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STEVE BERRY LE CENERI DI ALESSANDRIA (The Alexandria Link, 2007) Per Katie e Kevin. Due meteore tornate nella mia orbita «La storia è il distillato di prove sopravvissute al passato.» OSCAR HANDLIN, La verità nella storia (1979) Dal primo Adamo che vide la notte E il giorno e la forma della sua mano, Favolarono gli uomini e fissarono Su pietra o su metallo o pergamena Quanto cinge la terra o plasma il sogno. La lor fatica è qui: la Biblioteca. [...] Dicono gl'infedeli: se bruciasse Brucerebbe la storia. Essi s'ingannano. Le veglie umane hanno generato Gl'infiniti libri. Quando di tutti Non ne restasse uno, tornerebbero A vergarne ogni pagina e riga. JORGE LUIS BORGES, a proposito della Biblioteca di Alessandria «Le biblioteche sono la memoria dell'umanità.» JOHANN WOLFGANG VON GOETHE PROLOGO Palestina, aprile 1948 Mentre George Haddad guardava con astio l'uomo legato alla sedia, la sua pazienza si esaurì. Come lui, il prigioniero aveva la pelle scura, il naso aquilino e gli occhi marroni infossati di un siriano o di un libanese. In quell'uomo, però, c'era qualcosa che a Haddad non piaceva.
«Te lo chiedo per l'ultima volta. Chi sei?» I soldati di Haddad avevano catturato lo sconosciuto da tre ore, da poco prima dell'alba. Camminava da solo, disarmato. Era una cosa sciocca: sin da quando gli inglesi avevano deciso, il novembre prima, di suddividere la Palestina in due Stati - uno arabo e l'altro ebraico - tra le due parti la guerra infuriava, eppure quello stupido si era infilato dritto in una roccaforte araba, senza opporre resistenza. Da quando era stato legato alla sedia non aveva detto una parola. «Mi hai sentito, imbecille? Ti ho chiesto chi sei!» Haddad parlava in arabo e l'uomo, evidentemente, lo capiva. «Sono un Guardiano.» Una risposta incomprensibile. «Come sarebbe?» «Noi siamo i custodi del sapere.» Non era in vena d'indovinelli. Il giorno precedente la resistenza ebraica aveva attaccato un villaggio vicino. Quaranta uomini e donne palestinesi erano stati radunati in una cava e trucidati a colpi d'arma da fuoco. Niente d'insolito; gli arabi venivano sistematicamente ammazzati ed espulsi e le terre che le loro famiglie occupavano da milleseicento anni venivano confiscate. La nakba, la catastrofe, era in corso. Haddad avrebbe dovuto trovarsi fuori a combattere il nemico, non perdere tempo ad ascoltare assurdità. «Siamo tutti custodi di sapere. Il mio sapere riguarda cancellare dalla faccia della terra tutti i sionisti che riesco a trovare.» «Proprio per questo sono venuto. La guerra non è necessaria.» Era davvero un idiota. «Sei forse cieco? Gli ebrei ci stanno schiacciando! La guerra è l'unica cosa che ci resta.» «Sottovalutate la determinazione degli ebrei. Sopravvivono da secoli e continueranno a farlo.» «Questa terra è nostra. Vinceremo noi.» «Ci sono armi più potenti dei proiettili, che possono darvi la vittoria.» «Certo: le bombe. Ne abbiamo a bizzeffe. Vi schiacceremo uno per uno, ladri sionisti!» «Non sono un sionista.» La dichiarazione fu pronunciata in tono quieto, poi l'uomo tacque. Haddad si rese conto di dover porre fine all'interrogatorio. Non c'era tempo per i vicoli ciechi. «Sono venuto dalla biblioteca per parlare con Kamal Haddad», dichiarò l'uomo. La rabbia lasciò il posto alla confusione. «È mio padre.»
«Mi hanno detto che abita in questo villaggio.» Il padre di Haddad era stato un docente di storia della Palestina all'Università di Gerusalemme. Uomo grosso di voce e di risata, di stazza e di cuore; recentemente aveva fatto da emissario tra arabi e inglesi, cercando di arrestare la massiccia immigrazione ebraica e di prevenire la nakba. Il tentativo era fallito. «Mio padre è morto.» Per la prima volta, Haddad intravide la preoccupazione negli occhi vacui del prigioniero. «Non ne ero al corrente.» Haddad richiamò alla mente un ricordo che avrebbe voluto scacciare per sempre. «Due settimane fa si è messo in bocca la canna di un fucile e si è fatto saltare le cervella. Ha lasciato un biglietto... Diceva che non poteva sopportare di assistere alla distruzione della sua patria. Si riteneva responsabile per non aver saputo fermare i sionisti.» Avvicinò al volto del Guardiano il revolver che aveva nel frattempo impugnato. «Perché cercavi mio padre?» «Le mie informazioni devono essere trasmesse a lui. Lui è l'invitato.» La rabbia montava. «Di che stai parlando?» «Tuo padre era un uomo degno di grande rispetto. Era colto e aveva il diritto di partecipare al nostro sapere. Per questo sono venuto: per invitarlo a partecipare.» La voce rilassata dell'uomo calmò Haddad. «Partecipare a cosa?» Il Guardiano scosse la testa. «È soltanto per lui.» «Lui è morto.» «Ciò significa che verrà scelto un altro invitato.» Di cosa stava farneticando quell'uomo? Haddad aveva catturato molti prigionieri ebrei: li torturava per apprendere quello che poteva, poi sparava a quanto rimaneva di loro. Prima della nakba Haddad era stato un coltivatore di ulivi, ma era portato per gli studi accademici, come suo padre, e avrebbe voluto proseguirli. Ormai si trattava di un sogno impossibile. Lo Stato d'Israele si stava affermando, i suoi confini s'inscrivevano nell'antica terra araba. Gli ebrei venivano risarciti per l'Olocausto, il tutto a spese del popolo di Palestina. Appoggiò la canna dell'arma tra gli occhi dell'uomo. «Mi sono appena autoinvitato. Esponi il tuo sapere.» Gli occhi dell'uomo parvero penetrarlo e per un momento fu colto da uno strano disagio. Evidentemente quell'emissario si era già trovato a dover affrontare simili dilemmi... Haddad ne ammirò il coraggio.
«Combattete una guerra non necessaria, contro un nemico male informato.» «In nome di Dio, di che stai parlando?» «Spetta al prossimo invitato saperlo.» Era ormai mattina inoltrata e Haddad aveva bisogno di dormire. Da quel prigioniero aveva sperato di scoprire l'identità di qualche membro della resistenza ebraica e magari anche del mostro che aveva massacrato quella gente il giorno prima. I maledetti inglesi rifornivano i sionisti di fucili e carriarmati. Per anni, grazie agli inglesi, agli arabi non era stato consentito possedere armi e questo li aveva messi in una condizione di grave svantaggio. Era vero che gli arabi erano più numerosi, ma gli ebrei erano meglio preparati e Haddad temeva che l'esito di quella guerra sarebbe stato la legittimazione dello Stato d'Israele. Tornò a fissare lo sguardo nell'espressione dura e inflessibile di occhi che non si staccavano dai suoi e capì che il prigioniero sarebbe stato pronto a morire. Negli ultimi mesi uccidere era diventato per lui molto più semplice. Le atrocità perpetrate dagli ebrei contribuivano ad alleggerire quel poco di coscienza che gli era rimasta... A diciannove anni appena, il suo cuore s'era fatto di pietra. La guerra è guerra. Premette il grilletto. PARTE PRIMA 1 Copenhagen, Danimarca, oggi, martedì 4 ottobre, ore 1.45 Cotton Malone fissò il guaio dritto in faccia. Fuori - davanti alla porta d'ingresso aperta della sua libreria - c'era la sua ex moglie, l'ultima persona al mondo che si sarebbe aspettato di vedere. Scorse subito il panico negli occhi stanchi della donna, ricordò il bussare martellante che lo aveva svegliato pochi minuti prima e pensò immediatamente al figlio. «Dov'è Gary?» «Figlio di puttana! L'hanno preso a causa tua... L'hanno preso!» La donna si scagliò in avanti, battendo i pugni serrati contro le sue spalle. «Ba-
stardo!» Lui le afferrò i polsi e bloccò l'attacco mentre lei scoppiava a piangere. «È per questo che ti ho lasciato. Pensavo avessimo chiuso con... quel genere di cose.» «Chi ha preso Gary?» Ebbe in risposta altri singhiozzi. Continuò a stringerle le braccia. «Pam, ascoltami. Chi lo ha preso?» Lei lo fissò. «Come diavolo faccio a saperlo?» «Cosa ci fai qui? Perché non sei andata alla polizia?» «Perché loro hanno detto di non farlo. Hanno detto che se soltanto mi fossi avvicinata a un poliziotto, Gary sarebbe morto. Hanno detto che sarebbero venuti a saperlo e io ci ho creduto.» «Chi sono loro?» Lei liberò le braccia con uno strattone. Il suo viso sembrava grondare rabbia. «Non lo so! Mi hanno detto soltanto di aspettare due giorni, poi di venire qui e darti questo.» Frugò nella borsa che portava a tracolla e ne estrasse un telefono cellulare, mentre le lacrime continuavano a scorrerle lungo le guance. «Hanno detto che devi controllare la posta elettronica.» Aveva sentito bene? La posta elettronica? Aprì lo sportellino del telefono e controllò la frequenza: megahertz sufficienti a coprire l'intero pianeta. La cosa lo sorprese e, d'improvviso, si sentì vulnerabile. La Højbro Plads era tranquilla: a quell'ora nessuno girava per la piazza. «Entra.» La tirò dentro il negozio e chiuse la porta. Non aveva acceso le luci. «Che succede?» domandò lei, con voce rotta dalla paura. «Non lo so, Pam. Dimmelo tu! Nostro figlio, a quanto pare, è stato rapito da chissà chi e tu aspetti due giorni prima di dirlo ad anima viva? Non ti sembra una follia?» «Non volevo mettere a repentaglio la sua vita.» «Perché, io sì, forse? Quando mai l'avrei fatto? In che modo?» «Essendo quello che sei», replicò lei in tono gelido. Ecco perché non vivevano più insieme. Gli sovvenne che lei non era mai stata in Danimarca. «Come hai fatto a trovarmi?» «Loro mi hanno spiegato come fare.» «Chi diavolo sono loro?» «Non lo so, Cotton! Erano due uomini. Solo uno parlava... Uno alto, coi capelli scuri e la faccia schiacciata.» «Americano?» «Come faccio a saperlo?»
«Come parlava?» La donna parve ritrovare l'autocontrollo. «No, non erano americani. Avevano un'inflessione particolare. Europea.» Lui agitò la mano che stringeva il cellulare. «Cosa dovrei fare con questo?» «Il tizio ha detto di aprire la posta elettronica per trovare le spiegazioni.» Pam lanciava occhiate nervose agli scaffali immersi nell'ombra. «Di sopra, giusto?» Doveva essere stato Gary a dirle che abitava sopra il negozio, perché di certo non era stato lui: l'anno prima - da quando lui si era dimesso dal dipartimento di Giustizia e aveva lasciato la Georgia - si erano parlati una sola volta. Era stato due mesi prima, ad agosto, quando aveva riportato a casa Gary dopo le vacanze estive. Lei gli aveva comunicato freddamente che il ragazzo non era suo figlio naturale, bensì il frutto di una storia risalente a sedici anni addietro, che aveva rappresentato la reazione di lei a una sua infedeltà. Da allora, lui aveva sempre combattuto contro quel demone e ancora non era riuscito a venire a patti con tutte le implicazioni. Una cosa soltanto aveva deciso, all'epoca: di non rivolgere mai più la parola a Pam Malone. Qualunque comunicazione sarebbe avvenuta tra lui e Gary. A quanto pareva, però, le cose erano cambiate. «Sì, di sopra.» Entrarono nell'appartamento e Malone sedette alla scrivania, accese il portatile e attese il caricamento dei programmi. Pam aveva finalmente ripreso il controllo delle proprie emozioni. Era fatta così: i suoi umori avevano un andamento ondulatorio, fatto di picchi svettanti e abissali profondità. Era un avvocato - proprio come lui - ma, mentre Cotton aveva lavorato per il governo, lei si occupava di società citate nella classifica di Fortune 500, che potevano permettersi di pagare al suo studio legale onorari astronomici. Quando si era iscritta alla facoltà di legge, lui aveva creduto che la sua decisione fosse un riflesso della propria, un modo per rinsaldare la loro vita in comune. Solo più tardi aveva compreso che per lei si era trattato di un mezzo per conquistare l'indipendenza. Pam era fatta così. Cotton aprì la posta. Era vuota. «Qui non c'è niente.» Pam si avvicinò. «Come sarebbe a dire? Ha detto che dovevi aprire la
posta.» «È stato due giorni fa. A proposito: come sei arrivata sin qui?» «Mi hanno dato il biglietto dell'aereo.» Malone non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Cosa? Ti rendi conto che hai dato loro due giorni di vantaggio?» «Credi che non lo sappia?» replicò lei, stizzita. «Mi reputi un'idiota totale? Mi hanno detto che i miei telefoni erano sotto controllo, che mi stavano sorvegliando... e che se non mi fossi attenuta alle loro istruzioni, Gary sarebbe morto. Mi hanno mostrato una foto.» S'interruppe e le lacrime ricominciarono a scorrere. «I suoi occhi... oh, i suoi occhi...» Scoppiò di nuovo in pianto. «Era spaventato.» Malone si sentiva pulsare il petto e bruciare le tempie. Si era intenzionalmente lasciato alle spalle una vita di pericolo quotidiano per trovare qualcosa di nuovo; possibile che quella vita stesse tornando a stanarlo? Afferrò il bordo della scrivania. Crollare non sarebbe servito a nessuno dei due. Se loro - chiunque fossero - volevano Gary morto, probabilmente lo sarebbe già stato... ma no, Gary era merce di scambio. Un modo, a quanto pareva, di ottenere la sua attenzione. Il portatile emise un suono metallico. Gli occhi di Malone saettarono verso l'angolo in basso a destra del monitor: posta in arrivo. Vide apparire nella riga del mittente Saluti e in quella dell'oggetto La vita di tuo figlio. Spostò il cursore e aprì il messaggio. Hai qualcosa che voglio: il Rapporto Alexandria. Lo hai nascosto e sei l'unica persona al mondo a sapere dove trovarlo. Va' a prenderlo! Hai 72 ore. Quando lo avrai, premi il tasto 2 del cellulare. Se non avrò tue notizie allo scadere delle 72 ore, tuo figlio morirà. Se nel frattempo cercherai di fare il furbo, tuo figlio soffrirà. 72 ore. Trovalo e tratteremo. «Cos'è il Rapporto Alexandria?» chiese Pam. Malone non disse nulla. Non poteva. Era davvero l'unica persona al mondo a sapere e aveva dato la sua parola. «Chiunque abbia mandato quel messaggio, lo sa. Che cos'è?» Lui fissò il monitor e capì che non c'era modo di risalire all'origine del messaggio: il mittente, come lui, sapeva sfruttare i buchi neri... Server che instradavano le e-mail a casaccio attraverso un labirinto elettronico, non impossibile da seguire, ma maledettamente difficile.
Si alzò e si passò una mano tra i capelli. Aveva pensato di farseli tagliare il giorno precedente. Inspirò profondamente un paio di volte. Poco prima si era infilato un paio di jeans e una camicia con le maniche lunghe che era rimasta aperta, lasciando scoperta una canottiera grigia. All'improvviso la paura lo raggelò. «Accidenti, Cotton...» «Zitta, Pam, devo pensare. Non mi sei d'aiuto.» «Non ti sono d'aiuto? Che ca...» Il cellulare squillò. Pam si tuffò per prenderlo ma lui la bloccò. «Lascialo stare». «Come sarebbe? Potrebbe essere Gary!» «Sii ragionevole.» Dopo il terzo squillo, prese il telefono e premette il tasto verde. «Ce ne hai messo, di tempo», disse una voce maschile. Cotton identificò l'accento come olandese. «Per favore, niente sbruffonate del tipo Se-fatedel-male-al-ragazzo-vi-ammazzo, perché nessuno di noi ne ha il tempo. Le settantadue ore sono già cominciate.» Malone rimase in silenzio, ricordando qualcosa che aveva imparato molto tempo addietro: non bisogna mai lasciare che l'altro detti le condizioni. «Ficcatele su per il culo. Io non vado da nessuna parte.» «Rischi grosso. C'è in gioco la vita di tuo figlio.» «Prima vedo Gary e gli parlo, poi vado.» «Da' un'occhiata fuori.» Corse alla finestra: tre piani più in basso la Højbro Plads era ancora deserta, salvo per due figure ferme sul lato opposto della distesa acciottolata. Entrambe le sagome avevano in spalla delle armi. Erano lanciagranate. «Non penso proprio», tagliò corto la voce al suo orecchio. Due proiettili vennero lanciati attraverso la notte e cancellarono le finestre del pianterreno. Poi esplosero. 2 Vienna, Austria, ore 2.12 L'occupante della Sedia Blu osservò le due persone che scendevano
dall'auto. Era una normale berlina europea, come se ne vedevano tante in giro nelle congestionate strade austriache: il mezzo di trasporto ideale per non attirare l'attenzione di terroristi, polizia e cronisti invadenti. Due passeggeri scesero da un'altra auto, che si allontanò subito dopo per fermarsi tra gli alberi scuri, in un'area di parcheggio lastricata. Dopo qualche minuto ne apparvero altre due. Sedia Blu, soddisfatto, lasciò la sua camera da letto al primo piano e scese al pianterreno. La riunione si sarebbe tenuta nel solito posto. Cinque poltrone dorate erano disposte in un ampio circolo sopra un tappeto ungherese. Le sedie erano tutte identiche tranne una, che esibiva sullo schienale imbottito un drappeggio di colore blu acceso. Accanto a ciascuna c'era un tavolino dorato che reggeva una lampada di bronzo, un blocco di fogli e una campanella di cristallo. A sinistra del cerchio di sedie, il fuoco scoppiettava in un camino di pietra e la sua luce danzava nervosa sugli affreschi del soffitto. Ogni poltrona era occupata da un uomo. Erano designati in ordine decrescente di anzianità. Due avevano ancora i capelli ed erano in buona salute; tre erano sulla via della calvizie e di corporatura gracile. Nessuno aveva meno di settant'anni. Gli abiti sobri che avevano indossato sino a poco prima - cappotti scuri di taglio classico e cappelli flosci grigi - erano appesi a rastrelliere d'ottone. Dietro ciascuno dei convenuti stazionava un altro uomo più giovane: il successore alla Sedia, presente per ascoltare e apprendere, ma senza il diritto di parola. Le regole erano consolidate: cinque Sedie, quattro Ombre. Sedia Blu presiedeva. «Mi scuso per l'ora tarda, ma qualche ora fa mi sono giunte informazioni preoccupanti. La nostra ultima impresa potrebbe essere in pericolo.» «Fuga di notizie?» domandò Sedia Due. «Forse.» Sedia Tre sospirò. «Il problema si può risolvere?» «Credo di sì, ma occorre un'azione immediata.» «Ho già suggerito che non dovremmo interferire», ricordò severamente Sedia Due, scuotendo il capo. «Bisognava lasciare che la faccenda seguisse il suo corso naturale.» Sedia Tre si disse d'accordo, come nell'incontro precedente. «Forse è segno che dovremmo davvero lasciar perdere. Ci sarebbe parecchio da dire sull'ordine naturale delle cose.» Sedia Blu scosse il capo. «Il nostro ultimo voto era contrario a questa li-
nea. La decisione è stata presa e dobbiamo attenerci a essa.» Indugiò. «La situazione richiede attenzione.» «Il compimento richiederebbe tatto e abilità», affermò Sedia Tre. «Un'attenzione indebita vanificherebbe lo scopo. Se intendiamo procedere, suggerisco di dare la piena autorizzazione ad agire a die Klauen der Adler.» Gli Artigli dell'Aquila. Altri due annuirono. «L'ho già fatto», disse Sedia Blu. «Ho convocato questa riunione per chiedere anche la vostra approvazione.» La mozione fu presentata, le mani si alzarono. Quattro contro uno. Mozione approvata. Sedia Blu era soddisfatto. 3 Copenhagen L'edificio fu scosso come da un terremoto, poi venne investito da un'onda di calore che parve gonfiarsi e salire per la tromba delle scale. Malone spinse Pam sul logoro tappetino che copriva il pavimento di legno. Le fece scudo col proprio corpo mentre un'altra esplosione faceva oscillare le fondamenta e le fiamme montavano verso di loro. Guardò fuori della porta. Ai piani inferiori l'incendio infuriava. Spirali di fumo si levavano a formare una nube sempre più scura. Malone si rimise in piedi e balzò verso la finestra. I due uomini erano scomparsi. Le fiamme lambivano la notte. Si rese conto di quanto era accaduto: la loro intenzione non era mai stata quella di ucciderli. «Che sta succedendo?» gridò Pam. Lui la ignorò, sollevando il vetro della finestra. Il fumo stava rapidamente saturando l'aria. «Andiamo!» la esortò, precipitandosi in camera da letto. Infilò una mano sotto il letto e tirò fuori lo zaino, che teneva sempre pronto com'era stata sua abitudine nei dodici anni da agente della sezione Magellano. C'erano dentro il suo passaporto, mille euro, un documento d'identità di riserva, un cambio d'abiti e la Beretta con una scorta di munizioni. Il suo influente amico Henrik Thorvaldsen aveva soltanto da poco riavuto dalla polizia danese la pistola, che era stata confiscata qualche mese addie-
tro, quando Malone era rimasto coinvolto nella vicenda dei Cavalieri Templari. Si buttò lo zaino in spalla e s'infilò un paio di scarpe da corsa. Non c'era tempo per allacciarle. Il fumo riempiva la stanza. Aprì entrambe le finestre. «Resta qui», le ordinò. Trattenne il respiro e attraversò il passaggio che portava alla tromba delle scale. Sotto di lui si aprivano tre piani: il pianterreno ospitava la libreria, il primo e il secondo servivano da magazzino e al terzo c'era il suo appartamento. Il pianterreno e il primo piano erano in fiamme. Il calore gli bruciacchiò il viso, costringendolo alla ritirata. Granate incendiarie. Non poteva essersi trattato d'altro. Tornò di corsa in camera da letto. «Hanno fatto in modo che non si possa passare dalle scale.» Pam stava rannicchiata presso la finestra, intenta a inghiottire aria e tossire. Le passò accanto e sporse la testa all'esterno. La camera da letto faceva angolo; l'edificio accanto - che ospitava una gioielleria e un negozio d'abbigliamento - era più basso di un piano, col tetto piatto contornato da parapetti di mattoni che, gli avevano detto, risalivano al XVII secolo. Guardò verso l'alto. Sopra la finestra passava un cornicione molto grande e sporgente, che percorreva la facciata e il lato dell'edificio. Qualcuno aveva sicuramente chiamato i pompieri, ma lui non aveva intenzione di stare ad aspettare una scala. Pam prese a tossire più forte. Anche lui aveva qualche problema a respirare. Le fece voltare la testa. «Guarda lassù», disse indicando il cornicione. «Aggrappati e cerca di spostarti verso il fianco dell'edificio. Da lì puoi lasciarti cadere sul tetto accanto.» Lei sbarrò gli occhi. «Ti ha dato di volta il cervello? Siamo al terzo piano!» «Pam, questo palazzo potrebbe esplodere... Pensa alle condutture del gas. Quelle granate erano fatte per appiccare un incendio. Non ne hanno sparata una su questo piano perché vogliono che usciamo.» Lei sembrava non capire. «Dobbiamo andarcene prima che arrivino la polizia e i pompieri.» «Ma loro possono aiutarci!» «Vuoi passare le prossime otto ore a rispondere alle loro domande? Ne abbiamo soltanto settantadue.» Pam sembrò comprendere all'improvviso la sua logica e alzò lo sguardo sul cornicione. «Non posso, Cotton.» Per la prima volta la sua voce non
suonò aspra. «Gary ha bisogno di noi. Dobbiamo andare. Guarda me, poi fai esattamente come faccio io.» Si sistemò lo zaino in spalla e, a forza di contorsioni, si issò fuori della finestra. Afferrò il cornicione: la pietra ruvida era calda, ma abbastanza sottile da offrire alle dita un appiglio sicuro. Appeso com'era, cominciò ad avanzare, palmo a palmo, verso l'angolo. Dopo qualche decina di centimetri, girò l'angolo e si lasciò cadere sul tetto piatto della casa accanto. Si affrettò a tornare alla facciata e scrutò verso l'alto. Pam era ancora alla finestra. «Coraggio! Fai come ho fatto io.» Lei esitava. Un'esplosione squarciò il secondo piano. I vetri delle finestre piovvero sulla Højbro Plads e le fiamme illuminarono l'oscurità. Pam indietreggiò, ma fu un errore. Dopo un momento la sua testa rispuntò all'esterno, tossendo violentemente. «Devi venire subito!» urlò lui. Finalmente la donna parve rendersi conto di non avere scelta. Come aveva fatto lui, si contorse per uscire dalla finestra e afferrò il cornicione, poi si spinse fuori e restò appesa per le braccia. Malone vide che aveva gli occhi chiusi. «Non occorre che guardi. Muovi soltanto le mani, una alla volta.» Lei obbedì. Due metri e mezzo di cornicione si stendevano tra il punto in cui si trovava lui e quello dove lei si stava affannando. Pam se la stava cavando alla grande, una mano dopo l'altra... Fu allora che Malone scorse due sagome nella piazza: i due uomini erano tornati, stavolta coi fucili. Girò di scatto lo zaino e vi tuffò una mano, estraendone la Beretta. Sparò due volte alle sagome quindici metri più in basso. I colpi di risposta rimbalzarono contro l'edificio, riempiendo la piazza di echi violenti. «Perché stai sparando?» domandò Pam. «Continua ad avvicinarti.» Un altro colpo e i due uomini si dispersero. Pam trovò l'angolo. Lui le lanciò un'occhiata fugace. «Svolta e buttati da questa parte.» Scrutò nel buio, ma non vide gli uomini armati. Pam stava manovrando con una mano stretta al cornicione e l'altra brancolante in cerca di un appiglio. Perse la presa.
Cadde. Lui scattò in avanti, senza lasciare la pistola, e riuscì ad afferrarla. Crollarono entrambi sul tetto, ansimanti. Il cellulare squillò. Malone strisciò verso lo zaino e trovò il telefono. «Vi state divertendo?» domandò la stessa voce di prima. «Era proprio necessario farmi saltare in aria il negozio?» «Sei stato tu a dire che non te ne saresti andato.» «Voglio parlare con Gary.» «Le regole le detto io. Avete già usato trentasei minuti delle vostre settantadue ore. Fossi in voi mi muoverei. Ne va della vita di vostro figlio.» La comunicazione s'interruppe. Le sirene si avvicinavano. Malone afferrò lo zaino e balzò in piedi. «Dobbiamo andare.» «Chi era?» «Il nostro problema.» «Chi era?» Una collera improvvisa lo pervase. «Non ne ho la più pallida idea!» «Cos'è che vuole?» «Qualcosa che non posso dargli.» «Come sarebbe a dire, non puoi? Ne va della vita di Gary! Guardati in giro... Ti ha fatto esplodere il negozio!» «Cribbio, Pam, non me n'ero proprio accorto.» Si voltò per andarsene, ma lei lo agguantò. «Dove vai?» «A cercare risposte.» 4 Dominick Sabre guardava bruciare la libreria di Cotton Malone dall'estremità orientale della Højbro Plads. I camion dei pompieri, di un giallo fluorescente, erano già schierati e pompavano acqua nelle finestre invase dalle fiamme. Sinora tutto bene: Malone si era messo in moto. L'ordine dal caos... il suo motto, la sua vita. «Sono scesi dall'edificio accanto», disse la voce dall'auricolare. «Dove sono andati?» sussurrò nel microfono fissato al bavero. «All'auto di Malone.» Perfettamente a segno.
I pompieri avanzavano nella piazza trascinando altre manichette, apparentemente intenti a evitare che l'incendio si propagasse. Pareva che il fuoco si stesse divertendo e che i libri rari bruciassero con una sorta di entusiasmo. Presto la casa di Malone sarebbe stata ridotta in cenere. «Tutto il resto è a posto?» domandò all'uomo che stava al suo fianco, uno dei due olandesi che aveva assoldato. «Ho controllato personalmente. Pronti a partire.» Ciò che stava per succedere aveva richiesto una grande preparazione. Non era neppure sicuro che ci fosse una possibilità di successo: l'obiettivo era intangibile, elusivo... Ma se la pista che stava seguendo portava da qualche parte, lui sarebbe stato pronto. In ogni caso, tutto dipendeva da Malone. Il suo nome di battesimo era Harold Earl e in tutto il materiale che lo riguardava non c'erano spiegazioni sulla provenienza del soprannome «Cotton». Malone aveva quarantotto anni, undici più di Sabre; come lui era americano, nato in Georgia. Madre nativa del Sud e padre militare di carriera, un comandante della marina, il cui sommergibile era affondato quando Malone aveva dieci anni. Curiosamente, lui aveva seguito le orme paterne, frequentando l'Accademia Navale e la scuola di volo... Poi aveva bruscamente cambiato direzione, finendo per conseguire una laurea in legge a spese del governo. Era stato trasferito al corpo della Navy JAG, dove era rimasto per nove anni. Tredici anni or sono aveva nuovamente cambiato direzione ed era passato al dipartimento di Giustizia e alla nuova sezione Magellano, che si occupava delle indagini internazionali più delicate. Lì era rimasto sino all'anno precedente, salvo poi ritirarsi anzitempo col grado pieno di comandante, abbandonare l'America, trasferirsi a Copenhagen e comprare un negozio di libri rari. Crisi di mezza età? Problemi col governo? Sabre non ne era sicuro. Poi c'era stato il divorzio. Ci aveva riflettuto molto. Chi poteva saperlo? Malone rappresentava un enigma. Sebbene fosse un bibliofilo dichiarato, nel profilo psicologico che Sabre aveva letto non c'era nulla che spiegasse in maniera soddisfacente tutti quei cambiamenti radicali. I pettegolezzi che aveva raccolto da altre fonti non facevano che confermare la competenza del suo avversario: parlava discretamente diverse lingue, non era affetto da dipendenze o fobie note e tendeva a darsi forti motivazioni e impegnarsi in modo maniacale. Malone aveva anche la for-
tuna di possedere una memoria fotografica, che Sabre gli invidiava. Competente, ricco di esperienza, intelligente... Ben diverso dai fessi che aveva assoldato: quattro olandesi con poco cervello, nessuna morale e scarsa disciplina. Rimase nell'ombra mentre la Højbro Plads si riempiva di gente che guardava lavorare i pompieri. L'aria della notte gli mordeva il viso. L'autunno, in Danimarca, non era che un rapido preludio all'inverno. Infilò i pugni stretti nelle tasche della giacca. Dare fuoco a tutto ciò per cui Cotton Malone aveva lavorato nel corso di quell'ultimo anno era stato necessario. Niente di personale; solo lavoro... E se Malone non avesse consegnato esattamente quello che lui voleva, avrebbe ucciso il ragazzo senza esitare. L'olandese al suo fianco - quello che aveva fatto le telefonate a Malone tossì, ma rimase fermo e in silenzio. Una delle inflessibili regole di Sabre era stata chiarita sin dall'inizio: Parlare solo se interpellati. Non aveva tempo, né voglia, di chiacchierare. Osservò lo spettacolo per qualche minuto ancora, poi sussurrò nel microfono da bavero: «Tutti in campana. Sappiamo dove sono diretti e voi sapete cosa fare». 5 Copenhagen, ore 4.00 Malone parcheggiò l'auto di fronte a Christiangade, la residenza di Henrik Thorvaldsen, che sorgeva sulla costa orientale della regione della Zelanda, presso lo stretto di Øresund. Aveva guidato per una quarantina di chilometri a nord di Copenhagen sulla Mazda ultimo modello che teneva parcheggiata a qualche isolato dalla sua libreria, vicino al Christianborg Slot. Dopo che lui e Pam erano riusciti a scendere dal tetto, aveva osservato i pompieri mentre cercavano di contenere l'incendio che ruggiva nella sua casa. Si era reso conto che i suoi libri erano perduti: se anche le fiamme non li avessero divorati sino all'ultimo, il calore e il fumo avrebbero causato loro un danno irreparabile. Nel guardare la scena aveva combattuto la rabbia crescente, cercando di mettere in pratica il principio che aveva imparato tanto tempo prima: Non provare odio verso il tuo nemico. Altrimen-
ti il suo giudizio ne sarebbe stato annebbiato... No, non aveva bisogno di odiare. Aveva bisogno di pensare. Pam gli stava rendendo tutto più difficile. «Chi abita qui?» «Un amico.» Durante il tragitto aveva cercato di carpirgli ulteriori informazioni, ma lui gliene aveva fornite poche, il che era servito soltanto ad alimentare la rabbia di Pam. Prima di affrontarla, Malone aveva bisogno di parlare con qualcun altro. La casa buia era un esemplare di autentico barocco danese: tre piani di mattoni ricoperti di arenaria, sormontati da un tetto di rame graziosamente curvo. Un'ala era rivolta verso l'interno, l'altra si affacciava sul mare. L'aveva eretta un Thorvaldsen trecento anni addietro, dopo aver proficuamente convertito tonnellate di torba senza valore in combustibile per la produzione del vetro. Altri Thorvaldsen l'avevano preservata con affetto attraverso i secoli, trasformando infine la Adelgade Glasvaerker - col suo simbolo distintivo, composto da due cerchi con una linea sotto - nella prima vetreria di Danimarca. La moderna conglomerata era guidata dall'attuale patriarca della famiglia, Henrik Thorvaldsen, grazie al quale Malone viveva ora in Danimarca. Si avvicinò al massiccio portone d'ingresso. Un festoso scampanio, simile a quello di una chiesa di Copenhagen a mezzogiorno, annunciò la sua presenza. Premette di nuovo il campanello, poi si mise a bussare energicamente. Una luce si accese in una delle finestre al piano superiore, poi un'altra. Qualche istante più tardi udì lo scatto della serratura e la porta si aprì. L'uomo che lo fissava si era appena svegliato, eppure i suoi capelli color del rame erano pettinati, il volto era una maschera d'impeccabile autocontrollo e la vestaglia di cotone non presentava una grinza. Era Jesper, il capo dei domestici di Thorvaldsen. «Sveglialo», disse Malone in danese. «A che scopo compiere un gesto tanto inopportuno alle quattro del mattino?» «Guardami.» Era coperto di sudore, sudiciume e fuliggine. «Ti pare abbastanza importante?» «Sarei propenso a credere di sì.» «Aspetteremo nello studio. Ho bisogno del suo computer.» Anzitutto Malone controllò il suo account di posta elettronica danese per controllare se fossero stati inviati altri messaggi, ma non c'era nulla. Poi si
collegò al server protetto della sezione Magellano, usando la password che gli aveva dato il suo ex capo, Stephanie Nelle. Benché lui fosse in pensione e non più alle dipendenze del dipartimento di Giustizia, Stephanie gli aveva fornito una linea di comunicazione diretta in cambio di ciò che Cotton aveva fatto recentemente per lei in Francia. Tenuto conto della differenza di orario - ad Atlanta erano soltanto le dieci del lunedì sera - contava sul fatto che il messaggio venisse inoltrato direttamente a lei. Alzò gli occhi dal computer mentre Thorvaldsen entrava, strascicando i piedi. Il maturo gentiluomo danese, a quanto pareva, si era preso il tempo necessario per vestirsi. La sua conformazione bassa e curva - risultato di una spina dorsale che molto tempo addietro non aveva voluto saperne di raddrizzarsi - era nascosta dalle pieghe di un maglione troppo grande, color zucca. Aveva capelli argentei malamente aggrovigliati e sopracciglia cespugliose e incolte. Rughe profonde racchiudevano bocca e fronte come tra due parentesi; la pelle giallastra faceva pensare che evitasse il sole... Malone sapeva che era proprio così, giacché il danese di rado si avventurava all'esterno. In un continente dove gli antichi patrimoni di famiglia si contano in miliardi, Thorvaldsen era in cima a tutte le classifiche dei più ricchi. «Cosa sta succedendo?» «Henrik, ti presento Pam, la mia ex moglie.» Lui le sorrise. «Piacere di conoscerla.» «Non abbiamo tempo per queste cose!» disse lei, ignorando il loro ospite. «Dobbiamo pensare a Gary.» Thorvaldsen scrutò Malone. «Hai un aspetto terribile, Cotton, e lei sembra preoccupata.» «Preoccupata?» gli fece eco Pam. «Mi sono appena arrampicata fuori da un edificio in fiamme. Mio figlio è scomparso. Ho il fuso orario sballato e non mangio da due giorni.» «Farò preparare qualcosa.» La voce di Thorvaldsen rimase inespressiva, come se cose del genere gli succedessero ogni notte. «Non voglio mangiare. Voglio ritrovare mio figlio!» Malone raccontò a Thorvaldsen quello che era successo a Copenhagen e aggiunse: «Temo che l'edificio sia perduto». «Il che è l'ultima delle nostre preoccupazioni.» L'altro colse il significato del plurale e quasi sorrise. Era una caratteristica di Thorvaldsen che gli piaceva: sempre dalla parte degli amici, qualunque cosa accadesse.
Pam andava su e giù come una leonessa in gabbia. Malone notò che aveva perso un paio di chili dall'ultima volta che si erano parlati. Era sempre stata snella, con lunghi capelli rossicci, e il tempo non aveva scurito la sua carnagione pallida punteggiata di lentiggini. Aveva gli abiti a brandelli - come i nervi -, ma nel complesso era ancora bella come quando l'aveva sposata, poco dopo essere entrato nella Navy JAG. Pam era fatta così... Esteriormente era splendida; il problema stava all'interno. Persino in quel momento i suoi occhi azzurri, arrossati dal pianto, riuscivano a trasmettere un furore gelido. Era una donna intelligente e sofisticata, ma adesso era confusa, stordita, arrabbiata e impaurita. Niente di tutto ciò era un bene, a parere di Malone. «Cosa state aspettando?» sbottò la donna. Lui guardò il monitor del computer. L'accesso al server della sezione era ancora in attesa di autorizzazione ma, dal momento che lui non era più in servizio, la sua richiesta sarebbe stata di certo inoltrata direttamente a Stephanie. Sapeva che non appena lei avesse visto chi era, lo avrebbe subito autorizzato ad accedere. «Era questo che facevi?» chiese Pam. «Gente che cerca di darti fuoco o di spararti... È questo che facevi? Hai visto a cosa ci ha portato? Capisci in che razza di situazione siamo?» «Mrs Malone...» iniziò Henrik. «Non mi chiami così!» scattò lei. «Avrei dovuto cambiare cognome. Il buonsenso me lo diceva, quando abbiamo divorziato... Ma no, non potevo desiderare un nome diverso da quello di Gary! Guai a dire qualcosa sul suo prezioso padre. Neanche una parola! No, Cotton, tu sei il numero uno... Sei un re agli occhi di quel ragazzo. È la cosa più assurda che abbia mai visto!» Aveva voglia di litigare e lui avrebbe quasi desiderato avere il tempo di accontentarla. Il computer emise un suono metallico. Sul monitor si aprì la pagina di accesso alla sezione. Malone digitò la password e in un attimo fu stabilita la connessione. Apparvero le parole CAVALIERI TEMPLARI: il codice di verifica di Stephanie. Lui scrisse ABBEY DES FONTAINES - il luogo ove lui e Stephanie, qualche mese prima, avevano scoperto i resti moderni di quell'ordine medievale - e dopo qualche istante apparve un: Che succede, Cotton? Lui riassunse rapidamente la situazione e lei rispose:
Qui c'è stata una falla, due mesi fa. Qualcuno ha aperto i file protetti. PUOI SPIEGARMI? Non ora. Volevamo tenerlo segreto. Devo controllare alcune cose... Non ti muovere, torno subito da te. Dove siete? A CASA DEL TUO DANESE PREFERITO. Salutamelo tanto. Malone sentì Henrik ridacchiare: sapeva che l'amico e Stephanie, proprio come due genitori divorziati, si sopportavano soltanto per amor suo. «Abbiamo intenzione di restarcene seduti qui ad aspettare?» esplose Pam. Sia lei che Henrik avevano letto tutto da sopra le spalle di Malone. «Proprio così.» Lei si diresse verso la porta come una furia. «Tu, forse. Io voglio fare qualcosa!» «Per esempio?» le domandò. «Vado alla polizia.» Spalancò la porta. Jesper era in mezzo al corridoio e ostruiva il passaggio. Pam fissò il maggiordomo. «Si tolga di mezzo!» Jesper non si mosse. Pam si voltò e lanciò un'occhiataccia a Henrik. «Dica al suo domestico di spostarsi, altrimenti lo sposterò io.» «Si senta libera di provarci», replicò Thorvaldsen. Malone fu lieto che Henrik avesse previsto qualche azione avventata. «Pam... Anch'io mi sento a pezzi, proprio come te. Quello che la polizia può fare è zero. Qui si tratta di un professionista che ha su di noi un vantaggio di almeno due giorni. Mi servono informazioni per poter fare ciò che è meglio per Gary.» «Non hai versato una lacrima! Non un'ombra di sorpresa... Niente di niente. Come sempre.» L'accusa lo indispose, specialmente lanciata dalla stessa donna che non appena due mesi prima lo aveva placidamente informato che lui non era il padre del loro figlio. Era giunto alla conclusione che quella rivelazione
non significava nulla a fronte dei suoi sentimenti per Gary - il ragazzo era e sarebbe sempre stato suo figlio - ma la menzogna aveva fatto un'enorme differenza nell'opinione che lui aveva della propria ex moglie. La rabbia gli imporporò il collo. «Hai già incasinato tutto. Avresti dovuto chiamarmi sin dal primo istante! Diamine, in gamba come sei, avresti dovuto trovare il modo di metterti in contatto con me o con Stephanie... Lei sta ad Atlanta, a un tiro di schioppo! Invece hai regalato due giorni a quei tizi. Non ho né il tempo, né l'energia per combattere contro di te e contro di loro. Posa il culo su una sedia e chiudi il becco!» Lei rimase immobile, come pietrificata, in un silenzio minaccioso. Infine si arrese e si lasciò cadere su un divano di pelle. Jesper chiuse delicatamente la porta e restò fuori. «Dimmi una cosa», riprese Pam. Teneva gli occhi fissi a terra e il suo volto era rigido come il marmo. Lui anticipò la sua domanda. «Vuoi sapere perché non posso dargli quello che vuole? Non è così semplice.» «È in gioco la vita di un ragazzo.» «Non un ragazzo qualsiasi, Pam. Nostro figlio.» La donna non replicò. Forse si era finalmente resa conto che aveva ragione lui: prima di agire servivano informazioni. Malone era a un punto morto, come il giorno dopo gli esami alla facoltà di legge o quando aveva chiesto il trasferimento dalla JAG alla sezione Magellano. O quando era entrato con decisione nell'ufficio di Stephanie Nelle e aveva lasciato il posto. Aspettare, sperare, volere... Il tutto senza sapere. Si domandò cosa stesse facendo Stephanie. 6 Washington, DC, lunedì 3 ottobre, ore 22.30 Stephanie Nelle era contenta di essere sola. La preoccupazione le rannuvolava il viso e a lei non piaceva che qualcuno, specialmente tra i suoi superiori, la vedesse inquieta. Di rado si lasciava turbare da ciò che accadeva sul campo, ma il rapimento di Gary Malone era stato un duro colpo. Si trovava nella capitale per lavoro; era appena uscita da una lunga cena col
consigliere per la sicurezza nazionale. Un Congresso sempre più moderato stava proponendo emendamenti a diverse leggi approvate dopo l'11 settembre. Molti sembravano favorevoli a lasciar decadere i decreti a tempo, quindi l'amministrazione si preparava a dar battaglia. Il giorno prima vari alti ufficiali avevano fatto il giro dei talk show domenicali per sminuire i pareri contrari e sui giornali del mattino, analogamente, erano apparsi articoli sfornati direttamente dalla macchina pubblicitaria governativa. Lei era stata convocata ad Atlanta per esercitare pressioni, l'indomani, sui senatori chiave. La riunione di quella sera era stata una prova generale: un modo - e lei lo sapeva - per far sì che tutti fossero precisamente informati di ciò che intendeva dire. Odiava la politica. Nell'arco della sua permanenza alla Giustizia aveva servito tre presidenti, ma l'amministrazione attuale si era dimostrata senza dubbio la più difficile da placare. Decisamente a destra rispetto al centro, e ogni giorno un po' più vicino a quell'estremo, il presidente era già al secondo mandato e sarebbe rimasto in carica per altri tre anni; mirava quindi a lasciare il segno... E quale miglior epitaffio di l'uomo che sgominò il terrorismo? Tutto ciò non significava nulla agli occhi di lei. I presidenti andavano e venivano. Dal momento che quei particolari decreti antiterrorismo, ora a rischio, si erano dimostrati effettivamente utili, aveva promesso al consigliere per la sicurezza nazionale che il mattino seguente avrebbe fatto la brava ragazza e avrebbe detto tutte le cose giuste al Campidoglio. Ma questo era successo prima che rapissero il figlio di Cotton Malone. Il telefono nello studio di Thorvaldsen squillò con un tono acuto che scosse ulteriormente i nervi di Malone. «Stephanie, che piacere sentirti! Tanti cari saluti anche a te». Henrik sorrise alla propria facezia. «Sì, Cotton è qui.» Malone agguantò il telefono. «Dimmi tutto.» «Attorno al Labour Day abbiamo notato una falla nel sistema che si era aperta parecchio tempo prima. Qualcuno è riuscito a dare una sbirciatina ai file protetti... Uno in particolare.» Lui sapeva quale. «Ti rendi conto che tenendomi all'oscuro di questa informazione hai messo in pericolo la vita di mio figlio?» Silenzio all'altro capo del filo. «Rispondi, maledizione!»
«Non posso, Cotton. Tu sai perché. Dimmi solo cos'hai intenzione di fare.» Malone intuì il vero significato di quella domanda: aveva intenzione di consegnare il Rapporto Alexandria al tizio del cellulare? «Perché non dovrei darglielo?» «Tu sei l'unico che possa rispondere a questa domanda.» «Per che cosa dovrei rischiare la vita di mio figlio? Ho bisogno di conoscere tutta la storia, incluso quello che non mi è stato detto cinque anni fa.» «Avrei bisogno di saperlo anch'io», ribatté Stephanie. «Nemmeno io sono stata invitata al briefing.» Era una battuta che aveva già sentito. «Non prendermi per i fondelli. Non sono dell'umore giusto.» «Stavolta sono sincera. Non mi hanno detto niente. Tu hai chiesto di entrare e mi hanno dato l'ok per farlo. Ho contattato il procuratore generale, così avrò qualche risposta.» «Com'è possibile che qualcuno sapesse del Rapporto? Tutta la faccenda è stata segretata a livelli ben superiori al tuo. Era nei patti!» «Ottima domanda.» «Non mi hai ancora detto perché non mi hai avvertito della falla.» «Infatti, Cotton. Non l'ho fatto.» «Il pensiero che io fossi l'unica persona al mondo a sapere del Rapporto non ti ha sfiorato la mente? Non sei riuscita a fare due più due?» «Come avrei potuto prevedere tutto questo?» «Avresti potuto eccome, perché hai vent'anni d'esperienza alle spalle. Perché non sei un'idiota. Perché siamo amici. Perché...» La preoccupazione sgorgava da lui a fiotti. «La tua stupidità potrebbe costare la vita a mio figlio.» Sapeva che le sue parole avevano scosso Pam e si augurò che lei non esplodesse. «Me ne rendo conto, Cotton.» Non intendeva facilitarle le cose. «Caspita, ora sì che mi sento meglio!» «Io dovrò occuparmi della faccenda da qui, ma ho qualcosa da offrirti. Ho un agente in Svezia che può trovarsi in Danimarca a metà mattina. Lui ti dirà tutto.» «Dove e quando?» «Lui suggerisce Kronborg Slot. Alle undici.» Conosceva il posto: era poco distante, appollaiato su uno sputo di terra nuda sull'Øresund. Shakespeare aveva immortalato quella gigantesca for-
tezza ambientandovi l'Amleto. Ora era la più famosa attrazione turistica della Scandinavia. «Propone d'incontrarti nella sala da ballo. Immagino tu sappia come muoverti, giusto?» «Ci sarò.» «Cotton... Voglio che tu sappia che farò tutto il possibile per aiutarti.» «È il minimo che tu possa fare, vista la situazione.» Riattaccò. 7 Washington, DC, martedì 4 ottobre, ore 4.00 Stephanie entrò in casa di O. Brent Green, procuratore generale degli Stati Uniti. Un'auto l'aveva appena portata a Georgetown. Aveva telefonato a Green prima di mezzanotte per chiedergli un incontro faccia a faccia, dopo avergli brevemente spiegato l'accaduto. Lui aveva chiesto un po' di tempo per indagare e lei non aveva avuto altra scelta che accettare. Green l'aspettava nel suo studio. Aveva servito il presidente per tutto il primo mandato e faceva parte dello sparuto gruppo di membri del gabinetto che avevano accettato di restare per la durata del secondo. Andava celebre come sostenitore delle cause cristiane e conservatrici: era uno scapolo del New England senza l'ombra di uno scandalo collegato al suo nome, che pure a quell'ora antelucana sprizzava serietà ed energia. I capelli e il pizzetto erano tagliati con precisione e ben pettinati; la sagoma asciutta era inguainata in un abito gessato di marca. Quando il presidente lo aveva scelto per il dipartimento di Giustizia era reduce dal sesto mandato al Congresso, nonché governatore del Vermont. La sua schiettezza e l'approccio diretto lo rendevano popolare in entrambi gli schieramenti politici, ma la sua personalità distaccata pareva impedirgli di aspirare, a livello nazionale, a una posizione più alta di quella di procuratore generale. Stephanie non era mai stata a casa di Green; si era aspettata un ambiente tetro e privo di fantasia, a immagine e somiglianza dell'uomo stesso. Le stanze, invece, erano calde e accoglienti: c'erano molti tocchi di terra di Siena, talpa, verde chiaro e sfumature di marrone e arancio... Un effetto
Hemingway, come una catena di negozi di arredamento di Atlanta definiva combinazioni del genere. «È una faccenda insolita persino per lei, Stephanie», commentò Green nel salutarla. «Novità da Malone?» «Riposava prima di partire per Kronborg. Tenuto conto della differenza di fuso orario, dovrebbe essere prossimo all'arrivo.» L'uomo la invitò a sedersi. «Sembra che il problema si stia aggravando.» «Brent, ne abbiamo già parlato. Qualcuno che si colloca molto in alto nella catena alimentare è entrato nel database protetto. Sappiamo che i file del Rapporto Alexandria sono stati copiati.» «L'FBI sta indagando.» «Oh, per piacere! Il direttore è troppo impegnato a leccare il culo del presidente. Non c'è pericolo che qualcuno alla Casa Bianca sia implicato.» «Una sintesi colorita, com'è sua abitudine, ma esatta. Purtroppo è l'unica procedura che possiamo seguire.» «Potremmo darci un'occhiata noi.» «Non porterebbe altro che guai.» «Ci sono abituata.» Green sorrise. «In effetti...» Indugiò. «Mi stavo chiedendo: quanto sa, in realtà, di quel Rapporto?» «Quando buttai Cotton nella mischia, cinque anni fa, fu col tacito sottinteso che non avevo bisogno di sapere. Non era un fatto insolito - ho avuto a che fare con parecchie situazioni del genere - quindi non me ne sono preoccupata. Ora, però, ho bisogno di sapere.» Il volto di Green tradì una certa preoccupazione. «Probabilmente sto per violare un bel po' di leggi federali, ma sono d'accordo. È ora che lei sappia.» Malone scrutò l'altura rocciosa di Kronborg Slot. Un tempo i suoi cannoni erano stati puntati contro le navi straniere che attraversavano gli stretti - dirette e provenienti dal Baltico - e le tasse di transito da essa raccolte avevano gonfiato le casse danesi. Ora le mura color crema si ergevano austere sullo sfondo di un limpido cielo azzurro: non era più una fortezza, bensì un mero esempio di architettura nordica del Rinascimento con le sue torri ottagonali, le guglie appuntite e i tetti di rame verde che ricordano più l'Olanda che la Danimarca... Il che era comprensibile, dal momento che come Malone ben sapeva - nel XVI secolo un olandese era stato determinante nella progettazione del castello. Quel sito gli piaceva, tanto più che i
luoghi pubblici possono rivelarsi i migliori per chi volesse rendersi invisibile. Ne aveva sfruttati molti durante gli anni trascorsi nella sezione Magellano. Il viaggio a nord da Christiangade era durato appena un quarto d'ora, poiché la residenza di Thorvaldsen sorgeva a metà strada tra Copenhagen e Helsingør, l'animata città portuale adiacente al castello. Malone aveva visitato sia Kronborg che Helsingør, vagando per le spiagge vicine in cerca d'ambra: un modo rilassante di trascorrere la domenica pomeriggio. La visita di quel giorno era diversa... Era teso, pronto a dare battaglia. «Cosa stiamo aspettando?» domandò Pam. Il suo volto era tirato e inespressivo come una maschera. Malone era stato costretto a portarla con sé: la sua ex moglie aveva insistito moltissimo, minacciando di creare ulteriori problemi se l'avesse lasciata da parte. Malone poteva certamente capire che non fosse disposta a limitarsi ad aspettare con Thorvaldsen; tensione e monotonia possono creare una miscela imprevedibile. «Il nostro uomo ha detto alle undici», le rispose. «Abbiamo perso abbastanza tempo.» «Niente di quello che abbiamo fatto è stato una perdita di tempo.» Dopo avere interrotto la comunicazione con Stephanie era riuscito a dormire per qualche ora: dopotutto non avrebbe potuto fare nulla per Gary, mezzo addormentato com'era. Si era anche cambiato d'abito con quello che aveva nello zaino e Jesper si era occupato dei vestiti di Pam, poi avevano mangiato qualcosa per colazione. Lui era pronto. Guardò l'ora: dieci e venti. I parcheggi cominciavano a riempirsi di auto e presto sarebbero arrivati i primi pullman. Tutti volevano vedere il castello di Amleto. A lui non sarebbe potuto interessare meno. «Andiamo!» «Il Rapporto è una persona», disse Green. «Si chiama George Haddad. Un palestinese, uno studioso della Bibbia.» Stephanie aveva già sentito quel nome. Haddad conosceva di persona Malone e cinque anni prima ne aveva richiesto espressamente l'aiuto. «Qual è il prezzo della vita di Gary Malone?» «La biblioteca perduta di Alessandria.» «Non dirà sul serio!»
«Haddad pensava di averla localizzata», sostenne Green. «Che importanza potrebbe avere oggigiorno?» «In realtà, potrebbe avere una grande importanza. Quella biblioteca era il più grande concentrato di sapere al mondo... Ha resistito per seicento anni, sino alla metà del VII secolo, quando infine i musulmani hanno assunto il controllo di Alessandria ed epurato tutti gli oppositori dell'Islam. Mezzo milione di pergamene, codici, mappe... In quella biblioteca era conservata una copia di qualunque cosa fosse stata scritta. Eppure, ad oggi, nessuno ne ha mai trovato nemmeno un frammento.» «Haddad invece sì?» «Così ha lasciato intendere. Stava lavorando a una teoria biblica... Non so quale fosse, ma la prova della sua teoria si trovava presumibilmente all'interno della biblioteca perduta.» «Come faceva a saperlo?» «Non so neppure questo, Stephanie. Sta di fatto che cinque anni fa quando i nostri hanno fatto qualche innocente richiesta per visti, accesso agli archivi e scavi archeologici in Cisgiordania, Sinai e Gerusalemme - gli israeliani si sono inferociti. Fu allora che Haddad chiese aiuto a Malone.» «Per una missione al buio, il che non mi è piaciuto affatto.» Al buio significava che Malone era stato incaricato di proteggere Haddad, ma senza fare domande. Stephanie ricordò che neppure a Malone era piaciuta quella condizione. «Haddad si fidava soltanto di Malone», continuò Green. «Per questo, alla fine, Cotton lo ha nascosto e ora è l'unico al mondo a sapere dove si trovi. Apparentemente all'amministrazione non dispiaceva che Haddad venisse occultato, a patto di poter controllare la strada per arrivare a lui.» «A che scopo?» Green scosse la testa. «Non ha molto senso, ma c'è un indizio su quello che potrebbe esserci in gioco.» Stephanie era tutta orecchie. «In una delle relazioni che ho visto c'era un'annotazione a margine: Genesi 13:14-17. Conosce il brano?» «Non me la cavo granché con la Bibbia.» «Il Signore disse ad Abramo: 'Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l'oriente e l'occidente. Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre'.» Stephanie conosceva quei versetti: rappresentavano il patto divino in vir-
tù del quale, da tempo immemorabile, gli ebrei rivendicavano la Terra Promessa. «Abramo tolse la tenda e visse sulla piana di Mamre, dove costruì un altare al Signore», spiegò Green. «Mamre è Hebron, la Cisgiordania di oggi: la terra che Dio ha dato agli ebrei. 'Abram' divenne 'Abraham'... Quel brano biblico, da solo, sta alla base di tutti i conflitti mediorientali.» Lei sapeva anche questo. La guerra in Medio Oriente, tra ebrei e arabi, non era una battaglia politica come molti la percepivano. Era invece un'interminabile contesa sulla Parola di Dio. «C'è anche un altro fatto interessante», continuò Green. «Poco dopo che Malone aveva nascosto Haddad, i sauditi hanno mandato i bulldozer in Arabia occidentale e hanno cancellato intere città. La distruzione è andata avanti per tre settimane. La popolazione è stata trasferita, gli edifici abbattuti... Di quelle città non è rimasto nemmeno un rudere. Naturalmente è una parte chiusa del Paese, quindi non c'è stata copertura stampa. Nessuna attenzione da parte dei media.» «Perché l'avrebbero fatto? Sembra eccessivo persino per i sauditi.» «Nessuno ha mai dato una spiegazione soddisfacente. Di sicuro hanno agito con assoluta determinazione.» «Dobbiamo saperne di più, Brent. Cotton ha bisogno di capire... Ha una decisione da prendere.» «Ho indagato col consigliere per la sicurezza nazionale un'ora fa. Sorprendentemente, ne sa meno di me... Conosce l'esistenza del Rapporto, ma mi ha suggerito di parlarne con qualcun altro.» Stephanie lo sapeva. «Larry Daley.» Lawrence Daley era il viceconsigliere per la sicurezza nazionale, vicino al presidente e al vicepresidente. Daley non era mai apparso nei talk show della domenica mattina, né si era mai visto sulla CNN o su Fox News. Esercitava la sua influenza da dietro le quinte, in qualità di tramite tra le alte cariche della Casa Bianca e il resto del mondo politico. C'era solo un problema. «Non mi fido di quell'uomo», dichiarò Stephanie. Green parve cogliere i sottintesi del suo tono ma non disse nulla, limitandosi a fissarla coi penetranti occhi grigi. «Malone è fuori controllo», precisò lei. «Farà quello che riterrà necessario. Per giunta, in questo momento agisce sotto l'impulso della rabbia.» «Cotton è un professionista.» «È diverso quando a rischiare è uno di famiglia.» Parlava per esperienza,
avendo di recente combattuto i fantasmi del proprio passato. «Lui è l'unico a sapere dove sia George Haddad. Ha tutte le carte in mano», disse Green. «È proprio per questo che lo stanno mettendo sotto pressione.» Green teneva lo sguardo inchiodato su di lei. Stephanie sapeva che la propria incertezza stava certamente trapelando dal sospetto che non riusciva a togliersi dagli occhi. «Mi dica, Stephanie... Perché non si fida di me?» 8 Oxfordshire, Inghilterra, ore 9.00 Nascosto tra la folla, George Haddad ascoltava gli esperti, sapendo che si sbagliavano. L'evento non era altro che un espediente per spingere i media a dedicare un po' di attenzione sia al Thomas Bainbridge Museum, sia ai poco lodati crittoanalisti di Bletchley Park. Era pur vero che durante la seconda guerra mondiale quegli uomini e quelle donne senza nome avevano lavorato in assoluta segretezza, riuscendo infine a decifrare il codice tedesco Enigma e anticipando la fine della guerra... Purtroppo, però, la loro storia non era stata raccontata per intero sino a quando molti di loro non erano morti, oppure troppo vecchi per darvi peso. Haddad comprendeva la loro frustrazione: anche lui era vecchio - ormai prossimo agli ottanta - ed era un accademico. Anche lui, un tempo, aveva lavorato in segreto. Anche lui aveva decifrato un mistero importante. Non era neppure più conosciuto col nome di George Haddad, anzi aveva usato tanti pseudonimi da non riuscire a ricordarli tutti. Viveva nascosto da cinque anni e non aveva sentito una parola da nessuno. Per certi versi, era un bene; per altri, il silenzio gli torturava i nervi. Grazie a Dio soltanto un uomo sapeva che lui era vivo e in quella persona riponeva fiducia assoluta. In realtà, senza il suo intervento Haddad sarebbe stato già morto. Uscire allo scoperto in un'occasione del genere comportava un certo qual rischio, ma lui voleva sentire ciò che avevano da dire quei cosiddetti esperti. Leggendo il programma sul Times aveva ammirato il talento degli inglesi per gli eventi mediatici: la scena era allestita con la precisione di un set hollywoodiano. Facce sorridenti e completi eleganti, telecamere e registratori in abbondanza... Doveva fare attenzione a tenersi sempre dietro i loro
obiettivi. Non era difficile, giacché il centro dell'attenzione di tutti era il monumento. Ce n'erano otto sparsi per i giardini della tenuta, tutti eretti nel 1784 dall'allora conte Thomas Bainbridge. Haddad conosceva la storia della famiglia: nel 1624 i Bainbridge avevano acquistato per primi la proprietà, nascosta in un piccolo avvallamento dell'Oxfordshire e circondata da un faggeto, per costruire un'enorme residenza in stile Giacomo I al centro dei suoi seicento acri. Erano riusciti a conservarla sino al 1848, quando la Corona rilevò il titolo tramite una vendita giudiziaria e la regina Vittoria aprì al pubblico sia la casa che il terreno, tramutando la proprietà in un museo. Da allora i visitatori avevano avuto la possibilità di ammirarne gli arredi d'epoca e d'immaginare come doveva essere stato, secoli prima, vivere nel lusso. La locale biblioteca era rinomata in tutto il mondo per l'arredamento settecentesco, eppure negli ultimi anni quasi tutti venivano per vedere il monumento. La Bainbridge Hall racchiudeva un enigma e i turisti del XXI secolo amavano i misteri. Fissò la base di marmo bianco. Sopra di essa, come lui sapeva, c'era il dipinto intitolato Les Bergers d'Arcadie II... I Pastori d'Arcadia II, un'opera di scarso pregio dipinta da Nicolas Poussin nel 1640, l'immagine speculare del suo precedente quadro I Pastori d'Arcadia. La scena pastorale ritraeva una donna intenta a osservare tre pastori riuniti attorno a una tomba di pietra, i quali indicano le lettere incise su di essa: ET IN ARCADIA EGO. Haddad ne conosceva la traduzione: E in Arcadia io... Un'iscrizione enigmatica, apparentemente priva di senso. Sotto l'immagine si profilava un'altra sfida: un insieme casuale di lettere, cesellate a formare un motivo. D O.V.O.S.V.A.V.V. M Haddad sapeva che i seguaci della New Age e i teorici della cospirazione si scervellavano da anni su quella sequenza, sin da quando era stata riscoperta, una decina d'anni addietro, da un cronista del Guardian in visita al museo. «A tutti voi qui presenti oggi», stava dicendo nei microfoni un uomo alto e corpulento, «diamo il benvenuto a Bainbridge Hall. Forse oggi conosceremo il significato del messaggio che Thomas Bainbridge ha voluto affidare a questo monumento oltre duecento anni fa.» Haddad sapeva che a parlare era il curatore del museo. Due persone af-
fiancavano l'amministratore: un uomo e una donna, entrambi anziani. Aveva visto le loro fotografie sul Sunday Times. Erano entrambi ex crittoanalisti di Bletchley Park, incaricati di vagliare tutte le possibilità e decifrare il codice presumibilmente contenuto nel monumento. L'ipotesi che si trattasse effettivamente di un codice era pressoché unanime. Che altro potrebbe essere? si erano domandati in molti. Haddad ascoltò il curatore, intento a raccontare di come fosse stato pubblicato un annuncio riguardante il monumento e numerosi crittografi, teologi, linguisti e storici avessero proposto 130 soluzioni. «Alcune erano piuttosto bizzarre», disse il curatore. «Tiravano in ballo gli UFO, il Santo Graal e Nostradamus. Naturalmente c'erano ben poche prove a sostegno di tali soluzioni, perciò sono state scartate immediatamente. Qualche concorrente riteneva che si trattasse di un anagramma, ma le parole che hanno messo insieme non avevano senso.» Haddad n'era più che convinto. «Una soluzione promettente è venuta da un ex decifratore di codici militari americano che, tramite ottantadue matrici di decrittazione, ha ricavato dalla sequenza le lettere SEJ. Invertendole si ottiene JES. Applicando una complessa griglia, ne ha estratto Jesus H defy. I nostri consulenti di Bletchley Park lo hanno interpretato come una negazione della natura divina di Cristo. È un'ipotesi un po' tirata per i capelli, ma è affascinante.» Haddad sorrise a quell'assurdità. Thomas Bainbridge era stato un uomo devoto; non avrebbe mai rinnegato Cristo. La signora anziana che stava a fianco del curatore salì sul podio. Aveva i capelli argentei e indossava un tailleur blu cobalto. «Questo monumento ha rappresentato per noi una grande sfida», disse, con un timbro di voce gradevole e melodioso. «Quando io e gli altri lavoravamo a Bletchley, i codici tedeschi ci mettevano a dura prova. Erano molto difficili, ma se la mente umana è capace di concepire un codice, allora può anche decifrarlo. Queste lettere sono più complesse, più... personali, il che ne ostacola l'interpretazione. Quelli tra noi che si sono impegnati a studiare tutte e centotrenta le soluzioni proposte non sono riusciti a raggiungere un accordo unanime. Eravamo divisi, proprio come il pubblico... Ma c'era un possibile significato che aveva senso.» Si voltò e indicò il monumento alle sue spalle. «Credo che sia un messaggio d'amore.» Fece una pausa, apparentemente per lasciare che le sue parole sortissero effetto. «OVOSVAW sta per 'Optimae Uxoris Sororis Viduus Amantissimus Vo-
vit Virtutibus', che significa più o meno 'dedicato da un vedovo devoto alla migliore delle mogli e delle sorelle'. La traduzione lascia un po' a desiderare: sororis, in latino classico, può significare tanto 'delle compagne' quanto 'delle sorelle'. E 'vir', 'marito', sarebbe meglio di 'viduus', 'vedovo'... Tuttavia il significato è chiaro.» Un giornalista chiese della D e della M ai lati del gruppetto principale di otto lettere. «Semplicissimo», rispose la donna. «Stanno per 'Dis Manibus'. Un'espressione romana - 'Agli Dei degli Inferi, Ave' - analoga al nostro 'Riposi in pace'. Queste lettere si trovano su buona parte delle lapidi tombali romane.» Sembrava piuttosto compiaciuta. Haddad aveva voglia di rivolgerle un paio di quesiti circostanziati che avrebbero fatto scoppiare la sua ipotesi come una bolla di sapone, ma non disse nulla, limitandosi a osservare i due veterani di Bletchley Park che venivano fotografati di fronte al monumento con uno degli apparecchi dell'Enigma tedesco, preso in prestito per l'occasione. Sorrisi, domande ed elogi si sprecavano. Thomas Bainbridge era stato davvero un uomo brillante. Sfortunatamente non era mai stato capace di comunicare con efficacia i propri pensieri, quindi il suo spirito aveva languito sino a spegnersi, ignoto a tutti. Per la mentalità del XVIII secolo non era che un fanatico, ma agli occhi di Haddad era un profeta. Bainbridge sapeva davvero qualcosa e il curioso monumento di fronte a lui - uno degli otto di quel giardino, immagine speculare di un oscuro dipinto, col suo strano assortimento di dieci lettere - era stato eretto per una ragione ben precisa. Haddad la conosceva. Non era una dichiarazione d'amore, né un codice o un messaggio. Si trattava di una cosa completamente diversa. Una mappa. 9 Kronborg Slot, ore 10.20 Malone pagò le sessanta corone per i biglietti d'ingresso al castello per sé e Pam. Si accodarono a un gruppo che si era riversato fuori da uno dei tre pullman.
All'interno era stata allestita una mostra fotografica con immagini tratte dalle molte rappresentazioni dell'Amleto. Pensò all'ironia implicita in quel luogo: Amleto era un figlio deciso a vendicare il padre, mentre lui era un padre costretto a battersi per suo figlio. Si sentì stringere il cuore al pensiero di Gary: mai e poi mai avrebbe voluto metterlo in pericolo, tanto che per dodici anni - quando ancora lavorava per la Magellano - aveva sempre fatto in modo che lavoro e famiglia rimanessero ben separati. Eppure ora, un anno dopo che se n'era andato spontaneamente, suo figlio era stato preso in ostaggio. «È questo che facevi per tutto il tempo?» domandò Pam. «In parte.» «Come riuscivi a vivere così? Ho i nervi a pezzi. Sto ancora tremando da questa notte.» «Col tempo ci si fa l'abitudine.» Era sincero: si era stancato da un pezzo di menzogne, mezze verità, coincidenze sospette e tradimenti. «Sentivi il bisogno di tutto questo, vero?» Malone si sentiva schiacciare dalla fatica; non era dell'umore giusto per quella guerra familiare. «No, Pam, non ne avevo bisogno. Era semplicemente il mio lavoro.» «Sei un egoista. Lo sei sempre stato!» «Certo. Tu, invece, eri sempre un raggio di sole... La moglie devota che appoggiava il marito in tutto. Tanto che ti sei fatta mettere incinta da un altro uomo, hai avuto un figlio e per quindici anni mi hai lasciato credere che fosse mio.» «Non vado orgogliosa di quello che ho fatto. Potrei però ricordarti che non so quante delle tue donne siano rimaste incinte, ti pare?» Lui si fermò, deciso a farla finita. «Se non chiudi il becco, farai ammazzare Gary. Rappresento la sua unica speranza. Cercare di farmi perdere la testa, in questo momento, non è produttivo.» Quella verità fece nascere una scintilla di comprensione nello sguardo amareggiato di lei e per un istante riapparve la Pam Malone che lui, un tempo, aveva amato. Avrebbe voluto che restasse per un po', ma come sempre lei rialzò la guardia e lo scrutò con occhi gelidi. «Fai strada», gli disse. Entrarono nella sala da ballo. La stanza rettangolare era lunga sessanta metri. Su entrambi i lati si aprivano file di finestre, tutte incastonate in profonde nicchie in muratura, e
la luce obliqua proiettata sul pavimento a scacchi creava una magia sottile. Una dozzina di visitatori si spostava di volta in volta per ammirare le enormi tele a olio che ricoprivano le pareti color giallo pallido, principalmente raffiguranti scene di battaglia. All'estremità opposta, presso un caminetto, Malone individuò un uomo basso e magro dai capelli castano-rossicci che riconobbe dai tempi della sezione Magellano: Lee Durant. Aveva parlato con Durant qualche volta, ad Atlanta. Non appena l'ebbe scorto, l'agente imboccò una porta e scomparve. Malone attraversò la sala. Percorsero una serie di stanze, punteggiate di mobili del Rinascimento europeo e arazzi alle pareti. Durant camminava una quindicina di metri davanti a loro. Malone lo vide fermarsi. Lui e Pam entrarono nella stanza chiamata Camera d'Angolo. Arazzi con scene di caccia ne decoravano le spoglie pareti bianche e soltanto pochi mobili coprivano lo smorto pavimento di mattonelle bianche e nere. Malone strinse la mano a Durant e gli presentò Pam. «Dimmi cosa sta succedendo.» «Stephanie ha detto di dirlo a te, non a lei.» «Anch'io preferirei che lei non fosse qui. Fatto sta che c'è, perciò non darti pensiero.» Durant parve considerare la situazione. «Mi è stato detto anche di fare qualunque cosa tu chieda.» «Mi fa piacere sentire che Stephanie è stata così disponibile.» «Arrivi al punto», s'intromise Pam. «Abbiamo una scadenza da rispettare.» Malone scosse la testa. «Ignorala. Dimmi cosa sta succedendo.» «Qualcuno è riuscito ad accedere ai nostri file protetti. Non ci sono segni di hackeraggio o di tentativi di aggirare il firewall, perciò dovevano avere la password. Viene cambiata a intervalli regolari, ma diverse centinaia di persone hanno l'accesso.» «Nessuna traccia che riconduca a un computer in particolare?» «Zero. E nessuna impronta digitale nei dati. A quanto pare, chiunque sia stato sapeva il fatto suo.» «Immagino che qualcuno stia indagando.» «L'FBI», disse Durant. «Finora, però, non hanno concluso niente. Circa una dozzina di file sono stati esaminati, uno dei quali riguardava il Rap-
porto Alexandria.» Malone si disse che quel particolare poteva spiegare perché Stephanie non lo avesse avvertito immediatamente: c'erano altre possibilità. «Adesso viene la parte interessante. Gli israeliani sono iperattivi ultimamente, specie nelle ultime ventiquattr'ore. Le nostre fonti riferiscono che ieri uno dei loro agenti palestinesi ha riportato informazioni dalla Cisgiordania.» «Questo cosa c'entra?» «Veniva menzionato il Rapporto Alexandria.» «Quanto sai in proposito?» «Uno dei miei contatti mi ha detto soltanto questo, circa un'ora fa. Non ho nemmeno avuto il tempo d'inoltrare un rapporto completo a Stephanie.» «In che modo tutto questo ci può essere d'aiuto?» domandò Pam. «Ho bisogno di saperne di più», disse Malone a Durant. «Vi ho fatto una domanda!» insistette Pam, alzando la voce. Il suo ex marito abbandonò ogni pretesa di cortesia. «Ti ho detto di lasciar fare a me.» «Non hai nessuna intenzione di accontentarli, vero?» Gli occhi le brillavano d'ira e sembrava pronta a scagliarsi contro di lui. «Ho intenzione di riprendermi Gary.» «Però sei disposto a rischiare la sua vita? Solo per proteggere qualche maledetto file?» Un gruppo di turisti armati di macchine fotografiche entrò nella stanza. Malone vide che Pam aveva avuto il buonsenso di tacere e fu grato dell'interruzione. Portarsela appresso si stava dimostrando decisamente un errore; doveva sbarazzarsi di lei non appena avessero lasciato Kronborg, a costo di chiuderla a chiave in una stanza della residenza Thorvaldsen. I turisti si allontanarono. Lui affrontò Durant. «Spiegami meglio...» Un colpo secco lo fece trasalire e la telecamera montata sul soffitto esplose in una pioggia di scintille. Poi risuonarono altri due botti e Durant barcollò all'indietro, mentre rose di sangue sbocciavano dai fori della sua camicia verde oliva. Un terzo sparo. Durant crollò a terra. Malone si voltò. A sei metri da loro c'era un uomo che impugnava una Glock. Malone infilò il braccio destro sotto la giacca, in cerca della propria arma. «Non è necessario», disse l'uomo con calma, gettando la pistola.
Malone la prese. Strinse il calcio, pose l'indice sul grilletto, mirò, sparò. Non ottenne altro che un clic. Il dito continuò a premere il grilletto. Clic, clic. L'uomo sorrise. «Non avrai pensato che te l'avessi data carica!» L'assassino si dileguò. 10 Washington, DC, ore 4.40 Stephanie rifletté sulla domanda di Brent Green - Perché non si fida di me? - e decise di essere schietta nei confronti del superiore. «Tutti, in quest'amministrazione, vogliono liberarsi di me. Perché sono ancora qui? Non lo so. Per cui, al momento, non mi fido di nessuno.» Green scosse la testa. «Qualcuno ha avuto accesso a quei file con una password», rincarò lei. «Certo, ne hanno esaminati una dozzina o più, ma sappiamo entrambi quale stavano cercando. Siamo in pochi a essere al corrente del Rapporto Alexandria... Non conosco neppure i particolari; so solo che abbiamo passato un sacco di guai per qualcosa di apparentemente privo di valore. Tante domande, nessuna risposta... Suvvia, Brent! Tu e io non siamo mai stati culo e camicia. Perché dovrei fidarmi?» «Parliamoci chiaro», replicò Green. «Io non ti sono nemico. Se lo fossi, non sarei qui a parlare con te.» «In questo lavoro, ho avuto amici che me l'hanno detto un sacco di volte, senza credere a una sola parola.» «I traditori sono fatti così.» Lei decise di metterlo ulteriormente alla prova. «Non credi che dovremmo far entrare nel giro altra gente?» «L'FBI c'è già dentro.» «Brent, stiamo lavorando al buio. Abbiamo bisogno di conoscere cosa sa George Haddad.» «Allora è il momento di trattare con Larry Daley alla Casa Bianca. Qualunque strada prendiamo, ci porterà dritti a lui... Tanto vale andare subito alla fonte.» Lei annuì. Green prese il telefono.
La persona che aveva appena ucciso Lee Durant urlò che c'era un uomo con una pistola che aveva sparato a qualcuno. Malone lo sentì. E lui aveva ancora in mano la Glock. «È morto?» balbettò Pam. Era una domanda stupida, ma starsene lì impalato con l'arma del delitto era ancora più stupido. «Muoviti!» «Non possiamo lasciarlo lì!» «Tanto è morto.» L'isteria le riempì gli occhi. Malone ricordava ancora la prima volta che aveva visto qualcuno morire, dunque addolcì il tono. «Non avresti dovuto assistere a questo spettacolo. In ogni caso dobbiamo andarcene.» Un trambusto di tacchi sulle mattonelle echeggiò da fuori: la sicurezza, probabilmente. Afferrò la mano di Pam e la trascinò verso l'estremità opposta della Camera d'Angolo. Attraversarono di corsa altre stanze, ognuna uguale alla precedente, disseminate di mobili d'epoca e illuminate dalla luce fioca del mattino. Malone notò altre telecamere e si rese conto che, prima o poi, avrebbe dovuto eluderle. Ficcò la Glock nella tasca della giacca e tirò fuori la Beretta. Entrarono nella stanza nota come la Camera della Regina. Udì delle voci alle loro spalle: a quanto pareva il cadavere era stato trovato. Le grida e i passi si avvicinavano sempre più. La Camera della Regina era in effetti un appartamento. Si poteva uscirne da tre porte: una si apriva su una scala che saliva e un'altra su una che scendeva, mentre l'ultima dava su un'altra stanza. Nessuna telecamera di sorveglianza in vista. Malone esaminò l'arredamento, cercando di decidere il da farsi. Un grande armadio torreggiava contro la parete esterna. Decise di giocare quella carta. Corse all'armadio e afferrò le maniglie di ferro delle due ante. All'interno era vuoto e spazioso, più che sufficiente per tutti e due. Rivolse un cenno a Pam, che per una volta lo seguì senza commenti. «Dentro», sussurrò. Socchiuse le due uscite che davano sulle scale, poi s'infilò nell'armadio e ne chiuse piano le ante, sperando che i loro inseguitori credessero che erano scesi, saliti o tornati nel castello. Stephanie ascoltò Brent Green ragguagliare Larry Daley su quanto era
accaduto. Non poté fare a meno di chiedersi se il pomposo somaro che stava all'altro capo del filo non conoscesse già ogni dettaglio... e anche qualcosa di più. «So del Rapporto Alexandria», risuonò la voce di Daley dall'altoparlante del vivavoce. «Le dispiace parlarcene?» domandò Green. «Vorrei poterlo fare, ma sono informazioni classificate.» «Sta parlando col procuratore generale e col capo di una delle nostre migliori agenzie d'intelligence.» «Si tratta di materiale riservato a pochissime paia d'occhi. Mi spiace, ma nessuno di voi due ha i requisiti.» «Come mai, allora, qualcun altro è riuscito a sbirciare?» volle sapere Stephanie. «Non lo avete ancora capito?» «Io sì, forse.» La stanza sprofondò nel silenzio. A quanto pareva, Daley aveva ricevuto il messaggio. «Non sono stato io.» «In caso contrario non ce lo verrebbe certo a dire», disse Stephanie. «Badi a come parla!» Lei ignorò la frecciata. «Malone consegnerà loro il Rapporto. Non rischierà la vita di suo figlio.» «Allora bisogna fermarlo», dichiarò Daley. «Non possiamo permetterci di perderlo.» Stephanie capì ciò che intendeva. «Lo volete per voi. Giusto?» «Giustissimo.» Stephanie non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Potrebbe esserci in gioco la vita di un ragazzo!» «Non è un problema mio», dichiarò Daley. Chiamare Daley era stato un errore. Vide che pure Green se ne stava rendendo conto. «Larry, cerchiamo di dare una mano a Malone», disse Green. «Non rendiamogli il compito più difficile.» «Brent... Qui si tratta della sicurezza nazionale, non di un caso umano.» Stephanie s'intromise. «È curioso che lei non sembri minimamente turbato dal fatto che qualcuno abbia avuto accesso ai nostri file protetti e abbia scoperto tutto su questo riservatissimo Rapporto Alexandria, per quanto ne faccia una questione di sicurezza nazionale.»
«Avete denunciato la fuga di dati oltre un mese fa. L'FBI se ne sta occupando. Lei, invece, cosa sta facendo in proposito, Stephanie?» «Mi è stato ordinato di non fare niente. Cos'hai combinato, Larry?» Un sospiro echeggiò attraverso l'altoparlante. «Sei proprio una rompipalle.» «Sta lavorando per me», chiarì Green. «Vi dirò quello che penso», riprese Stephanie. «Qualunque cosa sia questo Rapporto, in qualche modo coincide con quello che voi geni della Casa Bianca concepite come politica estera. In realtà vi fa comodo che i file siano stati esposti e che qualcuno abbia quelle informazioni, così potrete lasciare che facciano il lavoro sporco per voi.» «A volte, Stephanie, i nemici possono rivelarsi amici.» La voce di Daley si era ridotta a un sussurro. «E viceversa.» Stephanie si sentì un groppo in gola. I suoi sospetti erano ormai realtà. «Avete intenzione di sacrificare il figlio di Malone in nome dell'immagine pubblica del vostro prezioso presidente?» «Non sono stato io a mettere in moto questa faccenda, ma intendo sfruttarla appieno», replicò Daley. «Non se potrò evitarlo», replicò lei. «Prova a interferire e sarai licenziata. Non da te, Brent... Dal presidente in persona.» «Questo potrebbe rivelarsi un problema», disse Green. Stephanie colse la minaccia implicita nel suo tono. «Stai dicendo che sei dalla sua parte?» domandò Daley. «Non c'è dubbio.» Stephanie sapeva che Daley non poteva permettersi d'ignorare una simile minaccia. L'amministrazione aveva un certo controllo sulle azioni di Green in qualità di procuratore generale, ma se lui si fosse dimesso - o se l'avessero licenziato - si sarebbe aperta anzitempo la stagione di caccia alla Casa Bianca. Il vivavoce taceva. Stephanie immaginò Daley seduto nel suo ufficio, intento a rimuginare il dilemma. «Sarò a casa tua fra trenta minuti.» «Perché?» domandò Green. «Ne varrà la pena, te l'assicuro.» La comunicazione s'interruppe. Nell'armadio, Malone sentì gli inseguitori irrompere nella Camera della
Regina. Pam era accoccolata al suo fianco: non erano stati così vicini da anni. Da lei si levava un odore familiare, come di vaniglia dolce, che gli procurava un misto di gioia e tormento. Buffo, come gli odori innescano i ricordi. Stringeva ancora la Beretta, per quanto sperasse di non doverla usare. Non aveva intenzione di farsi arrestare... Non ora che Gary aveva bisogno di lui. Di sicuro Durant era stato ucciso per isolare loro due e per impedire che entrassero in possesso d'informazioni utili. Si domandava però come avessero fatto a sapere di quell'incontro, poiché era sicuro che nessuno li aveva seguiti da Christiangade. I telefoni di Thorvaldsen dovevano essere monitorati... Il che poteva solo voler dire che si erano aspettati che lui andasse dritto a Christiangade. Non riusciva a vedere Pam, ma ne avvertiva il disagio: pur con tutta l'intimità che avevano condiviso, ormai erano due estranei. Forse addirittura nemici. Le voci all'esterno catturarono la sua attenzione. I passi si fecero più flebili, sino a perdersi nel silenzio. Lui attese, col dito sul grilletto e i palmi delle mani bagnati di sudore. Ancora silenzio. Impossibile vedere qualcosa senza socchiudere le porte dell'armadio... Decisione che avrebbe potuto rivelarsi disastrosa, se qualcuno fosse rimasto nella stanza. Tuttavia non poteva restare lì dentro in eterno. Aprì cautamente la porta, con l'arma pronta. La Camera della Regina era vuota. «Giù per le scale», sussurrò. Lui e Pam uscirono di corsa dalla porta aperta e scesero una scalinata a spirale che rasentava la parete esterna del castello. Giunti a pianterreno si trovarono di fronte una porta di metallo, che lui sperò non fosse chiusa a chiave. Il chiavistello scattò. Uscirono nel mattino luminoso. Un mare d'erba lucente punteggiato di cigni si stendeva dalle mura del castello sino al mare. La Svezia si stagliava all'orizzonte: tre miglia di acqua grigio-brunastra la separavano da loro. Malone nascose la Beretta sotto la giacca. «Dobbiamo andarcene da qui», disse. «In silenzio. Senza attirare l'attenzione.» Rendendosi conto che Pam era ancora scossa per l'omicidio cui aveva assistito, le disse: «Lo rivivrai mentalmente cento volte, ma passerà». «La tua premura è commovente.» La voce di lei era nuovamente carica
di minaccia. «Allora vedi di renderti conto che probabilmente non sarà l'ultima persona a finire uccisa prima che questa faccenda sia risolta.» Fece strada attraverso i bastioni che si affacciavano sullo stretto. C'erano pochi visitatori in giro. Raggiunsero un punto che lui sapeva essere noto come il Bastione della Bandiera, dove un tempo erano collocati i cannoni e dove Shakespeare aveva fatto sì che Amleto incontrasse lo spettro del padre. Un muro si alzava a picco sul mare. Malone lanciò la Glock nell'acqua increspata. Al di là del parco si udiva uno strepito di sirene. I due si avvicinarono lentamente all'ingresso principale. Vedendo luci lampeggianti e altri agenti di polizia che correvano verso il parco, Malone decise di aspettare prima di dirigersi verso l'esterno. Era improbabile che qualcuno potesse fornire una loro descrizione e dubitava che l'assassino si fosse trattenuto lì a quello scopo, tanto più che il suo fine non era certo stato quello di farli arrestare. Si mescolò alla folla. Individuò l'uomo che aveva sparato. Si trovava a una cinquantina di metri di distanza e si dirigeva dritto verso il cancello principale, camminando a propria volta con calma, senza attirare attenzione. Lo vide anche Pam. «È lui!» «Lo so.» Malone si mosse nella sua direzione. «Non vorrai...» fece lei. «Prova a fermarmi!» 11 Vienna, Austria, ore 11.20 Sedia Blu si domandò se il Circolo si fosse impegnato a seguire il giusto corso d'azione. Per otto anni die Klauen der Adler - gli Artigli dell'Aquila aveva eseguito diligentemente i compiti a lui assegnati. Era pur vero che lo avevano reclutato collettivamente, tuttavia lavorava sotto il diretto controllo di Sedia Blu e ciò significava che lui aveva finito per conoscere Dominick Sabre molto meglio degli altri.
Sabre era americano, di nascita ed educazione: una combinazione inedita per il Circolo. In precedenza avevano sempre impiegato europei, anche se una volta un sudafricano li aveva serviti bene. Ciascuno di quegli uomini, compreso Sabre, era stato scelto non soltanto in base all'abilità, ma anche per la mediocrità fisica. Erano tutte persone di peso, altezza e corporatura standard. L'unico segno particolare di Sabre era il volto butterato dalla varicella. Portava i capelli neri tagliati dritti e sempre tenuti insieme da un goccio d'olio che dava loro più brillantezza. Spesso una barba ispida gli copriva le guance, in parte - come Sedia Blu sapeva - per nascondere le cicatrici, ma anche per mettere a proprio agio chi gli stava attorno. Sabre ostentava sempre un'aria rilassata e indossava abiti larghi - in genere di una taglia di troppo - che nascondevano braccia e gambe da atleta. Anche questo faceva parte dei suoi espedienti per essere costantemente sottovalutato. Dalla perizia psicologica cui Sabre si era dovuto sottoporre prima di essere assoldato, Sedia Blu aveva appreso che l'americano si poneva costantemente in atteggiamento di sfida all'autorità. La stessa analisi aveva altresì rivelato che se gli si assegnava un compito, gli si spiegava il risultato desiderato e lo si lasciava fare, Sabre lo portava sempre a termine... Soltanto questo importava. Né a lui, né alle Sedie interessava il modo in cui un dato compito veniva svolto; era sufficiente ottenere il risultato desiderato, perciò la loro associazione con Sabre era stata fruttuosa. Tuttavia un uomo senza morale e con poco rispetto per l'autorità andava sorvegliato. Specie quando la posta in gioco era alta. Come in quel momento. Sedia Blu prese dunque il telefono e compose un numero. Sabre rispose al cellulare, sperando che a chiamarlo fosse il suo uomo a Kronborg Slot. Invece la voce tesa all'altro capo era quella del suo datore di lavoro. «Malone ha apprezzato i vostri saluti iniziali?» domandò Sedia Blu. «Si è comportato bene. Lui e l'ex moglie sono usciti dalla finestra.» «Proprio come avevi previsto. Tuttavia mi chiedo: non staremo attirando attenzione indebita?» «Più di quanto mi piacerebbe, ma è stato necessario. Rischiava di scoprire il nostro bluff, quindi bisognava fargli capire che non sarebbe stato lui a dettare le regole. D'ora in avanti sarò più discreto.»
«Bene. È meglio che i tutori dell'ordine non s'immischino troppo.» S'interruppe. «Non più di quanto stiano già facendo, almeno.» Sabre era al sicuro in un alloggio preso in affitto nella zona nord di Copenhagen, pochi isolati più all'interno rispetto ad Amalienborg, il palazzo reale affacciato sul mare. Aveva attirato lì Gary Malone dalla Georgia raccontandogli che suo padre era in pericolo e il ragazzo gli aveva creduto, grazie alla falsa piastrina della sezione Magellano che Sabre gli aveva mostrato. «Come sta il ragazzo?» domandò Sedia Blu. «Era in ansia, ma gli ho fatto credere che si tratti di un'operazione governativa statunitense, perciò è calmo... per ora.» Avevano terrorizzato Pam Malone mostrandole una foto di suo figlio. Il giovane aveva collaborato anche in quello, convinto che gli stessero preparando delle credenziali di copertura. «Non si trova troppo vicino a Malone, il ragazzo?» «Non sarebbe andato da nessun'altra parte di sua spontanea volontà. Sa che suo padre è vicino.» «Mi rendo conto che hai la situazione sotto controllo, ma sta' attento. Malone potrebbe sorprenderti.» «È per questo che teniamo in ostaggio suo figlio. Non lo metterà in pericolo.» «Il Rapporto Alexandria ci serve.» «Malone ci condurrà a destinazione.» Eppure la chiamata del suo uomo a Kronborg non era ancora arrivata. Affinché tutto funzionasse era essenziale che l'agente agisse esattamente secondo le sue istruzioni. «La faccenda dev'essere risolta nel giro di pochi giorni.» «Sarà fatto.» «Stando a quanto mi hai riferito, questo Malone è uno spirito libero», disse Sedia Blu. «Sei sicuro che resterà ben motivato?» «Non c'è da preoccuparsi. In questo momento gli stanno fornendo motivazioni più che sufficienti.» Malone uscì dal parco del Kronborg Slot e individuò la sua preda che si avviava con calma verso Helsingør. Gli piaceva moltissimo la piazza del mercato di quella città, coi suoi vicoli pittoreschi e le case di legno e mattoni... Ma quel giorno l'atmosfera rinascimentale non aveva la minima importanza.
In lontananza gemevano altre sirene. Sapeva che in Danimarca gli omicidi erano rari. Quello di Durant, essendo avvenuto all'interno di un sito storico nazionale, avrebbe certamente destato scalpore. Doveva avvertire Stephanie che uno dei suoi agenti era morto, ma non ce n'era il tempo... Immaginava che Durant viaggiasse sotto la propria identità - era la procedura standard per la Magellano -, quindi, non appena le autorità locali avessero accertato che la vittima lavorava per il governo americano, avrebbero contattato le persone giuste. Pensò a Durant. Che peccato... Ma aveva imparato da tempo a non piangere su ciò che non poteva cambiare. Rallentò il passo e tirò Pam accanto a sé. «Dobbiamo restare indietro. Non si è ancora accorto di noi, ma potrebbe vederci.» Attraversarono la strada e si tennero a ridosso di una fila di eleganti edifici prospicienti uno stretto viale affacciato sul mare. L'assassino era trenta metri davanti a loro. Malone lo guardò svoltare un angolo. Arrivarono allo stesso angolo e si affacciarono: lo videro procedere lungo una via pedonale fiancheggiata da una sfilza di negozi e ristoranti. Una piccola folla andava avanti e indietro. Decise di rischiare. Lo seguirono. «Cosa stiamo facendo?» domandò Pam. «L'unica cosa che possiamo fare.» «Perché non dai loro quello che vogliono e basta?» «Non è così semplice.» «Certo che lo è!» Lui continuò a guardare fisso davanti a sé. «Grazie del consiglio.» «Sei un idiota.» «Anch'io ti voglio bene. Ora che abbiamo chiarito questo punto, concentriamoci su quello che stiamo facendo.» Il loro obiettivo svoltò a destra e scomparve. Malone scattò in avanti, sbirciò dietro l'angolo e vide l'uomo avvicinarsi a una Volvo coupé sporca. Sperò che non se ne andasse: in quel caso non ci sarebbe stato modo di seguirlo... La loro auto era troppo lontana. L'assassino aprì la portiera dal lato del guidatore e buttò dentro qualcosa, poi la richiuse e si voltò nella loro direzione. I due si tuffarono in un negozio d'abbigliamento proprio mentre l'uomo vi passava davanti, ripercorrendo i propri passi nella direzione da cui erano venuti. Malone si accostò furtivamente all'ingresso e vide l'uomo entrare in un caffè. «Cosa sta facendo?» domandò Pam.
«Aspetta che si calmino le acque. Non ha nessuna fretta... Se ne sta tranquillo, si mimetizza. Andrà via più tardi.» «Roba da pazzi. Ha ucciso un uomo!» «Lo sappiamo soltanto noi.» «Perché l'ha fatto?» «Per confonderci. Per neutralizzare qualunque flusso d'informazioni. Aveva un mucchio di ragioni.» «È un lavoro malsano.» «Per quale altro motivo credi che ne sia uscito?» Malone decise di sfruttare l'attesa a proprio vantaggio. «Vai a prendere la macchina e portala laggiù.» Indicò una viuzza davanti alla stazione vicino al mare. «Parcheggia e aspettami. Quando se ne andrà, dovrà passare da quella parte... È l'unica strada per uscire dalla città.» Le porse le chiavi e, per un istante, echeggiarono in lui ricordi di altre occasioni in cui le aveva dato le chiavi della macchina. Pensò ad anni lontani. Sapere che lei e Gary lo aspettavano a casa gli aveva sempre dato un certo conforto, al ritorno da una missione... E, per quanto nessuno dei due volesse ammetterlo, un tempo si erano voluti bene. Ricordò il sorriso di lei, il suo tocco. Purtroppo l'inganno riguardante Gary tingeva ormai di sospetto ogni memoria piacevole, costringendolo a chiedersi se la loro vita insieme non fosse stata tutta una finzione. Lei parve percepire quei pensieri e il suo sguardo si addolcì, tornando a essere quello della Pam di prima che certe brutture li cambiassero entrambi. «Troverò Gary, te lo giuro. Andrà tutto bene.» Avrebbe davvero voluto che Pam rispondesse, ma lei non disse nulla. Il suo silenzio era di quelli che feriscono. Malone si allontanò. 12 Oxfordshire, Inghilterra, ore 10.30 George Haddad entrò a Bainbridge Hall. Negli ultimi tre anni l'aveva visitata di frequente, essendosi convinto che la risposta al suo dilemma si trovava entro quelle pareti. Il palazzo era un'apoteosi di pavimenti di marmo, arazzi di Mortlake e
decorazioni coloratissime. La grandiosa scalinata, con elaborati pannelli floreali intarsiati, risaliva all'epoca di Carlo II; i soffitti decorati in gesso erano del 1660 e i mobili e i dipinti erano datati tra il XVIII e il XIX secolo... Tutti pezzi rari in stile campagna inglese. Il palazzo, però, era molto più di questo. Era un enigma. Proprio come il monumento bianco attorno al quale erano ancora radunati i giornalisti, intenti ad ascoltare i cosiddetti esperti... Proprio come lo stesso Thomas Bainbridge, l'oscuro conte inglese vissuto nella seconda metà del XVIII secolo. Haddad conosceva la storia della famiglia. Bainbridge era nato in un mondo di privilegio e alte aspettative. Suo padre era stato il signore dell'Oxfordshire. Sebbene la sua posizione sociale fosse determinata da un'antica ricchezza e dalla tradizione di famiglia, Thomas Bainbridge rifiutò la tradizionale carriera militare e concentrò la propria attenzione sugli studi accademici, soprattutto storia, lingue e archeologia. Alla morte del padre ereditò il titolo di conte e trascorse decenni viaggiando per il mondo; fu uno dei primi occidentali a esplorare in modo approfondito l'Egitto, la Terrasanta e l'Arabia, documentando le proprie esperienze in una serie di diari pubblicati. Da autodidatta apprese l'ebraico antico, la lingua in cui era stato originariamente vergato l'Antico Testamento... Impresa notevole, considerando che si trattava di un idioma prevalentemente orale e consonantico, scomparso dall'uso comune attorno al VI secolo prima di Cristo. Scrisse addirittura un libro, pubblicato nel 1767, che contestava le traduzioni conosciute dell'Antico Testamento, mettendo in discussione buona parte delle più diffuse opinioni dell'epoca; indi trascorse gli ultimi anni della sua vita a difendere le proprie teorie e morì amareggiato e debilitato, avendo sperperato le ricchezze di famiglia. Haddad conosceva bene quel testo, di cui aveva studiato ogni pagina nei dettagli. Comprendeva bene i problemi di Bainbridge, poiché anche lui aveva contestato le opinioni più diffuse con conseguenze disastrose. Visitare il palazzo gli piaceva. Sfortunatamente buona parte del mobilio originale era da tempo finito in mano ai creditori, compresa l'impressionante biblioteca di Bainbridge; soltanto negli ultimi cinquant'anni erano stati recuperati alcuni mobili. La stragrande maggioranza dei libri era tuttora perduta... Passata dalla mano dei collezionisti a quella dei venditori ambulanti e da lì alla spazzatura, com'è destino di buona parte del sapere do-
cumentato dell'umanità. Tuttavia Haddad era riuscito a rintracciare alcuni volumi rovistando nelle miriadi di librerie antiquarie londinesi. Nonché in Internet. Che tesoro straordinario! Quante cose avrebbero potuto fare in Palestina, sessant'anni prima, se avessero avuto a disposizione quella rete d'informazioni istantanee! Ultimamente pensava assai spesso al 1948. All'epoca aveva imbracciato un fucile e ammazzato gli ebrei durante la nakba. L'arroganza dell'ultima generazione non mancava mai di stupirlo, considerati i sacrifici compiuti dai loro predecessori. Ottocentomila arabi erano stati costretti all'esilio. Allora lui aveva diciannove anni. Aveva combattuto nella resistenza palestinese - era stato uno dei leader sul campo - ma tutto era stato vano... I sionisti avevano avuto la meglio, gli arabi erano stati sconfitti, i palestinesi erano diventati dei reietti. Ma il ricordo rimaneva. Haddad aveva cercato di dimenticare. Voleva davvero dimenticare... Uccidere, però, comporta delle conseguenze. Nel suo caso il prezzo era stato una vita di rimpianto. Era diventato un accademico, aveva rinnegato la violenza e si era convertito al cristianesimo, ma nulla era servito a liberarlo dal dolore. Vedeva ancora quei volti morti, specialmente uno... L'uomo che si era definito il Guardiano. Combattete una guerra non necessaria, contro un nemico male informato. Quelle parole gli si erano impresse a fuoco nella memoria in quel giorno d'aprile del 1948 e il loro impatto, alla fine, lo aveva cambiato per sempre. Siamo i custodi del sapere. Dalla Biblioteca. Quell'affermazione aveva tracciato la rotta della sua esistenza. Passeggiò in giro per il palazzo, osservando i busti e i dipinti, le incisioni, le dorature grottesche e i motti enigmatici. Fendendo un'ondata di nuovi arrivati che avanzavano nella direzione opposta entrò finalmente nel salotto, dove tutta l'antica severità di una biblioteca universitaria si fondeva con una grazia e un'arguzia femminili. Concentrò la propria attenzione sugli scaffali - che un tempo avevano esibito la variegata erudizione di tante epoche - e sui dipinti, ritratti di persone che avevano discretamente plasmato il corso della storia. Thomas Bainbridge era stato un invitato, proprio come il padre di Haddad. Solo che, nel caso di quest'ultimo, il Guardiano era arrivato in Palestina due settimane troppo tardi per trasmettere l'invito e un proiettile del
fucile di Haddad lo aveva messo a tacere per sempre. Trasalì al ricordo. L'impulsività della giovinezza... Erano trascorsi sessant'anni; ormai vedeva il mondo con occhi più pazienti. Se quegli stessi occhi avessero ricambiato lo sguardo del Guardiano nell'aprile del 1948, forse avrebbe trovato molto prima ciò che cercava. O forse no. L'invito andava guadagnato, a quanto pareva. Sì, ma in che modo? Abbracciò la stanza con lo sguardo. La risposta si trovava lì. 13 Washington, DC, ore 5.45 Stephanie guardò Larry Daley crollare su una delle poltrone dello studio di Brent Green. Come promesso, il viceconsigliere per la sicurezza nazionale era arrivato nel giro di mezz'ora. «Bel posticino», disse Daley a Green. «È casa.» «Sei sempre un uomo di poche parole, eh?» «Le parole andrebbero scelte con cura. Come gli amici.» Il sorriso amichevole di Daley scomparve. «Speravo che non ci saremmo saltati alla gola così presto.» Stephanie era sulle spine. «Vedi di fare in modo che questa visita valga la pena, come dicevi al telefono.» Le mani di Daley si strinsero sui braccioli troppo imbottiti. «Spero che voi due vi dimostrerete ragionevoli.» «Dipende», rispose lei. Daley si passò una mano tra i corti capelli grigi. Il suo aspetto gradevole proiettava una sincerità fanciullesca, tale da disarmare l'interlocutore. Stephanie ricordò a se stessa di non abbassare la guardia. «Immagino che continui a non volerci dire cosa sia il Rapporto», disse Stephanie. «Non vorrei proprio essere incriminato per violazione del National Security Act.»
