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Alfred E. van Vogt NON-A PARTE SECONDA LE PEDINE DEL NON-A Editrice Nord, Milano. Prima edizione Ottobre 1973. Titolo originale: THE PAWNS OF NULL-A. Traduzione di Riccardo Valla. Copyright © 1945/1948/1970 by Alfred E. van Vogt. Copyright © 1973/1988 Casa Editrice Nord, CAPITOLO 1
"Il normale sistema nervoso umano è potenzialmente superiore a quello di qualsiasi animale. Nell'interesse della propria sanità mentale, e per assicurare alla propria mente uno sviluppo equilibrato, ciascun individuo deve imparare a orientarsi nei confronti del mondo che lo circonda.
Ci sono metodi di addestramento che lo rendono possibile". Ombre. Un movimento, sulla collina dove un tempo era sorta la Macchina delle Selezioni e dove ora tutto era desolazione. Due figure, una delle quali bizzarramente informe, camminavano lente tra gli alberi. Quando, uscendo dal buio, furono illuminate da un lampione che s'ergeva come una sentinella solitaria su quel poggio da cui si scorgeva il panorama della città, una delle due figure si rivelò per un normalissimo uomo a due gambe. L'altra era un'ombra, fatta d'ombre e d'oscurità attraverso la quale si poteva vedere il lampione. Un uomo, e un'ombra che si muoveva come un uomo, ma che non lo era. Un uomo ombra che si fermò quando raggiunsero la ringhiera che cingeva l'orlo della collina. Che si fermò e indicò con un braccio d'ombra la città al di sotto e parlò con una voce che non era d'ombra, ma molto umana. — Ripetete le vostre istruzioni, Janasen. Se l'altro aveva timore del suo bizzarro compagno, non lo mostrò. Sbadigliò. — Ho sonno — disse. — Le istruzioni!
L'uomo fece un gesto d'irritazione. — Sentite, signor Seguace — disse, con voce seccata, — non parlatemi con questo tono. La vostra messinscena non mi spaventa. Voi mi conoscete. Farò il lavoro. — La vostra insolenza — disse il Seguace, — metterà alla prova la mia pazienza una volta di troppo. Voi sapete che i miei movimenti mettono in gioco energie temporali. I vostri indugi sono calcolati per darmi fastidio, e io vi dirò questo: se sarò costretto in una situazione spiacevole per causa vostra, romperò i nostri rapporti. Nella voce del Seguace v'era una nota così furiosa che l'uomo non disse altro. Si chiese perché punzecchiasse sempre quell'individuo immensamente pericoloso, e l'unica risposta che poté trovare era questa: detestava essersi ridotto a fare il tirapiedi di un essere che gli era superiore sotto ogni punto di vista. — Su, presto! — disse il Seguace. — Ripetete le istruzioni. Riluttante, l'uomo cominciò. Le parole non avevano alcun significato per la brezza che soffiava dietro di loro; galleggiavano nell'aria della notte come fantasmi d'un sogno, o ombre che si dissipavano alla luce solare. Parlavano di approfittare del combattimento che presto sarebbe finito. Vi sarebbe stato un posto disponibile all'Istituto per l'Emigrazione. — I documenti falsi mi permetteranno di svolgere quel lavoro per il tempo
necessario. — E lo scopo del piano era impedire a Gilbert Gosseyn di andare su Venere se non quando fosse stato troppo tardi. L'uomo non immaginava chi fosse Gosseyn, né per che cosa sarebbe stato troppo tardi… ma i mezzi per farlo erano abbastanza chiari. — Mi servirò dell'autorità dell'Istituto, e giovedì, fra quattordici giorni, quando la "Presidente Hardie" partirà per Venere, farò in modo che avvenga un incidente in un certo momento… e voi farete in modo che lui si trovi lì, e che l'incidente capiti proprio a lui. — Io non "farò" niente — disse il Seguace con voce remota. — Io mi limito solo a prevedere che passerà da lì al momento giusto. Ora, qual è il momento dell'incidente? — 9,28 del mattino, zona oraria 10. Vi fu una pausa. Il Seguace sembrava meditare. — Devo avvertirvi — disse alla fine, — che Gosseyn è un uomo insolito. Non so se questo possa influire o meno sugli eventi. Non sembra esservi ragione perché influisca, ma la possibilità c'è. State in guardia. L'uomo scrollò le spalle. — Posso fare solo del mio meglio. Non sono preoccupato. — Verrete poi allontanato nel modo dovuto, come al solito. Potrete aspettare qui o su Venere.
— Venere — disse l'uomo. — Benissimo. Vi fu un silenzio. Il Seguace si mosse lievemente, come per liberarsi della vicinanza dell'altro. La sua forma d'ombra sembrò all'improvviso meno concreta. La luce del lampione splendette nitida attraverso la sostanza nera del suo corpo, ma la sagoma nebbiosa, anche quando divenne più vaga e meno marcata, rimase compatta e mantenne la sua forma. Svanì di colpo, come se non fosse mai esistita. Janasen aspettò. Era un uomo pratico, ed era curioso. Aveva già visto altri trucchi di quel tipo, ed era in parte convinto che anche questo lo fosse. Dopo tre minuti, la pavimentazione stradale, nel punto in cui era scomparso il Seguace, cominciò a divampare. Janasen si ritirò, cautamente. Il fuoco infuriò rabbioso, ma non così violento da impedirgli di vedere una macchina dalle parti complesse, mentre le fiamme bianche e sibilanti ne fondevano la struttura, riducendola a una massa informe. Non attese la fine, ma si avviò lungo il sentiero che portava a una stazione di robotaxi.
Dieci minuti più tardi, era in città. La trasformazione dell'energia temporale procedette con il suo passo indeterminabile fino alle 8,43 del primo giovedì del marzo 2561. L'incidente a Gilbert Gosseyn era previsto per le 9,28. 8,43. Nello spazioporto sulla montagna al di sopra della città, la "Presidente Hardie", diretta per Venere, si dispose nella posizione del decollo. Doveva partire all'una del pomeriggio. Erano passate due settimane da quando il Seguace e il suo sicario avevano guardato la città da un mondo immerso nella notte. Erano passate due settimane e un giorno da quando un fulmine artificiale era scaturito da una cavità d'energia, all'Istituto di Semantica Generale, e aveva carbonizzato la testa di Thorson. E, come risultato, i combattimenti nella città erano cessati dopo tre giorni. Dovunque, gli strumenti robotici ronzavano, sibilavano e lavoravano sotto la direzione dei loro cervelli elettronici. In undici giorni una città gigantesca era ritornata in vita, non senza sudore, non senza che gli uomini dovessero piegare la schiena accanto alle macchine. Ma i risultati erano già colossali. L'approvvigionamento dei viveri era tornato normale. Quasi tutti i segni della lotta erano scomparsi. E, cosa più importante, il timore delle forze sconosciute che avevano colpito il sistema solare e che provenivano dalle stelle si dileguava, via via che giungevano notizie da
Venere e che i giorni passavano. 8,30: su Venere, nella caverna che un tempo era la segreta base galattica del Massimo Impero nel sistema solare, Patricia Hardie sedeva nel suo appartamento dell'albero studiando una guida stellare. Indossava un abito tre giorni, che avrebbe portato solo per quel giorno prima di distruggerlo. Era una giovane donna snella, il cui piacevole aspetto era adombrato da una caratteristica più curiosa: un'aria di autorità. L'uomo che aprì la porta ed entrò in quel momento si fermò a guardarla, ma lei non diede segno d'averlo sentito entrare. Eldred Crang attese, divertito ma non turbato. Rispettava e ammirava Patricia Hardie, che tuttavia non era ancora pienamente addestrata nella filosofia non-A, e che quindi aveva determinati «schemi» di reazione già instaurati, anche se probabilmente non ne era conscia. Mentre, la guardava, lei doveva aver inconsciamente accettato la sua intrusione, perché si voltò e lo guardò. — Ebbene? — chiese. L'uomo si diresse verso di lei. — Niente — disse. — Che messaggio è? — Il diciassettesimo. — L'uomo scosse il capo. —
Temo che siamo stati troppo lenti. Credevamo che Gosseyn avrebbe trovato il modo di tornare qui. Ora la nostra sola speranza è che sia a bordo della nave che lascerà la Terra, oggi, diretta a Venere. Per un po' vi fu silenzio. La donna tracciò alcuni segni sulla guida con uno strumento appuntito. Quando toccava la pagina, il materiale splendeva con una debole luce azzurrina. Finalmente scrollò le spalle. — Non possiamo far nulla. Chi avrebbe pensato che Enro avrebbe scoperto così presto ciò che tu stavi facendo? Per fortuna sei stato svelto, e i suoi soldati, in questa zona, sono già stati assegnati a decine di basi, e sono già utilizzati per altri scopi. — Sorrise, con ammirazione. — Sei stato molto abile, mio caro, a lasciare quei soldati alle tenere cure dei comandanti delle basi. Sono così ansiosi di avere più uomini nei loro settori, che, quando qualche ufficiale responsabile ne affida loro qualche milione, cercano di nasconderli. Anni fa, Enro dovette trovare un sistema complicato per rintracciare le armate ch'erano andate perdute proprio in questo modo. Poi si interruppe. — Hai scoperto fino a quando potremo stare qui? — Cattive notizie — disse Crang. — Su Gela 30 hanno ordine di isolare Venere dal circuito a matrice
individuale, nel momento in cui tu e io giungeremo su Gela. Lasciano aperta la strada per le astronavi, ed è già qualcosa, ma mi hanno detto che i distorter personali verranno disattivati entro ventiquattro ore, sia che arriviamo a Gela o no. — E corrugò la fronte. — Se almeno Gosseyn si affrettasse! Credo che potrei ottenere ancora un giorno o due senza rivelare la tua identità. Credo che dovremmo correre il rischio. Secondo me, Gosseyn è più importante di noi. — La tua voce ha uno strano tono — disse seccamente Patricia Hardie. — E' accaduto qualcosa. Che cos'è, è scoppiata la guerra? Crang esitò, poi: — Quando ho mandato il messaggio, poco fa, ho scoperto una confusione di chiamate provenienti all'incirca dal centro della Galassia. Novecentomila astronavi da battaglia stanno attaccando le forze centrali della Lega nel Sesto Raggio. La giovane donna tacque a lungo. Quando parlò, aveva gli occhi pieni di lagrime. — Dunque Enro si è lanciato. — Scosse il capo, incollerita, e si asciugò le lagrime. — Questo sistema tutto. Ne ho abbastanza di lui. Puoi fargli tutto ciò che vuoi, se mai te ne capiterà l'occasione.
Crang non si commosse. — Era inevitabile. E' questa rapidità, che mi preoccupa. Siamo stati colti di sorpresa. Pensa, aspettare fino a ieri per mandare il dottor Kair sulla Terra a cercare Gosseyn. — E quando vi arriverà? — Lei agitò una mano. — Lascia perdere. Me l'hai già detto, no? Dopodomani. Eldred, non possiamo aspettare. Si alzò, gli andò vicino. Socchiuse gli occhi, intenta, mentre studiava il viso di lui. — Non ci obbligherai a correre rischi disperati, spero. — Se non aspettiamo — disse Crang, — Gosseyn sarà tagliato fuori, qui, a novecentosettantun anni luce dal più vicino trasporto interstellare. Patricia disse, in fretta: — In qualunque momento, Enro potrebbe similarizzare una bomba atomica nella caverna. — Non credo che distruggerà la base. E' occorso troppo tempo per costruirla e, inoltre, credo che lui sappia che tu sei qui. Lei lo guardò, attenta. — Da chi può avere ottenuto questa informazione? Crang sorrise. — Da me — disse. — Dopotutto, dovevo
dire a Thorson chi eri, per salvarti la vita. E l'ho detto anche a una spia di Enro. — Comunque — disse Patricia, — sono tutte ipotesi. Se potremo andarcene, potremo sempre tornare a prendere Gosseyn. Crang la fissò, pensoso. — C'è anche qualcosa d'altro. Dimentichi che Gosseyn ha sempre pensato che dietro di lui vi fosse un essere che chiamava, in mancanza d'un nome migliore, un giocatore di scacchi cosmico. E', naturalmente, un paragone approssimativo, ma, se vogliamo farlo, allora dobbiamo pensare a un secondo giocatore. Gli scacchi non sono un gioco che si gioca da soli. Un'altra cosa: Gosseyn si considerava come un pedone giunto alla settima fila, e che alla prossima mossa diventerà regina. Bene, io credo che sia già diventato regina, quando ha ucciso Thorson. Reesha, è pericoloso lasciare una regina in una posizione in cui non si può muovere. Gosseyn dovrebbe uscire allo scoperto, fra le stelle, dove avrà la massima mobilità possibile. Secondo me, finché i giocatori si nascondono e possono fare le loro mosse senza essere osservati, Gosseyn è in mortale pericolo. Credo che un indugio, anche di pochi mesi, potrebbe essere fatale. Patricia tacque per un poco, poi: — E dove andremo?
— Beh, dovremo usare i trasmettitori regolari. Ma ci fermeremo in qualche posto, per avere notizie. Se è come penso, c'è un solo posto in cui possiamo andare. — Oh — disse lei, in tono inespressivo. — E per quanto intendi aspettare? Crang la guardò malinconicamente, e trasse un profondo respiro. — Se il nome di Gosseyn — disse, — è nell'elenco dei passeggeri della "Presidente Hardie"… e avrò quella lista poco dopo la sua partenza dalla Terra… aspetteremo finché arriverà. Tre giorni e due notti, da questo momento. — E se il suo nome non è nell'elenco? — Allora partiremo non appena ne saremo sicuri. Il nome di Gilbert Gosseyn, come si scoprì, non era nell'elenco dei passeggeri della "Presidente Hardie". 8,43: Gosseyn si svegliò con un sussulto, e quasi immediatamente fu conscio di tre cose: che ora fosse, che il sole splendeva dalla finestra della camera d'albergo, e che il visifono vicino al letto ronzava con sommessa insistenza. Si levò a sedere e si svegliò completamente, e
bruscamente ricordò che quello era il giorno in cui la "Presidente Hardie" doveva partire per Venere. Quel pensiero lo galvanizzò. I combattimenti avevano ridotto il traffico tra i due pianeti a un solo velo settimanale, e doveva ancora ottenere il permesso di imbarcarsi quel giorno. Accese il ricevitore ma, poiché era ancora in pigiama, non accese lo schermo. — Qui Gosseyn — disse. — Signor Gosseyn — rispose una voce d'uomo, — qui è l'Istituto per l'Emigrazione. Gosseyn si irrigidì. Sapeva che quello era il giorno della decisione, e la voce al telefono aveva un tono che non gli piaceva. — Chi parla? — chiese, seccamente. — Janasen. — Oh! — Gosseyn fece una smorfia. Era l'uomo che aveva sollevato tanti ostacoli, che aveva insistito perché producesse un certificato di nascita e altri documenti e che aveva rifiutato di riconoscere per valido un esame favorevole dell'apparecchio della verità. Janasen era un funzionario di grado inferiore, un grado tuttavia sorprendente, in considerazione della sua incapacità patologica a fare qualunque cosa per iniziativa propria.
Non era la persona cui parlare, il giorno in cui una nave doveva partire per Venere. Gosseyn accese il video. Attese fino a che l'immagine del viso appuntito dell'altro fu chiara, poi: — Sentite, Janasen, voglio parlare con Yorke. — Sono stato incaricato dal signor Yorke. — Janasen era imperturbabile. Il suo viso era stranamente liscio, nonostante la magrezza. — Passatemi Yorke — disse Gosseyn. Janasen ignorò l'interruzione. — E' stato deciso — disse, — che in considerazione della situazione su Venere… — Passatemi la linea! — disse Gosseyn in tono minaccioso. — Parlerò con Yorke, e con nessun altro! —… su Venere, la vostra domanda per il visto d'ingresso è stata respinta — disse Janasen. Gosseyn era furioso. Da quattordici giorni quell'uomo lo teneva lì fermo, e adesso, la mattina della partenza della nave, quella era la decisione! — Questo rifiuto — disse l'impassibile Janasen, —
non vi impedirà di presentare di nuovo domanda quando la situazione su Venere sarà stata chiarita da opportune direttive del Consiglio Venusiano per l'Immigrazione. — Dite a Yorke che andrò da lui subito dopo la prima colazione — ribatté Gosseyn. Le sue dita girarono l'interruttore, troncando la comunicazione. Gosseyn si vestì in fretta, poi si fermò a guardarsi nel grande specchio della stanza. Era un uomo alto, dal viso severo, sui trentacinque anni. La sua vista era troppo acuta per non accorgersi delle caratteristiche insolite di quella immagine. A un'occhiata distratta sembrava normale, ma, ai suoi occhi, la testa era troppo grande per il corpo. Solo la robustezza delle spalle, delle braccia e dei muscoli pettorali rendevano accettabile la proporzione della testa. Era un uomo che si poteva classificare come «leonino». Mise il cappello; ora aveva l'aria d'un uomo robusto, dal viso forte e muscoloso, il che era soddisfacente. Desiderava farsi notare il meno possibile. Il cervello supplementare, che rendeva la sua testa più grande di un sesto rispetto a quella di un comune essere umano, aveva i suoi limiti. Nelle due settimane trascorse dalla morte del grande Thorson, Gosseyn era stato libero, per la prima volta, di metterne alla prova la terrificante potenza… e i risultati avevano nettamente modificato la
sua precedente sensazione di invincibilità. Qualche minuto oltre ventisei ore era il tempo massimo durante il quale la sua versione «memorizzata» d'una sezione del pavimento era valida. Nessun cambiamento era visibile nel pavimento, ma in qualche modo si alterava, e non gli era più possibile ritornare ad esso con il metodo istantaneo della similarizzazione. Questo significava che doveva, alla lettera, ricostruire le sue difese ogni mattina e ogni sera, per non lasciarsi mai cogliere senza alcuni punti chiave in cui fuggire in caso di emergenza. I limiti temporali presentavano alcuni aspetti preoccupanti. Ma se ne sarebbe interessato una volta giunto su Venere. Quando salì sull'ascensore, un momento più tardi, guardò l'orologio. 9,27. Un minuto dopo, alle 9,28, nel momento esatto in cui l'incidente era stato previsto, l'ascensore precipitò, fracassandosi. CAPITOLO 2
"La Semantica Generale permette all'individuo i seguenti adattamenti nei confronti della vita: 1 ) Egli può anticipare logicamente il futuro. 2) Egli può conseguire risultati
conformi alle sue capacità. 3) 11 suo comportamento è sempre adeguato al suo ambiente". Gosseyn arrivò all'astroporto sulla montagna pochi minuti prima delle undici. L'aria, a quell'altezza, era fresca e pungente, e produceva un effetto esilarante. Si fermò vicino al recinto dietro al quale l'astronave giaceva sul suo sostegno. Il primo passo, pensò, era varcare quel recinto. Era fondamentalmente facile. La zona brulicava di gente, e una persona in più non sarebbe stata notata. Il problema era entrare senza che nessuno lo vedesse materializzarsi. Presa la decisione, non provò rimpianti. Il lieve ritardo causato dall'incidente (era fuggito dall'ascensore semplicemente similarizzandosi nella sua stanza d'albergo), gli aveva fatto comprendere che gli rimaneva ben poco tempo. Immaginò se stesso che tentava di ottenere un permesso dall'Istituto per l'Emigrazione, quell'ultimo giorno. L'immagine gli bastò. Il tempo per la legalità era finito. Scelse un punto oltre il recinto, dietro alcune casse, lo memorizzò, passò dietro un camion… e un attimo dopo
uscì di dietro le casse, e si diresse verso la nave. Nessuno cercò di fermarlo. Nessuno gli dedicò più di un'occhiata passeggera. Il fatto che fosse entro il recinto era una credenziale sufficiente, a quanto pareva. Salì a bordo e trascorse i primi dieci minuti memorizzando una decina di zone del pavimento con il suo cervello supplementare… e questo fu tutto. Durante il decollo, si sdraiò comodamente sul lettuccio d'uno dei migliori alloggi della nave. Circa un'ora dopo, una chiave girò nella serratura. Rapidamente, Gosseyn si sintonizzò su una zona memorizzata, e vi si trasportò in fretta. Aveva scelto con abilità i luoghi delle sue materializzazioni. I tre uomini che lo videro uscire da dietro una massiccia travatura pensarono che vi si trovasse da parecchi minuti, perché lo guardarono appena. Giunse tranquillamente nella parte posteriore della nave, e si fermò dietro il grande oblò di plexiglass, a guardare in giù, verso la Terra. Il pianeta era immenso, sotto di lui. Era un mondo immenso che ancora aveva colore. Mentre osservava, la Terra divenne lentamente d'un nero grigio, e si arrotondò. Cominciò a contrarsi rapidamente, e per la prima volta la vide come una grande sfera nebbiosa che galleggiava nello spazio buio.
In un certo senso, sembrava irreale. Quella prima notte restò in una delle cabine non occupate. Il sonno venne lentamente, perché i suoi pensieri erano irrequieti. Erano passate due settimane dalla morte del grande Thorson, e non aveva saputo nulla da Eldred Crang e Patricia Hardie. Tutti i tentativi di mettersi in contatto con loro attraverso l'Istituto per l'Emigrazione avevano incontrato la risposta invariabile: — Il nostro ufficio venusiano riferisce che non è possibile consegnare i messaggi. — Aveva pensato un paio di volte che Janasen, il funzionario dell'Istituto, provasse una soddisfazione personale nel dargli la cattiva notizia, ma questo non gli pareva possibile. Non v'era dubbio, così pareva a Gosseyn, che Crang si fosse impadronito del comando dell'esercito galattico lo stesso giorno in cui Thorson era morto. I giornali avevano riferito la notizia della ritirata degli invasori dalle città di Venere non-Aristotelico. Non erano chiare le ragioni di quella ritirata in massa, e pareva che i giornali non sapessero bene cosa succedeva. La situazione era comprensibile solo per lui, che sapeva ciò che aveva preceduto l'enorme disfatta. Crang aveva assunto il comando. Crang spediva i soldati galattici fuori del sistema solare con tutta la velocità consentita dalle astronavi a similarizzazione, lunghe tre chilometri, prima che Enro il Rosso, signore del Massimo Impero, scoprisse
che la sua invasione era stata sabotata. Ma questo non spiegava perché Crang non avesse incaricato qualcuno di mettersi in contatto con Gilbert Gosseyn, che, uccidendo Thorson, aveva reso possibile tutto questo. Gosseyn dormì male, per quel pensiero. Anche se il tremendo pericolo dell'invasione era allontanato, per il momento, il suo problema personale era ancora insoluto… Gilbert Gosseyn, che possedeva un cervello supplementare addestrato, che era morto, e che pure viveva una seconda volta in un corpo altamente simile al primo. Il proprio scopo doveva essere quello di scoprire tutto ciò che poteva su se stesso e sul suo tremendo metodo di immortalità. Qualunque fosse il gioco che veniva giocato attorno a lui, sembrava che egli fosse una delle sue figure più importanti. Doveva essere stato troppo sconvolto, a causa del lungo periodo di tensione e della spaventosa battaglia combattuta contro le forze corazzate di Thorson, altrimenti avrebbe scoperto prima che, gli piacesse o no, bene o male che fosse, egli era al di sopra della legge. Non avrebbe mai dovuto sprecare il suo tempo con l'Istituto per l'Emigrazione. Nessuno gli fece domande. Quando qualche ufficiale veniva verso di lui, si faceva da parte, e poi svaniva in una delle zone memorizzate. Tre giorni e due notti dopo la
partenza, la nave scese nei cieli nebbiosi di Venere. Egli scorse alberi colossali, poi una città apparve all'orizzonte. Gosseyn scese la scaletta insieme agli altri quattrocento passeggeri. Dal suo posto, nella fila che si muoveva in fretta, osservò lo sbarco. Ogni passeggero si avvicinava a un apparecchio della verità, vi parlava, riceveva la conferma e passava oltre una specie di porta girevole nella parte più spaziosa del Palazzo dell'Immigrazione. Con quell'immagine chiara nella mente, Gosseyn memorizzò un punto dietro una colonna, oltre la porta girevole. Poi, come se avesse dimenticato qualcosa, ritornò a bordo della nave e vi si nascose, finché scese l'oscurità. Quando le ombre si stesero profonde e lunghe sul suolo, si materializzò dietro la colonna, nel Palazzo dell'Immigrazione, e si diresse con calma verso la porta più vicina. Un attimo dopo camminava sul marciapiedi, e stava guardando una strada che scintillava di un milione di luci. Provava la netta impressione di essere all'inizio e non alla fine della sua avventura… Gilbert Gosseyn, che sapeva sul conto di se stesso solamente quel tanto che bastava per sentirsi insoddisfatto. La caverna era guardata da una divisione di venusiani nonA, ma nessuno ostacolava il flusso non abbondante ma continuo di visitatori. Gosseyn vagò sconsolato lungo i corridoi vivamente illuminati della città sotterranea. L'immensità di quella che era stata la base segreta, nel sistema solare, del Massimo Impero lo sconvolgeva.
Ascensori silenziosi a distorter lo portarono ai piani superiori, attraverso stanze piene di macchine scintillanti, alcune delle quali erano ancora attive. Ogni tanto si fermava per guardare gli ingegneri venusiani che esaminavano strumenti e apparecchi meccanici. Un comunicatore attirò l'attenzione di Gosseyn, e un'improvvisa curiosità lo spinse a fermarsi e ad accenderlo. Vi fu una pausa, poi la voce del robocentralinista disse: — Che stella volete chiamare? Gosseyn trasse un profondo respiro. — Vorrei — disse, — parlare a Eldred Crang o a Patricia Hardie. Attese, con crescente eccitazione. L'idea gli era venuta come un lampo, e non riusciva a immaginare di poter avere successo. Però anche il fatto di non riuscire a entrare in contatto con loro sarebbe pur sempre stata una specie di informazione… Dopo parecchi secondi, il robot disse: — Eldred Crang ha lasciato il seguente messaggio: «A chiunque tentasse di localizzarmi, devo dire che, purtroppo, è impossibile entrare in comunicazione». — Era tutto. Non vi erano spiegazioni. — Qualche altra chiamata, signore? Gosseyn esitò. Era deluso, ma la situazione non era
completamente contraria. Crang aveva lasciato in funzione il collegamento tra il sistema solare e l'immensa organizzazione videofonica interstellare. Era una grande occasione per i venusiani, e Gosseyn provò un brivido, al pensiero di quello che avrebbero potuto farne. Un'altra domanda prese forma nella sua mente. La risposta del robocentralinista fu pronta: — Una nave impiegherebbe circa quattro ore per venire qui da Gela 30, che è la base più vicina. Questo interessava molto Gosseyn. — Credevo che il trasporto per distorter fosse virtualmente istantaneo. — C'è un margine d'errore nel trasporto di materia, anche se il viaggiatore non ne è fisicamente cosciente e ha l'impressione che si tratti di un processo istantaneo. Gosseyn annuì. Poteva capirlo. Una similarità a venti decimali non era perfetta. Continuò: — Se chiamassi Gela, occorrerebbero otto ore per avere la risposta? — Oh, no. Il margine d'errore al livello elettronico è infinitesimamente piccolo. Per quanto riguarda Gela, la differenza sarebbe circa di un quinto di secondo. Solo la materia è lenta. — Capisco — disse Gosseyn. — Si può parlare da una parte all'altra della Galassia quasi senza ritardi.
— E' esatto. — E se volessi parlare con qualcuno che non conosce la mia lingua? — Nessuna difficoltà. C'è un robot che traduce frase per frase, nel modo più colloquiale possibile. Gosseyn dubitava che quella traduzione verbale non presentasse difficoltà. Parte del modo non-A di affrontare la realtà riguardava le sottili relazioni tra una parola e l'altra. Le parole avevano significati sottili, e spesso avevano poca connessione con i fatti che avrebbero dovuto rappresentare. Poteva immaginare migliaia di equivoci fra cittadini galattici che parlavano lingue diverse. Poiché gli imperi galattici non conoscevano il Non-A e non lo praticavano, non si rendevano conto dei pericoli d'incomprensione impliciti nel processo di intercomunicazione per mezzo di robot. La cosa più importante era rimanere cosciente del problema, in ogni istante della comunicazione. Gosseyn disse: — E' tutto, grazie! — e interruppe la comunicazione. Arrivò infine nell'appartamento dell'albero che aveva diviso con Patricia Hardie quando entrambi erano prigionieri di Thorson. Cercò un messaggio eventualmente lasciato per lui, un resoconto più completo e personale al quale
potessero venire affidate più notizie che al centralino videofonico. Trovò la registrazione di parecchie conversazioni fra Patricia e Crang… ed ebbe ciò che voleva. Gli accenni alla misteriosa identità di Patricia non lo sorpresero. Aveva sempre esitato ad accettare le sue dichiarazioni sulla sua vita privata, anche se si era mostrata degna di fiducia nella lotta contro Thorson. Lo colpì la notizia dell'inizio della grande guerra spaziale. Scosse il capo quando seppe che i due contavano di tornare, per lui, entro «pochi mesi». Troppo tardi. Ma la crescente certezza di essere tagliato fuori, in un sistema solare isolato, lo rese più attento al resoconto abbastanza completo degli sforzi compiuti da Crang per mettersi in contatto con lui, sulla Terra. Naturalmente, il responsabile era Janasen. Gosseyn sospirò. Ma cos'aveva, quell'uomo, che si era assunto il compito di ostacolare un individuo che non conosceva? Un'antipatia personale? Possibile. Accadevano le cose più strane. Ma, riflettendoci, a Gosseyn sembrò che quella non fosse la spiegazione. Invece, ripensò a ciò che Crang aveva detto a proposito dei giocatori di scacchi nascosti e del pericolo che
rappresentavano. Era stranamente convincente, e fece tornare di nuovo il suo pensiero, come un faro, su Janasen. Quell'uomo era il punto di partenza. Qualcuno aveva messo Janasen sulla «scacchiera», forse solo per un attimo brevissimo di tempo, forse per uno scopo momentaneo… una semplice pedina in quel grande gioco… ma anche le pedine avevano un valore. Le pedine venivano da qualche luogo e, quando erano umane, ritornavano da dove erano venute. Probabilmente non c'era tempo da perdere. Eppure, mentre accettava la logica dei fatti, un altro proposito crebbe nella mente di Gosseyn. Considerò alcune possibilità, poi sedette davanti al comunicatore, e fece una chiamata. Quando il robocentralinista gli chiese con quale stella voleva parlare, disse: — Passatemi il più alto funzionario disponibile agli uffici della Lega Galattica. — Chi devo dire che lo desidera? Gosseyn diede il suo nome, poi attese. Il suo piano era semplice. Né Crang né Patricia Hardie avevano potuto informare la Lega di ciò che era accaduto nel sistema solare. Era un rischio che non si poteva correre senza grave pericolo. Ma la Lega, o almeno una piccola parte di essa, aveva esercitato la sua debole influenza nel tentativo di salvare Venere da Enro, e Patricia Hardie aveva dichiarato che i suoi funzionari permanenti si interessavano
al Non-A dal punto di vista dell'istruzione. Gosseyn vedeva molti vantaggi in quel contatto. La voce del robocentralinista interruppe i suoi pensieri. — Madrisol, il segretario della Lega, parlerà con voi. Quelle parole erano state appena pronunciate quando un viso magro e attento apparve sullo schermo. L'uomo dimostrava quarantacinque anni, e molte passioni erano scritte sul suo volto. I suoi occhi azzurri sfrecciarono sulla faccia di Gosseyn. Alla fine, evidentemente soddisfatto, Madrisol mosse le labbra per parlare. Vi fu un breve indugio, e poi: — Gilbert Gosseyn? Il tono del robot traduttore aveva una sfumatura interrogativa. Se era una rappresentazione ragionevolmente esatta dell'originale, allora era un lavoro straordinariamente ben fatto. Chi, suggeriva quel tono, era Gilbert Gosseyn? Quello fu un argomento che Gosseyn non discusse affatto. Fornì il suo resoconto degli eventi nel sistema solare, «ai quali ho ragione di credere che la Lega sia interessata». Eppure, mentre parlava, provava delusione. Si era aspettato un certo aspetto non-A nel segretario permanente della Lega, ma il viso di quell'uomo indicava che era un individuo di tipo talamico. Le emozioni lo dominavano. Quasi tutte le sue azioni e le sue decisioni
dovevano essere basate su schemi di reazione emotivi, e non sui processi cortico-talamici non-A. Stava descrivendo la possibilità di usare i venusiani nella battaglia contro Enro, quando Madrisol interruppe il suo pensiero e la sua esposizione. — Voi proponete — disse, — che gli Stati della Lega stabiliscano una comunicazione con la Terra e permettano ai non-A addestrati di dirigere le mosse della Lega in questa guerra. Gosseyn si morse le labbra. Dava per scontato che i venusiani avrebbero raggiunto in tempo brevissimo le posizioni più alte, ma gli individui talamici non dovevano sospettarlo. Una volta avviato il processo, sarebbero stati sorpresi della rapidità con la quale gli uomini non-A, venuti in origine dalla Terra, avrebbero raggiunto le altissime posizioni che ritenevano necessario raggiungere. Esibì un sorriso amaro e disse: — Naturalmente, gli uomini non-A sarebbero d'aiuto dal punto di vista tecnico. Madrisol si accigliò. — Sarebbe difficile — disse. — Il sistema solare è stretto tra sistemi stellari dominati dal Massimo Impero. Se tentassimo di penetrarvi, daremmo l'impressione di attribuire una particolare importanza a Venere, e in questo caso Enro potrebbe distruggere i vostri pianeti. Tuttavia, discuterò la questione con i
funzionari competenti, e potete essere certo che verrà fatto il possibile. Ma ora, se non vi spiace… Era un congedo. Gosseyn disse, in fretta: — Vostra Eccellenza, senza dubbio può essere trovata qualche abile soluzione. Navi di piccola stazza potrebbero filtrare, e prelevare qualche migliaio degli uomini meglio addestrati, che potrebbero essere d'aiuto. — E' possibile, è possibile… — Madrisol sembrava impaziente, e il traduttore meccanico riportava proprio quel tono. — Ma ne discuterò con… — Qui su Venere — incalzò Gosseyn, — abbiamo un trasmettitore a distorter, intatto, in grado di prendersi cura di astronavi lunghe tre chilometri. Forse voi potreste utilizzarlo. Forse potreste anche darmi un'idea sul tempo per il quale un simile trasmettitore rimane similarizzato con i trasmettitori di altri sistemi. — Riferirò tutto questo — disse Madrisol, — agli esperti competenti, e verrà presa una decisione. Presumo che su Venere vi sarà qualcuno autorizzato a discutere il problema. — Farò sì che il robocentralinista vi metta in grado di parlare alle… ehm, alle autorità costituite di qui — disse Gosseyn, reprimendo un sorriso. Non c'erano «autorità» su
Venere, ma non era il momento di addentrarsi nella discussione della democrazia volontaria non-A. — Addio e buona fortuna. Si udì un ticchettio, e il viso attento scomparve. Gosseyn istruì il robocentralinista perché passasse tutte le future comunicazioni provenienti dallo spazio all'Istituto di Semantica della città più vicina, e interruppe la comunicazione. Era ragionevolmente soddisfatto. Aveva messo in moto un altro processo e, sebbene non avesse intenzione di aspettare, per lo meno stava facendo ciò che poteva. Poi doveva pensare a Janasen… anche se forse significava dover fare ritorno sulla Terra. CAPITOLO 3
"Per essere sano di mente e adattato come essere umano, un individuo deve rendersi conto che non può conoscere tutto ciò che c'è da conoscere. Non è sufficiente comprendere intellettualmente questa limitazione; la comprensione deve essere un processo ordinato e condizionato, altrettanto «inconscio» quanto «conscio». Tale condizionamento è essenziale per poter perseguire in modo equilibrato la conoscenza della natura della materia e della vita".
Era tardi, e Janasen non si era ancora ripreso dalla sorpresa di essere stato strappato dagli uffici dell'Istituto per l'Emigrazione. Non aveva sospettato la presenza d'una macchina trasportatrice nel suo ufficio. Il Seguace doveva avere altri agenti, in quel sistema planetario. Si guardò attorno, cautamente. Era in un parco fiocamente illuminato. Una cascata scendeva dall'alto oltre un folto d'alberi: gli spruzzi scintillavano nella luce vaga. Il Seguace stava profilato contro quegli spruzzi, ma il suo corpo senza forma sembrava fondersi nell'oscurità che lo circondava. Il silenzio si prolungò, e Janasen si agitò, ma preferì non parlare per primo. Finalmente il Seguace si scosse e si avvicinò. — Ho faticato ad adattarmi — disse. — Questi complessi problemi di energia mi hanno sempre dato un po' fastidio, perché non ho la mente portata per la meccanica. Janasen mantenne il silenzio. Non si era aspettato una spiegazione, e non si sentiva qualificato a interpretare quella che aveva ricevuto. Attese. — Dobbiamo correre il rischio — disse il Seguace. — Ho seguito la linea attuale perché desidero isolare Gosseyn da coloro che potrebbero aiutarlo e, se necessario, per distruggerlo. Il piano che ho accettato di seguire in appoggio a Enro il Rosso non può venire intralciato da una persona dalle sconosciute facoltà potenziali.
Nel buio, Janasen scrollò le spalle. Poi, per un attimo, si stupì della propria indifferenza. Per un momento gli lampeggiò nella mente il pensiero che, in un uomo come lui, c'era qualcosa di superiore al normale. Il pensiero passò. Non importava il rischio che correva o quali fossero le facoltà potenziali dei suoi avversari. Non gli importava. «Sono uno strumento» pensò con orgoglio. «Io servo un padrone ombra.» Rise, selvaggiamente. Era intossicato del proprio Io e di ciò che faceva e pensava e sentiva. Aveva detto di chiamarsi Janasen perché era il nome più vicino a quello vero. David Janasen. Il Seguace parlò di nuovo. — Vi sono bizzarre confusioni — disse, — nel futuro di questo Gosseyn, ma giungono ugualmente alcune immagini… sebbene nessun Profeta possa riceverle chiaramente. Eppure sono certo che vi cercherà. Non cercate di prevenirlo. Scoprirà che il vostro nome era nell'elenco dei passeggeri della "Presidente Hardie". Si chiederà perché non vi ha visto, ma questo gli indicherà che anche voi siete su Venere. In questo momento siamo in un parco, a New Chicago… — Uh! — Janasen si guardò intorno, sbalordito. Ma c'erano solo alberi, e cespugli ombrosi, e il sibilo della cascata. Ogni tanto, deboli lampioni gettavano un pallido
chiarore nell'ombra, ma non v'era traccia d'una città. — Queste città venusiane — disse il Seguace, — non hanno paralleli nella Galassia. Sono disposte urbanisticamente, pianificate, in modo diverso. Tutto è gratuito: cibo, trasporto, alloggio… tutto. — Bene, questo semplifica le cose. — Non proprio. I venusiani ora conoscono l'esistenza di esseri umani sui pianeti di altre stelle. Essendo stati invasi una volta, tendono a prendere precauzioni. Tuttavia, voi avrete circa una settimana, durante la quale Gosseyn dovrebbe scoprirvi. — E una volta che mi avrà scoperto? — Janasen era interessato. — Conducetelo nel vostro appartamento e dategli questo. L'oggetto uscì dall'oscurità, scintillando, mentre cadeva, come una fiamma bianca. Giacque sull'erba, splendente come uno specchio nel sole. — Di giorno non è così chiaro — disse il Seguace. — Ricordate, dovete darglielo nella vostra stanza. Ora, avete qualche domanda?
Janasen si chinò e raccolse l'oggetto lucente. Sembrava un cartoncino di plastica: al tatto era liscio e vitreo. V'era stampato qualcosa, in caratteri troppo piccoli per essere letti a occhio nudo. — E che cosa dovrà farne? — Dovrà leggere il messaggio. Janasen si accigliò. — E che accadrà? — Non è necessario che voi lo sappiate. Limitatevi a eseguire le mie istruzioni. Janasen rifletté, poi fece una smorfia. — Prima avete detto che dobbiamo correre il rischio. Mi sembra che a correre rischi, però, sarò soltanto io. — Amico mio — disse il Seguace con voce d'acciaio, — vi assicuro che vi ingannate. Ma non discutiamo. Altre domande? In realtà, si disse Janasen, non si era mai preoccupato minimamente dei propri rischi. — No — rispose. Vi fu silenzio. Poi il Seguace cominciò a svanire.
Fu impossibile per Janasen dire quando la scomparsa fu completa. Ma alla fine si accorse di essere solo. Gosseyn guardò il «cartoncino», poi Janasen. La calma di quell'uomo l'interessava, perché gli permetteva di studiarne meglio il carattere. Janasen era un solipsista, che aveva ottenuto un equilibrio nella sua nevrosi sviluppando un atteggiamento di compensazione: dipendere dal modo con cui gli altri uomini più forti tolleravano o meno la sua arroganza. La scena del loro incontro era tipicamente venusiana. Sedevano in una stanza che si apriva su un patio, nel quale crescevano giovani arbusti in fiore. Era una stanza fornita di tutte le comodità, compreso un dispensatore automatico di cibo e arnesi da cucina automatici che evitavano la necessità di avere una cucina vera e propria. Gosseyn studiò l'uomo dalle guance incavate, con ostilità. L'impresa di trovare Janasen non era stata troppo complicata. Pochi messaggi interplanetari… questa volta non intralciati; un rapido esame dei registri robotici degli alberghi, e adesso era alla fine della pista. Fu Janasen che parlò per primo. — Il sistema di questo pianeta mi interessa. Non posso abituarmi all'idea del vitto gratuito.
Gosseyn disse, brusco: — Fareste meglio a cominciare a parlare. Ciò che farò di voi dipenderà esclusivamente da ciò che mi direte. I chiari, impavidi occhi azzurri lo fissarono pensosi. — Vi dirò tutto ciò che so — disse alla fine Janasen, alzando le spalle, — ma non perché mi abbiate fatto paura con le vostre minacce. Solo che non mi prendo il disturbo di serbare segreti sul conto mio o di nessun altro, ecco tutto. Gosseyn era disposto a crederlo. Quell'agente del Seguace sarebbe stato fortunato se fosse riuscito a vivere altri cinque anni, ma per tutto quel tempo avrebbe conservato il rispetto per se stesso. Non fece commenti, tuttavia, e alla fine Janasen cominciò a parlare. Descrisse i suoi rapporti con il Seguace. Sembrava molto franco. Aveva fatto parte del servizio segreto del Massimo Impero, e doveva avere attirato in qualche modo l'attenzione dell'uomo ombra. Riferì parola per parola la sua conversazione con il Seguace sul conto di Gosseyn. Poi si interruppe, e ritornò alla sua prima dichiarazione. — La Galassia — disse, — brulica di idee anarchiche, ma non avevo mai saputo che qualcuna potesse funzionare. Ho cercato di immaginare in che modo questa roba nonartistica… — Chiamatelo Non-A — disse Gosseyn.
-… questo Non-A funzioni, ma sembra che dipenda dal buon senso della gente, e rifiuto di crederlo. Gosseyn non disse altro. Perché era la sanità mentale stessa che veniva discussa, e non poteva essere spiegata con le sole parole. Se Janasen era interessato, poteva frequentare le scuole. L'altro dovette intuire il suo umore, perché alzò di nuovo le spalle. — Avete letto il cartoncino? — chiese. Gosseyn non rispose immediatamente. Era chimicamente attivo, ma non in modo dannoso. Ebbe l'impressione che fosse di materiale assorbente. Eppure era un oggetto strano, evidentemente una creazione della scienza galattica, ed egli non aveva intenzione di mostrarsi avventato. — Questo Seguace — disse alla fine, — aveva davvero predetto che io sarei entrato nell'ascensore alle nove e ventotto! Era difficile crederlo. Perché il Seguace non era della Terra, non era del sistema solare. Da uno dei luoghi remoti della Galassia, quell'essere aveva rivolto la sua attenzione su Gilbert Gosseyn. E aveva affermato che Gilbert Gosseyn avrebbe fatto una determinata cosa in un determinato momento. Era questo che sottintendeva il racconto di Janasen.
La complessità della profezia era sbalorditiva. Rendeva prezioso quel «cartoncino». Poteva vedere che vi era stampato qualcosa, ma le parole erano illeggibili. Si chinò per vedere meglio. Ma i caratteri erano troppo piccoli. Janasen spinse una lente verso di lui. — Ho dovuto prendere questa, se ho voluto leggerlo — disse. Gosseyn esitò, ma finalmente prese il cartoncino e lo esaminò. Cercò di pensare ad esso come a un interruttore che poteva far scattare un meccanismo più grande, ma quale? Si guardò intorno. Quando era entrato, aveva memorizzato le prese elettriche più vicine e aveva seguito i fili sotto tensione. Alcuni correvano verso la tavola accanto alla quale sedeva, e fornivano energia alla cucina automatica che vi era incorporata. Alla fine, Gosseyn alzò gli occhi. — Voi e io dovremo stare insieme per un po', signor Janasen — disse. — Ho l'impressione che stiate per essere portato via da Venere per mezzo d'una nave o di un trasportatore a distorter. E io intendo venire con voi. Lo sguardo di Janasen era curioso. — Non credete che sia
pericoloso? — Sì — disse Gosseyn, con un sorriso. — Sì, può darsi. Vi fu silenzio. Poi Gosseyn sintonizzò il cartoncino a una delle sue zone memorizzate, e stabilì, come segnale d'attivazione, una semplice traccia di dubbio o di timore. Se l'emozione del dubbio o del timore fosse comparsa nella sua mente, il cartoncino sarebbe stato istantaneamente similarizzato fuori della stanza. La precauzione non era completamente adeguata, ma gli pareva di dover correre il rischio. Mise a fuoco la lente sul cartoncino, e lesse:
"Gosseyn: un distorter ha una qualità affascinante. E' alimentato da energia elettrica, ma non mostra caratteristiche insolite, neppure quando è attivato. Uno strumento del genere è incorporato nella tavola a cui sedete. Se siete arrivato a leggere fino a questo punto, ormai siete già caduto nella trappola più complicata che mai sia stata preparata per un singolo individuo".
Se l'emozione del timore venne, Gosseyn non la ricordò più tardi. Poiché vi fu solo il buio più completo. CAPITOLO 4
"La mente d'un bambino, essendo priva di una corteccia sviluppata, è virtualmente incapace di discriminazione. Il bimbo dà, inevitabilmente, molte false valutazioni del mondo. Molti di questi giudizi fallaci, non corrispondenti alla realtà, si instaurano, mediante un processo di condizionamento, nel sistema nervoso al livello «inconscio», e possono continuare a rimanerci anche nell'età adulta. In tal caso abbiamo davanti a noi una persona «bene istruita» che però reagisce in modo infantile". La ruota scintillava, mentre girava. Gosseyn la guardò, oziosamente, mentre stava disteso sul carro. Il suo sguardo si distolse, finalmente, dalla lucente ruota metallica, e si portò sull'orizzonte vicino, dove sorgeva un edificio. Era un edificio immenso che si levava, curvo, dal suolo, come una grande sfera, una parte della quale, soltanto, era esposta alla vista. Gosseyn lasciò che l'immagine filtrasse nella sua coscienza, e dapprima non si sentì né perplesso né preoccupato. Si accorse di stare facendo un paragone fra
quella scena e la stanza d'albergo in cui aveva parlato a Janasen. E poi pensò: "Io sono Ashargin". L'idea non era verbale; era un'automatica consapevolezza di sé, una semplice identificazione che saliva dagli organi e dalle ghiandole del suo corpo e che era accettata come vera dal suo sistema nervoso. Non completamente accettata. Gilbert Gosseyn respinse l'identificazione con uno stupore che cedette a un brivido di allarme e poi a un senso di confusione. Una brezza estiva gli alitava in viso. V'erano altri palazzi, accanto a quello più grande, sparsi qua e là in mezzo agli alberi che parevano formare una specie di sbarramento. Oltre gli alberi, come uno sfondo di insuperabile splendore, si levava una maestosa montagna incappucciata di neve. — Ashargin! Gosseyn sussultò quando quella voce baritonale risuonò a meno d'un palmo dal suo orecchio. Si girò, ma nel mezzo di quel gesto scorse le proprie dita. Questo lo fermò. Dimenticò l'uomo, dimenticò perfino di guardarlo. Stordito, esaminò le proprie mani. Erano snelle, delicate, diverse dalle mani più forti, più grandi, più ferme di Gilbert Gosseyn. Si guardò. Il suo corpo era sottile, fanciullesco. All'improvviso sentì la differenza dentro di sé: un senso di
debolezza, una forza vitale più fioca, un'interferenza di altri pensieri. No, non pensieri. Sensazioni. Espressioni di organi che una volta erano stati sotto il controllo di una mente diversa. La sua mente si ritrasse, sbigottita, e ancora una volta, a livello non verbale, risorse quella informazione stupefacente: «Io sono Ashargin». Non Gosseyn? La sua ragione vacillò, perché ricordò ciò che il Seguace aveva scritto sul «cartoncino»: "Ormai siete già caduto… nella trappola più complicata… mai preparata…." La sensazione di catastrofe che provò fu la più intensa che avesse mai provato. — Ashargin, pigrone, buono a nulla, scendi e sistema i finimenti del drull. Scese dal carro come un lampo. Con dita impazienti strinse la cinghia allentata del collare del robusto animale simile a un bove. Tutto questo avvenne prima che potesse pensare. Compiuto quel lavoro, risalì nel carro. Il guidatore, un sacerdote in abiti da lavoro, schioccò la frusta. Il carro proseguì e si diresse verso il cortile. Gosseyn si dibatteva cercando di capire la servile obbedienza che l'aveva spinto a correre come un automa.
Era difficile pensare. C'era tanta confusione. Ma finalmente una certa misura di comprensione arrivò. Un tempo un'altra mente aveva controllato quel corpo… la mente di Ashargin. Era una mente non integrata e malsicura, dominata da paure e da emozioni incontrollabili impresse nel sistema nervoso e nei muscoli del corpo. L'aspetto mortale di quel dominio era che la carne di Ashargin avrebbe reagito a livello inconscio a tutto quello squilibrio interno. Perfino Gilbert Gosseyn, che pure sapeva ciò che non andava, avrebbe avuto ben scarsa influenza su quelle violente coazioni fisiche… almeno, non prima di avere addestrato il corpo di Ashargin alla sanità cortico-talamica del Non-A. E finché non l'avesse addestrato… «E' così?» si chiese Gilbert Gosseyn. «E per questo che sono qui? Per addestrare questo corpo?» Più rapido delle sue domande, il flusso del pensiero organico gli salì al cervello. Memorie dell'altro. Ashargin. L'erede Ashargin. L'immenso significato di questo gli venne alla mente in modo lento e fioco, frammentario, perché erano accadute tante cose. Quando aveva quattordici anni, gli uomini di Enro si erano presentati alla scuola che lui frequentava. In quel giorno terribile si era
aspettato di venire ucciso dalle creature dell'usurpatore. Ma, invece di ucciderlo, l'avevano portato nel pianeta di Enro, Gorgzid, e l'avevano affidato alla cura dei sacerdoti del Dio Dormiente. Lì aveva lavorato nei campi e aveva sofferto la fame. Gli davano da mangiare al mattino, come a un animale. La notte dormiva tremando, a disagio, desiderando il mattino che gli avrebbe portato quell'unico pasto giornaliero che lo teneva in vita. La sua identità come erede Ashargin non era dimenticata, ma serviva solo a far notare come le vecchie famiglie regnanti tendessero a diventare deboli e decadenti: quando ciò avveniva, i maggiori imperi crollavano e cadevano nelle mani di uomini potenti come Enro il Rosso. Il carro girò attorno a un folto d'alberi che ornava la parte centrale della proprietà, e giunsero bruscamente in vista d'un veicolo aereo. Molti uomini in nere uniformi sacerdotali e un singolo individuo abbigliato in modo vistoso stavano ritti accanto all'aereo, e osservavano l'avvicinarsi del carro. Il sacerdote lavoratore si agitò, e spinse Ashargin con il manico della frusta, in un gesto affrettato e brutale. Disse: — Faccia a terra. E' Yeladji in persona, Sorvegliante della Cripta del Dio Dormiente. Gosseyn sussultò. Si rovesciò, e cadde sul fondo del carro. Stava lì steso, abbagliato, mentre comprendeva lentamente che i muscoli di Ashargin avevano obbedito
all'ordine con rapidità automatica. Subiva ancora quel trauma quando una voce forte e sonante disse: — Koorn, fai salire sull'aereo il principe Ashargin, e considerati congedato. Il principe non tornerà al lavoro dei campi. Ancora una volta, l'obbedienza di Ashargin fu totale. Si sentì stordito. I suoi arti si muovevano convulsamente. Gosseyn ricordò di essere caduto su un sedile. Poi l'aereo cominciò a muoversi. Tutto avvenne fulmineamente. Dove lo portavano? Fu il primo pensiero che gli si presentò quando poté pensare di nuovo. Gradualmente i muscoli tesi di Ashargin si rilassarono. Gosseyn fece la pausa cortico-talamica non-A, e sentì il «suo» corpo rilassarsi ancor più. I suoi occhi si misero a fuoco, e vide che l'aereo era lontano dal suolo e saliva oltre il picco coperto di neve, oltre il tempio del Dio Dormiente. La sua mente si posò su quel punto come un uccello arrestato a metà del volo. Dio Dormiente? Aveva un vago ricordo di altri «fatti» uditi da Ashargin. Il Dio Dormiente giaceva in una bara trasparente nella sala più interna della cupola.
Soltanto i sacerdoti potevano guardare nella bara, e solo durante l'iniziazione, una sola volta in tutta la loro vita. Il ricordo di Ashargin non andava oltre. E Gosseyn sapeva ciò che gli interessava. Era una tipica variante di religione pagana. La Terra ne aveva avute molte, e i particolari non contavano. La sua mente balzò alla realtà della sua situazione, molto più importante. Ovviamente, quella era una svolta nell'esistenza di Ashargin. Gosseyn si guardò intorno con una crescente consapevolezza delle possibilità che gli si presentavano. Tre sacerdoti vestiti di nero, uno dei quali ai comandi… e Yeladji. Il Sorvegliante della Cripta era un uomo grassoccio. I suoi abiti, che erano parsi così abbaglianti, a un'ispezione più attenta si rivelarono per una veste nera su cui era avvolta una cappa d'oro e d'argento. L'ispezione finì. Yeladji era il secondo sacerdote nella gerarchia di Gorgzid, secondo solo a Secoh, il dominatore religioso del pianeta su cui era nato Enro. Ma il suo rango e il suo ruolo in tutto questo non significavano nulla per Gilbert Gosseyn. Sembrava un personaggio di minore importanza negli affari galattici. Gosseyn guardò dal finestrino: c'erano ancora montagne, al di sotto. Mentre guardava, si accorse per la prima volta che gli abiti che indossava non erano normali per Ashargin,
il garzone della fattoria. Indossava l'uniforme di parata degli ufficiali del Massimo Impero… calzoni gallonati d'oro e una giubba ingioiellata, come Ashargin non aveva più visto da quando aveva quattordici anni, cioè undici anni prima. Era generale! L'enormità del grado sbalordì Gosseyn. I suoi pensieri si schiarirono. Doveva esservi una ragione importante, se il Seguace l'aveva portato lì in quel momento decisivo della vita di Ashargin, senza il suo cervello supplementare, impotente in un corpo controllato da un sistema nervoso non integrato. Se quello stato era solo temporaneo, allora era una buona occasione per osservare un aspetto della vita galattica che non avrebbe potuto conoscere, in condizioni normali. Se, invece, la fuga da quella trappola dipendeva dai suoi sforzi, allora il suo da farsi era anche più chiaro. Addestrare Ashargin. Addestrarlo rapidamente con i metodi non-A. Era l'unico modo con cui poteva sperare di dominare lo straordinario ambiente che lo circondava… il possesso di un corpo non suo. Gosseyn trasse un profondo respiro. Si sentiva molto meglio. Aveva preso la sua decisione, con determinazione e con una conoscenza ragionevolmente completa dei limiti della sua posizione. Il tempo e gli eventi potevano
aggiungere nuovi fatti al suo scopo, ma finché era prigioniero nel sistema nervoso di Ashargin, quell'addestramento doveva essere al primo posto, nei suoi piani. E non pensava che sarebbe stato difficile. La passività con cui Ashargin accettava il volo lo stordì. Si sporse nella corsia, verso Yeladji. — Nobilissimo Sorvegliante, dove mi conducono? Il sacerdote si girò, sorpreso. — Ma come, da Enro. E dove altrimenti? Gosseyn aveva l'intenzione di osservare il percorso, ma la sua capacità di farlo si spense in quel momento. Il corpo di Ashargin sembrò fondersi in una gelatina informe. La vista gli si confuse, nella miope cecità del terrore. L'atterraggio dell'aereo lo riportò a un simulacro di normalità. Con gambe che gli tremavano uscì dal velivolo, e vide che erano atterrati sul tetto di un palazzo. Impaziente, Gosseyn si guardò intorno. Gli pareva importante prendere visione dei dintorni. Si accorse di non avere fortuna. L'orlo più vicino del tetto era molto lontano. Riluttante, lasciò che i tre giovani sacerdoti lo spingessero verso una scala. Intravide una montagna, a sinistra… a cinquanta, sessanta chilometri di distanza. Era la montagna oltre la quale sorgeva il tempio? Doveva esserlo, perché non riuscì a vedere altre montagne, intorno.
