ANNE McCAFFREY L'ALBA DEI DRAGHI (Dragonsdawn, 1990) 1. 4.5.08 Pern Dopo circa otto anni di intima convivenza, la gente ...
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ANNE McCAFFREY L'ALBA DEI DRAGHI (Dragonsdawn, 1990) 1. 4.5.08 Pern Dopo circa otto anni di intima convivenza, la gente si era talmente abituata ai draghetti da non prestare più molta attenzione al comportamento di quelle creature. Coloro che invece notarono le loro inconsuete stramberie, pensarono che i draghetti avessero semplicemente inventato una sorta di nuovo gioco grazie alla loro ricchezza di inventiva e gaiezza. Solo in seguito la gente ricordò che quelle creature avevano cercato di condurre il bestiame al riparo nelle stalle. E così pure i ranger marini si rammentarono successivamente che i delfini Bessie, Lottie e Maximilian avevano cercato con insistenza di spiegare agli amici umani perché le locali creature marine si stessero precipitosamente spostando ad oriente verso una nuova fonte di cibo. Nella sua abitazione in Piazza d'Europa, Sabra Ongola-Stein credette veramente che Fancy, il draghetto di famiglia, stesse aggredendo il suo figlioletto di tre anni intento a giocare nel cortile. La piccola aurea stava di fatto artigliando la carnicina di Shuvin, tentando di tirarlo via dal mucchietto di sabbia e dal suo camioncino preferito. Non appena Sabra era riuscita a salvare il piccolo, percuotendo Fancy, il draghetto si era messo a svolazzare sulla sua testa con gorgheggi di sollievo. Si trattava certo di un comportamento bizzarro, e in più Sabra notò che, nonostante la stoffa della carnicina fosse lacerata, gli artigli del draghetto non avevano lasciato alcun segno sulla pelle del bimbo. Né questi piangeva. Shuvin voleva soltanto tornare al suo giocattolo, mentre la mamma insisteva per cambiargli la camicia. Con immensa sorpresa di Sabra, Fancy cercò di intrufolarsi in casa con loro, ma la donna riuscì a chiudere in tempo la porta. Appoggiata ad essa, mentre stava riprendendo fiato, notò dalla finestra posteriore che gli altri draghetti mostravano un comportamento altrettanto stravagante. Per un certo verso fu rassicurata dal fatto che non si era mai avuta notizia di draghetti che avessero ferito o recato danno alle persone persino nel fervore dell'accoppiamento; ma ciò che li agitava adesso non sembrava l'ardore
nuziale, in quanto i verdi volavano con la medesima frenesia degli altri draghetti di diverso colore. E i verdi sgombravano sempre il campo quando un'aurea era in amore. Poi quella non era affatto la stagione giusta perché Fancy pensasse ad accoppiarsi. Mentre Sabra cambiava la camicia a Shuvin, armeggiando con destrezza per domare le contorsioni del bimbo recalcitrante, si accorse che le grida che penetravano le spesse pareti di plastica dell'abitazione erano urla di terrore. Sabra, come chiunque altro ad Approdo, conosceva il significato dei versi dei draghetti. Cosa poteva spaventarli in quel modo? La grande creatura volante - forse un wherry di enormi dimensioni - avvistata di tanto in tanto presso il Pascolo della Barriera Occidentale, non si sarebbe azzardata a spingersi tanto ad est. Quale altro pericolo poteva incombere in quella splendida mattinata primaverile? La nuvolaglia che offuscava a distanza l'orizzonte minacciava di portare pioggia nel corso della giornata, cosa che sarebbe stata di grande vantaggio per i campi di cereali dove orzo e frumento già germogliavano. Forse avrebbe dovuto ritirare i panni stesi. Talvolta sentiva la mancanza di quei comodi aggeggi terrestri che con la semplice operazione di pigiare un bottone le eliminavano la fatica delle monotone faccende domestiche. Peccato che il Consiglio non avesse mai deliberato di affidare i compiti domestici quale punizione ai trasgressori dei regolamenti della colonia. Finalmente infilò nei pantaloncini la camicia di Shuvin, il quale le diede un affettuoso bacione. «Il camion, mammina, il camion? Ora?» La bramosa richiesta del piccolo la rese d'improvviso consapevole del silenzio, dell'assenza del consueto e allegro baccano dei draghetti che faceva da colonna sonora alla vita quotidiana di Approdo e di ogni altro insediamento del continente meridionale. Un silenzio così totale era certo terrificante. Turbata, trattenendo Shuvin che voleva ostinatamente tornare a. giocare con la sabbia, Sabra si affacciò dalla finestra posteriore, dopodiché lanciò un occhiata dal plasglas alle sue spalle.. Non vi era in visita un solo draghetto. Neppure sulla casa di Betty Musgrave-Blake, dove ci sarebbe dovuta essere la solita combriccola prenatale. Betty era in attesa del suo secondo bambino, e Sabra aveva visto Basil, l'ostetrico, arrivare con Greta, la sua ottima allieva. Dov'erano finiti i draghetti? Non mancavano mai ad una nascita. Nonostante Approdo fosse un insediamento ormai saldamente stabilito, sussisteva la regola che ciascuno dovesse avvertire chi di dovere nel caso
avesse notato qualcosa d'insolito. Sabra provò a comporre il numero di Ongola, ma risultava occupato. Intanto, la manina insudiciata di Shuvin aveva raggiunto la maniglia della porta; con un sorriso da furfantello esibì alla mamma la sua nuova abilità ed aprì la porta. Sabra gli sorrise acquiescente mentre digitava il numero di Bay. La zoologa forse sapeva cosa era accaduto alle sue creature preferite. 2. A sud-est di Approdo, Sean e Sorka andavano a caccia di wherry per il pranzo del Giorno-di-Riposo. Col diffondersi degli insediamenti umani, i foraggiatori erano costretti ad allontanarsi se volevano fare buona caccia. «Non hanno neppure provato a cacciare, Sorka,» disse Sean accigliato. «Hanno passato più di metà settimana a discutere. Stupidi!» Sollevò un abbronzato braccio muscoloso in un gesto di minaccia contro gli otto draghetti. «Volete darvi una mossa, fannulloni alati? Siamo qui per cacciare!» La sua invettiva fu del tutto ignorata dai vecchi marroni impegnati in un'accesa discussione telepatica con il draghetto regina, Blazer. Il loro comportamento era davvero straordinario: Blazer, migliorata geneticamente grazie alle manipolazioni di Bay Harkenon, godeva solitamente della rassegnata ubbidienza che i draghetti inferiori di diverso colore assicuravano alle fertili regine auree. «Anche i miei si comportano così,» disse Sorka annuendo, mentre i suoi cinque draghetti si aggregavano a quelli di Sean. «Oh, e pensare che sono qui per noi!» Allentando le redini, Sorka strinse le cosce sui fianchi della sua puledra baia ma si arrestò di colpo quando scorse Sean indirizzare il muso di Cricket verso lo stormo di draghetti in arrivo sollevando imperiosamente una mano. Sorka fu ancor più sorpresa nel vedere i draghetti assumere una formazione d'attacco, lanciando urla fragorose di indicibile terrore e pericolo. «Pericolo? Dove?» Sean fece compiere al suo cavallo un giro completo con le zampe posteriori, un trucchetto che Sorka non era mai riuscita ad insegnare a Doove malgrado ci avesse provato ripetutamente con pazienza inesauribile, assistita anche da Sean. Questi scrutò il cielo tutt'intorno e arrestò Cricket non appena i draghetti volsero con un unico movimento la testa ad oriente. Blazer atterrò sulla sua spalla, attorcigliandogli la coda intorno al collo ed al bicipite sinistro, e lanciò stridule grida agli altri. Sean era sbalordito