«Da quando ti disturba infrangere la legge?» «Da adesso.» «Allora perché sei venuto qui?» «Quanto sapete?» domandò Daley. «Non venitemi a dire che non sapete niente, perché sarei molto deluso da entrambi.» Green ripeté i pochi fatti che aveva già riferito riguardo George Haddad. Daley annuì. «Gli israeliani hanno perso la testa per quell'Haddad... e poi sono entrati in gioco i sauditi. Questo ci ha sbalorditi, perché di solito non s'interessano di questioni bibliche o storiche.» «È per questo che cinque anni fa ho mandato Malone in quel ginepraio alla cieca?» domandò lei. «Se non vado errato, fa parte del tuo lavoro.» Lei ricordò sino a che punto la situazione si era deteriorata. «Che ci dici della bomba?» «Quello è stato quando si è scatenato il casino.» Un'autobomba aveva cancellato un caffè di Gerusalemme con dentro Haddad e Malone. «Il botto era per Haddad», disse Daley. «Naturalmente, trattandosi di una missione al buio, Malone non lo sapeva... Tuttavia è riuscito a tirarlo fuori tutto intero.» «Siamo stati proprio fortunati», commentò Green, sarcastico. «Oh, basta con queste stronzate! Non abbiamo ammazzato nessuno. L'ultima cosa che volevamo era che Haddad morisse.» Stephanie sentì montare la rabbia. «Avete messo a repentaglio la vita di Malone.» «Lui è un professionista. Era la logica conseguenza della situazione.» «Non mando i miei agenti in missioni suicide!» «Cerchiamo di essere realisti, Stephanie! Il problema del Medio Oriente è che la mano sinistra non sa mai quello che fa la destra. Quello è stato un caso tipico: i militanti palestinesi hanno semplicemente scelto il caffè sbagliato.» «O forse no», disse Green. «Forse gli israeliani o i sauditi hanno scelto quello giusto.» Daley sorrise. «Te la cavi a questo gioco. È proprio per questo che abbiamo accettato i termini di Haddad.» «Perché per il governo americano è così importante trovare la biblioteca perduta di Alessandria?» Daley mimò un applauso. «Bravo! Ben fatto davvero, Brent. Immagina-
vo che le tue fonti ti avrebbero servito anche questa ghiotta notiziola, dato che sapevano di Haddad!» «Rispondi alla domanda», lo incalzò Stephanie. «Le cose importanti a volte sono conservate nei luoghi più strani.» «Non è una risposta.» «Non ne avrete altra.» «Sei coinvolto in quello che sta succedendo laggiù, qualunque cosa sia», dichiarò Stephanie. «No, non è vero. Tuttavia non negherò che altri, all'interno dell'amministrazione, sono interessati a utilizzare quella che si prospetta come la via più breve per risolvere un problema.» «Quale sarebbe il problema?» domandò Green. «Israele. Una manica d'idealisti arroganti che non accettano consigli da nessuno... Salvo, alla prima occasione, mandare carriarmati o cannoniere ad annientare chiunque e qualunque cosa in nome della sicurezza nazionale. Cos'è successo qualche mese fa? Hanno cominciato a bombardare la striscia di Gaza, una delle bombe è partita storta e un'intera famiglia è rimasta uccisa mentre faceva un picnic sulla spiaggia. E loro cos'hanno detto? Ci rincresce proprio, che peccato!» Daley scosse la testa. «Basterebbe mostrare un briciolo di flessibilità, un grammo di accondiscendenza, per ottenere qualcosa. Loro, invece... Macché! O si fa a modo loro o niente.» Stephanie sapeva che ultimamente il mondo arabo si stava dimostrando molto più accomodante rispetto a Israele: di certo come conseguenza della guerra in Iraq, dove la determinazione americana era stata dimostrata in concreto. La simpatia per i palestinesi era costantemente cresciuta in tutto il mondo, alimentata da un cambio di leadership, dalla modernizzazione dei programmi dei militanti e dall'ottusità degli estremisti israeliani. Ricordava di aver visto al telegiornale un servizio sull'unica sopravvissuta di quella famiglia sulla spiaggia, una ragazzina che si disperava alla vista del padre morto... Davvero impressionante. Le veniva da chiedersi che cosa, realisticamente, si potesse fare. «Come pensano di cambiare Israele?» La risposta le balenò alla mente. «Vi serve il Rapporto per farlo?» Daley tacque. «Malone è l'unico a sapere dove sia», chiarì lei. «Questo è un problema, ma non è insormontabile.» «Volevate che Malone agisse, ma non sapevate come convincerlo.» «Non negherò che gli ultimi sviluppi rappresentano una discreta opportunità.»
«Bastardo!» sbottò lei. «Senti, Stephanie... Haddad voleva sparire. Si fidava solo di Malone. Gli israeliani, i sauditi e anche i palestinesi credevano che Haddad fosse morto nell'esplosione, così lo abbiamo accontentato. Abbiamo archiviato l'intera faccenda e ci siamo dedicati ad altro. Ora, però, l'interesse generale si è rinfocolato e noi vogliamo Haddad.» Lei non intendeva fargliela passare liscia. «Che mi dici, allora, degli altri che potrebbero dargli la caccia?» «Li affronterò come farebbe qualunque politico.» Il viso di Green si offuscò di rabbia. «Hai intenzione di scendere a compromessi?» «Così va il mondo.» Stephanie aveva necessità di saperne di più. «Cosa ci può mai essere di tanto importante in documenti vecchi di duemila anni? Sempre ammesso che i manoscritti si siano salvati, il che è improbabile.» Daley le lanciò un'occhiata obliqua. La donna era consapevole del fatto che si era recato lì per impedire a lei e a Green d'interferire, perciò forse avrebbe potuto placarla offrendole un contentino. «La Versione dei Settanta.» Stephanie non riuscì a celare del tutto la propria confusione. «Non me ne intendo molto...» borbottò Daley. «Tuttavia, stando a quanto mi hanno detto, un paio di secoli prima di Cristo alcuni studiosi della Biblioteca di Alessandria hanno tradotto in greco le Sacre Scritture ebraiche, quelle che noi conosciamo come l'Antico Testamento. Un'impresa titanica, per l'epoca. Quella traduzione è tutto ciò che conosciamo del testo ebraico originale, che è scomparso. Secondo Haddad essa presenterebbe gravi inesattezze, e così tutte le altre che ne sono derivate. Sosteneva che gli errori fanno una differenza abissale e che lui sarebbe riuscito a dimostrarlo.» «E allora?» domandò lei. «Che cosa cambierebbe?» «Questo non so dirlo.» «Non sai o non vuoi?» «In questo caso il risultato è il medesimo.» «Egli si ricorda in perpetuo del suo patto», mormorò Green, «della parola da Lui data, per mille generazioni. Del patto che strinse con Abramo, del giuramento che fece a Isacco e che confermò a Giacobbe come uno statuto, a Israele come un patto eterno, dicendo: 'Io ti darò il Paese di Canaan per vostra parte di eredità'.»
Stephanie si accorse che quelle parole lo commuovevano sinceramente. «Una promessa importante. Una delle tante nell'Antico Testamento», concluse Green. «Allora capisci il nostro interesse?» Green annuì. «Capisco il punto, ma dubito della possibilità di dimostrarlo.» Stephanie continuava a non capire, ma voleva sapere. «Cosa vuoi fare, Larry? Andare a caccia di fantasmi? È una follia!» «Ti assicuro di no.» I sottintesi prendevano rapidamente corpo. Malone aveva avuto ragione a rimproverarla: avrebbe dovuto dirgli subito della fuga di dati. Suo figlio si trovava in pericolo grazie al governo degli Stati Uniti che, a quanto pareva, era disposto a sacrificarlo. «Stephanie, conosco quello sguardo. Cosa stai architettando?» volle sapere Daley. Non avrebbe detto niente a quel demonio, a nessun costo. Perciò inghiottì la propria umiliazione e sorrise. «Proprio quello che vuoi tu, Larry: un bel niente», mormorò. 14 Copenhagen, ore 12.15 Dominick Sabre sapeva che l'ora successiva si sarebbe rivelata cruciale. Aveva già visto la notizia della sparatoria a Kronborg Slot annunciata dalle televisioni di Copenhagen, il che significava che Malone e la sua ex moglie dovevano essersi messi in movimento. Aveva finalmente avuto notizie dall'uomo che aveva inviato al castello ed era lieto che avesse eseguito gli ordini. Guardò l'orologio, poi passò dal salottino anteriore alla camera da letto sul retro, dov'era confinato Gary Malone. Erano riusciti a prelevare il ragazzo mentre si trovava a scuola, sfruttando credenziali ufficiali e un linguaggio austero... Il tutto verosimilmente in nome del governo degli Stati Uniti. Nel giro di due ore avevano lasciato Atlanta su un volo charter. Pam Malone era stata contattata mentre erano in viaggio. Le avevano spiegato dettagliatamente come comportarsi... Tutti i rapporti l'avevano dipinta come una donna difficile, ma una foto e la possibilità che venisse fatto del
male a suo figlio erano bastate a garantire che avrebbe fatto tutto quello che volevano. Aprì la porta della camera da letto e compose l'espressione in un sorriso. «Volevo dirti che abbiamo sentito il tuo papà.» Il ragazzo si era appollaiato accanto alla finestra e leggeva un libro. Il giorno prima aveva chiesto diversi volumi, che Sabre gli aveva procurato. Il suo giovane viso s'illuminò al solo sentir parlare del padre. «Sta bene?» «Benone. Era molto contento che ti avessimo con noi. C'è anche la tua mamma con lui.» «Mamma è qui?» «L'ha portata un'altra squadra.» «È la prima volta. Non era mai venuta qui.» Il ragazzo s'interruppe brevemente. «Lei e papà non vanno tanto d'accordo.» Conoscendo la storia coniugale di Malone, Sabre subodorò qualcosa. «Come mai?» «Hanno divorziato. Non vivono più insieme da un sacco di tempo.» «A te dispiace?» Gary parve considerare seriamente la domanda. Era alto per la sua età, smilzo e con una folta capigliatura rossiccia... L'esatto opposto di Cotton Malone, che aveva la pelle chiara, braccia e gambe tozze e capelli biondi. Per quanto si sforzasse, Sabre non riusciva a ravvisare nessun tratto del padre nel volto o nell'espressione del ragazzo. «Sarebbe meglio se stessero insieme, ma capisco perché non lo fanno.» «È una buona cosa che tu capisca. Sei un giovanotto con la testa sulle spalle.» Gary sorrise. «È quello che mi dice sempre mio padre. Lei lo conosce?» «Oh, sì! Abbiamo lavorato insieme per anni.» «Cosa sta succedendo? Perché sono in pericolo?» «Non posso parlarne. Ti basti sapere che certi tizi veramente cattivi hanno preso di mira tuo padre e volevano vendicarsi facendo del male a te e alla tua mamma, perciò siamo intervenuti per proteggervi.» Vide che la spiegazione non pareva averlo soddisfatto pienamente. «Ma il mio papà non lavora più per il governo!» «Purtroppo ai suoi nemici questo non interessa. Vogliono solo farlo soffrire.» «È tutto così strano!» Sabre inalberò un sorriso forzato. «Fa parte del nostro lavoro, temo.» «Lei ha figli?»
La curiosità del ragazzo lo prese in contropiede. «No. Mai stato sposato.» «Mi sembra un brav'uomo.» «Grazie. Faccio solo il mio lavoro... Pratichi qualche sport?» «Gioco a baseball. La stagione è finita da un po', ma non mi dispiacerebbe fare un paio di lanci.» «Difficile, in Danimarca. Qui il baseball non è lo sport nazionale.» «Ci sono venuto le due estati passate. Mi piace molto.» «È il tempo che trascorri con tuo padre?» Gary annuì. «Praticamente è l'unica occasione che abbiamo per stare insieme, ma va bene così... Sono contento che viva qui. Lo rende felice.» Sabre ebbe di nuovo la sensazione di percepire qualcosa. «E tu? Rende felice anche te?» «Qualche volta. Altre volte vorrei che stesse più vicino.» «Hai mai pensato di vivere con lui?» Il viso del ragazzo si corrucciò in una smorfia di preoccupazione. «La mamma ne morirebbe! Lei non vorrebbe mai che lo facessi.» «A volte si deve fare quello che si deve fare.» «Ci ho pensato, qualche volta.» L'uomo sorrise. «Non pensare troppo, però. E cerca di non annoiarti.» «Mi mancano mamma e papà. Spero stiano bene.» Aveva sentito abbastanza: il ragazzo era tranquillo. Non avrebbe rappresentato un problema, almeno per un'oretta... che era tutto il tempo di cui Sabre aveva bisogno. In seguito, qualunque cosa Gary Malone avesse fatto non avrebbe più avuto importanza. Si diresse alla porta. «Non c'è da preoccuparsi. Sono sicuro che presto sarà tutto finito.» Malone, appostato in una strada di Helsingør, teneva d'occhio il caffè. Numerosi avventori erano entrati e usciti in un flusso costante, ma il suo obiettivo era tuttora seduto a un tavolino accanto alla vetrina a sorseggiare qualcosa da un boccale. Pam doveva trovarsi in macchina, parcheggiata presso la stazione, in attesa... Almeno così sperava. Quando quel tizio avesse fatto la sua mossa, loro avrebbero avuto una sola chance. Se i suoi avversari si trovavano da qualche parte nelle vicinanze - e lui ne era fermamente convinto - quella poteva essere la sua unica pista per scovarli. L'apparizione di Pam in Danimarca lo aveva scosso. In fin dei conti, lei
gli aveva sempre fatto quell'effetto... Un tempo li legavano amore e rispetto - così lui aveva creduto, se non altro -, ma ormai soltanto Gary li teneva insieme. Rivisse mentalmente la conversazione avuta con lei in agosto a proposito di Gary. «Dopo avermi mentito per anni, di colpo ti è venuta voglia di essere sincera?» «Nemmeno tu eri uno stinco di santo all'epoca, Cotton.» «Così hai pensato bene di rendere la mia vita un inferno.» Lei aveva scrollato le spalle. «Ho avuto anch'io uno sbandamento. Non credevo ti sarebbe dispiaciuto, tutto considerato.» «Io ti ho detto tutto!» «Non è vero, Cotton. L'ho scoperto io.» «Mi hai lasciato credere che Gary fosse mio figlio!» «Lo è. In tutto, tranne che nel sangue.» «È così che razionalizzi?» «Non ne ho bisogno. Ho solo pensato che dovevi conoscere la verità. Avrei dovuto dirtelo l'anno scorso, quando abbiamo divorziato.» «Come sai che non è figlio mio?» «Cotton, fai le analisi se non mi credi. Non m'interessa. Sappi solo che non sei il padre di Gary e fa' quello che ti pare di questa informazione.» «Lui lo sa?» «Certo che no! È una cosa tra te e lui; non verrà mai a saperlo da me.» Sentiva ancora la rabbia che lo aveva invaso nel vedere Pam tanto calma. Erano così diversi che si poteva ben capire perché non stessero più insieme... Lui aveva perduto il padre da giovane, ma era stato cresciuto da una madre che lo adorava. L'infanzia di Pam, invece, era stata una continua burrasca. Sua madre era una donna volubile, agitata da emozioni conflittuali, che gestiva un asilo nido. Aveva sperperato i risparmi di famiglia non una, ma due volte. La sua debolezza erano gli astrologi: non riusciva mai a resistere, li ascoltava avidamente mentre le raccontavano proprio quello che voleva sentire. Il padre di Pam aveva un carattere altrettanto problematico... Un animo assente, remoto, molto più interessato agli aeroplanini radiocomandati che alla moglie e ai tre figli. Aveva sgobbato per quarant'anni in una fabbrica di coni gelato come lavoratore dipendente, senza mai superare la soglia di una mediocre posizione dirigenziale. Fedel-
tà mista a un falso senso di appagamento: ecco cos'era stato il suocero di Malone, sino al giorno in cui il vizio dei tre pacchetti di sigarette al giorno non gli aveva fermato il cuore. Prima d'incontrare lui, Pam aveva ricevuto ben poco in fatto di amore e sicurezza. Avara di emozione ma esigente in fatto di devozione, aveva sempre dato molto meno di quanto pretendesse, ma farglielo notare produceva soltanto esplosioni di rabbia. Le scappatelle di Malone con altre donne, verso l'inizio del loro matrimonio, non avevano fatto che confermarle che aveva sempre avuto ragione a non voler contare su nulla e su nessuno. Madri, padri, fratelli... mariti. Tutti l'avevano delusa. E lei aveva reso loro pan per focaccia. Avere un bambino fuori del matrimonio e non dire al marito che non era lui il padre... Sembrava continuasse tuttora a scontare quelle delusioni. Forse lui avrebbe dovuto dimostrarle un po' più di comprensione, ma bisogna essere in due per concludere un affare e lei non era disposta a trattare. Non ancora, almeno. L'assassino scomparve da dietro la vetrina. Malone tornò immediatamente a concentrarsi sul locale. Vide l'uomo uscire e dirigersi verso l'auto parcheggiata, salirvi e partire. Abbandonò la propria postazione, percorse rapidamente il vicolo e vide Pam. Attraversò la strada di corsa e balzò sul sedile del passeggero. «Metti in moto e stai pronta.» «Io? Perché non guidi tu?» «Non c'è tempo. Sta arrivando.» Vide la Volvo immettersi sull'autostrada parallela al litorale e filare via. «Vai!» la incitò. Lei si lanciò all'inseguimento. George Haddad entrò nel suo alloggio londinese. La gita a Bainbridge Hall lo aveva come sempre riempito di frustrazione. Ignorò il computer che segnalava la presenza di e-mail non lette e si sedette al tavolo della cucina. Da cinque anni era come morto. Sapeva, ma senza sapere. Capiva, ma nel contempo era confuso. Scosse la testa. Quale dilemma!
Si guardò attorno. La tranquillizzante magia purificatrice dell'appartamento era svanita. Evidentemente il momento era arrivato. Gli altri dovevano sapere... Doveva quella rivelazione a ogni anima distrutta dalla nakba, la cui terra era stata rubata, la cui proprietà era stata sequestrata. La doveva persino agli ebrei. Tutti avevano diritto alla verità. La prima volta, qualche mese addietro, non pareva avere funzionato. Ecco perché il giorno prima aveva preso di nuovo il telefono. In quell'istante, per la terza volta, fece una chiamata internazionale. Malone fissava la strada di fronte a loro mentre Pam sfrecciava lungo l'autostrada costiera verso sud, verso Copenhagen. La Volvo era qualche centinaio di metri davanti a loro. Si erano lasciati sorpassare da diverse auto, in modo che facessero da cuscinetto, ma più di una volta lui aveva avvertito l'ex moglie di non restare troppo indietro. «Non sono un agente», disse Pam, senza staccare gli occhi dal parabrezza. «Non l'avevo mai fatto prima.» «Non te l'hanno insegnato alla scuola di legge?» «No, Cotton. L'avranno insegnato a te a quella di spionaggio.» «Mi avrebbe fatto comodo un corso di spionaggio. Purtroppo ho dovuto imparare sul campo.» La Volvo prese velocità e lui si domandò se erano stati individuati, poi si avvide che l'auto ne stava semplicemente sorpassando un'altra. Si accorse che Pam cominciava ad accelerare. «Non farlo. Potrebbe essere un trucco per scoprire se ha compagnia. Riesco a vederlo, perciò resta dove sei.» «Sapevo che la scuola del dipartimento di Giustizia mi sarebbe servita a qualcosa, prima o poi.» Una facezia. Era qualcosa di raro da parte sua, ma lui apprezzò lo sforzo. Sperò che quell'inseguimento desse dei frutti. Gary doveva essere nelle vicinanze; a lui bastava un'unica chance per recuperare il suo ragazzo. Raggiunsero la periferia della capitale. Il traffico rallentò sino a procedere a passo di lumaca. C'erano quattro automobili tra loro e la Volvo quando quest'ultima svoltò in Charlottenlund Slotspark, entrò a Copenhagen nord e proseguì verso sud e il centro della città. Subito prima del palazzo reale, la Volvo cambiò direzione e s'infilò nei meandri di un quartiere residenziale. «Attenta», l'avvertì lui. «Qui è facile essere visti. Sta' indietro.» Pam rallentò un poco. Malone conosceva quella zona della città: il Rosenborg Slot, dov'erano esposti i gioielli della Corona danese, si trovava
a pochi isolati di distanza e l'orto botanico era lì vicino. «Ha una destinazione precisa», dedusse lui. «Queste case sono tutte uguali, perciò bisogna sapere dove si sta andando per potersi orientare.» Dopo altre due curve la Volvo s'immise in un viale alberato. Malone disse a Pam di fermarsi all'angolo e guardò la loro preda infilarsi nel vialetto di una casa. «Accosta al marciapiede», le ordinò. Mentre lei parcheggiava, lui recuperò la Beretta e aprì la portiera. «Resta qui. Dico sul serio... Potrebbe essere pericoloso e non posso cercare Gary e badare anche a te.» «Credi che sia qui?» «È molto probabile.» Sperò che lei non intendesse rendergli la vita difficile. «Okay, aspetterò qui.» Fece per uscire, quando lei gli afferrò il braccio. La stretta era salda, ma non ostile. Si sentì percorrere da un brivido d'emozione. Guardò in faccia la sua ex moglie: la paura negli occhi di lei era evidente. «Se è lì dentro, portalo via sano e salvo.» 15 Washington, DC, ore 7.20 Stephanie era contenta che Larry Daley se ne fosse andato. Ogni volta che se lo trovava attorno, quell'uomo le piaceva sempre di meno. «Cosa ne pensi?» domandò Green. «Una cosa è chiara: Daley non ha idea di cosa sia il Rapporto Alexandria. Sa soltanto di George Haddad e spera che lui ne sappia qualcosa.» «Perché dici questo?» «Se lo sapesse, non perderebbe tempo con noi.» «Ha bisogno di Malone per trovare Haddad.» «Sì, ma chi dice che ha bisogno di Haddad per mettere insieme i pezzi? Se i file protetti fossero stati completi, non perderebbe tempo con Haddad... Si limiterebbe a ingaggiare un paio di cervelloni affinché gli risolvano il rebus e poi farebbe il resto.» Stephanie scosse la testa. «Daley è un artista della presa per i fondelli e ci ha appena dedicato il suo numero mi-
gliore. Gli serve che Cotton trovi Haddad perché non sa un bel niente e spera che Haddad abbia tutte le risposte.» Green si appoggiò allo schienale, senza curarsi di dissimulare la propria preoccupazione. Stephanie cominciava a pensare di avere mal giudicato quell'uomo del New England... Dopotutto aveva preso le sue parti con Daley, giungendo persino a minacciare di dimettersi qualora la Casa Bianca l'avesse licenziata. «La politica è uno sporco affare», borbottò Green. «La rielezione del presidente è improbabile; la sua agenda è a un punto morto. Il tempo è agli sgoccioli... Starà sicuramente cercando un modo per lasciare il segno - per guadagnarsi una noticina nei libri di storia - e uomini come Daley considerano loro dovere fornirgliene uno. Sono d'accordo con te sul fatto che è in caccia, ma non riesco proprio a capire in che modo tutto questo possa essere utile.» «A quanto pare c'è in ballo qualcosa di abbastanza grosso da aver fatto muovere sia i sauditi sia gli israeliani, cinque anni fa.» «Questo già dice qualcosa. Gli israeliani non agiscono in base a un capriccio... Doveva esserci un motivo ben preciso per cui volevano Haddad morto.» «Cotton si trova in un bel casino», osservò lei. «Suo figlio è in pericolo e da noi non avrà nemmeno un briciolo di aiuto. Gli ordini superiori c'impongono di starcene a guardare, salvo poi sfruttarlo.» «Credo che Daley stia sottovalutando l'opposizione. Crede di aver pianificato tutto.» «È l'eterno problema dei burocrati: pensano che tutto sia negoziabile.» Il cellulare nella tasca di Stephanie vibrò, facendola sobbalzare. Aveva chiesto di non essere disturbata se non per questioni di vita o di morte. Rispose, restò in ascolto per qualche istante, poi riattaccò. «Ho appena perso un agente. L'uomo che avevo mandato a incontrare Malone è stato ucciso nel castello di Kronborg.» Green tacque. Il dolore cominciò ad affiorare negli occhi della donna. «Lee Durant aveva moglie e figli.» «Nessuna notizia di Malone?» Lei scosse la testa. «Non l'hanno sentito.» «Forse prima hai avuto l'idea giusta... Forse dovremmo coinvolgere altre agenzie.» Stephanie si sentì stringere la gola. «Non funzionerebbe. Bisogna gestir-
la in un altro modo.» Green sedeva immobile, con le labbra strette e lo sguardo risoluto, quasi sapesse che cosa occorreva fare. «Intendo aiutare Cotton», disse lei. «In che modo? Non sei un agente sul campo.» Lei ricordò che Malone le aveva detto la stessa cosa non molto tempo prima, in Francia... eppure se l'era cavata piuttosto bene. «Troverò qualcuno disposto ad aiutarmi. Gente fidata. Ho molti amici che mi devono favori.» «Anch'io posso essere d'aiuto.» «Non voglio che tu sia coinvolto.» «Lo sono già.» «Non c'è niente che tu possa fare», disse lei. «Potrei sorprenderti.» «Sì, ma hai idea di come reagirebbe Daley? Non sappiamo chi siano i suoi alleati. È meglio che me ne occupi io, con discrezione. Tu restane fuori.» Il volto di Green rimase inespressivo. «Che mi dici della riunione prevista per stamattina al Campidoglio?» «Ci sarò, così Daley si tranquillizzerà.» «Ti fornirò tutta la copertura possibile.» Un sorriso le piegò gli angoli della bocca. «Sai, è possibile che queste siano state le ore migliori che abbiamo mai trascorso insieme.» «Mi dispiace che non ne abbiamo trascorse di più.» «Anche a me. Ma ho un amico che ha bisogno del mio aiuto.» 16 Malone scese dall'auto e si avvicinò con circospezione alla casa dov'era parcheggiata la Volvo. Non poteva avvicinarsi dalla parte della facciata c'erano troppe finestre e il terreno offriva troppo poca protezione - perciò scantonò per un vicolo erboso adiacente alla casa accanto e si portò sul retro. Le abitazioni di quella zona di Copenhagen gli ricordavano il suo quartiere ad Atlanta: vialetti ombrosi delimitati da compatte residenze di mattoni, circondate davanti e dietro da giardini altrettanto compatti. Nascose la Beretta contro il fianco, sfruttando il fogliame per schermare la propria graduale avanzata. Sino a quel momento non aveva visto nessuno. Una siepe che gli arrivava all'altezza delle spalle divideva i due giardi-
ni. Si spostò in modo da poter vedere al di là della siepe e individuò una porta di servizio nella casa in cui era entrato l'assassino. Prima che potesse decidere il da farsi, la porta si spalancò e ne uscirono due uomini. Quello che aveva sparato a Kronborg e un altro, basso, tozzo e senza collo. I due stavano parlando mentre si dirigevano verso la facciata della casa. Malone seguì il proprio istinto e uscì di corsa dal nascondiglio, entrando nel giardino da un varco nella siepe. Scattò verso la porta di servizio e, con la pistola spianata, s'infilò all'interno. La casa, di un solo piano, era immersa nel silenzio. C'erano due camere da letto, uno studio, la cucina e il bagno. La porta di una delle due camere era chiusa. Ispezionò rapidamente le stanze: erano vuote. Si avvicinò alla porta chiusa. La mano sinistra strinse la maniglia mentre la destra impugnava la pistola, col dito pronto sul grilletto. Abbassò lentamente la maniglia e aprì la porta con una spinta. Fu allora che vide Gary. Il ragazzo era seduto su una sedia accanto alla finestra, intento a leggere. Suo figlio, sorpreso, alzò gli occhi dalla pagina e fece un gran sorriso quando si rese conto di chi era venuto a fargli visita. Anche Malone ebbe un impeto d'esultanza. «Papà!» Gary notò la pistola. «Cosa sta succedendo?» «Non posso spiegartelo adesso. Dobbiamo andare.» «Hanno detto che eri nei guai. Sono arrivati qui, quegli uomini che vogliono fare del male a me e alla mamma?» Lui annuì, in preda al panico. «Esatto. Si trovano qui, perciò dobbiamo andare.» Gary si alzò e Malone non riuscì a trattenersi dall'abbracciarlo. Era suo figlio, in tutti i sensi... checché ne dicesse Pam. «Resta dietro di me e fa' esattamente come ti dico. Capito?» «Siamo nei guai?» «Speriamo di no!» Ripercorse il cammino verso la porta di servizio e sbirciò fuori. Il giardino era vuoto; un minuto sarebbe stato sufficiente per fuggire. Uscì, con Gary alle calcagna. L'apertura nella siepe era a circa quindici metri da loro. Fece passare davanti Gary, dal momento che i due uomini erano diretti verso la strada l'ultima volta che li aveva visti. Sempre tenendo la pistola spianata, si lanciò verso il giardino accanto. Sorvegliava costantemente il
fianco, lasciandosi precedere da Gary. Attraversarono l'apertura. «Come sei prevedibile!» Girò sui tacchi e si bloccò. A sei metri da loro c'era Senzacollo, che stringeva a sé Pam e le puntava alla gola una Glock col silenziatore. C'era anche l'assassino di Kronborg, con la canna della pistola rivolta verso Malone. «Ho trovato la tua ex che si aggirava da queste parti», disse Senzacollo. Parlava con una marcata inflessione olandese. «Le avevi pur detto di restare in macchina, suppongo.» Fissò lo sguardo in quello di Pam, che lo implorava in silenzio di perdonarla. «Gary...» disse lei, senza riuscire a muoversi. «Mamma!» Malone colse la disperazione nelle voci di entrambi. Spinse di nuovo Gary dietro di sé. «Vediamo un po' come hai fatto, Malone. Hai pedinato il mio uomo, dal castello sino in città. Hai aspettato che ripartisse e l'hai inseguito, intuendo che tuo figlio dovesse trovarsi qui.» Decisamente era la stessa voce che aveva sentito la sera prima al cellulare. «Hai avuto ragione su tutto.» L'altro uomo non si era mosso. Malone provò una sensazione di nausea alla bocca dello stomaco. L'avevano infinocchiato. «Togli il caricatore a quella Beretta e gettalo via.» Malone esitò, poi si rese conto di non avere scelta. Obbedì. «Adesso possiamo trattare. Io ti do la tua ex e tu mi dai il ragazzo.» «E se vi dicessi di tenervi la ex?» L'uomo ridacchiò. «Sono sicuro che non vuoi che tuo figlio stia a guardare mentre faccio saltare le cervella a sua madre... Il che è esattamente ciò che farò, perché non è lei che voglio.» Gli occhi di Pam si dilatarono al pensiero delle conseguenze che la sua stupidità stava producendo. «Papà, che succede?» volle sapere Gary. «Figliolo... Dovrai andare con lui.» «No!» strillò Pam. «Non farlo!» «Ti ucciderà», puntualizzò Malone. L'indice di Senzacollo era come saldato al grilletto della Glock e Malone
si augurò che Pam restasse immobile. Fissò Gary. «Devi farlo per la mamma. Tornerò a prenderti, te lo giuro! Puoi contarci.» Abbracciò di nuovo il ragazzo. «Ti voglio bene. Sii forte per me. Okay?» Gary annuì, esitò per un istante, poi andò verso Senzacollo, che mollò la presa su Pam. Lei abbracciò subito Gary e scoppiò a piangere. «Stai bene?» gli chiese. «Sto benissimo.» «Lasciatemi restare con lui», implorò. «Non vi darò nessun problema. Cotton può trovarvi quello che volete, qualunque cosa sia... Staremo buoni, lo prometto!» «Silenzio!» intimò Senzacollo. «Ve lo giuro. Non vi darò fastidio.» Lui le puntò la pistola alla fronte. «Porta laggiù quel tuo culo secco e sta' zitta.» «Non provocarlo», le consigliò Malone. Pam diede a Gary un ultimo abbraccio, quindi indietreggiò lentamente. Senzacollo ridacchiò. «Saggia decisione.» Malone teneva gli occhi puntati sull'avversario. La pistola dell'uomo si spostò improvvisamente a destra. Tre proiettili silenziati partirono dalla canna, colpendo in pieno l'assassino di Kronborg. Il corpo vacillò e cadde supino. Pam si coprì la bocca con la mano. «Oh, Gesù!» Malone vide l'espressione sconvolta di Gary. Nessun quindicenne dovrebbe essere costretto ad assistere a un simile spettacolo. «Ha fatto esattamente ciò che gli avevo ordinato, tuttavia... Io sapevo che lo stavi pedinando, ma lui non se n'è mai accorto, anzi mi ha assicurato di non essere stato seguito. Non ho tempo per gli idioti e questa piccola dimostrazione dovrebbe servire a toglierti dalla testa qualunque spavalderia. Adesso va' a recuperarmi quello che voglio.» Senzacollo puntò la Glock alla testa di Gary. «Dobbiamo andarcene senza interferenze da parte tua.» «Ho gettato via tutti i miei proiettili.» Guardò Gary: stranamente il suo giovane viso non mostrava traccia d'ansia... Niente panico, niente paura. Soltanto decisione. Senzacollo e Gary si avviarono. Malone teneva la pistola lungo il fianco. Aveva in testa un turbine di possibilità. Suo figlio si trovava a pochi centimetri da una Glock carica... Sapeva che qualora Gary si fosse allontanato, a lui non sarebbe rimasta al-
tra scelta se non consegnare il Rapporto. Per tutto il giorno aveva evitato quella spiacevole decisione, sapendo che avrebbe innescato una quantità di dilemmi. Senzacollo aveva chiaramente previsto sin dal principio le sue mosse, compreso il fatto che avrebbero finito per incontrarsi proprio lì. Gli si gelò il sangue nelle vene e si sentì pervaso da una sensazione inquietante. Sgradevole. Eppure familiare. Continuò a muoversi con naturalezza, come imponeva la regola. La sua vecchia professione era stata tutta una questione di possibilità, di probabilità da soppesare. Il successo era sempre dipeso dall'oculata distribuzione di vantaggi e rischi. Lui stesso aveva rischiato la pelle parecchie volte e in non meno di tre occasioni il rischio era prevalso sulle probabilità e lui era finito in ospedale. Stavolta, però, era diverso. La posta in gioco era suo figlio. Grazie al cielo le probabilità erano tutte a suo favore. Senzacollo e Gary si avvicinarono all'apertura nella siepe. «Scusa», disse Malone. Senzacollo si voltò. La Beretta di Malone fece fuoco e il proiettile colpì l'uomo al torace. Quello dapprima parve non capire esattamente cosa fosse successo, poi un misto di stupore e dolore gli si dipinse in volto. Infine il sangue colò dagli angoli della bocca e i suoi occhi si arresero. Cadde come un albero sotto l'ascia, ebbe un ultimo fremito, poi rimase immobile. Pam corse da Gary e lo strinse tra le braccia. Malone abbassò la pistola. Sabre stette a guardare mentre Cotton Malone sparava al suo ultimo agente. Si trovava nella cucina di una casa che dava sul retro dell'abitazione in cui Gary Malone era stato tenuto prigioniero negli ultimi tre giorni. Aveva preso in affitto quell'alloggio insieme con l'altro. Sorrise. Malone era in gamba e il suo uomo, invece, un incompetente. Quando aveva gettato via il caricatore, Malone aveva svuotato la pistola dai proiettili, tranne quello che era già in canna. Ogni bravo agente teneva sempre un proiettile in canna. Ricordava ancora, dai tempi del suo addestramento nei reparti speciali dell'esercito, quella volta che una recluta si era sparata
in una gamba credendo di aver scaricato il revolver e dimenticando il colpo già carico. Aveva sperato che Malone, in qualche modo, avrebbe avuto la meglio sull'uomo che aveva assoldato. Il suo piano era sempre stato quello e l'occasione si era presentata quando aveva visto Pam Malone dirigersi verso la casa. L'aveva comunicato via radio al suo scagnozzo - ordinandogli di strapazzarla per bene, onde chiarire ulteriormente le idee a Malone - e lo aveva convinto a sparare al collega con la promessa di un premio extra. Grazie al cielo, Malone lo aveva aiutato a risparmiare quei soldi. Ormai non era rimasto in vita nessuno che fosse in grado di mettere in relazione Sabre con qualunque cosa. Meglio ancora: Malone aveva riavuto suo figlio, il che sarebbe servito a calmare gli istinti più pericolosi del suo nemico. Questo non significava che l'impresa fosse compiuta. Niente affatto. In realtà, ora poteva finalmente cominciare. PARTE SECONDA 17 Vienna, Austria, mercoledì 5 ottobre, ore 13.30 Sabre frenò al cancello e abbassò il finestrino dal lato del guidatore. Non mostrò documenti, ma la guardia gli fece subito cenno di passare. Il vasto castello si ergeva poco meno di una cinquantina di chilometri a sud-ovest della città, nel bel mezzo della foresta nota come il Bosco Viennese. Vecchio di tre secoli e costruito dall'aristocrazia, racchiudeva tra le sue mura color senape - squisitamente barocche - settantacinque spaziose stanze, tutte sormontate da frontoni di ardesia. La luce brillante del sole filtrava attraverso il vetro oscurato del parabrezza e Sabre notò che la strada asfaltata e i parcheggi laterali erano tutti vuoti. Soltanto le guardie al cancello d'ingresso e i pochi inservienti che si occupavano dei sentieri del parco disturbavano lo scenario altrimenti placido. A quanto pareva si sarebbe trattato di una discussione privata.
Parcheggiò sotto una porta carraia e uscì nel pomeriggio mite. Come prima cosa si abbottonò la giacca Burberry e seguì un sentiero coperto di ghiaia verso la Schmetterlinghaus, un'enclave di ferro e vetro un centinaio di metri a sud rispetto al corpo principale del castello. Le sue pareti, dipinte di un verde disadorno, sostenevano centinaia di pannelli di vetro ungherese: un'imponente struttura ottocentesca che si armonizzava in modo mirabile con l'ambiente selvoso. All'interno il terreno appositamente arricchito nutriva una grande varietà di piante esotiche, ma l'edificio doveva il suo nome alle migliaia di farfalle - in tedesco Schmetterlinge - che lo popolavano. Aprì bruscamente una porta di legno sgangherata ed entrò in un vestibolo dal pavimento coperto di terra. Una tenda di cuoio manteneva l'aria calda e umida all'interno. La spinse ed entrò. Le farfalle danzavano nell'aria, accompagnate da una musica strumentale sommessa... Bach, se non andava errato. Molte delle piante erano in piena fioritura; la serenità della scena contrastava in modo sorprendente con l'immagine spoglia dell'autunno che si profilava attraverso il vetro costellato di goccioline di condensa. Il proprietario dell'edificio, Sedia Blu, sedeva tra il fogliame. Aveva l'aria tipica di un vecchio che nella vita avesse sempre lavorato troppo e dormito troppo poco e che non si fosse mai curato dell'alimentazione. Indossava un completo di tweed sopra un cardigan. Doveva avere un caldo terribile, pensò Sabre... ma era anche vero che le creature a sangue freddo hanno notoriamente bisogno di molto calore. Si sfilò la giacca e raggiunse una sedia di legno vuota. «Guten Morgen, Herr Sabre.» Si sedette e rispose con un cenno al saluto. Apparentemente la lingua del giorno sarebbe stata il tedesco. «Le piante, Dominick. Non te l'ho mai chiesto, ma... quanto sai sulle piante?» «Solo che producono ossigeno dall'anidride carbonica.» L'uomo anziano sorrise. «Non diresti che fanno assai di più? Che mi dici del colore, del calore, della bellezza?» Sabre gettò un'occhiata alla foresta pluviale trapiantata, guardò le farfalle e ascoltò la musica rilassante. Quell'estetica soporifera non gli diceva nulla, ma aveva abbastanza buonsenso da tenere per sé l'opinione. «Hanno il loro ruolo», disse semplicemente.
«Sai molto sulle farfalle?» Il vecchio teneva in grembo un piatto di porcellana imbrattato di una poltiglia di banane annerita. Insetti dalle ali color zaffiro, cremisi e avorio divoravano entusiasti quell'offerta. «Sono attratte dall'odore.» Il vecchio accarezzò delicatamente le ali di una farfalla. «Sono creature davvero bellissime... Gemme volanti che erompono nel mondo in un'esplosione di colore. Purtroppo vivono solo poche settimane prima di tornare a far parte della catena alimentare.» Quattro farfalle di un verde dorato si unirono al banchetto. «Questa specie è piuttosto rara: Papilio dardanus, altrimenti detta macaone africano. Importo le crisalidi soprattutto dall'Africa.» Sabre odiava gli insetti, ma si sforzò di simulare interesse e attese. Finalmente il vecchio domandò: «È andato tutto bene a Copenhagen?» «Malone sta andando a trovare il Rapporto.» «Proprio come avevi previsto. Come lo sapevi?» «Non ha scelta. Per proteggere suo figlio deve rivelare il Rapporto, in modo da non essere più vulnerabile. Un uomo in quelle condizioni si legge come un libro aperto.» «Potrebbe rendersi conto di essere stato manipolato.» «Se n'è già reso conto, ma alla fine si è convinto di essere riuscito ad avere la meglio. Non credo abbia capito che la morte di quegli uomini faceva parte del piano.» Una ruga di divertimento solcò il viso del vecchio. «Questo gioco ti diverte, non è vero?» «Ha alcuni aspetti soddisfacenti.» Dopo una pausa, aggiunse: «Purché lo si giochi nel modo giusto». Altre farfalle si unirono a quelle già sul piatto. «Di fatto somiglia molto a queste preziose creature», disse Sedia Blu. «Si rimpinzano, attirate dall'esca del cibo.» Le sue dita nodose raccolsero una farfalla per le ali. Lo stigma scuro e le zampe sottili della bestiola si agitarono nel tentativo di liberarsi. «Potrei facilmente uccidere questo esemplare. Quanto sarebbe difficile?» Sedia Blu dischiuse le dita. Le ali arancioni e gialle fremettero, poi presero il volo. «Ma altrettanto facilmente potrei lasciarlo andare.» Il vecchio concentrò su Sabre uno sguardo colmo di eccitazione. «Usare gli istinti di Malone a nostro vantaggio.» «Questo è il piano.»
«Che cosa farai dopo che avremo scoperto il Rapporto?» volle sapere Sedia Blu. «Dipende.» «Bisognerà uccidere Malone.» «Posso pensarci io.» Il vecchio gli lanciò un'occhiata. «Potrebbe rivelarsi difficile.» «Sono pronto.» «C'è un problema.» Si era chiesto perché fosse stato richiamato a Vienna. «Gli israeliani sono in allarme. Sembra che George Haddad abbia fatto un'altra telefonata in Cisgiordania e le spie ebree infiltrate nell'Autorità Palestinese lo hanno riferito a Tel Aviv. Sanno che è vivo e immagino sappiano anche dove si trova.» Quello era davvero un problema. «Le altre Sedie sono al corrente della situazione e hanno ratificato l'autonomia che ti ho concesso. Potrai gestire la faccenda come ritieni giusto.» Cosa che lui avrebbe fatto comunque. «Come sai, gli israeliani hanno interessi decisamente diversi dai nostri. Noi vogliamo il Rapporto; loro vogliono che sparisca.» Sabre annuì. «Hanno bombardato la loro stessa gente in quel caffè, solo per uccidere Haddad.» «Gli ebrei sono un problema», dichiarò a bassa voce Sedia Blu. «Sono sempre stati una spina nel fianco. Essere diversi e ostinati genera un orgoglio illimitato.» Sabre decise di lasciar cadere quel commento. «Intendiamo contribuire a porre fine al problema ebraico.» «Non ero al corrente che ci fosse un problema.» «Non per noi, ma per i nostri amici arabi. Devi precedere gli israeliani; non possiamo permettere che interferiscano.» «Allora dovrò partire quanto prima.» «Dov'è andato Malone?» «A Londra.» Sedia Blu tacque, concentrandosi sugli insetti che gli svolazzavano in grembo. Infine allontanò le farfalle con un gesto. «Lungo il tragitto per Londra dovrai fare una fermata.» «C'è tempo?» «Non abbiamo scelta. Un altro contatto all'interno del governo israeliano ha certe informazioni che comunicherà soltanto a te, di persona. Vuole es-
sere pagato.» «Come tutti, no?» «È in Germania. Non dovrebbe volerci molto... Puoi usare uno dei jet della compagnia. Mi hanno detto che quell'uomo è stato imprudente... Si è esposto, ma non se ne rende conto. Salda ogni debito con lui.» Sabre capì. «È inutile che ti dica che avrai del pubblico. Fa' in modo che lo spettacolo sia memorabile! Gli israeliani devono capire che la posta in gioco è alta.» Il vecchio si agitò sulla sedia di legno, poi abbassò il naso aguzzo verso il piatto. «Sei già al corrente di quello che succederà questo fine settimana?» «Naturalmente.» «Ho bisogno di un dossier finanziario su una certa persona, entro venerdì. Si può fare?» Lui conosceva la risposta, tuttavia non aveva tempo da perdere. «Certo.» Sedia Blu gli disse il nome su cui doveva indagare, poi aggiunse: «Fai mandare qui le informazioni. Nel frattempo, fa' quello che sai fare meglio». 18 Washington, DC, ore 7.30 Stephanie decise di restare nella capitale. Gli attori principali si trovavano tutti lì; se voleva aiutare Malone avrebbe dovuto trovarsi vicino a ognuno di loro. Era collegata con Atlanta e la sezione Magellano tramite il portatile e il cellulare e al momento aveva tre agenti diretti in Danimarca. Altri due erano già a Londra, mentre uno stava venendo a Washington. La sua stanza d'albergo, per il momento, sarebbe stata la centrale operativa. Aspettava da venti minuti. Quando il telefono sulla scrivania si decise a squillare, lei sorrise: tutto si poteva dire di Thorvaldsen, tranne che non fosse puntuale. Sollevò la cornetta. «Sì, Henrik?» «Eri così sicura che fossi io?» «Sei in perfetto orario.» «È maleducazione far aspettare la gente.» «Non potrei essere più d'accordo. Cos'hai scoperto?» «Abbastanza per capire che abbiamo un problema.»
Il giorno prima Thorvaldsen aveva inviato una squadra d'investigatori a ripercorrere i movimenti dei due uomini cui Malone aveva sparato. Dal momento che uno dei due aveva ucciso un agente federale, Stephanie era riuscita a ottenere anche la collaborazione dell'Europol. «Mai sentito parlare di die Ordnung vom Goldenen Vlies? L'Ordine del Toson d'Oro?» «Un cartello economico europeo. Ne ho sentito parlare, sì.» «Ho bisogno di connettermi via Internet col tuo portatile.» «È riservato», rispose allegramente lei. «Ti assicuro che con quello che so, ho tutte le autorizzazioni che mi servono.» Stephanie gli diede l'indirizzo e, un minuto dopo, cinque fotografie si materializzarono sul monitor. Tre erano primi piani, due erano a figura intera. I cinque uomini ritratti avevano superato i settant'anni e avevano facce che sembravano caricature tanto erano spigolose, fredde e prive di espressione. Tutti parevano emanare un'aura di raffinatezza ed esibivano il portamento aristocratico di persone abituate a ottenere sempre quello che volevano. «L'Ordine del Toson d'Oro si è riformato a Vienna alla fine degli anni '40, subito dopo la statalizzazione dell'industria austriaca. All'inizio l'iscrizione era stata riservata a un gruppo ristretto di capitalisti e finanzieri, ma negli anni '50 l'Ordine si è diversificato, arrivando a includere magnati dell'industria manifatturiera e mineraria insieme con altri finanzieri.» La donna avvicinò a sé un taccuino e tolse il cappuccio a una biro. «Come sarebbe a dire ri-formato?» «Il nome viene da un ordine medievale francese, istituito da Filippo, duca di Borgogna, nel 1430. Quel gruppo di cavalieri non durò che pochi decenni, ma nel corso dei secoli ne apparvero varie reincarnazioni. Un Ordine Sociale del Toson d'Oro esiste ancora oggi in Austria... tuttavia è il cartello economico omonimo a costituire una minaccia.» Stephanie teneva gli occhi incollati al monitor, nel tentativo di stamparsi nella memoria quei volti severi. «Un gruppo interessante», disse Thorvaldsen. «Le attività dell'Ordine sono regolate da un severo statuto. Il numero dei membri è limitato a settantuno; a governarlo è un Circolo di cinque Sedie. L'individuo che occupa la Sedia Blu presiede tanto il Circolo quanto l'Ordine. Queste persone indossano tuniche cremisi e portano al collo medaglioni d'oro con impressi i simboli della spada fiammeggiante e della pietra focaia che emettono lin-
gue di fuoco che circondano un vello d'oro... Una cosa alquanto teatrale.» Lei annuì. «Ti dico qualcosa di più su quei cinque. La faccia in alto a sinistra appartiene a un industriale austriaco, Alfred Hermann. Al momento è lui a occupare la Sedia Blu. È un plurimiliardario, possiede fabbriche d'acciaio in Europa, miniere in Africa, piantagioni di caucciù in Estremo Oriente e interessi bancari in tutto il mondo.» Thorvaldsen le disse degli altri quattro: uno aveva una partecipazione di maggioranza nella banca VNR - diffusa a livello nazionale in Austria, Germania, Svizzera e Olanda - più diverse industrie farmaceutiche e automobilistiche. Un altro dominava i mercati mobiliari europei tramite società d'intermediazione che gestivano il portafoglio di molti Stati dell'Unione Europea. Un terzo era proprietario unico di due compagnie francesi e una belga che rappresentavano i primi produttori al mondo di aerei al di fuori degli Stati Uniti. L'ultimo si autonominava «il re del cemento» ed era effettivamente titolare delle più importanti aziende produttrici in tutta Europa, Africa e Medio Oriente. «Un gruppo formidabile», commentò lei. «A dir poco. Le Sedie sono caratterizzate da una forte componente ariana e così è sempre stato: i membri sono prevalentemente tedeschi, svizzeri e austriaci. I membri eleggono le Sedie, che restano in carica a vita. Nello stesso momento viene scelta un'Ombra, che può immediatamente subentrare e succedere a una Sedia in caso di morte. La Sedia Blu viene eletta dalle altre Sedie e resta a sua volta in carica a vita.» «Un'efficienza diabolica.» «Ne vanno fieri. Tutti i membri si riuniscono due volte all'anno in un'Assemblea formale - una nella tarda primavera e una subito prima dell'inverno - in una tenuta di quattrocento acri di proprietà di Alfred Hermann, nei pressi di Vienna. Per il resto dell'anno le attività sono condotte dalle Sedie o tramite comitati permanenti. Ci sono un cancelliere, un tesoriere e un segretario, oltre al personale di supporto che opera dal castello di Hermann. L'organizzazione è intenzionalmente snella, in modo da evitare inutili ritardi parlamentari.» Stephanie prendeva appunti sul taccuino. «La Sedia Blu non è autorizzata a votare - né nel Circolo, né all'Assemblea - salvo che in situazioni di parità. Il fatto che ci siano settantuno membri e cinque Sedie fa sì che esista questa possibilità.» Lei dovette ammirare gli sforzi investigativi di Thorvaldsen. «Parlami
dei membri.» «Sono in maggioranza europei, ma attualmente tra i settantuno ci sono quattro americani, due canadesi, tre asiatici, un brasiliano e un australiano... Uomini e donne; hanno aperto alle donne da qualche decennio. Il ricambio è soltanto occasionale, ma la lista d'attesa è tale da assicurare che il numero di settantuno membri sia sempre mantenuto.» Stephanie era curiosa. «Perché stabilire il quartier generale in Austria?» «Per la stessa ragione per cui molti di noi ci tengono i soldi: una precisa disposizione della costituzione nazionale vieta la violazione del segreto bancario. Il denaro è difficile da tracciare. L'Ordine è ben finanziato; gli oneri dei membri sono determinati equamente in base a un budget programmato. Quello dell'anno scorso superava i centocinquanta milioni di euro.» «Per che cosa spendono i loro profitti da capogiro?» «Per quello che la gente insegue da secoli: influenza politica, soprattutto rispetto agli sforzi della Comunità Europea per centralizzare la moneta e ridurre le barriere commerciali. Sono anche interessati all'emergere dell'Europa dell'est... La ricostruzione delle infrastrutture nella Repubblica Ceca, in Slovacchia, Ungheria, Romania e Polonia è un affare ghiotto. Grazie a qualche contributo ben piazzato, i membri hanno ottenuto più contratti di quanti gliene sarebbero spettati altrimenti.» «Però, Henrik, centocinquanta milioni di euro non si possono spendere soltanto per assicurarsi contratti e allungare bustarelle ai politici!» «Hai ragione. Il gruppo agisce per uno scopo più grande.» Stephanie cominciava a sentirsi impaziente. «Sto aspettando.» «Il Medio Oriente. È quello il loro interesse prioritario.» «Come diavolo fai a sapere tutto questo?» Silenzio all'altro capo del telefono. Lei attese. «Sono un membro.» 19 Londra, ore 12.30 Malone scese la rampa con Pam e insieme sbarcarono dal volo della British Airways. Avevano trascorso la notte a Christiangade, poi erano vo-
lati da Copenhagen all'Inghilterra: per Pam si trattava di uno scalo in attesa di tornare in Georgia; per Malone, invece, rappresentava la meta finale. Gary era rimasto con Thorvaldsen. Il ragazzo aveva conosciuto il danese nel corso delle ultime due estati che aveva trascorso in Danimarca e, finché non avesse capito con esattezza che cosa stava succedendo, Malone riteneva che Christiangade fosse il luogo più sicuro per suo figlio. Come misura precauzionale aggiuntiva, Thorvaldsen aveva assoldato una squadra di vigilanza privata per pattugliare la tenuta. Pam non era stata contenta di quella decisione e avevano litigato, ma alla fine lei ne aveva capito l'opportunità, specie considerato quello che era successo ad Atlanta. In quanto a lei, ora che la crisi era passata aveva bisogno di tornare al lavoro: era partita di corsa, senza neppure avvisare lo studio. Lasciare Gary non era ciò che voleva, ma aveva dovuto ammettere che Malone avrebbe saputo proteggerlo meglio di quanto potesse mai fare lei. «Spero di avere ancora un lavoro», disse. «Immagino che le tue ore fatturabili siano sufficienti a farti perdonare. Dirai loro quanto è successo?» «Dovrò farlo.» «D'accordo. Di' quello che devi.» «Perché insisti su questa cosa?» domandò lei. «Perché non lasciar perdere?» Lui notò che una sana dormita sembrava averle tolto di dosso buona parte della sua tetraggine. Si era ripetutamente scusata per il suo comportamento del giorno prima e lui non glielo aveva fatto pesare. La verità era che non aveva nessuna voglia di parlare con lei. Avendo prenotato il volo all'ultimo momento, non avevano ottenuto posti vicini sull'aereo, il che era un bene. C'erano ancora delle cose da dire riguardo a Gary... Cose spiacevoli. Ma non era quello il momento. «È l'unico modo per evitare che succeda di nuovo», rispose lui. «Quando non sarò più l'unico a sapere del Rapporto, non sarò più un bersaglio. Né lo sarete tu e Gary.» «Cos'hai intenzione di fare?» domandò Pam. Lui non ne aveva la più pallida idea, perciò rispose: «Ci penserò una volta arrivato». Si fecero strada attraverso l'atrio affollato verso il terminal. Il loro silenzio e i passi pensierosi erano un evidente segnale che sarebbero stati meglio separati. Il suo istinto, affinato in dodici anni da agente del dipartimento di Giustizia e attutito dal recente periodo d'inattività, si era ridesta-
to. Aveva notato qualcosa sull'aereo... Un uomo seduto tre file davanti a lui, dal lato opposto della cabina. Un tipo asciutto, scuro come un pezzo di cuoio e con le guance ombreggiate da una barba ispida. Si era imbarcato a Copenhagen e qualcosa in lui aveva attirato l'attenzione di Malone. Durante il viaggio non era accaduto niente di strano, eppure... Benché l'uomo fosse sbarcato davanti a loro, ora si trovava alle loro spalle. Quella era di per sé una cosa strana. «Ieri hai sparato a un uomo senza battere ciglio», osservò Pam. «È spaventoso, Cotton!» «Era in gioco la sicurezza di Gary.» «Era questo che facevi?» «Di continuo.» «Non credo di voler vedere altri morti.» Nemmeno lui lo voleva. Continuarono a camminare. Lui capì che era pensierosa; si accorgeva sempre di quando il cervello di Pam si metteva a ribollire. «Ieri non te ne ho parlato, con tutto quello che è successo... C'è un nuovo uomo nella mia vita», gli disse. Lui ne fu contento, ma si domandò perché glielo dicesse. «È da un pezzo che non c'interessiamo degli affari reciproci.» «Lo so, ma lui è piuttosto speciale.» Sollevò il braccio e mostrò il polso. «Mi ha regalato questo orologio.» Ne sembrava orgogliosa, così lui decise di darle soddisfazione. «Un TAG Heuer. Niente male.» «L'ho pensato anch'io. Sono rimasta a bocca aperta per la sorpresa.» «Ti tratta bene?» Lei annuì. «Mi piace stare con lui.» Lui non seppe cos'altro dire. «Ne parlo soltanto affinché tu sappia che forse è ora che facciamo la pace.» Entrarono nel terminal pieno di gente. Era il momento di separarsi. «Ti dispiace se vengo con te?» gli domandò lei. «Il mio aereo per Atlanta parte soltanto tra sette ore.» Lui, in realtà, si era preparato un distaccato e disinvolto addio. «Non è una buona idea. Devo fare questa cosa da solo.» Non occorreva dire quello che stavano pensando entrambi: Specie dopo ieri. Lei annuì. «Capisco. Pensavo solo che sarebbe stato un buon modo di passare il pomeriggio.»
Malone era curioso. «Perché vorresti venire? Pensavo desiderassi allontanarti da tutto questo.» «Per poco non finisco ammazzata per quel tuo Rapporto, perciò sono curiosa. E poi, cosa farei qui, da sola, in aeroporto?» Lui doveva ammettere che era splendida... Aveva cinque anni meno di lui, ma sembrava ancora più giovane e aveva un atteggiamento troppo simile alla vecchia Pam - al contempo indifesa, indipendente e attraente perché lui potesse trattarla con noncuranza. I lineamenti di quel viso lentigginoso e gli occhi azzurri innescarono un fiume di ricordi che si era duramente sforzato di reprimere... Specie da agosto, quando aveva saputo della paternità di Gary. Lui e Pam erano stati sposati per tanto tempo. Avevano diviso una vita, nel bene e nel male. Lui aveva quarantotto anni ed era divorziato da oltre un anno, ma separato ormai da quasi sei. Forse era ora di superare il trauma. Quel che era stato era stato... Del resto, nemmeno lui poteva dirsi un angelo. La riconciliazione, però, avrebbe dovuto attendere. «Tornatene ad Atlanta e sta' fuori dei guai. Okay?» Lei sorrise. «Potrei dire lo stesso a te.» «Nel mio caso è impossibile, ma sono sicuro che quel nuovo uomo nella tua vita avrebbe piacere di averti a casa.» «Dobbiamo ancora parlare, Cotton. Abbiamo entrambi evitato l'argomento.» «Parleremo quando sarà tutto finito. Che ne diresti di una tregua, sino ad allora?» Anche lei sembrava volere la pace. «Okay.» «Ti terrò aggiornata. Non preoccuparti per Gary... Henrik si prenderà cura di lui; sarà ben protetto. Hai il suo numero di telefono, perciò chiamalo ogni volta che vuoi.» Le rivolse un allegro cenno di saluto con la mano e le sorrise, poi si allontanò verso l'uscita con l'intenzione di prendere un taxi. Non aveva portato bagagli: a seconda di quanto a lungo sarebbe rimasto, avrebbe comprato qualcosa in seguito, dopo aver trovato il Rapporto. Prima di lasciare l'edificio, però, doveva controllare una cosa. Presso l'uscita si avvicinò a un banco informazioni e prese una cartina della città dal contenitore. La girò più volte e la studiò con aria distaccata, lasciando vagare lo sguardo dalla cartina al flusso di persone che attraversavano l'ampio terminal.
Aveva creduto che il Secco avrebbe aspettato che lui uscisse, se davvero lo stava seguendo... Invece il suo nuovo amico stava pedinando Pam. La cosa lo preoccupò. Gettò la cartina sul bancone e attraversò il terminal. Pam entrò in uno dei tanti bar, evidentemente intenzionata a passare il tempo mangiando qualcosa o prendendo un caffè. Il Secco si appostò in un duty free shop dal quale era possibile vedere chiaramente il bar. Interessante... A quanto pareva, Malone non era più l'anima della festa. Entrò a sua volta nel bar. Pam era seduta in un séparé e lui si avvicinò. Il viso di lei avvampò di sorpresa. «Cosa ci fai qui?» «Ho cambiato idea. Vuoi ancora venire con me?» «Mi piacerebbe molto.» «A una condizione.» «Lo so. Terrò la bocca chiusa.» Stephanie si lasciò rimbalzare ancora una volta le parole di Thorvaldsen nella testa, poi domandò con tutta la calma possibile: «Tu saresti un membro dell'Ordine del Toson d'Oro?» «Da trent'anni. L'ho sempre considerato semplicemente un modo per socializzare tra ricchi e potenti. È quello che facciamo di solito...» «Quando non state corrompendo i politici o distribuendo bustarelle per aggiudicarvi gli appalti.» «Suvvia, Stephanie! Sai anche tu come va il mondo. Non decido io le regole, ma se voglio giocare devo seguire quelle che ci sono.» «Dimmi tutto quello che sai, Henrik. Niente stronzate, ti prego.» «I miei investigatori hanno seguito a ritroso le tracce dei due morti di ieri e sono arrivati ad Amsterdam. Uno di loro aveva un'amichetta, la quale ci ha detto che il suo amante lavorava regolarmente per un altro uomo. Una volta lei è riuscita a vederlo e, dalla sua descrizione, credo di averlo visto anch'io.» Lei attese il seguito. «Ormai da molti anni sento parlare spesso della biblioteca perduta di Alessandria nel corso delle riunioni dell'Ordine. L'occupante della Sedia Blu, Alfred Hermann, è ossessionato dall'argomento.» «Sai perché?» «È convinto che abbiamo molto da imparare dagli antichi.»
Lei ne dubitava, ma doveva saperne di più. «Che nesso c'è tra i due morti e l'Ordine?» «L'uomo descritto da quella donna ha presenziato alle assemblee dell'Ordine. Non è un membro; è una specie d'impiegato. La ragazza non ne conosceva il nome, ma il suo ragazzo una volta ha usato un'espressione che avevo già sentito: die Klauen der Adler.» Lei tradusse mentalmente: gli Artigli dell'Aquila. «Hai intenzione di dirmi altro?» «Quando avrò notizie più sicure, magari?» A giugno, quando Stephanie aveva conosciuto Thorvaldsen, lui non si era mostrato granché disponibile e ciò non aveva fatto che alimentare l'attrito che già esisteva tra loro. Da allora, però, lei aveva imparato a non sottovalutare il danese. «Okay. Hai detto che l'interesse principale dell'Ordine è il Medio Oriente. Cosa intendevi dire?» «Mi rendo conto che non vuoi essere insistente e ti ringrazio per questo.» «Bisogna che mi rassegni a collaborare con te, prima o poi. Tanto più che non me l'avresti detto in ogni caso.» Thorvaldsen ridacchiò. «Noi due ci somigliamo molto.» «Che prospettiva agghiacciante!» «Non è così malvagia. Comunque, tornando alla tua domanda sul Medio Oriente: purtroppo il mondo arabo rispetta soltanto la forza. Però sanno anche come si fanno gli affari... e hanno molto con cui mercanteggiare, soprattutto il petrolio.» Su quello Stephanie non trovò nulla da obiettare. «Chi è il nemico numero uno degli arabi?» domandò Thorvaldsen in tono retorico. «L'America, forse? No: Israele. È la loro spina nel fianco... ed è lì, nel bel bezzo del loro mondo. Uno Stato ebraico, creato nel 1948 in seguito all'evacuazione forzata di quasi un milione di arabi, almeno stando alla loro versione dei fatti. È vero che pure gli ebrei hanno sofferto, ma è un dato di fatto che le terre che palestinesi, egiziani, giordani, libanesi e siriani avevano rivendicato per secoli sono state assegnate d'ufficio dal resto del mondo agli ebrei. Gli arabi chiamano quell'episodio della loro storia nakba, Ta catastrofe'... È un nome appropriato.» Fece una pausa. «Per entrambe le fazioni.» «Fu subito guerra... La prima di molte», concluse Stephanie. «Tutte vinte da Israele, per fortuna. Negli ultimi sessant'anni gli israeliani sono rimasti aggrappati alla loro terra, solo perché Dio ha detto ad A-
bramo che così doveva essere.» Lei ricordò il brano citato da Brent Green. Il Signore disse ad Abramo: «Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l'oriente e l'occidente. Tutto il Paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre». «La promessa di Dio ad Abramo è una ragione per cui la Palestina è stata data agli ebrei», disse Henrik. «Presumibilmente è la loro patria atavica, avuta in eredità da Dio medesimo. Chi può metterlo in discussione?» «Almeno uno studioso palestinese di mia conoscenza.» «Cotton mi ha detto di George Haddad e della Biblioteca.» «Non avrebbe dovuto.» «Non credo gliene freghi molto delle regole, al momento. Per giunta, ora come ora ce l'ha a morte con te.» Se l'era meritato. «Le mie fonti a Washington mi dicono che la Casa Bianca vuole che Haddad sia ritrovato. Immagino tu lo sappia.» Lei non rispose. «Non mi aspettavo una reazione diversa da parte tua... Ma sta succedendo qualcosa, Stephanie! Qualcosa di fondamentale. Gli uomini di potere non sono soliti perdere tempo in sciocchezze. Puoi far saltare in aria la gente e terrorizzarla ogni giorno: non risolverai nulla. Se però possiedi ciò che il tuo nemico brama - o che non desidera veder cadere in mani altrui allora hai il vero potere. Conosco l'Ordine del Toson d'Oro... Autorità, ecco cosa cercano Alfred Hermann e l'Ordine.» «Cosa intendono farne?» «Se si tratta di una cosa che potrebbe colpire al cuore Israele, com'è probabile, il mondo arabo tratterà per ottenerla. Tutti, nell'Ordine, potrebbero trarre profitto dai rapporti amichevoli con gli arabi. Il prezzo del petrolio, da solo, basterebbe a stuzzicare l'appetito di molti membri... ma la prospettiva di nuovi mercati per i loro beni e servizi vale ancora di più. Chi lo sa? Quelle informazioni potrebbero persino mettere in discussione lo Stato ebraico, il che sanerebbe molte ferite ancora aperte. L'impegno dell'America a difesa d'Israele è costoso... Quante volte è successo? Una nazione araba sostiene che lo Stato d'Israele dovrebbe essere distrutto, le Nazioni Unite intervengono, gli Stati Uniti censurano, tutti si arrabbiano, le spade s'incrociano... e alla fine si tratta di distribuire concessioni e dollari per soffocare i malumori. Se tutto questo non fosse più necessario, il mondo potrebbe essere molto più accomodante... e anche l'America.»
Poteva essere quello il lascito che Larry Daley voleva per il presidente. Fu costretta a domandare: «Che cosa potrebbe rivelarsi tanto potente?» «Non lo so, ma tu e io, qualche mese fa, abbiamo letto un antico documento che cambiava radicalmente ogni cosa. Anche in questo caso potremmo trovarci di fronte a qualcosa di pari impatto.» Aveva ragione, ma la realtà era che... «Cotton ha bisogno di questa informazione.» «L'avrà. Prima, però, dobbiamo conoscere l'intera storia.» «Come intendi fare?» «L'Ordine terrà la riunione invernale questo fine settimana. Non pensavo di andarci, ma ho cambiato idea.» 20 Londra, ore 13.20 Malone scese dal taxi ed esaminò la via tranquilla: facciate decorate da timpani, colonne scanalate, davanzali fioriti... Ognuna delle pittoresche case georgiane pareva una serena, vetusta dimora fatta apposta per accogliere topi di biblioteca e accademici. George Haddad doveva sentircisi proprio a casa. «È qui che vive?» domandò Pam. «Spero di sì. Non lo sento da quasi un anno. Questo è l'indirizzo che mi hanno dato tre anni fa.» Il pomeriggio era fresco e asciutto. Poco prima aveva letto sul Times che l'Inghilterra stava godendo di un'insolita siccità autunnale. Il Secco non li aveva seguiti da Heathrow; forse se n'era incaricato qualcun altro, dal momento che l'uomo era evidentemente in contatto con dei complici. Eppure non si vedevano altri taxi... Avere ancora accanto Pam gli dava una strana sensazione, ma lui sentiva di essersi meritato quel senso di disagio: in fondo se l'era andato a cercare, insistendo affinché lo seguisse. Salirono sulla veranda ed entrarono. Lui si fermò nell'androne a osservare, non visto, la strada. Non apparvero auto, né tantomeno persone. Il campanello dell'appartamento al secondo piano trillò con discrezione. L'uomo dalla carnagione olivastra che aprì la porta era basso e robusto, coi capelli color cenere e la faccia squadrata. I suoi occhi castani si accesero
quando riconobbe l'ospite, e Malone notò un lampo d'eccitazione repressa in quell'ampio sorriso di benvenuto. «Cotton! Che sorpresa... Pensavo a te proprio l'altro giorno.» Si strinsero calorosamente le mani e Malone presentò Pam. Haddad li invitò a entrare. La luce del giorno era oscurata da pesanti tende ricamate e Malone studiò rapidamente l'arredamento, che sembrava improntato a un'incongruenza voluta: c'erano un pianoforte, diverse credenze, poltrone, lampade con paralumi di seta plissettata e una scrivania di rovere con un computer sommerso da libri e carte. Haddad abbracciò con un gesto quella confusione. «Questo è il mio mondo, Cotton.» Le pareti erano ingombre di mappe, tanto che la tappezzeria color salvia si vedeva a malapena. Malone notò che ce n'erano di moderne e antiche e che riproducevano la Terrasanta, l'Arabia e il Sinai. Alcune erano fotocopie, altre originali. Tutte erano interessanti. «Ancora la mia ossessione», commentò Haddad. Dopo uno scambio di chiacchiere amichevoli, Malone decise di venire al punto. «Le cose sono cambiate. Per questo sono qui.» Spiegò quanto era successo il giorno prima. «Tuo figlio sta bene?» s'informò Haddad. «Benissimo. Cinque anni fa non ho fatto domande, perché faceva parte del mio lavoro... Ora non più, perciò voglio sapere che sta succedendo.» «Mi hai salvato la vita.» «Dovrei essermi guadagnato la verità.» Haddad li accompagnò in cucina, dove sedettero a un tavolo ovale. L'aria aleggiava tiepida e pesante, con un persistente aroma di vino e tabacco. «È complicato, Cotton. Io stesso l'ho capito solo in questi ultimi anni.» «Devo sapere tutto, George.» Tra i due balenò un'incerta comprensione. Le vecchie amicizie potevano atrofizzarsi; le persone cambiavano. Quello che un tempo si era apprezzato l'uno dell'altro diventava fastidioso... Tuttavia Malone sapeva che Haddad aveva fiducia in lui e desiderava ricambiarla. Finalmente l'uomo più anziano parlò. Ascoltarono Haddad rievocare il 1948, quando - appena diciannovenne - aveva combattuto nella resistenza palestinese, nel tentativo di fermare l'invasione sionista. «Ho ucciso molti uomini», disse Haddad, «ma ce n'è uno che non ho mai dimenticato. Era venuto a cercare mio padre, ma lui - quell'anima santa - si era già ucciso. Catturammo quell'uomo, credendolo un sionista. Ero giova-
ne, impaziente e pieno d'odio... e lui diceva cose assurde. Così gli sparai.» Gli occhi di Haddad s'inumidirono. «Era un Guardiano. Io l'ho ucciso... e non ho mai imparato nulla.» Il palestinese fece una pausa. «Poi, incredibilmente, un altro Guardiano è venuto a farmi visita una cinquantina d'anni più tardi.» Malone si chiese cosa significasse quella storia. «È apparso in casa mia, fermo al buio, e ha pronunciato le stesse parole che mi aveva rivolto quell'altro nel 1948.» «Sono un Guardiano.» Aveva sentito bene? La domanda prese subito forma nella mente di Haddad. «Dalla Biblioteca? Mi verrà offerto un invito?» «Come lo sai?» Raccontò all'uomo ciò che era accaduto tanto tempo prima. Mentre parlava, Haddad cercava di valutare il suo ospite: un tipo asciutto dai capelli neri come il carbone, con baffi folti e la pelle riarsa dal sole, simile a cuoio vecchio. I suoi abiti erano semplici e sobri, proprio come l'atteggiamento. Somigliava al primo emissario. L'uomo più giovane sedeva in silenzio e Haddad decise che, questa volta, sarebbe stato paziente anche lui. «Abbiamo studiato i tuoi scritti e le ricerche che hai pubblicato», disse infine il Guardiano. «La tua conoscenza degli antichi testi biblici è impressionante, così come la tua capacità d'interpretare la lingua ebraica. Le tue obiezioni alle traduzioni correnti sono... persuasive.» Haddad apprezzò il complimento. Ne riceveva raramente in Cisgiordania. «Siamo un gruppo antico. Molto tempo fa il primo Guardiano salvò dalla distruzione buona parte della Biblioteca di Alessandria... Fu una grande impresa. Di tanto in tanto abbiamo esteso un invito a quelli come te, che possono beneficiarne.» Molte domande presero forma nella sua mente. «Il Guardiano che ho ucciso ha detto che la guerra che combattevamo non era necessaria... Che ci sono cose più potenti dei proiettili. Cosa intendeva?» «Non saprei. Ovviamente tuo padre non poté mai accedere alla Biblioteca, e dunque non ha beneficiato del nostro sapere... né noi del suo. Forse tu non mancherai all'appuntamento.» «Come sarebbe a dire?» «Per conquistare il diritto di usare la Biblioteca occorre dimostrarsi
degni attraverso la cerca dell'eroe.» L'uomo gli porse una busta. «Interpreta con saggezza queste parole e t'incontrerò all'ingresso, ove sarà mio onore introdurti nella Biblioteca.» Lui accettò il pacchetto. «Sono vecchio. Come posso affrontare un lungo viaggio?» «Troverai la forza.» «Perché dovrei?» «Perché nella Biblioteca troverai le tue risposte.» «Il mio errore», disse Haddad, «fu quello di riferire di quella visita alle autorità palestinesi. Avevo detto la verità: non potevo fare quel viaggio... Quando ho riferito l'accaduto credevo di parlare tra amici in Cisgiordania, ma le spie israeliane hanno sentito tutto e così tu e io ci siamo trovati in quel caffè quando è esploso.» Malone ricordava quel giorno, uno dei più spaventosi della sua vita. Era riuscito a stento a tirar fuori tutti e due. «Cosa ci facevi là?» gli domandò Pam, preoccupata. «George e io ci conoscevamo da anni. Condividiamo l'interesse per i libri, specialmente la Bibbia. Quest'uomo», disse indicandolo, «è un esperto mondiale in materia, perciò mi divertivo a chiedergli lumi.» «Non ho mai saputo che avessi questo hobby», commentò Pam. «A quanto pare ci sono molte cose che non abbiamo mai saputo l'uno dell'altra.» Malone vide che lei aveva incassato il colpo e cambiò discorso. «Quando George ebbe sentore di guai, non fidandosi dei palestinesi, chiese il mio aiuto. Stephanie mi mandò a scoprire cosa stesse succedendo. Quando la bomba esplose, George decise di tirarsene fuori. Tutti hanno creduto che fosse morto nell'esplosione e io ne ho approfittato per farlo sparire.» «E gli hai dato come nome in codice 'Rapporto Alexandria'», concluse Pam. «Evidentemente qualcuno ha saputo di me», constatò Haddad. Malone annuì. «I file sul computer sono stati violati. Non dicevano dove vivi, ma soltanto che io sono l'unico a sapere dove ti trovi... Per questo hanno preso Gary.» «Ne sono davvero mortificato. Non avrei mai voluto che ci andasse di mezzo tuo figlio.» «Allora devi dirmi tutto, George. Perché ti vogliono morto?» «All'epoca della visita del Guardiano stavo lavorando a una teoria
sull'Antico Testamento. In precedenza avevo già pubblicato diversi studi sulla versione corrente di quel sacro testo, ma stavo giungendo a qualcosa di grosso.» Le rughe agli angoli degli occhi di Haddad si approfondirono e Malone vide che l'amico pareva lottare coi propri pensieri. «I cristiani tendono a concentrarsi sul Nuovo Testamento», disse Haddad. «Gli ebrei, invece, fanno affidamento sull'Antico. Direi che la maggior parte dei cristiani ha una conoscenza limitata dell'Antico Testamento, a prescindere dall'opinione diffusa che il Nuovo sia il compimento delle profezie dell'Antico... Tuttavia l'Antico Testamento è importante. In quel testo vi sono numerose contraddizioni che potrebbero sollevare dubbi sul suo messaggio.» Aveva già sentito Haddad parlare di quell'argomento, ma stavolta avvertiva in lui una preoccupazione nuova. «Gli esempi abbondano. La Genesi offre due versioni contrastanti della creazione e vi sono descritte due diverse genealogie della stirpe di Adamo. Poi, il diluvio... Dio ordina a Noè di portare sette coppie di animali puri e una impura, ma in un'altra parte della Genesi si parla soltanto di una coppia per ciascun tipo. In un versetto Noè libera un corvo affinché vada a cercare la terraferma, mentre in un altro il volatile è una colomba. Anche la durata del diluvio è contraddittoria: quaranta giorni e notti o trecentosettanta? Sono presenti entrambe le versioni! Per non parlare delle decine di elementi discordanti contenuti nei racconti, come i nomi diversi usati in riferimento a Dio. In una parte si cita YHWH - Yahweh - e in un'altra, Elohim. Non credete che almeno il nome di Dio dovrebbe rimanere coerente?» La memoria di Malone tornò al suo recente soggiorno in Francia, dove aveva sentito critiche analoghe ai quattro Vangeli del Nuovo Testamento. «Oggigiorno quasi tutti riconoscono che l'Antico Testamento fu composto da uno stuolo di autori diversi, nell'arco di un periodo estremamente lungo...» continuò Haddad. «Un abile collage di svariate fonti da parte dei successivi redattori. Si tratta di una conclusione assolutamente lampante e tutt'altro che nuova: un filosofo spagnolo del XII secolo fu tra i primi a notare che il versetto 12,6 della Genesi - Nel Paese si trovavano allora i cananei - non poteva essere stato scritto da Mosè. D'altra parte, come poteva Mosè essere l'autore dei cinque libri del Pentateuco, quando l'ultimo di essi descrive nel dettaglio il momento e le circostanze precise della sua morte? «Per non parlare delle tante digressioni! Come quando vengono usati i toponimi antichi e subito dopo il testo commenta che tali luoghi sono visi-
bili ancora oggi... È un indizio inequivocabile del fatto che influenze più tarde hanno plasmato, ampliato e abbellito il testo.» «Ogni volta che una di queste redazioni avveniva, andava perduto un po' del senso originale», intervenne Malone. «Senza dubbio. Secondo la stima più precisa, l'Antico Testamento fu composto tra il 1000 e il 586 a.C Le aggiunte più recenti risalgono al 500400 a.C. ma è possibile che il testo sia stato rimaneggiato anche attorno al 300 a.C. Nessuno lo sa con certezza; tutto ciò che sappiamo è che l'Antico Testamento è un collage. Ciascun segmento è stato scritto in circostanze storiche e politiche diverse ed esprime visioni religiose differenti.» «Tutto questo è molto interessante», dichiarò Malone, ripensando alle contraddizioni del Nuovo Testamento scoperte in Francia. «Credimi, dico davvero. Però non è niente di rivoluzionario... O si crede che l'Antico Testamento sia Parola di Dio, oppure si crede che sia una collezione di antichi racconti.» «Ma se le parole fossero state alterate al punto da aver fatto sparire il messaggio originale? Se l'Antico Testamento che conosciamo non fosse - e non fosse mai stato - l'Antico Testamento dell'epoca originale? Questo potrebbe cambiare molte cose!» «Ti sto ascoltando.» «Ecco cosa mi piace di te», disse Haddad sorridendo. «Sei un ottimo ascoltatore.» Malone capì dall'espressione di Pam che lei non era affatto d'accordo, ma fu di parola e rimase in silenzio. «Abbiamo già avuto modo di parlarne», riprese Haddad. «L'Antico Testamento è fondamentalmente diverso dal Nuovo. I cristiani prendono il testo del Nuovo alla lettera, al punto da considerarlo storia. Invece i racconti dei patriarchi, l'esodo e la conquista di Canaan non sono storia, bensì l'espressione creativa di una riforma religiosa avvenuta anticamente in un luogo chiamato Giudea. Certo, in quelle descrizioni c'è un fondo di verità, ma si tratta di favole molto più che di fatti. «Un buon esempio è quello di Caino e Abele. All'epoca di quel racconto, sulla terra c'erano soltanto quattro persone: Adamo, Eva, Caino e Abele. Eppure Genesi 4,17 dice: Ora Caino si unì alla moglie, la quale concepì. Da dove veniva quella moglie? Si trattava forse di Eva, sua madre? Non sarebbe una rivelazione? Poi, nel descrivere la linea di discendenza di Adamo, Genesi, 5 dice che Maalaleèl visse ottocentonovantacinque anni, Iared ottocento anni ed Enoch trecentosessantacinque anni. Abramo doveva
avere cent'anni quando Sara diede alla luce Isacco, e lei novanta.» «Nessuno prende alla lettera quella roba!» intervenne Pam. «Un ebreo devoto sosterrebbe il contrario.» «Qual è il punto, George?» domandò Malone. «L'Antico Testamento, così come lo conosciamo oggi, è il risultato di traduzioni. La lingua ebraica del testo originale è caduta in disuso attorno al 500 a.C. Questo vuol dire che per capire l'Antico Testamento dobbiamo prendere per buone le interpretazioni tradizionali degli ebrei, oppure orientarci tramite i dialetti moderni che derivano da quella lingua perduta. Non possiamo utilizzare il primo metodo, perché gli studiosi ebrei che hanno originariamente interpretato il testo - tra il 500 e il 900 d.C, ovvero mille o più anni dopo la redazione originale - neppure conoscevano l'ebraico antico, per cui le loro ricostruzioni si basano su congetture. L'Antico Testamento, che molti venerano come Parola di Dio, non è altro che una traduzione approssimativa.» «George, ne abbiamo già discusso. Gli studiosi ne discutono da secoli. Non è nulla di nuovo.» Haddad gli rivolse un sorrisetto scaltro. «Non ho ancora finito di spiegare.» 21 Vienna, Austria, ore 14.45 Il castello offriva ad Alfred Hermann un'atmosfera che ricordava quella di una tomba. La sua solitudine s'interrompeva soltanto quando si convocava l'Assemblea dell'Ordine o si riunivano le Sedie. Quel giorno non era prevista nessuna delle due cose. Lui era contento. Se ne stava rintanato nel suo appartamento privato: una serie di stanze spaziose al primo piano del castello, con ogni stanza che si affacciava sull'altra secondo lo stile francese, senza corridoi. La seduta invernale della quarantanovesima Assemblea si sarebbe aperta tra meno di due giorni e a lui faceva piacere che tutti e settantuno i membri dell'Ordine del Toson d'Oro vi avrebbero preso parte: persino Henrik Thorvaldsen, dopo aver inizialmente annunciato che non sarebbe venuto, aveva confermato la propria presenza. I membri non si erano più riuniti dalla scorsa primavera,
quindi lui sapeva che nei prossimi giorni la discussione sarebbe stata animata. Quale occupante della Sedia Blu, il suo compito sarebbe stato fare in modo che l'incontro fosse produttivo. Lo staff dell'Ordine era già al lavoro per preparare la sala riunioni del castello - tutto sarebbe stato pronto per l'arrivo dei membri nel fine settimana - ma l'Assemblea non lo preoccupava: i suoi pensieri erano tutti per il ritrovamento della Biblioteca di Alessandria... Una conquista che sognava da decenni. Attraversò la stanza. Il modello, commissionato diversi anni prima, occupava l'angolo settentrionale della camera. Era una spettacolare riproduzione in miniatura dell'aspetto che la Biblioteca di Alessandria doveva avere all'epoca di Cesare. Vi trascinò accanto una sedia e sedette, con lo sguardo fisso sui dettagli e la mente che vagava. Il plastico era dominato da due colonnati: entrambi dovevano essere stati pieni di statue, i pavimenti coperti di tappeti e le pareti ornate di arazzi. Sui numerosi seggi allineati lungo i corridoi, gli eruditi si accapigliavano sul significato di una parola o sulla cadenza di un verso o erano impegnati in qualche caustica controversia a proposito di una nuova scoperta. Entrambe le sale coperte dal tetto si aprivano su stanze laterali in cui erano conservati papiri, pergamene e, in seguito, codici... in grossi contenitori e in pile sparse, marcati per la catalogazione o su scaffali. In altre stanze gli scrivani lavoravano alla produzione di copie, che venivano vendute per ricavare introiti. Gli studiosi residenti godevano di un salario alto e dell'esenzione dalle tasse e venivano loro forniti vitto e alloggio. C'erano sale per le conferenze, laboratori, osservatori... persino uno zoo. Grammatici e poeti ricevevano i posti più prestigiosi; fisici, matematici e astronomi l'attrezzatura migliore. L'architettura era decisamente greca: l'insieme somigliava a un elegante tempio. Che luogo meraviglioso. Che epoca! Soltanto in due momenti della storia umana la conoscenza aveva fatto passi da gigante in tutti i settori dello scibile: durante il Rinascimento - la cui sete di sapere si era protratta sino al presente - e nel IV secolo a.C, quando i greci dominavano il mondo. Pensava a quell'epoca, sorta trecento anni prima della venuta di Cristo, e alla morte improvvisa di Alessandro Magno. I suoi generali si disputarono il grandioso impero che aveva conquistato, finché il regno fu diviso in tre parti: così cominciò l'età ellenistica, un periodo di predominio mondiale della Grecia. Una di quelle tre parti fu rivendicata da un macedone lungi-
mirante, Tolomeo, che si proclamò re dell'Egitto nel 304 a.C, dando origine alla dinastia tolemaica e ponendo la propria capitale ad Alessandria. I Tolomei furono una dinastia d'intellettuali: Tolomeo I fu uno storico, Tolomeo II uno zoologo, Tolomeo III un mecenate delle lettere, Tolomeo IV un drammaturgo. Ciascuno di loro scelse eminenti studiosi e scienziati come tutori per i propri figli, incoraggiando le menti più eccelse a stabilirsi ad Alessandria. Tolomeo I fondò il museo, un luogo in cui gli eruditi potessero aggregarsi e condividere la loro conoscenza. Per aiutarli in tale impresa fece costruire la Biblioteca. All'epoca di Tolomeo III, nel 246 a.C, c'erano due sedi: la biblioteca principale, presso il palazzo reale, e un'altra più piccola, situata nel santuario del dio Serapis e perciò nota come il Serapeo. I Tolomei furono tenaci collezionisti di libri e inviarono agenti in tutto il mondo conosciuto. Tolomeo II comprò l'intera biblioteca di Aristotele. Tolomeo III ordinò che fossero perquisite tutte le navi nel porto di Alessandria: se a bordo venivano trovati dei libri, questi erano copiati e ai proprietari si restituivano le copie, mentre gli originali finivano nella Biblioteca. I generi spaziavano da poesia e storia a retorica, filosofia, religione, medicina, scienza e legge. Il Serapeo finì per ospitare all'incirca 43.000 pergamene consultabili dal pubblico, più altre 500.000 conservate nel museo e riservate agli studiosi. Che n'era stato di tutto ciò? Secondo una versione era bruciato quando Giulio Cesare aveva affrontato Tolomeo XIII nel 48 a.C. Cesare aveva ordinato di appiccare il fuoco alla flotta reale, ma l'incendio si era diffuso in tutta la città e aveva distrutto anche la Biblioteca. Un'altra versione dava la colpa ai cristiani, che avevano presumibilmente distrutto la biblioteca principale nel 272 d.C. e il Serapeo nel 391 per liberare la città da tutte le influenze pagane. Un'ultima ipotesi attribuiva agli arabi la devastazione della Biblioteca, in seguito alla conquista di Alessandria nel 642. Si riporta che il califfo Omar, interrogato a proposito della sorte dei libri del tesoro imperiale, abbia risposto: Se quanto vi è scritto è in accordo col Libro di Dio, non sono necessari. Se è in disaccordo, non sono degni di esistere. Distruggeteli. Per sei mesi, dunque, le pergamene erano presumibilmente servite come combustibile per riscaldare le terme di Alessandria. Hermann rabbrividiva sempre a quel pensiero: l'idea che uno dei più grandiosi tentativi dell'umanità di collezionare sapere potesse essere semplicemente andato a fuoco.
Ma cos'era accaduto in realtà? Quando l'Egitto si era trovato ad affrontare un crescente malcontento e un susseguirsi di aggressioni straniere, la Biblioteca era divenuta oggetto di persecuzione, sommosse e occupazione militare e aveva cessato di godere di privilegi speciali. Quando era scomparsa definitivamente? Nessuno lo sapeva. Poteva essere vera la leggenda? Un gruppo di entusiasti, si diceva, era riuscito a portare in salvo una pergamena dopo l'altra, copiandone alcune, rubandone altre, preservando metodicamente il sapere. I cronisti alludevano alla loro esistenza da secoli. I Guardiani. Gli piaceva fantasticare su cosa quei tenaci entusiasti potessero avere salvato. Opere sconosciute di Euclide? Platone? Aristotele? Sant'Agostino? Per non parlare degli innumerevoli altri uomini che in seguito sarebbero stati considerati i padri dei rispettivi campi di studio... Impossibile dirlo. Era proprio questo a rendere la ricerca così avvincente. Inoltre c'erano le teorie di George Haddad, che offrivano a Hermann un modo per sfruttarla ai fini dell'Ordine. Il Comitato Politico aveva già determinato come la destabilizzazione d'Israele potesse essere manipolata per profitto. Il piano d'azione era tanto ambizioso quanto attuabile, ammesso che i risultati di Haddad potessero essere dimostrati. Cinque anni prima Haddad aveva riferito la visita di una persona che si era identificata come il Guardiano. Le spie israeliane avevano trasmesso l'informazione a Tel Aviv. Gli ebrei avevano avuto una reazione esagerata - come sempre, del resto - e avevano subito cercato di uccidere Haddad. Grazie al cielo, erano intervenuti gli americani e Haddad era ancora tra i vivi. Allo stesso modo, Hermann era grato del fatto che le sue fonti politiche americane si fossero fatte più trattabili: di recente avevano confermato i fatti e ne avevano spontaneamente aggiunti altri, il che rappresentava il motivo per cui Sabre era entrato in azione. Chissà, forse Sabre avrebbe appreso qualcosa di utile dall'israeliano corrotto che lo attendeva in Germania... L'unica certezza era George Haddad. Bisognava trovarlo. 22
Rothenburg, Germania, ore 15.30 Sabre camminava lungo la stradina acciottolata. Rothenburg si trovava cento chilometri a sud di Würzburg: era una città che sembrava uscita dritta dal Medioevo, cinta di mura e circondata da bastioni e torri di guardia in pietra. All'interno delle mura, viuzze strette si snodavano tra edifici di mattoni e pietra con travi di legno a vista. Sabre ne cercava uno in particolare. La Baumeisterhaus sorgeva poco oltre la piazza del mercato, a due passi dall'antica torre dell'orologio. Una targa metallica annunciava che l'edificio era stato eretto nel 1596, ma nell'ultimo secolo i suoi tre piani avevano ospitato una locanda con ristorante. Spinse la porta d'ingresso e fu accolto dall'odore dolce di pane lievitato, mela e cannella. Una stretta sala da pranzo al pianterreno si apriva su un cortile interno di due piani, con corna di cervo disseminate a mo' di trofei sulle pareti imbiancate. Uno dei contatti dell'Ordine attendeva in un séparé di rovere: una sagoma sottile e gracile, nota semplicemente come Jonah. Sabre lo raggiunse e prese posto nel séparé. Il tavolo era coperto da una delicata tovaglia rosa. Di fronte a Jonah stavano una tazza di porcellana colma di caffè nero e un dolce di pasta sfoglia glassata mangiato a metà, appoggiato su un piattino. «Stanno succedendo cose strane», disse Jonah in inglese. «Così è la vita in Medio Oriente.» «Più strane del normale, intendo.» L'uomo lavorava al ministero degli Interni israeliano; faceva parte della delegazione tedesca. «Mi hai chiesto di riferire qualsiasi cosa riguardasse George Haddad. Ebbene, sembra che sia resuscitato. I nostri sono in subbuglio.» Lui finse di non saperlo. «Qual è la fonte di questa informazione?» «In questi ultimi giorni ha telefonato in Palestina. Ha qualcosa da comunicare.» Sabre aveva già incontrato Jonah tre volte. Gli uomini come lui - quelli per cui gli euro venivano prima della lealtà - erano utili, ma al contempo esigevano cautela: un imbroglione tende sempre a imbrogliare. «Perché non smettiamo di tergiversare e non mi dici quello che devi?» L'uomo gustò un sorso di caffè. «Prima di sparire, cinque anni fa, Haddad aveva ricevuto la visita di un uomo... il Guardiano.»
Sabre lo sapeva già, ma non disse nulla. «Ha ricevuto certe informazioni. Una faccenda un po' strana, ma il seguito lo è anche di più.» Sabre non aveva mai apprezzato la teatralità di Jonah. «Haddad non è il primo ad aver avuto quell'esperienza. Ho visto un file: altre tre persone, dal 1948 a oggi, hanno ricevuto visite analoghe da un certo Guardiano. Israele n'era a conoscenza, ma tutti e tre gli uomini sono morti pochi giorni o settimane dopo la visita.» Jonah s'interruppe. «Se ben ricordi, anche Haddad è quasi morto.» Sabre cominciava a capire. «I vostri stanno tenendo qualcosa per sé?» «Pare di sì.» «Ogni quanto si sono verificate le visite?» «All'incirca ogni vent'anni, negli ultimi sessanta. Erano tutti accademici: un israeliano e tre arabi, compreso Haddad. Gli omicidi sono stati tutti opera del Mossad.» Doveva saperne di più. «Come sei riuscito a scoprirlo?» «Te l'ho detto: ho letto un file.» Jonah fece una pausa. «È arrivato un comunicato poche ore fa. Haddad vive a Londra.» «Mi serve un indirizzo.» Jonah glielo fornì. «Hanno mandato degli uomini», disse poi. «Una squadra della morte.» «Perché uccidere Haddad?» «Ho fatto la stessa domanda all'ambasciatore. Lui lavorava per il Mossad e mi ha raccontato una storia interessante.» «Il motivo per cui mi trovo qui, immagino.» Jonah sorrise. «Sapevo che eri un tipo in gamba.» David Ben Gurion capì che la sua carriera politica era finita. Sin dai tempi della Polonia, quando non era che un bambino gracile, aveva sognato il ritorno degli ebrei alla biblica terra promessa. Così si era assunto la paternità dello Stato d'Israele e lo aveva condotto attraverso i tumultuosi anni dal 1948 al 1963, al comando nelle guerre e saldo nel governo. Un compito duro, per un uomo che in realtà avrebbe voluto essere un intellettuale. Aveva divorato libri di filosofia, studiato la Bibbia, flirtato col buddismo, persino imparato da sé il greco antico per poter leggere Platone in lingua originale. Era dotato di un'insaziabile curiosità per le scienze naturali e detestava le opere di fantasia: la battaglia verbale, non già il dialo-
go fittizio, era la sua modalità di comunicazione preferita. Tuttavia non era un pensatore astratto. Era invece un uomo rigido, dai lineamenti marcati, con un'aureola di capelli argentei e una mascella che esprimeva forza di volontà e un temperamento vulcanico. Aveva proclamato l'indipendenza d'Israele nel maggio 1948, ignorando i tardivi ammonimenti di Washington e respingendo le previsioni apocalittiche dei suoi più stretti collaboratori. Ricordava che, a poche ore dalla sua dichiarazione, le forze militari di cinque nazioni arabe avevano invaso Israele, unendosi alle milizie palestinesi nell'aperto tentativo di distruggere gli ebrei. Aveva guidato personalmente l'esercito e alla fine l'uno per cento della popolazione israeliana aveva perso la vita, come pure migliaia di arabi. Oltre mezzo milione di palestinesi avevano perso le loro case. Alla fine gli ebrei avevano prevalso e molti di loro lo avevano etichettato come una via di mezzo tra Mosè, il re Davide, Garibaldi e Dio Onnipotente. Per altri quindici anni aveva guidato la nazione, ma ormai era il 1965, lui aveva quasi ottant'anni ed era stanco. E, quel che era peggio, si era sbagliato. Guardò l'impressionante Biblioteca. Tutto quel sapere! L'uomo che si era definito Guardiano aveva detto che la ricerca sarebbe stata ardua ma, se avesse avuto successo, la ricompensa sarebbe stata incalcolabile. Il messaggero aveva detto bene. Una volta aveva letto che il valore di un'idea si misura non soltanto rispetto al proprio tempo, bensì anche al futuro. Il suo tempo aveva prodotto il moderno Stato d'Israele, ma anche migliaia di morti. Temeva che molti altri avrebbero perso la vita nei decenni futuri: ebrei e arabi sembravano destinati a combattersi. Aveva creduto che il suo scopo fosse nobile, la sua causa giusta... ma ora non più. Si era sbagliato. Su tutto. Sfogliò di nuovo, cautamente, il ponderoso volume aperto sul tavolo. Al suo arrivo aveva trovato ad attenderlo tre tomi come quello. Il Guardiano che gli aveva fatto visita sei mesi prima era sulla soglia, con un ampio sorriso sul volto screpolato. Mai Ben Gurion aveva immaginato che un simile luogo di sapere potesse esistere e fu grato alla curiosità che gli aveva permesso di raccogliere il coraggio per la ricerca.
«Da dove viene tutto questo?» domandò entrando. «Dai cuori e dalle menti di uomini e donne.» Un enigma, ma anche una verità. Il filosofo che viveva in lui comprese. «Ben Gurion ha raccontato questa storia nel 1973, pochi giorni prima di morire», spiegò Jonah. «Secondo alcuni, delirava. Secondo altri aveva cominciato a vaneggiare. In ogni caso, qualunque cosa avesse appreso in quella Biblioteca, se l'è tenuta per sé. I fatti, però, parlano chiaro: la politica e la filosofia di Ben Gurion cambiarono drasticamente dopo il 1965... Divenne meno radicale, più conciliante. Arrivò al punto di chiedere concessioni per gli arabi. Molti attribuirono il cambiamento all'età avanzata, ma secondo il Mossad c'era sotto dell'altro, tanto che Ben Gurion divenne addirittura sospetto. Per questo non gli è stato più permesso di tornare sulla scena politica. Te lo immagini? Il padre d'Israele tenuto fuori del gioco!» «Chi è questo Guardiano?» Jonah scrollò le spalle. «Il file non lo dice. I quattro che hanno ricevuto la sua visita... In qualche modo il Mossad ha saputo di loro e ha agito in fretta. Chiunque sia, Israele non vuole che si parli con lui.» «Quindi i tuoi colleghi hanno intenzione di eliminare Haddad?» Jonah annuì. «In questo preciso istante.» Sabre aveva sentito abbastanza. Uscì dal séparé. «E il mio compenso?» si affrettò a domandare Jonah. Lui si sfilò una busta dalla tasca e la gettò sul tavolo. «Questi dovrebbero saldare i conti. Fatti vivo quando ci sarà qualcosa in più da dire.» Jonah intascò la busta. «Sarai il primo a saperlo.» Sabre guardò il suo contatto alzarsi e dirigersi non verso l'ingresso, bensì allo stanzino dei bagni. Decise che si trattava di un'ottima occasione e lo seguì. Raggiunta la porta del bagno, esitò. Il ristorante era mezzo pieno, male illuminato e rumoroso. Gli avventori badavano ai fatti propri, in un brusio di chiacchiere in varie lingue. Entrò, chiuse a chiave la porta ed esaminò velocemente la scena: due cabine, un lavabo e uno specchio, luce ambrata da lampade a muro. Jonah occupava la prima cabina; l'altra era vuota. Sabre afferrò una manciata di asciugamani di carta e aspettò lo scarico del water, quindi si levò di tasca un coltello. Jonah uscì dalla cabina chiudendosi la lampo dei pantaloni. Sabre si voltò di scatto e affondò la lama nel petto dell'uomo, torcendola
verso l'alto. Con l'altra mano tamponò la ferita con gli asciugamani di carta. Guardò gli occhi dell'israeliano, dapprima sconvolti, farsi sempre più vacui. Tenne premuti gli asciugamani mentre liberava l'arma. Jonah crollò a terra. L'altro gli prese la busta dalla tasca e pulì il coltello sui pantaloni del morto. Afferrò il corpo sanguinante per le braccia e lo trascinò nella cabina, rimettendolo a sedere sulla tazza. Poi chiuse la porta della cabina e uscì. Una volta all'esterno, Sabre seguì una guida alla testa di un gruppo di turisti diretti alla Rathaus della città. La donna più anziana indicava l'antico municipio e parlava della lunga storia di Rothenburg. Lui si soffermò ad ascoltare. Le campane suonarono le quattro del pomeriggio. «Se guardate l'orologio, lassù, vedrete due finestre circolari ai lati del quadrante.» Tutti si voltarono mentre i pannelli si aprivano. Ne uscirono un uomo meccanico intento a scolarsi un boccale di vino e un'altra figura, che stava a guardare. La guida illustrava con voce monotona la sua importanza storica. Le macchine fotografiche scattarono, le videocamere ronzarono. Il tutto durò all'incirca due minuti. Mentre si allontanava, Sabre intravide uno dei turisti che staccava rapidamente l'obiettivo dall'orologio della torre e lo puntava su di lui. Sorrise. Lo smascheramento era un rischio costante per chi faceva del tradimento il proprio stile di vita. Fortunatamente aveva appreso da Jonah tutto quanto gli occorreva sapere, il che spiegava perché egli fosse stato messo a tacere definitivamente. Ora, però, gli israeliani avrebbero scoperto l'identità del contatto di Jonah. Alla Sedia Blu sembrava non importare, anzi gli aveva esplicitamente chiesto di mettere in piedi «uno spettacolo memorabile». Cosa che lui aveva fatto. Per gli israeliani e per Alfred Hermann. 23 Londra, ore 14.30
Malone attese che George Haddad finisse di spiegare. Il suo vecchio amico tergiversava. «Sei anni fa scrissi un saggio», disse Haddad. «Trattava di una teoria su cui avevo lavorato, a proposito della traduzione originaria dell'Antico Testamento dall'ebraico antico.» Haddad parlò loro della Versione dei Settanta, stilata fra il III e il I secolo a.C: la più antica e completa versione dell'Antico Testamento in greco, realizzata presso la Biblioteca di Alessandria. Descrisse poi il Codice Sinaitico - un manoscritto dell'Antico e del Nuovo Testamento risalente al IV secolo d.C. e usato da studiosi più moderni per confermare altri testi biblici, benché nessuno sapesse se quello fosse corretto - e la Vulgata, completata all'incirca nello stesso periodo da san Girolamo, che rappresentò la prima traduzione dall'ebraico direttamente in latino, sottoposta a massicce revisioni nei secoli XVI, XVIII e XX. «Anche Martin Lutero ha messo mano alla Vulgata, stralciandone alcuni brani per il bene della fede luterana», disse Haddad. «Il significato complessivo di quella traduzione è confuso, poiché moltissime menti ne hanno alterato il messaggio. «Quanto alla Bibbia di re Giacomo... Molti credono che ci consegni le parole originali, ma è un'opera del XVII secolo: una semplice versione inglese della Vulgata. I traduttori che l'hanno curata non hanno mai visto l'originale ebraico e se anche l'avessero visto, è improbabile che avrebbero potuto capirlo. Cotton... La Bibbia che conosciamo oggi è a cinque gradi di separazione linguistica dalla prima che sia stata scritta. La Bibbia di re Giacomo si proclama autorizzata e originale, ma questo non comporta che sia autentica o anche solo fedele.» «Esistono bibbie in ebraico?» domandò Pam. Haddad annuì. «La più antica sopravvissuta è il Codice di Aleppo, salvato dalla distruzione in Siria nel 1948. Tuttavia si tratta di un manoscritto del X secolo d.C, prodotto da chissà chi quasi duemila anni dopo il testo originale.» Malone aveva visto la friabile pergamena color crema di quel manoscritto e l'inchiostro marrone sbiadito alla Jewish National Library di Gerusalemme. «Nel mio articolo ipotizzavo che certi manoscritti potessero aiutare a risolvere questi problemi», continuò Haddad. «Sappiamo che l'Antico Testamento è stato studiato dagli antichi filosofi della Biblioteca di Alessandria... Uomini che capivano l'ebraico antico. Sappiamo pure che costoro
misero per iscritto i loro pensieri: esistono riferimenti alle loro opere - citazioni e addirittura brani - in manoscritti superstiti, ma i testi originali sono scomparsi. È inoltre probabile che vi siano antichi testi ebraici, dato che la Biblioteca ne raccoglieva molti. La distruzione in massa degli scritti ebraici, e specialmente dell'Antico Testamento in ebraico, è divenuta pratica comune in epoche più recenti... La sola Inquisizione ha bruciato dodicimila copie del Talmud. Studiare una di quelle avrebbe potuto rivelarsi decisivo per sciogliere i dubbi.» «Che importanza ha?» volle sapere Pam. «Un'importanza grandissima», rispose Haddad. «Specialmente se è sbagliata.» «In che senso?» domandò Malone, cominciando a spazientirsi. «Mosè che separa le acque del Mar Rosso. L'Esodo. La Genesi. Davide e Salomone. È dal XVIII secolo che gli archeologi scavano come matti la Terrasanta per provare che la Bibbia narra fatti storici, eppure non è venuto alla luce uno straccio di prova concreta che possa avvalorare un episodio dell'Antico Testamento. L'Esodo è un buon esempio: si presume che migliaia d'israeliti abbiano attraversato a piedi la penisola del Sinai, accampandosi in luoghi specifici indicati con precisione nella Bibbia... Siti ritrovabili ancora oggi. Ebbene, non è mai stato trovato neppure un frammento di vasellame o un braccialetto... Nulla di risalente a quel periodo che confermi l'Esodo. Le prove sono ugualmente assenti negli altri casi in cui l'archeologia si è sforzata di verificare altri avvenimenti biblici. Non vi sembra strano? Non dovrebbe esserci qualche resto di almeno un episodio descritto nell'Antico Testamento, sepolto da qualche parte?» Malone sapeva che Haddad, come molti altri, non faceva grande affidamento sulla Bibbia come documento storico. Secondo quella scuola di pensiero il libro conteneva qualche verità, ma non molte. Anche Malone nutriva dei dubbi: leggendola per conto proprio era giunto alla conclusione che quanti sostenevano la storicità del racconto traevano le proprie conclusioni da considerazioni di ordine teologico, non scientifico. Sì, ma... e con ciò? «George, mi hai già detto queste cose e sono d'accordo con te. Ho bisogno di sapere cosa c'è di tanto importante da mettere in gioco la tua vita.» Haddad si alzò e li condusse presso le pareti coperte di mappe. «Ho trascorso gli ultimi cinque anni a raccogliere queste. Non è stato facile. Mi vergogno ad ammettere che ho dovuto rubarne alcune.» «Da dove?» domandò Pam.