Scese, con la sua scorta, tre rampe di scale, poi percorse un corridoio illuminato. Si fermarono davanti a una porta riccamente decorata. I sacerdoti di rango inferiore indietreggiarono. Yeladji avanzò lentamente, con gli occhi azzurri che scintillavano. — Ora entrerai solo, Ashargin — disse. — I tuoi doveri sono semplici. Ogni mattina, esattamente a quest'ora, alle otto, secondo l'ora della città di Gorgzid, ti presenterai a questa porta ed entrerai senza bussare. Esitò, sembrò riflettere, poi proseguì cerimoniosamente: — Non dovrà mai interessarti ciò che starà facendo sua Eccellenza quando tu entrerai, e questo vale anche se nella stanza ci dovesse essere una signora. Non dovrai prestare attenzione, letteralmente, a casi del genere. Quando sarai entrato, ti metterai a sua completa disposizione. Questo non significa che ti sarà chiesto necessariamente di svolgere compiti umilianti, ma se ti sarà chiesto l'onore di prestare qualche servizio personale a sua Eccellenza, lo presterai immediatamente. La sicurezza del comando svanì dai suoi modi. Fece una smorfia sofferente, poi sorrise con garbo. Fu un gesto signorile di condiscendenza mista a lieve ansietà, come se tutto ciò che accadeva fosse inatteso. E c'era persino la vaga impressione che il Sorvegliante
della Cripta si pentisse di qualche atto compiuto nei confronti di Ashargin per ragioni di «disciplina». — A quanto so — disse, — ora ci separiamo, Ashargin. Tu sei stato allevato con uno stretto riguardo per il tuo rango, e per il grande ruolo che ora ti è affidato. E' parte del nostro credo che il primo dovere d'un uomo verso il Dio Dormiente sia imparare l'umiltà. Talvolta puoi aver pensato che forse il tuo fardello era troppo pesante, ma, ora, puoi vedere che era tutto per il meglio. Come ultimo ammonimento, voglio ricordarti una cosa: da tempo immemorabile, era abitudine dei nuovi principi come Enro sterminare le radici e i rami e il ceppo delle case reali rivali. Ma tu sei ancora vivo. Basterebbe questo per indurti a nutrire gratitudine verso il grande uomo che governa il maggiore impero del tempo e dello spazio. Ancora una volta vi fu una pausa. Gosseyn ebbe il tempo di chiedersi perché Enro avesse lasciato vivere Ashargin, e di comprendere che quel cinico sacerdote stava cercando di indurlo a sentirsi grato. Poi: — E' tutto — disse Yeladji. — E adesso entra! Era un ordine, e Ashargin obbedì in quel modo automatico cui Gosseyn non poteva resistere. La sua mano si tese in avanti. Afferrò la maniglia con le dita, la girò, e spalancò la porta. Varcò la soglia.
La porta si chiuse dietro di lui. Sul pianeta d'un sole lontano, un'ombra si addensò al centro d'una stanza grigia. Alla fine galleggiò sul pavimento. C'erano altre due persone coscienti, in quella stretta stanza, separate l'una dall'altra e dal Seguace da sottili inferriate metalliche… ma la forma d'ombra non prestò loro attenzione. Scivolò invece verso un lettuccio su cui giaceva il corpo inerte di Gilbert Gosseyn. Si chinò, sembrò ascoltare. Poi si raddrizzò. — E' vivo — disse a voce alta. Sembrava perplesso, come se fosse accaduto qualcosa che esorbitava dai suoi piani. Si girò a mezzo per fronteggiare la donna che stava dietro le sbarre… se mai una cosa senza volto poteva fronteggiare qualcuno. — E' arrivato nel momento che avevo predetto? La donna alzò le spalle, poi annuì. — Ed è sempre stato in questa condizione? — La sua voce risonante era insistente. Questa volta la donna non rispose direttamente. — Dunque, il grande Seguace si è imbattuto in qualcuno che non si adatta alle sue condizioni.
La sostanza d'ombra tremò, quasi come se cercasse di scuotere via le parole della donna. La sua risposta tardò molto a giungere. — E' un bizzarro universo — disse alla fine il Seguace. — E qua e là, su miriadi di pianeti, vi sono individui che, come me, hanno una facoltà unica che li solleva al di sopra della norma. Uno è Enro… e adesso c'è anche Gosseyn. Si interruppe, poi disse sottovoce, come se stesse riflettendo: — Potrei ucciderlo in questo momento, colpendolo al capo o accoltellandolo o in un'altra decina di modi. Eppure… — Perché non lo fate? — Il tono della donna era di sfida. L'ombra esitò. — Perché… non so abbastanza. — La sua voce divenne fredda e decisa. — E inoltre non uccido le persone che potrei forse controllare. Ritornerò. Cominciò a svanire, e alla fine scomparve dalla squallida stanza di cemento, dove una donna e due uomini erano imprigionati in celle separate l'una dall'altra da una sottile, fantastica rete di metallo. Gosseyn-Ashargin vide che era entrato in una grande stanza. A prima vista, sembrava piena di meccanismi. Per
Ashargin, la cui istruzione era cessata a quattordici anni, il quadro era confuso. Gosseyn riconobbe mappe meccaniche e schermi visivi alle pareti, e quasi dovunque c'erano pannelli di comandi distorter. C'erano parecchi strumenti che non aveva mai veduto prima, ma la sua comprensione scientifica era così acuta che il modo stesso in cui erano collegati alle altre macchine gli faceva intuire il loro scopo. Era una sala di controllo militare. Di lì, Enro dirigeva le forze, inconcepibilmente grandi, del Massimo Impero. Gli schermi visivi erano i suoi occhi. Le luci che ammiccavano sulle mappe potevano fornirgli, in teoria, un'immagine completa di qualunque fase d'una battaglia. E la stessa quantità degli apparecchi a distorter faceva capire che egli cercava di mantenere un controllo strettissimo sul suo vasto impero. Forse disponeva anche di un sistema di trasporto a distorter, mediante il quale poteva recarsi istantaneamente in qualunque punto del suo impero. Ad eccezione dell'attrezzatura, la grande stanza era vuota, priva di sorveglianza. In un angolo c'era una grande finestra, e Gosseyn vi si diresse. Un attimo dopo, guardava dall'alto la città di Gorgzid. La capitale del Massimo Impero scintillava sotto di lui nei raggi del suo fulgido sole azzurro. Gosseyn ricordò, con la
memoria di Ashargin, che la vecchia capitale dell'Impero, Nirene, era stata distrutta da bombe atomiche e che l'intera zona che un tempo era stata una città con trenta milioni di abitanti era un deserto radioattivo. Il ricordo colpì Gosseyn. Ashargin, che non aveva assistito alle scene di distruzione di quel giorno d'incubo, era insensibile a quel pensiero, con la spensierata indifferenza di chi non può immaginare un disastro non veduto. Ma Gosseyn si irrigidì davanti ai particolari del colossale crimine commesso da Enro. La cosa più orribile era che quell'individuo aveva ora gettato la civiltà galattica in una guerra, più immensa di quanto si potesse immaginare. Se Enro avesse potuto essere assassinato… Il cuore gli batté. Le ginocchia gli si piegarono. Gosseyn deglutì, fece la pausa non-A, e interruppe la spaventata reazione di Ashargin al risoluto proposito che era balenato nella mente di Gosseyn. Ma il proposito rimase. La possibilità che gli si offriva era troppo grande perché una persona o un evento vi si opponesse. Quel cuore pavido doveva essere persuaso, doveva essere adulato, ricostruito, convinto a compiere uno sforzo supremo. Era possibile. Il sistema nervoso umano poteva venire spinto allo sforzo estatico e al
sacrificio illimitato. Ma doveva stare in guardia. Nel momento in cui l'assassinio fosse consumato, vi sarebbe stato pericolo di morte, e poteva esservi anche il problema di ritornare al suo vero cervello. Rimase là, ritto, ad occhi socchiusi, con le labbra strette nella decisione. Sentì la differenza nel corpo di Ashargin, la forza che si raccoglieva mentre quel nuovo tipo, completamente diverso, di pensiero alterava gli stessi processi metabolici delle ghiandole e degli organi. Non aveva dubbi circa quello che stava accadendo. Una mente nuova, più forte, si era impossessata di quel corpo fragile. Non bastava, naturalmente. Non da solo. L'addestramento non-A dei muscoli e della coordinazione nervosa era tuttora necessario. Ma il primo passo era stato compiuto. Aveva preso una decisione irrevocabile. Uccidere Enro… Guardò la città di Gorgzid con sincero interesse; dava proprio l'impressione di una città capitale. Persino i grattacieli erano coperti di licheni e di «edera» rampicante — sembrava davvero edera — e le radici affondavano fra torri antiquate e bizzarri pendii che sembravano incrociarsi l'uno con l'altro.
Dei quattordici milioni di abitanti della città, quattro quinti della popolazione attiva occupavano posti chiave nei palazzi governativi che avevano collegamenti diretti con gli uffici esecutivi su altri pianeti. Circa cinquecentomila abitanti — Ashargin non aveva mai saputo la cifra esatta — erano ostaggi che vivevano scontenti nei lontani sobborghi verdi. Scontenti, perché consideravano Gorgzid una città di provincia e si sentivano insultati. Gosseyn poteva vedere alcune delle case in cui vivevano: case magnifiche nascoste fra alberi e cespugli sempre verdi, case che coprivano intere colline e che scendevano verso le valli, e si perdevano nelle nebbie della lontananza. Gosseyn si voltò lentamente. Per più di un minuto, un suono bizzarro era venuto, confusamente, da una porta nella parete di fronte. Gosseyn si diresse verso quella porta, conscio di aver già indugiato fin troppo, per quella prima mattina. La porta era chiusa, ma l'aprì con fermezza, e varcò la soglia. Immediatamente, il suono gli riempì le orecchie. CAPITOLO 5
"Poiché i bambini — e gli adulti infantili — sono incapaci di discriminazione raffinata, la quantità di esperienze che colpiscono violentemente il loro sistema nervoso è così vasta che gli psichiatri hanno coniato una parola per
descriverne l'effetto: trauma. Persistendo negli anni più avanzati, questi traumi possono ingarbugliare un individuo a tal punto che ne può nascere una non-sanità — cioè una nevrosi — o perfino una vera e propria insania (psicosi).Quasi tutti hanno avuto parecchie esperienze traumatiche. E' possibile alleviare l'effetto di molti traumi con la psicoterapia". Gli occorse un momento, allora, per accettare quella vista. Era in un grande bagno. Da una porta, a destra, semiaperta, poteva vedere la metà di un enorme letto in un'alcova, nell'angolo d'una incredibile camera da letto. C'erano altre porte, nel bagno, ma erano chiuse. Poi, dopo un'occhiata, Gosseyn riportò lo sguardo e la mente sulla scena che gli si presentava. Il bagno era costruito di specchi, alla lettera. Pareti, soffitto, pavimenti, infissi, tutto era fatto di specchi, così perfetti che ovunque guardasse vedeva immagini di se stesso, sempre più piccole ma sempre nitide e chiare. Una vasca sporgeva da una parete: anch'essa era fatta di specchi. Si levava incurvandosi dal pavimento fino a circa un metro d'altezza. L'acqua vi scendeva da tre grandi rubinetti, e vorticava rumorosa attorno a un uomo nudo e gigantesco, dai capelli rossi, che si faceva lavare da
quattro giovani donne. L'uomo vide Gosseyn, e fece cenno alle donne di scostarsi. Le giovani donne erano molto pronte. Una chiuse il rubinetto. Le altre si fecero da parte. Mentre il silenzio scendeva nella stanza, il bagnante strinse le labbra e le palpebre, e studiò lo snello Gosseyn-Ashargin. La tensione di quell'esame sul sistema nervoso di Ashargin fu terribile. Una dozzina di volte, per forza di volontà, Gosseyn fece la pausa cortico-talamica non-A. Dovette farla, non per riacquistare il controllo, ma per il semplice scopo d'impedire al corpo di Ashargin di perdere la conoscenza. A tal punto, la situazione era disperata… — Vorrei sapere — disse lentamente Enro il Rosso, — perché vi siete fermato nella Centrale di Controllo e avete guardato dalla finestra. Perché dalla finestra? — Sembrava attento e perplesso. I suoi occhi erano privi di ostilità, ma erano accesi della domanda appena formulata. — Dopotutto, avete già visto altre volte la città. Gosseyn non poté rispondere. Quell'interrogazione diretta minacciava di sciogliere Ashargin in gelatina. Cupamente, Gosseyn lottò per mantenere il controllo, mentre il viso di Enro assumeva un'espressione di soddisfazione sardonica. Il dittatore si alzò e uscì dalla vasca, sul pavimento di specchi. Sorridendo debolmente, quella figura virile straordinariamente muscolosa attese mentre le donne gli avvolgevano attorno al corpo umido un
gigantesco accappatoio. Poi l'accappatoio fu tolto, e le donne asciugarono vigorosamente Enro con piccoli asciugatoi. Finalmente, gli fu presentata una veste da camera che aveva il colore dei suoi capelli fiammeggianti. La indossò, e parlò di nuovo, sorridendo: — Mi piace che siano le donne a farmi il bagno. C'è in loro una gentilezza che mi accarezza lo spirito. Gosseyn non disse nulla. L'osservazione di Enro voleva essere spiritosa, ma, come molte persone che non comprendevano bene se stesse, quell'uomo si tradiva. Tutta la scena del bagno era carica di sottintesi, che alludevano a un uomo la cui evoluzione verso la maturità non era completa. Anche i lattanti amano il tocco delle morbide mani femminili. Ma in generale i lattanti non arrivano a impadronirsi del più grande impero del tempo e dello spazio. E il modo in cui Enro era rimasto seduto nella vasca, conscio di ciò che Gosseyn-Ashargin stava facendo nella stanza vicina, indicava che, per quanto fosse immaturo sotto certi aspetti, una parte della sua personalità aveva raggiunto uno stato comparativamente superiore. Rimaneva da scoprire quanto sarebbe stata preziosa quella qualità in una situazione di emergenza. Per un attimo, Gosseyn aveva dimenticato Ashargin. Fu
una dimenticanza pericolosa. L'osservazione diretta di Enro a proposito delle donne era stata eccessiva per il suo instabile sistema nervoso. Il cuore accelerò i battiti, le ginocchia tremarono e i muscoli rabbrividirono. Barcollò, e sarebbe caduto se il dittatore non avesse fatto un cenno alle donne. Gosseyn vide quel gesto con la coda dell'occhio. Un attimo dopo, mani ferme lo sorressero. Quando Gosseyn riuscì di nuovo a reggersi e a vedere con chiarezza, Enro stava varcando una delle porte di sinistra, verso una stanza illuminata dal sole. E tre delle donne stavano per lasciare il bagno attraverso la porta semiaperta della stanza da letto. Solo la quarta donna continuava a sorreggere il corpo tremante di Ashargin. I suoi muscoli cercarono di ritrarsi, ma Gosseyn fece la pausa appena in tempo. Si accorse che lo sguardo della donna non era carico di disprezzo ma di pietà. — Dunque, è questo che ti hanno fatto — disse lei, sommessamente. Aveva occhi grigi e lineamenti di classica bellezza. Corrugò la fronte, poi scrollò le spalle. — Io sono Nirene… e tu farai meglio a entrare lì, amico mio. Fece per spingerlo verso la porta aperta oltre la quale era
sparito Enro. Ma Gosseyn aveva ripreso il controllo, e resistette. Era stato colpito da quel nome. — C'è qualche rapporto — chiese, — tra la ragazza che si chiama Nirene e Nirene, la vecchia capitale? L'espressione di lei divenne di perplessità. — Prima svieni — disse la donna. — Poi fai domande intelligenti. Il tuo carattere è più complesso di quanto faccia pensare il tuo aspetto. Ma ora, presto! Devi… — Cosa fa pensare il mio aspetto? — chiese Gosseyn. Gli occhi grigi e freschi lo studiarono. — Sei stato tu a chiederlo — disse Nirene. — A uno sconfitto, debole, effeminato, puerile, incapace. — Si interruppe, impaziente. — Ti ho detto di far presto. Dico sul serio. Non resterò qui un altro minuto! E girò su se stessa. Senza voltarsi, varcò in fretta la porta della camera da letto e la chiuse dietro di sé. Gosseyn non tentò di affrettarsi. Non era per niente soddisfatto di se stesso. E si sentiva teso ogni volta che pensava al proprio corpo. Ma cominciava a immaginare ciò che doveva fare se lui — e Ashargin — dovevano superare quella giornata senza cadere ancor più in disgrazia.
Occorreva frenarsi. Ritardare le reazioni con i metodi nonA. Avrebbe dovuto imparare e agire insieme, con tutti gli svantaggi che la cosa comportava. Era convinto che per molte ore sarebbe stato sotto la sorveglianza degli occhi attenti di Enro, che sarebbe rimasto sorpreso da qualunque segno di autocontrollo in un uomo che aveva cercato di distruggere. Non poteva farvi nulla. Vi sarebbero stati molti incidenti spiacevoli, ma sufficienti, forse, a persuadere il dittatore che tutto andava come doveva andare. E nel momento in cui sarebbe entrato nella stanza che gli sarebbe stata assegnata, avrebbe fatto uno sforzo totale per «curare» Ashargin con i metodi non-A. Camminando lentamente, Gosseyn varcò la porta per cui era passato Enro. Si trovò in una grandissima sala, dove, sotto un'immensa finestra, c'era una tavola apparecchiata per tre. Dovette dare una seconda occhiata per calcolare la grandezza della finestra, ch'era alta una trentina di metri. C'erano dei camerieri, intorno, e parecchi uomini dall'aria importante che stringevano fra le dita documenti. Enro era chino sulla tavola. Quando Gosseyn si fermò, il dittatore sollevò, una dopo l'altro, i copripiatti scintillanti di parecchie portate, e fiutò il cibo fumante. Finalmente si raddrizzò. — Ah — disse, — mantoll fritto. Delizioso. — E
si rivolse con un sorriso ad Ashargin-Gosseyn. — Sedetevi là. — E indicò una delle tre sedie. La certezza che avrebbe fatto colazione con Enro non stupì Gosseyn: questo corrispondeva alla sua analisi delle intenzioni di Enro nei confronti di Ashargin. Si accorse in tempo, tuttavia, che il giovane cominciava a reagire in quel suo modo spaventosamente impacciato. Fece la pausa cortico-talamica. E vide che Enro lo fissava pensieroso. — Dunque Nirene si interessa a voi — disse lentamente. — E' una possibilità che non avevo considerato. Eppure, è interessante. Ah, ecco Secoh. Il nuovo arrivato passò accanto a Gosseyn, che lo vide, per la prima volta, di fianco e di spalle. Era bruno, sulla quarantina, e molto bello, pur nei suoi lineamenti taglienti. Indossava un aderente abito azzurro con una cappa scarlatta drappeggiata sulle spalle. Mentre si inchinava a Enro, Gosseyn aveva già ricevuto l'impressione di un uomo volpino, sveglio, attento e astuto. Enro stava parlando: — Non riesco a dimenticare Nirene che gli parlava. Secoh si avvicinò a una delle sedie. I suoi occhi neri fissarono Enro, interrogativamente. Enro gli spiegò in modo succinto ciò che era accaduto fra Ashargin e la giovane donna.
Gosseyn ascoltò, sbalordito. Di nuovo, la straordinaria capacità del dittatore di sapere ciò che accadeva in luoghi dove non poteva vedere o udire grazie ai metodi normali! Quel fenomeno mutò la direzione dei suoi pensieri. La tensione di Ashargin si allentò. Per un attimo ebbe una visione di quella immensa civiltà galattica e degli uomini che la dominavano. Ogni individuo aveva qualche qualificazione speciale. Enro poteva vedere nelle stanze vicine. Era una capacità unica, eppure non giustificava affatto la potenza che l'aveva aiutato a raggiungere. A prima vista, questo sembrava provare che gli uomini avevano bisogno soltanto d'un lieve vantaggio sugli altri per guadagnare un grande ascendente su di loro. La posizione di Secoh pareva derivare dal fatto che egli era il dominatore religioso di Gorgzid, pianeta natale di Enro. Madrisol della Lega era ancora un fattore ignoto. E infine c'era il Seguace, la cui scienza comprendeva un'accurata capacità di prevedere il futuro, un apparecchio che lo rendeva insostanziale e che gli dava un tale controllo sulle menti degli altri da permettergli di imporre la mente di Gosseyn su quella di Ashargin. Dei tre uomini, il Seguace sembrava il più pericoloso. Ma anche questo doveva essere dimostrato. Enro stava parlando di nuovo. — Sto pensando di farne la sua amante — disse.
Fece una smorfia, e la faccia gli sì illuminò. — Per il Cielo, lo farò! — Sembrò diventare di buon umore, perché cominciò a ridere. — Dovrebbe essere uno spettacolo! — disse. Sogghignando, proferì una battuta sui problemi sessuali di certi nevrotici, e concluse con una nota più sconvolgente. — Farò passare a quella femmina la voglia di tramare. Secoh alzò le spalle, poi disse con voce sonante: — Credo che sopravvalutiate le possibilità. Ma non sarà male fare come suggerite. — E fece un cenno imperioso a uno degli aiutanti. — Prendete nota della richiesta di Sua Eccellenza — ordinò in tono di sicuro comando. L'uomo si inchinò umilmente. — Ho già preso nota, Eccellenza. Enro fece un cenno a Gosseyn. — Venite — disse. — Ho fame. — E la sua voce divenne mordente. — O volete che vi aiutino a sedere? Gosseyn aveva lottato contro le reazioni del corpo di
Ashargin alla «richiesta», e con successo, gli parve. Si avviò verso la sedia, quando il tono tagliente di Enro penetrò finalmente nei nervi di Ashargin. O forse fu una combinazione di eventi troppo schiaccianti. Mentre Enro sedeva, Ashargin-Gosseyn svenne. Quando riprese conoscenza, Gosseyn si accorse d'essere seduto a tavola; il suo corpo era sorretto da due camerieri. Immediatamente, il corpo di Ashargin si ritrasse, aspettando una censura. Sbalordito, Gosseyn allontanò il potenziale collasso. Guardò Enro, ma il dittatore era occupato a mangiare. E neppure il sacerdote lo guardava. I camerieri lo lasciarono e cominciarono a servirlo. Il cibo gli era sconosciuto, ma via via che gli venivano presentate le portate, provava una reazione favorevole o sfavorevole. Una volta tanto, le coazioni inconsce del corpo di Ashargin erano utili. Dopo un minuto stava mangiando i cibi che erano familiari e graditi ai gusti di Ashargin. Cominciò a sentirsi colpito da quanto accadeva. Era difficile partecipare a un'esperienza così umiliante senza sentirsi parte della catastrofe. E il peggio era che sul momento non poteva far nulla. Era prigioniero di quel corpo, con la sua mente e la sua memoria sovrapposte al cervello e al corpo di un altro individuo, presumibilmente
per mezzo di qualche variante della similarità ottenuta dal distorter. E cosa accadeva, intanto, al corpo di Gilbert Gosseyn? Il possesso d'un altro corpo non poteva essere permanente… e, inoltre, non doveva dimenticare che il sistema d'immortalità che l'aveva messo in grado di sopravvivere a una morte l'avrebbe protetto ancora. Perciò, era un incidente tremendamente importante. Doveva assaporarlo, cercare di comprenderlo, essere conscio di quanto accadeva. «Ecco» pensò, stupito, «sono qui, nel quartier generale di Enro il Rosso, il dominatore del Massimo Impero. E faccio colazione con lui». Smise di mangiare e fissò l'uomo, improvvisamente affascinato. Enro, di cui aveva udito parlare vagamente da Thorson, da Crang e da Patricia Hardie. Enro, che aveva ordinato la distruzione del Non-A perché sarebbe stato il metodo più semplice per iniziare una guerra galattica; Enro, dittatore, condottiero, Cesare, usurpatore, tiranno assoluto, che doveva ottenere parte del suo ascendente dalla facoltà di udire e di vedere ciò che accadeva nelle stanze vicine. Era un uomo di bell'aspetto, a suo modo. Il suo viso era forte, ma in parte coperto di efelidi, che gli davano un aspetto da ragazzino, i suoi occhi chiari e arditi, azzurri. I suoi occhi e la sua bocca gli parevano familiari,
ma doveva essere un'illusione. Enro il Rosso, che Gilbert Gosseyn aveva già contribuito a sconfiggere nel sistema solare, e che adesso aveva avviato la più vasta campagna galattica. Anche trascurando la possibilità di assassinare quell'uomo, sarebbe stato fantasticamente importante scoprire qui, nel cuore e nel cervello del Massimo Impero, un metodo per sconfiggerlo. Enro scostò la sedia. Fu come un segnale. Secoh smise immediatamente di mangiare, anche se nel suo piatto v'era ancora del cibo. Gosseyn depose la forchetta e il coltello, e intuì che la colazione era finita. I camerieri cominciarono a sparecchiare la tavola. Enro si alzò e disse, vivacemente: — Notizie da Venere? Secoh e Gosseyn si alzarono; Gosseyn era irrigidito. Udire quella parola familiare a tanta distanza dal sistema solare fu un colpo personale, e perciò controllato. L'agitato sistema nervoso di Ashargin non reagì al nome Venere. Il viso magro del sacerdote era calmo. — Abbiamo qualche altro particolare. Nulla di importante. Enro era pensoso. — Dovremo fare qualcosa, con quel pianeta — disse, lentamente. — Se fossi certo che Reesha non è là… — Era soltanto una voce, Vostra Eccellenza.
Enro girò di scatto, con espressione cupa. — La semplice possibilità — disse, — è sufficiente per fermare la mia mano. Il sacerdote non sembrò scosso. — Sarebbe una sfortuna — disse freddamente, — se le forze della Lega scoprissero la vostra debolezza e spargessero la notizia che Reesha si trova su ciascuno delle migliaia dei pianeti della Lega. Il dittatore si irrigidì, esitò per un momento. Poi rise. Si avvicinò al sacerdote e gli circondò le spalle con un braccio. — Buon vecchio Secoh — disse, sarcastico. Il signore del Tempio rabbrividì a quel tocco, ma per un attimo lo sopportò con espressione disgustata. Enro sghignazzò. — Che succede? Secoh si sottrasse alla pesante stretta, con gentilezza ma fermamente. — Avete altre istruzioni da darmi? Il dittatore rise ancora, poi divenne pensieroso. — Ciò che accade a quel sistema non è importante. Ma mi sento irritato ogni volta che ricordo che Thorson è stato ucciso là. E vorrei sapere come siamo stati sconfitti. Qualcosa non è andato come doveva.
— E' stata nominata una commissione d'inchiesta — disse Secoh. — Bene. E cosa si sa della battaglia? — E' costosa, ma progressivamente decisiva. Volete vedere i dati delle perdite? — Sì. Uno dei segretari porse un foglio a Secoh, che lo passò in silenzio a Enro. Gosseyn spiò il viso del dittatore. Le potenzialità della situazione diventavano sempre più grandi ogni momento. Doveva essere la battaglia di cui avevano parlato Crang e Patricia: novecentomila astronavi militari… che combattevano una battaglia titanica nel Sesto Raggio. Raggio? Pensò, in una nebbia di eccitazione: «La Galassia ha la forma di una ruota gigantesca…» Ovviamente, l'avevano divisa in «raggi». C'erano altri metodi per localizzare la latitudine e la longitudine dei pianeti e delle stelle, ma… Enro rese il foglio al consigliere. C'era un'espressione irritata sul suo volto, e i suoi occhi erano stizziti. — Sono indeciso — disse lentamente. — E' una sensazione personale; ho l'impressione che la mia forza
vitale non abbia raggiunto la sua pienezza. — Voi avete già molti figli — osservò Secoh. Enro ignorò l'osservazione. — Sacerdote — disse, — sono ormai quattro anni che mia sorella, destinata dall'antica tradizione di Gorgzid a diventare la mia unica moglie legale, è partita per… dove? — Non vi sono tracce. — La voce del sacerdote era lontana. Enro lo guardò malinconicamente, e disse sottovoce: — Amico mio, avete sempre avuto un debole per lei. Se pensassi che mi nascondete qualche informazione… — Si fermò, e dovette leggere lo sguardo negli occhi dell'altro, perché disse in fretta, con una debole risata: — D'accordo, non offendetevi. Mi sono sbagliato. Sarebbe impossibile per un uomo come voi, vestito dell'abito talare, fare una cosa simile. I vostri voti, per esempio… Sembrava discutesse con se stesso. Poi alzò lo sguardo e disse: — Dovrò fare sì che dei figli miei e di mia sorella, non ancora nati, le femmine non vengano educate in scuole di pianeti sui quali il principio dinastico del matrimonio tra fratelli e sorelle sia deriso. Non vi fu risposta. Enro esitò, fissando Secoh. Sembrava non accorgersi che gli altri assistevano al
colloquio. Bruscamente cambiò argomento. — Posso ancora interrompere la guerra — disse. — I membri della Lega Galattica stanno prendendo coraggio, ma farebbero qualsiasi cosa per accontentarmi, se io mostrassi l'intenzione di interrompere la battaglia del Sesto Raggio. Il sacerdote era tranquillo, calmo, fermo. — Il principio dell'ordine universale — disse, — e di uno Stato Universale trascende i sentimenti individuali. Voi non potete sottrarvi ad alcuna delle crudeli necessità. — E la sua voce era salda come una roccia. — Ad alcuna — ripeté. Enro non incontrò lo sguardo di quegli occhi pallidi. — Sono indeciso — ripeté. — Mi sento inappagato, incompleto. Se mia sorella fosse qui a fare il suo dovere… Gosseyn l'udiva appena. Pensava, cupamente. Dunque era a questo che pensavano: uno Stato Universale, controllato dal centro, e tenuto insieme dalla potenza militare. Era un vecchio sogno dell'uomo, e molte volte il destino gli aveva concesso una temporanea illusione di successo. C'erano stati molti imperi sulla Terra che avevano conquistato il controllo virtuale di tutti i territori civili dei loro tempi. Per qualche generazione, gli immensi domini
mantenevano i loro confini innaturali… innaturali perché il verdetto della storia sembrava restringersi a poche frasi significative: «Il nuovo sovrano mancava della saggezza paterna…», «Sollevazioni di masse…», «Gli stati conquistati, a lungo sottomessi, si sollevarono in una ribellione vittoriosa contro l'impero indebolito». La storia spiegava persino per quali ragioni un particolare stato si era indebolito. I particolari non importavano. Non v'era nulla di fondamentalmente errato nell'idea d'uno Stato Universale, ma gli uomini che pensavano talamicamente non avrebbero mai creato altro se non l'aspetto esteriore d'un simile Stato. Sulla Terra, il Non-A aveva vinto quando circa soltanto il cinque per cento della popolazione era stato addestrato secondo i suoi dettami. Nella Galassia, doveva essere sufficiente il tre per cento. E a quel punto, ma non prima, lo Stato Universale sarebbe stato un concetto realizzabile. Di conseguenza, quella guerra era una frode. Non aveva significato. Se fosse stata vittoriosa, lo Stato Universale risultante sarebbe durato forse una generazione, forse due. E, poi, le spinte emotive di uomini non mentalmente sani li avrebbero costretti alla congiura e alla ribellione. Nel frattempo, miliardi di persone sarebbero morte perché un nevrotico avesse il piacere di costringere qualche altra dama di nobile nascita a fargli il bagno ogni mattina.
Enro era soltanto una singola personalità non-sana, ma la guerra che aveva iniziato era una pazzia. Bisognava impedire che continuasse… Vi fu un rumore a una delle porte, e il pensiero di Gosseyn si spezzò. Una voce irata di donna risuonò: — Naturalmente posso entrare. Chi osa impedirmi di vedere mio fratello? La voce, nonostante il suo furore, aveva un suono familiare. Gosseyn si girò, e vide che Enro correva verso la porta di fronte alla grande finestra. — Reesha! — gridò, con il giubilo nella voce. Attraverso gli occhi annacquati di Ashargin, Gosseyn osservò l'incontro. Con la giovane donna c'era un uomo snello, e, mentre avanzavano (Enro reggeva la ragazza fra le braccia stringendola contro la veste da camera), fu l'uomo che attirò l'attenzione di Gosseyn. Perché era Eldred Crang. Crang? Allora la donna doveva essere… Si voltò a guardare, mentre Patricia Hardie diceva, piccata: — Enro, mettimi giù. Voglio farti conoscere mio marito. Il corpo del dittatore s'irrigidì. Lentamente, depose la ragazza, e lentamente si voltò per guardare Crang. Il suo sguardo terribile incontrò gli occhi ambrati
dell'investigatore non-A. Crang sorrise, come se non si accorgesse dell'immensa ostilità dell'altro. Un po' della sua fortissima personalità era in quel sorriso e nel suo contegno. L'espressione di Enro cambiò, sia pure leggermente. Per un momento sembrò perplesso, persino sbalordito, poi aprì le labbra come se volesse parlare; ma, con la coda dell'occhio, dovette intravedere Ashargin. — Oh — fece. I suoi modi cambiarono radicalmente. Il suo autocontrollo ritornò. Chiamò a sé Gosseyn con un gesto brusco. — Venite, amico mio. Voglio che voi siate il mio ufficiale di collegamento con il Grande Ammiraglio Paleol. Ditegli… — E si avviò verso una porta vicina. Gosseyn lo seguì, e si trovò nella sala di controllo militare di Enro. Enro si fermò davanti a una delle cabine distorter. Poi si girò verso Gosseyn. — Dite all'ammiraglio — ripeté, — che voi siete il mio rappresentante. Ecco il segno della vostra autorità. — E gli porse una piccola placca scintillante. — E adesso entrate. — E indicò la cabina. Un assistente aprì la porta di quello che Gosseyn aveva già riconosciuto come distorter da trasporto. Gosseyn avanzò, stordito. Non desiderava lasciare la corte di Enro in quel momento. Non aveva ancora scoperto
abbastanza. Gli pareva importante rimanere per scoprire di più. Si fermò davanti alla porta. — Cosa devo dire all'ammiraglio? Il lieve sorriso dell'altro si era allargato. — Ditegli solo chi siete — fece soavemente Enro. — Presentatevi. Fate la conoscenza degli ufficiali di stato maggiore. — Capisco — disse Gosseyn. Capiva. L'erede Ashargin veniva esibito ai militari. Enro si aspettava qualche opposizione dei più alti ufficiali, quindi essi dovevano vedere il principe Ashargin… e rendersi conto di quanto sarebbe stato inutile, per loro, creare un movimento di resistenza attorno alla sola persona che avrebbe potuto avere una posizione legale o popolare. Esitò, ancora una volta. — Questo trasporto mi porterà direttamente dall'ammiraglio? — Ha una direzione unica, nei due sensi. Andrete là, e ritornerete qui. Buona fortuna. Gosseyn entrò nella cabina senza dire altro. La porta si chiuse dietro di lui. Sedette alla poltroncina davanti ai comandi, esitò per un attimo… dopotutto, nessuno si
aspettava che Ashargin agisse celermente; poi tirò la leva. Immediatamente, si rese conto di essere libero. CAPITOLO 6
"I bambini, gli adulti immaturi e gli animali «identificano». Quando una persona reagisce a una situazione nuova o mutevole come se fosse una situazione vecchia e immutabile, si dice che «identifica». Questo modo di affrontare la vita è Aristotelico". Libero. Quello era il fatto più gigantesco. Libero di Ashargin. Era di nuovo se stesso. Strano, come lo sapeva. Gli sembrava che crescesse dagli stessi elementi del suo essere. La sua esperienza di trasporto mediante il cervello supplementare rese familiare la transizione. Fu quasi conscio del movimento. Persino l'oscurità parve incompleta, come se il suo cervello non avesse mai smesso di funzionare. Quando uscì dell'oscurità, avvertì la presenza d'una potente dinamo elettrica e di una pila atomica. E, simultaneamente, con intensa delusione, si rese conto che non erano abbastanza vicine perché potesse servirsene o controllarle.
Riacquistò rapidamente coscienza. Quando la vista tornò, vide che non era nell'appartamento venusiano di Janasen e neppure in uno dei luoghi in cui Enro poteva avere mandato Ashargin. Era disteso supino su un lettuccio duro e fissava un alto soffitto di cemento. I suoi occhi e la sua mente assorbirono la scena in un'occhiata continua. La stanza in cui si trovava era piccola. Un'inferriata scendeva dal soffitto: aveva le sbarre incrostate di aghi; oltre l'inferriata, seduta su una branda, c'era una giovane donna dall'aspetto aristocratico che lo guardava. Gli occhi di Gosseyn si sarebbero fermati su di lei, ma c'era un'altra inferriata metallica sull'altro lato della cella. E lì, disteso su una branda, apparentemente addormentato, c'era un uomo gigantesco, nudo a eccezione d'un paio di calzoni scoloriti. Dietro il gigante c'era un muro di cemento. Mentre si levava a sedere, Gosseyn, che adesso era divenuto molto più attento, vide che la scena era tutta lì. Tre celle in una stanza di cemento, tre finestre, una in ogni cella, alte almeno cinque metri dal pavimento; niente porte. Si interruppe. Niente porte? In un lampo, fece scorrere lo sguardo lungo le pareti, cercando fessure nell'intonaco. Non ve ne erano. Rapidamente esaminò le sbarre che separavano la sua cella da quella della donna, poi memorizzò una porzione del pavimento della propria cella, poi di quella di lei, e poi
della cella del colosso addormentato. Infine, tentò di similarizzarsi a uno dei suoi punti di sicurezza su Venere. Non accadde nulla. Gosseyn ne accettò le implicazioni. Fra due punti lontani c'era una lacuna temporale, e in questo caso s'era già esaurito il periodo di ventisei ore durante il quale una zona memorizzata rimaneva similarizzabile. Venere doveva essere immensamente lontano. Stava per esaminare meglio la sua prigione quando notò la donna, ancora una volta. Questa volta la sua attenzione perdurò. La sua prima impressione era stata quella d'una persona aristocratica. Ora, osservandola meglio, vide che l'impressione era esatta. La donna non era alta, ma aveva un portamento di inconscia superiorità. Inconscia: quella era la realtà rivelatrice. Quel che pensava la mente conscia di un individuo era importante solo nella misura in cui rispecchiava il suo sistema nervoso o serviva ad ancorare i suoi schemi di reazione. L'unico paragone che Gosseyn poté trovare fu Patricia Hardie, che, sorprendentemente, si era rivelata per la sorella del potente Enro. Aveva anche lei negli occhi quell'orgoglio, quell'automatica, innata convinzione della propria superiorità… diversa dai venusiani non-A, la cui caratteristica dominante — lo stato continuo di adattamento completo all'ambiente — sembrava parte del corpo e del viso. Come Patricia, la sconosciuta era una gran dama.
Il suo orgoglio derivava dal rango e dalla posizione e… da qualcosa d'altro. Gosseyn la guardò socchiudendo gli occhi. Il suo viso mostrava che agiva e pensava talamicamente; ma, se era solo per questo, lo facevano anche Enro e Secoh, e l'aveva fatto qualunque individuo nella storia, prima che venisse sviluppato il Non-A. Le persone emotive potevano accrescere i propri talenti lungo uno o due canali, e riuscire quanto qualunque venusiano non-A in un particolare campo. Il Non-A era il sistema che permetteva di integrare il sistema nervoso umano. Il suo massimo valore era sociale e personale. La cosa più importante in quella donna era che, osservò, la componente supplementare di vibrazioni neurali che fluiva da lei sembrava assumere proporzioni sempre maggiori ad ogni momento che passava. Era bruna, con una testa che sembrava un po' troppo grande per il suo corpo. Gli restituì lo sguardo con un sorriso debole, perplesso, ansioso, eppure vagamente sprezzante. — Capisco — disse, imbarazzata, — perché il Seguace si è interessato tanto a voi. — Esitò. — Forse noi due potremmo fuggire insieme.
— Fuggire? — fece eco Gosseyn, e la guardò con fermezza. Era stupito nel sentirla parlare inglese, ma quella spiegazione poteva attendere, mentre lui si procurava informazioni più vitali. La donna sospirò, poi alzò le spalle. — Il Seguace ha paura di voi. Dunque, questa cella non può essere una prigione per voi come lo è per me. O mi sbaglio? Gosseyn non rispose, ma si sentiva poco fiducioso. L'analisi della donna era sbagliata. Era prigioniero quanto lei. Senza un punto esterno su cui similarizzarsi, senza una presa di corrente davanti agli occhi per memorizzarla, era privo di risorse. Studiò la donna con un lieve cipiglio. Come compagna di prigionia era in teoria un'alleata. Come dama e, probabilmente, come abitante di quel pianeta, poteva essere molto preziosa per lui. Ma probabilmente era un'agente del Seguace. Eppure, era convinto che fosse necessaria una decisione immediata. — Il Seguace — disse la donna, — è venuto qui tre volte, chiedendosi perché non vi siete svegliato quando arrivaste qui, più di due giorni fa. Avete qualche idea in proposito? Gosseyn sorrise. Il pensiero di se stesso che confidava informazioni gli parve ingenuo. Non avrebbe detto a nessuno che era stato nel corpo di Ashargin, anche se
senza dubbio era il Seguace che ve lo aveva messo… Si interruppe. Si sentì irrigidire. Pensò, quasi stordito: «Ma questo significherebbe…» Scosse la testa, poi si alzò, completamente sbalordito. Se il Seguace aveva perduto il controllo su di lui, questo indicava l'esistenza di un altro essere dotato d'enorme potere. E la cosa non era affatto da escludere. Non doveva mai dimenticare la sua teoria. In qualche luogo, là fuori, c'erano i giocatori di quel gioco possente, e anche una regina, come lui credeva di essere, poteva essere mossa, messa sotto scacco e minacciata, o persino catturata ed eliminata dalla scacchiera. Aprì le labbra per parlare, ma si trattenne. Ogni sua parola sarebbe stata analizzata da una delle menti più acute e pericolose della Galassia. Rifletté un istante, poi ritornò alla prima domanda. A voce alta chiese: — Fuggire? La donna sospirò. — Sembra incredibile — disse. — Un uomo i cui movimenti non possono essere predetti. Fino a un certo punto ho una visione chiara di ciò che state per fare, poi, perché una delle azioni è priva di logica, ottengo solo confusione.
— Potete leggere il futuro… — disse Gosseyn, — … come il Seguace? — Era assorto. Si avvicinò alle sbarre che separavano le due celle, e fissò la donna, affascinato. — Come è possibile? Chi è il Seguace che ha l'aspetto di un'ombra? La donna rise. Era una risata lievemente condiscendente, ma musicale e piacevole. La risata si spense. — Naturalmente siete nel Rifugio del Seguace — disse, accigliandosi. — Non capisco né voi né le vostre domande. State cercando di sviarmi? Chi è il Seguace? Tutti sanno che il Seguace è un comune Profeta che ha scoperto come mettersi fuori fase. Vi fu un'interruzione. Il gigante della terza cella si agitò sulla branda, si levò a sedere e fissò Gosseyn. — Torna a cuccia! — disse con voce di basso. — Non voglio più pescarti mentre parli con Leej. Presto! Gosseyn non si mosse, si limitò a guardarlo con occhi incuriositi. Lo straniero si alzò, e si avvicinò alle sbarre della cella. Sulla branda, era parso un gigante. Ora, per la prima volta, Gosseyn comprese quanto fosse colossale. Torreggiava. Era alto quasi due metri e mezzo, ed era robusto quanto un
gorilla. Gosseyn calcolò che avesse una circonferenza toracica di due metri. Fu colto alla sprovvista. Non aveva mai visto un uomo così enorme. Il gigante trasudava anormale forza fisica. Per la prima volta in vita sua, Gosseyn si sentì alla presenza di un individuo non addestrato la cui semplice forza muscolare eccedeva le possibilità di un comune non-A. — Torna indietro — disse il mostro con voce minacciosa. — Il Seguace mi ha detto che è mia, e non voglio concorrenti. Gosseyn guardò interrogativamente la donna, ma lei si era distesa con il viso verso la parete. Si girò di nuovo verso il gigante. — Che pianeta è questo? — chiese, in tono discorsivo. Il suo tono era indovinato, perché il gigante perse un po' della sua bellicosità. — Pianeta? — disse. — Cosa vuoi dire? Era sbalorditivo. Gosseyn, la cui mente era balzata avanti, pensando altre domande, arretrò. Era possibile che fosse un altro sistema planetario isolato, simile a quello di" Sol"? La possibilità lo scosse. — Il nome del vostro sole — incalzò. — Senza dubbio lo chiamate in qualche modo. Deve avere un simbolo
riconoscibile nella nomenclatura galattica. L'altro si raffreddò. I suoi occhi azzurri si inumidirono di sospetto. — Cosa stai cercando di concludere? — chiese, rudemente. Gosseyn disse, cupo: — Non fingere di non sapere che i pianeti di altri soli sono abitati da esseri umani. Il colosso diede segni di disgusto. — Hai il cervello confuso, no? — disse, in tono significativo. — Senti, mi chiamo Jurig. Vivo su Crest, e sono cittadino yalertano. Ho ucciso un uomo per averlo colpito troppo forte e sono qui in attesa dell'esecuzione… ma non voglio più parlare con te. Mi disturbi, con le tue sciocchezze. Gosseyn esitò. Le proteste di Jurig erano convincenti, ma non era disposto a lasciar perdere. C'era un punto che doveva essere chiarito. — Se sei così ingenuo — disse, in tono d'accusa, — come mai parli la lingua inglese così perfettamente? Comprese la risposta nel momento stesso in cui pronunciò la parola «inglese». Jurig completò il pensiero per lui.
— Che lingua? — disse. Cominciò a ridere. — Sei pazzo. — Sembrò capire i sottintesi di ciò che diceva. Ringhiò. — Possibile che il Seguace mi abbia messo qui insieme a un pazzo? Poi si frenò. — Uomo, chiunque tu sia… la lingua che parliamo, tu e io, è yalertano. E posso dirti subito che la parli come uno di qui. Per qualche minuto, Gosseyn rinunciò alla conversazione. Tornò alla branda e vi sedette. Il flusso delle sensazioni neurali che uscivano dal gigante non era amichevole. C'era astuzia, in esse, e una specie di boriosa soddisfazione omicida. Perché quell'uomo dissimulava? In quanto a forza muscolare, lo yalertano faceva classe a sé. Se si fossero azzuffati, Gosseyn avrebbe dovuto usare il suo cervello supplementare per similarizzarsi in vari punti della prigione. Doveva tenersi lontano da quelle braccia di gorilla e battersi come un pugilatore, non come un lottatore. Ma l'uso del suo cervello supplementare avrebbe rivelato la natura delle sue speciali facoltà. Gosseyn si alzò, si avvicinò lentamente all'inferriata che divideva la sua cella da quella di Leej. Riconosceva che la sua posizione era sfavorevole. La cella non aveva prese di corrente. Vi era prigioniero come il più comune essere umano.
Le sbarre dell'inferriata erano sottili, distanti una decina di centimetri una dall'altra. Un uomo forte avrebbe potuto piegarle. Ma nessun uomo sano di mente l'avrebbe tentato. Il metallo era incrostato di aghi, a migliaia. Si ritrasse, sconfitto, poi si chinò ed esaminò la connessione dell'inferriata al pavimento. C'era una sbarra trasversale priva di aghi, ma gli aghi delle sbarre verticali giungevano fino a coprirla, mettendola al sicuro da dita curiose. Gosseyn si rialzò, si volse verso la sua ultima speranza, la branda. Se avesse potuto spingerla in piedi contro la parete, avrebbe potuto raggiungere la finestra. La branda era metallica, con le gambe cementate nel pavimento. Dopo parecchi minuti di vani sforzi, Gosseyn indietreggiò. Una cella priva di porte, pensò, avvolta nel silenzio. La sua mente fece una pausa. Il silenzio non era completo. V'erano suoni, movimenti, fruscii, un lieve pulsare di voci. La prigione doveva far parte d'un edificio più grande, che la donna aveva chiamato Rifugio del Seguace. Cercò di visualizzare tutto questo quando Jurig disse dietro di lui: — Che strani vestiti hai addosso. Gosseyn si girò e lo fissò. Il tono di Jurig indicava che non
aveva trovato un nesso fra gli abiti e ciò che aveva detto a proposito di altri pianeti. Guardò il suo «strano» abito. Era una leggera tuta plastica con una cerniera lampo nascosta e, pure nascosto, un termostato che controllava una rete di riscaldamento e di refrigerazione intrecciata nella stoffa artificiale. Aveva l'aspetto pulito e costoso e comodo, specie per un uomo che poteva trovarsi in un clima cui non era avvezzo. L'abito avrebbe mantenuto una temperatura costante vicino alla sua pelle, al caldo o al freddo. Si era accorto di usare una lingua straniera con tanta naturalezza e facilità quando aveva tentato di adattare la parola «inglese» nella lingua yalertana: aveva avuto un suono sbagliato. Aveva saputo da Thorson e da Crang che la civiltà galattica aveva prodotto macchine linguistiche per mezzo delle quali i militari, i diplomatici e i viaggiatori spaziali potevano imparare le lingue dei popoli di altri pianeti. Ma non aveva mai immaginato nulla di simile. Doveva essere stato il cartoncino. Gosseyn cadde sulla branda e chiuse gli occhi. Era stato preso in trappola nella stanza di Janasen. Si era seduto su un distorter. In un istante, pensò, sono stato portato via da Venere. Il mio corpo si è diretto verso questa cella, vi è arrivato in un istante prestabilito. A metà del volo, un altro giocatore di questa immensa partita ha similarizzato il mio cervello nella
scatola cranica di Ashargin, su un pianeta lontano. Nel momento in cui il contatto si è spezzato, mi sono svegliato qui, già istruito nella lingua locale. E se il Seguace si aspettava che mi destassi nel momento in cui il mio corpo è arrivato, allora io devo avere imparato la lingua nel momento in cui ho guardato il cartoncino, o subito dopo. Guardò di nuovo la donna, che gli volgeva ancora le spalle. Guardò Jurig: lui doveva essere la sua fonte di informazioni, per ora. Il colosso rispose alle sue domande senza esitazioni. Il pianeta era costituito da migliaia di grandi isole. Solo la gente dei vagoni volanti, i Profeti, poteva muoversi liberamente su tutta la superficie. Il resto della popolazione era confinato sulle isole. C'era commercio, fra loro, e un po' di migrazioni, ma sempre su scala limitata come fra le varie nazioni. C'erano molte barriere al commercio e alle migrazioni, ma… Gosseyn ascoltò con l'attenzione di chi sta afferrando una nuova idea. Stava cercando di immaginare i venusiani nonA contro quegli yalertani. Cercò di pensare una parola comprensiva che descrivesse i Profeti, ma nulla gli pareva adatto. I due popoli non avevano ancora compreso che esistevano due modi completamente diversi di trattare la realtà, nella Galassia: non si conoscevano ancora l'un l'altro. Entrambi erano sistemi evolutisi nell'isolamento rispetto al flusso principale della civiltà galattica. Ed entrambi stavano per essere travolti nel gorgo d'una guerra
così immensa che interi sistemi planetari potevano venir spazzati via. Finalmente commentò: — Mi sembra che questi Profeti non ti piacciano. Perché? Il gigante si era allontanato dalle sbarre, e si appoggiava alla parete sotto la finestra. — Stai scherzando? — disse. Socchiuse gli occhi, irritato, poi tornò alle sbarre. — Ne hai già dette abbastanza, per oggi. — Non scherzo. Non lo so, veramente. — Possono predire il futuro — disse bruscamente Jurig. — Sono dei presuntuosi. E sono spietati. — Questo mi sembra male — ammise Gosseyn. — Sono tutti malvagi! — esplose Jurig. Si fermò e deglutì. — Fanno schiavi gli altri. Rubano le idee al popolo delle isole. E poiché conoscono il futuro, vincono tutte le battaglie e reprimono tutte le ribellioni. Ascolta! — Jurig si curvò verso le sbarre, davanti a lui, parlò con tono impaziente. — Ho notato che non ti è piaciuto quando ho detto che Leej apparteneva a me. Non che importi ciò che ti piace o no, capisci. Ma non devi provare pena per loro. Ho visto qualcuna di queste donne scuoiare vivo qualcuno degli esseri inferiori. — La sua voce divenne sarcastica, poi irosa. — E si divertivano. Ora, se questa ha offeso il Seguace per qualche ragione, e così, per la prima volta
dopo secoli… non ho mai sentito parlare d'un caso simile… uno di noi esseri inferiori ha la possibilità, per lo meno, di rifarsi un po'… non devo approfittarne? Puoi scommettere che lo farò. Per la prima volta dacché aveva voltato loro le spalle, la giovane donna si agitò. Si girò, si levò a sedere e guardò Gosseyn. — Jurig ha dimenticato di dire una cosa — dichiarò. Il gigante lanciò un urlo, sogghignò. — Diglielo — infuriò, — e ti fracasserò i denti nel momento in cui ci troveremo insieme. La donna tremò visibilmente; non c'era dubbio sulla sua paura. La sua voce tremava, quando parlò, ma in essa c'era un tono di sfida. — Deve uccidervi, nel momento in cui saranno tolte le sbarre — disse. Il viso di Jurig era uno spettacolo. — Benissimo, mia bella signora. Sei spacciata. La donna era pallidissima. — Penso — disse, tremando — che il Seguace voglia vedere come sapete difendervi. — E lo guardò, con aria di supplica. — Cosa ne pensate?
Potete fare qualcosa? Era una domanda che Gosseyn stava già rivolgendo a se stesso. Provò l'impulso di rassicurare la giovane donna, ma lo represse. Non aveva intenzione di subire mentre Jurig portava a compimento le sue minacce sanguinose, ma non doveva mai dimenticare che oltre quelle pareti grige c'era un osservatore attento… e che ogni suo movimento, parola e azione sarebbe stato accuratamente vagliato e analizzato. — Potete fare qualcosa? — chiese la donna. — O il Seguace si preoccupava di voi senza ragione? — Ciò che vorrei sapere — ribatté Gosseyn, — è questo: quali azioni prevedete che io compirò? La risposta di lei provò che non era una discussione accademica. Senza preavviso, la donna scoppiò in lagrime. — Oh, vi prego — singhiozzò, — non fatemi rimanere in sospeso. Le minacce di quell'uomo mi fanno impazzire. — Scosse il capo. — Non so che cosa sia. Quando guardo nel vostro futuro, tutto si confonde. L'unica volta che questo accade è con il Seguace, e con lui è naturale. E' semplicemente fuori fase.
Si interruppe, si asciugò le lagrime col dorso della mano e disse, in fretta: — So che siete in pericolo. Ma se potete fare qualcosa contro il Seguace, dovete farlo allo scoperto. Gosseyn scosse il capo. Gli spiaceva per la donna, ma la sua logica era errata. — Nella storia del pianeta da cui provengo, la sorpresa è stata un fattore importantissimo per determinare quali paesi e quali fazioni dovevano dominare. Le lagrime erano scomparse dagli occhi di lei, e il suo sguardo era di nuovo fermo. — Se il Seguace può sconfiggervi allo scoperto, può sventare qualsiasi sistema a sorpresa di cui disponete. Gosseyn l'udì appena. — Ascoltate — disse, onestamente. — Cercherò di aiutarvi, ma che io riesca o no dipende dalle vostre risposte alle mie domande. — Sì? — Lei ansimava; aveva gli occhi spalancati, le labbra socchiuse. — Avete qualche immagine delle mie future azioni? — Ciò che vi vedo fare — disse Leej, — non ha senso. Non ha senso, ecco. — Ma che cos'è? — Si sentiva esasperato. —
Devo saperlo. — Se ve lo dicessi — disse lei, — questo introdurrebbe un fattore nuovo e cambierebbe il futuro. — Ma forse "deve" essere cambiato. — No. — Lei scosse il capo. — Dopo che lo avrete fatto, tutto si confonde. Questo mi dà speranza. Gosseyn si controllò con uno sforzo. Era qualcosa, comunque. Il sottinteso era che sarebbe stato usato il suo cervello supplementare. A quanto pareva, quando ciò accadeva, il sistema di predizione non funzionava più. La loro facoltà era tuttavia straordinaria, e avrebbe dovuto cercare di scoprire in che modo dei nevrotici come quella donna potevano automaticamente predire il futuro. Ma questo più tardi. — Sentite — disse Gosseyn. — Quando accadrà tutto questo? — Fra dieci minuti circa — disse Leej. Gosseyn fu colpito. Tacque. Finalmente disse: — C'è qualche sistema di trasporto fra Yalerta e i pianeti di altre stelle?
— Sì — disse Leej. — Senza preavviso, senza conoscenza preventiva da parte nostra, il Seguace informò tutto il mio popolo che noi avremmo dovuto accettare incarichi a bordo di astronavi militari d'un essere che si chiama Enro. E immediatamente portò qui una nave per trasportarci. Gosseyn subì quel colpo senza cambiare espressione, ma dentro di sé rabbrividì. Ebbe la visione improvvisa di veggenti a bordo di ogni nave che predicevano le azioni future delle astronavi nemiche. Quale essere umano avrebbe potuto battersi contro un equipaggio superumano? Da ciò che aveva detto Janasen aveva saputo che il Seguace lavorava con Enro: però era un solo individuo. Ma qui c'erano rinforzi. Formulò la domanda in tono penetrante: — Quanti… quanti siete, qui? — Circa cinque milioni — disse Leej. Aveva pensato una cifra superiore, ma questo non gli recò sollievo. Cinque milioni bastavano per dominare la Galassia. — Eppure — disse Gosseyn, esprimendo la sua speranza a voce alta — non andranno tutti. — Io ho rifiutato — disse Leej, con voce secca. —
Non sono stata l'unica, penso. Ma ho parlato contro il Seguace per cinque anni, e quindi sono stata scelta per dare un esempio. — Sembrava stanca. — Quasi tutti gli altri accettano. Gosseyn calcolò che quattro dei dieci minuti erano trascorsi. Si asciugò la fronte madida, e incalzò. — E le accuse formulate da Jurig contro i Profeti? Leej si scrollò, irrequieta. — Penso che siano vere. Ricordo una sciocca ragazza al mio servizio: mi rispose e la feci frustare. — Lo guardò, con occhi spalancati e innocenti. — Che altro si può fare con la gente che non sa stare al suo posto? Gosseyn aveva quasi dimenticato il gigante, ma ora lo ricordò per forza. Dalla cella oltre quella della donna si levò un ruggito offeso. — Capisci? — urlò il gigante. — Capisci cosa intendo? — Camminò avanti e indietro. — Aspetta che quelle sbarre si alzino, e ti mostrerò cosa si può fare con la gente che non sa stare al suo posto. — Alzò la voce in un grido frenetico. — Seguace, se mi ascolti, facciamo qualcosa! Alza quelle sbarre! Alzale!