dalla coordinazione che dominava le mosse dello stormo. Una regina che prendeva ordini dai marroni? L'inquietudine profonda che attanagliava i pensieri della piccola regina lo distolse di colpo da quegli interrogativi. «Approdo in pericolo?», domandò. «Mettersi al riparo?» Alle parole di Sean, Sorka prese coscienza del messaggio che i bronzei cercavano di comunicarle. Sean era sempre più lesto a leggere le immagini mentali dei suoi draghetti 'trattati', specie quelle di Blazer che si dimostrava sempre la più coerente. Sorka aveva desiderato spesso possedere una femmina aurea, ma amava troppo i suoi bronzei e marroni per lamentarsene. «Sono le stesse cose che leggo nei pensieri dei miei,» disse Sorka mentre i suoi cinque draghetti cominciavano a tirarle la veste da tutte le parti. Sean cavalcava a dorso nudo, cosa che lei non poteva fare senza un eccessivo sballottamento. Sorka indossava una veste di cuoio che al tempo stesso forniva un supporto alle bestiole e la proteggeva dai loro artigli. Il bronzeo Emmett si piazzò sulla testa della cavalla Doove, che era lunga abbastanza da consentirgli di aggrapparsi ad un orecchio ed al ciuffo della criniera così da tentare di convincere la cavalla a ruotare la testa. «Qualcosa di grande, di pericoloso! Nascondersi in un riparo!», disse Sean scuotendo il capo. «È soltanto un temporale, sciocchini. Guardate, è solo una nuvola.» Sorka si accigliò mentre osservava la nube a oriente. Lei e Sean si trovavano sull'altipiano, ad un'altezza sufficiente per intravedere uno scorcio del mare. «Certo che come formazione nuvolosa è molto strana, Sean. Non ho mai visto niente di simile. Somiglia più che altro ad uno di quei cumuli nevosi che di tanto in tanto avevamo in Irlanda.» Sean aggrottò le ciglia e strinse le gambe. Cricket, percependo le paure dei draghetti, con un'impennata ridusse il passo al trotto moderato che gli era stato insegnato, pronto però a lanciarsi in un folle galoppo nell'istante in cui Sean glielo avesse comandato. Carichi di angoscia, gli occhi dello stallone roteavano intervallati da sbuffi preoccupati. Anche Doove appariva agitata dall'atteggiamento allarmato del bronzeo Emmett. «Qui non nevica, Sorka, però hai ragione circa il colore e la forma. Qualunque cosa stia venendo giù, è maledettamente vicina a noi. E qui la pioggia non cade in quel modo.» Duke e i primi due marroni di Sean videro la strana pioggia ed emisero urla cariche di terrore e di profonda frustrazione. Blazer lanciò un feroce
stridìo di comando dopodiché, l'unica cosa di cui Sorka e Sean si resero conto fu che entrambi i cavalli furono spronati in un furioso galoppo da un paio di efficaci graffi che i draghetti infersero al loro groppone. Guidati dalla schiera dei draghetti, i due cavalli si diedero ad una fuga delirante in direzione nord-ovest. Redini, gambe, sella o urla non sortivano alcun effetto sugli animali impazziti dal terrore e, se mai tentavano di obbedire ai loro cavalieri, una nuova sferzata dei vigili draghetti faceva loro prontamente cambiare idea. «Cosa diavolo gli ha preso?», gridò Sean, tirando il laccio che usava al posto del morso nella tenera bocca di Cricket. «Gli romperò il muso, per questo: vedrai se non lo faccio.» «No, Sean,» gridò Sorka appoggiata al collo della puledra lanciata al galoppo. «Duke è terrorizzato da quella nuvola. Tutti i miei draghetti lo sono. Non hanno mai fatto male ai cavalli! Saremmo degli sciocchi ad ignorarli.» «Come se potessimo!» I cavalli si gettarono a capofitto lungo una gola. Sean dovette far ricorso a tutte le sue abilità di cavaliere per restare in groppa a Cricket, ma la sua mente captò il sollievo di Blazer per essere riuscita a spingerli verso la salvezza. «Salvezza da cosa?», mormorò Sean con un grugnito selvaggio, detestando quella sensazione di impotenza su un animale che in sette anni non gli aveva mai disobbedito, un animale che credeva di comprendere meglio di qualsiasi altro essere umano di tutto il pianeta. La furiosa galoppata non accennò a rallentare, neppure quando Sean sentì che lo stallone grigio, per quanto fosse in forma, cominciava ad accusare la stanchezza. I draghetti stavano guidando i cavalli direttamente verso uno dei laghetti che punteggiavano quella parte del continente. «Perché l'acqua, Sean?», gridò Sorka mentre si drizzava tirando la briglia. La cavalla rispose volentieri al comando rallentando il passo, cosa che suscitò un urlo di protesta da parte di Duke e degli altri due bronzei, i quali, ancora una volta, infierirono sul groppone sanguinante della puledra. Gli occhi bianchi dalla paura, la cavalla saltò in acqua con un nitrito, disarcionando quasi la sua amazzone. Lo stallone la seguì a breve distanza, aizzato dagli artigli dei draghetti di Sean. Il lago, un profondo bacino nel quale confluivano i corsi d'acqua dei vicini colli, era preceduto da un breve tratto di spiaggia, sicché i cavalli dovettero procedere a nuoto, risolutamente indirizzati dai draghetti verso la
sporgenza rocciosa che si affacciava sulla sponda opposta. Sean e Sorka erano andati spesso a prendere il sole su quella piattaforma naturale, divertendosi a tuffarsi dall'alto trampolino nelle profonde acque sottostanti. «La piattaforma? Vogliono che ci andiamo sotto? L'acqua lì è molto profonda.» «Perché?», continuava a domandarsi Sorka. «Sta solo per piovere.» La ragazza nuotava accanto a Doove, una mano aggrappata al pomo della sella, l'altra alle briglie, lasciandosi trascinare dalla puledra. «Dove sono finiti tutti?» Sean, al fianco di Cricket, si voltò da una parte a guardare la strada appena percorsa. Gli occhi gli si spalancarono. «Non è pioggia. Presto, Sorka! Sotto la piattaforma!» Sorka gettò un'occhiata al di sopra della spalla e scorse ciò che aveva agitato il suo giovane compagno solitamente imperturbabile. Il terrore conferì forza al suo braccio; tirando le redini, incitò Doove ad avanzare con maggiore rapidità. Mancava poco alla sporgenza di roccia; ancora un po', e sarebbero giunti a quel minimo riparo che la piattaforma offriva loro per sfuggire all'argentea caduta sibilante che si stava abbattendo in maniera così sinistra sui boschi che avevano appena attraversato. «Dove sono i draghetti?», chiese Sorka con un gemito mentre entrava nella macchia d'ombra creata dalla piattaforma, cercando di trascinare Doove dietro di sé. «Sicuramente più al sicuro di noi!» Il tono di Sean suonò amaro ed irato mentre spingeva Cricket sotto la tettoia di roccia. Lo spazio bastava appena a riparare le teste dei cavalli a fior d'acqua, ma non le zampe scalpitanti. D'un tratto, i due animali cessarono di opporre resistenza ai cavalieri e cominciarono a spingere Sorka e Sean contro la parete interna della piccola cavità, nitrendo in preda al panico più abietto. «Solleva le gambe, Sorka! Tieniti in equilibrio sulla parete interna!», gridò Sean, mostrandole come fare. Poi udirono il sibilo sull'acqua. Affacciandosi a guardare di fianco alle teste dei cavalli atterriti, Sorka e Sean videro coi loro occhi i fili lunghi e sottili che affondavano nell'acqua. D'improvviso le acque si fecero torbide e qui e là affiorarono le pinne dei pescetti d'acqua dolce messi a coltura nei corsi d'acqua. «Ehi! guarda là!» Sean indicò eccitato una piccola fiammata appena al di sopra della su-
perficie del lago. Il getto incendiario carbonizzò una grossa matassa di quegli strani fili prima che questi venissero a contatto con l'acqua. «Anche laggiù!», disse Sorka, dopodiché si udì il chiacchierio eccitato ma esultante dei draghetti. Rannicchiati sotto la tettoia di roccia, i due giovani intravidero soltanto fugaci immagini dei draghetti e delle inattese fiammate. Tutto ad un tratto, Sorka rammentò il giorno, molto tempo prima, in cui aveva assistito per la prima volta alla difesa del pollaio superbamente condotta dai draghetti. In quell'occasione aveva avuto la certezza che Duke avesse preso di mira un wherry con un soffio di fuoco. «È già successo un'altra volta, Sean,» disse Sorka, mentre le dita le scivolavano sulla spalla bagnata di Sean del quale voleva attrarre l'attenzione. «I draghetti riescono in qualche modo ad alitare fuoco. Forse è a questo che serve il loro secondo stomaco.» «Beh, sono contento che non si siano comportati da vigliacchi,» mormorò Sean, spingendosi con prudenza verso l'apertura. «No,» disse con voce sollevata, emettendo un lungo sospiro. «Non sono affatto dei vigliacchi. Vieni qui, Sorka.» Sorka lanciò uno sguardo ansioso a Doove e raggiunse Sean. Quando gli fu vicino, proruppe in un grido di stupita esultanza. Lo stormo di draghetti era stato rinforzato da una folta schiera di compagni alati. I piccoli guerrieri sembravano fare a turno nell'avventarsi contro la malefica pioggia, scaricando lingue di fuoco sulla terrificante cascata che, ridotta in cenere, ricadeva sulla superficie del lago dove le bocche dei pesci la trangugiavano in un batter d'occhio. «Vedi, Sorka? I draghetti stanno proteggendo la piattaforma.» Sorka vide la minacciosa pioggia abbattersi indisturbata sul lago al di fuori della zona controllata dai draghetti. «Accidenti, Sean, guarda cosa fa ai cespugli!» Sorka indicò la sponda del lago. La fitta macchia di robusti cespugli tra i quali avevano cavalcato soltanto qualche minuto prima non era più visibile: la ricopriva un intricato ammasso di 'cose' che sembravano espandersi a vista d'occhio. Sorka provò un violento senso di nausea e, soltanto grazie a un'intensa concentrazione, riuscì ad impedirsi di vomitare la colazione. Sean era sbiancato in volto. Le sue mani, che si agitavano ritmicamente per consentirgli di conservare ferma la posizione nell'acqua, si serrarono minacciosamente a pugno. «I draghetti avevano ragione ad essere così spaventati.»
