza sé stesso all’adozione di un decreto legislativo. Si tratta di un caso di scuola, generalmente considerato illegittimo27. L’illegittimità di tale decreto-legge viene spiegata in almeno due modi. Secondo una prima opinione violerebbe l’art. 77, comma 2 a causa dell’insussistenza dei motivi di necessità ed urgenza, posto che il decreto-legge rinvia ad un atto destinato a intervenire in un momento successivo28. Una seconda opinione fa invece leva sull’alterità fra delegante e delegato necessaria affinché il Parlamento eserciti il suo potere di controllo sull’esecutivo29. Conformemente a quanto si diceva all’inizio, non prenderò in 27 Contra v. C. Esposito, voce Decreto-legge, «Enciclopedia del diritto», vol. XI, Milano 1962, p. 842, nota 38 (nel presupposto che la delegazione consista «nella attribuzione della concreta legittimazione ad individuare atti» piuttosto che nella trasmissione dell’esercizio del potere legislativo) con cui concorda A. Predieri, Il Governo colegislatore, in F. Cazzola, A. Predieri, G. Priulla (a cura di), Il decreto-legge fra Governo e Parlamento, Milano 1975, p. XX, nota 19. Come noto, il divieto per il decreto-legge di conferire deleghe è codificato dall’art. 15, comma 2, lett. a) della legge n. 400/1988. 28 L. Paladin, In tema di decreti-legge, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 3, 1958, p. 551; Id., Gli atti con forza di legge nelle presenti esperienze costituzionali, «Giurisprudenza costituzionale», 1974, pp. 1519 sgg.; R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, Milano 1993, p. 186 (che richiama anche l’art. 70 Cost.); S. Cicconetti, Le fonti del diritto italiano, Torino 2001, p. 274. 29 V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, Padova 19845, pp. 55 e 88, secondo cui «un limite siffatto sussiste realmente, ma come regola generale, suscettibile di essere derogata quando concretamente ricorra la necessità di evitare la completa paralisi dello Stato»; A. Pizzorusso, Delle fonti del diritto. Disposizioni sulla legge in generale art. 1-9, in A. Scialoja, G. Branca (a cura di), Commentario del codice civile, Bologna-Roma 1977, p. 264; G. Grottanelli de’ Santi, Uso e abuso del decreto-legge, «Diritto e società», 2, 1978, pp. 254 sgg.; F. Sorrentino, Le fonti del diritto, in G.
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considerazione la prima opinione. Vorrei invece cercare un più puntuale fondamento costituzionale della seconda. Il testo costituzionale non contiene una espressa enunciazione del principio secondo cui spetta solo alla legge conferire deleghe legislative. Non ne parla esplicitamente l’art. 76 e nemmeno l’art. 77, comma 1. Eppure, tale principio costituisce «uno dei punti centrali di tutta la disciplina della delega legislativa»30. Lo stesso art. 72, comma 4, che impone la procedura normale per l’esame dei disegni di legge di delegazione legislativa, ne rappresenta un’indiretta conferma. Come ha detto la Corte, «l’atto di conferimento al Governo di delega legislativa può avvenire solo con legge»31. Un principio come questo deve fondarsi su una disposizione costituzionale che abbia la caratteristica di limitare il potere esecutivo e, più specificamente, di impedire che il Governo si autoconferisca deleghe. A tale riguardo, è significativo che nell’ambito della disciplina costituzionale della delega l’art. 77, comma 1 si riferisca al potere esecutivo, mentre l’art. 76 vincola primariamente il Parlamento32. E allora, la disposizione che esprime meglio il principio è proprio l’art. 77 comma 1, secondo cui, «senza delegazione delle Camere», il Governo non può emanare decreti con valore di legge33. Certo, la necessaria alterità fra delegante e delegato si ricava pure dalla ratio dell’art. 76 Cost. Ma è l’art. 77 comma 1 che, nell’imporre un atto di delegazione delle Camere, codifica più puntualmente l’idea della necessaria alterità e, sopratAmato, A. Barbera (a cura di), Manuale di diritto pubblico, Bologna 19913, p. 150; Id., Le Fonti del Diritto, Genova 19992, pp. 86 sgg.; Id., Le fonti del diritto amministrativo, in G. Santaniello (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, XXXV, Padova 2004, pp. 160 sgg.; R. Tarchi, Incompetenza legislativa del Governo, interposizione del Parlamento e sindacato della Corte costituzionale, «Giurisprudenza costituzionale», 5, 1988, p. 949; A. Ruggeri, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale, Torino 1993, p. 338. Richiama entrambi gli argomenti V. Di Ciolo, Questioni in tema di decreti-legge, I, Milano 1970, p. 184. Per l’opinione che ravvisa violazione degli artt. 72, comma 4, 76 e 77, cfr. M. Luciani, Per un efficace controllo di costituzionalità sulla decretazione d’urgenza, in AA.VV., I decreti-legge non convertiti, Milano 1996, p. 103. 30 A. Cervati, Legge di delegazione e legge delegata, «Enciclopedia del diritto», Milano, vol. XXIII, 1973, p. 941, secondo il quale il principio è «espressione del più generale principio di legalità di tutte le attribuzioni di competenza». 31 Corte cost. n. 63/1998. 32 L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996, p. 204. 33 L. Paladin, Commento all’art. 76, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma 1979, pp. 5 sgg.
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tutto, pone le premesse del principio secondo cui spetta solo alla legge conferire deleghe legislative: anche se la disposizione non precisa che la delega deve essere conferita con legge, è evidente che la legge è l’atto più adeguato a conferirla, quello che esprime più compiutamente la volontà del Parlamento di delegare il Governo. Conclusione, il decreto-legge che conferisce una delega viola anzitutto l’art. 77 comma 134 e, più in generale, l’intera disciplina costituzionale della delega legislativa.
7. Il decreto-legge che modifica un contenuto essenziale di una delega Quando la Corte ha esaminato un caso di decreto-legge contrastante con i principi e criteri direttivi di una delega ancora aperta, non ha ravvisato particolari problemi di legittimità. Secondo la Corte, allorché ricorrano i presupposti previsti dall’art. 77 Cost., la legge delega «può essere modificata anche con decreto-legge, salva, ovviamente, la successiva conversione»35. Questa decisione è stata criticata perché i giudici costituzionali avrebbero dovuto dichiarare l’illegittimità del decreto-legge «per l’irrazionalità della disciplina da esso dettata»36. E in effetti la soluzione della Corte lascia insoddisfatti. Per spiegare perché, bisogna fare un parallelo con l’ipotesi del decretolegge che conferisce una delega. In entrambi i casi il Governo determina con il decreto-legge le «condizioni di esercizio» dell’altro suo potere normativo primario: nel caso del decreto-legge che conferisce una delega, addirittura auto-attribuendoselo; nel caso del decreto-legge che modifica i principi e criteri direttivi, rideter34
V. Di Ciolo, Questioni in tema di decreti-legge, cit, p. 184. Ordinanza n. 225/1992 (v. pure sentenza n. 364/1993). 36 A. Pace, Sull’uso «alternativo» del decreto-legge, in luogo del decreto delegato, per eludere i principi della delega, «Giurisprudenza costituzionale», 3, 1992, p. 1789. La diversa opinione che in presenza dei requisiti della necessità e urgenza il Governo può adottare decreti-legge per oltrepassare i limiti posti da una legge delega è sostenuta da V. Angiolini, Attività legislativa del Governo e giustizia costituzionale, «Rivista di diritto costituzionale», 1, 1996, p. 231 e da A. Concaro, Il sindacato di costituzionalità sul decreto-legge, Milano 2000, p. 62. 35
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minando i termini del conferimento deciso dal Parlamento. I due casi appaiono accomunati dall’intento di eludere la disciplina costituzionale della delega in base alla quale spetta al Parlamento, e quindi alla legge, conferire deleghe e stabilire (o modificare) principi e criteri direttivi. Non si spiega, dunque, il diverso giudizio in merito alla legittimità; non si capisce perché il decreto-legge dovrebbe essere costituzionalmente illegittimo quando conferisce una delega, e non incostituzionale quando modifica i principi e criteri direttivi di una delega ancora aperta. Di conseguenza va considerato illegittimo anche il decreto-legge che incide sui principi e criteri direttivi di una delega aperta37. Viene naturale pensare che un simile decreto-legge sia in contrasto con l’art. 76 secondo cui «l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo, se non con determinazione di principi e criteri direttivi». Per essere più precisi, che violi direttamente la legge delega e indirettamente l’art. 76 Cost. Questo nel presupposto che l’art. 76 impone alla legge delega di circoscrivere il campo dell’intervento normativo che il Governo può realizzare con il decreto legislativo. Ragione per cui il Governo, quando adotta il decreto-legge, modifica illegittimamente l’estensione del campo di intervento che il Parlamento ha circoscritto con la legge delega38. Tuttavia, il richiamo all’art. 76 non è esente da controindicazioni. La prima è che i contenuti necessari della legge delega (oggetti definiti, tempo limitato, principi e criteri direttivi) vincolano solo il decreto legislativo perché nel dettato dell’art. 76 sono specificamente finalizzati alla delega dell’esercizio della funzione legislativa. La seconda obiezione è che la legge delega non è gerarchicamente superiore al decreto-legge39. Alla luce di queste obiezioni, conviene guardare altrove, alle altre disposizioni che dettano la disciplina costituzionale della delega legislativa e, in particolare, all’art. 77, comma 1, secondo cui deve essere il Parlamento a conferire la delega. Siccome il Par37
L. Paladin, Commento all’art. 76, cit., p. 6. Uno spunto in questo senso in A. Pace, Sull’uso «alternativo» del decreto-legge, in luogo del decreto delegato, per eludere i principi della delega, cit., p. 1789. 39 Secondo la Corte, la legge delega «non occupa, nella gerarchia delle fonti, una posizione diversa da quella di ogni altra legge e ben può, quindi, essere modificata con una legge successiva» (ordinanza n. 225/1992). 38
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lamento conferisce la delega con legge, ne segue che deve essere la medesima legge a stabilire i principi e criteri direttivi di cui parla l’art. 76, perché il conferimento della delega e la fissazione dei principi e criteri direttivi rispondono alla stessa ratio di circoscrivere il potere normativo del Governo. Il risultato è che anche per il giudizio sul decreto-legge che modifica i principi e criteri direttivi si applica anzitutto l’art. 77, comma 1. I due casi fin qui considerati, il decreto-legge di conferimento della delega e il decreto-legge di modifica dei principi e criteri direttivi, si pongono in contrasto con il medesimo parametro costituzionale. Si tratta di due ipotesi di incompetenza nelle quali il decreto-legge disciplina un oggetto che gli è precluso, invade il campo che la Costituzione riserva alla legge40. Un discorso analogo vale per il decreto-legge che proroghi il termine di una delega ancora aperta41. Anche in questo caso la Corte ha ritenuto che non vi fossero problemi di legittimità costituzionale42. Eppure, si direbbe che un simile decreto-legge sia viziato per incompetenza al pari del decreto-legge che modifica i principi e criteri direttivi, visto che entrambi incidono sui contenuti necessari della delega. Se in base all’art. 77, comma 1 spetta al Parlamento delegare (con legge), solo il Parlamento può (con legge) prorogare il termine della delega. Si potrebbe obiettare che i due momenti sono concettualmente distinti: una cosa è la decisione di delegare, che effettivamente spetta al Parlamento, una cosa diversa è la modifica di qualche contenuto essenziale della delega, che può anche essere disposta dal Governo, soprattutto qualora sussistano i requisiti della straordinaria necessità e urgenza43. Ma l’obiezione non convince perché la riserva parlamentare in tema di delega legislativa implica che sia il medesimo Parlamento a delineare i confini del potere che va a concedere attraverso i contenuti essenziali della delega. 40 Sul vizio di incompetenza collegato all’esistenza di oggetti sottratti alla decretazione d’urgenza cfr. R. Tarchi, Incompetenza legislativa del Governo, interposizione del Parlamento e sindacato della Corte costituzionale, cit., p. 972. 41 L. Paladin, Commento all’art. 76, cit., p. 6; N. Lupo, Una delega legislativa può essere inserita nella conversione di un decreto-legge?, «Iter legis», 6, 2003-1, 2004, p. 47. 42 Ordinanza n. 339/1987. 43 Così, in relazione alla proroga del termine della delega, A. Celotto, L’«abuso» del decreto-legge, vol. I, Padova 1997, p. 370, nota 61.
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Altrimenti, la riserva parlamentare sarebbe svuotata di senso se il Governo potesse modificare a suo piacimento i contenuti essenziali della delega, una volta che il Parlamento l’abbia conferita44.
8. Vizio di incompetenza e legge di conversione È dibattuto il problema se la legge di conversione abbia il potere di sanare il vizio del decreto-legge che conferisce una delega45. È importante interrogarsi su questo punto perché, se vi fosse veramente l’efficacia sanante, e dunque il vizio del decreto-legge non si trasmettesse alla legge di conversione, la ricerca di un’alternativa al controllo sulla sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza avrebbe una scarsa importanza pratica. Possiamo supporre che l’efficacia sanante della legge di conversione dipenda dal fatto che, per mezzo di essa, il Parlamento, le cui prerogative sono tutelate dalla disciplina costituzionale della delega legislativa, avalla l’operato del Governo. Ma la verità è che il Parlamento non può «avvallare» la decisione del Governo di «espropriarlo» della prerogativa, che gli spetta per Costituzione, di conferire deleghe. A ciò si oppone quello che la Corte ha definito il «principio generale della inderogabilità delle competenze costituzionali»46. La delega deve essere frutto di un’autonoma iniziativa del Parlamento, che non può limitarsi a prendere atto dell’auto-conferimento disposto dal Governo. Oltretutto si tratta di una prerogativa che contribuisce a definire la stessa forma di governo, e quindi a delineare quel confine che, come insegna la sentenza n. 360/1996, la prassi dell’abuso del decreto-legge non dovrebbe mai 44 L’eventuale esistenza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza non sposta i termini del problema. In caso contrario, sarebbe circoscritta l’operatività del principio della riserva parlamentare in tema di delega legislativa, e ciò appare in contrasto con la necessità che venga costantemente limitato il potere normativo del Governo, che è la ratio che ispira il principio. E allora, è piuttosto il decreto-legge che incontra un limite di fronte al principio della riserva parlamentare in tema di delega legislativa (sui «limiti logici» della decretazione d’urgenza cfr. C. Esposito, Decreto-legge, cit., pp. 842 sgg.). 45 In senso positivo cfr. L. Paladin, Commento all’art. 77, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione cit., p. 66; in senso negativo cfr. A. Cerri, Delega legislativa, «Enciclopedia giuridica», vol. X, Roma 1993, p. 10; M. Luciani, Per un efficace controllo di costituzionalità sulla decretazione d’urgenza, cit., pp. 103 sgg. 46 Core cost. n. 32/1961.
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valicare. Il risultato è che il vizio di incompetenza del decreto-legge non può essere sanato dalla legge di conversione47. Ciò non significa che la legge di conversione non sia libera di prevedere deleghe legislative48. E difatti la Corte non ha avuto nulla da obiettare a una legge di conversione che ha conferito deleghe legislative al Governo. È importante notare che nel caso esaminato dalla Corte gli articoli contenenti la delega sono «stati introdotti, come norma aggiuntiva, alla legge di conversione nel corso dell’esame dello stesso disegno di legge»49. Il punto è allora che la legge di conversione può autonomamente conferire deleghe non previste dal decreto-legge, ma non può convertire disposizioni del decretolegge che conferiscono deleghe. Se lo facesse, violerebbe il «principio generale della inderogabilità delle competenze costituzionali»50. Meno semplice è capire se la legge di conversione possa sanare il vizio di incompetenza nel caso di un decreto-legge che modifichi i contenuti necessari di una delega51. In senso positivo sta la circostanza che i contenuti necessari della legge delega non vinco47 R. Tarchi, Incompetenza legislativa del Governo, interposizione del Parlamento e sindacato della Corte costituzionale cit., pp. 973 sgg.; G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, Padova 1989, p. 223. 48 C’è, nondimeno, un problema d’ordine procedurale dovuto al fatto che la conversione del decreto-legge costituisce un procedimento speciale, diverso da quella normale di cui parla l’art. 72, ultimo comma, Cost., laddove questa disposizione stabilisce che per le leggi di delegazione legislativa si debba seguire l’iter ordinario (così A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 406). 49 Corte cost. n. 63/1998. 50 Sul tema cfr. N. Lupo, Una delega legislativa può essere inserita nella conversione di un decreto-legge? cit., pp. 48 sgg., dove si mettono in evidenza i diversi orientamenti dei due rami parlamentari, del Presidente della Repubblica (messaggio di rinvio relativo al decreto-legge n. 4/2002) e della Corte costituzionale. Per un recente esempio di deleghe conferite dalla legge di conversione cfr. la legge n. 186/2004 che ha convertito il decreto-legge n. 136/2004. Il Comitato per la legislazione ritiene che l’inserimento nella legge di conversione di disposizioni volte a conferire deleghe «non corrisponde ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato da tale tipologia di legge» (parere espresso l’8.10.2003 a proposito della conversione del decreto-legge n. 239/2003 concernente il sistema elettrico nazionale). Sulla «intrinseca debolezza» dell’orientamento del Comitato contrario all’inserimento di norme di delega da parte della legge di conversione, cfr. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 403 sgg.; sulla competenza del Comitato ad esprimersi sui disegni di legge di conversione dei decreti-legge, cfr. L. Lorello, Funzione legislativa e Comitato per la legislazione, Torino 2003, pp. 266 sgg. 51 Nella prassi non mancano ipotesi di modifiche dei contenuti necessari della delega decise dalla legge di conversione. Per esempio di integrazioni dell’oggetto o dei principi e criteri direttivi, cfr. art. 39, comma 14 octies e 14 decies della legge n. 326/2003,
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lano le leggi successive e, dunque, neppure la legge di conversione52. In senso negativo spinge il principio della inderogabilità delle competenze costituzionali che vincola tanto il decreto-legge che modifica un contenuto necessario della delega quanto la legge di conversione di quel decreto.
9. Il decreto-legge che disciplina un oggetto precluso al decreto legislativo Nel caso delle fondazioni liriche, un decreto-legge ha ripreso i contenuti di un decreto legislativo annullato dalla Corte per eccesso di delega53. In questa ipotesi l’intreccio consiste nel fatto che il decreto-legge disciplina un oggetto che è precluso al decreto-legislativo. Si ritiene che questo caso non ponga particolari problemi di legittimità54. E in effetti, c’è una significativa differenza fra il decreto-legge che conferisce una delega e il decreto-legge che disciplina un oggetto precluso al decreto legislativo: nel primo caso il Governo viola la disciplina costituzionale della delegazione legislativa; nel secondo caso, il Governo non incide in alcun modo sulla delega, che resta tale e quale. Nel secondo caso, non c’è violazione dell’art. 77, comma 1, per la evidente ragione che la delega è stata conferita con legge. E non c’è violazione dell’art. 76 perché il decreto-legge si limita a disciplinare un oggetto diverso da quello indicato dalla legge delega (viceversa, se lo avesse modificato, sarebbe incorso in vizio di incompetenza analogamente al decreto-legge che modifica gli altri che ha convertito il decreto-legge n. 269/2003. Come esempio di proroga dei termini cfr. art. 1, comma 2 della legge n. 140/2004 che proroga, fra l’altro, il termine per la delega previsto dall’art. 1, comma 4 della legge n. 131/2003, disposizione che è stata oggetto della recente sentenza n. 280/2004. Anche in queste ipotesi il Comitato per la legislazione parla di uso non corretto della legge di conversione (parere del 30.7.2003, relativo al decreto-legge n. 147/2003 recante «Proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali»; il parere riguarda le ipotesi in cui la legge di conversione modifica l’oggetto di una delega o il termine per il suo esercizio). 52 Come abbiamo visto, nel caso dei decreti non regolamentari, non ci dovrebbero invece essere dubbi sul fatto che anche la legge di conversione è vincolata al rispetto del confine tracciato dall’art. 117, comma 6, Cost. 53 Corte cost. n. 503/2000. 54 E. Rossi, Cacofonie giuridiche per gli enti lirici, «Le Regioni», 2, 2001, p. 358.
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contenuti necessari della delega). Non è nemmeno ipotizzabile una violazione indiretta perché la legge delega non vincola il decretolegge, non costituisce parametro interposto rispetto al decretolegge, il quale è dunque libero di disciplinare un oggetto eccedente quello indicato dalla legge.