Se il Seguace udì, non ne diede segno. Le sbarre non si alzarono. Jurig si quietò e si ritirò sulla sua branda. Vi sedette, brontolando: — Aspetta! Aspetta! Per Gosseyn, l'attesa era finita. Nella sua esplosione, Jurig gli aveva dato un'indicazione del gesto che doveva compiere. Si accorse di tremare, ma non gli importava. Aveva la risposta. Sapeva cosa stava per fare. Lo stesso Seguace gli avrebbe offerto l'occasione al momento critico. Nessuna meraviglia se Leej non aveva creduto nelle proprie previsioni della sua azione futura. In apparenza, sarebbe stata una mossa priva di significato. Crac! Il suono si levò mentre si riadagiava sulla branda. Un suono metallico. Le inferriate si stavano sollevando. CAPITOLO 7
"Nel fare un'affermazione su un oggetto o un evento, un individuo «astrae» solo poche delle sue caratteristiche. Se dice: «La sedia è marrone!» dovrebbe intendere che il colore marrone è una delle sue qualità, e dovrebbe essere conscio, mentre parla, che la sedia ha molte altre qualità. La
«consapevolezza di quando si compie un'astrazione» costituisce una delle principali differenze fra una persona che è addestrata nella Semantica Generale e una che invece non lo è". Con uno scatto felino, Gosseyn lasciò la branda. Le sue dita si serrarono sulla traversa dell'inferriata, in fondo. E si sentì irresistibilmente sollevato. Lo sforzo di tenersi aggrappato gli costò ogni grammo della forza delle braccia e delle dita. La zona cui poteva afferrarsi era spessa meno di tre centimetri, e curvata in senso contrario, ma doveva tenersi aggrappato al di sotto degli aghi, e rimanervi appeso, o subire la sconfitta decisiva. Rimase appeso. Quando giunse al livello della finestra, riuscì a vedere fuori. Intravide un cortile, un'alta palizzata non lontana fatta di lance metalliche appuntite, e una distesa d'alberi, più oltre. Gosseyn guardò appena quella scena. Un'occhiata complessiva, poi rivolse la sua attenzione al cortile. Fu un momento atrocemente lungo mentre memorizzava la struttura superficiale d'una parte del selciato. E poi, compiuto ciò che si era prefisso, si lasciò cadere dall'altezza di quasi sei metri sul pavimento di cemento della cella.
Cadde a quattro zampe, fisicamente rilassato, ma con la mente rigida come una sbarra metallica. Ora disponeva di una zona esterna in cui poteva fuggire usando i poteri speciali del suo cervello supplementare, ma doveva ancora decidere quale sarebbe stata la sua azione immediata. Il suo problema nei confronti del Seguace non era radicalmente mutato. Il pericolo mortale e imminente rimaneva, ma, perlomeno, ora poteva portarsi all'aperto. Cautamente, come un pugilatore che studia un avversario pericoloso, Gosseyn osservò Jurig, che avrebbe dovuto ucciderlo. — Leej — disse, senza guardare la Profetessa, — venite qui, dietro di me. Lei obbedì senza una parola, senza fare rumore. Intravide il viso di lei mentre gli passava accanto: le guance erano incolori, gli occhi confusi, ma teneva la testa alta. Dall'estremità di ciò che adesso era un'unica stanza, Jurig ringhiò: — Non ti servirà a niente, nasconderti dietro di lui. Era una minaccia tipicamente talamica, che non serviva ad alcun proposito utile. Ma Gosseyn non lasciò perdere. Aveva atteso uno spiraglio. Un uomo che non aveva trovato ancora il modo di affrontare una questione importante
doveva dare l'impressione di dedicarsi completamente a una più ridotta. Finché dava l'impressione di essere preoccupato per Jurig, come se vi fosse pericolo, il Seguace avrebbe atteso gli eventi. Disse, con voce ferrea: — Jurig, sono stanco di queste parole. E' tempo che tu decida da quale parte stai. E io ti dico subito che farai meglio a stare dalla mia. Lo yalertano, che si era preparato ad attaccare, si fermò. I muscoli del suo viso si torsero spasmodicamente, fra il dubbio e il furore. Guardò Gosseyn con gli occhi perplessi di un attaccabrighe il cui avversario, più piccolo, non avesse paura. — Ti fracasserò la testa contro il cemento — disse, a denti stretti. Ma pronunciava le parole come se volesse provarne l'effetto. — Leej — disse Gosseyn. — Sì? — Potete vedere ciò che farò? — Non vedo nulla. Nulla! Toccò a Gosseyn sentirsi perplesso. Se lei non poteva prevedere le sue azioni, non lo poteva neppure il Seguace. Ma aveva sperato di ottenere un vago quadro che lo aiutasse a decidere. Cosa avrebbe fatto, una volta fuori?
Doveva fuggire? O entrare nel Rifugio e cercare il Seguace? Il suo ruolo nella situazione era più grande di quello di Jurig o di Leej. Come il Seguace, era un pezzo importante nella galattica partita a scacchi. Per lo meno, poteva considerarsi tale finché gli eventi non provassero altrimenti. E questo gli imponeva restrizioni. La semplice fuga non avrebbe risolto i suoi problemi. Doveva anche, se era possibile, piantare i semi della futura vittoria. — Jurig — temporeggiò a voce alta, — devi prendere una grossa decisione. Ci vuole più coraggio di quanto hai mostrato finora, ma sono sicuro che lo hai. D'ora innanzi, senza preoccuparti delle conseguenze, tu sei contro il Seguace. Ti assicuro: non hai scelte. Quando ci incontreremo di nuovo, se tu non opererai incondizionatamente contro di lui ti ucciderò. Jurig lo fissò incerto. Gli era difficile credere che il suo compagno gli stesse impartendo ordini. Rise, imbarazzato. Poi l'enormità dell'insulto lo colpì. Si infuriò atrocemente, dell'ira di chi si sente oltraggiato. — Ti mostrerò io se ho scelta! — urlò. Si avvicinò, rapidamente ma pesantemente. Tese le braccia, con l'intento di stringerlo con violenza, e fu sorpreso quando Gosseyn entrò nel cerchio dei suoi arti ursini e sparò un violento diretto al suo mento. Il colpo non
fu centrato, ma bastò a fermare Jurig. Afferrò Gosseyn con un'espressione sofferente sul viso. La sua espressione divenne ancora più sofferente man mano che lottava per afferrare alla gola un uomo che, dopo avergli inferto quel primo colpo rivelatore, era non solo più veloce ma anche più forte di lui. Lo yalertano cedette, all'improvviso, come una porta spalancata da un ariete. Gosseyn se ne accorse, e con una finale esplosione di forza mandò l'altro a barcollare all'indietro, sconfitto nella mente e nel corpo. Il trauma sarebbe durato, e a Gosseyn spiacque. Ma non c'era dubbio: era stato necessario. Su tali identificazioni, la gente come Jurig costruiva il proprio Io. Per tutta la sua vita, come le capre del famoso esperimento, Jurig si era fatto strada a testate verso il dominio. Era il "suo" modo di esprimere la sua superiorità, non quello di Gosseyn. Consciamente, si sarebbe risentito per la sconfitta, avrebbe trovato decine di giustificazioni per se stesso. Ma al livello inconscio l'avrebbe accettata. Per quanto riguardava Gilbert Gosseyn, la sua fiducia della propria forza fisica era scomparsa. Solo un addestramento non-A l'avrebbe messo in grado di ri-orientarsi nella nuova situazione: e quell'addestramento non era alla sua portata.
Soddisfatto, Gosseyn si similarizzò nel cortile. Poi, lo scopo della fuga prese pieno possesso del suo sistema nervoso. Era conscio vagamente della presenza di persone, nel cortile, che si voltavano a guardarlo mentre correva. Girando il capo intravide una enorme congerie di edifici, di guglie e di torri, masse di pietra e di marmo, finestre di vetri colorati. Quell'immagine del Rifugio del Seguace gli rimase nella mente mentre «osservava» tutte le sorgenti di energia del castello. Era pronto a similarizzarsi qua e là per sfuggire alle armi a energia. Ma non vi fu alcun cambiamento nel flusso proveniente dalla dinamo o dalla pila atomica. Automaticamente, similarizzò Leej nell'area memorizzata dietro di lui, ma non si voltò a guardare se la donna lo seguiva. Raggiunse la cancellata, e vide che le lance, già temibili in se stesse, erano incrostate di aghi come le inferriate della prigione. Tre metri di metallo che non poteva scalare… ma tra le lance poteva vedere! Gli occorse il solito lungo attimo — pareva lungo — per memorizzare un'area oltre la palizzata. In realtà,- non era una memoria. Quando si concentrava su un luogo in un certo modo, il suo cervello supplementare scattava
automaticamente una «fotografia» dell'intera struttura atomica della materia di quel luogo, fino alla profondità di alcune molecole. Il successivo processo di similarizzazione, era poi dovuto a un flusso d'energia nervosa lungo i canali del cervello supplementare… canali che si erano costituiti solo dopo un prolungato addestramento. Il segnale d'attivazione lanciava un'ondata di quella energia, prima lungo i nervi del suo corpo, poi al di là della pelle. Allora, per un istante, ogni atomo interessato veniva costretto in una confusa somiglianza con lo schema «fotografato». Quando la similarità giungeva, come approssimazione, al ventesimo decimale, i due oggetti diventavano contigui, e quello più grande superava il varco come se il varco non esistesse. Gosseyn si similarizzò oltre la cancellata e cominciò a correre verso i boschi. Mentre correva, sentì la presenza di energia magnetica e vide un aereo scendere verso di lui, al di sopra degli alberi. Continuò a correre, sorvegliandolo con la coda dell'occhio, cercando di analizzarne la sorgente di energia. Non aveva elica, ma c'erano lunghe lastre metalliche che sporgevano dalle robuste ali. Lastre dello stesso tipo correvano lungo la fusoliera, e questo gli valse come una conferma. Quella era la sorgente dell'energia magnetica. Il suo armamento doveva essere costituito di armi da fuoco o di fulminatori a raggi magnetici.
La macchina volava lateralmente: ora puntò verso di lui. Gosseyn si similarizzò di nuovo accanto alla cancellata. Uno sbuffo di fuoco colorato si levò dal suolo, nel punto in cui si era trovato poco prima. L'erba fumò. Lampi di fiamma gialla si levarono dagli arbusti, e si mescolavano con il rosso-verde-azzurro-arancio dello spiegamento cromatico del fulminatore.
Quando l'aereo gli passò oltre, sibilando, Gosseyn prese una «fotografia» della sua sezione prodiera. E ancora una volta, alla massima velocità, si lanciò a corsa verso gli alberi che distavano più di cento metri. Sorvegliò l'aereo e lo vide virare e picchiare di nuovo verso di lui. Questa volta Gosseyn non corse rischi. Era a trenta metri dalla cancellata, e questa distanza era pericolosamente ridotta. Ma similarizzò la coda dell'aereo all'area memorizzata accanto alla cancellata. Vi fu uno schianto che scosse il suolo. Lo stridore metallico dell'aereo, la cui velocità non era stata ridotta dal processo di similarizzazione, fu lacerante, mentre strisciava lungo la cancellata, infrangendola con rumori fantastici. Si fermò a duecento metri di distanza, ridotto a un frammento sfasciato. Gosseyn continuò a correre. Raggiunse il bosco, ma non si accontentò della semplice evasione. Se esisteva un aereo militare, ne potevano esistere altri. Rapidamente memorizzò un'area accanto a un albero, si fece da parte e vi portò Leej. Poi si ritrasportò nella zona immediatamente all'esterno della finestra della cella, e si lanciò verso la porta più vicina che portava nel Rifugio. Voleva armi capaci di opporsi a ciò che il Seguace aveva escogitato per prevenire la sua fuga: e intendeva ottenerle.
Si trovò in un largo corridoio e la prima cosa che vide fu una fila di lampade magnetiche. Memorizzò la più vicina, e immediatamente si sentì meglio. Aveva un'arma piccola ma potente che avrebbe funzionato in qualunque punto di Yalerta. Percorse il corridoio, ma più lentamente. La dinamo e la pila erano vicine, ma non c'era modo di stabilire dove fossero. Sentiva intorno la presenza di esseri umani, ma il flusso neurale non era né teso né minaccioso. Trovò una scala che scendeva in un sotterraneo, e senza esitazione cominciò a scenderla. In basso c'erano due uomini, che parlavano fra di loro rapidamente ma senza ansietà. Lo guardarono, sorpresi. E Gosseyn, che aveva già fatto il suo piano, disse ansimante: — Dov'è la centrale? E' urgente. Uno degli uomini si mostrò eccitato. — Ecco… da quella parte. Di là. Cosa succede? Gosseyn stava già correndo nella direzione indicata. L'altro gli gridò dietro: — Quinta porta a destra! Quando giunse alla quinta porta, si fermò appena varcata la soglia. Non sapeva che cosa si fosse aspettato, ma non
certo una pila atomica collegata a una dinamo elettrica. L'immensa dinamo girava sommessamente. La sua grande ruota scintillava, mentre si muoveva lentamente. Dall'una e dall'altra parte c'erano pareti piene di quadri di controllo. Mezza dozzina di uomini si muovevano qua e là, e dapprima non lo videro: Gosseyn si diresse arditamente verso il cavo d'uscita della dinamo e lo memorizzò. Ne valutò la potenza in quarantamila chilowatt. Poi, senza esitazione, si diresse verso la pila. C'erano i soliti strumenti che permettevano di guardare nell'interno, e un assistente si chinava su una valvola, regolando minuziosamente un manometro. Gosseyn si fermò accanto a lui e guardò attraverso un visore, nell'interno della pila. Si accorse che l'uomo si raddrizzava. Ma il lungo attimo che fu necessario all'altro per comprendere la natura della sua intrusione bastò a Gosseyn. Mentre l'assistente gli toccò la spalla, troppo sorpreso per parlare o per incollerirsi, Gosseyn arretrò e, senza una parola, varcò la porta e tornò nel corridoio. Appena fu fuori vista, si trasportò nei boschi. Leej era a pochi metri da lui, ed era parzialmente voltata dalla sua parte.
Trasalì quando egli comparve, e balbettò qualcosa di incomprensibile. Gosseyn aspettò che l'espressione di lei gli indicasse che si stava riprendendo. Non dovette attendere a lungo. Tremava, ma di eccitazione. I suoi occhi erano un po' vitrei, ma si accesero d'impazienza. Gli afferrò il braccio con dita tremanti. — Presto! — disse. — Da questa parte. Il mio vagone volante è là! — Il vostro?… — chiese Gosseyn. Ma la donna si era già avviata fra i cespugli, e sembrava non udirlo. Gosseyn la seguì, ad occhi socchiusi, pensando: «Mi ha ingannato? Ha sempre saputo che sarebbe fuggita ora? Ma allora perché il Seguace non lo sa e non è in agguato?» Non poté non ricordare che era «caduto nella trappola più complicata che mai sia stata preparata per un singolo uomo». E doveva tenerlo presente, anche se — a quanto pareva — era riuscito a fuggire. Davanti a lui, la donna si tuffò oltre uno schermo di alti cespugli; non la udì più. Seguendola, Gosseyn si trovò sulla riva d'un mare sconfinato. Ebbe il tempo di ricordare che quello era un pianeta di oceani immensi interrotti a tratti da isole, e poi un'aeronave si avvicinò, librandosi al di sopra
degli alberi a sinistra. Era lunga circa cinquanta metri, aveva la prora smussata, ed era larga una decina di metri nel punto di maggior spessore. Si tuffò leggermente verso l'acqua, davanti a loro. Una lunga passerella si stese verso di loro, toccò la sabbia ai piedi della donna. In un lampo, la donna vi salì, si voltò a gridare: — Presto! Gosseyn varcò il portello subito dopo di lei. Nel momento in cui entrò, la porta si chiuse, e l'apparecchio cominciò ad avanzare, sollevandosi. La rapidità con cui tutto era accaduto ricordò a Gosseyn una simile esperienza che aveva vissuto nel Tempio del Dio Dormiente, a Gorgzid, nel corpo del principe Ashargin. C'era una differenza, vitale e incalzante. Come Ashargin, non si era sentito immediatamente minacciato. Ma ora, era diverso. CAPITOLO 8
"Le formulazioni di Aristotele sulla scienza del suo tempo erano probabilmente le più esatte disponibili, allora. I suoi seguaci, per duemila anni, accettarono l'identificazione che esse fossero vere per sempre. In tempi più recenti, nuovi sistemi di misurazione smentirono molte di queste «verità», che tuttavia
continuano a essere la base delle opinioni e delle convinzioni di molta gente. La logica a due valori su cui questo pensiero popolare è fondato ha ricevuto quindi la definizione di Aristotelica (abbreviazione: A) e la logica a molti valori della scienza moderna ha ricevuto la definizione di non-Aristotelica (abbreviazione: non-A)". Gosseyn si trovò in un corridoio in fondo a una rampa di scale. Il corridoio si stendeva a destra e a sinistra, e curvava gradualmente. Per il momento non provava desiderio di esplorare. Seguì Leej su per la scala verso una stanza illuminata, e subito notò la forma caratteristica delle luci del soffitto: confermava la sua prima «sensazione» della fonte d'energia della nave. Energia magnetica. Era interessante, perché gli dava un quadro dell'evoluzione scientifica yalertana, paragonabile a quella terrestre del ventiduesimo secolo. Ma fu un colpo, per lui. Per lui, ora, il motore magnetico aveva una lacuna. Era troppo completo. Compiva tante funzioni che coloro che se ne servivano erano portati a non prendere in considerazione altre forme di energia. I Profeti avevano commesso il vecchio errore. Non c'era energia atomica, a bordo, né elettricità: neppure una batteria. Questo significava niente armi potenti e niente radar. I Profeti, ovviamente, pensavano di essere in grado di prevedere l'avvicinamento di qualunque forza ostile, ma
non era più così. Ebbe una visione di ingegneri galattici che mandavano torpedini aeree guidate elettricamente, con testata atomica e spolette di prossimità, o un'altra della decina di armi che, una volta sintonizzate su un bersaglio, l'avrebbero seguito fino a che non l'avessero distrutto o fossero state distrutte. Il peggio era che non poteva fare altro se non scoprire in fretta fino a qual punto giungevano le facoltà profetiche di Leej. E, naturalmente, poteva sperare. La stanza in cui Leej lo guidò era più ampia, lunga e alta di quanto fosse sembrata dall'entrata, in basso. Era un salotto, arredato con divani, poltrone, tavole, un grande tappeto verde e, proprio di fronte a dove Gosseyn s'era fermato, una finestra che si sporgeva dal fianco della nave come un balcone aerodinamico. La donna si lasciò cadere sospirando su un divano accanto alla finestra e disse: — E' meraviglioso essere al sicuro. — Scosse i capelli neri. — Che incubo. Poi aggiunge, in tono selvaggio: — Che non accada mai più! Gosseyn, che era diretto verso la finestra, fu fermato da quelle parole. Si girò a mezzo per chiederle su che cosa basasse la sua sicurezza. Non formulò la domanda. La donna aveva già ammesso di non poter predire le azioni
del Seguace, e questo gli era sufficiente. A parte il suo dono, era una bella, giovane donna emotiva, sulla trentina, senza particolari astuzie per proteggersi dal pericolo. Gosseyn avrebbe cercato di scoprire tutto ciò che sapeva, non appena fatto il possibile per prevenire eventuali attacchi. Mentre si accingeva a muoversi, avvertì la sensazione nervosa che indicava l'avvicinarsi di un essere umano. Un attimo dopo, un uomo uscì da una porta che comunicava con la parte anteriore del vascello. Era un uomo magro, con i capelli striati di grigio. Corse accanto a Leej e si inginocchiò. — Mia cara — disse, — sei tornata. E la baciò, con un rapido movimento. Gosseyn ignorò i due innamorati. Era alla finestra, e guardava giù, verso una scena affascinante. Un'isola. Un'isola verde, posta come uno smeraldo in un mare di zaffiro. E nella gemma verde c'era un'altra gemma, un gruppo di edifici che splendevano grigio bianchi nel sole: era difficile distinguerne i particolari. Parevano irreali, e non somigliavano a veri edifici, in distanza. La certezza che lo fossero aiutò la mente di Gosseyn a colmare le lacune.
La nave stava salendo dolcemente. La sua velocità era maggiore di quella che aveva giudicato dalla dolcezza dell'accelerazione, perché, mentre guardava, l'isola rimpicciolì visibilmente. Vide che non c'erano movimenti al suolo o nell'aria al di sopra dell'isola. Questo lo incoraggiò, anche se aveva sempre ricordato, in ogni istante di pericolo, che, se fosse stato ucciso, la continuità dei suoi ricordi e dei suoi pensieri sarebbe stata affidata a un altro Gosseyn, che si sarebbe svegliato automaticamente in un nascondiglio remoto. Sfortunatamente, come aveva saputo da una precedente versione del suo corpo, ora morta, il gruppo successivo dei Gosseyn aveva diciotto anni. Non poteva sfuggire alla convinzione che nessun diciottenne poteva fermare la crisi scatenata da Enro. La gente aveva fiducia negli uomini maturi, non nei ragazzi. Quella fiducia poteva costituire la differenza fra la vittoria e la disfatta, in un momento critico. Era importante rimanere vivo in quel corpo. Socchiuse pensoso gli occhi mentre considerava le possibilità immediate. Aveva un lavoro da compiere. Doveva interrompere il trasferimento dei Profeti alla flotta di Enro, impadronirsi delle navi da battaglia che erano
atterrate e, al più presto possibile, attaccare nella sua isola l'uomo ombra. V'erano preliminari da compiere, ma erano quelle le cose cui doveva mirare… e in fretta. In fretta. La grande, decisiva battaglia del Sesto Raggio cresceva di furia in ogni istante. Se conosceva la natura umana, allora la Lega era già scossa fino alle sue fragili fondamenta. Certo, Enro si aspettava che crollasse; e, per quanto il dittatore fosse infantile in quel che riguardava le donne, nel campo politico e militare era un genio. Stava per allontanarsi dalla finestra quando ricordò che Jurig, il condannato a morte, forse sarebbe stato sottoposto all'ira del Seguace. Rapidamente, similarizzò il colosso nei boschi, oltre la cancellata. Se quell'uomo era spaventato, si sarebbe nascosto, e più tardi sarebbe stato disponibile per essere trasferito sulla nave. Poi si girò, in tempo per udire la donna che diceva con calma: — Mi spiace, Yanar, ma vorrà una donna e naturalmente quella dovrò essere io. Addio. L'uomo era in piedi, con il viso aggrondato. I suoi occhi incontrarono quelli di Gosseyn. L'odio che ne sprizzava dalle profondità era eguagliato dalla sensazione che giungeva dal suo sistema nervoso al cervello
supplementare di Gosseyn. Disse, con una smorfia: — Io non cedo la mia amante a nessuno senza lottare, neppure a qualcuno il cui futuro è confuso. Affondò la mano in una tasca e ne trasse un piccolo strumento con varie alette sporgenti. Lo alzò e premette il grilletto. Gosseyn si fece avanti e tolse l'arma dalle dita di Yanar, che non oppose resistenza. C'era un'espressione distrutta sul suo viso, e il ritmo nervoso che essudava da lui era mutato in uno schema di paura. Era evidentemente sbalordito per il modo in cui la sua arma, fragile ma potente, non aveva funzionato. Gosseyn si allontanò di qualche passo ed esaminò incuriosito lo strumento. Le flange radiali che formavano la antenna erano tipiche e confermavano, se mai era necessario confermarla, la natura dell'energia usata. Le armi magnetiche agivano grazie a energia esterna, in questo caso il campo creato entro la fusoliera dai motori magnetici. Il campo si stendeva, con una forza che si affievoliva progressivamente, attorno allo scafo fino alla distanza di otto chilometri. Gosseyn mise in tasca lo strumento e cercò di immaginare quale effetto poteva avere avuto l'accaduto su Yanar. Aveva «fotografato» l'intera arma, e aveva permesso a una delle punte di scarica di fluire in un'area similarizzata nella prigione del Rifugio del Seguace. La distanza impediva
alla corrente di ritornare alla nave, e così l'arma, la cui energia era stata indirizzata altrove, non aveva funzionato. L'effetto psicologico doveva essere stato terribile. Il viso dell'uomo rimase pallidissimo; ma serrò i denti con uno scatto. — Dovrete uccidermi — disse, seccamente. Era un essere trascurabile, di mezza età, legato alle sue abitudini, talamicamente chiuso nell'Aristotelismo — Aristotelismo nel senso di opposto del Non-A — e, poiché poteva sparare per ragioni puramente emotive, sarebbe stato pericoloso finché entrambi erano a bordo della nave. Doveva essere ucciso, o esiliato o — Gosseyn sorrise cupo — sorvegliato. E sapeva quale uomo avrebbe potuto farlo. Jurig. Ma questo più tardi. Si girò verso Leej, e l'interrogò sulle usanze matrimoniali dei Profeti. Il matrimonio non esisteva. — Questo — disse Leej con disdegno, — è per le razze inferiori.
Non lo spiegò chiaramente, ma Gosseyn dedusse che Yanar era uno d'una lunga serie di amanti; lo stesso Yanar, poi, essendo più anziano, aveva avuto un numero anche maggiore di donne. I Profeti si stancavano presto gli uni delle altre, e, a causa del loro dono, erano in grado di prevedere l'ora esatta in cui la relazione sarebbe finita. L'inattesa apparizione di Gosseyn aveva concluso quella relazione prima del previsto. Gosseyn non era né disgustato né attratto dalle usanze dei Profeti. Il suo primo pensiero era stato quello di assicurare a Yanar che non doveva temere di perdere la sua amante. Ma non lo disse. Voleva un Profeta accanto a lui, d'ora innanzi, e Leej poteva sentirsi insultata, se avesse scoperto che lui non faceva all'amore con donne prive dell'addestramento non-A. Rivolse a Leej un'altra domanda. — Che fa Yanar, oltre a mangiare e dormire? — Guida la nave. Gosseyn fece un cenno a Yanar. — Fatemi strada — disse seccamente. Rimandò a più tardi la conversazione con Leej. Doveva dipendere da ciò che sapeva, e la sensazione di avere pochissimo tempo a disposizione era di nuovo
fortissima, in lui. Mentre esaminava la nave, la mente di Gosseyn tornò a ciò che Leej aveva detto mentre correvano attraverso il sottobosco dell'isola del Seguace. Vagone volante, aveva chiamato la sua nave. Un vagone volante. Poteva immaginare la vita comoda che i Profeti avevano vissuto per tanti anni nel loro mondo di isole e di acque. Galleggiando pigramente nel cielo, atterrando quando ne avevano voglia e dove desideravano: impadronendosi di qualunque «essere inferiore» che piacesse loro di fare schiavo e di qualunque oggetto che volessero possedere… in parte, la natura umana sognava una simile esistenza spensierata. Il fatto che in questo caso comportasse la spietata sottomissione delle genti che non avevano il prezioso dono della profezia era pure facile da comprendere. L'egemonia poteva sempre essere giustificata, da menti non troppo critiche. Inoltre, le ultime generazioni erano cresciute fin dall'infanzia in un ambiente in cui lo schiavismo non era messo in discussione dalla gerarchia dei Profeti. Quell'atteggiamento faceva ormai parte delle reazioni fisse del loro sistema nervoso. Sebbene non mostrassero di accorgersene, la comparsa del Seguace sul loro mondo idilliaco aveva per sempre spezzato lo schema spensierato della loro esistenza. Ed ora, l'arrivo dell'astronave galattica da battaglia e la
presenza di Gilbert Gosseyn erano ulteriori indicazioni dei mutamenti della loro situazione. Dovevano adattarsi, o lasciarsi spazzare via. La sala comando era a prua del vascello. Non occorse molto tempo per esaminarla. I comandi erano del semplice tipo a scariche, comune ai dispositivi che sfruttavano l'energia ricavata dalle correnti magnetiche del pianeta. La cupola della sala comando era trasparente. Gosseyn rimase per un lungo attimo a guardare il mare che si stendeva al di sotto. Fin dove giungeva il suo sguardo c'era solo una massa d'acqua, senza traccia di terra. Si voltò per continuare l'ispezione. C'era una scala d'acciaio, in un angolo, che portava a una botola chiusa, nel soffitto. Gosseyn la salì immediatamente. Oltre la botola c'era un ripostiglio. Gosseyn esaminò le etichette sulle casse e sui recipienti, non ben sicuro di ciò che cercava, ma pronto a seguire ogni idea che gli si presentasse. Improvvisamente, scorgendo un contenitore pieno d'aria degravitazionata, l'idea venne. Mentre proseguiva il suo giro, il suo piano divenne più plausibile. Guardò le quattro camere da letto, una sala da pranzo, un'altra sala comando sul piano principale, e poi scese sul ponte inferiore, ma ormai stava cercando qualcosa. Già prima aveva sentito la presenza di altri
esseri umani, sotto il ponte. Infine contò sei uomini e sei donne. Si comportavano con sottomissione, e, a giudicare dal flusso neurale dei loro corpi, accettavano la loro sorte. Li eliminò dai suoi calcoli, e, dopo aver guardato le spaziose cucine e gli altri ripostigli, giunse a un laboratorio. Era ciò che aveva cercato. Rimandò Yanar alle sue occupazioni, e chiuse la porta. Uscì tre ore dopo, con due tubi montati su una piastra che avrebbe attinto l'energia dal campo magnetico dei motori della nave. Salì nel ripostiglio superiore, e impiegò più di un quarto d'ora a versare aria degravitazionata nel contenitore stagno in cui aveva montato i tubi. Dapprima l'oscillazione fu debole, poi si rafforzò. La pulsazione ritmica nel suo cervello supplementare divenne costante. Sulla Terra, si diceva che il tubo gravitonico faceva parte di quella classe di dispositivi che «hanno fame di radiazioni». Privato di particelle gravitoniche, cercava la stabilità. E in questo le sue reazioni erano normali, perché ogni cosa in natura cerca di raggiungere un equilibrio. Erano i metodi del tubo, a essere fantastici. Emetteva radiazioni proprie, per cercare la materia normale. Ogni volta che toccavano un oggetto, un messaggio veniva trasmesso al tubo: il risultato era
l'eccitazione. Un cambiamento nel ritmo finché l'oggetto rimaneva in prossimità. Sulla Terra, i tecnici dicevano, di quei momenti: — Il vecchio Ehrenhaft dimena di nuovo la coda. Ma la cosa non gli serviva a nulla: né il tubo sembrava imparare dall'esperienza. Il processo continuava, senza che la fame si saziasse mai. Sorprendentemente, come in molti altri casi, quella «stupidità» era utile a coloro che si curavano di sfruttarla. Gosseyn manovrò la nave portandola a una quota di otto chilometri, poi giù, fin quasi a sfiorare l'acqua. In questo modo riuscì ad abituarsi alla normale variazione di ritmo portata dal movimento sul mare. Infine stabilì il segnale di attivazione; se vi fosse stata una variazione nel ritmo, allora il suo cervello supplementare sarebbe stato avvertito: si sarebbe similarizzato in una delle due sale comando, per decidere ulteriori misure da prendere. Era un sistema personale di rilevamento a livello molto limitato, inutile contro armi che viaggiavano a molti chilometri al secondo, e senza dubbio inutile, se un distorter galattico era sintonizzato sulla sua nave.
Ma era già qualcosa. Gosseyn esitò, poi trovò un pezzo di fil di ferro e lo memorizzò. In fretta, memorizzò due aree del pavimento nella sala comando. E poi, mentre il sole spariva dietro lo scintillante orizzonte d'acqua e il crepuscolo scivolava verso la notte, si diresse verso il salotto, conscio di essere pronto per azioni più decisive. Quando Gosseyn entrò nel salotto, Yanar era seduto accanto alla finestra, e leggeva un libro. La stanza splendeva di luci magnetiche; luci fredde che tuttavia parevano calde e intime, a causa del modo in cui i loro colori variavano, lievemente, da un istante all'altro. Gosseyn si fermò sull'ingresso, e osservò attentamente l'altro. Questa era la prova. Similarizzò il pezzo di fil di ferro, nella sala comando, alla prima zona memorizzata, e attese. L'altro alzò gli occhi dal libro con un sussulto. Fissò cupo Gosseyn, poi si alzò, si diresse verso una poltrona in fondo alla sala e sedette. Un flusso costante di sensazioni neurali ostili, sfumate di scariche spasmodiche denotanti dubbio, fluiva dal sistema nervoso del Profeta. Gosseyn lo studiò, convinto di aver ottenuto una reazione tanto intensa quanto poteva sperare. Poteva essere un tentativo per ingannarlo. Ogni sua mossa poteva essere
stata prevista e tenuta presente. Ma pensava di no. Quindi, il problema principale, con questi Profeti, era risolto. Ogni volta che «moveva» il filo con il suo cervello supplementare avrebbe confuso la loro capacità di predire le sue azioni. In breve, avrebbe creato una confusione. Poteva svolgere un interrogatorio, sicuro che le sue domande non sarebbero state previste. C'era un altro problema: doveva o no mostrarsi conciliante con Yanar? Era più importante di quanto sembrasse. Occorreva tempo per farsi delle amicizie, ma bastava solo un attimo per impressionare un'altra persona con la paura, facendole capire che si trovava alla presenza d'un essere superiore. La potenza di Gosseyn su Yalerta sarebbe dipesa dalla sua capacità di far credere che era invincibile. In nessun altro modo poteva sperare di agire alla velocità fulminea necessaria ai suoi piani e alla situazione bellica della Galassia. Il problema era: a quale velocità avrebbe dovuto agire? Gosseyn si avvicinò alla finestra. Era quasi buio, ora, ma lo scintillio del mare era visibile, nella mezza luce. Se c'era una luna, attorno al pianeta, non aveva ancora superato l'orizzonte, o era troppo piccola per riflettere una quantità notevole di luce solare. Guardò le acque chiazzate di luce, e si chiese quanto
fosse lontano dalla Terra. Sembrava strano, quasi sconvolgente, pensare all'immensità di quella lontananza: gli dava un senso di piccolezza, la coscienza di quanto c'era ancora da fare. Poteva solo sperare di sviluppare il potere necessario nei giorni critici che si preparavano. Non era un uomo che aveva bisogno di sentirsi appartenere a un pianeta, ma provava un forte sentimento per il sistema solare. Un suono attirò la sua attenzione. Si scostò dalla finestra, e vide che gli schiavi del ponte inferiore erano affaccendati nella sala da pranzo. Li osservò pensoso, notando che la più giovane e graziosa delle ragazze era il bersaglio di piccoli, sprezzanti gesti di superiorità da parte delle altre due donne. Doveva avere diciannove anni, calcolò Gosseyn. Teneva gli occhi bassi, il che era significativo. Da come Gosseyn conosceva la gente talamica, allora quella ragazza stava aspettando la possibilità di ripagare di ugual moneta le sue tormentatrici. Gosseyn indovinò, dalla natura delle sensazioni neurali che fluivano da lei, che avrebbe potuto fare il danno maggiore civettando con gli schiavi maschi. Studiò di nuovo Yanar, e decise. Definitivamente, irrevocabilmente: nessuna amichevolezza. Si avvicinò lentamente all'uomo. Il Profeta alzò lo sguardo e lo vide. Si agitò a disagio nella poltrona, ma rimase dov'era. Sembrava infelice.
Gosseyn lo reputò un buon segno. Ad eccezione di coloro che erano stati in contatto con il Seguace, nessuno dei Profeti era mai stato assoggettato alla tensione di non conoscere ciò che il futuro gli serbava. Sarebbe stato interessante studiarne l'effetto su Yanar. E, inoltre, aveva molto bisogno di informazioni. Gosseyn cominciò a formulare semplici domande. E prima di pronunciarne una, non solo all'inizio, ma durante l'intero colloquio, spostava il filo nella sala comando, fra le aree «uno» e «due». Salvo qualche eccezione, Yanar rispose schiettamente. Il suo nome completo era Yanar Wilvry Blove, aveva quarantaquattro anni e non aveva occupazione… e qui venne la prima esitazione. Gosseyn annotò mentalmente quel punto, ma non fece commenti. Un blocco mentale connesso con l'occupazione, una netta interruzione del flusso neurale. — C'è qualche significato nei vostri nomi? — chiese. Yanar sembrò sollevato. Alzò le spalle. — Io sono Yanar, del Centro Nascite Wilvry nell'isola di Blove.
Dunque era così. Spostò di nuovo il filo, e disse, affabilmente: — Voi avete il grande dono della profezia. Non ho mai conosciuto nulla di simile. — Contro di voi non serve — disse cupo Yanar. Valeva la pena di saperlo, anche se, naturalmente, quella dichiarazione poteva non essere vera. Per fortuna, poteva verificarlo. Ma non aveva altre alternative: poteva solo continuare come se Yanar non prevedesse le sue domande… Il colloquio continuò. Gosseyn non sapeva con certezza che cosa cercava. Forse un indizio. La convinzione di trovarsi ancora nella trappola del Seguace cresceva, invece di diminuire. Se era così, allora stava lottando contro il tempo, in un senso molto reale. Ma qual era la natura della trappola? Imparò che i Profeti nascevano in modo normale, di solito a bordo dei vagoni volanti. Pochi giorni dopo la nascita venivano portati al più vicino Centro Nascite che avesse posti disponibili. — E cosa fa il Centro al bambino? — chiese Gosseyn.
Yanar scosse il capo. E di nuovo il suo flusso neurale si bloccò. — Non diamo informazioni di questo genere agli estranei — disse ostinatamente. — Neppure al… — Si interruppe, alzò le spalle, concluse, secco: — A nessuno. Gosseyn non insistette. Cominciava a sentirsi distratto. I fatti che scopriva erano importanti, ma non vitali. Non si adattavano alle sue necessità, per il momento. Eppure non poteva fare altro che proseguire. — Da quanto tempo esistono i Profeti? — chiese. — Da parecchie centinaia d'anni. — Sono il risultato d'una invenzione? — C'è una leggenda… — cominciò Yanar. Si fermò e si irrigidì. Un blocco. — Rifiuto di rispondere — disse. — In quale stadio — chiese Gosseyn, — appare la facoltà profetica? — Verso i dodici anni. Qualche volta prima. Gosseyn annuì. Nella sua mente si formava una teoria precisa. La facoltà si sviluppava lentamente, come la
corteccia umana e come il suo cervello supplementare. Esitò davanti alla domanda successiva, perché in essa c'era un assunto che Yanar non doveva notare se non troppo tardi. Come prima, spostò il filo, poi chiese: — Che accade ai figli dei Profeti, quando non c'è posto per loro nel Centro Nascite? Yanar alzò le spalle. — Crescono e dominano le isole. Sembrava soddisfatto di sé: non si era accorto di aver rivelato, per sottinteso, che solo i bimbi accolti nel Centro Nascite diventavano Profeti. La sua impassibilità diede inizio a un altro filone di pensieri nella mente di Gosseyn. Si accorse, nitidamente, che Yanar non reagiva come un uomo sottoposto per la prima volta a un simile colloquio. Sapeva cosa si provava nel non conoscere in anticipo le domande. Lo sapeva così bene che questo non lo sconvolgeva. Come in un lampo, Gosseyn vide le possibilità. Ricadde nella sua preoccupazione. Sembrava incredibile che gli fosse occorso tanto tempo per capire la verità. Fissò il Profeta e disse finalmente, con voce calma, ma d'acciaio:
— Ed ora, vi prego di descrivermi esattamente come avete comunicato con il Seguace. Se mai un uomo era stato colto di sorpresa, quello era Yanar. Sembrava impreparato, nel più estremo modo talamico. Il suo viso si illividì. Il flusso neurale del suo sistema nervoso si bloccò e poi esplose, poi si bloccò ed esplose di nuovo. — Cosa intendete dire? — sussurrò alla fine. Poiché la domanda era retorica, Gosseyn non ripeté la sua dichiarazione. Guardò corrucciato il Profeta. — Presto! — disse. — Prima che vi uccida! Yanar si abbandonò sulla poltrona, e cambiò di nuovo colore. Arrossì. — Non ho mai… — balbettò. — Perché dovrei correre il pericolo di chiamare il Seguace e di dirgli dove siete? Non farei mai una cosa simile. Si scosse. — Non potete provarlo — disse. Gosseyn non aveva bisogno di prove. Aveva sbagliato nel non sorvegliare Yanar. E così il messaggio era stato inviato; il danno era fatto. Gosseyn non ne dubitava. Le reazioni del Profeta erano troppo violente e realistiche. Yanar non aveva mai dovuto controllare le sue emozioni, e ora non sapeva come fare.
La colpa trasudava da ogni riflesso del suo corpo. Gosseyn si sentì agghiacciato. Ma aveva fatto ciò che poteva per proteggersi, e non v'era altro da fare se non ottenere altre informazioni. Disse, secco: — Farete meglio a parlare in fretta e sinceramente, amico mio. Vi siete messo in contatto personalmente con il Seguace? Yanar era stordito. Alzò le spalle e ancora una volta un blocco mentale si spezzò. — Naturalmente — disse. — Volete dire che attendeva una vostra chiamata? — Gosseyn voleva saperlo con chiarezza. — Siete un suo agente? L'uomo scosse il capo. — Sono un Profeta — disse. C'era orgoglio nel suo tono, ma un orgoglio ben strano. Una ciocca di capelli grigio ferro gli cadeva su una tempia. Sembrava ben altro che un nobiluomo di Yalerta. Gosseyn non fece commenti. Aveva messo in moto
quell'uomo, e questo era ciò che contava. — Cosa gli avete detto? — Che eravate a bordo. — E che cosa vi ha risposto? — Che lo sapeva. — Oh! — disse Gosseyn. Fece una pausa, per un attimo. La sua mente balzò ad altri aspetti della situazione. In rapida successione scagliò una decina di domande vitali. Quando ebbe i fatti che voleva, similarizzò entrambi nella sala comando, e rimase ritto accanto al tremante Yanar mentre quello indicava le mappe e mostrava il grande cerchio che la nave aveva descritto, attorno all'isola del Seguace, a una distanza di centocinquanta chilometri. Gosseyn stabilì la rotta verso l'isola di Crest, a qualche centinaio di chilometri a nord-nordovest. Poi si voltò ad affrontare il Profeta. — Ed ora — disse in tono minaccioso, — che cosa dobbiamo fare di un traditore? L'altro era pallido, ma in parte la sua paura si era dileguata. Disse, arditamente: — Non vi devo nulla.
Potete uccidermi, ma non potete pretendere lealtà da me, e non la avrete. Non era la realtà, ciò che Gosseyn voleva. Era la paura. Doveva assicurarsi che questi Profeti imparassero a pensare due volte prima di agire contro di lui. Ma come fare? Gli sembrava poco pratico prendere una decisione definitiva. Girò su se stesso e ritornò nel salotto. Quando entrò, Leej entrava, a sua volta, proveniente dalle camere da letto. Gosseyn le si avvicinò, con un lieve cipiglio sul viso. «Qualche domanda, signora» pensò. «Come mai questo Yanar ha potuto avvertire il Seguace senza che la sua azione fosse prevedibile? Vi prego di spiegarmelo!» La donna si fermò, l'attese, sorridendo. Poi il suo sorriso cambiò, bruscamente. Il suo sguardo lo superò. Gosseyn girò su se stesso e spalancò gli occhi. Non sentì nulla, non udì nulla, e non vi fu la sensazione d'una presenza neppure ora che poteva vederla. Ma una forma stava apparendo, a quattro metri da lui, sulla destra. Si annerì, eppure Gosseyn poteva vedere la parete, dietro di essa. Divenne più densa, ma non era fatta di sostanza. Si senti teso. Era venuto il momento del suo incontro con il
Seguace. CAPITOLO 9
"La semantica riguarda il significato del significato, vale a dire il significato delle parole. La Semantica Generale riguarda il rapporto del sistema nervoso umano con il mondo che lo circonda, e di conseguenza include la semantica. E fornisce un sistema di integrazione per tutto il pensiero e l'esperienza umani". Vi fu silenzio. Il Seguace sembrava esaminarlo, perché la massa d'ombra era ferma, ora. La breve, intensa ansia di Gosseyn cominciò a svanire. Fissò attento il suo nemico e subito il suo atteggiamento mutò. In realtà, cosa poteva fare il Seguace, contro di lui? Cautamente, Gosseyn saettò intorno uno sguardo per comprendere l'intera scena. Se doveva esservi battaglia, voleva trovarsi nella posizione migliore. Leej era ritta là dove si era fermata. Il suo corpo era rigido, i suoi occhi insolitamente sbarrati. Durante l'istante fuggevole in cui la sua attenzione si posò sulla donna, notò che le sensazioni neurali che da lei fluivano indicavano una costante angoscia. Poteva essere timore per la propria sicurezza personale, ma Gosseyn pensò che non era così. Il destino della donna era strettamente legato al suo.
Allontanò ogni sospetto di pericolo che potesse venire da lei. Il suo sguardo saettò verso la porta del corridoio che portava alla sala comando. Per quell'attimo perdette di vista il Seguace. Riportò lo sguardo su di lui, ma aveva annotato il fatto. La porta era troppo a destra. Doveva girare troppo il capo per vederla. Gosseyn cominciò a indietreggiare verso la parete alle sue spalle. Si mosse lentamente. Nella sua mente v'erano parecchi pensieri, parecchie possibilità di pericolo. Yanar. Il Profeta, scoprì con un rapido sondaggio del suo cervello supplementare, era ancora in sala comando. Vibrazioni ostili fluivano da lui. Gosseyn sorrise cupamente. Immaginava in che modo quell'uomo poteva danneggiarlo nel momento critico. A memoria, visualizzò la parete dietro di sé: aveva le griglie del condizionamento che servivano ai suoi propositi. Si spostò leggermente, fino a che la lieve brezza soffiò direttamente contro le sue spalle e lì, con un calcagno appoggiato alla parete, rimase in posizione. Aveva fatto ciò che poteva: ora studiò il nemico, con occhi intenti. Un uomo? Era difficile credere che una forma umana potesse divenire così nebulosa, così insostanziale. La
struttura di oscurità non aveva forma. Gosseyn vide, guardandola attentamente, che ondeggiava leggermente. Mentre l'osservava, affascinato, mutò e divenne confusa agli orli, solo per poi riempirsi di nuovo, come se la pressione spingesse in avanti la materia nebbiosa. Cautamente, Gosseyn ne sondò lo spessore gassoso. Si teneva pronto ad annullare energie potenti. Ma non c'era nulla. Gli occorse il solito momento prolungato che gli occorreva sempre per «fotografare» un oggetto. E non v'era nulla. Nessuna immagine si formò. Nessuna immagine normale, cioè. Il suo cervello supplementare registrava la presenza di aria. Ma l'oscurità non veniva registrata. Ricordò ciò che aveva detto Leej: che il Seguace era un essere fuori fase. Aveva supposto, da altre osservazioni, che quell'uomo avesse trovato il modo di mettersi fuori fase rispetto al tempo. In qualche modo, non era in questo tempo. Era qui, ma non ora. Improvvisamente comprese che quella supposizione era molto più vasta. Aveva supposto che Leej sapesse di che cosa stava parlando. Ma dove aveva attinto la convinzione che il Seguace fosse
fuori fase? Dalla propaganda del Seguace! Né Leej né i Profeti avevano capacità critiche, almeno non sugli argomenti scientifici. Quei Profeti rubavano la loro scienza alle isole. E così, nella loro ingenuità, avevano accettato l'immagine che il Seguace aveva dato di sé. — Leej! — Gosseyn le parlò senza guardarla. — Sì? — fu la risposta tremante. — Avete mai visto il Seguace sotto aspetto d'uomo, senza… — si interruppe, poi finì, sardonico: — senza il suo trucco? — No. — Conoscete qualcuno che lo abbia veduto? — Oh, sì. Yanar. E molti altri. E' pur stato bambino, un tempo, sapete. Per un attimo, Gosseyn si baloccò con l'idea che il Seguace fosse Yanar. Yanar che stava nella sala comando e manovrava la marionetta d'ombra. Respinse quell'idea. Le reazioni di quell'uomo, durante l'interrogatorio, erano state a livello provinciale. Il Seguace invece era un grand'uomo.
Sul modo in cui il Seguace faceva ciò che faceva non poteva ancora prendere una decisione sulla base dei dati disponibili. Ma era meglio eliminare subito le supposizioni di gente che non conosceva realmente la verità. Gosseyn attese. Un dito mentale nel suo cervello fremeva sul grilletto nervoso che avrebbe estratto potenza dalla dinamo da quarantamila chilowatt nel Rifugio del Seguace, le avrebbe fatto valicare la distanza nello spazio e l'avrebbe scaricata sull'ombra. Non premette il grilletto. Per questa volta non aveva intenzione di forzare la situazione. Non dovette attendere a lungo. Una voce profonda, risonante uscì dal vuoto nebuloso. — Gilbert Gosseyn, vi offro… di associarvi a me. Per un uomo che si era preparato a un mortale conflitto, quelle parole avevano quasi la potenza d'una bomba. La sua mente si adattò rapidamente. Rimase perplesso, ma il suo scetticismo svanì. In realtà, Leej aveva fatto capire che sarebbe potuta accadere qualcosa di simile. Descrivendo la visita del Seguace nella cella in cui egli giaceva inconscio, aveva riferito che il Seguace aveva affermato che preferiva servirsi della gente, invece di
ucciderla. Era interessante, ma non convincente, che ora avesse deciso di offrirgli parità di condizione. Gosseyn attese di venire convinto… — Noi due — disse la cosa d'ombra con la sua forte voce, — noi due potremmo dominare la Galassia. Gosseyn dovette sorridere, ma era un sorriso spiacevole. La parola «dominare» non era certo adatta a conquistare la buona volontà d'una persona addestrata come lui. Non rispose. Voleva ascoltare ogni parola dell'offerta senza commenti oltre i necessari. — Vi avverto, naturalmente — disse l'Ombra, — che se vi doveste rivelare meno forte di quanto io non pensi, alla fine dovreste accontentarvi di un ruolo subordinato. Ma per il momento vi offro parità di diritti, senza condizioni. Gosseyn divenne sardonico. Quello era parlar talamico. Senza condizioni, davvero! Non dubitava che l'altro si aspettava che lui collaborasse agli scopi del Seguace. La gente tendeva a proiettare le proprie speranze e i propri desideri, e così un piano di conquista personale diventava l'"unico" piano.
La mossa seguente: minacce sanguinose. — Se rifiutate — disse la voce risonante, — allora saremo nemici, e voi sarete annientato senza misericordia. E questo, pensò cinicamente Gosseyn, è quanto. Il quadro della nevrosi era completo. La sua analisi doveva essere esatta. Il silenzio scese nella stanza, e ancora una volta, per qualche istante, vi fu solo il movimento della nave che correva nel cielo notturno sulle ali dell'energia magnetica. Era chiaro che ora doveva dare una risposta. Bene, cosa doveva dire? Con la coda dell'occhio, Gosseyn vide che Leej si avvicinava cautamente a una poltrona, vi si lasciava cadere, sospirando. Questo provocò un certo divertimento in Gosseyn, che tuttavia passò quando il Seguace disse con il suo tono più ferreo: — Ebbene? In Gosseyn, ora, c'era l'inizio d'un proposito, una mezza determinazione di saggiare la forza dell'altro. Doveva saggiarla subito. Ma, prima, doveva ottenere altre informazioni. — Qual è la situazione della guerra? —
temporeggiò. — Prevedo vittoria assoluta per Enro in tre mesi — fu la risposta. Gosseyn nascose la sua sorpresa. — Vedete veramente il momento della vittoria? La pausa fu così lieve che Gosseyn più tardi si chiese se v'era stata realmente o se l'aveva immaginata lui. — Sì — fu la ferma risposta. Non poteva accettarla, poiché non teneva conto del suo cervello supplementare. La possibilità che l'altro mentisse lo rese di nuovo sardonico. — Nessuna confusione nell'immagine? — chiese. — Nessuna. Vi fu un'interruzione, un movimento di Leej. La donna si levò a sedere. — Questa è una menzogna — disse con voce chiara. — Io posso prevedere ciò che può prevedere chiunque altro. Ed è difficile profetizzare nei particolari per più di tre settimane. E anche così, vi sono certi limiti.
— Donna, frena la lingua! Leej si era imporporata in viso. — Seguace — disse, — se non puoi vincere con la potenza che hai, allora sei perduto. E non pensare neppure per un istante che io mi senta vincolata a obbedire ai tuoi ordini. Non desidero e non ho mai desiderato la tua vittoria! — Brava ragazza — disse Gosseyn. Ma si accigliò, mentre annotava un punto per un futuro riferimento. Nelle parole di lei c'era il sottinteso velato di una precedente collaborazione con il Seguace. — Leej — disse, senza guardarla, — c'è qualche confusione nelle prossime settimane? — Non vi è alcun quadro — fu la risposta. — E' come se vi fosse una interruzione. Il futuro è illeggibile. — Forse — disse il Seguace con voce sommessa ma sonante, — questo avviene perché Gosseyn sta per morire. E aggiunse, in fretta: — Amico mio, avete cinque secondi per decidere. I cinque secondi trascorsero in silenzio.
Gosseyn aveva previsto che, se vi fosse stato un attacco, sarebbe stato uno di tre possibili tipi. Primo, il Seguace poteva tentare di utilizzare la forza magnetica della nave di Leej contro Gosseyn. Avrebbe scoperto subito che non era possibile. Secondo, e più probabile, avrebbe usato una sorgente di energia del Rifugio, perché quello era la sua base d'operazione. E si sarebbe accorto che neppure quello era possibile. Terzo, poteva usare una sorgente d'energia esterna. Se si trattava di questo, Gosseyn sperava che agisse attraverso lo spazio e non per similarità meccanica. Se fosse venuta dallo spazio, i tubi che aveva preparato l'avrebbero rintracciata e il suo cervello supplementare avrebbe potuto similarizzare energia elettrica sul raggio portante dei tubi. Fu, invece, una combinazione. Un distorter e una sorgente di energia elettrica nel Rifugio. Gosseyn senti il brusco riorientamento della corrente proveniente dalla dinamo da quarantamila chilowatt. Era ciò che aveva aspettato, ciò a cui era preparato. Nel suo cervello supplementare c'erano interruttori che, una volta fissati col loro segnale d'attivazione, agivano più in fretta d'un interruttore elettrico.
Il problema, nel suo speciale metodo di controllare materia ed energia, era che in un senso comparativo questo richiedeva molto tempo per «fissare» lo schema iniziale. L'attivazione era automatica. Tutta l'energia della dinamo fluì, non come l'aveva diretta il Seguace, a formare un folgore, ma secondo lo schema fissato dal cervello supplementare. Dapprima Gosseyn le lasciò carbonizzare il suolo in una delle aree memorizzate nell'isola. Voleva che il Seguace capisse che l'attacco non procedeva secondo il piano. — Uno, due, tre — contò a voce alta, e poi, senza altre pause, la similarizzò nell'aria, direttamente di fronte alla figura d'ombra. Vi fu un lampo di fiamma, più fulgido del sole. La materia d'ombra l'assorbì, la tenne. Assorbì ogni volt e ogni watt, ma la tenne. Alla fine il Seguace disse: — Sembra che siamo arrivati a un punto morto. Era una realtà che Gosseyn aveva già capito: era conscio delle proprie deficienze. Non era evidente, ma Gilbert Gosseyn era ridicolmente vulnerabile.
Un'esplosione inattesa, da una sorgente d'energia sulla quale non avesse precedentemente stabilito un controllo, e sarebbe morto. Il fatto che la sua memoria sarebbe passata in un corpo diciottenne, e che vi sarebbe stata una continuità apparente di vita, non alterava il significato della sconfitta. Nessun ragazzo di diciotto anni poteva salvare una galassia. E se un individuo del genere (o molti individui come lui) avesse interferito vistosamente, sarebbe stato facilmente tolto di mezzo da individui più vecchi e più potenti, come il Seguace. Il viso gli si coprì di sudore. Per un attimo, ebbe nella mente il piano di tentare qualcosa che non aveva mai tentato prima. Ma lo respinse quasi istantaneamente. L'energia atomica era un'energia come un'altra, che poteva controllare con la sua mente supplementare. Ma il sapere di poterlo fare, e il farlo davvero erano aspetti completamenti diversi dal problema. In quello spazio ristretto, la radiazione atomica sarebbe stata mortale per chi la usava quanto per chi la subiva. — Io penso — la voce del Seguace interruppe il suo pensiero, — che faremmo meglio ad accordarci. Vi avverto che non ho usato tutte le mie risorse. Gosseyn poteva crederlo. Al Seguace sarebbe bastato
attivare una sorgente esterna di energia, e immediatamente sarebbe stato il vincitore di quella tesa e mortale battaglia. Nella migliore delle ipotesi, Gosseyn poteva ritirarsi sull'isola del Seguace. La possibilità di una ignominiosa ricattura era tanto vicina! Eppure non osava adoperare l'energia atomica della pila del Rifugio. Fece la famosa pausa talamo-corticale, e consciamente si disse: «Questa situazione è più di quanto non si veda direttamente. Nessun individuo potrebbe sopportare la scarica di una dinamo da quarantamila chilowatt. Quindi io sto facendo una identificazione. Deve esservi una spiegazione per la forma d'ombra: una spiegazione che è al di fuori della mia comprensione della fisica». Ma quale fisica? Il Seguace aveva confessato di conoscere poco quelle cose. Stava usando la più vasta conoscenza di qualcuno, ma di chi? Il mistero sembrava grande quanto quello determinato dall'esistenza di una entità come il Seguace. La forma d'ombra ruppe il silenzio. — Ammetto — disse, — che mi avete colto di sorpresa. La prossima volta agirò su basi diverse. — Si interruppe. — Gosseyn, volete prendere in considerazione la mia
offerta? — Sì, ma alle mie condizioni. — Quali? — Lo disse dopo una breve esitazione. — Primo, dovete mettere i Profeti contro Enro. — Impossibile. — La voce del Seguace era secca. — La Lega deve perdere, la civiltà deve rinunciare per breve tempo alla sua coesione. Ho una ragione speciale per desiderare la formazione d'uno Stato Universale. Gosseyn ricordò ironicamente dove aveva già udito quella frase. Si irrigidì. — A costo di cento miliardi di morti? — disse. — No, grazie. — Immagino che voi siate un non-A — disse cupamente l'altro. Non serviva a nulla negarlo. Il Seguace sapeva che Venere esisteva, sapeva dov'era, e poteva presumibilmente ordinarne in qualunque momento la distruzione. — Sono un non-A — ammise Gosseyn. Il Seguace disse: — Supponete che io vi dica di essere disposto ad accettare uno Stato universale non-A. — Esiterei a crederlo.