Con pugni impotenti colpiva l'acqua increspandola in superficie. Improvvisamente, Duke fece una subitanea apparizione affacciandosi nella piccola cavità e restandovi giusto il tempo di lanciare agli occupanti uno strido di rassicurazione, dopodiché svanì senza lasciar traccia. «Beh, a questo punto,» disse Sean, «se fossi Pol Nietro, direi che la loro capacità di spostamento istantaneo costituisce in assoluto il migliore meccanismo di difesa che una specie possa mai sviluppare.» «Un lungo filo scivolò dalla roccia sovrastante, restandovi appeso per un attimo dinanzi agli occhi terrorizzati dei due giovani. Istantaneamente, un getto fiammeggiante lo carbonizzò. Disgustato, Sean gettò dell'acqua su quei resti, allontanando poi le ceneri galleggianti da sé e da Sorka. Alle loro spalle la respirazione dei cavalli mostrava segni di pericolosa insufficienza. «Quanto ci vorrà ancora?», disse Sean, accostandosi alla testa di Cricket e accarezzandola con entrambe le mani. «Quanto ci vorrà?» 3. «Non si tratta affatto di un'esigenza di accoppiamento,» disse Bay a Sabra quando questa la chiamò, «ed è un modello di comportamento totalmente irrazionale.» Scorrendo con la mente tutto ciò che sapeva e che aveva osservato a proposito dei draghetti, Bay seguitava a sbirciare fuori dalla finestra. Mentre osservava il cielo, una slitta decollò da un parcheggio situato vicino alla Torre di Controllo e si diresse a tutta velocità verso il temporale. «Lascia che dia una controllatina all'archivio e che ne parli un po’ con Pol. Ti richiamo io. È davvero assai insolito.» Pol stava lavorando nell'orto sul retro della casa. La vide arrivare e l'accolse con allegri gesti di saluto, tirando su il berretto con la visiera e asciugandosi la fronte sudata. Il terreno del giardino era stato arricchito e concimato con una varietà di larve e coleotteri terrestri che si erano dimostrati ben lieti di attecchire nel suolo di Pern integrando le più pigre specie indigene. Bay vide Pol fermarsi, la mano poggiata nel mezzo della fronte, con gli occhi che roteavano ansiosi attorno: indovinò allora che soltanto in quel momento Pol aveva notato l'assenza dei draghetti. «Dove sono finiti tutti?» I suoi occhi corsero agli altri blocchi di abitazioni ed al tetto vuoto di Betty. «Sono spariti all'improvviso, non è vero?» «Ho appena sentito Sabra. Mi ha detto che Fancy, la loro aurea, ha aggredito il piccolo Shuvin. Senza motivo. Però gli artigli non gli hanno feri-
to la pelle. Fancy ha anche tentato di entrare in casa con loro. Sabra ha detto che le è parsa spaventata.» Pol sollevò le sopracciglia per la sorpresa riprendendo ad asciugarsi la fronte e poi la fascia del berretto, prima di riabbassarlo sulla testa. Appoggiandosi alla zappa, si guardò intorno. Fu allora che scorse le nuvole grigie. «Non mi piace il loro aspetto, tesoro,» disse. «Farò una piccola pausa finché il temporale non sarà passato.» Le sorrise. «Nel frattempo daremo un'occhiata ai tuoi appunti sulla specie che ha subito il trattamento telepatico. Fancy è una di loro, non un draghetto primitivo.» Tutto d'un tratto, l'aria si riempì di urla, stridi e schiamazzi di dr aghetti terrorizzati. «Dove sono state, quelle piccole pesti?», domandò Pol, mentre si strappava di testa il berretto agitandolo furiosamente davanti alla faccia. «Puh! Accidenti, se puzzano!» Bay si tappò il naso precipitandosi verso casa. «È terribile! È odore di zolfo.» Sei draghetti si staccarono dalle centinaia che formavano il grande stormo, e puntarono verso Bay e Pol, sospingendoli con piccoli colpi e garrendo con stridii acuti per affrettare la ritirata dei due scienziati. «Credo proprio che ci stiano spingendo dentro casa, Pol,» disse Bay. La donna si fermò ad osservare attentamente quell'eccentrico comportamento e subito la sua regina le agguantò una ciocca di capelli mentre i due bronzei afferravano i lembi della tunica tirandola in avanti. Le grida dei draghetti si fecero più frenetiche. «Credo che tu abbia ragione. E lo stanno facendo anche con altri.» «Non ho mai visto un tale numero di draghetti. Normalmente non abbiamo concentrazioni così numerose qui.» Bay riprese a dirigersi verso casa, trotterellando pesantemente per stare al passo coi draghetti. «La maggior parte sono selvatici! Guarda le regine: alcune sono molto più piccole! E c'è una prevalenza di verdi. Affascinante.» «Davvero!», convenne Pol, alquanto divertito dal fatto che i loro draghetti fossero entrati in casa e si stessero dando da fare a richiudere la porta alle spalle dei loro amici umani. «Estremamente interessante!» Bay si stava già sedendo al terminal. «È evidente che c'è qualcosa di pericoloso per loro come per noi.» «Preferirei che si posassero da qualche parte,» disse Pol. I draghetti, infatti, svolazzavano liberamente nel soggiorno, nella camera da letto, nel
bagno ed anche nel piccolo ma ben attrezzato laboratorio annesso all'abitazione. «Questo è un po’ troppo! Bay, dì alla regina di posarsi, così gli altri la imiteranno.» «Diglielo tu, Pol. Sto digitando il programma. Obbedirà anche a te.» Pol tentò di convincere Mariah a posarsi sul suo braccio. Ma, un istante dopo che si era posata, aveva nuovamente decollato seguita dagli altri. Lo zoologo cercò allora di adescarla col suo pesce preferito, ma il tentativo risultò vano. La cosa non divertiva più Pol. Lanciò uno sguardo fuori della finestra per scoprire se anche gli altri draghetti fossero affetti da quella isteria collettiva, e notò che le piazze erano sgombre di gente. Nuvole di polvere si sollevavano dalle stalle verso le quali folte orde di draghetti cercavano di ricondurre il bestiame. Si udiva in lontananza il baccano delle bestie impaurite. «Dev'esserci una spiegazione a tutto ciò,» mormorò, arrestandosi dietro a Bay per leggere lo schermo. «Ehi, guarda la casa di Betty!» Col dito indicò fuori della finestra l'abitazione completamente ricoperta di draghetti. «Mio Dio, forse è meglio che vada a sentire se hanno bisogno d'aiuto.» Mentre Paul allungava la mano verso la maniglia della porta, Mariah, stridendo rabbiosamente, si gettò su di lui spingendogli la mano via dalla porta dopo avergliela graffiata. «Non andare, Pol! Non uscire! Guarda!» Bay si stava alzando dalla sedia ed era rimasta paralizzata a mezz'aria, il volto sfigurato da un'espressione di orrore totale. Pol le cinse le spalle con un gesto protettivo ed entrambi udirono lo scroscio sibilante della pioggia terribile che si stava abbattendo su Approdo. Videro delle singolari 'gocce di pioggia' oblunghe ricadere sulla superficie del terreno, incontrando talvolta soltanto la polvere, o avvilupparsi intorno all'erba e agli arbusti, che sparivano, lasciandosi dietro rigonfie 'cose' lumachiformi che rapidamente attaccavano ogni genere di vegetale che trovavano sulla loro via. Il giardino ben curato di Pol si trasformò in un terreno incolto di 'cose' verdastre che si agitavano e si gonfiavano nel giro di pochi secondi ad ogni nuovo banchetto. Mariah emise un grido rauco e, istantaneamente, sparì dall'abitazione. Gli altri cinque draghetti la seguirono in un batter d'ali. «Non riesco a credere ai miei occhi,» disse Pol allibito, con un sussurro. «Si teletrasportano in stormi, quasi in formazione. Sicché la telecinesi è stata sviluppata come una tecnica di sopravvivenza. Hmmm...» La pioggia abominevole continuava ad avanzare, spandendo noncurante
i micidiali fili che cadevano inesorabilmente sull'accurato incastro di pietre intagliate che rivestivano il patio intorno alla casa di Pol. «Non divorano la pietra,» osservò Pol con clinico distacco. «Spero che il tetto in silicone resisterà allo stesso modo.» «I draghetti possiedono più di un'abilità sconosciuta, mio caro Pol,» disse Bay con orgoglio indicando fuori. All'aperto, i loro draghetti stavano sorvolando l'abitazione alitando fiamme che incenerivano quell'aggressiva forma di vita prima che questa raggiungesse il tetto. «Sarei più felice se sapessi che quelle cose non riescono a penetrare la plastica,» ripeté Pol con un lieve tremito nella voce, alzando gli occhi al tetto opaco. Sussultò e si curvò per proteggersi al primo impatto viscido. A questo ne seguì un altro, poi vide la fiamma sputare brevi getti vermigli attraverso lo scuro materiale plastico del tetto. «Beh, meno male, è un sollievo!», disse Pol raddrizzando le spalle. «Però hanno corroso il tetto finché i draghetti, benedetti i loro cuoricini, non le hanno carbonizzate.» Bay sbirciò fuori dalla finestra prospiciente la casa di Betty Musgrave-Blake. «Mio Dio! Guarda là!» L'abitazione pareva circondata da un vortice di fuoco mentre i draghetti formavano freneticamente un ombrello affinché non un solo filo di quella assurda pioggia raggiungesse la casa della partoriente. Pol ebbe la lucidità mentale di raccogliere il binocolo dal caos di oggetti che ingombravano uno scaffale. Lo orientò verso i campi e le stalle dei veterinari. «Chissà se riusciranno a proteggere il nostro bestiame. Gli animali sono troppi per poterli condurre tutti in salvo. Sembra però che i draghetti si stiano concentrando in quella zona.» Particolarmente preoccupati per la sicurezza degli animali che essi stessi aveva contributo a creare, Pol e Bay si alternavano nell'osservare la zona col binocolo. D'improvviso, Bay lo lasciò cadere e, rabbrividendo, lo passò a Pol senza aprir bocca. Era stata sconvolta dalla vista di una mucca adulta ridotta nel giro di qualche secondo in un cadavere rinsecchito e coperto da masse di striscie contorte. Pol mise a fuoco le lenti e grugnì sgomento in preda ad un senso d'impotenza, poi abbassò abbassando anche lui il binocolo. «Sono mortali. Voraci, insaziabili. Sembrerebbe che distruggano tutto ciò che è organico,» mormorò. Poi, tratto un risoluto, profondo respiro, risollevò il binocolo. «E purtroppo, a giudicare dai segni sui tetti di alcuni capannoni che abbiamo montato per primi, corrodono anche la plastica a
base di carbonio.» «Oh, caro, sarebbe terribile. Pensi che possa trattarsi di un fenomeno regionale?», chiese Bay con voce tremante. «C'erano quelle strane macchie circolari nelle aree verdi, quelle del rapporto originale...» Distogliendo lo sguardo dallo scempio che si stava consumando poco lontano, si sedette alla tastiera e, illuminato lo schermo, cominciò a digitare il programma che le interessava. «Mi auguro che nessuno sia così folle da uscire allo scoperto per recuperare le poche bestie rimaste,» disse Pol in tono caustico. «Spero invece che mettano in salvo i cavalli. La nuova razza equina è troppo promettente perché debba andare perduta in un simile disastro.» Quasi ad approvare quella considerazione, il segnale d'allarme cominciò a diffondere il suo monotono lamento dalla torre meteorologica. «Beh, adesso è troppo tardi, vecchio mio,» disse Pol, mettendo a fuoco il binocolo sulla torre. Nell'edificio scorse Ongola con un pezzo di stoffa appoggiato su una guancia. La slitta partita poco prima per effettuare un sopralluogo nella zona colpita dal temporale era ora parcheggiata a brevissima distanza dall'ingresso alla torre, il che fece supporre a Pol che Ongola si fosse precipitato direttamente dal velivolo alla porta dell'edificio. «Ti sbagli, Pol: il segnale si diffonde e mette in funzione i ripetitori,» disse Bay in tono assente mentre le sue dita volavano sui tasti. «Ah, già. Me n'ero dimenticato. Stamattina un po’ di persone sono andate a caccia, sai.» Le dita di Bay si fermarono, e la donna si voltò lentamente sulla sedia girevole fino a fissare la faccia cinerea di Pol. «Oh, caro, tutti hanno dei draghetti adesso, e sicuramente almeno uno di quelli telepatici che tu hai sviluppato.» Pol le si avvicinò rassicurandola con un affettuoso buffetto sulla testa. «Hanno organizzato per noi una difesa di prim'ordine. Ah! Ascolta!» Non c'era possibilità di confondere i trilli e i gorgheggi di esultanza che i draghetti sempre levavano in occasione di una nascita. Malgrado lo stranissimo disastro che aveva colpito Pern in quel momento, una nuova vita si era affacciata sul pianeta. L'inno di benvenuto non interruppe tuttavia la fiammeggiante rete protettiva che avvolgeva la casa. «Povero piccolo! Nascere proprio adesso!», si lamentò Bay, le paffute guance rigidamente tirate, gli occhi profondamente incavati. 4.