10. Un paradosso Come è stato osservato, la giurisprudenza costituzionale sulla decretazione d’urgenza diventa effettiva quando vengono in ballo i diritti dei cittadini55. Sulla base delle considerazioni esposte, si può aggiungere che la sfera di competenza delle Regioni costituisce un altro tipo di «interesse terzo», rispetto a quello di Parlamento e Governo, che può essere leso dai decreti-legge56. Ne discende che la giurisprudenza costituzionale dovrebbe farsi più stringente quando il decreto-legge mette a rischio le competenze costituzionali dei livelli di governo decentrati e, in particolare, la sfera regolamentare tutelata dall’art. 117, comma 6, Cost. Questo accade specialmente nel caso del decreto-legge che rinvia a un decreto non regolamentare, qualora il decreto ministeriale cada in una materia di competenza del regolamento regionale e abbia struttura normativa. Invece, nelle ipotesi di intrecci fra decreto-legge e decreto legislativo non c’è un interesse propriamente terzo, il rapporto è pur sempre a due, fra Parlamento e Governo57. Nondimeno, lo scrutinio costituzionale dovrebbe farsi più rigoroso di fronte al vizio di incompetenza, quando il decreto-legge disciplina un oggetto che l’art. 77, comma 1 riserva alla legge, come il conferimento della delega e la modifica dei suoi contenuti necessari58. 55 A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., p. 12, che parla di «questione di legittimità oggettiva, nell’interesse astratto o, meglio, pubblico dell’ordinamento». 56 Probabilmente la stessa cosa si può sostenere per la potestà regolamentare che l’art. 117, comma 6, Cost. assegna agli enti locali, con la sostanziale differenza che gli enti locali non possono ricorrere alla Corte per chiedere il rispetto della propria sfera regolamentare. 57 Ciò se si ragiona sul piano degli intrecci fra i vari atti normativi del Governo; altra cosa, naturalmente, sono i contenuti dei singoli atti che ben possono toccare interessi terzi. 58 All’art. 117, comma 6 e all’art. 77, comma 1, disposizioni che regolano il sistema delle fonti, si aggiungono naturalmente i singoli parametri costituzionali lesi dai decreti-legge che violino diritti.
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Ecco allora che il primo comma dell’art. 77 si rivela più efficace del secondo comma nel fronteggiare gli intrecci fra decretolegge e decreto legislativo. Ciò probabilmente dipende dal fatto che sanziona un vizio di incompetenza il cui accertamento non presenta particolari difficoltà (si tratta di verificare che il decreto-legge, conferendo deleghe oppure modificando i contenuti necessari della delega, abbia invaso il campo riservato alla legge), mentre l’art. 77, comma 2 rimanda invece a valutazioni che nella prassi hanno assunto un carattere prevalentemente politico59. Di qui il paradosso che, in tempi di moderato abuso della decretazione d’urgenza, solo l’art. 77, comma 1 figura fra i parametri concretamente attivabili per risolvere gli intrecci fra decreto-legge e gli altri atti normativi del Governo. Il secondo comma costituisce invece un parametro in quiescenza, destinato a riattivarsi nell’eventualità di (più) gravi distorsioni nel ricorso al decreto-legge.
59 «Nel corso degli anni […], si sono formate interpretazioni e applicazioni assai lassiste, […] tanto da far pensare a una serie coerente di convenzioni costituzionali, che in ultima analisi riserverebbero all’esecutivo e al legislativo il compito di verificare la presenza dei requisiti richiesti dall’art. 77 secondo comma» (L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, cit., p. 242).
Andrea Pugiotto Una radicata patologia: i decreti-legge d’interpretazione autentica
SOMMARIO: 1. Excusatio non petita – 2. Un fenomeno non episodico – 3. Casi esemplari (e interrogativi sottostanti): il decreto-legge n. 60/1991 in tema di calcolo dei termini massimi di custodia cautelare – 4. Segue: il decreto-legge n. 394/2000 in materia di interessi usurari – 5. Segue: il decreto-legge n. 138/2002 concernente la definizione di rifiuto ambientale – 6. Alla radice del problema: è ammissibile un’interpretazione autentica legislativa mediante atti con forza di legge? – 7. Interpretazione autentica legislativa e decretazione d’urgenza – 8. Come i giudici possono contestare i decreti-legge interpretativi: a) l’assenza dei presupposti di straordinarietà, necessità ed urgenza – 9. Segue: b) l’incompatibilità tra la provvisorietà del decreto-legge e le finalità dell’interpretazione autentica legislativa – 10. Segue: c) condizionare la portata interpretativa del decreto-legge alla sua conversione in legge
1. Excusatio non petita Tra i «diritti imprescrittibili del lettore» contenuti nel noto decalogo di Daniel Pennac figurano il diritto «di non leggere», «di saltare le pagine», «di non finire il libro»1. Sono comandamenti cui si presta obbedienza anche quando si ha in mano un volume giuridico (non sempre a torto, verrebbe da dire). Come lettore li considero precetti sacrosanti. Come autore, per converso, temo che mi si ritorcano contro. Mi sia allora consentito recuperare (con alcune variazioni sul tema e qualche esemplificazione in più) quanto già altrove ho tentato di argomentare2: all’interno di uno studio monografico infatti può andare perso 1
D. Pennac, Come un romanzo, Milano 2004, pp. 116-117. Il riferimento è a A. Pugiotto, La legge interpretativa e i suoi giudici. Strategie argomentative e rimedi giurisdizionali, Milano 2003, in particolare pp. 49-51, pp. 6667, pp. 249-262. 2
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quel che, invece, in un’occasione come questa – più mirata e settoriale – può trovare migliore valorizzazione e visibilità. Dedicherò questo saggio ad un’ennesima anomalia collegata alla decretazione d’urgenza: il ricorso al decreto-legge per introdurre disposizioni d’interpretazione autentica. Si tratta di una patologia radicata, credo sottovalutata, certamente foriera di effetti ordinamentali perniciosi: scopo dichiarato della mia riflessione è indicare possibili strategie argomentative utili ai giudici che intendessero contrastare efficacemente il fenomeno, nella speranza che – almeno sotto questo profilo – si ponga la parola fine ad una altrimenti «emergenza infinita».
2. Un fenomeno non episodico Sarà anche vero che, in termini quantitativi, l’adozione di atti con forza di legge interpretativi non rappresenta il profilo più grave nell’esercizio della funzione d’interpretazione autentica3. E tuttavia la prassi ha registrato frequenti casi del genere4, alcuni 3
Così G. Serges, Norme sulla normazione e limiti all’interpretazione autentica. (Brevi riflessioni a margine del recente «Statuto dei diritti del contribuente»), in F. Modugno (a cura di), Trasformazioni della funzione legislativa. II. Crisi della legge e sistema delle fonti, Milano 2000, p. 274. 4 Circoscrivendo il tema alla sola decretazione d’urgenza, senza alcuna pretesa di esaustività, è possibile offrirne qualche esemplificazione. Si può ricordare la catena di decreti-legge (nn. 14, 237, 293 e 345/1992) che imponevano una interpretazione riduttiva delle spettanze e dell’ammontare delle integrazioni al minimo di più trattamenti pensionistici, di volta in volta impugnati davanti alla Corte costituzionale e sempre decaduti (cfr. A. Gardino Carli, Il legislatore interprete. Problemi attuali in tema di interpretazione autentica legislativa, Milano 1997, p. 89 e nota 41). Oppure il caso di interpretazione autentica contenuta in un decreto-legge (art. 7 del decreto-legge n. 548/1988) poi non convertito, ma la cui disposizione interpretativa viene riproposta ad un anno di distanza all’interno di altro decreto-legge (art. 2, comma 16 del decreto-legge n. 338/1989,) questa volta convertito (legge n. 389/1989) con identica formulazione ma senza il riferimento – nella rubrica dell’articolo – alla sua natura di norma interpretativa (cfr. E. Rossi, Agenti di assicurazione e assegni familiari, tra giurisprudenza e leggi interpretative, «Rivista italiana di diritto del lavoro», 2, 1992, pp. 232-233). Di non minore complessità sono anche gli episodi commentati da C. Fiumanò, Decreti-legge di interpretazione autentica di leggi del Parlamento?, «Foro italiano», 1, 1978, I, pp. 2274 sgg. (a proposito del decreto-legge n. 942/1977, poi convertito in legge n. 41/1978); A. Morgi, Ancora sulla natura di interpretazione autentica del d.l. 23 dicembre 1977, n. 942 e sulla pretesa illegittimità costituzionale di tale norma, «Giurisprudenza agraria italiana», 2, 1984, pp. 419 sgg. (con riferimento all’indicato decreto-legge in materia di contributi
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dei quali tra i più discussi e contestati in dottrina e giurisprudenza5; la stessa Corte costituzionale ha avuto occasione di pronunciarsi ripetutamente su norme interpretative introdotte dal Governo mediante decretazione d’urgenza, a dimostrazione di un fenomeno non più classificabile come episodico6. Per dare concretezza al problema, può essere produttivo un approccio al tema che muova dalla concreta morfologia del fenomeno: la ricognizione di alcuni episodi esemplari di ricorso alla decretazione d’urgenza per veicolare norme di interpretazione autentica aiuterà a meglio comprendere l’uso e l’abuso dello strumento, permettendo altresì di portare in superficie i numerosi agricoli unificati per i territori montani); F.M. Ettorre, Quali limiti per l’interpretazione autentica? A proposito di un decreto-legge concernente il personale direttivo dello Stato, «Nuova rassegna», 7, 1986, pp. 833 sgg. (con riferimento all’art. 1, n. 4 del decreto-legge n. 626/1985, poi non convertito); P. Spampinato, Eccesso di potere legislativo ed incompetenza assoluta tra certezza del diritto e principio di eguaglianza, in «Archivio civile», 6, 1989, pp. 561 sgg. (con riferimento ai decreti-legge nn. 9/1986 e 102/1989, entrambi in materia previdenziale); O. Mazza, La norma processuale nel tempo, in G. Ubertis e G.P. Voena (a cura di), Trattato di procedura penale, vol. I, Milano 1999, pp. 283-284 (con riferimento al decreto-legge interpretativo n. 173/1989, in materia di costituzione delle preture circondariali); G. Conti, Decreto «anti-scarcerazioni»: celerità processuale e controlli nell’esecuzione della pena, in «Diritto penale e processo», 3, 2001, pp. 304 sgg. (con riferimento all’art. 7, comma 1 del decreto-legge n. 341/2000, poi convertito, che impone di considerare la «pena dell’ergastolo» di cui parla l’art. 422, comma 2, ultimo periodo, c.p.p., come ergastolo «senza isolamento diurno»). Numerosi altri episodi di interpretazione autentica veicolata attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza sono ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale: cfr., infra, nota 6. 5 Valgano, per tutti, i tre esempi davvero eclatanti fatti oggetto di illustrazione nei §§ 3-5. 6 Questioni di costituzionalità involgenti disposizioni interpretative contenute in decreti-legge (poi convertiti in legge ovvero decaduti) sono affrontate nelle decisioni nn. 132/1971; 261/1984; 370/1985; 134 e 167/1986; 55/1987; 6, 373, 754, 810/1988; 427 e 486/1990; 209 e 292/1991; 246, 283, 376, 410 e 447/1992; 51, 74, 161, 189, 364 e 402/1993; 6 e 392/1994; 311/1995; 189/1996; 321/1998; 12/2000; 12, 29, 409 e 436/2002; 26, 337, 341/2003; 168/2004. Meno numerose le decisioni costituzionali in ordine a norme interpretative contenute in decreti legislativi delegati: cfr. le sentenze nn. 226/1974; 422/1994; 91/1995; 425/2000. In una prospettiva esattamente capovolta si collocano, invece, alcune pronunce costituzionali relative a disposizioni legislative che interpretano autenticamente disposizioni di decreti legislativi delegati (cfr. le decisioni nn. 620/1987; 525/1990; 22/1996): si tratta di ipotesi ammissibili di interpretazione autentica, a condizione che l’interpretazione posta non contraddica quanto disposto dalla legge di delegazione; in caso contrario, le norme interpretative andrebbero considerate viziate per eccesso di delega (cfr. P. Carnevale, A. Celotto, Il parametro «eventuale». Riflessioni su alcune ipotesi atipiche di integrazione legislativa del parametro nei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi, Torino 1998, pp. 88-89).
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interrogativi giuridici ed istituzionali connessi al ricorso a decreti-legge interpretativi.
3. Casi esemplari (e interrogativi sottostanti): il decreto-legge n. 6/1991 in tema di calcolo dei termini massimi di custodia cautelare Un senso di forte disagio nasce dalla nota vicenda del decretolegge n. 60/1991 di interpretazione autentica in materia di custodia cautelare, il quale, imponendo una soluzione normativa difforme da quella assunta dalla Cassazione penale (con decisione di annullamento senza rinvio), andava a travolgere gli effetti di un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo, di cui avevano beneficiato imputati già scarcerati7. Reinterpretando autenticamente la disciplina sul computo dei termini di carcerazione preventiva, il Governo ne rimuoveva l’applicazione decisa dalla Suprema corte con sentenza definitiva, così «caducando un diritto che era stato riconosciuto dall’autorità giurisdizionale competente e abolendo uno stato di libertà che l’imputato, al momento della sua liberazione, aveva legittimamente acquisito»8. Tutti dentro, dunque, in forza di una interpretazione autentica disposta con atto provvisorio avente forza di legge dell’Esecutivo e, tramite suo, del ministro guardasigilli. Il ruolo del quale viene così trasfigurato: proponendo il decreto, infatti, il ministro della giustizia finisce per assumere «la funzione di interprete autentico della legge e in qualche misura di “garante” dell’uniformità giurisprudenziale e in definitiva della certezza del diritto», oltre che realizzare – attraverso la sua iniziativa – «una sorta di anomalo e abnorme rimedio extragiudiziario sostitutivo del normale regime delle impugnazioni processuali»9. In sede di conversione poi, il Parlamento eliminava la disposizione del decreto che, esplicitamente, attribuiva alla norma inter7
La vicenda è ora ripercorsa analiticamente da O. Mazza, La norma processuale nel tempo, cit., pp. 278-283. 8 G. Crisci, Irretroattività della legge e legge interpretativa, «Consiglio di Stato», 2, 1992, p. 1381. 9 Così, provocatoriamente, M. Terrile, Sospensione e «congelamento» dei termini di custodia cautelare, «Foro italiano», 2, 1991, II, p. 273, nota 1.
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pretativa effetti anche sulle decisioni ormai definitive, temperando così le aspre critiche che il provvedimento d’urgenza aveva provocato10. Restano, invece, tutti e in tutta la loro gravità gli interrogativi che una simile vicenda impone di formulare: può un decreto-legge essere il vettore di una interpretazione autentica legislativa? I suoi presupposti di straordinarietà, necessità ed urgenza, la sua natura di atto-fonte provvisorio e soggetto ad eventuale conversione, sono compatibili con la finalità di certezza giuridica e con l’efficacia retroattiva comunemente attribuite alla legislazione interpretativa? Quali sono gli effetti, sul piano esegetico, della sua eventuale decadenza? Quali sono i limiti all’efficacia retroattiva di un intervento di interpretazione autentica?
4. Segue: il decreto-legge n. 394/2000 in materia di interessi usurari Altrettanto famosa è la più recente vicenda scaturita dal decreto-legge n. 394/2000, che interpreta autenticamente il sintagma «interessi usurari»11. Tramite esso l’Esecutivo (e, poi, il Parlamen10 Cfr. A. Giarda, Sorge il dubbio che Montesquieu non sia più attuale, «Corriere giuridico», 4, 1991, pp. 391 sgg.; Id., Il Parlamento, la sovranità, il principio della divisione dei poteri, ibid., pp. 601 sgg. Alla luce di tale precedente, appare davvero improvvido il suggerimento avanzato recentemente in dottrina – da T. E. Frosini, Solo il dialogo tra Consulta e Cassazione stempera le rivalità sull’interpretazione, in «Guida al diritto», 25, 2004, pp. 11 sgg. – di un decreto-legge d’interpretazione autentica per superare il conflitto ermeneutico in materia di custodia cautelare che, da circa sei anni, divide le Sezioni unite penali e la Corte costituzionale circa le modalità di calcolo del doppio del termine di fase a seguito della regressione del procedimento penale (cfr., per una ricostruzione dell’intera vicenda, A. Pugiotto, Le metamorfosi delle sentenze interpretative di rigetto, in «Corriere giuridico», 8, 2004, pp. 985 sgg.). 11 Cfr. art. 1, comma 1 del decreto-legge n. 394/2000, «Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108 concernente disposizioni in materia di usura», che interpreta autenticamente gli artt. 644, c.p.p. e 1815, comma 2, c.c. Le tappe dell’intera vicenda sono conosciute. In risposta a Cassazione n. 14899/2000 (sulla quale, ex plurimis, M. Farneti, La sentenza n. 14899 del 2000 della Corte di cassazione: nullità rilevabile d’ufficio per i mutui usurari contratti prima della l. n. 108 del 1996, «Studium iuris», 1, 2001, pp. 125 sgg.), il Governo emana il decreto-legge n. 394/2000. Tale decreto sarà poi convertito con modificazioni – non riguardanti però la norma d’interpretazione autentica – dalla legge n. 24/2001. Immediatamente impugnato davanti alla Corte costituzionale (cfr. G. Busia, Con i toni polemici non si aiutano i consumatori, «Guida al diritto», 2, 2001, pp. 62 sgg.; E.
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to in sede di conversione) scavalca gli effetti di un orientamento di Cassazione favorevole ai consumatori ma contrario agli istituti di credito, destinati altrimenti a dover rimborsare gli interessi (già pagati dai mutuatari) viziati ora da usurarietà sopravvenuta: un intervento d’urgenza a salvaguardia delle banche e dei suoi azionisti che – in un colpo solo12 – frustra l’affidamento dei cittadini nell’interpretazione giurisprudenziale, azzera il contenzioso giurisdizionale in atto e in potenza promosso dai mutuatari, ridimensiona l’ambito di applicazione della legge n. 108/1996 in materia di usura, il tutto attraverso un’asserita interpretazione autentica13. Sacchettini, Le perplessità sul contenuto dell’ordinanza non cancellano la necessità di chiarimenti, ibid., pp. 60 sgg.), la relativa quaestio legitimitatis è stata dichiarata fondata con sentenza n. 29/2002, per un profilo estraneo però alla portata interpretativa della disposizione impugnata (la sentenza è stata annotata – tra gli altri – da R. Defina, L’interpretazione autentica in materia di tassi usurari al vaglio della Corte costituzionale, «Giurisprudenza costituzionale», 1, 2002, pp. 250 sgg.; A. Fiadino, La rilevanza della pattuizione degli interessi o vantaggi usurari nella sentenza n. 29 del 2002 della Corte costituzionale, ibid., pp. 236 sgg.; G. Oppo, Gli interessi usurari tra Costituzione, leggi e mercato, ibid., pp. 215 sgg.; O. Forlenza, Legittima la norma di interpretazione autentica, restano i dubbi sul momento consumativo del reato, «Guida al diritto», 9, 2002, p. 66; A. Palmieri, Interessi usurari: una nuova partenza, «Foro italiano», 4, 2002, I, pp. 934 sgg.). 12 Si è parlato, in proposito, di «colpo di spugna» (E. Sacchettini, Quella difficile missione del Parlamento per ridurre i tanti dubbi e le incertezze, «Guida al diritto», 1, 2001, p. 92), di «schiaffo» alla magistratura (A.A. Dolmetta, Il Governo invade la giurisdizione e salva l’«interesse» delle banche, «Diritto e giustizia», 2-3, 2001, p. 8) di «cadeaux natalizio confezionato a bella posta dal Governo» (R. Conti, Legge 28 febbraio 2001, n .24. Dalla usurarietà sopravvenuta al tasso di sostituzione: mutui senza pace, «Corriere giuridico», 10, 2001, p. 1350) a favore del «potere forte» bancario (G. Gioia, La storia infinita dei tassi usurari, 4, ibid., p. 433). 13 Che l’art. 1, comma 1 del decreto-legge n. 394/2000 (ai sensi del quale, ai fini dell’applicazione degli artt. 1815 c.c. e 644 c.p., «si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento») sia effettivamente norma interpretativa era oggetto di discussione in dottrina. Lo negavano, ad esempio, anche se talvolta con argomenti poco persuasivi, G. Busia, Quando l’interpretazione nasconde una nuova legge, «Guida al diritto», 1, 2001, p. 99; G. Gioia, La storia infinita dei tassi usurari, cit., p. 431; A. Palmieri, Ascesa (giurisprudenziale) e declino (per decreto) dell’usurarietà sopravvenuta, «Foro italiano», 1, 2001, I, 337; A. Riccio, Usurarietà sopravvenuta nei mutui, «Contratti e impresa», 1, 2001, pp. 61-63; M. Rossetti, Violato un principio giurisprudenziale, «Diritto e giustizia», 2001, p. 16. Ne riconosceva, invece, la natura interpretativa A. Maniaci, Nuova normativa in materia di usura, in «Contratti», 4, 2001, p. 396. Per parte sua la Corte costituzionale ha ritenuto l’interpretazione autentica della legge n. 108/1996 in materia di usura, offerta dal Governo e – in sede di conversione – dal Parlamento, «chiara e lineare», «pienamente compatibile con il tenore e la ratio della suddetta legge» e «del tutto coerente con il generale principio di ragionevolezza» (sentenza n. 29/2002, punto 4.3. del considerato in diritto).
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La particolare occasio del decreto-legge n. 384/2000 permette di alzare lo sguardo oltre l’orizzonte della mera forma giuridica e di vedere il grumo di interessi e di rapporti di forza sottostanti agli interventi del legislatore interprete. Il decreto-legge interpretativo si rivela un formidabile cavallo di Troia che consente l’intromissione del Governo nelle definizioni di cause pendenti, condizionate nel loro procedere dall’interpretazione comandata retroattivamente, quando non pregiudicate nel loro esito. Non sorprende, dunque, che del ricorso alla decretazione d’urgenza in chiave interpretativa si faccia parte diligente – come nell’episodio illustrato – l’interesse corporativo: davanti ad una legge aperta a più significati, le banche si affidano dapprima al giudice e poi, persa la partita giurisdizionale, bussano con successo alle porte del legislatore interprete (Parlamento o Governo che sia), in ciò certamente agevolate dalla attuale configurazione concertativa del procedimento normativo. Anche sul piano dei contenuti, dunque, l’interpretazione autentica veicolata attraverso la decretazione d’urgenza esige attenzione dato che, spesso, quando il problema concretamente si pone, è in relazione a questioni di assoluto rilievo. Sul piano sistematico, infine, il decreto-legge n. 384/2000 rinnega se stesso nel momento in cui, interpretando autenticamente l’art. 644 c.p., invece di fare chiarezza ordinamentale finisce per creare seri problemi in riferimento alla esatta identificazione sia del momento consumativo del reato di usura che della decorrenza del relativo termine di prescrizione14.