«Da biblioteche, soprattutto. Molte non consentono di fotocopiare i libri rari. Inoltre, nelle copie si perdono i dettagli... e sono i dettagli la cosa più importante.» Haddad si avvicinò a una mappa che rappresentava il moderno Stato d'Israele. «Nel 1948 - quando il territorio venne suddiviso e ai sionisti fu assegnata la loro presunta porzione - si fece un gran parlare del famoso patto di Abramo, ovvero la promessa di Dio secondo la quale questa regione» Haddad premette il dito sulla mappa -, «questo preciso territorio, doveva appartenere ad Abramo.» Malone osservò i confini. «Capire l'ebraico antico mi ha permesso di comprendere alcune cose... troppe, forse. Circa trent'anni fa ho notato qualcosa d'interessante. Per comprendere appieno una tale rivelazione, però, è fondamentale avere dimestichezza con la figura di Abramo.» Malone conosceva la storia. «La Genesi registra un avvenimento che ha influenzato profondamente la storia del mondo», proseguì Haddad. «Potrebbe persino trattarsi del giorno più importante dell'intera storia umana.» E raccontò come Abramo avesse viaggiato dalla Mesopotamia a Canaan, vagando tra i popoli, seguendo con fede gli ordini di Dio. Sua moglie, Sarai, era sterile e giunse al punto di suggerire al marito di congiungersi con la sua serva preferita, una schiava egiziana di nome Hagar, che era rimasta con loro sin dai tempi della cacciata del clan dall'Egitto a opera del faraone. «La nascita d'Ismaele, cioè del primogenito di Abramo avuto da Hagar, divenne fondamentale nel VII secolo d.C, quando in Arabia nacque una nuova religione: l'Islam. Il Corano chiama Ismaele apostolo e profeta e dice che egli era assai gradito al suo Signore. Il nome di Abramo appare in venticinque dei centoquattordici capitoli del Corano, tanto che ancora oggi Ibrahim e Isma'il sono nomi comuni tra i musulmani. Il Corano stesso comanda di seguire i precetti di Abramo.» «Egli non era né giudeo, né nazareno, ma puro credente e musulmano, Egli non confondeva gli idoli con Dio.» «Bravo, Cotton! Vedo che hai ripassato il Corano dall'ultima volta che abbiamo parlato.» Lui sorrise. «L'ho leggiucchiato un paio di volte. Molto affascinante.» «Il Corano dice chiaramente che Abramo e Ismaele hanno posto le fondamenta della Casa.» «La Kaaba», intervenne Pam. «Il santuario più sacro dell'Islam.»
Malone ne fu colpito. «Hai studiato l'Islam?» «No, ma guardo sempre History Channel.» Lui colse il sorriso della donna. «La Kaaba è alla Mecca. I musulmani adulti devono andarci in pellegrinaggio. Il guaio è che ogni anno, quando si riuniscono, arriva così tanta gente che diverse centinaia di persone vengono calpestate a morte. È nei notiziari tutte le volte.» «Gli arabi - in particolare gli arabi musulmani - fanno risalire la loro origine a Ismaele», disse Haddad. Malone conosceva il seguito. Tredici anni dopo la nascita d'Ismaele, Dio promise ad Abramo che ne avrebbe fatto il padre di una moltitudine di nazioni. Dapprima gli ordinò di cambiare nome, da Abram ad Abraham, nonché di mutare quello di Sarai in Sara; poi gli annunciò che Sara avrebbe dato alla luce un figlio. Né Sara, né Abramo ci credettero, eppure dopo meno di un anno nacque Isacco. «Il giorno di quella nascita potrebbe essere il più importante della storia umana», ribadì Haddad. «In seguito a esso, tutto cambiò. La Bibbia e il Corano differiscono in vari punti a proposito di Abramo; ciascun libro riporta una storia diversa... Fatto sta che, secondo la Bibbia, il Signore disse ad Abramo che tutta la terra che lo circondava - la terra di Canaan - sarebbe appartenuta a lui e al suo erede, Isacco.» Malone conosceva il seguito: Dio riapparve al figlio d'Isacco, Giacobbe, e ribadì la promessa, aggiungendo che da Giacobbe sarebbe disceso un popolo cui la terra di Canaan sarebbe appartenuta per sempre. A Giacobbe fu ordinato di cambiare nome in Israel e i suoi dodici figli diedero vita ad altrettante tribù separate, unite dal patto tra Dio e Abramo. Ognuno di loro stabilì la propria dinastia e così ebbero origine le dodici tribù d'Israele. «Abramo è il padre di tutte e tre le principali religioni del mondo: le radici di islamismo, ebraismo e cristianesimo risalgono a lui, benché la storia della sua vita differisca in ciascuna tradizione. Il conflitto mediorientale, che dura ormai da migliaia di anni, non è che una disputa su quale racconto sia corretto, quale religione abbia avuto da Dio il diritto su quella terra: se gli arabi attraverso Ismaele, gli ebrei da Isacco o i cristiani, tramite Gesù.» Malone ricordò la Bibbia e recitò: «Il Signore disse ad Abramo: 'Va' via dal tuo Paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel Paese che io ti mostrerò. Io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione. Benedirò quelli che ti
benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra'». «Lo dici con convinzione», osservò Pam. «Quelle parole hanno un significato profondo», disse Haddad. «Gli ebrei credono che esse abbiano assegnato loro la proprietà esclusiva della Palestina. Ho trascorso buona parte della mia vita adulta a studiare la Bibbia. È un libro sorprendente... Ciò che lo distingue da ogni altro racconto epico è semplice: non c'è niente di mistico o magico. Tutto dipende dalla responsabilità umana.» «Lei è credente?» domandò Pam. Haddad scosse la testa. «In fatto di religione? No, ho visto troppo chiaramente sino a che punto possa essere manipolata. Dio è un altro paio di maniche... ma sono stato testimone del Suo abbandono. Sono nato musulmano: mio padre era musulmano, come pure suo padre. Dopo la guerra nel 1948, però, sono cambiato. Da allora la Bibbia è diventata la mia passione. Desideravo leggerla nella sua forma originale, sapere cosa significasse realmente.» «Perché gli israeliani ti vogliono morto?» domandò Malone. «Loro si considerano i discendenti di Abramo... Quelli che Dio avrebbe benedetto, e i loro nemici sarebbero quelli che ha maledetto. Nel corso dei secoli sono morti milioni di ebrei - migliaia solo negli ultimi cinquant'anni - a causa di quelle parole. Di recente, Cotton, sono rimasto coinvolto in una disputa... Un uomo particolarmente arrogante, in un pub, mi ha detto che Israele possiede il diritto assoluto di esistere. Mi ha fornito sei ragioni fondate sull'archeologia, la storia, i fatti concreti, l'umanità, la sicurezza e infine il diritto acquisito. Secondo lui quest'ultima era la principale.» Haddad fece una pausa. «Il diritto, Cotton! Il diritto biblico... Il patto di Abramo! La promessa di Dio al popolo d'Israele, proclamata in tutta la sua gloria dalle parole della Genesi.» Malone attese. «E se non avessimo capito niente?» Haddad gettò un'occhiataccia alla mappa d'Israele, appesa accanto a un'altra dell'Arabia Saudita. «Coraggio, va' avanti», disse una nuova voce. Si voltarono tutti. Fermo sulla soglia c'era un uomo con gli occhiali, basso e stempiato, e accanto a lui una donna tra i trenta e i quarant'anni, piccola e robusta, di carnagione scura. Entrambi impugnavano armi col silenziatore. Malone registrò immediatamente marca e modello delle pistole e capì per chi lavo-
ravano quei due. Israele. 24 Washington, DC, ore 9.50 Stephanie finì la colazione e fece cenno al cameriere di portarle il conto. Si trovava in un ristorante nei pressi di Dupont Circle, non lontano dal suo albergo. L'intera sezione Magellano era stata mobilitata e ora sette dei suoi dodici avvocati l'assistevano direttamente. L'omicidio di Lee Durant rappresentava una motivazione più che sufficiente, ma i suoi sforzi non erano privi di rischi: altre agenzie d'intelligence avrebbero presto scoperto quello che stava facendo, il che significava che Larry Daley non sarebbe rimasto con le mani in mano. Ebbene, che andassero tutti al diavolo! Malone aveva bisogno di lei e lei non aveva intenzione di deluderlo. Non di nuovo. Pagò il conto e chiamò con la mano un taxi, che quindici minuti più tardi la depositò sulla 17th Street all'altezza del National Mall. La giornata era limpida e luminosa e la donna che aveva chiamato due ore prima occupava una panchina in ombra, non lontano dal World War II Memorial. Era una bionda tutta gambe, energica e dotata di una scaltrezza che, come Stephanie ben sapeva, imponeva di avvicinarla con prudenza. Stephanie conosceva Heather Dixon da quasi un decennio. Dixon - un cognome che era il ricordo di un breve matrimonio - era una cittadina israeliana assegnata alla missione di Washington, parte del contingente nordamericano del Mossad. Avevano lavorato sia insieme sia una contro l'altra, com'era tipico quando si trattava degli israeliani. Stephanie sperava che quel giorno si sarebbe dimostrata amichevole. «È un piacere vederti», disse sedendosi. La Dixon era elegante, come sempre, in pantaloni a disegno scozzese marrone e oro, camicia Oxford bianca e gilet nero bouclé. «Sembravi preoccupata, al telefono.» «Lo sono. Ho bisogno di sapere il perché dell'interesse del tuo governo per George Haddad.» Lo sguardo vacuo da agente dell'intelligence svanì dal bel volto della Dixon. «Ti sei data da fare.» «Come voi, del resto. Non si parla d'altro che di Haddad in questi ultimi
giorni.» In realtà partiva da una posizione di svantaggio, perché Lee Durant era stato il suo punto di contatto con gli israeliani e non aveva avuto occasione di riferire tutto ciò che aveva saputo. «Qual è l'interesse degli americani?» domandò la Dixon. «Cinque anni fa uno dei miei agenti è quasi morto a causa di Haddad.» «Perciò avete nascosto il palestinese. Ve lo siete tenuto tutto per voi, senza preoccuparvi di comunicarlo ai vostri alleati.» Stavano arrivando al nocciolo del problema. «Né voi vi siete preoccupati di dirci che avevate cercato di farlo fuori, insieme col mio agente.» «Di questo non so nulla. Buio totale. So solo che Haddad è tornato a galla e noi lo vogliamo.» «Anche noi.» «Perché è così importante per voi?» Stephanie non riusciva a decidere se la Dixon fosse a caccia d'informazioni o se stesse menando il can per l'aia. «Dimmelo tu, Heather. Perché i sauditi hanno spianato interi villaggi in Arabia occidentale, cinque anni fa? Perché il Mossad si è fissato su Haddad?» Scrutò l'amica negli occhi. «Perché avevate bisogno che morisse?» Un calmo fatalismo s'impadronì di Malone. C'era una regola che tutti, nei Servizi Segreti, imparavano a rispettare: non metterti contro gli israeliani. Malone aveva ignorato quella perla di saggezza quando aveva permesso a Israele di credere che Haddad fosse morto nel caffè bombardato... E ora sapeva che loro sapevano. Lee Durant aveva detto che gli israeliani si erano fatti iperattivi, ma non aveva accennato alla possibilità che la segretezza di Haddad fosse compromessa. Se ne avesse avuto il sentore, non avrebbe mai permesso a Pam di accompagnarlo. «Dovrebbe ricordarsi di chiudere la porta a chiave», dichiarò l'intruso. «Potrebbe entrare gente di ogni tipo.» «Hai un nome?» domandò Malone. «Chiamami Adam. Lei è Eve.» «Nomi graziosi, per una squadra della morte israeliana.» «Della morte? Come sarebbe?» domandò Pam. Lui la guardò in faccia. «Sono venuti a finire quello che hanno cominciato cinque anni fa.» Si volse verso Haddad, che non mostrava la minima traccia di paura. «Cosa vogliono mettere a tacere?»
«La verità», rispose Haddad. «Io non so niente di queste cose», dichiarò Adam. «Non sono un politicante... Solo un collaboratore. Ho avuto l'ordine di eliminarlo. Tu puoi capire, Malone. Eri del ramo.» Sì, lui poteva capire. Pam, però, era un altro paio di maniche. «Siete tutti pazzi!» sbottò. «Parlate di uccidere come se facesse parte di una normale giornata di lavoro!» «In effetti è il mio unico lavoro», dichiarò Adam. Nella sezione Magellano, Malone aveva subito imparato che molto spesso la sopravvivenza dipendeva dal sapere quando tenere le carte in mano e quando chiudere. Fissando il suo vecchio amico, l'ex guerrigliero, seppe che Haddad si rendeva conto che per lui era venuto il momento di scegliere. «Mi dispiace», sussurrò Malone. «Anche a me, Cotton, ma ho preso la mia decisione quando ho fatto quelle telefonate.» Aveva sentito bene? «Telefonate?» «Una un po' di tempo fa e altre due di recente. In Cisgiordania.» «Sei stato uno sciocco, George.» «Forse. Però sapevo che saresti venuto.» «Buon per te. Io, invece, non lo sapevo.» Lo sguardo di Haddad s'irrigidì. «Mi hai insegnato moltissimo. Ricordo ogni lezione e sino a pochi giorni fa mi sono attenuto scrupolosamente a ciascuna di esse... Anche a quelle sulla salvaguardia di ciò che è davvero importante.» La sua voce si era fatta spenta e inespressiva. «Avresti dovuto chiamare prima me.» Haddad scosse la testa. «Lo devo al Guardiano che ho ucciso. Pago il mio debito.» «Guarda che cosa curiosa... Un palestinese col senso dell'onore!» lo irrise Adam. «E un israeliano assassino», ribatté Haddad. «Siamo quello che siamo.» Malone passò mentalmente in rassegna le varie possibilità. Doveva fare qualcosa... Haddad, però, parve avvertire le sue macchinazioni. «Hai fatto tutto quello che potevi... per ora, almeno.» Fece un cenno alla volta di Pam. «Prenditi cura di lei.» «Cotton, non puoi lasciare che lo uccidano!» sussurrò Pam, in preda alla disperazione. «Invece può», la corresse Haddad con una punta di amarezza, poi lanciò
ad Adam uno sguardo di sfida. «Posso dire un'ultima preghiera?» Adam fece cenno con la pistola. «Chi sono io, per rifiutare una richiesta così ragionevole?» Haddad si avvicinò a una cassapanca e allungò la mano verso un cassetto. «Qui dentro tengo il cuscino su cui m'inginocchio sempre. Posso?» Adam scrollò le spalle. Haddad aprì lentamente il cassetto e ne estrasse con entrambe le mani un cuscino cremisi, poi si avvicinò a una delle finestre. Malone vide il cuscino cadere a terra. Una pistola fece capolino. Salda nella mano destra di Haddad. Stephanie attese una risposta alla sua domanda. «Haddad rappresenta una minaccia per la sicurezza d'Israele», disse la Dixon. «Lo era cinque anni fa e lo è tuttora.» «Ti dispiace spiegarti meglio?» «Perché non lo chiedi ai tuoi?» Aveva sperato di evitare quel genere di domande, ma decise di essere onesta. «C'è una divisione.» «Tu da che parte ti trovi?» «Uno dei miei ex agenti è nei guai. Ho intenzione di aiutarlo.» «Cotton Malone. Lo sappiamo. Tuttavia Malone sapeva a cosa andava incontro, quando ha nascosto Haddad.» «Suo figlio no.» La Dixon scrollò le spalle. «Diversi miei amici sono morti a causa dei terroristi.» «Non ti sembra di essere un tantino ipocrita?» «Non credo. I palestinesi ci lasciano poca scelta riguardo al modo di trattare con loro.» «Non stanno facendo niente di diverso da quello che hanno fatto gli ebrei nel 1948.» Non era riuscita a resistere. La Dixon sogghignò. «Se avessi saputo che saremmo tornate su questo argomento, non sarei venuta.» Stephanie sapeva che la Dixon non amava sentir parlare del terrorismo della fine degli anni '40 - che originariamente era stato molto più di matrice ebraica che araba - ma non aveva intenzione di concedere tregua all'amica. «Possiamo parlare di nuovo del King David Hotel, se vuoi.» L'albergo di Gerusalemme era servito da quartier generale dei militari e
della polizia criminale inglese. Dopo che un'agenzia ebrea locale subì un'incursione e alcuni documenti riservati furono portati in quell'edificio, i militanti misero in atto una rappresaglia con una bomba nel luglio del 1946. Ci furono novantun morti e quarantacinque feriti. Quindici tra le vittime erano ebrei. «Gli inglesi erano stati avvertiti», dichiarò la Dixon. «Non è colpa nostra se hanno deciso d'ignorarlo.» «Che importanza può avere un avvertimento?» obiettò Stephanie. «È stato pur sempre un atto di terrorismo. Ebrei contro inglesi... Un modo per promuovere la vostra agenda. Volevate inglesi e arabi fuori della Palestina e avete usato qualunque tattica funzionasse, proprio come i palestinesi cercano di fare da decenni.» La Dixon scosse la testa. «Sono stufa di sentire queste stronzate. La nakba è una montatura! Gli arabi sono fuggiti spontaneamente dalla Palestina negli anni '40, perché erano spaventati a morte. I ricchi sono stati presi dal panico e gli altri se ne sono andati dopo che i leader arabi hanno chiesto loro di farlo. Tutti erano sinceramente convinti che saremmo stati schiacciati in poche settimane. Quelli che sono andati via si sono allontanati soltanto di pochi chilometri, fermandosi negli Stati arabi confinanti. Nessuno, compresa te, parla mai di tutti gli ebrei che sono stati scacciati da quegli stessi Stati arabi!» La Dixon scrollò le spalle. «Ovunque ci giriamo, tutto quello che otteniamo è: Allora? Chi se ne importa! Ma se si tratta dei poveri, piccoli, sventurati arabi... Oh, che tragedia!» «Togli a un uomo la sua terra e ti combatterà per sempre.» «Noi non abbiamo tolto niente a nessuno. Abbiamo comprato quella terra, che per la maggior parte erano paludi e sterpaglie che nessuno voleva. In ogni caso l'ottanta per cento degli arabi che se ne sono andati erano braccianti, nomadi o beduini. I proprietari terrieri - quelli che hanno fatto il diavolo a quattro - vivevano a Beirut, al Cairo e a Londra.» Stephanie aveva già sentito l'intera storiella. «La versione ufficiale israeliana non cambia mai.» «Tutto ciò che gli arabi dovevano fare era accettare la risoluzione ONU del 1947 che prevedeva due Stati, uno arabo e l'altro ebreo. Tutti sarebbero stati contenti... Invece no, giammai! Nessun compromesso! Il rimpatrio è sempre stato, ed è ancora, la premessa imprescindibile a ogni discussione... Solo che non accadrà. Israele è una realtà che non scomparirà. È stucchevole questa simpatia che tutti provano nei confronti degli arabi! Vivono accampati, come profughi, perché così piace alla loro leadership. Se così
non fosse, farebbero qualcosa... Invece usano i campi - e i territori designati - per far sentire in colpa il resto del mondo per ciò ch'è stato fatto nel 1948. Eppure nessuno li critica mai. Neanche l'America.» «In questo momento, Heather, m'interessano soltanto il figlio di Cotton Malone e George Haddad.» «Anche alla Casa Bianca. Ai nostri è stato detto che stavate interferendo nella questione di Haddad. Larry Daley dice che sei una rompipalle.» «Se lo dice lui.» «Tel Aviv non vuole interferenze.» All'improvviso Stephanie si pentì della decisione d'incontrare la Dixon. Tuttavia aveva una domanda da porre. «Cosa c'è di così importante? Se me lo dici potrei anche restarne fuori.» La Dixon ridacchiò. «Buona, questa! C'è qualcuno che ci casca?» «Pensavo che potesse funzionare.» Aveva pensato che la loro amicizia significasse qualcosa. «Tra di noi.» La Dixon diede un'occhiata ai vialetti di cemento lì attorno. La gente passeggiava per le aiuole, godendosi la giornata. «Questa è una faccenda seria, Stephanie.» «Sino a che punto?» La Dixon fece scivolare una mano dietro la schiena. Quando riapparve, stringeva una pistola. «Sino a questo punto.» 25 Londra Malone scorse l'arma nella mano di Haddad e capì: il suo amico aveva deciso che quella sarebbe stata la sua ultima resistenza. Basta nascondersi; era giunta l'ora di affrontare i suoi demoni. Haddad sparò per primo. Il proiettile colpì con un rumore sordo il petto di Eve, facendole perdere l'equilibrio. Il sangue uscì a fiotti dalla ferita. Adam sparò a sua volta e Haddad lanciò un grido di dolore quando il proiettile gli forò la camicia e trapassò la spina dorsale, imbrattando di rosso scuro la parete e le mappe alle sue spalle. Le gambe di Haddad cedettero e la sua bocca si spalancò, ma al vecchio non sfuggì neppure un suono mentre crollava a terra. Pam strillò in un falsetto lacerante.
L'aria pareva essere fuggita dalla stanza. Malone si sentiva alla mercé di un cuore spietato. Guardò in faccia Adam, che abbassò l'arma. «Sono venuto per uccidere lui soltanto», dichiarò Adam. Ogni traccia di cordialità era svanita dalla sua voce. «Il mio governo non ha problemi con te, Malone... Anche se, a voler ben guardare, ci hai ingannato. Facevi il tuo lavoro, perciò lasceremo correre.» «Molto gentile da parte vostra.» «Non sono un assassino. Sono solo un sicario.» «E lei?» domandò Malone, indicando il corpo di Eve. «Non posso farci niente, come tu non puoi fare niente per lui. Gli errori hanno un prezzo.» Malone non disse nulla, pur essendo quasi fuori di sé per il terrore e l'angoscia. Qualcuno aveva certamente udito gli spari e chiamato la polizia. L'israeliano si voltò e scomparve. I suoi passi si allontanarono lungo le scale. Pam sembrava pietrificata. Fissava incredula il cadavere di Haddad, con la bocca ancora aperta in un'estrema protesta. Anche Malone era immobile. Si scambiarono sguardi muti. Lui riusciva quasi a capire il punto di vista dell'israeliano: era davvero un sicario, retribuito da uno Stato sovrano e autorizzato a uccidere... Ma rimaneva pur sempre un maledetto assassino. George Haddad era morto. Anche per quello c'era un prezzo da pagare. Con la mente in preda a pensieri oscuri, si chinò e prese la pistola di Haddad, poi si alzò e si diresse verso la porta. «Resta qui», disse a Pam. «Cos'hai intenzione di fare?» «Uccidere quel bastardo.» Stephanie si sentì più perplessa che spaventata alla vista della pistola. «A quanto pare, Heather, le regole sono cambiate. Credevo fossimo alleati.» «È questa la cosa divertente nei rapporti USA-Israele: a volte è difficile dire da che parte si sta.» «Mi pare che tu senta di poterti prendere certe libertà da quando hai parlato con la Casa Bianca.» «È sempre bello quando gli americani litigano tra di loro.»
«Larry Daley vuole Haddad per sé. Te ne rendi conto, vero? Questo è un diversivo per tenerti occupata mentre i nostri agenti lo trovano.» «Buona fortuna, allora. Solo noi e Malone sappiamo dov'è.» A Stephanie non piacque il tono della collega. Era ora di finirla. Da quando si era seduta le dita della sua mano destra erano rimaste appoggiate alla gamba, coi polpastrelli pronti ad azionare il radiocomando nascosto sotto i pantaloni larghi. «Dipende. Forse i Servizi Segreti americani dispongono di una fonte all'interno della vostra organizzazione... o forse no.» «Stiamo mantenendo questa operazione piuttosto riservata, per cui dubito che ci saranno fughe. Comunque ormai Haddad sarà probabilmente già morto; i nostri agenti sono stati mandati là da ore.» La mano sinistra di Stephanie indicò la pistola, mentre la destra rimaneva immobile sulla gamba. «Che senso ha questa farsa?» «Purtroppo sei diventata un problema per il nostro governo.» «Caspita! Pensavo che le mie dimissioni sarebbero state sufficienti.» «Non più. Credo che tu sia stata avvertita di restarne fuori, invece hai mobilitato l'intera Magellano. Facendo l'esatto contrario di quanto ti era stato ordinato, naturalmente.» «Non prendo ordini da Larry Daley.» «Ma dal suo capo, sì.» Stephanie si rese immediatamente conto che se lei era diventata un bersaglio, doveva esserlo anche Brent Green. Uccidere il procuratore generale, però, avrebbe posto problemi logistici maggiori di quelli che la sua morte avrebbe comportato... A quanto pareva, la Casa Bianca aveva concluso che i cadaveri non si vedono mai nei telegiornali della domenica mattina. Le sue dita si prepararono a premere il pulsante di allarme. «Sei qui per fare il lavoro sporco di Daley?» «Diciamo piuttosto che i nostri interessi sono simili ai suoi. Inoltre ci piace quando la Casa Bianca è in debito con noi.» «Hai intenzione di spararmi qui?» «Non occorre. Ho dei colleghi pronti a farlo.» «Gente tua?» Lei scosse il capo. «È sorprendente, Stephanie... Sei riuscita in quello che i politici tentano di fare da secoli: indurre ebrei e arabi a collaborare. I sauditi lavorano con noi, stavolta. Pare che abbiamo un obiettivo comune, dunque tutte le nostre differenze sono state messe da parte.» La Dixon scrollò le spalle. «Soltanto per stavolta, beninteso.» «Il che vi risparmia anche il grattacapo di spiegare come mai Israele uc-
cida un'americana.» La Dixon atteggiò il viso a una finta smorfia di riflessione. «Vedi i vantaggi? Noi troviamo il problema, loro lo eliminano. Tutti vincono.» «Tranne me.» «Conosci le regole: l'amico di oggi può diventare il nemico di domani e viceversa. Israele ha pochi amici a questo mondo e le minacce incombono da ogni parte. Facciamo ciò che dobbiamo.» Stephanie si era trovata per la prima volta con una pistola puntata contro mentre cercava i Cavalieri Templari con Malone. Anche allora aveva guardato in faccia la morte, ma stavolta - grazie al cielo! - si era premunita. «Fa' ciò che devi.» Con l'indice attivò il segnale che avrebbe richiamato i suoi agenti, stazionati a meno di un minuto da lì. Non doveva fare altro che tergiversare. Gli occhi di Heather Dixon rotearono all'improvviso verso il cielo, poi si chiusero mentre la testa crollava in avanti e il corpo si afflosciava. La pistola cadde tra l'erba con un tonfo. Stephanie afferrò la donna mentre le stramazzava addosso. Allora la vide: una freccia piumata sporgeva dal collo della Dixon. Ne aveva già vista una così. Con calma, si voltò. Dietro la panchina, poco distante, c'era una donna. Era alta, con la pelle del colore dell'acqua torbida e lunghi capelli scuri. Indossava una costosa giacca di cachemire sopra i jeans a vita bassa e l'insieme attillato sottolineava una sagoma snella e ben fatta. Reggeva con la mano sinistra una pistola magnum ad aria compressa. «Grazie dell'aiuto», disse Stephanie, cercando di dissimulare la sorpresa. «Sono qui per questo.» Cassiopea Vitt sorrise. Malone saltò sulle scale, verso il pianterreno. Adam non sarebbe stato facile da uccidere; i professionisti non lo erano mai. Continuò a scendere due scalini per volta e controllò il caricatore della pistola. Aveva ancora diversi colpi. Si raccomandò di stare attento: l'israeliano certamente si aspettava che lui potesse seguirlo. In realtà, Adam si era cercato la sfida quando, prima di andarsene, non aveva confiscato l'arma di Haddad. I professionisti non commettevano mai errori del genere... La battuta sulla cortesia professionale, poi, non aveva senso: agli assassini
non frega niente del protocollo. Adam ed Eve erano sicari dei Servizi Segreti, mandati unicamente per fare pulizia. I testimoni facevano parte della sporcizia da eliminare... Allora perché non pulire per bene tutto? Forse Adam desiderava un confronto? Uccidere un agente americano - che fosse già in pensione o no - avrebbe portato determinate conseguenze. Se però fosse stato l'americano ad attaccare per primo... Sarebbe stata tutta un'altra cosa. Arrivato al pianterreno, scacciò la confusione dalla propria mente, appoggiò l'indice sul grilletto e si preparò a combattere. Tornarono certe sensazioni familiari che, com'era arrivato a capire qualche mese addietro, facevano ormai irrevocabilmente parte della sua psiche. In Francia si era davvero rappacificato coi suoi demoni, rendendosi conto di essere un giocatore d'azzardo... Lo sarebbe sempre stato, pensione o no. Il giorno prima, a Kronborg Slot, Pam gli aveva rinfacciato la dipendenza da quella frenesia, il fatto che lei e Gary non gli erano mai bastati. Lui si era offeso, perché non era vero: non aveva bisogno della frenesia, ma di certo sapeva gestirla. Uscì nel sole di ottobre, che gli parve abbagliante dopo l'oscurità dell'edificio, e scese con calma dalla veranda. Adam si trovava a quindici metri di distanza e camminava lungo il marciapiede. Malone lo seguì. Le auto erano parcheggiate sui due lati della strada stretta. Dai viali trafficati alle due estremità dell'isolato arrivava il rombo incessante del traffico. Poche persone passeggiavano sul marciapiede opposto. Parlare sarebbe stato una perdita di tempo. Sollevò l'arma. Ma Adam si girò. Malone si tuffò a terra. Un proiettile gli passò accanto fischiando e rimbalzò tintinnando su un'auto. Lui rotolò ed esplose un colpo in direzione di Adam. L'israeliano, saggiamente, aveva abbandonato il marciapiede per farsi scudo con le vetture parcheggiate. Malone rotolò sulla strada, tra due automobili. Si drizzò sulle ginocchia e sbirciò attraverso il parabrezza, in cerca del suo bersaglio. Adam era rintanato dieci macchine più in là. I pedoni sul marciapiede opposto si dispersero. Poi si udì un gemito. Malone si voltò e vide Pam distesa sulla scala d'ingresso della casa di
George Haddad. Aveva il braccio sinistro coperto di sangue. 26 Washington, DC Stephanie era contenta di vedere Cassiopea Vitt. L'ultima volta che aveva lavorato con la misteriosa donna moresca si trovava sui Pirenei francesi, invischiata in un altro dilemma. «Mollala e andiamocene!» disse la Vitt. Stephanie si alzò dalla panchina, lasciando che la testa di Heather Dixon cozzasse contro le assicelle di legno. «Le verrà un brutto livido», commentò la Vitt. «Sai quanto me ne importa! Stava per ammazzarmi. Vuoi dirmi cosa ci fai qui?» «Henrik pensava che tu potessi avere bisogno d'aiuto. I suoi contatti a Washington gli hanno fatto venire un brutto presentimento. Io ero da queste parti, a New York... Così mi ha chiesto se potevo tenerti d'occhio.» «Come mi hai trovato?» «Non è stato difficile.» Per la prima volta Stephanie apprezzò la riservatezza di Thorvaldsen. «Ricordami d'inserirlo nel mio elenco dei destinatari per gli auguri di Natale.» Cassiopea sorrise. «Credo che gli farebbe piacere.» Stephanie indicò la Dixon. «Che delusione! La credevo un'amica.» «Difficile trovarne, col lavoro che fai.» «Cotton è nei guai sino al collo.» «Lo pensa anche Henrik. Sperava che tu l'avresti aiutato.» «Al momento sono un bersaglio», rispose lei. «Il che ci porta all'altro problema.» Quelle parole le suonarono sgradevoli. «La signora Dixon non è venuta sola.» Cassiopea indicò il Washington Monument. «C'è una macchina con due uomini su quella collinetta. Non mi sembrano israeliani.» «Sauditi.» «Però, mica male! Come sei riuscita a far incazzare tutti?» Due uomini raggiunsero la cima della collinetta, diretti verso di loro.
«Non c'è tempo per spiegare», disse Stephanie. «Andiamo?» Si affrettarono nella direzione opposta, con un vantaggio di appena una cinquantina di metri sui loro inseguitori... Cioè nulla, se gli uomini avessero deciso di sparare. «Ti sei premunita per l'evenienza, immagino?» domandò a Cassiopea. «Non del tutto, ma posso improvvisare.» Malone lasciò perdere Adam e abbandonò la posizione sicura dietro l'auto parcheggiata per raggiungere Pam. La polvere della strada gli si attaccò ai vestiti. Si voltò per un istante e intravide l'israeliano in fuga. «Stai bene?» le domandò. Il viso di Pam era distorto dal dolore. Con la mano destra la donna si stringeva la spalla sinistra ferita. «Mi fa male», rispose in un sussurro strozzato. «Fammi vedere.» Lei scosse la testa. «Se lo premo... aiuta.» Lui allungò la mano e fece per scostare quella di lei, che spalancò gli occhi colmi di dolore e rabbia. «No!» «Devo vedere.» Non ebbe bisogno di dire quello che stavano pensando entrambi: perché non era rimasta di sopra? Lei cedette: spostò le dita insanguinate e lui vide quello che aveva sospettato. Il proiettile l'aveva colpita di striscio, producendo una ferita superficiale. Qualcosa di più serio sarebbe già stato evidente: la vittima di uno sparo subisce uno shock tale che il suo corpo si blocca. «Ti ha solo sfiorato», le disse. Lei ricoprì la ferita con la mano. «Grazie per la diagnosi.» «Ho una certa esperienza nel farmi sparare addosso.» Gli occhi di lei si addolcirono a quella verità. «Dobbiamo andare», disse lui. Il viso di lei si contrasse per il dolore. «Sto sanguinando!» «Non abbiamo scelta.» L'aiutò ad alzarsi. «Accidenti, Cotton!» «Mi rendo conto che fa male. Se fossi rimasta di sopra come ti avevo detto...» Le sirene gemevano in lontananza. «Dobbiamo andare, ma prima c'è un'altra cosa.» Lei parve ritrovare la padronanza di sé, decisa a rimanere calma e lucida.
La condusse dentro l'edificio. «Stringi forte», le consigliò mentre salivano le scale, diretti all'appartamento di Haddad. «Così dovrebbe smettere di sanguinare. Non è una ferita profonda.» Le sirene si stavano avvicinando. «Cosa stiamo facendo?» domandò lei, quand'ebbero raggiunto il pianerottolo del secondo piano. Lui ricordò ciò che Haddad aveva detto subito prima che cominciasse la sparatoria: Mi hai insegnato moltissimo. Ricordo ogni lezione e sino a pochi giorni fa mi sono attenuto scrupolosamente a ciascuna di esse... Anche a quelle sulla salvaguardia di ciò che è davvero importante. Quando aveva nascosto il palestinese gli aveva insegnato a tenere sempre pronte le sue cose più importanti, per poterle portar via con un preavviso minimo. Era ora di scoprire se il vecchio aveva parlato sul serio. Entrarono nell'appartamento. «Va' in cucina e trova un asciugamano mentre io mi occupo del resto», disse lui. Avevano forse due o tre minuti. Malone si precipitò in camera da letto. Lo spazio non era molto più ampio di quello del suo appartamento a Copenhagen. Pile di libri e documenti trascurati da tempo si erano accumulate sul pavimento; il letto era sfatto e i comodini e la credenza erano ingombri come bancarelle al mercato delle pulci. Notò altre mappe appese alle pareti: Israele, com'era in passato e nel presente. Non c'era tempo di studiarle. S'inginocchiò accanto al letto, sperando che l'intuito non lo tradisse. Haddad aveva telefonato in Medio Oriente, sapendo che ne sarebbe seguito un confronto. Quando l'inevitabile conflitto era arrivato, non si era sottratto allo scontro... anzi era passato all'offensiva, pur sapendo che avrebbe perso. Cos'aveva detto esattamente? Sapevo che saresti venuto... Maledettamente stupido! Per Haddad non sarebbe stato necessario sacrificarsi ma, a quanto pareva, il senso di colpa per l'uomo che aveva assassinato decenni prima gli era mulinato per la testa troppo a lungo. Lo devo al Guardiano che ho ucciso. Pago il mio debito. Malone poteva capirlo. Frugò sotto il letto e la sua mano trovò qualcosa. Afferrò ed estrasse una cartella di cuoio e ne slacciò rapidamente le cinghie: dentro c'erano un libro, tre quaderni con rilegatura a spirale e quattro mappe ripiegate. Di tutte le informazioni sparse in giro per l'appartamento, quelle dovevano essere
le più importanti. Occorreva andarsene. Tornò di corsa nello studio e Pam uscì dalla cucina con un asciugamano premuto sul braccio. «Cotton?» disse. Lui colse il tono interrogativo. «Non ora.» La spinse fuori della porta senza mollare la presa sulla cartella, ma non prima di aver afferrato uno scialle dallo schienale di una delle sedie. Scesero in fretta. «Come va l'emorragia?» le domandò quand'ebbero raggiunto il marciapiede. «Sopravvivrò. Cotton?» Le sirene erano ormai a non più di un isolato da loro. Lui le avvolse lo scialle attorno alle spalle per nascondere la ferita. Si misero a camminare con disinvoltura. «Tieni l'asciugamano sul braccio», disse lui. Trenta metri più avanti incrociarono un viale principale e si tuffarono in un mare di facce sconosciute, resistendo alla tentazione di affrettare il passo. Malone gettò un'occhiata alle loro spalle. Luci lampeggianti apparvero all'estremità opposta dell'isolato e si fermarono di fronte alla casa di Haddad. «Cotton?» «Lo so. Andiamo via da qui.» Sapeva quello che Pam voleva dirgli. Quand'erano tornati all'appartamento lo aveva notato anche lui. Non c'era sangue sul muro, né sul pavimento. Nessun soffocante tanfo di morte. E i corpi di Eve e di George Haddad erano spariti. 27 Valle del Reno, Germania, ore 17.15 Sabre fissò gli altissimi tumuli che occupavano il bordo del fiume. Scarpate ripide e scoscese contornavano la stretta gola. I boschi decidui abbondavano, i pendii mitigati soltanto da rade sterpaglie verdi e viti rigogliose. Da quasi settecento anni le alture più elevate sostenevano fortezze con
nomi come Rheinstein, Sooneck e Pfalz. Doppiando l'infida curva di Lorelei, dove un tempo le navi colavano a picco a causa delle rocce e delle rapide, in alto sopra la sponda orientale del fiume l'uomo adocchiò il torrione rotondo di Burg Katz. Più avanti si ergeva Stolzenfels: la sfumatura fulva delle sue mura calcaree vecchie di due secoli s'intravedeva a malapena. L'ultima pietra miliare del suo viaggio apparve qualche minuto dopo. L'inconfondibile profilo di Marksburg. Aveva lasciato Rothenburg due ore prima e seguito l'Autobahn verso nord a una velocità costante di 140 chilometri all'ora, rallentando solo alla periferia di Francoforte, dove s'era imbattuto nella coda di rientro dei pendolari pomeridiani. Da quel punto due strade si dirigevano a nord, verso Colonia: la A60 e la N9 a due corsie, che seguiva il corso del Reno. Lui aveva deciso che per la prima metà del viaggio sarebbe passato da lì, lungo il fiume, ma poi avrebbe proseguito sull'Autobahn. Così si fece lentamente strada fuori dell'antica valle e seguì i segnali blu per la A60. Apparve una rampa d'accesso e lui s'immise sull'autostrada. Mandò su di giri il motore della BMW presa a noleggio e si spostò nella corsia di sinistra. Un mosaico di colline, boschi e pascoli sfilava su entrambi i lati. Guardò nello specchietto retrovisore. La Mercedes argentata lo stava ancora tallonando. A una rispettabile distanza e nascosta da altre tre auto, la Mercedes avrebbe potuto facilmente passare inosservata... Ma lui se l'era aspettato e loro non lo avevano deluso: lo seguivano da quando aveva lasciato Rothenburg. Si domandò se il cadavere nella Baumeisterhaus fosse già stato trovato. L'uccisione di Jonah aveva probabilmente risparmiato un disturbo agli israeliani - il tradimento si pagava assai caro in Medio Oriente - ma, in compenso, aveva negato loro la possibilità d'interrogare il traditore, cosa che poteva aver peggiorato il loro umore. Adorava il modo in cui erano costruite le autostrade tedesche: tre ampie corsie, poche curve, uscite rade... Perfette per la velocità e la privacy. Un cartello lo informò che Colonia distava ottantadue chilometri. Conosceva la sua posizione: poco a sud di Coblenza, quindici chilometri a est del Reno e con la Mosella in rapido avvicinamento. Cambiò corsia. Più lontano, dietro la Mercedes, notò altri quattro veicoli. Erano in perfetto orario. Da nove anni andava a caccia della Biblioteca di Alessandria per conto della Sedia Blu: il vecchio era ossessionato dall'idea di trovare qualunque
cosa ci fosse là dentro. Inizialmente quella ricerca gli era sembrata ridicola ma, a mano a mano che nuove informazioni venivano a galla, era arrivato a capire che l'obiettivo non era poi così assurdo come aveva creduto all'inizio. Negli ultimi tempi aveva persino cominciato a pensare che potesse esserci davvero qualcosa da trovare. Gli israeliani n'erano certamente convinti e Alfred Hermann sembrava muoversi a colpo sicuro... Sabre aveva imparato molte cose. Era venuto il momento di usare quel sapere. Per sé. Mesi prima aveva avuto la sensazione che quella poteva essere la sua occasione. Poteva solo sperare che Cotton Malone possedesse risorse sufficienti per evitare le trappole che gli israeliani gli avrebbero teso a Londra: si erano mossi in fretta, come sempre... Ma, stando a quello che sapeva e che aveva visto, Malone era un professionista, benché fuori allenamento. Sarebbe stato in grado di gestire la situazione. Il viadotto apparve di fronte a lui. Guardò la prima delle quattro berline sorpassare la Mercedes argentata, cambiare corsia e piazzarsi bruscamente davanti a essa. Altre due auto accostarono rapidamente la Mercedes nella corsia di sinistra. Un'altra le si attaccò al paraurti. Tutte sfrecciarono sul ponte. L'arcata si estendeva per oltre ottocento metri, con la Mosella che si snodava verso est centoventi metri più sotto. A metà percorso - esattamente come aveva ordinato Sabre - l'auto di testa frenò e la Mercedes argentata fu costretta a inchiodare a propria volta. Nello stesso istante le due auto che l'affiancavano urtarono il lato del guidatore e quella che la seguiva la speronò. L'insieme dei colpi, unito alla velocità, costrinse la Mercedes a sbandare verso destra, contro il guardrail. In un attimo l'auto schizzò in aria. Sabre immaginò quello che stava accadendo al suo interno. L'improvvisa accelerazione verso l'alto avrebbe spinto gli occupanti contro i sedili. Probabilmente avrebbero armeggiato per sganciare le cinture di sicurezza, ma non ci sarebbero riusciti... E anche in quel caso, dove sarebbero andati? La caduta da un'altezza di centoventi metri sarebbe durata pochi secondi, ma l'urto del telaio contro l'acqua del fiume sarebbe stato paragonabile allo schianto su una superficie di cemento. Niente sarebbe sopravvissuto: l'acqua gelida, infiltrandosi nell'abitacolo, avrebbe rapidamen-
te mandato la carcassa ad arenarsi sul fondale fangoso, dove alla fine la corrente l'avrebbe trascinata a est, verso l'ancor più impetuoso fiume Reno. Fine. Le quattro auto lo sorpassarono e l'autista del veicolo di coda gli rivolse un cenno di saluto, che lui ricambiò. Quegli uomini erano costati una fortuna - per via del preavviso breve e tutto il resto - ma si erano appena guadagnati ogni euro. Continuò a correre verso nord, verso Colonia. Gli israeliani avrebbero impiegato qualche giorno per capire cosa fosse successo. Un problema era morto a Rothenburg e la loro squadra sul campo era scomparsa... Si domandò se l'avessero identificato. Probabilmente no: se conoscevano la sua identità, perché perdere tempo a scattare fotografie? No, lui rappresentava tuttora un'incognita. La confusione regnava in Israele. Ben presto sarebbe dilagata anche in Austria. La cosa gli piaceva. Era tempo di convertire quel caos in ordine. 28 Washington, DC Stephanie si chiese che intenzioni avesse la sua nuova compagna. Cassiopea Vitt era in gamba, ricca e coraggiosa: una donna capace di cavarsela nelle situazioni più difficili. Una combinazione da non sottovalutare, ammesso che fosse stata previdente. «Come ne usciamo?» domandò mentre si allontanavano di corsa dal parco. «Hai qualche idea?» In realtà ne aveva, ma non disse niente. «Sei tu quella che è spuntata fuori dal nulla.» Cassiopea sorrise. «Molto spiritosa.» «Ci stanno manovrando. Pensavo lo sapessi.» Il Lincoln Memorial incombeva davanti a loro all'estremità occidentale del parco. La grande vasca della Reflecting Pool bloccava ogni possibile via di fuga verso sud. A nord, alberi alti contornavano un viale affollato. «Contrariamente a quanto crediate tu e Henrik, non sono del tutto inerme. Ho due agenti sulla Constitution Avenue. Quando sei arrivata avevo
appena premuto il pulsante d'emergenza.» «Ho brutte notizie per te. Quei due se ne sono andati.» «Come sarebbe?» «Subito dopo che ti sei seduta con la Dixon. Hanno messo in moto e sono partiti.» La via di fuga terminava alla base del Lincoln Memorial. Si guardò alle spalle: i due inseguitori avevano smesso di avanzare. «A quanto pare ci troviamo dove volevano portarci.» Un taxi si avvicinò rombando dalla parte di Independence Avenue. «Era ora!» esclamò Cassiopea, sventolando un fazzoletto nero. Il taxi si fermò e loro saltarono a bordo. «Ho chiamato qualche minuto fa.» Cassiopea sbatté la portiera posteriore e ordinò al conducente: «Si limiti a girare qui attorno. Le diremo noi quando farci scendere». Il veicolo partì di scatto. Stephanie s'infilò una mano in tasca, afferrò il cellulare e compose il numero degli agenti che aveva collocato come rinforzo. Quei due uomini stavano per essere licenziati. «Vuoi dirmi perché mi avete piantata lì?» domandò con calma alla persona che le rispose. «Ci hanno ordinato di andar via», rispose l'uomo. «Sono io il vostro capo. Chi mi ha contraddetto?» «Il tuo capo.» Roba da non credersi. «Chi?» «Il procuratore generale. Brent Green in persona è arrivato e ci ha intimato di andarcene.» Malone gettò sul letto la cartella trovata nell'appartamento di George Haddad. Lui e Pam si erano rifugiati in un albergo non lontano da Hyde Park: un luogo familiare, che lui aveva scelto per il suo sovraffollamento poiché, come gli era stato insegnato, per nascondersi non c'è posto migliore della folla. Gli piaceva anche la farmacia attigua, dove aveva comprato garza, antisettico e bende. «Devo fare qualcosa per quella spalla», disse a Pam. «Come sarebbe a dire? Troviamo un ospedale!» «Vorrei che fosse così facile.» Sedette sul letto accanto a lei. «Lo è. Io voglio un medico!»
«Se fossi rimasta di sopra come ti avevo detto, non sarebbe successo nulla.» «Ho pensato che avessi bisogno d'aiuto. Stavi per uccidere quell'uomo.» «Possibile che tu non capisca, Pam? Non ti bastava aver visto morire George? Questi figli di buona donna fanno sul serio! Come ti vedono, ti ammazzano.» «Sono scesa per aiutarti», ripeté lei a voce bassa. Nei suoi occhi Malone vide qualcosa che non vi aveva scorto da anni: sincerità... Il che sollevava una quantità di domande che lui non se la sentiva di affrontare. Né lei, n'era certo, avrebbe voluto rispondere. «I medici metterebbero di mezzo la polizia e ci creerebbero un sacco di problemi.» Inspirò profondamente. Si sentiva distrutto dalla fatica e dalla preoccupazione. «Pam, gli attori in gioco sono molti. Non sono stati gli israeliani a prendere Gary.» «Come lo sai?» «Chiamalo istinto. Qualcosa mi dice che non sono stati loro.» «Di sicuro hanno ammazzato quel vecchio.» «Proprio per questo lo avevo nascosto.» «Li ha chiamati lui, Cotton! Hai sentito quello che ha detto... Li ha chiamati, sapendo che sarebbero venuti.» «Si stava imponendo una penitenza. Uccidere non è un gesto privo di conseguenze e George le ha affrontate oggi.» Il pensiero dell'amico morto gli inflisse una nuova fitta di dolore. «Devo sistemarti quella ferita.» Le sfilò lo scialle e vide che l'asciugamano era impregnato di sangue fresco. «Si è riaperta?» Lei annuì. «Mentre venivamo qui.» Malone rimosse l'impacco. «Qualunque cosa stia succedendo, si tratta di una faccenda complicata. George è morto per una ragione.» «Il suo corpo è sparito, Cotton. E anche quello della donna.» «A quanto pare gli israeliani hanno fatto pulizia in fretta.» Le esaminò attentamente il braccio: il solco tracciato dal proiettile era effettivamente superficiale. «Questo non fa che dimostrare ciò che ti dicevo: ci sono diversi attori... Almeno due, forse tre, probabilmente quattro. Israele non ha l'abitudine di uccidere agenti americani, ma a quelli che hanno assassinato Lee Durant non sembrava importare. È quasi come se stessero cercando guai. Gli israeliani non lo fanno mai.» Si alzò ed entrò in bagno. Quando tornò, le porse un asciugamano pulito e aprì un flacone di disinfettante. «Mordi questo.»
Lei lo guardò perplessa. «Perché?» «Devo disinfettare la ferita e non voglio che qualcuno ti senta urlare.» Lei spalancò gli occhi. «Fa male, quella roba?» «Più di quanto immagini.» Stephanie spense il cellulare. Brent Green in persona è arrivato e ci ha intimato di andarcene. Lo shock le aveva irrigidito la spina dorsale, ma decenni nei Servizi Segreti le permisero di fare in modo che il suo atteggiamento non tradisse la benché minima sorpresa. Guardò in faccia Cassiopea, che le sedeva accanto sul sedile posteriore del taxi. «Al momento sei l'unica persona di cui possa fidarmi, temo.» «Sembri delusa.» «Non ti conosco.» «Non è vero. In Francia hai fatto ricerche su di me.» Cassiopea aveva ragione: l'avevano passata accuratamente al vaglio e Stephanie aveva appreso che quella bellezza dalla pelle scura era nata a Barcellona trentasette anni prima. Musulmana da parte di padre, benché non praticante, Cassiopea aveva un master in ingegneria e in storia medievale. Era l'unica azionista e proprietaria di una conglomerata multicontinentale con sede a Parigi, coinvolta in un'ampia gamma di speculazioni internazionali e titolare di un patrimonio dell'ordine di diversi miliardi di dollari. Il defunto genitore aveva avviato l'azienda e lei ne aveva ereditato la dirigenza, tuttavia era poco coinvolta nelle sue attività ordinarie. Era anche presidentessa di una fondazione olandese che lavorava a stretto contatto con l'ONU per combattere l'AIDS e la fame nel mondo, in particolare in Africa. Stephanie sapeva per esperienza che la Vitt si tirava indietro di rado e sapeva maneggiare un fucile con la precisione di un cecchino. A volte un po' troppo appariscente e sfacciata, Cassiopea aveva lavorato col defunto marito di Stephanie, sulla cui vita privata sapeva più di quanto Stephanie considerasse appropriato. Tuttavia si fidava incondizionatamente di quella donna. Thorvaldsen aveva fatto una scelta saggia, mandando lei. «Ho un problema serio.» «Non mi dici niente di nuovo.» «Cotton è nei guai. È essenziale che mi metta in contatto con lui.» «Neppure Henrik ha più avuto sue notizie. Malone ha detto che avrebbe chiamato non appena fosse stato pronto. Tu lo conosci... Meglio di chiunque.» «Cosa mi dici di Gary?»
«È un ragazzo forte, come suo padre. Con Henrik è al sicuro.» «Dov'è Pam?» «Sta tornando in Georgia. Ha preso l'aereo per Londra con Malone; doveva ripartire da là.» «Anche gli israeliani sono a Londra. Una squadra della morte.» «Cotton è adulto e vaccinato. Se la caverà. Piuttosto dobbiamo decidere cosa fare per il tuo problema.» Anche Stephanie aveva riflettuto su quel rompicapo. Brent Green in persona è arrivato e ci ha intimato di andarcene. Questo poteva spiegare perché aveva visto così pochi poliziotti al Campidoglio, benché in genere fossero dappertutto. Lanciò un'occhiata all'esterno e vide che erano vicino al Dupont Circle e all'albergo dove alloggiava. «Dobbiamo assicurarci di non essere seguiti.» «Allora la metropolitana potrebbe essere un mezzo migliore.» «Dove siamo dirette?» domandò Cassiopea. Stephanie sbirciò la pistola ad aria compressa infilata sotto la giacca dell'amica. «Hai altre frecce per mettere a nanna la gente?» «A volontà.» «Allora so esattamente dove dobbiamo andare.» 29 Londra, ore 19.30 Malone guardava Pam dormire. Era stravaccato su una sedia accanto alla finestra della stanza, con la cartella di George Haddad sulle ginocchia. Aveva avuto ragione a proposito del disinfettante: Pam aveva addentato spasmodicamente l'asciugamano mentre lui bagnava la ferita. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime, ma era stata forte: non un suono aveva tradito il suo dolore. Impietosito, lui le aveva comprato una camicetta nuova alla boutique nell'atrio. Era stanco anche lui ma i suoi «nervi Magellano», com'era solito chiamarli, compensavano riversando nei muscoli un'energia inesauribile. Ricordava occasioni in cui aveva trascorso giorni interi senza mangiare, sostenuto unicamente dall'adrenalina, concentrato sul compito di restare vivo e portare a termine il lavoro. Aveva creduto che quella frenesia appartenesse al passato, che non l'avrebbe sperimentata mai più...
Invece, eccolo lì. C'era dentro sino al collo. Le ultime ore sarebbero potute passare per un incubo atroce, non fosse stato per la chiarezza tutt'altro che onirica con cui gli eventi si disponevano nella sua mente. Avevano sparato al suo amico George Haddad sotto i suoi occhi. C'era gente che perseguiva una missione, in cerca di qualcosa... In qualunque altro momento non si sarebbe impicciato, ma alcune di quelle stesse persone avevano rapito suo figlio e distrutto la sua libreria. No, la cosa lo riguardava eccome. Era in debito verso di loro. Come Haddad, lui intendeva pagare i propri debiti. Prima, però, doveva saperne di più. Le parole di Haddad erano state sibilline, sia prima sia dopo la comparsa degli israeliani. Quel che era peggio, non aveva potuto finire di spiegare ciò che aveva scoperto anni prima e che aveva dato a Israele un motivo preciso per ucciderlo. Sperando che la cartella di cuoio sulle sue ginocchia contenesse qualche risposta, sganciò i fermagli ed estrasse il libro, i tre taccuini e le quattro mappe. Il libro era un volume del XVIII secolo, con una copertina in cuoio decorato che aveva la consistenza fragile della pelle riarsa dal sole. I caratteri stampigliati su di essa erano illeggibili, così aprì il tomo con cautela e ne lesse il frontespizio. Viaggio di un eroe di Eusebius Hieronymus Sophronius. Ne scorse le pagine. Si trattava di un romanzo scritto oltre duecento anni prima, in uno stile prosaico e pedante. Si domandò quale fosse la sua importanza e sperò che i taccuini l'avrebbero spiegato. Li sfogliò a uno a uno. La calligrafia minuta era quella di Haddad ed erano scritti in inglese. Lesse più attentamente. ... gli indizi lasciatimi dal Guardiano si sono dimostrati problematici. La cerca dell'eroe è difficile. Temo di essere stato uno sciocco ma, se non altro, non sono stato il primo... Anche Thomas Bainbridge lo è stato. Verso la fine del XVIII secolo, a quanto pare, gli fu esteso un analogo invito ed egli completò la cerca dell'eroe. Una condizione dell'invito doveva certamente essere che la visita restasse riservata: i Guardiani non avevano trascorso due
millenni a proteggere il loro tesoro solo per lasciare che un invitato lo svelasse. Bainbridge, però, violò la loro fiducia e scrisse della propria esperienza. Nel tentativo di rendere meno grave il proprio tradimento, camuffò il racconto come un'opera di fantasia, intitolandolo poco fantasiosamente Viaggio di un eroe. Il libro fu stampato a tiratura limitata e a malapena notato. Ai tempi di Bainbridge il mondo pullulava di racconti fantastici, romanzi considerati di minor pregio; dunque il viaggio del protagonista verso una certa biblioteca leggendaria destò scarso entusiasmo. Ne ho trovato una copia tre anni fa, che ho rubato in una proprietà gallese. La lettura non è molto illuminante, ma Bainbridge non riuscì a resistere a un'ennesima violazione della fiducia che i Guardiani avevano riposto in lui e l'anno precedente alla sua morte eresse un monumento nel giardino della sua residenza nell'Oxfordshire. Nel marmo fece incidere l'immagine di un dipinto e alcune lettere romane. Il dipinto, di Nicolas Poussin, era originariamente noto come La felicità soggetta alla morte, ma oggi è meglio conosciuto col titolo I Pastori d'Arcadia II. Malone sapeva ben poco di Poussin, benché il nome gli fosse familiare. Fortunatamente in uno dei taccuini Haddad forniva qualche particolare aggiuntivo. Poussin fu un'anima tormentata, non diversamente da Bainbridge. Nacque in Normandia nel 1594 e i primi trent'anni della sua vita furono densi di pene e tribolazioni. Soffrì per la mancanza di mecenati, per le cortigiane irriconoscenti, la salute cagionevole e i debiti. Anche lavorare al soffitto della Galleria Grande del Louvre lo lasciò insensibile. Nulla cambiò sino a quando, nel 1642, lasciò la Francia per l'Italia. Per quel viaggio, che normalmente sarebbe durato poche settimane, lui impiegò quasi sei mesi. Giunto a Roma cominciò a dipingere con nuovo stile e sicurezza, che non passarono inosservati e gli procurarono rapidamente la fama di artista più acclamato di Roma. Molti hanno ipotizzato che a un certo punto, durante quel viaggio, Poussin sia stato iniziato a un grande segreto. Curiosamente, quando I Pastori d'Arcadia fu terminato, il mecenate che gli aveva commissionato l'opera - il cardinale Rospigliosi, che divenne poi papa Clemente IX - decise di
non esporre il quadro al pubblico, conservandolo invece nel suo appartamento privato. Rospigliosi era un uomo dal temperamento artistico, affascinato da tutto ciò che era arcano ed esoterico. Possedeva una notevole biblioteca personale, tanto che in seguito gli storici lo hanno soprannominato «il papa libero pensatore». Un indizio su quelle che possono essere state le esperienze personali di Poussin si possono trovare in una lettera scritta sei anni dopo la realizzazione del quadro I Pastori d'Arcadia. Il suo estensore era un sacerdote, fratello del ministro delle Finanze di Luigi XIV. Egli riteneva che quanto aveva appreso da Poussin potesse interessare il monarca francese. Ho scovato la lettera qualche anno fa tra gli archivi della famiglia Cossé-Brissac: Egli e io discutemmo di alcune cose, che potrò spiegarvi con comodo nei particolari... Cose che vi daranno, tramite Monsieur Poussin, vantaggi che persino i re faticherebbero a ottenere da lui e che, stando a ciò che sostiene, probabilmente nessun altro scoprirà nei secoli a venire. Per di più queste sono cose tanto difficili da scoprire che nulla di quanto esiste su questa terra può considerarsi di maggiore o ugual valore. Un'affermazione tanto ragguardevole quanto enigmatica... Ciò che Bainbridge eresse nel suo giardino, tuttavia, è ancora più enigmatico. Dopo aver completato I Pastori d'Arcadia, per qualche ragione inesplicabile Poussin ne dipinse l'immagine speculare in un altro dipinto, intitolato I Pastori d'Arcadia II. È proprio quest'ultimo il quadro che Thomas Bainbridge scelse per il suo bassorilievo marmoreo: non l'originale, bensì il suo omologo. Bainbridge era un uomo astuto e fu così abile che per due secoli il suo monumento, denso di simbolismo, è rimasto ammantato di oscurità. Malone continuò a leggere, assorbito in un dedalo di possibilità. Purtroppo Haddad non rivelava molto di più: il resto degli appunti parlava dell'Antico Testamento, delle sue traduzioni e delle incongruenze narrative... Nemmeno una parola in più su qualcosa che Haddad potesse aver notato, tale da dar luogo a un così grande interesse nei suoi confronti. Non c'erano neppure altri messaggi da un Guardiano, né dettagli su una fanto-
matica cerca dell'eroe a parte un fuggevole riferimento alla fine di uno dei taccuini. Nel salone di Bainbridge Hall ci sono altre tracce dell'arroganza di Bainbridge. Il titolo è particolarmente indicativo: L'Epifania di san Girolamo... Affascinante e appropriato, giacché le grandi imprese cominciano spesso con un'epifania. Un po' più di carne al fuoco, ma ancora troppe domande senza risposta... E Malone aveva imparato che lottare con le domande prive di risposta era il sistema migliore per paralizzare il cervello. «Cosa stai leggendo?» Alzò lo sguardo. Pam era ancora a letto con la testa sul cuscino e gli occhi aperti. «Quello che George ha lasciato.» Lei si tirò a sedere lentamente, si stropicciò gli occhi per scacciarne il sonno e guardò l'orologio. «Per quanto tempo sono rimasta svenuta?» «Un'oretta. Come va la spalla?» «Fa un po' male.» «Sarà così per qualche giorno.» Lei stiracchiò le gambe. «Quante volte ti hanno sparato, Cotton? Tre?» Lui annuì. «Sono cose che tendo a non dimenticare.» «Nemmeno io. Se ben ricordi, mi sono presa cura di te.» Era vero. «Ti amavo», continuò Pam. «So che forse non mi crederai, ma è così.» «Avresti dovuto dirmi di Gary.» «Quello che hai fatto mi aveva ferito. Non ho mai capito perché sentivi il bisogno di tradirmi... Il motivo per cui io non ti bastavo.» «Ero giovane, stupido ed egoista. Ma è roba di vent'anni fa, per l'amor di Dio! In seguito mi sono pentito. Ho cercato di essere un buon marito, sai? Sul serio.» «Quante donne ci sono state? Non me l'hai mai detto.» Non aveva intenzione di mentire. «Quattro. Storie da una notte, tutte quante.» Ora era lui a voler sapere. «E tu?» «Solo un uomo, ma ci siamo frequentati per diversi mesi.» Quella rivelazione lo ferì. «Lo amavi?» «Quanto una donna sposata può amare qualcuno che non è suo marito.» Lui capì.
«Il frutto è stato Gary.» Pam sembrava lottare con un punto interrogativo che continuava a riemergere dal suo passato. «Quando guardo Gary, una parte di me a volte prova rabbia per quello che ho fatto... tuttavia - Dio mi aiuti! - un'altra parte prova solo gratitudine. Gary c'è sempre stato. Tu, invece, andavi e venivi.» «Io ti amavo, Pam! Volevo essere tuo marito. Ero davvero pentito di ciò che avevo fatto.» «Non era sufficiente», borbottò lei, con gli occhi rivolti a terra. «All'epoca non lo sapevo ancora, ma ho finito per rendermi conto che non sarebbe mai stato sufficiente. Ecco perché siamo rimasti separati per cinque anni, prima di divorziare. Io volevo il nostro matrimonio, ma nello stesso tempo non lo volevo.» «Mi odiavi così tanto?» «No. Odiavo me stessa, per quello che io avevo fatto. Mi ci sono voluti anni per capirlo. Da' retta a una che se ne intende: una persona che odia se stessa è in un mare di guai... Solo che non lo sa.» «Perché non mi hai detto di Gary quando è successo?» «Non meritavi la verità. È quello che pensavo allora... Soltanto in quest'ultimo anno mi sono resa conto dell'errore. Tu mi avevi tradito e io ho tradito te, solo che io sono rimasta incinta. Hai ragione, avrei dovuto dirtelo subito... Ma questo si chiama ragionare col senno di poi e, come hai detto, eravamo entrambi giovani e stupidi.» Pam tacque. Malone non disse nulla. «Ecco perché mi arrabbio con te, Cotton: non posso inveire contro me stessa. Ma è anche la ragione per cui, alla fine, ti ho detto di Gary... Ti rendi conto che avrei potuto non dire una parola e tu non avresti mai saputo nulla? Volevo sistemare le cose. Volevo far pace con te...» «E con te stessa.» Lei annuì lentamente. «Soprattutto.» Le s'incrinò la voce. «Perché mi sei venuta dietro, prima, a casa di Haddad? Sapevi che ci sarebbe stata una sparatoria.» «Diciamo soltanto che è stata un'altra mossa stupida.» Lui sapeva come stavano le cose; era ora di dirle la verità. «Non puoi tornare a casa ad Atlanta. All'aeroporto c'era un uomo che ti pedinava; per questo sono tornato indietro.» Il volto di lei si fece meditabondo. «Avresti dovuto dirmelo.» «Avrei dovuto, già.» «Perché qualcuno dovrebbe seguire me?»
«Per procurarsi una nuova occasione. Magari per chiarire qualche punto oscuro.» Vide che Pam aveva capito ciò che intendeva. «Vogliono uccidermi?» Lui scrollò le spalle. «Non ne ho idea. Questo è il problema: stiamo tirando a indovinare.» Lei tornò a sdraiarsi sul letto, evidentemente troppo stanca, dolorante e frastornata per discutere. «Cosa intendi fare? Haddad è morto. Gli israeliani dovrebbero andarsene.» «Il che ci offre un discreto margine di manovra per trovare ciò che George stava cercando. La cerca dell'eroe... Ci ha lasciato questa roba di proposito, perché voleva che andassimo.» Lei sistemò la testa sul cuscino. «No. Voleva che tu andassi.» La vide sussultare per il dolore. «Lascia che ti porti un po' di ghiaccio per quella spalla. Aiuterà.» «Non sarò certo io a dire di no.» Lui si alzò, prese il secchio vuoto e andò verso la porta. «Mi piacerebbe proprio sapere cos'è questa cosa per cui vale la pena morire», commentò lei. Malone si fermò. «Ti sorprenderebbe scoprire quanto poco possa valere una vita umana.» «Credo che chiamerò Gary, mentre sei via», gli disse. «Voglio assicurarmi che stia bene.» «Digli che mi manca.» «È al sicuro con quel tuo amico?» «Henrik si prenderà ottima cura di lui. Non c'è da preoccuparsi.» «Ebbene, da dove cominciamo a cercare?» Bella domanda. Proprio allora, guardando il contenuto della cartella dall'altra parte della stanza, seppe che la risposta era una sola. 30 Londra, ore 21.00 Sabre fissava la notte al di là della finestra. Un suo operativo aveva aspettato l'arrivo di Malone all'aeroporto di Heathrow e aveva seguito l'ex agente sino a quell'appartamento, situato in un solido caseggiato di edifici
col tetto spiovente che di certo ospitavano vite linde, ordinate e avvolte da una rigorosa privacy. Così tipicamente britannico! La sua incaricata aveva udito spari provenire dall'interno dell'edificio e subito dopo aveva assistito a una sparatoria tra Malone e un altro uomo. La ex moglie di Malone era stata sfiorata da un proiettile; a quel punto l'aggressore era fuggito e Malone e la donna erano ritornati dentro, poi se n'erano andati portandosi via una cartella di pelle. Era successo alcune ore prima e da allora lui non aveva più avuto notizie dalla sua agente. Era pur vero che per buona parte di quel lasso di tempo si era trovato in volo tra Colonia e Londra, ma ormai lei avrebbe dovuto riferire qualcosa. Sabre era stanco, ma si sentiva carico di energia nervosa ora che il suo obiettivo si faceva sempre più vicino. Era riuscito facilmente a introdursi nell'appartamento di George Haddad, domandandosi se l'avrebbe trovato in casa. All'interno, però, non c'era nessuno. Le pareti erano tappezzate di mappe: esaminò quello strano assortimento alla luce di una sottile torcia elettrica e i luoghi che ravvisò - i Paesi del Medio Oriente - non lo sorpresero. Molti dei libri e delle carte affastellate trattavano parimenti dell'argomento del giorno. La Biblioteca di Alessandria. Aveva trascorso l'ultima ora a studiare quel materiale nel tenue cono di penombra della sua torcia. S'interrogò sul destino di Haddad. L'uomo che Cotton Malone aveva affrontato per strada era certamente israeliano e Jonah, a Rothenburg, aveva precisato che una squadra della morte si era diretta a Londra... Forse Malone li aveva interrotti? Avevano portato a termine il loro compito? Oppure Haddad era riuscito a fuggire e a nascondersi? Impossibile saperlo, dal momento che la sua socia aveva saggiamente continuato a tallonare Malone. Non provava nessun senso di trionfo, sebbene fosse riuscito a localizzare Haddad secondo i piani. Poteva soltanto sperare che il suo operativo avesse fatto il proprio lavoro altrettanto bene. Gli rimaneva da controllare soltanto il computer, che aveva serbato per ultimo. Accese l'apparecchio ed esaminò il monitor. Nonostante il disordine che imperversava nell'appartamento, Haddad sembrava essere stato un meticoloso organizzatore dal punto di vista informatico. Aprì alcuni documenti e li scorse.
Haddad aveva svolto ricerche assai approfondite sulla Biblioteca di Alessandria ma, curiosamente, aveva studiato anche i Guardiani. Alfred Hermann gliene aveva parlato e Jonah aveva colmato qualche lacuna, ma uno dei file di Haddad offriva ben di più. ... le loro origini sono sconosciute, perdute a causa della stoltezza di uomini antichi che cancellarono impunemente la memoria umana. Nel II secolo l'uomo aveva ormai imparato a padroneggiare le arti della guerra e della tortura. In molte parti del mondo erano sorti imperi che fornivano leggi e una certa sicurezza, ma nessuno di questi concetti proteggeva i popoli dai propri governanti. Nacquero le religioni e i sacerdoti divennero i solerti alleati dei despoti. L'Egitto fu uno dei luoghi in cui questa farsa andò in scena, ma a un certo punto - attorno al II secolo a.C. - emerse in quella regione un ordine religioso che venerava non già il potere, bensì la salvaguardia della cultura. Nacque allora un rozzo sistema di monasteri in cui si riunirono uomini di menti e scopi affini. Tali luoghi erano intenzionalmente isolati e notoriamente evitati. Quel particolare gruppo ebbe fortuna: i suoi membri lavoravano in entrambe le biblioteche di Alessandria come impiegati e amministratori. In quei posti era possibile accedere a ogni forma di sapere, così, mentre l'umanità prosperava e apprendeva nuovi modi per distruggersi a vicenda, quel gruppo si ritirò sempre più in se stesso. Inizialmente si limitarono a copiare i testi, ma alla fine cominciarono a rubacchiare. La pura e semplice mole della Biblioteca svariate centinaia di migliaia di manoscritti - li costringeva a essere estremamente selettivi ma nel corso dei successivi trecento anni, man mano che la Biblioteca cadeva in disgrazia, sottrarre i testi divenne più facile, specialmente perché non esistevano inventari accurati. All'epoca dell'invasione musulmana nel VII secolo, i Guardiani possedevano gran parte della Biblioteca di Alessandria. Fu allora che scomparvero, riemergendo solo di tanto in tanto per estendere inviti a raggiungerli e apprendere. Sabre continuò a leggere, domandandosi come avesse fatto George Haddad a ottenere informazioni tanto dettagliate. Quel palestinese era pieno di
sorprese. Un movimento colto con la coda dell'occhio lo mise in allarme. Le ombre presero vita e una sagoma scura si avvicinò silenziosa. Le sue mani si staccarono dalla tastiera. Sfortunatamente non aveva armi. Si girò di scatto, pronto a combattere. Una donna si materializzò nel chiarore del monitor del computer. La sua agente. «Scherzi del genere rischiano di costarti molto cari», le disse. «Non sono in vena.» Lui la utilizzava regolarmente per le operazioni in Gran Bretagna. Era di costituzione snella e lineamenti fini e quel giorno portava i capelli neri spazzolati all'indietro e raccolti in una treccia pesante. «Dove sei stata?» «Ho seguito Malone. Lui e la sua ex sono in un albergo vicino a Hyde Park.» «Che mi dici di Haddad?» Lei scosse la testa. «Non so. Non ho mai perso di vista Malone. Ha corso un bel rischio tornando quassù - la polizia era in arrivo - e poi se n'è andato con quella cartella.» Lui ammirò il suo intuito. «Comunque, dobbiamo sempre trovare il palestinese.» «Tornerà, se non è già morto. Ti trovo cambiato.» I riccioli scuri e lucenti e gli abiti trasandati erano spariti; ora portava i capelli corti e scompigliati e li aveva tinti di un castano rossiccio. Era vestito in modo semplice e curato: jeans e una camicia di tela sotto una giacca di panno. Prima di lasciare la Germania aveva riferito alla Sedia Blu ciò che aveva appreso, poi aveva compiuto il cambiamento fisico... Il tutto secondo un piano accuratamente concepito del quale Alfred Hermann sapeva ben poco. «Approvi?» le domandò. «Mi piaceva di più il vecchio look.» Lui scrollò le spalle. «Magari la prossima volta. Che sta succedendo?» «Ho qualcuno di guardia all'albergo. Chiameranno, se Malone si muove.» «Nient'altro sugli israeliani?» «Il loro uomo se l'è filata a gambe levate.» Si guardò attorno. Forse avrebbe semplicemente aspettato il ritorno di Haddad; gli sembrava la soluzione più semplice. Di sicuro aveva bisogno
di tutto il contenuto del computer di Haddad, ma non voleva portarsi via un apparecchio così ingombrante... Sarebbe stato meglio farne una copia. In mezzo alla confusione notò un drive portatile: lo prese e lo collegò a una porta USB libera. Controllò il drive. Era vuoto. Con pochi clic del mouse copiò tutti i file dall'hard drive. Poi notò qualcosa al di là del monitor. Una minuscola luce rossa. Guardò meglio attraverso il mucchio di carte e individuò un registratore tascabile appoggiato sul tavolo. Lo sollevò e non notò differenze nello strato di polvere che copriva il piano di legno, il che doveva significare che l'apparecchio era stato collocato lì di recente. Il nastro era alla fine, ma il registratore era ancora acceso. Premette rewind. La sua socia rimase in silenzio. Lui spinse play. L'intero dialogo tra Malone, Haddad e, alla fine, gli israeliani era stato registrato. Apprese con stupore dell'uccisione di Haddad. L'ultima cosa che udì fu la dichiarazione di Malone, il quale si diceva intenzionato a uccidere quel bastardo. Spense l'apparecchio. «Haddad è morto?» disse la donna. «Qui dentro? Che n'è stato della scena del crimine?» «Immagino che gli israeliani abbiano ripulito tutto prima che arrivasse la polizia.» «E adesso?» «Abbiamo pur sempre Malone. Vediamo dove ci porterà.» 31 Malone uscì dalla stanza e scese nell'atrio. Poco prima aveva notato un distributore del ghiaccio, il che lo aveva sorpreso: pareva che quei comfort americani stessero invadendo sempre più gli hotel europei. Era arrabbiato con se stesso per aver messo in pericolo Pam. Eppure che altro avrebbe potuto fare? Di certo non abbandonarla a Heathrow con quel tizio alle calcagna! Chissà chi era? Forse un complice di quelli che avevano preso Gary? Sembrava logico. In ogni caso, ne sapeva ancora assai poco.
Gli israeliani avevano reagito prontamente al segnale di vita di Haddad. Forse Pam aveva ragione: morto Haddad, i loro interessi erano protetti, il loro problema risolto. Tuttavia era Pam che avevano seguito, non lui. Perché? Trovò il distributore del ghiaccio e scoprì che non funzionava. Il compressore andava, ma il contenitore del ghiaccio era vuoto. Proprio come in America, pensò. Aprì la porta che dava sulle scale e scese di un piano. Lì il distributore traboccava di ghiaccio. Si fermò in un vano discosto dalla hall e riempì il secchio. Sentì chiudersi la porta di una stanza, poi delle voci. Stava ancora raccogliendo ghiaccio quando due uomini oltrepassarono la nicchia, parlando animatamente. Lui si voltò per andarsene e intravide il profilo del volto di uno dei due. Ne riconobbe la figura allampanata e la pelle bruciata dal sole. Il Secco di Heathrow. Proprio lì, un piano sotto il loro! Si ritrasse nella nicchia e sbirciò da dietro la porta gli uomini che entravano nell'ascensore. Stavano salendo. Schizzò verso la tromba delle scale e salì a balzi i gradini. Aprì la porta proprio mentre il campanello dell'ascensore suonava e i due uscivano dalla cabina. Varcò silenziosamente la porta e guardò con cautela nel corridoio. Vide uno dei due sollevare dalla moquette un vassoio usato del servizio in camera e tenerlo in equilibrio su una mano. L'altro estrasse un revolver a canna corta. Andavano dritti verso la stanza in cui Pam lo aspettava. Malone si maledisse. La pistola di Haddad era rimasta su un tavolo nella stanza; non l'aveva portata con sé. Che fesso! Ora avrebbe dovuto improvvisare. Gli uomini si fermarono davanti alla porta. Quello con la pistola bussò e si spostò da un lato. L'altro si finse un inserviente, col vassoio in equilibrio sulla mano alzata. Bussarono una seconda volta. Forse Pam era ancora al telefono con Gary? Questo gli avrebbe procurato il minuto di cui aveva bisogno. «Servizio in camera», sentì dire l'uomo. A differenza degli hotel americani, dove le stanze hanno sempre lo
spioncino sulle porte, in quelli inglesi di solito è assente. Quell'albergo non faceva eccezione. Poteva soltanto sperare che Pam non sarebbe stata così stupida da girare la maniglia. «C'è un'ordinazione per lei dal ristorante», disse l'uomo con voce più alta. Una pausa. «È stato un signore a fare l'ordinazione.» Accidenti! Pam avrebbe potuto pensare che lui avesse ordinato da mangiare mentre lei dormiva. Doveva agire subito. Sollevò il secchio di ghiaccio per proteggersi il volto e si avviò lungo il corridoio. «L'ordine è per questa stanza», stava spiegando l'uomo. Sentì la serratura aprirsi. Sbirciando oltre i bordi del secchio sollevato, vide che l'uomo armato si era accorto di lui e aveva immediatamente nascosto la pistola. Malone sfruttò quell'attimo di distrazione a proprio vantaggio e scagliò ghiaccio e secchio in faccia all'uomo armato, poi piantò il pugno destro nella mascella di quello col vassoio. Sentì l'osso incrinarsi e l'uomo si schiantò sulla moquette, lasciando cadere il vassoio e spargendo in giro il suo contenuto. Quello cui era toccato il secchio di ghiaccio si riprese dallo shock iniziale e fece per sollevare la pistola. Malone gli assestò due colpi sulla testa e gli piantò un ginocchio nel petto. L'aggressore si afflosciò a terra e giacque immobile. La porta della stanza si aprì. Pam lo fissò. «Perché hai aperto?» le domandò. «Credevo avessi ordinato da mangiare.» Lui prese la pistola e se la infilò nella cintola. «Non ti è venuto in mente che te l'avrei detto?» Perquisì rapidamente i due, ma non trovò documenti. «Chi sono?» volle sapere Pam. «Quello è il tizio che ti seguiva all'aeroporto.» Prese il Secco per le braccia e lo trascinò dentro la stanza, poi afferrò l'altro per le gambe e tirò dentro anche lui. «Sei testarda come un mulo.» Chiuse la porta con un calcio. «Avevo fame.» «Come sta Gary?» «Se la cava. Non sono riuscita a dirgli granché.» Uno degli uomini gemette. Presto avrebbero ripreso i sensi. Malone afferrò la cartella di cuoio e la pistola di Haddad. «Andiamo!»
«Stiamo scappando?» «A meno che tu non voglia trovarti qui quando si svegliano.» Evidentemente la prospettiva non la allettava. «Hai una pistola», gli ricordò lei. «Sì, ma non voglio usarla. Non siamo nel selvaggio West... Siamo in un albergo pieno di gente, quindi facciamo la cosa più furba e andiamocene. Ci sono un mucchio di altri alberghi in città.» Lei prese lo scialle e si avvolse cautamente le spalle. Lasciarono la stanza e raggiunsero di corsa l'ascensore. Uscirono nella notte gelida. Malone si guardò bene attorno e concluse che sarebbe stata dura capire se li stessero seguendo: c'era semplicemente troppo da controllare. La stazione della metropolitana più vicina era a due isolati. Prese quella direzione, deciso a non abbassare la guardia. I suoi pensieri turbinavano. Come aveva fatto l'uomo di Heathrow a trovarli? E poi, ancora più inquietante: come faceva il finto inserviente a sapere che lui era fuori della stanza? È stato un signore a fare l'ordinazione. Mentre camminavano guardò in faccia Pam. «Hai detto a quel tizio che non avevi ordinato niente?» Lei annuì. «Poi, però, lui ha detto che eri stato tu.» Non era del tutto esatto. Aveva detto che un signore aveva fatto l'ordinazione. Poteva aver tirato a indovinare? Neanche per sogno. 32 Washington, DC, ore 21.00 Stephanie guidò Cassiopea attraverso il quartiere tranquillo. Nelle ultime ore erano rimaste nascoste in periferia. Lei aveva fatto una sola telefonata alla centrale della sezione Magellano da un telefono pubblico in un ristorante della catena Cracker Barrel e aveva saputo che Malone non si era fatto sentire. Non così la Casa Bianca: l'ufficio di Larry Daley aveva chiamato tre volte. Lei aveva ordinato ai suoi di dire che lo avrebbe richiamato alla prima occasione. Seccante, lo sapeva... Ebbene, che Daley si chiedesse
pure se la prossima volta che avrebbe rivisto l'allegra faccia di lei, sarebbe stato in diretta sulla CNN. Quella semplice possibilità sarebbe dovuta bastare, per il momento, a tenere a freno il viceconsigliere per la sicurezza nazionale. Heather Dixon e gli israeliani, però, erano un altro paio di maniche. «Dove andiamo?» domandò Cassiopea. «A risolvere un problema.» Il quartiere era ricco di edifici in stile liberty, in voga tra gli industriali del XIX secolo che per primi avevano percorso quei viali alberati. Le villette coloniali a schiera e i vialetti acciottolati proiettavano un'immagine di ricchezza nell'aria notturna. «Non sono uno dei tuoi agenti», disse Cassiopea. «Mi piace sapere in cosa mi sto cacciando.» «Puoi andartene quando vuoi.» «Bel tentativo, ma non ti libererai di me così facilmente.» «Allora smettila di fare domande. Sei così insistente anche con Thorvaldsen?» «Come mai lui non ti piace? In Francia ti aggrappavi a ogni pretesto per saltargli alla gola.» «Mettiti nei miei panni, Cassiopea! Cotton è nei guai. La mia stessa gente mi vuole morta. Mi danno la caccia tanto gli israeliani quanto i sauditi. Credi che sia saggio farmi piacere qualcuno?» «Non hai risposto alla mia domanda.» No, non lo aveva fatto. Non poteva ammettere ad alta voce la verità... ovvero che Thorvaldsen, essendo stato in stretti rapporti col suo defunto marito, aveva finito per conoscere di lei i punti di forza e quelli deboli. Accanto a lui Stephanie si sentiva vulnerabile. «Diciamo soltanto che lui e io ci conosciamo di gran lunga troppo bene.» «Henrik è preoccupato per te. Per questo mi ha chiesto di venire. Sentiva odore di guai.» «Lo apprezzo molto, ma non significa che lui debba piacermi.» Individuò la casa: una delle tante residenze simmetriche di mattoni con le sue brave decorazioni, un portico e una mansarda. Le luci erano accese soltanto alle finestre del pianterreno. Controllò la strada. Tutto tranquillo. «Seguimi.»
Alfred Hermann dormiva di rado. Da molto tempo, ormai, aveva abituato il proprio organismo a operare con meno di tre ore di riposo. Non era tanto vecchio da aver vissuto personalmente la seconda guerra mondiale, però serbava vividi ricordi infantili dei nazisti che sfilavano per le strade di Vienna. Nei decenni successivi aveva combattuto attivamente i sovietici, sfidando i loro regimi-fantoccio che avevano dominato l'Austria. Il patrimonio degli Hermann risaliva al tempo degli Asburgo ed era riuscito a sopravvivere a due secoli di politica instabile, ma nel corso degli ultimi cinquant'anni la fortuna di famiglia si era decuplicata. Tanto successo si doveva in buona parte all'Ordine del Toson d'Oro: essere intimamente legato a un gruppo così selezionato di persone provenienti da tutto il mondo comportava vantaggi dei quali suo padre e suo nonno non avevano mai goduto. Esserne a capo produceva benefici ancora più straordinari. Il suo tempo, però, stava volgendo al termine. Alla sua morte la figlia avrebbe ereditato tutto. Non era un pensiero confortante. Certo, lei gli somigliava sotto molti aspetti... Era coraggiosa e determinata, apprezzava le tradizioni e ambiva, con un entusiasmo simile al suo, al bene più prezioso dell'umanità: il sapere. Ma era ancora grezza: un'opera incompiuta. Che, temeva lui, forse non sarebbe stata mai portata a compimento. Guardò la figlia che, come lui, dormiva poco. L'aveva chiamata Margarete, come la propria madre. Stava ammirando il modellino della Biblioteca di Alessandria. «Riusciremo a trovarla?» domandò a bassa voce. Lui le si avvicinò. «Credo che Dominick sia arrivato molto vicino.» Lei lo studiò con gli intensi occhi grigi. «Sabre non è affidabile. Nessun americano lo è.» Non era la prima volta che ne discutevano. «Io non mi fido mai di nessuno.» «Nemmeno di me?» Lui sorrise. Anche di quello avevano già discusso. «Nemmeno di te.» «Gli concedi troppa libertà.» «Perché lesinare? Gli affidiamo compiti difficili. Se gli poni dei paletti, non puoi aspettarti che lavori come piace a noi.» «Ci darà dei problemi. L'ingegnosità americana e roba del genere... Solo che tu non te ne rendi conto.» «È un uomo ostinato. Ha bisogno di uno scopo e noi glielo forniamo. In cambio, lui persegue i nostri obiettivi.»
«Mi ha dato una strana sensazione, ultimamente. Si sforza di mascherare la propria ambizione, che però è sempre lì... Basta osservarlo attentamente.» Hermann decise di provocarla un po'. «Non ti starai innamorando di lui?» Lei sogghignò. «Neanche per idea. Non appena te ne sarai andato gli darò il benservito.» L'uomo si domandò come si fosse messa in testa di ereditare tutto ciò che lui possedeva. «Non ci sono garanzie che sarai tu la Sedia Blu. Sono le Sedie a scegliere.» «Farò parte del Circolo, te lo assicuro. Da lì a dove ti trovi tu è solo un passo.» Lui, però, non ne era tanto sicuro. Sapeva dei contatti di lei con le altre quattro Sedie: in effetti li aveva incoraggiati lui, per metterli alla prova. La sua ricchezza superava di gran lunga quella degli altri in longevità, volume ed estensione. Nelle istituzioni finanziarie che controllava erano pesantemente coinvolti molti membri, comprese tre delle Sedie. Nessuna di esse avrebbe mai voluto che altri sapessero di quella vulnerabilità e il prezzo del suo silenzio era sempre stato la loro lealtà. Da decenni manipolava le loro debolezze, ma i tentativi di sua figlia erano stati fiacchi. S'imponeva un invito alla cautela. «Quando me ne sarò andato Dominick dovrà trattare con te, come tu con lui. Non correre troppo. Uomini come lui - di poche emozioni? Senza morale? Temerari? - possono rivelarsi preziosi.» Sperava che lei lo ascoltasse ma temeva, come sempre, che stesse facendo orecchi da mercante. Sua madre era morta quando lei aveva otto anni; in giovinezza era sembrata una copia del padre - una sua costola, come amava definirsi - eppure quella precoce promessa non era maturata con l'età. La sua educazione era cominciata in Francia, proseguita in Inghilterra e completata in Austria e la sua esperienza negli affari era maturata nei consigli di amministrazione delle tante società del padre. Ma i rapporti sul suo conto non erano stati incoraggianti. «Cosa faresti se trovassi la Biblioteca?» domandò lei. Lui dissimulò il proprio divertimento: a quanto pareva la figlia non aveva più voglia di parlare di Sabre o di se stessa. «La grandezza dei pensieri che contiene è inimmaginabile.» «Ho sentito che ne parlavi ieri. Dimmi qualcosa di più.» «Ah, già. La mappa di Piri Reis del 1513, scoperta a Istanbul. Blateravo di quella. Non sapevo che tu stessi ascoltando.»
«Io ascolto sempre tutto.» A quell'affermazione, lui sorrise. Sapevano entrambi che non era vero. «Stavo dicendo al cancelliere che la mappa era stata disegnata su una pelle di gazzella da un ammiraglio turco che un tempo era stato un pirata. È piena di particolari incredibili... Riporta il tracciato delle coste sudamericane, sebbene i navigatori europei non avessero ancora mappato quella regione. Si vede anche il continente antartico, così come doveva apparire prima che si ricoprisse di ghiaccio. Solo recentemente, usando il radar terrestre, siamo stati in grado di determinare il contorno di quella costa, eppure la rappresentazione del 1513 è valida quanto la nostra. Sul fronte della mappa, in una nota, il cartografo dice di avere usato carte disegnate all'epoca di Alessandro, signore dei Due Corni. Te lo immagini? Forse antichi navigatori hanno visitato l'Antartide migliaia di anni fa, prima dell'accumulo dei ghiacci, e hanno riportato ciò che hanno visto!» A Hermann girava la testa al pensiero di cos'altro poteva essere andato perduto nei campi della matematica, astronomia, geometria, meteorologia e medicina. «Il sapere non registrato viene dimenticato o si confonde sino a diventare irriconoscibile. Hai presente Democrito? Lui concepì l'idea che ogni cosa sia composta da un numero finito di particelle discrete. Oggigiorno le chiamiamo atomi, ma lui fu il primo a riconoscerne l'esistenza e formulare la teoria atomica. Scrisse settanta libri - lo sappiamo da altre fonti - ma neppure uno di essi è sopravvissuto, così sono trascorsi secoli prima che altri uomini, in altre epoche, pensassero la stessa cosa. «Non resta quasi nulla di quanto ha scritto Pitagora. Manetone ha narrato la storia dell'Egitto: scomparsa. E Galeno, il grande guaritore romano? Scrisse cinquecento trattati di medicina, di cui rimane soltanto qualche frammento. Aristarco pensava che il sole, non la Terra, fosse il centro dell'universo, ma è a Copernico, vissuto diciassette secoli più tardi, che la storia attribuisce questa rivelazione.» Gli vennero in mente altri esempi: Eratostene e Strabone, geografi. Archimede, fisico e matematico. Zenodoto e la sua grammatica. Callimaco, il poeta. Talete, il primo filosofo. Tutte le loro idee erano andate perdute. «È sempre stato così», concluse. «Il sapere è la prima cosa che viene estirpata, una volta conquistato il potere. La storia l'ha dimostrato infinite volte.» «Allora di che cosa ha paura Israele?» volle sapere lei.
Hermann sapeva che alla fine sarebbe riuscita a portarlo su quell'argomento. «Forse fa più la paura che la realtà», osservò lei. «Cambiare il mondo è difficile.» «Tuttavia si può fare. Gli uomini...» s'interruppe brevemente «...e le donne lo fanno da secoli. Non è sempre stata la violenza la causa dei cambiamenti più monumentali. Spesso sono state semplici parole... La Bibbia ha cambiato radicalmente l'umanità. Lo stesso vale per il Corano, la Magna Carta, la Costituzione americana. Miliardi di persone regolano la propria vita su quelle parole, perciò possiamo ben dire che esse hanno mutato la società. Non sono tanto le guerre, quanto i trattati che le seguono, ad alterare davvero il corso della storia... Il piano Marshall ha cambiato il mondo più radicalmente di quanto abbia fatto la stessa seconda guerra mondiale. Le parole rappresentano le vere armi di distruzione di massa.» «Hai eluso la mia domanda», disse lei in un tono scherzoso che gli ricordò la moglie, morta da tanto tempo. «Di che cosa ha paura Israele?» ripeté lui. «Perché non vuoi dirmelo?» «Forse perché non lo so.» «Non ci credo.» Fu tentato di dirle tutto, ma non era sopravvissuto sino a quell'età comportandosi da sciocco. Il vizio di parlare a ruota libera aveva causato la rovina di più di un uomo affermato. «Diciamo soltanto che la verità è sempre difficile da accettare. Per le persone, per le culture... e anche per le nazioni.» Stephanie fece strada attraverso il giardino sul retro e si stupì del suo aspetto curato. I fiori abbondavano: astri variopinti, kirengeshoma, verghe d'oro, viole del pensiero e crisantemi. Una terrazza formava una specie di penisola, con le lastre di pietra punteggiate di arredi in ferro battuto e altri fiori che spuntavano dai vasi decorativi. Guidò Cassiopea presso il tronco spesso di un alto acero, uno dei tre alberi imponenti che davano ombra al giardino. Guardò l'orologio. Erano le 21.43. Era arrivata sin lì spinta da un misto di rabbia e curiosità, ma il passo successivo fu quello che le fece passare irrevocabilmente il segno. «Tieniti pronta con quella pistola ad aria compressa», sussurrò. La sua complice inserì una freccia in canna. «Spero che noterai la mia
cieca adesione a questa stupidaggine.» Stephanie rifletté sulla mossa successiva. Irrompere nella casa era certamente una possibilità; Cassiopea possedeva le capacità necessarie. D'altra parte, anche bussare semplicemente alla porta poteva funzionare. In effetti quell'approccio le piaceva... La via da seguire, però, divenne chiara quando la porta posteriore si aprì e una sagoma nera uscì tra i pilastri sottili che sostenevano un basso colonnato. L'uomo era alto, indossava un accappatoio legato in vita e aveva ai piedi un paio di pantofole che strisciavano sulla terrazza. Stephanie indicò in silenzio prima la pistola a dardi, poi la sagoma. Cassiopea mirò e sparò. Si udì uno schiocco flebile, poi un sibilo accompagnò il volo della freccia. La punta acuminata colpì il bersaglio, il quale lanciò un grido e si portò la mano alla spalla. Parve armeggiare brevemente con la freccia, quindi rantolò e crollò. Stephanie lo raggiunse di corsa. «Agisce in fretta, quella roba.» «L'idea è quella. Chi è?» Fissarono l'uomo al suolo. «Congratulazioni, hai appena sparato al procuratore generale degli Stati Uniti! Adesso aiutami a trascinarlo in casa.» 33 Londra, giovedì, 6 ottobre, ore 3.15 Sabre studiava il suo portatile. Nelle ultime tre ore aveva passato in rassegna il materiale scaricato dal computer di George Haddad. Era sbalordito. Di certo le informazioni non erano meno numerose di quelle che sarebbe riuscito a spillare al palestinese in persona, senza il disturbo di costringerlo a parlare. A quanto pareva, Haddad aveva trascorso anni a fare ricerche sulla Biblioteca di Alessandria e sui leggendari Guardiani, assimilando un'impressionante congerie di dati. Un'intera serie di file riguardava un conte inglese di nome Thomas Bainbridge, sul quale aveva sentito qualche accenno da parte di Alfred
Hermann. Secondo Haddad, verso la fine del XVIII secolo, Bainbridge visitò la Biblioteca di Alessandria, poi descrisse la propria esperienza in un romanzo che, stando agli appunti, conteneva indizi sulla sua ubicazione. Haddad ne aveva trovato una copia? Era quella che Malone aveva portato via? Poi c'era l'avita proprietà di Bainbridge, a nord di Londra. Evidentemente Haddad l'aveva visitata varie volte e si era persuaso che là dentro ci fossero altri indizi, concentrati attorno a un bassorilievo di marmo e a qualcosa che s'intitolava L'Epifania di san Girolamo. Purtroppo non c'erano ulteriori spiegazioni circa l'importanza dei due elementi. Infine c'era la cerca dell'eroe. Un'ora prima aveva trovato un resoconto di quanto era accaduto cinque anni addietro a casa di Haddad, in Cisgiordania, e lo aveva letto con interesse. Riordinò mentalmente gli avvenimenti, eccitato e incuriosito. «Dite che la Biblioteca esiste ancora?» domandò Haddad al Guardiano. «L'abbiamo protetta per secoli. Abbiamo salvato ciò che sarebbe andato perduto a causa dell'ignoranza e dell'avidità.» Haddad sventolò la busta che il suo ospite gli aveva porto. «Questa cerca dell'eroe mi mostrerà la via?» L'uomo annuì. «Per chiunque sia in grado di capire, la strada sarà evidente.» «E se non fossi in grado di capire?» «Allora non ci vedremo mai più.» Haddad soppesò le varie possibilità. «Temo sia meglio che quanto voglio apprendere rimanga nascosto.» «Perché dite questo? Non bisogna mai temere la conoscenza. Ho familiarità col vostro lavoro... Sono anch'io uno studioso dell'Antico Testamento; per questo sono stato scelto come vostro Guardiano.» Il volto dell'uomo più giovane s'illuminò. «Disponiamo di fonti che non potete nemmeno immaginare! Testi originali, corrispondenze, analisi... Scritti di uomini antichi che sapevano assai più di voi o di me. La mia padronanza dell'ebraico antico non è al livello della vostra. Sapete, per un Guardiano sono previsti diversi gradi di apprendimento e l'unico modo per innalzarsi è conseguire dei risultati. Io, come voi, sono affascinato dall'interpretazione cristiana dell'Antico Testamento, dal modo in cui il testo sacro è stato manipolato. Voglio apprendere di più e voi, signore, potete insegnarmi.» «Questo vi aiuterebbe a innalzarvi?»
«Dimostrare la vostra teoria sarebbe un grande risultato per entrambi.» Haddad aprì la busta. Sabre scorse le righe che descrivevano il contenuto della busta. A quanto pareva, Haddad aveva caricato nel computer una scansione del documento: le parole erano scritte in una grafia maschile, molto angolosa. Il testo era interamente in latino, ma grazie al cielo Haddad aveva tradotto il messaggio. Sabre lesse la cerca dell'eroe, la presunta via d'accesso alla Biblioteca di Alessandria. Come sono strani i manoscritti, grande viaggiatore dell'ignoto! Essi si manifestano separatamente, ma sembrano una cosa sola a quanti sanno che i colori dell'arcobaleno possono diventare un'unica luce bianca. Come trovare quel singolo raggio? È un mistero, ma visita la cappella accanto al Tejo, a Betlemme, dedicata al nostro santo patrono. Comincia il viaggio nell'ombra e terminalo nella luce, dove una stella che recede trova una rosa, trafigge una croce di legno e tramuta l'argento in oro. Trova il luogo che forma un indirizzo senza un luogo, dove si trova un altro luogo. Solo allora - come i pastori del pittore Poussin, sconcertati dall'enigma - sarai inondato dalla luce dell'ispirazione. Rimetti a posto le quattordici pietre, poi lavora con squadra e bussola per trovare la via. A mezzogiorno avverti la presenza della luce rossa, guarda la spira interminabile del serpente rosso d'ira. Attento alle lettere! Il pericolo minaccia chi giunge a gran velocità. Se il tuo cammino rimane autentico, la rotta sarà sicura. Sabre scosse la testa. Gli indovinelli non erano il suo forte e, in ogni caso, non aveva tempo di cimentarvisi. Aveva esaminato ogni file del computer. Haddad non era riuscito a decifrare il messaggio. Quello era un grosso problema. Lui non era uno storico, né un linguista o un biblista. Il sedicente esperto era Alfred Hermann, ma Sabre si domandava quanto, in realtà, ne capisse l'austriaco. Erano entrambi opportunisti che tentavano di trarre il massimo profitto da un'occasione unica. Per ragioni diverse, però. Hermann stava cercando di forgiare un retaggio, d'imprimere il proprio sigillo sull'Ordine del Toson d'Oro. Forse anche di agevolare l'ascesa al
potere di Margarete: sapeva Dio se quella ragazza non aveva bisogno d'aiuto! Sabre sapeva che lei lo avrebbe eliminato non appena Hermann fosse uscito di scena, ma se fosse riuscito ad anticiparla - a restare sempre un passo avanti, poco fuori della sua portata - forse l'avrebbe spuntata. Ciò che lui bramava era un biglietto gratuito per la vetta... Un posto al tavolo, insomma. Usare il potere come moneta di scambio pur di diventare, a tutti gli effetti, un membro dell'Ordine del Toson d'Oro. Se la perduta Biblioteca di Alessandria conteneva davvero ciò che Alfred Hermann riteneva probabile contenesse, il suo possesso avrebbe avuto un valore superiore a qualsiasi patrimonio di famiglia. Il suo cellulare squillò. Sul display apparve il nome della sua agente. Alla buon'ora! Le rispose. «Malone si è rimesso in movimento», disse la donna. «Dannatamente presto. Cosa vuoi che faccia?» «Dov'è andato?» «Ha preso la Tube per Victoria Station, poi un treno diretto a nord.» «L'Oxfordshire è lungo il tragitto?» «Ci passerà proprio in mezzo.» A quanto pareva, anche Malone era un tipo curioso. «Hai procurato i rinforzi che ti ho chiesto?» «Sono qui.» «Aspettami a Victoria Station. Sto arrivando.» Interruppe la comunicazione. Era il momento di dare inizio alla fase successiva. Stephanie gettò un bicchiere d'acqua in faccia a Brent Green. Avevano trascinato il suo corpo inerte in cucina e lo avevano assicurato a una sedia col nastro adesivo che Cassiopea aveva trovato in un cassetto. Il procuratore generale sussultò, riprese conoscenza e scosse la testa per liberare gli occhi dall'acqua. «Dormito bene?» gli domandò lei. Green non era ancora rinvenuto del tutto, così lo aiutò con un'altra doccia. «Basta!» esclamò lui, con le palpebre spalancate e la faccia e l'accappatoio zuppi. «Immagino che abbiate una buona ragione per avere infranto tante leggi federali.» Pronunciò quelle parole con la velocità della melassa e il tono di un impresario di pompe funebri, il che era abbastanza normale per Green. Stephanie non lo aveva mai sentito parlare ad alta voce o in
fretta. «Senti chi parla, Brent! Per chi lavori?» Green si guardò i polsi e le caviglie bloccati. «E io che pensavo che il nostro rapporto stesse filando a gonfie vele!» «Infatti. Finché non mi hai tradito.» «Stephanie... Da anni sento dire che sei una mina vagante, ma è un tratto che in te ho sempre ammirato. Ora come ora, però, comincio a vedere l'altra faccia della medaglia.» Lei gli si avvicinò. «Non mi fidavo di te, ma quando hai tenuto testa a Daley ho pensato che forse... Ebbene, mi sbagliavo.» «Hai idea di cosa succederebbe se la mia scorta passasse a dare un'occhiata? Cosa che, peraltro, fa ogni sera.» «Bel tentativo. Te li sei tolti di torno da mesi. Dicevi che una scorta non sarebbe stata necessaria a meno che il livello di rischio fosse elevato e, al momento, non lo è.» «Come sai che non ho premuto il pulsante d'emergenza, prima di cadere sulla terrazza?» Lei si tolse dalla tasca la trasmittente che portava con sé. «Io ho premuto il mio, Brent, quand'ero al parco. Sai cos'è successo? Un accidenti di niente!» «Potrebbe essere diverso, nel mio caso.» Lei sapeva che Green, come tutti i membri anziani dello staff, portava addosso un pulsante d'emergenza che avrebbe trasmesso immediatamente l'allarme alla scorta di sicurezza o al centro di comando dei Servizi Segreti. Poteva anche servire per localizzarlo. «Ti ho guardato le mani», disse lei. «Entrambe vuote. Eri troppo occupato a cercare di capire cosa ti avesse punto.» Il volto di Green s'irrigidì mentre fissava Cassiopea. «Mi ha sparato lei?» Cassiopea rispose con un cortese inchino. «Al suo servizio.» «Che sostanza è?» «Un agente ad azione rapida che ho trovato in Marocco. Veloce, indolore e di breve durata.» «Già, me ne sono accorto.» Green tornò a rivolgersi a Stephanie. «La tua amica dev'essere Cassiopea Vitt. Conosceva tuo marito Lars, prima che lui si uccidesse.» «Come diamine fai a saperlo?» Almeno da quella parte dell'oceano Atlantico, Stephanie non aveva parlato a nessuno di quello che era successo.