Incurante del dolore lancinante che gli mordeva il lato sinistro della faccia, Ongola continuava a tenere il dito premuto sul pulsante d'allarme mentre tentava di mettersi in contatto con le altre stazioni della rete. «Attenzione! Attenzione! Allarme da Approdo! Mettersi al riparo! Portare al coperto il bestiame! Pericolo di morte! Tutti gli esseri viventi al riparo!» Rabbrividì al ricordo della visione orripilante di due pecore ostinate annientate in un batter d'occhio dall'orrore caduto dal cielo. «Ripararsi sotto le rocce, sotto il metallo, dentro l'acqua! Una pioggia innaturale diretta ad ovest cade con intensità irregolare. Pericolo di morte! Pericolo di morte! Ripararsi! Allarme da Approdo! Allarme da Approdo! Allarme da Approdo!» Gocce di sangue gli colavano dalla testa e dal collo quasi a sottolineare le frasi concise. «Una nube innaturale. Pioggia mortale. Allarme da Approdo! Mettersi al riparo! Emergenza! Emergenza!» La sua abitazione era appena visibile attraverso quella pioggia devastante, ma Ongola riusciva a distinguere le lingue di fuoco sui tetti delle case di Approdo ancora occupate. Il Comandante accettava la sbalorditiva realtà delle migliaia di draghetti concentratisi per aiutare i loro amici umani, accettava la realtà del guscio vivente e fiammeggiante che proteggeva la casa di Betty Musgrave-Blake, quella della vorticosa moltitudine che turbinava sui reparti di veterinaria e sui pascoli, e ricordava che Fancy, il suo draghetto, aveva cercato di infilarsi nella torre attraverso la finestra fuori della quale si era messo a sedere dopo aver finito il turno. Quando si era accorto che nessuno degli apparecchi di rilevamento metereologico avevano registrato il costante approssimarsi della massa nebulosa da oriente, aveva telefonato a casa di Emily. «Va a dare un'occhiata, Ongola. Ha tutto l'aspetto di una di quelle belle tempeste dell'equinozio ma, se gli strumenti di valutazione dell'umidità atmosferica non la registrano, è meglio controllare la velocità del vento e vedere se c'è grandine o nevischio nelle nuvole. Ci sono in giro parecchi cacciatori e pescatori oggi. Ed anche molti contadini.» Ongola si era avvicinato alla nube abbastanza da registrarne l'insolita composizione... e da constatare i danni che aveva arrecato. Immediatamente aveva cercato di mettersi in contatto con Emily mediante l'apparecchio di bordo. Quando si era accorto che questo non funzionava, aveva cercato di contattare Jim Tillek al Controllo Portuale. Ma Ongola aveva preso la slitta più vicina alla torre, una delle più piccole, che purtroppo non disponeva delle sofisticate apparecchiature presenti nelle unità maggiori. Aveva
provato a chiamare tutti i numeri che gli erano venuti in mente ma era riuscito a parlare soltanto con Kitti che in genere era in casa, indebolita ormai dal suo venerabile decimo decennio malgrado le protesi che le consentivano una certa mobilità. «Grazie per avermi avvertita, Ongola. La prudenza non è mai troppa. Mi metterò in contatto con i veterinari in modo che tengano le bestie al riparo. Una pioggia famelica?» Ongola aveva spinto la slitta al massimo della velocità sperando che le batterie fossero sufficientemente cariche da sopportare uno sforzo simile. La slitta aveva risposto bene ma ce l'aveva appena fatta a tornare alla torre: il motore infatti era venuto meno proprio quando il comandante aveva toccato il suolo. La stravagante pioggia aveva coperto il tetto del velivolo. Il pilota non era riuscito a superare il bordo della pista. D'impulso aveva afferrato la tavoletta del piano di volo, uno scudo inadeguato contro la pioggia mortale ma comunque migliore di niente. Tratto un profondo respiro, Ongola aveva spinto con violenza la chiusura automatica ed era balzato fuori. Con tre lunghi passi, più saltando che correndo, si era precipitato alla porta della torre proprio mentre un'intricata matassa si abbatteva su di lui. Il bordo inclinato della tavola aveva fatto scivolare la mortale sostanza direttamente sul lato scoperto della sua testa. Urlando per il dolore, l'uomo si era pulito freneticamente l'orecchio e nel medesimo istante, un draghetto fiammeggiante era accorso in suo aiuto. Ongola aveva gridato un 'Grazie' e si era infilato nell'edificio sbattendo la porta. Automaticamente ne aveva tirato il chiavistello, sbuffando per l'inutilità di quel gesto istintivo, e facendo le scale a quattro a quattro si era diretto agli uffici della torre. Il dolore lancinante continuava, ed aveva sentito qualcosa colargli lungo il collo. Sangue! Aveva tamponato la ferita col fazzoletto, e si era accorto che dei frammenti neri gli si mescolavano al sangue. Si era reso allora conto dell'odore di lana bruciata. L'alito fiammante del draghetto gli aveva bruciacchiato il maglione. Dato l'allarme, stava armeggiando col registratore quando una seconda fitta lo aveva colpito alla spalla sinistra. Aveva abbassato gli occhi ed aveva scorto l'estremità anteriore di un intreccio oscillante che non gli era parso affatto di lana. Il dolore sembrava accompagnare la fibra intrecciata. In vita sua Ongola non si era mai spogliato con la rapidità con la quale si spogliò quella volta. E lo aveva fatto appena in tempo: la treccia si era già fatta più grossa e si muoveva con maggiore velocità e sicurezza. Mentre il
comandante considerava orripilato il pericolo che aveva miracolosamente scansato, la lana era già stata fagocitata e il grottesco segmento oscillante rimasto in sua vece lo aveva colmato di indicibile ripulsa. L'acqua! Aveva afferrato la brocca d'acqua e il thermos di klah e li aveva vuotati sulla... cosa. Questa si era contorta convulsamente e gorgogliando si era ridotta in una satura massa inerte. Ongola l'aveva calpestata con la stessa soddisfazione che aveva provato quando aveva distrutto le postazioni di superficie dei Nathi. Poi il comandante si era guardato la spalla ed aveva scorto la sottile riga insanguinata tracciatasi nella sua carne a seguito dell'incontro ravvicinato con quel filo mortale. D'improvviso tutto il suo corpo era stato scosso da un brivido convulso, ed aveva dovuto sorreggersi a una sedia per non cadere in ginocchio. In quell'istante l'intercom cominciò a suonare. Dopo alcuni profondi respiri si rimise in piedi e tornò al suo dovere. 5. «Grazie per il segnale, Ongola. Siamo riusciti appena in tempo a chiudere i boccaporti. Ci eravamo accorti che le creature volevano dirci qualcosa, ma come diavolo facevamo a immaginare quello?», riferì Jim Tillek dal ponte della Stella del Sud. «Grazie al Cielo tutte le nostre navi sono in siliplex.» L'ufficio portuale della Baia di Monaco riferì di piccole imbarcazioni rovesciate e richiedeva di organizzare le opere di soccorso. L'infermiera notificò che le perdite e gli incidenti tra gli umani erano stati minimi: si era trattato per lo più di graffi provocati dagli artigli dei draghetti. E proprio a questi dovevano un'immensa riconoscenza per aver salvato tante vite. Red Hanrahan, al Dipartimento di Veterinaria, riferì la perdita di una sessantina di capi di bestiame di razza assortita sparsi tra i vari pascoli di Approdo. Le perdite non erano state più ingenti grazie alla fortunata circostanza di avere smistato trecento capi, tra vitelli, agnelli, capretti e maialini, verso nuove destinazioni appena un mese prima. Ve n'erano però in gran numero presso i fondi dei dintorni che non disponevano ancora di stalle coperte, e si trovavano purtroppo sulla via di quella abominevole pioggia. Red aggiunse che tutti gli animali lasciati liberi a pascolare dovevano essere considerati perduti.
Due dei pescherecci più grandi riferirono di parecchie ustioni gravi subite da coloro che non avevano fatto in tempo a ripararsi sotto coperta. Uno dei giovani Hegelman era saltato fuori a bordo ed era annegato quando le 'cose' gli erano piombate in faccia in un orrido viluppo. Maximilian, di scorta al Perseus, non era riuscito a salvarlo. Il delfino aveva aggiunto che la vita marina indigena era risalita in massa in superficie lottando accanitamente per accaparrarsi i fili annegati. A lui, in verità, non piacevano molto quei cosi: non avevano sostanza. I messaggi si accumulavano rapidamente al centralino di Ongola; il Comandante telefonò allora ad Emily perché gli mandasse un aiuto. Il Capitano della Vergine del Mare, a pesca nelle acque del nord, voleva sapere cosa fosse accaduto. Il cielo intorno a lui era sereno fino all'orizzonte meridionale. Patrice de Broglie, di stanza al Monte Young con la squadra sismica, domandava se dovesse mandare indietro il suo equipaggio. Vi era stato solo qualche sporadico boato durante le settimane precedenti, anche se vi erano state interessanti variazioni nei diagrammi di misura gravitazionale. Ongola gli disse di mandare indietro il maggior numero possibile di uomini cercando di non pensare a ciò che poteva essere accaduto ai concessionari di Fondi situati nel percorso della malefica Caduta di Fili. Bonneau chiamò dal Lago di Drake, dov'era ancora notte e il cielo era terso, ed offrì di mandare un contingente di uomini. Sallah Telgar-Andiyar si sintonizzò dall'accampamento di Karachi e comunicò che le squadre di soccorritori erano già partite alla volta di Approdo. Sallah domandò anche quanto fosse estesa la pioggia. Ongola mise da parte tutte quelle chiamate quando a mettersi in contatto fu il primo degli insediamenti situati nelle vicinanze. Se non fosse stato per quei draghetti,» disse Aisling Hempenstahl di Bordeaux, «saremmo stati tutti... mangiati vivi.» Lo si udì chiaramente deglutire. «Non c'è più un'ombra di verde qua attorno, e il bestiame è tutto perduto. Tranne la mucca che i draghetti hanno trascinato nel fiume. Ma è ridotta molto male.» «Ci sono morti? Feriti?» «Nessuno di cui non possa prendermi cura da solo, ma il cibo fresco scarseggia. Oh, Kwan vuole sapere se c'è bisogno di lui ad Approdo.» «Direi proprio di sì,» rispose Ongola. Dopodiché provò di nuovo a mettersi in contatto con i Du Vieux, i Radelin, i Grant van Toorn, i Ciotti e gli Holstrom. «Continua a chiamare questi, Jacob.» Passò l'elenco a Jacob Chernoff che aveva portato con sé tre giovani allievi per dare una mano.