5. Segue: il decreto-legge n. 138/2002 concernente la definizione di rifiuto ambientale Una dimostrazione delle inclinazioni camaleontiche dell’esegesi legislativa si ritrova nella vicenda che ha visto il Governo inter14 Come argomentato in dottrina: cfr. O. Forlenza, Rischio elusione sulla configurabilità del reato, «Guida al diritto», 1, 2001, pp. 96 sgg.; Id., Restano i dubbi sul momento consumativi del reato, ibid., 9, p. 23; E. Nicosia, Rilevanza penale della percezione di interessi divenuti «usurari» in base alla sopravvenuta l. 108/96?, «Foro italiano», 3, 2001, I, pp. 1062 sgg. (in particolare p. 1067).
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pretare autenticamente, mediante decreto-legge, la nozione giuridica di «rifiuto»15. Contenuta nel c.d. «decreto Ronchi»16, la nozione di rifiuto ne rappresenta il perno operativo, l’elemento costitutivo della maggior parte degli illeciti amministrativi e penali ivi previsti, oltre ad esserne l’anello di congiunzione con altri importanti corpi normativi in materia ambientale17. Nel formularla, il legislatore nazionale aveva ricalcato pressoché alla lettera la nozione di «rifiuto» dettata in ambito comunitario da una direttiva CEE18, imposta dalla necessità di armonizzare le diverse legislazioni nazionali e di combattere efficacemente il fenomeno oramai transnazionale delle c.d. ecomafie. In questo contesto ordinamentale è venuto ad inserirsi il decreto-legge n. 138/200219, il cui art. 14 dispone una interpretazione autentica della nozione di rifiuto ambientale contenuta nel «decreto Ronchi»: al fine di ottenere un effetto di maggiore tassativizzazione dell’intero sistema degli illeciti ivi previsti, il Governo ha così imposto, ora per allora, una nozione più ristretta di «rifiuto», rispetto a quella emergente dalla direttiva CEE così come interpretata dalla giurisprudenza comunitaria. Siamo in presenza di un decreto-legge che solleva una serie di interrogativi in larga parte inediti. È ammissibile l’interpretazione autentica, proveniente dal legislatore nazionale, di una norma di derivazione comunitaria? Può un decreto-legge – peraltro privo, come nel caso in esame, dei presupposti costituzionali di necessità e urgenza – interpretare autenticamente un decreto legislativo delegato? E interpretarlo su un punto in cui quel decreto delegato è conforme alla legge di delega? Interpretando autenticamente una nozione extrapenale centrale nella determinazione della fattispecie di reato, non si finisce per aggirare il divieto costituzionale 15 Per un’analitica ricostruzione dell’intera vicenda v. F. Giunta, La nozione penalistica di rifiuto al cospetto della giurisprudenza CE, «Diritto penale e processo», 8, 2003, pp. 1029 sgg. (ed ivi ulteriori indicazioni bibliografiche). 16 Cfr. art. 6, lett. a) del decreto legislativo n. 22/1997, «Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio». 17 Primo fra tutti il decreto legislativo n. 152/1999, «Disposizioni a tutela delle acque dall’inquinamento». 18 Cfr. l’art. 1 della direttiva 75/442/CEE del Consiglio del 15 luglio 1975, come modificato dalla direttiva 91/156/CEE del Consiglio del 18 marzo 1991. 19 Decreto-legge n. 138/2002, poi convertito in legge n. 178/2002.
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di irretroattività in materia penale? A ritenere sufficiente, per escludere il dubbio di violazione dell’art. 25, comma 2, Cost., che quella norma interpretativa sia favorevole al reo, non si apre così un varco pericoloso per un uso politicamente orientato dell’interpretazione autentica in materia penale? Con una torsione rispetto alla sua dichiarata finalità di risoluzione di dubbi ermeneutici, l’interpretazione autentica della nozione di «rifiuto» ha provocato, sul piano dell’applicazione giurisprudenziale e amministrativa, veri e propri cortocircuiti. La Cassazione ha riconosciuto il valore vincolante della norma d’interpretazione autentica per i giudici penali, in quanto introdotta con fonte legislativa primaria ed in considerazione della natura non autoapplicativa della direttiva CEE disattesa dal decreto-legge interpretativo20. Qualche giudice di merito ha, viceversa, promosso rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, chiedendole di pronunciarsi con una sentenza interpretativa che stabilisca se l’autorità giudiziaria debba continuare ad intendere il concetto di «rifiuto» secondo la direttiva CEE recepita dal «decreto Ronchi» e le pregresse sentenze in materia pronunciate dalla Corte di giustizia, oppure debba intenderla alla luce dell’interpretazione autentica datane dal legislatore nazionale21. Altri giudici, come alcune pubbliche amministrazioni, hanno invece ritenuto non applicabile il decreto-legge interpretativo, perché contrastante con il principio del primato del diritto comunitario, pacificamente estendibile anche alla giurisprudenza interpretativa della Corte di giustizia22. Come se tutto ciò non bastasse, la Commissio20 La natura non self executing della direttiva, peraltro, precluderebbe la possibilità di adire direttamente la Corte di giustizia per acquisirne un’interpretazione pregiudiziale, atteso che a dover essere interpretata sarebbe la norma nazionale, non già quella comunitaria. Cfr. Cass. pen., sez. III, 29 gennaio 2003, «Diritto penale e processo», 10, 2003, pp. 1267 sgg., commentata da P. Parodi, Prime applicazioni giurisprudenziali della nuova definizione di rifiuto, ibid., pp. 1270 sgg. 21 Cfr., ad esempio, il tribunale di Terni, ordinanza 20 novembre 2002, «Giurisprudenza di merito», 9, 2003, pp. 1800 sgg., con nota di L. Rosa Bian, Richiesta alla Corte europea di giustizia una sentenza interpretativa sulla nozione di «rifiuto», ibid., pp. 1803 sgg. Il dubbio circa la compatibilità dell’art. 14 del decreto-legge n. 138/2002, con il principio di primazia del diritto comunitario sul diritto interno è manifestato anche dal tribunale di Udine, ordinanza G.i.p., 14 ottobre 2002, e dal Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 6657/2002. 22 Cfr., in tal senso, Prov. Venezia, Commissione consultiva sanzioni, 23 gennaio 2002. Nel senso che «le norme del nuovo decreto-legge, in quanto contrastante con le sentenze della Corte di giustizia e con norma CEE, devono essere disapplicate dal giudice nazionale» è anche il tribunale di Grosseto, sentenza n. 571/2003, in www.lexambiente.com.
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ne europea ha, nel frattempo, aperto nei confronti dell’Italia un procedimento di infrazione per mancato rispetto del diritto comunitario, ritenendo la norma interpretativa un’indebita limitazione del campo di applicazione della nozione comunitaria di «rifiuto»23. Tale babele giurisprudenziale, combinata alla situazione di contrasto fra legislatore nazionale e legislatore comunitario, produce un cocktail davvero micidiale in un campo, il diritto penale ambientale, dove la nozione di «rifiuto» è assolutamente centrale nella determinazione delle relative fattispecie incriminatici. Le conseguenti ricadute sulla libertà personale e d’iniziativa economica sono davvero intollerabili24: il rischio di una pericolosa deregulation generale nell’attività di smaltimento dei rifiuti (dalla produzione al trasporto, dalla consegna al trattamento) non essendo chiaro cosa debba intendersi per rifiuto rispetto a ciò che rifiuto non è; l’oggettivo disorientamento negli organi di polizia chiamati a contrastare attività di smaltimento di rifiuti mascherate da forme di riutilizzo degli stessi; la nascita di un vero e proprio shopping giudiziario, con gli imprenditori indotti a spostare le proprie attività di riutilizzo in quelle Regioni dove l’orientamento giurisprudenziale è favorevole alla nozione «nazionale» di rifiuto rispetto a quella «comunitaria». Il tutto a dimostrazione che il legislatore interprete, anche quando assume le sembianze del Governo e la veste formale del decreto-legge, non risolve problemi. Semmai, li crea.
6. Alla radice del problema: è ammissibile un’interpretazione autentica legislativa mediante atti con forza di legge? Tutti gli strappi ordinamentali provocati dalle vicende esemplari illustrate hanno un unico punto di sutura: è davvero ammissibile un’interpretazione autentica legislativa mediante atti con forza di legge? 23
Cfr. Commissione delle Comunità europee, decisione n. 200/2213-C(2002)3868 (la si può leggere, ad esempio, in www.tuttoambiente.it/euro/infraz1.html). 24 Se ne trova una preoccupata rassegna nel «Documento sulla nozione giuridica del termine “rifiuto”», datato 1 luglio 2004, della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse (in www.tuttoambiente.it), di cui il testo offre una brevissima sintesi.
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Sono destinati ad andare a vuoto i tentativi di ricavare un qualche dato di diritto positivo idoneo a vietare – in radice – il fenomeno di interpretazioni autentiche veicolate mediante atti equiordinati alla legge. Anacronistico, a tal fine, sarebbe il richiamo all’art. 73 dello Statuto albertino che, nella sua formulazione testuale, riservava «esclusivamente al potere legislativo» l’interpretazione delle leggi in modo obbligatorio per tutti25. Così come troppo debole sarebbe la tesi di chi intendesse arguire, dalla novità rappresentata dall’art. 1, comma 2 del c.d. Statuto dei diritti del contribuente – ai sensi del quale l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta solamente «con legge ordinaria» – il riconoscimento di un più generale divieto di atti con forza di legge a valenza interpretativa26. Divieto, peraltro, che non è contemplato nemmeno agli artt. 14 e 15 della legge n. 400/1988. Resta dunque in piedi, con rinnovata attualità, l’interrogativo circa l’ammissibilità di atti con forza di legge a valenza interpretativa. Ad esso va data una risposta, ricercandola nelle differenti letture che della esegesi legislativa è possibile offrire. La soluzione al quesito è certamente negativa per chi intenda attenersi coerentemente alla tesi della natura dichiarativa dell’interpretazione autentica27: la ragione, evidente, deriva dalla mancanza della necessaria identità tra autore della legge interpretata e autore dell’atto interpretativo con forza di legge. Tra i due orga25 F. Degni, L’interpretazione della legge, Napoli 1909, pp. 111-112; v. anche A. Gardino Carli, Il legislatore interprete. Problemi attuali in tema di interpretazione autentica legislativa, cit., pp. 84-85. 26 Ammesso e non concesso che la citata disposizione della legge n. 212/2000 debba intendersi nel senso che sono preclusi nella materia tributaria decreti-legge o decreti legislativi di interpretazione autentica, essa finisce per connotarsi come eccezione alla opposta regola generale valida in tutte le altre materie: cfr. G. Serges, Norme sulla normazione, cit., pp. 282-283. 27 Secondo tale teoria la legge interpretativa è un semplice atto di conoscenza della precedente manifestazione di volontà legislativa: essa dunque non innova l’ordinamento vigente, limitandosi a chiarirne la portata normativa e contribuendo, in tal modo, a risolvere dubbi e incertezze sul reale significato della disposizione interpretata. Elaborata dalla tradizione canonista del XV e XVI secolo (cfr. O. Giacchi, Formazione e sviluppo della dottrina della interpretazione autentica in diritto canonico, Milano 1935) e assunta dalla Scuola francese dell’esegesi (J. Ghestin, G. Goubeaux, Traité de droit civil, Paris 1990, pp. 306-312), sarà fatta propria da significativi settori della dottrina italiana post-unitaria (come Fiore, Bianchi, Gabba, Landucci, Degni: cfr. G. Tarello, L’interpretazione della legge, in A. Cicu, F. Messineo (a cura di), Trattato di diritto civile e commerciale, vol. I, tomo 2, Milano 1980, pp. 256 sgg.). Riscontri giurisprudenziali di tale teoria sono tuttora frequenti: cfr. A. Pugiotto, La legge interpretativa e i suoi giudici, cit., pp. 111-115.
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ni, Parlamento e Governo, non c’è infatti coincidenza soggettiva e neppure corrispondenza istituzionale28. Né si può fare leva – stante la natura parlamentare della nostra forma di governo – sulla comune volontà politica che lega l’Esecutivo alla sua maggioranza, poiché quest’ultima non sempre coincide con la maggioranza legislativa, «potendo coagularsi intorno ad una legge forze politiche di differente ed anche opposta matrice»29. Inoltre, proprio perché – nella logica della teoria dichiarativa – l’interpretazione autentica è connotazione intrinseca alla funzione di porre diritto oggettivo, essa spetta indubbiamente al Governo, ma limitatamente ai propri atti normativi regolamentari, non certo nei confronti di atti legislativi alla cui deliberazione è estraneo30. In quest’ordine di idee, dunque, il divieto di interpretazione autentica mediante decreto-legge configurerebbe un limite implicito alla decretazione d’urgenza, non diversamente da quelle materie che si ritengono ad essa precluse in ragione della inevitabile alterità di Governo e Parlamento31. Analogamente, l’impossibilità di una interpretazione autentica veicolata attraverso decreto delegato rappresenterebbe uno dei limiti «ulteriori» alla delega legislativa32, che vanno a sommarsi a quelli espressamente previsti all’art. 76 Cost. È, invece, accedendo alla diversa tesi della natura decisoria della esegesi legislativa33 che è possibile ipotizzare atti con forza di 28 Così A. Simoncini, Il sistema delle fonti tra Governo e Parlamento dopo la sentenza n. 360 del 1996 della Corte costituzionale, «Rassegna parlamentare», 4, 1997, p. 1019, nota 109; A. Riccio, Usurarietà sopravvenuta nei mutui, cit., p. 63, nota 19. 29 C. Fiumanò, Decreti-legge di interpretazione autentica, cit., p. 2275. 30 F. Degni, L’interpretazione della legge, cit., pp. 111-113: emerge così l’ammissibilità – nella logica della tesi dichiarativa – di regolamenti che interpretano autenticamente regolamenti, senza incontrare ostacolo alcuno nel divieto di retroattività quale principio legislativo non derogabile da fonti secondarie. Infatti, se è autentica una interpretazione meramente dichiarativa, il divieto di retroattività è concettualmente estraneo al fenomeno, proprio per l’assenza di successione di norme diverse nel tempo: perché allora solamente per le fonti secondarie dovrebbe rappresentare un ostacolo insuperabile? 31 Così C. Fiumanò, Decreti-legge di interpretazione autentica, cit., pp. 2274 sgg. 32 Secondo la fortunata espressione coniata da S.M. Cicconetti, I limiti «ulteriori» della delegazione legislativa, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 3, 1966, pp. 568 sgg. 33 Secondo tale teoria, «la legge di interpretazione autentica va definita come quella legge che impone una interpretazione indipendentemente dalla sua esattezza» (G.U. Rescigno, Leggi di interpretazione autentica e leggi retroattive non penali incostituzionali, «Giurisprudenza costituzionale», 1964, p. 775): siamo cioè in presenza di una manifestazione di volontà obbligatoria e novativa dell’ordinamento proprio perché vei-
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legge interpretativi. In tale logica, infatti, «quello che conta, in definitiva, è la natura della funzione esercitata e non l’organo che la pone in essere»34, e non v’è dubbio che il valore giuridico della legge interpretata sia pari a quello di un decreto-legge o di un decreto delegato interpretativi. E tanto basta35. Queste le due possibili chiavi di lettura, antitetiche negli esiti, del problema in esame. La prassi ci dice che, oggi come oggi, è la seconda ad essersi imposta. Eppure mi sembra che tale approdo vada riconsiderato, gravido com’è di motivate riserve. Per meglio esplicitarle, è bene tenere separata l’analisi della problematica dei decretilegge interpretativi da quella – non coincidente, anche negli esiti – di interpretazioni autentiche mediante decreti legislativi delegati.
7. Interpretazione autentica legislativa e decretazione d’urgenza Limitiamo il campo d’indagine al fenomeno della decretazione d’urgenza36. In quanto ordinariamente fornito della forza di legge e potenzialmente idoneo ad abrogare la legge (una volta converticolata nella forma dell’atto legislativo. Le radici della teoria decisoria risalgono al diritto romano, dove il concetto di interpretazione autentica è strettamente intrecciato a quello di interpretatio. Seguita, alle origini della dottrina giuridica, da Bartolo da Sassoferrato e da altri civilisti (cfr. O. Giacchi, Formazione e sviluppo, cit., pp. 17 sgg.), verrà fatta propria dalla Scuola storica di area prussiana (F.C. Von Savigny, Sistema del diritto romano attuale, trad. it. V. Scialoja, Torino 1986, § 32, pp. 218 sgg.) E successivamente recepita e affinata dalla dottrina italiana post-unitaria destinata a diventare maggioritaria (un nome per tutti: F. Cammeo, L’interpretazione autentica, «Giurisprudenza italiana», 59, 1907, IV, pp. 305 sgg.). Si tratta di una teoria largamente presente nella giurisprudenza della Corte di cassazione: cfr. A. Pugiotto, La legge interpretativa e i suoi giudici, cit., pp. 139-144. 34 R. Tarchi, Incompetenza legislativa del Governo, interposizione del Parlamento e sindacato della Corte costituzionale, «Giurisprudenza costituzionale», 2,1988, p. 954. 35 Nel senso indicato nel testo v., ad esempio, P. Carnevale, A. Celotto, Il parametro «eventuale», cit., p. 90; R. Quadri, Applicazione della legge in generale, in A. Scialoja e G. Branca (a cura di), Commentario del Codice civile. Disposizioni sulla legge in generale. Art. 10-15, Bologna-Roma 1974, p. 177; G. Verde, Alcune considerazioni sulle leggi interpretative nell’esperienza più recente, in U. De Siervo (a cura di), Osservatorio sulle fonti 1996, Torino 1997, p. 29; G. Zagrebelsky, Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino 1984, p. 91. 36 Quanto ai problemi connessi all’uso di decreti legislativi delegati di interpretazione autentica, rinvio alle considerazioni svolte in A. Pugiotto, La legge interpretativa e i suoi giudici, cit., pp. 262-267.
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to), andrebbe riconosciuta «la ammissibilità di un’interpretazione di leggi ex decreto»37. Contro questa convinzione diffusa sono state mosse diverse obiezioni, non propriamente irresistibili. Affermare, ad esempio, che i presupposti della decretazione d’urgenza farebbero difetto, data l’esistenza di organi giudiziari cui è istituzionalmente attribuita la funzione interpretativa38, prova poco a fronte di una consolidata giurisprudenza costituzionale che esclude un monopolio giurisdizionale nell’interpretazione dell’ordinamento giuridico39. Né maggiore carica persuasiva ha l’argomento che correla la capacità di vincolare l’autorità giudiziaria nell’esercizio della sua funzione interpretativa alla particolare poziorità costituzionalmente riconosciuta al Parlamento (ma non all’Esecutivo) rispetto al potere giudiziario40: se, infatti, il legittimo esercizio dell’interpretazione autentica riposa sulla equiparazione gerarchica tra fonti (e non tra organi), sfuma – sul piano giuridico formale – ogni apprezzabile differenza tra una norma comandata da una legge o da un decreto-legge, a fortiori se poi fatto oggetto di conversione. Così come poco stringente è l’affermazione secondo la quale l’interpretazione autentica implicherebbe una discrezionalità politica e di merito talmente ampia (trattandosi di scegliere tra più
opzioni normative contrapposte, tutte egualmente possibili), da risultare estranea all’eccezionalità dei poteri normativi del Governo41: in realtà, interpretare autenticamente significa innovare (retroattivamente) l’ordinamento, al di là di ogni parvenza esegetica, e una simile capacità innovativa è propria di qualsiasi decreto-legge, in quanto atto fonte dell’ordinamento giuridico. Non sono mancati, peraltro, i tentativi di investire la stessa Corte costituzionale dei problemi posti dal ricorso a decreti-legge interpretativi. È stato infatti denunciato in via incidentale l’intreccio pernicioso tra reiterazione e interpretazione autentica42; o revocata in dubbio la stessa compatibilità tra la forma del decreto-legge e la funzione d’interpretazione autentica43, come pure l’assenza dei presupposti della decretazione d’urgenza, specialmente quando l’arco di tempo che separa la legge interpretata dall’atto con forza di legge è rilevante44. Tutti tentativi andati a vuoto, vanificati dalla natura meramente processuale delle relative ordinanze della Corte costituzionale, che hanno precluso la possibilità di adeguate risposte agli interrogativi avanzati dai giudici remittenti. Se davvero si vuole incrinare la tesi dominante, è da questi tentativi che è bene ripartire, cercando di dare maggior spessore ai 41
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P. Carnevale, A. Celotto, Il parametro «eventuale», cit., p. 83, nota 40. 38 È l’argomento speso da F. Pergolesi, Annotazione in tema di c.d. leggi interpretative, «Giurisprudenza costituzionale», 1957, p. 807. 39 «Il potere di interpretazione di una legge non è riservato dalla Costituzione in via esclusiva al giudice, né tantomeno è sottratto alla potestà normativa degli organi legislativi: le due attività operano infatti relativamente a piani diversi, in quanto mentre l’interpretazione del legislatore interviene sul piano generale ed astratto del significato delle fonti normative, quella del giudice opera sul piano particolare come premessa per l’applicazione concreta della norma alla singola fattispecie sottoposta al suo esame»: così la sentenza n. 311/1995. Si tratta di giurisprudenza costituzionale costante: cfr., ex plurimis, le decisioni nn. 6/1988, 39/1993, 44/2001. 40 L’obiezione è di A. Simoncini, Il sistema delle fonti tra Governo e Parlamento, cit., p. 1019, nota 109, che in tal modo ripropone il c.d. argomento «a piramide», secondo il quale l’interpretazione autentica si giustificherebbe costituzionalmente in quanto espressione della primazia parlamentare sul potere giudiziario: si tratta di una ricostruzione giacobina del rapporto tra funzione legislativa e funzione giurisdizionale, cui può contrapporsi una differente impostazione di matrice anglosassone, dove la legge è detronizzata in conseguenza della necessità di tutelare – anche nei suoi confronti – il pluralismo istituzionale, e dove il potere non trova il suo vertice nell’assemblea rappresentativa, diviso com’è tra centri diversi, secondo la logica dei pesi e contrappesi: cfr. A. Pugiotto, La legge interpretativa e i suoi giudici, cit., pp. 93-96.