— Eppure, potrei considerare questa possibilità. Non ho avuto tempo di esaminare nei particolari la filosofia non-Aristotelica, ma secondo me è un metodo di pensiero scientifico. E' esatto? — E' un modo di pensare — disse cauto Gosseyn. La voce del Seguace assunse un tono meditabondo. — Non ho mai avuto motivo di temere la scienza, in alcuno dei suoi rami. Non credo di dover cominciare ora. Lasciate che vi dica questo: riflettiamo su questo argomento. Ma la prossima volta che ci incontreremo voi dovrete aver deciso. Nel frattempo, io cercherò di impedirvi di esercitare il vostro potere su questo pianeta. Gosseyn tacque, e questa volta il silenzio durò. Lentamente, la forma d'ombra cominciò a ritrarsi. Anche nella luce splendente era difficile stabilire quando l'ultimo brandello di essa fu scomparso. Vi fu una pausa. E poi la dinamo del Rifugio del Seguace cominciò a produrre meno energia. In trenta secondi, il flusso d'energia cessò. Un'altra pausa. Poi la pila si spense. Quasi nello stesso
istante, l'energia magnetica del Rifugio svanì nel nulla. Il Seguace aveva indovinato abilmente ciò che era accaduto. Anche se non sospettava la verità completa, aveva agito in un modo che aveva lo stesso effetto di una analisi accurata e completa. Sotto il controllo di Gilbert Gosseyn rimaneva soltanto l'energia magnetica d'una piccola aeronave. CAPITOLO 10
Nell'interesse della sanità mentale, DATATE: Non dite: «Gli scienziati credono…». Dite: «Gli scienziati credevano nel 1970…» «John Smith (1970) è un isolazionista…». Tutte le cose, comprese le opinioni politiche di John Smith, sono soggette a mutamenti e di conseguenza possono essere citate soltanto in riferimento a un dato momento". Lentamente, Gosseyn riacquistò coscienza di ciò che lo circondava. Girò il capo e guardò verso la sala da pranzo, dove i servi erano così affaccendati poco tempo prima. Non erano in vista. Poteva vedere un angolo della tavola; vi erano i piatti, anche se non v'era il cibo. Il suo sguardo balzò su Leej, e vi si posò abbastanza a lungo per notare che la donna si stava alzando, poi lampeggiò sulla porta che conduceva alla sala comando.
Dal punto in cui si trovava, era visibile tutto il corridoio e parte della cupola, ma non c'era traccia di Yanar. La nave rimaneva in rotta. Leej ruppe il silenzio. — Ci siete riuscito — sussurrò. Gosseyn si allontanò dalla parete. Percepì le parole di lei, ma non le disse che il Seguace aveva annullato il vantaggio da lui ottenuto. Leej gli venne incontro, con gli occhi splendenti. — Non vi rendete conto — disse, — che avete battuto il Seguace? Gli sfiorò il braccio con una rapida, tremula carezza. Gosseyn disse: — Andiamo. Si diresse verso la sala comando. Quando entrò, Yanar era curvo, in attesa, sul radioricevitore magnetico. Per Gosseyn fu chiaro a prima vista ciò che l'uomo stava facendo… aspettava ancora istruzioni. Senza una parola avanzò, tese la mano oltre le spalle di Yanar e spense l'apparecchio. L'altro sussultò, poi si raddrizzò e si girò con un ghigno
sulle labbra. Gosseyn disse: — Fate i bagagli, se ne avete. Scenderete alla prima fermata. Il Profeta alzò le spalle. Senza una parola, uscì dalla stanza. Gosseyn lo seguì con lo sguardo, pensieroso. La presenza di quell'uomo lo irritava. Era un fastidio: un piccolo fastidio la cui sola importanza nello schema galattico delle cose era il fatto di essere un Profeta. Questo, nonostante il suo carattere ostinato e meschino, lo rendeva interessante. Sfortunatamente era solo un uomo tra più di due milioni, né tipico né atipico rispetto alla sua razza. Era possibile fare certe caute ipotesi sui Profeti dall'osservazione di Yanar e di Leej. Ma quelle conclusioni erano soggette a cambiamenti senza preavviso. Scacciò Yanar dalla sua mente, e si rivolse a Leej. — Quanto tempo occorrerà per giungere a Crest, dov'è la nave da battaglia? La giovane donna si accostò a uno schermo, che Gosseyn non aveva notato. Premette un pulsante. Immediatamente, apparve una mappa in rilievo: mostrava acque e isole, e un piccolo punto luminoso.
Leej indicò quel punto. — Siamo noi — disse. E indicò una massa di terra. — Questa è Crest. — Poi, attentamente, contò alcune linee sottili che si incrociavano sulla mappa. — Mancano tre ore e venti minuti — disse. — Abbiamo tutto il tempo per pranzare. — Pranzare! — fece eco Gosseyn. Poi sorrise e scosse il capo, quasi per scusarsi con se stesso. Aveva molta fame, ma aveva quasi dimenticato che esistessero istinti così normali. Sarebbe stato bello rilassarsi. Pranzare. Gosseyn osservò mentre la giovane schiava gli serviva un antipasto costituito di frammenti di qualcosa che pareva pesce. Aspettò, attento, mentre Yanar veniva servito da una delle donne più anziane, poi scambiò i due antipasti per similarizzazione. Assaggiò il suo. Era pesce, fortemente aromatizzato. Ma, dopo la prima impressione, gli parve delizioso. Lo mangiò tutto, poi depose la forchetta, si appoggiò alla spalliera e guardò Leej.
— Che accade nella vostra mente quando prevedete? La giovane donna era seria. — E' automatico. — Volete dire che non seguite uno schema di pensiero? — Ecco… — Fate una pausa? Pensate a un oggetto? Dovete vederlo? Leej sorrise e persino Yanar si mostrò più rilassato e lievemente, se pur in modo condiscendente, divertito. La donna disse: — Abbiamo questo dono, e basta. Non è qualcosa cui si debba pensare. Dunque, quello era il tipo di risposte che davano a se stessi. Erano diversi. Erano speciali. Semplici risposte, per gente semplice. In realtà, la complicazione era unica. Il processo della profezia avveniva a un livello non verbale. L'intero sistema non-A era un tentativo organizzato di coordinare realtà non verbali con proiezioni verbali. Persino sul Venere non-A la lacuna fra interpretazione ed evento non era stata neppure lontanamente colmata. Attese, mentre i piatti vuoti venivano portati via: poi furono serviti piatti che contenevano una carne rosso bruna, tre verdure e una salsa di colore verdognolo. Scambiò il piatto con quello di Yanar, assaggiò le tre verdure, poi tagliò un pezzo di carne.
Finalmente, si appoggiò alla spalliera della sedia. — Cercate di spiegarvi — disse. Leej chiuse gli occhi. — Ho sempre pensato che fosse come galleggiare nella corrente del tempo. E' come diffondersi… i ricordi vengono nella mia mente, ma non sono veri ricordi. Molto chiari, molto nitidi. Immagini visive. Che cosa volete sapere? Chiedete qualcosa che non sia legato a voi. Voi confondete tutto. Gosseyn aveva deposto la forchetta. Avrebbe voluto una predizione su Venere, ma questo avrebbe richiesto una proiezione del suo futuro. Disse: — La ragazza che mi serve. — Vorn? — Leej scosse il capo e sorrise alla ragazza, che stava ritta, rigida e pallida. — Sarebbe troppo duro per il suo sistema nervoso. Vi dirò il suo futuro in privato, più tardi, se volete. — La ragazza sospirò. — La nave da battaglia galattica — disse Gosseyn, — su Crest? — Dovete essere connesso a quella nave, perché è
confusa. — Confusa, ora? — Era stupito. — Prima che vi arriviamo? — Sì. — Leej scosse il capo. — Non rispondo alle vostre domande, vero? — Potremmo sapere qualcosa di un altro sistema stellare, se qualcuno vi si dirige? — Dipende dalla distanza. C'è un limite. — Quale? — Non so. Non ho sufficiente esperienza. — E come lo sapete? — La nave di reclutamento galattica emette bollettini. — Bollettini? Leej sorrise. — Non si affidano solamente agli ordini del Seguace. Cercano di dare alla cosa un aspetto eccitante. Gosseyn immaginava come andavano le cose. Il progetto era realizzato in modo da sembrare affascinante a menti che avevano molti aspetti puerili. E coloro che stendevano quei bollettini erano abbastanza
abili per indicare che vi erano ostacoli. — Con queste immagini mentali — disse, — potete seguire le linee del futuro di qualche persona che, a vostra conoscenza, si sia offerta volontaria per il servizio sulle astronavi? La donna sospirò e scosse il capo. — E' troppo lontano. Una volta il bollettino ha parlato di diciottomila anni luce. Gosseyn ricordò che Crang aveva indicato nella sua conversazione con Patricia Hardie (o meglio Reesha, sorella di Enro) che le basi di trasporto a distorter della civiltà galattica non potevano essere lontane una dall'altra più di mille anni luce. In teoria, il trasporto a similarità era istantaneo, e in teoria la distanza spaziale non faceva differenza. In pratica pareva esistesse un margine di errore. Gli strumenti non erano perfetti. Una similarità di venti decimali, il punto critico in cui avveniva l'interazione, non era una similarità totale. A quanto pareva, anche il dono dei Profeti non era perfetto, anche quando non era ostacolato dalla presenza di Gilbert Gosseyn. Eppure, qualunque fosse la distanza entro la quale potevano fare previsioni, sarebbe stata sufficiente per una battaglia nello spazio.
Gosseyn esitò, poi: — Di quante navi possono tener conto nello stesso tempo? Leej sembrò sorpresa. — Non ha molta importanza. Di tutte quelle, naturalmente, che hanno un nesso con l'evento. E' un dono molto limitato, in questo senso. — Limitato! — disse Gosseyn. Si alzò e senza una parola si diresse verso la sala comando. Era stato indeciso sul conto dei Profeti: disposto a lasciare che la nave galattica continuasse a reclutarli fino a che non avesse deciso il momento di impadronirsene. Ora, gli sembrava che quel momento fosse lontano. Un uomo non cattura una nave da battaglia senza aver fatto un piano. Era necessaria una mossa preliminare. In fondo al salotto, Gosseyn si fermò e si volse. — Leej — chiamò, — avrò bisogno di voi! Leej era già in piedi, e lo raggiunse un attimo dopo, sotto la cupola. — E' stato un pranzo molto breve — disse ansiosa. — Lo finiremo più tardi — disse Gosseyn, pensoso. — In questa radio c'è una banda che possa essere usata per mandare un messaggio generale?
— Sì. Abbiamo una banda di emergenza che… — Si interruppe. — E' usata per coordinare i nostri piani quando siamo minacciati. — Sintonizzatela! — disse Gosseyn. Leej gli lanciò uno guardo sbalordito, ma nella espressione di lui doveva esservi qualcosa che l'indusse a tacere. Un attimo dopo, Gosseyn era in trasmissione. Come prima — ora il processo era automatico — spostò il filo ogni volta che si accingeva a pronunciare una frase. Disse, con voce squillante: — A tutti i Profeti! Da questo momento ogni Profeta scoperto o catturato a bordo d'una nave da guerra del Massimo Impero sarà giustiziato. Gli amici sono consigliati di comunicare questo avvertimento a coloro che sono già a bordo di quelle navi. «Potete giudicare l'efficacia di questa minaccia dal fatto che non avete previsto l'appello che ora sto trasmettendo. Ripeto: tutti i Profeti trovati a bordo d'una delle navi da guerra di Enro saranno giustiziati. Non vi saranno eccezioni.» Ritornò nella sala da pranzo, finì di mangiare, poi tornò in sala comando. Di lì, due ore e mezzo più tardi vide in
lontananza le luci di una città. Su richiesta di Yanar, la nave fu fatta scendere a quella che Leej chiamava una stazione aerea dei Profeti. Non appena furono di nuovo in volo, Gosseyn spostò l'acceleratore sul massimo, poi si avvicinò alla finestra, e guardò la città. Quanta gente! Vide le luci intersecarsi con innumerevoli rivoli d'acqua. In qualche caso l'oceano si spingeva fino al centro della città. Mentre guardava, tutte le luci si spensero. Gosseyn spalancò gli occhi, ma c'era solo oscurità. Accanto a lui, Leej proferì un'esclamazione. — Mi chiedo perché lo hanno fatto. Gosseyn avrebbe potuto rispondere alla domanda, ma non lo fece. Il Seguace non voleva correre rischi. Evidentemente aveva una teoria sulla natura del controllo sull'energia da parte di Gilbert Gosseyn, e intendeva fare in modo che non avesse a disposizione alcun tipo di energia. Leej disse: — Ed ora dove andiamo? Quando glielo disse, la donna impallidì. — E' una nave da guerra — disse. — Vi sono centinaia di soldati a bordo, e armi che potrebbero uccidervi da molte direzioni nello stesso istante.
Era abbastanza vero. Il pericolo nel tentativo di usare i suoi speciali poteri per impadronirsi d'una nave consisteva nel fatto che gli sarebbe stato impossibile annullare o controllare tante armi a mano. In simili circostanze potevano verificarsi anche troppo facilmente incidenti fatali. Ma ciò che era accaduto lo spingeva ad agire ancor più rapidamente di quanto avesse deciso. La realtà era che aveva già usato contro il Seguace le sue armi più potenti. Perciò, tanto prima si allontanava da Yalerta, tanto meglio sarebbe stato. Da qualche parte, nella Galassia, doveva esserci la spiegazione scientifica di ciò che rendeva invulnerabile il Seguace e, fino a che non avesse trovato un modo razionale d'affrontarlo, avrebbe fatto meglio a stare alla larga da quell'uomo. Inoltre, l'astronave galattica era l'unico metodo, a quanto sapeva, che poteva permettergli di lasciare quel pianeta isolato. Questo comportava di dover correre i massimi rischi. Dopo mezz'ora vi fu una luce, davanti a loro. Dapprima la nave galattica fu poco più di una chiazza lucente nell'oscurità della mezzanotte, ma poi le luci che la circondavano divennero così brillanti da renderla chiaramente visibile. Gosseyn regolò l'aeronave di Leej in
un'ampia orbita attorno alla nave più grande, e la studiò attraverso un telescopio magnetico. L'astronave era lunga circa duecento metri. Era molto piccola, rispetto alla norma delle navi galattiche. Ma aveva un solo scopo, su Yalerta. A bordo c'era uno strumento di trasporto e distorter del tipo che produceva la similarità meccanica. Una simile invenzione non aveva probabilmente eguali nella storia della scienza. Con essa, l'uomo poteva muoversi attraverso le immense distanze dello spazio come se lo spazio non esistesse. Un Profeta di Yalerta doveva soltanto entrare in un distorter a bordo della nave, per essere trasportato quasi istantaneamente a una distanza di cento o di mille anni luce. Il margine d'errore, come aveva scoperto con il distorter organico che era nella sua testa, era così piccolo da essere inosservabile. La nave giaceva su una pianura. Durante i quaranta minuti che Gosseyn dedicò ad osservarla, due vagoni volanti uscirono dall'oscurità. Vennero in momenti diversi, e atterrarono accanto a un punto luminoso che doveva essere un portello dell'astronave. Gosseyn pensò che fossero volontari, e ciò che l'interessava fu il fatto che, in entrambi i casi, l'aeronave ripartì prima che il volontario potesse salire a bordo della nave galattica. Aveva atteso proprio per scoprire quei particolari.
Si accostarono arditamente. A otto chilometri riuscì a sentire l'energia a bordo dell'astronave, ed ebbe una grande delusione. Solo energia elettrica, e in quantità trascurabili. La pila del motore era stata spenta. Mentalmente, Gosseyn si ritrasse da quel rischio. Nella sua ansietà, cominciò a fischiettare piano. Si accorse che Leej lo osservava. — Siete nervoso — disse la donna, stupita. Nervoso, pensò cupo: incerto, indeciso. Era vero. Come stavano ora le cose, poteva aspettare nella speranza di migliorare la propria posizione nei confronti della nave… o poteva fare un tentativo per impadronirsene immediatamente. — Questo vostro potere — disse Leej, — il modo con cui agite… come funziona? Si meravigliava, finalmente! Gosseyn sorrise, e scosse il capo. — E' un po' complicato — rispose, — e, senza volere essere offensivo, credo che sia al di fuori della portata della vostra preparazione scientifica. Si tratta di qualcosa di questo genere: l'area «estensionale»
che chiamiamo spaziotempo è probabilmente una illusione dei sensi. Cioè, qualsiasi realtà abbia lo spaziotempo, essa ha ben poca relazione con ciò che vedete, sentite o toccate. Così come voi sembrate meglio orientata, come Profetessa, rispetto al reale continuo dello spaziotempo, con maggior riferimento all'elemento tempo (meglio orientata, intendo dire, che gli individui normali), così anch'io sono meglio orientato, ma in questo caso con maggiore riferimento allo spazio. La donna non mostrò di aver capito. — Non siete realmente onnipotente, vero? Quali sono le vostre limitazioni? — Vi dispiace — disse Gosseyn, — se ve lo dico più tardi? Ho appena preso una decisione importante. Una Leej pallidissima guidò l'aeronave nella notte, e divenne ancora più pallida quando udì le istruzioni. — Non credo che abbiate il diritto — disse, tremando, — di chiedermi di fare questo. — Vorrei farvi una domanda — disse Gosseyn. — Sì? — Quando eravate nella cella con Jurig, che cosa sarebbe accaduto se mi avesse ucciso? Il Seguace vi avrebbe salvata?
— No. Ero solo uno strumento per incitarvi a compiere il massimo sforzo. Se avessi fallito… il mio fallimento avrebbe travolto anche me. — Dunque? — chiese Gosseyn, sotto voce. La donna tacque, stringendo le labbra. Il flusso neurale di lei aveva cambiato forma: da una ansietà ineguale era diventato uno schema teso ma fermo. Finalmente alzò gli occhi. — Va bene — disse. — Farò come volete. Gosseyn le batté una mano sul braccio in silenziosa approvazione. Non si fidava completamente di Leej. C'era la possibilità che anche questa fosse una trappola. Ma l'ombra aveva già scoperto che imprigionare Gilbert Gosseyn era più facile a dirsi che a farsi. Socchiuse gli occhi, deciso. Doveva continuare a muoversi. Si sentiva immensamente sicuro della sua capacità di farlo, fino a che non fosse divenuto troppo cauto di fronte alla necessità. Le sue fantasticherie si interruppero, quando il raggio di un riflettore penetrò nella cupola. Vi fu un ticchettio quando il ricevitore magnetico si accese e una voce d'uomo disse: — Vi prego di atterrare nella zona illuminata, a cento metri
dall'ingresso. Leej fece atterrare la nave senza dire parola. Quando si posarono al suolo, la voce parlò di nuovo attraverso il ricevitore. — In quanti siete? Gosseyn alzò un dito, e accennò a Leej di rispondere. — Uno — disse la donna. — Sesso? — Femminile. — Benissimo. Una persona di sesso femminile uscirà dal vostro vagone volante e si avvicinerà all'ufficio accettazione ai piedi della passerella. Il vagone volante ripartirà immediatamente e si porterà alla distanza di otto chilometri. Non appena si sarà ritirato alla distanza richiesta, la volontaria potrà salire a bordo della nostra nave. Dunque i vagoni volanti dovevano allontanarsi di otto chilometri. A Gosseyn parve che i due volontari che aveva osservato prima fossero stati ammessi a bordo prima che le navi che li avevano portati avessero potuto coprire una simile distanza. Con Leej andò nello stesso modo. Gosseyn, che si era similarizzato nella sala comando posteriore, la guardò
fermarsi nel piccolo edificio all'estremità inferiore della passerella. Dopo poco più d'un secondo si avviò lungo la passerella stessa. Guardò il tachimetro. Il vagone volante aveva percorso due chilometri. Questo poteva significare due cose. Primo, si trattava di una trappola, e lui vi era caduto. Secondo, i veterani dello spazio si erano seccati, e non si attenevano più alle regole. Naturalmente, poteva essere una combinazione di entrambe le cose. Una trappola del Seguace, di cui l'equipaggio della nave poteva non sapere nulla. O forse erano stati avvertiti, ma non prendevano sul serio la minaccia. Una a una, Gosseyn esaminò le possibilità nella sua mente e ogni volta tornò alla stessa conclusione. Non faceva differenza. Doveva tentare. Mentre guardava, Leej scomparve oltre l'ingresso. Attese, pazientemente. Aveva deciso di muoversi quattro minuti dopo che la donna era entrata. In un certo senso, era un periodo fin troppo lungo per lasciarla sola. Attese, e si sentì bizzarramente privo di rimpianti.
Per un attimo, quando Leej aveva protestato per la sua inclusione nel piano, si era chiesto se non pretendeva troppo da lei. Quel dubbio era superato. Gli sembrava che l'equipaggio della nave dovesse essere stato messo in guardia contro un uomo, non contro una donna. Dunque, il rischio del primo approccio toccava a lei. Se fosse entrata, avrebbe potuto entrare anche lui. Vi erano altri metodi, ma questo era il più rapido. Aveva dei piani su Leej, ma prima di tutto la donna doveva acquisire la certezza che il proprio destino era legato a quello di lui. Guardò l'orologio e provò un brivido. I quattro minuti erano trascorsi. Esitò ancora un momento, poi si similarizzò davanti al portello. Per un attimo si preoccupò di riacquistare l'equilibrio. Poi il suo braccio si tese verso il portello. Gli era sembrato un buon punto per entrare, e quindi l'aveva «fotografato» per mezzo del telescopio, mentre il vagone volante era ancora al suolo. Entrò nel cunicolo del portello. CAPITOLO 11
"Nell'interesse della sanità mentale, SPECIFICATE: Non dite «due bambine…» a meno che non intendiate: «Mary e Jane, due bambine, diverse una dall'altra e da tutte le altre persone al mondo…»". Dal punto in cui si trovava, Gosseyn poteva udire un mormorio di conversazione: era così sommesso che non ne comprendeva una parola. Ma il colloquio si svolgeva fra un uomo e una donna. Cautamente, Gosseyn si guardò in giro. Vide un ampio corridoio. Circa dieci metri più a sinistra c'era la camera stagna, aperta, da cui era passata Leej. A destra poté vedere Leej, ritta accanto a una porta, e dietro lei, visibile di spalle, un uomo che indossava la divisa di ufficiale del Massimo Impero. A eccezione di loro tre, il corridoio era deserto. Gosseyn si tenne vicino alla parete più distante, e si avvicinò alla coppia. Mentre Gosseyn si avvicinava, udì Leej dire: — Credo di aver diritto di conoscere i particolari. Come sono alloggiate, le donne? Il suo tono era calmo, con la giusta sfumatura interrogativa. La voce dell'ufficiale, quando rispose, aveva un tono di
rassegnata pazienza. — Vi assicuro, signora, che avrete un appartamento di sei stanze, servitori, tutte le comodità, e un'autorità seconda soltanto a quella del comandante e dei suoi primi ufficiali. Voi sarete… Si interruppe, quando Gosseyn apparve sulla soglia accanto a Leej. La sua sorpresa durò solo pochi secondi. — Vi chiedo scusa — disse, — non vi avevo veduto salire a bordo, l'ufficiale d'accettazione deve aver dimenticato di… Si interruppe di nuovo. Sembrò comprendere l'improbabilità della dimenticanza dell'ufficiale addetto all'accettazione. Spalancò gli occhi, la mascella gli tremò. La mano grassoccia volò verso l'arma che portava al fianco. Gosseyn lo colpì alla mascella, e l'afferrò mentre cadeva. Trascinò il corpo inerte su un divano. Frugò in fretta l'uomo, ma trovò soltanto l'arma nella fondina. Si raddrizzò e si guardò in giro. Aveva già notato che, oltre il mobilio normale, la stanza conteneva un certo numero di ascensori a distorter. Li contò. Una dozzina… e non erano ascensori. Li aveva chiamati così perché li aveva scambiati per ascensori la prima volta, nella base segreta
venusiana di Enro. Una dozzina. Vederli in fila contro la parete gli chiarì il quadro. Quella era la stanza dalla quale i Profeti di Yalerta venivano mandati ai posti loro assegnati. Il processo era più semplice di quanto avesse immaginato. Sembrava non vi fossero preliminari. L'ufficiale d'accettazione permetteva ai volontari di salire la passerella. E poi quest'uomo li guidava nella stanza e li mandava a destinazione. A quanto pareva, il resto della nave non era interessato a questo procedimento. Gli ufficiali e gli uomini dell'equipaggio vivevano un'esistenza normale, separata dagli scopi per cui la loro nave era giunta a Yalerta. E poiché era mezzanotte passata, probabilmente dormivano. Gosseyn si sentì stimolato dall'idea. Ritornò alla porta. Come prima, il corridoio era deserto. Dietro di lui, Leej disse: — Si sta svegliando. Gosseyn tornò al divano e attese. L'uomo si agitò, si levò a sedere, stringendosi la mascella. Il suo sguardo andò da Leej e Gosseyn poi di nuovo a Leej. Finalmente disse in tono querulo: — Siete pazzi? — Quanti uomini vi sono a bordo di questa nave?
— chiese Gosseyn. L'altro lo fissò, poi cominciò a ridere. — Sciocco! — disse. Per un momento parve sopraffatto dall'ilarità. — Quanti uomini — l'imitò. La sua voce si fece più acuta. — Cinquecento. Pensateci, e lasciate questa nave più presto che potete. Il numero dei componenti l'equipaggio era all'incirca quello che aveva previsto Gosseyn. Le astronavi non erano mai affollate come i veicoli terrestri. Era un problema che aveva a che fare con il rifornimento dell'aria e dei viveri. Eppure, erano pur sempre cinquecento uomini. — Gli uomini sono nei dormitori? — chiese. — Vi sono otto dormitori — rispose l'ufficiale. — E in ciascuno di essi stanno sessanta uomini. — E si fregò le mani. — Sessanta — ripeté, accarezzando il numero con la voce. — Vi piacerebbe che ve li presentassi? Gosseyn ignorò quella spiritosaggine. — Sì — disse, — sì, mi piacerebbe. Le dita di Leej gli strinsero nervosamente il braccio. — C'è una confusione continua — disse la donna.
Gosseyn annuì. — E' necessario — disse. — Altrimenti lui saprebbe ciò che faccio. Leej annuì, dubbiosa. — Sono molti. Questo non complica le cose? Le sue parole furono di sprone all'ufficiale, che si alzò in piedi. — Andiamo — disse giovialmente. — Come vi chiamate? — chiese Gosseyn. — Oreldon. In silenzio, Gosseyn gli accennò di avviarsi verso il corridoio. Quando giunsero al portello esterno, che era aperto, Gosseyn si fermò. — Potete chiudere queste porte? — chiese. Il viso grassoccio dell'uomo si accese di imbarazzato buonumore. — Avete ragione — disse. — Non vogliamo visitatori, mentre sono fuori servizio. — Si fece avanti vivamente, e stava per premere il pulsante quando Gosseyn lo fermò. — Un momento, vi prego — disse. — Vorrei controllare i fili. Non vorrei che deste l'allarme, capite?
Aprì lo sportello. C'erano quattro fili di troppo. — Dove vanno a finire? — chiese a Oreldon. — Alla sala comando. Due per aprire, due per chiudere. Gosseyn annuì, e chiuse il pannello. Doveva correre il rischio. Vi era sempre un collegamento con la sala comando. Con fermezza, premette il pulsante. Il metallo fremette, e spesse paratie scivolarono lungo l'apertura e si chiusero con un suono d'acciaio. — Vi dispiace se parlo con il mio collega che sta fuori? — chiese Oreldon. Gosseyn aveva pensato all'uomo che stava fuori. — Cosa volete dirgli? — chiese. — Oh, solo che ho chiuso la porta, e che può riposarsi per un po'. — Naturalmente — disse Gosseyn, — starete attento a quel che direte. — Naturalmente. Gosseyn controllò i fili, poi attese mentre Oreldon attivava
un telefono a muro. Si accorse che l'altro era in uno stato di stimolazione talamica. Di conseguenza, si sarebbe lasciato trascinare dal flusso intossicante del suo buonumore fino a che il trauma del disastro imminente l'avrebbe raffreddato. Quello sarebbe stato il momento critico. A quanto pareva, le porte non erano sempre aperte, perché l'ufficiale dell'accettazione non si mostrò sorpreso che venissero chiuse. — Sei sicuro, Orry — disse, — di non andartene a spasso con la donna che è appena entrata? — Purtroppo no — disse Oreldon, e interruppe la comunicazione. — Queste conversazioni non possono durare a lungo — disse cordialmente a Gosseyn. — La gente si insospettisce. Giunsero a una scala. Oreldon stava per scenderla quando Gosseyn lo trattenne. — Dove porta? — chiese. — Giù, nei quartieri degli uomini. — E dov'è la sala comando? — Oh, non vorrete andare in sala comando!
Dovreste salire. E' là. Gosseyn disse che era lieto di sentirlo. — E quante aperture vi sono là, verso il ponte inferiore? — domandò. — Quattro. — Spero — disse gentilmente Gosseyn, — che mi diciate la verità. Se scoprissi che sono cinque, per esempio, questa arma potrebbe sparare facilmente. — Sono quattro soltanto, lo giuro — disse Oreldon. La sua voce era improvvisamente rauca. — Vedete — disse Gosseyn, — noto che c'è una pesante porta che può chiudersi, in cima a questa scala. — Non è normale, secondo voi? — fece Oreldon. — Dopotutto, un'astronave deve essere costruita in modo che le varie sezioni possano venir isolate in caso di incidente. — Chiudiamola, allora — disse Gosseyn. — Uh! — Il suo tono mostrò che non aveva mai pensato a una cosa simile. Il suo viso grassoccio mostrò che in quel momento aveva compreso. I suoi occhi rotearono mentre
guardava, impotente, lungo il corridoio. — Non pensate neppure per un secondo di cavarvela! — ringhiò. — La porta — disse Gosseyn in tono inesorabile. L'ufficiale esitò, irrigidito. Poi si avvicinò lentamente alla parete. Aprì un pannello, attese fino a che Gosseyn ebbe controllato i fili, poi mosse la leva. I pannelli della porta erano spessi soltanto cinque centimetri: si chiusero con un lieve tonfo. — Spero sinceramente — disse Gosseyn, — che siano chiusi e che non possano venire aperti dal basso, perché se scoprissi qualcosa del genere avrei tempo di sparare almeno una volta. — Sono chiusi — disse Oreldon, cupamente. — Bene — disse Gosseyn. — Ora muoviamoci. Sono impaziente di isolare anche quelle scale. Oreldon continuò a guardare ansioso verso i corridoi laterali, mentre camminavano; ma se sperava di vedere un uomo dell'equipaggio, fu deluso. Tutto era silenzioso: si udiva soltanto il debole rumore dei loro movimenti. Nessuno si mostrò. — Credo che siano tutti a letto — disse Gosseyn.
L'uomo non rispose. Isolarono il piano inferiore senza dire una parola, poi Gosseyn osservò: — Dovrebbero essere rimasti venti ufficiali, compresi voi e il vostro amico che sta fuori. E' giusto? Oreldon annuì, ma non disse nulla. Aveva gli occhi vitrei. — E se ricordo esattamente la storia antica della Terra — disse Gosseyn, — c'era una vecchia usanza, dovuta al carattere intransigente di qualcuno, di confinare gli ufficiali nei loro quartieri, in certe circostanze. Questo significa sempre un sistema di serrature esterne. Sarebbe interessante se anche le navi di Enro avessero problemi, e soluzioni, simili. Bastò uno sguardo al viso del prigioniero per capire che anche le navi di Enro li avevano. Dieci minuti dopo, senza che fosse stato sparato un colpo, Gosseyn era padrone dell'astronave galattica. Era stato troppo facile. Quell'impressione crebbe nel suo animo mentre guardava nella sala comando, deserta. Spingendosi davanti Oreldon, mentre Leej era alla retroguardia, entrò nella sala. Si guardò intorno, criticamente. Non c'era un solo uomo di servizio, ad eccezione dei due
ufficiali che aspettavano i Profeti. Troppo facile. Considerando le precauzioni che il Seguace aveva già preso contro di lui, sembrava incredibile che la nave fosse veramente in suo potere. Eppure, pareva proprio così. Ancora una volta, studiò la sala. Il pannello dei comandi si curvava massiccio sotto la cupola trasparente. Era diviso in tre sezioni: elettricità, distorsione, energia atomica. Primo, il settore elettricità. Manovrò gli interruttori che accendevano una dinamo azionata dall'energia atomica, nelle profondità della nave. Si sentì meglio. Non appena avesse memorizzato un numero sufficiente di prese, sarebbe stato in grado di scatenare flussi intollerabili di energia in ogni stanza e in ogni corridoio. Era tremendamente convincente. Se era una trappola, allora i membri dell'equipaggio non ne erano al corrente. Ma non era ancora soddisfatto. Studiò il pannello. C'erano leve e quadranti, in ogni sezione, di cui poteva solo in parte indovinare la funzione. Non si preoccupò dei settori elettrico e atomico: quest'ultimo non poteva essere usato nei confini della nave, e del primo avrebbe presto assunto il controllo assoluto.
C'era il settore a distorsione. Gosseyn si accigliò. Non c'era dubbio, lì era il pericolo. Sebbene possedesse un distorter organico nel cervello supplementare, la sua conoscenza del sistema a distorsione meccanica della civiltà galattica era vaga. In questo doveva consistere la sua debolezza, e la trappola, se c'era una trappola. Nella sua preoccupazione, si era scostato dal pannello. Stava incerto fra le varie possibilità, quando Leej disse: — Dovremo dormire. — Non finché siamo su Yalerta — disse Gosseyn. Il suo piano generale era abbastanza chiaro. C'era un margine di errore fra la similarità perfetta e la similarità a venti decimali di un distorter meccanico. Misurato in distanza, risultava di circa mille anni luce ogni dieci ore. Ma anche questo, Gosseyn aveva già intuito, era un'illusione. Spiegò a Leej: — Non si tratta, in realtà, di una questione di velocità. La relatività, una delle prime e più importanti formulazioni non-A, mostra che i fattori spazio e tempo non possono essere considerati separatamente. Ma vengo a una variante della stessa idea. Gli eventi si verificano in diversi istanti, e la loro separazione nello spazio fa solo
parte dell'immagine che si forma nel nostro sistema nervoso quando tentiamo di interpretare la loro separazione temporale. Si accorse di nuovo che la donna non lo poteva seguire. Proseguì, quasi fra sé: — E' possibile che due dati eventi siano così strettamente collegati che in realtà non sono affatto eventi diversi, per quanto possano sembrare lontani, o chiaramente definiti. In termini di probabilità… Gosseyn studiò il problema: si sentiva vicino a una soluzione più grande di quella richiesta dalla situazione immediata. La voce di Leej lo distrasse. — Ma cosa farete? Gosseyn si avvicinò di nuovo al pannello degli strumenti. — Ora — disse, — partiremo normalmente. Gli strumenti di comando erano simili a quelli delle navi che percorrevano lo spazio tra Terra e Venere. La prima accelerazione verso l'alto tese ogni paratia. Il movimento divenne continuo. In dieci minuti ebbero lasciato l'atmosfera; e acquistavano velocità. Dopo altri venticinque minuti, uscirono dal cono d'ombra del pianeta, e la luce solare irruppe vivida nella sala comando. Nello schermo visivo posteriore, l'immagine del mondo rotante di Yalerta sembrava un disco di luce che circondava una grande sfera scura e nebbiosa.
Gosseyn si distolse dalla scena e affrontò Oreldon. L'ufficiale impallidì quando Gosseyn gli rivelò le sue intenzioni. — Non fategli capire che io ne sono il responsabile — implorò. Gosseyn promise senza esitazione. Ma gli pareva che se una commissione militare del Massimo Impero avesse mai indagato sulla cattura della nave Y-381907, la verità sarebbe stata presto scoperta. Fu Oreldon che bussò alla porta del comandante, e che ne uscì accompagnato da un uomo robusto e collerico. Gosseyn troncò subito le sue imprecazioni. — Comandante Free, se mai si scoprisse che questa nave è stata catturata senza colpo ferire, probabilmente paghereste con la vostra vita. Fareste meglio ad ascoltarmi. Spiegò che intendeva servirsi della nave solo temporaneamente, e il comandante Free si calmò abbastanza da cominciare a discutere i particolari. Risultò che l'idea del funzionamento delle navi interstellari che aveva Gosseyn era esatta. Le navi erano regolate per raggiungere un punto lontano,
ma lo schema poteva essere interrotto prima che vi giungessero. — E' l'unico modo in cui possiamo fermarci sui pianeti come Yalerta — spiegò il comandante. — Ci similarizziamo a una base lontana un migliaio di anni luce, poi operiamo l'interruzione. Gosseyn annui. — Voglio andare a Gorgzid, e voglio che lo schema sia interrotto a una distanza di circa un giorno di volo. Non lo stupì che la destinazione sbalordisse l'altro. — Gorgzid! — esclamò il comandante. Socchiuse gli occhi, poi sorrise cupo. — Dovrebbero essere in grado di prendersi cura di voi — disse. — Bene, volete andare davvero? Occorreranno sette balzi. Gosseyn non rispose immediatamente. Badava al flusso neurale di quell'uomo. Non era del tutto normale, il che era naturale. C'erano sussulti diseguali, che indicavano turbe emotive, ma non v'era uno schema deliberato. Era convincente. Il comandante non aveva in mente piani, progetti personali o tradimenti. Ancora una volta, considerò la sua posizione. Era sintonizzato alla dinamo elettrica, e alla pila atomica della nave. Era in grado di uccidere chiunque, a bordo. La sua posizione era virtualmente inespugnabile.
La sua esitazione finì. Gosseyn trasse un profondo respiro e poi disse: — Via! CAPITOLO 12
"Nell'interesse della sanità mentale, usate la formula ECCETERA: Quando dite: «Mary è una brava ragazza!» siate consci che Mary è molto di più che «brava». Mary è «brava», simpatica, gentile eccetera, ossia ha anche altre caratteristiche. Vale la pena di ricordare che la psicologia moderna — 1970 — non considera un individuo placidamente «bravo» come una personalità sana". Si era teso, attendendo quasi che venisse fatto un tentativo per usare contro di lui quel momentaneo oscuramento. Si voltò e disse: — E' certo abbastanza rapido. Noi… La sua voce si spezzò… perché non era più nella sala comando dell'astronave. A centocinquanta metri di distanza c'era un pannello di comandi molto più grande di quello che aveva lasciato un istante prima. La cupola trasparente che si levava, incurvandosi, era di proporzioni così solenni che per un
momento il suo cervello rifiutò di afferrarne la vastità. Con una vertiginosa comprensione, fissò il suo corpo e le sue mani. Le mani erano sottili, ossute; il corpo snello, rivestito dell'uniforme di ufficiale di Stato Maggiore del Massimo Impero. Ashargin! La certezza fu così acuta che Gosseyn sentì il corpo che ora rioccupava tremare e cominciare a rattrappirsi. Con uno sforzo scacciò la debolezza, ma c'era disperazione, in lui, al pensiero che il suo corpo era lontano, nella sala comando dell'Y-381907. Ora, doveva giacere inerte sul pavimento. In quello stesso minuto, Oreldon e il comandante Free stavano sopraffacendo Leej, e si preparavano a catturare i due intrusi. O piuttosto — Gosseyn fece tristemente la distinzione — a circa diciottomila anni luce di distanza, parecchi giorni prima, per ciò che riguardava l'astronave, Leej e il corpo di Gilbert Gosseyn erano stati catturati. Non doveva dimenticare che una differenza di tempo era sempre legata al trasporto a similarità. Si rese conto, bruscamente, che i suoi pensieri erano troppo violenti per il fragile Ashargin, nel cui corpo era di nuovo intrappolato. Con occhi confusi si guardò intorno, e lentamente cominciò ad adattarsi.
Lentamente, perché non era il suo sistema nervoso altamente addestrato quello che stava cercando di controllare. Tuttavia alla fine il suo cervello si schiarì; smise di tremare. Dopo un minuto, anche se le ondate di debolezza avevano un ritmo preciso dentro di lui, riuscì a capire cosa stava facendo Ashargin nel momento in cui era stato afferrato dalla sua mente. Stava camminando insieme a un gruppo di ammiragli. Ora li vide davanti a sé. Due si erano fermati, e stavano guardando verso di lui. Uno disse: — Vostra Eccellenza, vi sentite male? Prima che Gosseyn-Ashargin potesse rispondere, l'altro uomo, un vecchio, magro ammiraglio, la cui divisa scintillava di medaglie e di mostrine gemmate, disse sardonicamente: — Il principe non è stato bene sin da quando è arrivato. Dobbiamo elogiarlo per il suo attaccamento al dovere in queste condizioni. Mentre il secondo uomo finiva di parlare, Gosseyn lo riconobbe per il Grande Ammiraglio Paleol. L'identificazione lo aiutò a ritornare alla normalità. Perché era qualcosa che solo Ashargin poteva sapere.
Chiaramente, le due menti, la sua e quella di Ashargin, cominciavano ad integrarsi al livello inconscio. Quella certezza l'irrigidì. Ancora una volta era stato preso dal giocatore invisibile, e l'essenza che era la sua mente era stata similarizzata in un cervello non suo. Prima si adattava, meglio era. Questa volta doveva tentare di dominare la situazione. Non doveva mostrare segni di debolezza. Ashargin doveva essere tenuto continuamente al limite delle sue capacità fisiche. Mentre avanzava per raggiungere gli altri ufficiali, che si erano fermati tutti, il ricordo dell'ultima settimana vissuta da Ashargin cominciò a farsi chiaro. Una settimana? La certezza che per Ashargin erano trascorsi sette giorni, mentre lui aveva avuto meno d'un giorno intero di esistenza conscia, sbalordì per un poco Gosseyn. Ma l'arresto che gli impose fu solo momentaneo. L'immagine della settimana precedente era sorprendentemente buona. Ashargin non era mai svenuto. Aveva superato con successo le presentazioni iniziali. Aveva persino cercato di suggerire che sarebbe rimasto come osservatore, fino a nuovo avviso. Per un uomo che era svenuto due volte in presenza di Enro, era una conquista di prim'ordine. Era una prova in più che anche una personalità non
integrata come quella di Ashargin reagiva prontamente, e che anche poche ore di controllo da parte d'una mente nonA potevano causare un miglioramento visibile. — Ah — disse un ufficiale, poco lontano da GosseynAshargin, — eccoci arrivati. Gosseyn alzò lo sguardo. Erano giunti all'ingresso d'una piccola sala di riunioni. Era evidente — e la memoria di Ashargin glielo confermava — che stava per aver luogo una riunione di alti ufficiali. E qui avrebbe potuto fare sentire la nuova, decisa personalità di Ashargin. Nella sala vi erano già numerosi ufficiali. Altri stavano arrivando. Mentre guardava, altri ancora uscivano dalle cabine a distorter lungo la parete, a trenta metri di distanza. Le presentazioni erano molte e rapide. Molti degli ufficiali lo guardavano con occhi acuti, quando udivano il suo nome. Ma Gosseyn era sempre gentile con tutti i nuovi arrivati. Il suo momento sarebbe venuto più tardi. In realtà, la sua attenzione era stata distratta. Si era reso conto all'improvviso che la stanza dietro di lui era la sala comando di una superastronave. E di più. Era la sala comando d'una nave impegnata in quel momento nella
fantastica battaglia del Sesto Raggio. L'eccitazione di quel pensiero fu simile a una fiamma, nella sua mente. Durante una pausa nelle presentazioni, si sentì costretto a voltarsi e a guardare, questa volta con occhi che comprendevano. La cupola si levava a centocinquanta metri al di sopra del suo capo. Si curvava, limpida e trasparente, e al di là di essa c'erano le stelle, splendenti come gemme, della massa centrale della Galassia. La Via Lattea, vista da vicino. Milioni dei soli più caldi e più abbaglianti della Galassia. Lì, fra una bellezza insuperabile, Enro aveva lanciato le sue grandi flotte. Enro doveva pensare che quella fosse la zona della decisione finale. Ora, i ricordi di Ashargin relativi alla settimana in cui aveva osservato la grande battaglia erano più rapidi. Presero forma le immagini di migliaia di navi similarizzate simultaneamente alla base di una roccaforte planetaria nemica. Ogni volta, la similarizzazione era interrotta poco prima che le navi raggiungessero il loro obiettivo. E allora, dall'oscurità senza ombre, sfrecciavano verso il pianeta condannato. Le navi che attaccavano erano più numerose di quelle che tutti i sistemi solari limitrofi avrebbero potuto raccogliere. Distanze che avrebbero richiesto molti mesi, perfino anni, per essere coperte con
volo ordinario, venivano superate quasi istantaneamente. E, sempre, la flotta attaccante dava alla vittima la stessa alternativa. Arrendersi, o essere distrutta. Se i capi di un pianeta o di un gruppo di pianeti rifiutavano di credere al pericolo, la pioggia spietata di bombe che cadeva dal cielo consumava letteralmente la loro civiltà. Così violente e concentrate erano le esplosioni che nella crosta dei pianeti iniziavano reazioni a catena. In maggioranza, i sistemi si mostravano ragionevoli. La parte della flotta che si era fermata per catturare o per distruggere lasciava dietro di sé una forza di occupazione, poi passava come un lampo a un'altra base della Lega. Non c'era una vera difesa. Era impossibile concentrare flotte cospicue da opporre agli attaccanti, poiché era impossibile prevedere a quale pianeta sarebbe toccato l'attacco. E, con abilità sovrumana, gli invasori sconfiggevano sempre le flotte spinte contro di loro: sembravano conoscere sempre la natura delle difese, e, dove la difesa era più ostinata, appariva una dozzina di navi di Enro contro ogni nave della Lega. Questo sembrava una magia ad Ashargin, ma non a Gosseyn. I Profeti di Yalerta combattevano con le flotte del Massimo Impero, e i difensori non avevano speranze. Il flusso dei ricordi finì quando la voce del Grande
Ammiraglio disse, ironicamente, dietro di lui: — Principe, la riunione sta per cominciare. Fu un sollievo poter sedere al lungo tavolo. Vide che la sua sedia era alla destra di quella dell'Ammiraglio. Il suo sguardo ispezionò rapidamente il resto della stanza. Era più grande di quanto avesse creduto. Capì che cosa gli aveva dato l'impressione di piccolezza. Tre pareti erano vere mappe spaziali, ognuna delle quali era accesa di innumerevoli luci, e su ogni parete, fino a tre metri dal pavimento, c'erano serie di quadrati su cui scintillavano e vorticavano dei numeri. Un quadrato aveva numeri rossi, e il numero che vi appariva era 91308. Cambiò, mentre Gosseyn guardava, e balzò a 91749. Quello fu il cambiamento più notevole che osservò. Attese che la memoria di Ashargin gli fornisse qualche spiegazione relativa a quei numeri: non gli giunse altro che l'informazione che Ashargin non era mai stato in quella sala, prima d'allora. C'erano riquadri con numeri azzurri, altri con numeri gialli, verdi, arancio, grigi, rosati, purpurei e viola. E poi c'erano quadrati su cui le cifre alternate avevano colori diversi. Era ovviamente un metodo per distinguere i fatti a prima vista, ma i fatti, in se stessi, erano instabili.
Cambiavano ogni momento. I numeri passavano con rapidità violenta. Sembravano danzare, mentre si spostavano e si alternavano. E senza dubbio, narravano una vicenda. A Gosseyn parve che in quei quadrati di numeri enigmatici venisse rivelata la situazione sempre mutevole della battaglia del Sesto Raggio. Gli costò uno sforzo enorme ritrarre lo sguardo affascinato dai quadrati, e rendersi conto che l'Ammiraglio Paleol stava parlando da parecchi istanti. -… i nostri problemi — stava dicendo il vecchio, — non saranno più difficili, in futuro, di quanto lo siano stati finora. Ma vi ho chiamati qui, oggi, per avvertirvi che sono già accaduti incidenti che diventeranno anche più numerosi in futuro. Per esempio, in diciassette occasioni, ormai, non abbiamo potuto similarizzare le nostre navi a basi i cui schemi distorter erano stati procurati al nostro grande capo dal sistema di spie più perfettamente organizzato che sia mai stato concepito. «E' chiaro che qualcuno dei governatori planetari si è insospettito, e nel suo panico ha alterato gli schemi. In ognuno dei casi portati finora alla mia attenzione, i pianeti interessati furono accostati da nostre navi similarizzate a una base più lontana. In ogni caso, al pianeta responsabile non è stata offerta la possibilità di arrendersi, ma è stato
distrutto senza pietà. «Queste eventualità, sarete felici di saperlo, erano state previste dal nostro grande capo, Enro il Rosso. La storia non conosce alcun uomo dotato di tale preveggenza, di tale sagacia e di così grande volontà di pace.» L'osservazione finale fu un "a parte". Gosseyn guardò gli altri, ma i loro visi erano attenti. Se vedevano qualcosa di strano nella descrizione di Enro come uomo di pace non lo davano a vedere. Stava seguendo i suoi pensieri. Dunque, una complessa organizzazione spionistica aveva assicurato a Enro gli schemi distorter di migliaia di basi della Lega. A Gosseyn sembrava che una fatale combinazione di forze lavorasse in favore di Enro. In pochi anni era salito dal dominio ereditario d'un piccolo gruppo planetario all'altezza del potere galattico. E, come per provare che lo stesso destino era dalla sua parte, durante lo stesso periodo era stato scoperto il pianeta dei Profeti, e adesso quelle menti eccezionalmente dotate lavoravano per lui. Era pur vero che il Seguace che glieli forniva aveva piani personali. Ma questo non avrebbe fermato la guerra. —… Naturalmente — stava dicendo il Grande Ammiraglio Paleol, — i principali centri della Lega in questa zona non
hanno cancellato affatto i loro schemi distorter. Occorre tempo per costruire collegamenti a similarità, e le loro navi verrebbero tagliate fuori dalle basi i cui schemi vengono alterati. Tuttavia, in futuro dovremo considerare la possibilità che gruppi sempre più numerosi cerchino di chiudersi in isolamento. E alcuni di essi vi riusciranno. «Vedete… — il suo lungo volto si schiarì in un freddo sorriso, — vi sono sistemi che non possono essere avvicinati mediante similarizzazione a basi poco lontane. Nel preparare la nostra campagna, c'eravamo appunto preoccupati di lanciare gli attacchi iniziali contro i pianeti che potessero essere avvicinati. Ora, gradualmente, la nostra posizione diverrà più flessibile. Dobbiamo improvvisare. Le flotte si troveranno nella posizione di attaccare obiettivi che in precedenza non erano considerati alla nostra portata. Conoscere quando queste possibilità esistano richiederà la massima sorveglianza da parte degli ufficiali e dei membri dell'equipaggio.» Senza sorridere, il vecchio si guardò attorno. — Signori, questo conclude il mio rapporto. Devo dirvi che le nostre perdite sono gravi. Stiamo perdendo navi alla media di due corazzate, undici incrociatori, settantaquattro caccia e sessantadue vascelli di tipo vario ogni ora di operazioni. Naturalmente, sono cifre attuariali, che variano
grandemente di giorno in giorno. Però, nonostante tutto, sono reali, come potete vedere guardando gli estimatori sulle pareti di questa sala. «Ma, fondamentalmente, la nostra posizione è ottima. Il nostro maggiore ostacolo è la vastità dello spazio e il fatto che occorre il tempo d'una parte della nostra flotta per realizzare ogni conquista. Tuttavia, ora è possibile calcolare matematicamente la durata della campagna. Tanti pianeti da conquistare, tanto tempo per ciascuno di essi… in totale, novantaquattro giorni siderei. Qualche domanda?» Vi fu silenzio. Poi, a capotavola, un ammiraglio si alzò. — Signore — disse, — mi chiedo se potremmo conoscere l'opinione del Principe Ashargin. Il Grande Ammiraglio si alzò lentamente. Il sorriso era riapparso sul suo viso lungo, solitamente tetro. — Il principe — disse, asciutto, — è con noi come emissario personale di Enro. Mi ha chiesto di dirvi che non ha commenti da fare. Gosseyn si alzò. Il suo scopo era quello di far rimandare Ashargin a Gorgzid, al quartier generale di Enro, e gli pareva che il modo migliore per riuscirvi fosse quello di cominciare a parlare quando non gli spettava.
— Questo — disse, — è ciò che ho detto ieri al Grande Ammiraglio. Si fermò, fremendo all'acuto tono tenorile della voce di Ashargin, per placare la tensione del corpo del principe. E intanto guardò il vecchio accanto a lui. Il Grande Ammiraglio stava guardando il soffitto, ma con una tale espressione che Gosseyn intuì la verità. Disse, rapidamente: — Sto attendendo da Enro l'invito a ritornare per fare il mio rapporto, ma se ne ho il tempo, vorrei discutere alcuni sottintesi filosofici della guerra che stiamo combattendo. Non andò oltre. Il soffitto si illuminò, e il viso che vi prese forma era il viso di Enro. Tutti nella sala balzarono in piedi, sull'attenti. Il dittatore li fissò, con un lieve sorriso ironico sul volto. — Signori — disse poi, — a causa di precedenti impegni, mi sono sintonizzato soltanto ora su questa riunione. Mi spiace di averla interrotta, in particolare perché vedo che il Principe Ashargin si accingeva a parlare. Il principe ed io siamo d'accordo su tutti gli aspetti principali del modo di condurre questa guerra, ma desidero che ritorni subito a Gorgzid. Signori, i miei rispetti. — Vi salutiamo, Vostra Eccellenza! — disse il Grande
Ammiraglio Paleol. E si rivolse a Gosseyn-Ashargin. — Principe — disse, — sarò felice di accompagnarvi alla sezione dei trasporti. Prima di andarmene — disse Gosseyn, — vorrei mandare un messaggio alla Y-381907. Gosseyn preparò il messaggio nella convinzione che presto sarebbe ritornato al suo corpo. Scrisse: USATE OGNI CORTESIA AI DUE PRIGIONIERI CHE AVETE A BORDO DELLA NAVE. NON DEVONO ESSERE LEGATI O AMMANETTATI O RINCHIUSI. PORTATE LA PROFETESSA E L'UOMO, SIA EGLI CONSCIO O INCONSCIO, A GORGZID. Infilò il foglio nella fessura dell'operatore robotico. — Mandatelo immediatamente al comandante Free, sulla Y381907. Aspetterò qui un cenno di ricevuta. Si voltò e vide che il Grande Ammiraglio Paleol lo osservava incuriosito. Il vecchio sorrise e disse in tono tollerante: — Principe, voi siete un enigma. Ho ragione di credere che, secondo voi, Enro e io stesso saremo chiamati, un giorno, a rendere conto di ciò che facciamo? Gosseyn-Ashargin scosse il capo. — Potrebbe accadere
— disse. — Potreste fare il passo più lungo della gamba. Ma in realtà non si tratterebbe di rendere conto. Sarebbe una vendetta, e subito dopo si affermerebbe una nuova fazione altrettanto venale della precedente, forse solo temporaneamente più cauta. Gli individui infantili che pensano a rovesciare un gruppo dominante non analizzano il carattere che lega tra loro i membri di tale gruppo. Uno dei primi passi consiste nell'inculcare la convinzione che essi siano tutti pronti a morire in qualunque momento. Finché il gruppo resiste integro, nessun singolo membro osa sostenere un'opinione contraria su quel punto fondamentale. Essendosi convinti di non avere paura, possono giustificare qualunque crimine contro gli altri. E' estremamente semplice, ed è emotivo e infantile al livello più distruttivo. Il ghigno dell'ammiraglio era più ampio. — Bene, bene — disse, — siete un filosofo, no? — I suoi occhi acuti divennero curiosi. — Molto interessante, tuttavia. Non avevo mai pensato che il coraggio fosse un fattore così fondamentale. Fece per parlare ancora, ma l'operatore robotico l'interruppe. — Non riesco a mettermi in contatto con il caccia Y381907.