«Kurt, Heinrich, provate i numeri di River, Calusa, Cambridge e Vienna.» Ongola chiamò Lilienkamp ai Magazzini. «Joel, quanti si sono iscritti per la caccia oggi?» «Troppi, Ongola, troppi!» La dura inflessibilità di Lilienkamp aveva ceduto. Joel piangeva. «Compresi i tuoi ragazzi?» La risposta di Joel fu il più fievole dei sussurri. «Sì.» «Mi spiace sentirlo, Joel. Abbiamo organizzato le ricerche. E i ragazzi hanno i draghetti.» «Sicuro, ma guarda quanti ce ne sono voluti per proteggere Approdo!» La voce di Lilienkamp si elevò in una tonalità stridula. «Signore!» Kurt tirò con insistenza il gomito nudo di Ongola. «Una delle slitte...» «Ti richiamo io, Joel.» Ongola raccolse la chiamata dalla slitta. «Sì?» «Come diavolo si uccide questa roba, Ongola?» Il grido angosciato di Ziv Marchane inferse una pugnalata di furia e terrore nello stomaco di Ongola. «Cauterizzala, Ziv. Chi è?» «Quel che è rimasto del giovane Joel Lilienkamp.» «È ridotto male?» «Molto.» Ongola ammutolì e serrò con forza gli occhi per un istante ricordando le due pecore. «E allora non farlo più soffrire!» Ziv interruppe la comunicazione e Ongola fissò la consolle, paralizzato. Gli era capitato parecchie volte di dover dare il colpo di grazia, troppe volte, durante la Guerra coi Nathi, quando i suoi uomini erano stati fatti a pezzi dai colpi che i Nathi mettevano a segno sul suo caccia. Era una prassi corrente negli scontri di superficie. Non si lasciavano mai i feriti alla misericordia dei Nathi. Misericordia, sì; dar loro il colpo di grazia era un atto di misericordia. Ongola non aveva mai pensato che una tale necessità si sarebbe presentata ancora. La voce vibrante di Paul Benden distolse Ongola dallo stato di trance nel quale era piombato. «Che diavolo sta succedendo, Ongola?» «Volesse l'inferno che lo sapessi anch'io, Ammiraglio!» Ongola scosse la testa e gli fece un preciso resoconto dei fatti comuni-
candogli l'elenco delle vittime, sicure o presunte. «Vengo lì.» Paul aveva scelto il suo Fondo sulle vette sovrastanti il delta del Fiume Boca. Tra non molto vi sarebbe spuntata l'alba. «Controllerò gli altri Fondi via via.» «Pol e Kitti vogliono degli esemplari se possono essere prelevati senza danno: esemplari di quella roba che cade dall'aria. Produce fori nei materiali di piccolo spessore, perciò sarà necessario adoperare metallo di calibro pesante o siliplex. Noi ne abbiamo molta di quella che ha divorato i campi. Ho mandato tutte le slitte grandi sulle tracce di quella fottuta Caduta. Kenjo sta arrivando qui da Honshu a bordo del suo velocissimo trabiccolo. Quella roba è venuta fuori dal nulla, Paul, dal nulla!» «Non è stata registrata da nessun apparecchio? No? Bene: farà i conti con noi.» L'assoluta sicurezza della voce di Paul Benden era un tonico per Ongola. Aveva udito quella stessa nota durante tutta la Battaglia di Cygnus, ed aveva il potere di tirarlo su. Ne aveva bisogno. Prima che Paul Benden arrivasse nel pomeriggio inoltrato, le vittime erano aumentate raggiungendo una cifra spaventosa. Soltanto tre dei venti che erano andati a caccia al mattino erano ritornati: Sorka Hanrahan, Sean Connell e David Catarel. Quest'ultimo aveva visto, impotente, la sua compagna Lucy Tubberman dissolversi sotto la pioggia sulla sponda del fiume malgrado gli sforzi dei draghetti. Il giovane presentava numerosi sfregi sul cuoio capelluto, sulla guancia sinistra, le braccia e le spalle, ed era rimasto profondamente scosso dallo shock e dal dolore. Due bimbi in fasce, infilati all'ultimo momento in un armadietto di metallo, erano gli unici superstiti del principale accampamento nomade situato sulle pianure ad ovest del gomito del Fiume Paradiso. Sean e Sorka erano andati in cerca dei Connell, individuati l'ultima volta sul contrafforte orientale della Provincia di Kahrain. Nessuno rispondeva dai fondi settentrionali sul Fiume Giordano. Cattivo Segno. Porrig Connell aveva dato ascolto agli avvertimenti dei draghetti trovando rifugio in una grotta. Questa però non era grande abbastanza da ospitare tutti i cavalli, sicché quattro giumente erano morte. Gli urli che provenivano dall'esterno avevano fatto imbizzarrire lo stallone nella grotta, e Porrig era stato costretto a tagliargli la gola. Non vi era più foraggio per le cavalle sopravvissute, così Sean e Sorka tornarono alla grotta con fieno e razioni di cibo. Dopodiché partirono alla ricerca di altri superstiti. I Du Vieux e gli Holstrom al Fondo Amsterdam, i Radelin e i Duquesne
al Bavaria e i Ciotti al Milano erano morti; di essi e del loro bestiame non rimaneva traccia. Gli oggetti di metallo e i tetti di plastica siliconica, benché pesantemente provati, costituivano l'unica testimonianza di quello che una volta era stato un prospero insediamento. Per le abitazioni avevano usato i pannelli di nuova fabbricazione a base di fibre vegetali pressate. Nessuno su Pern avrebbe mai più adoperato quel materiale edile. Che la falce della devastazione fosse stata impugnata dalla pioggia filiforme, appariva evidente dalle gorgoglianti frange rigonfie di escrescenze vermiformi che squadroni di draghetti attaccavano col loro alito di fuoco. La scia terminava settantacinque klick oltre lo stretto Fiume Paradiso dove aveva annientato gli accampamenti dei nomadi. A sera i coloni esausti diedero da mangiare ai draghetti per primi, lasciando mucchi di grano cotto per quelli selvatici che non si avvicinavano abbastanza da poter ricevere direttamente il cibo dalle loro mani. «Non vi era alcun accenno a una cosa del genere nelle relazioni dei CEV,» mormorò Mar Dook con tono amaro. «Quei maledetti pois che nessuno era riuscito a spiegare,» disse Aisling Hempenstahl, con voce appena percettibile. «Abbiamo indagato su questa possibilità,» disse Pol Metro, annuendo a Bay, stremata, con la testa adagiata sulla sua spalla. «Ad ogni modo, credo che dovremmo approdare ad una conclusione preliminare prima di domani,» disse Kitti. «La gente ha bisogno di fatti che la rassicurino.» «Io e Bill abbiamo consultato le relazioni che eseguimmo a proposito di quei pois,» Carol Duff-Vassaloe sorrise con mestizia, «nell'Anno dell'Approdo. Non abbiamo esaminato ogni zona, ma quelli studiati dove è stato possibile misurare lo sviluppo arboreo, indicano un lasso di tempo di almeno centosessanta, centosettanta anni. Credo che sia piuttosto ovvio il fatto che questa terribile forma di vita abbia provocato la strana configurazione del suolo, fagocitando tutto il materiale organico col quale viene a contatto per accrescersi. Grazie al cielo, la maggioranza dei nostri materiali plastici da costruzione sono a base di silicone. Se fossero stati a base di carbonio, saremmo stati uccisi tutti quanti. Su questo non c'è dubbio. Questa infestazione...» «Infestazione?», proruppe la voce di Chuck Havers con furia incredula. «E come altro chiamarla?», osservò Phas Radamanth nella sua consueta maniera dogmatica. «Ciò che ci interessa sapere è la frequenza con la quale ricorre. Ogni centocinquant'anni? Quel disegno del terreno era esteso su
tutto il pianeta, non è così, Carol?» Questa annuì. «Quanto dura ogniqualvolta si verifica?» «Dura?», ripeté Chuck allibito. «Troveremo tutte le risposte,» disse Paul Benden con determinazione. 6. I due psicologi della colonia giunsero a tarda sera mentre l'infermeria era ancora affollata di gente ferita o in stato di shock, e si misero immediatamente al lavoro per aiutare i pazienti a superare i traumi. Nell'apprendere le sconvolgenti notizie, Cherry Duff era stato colto da un colpo apoplettico, ma si stava riprendendo splendidamente. Joel e sua moglie erano letteralmente prostrati per la perdita dei figli. Bernard Hegelman aveva soffocato la propria pena per confortare la moglie distrutta e le altre famiglie colpite dalla disgrazia. Instancabili, Sorka e Sean si erano prestati nell'opera di soccorso raggiungendo i feriti localizzati dalla slitta. Anche coloro che non avevano riportato ferite erano stravolti, alcuni in preda a crisi di pianto incontrollabili che solo i sedativi riuscivano ad arrestare, altri pateticamente muti. Porrig Connell aveva mandato la moglie e la figlia maggiore ad aiutare i superstiti, mentre lui era rimasto nella grotta col resto della numerosa famiglia. «È la prima volta che Porrig Connell fa qualcosa per gli altri,» osservò suo figlio con un filo di voce, guadagnandosi un rimprovero da parte di Sorka per il suo estremo cinismo. «Vuole servirsi di Cricket per fargli montare le giumente che gli sono rimaste dopo che avranno figliato. Si aspetta che io gli dia il mio stallone solo perché lui non ha addomesticato il suo!» Sorka ritenne più saggio non commentare. Con una sola eccezione, tutti i Fondi distanti si erano messi in contatto con Approdo, offrendo aiuto o sentita partecipazione al dolore che aveva colpito l'insediamento. L'unica eccezione era costituita dall'accampamento minerario situato sull'Isola Grande, presso il quale erano Avril Bitra, Stev Kimmer, Nabhi Nabol e pochi altri. Ongola, scorrendo l'elenco delle chiamate, ne notò l'assenza. Kenjo, apparso come per incanto dal lontano altopiano di Honshu, guidava la spedizione aerea intesa ad inseguire ed investigare la nube perniciosa. Al tramonto, la squadra rientrò esibendo accurate mappe e fotografie della terribile 'Caduta di Fili', come ben presto cominciò ad essere chiama-
ta. L'équipe di biologi si riunì ad Approdo per accertare la natura di quei fili divoratori. Kitti Ping e Wind Blossom misero a disposizione le loro speciali facoltà per analizzare quelle forme di vita non appena ne fossero stati procurati degli esemplari. Purtroppo, un largo numero di esse, catturate con considerevole pericolo per i volontari, furono trovate moribonde nei contenitori metallici o di plastica dura nei quali erano state stipate. Sicché, dopo una ventina di minuti, tutta la loro frenetica attività, quel rapidissimo riprodursi del filo originale migliaia di volte in grasse 'salsicce' in continua torsione, cessò del tutto. Districate e annerite, quelle bizzarre forme di vita si trasformarono in rigidi ammassi catramosi rivestiti da un guscio di consistenza assai più dura. Il Capitano del peschereccio Fiore di Maggio, trovatosi a sciabicare sul margine settentrionale della Caduta, scopri inavvertitamente il segmento di un Filo in un secchio colmo di esca. Istantaneamente lo richiuse con un coperchio ben aderente e comunicò la cosa ad Approdo. Gli fu detto di tenerlo in vita, se possibile, alimentandolo finché non fosse stato trasportato ad Approdo. Nell'attesa, il Filo fu ospitato nel più grosso barile di plastica pesante disponibile a bordo del Fiore di Maggio. Fu Ongola a trasportare il barile chiuso ermeticamente servendosi di un lungo cavo d'acciaio assicurato alla grande slitta. Soltanto quando questa sparì in lontananza l'equipaggio risalì sul ponte. In seguito, il Capitano fu alquanto stupito nell'apprendere che l'operazione da lui condotta era stata considerata come un atto di estrema audacia. Quando la forma di vita ancora pulsante raggiunse Approdo, arrotolata in modo da rassomigliare ad una pesante gomena, misurava più di un metro di lunghezza e forse una decina di centimetri di circonferenza. Con delle lastre a doppio spessore di plastica a base di silicone, saldate strettamente con fasce metalliche, fu presto montata una gabbia, la cui base fu fissata al pavimento. Vi furono create parecchie sottili fessure dai lembi richiudibili, e sulla sommità fu praticato un foro delle dimensioni dell'apertura del barile. Grazie all'aiuto di alcuni volontari assai impazienti, il coperchio del barile fu scostato, e la terribile creatura passò dal barile alla gabbia. L'apertura fu quindi sigillata ermeticamente non appena la forma di vita fu scaricata nel cubo di plastica. Uno degli uomini arrancò verso un angolo dando di stomaco. Altri volsero altrove la faccia. Soltanto Tarvi e Mar Dook apparivano impassibili di fronte alle contorsioni che la creatura compiva nel fagocitare il cibo che