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Il rilievo critico è di A. Riccio, Usurarietà sopravvenuta nei mutui, cit., p. 62. Cfr. l’ordinanza n. 810/1988, che riguarda la catena di sei decreti-legge interpretativi, tutti di identico contenuto e mai convertiti, l’ultimo dei quali era stato impugnato dal giudice a quo per contrasto con l’art. 24 Cost., in quanto fa sì che, «per effetto di una illegittima iniziativa del Governo, la funzione di accertamento della volontà della legge ad opera del giudice rimanga impedita fino a quando le disposizioni del decreto legge siano suscettibili di consolidarsi per effetto della conversione in legge o perdano efficacia per la decorrenza del termine di sessanta giorni dalla pubblicazione». Viene anche denunciata la violazione dell’art. 101, comma 2, Cost. «poiché l’iniziativa governativa si risolverebbe in un assoggettamento non consentito e temporalmente indeterminato dei giudici alla volontà del Governo invece che della legge». 43 Cfr. l’ordinanza n. 161/1993, chiamata ad affrontare (anche) l’interrogativo se la disposizione interpretativa impugnata «usurpa la funzione legislativa sia perché emanata nella forma del decreto-legge senza le condizioni della decretazione d’urgenza, sia perché l’interpretazione autentica della legge è riservata al Parlamento». 44 È nel corso del giudizio (poi risolto con l’ordinanza n. 447/1992) che le parti denunciano «l’assurdità di una norma asseritamente interpretativa», contenuta in un decreto-legge intervenuto «ad otto anni dalla disposizione da interpretare, in presenza di una consolidata ed univoca giurisprudenza, norma che costituirebbe “uno scorretto mezzo” per sottrarre al potere giudiziario, attraverso la retroattività propria dell’interpretazione autentica, il compito di applicare la legge». In senso analogo v. anche il giudice a quo del giudizio incidentale risolto dall’ordinanza n. 409/2003. 42
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dubbi avanzati, nella speranza che – alla prima occasione utile – possano essere riproposti da qualche giudice remittente particolarmente tenace.
8. Come i giudici possono contestare i decreti-legge interpretativi: a) l’assenza dei presupposti di straordinarietà, necessità ed urgenza La prima strategia argomentativa ruota intorno al seguente interrogativo: davvero ricorrono – nell’ipotesi di un decreto-legge d’interpretazione autentica – i requisiti di straordinarietà, necessità e urgenza richiesti dall’art. 77 Cost.? Lo si ammette comunemente, rilevando che l’urgenza ad intervenire può nascere proprio dalla presenza di contrasti interpretativi emergenti in sede applicativa, così come la necessità di imporre una determinata soluzione normativa può collegarsi alla volontà politica dell’Esecutivo di prevenire, impedire o porre nel nulla un orientamento giurisprudenziale non condiviso45. D’altra parte, non si è mancato di segnalare che il controllo squisitamente politico sulla sussistenza dei presupposti della decretazione d’urgenza toglie concretezza alla discussione46, peraltro destinata a valere per il limitato periodo di vigenza provvisoria del decreto-legge interpretativo giacché, «trascorsi i sessanta giorni, ogni questione va risolta in base alla considerazione che la legge di conversione è manifestazione della generale potestà legislativa del Parlamento»47. Ebbene, tutto ciò va oggi sottoposto a profonda revisione, valorizzando al massimo le novità che – con la sentenza n. 29/199548 – la Corte costituzionale ha introdotto in tema di sindacato sulla sussistenza dei presupposti della decretazione d’ur45 Cfr. P. Carnevale, A. Celotto, Il parametro «eventuale», cit., p. 91; A. Gardino Carli, Il legislatore interprete, cit., p. 87. 46 Richiamando il noto episodio del decreto-legge interpretativo in materia di decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare (v. supra, § 3), qualcuno ha opportunamente rilevato come «una volta imboccata la strada della sottrazione a qualsiasi censura giuridica del motivo che suggerisce o impone tale intervento, diventa, poi, difficile negare che quest’ultimo si presenti così necessitato ed indilazionabile da non potersi tradurre in un più meditato intervento legislativo» (A. Gardino Carli, Il legislatore interprete, cit., p. 87). 47 C. Fiumanò, Decreti-legge di interpretazione autentica, cit., p. 2275.
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genza. La rilettura in chiave giuridica della preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite lo strumento eccezionale del decreto-legge, distinta dal correlativo esame parlamentare in sede di conversione (che, invece, «comporta una valutazione del tutto diversa e, precisamente, di tipo prettamente politico sia con riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti della stessa»), spariglia le carte in tavola ed esclude che la nozione di straordinarietà, necessità ed urgenza sia così ampia da risultare presente a priori. Oggi non è più vero e se, in via di mera ipotesi, la possibilità di un decreto-legge interpretativo costituzionalmente giustificato non può certo escludersi49, si impone però una verifica empirica, caso per caso, sulla effettiva sussistenza di quei presupposti. Così come non è più vero che l’eventuale conversione azzeri ogni problema, proprio perché l’assenza dei presupposti del decreto-legge riverbera quale «vizio in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest’ultima, nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l’esistenza dei presupposti di validità in realtà insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione»50. 48 «Giurisprudenza costituzionale», 1995, pp. 278 sgg. (le citazioni riportate nel testo si possono leggere al punto 2 del considerato in diritto). 49 Così già R. Quadri, Applicazione della legge in generale, cit., p. 177, ed ora, più recentemente, A. Celotto, L’«abuso» del decreto-legge. I. Profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica, Padova 1997, p. 452, nota 326. 50 Affermazione, quest’ultima, invero contraddittoriamente ridimensionata nella giurisprudenza costituzionale successiva, a partire almeno dalla sentenza n. 419/2000, annotata criticamente da A. Celotto, La Corte costituzionale, inspiegabilmente, torna indietro di cinque anni (la conversione in legge torna a «sanare» ogni vizio proprio del decretolegge), «Giurisprudenza costituzionale», 5, 2000, pp. 3152 sgg. V. anche, proprio in riferimento ad un decreto-legge d’interpretazione autentica, la sentenza n. 29/2002 secondo la quale «eventuali vizi attinenti ai presupposti della decretazione d’urgenza devono ritenersi sanati in linea di principio dalla conversione in legge e deve comunque escludersi che nella specie si versi in ipotesi di macroscopico difetto dei presupposti della decretazione» (punto 4.1 del considerato in diritto; corsivo non testuale): tuttavia, in considerazione della clausola generale adoperata, «la Corte dà ad intendere di non volersi sbilanciare, verosimilmente per considerarsi libera di tornare sui propri passi» (come realisticamente osserva, a commento della citata decisione, L. De Bernardin, Il problematico vizio di illegittimità dei decreti-legge ad efficacia differita, «Giurisprudenza costituzionale», 1, 2002, p. 268, nota 24; più scettica, invece, è la valutazione di A. Celotto, La «storia infinita»: ondivaghi e contraddittori orientamenti sul controllo dei presupposti del decreto-legge, ibid., 2002, p. 136). Il precedente è richiamato – e dunque confermato – dalla sentenza n. 341/2003, anch’essa concernente un decreto-legge d’interpretazione autentica.
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Lo scenario, dunque, è cambiato, anche per i decreti-legge interpretativi. Per esemplificare: se l’interpretazione autentica – veicolata attraverso un decreto-legge – interviene a distanza di anni dall’entrata in vigore della legge interpretata, dov’è l’urgenza del provvedimento?51 Se il Governo, vestendo i panni dell’interprete, approva un decreto-legge al fine di rovesciare un diritto vivente radicatosi da molto tempo, dov’è la straordinarietà (da intendersi come imprevedibilità) di una situazione giurisprudenziale riconoscibile da anni e certamente non formatasi dall’oggi al domani? Se il decreto-legge interpretativo mira ad imporre una soluzione normativa più coerente con la linea di politica dell’Esecutivo e della sua maggioranza, dov’è la necessità del provvedimento, in considerazione del fatto che essa non va più correlata ad una valutazione esclusivamente politica (peraltro, in assenza degli altri requisiti ex art. 77 Cost., obbligata a seguire la via ordinaria del disegno di legge di iniziativa governativa), ma deve, invece, presentare un’apprezzabile valenza oggettiva? È troppo aspettarsi che, in simili ipotesi, il Capo dello Stato ex ante e la Corte costituzionale ex post sanzionino la «evidente mancanza» di uno dei presupposti che la Costituzione impone al Governo e alle Camere per attivare e convalidare il ciclo funzionale della decretazione d’urgenza?
9. Segue: b) l’incompatibilità tra la provvisorietà del decretolegge e le finalità dell’interpretazione autentica legislativa Si può inoltre argomentare un’incompatibilità tra decreto-legge e interpretazione autentica, cercando di dimostrare come il primo, in ragione della sua provvisorietà, sia strutturalmente inidoneo a conseguire anche una sola delle molteplici finalità della seconda. La decadenza, infatti, fa perdere all’atto con forza di legge la sua funzione esegetica. Né questa può essere recuperata facendone oggetto di sanatoria: avendo natura meramente formale, la legge di 51 Viene in mente il sarcasmo adoperato da A. Predieri, Interpretazione autentica e collisione con i diritti costituzionali alla difesa e al giudice naturale e precostituito nelle leggi sulle concentrazioni editoriali, «Quaderni Nomos», 1989, p. 86, a proposito di «un decreto legge che asserisce la straordinaria, urgente e inarrestabile necessità di interpretare subito norme emanate quindici anni prima».
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sanatoria «potrebbe al più tenere fermi gli atti emanati in forza dell’interpretazione imposta dal decreto stesso, ma non certo restituire al decreto una potenzialità ormai irrimediabilmente perduta»52. Una simile eventualità – a ben guardare – si ripercuote inevitabilmente sulle ragioni stesse per le quali il Governo ha inteso imporre, mediante decretazione d’urgenza, una determinata soluzione normativa. L’interpretazione autentica che mira al chiarimento autoritativo di una formula legislativa oscura o fatta oggetto di contrastanti applicazioni giurisprudenziali, risponde ad una esigenza di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici incompatibile con la precarietà del decreto-legge53. Analogamente, l’interpretazione autentica che intende condizionare l’andamento o l’esito di giudizi pendenti rischia, in caso di mancata conversione del relativo decreto-legge, di produrre effetti irreversibili, davvero insopportabili in sede processuale54. L’interpretazione autentica che esprime la volontà dell’Esecutivo di sostituire al diritto vivente una diversa soluzione normativa, infine, può davvero rivelarsi un boomerang in caso di decadenza del decretolegge che la veicola, potendosi assumere la mancata conversione come una interpretazione autentica negata, a conferma della correttezza e plausibilità dell’interpretazione giurisprudenziale avversata, che ne uscirebbe dunque rinvigorita. Stando così le cose, sarebbe bene che il Governo – e, con esso, il Capo dello Stato in sede di emanazione del decreto-legge – calcolasse attentamente i costi complessivi di una simile operazione, sempre esposta al rischio di mancare clamorosamente il proprio obiettivo o di provocare gravi lacerazioni nel tessuto ordinamentale. 52
P. Carnevale, A. Celotto, Il parametro «eventuale», cit., p. 91. Così, fondatamente, G. Serges, Norme sulla normazione, cit., pp. 278-279 e, prima ancora, A. Simoncini, La «fine» della reiterazione dei decreti-legge, in U. De Siervo (a cura di), Osservatorio sulle fonti 1997, Torino 1998, pp. 53-54, nota 124. 54 Si tratta di una preoccupazione diffusa in dottrina (cfr. A. Gardino Carli, Il legislatore interprete, cit., pp. 88-89; G. Serges Norme sulla normazione, cit., p. 277; R. Tarchi, Incompetenza legislativa del governo, cit., p. 954), cui però si replica – sul piano giuridico formale – che l’irretrattabilità degli effetti è consustanziale al decreto-legge (e dunque non può tradursi in vizio di incompetenza se non di carenza di legittimazione all’adozione), aggiungendo che tale caratteristica, al più, legittima l’accesso alla Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzioni tra poteri (cfr. sentenza n. 161/1995): così P. Carnevale., A. Celotto, Il parametro «eventuale», cit., p. 92. Ma per il rilievo peculiare della precarietà della decretazione d’urgenza, se adoperata in tema di interpretazione autentica, v. infra nel testo. 53
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10. Segue: c) condizionare la portata interpretativa del decreto-legge alla sua conversione in legge Ci si può addirittura spingere ad auspicare che la Corte costituzionale assuma, nei confronti di decreti-legge d’interpretazione autentica, un atteggiamento particolarmente severo, depotenziandoli sul piano della forza legislativa, analogamente a quanto già fatto con riferimento ad altre ipotesi specifiche di uso improprio della decretazione d’urgenza55. 55 Nel testo si allude ad alcuni luoghi della giurisprudenza costituzionale, dove la piena equiparazione tra legge e decreto-legge è negata in ragione della precarietà di quest’ultimo, con conseguente valorizzazione della sua conversione quale conditio sine qua non perché l’atto avente forza di legge dispieghi tutti i suoi effetti normativi. Più specificamente, il richiamo è, ad esempio, alla sentenza n. 1/1991 (ed alla correlata ordinanza n. 154/1991) che fa decorrere la declaratoria d’incostituzionalità di una norma, introdotta con decreto-legge, dalla data della conversione di questo (cfr. R. Romboli, La determinazione del dies a quo per la decorrenza degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità sopravvenuta tra errori materiali e preoccupazioni per le conseguenze finanziarie, «Giurisprudenza costituzionale», 2, 1991, pp. 1352-1353). Il richiamo è, anche, alle sentenze nn. 496/1993, 172/1994 e 271/1996, con le quali si nega l’idoneità del decretolegge ad introdurre principi fondamentali limitativi della potestà legislativa di Regioni e Province autonome, in ragione del suo contenuto precario, con la conseguenza che l’obbligo per gli enti provinciali di adeguarvisi decorre dalla pubblicazione della legge di conversione che rende stabilmente vigenti nell’ordinamento statale i nuovi principi (cfr. C. Calvieri, Decreto legge e limiti alla potestà legislativa regionale posti dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, «Giurisprudenza costituzionale», n.1/1994, pp. 478-481; L. D’Andrea, C. Salazar, Ricorsi governativi attraverso leggi regionali e provinciali e decreti legge privi di effetti normativi, «Foro italiano», 1, 1994, I, pp. 2957 sgg.; E. Rossi, «Mettere vino nuovo in otri vecchi»: le prime applicazioni dell’art. 2 del d. Lgs. 16 marzo 1992 n. 266, «Giurisprudenza costituzionale», 3, 1994, pp. 1555-1558; A. Ruggeri, Decreti legge e autonomia legislativa regionale, «Le Regioni», 6, 1996, pp. 1206 sgg.). Il richiamo è pure alla sentenza n. 25/1996 (più volte confermata: cfr., da ultime, le sentenze nn. 272, 286, 287/2004) secondo la quale, «in considerazione del carattere intrinsecamente precario del decreto-legge», non è tardivo il ricorso regionale proposto nei confronti della relativa legge di conversione «che rende permanente e definitiva la asserita lesione da cui scaturisce l’interesse a ricorrere della Regione», anche quando le disposizioni impugnate sono meramente confermative di quelle originariamente contenute nel decreto-legge. Può, infine, farsi richiamo anche alla sentenza n. 161/1995 la quale riconosce ammissibile un conflitto tra poteri avente ad oggetto un decreto-legge, produttivo di mutamenti irreversibili della realtà, in ragione della sua potenziale attitudine alla perdita retroattiva dei propri effetti, riconoscendone così la natura di comportamento (e non di atto giuridico) fino alla sua conversione (così, ad esempio, A. Ruggeri, La Corte e le mutazioni genetiche dei decreti-legge, «Rivista di diritto costituzionale», 1, 1996, p. 283, e – sia pure criticamente – A. Pizzorusso, Conflitto di attribuzione nei confronti del decreto-legge e limiti alla par condicio all’esame della Consulta,«Corriere giuridico», 1995, pp. 822-823). È invece andato a vuoto il tentativo di ottenere dalla Corte
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In luogo della Consulta, potrebbero così orientarsi i giudici, come già accaduto altrove56. La strategia si è affacciata in giurisprudenza, dove la Cassazione, in alcune occasioni, ha negato efficacia interpretativa a decreti-legge, condizionandone la natura esegetica alla eventuale conversione parlamentare57. Si tratta, certacostituzionale l’avallo alla tesi del generale difetto di straordinaria necessità ed urgenza cui sarebbero affetti tutti i decreti-legge miranti a completare manovre di finanza pubblica: cfr. sentenza n. 16/2002. 56 Il riferimento è alla negata possibilità che, mediante decretazione d’urgenza, possa essere validamente attribuita al Governo potestà regolamentare (Cons. Stato, Ad. Gen., 11 aprile 1996, sulla quale richiama l’attenzione A. Simoncini, La funzione del decretolegge. La decretazione d’urgenza dopo la sentenza n. 360/1996 della Corte costituzionale, Milano 2003, pp. 340-341). Il riferimento è anche alla materia referendaria, dove l’Ufficio centrale presso la Cassazione esclude che possano aver rilievo – al fine di precludere lo svolgimento del referendum ovvero di trasferirne il quesito sulla normativa sopravvenuta – modifiche sostanziali introdotte con decreto-legge, dal momento che potrebbe non aversene la conversione: cfr. le ordinanze del 16 marzo 1993; 22 dicembre 1993; 30 novembre 1994; 9 dicembre 1994 (in tema, per tutti, v. ora R. Pinardi, L’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione. Natura, organizzazione, funzioni, ruolo, Milano 2000, pp. 346-351). È solo il caso di ricordare che l’orientamento dell’Ufficio centrale ha trovato l’avallo istituzionale preventivo del Capo dello Stato il quale, in occasione del referendum del 1993 promosso dalla Lista Pannella per l’abrogazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, negò la firma ad un decreto-legge presentato dal Governo Amato che, andando ad incidere sulla materia oggetto di referendum, mirava ad inibire l’esercizio del voto popolare abrogativo (il testo della lettera presidenziale del 7 marzo 1993, con la quale si motiva il rifiuto di emanazione, si può leggere in M. Ainis, T. Martines, Codice costituzionale, Roma-Bari 2001, p. 500; sull’intera vicenda v. P. Carnevale, Richiesta di referendum abrogativo, intervento legislativo sopravvenuto e «blocco» delle operazioni referendarie. Nuovi spunti di riflessione alla luce di un recente intervento del Capo dello Stato e di taluni sviluppi della giurisprudenza costituzionale, «Giurisprudenza italiana», 4, 1993, pp. 265 sgg.). 57 Cfr. Cass., sez. lav., n. 1484/1992, «Giurisprudenza italiana», 1, 1992, pp. 1900 sgg., spec. p. 1906 (segnalata per primo da L. Nogler, Sull’uso dell’interpretazione autentica e delle leggi retroattive in materia previdenziale, «Giurisprudenza italiana», 1, 1993, p. 388, nota 36), secondo la quale «per effetto della mancata conversione di un decreto legge, si verifica in effetti una soluzione di continuità […] tra la norma di cui al decreto legge e quella successivamente proposta ed approvata, che non consente di attribuire alcun effetto retroattivo ed interpretativo ai citati decreti legislativi. Essi perdono efficacia sin dall’origine». Non diversamente, «nel caso di conversione con emendamenti, la volontà legislativa è esclusivamente espressa dal provvedimento legislativo» e la eventuale conservazione degli effetti «va riferita esclusivamente alle posizioni soggettive prodottesi ed esauritesi medio tempore […] in virtù delle disposizioni del decreto legge, non certo agli effetti retroattivi che sono peculiari della legge interpretativa». Nello stesso senso è anche Cass., sez. civ. I, n. 11040/1996, «Settimana giuridica», 2, 1997, p. 232 (segnalata da A. Gardino Carli, Il legislatore interprete, cit., p. 90), la cui massima recita che «una disposizione di un decreto legge non convertito […] perde efficacia ex tunc, a norma dell’art. 77 terzo comma Cost. E, pertanto, non può avere carattere interpretativo della normativa vigente né assumere, quindi, efficacia retroattiva
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mente, di una posizione radicale che, tuttavia, segnala un disagio reale, invitandoci a non sottovalutare «le speciali complicazioni derivanti da eventuali mancate conversioni» di decreti-legge d’interpretazione autentica58. Ciò dovrebbe indurre la dottrina ad un atteggiamento meno critico verso la scelta della Cassazione. Non è necessariamente vero, ad esempio, che un simile orientamento giurisprudenziale rimandi all’idea anacronistica dell’interpretazione autentica come disponibilità dell’atto interpretato da parte del suo autore istituzionale59: esso, infatti, può trovare esaustiva spiegazione nella precarietà strutturale del decreto-legge affrancandosi, dunque, da una adesione alla teoria dichiarativa dell’esegesi legislativa. Analogamente, troppo inflessibile è la contestazione a tali sentenze perché negherebbero al decreto-legge la sua natura di «atto idoneo a dispiegare tutti gli effetti propri dell’atto normativo primario, ivi compreso quello della retroazione» fin dal momento della sua emanazione60: la scelta della Cassazione – come già gli orientamenti prima ricordati della Corte costituzionale, del Consiglio di Stato e dell’Ufficio centrale per il referendum – sono invece testimonianze di una progressiva «relativizzazione della forza dei decreti in rapporto a specifiche fattispecie ovvero a particolari situazioni», di una vera e propria frantumazione della loro efficacia in una molteplicità di effetti variabili con il variare dei casi e delle situazioni61. […], in quanto tale carattere e detta efficacia non possono considerarsi compresi nella previsione di una successiva disposizione legislativa […] secondo la quale restano validi gli effetti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto legge non convertito». 58 Come già, a suo tempo, invitava a fare F. Pergolesi, Annotazione in tema, cit., p. 807. 59 Così, invece, G. Verde, Alcune considerazioni sulle leggi interpretative, cit., pp. 29-30. È vero però che, nel caso in esame, è la Cassazione ad indurre in errore, laddove afferma che «soltanto la legge può avere efficacia interpretativa autentica di un’altra legge, e, prima della conversione in legge di un decreto legge (a contenuto interpretativo) non si è propriamente in presenza di una legge, essendone la efficacia risolutivamente subordinata alla conversione: pertanto l’effetto di interpretazione autentica non può affatto verificarsi»: Cass. civ., sez. lav., n. 1484/1992, cit., p. 1906. 60 G. Serges, Norme sulla normazione, cit., pp. 276-277; identica critica era già mossa da P. Carnevale, A. Celotto, Il parametro «eventuale», p. 91. 61 L’atteggiamento della Cassazione nei confronti dei decreti-legge interpretativi, dunque, rappresenta un’ulteriore testimonianza di quella loro «mutazione genetica» di cui parla A. Ruggeri, La Corte e le mutazioni genetiche, cit., pp. 251 sgg. (la citazione, riportata nel testo, si legge a p. 271).