Gosseyn-Ashargin esitò. Era sbalordito. Disse: — Nessun contatto? — Nessuno. Cominciò a riprendersi. — Benissimo, continuate a tentare fino a che il messaggio sarà recapitato. E informatemi, a Gorgzid. Si voltò e strinse la mano a Paleol. Pochi minuti dopo abbassò la leva della cabina distorter che doveva riportare Ashargin nel palazzo di Enro. CAPITOLO 13
"Nell'interesse della sanità mentale, badate a non ETICHETTARE. Parole come fascista, comunista, democratico, repubblicano, cattolico, ebreo si riferiscono ad esseri umani, che non corrispondono mai esattamente a un'etichetta". Gosseyn si aspettava di risvegliarsi nel suo corpo, poiché questo gli era già accaduto in una simile occasione, la prima volta. Se lo aspettava con tanto desiderio che provò una trafittura di delusione quando guardò oltre la porta trasparente della cabina distorter. Per la terza volta in due settimane, vide la sala di controllo
militare nel palazzo di Enro. La delusione svanì rapidamente. Era lì, e non poteva mutare la situazione. Varcò la porta e fu sorpreso nel vedere che la stanza davanti alla cabina era deserta. Non essendo riuscito a ritornare nel suo corpo, aveva ritenuto per certo che gli sarebbe stato chiesto di spiegare il significato del messaggio inviato al comandante Free. Bene, era pronto anche a questo. Era pronto a molte cose, decise, mentre si avviava verso le grandi finestre in fondo alla sala. Le finestre erano illuminate dal sole. Mattino? si chiese mentre guardava fuori. Il sole sembrava più alto nel cielo di quanto lo fosse stato la prima volta che era entrato nel palazzo di Enro. Questo lo confuse. Tanti pianeti diversi in parti diverse della Galassia che giravano attorno ai loro soli a diverse velocità. E poi c'era la perdita di fattore tempo del trasporto — cosiddetto istantaneo — a distorter. Calcolò che fossero circa le nove e mezzo, ora della Città di Gorgzid. Troppo tardi per far colazione con Enro e Secoh… non che ne avesse voglia. Gosseyn si avviò verso la porta che dava sul corridoio. Si aspettava quasi che gli ordinassero di fermarsi, o con un ordine impartito per mezzo d'uno dei telefoni a muro o con l'apparizione di qualcuno che gli recasse istruzioni. Nessuno lo fermò.
Non si faceva illusioni. Enro, che aveva il dono di vedere e udire a distanza, non era ignaro della sua presenza. Era una possibilità concessagli deliberatamente, un allentamento del controllo che aveva le sue radici nella curiosità o nel disprezzo. La ragione non comportava alcuna differenza. Comunque fosse, gli dava un attimo di respiro. Era quello l'importante, per cominciare. Ma anch'esso non aveva importanza, a lungo andare. Aveva un piano e intendeva costringere Ashargin a correre qualunque rischio. Questo comprendeva, se necessario, persino ignorare ordini diretti di Enro. La porta del corridoio era aperta, come una settimana prima. Una donna che portava un secchio percorreva il corridoio. Gosseyn si chiuse la porta alle spalle e fece un cenno alla donna. Lei tremò, vedendo l'uniforme, e si comportò come se non fosse abituata a sentirsi rivolgere la parola da un ufficiale. — Sì, signore — mormorò, — l'appartamento di Donna Nirene, signore? Due piani più sotto. C'è il suo nome sulla porta dell'appartamento. Nessuno lo fermò. La ragazza che gli aprì era graziosa, dall'aria intelligente. Lo guardò accigliandosi, poi lo lasciò
lì. La udì chiamare: — Ni, è arrivato! Si udì un'esclamazione soffocata. Poi Nirene apparve nel corridoio. — Bene — scattò, — vuoi entrare? O vuoi rimanere lì impalato? Gosseyn continuò a tacere. La seguì in un soggiorno arredato con gusto, e sedette nella poltrona che lei gli indicò. L'altra donna era scomparsa. Vide che Nirene lo osservava con uno sguardo cupo; poi lei disse, in tono amaro: — Parlarti comporta gravi rischi. — Lascia che ti rassicuri — disse Gosseyn, — tu non corri pericolo di qualche indegnità da parte del principe Ashargin. — Usò deliberatamente la terza persona. — Non è cattivo, in realtà. — Me l'hanno ordinato — disse lei, — ordinato sotto minaccia di morte. — Era molto tesa. — Non puoi farne a meno, quando tutte le tue proposte sono respinte — disse Gosseyn. — Ma tu rischi la morte! — Il principe — disse Gosseyn, — viene utilizzato per uno scopo personale di Enro. Non crederai che lo lascerà vivo, dopo che avrà finito di servirsene. Lei impallidì improvvisamente. — Osi parlare così
— mormorò, — sapendo che lui potrebbe ascoltarti! — Il principe — disse Gosseyn, — non ha nulla da perdere. Gli occhi grigi di Nirene divennero curiosi… e qualcosa d'altro. — Parli di lui come se fosse un altro.
— E' un modo di pensare obiettivamente. — Si interruppe. — Ma avevo due motivi, per venire a parlarti. Il primo è una domanda, cui spero risponderai. Ho una teoria, secondo la quale nessun uomo può soggiogare completamente un impero galattico in undici anni, e quattro milioni di ostaggi, trattenuti qui, a Gorgzid, indicano una grande irrequietezza in tutto il Massimo Impero. Ho ragione? — Naturalmente. — Nirene alzò le spalle. — Enro è molto franco, in proposito. Sta giocando una partita contro il tempo, e il gioco lo interessa quasi quanto il risultato. — Possibile. Ma ora, seconda domanda. — Rapidamente, spiegò la posizione di Ashargin nel palazzo e concluse: — Gli è già stato assegnato un appartamento? Gli occhi di Nirene erano spalancati, perplessi. Vuoi dirmi — chiese, — che non sai che cosa è accaduto? Gosseyn non rispose. Era occupato a rilassare Ashargin, che si era teso, improvvisamente. La giovane donna si alzò, e lui vide che lo guardava in modo meno ostile. Lei increspò le labbra, poi gli rese lo sguardo con espressione interrogativa e perplessa. — Vieni con me — disse. — Si diresse rapidamente verso una porta che si apriva su un altro corridoio. Varcò una
seconda porta, in fondo al corridoio, e si fece da parte per lasciarlo entrare. Gosseyn vide che era una camera da letto. — La nostra stanza — disse lei. Ancora una volta quel tono era nella sua voce, e i suoi occhi lo osservarono con aria interrogativa. Finalmente scosse il capo. — Non lo sai, vero? Benissimo, te lo dirò. Fece una pausa, si tese un po' come se tradurre un fatto in parole gli desse una realtà più acuta, poi: — Tu e io siamo stati sposati questa mattina in forza d'uno speciale decreto emanato da Secoh. Ho ricevuto la notifica ufficiale pochi minuti fa. Dopo aver detto questo, gli passò accanto, e si allontanò nel corridoio. Gosseyn chiuse la porta dietro di lei. Non sapeva quanto tempo avesse, ma se il corpo di Ashargin doveva essere ri-orientato, allora bisognava utilizzare momenti come quelli. Il suo piano era molto semplice. Sarebbe rimasto in quella stanza fino a che Enro non gli avesse ordinato di fare qualcosa. E allora avrebbe disobbedito all'ordine. Sentiva Ashargin rabbrividire a una simile idea.
Ma Gosseyn si rafforzò contro ogni debolezza, e pensò consciamente, a beneficio del sistema nervoso dell'altro: «Principe, ogni volta che intraprendi un'azione deliberata, decisa in base a considerazioni di livello superiore, tu stabilisci una certezza di coraggio, di fiducia in te stesso e di abilità». Tutto questo era molto semplificato, naturalmente, ma era un preliminare necessario per un addestramento non-A di livello superiore. La prima azione di Gosseyn fu di recarsi nel bagno e di aprire il rubinetto dell'acqua calda. Regolò il termostato e poi, prima di svestirsi, andò nella camera da letto a cercare uno strumento meccanico che emettesse un suono ritmico. Non ne trovò alcuno. Questo lo deluse, ma poteva ricorrere a un surrogato. Si svestì e, quando la vasca fu piena, girò il rubinetto, lasciando che continuasse a fluire una goccia d'acqua, non troppo rapida e non troppo lenta. Dovette fare forza a se stesso per entrare in acqua. Per il corpo magro di Ashargin, sembrava calda al punto di scottare. Dapprima boccheggiò, ma gradualmente si abituò al calore, si distese e ascoltò il suono ritmico dello
sgocciolio. Drip, drip, drip, il rubinetto continuava a lasciare cadere gocce. Tenne gli occhi aperti, senza battere le palpebre, e osservò un punto lucente sulla parete, un po' più alto del livello dell'occhio. Drip, drip, drip, un suono costante, come il battito del suo cuore. Batti, batti, batti… caldo, caldo, caldo, così traspose il significato. Così caldo che ogni muscolo si rilassava. Drip… drip… drip…. Ri-las-sati, ri-las-sati, ri-lassati. C'era stato un tempo, nella storia dell'uomo sulla Terra, in cui una goccia d'acqua, cadendo ritmicamente sulla fronte di un uomo, poteva farlo impazzire. Questa goccia, invece, non gli cadeva sul capo: la posizione sotto il rubinetto sarebbe stata scomoda. Ma il principio era identico. Drip… drip… drip. I torturatori cinesi che avevano usato quel metodo non sapevano che nascondeva un grande segreto, e che l'uomo che impazziva, impazziva perché pensava che sarebbe impazzito, perché gli avevano detto che sarebbe impazzito, perché aveva fede assoluta che quel sistema avrebbe prodotto la pazzia. Se avesse creduto che quel sistema avrebbe prodotto invece la salute mentale, l'effetto sarebbe stato altrettanto forte in quella direzione. Se avesse creduto che quel sistema poteva rafforzare un corpo esile, il ritmo avrebbe
lavorato in quella direzione. Drip, drip, drip. Rilassati, rilassati, è così facile rilassarsi. Negli ospedali della Terra, quando gli uomini venivano ricoverati afflitti da malattie fisiche o emotive, il bagno caldo era il primo passo per farli rilassare. Ma a meno che non fossero compiuti altri passi, la tensione presto ritornava. La convinzione era l'ingrediente vitale, una convinzione flessibile, empirica, che poteva venire prontamente alterata per adattarsi al mondo dinamico della realtà, e che pure era essenzialmente indistruttibile. Gosseyn l'aveva, Ashargin no. C'erano troppi sviluppi non equilibrati in quel debole corpo. Anni di paura avevano mantenuto flaccidi i suoi muscoli, avevano prosciugato la sua energia e impedito la sua crescita. I minuti passavano lenti e ritmici. Si sentì insonnolito. Era così comodo giacere nell'acqua calda, nel grembo dell'acqua calda da cui era venuta ogni forma di vita. Di nuovo nei mari caldi all'inizio di tutto, nel grembo della Grande Madre… e fluttuare al ritmo lento e pulsante del battito d'un cuore che ancora fremeva del brivido d'una nuova esistenza. Un colpo battuto alla porta della camera da letto lo riportò alla consapevolezza di ciò che lo circondava. — Sì? — esclamò.
— Enro — disse la voce tesa di Nirene, — ha appena chiamato. Vuole che tu vada da lui immediatamente. Gosseyn sentì la trafittura nel corpo di Ashargin. — Benissimo disse. — Principe — disse Nirene, con voce incalzante, — era molto brusco! Gosseyn annuì fra sé. Si sentiva stimolato, e non poteva accantonare completamente l'imbarazzo di Ashargin. Ma non c'era dubbio nella sua mente mentre usciva dalla vasca. Era venuto il momento di sfidare Enro. Si vestì senza fretta e poi lasciò la camera da letto. Nirene l'aspettava in salotto. Gosseyn esitò quando la vide. Era acutamente conscio del potere di Enro di udire e di vedere attraverso le pareti. C'era una domanda che voleva formulare ma non direttamente. La soluzione gli venne alla mente dopo un attimo. — Hai una guida del palazzo? Nirene si diresse in silenzio al visifono in un angolo e ne
tornò con una piastra lucente e flessibile, che gli tese con questa spiegazione: — Abbassa quella striscia. Ogni volta che scatta indica il piano dove abita la persona che cerchi, e l'ubicazione dell'appartamento. Dietro c'è un elenco di nomi. E' aggiornato automaticamente. Gosseyn non aveva bisogno dell'elenco. Sapeva quali nomi voleva. Con un rapido moto della mano portò la striscia sul nome di Reesha, cercando di nascondere il suo gesto. Presumibilmente, Enro poteva «vedere» attraverso una mano come attraverso le pareti, ma doveva esserci un limite al suo dono. Gosseyn decise di affidarsi alla velocità. Diede un'occhiata, ebbe l'informazione desiderata, poi portò la striscia sul nome di Secoh. Anche questo richiese solo un istante. Mosse la striscia distrattamente ma rapidamente, portandola a zero, e rese la lastra a Nirene. Si sentiva meravigliosamente calmo e sereno. Il corpo di Ashargin era tranquillo, e accettava le violente decisioni che gli erano imposte con una equanimità che prometteva bene per il futuro. — Buona fortuna — disse a Nirene. Soppresse l'impulso di Ashargin di dirle dove andava. Non
che Enro non potesse saperlo fra pochi minuti. Ma aveva l'impressione che se avesse citato la sua destinazione, sarebbe stato compiuto un tentativo per fermarlo. Quando fu nel corridoio, si diresse verso la scala, ne salì una rampa, giunse a un piano di distanza dagli appartamenti di Enro. Svoltò a destra, e un attimo dopo veniva ammesso nell'appartamento della donna che un tempo aveva conosciuto come Patricia Hardie. Sperava che Enro provasse curiosità per quello che sua sorella e il principe Ashargin si sarebbero detto, e che la curiosità gli impedisse di intraprendere una immediata azione punitiva. Mentre Gosseyn-Ashargin seguiva l'ancella nella grande sala da ricevimento, vide Eldred Crang ritto accanto alla finestra. L'investigatore non-A si volse quando il visitatore entrò, e lo osservò pensieroso. Vi fu silenzio mentre i due si guardavano. A Gosseyn parve che gli interessasse vedere Crang più di quanto non potesse interessare a Crang di vedere il Principe Ashargin. Poteva capire la posizione di Crang: era un non-A venuto nel cuore della roccaforte nemica, e fingeva (con il di lei consenso) di aver sposato la sorella del dominatore del Massimo Impero, e su quella tenue base — ancora più
tenue di quanto credesse, in considerazione della fede di Enro nel matrimonio tra fratello e sorella — era evidentemente pronto a opporsi ai piani del dittatore. Come ci sarebbe riuscito, era un problema di strategia. Ma c'erano persone che potevano chiedersi in quale modo il principe Ashargin avrebbe mai potuto sperare di opporsi allo stesso tiranno. Gosseyn stava cercando di risolvere quel problema con una sfida temeraria, fondata su un piano che tuttavia sembrava logico. Non aveva dubbi che Crang sarebbe stato egualmente ardito, se necessario… e che non sarebbe affatto venuto se avesse pensato che la sua presenza non avrebbe avuto effetto. Fu Crang che parlò per primo. — Volete vedere la Gorgzin Reesha. — Usava il femminile del titolo di sovrano sul pianeta patrio di Enro. -Sì. — Come probabilmente sapete — disse Crang, — io sono il marito della Gorgzin. Spero che non vi dispiacerà dire prima a me di che si tratta. Gosseyn ne fu contento. La vista di Crang lo aveva immensamente tranquillizzato. L'investigatore nonAristotelico era così abile che la sua semplice presenza
sulla scena era almeno una prova parziale che la situazione non era tragica come sembrava. Crang parlò di nuovo: — Che avete in mente, principe? — chiese garbatamente. Gosseyn si lanciò in un franco racconto di ciò che era accaduto ad Ashargin. E concluse: — Sono deciso a elevare la posizione del principe, qui nel palazzo. Fino ad ora è stato trattato in un modo imperdonabilmente umiliante. Vorrei servirmi dei buoni uffici della Gorgzin per mutare l'atteggiamento di Sua Eccellenza. Crang annuì, pensieroso. — Capisco. — Si allontanò dalla finestra e indicò una poltrona a Gosseyn-Ashargin. — Non avevo affatto calcolato la vostra posizione in questo quadro — disse. — Da ciò che avevo udito, voi avevate accettato il ruolo umiliante assegnatovi da Enro. — Come potete vedere — disse Gosseyn, — e come Enro deve cominciare a capire, il principe insiste perché, fintanto che è vivo, sia trattato secondo il suo rango. — Il vostro uso della terza persona mi interessa — disse Crang, — e mi interessa anche la frase «fintanto che è vivo». Se potete attenervi fermamente ai sottintesi di questa frase, mi sembra che il… ehm, principe potrebbe ottenere una riparazione dal Gorgzid.
Era un'approvazione: cauta, ma inequivocabile. Sembrava dare per inteso che il dittatore poteva ascoltare la conversazione, e quindi le parole erano tenute a un alto livello verbale. Crang esitò, poi proseguì: — E' dubbio, tuttavia, che mia moglie potrebbe esservi di molto aiuto come intermediaria. Ha scelto la posizione di essere risolutamente opposta alla guerra di conquista che suo fratello sta conducendo. Questa era un'informazione preziosa, e, dall'espressione del viso di Crang, Gosseyn comprese che quell'uomo gliela aveva riferita deliberatamente. — Naturalmente — disse Crang, — come suo marito, anch'io mi oppongo alla guerra, senza riserve. Era sbalorditivo. Quello era il loro metodo di essere audaci, diverso dal suo, eppure basato sulla realtà della parentela tra Patricia ed Enro. Gosseyn divenne critico. Il metodo aveva le stesse pecche dell'opposizione che lui stesso stava realizzando in quel momento. Come potevano superare quella lacuna? Gosseyn formulò la domanda. — Mi sembra — disse lentamente, — che nell'assumere questa posizione, voi e la Gorgzin abbiate grandemente ristretto la vostra libertà di azione. O mi sbaglio?
— In parte vi sbagliate — disse Crang. — In questo sistema solare, i diritti legali di mia moglie sono quasi uguali a quelli di Enro. Sua Eccellenza tiene in gran conto le tradizioni, le usanze e le abitudini del suo popolo, e quindi non ha fatto alcun tentativo di distruggere alcuna delle istituzioni locali. Era un'altra informazione: e quadrava. Quadrava con il suo piano. Gosseyn stava per parlare ancora, quando vide che Crang guardava oltre lui. Si girò e vide che Patricia Hardie era entrata nella stanza. La donna sorrise quando i loro sguardi si incontrarono. — Stavo ascoltando nella stanza accanto — disse. — Spero che non vi spiaccia. Gosseyn accennò di no, e ci fu una pausa. Gosseyn era affascinato. Patricia Hardie, la Gorgzin Reesha del pianeta Gorgzid; la sorella di Enro… la giovane donna che un tempo aveva finto di essere la figlia del Presidente della Terra, Hardie, e che più tardi aveva finto di essere la moglie di Gilbert Gosseyn… con una così grande carriera di intrighi dietro di lei, era una personalità di cui bisognava tenere conto. E, soprattutto, non aveva mai — a quanto ne sapeva lui — cessato di appoggiare la Lega e il Non-A. Era diventata più bella, gli sembrò. Non era alta come Leej,
la Profetessa, ma sembrava più snella. I suoi occhi azzurri avevano la stessa espressione imperiosa degli occhi grigi di Leej; entrambe le donne erano bellissime. Ma qui finiva ogni somiglianza. Patricia sembrava ardere di decisione. Forse era decisione giovanile, ma l'altra donna non l'aveva. Probabilmente, quell'impressione nasceva dal fatto che egli sapeva come era Leej e conosceva i precedenti di Patricia. Poteva essere importante. Ma Gosseyn pensava che c'era qualcosa di più. Leej si lasciava trascinare. Finché aveva conosciuto il proprio futuro, non aveva mai avuto ragione di essere ambiziosa. E anche se adesso, d'improvviso, avesse acquisito uno scopo, ora che non poteva più contare sul suo dono profetico, le sarebbe occorso molto tempo per cambiare abitudini e atteggiamenti. Crang ruppe il silenzio. — Principe — disse, in tono molto amichevole, — credo di poter chiarire la vostra meraviglia per il vostro matrimonio con Donna Nirene. Mia moglie, non sapendo nulla della conversazione della scorsa settimana, ha ritenuto giusto che qualunque rapporto fra voi e Nirene venisse legalizzato davanti alla chiesa. Patricia rise sommessamente. — Non mi è mai venuto in mente — disse, — che vi fossero sottintesi in questa situazione.
Gosseyn annuì, ma rimase tetro. Pensò che Patricia conosceva le passate intenzioni di Enro nei suoi confronti, ma che le considerava con leggerezza. Ma gli pareva che le sfuggissero alcuni sottintesi. Enro doveva ancora sperare in un matrimonio legale con la sorella, o non avrebbe cercato di impedirle di scoprire che considerava il matrimonio come cosa poco importante, finché riguardava gli altri. Il suo voltafaccia offriva un'interessante visione del suo carattere e dei suoi propositi. — Vostro fratello — disse Gosseyn a voce alta, — è un uomo straordinario. — Fece una pausa. — Presumo che possa udire ciò che stiamo dicendo… se lo desidera. Patricia disse: — Il dono di mio fratello ha una storia curiosa. — Fece una pausa, e Gosseyn, che la guardava, vide dalla sua espressione che lei intendeva fornirgli un'informazione. — I nostri genitori erano molto religiosi o molto astuti. Decisero che l'erede maschio di Gorgzid dovesse trascorrere il suo primo anno di vita nella cripta con il Dio Dormiente. La reazione del popolo fu estremamente ostile, e così, dopo tre mesi, Enro fu tolto, ridestato, e successivamente la sua infanzia fu normale.
«Aveva circa undici anni quando cominciò a essere in grado di vedere e di udire cose in luoghi lontani. Naturalmente, i nostri genitori lo considerarono subito un dono del Dio.» — Che ne pensa Enro? — chiese Gosseyn. Non udì la risposta di lei. Un flusso di ricordi di Ashargin irruppe nella sua coscienza, a proposito del Dio Dormiente, frammenti di cose che aveva imparato quando era schiavo nel Tempio. I rapporti che aveva udito erano sempre diversi. I preti avevano il permesso di guardare il Dio durante il rito dell'iniziazione. Nessuno di loro lo vedeva mai nello stesso modo. Il Dio Dormiente era un vecchio, un bambino, un giovane di quindici anni, un neonato… i racconti che ne seguivano avevano ben scarsa attendibilità. Questi particolari occuparono solo per un lampo la mente di Gosseyn. Forse coloro che guardavano subivano una illusione ipnotica, o forse l'illusione era meccanica: ma questo aveva poca importanza. L'aspetto della situazione che quasi fece scattare in piedi Gosseyn fu il particolare dell'esistenza quotidiana del Dio Dormiente… era privo di conoscenza, ma nutrito e tenuto in attività da un complesso sistema di macchinari. L'intera gerarchia del tempio era organizzata in modo da tenere in
moto il macchinario. La luce che si accese in Gosseyn in quel momento fu abbagliante perché… perché quello era il modo in cui avrebbero potuto vegliare uno dei corpi di Gilbert Gosseyn! La sua mente si tese a quel pensiero. Per molti secondi, l'idea gli parve troppo fantastica per accettarla. Un corpo di Gosseyn, dove c'era il quartier generale del Massimo Impero! Qui, e protetto da tutte le forze d'una potente religione pagana! Crang ruppe il silenzio. — E' ora di pranzo — disse, — per tutti, credo. A Enro non piace aspettare. Pranzo! Gosseyn calcolò che fosse passata un'ora da quando Enro gli aveva ordinato di presentarsi: abbastanza per provocare una crisi. Ma il pranzo trascorse in silenzio. I piatti furono tolti, ed Enro rimaneva seduto, trattenendo a tavola anche gli altri. Per la prima volta il dittatore fissò direttamente GosseynAshargin. Il suo sguardo era ostile. — Secoh — disse, senza girare lo sguardo. — Sì? — Il Supremo Guardiano fu prontissimo. — Fate portare un apparecchio della verità. — Lo sguardo
di acciaio restò fisso negli occhi di Gosseyn. — Il principe ha chiesto un'indagine e io sono felice di accontentarlo. Considerando le circostanze, l'affermazione di Enro era perfettamente vera, ma Gosseyn avrebbe cambiato una parola, in quella frase. Aveva "previsto" un'indagine. Eccola. Enro non rimase seduto. Mentre le manopole dell'apparecchio della verità venivano assicurate alle palme di Gosseyn-Ashargin, si alzò e guardò attorno alla tavola. Fece un cenno agli altri di rimanere seduti e cominciò. — Abbiamo qui una curiosa situazione — disse. — Una settimana fa, feci portare a Palazzo il Principe Ashargin. Fui colpito dal suo aspetto e dalle sue azioni. — E torse la bocca. — A quanto pareva, soffriva per un grave senso di colpa, presumibilmente perché sentiva che la sua famiglia aveva deluso il popolo del Massimo Impero. Era nervoso, teso, quasi incapace di parlare: uno spettacolo pietoso. Per più di dieci anni era stato isolato dagli affari interplanetari e locali. Enro fece una pausa, serio in viso, mentre gli occhi gli brillavano. Continuò con lo stesso tono.
— Anche quella prima mattina mostrò un paio di lampi di intuizione e di comprensione che non erano in carattere. Durante la settimana passata a bordo della nave dell'ammiraglio Paleol, si è comportato, in una certa misura, come il suo passato ci induceva ad attenderci. Durante l'ultima ora trascorsa a bordo della nave, è cambiato radicalmente ancora una volta e ha mostrato conoscenze superiori alle possibilità della sua posizione. Fra l'altro, ha mandato questo messaggio al caccia Y381907. Si rivolse con un moto rapido a uno dei segretari e tese la mano. — Il messaggio — disse. Gli fu porto un foglio di carta. Gosseyn ascoltò mentre Enro leggeva il messaggio. Ogni parola lo incriminava, come del resto aveva sempre saputo. Un dittatore, il più potente capo militare della Galassia, aveva lasciato in disparte i suoi molti doveri per volgere la sua attenzione a un individuo che aveva inteso usare come pedina nel proprio gioco. Non importava se l'invisibile giocatore che aveva similarizzato la mente di Gilbert Gosseyn nel cervello del Principe Ashargin avesse previsto o meno quella crisi. Lo stesso Gosseyn era forse una pedina, uno schiavo, che poteva venire mosso secondo la volontà di un altro: ma quando toccava a lui la mossa, gli eventi si verificavano a
suo modo… se poteva fare sì che così accadesse. Enro parlava di nuovo, con la sua voce buia. — Né l'ammiraglio Paleol né io stesso abbiamo ricordato immediatamente quale missione stesse compiendo quella nave. Ora voglio dire solo questo. Abbiamo finalmente identificato la nave, e sembra incredibile che il Principe Ashargin possa conoscerne l'esistenza. Non citerò la natura della missione, ma posso informare il principe che il suo messaggio non è stato inoltrato alla nave. Gosseyn rifiutò di accettarlo. — L'operatore robot dell'ammiraglia, trasmise il messaggio mentre ero presente — disse prontamente. Enro alzò le spalle. — Principe — disse, — non siamo stati noi a impedirlo. Il messaggio non è stato ricevuto dal caccia. Non siamo riusciti a metterci in contatto con l'Y381907 da parecchi giorni, e temo che dovremo chiedervi risposte molto franche. Il caccia verrà sostituito a Yalerta con una corazzata, ma occorrerà più d'un mese di volo perché la nave rimpiazzo raggiunga quel pianeta. Gosseyn accolse le due notizie con sentimenti contrastanti. Era una grande vittoria che per un mese intero nessun Profeta partisse da Yalerta. Ma il caccia era un altro problema.
— Ma dove può essere finito? — chiese. Pensò al Seguace, e si tese. Dopo un momento respinse i sottintesi più pericolosi di quell'idea. Era vero che il Seguace spesso non era in grado di predire eventi collegati a Gilbert Gosseyn. Ma questo avveniva solo quando egli usava il suo cervello supplementare. Di conseguenza sembrava ragionevole credere che ora sapesse dov'era Gosseyn. Qui il nesso logico si spezzava. Non c'era ragione perché il Seguace facesse il misterioso con Enro per quanto riguardava l'ubicazione del caccia. Gosseyn fissò Enro senza batter ciglio. Era venuto il momento di provocargli un altro trauma. — Il Seguace non lo sa? — chiese. Enro aveva aperto le labbra per parlare: ora strinse i denti, di scatto. Fissò Gosseyn, perplesso. Infine disse: — Dunque sapete del Seguace. Questo chiarisce tutto. E' ora che l'apparecchio della verità ci dia un'idea di ciò che vi passa per la mente. Girò un interruttore. Vi fu silenzio, alla tavola. Persino Crang, che aveva spilluzzicato distrattamente il cibo nel suo piatto, si agitò e depose la forchetta. Secoh assunse un'espressione
pensosa. Patricia Hardie osservò il fratello con un lieve sorriso. Fu lei che parlò per prima. — Enro, non essere scioccamente melodrammatico. Enro si girò verso di lei, a occhi socchiusi, con il viso buio di collera. — Silenzio! — disse, seccamente. — Non voglio commenti da una persona che ha agito male verso il proprio fratello. Patricia alzò le spalle, ma Secoh disse, con voce tagliente; — Vostra Eccellenza, frenatevi. Enro si girò verso il sacerdote e per un attimo la sua espressione fu così minacciosa che Gosseyn temette che stesse per aggredire il Supremo Guardiano. — Vi interessate sempre a lei, non è vero? — disse, con un ringhio. — Vostra sorella — disse il sacerdote, — è associata al vostro potere su Gorgzid e nella sorveglianza del Dio Dormiente. Enro si passò una mano fra i capelli rossi e si scosse come un giovane leone. — Qualche volta, Secoh — disse, e il suo ghigno si allargò, — date l'impressione di essere voi, il Dio Dormiente. E'
un'illusione pericolosa. Il sacerdote disse con calma: — Io parlo con l'autorità datami dallo Stato e dal Tempio. Non posso fare altro. — Lo Stato sono io — disse freddamente Enro. — Mi sembra di ricordare — disse Gosseyn, — di avere già sentito questa frase. Nessuno dei due sembrò notare la sua osservazione. E per la prima volta comprese che stava assistendo a uno scontro di vitale importanza. Gosseyn si raddrizzò sulla sedia. — Voi e io — disse Secoh con voce cantilenante, — teniamo la coppa della vita per un solo momento. Quando avremo bevuto la nostra parte, dovremo scendere nell'oscurità… e lo Stato continuerà a esistere. — Governato dal mio sangue — disse Enro con violenza. — Forse. — La voce di Secoh era lontana. — Eccellenza, io alimenterò la febbre che vi possiede fino a che sarà raggiunta la vittoria.
— E poi? — Voi riceverete la chiamata del Tempio. Enro aprì le labbra per dire qualcosa, ma le richiuse. C'era un'espressione vacua sul suo viso, che poi si cambiò in un largo sorriso. — Siete abile! — disse. — Così, riceverò la chiamata del Tempio, per diventare un iniziato. C'è qualcosa di significativo, forse, nel fatto che siate voi a emettere le chiamate? Il sacerdote risposte quietamente: — Quando il Dio Dormiente disapproverà ciò che io dico o faccio, io lo saprò. Il ghigno era ritornato sul viso di Enro. — Davvero? Il Dio vi parlerà, immagino, e voi ce lo direte? Secoh disse, semplicemente: — Le vostre allusioni non mi toccano, Eccellenza. Se mi servissi della mia posizione per fini miei, il Dio Dormiente non sopporterebbe a lungo questa bestemmia. Enro esitò. Il suo viso non era più cupo: a Gosseyn parve che il dominatore d'un terzo della Galassia si sentisse su di un terreno pericoloso.
Non ne fu sorpreso. Gli esseri umani hanno un durevole attaccamento per la loro patria. Dietro le conquiste di Enro, sotto la pelle di quell'uomo la cui parola era legge per novecentomila astronavi da battaglia, c'erano tutti gli impulsi del sistema nervoso umano. Si erano distorti fino al punto di essere scarsamente riconoscibili come umani. Eppure quell'uomo era stato un tempo un ragazzo, e quel ragazzo era stato un bimbo nato su Gorgzid. Il legame era così forte che egli aveva portato la capitale del Massimo Impero nel suo pianeta natale. Un uomo simile non avrebbe insultato con leggerezza la religione pagana cui era legato. Gosseyn capì che aveva interpretato esattamente i processi mentali dell'altro. Enro si inchinò sardonicamente a Patricia. — Sorella — disse, — chiedo umilmente il tuo perdono. E si rivolse bruscamente a Gosseyn-Ashargin. — Quelle due persone a bordo del caccia — chiese, — chi sono? Era venuto il momento della prova. Gosseyn rispose prontamente: — La donna è una
Profetessa, che non ha particolare importanza. L'uomo si chiama Gilbert Gosseyn. Guardò distrattamente Crang e Patricia mentre pronunciava quel nome, tanto familiare a loro. Era importante che non dessero segno d'averlo riconosciuto. A Gosseyn parve che la prendessero molto bene. Continuarono ad osservarlo intenti, ma non v'era traccia di sorpresa nei loro occhi. Enro si era concentrato sull'apparecchio della verità. — Qualche commento? — chiese. La pausa che seguì durò molti secondi. Finalmente, cautamente, l'apparecchio disse: — L'informazione è esatta, fino dove arriva. — E fin dove dovrebbe arrivare? — chiese seccamente Enro. — C'è confusione — fu la risposta. — Di che? — Di identità. — L'apparecchio sembrava capire che la risposta era inadeguata. Ripeté: — C'è confusione. —
Iniziò a dire qualcosa d'altro, ma il suono si interruppe, perché non filtrò neppure il senso d'una sola lettera. — Bene, ch'io sia… — disse Enro in tono esplosivo. Poi esitò. — La confusione riguarda le due persone a bordo del caccia? — No — disse vivacemente l'apparecchio. — Cioè… — e parve di nuovo incerto. — Cioè, non esattamente. — Poi parlò con determinazione. — Vostra Eccellenza, quest'uomo è Ashargin, eppure non lo è. E'… Tacque per un momento, poi seccamente: — Un'altra domanda, prego. Patricia Hardie ridacchiò. Fu un suono poco adatto al momento. Enro le lanciò un'occhiata terribile. Poi disse, furioso: — Chi è stato lo sciocco che ha portato qui un apparecchio guasto? Portatene subito un altro! Il secondo apparecchio della verità, quando fu collegato, disse, in risposta alla domanda di Enro: — Sì, è Ashargin. — Fece una pausa. — Cioè… sembra che lo sia. — E finì, incerto: — C'è confusione.
Ora anche il dittatore era confuso. — E' inaudito! — disse. Poi si riprese. — Bene, andiamo fino in fondo. — Fissò Ashargin. — Queste persone a bordo del caccia… deduco dal vostro messaggio al capitano Free che si tratta di prigionieri. Gosseyn annuì. — Esatto. — E volete farli portare qui. Perché? — Pensavo che vi sarebbe piaciuto interrogarli — disse Gosseyn. Enro sembrò di nuovo perplesso. — Non capisco come pensiate di servirvi di qualcuno contro di me, una volta che questi sia in mio potere. — E si rivolse alla macchina. — Cosa ne dici. Apparecchio? Ha detto la verità? — Intendete dire se vuole portarli qui? Sì, è vero. In quanto a servirsi di loro contro di voi… è tutto confuso. — In che senso? — Ecco, c'è un pensiero secondo il quale l'uomo a bordo della nave è già qui, e c'è un pensiero sul Dio Dormiente… sembrano tutti collegati, in qualche modo, ad Ashargin.
— Vostra Eccellenza — si interpose Secoh, mentre Enro rimaneva silenzioso, sbalordito, — posso rivolgere una domanda al Principe Ashargin? Enro annuì, senza dir nulla. — Principe — disse il sacerdote, — avete qualche idea sulla natura di questa confusione? — Sì — disse Gosseyn. — Qual è la vostra spiegazione? — Io vengo periodicamente posseduto, dominato, controllato e diretto dal Dio Dormiente. E, pensò Gosseyn con profonda soddisfazione, adesso vediamo se l'apparecchio della verità è capace di dimostrare il contrario. Enro rise. Era la risata d'un uomo che si era innervosito e che all'improvviso si trovava di fronte a qualcosa di ridicolo. Sedette, si nascose la faccia tra le mani, poggiò i gomiti sulla tavola e rise. Quando finalmente alzò il capo, aveva le lagrime agli occhi. — Dunque voi siete il Dio Dormiente — disse, — e vi siete impadronito di Ashargin.
Tornò a sghignazzare per un mezzo minuto buono prima di riprendere il controllo di se stesso. Questa volta guardò Secoh. — Supremo Guardiano — disse, — quante altre volte è accaduto? — Sembrò capire che la domanda richiedeva una spiegazione per gli altri. Si rivolse a Gosseyn. — Durante il corso di un anno, almeno cento persone su questo pianeta affermano di essere possedute dal Dio Dormiente. In tutto l'Impero, circa duemila uomini dai capelli rossi hanno preteso di essere Enro, e durante gli ultimi undici anni, circa diecimila persone hanno preteso di essere il Principe Ashargin. Metà di essi avevano più di cinquant'anni. Gosseyn disse: — E cosa accade quando si presentano davanti a un apparecchio della verità? Enro fece una smorfia. — Sta bene — disse. — Vediamo. Voi come fate? Gosseyn si era aspettato quello scetticismo. A eccezione di Crang, erano tutti individui talamici. Anche Patricia Hardie, sebbene fosse amichevole nei confronti di Venere, non era una non-A. Individui del genere avrebbero avuto idee contraddittorie, e avrebbero discusso la contraddizione, senza lasciarsi influenzare dalla realtà. La cosa importante era aver piantato un seme.
Vide che Enro faceva una smorfia. — Basta con questa farsa! — disse il dittatore. — Scendiamo ai fatti. Ammetto che mi avete ingannato, ma non vedo come possiate aspettarvi di guadagnarne qualcosa. Cosa volete? — Metterci d'accordo — disse Gosseyn. Parlò cautamente, ma si sentiva ardito e deciso. — Secondo me, voi volete servirvi di me per qualche cosa. Benissimo, sono disposto ad acconsentire… fino a un certo punto. In cambio, voglio libertà di azione. — Libertà di che? Le parole di Gosseyn inclusero tutti i presenti. — Nel cominciare questa guerra, avete messo in pericolo la vita d'ogni persona nella Galassia, compreso il Massimo Impero. Credo che dovreste accettare consiglio da coloro che divideranno il vostro destino, se qualcosa andrà male. Enro si tese in avanti, e alzò un braccio come per colpirlo. Rimase immobile per un attimo, teso, a labbra strette, con gli occhi vitrei. Lentamente si rilassò. Vi fu un lieve sorriso sul suo volto, quando disse: — Continuate, impiccatevi con le vostre mani!
Gosseyn disse: — Mi sembra che vi siate tanto concentrato sull'aspetto offensivo della guerra che forse non avete tenuto conto di altri aspetti altrettanto importanti. Enro scosse il capo, stupito. — Devo udire questo — disse, — da qualcuno che ha trascorso gli ultimi undici anni in un orto! Gosseyn ignorò il commento. Gli sembrava di fare progressi. La sua teoria era semplicissima. Il Principe Ashargin non era stato chiamato in causa se non per ragioni urgenti. Non sarebbe stato eliminato fino a che lo scopo per cui era stato tolto al suo destino non si fosse compiuto. Inoltre, era il momento buono per scoprire che cosa stesse facendo Enro riguardo certe persone. — Per esempio — disse Gosseyn, — c'è il problema del Seguace. — Fece una pausa, poi proseguì. — Il Seguace è virtualmente indistruttibile. Non crederete che, quando avrete vinto la guerra, un uomo come il Seguace permetterà a Enro il Rosso di dominare la Galassia! Enro ribatté, cupo: — Penserò io al Seguace se si farà venire certe idee.
— Dirlo è facile. Potrebbe entrare in questa sala in questo momento, e ucciderci tutti. Enro scosse il capo. Pareva divertito. — Amico mio — disse, — voi avete dato ascolto alla propaganda del Seguace. Non so come assuma la sua forma d'ombra, ma da molto tempo ho stabilito che tutto il resto avviene sulla base della normale fisica. Questo significa distorter, e, in caso di armi, trasmissione d'energia. In questo edificio vi sono soltanto due distorter al di fuori del mio controllo, e io li tollero. Sfido chiunque a costruire macchine vicino a me senza che io lo sappia. — Eppure — disse Gosseyn, — può predire ogni vostra mossa. Il sorriso svanì dal viso dell'altro. — Può fare le predizioni che vuole — disse, rabbioso.- Io ho il potere. Se cerca di interferire, si troverà nella posizione d'un uomo condannato a morte. Conosce il giorno e l'ora dell'esecuzione, ma non potrà fare nulla. — Secondo me — disse Gosseyn, — voi non avete pensato a questo come dovreste. Enro tacque, fissando la tavola. Finalmente alzò gli occhi. — C'è altro? — disse. — Sto aspettando le condizioni di cui avete parlato.
Era tempo di scendere sul terreno concreto. Gosseyn sentiva la tensione accumularsi nel corpo di Ashargin. Avrebbe voluto distendere un poco il sistema nervoso del principe. Pensò di guardare Crang, Patricia e Secoh, per vedere in che modo reagivano alla situazione. Questo avrebbe dato ad Ashargin un attimo di rilassamento. Represse quell'impulso. Enro aveva dimenticato che vi fossero altri presenti. E non sarebbe stato saggio distrarre la sua attenzione. Disse, a voce alta: — Voglio il permesso di fare chiamate in qualunque luogo della Galassia in qualsiasi momento del giorno o della notte. Naturalmente, voi o un vostro agente potrete ascoltare. — Naturalmente — disse sarcastico Enro.- Che altro? — Voglio l'autorità di usare trasporti a distorter per qualunque località dell'Impero, a volontà. — Sono lieto che restringiate i vostri movimenti all'Impero — disse Enro. — Continuate, prego. — Voglio l'autorità di ordinare qualsiasi equipaggiamento dal Dipartimento dei Rifornimenti. — E aggiunse, in fretta: — Ad eccezione delle armi, naturalmente.
— Capisco che questo potrebbe continuare all'infinito — disse Enro. — Cosa offrite in cambio di queste fantastiche richieste? Gosseyn formulò la risposta non a Enro ma all'apparecchio della verità. — Tu hai ascoltato tutto… ho parlato francamente o no? I tubi scintillarono, debolmente. Vi fu una lunga esitazione. — Avete detto la verità, fino a un certo punto. Oltre questo, c'è una confusione che comprende… — Si interruppe. — Il Dio Dormiente? — chiese Gosseyn. — Sì… e poi ancora no. Gosseyn si rivolse a Enro. — Quante rivoluzioni state cercando di soffocare — chiese, — su pianeti del Massimo Impero dove vengono costruiti mezzi bellici di importanza vitale? Il dittatore lo fissò, irritato. Finalmente disse: — Più di duemilacento. — E' solo il tre per cento. Perché vi preoccupate? — Era una dichiarazione negativa per i suoi propositi, ma voleva altre informazioni.
— Alcuni di essi — disse francamente Enro, — sono tecnologicamente importanti, indipendentemente dal loro numero. Era ciò che voleva sapere. Gosseyn disse: — In cambio di quanto vi ho chiesto, farò discorsi alla radio in appoggio al vostro attacco. Per ciò che il nome di Ashargin può valere per controllare l'Impero, lo metto a vostra disposizione. Coopererò fino a ulteriore avviso. E' questo che volete da me, non è vero? Enro si alzò. — Siete certo — disse furioso, — di non volere qualcosa d'altro? — Un'altra cosa — disse Gosseyn. — Sì. Gosseyn ignorò l'irrisione nella voce del dittatore. — Riguarda mia moglie. Non si presenterà più al bagno reale. Vi fu una lunga pausa. Poi un pugno possente batté sulla tavola.
— D'accordo! — disse Enro con voce squillante. — E voglio che teniate il primo discorso questo pomeriggio. CAPITOLO 14
"Nell'interesse della sanità mentale, usate le VIRGOLETTE: per esempio, mente «conscia» e «inconscia» sono due termini che vengono utili nelle descrizioni, ma non è provato che questi due termini rispecchino con accuratezza il livello come «processo» degli eventi. Essi sono carte di un territorio su cui, probabilmente, non potremo mai avere informazioni esatte. Poiché l'addestramento non-A riguarda l'individuo, la cosa importante è essere consapevole del significato «multiordinale» — cioè a più valori — delle parole dette o udite". Era pomeriggio inoltrato quando Gosseyn ritornò nell'appartamento di Nirene. La giovane era seduta a un tavolo e scriveva una lettera. Depose la penna quando lui entrò, si alzò e andò a sedersi in una poltrona. Lo guardò, e i suoi occhi grigi erano fermi. — Dunque abbiamo circa due mesi da vivere —
disse alla fine. Gosseyn-Ashargin finse di essere sorpreso. — Tanto? — disse. Non fece altri commenti. Non aveva importanza che Nirene avesse saputo o no dell'incidente avvenuto durante il pranzo. Gli spiaceva per lei, ma il destino di Nirene non era nelle sue mani. Quando un dittatore poteva comandare a una donna di diventare la moglie o l'amante d'un estraneo perché si era fermata a parlargli per mezzo minuto, il destino di una persona era un fatto che sfuggiva ad ogni normale previsione. Lei aveva commesso l'errore d'essere nata da una famiglia dell'antica nobiltà, e viveva sull'orlo dell'abisso dei sospetti di Enro. Ancora una volta fu Nirene a rompere il silenzio: — Cosa farai, ora? Gosseyn si era già rivolto quella domanda, conscio che era grandemente complicata dalla possibilità che da un momento all'altro poteva essere restituito al suo vero corpo. Ma se non fosse accaduto così? Se fosse rimasto lì per parecchi giorni? E allora? Poteva fare qualcosa che più
tardi fosse utile ad Ashargin o a Gosseyn? C'era Venere. C'erano dei venusiani nello spazio? Sapevano che cosa accadeva? E sarebbe dovuto andare a dare un'occhiata al Dio Dormiente. Questo comportava un'autorizzazione da parte di Secoh. La sua mente fece una pausa mentre arrivava al terzo punto del suo elenco: addestrare Ashargin. Guardò Nirene. — Ho condotto il principe piuttosto duramente — disse, — credo che sarà meglio concedergli circa un'ora di riposo. — Ti chiamerò io — disse Nirene, e la sua voce era così dolce che Gosseyn la guardò sbalordito. In camera da letto, Gosseyn regolò un registratore a parete perché ripetesse uno schema di tre minuti di rilassamento. Poi si sdraiò. Nell'ora seguente, non dormì nel vero senso della parola. C'era sempre la voce nello sfondo: la voce monotona di Ashargin che ripeteva sempre quelle poche frasi.
Lasciò che la sua mente oziasse indugiando sui più atroci ricordi degli anni della prigionia di Ashargin. Ogni volta che giungeva a un incidente che aveva fatto una profonda impressione, parlava silenziosamente all'Ashargin più giovane. Rese tutto questo reale, come se il quindicenne, il sedicenne, il ventenne erede Ashargin fosse in ciascuno dei casi un'entità vivente dentro di lui. L'Ashargin più anziano parlava a quello più giovane nel momento in cui quest'ultimo subiva un'esperienza traumatica. Dal suo maggiore livello di comprensione, assicurava all'individuo più giovane che l'incidente doveva essere considerato da un punto di vista diverso da quello d'un ragazzo spaventato. Gli assicurava che la paura del dolore e della morte era un'emozione che poteva essere superata e che in breve l'incidente traumatizzante che l'aveva influenzato così profondamente non avrebbe avuto più significato per lui. Inoltre, che in futuro avrebbe avuto migliore comprensione di tali momenti, e che non si sarebbe più lasciato influenzare in modo negativo. Anche questo era un addestramento non-A fatto con mezzi di fortuna, come erano stati gli altri. Ma era un sistema di autoterapia scientificamente corretto, e che avrebbe procurato benefici concreti. "Rilassati", continuava la voce. E, a causa di ciò che
faceva, ogni parola significava: «Rilassa le tensioni d'una intera vita. Lascia che tutte le paure e i dubbi e le incertezze del passato si allontanino dal tuo sistema nervoso». L'effetto non dipendeva dalla fede che sarebbe accaduto qualcosa, anche se la convinzione lo rendeva più potente. Ma sarebbe occorso tempo. C'erano molti ricordi repressi che dovevano essere portati cautamente alla luce, prima di potere usare su di essi la terapia. Il Principe Ashargin non si sarebbe rilassato in un solo giorno. Tuttavia, prima che Nirene bussasse alla porta, non solo aveva ottenuto l'equivalente di un'ora di sonno, ma anche il ri-orientamento psicoanalitico che, in quelle circostanze, non avrebbe potuto ottenere in altro modo. Si alzò, rinfrescato, e si sentì pronto per affrontare la sera e la notte. I giorni passarono, e il problema era: in che modo poteva scoprire qualcosa circa Venere? Aveva parecchie possibilità. E tutte implicavano un accenno a ciò che voleva sapere. Enro poteva essere altrettanto pronto a carpire il significato di quell'accenno,
quanto la persona cui l'accenno stesso era diretto. Era un rischio che non poteva affrontare se non quando avesse esaurito ogni altro mezzo. Dopo quattro giorni, Gosseyn era molto preoccupato. Si vedeva isolato nel corpo di Ashargin, nonostante la sua cosiddetta libertà di azione; impedito di compiere le sole cose che importavano. Soltanto i non-A venusiani potevano fermare Enro e i Profeti. Era un suo assunto, basato sulle sue osservazioni e sulla sua conoscenza della realtà. Ma, per quel che ne sapeva, erano tagliati fuori, incapaci di agire. Potevano venire distrutti facilmente da un dittatore che aveva già ordinato di polverizzare centinaia di pianeti. Ogni giorno sperava di ritornare al suo corpo. Cercò di aiutare il passaggio. Usava ascensori distorter per andare da un edificio all'altro: per quattro volte, in quattro giorni, compì viaggi a pianeti lontani e ne tornò. Ma la sua mente rimaneva sempre nel corpo del Principe Ashargin. Aspettò una chiamata che l'informasse che la Y-381907 era entrata in contatto. Non arrivò. Cosa poteva essere accaduto?
Il quarto giorno andò personalmente al Dipartimento delle Comunicazioni Interplanetarie, che occupava un edificio di novanta piani, largo quanto dieci isolati. La sezione informazioni aveva cento operatori robotici che smistavano le chiamate ai centri. Si presentò a uno di essi. — Oh sì — disse quello. — Il Principe Ashargin. Abbiamo ricevuto istruzioni sul vostro conto. Gosseyn fece la sua richiesta, si allontanò, poi tornò indietro. Certe piccolezze lo incuriosivano. — Che istruzioni? — chiese. La risposta aveva la tipica franchezza di Enro. L'operatore robot disse: — Potete chiamare dove volete, ma la trascrizione di ogni conversazione deve essere mandata al centro di Spionaggio. Gosseyn annuì. Non poteva aspettarsi altro. Entrò in una cabina distorter per recarsi nel settore del Centro che gli interessava, e si sedette al visofono. Disse: — Voglio parlare al comandante Free, o a chiunque altro, a bordo della Y-381907. Avrebbe potuto chiamare dall'appartamento di Nirene, ma qui poteva vedere il distorter che recava il messaggio: poté
osservare il tentativo di entrare in contatto, mentre l'operatore robot formulava la cifra che, secondo la lastra spessa e trasparente che elencava i caccia, corrispondeva alla Y-381907. Poté vedere tutto questo con i suoi occhi. Se gli era possibile prevenire ogni interferenza nel tentativo di mettersi in contatto con il caccia, quello era uno dei metodi efficaci. Un altro fu chiamare da un pianeta scelto a caso. L'aveva fatto due volte, ma senza risultato. Passò un minuto. Poi due. E non c'era risposta. Dopo circa quattro minuti, l'operatore robot disse: — Un momento, prego. -Dopo dieci minuti, la voce dell'operatore si fece udire di nuovo. — Esiste la seguente situazione: quando la similarità è elevata al noto limite meccanico di ventitré decimali, si ottiene una debole risposta. Tuttavia, è un processo automatico. E' evidente che lo schema all'altra estremità è parzialmente similarizzato, ma che il deterioramento è continuo. E' chiaro che chi si trova sulla nave non tenta di mantenere lo schema. — Grazie — disse Gosseyn-Ashargin.
Era difficile immaginare che il suo corpo era sperduto nello spazio, mentre il suo Io raziocinante era legato al sistema nervoso dell'erede Ashargin. Cosa poteva essere accaduto? Il sesto giorno, Enro comparve sui visifoni pubblici con un messaggio. Era giubilante, e la sua voce squillava di trionfo mentre riferiva: — Sono stato ora informato dal Grande Ammiraglio Paleol, comandante delle nostre forze nell'area del Sesto Raggio, che la città capitale di Tuul è stata distrutta poche ore fa dalla nostra invincibile flotta. Questa è solo una dell'infinita serie di vittorie conquistate dai nostri uomini e dalle nostre armi contro un nemico che resiste accanitamente. «Continuate a combattere, ammiraglio! Il cuore del popolo e la fiducia del vostro governo sono con voi.» Tuul? Gosseyn ricordava quel nome con la memoria di Ashargin. Tuul era la roccaforte del più potente stato della Lega. Era un pianeta tra mille, ma il fatto che venisse chiamato «capitale» lo faceva diventare un simbolo per le menti non integrate: le menti per le quali la carta topografica, nel senso della Semantica Generale, era il territorio, e la parola era l'evento in sé. Anche per Gilbert Gosseyn, la distruzione di Tuul era un punto decisivo. Non osò attendere più a lungo.
Dopo pranzo, invitò Nirene a seguirlo in una visita a Crang e a Patricia. — Spero — disse chiaramente, — che tu e la Gorgzin troviate molti argomenti di cui parlare. Lei lo guardò con momentanea sorpresa, ma Gosseyn non si diffuse in spiegazioni. Non poteva dichiarare apertamente il suo modo per aggirare parzialmente la chiaroveggenza di Enro. Nirene fece del suo meglio. Gosseyn non sapeva se sospettasse che qualcosa stava per accadere. Ma al principio la sua voce non tacque quasi mai. Dapprima le risposte di Patricia furono esitanti. Sembrava colta di sorpresa dalla voce che sparava su di lei costantemente, come una mitragliatrice. E poi, improvvisamente, sembrò capire. Andò a sedersi sul bracciolo della poltrona di Crang e cominciò a parlare a sua volta. Nirene, tre metri più in là, esitò, poi si avvicinò e sedette sulle ginocchia di Ashargin. La conversazione che seguì fu la più attiva che Gosseyn avesse mai udito tra due donne. Per il resto della serata vi fu a malapena un momento in cui le sue caute parole non furono pronunciate sullo sfondo dei trilli della conversazione muliebre.
Gosseyn dichiarò per prima cosa uno dei suoi scopi minori. — Sapete qualcosa sul metodo di addestrare il cervello supplementare? — chiese. Era la prima volta che pronunciava quella parola di fronte a Crang. Gli splendidi occhi ambrati dell'altro lo studiarono, pensierosi. Poi Crang sorrise. — Qualcosa. Cosa volete sapere? — E' un problema di tempo, credo — disse Gosseyn. — La prima fotografia è troppo lenta, in un certo senso. Più lenta d'una lastra fotografica chimica, e i più complessi tubi elettronici sono veloci come il lampo, al confronto. Crang annuì e disse: — E' noto che macchine specializzate possono svolgere qualunque funzione più rapidamente e meglio di un dato organo umano. Questo è il prezzo della nostra adattabilità pressoché illimitata. Gosseyn disse prontamente: — Ritenete insolubile il problema? L'altro scosse il capo. — Bisogna procedere a gradi. E' possibile che l'addestramento originale abbia seguito una forma errata, e che un metodo diverso possa portare a risultati migliori.
Gosseyn sapeva cosa intendeva Crang. Un pianista che imparava un metodo errato di muovere le dita non poteva diventare un virtuoso se non avesse imparato laboriosamente il metodo giusto. La totalità mente-corpo umani poteva essere educata a raggiungere risultati in molti modi diversi. Qualcuno di quei metodi era deludente in quanto a risultati; altri erano così straordinari che un individuo normale, adeguatamente condizionato, poteva raggiungere prestazioni tali da far pensare a un genio. Il problema era: in che modo la sua comprensione di quella generale verità poteva essere utilizzata per riaddestrare il suo cervello supplementare, quando fosse ritornato al suo vero corpo? — Direi — disse Crang, — che si tratta di instaurare le idee esatte. Ne parlarono per un po'. Per il momento Gosseyn non era preoccupato di quello che poteva udire Enro. Anche se il dittatore poteva escludere l'interminabile vibrazione sonora della conversazione tra Nirene e Patricia, questa parte del colloquio non avrebbe avuto significato per lui. Non rinunciò alla sua cautela, ma era preoccupato dal desiderio di scoprire quale sarebbe potuta essere la natura di quelle idee. Crang fece alcune allusioni, ma a
Gosseyn parve che l'investigatore non-A stesse ancora cercando di valutare la portata della conoscenza di Ashargin. Questo lo decise. Indirizzò il colloquio sul problema della possessione di una mente da parte di un'altra. Osservò che forse era possibile farlo con un cervello supplementare, e che in tal caso il processo di similarizzazione poteva essere un contatto di livello superiore tra un cervello supplementare perfettamente sviluppato e le vestigia di un simile cervello presenti in qualsiasi essere umano. In questo caso, il più grande sarebbe andato verso il più piccolo. Crang era guardingo. — Ciò che mi rende perplesso — disse, è questo: cosa farebbe il cervello supplementare, nel periodo in cui è in possesso del cervello vestigiale? Dominerebbe entrambi i corpi nello stesso tempo, o il maggiore si troverebbe in uno stato di rilassamento? — Di rilassamento, senza possibilità di dubbio — disse Gosseyn. Era un punto che intendeva fare notare, e ne fu soddisfatto. Nonostante tutto, era riuscito a far sapere a Crang che il corpo di Gosseyn era inconscio. Poiché Crang sapeva già che Gosseyn era a bordo della
Y-381907, il quadro della situazione doveva esserglisi considerevolmente chiarito. — Un tempo — continuò Gosseyn, — ero convinto che una simile situazione potesse essere mantenuta solo mediante l'intervento di una terza parte che esercita un'influenza sullo scambio. E' difficile credere… — ed esitò, —… che il Dio Dormiente lasci la sua mente in un corpo circoscritto come quello di Ashargin, se potesse impedirlo. Sperò che Crang comprendesse che Gilbert Gosseyn non poteva disporre del proprio destino. — E, naturalmente — proseguì, — Ashargin è solo una marionetta che ha fatto ormai quanto poteva. — Io non lo direi — fece deliberatamente Crang. Così, giunsero bruscamente allo scopo principale del loro cauto e attento colloquio. O, per lo meno, rifletté Gosseyn mentre osservava l'altro, era il suo scopo principale. La posizione di Crang lo rendeva perplesso. Quell'uomo sembrava non facesse nulla. Aveva corso il rischio — tremendo, se si pensava a ciò che aveva fatto su Venere — di venire nel quartier generale di Enro. E ora se ne stava lì, senza far nulla.