era stato collocato nel cubo. Nella sua irrefrenabile urgenza di ingerire, la cosa si increspava in onde di untuose colorazioni grigiastre: verdognole tonalità nauseanti, morte sfumature di rosa e, di tanto in tanto, una stria gialla fluiva lungo la sua superficie. La spessa plastica chiara distorceva l'immagine della bestia rendendola ancor più nauseabonda. La struttura esterna di quell'essere pareva ispessirsi; probabilmente - arguirono gli osservatori - il guscio si formava alla morte, giacché resti simili erano stati rinvenuti nei luoghi rocciosi dove l'organismo era morto per denutrizione. Evidentemente le strutture interne si deterioravano con la stessa rapidità della loro espansione iniziale. Ma si trattava davvero di un essere vitale? O era semplicemente una malefica entità chimica che si nutriva di vita? Senza dubbio possedeva un appetito vorace, quantunque proprio l'atto del mangiare pareva interferire con l'organizzazione fisica che caratterizzava la bestia, come se ciò che consumava ne affrettasse la distruzione. «La sua rapidità di crescita è straordinaria,» commentò Bay con voce calmissima, cosa che in seguito le valse un sentito elogio da parte di Pol per l'esempio fornito agli altri i quali osservavano allibiti la grassa minaccia nella gabbia. «Un'espansione del genere la si osserva al microscopio, ma non ci si aspetta mai di vederla nel macrocosmo. Da dove può esser venuto? Dallo spazio?» Il silenzio fu l'unica risposta a quella sbalorditiva ipotesi, mentre i presenti si scambiavano sguardi sorpresi e nel contempo imbarazzati da quella domanda. «Disponiamo di dati relativi alla periodicità delle comete in questo sistema?», domandò Mar Dook speranzoso. «Qualche corpo astronomico eccentrico? Qualcosa che sia stata trasportato dalla Nube di Oort? E poi c'è anche la teoria di Hoyle-Wick-Ramansingh, che in fondo non è mai stata totalmente screditata, sulla possibilità che sia un virus!» «Quel virus può venire soltanto dall'inferno,» disse Bill Duff con scetticismo. «E poi quella vecchia teoria è stata confutata da qualcuno su Ceti III.» «In fondo, se consideriamo che cade giù dal cielo,» disse Jim Tillek, «perché escludere che possa avere un'origine spaziale? Io non sono l'unico ad aver notato che la stella rossa che compare ad oriente al mattino è diventata più luminosa nelle ultime settimane. Non è forse una strana coincidenza che quel pianeta capriccioso si stia inserendo direttamente nell'orbita
dei pianeti interni proprio quando quella roba ha cominciato a colpirci? Non potrebbe esserne l'origine? Esistono dati nella biblioteca a proposito di quell'astro? E su questo fenomeno?» «Chiederò a Cherry. No,» Bill Duff si corresse prima che qualcun altro gli ricordasse che l'infallibile magistrato era indisposto. «Cercherò da solo queste informazioni e ne farò una copia in chiaro per studiarle.» Poi si precipitò fuori dalla stanza quasi fosse lieto di aver trovato una scusa valida per allontanarsi. «Preleverò un campione dalla sezione che preme sulla fessura inferiore,» annunziò Kwan Marceau accennando alla gabbia e, senza indugiare, raccolse con impeto gli attrezzi necessari, nella foga di chi non desidera correre il rischio di riflettere troppo a lungo su ciò che sta per fare. «Qualcuno ha cominciato a prendere nota del ... consumo alimentare?», domandò Bay. Aveva preferito evitare la parola 'cibo' memore di ciò che quegli esseri avevano già divorato dalla loro caduta su Pern. «Già, per valutare la frequenza del ... consumo», Pol fece proprio quell'eufemismo con gratitudine, «sufficiente a tener in vita ... l'organismo.» «E per vedere come muore,» aggiunse Kitti con voce soave e risonante di soddisfazione. «E perché tutti i suoi compagni sono morti in questa prima infestazione,» disse Phas Radamanth, tirando fuori dalla stampante posta davanti a lui una copia delle fotografie trasmesse dai CEV. «Sono veramente morti tutti?», domandò Kitti. Al mattino, dopo un'intera notte di lavoro, gli scienziati non avevano ancora rilasciato un rapporto ufficiale. Tra la gente iniziarono le prime proteste: erano sommessi brontolii ancora carichi di stupore al klah del mattino, che si dilatarono poi in accese lagnanze che cominciarono a spandersi in tutti gli uffici e nel Quartier Generale riaperto in tutta fretta sulle piazze residenziali abbandonate. Un rogo enorme era stato acceso la sera prima nella Piazza del Falò dove continuava ad ardere. Torce impeciate e pronte per essere accese, erano state ammucchiate in ogni angolo, e molte altre ve ne furono aggiunte nel corso della giornata. Parecchie delle slitte più leggere parcheggiate sulla pista di Approdo abbisognavano di nuovi tettucci. La rimozione dei residui putrescenti dei gusci dei Fili fu intrapresa con l'ausilio di maschere e pesanti guanti da lavoro. Gli amici alati si conquistarono un nuovo e illustre titolo: 'draghi di fuo-
co'. Anche coloro che in precedenza avevano disprezzato quelle creature ora portavano in tasca bocconcini e leccornie. Distesi a dormire al sole con le pance piene, i grassi draghetti popolavano tutte le piazze di Approdo. A metà giornata le vecchie cucine comuni servirono il pranzo, quando ormai le voci di scontento si erano diffuse in tutto l'insediamento. Nel pomeriggio Ted Tubberman, in compagnia di un collega, entrambi col volto teso e solcato dalla sofferenza, guidarono i parenti delle vittime fino alla porta degli uffici attorno ai quali regnava la più impenetrabile riservatezza. Paul ed Emily ne uscirono assieme a Phas Radamanth e Mar Dook. «Ebbene? Avete scoperto cos'è quella cosa?», domandò Ted. «È una rete complessa ma districabile di filamenti, analoga a una micorriza terrestre,» cominciò Mar Dook, risentito per le brusche maniere di Tubberman ma rispettando il suo dolore. «Questo spiega assai poco, Mar,» replicò Ted, protendendo il mento con aria bellicosa. «In tutta la mia lunga carriera di botanico non ho mai visto il simbionte di una pianta nuocere agli esseri umani. E cos'altro avremo poi? Un muschio mortale?» Emily avanzò verso Tubberman toccandogli un braccio per mostrargli la sua partecipazione al suo tremendo dolore, ma lui si scostò di scatto. «Non abbiamo molto su cui rifarci,» disse Phas in tono secco. Era stanco, e lavorare tutta la notte vicino a quella mostruosità aveva comportato una terribile tensione. «Non è mai stato rilevato nulla di simile su nessuno dei pianeti esplorati dagli esseri umani. L'entità più vicina a queste creature che sia mai stato concepita è una delle invenzioni artificiali create durante l'Era delle Religioni. Stiamo ancora perfezionando la nostra comprensione dell'esemplare.» «È ancora vivo? Voi lo mantenete in vita!» Il volto di Ted era livido per una collera irrazionale. Accanto a lui, i compagni annuivano con approvazione mentre calde lacrime rigavano i loro volti. Con un mormorio rabbioso la delegazione si accalcò più vicino all'ingresso, mentre ciascuno dei membri cercava uno sfogo alla frustrazione ed alla impotente sofferenza che li attanagliava. «È naturale che lo teniamo in vita, dobbiamo pur studiarlo!», disse Mar Dook cercando di non alterarsi. «E scoprire cos'è esattamente. Per far ciò, dev'essere alimentato. Intendiamo accertare se questo sia soltanto l'inizio del suo ciclo vitale.» «Soltanto l'inizio!», proruppe Tubberman. Paul e Phas si slanciarono avanti per fermare il botanico impazzito dal dolore. Oltre ad essere sua al-
lieva, Lucy era anche sua figlia, e i due erano stati uniti da un profondo vincolo d'amore. «Per Dio, adesso lo distruggerò!» «Ted, cerca di ragionare. Sei uno scienziato!» «Sono prima un padre, e mia figlia è stata ... divorata da uno di quegli esseri! E così pure Joe Milan, Patsy Swann, Eric Hegelman, Bob Jorgensen e ...» Il dolore stravolgeva il volto di Tubberman. I pugni serrati lungo i fianchi, il corpo del botanico era teso in un accesso di rabbia e di frustrazione. Con uno sguardo carico di accusa si rivolse ad Emily e Paul. «Abbiamo avuto fiducia in voi due. Come avete potuto portarci in un posto che divora i nostri figli e tutto ciò che abbiamo realizzato in otto anni di fatica!» I brontolii della delegazione sostenevano la sua accusa. «Noi,» l'ampio gesto comprendeva tutte le persone assembrate dietro di lui, «vogliamo che quella cosa muoia. L'avete tenuta in vita abbastanza per studiarla. Forza, gente. Sappiamo cosa dobbiamo fare!» Con un'ultima occhiata bruciante di amarezza rivolta ai due biologi, Tubberman si volse facendosi largo tra la gente con violenti spintoni. «Il fuoco la ucciderà!» Furibondo, si allontanò seguito dai compagni. «Non importa quel che faranno, Paul,» disse Mar Dook, trattenendo Paul Benden dal rincorrere Ted. «Quella cosa adesso è moribonda ormai. Consegna pure il cadavere per vendicare i loro sentimenti feriti. Noi abbiamo quasi finito con gli esami.» Si strinse stancamente nelle spalle. «Per quel che servono, poi.» «Cioè?», chiese Paul incoraggiandolo a proseguire. Con un gesto, Mar Dook e Phas invitarono Paul ed Emily a rientrare negli uffici dove Pol, Bay e le due genetiste erano ancora intenti a scrivere le loro annotazioni. Con aria stanca, Mar Dook si sfregò il volto, dalla carnagione olivastra fattasi quasi grigia, mentre si metteva a sedere su un tavolo ingombro di nastri e contenitori di vetrini. «A tutt'ora sappiamo che la sua struttura si basa sul carbonio, e che possiede proteine di vaste dimensioni che passano da uno stato all'altro e producono movimento, nonché altre proteine che attaccano e fagocitano una varietà incredibile di sostanze organiche. È quasi come se questa creatura fosse stata progettata specificamente per contrastare la nostra specie.» «Mi fa piacere abbia hai tenuto queste cose per te,» disse Emily mentre con un'occhiata di sbieco al di sopra della spalla carpiva l'ultima immagine del gruppo che si allontanava prima che la porta si richiudesse su di esso.