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Siamo certamente di fronte ad un orientamento giurisprudenziale di ardua ricostruzione teorica62, ma che – realisticamente – può contare su una irresistibile forza d’inerzia: è un facile esperimento mentale quello di ipotizzare un giudice, davanti al un decreto-legge interpretativo le cui norme determinerebbero il passaggio in giudicato di una sentenza (e – per sovrappiù – fortemente discusso, magari all’interno della stessa maggioranza parlamentare), che si acconci pragmaticamente a prendere tempo, in attesa delle determinazioni delle Camere in sede di conversione. A mali estremi, estremi rimedi, verrebbe da dire.
62 Lo si può leggere come applicazione della nota tesi espositiana del decreto-legge quale atto illegittimo, radicalmente nullo, operativo e valido solo a seguito della sua conversione parlamentare (così, criticamente, P. Carnevale, A. Celotto, Il parametro «eventuale», cit., p. 95, nota 67). Vi si può vedere una imprevista radicalizzazione della tesi paladiniana che assumeva la decretazione d’urgenza come una particolare forma d’iniziativa legislativa a corsia preferenziale (ipotizza questa chiave di lettura, criticamente, A. Ruggeri, La Corte e le mutazioni genetiche, cit., p. 262, nota 17). È possibile invece considerarla un’applicazione della tesi sandulliana che, distinguendo concettualmente tra le due qualità, ragionava di atti primari muniti di «valore di legge» ma privi di «forza di legge» (cfr., con riferimento alle già ricordate ordinanze dell’ufficio centrale per il referendum, A. Ferrara, Legislazione sopravvenuta e preclusioni della consultazione referendaria: tra doppio grado di giudizio e raddoppio del giudizio di costituzionalità, «Giurisprudenza italiana», 1, 1994, p. 139).
Ana Maria Carmona Contreras Il decreto-legge in Spagna tra Costituzione e prassi
SOMMARIO: 1. Considerazioni generali – 2. Il decreto-legge del Governo come norma provvisoria – 3. Gli strumenti parlamentari di controllo sul decreto-legge – 4. La clausola della necessità straordinaria e urgente: interpretazione del Tribunale costituzionale – 5. I limiti materiali – 5.1. Interpretazione costituzionale del termine «incidere» – 5. 2. I limiti materiali in concreto
1. Considerazioni generali La figura del decreto-legge delineata dall’art. 86 della Costituzione spagnola, pur presentando innegabili somiglianze con la regolazione che tale categoria giuridica ottiene nel testo costituzionale italiano – al quale direttamente s’ispira –, mostra alcune differenze che conferiscono alla nostra potestà governativa di urgenza connotati chiaramente diversi e peculiari. Tali differenze teoriche si accentuano ancora di più se teniamo presenti i due differenti contesti politici nei quali il decreto-legge si è sviluppato. È precisamente su questi due profili – giuridico e politico – che si concentrerà questo contributo, volto, per l’appunto, ad esaminare le circostanze – costituzionali e pratiche – che fanno del decreto-legge in Spagna una fonte del diritto che, per certi versi, poco o nulla ha a che vedere col suo equivalente italiano. Cominciando dalle differenze presenti nella regolazione costituzionale, va considerato che, per il costituente spagnolo, come del resto succede in tutto il ciclo costituzionale del secondo dopoguerra, il principio di sovranità popolare e di legittimazione democratica dei poteri statali ha imposto una sostanziale ridefinizione del ruolo svolto dal Governo, così come delle sue competenze nor-
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mative1. Sostituito il principio della divisione dei poteri con quello della collaborazione tra gli organi politici che è caratteristica dei regimi parlamentari2, la potestà legislativa primaria cessa di essere unicamente riservata al Parlamento, essendo possibile una sua assegnazione anche all’Esecutivo. Una volta affermato il principio del pluricentrismo legislativo, affiora una nuova immagine del Governo e della sua funzione di produzione normativa, molto lontana da quella dominante nell’Ottocento3. Detto questo, è tuttavia necessario sottolineare che il decretolegge non viene considerato dal testo costituzionale spagnolo come una qualsiasi fonte ordinaria; esso non è eccezionale4, ma ha comunque una natura straordinaria e, di certo, non è paragonabile alla legge parlamentare. Da ciò derivano il suo carattere provvisorio e l’intervento del Parlamento in sede di approvazione definitiva, così come il fatto che per la sua produzione è richiesta una serie di requisiti oggettivi e materiali.
2. Il decreto-legge del governo come norma provvisoria L’art. 86, comma 1, Cost. spagnola stabilisce che il decreto-legge, in quanto norma unilaterale del Governo, ha una durata limitata di 30 giorni. Trascorso questo tempo, piuttosto breve (la metà di quello previsto dall’art. 77 Cost. italiana), la sua incorporazione definitiva nell’ordinamento giuridico dipende dalla volontà del Parlamento il quale, avendo l’ultima parola, recupera – seppur sussidiaria1
L’esempio più eclatante in questo ambito è la Costituzione francese del 1958, il cui testo introduce una specifica riserva di regolazione attraverso i regolamenti governativi. Tuttavia, l’interpretazione che di questa clausola – senz’altro rivoluzionaria – ha dato il Conseil Constitutionnel ha portato ad una situazione di fatto dove ha finito per imporsi il classico principio di riserva a favore della legge e la preferenza per la potestà legislativa del Parlamento. 2 Tale cambiamento è stato già sottolineato in precedenza, manifestandosi in maniera chiara nel ciclo costituzionale di Weimar, Austria e Spagna, tra le due grandi guerre del XX secolo. In questo senso, risulta paradigmatico il contributo teorico di B. Mirkine-Guetzevitch, Les nouvelles tendances du droit constitutionnel, Paris 1934. 3 Per un’analisi approfondita dell’argomento, si veda A.M. Carmona Contreras, La configuración constitucional del decreto-ley, Madrid 1998, pp. 88-95. 4 Così è stato dichiarato dal Tribunale costituzionale, sentenza n. 6/1983, quando ha messo in evidenza che le circostanze di straordinaria ed urgente necessità che legittimano l’uso del decreto-legge non possono identificarsi con le situazioni straordinarie che aprono la via agli stati di eccezione – alarma, excepción y sitio – regolati all’art. 116 Cost.
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mente – il suo ruolo nello svolgimento della potestà legislativa5. Infatti, se la regola generale è che la produzione normativa appartiene alle Assemblee, l’eccezione che permette al Governo il suo esercizio in circostanze urgenti ha una portata limitata da diversi fattori. Per quanto riguarda la sua durata temporale, il carattere provvisorio non vuol dire altro che, per raggiungere natura stabile e permanente, la norma governativa deve assolutamente essere adottata dal Parlamento, il quale, attraverso il suo intervento, la fa sua. Da questa prospettiva risulta che una eventuale assenza di conversione o convalida – i due strumenti con cui l’organo legislativo rende definitivo il contenuto del decreto-legge – ne determina la decadenza e la scomparsa dall’ordinamento giuridico. Ebbene, diversamente da quanto stabilito in Italia, nel caso spagnolo la decadenza del decreto-legge che non supera il controllo parlamentare non avviene con effetti ex tunc6. Viceversa, la perdita di efficacia si manifesta soltanto pro futuro e, dunque, con effetti ex nunc. Ad una norma in vigore – il decreto-legge – succede un’altra – quella assunta dal Parlamento – senza che avvenga una sostituzione retroattiva dell’una rispetto all’altra7. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di natura complessa, composto di due momenti normativi, ontologicamente diversi e indipendenti tra di loro, ma necessariamente collegati da un nesso comune: la materia regolata8. Secondo questo schema consequenziale, il decreto-legge del Governo si presenta come l’origine imprescindibile (causa) del posteriore prodotto normativo creato dal Parlamento (effetto)9. 5 La logica che ispira il fenomeno della delegazione di competenza legislativa a favore del Governo è simile, anche se funziona in senso inverso: in questo caso, la prima dichiarazione di volontà corrisponde al Parlamento, il quale subordina il contenuto del decreto legislativo del Governo a diversi requisiti: nel caso spagnolo, l’art. 82 Cost. impone alla legge di delega di fissare «con precisione» l’oggetto, la portata, i principi ed i criteri che deve seguire l’Esecutivo nell’esercizio della competenza ricevuta. 6 Nella dottrina spagnola difendono la decadenza ex tunc J. Pérez Royo, Las fuentes del derecho, Madrid 1988, p. 125, e M. Carrillo López, El decreto-ley: ¿habitualidad o excepcionalidad?, «Revista de las Cortes Generales», 11, 1987, p. 78. 7 In Spagna, la tesi della sostituzione retroattiva è assolutamente minoritaria. Tra gli autori che la difendono significativa è la ricostruzione di I. De Otto, Derecho constitucional. Sistema de fuentes, Madrid 1988, pp. 205 sgg. 8 G. Pitruzzella, La legge di conversione del decreto-legge, Padova 1989, pp. 100117, sviluppa accuratamente questo argomento. 9 L’idea di questa sequenza normativa come un work in progress è stata difesa da A. Ruggeri, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale (I). L’ordinamento in sistema, Torino 1993, pp. 351-352.
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Mi sembra assai significativo sottolineare l’importanza di questo atteggiamento costituzionale, in quanto è manifestazione di una considerazione rinnovata e positiva del ruolo del Governo nella sua veste di legislatore d’urgenza. Ammettere l’autonoma validità, anche se temporalmente ridotta, di questa potestà, così come la natura intrinsecamente provvisoria della sua manifestazione normativa (la cui sopravvivenza pro futuro dipenderà dalla volontà del Parlamento) appare, a mio avviso, in piena sintonia con il sistema istituzionale disegnato nel nostro testo costituzionale. Viceversa, la soluzione italiana della perdita di effetti ex tunc del decreto-legge non convertito evidenzia una concezione patologica di tale potestà, piuttosto diffidente verso l’Esecutivo, che non corrisponde all’immagine democratica del governo parlamentare odierno. Passando dal mero dato normativo alla prassi, va osservato che l’ipotesi di una mancata conversione o convalida risulta completamente estranea all’esperienza spagnola: basta osservare che in 25 anni di regime costituzionale soltanto una volta è accaduto che un decreto-legge non venisse «accettato» dal Parlamento10. La stabilità politica ed omogeneità ideologica che, come regola generale, hanno caratterizzato la vita dei diversi Governi sono, senza dubbio, i fattori principali che hanno permesso il corretto funzionamento della formula costituzionale descritta. E a tali fattori politici si deve anche il fatto che la Spagna non abbia sofferto l’acuta patologia della reiterazione dei decreti-legge, che ha afflitto per anni il sistema italiano11.
3. Gli strumenti parlamentari di controllo sul decreto-legge Da quanto appena esposto, si capisce che la previsione costituzionale di un intervento parlamentare obbligatorio non ha nulla a che vedere con la logica che caratterizza il meccanismo del bill 10
Si tratta del decreto-legge n. 1/1979, di «prórroga de la actuación de la Junta Central de acuartelamiento». 11 Un’accurata descrizione della situazione esistente in Italia, prima e dopo la sentenza della Corte cost. n. 360/1996, si trova in A. Simoncini, Le funzioni del decretolegge. La decretazione d’urgenza dopo la sentenza n. 360/1996 della Corte Costituzionale, Milano 2003, pp. 3-21.
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of indemnity regolarmente usato durante l’Ottocento. Lo scopo di quest’ultimo era di ricomporre l’eventuale rottura del principio di divisione dei poteri: invasa irregolarmente la competenza del Parlamento, questo poteva reagire per recuperarla ex post attraverso una dichiarazione di sanatoria che proiettava i suoi effetti sulla norma governativa. Radicalmente mutato il contesto istituzionale di riferimento, l’intervento parlamentare previsto dalla Costituzione si è anch’esso trasformato. Infatti, come già detto, il suo scopo non può essere il recupero di una concezione della divisione dei poteri che ormai non si trova più nella Costituzione12, ma è piuttosto quello di permettere, attraverso l’esercizio della funzione di controllo politico, la partecipazione delle minoranze al processo di creazione normativa13. Dato che il decreto-legge è elaborato unilateralmente dall’Esecutivo e che questo può contare, per la sua definitiva approvazione, sulla maggioranza riunita nel Parlamento, la procedura che si svolge nelle Camere si profila come l’unica opportunità istituzionale a disposizione dell’opposizione per far valere il suo punto di vista rispetto all’operato governativo14. Se per il continuum Esecutivo-maggioranza parlamentare non ha particolare importanza la sede istituzionale da dove si avvia l’iniziativa normativa, per le forze politiche estranee a questo circuito è fondamentale poter intervenire nell’elaborazione dell’atto normativo15. Considerato che il controllo che esercita l’opposizione sul Governo si 12 V. J. Jiménez Campo, El control jurisdiccional y parlamentario de los decretoslegislativos, «Revista de derecho político», 10, 1981, p. 88. Sul processo di flessibilizzazione che ha interessato il principio della divisione dei poteri, v. Trib. cost. n. 166/1986, FJ 11 b. 13 Bisogna sottolineare come l’intervento parlamentare non si sviluppa affatto sulla base di considerazioni di costituzionalità del decreto-legge. Siamo, infatti, di fronte ad un’attività essenzialmente politica e non può essere diversamente, se si ha presente la natura dell’organo parlamentare e delle sue funzioni. Una soluzione diversa è stata assunta in Italia, dopo le riforme dei regolamenti parlamentari che hanno avuto luogo all’inizio degli anni 80. Sull’andamento pratico della nuova procedura e la sua eliminazione posteriore nel 1997, v. A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., pp. 125-154. 14 Partendo da un punto di vista generale, ma applicabile al caso concreto che ci interessa, arriva ad una conlusione simile G. De Vergottini, Indirizzo politico della difesa e sistema costituzionale, Milano 1971, pp. 250-251. 15 V. G. Zagrebelsky, Diritto costituzionale. Il sistema delle fonti del diritto, vol. I, Torino 1987, p. 179 sgg. In un senso simile, R. Tarchi, Incompetenza legislativa del governo, interposizione del Parlamento e sindacato della Corte Costituzionale, «Giurisprudenza costituzionale», 5, 1988, p. 974.
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profila come uno degli elementi essenziali per definire le democrazie contemporanee16, risulta evidente la straordinaria importanza rivestita dal meccanismo dell’intervento parlamentare sul decreto-legge. Fornite queste indicazioni di massima, possiamo soffermarci a considerare i modi specifici – al plurale – attraverso i quali il Parlamento spagnolo esprime la sua volontà sull’operato del Governo. Di nuovo bisogna tener presente che la Costituzione spagnola si allontana dalla soluzione italiana, stabilendo due strumenti di controllo: da un lato, la convalida (art. 86, comma 2), dall’altro la conversione (art. 86, comma 3) del decreto-legge. Prima di esporre le caratteristiche proprie di ogni strumento, è opportuno sottolineare che, anche se da un punto di vista costituzionale questi due percorsi parlamentari sono chiaramente alternativi17, escludendosi a vicenda, nella pratica le cose non stanno affatto così. Infatti, il regolamento del Congresso dei deputati (art. 151, comma 4, rCd)18, a mio avviso alterando il senso delle previsioni costituzionali, ha disposto che la conversione in legge può aver luogo soltanto una volta che il decreto-legge è stato convalidato dalla Camera bassa. In questo modo, quelli che erano due strumenti alternativi si sono convertiti, con il placet del Tribunale costituzionale19, in due strumenti «successivi». Solo una volta realizzatosi l’uno si può passare all’altro, soluzione che appare sostanzialmente incoerente, giacché dopo la convalida, lo strumento della conversione perde il suo carattere specifico, affermandosi come una semplice manifestazione della potestà legislativa che, ad ogni modo, corrisponderebbe alle Camere20. Per capi-
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re meglio quanto detto appare utile un esame dei due meccanismi. Nel primo caso (convalida) si pronuncia soltanto il Congresso dei deputati, senza nessun intervento da parte del Senato21. Inoltre, la volontà della Camera deve esprimersi senza la possibilità d’introdurre emendamenti alla norma creata dal Governo. Il Congresso cioè non può fare altro che accettare o rifiutare in blocco il decreto. In tal senso, siamo di fronte ad un’attività che, da un punto di vista strettamente normativo, non fa altro che ratificare le disposizioni dell’Esecutivo. Tuttavia, l’effetto sulla norma «convalidata» è fondamentale poiché muta radicalmente la sua natura giuridica: da produzione esclusiva del Governo, dopo la convalida il decreto-legge si converte in una norma parlamentare22; così come da norma provvisoria diventa norma permanente che si inserisce stabilmente nell’ordinamento giuridico. Nel secondo caso (conversione in legge), le possibilità parlamentari risultano molto più ampie: in primo luogo, da una prospettiva istituzionale, il Senato questa volta viene ammesso alle funzioni di controllo e normazione; in secondo luogo, la capacità normativa del Parlamento è molto più ampia, godendo della possibilità di modificare il decreto-legge originario trasmesso dall’Esecutivo. Deve sottolinearsi che in questo caso, ad ogni modo, l’attività delle Camere non è completamente libera, incontrando dei limiti precisi. Da un lato, secondo le previsioni introdotte dal regolamento del Congresso (art. 151, comma 4, rCd), non è possibile presentare un disegno di legge di conversione alternativo e, cioè, con un contenuto che in sostanza non ha nulla a che vedere con quello presentato dal Governo. In virtù di ciò, gli eventuali emendamenti proposti in sede parlamentare devono presentare un collegamento diretto con il testo del decreto-legge e non stravolger-
17 Una difesa del carattere innegabilmente alternativo della conversione si trova in A.M. Carmona Contreras, La configuración constitucional del decreto-ley, cit., pp. 269-277. 18 Il precetto regolamentare dispone che «convalidado un Real Decreto-ley, el presidente preguntará si algún Grupo Parlamentario desea que se tramite como proyecto de ley. En caso afirmativo, la solicitud será sometida a decisión de la Cámara. Si ésta se pronunciase a favor, se tramitará como proyecto de ley por el procedimiento de urgencia, sin que sean admisibles las enmiendas de totalidad de devolución». 19 V. Trib. cost. n. 29/1982, FJ 2, dove si afferma la competenza discrezionale del futuro e definitivo regolamento del Congresso – all’epoca era in vigore uno provvisorio – a decidere per una concezione alternativa o successiva di queste due vie d’intervento parlamentare sul decreto-legge.
20 P. Cruz Villalón, Tres sentencias sobre el decreto-ley, in AA.VV., El gobierno en la Constitución y en los Estatutos de autonomía, Barcelona 1985, p. 156. Come affermato dall’autore, dopo la convalida, la conversione si può fare «lo mismo en 30 días que en 30 años». 21 L’esclusione della Camera alta è un’altra espressione del carattere imperfetto che è proprio del bicameralismo in Spagna. Il Senato viene configurato come una camera secondaria dal punto di vista della procedura legislativa, essendo sempre subordinato alle iniziative e decisioni del Congresso. 22 Infatti, anche se non cambia il contenuto, l’atto dove questo si contiene sperimenta una sostanziale trasformazione. Per un’analisi approfondita del tema, v. A.M. Carmona Contreras, La configuración constitucional del decreto-ley, cit., pp. 252-268.