Soltanto Cassiopea, Henrik Thorvaldsen e Malone lo sapevano. «Chiedimi quello che sei venuta a chiedermi», la incalzò Green, con quieta determinazione. «Perché hai richiamato la mia scorta? Mi hai lasciata a chiappe scoperte per gli israeliani. Ammettilo: l'hai fatto.» «L'ho fatto.» Quella confessione la stupì; era troppo abituata alle menzogne. «Pur sapendo che i sauditi avrebbero cercato di uccidermi?» «Sapevo anche questo, sì.» Lei sentì montare la rabbia e combatté l'impulso di scagliarglisi contro. «Sto aspettando», disse semplicemente. «Ms Vitt, sarebbe disposta a tenere d'occhio questa donna finché la faccenda non sarà conclusa?» chiese Green. «Perché, te ne frega qualcosa?» sbottò Stephanie. «Non sei il mio angelo custode!» «Qualcuno dovrà farsene carico. Chiamare Heather Dixon non è stata una mossa intelligente. Non stai agendo razionalmente.» «Come se avessi bisogno di sentirmelo dire da te!» «Ma guardati! Eccoti qui, fresca come una rosa dopo avere aggredito il primo tutore della legge degli Stati Uniti, sapendo poco o nulla. I tuoi nemici, d'altro canto, hanno accesso a un mare d'informazioni riservate, che stanno adoperando a loro pieno vantaggio.» «Di che diavolo stai blaterando? In ogni caso, non hai risposto alla mia domanda!» «È vero. Volevi sapere perché ho richiamato la tua scorta. La risposta è semplice: mi è stato chiesto di farlo e io l'ho fatto.» «Chi te l'avrebbe chiesto?» Gli occhi di Green la scrutarono con lo sguardo imperturbabile di un Buddha. «Henrik Thorvaldsen.» 34 Bainbridge Hall, Inghilterra, ore 5.20 Malone ammirò il bassorilievo marmoreo nel giardino. Lui e Pam avevano viaggiato in treno per una ventina di chilometri a nord di Londra, poi
avevano preso un taxi dalla vicina stazione sino a Bainbridge Hall. Malone aveva letto tutti gli appunti di Haddad nascosti nella cartella e aveva sfogliato il romanzo, sforzandosi di cogliere il senso di quanto stava accadendo e riandando a tutte le discussioni che lui e Haddad avevano sostenuto nel corso degli anni. Era giunto alla conclusione che il suo vecchio amico aveva portato con sé nella tomba la cosa più importante. In alto si spiegava un cielo di velluto. Una fredda corrente d'aria notturna lo fece rabbrividire. L'erba curata si stendeva dal giardino in un mare di peltro; i cespugli e gli arbusti formavano isole d'ombra. L'acqua danzava in una fontana vicina. Aveva deciso che una visita antelucana sarebbe stata il modo migliore per apprendere qualcosa e aveva ottenuto in prestito dal portiere una torcia elettrica. Il parco non aveva steccati né, a quanto vedeva, sistemi d'allarme. La casa vera e propria, pensò, sarebbe stata un'altra faccenda. Stando a ciò che aveva letto negli appunti di Haddad, la tenuta era un piccolo museo: uno delle centinaia di proprietà della Corona britannica. Diverse stanze al pianterreno erano illuminate e lui distinse, attraverso i vetri privi di tende, quella che sembrava una squadra delle pulizie all'opera. Tornò a concentrare l'attenzione sul bassorilievo. Il vento fece stormire gli alberi, poi salì a spazzare le nuvole. La luce lunare sfumò, ma i suoi occhi erano ormai abituati a quella coltre misteriosa. «Hai intenzione di dirmi cos'è questo coso?» domandò Pam. Era stata insolitamente silenziosa durante il viaggio. Lui puntò la luce sull'immagine incisa nel marmo. «È la copia di un dipinto intitolato I Pastori d'Arcadia II. Thomas Bainbridge si è dato un gran daffare per farlo scolpire.» Le riferì quanto Haddad aveva scritto riguardo quell'immagine, poi illuminò le lettere sottostanti. D O.V.O.S.V.A.V.V. M «Di queste cos'ha detto?» domandò Pam. «Neanche una parola. Soltanto che si tratta di un messaggio e che ce ne sono altri all'interno della casa.» «Il che spiega ampiamente il motivo per cui ci troviamo qui alle cinque di mattina.» Lui colse la sua irritazione. «Non mi piace la ressa.» Pam avvicinò gli occhi al bassorilievo. «Chissà perché ha separato così la D e la M.»
Malone non ne aveva idea, ma una cosa era chiara: la scena bucolica dei Pastori d'Arcadia II ritraeva una donna intenta a osservare tre pastori riuniti attorno a una tomba di pietra, ciascuno dei quali indicava le lettere incise su di essa: ET IN ARCADIA EGO. Conosceva la traduzione. E in Arcadia io. Un'iscrizione enigmatica, priva di senso. Lui, però, aveva già visto quelle parole... In Francia, all'interno di un codice del XVI secolo che descriveva ciò che i Cavalieri Templari erano segretamente riusciti a compiere nei mesi precedenti il loro arresto in massa nell'ottobre del 1307. Et in arcadia ego. L'anagramma di I tego arcana dei. Io nascondo i segreti di Dio. Disse a Pam di quella frase. «Non dirai sul serio!» commentò lei. Lui scrollò le spalle. «Ti sto solo dicendo quello che so.» Dovevano esplorare la casa. Da una distanza di sicurezza nel giardino, tra cinte di altissimi cedri, studiò il pianterreno. Le luci si accendevano e si spegnevano man mano che gli addetti alle pulizie progredivano nel loro lavoro. La porta che dava sulla terrazza posteriore era tenuta aperta da un paio di sedie. Vide uscire un uomo con due sacchi pieni di rifiuti, che gettò in un mucchio per poi scomparire nuovamente all'interno. Diede un'occhiata all'orologio: le 5.40. «Dovrebbero finire a momenti. Quando se ne saranno andati dovremmo avere un paio d'ore prima che arrivi qualcuno; questo posto non apre sino alle dieci.» Lo aveva saputo da un cartello vicino all'ingresso principale. «Inutile dire quanto sia pazzesco tutto questo!» «Hai sempre voluto sapere cosa facevo per vivere e io non ho mai potuto dirtelo... Top secret e stronzate simili. È ora che tu lo scopra.» «Preferivo non saperlo.» «Non ci credo. Ricordo come t'irritavi.» «Sì, ma nessuno mi sparava addosso!» Lui sorrise. «Vedilo come il tuo rito d'iniziazione... Prego, dopo di te.» Sabre guardò le sagome scure di Cotton Malone e della sua ex moglie confondersi con gli alberi dietro Bainbridge Hall. Malone si era precipitato nell'Oxfordshire, il che era un bene: tutto dipendeva dalla curiosità di lui. Anche la sua agente aveva lavorato bene... Aveva assoldato i tre uomini di
rinforzo che lui aveva richiesto e gli aveva fatto recapitare un'arma. Trasse un paio di lunghi respiri e accolse con piacere la frizzante aria notturna, poi estrasse la Sig Sauer dalla tasca della giacca. Era ora d'incontrare Cotton Malone. Malone si avvicinò alla porta posteriore aperta tenendosi di lato, immerso nell'ombra. Sbirciò all'interno. La stanza era un raffinato salone. Una luce tremolante pioveva dal soffitto a volta, illuminando gli arredi dorati e le pareti rivestite di pannelli e ravvivate da arazzi e dipinti. Non si vedeva nessuno in giro, ma lui udì il ronzio di una lucidatrice e il vociare di una radio al di là delle arcate. Fece un cenno a Pam ed entrarono insieme. Lui non sapeva nulla della planimetria della casa, ma un cartello gli disse che si trovava nella Stanza di Apollo. Ricordò quello che Haddad aveva scritto. Nel salone di Bainbridge Hall ci sono altre tracce dell'arroganza di Bainbridge. Il titolo è particolarmente indicativo: L'Epifania di san Girolamo... Affascinante e appropriato, giacché le grandi imprese cominciano spesso con un'epifania. Dovevano trovare il salone. Malone condusse Pam a una delle uscite che dava su un vestibolo dotato delle linee maestose del transetto di una cattedrale, con archi eloquentemente ammonticchiati uno sopra l'altro. Era interessante, quel brusco cambiamento di stile architettonico... Una luce più tenue ammorbidiva i profili dei mobili, ridotti a ombre grigie. All'interno di una delle arcate scorse un busto. Avanzò cautamente sul pavimento di marmo, facendo attenzione a non produrre rumori con le suole di gomma, e scoprì le fattezze di Thomas Bainbridge. Il suo volto di uomo di mezza età era tutto solchi e curve: la mascella serrata, il naso a becco, i freddi occhi socchiusi... Da quanto aveva letto negli appunti di Haddad, Bainbridge era stato un uomo erudito in scienza e letteratura, oltre che un collezionista che acquistava opere d'arte, libri e sculture con calcolato giudizio. Era stato anche un tipo avventuroso: aveva viaggiato in Arabia e in Medio Oriente, in un'epoca in cui quei luoghi erano familiari al mondo occidentale più o meno quanto la luna. «Cotton», lo chiamò Pam a bassa voce. Si voltò. Lei si era avvicinata a un tavolo su cui erano impilati dei dépliant. «La pianta della casa!» Malone si avvicinò e raccolse una piantina. Rapidamente localizzò una
stanza denominata SALONE e si orientò di conseguenza. «Da quella parte.» La lucidatrice e la radio continuavano a duellare al piano di sopra. Lasciarono il vestibolo in penombra e si addentrarono per gli ampi corridoi sino a raggiungere una sala illuminata. «Però!» esclamò Pam. Anche lui ne rimase colpito. Quello spazio grandioso ricordava il vestibolo del palazzo di un imperatore romano: un altro impressionante contrasto col resto della dimora. «Questo posto è come l'Epcot Center di Disneyworld: a ogni stanza si cambia epoca e Paese», osservò. L'intenso bagliore di un lampadario illuminava scale di marmo bianco, rivestite al centro da una passatoia marrone scuro. I gradini salivano a un peristilio con colonne ioniche scanalate. Una ringhiera di ferro nero, tutta riccioli e volute, collegava le colonne di marmo rosa. Nicchie su entrambi i lati ospitavano busti e statue, come nella galleria di un museo. Malone guardò in alto: il soffitto non sarebbe stato fuori posto nella cattedrale di St Paul. Scosse la testa. Nulla, all'esterno, faceva pensare a una simile opulenza. «Il salone si trova in cima a quelle scale», disse. «Mi sento come se stessimo andando a far visita alla regina», commentò Pam. Seguirono l'elegante passatoia su per le scale senza corrimano. In cima, una porta a due battenti rivestita di legno si apriva su una stanza buia. Malone premette un interruttore e un altro lampadario, fatto di zanne di animali, illuminò un salone ingombro dall'aria confortevole e vissuta, con le pareti coperte di velluto color zuppa di piselli. «Non mi sarei aspettato niente di meno, dopo quell'ingresso.» Chiuse la porta. «Cosa stiamo cercando?» s'informò Pam. Lui studiò i dipinti alle pareti, soprattutto ritratti di personalità del XVI e XVII secolo. Nessuno che lui riconoscesse. Sotto i ritratti c'erano file di librerie in legno d'acero. Il suo occhio di bibliofilo notò subito che si trattava di volumi innocui, messi lì per far scena ma privi di valore storico o letterario. Sopra gli scaffali erano collocati vari busti in bronzo: anche tra essi, nessuna immagine familiare. «L'Epifania di san Girolamo», disse. «Forse è uno di quei ritratti.»
Pam girò per la stanza, studiando ogni immagine. Lui le contò. Quattordici. Ritraevano soprattutto donne in abiti raffinati o uomini con parrucche e vesti fluenti in voga trecento anni prima. Due divani e quattro sedie formavano una U davanti a un focolare di pietra. Malone immaginò che Thomas Bainbridge avesse probabilmente trascorso molto tempo in quel luogo. «Nessuno di questi quadri ha a che vedere con san Girolamo», concluse Pam. Lui era perplesso. «George ha scritto che si trova qui.» «Una volta, forse. Adesso non c'è più.» 35 Washington, DC Stephanie fissò Brent Green e la sua maschera impassibile si sciolse in uno sguardo sbalordito. «Thorvaldsen ti avrebbe detto di richiamare i miei rinforzi? E comunque, come fai a conoscerlo?» «Conosco parecchia gente.» Indicò il nastro adesivo che lo bloccava. «Benché al momento mi trovi alla tua mercé.» «Richiamare i suoi rinforzi è stata una sciocchezza», dichiarò Cassiopea. «Cosa sarebbe successo se io non mi fossi trovata lì?» «Henrik ha detto che ci saresti stata e che potevi gestire la situazione.» Stephanie si sforzò di controllare la rabbia. «Intanto ero io a rischiare le chiappe!» «Sei stata tu a metterle stupidamente in pericolo.» «Non pensavo che la Dixon mi avrebbe aggredito!» «Per l'appunto: non stai agendo razionalmente.» Green indicò nuovamente con la testa il nastro adesivo. «Questo è un altro esempio di stupidità. Contrariamente a quanto possiate pensare, la mia scorta passerà qui tra breve. Lo fanno sempre. Per quanto io apprezzi la privacy, non sono un incosciente, a differenza di te.» «Cosa stai combinando? Perché t'immischi in questa storia? Stai forse lavorando con Daley? Prima tu e lui avete messo in piedi quello spettacolino da circo esclusivamente a mio beneficio?» domandò lei. «Non ho né il tempo né la pazienza per gli spettacolini da circo.» Stephanie non si lasciò impressionare. «Ne ho abbastanza di menzogne. Il figlio di Malone è stato rapito a causa mia. Cotton si trova a Londra in
questo momento, in compagnia di una squadra della morte israeliana. Non mi riesce di reperirlo, perciò non lo posso avvisare. La vita di George Haddad potrebbe essere in pericolo. Come se tutto questo non bastasse, scopro che il mio capo mi ha lasciata col culo all'aria, pur sapendo che i sauditi vogliono uccidermi. Cosa dovrei pensare?» «Che il tuo amico Henrik Thorvaldsen è stato così premuroso da affiancarti un'alleata. Che l'altro tuo amico, cioè io, ha deciso che quell'alleata avrebbe lavorato meglio da sola. Che ne pensi? Ti pare sensato?» Lei ponderò quelle parole. «C'è anche un'altra cosa», aggiunse Green. Lei lo guardò torva. «A questo amico in particolare interessa molto quello che ti succede.» Malone era irritato. Era venuto a Bainbridge Hall sperando di trovare risposte. Gli appunti di Haddad lo avevano guidato sin lì... Eppure, niente. «Forse c'è un altro salone?» azzardò Pam. Malone controllò il dépliant e stabilì che quello era l'unico spazio con quel nome. Che cosa gli sfuggiva? Proprio allora si accorse di qualcosa: accanto a una delle nicchie delle finestre - dove ricche vetrate colorate attendevano il sole del mattino -brillava uno spicchio di parete nuda. I ritratti riempivano tutto il resto dello spazio disponibile, tranne in quel punto. Il flebile contorno di un rettangolo si profilava chiaramente sulla parete. Corse verso la superficie bianca. «Uno è sparito!» «Cotton... Non è per fare la difficile, ma credo che abbiamo fatto un buco nell'acqua.» Lui scosse la testa. «George ci voleva qui.» Si mise a camminare per la stanza, pensieroso, poi si rese conto che non avevano tempo da perdere. Una squadra di pulizia avrebbe potuto passare da quella parte... Anche se aveva la pistola di Haddad e quella del Secco, non voleva usare nessuna delle due. Pam stava esaminando i tavoli alle spalle dei due divani. Libri e riviste erano artisticamente disposti tra sculture e vasi di piante. Studiò uno dei gruppi bronzei più piccoli: raffigurava un uomo non più giovane, con la pelle vizza e il corpo muscoloso coperto solo da un perizoma. La figura era appollaiata su una roccia e il suo volto barbuto appariva concentrato su un libro. «Devi vedere questo», disse lei. Lui si avvicinò e lesse ciò che era inciso alla base della statua:
SAN GIROLAMO DOTTORE DELLA CHIESA Era stato così occupato a cercare qualcosa di complicato che l'ovvio gli era sfuggito. Pam indicò un libro proprio sotto la scultura. «L'Epifania di san Girolamo», lesse. Malone esaminò il dorso del volume. «Che occhio!» Lei sorrise. «So rendermi utile.» Lui afferrò il pesante blocco di bronzo e lo sollevò. «Allora fallo. Prendi il libro.» Stephanie non sapeva bene come prendere le parole di Brent Green. «Cosa vorresti dire con 'questo amico in particolare'?» «Mi riesce un po' imbarazzante discuterne, date le circostanze.» Lei notò qualcosa di curioso negli occhi di Green: ansia. Per cinque anni era stato il bulldog dell'amministrazione in tante battaglie contro il Congresso, la stampa e i gruppi di pressione. Era un professionista consumato, un avvocato che perorava la causa governativa sul palcoscenico nazionale... ma era anche profondamente religioso e, a quanto lei sapesse, al suo nome non era mai stata collegata neppure l'ombra di uno scandalo. «Diciamo soltanto che mi sarebbe dispiaciuto se tu fossi finita ammazzata dai sauditi», rispose in un mezzo sussurro. «Non è una grande consolazione, ora come ora.» «Come la mettiamo con la scorta?» domandò Cassiopea. «Ho la sensazione che non stesse bluffando, a quel proposito.» «Controlla davanti alla casa e tieni d'occhio la strada», ordinò Stephanie, facendole capire con uno sguardo di voler restare sola con Green per qualche minuto. Cassiopea uscì dalla cucina. «Okay, Brent. Cos'è che vuoi dirmi e che non potevi dire di fronte a lei?» «Quanti anni hai, Stephanie? Sessantuno?» «Non parlo mai della mia età.» «Tuo marito è morto da una dozzina d'anni. Dev'essere stata dura... Io non mi sono mai sposato, perciò non posso sapere come sia perdere il coniuge.» «Non è facile. Cosa c'entra, comunque?» «So che tu e Lars eravate già separati, quando lui è morto. È ora che co-
minci a fidarti di qualcuno.» «Caspita! Sta' a sentire il piano: fisso una serie di colloqui, così tutti compresi quelli che cercano di ammazzarmi - avranno la possibilità di convincermi della loro affidabilità.» «Henrik non sta cercando di ammazzarti. Cassiopea nemmeno. Cotton Malone neppure.» S'interruppe brevemente. «E neanch'io.» «Hai richiamato la mia scorta, pur sapendo che ero nei guai.» «Cosa credi che sarebbe successo se non l'avessi fatto? I tuoi due agenti avrebbero fatto irruzione sulla scena e ci sarebbe stata una sparatoria. Cos'avresti risolto?» «Avrei arrestato Heather Dixon.» «Il mattino successivo sarebbe stata libera, dietro intervento del ministro degli Esteri e forse addirittura del presidente stesso. Tu saresti stata licenziata e i sauditi ti avrebbero ucciso con comodo... E sai perché? Perché non sarebbe importato a nessuno!» Non faceva una piega. Accidenti a lui. «Ti sei mossa troppo in fretta e non hai pensato abbastanza.» Lo sguardo di Green si era ammorbidito e lei vi vide qualcos'altro che non aveva mai visto prima. Preoccupazione. «Ti ho offerto il mio aiuto e tu lo hai rifiutato. Ora ti dirò ciò che non sai... Ciò che non ti ho detto allora.» Lei attese. «Ho permesso che il file sul Rapporto Alexandria fosse violato.» Malone aprì il libro su san Girolamo: un volume sottile, contenente settantatré fogli ingialliti. L'edizione era del 1845. Lo sfogliò, per farsi un'idea del contenuto. Girolamo era vissuto dal 342 al 420 d.C. Padroneggiava il latino e il greco, benché da giovane non si fosse sforzato più di tanto di controllare i propri istinti di gaudente. Era stato battezzato dal papa nel 360 e da allora si era dedicato a Dio. Nei sessant'anni successivi aveva viaggiato, scritto trattati e difeso la fede, divenendo un padre riconosciuto della religione cristiana. Aveva tradotto dapprima il Nuovo Testamento e poi, negli ultimi anni della sua vita, anche l'Antico direttamente dall'ebraico in latino; il frutto delle sue fatiche, la Vulgata, fu proclamato testo autorevole della Chiesa Cattolica dal Concilio di Trento, 1100 anni più tardi. Tre parole saltarono all'occhio di Malone.
Eusebius Hieronymus Sophronius. Il nome di battesimo di Girolamo. Pensò al romanzo nella cartella di cuoio: Viaggio di un eroe, di Eusebius Hieronymus Sophronius. A quanto pareva, Thomas Bainbridge aveva scelto il proprio pseudonimo con grande cura. «Niente?» domandò Pam. «Anche troppo.» L'eccitazione sfumò, sostituita dal brivido di una consapevolezza spiacevole. «Dobbiamo andarcene.» Corse alla porta, spense le luci e aprì. Il corridoio di marmo incombeva, immerso nel silenzio. La radio era ancora accesa in qualche stanza lontana; stava trasmettendo un avvenimento sportivo, poiché si sentivano vociare il pubblico e il commentatore. La lucidatrice taceva. Malone condusse Pam in cima alle scale. Tre uomini irruppero nel corridoio di sotto, armi alla mano. Uno sollevò la pistola e sparò. Malone gettò a terra Pam. Il proiettile rimbalzò contro la pietra. Lui rotolò e spinse rapidamente Pam dietro una delle colonne. Vide una smorfia di dolore sul volto della donna. «La spalla», gli disse. Altri tre proiettili cercarono di raggiungerli attraverso il marmo. Malone strinse l'automatica di Haddad e si preparò. Sino a quel momento, nessuno sparo era stato accompagnato da rumori forti... C'erano stati soltanto schiocchi, come di cuscini sprimacciati. Silenziatori. Lui, se non altro, aveva il vantaggio di trovarsi in posizione sopraelevata. Dall'alto avvistò due uomini armati che avanzavano verso il lato destro del piano inferiore, mentre il terzo restava sulla sinistra. Non poteva permettere che i due si piazzassero lì - sarebbero stati in grado di sparare dietro la colonna - quindi fece fuoco. Il proiettile non andò a segno, ma giunse così vicino a colpire che gli aggressori esitarono quel tanto che bastò a Malone per aggiustare la mira e servire una pillola di piombo al leader, che gridò e piombò a terra con un tonfo. L'altro balzò in cerca di copertura, ma Malone riuscì a sparare un altro colpo che costrinse l'inseguitore a battere in ritirata verso l'ingresso del corridoio. Il sangue dell'uomo caduto formava una pozza di un rosso brillante sul marmo bianco. Altri colpi esplosero verso di loro. L'aria puzzava di spari.
Nella pistola di Haddad restavano cinque proiettili, ma Malone aveva anche quella che aveva preso al Secco... Altri cinque colpi, forse. Riconobbe la paura negli occhi di Pam, che però - tutto considerato - stava mantenendo il sangue freddo. Pensò di tornare nel salone: la porta a due battenti, se barricata con qualche mobile, avrebbe potuto regalare loro qualche minuto per scappare da una finestra... Ma si trovavano al primo piano, il che avrebbe certamente creato ulteriori difficoltà. In ogni caso quella poteva essere la loro unica via di fuga, a meno che gli uomini di sotto volessero esporsi ed entrare nella sua linea di fuoco. Ipotesi improbabile. Uno degli uomini si affrettò a raggiungere la base delle scale e gli altri ne coprirono l'avanzata con quattro colpi, che rimbalzarono contro la parete alle spalle sue e di Pam. Malone doveva conservare le munizioni: non poteva sparare a meno che fosse indispensabile. Si rese conto di quello che stavano facendo. Per poter sparare a uno, avrebbe dovuto esporsi all'altro sull'orlo della colonna. Optò dunque per qualcosa d'imprevisto, ignorando il lato sinistro e avviluppandosi al destro per spedire un proiettile nella passatoia rossa davanti ai piedi dell'aggressore che avanzava. L'uomo balzò dalla scalinata e cercò riparo. Pam si portò una mano alla spalla e lui vide il sangue: la ferita si era riaperta per le troppe sollecitazioni. Gli occhi azzurri di lei lo fissarono di rimando, colmi di paura. Due spari echeggiarono attraverso il corridoio. Niente silenziatore, stavolta. Grosso calibro. Poi il silenzio. «Salve!» gridò una voce maschile. Malone sbirciò da dietro la colonna. Fermo ai piedi della scalinata c'era un uomo alto, coi capelli biondo-rossicci brizzolati. Aveva la fronte ampia, il naso corto e il mento rotondo. Era di corporatura squadrata e indossava jeans e una camicia di tela sotto una giacca di panno. «Mi era parso che aveste bisogno d'aiuto», disse l'uomo, tenendo la pistola premuta contro il fianco destro. I due aggressori giacevano a terra e il loro sangue zampillava sul marmo. A quanto pareva, anche quel tizio era un tiratore niente male. Malone si ritrasse dietro la colonna. «Chi è lei?» «Un amico.»
«Scusi, ma sono scettico.» «Non gliene faccio una colpa. Resti lì e aspetti la polizia, se preferisce; potrà spiegare la provenienza di quei tre cadaveri.» Malone udì dei passi che si allontanavano. «Non si disturbi a ringraziarmi.» A lui venne in mente una cosa. «Come mai la squadra delle pulizie non è arrivata di corsa?» I passi si fermarono. «Sono di sopra. Svenuti.» «Opera sua?» «No.» «Qual è il suo interesse in questa faccenda?» «Lo stesso di tutti coloro che si sono introdotti qui nel cuore della notte. Cerco la Biblioteca di Alessandria.» Malone non disse nulla. «Facciamo così. Io alloggio al Savoy, nella stanza 453. Ho certe informazioni che dubito siano in vostro possesso e voi potreste averne altre che io ignoro. Se le va di parlare, venga a cercarmi... In caso contrario, probabilmente ci rivedremo lungo la strada. Sta a lei scegliere.» I tacchi ticchettarono sul pavimento con passo uniforme, svanendo nei meandri della casa. «Che diavolo era?» domandò Pam. «Il suo modo di presentarsi.» «Ha ucciso due uomini!» «Sì, e gliene sono grato.» «Cotton, dobbiamo andarcene!» «Lo so, credimi. Prima, però, dobbiamo sapere chi erano quegli uomini.» Abbandonò la protezione della colonna e corse lungo le scale di marmo. Pam lo seguì. Lui rovistò tutti e tre i cadaveri, ma non trovò documenti d'identità. «Prendi le pistole», ordinò, mettendosi in tasca sei caricatori di scorta sottratti ai corpi. «Questi qui sono arrivati pronti a combattere.» «Mi sto davvero abituando alla vista del sangue», disse lei. «Te l'avevo detto che sarebbe diventato più facile.» Ripensò all'uomo misterioso. La stanza 453 al Savoy... La sua maniera di dirgli: Puoi fidarti di me. Pam stringeva ancora il libro su san Girolamo e lui aveva con sé la cartella di cuoio presa a casa di Haddad. Pam si voltò per andarsene. «Dove stai andando?» le domandò lui.
«Ho fame. Spero che al Savoy servano un'ottima colazione.» Malone sorrise. Pam capiva in fretta. 36 Washington, DC Stephanie non era sicura di poter sopportare ancora molto. Inchiodò gli occhi in quelli di Brent Green. «Spiegati.» «Abbiamo lasciato che i file fossero violati. Tra noi c'è un traditore e noi lo - o la - vogliamo.» «Chi sarebbero questi noi?» «Il dipartimento di Giustizia. È un'indagine top secret; soltanto io e altri due ne siamo al corrente. I miei due più stretti collaboratori... Metterei la mia vita nelle loro mani.» «Ai doppiogiochisti non importerà un corno della tua fiducia.» «D'accordo, ma la falla non è nella Giustizia, bensì più in alto... Fuori del ministero. Abbiamo gettato l'esca e il pesce l'ha inghiottita.» Stephanie non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Così facendo avete messo a repentaglio la vita di Gary Malone!» «Nessuno avrebbe potuto prevederlo. Non avevamo idea che a qualcun altro, a parte israeliani e sauditi, fregasse qualcosa di George Haddad. La falla che stiamo cercando di tappare porta dritto a loro e da nessun'altra parte.» «Lo dici tu.» Stephanie ripensò all'Ordine del Toson d'Oro. «Se avessi avuto sentore del fatto che la famiglia di Malone era in pericolo, non avrei mai dato il permesso di usare quella tattica.» Lei desiderava crederlo. «Eravamo convinti che il file su Haddad contenesse informazioni relativamente innocue. Far sapere agli israeliani che Haddad era vivo non ci è sembrato granché rischioso, specie perché nel file non c'era nulla che permettesse di risalire a dov'era nascosto.» «Ma c'era una pista che portava dritta a Cotton.» «Presumevamo che, posto di fronte a una sfida, Malone avrebbe saputo cosa fare.» «Lui ormai è fuori da tutto questo, Brent!» Stephanie quasi urlò. «Non lavora più per noi. Non usiamo mettere in pericolo gli ex agenti, special-
mente a loro insaputa!» «Abbiamo valutato i rischi e deciso che valeva la pena correrli, pur di stanare la nostra talpa. Il rapimento del ragazzo ha cambiato tutto... Sono contento che Cotton sia riuscito a riprenderselo.» «Molto carino da parte tua! Sarai fortunato se non ti romperà il naso.» «La Casa Bianca è uno schifo», borbottò Green. «Un mucchio di teste di cazzo ipocrite e corrotte.» Non aveva mai sentito Green parlare così. «Non fanno che blaterare di quanto sono cristiani e quanto sono americani, ma la loro fedeltà è solo per loro stessi... e per il dollaro. Sono state prese decisioni su decisioni - tutte ammantate in una bandiera a stelle e strisce - che non servono se non a gonfiare le tasche delle grosse società... ovvero le stesse entità che hanno massicciamente contribuito alla causa del loro partito. Tutto questo mi dà la nausea! Partecipo a riunioni in cui la politica si esprime in termini di buona televisione, più che di bene per la nazione. Io resto in silenzio. Non dico niente. Faccio gioco di squadra. Ma non significa che abbia intenzione di lasciare che questo Paese si comprometta! Ho fatto un giuramento e, a differenza di tanti in quest'amministrazione, per me significa qualcosa.» «Allora perché non smascherarli per ciò che sono?» «Sinora non mi risulta che qualcuno abbia infranto la legge. Atti disgustosi, immorali, avidi? Ne ho visti a bizzeffe, ma niente d'illegale. Ti assicuro che se chiunque - compreso il presidente - avesse passato il segno, avrei agito... Ma nessuno si è spinto tanto in là.» «A parte la talpa.» «Che è esattamente il motivo per cui la faccenda m'interessa tanto. Una diga deve incrinarsi, prima di rompersi.» Lei non se la bevve. «Guardiamo in faccia la realtà, Brent: a te piace essere il primo tutore della legge e sai che non dureresti molto se dovessi metterti contro uno di loro e fallire.» Green la osservò con uno sguardo preoccupato. «Mi piace di più saperti viva.» Stephanie mise da parte i timori di lui con un gesto. «Hai trovato la talpa?» «Credo che...» Cassiopea tornò di corsa in cucina. «Abbiamo compagnia. Due uomini hanno appena accostato al marciapiede. Completi scuri e auricolari. Servizi Segreti.»
«La mia scorta che viene per il controllo serale», disse Green. «Dobbiamo andare», constatò Cassiopea. «No. Scioglietemi e ci penserò io», disse Green. Stephanie prese una decisione, una di quelle che aveva già preso centomila volte in passato. Aveva già compiuto un bel po' di scelte sbagliate, quel giorno... ma, come diceva sempre suo padre: Giusto o sbagliato, non ha importanza. L'importante è fare qualcosa. «Aspetta!» Stephanie andò al ripiano della cucina e frugò in un paio di cassetti, in cerca di un coltello. «Lo sciogliamo.» Si avvicinò a Green. «Spero di sapere quello che sto facendo.» Sabre avanzò rapidamente attraverso i boschi dell'Oxfordshire, diretto verso il luogo in cui aveva lasciato la macchina. L'alba stava sorgendo sulla campagna inglese. La bruma ammantava i campi attorno a lui e l'aria era fredda e umida. Era soddisfatto del suo primo incontro con Cotton Malone: era stato sufficiente a stuzzicare la curiosità dell'americano, dando soddisfazione a qualunque paranoia. Uccidere due degli uomini che aveva assoldato per aggredire Malone gli era sembrata una presentazione perfetta; avrebbe sparato a tutti e tre, se Malone non ne avesse già abbattuto uno. Sicuramente dopo che lui se n'era andato Malone aveva frugato i corpi, ma Sabre aveva fatto in modo che nessuno di loro portasse addosso documenti. Secondo le sue istruzioni, avrebbero dovuto affrontare Malone e inchiodarlo... ma dopo l'eliminazione del primo dei loro, il gioco era cambiato. Non ne fu sorpreso: a Copenhagen, Malone aveva già dimostrato di sapersela cavare. Fosse ringraziato il cielo per il registratore nell'appartamento di Haddad! Quello e le informazioni contenute nel computer gli avevano insegnato abbastanza perché potesse conquistarsi la fiducia di Malone. Ora non doveva fare altro che tornare al Savoy e aspettare. Malone sarebbe venuto. Uscì dal bosco e vide la sua auto. Dietro di essa era parcheggiato un altro veicolo e lui vide la sua agente camminare avanti e indietro. «Hai ammazzato quegli uomini!» gli gridò. «Dov'è il problema?» «Li avevo assunti io. Quanti altri pensi che potrò impiegarne, se si verrà a sapere che ammazziamo i nostri stessi uomini?» «Chi lo saprebbe? A parte te e me, beninteso.»
«Che stronzo! Ti ho guardato da fuori... Hai sparato loro alle spalle. Non se ne sono nemmeno accorti. L'avevi in mente sin dall'inizio!» Lui raggiunse l'automobile. «Sei sempre stata sveglia.» «Fottiti, Dominick! Erano miei amici!» Lui s'incuriosì. «Andavi a letto con qualcuno di loro?» «Non sono affaracci tuoi!» Lui scrollò le spalle. «Hai ragione.» «Ho chiuso con te. Basta! Trovati un altro aiutante!» Marciò decisa verso la propria vettura. «Non credo», rispose lui a voce alta. Lei girò sui tacchi per guardarlo in faccia, aspettandosi una sfuriata. Avevano già litigato, in passato... Invece, lui le sparò in faccia. Niente e nessuno lo avrebbe intralciato. Quel piano gli era costato troppa fatica! Stava per farsi beffe di uno dei più potenti cartelli economici del pianeta e un fallimento avrebbe avuto conseguenze disastrose, perciò lui non avrebbe fallito. Non sarebbe rimasta nessuna pista che portasse a lui. Aprì la portiera del veicolo e montò a bordo. Non restava che occuparsi di Cotton Malone. Stephanie si trovava in cucina, con Cassiopea al fianco, ad ascoltare Brent Green che apriva la porta d'ingresso e parlava coi due agenti dei Servizi Segreti. Se non aveva preso la decisione giusta, sarebbero state arrestate tra breve. «È una pazzia», sussurrò Cassiopea. «È la mia pazzia e non ho chiesto né a te né a Henrik d'intromettervi.» «Sei una stronza testarda.» «Senti chi parla! Avresti potuto andartene in qualsiasi momento. Un tantino testarda lo sei anche tu, direi.» Ascoltò Green parlottare del più e del meno: del tempo e del bicchiere d'acqua che si era rovesciato sulla vestaglia. Lei aveva liberato Green dalla sedia e lo aveva guardato divertita mentre si strappava il nastro adesivo dai polsi e dalle caviglie. Cos'avrebbero dato, tutti quei comici da seconda serata, per vederlo trasalire a ogni nuovo strappo che si portava via qualche pelo delle braccia e delle gambe! Poi l'uomo del New England si era prontamente lisciato i capelli umidi ed era uscito dalla cucina. Stephanie risentì le parole che Green aveva pronunciato con autentica convinzione. A questo amico in particolare interessa molto quello che ti succede.
«Se ci vende, siamo finite!» sussurrò Cassiopea. «Non lo farà.» «Cosa ti rende tanto sicura?» «Vent'anni di errori.» Green augurò la buonanotte agli agenti. Lei aprì la porta e l'osservò mentre gettava un'ultima occhiata attraverso le persiane. L'uomo si girò verso di lei e domandò: «Soddisfatta?» Lei attraversò la sala da pranzo, seguita da Cassiopea. «Okay, Brent. E adesso?» «Ti salveremo la pelle e, nel contempo, tureremo la falla.» «Non mi hai ancora detto chi è stato a provocarla.» «Infatti. Non te l'ho detto perché non lo so.» «Mi sembrava avessi detto di aver individuato la persona.» «Quello che stavo per dire è: credo che potremmo aver individuato il problema.» «Sto aspettando.» «Non ti piacerà.» «Mettimi alla prova.» «Al momento, il canale principale degli israeliani è Pam Malone.» PARTE TERZA 37 Austria, ore 7.40 Henrik Thorvaldsen odiava volare, che era poi il motivo per cui nessuna delle sue società possedeva aerei. Quando si trovava costretto ad affrontare quel disagio, sedeva sempre in prima classe e volava al mattino presto: i sedili più ampi, i servizi extra e l'ora della giornata alleviavano la sua fobia. Gary Malone, d'altro canto, pareva godersela un mondo. Aveva divorato tutta la colazione servitagli dall'assistente di volo, più buona parte di quella di Henrik. «Atterreremo presto», disse al ragazzo. «Splendido! In un giorno qualunque sarei a scuola... Invece sono in Austria!» Tra lui e Gary si era creato un legame nel corso degli ultimi due anni.
Quand'era venuto a trovare Malone per le vacanze estive, Gary aveva trascorso diverse notti a Christiangade. Sia al padre sia al figlio piaceva veleggiare col due alberi ormeggiato al molo della proprietà, acquistato tempo fa per raggiungere Norvegia e Svezia attraversando l'Øresund, ma ormai usato di rado. Anche il figlio di Thorvaldsen, Cai, aveva amato l'acqua... Quel ragazzo gli mancava terribilmente. Era morto ormai da quasi due anni, ucciso da un proiettile a Città del Messico per motivi che lui non era riuscito a scoprire. Malone si trovava laggiù in missione e aveva fatto il possibile per aiutarlo; era stato in quelle circostanze che si erano conosciuti. Non aveva mai dimenticato quanto era successo laggiù e, alla fine, aveva saputo la verità sulla morte di suo figlio. Debiti come quelli non restano mai inevasi. Passare del tempo con Gary, però, gli restituiva un poco della gioia che la vita gli aveva crudelmente negato. «Sono contento che tu sia potuto venire», disse. «Non volevo lasciarti alla tenuta.» «Non sono mai stato in Austria.» «È un posto delizioso. Folte foreste, montagne innevate, laghi alpini, panorami spettacolari.» Lo aveva osservato per tutto il giorno precedente: sembrava che Gary stesse affrontando bene quella nuova traversia, specie considerando che aveva visto morire due uomini. Quando Malone e Pam erano partiti per l'Inghilterra, Gary aveva capito le ragioni della loro partenza... Sua madre doveva tornare al lavoro e suo padre doveva scoprire perché lui era in pericolo. Christiangade era un luogo familiare e Gary vi si era fermato volentieri, ma il giorno prima - dopo aver parlato con Stephanie - Thorvaldsen aveva capito quel che c'era da fare. «Questa riunione cui devi partecipare è molto importante?» s'informò Gary. «Potrebbe esserlo. Dovrò presenziare a diversi incontri, ma ti troveremo qualcosa da fare mentre non ci sono.» «Papà sa cosa stiamo facendo? Alla mamma non l'ho detto.» Pam Malone aveva telefonato qualche ora prima per scambiare qualche parola con Gary, ma aveva riattaccato prima che Thorvaldsen riuscisse a parlarle. «Sono sicuro che uno dei due chiamerà e Jesper gli riferirà dove siamo.» Correva un rischio portando Gary con sé, ma aveva deciso che era la mossa più astuta. Se dietro il suo rapimento c'era Alfred Hermann, cosa di cui Thorvaldsen era fermamente convinto, portare Gary all'Assemblea -
dove sarebbe stato circondato da uomini e donne influenti di tutto il mondo, ciascuno col suo staff e la sua scorta di sicurezza - pareva la strada più sicura. S'interrogò sul rapimento. Dal poco che gli avevano raccontato su Dominick Sabre, l'americano era un professionista, non certo incline a impiegare collaboratori balordi come i tre olandesi che avevano incasinato il rapimento di Gary. Qualcosa non quadrava... Malone era bravo, questo glielo concedeva, ma i fatti si erano svolti con inquietante precisione. Era stata tutta una messinscena a beneficio di Malone? Un modo per pungolarlo? In tal caso Gary non correva più nessun pericolo. «Ricorda ciò di cui abbiamo parlato», disse a Gary. «Sta' attento alle parole. Anche i muri hanno orecchie.» «Capito.» Lui sorrise. «Ottimo!» Poteva soltanto sperare di aver inquadrato bene Alfred Hermann. 38 Vienna, ore 8.00 Hermann spinse da un lato la colazione. Detestava mangiare, specialmente in pubblico, ma adorava la sala da pranzo del castello. Ne aveva scelto personalmente il design e l'arredo neogotico, le finestre a cerniere, i cassettoni del soffitto con gli stemmi d'illustri Crociati e le pareti ricoperte di tele raffiguranti la conquista cristiana di Gerusalemme. Come al solito, la colazione era spettacolare e un drappello di maggiordomi in giacca bianca assisteva impeccabilmente gli ospiti. Sua figlia sedeva al capo opposto della lunga tavola e i posti restanti erano occupati da un gruppo selezionato di membri dell'Ordine - il Comitato Politico - arrivati il giorno prima per prendere parte all'Assemblea del fine settimana. «Spero che vi stiate divertendo», disse Margarete ai convenuti. I gruppi numerosi erano la sua specialità. Hermann si accorse che la figlia guardava con disapprovazione il suo piatto pieno, ma lei non disse nulla al riguardo: l'avrebbe rimproverato in privato... Come se un robusto appetito bastasse a garantire lunga vita e buona salute! Fosse stato così facile... Diversi membri del Comitato continuavano a cianciare del castello e dei suoi mobili squisiti, notando alcuni dei cambiamenti che lui aveva apporta-
to dalla primavera precedente. Sebbene fossero uomini e donne ricchi, insieme non valevano neppure un quarto della fortuna di Hermann. Ognuno di loro, però, era utile in qualche modo, perciò li ringraziò per aver notato le novità e attese. «M'interessa sapere come il Comitato Politico intende pronunciarsi all'Assemblea sul Concetto 1223», disse infine. Quell'iniziativa, adottata nel corso dell'Assemblea di primavera di tre anni prima, comprendeva un complesso piano per la destabilizzazione d'Israele e dell'Arabia Saudita. Lui aveva fatto proprio il progetto e per questo aveva coltivato le proprie fonti all'interno dei governi israeliano e americano... Fonti che, inaspettatamente, lo avevano portato a George Haddad. Il presidente del Comitato esordì: «Potresti prima dirci se le tue fatiche stanno dando i frutti sperati? Se tu non riesci, i nostri piani dovranno essere modificati». «La situazione sta evolvendo rapidamente. Ammesso che io riesca, ci sarà un mercato per l'informazione?» Un altro membro del Comitato annuì. «L'abbiamo offerta a Giordania, Siria, Egitto e Yemen. Sono tutti interessati, se non altro a sedere al tavolo delle trattative.» Lui ne fu compiaciuto. Aveva imparato che l'entusiasmo di uno Stato arabo - per beni, servizi o terrore - aveva una crescita direttamente proporzionale all'interesse delle nazioni confinanti. «È rischioso sottovalutare i sauditi», disse un altro. «Hanno legami con molti dei nostri membri. Una ritorsione potrebbe costarci cara.» «I vostri negoziatori dovranno fare in modo che restino calmi sino a quando trattare con loro non sarà vantaggioso per noi», disse lui. «Non sarebbe ora che tu ci spiegassi esattamente cosa c'è in ballo?» domandò uno dei membri. «No. Non ancora», rispose lui. «Ci stai invischiando sino al collo in qualcosa su cui francamente, Alfred, nutro qualche dubbio.» «Quali dubbi hai?» «Che cosa può ingolosire a tal punto Giordania, Siria, Egitto e Yemen, ma non l'Arabia Saudita?» «L'eliminazione d'Israele.» Nella stanza piombò il silenzio. «Sicuro, è l'obiettivo comune di tutte quelle nazioni, ma è anche impossibile. Quello Stato è destinato a sopravvivere.» «È la stessa cosa che si diceva dell'Unione Sovietica, eppure guardate
cos'è successo non appena i suoi scopi sono stati messi seriamente alla prova e poi scoperti per l'inganno che erano! La dissoluzione è stata questione di giorni.» «E tu puoi fare sì che avvenga?» domandò un altro. «Non perderei il nostro tempo, se non lo credessi possibile.» Un altro membro, che per giunta era un amico di lunga data, pareva frustrato da tanta ambiguità. Lui decise di mostrarsi un po' più conciliante. «Vi darò un indizio. Cosa succederebbe se venisse messa in dubbio la validità dell'Antico Testamento?» Alcuni ospiti scrollarono le spalle. Uno domandò: «Ebbene?» «Un'eventualità del genere potrebbe imprimere una svolta fondamentale al dibattito in Medio Oriente», dichiarò Hermann. «Gli ebrei sono tutti tesi a propugnare la correttezza della loro Torah. La Parola di Dio e tutto il resto... Nessuno li ha mai sfidati seriamente su questo piano. Ci sono state chiacchiere e congetture, ma se si potesse dimostrare incontrovertibilmente che la Torah sbaglia... Immaginate le conseguenze sulla credibilità degli ebrei! Pensate a come reagirebbero gli altri Stati mediorientali!» Diceva sul serio. Nessun oppressore era mai stato capace di sconfiggere gli ebrei, benché molti ci avessero provato: gli assiri, i babilonesi, i romani, i turchi, l'Inquisizione... persino Martin Lutero li detestava. I sedicenti figli di Dio, però, si erano testardamente rifiutati di arrendersi. Forse il loro peggior nemico era stato Hitler, eppure era stato proprio grazie a lui che il mondo aveva semplicemente concesso loro la biblica terra promessa. «Cos'hai contro Israele?» domandò una dei membri del Comitato. «Mi sono chiesta sin dall'inizio perché perdiamo tempo con questa storia.» Era vero: quella donna aveva dissentito, insieme con altre due persone. Erano nettamente in minoranza e relativamente innocue, perciò lui le aveva lasciate parlare, tanto per aggiungere al quadro una parvenza di democrazia. «Qui si tratta di ben più che Israele.» Vide che l'attenzione di tutti, anche di sua figlia, era puntata su di lui. «Se giochiamo le nostre carte nel modo giusto, potremmo riuscire a destabilizzare tanto Israele quanto l'Arabia Saudita. La sorte dell'uno è legata a quella dell'altra. Se riuscissimo a creare la giusta dose di tumulto in entrambi gli Stati, a controllarlo e poi a scegliere il momento giusto per farlo esplodere, potremmo rovesciare irrevocabilmente entrambi i governi.» Si rivolse al presidente del Comitato Politico. «Avete discusso del modo in cui i nostri membri potranno sfruttare la situazione, una volta che avremo innescato gli eventi?»
L'uomo più anziano annuì. Erano amici da decenni e lui era quasi in cima alla lista per un posto nel Circolo. «Lo scenario che immaginiamo prevede che palestinesi, giordani, siriani ed egiziani vogliano tutti ciò che noi offriamo...» «Non succederà», affermò uno degli uomini. Un altro dissidente. «Chi avrebbe mai pensato che il mondo avrebbe evacuato quasi un milione di arabi per dare una patria agli ebrei?» chiarì Hermann. «In Medio Oriente molti sostenevano che nemmeno quello sarebbe mai successo.» Aveva usato un tono aspro, dunque si sforzò di proseguire mostrandosi più accomodante. «Come minimo potremmo abbattere quello stupido muro che gli israeliani hanno eretto per controllare i loro confini. Potremmo mettere in discussione tutte le loro antiche pretese... L'arroganza sionista ne soffrirebbe, forse al punto da indurre gli Stati arabi circostanti a un'azione congiunta! Per non parlare dell'Iran, il cui più grande desiderio sarebbe annientare totalmente Israele. Per loro sarà una benedizione.» «Come potremmo provocare tutto questo?» «Col sapere.» «Non dirai sul serio! Non dobbiamo fare altro che imparare qualcosa?» Non si era aspettato una discussione tanto schietta, ma quello era il suo momento. Il Comitato raccolto attorno al suo tavolo da pranzo era incaricato dallo statuto dell'Ordine di formulare la linea politica del collettivo, strettamente connessa con le iniziative del Comitato Economico, poiché, per l'Ordine, politica e profitto erano sinonimi. Il Comitato Economico aveva posto l'obiettivo di aumentare di almeno il trenta per cento le entrate dei membri disposti a realizzare massicci investimenti in Medio Oriente. Uno studio era stato avviato, si era determinato un investimento iniziale in euro, erano stati stimati i potenziali profitti alle attuali condizioni economiche e politiche e ipotizzati diversi scenari. Alla fine l'obiettivo del trenta per cento era stato giudicato realizzabile, ma i mercati del Medio Oriente erano limitati, nel migliore dei casi, dal fatto che l'intera regione poteva esplodere alla più minuscola provocazione. Ogni giorno portava con sé la possibilità di un nuovo disastro, perciò il Comitato Politico si era fatto carico di perseguire la stabilità in quell'area. I metodi tradizionali - bustarelle e minacce - non erano efficaci con gente abituata a legarsi esplosivi al petto. Gli uomini che prendevano le decisioni importanti in luoghi come la Giordania, la Siria, il Kuwait, l'Egitto e l'Arabia Saudita erano decisamente troppo ricchi, troppo sorvegliati e troppo fanatici. L'Ordine era arrivato a capire che occorreva trovare una nuova forma di valuta... Di un tipo che
Hermann contava di possedere presto. «La conoscenza è di gran lunga più potente di qualunque arma», disse in un lieve sussurro. «Dipende dalla conoscenza», dichiarò uno dei membri. «Il successo dipenderà dalla nostra capacità di divulgare quanto apprenderemo ai compratori giusti, al giusto prezzo e al momento giusto.» «Ti conosco, Alfred», disse uno degli uomini più anziani. «Hai già preparato un piano accurato.» Lui sorrise. «Finalmente la situazione sta progredendo. Ora anche gli americani sono interessati, il che ci apre un nuovo ventaglio di possibilità.» «Che c'entrano gli americani?» domandò Margarete, impaziente. La domanda lo irritò. Sua figlia doveva imparare a dissimulare la vastità di ciò che non sapeva. «Sembra che pure negli Stati Uniti ci siano persone potenti che desiderano umiliare Israele. Pensano che la politica estera americana ne trarrebbe beneficio.» «Com'è possibile tutto questo?» domandò un membro del Comitato. «Arabi e arabi, come arabi ed ebrei, si fanno la guerra da migliaia di anni. Cosa può esserci di tanto spaventoso?» Aveva stabilito un obiettivo molto alto - tanto per sé quanto per l'Ordine - ma una voce interiore gli diceva che il suo impegno stava per essere premiato. Così, fissò gli uomini e le donne seduti di fronte a lui e dichiarò: «Dovrei conoscere la risposta a questa domanda entro la fine del weekend». 39 Washington, DC, ore 3.30 Stephanie si lasciò cadere sulla sedia, esausta. Brent Green le sedeva di fronte, sul divano, in una posa scomposta... un'altra cosa che lei non gli aveva mai visto fare. Cassiopea si era addormentata al piano di sopra... Almeno una di loro si sarebbe riposata; lei, no di certo. Sembravano passati quarantotto giorni, invece di quarantott'ore, dall'ultima volta che era stata lì, diffidente nei confronti di Green, cauta nell'ascoltare le sue parole, furiosa con se stessa per aver messo in pericolo il figlio di Malone. Sebbene Gary Malone fosse ormai al sicuro, gli stessi dubbi su Brent Green le mu-
linavano in testa, specie considerando quello che lui le aveva detto poche ore prima. Il canale principale degli israeliani è Pam Malone. Lei agitò la lattina di Dr Pepper Diet che aveva trovato nel frigorifero di Green. «Davvero bevi questa roba?» «Stesso gusto dell'originale, ma niente zucchero. Mi sembrava una bella idea.» «Sei un tipo strano, Brent!» «Sono soltanto un uomo riservato, che tiene per sé ciò che gli piace.» Lei si sentiva il cuore stretto e la mente stanca e stava combattendo un'ansia profonda che mirava a distogliere la sua attenzione da Green. Avevano lasciato tutte le luci spente di proposito, per far credere a eventuali occhi vigili che l'occupante della casa si fosse ritirato per la notte. «Stai pensando a Malone?» le domandò lui, nel buio. «È nei guai.» «Non puoi farci niente, finché non si fa vivo.» Lei scosse la testa. «Non è una giustificazione sufficiente.» «Hai un agente a Londra. Quante probabilità ci sono di trovare Cotton?» Pochissime, in effetti. Londra era una grande metropoli e lei non sapeva neppure se Malone si trovasse ancora là... Poteva essere andato ovunque in Inghilterra. Non aveva voglia di pensare a cose impossibili, perciò chiese: «Da quanto tempo sai di Pam?» «Non molto.» La infastidiva essere tenuta fuori del giro, perciò decise che, per ottenere qualcosa, avrebbe dovuto concedere qualcosa a propria volta. «C'è un altro giocatore nella tua partita.» «Sto ascoltando.» Il tono di Green lasciava intendere che la sua curiosità era stata stuzzicata. Finalmente lei sapeva qualcosa che lui ignorava! Gli riferì ciò che aveva detto Thorvaldsen sull'Ordine del Toson d'Oro. «Henrik non mi ha mai detto una parola in proposito.» «Accidenti, che sorpresa!» Lei inghiottì un altro sorso di bibita. «Quello racconta solo ciò che vuole far sapere.» «Sono stati loro a rapire il figlio di Malone?» «Sono in cima alla mia lista.» «Questo spiega alcune cose», commentò Green. «Gli israeliani sono stati insolitamente cauti nel corso di tutta questa operazione. Noi abbiamo sventolato il Rapporto, sperando che il loro contatto al nostro interno avrebbe abboccato all'amo. Per diversi anni i loro diplomatici hanno indagato se-
gretamente su George Haddad; non li abbiamo fregati del tutto quando Malone lo ha nascosto. Hanno setacciato le rovine di quel caffè, ma la bomba aveva fatto un botto bello grosso... Eppure, anche dopo che abbiamo sventolato loro il Rapporto sotto il naso, gli israeliani sono andati coi piedi di piombo.» «Dimmi qualcosa che non so.» «Il rapimento del figlio di Malone ci ha sconcertati. Per questo ho posticipato il nostro incontro, la prima volta che mi hai chiamato per darmi la notizia.» «Pensavo l'avessi fatto perché non ti piacevo.» «Ci vuole una certa pazienza per sopportarti, ma ormai ci ho fatto il callo.» Lei sorrise. Green allungò la mano verso un piattino di cristallo pieno di noccioline salate, appoggiato sul tavolino. Anche Stephanie aveva fame, così ne prese una manciata. «Sappiamo che Israele non è responsabile del rapimento di Gary Malone», affermò Green. «Eravamo curiosi di sapere perché fossero rimasti così tranquilli quando è successo.» S'interruppe. «Dopo la tua chiamata, mi hanno detto di Pam Malone.» Lei ascoltava. «Circa tre mesi fa ha iniziato a frequentare un uomo... Un avvocato affermato, socio anziano di uno studio di Atlanta, ma anche patriota ebreo e grandissimo sostenitore d'Israele. Secondo la Sicurezza Interna avrebbe contribuito a finanziare una delle fazioni più attive del governo israeliano.» Lei sapeva che i soldi americani foraggiavano da tempo la politica israeliana. «Non immaginavo che ti occupassi di queste faccende.» «Come ripeto, Stephanie, faccio molte cose che non immagini. Ho un'immagine pubblica, è inevitabile... ma quando ho accettato questo incarico non avevo intenzione di fare il mezzobusto. Sono il primo tutore della legge del Paese e faccio il mio lavoro.» Lei notò che Green non aveva mangiato le sue noccioline. Teneva il palmo della destra aperto e la sagoma scura della mano sinistra le piluccava. «Che stai facendo?» volle sapere lei. «Cerco quelle a metà.» «Perché?» «Hanno più sale.»
«Come?» «Una nocciolina intera non è salata al centro, ma se è divisa in due e salata, avrà il doppio di sale.» «Stai scherzando!» Lui scelse un'arachide e se la lanciò in bocca. «Perché mezza nocciolina dovrebbe avere più sale di una intera?» «Non sei stata attenta al ragionamento!» fece lui, divertito. «Due metà salate, insieme, hanno più sale di una sola nocciolina intera.» Se ne lanciò in bocca un'altra. Lei non riuscì a decidere se fosse serio o stesse solo cercando d'indispettirla. Green continuò a cercare le metà. «Che te ne fai di quelle intere?» «Le tengo per ultime. Le mangio solo come ultima risorsa. Se vuoi te ne offro una in cambio di mezza.» Quel Brent Green le piaceva: c'era in lui un tocco di giocosità, un senso dell'umorismo pungente... All'improvviso Stephanie si sentì protettiva nei suoi confronti. «Vuoi fregare quei cretini arroganti della Casa Bianca tanto quanto lo voglio io. Non senti cosa dicono di te? Ti chiamano il Pio Reverendo Green. Ti nascondono un sacco di cose. Ti usano soltanto per promuovere la loro immagine.» «Mi piace pensare di non essere così meschino.» «Cosa c'è di meschino nell'inchiappettarli? Se c'è qualcuno che ne avrebbe bisogno, sono loro. Presidente compreso.» «Sono d'accordo.» Si ripulì le mani dai residui di noccioline e continuò a masticare. Stephanie cominciava davvero ad apprezzare l'uomo seduto di fronte a lei. «Dimmi qualcos'altro su Pam», gli chiese. «Lei e l'avvocato si frequentano da circa tre mesi. Sappiamo che lui è in contatto con Heather Dixon. Si sono incontrati diverse volte.» Lei era perplessa. «Mi sfugge qualcosa. Come farebbero gli israeliani a pensare che Pam possa essere coinvolta? Lei e Malone sono separati da tanto tempo. A malapena si rivolgono la parola. Per giunta, tu stesso ammetti di non credere che siano stati loro a rapire Gary.» «Gli israeliani dovevano sapere qualcosa che noi non sapevamo. Avevano previsto tutto questo... Sapevano che sarebbe accaduto e sapevano che Pam Malone si sarebbe messa in contatto con Cotton; è l'unica ipotesi sensata. Se la sono lavorata per bene. Ora dimmi di quest'Ordine del Toson d'Oro. Credo che gli israeliani sapessero anche del suo coinvolgimento e prevedessero che il ragazzo, a un certo punto, sarebbe stato preso. Forse
progettavano di farlo loro stessi.» «Pam sarebbe una spia?» «La misura del suo coinvolgimento è ignota. Purtroppo l'avvocato di Atlanta che frequentava è morto l'altroieri.» Green fece una pausa. «Gli hanno sparato in un parcheggio sotterraneo.» Niente di nuovo. Il Medio Oriente divorava spesso i propri figli. «Cosa sai di lui?» gli domandò Stephanie. «Lo tenevamo d'occhio a causa del suo ruolo in una trattativa... Armi in cambio di denaro. Ufficialmente Tel Aviv afferma di combattere tali pratiche, ma le incoraggia sottobanco. Mi hanno detto che l'avvocato si è impegnato a fondo con Pam... Ha trascorso un mucchio di tempo con lei, le ha fatto dei regali, cose così. Per essere una che vuol farsi credere tosta, Pam Malone è incredibilmente sola e vulnerabile.» Lei colse qualcosa nel suo tono di voce. «Vale anche per te?» Green non rispose immediatamente e a lei venne il dubbio di essersi spinta troppo oltre. Infine l'uomo disse in un sussurro: «Più di quanto tu possa immaginare». Stephanie avrebbe voluto approfondire l'argomento ed era lì lì per farlo, quando udì un rumore di passi sulle scale. La sagoma di Cassiopea comparve sulla soglia. «Abbiamo compagnia. Un'auto ha appena accostato al marciapiede.» Green si alzò. «Non ho visto i fari.» «È arrivata a fari spenti.» Stephanie era preoccupata. «Credevo dormissi!» «Qualcuno deve pur pensare alle cose serie.» Il telefono squillò. Nessuno si mosse. Un altro squillo. Green avanzò nell'oscurità, trovò il cordless e rispose. Stephanie notò che simulava una voce assonnata. Seguirono pochi istanti di silenzio. «Allora vieni, senz'altro. Scendo tra un momento.» Green interruppe la comunicazione. «Larry Daley è qui fuori e vuole vedermi.» «Brutto segno!» commentò Stephanie. «Forse. Non fatevi vedere. Sentiamo cosa vuole il diavolo.» 40
Londra, ore 8.15 Malone adorava il Savoy. C'era stato un po' di volte, con gli spiccioli dei governi americano e britannico. Doveva riconoscere che nella sezione Magellano le gratifiche erano state abbondanti quanto i rischi. Non metteva piede in quel luogo da diversi anni, ma fu lieto di vedere che l'albergo tardovittoriano continuava a esibire la sua grandiosa miscela di opulenza e indecenza. Lui sapeva che una notte in una stanza affacciata sul Tamigi costava più di quanto la maggior parte della gente guadagnasse in un anno... Il che sembrava indicare che il loro salvatore amava viaggiare con stile. Avevano lasciato Bainbridge Hall in tutta fretta a bordo di un furgone rubato alla squadra di pulizie, che lui aveva parcheggiato a qualche chilometro dalla stazione. Là avevano preso il treno delle 6.30 per tornare a Londra. A Paddington Station era tutto tranquillo e lui aveva preferito rinunciare al taxi e raggiungere il Savoy con la metropolitana. La spalla di Pam sembrava a posto: l'emorragia era cessata. Dentro l'albergo, Malone trovò un telefono e chiese di essere collegato con la stanza 453. «Avete fatto in fretta», disse la voce all'altro capo del filo. «Che cosa vuole?» «In questo momento ho fame, perciò la mia massima priorità è la colazione.» Malone afferrò il messaggio. «Okay, scenda.» «Che ne direbbe di trovarci al bar tra dieci minuti? Hanno un buffet delizioso.» «L'aspetteremo.» L'uomo che apparve al loro tavolo era lo stesso di due ore prima, ma indossava pantaloni di cotone verde oliva e una camicia a righine diagonali marrone chiaro. Il bel volto rasato trasudava benevolenza e cortesia. «Mi chiamo McCollum. James McCollum. Tutti mi chiamano Jimmy.» Malone era troppo stanco e sospettoso per essere cordiale, ma si alzò per le presentazioni di rito. La stretta di mano dell'uomo era salda e fiduciosa e i suoi occhi verde giada lo guardarono di rimando, impazienti. Pam rimase seduta. Malone presentò se stesso e lei, poi andò dritto al punto. «Cosa stava facendo a Bainbridge Hall?»
«Potrebbe almeno ringraziarmi per avervi salvato la vita. Non ero tenuto a farlo.» «Passava da quelle parti per caso?» Le labbra sottili dell'uomo s'incurvarono in un sorriso. «Fa sempre così? Niente preliminari e dritto alla meta?» «Sta evitando la mia domanda.» McCollum scostò una sedia e si accomodò. «Sto morendo di fame. Prendiamo qualcosa e vi racconterò tutto, d'accordo?» Malone non si mosse. «Prima risponda alla mia domanda, d'accordo?» «Okay, come prova della mia disponibilità. Sono un cacciatore di tesori, sulle tracce della Biblioteca di Alessandria. Da oltre dieci anni sono alla ricerca di quanto ne resta. Ero a Bainbridge Hall a causa di quei tre uomini... Hanno ucciso una donna, quattro giorni fa - un'ottima fonte -, perciò sono rimasto sulle loro tracce, sperando di capire per chi stessero lavorando. Invece mi hanno portato sino a voi.» «Ha detto di avere informazioni che io non ho. Cosa glielo fa pensare?» McCollum tirò indietro la sedia e si alzò. «Ho detto che potrei avere alcune informazioni che lei non ha. Senta... Non ho né il tempo né la pazienza per questo. Ero già stato in quella residenza; lei non è il primo ad andarci. Ognuno di voi dilettanti conosce un fondo di verità misto a un bel po' di fantasia. Sono disposto a offrire una parte di ciò che so in cambio del minuscolo frammento che forse lei conosce. Tutto qui, Malone. Niente di sinistro.» «Quindi avrebbe sparato in testa a due uomini tanto per rendere l'idea?» domandò Pam. Malone riconobbe il suo tipico sguardo da avvocato scettico. McCollum la fissò. «No. Ho sparato a quei due per salvarvi la vita.» Si guardò attorno. «Quanto mi piace, questo posto! Sapevate che il primo Martini è stato servito proprio qui, all'American Bar? Hemingway, Fitzgerald, Gershwin... Tutti hanno bevuto qui. Ha una lunga storia.» «Le piace la storia?» domandò Pam. «È un requisito professionale.» «Sta andando da qualche parte?» domandò Malone. McCollum era ancora in piedi, rigido ma sereno, benché Malone avesse deliberatamente cercato di scuoterlo. «Lei è troppo sospettoso per i miei gusti. Si accomodi; tenti pure la sua cerca dell'eroe. Spero che abbia successo.» Quell'uomo era bene informato. «Come sa della cerca?»
«Come ho già detto, seguo questa pista da un po'. E lei? Posso azzardare? Lei è un novellino. Anzi, peggio: un novellino presuntuoso. Ne ho conosciute a quintali, di persone così. Pensano di sapere tutto, quando in realtà non sanno un accidenti di niente! Quella Biblioteca è rimasta nascosta per quindici secoli per una ragione!» McCollum s'interruppe. «Sa, Malone, lei è come un somaro che affonda le zampe in un prato alto sino al ginocchio, eppure se ne sta con la testa china oltre lo steccato a brucare erbacce. Lieto di averla conosciuta. Ora, se non le dispiace, vado a sedermi a quel tavolo e a fare colazione.» McCollum attraversò il locale mezzo vuoto. «Cosa ne pensi?» domandò Malone a Pam. «È molto arrogante, ma non si può fargliene una colpa.» Lui sorrise. «Sa qualcosa e noi non scopriremo un bel niente stando seduti qui.» Lei si alzò. «Sono d'accordo. Andiamo a mangiare col nostro nuovo amico!» Sabre sedette a tavola e attese. Se aveva fatto bene i suoi calcoli, sarebbero arrivati tra breve... Per Malone sarebbe stato impossibile resistere. Le sue conoscenze dovevano essere limitate a quanto George Haddad era riuscito a dirgli e, stando al nastro che aveva sentito, non era molto. Quello che Malone aveva preso dall'appartamento di Haddad prima di fuggire poteva aver colmato qualche lacuna, ma lui era pronto a scommettere che le domande fondamentali restavano senza risposta. Era un problema anche per lui. Si stava costringendo a interagire. Era una novità. Era abituato al silenzio dei propri pensieri; di rado aveva rapporti intimi, a parte incontri sessuali occasionali con donne quasi sempre pagate... Professioniste - proprio come lui - che facevano il loro lavoro: di notte gli dicevano quello che voleva sentire e al mattino se ne andavano. Le sgradevoli realtà del pericolo fisico e della tensione intellettuale, per quanto lo riguardava, castravano il desiderio sessuale più che stimolarlo. Le conseguenze rischiavano d'infiacchirgli il cervello. Ogni tanto andava a letto con qualche collaboratrice, ma spesso la cosa aveva effetti collaterali sgradevoli, come nel caso dell'inglese cui aveva sparato poco prima. Invece delle relazioni amorose, lui bramava la solitudine. Aveva già interpretato quel particolare ruolo a beneficio di altri, quando era stato necessario conquistarsi la loro fiducia. Le parole e le azioni, il
modo di camminare e di comportarsi e la voce sussiegosa venivano tutti da uno dei tanti fidanzati di sua madre: uno sbirro squattrinato di Chicago, dove vivevano quando lui aveva dodici anni. Ricordava come quell'uomo avesse cercato di fare colpo su di lei esibendo una sicurezza imperturbata. Ricordava una partita dei White Sox e una gita in riva al lago. Più avanti aveva capito che, come buona parte degli amanti di sua madre, lo sbirro aveva dimostrato soltanto quel po' d'interesse che bastava per accattivarsela. Dopo che avevano ottenuto ciò che volevano veramente - e che di solito si misurava in notti trascorse nel letto della madre - le attenzioni finivano. Era arrivato a odiare tutti i corteggiatori di lei. Nessuno di loro era là, quando lui l'aveva seppellita. Era morta sola e senza un soldo. A lui non sarebbe toccato lo stesso destino. Si alzò e si avvicinò al buffet. Adorava il Savoy, le camere arredate con costosi pezzi d'antiquariato e servite da camerieri del vecchio mondo... Il tipo di lusso di cui Alfred Hermann e il resto dell'Ordine del Toson d'Oro godevano abitualmente. Voleva per sé quei privilegi, ma alle sue condizioni, non alle loro. Per cambiare la realtà, però, aveva bisogno di Cotton Malone. Si domandò se parte di ciò che cercava si trovasse dentro la cartella di pelle che Malone aveva con sé. Sino a quel momento era riuscito a restare un passo avanti rispetto all'avversario e, con la coda dell'occhio, notò con piacere che conservava ancora quel vantaggio. Malone e la sua ex moglie si stavano facendo strada fra i tavoli che si andavano rapidamente occupando. «D'accordo, McCollum», disse Malone avvicinandosi. «Siamo qui.» «Offre lei?» «Certo. È il minimo che possa fare.» Lui emise una risatina forzata. «Spero solo che non sia il massimo che lei possa fare.» 41 Washington, DC Stephanie e Cassiopea si rifugiarono in cucina mentre Brent Green apriva il portone, poi ripresero posizione presso la porta a vento e ascoltarono Green che faceva entrare Daley in soggiorno e i due che si sedevano al tavolo.
«Brent, abbiamo qualche questione da discutere», esordì Daley. «Ne abbiamo sempre avute, Larry.» «Abbiamo un problema serio. Uso il plurale perché sono venuto per aiutare te a risolverlo.» «Voglio sperare che sia una cosa importante, vista l'ora. Ebbene, dimmi che problema abbiamo.» «Poco fa sono stati trovati tre cadaveri in una residenza a nord di Londra: due con proiettili nella testa, l'altro nel torace. Un altro corpo - quello di una donna - è saltato fuori a poche miglia di distanza. Proiettile in testa, stesso calibro usato per i due colpiti al capo. Un furgone delle pulizie è stato rubato dalla residenza e gli operai sono stati trovati svenuti. Il furgone è stato abbandonato in una città vicina. Un uomo e una donna sono stati visti uscirne e prendere un treno per Londra. Il video della sorveglianza di Paddington Station ha confermato che Cotton Malone e la sua ex moglie sono scesi da quel treno.» Stephanie capì dove stava andando a parare. «Immagino tu stia insinuando che Malone abbia ucciso quelle persone», disse Green. «L'impressione è quella.» «Evidentemente, Larry, non ti sei mai occupato di un caso di omicidio.» «Tu sì, invece?» «Ne ho seguiti sei, in effetti, quand'ero assistente procuratore di Stato. Non puoi sapere se sia stato Malone a sparare a quelle persone.» «Forse no, Brent, ma ho abbastanza per aizzare gli inglesi. Lascerò che se la vedano loro coi dettagli.» Stephanie si rese conto che quello poteva costituire un problema per Cotton e vide negli occhi di Cassiopea che pure lei era d'accordo. «Gli inglesi hanno individuato Malone. L'unico motivo per cui non lo hanno seguito è che hanno chiesto a noi cosa stesse facendo là. Vogliono sapere se si tratta di una missione ufficiale. Non è che per caso tu conosci la risposta?» Il silenzio rimase sospeso nell'aria e lei immaginò l'espressione granitica sul volto di Green. L'ostruzionismo era ciò che sapeva fare meglio. «È fuori della mia giurisdizione. Chi può dire che Malone stia facendo qualcosa che ci riguarda?» «Devo proprio sembrare uno stupido.» «Non sempre.» «Non male, Brent. Umorismo... Una cosa nuova, per te. Come stavo di-
cendo, Malone è là per una ragione e quattro persone sono morte a causa sua, indipendentemente dal fatto che abbia premuto lui il grilletto. Io dico che c'entra qualcosa il Rapporto Alexandria.» «Un altro non sequitur. È così che la Casa Bianca elabora la sua linea d'azione?» «Io lascerei stare la Casa Bianca. Non sei tra i loro migliori amici, al momento.» «Se il presidente non desidera più che lo serva, di sicuro saprà cosa fare in proposito.» «Non credo che le tue dimissioni siano sufficienti.» Stephanie capì che Daley stava finalmente arrivando allo scopo di quella visita. «Cos'hai in mente?» domandò Green. «Ecco come stanno le cose: il presidente non esce benissimo nei sondaggi. È vero che abbiamo ancora tre anni prima che si esaurisca il secondo mandato, ma ci piacerebbe uscirne alla grande. Chi non lo vorrebbe? Non c'è niente che faccia impennare l'opinione pubblica come una bella iniezione d'orgoglio patriottico... e non c'è niente come un atto terroristico per provocarla.» «Per una volta hai ragione.» «Dov'è Stephanie?» «Come faccio a saperlo?» «Dimmelo tu. Un paio di giorni fa ti dicevi disposto a dimetterti per appoggiarla. Io le ordino di non coinvolgere la Sezione in questo affare e lei subito mobilita l'intera agenzia. Lo fa con la tua approvazione?» «Non sono il suo custode.» «Il presidente l'ha licenziata. È stata sollevata dall'incarico.» «Senza consultarmi?» «Ha consultato se stesso e tanto basta. Lei è fuori.» «Chi sarà il nuovo responsabile della sezione Magellano?» «Posso raccontarti una storia? Non è mia; viene da uno dei miei libri preferiti, Hardball di Chris Matthews... Non dalla mia stessa parte in politica, ma comunque un tipo in gamba. Racconta che l'ex senatore Bill Bradley si trovava a una cena in suo onore. Bradley voleva un altro po' di burro e non riusciva a far avvicinare il cameriere col vassoio. Alla fine raggiunse il tizio e gli disse che evidentemente non sapeva chi fosse lui: 'Sono Bill Bradley, laureato a Oxford, giocatore di basket professionista e senatore degli Stati Uniti. Vorrei un altro pezzetto di burro'. Il cameriere non si
scompose e rispose semplicemente che, a quanto pareva, Bradley non sapeva chi fosse lui: 'Io sono il responsabile del burro'. Vedi, Brent, il potere è ciò che hai in mano. Perciò, per ora, il responsabile della sezione Magellano sono io.» «Non facevi il lobbista, prima di lavorare alla Casa Bianca? E prima ancora il consulente politico? Che qualifiche hai per dirigere il reparto d'intelligence più delicato del dipartimento di Giustizia?» «Il presidente tiene in considerazione il mio parere.» «Oppure il fatto che gli baci il culo ogni volta che si china.» «Non sono venuto per discutere di qualifiche. La decisione è già stata presa. Dov'è Stephanie?» «Immagino che sia al suo albergo.» «Ho emesso un mandato per il suo arresto.» «Chi se n'è occupato, alla Giustizia?» «Il consulente legale della Casa Bianca ha pensato ai dettagli. Stephanie ha infranto un bel po' di leggi.» «Ti dispiace dirmi quali?» «Che ne dici dell'aggressione contro un cittadino straniero? Una collaboratrice della missione israeliana giura che Stephanie ha cercato di ucciderla. Ha un brutto bernoccolo in testa che lo prova.» «Hai intenzione di procedere?» «Ho intenzione di trascinare le sue chiappe in qualche posto dove non ci siano cronisti.» «Qualche posto dal quale non tornerà.» Ancora silenzio. «Quando piove merda non c'è riparo, Brent.» «Vale anche per me?» «In effetti, sì. Sembra che agli israeliani tu non piaccia e non vogliono dire il perché. Forse è per via di tutta quella paccottiglia cristiana che ti piace predicare.» Daley fece una pausa. «O forse è solo il fatto che sei uno stronzo. Non lo so.» «Bel rispetto che hai per la mia carica.» «Ho rispetto per le persone che hanno conferito a me una carica, come dovresti rispettarle tu. Parliamoci chiaro: un bell'atto terroristico ci farebbe comodo e nessuno che io conosca verserebbe molte lacrime se tu ne fossi la vittima. Noi avremmo solo da guadagnarci... Tre piccioni con una fava e stronzate simili. Tu sparisci, Israele per una volta è felice, i nostri indici di gradimento s'impennano. Tutti fanno affidamento sulla leadership del pre-
sidente. La vita è bella.» «Dunque sei venuto a minacciare il procuratore generale degli Stati Uniti?» «Suvvia, perché dici una cosa del genere? Sono venuto a riferire la minaccia. È giusto che tu ne sia al corrente, in modo che si possano prendere le precauzioni del caso. Anche per Stephanie, naturalmente; per qualche ragione gli israeliani sono incazzati con lei. Tu, però, non hai idea di dove si trovi, perciò non possiamo avvertirla. Che peccato! Per te è un altro discorso. Considerati avvisato.» «Immagino che gli israeliani, nel concreto, non saranno coinvolti in nessun omicidio.» «Certo che no! Israele non è uno Stato terrorista. Tuttavia sono gente piena di risorse... Sapranno appaltare il lavoro all'esterno. Hanno legami con elementi sgradevoli, per così dire. Ecco perché ti stiamo avvisando.» Stephanie sentì qualcuno alzarsi. «Fa parte del mestiere, Brent.» «Come dire che se farò il bravo e starò in riga, questi elementi sgradevoli perderanno interesse nei miei confronti.» «Non posso dirlo con certezza, ma è possibile. Perché non provi e vediamo cosa succede?» Nella stanza calò un silenzio lungo e minaccioso. Stephanie immaginò due leoni che si fronteggiavano. «Il buon ricordo del presidente vale tutto questo?» domandò Green. «Pensi che si tratti di questo? Per niente! Si tratta del mio lascito... Di ciò che io posso offrire. È un capitale politico che vale più dell'oro.» Lei sentì un rumore di suole sul pavimento di legno. Si allontanava dalla cucina. «Larry!» chiamò Green, alzando la voce. I passi si fermarono. «Non ho paura di te.» «Dovresti averne.» «Spara il tuo colpo migliore. Poi io sparerò il mio.» «Come no. Brent... Dopo che io avrò sparato il mio colpo migliore, tu te ne tornerai nel Vermont dentro una cassa di legno.» «Non esserne così sicuro.» Daley ridacchiò. «L'aspetto più buffo di questa storia è che i miei due peggiori grattacapi finirebbero per tirare fuori della merda quest'amministrazione. Quel che si dice sfruttare i mezzi che si hanno!»
«Potremmo sorprenderti.» «Se lo dici tu... Dio ti benedica!» Il portone si aprì, poi si chiuse. «Se n'è andato», disse Green. Stephanie uscì dalla cucina. «Immagino che tu non possa più dirmi cosa devo fare.» Lei notò la stanchezza nei suoi occhi grigi. Anche lei era esausta. «Alla fine sei riuscita a farti licenziare.» «Direi che è l'ultima delle nostre preoccupazioni», interloquì Cassiopea. «C'è un traditore in questo governo», dichiarò Green. «Ho intenzione di trovarlo.» «Le assicuro, signor procuratore generale», disse Cassiopea, «che lei non ha mai avuto a che fare con niente di simile a quegli elementi sgradevoli. Daley diceva bene: gli israeliani non fanno mai il lavoro sporco personalmente; lo affidano a esterni. Le persone che assoldano sono un grosso problema.» «Allora dovremo stare molto attenti.» Stephanie quasi sorrise. Brent Green aveva più coraggio di quanto lei avesse immaginato... Ma c'era dell'altro. Lo aveva intuito poco prima e ora n'era sicura. «Hai un piano, vero?» «Oh, altroché. Le risorse non mi mancano.» 42 Vienna, ore 10.50 Alfred Hermann si congedò dal Comitato Politico e lasciò la sala da pranzo. Gli avevano comunicato che il suo ospite speciale era finalmente arrivato. Percorse i corridoi del pianterreno e raggiunse lo spazioso atrio del castello proprio mentre Henrik Thorvaldsen entrava strascicando i piedi. Si stampò in volto un sorriso e disse in inglese: «Henrik! È splendido rivederti». Thorvaldsen sorrise a propria volta nel vedere il suo anfitrione. «Alfred! Avevo pensato di non venire, ma poi ho deciso che dovevo proprio passare un po' di tempo con tutti.» Hermann si avvicinò e si strinsero la mano. Conosceva Thorvaldsen da
quarant'anni. Il danese era cambiato poco: la sua schiena era sempre stata rigida e curva, piegata a un angolo grottesco come un pezzo di latta preso a martellate. Aveva sempre ammirato la disciplina emotiva di Thorvaldsen, il quale si manteneva studiato, manierato, come se stesse seguendo una programmazione. Una cosa del genere richiedeva talento. Thorvaldsen, però, era un ebreo... Non devoto o praticante, ma pur sempre ebreo. Peggio ancora: era un caro amico di Cotton Malone e Hermann era convinto che Thorvaldsen non fosse venuto all'Assemblea per socializzare. «Sono contento che tu sia qui», dichiarò. «Ho molte cose di cui parlarti.» Spesso passavano del tempo insieme in occasione dell'Assemblea. Thorvaldsen era uno dei pochi membri la cui fortuna poteva competere con quella di Hermann. Il danese aveva stretti legami con buona parte dei governi europei; i suoi miliardi di euro non potevano essere ignorati. Un luccichio apparve negli occhi del danese. «Sono ansioso di ascoltarti.» «Chi è lui?» domandò Hermann, indicando il ragazzo fermo di fianco a Thorvaldsen. «Gary Malone. Starà con me per qualche settimana, mentre suo padre è via. Ho pensato bene di portarlo.» Affascinante! Thorvaldsen lo stava mettendo alla prova. «Splendido! Ci sono altri giovani, venuti insieme con alcuni dei membri. Mi assicurerò che siano tutti debitamente intrattenuti.» «Ne ero certo.» Alcuni domestici entrarono coi bagagli. Hermann rivolse loro un cenno e le valigie vennero trasportate al piano di sopra. Aveva già deciso quale camera da letto Thorvaldsen avrebbe occupato. «Vieni nel mio studio, mentre portano su le tue cose. Margarete ha una voglia matta di vederti.» «Devo occuparmi di Gary.» «Porta anche lui. Non c'è nessun problema.» Mentre faceva colazione, Malone si sforzò di valutare Jimmy McCollum... ammesso che quello fosse il vero nome dell'uomo. «Vuole dirmi qual è il vostro interesse in tutto questo?» domandò McCollum. «La Biblioteca di Alessandria non è esattamente il sacro Graal. Altri l'hanno cercata, ma di solito si tratta di fanatici o eccentrici. Voi non mi sembrate né l'uno né l'altro.»
«Nemmeno lei», intervenne Pam. «Qual è il suo interesse?» «Cos'è successo alla sua spalla?» «Perché, è successo qualcosa?» McCollum si cacciò in bocca una forchettata di uova. «La toccava come se fosse rotta.» «Forse lo è.» «Non vuole dirmelo, d'accordo.» McCollum si rivolse a Malone. «Percepisco un bel po' di sfiducia nei confronti di una persona che ha salvato le chiappe a entrambi.» «La domanda era valida. Che interesse ha per la Biblioteca?» «Diciamo soltanto che, se dovessi trovare qualcosa, certe persone ricompenserebbero i miei sforzi in moltissimi modi. Personalmente credo sia una perdita di tempo, ma non posso fare a meno di chiedermi perché ci sia in giro gente che si ammazza per questo. Qualcuno sa qualcosa.» Malone decise di gettare una piccola esca. «La cerca dell'eroe cui accennava... Ne ho sentito parlare. Sono indizi che conducono alla Biblioteca.» Fece una pausa. «Presumibilmente.» «Oh, è così, certo. Altri li hanno seguiti. Non ho mai incontrato nessuno di questi, ma so della loro esperienza. La cerca dell'eroe è reale, come lo sono i Guardiani.» Un'altra parola chiave. Quel tizio era bene informato. Malone tornò a occuparsi di un muffin, che cosparse di marmellata di prugne. «Come possiamo esserci utili a vicenda?» «Potreste dirmi perché siete andati a Bainbridge Hall.» «Per l'Epifania di san Girolamo.» «Questa mi giunge nuova. Vi dispiace spiegarmi?» «Lei di dov'è?» domandò all'improvviso Malone. McCollum ridacchiò. «Mi sta ancora inquadrando? Va bene, starò al gioco. Nato nel grande Stato del Kentucky. Louisville. Prima che me lo chieda: non ho frequentato nessun college. Ero nei reparti speciali dell'esercito.» «Perciò, se mai dovessi controllare, troverei una recluta di nome Jimmy McCollum? È ora che lei cominci a parlare sul serio.» «Mi spiace dirglielo, ma ho un passaporto e un certificato di nascita ed entrambi riportano il mio nome. Ho fatto il servizio militare. Congedato con onore. Davvero è importante tutto questo? Mi sembra che l'unica cosa che conta sia il qui e ora.» «Cosa sta cercando?» domandò Malone.
«Spero ci sia parecchia roba, quando la Biblioteca sarà trovata. Però non so ancora perché v'interessa.» «Questa cerca potrebbe rivelarsi una bella impresa.» «Sono le prime parole sensate che le sento dire.» «Quello che intendo è che potrebbero esserci altri partecipanti.» «Mi dica qualcosa che ancora non so.» «Che mi dice degli israeliani?» Malone colse un attimo di sconcerto negli occhi vivaci di McCollum, poi la lucidità tornò, insieme con un sorriso. «Mi piacciono le sfide.» Era ora di tirar su la lenza. «Abbiamo L'Epifania di san Girolamo.» «Non servirà a molto, se non ne conosciamo il significato.» «Io ho la cerca dell'eroe», dichiarò McCollum. La rivelazione catturò l'attenzione di Malone, specialmente perché George Haddad non aveva lasciato loro i particolari di quel viaggio. «Ciò che voglio sapere è se avete il romanzo di Thomas Bainbridge», disse McCollum. Pam stava ancora mangiando, concentrata su frutta e yogurt. Conosceva certamente la prima regola degli avvocati - non rivelare mai quanto sai ma Malone decise che per ottenere qualcosa avrebbe dato qualcosa in cambio. «Sì.» Per stuzzicare il suo ascoltatore, aggiunse: «E non solo quello». McCollum fece una smorfia di ammirazione. «Sapevo di aver fatto la cosa giusta, quando ho deciso di salvarvi la pelle.» Hermann guardò Thorvaldsen e il suo giovane pupillo uscire dallo studio. Margarete era al suo fianco. Avevano trascorso insieme una mezz'ora piacevole. «Cosa ne pensi?» domandò alla figlia. «Henrik è sempre il solito. Assorbe molto più di quello che dà.» «È la sua natura, come anche la mia.» Dovrebbe essere anche la tua, pensò. «Hai avuto qualche sensazione particolare?» Lei scosse la testa. «Nemmeno a proposito del ragazzo?» domandò lui. «Mi è sembrato beneducato.» Lui decise di dirle qualcosa che lei non sapeva. «Henrik è marginalmente coinvolto in un'iniziativa che il Circolo sta portando avanti. È essenziale per quello di cui parlavamo a colazione.» «La Biblioteca di Alessandria?»
Lui annuì. «Uno dei suoi amici più stretti - un certo Cotton Malone - è coinvolto nella faccenda.» «Sabre si sta occupando dell'operazione?» «Direi ottimamente. Tutto sta andando secondo i piani.» «Il ragazzo si chiama Malone. C'entra anche lui?» «È il figlio di Cotton Malone.» Il volto della giovane mostrò sorpresa. «Perché è qui?» «In effetti è stata una mossa astuta da parte di Henrik. Davanti ai membri riuniti, esibiremo tutti il nostro comportamento migliore... Questo potrebbe essere il posto più sicuro per entrambi. Naturalmente a volte può capitare un incidente.» «Faresti del male al ragazzo?» Lui la fissò con durezza. «Farò quanto è necessario per proteggere i nostri interessi. Come dovresti essere disposta a fare anche tu.» Lei non disse nulla e lui le concesse una breve pausa di riflessione. Infine Margarete parlò. «Abbiamo bisogno che accada un incidente?» Lui fu lieto che la figlia cominciasse a comprendere la serietà di quell'affare. «Dipende da cos'ha in mente il nostro caro amico Henrik.» «Da dove viene il nome 'Cotton'?» domandò McCollum. «In effetti è piuttosto...» cominciò Pam. Malone la interruppe. «È una storia lunga. Possiamo parlarne un'altra volta. Adesso voglio sapere della cerca dell'eroe.» «È sempre così suscettibile riguardo al suo nome?» «Parlare delle mie suscettibilità è una perdita di tempo.» McCollum stava finendo un piatto di frutta. Malone notò che l'uomo mangiava cibi sani: fiocchi d'avena, fragole, succo d'arancia, una ciambella. «Okay, Malone. Io ho la cerca. L'ho presa a un invitato che è morto prima di poter partire.» «Opera sua?» «Non questa volta. Cause naturali. L'ho trovato e gli ho rubato la cerca. Non mi chieda chi era, perché non lo dirò. Ho gli indizi.» «Sa se sono affidabili?» McCollum ridacchiò. «Nel mio lavoro non lo si può mai sapere finché non si arriva sul posto. Ma correrò i miei rischi.» «Di che cosa ha bisogno realmente?» domandò Pam. Era stata insolitamente silenziosa durante la colazione. «Ovviamente lei ne sa più di noi.
Perché perde tempo con noi?» «A essere sincero, ho un problema. Nelle ultime settimane sono stato alle prese con la cerca. È un enigma e non riesco a risolverlo. Ho pensato che voi due potreste essere d'aiuto. In cambio, sono disposto a condividere ciò che so.» «Nonché a sparare in testa a due uomini», aggiunse Malone. «Loro stavano per fare la stessa cosa a voi. Il che, tra l'altro, dovrebbe farvi riflettere. Chi potrebbe voler fare una cosa simile?» Ottima domanda, pensò Malone. Nessuno li aveva seguiti da Londra, n'era sicuro. Tuttavia non aveva senso che gli assassini li stessero aspettando a Bainbridge Hall: aveva deciso di andarci soltanto poche ore prima. «In questa cerca c'è molto più di quanto pensassi all'inizio», riprese McCollum. «Ora mi dite che c'entrano anche gli ebrei.» «Un mio amico è stato ucciso ieri. Questo dovrebbe porre fine all'interesse d'Israele.» «Questo suo amico sapeva qualcosa della Biblioteca?» «È stato ucciso per quello.» «Non è il primo.» Malone doveva sapere una cosa. «Immagino che lei vorrebbe vendere i manoscritti ritrovati a qualche trafficante?» McCollum scrollò le spalle. «Voglio trarre profitto dalla mia fatica. Le crea qualche problema?» «Se i manoscritti esistono ancora, andrebbero preservati e studiati.» «Non sono così avido, Malone. Certamente tra i reperti ci sarà qualche frammento che potrò vendere per rifarmi del disturbo.» McCollum s'interruppe. «Poi c'è il merito del ritrovamento, naturalmente. Di per sé varrebbe già qualcosa.» «Fama e fortuna», disse Pam. «La ricompensa di un tempo immemorabile», aggiunse McCollum. «Entrambe le cose hanno i loro aspetti soddisfacenti.» Malone aveva sentito abbastanza. «Ci dica gli indizi.» McCollum sedette di fronte a loro, distaccato come una divinità e malizioso come un demone. Sarebbe stato il caso di tenerlo d'occhio; uccideva con troppa facilità... Ma, se davvero era in possesso della cerca dell'eroe, forse rappresentava la loro unica strada. McCollum s'infilò una mano in tasca ed estrasse un foglietto. «Comincia così.» Malone prese il pezzetto di carta e lesse.
Come sono strani i manoscritti, grande viaggiatore dell'ignoto! Essi si manifestano separatamente, ma sembrano una cosa sola a quanti sanno che i colori dell'arcobaleno possono diventare un'unica luce bianca. Come trovare quel singolo raggio? È un mistero, ma visita la cappella accanto al Tejo, a Betlemme, dedicata al nostro santo patrono. «Dov'è il resto?» domandò. McCollum ridacchiò. «Decifrate questa parte, poi vedremo. Un passo alla volta.» Malone si alzò. «Dove sta andando?» s'informò McCollum. «A guadagnarmi la pagnotta.» 43 Washington, DC, ore 5.30 Stephanie aveva affrontato molte situazioni, però mai un arresto. Larry Daley stava alzando la posta. «Dobbiamo contrattaccare subito!» disse. Lei, Green e Cassiopea erano nella cucina di Green. L'aroma del caffè quasi pronto le ricordò che aveva fame. «Cos'hai in mente?» volle sapere Cassiopea. Nemmeno una volta in dodici anni aveva messo a rischio la sicurezza della Sezione. Aveva a cuore il suo giuramento, ma un abisso di dubbi la rendeva incerta sul da farsi. Infine decise che c'era una sola scelta possibile. «Stavamo indagando su Daley.» Un'espressione seria si disegnò sul volto di Green. «Spiegati.» «Volevo sapere cosa lo spingeva a comportarsi così, quindi ho incaricato un'agente di scoprirlo. Lei lo ha tallonato per quasi un anno. Sono venuta a sapere molte cose.» «Continui a sorprendermi, Stephanie. Ti rendi conto di cosa sarebbe successo qualora se ne fosse accorto?» «Sarei stata licenziata, immagino. Ormai cosa importa?» «Sta cercando di ucciderti. Forse lo sa.»
«Ne dubito. L'agente era in gamba. Daley c'è dentro sino agli occhi. Prima hai detto di non potergli imputare nessuna violazione della legge: ebbene, io ne ho trovate parecchie. Finanziamento elettorale illecito, corruzione, brogli... Daley è il canale privilegiato della gente facoltosa che ha bisogno di qualcosa dalla Casa Bianca. Gente che non desidera vedere il proprio nome sulle informative.» «Perché non sei entrata in azione?» «Volevo farlo. Poi c'è stata quella falla e ho dovuto aspettare.» «Ora che è il responsabile della sezione Magellano, scoprirà quello che hai fatto?» domandò Cassiopea. Lei scosse la testa. «Ho tutte le informazioni sotto chiave e l'agente incaricata delle indagini si è trasferita dalla sezione mesi fa. Nessuno sapeva, tranne lei e me.» Green versò il caffè in due tazze grandi. «Che cosa vuoi fare?» «Dal momento che c'è qui questa mia amica, che dispone di un bel po' di risorse, pensavo che potremmo portare a termine l'indagine.» «L'idea non mi sorride», dichiarò Cassiopea. Green fece un cenno. «Signore, mettete quello che volete nel vostro caffè.» «Per te niente?» domandò Stephanie. «Non lo prendo mai.» «Perché allora hai una macchina per il caffè?» «Mi capita di avere ospiti.» Fece una pausa. «Ogni tanto.» La solidità di Green, la sua virile affidabilità lasciarono posto per un istante a una sincerità fanciullesca che piacque a Stephanie. «Qualcuno che conosco?» gli domandò. Green sorrise. «Sei pieno di sorprese!» commentò lei. «Proprio come qualcun altro che conosciamo», intervenne Cassiopea, sorseggiando il suo caffè. Green annuì, grato per il cambio d'argomento. «Henrik è un uomo affascinante, sempre un passo avanti. Ma parliamo di te, Stephanie: cosa intendi dire con 'portare a termine l'indagine'?» Lei assaporò la miscela fumante e si lasciò riscaldare la gola da un piccolo sorso. «Dobbiamo far visita a casa sua.» «Perché?» domandò Cassiopea. «Anche se riuscissimo a entrare, il computer sarà sicuramente protetto da una password.» Lei sorrise. «Non è un problema.»