«Mar Dook, come puoi pensare una cosa del genere?», disse Paul, posando entrambe le mani sulle spalle del biologo spossato. «Può essere pericoloso, questo sì... ma concepito per uccidere noi?» «È soltanto un'idea,» replicò Mar Dook, con un'aria alquanto impacciata. «Phas suggerisce un'ipotesi ancora più bizzarra.» Phas si schiarì la voce nervosamente. «Beh, visto che è piombato giù dal cielo così inaspettatamente, chissà che non possa trattarsi di un'arma intesa a preparare il terreno per un'invasione!» Paul ed Emily lo fissavano attoniti, ma consapevoli dello sbuffo di disapprovazione di Bay e dell'espressione divertita di Kitti Ping. «Non è un'interpretazione illogica, sapete. La preferisco all'ipotesi di Bay, secondo la quale questo sarebbe solo l'inizio di un ciclo vitale. Tremo all'idea di quel che ne potrebbe seguire.» Paul ed Emily si guardarono attorno sconcertati da una tale possibilità. Pol Nietro si alzò allora dalla sedia e si schiarì la voce, con un'espressione tollerante sul volto rotondo. «Un'ipotesi simile la ritroviamo anche nei racconti dell'Era delle Religioni, Mar,» disse Pol con un sorriso. Rivolse quindi alla moglie uno sguardo di scusa e notò un sorriso rassicurante sul volto di Kitti Ping. Si sentì rincuorato. «A mio avviso, è molto improbabile. Se il ciclo vitale ha prodotto forme ostili, dove sono i discendenti o le successive metamorfosi? La squadra dei CEV può aver sbagliato nel considerare innocue le macchie circolari sul terreno, però non ha scoperto nessun'altra forma di vita incongrua. «Quanto all'ipotesi di un'invasione dallo spazio esterno, ogni altro pianeta di questo settore dello spazio si è rivelato ostile alle forme di vita basate sul carbonio.» Pol cominciò ad accalorarsi nell'esporre la propria teoria, e scorse Emily un po’ risollevata dallo shock provocatole dalle altre rivelazioni. «E noi stessi abbiamo stabilito che quello», puntò il pollice verso il cubo appannato, «è basato sul carbonio. Sicché questo lo limiterebbe più o meno a questo sistema. E noi scopriremo come.» La foga con la quale Pol aveva fornito la sua spiegazione pareva avergli succhiato l'ultima scintilla di energia, e lo scienziato si appoggiò stancamente all'alto banco del laboratorio. «Io credo d'aver ragione. Ad ogni modo, ventilare le ipotesi peggior dai dati che abbiamo raccolto, ha avuto se non altro l'effetto di 'rasserenare' l'aria, per così dire.» Quindi alzò appena le spalle come per scusarsi, e sorrise con speranza a Phas e Bay. «Io continuo a pensare che abbiamo trascurato qualcosa nelle nostre in-
dagini,» disse Phas scuotendo la testa. «Qualcosa di ovvio e d'importante.» «Nessuno riesce a conservare la perfetta lucidità dopo quaranta ore di lavoro a pieno ritmo,» disse Paul scrollando una spalla di Phas per rassicurarlo. «Daremo un'occhiata ai tuoi appunti dopo che ti sarai riposato ed avrai mangiato qualcosa, lontano da questo fetore. Jim, Emily ed io, aspetteremo qui la delegazione di Ted. Quella gente è stravolta.» Sospirò. «Non che intenda biasimarli. Il dolore improvviso è sempre uno shock. Tuttavia, personalmente ritengo che dovremmo prepararci al peggio. Visto che voi stessi avete suggerito diverse ipotesi alternative tutte egualmente disastrose, non dovremmo sorprenderci di qualunque cosa possa accadere. E dobbiamo essere pronti a ridurne gli effetti sugli insediamenti.» Paul ascoltò il parere di uno degli psicologi che suggeriva di alleggerire le tensioni provocate dalla rabbia dei colpiti attraverso quello che definì 'un rogo rituale'. Sicché, quando Ted Tubberman ed i suoi sostenitori tornarono a richiedere il cubo, l'Ammiraglio e gli altri si fecero da parte lasciando che le fiamme lo divorassero. Il puzzo che ne risultò, placò l'ira di molti e contribuì ad affrettare la dispersione dell'assembramento. Soltanto Ted e pochi altri restarono a guardare le ceneri che si raffreddavano. Lo psicologo scosse lentamente la testa. «Credo proprio che dovrò tenere d'occhio Tubberman per qualche tempo,» disse a Paul ed Emily. «È evidente che questo atto non è valso a lenirgli il dolore.» Il mattino dopo, di buon'ora, i telescopi furono orientati verso il pianeta eccentrico. Secondo Ezra Keroon, il suo aspetto rossastro era dovuto ai turbini di polvere tratti dai margini del sistema. Malgrado non vi fossero prove, tra gli osservatori era diffusa la sensazione che quel pianeta fosse in qualche modo responsabile del disastro. Nel corso della giornata, il gruppo di Kenjo scoprì le tracce di una Caduta precedente abbattutasi sull'Isola Ierne. La cosa fu confermata dal racconto di un testimone il quale però ricordava un violento acquazzone caratterizzato dalla cascata di granelli neri piuttosto che di Fili. Un esploratore inviato nel continente settentrionale riferì della presenza di tracce che attestavano la recente distruzione estesa alla penisola orientale. Questa scoperta fece svanire del tutto la vana speranza che la Caduta fosse unica o comunque circoscritta ad un'area specifica. Il riesame poi delle fotografie trasmesse dalla sonda dei CEV, non contribuì per nulla ad allentare la tensione, in quanto i fax mostravano incontrovertibilmente che la Caduta risalente a duecento anni prima era stata largamente diffusa su
tutto il pianeta. Gli studiosi pensavano che l'evento doveva essersi verificato appena prima dell'arrivo della Squadra. L'esigenza di conoscere l'estensione e la frequenza delle Cadute cresceva con angoscia sempre maggiore. Per fugare paura e tensione, Betty Musgrave-Blake e Bill Duff si dedicarono ad un nuovo ed attento esame dei dati botanici originali raccolti dalla prima esplorazione. Ted Tubberman era l'unico botanico esperto sopravvissuto, ma purtroppo trascorreva intere giornate a rintracciare ogni guscio dei Fili che a sera bruciava in roghi liberatori. Gli psicologi continuavano a sorvegliare attentamente il suo comportamento anomalo. Basandosi sui dati originali, Betty e Bill calcolarono un intervallo di duecento anni tra un'incursione e l'altra, accordando un lasso di tempo variante da dieci a quindici anni alla rigenerazione della vegetazione sulle chiazze circolari danneggiate, e basandosi sull'età di alcuni degli alberi più grossi poco prima o durante la precedente Caduta. Betty esibì le loro conclusioni presentandole in una luce del tutto positiva, con l'intento di ingenerare un senso di ottimismo. Non fu tuttavia in grado di fornire una risposta al quesito d'importanza vitale relativo alla durata della pioggia mortale. Animato dal proposito di smontare la teoria sostenuta da Mar di un disegno premeditato, o quella di Phas, ugualmente inquietante, sul preannunzio di un'invasione, Ezra Keroon trascorse tutto il giorno al terminal collegato al cervello centrale del computer situato sulla Yokohama. I suoi calcoli confermarono al di là di ogni dubbio che il pianeta eccentrico aveva un'orbita di 250 anni. Esso però transitava nel sistema interno soltanto per un breve periodo di tempo, nella stessa maniera in cui la Cometa di Halley visitava periodicamente il Sole. Era veramente assurdo negare che vi fosse una connessione, e, dopo aver consultato Paul ed Emily, Ezra programmò una delle poche sonde ancora disponibili sulla Yokohama per circumnavigare il pianeta e scoprirne la composizione nonché, in special modo, i componenti dell'involucro apparentemente gassoso. Tutti i rilievi effettuati dalla sonda sarebbero stati presentati alla comunità non appena disponibili, senza tenerne nascoste le temibili implicazioni; ma, prima di sera, si erano già diffuse parecchie interpretazioni allarmanti. I membri più responsabili cercarono accanitamente di calmare quelli che più facilmente si abbandonavano al panico. Poi Kenjo, estremamente perplesso, si mise in contatto con Betty comunicandole un'osservazione particolarmente inquietante. La donna informò immediatamente Paul ed Emily e, con prudente discrezione, fu combinata una riunione con coloro che ancora riuscivano a discutere della situazione
con fredda lucidità. «Voi tutti sapete che ho seguito il percorso della Caduta per tracciare una mappa delle aree disastrate,» cominciò Kenjo. «Ebbene, in un primo momento, non mi ero reso conto di ciò che avevo visto, poi la cosa si è ripetuta abbastanza spesso da farmi capire che qualcosa mancava.» S'interruppe, quasi si preparasse ad un rimprovero o all'incredulità altrui. «Io non credo che tutti i Fili siano morti. E Tubberman non è impazzito più di quanto lo sia io. Nella maggior parte dei luoghi attaccati ci sono i gusci! Ma, in nove dei cerchi che ho perlustrato - ed ho atterrato per essere certo di non sbagliarmi - non vi erano gusci.» Così dicendo, fendette l'aria con entrambe le mani. «Niente. E quei nove circoli erano isolati, non rientravano in un raggruppamento, e l'area - devastata - non era estesa come al solito.» Gli occhi di Kenjo si posarono a turno su ciascuna delle facce serie che lo attorniavano. «Ho visto ed osservato. Ho anche i filmati.» «Bene,» disse Pol con uno stanco sospiro mentre dava dei piccoli colpi con aria assente sulle mani incrociate della moglie, seduta al tavolo accanto a lui. «È un dato biologico consistente che per perpetuare una specie molti sono quelli che si presentano ma pochi vengono scelti. Forse il viaggio attraverso lo spazio deteriora buona parte degli organismi. Beh, mi risolleva il pensiero che soltanto pochi riescano a prosperare ed a sopravvivere. Sì, la cosa ha più senso. Preferisco questa tesi a quelle che sono state divulgate finora.» «D'accordo, ma cosa diventano nella successiva metamorfosi?», rifletté Bay ad alta voce, con aria depressa. Talvolta aver ragione comportava un diverso tipo di fallimento. «Sarà meglio scoprirlo,» affermò Paul guardandosi attorno in cerca di approvazione. «Ce n'è qualcuno da queste parti, Kenjo?» Il pilota ne indicò la posizione sulla carta, e Paul annuì. «Bene. Allora, Phas, Pol, Bill, Ezra, Bay ed Emily: allontanatevi da Approdo a bordo di piccole slitte, senza dare nell'occhio. Cerchiamo di evitare il levarsi di un'altra ondata di assurdità. Poi tornate qui con i dati al più presto.» Paul mandò Betty a casa col figlioletto in fasce dicendole di riposare. Fece quindi chiamare Boris Pahlevi e Dieter Clissman incaricandoli di elaborare un programma completo per analizzare al computer i dati man mano che continuavano ad arrivare. Paul e Ongola rimasero in ansiosa attesa degli altri esperti prossimi a ritornare. Pol, Bay e Phas furono i primi a rientrare, recando notizie un po’ più incoraggianti.