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lo totalmente. Anche in questo ambito la prassi spagnola presenta una dinamica assolutamente diversa da quella italiana, essendo assistita da una forte correttezza istituzionale che si traduce nel fatto che, in linea di massima, il limite regolamentare sopra descritto viene rispettato dal Parlamento. Così abbiamo evitato il paradosso di tante leggi di conversione che non hanno praticamente niente a che vedere con il loro antecedente (il decreto-legge da cui sono originate). Entro questi margini, le modifiche sono possibili, ma in questo caso si deve avere presente il fatto – fondamentale – dell’esistenza di limiti materiali specifici previsti dalla Costituzione in relazione al decreto-legge. Infatti, vi sono materie che si possono regolare solo con legge formale, inclusa la legge di conversione, e che dunque sono vietate al Governo, quando usa la sua potestà legislativa d’urgenza. Questo vuol dire che, per quanto riguarda l’efficacia temporale degli emendamenti, la regola generalmente applicata è quella di limitare i loro effetti a partire dal momento dell’approvazione della legge di conversione (pro futuro). La possibilità, dunque, di conferire carattere retroattivo alle modifiche trova un limite insormontabile: gli ipotetici eccessi materiali – ex art. 86, comma 1, Cost. – dell’originario decreto-legge non possono cancellarsi attraverso questa manovra. Trovandoci di fronte a un vizio d’incostituzionalità, nessuna efficacia sanatoria verso il passato (che copra il periodo di vita del decreto-legge quando era norma unicamente governativa) può attribuirsi alla legge di conversione, la quale ha un valore meramente di fonte primaria. Nel confronto tra costituzionalità versus legalità deve prevalere sempre, in quanto nucleo essenziale dell’ordinamento giuridico, il principio di gerarchia. Dopo alcune incertezze23, tale principio è stato espressamente confermato dal Tribunale costituzionale, il quale 23 Mi riferisco alla – senza dubbio – più polemica decisione del Tribunale costituzionale spagnolo, la sentenza n. 111/1983 nella quale si rigettò il ricorso di incostituzionalità contro il decreto-legge 2/1983, di espropriazione (singolare) della holding imprenditoriale RUMASA. Il decreto fu impugnato non solo perché si dubitava della costituzionalità dell’operazione espropriatoria, riservata alla legge (art. 33, comma 3), ma pure in base al carattere di provvedimento ad hoc del decreto-legge. Secondo i ricorrenti, questo fatto era causa di una illecita menomazione del diritto fondamentale alla tutela giudiziaria sofferta dall’imprenditore espropriato. Il Tribunale costituzione non è giunto a considerare questi aspetti indicando che, anche se il controllo si doveva fare per difendere il valore della Costituzione come norma suprema, il fatto di non aver
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ha sottolineato come la conversione in legge non impedisce il controllo del decreto-legge: la difesa della Costituzione (come norma suprema dell’ordinamento) e il corretto funzionamento del sistema delle fonti giustificano tale approccio24. Per concludere queste osservazioni sulla conversione, considero interessante fare riferimento ad un dato di natura quantitativa che, a mio avviso, è fondamentale, presentando anche implicazioni qualitative. In Spagna, la pratica generale è che i decretilegge vengono convalidati, mentre la conversione avviene in ipotesi molto specifiche, nelle quali il Governo consente la introduzione di emendamenti. Limitando l’analisi alle due ultime legislature, risulta che durante la VI Legislatura (dalla metà del 1996 all’inizio del 2000), il Governo popolare – con maggioranza relativa e patti con forze nazionaliste non presenti nell’Esecutivo – ha prodotto 85 decreti-legge, dei quali 66 sono stati convalidati e solo 19 convertiti: in termini percentuali, soltanto il 28,7 %. Per quanto riguarda la VII Legislatura (conclusa a febbraio del 2004), sebbene il nuovo Governo conservatore – questa volta con maggioranza assoluta nel Parlamento – abbia fatto un uso più moderato del decreto-legge, soltanto in 42 occasioni la convalida si presenta come la procedura parlamentare preferita. Infatti, convalidando 33 e convertendo 9 decreti-legge, la percentuale di leggi di conversione è scesa al 21,4% (più di sette punti rispetto alla precedente Legislatura). Questi dati, certamente favoriti dal carattere successivo che le previsioni contenute nel regolamento del Congresso conferiscono alla conversione, non sarebbero stati possibili se non ci fosse stato, come fondamentale elemento di fondo, un contesto politico dove la stabilità governativa è stata una costante e dove gli Esecutivi hanno goduto delle maggioranze parlamentari – assolute o relative – che non hanno messo in discussione – almeno in via generaimpugnato pure la legge di conversione impediva una pronuncia sul merito della disposizione governativa. L’incoerenza di tale argomento è stata messa in evidenza in una opinione dissenziente (voto de calidad) sottoscritta da sei giudici costituzionali (il pareggio si è sciolto grazie al voto del presidente della Corte). Per una completa analisi di questa vicenda, v. A.M. Carmona Contreras, La configuración constitucional del decreto-ley, cit., pp. 185-195. 24 V. Trib. cost. n. 182/1997, FJ 1. Un commento di questa decisione si trova in A.M. Carmona Contreras, El «retorno» del decreto-ley a la jurisprudencia constitucional, «Revista Vasca de Administración Pública», 51, 1998, pp. 191-214.
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le – le decisioni normative contenute nei decreti-legge. Tale diagnosi, positiva dal punto di vista della stabilità, cambia completamente se viene considerata dalla prospettiva delle minoranze: non aprendo il dibattito all’introduzione di emendamenti, le forze che non partecipano al Governo, e in Spagna sono praticamente tutte (le coalizioni quando esistono includono il partito maggioritario e un’altra forza politica, di solito, di matrice nazionalista), vedono sostanzialmente ridotte le possibilità di presentare le proprie «alternative» alla norma adottata dall’Esecutivo. Il quadro diventa ancora più negativo se si ha presente la insoddisfacente regolazione degli interessi delle minoranze che emerge dal regolamento del Congresso per quanto riguarda lo strumento della convalida: i gruppi parlamentari usufruiscono soltanto di un intervento per esprimere la loro posizione, e un’altro per rispondere alle osservazioni fatte dal Governo25. È proprio in questo frangente che mi sembra si trovi una delle deficienze normative più importanti nella regolazione del decreto-legge nel sistema spagnolo, e sono proprio queste previsioni regolamentari che pongono i maggiori problemi dal punto di vista del valore democratico di questa fonte26. Una volta che il decreto-legge si inserisce nel disegno costituzionale delle fonti del diritto, risulta assai difficile, per non dire impossibile, per qualsiasi Esecutivo sottrarsi alla tentazione di usarlo quando più gli conviene. Tale modo di legiferare presenta, infatti, dei vantaggi innegabili, offrendo una via snella e veloce per creare diritto, rispondendo sia alle domande sociali sia agli interessi politici della maggioranza. In questo 25
L’art. 151, comma 2, rCd. prevede: «un miembro del gobierno expondrá ante la cámara las razones que han obligado a su promulgación y el debate subsiguiente se realizará conforme a lo establecido para los de totalidad». Le previsioni regolamentari riferite a questo tipo di dibattito – v. artt. 74, comma 2, 110, comma 3 e 112, comma 2 del regolamento del Congreso de los diputados – stabiliscono che, per quanto riguarda la fase deliberativa, ogni gruppo parlamentare dispone di 15 minuti. Una volta che tutti hanno partecipato, hanno diritto ad un intervento di 10 minuti per decidere la rispettiva posizione. Risulta chiaro che le possibilità di sviluppare un confronto sostanziale tra le diverse visioni normative in gioco risultano scarse. 26 Come sostiene F. Rubio Llorente, Relaciones del Gobierno y la Administración con las Cortes, in La forma de poder. Estudio sobre la Constitución, Madrid 1993, p. 291, risulta sorprendente «cuán pálidas resultan las facultades que las Cortes tienen para controlar el uso que el Gobierno hace de sus poderes legislativos excepcionales por vía del decreto-ley, sobre todo si se comparan con la intensidad de los instrumentos con que cuenta el Ejecutivo para fiscalizar distintas actuaciones parlamentarias».
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senso, credo che in Spagna l’unico modo di non alterare le regole del gioco democratico sia quello di garantire il diritto delle minoranze ad esprimere la loro opposizione di fronte al Governo. Se questo diritto esiste e non si mette in discussione per quanto riguarda la procedura parlamentare di conversione, non vedo perché non debba essere mantenuto nel caso di convalida del decreto-legge.
4. La clausola della necessità straordinaria e urgente: interpretazione del Tribunale costituzionale Avendo presente la rinnovata concezione della fonte «decretolegge» assunta dalla Costituzione spagnola, non sorprende l’atteggiamento flessibile del Tribunale costituzionale, per quanto riguarda il suo presupposto abilitante: la straordinaria ed urgente necessità. Esclusa l’identificazione con circostanze di necessità assoluta o forza maggiore, il Tribunale applica un criterio interpretativo assolutamente aperto. In questa linea, il decreto-legge si profila come uno strumento costituzionalmente idoneo ad affrontare «le situazioni mutevoli della vita odierna», includendosi in tale espressione non solo gli eventi imprevedibili (ad esempio, disastri naturali) ma pure quegli altri che richiedono un intervento normativo immediato27. Secondo tale interpretazione del presupposto abilitante, il decretolegge come categoria normativa s’identifica con la legge28. Fuggendo dall’evidente rischio che comporta la definizione dei precisi contenuti materiali ricompresi nella formula costituzionale, il Tribunale costituzionale accetta praticamente qualsiasi circostanza fattuale (ad esempio risanamento delle aziende locali29, rischio di destabilizzazione del sistema finanziario30, riconversio27 Le affermazioni del Tribunale costituzionale in questo senso sono continue, aprendosi la serie con la sentenza n. 6/1983, il cui FJ 5 dichiara che il concetto di urgenza include «no sólo circunstancias necesitadas difíciles de prever que han de ser removidas en aras a la consecución de los objetivos de gobernación del país, sino también otras en las que el dato de la imprevisibilidad no aparece en absoluto y en relación a las que se exige simplemente una urgente intervención jurídica ante situaciones concretas». 28 J. Pérez Royo, La distribución de la capacidad normativa entre gobierno y parlamento, in AA.VV., El gobierno en la Constitución y en los Estatutos de autonomía, cit., p. 139, afferma che, attraverso questa via interpretativa, il decreto-legge si converte in «la ley a secas». 29 Trib. cost. n. 6/1983.
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ne industriale31, riforma della amministrazione dopo un cambio di Governo32, esigenze poste dall’Unione Europea sul deficit pubblico interno33, vuoto normativo creato dopo una sentenza del Tribunale costituzionale34, etc.). Quello che apre la porta all’esercizio costituzionale di questa potestà è l’esistenza di una situazione – quale che sia – che necessita una rapida risposta normativa: la premura temporale si configura, così, come l’elemento centrale35. Per contrastare l’evidente pericolo di abuso inerente a questo modo di interpretare l’urgenza, il Tribunale ha introdotto un potente limite temporale di natura oggettiva: legittima l’uso del decretolegge da parte del Governo, una circostanza che necessita di essere regolata in un tempo inferiore a quello che ci vorrebbe per concludere una legge usando la procedura parlamentare d’urgenza36. Stabilito questo principio, il Tribunale costituzionale ha fatto riferimento anche all’esistenza di altri indizi giuridicamente rilevanti, suscettibili di essere controllati per verificare l’assenza dell’urgenza, piuttosto che per determinare positivamente la sua esistenza. Da questa prospettiva si considerano fondamentali, più del fatto stesso della data di pubblicazione dell’accordo parlamentare di convalida dopo un periodo di 30 giorni37, gli intervalli temporali esistenti tra l’approvazione e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e l’effettività delle norme contenute nel decreto-legge38. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, particolarmente rilevanti risultano le affermazioni del Tribunale costituzionale che ammettono una eventuale dissociazione tra la regolazione giuridica della situazione definita come urgente (urgenza del provvedere) e l’effettiva applicazione pratica delle misure adottate (urgenza del provvedimento). In questi casi, il criterio decisivo, oltre quello di aver creato con l’urgenza una nuova cornice giuridica39, è la previsione espressa da parte del decreto-legge 30
Trib. cost. n. 111/1983. Trib. cost. n. 29/1986. 32 Trib. cost. n. 60/1986. 33 Trib. cost. n. 182/1997. 34 Trib. cost. n. 11/2002. 35 Sviluppando questa idea, v. P. L. Frier, L’urgence, Paris 1987, pp. 390 sgg. 36 Questa esigenza emerge già dalla prima decisione della Corte in tema di decreto-legge, la sentenza n. 29/1982. 37 Trib. cost. n. 29/1986, FJ 2. 38 Trib. cost. n. 23/1993, FJ 4. Tale intervallo temporale deve svolgersi in un tempo piuttosto breve, dimostrando così l’esistenza di una situazione effettivamente urgente. 31
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del momento nel quale le nuove norme verranno applicate40. La funzionalità del presupposto abilitante non si limita, però, unicamente a tale veste temporale, presentando un’altra dimensione fondamentale. Mi riferisco all’esigenza posta dal Tribunale che tra la urgenza apprezzata dal Governo ed il contenuto del decreto-legge prodotto per fronteggiarla ci sia una relazione teleologica (conexión de sentido). Nella verifica di tale nesso, il Tribunale si rifiuta di realizzare un controllo di merito41; affermata l’esistenza di un ampio margine di discrezionalità da parte del Governo42, il Tribunale costituzionale limita il suo controllo alla verifica di un rapporto di proporzionalità tra il mezzo (decretolegge) usato dal Governo per superare la situazione di urgenza esistente (scopo)43. Il Tribunale assume, in tal modo, un ruolo spiccatamente auto-restrittivo, in piena coerenza con la sua posizione di legislatore negativo, evitando una illegittima usurpazione delle funzioni di apprezzamento e discrezionalità che corrispondono agli organi politici indicati dalla Costituzione44. Solo quando dalla proporzionalità si passa all’arbitrarietà (e l’uso diventa abuso) spetta al Tribunale garantire la tenuta e coerenza complessiva del sistema costituzionale. Infatti, il carattere aperto e indeterminato 39 Trib. cost. n. 29/82, FJ 6 parla di «una normativa de eficacia inmediata que implica un tratamiento innovativo de la materia». 40 Trib. cost. nn. 29/1986, FJ 3 e 23/1993, FJ 4. 41 In questo senso risulta paradigmatica la sentenza del Trib. cost. n. 111/1983, il cui FJ 7 dichiara: «el TC no puede pronunciarse a favor de una concreta medida sino valorar la constitucionalidad de la elegida; si atendiera a aquella pretensión se trasladaría a él una responsabilidad que no le corresponde a su función, y entrañaría una ingerencia en una decisión política que sólo al Gobierno, con el control parlamentario, corresponde». 42 I termini precisi della sentenza n. 29/1982, FJ 3 non lasciano nessun dubbio su questo punto, affermandosi che «el peso que en la apreciación del presupuesto habilitante del decreto-ley es forzoso conceder al juicio puramente político de los órganos a los que incumbe la dirección política del Estado, [...], que gozan de un razonable margen de discrecionalidad». 43 Con questo scopo, il Tribunale costituzionale – v. la sentenza n. 11/2002, FJ 4 – fa una valutazione complessiva di «todos aquellos factores que determinaron al gobierno a dictar la disposición legal excepcional: exposición de motivos, debate parlamentario de convalidación, expediente de elaboración del decreto-ley, situaciones concretas u objetivas que han dado lugar a la aprobación del mismo». Con questo scopo, il Tribunale prende in considerazione «gli argomenti esposti dal Governo nella esposizione dei motivi del decreto-legge». 44 In questo senso, v. le acute osservazioni fatte negli anni ’20 da H. Kelsen, La garanzia costituzionale della Costituzione, in La giustizia costituzionale, Milano 1981, particolarmente pp. 177-178.
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delle previsioni costituzionali in materia di decreto-legge e la competenza preferenziale accordata agli organi politici per la loro concretizzazione non possono significare una mancanza di limiti a tale attività45. Questa ricostruzione ampia dell’urgenza ha reso possibile, assieme alle circostanze politiche già riferite, l’esistenza di un elevato numero di decreti-leggi prodotti dai diversi Governi. I dati (esposti in precedenza) delle ultime due legislature – 85 nella VI e 42 nella VII – mettono chiaramente in evidenza che in Spagna viviamo in una constante situazione di urgenza, la cui origine – mettendo da parte le ipotesi oggettivamente giustificate (emergenze climatiche, disastri naturali, questioni finanziarie, etc.) – risiede nella volontà politica del Governo.
5. I limiti materiali L’esistenza di un ampio numero di materie non regolabili attraverso il decreto-legge costituisce un’altra peculiarità spagnola. Bisogna, però, precisare che ciò che è costituzionalmente vietato alla legislazione d’urgenza non è regolamentare su tutte le materie enumerate dall’art. 86, comma 1, ma soltanto su quelle che vengano ad incidere su «le istituzioni basilari dello Stato, i diritti, doveri e libertà regolati dal Titolo I, il regime delle Comunità Autonome e la disciplina elettorale generale». Posta la questione in questi termini, prima di passare a considerare tali limiti in concreto, ritengo imprescindibile determinare quale sia la ratio sottesa al fatto che vi siano attività vietate al Governo. Potrebbe, infatti, apparire incoerente46 il fatto di aprire la porta ad una potestà normativa sulla base della urgente necessità per poi limitarla per quanto riguarda le materie che possono venire regolate. Tale presunta incoerenza necessita di un’accurata interpretazione, volta a determinare l’esistenza d’un ambito normativo accessibile al decreto-legge pure in questi settori 45
Trib. cost. n. 29/1982, FJ 2, già dichiarava che non si è in presenza di una clausola vuota e senza contenuto. Il suo carattere indeterminato non significa affatto che non ci siano dei limiti posti dalla stessa Costituzione. Per approfondire questo argomento, v. A.M. Carmona Contreras, La configuración constitucional del decreto-ley, cit., pp. 62-75. 46 P. Santolaya Machetti, El régimen constitucional de los decretos-leyes, Madrid 1988, p. 49, considera «ingenuo» questo atteggiamento costituzionale.
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materiali costituzionalmente vietati.
5.1. Interpretazione costituzionale del termine «incidere». Per chiarire il dubbio sopra prospettato dobbiamo rivolgerci di nuovo alla giurisprudenza del Tribunale costituzionale. In primo luogo, il Tribunale ricorda che il decreto-legge ha un ambito di applicazione proprio che non si può identificare unicamente con quello della riserva di legge. Certamente, tutto quello che la Costituzione vuole che venga regolato dal legislatore parlamentare esula dalla competenza del Governo47, ma a questo limite generico se ne aggiunge un’altro di carattere specifico; la non incidenza del decreto-legge sulle materie elencate nell’art. 86, comma 1. In linea di massima, il Tribunale costituzionale ritiene che con tale espressione si sia voluta vietare non qualsiasi attività normativa, ma l’ipotesi che il decreto-legge possa essere usato per dare una disciplina generale ed esaustiva in tali ambiti materiali48. Questo vuol dire che una regolazione governativa attraverso la decretazione d’urgenza risulta costituzionalmente accettabile, sempre che si limiti ad introdurre aspetti concreti e puntuali. Tale conclusione è stata considerata dal Tribunale come l’unica costituzionalmente ammissibile, se non si vuole impedire qualsiasi margine di manovra al decreto-legge49. Infatti, una interpretazione rigida del più che ampio catalogo di limiti previsti porterebbe direttamente all’impossibilità di usare tale categoria normativa nell’ordinamento spagnolo50. Stabilito questo imprescindibile punto di partenza, la giurisprudenza del Tribunale è stata straordinariamente feconda. A dif47
Fondamentale in questo senso è Trib. cost. n. 60/1986, FJ 6. V. Trib. cost. nn. 6/1983, 111/1983, 29/1986, 60/1986, 3/1988, 23/1993, 182/1997. 49 Così è stato affermato per la prima volta nella sentenza n. 6/1983. Sarà, però, nella sentenza n. 111/1983, FJ 8 dove si assisterà ad una pronuncia molto più radicale, rifiutandosi espressamente la tesi di J. Salas Hernández, Los decretos-leyes en la Constitución española de 1978, Madrid 1979, p. 44, considerando che la espressione «incidere» vieta «no solamente una ordenación frontal o directa de éstas [ossia delle materie dell’art. 86, comma 1], sino también cualquier regulación incidental o indirecta incluida en una norma dirigida a otra finalidad». 50 A.M. Carmona Contreras, La configuración constitucional del decreto-ley, cit., pp. 129-135, in una linea simile a quella di altri autori, mette in evidenza la necessità di mantenere una siffatta interpretazione del catalogo di materie escluse. 48
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ferenza di quello che abbiamo notato nei confronti della urgente necessità, con riferimento all’ambito materiale il massimo garante della Costituzione ha trovato uno spazio propizio per svolgere un’interpretazione strettamente giuridica al margine di considerazioni politiche. In tal modo, la già riferita tendenza governativa al continuo apprezzamento di situazioni di urgenza definite sulla base della convenienza politica ha trovato un limite preciso. Basti considerare che all’assenza di sentenze di incostituzionalità per mancanza del presupposto della urgente necessità fa da riscontro, viceversa, un significativo numero di decisioni che dichiarano l’illegittimità costituzionale di decreti-legge per invasione dei campi materiali sottratti a tale fonte. Ne deriva, dunque, che è nel campo dei limiti materiali che il Tribunale costituzionale può giocare e, di fatto, gioca gran parte della partita per ridurre i possibili abusi del Governo.