Green la studiò, incuriosito, poi non riuscì più a nascondere lo stupore. «Non hai bisogno della password, vero?» Lei scosse la testa. «È ora d'inchiodare quel bastardo.» Malone entrò nel centro commerciale del Savoy. Lo spazioso complesso era dotato di computer, fax e fotocopiatrici. Spiegò alla commessa ciò che gli occorreva e fu prontamente accompagnato a un terminal. Il conto venne addebitato alla camera di McCollum. Fece per sedersi, ma Pam lo bloccò. «Posso?» gli chiese lei. Lui decise di concederle l'onore. Lungo il tragitto dal caffè aveva capito che lei sapeva cosa lui intendeva fare. «Perché no? Accomodati.» Le porse il foglio con l'inizio della cerca, poi si rivolse a McCollum. «Ha detto di esserselo procurato di recente?» «No, non l'ho detto. Bel tentativo, Malone.» «Ho bisogno di saperlo. È importante. Negli ultimi mesi?» Il loro benefattore esitò, poi annuì. Malone aveva riflettuto. «A quanto ne so, i Guardiani invitano persone alla Biblioteca da secoli, perciò gli indizi devono cambiare di tanto in tanto. Probabilmente adattano la cerca all'epoca storica e scommetterei che l'adattano anche all'invitato... Perché no? La personalizzano. Si prendono un gran disturbo per tutto il resto; perché non per questo?» McCollum annuì. «È un'ipotesi ragionevole.» Pam batteva sulla tastiera. Malone riprese: «La prima parte - Come sono strani i manoscritti, grande viaggiatore dell'ignoto! Essi si manifestano separatamente, ma sembrano una cosa sola a quanti sanno che i colori dell'arcobaleno possono diventare un'unica luce bianca. Come trovare quel singolo raggio? - è solo fumo negli occhi, un modo complicato per dire che ci sono tante informazioni. Il seguito, invece... È un mistero, ma visita la cappella accanto al Tejo, a Betlemme, dedicata al nostro santo patrono. È da qui che inizieremo». «Capito», disse Pam. Malone sorrise. Ci era arrivata prima di lui e la cosa gli piaceva. «Ho fatto una ricerca su Tejo e Betlemme.» «Non vi sembra troppo facile?» domandò McCollum. «I Guardiani non possono essere indifferenti al mondo. Internet esiste,
quindi perché non dovrebbero presumere che un invitato possa usarla?» Fissò il monitor. Il sito trovato da Pam riguardava il Portogallo: una pagina di viaggi e turismo sulle attrazioni di Lisbona e dintorni. Pam lesse: «Belém, appena fuori del centro. Dove il fiume Tago - Tejo in portoghese - incontra il mare. Belém è il nome portoghese di Betlemme». Lui lesse a propria volta di quella lingua di terra a sud-ovest del centro di Lisbona... Il punto da cui, tanto tempo prima, le caravelle portoghesi erano salpate verso occidente: Vasco de Gama verso l'India, Magellano per circumnavigare il globo, Diaz per doppiare il Capo di Buona Speranza. Belém fiorì grazie alle ricchezze, soprattutto spezie, che si riversavano nel Paese dal Nuovo Mondo, tanto che il re del Portogallo vi costruì una residenza estiva e i cittadini più ricchi vi affluirono numerosi. Un tempo costituiva municipalità a sé; al giorno d'oggi era una calamita per turisti desiderosi di godersi i suoi negozi, i caffè e i musei. «Enrico il Navigatore è legato a quel luogo», disse Pam. Malone tagliò corto. «Cerchiamo la cappella dedicata al nostro santo patrono.» Dopo pochi clic del mouse, Pam indicò il monitor. «Ci avevo già pensato.» Un impressionante edificio di pietra scolorita riempiva lo schermo. Guglie elaborate si ergevano verso un cielo nuvoloso. Era una combinazione di gotico e stile rinascimentale, con evidenti influenze moresche. La facciata di pietra era costellata d'immagini in rilievo. «Il monastero di santa Maria di Belém», lesse. Pam fece scorrere la schermata verso il basso e lui continuò a leggere: si trattava di uno dei monumenti più famosi del Portogallo, noto anche come monastero dei Jerónimos. Molti dei più illustri personaggi del Paese, compresi re e regine, vi erano sepolti. «Com'è venuto fuori questo sito?» domandò Malone. Pam cliccò su un link. «Ho digitato diverse parole chiave e il motore di ricerca ha puntato dritto qui. Nel 1498, quando de Gama tornò dal suo viaggio dopo aver scoperto la via per le Indie, il re gli concesse un finanziamento per la costruzione del monastero. L'Ordine di san Girolamo s'impossessò della proprietà nel 1500 e la prima pietra fu posata il 6 gennaio 1501.» Lui conosceva sin dall'infanzia il significato di quella data: sua madre era cattolica e lo portava regolarmente in chiesa, specie dopo la morte di
suo padre. Sei gennaio. La festa dell'Epifania. Cos'aveva scritto Haddad nel suo diario? Le grandi imprese cominciano spesso con un'epifania. «La cappella principale del monastero fu dedicata a san Girolamo. Cotton, ricordi quello che ha detto Haddad di lui?» Sì, lo ricordava. Un antico padre della Chiesa che nel IV secolo tradusse in latino molti testi biblici, compreso l'Antico Testamento. «C'è un altro collegamento su san Girolamo», osservò lei e con un altro clic l'immagine cambiò. Lessero tutti e tre. Malone se ne rese conto per primo. «È il santo patrono delle biblioteche. Pare che la cerca debba avere inizio a Lisbona.» «Niente male davvero!» «Ci siamo guadagnati la pagnotta?» «Come ho detto, sono una frana con gli enigmi. Voi due ve la cavate, ma il resto è più difficile.» Sorrise. «Che ne dite di provare a cimentarci insieme e vedere dove ci porta?» 44 Vienna, ore 13.00 Thorvaldsen uscì dal bagno, mentre Gary disfaceva i bagagli. A parte ciò che indossava qualche giorno prima, quando l'avevano rapito, il ragazzo non aveva con sé altri vestiti, perciò Jesper aveva fatto un salto a Copenhagen per comprargli qualcosa. «È molto antica questa casa, vero?» domandò Gary. «È stata costruita parecchie generazioni addietro, come Christiangade.» «C'è un mucchio di roba antica in Europa. Non come a casa.» L'uomo sorrise. «Noi europei siamo in circolazione da un po' più di tempo.» «Questa stanza è fantastica!» Anche lui la riteneva una sistemazione interessante. Al primo piano, vicino a quella dello stesso Hermann... Era la prima volta. Una camera deliziosa, dall'arredo femminile, certamente appartenuta a una donna di gusto. «Ti piace la storia?» domandò al ragazzo. Gary si strinse nelle spalle. «Sino a due estati fa non mi piaceva. È molto
più interessante qui, quando la vedi.» Decise che era il momento di spiegare la situazione al ragazzo. «Come ti sono sembrati il nostro ospite e sua figlia?» «Non troppo cordiali, ma sembra che tu piaccia a entrambi.» «Conosco Alfred da tanto tempo, ma temo stia tramando qualcosa.» Gary sedette sul letto. «Penso possa esserci lui dietro il tuo rapimento.» Guardò il ragazzo, che cominciava a rendersi conto della situazione. «Ne sei sicuro?» L'altro scosse la testa. «È per questo che siamo qui. Per scoprirlo.» «Voglio saperlo anch'io. Quegli uomini hanno spaventato mia madre e la cosa non mi piace.» «Hai paura?» «Non mi avresti portato qui, se fosse un posto pericoloso.» Quella risposta gli piacque. Il ragazzo era in gamba. «Hai visto morire due uomini. Pochi quindicenni possono dire la stessa cosa. Stai bene?» «Quello ucciso da papà se l'è meritato. Ha cercato di portarmi via e papà ha fatto ciò che doveva. Cosa intendi fare?» «Non ne sono sicuro. Nei prossimi giorni verrà qui molta gente... Gente potente. Da loro dovrei poter apprendere quello che ci occorre sapere.» «È come una specie di club?» «Più o meno, sì. Gente con interessi simili, che si riunisce per discuterne.» Il suo cellulare trillò sul comodino. Si avvicinò e sbirciò il numero: Jesper. Premette RISPONDI. «È arrivata una chiamata da Tel Aviv.» «Sentiamola subito, allora!» Dopo qualche istante, stabilita la connessione, udì una profonda voce baritonale: «Henrik! Cos'hai messo in moto?» «Che diamine vuoi dire?» «Non fare lo gnorri. Quando hai chiamato ieri ero sospettoso, ma ora sono decisamente paranoico.» Il giorno prima aveva chiamato l'ufficio del primo ministro israeliano. Avendo donato milioni alla causa ebraica e finanziato un gran numero di politici israeliani - compreso l'attuale primo ministro - la sua telefonata non era stata ignorata. Aveva posto una sola, semplice domanda: che interesse ha Israele nei confronti di George Haddad? Non aveva parlato direttamente col primo ministro: aveva indagato di proposito attraverso il capo
di gabinetto, che gli pareva assai a disagio. «Ha trovato risposta alla mia domanda?» «Il Mossad ci ha detto di farci gli affaracci nostri.» «Si permettono di rivolgersi così alle alte cariche?» «Sì, quando vogliono che ci facciamo gli affaracci nostri.» «Così non hai nessuna risposta da darmi?» «Non ho detto questo. Vogliono George Haddad morto e vogliono che Cotton Malone sia fermato. Pare che al momento Malone e la sua ex moglie siano diretti a Lisbona, dopo che ieri sera quattro persone sono state uccise presso un museo a nord di Londra. Curiosamente gli inglesi non sono intervenuti, pur sapendo che Malone è coinvolto in quegli omicidi. Gli hanno permesso di lasciare tranquillamente il Paese. I nostri credono sia perché gli americani hanno dato carta bianca al loro ex agente. Credono che l'America sia tornata a interessarsi di George Haddad.» «Come fa il tuo personale a sapere queste cose?» «Dispongono di un filo diretto con Malone. Sanno esattamente dov'è e cosa sta facendo. In ogni caso, lo avevano previsto da qualche tempo.» «Pare che tutti si stiano dando un gran daffare!» «A dir poco. Il primo ministro e io teniamo in gran considerazione la tua amicizia. Sei un patrono della nazione ed è per questo motivo che ti sto dicendo tutto questo. Il Mossad intende eliminare Malone; hanno agenti diretti a Lisbona. Se puoi avvertirlo, fallo.» «Mi piacerebbe, ma non ne ho la possibilità.» «Che Dio lo assista, allora. Ne avrà bisogno.» La comunicazione s'interruppe con un clic. Lui premette FINE. «Qualche problema?» s'informò Gary. Thorvaldsen si ricompose. «Solo una grana con una delle mie società. Ho ancora un'attività da portare avanti, sai com'è.» Il ragazzo parve accettare la spiegazione. «Hai detto che qui si riunisce una specie di club, ma non mi hai spiegato cosa c'entra con me.» «In effetti, è un'ottima domanda. Ti risponderò mentre camminiamo, va bene? Vieni, ti mostro la proprietà.» Alfred Hermann udì chiudersi la porta della stanza di Henrik Thorvaldsen. La microspia installata nella camera da letto aveva funzionato alla perfezione. Margarete gli si sedette di fronte mentre lui spegneva il ricevitore.
«Quel danese è un problema», dichiarò la giovane. Ci aveva messo un bel po' di tempo per capirlo. Evidentemente Thorvaldsen era venuto per investigare, ma la telefonata lo lasciava perplesso: il suo vecchio amico non aveva detto molto che potesse svelarne la natura e lui dubitava che si trattasse di una questione d'affari. «È vero quello che ha detto?» volle sapere Margarete. «Hai preso tu il ragazzo?» Lui le aveva permesso di ascoltare per una ragione, dunque annuì. «Faceva parte del nostro piano. Abbiamo anche fatto in modo che venisse liberato. Al momento Dominick sta coltivando i semi che abbiamo piantato.» «La Biblioteca?» Annuì. «Pensiamo di avere la pista.» «Hai intenzione di affidare a Sabre quelle informazioni?» «È il nostro emissario.» Lei scosse la testa, disgustata. «Papà, è un avido opportunista. Te lo dico da anni.» Lui si spazientì. «Non ti ho messo al corrente della situazione per litigare con te. Mi serve il tuo aiuto.» Vide che la figlia aveva colto la tensione nella sua voce. «Certo. Non volevo esagerare.» «Margarete, il mondo è un posto complicato. Bisogna sfruttare le risorse disponibili e concentrarsi sull'obiettivo. Aiutami ad affrontare quel che ci aspetta e lascia che Dominick pensi alla sua parte.» Lei inspirò profondamente ed espirò piano, tra i denti stretti, com'era solita fare quand'era nervosa. «Cosa vuoi che faccia?» «Va' in giro. Imbattiti per caso in Henrik. Qui si crede al sicuro... Fa' in modo che continui a crederlo.» 45 Washington, DC, ore 10.30 A Stephanie non piaceva il suo nuovo aspetto. I capelli, di un biondo argenteo, erano diventati di color ramato chiaro grazie alla rapida tintura eseguita da Cassiopea. Trucco diverso, vestiti nuovi e un paio di occhiali trasparenti completavano la metamorfosi: non certo perfetta, ma sufficiente
a permetterle di nascondersi in pubblico. «Non portavo pantaloni di lana da un pezzo», disse a Cassiopea. «Li ho pagati un bel po', quindi abbine cura.» Lei sorrise. «Come se tu non potessi permetterteli!» Una camicetta a scollo rotondo e una giacca blu sportiva completavano il quadro. Si trovavano sul sedile posteriore di un taxi che procedeva a fatica nel traffico della tarda mattinata. «Quasi non ti riconosco!» affermò Cassiopea. «Stai insinuando che mi vesto come una vecchia?» «Al tuo guardaroba non farebbe male una rinfrescatina.» «Se sopravvivo a tutto questo, puoi accompagnarmi a fare shopping.» Una luce divertita si accese negli occhi di Cassiopea. A Stephanie quella donna piaceva; la sua sicurezza era contagiosa. Erano dirette a casa di Larry Daley. Abitava a Cleveland Park, un bel quartiere residenziale non lontano dalla National Cathedral: un tempo rifugio estivo per i washingtoniani in fuga dal caldo della città, ora ospitava negozietti eccentrici, caffè alla moda e un famoso teatro in stile liberty. Ordinò all'autista di fermarsi a tre isolati di distanza e pagò la corsa. Fecero il resto della strada a piedi. «Daley è un idiota arrogante», disse Stephanie. «S'illude che nessuno lo tenga d'occhio e conserva tutta la documentazione... Una cosa stupidissima, a mio parere, ma lui fa così.» «Come ha fatto la tua agente ad avvicinarlo?» «È un donnaiolo. Gli ha soltanto fornito un'occasione.» «Confidenze intime?» «Della peggior specie.» La casa era anch'essa un'ex villa vittoriana. Inizialmente si era domandata come Daley potesse permettersi l'ipoteca, senz'altro astronomica, poi aveva saputo che era in affitto. Un adesivo su una finestra del pianterreno annunciava che la proprietà era munita di sistema d'allarme. Era pieno pomeriggio e Daley doveva essere alla Casa Bianca, dove si tratteneva per almeno diciotto ore al giorno. La stampa conservatrice amava cantare le lodi della sua etica del lavoro, ma Stephanie non se la beveva: più semplicemente, lui non voleva essere escluso dal giro nemmeno per un momento. «Ti faccio una proposta», disse. Il viso di Cassiopea si sciolse in un sorriso astuto. «Vuoi che faccia irruzione?» «Io penserò all'allarme.»
Sabre si stava abituando alla personalità di Jimmy McCollum. Il nome in sé era un'altra faccenda: non lo usava da molto tempo ma gli era sembrato prudente, dato che Malone avrebbe potuto fare dei controlli su di lui. In tal caso lo avrebbe trovato negli archivi dell'esercito. C'erano un certificato di nascita, una tessera della previdenza sociale e altri documenti. Lui aveva cambiato nome quando si era trasferito in Europa, scegliendo Dominick Sabre perché aggiungeva un tocco di sicurezza e di mistero. Gli uomini che lo assoldavano conoscevano di lui poco più del nome, perciò era importante che l'etichetta trasmettesse la giusta aura. Aveva trovato quel nome in un cimitero tedesco: era appartenuto a un nobile morto nell'800. Ora era tornato a essere Jimmy McCollum. Sua madre l'aveva chiamato James, come il padre di lei, che lui era solito chiamare «paparone»: uno dei pochi maschi che gli avessero mai mostrato rispetto. Non aveva mai conosciuto il proprio padre e nemmeno credeva che sua madre sapesse davvero a quale dei propri amanti attribuire la colpa. Anche se era stata una buona madre e l'aveva trattato con gentilezza, era stata una donna squallida che passava da un uomo all'altro, si era sposata tre volte e scialacquava il denaro. Lui era andato via di casa a diciotto anni ed era entrato nell'esercito. Lei avrebbe voluto che andasse al college, ma gli studi universitari non facevano per lui. Invece, come sua madre, era attratto dalle opportunità. Diversamente da lei, però, era riuscito ad afferrare tutte quelle che gli si erano presentate. L'esercito. Reparti speciali. L'Europa. Le Sedie. Da sedici anni lavorava per altri. Eseguiva i loro ordini e accettava le loro paghe simboliche, accontentandosi di misere lodi. Era tempo di lavorare per se stesso. Rischioso? Certo. Ma il Circolo rispettava il potere, ammirava l'astuzia e negoziava soltanto con la forza. Lui voleva essere ammesso tra i membri, forse anche tra le Sedie... Di più: se la perduta Biblioteca di Alessandria conteneva davvero ciò che Alfred Hermann credeva, lui avrebbe potuto influenzare il mondo intero. Quello era il vero Potere. Nelle sue mani. Doveva trovare la Biblioteca. L'uomo seduto dall'altra parte del corridoio sul volo TAP da Londra a Lisbona gli avrebbe fatto da guida.
Cotton Malone e la sua ex moglie avevano risolto la prima parte della cerca dell'eroe in pochi minuti. Confidava che avrebbero decifrato il resto. Alla fine li avrebbe eliminati entrambi. Ma non era stupido. Malone sarebbe certamente stato cauto. Doveva soltanto essere imprevedibile. Stephanie guardò Cassiopea forzare la serratura della porta di servizio della casa di Larry Daley. «Meno di un minuto. Niente male! Ve lo insegnano a Oxford?» scherzò. «In effetti è stato là che ho imparato a scassinare la mia prima serratura. Un armadietto dei liquori, se ben ricordo.» Aprì la porta e si mise in ascolto. Si udì un bip bip da un corridoio adiacente. Stephanie raggiunse di corsa la tastiera e inserì un codice di quattro cifre, sperando che quello scemo non avesse modificato la sequenza. Il suono cessò e la luce dell'indicatore passò dal rosso al verde. «Come facevi a conoscerlo?» «La mia agente l'ha osservato mentre lo digitava.» Cassiopea scosse la testa. «Ma è cretino?» «Si chiama 'pensare con la testa sbagliata'. Lui credeva che lei fosse qui soltanto per il suo piacere.» Esaminò l'interno luminoso. Era arredato in stile moderno: nero, argento, bianco e grigio a profusione. Quadri astratti alle pareti. Nessuna personalità, nessun sentimento. Gli calzava a pennello. «Cosa stiamo cercando?» domandò Cassiopea. «Da questa parte.» Stephanie percorse un breve corridoio sino a una nicchia che, come lei sapeva, fungeva da ufficio. La sua agente aveva riferito che Daley scaricava tutto su chiavette USB protette da password e non conservava mai i dati né sul portatile né nel suo computer alla Casa Bianca. La squillo che la sua agente aveva assoldato affinché seducesse Daley aveva scoperto quell'abitudine una sera, mentre lui lavorava al computer e lei lavorava su di lui. Stephanie disse a Cassiopea quello che sapeva. «Purtroppo non è riuscita a vedere il suo nascondiglio.» «Era troppo occupata?» Lei sorrise. «È un lavoro come tanti altri. Non sottovalutarlo; le squillo sono tra le fonti più preziose.» «E poi dici che sono io ad avere una mente perversa!»
«Dobbiamo trovare il nascondiglio.» Cassiopea si lasciò cadere su una sedia di legno da scrivania, che accolse il suo esile peso con scricchiolii e gemiti. «Dev'essere facilmente raggiungibile.» Stephanie perquisì accuratamente la nicchia. Sulla scrivania c'erano un tampone di carta assorbente, un portapenne e foto di Daley in compagnia del presidente e del vicepresidente, oltre a una lampada da lettura. Una stretta scaffalatura, alta sino al soffitto, occupava due pareti. L'intera nicchia misurava all'incirca un metro e ottanta di lato. Il pavimento, come nel resto della casa, era di legno. Non c'erano molti nascondigli. I libri sugli scaffali attirarono la sua attenzione: a quanto pareva, Daley amava i saggi politici. Non ce n'erano molti, circa un centinaio: edizioni economiche e volumi rilegati, molti con la costola venata di crepe, a indicare che le pagine erano state lette. Lei scosse la testa. «Un vero conoscitore della politica moderna. Non ha preferenze di parte.» «Perché hai questo atteggiamento nei suoi riguardi?» «Ho sempre avuto la sensazione di aver bisogno di una doccia dopo essergli stata vicino. Per non parlare del fatto che ha cercato di licenziarmi sin dal primo giorno.» S'interruppe. «Alla fine ci è riuscito.» Una chiave si mosse nella serratura della porta d'ingresso. Stephanie girò la testa di scatto. Guardò in fondo al corridoio, verso l'ingresso principale. La porta si aprì e lei udì la voce di Larry Daley, seguita da quella di un'altra persona. Una donna. Heather Dixon. Stephanie fece un cenno e lei e Cassiopea si precipitarono nel corridoio, entrando in una delle camere da letto. «Fammi togliere l'allarme», disse Daley. Ci fu qualche istante di silenzio. «Strano», osservò poi. «Problemi?» Stephanie si rese subito conto di non aver resettato il sistema dopo che erano entrate. «Sono sicuro di aver inserito l'allarme prima di uscire», disse lui. Dopo un breve silenzio si udì il clic di un proiettile caricato. «Meglio dare un'occhiata in giro», consigliò la Dixon.
46 Lisbona, ore 15.30 Malone ammirò il monastero di Santa Maria de Belém. Lui, Pam e Jimmy McCollum avevano preso un aereo da Londra a Lisbona, poi un taxi che li aveva portati dall'aeroporto al lungofiume. Lisbona era appollaiata sopra un ampio ottovolante di colline affacciate sull'ampio estuario del Tago: una città fatta di larghi viali simmetrici e belle piazze piene d'alberi. Uno dei più grandiosi ponti sospesi del mondo attraversava il possente fiume e portava a un'altissima statua di Cristo con le braccia spalancate, che abbracciava la città dalla riva orientale. Malone c'era stato molte volte: gli aveva sempre ricordato San Francisco, sia per la conformazione fisica sia per la propensione ai terremoti, dei quali più d'uno vi aveva lasciato il segno. Ogni Paese ha le sue meraviglie: le piramidi d'Egitto, San Pietro in Italia, Westminster in Inghilterra, Versailles in Francia. Ascoltando il tassista durante la corsa dall'aeroporto apprese che, nel caso del Portogallo, l'orgoglio nazionale era costituito dall'abbazia che si dispiegava di fronte a lui. La bianca facciata in pietra calcarea era più vasta di un campo da calcio e invecchiata come avorio antico... Un misto di stile moresco, bizantino e gotico francese, con una sovrabbondanza di decorazioni che parevano infondere vita alle mura torreggianti. La gente si affollava ovunque. Un corteo di persone armate di macchina fotografica fluiva dentro e fuori. Da un viale affollato e sui binari prospicienti l'imponente facciata meridionale, gli autobus turistici aspettavano in una fila sghemba, come navi all'ancora in un porto. Un cartello informava i visitatori che l'abbazia era stata eretta nel 1500 per via di un voto fatto da re Manuel I alla Vergine Maria ed era stata costruita sul sito di un antico ospizio per marinai, opera originaria del principe Enrico il Navigatore. Colombo, Vasco de Gama e Magellano avevano pregato lì prima di partire per i loro viaggi. Nel corso dei secoli la massiccia struttura era servita da convento, casa di riposo e orfanotrofio, finché era stata dichiarata patrimonio dell'umanità e in gran parte riportata all'antica gloria. «La chiesa e l'abbazia sono dedicate a san Girolamo», sentì una guida spiegare in italiano a un gruppo di turisti. «Una scelta simbolica, poiché sia il santo sia questo stesso monastero rappresentavano nuovi punti di parten-
za per la cristianità. Da qui le navi partivano per esplorare il Nuovo Mondo e per portarvi Cristo. Girolamo tradusse l'antica Bibbia in latino, affinché altri potessero scoprirne le meraviglie.» Malone si avvide che pure McCollum seguiva le parole della donna. «L'italiano è una delle sue lingue?» gli domandò. «Lo capisco abbastanza.» «È un uomo dai molti talenti.» «Quelli che mi servono.» A Malone non sfuggì l'atteggiamento scontroso. «Allora, come continua la cerca?» McCollum tirò fuori un altro foglietto su cui erano scritte la prima parte del primo brano e altre frasi enigmatiche. È un mistero, ma visita la cappella accanto al Tejo, a Betlemme, dedicata al nostro santo patrono. Comincia il viaggio nell'ombra e terminalo nella luce, dove una stella che recede trova una rosa, trafigge una croce di legno e tramuta l'argento in oro. Trova il luogo che forma un indirizzo senza un luogo, dove si trova un altro luogo. Solo allora - come i pastori del pittore Poussin, sconcertati dall'enigma - sarai inondato dalla luce dell'ispirazione. Porse il foglio a Pam. «Okay, visitiamola e vediamo cosa c'è d'interessante», disse. Seguirono un fitto sciame di turisti all'entrata. Un cartello informava che l'ingresso in chiesa era gratuito, ma per visitare gli altri edifici occorreva pagare il biglietto. Dentro la chiesa - in quello che riconobbero come il coro inferiore - il soffitto a costoloni incombeva basso, creando una penombra solenne. Alla loro sinistra c'era il cenotafio di Vasco de Gama, semplice e maestoso, con abbondanti simboli nautici. Un'altra tomba, appartenente al poeta Luis de Camões, si trovava a destra insieme con un fonte battesimale. In entrambe le nicchie, le pareti nude accrescevano tanto l'austerità quanto la grandiosità. La gente si affollava in quei recessi. Le macchine fotografiche scattavano. Le guide turistiche decantavano con voce monotona i meriti degli illustri defunti. Malone percorse la navata e l'oscurità del coro basso lasciò spazio a una luminosa meraviglia: sei colonne snelle, ciascuna coperta di decorazioni
intrecciate a fiori scolpiti, si tendevano verso il cielo. Il sole del tardo pomeriggio filtrava attraverso una serie di vetrate istoriate. Luci e ombre s'inseguivano a vicenda sulle pareti calcaree ingrigite dal tempo. La volta del tetto ricordava un fascio di costole, le colonne erano come sostegni di un baldacchino, la rete fissa al suo posto come il sartiame di una nave. Malone avvertì la presenza dei saraceni che un tempo dominavano Lisbona e notò suggestioni bizantine. Mille dettagli si moltiplicavano attorno a lui senza ripetersi. Notevole. Ancor più notevole, pensò, dato che gli antichi muratori avevano avuto il fegato di costruire un edificio tanto massiccio sul terreno tremolante di Lisbona. Le panche di legno, che un tempo avevano ospitato i monaci, quel giorno erano occupate soltanto dai curiosi. Un basso mormorio echeggiava nella navata, coperto a intervalli regolari da una voce calma proveniente dagli altoparlanti, che invitava al silenzio in varie lingue. Malone individuò l'origine dell'ammonizione: un sacerdote davanti a un microfono, presso l'altare maggiore, al centro dell'interno a forma di croce. Nessuno pareva dare ascolto all'avviso, specie le guide turistiche, che continuavano con le loro dissertazioni stipendiate. «Questo posto è magnifico!» esclamò Pam. «Il cartello diceva che chiude alle cinque. Ci servono i biglietti per vedere il resto.» «Vado a prenderli», si offrì McCollum. «Ma l'indizio non parla soltanto della chiesa?» «Non ne ho idea. Per sicurezza, diamo un'occhiata anche al resto.» McCollum si fece strada tra la calca e tornò verso il portico. «Che ne pensi?» domandò Pam, che teneva ancora in mano il foglietto. «Di lui o della cerca?» «Sono entrambi problemi.» Lui sorrise. Pam aveva ragione. Per quanto riguardava la cerca... «In parte ha acquistato un senso. Comincia il viaggio nell'ombra e terminalo nella luce. L'ingresso corrisponde alla descrizione. Laggiù è come essere in un seminterrato, poi si arriva in questo posto luminoso.» Il sacerdote, ancora una volta, invitò quietamente la folla al silenzio e ancora una volta tutti lo ignorarono. «Che lavoraccio!» commentò Pam. «Un po' come l'alunno che segna i buoni e cattivi quando l'insegnante
esce dalla classe.» «D'accordo, Mr Genio», riprese lei. «Che mi dici della stella che recede e trova una rosa, trafigge una croce di legno e tramuta l'argento in oro. Trova il luogo che forma un indirizzo senza un luogo, dove si trova un altro luogo?» Lui ci stava già pensando. La sua attenzione fu attirata da un punto più avanti, verso il coro e il presbiterio, dove un piano rettangolare del pavimento incontrava una parete concava che faceva da sfondo all'altare, il tutto sormontato da un soffitto che era una combinazione di cupola semisferica, volta a botte e cassettoni in pietra. Colonne ioniche e corinzie s'innalzavano simmetricamente su tre lati del presbiterio, incorniciando volte di pietra che ospitavano elaborate tombe reali. Cinque dipinti coprivano il muro concavo e tutto faceva in modo d'indirizzare lo sguardo verso il maestoso sacrario barocco che sorgeva al centro, elevato al di sopra dell'altare maggiore. Si districò dai turisti che si attardavano, dirigendosi verso il lato opposto all'altare del popolo. Cordoni di velluto impedivano l'accesso al coro e al presbiterio. Un cartello lo informò che il sacrario, fatto interamente d'argento, era stato realizzato dall'orafo João de Sousa tra il 1674 e il 1678. Anche da quindici metri di distanza il sepolcro decorato, ricco di dettagli, appariva magnifico. Si voltò e guardò verso il fondo della navata, oltre le colonne e le panche, verso il coro inferiore dal quale erano entrati. Allora lo vide. Nel coro superiore, oltre una massiccia balaustra di pietra, quindici metri sopra il pavimento della chiesa. Alto sulla parete esterna più lontana, un enorme occhio sfolgorante lo fissava. La finestra circolare aveva un diametro di tre metri o più. Dal suo centro s'irradiavano colonnine e nervature. Le costole del tetto tracciavano un percorso ritorto verso di essa e sembravano dissolversi nella sua luminosità priva di ombre, chiara come un riflettore, che soffondeva l'interno della chiesa. Un ornamento comune a molte chiese medievali, che prendeva il nome dalla sua graziosa forma. Rosone. Rivolto a occidente. A giorno inoltrato. Splendente come il sole. Ma c'era di più. Al centro della balaustra del coro superiore c'era una grande croce. Lui avanzò e notò che la croce entrava alla perfezione nel cerchio della finestra, i cui raggi brillanti inondavano la navata al di là di essa.
Dove una stella che recede trova una rosa, trafigge una croce di legno e tramuta l'argento in oro. A quanto pareva, avevano trovato il posto. 47 Vienna, ore 16.30 Thorvaldsen ammirava il capolavoro di fiori, acqua e marmo di Alfred Hermann: l'enorme giardino era chiaramente frutto dell'opera di diverse generazioni. Sentieri ombrosi si snodavano dal castello verso radure erbose e c'erano vialetti di mattoni contornati da statue, bassorilievi e fontane. Ogni tanto le influenze francesi lasciavano il posto a un chiaro gusto italianeggiante. «Chi sono i proprietari di questo posto?» domandò Gary. «Gli Hermann sono una famiglia di antica reputazione in Austria, proprio come la mia lo è in Danimarca. Molto ricca e potente.» «Lui è tuo amico?» Domanda interessante, considerati i suoi sospetti. «Sino a qualche giorno fa lo credevo, ma adesso non ne sono più tanto sicuro.» Era contento della curiosità del ragazzo. Sapeva la verità su di lui: quand'era tornato dopo aver riaccompagnato a casa Gary al termine dell'ultima visita estiva, Malone gli aveva raccontato della rivelazione di Pam. Thorvaldsen aveva fatto finta di niente la prima volta che l'aveva vista, qualche sera prima, anche se aveva immediatamente capito chi fosse. La presenza di lei in casa sua, insieme con Malone, significava guai; per questo aveva piazzato Jesper fuori della porta dello studio. Pam Malone era troppo eccitabile. Per fortuna si era calmata. Sarebbe dovuta tornare in Georgia, ormai; invece da Tel Aviv gli avevano detto: Pare che Malone e la sua ex moglie, al momento, siano diretti a Lisbona. Cosa stava succedendo? Perché andare laggiù? Dov'era Artigli dell'Aquila? «Siamo venuti qui per aiutare tuo padre», spiegò a Gary. «Papà non ha mai detto che saremmo partiti. Mi ha detto di starmene dov'ero e di fare attenzione.» «Ti ha anche detto di seguire le mie istruzioni.» «Perciò, quando mi sgriderà, spero che ti prenderai la colpa.»
«Con piacere», sorrise l'uomo. «Hai mai visto uccidere una persona?» Thorvaldsen sapeva che il ricordo di quello che era successo martedì doveva averlo turbato, per quanto il giovanotto si sforzasse di mostrarsi coraggioso. «Diverse volte.» «Papà ha sparato in testa a quell'uomo. Ma sai una cosa? Non mi ha fatto effetto.» L'altro scosse la testa a quella spacconata. «Attento, Gary. Non devi abituarti all'omicidio, per quanto qualcuno possa meritarlo.» «Non volevo dire in quel senso, solo che... Era un uomo cattivo. Minacciava di uccidere la mamma.» Oltrepassarono una colonna di marmo sormontata da una statua di Diana. La brezza carezzava gli alberi e faceva tremolare le ombre proiettate sul tappeto erboso ondulato. «Tuo padre ha fatto ciò che doveva. Non gli è piaciuto. L'ha fatto e basta.» «L'avrei fatto anch'io.» Al diavolo la genetica! Gary era figlio di Malone e, benché avesse solo quindici anni, era certamente capace d'indignazione come lo era suo padre, soprattutto quando una persona cara veniva minacciata. Gary sapeva che i genitori si erano recati a Londra, ma non sapeva che sua madre era ancora coinvolta. Meritava la verità. «Tua madre e tuo padre stanno andando a Lisbona.» «Parlava di questo, la telefonata in camera?» L'uomo annuì e sorrise al piglio deciso con cui il ragazzo affrontava le novità. «Perché la mamma è ancora con lui? Non ha detto una parola al riguardo, quando ha chiamato ieri sera. Loro due non vanno d'accordo.» «Non ne ho idea. Dovremo aspettare finché uno dei due non richiama.» Anche lui desiderava disperatamente conoscere la risposta a quella domanda. Individuò la sua meta proprio di fronte a loro: un padiglione circolare di marmo colorato, sormontato da ferro dorato. La balaustrata aperta si affacciava su un lago cristallino, la cui superficie argentea appariva immobile nell'ombra. Entrarono e lui si avvicinò a una ringhiera. L'interno era pieno di grossi vasi colmi di fiori profumati. Come sempre, Hermann aveva fatto in modo che il parco fosse spettacolare. «Arriva qualcuno», disse Gary.
L'altro non si voltò. Non ce n'era bisogno. Se la raffigurò mentalmente: bassa, tozza, espirava rumorosamente l'aria camminando. Continuò a fissare il lago, godendo del dolce profumo dell'erba, dei fiori e dell'esperienza. «Lei sta arrivando di corsa?» «Come fai a sapere che è una donna?» «Un giorno imparerai anche tu che non si può vincere una battaglia se il nemico non è in qualche modo prevedibile.» «È la figlia di Mr Hermann.» L'uomo continuò ad ammirare il lago, guardando una famiglia di anatre nuotare verso la riva. «Non dirle niente di niente. Ascolta tutto, ma parla poco. È così che scopriremo quello che ci occorre sapere.» Udì un rumore di suole sul pavimento di pietra del padiglione e si voltò mentre Margarete si avvicinava a grandi passi. «In casa mi hanno detto che saresti venuto qui», esordì lei. «In effetti, mi ricordavo che questo è uno dei tuoi posti preferiti.» Lui sorrise della sua evidente soddisfazione. «È riservato. Così lontano dal castello... Gli alberi lo rendono tranquillo. Mi piace davvero, questo angolo. Era uno dei preferiti di tua madre, se ben ricordo.» «Papà l'ha costruito espressamente per lei. Ha trascorso qui i suoi ultimi giorni di vita.» «Ti manca?» «Ero piccola quando è morta, perciò non siamo mai state vicine. A papà manca molto.» «Sua madre non le manca?» domandò Gary. Anche se il ragazzo aveva contravvenuto al suo avvertimento, a Thorvaldsen non dispiacque la sua curiosità. In effetti era curioso anche lui. «Certo che mi manca. È solo che non eravamo vicine... come madre e figlia.» «Pare che tu abbia sviluppato un interesse per gli affari di famiglia e l'Ordine.» Gli parve quasi di vedere i pensieri che si componevano nella mente di lei. Aveva ereditato più gli aspri lineamenti del padre che la bellezza prussiana della madre. Non era una donna particolarmente attraente: capelli scuri, occhi castani, naso alto e sottile... Ma chi era lui per giudicare, con la sua spina dorsale storta, i capelli cespugliosi e la pelle incartapecorita? Si domandò se avesse mai avuto dei pretendenti, ma decise che quella donna non si sarebbe mai data a nessuno: era una che prendeva e basta. «Sono l'ultima degli Hermann.» Lo disse con un sorriso che voleva esse-
re rassicurante, ma che trasmetteva invece la sua irritazione. «Significa che erediterai tutto questo?» «Naturalmente. Perché non dovrei?» Lui si strinse nelle spalle. «Non ho idea di cosa pensi tuo padre. Ho scoperto, però, che a questo mondo non esistono garanzie.» Vide che le sue insinuazioni l'avevano punta sul vivo e non le diede il tempo di reagire. «Perché tuo padre ha cercato di fare del male a questo ragazzo?» La domanda improvvisa la sconcertò. Chiaramente non era maestra di stoicismo, a differenza del padre. «Non so proprio di cosa tu stia parlando.» Lui esitò. Forse Hermann le aveva tenuto nascosti i suoi piani. «Davvero non sai cosa sta facendo die Klauen der Adler?» «Di lui non sono respon...» Si trattenne, ma era troppo tardi. «Non c'è da preoccuparsi, mia cara. So tutto di lui. Mi chiedevo solo se tu sapessi.» «Quell'uomo è un problema.» Lui capì che lei non era direttamente coinvolta: troppe informazioni fluivano troppo liberamente. «Mi associo di tutto cuore. Ma, come hai giustamente detto, nessuno di noi due è responsabile di lui... Soltanto il Circolo.» «Non ero al corrente che i membri sapessero di lui.» «Io sono al corrente di molte cose. In particolare, di quello che sta facendo tuo padre. Anche quello è un problema.» Lei parve cogliere la convinzione nel tono di lui. Sul viso grassoccio della donna spuntò un sorriso nervoso. «Ricorda dove ti trovi, Henrik. Questo è territorio Hermann. Noi abbiamo il controllo di tutto ciò che accade qui, perciò non dovresti preoccuparti.» «Osservazione interessante. Cercherò di non dimenticarlo.» «Penso che forse dovresti concludere questa conversazione con papà.» Si voltò per andarsene e, in quel momento, lui sollevò un braccio in un rapido gesto. Dai cipressi fitti, appesantiti dagli anni, si materializzarono tre uomini in tuta mimetica. Avanzarono in fretta, arrivando proprio mentre Margarete scendeva dal padiglione. Due degli uomini la afferrarono. Uno le chiuse la bocca con una mano. Lei oppose resistenza.
«Henrik, cosa ci fa qui Jesper?» Il terzo uomo era il suo maggiordomo, che era arrivato poco prima e si era infiltrato nella proprietà. Da precedenti visite, Thorvaldsen sapeva malgrado le vanterie di Margarete - che i sistemi di sicurezza più intensivi erano limitati all'abitazione. Le restanti centinaia di acri non erano recintate, né sorvegliate. «Sta' ferma!» le ordinò lui. Lei smise di dibattersi. «Tu vai con questi signori.» La donna scosse con violenza la testa. Si era aspettato che lei avrebbe creato difficoltà, dunque fece un cenno col capo e la mano sulla bocca fu sostituita da un panno che, come lui sapeva, era imbevuto di anestetico in una dose sufficiente a indurre un sonno profondo. Ai vapori bastarono pochi secondi per fare effetto. Il corpo della donna si afflosciò. «Cosa stai facendo?» domandò Gary. «Perché le fai del male?» «Non gliene faccio, però ti assicuro che loro ne avrebbero fatto a te se tuo padre non avesse agito.» Si rivolse a Jesper. «Tienila al sicuro, come abbiamo stabilito.» Il suo dipendente annuì. Uno degli uomini s'issò in spalla il corpo robusto di Margarete e tutti e tre svanirono tra gli alberi. «Sapevi che sarebbe venuta qui?» domandò Gary. «Come dicevo, è bene conoscere il proprio nemico.» «Perché l'hai rapita?» A Henrik piacevano le lezioni e insegnare a Cai gli mancava. «Non si guida un'auto senza assicurazione. Anche quello che stiamo per fare comporta dei rischi e lei sarà la nostra assicurazione.» 48 Washington, DC Stephanie s'immobilizzò. Heather Dixon era armata e sul chi vive. Cassiopea abbracciò con lo sguardo la camera da letto e lei capì che l'amica era in cerca di qualsiasi cosa potesse essere usata come arma. «Cosa c'è?» udì Daley chiedere alla Dixon. «Il tuo allarme è staccato. Significa che è entrato qualcuno.» «È una conclusione un po' affrettata, non ti pare?»
«L'avevi attivato prima di uscire?» Trascorse un momento di silenzio. Stephanie sapeva di essere in trappola. «Non lo so», rispose Daley. «Potrei essermene dimenticato. Non sarebbe la prima volta.» «Ti dispiacerebbe se io dessi un'occhiata, tanto per sicurezza?» «Non ho tempo per farti giocare al soldato e quella pistola mi sta eccitando. Sei piuttosto sexy.» «Che adulatore! Così otterrai qualunque cosa.» Ancora silenzio, poi un gemito mezzo soffocato seguito da una protesta. «Attento alla mia testa! Quel bernoccolo fa male.» «Stai bene?» domandò Daley. Una cerniera lampo si aprì. «Butta quella pistola», ordinò Daley. Rumore di passi su per le scale. Stephanie fissò Cassiopea e mormorò: «Non ci credo!» «Almeno sappiamo dove si trovano entrambi.» Giusta osservazione, ma poco confortante. «Devo controllare.» Cassiopea le strinse il braccio. «Lasciali stare!» Contrariamente alle ultime dodici ore - durante le quali aveva preso decisioni che, nel migliore dei casi, si erano rivelate discutibili - ora Stephanie pensava lucidamente. Sapeva cos'andava fatto. Sgattaiolò fuori della camera da letto ed entrò nella stanzetta. Subito dopo c'era una scala che portava su; la porta d'ingresso era alla sua destra. Udì mormorii e risate e le assi del pavimento scricchiolarono. «Che diavolo sta succedendo?» si domandò ad alta voce Stephanie. «Questo non l'avevi scoperto, eh?» Lei scosse la testa. «Assolutamente no. Dev'essere una storia recente.» Cassiopea scomparve in fondo al corridoio. Lei esitò per un istante e individuò il revolver che Heather Dixon aveva estratto poco prima, appoggiato su una sedia. Afferrò l'arma e uscì dalla stanzetta. Malone fissò il rosone controllando l'orologio: erano le 16.40. In quella stagione il sole avrebbe cominciato a tramontare entro i prossimi novanta minuti. «L'edificio è orientato sull'asse est-ovest», disse a Pam. «Quella finestra si trova lì per ricevere l'ultimo sole della sera. Dobbiamo salire lassù.»
Individuò una porta con una freccia che indicava il coro superiore. Si avviò e scoprì, a ridosso della parete settentrionale della chiesa, un'ampia scalinata di pietra con una volta a botte che la faceva assomigliare a un tunnel. Seguì un gruppo di turisti che salivano. In cima si entrava nel coro. Due file di banchi di legno con lo schienale alto si fronteggiavano, adorni di festoni e arabeschi. Al di sopra di essi erano appesi dipinti raffiguranti diversi apostoli. La corsia tra i banchi portava alla parete occidentale della chiesa, col rosone nove metri più in alto. Lui alzò gli occhi. Il pulviscolo fluttuava negli strati di luce brillante. Si voltò ed esaminò la croce che si levava all'estremità opposta del coro superiore. Lui e Pam si avvicinarono alla balaustra e lui ammirò il drammatico realismo dell'immagine scolpita del Cristo. Un cartello alla base informava in due lingue: CRISTO NA CRUZ CRISTO SULLA CROCE 1550 C. ESCULTURA EM MADEIRA POLICROMA SCULTURA IN LEGNO POLICROMA «Dove una stella che recede trova una rosa, trafigge una croce di legno», disse Pam. «È questa!» Lui assentì, ma stava già pensando alle parole successive. E tramuta l'argento in oro. Tornò a guardare l'abbagliante rosone e seguì i raggi carichi di pulviscolo che oltrepassavano la croce ed entravano nella navata. Di sotto, la luce tracciava una striscia sul pavimento a scacchi lungo il corridoio centrale che divideva i due ordini di banchi. La folla brulicante non sembrava accorgersene. La luce proseguiva verso est sino all'altare del popolo e disegnava una linea fioca sul tappeto rosso sottostante. McCollum riapparve dal coro inferiore e percorse il corridoio centrale verso la parte anteriore della chiesa. «Si chiederà dove siamo finiti», osservò Pam. «Non andrà da nessuna parte. Pare che abbia bisogno di noi.» McCollum si fermò tra le ultime delle sei colonne, si guardò attorno, poi si voltò e li vide. Malone sollevò il palmo e gli fece cenno di aspettare lì,
poi mostrò l'indice, segnalando che sarebbero scesi tra un minuto. Aveva detto la verità a McCollum: era piuttosto bravo a risolvere enigmi. Quello dapprincipio gli era apparso ambiguo, ma in quel momento guardando la massa d'incisioni, nervature e archi sottostante, un'armonia di linee e pietre intrecciate che il tempo, la natura e l'incuria non avevano quasi alterato - intuì la soluzione. Il suo sguardo seguì i raggi del sole che tramontava mentre, attraversando il presbiterio, tagliavano a metà l'altare maggiore e raggiungevano il sacrario d'argento. Che mandava un luccichio dorato. Non aveva notato il fenomeno dal basso, da vicino; forse era dipeso dal fatto che prima il sole non si trovava ancora alla giusta angolatura. In quel momento, però, la trasformazione era evidente. Argento in oro. Vide che pure Pam l'aveva notato. «È sorprendente, questo gioco di luce», commentò lei. Il rosone era stato chiaramente collocato in modo che il sole, tramontando, colpisse - almeno per qualche minuto - il sacrario. A quanto pareva il ricettacolo d'argento era stato disposto con grande precisione, a costo di rimuovere uno dei sei dipinti che lo circondavano e spezzare così la simmetria tanto amata dai costruttori medievali. Malone pensò alla parte finale della cerca. Trova il luogo che forma un indirizzo senza un luogo, dove si trova un altro luogo. Si diresse verso le scale. Al pianterreno si avvicinò ai cordoni di velluto che impedivano l'accesso al presbiterio. Osservò l'interazione tra marmo nero, bianco e rosso, che conferiva un'atmosfera di nobiltà del tutto adeguata al luogo, dal momento che il presbiterio fungeva da mausoleo di una famiglia reale. Il sacrario era a nove metri di distanza. La sua attenta osservazione era esclusa dalla visita turistica. Il sacerdote presso l'altare del popolo annunciò tramite gli altoparlanti che la chiesa e il monastero avrebbero chiuso tra cinque minuti. Molti gruppi se ne stavano già andando e altri si alzarono per uscire. Poco prima, Malone aveva notato una sorta d'immagine incisa sulla porta del sacrario dietro la quale, un tempo, doveva essere conservato il santissimo sacramento e che forse custodiva tuttora l'ostia consacrata. Pur es-
sendo stata dichiarata patrimonio dell'umanità - ormai un'attrazione turistica più che un luogo di culto - la navata centrale era ancora utilizzata per celebrazioni liturgiche speciali, un po' come St Paul's e Westminster. Il che spiegava come mai i visitatori venissero tenuti a distanza da quello che era chiaramente il pezzo forte dell'edificio. McCollum li raggiunse. «Ho i biglietti.» Malone indicò il sacrario. «Devo darci un'occhiata più da vicino, senza tutti questi testimoni.» «Non sarà facile. Immagino che faranno uscire tutti, nei prossimi minuti.» «Lei non mi sembra il tipo che s'inchina all'autorità.» «Neanche lei.» Ripensò ad Avignone e a quello che lui e Stephanie avevano fatto in una piovosa notte di giugno. «Allora troviamo un posto dove nasconderci sino a quando non se ne saranno andati tutti.» Stephanie tornò in punta di piedi nella nicchia. Doveva trovare il nascondiglio di Daley prima che di sopra la situazione arrivasse al culmine. Sperò che la Dixon e Daley non avessero fretta, benché poco prima il tono di Daley fosse concitato. Cassiopea stava già cercando in silenzio. «Il rapporto dice che non ha mai lasciato questa scrivania con le chiavette USB: le usava sul portatile, ma non le portava con sé. Diceva sempre alla ragazza di precederlo in camera da letto e che l'avrebbe raggiunta subito.» Le sue parole erano più soffio che voce. «Stiamo tirando un po' troppo la corda, rimanendo qui.» Lei si fermò ad ascoltare. «Pare siano ancora impegnati.» Cassiopea aprì i cassetti della scrivania, tastando in cerca di nascondigli, ma Stephanie dubitava che avrebbe trovato qualcosa: troppo ovvio. Passò di nuovo in rassegna gli scaffali dei libri e si fermò su un saggio politico... Un volume sottile, con la copertina color grigio talpa e il titolo stampato in blu. Hardball di Chris Matthews. Ricordò la storiella che Daley aveva raccontato a Green quando si era vantato della sua nuova autorità sulla sezione Magellano. Come aveva detto? Il potere è ciò che hai in mano.
Si allungò per prendere il libro, lo aprì e scoprì che l'ultimo terzo delle pagine era stato incollato insieme. Dal blocco risultante era stato ritagliato un incavo profondo poco più di mezzo centimetro, al cui interno c'erano cinque chiavette USB, ciascuna etichettata con un numero romano. «Come facevi a saperlo?» sussurrò Cassiopea. «Devo dire che la cosa mi spaventa. Sto cominciando a pensare come quell'idiota.» Cassiopea fece per dirigersi verso il retro della casa e la porta di servizio, ma Stephanie l'afferrò per un braccio e le indicò l'ingresso. Le rispose uno sguardo confuso, un'espressione che domandava: Perché cercare guai? Entrarono nello studiolo, poi passarono nell'ingresso. Il tastierino numerico dell'allarme accanto alla porta d'ingresso indicava che il sistema era ancora inattivo. Stephanie stringeva la pistola della Dixon. «Larry!» chiamò ad alta voce. Silenzio. «Larry! Posso parlarti un momento?» Si udì un tonfo di passi al piano di sopra e Daley apparve sulla soglia della camera da letto, in pantaloni, a torso nudo. «Che bei capelli, Stephanie! Nuova acconciatura? E quei vestiti... Affascinante!» «Mi sono fatta bella solo per te.» «Cosa ci fai qui?» Lei gli mostrò il libro. «Cercavo il tuo piccolo segreto.» L'apprensione si dipinse sul viso fanciullesco di Daley. «Proprio così! Ora tocca a te sudare freddo. E in quanto a Heather...» Stephanie alzò la voce. «Il tuo gusto in fatto di amanti mi delude!» La Dixon uscì orgogliosamente nuda dalla camera da letto, senz'ombra di vergogna. «Sei morta.» Stephanie scrollò le spalle. «È da vedere. Ora come ora ho la tua pistola.» Mostrò l'arma. «Cos'hai intenzione di fare?» volle sapere Daley. «Non ho ancora deciso.» Pensò di togliersi una curiosità. «Da quanto va avanti tra voi due?» «Non sono fatti tuoi», rispose la Dixon. «Era solo per parlare. Vi ho interrotti per farvi sapere che ora non c'è più in gioco soltanto la mia pelle.»
«A quanto pare la sai piuttosto lunga», commentò Daley. «Chi è la tua amica?» «Cassiopea Vitt», rispose la Dixon. «Sono lusingata che lei mi conosca.» «Sono in debito per quella freccia nel collo.» «Non occorre ringraziarmi.» «È ora che voi due ve ne torniate a letto», disse Stephanie. «Non credo proprio.» La Dixon fece per scendere le scale, ma Stephanie le puntò contro l'automatica. «Non provocarmi, Heather! Sono disoccupata da poco e ho un mandato d'arresto sulla testa.» L'israeliana si fermò, forse intuendo che non era il momento di sfidare la sua avversaria. «Camera da letto!» ordinò Stephanie. La Dixon esitò. «Subito.» L'altra tornò in cima alle scale. Stephanie raccolse i vestiti dell'israeliana, scarpe comprese. «Tu non correrai il rischio di crearci dei guai, sapendo che possiamo esporti pubblicamente... ma lei potrebbe farlo. Questo, se non altro, la rallenterà.» Uscirono. 49 Vienna, ore 18.40 Thorvaldsen indossò la veste cremisi che tutti i membri dovevano portare durante l'Assemblea. La prima sessione sarebbe cominciata alle sette, ma lui non poteva dirsi impaziente: troppe chiacchiere, di solito, e pochi fatti... Lui non aveva mai avuto bisogno di una cooperativa per realizzare i suoi obiettivi, tuttavia gli piaceva il cameratismo che aleggiava dopo le riunioni. Gary era seduto su una delle poltrone foderate. «Come sto?» domandò Thorvaldsen in tono allegro. «Come un re.» Le vesti regali erano lunghe sino alle caviglie, fatte di velluto e fittamente ricamate in filo d'oro col motto dell'Ordine: Je l'ay emprins, «ho osato». Il completo risaliva al XV secolo e all'Ordine del Toson d'Oro originario.
Allungò la mano per prendere la catena d'oro massiccio, con pietre focaie nere smaltate in forma di acciarini. Un elaborato vello d'oro era appeso al centro. «Questa viene consegnata a ogni membro al suo insediamento. È il nostro simbolo.» «Sembra costosa.» «Lo è.» «È davvero importante per te, tutto questo?» Lui scrollò le spalle. «È una cosa che mi piace, ma non è come una religione.» «Papà mi ha detto che sei ebreo.» Lui annuì. «Non so molto degli ebrei. Solo che ne sono stati uccisi milioni nella seconda guerra mondiale. Non è una cosa che capisco davvero.» «Non sei il solo. I gentili si sforzano di venire a patti con la nostra esistenza da secoli.» «Perché la gente odia gli ebrei?» Aveva riflettuto molte volte su quella domanda, insieme con filosofi, teologi e politici che ne dibattevano da secoli. «Per noi è cominciato tutto con Abramo. Aveva novantanove anni quando Dio lo ha visitato e ha stipulato con lui un patto, scegliendo un popolo eletto che avrebbe dovuto ereditare la terra di Canaan... Purtroppo, però, quell'onore comportava anche delle responsabilità.» Vide che il ragazzo era interessato. «Hai mai letto la Bibbia?» Gary scosse la testa. «Dovresti farlo; è un gran bel libro. Per un verso, Dio ha benedetto gli israeliti facendo di loro il popolo eletto... Ma è stata la loro reazione a quell'evento, in fin dei conti, a determinare il loro destino.» «Cos'è successo?» «L'Antico Testamento dice che si sono ribellati, hanno bruciato incenso, hanno attribuito agli idoli la loro buona sorte, hanno camminato seguendo i dettami del proprio cuore. Così Dio li ha dispersi tra i gentili per punizione.» «Per questo la gente li odia?» Thorvaldsen finì di allacciarsi il mantello. «Difficile dirlo. Fatto sta che da allora gli ebrei sono sempre stati perseguitati.» «Sembra che Dio abbia un caratteraccio!»
«Il Dio dell'Antico Testamento è molto diverso da quello del Nuovo.» «Non sono sicuro che mi piaccia.» «Non sei il solo.» S'interruppe. «Gli ebrei sono stati i primi a insistere sul fatto che l'uomo è responsabile delle proprie azioni. Non è colpa delle divinità se la tua vita va male; è colpa tua. Questo ci ha resi diversi e i cristiani si sono spinti ancora oltre... È stato l'uomo a causare il proprio esilio dall'Eden ma, poiché Dio amava l'uomo, lo ha redento col sangue di suo figlio. Il Dio degli ebrei è iroso; il suo obiettivo è la giustizia. Il Dio dei cristiani è misericordioso. Una differenza enorme.» «Dio dovrebbe essere buono, no?» L'uomo sorrise e si guardò attorno nella stanza elegante. Era ora di venire al dunque. «Dimmi cosa pensi di quello ch'è successo al padiglione.» «Non credo che il signor Hermann sarà contento del fatto che hai preso sua figlia.» «Neanche i tuoi genitori sono stati contenti di quello ch'è successo a te. La differenza è che lei è una donna adulta, mentre tu sei un adolescente.» «Perché sta succedendo tutto questo?» «Immagino che lo sapremo presto.» La porta della camera da letto si spalancò all'improvviso e Alfred Hermann piombò all'interno. Indossava anche lui una veste regale con un medaglione d'oro e un mantello adorno di seta blu. «Hai tu mia figlia?» domandò Hermann. Il suo volto era una maschera di furore. Thorvaldsen restò impassibile. «Sì.» «Ovviamente sai bene che in questa stanza ci sono dei microfoni.» «Non serviva una grande intelligenza per capirlo.» Percepì l'aumento della tensione. Hermann si muoveva su un terreno minato. «Henrik, non ho intenzione di tollerarlo!» «Ebbene, cosa pensi di fare? Richiamare Artigli dell'Aquila affinché tratti con me?» Hermann esitò. «È quello che vuoi, vero?» Thorvaldsen gli si avvicinò. «Hai passato il segno, quando hai fatto rapire questo giovane.» Indicò Gary. «Dov'è Margarete?» «Al sicuro.» «Non hai il fegato di farle del male!» «Ho il fegato di fare tutto ciò che è necessario e tu dovresti conoscermi
abbastanza per saperlo.» Lo sguardo intenso di Hermann era più penetrante di un uncino. Thorvaldsen aveva sempre pensato che la faccia ossuta dell'austriaco fosse più adatta a un contadino che a un aristocratico. «Pensavo fossimo amici.» «Anch'io, ma evidentemente l'amicizia non ti ha impedito di portar via questo giovane a sua madre e di distruggere la libreria di suo padre.» La prima sessione dell'Assemblea stava per cominciare; per questo lui aveva calcolato con cura il momento della rivelazione. Hermann, in qualità di Sedia Blu, doveva mostrare in ogni momento disciplina e sicurezza. Non avrebbe mai potuto permettere ai membri di conoscere le sue difficoltà personali. Né poteva tardare. «Dobbiamo andare», disse infine Hermann. «Non finisce qui, Henrik.» «Sono d'accordo. Per te è soltanto l'inizio.» 50 Washington, DC, ore 13.30 «Non credi di aver tirato troppo la corda con Daley?» domandò Green a Stephanie. Lei e Cassiopea viaggiavano sulla limousine di Green. Il comparto posteriore era acusticamente isolato da quello anteriore da una lastra di plexiglas. Green le aveva prese a bordo in centro, dopo che avevano lasciato la casa di Daley. «Lui non ci avrebbe mai seguito. Forse Heather sarebbe riuscita a indossare i vestiti di lui, ma non le scarpe. Dubito che si sarebbe lanciata al nostro inseguimento scalza e disarmata.» Green non sembrava convinto. «Immagino tu avessi una ragione per far sapere a Daley che eravate lì.» «Anche a me interesserebbe sentirla», intervenne Cassiopea. «Avremmo potuto uscire senza che lui venisse mai a saperlo.» «E io sarei ancora nel mirino. In questo modo dovrà stare attento, perché io ho qualcosa che lui vuole. Se non altro, Daley sa fare il proprio interesse.» Green indicò la copia di Hardball. «Cosa c'è di tanto cruciale?» Stephanie accese il portatile che aveva chiesto a Green di portare. Infilò
una delle chiavette USB in una porta vuota e digitò AUNT B'S nella casella della password. «La tua agente gli ha carpito anche questo?» si sorprese Cassiopea. Lei annuì. «È un ristorantino nel Maryland. Daley ci va spesso nel fine settimana. Cucina rustica... Uno dei suoi preferiti. Mi stupisce; immaginavo Daley come un habitué di ristoranti a cinque stelle.» Sul monitor apparve un elenco di file, ciascuno contrassegnato da un titolo di una sola parola. «Sono tutti membri del Congresso», spiegò lei. Cliccò su un nome. «Ho scoperto che Daley è un maestro con date e orari. Quando spreme un parlamentare per un voto, ha informazioni precise su ogni contributo che gli sia mai stato destinato. È strano, perché lui non versa mai denaro direttamente: sono i lobbisti, cui piace l'idea di arruffianarsi la Casa Bianca, a fare il lavoro sporco. Questo mi ha portato a pensare che tenesse una documentazione; nessuno può ricordare tutta questa roba a memoria.» Indicò lo schermo. «Ecco un esempio.» Contò. «Quattordici pagamenti a questo tizio, per un totale di 187.000 dollari in un periodo di sei anni. Sono indicati data, luogo e ora di ogni pagamento.» Scosse la testa. «Niente terrorizza un politico più dei dettagli.» «Stiamo parlando di bustarelle?» domandò Green. «Pagamenti in contanti, sull'unghia. Non tanto da attirare l'attenzione, ma abbastanza per tenere aperti i canali di comunicazione. Tutto semplice e liscio come l'olio. È questo il genere di capitale politico che Daley accumula... Quello di cui si serve la Casa Bianca attuale. Sono riusciti a far passare certe leggi che fanno proprio al caso loro.» Green fissava il monitor. «Devono esserci un centinaio di deputati.» «È un tipo efficiente, devo dargliene atto. I soldi sono stati ben distribuiti tra i due lati dell'aula.» Cliccò su un altro file, che mostrava un elenco comprendente una trentina di senatori. «Ha comprato anche una manciata di giudici federali. Quando i suoi amici si cacciano in guai finanziari - come tutti gli altri, del resto - lui ha i suoi uomini sul posto, pronti a dare una mano. Ne ho trovato uno nel Michigan che ha parlato: era sull'orlo della bancarotta, finché non è saltato fuori uno dei suoi amici coi soldi che gli servivano. Alla fine, la sua coscienza si è fatta sentire, specie quando Daley ha preteso che pronunciasse una certa sentenza. Pare che un avvocato, coinvolto in una causa presieduta da lui, fosse un grosso finanziatore di partito e avesse bisogno di una piccola garanzia di vittoria.» «I tribunali federali sono focolai di corruzione», borbottò Green. «Lo sto
dicendo da anni. Affidare a qualcuno una carica a vita significa cercare guai. Troppo potere, troppo poca vigilanza.» Lei prese un'altra chiavetta. «Una sola di queste sarebbe sufficiente per incriminare diversi di quegli avvoltoi.» «Che definizione eloquente!» «È per via di quelle toghe nere. Sembrano proprio avvoltoi appollaiati su un ramo, in attesa di spolpare qualche carogna.» «Che mancanza di rispetto per la nostra magistratura!» commentò lui con un sorriso. «Il rispetto va guadagnato.» «Posso dire la mia?» intervenne Cassiopea. «Perché non rendiamo tutto pubblico? Attiriamo più attenzione possibile! Non è il modo in cui lavoro di solito, ma in questa occasione potrebbe funzionare.» Green scosse la testa. «Come hai osservato poco fa, non so molto degli israeliani. Tu non capisci come lavorano le pubbliche relazioni di quest'amministrazione... Sono maestri nel rigirare la frittata. Confonderebbero le idee sino a oscurare la verità e noi perderemmo la presa sia su Daley sia sul traditore.» «Ha ragione lui. Non funzionerebbe», confermò Stephanie. «Dobbiamo fare tutto da soli.» Il traffico costrinse l'auto a fermarsi e il cellulare di Green emise un flebile squillo. Lui infilò la mano nella tasca dell'abito, estrasse l'apparecchio ed esaminò il display. «Questo potrebbe rivelarsi interessante.» Premette due tasti e parlò nel microfono. «Mi aspettavo una tua chiamata.» «Ci scommetto», disse Daley. «Pare che forse non finirò dentro una cassa diretta nel Vermont, dopotutto.» «Quando si gioca a scacchi è così, Brent: ogni mossa è un'avventura. Okay, te lo concedo... La tua è stata buona.» «Il merito è di Stephanie.» «Sono sicuro che è lì con te, perciò... Ben fatto, Stephanie!» «È sempre un piacere, Larry.» «Tuttavia questo cambia poco», chiarì Daley. «Gli elementi di cui ti ho parlato sono ancora agitati.» «Bisognerà che li calmi», disse Stephanie. «Vogliamo parlarne?» domandò Daley. Stephanie fece per rispondere, ma Green alzò una mano. «Che vantaggio ce ne verrebbe?»
«Potrebbe essere grande. La posta in gioco è alta.» Lei non riuscì a resistere. «A parte le tue chiappe, vuoi dire?» «C'è in ballo molto di più.» «Hai mentito quando hai detto di non sapere niente del Rapporto Alexandria, vero?» domandò Green. «Mentire è una brutta parola... Diciamo che ho celato certi fatti nell'interesse della sicurezza nazionale. È quello il prezzo che dovrò pagare?» «Credo sia ragionevole, tutto considerato.» Daley avrebbe capito che loro potevano divulgare i suoi segreti in qualsiasi momento: tanto Stephanie quanto Green avevano contatti tra i media, più che disposti a gettare fango sul governo. «D'accordo.» Il tono di Daley grondava rassegnazione. «Come vuoi che facciamo?» Stephanie conosceva la risposta. «In pubblico. Con molta gente.» «Non è una buona idea.» «È l'unico modo in cui siamo disposti a farlo.» L'altoparlante tacque per un momento, poi Daley disse: «Ditemi dove e quando». 51 Lisbona, ore 19.40 Malone si svegliò. Era seduto, con la schiena appoggiata a un ruvido muro di pietra. «Sono le sette e mezzo passate», gli sussurrò Pam all'orecchio. «Quanto tempo ho dormito?» «Un'ora.» Non riusciva a vedere il viso della donna. Erano immersi in un'oscurità totale. «Tutto bene, lassù?» domandò piano a McCollum. «Sereno e tranquillo.» Avevano lasciato la chiesa poco prima delle cinque e raggiunto velocemente il coro superiore, dove un'altra entrata conduceva al chiostro esterno. I turisti erano usciti lentamente, approfittando del sole del tardo pomeriggio per le ultime foto alle opulente decorazioni moresche. La galleria superiore non aveva offerto rifugi sicuri, ma, percorrendo la parete nord della chiesa al pianterreno, avevano trovato undici porte di legno e un car-
tello che spiegava come quei piccoli spazi fungessero un tempo da confessionali. Benché dieci di quelle porte fossero chiuse a chiave, McCollum era riuscito ad aprirne una grazie a un foro presente sotto il chiavistello. A quanto pareva, la serratura era difettosa e quel foro veniva usato dal personale autorizzato per accedere. McCollum aveva usato un impressionante coltello che teneva in tasca per far scorrere il chiavistello, richiudendolo dopo che erano entrati. Malone non si era accorto che l'uomo fosse armato... Non era possibile che si fosse portato quel coltello sull'aereo, ma, all'aeroporto di Londra, McCollum aveva ritirato una piccola borsa, che aveva depositato in una cassetta di sicurezza all'aeroporto di Lisbona. Anche Malone aveva lasciato la cartella presa in casa di Haddad a Lisbona, in una cassetta del tutto simile. Il fatto che McCollum non avesse accennato al coltello non faceva che accrescere i sospetti di Malone nei suoi confronti. Dentro il confessionale, una grata di ferro si apriva su un altro bugigattolo scuro con una porta che lo collegava alla chiesa: l'ingresso per il penitente. La griglia separava le due parti del confessionale, in modo che si potesse svolgere la confessione. Malone era stato educato al cattolicesimo e ricordava che una struttura simile, benché più semplice, c'era anche nella sua chiesa. Non aveva mai capito perché non poteva vedere il sacerdote che lo stava assolvendo dai suoi peccati. Quando lo aveva domandato alle suore che gli insegnavano il catechismo, loro gli avevano risposto semplicemente che la separazione era necessaria. Col tempo aveva imparato che alla Chiesa cattolica piaceva molto dirti cosa dovevi fare, ma non amava particolarmente spiegarti il perché... Il che era parte del motivo per cui lui aveva smesso di praticare la religione. Diede un'occhiata al quadrante luminoso dell'orologio TAG di Pam: erano quasi le otto di sera. Ancora presto, ma l'edificio era ormai chiuso da tre ore. «Nessun movimento fuori?» domandò a bassa voce a McCollum. «Neanche un suono.» «Muoviamoci», mormorò nel buio. «È inutile continuare a star seduti qui.» Sentì il rumore del coltello di McCollum che scivolava nel foro e il raschiare di metallo contro metallo. La porta del confessionale si aprì scricchiolando. Lui si alzò, ma dovette piegarsi per via del soffitto basso.
McCollum tirò la porta verso l'interno. Uscirono nella galleria inferiore, accogliendo con sollievo la fresca aria notturna dopo tre ore in quella specie di ripostiglio. Lungo il chiostro aperto, nelle gallerie superiore e inferiore, ardevano fioche lampade a incandescenza e i complicati trafori tra gli archi erano più ombre che dettagli. Malone s'infilò sotto l'arco più vicino e alzò lo sguardo verso il cielo notturno. L'oscurità del chiostro ombroso pareva accentuata dalla notte senza stelle. Andò dritto verso la scala che portava al coro superiore, augurandosi che la porta che conduceva in chiesa - quella che aveva usato in precedenza per raggiungere il coro dalla navata centrale - non fosse stata chiusa a chiave. Fu lieto di scoprire che era aperta. Nella navata regnava un silenzio di tomba. La luce dei riflettori che inondava la facciata esterna illuminava di riflesso le vetrate. Poche flebili lampadine spezzavano la fitta oscurità soltanto nel coro inferiore. «Sembra tutto diverso di notte», osservò Pam. Malone andò dritto verso il presbiterio e balzò oltre i cordoni di velluto, poi salì i cinque gradini dell'altare maggiore e si trovò di fronte al sacrario. Si voltò e tornò a concentrarsi sul coro superiore all'estremità opposta. L'iride grigio pallido del rosone lo fissava di rimando, non più animata dal sole. McCollum parve indovinare ciò di cui avrebbe avuto bisogno e apparve al suo fianco con una candela e dei fiammiferi. «Le candele votive, vicino al fonte battesimale. Le avevo viste prima.» Malone resse la candela e McCollum accese lo stoppino. Avvicinò il lumicino al sacrario e studiò l'immagine incisa sulla porta. Maria sedeva col Bambino in grembo; san Giuseppe era dietro di lei. Tutti e tre erano incoronati da aureole. Tre uomini barbuti - uno dei quali inginocchiato davanti al Bambino - rendevano loro omaggio e altri tre li osservavano. Curiosamente, uno di questi ultimi indossava una specie di elmetto militare. Al di sopra della scena splendeva una stella a cinque punte che squarciava le nubi. «È la Natività», disse Pam alle sue spalle. Lui annuì. «Ne ha tutto l'aspetto. I tre magi hanno seguito la stella e sono venuti ad adorare il re neonato.» Richiamò alla mente l'indovinello e quello che avrebbero dovuto cercare lì, dove l'argento si tramutava in oro: Trova il luogo che forma un indirizzo senza un luogo, dove si trova un altro luogo.
Un enigma stimolante. «Dobbiamo uscire di qui, ma ci serve un'immagine di questo. Dal momento che nessuno di noi ha una macchina fotografica, avete qualche idea?» «Dopo aver comprato i biglietti sono salito al piano di sopra», disse McCollum. «C'è un negozio di souvenir, pieno di libri e cartoline. Là dev'esserci una foto». «Buona idea. Faccia strada.» Sabre salì le scale per la galleria superiore, soddisfatto di aver fatto la scelta giusta. Quando Alfred Hermann lo aveva incaricato di trovare la Biblioteca, il piano definitivo aveva rapidamente preso forma nella sua mente e l'eliminazione della squadra di sorveglianza israeliana in Germania ne aveva consolidato il corso. Hermann non avrebbe mai approvato una deliberata provocazione contro gli ebrei. Sarebbe stato impossibile fargli capire perché quegli assassinii erano stati necessari, ovvero semplicemente per sbilanciare la parte avversa per i pochi giorni necessari a ottenere il suo scopo. Ammesso che fosse possibile. Ma poteva esserlo. Non avrebbe mai decifrato la cerca dell'eroe da solo e coinvolgere persone diverse da Malone avrebbe soltanto aumentato in maniera esponenziale i rischi di essere scoperto. Fare di Malone il suo presunto alleato era l'unica via percorribile. Era un rischio, ma quella mossa si era rivelata produttiva. Metà della cerca pareva risolta. Arrivò in cima alle scale ed entrò nella galleria superiore, girò a sinistra e si diresse verso una serie di porte di vetro, del tutto anacronistiche in quella cornice medievale. Il suo cellulare, al sicuro dentro la tasca dei pantaloni, aveva già registrato quattro chiamate da parte di Alfred Hermann. Si era chiesto se contattarlo e placare la sua ansia, ma aveva deciso che sarebbe stata una sciocchezza: il vecchio gli avrebbe fatto troppe domande cui poteva dare poche risposte. Aveva studiato a lungo l'Ordine - e in particolare Alfred Hermann - e pensava di aver individuato i loro punti di forza e quelli deboli. I membri erano prima di tutto uomini d'affari. Prima di poter spremere gli israeliani - o i sauditi o gli americani -, l'Ordine del Toson d'Oro avrebbe dovuto trattare con lui.
E lui non si sarebbe venduto a buon prezzo. Malone seguì Pam e McCollum nella galleria superiore sovrastata dalla volta piena di nervature, ammirandone la lavorazione. Dai frammenti di discorso ascoltati in precedenza dalle guide turistiche, l'Ordine Geronimita - che aveva preso possesso del monastero nel 1500 - era un gruppo chiuso dedito alla preghiera, alla contemplazione e al pensiero riformista. Non si proponevano una missione evangelica o pastorale, concentrandosi invece sul vivere un'esistenza cristiana esemplare attraverso l'adorazione divina secondo l'esempio del loro santo patrono... Lo stesso san Girolamo di cui Malone aveva letto nel libro preso a Bainbridge Hall. Si fermarono davanti a una porta di vetro costruita su misura per una delle elaborate arcate. Dall'altra parte c'era il negozio. «Non credo ci sia un allarme», affermò McCollum. «Cosa c'è da rubare? I souvenir?» La porta era fatta di spesse lastre di vetro ornate da cardini metallici neri e maniglie cromate. «Si apre verso l'esterno», osservò Malone. «Non possiamo sfondarla a calci. Il vetro è spesso più di un centimetro.» «Perché non controlli se è chiusa a chiave?» consigliò Pam. Lui afferrò una maniglia e tirò. La porta si aprì. «Ora capisco perché i tuoi clienti si fidano tanto del tuo parere.» «Perché dovrebbero chiuderla?» considerò lei. «Questo posto è una fortezza e, dopotutto, McCollum ha ragione... Cosa c'è da rubare? La porta stessa vale più della mercanzia.» Lui sorrise alle sue argomentazioni. L'atteggiamento sgarbato era in parte tornato, ma lui ne fu contento. Lo aiutava a restare concentrato. Entrarono. Lo spazio buio e stantio gli ricordò il confessionale. Aprì la porta a novanta gradi e la bloccò in quella posizione, come doveva stare durante il viavai diurno dei visitatori. Un rapido sguardo gli disse che il negozio misurava all'incirca sei metri di lato, con tre alti espositori a ridosso di una parete, scaffali di libri sulle altre due e il bancone con la cassa parallelo alla quarta. Il centro era occupato da un bancone indipendente, carico di libri. «Abbiamo bisogno di luce», disse Malone. McCollum si avvicinò a un'altra porta di vetro a due ante che dava su una scalinata annerita. Dal muro sporgevano tre interruttori.
«Siamo all'interno del monastero», rifletté Malone. «La luce non sarà visibile fuori da queste mura. Accenda e spenga rapidamente; vediamo che succede.» McCollum azionò un interruttore e i quattro piccoli riflettori alogeni che illuminavano le teche di vetro presero vita. La luce era diretta verso il basso in raggi sottili. Più che sufficiente. «Può andare. Ora troviamo le fotografie.» Sul bancone centrale c'era una pila di volumi con la copertina rigida, in portoghese e in inglese, tutti intitolati Abbazia dei Jerónimos di santa Maria. Avevano pagine patinate, testo fitto e anche fotografie. Due libri più sottili, accatastati di fianco agli altri, contenevano più immagini che parole. Lui sfogliò quelli della prima pila mentre Pam esaminava gli altri e McCollum passava in rassegna gli scaffali. Arrivato a tre quarti di un libro, Malone trovò un capitolo sul presbiterio e una foto a colori della porta d'argento del sacrario. Avvicinò il libro alla luce. L'immagine era in primo piano, ben dettagliata. «Eccola qui!» Continuò a leggere le notizie sul sacrario, cercando di capire se ci fossero informazioni utili, e apprese che era fatto di legno rivestito d'argento; per collocarlo nel presbiterio era stato necessario rimuovere il dipinto centrale della fila inferiore, successivamente scomparso. L'immagine di quel dipinto perduto era stata incisa sulla porta del sacrario, completando il ciclo iconografico dei quadri, tutti incentrati sull'Epifania. Sulla porta si vedeva Gaspare - uno dei tre re Magi - intento ad adorare Gesù bambino. Il libro spiegava che l'Epifania era vista come la sottomissione del secolare al divino e i tre Magi simboleggiavano le parti del mondo conosciuto allora: Europa, Asia e Africa. Poi trovò un brano interessante. Si dice che uno strano fenomeno si verifichi in certi periodi dell'anno, quando i raggi del sole penetrano nella chiesa in un modo singolare: per venti giorni prima dell'equinozio di primavera e per trenta giorni dopo l'equinozio d'autunno, i raggi dorati del sole - dall'ora dei vespri sino al tramonto - entrando da occidente e coprendo una distanza di 450 passi, attraversano il coro e la chiesa in linea retta sino al sacrario, tramutandone l'argento in oro. Uno dei parroci di Belém, devoto studioso della sua storia, osservò molto tempo fa che «il sole sembra chiedere al suo Crea-
tore il permesso di ritirarsi dal suo illustre dovere per le poche ore della notte, promettendo di tornare a splendere all'alba». Lesse agli altri il paragrafo, poi aggiunse: «A quanto pare, i Guardiani sono ben informati». «Hanno anche un ottimo tempismo», aggiunse Pam. «L'equinozio d'autunno è passato da due settimane.» Lui strappò la pagina con la fotografia e pensò all'ultima parte dell'indizio. «Trova il luogo che forma un indirizzo senza un luogo, dove si trova un altro luogo. Questo è il prossimo... ed è più difficile.» «Cotton, avrai sicuramente già notato il collegamento.» L'aveva notato, in effetti, ed era contento che pure il cervello di Pam fosse al lavoro. «Dove una stella che recede trova una rosa, trafigge una croce di legno e tramuta l'argento in oro. Trova il luogo.» Lei indicò la foto del libro. «La porta del sacrario, Betlemme, la Natività... Qui siamo a Belém. Ricordi quello che abbiamo letto oggi pomeriggio a Londra? Vuol dire 'Betlemme' in portoghese. E cos'aveva scritto Haddad? 'Le grandi imprese cominciano spesso con un'epifania.'» «Credo che dovresti partecipare a qualche quiz televisivo», commentò lui. In lontananza si udì un rumore di vetri rotti. «Veniva dall'interno del chiostro», disse McCollum. Malone scattò verso l'interruttore e spense gli alogeni. L'oscurità tornò ad avvolgerli e ai suoi occhi occorse un momento per adeguarsi. Un altro schianto. Si avvicinò piano alla porta aperta e identificò la provenienza del rumore: dalla parte opposta del chiostro, in diagonale, al piano inferiore. Colse un movimento nella semioscurità e avvistò tre uomini che uscivano da un'altra doppia porta a vetri. Erano tutti armati. I tre si disposero a ventaglio entrando nella galleria inferiore. 52 Washington, DC, ore 14.45
Stephanie porse il biglietto al custode ed entrò nel National Air and Space Museum. Green non era venuto, poiché la presenza del procuratore generale in un luogo pubblico come quello non sarebbe passata inosservata. Stephanie lo aveva scelto a causa delle numerose pareti trasparenti, l'abbondanza del personale di sicurezza e i metal detector all'ingresso: dubitava che Daley, a quel punto, si sarebbe appellato a una qualunque autorità ufficiale che avrebbe potuto porgli domande sgradevoli, ma poteva portarsi dietro Heather Dixon e i suoi nuovi compari arabi. Si fecero strada tra la folla guardando l'interno del museo, lungo tre isolati e fatto di acciaio, marmo e vetro. I soffitti svettavano a un'altezza di oltre trenta metri, creando un effetto hangar. I cimeli in mostra avevano segnato la storia del volo, dal Flyer dei fratelli Wright allo Spirit of St Louis di Lindbergh, sino alla navicella lunare Apollo 11. «C'è un bel po' di gente», borbottò Cassiopea. Oltrepassarono una sala cinematografica IMAX con una fitta coda di spettatori ed entrarono nell'affollata sala spaziale. Daley era accanto a un modulo lunare a grandezza naturale, disposto così come sarebbe apparso sulla luna, con un astronauta in equilibrio sulla scaletta di atterraggio. Daley sembrava calmo, tutto sommato. Neppure un capello pareva essere sfuggito al consueto fissaggio della brillantina. «Hai di nuovo i vestiti addosso!» osservò lei mentre si avvicinavano. «Ti ho sottovalutato, Stephanie. Errore mio. Non lo ripeterò.» «Hai lasciato a casa tutte le tue scorte?» Lei sapeva che Daley di rado andava da qualche parte senza guardie del corpo. «Tutte tranne una.» Fece un cenno e lei e Cassiopea si voltarono. Heather Dixon apparve dal lato opposto dello Skylab. «L'accordo è annullato, Larry», disse Stephanie. «Vuoi sapere del Rapporto Alexandria? Ebbene, lei può colmare diverse lacune.» La Dixon si mosse tra la folla, diretta verso di loro. Un gruppo di bambini chiassosi si era accalcato attorno al modulo lunare, stringendosi alla ringhiera di legno che lo circondava. Daley li condusse più vicino a uno stretto passaggio posteriore che procedeva parallelo a una parete di vetro, oltre la quale c'era l'affollato ristorante del museo. «Sei sempre morta», le disse la Dixon. «Non sono venuta per ascoltare le tue minacce.»
«Sono qui soltanto perché me l'ha ordinato il mio governo.» «Prima le cose importanti», intervenne Daley. La Dixon tirò fuori un congegno elettronico grande all'incirca come un cellulare e lo accese. Dopo qualche istante scosse la testa. «Niente microfoni.» Stephanie conosceva quell'apparecchio. Anche gli agenti della Magellano li usavano abitualmente. Afferrò il detector e lo puntò sulla Dixon e su Daley. Negativo anche stavolta. Lo rilanciò alla Dixon. «Okay. Siamo soli, quindi parla!» «Sei una stronza!» sbottò la Dixon. «Splendido! Adesso potreste arrivare al punto?» «Eccolo qui, chiaro e semplice», disse Daley. «Trent'anni fa George Haddad stava leggendo una copia di una gazzetta saudita pubblicata a Riyad... Studiava i toponimi dell'Arabia occidentale e li traduceva in ebraico antico. Del perché lo facesse non ho idea; mi sembra interessante quanto guardar crescere l'erba. Tuttavia lui cominciò ad accorgersi che alcuni luoghi avevano nomi biblici.» «L'ebraico antico è una lingua complicata», intervenne Cassiopea. «Non ha vocali. È difficile da interpretare e carica di ambiguità. Bisogna sapere quel che si sta facendo.» «Esperta?» domandò la Dixon. «Non proprio.» «Haddad è un esperto, ecco il problema», disse Daley. «Le località dai nomi biblici che aveva trovato erano concentrate in una striscia lunga all'incirca seicento chilometri e larga centosettanta, nella zona occidentale dell'Arabia Saudita.» «L'Asir? Dove c'è la Mecca?» domandò Cassiopea. Daley annuì. «Haddad ha cercato per anni altri luoghi, ma non è riuscito a trovare da nessun'altra parte del mondo una simile concentrazione di toponimi biblici in ebraico antico. Neppure nella stessa Palestina.» Stephanie sapeva che l'Antico Testamento era un documento degli antichi ebrei, dunque se i toponimi dell'Arabia occidentale moderna, tradotti in ebraico antico, erano davvero luoghi biblici la cosa poteva avere enormi implicazioni politiche. «Stai dicendo che non c'erano ebrei in Terrasanta?» «Naturalmente no. C'eravamo eccome», disse la Dixon. «Sta dicendo soltanto che Haddad credeva che l'Antico Testamento fosse un documento sull'esperienza degli ebrei in Arabia occidentale. Prima che si spostassero a nord, in quella che conosciamo come Palestina.»
«La Bibbia viene dall'Arabia?» volle sapere Stephanie. «Per così dire», rispose Daley. «Le conclusioni di Haddad hanno trovato conferma quando ha cominciato a cercare corrispondenze geografiche. Da più di un secolo gli archeologi cercano di trovare in Palestina dei luoghi che corrispondano alle descrizioni bibliche, ma niente quadra. Haddad ha scoperto che confrontando le località arabe occidentali, tradotte in ebraico antico, con la geografia biblica i siti corrispondono tutti.» Stephanie era ancora scettica. «Perché nessuno se n'è mai accorto prima? Haddad non è certo l'unico al mondo a capire l'ebraico antico!» «Altri se ne sono accorti, infatti. Tre persone, tra il 1948 e il 2002», affermò la Dixon. Stephanie colse le implicazioni del suo tono. «Ma il tuo governo li ha sistemati? Per questo Haddad doveva essere ucciso?» La donna non rispose. Cassiopea spezzò il momento di silenzio. «Tutto si rifà alle rivendicazioni contrastanti, no? Dio fece un patto con Abramo e gli diede la Terrasanta. La Genesi dice che il patto fu esteso agli ebrei attraverso Isacco, figlio di Abramo.» «Da secoli si crede che la terra scelta da Dio per Abramo si trovi in quella che oggigiorno chiamiamo Palestina, ma se non fosse così?» intervenne Daley. «Se la terra scelta da Dio si trovasse altrove, lontano dalla Palestina... in Arabia occidentale?» Cassiopea ridacchiò. «Sei fuori di testa! L'Antico Testamento avrebbe le sue radici là, nel cuore dell'Islam? La terra degli ebrei, promessa loro da Dio, ospiterebbe la Mecca? Qualche anno fa certe fronde islamiche sono insorte a livello mondiale per una vignetta su Maometto. T'immagini cosa farebbero per questo?» Daley non parve turbato. «Ecco perché i sauditi e gli israeliani volevano Haddad morto. Lui diceva che le prove della sua teoria si sarebbero trovate nella perduta Biblioteca di Alessandria, secondo quanto gli era stato riferito da un certo Guardiano.» «Proprio come gli altri tre», aggiunse la Dixon. «Tutti loro avevano ricevuto la visita di un emissario che si faceva chiamare 'il Guardiano', il quale aveva offerto loro un modo per trovare la Biblioteca.» «Che genere di prova potrebbe mai esserci?» domandò Stephanie. Daley sembrava impaziente. «Cinque anni fa Haddad ha dichiarato alle autorità palestinesi di credere che si potessero usare antichi documenti per confermare le sue conclusioni. Soltanto un Antico Testamento, scritto pri-
ma dell'era cristiana, nell'ebraico originale, potrebbe dimostrarsi decisivo; al giorno d'oggi non ne esiste nessuno anteriore al X secolo. Haddad sapeva, da altri scritti superstiti, che nella Biblioteca di Alessandria si trovavano testi biblici. Rinvenirne uno avrebbe potuto essere l'unico modo per dimostrare qualcosa, dal momento che i sauditi non intendono consentire ricerche archeologiche in Asir.» Stephanie ricordò quanto le aveva detto Green martedì mattina presto. «Per questo hanno spianato quei villaggi coi bulldozer! Avevano paura. Non volevano che si trovasse niente che potesse essere associato con la Bibbia ebraica.» «Che è poi lo stesso motivo per cui ora ti vogliono morta», disse la Dixon. «Stai intralciando i loro affari. Non vogliono correre rischi.» Stephanie osservò la sala spaziale. I razzi esposti puntavano verso il soffitto e scolari eccitati zigzagavano in mezzo a essi. Lanciò un'occhiataccia alla Dixon. «Il tuo governo crede a tutto questo?» «È la ragione per cui quei tre uomini sono stati uccisi. La ragione per cui Haddad era diventato un bersaglio.» Lei indicò Daley. «Lui non è amico d'Israele. Userebbe qualunque cosa si trovi per mettere in ginocchio il tuo governo!» La Dixon rise. «Stephanie, stai perdendo colpi!» «Il suo scopo è quello, te lo dico io.» «Tu non sai niente dei miei scopi!» affermò Daley con indignazione crescente. «So che sei un bugiardo.» Daley la fissò a propria volta, incerto. Pareva quasi confuso, il che la sorprese... Così gli domandò: «Cosa sta succedendo in realtà, Larry?» «Più di quanto tu possa comprendere.» 53 Lisbona, ore 20.45 Malone rientrò nel negozio senza distogliere l'attenzione dai tre uomini armati, che avanzavano con movimenti esperti lungo la galleria inferiore. Professionisti. Splendido. Si fece scudo dietro una delle teche di vetro adiacenti la porta aperta, con Pam al fianco, e continuò a sbirciare nel chiostro. McCollum si era ac-
covacciato dietro il tavolo centrale. «Loro sono in basso, noi in alto. Questo dovrebbe darci qualche minuto di vantaggio. La chiesa e le gallerie sono grandi; ci vorrà tempo per perlustrarle. È chiusa a chiave, quella?» domandò a McCollum, indicando l'altra porta a vetri. «Temo di sì. Conduce al piano inferiore e all'uscita, quindi la chiudono per precauzione.» La situazione non gli piaceva. «Dobbiamo uscire di qui.» «Cotton», disse Pam e lui tornò a concentrarsi sulla galleria superiore. Uno degli uomini aveva messo piede sulla scalinata e cominciava ad avanzare verso il negozio. McCollum scivolò alle spalle di Malone. «La porti alla cassa», sussurrò. «Mettetevi dietro il bancone.» Chiunque fosse capace di sparare in testa a due uomini e poi godersi la colazione sapeva il fatto suo, perciò lui decise di non discutere. Prese Pam per un braccio e la condusse sul lato opposto del bancone. Vide McCollum impugnare il coltello. I tre espositori di vetro erano sistemati uno accanto all'altro, separati da uno spazio abbastanza ampio da accogliere McCollum. L'oscurità l'avrebbe protetto, almeno sino a quando non sarebbe stato troppo tardi perché la sua preda potesse reagire. L'uomo armato si avvicinava. Stephanie stava perdendo la pazienza con Larry Daley. «Come sarebbe a dire più di quanto io possa comprendere?» «All'interno del governo c'è chi ha intenzione di dimostrare la teoria di Haddad», disse Daley. A lei tornò in mente ciò che Daley aveva detto a Brent Green, credendo che non ci fosse nessun altro in ascolto. «Te compreso.» «Non è vero.» Stephanie non si lasciò incantare. «Guardiamo in faccia la realtà, Larry! Sei qui soltanto perché sai che posso scatenare uno scandalo su di te.» Daley non parve turbato. «Svegliati, Stephanie! I nostri maghi dei media faranno passare qualunque cosa tu abbia in mano per un mucchio di prove false, messe insieme da una dipendente allo sbando che cerca di salvare il proprio posto di lavoro. Certo, puoi sperare di suscitare qualche imbarazzo - qualche domanda da parte della stampa - ma non hai nulla in grado di danneggiare me o chiunque altro. Non ho dato un centesimo a nessuno e in
quanto a quei lobbisti... È la mia parola contro la tua. Una battaglia che perderai.» «Forse. Ma tu saresti compromesso; la tua carriera sarebbe chiusa.» Daley scrollò le spalle. «Sono i rischi del mestiere.» Cassiopea stava osservando la sala del museo e Stephanie si avvide che era nervosa, così esortò Daley: «Arriva al punto!» «Il punto è che vorremmo dimenticarci di tutto questo, ma qualcuno all'interno del vostro governo non vuole lasciar cadere la cosa», disse la Dixon. «Esatto: lui.» Stephanie indicò Daley. Cassiopea si spostò verso il modulo lunare e la folla di ragazzini accalcati attorno alla sua base. «Stephanie...» mormorò Daley. «Hai incolpato me della fuga di notizie sul Rapporto Alexandria, ma tu non riesci più a distinguere gli amici dai nemici. Tu detesti quest'amministrazione e consideri il presidente un idiota, ma ci sono elementi di gran lunga peggiori. Gente pericolosa.» «No!» ribatté lei. «Sono solo fanatici leali al partito, che blaterano a ruota libera da anni. Ora si trovano in condizione di poter fare qualcosa.» «Ora come ora, Israele è la loro massima priorità.» «Piantala con gli indovinelli, Larry! Dimmi quello che devi!» «Dietro questa storia c'è il vicepresidente.» Aveva sentito bene? «Fammi il piacere!» «È legato ai sauditi. Lo foraggiano da molto tempo. È in circolazione da un pezzo... Qualche mandato al Congresso, tre anni da ministro del Tesoro e ora è alla seconda carica. Ambisce alla presidenza - non ne fa mistero - e i fedeli del partito gli hanno promesso la nomina. Ha amici che hanno bisogno di mantenere buoni rapporti coi sauditi e quegli amici sono gli stessi che gli forniscono il denaro. È in disaccordo col presidente per quanto concerne il Medio Oriente. È in intimi rapporti con la famiglia reale saudita, ma non lo racconta in giro... Li ha cazziati pubblicamente un paio di volte, ma ha fatto in modo che venissero a sapere del Rapporto Alexandria. Il suo pegno d'amicizia, per così dire.» Quello che Stephanie stava sentendo sembrava contrastare con quanto affermato da Brent Green, dato che il procuratore generale si era attribuito la responsabilità della falla. Cassiopea tornò. «Cosa c'è?» le domandò Stephanie. «Tagliamo corto.»
«Problemi?» «Ho una brutta sensazione.» «Troppi intrighi nella tua vita!» commentò la Dixon, rivolta a Cassiopea. «Troppe menzogne, nella tua.» Stephanie guardò in faccia Daley. «Ma due minuti fa hai detto che nell'amministrazione qualcuno vuole dimostrare la teoria di Haddad, no? E adesso sostieni che il vicepresidente l'ha data in pasto ai sauditi, i quali non vorrebbero saperne. Dove sta la verità?» «Stephanie, quello che hai preso a casa mia può rappresentare la mia fine. Io lavoro nell'ombra. L'ho sempre fatto... Qualcuno deve pur farlo. Vuoi colpire me o chi è davvero dietro tutto questo?» Non aveva risposto alla sua domanda. «Vi voglio tutti.» «Non puoi! Vuoi darmi retta, per una volta? Se prendi a colpi d'ascia un ciocco di legno per tutto il giorno, forse riuscirai a tagliarlo; se però gli pianti un cuneo al centro si spaccherà al primo colpo.» «Stai solo cercando di salvarti la pelle!» «Diglielo», Daley esortò la Dixon. «Nel vostro governo c'è una frattura. Siamo ancora amici, ma c'è chi vuole cambiare la situazione.» Stephanie non ne fu colpita. «È sempre così. Ogni medaglia ha due facce.» «Questa è una cosa diversa», precisò la Dixon. «Sta succedendo dell'altro. Malone è in Portogallo.» Quella notizia attirò la sua attenzione. «Il Mossad intende occuparsi di lui laggiù.» Daley si passò una mano tra i capelli. «Stephanie, ci sono due fazioni all'opera: una araba, l'altra ebrea. Vogliono entrambe la stessa cosa e, per una volta, la vogliono per la stessa ragione. Il vicepresidente è legato agli arabi...» Un allarme echeggiò per il vasto museo, poi una voce piatta annunciò dagli altoparlanti che l'edificio doveva essere sgomberato immediatamente. Stephanie afferrò Daley. «Io non c'entro», si affrettò a dire lui. Sabre era immobile come una roccia. Gli occorreva che l'uomo con la pistola entrasse nel negozio di souvenir. Sarebbe entrato. Doveva farlo.
Sabre si domandò dove fossero andati gli altri due. La risposta giunse sotto forma di un movimento al di là dell'altra porta a vetri, tuttora chiusa a chiave. Interessante. Quei tre, evidentemente, conoscevano il posto e sapevano che il negozio era la loro meta. Avevano visto le luci? I due uomini armati alla sua sinistra provarono ad aprire la porta e la trovarono chiusa. Le loro sagome indietreggiarono e spararono contro il vetro. Nessun effetto, a parte tonfi simili a quelli di un martello su un chiodo. Il metallo colpiva il vetro con un rumore sordo, ma non lo rompeva. Vetro antiproiettile. Il terzo uomo nella galleria superiore corse dentro, facendosi precedere dalla pistola. Sabre attese l'istante d'indecisione in cui il suo bersaglio avrebbe valutato la situazione e scattò in avanti, colpendo col piede la pistola dell'uomo mentre con una mano cambiava la presa sul coltello e gli squarciava la gola. Non diede tempo all'uomo di rendersi conto del proprio destino, affondandogli la lama sin nella nuca. L'uomo crollò a terra con un paio di rantoli gorgoglianti. Altri tonfi si abbatterono sulla porta a vetri sbarrata, nonché un paio di calci che non sortirono conseguenze. Poi Sabre udì un rumore di passi quando i due aggressori si ritirarono, scendendo la scalinata. Si appropriò della pistola del morto. L'allarme continuava a ululare. Centinaia di visitatori si affrettavano verso gli ingressi del museo. Daley era ancora bloccato dalla presa di Stephanie. «Il vicepresidente ha i suoi alleati. Non può fare questo da solo», insistette. Lei ascoltava. «Stephanie... Brent Green lavora con lui. Non è tuo amico.» Lei fissò Heather Dixon, che affermò: «Sta dicendo la verità. Chi altro sapeva che saresti venuta qui? Se ti avessimo voluta morta, non ti avremmo dato appuntamento in questo posto». Lei si era creduta padrona della situazione, ma a quel punto non era più tanto sicura. Era vero: l'unica altra persona a sapere che si trovavano lì era Green... Sempre che la Dixon e Daley dicessero la verità. Liberò Daley.
«Green è in combutta col vicepresidente», disse l'uomo. «Va avanti da un po'... Gli è stata promessa la seconda carica della lista. Brent non potrebbe mai sperare di vincere le elezioni. Questa è l'unica chance che ha di fare carriera.» Un nuovo annuncio ordinò di sgomberare l'edificio. Un addetto alla sorveglianza uscì dalla tavola calda e disse loro che dovevano andarsene. «Cosa sta succedendo?» s'informò Daley. «Dobbiamo sgomberare l'edificio. Semplice precauzione.» Attraverso la parete a vetri sul lato opposto, Stephanie vide gente che si allontanava dalla strada e dagli alberi che separavano il museo dalla zona pedonale erbosa. Alla faccia della precauzione! Si affrettarono a tornare verso l'ingresso principale. Il pubblico continuava a defluire dalle porte. Chiacchiericcio e facce preoccupate si sprecavano; erano soprattutto adolescenti e famiglie che si domandavano che diamine poteva essere successo. «Troviamo un altro modo», le disse Cassiopea. «Cerchiamo di renderci almeno un po' imprevedibili.» Lei acconsentì e si avviarono insieme verso l'uscita. Daley e la Dixon restarono impalati, nel tentativo d'indurle a fidarsi di loro. «Stephanie!» gridò Daley. Lei si voltò. «Sono l'unico amico che hai. Vieni a cercarmi, quando l'avrai capito.» Quelle parole non la persuasero, ma odiava la sensazione d'incertezza che la pervadeva. «Dobbiamo andare!» la esortò Cassiopea. Attraversarono di corsa altre gallerie zeppe di velivoli luccicanti, oltrepassarono un negozio di souvenir che stava perdendo rapidamente i clienti. Cassiopea sembrava intenzionata a usare una delle uscite di emergenza: una buona mossa, dal momento che gli allarmi erano già attivati. Davanti a loro, da dietro un espositore carico di modellini di aeroplani, apparve un uomo alto con un completo scuro. Alzò il palmo della mano destra. Stephanie vide un cavo sottile che scendeva a spirale dal suo orecchio destro. Lei e Cassiopea si fermarono e si voltarono. Altri due uomini, vestiti ed equipaggiati nello stesso modo, erano fermi alle loro spalle. Lei ne registrò l'aspetto e i modi. Servizi Segreti.
Il primo uomo parlò in un microfono da bavero e le sirene d'allarme tacquero. «È disposta a collaborare, signora Nelle?» «Perché dovrei?» L'uomo le si accostò. «Perché il presidente degli Stati Uniti vuole parlarle.» 54 Lisbona, ore 21.30 Malone girò attorno al bancone e si accovacciò vicino a McCollum, che stava frugando nelle tasche del morto. Aveva osservato il cosiddetto cacciatore di tesori uccidere l'aggressore con precisione da esperto. «Quei due stanno facendo il giro della chiesa per tornare qui», disse. «Capisco», replicò McCollum. «Qui ci sono un paio di caricatori di scorta e un'altra pistola. Ha idea di chi siano?» «Israeliani. Non possono essere altro.» «Credevo avesse detto che erano fuori dal gioco!» «E io credevo che lei avesse detto di essere un dilettante. Ha appena dimostrato un bel po' di abilità.» «Quando devi salvarti le chiappe, fai quello che devi fare.» Malone notò che c'era qualcos'altro agganciato alla vita del cadavere e staccò l'oggetto metallico. Un localizzatore ricetrasmittente. Ne aveva spesso usato uno simile per seguire un obiettivo dotato di un dispositivo elettronico. Accese il monitor e vide che era sulle tracce di qualcosa, col volume ridotto al minimo. Un indicatore lampeggiante mostrava che l'obiettivo era vicino. «Dobbiamo andare!» disse Pam. «Non sarà facile», spiegò Malone. «L'unica via d'uscita è attraverso la galleria, ma gli altri due uomini armati devono essere vicino alle scale, ormai. Dobbiamo scendere da un'altra parte.» Si mise in tasca il localizzatore. Armi alla mano, uscirono silenziosamente dal negozio. I due uomini sbucarono da dietro un'arcata a venticinque metri di distanza e cominciarono a sparare. Rumori come di palloncini scoppiati echeggiarono attraverso il chiostro.
Malone si tuffò sul pavimento della galleria, trascinando con sé Pam. Gli angoli non erano di novanta gradi, bensì ottusi, e davano al chiostro la sua forma ottagonale. Lui usò l'angolo per proteggersi. «Andate da quella parte!» li esortò McCollum. «io li terrò occupati.» Una panca di pietra ininterrotta circondava il perimetro esterno, collegando gli archi e formando un'elaborata balaustra. Accovacciati, lui e Pam presero a muoversi a passetti, allontanandosi dal negozio dove McCollum stava sparando ai due uomini. I proiettili rimbalzarono contro il muro di pietra tre metri alla sua sinistra, alcuni alle sue spalle, altri davanti. Capì ciò che stava succedendo: le loro ombre, proiettate dalle lampade a incandescenza che illuminavano fiocamente la galleria, tradivano la loro presenza. Malone afferrò Pam, smise di avanzare e si appiattì sul pavimento. Prese la mira e, con tre proiettili, eliminò le luci sopra le loro teste. Ora erano avvolti dall'oscurità. McCollum aveva smesso di sparare. Come pure gli altri. Malone fece un cenno e ripresero ad avanzare, sempre accovacciati e sfruttando le arcate, i trafori e i banchi di pietra come copertura. Arrivarono alla fine della galleria. Davanti a loro, sulla destra, si stendeva la parete interna della galleria successiva. Nessuna porta. All'estremità opposta c'era un'altra parete senza uscite. Appena a sinistra di Malone si trovava una serie di porte a vetri, di cui una aperta che invitava gli ospiti a entrare. Un cartello indicava che quella stanza era il refettorio. Forse da lì c'era un modo per scendere? A un suo cenno, entrarono. Si udirono tre tonfi sul vetro quando i proiettili ne colpirono la superficie esterna. Nessuno di essi penetrò. Ancora materiale antiproiettile. Fosse benedetto chi aveva scelto quelle porte! «Cotton, abbiamo un problema», disse Pam. Lui studiò il refettorio. Attraverso l'oscurità - spezzata soltanto dai raggi sparsi che penetravano dalle finestre - vide un ampio rettangolo sormontato da un soffitto a nervature, simile a quello della chiesa. La stanza era circondata da una bassa cornice di pietra, sotto la quale spiccava un variopinto mosaico di mattonelle. Nessuna porta conduceva fuori. Le finestre erano a tre metri di altezza e non c'era modo di raggiungerle. Intravide soltanto due aperture.
Una si trovava all'estremità opposta; percorse in fretta i quindici metri della stanza e vide che un tempo doveva essersi trattato di un caminetto, ma ora era soltanto una nicchia decorativa. Sigillata. L'altra apertura era più piccola - all'incirca un metro e venti per un metro e mezzo - e rientrava di un metro nella parete esterna. Il refettorio in passato era la sala da pranzo del monastero; quello, quindi, era probabilmente il luogo in cui il cibo veniva preparato prima di servirlo. Pam aveva ragione. Avevano un problema. «Infilati lì dentro!» le ordinò. Lei non discusse e si contorse per salire su uno scaffale di pietra posto sopra una vasca vuota. «Devo essere impazzita, per trovarmi qui!» «È un tantino tardi per accorgersene.» Tenne gli occhi fissi sulla porta che conduceva all'esterno e alla galleria superiore. Un'ombra s'ingrandiva nella luce fioca. Malone vide che Pam era al sicuro all'interno e si arrampicò a propria volta in cima alla vasca premendo la schiena contro lo scaffale, il più possibile all'interno della nicchia. «Cos'hai intenzione di fare?» gli domandò lei in un orecchio. «Quello che devo.» Sabre aveva visto gli uomini dividersi: uno si era lanciato all'inseguimento di Malone, l'altro si era infilato sotto l'arcata che riportava in chiesa. Stabilì che era meglio rimanere in alto, e si spostò con cautela verso la stessa uscita, sperando che conducesse al coro superiore dove si erano trovati poco prima Malone e la sua ex moglie. La caccia gli piaceva, specie quando la preda costituiva una sfida. S'interrogò sull'identità di quegli uomini. Erano israeliani, come credeva Malone? Possibile. Aveva saputo da Jonah che una squadra della morte era stata mandata a Londra, ma di George Haddad si erano già occupati. Aveva ascoltato la registrazione di quell'incontro, confermato da Malone... Allora cosa ci facevano lì, gli israeliani? Cercavano lui? Improbabile. Ma chi altro? Trovò il passaggio e lo varcò. Alla sua sinistra c'era la scala che scendeva in chiesa. Nel buio sentì un rumore di passi al piano inferiore. Entrò nel coro, fermandosi dove la balaustra incontrava il muro di pietra esterno, e sbirciò con cautela verso il basso. Le alte vetrate della facciata
sud della chiesa splendevano di luce ambientale. La sagoma nera di un uomo con una pistola in mano strisciava lungo il corridoio che dall'estremità dei banchi arrivava alla parete settentrionale della chiesa, mantenendosi nell'ombra, nel tentativo di raggiungere il coro inferiore. Sparò due colpi. Le esplosioni attutite echeggiarono nella vasta navata. Un colpo centrò il bersaglio e l'uomo lanciò un grido, girò su se stesso e si appoggiò barcollante a un banco. Lui riaggiustò la mira, resa solo moderatamente difficile dalla semioscurità, e con altri due colpi abbatté l'uomo. Non male. Tolse il caricatore alla pistola e ne inserì uno nuovo, scelto tra quelli che aveva in tasca. Si voltò per andarsene. Era ora di trovare Malone. Davanti al suo viso apparve una pistola. «Getta quell'arma!» ordinò la voce, in inglese. Lui esitò, cercando di associare un volto a quella voce, ma l'oscurità non rivelava che un'ombra: solo allora capì che l'uomo portava un cappuccio. Il morso gelido di un'altra canna di pistola gli pizzicò il collo. Due problemi. «Per l'ultima volta», disse il primo uomo. «Getta l'arma.» Non aveva scelta. La pistola cadde rumorosamente a terra. La rivoltella puntata contro la sua faccia si abbassò, poi qualcosa mulinò nell'aria e gli si abbatté su un lato del cranio. Prima che il suo cervello potesse registrare una qualche parvenza di dolore, il mondo attorno a lui ammutolì. 55 Malone strinse l'automatica e attese. Si arrischiò a gettare un'occhiata al di là della nicchia dove si nascondevano lui e Pam. L'ombra continuava a espandersi man mano che l'uomo armato si avvicinava. Lui si domandò se l'aggressore sapesse che non c'erano vie d'uscita. Supponeva di no, altrimenti perché avrebbe continuato ad avanzare? Gli sarebbe bastato aspettare nella galleria... Ma aveva imparato, molto tempo prima, che molti di coloro che uccidono la gente per mestiere sono perseguitati dall'impazienza di finire il lavoro e andarsene, nella convinzione che aspettare non faccia che aumentare le possibilità d'insuccesso.