Il suo piano, se ne aveva uno, doveva essere molto importante per giustificare la sua inazione mentre la battaglia del Sesto Raggio precipitava verso la conclusione. Crang riassunse, vivacemente: — Secondo me, principe, queste discussioni mistiche non possono andare oltre. Viene un tempo in cui gli uomini agiscono. Ora, Enro è un esempio straordinario d'uomo d'azione. Un genio militare di prim'ordine. Uno come lui non apparirà nella Galassia per molti secoli. Era una strana lode, dalle labbra di Eldred Crang. E poiché era falsa — qualunque non-A venusiano addestrato nella tattica militare avrebbe potuto eguagliare il «genio» di Enro — doveva avere evidentemente uno scopo. Gosseyn spostò Nirene che era ancora sulle sue ginocchia, per stare più comodo. In quel momento vide una possibilità, per se stesso, in quanto aveva detto Crang. Intervenne prontamente: — Mi pare che uomini come voi lasceranno il segno nella storia militare della Galassia. Sarebbe interessante seguirne gli sviluppi, e saperne qualcosa.
Crang rise. — Lo dirà il tempo! — fece, e cambiò argomento. — E' una sfortuna che Enro non sia già stato riconosciuto come il più grande genio militare che sia mai vissuto. Gosseyn annuì: capiva che stava per arrivare qualcosa di importante: ma la sua domanda era stata elusa. Era certo che Crang aveva compreso ciò che aveva tentato di dirgli. E non vuole rispondere, pensò, cupo. Bene, se ha veramente un piano, dovrà essere eccellente. — Sono certo — disse Crang, — che dopo la sua morte anche la Lega riconoscerà e acclamerà la consumata abilità dell'attacco scagliato da Enro contro le forze centrali. E Gosseyn comprese il piano. «Il più grande… che sia mai vissuto». «Dopo la sua morte…». Crang gli stava proponendo un tentativo di uccidere Enro. Dopo un momento, Gosseyn si sentì sbalordito. Un tempo l'idea di servirsi di Ashargin per uccidere Enro gli era parsa l'unico possibile modo di usare un individuo come quello. Poi tutto era cambiato. L'erede Ashargin era già stato usato per influenzare miliardi di persone. Si sapeva che era vivo. Al momento
opportuno, la sua influenza poteva essere decisiva, come gettare via la regina in una partita a scacchi. Anche in precedenza l'aveva considerato un sacrificio. Ora che conosceva meglio Enro, era convinto che Ashargin avrebbe sacrificato la sua vita inutilmente. Inoltre, la morte di Enro non avrebbe fermato la flotta. C'era Paleol, cupo e deciso. Paleol, e le sue migliaia di ufficiali che si erano posti al di là delle leggi della Lega, si sarebbero impadroniti del governo, contro qualunque fazione che cercasse di dominare il Massimo Impero. Naturalmente, se Ashargin fosse rimasto ucciso mentre tentava di assassinare Enro, presumibilmente Gilbert Gosseyn avrebbe riacquistato il controllo del proprio corpo. Per lui, ancora convinto di ritornarvi normalmente, era una mossa che si teneva in serbo per il futuro. Comunque (non si sa mai), il piano poteva essere iniziato ora. Bisognava fare preparativi. Malcontento, con molte riserve, Gosseyn concesse la sua adesione al complotto. Questo pose fine alla serata. Aveva previsto di dover discutere i particolari, ma Crang si alzò e disse: — Abbiamo avuto una piacevole conversazione. Sono lieto che siate venuti a farci visita.
E, sulla porta, l'investigatore non-A aggiunse: — Potreste tentare di imitare il riflesso che aiuta a migliorare la vista. Era un possibile metodo di addestramento cui Gosseyn aveva già pensato. Annuì. — Buona notte — disse brevemente. La sua impressione, mentre ritornava con Nirene all'appartamento di lei, era un'intensa delusione. Attese che Nirene avesse lasciato l'appartamento, poi chiamò al visifono Madrisol della Lega. Attese, innervosito, mentre la chiamata veniva inoltrata. Quel gesto poteva essere interpretato come un tradimento. Aveva chiesto a Enro il diritto di chiamare chiunque volesse, ma non si pensava che gli individui non autorizzati si mettessero in contatto con il nemico in tempo di guerra. Si chiedeva quanto fosse stretta la sorveglianza che lo Spionaggio teneva su di lui, quando si levò la voce dell'operatore: — Il Segretario della Lega accetta di parlare al Principe Ashargin, ma solo a condizione che sia chiaramente inteso che è l'autorità legale che parla a un fuorilegge.
Gosseyn capì subito le conseguenze legali per Ashargin se avesse accettato quella imposizione. Intendeva fare il possibile per aiutare la Lega a vincere la guerra. E se la Lega avesse vinto, Ashargin si sarebbe trovato in una posizione pericolosa. Si sentì irritato, ma dopo un attimo trovò una via di uscita: — Il Principe Ashargin — disse, — ha ragioni imperative per parlare a Madrisol, e di conseguenza accetta le condizioni, ma senza pregiudizio. Non dovette attendere a lungo. Il viso magro e ascetico di Madrisol apparve sullo schermo; pareva ancora più magro di quando l'aveva visto l'ultima volta con gli occhi del corpo di Gilbert Gosseyn. Il segretario della Lega scattò: — E' un'offerta di resa? La domanda era così poco realistica che Gosseyn fu distolto dai suoi propositi. Madrisol continuò in tono tagliente: — Comprenderete che non vi possono essere compromessi in fatto di principio. Tutti gli individui della gerarchia dominante del Massimo Impero devono subire un giudizio da parte del Tribunale della Lega. Un fanatico. Nonostante la sua assoluta opposizione a Enro, la voce di Gosseyn ebbe una nota d'ironia quando disse: — Signore, non vi sembra di fare deduzioni affrettate? Questa non è un'offerta di resa, né io sono in
condizione di farla. E proseguì, in fretta: — La ragione della mia chiamata probabilmente vi sorprenderà. E' di importanza vitale che non vi riferiate per nome all'argomento di cui sto per parlarvi. Ciò che intendo dire sarà immediatamente riferito a Enro, e qualsiasi indiscrezione da parte vostra potrebbe avere effetti disastrosi. — Sì, sì, continuate. Gosseyn insistette. — Ho la vostra parola? — chiese. — La vostra parola d'onore? La risposta fu gelida. — L'onore non c'entra, nei rapporti tra un'autorità della Lega e un fuorilegge. Ma — continuò Madrisol, — non farò certamente alcuna rivelazione che potrebbe essere pericolosa per un pianeta amico. Era la promessa che voleva. Eppure Gosseyn esitò. La memoria di Ashargin, che ricordava la distruzione di interi sistemi solari, gli frenò la lingua. Se Enro avesse creduto di indovinare di quale pianeta si trattava, avrebbe agito immediatamente.
Sarebbe bastato un sospetto. Per il momento, Venere era un incidente, per il dittatore. Finché continuava così, i venusiani potevano essere probabilmente al sicuro. La voce di Madrisol risuonò, impaziente: — Devo chiedervi di venire al dunque. Ancora una volta Gosseyn esaminò le parole che aveva preparato… e si lanciò. Accennò alla chiamata che Gilbert Gosseyn aveva fatto molte settimane prima a Madrisol, e alla richiesta che aveva formulato. — Avete fatto qualcosa al riguardo? Madrisol si accigliò. — Mi sembra di ricordare vagamente. Credo che i miei tecnici abbiano tentato di inoltrare una chiamata. — E che è accaduto? — Gosseyn era teso. — Un secondo. Controllerò per vedere se la chiamata è stata fatta. — Attento — ammonì Gosseyn. Le labbra di Madrisol si strinsero, ma annuì. Ritornò dopo meno di un minuto. — No — disse. — La chiamata non è ancora stata fatta.
Gosseyn lo fissò, senza parlare, per un momento. Non era assolutamente convinto. Era pretendere troppo che un uomo nella posizione di Madrisol rivelasse un'informazione al Principe Ashargin. Ma ricordò quanto era stato secco l'altro, quando gli aveva parlato da Venere. E questo quadrava. Tutto quadrava. Ritrovò la voce: — Vi esorto — disse, — a stabilire immediatamente un contatto… personalmente. Interruppe la comunicazione, depresso. Sembrava che il piano disperato di Crang non fosse una soluzione estrema, ma l'unica soluzione. Eppure… No! Paleol avrebbe giustiziato tutti coloro che abitavano nel palazzo, Nirene, Patricia, Crang… Gosseyn si calmò. Non serviva a nulla pensarvi. A meno che non fosse compiuta una rapida azione, Nirene, Crang e Ashargin sarebbero morti presto in ogni caso. Doveva ricordare la grande parte che Crang aveva avuto su Venere, e credere che l'investigatore non-A fosse abile, ora, quanto lo era stato a quel tempo. Avrebbe tentato di uccidere Enro, se Crang lo consigliava a farlo.
Occorse più di un'ora per preparare lo schema che voleva. Le parole richiesero solo quattro minuti e un quarto per essere dette nel registratore. Poi cominciò un procedimento intricato: intricato nel senso che voleva stabilire reazioni al livello inconscio della mente, per cambiare le reazioni del sistema nervoso autonomo. Ciò che stava tentando di fare era antico quanto la storia umana. Le superbe legioni di Giulio Cesare sconfiggevano eserciti molto più vasti di barbari perché il sistema nervoso dei soldati romani era stato addestrato al combattimento coordinato. Le legioni di Cesare avrebbero avuto ben poche speranze di fronte agli eserciti dell'Impero d'Oriente del sesto secolo. C'era stato solo un lieve cambiamento nelle armi, ma l'addestramento degli uomini era migliorato. Nel 1940, il dittatore Hitler aveva addestrato il sistema nervoso dei suoi uomini in un nuovo, diverso tipo di guerra. Non era stato sconfitto fino a che un numero superiore di uomini e di macchine non aveva adottato i suoi metodi. Le macchine esistevano prima della guerra lampo, ma il sistema nervoso degli uomini che le azionavano aveva dovuto essere addestrato fino a raggiungere la nuova integrazione. Quando questo addestramento era completo, esisteva
automaticamente la superiorità. Nei giorni che erano succeduti alla confusa pace della seconda guerra mondiale, un numero sempre maggiore di persone aveva accettato le conclusioni che la nuova scienza della Semantica Generale ricavava faticosamente dai dati disponibili. Una di queste conclusioni era: «Il sistema nervoso umano è capace di addestramento illimitato, ma il metodo è il fattore determinante». L'idea di Gosseyn e di Crang era basata su un principio della vista. Un occhio rilassato vede meglio. L'occhio normale rimane rilassato quando si sposta costantemente. Quando, per qualche ragione, un occhio capace di buona visione comincia a fissare, l'immagine si confonde. A differenza d'una macchina fotografica, l'occhio vede chiaramente solo nell'istante successivo allo spostamento che lo rilassa. A Gosseyn pareva che se avesse potuto, mentre era nel corpo di Ashargin — mentre aspettava — scoprire un modo automatico per rilassare il suo cervello supplementare, avrebbe ottenuto una «fotografia» più rapida e più nitida per la similarizzazione. Come si poteva fare rilassare il cervello supplementare? Un sistema ovvio sarebbe stato il rilassamento associativo del tessuto che lo circondava.
Si accinse a rilassare i vasi sanguigni della corteccia, il talamo e la sub-corteccia, dove doveva essere localizzato il cervello supplementare embrionale di Ashargin. Per associazione, tutte le cellule attorno ai vasi sanguigni si sarebbero rilassate automaticamente. Quella era la teoria, che era stata verificata molte volte. Ogni volta che la voce del registratore impartiva il suggerimento, imitava il metodo usato con il suo cervello supplementare nel suo vero corpo per ottenere un'area memorizzata. Passarono due ore. Giunse al punto di poter seguire lo schema e pensare ad altre cose. «Rilassati-guarda… rilassati-guarda…». Il piano di assassinio doveva essere fatto con molta cura, se era vero che Enro aveva delle sentinelle che lo difendevano da feritoie nelle pareti. «Rilassati-guarda… rilassati-guarda… rilassati-guarda…». C'erano parecchie possibilità, naturalmente. Poiché toccava ad Ashargin attaccare, bisognava esaminare la posizione del principe. Se tanto Ashargin quanto Gosseyn fossero morti fra una settimana, questo avrebbe fatto vivere automaticamente il nuovo corpo di Gosseyn, in questo caso il Dio Dormiente di Gorgzid?
«Rilassati-guarda… rilassati-guarda…». Se era così, Gosseyn poteva capire i vantaggi del piano. Cercò di immaginare l'effetto se il Dio Dormiente si fosse levato ad affrontare Enro e Secoh. «Rilassati-guarda… rilassati-guarda…» A Gosseyn parve che vi fosse soltanto un preliminare di cui si doveva occupare personalmente. Se la sequenza degli eventi si fosse svolta proprio come lui immaginava, doveva fare un'indagine. Stava dando per inteso che il Dio Dormiente fosse uno dei corpi di Gosseyn. Avrebbe dovuto controllare. Enro non si presentò a colazione. Secoh, che arrivò in ritardo, spiegò: — E' andato a incontrarsi con l'Ammiraglio Paleol. Gosseyn studiò il sacerdote mentre si sedeva a tavola. A quarant'anni, il viso di quell'uomo era segnato dal complesso di passioni che l'aveva spinto a battersi per raggiungere il suo rango elevato. Ma c'era di più. Dal modo in cui Secoh aveva parlato a Enro, il giorno in cui l'apparecchio della verità era stato usato su Ashargin, sembrava probabile che il Supremo Guardiano fosse un uomo che credeva in ciò che predicava. Era il momento di discutere con lui? Gosseyn decise di sì. Come affrontare l'argomento? Il suo metodo, quando parlò,
fu la franchezza. Quando ebbe finito, Secoh lo guardò pensieroso. Per due volte fece per parlare e per due volte si agitò sulla sedia come se intendesse alzarsi e andarsene. Finalmente disse in tono blando: — Il privilegio di vedere il Dio Dormiente è concesso soltanto ai membri dell'Ordine. — Esattamente — disse Gosseyn. Secoh parve sbalordito, e Gosseyn sperò che immaginasse cosa avrebbe significato fare sapere pubblicamente che l'erede Ashargin si era convertito alla religione pagana che gli era tanto cara. Aveva la visione di un'intera galassia in adorazione davanti all'immagine teletrasmessa della cripta del Dio Dormiente? Gosseyn se lo augurava. Secoh depose forchetta e coltello, e posò le mani sul tavolo. Erano snelle e delicate, ma ferme. Finalmente disse con voce gentile. — Ragazzo mio, non voglio scoraggiarvi. La vostra posizione è anomala. Sarei felice di impartirvi io stesso l'istruzione degli ordini inferiori, e con una estensione del mio potere discrezionale credo che questo potrebbe anche comprendere la Cerimonia della Contemplazione. Dunque, era così che era chiamata.
— Devo avvertirvi, tuttavia — continuò Secoh, — che la solita protezione concessa ai novizi e agli iniziati non potrebbe essere concessa a voi. Noi stiamo per creare uno Stato Universale, e il nostro grande capo ha ritenuto necessario prendere dure decisioni nei confronti di certe persone. E si alzò. «Domani mattina — disse — preparatevi, alle sei, per andare al Tempio. Poiché la settimana scorsa avete sostenuto di essere posseduto dal Dio, era mia intenzione condurvi alla sua presenza. Sono curioso di sapere se vi sarà o no un segno divino». Si girò, si allontanò dalla tavola e uscì dalla stanza. Nel caso di Gosseyn, l'istruzione degli ordini inferiori faceva parte della Cerimonia della Contemplazione. Era una storia del Dio Dormiente, a suo modo affascinante come le antiche leggende. Il Tempio del Monte era esistito prima che gli uomini arrivassero su Gorgzid. In un passato nebuloso, dopo aver creato l'universo, il dio aveva scelto il pianeta Gorgzid come suo rifugio; e lì, custodito dagli eletti, si riposava, dormendo, dalle sue tremende fatiche. Sarebbe venuto il giorno in cui, svegliandosi dal suo breve sonno — breve in senso cosmico — si sarebbe levato e avrebbe completato
la sua opera. Al suo popolo di Gorgzid aveva affidato il compito di preparare il mondo al suo risveglio: in quel giorno fulgido, avrebbe voluto un universo unito. Man mano che i riti procedevano e che il quadro si completava, Gosseyn comprese per la prima volta molte cose. Questa era la giustificazione delle conquiste di Enro. Se accettavi gli assunti iniziali, tutto il resto ne seguiva. Gosseyn era sconvolto. Anche lui aveva fatto un'ipotesi: che quello fosse uno dei suoi corpi. Se quella pazzia era sorta attorno a un suo corpo, allora lui, che era immortale grazie a una serie di simili corpi, avrebbe dovuto riconsiderare il problema della sua immortalità. Erano quasi le nove quando fu rivestito d'una lunga veste bianca, e la Processione della Contemplazione ebbe inizio. Si avviarono per un bizzarro percorso, scendendo scale che penetravano in una curva parete metallica. Scesero in un sotterraneo in cui c'era un motore a pila atomica… e Gosseyn ebbe il suo secondo colpo. Un'astronave! Il Tempio del Monte era un'astronave sferica sepolta nei detriti di secoli, forse da migliaia di anni. Ripresero a salire, lungo l'opposta parete ricurva. Giunsero al piano principale ed entrarono in una stanza
che ronzava di deboli suoni. Gosseyn sospettò la presenza di molte macchine, ma non aveva il cervello supplementare per verificare il suo sospetto. La parete più lontana si curvava nella stanza. Da ogni angolo si inarcava un pilastro. I quattro pilastri ricurvi terminavano in uno stretto sperone, a circa sei metri dal punto in cui doveva essere la parete. Poteva essere una bara. La parete interna era trasparente e splendeva d'una luce penetrante. Alcune piccole scale conducevano da esso alla sommità dello sperone. Secoh salì una delle scale e accennò a Gosseyn di salire quella che montava dalla parte opposta. Quando raggiunse la sommità, un pannello si aprì nella parte superiore della cripta. — Inginocchiatevi! — disse Secoh con voce sonora. — E contemplate! Inginocchiato, Gosseyn vide le spalle, parte delle braccia e del petto, e la testa dell'uomo che giaceva nella bara. Il viso era magro, le labbra lievemente aperte. Era il viso di un uomo sulla quarantina. La testa era grande, e il viso aveva una strana espressione vacua. Era bello, ma solo per la simmetria e per la linea delle guance e delle ossa. Era la faccia di un idiota. Non c'era la minima somiglianza con Gilbert Gosseyn.
Il Dio Dormiente di Gorgzid era un estraneo. Tornarono a palazzo per l'ora di pranzo e dapprima Gosseyn non si accorse che il momento critico incombeva su di lui. C'erano due ospiti nel salone, oltre Enro, Patricia, Crang e Nirene: otto persone, in totale. I visitatori indossavano uniformi con i gradi di maresciallo. La conversazione era dominata da Enro e dai due militari. La conversazione riguardava la commissione d'inchiesta che aveva indagato su ciò che veniva definita una rivoluzione. Gosseyn dedusse che la rivoluzione era riuscita per ragioni ancora oscure. I due ufficiali costituivano la commissione di inchiesta. Li osservò incuriosito. Dai modi e dall'espressione sembravano due uomini spietati. Prima che annunciassero i loro suggerimenti, decise che due individui così freddamente intellettuali avrebbero inevitabilmente risolto ogni problema raccomandando la distruzione dei pianeti ribelli. Guardò Crang e vide che il non-A era impassibile, ma, accanto a lui, Patricia dava segni di agitazione. Capì che si era parlato del lavoro della commissione prima del suo ingresso nel salone. Erano entrambi interessati a ciò che accadeva. Bruscamente, Patricia si intromise.
— Signori — disse, — spero sinceramente che non avrete scelto la via più comoda per giungere alla vostra decisione. I due ufficiali si volsero a guardarla e poi, come di comune accordo, guardarono Enro con aria interrogativa. Il Gorgzid studiò il viso della sorella con un lieve sorriso sulle labbra. — Puoi essere certa — disse soavemente, — che i marescialli Rour e Ugell hanno considerato solo le prove. — Naturalmente — annuì Rour. Ugell si limitò a fissare Patricia con i suoi occhi azzurri ghiaccio. — Voglio udire le loro proposte — disse seccamente Patricia, — prima di prendere una decisione in proposito. Il lieve sorriso rimase inalterato sul viso di Enro. Si stava divertendo. — Mi pare di ricordare una voce — disse, — secondo la quale mia sorella si interessò, un tempo, al sistema di cui si discute. Per Gosseyn la certezza era venuta già da molti secondi. Venere! Questa era la Commissione d'Inchiesta che aveva avuto l'incarico di indagare sulla sconfitta di Thorson nel sistema solare.
— Ebbene, signori — disse amabilmente Enro, — vedo che siamo tutti interessati a udire ciò che avete da dirci. Ugell si tolse un foglio dalla tasca, inforcò gli occhiali. Alzò lo sguardo. — Vi interessano le ragioni della nostra decisione? — Certamente — disse Enro. — Ciò che voglio sapere è quanto è accaduto. In che modo Thorson, uno degli uomini più efficienti dell'Impero, ha fallito in una missione che doveva essere un semplice episodio nella sua carriera? Rour tacque. Ugell disse: — Vostra Eccellenza, abbiamo interrogato più di mille uomini e ufficiali. Le loro versioni portano al seguente quadro. I nostri eserciti hanno conquistato le città dei ribelli. Poi, alla morte del Maresciallo Thorson, il nuovo comandante ordinò di abbandonare Venere. Naturalmente, gli ordini furono eseguiti. Quindi vedete che non fu una sconfitta dei nostri eserciti, ma l'azione d'un singolo uomo, per motivi che non abbiamo potuto scoprire. Il quadro era ragionevolmente esatto. Non ricordava che i non-A venusiani avevano difeso con successo il loro pianeta contro le forze attaccanti. L'inchiesta non aveva portato alla luce il ruolo che Gilbert
Gosseyn aveva giocato nella morte di Thorson, eppure i fatti scoperti erano parte della realtà. Enro si era accigliato. — Thorson è stato assassinato dal suo successore? — chiese. — Non vi sono prove che indichino questo — disse Rour, poiché Ugell non rispose. — Il Maresciallo Thorson è stato ucciso durante un attacco che egli guidò personalmente contro una roccaforte ribelle sul pianeta Terra. Enro esplose irosamente. — Stolto! — disse furioso. — Perché guidava personalmente i suoi? — Il dittatore si controllò, con uno sforzo. — Tuttavia, signori, sono lieto di aver udito questo resoconto: corrisponde ad alcune informazioni già in mio possesso e ad alcune mie teorie. Per il momento ho problemi nel mio stesso palazzo, dove alcuni sciocchi stanno complottando contro la mia vita, e così vorrei che mi riferiste il nome dell'ufficiale che succedette a Thorson come comandante delle nostre forze su Venere. Ugell lesse: — Il suo nome è Eldred Crang. Non siamo riusciti a trovare traccia di questo traditore. Enro guardò fisso davanti a sé. — E, signori, che cosa proponete? — Ugell lesse, con voce monotona:
— Che le parti abitabili del sistema vengano irrorate con tutti gli isotopi radioattivi dal periodo d'un anno disponibili nella regione, e che il sistema sia reso inabitabile. Alzò lo sguardo. «Il maresciallo Rour è piuttosto preso da una nuova idea che una giovane psicologa gli ha instillato recentemente. Cioè, che qualche pianeta sia popolato solamente da persone criminalmente pazze. Ci è parso, sebbene questa nozione non sia incorporata nel testo delle nostre scoperte, che questo potrebbe essere un esperimento interessante da tentare, non appena i pianeti in questione ritorneranno abitabili.» Porse il documento a Enro, che lo prese senza una parola. Vi fu una pausa mentre lo leggeva. Dunque Enro l'aveva sempre saputo. Quel pensiero occupava la mente di Gosseyn. Il loro sciocco complotto, che non aveva mai superato la fase embrionale, lo aveva probabilmente divertito anche quando meditava la risposta più tremenda alle loro speranze. E sembrava chiaro che da molti giorni sapesse chi era Eldred Crang. Enro passò il documento a Patricia. Senza guardarlo, lei lo strappò. — Questo, signori, è ciò che penso delle vostre proposte.
— Si alzò. — Il suo viso era incolore. — E' tempo, Enro — disse, — che tu e i tuoi giustizieri smettiate questo pazzesco massacro di tutti coloro che hanno il coraggio di opporsi a voi. I popoli dei pianeti Venere e Terra sono inoffensivi. — Inoffensivi? — disse involontariamente Rour. — Se sono così inoffensivi, perché sono riusciti a sconfiggere i nostri eserciti? Patricia si girò verso di lui con gli occhi azzurri che lampeggiavano. — Il vostro rapporto dichiara che non vi è stata sconfitta. Che la ritirata è stata intrapresa per ordine dell'ufficiale succeduto a Thorson. E si tese verso di lui. «E' possibile che cerchiate di coprire una sconfitta delle nostre forze con una falsa dichiarazione, un appello alla vanità di mio fratello?» Era fuori di sé, una furia talamica. Con un gesto respinse il tentativo che Rour fece per parlare e rispose alla sua stessa domanda. — Non importa — disse, — i vostri fatti sono ragionevolmente esatti. Garantirò per essi. Perché sono stata io a dare l'ordine all'ufficiale succeduto a Thorson. Non aveva altra possibilità che obbedire alla sorella del suo sovrano. E ora siede accanto a me, qui, come mio
marito. — Si è fatto pagare bene — la schernì Enro. E si rivolse ai militari. «Signori, conosco da molti giorni l'identità di Eldred Crang. Non posso perseguirlo come traditore perché qui su Gorgzid l'autorità di mia sorella è molto simile alla mia, e io sono impegnato dalla mia fede religiosa a sostenere i suoi diritti. Sto cercando di convincere il Supremo Guardiano a… ehm… a concederle il divorzio, ed egli ha preso in esame la mia richiesta.» Quelle parole furono pronunciate con schiettezza. Era difficile credere che dietro la loro logica vi fosse la decisione di Enro di usare quella religione per costringere sua sorella a seguire l'antica usanza di Gorgzid relativa al matrimonio tra fratello e sorella. E tutto il resto era invenzione. Patricia aveva ripreso a parlare. — Il popolo del sistema solare ha evoluto un sistema educativo di altissimo ordine, una civiltà che vorrei vedere imitata in tutta la Galassia. Si voltò a guardare il fratello. «Enro — disse, — non serve a nulla distruggere un sistema che si è dedicato all'educazione. Se verrà il momento di impadronirci di quei pianeti, probabilmente sarà possibile farlo senza
spargimento di sangue.» Enro rise. — Un sistema educativo, eh? — E alzò le spalle con cinismo. — Secoh sarà felicissimo di dirti quali piani hanno i Templi per i pianeti sottomessi. Si rivolse ai marescialli, con una nota selvaggia nella voce: «Signori, devo scusarmi per la scorrettezza di mia sorella. Tende a dimenticare che il suo potere su Gorgzid non si estende oltre il sistema planetario di cui io e lei siamo gli eredi. Ordinando al Tenente Generale Crang di ritirare le nostre forze da Venere, ha dimenticato che il Massimo Impero è una mia personale creazione. Sposandolo, e permettendo a lui e… — esitò e guardò per un istante Gosseyn-Ashargin, —…e ad altri di preparare piani contro di me sotto la sua protezione, ha rinunciato a qualsiasi diritto che poteva avere di fare appello al lato più clemente della mia natura. Strinse i denti, deciso. Disse, cupo: «Potete essere sicuri che non nomino commissioni di inchiesta per poi ignorarne le proposte. E, a titolo di precauzione, per assicurarmi che la Gorgzin non corra rischi recandosi su Venere, emanerò immediatamente l'ordine che non possa usare alcun distorter galattico fino a che non sarà compiuta la distruzione della popolazione del sistema solare, così come è stato proposto. Grazie, signori. Avete i miei saluti.» Gosseyn notò che l'ordine non si estendeva anche al
Principe Ashargin. Non disse nulla, ma appena il pranzo fu finito, si diresse verso il sistema pubblico di trasporto distorter del palazzo. Non sapeva se era possibile recarsi su Venere mediante una cabina distorter; con una nave era possibile, ma non poteva impadronirsi d'una nave… quindi doveva tentare. Si tolse dalla tasca i frammenti del rapporto venusiano e li rimise insieme. Ammirava l'abilità con cui Crang li aveva tolti dal piatto di Patricia, li aveva esaminati distrattamente e poi li aveva passati ad Ashargin. Le coordinate galattiche della posizione di Sol nello spazio erano stampate in cima alla prima pagina. Lesse: «Ottavo Raggio: r36.400; theta-272; Z1800…». Trentaseimila quattrocento anni luce dall'asse galattico, a un angolo di 272 gradi dalla linea standard calcolata su una lontana galassia… e milleottocento anni luce di elevazione sul piano galattico. Il suo primo compito era raggiungere l'Ottavo Raggio. Mentre tirava la leva nella gabbia, Gosseyn sentì il cambiamento. Si sentì ritornare al proprio corpo… libero di Ashargin. Si svegliò rapidamente, come ad ogni scambio, si levò bruscamente a sedere, poi si ridistese, con un gemito, mentre tutti i muscoli rigidi del suo corpo gridavano
protestando contro quel movimento brusco. Un'esclamazione femminile risuonò, accanto al letto. Leej entrò nella linea di visione dei suoi occhi. — Siete sveglio! — disse e la sua voce era poco più d'un sussurro. — Pensavo che stesse per accadere qualcosa, ma non potevo esserne certa. Gli occhi le si riempirono di lagrime. — Devo dirvelo. Siamo isolati. E' accaduto qualcosa al sistema a distorsione. La nave è alla deriva. Il comandante Free dice che occorreranno cinquecento anni per raggiungere la base più vicina. Il mistero della scomparsa del caccia Y-381907 era spiegato. CAPITOLO 15
"Ecco alcuni dei princìpi operativi della Semantica Generale: 1) i sistemi nervosi umani sono strutturalmente simili l'uno all'altro, ma non sono mai esattamente identici. 2) Qualunque sistema nervoso umano è influenzato dagli eventi, verbali o non verbali. 3) Un evento, cioè un avvenimento, influenza corpo e mente intesi come una totalità". Gosseyn non cercò di muoversi immediatamente. I suoi
occhi si inumidirono per il flusso improvviso di luce, ma la sua visione era migliorata. Il corpo gli doleva. Ogni giuntura, ogni muscolo, parevano protestare contro il tentativo, da lui compiuto, di levarsi a sedere. Comprese che cosa era accaduto. Tenendo conto del passaggio del tempo durante il trasporto a mezzo distorter, era stato lontano dal caccia per circa un mese. Durante quel periodo il suo corpo era rimasto privo di conoscenza. Paragonate alle cure che i corpi di Gosseyn ricevevano dalle «incubatrici» automatiche, le attenzioni che aveva ricevuto durante il mese trascorso, per quanto bene intenzionate, erano state di livello poco più che primitivo. Si rese di nuovo conto della presenza di Leej. Era seduta sul letto e l'osservava con occhi che splendevano di emozione. Ma non disse nulla; e Gosseyn, risparmiando i muscoli irrigiditi, si guardò intorno. Era una camera da letto elegantemente ammobiliata, con letti gemelli: in uno vi era disteso Gosseyn e l'altro doveva essere usato da Leej. Sorvolò per il momento sul pensiero che probabilmente erano imprigionati insieme. Quello era un assunto che intendeva controllare il più presto possibile.
Il suo sguardo ritornò su di lei, e questa volta la donna parlò. — Come vi sentite? Non ho immagini chiare su questo punto. Gosseyn le rivolse un sorriso rassicurante. Cominciava a capire quanto fosse stato disastroso quell'ultimo mese per una donna nella sua posizione. Nonostante ciò che il Seguace aveva tentato di farle, Leej non si era abituata al pericolo. — Credo di stare benissimo — disse lentamente. La mascella gli doleva per lo sforzo di parlare. Il volto delicato di lei espresse preoccupazione. — Un attimo — disse, — prendo un unguento. Andò nel bagno, ne tornò subito con un tubetto di plastica. Prima che Gosseyn potesse indovinare le sue intenzioni, lei gli tolse le coperte. Per la prima volta si accorse di essere completamente spogliato. Leej si versò un po' di balsamo nel cavo della mano e cominciò a strofinarlo vigorosamente sulla pelle di lui. — L'ho fatto per tutto questo mese — sorrise.Immaginate!
Comprese ciò che intendeva. Immaginate Leej, una libera Profetessa che aveva schiave ai suoi ordini, e che ora svolgeva una mansione così umile. Lo stupore che la donna provava verso se stessa rendeva giusto e normale quell'atto intimo, stranamente. Lui non era Enro, che aveva bisogno del morbido tocco di mani femminili per essere felice, ma si rilassò e attese, mentre la donna scacciava con il massaggio il dolore dalle sue gambe, dalle sue braccia e dalla sua schiena. Finalmente Leej si scostò e osservò i suoi esitanti tentativi di levarsi a sedere. Per Gosseyn, quella impotenza era una condizione stupefacente. Non del tutto inattesa, era tuttavia una realtà di cui doveva tener conto, in futuro. Mentre muoveva i muscoli, Leej tolse i suoi vestiti da un cassetto. — Li ho lavati — disse, — nel pulitore della nave, e vi ho fatto il bagno due ore fa, così dovete solo vestirvi. Il fatto che Leej fosse riuscita a servirsi dell'impianto di lavanderia della nave interessò Gosseyn, che tuttavia non fece commenti. — Sapevate che stavo per svegliarmi? — Naturalmente. Doveva aver visto la sua espressione interrogativa, perché disse in fretta:
— Non preoccupatevi, la confusione comincerà abbastanza presto, ora che vi siete svegliato. — Quando? — Era teso al pensiero di agire. — Fra quindici minuti circa. Gosseyn cominciò a vestirsi con prontezza. Trascorse cinque dei quindici minuti camminando lentamente nella stanza. Poi riposò per un minuto, per altri due camminò più in fretta, dondolando le braccia con ritmo libero. Finalmente si fermò e guardò Leej che era seduta su una poltrona. — E' vero che siamo perduti nello spazio? — chiese. L'impazienza scomparve dagli occhi di lei. — Siamo isolati — disse tristemente. — Qualcuno aveva preparato un relè che ha distrutto la matrice distorter per la base più vicina. Questo è accaduto nel momento in cui avete perduto conoscenza, dopo che la matrice era stata usata una volta. Quei termini tecnici suonavano strani sulle sue labbra, ma alla fine rimase solo il significato. In quel primo momento dopo il risveglio, quando la sua attenzione era stata
subnormale, aveva afferrato solo in parte i sottintesi di ciò che lei aveva detto. Non era che non avesse compreso: aveva compreso, anzi. Ma la sua mente era balzata all'idea che questo spiegava il motivo per cui il caccia non aveva risposto alle chiamate. Ora provò un brivido. Isolati, aveva detto Leej. Tagliati fuori a quattrocento anni luce dalla base più vicina. Se il sistema di trasporto a distorter della nave era veramente fuori uso, allora avrebbero dovuto contare sul motore atomico, con tutte le limitazioni di velocità del normale viaggio nello spaziotempo. Aprì la bocca per parlare. Virtualmente, Leej non sapeva nulla della scienza. Le parole che aveva usato doveva averle imparate nel mese passato, e probabilmente significavano molto poco per lei. Avrebbe dovuto scoprire il più presto possibile, dagli ambienti qualificati, la vera portata della catastrofe. Si volse e guardò la porta, irritato all'idea di essere prigioniero. Quella gente non sospettava ciò che poteva fare con il suo cervello supplementare. Si girò per interrogare Leej. Lei disse pronta: — Non è chiusa. Non siamo prigionieri.
Le sue parole anticipavano la sua domanda. Gli faceva bene essere tornato dove simili cose erano possibili. Si avviò verso la porta che si aprì senza fatica. Esitò, poi varcò la soglia, si avviò nel corridoio silenzioso e deserto. Prese una fotografia del pavimento davanti alla porta, e poiché era assorto, passò un secondo prima che si accorgesse di avere usato automaticamente il cervello supplementare nel momento predetto da Leej. Tornò nella stanza e le si accostò. — Era quello? — disse. — Era quello il momento? Lei si era alzata e l'osservava. Poi con un sospiro, si lasciò ricadere sulla poltrona. — Cosa avete fatto? Gosseyn non aveva obiezioni a dirglielo… con una sola eccezione. — Se doveste mai essere catturata — spiegò, — un apparecchio della verità potrebbe ottenere da voi informazioni che sarebbero pericolose per tutti. Scosse il capo, sorridendo. Dall'espressione della donna, capì che lei sapeva già cosa stava per dire. Ma lo disse, egualmente: — Come vi siete riuscita? — Ho preso subito la vostra arma. — Avevate la visione del mese che vi attendeva?
Lei scosse il capo. — Oh, no. La confusione che cominciò allora durò per tutto il mese. Ma vi vidi cadere al suolo. — E si alzò. — E' stato tutto molto facile, vi assicuro. Gosseyn annuì: capiva ciò che Leej intendeva. Il comandante Free e Oreldon erano rimasti sbalorditi per un attimo, senza capire ciò che era appena accaduto. — Non opposero resistenza — disse Leej. — Li costrinsi a portarvi nella nostra camera. Ma ora, un momento. Vi ho preparato un po' di minestra. "La nostra camera", pensò Gosseyn. Era un punto su cui intendeva discutere con la massima delicatezza. Osservò la donna mentre usciva dalla stanza: tornò un attimo dopo, reggendo un vassoio con una fumante tazza di minestra. Era così amichevole, così servizievole: accettava il loro rapporto con tanta semplicità che Gosseyn decise di non parlarne, per il momento. Mangiò la minestra, e si sentì meglio. Ma quando le rese il vassoio, i suoi pensieri erano già rivolti alla loro tremenda situazione. — Sarà meglio che vada a parlare al comandante Free — disse. Mentre si incamminava lungo il corridoio deserto, Venere e tutti gli altri immensi eventi della Galassia gli parevano
molto lontani. Il comandante Free aprì la porta della stanza, e la prima impressione di Gosseyn fu che stesse male. Il viso del comandante era molto pallido, e c'era un'espressione febbrile nei suoi occhi castani. Fissò Gosseyn come se guadasse uno spettro e arrossì violentemente. — Gosseyn — disse, con voce gracchiante, — cosa vi è successo? Noi siamo perduti. Gosseyn lo fissò, chiedendosi se quell'esibizione di paura spiegava l'inefficienza che aveva consentito a lui di catturare il caccia. Finalmente disse con calma: — Abbiamo qualcosa da fare. Andiamo. Camminarono fianco a fianco lungo i silenziosi corridoi della nave, diretti verso la sala comando. In un'ora, ebbe un chiaro quadro della situazione. Nelle matrici che erano nelle tre fenditure di similarizzazione nel pannello dei comandi erano stati incorporati circuiti supplementari. Erano collegati in modo che se una delle matrici fosse stata usata una volta per una «interruzione», lo schema di tutt'e tre si sarebbe disorganizzato. L'interruzione si era verificata durante la similarizzazione che gli aveva anche fatto perdere la conoscenza, un mese prima. Le matrici sconvolte erano sintonizzate sugli schemi delle tre basi più vicine. Poiché non funzionavano più, era
impossibile raggiungere una base per mezzo della similarizzazione. Gosseyn capì che il comandante Free credeva ad ognuna delle sue parole di spiegazione, e che questo gli bastava. Anche Gosseyn vi credeva, ma in modo più qualificato. «Qualcuno» pensò, «ha inserito questi circuiti. Chi?» Il problema era più sottile di quanto apparisse a prima vista. Era ragionevole presumere che il responsabile fosse il Seguace. Eppure l'ombra aveva ammesso davanti a Janasen, quando entrambi si trovavano su Venere, che la sua mente non aveva predisposizione per la meccanica. La dichiarazione non era necessariamente un fatto reale. Ma era vero che le persone che usavano i prodotti dell'era delle macchine non sapevano automaticamente come inserire circuiti che interferissero nell'attività d'una macchina complessa. Gosseyn si accostò alla scrivania del comandante e sedette. Era più stanco di quanto volesse ammettere. Ma non osò rallentare lo sforzo. Molto lontano, era stato impartito un ordine fatidico. Distruggere Venere! O piuttosto, distruggere la popolazione del sistema solare.
Ordini simili richiedevano tempo per essere realizzati. Ma il tempo stringeva. Dopo un riposo di due minuti, si alzò. C'era un solo metodo rapido e logico di risolvere il problema immediato. Gli parve di essere pronto. Memorizzò un certo numero di punti chiave a bordo della nave e molte fonti di energia. Poi premette il pulsante che aprì una delle porte scorrevoli che portavano al ponte inferiore. Accennò al comandante Free di precederlo. In silenzio, scesero la scala. Il mondo cui giunsero era diverso. C'erano risate di uomini, grida e rumori di molto movimento. Per Gosseyn significava una confusione nella percezione del flusso neurale. Le porte del dormitorio erano aperte, e gli uomini erano nei corridoi. Si misero sull'attenti quando si avvicinò il comandante Free, ma si rilassarono dopo che fu passato. Gosseyn disse: — Gli uomini conoscono la verità? Il comandante scosse il capo. — Credono che stiamo viaggiando tra due pianeti. Sono stato quotidianamente in contatto con i sottufficiali responsabili e tutto va benissimo.
— E non si sono preoccupati perché le porte di comunicazione sono rimaste chiuse per un mese secco? — Salgono solo quando ricevono l'ordine di farlo, e questo di solito significa lavoro. Quindi non credo che siano preoccupati. Gosseyn non fece commenti. Era certo che qualcuno era salito senza averne avuto l'ordine, e aveva lavorato sodo. Avrebbe potuto individuare il colpevole interrogando quattrocentottanta persone con un apparecchio della verità. Ma mentre lui avrebbe fatto questo, laboriosamente, la flotta di Enro sarebbe arrivata nel sistema solare, isotopi radioattivi sarebbero stati sparsi nei cieli nebbiosi di Venere e della Terra, e tre miliardi di persone sarebbero morte orribilmente senza essere state avvertite in tempo. Quella previsione non era fornita dai Profeti, ma tuttavia aveva un realismo d'incubo. Gosseyn rabbrividì, e riportò la sua attenzione al lavoro che lo attendeva. Su suo consiglio, il comandante Free ordinò a tutti di ritornare nei dormitori. — Devo chiudere le porte? — chiese. Gosseyn scosse il capo. — Vi sono molte uscite — continuò il comandante. — Presumo che siate sceso qui per uno scopo preciso. Devo mettere guardie alla porta?
— No — disse Gosseyn. Il capitano lo fissò, imbarazzato. — Sono preoccupato — disse. — Lassù è libera soltanto la Profetessa. Sarebbe spiacevole se qualcuno salisse di nascosto e chiudesse le porte fra i due settori. Gosseyn sorrise cupo. L'altro era ben lontano dal valutare esattamente la situazione. Non era quello il pericolo. — E' un punto che ho già considerato — disse. Entrarono in tutti i dormitori. Mentre i sottufficiali e il comandante Free facevano l'appello, Gosseyn parlava agli uomini, secondo uno schema fisso. — Come vi chiamate? Come vi sentite? Siete preoccupato per qualcosa? — Ad ogni domanda sorvegliava non solo le reazioni facciali dell'uomo ma il flusso neurale che usciva da lui come un'aura. Lavorò in fretta, specie quando i membri dell'equipaggio cominciarono a rispondere: «Mi sento benissimo, dottore,» «Sì, dottore». Gosseyn non scoraggiò la loro convinzione che lui fosse uno psichiatra. Era nel terzo dormitorio quando un relè scattò nel suo cervello supplementare. Qualcuno saliva la scala che portava al ponte superiore della nave. Si voltò per parlare
al comandante Free, che però non era in vista. Un sottufficiale si fece avanti. — Il comandante è andato nel bagno. Tornerà subito. Gosseyn attese. Sarebbe occorso un minuto e mezzo perché l'agente del Seguace raggiungesse la sala controllo dalla quale i Profeti erano stati mandati a destinazione. Poiché tutti i distorter sussidiari agivano traverso la matrice principale, la sala controllo doveva venire per prima. Avrebbe voluto parlare a Leej, ma portarla lì per similarizzazione sarebbe stato troppo sbalorditivo. E, inoltre, non c'era tempo. Disse che sarebbe tornato subito, uscì nel corridoio, si chinò, e in quella posizione si similarizzò dietro la scrivania del comandante nella sala. Cautamente, sbirciò oltre l'orlo della scrivania, ma non si mosse: rimase inginocchiato e guardò. L'uomo stava togliendo il pannello nel quadro distorter, sopra le fenditure di similarizzazione. Lavorava in fretta, e ogni tanto si voltava a guardare le due entrate. Eppure Gosseyn non ebbe l'impressione di una fretta frenetica. Non era strano: traditori come quello avevano sempre qualità eccezionali di coraggio che li distinguevano dai loro simili. Un uomo così doveva essere trattato con molta cautela. L'uomo spostò uno dei pannelli metallici. Trasse la matrice dalla fenditura, la posò sul pavimento, e si avvicinò subito
con un oggetto curvo e lucente. La sua lucentezza lo rendeva tanto diverso che per un attimo Gosseyn non lo riconobbe. Una matrice distorter, ma attiva, energizzata. Gosseyn uscì dal nascondiglio, si avvicinò al pannello dei comandi. Ne distava circa tre metri quando l'uomo lo sentì avvicinare. Si irrigidì, poi si girò lentamente. — Vi chiedo scusa, signore — disse, — ma mi hanno mandato a lavorare su… — Interruppe la sua menzogna. Un'espressione di sollievo si stese sul suo volto. — Pensavo foste uno degli ufficiali. Stava per rivolgersi al pannello quando l'espressione di Gosseyn lo colpì. O forse, non voleva correre rischi. La sua mano si mosse convulsamente, e vi apparve un'arma. Gosseyn lo similarizzò a dieci metri dal pannello dei comandi. Udì il sibilo dell'aria, poi un grido di sbigottimento, dietro di li. Girò su se stesso e vide che l'altro gli stava di fronte, irrigidito. Nella sua mano scintillava l'arma. La «fotografò» rapidamente, e mentre l'altro scattava con un sussulto, similarizzò l'arma nella propria mano. Ormai era deciso. Ottenne il folle terrore che voleva, ma ottenne anche qualcosa d'altro. Ringhiando come un animale, l'uomo fece un tentativo di raggiungere gli interruttori del distorter. Per tre volte Gosseyn lo similarizzò di nuovo al punto di
partenza. La terza volta, l'altro, bruscamente, interruppe il suo folle sforzo. Si fermò. Prese un coltello da una tasca interna e, prima che Gosseyn potesse intuire le sue intenzioni, si piantò la lama nel petto, a sinistra. Si udì un rumore di passi. Il comandante Free, seguito un istante dopo da Leej, arrivò correndo nella sala comando. — Che è accaduto? — chiese ansimando il comandante. Si interruppe di colpo, e rimase senza parola, mentre il traditore faceva una smorfia, rabbrividiva… e moriva. Il comandante l'identificò per un assistente dell'ingegnere addetto alle comunicazioni. E accertò che la matrice da lui inserita nella fenditura di similarizzazione era per la base a quattrocento anni luce più oltre. Venne il momento delle spiegazioni. Gosseyn spiegò i motivi principali che l'avevano indotto a piazzare la sua trappola. — Se era un agente del Seguace, allora doveva essere ancora a bordo. Perché? Ecco, perché non mancava nessuno. E come lo sapevo? Voi, comandante Free, vi tenevate in contatto con i sottufficiali responsabili dei dormitori, che senza dubbio vi avrebbero riferito se un
uomo mancava. «Dunque, era ancora a bordo. E per un mese intero ha atteso nella parte inferiore della nave, tagliato fuori dalla sala comandi. Potete immaginare il suo fermento, perché senza dubbio non aveva previsto di dover attendere tanto prima di mettersi al sicuro. Perché doveva avere il modo di fuggire? Credo che un uomo preveda sempre una via di scampo per sé quando fa i suoi piani, e che si rassegni all'idea della morte solo se si sente in trappola. «Con tutte queste pressioni che agivano su di lui, non perse tempo a salire quando si aprirono le porte. «Naturalmente, la nuova matrice aveva a sua volta un circuito che l'avrebbe guastata nel momento in cui l'avesse usata per la fuga. Ma c'è qualcosa che mi rende perplesso. Il comandante Free mi dice che dovremo fermarci a una base a circa diciottomila anni luce di qui, per prendere le matrici che ci porteranno a Venere, a r36000, theta 272, Z1400, e, quando arriveremo là, dovremo presentare degli ordini scritti. «La mia osservazione è questa: come pensava, quel meccanico, di presentarsi a una base senza documenti di qualche genere? I membri dell'equipaggio delle navi da guerra di solito devono spiegare perché non sono con le
loro navi. Voi potreste dire che il Seguace l'avrebbe protetto, ma non è logico. Non credo che il Seguace volesse fare saper a Enro di essere responsabile per aver tagliato fuori i Profeti dalle flotte combattenti per un mese intero. E alzò lo sguardo. «Non appena avrete riparato quel circuito, comandante, venite da me. Sarò nella mia stanza.» CAPITOLO 16
"Nell'interesse della sanità mentale, imparate a valutare un evento in termini di reazione totale. La reazione totale comprende cambiamenti nervosi e viscerali, e reazioni emotive, il pensiero sull'evento, la dichiarazione formulata a parole, l'azione rimossa, l'azione intrapresa, eccetera". Non appena raggiunse la camera da letto, Gosseyn si tolse le scarpe e si distese sul letto. Da oltre un'ora si era sentito in preda a una lieve nausea. Il grande sforzo di intrappolare il sabotatore era stato quasi eccessivo per lui. Era ansioso di non mostrare la sua debolezza. Era così piacevole sentire la forza fluire di nuovo in lui; dopo venti minuti si stiracchiò, sbadigliò e aprì gli occhi. Si levò a sedere sospirando. Fu come un segnale.
Leej entrò, portando un'altra tazza di minestra. La puntualità dell'avvenimento, ovviamente, indicava l'uso della profezia. Gosseyn mangiò pensando a questo; stava terminando quando il comandante Free entrò nella stanza. — Bene — disse, — siamo pronti. Date il segnale e partiremo. Gosseyn guardò Leej, ma lei scosse il capo. — Non potete aspettarvi nulla da me — disse. — Per quanto posso vedere, non c'è nulla di male, ma non posso vedere fino al nostro arrivo. Il comandante Free disse: — Dovremo attraversare il resto del Nono Raggio fino alla prima base marginale dell'Ottavo Raggio. Lì, naturalmente, dovremo fermarci. — Avvicinatevi a quella base per mezzo d'una interruzione — disse Gosseyn, — poi ne parleremo. Dopo diciotto balzi di similarizzazione e poco più di dieci minuti, secondo il tempo che pareva essere trascorso, il comandante Free ritornò nella cabina. — Siamo a sei anni luce e tre quarti della base — disse. — Niente male. Questo ci porta a undicimila anni luce da Venere.
Gosseyn scese dal letto e si diresse nella sala comando. Si lasciò cadere sul divano di fronte alla cupola trasparente. Si chiedeva se dovevano entrare nella base, o se dovevano avvicinarsi gradualmente dall'alto. Guardò Leej con fare interrogativo. — Ebbene? — disse. La giovane donna si avvicinò. Sedette nella poltrona girevole, si voltò e disse: — Entriamo. — E tirò la leva. Un attimo dopo erano nell'interno della base. Tutt'intorno vi era una semioscurità. Quando i suoi occhi si abituarono alla luce fioca, Gosseyn vide che l'enorme caverna di metallo era molto più grande della base del Massimo Impero su Venere. Poi rivolse la sua attenzione al comandante Free. Il comandante impartiva istruzioni al visifono. Si avvicinò a Gosseyn contemporaneamente a Leej. — Un assistente del comandante del porto verrà a bordo fra mezz'ora — disse. — Nel frattempo ho dato ordine perché alla nave sia fornita la nuova attrezzatura. Lo accettano come un fatto d'ordinaria amministrazione. Gosseyn annuì, ma era pensieroso mentre studiava
l'ufficiale. Non lo preoccupava affatto ciò che il comandante Free poteva fare contro i suoi interessi. Poiché c'erano lui e la Profetessa in grado di annullare un pericolo prima che si profilasse, i rischi rappresentati da uomini e da macchine non erano allarmanti. Eppure, quell'uomo sembrava collaborare non come un prigioniero, ma come un alleato. Non voleva richiamare la sua attenzione sul fatto che trascurava i suoi doveri di ufficiale del Massimo Impero, eppure sembrava necessaria una certa comprensione. Decise di essere franco. Dopo che ebbe finito, dovette attendere quasi un minuto. Finalmente, il comandante disse: — Gosseyn, un uomo nella vostra posizione, con il vostro eccezionale potere, può scarsamente capire ciò che hanno passato centinaia di migliaia di ufficiali del Massimo Impero quando Enro se ne impadronì. Fu fatto con abilità, e se gli altri erano come me, devono essersi sentiti presi in trappola. «Era virtualmente impossibile sapere cosa fare. C'erano spie dappertutto, e la maggioranza degli equipaggi era per Enro. Quando era ministro della guerra aveva avuto la possibilità di mettere i suoi traditori nelle posizioni chiave, dappertutto.
Il comandante Free alzò le spalle. «Pochi di noi osarono opporre resistenza. Venivano giustiziati uomini a destra e a sinistra: la linea di divisione tra gli amici e i nemici sembrava consistere nel fatto che si facessero o no commenti. In risultato d'un esame all'apparecchio della verità, fui elencato come persona dubbia, e ammonito. Ma mi fu permesso di vivere perché non avevo opposto resistenza. E concluse: «Il resto fu semplice. Ho perduto interesse nella mia carriera. E quando mi accorsi cosa significava questo viaggio a Yalerta, temo di aver allentato la disciplina. Mi sembrava che i Profeti avrebbero assicurato la vittoria a Enro. Quando arrivaste voi, per qualche minuto fui sconvolto. Mi vidi sottoposto a corte marziale e giustiziato. Poi capii che forse voi potevate proteggermi. Mi bastò. Da quel momento sono stato dalla vostra parte. Questo risponde alla vostra domanda?» Rispondeva completamente. Gosseyn tese la mano. — E' una vecchia usanza del mio pianeta — disse. — E' un modo di suggellare un'amicizia. Si strinsero la mano. Poi Gosseyn si rivolse a Leej.
— Che c'è sull'orizzonte del tempo? — chiese. — Nulla. — Nessuna confusione? — No. I documenti della nave dicono che siamo in missione speciale. E' un ordine formulato vagamente, e da considerevole autorità al comandante Free. — Questo significa che lasceremo la base senza difficoltà? Leej annuì, ma il suo viso era serio. — Naturalmente — disse con sincerità, — io vedo un'immagine del futuro che voi potete alterare con interferenza deliberata. Per esempio, potreste creare una confusione solo per dimostrarmi che sbaglio. Allora non avrei idea di quello che potrebbe accadere. Ma per il momento non vedo confusioni. Gosseyn era interessato agli esperimenti, ma non in quel momento. E c'erano altri aspetti della situazione. L'intero problema delle previsioni sembrava diventare più complesso via via che l'esaminava. Se Enro, i Profeti e Gilbert Gosseyn erano prodotti della stessa specie di
addestramento, allora perché lui, che era rimasto in un'incubatrice per un tempo trenta volte superiore a quello che vi rimaneva un Profeta, e più di cento volte superiore a quello di Enro, non poteva vedere a distanza come faceva Enro, e nel futuro come i Profeti? Addestramento, pensò. Il suo. Perché gli altri non ne avevano ricevuto. Ma lui aveva ricevuto un addestramento lacunoso, per uno scopo che più tardi era stato cambiato.
Non appena avesse avvertito i venusiani, doveva consultare il dottor Kair e gli altri scienziati. E questa volta avrebbe lavorato sul problema con una comprensione nuova delle possibilità. Circa un'ora dopo il loro arrivo lasciarono la base. Dieci balzi e diecimila anni luce li portarono vicino a Gela. Prossima fermata, Venere. Dietro suggerimento di Gosseyn, Leej regolò gli aghi per l'interruzione; vi impiegò parecchi secondi. Poi si scostò, scosse il capo, e disse: — C'è qualcosa che non va. «E' al di fuori della mia portata, ma ho l'impressione che non ci avvicineremo al pianeta quanto ci siamo avvicinati alla base. Ho l'impressione di una interferenza.» Gosseyn non esitò. — Allora telefoniamo — disse. Ma il visifono e lo schermo erano privi di vita. Questo gli concesse una pausa, ma non per molto. Non c'era nulla da fare se non portare la nave fino a Venere.