5. 2. I limiti materiali in concreto. Una volta identificato il concetto costituzionale dell’«incidenza», questo verrà applicato ad ogni limite materiale previsto dall’art. 86, comma 1, offrendoci l’esatta dimensione di ciascuno di loro. A. Istituzioni basilari dello Stato: Per quanto riguarda il primo blocco materiale previsto dall’art. 86, comma 1, un dubbio preliminare concerne la considerazione di quali istituzioni presentano natura «basilare». Tra le diverse ipotesi, nella pratica si considerano basilari tutte quelle istituzioni che godono di carattere pubblico, intendendo per tali quelle regolate dal diritto pubblico. In questo modo, si escludono le istituzioni che, pur avendo una innegabile rilevanza pubblica (ad esempio, partiti politici, sindacati, associazioni di consumatori, etc.), cadono nella sfera normativa del diritto privato. Chiarito questo punto, dobbiamo interrogarci su quale debba essere il significato costituzionale del carattere «statale» proprio di queste istituzioni. In questo senso, esiste un generale consenso dottrinale sul fatto che tale espressione non si riferisca unicamente alla sfera istituzionale dello Stato centrale in senso stretto, includendo pure tutte le amministrazioni pubbliche esistenti in Spagna,
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ovvero le istituzioni statali, regionali, provinciali e municipali51. Definito l’oggetto di riferimento, non ci resta che definire quali aspetti materiali sono vietati alla regolazione attraverso il decretolegge. L’analisi della giurisprudenza del Tribunale costituzionale risulta determinante in questo senso, offrendo una risposta chiara e precisa: ciò che non è permesso alla potestà d’urgenza del Governo è la determinazione di elementi strutturali, essenziali o generali riferiti all’organizzazione e al funzionamento delle istituzioni. È, invece, possibile regolare aspetti incidentali o singolari di queste52. B. Diritti, doveri e libertà del Titolo I: Tale divieto materiale ha causato i problemi interpretativi più acuti. In primo luogo, in quanto il divieto d’incidere appare riferito a tutto il Titolo I (artt. 10-55), senza che sia presente alcuna distinzione tra i diversi capitoli e parti che lo compongono, benché i loro regimi costituzionali risultino assai diversi. Tale diversità si comprende appieno se si tiene presente che: 1) Il capitolo I, dedicato a «spagnoli e stranieri» (artt. 11-13), non disciplina diritti cosiddetti «fondamentali». Ciò implica che tali diritti non godono delle garanzie proprie di questi ultimi (previste nell’art. 53, comma 1) e la loro effettività viene sottomessa ad una previa – ed imprescindibile – disciplina giuridica. Risolte le esigenze derivate dal principio di riserva di legge, dunque, le possibilità di regolazione per il tramite del decreto-legge sono molte. 2) La qualifica di diritti fondamentali in senso stretto si riserva esclusivamente ai diritti compresi nel capitolo II, ai quali si applicano le garanzie previste nell’art. 53, comma 153. All’interno di questo capitolo, tuttavia, i diritti della parte I (artt. 15-29) 51 Un’analisi approfondita della questione si trova in A.M. Carmona Contreras, La configuración constitucional del decreto-ley, cit., pp. 196-200. 52 Trib. cost. n. 60/1986, FJ 4. In questa sentenza si considera legittima la ristrutturazione ministeriale operata dal Governo. Secondo la Corte, la modifica si riduce ad un aspetto puntuale ed è per questo che non dà luogo ad una incidenza costituzionalmente vietata. 53 Il regime di garanzie stabilito nel primo comma dell’art. 53 consiste nell’affermazione della riserva di legge (ordinaria), nel rispetto del contenuto essenziale, nell’efficacia diretta, nella modifica soltanto attraverso riforma costituzionale (procedura ordinaria dell’art. 167), nel controllo di costituzionalità delle leggi e nella tutela giudiziaria (diritto fondamentale dichiarato nell’art. 24).
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godono di un plus di protezione (art. 53, comma 2) rispetto a quelli contenuti nella parte II (artt. 30-38) consistente nel rafforzamento tanto delle garanzie normative54 come di quelle giurisdizionali55. Queste ultime, si applicano anche al principio di eguaglianza dell’art. 14 e all’obiezione di coscienza contenuta nell’art. 30, comma 2. Determinare il margine di manovra della potestà governativa di urgenza in questo preciso ambito è certamente complesso. Il Tribunale costituzionale, consapevole di questa difficoltà, sviluppa una linea interpretativa il cui punto fondamentale consiste nel prendere in considerazione la ubicazione costituzionale del diritto fondamentale sul quale ricade l’attività normativa del decretolegge in questione56. 3) Per quanto riguarda il capitolo III (artt. 39-52), dedicato ai «Principi che reggono la politica sociale ed economica», l’interpretazione non è pacifica. Il carattere eterogeneo del suo contenuto, che combina diritti sociali in senso stretto – ma comunque non di natura fondamentale e con un regime di garanzie meno esigente (art. 53, comma 3)57 – con principi che – pur avendo valore normativo e non meramente programmatico – non riconoscono diritti soggettivi veri e propri, mette l’interprete di fronte ad un lavoro complesso. In primo luogo, si deve determinare la natura del precetto analizzato per poi, e soltanto poi, stabilire il raggio di azione normativa non accessibile all’operato del Governo58. Alla luce di quanto esposto, risulta chiara l’impossibilità di 54 Riserva di legge organica (dedotta dal contenuto dell’art. 81), procedura straordinaria di riforma costituzionale (art. 168). 55 Previsione di un ricorso di amparo «preferente y sumario» innanzi ai tribunali ordinari di giustizia, così come di un altro ricorso di amparo, questo di natura «sussidiaria e costituzionale», davanti al Tribunale costituzionale. 56 Così è stato dichiarato espressamente per la prima volta in Trib. cost. n. 111/1983, il cui FJ 8 afferma l’esigenza di tener presente (muy presente) «la configuración del derecho constitucionalmente afectado en cada caso, e incluso su colocación dentro de las diversas secciones y capítulos de su Título I, dotados de mayor o menor rigor protector a tenor del artículo 53 de la CE». In un senso simile, v. Trib. cost. n. 3/1988, FJ 8; 95/1988, FJ 4. 57 «Il riconoscimento, il rispetto e la tutela dei principi contemplati nel Capitolo III ispireranno il diritto positivo, la prassi giudiziaria e l’azione dei poteri pubblici. Tali principi potranno essere difesi solo davanti alla giurisdizione ordinaria conformemente alle leggi che li regolano». 58 V. A.M. Carmona Contreras, La configuración constitucional del decreto-ley, cit., pp. 200-2002.
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tracciare un unico limite per il decreto-legge in materia di diritti, doveri e libertà. Quello che resta fermo è il fatto, indipendente dall’ubicazione entro il Titolo I, che l’attività normativa costituzionalmente possibile per il Governo non può dedicarsi a regolare il regime generale di questi59, limitandosi necessariamente alla fissazione di aspetti concreti e puntuali60. C. Regime delle Comunità Autonome: In questa sfera materiale, l’indagine principale si sofferma sulla determinazione di «regime» delle autonomie. Secondo la Corte questa espressione può essere pienamente compresa soltanto da una prospettiva generale, considerando la posizione istituzionale che la Costituzione attribuisce alle Comunità Autonome (CCAA)61, in quanto soggetti territoriali dotati di un ambito proprio di potere politico. In questo senso, il termine «regime» comprende tutto l’insieme di norme costituzionali attraverso le quali questa posizione viene definita62. Avendo presente questa impostazione, bisogna chiedersi se la regolazione di qualsiasi rapporto tra lo Stato e le CCAA sia vietata al decreto-legge63. Per rispondere a tale interrogativo è imprescindibile ricordare l’esistenza di un ambito competenziale – definito all’art. 149 Cost. – che è proprio ed esclusivo dello Stato64. È 59 Il Tribunale, v. sentenza n. 111/1983, FJ 8, parla pure dell’impossibilità di violare il contenuto o gli elementi essenziali di questi diritti. Questa pronuncia, però, risulta evidentemente superflua, se non altro perché la garanzia del contenuto essenziale vincola sempre e comunque il legislatore, sia esso il Parlamento o il Governo. Per un’analisi critica della questione v. A.M. Carmona Contreras, La configuración constitucional del decreto-ley, cit., pp. 182-184. 60 La questione dei limiti del decreto-legge nel campo dei doveri fiscali (art. 31) merita un’attenzione particolare nella giurisprudenza costituzionale. Particolarmente interessanti sono le sentenze del Trib. cost. nn. 6/1983 e, più recentemente, 182/1997. 61 Trib. cost. nn. 29/1986, FJ 2 e 23/1993, FJ 2. 62 Così, gli Statuti di autonomia, norma fondamentale di ogni Comunità (art. 147), che ne regola gli elementi basilari; la distribuzione di competenze tra lo Stato e le Comunità (artt. 148 e 149); il loro finanziamento (artt. 156-158), etc. Tale nucleo normativo integra il concetto di «blocco di costituzionalità» il quale serve al Tribunale costituzionale, secondo quanto previsto nell’art. 28, comma 1 della legge che ne disciplina il funzionamento (LOTC), come parametro di costituzionalità – insieme alla Costituzione – per valutare la legittimità delle norme statali e regionali. 63 Così è stato difeso da J. Pérez Royo, Las fuentes del derecho, cit., p. 119.
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precisamente entro questa sfera esclusiva ed escludente che l’attività normativa dell’Esecutivo centrale sarà possibile, anche attraverso il decreto-legge, sempre che la regolazione della competenza statale non venga riservata alla legge formale del Parlamento65. Entro questi termini, però, il Tribunale costituzionale ha limitato notevolmente i contenuti dell’eventuale regolazione governativa, escludendo espressamente l’ipotesi dell’attribuzione diretta di competenze così come quella di una delimitazione positiva della sfera competenziale autonomica66. Da quanto detto, si può affermare che, anche se possibile, l’ammissibilità costituzionale del decreto-legge in materia autonomica risulta assai ridotta da un punto di vista sostanziale, limitandosi alla regolazione di aspetti competenziali che sono esclusivi dello Stato ed i cui effetti devono restare circoscritti alla sfera statale. L’incidenza, dunque, su quella autonomica si può far sentire soltanto in maniera indiretta.
D. Disciplina elettorale generale: 64 Da un punto di vista pratico, siamo di fronte ad una questione abbastanza complessa. Il carattere esclusivo di una competenza a favore dello Stato può avere significati assai diversi. Infatti, mentre in certi casi la esclusività statale impedisce qualsiasi attività regionale (competencias exclusivas y excluyentes), in molti altri si produce un gioco combinato di più livelli di governo. Così succede quando si riserva in esclusiva allo Stato l’esercizio della potestà legislativa: in questi casi, le Comunità Autonome possono soltanto sviluppare un’attività di mera esecuzione di quanto già deciso. Più ampie sono le possibilità regionali quando la definizione della competenza statale si fa attraverso il riferimento alle «condizioni basilari», le «basi», la «legislazione basilare», etc. In questi casi, non certo residuali, una volta definiti i contenuti della materia sulla quale lo Stato esercita la sua competenza esclusiva, per il resto entra in azione la competenza regionale. La possibilità di regolare le condizioni basilari, oppure le basi statali attraverso il decreto-legge, è stata espressamente accettata dal Tribunale costituzionale nella sua sentenza n. 225/1993, FJ 3. 65 Questo limite è stato apertamente vulnerato dal decreto-legge n. 2/1997, che ha approvato le percentuali di partecipazione delle Comunità Autonome alle entrate statali durante il periodo 1997-2001. Tale operazione non soltanto ha inciso direttamente sul regime delle Comunità, regolandosi con decreto-legge un ambito particolarmente sensibile com’è quello del finanziamento, ma ha violato il principio di riserva di legge imposta espressamente dall’art. 13, comma 4 della legge organica sul loro finanziamento (LOFCA). Sui particolari del caso, v. A.M. Carmona Contreras, Decreto-ley y financiación de las CCAA, «Revista Española de Derecho Constitucional», 52, 1998, pp. 111-136. 66 V. specialmente Trib. cost. n. 23/1993, FJ 2. Con questa decisione si chiude la strada a certe interpretazioni dottrinali favorevoli all’uso del decreto-legge per allargare, da parte dello Stato, le competenze regionali.
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Molto più chiaro è il quadro interpretativo per quanto riguarda l’ultimo dei blocchi di materie sottratte al decreto-legge. Elemento fondamentale da tener presente è la coincidenza tra l’ambito di disciplina riservato alla legge organica (secondo quanto stabilito dall’art. 81) e quello precluso alla potestà d’urgenza del Governo. L’unico dubbio esistente all’inizio dell’esperienza costituzionale è stato quello di determinare il significato preciso dell’aggettivo «generale». La questione era senz’altro rilevante perché, dipendendo dal contenuto riconosciuto, la possibilità di attuazione per il Governo mutava sostanzialmente. In questo senso, di fronte ad un’interpretazione restrittiva del termine «generale», secondo la quale con questa espressione si fa riferimento soltanto alle elezioni generali e, cioè, a quelle del Parlamento centrale, il Tribunale costituzionale ne ha scelta un’altra completamente diversa, di natura onnicomprensiva. Infatti, per esso l’espressione «disciplina elettorale generale» deve intendersi riferita a tutte le procedure elettorali esistenti in Spagna: elezioni statali, regionali e locali67. Accolta tale interpretazione estensiva, risulta che il margine di manovra per il decreto-legge risulta più stretto, limitandosi a casi molto puntuali.
67 Trib. cost. n. 38/1983, FJ 3. Dopo l’adesione della Spagna alle Comunità Europee nel 1986, le elezioni del Parlamento europeo s’inseriscono nell’ambito della disciplina elettorale generale.
Postfazione di Enzo Cheli
1. Mi viene chiesta una breve testimonianza sulla «storia interna» della sentenza della Corte costituzionale n. 360/1996, alla cui definizione ebbi modo di prendere parte – proprio alla vigilia della scadenza del mio mandato – in qualità di relatore e redattore. Rispondo a questo invito con piacere, consapevole, peraltro, dei limiti che chi ha esercitato una funzione giudicante deve sempre tener presenti quando si tratti di valutare il prodotto del proprio giudizio, giudizio che resta pur sempre il frutto di una dialettica processuale e di un apporto collegiale talvolta – come è accaduto nel caso di specie – complesso e intenso. Può darsi, quindi, che le osservazioni che seguono siano destinate a restare nella sfera del semplice ricordo personale, senza assumere quella valenza oggettiva che una vera testimonianza dovrebbe, in ogni caso, sforzarsi di avere.
2. Del contenuto, degli effetti e dei motivi che stanno alla base della sentenza n. 360/96 si è molto discusso in dottrina negli anni passati, con valutazioni che hanno alternato apprezzamenti e critiche. Gli apprezzamenti hanno, per lo più, riguardato il fatto che la Corte, con questa sentenza, è riuscita per la prima volta a colpire un decreto-legge incostituzionale in quanto reiterato e a bloccare, di conseguenza, l’abuso della reiterazione nella decretazione d’urgenza. Le critiche hanno investito, invece, la «via di uscita» che la Corte, con questa sentenza, ha voluto lasciare al Parlamen-
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to, attraverso il valore riconosciuto alla legge di conversione (o di sanatoria) che, ove intervenuta, è tale da far salvi gli effetti del decreto-legge reiterato. Tra i lavori più recenti, una sintesi completa e molto efficace di questo dibattito si può trovare nella monografia che Andrea Simoncini ha dedicato alla decretazione di urgenza dopo la sentenza n. 360/19961. All’arricchimento del tema si aggiungono ora i contributi contenuti in questo volume.
3. Partendo dai risultati di questo dibattito e dalla memoria dei fatti che tuttora conservo vorrei soffermarmi, in particolare, su tre aspetti. Il primo riguarda il modo (o, se vogliamo, il metodo) che consentì alla Corte di giungere a questa pronuncia. Questo metodo fu, in parte, diverso da quello normalmente seguito nei giudizi di costituzionalità, legati alla casualità temporale delle ordinanze di rimessione. In questo caso le ordinanze di rimessione, più che l’oggetto, rappresentarono lo strumento che consentì alla Corte, nel corso di un biennio, di sviluppare una precisa strategia giudiziaria diretta a mettere a fuoco il bersaglio, da tempo individuato nella prassi della reiterazione senza limiti di tempo. In questo senso – come è stato più volte sottolineato – la sentenza n. 360 rappresenta il punto di arrivo di un percorso ben meditato che si sviluppa nel tempo e che trova le sue premesse più lontane nella sentenza n. 302/1988 (dove la reiterazione dei decreti-legge incontrava la sua prima censura) e i suoi passaggi più recenti nella sentenza n. 161/1995 (che, proprio in ragione del dilagare della decretazione d’urgenza e dell’uso anomalo della reiterazione, estendeva al decreto-legge l’applicabilità dello strumento del conflitto di attribuzione), nella sentenza n. 84/1996 (che, attraverso il richiamo alla distinzione tra disposizione e norma, apriva la strada al trasferimento della questione di costituzionalità dal decreto decaduto al decreto reiterato, rompendo 1
A. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, Milano 2003.
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così la barriera formale sino ad allora opposta all’impugnabilità del decreto-legge) e, infine, nell’ordinanza n. 167/1996 (che operava come preannuncio diretto della scelta che la Corte si stava accingendo a compiere). Su questa stessa linea giurisprudenziale va collocata, a mio avviso, anche la sentenza n. 29/1995, rispetto a cui la sentenza n. 360/1996 è stata considerata dalla maggioranza dei commentatori come una inversione di tendenza, ovvero come un «passo indietro» sul terreno delle garanzie. In realtà, a ben guardare, le due sentenze, anziché contraddirsi, si completano a vicenda, dal momento che la sentenza n. 29, nel riconoscere la possibilità di un sindacato costituzionale sulla mancanza «evidente» dei requisiti della necessità ed urgenza come vizio procedimentale insanabile, non intendeva certo negare la capacità sanante della legge di conversione rispetto a tutti gli altri possibili vizi procedurali, ivi compresa la reiterazione. In ogni caso lo scopo che, fin dall’inizio di questo percorso giurisprudenziale, la Corte intendeva perseguire – e che di fatto riuscì gradualmente a raggiungere, attraverso lo svolgimento di vari passaggi, di natura processuale e sostanziale – era sempre lo stesso: bloccare la «tracimazione» in atto della decretazione d’urgenza, che aveva ormai raggiunto soglie di rischio per la stessa esistenza di una forma di governo parlamentare, e riportare la fonte entro i confini tracciati dall’art. 77 Cost. A questo proposito, come rileva esattamente Simoncini, fino alla metà degli anni ’90 l’orientamento prevalente all’interno della Corte era nel senso che il fenomeno dell’abuso della decretazione d’urgenza avesse una valenza esclusivamente politica e che non fosse dato reperire, nell’armamentario della giustizia costituzionale, strumenti adeguati per contenerlo e sanzionarlo. Solo successivamente alla sentenza n. 29/1995 la Corte, di fronte all’incontenibile dilagare della prassi della reiterazione con la sostanziale acquiescenza del Parlamento, maturava – sotto la spinta di un allarme crescente sia da parte del mondo scientifico che dell’opinione pubblica – la convinzione che era giunto il momento per intervenire e che occorreva, dunque, «trovare» gli strumenti per farlo. A rompere gli indugi concorreva, alla fine, la lettera che il Presidente Scalfaro, nel maggio del 1996, all’inizio della XIII Legislatura, indirizzava al presidente incaricato del Consiglio
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Prodi per segnalare come la prassi della reiterazione rappresentasse «una usurpazione delle prerogative del Parlamento» in grado di minare lo stesso concetto di divisione dei poteri. L’implicita sinergia tra i diversi poteri di controllo costituzionale affidati rispettivamente al Capo dello Stato e alla Corte costituzionale veniva, dunque, in questo caso, a operare efficacemente.
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caso si volle sottolineare che – anche al di là della possibile riforma dell’art. 77 Cost., già presente nei lavori parlamentari – sia il Parlamento che il Governo disponevano di strumenti adeguati (legislativi, regolamentari e di prassi) per contenere il fenomeno, intervenendo appropriatamente sulle cause.