Pam aveva il fiato grosso e lui non poteva biasimarla, dato che stava combattendo a sua volta coi battiti del proprio cuore. S'impose di calmarsi. Pensa. Sta' pronto! L'ombra si allungò sulla parete del refettorio. L'uomo si precipitò dentro con la pistola spianata. Dapprincipio non avrebbe visto che una camera vuota e buia, priva di arredo. La nicchia all'estremità opposta avrebbe probabilmente attirato subito la sua attenzione, poi avrebbe notato il secondo incavo sulla parete. Malone non aspettò che l'altro comprendesse tutto ciò: rotolò fuori del nascondiglio e sparò. Il proiettile oltrepassò il bersaglio con un sibilo e rimbalzò contro il muro. L'uomo parve disorientato per un istante, ma si riprese in fretta e puntò la pistola verso Malone. Subito dopo, evidentemente, dovette rendersi conto di essere esposto. Ci sarebbe stato un duello. Malone sparò di nuovo e il proiettile colpì l'uomo alla coscia. L'aggressore cacciò un grido di dolore, ma non cadde a terra. Malone piantò un terzo proiettile nel petto dell'uomo, che vacillò e crollò a terra di schiena. «Sei duro da far fuori, Malone!» disse una voce maschile da oltre il vano della porta. Lui la riconobbe: Adam, nell'appartamento di Haddad... Ora lo sapeva con certezza: israeliani. Come avevano fatto a trovarlo? Udì un rumore di passi in fuga. Esitò, poi corse verso la porta, intenzionato a finire quello che aveva cominciato a Londra. Si fermò e scrutò all'esterno. «Quaggiù, Malone!» gli gridò Adam. Lui guardò dall'altra parte del chiostro, diagonalmente, verso Adam fermo sotto una delle arcate. Quel volto era inconfondibile. «Hai una buona mira, ma non così buona. Siamo solo tu e io, adesso.» Vide Adam sparire oltre l'ingresso che portava in chiesa. «Pam, non muoverti!» le intimò. «Se fai di testa tua anche stavolta, te la vedrai da sola coi pistoleri!» Scappò dal refettorio e corse lungo la galleria. Dov'era McCollum? Due uomini erano sicuramente a terra. Prima ne aveva visti soltanto tre... Adam aveva forse ucciso McCollum? Solo tu e io, così aveva detto l'israeliano. Decise che seguire Adam in chiesa sarebbe stato sciocco. Doveva piutto-
sto agire in un modo inatteso, quindi saltò su una delle panche che costeggiavano il margine esterno della galleria e guardò in basso. Le decorazioni e i trafori che ornavano il chiostro erano al contempo raffinati e imponenti. S'infilò la pistola nella cintura e si lasciò penzolare nel vuoto, reggendosi alla parte superiore della panca di pietra e permettendo ai piedi di trovare un doccione sporgente che mascherava un tubo di scolo. Tenendosi in equilibrio sul doccione si piegò, lo afferrò e si diede la spinta per raggiungere una cornice che sporgeva da uno dei sostegni dell'arcata. Da lì all'erba del giardino del chiostro c'erano un paio di metri scarsi. Adam apparve all'improvviso dalla chiesa nella galleria sul lato opposto; la stava attraversando di corsa. Malone afferrò la pistola e sparò. Mancò il bersaglio, ma riuscì senz'altro ad attirare l'attenzione della preda. Adam scomparve nuovamente di sotto, riparandosi dietro gli stessi banchi alti sino alla vita che Malone aveva già sfruttato a quello scopo. L'israeliano riapparve e sparò un colpo. Malone si tuffò tra le basi di due nervature della galleria inferiore, andando a sbattere con forza sulle mattonelle del pavimento. Restò senza fiato: il suo fisico di quarantottenne aveva dei limiti di sopportazione, nonostante tutto quello che una volta riusciva a fare ogni giorno. Tornò alla panca a piccoli passi rapidi e sbirciò con cautela dall'altra parte del chiostro. Adam stava di nuovo correndo. Lui balzò in piedi e scattò verso sinistra, svoltando un angolo e puntando dritto verso Adam. Il suo obiettivo scomparve dietro un'altra serie di porte a vetri, costruite su misura per entrare in due elaborate arcate e incorniciate da statue. Si diresse verso di esse e si fermò all'esterno. Un'indicazione spiegava che lo spazio buio dall'altra parte era la sala capitolare, dove un tempo i monaci si radunavano in assemblea. Aprire la porta a vetri sarebbe stato sciocco: non c'era abbastanza luce per vedere granché, dall'altra parte... Soltanto due finestre, ben definite. Decise di utilizzare ciò che sapeva. Aprì un'anta della porta a vetri mantenendo il corpo al riparo dell'altra, per proteggersi da eventuali spari. Non ne arrivarono. Un'enorme tomba riempiva il centro dell'altissima stanza rettangolare. Cercò con lo sguardo: niente. I suoi occhi furono attratti dalle finestre.
Quelle di destra erano a pezzi. Il vetro era sparso sul pavimento e c'era una corda che svaniva verso l'alto, tirata dall'esterno. Adam se n'era andato. Dei passi sbatterono sulla pietra e lui vide Pam e McCollum correre verso di lui. Uscì nella galleria e domandò a McCollum: «Cos'è successo?» «Mi hanno colpito alla testa. Erano in due... Su, nel coro. Ne ho steso uno in chiesa, poi loro hanno beccato me.» «Come mai respira ancora?» «Non lo so, Malone. Perché non lo chiede a loro?» Fece un paio di calcoli: tre a terra, più altri due che avevano presumibilmente avvicinato McCollum. Cinque? Eppure lui ne aveva visti soltanto tre. Alzò la pistola su McCollum. «Quei tizi piombano qui dentro, c'inseguono, cercano di uccidere Pam e me, ma a lei danno un colpo in testa e se ne vanno. È un po' strano, non le pare?» «Dove vuole arrivare, Malone?» Tirò fuori il localizzatore che aveva in tasca. «Lavorano per lei. Sono venuti a farci fuori per risparmiarle la fatica di occuparsene!» «Vi assicuro che se vi volessi morti, lo sareste.» «Sono venuti direttamente di sopra, al negozio di souvenir. Conoscevano questo posto.» Sollevò il localizzatore. «E stavano seguendo le nostre tracce! Ne ho ucciso uno di sopra e sono stato a un pelo dal prendere il terzo. Poi quello se ne va e basta? La squadra della morte più strana che abbia mai visto!» Accese l'apparecchio e lo puntò verso McCollum. Alzò il volume e un flebile segnale acustico indicò che il ricevitore aveva individuato il suo bersaglio. «Erano sulle sue tracce. Questo ce lo confermerà.» «Vada avanti, Malone. Faccia ciò che deve fare.» Pam era rimasta poco discosta, in silenzio. «Credevo di averti detto di restare lassù!» sbottò Malone. «L'ho fatto, finché non è arrivato lui. E, Cotton... Ha davvero un brutto bernoccolo sulla tempia.» «È abbastanza duro per incassare un colpo sferrato a nostro beneficio dai suoi uomini.» Mantenne il localizzatore puntato su McCollum, ma il ritmico bip rimase costante. «Soddisfatto?» domandò McCollum. Girò l'apparecchio a destra e a sinistra, ma il suono rimase invariato. La
fonte non era McCollum. Pam si spostò, guardando l'interno della sala capitolare. Il suono cambiò. Se ne accorse anche McCollum. Malone continuava a tenere la pistola puntata, il che suggerì a McCollum di restare immobile. Puntò l'apparecchio verso Pam e l'impulso s'intensificò. Lo sentì anche lei e si voltò. Lui abbassò la pistola e si avvicinò di due passi, continuando a muovere l'apparecchio. L'impulso s'indebolì, poi aumentò quando fu puntato dritto verso di lei. Sul viso di Pam si disegnò un'espressione allibita. «Che cos'è?» «Stanno seguendo le tue tracce. È così che hanno trovato George. Tu!» La rabbia montò in lui. Scagliò a terra il localizzatore, si cacciò in tasca la pistola e cominciò a tastarla da capo a piedi. «Che diavolo stai facendo?» Era evidentemente nervosa, ma lui non ebbe riguardo. «Pam, a costo di denudarti completamente e frugare in ogni tua cavità, troverò quello che hai addosso. Perciò dimmi dov'è.» Lei pareva assolutamente sbigottita. «Dov'è cosa?» «Qualunque cosa il localizzatore stia seguendo.» «L'orologio», suggerì McCollum. Malone si voltò. L'altro stava indicando il polso di Pam. «Dev'essere quello. Ha una fonte d'energia ed è grande abbastanza da contenere un emettitore d'impulsi.» Malone afferrò il polso di Pam e slacciò l'orologio, glielo strappò di dosso e lo fece scivolare lungo il pavimento della galleria, poi prese il localizzatore e lo puntò. Il forte segnale confermò che l'obiettivo era proprio l'orologio. Puntò nuovamente l'apparecchio su Pam e l'impulso si affievolì. «Oh, Dio mio!» balbettò lei. «Ho fatto ammazzare quel povero vecchio!» 56 Malone entrò nel centro commerciale del Ritz Four Seasons. Avevano lasciato il monastero dall'ingresso principale. Dato che le porte si potevano aprire dall'interno, il portale aveva offerto la via d'uscita più rapida. Dopo aver fatto il giro dell'edificio, avevano scoperto da dov'erano en-
trati Adam e i suoi compatrioti: le eleganti vetrate della sala capitolare, ornate di antichi motivi in pietra, erano le uniche finestre prive d'inferriate. Si trovavano a due metri da terra e si affacciavano su una via laterale buia. Due alberi folti erano serviti da ottima copertura per l'effrazione. Avevano percorso a piedi alcuni isolati in direzione est sino a raggiungere il quartiere commerciale di Belém e da lì avevano preso un tram per il centro di Lisbona, poi avevano raggiunto in taxi l'hotel, qualche chilometro più a nord. Nessuno aveva aperto bocca durante il viaggio. Malone era ancora molto perplesso. Aveva creduto che la minaccia fosse McCollum, invece il pericolo si annidava molto più vicino. Aveva messo fine a ogni ulteriore caccia gettando l'orologio in una fila di siepi di bosso che circondava il giardino del chiostro. Aveva bisogno di pensare. Entrarono in una delle sale conferenze del centro commerciale e chiusero la porta. Un telefono e un computer attendevano sul tavolo, insieme con penne e carta. Ecco una caratteristica del Four Seasons che gli piaceva: dici quello che vuoi e loro te lo procurano. «Cotton, quell'orologio era un regalo!» disse subito Pam. «Te l'ho detto. Da parte dell'uomo con cui esco ultimamente.» Malone ricordava di averglielo sentito dire a Londra. Un TAG costoso. N'era rimasto colpito. «Lui chi è?» «Un avvocato di un altro studio. Socio anziano.» «Da quanto tempo state insieme?» Dal tono si sarebbe potuto pensare che gli importasse, ma non era così. «Da qualche mese, ma... Suvvia, come poteva sapere che sarebbe successo tutto questo? Mi ha regalato l'orologio settimane fa!» Lui voleva crederle, ma era già successo che le mogli degli agenti si compromettessero. Allungò la mano verso il telefono e compose il numero della sezione Magellano ad Atlanta. Spiegò alla voce all'altro capo chi era e cosa voleva e gli fu detto di aspettare. Due minuti dopo una voce maschile gli parlò all'orecchio. «Cotton, sono Brent Green. Mi hanno inoltrato la tua chiamata.» «Ho bisogno di parlare con Stephanie.» «Non è disponibile. Qui stanno succedendo un bel po' di cose... Dovrai accontentarti di me.» «Cosa c'entra il procuratore generale con gli affari della Magellano? Di solito resti defilato.» «È complicato, Cotton. Stephanie è stata sollevata dall'incarico e siamo
entrambi nel bel mezzo di una battaglia.» Lui non ne fu sorpreso. «Ha a che fare con quello che sto facendo qui?» «Esattamente. Ci sono persone, in quest'amministrazione, che hanno messo in pericolo tuo figlio.» «Chi?» «Non lo sappiamo per certo; è ciò che Stephanie sta cercando di scoprire. Puoi dirmi che sta succedendo lì?» «Ci divertiamo un mondo. Una festa dietro l'altra! Lisbona è uno spasso.» «Hai qualche motivo per essere così sarcastico?» «Me ne vengono in mente a quintali, ma in questo momento ho bisogno che tu faccia una cosa per me. Fa' un controllo su un certo James McCollum... Dice di essere stato nell'esercito, nei reparti speciali.» Fornì a Green una rapida descrizione fisica. «Ho bisogno di sapere se esiste davvero e di conoscere i suoi trascorsi.» Nel formulare la richiesta guardò McCollum dritto negli occhi, ma quello non batté ciglio. «Cosa sta succedendo a Stephanie?» «È troppo lungo da spiegare, ma abbiamo bisogno di sapere quello che stai facendo. Potrebbe esserle d'aiuto.» «Non sapevo che t'importasse tanto.» «Non riesco a capire perché tutti pensino che quella donna non mi piace. In realtà ha moltissimi punti di forza... ma ora è nei guai. Non ho notizie sue o della Vitt da diverse ore.» «Cassiopea è lì?» «Con Stephanie. L'ha mandata il tuo amico Henrik Thorvaldsen.» Green non scherzava: stavano succedendo parecchie cose, laggiù. «Ho anche un problema con la mia ex moglie. Pare che gli israeliani fossero sulle sue tracce.» «Ne siamo al corrente. L'uomo che frequentava ad Atlanta era un simpatizzante d'Israele. Il Mossad gli aveva chiesto di regalarle alcuni oggetti un orologio, un medaglione, un anello - dotati di segnalatore GPS. Riteniamo che l'idea fosse che lei ne avrebbe indossato almeno uno in qualsivoglia circostanza.» «Questo significa che gli israeliani sapevano che c'era in programma un'azione contro mio figlio, così si sono preparati a trarne vantaggio.» «Deduzione incontestabile. È ancora integro il Rapporto Alexandria?» «Non sapevo che ne fossi a conoscenza.» «Ebbene, ora lo sono.»
«Gli israeliani lo hanno sistemato ieri in via definitiva e per poco non hanno preso noi poco fa.» A quel punto Malone aveva davvero bisogno di riflettere. «Devo andare. Hai un numero diretto per poterti chiamare?» Green glielo diede. «Non ti muovere. Mi rimetterò in contatto tra pochissimo.» «Cotton», aggiunse Green. «Quell'avvocato che frequentava la tua ex moglie... È morto. Gli hanno sparato qualche giorno fa. Il Mossad ha fatto sparire tutte le tracce.» Lui colse il sottinteso. «Io me la terrei vicina», consigliò Green. «Pam è un'incognita.» «O qualcosa di più.» «In ogni caso, è un problema.» Malone riattaccò. Pam lo fissava. «Il tuo amante è morto. Ci ha pensato Israele. Lavorava per loro.» Lo shock le deformò il viso. A lui non importava: quell'uomo aveva contribuito a mettere in pericolo Gary. «È quello che succede quando ci si scalda una serpe in seno. Mi chiedevo appunto come avessero fatto a seguire le nostre tracce sino all'hotel di Londra... Non era possibile che ci avessero seguito da casa di Haddad.» Si avvide di quanto era sconvolta, ma non c'era tempo per pensare ai suoi sentimenti: preoccuparsi per le cose impossibili poteva costare la vita. Guardò in faccia McCollum. «Mi ha sentito. La sto controllando.» «Ha finito di fare il melodramma? Si ricordi che ho sempre il resto della cerca e che da qui non sappiamo come procedere.» «Chi lo dice?» Ripescò la foto presa dal libro nel negozio di souvenir e la dispiegò. «Trova il luogo che forma un indirizzo senza un luogo, dove si trova un altro luogo. Okay, abbiamo trovato il luogo in cui l'argento si tramuta in oro: questo... La Natività, Betlemme, Belém. Che cosa ha un indirizzo, ma non ha un luogo?» Indicò il computer. «Un mucchio d'indirizzi, nessuno dei quali associato a un luogo. Indirizzi web.» Sedette di fronte al computer. «I Guardiani devono avere un modo per controllare gli indizi. Non sembrano i tipi da buttar lì una cosa e lasciarla perdere... Quando un invitato oppure un estraneo - arriva sino a questo punto, devono avere un modo per interrompere la cerca, se così desiderano. Quale modo migliore, se non tenere gli indizi finali su un sito web controllato da loro stessi?» Digitò BETHLEHEM.COM, ma fu dirottato su un sito commerciale zeppo di robaccia. Provò con BETHLEHEM.NET e trovò lo stesso genere
di contenuti. Poi, su BETHLEHEM.ORG, il monitor divenne bianco e apparve una domanda in lettere nere. COSA STAI CERCANDO? Il cursore lampeggiava sotto la domanda e sopra una riga nera, in attesa della risposta. Digitò LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA. Il monitor sfarfallò. NIENT'ALTRO? Digitò quella che riteneva fosse la risposta desiderata: IL SAPERE. La schermata cambiò di nuovo. 28° 41.41 N 33° 38.44 E Malone sapeva cosa rappresentavano quei numeri. Trova il luogo che forma un indirizzo senza un luogo, dove si trova un altro luogo. «È l'altro luogo!» «Coordinate GPS», disse McCollum. Lui annuì, ma occorreva trovare la posizione, quindi cercò un sito e v'inserì le coordinate. Dopo qualche istante apparve una mappa. Lui riconobbe subito la forma: un triangolo isoscele capovolto, incuneato tra Africa e Asia, sede di un singolarissimo insieme di montagne e deserti, circondato a ovest dallo stretto golfo di Suez, a est dall'ancor più stretto golfo di Aqaba e a sud dal mar Rosso. Il Sinai. Le coordinate GPS identificavano una località nell'estrema regione meridionale, tra le montagne, vicino al vertice del triangolo capovolto. «Pare che abbiamo trovato il posto.» «Come pensa di raggiungerlo?» domandò McCollum. «È territorio egiziano, sotto il controllo dell'ONU. Vicino a Israele.» Malone prese il telefono. «Non credo sarà un problema.»
PARTE QUARTA 57 Vienna, ore 22.30 Thorvaldsen era seduto nella sala grande del castello e osservava lo svolgersi dell'Assemblea invernale dell'Ordine del Toson d'Oro. Come gli altri membri, occupava un'antica sedia dorata. Erano disposti in file di otto di fronte al Circolo; la sedia centrale - quella di Alfred Hermann - era drappeggiata di seta blu. Tutti sembravano ansiosi di parlare e la discussione si era rapidamente spostata sul Medio Oriente e su ciò che il Comitato Politico aveva proposto la primavera precedente. All'epoca i piani erano stati del tutto provvisori; ora la situazione era diversa... e non tutti erano d'accordo. In realtà c'era più dissenso di quanto Alfred Hermann pareva aspettarsi. La Sedia Blu era già intervenuta due volte nel dibattito, il che rappresentava un fatto raro; di solito, come Thorvaldsen sapeva, Hermann preferiva rimanere in silenzio. «Evacuare gli ebrei è impossibile e ridicolo», sentenziò uno dei membri dell'assemblea. Thorvaldsen lo conosceva: un norvegese, patito di pesca nel nord Atlantico. «Nel libro delle Cronache si dice chiaramente che Dio scelse Gerusalemme e ne santificò il tempio. Conosco la Bibbia. Il primo libro dei Re dice che Dio diede a Salomone una tribù, in modo che David avesse una lampada di fronte a Lui a Gerusalemme, la città che Egli aveva scelto per Sé. La ricostituzione della moderna Israele non è stata un caso. Molti credono derivi da un'ispirazione celeste.» Diversi altri membri fecero eco a quelle osservazioni con altri passi biblici, tratti dalle Cronache e dai Salmi. «E se tutto quello che state citando fosse falso?» La domanda era venuta dalla parte anteriore della sala. Sedia Blu si alzò. «Ricordate quand'è stato creato il moderno Stato d'Israele?» Nessuno rispose alla domanda. «Il 14 maggio 1948, alle quattro e trentadue del pomeriggio. David Ben Gurion si trovava nel museo di Tel Aviv quando annunciò che, in virtù del diritto naturale e storico del popolo ebraico, veniva istituito lo Stato d'I-
sraele.» «Il profeta Isaia dice chiaramente che una nazione nascerà in un giorno», intervenne un altro dei membri. «Dio ha mantenuto la promessa fatta ad Abramo. La terra degli ebrei è stata restituita.» «Come facciamo a sapere di quel patto?» domandò Hermann. «Da una sola fonte: l'Antico Testamento. Oggi molti di voi si sono richiamati a quel testo. Quando Ben Gurion parlava del diritto naturale e storico del popolo ebraico, anche lui si riferiva all'Antico Testamento. È l'unica prova esistente che parli di quelle rivelazioni divine, ma sulla sua autenticità esistono seri dubbi.» Thorvaldsen fece scorrere lo sguardo per la stanza. «Se io avessi un atto riguardante ciascuna delle vostre proprietà - documenti vecchi di decenni e tradotti dalle vostre rispettive lingue da persone morte da tempo, le quali non sapevano neppure parlarle - ognuno di voi non ne metterebbe forse in dubbio l'autenticità? Non vorreste prove più concrete di una traduzione non verificata e non autenticata?» Hermann s'interruppe. «Eppure abbiamo accettato senza discutere l'Antico Testamento come irrefutabile Parola di Dio. Quel testo ha finito per plasmare anche il Nuovo Testamento. Le sue parole hanno tuttora conseguenze geopolitiche.» I convenuti parevano aspettare che Hermann venisse al punto. «Sette anni fa un uomo di nome George Haddad, un biblista palestinese, ha scritto un saggio pubblicato dall'Università di Beirut nel quale postula che l'Antico Testamento, così com'è stato tradotto, dice il falso.» «Bella premessa», intervenne un membro. La donna - un tipo robusto si alzò. «Io prendo la Parola di Dio più seriamente di lei.» Hermann sembrava divertito. «Davvero? Che cosa sa di questa Parola di Dio? Ne conosce la storia, l'autore, il traduttore? Quelle parole furono scritte da anonimi copisti, migliaia di anni fa... per giunta in ebraico antico, che è una lingua morta da oltre duemila anni. Che cosa sa, lei, dell'ebraico antico?» La donna tacque. Hermann annuì. «La scarsità d'informazione è comprensibile. Era una lingua altamente flessiva, nella quale il senso delle parole era veicolato dal contesto più che dalla forma scritta. La stessa parola poteva avere - e aveva - parecchi significati diversi a seconda di come la si usava. Soltanto secoli dopo la prima stesura dell'Antico Testamento, gli studiosi ebrei tradussero quelle parole nell'ebraico del proprio tempo; eppure quegli studiosi non
conoscevano l'ebraico antico. Hanno proceduto per ipotesi o, peggio ancora, hanno alterato il significato. Poi, nel corso dei secoli, altri studiosi, stavolta cristiani, hanno nuovamente tradotto quelle parole... Nemmeno loro sapevano l'ebraico antico, così anche loro hanno tirato a indovinare. Con tutto il dovuto rispetto per le sue convinzioni, non sappiamo proprio nulla della Parola di Dio.» «Lei non ha fede!» sbottò la donna. «Non nell'Antico Testamento, poiché non ha nulla a che fare con Dio. È tutta opera dell'uomo.» «Che cosa contestava Haddad?» domandò un altro, con un tono che esprimeva interesse. «Lui ha correttamente postulato che gli ebrei abitassero già nella loro Terra Promessa - l'attuale Palestina - quando le storie del patto stipulato da Dio con Abramo furono narrate per la prima volta. Naturalmente ciò è avvenuto moltissimi secoli dopo che la presunta promessa era stata formulata. Stando alla premessa biblica, la Terra Promessa doveva estendersi dal fiume dell'Egitto al grande fiume Eufrate. Si citano molte località. Quando però Haddad ha confrontato i toponimi biblici ritradotti in ebraico antico coi luoghi reali, ha fatto una scoperta straordinaria.» Hermann si concesse una pausa, apparentemente compiaciuto. «La Terra Promessa di Mosè e la terra di Abramo erano entrambe situate in Arabia Saudita occidentale, nella regione dell'Asir.» «Dove si trova la Mecca?» domandò una voce. Hermann annuì. Thorvaldsen vide che molti membri avevano subito afferrato l'importanza della notizia. «È impossibile!» commentò un'altra voce. «In realtà ve lo posso mostrare», replicò Hermann. A un suo gesto, uno schermo si srotolò da un sostegno montato sul soffitto. Un proiettore si accese e apparve una mappa dell'Arabia Saudita occidentale, col mar Rosso che tracciava una serpeggiante linea costiera da nord a sud. La scala della cartina indicava che la zona misurava all'incirca quattrocento chilometri in lunghezza e trecento in larghezza. Le regioni montuose si estendevano verso est per un centinaio di chilometri dalla costa, per appiattirsi ai margini del deserto arabo centrale.
«Sapevo che ci sarebbero stati scettici tra voi.» Hermann sorrise mentre un riso nervoso si propagava per l'Assemblea. «Questo è l'Asir moderno.» Fece di nuovo segno e l'immagine cambiò.
«Proiettando sulla mappa i confini della Terra Promessa biblica - utiliz-
zando i siti dei luoghi individuati con precisione da George Haddad - la linea tratteggiata delimita la terra di Abramo e la linea continua, quella di Mosè. Le località bibliche, ritradotte in ebraico antico, corrispondono perfettamente a fiumi, città e montagne di questa regione... Per di più molte di esse mantengono tuttora il proprio nome ebraico antico, ovviamente adattato all'arabo. Provate a domandarvi: perché non si è mai trovata nessuna prova paleografica o archeologica che confermasse la presenza dei luoghi biblici in Palestina? La risposta è semplice: quei luoghi non sono là! Si trovano centinaia di chilometri più a sud, in Arabia Saudita.» «Com'è che nessuno se n'è mai accorto prima?» Thorvaldsen apprezzò la domanda. Stava pensando la stessa cosa. «Esistono soltanto cinque o sei studiosi viventi in grado di capire l'ebraico antico; evidentemente nessuno di loro, eccetto Haddad, è stato abbastanza curioso da mettersi a indagare. Per sicurezza, tre anni fa ho ingaggiato uno di quegli esperti affinché confermasse le scoperte di Haddad... e l'ha fatto, sino al minimo dettaglio.» «Possiamo parlare con questo esperto?» si affrettò a chiedere un membro. «Purtroppo era anziano. È mancato l'anno scorso.» Più probabilmente quell'uomo era stato aiutato a entrare nella bara, pensò Thorvaldsen. L'ultima cosa che serviva a Hermann era un secondo studioso che potesse rivendicare lo spettacolare colpo di scena biblico. «Tuttavia ho un rapporto scritto circostanziato che è possibile studiare. È davvero affascinante.» Sullo schermo apparve un'altra immagine, una seconda illustrazione della regione dell'Asir. «Ecco un esempio che suffraga la teoria di Haddad. Nel libro dei Giudici, capitolo 18, la tribù israelita di Dan stabilisce un insediamento in una città chiamata Lais, nella regione omonima. Dice la Bibbia che quella città era vicina a un'altra di nome Sidone. Vicino a Sidone era la città fortificata di Zor. Gli storici cristiani del IV secolo identificarono Dan con un villaggio alle sorgenti del fiume Giordano. Nel 1838 una squadra ha fatto ricerche, ha trovato un tumulo e ha annunciato che si trattava dei resti della Dan biblica; oggigiorno quella è l'ubicazione accettata di Dan. Vi è sorto addirittura un moderno e fiorente insediamento israeliano, chiamato proprio Dan.» Thorvaldsen notò che Hermann sembrava divertirsi, come se avesse preparato a lungo quel momento. Si domandò se il suo colpo di mano con
Margarete potesse aver accelerato la tabella di marcia del suo ospite. «Gli archeologi esplorano quel monticello da quarant'anni e ancora non è stata trovata una sola prova che confermi la corrispondenza di quel sito con la Dan biblica.» A un gesto di Hermann, lo schermo cambiò nuovamente. Sulla seconda mappa dell'Asir apparvero dei nomi. «Questo è ciò che ha scoperto Haddad. La Dan biblica si può facilmente identificare con un villaggio arabo occidentale chiamato al-Danadinah, situato in una regione costiera, al-Lith, il cui capoluogo si chiama a sua volta al-Lith. Tradotto, il nome è identico alla parola biblica Lais. Inoltre, nelle sue vicinanze si trova tuttora un villaggio chiamato Sidone. Ancor più vicina ad al-Danadinah c'è al-Sur, che, tradotto, è Zor.»
Thorvaldsen dovette ammettere che le coincidenze geografiche erano interessanti. Si levò gli occhiali senza montatura e si massaggiò il dorso del naso, cercando di pensare. «Ci sono altre correlazioni topografiche. Nel secondo libico di Samuele, versetto 24:6, si dice che la città di Dan era vicina a una terra chiamata Tahtim. Nessun luogo con questo nome sopravvive oggi in Palestina, ma il villaggio di al-Danadinah in Arabia occidentale si trova nei pressi di una dorsale costiera detta Jabal Tahyatayn, che è la forma araba di Tahtim. Non può essere un caso. Haddad ha scritto che se gli archeologi scavassero in quell'area, troverebbero prove a sostegno della presenza di un antico in-
sediamento ebraico... Ma non è mai successo: gli arabi proibiscono gli scavi nel modo più assoluto. Cinque anni fa, a fronte della possibile minaccia costituita dalle conclusioni raggiunte da Haddad, i sauditi hanno distrutto alcuni villaggi in quella zona, contaminando i siti in modo da rendere quasi impossibile il ritrovamento di una qualunque prova archeologica definitiva.» Thorvaldsen notò che col crescere dell'attenzione dell'Assemblea, Hermann diventava più sicuro di sé. «C'è dell'altro. In tutto l'Antico Testamento il Giordano è indicato con l'ebraico yarden, ma da nessuna parte si dice mai che quel termine corrisponda a un fiume... La parola, in realtà, significa 'una discesa, un declivio nella terra'. Eppure tutta una serie di traduzioni descrive il Giordano come un fiume e Tatto di attraversarlo come un evento solenne. Il fiume Giordano in Palestina non è un corso d'acqua particolarmente grande; gli abitanti delle due sponde lo guadano a piedi da secoli. Qui, invece», disse indicando le montagne che attraversavano la mappa, «c'è la grande Scarpata Araba occidentale. Impossibile attraversarla, se non dove s'incrociano le catene montuose... e anche lì presenta parecchie difficoltà. Ogni volta che l'Antico Testamento menziona il Giordano, la geografia e la storia combaciano con questi territori dell'Arabia.» «Il Giordano sarebbe una catena montuosa?» «Nessun'altra traduzione dall'ebraico antico ha senso.» Studiò le facce che lo fissavano. «I toponimi vengono tramandati come tradizione sacra. Gli antichi nomi sopravvivono nella memoria popolare e di solito si riaffermano. Haddad scoprì che questo è particolarmente vero in Asir.» «Non ci sono state scoperte che collegano la Palestina con la Bibbia?» «Ce ne sono state, ma nessuna delle iscrizioni dissotterrate finora dimostra alcunché. La Stele Moabita trovata nel 1868 parla di guerre combattute tra Moab e Israele, come si dice nel libro dei Re. Un altro manufatto trovato nella valle del Giordano nel 1993 dice la stessa cosa. Nessuno dei due, però, dice che Israele si trovasse in Palestina. Documenti assiri e babilonesi parlano di conquiste in Israele, ma non dicono dove fosse situato. Sempre nel libro dei Re si dice che gli eserciti d'Israele, Giudea ed Edom marciarono per sette giorni nel deserto senz'acqua, ma la fossa tettonica di Palestina - con la quale si è identificato tradizionalmente quel deserto - non è più estesa di un giorno di cammino e contiene acqua in abbondanza.» Ormai le parole di Hermann fluivano liberamente, come se si fosse tenu-
to dentro la verità troppo a lungo. «Non resta niente delle rovine del tempio di Salomone. Nulla è mai stato trovato, benché nel libro dei Re si dica che egli usò grandi massi tra i migliori, massi squadrati. Com'è possibile che non ne sia rimasto neppure un blocco?» Arrivò al punto. «Gli studiosi hanno permesso ai preconcetti d'influenzare le loro interpretazioni. Volevano che la Palestina fosse la terra degli antichi ebrei dell'Antico Testamento, così il fine ha prevalso sui mezzi. La realtà è molto diversa... L'archeologia ha effettivamente dimostrato una cosa: che la Palestina dell'Antico Testamento aveva una popolazione che viveva in piccoli villaggi o cittadine, composta soprattutto da contadini di terre aride, con pochi frammenti di cultura elevata. Una società rurale, non come gli scaltrissimi israeliti dell'epoca post-salomonica. È un fatto provato scientificamente.» «Cosa dice il salmo?» intervenne un membro. «La verità germoglierà dalla terra.» «Che cosa intendi fare?» domandò qualcuno. Hermann mostrò di aver apprezzato la domanda. «Nonostante il rifiuto dei sauditi di permettere qualunque ricerca archeologica, Haddad credeva che esistesse tuttora una prova della sua teoria. Al momento stiamo cercando di localizzarla. Se quella teoria si potesse avvalorare, almeno quanto basta per mettere in dubbio la validità delle promesse dell'Antico Testamento... Ebbene, pensate alle conseguenze! Non soltanto Israele, ma anche l'Arabia Saudita ne sarebbe destabilizzata. Tutti noi siamo stati frustrati dalla corruzione di quel governo. Immaginate come reagirebbero i musulmani radicali! Il loro luogo più sacro è in realtà la biblica Terra Promessa degli ebrei? Sarebbe un po' come per il monte del Tempio a Gerusalemme, conteso da tutte e tre le grandi religioni... Quel luogo ha generato caos per migliaia di anni. Il caos in Arabia occidentale sarebbe altrettanto incalcolabile!» Thorvaldsen era rimasto seduto in silenzio abbastanza a lungo. Si alzò. «Non puoi credere che queste rivelazioni, anche qualora venissero dimostrate, avrebbero conseguenze tanto estese. Che altro c'è di così interessante per il Comitato Politico?» Hermann lo fissò con un disprezzo che soltanto loro due capivano. Il Circolo aveva agito contro Cotton Malone, facendo rapire suo figlio; ora lui aveva agito contro Hermann. Naturalmente la Sedia Blu non avrebbe
mai rivelato quella debolezza. Thorvaldsen aveva saggiamente giocato la sua carta vincente proprio lì, all'Assemblea, dove Hermann era costretto a essere cauto; tuttavia qualcosa gli diceva che l'austriaco aveva ancora una carta da giocare. Il sorriso che incurvò le labbra sottili del vecchio costrinse Thorvaldsen a interrompersi. «È vero, Henrik. Infatti c'è un altro aspetto, che coinvolgerà nella battaglia anche i cristiani.» 58 Vienna, ore 22.50 Alfred Hermann chiuse la porta del suo appartamento privato e si tolse la tunica e la catena d'oro. Il loro peso congiunto metteva a dura prova le sue stanche membra. Appoggiò gli abiti sul letto, soddisfatto dello svolgimento dell'Assemblea. Dopo tre ore i membri avevano finalmente cominciato a capire: il piano dell'Ordine era tanto ambizioso quanto ingegnoso. Ora gli rimaneva da corroborare la sua spiegazione, secondo cui la prova era a portata di mano. Tuttavia stava cominciando a preoccuparsi. Non aveva notizie da Sabre davvero da troppo tempo. L'ansia gli torceva lo stomaco... Una sensazione insolita. Per riprendere lo slancio aveva accelerato i tempi rispetto alla tabella di marcia. Quella era probabilmente la sua ultima grande impresa come Sedia Blu: la sua carica si avvicinava alla fine. L'Ordine del Toson d'Oro esisteva per sfruttare le opportunità e perseguire il successo. Molti governi erano stati scossi, alcuni anche rovesciati, a vantaggio del loro collettivo. Ciò che lui aveva escogitato ne avrebbe facilmente messo in ginocchio qualcun altro... Forse addirittura quello americano, se lui avesse giocato le sue carte con abilità. Sapeva sin dall'inizio che Thorvaldsen avrebbe potuto rappresentare un problema e per quel motivo aveva ordinato a Sabre di preparare un dossier finanziario. Seduto nella Schmetterlinghaus il giorno prima, mentre guardava Sabre accettare diligentemente l'incarico, non avrebbe mai creduto che Thorvaldsen si sarebbe dimostrato tanto aggressivo. Si conoscevano da molto tempo... Non erano necessariamente amici intimi, ma erano pur sempre colleghi. In qualche modo, però, il danese aveva subito collegato a
lui e all'Ordine quanto era successo a Copenhagen. Hermann non si era aspettato che esistesse una traccia. Il che lo portò a interrogarsi su Sabre. Quanto era stato incauto quell'uomo? Oppure l'aveva fatto di proposito? Gli avvertimenti di Margarete a proposito di Sabre gli riecheggiarono nella mente. Troppa libertà. Troppa fiducia. Perché il suo esecutore non aveva chiamato? Secondo le ultime notizie di cui disponeva, Sabre era andato a Londra - passando per Rothenburg - a cercare George Haddad. Aveva provato a chiamarlo diverse volte, ma invano. Aveva bisogno di Sabre. Lì. Subito. Qualcuno bussò leggermente alla porta. Lui attraversò la stanza e girò la maniglia. «È ora che parliamo ancora un po'», gli disse Thorvaldsen. Hermann accettò. Thorvaldsen entrò e chiuse la porta. «Non puoi fare sul serio con questa storia, Alfred! Hai idea di quello che il tuo piano potrebbe scatenare?» «Tu parli da ebreo, Henrik. È il tuo punto debole. Sei accecato dalle presunte promesse di Dio... Il vostro cosiddetto diritto.» «Parlo da essere umano! Chi sa se l'Antico Testamento dice il vero? Io no di certo, ma so che il mondo islamico non tollererà l'insinuazione che la sua terra più sacra sia stata insozzata dal giudaismo. Reagiranno con violenza.» «I sauditi avranno la possibilità di trattare prima che qualunque informazione venga diffusa», replicò l'altro. «È così che agiamo, lo sai... La violenza sarà colpa loro, non nostra. Il nostro obiettivo è il puro e semplice profitto. Il Comitato Politico crede che si possano ottenere moltissime concessioni economiche che avvantaggeranno i nostri membri e io sono d'accordo». «È una follia!» dichiarò Thorvaldsen. «Cos'hai intenzione di fare?» «Tutto ciò che devo.» «Non hai abbastanza spina dorsale per questa battaglia, Henrik.» «Potrei sorprenderti.» Hermann era incerto, così decise di lanciare una sfida. «Forse dovresti preoccuparti di più della tua situazione. Ho controllato le tue condizioni finanziarie. Non mi ero mai reso conto di quanto possa essere fragile l'industria del vetro! Il successo della tua Adelgade Glasvaerker dipende da sva-
riati fattori mutevoli.» «Credi di poterli influenzare?» «Sono piuttosto convinto di poter causare problemi.» «Il mio valore netto è alla pari col tuo, direi.» Lui sorrise. «Tu, però, tieni alla reputazione. Impensabile che una delle tue società venga percepita come un fallimento!» «Sei libero di provarci, Alfred.» Si rendeva conto che entrambi possedevano miliardi di euro - accumulati in gran parte dai loro avi - e che ciascuno di loro era un devoto amministratore del rispettivo patrimonio. Nessuno dei due era uno sciocco. «Ricorda che ho tua figlia», disse Thorvaldsen. L'altro scrollò le spalle. «E io ho te e il ragazzo.» «Davvero? Sei disposto a rischiare la vita di Margarete?» Sino a quel momento Hermann non aveva ancora deciso la risposta a quella domanda, perciò chiese: «La cosa riguarda Israele? So che ti piace considerarti un patriota». «Io, invece, so che tu sei un fanatico.» Un moto d'ira lo scosse da capo a piedi. «Non mi avevi mai parlato in questo modo!» «Ho sempre saputo come la pensavi, Alfred. Il tuo antisemitismo è evidente. Cerchi di mascherarlo - ci sono diversi ebrei nell'Ordine, dopotutto ma è chiaro come il sole.» Era il momento di abbandonare ogni finzione. «La tua religione è un problema. Da sempre.» Thorvaldsen scrollò le spalle. «Non più del cristianesimo. Solo che noi abbiamo rinunciato alla belligeranza e siamo stati a guardare i cristiani ammazzare più che a sufficienza nel nome del Signore risorto.» «Io non sono religioso e tu lo sai, Henrik. Qui si parla di politica e profitto! In quanto agli ebrei che sono nell'Ordine, anche a loro interessano queste cose. Nessuno ha espresso opposizione durante l'Assemblea. Israele rappresenta un ostacolo al progresso. I sionisti sono terrorizzati dalla verità.» «Cosa intendevi quando hai detto che pure i cristiani sono coinvolti?» «Se la Biblioteca di Alessandria si trova, verranno alla luce testi che potrebbero smascherare l'intera Bibbia per la truffa che è.» Thorvaldsen non sembrava convinto. «Potresti scoprire che è un po' difficile riuscirci.» «Te l'assicuro, Henrik: ci ho riflettuto a fondo.»
«Come sta Artigli dell'Aquila?» Hermann lanciò al danese uno sguardo d'approvazione. «Non male, ma lui è fuori dal tuo controllo.» «Non dal tuo, però.» Lui decise di chiarire la propria posizione. «Non puoi vincere questa battaglia. Hai mia figlia, ma questo non mi fermerà.» «Forse devo spiegarmi meglio. La mia famiglia ha subito l'occupazione nazista della Danimarca. Molti di noi sono stati uccisi e noi abbiamo ucciso molti tedeschi. Ho affrontato una lunga serie di sfide. Personalmente non m'importa nulla di Margarete... È una donna arrogante, viziata e poco intelligente. A me importa del mio amico Cotton Malone, di suo figlio e della mia patria adottiva. Se dovrò ucciderla, lo farò.» Hermann si era preoccupato delle minacce provenienti dall'esterno, ma il fastidio più immediato era venuto dall'interno. Occorreva rabbonire quell'uomo, almeno per un breve periodo. «Posso mostrarti una cosa.» «Devi fermare questa pazzia.» «C'è in gioco qualcosa di più del semplice ampliamento dei nostri interessi commerciali.» «Fammi vedere, allora.» «Lo faccio preparare.» 59 Maryland, ore 16.50 Stephanie si trovava sul sedile posteriore di una Suburban, con Cassiopea accanto. Passarono per il cancello principale senza fermarsi, facendo sfrecciare l'auto oltre le guardie armate. Da Washington si erano diretti a nord, attraverso la campagna brulla del Maryland. Lei aveva capito subito quale fosse la loro meta. Camp David. Il rifugio presidenziale per il fine settimana. Superate altre guardie e un altro posto di blocco, il veicolo si fermò di fronte a un'elegante casetta di tronchi sommersa dagli alberi e circondata da una veranda coperta. Ne uscì il presidente Robert Edward Daniels Jr. Lei sapeva che il presidente non usava mai il nome di battesimo; tempo
addietro aveva preso l'abitudine di firmarsi Danny. Col suo animo socievole e la tonante voce baritonale, Danny Daniels aveva il dono divino di vincere le elezioni. Era stato in carica per tre mandati da governatore e per un mandato da senatore prima di puntare alla presidenza. La sua rielezione al secondo mandato, l'anno precedente, era stata facile. «Stephanie, grazie di essere venuta!» esclamò Daniels, saltando giù dai gradini della veranda. Il presidente indossava jeans, una camicia a righine diagonali e stivali. Lei prese il coraggio a due mani e gli andò incontro. «Avevo scelta?» «Non proprio. Comunque è un bene che tu sia qui... Hai avuto qualche problema, mi dicono.» Daniels fece una risatina ma lei non era dell'umore adatto per dargli corda, benché fosse il leader del mondo libero. «Grazie ai suoi uomini.» Lui sollevò una mano in un gesto di finta resa. «Be', questo è ancora da vedere. Non hai neanche sentito quello che ho da dire! Bello, il tuo nuovo look... I capelli, i vestiti... Mi piace!» Senza darle il tempo di rispondere, si rivolse a Cassiopea. «Lei dev'essere Miss Vitt. Ho sentito molto parlare di lei. La sua è un'esistenza affascinante! E quel castello che sta ricostruendo in Francia? Mi piacerebbe moltissimo vederlo!» «Dovrebbe venire. Glielo mostrerò.» «Mi hanno detto che lo sta tirando su proprio come si faceva seicento anni fa. Sorprendente!» Stephanie si rese conto che Daniels le stava mandando un messaggio: loro due erano lì, lui era informato di tutto, perciò si mettesse l'anima in pace. D'accordo. Era il momento di vedere dove portava quella storia. «Al contrario di quanto pensi, Stephanie, non sono un idiota», disse Daniels. Erano seduti sulla veranda di fronte all'ingresso, su sedie a dondolo di legno con lo schienale alto. Daniels faceva oscillare vigorosamente la propria, mettendo alla prova le assi del pavimento con la sua massiccia corporatura distribuita su un metro e novanta d'altezza. «Non credo di averle mai dato dell'idiota», replicò lei. «Mio padre diceva spesso alla mamma che non le aveva mai dato della puttana in sua presenza.» Le lanciò un'occhiataccia. «Anche quello era vero.»
Lei non disse nulla. «Non è stato facile farvi uscire da quel museo. È uno dei miei luoghi preferiti... Adoro gli aeroplani e lo spazio; ho studiato tutto sull'argomento, quand'ero giovane. Un lato positivo dell'essere presidente è che puoi assistere a un lancio tutte le volte che ti pare.» Il presidente accavallò le gambe e si appoggiò allo schienale. «Ho un problema, Stephanie. Di quelli seri.» «Allora siamo in due. Io sono disoccupata e, secondo il suo viceconsigliere per la sicurezza nazionale, in stato di arresto. Non è stato proprio lei a licenziarmi?» «Sì, l'ho fatto. Larry me l'ha chiesto e io ho acconsentito. Era necessario affinché tu potessi essere qui ora.» Cassiopea si sporse in avanti. «Non ne ero certa, ma ora lo so. Sta lavorando con gli israeliani, vero? Stavo cercando di mettere insieme i pezzi. Ora è tutto chiaro! Sono venuti da lei.» «Mi hanno detto che suo padre era uno degli uomini più intelligenti dell'intera Spagna. Ha costruito un impero finanziario dal nulla e ora è lei a gestirlo.» «Non è il mio forte.» «Ho sentito che è un'ottima tiratrice, coraggiosissima, col quoziente intellettivo di un genio.» «Eppure al momento mi trovo nel bel mezzo di un casino politico.» Piccole rughe di divertimento comparvero ai lati degli occhi di Daniels. «Un casino è precisamente ciò che abbiamo per le mani. Ha ragione, Israele mi ha contattato. Ce l'hanno con Cotton Malone.» Stephanie sapeva che Daniels aveva un debole per Malone. Due anni prima il suo amico era stato coinvolto in un processo per omicidio a Città del Messico; la vittima era un funzionario della Narcotici, compagno di stanza di Daniels al college, ucciso in modo da far pensare a un'esecuzione. Lei aveva mandato Malone affinché assicurasse la condanna, ma durante una pausa pranzo lui si era trovato in mezzo a un fuoco incrociato, finito con la morte del pubblico ministero messicano e del figlio di Henrik Thorvaldsen. Malone aveva sparato agli aggressori ed era tornato a casa con un proiettile nella spalla, ma aveva ottenuto la condanna del colpevole. In cambio di quanto aveva fatto, aveva chiesto le dimissioni anticipate e Daniels aveva provveduto personalmente a fargli lasciare la sua carica nella marina militare. «E lei, signore?» gli domandò Stephanie. «Anche lei ce l'ha con Malone?»
«Signore? Be', questa è nuova! Ho notato, nelle rare occasioni in cui ci siamo trovati insieme, che non usi mai quella parola.» «Non mi ero accorta che lei prestasse tanta attenzione.» «Stephanie, io presto grande attenzione a moltissime cose. Per esempio: poco fa Cotton Malone ha chiamato la sezione Magellano. Naturalmente tu eri occupata. La chiamata è stata inoltrata a Brent Green per ordine personale del procuratore generale.» «Pensavo che fosse Daley il responsabile.» «Lo pensavo anch'io. Perché Green dovrebbe fare una cosa del genere?» «Come sa che è stato lui?» domandò Cassiopea. «I suoi telefoni sono sotto controllo.» Stephanie aveva sentito bene? «Gli fa sorvegliare i telefoni!» «Sicuro. A lui e a qualcun altro, tra cui Larry Daley.» Ondate d'incertezza si propagarono in lei, tanto che dovette costringere se stessa a concentrarsi. A quanto pareva, quel rompicapo aveva molti pezzi. «Stephanie... Ho lavorato una vita intera per arrivare dove sono. È una posizione in cui una singola persona può davvero fare qualcosa e io ho fatto del bene. La disoccupazione non era tanto bassa da trent'anni. L'inflazione è inesistente. I tassi d'interesse sono modesti. Due anni fa sono anche riuscito a tagliare le tasse.» «Con Larry Daley a strattonare la catena del Congresso. Difficile perdere.» Non era riuscita a resistere: certo, lui era il presidente, ma in quel momento il suo livello di tolleranza alle stronzate era decisamente sotto zero. Daniels si dondolava in silenzio, con lo sguardo fisso sul fitto del bosco. «Hai mai visto Rocky III?» Lei non rispose. «Quanto mi piacevano, quei film! Rocky veniva sempre pestato sino a crollare, poi si sentiva quella musica grandiosa, con gli squilli di tromba. Allora lui vedeva tutto chiaramente, recuperava le forze e massacrava quell'altro.» Stephanie ascoltava, divertita. «In Rocky III scopre che Mickey, il suo allenatore, gli organizzava incontri facili... Vittorie sicure, in modo che lui mantenesse il titolo e non si facesse troppo male. Stallone era bravissimo in quel ruolo. Lui vuole combattere con Mister T, ma Mickey dice: 'No, quello ti ammazza'. Rocky, quando si rende conto che potrebbe non essere in gamba quanto credeva,
s'inferocisce. Naturalmente Mickey muore e alla fine Rocky mette K.O. Mister T.» Le parole del presidente avevano un tono rispettoso. «Daley è il mio Mickey», disse, quasi in un sospiro. «Lui ha organizzato i miei incontri. Io sono come Rocky: la cosa non mi piace.» «Lei non lo sapeva?» domandò Stephanie. Lui scosse la testa con uno strano misto d'irritazione e curiosità. «Stavo cercando d'inchiodarlo io stesso quando ho scoperto che stavi indagando. Usare una ragazza squillo? Fantasioso! I miei non sono stati così creativi. Devo ammetterlo: il giorno in cui me l'hanno riferito, ho cambiato opinione su di te.» Lei aveva bisogno di sapere. «Come ha saputo che c'ero dietro io?» «I miei ragazzi vanno matti per le microspie e i video, perciò hanno ascoltato e osservato. Sapevamo delle chiavette USB e conoscevamo anche il suo nascondiglio... In pratica stavamo solo aspettando.» «Quell'indagine risale a mesi fa. Perché non siete intervenuti?» «Tu perché non l'hai fatto?» La risposta era ovvia. «Io non avrei potuto licenziarlo, ma lei sì.» Daniels piantò entrambi i piedi sulla veranda e si tenne in equilibrio sul bordo della sedia a dondolo. «Uno scandalo è una gran brutta bestia, Stephanie. Nessuno, in questo Paese, crederà che io non sapessi cosa stava facendo Daley. Dovevo levarlo di mezzo senza lasciare impronte.» «Perciò Daley doveva stringersi il cappio attorno al collo per conto proprio», intervenne Cassiopea. Daniels la guardò. «Quella sarebbe stata la via preferibile, ma Larry è specializzato in sopravvivenza e devo dire che è bravo.» «Che cos'ha Daley su di lei?» volle sapere Stephanie. La sua audacia parve compiacerlo, più che contrariarlo. «A parte quelle foto compromettenti di me con una capra, non molto.» Lei sorrise. «La domanda era d'obbligo.» «Già, è vero. Capisco quello che dicono di te, Stephanie: sai essere davvero irritante. Che ne dici di tornare alla mia domanda, che nessuna di voi due sembra considerare importante? Perché Brent Green vuole parlare direttamente con Cotton?» Lei ricordò quello che Daley aveva detto al museo. «Daley mi ha detto che Brent si sta dando da fare per diventare il prossimo vicepresidente.» «Il che ci porta allo scopo di questa riunione.» Daniels si appoggiò allo schienale e ricominciò a dondolare. «Mi piace fare la parte dello zotico del
Sud. Fa parte della mia educazione da montanaro del Tennesse. È uno dei motivi per cui mi piace tanto Camp David: mi ricorda casa mia... Ma ora è tempo di fare il presidente. Qualcuno ha avuto accesso ai nostri file protetti ed è riuscito a dare un'occhiata al Rapporto Alexandria, poi ha spifferato l'informazione a due governi stranieri e in entrambi è scoppiato un putiferio. Gli israeliani sono incazzati neri. Ufficialmente sembra che ci stiamo azzannando alla gola, ma sotto sotto quella gente mi piace... Nessuno - e dico nessuno - farà casino con Israele sotto i miei occhi. Purtroppo in quest'amministrazione c'è chi la pensa diversamente.» Lei avrebbe voluto chiedere chi, ma decise di lasciarlo parlare. «È stato messo in moto qualcosa. Tutto è cominciato quando hanno preso il figlio di Cotton Malone... Per fortuna, trattandosi di Malone, questa gente non sa proprio con chi ha a che fare. Darà loro del filo da torcere e a noi un'opportunità per fare i nostri calcoli. Un mio zio soleva dire: 'Vuoi ammazzare i serpenti? Semplice! Da' fuoco al sottobosco e aspetta che striscino fuori; poi puoi mozzargli la testa'. Ecco che cosa faremo.» Cassiopea scosse la testa. «Come dicevo, signor presidente, quello che ha per le mani è un casino. Io ci sono dentro da appena un paio di giorni, ma non so più chi stia dicendo la verità.» «Dubita anche di me?» Cassiopea strinse gli occhi color smeraldo. «Anche di lei, sì.» «Bene! Bisogna sempre essere sospettosi.» Suonava sincero. «Tuttavia ho bisogno del vostro aiuto. Per questo ti ho licenziato, Stephanie... Ti serviva libertà di movimento. Ora ce l'hai.» «Per fare cosa?» «Trovare il mio traditore.» 60 Vienna, ore 23,20 Thorvaldsen accompagnò Gary dal primo piano del castello al pianterreno. Non aveva più avuto notizie da Alfred Hermann dopo la breve conversazione di poco prima. Gary aveva trascorso la serata con alcuni altri ospiti: due dei membri avevano portato con sé i figli adolescenti ed Hermann aveva disposto che cenassero insieme nella serra, sul retro del palazzo. «È stato grande!» commentò Gary. «È pieno di farfalle che ti si posano
proprio sul piatto!» Thorvaldsen aveva visitato diverse volte la Schmetterlinghaus e anche lui la trovava affascinante, tanto che aveva considerato l'idea di costruirsene una a Christiangade. «Sono creature magnifiche, che richiedono una grande cura.» «Sembrava di stare in una foresta tropicale!» Nessuno dei due riusciva a dormire. A quanto pareva anche Gary era un tipo notturno, così si diressero verso la biblioteca di Hermann. Poco prima Thorvaldsen aveva sentito che la Sedia Blu intendeva incontrarsi col Comitato Economico. Le discussioni sarebbero andate avanti per un po', dandogli il tempo di leggere e prepararsi. L'Assemblea dell'indomani avrebbe portato a una decisione; il dibattito doveva essere pertinente e accurato. Tutti sarebbero ripartiti domenica, poiché l'Assemblea non andava mai troppo per le lunghe. Lo staff e i Comitati circoscrivevano l'ordine del giorno agli argomenti che richiedevano un voto collettivo, i quali venivano presentati, discussi e risolti. In tal modo si decideva la linea d'azione dell'Ordine per i mesi successivi, sino alla primavera. Perciò lui doveva essere pronto. La vasta biblioteca occupava due piani ed era rivestita di lustri pannelli di noce. Un caminetto di marmo nero affiancato da statuine barocche e un arazzo francese dominavano una parete. Le altre tre erano interamente occupate dagli scaffali e uno spettacolare affresco sul soffitto incoronava la stanza, dando l'impressione che fosse a cielo aperto. Una scala a chiocciola portava agli scaffali più alti. Thorvaldsen si aggrappò alla liscia ringhiera di ferro e salì lentamente i gradini stretti. «Cosa stiamo facendo qui?» domandò Gary quando furono in cima. «Voglio leggere una cosa.» Sapeva del podio nella biblioteca di Hermann, sul quale era esposta una magnifica Bibbia. Hermann si vantava che quella fosse una delle prime edizioni stampate. Thorvaldsen si avvicinò all'antico tomo e ne ammirò l'elaborata copertina. «La Bibbia fu il primo libro a essere prodotto quando la stampa fu finalmente perfezionata, nel XVI secolo. Gutenberg stampò molte Bibbie: questa è una. Come ti dicevo, dovresti leggerla.» Gary fissò il libro. Thorvaldsen sapeva che il ragazzo non poteva comprenderne appieno l'importanza, perciò chiarì: «Queste parole hanno cambiato il corso della storia umana. Hanno alterato lo sviluppo sociale dell'umanità e forgiato sistemi politici. È molto probabile che questa e il
Corano siano i due libri più importanti del pianeta». «Com'è possibile che delle parole siano così importanti?» «Non sono soltanto le parole, Gary; è il modo in cui vengono usate. Dopo che Gutenberg cominciò a stampare in grandi quantità, i libri si diffusero rapidamente. Non erano a buon mercato, ma nel XVI secolo erano ormai comuni. Il maggior accesso all'informazione portò all'aumento del dissenso, a più dibattiti informati e a una più diffusa critica dell'autorità. L'informazione ha cambiato il mondo, ne ha fatto un luogo diverso.» Indicò la Bibbia. «E questo libro ha cambiato tutto.» Aprì con cautela la copertina. «In che lingua è?» domandò Gary. «In latino.» Scorse l'indice. «Sai leggerlo?» L'uomo sorrise. «Me l'hanno insegnato da piccolo.» Batté un dito sul petto del ragazzo. «Dovresti impararlo anche tu.» «A che mi servirebbe?» «A leggere questa Bibbia, per esempio. È composta da trentanove libri. Gli ebrei venerano i primi cinque: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Raccontano la storia dell'antico popolo d'Israele dal tempo della creazione del mondo, passando per il diluvio universale, l'esodo dall'Egitto e le peregrinazioni nel deserto, sino alla consegna della Legge a Mosè sul Sinai. Davvero epico.» Quegli scritti significavano molto per gli ebrei, come pure i successivi libri profetici - Giosuè, Giudici, Samuele, Re - che narravano le vicende degli israeliti dall'attraversamento del fiume Giordano alla conquista di Canaan, l'ascesa e la caduta dei loro molti regni e la sconfitta per mano degli assiri e dei babilonesi. «Si presume che questi libri raccontino le vicende che il popolo d'Israele visse migliaia di anni prima di Cristo. Il destino di quel popolo era legato direttamente a Dio e alle Sue promesse.» «Ma è successo molto tempo fa, no?» Thorvaldsen annuì. «Quattromila anni fa. Eppure da allora arabi ed ebrei si sono sempre fatti la guerra a vicenda, cercando di dimostrarne l'autenticità.» Sfogliò lentamente la Genesi e trovò il brano che era venuto a studiare. «Il Signore disse ad Abramo: 'Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l'oriente e l'occidente. Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre'.» S'interruppe. «Queste parole sono costate la vita a milioni di persone.» Rilesse tra sé le cinque parole più importanti.
«Cosa c'è?» domandò Gary. Lui lo fissò. Quante volte Cai gli aveva fatto la stessa domanda? Suo figlio aveva imparato il latino, letto la Bibbia e praticato la loro fede. Era stato una brava persona, l'ennesima vittima di una violenza insensata. «La verità è importante», disse, più a se stesso che a Gary. Dal luogo dove tu stai. «Hai notizie di papà?» volle sapere Gary. Henrik scrutò il ragazzo e scosse la testa. «Neanche una parola. È in giro alla ricerca di qualcosa di molto simile a ciò che ci circonda... Una biblioteca che potrebbe contenere la chiave per comprendere queste parole della Bibbia.» Un trambusto proveniente dal basso attirò la sua attenzione. La porta della biblioteca si aprì e si udirono delle voci. Ne riconobbe una: Alfred Hermann. Fece un cenno a Gary e si ritirarono nel punto in cui gli scaffali più alti erano interrotti dal vano di una finestra. Il piano di sotto era debolmente illuminato da uno strano assortimento di lampade, la balconata superiore da faretti incassati nel soffitto. Segnalò al ragazzo di tacere e lui annuì. Thorvaldsen si mise in ascolto. L'altro uomo parlava inglese. Americano, anzi. «È importante, Alfred! Più che importante, a dire il vero: è vitale.» «Sono al corrente della tua situazione, ma non è più vitale della nostra.» «Malone è diretto al Sinai. Avevi detto che sarebbe andata bene!» «E così sarà. Vuoi un goccio di cognac?» «Stai cercando di tranquillizzarmi?» «Sto cercando di offrirti un cognac.» Thorvaldsen fece cenno a Gary di non muoversi mentre lui usciva furtivamente dalla nicchia per azzardare una rapida occhiata oltre la ringhiera di ferro. Alfred Hermann era di sotto, intento a versare il liquore da una boccia. Accanto a lui c'era un uomo più giovane, sulla cinquantina, in abito scuro e con la testa coronata da una folta zazzera bionda e lanosa. Il suo viso era ben rasato, energico, angelico... Perfetto per un ritrattista o un attore. Il che non era troppo lontano dal vero. Thorvaldsen conosceva quell'uomo. Era il vicepresidente degli Stati Uniti d'America.
61 Camp David, Maryland Stephanie fu colpita dalle parole del presidente. «Come sarebbe a dire il suo traditore?» Daniels le lanciò uno sguardo carico di turbamento. «In questo governo c'è qualcuno che mi mette i bastoni tra le ruote. Mandano avanti le loro politiche, favoriscono i loro obiettivi, pensando che io sia troppo pigro, troppo patetico o troppo stupido per accorgermene. Be', non ci vuole un genio per indovinare chi è il capobanda: il mio cosiddetto fedele vicepresidente. È un verme ambizioso.» «Signor presidente...» cominciò lei. «Oh, anche questa è nuova! Signor presidente... Forse stiamo facendo progressi nel nostro rapporto.» «Ho avuto le mie riserve, su di lei e su questa amministrazione.» «È questo il problema con voi burocrati di carriera... Noi politici andiamo e veniamo, ma voi restate sempre al vostro posto e ciò significa che potete fare molti paragoni. Purtroppo per me, Stephanie, pare che su questo tu abbia ragione: sono circondato da traditori. Il mio vicepresidente cova l'irresistibile desiderio di prendere il mio posto ed è disposto a scendere a patti col diavolo pur di ottenerlo.» Daniels fece una pausa e lei non interruppe il corso dei suoi pensieri. «L'Ordine del Toson d'Oro.» Aveva sentito bene? «È là da loro in questo preciso istante. A incontrarne il capo, un uomo di nome Alfred Hermann.» Stephanie aveva gravemente sottovalutato Danny Daniels, proprio come aveva fatto con Brent Green. Erano entrambi molto bene informati. Cassiopea si dondolava sulla sua sedia, ma Stephanie sapeva che stava ascoltando attentamente. Lei stessa aveva parlato a Cassiopea dell'Ordine. «Mio padre era un membro», disse la giovane. Quel dettaglio non era emerso, quando ne avevano parlato. «Per molti anni lui e Henrik hanno partecipato insieme. Io ho deciso di non rinnovare l'iscrizione, dopo la sua morte.» «Una mossa saggia», commentò Daniels. «Quel gruppo è stato collegato a un certo numero d'instabilità politiche a livello globale. Sono molto bravi; non lasciano impronte... Naturalmente gli attori principali di solito finiscono col morire. Come ogni banda che si rispetti, hanno un braccio arma-
to: un uomo soprannominato Artigli dell'Aquila. Tipica roba da europei... Un sicario prezzolato con un titolo altisonante. Sono quelli che hanno preso il figlio di Malone.» «Ce lo dice solo adesso?» «Proprio così, Stephanie. Una delle prerogative dell'essere il capo del mondo libero sta nel poter fare più o meno quel che diavolo mi pare.» Le lanciò un'occhiata tagliente. «Stanno succedendo parecchie cose. Succedono in fretta, da diversi angoli. Ho fatto del mio meglio, date le circostanze.» Lei lo riportò al punto. «Cosa sta facendo il vicepresidente con la Sedia Blu?» «Sedia Blu? Sono lieto di vedere che sei informata anche tu. Ci speravo, in effetti. Il VP sta vendendo la sua anima... L'Ordine sta cercando nientemeno che la Biblioteca di Alessandria. Vogliono trovare la prova di una teoria e, sebbene io ritenessi la faccenda bizzarra, a quanto pare c'è sotto di più.» «Cosa dicono gli israeliani in proposito?» intervenne Cassiopea. «Non vogliono che si trovi niente, punto e basta. Esigono che si lasci perdere. Pare che l'Ordine stia spremendo la casa reale saudita da decenni e che ora abbia deciso di agitare le acque... Far perdere la pazienza a ebrei e arabi. Non è una cattiva strategia, in effetti - è cosa nota che pure noi abbiamo fatto lo stesso -, ma questa situazione precipiterà. I fanatici sono imprevedibili, che siano arabi, israeliani...» Fece una breve pausa.. «... o americani.» «Cosa vuole che faccia?» domandò Stephanie. «Lascia che ti dica un'altra cosa che non sai: Cotton ha richiamato Green una seconda volta. Aveva bisogno di un favore, così Green ha approvato un ponte aereo militare per Malone, la sua ex moglie e un terzo uomo. Sono in viaggio proprio ora, alla volta - incredibile ma vero! - del Sinai. Noi riteniamo che il terzo uomo sia il sicario dell'Ordine. Malone ha chiesto a Green un controllo della sua identità, che - tra parentesi - il procuratore generale ha ignorato. Non si è fatta nessuna indagine, perciò abbiamo provveduto noi. Il nome fornito da Cotton era James McCollum... La descrizione non coincide, ma c'è un tizio con quel nome che è un ex soldato dei reparti speciali, ora mercenario freelance. Sembra il curriculum giusto per lavorare per l'Ordine, non ti pare?» «Com'è entrato in contatto con Malone?» volle sapere Cassiopea. Daniels scosse la testa. «Non lo so, ma sono lieto che con lui ci sia Cot-
ton. Purtroppo non possiamo fare nulla per aiutarlo.» «Potremmo metterci in contatto radio con quell'aereo», suggerì Cassiopea. Il presidente scosse la testa. «Fuori questione. Non possiamo far sapere a nessuno che siamo coinvolti. Io voglio i miei traditori e per prenderli dobbiamo restare in silenzio.» «E i nostri finalisti sono... Larry Daley e Brent Green!» annunciò lei. Daniels piegò il capo. «Al vincitore spetta un soggiorno tutto spesato presso un lussuoso carcere federale. Dopo che l'avrò preso personalmente a calci in culo, s'intende.» L'attitudine al comando sembrava tornata. «Voi due siete tutto ciò che ho a disposizione per trovare risposta alla domanda del giorno. Non posso coinvolgere nessun'altra agenzia, per ovvie ragioni. Ho permesso che tutto questo si mettesse in moto per far sì che aveste un'opportunità. Stephanie, sapevo che eri sulle tracce di Daley, ma grazie al cielo non sei passata all'attacco. Ora dobbiamo scoprire la verità.» «Pensa che il procuratore generale sia coinvolto?» volle sapere Cassiopea. «Non lo so. Brent interpreta alla perfezione la parte del santarellino e forse è davvero un cristiano timorato di Dio che va in giro sventolando la Bibbia, ma è anche un uomo che non vuole lasciare una posizione di potere e influenza per fare il 'consulente' in vetrina in qualche studio legale di Washington. Per questo è rimasto per il secondo mandato. Diavolo, tutti gli altri sono saltati dalla nave... Hanno lustrato il curriculum con tutte quelle succulente esperienze governative e hanno cambiato in moneta i loro contatti. Brent no, invece.» «Mi ha detto di essere stato lui a divulgare il Rapporto Alexandria, nel tentativo d'individuare personalmente il traditore.» «Diavolo, forse l'ha fatto. Non lo so... Quello che so è che il mio viceconsigliere per la sicurezza nazionale si comprava il Congresso, il mio vicepresidente sta tramando con uno degli uomini più ricchi del mondo e due nazioni del Medio Oriente, che normalmente si disprezzano a vicenda, al momento stanno lavorando insieme per impedire il ritrovamento di una biblioteca vecchia di millecinquecento anni. Ti sembra una buona sintesi, Stephanie?» «Sì, signor presidente. Abbiamo afferrato l'idea.» «Allora trovate il mio traditore.» «Come ci suggerisce di farlo?»
Lui sorrise per la risolutezza della domanda. «Ci ho riflettuto molto. Mangiamo qualcosa, poi voi due vi farete una dormita. Avete un'aria stravolta. Qui potete riposare al sicuro.» «La cosa non può aspettare domattina», obiettò lei. «Dovrà farlo. Sapete qual è il segreto di un buon porridge di granoturco? Non la bollitura, bensì sobbollire in pentola, col coperchio e la fiamma bassa. Ecco cosa trasforma la rozza farina di mais in un cibo paradisiaco! Ora lasceremo sobbollire questa faccenda per qualche ora, poi vi dirò cos'ho in mente.» 62 Vienna Thorvaldsen arretrò verso il vano della finestra, continuando a seguire la conversazione al piano di sotto. Il fatto che il vicepresidente americano si trovasse lì, al castello di Hermann, evocava una moltitudine di nuove possibilità. Lanciò una rapida occhiata a Gary e si portò un dito alle labbra, facendo segno di non far rumore. Di sotto i bicchieri tintinnarono. «Alla nostra amicizia!» disse Hermann. «È questo che mi piace di te, Alfred: la lealtà. Una qualità che scarseggia, oggigiorno.» «Forse il tuo superiore potrebbe pensarla allo stesso modo.» L'altro ridacchiò. «Daniels è uno sciocco. Ha una visione semplicistica della vita e del mondo.» «E tu ti definiresti leale?» «Certamente. Ho sopportato cinque anni di Danny Daniels. Ho fatto esattamente quello che voleva. Ho sorriso. L'ho difeso. Mi sono preso le critiche al posto suo. Adesso, però, non ce la faccio più... Gli americani non ce la fanno più.» «Spero che non sia stato tempo perduto.» «Ho trascorso gli anni a creare coalizioni, consolidare amicizie e rabbonire i nemici. Ho tutto ciò che mi serve...» «Tranne i soldi.» «Non direi. Ho promesse più che sufficienti a smuovere le cose. I miei amici arabi si stanno dimostrando molto generosi.» «Anche l'Ordine apprezza quanti mostrano di sostenerlo. Il vostro presi-
dente non è stato benevolo col mercato mondiale... Pare che gli piacciano un po' troppo i dazi doganali e le restrizioni commerciali e finanziarie.» «Quello è tutto un altro problema. A Washington sono in molti a pensarla diversamente da Daniels.» Dai rumori al piano di sotto si capì che i due si stavano sedendo. Thorvaldsen strisciò un po' più vicino alla ringhiera. Hermann si era seduto su una sedia e il vicepresidente su un divanetto. Entrambi reggevano un bicchiere. «Israele sta cercando di scoprire cosa sta succedendo», disse il vicepresidente. «Sanno che il Rapporto è stato compromesso.» «Ne sono informato», rispose Hermann. «In questo momento se ne sta occupando un mio socio.» «Il mio capo di gabinetto mi ha detto che la squadra di sorveglianza israeliana è scomparsa in Germania e un loro funzionario del ministero degli Esteri, sospettato di aver venduto informazioni, è stato trovato morto a Rothenburg. Una squadra della morte è stata mandata a Londra. Stranamente, Tel Aviv ha voluto farcelo sapere.» «Te lo ripeto, amico mio: ne sono già al corrente.» «Allora saprai di certo che uno dei nostri ex agenti, Cotton Malone, è diretto al Sinai con, nientemeno, la sua ex moglie e un altro uomo.» Nessuna risposta. «Eravamo curiosi», riprese il vicepresidente. «Così abbiamo preso le impronte di quell'altro uomo da una ringhiera che ha toccato quando si è imbarcato sull'aereo militare a Lisbona. È un americano. James McCollum. Lo conosci?» «Usa lo pseudonimo di Dominick Sabre. Lavora per noi.» «Dal momento che siamo amici, Alfred, con rispetto ti farò notare che hai detto un mucchio di cazzate. Te l'ho letto negli occhi: non sapevi che il tuo uomo fosse diretto al Sinai.» Altra pausa. «Non è obbligato a tenermi informato. Solo i risultati contano.» «Dimmi, allora. Cosa sta facendo con Cotton Malone? Troverà quella Biblioteca?» «Il Sinai, hai detto? Di certo in quella zona sarebbe possibile; è abbastanza vicina ad Alessandria da permettere il trasporto dei manoscritti in tempi antichi, ma anche isolata. Vi passavano rotte commerciali prima e dopo l'epoca di Cristo. I faraoni vi scavavano per estrarre rame e turchese. L'Egitto conosceva bene il Sinai.»
«Vedo che hai studiato la storia.» «Il sapere è una buona cosa. Specialmente qui.» «Alfred, qui non si tratta di un esercizio intellettuale. Sto cercando di cambiare radicalmente la politica estera americana! Daniels e io ci siamo scontrati su questo punto, ma ora posso fare qualcosa. È il momento di mostrare agli arabi la stessa considerazione che abbiamo sempre accordato a Israele! Anche a me interessano solo i risultati, come a te col tuo uomo. Tu e i tuoi confratelli volete il profitto. Io voglio il potere.» «E noi vogliamo che il posto sia tuo.» «Allora dimmi, Alfred: quand'è che il presidente degli Stati Uniti morirà?» Un brivido percorse la spina dorsale storta di Thorvaldsen quando il senso delle parole del vicepresidente gli divenne chiaro. «Pare che l'idea cominci ad appassionarti», disse Hermann. «Sei stato tu a convincermi.» «È tutto stabilito», confermò Hermann. «Il viaggio inatteso di Daniels a Kabul avrà un finale spettacolare.» «Una volta che sarà in volo, mi verrà confermato tutto col sistema di cui abbiamo parlato. Stando alle ultime notizie, partirà giovedì prossimo. Soltanto quattro persone lo sanno: lui, io e i nostri capi di gabinetto. Nemmeno il presidente afghano sa che è in arrivo; glielo diranno subito prima dell'atterraggio. È tutta una trovata degli addetti alla comunicazione della Casa Bianca... Rilanciare la sua popolarità con una visita per alzare il morale delle truppe.» «I missili sono già pronti», disse Hermann. «L'accordo è stato preso con uno dei più fedeli collaboratori di bin Laden, che ha apprezzato moltissimo l'occasione. Questo sarà il primo attacco significativo all'America da diversi anni a questa parte. Abbiamo già avuto a che fare con quei demoni, sempre a distanza di sicurezza e prudentemente, ma con successo.» «Ho ancora qualche perplessità sul far uccidere Daniels dagli arabi. I miei amici in Arabia mi dicono che pure loro sono quasi tutti stufi di bin Laden... Vorrebbero levarlo di mezzo, perché le sue pagliacciate rendono infinitamente più difficile cambiare l'opinione pubblica mondiale. Non possono unirsi a noi fintanto che si fa 'alla maniera d'Israele o niente', ma una volta sparito Daniels - e con un chiaro cambio di linea politica - si uniranno a noi contro bin Laden.» «Il mio Comitato Politico ritiene che gli arabi saranno più che gestibili.» «Sono al corrente del piano?» domandò il vicepresidente in tono sorpre-
so. «Certo che no! Si limitano ad analizzare i possibili scenari, uno dei quali prevede il cambiamento della politica estera americana. Lo desideriamo da tempo.» «Be', Alfred, sai a cosa sto pensando?» Hermann ridacchiò. «Non lasceremo nessuna traccia. Gli emissari usati per negoziare l'accordo con bin Laden saranno spediti ad Allah la settimana prossima. Quel socio di cui parlavi si occuperà personalmente della faccenda. Niente verrà collegato a nessuno.» «Hai davvero una gran fiducia in quell'uomo», osservò il vicepresidente. «Non ci ha mai deluso.» «È essenziale che non cominci ora. Io sarò a Chicago il giorno della partenza di Daniels. La Casa Bianca non farà annunci: è come se il presidente fosse a Washington a lavorare e un attimo dopo si venisse a sapere dai notiziari che è in Afghanistan. Poi mi nascondono sino al suo ritorno... Procedura standard post 11 settembre.» «Cosa farai quando l'aereo sarà stato abbattuto?» volle sapere Hermann. «Presterò giuramento e governerò per i prossimi tre anni. Poi concorrerò per la presidenza, farò altri quattro anni e me ne tornerò a casa.» «Voglio che tu capisca che se riusciremo a localizzare la Biblioteca perduta, daremo subito inizio a ciò che noi abbiamo progettato.» «Più che giusto. Prima è, meglio è! Ho bisogno di prendere alla sprovvista Israele e gli arabi. Io presenterò loro la carota, voi il bastone. I sauditi dovranno trattare; non possono permettersi che il loro Paese imploda. Io voglio veder calare i prezzi del greggio tanto quanto lo vuoi tu... Pochi dollari al barile ci cambiano il PIL di miliardi. Mobiliterò l'America alla rappresaglia per la morte di Daniels e nessuno mi si opporrà su quel punto. Il mondo intero sarà dalla nostra parte! Gli arabi avranno l'acqua alla gola, imploreranno amicizia. A quel punto monteranno a bordo e vinceremo tutti.» «Il mio Comitato Politico crede che potrebbe verificarsi un'estesa destabilizzazione.» «E allora? Io sarò in vetta nei sondaggi! Niente sprona gli americani quanto una tragedia che li faccia stringere attorno alla bandiera e io intendo cavalcare l'onda per i prossimi sette anni. Gli arabi sanno contrattare; capiranno che è venuto il tempo di collaborare, specialmente ai danni d'Israele.» «Sembra che tu ci abbia riflettuto a fondo.»
«Ho riflettuto su poco altro negli ultimi mesi. Ho cercato di convincere Daniels a cambiare atteggiamento, ma quando si tratta degli israeliani è irremovibile. Quella maledetta nazione grande quanto un paio delle nostre contee sarà la rovina di tutti noi! Non ho intenzione di permettere che accada.» «La prossima volta che c'incontreremo sarai presidente degli Stati Uniti», dichiarò Hermann. «Alfred... A parte i terroristi che faranno il lavoro sporco, tu e io siamo le uniche due persone su questo pianeta a sapere cosa sta per accadere. Me ne sono accertato.» «Anch'io.» «Allora facciamolo accadere e godiamoci entrambi il premio!» 63 Hermann cercò di valutare l'uomo seduto di fronte a lui. Certo, era il vicepresidente degli Stati Uniti, ma non era affatto diverso dalle frotte di altri politicanti di tutto il mondo che lui aveva comprato e venduto: uomini e donne avidi di potere e privi di coscienza. Gli americani amavano dare di sé un'immagine al di sopra di quel genere di critica, ma l'ambizione era irresistibile per chiunque ne avesse assaporato il potenziale. L'uomo che sedeva nella sua biblioteca la notte dell'Assemblea invernale non faceva eccezione. Parlava di elevati obiettivi politici e svolte della politica estera, ma sin dal principio era stato disposto a tradire il proprio Paese, il proprio presidente e se stesso. Grazie al cielo. L'Ordine del Toson d'Oro prosperava sulle altrui carenze morali. «Alfred, parliamoci francamente», stava dicendo il vicepresidente. «È davvero possibile che esistano le prove del fatto che Israele non può vantare nessun diritto biblico sulla Terrasanta?» «Certo. L'Antico Testamento era considerato un'importantissima fonte di studio presso la Biblioteca di Alessandria e anche il nascente Nuovo Testamento, nell'ultimo periodo di esistenza della Biblioteca, venne analizzato a fondo. Lo sappiamo da alcuni manoscritti superstiti. È ragionevole dedurre che esistano ancora sia il testo sia le analisi della Bibbia, nell'ebraico antico originale.» Ricordò quello che Sabre gli aveva riferito da Rothenburg: altre tre persone erano state uccise da Israele e tutte avevano ricevuto la visita di un
Guardiano. Tutte e tre le vittime erano studiosi dell'Antico Testamento. Lo stesso Haddad aveva ricevuto un invito... Per quale altra ragione poteva essergli stato concesso un simile onore? E perché Israele aveva fatto di tutto per uccidere il palestinese? Doveva esserci un nesso. «Sono stato in Inghilterra di recente», disse il vicepresidente. «Mi sono fatto mostrare la Bibbia del Sinai. Mi hanno detto che è del IV secolo, un Antico Testamento tra i più antichi in circolazione. Scritto in greco.» «È un esempio perfetto», disse lui. «Conosci la sua storia?» «A spizzichi e bocconi.» Hermann raccontò al suo ospite dello studioso tedesco Tischendorf, che nel 1844 viaggiò in Oriente in cerca di manoscritti. Visitò il monastero di santa Caterina, nel Sinai, e notò una cesta colma di quarantatré vecchie pagine scritte in greco antico. I monaci gli dissero che sarebbero servite da combustibile, come già altre. Tischendorf riscontrò che quelle pagine venivano dalla Bibbia e i monaci gli permisero di tenerle. Quindici anni più tardi tornò al monastero di santa Caterina per conto dello zar di Russia. Gli fu mostrato il resto delle pagine bibliche e lui riuscì a riportarle in Russia. Alla fine, dopo la rivoluzione, i comunisti vendettero il manoscritto agli inglesi, che lo hanno esposto nel museo dove si trova tuttora. «La Bibbia del Sinai è uno dei più antichi manoscritti rimasti», continuò Hermann. «Qualcuno ha ipotizzato che sia stata commissionata dallo stesso Costantino. Tuttavia è scritta in greco, perciò è stata tradotta dall'ebraico da qualcuno che ci è totalmente sconosciuto, da un manoscritto originale ugualmente sconosciuto. Perciò che cosa ci dice, in realtà?» «Che i monaci di santa Caterina sono ancora seccati, dopo oltre un secolo, per il fatto che la loro Bibbia non è mai stata restituita. Da decenni chiedono agli Stati Uniti d'intervenire presso gli inglesi. Ecco perché sono andato a vederla: volevo sapere il perché di tanto subbuglio.» «Tischendorf ha fatto benissimo a portargliela via. I monaci l'avrebbero bruciata o lasciata marcire. Purtroppo buona parte del nostro sapere è andata incontro a un destino simile... Possiamo soltanto sperare che i Guardiani siano stati più attenti.» «Credi davvero a questa roba, eh?» L'altro ponderò se dire di più. Tutto stava procedendo in fretta e quell'uomo, che presto sarebbe stato presidente, doveva comprendere la situazione. Si alzò.
«Voglio mostrarti una cosa.» Quando Alfred Hermann si alzò dalla sedia e posò il bicchiere sul tavolo, Thorvaldsen si mise subito in allarme. Si arrischiò a dare un'altra occhiata di sotto e vide che l'austriaco guidava il vicepresidente dall'altra parte del parquet, verso la scala a chiocciola. Controllò rapidamente la passerella superiore e vide che non c'erano altre vie per scendere. Altri vani di finestre interrompevano gli scaffali sulle restanti tre pareti, ma per lui e Gary sarebbe stato impossibile trovarvi rifugio. Li avrebbero notati immediatamente. Hermann e il vicepresidente, però, oltrepassarono la scala e si fermarono davanti a una teca di vetro. Hermann indicò la teca illuminata. All'interno si trovava un antico codice con la copertina di legno butterata, come se fosse stata aggredita dagli insetti. «Anche questo è un manoscritto del IV secolo. Un trattato sui primi insegnamenti della Chiesa, scritto dallo stesso sant'Agostino. Lo acquistò mio padre decenni addietro. Non riveste nessuna importanza storica - ne esistono diverse copie - ma ha un aspetto notevole.» Allungò la mano sotto il podio e schiacciò un pulsante camuffato come una delle viti di acciaio inossidabile. Fece ruotare il terzo superiore della teca sull'asse rappresentato da un angolo. Dentro i due terzi inferiori c'erano nove fogli di fragile papiro. «Questi, invece, sono piuttosto preziosi. È stato sempre mio padre ad acquistarli, decenni fa, dalla stessa persona che gli aveva venduto il codice. Alcuni sono stati scritti da Eusebius Hieronymus Sophronius, che visse a cavallo tra il IV e il V secolo... Un grande padre della Chiesa. Tradusse la Bibbia dall'ebraico in latino creando un'opera conosciuta come la Vulgata, che divenne poi un testo definitivo. La storia lo conosce anche col nome di san Girolamo.» «Sei un tipo strano, Alfred. Ti emozionano le cose più bizzarre! Come possono quei vecchi fogli raggrinziti avere una qualche influenza, oggigiorno?» «Ti assicuro che hanno una grande rilevanza. Tanta da cambiare il nostro modo di pensare, forse. Anche alcuni di questi sono stati scritti da Agostino: si tratta di un carteggio tra lui e Girolamo.» Vide che l'americano continuava a non esserne impressionato.
«Esisteva già la posta a quell'epoca?» «Una versione rozza. I viaggiatori diretti verso la destinazione giusta portavano i messaggi avanti e indietro. Alcuni dei nostri migliori documenti di quell'epoca sono costituiti dalla corrispondenza.» «Be', è interessante.» Hermann venne al punto. «Ti sei mai chiesto com'è nata la Bibbia?» «Non in maniera particolare.» «Se fosse tutta una menzogna?» «È una questione di fede, Alfred. Che importanza ha?» «Un'importanza enorme! Supponi che i primi padri della Chiesa - uomini come Girolamo e Agostino, che hanno plasmato il corso del pensiero religioso - abbiano deciso di cambiare le cose. Tieni presente la loro epoca: quattrocento anni dopo Cristo e molto tempo dopo che Costantino aveva approvato la nuova religione cristiana, un'epoca in cui la Chiesa stava emergendo e sopprimendo le filosofie contrarie ai suoi insegnamenti. Il Nuovo Testamento stava nascendo proprio allora: diversi Vangeli, assimilati e strutturati in un messaggio unificato che verteva soprattutto sulla buona novella che Dio è buono e misericordioso e che il Cristo era venuto per salvarci. Ma restava pur sempre l'Antico Testamento, quello degli ebrei. I cristiani volevano che fosse parte anche della loro religione. Per fortuna di quei primi padri della Chiesa, i testi dell'Antico Testamento erano scarsi e tutti scritti in ebraico antico.» «Non hai detto che questo Girolamo ha tradotto la Bibbia in latino?» «È proprio quello che sto dicendo!» Allungò la mano dentro la teca ed estrasse uno dei fogli scuriti. «Questi sono scritti in latino, la lingua dell'epoca di Girolamo.» Sotto le pergamene c'erano delle pagine stampate, che tirò fuori. «Mi sono fatto tradurre le lettere da tre diversi esperti, per andare sul sicuro. Voglio leggerti una cosa... Poi credo che capirai quello che intendo.» Sono consapevole di quanta abilità occorra a persuadere l'orgoglioso della grandezza della virtù dell'umiltà, che c'innalza non per l'arroganza umana, bensì per la grazia divina. Il nostro compito è assicurare che lo spirito umano sia innalzato e che il messaggio sia chiaro attraverso le parole di Cristo. La tua saggezza, che mi hai espresso quando ho intrapreso questo compito, si è dimostrata giusta. Quest'opera sulla quale sto tribolando sarà la prima interpretazione delle antiche Scritture in una lingua che
persino il più incolto possa comprendere. Che ci debba essere un nesso tra l'Antico e il Nuovo appare logico; che queste Scritture siano in contraddizione sarebbe controproducente e non farebbe altro che elevare la dottrina ebraica a una posizione superiore, dal momento che esiste da tempo molto più lungo rispetto alla nostra fede. Dall'ultimo scambio di notizie tra noi, mi sono sforzato di procedere con l'antico testo. La parola yeruwshalaim è spesso usata per descrivere il luogo; ho però notato che nell'antico testo non si dice mai ìyr yeruwshalaim, che ha il chiaro significato di «città di Gerusalemme». Lascia che t'illustri il problema. Dall'ebraico, nel libro dei Re, Yahweh dice a Salomone: «Gerusalemme, la capitale che in essa mi sono scelto». Più avanti, Yahweh dichiara: «Così che la città in Gerusalemme che richiama la memoria di Davide di fronte a me, la città che ho scelto affinché vi dimori il mio nome, possa essere preservata». Fratello mio, capisci il dilemma? L'antico testo descrive Gerusalemme non come una città, ma come un territorio! È sempre «la città in Gerusalemme», non Gerusalemme soltanto. In realtà Samuele ne parla come di una regione, là dove il testo ebraico dice: «Il re e i suoi uomini mossero verso Gerusalemme contro i gebusei che abitavano in quella regione». Ho faticato con la traduzione, sperando di scoprire qualche errore, ma l'uso è costante in tutto il testo ebraico. La parola yeruwshalaim, Gerusalemme, si riferisce sempre a un luogo che comprende diverse città e mai a una sola città con quel nome. Hermann s'interruppe e alzò lo sguardo su! vicepresidente. «Girolamo scrisse queste parole ad Agostino mentre traduceva l'Antico Testamento dall'ebraico al latino. Lascia che ti legga quello che Agostino, a un certo punto, scrisse a Girolamo.» Prese un'altra traduzione. Mio sapiente fratello, la tua opera appare al contempo ardua e gloriosa. Quanto dev'essere sorprendente rivelare ciò che copisti da lungo tempo scomparsi misero per iscritto, e tutto sotto la divina guida del nostro Dio gloriosissimo! Tu sei certo consapevole delle battaglie che tutti noi sosteniamo in quest'epoca assai pericolosa. Gli dèi pagani stanno morendo poco a poco. Il messaggio
di Cristo sta crescendo. Le sue parole di pace, misericordia e amore appaiono vere. Molti stanno scoprendo il nostro messaggio, semplicemente perché ora esso viene a trovarsi alla portata di tutti. Ciò rende assai più importante il tuo sforzo di riportare in vita le antiche parole. Le tue lettere spiegano bene il problema che stai affrontando, eppure il futuro di questa Chiesa - del nostro Dio! - è nelle nostre mani. Adattare il messaggio dell'Antico al Nuovo non è peccato. Come tu dici, le parole possiedono molti significati... Dunque a chi spetta dire quale sia quello giusto? Certo non a te, né a me. Mi hai chiesto consiglio e io te lo darò: fa' che le antiche parole siano vere rispetto alle nuove! Poiché se le antiche sono diverse dalle nuove, certamente rischieremmo di confondere i fedeli e alimentare le fiamme dello scontento, che i nostri tanti nemici continuano a tener vive. Il tuo è un compito grandioso; la possibilità per tutti di leggere le parole antiche avrà un grande significato. Gli studiosi e i rabbini non deterranno più il controllo su un testo così importante! Perciò, fratello mio, lavora intensamente e sii cosciente che stai realizzando l'opera del Signore. «Stai dicendo che hanno deliberatamente modificato l'Antico Testamento?» domandò il vicepresidente. «Certo! Questo riferimento a Gerusalemme è di per sé un buon esempio. La traduzione di Girolamo, che è tuttora accettata come corretta, designa Gerusalemme come una città. Nel libro dei Re di Girolamo si legge: Gerusalemme, la città che mi sono scelto, in aperta contraddizione con quanto lo stesso Girolamo scrive nella lettera, ovvero Gerusalemme, la capitale che in essa mi sono scelto. C'è una differenza enorme, non ti pare? Questa definizione di Gerusalemme è usata in tutta la traduzione di Girolamo. La Gerusalemme dell'Antico Testamento è diventata la città della Palestina perché Girolamo ha voluto così.» «È una follia, Alfred! Non se la berrà nessuno!» «Non è necessario che qualcuno se la beva. Trovata la prova, sarà impossibile negarlo.» «Che tipo di prova?» «Un manoscritto dell'Antico Testamento prodotto prima della nascita di Cristo dovrebbe essere risolutivo al fine di poter leggere le parole senza il filtro cristiano.»