Come prima, il balzo di similarizzazione sembrò istantaneo. Il comandante Free guardò i calcolatori d'ella distanza, e disse a Leej: — Buon lavoro. Solo otto anni luce dalla base venusiana. Non è possibile fare di meglio. Vi fu un'esplosione di suono, una voce che urlava: — Questo è il centralinista robot incaricato delle comunicazioni… emergenza! CAPITOLO 17
"Nell'interesse della sanità mentale, siate consapevole della AUTORIFLESSIVITA'. Una affermazione può essere relativa alla realtà, o può essere relativa a una affermazione su una affermazione relativa alla realtà". Gosseyn fece cinque passi verso il pannello dei comandi, e si fermò dietro il comandante Free, teso e attento. Passò lo sguardo su tutti gli schermi. L'operatore robot parlò di nuovo con la sua voce tipo «emergenza». — Voci nello spazio — ruggì. — Sono robot che si mandano messaggi uno all'altro.
— Riferisci i messaggi — ordinò a voce alta il comandante Free. E levò lo sguardo su Gosseyn. — Pensate che la flotta di Enro sia già lì? Gosseyn voleva altre prove. Sono stato liberato, pensò, dal cervello di Ashargin pochi minuti dopo che Enro ha impartito l'ordine. Probabilmente sono occorse circa quaranta ore per ritornare al caccia, altre due ore per mettere in moto la nave, meno di un'ora per raggiungere la base, poi meno di ottanta ore per arrivare a Venere… circa centoventidue ore, solo tre delle quali potevano essere considerate sprecate. Cinque giorni! La flotta, naturalmente, avrebbe potuto essere partita da una base molto più vicina a Venere. Quello era il problema. Le comunicazioni similarizzate richiedevano un movimento di elettroni secondo configurazioni relativamente semplici. Gli elettroni erano naturalmente identici fino al diciottesimo decimale, e così il «margine di errore» nella trasmissione era solo di quattordici secondi per ogni quattromila anni luce, a confronto delle dieci ore per gli oggetti materiali, sulla stessa distanza. La flotta di Enro poteva avere su di loro un vantaggio di tempo rappresentato dagli ordini impartiti per telefono. Ma attacchi su scala planetaria sottintendevano ben altro. Sarebbe occorso tempo per caricare l'equipaggiamento
per il tipo di distruzione atomica che doveva essere effettuato sulla Terra e su Venere. E c'era un altro punto, anche più importante. Enro aveva piani personali. Anche ora, poteva ritardare i suoi ordini di distruggere il sistema solare nella speranza che la minaccia d'un simile attacco inducesse sua sorella a sposarlo. Il centralinista robotico gridava ancora. — Sto per trasmettere il messaggio dei robot! — urlò. Il suo tono divenne più calmo. — Una nave al C.R.-94-687-12… bzzz… similarizzare… Convergere e attaccare… cinquecento esseri umani a bordo… bzzz… zero 54 secondi… catturare… Gosseyn parlò con voce smorzata: — Stiamo per essere attaccati da difese automatiche. Il suo sollievo aveva una sfumatura di orgoglio e di eccitazione, oltre che di cautela. Erano passati poco più di due mesi e mezzo dalla morte di Thorson. Eppure c'erano già difese contro attacchi interstellari. I non-A dovevano aver compreso la situazione, intuendo di essere in balia di un dittatore nevrotico, e avevano concentrato le risorse produttive del sistema sulla difesa.
Poteva essere una cosa titanica. Gosseyn vide che le dita del comandante Free fremevano sulla leva che li avrebbe riportati alla stella Gela, la base che era mille anni luce dietro di loro. — Aspettate! — disse. Il comandante era teso. — Non vorrete rimanere qui! — Voglio osservare — rispose Gosseyn, — per un momento. Per la prima volta, guardò Leej. — Cosa ne pensate? Vide che il volto della donna era teso. Leej disse: — Posso vedere l'attacco, ma non ne capisco la natura. C'è una confusione un momento dopo il suo inizio. Penso… Fu interrotta. Tutte le macchine radar nella sala comando lanciavano suoni e luci. C'erano tante immagini sugli schermi che Gosseyn non poteva vederle tutte. Perché, all'improvviso, qualcosa cercò di afferrare la sua mente. Il suo cervello supplementare registrò una complessa rete di energia, e notò che stava cercando di cortocircuitare gli impulsi che fluivano ai centri motori del suo cervello e che
ne defluivano. Stava cercando? Stava riuscendo! Comprese rapidamente la natura e i limiti di quella fase dell'attacco. Bruscamente, fece la pausa talamo-corticale. La pressione sulla sua mente cessò subito. Con la coda dell'occhio vide che Leej era ritta e rigida, con un'espressione distorta sul viso. Davanti a lui il comandante Free sedeva irrigidito con le dita contratte come artigli di marmo a meno d'un centimetro dalla leva che li avrebbe riportati a Gela. Dall'alto, l'operatore robot trasmise: — Unità C.R.-… bzzz… bloccato. Tutto il personale a bordo catturato, tranne una persona… concentrarsi sul recalcitrante… Con una mossa d'un solo dito, Gosseyn spinse la leva regolata per operare un'interruzione vicino alla base a mille anni luce di distanza. Vi fu l'oscurità. Il caccia Y-381907 si fermò nello spazio, al sicuro, a un po' più di ottocento anni luce da Venere. Il comandante Free cominciò a perdere l'anormale rigidità. Gosseyn girò su sé stesso, e corse verso Leej. La raggiunse appena in tempo. La rigidità che l'aveva tenuta in piedi svanì. L'afferrò mentre cadeva, inerte.
Mentre la portava al divano davanti alla cupola trasparente, visualizzò ciò che avveniva negli altri punti della nave. Centinaia di uomini dovevano cadere, o forse erano già caduti al suolo. O se erano stati distesi, durante la crisi, ora vacillavano, come se ogni tensione del loro corpo li avesse lasciati improvvisamente. Il cuore di Leej batteva. Era stata così inerte, fra le sue braccia, che Gosseyn aveva temuto che fosse morta. Quando Gosseyn si raddrizzò, le palpebre di lei batterono, tentando di aprirsi. Ma passarono circa tre minuti prima che potesse levarsi a sedere e dire con voce fievole: — Non intenderete provare di nuovo… — Solo un attimo disse Gosseyn. Il comandante Free si stava agitando, e Gosseyn ebbe una visione di lui che azionava interruttori, manometri e leve nella frenetica convinzione che la nave fosse ancora in pericolo. Lo sollevò in fretta dal sedile. La sua mente era occupata mentre portava l'uomo al divano, accanto a Leej, pensando a ciò che la donna aveva detto. Ora chiese: — Ci vedete ritornare? Leej annuì, riluttante. — Ma è tutto. E' al di fuori della mia portata. Anche Gosseyn annuì, e sedette, fissandola. La sua
sicurezza si allentò. Il metodo venusiano di difesa era così unico, così calcolato per afferrare soltanto persone non addestrate al Non-A, che soltanto la sua presenza aveva salvato la nave. In breve, pareva che i venusiani disponessero d'una difesa invincibile. Ma se non fosse stato a bordo, non vi sarebbe stata alcuna confusione, nella visione di Leej; la donna avrebbe potuto prevedere l'attacco in tempo per salvare la nave. Nello stesso modo, la flotta di Enro, con i suoi Profeti, sarebbe sfuggita al primo attacco. O forse le predizioni potevano essere così esatte che la flotta poteva continuare la sua rotta verso Venere. Era possibile che l'intera difesa venusiana, per quanto meravigliosa, fosse inutile. Nel costruire i loro robot, i venusiani non avevano tenuto conto dei Profeti. Il fatto non era sorprendente. Persino Crang aveva ignorato la loro esistenza. Poteva darsi, naturalmente, che non vi fossero Profeti nella flotta che Enro stava mandando. Ma su questo non si poteva far conto. La sua mente giunse fino a quel punto, poi tornò a quanto aveva detto Leej. Annuì, visualizzando la situazione. Poi disse:
— Dovremo ritentare, perché dobbiamo valicare quelle difese. E' più importante che mai. Aveva già in mente l'immagine di forze robotiche come quelle, che si opponevano alla titanica flotta di Enro nel Sesto Raggio. E se avesse potuto trovare un metodo per farle reagire più rapidamente, in modo che l'attacco giungesse in un secondo e non in cinquantaquattro, allora anche le previsioni dei Profeti potevano essere troppo lente. Gosseyn considerò varie possibilità, poi, spiegò con cura la natura della pausa cortico-talamica a Leej e al comandante. Tentarono parecchie volte, limitandosi in realtà a sfiorare appena il nucleo del problema, ma non c'era tempo di fare altro. Le precauzioni potevano essere inutili, ma valeva la pena di tentare. Completati i preliminari si sedette ai comandi, e si guardò intorno. — Pronti? — chiese. Leej disse in tono querulo: — Non credo che mi piaccia stare nello spazio. — Fu il suo solo commento. Il comandante Free non disse nulla. Gosseyn disse: — Benissimo, questa volta cercheremo di addentrarci più che potremo.
E premette la leva. L'attacco venne trentotto secondi dopo che l'oscurità fu cessata. Gosseyn ne osservò le sfumature, e annullò subito l'assalto alla propria mente. Ma questa volta fece un altro passo. Cercò di sovraimporre un messaggio alla forza complessa. — Ordine di terminare l'attacco! — Lo ripeté parecchie volte. Aspettò che l'ordine fosse ripetuto dall'operatore robotico, ma quello continuò a trasmettere messaggi tra i cervelli robot al di fuori della nave. Mandò un secondo messaggio. — Interrompere i contatti! — ordinò con fermezza. La voce robotica della nave disse che tutte le unità tranne una erano immobilizzate e, senza un singolo riferimento al suo ordine, aggiunse: — Concentrarsi sul recalcitrante… Gosseyn premette la leva della similarizzazione, e fece una interruzione dopo cinque minuti luce. Dopo sedici secondi, l'attacco riprese. Lanciò una rapida occhiata a Leej e al comandante, che vacillavano sui loro sedili. Il loro breve addestramento non-A non si rivelava molto efficiente.
Li dimenticò, osservò gli schermi, aspettando un attacco di fulminatori. Poiché non accadde nulla, balzò più vicino al Sole di un giorno luce. Un'occhiata ai contatori di distanza mostrò che Venere era a poco più di quattro giorni luce. Questa volta l'attacco riprese dopo otto secondi. Non era ancora abbastanza rapido. Ma serviva a completare il quadro che si formava nella sua mente. I venusiani cercavano di catturare le navi, non di distruggerle. Gli strumenti che avevano creato allo scopo sarebbero stati meravigliosi in una Galassia di normali esseri umani. Ed erano meravigliosi nella loro capacità di distinguere tra amici e nemici. Ma contro cervelli supplementari o contro i Profeti avevano un valore limitato. Gosseyn sospettò che li avessero messi ugualmente in catena di montaggio nella convinzione che il tempo stringesse. Poiché questo diventava sempre più vero ogni minuto, cercò di fare un'altra prova. Mandò un messaggio all'unità che cercava ancora con cieca ostinazione meccanica di catturarlo: — Considerate catturato me e chiunque altro a bordo. Non vi fu segno che qualcuno avesse udito.
Ancora una volta, Gosseyn premette la leva di similarizzazione, i cui aghi di controllo erano stati così accuratamente regolati da Leej. E adesso, pensò, vedremo. Quando l'oscurità momentanea svanì, gli indicatori di distanza segnavano novantaquattro minuti luce da Venere. L'attacco venne dopo tre secondi, e questa volta fu su un livello interamente diverso. La nave tremò in ogni paratia. Lo schermo difensivo era di colore arancione. Il radar-robot parlò per la prima volta, gemendo. — Si avvicinano delle bombe atomiche! Con un colpo di dito, Gosseyn riportò indietro la leva di similarizzazione, e fece un balzo di novecentoundici anni luce verso Gela. Il secondo tentativo di valicare le difese venusiane era fallito. Gosseyn, con la mente già intenta sui particolari del terzo tentativo, fece rinvenire Leej: la donna riprese conoscenza, e scosse il capo. — E' fuori questione — disse. — Sono troppo stanca. Gosseyn fece per dire qualcosa, ma poi preferì studiare il viso di Leej. Era inequivocabilmente stanco, e il suo corpo
si curvava. — Non so che cosa mi abbiano fatto quei robot — disse la donna. — Ma ho bisogno di riposare, prima di poter fare ciò che volete. Inoltre, neppure voi avete l'energia necessaria. Quelle parole gli ricordarono la sua stessa debolezza. Rifiutò l'ostacolo, e aprì la bocca per parlare. Leej scosse il capo. — Vi prego di non discutere — disse con voce stanca. — Posso dirvi che vi è una pausa di più di sei ore fino alla prossima confusione, e che trascorreremo questo tempo in un necessario sonno. — Volete dire che rimarremo qui, nello spazio? — Voglio dire che dormiremo — corresse lei. — E non preoccupatevi di questi venusiani. Chiunque li attacchi dovrà ritirarsi e riflettere sulla situazione, così come abbiamo fatto noi. Gosseyn pensò che aveva ragione. La logica che faceva da supporto alle sue affermazioni era pienamente Aristotelica, e senza prove che la sostenessero. Ma i suoi argomenti generali erano plausibili. Debolezza fisica, riflessi Lenti, un bisogno imperativo di riprendersi
dall'attrito della battaglia. L'elemento umano era entrato a far parte dell'elenco dei combattenti. — Questa confusione — disse finalmente, — che cosa riguarda? — Ci sveglieremo — disse Leej. — E subito inizierà la confusione. Gosseyn la fissò. — Nessun preavviso? — Neppure una parola… Gosseyn si destò nell'oscurità e pensò: «Dovevo indagare il fenomeno del mio cervello supplementare.» E lo stupì il fatto di avere pensato a una cosa simile durante le ore di sonno. Dopotutto la sua idea era stata quella di abbandonare il problema fino a che non giungesse a Venere, ed era un'idea giusta. Leej si agitò nel letto vicino al suo, e accese la luce. — Ho una sensazione di confusione continua — disse. — Che succede? Gosseyn sentì l'attività dentro di sé. Il suo cervello
supplementare lavorava come quando un processo automatico reagiva a uno stimolo. Era soltanto una sensazione, più forte della consapevolezza dei battiti del suo cuore o della espansione e della contrazione dei suoi polmoni, ma altrettanto costante. Ma questa volta non vi era stimolo. — Quando è cominciata la confusione? — chiese. — Adesso. — Il tono di Leej era serio. — Vi ho detto che ve ne sarebbe stata una, ma immaginavo che fosse del tipo solito, un blocco momentaneo. Gosseyn annuì. Aveva deciso di dormire fino al momento della confusione. Ed era stato così. Si ridistese, chiuse gli occhi e rilassò deliberatamente i muscoli dei vasi sanguigni del suo cervello: un semplice processo di suggestione. Sembrava il metodo più normale per interrompere il flusso. Poi cominciò a sentirsi impotente. Come fa una persona a fermare la vita del suo cuore e dei suoi polmoni… o il flusso interneuronico che aveva avuto inizio, improvvisamente e senza preavviso, nel suo cervello supplementare? Si levò a sedere e guardò Leej, aprì le labbra per confessare il suo fallimento. Poi vide una cosa strana: la vide alzarsi dal letto, raggiungere la porta, completamente
vestita. E poi lei era seduta a una tavola dove sedevano anche Gilbert Gosseyn e il comandante Free. Il suo viso sembrò svanire. La vide di nuovo, più lontano, questa volta. Il suo volto era più vago, i suoi occhi spalancati e fissi, e stava dicendo qualcosa che non riuscì ad afferrare. Con un sussulto, si trovò di nuovo in camera da letto, e Leej era ancora lì, seduta sull'orlo del letto, e lo fissava sbalordita. — Che succede? — disse. — E' continua. La confusione è continua. Gosseyn si alzò in piedi e cominciò a vestirsi. — Non chiedetemi nulla, ora — disse. — Può darsi che io lasci la nave, ma tornerò. Gli occorse un momento, allora, per riportare nella propria mente una delle aree «memorizzate» su Venere due mesi e mezzo prima. Poteva sentire il debole flusso pulsante del suo cervello supplementare. Deliberatamente, si rilassò; e sentì il cambiamento nella memoria, che si alterò visibilmente. Si accorse che il cervello seguiva quello schema mutevole. C'erano piccoli balzi e piccole lacune. Ma ogni volta l'immagine «fotografica» nella sua mente era chiara e nitida, sebbene mutata. Chiuse gli occhi. Non vi fu alcuna differenza. Il
cambiamento continuò. Seppe che erano passate tre settimane, un mese, poi tutto il tempo trascorso dalla sua partenza da Venere. Eppure il suo ricordo dell'area rimaneva al livello del ventesimo decimale. Aprì gli occhi, si scosse con un brivido, e consciamente si costrinse a riprendere conoscenza di ciò che lo circondava. La seconda volta fu più semplice. E la terza volta fu ancora più facile. All'ottavo tentativo i balzi e le lacune erano ancora presenti, ma quando rivolse la sua attenzione alla camera da letto, si rese conto che la fase incontrollata dalla sua scoperta era finita. Non aveva più la sensazione del flusso nell'interno del suo cervello supplementare. Leej disse: — La confusione è cessata! — Esitò, poi: — Ma ve ne sarà un'altra quasi immediatamente. Gosseyn annuì. — Ora me ne vado — disse. Senza la minima esitazione, pensò la vecchia parola stimolo per quell'area memorizzata. E, immediatamente, fu su Venere. Si trovò, come aveva previsto, dietro la colonna che aveva usato come nascondiglio il giorno in cui era arrivato dalla Terra a bordo della "Presidente Hardie".
Lentamente, distrattamente, si guardò intorno per vedere se il suo arrivo era stato notato. C'erano due uomini, in vista. Uno camminava lentamente verso l'uscita. L'altro guardò lui. Gosseyn gli andò incontro, e nello stesso momento anche l'altro uomo si mosse verso di lui. Si incontrarono a metà strada, e il venusiano aveva un lieve cipiglio sul volto. — Temo di dovervi chiedere di rimanere qui — disse, — fino a che non avrò chiamato un investigatore. Ho osservato il luogo in cui vi siete… — esitò — materializzato. Gosseyn disse: — Mi sono chiesto spesso che cosa doveva sembrare, a un osservatore. — Non si sforzò di nascondere che cosa era accaduto. — Portatemi immediatamente dai vostri esperti militari. L'uomo lo guardò pensieroso. — Siete un non-A? — Sono un non-A. — Gosseyn? — Gilbert Gosseyn. — Io sono Armstrong — disse l'uomo, e tese la mano,
sorridendo. — Ci stavamo chiedendo che ne era stato di voi. — E si interruppe. — Ora affrettiamoci. Non si diresse verso la porta, come Gosseyn si aspettava. Gosseyn rallentò e se ne stupì. Armstrong spiegò: — Scusate — disse, — ma se volete affrettarvi farete meglio a venire con me. La parola distorter significa qualcosa, per voi? Gosseyn capì. — Per il momento ne abbiamo pochi — continuò Armstrong. — Ne abbiamo costruiti molti, ma per altri scopi. — Lo so — disse Gosseyn. — La nave su cui mi trovavo è incappata nel risultato delle vostre fatiche. Armstrong si fermò, quando si furono avvicinati al distorter. Il suo sguardo era assorto, il suo viso era impallidito. — Volete dire — fece, — che le nostre difese non sono efficienti? Gosseyn esitò. — Non lo so ancora con certezza — disse, — ma temo che non lo siano. Attraversarono in silenzio l'oscurità del distorter. Quando Armstrong aprì la porta, si trovarono in fondo a un corridoio. Camminarono rapidamente, Gosseyn un po' più indietro, verso un punto in cui parecchi uomini erano seduti
dietro delle scrivanie ed esaminavano mucchi di documenti. Gosseyn non fu particolarmente sorpreso nello scoprire che Armstrong non conosceva alcuno di quegli uomini. I venusiani non-A erano individui responsabili, e potevano andare e venire a volontà nelle fabbriche in cui erano svolti i lavori più segreti. Armstrong si presentò al venusiano più vicino alla porta, poi presentò Gosseyn. L'uomo si alzò e tese la mano. — Mi chiamo Elliot — disse. Si volse verso una scrivania vicina, e alzò la voce. — Ehi, Don, chiama il dottor Kair. Gilbert Gosseyn è qui. Gosseyn non attese l'arrivo del dottor Kair. Ciò che doveva dire era troppo urgente per qualunque indugio. Fornì rapide spiegazioni circa l'attacco ordinato da Enro. Questo provocò una certa sensazione, ma di tipo diverso da quella che si era aspettato. Elliot disse: — Dunque Crang c'è riuscito. Bravissimo. Gosseyn, che stava per proseguire il suo resoconto, si interruppe e lo fissò. La luce di comprensione che si accese nella sua mente fu, per un attimo, abbagliante. — Volete dire — chiese, — che Crang è andato a Gorgzid allo scopo di persuadere Enro a lanciare un attacco contro
Venere… — Si interruppe, pensando al complotto per assassinare Enro. Ora tutto era spiegato. Quel complotto non era mai stato destinato a riuscire. La sua breve eccitazione svanì. Sobriamente, parlò ai venusiani dei Profeti. E finì, con grande schiettezza: — Non ho veramente le prove che i Profeti possano superare i vostri sbarramenti, ma mi pare logico che possano farlo. Vi fu una breve discussione, poi fu portato davanti a un visifono, dove un uomo premeva pulsanti e parlava a bassa voce con un centralinista robot. Alzò gli occhi e gli disse: — C'è il collegamento. Ripetete il vostro resoconto. Questa volta Gosseyn si diffuse nei particolari. Descrisse i Profeti, la loro civiltà, la predominante natura talamica degli individui che aveva conosciuto, e continuò fornendo una descrizione del Seguace e delle sue opinioni su di lui. Descrisse Enro, la situazione alla corte di Gorgzid, e la posizione di Eldred Crang. — Ho appena scoperto — continuò, — che Crang partì con lo scopo di indurre Enro a mandare la flotta per distruggere Venere. Posso dirvi che ha compiuto la sua missione, ma per sfortuna non conosceva l'esistenza dei Profeti. E così, l'attacco che sta per essere sferrato sarà combattuto dal nemico in condizioni più favorevoli di quanto
l'immaginassero coloro che conoscevano la natura delle forze difensive sviluppate su Venere e sulla Terra. E concluse, quietamente: «Ora pensateci voi». Elliot sedette nel posto che aveva lasciato libero. Disse, premuroso: — Inoltrate i vostri commenti al Robot Ricevitore, nel solito modo. Gosseyn scoprì, su sua richiesta, che il solito modo consisteva in una discussione dell'argomento da parte di piccoli gruppi di individui; i quali fornivano tutti i suggerimenti ragionevoli che riuscivano a pensare. Poi uno di loro entrava in una simile discussione con altri delegati. Le proposte venivano passate da un livello all'altro, man mano che ogni gruppo di delegati incaricava altri delegati di farle conoscere a gruppi più vasti. Trentasette minuti dopo che Elliot aveva chiesto i commenti, il Robot Ricevitore lo chiamò e gli riferì quattro consigli principali, in ordine di priorità: 1) Tracciare una linea verso la stella Gela, la base da cui sarebbero venute le navi dalla massa centrale della Galassia, e concentrare tutte le difese su quella linea in modo che la reazione robotica all'apparizione delle navi da guerra avvenisse entro due o tre secondi. Poiché l'alternativa era la completa distruzione, dovevano
sperare che simile difesa, cogliendo di sorpresa il nemico, riuscisse a catturare l'intera flotta, indipendentemente dalla presenza dei Profeti. 2) Fare arrivare Leej con il caccia, e vedere cosa poteva fare un Profeta, conoscendo la natura della difesa. 3) Abbandonare il piano di operare segretamente contro Enro a favore della Lega, e offrire alla Lega tutte le armi disponibili, nella piena conoscenza che l'informazione poteva essere usata malamente e che una pace vendicativa imposta dalla Lega sarebbe stata poco diversa da una vittoria incondizionata di Enro. In cambio, richiedere l'accettazione di emigranti venusiani. 4) Abbandonare Venere. Gosseyn ritornò a bordo del caccia, e fu fatto il terzo tentativo di superare le difese. Gli sarebbe piaciuto rimanere a bordo, ma la stessa Leej rifiutò la sua presenza. — Una sola confusione, e saremmo perduti. Potete garantire che non ve ne saranno? Gosseyn non poteva. Aveva un controllo solo fino a un certo punto della sua nuova capacità di predire il futuro, per quanto concerneva le confusioni.
— Ma supponiamo che vi sia una confusione mentre sono a terra? — chiese. — Sarebbe nella vostra portata. — Ma voi non c'entrereste — osservò Leej. — Tutto questo ha i suoi limiti, come vi ho detto. L'abilità di Leej non sembrò avere molti limiti quando l'Y381907 si materializzò cinque chilometri al di sopra della base galattica su Venere, e si tuffò ad angolo attraverso l'atmosfera. Un attimo dopo fu seguita da una fila di torpedini. Sfrecciò come una stella filante dentro e fuori l'atmosfera del pianeta, quasi sempre invisibile tranne che per le immagini del suo volo spasmodico che apparivano sullo schermo. Una dozzina di volte le torpedini atomiche esplosero dove il caccia si era trovato un istante prima, ma ogni volta la nave si trovava oltre i limiti dell'esplosione. Dopo un'ora di inutile caccia, il Comando Centrale Robotico ordinò a tutte le unità robot di interrompere la caccia. Gosseyn si similarizzò a bordo della nave, sostituì ai comandi la stanchissima Leej, e fece atterrare la nave nel cortile dell'Industria Militare. Non fece commenti con nessun venusiano. L'irruzione della nave parlava da sola.
I Profeti potevano passare attraverso difese robotiche. Più di tre ore dopo, mentre pranzavano, Leej si irrigidì improvvisamente. — Navi! — disse. Per qualche secondo rimase rigida, poi lentamente si rilassò. — Tutto bene — disse. — Sono state catturate. Questo avvenne circa quindici minuti prima che il Comando Robotico confermasse che cento e otto navi da guerra, comprese due corazzate e dieci incrociatori, erano state catturate da una forza concentrata di quindici milioni di robot capaci di controllare la mente. Gosseyn fece parte di una numerosa commissione che esaminò una delle corazzate. Gli ufficiali e gli uomini dell'equipaggio venivano allontanati il più rapidamente possibile. Nel frattempo, scienziati non-A studiavano i comandi della nave. Gosseyn si rivelò utile. Riferì a un grande numero di ufficiali le informazioni che aveva ottenuto circa il funzionamento del caccia. Poi, fece parecchi tentativi di utilizzare la sua nuova facoltà di predire il futuro, ma le immagini erano troppo instabili. Il rilassamento che aveva ottenuto doveva ancora essere incompleto. Ed era troppo occupato per fare altro che discutere brevemente del problema con il dottor Kair. — Credo che siate sulla buona strada — disse lo psichiatra. — Ma dovremo discuterne molto più
particolareggiatamente quando avremo più tempo. «Tempo» divenne una parola d'ordine durante i giorni seguenti. Si scoprì, in seguito ai colloqui — Leej aveva previsto la scoperta con un anticipo di ventiquattro ore — che non c'erano Profeti, con la flotta. Questo non mutava i piani venusiani. Un'inchiesta tra i venusiani indicò la convinzione generale che entro poche settimane sarebbe arrivata una seconda flotta, che avrebbe avuto a bordo dei Profeti, e che avrebbe potuto essere catturata nonostante la presenza dei veggenti di Yalerta. Non faceva differenza. Venere doveva essere abbandonata. Gruppi di scienziati lavoravano ventiquattro ore su ventiquattro, sistemando distorter ausiliari su ognuna delle navi catturate, simili a quelli che erano stati usati per mandare i Profeti da Yalerta alla flotta del Sesto Raggio. La cattura delle navi da battaglia del Massimo Impero rese possibile organizzare una catena di navi che si stendeva fino a ottocento anni luce dalla più vicina base della Lega, che distava poco più di novemila anni luce. Oltre quel punto fu stabilita una comunicazione per visifono. L'accordo con la Lega sì rivelò sorprendentemente facile. Un sistema planetario che fra poco avrebbe raggiunto la
produzione giornaliera di dodici milioni di unità robotiche di difesa di tipo nuovo faceva molta impressione anche al rigido Madrisol. Una flotta di milleduecento navi della Lega usò la catena di astronavi catturate per piombare verso Gela. I quattro pianeti di quel sole furono sopraffatti in quattro ore, e così ulteriori attacchi da parte delle forze di Enro furono impediti, almeno fino a che Enro non fosse riuscito a riconquistare la sua base. Non faceva differenza: per i venusiani, i membri della Lega erano pericolosi quasi quanto Enro. Finché i non-A erano su un solo pianeta, erano alla mercé di coloro che li avrebbero temuti perché erano diversi: alla mercé, quindi, di persone che presto avrebbero giustificato l'esecuzione di milioni di altri nevrotici come loro, e che avrebbero scoperto come le nuove armi loro offerte non erano invincibili. La reazione a tale scoperta non poteva essere prevista. Poteva non significare nulla. Oppure, tutti i benefici derivati dalle unità di difesa potevano essere tenuti in scarsa considerazione, se non raggiungevano la perfezione assoluta così cara ai non integrati. I non-A non accennarono alle possibili debolezze dei mezzi da loro offerti durante le conferenze nelle quali fu deciso
che da duecento a duecentomila individui sarebbero stati mandati immediatamente su ciascuno di diecimila pianeti della Lega. Già mentre i particolari venivano discussi, incominciò lo spostamento delle famiglie. Gosseyn assistette alla migrazione con sentimenti diversi. Non dubitava che fosse necessario, ma, dopo aver fatto quella concessione, la logica finiva e cominciava il sentimento. Venere abbandonata. Era difficile credere che duecento milioni di persone avrebbero dovuto spargersi in luoghi lontanissimi della Galassia. Non dubitava che questo avrebbe offerto loro una sicurezza collettiva. Alcuni individui potevano venir travolti dalla catastrofe mentre altri pianeti venivano distrutti nella guerra delle guerre. Era possibile, sia pure vagamente, che qualcuno avrebbe sofferto danni, su pianeti qua e là. Ma sarebbero state eccezioni, non la regola. Erano troppo pochi per essere considerati pericolosi, e ogni non-A avrebbe studiato la situazione locale e avrebbe agito di conseguenza. Ora, dovunque vi sarebbero stati uomini e donne non-A nel pieno splendore della loro forza integrata, non più isolati in un solo gruppo su un solo sistema stellare. Gosseyn selezionò parecchi gruppi diretti a pianeti relativamente vicini, e andò con loro per mezzo dei distorter, e controllò
che giungessero sani e salvi a destinazione. In ogni caso, i pianeti che raggiunsero erano governati democraticamente: furono assorbiti da popolazioni che, in maggioranza, non avevano neppure conosciuto la loro esistenza. Gosseyn poté seguire soltanto qualche gruppo, a casaccio. Più di centomila pianeti accoglievano quei profughi straordinari, e sarebbero occorse migliaia di vite per seguirli tutti. Un mondo veniva evacuato, ad eccezione d'un nucleo di un milione di persone, che rimaneva. Il ruolo di coloro che rimanevano era agire come nucleo per i miliardi di abitanti della Terra che non sapevano quanto era accaduto. Per loro il sistema di addestramento non-A sarebbe continuato come se non vi fosse stata alcuna migrazione. I fiumi di viaggiatori non-A che si dirigevano verso i trasmettitori a distorsione si ridussero a ruscelli, poi a rigagnoli. Prima che gli ultimi emigranti fossero partiti, Gosseyn andò a New Chicago, dove una corazzata catturata, ribattezzata "Venere", veniva preparata per portare nello spazio lui, il comandante Free, Leej e un equipaggio di esperti tecnici non-A. Entrò in una città virtualmente deserta. Solo le fabbriche,
che non erano visibili, e il Centro Militare erano in fiammante attività. Elliot accompagnò Gosseyn sulla nave, e gli fornì le ultime informazioni. — Non abbiamo saputo nulla della battaglia, ma probabilmente le nostre unità stanno entrando solo ora in azione. — Sorrise e scosse il capo. — Dubito che qualcuno si prenderà il disturbo di fornirci particolari. La nostra influenza si indebolisce costantemente. L'atteggiamento nei nostri confronti è un misto di tolleranza e di impazienza. Da una parte riceviamo una pacca sulle spalle per aver inventato armi che, in maggior parte, sono considerate decisive, anche se non lo sono. Dall'altra parte, ci danno una spinta e ci ricordano che siamo un piccolo popolo, privo di importanza, e che dobbiamo lasciare i particolari a coloro che sono esperti negli affari galattici. Fece una pausa, divertito ma serio. — Lo sappiano o no — disse, — quasi ogni non-A cercherà di influenzare la conclusione della guerra. Naturalmente, non vogliamo che la Galassia si divida in due gruppi che si odiano con violenza. Gosseyn annuì. I capi galattici dovevano ancora scoprire — e forse non l'avrebbero scoperto mai, perché era un processo troppo sottile — che ciò che aveva fatto un non-A
come Eldred Crang sarebbe stato presto moltiplicato per duecento milioni. Il pensiero di Eldred Crang ricordò a Gosseyn una domanda che da molti giorni aveva intenzione di formulare. — Chi ha creato i meccanismi robotici? — L'Istituto di Semantica Generale, sotto la direzione del defunto Lavoisseur. — Capisco. — Gosseyn tacque per un momento, pensando alla domanda successiva. Finalmente disse: — Chi ha diretto la vostra attenzione sulla particolare linea che poi si è rivelata così eccellente? — Crang — disse Elliot. — Lui e Lavoisseur erano ottimi amici. Gosseyn aveva ottenuto la sua risposta. Cambiò argomento. — Quando partiamo? — chiese. — Domattina. — Bene. La notizia gli portò un senso di eccitazione positiva. Per intere settimane era stato troppo occupato per pensare, eppure non aveva mai dimenticato che individui come il Seguace ed Enro erano forze di cui si doveva tener conto.
E c'era il problema anche più grave dell'essere che aveva similarizzato la sua mente nel sistema nervoso di Ashargin. Molte cose vitali rimanevano ancora da fare. CAPITOLO 18
"Nell'interesse della sanità mentale, ricordate: «La carta topografica non è il territorio, la parola non è la cosa che descrive». Quando la carta topografica viene confusa con il territorio, nell'organismo si stabilisce un «turbamento semantico». Il turbamento continua fino a che non vengono riconosciute le limitazioni della carta". La mattina seguente, la poderosa corazzata si lanciò nell'oscurità interstellare. Oltre al suo equipaggio non-A, aveva a bordo centomila unità robotiche per il controllo delle menti. Su richiesta del dottor Kair, fermarono la nave dopo la prima interruzione. — Vi abbiamo studiato a intervalli — disse a Gosseyn, — anche se voi siete stato elusivo quanto nessun altro. Ma abbiamo ottenuto qualcosa. Tolse dalla borsa alcune fotografie, e le fece passare. — Questa immagine del cervello supplementare è stata presa una settimana fa.
Splendeva di milioni di finissime linee che si intersecavano. — E' acceso di eccitazione — disse il dottor Kair. — Quando considerate che una volta l'unico contatto con il resto del corpo e del tessuto cerebrale erano il sistema dei vasi sanguigni che lo alimentano e le connessioni nervose che influenzano direttamente il flusso del sangue… quando considerate questo, allora la condizione attuale del cervello supplementare è, in confronto, un'attività enorme. Si interruppe. — Ora — disse, — parliamo dell'ulteriore addestramento. I miei colleghi e io abbiamo pensato a ciò che ci avete detto, e abbiamo un consiglio da darvi. Gosseyn l'interruppe: — Prima, una domanda. Esitò. Ciò che stava per dire era in un certo senso irrilevante. Eppure, l'aveva avuto in mente fin dal suo colloquio con Elliot. — Chi — chiese, — ha dato le istruzioni per l'addestramento che ho ricevuto sotto Thorson? Il dottor Kair si accigliò. — Oh, tutti abbiamo dato dei suggerimenti, ma secondo me il contributo più importante fu dato da Eldred Crang. Ancora Crang! Eldred Crang, che sapeva come addestrare i cervelli supplementari; che aveva trasmesso
messaggi di Lavoisseur prima della morte di quel primo, più vecchio corpo di Gosseyn… il problema di Crang veniva alla ribalta all'improvviso, più complesso che mai. In breve, obiettivamente, tracciò un profilo del caso di Crang. Quando ebbe finito, il dottor Kair scosse il capo. — Crang venne da me a farsi visitare poco prima di partire da Venere. Si chiedeva se la tensione incideva su di lui. Posso dirvi che è un normale non-A senza speciali facoltà, sebbene i suoi riflessi e la sua integrazione siano a un livello quale io ho veduto solo un paio di volte nella mia carriera di psichiatra. — E' sicuro che non avesse un cervello supplementare? — chiese Gosseyn. — E' sicuro. — Capisco — disse Gosseyn. Era un'altra porta che si chiudeva. Aveva sperato che fosse Eldred Crang il giocatore che aveva similarizzato la sua mente nel corpo di Ashargin. La possibilità non veniva eliminata dal quadro, ma sembrava necessaria una diversa spiegazione. — C'è un punto che abbiamo già discusso — disse una psichiatra, — ma che forse il signor Gosseyn non conosce. Se Lavoisseur diede a Crang il metodo per addestrare i
cervelli supplementari, e se ora risulta che quel metodo non è ottimo, dobbiamo credere che i corpi di LavoisseurGosseyn furono addestrati in un modo che ci pare inefficiente? — E concluse, serenamente: — La morte di Lavoisseur sembra indicare che egli non avesse la facoltà della preveggenza, eppure voi siete già sull'orlo di questa e di altre facoltà. Il dottor Kair disse: — Possiamo discutere più tardi questi particolari. Ora vorrei che Gosseyn tentasse un esperimento. Quando ebbe spiegato ciò che voleva, Gosseyn disse: — Ma è a diciannovemila anni luce di distanza! — Tentate — incalzò lo psichiatra. Gosseyn esitò, poi si concentrò su una delle sue aree memorizzate nella sala comando del vagone volante di Leej. Vacillò in preda alla vertigine; lottò contro la nausea. Poi guardò gli altri, sbalordito. — Questa doveva essere una similarità di poco inferiore al ventesimo decimale. Credo di riuscire se tento ancora. — Tentate — disse il dottor Kair. — E che farò, se arriverò là? — Osservate la situazione. Vi seguiremo fino alla base più
vicina. Gosseyn annuì. Questa volta chiuse gli occhi. La mutevole immagine dell'area memorizzata venne, nitida e chiara. Quando aprì gli occhi, era sul vagone volante. Non si staccò immediatamente dall'area del suo arrivo, ma rimase ritto, raccogliendo impressioni. C'era un quieto flusso neurale dalle zone più vicine della nave. Gli schiavi, pensò, erano ancora al lavoro. S'incamminò e guardò fuori. Erano sull'aperta campagna. Sotto, si stendeva una pianura. Lontano, a destra, intravide lo scintillio dell'acqua. Mentre guardava, perdette di vista il mare, intanto che la nave avanzava. Questo gli diede un'idea. Si chinò sui comandi, e si raddrizzò quasi immediatamente non appena vide come erano regolati. Il vagone volante stava ancora seguendo la rotta circolare che aveva stabilito prima del suo tentativo, riuscito, dì impadronirsi del caccia. Non tentò di modificare la rotta. Poteva darsi che la nave fosse stata manomessa, anche se sembrava non essere stata toccata. Fece un sondaggio per cercare il flusso magnetico, ma
non trovò nulla di insolito. Rilassò la propria mente, e cercò di vedere cosa stava per succedere. Ma l'unica immagine della sala comando che poté ottenere non mostrò la presenza di alcuno. Questo gli propose la domanda: — Dove andrò, ora? Doveva tornare sulla corazzata? Sarebbe stato una perdita di tempo. Provò l'impulso di sapere quanto tempo gli era occorso per arrivare su Yalerta, ma pensò che avrebbe potuto controllare più tardi. Si preparavano grandi eventi. Uomini e donne per la cui salvezza si sentiva in parte responsabile erano in pericolo: Crang, Patricia, Nirene, Ashargin… Un dittatore doveva essere spodestato, una grande macchina bellica doveva essere fermata con ogni mezzo. Bruscamente, prese una decisione. Giunse nel Rifugio del Seguace nell'area memorizzata, davanti alla porta della centrale elettrica. Raggiunse il piano superiore senza incidenti, e si fermò per chiedere a un uomo la strada per l'appartamento del Seguace. — Sono qui per un appuntamento — spiegò, — e ho fretta. Il servo si mostrò comprensivo. — Siete venuto per la strada sbagliata — disse. — Ma se seguirete quel
corridoio laterale arriverete in una grande anticamera. Lì vi diranno cosa dovrete fare. Gosseyn non pensava che qualcuno gli avrebbe potuto dire ciò che voleva sapere. Ma giunse a una stanza che non era vasta come aveva immaginato, e così ordinaria che si chiese se era giunto davvero nel luogo che cercava. Alcune persone stavano sedute su divani, e davanti a lui c'era un lungo cancelletto di legno dietro il quale stavano otto scrivanie. Ad ogni scrivania c'era un uomo che svolgeva evidentemente mansioni di impiegato. Dietro le scrivanie c'era un ufficio chiuso da vetrate, in cui stava una scrivania più grande. Quando varcò il cancelletto, alcuni impiegati si alzarono dalle sedie, quasi per protestare. Gosseyn li ignorò. Continuava a spostare il filo nella sala comando del vagone volante, e voleva entrare nell'ufficio a vetri prima che Yanar si accorgesse di lui. Aprì la porta e la chiuse dietro di sé prima che il Profeta si accorgesse di lui. L'uomo alzò la testa con un sussulto. Dietro Yanar c'era un'altra porta, e Gosseyn vi si diresse. Con un balzo, Yanar scattò in piedi e gli sbarrò la strada, con aria di sfida. — Dovrete uccidermi, prima di potere entrare.
Gosseyn si fermò. Aveva già esaminato con il cervello supplementare la stanza dietro quella porta. Non ne veniva alcun impulso di vita. Non era una prova definitiva che non fosse occupata. Ma la sua sensazione incalzante si affievolì notevolmente. Guardò severamente Yanar. Non aveva intenzione di ucciderlo, specie poiché aveva molti altri modi di trattare con il Profeta. Inoltre, era curioso. Molte domande lo turbavano, da tempo. Disse: — Eravate a bordo della nave di Leej come agente del Seguace? — Naturalmente. — Yanar alzò le spalle. — Immagino che intendiate dire: «In che altro modo era possibile che la nave vi aspettasse?» Yanar annuì, cauto. I suoi occhi erano attenti. — Ma perché permetterci di fuggire? — Il Seguace considerava troppo pericoloso lasciarvi qui. Voi avreste potuto rovinargli il Rifugio. — E allora perché portarmi a Yalerta? — Voleva che voi foste in un luogo dove i Profeti potessero
seguire le tracce dei vostri movimenti. — Ma non servì? — Esatto. "Non servì". Gosseyn fece una pausa, a questo punto. Nelle risposte c'erano sottintesi che lo sbalordivano. Ancora una volta fissò il Profeta, più severamente. Aveva in mente altre domande, specie riguardo a Leej. Ma non importava. Leej si era dimostrata una persona fidata, e i particolari potevano aspettare. Questo sistemò tutto. Similarizzò Yanar nella cella che lui stesso, Leej e Jurig avevano occupato alcune settimane prima. Poi aprì la porta ed entrò nella stanza che secondo lui era l'ufficio del Seguace. Come aveva intuito, era deserta. Si guardò intorno, incuriosito. Una scrivania enorme era di fronte alla porta. C'erano schedari contro la parete di sinistra, e un sistema complesso, e leggermente diverso dal solito, di meccanismi a distorsione alla sua destra. Sollevato e deluso, Gosseyn studiò la prossima mossa.
Yanar era tolto di mezzo. Non che importasse molto. Quell'uomo era una seccatura; non un pericolo. Si avvicinò agli schedari. Erano chiusi da serrature magnetiche, ma fu il lavoro d'un attimo aprire ogni circuito con il cervello supplementare. Uno dopo l'altro i cassetti si schiusero, al suo tocco. Le schede erano di plastica, simili alla guida del palazzo che Nirene gli aveva mostrato mentre era nel corpo di Ashargin. L'equivalente di decine di pagine a stampa era impresso su strati successivi di molecole. Ogni «pagina» appariva non appena la striscia indice veniva smossa. Gosseyn cercò e trovò una lastra che recava il suo nome. C'erano quattro pagine stampate: il resoconto era molto obiettivo, e per lo più spiegava particolareggiatamente che cosa era stato fatto, in rapporto a lui. La prima annotazione diceva: «Trasferito da GE-4408C.» Sembrava indicare un'altra scheda. Seguiva un riferimento al suo addestramento sotto Thorson con l'annotazione: «E' stato impossibile scoprire gli individui che hanno partecipato all'addestramento, che è stato scoperto troppo tardi perché fosse possibile impedirlo.» C'erano parecchi riferimenti a Janasen, poi una descrizione del sistema a distorsione usato per trasportare
Gosseyn dall'appartamento di Janasen su Venere. «Questo meccanismo è stato costruito dalle stesse persone che hanno fatto per me F., in modo che sembri un comune tavolo da cottura». Questo era stampato, ma c'era un'annotazione a mano, sul margine: «Molto astuto». Gosseyn lesse le quattro pagine con un senso di delusione. Aveva immaginato di trovare qualche riferimento che spiegasse ciò che era accaduto tra lui e il Seguace. Ma il resoconto era troppo breve e prosaico. In fondo alla quarta pagina c'era una nota: «Vedere Ashargin.» Gosseyn controllò la scheda di Ashargin. Questa era più lunga. Nelle prime pagine si parlava principalmente della vita di Ashargin dal momento in cui era arrivato al Tempio del Dio Dormiente. Solo all'ultima pagina c'era un riferimento importante: il commento era breve: «Interrogato da Enro con l'apparecchio della verità, Ashargin ha fatto parecchi riferimenti a Gilbert Gosseyn.» E accanto, a mano, c'era scritto: «Indagare». Il paragrafo finale su Ashargin diceva: «Il matrimonio forzato tra il principe e Donna Nirene sembra essersi risolto in un rapporto di fatto.
Il cambiamento di quest'uomo richiede un'indagine urgente, anche se Enro sta per convincersi che un Ashargin disposto a collaborare sarebbe prezioso anche dopo la guerra. I Profeti hanno visto la sua condotta come esemplare per le prossime tre settimane.» Non si indicava quando fossero cominciate le tre settimane, e non c'era menzione del viaggio a Venere, né alcuna dichiarazione definitiva sul fatto che Ashargin fosse ritornato a palazzo. Gosseyn rimise la scheda nel cassetto e continuò ad ispezionare la stanza. Trovò una stretta porticina costruita nei pannelli del distorter: portava a una piccola camera da letto che conteneva un solo mobile, un letto ben preparato. Non c'erano armadi, ma c'era un piccolo bagno. Una dozzina di asciugamani erano appesi a un portasciugamani di metallo molto semplice. Il Seguace, se questa era davvero la sua camera privata, non si concedeva lussi. Occorse quasi tutto il giorno per esplorare il Rifugio. L'edificio non aveva caratteristiche insolite. C'erano quartieri per gli schiavi, parecchie sezioni occupate da impiegati, la centrale elettrica nel sotterraneo, e un'ala adibita a prigione.
Gli impiegati e gli addetti alla centrale vivevano in villette lungo la costa, piuttosto lontano dall'edificio principale. Yanar e altri cinque Profeti avevano appartamenti che davano su un unico corridoio. In fondo all'edificio c'era un hangar abbastanza grande per ospitare una dozzina di vagoni volanti. Quando Gosseyn vi guardò, c'erano sette grandi apparecchi e tre piccoli aerei. Questi erano del tipo che l'avevano attaccato quando era fuggito dalla prigione. Nessuno lo ostacolò. Si mosse a volontà negli edifici e sull'isola. Nessuno pareva avere l'autorità o la voglia di dargli fastidio. Una simile situazione non era mai esistita prima sull'isola, probabilmente, e a quanto pareva tutti aspettavano che il Seguace comparisse e facesse qualcosa in proposito. Anche Gosseyn aspettava, in preda a qualche dubbio, ma con la ferma decisione di non andarsene. Voleva agire, e sentiva che gli eventi precipitavano più rapidamente di quanto indicasse la sua esistenza quasi passiva nel Rifugio. Aveva fatto i suoi piani, ed ora doveva soltanto attendere l'arrivo della corazzata. La prima notte dormì nella camera da letto contigua all'ufficio del Seguace.
Dormì pacificamente, mentre il suo cervello supplementare era regolato in modo di reagire a qualsiasi attività dell'attrezzatura a distorsione. Non aveva ancora accertato se il Seguace manovrasse la sua strana forma d'ombra per mezzo della distorsione, ma ogni evidenza sembrava indicare quella direzione. E sapeva cosa intendeva fare per provare la validità o la falsità di quella teoria. La mattina dopo si similarizzò nel vagone volante di Leej, fece colazione circondato dalle tre cameriere ansiose di soddisfare ogni suo cenno. Sembravano stupite della sua cortesia. Gosseyn non aveva il tempo di insegnare loro il rispetto di se stesse. Finì il pasto e si mise al lavoro. Per prima cosa arrotolò il tappeto del salotto. Poi cominciò a staccare le lastre metalliche del pavimento, nel punto in cui ricordava d'aver visto il Seguace materializzarsi a bordo della nave. E trovò il distorter all'incirca dove aveva sospettato che fosse. Questo era convincente. Ma verificò anche nella cella in cui era stato imprigionato al suo arrivo a Yalerta. Yanar lo guardò ad occhi sbarrati attraverso l'inferriata, mentre lui spezzava la branda metallica e vi trovava un altro distorter.
Senza dubbio, il quadro si faceva più nitido, più chiaro. E la crisi doveva essere vicina. La seconda notte passò tranquillamente, come la prima. Gosseyn trascorse il terzo giorno frugando tra le schede. C'erano due pagine su Secoh che lo interessavano perché le informazioni che contenevano non facevano parte dei ricordi di Ashargin. Le quarantasette pagine su Enro erano divise in paragrafi, ma si limitavano a confermare ciò che già sapeva, con molti particolari in più. Madrisol era schedato come un uomo ambizioso e pericoloso. Il Grande Ammiraglio Paleol era descritto come un omicida. «Un carattere implacabile,» aveva scritto il Seguace, il che era un grande tributo, da parte d'una persona che aveva a sua volta caratteristiche di implacabilità. Indagò solo sui nomi che conosceva, e controllò qualche richiamo. Sarebbe occorsa una schiera di esperti per studiare le decine di migliaia di schede e per farne un rapporto completo. Il quarto giorno abbandonò le schede e studiò un piano da seguire, per lui e per la corazzata. Era uno spreco di tempo, per lui e per l'astronave, andarsene a spasso per la Galassia mentre invece il suo scopo, come lo scopo di Elliot e degli altri, era quello di arrivare a Gorgzid.
Scrisse: «Enro ha garantito il suo pianeta patrio distribuendo le matrici per la base di Gorgzid con un sistema così rigoroso che è altamente improbabile impadronirsi di una di esse con metodi normali. «Ma un uomo dotato d'un cervello supplementare dovrebbe essere in grado di impadronirsi d'una matrice…» Raggiunse questo punto del suo riassunto quando il relè si chiuse nel suo cervello, ed egli seppe che la corazzata si era similarizzata facendo una interruzione vicino alla base a millecento anni luce di distanza. Gosseyn fece istantaneamente il balzo per ritornare sulla "Venere". — Dovete esservi similarizzato dalla nave a Yalerta in poco più di un'ora — calcolò il dottor Kair. Non potevano stabilirlo con esattezza. Ma la rapidità era tanto maggiore, il margine d'errore era tanto piccolo rispetto alle novanta e passa ore che la corazzata aveva impiegato per il viaggio, che il tempo contava poco. Un'ora dopo. Impressionato, percorse una trentina di metri, diretto verso l'imponente cupola trasparente della sala comando della corazzata. Non era un uomo cui doveva essere spiegata l'immensità dello spazio, e questo rendeva le nuove capacità del suo cervello supplementare anche più tremende.
L'oscurità premeva contro il vetro. Non sentiva un particolare senso di distanza per le stelle che vedeva. Erano minuscoli punti lucenti a poche centinaia di metri. Quella era l'illusione: la vicinanza. Ed ora, per lui erano vicine. In cinque ore e mezzo, poteva similarizzarsi attraverso l'ampiezza di centomila anni luce di quella rotante galassia di duecentomila milioni di soli… se avesse avuto un'area memorizzata su cui puntare. Elliot lo raggiunse; gli porse una matrice, e Gosseyn la prese. — Farò meglio a muovermi — disse. — Non mi sentirò bene fino a che quegli schedari non saranno a bordo della "Venere". Controllò, per accertarsi che la matrice fosse nella fenditura, poi si similarizzò nell'ufficio del Seguace. Tolse la matrice dalla custodia, e la posò sulla scrivania. Sarebbe stato un peccato se la corazzata si fosse similarizzata sulla matrice, ma a bordo c'era Leej per fare sì che l'interruzione operata dalla nave verso Yalerta impedisse un balzo completo. Come aveva previsto, la "Venere" giunse sull'isola meno di tre ore dopo. Atterrarono gruppi di studio, e Gosseyn salì a bordo per tenere una riunione.
Con sua sorpresa, il dottor Kair non aveva deciso né esperimenti né addestramenti. — Useremo l'ergoterapia — spiegò lo psichiatra. — Vi addestrerete con l'azione. E spiegò, brevemente. «Per parlare con franchezza, Gosseyn, l'addestramento richiederebbe tempo, e voi state andando benissimo. Il vantaggio che sembrate avere su Lavoisseur è che voi avete scoperto che occorreva fare altre cose, e avete tentato di farle. Sembra certo che egli non sapesse nulla dei Profeti, o ne avrebbe parlato a Crang. Di conseguenza, non ebbe mai ragione di credere di potersi addestrare per prevedere il futuro.» Gosseyn disse: — Questo significa che io devo tornare immediatamente indietro, e poi usare il distorter nell'ufficio del Seguace. C'era un'altra cosa che doveva fare, e la fece nel momento in cui si trovò di nuovo nel Rifugio. Similarizzò Yanar in un'area memorizzata sull'isola di Crest. Compiuto quel dovere umanitario, si unì al gruppo che studiava il sistema a distorsione del Seguace. I risultati erano già interessanti. — E' il complesso più progredito che abbiamo veduto
sinora — disse uno dei non-A. — Il più complicato. Alcuni dei circuiti stampati nell'interno richiederanno tempo per essere individuati. Avevano già deciso di lavorare sull'assunto che i distorter del Seguace operassero su una base superiore a venti decimali. — Quindi rimarremo su Yalerta per un po', e vi daremo la possibilità di ritornare. Inoltre, dovremo aspettare la corazzata di Enro di cui avete parlato. Ormai dovrebbe arrivare da un giorno all'altro. Gosseyn ammise che perlomeno lo scopo finale era importante. Era di vitale importanza che non venissero mandati altri Profeti alla flotta di Enro. Non era molto sicuro che avrebbero dovuto aspettare il suo ritorno. L'azione che stava per intraprendere poteva divenire complessa, e poteva richiedere uno sforzo prolungato. Eppure, solo il viaggio attraverso il distorter avrebbe richiesto tempo. Ora poteva essere certo di similarizzarsi di nuovo alla nave con un minimo errore di tempo, per ritornare poi nel luogo in cui era in precedenza. Tutti erano convinti che non vi fosse tempo da perdere, e che un esame accurato degli strumenti avrebbe richiesto un certo tempo.
Ancora una volta, Gosseyn fu d'accordo. La sua ispezione gli aveva mostrato che i pannelli erano divisi in due sezioni. In una sezione c'erano tre distorter, con controlli che potevano essere regolati su qualunque schema. La seconda sezione conteneva un solo strumento. Il suo comando era un unico tubo sporgente, che poteva essere spinto o tirato per mezzo d'una piccola leva. In passato aveva scoperto che tali distorter a comando singolo erano similarizzabili alla destinazione di cui avevano una matrice permanente. Si augurò che questo fosse sintonizzato sul vero quartier generale del Seguace. Tirò la leva senza esitazione. Gosseyn non si mosse subito dopo che l'oscurità fu scomparsa. Era in una grande sala, dalle pareti coperte di libri. Da una porta semiaperta poteva vedere l'orlo di un letto. Lasciò che il suo cervello supplementare si rendesse conto della vita nell'edificio. Era intensa, ma pareva a un livello quieto e pacifico. Da quanto poté capire, non c'era nessuno nella stanza vicina. Il suo sguardo girò rapidamente intorno. Vide che il distorter su cui era stato similarizzato era uno di due,
disposti ad angolo retto fra loro, in un cantone. Questo sembrava completare il quadro generale. Memorizzò un'area del pavimento ai suoi piedi, poi andò a prendere uno dei libri dallo scaffale. Era stampato nella lingua di Gorgzid. Questo gli diede un attimo di esaltazione, ma poi pensò: «Questo non significa necessariamente che io sia su Gorgzid. Molte persone, nel Massimo Impero, possono avere libri stampati nella lingua del pianeta capitale». In quell'istante il suo pensiero si fece attento. Fissò il nome sul risvolto del libro, scosse il capo, e rimise il volume nello scaffale. Ma altri cinque volumi che scelse a casaccio avevano lo stesso nome sul risvolto. Era il nome di Eldred Crang. Gosseyn si accostò alla porta della camera da letto. Era perplesso, ma non molto preoccupato. Mentre camminava, avvertì la presenza di altre persone nella stanza accanto. Cautamente, socchiuse la porta. Un corridoio. Aprì di più la porta, la varcò, e la chiuse dietro di sé.