5. 4. Il secondo aspetto che vorrei qui richiamare riguarda la motivazione della sentenza n. 360 che – come è stato in più occasioni sottolineato – s’incentra su due assi fondamentali: quello della difesa delle prerogative del Parlamento nell’esercizio ordinario della funzione legislativa (o, più in generale, della difesa degli equilibri fondamentali della forma di governo) e quello della tutela della certezza del diritto, che la prassi della reiterazione è in grado di mettere a repentaglio specialmente sul terreno dei diritti fondamentali o nella materia penale. Nelle intenzioni della Corte questi due profili (ancorché diversamente valorizzati dai precedenti giurisprudenziali e dalla dottrina) dovevano assumere rilievo equivalente, essendo la Corte tenuta ad operare, sul terreno del funzionamento delle fonti del diritto, come organo di garanzia sia della forma di governo che della forma di Stato. Questa parità dei due motivi fondamentali emerge con chiarezza nella costruzione della sentenza e nella gradazione dei diversi argomenti. Ricordo, in proposito, che alla decisione si giunse piuttosto rapidamente, attraverso un dibattito in camera di consiglio serrato ed intenso, che vide impegnati a fondo tutti i componenti il collegio. Alla fine della discussione si poté registrare una sostanziale unanimità sia in ordine al dispositivo (che, in realtà, risultava scontato alla luce del percorso sino ad allora seguito), sia in ordine alle motivazioni da adottare. Anche con riferimento all’ultimo passaggio della motivazione, concernente la segnalazione al potere politico dell’opportunità di intervenire sulle cause del fenomeno della reiterazione, l’intesa fu raggiunta senza troppe difficoltà, nonostante alcuni dubitassero dell’efficacia del richiamo rispetto ad una materia politicamente fluida quale quella trattata: in ogni
La terza considerazione che vorrei esporre riguarda la valutazione degli effetti della sentenza n. 360/96. Questo fu l’aspetto che, alla fine, maggiormente impegnò il lavoro della Corte, ben consapevole dei rischi che su questo terreno venivano a prospettarsi. Il rischio maggiore che si presentava allora era quello di adottare una pronuncia ad applicazione «impossibile», tale da giustificare un’inottemperanza da parte del Governo e del Parlamento. Se questo si fosse verificato, la Corte sarebbe uscita sconfitta dal confronto con il potere politico e lo stesso sistema di giustizia costituzionale avrebbe finito per perdere molta della sua credibilità sul piano dell’efficacia dei propri strumenti. In realtà, l’obbiettivo vero (o se vogliamo, «politico») che la Corte allora si poneva era quello di bloccare de futuro l’uso abnorme della reiterazione, favorendo il rientro graduale della decretazione d’urgenza entro gli argini dell’art. 77 Cost., non certo quello di travolgere de praeterito l’intero complesso della normazione reiterata (e convertita o sanata) che, in molti casi, aveva già dato luogo a rapporti consolidati. In altri termini, la preoccupazione prevalente che, sul terreno dei possibili effetti, orientava le scelte della Corte era quella di evitare che – nel momento in cui si veniva a incidere fortemente sull’esercizio di una prerogativa governativa e sul mancato esercizio di un controllo parlamentare – la decisione assunta potesse innescare, a catena, conseguenze destabilizzanti sull’intero sistema delle fonti e sui rapporti giuridici in atto. Da qui il riconoscimento del valore sanante degli effetti del decreto-legge reiterato o iterato attribuito alla legge di conversione (o di sanatoria), dal momento che, attraverso questi strumenti – ove non si sia in presenza di vizi procedimentali insanabili, quale
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l’«evidente» mancanza della necessità e dell’urgenza – il Parlamento è in grado di far propri i contenuti normativi espressi attraverso la decretazione di urgenza. La linea adottata dalla Corte si ispirava, quindi, su questo punto, ad una esigenza di ordine pratico, ma si impegnava anche ad applicare, senza ambiguità, i principi in tema di rapporti tra Parlamento e Governo espressi dalla disciplina posta dall’art. 77 Cost., alla luce dei contenuti desumibili dalla formulazione letterale della norma. In realtà, come si diceva, sul terreno degli effetti quello che, in primo luogo, interessava alla Corte era di giungere all’arresto della prassi della reiterazione, per riportare la decretazione di urgenza entro i limiti dell’art. 77. Questo obbiettivo non era affatto scontato e, probabilmente, non sarebbe stato raggiunto ove non ci fosse stato il sostegno sia degli altri organi di garanzia (Presidente della Repubblica e magistratura) che dell’opinione pubblica, in una fase in cui Parlamento e Governo, all’inizio di una nuova Legislatura, stavano muovendo i loro primi passi. Comunque sia, il «miracolo» della fine della prassi della reiterazione avvenne e questo, in definitiva, era il vero risultato che si voleva conseguire.
6. Questa è la «storia interna» della sentenza n. 360/1996, per quanto oggi mi è dato di ricordarla. Non so se da questa storia sia possibile trovare una «morale». Forse una «morale» si può trovare sul terreno della natura della funzione assegnata al «giudice delle leggi», dove rigore e realismo devono sempre convergere verso un corretto punto di equilibrio. Questo, se conduce a escludere che il giudice costituzionale, nell’applicazione dei principi e delle regole costituzionali, possa in qualche modo risultare condizionato dalla considerazione dei possibili effetti delle proprie pronunce, non deve anche condurre ad affermare che lo stesso giudice debba trascurare o ignorare la portata di tali effetti. Specialmente nelle controversie a maggiore valenza politica, il giudice costituzionale ha, al contrario, il dovere di riflettere bene sul seguito delle proprie sentenze, dal momento che la materia che
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viene a toccare attiene direttamente al tessuto vivo dei rapporti di forza che reggono gli equilibri del sistema e le dinamiche sociali. La conseguenza è che la sentenza costituzionale, oltre che «giusta», deve anche risultare «efficace» e puntare ad ottenere, pur in assenza di specifici strumenti di coazione, il livello più elevato di ottemperanza compatibile con gli equilibri dell’ordinamento nel cui ambito è chiamata ad operare. In questo senso – e solo in questo senso – il giudizio costituzionale manifesta una sua valenza «politica», non dissimile, rispetto agli effetti, da quella propria della legge che viene a formare l’oggetto di tale giudizio. Resta il fatto che una sentenza «giusta» ma inoperante resta la peggiore sconfitta cui può andare incontro un «giudice delle leggi».
Appendice
Dati e statistiche sui decreti-legge A cura di Andrea Betto e Erik Longo
Intendiamo qui presentare in forma riassuntiva i dati relativi all’attività di decretazione d’urgenza del Governo durante la XIII e la XIV Legislatura repubblicana, evidenziando mediante l’uso di grafici e tabelle, i dati complessivi sul numero dei decreti-legge approvati e sulla loro sorte parlamentare; il numero e le percentuali dei decreti convertiti in legge, con quali modalità di conversione, semplice o con modificazioni, i numeri e le percentuali dei decreti decaduti, abrogati o respinti. I dati sono presentati secondo la successione cronologica, per Legislature e per governi, con l’indicazione delle medie mensili dei decreti-legge e degli altri valori, in assoluto e in forma comparata.
1. Decreti-legge: dati e statistiche XIV Legislatura1 DATI COMPLESSIVI DELLA XIV LEGISLATURA Totale Decretilegge
Totale Convertiti
Con emendamenti
217
196
180
ConversioTotale ne semplice Decaduti
16
18
Per decorso del termine
Abrogati
Totale Respinti
In corso di conversione
17
0
1
3
(Tab. 1)
Dati tratti da:
Medie Media mensile: 3,8 decreti-legge Convertiti/Tot. (esclusi i pendenti): 88,9% Convertiti con emendamenti/Totale conversioni: 90,3 % Conv. Semplice: 9,7 % Decaduti/Tot(esclusi i pendenti): 8,2% Abrogati/Decaduti: 0 Respinti/Totale(esclusi i pendenti): 0,4%
A. Celotto, L’abuso del decreto-legge, Padova 1997. Andrea Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, Giuffrè editore, Milano 2003 Resoconti del Comitato per la legislazione Sito web della presidenza Del Consiglio, Dipartimento per i Rapporti con il Parlamento
DATI RELATIVI AL PRIMO ANNO DI GOVERNO (11 GIUGNO 2001- 11 GIUGNO 2002) Totale Decretilegge 55
Totale Con emen- ConversioTotale Convertiti damenti ne semplice Decaduti 54
45
9
1
Per decorso del termine
Abrogati
Totale Respinti
1
0
0
(Tab. 2)
1 Fonti: Dipartimento Rapporti con il Parlamento della presidenza del Consiglio, Servizio studi della Camera dei Deputati ed elaborazione propria.
300
APPENDICE
301
DATI STATISTICI SUI DECRETI LEGGE
Medie Media mensile: 4,6 decreti-legge Media mensile primi sei mesi (giugno-dicembre 2001): 4,8 Media mensile secondi sei mesi (gennaio – giugno 2002): 4,3 Convertiti/Tot.: 98% Convertiti con emendamenti/Totale conversioni: 83% Decaduti/Tot: 2% Abrogati/Decaduti: 0% Respinti/Totale: 0%
Media mensile primi sei mesi (giugno-dicembre 2003): 2,8 Media mensile (gennaio – luglio 2004): 4,1 Convertiti/Tot(esclusi i pendenti): 92,8% Convertiti con emendamenti/Totale conversioni: 94,8% Decaduti/Totale: 5,1% Abrogati/Decaduti: 0% Respinti/Totale: 2,3%.
DATI RELATIVI AL QUARTO ANNO DI GOVERNO 11 GIUGNO 2004- 11 GIUGNO 2005 DATI RELATIVI AL SECONDO ANNO DI GOVERNO (11 GIUGNO 2002-11 GIUGNO 2003) Totale Decretilegge 44
Totale Con emen- ConversioTotale Convertiti damenti ne semplice Decaduti 37
35
2
7
Totale Decretilegge
Per decorso del termine
Abrogati
Totale Respinti
7
0
0
41
Totale Con emen- ConversioTotale Convertiti damenti ne semplice Decaduti 40
40
0
1
Per decorso del termine
Abrogati
Totale Respinti
1
0
0
(Tab. 5) Medie Media mensile: 3,3 decreti-legge Media mensile primi sei mesi (luglio - dicembre): 4 Media mensile secondi sei mesi (gennaio – giugno): 2,8 Convertiti/Tot: 97,5% Convertiti con emendamenti/Totale conversioni: 100% Decaduti/Totale: 2,5% Abrogati/Decaduti: 0 Respinti/Totale: 0
(Tab. 3) Medie Media mensile: 3,7 decreti-legge Media mensile primi sei mesi (giugno-dicembre 2002): 3,2 Media mensile secondi sei mesi (gennaio – giugno 2003): 4,2 Convertiti/Tot: 84% Convertiti con emendamenti/Totale conversioni: 94,5%% Decaduti/Tot: 16% Abrogati/Decaduti: 0% Respinti/Totale: 0%
DATI PARZIALI RELATIVI AL QUINTO ANNO DI GOVERNO 11 GIUGNO 2005-MAGGIO 2006 Totale Decretilegge
DATI RELATIVI AL TERZO ANNO DI GOVERNO (11 GIUGNO 2003-11 GIUGNO 2004) Totale Decretilegge 43
Totale Con emen- ConversioTotale Convertiti damenti ne semplice Decaduti 40
38
2
(Tab. 4) Medie Media mensile: 3,5 decreti-legge
3
Per decorso del termine
Abrogati
Totale Respinti
2
0
1
40
Totale Con emen- ConversioTotale Convertiti damenti ne semplice Decaduti 31
28
3
6
Per decorso del termine
Abrogati
Totale Respinti
In corso di conversione
6
0
0
3
(Tab. 6) Medie Media mensile: 4,0 decreti-legge Media mensile primi sei mesi (luglio - dicembre): 5 Convertiti/Tot (pendenti esclusi): 77,5%
302
APPENDICE
Convertiti con emendamenti/Totale conversioni (pendenti esclusi): 90% Decaduti/Totale (pendenti esclusi): 19,3% Abrogati/Decaduti: 0 Respinti/Totale: 0 In corso di conversione/totale: 9,6%
2. Decreti legge: dati e statistiche comparate della XIII e XIV Legislatura2 DATO COMPLESSIVO XIII LEGISLATURA3 Totale Decretilegge 183
Totale Con emen- ConversioTotale Convertiti damenti ne semplice Decaduti 136
303
DATI STATISTICI SUI DECRETI LEGGE
118
18
46
Per decorso del termine
Abrogati
Totale Respinti
37
0
1
(Tab.7) Medie Media mensile: 3,4 decreti-legge Convertiti/Tot (pendenti esclusi): 74,3% Convertiti con emendamenti/Totale conversioni (pendenti esclusi): 86,7% Decaduti/Totale (pendenti esclusi): 25% Abrogati/Decaduti: 0 Respinti/Totale: 0,5
DATI ASSOLUTI COMPARATI PER ANNO 19964
1996
1997
1998
1999
2000
20015 20016
2002
2003
2004
2005
20067
(prima (dopo della sent. sent. 360/9) 360/9)
Totale Decretilegge Totale Convertiti
160
14
44
29
42
36
18
32
44
49
41
37
7
40
7
30
19
35
29
16
32
40
44
39
31
4
Con emendamenti
36
7
28
17
32
26
8
24
37
42
38
29
3
Conversione semplice
4
0
2
2
3
3
8
8
3
2
1
2
1
Totale decaduti
117
6
14
10
7
7
2
0
4
5
1
6
0
Per decorso del termine
101
5
13
8
4
6
1
0
48
5
1
69
0
Abrogati
16
1
1
2
3
1
1
0
0
0
0
0
0
Totale respinti
3
1
0
0
0
0
0
0
0
0
1 10
0
0
(Tab.8)
2
Fonte: elaborazione propria. Dati relativi al periodo successivo alla sent. C. cost. 24 ottobre 1996, n. 360. 4 Dall’inizio della XIII Legislatura (9 maggio-31 dicembre 1996). 5 Fino alla fine della XIII Legislatura (1 gennaio-25 maggio 2001). 6 Dal 31 maggio 2001, inizio XIV Legislatura. 7 Fino alla fine della XIV Legislatura. 8 Di cui uno, il D.L. n. 4/2002, a seguito di rinvio presidenziale. 9 I DD.LL. nn. 223 e 224 del 2005 sono decaduti ed il loro testo è confluito all’interno del D.L. n. 203 del 2005, convertito in L. n. 248 del 2005. 10 Respinto alla Camera perché accolte le pregiudiziali. 3
304
APPENDICE
DATI STATISTICI SUI DECRETI LEGGE
MEDIE E PERCENTUALI PER ANNO 199611 1996
1997
1998
1999
DATI COMPARATI PER GOVERNO
2000 200112 200113 2002
2003
2004
2005
2006
DATI ASSOLUTI
(prim (dopo a della della sent.3 sent.3 60/96) 60/96)
Media mensile
30,2
7
Convertiti/Tot.
25%
68%
65%
83%
80.5 %
89% 100% 91%
89,7 %
95%
84%
Conv. con emendamenti/Tot. Conv
90% 100% 93%
90%
91%
62%
50%
95,4 %
97,4 %
93,5 %
50%
3,6
Decaduti/T 73% ot.
43%
Abrogati/D 13% ecaduti
16%
7%
20%
Respinti/To t.
7%
0
0
2%
32%
2,4
35%
3,5
17%
3
3,6
4,8
75%
0
3,6
92,5 %
9%
4
19,5 %
11%
10%
43%
14%
50%
0
0
0
0
0
0
0
0
0
(Tab. 9)
3,4
2,6%
3
Governo Governo Prodi Prodi (dopo (prima della della sent. sent. 360/1996) 360/1996)
3,3
Governo D’Alema I
Governo D’Alema II
Governo Amato II
Governo Berlusconi
Totale Decretilegge
160
81
45
17
40
217
83,8 %
Totale Convertiti
40
53
37
10
36
196
Con emendamenti
36
49
28
7
28
180
90%
Conversione semplice
4
4
9
3
8
16
Totale decaduti
117
27
8
7
4
18
Per decorso del termine
101
26
3
7
2
17 14
Abrogati
16
1
5
0
2
0
Totale respinti
3
1
0
0
0
1
16,2 %
16,2 %
0
0
0
2%
0
0
(Tab. 10)
11
Dall’inizio della XIII Legislatura (9 maggio-31 dicembre 1996). Fino alla fine della XIII Legislatura (1 gennaio-25 maggio 2001). 13 Dal 31 maggio 2001. 12
14
Di cui uno, il D.L. n. 4/2002, a seguito di rinvio presidenziale.
305
306
APPENDICE
MEDIE
3. Decreti legge: dati e statistiche per tutte le Legislature16
Governo Governo Governo Prodi (prima Prodi (dopo D’Alema I della sent. 360/1996)
Governo D’Alema II
Governo Amato II
Governo Berlusconi
NUMERO DECRETI-LEGGE PER LEGISLATURA
la sent.. 360/1996)
Legislatura Media men- 30,2 sile
Convertiti/T 25% ot.15
Conv. con emendamenti/Tot. convertiti
90%
Decaduti/To 73% t.
Abrogati/De 13% caduti
Respinti/ Tot.
2%
307
DATI STATISTICI SUI DECRETI LEGGE
3,5
65%
92%
34%
3,5%
1%
4
82%
76%
18%
62%
0
3,4
59%
70%
41%
0
0
3,3
90%
77%
10%
50%
0
3,8
88,9%
90,3%
Totale Totale ConDecreti-legge vertiti
Percentuale conversioni
Con emendamenti
Percentuale emendamenti
Totale Decaduti
Media mensile totale
I
29
28
96,5%
12
42,8%
1
0.47
II
60
60
100%
35
58,3%
0
1
III
30
28
93,3%
11
39,2%
2 (2r)
0,5
IV
94
89
94,6%
50
56,1%
5 (2r)
1,5
V
69
66
95,6%
44
66,6%
3
1,4
VI
124
108
87,1%
68
62,9%
16
2,5
VII
167
136
81,4%
99
71,7%
31(15d)
4,7
VIII
275
169
61,4%
129
76,3%
106 (13r)
5,6
IX
302
136
45%
105
77,2%
166 (27r)
6,2
X
466
187
40,1%
148
79,1%
279 (15r)
8
XI
490
119
24,2%
84
70,5%
371 (8r)
20
XII
718
122
16,9%
91
74,6%
596 (10r)
28,7
XIII
343
176
51,3%
154
87,5%
163(4r)
6
XIV18
21719
196
88,9%20
180
90,3%
18(1r)
3,9
8,2%
0
0, 4%
(Tab. 11)
(TAB. 12)
16
15
Sul totale esclusi i pendenti. Così pure alla quarta e sesta riga.
Fonti: Servizio Studi Camera dei Deputati, 2004; A. Celotto, L’abuso del decreto-legge, cit.; elaborazione propria. 17 “r” sta per respinti, i restanti si intendono decaduti per decorso del termine. 18 Dall’11 giugno 2001 al maggio 2006. 19 Di cui 3 pendenti. 20 Percentuale calcolata sul totale esclusi i pendenti.
308
APPENDICE
DATI STATISTICI SUI DECRETI LEGGE
4. Decreti-legge: dati e statistiche esposti attraverso grafici
MEDIE MENSILI PER LEGISLATURA Legislatura
Media mensile totale 21
Media mensile netta 22
I
0,47
0,47
II
1
1
III
0,5
0,5
IV
1,5
1,5
V
1,4
1,3
VI
2,5
2,4
VII
4,7
4,5
VII
5,6
4,1
IX
6,2
3,5
X
8
4,1
XI
20
6,7
XII
27
3,4
XIII (prima della sent. 360/1996)
34
4
XIII (dopo la sent. n. 360/1996)
3,3
3,3
XIV
3,8
3,8
DECRETI LEGGE CONVERTITI RISPETTO AL TOTALE
(Grafico 1)
CONVERTITI CON EMENDAMENTI RISPETTO AL TOTALE (Tab. 13)
VOTO GRUPPI DI OPPOSIZIONE SULLE LEGGI DI CONVERSIONE XIII LEGISLATURA Voto
1997
1998
1999
2000
2001
Favorevole
8
6
16
7
6
Astensione
9
5
8
6
7
Contrario
11
9
9
2
0
F+A/tot.
60%
55%
72%
86%
100%
(Tab. 14) (Grafico 2)
21 22
Incluse le reiterazioni. Escluse le reiterazioni.
309
310
APPENDICE
DATI STATISTICI SUI DECRETI LEGGE
RAPPORTO CONVERSIONE SEMPLICE (LINEA CHIARA) E CON EMENDAMENTI (LINEA SCURA)
MEDIA MENSILE XIII E XIV
MEDIA MENSILE PER ANNO
(Grafico 3)
MEDIA MENSILE TOTALE E MEDIA AL NETTO DELLE REITERAZIONI (GRAFICO 5)
MEDIA MENSILE PER ANNO
Media mensile netta Media mensile totale
(Grafico 4)
(GRAFICO 6)
LEGISLATURA
311
APPENDICE
DATI STATISTICI SUI DECRETI LEGGE
RAPPORTO DECRETI LEGGE APPROVATI/CONVERTITI
MEDIE COMPLESSIVE
(Grafico 7)
in te gr az io ne ,c or re zi on e pr or og a, di ffe r. Te di rm sc ip in lin i a sp ec ia le ,t an ra tic ns ip ito az ria io ne pd l. D isc ip lin a po nt e
FINALITÀ D.L. XIV LEGISLATURA AL 24 DICEMBRE 2003
em er ge nz a
312
(Grafico 8)
(Grafico 9)
313
Notizia sugli autori
Andrea Betto è dottorando in Diritto costituzionale presso l’Università di Padova. Ana Maria Carmona Contreras è docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Siviglia. Enzo Cheli è Giudice emerito della Corte costituzionale. Alfonso Celotto è docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Roma Tre. Alessandra Concaro è docente di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Verona. Ugo De Siervo è Giudice della Corte costituzionale. Giovanni Di Cosimo è docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Macerata. Erik Longo è assegnista in Diritto costituzionale presso l’Università di Macerata. Laura Lorello è docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Palermo. Nicola Lupo è docente di Diritto costituzionale presso la LUISS «Guido Carli», Roma. Cesare Pinelli è docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Macerata. Giovanni Pitruzzella è docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Palermo. Andrea Pugiotto è docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Ferrara. Roberto Romboli è docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Pisa. Andrea Simoncini è docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Macerata. Filippo Vari è ricercatore in Diritto costituzionale presso l’Università di Bari.