«Buona fortuna!» «Facciamo così: io ti lascio governare l'America e tu lasci questo a me.» Thorvaldsen osservò Hermann rimettere i fogli nella teca e chiudere lo scomparto. I due uomini si trattennero ancora per qualche minuto, poi lasciarono la biblioteca. Era tardi, ma lui non aveva sonno. «Vogliono uccidere il presidente!» esclamò Gary, nervoso. «Lo so. Vieni, dobbiamo andare.» Scesero la scala a chiocciola. Nella biblioteca le lampade erano ancora accese. Lui ricordò che a Hermann piaceva vantarsi di avere venticinquemila libri, tra i quali molte prime edizioni antiche di secoli. Condusse Gary alla teca contenente il codice. Il ragazzo non aveva visto quello che aveva visto lui. Allungò la mano in cerca dell'interruttore, ma non sentì nulla. Chinarsi sarebbe stato difficile a causa della sua spina dorsale storta. «Cosa stai cercando?» s'informò Gary. «C'è un sistema per aprire la teca. Da' un'occhiata e guarda se sotto c'è un pulsante.» Gary s'inginocchiò e si mise a cercare. «Non credo sia qualcosa di evidente.» Guardava alternativamente la teca e la porta, sperando che non entrasse nessuno. «Vedi qualcosa?» Si udì un clic e la teca si spostò lievemente a circa tre quarti della sua altezza. Gary si alzò. «Una delle viti. Davvero astuto! Se non la spingi, non capiresti mai.» «Bel lavoro!» Svelò lo scomparto nascosto e vide i rigidi fogli di papiro, fitti di scrittura da un margine all'altro. Li contò: erano nove. Guardò gli scaffali attorno e vide alcuni giganteschi atlanti, che indicò. «Portami uno di quei libroni!» Gary prese un volume. Con cautela, Thorvaldsen infilò i papiri e le traduzioni tra le pagine, tanto per nasconderli quanto per proteggerli. Richiuse la teca. «Cosa sono?» volle sapere Gary. «Quello per cui siamo venuti qui, spero.» 64
Venerdì, 7 ottobre, ore 9.15 Malone appoggiò la schiena alla paratia del C130H. Brent Green aveva lavorato in fretta: aveva trovato loro un passaggio su un volo di rifornimento dell'aeronautica militare partito dall'Inghilterra per l'Afghanistan. Uno scalo a Lisbona, presso la base aerea di Montijo - apparentemente a causa di una piccola riparazione -, aveva permesso loro d'imbarcarsi senza suscitare clamori. Ad attenderli avevano trovato un cambio d'abiti: ora Malone, Pam e McCollum indossavano tenute militari da combattimento in varie sfumature di beige, verde e marrone, oltre a scarponcini da deserto e paracadute. Questi ultimi accessori avevano allarmato Pam, che però aveva accettato la spiegazione di Malone secondo cui facevano parte dell'equipaggiamento standard. Il volo da Lisbona al Sinai durava otto ore e lui era riuscito a dormire un poco. Ripensò senza nostalgia ad altri voli su altri aerei e la cappa di oleoso carburante da jet sospesa nell'aria evocò ricordi di quand'era più giovane... In viaggio molto più che a casa, a commettere errori che ancora non avevano smesso di fargli male. Pam, evidentemente, non aveva gradito le prime tre ore di volo. Era comprensibile, dato che il comfort era l'ultima preoccupazione dell'aeronautica militare, ma alla fine si era sdraiata e addormentata. McCollum era un'altra storia. Sembrava perfettamente a proprio agio e aveva indossato il paracadute con precisione da esperto. Forse era davvero un ex soldato dei reparti speciali... Malone non aveva avuto notizie da Green sui trascorsi di McCollum, ma qualunque cosa fosse venuto a sapere, presto avrebbe avuto ben poca importanza. Tra poco, in mezzo al nulla, avrebbero perso ogni contatto. Scrutò fuori del finestrino. Un terreno polveroso e riarso si stendeva in tutte le direzioni: un pianoro irregolare che s'inclinava sempre più verso l'alto man mano che la penisola del Sinai si restringeva e cominciavano a risaltare montagne scoscese di granito bruno, grigio e rosso. Laggiù, presumibilmente, erano avvenuti gli episodi del roveto ardente e della teofania di Jehovah. La grandiosa e terribile landa deserta dell'Esodo... Da secoli monaci ed eremiti la eleggevano a proprio rifugio, come se la solitudine potesse portarli più vicino al cielo. Forse era così. Curiosamente, gli rammentò la visione di Porte chiuse di
Sartre. L'inferno sono gli altri. Staccò lo sguardo dal finestrino e vide McCollum allontanarsi dal responsabile del carico, venire verso di lui e sedersi sull'intelaiatura d'alluminio che attraversava la paratia. Pam giaceva tre metri più in là, sul lato opposto, ancora addormentata. Malone stava mangiando uno dei pasti in vaschetta dell'aereo - bistecca di manzo con contorno di funghi - e bevendo acqua in bottiglia. «Lei ha già mangiato?» chiese a McCollum. «Mentre lei dormiva. Fajitas di pollo... Non male! Ricordo sin troppo bene le razioni militari.» «Sembra davvero a suo agio.» «È roba che ho già visto, già fatto.» Entrambi si tolsero le cuffie, che isolavano appena dal ronzio costante dei motori. L'aereo era carico di bancali pieni di parti di veicoli destinati all'Afghanistan. Malone immaginava che vi fossero molti voli simili ogni settimana: un tempo le rotte seguite dai rifornimenti dipendevano da cavalli, carrozze e carri, ma ormai erano il cielo e il mare a offrire le rotte più veloci e sicure. «Anche lei ha l'aria di essere già stato qui», commentò McCollum. «In effetti questo posto risveglia qualche ricordo.» Non voleva sbilanciarsi. Poco importava che McCollum li avesse aiutati a lasciare Belém tutti interi; rimaneva pur sempre uno sconosciuto. Aveva ucciso con precisione da professionista e senza rimorsi... Il suo unico pregio? Aveva la cerca dell'eroe. «Lei ha degli ottimi contatti», riprese McCollum. «È stato il procuratore generale in persona a organizzare questo?» «In effetti ho degli amici che contano.» «Lei dev'essere della CIA, dei Servizi Segreti militari o qualcosa del genere.» «Niente di tutto ciò. In realtà sono in pensione.» McCollum ridacchiò. «A chi vuol darla a intendere? Però mi piace... In pensione, come no! Lei è dentro sino al collo in qualcosa.» Malone finì di mangiare e notò che il responsabile di carico lo stava tenendo d'occhio. Ricordò che i suoi pari potevano essere piuttosto pignoli riguardo lo smaltimento della vaschetta del pranzo. L'uomo gli fece cenno e Malone capì: il contenitore all'estremità opposta della panca. Poi il responsabile di carico aprì e chiuse quattro volte il palmo della
mano. Venti minuti. Malone annuì. 65 Vienna, ore 8.30 Thorvaldsen sedette nella Schmetterlinghaus e aprì l'atlante. Lui e Gary si erano svegliati da un'ora, avevano fatto la doccia e consumato una colazione leggera. Era venuto alla casa delle farfalle non soltanto per evitare le microspie, ma anche per attendere l'inevitabile: era solo questione di tempo prima che Hermann scoprisse il furto. I membri avevano la mattinata libera, dato che la prossima riunione dell'Assemblea era prevista non prima del tardo pomeriggio. Aveva tenuto l'atlante con dentro le pergamene sotto il letto per tutta la notte ed era ansioso di saperne di più. Sapeva leggere il latino, ma il suo greco era molto arrugginito e la sua conoscenza del greco antico - che doveva essere la lingua usata da Girolamo e Agostino - era praticamente nulla. Meno male che Hermann le aveva già fatte tradurre. Gary sedette di fronte a lui su un'altra sedia. «Stanotte hai detto che probabilmente siamo venuti qui per queste.» Thorvaldsen decise che il ragazzo meritava la verità. «Sei stato rapito affinché tuo padre potesse venire costretto a trovare qualcosa che aveva nascosto anni fa. Credo che ci sia un collegamento con queste carte.» «Cosa sono?» «Lettere tra due uomini sapienti di nome Agostino e Girolamo, che sono vissuti tra il IV e il V secolo e hanno contribuito a plasmare la religione cristiana.» «La storia sta cominciando a piacermi, ma... quanta ce n'è!» Henrik sorrise. «Il problema è che oggigiorno restano pochissime carte di quell'epoca: guerre, politica, tempo e incuria hanno devastato la documentazione. Questi scritti vengono direttamente dai cervelli di due uomini eruditi.» Lui sapeva qualcosa di entrambi. Agostino era nato in Africa, da madre cristiana e padre pagano. Da adulto si era convertito al cristianesimo e aveva annotato le sue intemperanze giovanili nelle Confessioni, un libro che
- come Thorvaldsen sapeva - era ancora oggetto di studio in quasi tutte le università. Era diventato vescovo d'Ippona, leader intellettuale del cattolicesimo africano e fiero sostenitore dell'ortodossia. A lui si attribuiva la formulazione di buona parte del pensiero della Chiesa degli inizi. Anche Girolamo era nato in una famiglia pagana e aveva vissuto una gioventù dissipata. Anche lui era assai colto, tanto che aveva finito per essere considerato il più intellettuale tra tutti i padri della Chiesa. Aveva vissuto da eremita e dedicato trent'anni della propria esistenza alla traduzione della Bibbia. Da allora il suo nome era sempre stato associato alle biblioteche, tanto da diventarne il santo protettore. Dal poco che Thorvaldsen era riuscito a cogliere la notte prima, quei due uomini, che vivevano in parti diverse del mondo antico, avevano comunicato nel periodo in cui Girolamo cominciava a plasmare l'opera della sua vita. Hermann aveva spiegato per sommi capi al vicepresidente il problema della manipolazione biblica, ma lui aveva bisogno di capire meglio la situazione, così prese le pagine e si mise a studiarle, leggendo la traduzione ad alta voce. Mio sapiente fratello Agostino, vi è stato un tempo in cui credevo che la Versione dei Settanta fosse un'opera meravigliosa. Ho letto quel testo nella Biblioteca di Alessandria. Ascoltare i pensieri di quei copisti, intenti a narrare le tribolazioni degli israeliti, rianimava la fede che da lungo tempo mi colmava l'anima. Ora, però, la confusione ha preso il posto di quella gioia. Lavorando alla traduzione degli antichi testi mi è divenuto chiaro che nella Versione dei Settanta sono state prese grandi libertà. Numerosi brani non sono esatti... Gerusalemme non è un singolo luogo, bensì una regione che comprende molti luoghi. Il più sacro dei fiumi, il Giordano, non è un fiume ma una scarpata. Quanto ai nomi dei luoghi, sono per lo più errati: la traduzione greca non è conforme all'ebraico. È come se l'intero messaggio fosse stato alterato, non per ignoranza, ma di proposito. Girolamo, amico mio, il tuo è un compito difficile, reso ancor più tale dalla grandezza della nostra missione. Quanto hai scoperto non è passato inosservato! Io pure ho trascorso lungo tempo nella Biblioteca di Alessandria e molti di noi hanno analizzato i manoscritti. Ho letto una descrizione di Erodoto, il quale visitò
la Palestina nel V secolo prima di nostro Signore; trovò la zona sotto il dominio persiano, abitata da siriani. Non notò la presenza d'israeliti, né di ebrei. Nessuna Gerusalemme, nessuna Giudea! Mi è parso rimarchevole, se si pensa che secondo l'antico testo quella doveva essere l'epoca in cui il Tempio veniva ricostruito a Gerusalemme e la Giudea godeva del prestigio di una grande provincia. Se queste cose fossero esistite là, quel greco sapiente le avrebbe notate, giacché aveva fama di appassionato osservatore. Ho scoperto che il primo a identificare l'antica Israele con quella che chiamiamo Palestina fu, a quanto ci è noto, il romano Strabone. La sua Storia è una descrizione accurata; ho avuto il privilegio di leggerla nella Biblioteca. L'opera di Strabone fu completata ventitré anni dopo la nascita di nostro Signore, dunque egli la scrisse proprio nel periodo in cui visse il Cristo. Egli riferisce che il nome Judea fu attribuito per la prima volta alla Palestina sotto il dominio greco: si tratta della traduzione greca del termine per indicare un Paese ebraico, Ioudaia. Ciò avvenne soltanto un secolo prima della nascita di nostro Signore, perciò in un momento intermedio tra la visita di Erodoto e quella di Strabone, a distanza di circa quattrocento anni - gli ebrei di Palestina vi stabilirono una presenza. Lo stesso Strabone scrisse di una grande quantità d'israeliti che fuggirono da una terra a sud e si stabilirono in Palestina. Non spiegò chiaramente da quale territorio, ma dedusse che, data la vicinanza dell'Egitto e la facilità di accesso, l'esodo dovesse essere avvenuto da li alla Palestina. Tuttavia nulla prova tale conclusione... Strabone ha annotato che la fonte del suo racconto furono gli ebrei di Alessandria, tra i quali trascorse molto tempo. Conosceva bene l'ebraico e nella sua Storia affermò di aver trovato a propria volta molti errori nella Versione dei Settanta. Scrisse che gli studiosi della Biblioteca di Alessandria che avevano tradotto l'antico testo in greco si erano limitati a mettere in relazione l'antico testo con quello che avevano appreso dagli ebrei loro contemporanei. Strabone scrisse altresì che gli ebrei di Alessandria avevano dimenticato il loro passato e parevano contenti di crearsene uno. Mio sapiente fratello Agostino, ho letto le opere di Giuseppe Flavio, un ebreo che scrisse con grande autorità. Egli visse un
secolo dopo la nascita di nostro Signore e identificò con chiarezza la Palestina con la terra dell'antico testo, notando che quella regione era l'unico luogo da lui conosciuto in cui esistesse un'entità politica ebraica. In un'epoca più recente, Eusebio di Cesarea - per conto del nostro eminentissimo imperatore Costantino - assegnò nomi presi dall'antico testo a località della Palestina. Ho letto il suo scritto Nomi dei luoghi nella Sacra Scrittura, ma dopo aver studiato una trascrizione dell'antico testo in ebraico ho compreso che l'opera di Eusebio è difettosa. Sembra che abbia accostato arbitrariamente i significati ai nomi dei luoghi e che in taluni casi si sia limitato a tirare a indovinare... Eppure la sua opera ha una grande importanza; i pellegrini pii e creduloni la usano come guida. Girolamo, amico mio, dobbiamo eseguire questo compito con grande diligenza. La nostra religione si sta appena formando e giungono minacce da ogni parte. Ciò che tu stai tentando è di fondamentale importanza per la nostra esistenza. E'antico testo tradotto in latino permetterà a molti di leggere quelle parole. Ti raccomando di non alterare ciò che i creatori della Versione dei Settanta hanno cominciato! Cristo nostro Signore visse in Palestina. Per convalidare il messaggio che stiamo formulando col Testamento più nuovo, dobbiamo presentare una sola voce. Riconosco quanto tu hai detto: che l'antico testo non sembra raccontare degli israeliti in quella che noi chiamiamo Palestina. Quale importanza dovrebbe avere? Il nostro obiettivo è molto diverso da quello dei creatori della Versione dei Settanta! Il nostro Nuovo Testamento dev'essere il compimento dell'Antico; soltanto in questo modo il significato del nostro messaggio sarà elevato a una condizione più alta rispetto a quello dell'Antico. Collegare l'Antico al Nuovo dimostrerà quanto Cristo Signore nostro sia fondamentale e quanto importante sia il Suo messaggio. Gli errori che tu noti nella Versione dei Settanta non hanno bisogno di essere corretti. Come tu stesso hai scritto, gli ebrei che assistettero quei traduttori avevano dimenticato il proprio passato: non sapevano nulla della loro antica esistenza, ma solo ciò che accadeva attorno a loro in quel tempo. Dunque, nelle tue traduzioni, la Palestina che conosciamo deve rimanere la Palestina di entrambi i Te-
stamenti. Questo è il nostro compito, caro fratello, la nostra missione... Il futuro della nostra religione - il futuro di Cristo nostro Signore - riposa nelle nostre mani ed Egli c'ispira a seguire la Sua volontà. Thorvaldsen smise di leggere. Ecco due padri della Chiesa, forse i più brillanti di tutti, che si arrovellavano sul modo di manipolare la traduzione dell'Antico Testamento in latino! Girolamo era chiaramente al corrente di un manoscritto in ebraico originale e aveva notato errori nelle precedenti traduzioni in greco. Agostino aveva letto Erodoto e Strabone, il primo riconosciuto come il padre della storia, il secondo della geografia... Uno greco, l'altro romano. Uomini vissuti a secoli di distanza, che avevano cambiato radicalmente il mondo. La Geografia di Strabone, giunta sino ai giorni nostri, era considerata uno dei testi antichi più preziosi - una miniera d'informazioni sul mondo e sulla sua epoca - ma la Storia era scomparsa. Non ne esisteva nemmeno una copia. Eppure Agostino l'aveva letta. Nella Biblioteca di Alessandria. «Cosa significa tutto questo?» domandò Gary. «Moltissimo.» Se la Chiesa delle origini aveva falsificato la traduzione dell'Antico Testamento, adattandone le parole ai propri scopi, le implicazioni potevano rivelarsi catastrofiche. Hermann aveva ragione: i cristiani avrebbero certamente preso parte alla battaglia. Gli mulinavano in testa pensieri su ciò che la Sedia Blu stava progettando. Sapeva, dalle svariate conversazioni che avevano avuto nel corso degli anni, che Hermann non era credente; considerava la religione uno strumento politico e la fede una stampella per i deboli. Gli avrebbe dato un piacere enorme vedere le tre grandi religioni giostrarsi le conseguenze del fatto che l'Antico Testamento, così come l'avevano sempre conosciuto, fosse in realtà qualcosa di completamente diverso. Le pagine di cui Thorvaldsen era entrato in possesso erano preziose: facevano parte della prova di Hermann, ma alla Sedia Blu sarebbero serviti altri elementi... Ecco perché la Biblioteca di Alessandria era così importante! Se ancora esisteva, costituiva forse l'unica fonte capace di gettar luce sull'argomento. Quello era un problema di Malone, comunque... Dal mo-
mento che, a quanto pareva, in quel momento era diretto al Sinai. Augurò ogni bene al suo amico. Poi c'era la questione del presidente degli Stati Uniti. La sua morte era programmata per il giovedì seguente. Quello era un problema di Thorvaldsen. Estrasse il cellulare da una tasca e compose un numero. 66 Penisola del Sinai Malone svegliò Pam, che si drizzò a sedere sul sedile di nylon e si tolse le cuffie. «Ci siamo», disse lui. Lei si scrollò di dosso il sonno e si rianimò. «Per quanto tempo ho dormito?» «Per qualche ora.» Pam si alzò dalla panca, col paracadute ancora allacciato alla schiena. Il C130 procedeva, traballante e rumoroso, nell'aria del mattino. «Quanto manca all'atterraggio?» «Tra non molto usciremo di qui. Hai mangiato?» Lei scosse la testa. «Impossibile! Avevo lo stomaco in gola, ma finalmente si è calmato.» «Bevi un po' d'acqua.» Indicò il recipiente. Lei aprì la bottiglia e mandò giù qualche sorso. «Qui è come viaggiare su un carro merci.» Lui sorrise. «È una buona descrizione.» «Viaggiavi spesso su questi affari?» «Di continuo.» «Era un lavoro duro, il tuo.» Era la prima volta che la sentiva fare una concessione circa la sua ex professione. «Me l'ero scelto io.» «Solo ora comincio a capire. Sono ancora scombussolata per quella cimice nell'orologio... Che stupida! Credevo di piacere davvero a quell'uomo.» «Forse gli piacevi.» «Come no! Mi ha usato, Cotton!» L'ammissione parve ferirla. «Usare la gente fa parte del lavoro.» S'inter-
ruppe, poi aggiunse: «Una parte che non mi è mai piaciuta». Lei bevve altra acqua. «Anch'io ho usato te, Cotton.» Era vero. «Avrei dovuto dirti di Gary, ma non l'ho fatto, perciò... Chi sono io per giudicare?» Non era il momento adatto per quella discussione, ma lui capì che Pam era preoccupata per quello che era successo. «Non ti angosciare, ora. Andiamo a fondo di questa faccenda, poi ne parleremo.» «Non mi sto angosciando. Volevo solo che tu sapessi quello che provo.» Anche quella era una novità. Un irritante cigolio sul retro dell'aereo accompagnò l'apertura della rampa posteriore. Una corrente d'aria fresca circolò nella stiva. «Che sta succedendo?» s'informò lei. «Hanno delle faccende da sbrigare. Tieni presente che ci hanno solo dato un passaggio. Torna indietro da quella parte e fermati dov'è il responsabile del carico.» «Perché?» «Perché ce l'hanno chiesto. Vengo con te.» «Come sta il nostro amico?» volle sapere lei. «È un ficcanaso. Dovremo entrambi tenerlo d'occhio.» Malone la guardò dirigersi a poppa, quindi si portò alla paratia sul lato opposto e disse a McCollum: «È ora di andare». Aveva notato che McCollum li aveva osservati mentre parlavano. «Lei lo sa?» «Non ancora.» «Un tantino crudele, non le pare?» «Se la conoscesse, non direbbe così.» McCollum scosse la testa. «Mi ricordi di non mettermi contro di lei.» «In effetti è un ottimo consiglio.» Vide che il messaggio aveva colpito nel segno. «Non ne dubito, Malone. Io sono soltanto il tizio che le ha salvato la pelle.» «Ecco perché si trova qui.» «Molto generoso da parte sua, considerato che ho io la cerca!» Raccolse la sacca in cui aveva infilato ciò che gli aveva lasciato George Haddad e il libro su san Girolamo. L'avevano recuperata all'aeroporto prima di lasciare Lisbona. Si assicurò l'involto al petto. «E io ho questo, perciò siamo pari.» Anche McCollum si assicurò al petto una sacca che conteneva ciò di cui
forse avrebbero avuto bisogno: acqua, razioni, localizzatore GPS. Secondo la mappa, a circa tre miglia da dov'erano diretti avrebbe dovuto esserci un villaggio. Se non si fosse trovato nulla avrebbero potuto raggiungerlo a piedi e trovare il modo di andare venti miglia più a sud, dove c'era un aeroporto, vicino al monte di Mosè e al monastero di Santa Caterina, entrambe note attrazioni turistiche. Indossarono occhialoni e caschi e si diressero a poppa. «Cosa stanno facendo?» domandò Pam, avvicinandosi. Malone dovette ammettere che la tuta mimetica le donava. «Devono eseguire un'operazione coi paracadute.» «Con questo carico? Lo lanciano da qualche parte?» La velocità dell'aereo calò a 120 nodi, se lui ben ricordava, e il muso s'inclinò verso l'alto. Infilò un casco di Kevlar sulla testa di Pam e le fissò rapidamente il laccio sotto la gola. «Cosa stai facendo?» Lo sconcerto le riempì la voce. Lui le aggiustò un paio di occhialini sul viso. «La rampa posteriore è abbassata. Dobbiamo farlo tutti; è una misura di sicurezza.» Le controllò l'imbracatura e si assicurò che tutti e quattro i lacci fossero fissati alla fibbia ad apertura rapida. Aveva già controllato i propri. Agganciò se stesso e Pam alla funicella di apertura. McCollum era già pronto. «Come facciamo ad atterrare, con quella rampa aperta?» strillò lei. Lui la guardò in faccia. «Non atterriamo.» Colse l'istante preciso della comprensione. «Non dirai sul serio! Non ti aspetterai che io...» «Si aprirà automaticamente; tu tieniti stretta e goditi l'esperienza. Questo paracadute è di quelli lenti, progettato per i principianti... Quando toccherà terra, sarà come una caduta da un metro o poco più.» «Cotton, stai dando i numeri? Mi fa ancora male la spalla! È impossibile...» Il responsabile del carico segnalò che erano arrivati nei pressi delle coordinate GPS che Malone aveva fornito. Non c'era tempo per discutere, perciò lui si limitò a sollevarla da dietro e a spostarla di peso. Lei cercò di divincolarsi. «Cotton, ti prego! Non posso... Ti prego!» La spinse dalla rampa. Il grido di lei svanì rapidamente. Lui sapeva cosa stava provando: i primi cinque metri erano pura caduta
libera, come essere privi di peso, dopo che la funicella di apertura si era svolta completamente. Le sarebbe sembrato di sentirsi battere il cuore in fondo alla gola. Davvero una sensazione travolgente... Poi avrebbe sentito uno strattone nel momento in cui la funicella liberava il paracadute dall'involto. La guardò galleggiare nel cielo del mattino. Il suo corpo sussultò mentre il paracadute prendeva aria. In meno di cinque secondi fluttuava verso la terraferma. «Sarà incazzata», gli disse McCollum all'orecchio. Lui tenne gli occhi incollati sulla discesa di lei. «Sì, ma avevo sempre desiderato farlo!» 67 Sabre, aggrappato alle cinghie, si godette il tragitto verso terra. L'aria mattutina e il paracadute ultranuovo contribuivano a una discesa lenta. Malone gli aveva parlato delle calotte, di gran lunga diverse da quelle che ricordava dai tempi in cui si cadeva come un sasso, sperando di non rompersi una gamba. Lui e Malone avevano seguito Pam fuori del velivolo, che era rapidamente scomparso nel cielo orientale: il fatto che arrivassero a terra sani e salvi non era un problema dell'equipaggio. Per quanto riguardava i militari, il loro lavoro era finito. Guardò in basso, verso quel luogo impietoso. Una vasta, piatta distesa di sabbia e pietra si allargava in tutte le direzioni. Aveva sentito Alfred Hermann parlare del Sinai meridionale: presumibilmente il deserto più sacro del pianeta - un precursore della civiltà, il collegamento tra Africa e Asia - ma sfregiato dalle battaglie. Il territorio più tormentato al mondo. Siriani, ittiti, assiri, persiani, greci, romani, crociati, turchi, francesi, inglesi, egiziani, israeliani... Tutti lo avevano invaso. Molte volte aveva sentito Hermann blaterare dell'importanza di quella regione; ora l'avrebbe sperimentata in prima persona. Era all'incirca a 300 metri da terra. Pam galleggiava sotto di lui, Malone sopra. Il silenzio gli fischiava nelle orecchie, in un contrasto assoluto col rumore incessante dell'aereo. Ricordò il silenzio di altri suoi lanci, il rombo del motore che svanisce lasciando posto a un nulla profondo. Soltanto il vento poteva disturbare la quiete, ma quel giorno non ce n'era neanche un filo. Quattrocento metri più a est il panorama spoglio lasciava il posto a fo-
schi tumuli di granito privi di carattere, solo un'indifferente accozzaglia di cime e dirupi. Si trovava lì, la Biblioteca di Alessandria? Di certo tutti i segnali lo indicavano. Sabre continuava a fluttuare verso il basso. Vicino alla base di uno dei tumuli frastagliati, a circa quattrocento metri di distanza, riconobbe la sagoma tozza di un edificio. Corresse la rotta tirando i cordini per avvicinarsi al punto in cui Pam Malone stava per atterrare: una distesa sgombra di deserto, priva di massi. Perfetto. Guardò in alto e vide Malone che lo seguiva. Quel tipo si sarebbe probabilmente dimostrato più difficile da uccidere di quanto avesse preventivato all'inizio, ma almeno lui era armato. Aveva tenuto la pistola dal monastero, come aveva fatto Malone, insieme coi caricatori di ricambio. Quando si era svegliato in chiesa dopo essere stato messo fuori combattimento, la sua pistola era ancora là. Lui l'aveva trovato curioso. Che scopo aveva subito quell'attacco? A chi interessava? In ogni caso, lui era pronto. Malone tirò i cordini per orientare la discesa. L'istruttore, alla base aerea di Lisbona, gli aveva detto che i nuovi paracadute erano diversi e aveva pienamente ragione: il volo era lento, liscio come l'olio. I militari non erano stati entusiasti della presenza di Pam - una novellina che non avrebbe neppure saputo di dover saltare finché non fosse stato troppo tardi - ma, dal momento che l'ordine di collaborare era arrivato dritto dal Pentagono, nessuno aveva obiettato. «Accidenti a te, Cotton!» sentì Pam urlare. «Vattene all'inferno!» Guardò di sotto. Lei era a centocinquanta metri dal suolo. «Non irrigidire le gambe quando tocchi terra!» le gridò. «Stai andando benissimo. Farà tutto il paracadute!» «Va' a farti fottere!» strillò lei di rimando. «Con te ci ho provato, ma non ha funzionato. Preparati, adesso!» La guardò toccar terra slittando mentre il paracadute si afflosciava alle sue spalle. Vide McCollum sganciare la sacca, che si sciolse di fronte a lui, e raggiungere il terreno restando in piedi. Malone strattonò i cordini e rallentò la discesa sino a perdere quasi tutta la velocità. Sganciò la sacca e sentì gli scarponcini grattare la sabbia.
Anche lui atterrò in piedi. Era da un po' che non saltava, ma fu lieto di constatare che ci riusciva ancora. Sciolse l'imbracatura e si liberò dalle cinghie. McCollum stava facendo lo stesso. Pam era ancora a terra. Lui si avvicinò, sapendo cosa l'aspettava. «Bastardo!» scattò lei. «Mi hai buttato fuori da quel dannato aereo!» Fece per scagliarsi contro di lui, ma non aveva slacciato l'imbracatura e il paracadute si gonfiò, facendo da ancora e intralciandole i movimenti. Lui rimase appena fuori della sua portata. «Sei fuori di testa? Merda, non ti sei mai sognato di dirmi che c'era da saltare da un aereo!» «Come credevi che saremmo arrivati qui?» le domandò lui, con calma. «Mai sentito parlare di atterraggio?» «Questo è territorio egiziano. È stato un peccato dover saltare alla luce del giorno, ma persino per me un salto notturno sarebbe stato un po' eccessivo.» Gli occhi azzurri della donna erano colmi di rabbia, di un'intensità che lui non aveva mai visto prima. «Dovevamo arrivare qui in modo tale che gli israeliani non lo venissero a sapere, perciò atterrare sarebbe stato impossibile. Spero che stiano ancora seguendo quel tuo orologio che non porta da nessuna parte.» «Sei un idiota, Cotton... Un fottuto, assoluto idiota! Mi hai buttata giù da quell'aereo!» «Eh, già, pare proprio di sì.» Lei cominciò ad armeggiare con l'imbracatura, cercando di liberare il corpo dalla stretta del paracadute. «Pam, vuoi calmarti?» Lei continuò a cercare la fibbia da sganciare, poi si fermò. «Dovevamo arrivare qui», disse lui. «Quel volo era perfetto. Siamo saltati lungo la rotta; nessuno sa niente di più. Questo è un territorio piuttosto disabitato, con meno di tre abitanti per chilometro quadrato... È improbabile che ci abbiano visti, come ho già detto. Non hai sempre voluto sapere quello che facevo? Okay, eccoti servita!» «Avresti dovuto lasciarmi in Portogallo!» «Non sarebbe stata una buona idea. Gli israeliani avrebbero potuto considerarti un'incognita pericolosa... È molto meglio se sparisci con noi.» «No. La verità è che non ti fidi di me, perciò è meglio che io sia qui, dove puoi tenermi d'occhio.»
«Anche questa considerazione mi ha sfiorato la mente.» Lei rimase in silenzio per un istante, come se stesse cominciando a capire. «D'accordo, Cotton», disse, in un tono sorprendentemente calmo. «Ti sei spiegato. Siamo qui, tutti interi. Ora potresti tirarmi fuori da questo coso?» Lui si avvicinò e sganciò l'imbracatura. Lei sollevò le braccia e lasciò cadere a terra la sacca, poi gli piantò il ginocchio destro nell'inguine. Un dolore lancinante gli salì lungo la spina dorsale e arrivò al cervello. Gli tremarono le gambe e crollò a terra. Rimase senza fiato. Era da un po' che non lo torturavano. Si rannicchiò in posizione fetale e attese che lo strazio si placasse. «Spero che sia piaciuto a te quanto a me», disse lei, allontanandosi. 68 Vienna, ore 9.28 Hermann entrò nella biblioteca e chiuse la porta. Non aveva dormito bene, ma poteva fare poco finché Thorvaldsen non avesse commesso un errore. Quando fosse accaduto, lui sarebbe stato pronto. Sabre era irreperibile, ma Hermann aveva al proprio servizio un gruppo di uomini pronti a fare esattamente ciò che lui voleva. E proprio il capo della sicurezza - un italiano - gli aveva fatto capire in più di un'occasione che gli sarebbe piaciuto prendere il posto di Sabre. Lui non aveva mai considerato seriamente la richiesta, ma ora aveva bisogno d'aiuto, perciò - in mancanza di Artigli dell'Aquila - aveva detto a quell'uomo di tenersi a disposizione. Aveva intenzione di fare un tentativo con la diplomazia: era sempre preferibile... Forse sarebbe riuscito a ragionare con Thorvaldsen, quando il danese avesse capito che svelare al mondo le manipolazioni subite dall'Antico Testamento avrebbe potuto dimostrarsi uno strumento politico efficace, se ben gestito. Molte volte, nel corso della storia, il caos e la confusione erano stati tradotti in profitto. Qualunque cosa fomentasse conflitti in Medio Oriente aveva effetto sui prezzi del petrolio. La consapevolezza che il conflitto era in arrivo sarebbe stata inestimabile; il potere di controllarne la portata, inimmaginabile. I membri dell'Ordine erano destinati a racco-
gliere profitti enormi. Anche il loro nuovo alleato alla Casa Bianca ne avrebbe beneficiato. Per ottenere tutto questo, però, aveva bisogno di Sabre. Cosa stava facendo nel Sinai? Con Cotton Malone, per giunta! Gli parevano entrambi buoni segni. Il piano di Sabre prevedeva, all'inizio, d'indurre Malone a seguire il Rapporto Alexandria; in seguito il buon esito sarebbe dipeso da Malone. Loro avrebbero appreso ciò che potevano e poi lo avrebbero eliminato, oppure si sarebbero messi in società con lui per vedere dove li avrebbe condotti. A quanto pareva, Sabre aveva scelto la seconda opzione. Da diversi anni Hermann pensava a quello che sarebbe successo dopo la propria scomparsa, giacché sapeva che Margarete sarebbe stata la rovina della famiglia. La cosa peggiore era la sua inconsapevolezza della propria incompetenza. Lui aveva cercato d'insegnarle, ma ogni sforzo era fallito. In tutta sincerità, non gli dispiaceva che Thorvaldsen l'avesse presa: chissà, forse avrebbe potuto liberarsi del problema... Tuttavia ne dubitava. Il danese non era un assassino, per quanta spavalderia gli piacesse esibire. Sabre aveva finito per piacergli davvero. Era un individuo promettente: ascoltava bene e agiva in fretta, però mai a caso. Aveva pensato spesso che Sabre sarebbe stato un ottimo successore. Non restava più nessun Hermann e lui doveva assicurarsi che la sua fortuna gli sopravvivesse. Perché Sabre non si era fatto vivo? Stava succedendo qualcos'altro? Scacciò i dubbi e si concentrò sul problema imminente. L'Assemblea sarebbe tornata a riunirsi più tardi. Il giorno prima aveva blandito i membri col piano, ma ormai era tempo di arrivare al punto. Si avvicinò a un volume in folio incassato nello scaffale basso di una libreria. All'interno conservava la mappa che aveva commissionato tre anni prima: lo stesso studioso da lui assoldato per confermare la teoria di Haddad sull'Antico Testamento aveva anche steso una mappa delle sue scoperte. Gli aveva detto che tutti i siti biblici, uno per uno, coincidevano perfettamente con la geografia dell'Asir, ma lui aveva voluto vederlo coi propri occhi. Confrontando i punti di riferimento delle Scritture coi toponimi ebraici, sia nell'Antico Testamento sia sul campo, il suo esperto aveva individuato luoghi biblici come Gilgal, Sidone, al-Lith, Dan, Hebron, Beersheba e la città di Davide.
Prese la mappa. L'immagine era già stata caricata sul computer nella sala delle riunioni. Presto i membri avrebbero visto ciò che lui ammirava da tempo.
Anche il problema delle ventisei porte di Gerusalemme - menzionate nelle Cronache e nei libri dei Re, di Zaccaria e di Neemia - era stato risolto. Una città cinta da mura non poteva avere più di quattro porte, una per ogni punto cardinale; dunque il numero ventisei era in discussione sin dal principio. Per giunta la parola ebraica usata in tutto l'Antico Testamento per «porta» è shaar... Parola che, come molte altre, possedeva molteplici significati, uno dei quali era «passo o valico montano». Curiosamente erano state individuate ventisei aperture nella scarpata montuosa che separava il territorio identificato come quello di Gerusalemme dalla Giudea. Ricordò lo stupore che aveva provato quando quella verità gli era stata spiegata. La porta del Re, la porta della Prigione, la porta della Sorgente, la porta della Valle e tutte le altre, descritte nell'Antico Testamento con nomi così pittoreschi, si potevano collegare con precisione quasi perfetta - grazie alla prossimità di villaggi tuttora esistenti - a passi montani della scarpata del Giordano, situata in Asir. In Palestina non esisteva nulla di neppure vagamente somigliante. La prova sembrava incontrovertibile.
I fatti dell'Antico Testamento non erano avvenuti in Palestina, bensì avevano avuto luogo centinaia di chilometri più a sud, in Arabia. Girolamo e Agostino lo sapevano, eppure avevano deliberatamente permesso agli errori della Versione dei Settanta non soltanto di perpetuarsi, ma addirittura di proliferare, alterando ulteriormente l'Antico Testamento in modo tale che i brani sembrassero un'indiscutibile profezia dei Vangeli del loro Nuovo Testamento. Gli ebrei non dovevano avere il monopolio sulla Parola di Dio ma, affinché la loro nuova religione prosperasse, i cristiani avevano bisogno di un raccordo. Così se l'erano creato. Trovare una Bibbia ebraica di epoca precristiana sarebbe stato decisivo, ma anche una copia della Storia di Strabone avrebbe potuto rispondere a molte domande. Se la Biblioteca esisteva ancora, si poteva soltanto sperare che l'uno o l'altro di quei libri vi fosse conservato. Raggiunse la teca di vetro che aveva mostrato al vicepresidente la notte prima. L'americano non era rimasto particolarmente colpito, ma che importava? Il nuovo presidente d'America avrebbe visto lo scompiglio che avrebbero scatenato! Ciononostante, Hermann sperava che Thorvaldsen ne sarebbe stato più impressionato. Allungò una mano sotto la teca e premette il pulsante. Aprì la teca e per un istante pensò che gli occhi lo stessero ingannando. Vuota! Le lettere e le traduzioni erano scomparse. In che modo? Non poteva essere stato il vicepresidente, poiché Hermann aveva visto il suo corteo di auto lasciare il palazzo. Nessun altro sapeva del nascondiglio. C'era una sola spiegazione possibile. Thorvaldsen. Furioso, scattò verso la scrivania. Afferrò il telefono e chiamò il capo della sicurezza, poi aprì un cassetto e ne tirò fuori una pistola. Al diavolo Margarete! 69 Penisola del Sinai Malone si sentiva ancora le gambe tremanti e l'inguine dolorante. Pam non aveva parlato molto da quando si erano scontrati e McCollum si era saggiamente tenuto alla larga da entrambi. D'altra parte, Malone sapeva di
non potersi lamentare: se l'era cercata e lei l'aveva servito. Guardò la desolata serenità che li circondava. Il sole era sorto in fretta e l'aria si stava riscaldando come un forno. Aveva preso dalla sacca il dispositivo GPS e verificato che le coordinate precise - 28° 41.41 N, 33° 38.44 E - si trovavano a meno di un chilometro e mezzo dalla loro posizione. «D'accordo, McCollum, ci siamo quasi. E adesso?» L'altro si sfilò un pezzo di carta dalla tasca e lesse: «Solo allora - come i pastori del pittore Poussin, sconcertati dall'enigma - sarai inondato dalla luce dell'ispirazione. Rimetti a posto le quattordici pietre, poi lavora con squadra e bussola per trovare la via. A mezzogiorno avverti la presenza della luce rossa, guarda la spira interminabile del serpente rosso d'ira. Attento alle lettere! Il pericolo minaccia chi giunge a gran velocità. Se il tuo cammino rimane autentico, la rotta sarà sicura. Così finisce la cerca», concluse McCollum. Malone si rigirò in testa quelle parole sibilline. Pam si lasciò cadere a terra e bevve un po' d'acqua. «Su quel bassorilievo in Inghilterra c'era la riproduzione di un'immagine di Poussin. Cos'era, una specie di tomba con delle lettere incise? A quanto pare anche Thomas Bainbridge ci ha lasciato qualche indizio.» Lui stava già pensando la stessa cosa. «Vede quell'edificio laggiù?» domandò a McCollum. «A ovest, all'incirca a quattrocento metri. È lì che puntano le coordinate.» «Sembra che la strada sia libera.» Pam si alzò. Malone si mise lo zaino in spalla. «Mi hai sufficientemente chiarito il tuo punto di vista?» Lei scrollò le spalle. «Tu buttami da un altro aereo e vedrai che ti succede!» «Fate sempre così, voi due?» domandò McCollum. Malone si mise in cammino. «Solo quando siamo insieme.» Malone si avvicinò all'edificio che aveva visto dall'alto. Non era un granché: basso, schiacciato, con un tetto di mattoni in rovina e le fondamenta che si sbriciolavano, come se la terra le reclamasse. I muri esterni erano uguali in altezza e in larghezza, interrotti soltanto da due finestre completamente sguarnite a un'altezza di circa tre metri. La porta d'ingresso era una spessa tavola di cedro marcio, fissata di sbieco su cardini di ferro anneriti.
L'aprì con un calcio. Soltanto una lucertola li accolse e subito cercò rifugio all'estremità opposta del pavimento di terra. «Cotton!» Si voltò. Pam stava indicando un'altra massa affiorante. Lui si avvicinò, facendo scricchiolare la sabbia arida a ogni passo. «Assomiglia alla tomba dell'incisione a Bainbridge Hall», osservò lei. Giusta osservazione. Studiò quel parallelepipedo alto quattro blocchi e sormontato da una pietra arrotondata. Esaminò i lati in cerca d'incisioni, in particolare la scritta Et in arcadia ego. Non ne trovò. Il che non sorprendeva, dal momento che in quel deserto l'erosione avrebbe da tempo cancellato ogni traccia. «Siamo sulle coordinate giuste e quest'affare sembra proprio la stessa tomba del bassorilievo.» Ricordò il testo della cerca dell'eroe. Solo allora - come i pastori del pittore Poussin, sconcertati dall'enigma - sarai inondato dalla luce dell'ispirazione. Si appoggiò alle pietre in rovina. «E ora, Malone?» chiese McCollum. A nord si levavano piccole alture, che gradualmente divenivano nude montagne tra le quali neri dirupi tracciavano solchi profondi. Il cielo ardeva di un bagliore sempre più intenso mentre il sole si alzava lentamente verso lo zenit. Lui rimuginò più a fondo la cerca. Rimetti a posto le quattordici pietre, poi lavora con squadra e bussola per trovare la via. A mezzogiorno avverti la presenza della luce rossa, guarda la spira interminabile del serpente rosso d'ira. A Bélem il tutto era stato piuttosto ovvio: un insieme di storia e tecnologia che sembrava il marchio di fabbrica dei Guardiani... In fondo l'idea era che l'invitato riuscisse a trovare la soluzione. Quella parte, invece, era complicata. Ma non impossibile. Osservò l'edificio diroccato e la tomba improvvisata. Poi le vide e le contò. Quattordici. Sabre si domandò se fosse il caso di ucciderli entrambi immediatamente. Era arrivato abbastanza vicino da poter capire il resto da sé? Malone lo a-
veva condotto sin lì e, proprio come aveva sperato, aveva attinto alle proprie risorse per portarli dall'Inghilterra al Portogallo a lì. Si disse di avere pazienza. Non avrebbe mai decifrato la cerca da solo e meno che mai così in fretta. Ormai la Sedia Blu lo stava sicuramente cercando, ma l'Assemblea era riunita e lui sperava che avrebbe rappresentato un diversivo sino all'indomani. Tuttavia sapeva quanto Hermann desiderasse sentire se la sua pista appariva promettente... Sapeva anche degli altri progetti del vecchio e che la sua parte sarebbe stata di fondamentale importanza nel corso della settimana seguente. Erano stati utilizzati tre emissari per negoziare con bin Laden; lui avrebbe fatto visita a tutti e tre, uccidendone due e risparmiandone uno. Quella persona e la Biblioteca sarebbero state le sue merci di scambio. Sempre ammesso che lì vi fosse qualcosa da trovare. In caso contrario avrebbe ucciso Malone e la sua ex moglie, sperando di levarsi dagli impicci con qualche menzogna. Malone osservò un lato dell'edificio in rovina. A tre metri d'altezza si profilava una delle nude aperture. Si portò sull'altro lato e scorse l'altro varco, più o meno alla stessa altezza. Tornò dov'erano Pam e McCollum. «Credo di aver capito. L'edificio è squadrato, come pure lo sono quelle due aperture.» «Lavora con squadra e bussola», recitò Pam. «Quelle due aperture sono la chiave.» «Cosa vuol dire?» intervenne McCollum. «Sarà piuttosto dura arrivare lassù!» «Non proprio. Si guardi attorno.» La sabbia era cosparsa di macigni e sassi. «Non nota niente di particolare in quelle pietre?» Pam si avvicinò a una di esse e si accovacciò. Lui la guardò accarezzarne i lati. «Squadrata. Una trentina di centimetri per lato?» «Direi di sì. Ricordiamoci l'indizio: Rimetti a posto le quattordici pietre, poi lavora con squadra e bussola per trovare la via. Ci sono quattordici di queste sparse in giro.» Pam si alzò. «A quanto pare in questa cerca c'è una componente fisica. Rimettere a posto queste pietre non è cosa che chiunque possa fare... Serviranno ad arrivare alla finestra, immagino.» Malone lasciò cadere la sacca. McCollum lo imitò. «C'è solo un modo per scoprirlo», disse. Occorsero venti minuti per radunare le quattordici pietre squadrate e u-
sarle per comporre una piramide dalla sommità piatta: sei sul fondo, poi cinque e infine tre in cima. Se necessario una delle ultime tre si sarebbe potuta sovrapporre alle altre due per arrivare ancora più in alto, ma Malone valutò che la pila fosse alta più che a sufficienza. Vi salì e si resse in equilibrio sulla cima. McCollum e Pam fecero in modo che la torre fosse stabile. Scrutò dentro l'apertura quadrata nel muro sfaldato. Attraverso la finestra sul lato opposto, sei metri più in là, scorse in lontananza le montagne. A mezzogiorno avverti la presenza della luce rossa, guarda la spira interminabile del serpente rosso d'ira. L'edificio eroso col tetto in rovina era stato intenzionalmente orientato in direzione est-ovest. Non si trattava di un'abitazione: proprio come il rosone di Bélem anch'esso orientato lungo il medesimo asse - era una bussola. Lavora con squadra e bussola per trovare la via. Guardò l'orologio. Era esattamente quello che avrebbe fatto nel giro di un'ora. 70 Maryland, ore 7.30 Stephanie era alla guida della Suburban messa a disposizione dal presidente Daniels, il quale aveva fornito loro anche due revolver dei Servizi Segreti con tanto di caricatori di ricambio. Non sapeva con certezza cosa le aspettasse, ma evidentemente lui voleva che fossero preparate. «Ti rendi conto che probabilmente quest'affare è pieno zeppo di cimici?» «Possiamo solo sperarlo.» «E ti rendi conto che è tutta una follia? Non sappiamo più di chi fidarci, compreso il presidente degli Stati Uniti!» «Non c'è dubbio. Siamo pedine su una scacchiera più grande di noi... Ma una pedina può mangiare il re, se è nella posizione giusta.» «Stephanie, non siamo che esche!» Lo pensava anche lei, ma non disse nulla. Percorsero senza fretta le strade di una cittadina a poco meno di cinquanta chilometri da Washington, uno degli innumerevoli paesi-dormitorio che circondavano la capitale. Seguendo le indicazioni ricevute riconobbe il
nome del ristorante con la vetrata sulla facciata, nascosto da una volta d'alberi fronzuti. Aunt B's. Uno dei locali preferiti di Harry Daley. Parcheggiò ed entrarono insieme, accolte dall'odore pungente di salsa di mela e bacon e patate fritte. Un lungo buffet fumante veniva preso d'assalto da avventori famelici. Passarono davanti alla cassa e videro Daley, seduto da solo. «Mangiate qualcosa. Offro io», disse. Il piatto di fronte a lui traboccava di uova, porridge di granoturco e una braciola di maiale fritta. Come avevano stabilito, Cassiopea sedette a un altro tavolo dal quale avrebbe potuto sorvegliare la stanza. Stephanie si accomodò a quello di Daley. «No, grazie.» Notò un cartello colorato accanto al buffet, con due enormi maiali rosa circondati dallo slogan RIPRENDITI LA TUA CICCIA DA AUNT B'S. LO indicò. «È per questo che mangi qui? Per riprenderti la ciccia?» «Mi piace il posto. Mi ricorda la cucina di mia madre. So che faticherai a crederlo, ma sono un essere umano anch'io.» «Perché non sei a dirigere la Magellano? Sei tu il capo, adesso.» «Ce ne stiamo occupando, ma al momento abbiamo un problema più urgente.» «Salvarvi il culo?» Daley tagliò la sua braciola di maiale. «Queste sono fantastiche! Dovresti mangiare qualcosa... Hai bisogno di riprenderti un po' di ciccia, Stephanie!» «Molto carino da parte tua, notare la mia linea. Dov'è la tua ragazza?» «Non ne ho idea. Immagino venisse a letto con me per vedere cosa sarebbe riuscita a scoprire... cioè niente. Io, da parte mia, facevo lo stesso. Ti ripeto che, contrariamente a quello che pensi, non sono un completo idiota.» Come da suggerimento di Daniels, aveva chiamato Daley due ore prima per prendere appuntamento. Lui aveva acconsentito con entusiasmo. Un dubbio la turbava: se Daniels voleva che lei parlasse con Daley, perché aveva interrotto l'incontro al museo? Si limitò ad aggiungere quel dilemma alla lista crescente dei suoi problemi. «Non abbiamo potuto terminare la nostra conversazione.» «È ora di guardare in faccia la realtà, Stephanie! Quella roba che hai sul mio conto... Tienila, usala, non m'importa. Se affondo io, lo fa anche il
presidente. A dire la verità volevo che la trovassi.» Lei faticava a credergli. «Sapevo tutto delle tue indagini. In quanto alla puttana che mi hai mandato... Ebbene, non sono così debole! Credi che sia stata la prima volta che una donna ha cercato di carpirmi informazioni? Sapevo che stavi scavando, perciò ti ho facilitato il ritrovamento. Certo però che te la sei presa comoda!» «Bel tentativo, Larry, ma non attacca.» Lui si accanì sulle uova e il porridge di granoturco. «So che non crederai a niente di tutto ciò che dico, ma potresti dimenticare quanto mi detesti e starmi ad ascoltare, almeno per una volta?» Era venuta per quello. «Ho ficcato il naso in giro. C'è in ballo un bel po' di merda... Roba strana! Non sono al corrente delle tresche dell'élite, ma ci sono abbastanza vicino da riuscire a farmene un'idea. Quando ho scoperto che mi tenevi d'occhio, ho immaginato che prima o poi avresti cercato di colpirmi... e quando l'avessi fatto avremmo potuto trattare.» «Perché non mi hai semplicemente chiesto aiuto?» «Oh, per favore! Non sopporti neppure di stare nella stessa stanza con me! Saresti stata disposta ad aiutarmi? Ho pensato che una volta che avessi sbirciato dentro la finestra e visto cosa stava succedendo, saresti stata molto più ricettiva. Proprio come in questo momento.» «Stai ancora corrompendo i membri del Congresso?» «Già. Io e circa mille altri lobbisti. Diavolo, dovrebbero farne uno sport olimpionico!» Stephanie lanciò un'occhiata a Cassiopea e non vide nulla di allarmante. I numerosi tavoli erano occupati da famiglie e coppie anziane. «Dimentica quelle sciocchezze. Sono l'ultima delle nostre preoccupazioni», disse Daley. «Non sapevo che avessimo preoccupazioni in comune.» «Sta succedendo qualcosa di molto più grosso.» Inghiottì qualche sorso di succo d'arancia. «Accidenti, la riempiono di zucchero, questa roba! Però è buona.» «Come fai a essere tanto magro, se mangi sempre così?» «Lo stress è la miglior cura dimagrante del mondo.» Posò il bicchiere. «C'è una cospirazione in corso, Stephanie!» «Per fare cosa?» «Cambiare il presidente.»
Quella non l'aveva ancora sentita. «È l'unica ipotesi sensata.» Daley scostò il piatto. «Il vicepresidente è in Europa per partecipare a un summit sull'economia, ma mi hanno detto che ha lasciato l'albergo ieri sera tardi per incontrarsi con un certo Alfred Hermann. Ufficialmente si tratta solo di una visita di cortesia, ma il vicepresidente non è un uomo cortese: se fa qualcosa, c'è un motivo. Si è già incontrato con Hermann in passato. Ho controllato.» «Avrai scoperto che Hermann è a capo di un'organizzazione chiamata Ordine del Toson d'Oro.» Lo stupore inondò il viso di Daley. «Sapevo che saresti stata d'aiuto. Allora lo sai già?» «Quello che voglio sapere è cosa ci sia d'importante in tutto questo.» «Questo gruppo esercita un'influenza politica e il suo raggio d'azione si estende a tutto il mondo. Hermann e il vicepresidente sono amici da un bel po'. Ho sentito vari accenni su di lui e sull'Ordine, ma il vicepresidente si tiene per sé i propri pensieri. So che vuol diventare presidente... Si sta già preparando a candidarsi, ma penso che stia cercando una scorciatoia.» Daniels non aveva detto niente sull'argomento. «Hai ancora quelle chiavette USB che hai preso a casa mia?» Lei annuì. «Su una ci sono le registrazioni digitali di certe conversazioni telefoniche... Poche, ma estremamente interessanti. Col capo di gabinetto del vicepresidente. Un vero stronzo, se mai ce ne sono stati! Ha mandato il Rapporto Alexandria direttamente ad Alfred Hermann.» «Come sei riuscito a saperlo?» «Ero sul posto.» Lei mantenne il volto inespressivo. «Proprio là, insieme con lui. Ho documentato l'intero incontro. Abbiamo incontrato Hermann a New York cinque mesi fa e gli abbiamo spifferato tutto. È stato allora che ho tirato dentro Heather Dixon.» Anche quella era una novità. «Ebbene sì, sono andato da lei e le ho detto quello che stava succedendo al Rapporto. Le ho anche detto dell'incontro con Hermann.» «Non è stata un'idea brillante.» «All'epoca lo sembrava. Gli israeliani erano i soli alleati cui potessi fare appello, ma loro credevano che l'intera faccenda di Hermann fosse una specie d'inghippo per causare problemi a loro. Non avevo che la Dixon a farmi da babysitter.» Inghiottì dell'altro succo. «Non era poi tanto male.»
«Mi sta venendo da vomitare.» Daley scosse la testa. «È stato circa un mese più tardi che il capo di gabinetto del vicepresidente e io ci siamo trovati da soli. Stronzo com'è, gli piace millantare; di solito è proprio quel vizio a mettere nei guai i tipi come lui. Abbiamo bevuto qualche bicchiere e lui ha fatto qualche osservazione. Ormai ero già sul chi vive, perciò avevo portato un registratore tascabile. Mi sono procurato un po' di materiale buono, quella sera.» Cassiopea si alzò dal suo tavolo e si avvicinò alla vetrata. All'esterno le auto andavano e venivano nel parcheggio ombroso. «Ha parlato del Venticinquesimo Emendamento, di come l'aveva studiato e dei cavilli che aveva scoperto. Mi ha chiesto cosa ne sapessi: non un granché. Mi sono finto disinteressato e ubriaco, ma non ero né l'uno né l'altro.» Stephanie conosceva il Venticinquesimo Emendamento della Costituzione. In caso di destituzione, decesso o dimissioni del presidente, il vicepresidente diventerà presidente. 71 Penisola del Sinai Malone controllò l'orologio: erano le 11.58. Aveva già guardato una volta attraverso le due aperture, senza vedere nulla. Pam e McCollum erano fermi sotto di lui, che si teneva in equilibrio sulle quattordici pietre. Il mezzogiorno arrivò e un carillon di campane suonò in lontananza. «È un po' sinistro», commentò Pam. «Qui, nel bel mezzo del nulla...» «Sembra che venga da lontanissimo.» Come dal cielo, pensò. Il sole divampava sulle loro teste. Malone aveva il corpo e la tuta fradici di sudore. Guardò nuovamente attraverso le aperture. Uno dopo l'altro, tutti i punti lungo la dorsale dei rilievi divennero visibili. Quelle che potevano essere state caverne di eremiti punteggiavano la parete di roccia come occhi neri. Poi notò qualcosa: su uno dei rilievi era tracciato un sentiero pietroso. Una pista per cammelli? Prima di partire, a Lisbona, aveva fatto ricerche e aveva scoperto che le montagne di quella regione nascondevano avvallamenti fertili che i beduini del posto chiamavano farsh. Di solito contenevano una sorgente d'acqua che attirava i pochi
abitanti di quella terra. Il monastero di Santa Caterina - più a sud, vicino alla montagna di Mosè - sorgeva appunto su un farsh. Lui aveva immaginato che ce ne fossero altri nei dintorni. Guardò le ombre svanire e il colore delle montagne di granito passare dal grigio peltro al rosso barbabietola. Il corso tortuoso del sentiero che percorreva il fianco dell'altura, ora marrone, prese la forma di un serpente. Le due aperture incorniciavano quella vista come fosse un quadro. Guarda la spira interminabile del serpente rosso d'ira. «C'è qualcosa?» gli domandò Pam. «C'è tutto!» Stephanie lanciò un'occhiataccia a Larry Daley. «Mi stai dando a intendere che il vicepresidente trama l'assassinio del presidente?» «È proprio quello che credo stia succedendo.» «Come mai sei l'unico in tutto il pianeta a essersene accorto?» «Non lo so, Stephanie! Forse sono un tipo particolarmente sveglio. Comunque so che sta succedendo qualcosa.» Doveva saperne di più; era per quello che Daniels l'aveva mandata. «Larry... Stai solo cercando di salvarti le chiappe!» «Stephanie, mi ricordi quel tizio che cercava sotto un lampione un quarto di dollaro perduto. Arriva uno e gli chiede cosa stia facendo. Lui risponde: 'Cerco il quarto di dollaro che ho perso'. L'altro domanda: 'Dove l'ha perso?' Il tizio indica un punto lontano e dice: 'Laggiù'. L'altro, stupito, chiede: 'Allora perché lo cerca qui?' E quello: 'Perché qui c'è più luce'. Proprio come te, Stephanie! Smetti di cercare dove c'è la luce e cerca dove serve!» «Se vuoi che ti creda, dammi qualcosa di concreto.» «Vorrei poterlo fare. Ci sono solo piccole cose, ma prese tutte insieme... Incontri che il vicepresidente ha evitato, a differenza di quanto avrebbe fatto un candidato. Far incazzare gente di cui avrà bisogno. Non preoccuparsi del partito. Nulla di manifesto; piccole cose che solo un tossico della politica come me riuscirebbe a notare. Siamo in pochi, là dentro, a essere anche solo vagamente al corrente di queste cose. È gente molto riservata.» «Brent Green è dei loro?» «Non ne ho idea. Brent è strano... Un outsider rispetto a tutti. Ieri ho cercato di provocarlo. L'ho minacciato, ma lui non ha battuto ciglio. Volevo vedere come avrebbe reagito. Poi, quando sei apparsa in casa mia e hai trovato quel libro, ho capito che dovevi essere tu la mia alleata.»
«Potresti aver scelto male, Larry, perché non credo a una sola parola. Uccidere un presidente non è facile.» «Non saprei. Ogni assassino di presidenti - effettivo o aspirante tale - era squilibrato, pazzo o fortunato. Immagina cosa potrebbero fare dei professionisti.» Non aveva torto. «Dove sono quelle chiavette USB?» domandò. «Le ho io.» «Lo spero, perché se le ha qualcun altro siamo nei guai. Saprebbero che li ho scoperti... Il fatto di aver registrato quelle conversazioni col capo di gabinetto del vicepresidente sarebbe impossibile da giustificare. Ho bisogno di riaverle, Stephanie.» «Non se ne parla. Ti do un consiglio, Larry: perché non ti costituisci, confessi di aver comprato il Congresso e chiedi la protezione federale? Così potrai rifilare tutte queste stronzate a chiunque sia disposto ad ascoltarti.» Lui si appoggiò allo schienale della sedia. «Sai, pensavo che per una volta noi due avremmo potuto avere una conversazione civile... Invece no, a te interessa solo averla vinta. Ho fatto ciò che dovevo fare, Stephanie! Era ciò che voleva il presidente.» La donna drizzò le orecchie. «Lui sapeva quello che stavi facendo al Congresso?» «Come spieghi, altrimenti, che le mie azioni alla Casa Bianca siano salite così in fretta? Lui voleva far passare certe cose e io l'ho reso possibile. Questo presidente è popolare al Congresso, il che spiega anche la facilità con cui ha ottenuto il secondo mandato.» «Hai qualche prova del suo coinvolgimento?» «Se ho registrato Daniels, vuoi dire? No. Ma i fatti parlano da soli, Stephanie! Qualcuno deve far succedere le cose: è così che va il mondo. Io sono l'uomo di Daniels. Lo so io come lo sa lui.» Stephanie guardò Cassiopea e ricordò quello che aveva detto mentre si recavano sul posto: davvero non sapevano di chi fidarsi, incluso il presidente. Daley si alzò da tavola, lasciando un paio di dollari di mancia. «L'altro giorno tu e Green eravate convinti che tutto questo riguardasse soltanto il lascito di Daniels. Io vi ho detto quello che volevate sentire pur di mettervi a nanna.» Daley scosse la testa. «Qui si tratta di far sì che Daniels continui a respirare! Ti sei rivelata una perdita di tempo. Ebbene, gestirò la cosa in
un altro modo.» Malone fece strada su per la scarpata spoglia. Sopra di loro, aquile e avvoltoi pattugliavano il cielo. La luce dorata del sole gli penetrava nel cervello, impregnando il suo corpo sudato. Una leggera spolverata di rocce copriva il sentiero; l'arido strato superficiale del suolo era un deposito di limo, sabbia e argilla. Seguì il viottolo serpeggiante sino al punto in cui, molto tempo prima, tre grossi massi erano crollati creando un tunnel lungo la cima. Dalle pietre pioveva una polvere fine, con un rumore come di spruzzi d'acqua. Nonostante il sole, il corridoio era fresco. Lui accolse con piacere l'ombra. L'altro lato si profilava a dieci metri di distanza. Intravide all'improvviso un bagliore rosso davanti a sé. «Avete visto?» domandò. «Già», rispose Pam. Si fermarono a osservare mentre il fenomeno si ripeteva. Malone capì cosa stava avvenendo: il sole di mezzogiorno, trovando spazi vuoti fra le tre pietre cadute, rimbalzava sul granito rosso e colorava di cremisi il tunnel. Un fenomeno interessante. Guarda la spira interminabile del serpente rosso d'ira. «Pare che da queste parti ci siano un sacco di serpenti rossi di rabbia!» A metà strada notò alcune parole incise nel granito. Si fermò e lesse l'iscrizione in latino, traducendo a voce alta: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa». Conosceva quel brano. «Dal libro dell'Esodo. Le parole che Dio disse a Mosè dal roveto ardente». «È successo qui?» domandò Pam. «Nessuno lo sa. Tutte e tre le religioni ritengono che il posto sia Jebel Musa, una montagna circa venti miglia più a sud di qui... Ma chi può saperlo?» Alla fine del tunnel un'improvvisa vampata di calore lo avvolse e si trovò di fronte un farsh incurvato, punteggiato di cipressi. Soffici nuvole bianche s'inseguivano, come cespugli rotolanti al vento, per il cielo limpido. Lui socchiuse gli occhi come una lucertola per difendersi dalla luce. Schiacciati contro la parete dell'altura, nascosti in un angolo creato da stupefacenti dirupi, si levavano edifici che s'insinuavano l'uno nell'altro, quasi facessero parte della roccia stessa. I loro colori - giallo, marrone e
bianco - si fondevano tra loro in una specie di mimetismo. Le torri di guardia sembravano fluttuare nell'aria. I verdi coni sottili dei cipressi contrastavano con le tegole color arancio bruciato dei tetti. Quanto a dimensioni e forma, non c'era uno stile prevalente: quell'eterogeneità ricordò a Malone il fascino anarchico di un villaggio di pescatori italiano arroccato sul pendio di una collina. «Un monastero?» gli domandò Pam. «Secondo la mappa ce ne sono tre in questa regione. Nessuno di essi è un gran segreto.» Una scalinata di pietra scendeva verso il basso. I gradini erano ripidi, a gruppi di tre, intervallati da tratti di roccia liscia in discesa. Sul fondo un altro sentiero attraversava il farsh, superando un laghetto annidato tra i cipressi per poi salire zigzagando sino all'ingresso del monastero. «Siamo arrivati.» Stephanie guardò Daley lasciare il ristorante. Cassiopea la raggiunse, si sedette al tavolo. «Niente di utile?» chiese. «Dice che Daniels sapeva tutto quello che lui stava facendo.» «Che altro poteva dire?» «Daley non ha mai accennato al fatto che siamo state a Camp David ieri sera.» «Nessuno ci ha viste, a parte quegli agenti e Daniels.» Era vero. Avevano dormito nel villino da sole, con due agenti appostati all'esterno. Quando si erano svegliate la colazione era già nel forno ad aspettarle. Daniels in persona aveva chiamato e detto loro di organizzare l'incontro con Daley... Perciò o Daley non sapeva, oppure non voleva dirlo. «Perché il presidente dovrebbe farcelo incontrare, sapendo che Daley potrebbe contraddire quello che ci ha detto lui?» domandò lei, più a se stessa che a Cassiopea. «Aggiungi la domanda alla lista.» Lei guardò, attraverso il parabrezza, Daley che attraversava faticosamente il parcheggio ghiaioso in direzione della sua Land Rover. Quell'uomo non le era mai piaciuto. Quando aveva avuto la conferma che era marcio non avrebbe potuto sentirsi più soddisfatta. Ora non si sentiva più tanto sicura. Daley trovò la sua auto in fondo al parcheggio e salì a bordo. Dovevano andarsene anche loro: era ora di trovare Brent Green e vedere cos'aveva scoperto. Daniels non aveva detto loro di parlare con Green, ma lei lo rite-
neva opportuno. Specialmente in quel momento. Un'esplosione scosse l'edificio. Lo shock iniziale di Stephanie fu sostituito dalla consapevolezza che il ristorante era intatto. Voci alte e qualche grido si acquietarono quando anche altri cominciarono a rendersi conto che l'edificio era ancora al suo posto. Andava tutto benissimo. Tranne fuori. Scrutò attraverso il vetro e vide la Land Rover di Larry Daley avvolta dalle fiamme. 72 Penisola del Sinai Malone si avvicinò al portone di legno rivestito di metallo. Mura di granito rosso cotte dal sole, le cui fondamenta poggiavano su contrafforti giganteschi, s'inclinavano su uno spazio terrazzato cui stavano di guardia cipressi, aranci, limoni e ulivi. Le fondamenta erano protette da una vigna. Un vento caldo sollevava la sabbia. Non c'era nessun segno di vita. Al di sopra della porta, Malone scorse altre parole in latino: il salmo 118, che lesse. È QUESTA LA PORTA DEL SIGNORE PER ESSA ENTRANO I GIUSTI «Cosa facciamo?» domandò Pam. Lui aveva notato che l'ostilità del terreno faceva il paio con l'umore di lei, che si andava guastando rapidamente. «Immagino che la corda serva per quella», disse lui, indicando. Più in alto c'era una torre aperta che conteneva una campana di ferro. Lui si avvicinò e diede uno strattone. La campana suonò diverse volte. Malone stava per tirare ancora quando una finestra si aprì e un giovane barbuto con un copricapo di paglia si affacciò. «Come posso aiutarvi?» domandò in inglese. «Siamo qui per visitare la Biblioteca», rispose McCollum.
«Questo non è che un monastero, un luogo di solitudine. Non abbiamo biblioteche.» Malone si era chiesto come facessero i Guardiani ad accertare che chi si presentava all'entrata fosse un invitato: il viaggio poteva richiedere parecchio tempo e nel corso della cerca non era stato imposto nessun vincolo, perciò doveva esserci una sfida finale di cui la cerca non parlava. «Siamo invitati e abbiamo completato la cerca», insistette lui a voce alta. «Desideriamo essere ammessi alla Biblioteca.» La finestra si chiuse. «Che maleducato!» commentò Pam. Malone si asciugò il sudore dalla fronte. «Non possono certo far entrare chiunque.» La finestra si riaprì e il giovane domandò: «Il vostro nome?» McCollum fece per parlare, ma Malone gli strinse il braccio. «Faccio io», mormorò. Alzò il viso. «George Haddad», rispose. «Chi sono queste altre persone?» «I miei compagni.» Gli occhi che lo scrutarono di rimando erano fissi, tesi nello sforzo di decidere se Malone fosse degno di fiducia. «Una domanda, se non vi dispiace.» «Certamente.» «Ditemi del vostro percorso.» «Prima il monastero di Jerónimos a Belém, poi Bethlehem.org e infine qui.» La finestra si chiuse. Malone sentì che dietro il portone venivano rimosse delle sbarre, poi i massicci pannelli di legno si dischiusero e ne uscì il giovane barbuto. Indossava pantaloni larghi che si stringevano sul polpaccio, un mantello color ruggine la cui estremità era infilata nei calzoni e una cintura di corda. Si fermò davanti a Malone e s'inchinò. «Benvenuto, George Haddad. Ha completato la cerca. Desidera visitare la Biblioteca?» «Lo desidero.» Il giovane sorrise. «Entri, dunque, e trovi ciò che cerca.» Lo seguirono in fila indiana oltre il portone, in un corridoio buio con pareti di pietra altissime che bloccavano la luce del sole. Dopo circa trenta passi e una svolta ad angolo retto, ritrovarono il chiarore del giorno all'interno delle mura: un rigoglioso spazio verde con cipressi, palme, vigneti, fiori... C'era persino un pavone che sfilava.
Si udiva una melodia rilassante, come il suono di un flauto. Malone ne individuò l'origine: un musicista appollaiato su uno dei balconi sostenuti da spessi supporti di legno. Gli edifici erano addossati l'uno all'altro, tutti diversi per dimensioni e composizione. Vide cortili, scalinate, ringhiere di ferro, arcate a volta, tetti a punta e vialetti stretti. Un acquedotto in miniatura trasportava l'acqua da un capo all'altro. Tutto sembrava spuntato dalla terra per caso. Gli ricordò un villaggio medievale. Seguirono Cappello di Paglia. A parte il suonatore di flauto, Malone non aveva visto nessuno, benché il complesso fosse pulito e ordinato. I raggi del sole aggredivano le tende alle finestre, ma lui non intravide movimenti dietro i vetri. C'erano allegri orticelli a terrazze carichi di pomodori. Una cosa attirò la sua attenzione: pannelli solari discretamente fissati ai tetti e un certo numero di antenne paraboliche, tutte nascoste dietro volte di legno o di pietra che sembravano far parte degli edifici... Come a Disney World, pensò Malone, dove le infrastrutture erano in bella vista ma passavano inosservate. Cappello di Paglia si fermò davanti a una porta di legno e l'aprì con un'enorme chiave di ottone. Entrarono in un refettorio, una spaziosissima sala da pranzo con affreschi alle pareti raffiguranti episodi della vita di Mosè. L'aria odorava di salsiccia e cavolo acido. Le tavole del soffitto erano color cioccolato e giallo burro, alternate, interrotte da un pannello romboidale celeste punteggiato di stelle d'oro. «Il vostro viaggio è stato certamente lungo», disse Cappello di Paglia. «Abbiamo da mangiare e da bere.» Su uno dei tavoli c'erano un vassoio pieno di pagnotte color sabbia e ciotole di pomodori, cipolle e olio. Un'altra ciotola era piena di datteri; in un'altra ancora c'erano tre grosse melagrane. Un bollitore soffiava vapore e lui sentì il profumo del tè. «Molto gentile», ringraziò Malone. «Davvero gentile, ma preferiremmo vedere subito la Biblioteca», intervenne McCollum. Il volto ossuto del giovane tradì la sua irritazione, ma solo per un attimo. «Desideriamo che mangiate e vi riposiate. Magari vorrete ripulirvi prima di entrare.» McCollum fece un passo avanti. «Abbiamo completato la vostra cerca. Vogliamo vedere la Biblioteca.» «In realtà è stato Mr Haddad a completare la cerca e guadagnarsi l'accesso. Nessun invito è stato esteso a lei o alla donna.» Cappello di Paglia si
rivolse a Malone. «Dal momento che ha coinvolto questi due, normalmente il suo invito sarebbe annullato.» «Allora perché mi trovo qui?» «È stata fatta un'eccezione.» «Come sapete chi sono?» «Conosceva il percorso della cerca.» Cappello di Paglia lasciò la sala da pranzo senza aggiungere altro, chiudendosi la porta alle spalle. Loro tre rimasero in silenzio. Infine Pam disse: «Io ho fame». L'aveva anche Malone. Posò lo zaino sul tavolo. «Allora accettiamo la loro ospitalità!» 73 Maryland Stephanie e Cassiopea uscirono di corsa dal ristorante. Non c'era più nulla da fare per Larry Daley: la sua auto era ridotta a un ammasso carbonizzato che ancora bruciava. L'esplosione era stata circoscritta alla sua macchina e non aveva prodotto che danni lievi ai veicoli circostanti. Un colpo ben mirato. «Dobbiamo andare!» disse Cassiopea. Lei acconsentì. Si affrettarono a rimontare sulla Suburban. Stephanie si mise al volante e inserì la chiave, ma esitò e domandò: «Cosa ne pensi?» «A meno che il presidente abbia messo una bomba in quest'auto, è tutto a posto. Nessuno si è avvicinato mentre eravamo dentro.» Girò la chiave e il motore si accese rombando. Si allontanò proprio mentre un'auto della polizia svoltava l'angolo ed entrava nel parcheggio. «Cosa ti ha detto?» volle sapere Cassiopea. Lei riassunse la conversazione. «Pensavo che la storia della cospirazione per uccidere Daniels fosse un mucchio di stronzate, ma ora...» Un'ambulanza le incrociò sull'altra corsia. «È inutile che corrano tanto. È morto prima ancora di accorgersene», commentò Stephanie. «Un tantino plateale», osservò Cassiopea. «Ci sarebbero stati molti modi più discreti per ammazzarlo.»
«Sempre che non si voglia attirare l'attenzione sul fatto. La macchina del viceconsigliere per la sicurezza nazionale che salta per aria? Solleverà un bel polverone.» Stephanie si teneva sotto il limite di velocità, guidando piano, uscendo con calma dalla città per tornare sulla statale. Si fermò a un incrocio e svoltò in direzione sud. «Dove andiamo?» s'informò Cassiopea. «Dobbiamo trovare Green.» Dopo circa otto chilometri una Ford coupé grigia apparve nello specchietto retrovisore. Si avvicinava rapidamente. Stephanie si aspettava che sorpassasse sfrecciando sulla strada a due corsie semivuota, invece rallentò, attaccandosi al paraurti della Suburban. Lei vide due figure sui sedili anteriori. «Abbiamo compagnia!» Procedevano a cento chilometri orari lungo una strada tortuosa che attraversava la campagna alberata. Solo qualche fattoria intervallava i campi e la foresta. Dal finestrino anteriore della Ford, dal lato del passeggero, spuntò una pistola. Si udì uno schiocco e il proiettile rimbalzò contro il lunotto posteriore della Suburban senza infrangerne il vetro. «Dio benedica i Servizi Segreti e i loro vetri antiproiettile!» «Peccato che gli pneumatici non lo siano.» Cassiopea aveva ragione. Stephanie accelerò e la Ford le tenne dietro. Lei diede uno strattone al volante verso sinistra, sbandando nella corsia opposta e rallentando per far passare avanti la Ford. Durante il sorpasso l'uomo sparò contro la fiancata della Suburban, ma i colpi rimbalzarono. «Abbiamo anche la carrozzeria blindata!» disse Cassiopea. «Come stare dentro un carro armato! Hai qualche idea di chi possano essere?» «Quello che ci sta sparando è lo stesso che c'inseguiva al parco l'altro giorno, quindi direi che i sauditi ci hanno trovato.» «È probabile che stessero seguendo Daley quando siamo saltate fuori noi.» «Siamo proprio due fortunelle!» Stephanie riportò la Suburban nella corsia diretta verso sud, stavolta dietro la Ford. Cassiopea abbassò il finestrino e fece a pezzi il lunotto posteriore dell'altra vettura con due spari. La Ford cambiò lato della strada, tentando una manovra analoga, ma dovette tornare sulla corsia sud per evitare
un camion in arrivo. Cassiopea approfittò del momento per piantare un'altra pallottola nel lunotto. Il passeggero della Ford si sporse all'indietro e puntò la pistola, ma Cassiopea lo dissuase con un altro colpo. «Abbiamo altri problemi. Dietro di noi... Un'altra macchina!» avvertì Stephanie. L'altro veicolo era vicinissimo al loro paraurti posteriore. Anche in quello c'erano due uomini. Lei continuò ad accelerare: fermandosi si sarebbero trovate alla mercé di quattro uomini armati. Cassiopea parve valutare la situazione e prendere una decisione. «Ora tolgo di mezzo gli pneumatici di quella davanti, poi penseremo a quella dietro.» Da fuori provenne uno schiocco, poi un'esplosione. Stephanie sentì sbandare la parte posteriore destra e capì all'istante la situazione: avevano sparato alla loro gomma. Pigiò sul freno e riuscì a controllare il veicolo. Un altro schiocco e anche la parte posteriore sinistra sussultò. Lei sapeva che i proiettili normali non fanno esplodere gli pneumatici, tuttavia stavano perdendo l'aria. Le rimanevano soltanto un paio di minuti prima di cominciare a viaggiare sui cerchioni. Continuò a guidare con dolcezza, sperando di guadagnare un altro chilometro e mezzo. Cassiopea le porse una pistola e cambiò il caricatore alla propria arma. Sulle prime avrebbero potuto sfruttare la protezione della Suburban; in seguito ci sarebbe stato uno scontro a fuoco. L'ora antelucana e lo scenario rurale avrebbero offerto ai loro aggressori sin troppa privacy. L'estremità posteriore dell'auto toccò la strada e un botto sordo le disse che il viaggio era finito. Fermò la Suburban e strinse la pistola. La Ford in testa slittò sulla corsia d'emergenza. Il veicolo alle loro spalle la imitò. Da ambedue le auto scesero uomini armati. Malone finì le melagrane - erano tra i suoi frutti preferiti - e inghiottì un'altra tazza di tè amaro. Li avevano lasciati soli all'incirca per tre quarti d'ora, benché lui non riuscisse a scrollarsi di dosso la sensazione che li stessero osservando. Studiò l'ambiente con cautela, cercando di capire se ci fossero telecamere nella stanza. Tutti i tavoli erano vuoti, come pure una credenza accostata a una parete. Immaginò il leggero tintinnio dei piatti, lo
stridio educato delle forchette e il chiacchiericcio in varie lingue che certamente accompagnava ogni pasto. Dall'altra parte della stanza c'era una porta chiusa, che immaginava portasse alla cucina. Il refettorio stesso era fresco, grazie agli spessi muri di pietra. La porta esterna si aprì ed entrò Cappello di Paglia. Malone notò che ogni gesto del giovane era eseguito con grazia degna di un servitore, come se considerasse un solo pensiero alla volta. «Mr Haddad, è pronto per entrare nella Biblioteca?» Malone annuì. «Ho la pancia piena e sono ben riposato.» «Allora possiamo andare.» McCollum scattò in piedi. Malone stava appunto aspettando di vedere cos'avrebbe fatto. «Le dispiace se prima facciamo un salto alla toilette?» Cappello di Paglia annuì. «Vi ci posso portare, ma poi dovrete tornare qui. È Mr Haddad l'invitato.» McCollum respinse con un gesto della mano quella condizione. «Va bene, basta che mi mostri dov'è il bagno.» «Mr Haddad, anche lei desidera usare i servizi?» chiese Cappello di Paglia. Malone scosse la testa. «Lei è un Guardiano?» «Sì.» Osservò il viso tondo di Cappello di Paglia: aveva una pelle straordinariamente liscia, zigomi alti e occhi ovali che gli conferivano un'aria orientale. «Come fa a mandare avanti questo posto con così poche persone? Ne abbiamo visto una sola, entrando.» «Non ci sono mai stati problemi.» «E gli intrusi?» domandò McCollum. «Mr Haddad è un uomo di cultura. Non abbiamo nulla da temere.» Malone sorvolò. «Lo accompagni in bagno. Noi aspetteremo qui.» Il Guardiano si rivolse a Pam. «Sto bene così», disse lei. «Torneremo tra breve.» Stephanie si preparò alla battaglia. Avevano ucciso Larry Daley e ora volevano lei. Era arrabbiata per il fatto che Cassiopea fosse rimasta coinvolta, ma la sua amica aveva preso quella decisione liberamente. Negli occhi di Cassiopea non vide nessuna paura, nessun rimpianto, solo una grande determinazione. I quattro uomini si dirigevano verso la Suburban.
«Tu bada ai due davanti, io mi occuperò di quelli dietro», disse Cassiopea. Lei annuì. Si prepararono entrambe ad aprire le portiere e sparare. Era comunque più sensato che restare lì sedute e permettere a quegli uomini di attaccare a piacimento; magari un momento di sorpresa avrebbe potuto dar loro un vantaggio. Lei avrebbe usato portiera e finestrino come scudo il più a lungo possibile. Un rumore martellante crebbe d'intensità e l'auto cominciò a vibrare. Stephanie vide i due davanti separarsi mentre una raffica di vento investiva il veicolo. Apparve un elicottero in volo. Poi arrivò un'auto, che frenò rumorosamente. Stephanie udì una rapida successione di spari. I corpi dei due uomini davanti rotearono come trottole. Guardò nello specchietto retrovisore: l'auto alle loro spalle stava cercando di allontanarsi. Uno degli uomini armati giaceva morto sulla strada. L'auto girò su se stessa. L'elicottero era sospeso a quindici metri da terra. Un portello laterale si aprì e apparve un uomo armato di fucile. L'elicottero si portò di fianco all'auto in fuga e lei vide gli spari, pur senza sentirli. L'auto sterzò bruscamente a sinistra e andò a schiantarsi contro un albero. I due uomini davanti giacevano sull'asfalto, sanguinanti. Stephanie aprì la portiera della Suburban. «Tutto bene laggiù?» domandò una voce maschile. Lei si voltò e vide l'agente dei Servizi Segreti che le aveva parlato al museo, fermo accanto all'altra auto parcheggiata. «Sì, stiamo bene.» Dentro la Suburban il cellulare di Stephanie squillò. Lei afferrò l'apparecchio e rispose. «Ho pensato che avreste potuto aver bisogno d'aiuto», disse Daniels. Sabre seguì il Guardiano all'esterno, attraverso un dedalo di edifici silenziosi. Il sole gettava lunghe ombre oltre i profili dei tetti e sulle strade sconnesse. Una città fantasma, pensò. Morta, eppure viva. Fu condotto a un altro edificio, al cui interno trovò una stanza da bagno col pavimento di piombo. Un recipiente di stagno appeso al soffitto riforniva d'acqua la tazza del gabinetto. Il momento era arrivato. Estrasse la pistola del monastero, uscì dal bagno e premette l'arma contro la faccia del
giovane. «Alla Biblioteca!» «Lei non è l'invitato.» «Che ne dici se ti sparo in testa e me la trovo da solo?» L'altro gli parve più perplesso che spaventato. «Mi segua.» 74 Vienna Hermann aveva saputo quasi subito che Thorvaldsen era andato alla Schmetterlinghaus. Il capo della sicurezza - un uomo massiccio, con la pelle olivastra e un carattere impaziente - lo seguiva, essendo a propria volta diretto da quella parte. Non voleva attirare l'attenzione, e mantenne un passo misurato, sorridendo e salutando con disinvoltura i membri che passeggiavano per il roseto accanto al palazzo. Gli piaceva il luogo dove Thorvaldsen si era recato: era abbastanza lontano da permettergli di risolvere la faccenda in tutta riservatezza. Proprio ciò che gli serviva. Attraverso le pareti di vetro e le piante, Thorvaldsen vide arrivare il suo anfitrione. Notò il passo deciso e i modi risoluti. Riconobbe anche il capo della sicurezza. «Gary, sta arrivando Mr Hermann. Voglio che tu ti nasconda dall'altro lato. Resta in mezzo alle piante... È probabile che sia di cattivo umore, ma devo vedermela con lui. Non voglio che tu sia coinvolto sino a quando non ti chiamerò. Puoi farlo per me?» Il ragazzo annuì. «Vai. Non far rumore!» Il ragazzo si allontanò in fretta lungo un sentiero che scavava un varco nella foresta pluviale trapiantata e scomparve tra il fogliame. Hermann si fermò all'esterno. «Aspetta qui», ordinò al capo della sicurezza. «Non voglio essere disturbato. Pensaci tu.» Aprì la porta di legno e spinse da parte la tenda di plastica. Le farfalle svolazzavano, disegnando silenziosi zigzag nell'aria calda. L'accompagnamento musicale non era ancora partito. Thorvaldsen sedeva su una del-
le sedie che lui e Sabre avevano occupato qualche giorno addietro. Vide subito le lettere e si tolse di tasca la pistola. «Sono di mia proprietà», disse in tono fermo. «Proprio così. Mi par di capire che le rivuoi.» «Questo gioco non è più divertente, Henrik.» «Ho tua figlia.» «Ho deciso che posso vivere senza di lei.» «Ne sono certo. Mi domando se lei se ne renda conto.» «Io, se non altro, ho ancora un erede.» Quella frecciata lo ferì nel profondo. «Ti senti meglio, ora che l'hai detto?» «Molto. Come hai opportunamente rilevato, Margarete sarà probabilmente la rovina della famiglia, una volta che non ci sarò più.» «Che abbia preso dalla madre? Se ben ricordo, anche lei era una donna emotiva.» «In molti sensi. Non lascerò che Margarete ci metta i bastoni tra le ruote! Se hai intenzione di farle del male, fa' pure. Rivoglio indietro ciò che mi appartiene.» Thorvaldsen indicò le lettere. «Le avrai lette, presumo.» «Molte volte.» «Hai sempre usato toni perentori, parlando della Bibbia. Le tue critiche erano penetranti e, devo dire, ben ragionate.» Thorvaldsen s'interruppe. «Ho riflettuto. Ci sono due miliardi di cristiani, poco più di un miliardo di musulmani e circa quindici milioni di ebrei. Le parole scritte su queste pagine li faranno arrabbiare tutti.» «È questo il difetto della religione: non ha nessun rispetto per la verità. A nessuno di loro importa cosa sia reale, ma solo quanto possono spacciare per tale.» Thorvaldsen scrollò le spalle. «I cristiani dovranno affrontare il fatto che la loro Bibbia - tanto il Nuovo quanto l'Antico Testamento - è stata falsificata. Gli ebrei sapranno che l'Antico Testamento documenta la presenza dei loro avi in un luogo diverso dalla Palestina. I musulmani apprenderanno che il loro sito consacrato, il più sacro dei luoghi, era in origine la patria degli ebrei.» «Non ho tempo per queste cose, Henrik. Dammi le lettere, poi il mio capo della sicurezza ti scorterà fuori della proprietà.» «Come lo spiegherai agli altri membri?» «Sei stato richiamato in Danimarca per un problema urgente di lavoro.»
Si guardò attorno. «Dov'è il figlio di Malone?» Thorvaldsen scrollò le spalle. «In giro a divertirsi da qualche parte. Gli ho detto di tenersi fuori dei guai.» «Avresti dovuto seguire quel consiglio tu stesso. So dei tuoi legami con Israele e immagino che tu li abbia già informati dei nostri piani... Ma, come certamente ti avranno detto, loro sapevano già che stiamo cercando la Biblioteca di Alessandria, proprio come loro. Hanno provato a fermarci, ma non ci sono riusciti. Ormai è troppo tardi.» «Hai parecchia fiducia nel tuo dipendente. Potrebbe anche deluderti.» Hermann non poteva permettersi di esprimere la propria incertezza, perciò dichiarò spavaldamente: «Giammai!» Malone si alzò dal tavolo ed estrasse la pistola dallo zaino. «Mi stavo giusto chiedendo per quanto tempo saresti rimasto qui seduto», commentò Pam. «Il tempo necessario per capire che il nostro amico non tornerà.» Si mise lo zaino in spalla e aprì la porta esterna. Nessun brusio di voci, nessun rumore di zoccoli, nessun flauto... Il complesso sembrava al contempo sacro e sinistro. Le campane suonarono le tre del pomeriggio. Malone fece strada attraverso diversi edifici, ciascuno dei quali aveva la tinta e la consistenza delle foglie morte. Una torre color argilla si ergeva solenne, sormontata da un tetto convesso. L'irregolarità della strada ne denunciava l'età. L'unico indizio che il luogo fosse abitato era dato dai vestiti - biancheria, calzini, pantaloni - appesi ad asciugare su un balcone. Da dietro un angolo vide McCollum e Cappello di Paglia, a una trentina di metri di distanza, che attraversavano una piazzetta dove si trovava una fontana. Il monastero ovviamente aveva accesso a un pozzo, dal momento che l'acqua non sembrava mancare... e nemmeno l'energia, visto il numero di pannelli solari e antenne satellitari. McCollum teneva una pistola puntata alla testa di Cappello di Paglia. «È bello sapere che avevamo ragione sul conto del nostro compagno!» mormorò Malone. «Immagino voglia dare una prima occhiata.» «Be', è stato decisamente maleducato. Andiamo anche noi?» Sabre teneva la pistola all'altezza della nuca del Guardiano. Oltrepassarono altri edifici dirigendosi verso il cuore del complesso, vicino al punto
in cui la creazione dell'uomo incontrava la natura. Lui detestava quella terribile calma. Una chiesa modesta, dipinta di giallo primula, si annidava a ridosso della parete rocciosa. All'interno, la navata a volta inondata di luce naturale era piena zeppa d'icone, trittici e affreschi. Una selva di lampadari d'argento e d'oro pendeva sopra un pavimento riccamente decorato a mosaico. Quell'opulenza era in totale contrasto con la semplicità dell'esterno. «Questa non è una Biblioteca», disse lui. Presso l'altare apparve un uomo. Aveva anche lui la pelle olivastra, ma era basso e aveva capelli color cenere. Era anche più anziano, sulla settantina. «Benvenuto», disse l'uomo. «Io sono il Bibliotecario.» «È lei il responsabile?» «Ho quest'onore.» «Voglio vedere la Biblioteca.» «Per farlo, deve liberare l'uomo che sta trattenendo.» Sabre spinse via il Guardiano. «D'accordo.» Puntò la pistola verso il Bibliotecario. «Mi ci porti.» «Certamente.» Malone e Pam entrarono nella chiesa. Su due file di colonne monolitiche di granito, dipinte di bianco e corredate di capitelli dorati, spiccavano dei medaglioni raffiguranti i profeti dell'Antico Testamento e gli apostoli del Nuovo. Gli affreschi alle pareti mostravano Mosè nell'atto di ricevere le tavole della Legge e in presenza del roveto ardente. C'erano armadi con le porte a vetro colmi di reliquiari, patene, calici e croci. Nessun segno di McCollum e Cappello di Paglia. Alla sua destra, in una nicchia, Malone vide due gabbie bronzee. Una conteneva centinaia di teschi color arenaria, ammonticchiati uno sull'altro in un macabro cumulo; nell'altra c'era un orribile assortimento di ossa, anatomicamente alla rinfusa. «Guardiani?» domandò Pam. «Probabile.» Nella navata illuminata qualcos'altro attirò la sua attenzione: non c'erano banchi. Si domandò se si trattasse di una chiesa ortodossa: difficile stabilirlo dall'arredamento, che pareva un miscuglio eterogeneo di molte religioni. Attraversò il pavimento mosaicato sino alla nicchia sul lato opposto. All'interno - appollaiato su un sedile di pietra, con una vetrata dai colori
vivaci come sfondo - c'era un intero scheletro con indosso una veste color porpora col cappuccio. Era seduto con la testa leggermente inclinata, quasi in posa interrogativa. Le ossa delle dita, con ancora attaccati dei frammenti di carne avvizzita e di unghie, stringevano un bastone e un rosario. In basso, nel granito, erano incise tre parole: CVSTOS RERVM PRVDENTIA «La prudenza è la custode delle cose», tradusse lui, ma conosceva il latino abbastanza bene da sapere che la terza parola poteva anche significare «saggezza». In ogni caso, il messaggio era chiaro. Da dietro un'iconostasi posta nella parte anteriore della chiesa si udì l'eco di quella che pareva una porta aperta e richiusa. Con la pistola in pugno, avanzò lentamente e varcò la soglia al centro del pannello riccamente decorato. Sul lato opposto spiccava una sola porta. Malone si avvicinò. I pannelli erano di cedro e su di essi erano incise le parole del salmo 118. È QUESTA LA PORTA DEL SIGNORE. PER ESSA ENTRANO I GIUSTI. Afferrò la maniglia di corda e tirò. Con una serie di gemiti, la porta si aprì. Malone notò anche qualcos'altro: l'antico pannello era dotato di un'aggiunta moderna, un chiavistello senza scatto di tipo elettronico collegato al lato opposto. Un filo elettrico correva serpeggiando sino al cardine, poi svaniva in un foro scavato nella pietra. Lo vide anche Pam. «È strano», osservò. Lui annuì. Poi guardò oltre la soglia e la sua confusione aumentò. 75 Maryland Stephanie saltò dall'elicottero che aveva appena riportato lei e Cassiopea a Camp David. Daniels le aspettava sul ponte di atterraggio. Stephanie
marciò dritta verso di lui mentre il velivolo risaliva nel cielo del mattino e svaniva oltre le cime degli alberi. «Lei sarà anche il presidente degli Stati Uniti», esordì in tono mordace. «Ma è un bastardo! Ci ha mandate là dentro, ben sapendo che saremmo state aggredite!» Daniels pareva incredulo. «Come avrei potuto saperlo?» «E l'elicottero con a bordo un tiratore scelto sarebbe capitato da quelle parti per caso?» domandò Cassiopea. Il presidente fece un cenno. «Facciamo una passeggiata.» Si avviarono lungo un ampio sentiero. Tre agenti dei Servizi Segreti li seguivano a venti metri di distanza. «Raccontatemi cos'è successo», disse Daniels. Stephanie si calmò, ricapitolò gli eventi della mattinata e concluse: «Era convinto che qualcuno stia tramando per ucciderla». Le suonava strano parlare di Daley al passato. «Aveva ragione.» Si fermarono. «Ne ho abbastanza!» esclamò Stephanie. «Non lavoro più per lei, eppure mi ha fatto agire completamente alla cieca! Come si aspetta che possa farcela, in queste condizioni?» «Sono certo che ti piacerebbe riavere il tuo lavoro, no?» Lei non rispose immediatamente e si rese conto che, suo malgrado, quel silenzio suonava come una conferma. Era stata lei a concepire la sezione Magellano e a guidarla sin dal principio. Qualunque cosa stesse accadendo, inizialmente non l'aveva coinvolta, ma ora uomini che non le piacevano e che non stimava la stavano usando. Rispose al presidente con sincerità. «Non se devo ridurmi a baciarle il culo». Fece una pausa. «O mettere ancora in pericolo Cassiopea.» Daniels non parve turbato. «Venite con me.» Camminarono in silenzio nel bosco, sino a un altro chalet. Al suo interno il presidente recuperò un lettore CD portatile. «Sentite questo.» «Brent, non posso spiegarti i dettagli... Ti dico soltanto che ieri sera ho intercettato una conversazione tra il tuo vicepresidente e Alfred Hermann. L'Ordine - o, per meglio dire, Hermann - ha intenzione di uccidere il tuo presidente!» «Hai sentito i dettagli?» domandò Green.
«Daniels farà una visita fuori programma in Afghanistan la settimana prossima. Hermann ha contattato uomini vicini a bin Laden e ha fornito loro i missili per distruggere l'aereo.» «Questa è un'accusa grave, Henrik!» «Non ho l'abitudine di muoverne a vanvera. L'ho sentito io stesso e il figlio di Cotton Malone mi è testimone. Puoi informare il presidente? Basterà cancellare il viaggio per risolvere il problema più immediato.» «Certo. Cosa sta succedendo laggiù, Henrik?» «Più di quanto possa dirti. Mi terrò in contatto.» «È stato registrato più di cinque ore fa», spiegò Daniels, «eppure non è arrivata nessuna chiamata dal mio fido procuratore generale. Avrebbe almeno potuto provarci, mi pare... Non è particolarmente difficile reperirmi.» «Chi ha ucciso Daley?» volle sapere Stephanie. «Larry - pace all'anima sua! - si è spinto troppo oltre. Evidentemente gli piaceva tenersi occupato... Sapeva che stava per succedere qualcosa e ha deciso di mettersi a giocare al cavaliere solitario. È stato un errore. La gente che ha quelle chiavette USB... Sono stati loro a uccidere Larry.» Lei e Cassiopea si guardarono in faccia. Infine Stephanie disse: «Green». «Pare che abbiamo trovato il vincitore del nostro grande concorso 'Chi è il traditore?'» «Allora lo faccia arrestare», disse Stephanie. Daniels scosse la testa. «Ci occorre dell'altro. L'articolo tre, sezione tre, della Costituzione parla chiaro: prestare aiuto e assistenza al nemico è alto tradimento contro gli Stati Uniti. Quelli che mi vogliono morto sono nostri nemici, ma nessuno può essere condannato per alto tradimento senza la deposizione di due testimoni dell'atto doloso. Ci serve qualcosa di più.» «Immagino che potrebbe prendere quel volo per l'Afghanistan, così quando il suo aereo verrà abbattuto avremo il nostro atto doloso. Cassiopea e io potremmo testimoniare.» «Molto spiritosa, Stephanie! D'accordo, mi sei servita da esca, ma ti ho fatto coprire le spalle.» «Davvero gentile da parte sua!» «Non si snidano i fagiani dai cespugli senza un buon cane da caccia... e sparare prima di averlo fatto è uno spreco di pallottole.» Stephanie lo capiva. Aveva dato lo stesso ordine innumerevoli volte.
«Cosa vuole che facciamo?» La rassegnazione nella sua voce era palese. «Dovete incontrare Brent Green.» Malone si trovò a osservare uno spettacolo sconcertante. Dalla chiesa, la porta si apriva sulla parete della montagna. Di fronte si estendeva una sala rettangolare, larga all'incirca quindici metri e lunga altrettanto. Fiocamente illuminate da candelieri d'argento, le pareti di granito brillavano, lisce come specchi; sul pavimento spiccava un altro splendido mosaico e il soffitto era decorato da bordure e arabeschi rossi e marroni. Sul lato opposto della stanza c'erano sei file di colonne marmoree grigie e nere, orlate di fasci di primule scolpite. Tra le colonne si aprivano sette passaggi, simili ad altrettante fauci tenebrose. Sopra ogni portale c'era una lettera romana: VSOVODA. Sopra l'iscrizione c'era un altro brano biblico, sempre in latino, tratto dal libro dell'Apocalisse. Lo tradusse ad alta voce. «Non piangere più: guarda, il leone della tribù di Giuda ha vinto e aprirà il libro e i suoi sette sigilli.» Si udì un rumore di passi echeggiare al di là dei varchi. Impossibile capire da quale. «McCollum è lì dentro», disse Pam. «Ma dove?» Lui si avvicinò a uno dei passaggi ed entrò. Un tunnel penetrava nella roccia; c'erano lampade a bassa potenza alle pareti ogni sei metri. Malone lanciò un'occhiata nell'apertura adiacente, che conduceva anch'essa dentro la montagna, ma attraverso un altro tunnel. «Interessante... Un altro test! Ci sono sette strade possibili.» Lasciò cadere lo zaino dalle spalle. «Ai miei tempi bastava farsi dare una tessera per accedere a una biblioteca.» «Ai miei tempi si scendeva da un aereo soltanto dopo che era atterrato.» Lui sorrise. «Non te la sei cavata male con quel salto!» «Non ricordarmelo!» Malone scrutò i sette passaggi. «Sapevi che McCollum avrebbe agito, vero? Per questo hai lasciato che si allontanasse col Guardiano.» «Non è certo venuto qui per cavarsi uno sfizio da intellettuale. Non è un cacciatore di tesori... Quello è un professionista.» «Così come l'avvocato con cui uscivo era ben più che un avvocato.» «Gli israeliani ti hanno usata. Non te la prendere; l'hanno fatto anche con me.» «Credi che sia stata tutta una montatura?» Lui scosse la testa. «Una sorta di manipolazione, più che altro. Abbiamo
ripreso Gary troppo facilmente, come se fosse stato già previsto che io uccidessi i rapitori... Poi, quando mi sono messo alla ricerca di George, loro mi hanno semplicemente seguito. Naturalmente c'eri anche tu e gli israeliani erano sulle tue tracce, così hanno fatto in modo che continuassi a portarti con me, spaventandomi all'aeroporto e in albergo. Tutto quadra... In quel modo gli israeliani hanno potuto uccidere George; fine della faccenda, per quanto li riguarda. Chiunque abbia rapito Gary è all'origine della nostra ricerca di questo posto, il che significa che i rapitori hanno progetti assai diversi da quelli degli israeliani.» «Credi che sia stato McCollum a prendere Gary?» «Lui, o quantomeno la persona per cui lavora.» «Cosa facciamo?» Lui estrasse dallo zaino i caricatori di riserva per la pistola e se li infilò nella tuta. «Lo seguiamo.» «Per quale porta?» «Hai trovato la risposta tu stessa, quando hai detto che Thomas Bainbridge aveva lasciato degli indizi. Ho letto il suo romanzo sull'aereo: non c'era nulla di seppur vagamente simile alla nostra esperienza. La sua biblioteca perduta viene trovata nell'Egitto meridionale. Nessuna cerca dell'eroe, niente di niente! Quel monumento nel suo giardino, però, è un'altra faccenda. Mi sono interrogato sull'ultima parte della cerca che ci ha dato McCollum... Non avrebbe senso entrare e basta, una volta arrivati qui.» «A meno di puntare una pistola alla testa di qualcuno.» «Vero, ma c'è qualcosa che non quadra.» Indicò i passaggi. «Con questo tipo di protezione potrebbero facilmente fuorviare un intruso. In ogni caso, dove sono tutti? Questo posto è deserto!» Malone rilesse le lettere poste sopra le porte. VSOVODA. E capì. «Una volta mi chiedevi sempre a cosa servisse una memoria fotografica.» «No, mi chiedevo perché tu non riuscissi mai a ricordarti il mio compleanno o il nostro anniversario.» Lui sorrise. «Stavolta la mia buona memoria ci è d'aiuto. Ricordi l'ultima parte della cerca? Attento alle lettere. Il bassorilievo a Bainbridge Hall... Le lettere romane!» Le rivedeva nella sua mente, chiarissime. D O.V.O.S.V.A.V.V. M. «Ricordi quando mi hai chiesto perché la D e la M fossero staccate dalle
altre otto?» Indicò i passaggi. «Ora lo sappiamo: una ti fa entrare e l'altra, immagino, ti fa uscire. Della parte centrale non sono tanto sicuro, ma stiamo per scoprirlo.» 76 Vienna Thorvaldsen valutò rapidamente la situazione. Doveva sopraffare Hermann; la pistola che teneva nascosta sotto il maglione serviva proprio a quello scopo. Teneva ancora in mano le lettere di sant'Agostino e san Girolamo. Anche Hermann, però, era armato. «Perché hai rapito Gary Malone?» gli domandò. «Non ho intenzione di sottopormi a un interrogatorio!» «Perché non mi fai contento, visto che presto me ne andrò?» «L'ho fatto affinché suo padre facesse ciò che ci serviva. Ha funzionato a meraviglia: Malone ci ha guidati alla Biblioteca.» Ricordò quello che il vicepresidente aveva ipotizzato la sera prima e decise di spingere sull'acceleratore. «E tu lo sai?» «Io so sempre tutto, Henrik; ecco la differenza tra noi due. È per questo che sono a capo dell'Ordine.» «I membri non sanno nulla dei tuoi piani. Sono solo convinti di capire.» Continuava a gettare esche, sperando di ottenere qualche altra informazione. Aveva fatto nascondere Gary per due ragioni: primo, perché non ci fosse nessuna possibilità che quanto avevano sentito la notte precedente fosse svelato... Il che li avrebbe messi entrambi in una posizione rischiosissima. Secondo, perché sapeva che Hermann sarebbe venuto armato e preferiva affrontare quella minaccia da solo. «Hanno fiducia nel Circolo e noi non li abbiamo mai delusi», stava dicendo Hermann. Thorvaldsen agitò i fogli. «Avevi intenzione di mostrarmi questi?» L'altro annuì. «Speravo che quando tu avessi constatato la fallacia della Bibbia - le sue intrinseche menzogne - avresti capito che vogliamo semplicemente dire al mondo ciò che dovrebbe sapere da millecinquecento anni.» «Credi che il mondo sia pronto per questo?» «Non m'interessa, Henrik.» Spinse in avanti il braccio e puntò la pistola. «Ciò che voglio sapere, piuttosto, è come hai fatto a scoprire quelle lettere.»
«Proprio come te, Alfred, anch'io so sempre.» La pistola rimase puntata. «Ti sparerò. Siamo nel mio Paese; saprò gestire la situazione una volta che ti avrò tolto di mezzo. Dal momento che hai rapito mia figlia, non sarà difficile... Un qualche tuo piano di estorsione finito male. Non avrà importanza, in realtà. Di certo non dal tuo punto di vista.» «Credo che ti piacerebbe davvero vedermi morto.» «Non c'è dubbio. Sarebbe molto più semplice sotto ogni aspetto.» Thorvaldsen udì i passi affrettati nello stesso istante in cui vide Gary schizzare fuori del suo nascondiglio e buttarsi su Alfred Hermann. Il ragazzo era alto, asciutto e solido. Il suo slancio fece perdere all'uomo più anziano l'equilibrio e la pistola. Gary rotolò via dal suo antagonista e afferrò l'arma. Hermann sembrava sbalordito dall'attacco. Si alzò sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato. Thorvaldsen si alzò e prese la pistola da Gary. La impugnò saldamente e, senza dare a Hermann il tempo di rimettersi in piedi, lo colpì alla tempia col calcio dell'arma. L'austriaco crollò a terra, stordito. «Sei stato imprudente», disse Henrik a Gary. «Me la sarei cavata.» «E come? Ti stava puntando addosso una pistola!» Non voleva ammettere di essersela vista davvero brutta, perciò si limitò a stringere affettuosamente le spalle del ragazzo. «Non hai torto, figliolo, ma non farlo più.» «Certo, Henrik, non c'è problema. La prossima volta lascerò che ti sparino.» L'uomo sorrise. «Sei proprio come tuo padre!» «Adesso cosa facciamo? C'è un altro tizio fuori!» Thorvaldsen condusse Gary vicino all'uscita. «Esci e digli che Herr Hermann ha bisogno di lui. Lascialo entrare per primo. Ci penserò io.» Malone seguì il tunnel contrassegnato dalla lettera D. La larghezza era appena sufficiente per due persone e s'inoltrava nel profondo delle viscere rocciose. Il tracciato curvò due volte. La luce proveniva da altre lampade a muro a bassa potenza. L'aria gelida e misteriosa aveva un che di acre e gli faceva bruciare gli occhi. Dopo qualche altra curva entrarono in una camera decorata con splendidi affreschi, i cui colori vivaci lo stupirono: il Giudizio Universale, l'inferno che sputava fiamme nel fiume, l'albero di les-
se... Nella parete dalla quale provenivano si aprivano sette porte, ognuna sormontata da una lettera romana. Sulla parete opposta, altre sette porte; anche su ciascuna di quelle spiccava una lettera solitaria. D M V S O A I. «Prendiamo la o, giusto?» Lui sorrise. «Capisci in fretta. Quel bassorilievo è la via d'uscita da questo labirinto: V O S V A V V è la strada che ci rimane da percorrere. Thomas Bainbridge ha lasciato un indizio importante, ma che non ha senso finché non si arriva qui. Ecco perché i Guardiani l'hanno lasciato perdere per trecento anni... Non significa nulla.» «A meno di trovarsi in questo labirinto per topi.» Continuarono ad avanzare lungo il dedalo di passaggi, corridoi fuorvianti e strade senza sbocco. Il tempo e l'energia necessari a costruire i tunnel sfidavano la fantasia di Malone, ma i Guardiani svolgevano il loro compito da oltre duemila anni. Avevano avuto tutto il tempo per dimostrarsi tanto innovativi quanto meticolosi. Apparvero altre sette diramazioni e lui fu lieto di vedere che ogni volta, sopra ogni porta, c'era una lettera del bassorilievo. Teneva la pistola pronta, ma non sentiva nulla davanti a loro. Ogni diramazione custodiva una nuova meraviglia: geroglifici, cartigli, incisioni alfabetiche e simboli cuneiformi. Superata la settima intersezione e imboccato l'ennesimo tunnel, lui seppe di trovarsi di fronte il tratto finale. Svoltarono un angolo e la luce proveniente dall'uscita di fronte a loro fu assai più intensa di quella delle altre diramazioni. McCollum poteva essere lì ad attenderli. Lui fece segno a Pam di seguirlo e avanzarono lentamente. Quando furono arrivati in fondo, rimase nell'ombra e sbirciò dentro. La stanza misurava una dozzina di metri di lato, con lampadari che pendevano dal soffitto. Le pareti arrivavano a un'altezza di sei metri ed erano coperte di mappe a mosaico: l'Egitto, la Palestina, Gerusalemme, la Mesopotamia, il Mediterraneo... I dettagli erano minimi, le linee costiere sfumavano verso l'ignoto e le scritte erano in greco, arabo ed ebraico. Sulla parete opposta c'erano altre sette porte. Quella sormontata dalla lettera M si apriva di sicuro sulla biblioteca stessa. Entrarono nella sala. «Benvenuto, Mr Malone», disse una voce maschile. Due uomini presero forma dall'oscurità di uno degli altri passaggi. Uno di essi era il Guardiano che poco prima McCollum aveva minacciato con
la pistola, ma senza il cappello di paglia. L'altro era Adam, quello dell'appartamento di Haddad e del monastero a Lisbona. Malone puntò l'arma. Né il Guardiano né Adam si mossero. Entrambi si limitarono a fissarlo con espressioni preoccupate. «Non sono vostro nemico», affermò Adam. «Come ha fatto a trovarci?» volle sapere Pam. «Non l'ho fatto. Siete stati voi a trovare me.» Malone pensò a come l'uomo che gli stava di fronte aveva freddato George Haddad, poi notò che Adam era vestito in maniera simile al Guardiano più giovane: pantaloni larghi, mantello infilato sotto la cintola, cintura di corda e sandali. Nessuno dei due era armato. Abbassò la pistola. «Lei è un Guardiano?» domandò ad Adam. «Un fedele servitore.» «Perché ha ucciso George Haddad? «Non l'ho fatto.» Un movimento dietro i due uomini attirò l'attenzione di Malone, che vide una terza figura varcare la soglia. Eve, la donna che Haddad aveva ucciso nell'appartamento a Londra. Viva e vegeta. «Mr Malone, io sono l'assistente bibliotecaria. Le dobbiamo una spiegazione, ma dev'essere rapida.» Lui non si scompose. «Ci siamo recati a Londra per creare un'illusione. Era essenziale che lei procedesse e il bibliotecario pensava che quello stratagemma fosse il modo migliore per raggiungere l'obiettivo.» «Il bibliotecario?» Lei annuì. «Colui che ci guida. Non siamo in molti, ma siamo sempre stati sufficienti per proteggere questo posto. Molti Guardiani hanno prestato servizio; sono certa che avrà notato le loro ossa nella chiesa. Tuttavia il mondo sta cambiando e per noi sta diventando sempre più difficile proseguire la nostra missione. Tra non molto resteremo senza risorse e il nostro tasso di reclutamento, negli ultimi tempi, è desolante. Per non parlare della minaccia.» Lui attese che la donna si spiegasse meglio. «In questi ultimi anni qualcuno ci ha dato la caccia, coinvolgendo persi-
no i governi. L'incidente di cinque anni fa con George Haddad - benché lei fosse riuscito a nasconderlo - ha permesso che ci fosse un invitato noto e privo di protezione, il che non era mai accaduto prima. Tutti gli invitati del passato hanno mantenuto l'impegno alla segretezza, tranne uno: Thomas Bainbridge. Siamo stati fortunati, dato che la sua trasgressione si è rivelata utile... La vostra cerca è stata resa possibile dalla mancanza di volontà di Bainbridge.» «Sapevate che saremmo venuti?» domandò Pam. «Buona parte del vostro viaggio è stata determinata da noi, a parte il fatto che gli israeliani hanno usato modi alquanto aggressivi per cercarvi. Ci sono entrati anche gli americani, ma per ragioni diverse, sembra. Tutti erano intenzionati a svenderci. Il bibliotecario ha deciso di mettere in moto eventi che noi avremmo controllato, in modo da condurre direttamente qui gli attori principali.» «Com'è possibile?» domandò lui. «Siete qui, no?» «Siamo andati a Londra per spronarvi a procedere», intervenne Adam. «Abbiamo utilizzato qualche effetto speciale da palcoscenico per rendere convincente la sparatoria». Guardò Pam. «Il colpo sparato a lei è stato un incidente. Non mi aspettavo di trovarla fuori.» «Siamo in due», disse Malone. «Siamo stati a Lisbona per lo stesso motivo, oltre che per sviare gli israeliani», continuò Adam. «Avevamo bisogno che voi tre arrivaste qui da soli. Quegli altri, nell'abbazia, facevano parte di una squadra della morte del Mossad, ma voi li avete eliminati.» Malone lanciò un'occhiata a Pam. «A quanto pare non sei stata l'unica a essere strumentalizzata.» «L'uomo che è venuto qui con voi si fa chiamare Dominick Sabre, ma il suo nome di battesimo è James McCollum», disse Eve. «Lavora per un'organizzazione nota come Ordine del Toson d'Oro. È venuto per prendersi la Biblioteca.» «Ce l'ho portato io», si rammaricò Malone. «No, noi le abbiamo permesso di portarcelo», precisò Adam. «Dov'è questo bibliotecario?» domandò Pam. Adam indicò le porte. «Lì dentro. È entrato con Sabre, con una pistola puntata addosso.» «Cotton, ti rendi conto di cosa stanno dicendo?» intervenne Pam. «Se Eve non è stata uccisa, vuol dire che...»