Se fosse stato necessario, avrebbe potuto ritrarsi alla velocità della similarizzazione. Ma non era certo di essere disposto a ritirarsi. Giunse in fondo al corridoio e si fermò. Di lì poteva vedere di spalle una persona che pareva Patricia Hardie. Poi lei parlò, e l'identificazione fu completa. Le sue parole non avevano importanza, e non ne avevano le risposte di Crang. Ciò che importava era che fossero dove erano, e che nella libreria vicina alla loro camera da letto vi fosse un distorter collegato con il Rifugio del Seguace su Yalerta. Era una scoperta sbalorditiva, e Gosseyn decise di non affrontare la coppia fino a che non ne avesse discusso con Elliot e con gli altri. Ma non era pronto a lasciare Gorgzid. Tornò nella biblioteca ed esaminò il secondo distorter. Come quello del Rifugio del Seguace, aveva un singolo comando. Sembrava logico scoprire fin dove poteva portarlo. Premette la leva. Emerse in ciò che sembrava un piccolo magazzeno. C'erano mucchi di casse metalliche in un angolo, e molti scaffali. Una porta chiusa pareva l'unico ingresso normale. Non vi era alcun distorter, eccetto quello da cui era uscito. Rapidamente, Gosseyn memorizzò un'area del pavimento, poi cercò di aprire la porta, che si aprì in un ufficio spoglio.
Una scrivania, due sedie e un tappeto completavano il quadro. Dietro la scrivania c'era un'altra porta. Gosseyn si fermò e cercò di aprire i cassetti della scrivania; erano chiusi a chiave, e non potevano essere aperti da un cervello supplementare senza l'uso di energia. La porta dell'ufficio si apriva su un corridoio lungo tre metri, in fondo al quale c'era un'altra porta. Gosseyn la spalancò senza esitare, entrò, e si fermò. La grande camera che si stendeva davanti a lui era percorsa da un debole ronzio sonoro. A sei metri da una parete si stendeva uno stretto sperone. Era così abilmente integrato che pareva una proiezione della parete, un prolungamento ricurvo, invece della superficie piatta che avrebbe dovuto esservi normalmente. La curva più vicina del muro aggettato era trasparente, e splendeva d'una luce penetrante. Piccole scale portavano dal pavimento alla sommità della cripta del Dio Dormiente di Gorgzid. L'effetto fu diverso da quello che aveva provato attraverso gli occhi di Ashargin. Ora, con il suo cervello supplementare, sentì le correnti pulsanti di energia che
azionavano le macchine invisibili. Ne veniva una debole sensazione di forza vitale, un flusso neurale umano, lieve, continuo, quasi privo di variazioni di intensità. Gosseyn salì i gradini senza bisogno di Cerimonie della Contemplazione e guardò il Dio Dormiente di Gorgzid. La sua visione del viso e della cripta era diversa da quella di Ashargin, più nitida, più attenta. Vide cose alle quali i sensi più ottusi del principe erano stati ciechi. La «bara» era una struttura a molte sezioni. Il corpo era tenuto da una serie di braccia e mani minuscole, simili a morse. Ne riconobbe la funzione. Erano state progettate per tenere in esercizio i muscoli. Se il Dio Dormiente si fosse mai destato dal suo lungo sonno, non si sarebbe ritrovato debole e irrigidito, come si era ritrovato Gilbert Gosseyn dopo un mese di incoscienza a bordo del caccia Y-381907. La pelle del dormiente era sana. Il corpo appariva saldo e sano. Chiunque avesse stabilito la dieta, aveva avuto a disposizione un'attrezzatura ben diversa da quella che aveva potuto usare Leej a bordo del caccia. Gosseyn scese i gradini, ed esaminò la base della bara. Come aveva previsto, le scale si potevano rimuovere, i pannelli della base potevano spostarsi.
Li scostò, e rimase a guardare la macchina che c'era nell'interno. Quasi immediatamente capì di essere giunto al termine d'una pista. In tutti i suoi viaggi, a bordo delle navi più potenti del Massimo Impero, non aveva mai veduto una macchina simile a quella. Dopo averla osservata per un poco, scosse il capo, meravigliato. I circuiti erano stampati in disegni complessi, ma poté identificare più d'una dozzina di funzioni. Riconobbe un circuito a distorsione, un apparecchio della verità, un circuito robot e altri strumenti più semplici. Ma quel cervello elettronico aveva non meno di centoquarantasette circuiti principali, ciascuno dei quali era un'unità a sé, la cui superficie e il cui interno erano intessuti di molte migliaia di circuiti minori. Persino le armi robotiche, quasi umane, che Lavoisseur aveva affidato ai venusiani avevano soltanto ventinove sezioni principali. Gosseyn studiò attento il cervello artificiale. A quell'esame più dettagliato, parecchi dei fili risultarono bruciati. La scoperta lo allarmò, e in rapida successione vide molti altri segmenti danneggiati. In che modo uno strumento così ben costruito e protetto avesse potuto essere danneggiato non era facile capire, ma il risultato conclusivo era
inequivocabile. Sarebbe occorsa un'abilità immensa per riparare il macchinario e per destare il Dio Dormiente. Probabilmente non sarebbe stato un compito per lui: era un combattente di prima linea, non era un addetto al settore tecnico. Era tempo di ritornare alla corazzata. Si similarizzò, e arrivò sulla "Venere" in tempo per sentir squillare i campanelli d'allarme. Elliot spiegò che la battaglia era finita. — Quando i nostri robot sono entrati in azione, non credo abbiano neppure compreso che cosa li ha colpiti. Abbiamo catturato il personale al completo. Era una vittoria molto soddisfacente, per molte ragioni. La corazzata catturata era quella che Enro aveva mandato più di un mese prima per sostituire l'Y-381907. Era venuta per avviare nuove schiere di Profeti verso la flotta del Massimo Impero. Sarebbe occorso tempo perché un'altra nave la sostituisse. Era un risultato. Il secondo risultato, parve a Gosseyn, era più importante, se propriamente considerato. La "Venere" era libera di seguirlo a Gorgzid.
Nessun non-A trovò una spiegazione per il mistero di Eldred Crang. Elliot disse: — Possiamo solo presumere che non sapesse nulla dei Profeti, e perciò non fece dichiarazioni a un livello di previsione concreta. La vostra scoperta sembra indicare che Crang sia più al corrente degli avvenimenti di quanto sospettassimo. Poco tempo dopo, Gosseyn ricevette un'altra matrice, ed Elliot gli disse: — Partiremo subito, e vi rivedremo fra tre giorni. Gosseyn annuì. Intendeva esplorare il Tempio del Dio Dormiente più particolareggiatamente. — Voglio vedere se il motore atomico è ancora funzionante. Forse potrò portare l'intero tempio nello spazio. — E sogghignò. — Lo considererebbero come un segno che il dio disapprova la loro aggressione. E concluse, più seriamente: «Ad eccezione di questo, me ne starò tranquillo finché non arriverete voi». Prima di lasciare la nave, cercò il dottor Kair. Lo psichiatra gli accennò di sedersi, ma Gosseyn rifiutò. Rimase ritto, aggrondato, poi disse: — Dottore, in fondo a questa pista c'è qualcosa che potrebbe essere completamente diverso da ciò che ci aspettavamo. Ho qualche idea nebulosa… — Fece una pausa, poi: —
Per due volte, ormai, la mia mente è stata similarizzata nel corpo del principe Ashargin. In apparenza, si direbbe che qualcuno mi abbia aiutato ad osservare la scena degli eventi, e sono quasi disposto ad accettare questa spiegazione. «Ma perché attraverso gli occhi di Ashargin? Perché quell'uomo è necessario?» «Vedete, si tratta di questo: se è possibile mettere la mia mente nel corpo di altre persone, perché non sono stato messo nel corpo di Enro? Con Enro sotto il mio controllo, credo che potrei porre fine alla guerra. Schioccò le dita. «La logica di tutto questo sembra così stretta che io posso solo concludere che noi stiamo osservando il quadro da un angolo errato. Deve esservi un'altra risposta, probabilmente una risposta anche più grande di questa guerra». Rimase ritto, aggrondato, poi tese la mano. Il dottor Kair gliela strinse, in silenzio. Gosseyn si allontanò, e, sempre stringendo la matrice, si similarizzò nel piccolo magazzino nel Tempio del Dio Dormiente, su Gorgzid. Mentre usciva dall'oscurità, si rese conto, con talamico
senso di frustrazione, che stava per destarsi nel corpo del principe Ashargin… per la terza volta in alcuni mesi. CAPITOLO 19
"Nell'interesse della sanità mentale, ricordate: Primo viene l'evento, lo stimolo iniziale; secondo è l'impatto nervoso dell'evento, attraverso i sensi; terza è la reazione emotiva basata sull'esperienza passata dell'individuo; quarta viene la reazione verbale. Molti individui identificano la prima e la quarta fase, e non sono consci dell'esistenza della seconda e della terza". — E' ora di pranzo — disse Nirene. Gosseyn-Ashargin si alzò; si incamminarono insieme lungo il corridoio. Il suo viso era pensoso, e quando lei gli strinse leggermente il braccio, sembrò un gesto automatico. Ma la natura inconscia di quel gesto mise in risalto, agli occhi di Gosseyn, ciò che aveva già compreso dalla memoria di Ashargin: che quel matrimonio si era trasformato in un vero rapporto d'affetto. — Non sono sicura — disse Nirene, — che il privilegio di sedere alla tavola reale mi piaccia molto. Non riesco a decidere se sono stata promossa o no. — Gosseyn-Ashargin non rispose. Stava pensando al corpo
di Gilbert Gosseyn nel magazzino del Tempio del Dio Dormiente. Da un momento all'altro, Secoh poteva entrare e scoprirlo. Davanti a quel fatto, la vita privata del principe Ashargin e della principessa diventava insignificante. Né Enro né Secoh erano presenti al pranzo, il che non fece sentire meglio Gosseyn. Immaginò il Supremo Guardiano che decideva di trascorrere quella notte decisiva al Tempio. Non aveva dubbi su ciò che doveva fare, ma i particolari assorbirono la sua attenzione durante quasi tutto il pranzo. Fu con l'impressione che qualcosa non andasse che alzò gli occhi all'improvviso e vide che le due donne erano molto pallide. Patricia stava dicendo: —… Non pensavo che sarei giunta a queste considerazioni, ma la possibilità d'una vittoria completa della Lega mi turba quasi quanto mi turbava il pensiero d'una vittoria incondizionata di mio fratello. Nirene disse: — La cosa più terribile, quando si è trascinati in una guerra contro la propria volontà, anche se vi si è scarsamente partecipi, è scoprire, alla fine, che il proprio destino è legato alle fortune di una fazione. Per un po', Gosseyn fu distratto dai suoi urgenti propositi privati. Sapeva ciò che pensavano, e doveva esservi stato
un autentico rovescio per colpirli così violentemente. La sconfitta sarebbe stato un disastro per tutti coloro che appartenevano al Massimo Impero. Vi sarebbero state umiliazioni, eserciti di occupazione, una spietata ricerca dei criminali di guerra, vendette che avrebbero mostrato scarsa o nulla comprensione per i possibili effetti sul sistema nervoso dei vinti e dei vincitori. Aprì le labbra per parlare, poi le richiuse, colpito da un pensiero improvviso. Se la situazione era veramente grave, allora quella poteva essere la spiegazione dell'assenza del dittatore. Prima che potesse dire qualcosa, ne ebbe la conferma. Patricia disse: — Enro è con la flotta. Hanno perduto quattro divisioni, e la battaglia del Sesto Raggio è interrotta, mentre studiano le contromisure. — E dov'è Secoh? — chiese Gosseyn. Nessuno lo sapeva, ma Crang gli diede un'acuta occhiata interrogativa. Tutto ciò che disse, tuttavia, fu: — Naturalmente è importante che non vi sia una vittoria completa. La resa incondizionata è un'illusione. Gosseyn non esitò. Tanto valeva che sapessero i fatti. In breve, succintamente, senza rivelare la sua fonte di
informazione e senza descrivere le armi robotiche e il loro effetto, narrò loro quale poteva essere il probabile risultato della guerra. E concluse: — Tanto prima Enro si accorgerà di essere impegnato in una lunga guerra di logoramento, e farà o accetterà proposte di pace, tanto prima avrà la sicurezza che nessun incidente del destino provochi la completa rovina. E si alzò. «Se Enro torna prima di me, ditegli che voglio parlargli». Si scusò, e uscì rapidamente dalla sala. Giunto nel corridoio esterno, si diresse verso il tetto. Vicino alla scala erano fermi parecchi aerei. Prese posto ai comandi dell'apparecchio più vicino, e subito il cervello elettronico dell'aereo gli parlò attraverso un altoparlante. — Dove? — Oltre la montagna — disse Gosseyn. — Ti dirò dove andremo, poi. Si levarono in volo sulla città. All'impaziente Gosseyn parve che la distesa di luci sotto di lui non finisse mai. Finalmente cominciò l'oscurità, che ben presto fu generale, ad
eccezione di poche macchie luminose che punteggiavano l'orizzonte. Ancora una volta, il roboplano parlò: — Siamo sulle montagne. Dove andiamo? Gosseyn guardò giù. Non poteva vedere nulla. Il cielo era pieno di nubi, la notte nerissima. — Voglio atterrare su una piccola strada, a mezzo chilometro dal Tempio del Dio Dormiente — ordinò. La descrisse nei particolari, valutando la distanza dei vari gruppi d'alberi, e descrivendo la curva della strada sulla base dei ricordi di Ashargin. Il volo continuò in silenzio. Scesero nell'oscurità, si fermarono con un sussulto. La raccomandazione di Gosseyn, prima di allontanarsi, fu: — Torna qui ogni ora. Scese nella strada, percorse pochi passi, e si fermò. Poi attese che l'aereo compisse il suo quasi silenzioso decollo con un soffio d'aria e un lieve sibilo di energia, e si avviò lungo la strada. Era una notte calda e immobile. Non incontrò nessuno, ma questo se l'aspettava. Era una strada che Ashargin conosceva benissimo. Per mille e più notti come quella
aveva camminato, dai campi di patate fino alla sua branda in una delle capanne dei lavoratori. Raggiunse le ombre ancora più fonde del tempio e si fermò di nuovo. Per un lungo attimo ascoltò, per carpire rumori che indicassero una qualsiasi attività. Non vi era alcun rumore. Arditamente, ma con attenzione, spalancò la porta metallica, e si avviò per la stessa scala che aveva percorso durante la Cerimonia della Contemplazione. Raggiunse la porta del sacello interno senza incidenti, e scoprì, con sorpresa, che non era chiusa. La sorpresa durò solo per qualche momento. Aveva portato con sé uno strumento per forzare la serratura, ma era meglio non essere costretto a indurre le dita scarsamente coordinate di Ashargin a manovrarlo. Entrò, chiuse la porta dietro di sé, senza far rumore. La scena ormai familiare della cripta si stese davanti a lui. Rapidamente, entrò nel piccolo corridoio che portava all'ufficio privato del Supremo Guardiano. Davanti a quella porta si fermò di nuovo e ascoltò. Silenzio. Quando fu entrato, si diresse verso la porta del magazzino. Trattenne il respiro mentre guardava
nell'interno buio, e sospirò di sollievo quando vide il corpo disteso sul pavimento. Era arrivato in tempo. Ma ora il problema era quello di portare al sicuro il corpo privo di conoscenza. Per prima cosa nascose la matrice sotto una cassetta metallica, in uno degli scaffali superiori. Poi, prontamente, si inginocchiò accanto alla forma immobile, e controllò se era ancora viva. Udì il battito del cuore, e sentì il polso, sentì il calore del respiro lento e misurato dello svenuto Gosseyn. E fu una delle esperienze più strane della sua vita guardare il proprio corpo. Si rialzò, si chinò, e gli passò le mani sotto le ascelle. Trasse un profondo respiro, e tirò. Il corpo inerte si spostò di circa cinque centimetri. Aveva previsto di faticare a smuovere quel corpo, ma non fino a tal punto. Gli parve che la cosa più importante fosse cominciare a spostarlo. Tentò di nuovo, e questa volta riuscì meglio. Ma i muscoli cominciarono a dolergli mentre attraversava la piccola stanza, e quando fu sulla porta si fermò per riposare. Si fermò di nuovo, più a lungo, al termine del breve corridoio. Quando raggiunse la metà della cripta, circa venti minuti dopo, era così sfinito da provare le vertigini.
Aveva già deciso qual era l'unico luogo del tempio in cui poteva nascondere il pesante corpo. Ora cominciò a chiedersi se avrebbe avuto la forza di portarlo sin lì. Salì i gradini alla sommità della cripta. Di là, osservò il meccanismo della copertura; non le lastre trasparenti accanto al capo del dormiente, ma le sezioni traslucide lungo la bara che misurava otto metri. Le sezioni si aprirono. Era semplicissimo. Si aprirono, e rivelarono tubi e ricettacoli per altri tre corpi. Due di essi erano su scala lievemente più piccola dell'altro. A quella vista, la comprensione si accese in Gosseyn. I più piccoli erano fatti per ospitare delle donne. L'astronave era stata costruita per portare due donne e due uomini attraverso gli spazi interstellari e gli anni, tra sistemi stellari che non avevano stabilito fra loro il trasporto a similarità. Non sprecò tempo a riflettere sui sottintesi, ma piegò i muscoli nell'enorme sforzo di trascinare il corpo di Gosseyn su per i gradini, fin dentro la cripta. Non seppe quanto tempo fu necessario. Ogni tanto si riposava. Una decina di volte gli parve che Ashargin venisse sforzato oltre la capacità del suo fisico esile. Ma alla fine riuscì a sistemare il corpo, a legarlo. Lo legò perché lì doveva esservi un meccanismo per distruggere i
cadaveri. Parti di quella macchina dovevano essere così difettose che probabilmente erano prive d'una funzione operante in grado di spiegare loro quando un corpo era vivo. Questo poteva chiarire perché le donne e uno degli uomini non erano stati sostituiti. Era meglio prendere precauzioni. Richiuse il pannello, ridispose al loro posto i gradini, e stava accertandosi che non si vedesse la manomissione, quando udì un suono provenire dal ripostiglio. Si girò, teso. Entrò Eldred Crang. L'investigatore non-A si fermò, e si portò un dito alle labbra per invitarlo al silenzio. Avanzò, in fretta, spinse l'altra scala verso il fondo della cripta, e vi salì. Aprì i pannelli dietro i quali Gosseyn-Ashargin aveva posto il corpo di Gosseyn, guardò per parecchi secondi quel corpo, poi chiuse i pannelli, scese la scala, e la rimise dove era prima. Nel frattempo anche Ashargin era disceso. Crang lo prese per un braccio. — Mi dispiace — disse a voce bassa, — di non aver potuto aiutarvi a trascinarlo lassù. Ma non ero nel mio
appartamento quando la macchina mi ha mandato un avvertimento. Sono venuto non appena ho potuto per accertarmi… — e sorrise, … che voi lo nascondeste nel punto voluto. «Ma ora, presto, venite con me». Gosseyn lo seguì senza una parola. Non vi era stato un solo non-A a bordo della "Venere" che avesse dubitato dei moventi di Crang, e non era il caso di cominciare ora. La sua mente ribolliva di domande, ma era pronto ad accettare il sottinteso delle parole di Crang: era necessario affrettarsi. Corsero attraverso il piccolo ufficio ed entrarono nel ripostiglio. Crang si fece da parte quando giunsero al distorter: — Prima voi — disse. Uscirono nella biblioteca di Crang. Crang si incamminò frettoloso e poi, a metà strada, si fermò e si girò. Indicò il distorter attraverso il quale Gosseyn era giunto da Yalerta. — Dove porta? — chiese. Quando Gosseyn glielo disse, annuì. — Pensavo che fosse qualcosa di simile. Ma non potevo esserne certo. Il suo funzionamento dipende da comandi a distanza, che non ho mai potuto localizzare.
Era un'esperienza nuova per Gosseyn sentire Crang formulare una domanda circa qualcosa che non sapeva. Prima che Gosseyn potesse fare a sua volta una domanda, Crang disse: — Enro è assente da otto giorni, ma dovrebbe tornare da un momento all'altro. E' quanto abbiamo saputo poco dopo il pranzo. Quindi andate nella vostra camera più presto che potete… — Esitò, riflettendo sulle parole seguenti —… e dormite — concluse. — Presto, su! Nel salotto, Patricia disse: — Buona notte! Sulla porta, Crang disse, in fretta: — Riposatevi bene, questa notte. Dovete dormire! Gosseyn si avviò lungo il corridoio. Si sentiva stranamente stordito. E aveva l'impressione che fossero accadute troppe cose e troppo in fretta. Perché Crang si era accertato che il corpo di Gosseyn fosse nel luogo voluto, dopo essere stato avvertito da una macchina? Quale macchina? Ve ne era una sola di qualche importanza, da quanto poteva capire Gosseyn: il cervello elettronico danneggiato sotto la cripta. Crang aveva stabilito un controllo su quella macchina?
Sembrava di sì. Ma cosa intendeva dire, quando gli raccomandava di dormire? Scese due piani più sotto, si avviò per il corridoio che portava all'appartamento di Nirene e Ashargin, quando un'arma robotica venusiana afferrò il suo cervello. Ebbe il tempo di pensare, sbalordito, che non poteva essere la corazzata "Venere", guidata dai non-A. Non aveva avuto il tempo di arrivare. Poteva essere soltanto un attacco in grande stile della Lega. Ma come erano riusciti a passare? Il pensiero finì. Gosseyn lottò disperatamente per impedire che il corpo di Ashargin venisse controllato. CAPITOLO 20
"Nell'interesse della sanità mentale, ogni individuo dovrebbe spezzare i blocchi del suo sistema nervoso. Un blocco è un turbamento semantico nel quale è inibita una reazione adeguata. I blocchi possono essere spesso eliminati con un uso appropriato della «reazione ritardata» cortico-talamica, per mezzo dell'autoanalisi, o dell'eteroanalisi". Fu quasi sopraffatto prima che potesse pensare. La
sensazione della forza complessa era molto più intensa di quella che aveva sentito nel proprio cervello, così rapidamente paralizzatrice che Gosseyn si fermò, involontariamente. Probabilmente fu quello che lo salvò. Fermo lì, ripensò alla vecchia, semplice versione di stabilire la famosa pausa talamo-corticale, il metodo usato per condizionare gli addestrandi: «Ora mi sto rilassando» si disse, «e tutti gli stimoli stanno compiendo il circuito completo del mio sistema nervoso, lungo il mio midollo spinale, fino al talamo, "attraverso" il talamo e su, fino alla corteccia, e attraverso la corteccia, e allora, e soltanto allora, ritornano al talamo e ridiscendono nel sistema nervoso. «Io sono sempre conscio che lo stimolo si muove verso e attraverso la corteccia». Quella era la chiave. Quella era la differenza fra il superuomo non-A e l'uomo-animale della Galassia. Il talamo (sede delle emozioni) e la corteccia (sede della discriminazione) si integravano, si equilibravano in un rapporto caldo e meraviglioso. Le emozioni, non soppresse, ma rese più ricche e più calme dall'associazione con quella parte della mente (la corteccia) che poteva assaporare innumerevoli sottili differenze nel flusso delle sensazioni.
In tutto il palazzo, gli uomini stavano lottando in preda a un panico crescente contro la forza terribile che li aveva colpiti. Una volta iniziato, quel panico non sarebbe cessato che per precipitare nell'isterismo. E sarebbe cresciuto di momento in momento. Lo stimolo lampeggiava dal talamo intimorito, accelerando i battiti del cuore, affrettando la respirazione, tendendo i muscoli, stimolando le ghiandole… ed ogni organo sovreccitato avrebbe mandato a sua volta un nuovo stimolo al talamo. Rapidamente, il ciclo acquistava velocità ed intensità. Eppure tutto ciò che l'individuo doveva fare per interromperlo era fermarsi per un istante e pensare: «Lo stimolo ora sta passando attraverso la mia corteccia. Sto pensando e sentendo, non solo sentendo». E così ottenne per Ashargin una completa pausa corticotalamica. La forza complessa continuò a lottare contro di lui, e si rese conto che avrebbe dovuto stare in guardia per accertarsi che Ashargin non fosse sopraffatto da un attacco emotivo di sorpresa. Corse nell'appartamento, dirigendosi verso la camera da letto. Sapeva in quale condizioni avrebbe trovato Nirene.
Lasciò che quel pensiero fluisse consciamente in lui, in modo che anche Ashargin lo sapesse e non ne fosse stupito. Come aveva previsto, Nirene era sul letto, rigida e priva di coscienza. A quanto pareva, si era svegliata nel momento dell'attacco, perché c'era un'espressione di orrore stupefatto sul suo volto. Fu la sua espressione che mandò una scarica attraverso Ashargin. Ansia, allarme, paura: l'emozione fu simile a un fulmine. E come un fulmine, la forza complessa afferrò la sua mente. In uno sforzo disperato Gosseyn si buttò sul letto, per potersi rilassare. Non servì a nulla. I muscoli gli si irrigidirono. Giacque disteso, ai piedi del letto. Si era chiesto cosa poteva pensare e sentire una persona controllata. E non fu molto complicato. Dormì. E fece uno strano sogno. Sognò che il corpo di Gosseyn nella cripta era ricettivo come non lo era mai stato, e che soltanto in quella posizione inconscia, e nell'interno della cripta, era possibile, nel suo stato relativamente non addestrato ottenere il tremendo rapporto che era stato finalmente stabilito.
Il pensiero non venne da Gosseyn, ma attraverso lui. «Io sono la memoria del passato». Il pensiero giunse nella sua mente attraverso il corpo inconscio di Gosseyn. «In me, la macchina sotto la cripta, è il solo ricordo della Migrazione che sia sopravvissuto, e il mio ricordo è dovuto a un incidente. «Tutte le macchine furono danneggiate, nel passare attraverso grandi nubi di materia senza sapere che possedevano un'energia fondamentale. In conseguenza, i ricordi di molte di esse andarono perduti. Ciò che salvò i miei fu il fatto che un circuito chiave bruciò prima che potesse accadere un danno peggiore. «Nonostante i danni, quasi tutte le macchine che riuscirono a compiere il viaggio poterono fare rivivere i corpi che trasportavano, poiché era una semplice funzione meccanica. Io avrei potuto fare rivivere l'unico corpo affidato alle mie cure, ma esso, purtroppo, non sarebbe stato in grado di sopravvivere. E io non ho il potere di distruggere un corpo fino a che non è morto. Coloro che hanno avuto cura di me negli anni più recenti hanno dimenticato che i loro antenati vennero in questo pianeta nello stesso modo in cui venne l'essere umano che veneravano e ancora venerano come il Dio Dormiente.
«Gli antenati giunsero privi di memoria, e dimenticarono rapidamente il modo del loro arrivo. La lotta per l'esistenza era terribile e logorante. Le navi che li avevano portati furono sepolte sotto il suolo, con il passare delle età. Io arrivai tardi, e perciò la mia nave non è ancora stata sepolta. «Dovunque, i discendenti si sono fatti false immagini della loro evoluzione studiando la fauna della loro nuova patria. Non si rendono ancora conto che tutta la vita cerca il movimento, e che il movimento macrocosmico è limitato a certe forme, e che la lotta per stare eretto è parte della volontà di movimento di particolari specie. «La Grande Migrazione fu intrapresa sulla base di un assunto non necessariamente vero, ma vero per quanto si sapeva e si sa. L'assunto era che il sistema nervoso umano e il suo sviluppo, per quanto riguarda la corteccia e le aree superiori, è unico nello spaziotempo. Non è mai stato imitato e, se lo si considera in tutti i suoi aspetti, probabilmente non lo sarà mai…». Due corpi, due sistemi nervosi interdipendenti: il più grande che andava verso il più piccolo, nel modo della similarità. La prima immagine, poi, di uomini che osservavano un punto luminoso mentre si avvicinava all'orlo d'una sostanza d'ombra.
Cosa fosse quella sostanza non lo sapeva né l'uomo nella cripta né la macchina che lo pervadeva con le sue vibrazioni. Un punto brillante che si muoveva quietamente, e uomini che l'osservavano pensosi. Uomini che erano vissuti e morti molti milioni di anni prima. Il punto luminoso si librava sull'orlo della sostanza d'ombra, si fermava per un momento, poi varcava quell'orlo. E immediatamente scomparve. Lo schema dello spazio circostante si alterò leggermente. Vi fu un'improvvisa tensione, una tensione che portò una frattura nel suo ritmo fondamentale. La materia cominciò a cambiare. Un'intera galassia modificò il suo equilibrio temporale, andò fuori fase, ma molto prima della crisi fisica, venne il momento decisivo per i suoi abitanti. Le alternative erano spietate. Rimanere e morire, o raggiungere un'altra galassia. Sapevano che il tempo richiesto per un simile viaggio sarebbe stato ben più immenso della portata dell'ingegno umano e meccanico. Mentre gli anni passavano, persino gli schemi elettronici si sarebbero alterati radicalmente, e in molti casi sarebbero divenuti privi di significato.
Più di diecimila milioni di navi partirono, ciascuna con la sua cripta, con la sua macchina complessa per controllare il ciclo di vita di due uomini e di due donne per un milione e più di anni. Erano navi meravigliose. Nell'oscurità, si lanciarono a una velocità pari a tre quarti di quella della luce. Perché non era un viaggio attuato a mezzo del distorter. Non c'erano matrici a cui giungere, né aree memorizzate verso le quali gli uomini e le loro macchine potevano piombare alla velocità del pensiero. Tutto doveva essere ancora laboriosamente creato. Ancora una volta, il sogno cambiò. Divenne più calmo, più personale, anche se i pensieri non erano particolarmente diretti a Gosseyn o ad Ashargin. «Io similarizzai la mente di Gosseyn nel corpo di Ashargin. Gosseyn possiede il solo cervello supplementare della Galassia oltre a quello del Dio Dormiente… che non conta. Il 'dio' potrebbe essere svegliato, ora, ma certi processi meccanici necessari al suo mantenimento sono guasti da un tempo incommensurabile, quindi non potrebbe rimanere vivo per più di qualche minuto. «Perché scelsi Ashargin? Perché era un debole. Per esperienza, so che una personalità più forte avrebbe potuto contrastare consciamente il controllo di Gosseyn. Un altro fattore era la sua vicinanza. «Dopo la prima volta, dopo che furono stabiliti i canali, non
aveva più importanza se egli era lontano. «Ma c'era un'altra ragione più importante per giustificare la scelta di Ashargin. A causa dei complessi piani imperiali di Enro, il principe sarebbe potuto essere in condizione di fare più di chiunque altro per portare Gosseyn alla cripta. E, naturalmente, era ragionevole credere che sarebbe stato prezioso per lo stesso Gosseyn. «Quanto sia immenso questo risultato potete indovinarlo dal fatto che io ho potuto, ora per la prima volta, narrare la storia della Migrazione a un vero superstite della spedizione. Molte volte ho tentato di portare un corpo di Lavoisseur-Gosseyn in questa cripta, come vi è ora Gosseyn. Ma riuscii soltanto a rendere vagamente sospettose di me le successive generazioni del corpo di Gosseyn. Il tentativo precedente a questo ebbe ripercussioni estremamente pericolose. «Riuscii a similarizzare la mente del vecchio Lavoisseur nel corpo del sacerdote operaio che aveva il compito di spazzare questo sacello interno. Il mio scopo era dare a Lavoisseur la possibilità di riparare il danno arrecato agli elementi vitali della mia struttura. Il piano si dimostrò irrealizzabile, per due ragioni. Primo, il sacerdote non poteva procurarsi l'attrezzatura necessaria. E, in secondo luogo, resisteva alla
possessione. «Dapprima la resistenza non fu troppo forte, e così qualche lavoro fu compiuto, e qualche investigazione fu fatta, da parte di Lavoisseur, circa la natura del macchinario della cripta. Come risultò poi, fu una sfortuna che vi fosse stata questa piccola possibilità. Perché Lavoisseur riparò un meccanismo su cui non avevo controllo, uno strumento per iniziare il cambiamento di materia che aveva causato la distruzione dell'altra galassia. Lo strumento era stato istallato a bordo d'una nave ogni diecimila, solo a scopo di studio, e interessava Lavoisseur perché non c'era stato nulla di simile a bordo della nave con cui era giunto. «Sebbene Lavoisseur non lo sapesse, lo strumento si sintonizzò automaticamente al corpo del sacerdote, come risultato d'una precauzione presa dai costruttori per far sì che lo strumento fosse sempre sotto il controllo di un essere umano. «Naturalmente, pensavano che l'essere umano sarebbe stato uno di loro. «Al sacerdote, ormai, bastava soltanto pensare a se stesso fuori fase nel tempo, e il cambiamento, fortunatamente limitato, si verificava. Usando trasportatori a distorsione, può dirigere la sostanza nebulare in
qualunque punto della Galassia in cui egli ha un distorter. «Quando la resistenza del sacerdote al controllo di Lavoisseur divenne troppo forte, fu necessario interrompere il contatto. Ciò che seguì fu qualcosa che ammetto di non avere previsto. Dopo che il sacerdote si fu ripreso dalla paura, giunse a credere di essere stato invasato dal Dio Dormiente. «La sua capacità di assumere forma d'ombra sembrava confermare la sua analisi, e in un certo senso, naturalmente, è vero che egli trae il suo potere dal Dio Dormiente. Ma solo nello stesso modo in cui io sono il Giocatore che ha manipolato la vostra mente. I veri dèi e veri giocatori sono morti da quasi due milioni di anni. «Ma ora, voi state per svegliarvi. La vostra posizione è difficile, ma avete un dovere da compiere. Dovete uccidere il sacerdote che possiede quel potere. Come possiate farlo, quando egli è nella sua forma d'ombra, non lo so. «Eppure dovete ucciderlo. «Ed ora, non c'è molto da aggiungere. Ashargin deve semplicemente trasmettersi per mezzo d'un distorter, e lo libererò dal controllo di Gosseyn, e Gosseyn si desterà immediatamente. Oppure, Ashargin potrebbe essere ucciso, e la mente di Gosseyn ritornerebbe automaticamente al suo corpo.
Questi sono i due soli metodi. «Eldred Crang era un confidente di Lavoisseur, e alcuni anni fa, grazie a informazioni ottenute da Lavoisseur, venne qui, per fare alcune riparazioni alla mia struttura danneggiata. In quel tempo non vi riuscì. In tempi più recenti, riuscì a stabilire un collegamento per mezzo del quale io posso mandargli avvertimenti sonori e luminosi… come quelli che gli inviai per chiamarlo qui, mentre Ashargin nascondeva il corpo di Gosseyn. «Un ultimo avvertimento. L'attacco che ha colto il palazzo sembra un attacco della Lega. In realtà, è stato il sacerdote a servirsi di questo metodo, per impadronirsi del potere e screditare Enro…». Il «sogno» cominciò a svanire. Gosseyn cercò di trattenerlo, ma il sogno gli sfuggì. Poi si accorse che qualcuno lo stava scuotendo. Gosseyn-Ashargin apri gli occhi, e guardò Nirene. Era pallida, ma calma. — Caro, Secoh è venuto a parlarti. Alzati, ti prego. Dalla porta della camera da letto venne un suono. Nirene indietreggiò lentamente, e Gosseyn poté vedere bene.
Secoh, il Supremo Guardiano del Dio Dormiente, stava sulla soglia della camera e lo fissava con occhi seri. «Secoh» stava pensando Gosseyn, «il sacerdote operaio che un tempo era stato spazzino nel sacello interno del tempio. «"Secoh… il Seguace".» CAPITOLO 21
"Non è sufficiente conoscere le tecniche di addestramento non-A. Devono essere imparate fino al livello automatico, cioè, al livello «inconscio». La fase della «discussione» deve cedere il posto alla fase del '«azione». Lo scopo è la flessibilità nell'affrontare al di sotto del livello verbale ogni evento. La Semantica Generale è studiata per dare all'individuo un senso di direzione, non una nuova serie di inflessibilità". Ora, ebbe un'immagine fulminea dell'intero quadro. A parte il sogno, tutto corrispondeva. Il meccanico a bordo del caccia che si era ucciso per non essere interrogato. Quale motivo emotivo e personale poteva averlo indotto a tanto? Un motivo religioso, naturalmente. E chi poteva essere in condizioni migliori di Secoh per sapere quando era stato scoperto un pianeta come Yalerta? Come principale consigliere di Enro, doveva
avere a disposizione le risorse d'un impero. Milioni di informazioni erano state catalogate, condensate e organizzate perché le trasmettesse a Enro… se avesse voluto. Informazioni scientifiche d'ogni genere gli venivano inoltrate perché le passasse al dittatore. E così, strumenti a distorsione completamente nuovi erano stati portati all'attenzione d'un uomo che sapeva poco o nulla della scienza, e che aveva bisogno di quelle realizzazioni per dare una portata di vastità galattica ai suoi interessi privati. Un uomo che si era chiamato il Seguace: un nome con un significato religioso. Il resto del quadro, la giustificazione di tutto, poteva essere fondato sulla religione. Era naturale che il Supremo Guardiano del Dio Dormiente avesse spronato le ambizioni d'un imperatore planetario come Enro, inducendolo a conquistare il Massimo Impero, e poi a consolidare il suo potere sulla Galassia per diffondere la religione. Il quadro non era completo, ma in quel momento sembrò così logico che Gosseyn l'adottò come l'assunto su cui avrebbe dovuto basare le sue azioni. Secoh era il Seguace. Secoh era un sincero credente nella religione del Dio Dormiente. Secoh era un fanatico, acuto e attento ad ogni livello di pensiero… ad eccezione della
sua fede religiosa. E anche in quel campo, la sua stessa convinzione doveva dargli una certa flessibilità nel considerare gli eventi. Ma se c'era una debolezza in quell'uomo, era proprio la sua fede. Gosseyn-Ashargin si levò a sedere mentre Secoh si avvicinava al letto e sedeva di fronte a lui. Il sacerdote disse, con voce profonda: — Principe, vi si offre la possibilità di conquistare per la vostra famiglia una parte dell'antico splendore. Gosseyn intuì ciò che stava per dirgli. Non si era ingannato. Ascoltò l'offerta, che era in effetti quella d'una vicereggenza, come Secoh specificò cautamente: «Soltanto il Dio Dormiente al di sopra di voi». E per il Dio Dormiente intendeva se stesso. E credeva in ciò che diceva. Non fingeva che forze della Lega avessero conquistato Gorgzid. Il Supremo Guardiano fu franco: — A Crang è parso che potesse essere un buon vantaggio per i negoziati, se si fosse finto che la Lega avesse conquistato la capitale. Agitò una mano, accantonando quell'aspetto dell'argomento.
— Posso dirvi — dichiarò sinceramente, — che Enro non soddisfaceva più il Dio Dormiente, e ho appena bisogno di dirvi che le chiamate che avete ricevuto dal Tempio sono un'indicazione del volere del Dio. Parlava seriamente. Quell'uomo credeva nella sua bizzarra religione. I suoi occhi splendevano di sincero entusiasmo. Gosseyn lo studiò, e comprese quanto quell'uomo fosse pazzo. Si chiese se Enro fosse morto: poi formulò la domanda a voce alta. Secoh esitò, ma solo per un momento. — Deve aver sospettato qualcosa — confessò. — Mi sono recato nel suo appartamento, ieri sera dopo il suo ritorno al palazzo, sperando di intrattenerlo in una conversazione fino a che fosse troppo tardi per lui per andarsene. Abbiamo avuto una conversazione piuttosto esplosiva. E fece una smorfia. «Quell'individuo sacrilego! In passato aveva dissimulato il suo odio per il Dio Dormiente, ma ieri sera era in uno stato di ansia, e quindi ha perduto la testa, e ha minacciato di distruggere il Tempio. «Poi, appena l'attacco è cominciato, si è similarizzato sull'ammiraglia di Paleol. Fece una pausa. Un po' del fuoco era svanito dai suoi
occhi. Disse, pensieroso: «Enro è un uomo molto abile». Era un'ammissione controvoglia, ma il fatto che Secoh potesse fare una simile dichiarazione era una misura della sua abilità. Il suo fallimento nel tentativo di catturare Enro era chiaramente una grave sconfitta, eppure vi si era già adattato. — Ebbene — disse Secoh, — siete con me o contro di me? Era un modo secco di formulare la proposta, specialmente poiché non indicava quali fossero le conseguenze di un rifiuto. Gosseyn decise di non rispondere direttamente. Disse, invece: — Cosa avreste fatto a Enro, se lo aveste catturato? Il Supremo Guardiano sorrise. Si alzò e si avvicinò alla finestra, fece un cenno a Gosseyn-Ashargin, che lo raggiunse senza esitazioni. Gosseyn si fermò accanto al sacerdote, e guardò nel cortile. Vi stavano rizzando delle forche. Più d'una dozzina di esse erano già montate, e da nove di esse pendevano forme silenziose. Gosseyn guardò pensoso quei morti. Non era colpito né impressionato. Quando gli uomini agivano talamicamente, di solito c'era una fitta schiera di carnefici. Secoh disse:
— Enro è riuscito a fuggire, ma io ho catturato un certo numero di suoi sostenitori. Sto ancora cercando di persuadere alcuni di loro. — E sospirò. — E' facile accontentarmi, ma in questo sforzo finale ho bisogno di cooperazione. Di conseguenza, scene come quella… — e indicò il cortile, -… sono concomitanti necessarie all'eliminazione delle forze del male. — E scosse il capo. — Non si può avere pietà degli ostinati. Gosseyn aveva avuto la sua risposta. Questo era ciò che accadeva a chi era «contro» Secoh, invece che «con» lui. Ora sapeva il tipo di crisi che doveva far scoppiare. Ma occorreva azzardare molte cose — la vita di Ashargin, tra l'altro — sull'intensità delle convinzioni di Secoh. Fu sorprendentemente facile pronunciare quelle parole senza senso. Gli occorse solo un attimo per capire il perché: il sistema nervoso di Ashargin aveva stabilito canali per falsi verbalismi relativi al Dio Dormiente… un punto che doveva ricordare nei suoi piani finali riguardanti il principe, che ovviamente non era ancora addestrato nella Semantica Generale. Ma proferì le parole necessarie, spiegando di aver ricevuto una chiamata dal Dio Dormiente, il quale gli aveva rivelato che Secoh avrebbe ricevuto un grandissimo onore. Doveva presentarsi al Tempio, portando con sé Ashargin e un
circuito a distorsione. Gosseyn studiò attentamente la reazione del Supremo Guardiano all'inclusione del distorter, poiché quella era una deviazione rispetto ai riti tradizionali. Ma a quanto pareva, Secoh accettava qualunque comando del suo Dio, senza tener conto delle tradizioni. E così il primo passo, il più semplice, fu compiuto. CAPITOLO 22
"La Semantica Generale è una disciplina, non una filosofia. Sono possibili innumerevoli filosofie orientate secondo il Non-A, così come sono possibili innumerevoli sistemi geometrici. Probabilmente, la necessità più importante per la nostra civiltà è la creazione di un'economia politica orientata in senso non-A. Si può dichiarare categoricamente che tale sistema non è stato ancora creato. Il campo è aperto a uomini e donne dotati di ardimento e di immaginazione per creare un sistema che libererà l'umanità dalla guerra, dalla povertà e dalla tensione. Per far questo sarà necessario impadronirsi del mondo, togliendolo alla gente che ragiona per «identificazione»". Secoh decise di organizzare una cerimonia solenne. Dopo tre ore, moltissimi aerei, carichi di soldati e di sacerdoti provenienti dalla capitale, costellarono il cielo, diretti oltre
la montagna, verso il Tempio del Dio Dormiente. Gosseyn-Ashargin aveva sperato che avrebbero fatto il tragitto attraverso il distorter che era nell'appartamento di Crang e di Patricia. Ma poiché questo non accadde, chiese che Crang salisse in aereo con lui. Sedettero uno accanto all'altro. C'erano molte cose che Gosseyn voleva sapere. Intuì, tuttavia, che dovevano esservi molti microfoni nascosti. Quindi cominciò, gravemente: — Ho compreso solo gradualmente la natura dell'amicizia che vi lega al Supremo Guardiano. Crang annuì, e disse, con eguale cautela: — Sono onorato della sua fiducia. Per Gosseyn, l'aspetto affascinante di quel rapporto era il fatto che Crang, quattro anni prima, aveva infallibilmente scelto Secoh, invece di Enro, come la persona alla quale doveva allearsi. La conversazione continuò in un tono educato, ma poco per volta Gosseyn ottenne l'informazione che voleva. Era la sbalorditiva immagine di un investigatore venusiano che si era segretamente avventurato nello spazio per scoprire la natura della minaccia contro i non-A.
Era stato Secoh, nella sua qualità di consigliere di Enro, ad affidare a Crang la base segreta di Enro su Venere. Perché? Perché la Gorgzin Reesha sfuggisse al fratello, che voleva farla sua moglie. A questo punto, Gosseyn ricordò all'improvviso l'accusa di Enro a Secoh: «Avete sempre avuto un debole per lei!» aveva detto il dittatore. Poi ebbe la visione di un sacerdote operaio che aspirava alla mano della prima signora del pianeta. E poiché quelle emozioni si erano fissate a livello inconscio, tutti i suoi trionfi non avevano avuto significato, in confronto a quel potente sentimento di amore. Un'altra frase di Crang gli fece comprendere come il matrimonio fra Crang e Patricia era stato presentato a Secoh non come un vero matrimonio, ma come un'altra protezione per lei. La stavano salvando per il giorno in cui il Seguace l'avrebbe reclamata per sé. Una dichiarazione che Crang fece più tardi, e che pareva non avere nesso con le precedenti, giustificò il pericoloso inganno. — Quando una persona ha scacciato la paura della morte — disse quietamente l'investigatore, — è libera dalle paure e dalle tribolazioni meschine. Solo coloro che vogliono vivere a qualunque costo soffrono umiliazioni. Era chiaro che, se fosse accaduto il peggio, Crang e
Patricia erano disposti a morire. Ma perché quell'attacco che aveva fatto fuggire Enro? La spiegazione richiese anche una maggiore prudenza. Ma la risposta era abbagliante. Era importante spingere il dittatore a prendere in considerazione o addirittura a iniziare trattative di pace. Enro, allontanato dal suo pianeta e sapendo la sorella in mano del nemico, avrebbe avuto una ragione per concludere una pace esterna, in modo di concentrare i suoi sforzi per riacquistare la sua posizione nell'Impero. Crang aveva trovato il modo di mettere fine alla guerra! Crang era esitante. E c'era una lieve sfumatura di ansietà nella sua voce, quando aggiunse cautamente: — Sarà un grande privilegio essere presenti nel Tempio in un'occasione così solenne, ma non è possibile che alcuni dei presenti abbiano un sistema nervoso così delicato da essere sconvolti dalla vicinanza del Dio? — Sono certo — disse con fermezza Gosseyn-Ashargin, — che il Dio Dormiente provvederà personalmente perché tutto vada come deve. Questo era il massimo che poteva ottenere, con l'allusione, per farli aderire al suo piano. Luci vivissime splendevano, da sorgenti nascoste.
I sacerdoti erano disposti in fila lungo le pareti, reggendo scettri e vessilli di stoffa splendida. Il rito preliminare si concluse nella grande sala del Dio Dormiente. Nel momento decisivo, Gosseyn-Ashargin posò la mano sulla leva di controllo del distorter. Prima di attivarlo, diede intorno un'ultima occhiata, attraverso gli occhi di Ashargin. Era mosso da un'inesorabile volontà di azione, ma si costrinse a esaminare l'ambiente in cui intendeva agire. Gli ospiti si erano affollati attorno alla porta. C'erano anche sacerdoti, guidati da Yeladji, il Sorvegliante, avvolto nella sua cappa d'oro e d'argento. Aveva un'espressione corrucciata sul volto grassoccio, come se non fosse soddisfatto di ciò che avveniva. Ma a quanto pareva, non aveva voglia di esprimere il suo disappunto. Anche gli altri erano sottomessi. Erano funzionari di corte che Gosseyn-Ashargin conosceva di vista, e altri che non conosceva. E c'erano Nirene, Patricia e Crang. Sarebbero stati in pericolo se Secoh avesse tentato di usare l'energia, ma era un rischio che bisognava correre. Era il momento decisivo. Erano in gioco immensi risultati, e nessun pericolo poteva essere ritenuto troppo grande. Secoh era solo, davanti alla cripta.
Era nudo, uno stato di umiltà che aveva imposto anni addietro per tutte le cerimonie importanti nel sacello interno, in particolare per quelle in cui venivano imposte al personaggio onorato le vesti di un nuovo ufficio. Il suo corpo era snello e saldo. I suoi occhi neri splendevano d'una luce di aspettazione. Era poco probabile che si insospettisse proprio in quell'ora decisiva, ma Gosseyn decise di non correre rischi. — Nobilissimo Supremo Guardiano — cominciò, — dopo che mi sarò similarizzato per mezzo di questo distorter a quello vicino alla porta, dovrà esservi completo silenzio. — Vi sarà silenzio — disse Secoh. E mise nella sua voce una sfumatura di minaccia per tutti i presenti. — Benissimo… "ora!" — disse Gosseyn-Ashargin, e mentre parlava attivò il distorter. Si trovò, come la macchina aveva promesso nel sogno, nella cripta, nel proprio corpo. Giacque quieto, conscio della vicinanza del «dio». Poi diresse un pensiero. «Macchina». «Sì?» la risposta giunse rapida nel suo cervello.
«Tu hai detto che d'ora innanzi tu ed io potremo comunicare a volontà». «Esatto. Il rapporto, una volta stabilito, è permanente». «E hai anche detto che il Dio Dormiente può essere destato, ma che morirà molto presto». «La morte sopravverrà entro pochi minuti» fu la risposta. «A causa dei danni subiti dall'attrezzatura, le ghiandole endocrine si sono atrofizzate, e io ho sostituito artificialmente le loro funzioni. Nel momento in cui cesserà il flusso artificiale, il cervello comincerà a deteriorarsi». «Pensi che il corpo sarà fisicamente in grado di reagire al mio comando?». «Sì. Questo corpo, come tutti gli altri, è stato sottoposto a una continua serie di esercizi che lo mantenevano in grado di funzionare, quando la nave fosse arrivata a destinazione». Gosseyn trasse un profondo respiro, poi diede l'ordine. «Macchina, sto per similarizzarmi nel ripostiglio dietro questo sacello. Quando lo farò, porta la mia mente nel corpo del Dio Dormiente». Dapprima vi fu solo l'oscurità. Fu come se la sua coscienza fosse assorbita da un materiale spugnoso.
Ma le pressioni che lo spingevano erano troppo forti perché quello stato durasse a lungo. Finalmente ebbe il senso del rapido passaggio del tempo, e questo portò il suo primo pensiero nel suo nuovo corpo. "Alzati!" No. Prima doveva aprire la paratia. L'azione doveva seguire uno schema ordinato. Doveva levarsi a sedere e aprire lo sportello. Vi fu un formicolio di luce, una vaga consapevolezza di movimento. Poi, un grido di meraviglia eruppe da molte gole, riempiendogli le orecchie ed echeggiandogli nel cranio. «Devo essermi mosso. Lo sportello deve essersi aperto. Più forte. Più forte». Era conscio del suo movimento, e il cuore gli batteva rapido. Il corpo gli doleva d'una sofferenza totale. Poi si alzò. Ebbe una sensazione più acuta, perché ora vedeva meglio. Vedeva figure confuse nella nebbia davanti a lui, e una sala illuminata. La pressione di agire, di muoversi e di pensare più rapidamente crebbe dentro di lui. Pensò, angosciato: «Questo corpo ha solo pochi minuti di vita».
Cercò di mormorare le parole che voleva, costrinse al movimento la laringe irrigidita. E, poiché il suono, come la visione, è nella mente e non solo nell'organo, riuscì a formulare le parole che aveva preparato. Per la prima volta, allora, si chiese come Secoh stesse accogliendo il risveglio del suo «dio». L'effetto doveva essere già tremendo. Perché quella era una religione particolarmente pericolosa per i suoi credenti. Come l'antica idolatria della Terra, alla quale somigliava, era basata sull'identificazione simbolica, ma a differenza delle altre religioni simili, correva il rischio di terminare con una particolare specie di catastrofe, perché l'idolo era un essere umano vivo ma inconscio. Perché gli altri individui continuassero ad accettarla, era necessario che il dio non si svegliasse mai. E perché Secoh continuasse, almeno provvisoriamente, ad accettarla nel caso improbabile di un risveglio, occorreva che il dio desse per sicuro che il suo Guardiano era al di sopra di ogni biasimo. Il dio ridestato si levò di fronte a una folla di notabili, puntò un dito accusatore verso Secoh e disse: — Secoh… traditore… devi morire.
In quel momento, l'innato istinto di sopravvivenza del sistema nervoso di Secoh gli impose di abiurare la sua fede religiosa. E non poteva farlo. Era troppo profondamente radicata: era associata ad ogni tensione del corpo. Non poteva farlo… il che significava che doveva accettare la condanna del dio. E non poteva fare neppure questo. Per tutta la sua vita si era tenuto in equilibrio precario come un funambolo: solo, invece di avere in mano un'asta per migliorare l'equilibrio, aveva usato delle parole. E adesso quelle parole erano in conflitto con la realtà. Fu come se il funambolo avesse perduto la sua asta. Cominciò a vacillare. Con il panico giunsero innumerevoli stimoli, pericolosi e conturbanti, provenienti dal talamo. Cadde, in preda alle convulsioni. Pazzia. Era la pazzia che deriva da un conflitto interno insolubile. In tutte le epoche dell'umanità quei conflitti si erano fissati nella mente di milioni di uomini. L'ostilità verso il padre in conflitto con il desiderio della sicurezza d'una protezione paterna; l'attaccamento a una madre invadente contro il bisogno di diventare adulto e indipendente; l'antipatia verso il datore di lavoro contro la necessità di guadagnarsi
da vivere. Sempre, il primo passo era la nevrosi, la nonsanità mentale; poi, se era troppo difficile mantenere l'equilibrio, l'evasione nella relativa sicurezza dell'insania. Il primo tentativo che Secoh fece per sfuggire al conflitto fu fisico. Il suo corpo divenne confuso e poi, mentre i presenti gemevano, divenne d'ombra. Il Seguace si levò davanti a tutti. Per Gosseyn, che ancora controllava il sistema nervoso non addestrato del «dio», la trasformazione di Secoh nella forma del Seguace era prevista. Ma fu quella la crisi. Lentamente, cominciò a scendere i gradini. Lentamente, perché i muscoli del «dio» erano troppo rigidi per permettere movimenti rapidi. Le cure che avevano ricevuto nel sacello avevano mantenuto aperti alcuni canali nervosi vitali, ma solo su scala limitata. Senza la presenza della mente di Gosseyn che sapeva compiere i movimenti della deambulazione, quella creatura umana quasi priva di mente sarebbe riuscita a malapena a strisciare. Lo guidava la consapevolezza disperata di avere solo pochi minuti a disposizione… minuti durante i quali il
Seguace doveva essere sconfitto. Scese i gradini, poi avanzò verso la forma ondeggiante di oscurità. La tensione provocata dal vedere il proprio dio accostarsi in atteggiamento ostile doveva essere un'esperienza tale da distruggere una mente. In una frenesia di terrore, il Seguace si protesse con l'unico metodo a disposizione. Energia scaturì dalla forma d'ombra. In un bagliore di fiamma bianca, il corpo del dio si dissolse nel nulla. E in quel momento Secoh divenne un uomo che aveva distrutto il proprio dio. Nessun sistema nervoso umano addestrato come il suo poteva accettare una colpa tanto tremenda. Quindi Secoh la dimenticò. Dimenticò ciò che aveva fatto. E poiché questo rendeva necessario dimenticare tutti gli eventi della sua vita collegati a quel fatto, dimenticò anche quelli. Il suo addestramento, fin dall'infanzia, era stato per il sacerdozio. Tutto ciò doveva scomparire, perché il ricordo del crimine venisse completamente cancellato. L'amnesia è facile, per il sistema nervoso umano. Sotto ipnosi, può essere imposta con semplicità quasi allarmante. Ma l'ipnosi non è necessaria. Se si incontra un
individuo antipatico, ben presto si dimentica il suo nome. Se si ha un'esperienza spiacevole, questa svanisce, svanisce come un sogno. L'amnesia è il metodo migliore per evadere dalla realtà. Ma ha parecchie forme, e una di esse è devastatrice. Non è possibile dimenticare un'intera vita di esperienze e rimanere adulto. E Secoh doveva dimenticare tutta la propria vita. Sprofondò, e continuò a sprofondare. Per Gosseyn, che era ritornato nel proprio corpo nel medesimo istante in cui il «dio» era stato ucciso, e che ora osservava dalla soglia dell'ufficio, ciò che accadde era previsto. La forma d'ombra del Seguace scomparve, e Secoh ricomparve, vacillando sulle gambe che lo sostennero ancora per pochi attimi. Cadde, afflosciandosi. Fisicamente, la sua caduta fu di poche spanne, ma mentalmente il suo viaggio verso il passato continuò. Si distese sul pavimento, coricandosi sul fianco, con le ginocchia strette contro il petto, i piedi contro le cosce, la testa ripiegata. Dapprima singhiozzò un poco, ma poi tacque. Quando lo portarono via su una barella, vi giacque non più conscio di ciò che lo circondava, raggomitolato e
silenzioso, senza lagrime. Un bimbo non ancora nato non piange.
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