«Il bibliotecario è George Haddad.» Eve annuì e i suoi occhi si riempirono di lacrime. «Morirà.» «Ha portato dentro Sabre, sapendo di non tornare», aggiunse il Guardiano più giovane. «Come lo sa?» domandò Malone. «Sia l'Ordine sia Sabre vogliono questo luogo, ciascuno per sé. Quale dei due l'otterrà è ancora da vedersi, ma verremo uccisi tutti in ogni caso. Dal momento che siamo così pochi, non sarà un'impresa difficile.» «Non avete armi?» Adam scosse la testa. «Non sono permesse.» «Quello che c'è là dietro... È qualcosa per cui vale la pena morire?» domandò Pam. «Senza dubbio», affermò Adam. Malone sapeva cosa stava succedendo. «Il vostro bibliotecario si è reso responsabile della morte di un Guardiano, molto tempo fa. Crede che la propria morte sia una riparazione per quel peccato.» «Lo so», disse Eve. «Stamattina vi abbiamo visti scendere col paracadute e abbiamo capito che sarebbe stato il suo ultimo giorno. Mi ha detto ciò che intendeva fare.» La donna fece un passo avanti. Ormai le lacrime le rigavano le guance. «Ha detto che lei avrebbe fermato quello che sta accadendo, perciò lo salvi! Non è necessario che lui muoia. Ci salvi tutti!» Malone guardò il passaggio contrassegnato dalla lettera M e strinse forte la pistola. Lasciò cadere lo zaino sul pavimento e disse a Pam: «Rimani qui». «No. Vengo anch'io», obiettò lei. La guardò in faccia. Quella donna, che lui aveva al contempo amato e odiato, sembrava trovarsi davanti a un bivio, proprio come Haddad. «Voglio aiutarti», insistette. Lui non aveva idea di cosa sarebbe successo là dentro. «Gary ha bisogno di almeno un genitore.» Lei inchiodò lo sguardo su di lui. «Anche quel vecchio ha bisogno di noi!» 77 Maryland Stephanie ascoltava il giornale radio della Fox. Parlavano dell'esplosione
dell'auto: il numero di targa era stato identificato e anche il proprietario. I clienti del ristorante avevano confermato la sua identificazione fisica, oltre a descrivere la donna che si era seduta a tavola con lui. I testimoni avevano raccontato che la donna - insieme con un'altra persona di sesso femminile e dalla pelle scura - aveva abbandonato la scena poco prima dell'arrivo della polizia. Niente di strano che nessun notiziario riferisse il ritrovamento di cadaveri di uomini armati a pochi chilometri dalla scena dell'esplosione; il repulisti dei Servizi Segreti era stato rapido e accurato. Erano a bordo di un'altra auto statale, una Chevrolet Tahoe, fornita da Daniels. Il presidente le voleva lontane da Camp David prima che lei chiamasse. Ora si trovavano centodieci chilometri più a sud, alla periferia settentrionale di Washington. Stephanie prese il cellulare e compose il numero di Green. «Stavo aspettando», disse lui in risposta. «Hai sentito di Daley?» «Avevamo un posto in prima fila.» Gli raccontò quel che era successo al ristorante. «Cosa ci facevate là?» «Colazione. Offriva lui.» «Sei sarcastica per qualche ragione?» «Veder morire un uomo peggiora notevolmente il mio umore.» «Cosa sta succedendo?» chiese Green. «Gli stessi che hanno fatto fuori Daley hanno cercato di uccidere Cassiopea e me, ma siamo riuscite a scappare. A quanto pare stavano alle costole di Daley e ci hanno preso di mira subito dopo che siamo uscite dal ristorante.» «Sembra che tu abbia parecchie vite, Stephanie.» «Daley mi ha raccontato diverse cose, Brent. C'è in ballo roba grossa di cui lui era al corrente. Aveva tanto di prove.» «Era lui il traditore?» «Per niente. Lo scettro va al vicepresidente; Daley aveva accumulato un bel po' di materiale su di lui.» Stephanie teneva l'auto in carreggiata e ascoltava il silenzio all'altro capo del telefono. «Prove concrete?» «Abbastanza per il Washington Post. Era terrorizzato, ecco perché ha voluto incontrarmi. Gli serviva aiuto. Mi ha dato un po' di roba.» «Allora la tua vita è in pericolo, Stephanie!»
«Questo l'avevamo già intuito. Ci serve il tuo aiuto.» «L'avrete, naturalmente. Cosa vuoi che faccia?» «Quelle chiavette USB che ho preso a casa di Daley sono collegate alle prove in mio possesso. Insieme sono sufficienti ad abbattere il vicepresidente. Tolto di mezzo lui, sapremo il resto, essendo improbabile che cada generosamente da solo. L'alto tradimento prevede una pena severa; la giuria prenderà in seria considerazione la condanna a morte.» Ancora silenzio. «Sai se Cotton si è fatto vivo?» domandò lei. «Non me l'hanno detto. Non ho saputo nulla da nessuno. Thorvaldsen ha contattato Cassiopea?» «Neanche una parola.» Stephanie si sentì stringere il cuore nel rendersi conto che Brent Green era coinvolto. La sua espressione addolorata fece capire a Cassiopea che quell'uomo aveva tradito. «Dobbiamo vederci, Brent. In privato... Solo tu, io e Cassiopea. Che programmi hai?» «Nessuno che non possa cambiare.» «Bene. Daley aveva altre prove che, secondo lui, avrebbero chiarito definitivamente chi altro è coinvolto. Le stava raccogliendo da un po'. Quelle chiavette che hai lì contengono conversazioni registrate del capo di gabinetto del vicepresidente, che parlano della successione dopo la morte del presidente. C'è di più... Dobbiamo vederci a casa di Daley. Puoi raggiungerla?» «Certo. Sai dove sono nascoste le informazioni?» «Me l'ha rivelato lui stesso.» «Occupiamocene, allora!» «Il piano è questo. Ci vediamo là tra mezz'ora.» Riattaccò. «Mi dispiace», disse Cassiopea. Stephanie non aveva intenzione di tormentarsi a causa di un fallimento altrui. «Dobbiamo drizzare le antenne. Green ha fatto uccidere Daley, ormai è evidente... Sta tramando per sbarazzarsi del presidente.» «Nonché di noi due», gli ricordò Cassiopea. «Quegli uomini lavoravano per i sauditi. A quanto pare i sauditi pensano che Green e il vicepresidente siano dalla loro parte, tuttavia il vicepresidente sta trattando anche con l'Ordine... Ciò significa che i sauditi non vedranno mai un bel niente. Andrà tutto all'Ordine, il quale ne farà l'uso che vorrà.» La strada s'intasò non appena si avvicinarono al centro di Washington.
Stephanie rallentò e disse: «Speriamo che gli arabi mangino la foglia prima di decidere di occuparsi di noi». 78 Penisola del Sinai George Haddad condusse il suo carnefice dentro la Biblioteca di Alessandria. Il salone sotterraneo era così illuminato da abbagliare. Le pareti erano ravvivate da mosaici raffiguranti scene di vita quotidiana: un barbiere all'opera, un callista, un imbianchino, uomini che tessevano il lino. Lui ricordava ancora la sua prima visita, ma il suo aggressore non sembrava colpito. «Da dove viene l'elettricità?» «Lei ha un nome?» volle sapere Haddad. «Non è una risposta.» L'altro aggrottò la fronte in un'espressione perplessa. «Sono solo un vecchio, non costituisco certo una minaccia per lei. Sono semplicemente curioso.» «Mi chiamo Dominick Sabre.» «È venuto per sé o per altri?» «Per me. Ho deciso di diventare bibliotecario.» Haddad sorrise. «Lo troverà un lavoro stimolante.» Sabre parve rilassarsi e cominciò a osservare l'ambiente. La sala era simile a una cattedrale, con le pareti spioventi e il soffitto a botte. Il granito rosso lucidato splendeva come una gemma. Dal pavimento si levavano colonne alte sino al soffitto, ricavate dalla stessa roccia e decorate da lettere, volti, piante e animali. Tutte le sale e i tunnel erano stati un tempo miniere dei faraoni, abbandonate da secoli già all'epoca di Cristo e ricostruite, nel corso dei secoli successivi, da uomini ossessionati dal sapere. All'epoca la luce proveniva da torce e lampade; soltanto nell'ultimo secolo la tecnologia aveva permesso di sbarazzarsi della fuliggine e restaurare la bellezza originaria. Sabre indicò un emblema a mosaico, in bella evidenza sulla parete opposta. «Cos'è?» «La parte anteriore di una slitta egizia, a forma di testa di sciacallo. Sopra la slitta c'è un blocco pesante... È il geroglifico che indica la meraviglia. Ogni sala della Biblioteca ha un simbolo che corrisponde al suo no-
me. Questa è appunto la Sala della Meraviglia.» «Non mi hai ancora detto da dove viene l'elettricità.» «Energia solare. È a basso voltaggio, ma sufficiente ad alimentare illuminazione, computer e strumenti di comunicazione. Sapeva che il concetto di energia solare ha oltre duemila anni? Convertire la luce in energia... Eppure l'idea è caduta nel dimenticatoio sino a cinquant'anni fa, quando qualcuno ha ricominciato a pensarci.» Sabre mosse la pistola. «Dove conduce quel passaggio?» «Alle altre quattro sale, dette della Sfera, dell'Eternità, della Vita e la Sala di Lettura. Tutte contengono pergamene, come vede. In questa sala ce ne sono circa diecimila.» Haddad si spostò con calma verso il centro della stanza. Recipienti di pietra romboidali rovesciati sul fianco si estendevano per lunghe file; tutti contenevano rotoli accatastati alla meglio. «Molti di questi sono ormai illeggibili. L'età ha fatto sentire il suo peso, ma c'è ancora molto, qui. Opere del matematico Euclide e del medico Erofilo, le Storie di Manetone sui primi faraoni, le opere di Callimaco, poeta e grammatico...» «Tu parli molto.» «Ho solo pensato che, se intende diventare bibliotecario, dovrebbe cominciare a imparare il mestiere.» «Com'è potuto sopravvivere, tutto questo?» «I Guardiani originari hanno scelto bene questo sito. La montagna è asciutta. L'umidità è rara nel Sinai e l'acqua è la più grande nemica della parola scritta... oltre al fuoco, ovviamente.» Indicò gli estintori collocati a intervalli regolari in tutta la sala. «Siamo preparati all'evenienza.» «Vediamo le altre sale.» «Naturalmente! Lei deve vedere tutto.» Condusse Sabre verso la soglia, compiaciuto. Evidentemente il suo aggressore non aveva idea di chi lui fosse. Il che avrebbe dovuto se non altro pareggiare le probabilità. Hermann aprì gli occhi. Tre farfalle gli si erano posate sulla manica. Era disteso a braccia spalancate sulla terra color stucco della Schmetterlinghaus. La testa gli faceva male. Ricordò il colpo che Thorvaldsen gli aveva sferrato: non sapeva che il danese fosse capace di una tale violenza. Si sollevò e vide il capo della sicurezza steso bocconi, più o meno a sei metri da lui. La pistola era sparita.
Raggiunse barcollando il suo dipendente, contento che non ci fosse nessuno nei paraggi. Diede un'occhiata all'orologio: era rimasto al tappeto per venti minuti. La tempia sinistra gli pulsava. Seguì cautamente col dito il profilo di un bernoccolo. Thorvaldsen avrebbe pagato per quell'aggressione. Il mondo era ancora instabile ai suoi occhi, ma lui si dominò e si ripulì gli abiti dalla terra. Si chinò e svegliò il capo della sicurezza, scuotendolo. «Dobbiamo andare», disse. L'altro si massaggiò la fronte e si alzò. Hermann assunse un'espressione severa e ordinò: «Non dire una parola di questo. A nessuno!» Il suo scagnozzo annuì. Lui raggiunse la cabina telefonica e sollevò la cornetta. «Trovami Henrik Thorvaldsen, per piacere.» Fu sorpreso nel sentire la voce all'altro capo del filo dirgli che sapeva già dove si trovasse l'uomo. «Fuori, all'ingresso. Si sta preparando a partire.» 79 Penisola del Sinai Sabre non riusciva a credere alla propria fortuna. Aveva trovato la Biblioteca di Alessandria! Era circondato da rotoli, papiri, pergamene e quelli che il vecchio chiamava codici: piccoli volumi compatti, con le pagine friabili e scurite, appoggiati orizzontalmente sugli scaffali uno di fianco all'altro, come cadaveri. «Come mai l'aria è così fresca?» volle sapere. «I ventilatori convogliano l'aria secca dall'esterno e durante il tragitto viene rinfrescata dalla montagna... Un'altra innovazione apportata negli ultimi decenni. I Guardiani che mi hanno preceduto erano ingegnosi e prendevano assai sul serio il loro incarico. Lo farà anche lei?» Si trovavano nella terza sala - quella dell'Eternità - contraddistinta da un altro geroglifico a mosaico in alto sulla parete, raffigurante un uomo accovacciato con le braccia alzate come un arbitro di football nell'atto di segnalare un touchdown. Altri scaffali pieni di codici ne coprivano l'intera lunghezza, intervallati da stretti corridoi. Il bibliotecario aveva spiegato che quei libri risalivano al VII secolo, ovvero appena prima che la Biblioteca
originale fosse saccheggiata per l'ultima volta dai musulmani. «Molto materiale venne recuperato nel corso dei mesi che portarono a quel cambiamento di dominio politico», spiegò il bibliotecario. «Queste parole non esistono in nessun altro luogo del pianeta. Fatti e avvenimenti ciò che il mondo considera storia - cambierebbero il loro corso se questi documenti venissero studiati.» Ciò che Sabre sentiva gli piaceva sempre più. Si poteva tradurre tutto in una sola parola: potere. Doveva saperne di più, e in fretta... Malone poteva aver costretto un altro Guardiano a guidarlo attraverso il labirinto. Era altresì possibile che il suo avversario si limitasse ad aspettare sin quando lui non fosse uscito. Sembrava più logico... Sabre aveva segnato ogni porta che avevano imboccato con una X graffiata nella pietra, quindi trovare l'uscita sarebbe stato facile. A quel punto, si sarebbe occupato di Malone. Prima, però, doveva conoscere la risposta alla domanda che gli avrebbe posto Alfred Hermann. «Ci sono manoscritti sull'Antico Testamento?» Haddad si rallegrò del fatto che il suo ospite fosse finalmente arrivato al punto di quella visita. Si era dato parecchio da fare affinché accadesse: dopo aver simulato la propria morte a Londra aveva riempito l'appartamento di microspie e telecamere e aveva atteso, vigilando nell'eventualità che arrivasse qualcun altro. Di certo l'uomo che gli stava puntando contro una pistola aveva trovato le informazioni lasciate a bella posta sul computer e sul nastro. Haddad aveva aspettato Malone a Bainbridge Hall, giacché il materiale che aveva nascosto sotto il letto portava direttamente là. L'arrivo di Sabre era stato decisamente spiazzante e l'uccisione dei due uomini che lui stesso aveva mandato nel palazzo non aveva fatto che confermare le cattive intenzioni dell'uomo. Uno dei Guardiani era riuscito a seguire Malone al Savoy e aveva assistito alla sua colazione con Sabre, poi quegli stessi occhi avevano visto i due - insieme con l'ex moglie di Malone - imbarcarsi su un volo per Lisbona. Essendo stato lo stesso Haddad a escogitare la cerca intrapresa da Malone, sapeva perfettamente dove fossero diretti i tre. Ecco perché Adam ed Eve erano stati mandati a Lisbona: per assicurarsi che nulla impedisse a Malone e al suo nuovo alleato di raggiungere il Sinai. Haddad aveva creduto che la minaccia sarebbe provenuta da un governo
israeliano, saudita o americano, ma ormai si era reso conto che il pericolo più grande era rappresentato dall'uomo a due metri da lui. Aveva sperato che Sabre lavorasse per sé e ora, avvertendo l'aspettativa nelle parole e nelle azioni di quell'uomo, si sentiva certo che la minaccia fosse contenibile. «Abbiamo molti testi riguardanti la Bibbia», rispose. «È un argomento che la Biblioteca ha sempre studiato con grande interesse.» «L'Antico Testamento in ebraico. Ne avete qualche manoscritto?» «Tre. Due presumibilmente copiati da testi precedenti e uno originale.» «Dove?» Indicò la porta da cui erano entrati. «Due sale prima di questa, nella Sala della Sfera. Se davvero intende diventare bibliotecario, dovrà imparare dove sono conservati i materiali.» «Cosa dicono quelle bibbie?» Haddad finse di non capire. «Come sarebbe a dire?» «Ho visto delle lettere di san Girolamo e sant'Agostino. Parlavano di un cambiamento nell'Antico Testamento, di certe traduzioni che erano state alterate. Ci sono stati altri quattro invitati che studiavano queste cose, l'ultimo dei quali cinque anni fa... Un palestinese, secondo cui l'Antico Testamento documentava la presenza degli ebrei non in Palestina bensì altrove, in Arabia Saudita. Che cosa sai di questo?» «Parecchio. Quegli uomini avevano ragione: le traduzioni accreditate della Bibbia sono errate. L'Antico Testamento documenta davvero la presenza degli ebrei in un luogo diverso dalla Palestina... L'Arabia occidentale, per la precisione. Ho letto molti manoscritti che lo provano, qui nella Biblioteca. Ho anche visto mappe dell'antica Arabia che riportano i siti biblici.» La pistola si sollevò, puntata dritta contro di lui. «Fa' vedere.» «A meno che lei non sappia leggere l'ebraico o l'arabo, non avranno nessun significato.» «Te lo ripeto, vecchio: fammi vedere, oppure ti ammazzo e tento la fortuna coi tuoi subalterni.» L'altro scrollò le spalle. «Cercavo solo di rendermi utile.» Sabre non aveva la minima idea se i fogli e i codici dispiegati di fronte a lui fossero ciò che Alfred Hermann cercava, ma non aveva importanza. Intendeva controllare tutto quello che lo circondava. «Questi sono trattati scritti nel II secolo da filosofi che studiarono ad Alessandria», spiegò il bibliotecario. «Gli ebrei stavano cominciando pro-
prio allora a diventare una forza politica in Palestina, proclamando le loro presunte antiche radici e reclamando il loro diritto su quella terra. Le suona familiare? Questi studiosi hanno stabilito che le famose antiche radici non erano mai esistite. Hanno studiato i testi ebraici dell'Antico Testamento che la Biblioteca ha conservato - e hanno concluso che i fatti, così com'erano stati raccontati oralmente dagli ebrei, risultavano assai diversi nei testi, specialmente quelli più antichi. Sembra che col passare del tempo i racconti siano stati sempre più adattati a quella che era diventata la patria degli ebrei: la Palestina. Avevano semplicemente dimenticato il loro passato in Arabia. Se non fosse per i toponimi che sono rimasti uguali e l'Antico Testamento scritto nell'ebraico originale, tutto questo non sarebbe mai stato scoperto.» Il bibliotecario indicò uno dei codici. «Quello è molto più recente. È del V secolo, quando i cristiani decisero di volere che l'Antico Testamento fosse incluso nella loro Bibbia. Quel trattato testimonia che le traduzioni furono alterate per conformare l'Antico al Nuovo Testamento, allora emergente. Si trattò di un tentativo consapevole di plasmare un messaggio sfruttando la storia, la religione e la politica.» Sabre osservava i libri. Il bibliotecario indicò un altro mucchio di pergamene, chiuse in un contenitore di plastica trasparente. «Quella è la Bibbia più antica che abbiamo. Scritta quattrocento anni prima di Cristo, tutta in ebraico. Non esiste nulla di simile al mondo! Credo che la Bibbia più antica al di fuori di questa stanza risalga a novecento anni dopo Cristo. È questo che sta cercando?» Sabre non rispose. «Lei è un uomo strano», disse il bibliotecario di punto in bianco. «Come sarebbe?» «Sa quanti invitati si sono avventurati qui? Molte migliaia, nel corso dei secoli. Il nostro registro degli ospiti è impressionante. È cominciato nel XII secolo con Averroè, il filosofo arabo autore di scritti critici su Aristotele, che sfidò Agostino. Ha studiato qui. I Guardiani dell'epoca avevano deciso che era venuto il momento di condividere tutto questo sapere, ma in maniera selettiva. Molti dei loro nomi non sono passati alla storia; erano soltanto uomini e donne d'intelligenza eccezionale che avevano attirato l'attenzione dei Guardiani... Menti che hanno lasciato un proprio contributo individuale al nostro sapere. Ai tempi in cui non c'erano radio, televisione e computer, i Guardiani vivevano nelle grandi città, sempre all'erta in cerca di potenziali invitati. Tommaso d'Aquino, Dante, Petrarca, Boccaccio,
Poussin, Chaucer... Ecco quali persone sono entrate in questa sala! Montaigne ha scritto qui i suoi Saggi. Francis Bacon ha concepito il suo famoso detto, 'considero mia sfera tutto il sapere', proprio qui nella Sala della Sfera.» «Tutto questo dovrebbe dirmi qualcosa?» Il vecchio scrollò le spalle. «Sto semplicemente cercando di spiegarle il suo compito. Lei dice di voler diventare bibliotecario: in tal caso le verrà concesso un notevole privilegio. Quanti hanno servito in passato hanno conosciuto Copernico e Keplero, Cartesio, Robespierre e Benjamin Franklin. Persino lo stesso Newton! Tutte quelle anime erudite hanno tratto beneficio da questo luogo e il mondo ha tratto beneficio dalla loro capacità di comprendere e sviluppare la conoscenza.» «Nessuno di loro ha mai detto di essere stato qui?» «Perché avrebbero dovuto? Noi non andiamo in cerca di onori e loro, tacendo, hanno ottenuto tutto il riconoscimento. Li abbiamo aiutati? Ebbene, era il nostro compito. È stata una bella impresa, riuscire a mantenere in vita tutto questo. Saprà portare avanti questa tradizione?» Dal momento che non aveva nessuna intenzione di permettere ad altri di vedere quel luogo, l'altro domandò ciò che realmente voleva sapere. «Quanti Guardiani ci sono?» «Nove. I nostri ranghi si sono alquanto assottigliati.» «Dove sono? Ne ho visti soltanto due, fuori.» «Il monastero è grande. Erano impegnati nei loro compiti.» Lui fece un cenno con la pistola. «Torniamo alla prima sala. Voglio vedere qualcos'altro.» Il vecchio s'incamminò. Sabre si domandò se ucciderlo seduta stante, ma ormai Malone doveva aver capito cosa stava succedendo. Se non lo stava aspettando dall'altra parte del labirinto, vi si era addentrato lui stesso. In ogni caso quel vecchio si sarebbe dimostrato utile. 80 Malone girò l'ultimo angolo e scorse una porta contornata da due leoni alati con la testa umana. Conosceva quel simbolismo: la mente dell'uomo, la forza dell'animale, l'ubiquità del volatile. La porta di marmo a due battenti si apriva su cardini di bronzo. Entrarono e sgranarono gli occhi a quell'opulenza.
Lui si domandò, meravigliato, quanto tempo doveva essere occorso per creare qualcosa di tanto straordinario. File di grandi contenitori diagonali occupavano il pavimento di mattonelle, interrotti da stretti corridoi, tutti pieni zeppi di rotoli. Si avvicinò a un contenitore ed estrasse l'involto che stava in cima. Il documento era in condizioni ottime, ma lui non osò svolgerlo. Guardò dentro il cilindro e vide che la scrittura era ancora leggibile. «Non ho mai immaginato che potesse esistere qualcosa di simile», commentò Pam. «È al di là di ogni comprensione.» Lui aveva visto cose sorprendenti, ma nulla di tanto meraviglioso quanto lo spettacolo di tutto ciò che quella sala conteneva. Su una delle lucenti pareti rosse, in alto, notò altre parole in latino: AD COMMUNEM DELECTATIONEM. Per il diletto di tutti. «I Guardiani hanno compiuto un'impresa straordinaria.» Notò un'incisione su una delle pareti. Si avvicinò: era una mappa di ciò che li aspettava, coi nomi delle sale in latino. Li tradusse uno a uno, ad alta voce, a beneficio di Pam. «Cinque sale. Potrebbero essere ovunque.» Un movimento all'altezza della porta opposta attirò la sua attenzione. Vide George Haddad, seguito da McCollum. «Sta' giù!» ordinò a Pam e sollevò l'arma. McCollum lo vide e spinse Haddad a terra, poi mirò verso il fondo della stanza e sparò. Malone si gettò sul pavimento, riparandosi dietro gli scaffali che li separavano. Il proiettile lasciò il segno sulle colonne di granito alle sue spalle.
«Ti muovi in fretta», commentò McCollum dall'altra parte della stanza. «Non volevo che ti sentissi troppo solo.» «Il bibliotecario mi ha tenuto compagnia.» «Avete fatto conoscenza?» «Parla troppo, ma conosce il posto.» «E adesso?» volle sapere lui. «Temo che tu e la tua ex dobbiate morire.» «Ti avevo avvertito di non metterti contro di me!» «Fatti sotto, Malone! Non ho intenzione di perdere adesso, dopo che sono arrivato sin qui. Facciamo una cosa pulita: me contro te, qui e ora. Se vinci, il vecchio e la tua ex sono salvi. D'accordo?» «Hai stabilito tu le regole. Agisci di conseguenza!» Haddad ascoltò lo scambio di battute tra Sabre e Malone. Quei due avevano un conto da pareggiare e lui doveva ripagare il suo debito. Ripensò al Guardiano di tanti decenni prima, quel giovane che aveva alzato su di lui occhi pieni di fermezza. Lui, semplicemente, non aveva capito... Ma ora, avendo visto la Biblioteca ed essendone divenuto il bibliotecario, sapeva anch'egli ciò che aveva saputo quel fatidico personaggio nel 1948. Aveva ucciso quel brav'uomo senza ragione. L'aveva rimpianto per tutta la vita. «Alzati!» ordinò Sabre al bibliotecario e guardò il vecchio tirarsi su.
«Bene, Malone, io sto agendo. Eccolo che arriva!» Mosse la mano che impugnava la pistola. «Vai.» Il bibliotecario avanzò lentamente lungo il corridoio tra i contenitori diagonali. Sabre mantenne la sua posizione, accovacciato dietro l'estremità di una delle file. A poco meno di dieci metri di distanza il bibliotecario si fermò e si voltò. I suoi occhi lo trafissero. Il vecchio lo lasciava perplesso: c'era qualcosa in lui che indicava pericolo, come se l'anima dietro quegli occhi avesse già vissuto la scena e non ne fosse impaurita. Si domandò se ucciderlo, ma in quel modo avrebbe rischiato d'incitare Malone. Non voleva farlo. Non ancora. Malone era l'unico ostacolo rimasto. Una volta sbarazzatosi di lui, la Biblioteca sarebbe stata sua. Si sentì sollevato quando il vecchio, finalmente, si allontanò. 81 Washington, DC Stephanie parcheggiò in fondo alla via in cui abitava Daley e lei e Cassiopea fecero il resto della strada a piedi: nessun segno di Brent Green o altri. Si avvicinarono alla porta d'ingresso, dove Cassiopea scassinò nuovamente la serratura e Stephanie neutralizzò l'allarme. Notò che il codice di sicurezza non era cambiato. Daley l'aveva lasciato com'era anche dopo che erano riuscite a entrare... Stupidità o un'ulteriore prova del fatto che lo aveva mal giudicato? L'interno della casa era silenzioso. Cassiopea passò in rassegna tutte le stanze per assicurarsi che fossero sole. Stephanie si soffermò nella nicchiaufficio dove avevano trovato le chiavette USB, poi entrambe si misero in attesa vicino alla porta d'ingresso. Dieci minuti dopo sopraggiunse un'auto. Stephanie sbirciò da dietro le tende e vide Green alzarsi dal posto di guida e dirigersi verso l'ingresso. Da solo. Rivolse un cenno del capo a Cassiopea, poi aprì la porta. Green indossava il suo tipico completo scuro con cravatta. Non appena il procuratore generale fu entrato, Stephanie chiuse la porta a chiave. Cassio-
pea prese posizione accanto a una finestra. «D'accordo, Stephanie. Puoi dirmi cosa sta succedendo?» «Hai portato le chiavette USB?» Lui infilò una mano nella tasca della giacca e le tirò fuori. «Hai ascoltato le registrazioni?» Lui annuì. «Naturalmente. Le conversazioni sono interessanti, ma assolutamente non incriminanti. Si parla del Venticinquesimo Emendamento, ma chiacchierare non costituisce reato. Di certo non si discute, né si allude, a qualche cospirazione.» «È per questo che Daley ha raccolto altro materiale», replicò lei. «Mi ha detto che lo stava cercando da un po'.» «Stava cercando cosa?» Lei notò una vampata d'irritazione. «La cospirazione, Brent! Il vicepresidente ha intenzione di uccidere Daniels. Ha progettato la cosa in modo che succeda durante una visita a sorpresa che il presidente farà in Afghanistan la settimana prossima.» Stephanie l'osservò mentre le sue parole - la conferma che lei sapeva di cosa stava parlando - facevano presa. Green rimase imperturbabile. «Quali prove ha trovato Daley?» «Altre conversazioni. In effetti ha piazzato delle microspie nell'ufficio privato del vicepresidente... Non dev'essergli stato difficile, essendo lui stesso incaricato di controllare che non fosse monitorato. Pare che il vicepresidente sia collegato all'Ordine del Toson d'Oro. Il suo capo, Alfred Hermann, ha pianificato l'attacco all'aereo presidenziale con un missile. Si è accordato nientemeno che con gli uomini di bin Laden.» «Stephanie... Voglio sperare che Daley abbia raccolto prove sostanziose, perché queste sono accuse incredibili.» «Tu stesso hai detto che l'intera amministrazione è una fogna. Hai detto che volevi prenderli... Ebbene, ecco la tua occasione!» «Come facciamo a dimostrarlo?» «Qui ci sono le registrazioni. Daley me le ha descritte. Ha detto che riguardano tutte le persone coinvolte. Stavamo partendo per tornare qui quando la macchina è esplosa.» Green era fermo nell'ingresso davanti alle scale, nel punto in cui il giorno prima si erano trovati Daley e Heather Dixon. Sembrava immerso in profonde riflessioni. Naturalmente, anche se quell'uomo le aveva mentito su Thorvaldsen e non aveva riferito al presidente nulla di quanto Henrik aveva scoperto, occorrevano loro prove concrete del suo tradimento.
«So dove ha nascosto le registrazioni», dichiarò lei. Finalmente gli occhi di Green comunicarono un certo interesse. Cassiopea rimase vicino alla finestra, in disparte. Stephanie condusse Green alla nicchia-ufficio con la piccola scrivania e gli stretti scaffali. Su un ripiano c'era una fila di CD in custodie di plastica. Era tutta musica strumentale di varie nazioni; c'era persino qualche canto gregoriano, cosa che lei trovò curiosa. Prese una delle custodie - Meraviglie del Tibet - e l'aprì. All'interno, invece del CD musicale, c'era un altro disco. Lo estrasse dal supporto e commentò: «Gli piaceva nascondere la sua roba a portata di mano». «Cosa c'è esattamente, lì sopra?» «Secondo lui, questo rivelerebbe chi altro fa parte della cospirazione. Ha detto che si arriva a un livello assolutamente insospettabile.» Stephanie si sentiva fremere i nervi per l'emozione. «Vuoi ascoltare?» Green non disse nulla. «Perché hai esposto il file del Rapporto Alexandria?» gli chiese lei. «Te l'ho detto: per trovare il traditore. Ci ha portato in diverse direzioni. È così che abbiamo scoperto il collegamento israeliano con Pam Malone. Esporre quel file ha messo in moto tutto.» «Tu ci hai avuto accesso?» «Perché tutte queste domande, Stephanie?» «Perché non sapevo neppure che tu fossi al corrente del Rapporto Alexandria e tantomeno che lo conoscessi abbastanza a fondo da pensare che avrebbe potuto servire da esca per Israele.» Green inclinò il capo con aria beffarda. «Non me l'aspettavo. Un controinterrogatorio?» Lei non aveva intenzione di concedergli tregua, non in quel momento. «La prima volta che ne abbiamo parlato hai detto chiaramente di aver esposto il file di proposito perché non conteneva granché, salvo un riferimento al fatto che Malone sapeva dove vivesse George Haddad. Tuttavia hai parlato specificamente del patto abramico. Come lo sapevi?» «Quel file non era poi tanto segreto.» «Davvero? Non è quello che ha detto Daley. Lui ha sottolineato che quelle informazioni erano scarse e relativamente sconosciute al di fuori di una cerchia ristretta di persone sceltissime.» Stephanie caricò le proprie parole d'insolenza. «Tu non eri nella lista, eppure sapevi un bel po' di cose.» Green uscì dalla nicchia e tornò verso lo studiolo.
Lei lo seguì. Cassiopea era scomparsa. Stephanie si guardò attorno, preoccupata. «I miei soci si sono occupati di lei», disse Green. La cosa non le piacque. «E di me, chi si occupa?» Green s'infilò la mano sotto la giacca e tirò fuori una pistola. «Questo compito spetta a me. Prima, però, dovevo parlarti in privato.» «Per capire quanto so? Quanto sa Cassiopea? E chi altro lo sa?» «Dubito che tu goda di protezioni particolari... dopotutto, Stephanie, non sei la persona più amata da questo governo. Daley ha cercato di aggrapparsi a te, ma non ha funzionato.» «Sei stato tu?» Green annuì. «Abbiamo imbottito l'auto di esplosivo e atteso il momento giusto. Fa tutto parte dell'attacco terroristico alla nazione che comincia con Daley e finirà con Daniels. Il Paese entrerà in un vero e proprio delirio patriottico.» «Che il vicepresidente sfrutterà dopo aver prestato giuramento. A quel punto avrà bisogno a propria volta di un vicepresidente... e qui entri in scena tu.» «Non mi restano grandi opportunità di carriera, Stephanie. Bisogna prendere quel che arriva. Io rappresenterò la scelta perfetta per affrontare la crisi. Sarò confermato all'unanimità.» «Sei patetico!» Lui le lanciò uno sguardo carico di biasimo per se stesso. «Te lo concedo. Dopotutto ti restano pochi minuti da vivere... In ogni caso, tu avresti dovuto essere coinvolta nell'attacco. Quando sei spuntata in quel ristorante ho pensato bene di aggiungere un altro strato, ma in qualche modo sei riuscita a evitare gli uomini che avevamo inviato. Ancora non so come tu abbia fatto.» «Un buon addestramento fa tutta la differenza del mondo.» Green le rivolse un sorriso glaciale. «Mi mancherà il tuo senso dell'umorismo.» «Ti rendi conto di quello che stai facendo? Di ciò che implica il rovesciamento violento di un presidente regolarmente eletto?» «Credo che tecnicamente si definisca alto tradimento, benché Danny Daniels sia un uomo debole e inetto che non sa cos'è meglio per il Paese. Vuole rimanere amico d'Israele a tutti i costi e questo ci ha paralizzati in Medio Oriente. È ora che i favori dell'America cambino obiettivo; gli arabi
hanno molto di più da offrire.» «E il Rapporto Alexandria ve lo farà ottenere?» Lui scrollò le spalle. «Non lo so. È un problema del nuovo presidente e lui sostiene di avere tutto sotto controllo.» «Ci tieni così tanto a restare in ballo?» «Non definirei la vicepresidenza degli Stati Uniti restare in ballo. Avendo svolto un ruolo fondamentale nella transizione del potere, godrò di un ascendente unico. Molte responsabilità e poca visibilità.» «Vuoi uccidermi?» «Non ho scelta. Quel CD m'incrimina sicuramente. Non posso lasciarlo in circolazione, così come non posso lasciare in circolazione te.» Stephanie si domandò dove avessero portato Cassiopea. Le cose non stavano andando secondo i piani. Non aveva previsto che lo stesso Green potesse essere armato... Un pensiero le balenò in mente. Temporeggiare. «Il procuratore generale degli Stati Uniti vuole spararmi?» «Ci ho pensato per tutto il giorno e purtroppo non vedo alternative.» «Dove sono finiti tutti quei valori cristiani di cui ti ho sentito parlare tanto?» «Siamo nel pieno di una guerra e le regole sono cambiate. È questione di sopravvivenza, Stephanie! Ho ascoltato le registrazioni che Daley aveva salvato sulle chiavette USB: il capo di gabinetto del vicepresidente parlava molto di successione presidenziale... Troppo. Non è una prova incriminante, ma darebbe luogo a domande. Evidentemente Daley stava indagando e in quel disco potrebbe esserci molto di più. Bisogna finirla qui! Naturalmente il tuo cadavere non verrà mai trovato; c'è una bara che ti aspetta presso l'ambasciata saudita. Un loro inviato è morto e desiderava essere sepolto in patria. Tornerai in Arabia con lui, su un volo diplomatico.» «Hai pensato proprio a tutto, eh?» «Gli amici possono essere utili. Lo sto imparando... Ho lavorato in solitaria per molto tempo, ma mi piace far parte di una squadra. I sauditi vogliono la distruzione d'Israele e noi abbiamo promesso loro che sarà fattibile. Gli israeliani credono che i sauditi siano dalla loro parte in questa faccenda, ma non è così... Lavorano con noi sin dal principio.» «Si vede che non hanno idea di che pezzi di merda doppiogiochisti siete! È tutta questione di denaro e potere, niente di più!» «C'è qualcos'altro che vorresti dire?» Lei scosse la testa.
Il colpo partì. 82 Vienna Thorvaldsen era con Gary. Non appena i due erano usciti dalla Schmetterlinghaus, lui aveva chiamato Jesper e si era fatto mandare un'auto con autista. Quando lui e Gary fossero stati sulla via del ritorno a Copenhagen, avrebbe dato istruzioni al suo assistente di liberare Margarete. Non si era preoccupato di portar via i vestiti: non ce n'era stato il tempo. Tutto ciò che aveva preso con sé era l'atlante rubato dalla biblioteca, contenente le lettere di san Girolamo e sant'Agostino. Le auto andavano e venivano lungo il viale alberato che portava all'ingresso principale. Non tutti i membri dell'Ordine si fermavano a palazzo; molti preferivano far visita agli amici o godersi i loro alberghi preferiti a Vienna. Lui riconobbe alcuni di quelli in arrivo e si fermò un momento a chiacchierare, anche per non dare nell'occhio. Dovevano svignarsela con le lettere prima che Hermann si riprendesse. «Siamo nei guai?» volle sapere Gary. «Non ne sono sicuro.» Era vero. «Gliele hai suonate per bene a quei due tipi.» Thorvaldsen vide che il ragazzo era colpito. «Sì, vero?» «Non vorrei essere qui, quando si sveglieranno.» Nemmeno lui lo voleva. «Dobbiamo tenere queste lettere, ma temo che il nostro anfitrione non ce lo permetterebbe mai.» «E sua figlia? Sembrava che non gli importasse di lei.» «Credo non gliene sia mai importato. Il suo rapimento è stato solo un imprevisto che lo ha fatto tentennare per il tempo sufficiente a permetterci di agire.» Pensò al proprio figlio morto. «Agli uomini come Alfred importa poco della famiglia.» Quanto doveva essere orribile! Sua moglie e suo figlio gli mancavano. Vedere Gary Malone correre in suo soccorso lo aveva al contempo spaventato e riempito di gioia. Diede una pacca sulla spalla del ragazzo. «Che c'è?» «Tuo padre sarebbe fiero di te!» «Spero che stia bene.» «Anch'io.»
Tre auto imboccarono il viale principale e svoltarono sulla stradina lastricata. Si fermarono davanti al castello e dal primo e dal terzo veicolo scesero degli uomini in completo scuro. Dopo aver dato una rapida occhiata in giro, uno di essi aprì la portiera posteriore dell'auto centrale. Il vicepresidente degli Stati Uniti uscì nel sole del pomeriggio. Indossava abiti sportivi: un pullover e un blazer blu marino. Thorvaldsen e Gary, che si trovavano a una ventina di metri di distanza, osservarono gli addetti alla sicurezza affiancare il vicepresidente e dirigersi tutti insieme verso il portone d'ingresso del castello. A metà strada il vicepresidente si fermò e cambiò direzione. Dritto verso loro due. Thorvaldsen lo guardò con un misto di rabbia e disgusto. Quel cretino ambizioso sarebbe stato disposto a fare qualunque cosa. «Neanche una parola, figliolo!» raccomandò a Gary. «Ricorda: orecchie bene aperte e bocca chiusa.» «Ormai credo di averlo capito.» «Lei dev'essere Henrik Thorvaldsen!» disse il vicepresidente, avvicinandosi e presentandosi. «Sì, sono io. Piacere di conoscerla, signore.» «Lasciamo perdere questi convenevoli, d'accordo? Lei è uno degli uomini più ricchi del mondo, mentre io sono solo un politico.» «Come si suol dire... A un soffio dalla presidenza?» L'americano ridacchiò. «Proprio così, ma è pur sempre un lavoro piuttosto noioso. Però mi dà occasione di viaggiare e a me piace venire in posti come questo.» «Cosa l'ha portata qui oggi?» «Alfred Hermann e io siamo amici. Sono venuto a salutarlo.» Un'altra auto sopraggiunse dal vialetto: una BMW chiara con autista in uniforme. Thorvaldsen fece un cenno e l'auto si diresse verso di lui. «Sta partendo?» s'informò il vicepresidente. «Dobbiamo andare in città.» L'americano indicò Gary. «Lui chi è?» Thorvaldsen li presentò usando il vero nome di Gary e i due si strinsero la mano. «Non avevo mai incontrato un vicepresidente», disse il ragazzo. La BMW si fermò e l'autista scese, girò attorno al veicolo e aprì la portiera posteriore a Thorvaldsen. «Be', io non avevo mai incontrato il figlio di Cotton Malone!» ribatté il
vicepresidente. Thorvaldsen capì che erano nei guai. A ulteriore conferma del fatto vide Alfred Hermann marciare verso di loro, scortato dal suo capo della sicurezza. «Brent Green le manda i suoi saluti», disse il vicepresidente. Negli occhi duri di quell'uomo Thorvaldsen lesse il tradimento di Green. «Temo che non andrete da nessuna parte», aggiunse il vicepresidente a bassa voce. Hermann sopraggiunse e richiuse con violenza la portiera posteriore dell'auto. «Herr Thorvaldsen non avrà bisogno di te. Puoi andare.» Thorvaldsen fece per protestare, deciso a fare una scenata, ma si accorse che il capo della sicurezza aveva preso posizione di fianco a Gary. Sotto la giacca aveva una pistola puntata contro il ragazzo. Il messaggio era chiaro. Guardò in faccia l'autista. «Confermo. Grazie comunque per essere venuto.» Hermann gli tolse di mano l'atlante. «Le tue opzioni si stanno riducendo in fretta, Henrik.» «Direi proprio», intervenne il vicepresidente. Hermann parve stupito. «Cosa ci fai qui? Che sta succedendo?» «Portiamoli dentro entrambi. Poi ti dirò tutto.» 83 Penisola del Sinai Malone attese che George Haddad fosse al sicuro dietro la copertura dell'ultimo scaffale, dove lui e Pam si erano sistemati in posizione difensiva. «Di ritorno dal mondo dei morti?» commentò. «La resurrezione può essere un'esperienza grandiosa.» «George, quell'uomo vuole uccidervi tutti!» «Lo sospettavo. Fortuna che sei qui!» «E se non riuscissi a fermarlo?» «Allora tutta questa fatica sarebbe stata sprecata.» Malone doveva sapere. «Cosa c'è laggiù?» «Altre tre sale, più la Sala di Lettura. Tutte come questa. Non ci sono molti posti dove nascondersi.»
Malone ricordò la pianta che aveva visto poco prima. «Quindi dovrei regolare i conti a colpi di pistola?» «Ti ho fatto arrivare sin qui. Non deludermi.» L'altro sentì montare la rabbia. «C'erano modi più semplici! Potrebbe aver portato dei rinforzi!» «Ne dubito. Ho ordinato alle mie sentinelle di controllare se qualcun altro entra nel farsh, ma scommetto che è solo e tale resterà.» «Come lo sai? Gli israeliani ci sono sempre stati alle calcagna!» «Se ne sono andati.» Haddad indicò il lato opposto della sala. «Lui è l'unico rimasto.» Malone scorse McCollum che scattava attraverso l'arcata per svanire nei meandri della biblioteca. Altre tre sale, più la Sala di Lettura... Era sul punto di violare un'infinità di quelle norme che lo avevano tenuto in vita per dodici anni nella sezione Magellano. Una era chiara: Mai entrare laddove non sai come farai a uscire. Gli venne in mente anche un'altra delle molte cose che aveva imparato: Quando le cose si mettono male tutto può danneggiarti, compreso il non fare nulla. «Sappi che è stato quell'uomo a rapire tuo figlio», disse Haddad. «Ha anche distrutto la tua libreria. Se ti trovi qui la colpa è tanto sua quanto mia. Avrebbe ucciso Gary, se necessario, e sarà lieto di uccidere te.» «Come fa a sapere questo di Gary?» domandò Pam. «I Guardiani hanno accesso a moltissime informazioni.» «Come hai fatto a diventare bibliotecario?» volle sapere Malone. «È una storia complicata.» «Ci scommetto. Noi due dovremo fare una lunga chiacchierata quando questa storia sarà finita!» Haddad sorrise. «Sì, vecchio mio, la faremo.» Malone indicò Pam, continuando a rivolgersi a Haddad. «Tienila qui con te. Eseguire gli ordini non è il suo forte.» «Va' pure. Noi ce la caveremo benissimo», ribatté lei. Lui decise di finirla con le discussioni e si lanciò lungo il corridoio. Raggiunta l'uscita, si fermò da un lato. Sei metri più avanti si apriva un'altra stanza: ancora pareti altissime, file di scaffali di pietra, lettere, immagini e mosaici dal pavimento al soffitto. Avanzò lentamente, addossato alle pareti lucide del corridoio. Entrò nella seconda sala e si nascose nuovamente in fondo a una fila di scaffali. La stanza era più squadrata della prima e notò che conteneva un miscuglio di pergamene e codici. Nessun segno di movimento. Doveva essere impazzito! Si stava lascian-
do attirare sempre più in profondità. A un certo punto McCollum avrebbe preso l'iniziativa e si sarebbe combattuto alle sue condizioni. Ma quando? Haddad studiò Pam Malone. A Londra, qualche tempo prima, aveva cercato di valutarne la personalità, chiedendosi tra l'altro cosa ci facesse in quel posto. I Guardiani avevano raccolto informazioni personali su Cotton Malone, cose di cui Haddad sapeva poco... Malone parlava raramente di sua moglie e della famiglia. La loro era stata un'amicizia accademica, nata dall'amore per i libri e dal rispetto per il sapere. Tuttavia sapeva abbastanza ed era venuto il momento di usare quella conoscenza. «Dobbiamo tornare laggiù!» disse. «Cotton ha detto di restare qui.» Lui la trafisse con lo sguardo. «Dobbiamo tornare laggiù», ripeté e per rafforzare il concetto estrasse una pistola da sotto il mantello. Stranamente, lei non batté ciglio. «L'ho capito da come guardava McCollum», spiegò. «È questo il nome che vi ha dato?» Pam annuì. «Si chiama Sabre ed è un killer professionista. Parlavo sul serio nel mio appartamento a Londra: ho un debito da ripagare e non voglio che Cotton lo faccia al posto mio.» «Gliel'ho letto negli occhi. Voleva che lui sparasse, ma sapeva che non l'avrebbe fatto.» «Gli uomini come Sabre sono avari col loro coraggio. Lo risparmiano per quando è davvero necessario... Come ora.» «Lei sapeva che sarebbe successo tutto questo?» Haddad scrollò le spalle. «Sapevo, pensavo, speravo... Non so. Abbiamo tenuto d'occhio Sabre. Sapevamo che stava tramando qualcosa a Copenhagen e quando ha preso Gary abbiamo capito che cercava me. Allora ho deciso di mettermi in gioco: la mia seconda telefonata in Cisgiordania è stata scoperta dalle spie d'Israele e questo, finalmente, li ha indotti ad agire. A Lisbona ho capito come avrei potuto condurvi qui tutti e tre, senza gli israeliani.» «Ha fatto tutto questo per poter morire?» «L'ho fatto per proteggere la Biblioteca. Sabre lavora per un'organizzazione che vuole sfruttare questo sapere per sé, per i propri scopi politici ed economici. Da qualche tempo indagano su di noi... Tuttavia ha sentito
cos'ha detto Sabre: è qui per se stesso, non per loro. Se fermiamo lui, fermiamo tutto.» «Cos'ha intenzione di fare?» «Non io. Dovrà farlo anche lei.» «Io?» «Cotton ha bisogno di lei. Intende forse abbandonarlo?» La guardò mentre si rigirava in mente la domanda. Haddad sapeva che era una donna in gamba, coraggiosa e spavalda, ma anche vulnerabile e incline agli errori. Aveva trascorso una vita a studiare la gente e sperò di aver inquadrato correttamente Pam Malone. «Neanche per idea!» rispose lei. Sabre si lasciò alle spalle la Sala della Sfera ed entrò nella Sala di Lettura, che conteneva più tavoli e meno scaffali. Sapeva dalla precedente ricognizione che la stanza successiva - la Sala dell'Eternità - conduceva all'ultima sala del complesso a forma di U. Finestre dipinte a trompe-l'oeil, nicchie contenenti affreschi di panorami lontani e un'illuminazione particolare creavano l'illusione che la stanza si affacciasse all'esterno. Dovette ricordarsi più volte che si trovava sottoterra. Nella Sala di Lettura si fermò. Era arrivato il momento di sfruttare quello che aveva notato poco prima. Malone continuò ad avanzare con la pistola spianata. Aveva inserito l'ultimo caricatore di scorta, ma se non altro aveva a disposizione nove colpi. In quello che aveva in tasca ne restavano tre, dunque aveva in tutto dodici possibilità di fermare McCollum. Il suo sguardo saettò da parete a parete e dal soffitto al pavimento. I suoi sensi erano vigili. Il petto e la schiena erano fradici di sudore, gelato per via della temperatura sotterranea. Attraversò la seconda sala e si avviò lungo il corridoio verso la successiva stanza illuminata, posta ad angolo retto. Non udì nulla; il silenzio era snervante. A spingerlo avanti erano le parole di Haddad: era stato McCollum a prendere Gary. Quel bastardo aveva osato toccare suo figlio! Glielo aveva portato via e aveva costretto lui a uccidere un uomo. Quelle violenze non potevano assolutamente restare impunite. McCollum voleva uno scontro? Ebbene, presto l'avrebbe avuto. Arrivò all'ingresso della terza sala. La Sala di Lettura. Tra gli scaffali c'erano una ventina di tavoli di legno spessi e dal taglio rozzo, anneriti e logori.
Individuò l'uscita sulla parete opposta. La stanza era più ampia delle altre due, rettangolare e lunga all'incirca diciotto metri. I muri sostenevano lastre e architravi d'ispirazione bizantina, oltre ai mosaici, stavolta dedicati alle donne, alcune raffigurate nell'atto di tessere e filare, altre impegnate in prove atletiche. Distolse lo sguardo dalle opere d'arte e si concentrò sul problema. Si aspettava di veder spuntare McCollum tra i tavoli da un momento all'altro. Era preparato, ma ancora non accadeva nulla. Si fermò. Qualcosa non andava. Dall'altra parte della stanza, alla base della parete opposta, scorse un riflesso scuro sul lucente granito rosso: un'immagine indistinta, come vista attraverso una bottiglia di gazzosa, che s'increspava sulla finitura a specchio. Dal pavimento. Sotto i tavoli. Allora capì. 84 Washington, DC Stephanie udì lo sparo, ma nessun proiettile la colpì. Vide il foro sulla tempia di Green e capì cos'era successo. Si voltò. Heather Dixon era lì. E aveva una pistola. Il corpo di Green piombò con un tonfo sul pavimento di legno, ma lei continuò a fissare Heather Dixon, che abbassò l'arma. Cassiopea sopraggiunse alle spalle dell'israeliana. «Fine della storia!» esclamò la Dixon. Stephanie reclamò l'attenzione di Cassiopea. «Cos'è successo?» «Quando tu e Green siete tornati nell'ufficio è apparsa lei. Avevamo ragione: Green si era portato qualche amico che aspettava fuori, sul retro. I Servizi Segreti li hanno presi, poi è entrata lei.» Cassiopea indicò Heather Dixon. Stephanie comprese. «Stai dalla parte del presidente?» «Per forza! Questo bastardo stava per venderci tutti. Lui e il vostro vicepresidente avrebbero potuto scatenare una guerra mondiale con quello che
avevano progettato.» Il tono di lei le fece subodorare qualcosa, perciò le chiese: «Che mi dici di te e Daley?» «Larry mi piaceva. Ci aveva contattati per chiedere aiuto. Ci aveva spiegato quello che stava succedendo e noi due siamo diventati amici. Che tu ci creda o no, stava cercando di fermarli... Almeno questo devi concederglielo.» «Sarebbe stato tutto più semplice se voi due vi foste limitati a mettermi a parte di quello che avevate scoperto.» La Dixon scosse la testa. «È questo il tuo problema, Stephanie: vivi in una torre d'avorio. Odiavi Larry, Green non ti piaceva ed eri convinta che la Casa Bianca ti detestasse. Come avresti potuto fare qualcosa?» «Però come esca era perfetta, vero?» intervenne Cassiopea. «Ogni lenza deve averne una e voi due eravate l'ideale per questa.» Stephanie aveva ancora in mano il CD che lei stessa aveva piazzato nell'ufficio di Daley. Il disco era vuoto; doveva servire soltanto a provocare una reazione da parte di Green. «Hanno registrato tutto, là fuori?» Le avevano nascosto addosso un microfono prima della partenza da Camp David. Cassiopea annuì. «E i sauditi?» domandò alla Dixon. «Lavoravi per loro, la prima volta che abbiamo parlato.» «È tipico degli arabi tenere il piede in due staffe. All'inizio erano in combutta col vicepresidente, perché pensavano che li avrebbe aiutati a fermare qualunque cosa avesse a che fare col Rapporto Alexandria. Poi si sono resi conto di aver fatto una stronzata e si sono rivolti a noi per vie ufficiose, così ci siamo accordati. Quel giorno, al parco, intendevano spronarti a procedere e nient'altro. Naturalmente nessuno di noi era al corrente del fatto che ti fossi trovata una socia.» La Dixon indicò Cassiopea con la pistola. «Sono ancora in debito con te per quella freccia!» «Forse un giorno avrai l'occasione di ripagarmi.» Heather Dixon sorrise. «Forse.» Stephanie guardò il corpo di Brent Green, ricordando che le aveva lasciato intendere di essere interessato a lei e che a lei, per un momento, l'idea non era dispiaciuta. L'aveva persino difesa... Era sembrato disposto a dimettersi pur di spalleggiarla e lei si era ritrovata a mettere in dubbio tutte le riserve che aveva nutrito su di lui. Era stata tutta una recita.
«Il presidente mi ha mandata a chiudere questa faccenda», disse la Dixon, interrompendo i suoi pensieri. «Niente processi, niente stampa. Il procuratore generale era un uomo tormentato e si è tolto la vita; il suo cadavere sarà cremato nel giro di un'ora e i medici legali militari rilasceranno un certificato di morte per suicidio. Avrà un funerale sontuoso e sarà ricordato con affetto. Fine della storia.» «E il Rapporto Alexandria?» volle sapere lei. «George Haddad è scomparso. Speriamo che lo abbia Malone. Haddad ha chiamato la Palestina qualche mese fa, poi di nuovo qualche giorno fa. Dopo la prima telefonata - e dopo che Larry mi ha parlato - ci siamo interessati a Pam Malone. Il Mossad aveva intenzione di rapire Gary Malone, ma il nostro primo ministro era riluttante. L'Ordine ci ha battuti sul tempo, quindi Pam Malone è stata marcata e noi ci siamo limitati a seguirla... Purtroppo il piano non ha funzionato troppo bene. Poi è successo tutto questo. Daniels ci ha assicurato che non trapelerà nulla e il mio governo si fida di lui.» «Qualcuno ha avuto notizie di Cotton?» Heather Dixon scosse la testa. «L'ultima cosa che abbiamo saputo è che si è paracadutato da qualche parte nel Sinai, ma non ha importanza: se anche scoprisse qualcosa non se ne saprà mai nulla, secondo i patti.» «E quando Daniels non sarà più presidente?» domandò Cassiopea. «Per allora la cosa sarà già stata dimenticata. In caso contrario, Israele farà quello che fa da secoli: combattere furiosamente. L'abbiamo sempre spuntata e continueremo.» Stephanie non nutriva dubbi in proposito, ma c'era un'altra faccenda in sospeso. «Che mi dici del vicepresidente?» «Per quel che ne sappiamo, soltanto Green, il vicepresidente e Alfred Hermann conoscevano con esattezza quello che stava per succedere. Quando Green ha sentito la conversazione del capo di gabinetto del vicepresidente registrata da Larry, è stato preso dal panico e ha chiesto ai sauditi di far fuori Daley. Com'è nel loro stile, non ce ne hanno mai fatto parola, altrimenti li avremmo fermati... ma si sa che non ci si può fidare degli arabi.» La Dixon s'interruppe. «Siete saltate fuori voi due, avete incontrato Larry e a Green è preso il panico, così ha convinto i sauditi ad agire anche contro di voi. Quando Daniels ha sventato l'attacco e fatto fuori quegli scagnozzi prezzolati - e ora che abbiamo tolto di mezzo Green - per i sauditi la partita si è chiusa.» Stephanie indicò Green. «Cosa ce ne facciamo di questo?»
«Abbiamo gente che aspetta solo di riportare questo pezzo di merda a casa sua, dove il suo corpo sarà rinvenuto oggi stesso. La morte di Larry non sarà attribuita a un attacco terroristico, qualunque cosa avesse progettato Green.» «Potrebbe rivelarsi complicato. Dopotutto la sua macchina è esplosa sul serio!» «Il caso resterà insoluto. Naturalmente ci saranno accenni, bisbigli, che Daniels saprà sfruttare... Un po' come avevano progettato di fare questi idioti. In effetti, credo che a Larry farebbe piacere il fatto di poter ancora essere d'aiuto, persino dalla tomba.» «Non ci hai spiegato come si potrà contenere la faccenda, col vicepresidente ancora in circolazione», s'intromise Cassiopea. Heather Dixon scrollò le spalle. «È un problema di Daniels.» Prese il cellulare, premette un tasto e disse: «Signor presidente, Green è morto. Proprio come voleva lei». 85 Penisola del Sinai Sabre sparò alle gambe di Malone da una distanza di dodici metri. Non c'erano sedie accanto ai tavoli, dunque la visuale era sgombra. Intendeva tagliare le gambe all'avversario per rendere più semplice il colpo di grazia. Spedì tre proiettili alla volta di Malone. Le gambe erano sparite. Maledizione! Rotolò da sotto il tavolo a quello accanto, si sollevò lentamente verso il bordo per trovare Malone e non vide nulla. Poi capì. Malone aveva intuito che McCollum voleva sparargli alle gambe ed era saltato sopra il tavolo più vicino un istante prima che i tre colpi attraversassero la sala. Alcuni fermacarte di quarzo citrino caddero a terra con fragore. McCollum avrebbe capito quasi immediatamente ciò che aveva fatto Malone, perciò quest'ultimo decise di volgere la cosa a proprio vantaggio. Attese un istante, poi rotolò via e vide McCollum accovacciato dietro un tavolo. Mirò e sparò due colpi, ma McCollum cambiò posizione e si riparò dietro uno degli alti piedistalli.
L'ambiente era troppo aperto per una sparatoria. Si gettò dietro una fila di scaffali alla sua sinistra. «Niente male, Malone!» osservò il suo avversario dall'altra parte della sala. «Faccio del mio meglio.» «Non uscirai vivo di qui!» «Vedremo.» «Ho ucciso uomini migliori di te.» Si domandò se si trattasse di una spacconata o di un tentativo d'intimidazione. In ogni caso non ne fu impressionato. Haddad guidò Pam Malone attraverso la Biblioteca nella direzione opposta a quella presa da Sabre e Malone. Avevano già udito gli spari: doveva muoversi. Entrarono nella quinta sala, opportunamente chiamata Sala della Vita, rappresentata da una croce a mosaico con un'ansa ovale al posto della parte superiore dell'asse verticale. L'attraversò di corsa per raggiungere la Sala dell'Eternità, dove si fermò all'uscita. Dal corridoio, oltre la curva ad angolo retto, provenivano voci: a quanto pareva la resa dei conti si stava consumando nella Sala di Lettura. Molti tavoli, meno scaffali e più spazio aperto... Il percorso seguito in precedenza da Sabre era stato di ricognizione, il che significava che il suo avversario aveva preso nota di tutte le circostanze utili. Al tempo in cui combatteva gli ebrei aveva fatto lo stesso: Prendi confidenza col campo di battaglia. Ebbene, Haddad conosceva intimamente quel particolare campo di battaglia. Cinque anni addietro aveva segretamente completato la cerca dell'eroe, poco prima di chiedere aiuto a Cotton Malone. Al suo arrivo - quand'era riuscito ad accedere alla Biblioteca e aveva avuto conferma che tutto ciò che sospettava riguardo alla Bibbia era vero - si era sentito sopraffatto, ma quando i Guardiani gli avevano chiesto aiuto aveva accettato con entusiasmo. Molti Guardiani erano stati reclutati tra gli invitati e tutti i Guardiani allora presenti ritenevano che lui avrebbe dovuto essere il loro bibliotecario. Lo avevano messo al corrente della minaccia incombente e lui si era proposto di risolvere il loro problema. Alla fine, però, anche lui aveva avuto bisogno d'aiuto; ecco perché Malone era stato coinvolto. Pazienza e conoscenza gli erano state utili.
Sperava solo di non aver sbagliato i suoi calcoli. Rimase immobile presso l'uscita della Sala della Vita, con Pam Malone alle spalle. «Aspetti qui», sussurrò. Avanzò lungo il corridoio, girò l'angolo e sbirciò nella Sala di Lettura. Scorse del movimento a sinistra e a destra: un uomo nascosto dietro gli scaffali, l'altro che sfruttava i tavoli come copertura. Tornò in punta di piedi da Pam Malone e le porse la sua pistola. «Devo entrare», mormorò. «Per non uscirne più.» Lui scosse il capo. «È la fine.» «Ha promesso a Cotton una lunga chiacchierata.» «Ho mentito.» Fece una pausa. «E lei lo sapeva.» «È l'avvocato che c'è in me.» «No, è l'essere umano che c'è in lei. Tutti noi commettiamo azioni di cui ci pentiamo... Io ne ho fatte la mia parte ma se non altro, sul finire della mia esistenza, sono stato capace di tenere in vita questa Biblioteca.» Scorse qualcosa negli occhi della donna. «Lei sa cosa intendo, vero?» Pam annuì. «Allora sa cosa deve fare.» Haddad vide la sua confusione e le diede un buffetto sulla spalla. «Lo saprà quando arriverà il momento.» Indicò la pistola. «Ha mai sparato con una di queste?» Lei rispose con un rapido cenno di diniego. «Basta puntare e premere il grilletto. Rincula, perciò la tenga ben ferma.» La donna non disse nulla, ma a lui bastava che avesse capito. «Che la sua vita sia prospera. Dica a Cotton che ha sempre avuto il mio rispetto.» Poi si voltò e si diresse verso la Sala di Lettura. «Possiamo starcene seduti qui per tutto il giorno», disse Malone a voce alta. «Sei nella merda sino al collo», commentò McCollum. «Un tantino fuori allenamento, eh?» «Sarò comunque in grado di farti il culo.» McCollum ridacchiò. «Sai cosa sto pensando? Che quasi quasi torno indietro e ammazzo la tua ex moglie. Avrei ammazzato anche tuo figlio se tu
non avessi fatto fuori quegli idioti che avevo assunto... A proposito: credevi fosse opera tua? Ho organizzato io tutto e tu mi sei venuto dietro come un cane che insegue la volpe. Il piano B era uccidere il ragazzo. In ogni caso, avrei trovato George Haddad.» Malone sapeva cosa stava facendo McCollum: cercava di farlo scaldare, farlo incazzare, per indurlo a scoprirsi. Tuttavia gli venne un dubbio. «L'hai mai trovato, Haddad?» «Nossignore. Tu eri là quando gli israeliani lo hanno ucciso. Ho sentito ogni cosa.» Sentito? Allora McCollum non conosceva l'identità del bibliotecario! «Dove hai preso la cerca?» gli domandò. «Gliel'ho fatta trovare io.» La nuova voce apparteneva a George Haddad. Malone vide il palestinese fermo sulla soglia opposta. «Mister Sabre, io ti ho manipolato proprio come tu hai fatto con Cotton. Ho lasciato la cassetta e le informazioni nel mio computer affinché tu le trovassi, compresa la cerca, che io stesso ho creato. Ti assicuro che il viaggio che ho portato a termine per trovare questo posto è stato molto più complicato del tuo.» «Stronzate!» sbottò McCollum. «Doveva essere una sfida. Se fosse stata troppo semplice avresti potuto pensare a una trappola, ma se fosse stata troppo difficile non l'avresti mai risolta. Eri così impaziente! Ti ho persino lasciato un drive portatile accanto al computer, eppure non ti sei insospettito. Era un'esca anche quella.» Malone si accorse che dal punto in cui si trovava Haddad si aveva una chiara visuale della posizione di McCollum... ma entrambe le mani di Haddad erano vuote. Di certo quel particolare non era sfuggito al suo avversario. «George, che stai facendo?» gridò. «Finisco quello che ho cominciato.» Haddad avanzò verso McCollum. «Fidati di quello che sai, Cotton. Non ti deluderà.» Il suo amico continuò ad avanzare. Sabre guardò il bibliotecario marciare verso di lui. Quell'uomo era George Haddad? Era stato tutto programmato? Lo aveva ingannato? Come l'aveva chiamata, il vecchio? Una trappola? Figurarsi! Sparò un colpo.
Alla testa del bibliotecario. Malone urlò «No!» mentre il proiettile trafiggeva George Haddad. Aveva ancora tante domande da porgli, tante cose che non aveva capito... Come aveva fatto il palestinese a trovare la strada dalla Cisgiordania a Londra e poi sin lì? Cosa stava succedendo? Qual era la cosa che Haddad sapeva e che poteva giustificare tutto questo? Sentì montare in sé la rabbia e sparò due colpi verso McCollum, ma le pallottole si limitarono a intaccare la parete opposta. Haddad giaceva immobile. Attorno alla sua testa si andava formando un lago di sangue. «Ne aveva di fegato, quel vecchio!» gridò McCollum. «L'avrei ammazzato in ogni caso. Chissà se se ne rendeva conto?» «Sei morto», si limitò a replicare Malone. Dall'altro lato della sala arrivò una risatina. «Come hai detto di te stesso, la cosa potrebbe risultare difficile.» Sapeva di dover mettere fine a quella storia. I Guardiani contavano su di lui... Haddad aveva contato su di lui. Fu allora che vide Pam. Incorniciata dalla porta d'uscita, in ombra, nascosta alla vista di McCollum dallo stipite. Aveva una pistola. Fidati di quello che sai. Erano state le ultime parole di Haddad. Lui e Pam avevano trascorso insieme buona parte della loro vita. Avevano passato gli ultimi cinque anni a odiarsi, ma lei era parte di lui e lui di lei. Sarebbero sempre stati legati... Se non da Gary, da qualcosa che nessuno dei due avrebbe saputo spiegare. Non era necessariamente amore, ma era pur sempre un vincolo. Lui non avrebbe permesso che le accadesse qualcosa di male e confidava che lo stesso valesse per lei. Non ti deluderà. Tolse il caricatore dalla pistola, mirò a McCollum e premette il grilletto. Il proiettile già in canna esplose sulla superficie di un tavolo. Poi ci fu un clic. E un altro. Ancora uno, tanto per ribadire il concetto. «Capolinea, Malone!» gongolò McCollum. Lui si rimise in piedi, sperando che il suo avversario volesse gustarsi l'assassinio: se McCollum avesse deciso di sparare dal suo nascondiglio,
per lui e Pam sarebbe stata la fine... Ma lui, ormai, conosceva il nemico. McCollum si alzò con la pistola puntata e si mosse da dietro il tavolo, dirigendosi a zigzag verso Malone. Aveva le spalle rivolte alla porta; nemmeno la visione periferica l'avrebbe salvato. Malone doveva temporeggiare. «Ti chiami Sabre?» «È il nome che uso qui. Il mio vero nome è McCollum.» «Cosa conti di fare?» «Ammazzare i Guardiani e tenermi tutto questo per me. Semplicissimo.» «Non hai idea di quello che c'è qui. Cosa te ne farai?» «Troverò persone che sapranno cosa farne. Scommetto che ce ne sono un mucchio... Questa storia dell'Antico Testamento basterà perché io lasci il segno nel mondo!» Pam non si era mossa. Aveva certamente sentito i colpi a vuoto e sapeva che lui era alla mercé di McCollum. Malone immaginò la sua paura: negli ultimi giorni aveva visto morire diverse persone e in quel momento era probabilmente invasa dal terrore all'idea di dover essere lei a uccidere qualcuno. Lui stesso aveva provato quell'incertezza. Premere il grilletto non era mai facile... Non era un gesto privo di conseguenze e la paura poteva paralizzare completamente. Sperò che in lei l'istinto riuscisse ad avere la meglio sul terrore. McCollum sollevò la pistola. «Salutami tanto Haddad.» Pam abbandonò la protezione dell'arcata e i suoi passi distrassero momentaneamente McCollum. La testa di lui scattò verso destra e apparentemente scorse un movimento con la coda dell'occhio. Malone sfruttò quell'istante per togliergli la pistola con un calcio, poi gli sferrò un pugno in faccia, facendolo barcollare all'indietro. Si tuffò per colpire nuovamente il bastardo, ma McCollum si riprese e si slanciò in avanti. Andarono a sbattere insieme contro un tavolo e rotolarono sino all'altra estremità. Malone piantò un ginocchio nello stomaco del suo avversario e lo sentì esalare l'aria dai polmoni. Si alzò e sollevò McCollum dal pavimento, aspettandosi che fosse senza fiato. Quello, invece, lo colpì con forza al petto e alla faccia. La stanza svanì e riapparve mentre Malone tentava di scacciare il dolore dal cervello. Si voltò di scatto e vide un coltello nella mano di McCollum. Lo stesso di Lisbona. Si preparò. Non ebbe mai l'occasione di fare nulla.
Si udì uno sparo. McCollum parve sorpreso, poi il sangue cominciò a fiottare da un buco nel suo fianco sinistro. Ci fu un altro sparo e le sue braccia scattarono verso l'alto mentre lui barcollava all'indietro. Un terzo, poi un quarto sparo. Il suo corpo s'inclinò in avanti, gli occhi rotearono verso il cielo, il sangue schizzò dalla bocca a ogni respiro e infine McCollum crollò faccia a terra. Malone si voltò. Pam abbassò la pistola. «Era ora!» disse lui. Lei rimase in silenzio, con gli occhi sbarrati per quanto aveva fatto. Lui le si avvicinò e le abbassò il braccio. La donna gli rivolse uno sguardo inespressivo. Altre figure emersero dalle ombre del vano della porta. Nove persone - uomini e donne - si avvicinarono in silenzio. Adam e Cappello di Paglia facevano parte del gruppo. Eve pianse nell'inginocchiarsi accanto al corpo di Haddad. Gli altri s'inginocchiarono con lei. Pam rimase immobile, a guardare. Lui fece lo stesso. Alla fine fu costretto a interrompere il loro cordoglio. «Avrete una radio, immagino.» Adam alzò gli occhi su di lui e annuì. «Ho bisogno di usarla.» 86 Vienna Thorvaldsen era di nuovo nella biblioteca con Gary, però ora Hermann e il vicepresidente lo sapevano. Erano soli, con le porte chiuse e gli addetti alla sicurezza appostati all'esterno. «Erano qui anche ieri sera!» disse il vicepresidente, chiaramente agitato. «Dovevano essersi nascosti lì da qualche parte.» Indicò gli scaffali più alti. «Questo dannato posto sembra una sala da concerto! Ha chiamato il procuratore generale e gli ha spifferato tutto!» «È un problema?» domandò Hermann. «Grazie a Dio, no. Brent sarà il mio vicepresidente quando il nostro piano andrà in porto; gestisce la situazione a Washington mentre io sono via.
Almeno da quel lato, tutto è sotto controllo.» Hermann indicò Thorvaldsen. «Questo qui ha fatto rapire mia figlia. L'ha fatto prima di sentire quello che ha sentito ieri sera». Il vicepresidente si agitò ancora di più. «Il che suscita un mare di domande. Alfred, io non ho mai messo in discussione quello che stavi facendo qui... Volevi il Rapporto Alexandria e l'hai avuto. Sono stato io a permetterlo. Non so cosa tu abbia fatto di quelle informazioni e non voglio saperlo, ma evidentemente è diventato un problema.» Hermann si stava massaggiando una tempia. «Henrik, la pagherai cara per avermi colpito. Nessuno l'aveva mai fatto.» Thorvaldsen non ne fu impressionato. «Forse era tempo che qualcuno lo facesse.» «In quanto a te, giovanotto...» Thorvaldsen si sentì salire un nodo in gola. Non era nei suoi piani mettere in pericolo Gary. «Alfred, ormai tutto si è messo in moto», disse il vicepresidente. «Dovrai gestire la situazione.» La fronte di Thorvaldsen s'imperlò di sudore. Il significato di quelle parole era ovvio. «Questi due non faranno mai parola di ciò che sanno.» «Uccideresti il ragazzo?» domandò Thorvaldsen. «Tu uccideresti mia figlia? Ebbene? Sì, ucciderei il ragazzo.» Hermann dilatò le narici e i suoi occhi si accesero di una rabbia quasi palpabile. «Non sei abituato a trovarti in questo genere di situazioni, vero, Alfred?» «Sfottermi non ti servirà a nulla!» Era vero, ma almeno Thorvaldsen avrebbe guadagnato del tempo e quello era praticamente l'unico stratagemma che sapesse sfruttare alla perfezione. Si rivolse al vicepresidente. «Brent Green era un brav'uomo. Cosa gli è successo?» «Non lo so, non sono il suo confessore. Immagino abbia valutato i vantaggi che gli ho offerto. L'America ha bisogno di una leadership forte... Di persone di potere che non abbiano paura di usarlo. Brent è fatto così. Io sono fatto così.» «Di uomini di carattere, invece, non avrebbe bisogno?» «È un'espressione relativa. Mettiamola così: gli Stati Uniti si associano con la comunità economica mondiale per raggiungere obiettivi di reciproco vantaggio.»
«Lei è un assassino!» intervenne Gary. Si udì bussare sommessamente alla porta e Hermann andò ad aprire. Uno degli addetti alla sicurezza del vicepresidente gli sussurrò qualcosa. L'austriaco parve perplesso, poi annuì e l'uomo della sicurezza si allontanò. «C'è il tuo presidente al telefono», riferì Hermann. Sul volto del vicepresidente si dipinse lo stupore. «Che diavolo?» «Ti ha rintracciato attraverso i Servizi Segreti. Il distaccamento gli ha riferito che ti trovi qui con me e altre due persone, una delle quali è un ragazzo. Il presidente desidera parlare con tutti noi.» Thorvaldsen si rese conto che non avrebbero avuto scelta. Evidentemente il presidente sapeva molte cose. «Voleva anche sapere se ho un telefono con vivavoce», aggiunse Hermann, avvicinandosi alla scrivania e premendo due tasti. «Buongiorno, signor presidente», salutò Hermann. «Noi due non ci siamo mai presentati, credo. Danny Daniels, da Washington.» «No, signore, ha ragione. Piacere di conoscerla.» «È lì il mio vicepresidente?» «Sono qui, signor presidente.» «Thorvaldsen, c'è anche lei? Col giovane Malone?» «È qui con me», rispose Thorvaldsen. «Anzitutto ho da comunicarvi una notizia tragica dalla quale ancora non mi sono ripreso: Brent Green è morto.» Thorvaldsen colse lo shock istantaneo sul volto del vicepresidente. Anche Hermann trasalì. «Suicidio», riprese Daniels. «Si è sparato un colpo in testa; l'ho saputo soltanto pochi minuti fa. Una cosa terribile. Stiamo lavorando a un comunicato stampa, prima che la storia ci sfugga di mano.» «Com'è successo?» volle sapere il vicepresidente. «Non lo so. In ogni caso è successo e lui non c'è più. Anche Larry Daley è morto... Una bomba nell'auto. Non abbiamo idea di chi siano i colpevoli.» Il viso del vicepresidente si andava riempiendo sempre più di sgomento. Le sue spalle parvero sprofondare di un paio di centimetri. «Date le circostanze, non mi sarà possibile andare in Afghanistan la prossima settimana», disse Daniels. «L'America ha bisogno di me e io ho bisogno che il mio vicepresidente mi sostituisca in quel viaggio.» Il vicepresidente rimase in silenzio.
«C'è nessuno?» chiamò Daniels. «Sì, signore. Sono qui», rispose il vicepresidente. «Ottimo. Riporta qui le chiappe oggi stesso e preparati a partire la prossima settimana. Naturalmente se non te la senti di salire su quell'aereo per andare a confortare le truppe, puoi rassegnare le dimissioni... Spetta a te scegliere, anche se io preferirei che tu facessi quel viaggio.» «Che cosa intende dire?» «Questa non è una linea riservata, perciò dubito che tu voglia sentire ciò che penso davvero. Te lo spiegherò con una storiella, di quelle che raccontava sempre mio padre: c'era una volta un uccellino che stava migrando a sud per l'inverno, ma incappò in una violenta grandinata e precipitò a terra. Stava congelando, quando passò di lì una mucca e gli cacò addosso. La cacca tiepida lo riscaldò e l'uccellino ne fu così lieto che si mise a cinguettare. Passò di lì un gatto, incuriosito da quel trambusto. Il gatto chiese se poteva essere d'aiuto, vide che si trattava di un boccone prelibato e si mangiò l'uccellino. La morale della favola è: quelli che ti cacano addosso non sono per forza tuoi nemici, e se sei contento e al caldo - anche se in un mucchio di merda - tieni la bocca chiusa. Mi sono spiegato?» «Perfettamente, signore», disse il vicepresidente. «In che modo suggerisce di spiegare le mie dimissioni?» «Il classico per trascorrere più tempo con la famiglia è un po' insidioso; nessuno che si trovi nella nostra posizione abbandona mai per quel motivo. Vediamo: l'ultimo vicepresidente che si è dimesso si trovava sotto accusa... Bisognerà pensarne un'altra. Ovviamente non puoi dire la verità, cioè che sei stato colto in flagranza di alto tradimento, perciò che te ne pare di sembra che io e il presidente non siamo più in grado di lavorare insieme? Da politico consumato quale sei, sono sicuro che saprai scegliere le parole con molta cura... perché se ne sento anche una sola che non mi piace, sarò io a dire la verità. Parla di controversie, di divergenze d'opinione, di' alla gente che sono uno stronzo... Di' pure quello che ti pare, ma niente che io non voglia sentire.» Thorvaldsen osservò il vicepresidente. Sembrava sul punto di protestare, ma saggiamente capì che sarebbe stato inutile. «Signor presidente... Stephanie e Cassiopea stanno bene?» chiese. «Benone, Henrik. Posso darti del tu?» «Senz'altro!» «Sono state fondamentali per risolvere la questione.» Gary non seppe trattenersi. «E i miei genitori?»
«Questo dev'essere il ragazzo di Cotton! Lieto di sentirti, Gary. Mamma e papà stanno bene; ho parlato con tuo padre qualche minuto fa. Il che mi porta a lei, Herr Hermann.» Thorvaldsen sentì il disprezzo nella voce del presidente. «Il suo uomo, Sabre, ha trovato la Biblioteca di Alessandria. In realtà è stato Cotton a trovarla per lui, ma lui ha cercato di arraffarla. Sabre è morto, quindi lei ha perso. Abbiamo la Biblioteca e le assicuro che nessuno al mondo saprà mai dove si trova. In quanto a lei, Herr Hermann... Sarà meglio che Henrik e il ragazzo escano dal suo castello senza problemi. Non voglio sentire un'altra parola da lei, altrimenti farò sapere agli israeliani e ai sauditi chi ha orchestrato tutto questo. A quel punto i suoi problemi saranno indescrivibili. Non avrà più dove andarsi a nascondere.» Il vicepresidente si afflosciò su una sedia. «Ancora una cosa, Hermann: tenga la bocca chiusa con bin Laden e i suoi. Pensiamo di far loro un'improvvisata la settimana prossima, mentre aspettano il mio aereo. Se non li troviamo sul posto coi missili pronti, manderò i miei reparti speciali a stanarla.» Hermann non disse nulla. «Deduco dal suo silenzio che ha capito. Vede, è questo il bello dell'essere il leader del mondo libero: ho un sacco di gente disposta a fare quello che voglio... Gente dotata d'innumerevoli talenti. Lei ha il denaro, ma io ho il potere.» Thorvaldsen non aveva mai incontrato il presidente americano, ma già gli piaceva. «Gary, il tuo papà tornerà a Copenhagen tra un paio di giorni», riprese Daniels. «Henrik, grazie per tutto quello che hai fatto.» «Non so quanto sia servito davvero.» «Abbiamo vinto, no? È quello che conta, in questo gioco.» La comunicazione s'interruppe. Hermann restò in silenzio. Thorvaldsen indicò l'atlante. «Quelle lettere sono inutili, Alfred. Non puoi provare niente.» «Fuori di qui!» «Con piacere.» Daniels aveva ragione. Game over. 87
Washington, DC, lunedì 10 ottobre, ore 8.30 Stephanie era seduta nello Studio Ovale. C'era stata diverse volte e quasi sempre si era sentita a disagio, ma non quel giorno. Lei e Cassiopea erano venute per incontrare il presidente Daniels. Brent Green era stato sepolto il giorno prima nel Vermont, con tutti gli onori. La stampa aveva cantato le lodi del suo carattere e dei suoi successi; democratici e repubblicani erano stati concordi nel dichiarare che sarebbe stato rimpianto. Lo stesso Daniels aveva tenuto il discorso funebre: un tributo commovente. Anche Larry Daley era stato sepolto, in Florida, senza squilli di tromba. Soltanto qualche parente e pochi amici. Stephanie e Cassiopea erano state presenti. Curioso come li avesse mal giudicati entrambi: Daley non era certo uno stinco di santo, però non era stato un assassino né un traditore. Aveva cercato di fermare gli eventi, ma, purtroppo, gli eventi avevano fermato lui. «Voglio che torni alla sezione Magellano», le disse Daniels. «Potrebbe avere qualche difficoltà a spiegare il perché.» «Non devo spiegare un bel niente. Non ho mai voluto che te ne andassi, ma all'epoca non avevo scelta.» Lei voleva tornare al suo lavoro. Le piaceva. Tuttavia c'era un'altra questione. «Che mi dice della corruzione al Congresso?» «Te l'ho detto, Stephanie: non ne sapevo niente, ma finirà qui e ora. Proprio come con Green, il Paese non trarrebbe beneficio da quel genere di scandalo. Chiudiamo la faccenda e passiamo oltre.» Lei non era del tutto sicura dell'estraneità di Daniels a quella faccenda, ma acconsentì. Era la strada migliore. «Nessuno saprà mai nulla di quanto è successo?» domandò Cassiopea. Daniels era seduto dietro la scrivania, coi piedi appoggiati sul ripiano e il tronco adagiato contro lo schienale. «Non una parola.» Il vicepresidente si era dimesso sabato, adducendo differenze di vedute con l'amministrazione. Le televisioni avevano cercato in tutti i modi d'intervistarlo, sino ad allora senza successo. «Immagino che il mio ex vicepresidente cercherà di farsi un nome per conto proprio», disse Daniels. «Ci saranno un paio di battibecchi pubblici tra noi sulla linea politica da adottare, roba del genere... Potrebbe persino
tentare la sorte alle prossime elezioni, ma quella è una battaglia che non mi spaventa. A proposito di battaglie: ho bisogno che teniate d'occhio l'Ordine del Toson d'Oro. Quella gente significa guai. Per il momento abbiamo tagliato loro le gambe, ma si rialzeranno presto.» «E per quanto riguarda Israele?» volle sapere Cassiopea. «Hanno la mia parola che nulla uscirà mai dalla Biblioteca. Soltanto Cotton e la sua ex moglie sanno dove si trova, ma non intendo annotarlo da nessuna parte. Che rimanga ben nascosta, la maledetta!» Daniels guardò Stephanie. «Hai fatto pace con Heather?» «Ieri al funerale. Daley le piaceva sul serio... Mi ha detto di Larry cose che non avevo mai saputo.» «Visto? Non dovresti essere così netta nel giudicare le persone. Green ha ordinato la morte di Daley dopo aver studiato quelle chiavette USB: indicavano falle nella diga che aveva eretto, così si è dato da fare per tapparle. Heather è una brava agente e fa solo il suo mestiere. Green e il vicepresidente avrebbero distrutto Israele... A loro non fregava un accidenti di niente, tranne che di loro stessi. Tu, invece, credevi che fossi io il problema.» Stephanie sorrise. «Mi sbagliavo anche su quello, signor presidente.» Daniels si rivolse a Cassiopea. «Te ne tornerai a costruire il tuo castello in Francia?» «Ormai manco da un po'. I miei dipendenti si staranno chiedendo che fine ho fatto.» «Se sono come i miei, fintanto che continueranno a incassare lo stipendio saranno contenti.» Daniels si alzò. «Grazie a tutte e due per quanto avete fatto.» Stephanie rimase seduta. Subodorava qualcosa. «Cos'è che non ci sta dicendo?» Gli occhi di Daniels brillarono. «Un mucchio di cose, probabilmente.» «È la Biblioteca! Ne ha parlato con un'indifferenza eccessiva, un attimo fa. Non ha intenzione di lasciarla cadere nel dimenticatoio, vero?» «Non sta a me decidere. Spetta a qualcun altro... e sappiamo tutti chi è.» Malone sentì le campane di Copenhagen battere forte le tre del pomeriggio. La Højbro Plads era animata dalla consueta folla pomeridiana. Lui, Pam e Gary avevano appena finito di pranzare ed erano seduti a un tavolo all'aperto. Lui e Pam erano tornati in aereo dall'Egitto il giorno prima, dopo aver trascorso il sabato coi Guardiani per rendere l'estremo omaggio a George Haddad.
Fece cenno al cameriere di portare il conto. Thorvaldsen si trovava a una cinquantina di metri da lì, a sovrintendere alla ristrutturazione della libreria di Malone, avviata la settimana precedente mentre loro erano lontani. Ora le impalcature abbracciavano l'intera facciata di tre piani e gli operai erano al lavoro all'interno e all'esterno. «Vado a salutare Henrik», annunciò Gary, lasciando in fretta la tavola e svanendo tra la folla. «È stato triste, sabato, dire addio a George», disse Pam. Lui sapeva che lei aveva ancora tanti pensieri per la mente. Non avevano parlato molto di quanto era successo nella Biblioteca. «Va tutto bene?» le domandò. «Ho ucciso un uomo. Era un miserabile pezzo di merda, ma l'ho comunque ucciso.» Lui non disse nulla. «Ti sei alzato», riprese lei. «L'hai affrontato, sapendo che io ero là dietro. Sapevi che gli avrei sparato.» «Non sapevo cos'avresti fatto, ma sapevo che avresti fatto qualcosa ed era tutto ciò che mi serviva.» «Non avevo mai usato una pistola. Quando Haddad me l'ha data, mi ha soltanto detto di puntare e sparare. Anche lui sapeva che l'avrei fatto.» «Pam, non tormentarti! Hai fatto solo quello che dovevi.» «Come lo hai fatto tu per tanti anni.» S'interruppe. «Voglio dirti una cosa, ma non è facile.» Lui attese. «Mi dispiace... sul serio, per tutto. Non avevo mai capito quello che dovevi affrontare. Pensavo fosse la solita roba da macho egocentrico, ma mi sbagliavo. Su moltissime cose.» «Siamo in due. Dispiace anche a me, per tutto quello ch'è andato storto in tanti anni.» Lei alzò le mani in un gesto di resa. «Okay, mi pare che abbiamo avuto abbastanza emozioni, tutti e due.» Lui le tese la mano. «Pace?» Lei gliela strinse. «Pace.» Pam gli si avvicinò, chinandosi leggermente, e lo baciò sulle labbra. Lui non se l'era aspettato e la sensazione lo fece rabbrividire. «Questo per che cosa era?» «Non farti strane illusioni. Sono dell'idea che entrambi stiamo meglio da divorziati, ma questo non significa che io non ricordi.»
«Allora nessuno dei due dimenticherà. Che ne dici?» «D'accordo», rispose lei. Dopo una pausa, aggiunse: «Con Gary come la mettiamo? Dovrebbe conoscere la verità». Malone aveva riflettuto su quel dilemma. «La conoscerà. Lasciamo passare un po' di tempo, poi faremo una chiacchierata tutti e tre insieme. Non sono convinto che avrà molta importanza, per nessuno di noi... Ma hai ragione: ha diritto alla verità.» Malone pagò il conto, poi raggiunsero a piedi Thorvaldsen e Gary. «Il ragazzo mi mancherà», sospirò Henrik. «Siamo una bella squadra.» Malone e Pam avevano saputo tutto quello che era successo in Austria. «Credo che ne abbia avuto più che a sufficienza, d'intrighi», considerò Pam. «È ora di tornare a scuola. Hai passato dei brutti quarti d'ora, eh?» Malone vide che Thorvaldsen aveva capito ciò che intendeva: ne avevano parlato il giorno prima e, per quanto lo sconvolgesse il pensiero di Gary che affrontava un uomo armato di pistola, era segretamente fiero di lui. Nelle vene del ragazzo non scorreva il sangue di Malone, ma aveva assorbito da lui abbastanza da farlo sentire suo padre in tutti i sensi che contavano davvero. «È ora che andiate, ragazzi.» I tre camminarono sino al margine della piazza, dove Jesper aspettava con l'auto di Thorvaldsen. «Ne hai avuto abbastanza anche tu, d'intrighi?» domandò Malone a Jesper. L'uomo si limitò a sorridere e annuire. Il giorno prima Thorvaldsen aveva detto loro che due giorni con Margarete Hermann erano stati praticamente il massimo che Jesper potesse sopportare. Era stata liberata di sabato, quando Thorvaldsen e Gary erano tornati in Danimarca. Stando a quanto Thorvaldsen aveva raccontato di Hermann, il loro rapporto padre-figlia non era invidiabile. Tra loro esisteva un vincolo di sangue, ma non molto di più. Malone abbracciò il figlio. «Ti voglio bene. Prenditi cura di tua madre.» «Non ne ha bisogno.» «Non esserne tanto sicuro.» Guardò Pam. «Se mai avessi bisogno di me, sai dove trovarmi.» «Idem. Se non altro, noi due sappiamo guardarci le spalle a vicenda.» Non avevano raccontato a Gary quello che era successo nel Sinai e mai l'avrebbero fatto. Thorvaldsen aveva accettato di prendere i Guardiani sotto la sua ala e finanziare il mantenimento della Biblioteca e del monastero.
Era già in cantiere il progetto di archiviare elettronicamente i manoscritti; inoltre ci sarebbe stato qualche nuovo reclutamento e le file dei Guardiani si sarebbero rimpinguate a un numero rispettabile. Il danese era elettrizzato all'idea di dare una mano e non vedeva l'ora di visitare il sito. Tutto sarebbe rimasto segreto. Thorvaldsen aveva assicurato a Israele che il problema era stato contenuto. Gli Stati Uniti avevano offerto assicurazioni analoghe. Gli ebrei parevano soddisfatti. Pam e Gary salirono in macchina. Malone salutò mentre il veicolo scompariva inghiottito dal traffico, diretto all'aeroporto. Poi attraversò zigzagando la folla e raggiunse Thorvaldsen, che sorvegliava gli operai intenti a ripulire la sua casa dai detriti. «Messo tutto a nanna?» domandò Henrik. Cotton sapeva cosa intendeva l'amico. «Quel demone se n'è andato.» «Il passato può davvero mangiarti l'anima.» Annuì. «Oppure essere il tuo migliore amico.» Capì ciò che voleva dire Thorvaldsen. «Sarà sbalorditivo scoprire quello che c'è nella Biblioteca.» «Chissà quali tesori stanno là ad aspettare!» Guardò gli uomini sulle impalcature, intenti a ripulire dalla fuliggine la facciata del XVI secolo con getti di vapore. «Tornerà bella come una volta», affermò Thorvaldsen. «Ripristinare l'inventario spetta a te. Avrai un bel po' di libri da comprare.» Cotton non vedeva l'ora. Era il suo lavoro: il libraio... Ma le lezioni apprese in quei pochi giorni l'avevano portato a una conclusione. Rifletté ancora una volta sul pericolo che avevano corso i tre Malone e su ciò che contava davvero. Indicò l'edificio. «Niente di tutto questo è poi così importante.» Il danese gli rivolse un sorriso pieno di comprensione. «È soltanto roba, Henrik, tutto qui. Solo roba.» NOTA DELL'AUTORE Questo libro ha comportato numerosi viaggi: sono stato in Danimarca, Inghilterra, Germania e Austria; a Washington, DC, e in Portogallo. L'idea di base è nata durante una cena a Camden, in South Carolina, quando uno
dei miei anfitrioni - Kenneth Harvey - mi ha chiesto se avessi mai sentito parlare di uno studioso libanese di nome Kamal Salibi. Quando ho risposto di no, Ken mi ha dato quattro libri di Salibi. Circa un anno più tardi l'idea del romanzo è sbocciata. Come sempre, però, il risultato è una miscela di realtà e invenzione. È il momento di svelare dov'è stato tracciato il confine. Per quanto riguarda la nakba descritta nel prologo, è una tragedia sin troppo reale, che continua a martoriare i rapporti tra i popoli del Medio Oriente. Il monumento descritto nei capitoli 8 e 34 si basa su un vero bassorilievo marmoreo che si trova a Shugborough Hall, in Inghilterra. I seguaci della New Age e i teorici della cospirazione discutono da decenni sul suo significato. La conferenza stampa del capitolo 8 ha avuto luogo realmente a Shugborough Hall e le varie interpretazioni del monumento sono quelle effettivamente esposte dagli studiosi. L'idea che le lettere romane formassero una mappa, invece, è una mia invenzione. Come già detto, l'idea che l'Antico Testamento documenti la presenza degli ebrei in un luogo diverso dalla Palestina non è mia: nel 1985 Salibi descrisse la sua teoria in un saggio intitolato La Bibbia viene dall'Arabia. L'autore approfondì questa teoria in altre tre opere: Chi era Gesù (1988), Segreti del popolo della Bibbia (1988) e La storicità della Israele biblica (1998). Il nesso che George Haddad trova tra l'Arabia occidentale e i luoghi biblici, descritto nel capitolo 52, è modellato sulle teorie di Salibi. È vero pure che il governo saudita ha spianato interi villaggi coi bulldozer dopo l'uscita del primo libro di Salibi; a tutt'oggi i sauditi non consentono scavi archeologici in Asir. Le mappe riprodotte nei capitoli 57 e 68 sono tratte dalle ricerche di Salibi. La teoria secondo cui la terra promessa da Dio ad Abramo tramite il patto biblico si troverebbe in una regione assai distante da quella che oggi chiamiamo Palestina è a dir poco controversa, ma - come osservano Salibi e George Haddad - essa si potrebbe facilmente dimostrare o scartare grazie all'archeologia. Le incongruenze dell'Antico Testamento riportate nei capitoli 20, 23 e 57 non rappresentano nulla di nuovo; gli studiosi dibattono su quei punti da secoli. La Bibbia è, se non altro, un documento fluido e ogni generazione sembra lasciare un proprio marchio sulla sua interpretazione. La storia di David Ben Gurion, accennata nel capitolo 22, è autentica: il padre del moderno Stato d'Israele cambiò davvero radicalmente la sua po-
litica dopo il 1965, diventando più conciliante nei confronti degli arabi. Di conseguenza venne escluso dalla vita politica d'Israele sino alla morte, avvenuta nel 1973. Naturalmente la sua visita alla Biblioteca è una mia invenzione. La storia di Nicolas Poussin, così com'è riferita nel capitolo 29, è vera. Anche la sua vita subì un cambiamento drammatico. Il destino dei suoi Pastori d'Arcadia è narrato con precisione e lo stralcio di lettera in cui si accenna a ciò che Poussin potrebbe avere segretamente appreso è reale. Perché l'artista abbia creato I pastori d'Arcadia II - l'immagine speculare del primo dipinto, riprodotta in bassorilievo sul monumento di Shugborough Hall - resta un mistero. I Guardiani sono una mia invenzione. Forse, se fossero esistiti, la Biblioteca di Alessandria si sarebbe potuta salvare. La descrizione concreta della Biblioteca, nel capitolo 21, è la migliore tra quelle disponibili. In quanto alla scomparsa di oltre mezzo milione di manoscritti, le tre spiegazioni fornite nel capitolo 21 sono le ipotesi più accreditate dagli esperti. Gli eruditi personaggi menzionati nel capitolo 32 sono realmente vissuti; purtroppo, a causa della distruzione della Biblioteca di Alessandria, nessuno dei loro scritti è sopravvissuto. La mappa di Piri Reis (capitolo 32) esiste tuttora e offre una fugace visione di quanto può essere andato perduto. La cerca dell'eroe è immaginaria, adattata da un misterioso manoscritto intitolato Il serpente rosso nel quale mi sono imbattuto mentre mi trovavo a Rennes-le-Château, nel corso delle mie ricerche per L'ultima cospirazione. L'Ordine del Toson d'Oro era un'associazione medievale francese, creata come descritto nel capitolo 18. In Austria prospera tuttora un ordine con lo stesso nome, ma che non ha nulla a che vedere col gruppo da me immaginato. Le tuniche e gli ornamenti descritti s'ispirano all'Ordine così com'era nel XV secolo. Il monastero di Santa Maria di Belém si trova a Lisbona. L'ho visitato due volte e la sua storia e magnificenza (descritte nei capitoli 46, 48, 51, 53 e 54) sono reali, benché io abbia in parte modificato la geografia interna dell'edificio. È un luogo straordinario, come lo è Lisbona. Il sacrario, che svolge un ruolo cruciale nella cerca dell'eroe, si trova effettivamente nel monastero di Belém. Il modo in cui il sole inonda di luce dorata l'esterno d'argento è un fenomeno osservato secoli or sono. Oggigiorno, per mantenere costante l'effetto, l'argento è illuminato a giorno tramite dei riflettori (che naturalmente sono stati eliminati nel romanzo).
Il Museo Nazionale Aerospaziale è uno dei luoghi che preferisco e mi ha fatto piacere trovare finalmente l'occasione d'inserirlo in un mio libro. Kronborg Slot (capitolo 9), Helsingør (capitoli 11 e 14), la Baumeisterhaus a Rothenburg (capitolo 22), la valle del Reno e il ponte sulla Mosella nella Germania centrale (capitolo 27) sono tutti luoghi realmente esistenti. Il carteggio tra san Girolamo e sant'Agostino (capitoli 63 e 65) è una mia invenzione. Erano entrambi uomini eruditi, impegnati a plasmare la Chiesa degli inizi. Le lettere mostrano come la traduzione di Girolamo dell'Antico Testamento dall'ebraico in latino potrebbe essere stata manipolata per servire agli scopi della Chiesa emergente. Le osservazioni circa le incongruenze presenti nella traduzione di Girolamo sono di Salibi, non mie, ma sollevano quesiti interessanti. Non mi sono mai lanciato con un paracadute da un C130H, ma il colonnello Barry King l'ha fatto e mi ha spiegato tutto per filo e per segno. L'abbazia nel Sinai (capitolo 72) è un misto di molte strutture simili che costellano quella regione desolata. Collocare la superstite Biblioteca di Alessandria laggiù, sottoterra, non è un'idea così peregrina: gli antichi egizi scavarono numerose gallerie in quelle montagne ed è verosimile che i loro tunnel esistessero ancora dopo l'epoca di Cristo. La storia della Bibbia del Sinai (capitolo 63) è riportata fedelmente. Il codice di Aleppo (capitolo 23), risalente al 900 d.C, è conservato a Gerusalemme e resta il più antico manoscritto esistente dell'Antico Testamento. Una Bibbia di epoca precristiana come quella descritta nel cap. 79, tuttavia, cambierebbe certamente tutto ciò che sappiamo dell'Antico Testamento. Il conflitto in Medio Oriente continua a infuriare. È sorprendente che le tre principali religioni del mondo - giudaismo, islamismo e cristianesimo abbiano scelto di venerare lo stesso luogo: Gerusalemme. Da duemila anni queste ideologie contrastanti combattono per la supremazia, ma - come viene detto nel capitolo 7 - al suo livello più profondo la lotta non è incentrata sulla terra, sulla libertà o sulla politica, ma su qualcosa di molto più fondamentale. La Parola di Dio. Ciascuna delle tre religioni ne possiede una propria versione e ciascuna crede ardentemente che le altre due siano sbagliate. È questo, più di qualunque altra cosa, a spiegare il perdurare del conflitto.
RINGRAZIAMENTI Gli scrittori dovrebbero adoperare con moderazione il pronome «io». Un libro è un lavoro di squadra, e la squadra di cui ho il privilegio di far parte è davvero una meraviglia. Perciò, per la quinta volta, i miei più vivi ringraziamenti vanno anzitutto a Pam Ahearn, la mia agente, che ha incontrato un uragano di nome Katrina, ma se l'è cavata. Poi ai fantastici ragazzi della Random House: Gina Centrello, straordinaria editrice e donna di grandissimo fascino; Mark Tavani, il mio editor, un uomo ormai sposato, ma sempre troppo saggio per la sua età; Cindy Murray, maga della promozione che si supera ogni volta; Kim Hovey con la sua indescrivibile abilità nel marketing; Beck Stvan, artista di talento con un grande occhio per le copertine; Laura Jorstad che ancora una volta ha curato con precisione la stampa; Carole Lowenstein, che rende le pagine sempre gradevoli all'occhio, e infine tutti i responsabili della promozione e delle vendite. Senza il loro smisurato impegno non si arriverebbe da nessuna parte. C'è un'altra persona che merita una menzione speciale: Kenneth Harvey. Durante una cena in South Carolina, qualche anno fa, Ken sottopose alla mia attenzione uno studioso libanese di nome Kamal Salibi e la sua teoria piuttosto oscura, che si trasformò infine in questo romanzo. Le idee sorgono nei momenti più strani e dalle fonti più inattese; compito dello scrittore è saperle riconoscere. Grazie, Ken. Ho anche una nuova Elizabeth nella mia vita, intelligente, bella e affettuosa: parlo naturalmente di mia figlia Elizabeth, di otto anni, la quale continua a non darmi altro che gioia. Infine il libro è dedicato ai miei figli più grandi, Kevin e Katie, che mi fanno sentire vecchio e giovane al tempo stesso. FINE