«Tutti gli insetti, le larve e le forme lumacoidi che abbiamo rinvenuto in quei luoghi,» riferì Phas, «sembrano abbastanza innocue. Alcune di esse sono già state catalogate, ma,» aggiunse stringendosi nelle spalle, «abbiamo appena iniziato ad identificare le creature di questo pianeta ed il ruolo che svolgono nella sua ecologia. Kenjo ha fatto benissimo a metterci in allarme. È chiaro che alcuni dei Fili sopravvivono per propagarsi, sicché la teoria di Bay è finora quella più plausibile.» Phas appariva risollevato. «È certo però che non riposerò tranquillamente fino a quando non avremo scoperto l'intero ciclo vitale.» Nel tardo pomeriggio del terzo giorno successivo alla prima Caduta, una chiamata quasi isterica giunse da Wade Lorenzo che si trovava a Sadrid nella Provincia di Macedonia. Jacob Chernoff, che ricevette la comunicazione, si mise immediatamente in contatto con Ongola e Paul nella sede amministrativa. «Dice che arriva direttamente sul mare, proprio verso di lui, Signore. Il suo fondo è situato a venti gradi direzione ovest. Ce l'ho ancora in linea sul canale trentasette.» Paul raccolse il ricevitore e si collegò sul canale indicato, localizzando, nello stesso istante, il fondo costiero di Sadrid sulla grande carta continentale. «Faccia in modo che tutti siano al riparo sotto della plastica siliconica,» ordinò. «Usate il fuoco per bruciare i Fili dove colpiscono il suolo. Ricorrete alle torce se necessario. Avete dei draghetti?» Attraverso il ricevitore si udiva perfettamente il respiro profondo dell'uomo che lottava per conservare il controllo di sé. «Sì abbiamo dei draghetti, Signore, e anche due lanciafiamme: li abbiamo usati per radere al suolo i cespugli. Pensavamo si trattasse semplicemente di un brutto acquazzone, poi abbiamo visto che i pesci mangiavano quella roba. Non potete venire?» «Saremo lì al più presto possibile!» Paul disse a Jacob di non parlare a nessuno della nuova Caduta. «Non desidero certo causare più panico di quanto ce n'è già, Signore,» convenne Jacob. Paul accennò un breve sorriso al ragazzo, poi fece il numero di Jim Tillek alla capitaneria di porto della Baia di Monaco. Si informò se vi fossero pescherecci a sudovest, nelle vicinanze di Sadrid. «Oggi no. Qualche problema?» Ce l'aveva messa tutta perché il suo tono suonasse casuale. Inutile.
«Puoi correre qui alla sede amministrativa senza attirare l'attenzione?» Ongola guardò la carta aggrottando le ciglia, mentre i suoi occhi guizzavano dalla Macedonia al Delta. «Il tuo fondo sul Fiume Boca non dista molto da Sadrid,» disse rivolgendosi all'Ammiraglio. «L'ho notato.» Paul si collegò sul canale che comunicava col suo fondo e con frasi concise informò la moglie delle spiacevoli novità e la istruì sulle precauzioni da adottare. «Ju, potrebbe non raggiungerci ma ...» «Sempre meglio cautelarsi contro cose del genere, non è vero?» Paul accolse con orgoglio la sua calma reazione. «Ti darò un aggiornamento della situazione non appena ne avremo saputo di più. Secondo i calcoli, dovresti avere almeno un'ora di vantaggio se è arrivata a Sadrid. Sarò lì appena possibile. Ma forse Boca è troppo a nord per essere colpita. Questa roba sembra cadere secondo una traiettoria sudoccidentale.» «Chiedile se i draghetti si comportano normalmente,» suggerì Ongola. «Prendono il sole come sempre a quest'ora del giorno,» rispose Ju. «Li terrò d'occhio. È vero che avvertono in anticipo la Caduta?» «Ongola dice di sì. Verificheremo più tardi, Ju.» «Mi sono già messo in contatto con i Logoride in Tessaglia,» disse Ongola. «Potrebbero trovarsi sul percorso. Non sarebbe il caso di avvertire anche Caesar al Fondo di Roma? Ha tutto quel bestiame!» «Però è stato abbastanza intelligente da costruire ripari di pietra. Ad ogni modo chiamalo ugualmente e dopo guarda un po’ se Boris e Dieter hanno inserito il nuovo programma. Maledizione! Se solo riuscissimo a sapere quando inizia e a quale velocità si sposta...», mormorò Paul nervosamente. «Io organizzerò il trasporto.» Quindi compose il numero del Dipartimento di Ingegneria e chiese di Kenjo. «Altri Fili? A che distanza?», domandò Kenjo. «Sadrid? Venti gradi? Ho qualcosa che ci farà essere lì in poco più di un'ora.» Il tono solitamente freddo di Kenjo era riscaldato da un barlume di eccitazione. «Fulmar ha collocato dei razzi ausiliari su una delle slitte. Secondo lui possiamo raggiungere i settecento chilometri orari, anche a pieno carico. E ancora di più se voliamo leggeri.» «Dovremo caricare il maggior numero possibile di lanciafiamme, oltre alle scorte d'emergenza. Useremo cilindri all'HNO3: sarà come sparare contemporaneamente fuoco e acqua sui Fili. Pol e Bay non pesano eccessivamente, e saranno preziosi in qualità di osservatori. Abbiamo bisogno di un medico almeno, una coppia di infermiere, più Tarvi, Jim ed io. Otto in tutto. D'accordo, allora, siamo subito da te.» Paul si volse ad Ongola.
«Niente?» «Dato che non possiamo dir loro quando è iniziata la Caduta vogliono sapere almeno quando finirà,» disse Ongola. «Più dati forniremo, più accurati saranno ... la prossima volta. Sono anch'io tra gli otto?» Dispiaciuto, Paul scosse la testa. «È necessario che tu stia qui nel caso si crei nuovamente del panico. Maledizione, dobbiamo organizzarci anche per questo!» Ongola sbuffò. Paul Benden era già una leggenda per l'altissima efficienza dell'organizzazione e del controllo delle situazioni di emergenza. Non erano trascorsi più di venti minuti dalla prima telefonata di allarme, quando la coppia di scienziati, l'equipaggio e il carico, furono a bordo della slitta potenziata. Quando Ongola udì il rombo attutito dei motori, il velivolo già sfrecciava nell'aria e presto scomparve alla vista. Kenjo spinse la slitta al massimo della velocità, mentre i passeggeri erano saldamente assicurati dalle cinture di sicurezza. Sorvolarono la punta verdeggiante della penisola vergine oltre il Fiume Giordano, quindi si spostarono sul mare aperto dove la turbolenza delle sporadiche ma violente burrasche rendeva ancor più disagiato il volo, già di per sé scomodo, sopra un veicolo non progettato per simili prestazioni. «Nessuna traccia del fronte d'inizio della Caduta. Una metà della nube in direzione sud è costituita da burrasche,» disse Paul, alzando gli occhi dallo schermo e sfregandoseli energicamente. «Forse,» aggiunse piano, «quelle burrasche hanno salvato Sadrid.» Malgrado la velocità eccessiva, il viaggio, per lo più al di sopra del mare, sembrava continuare all'infinito. D'improvviso Kenjo rallentò la corsa. Il mare divenne una piccola macchia a tribordo mentre, a sinistra, la vasta estensione di terra che si approssimava, era a stento visibile attraverso l'offuscamento della bufera. Il sole squarciò le nuvole per risplendere imparzialmente sulla vegetazione lussureggiante e i sentieri rasi. «Non è un buon vento,» osservò Jim Tillek indicando il mare, agitato più dall'attività sottomarina che non dalla brezza. «Oh, a proposito, prima di lasciare la Baia di Monaco, ho mandato i nostri amici pinnati a vedere se scoprivano qualcosa.» «Buon Dio!», esclamò Bay premendo la faccia contro il tettuccio di spessa plastica. «Non possono essere arrivati così in fretta!» «Non credo,» replicò Jim sogghignando, «ma i pesci locali stanno banchettando.» «State seduti!», gridò Kenjo controllando a fatica la barra di comando
della slitta. «Se i delfini riescono a scoprire dove è iniziata ... Dati: ecco cosa serve a Boris e Dieter.» Paul riattivò lo schermo anteriore. «Sadrid non ha avuto poi tanta fortuna,» aggiunse accigliandosi. «Proprio come se qualcuno avesse rasato via la vegetazione dal terreno con un coltello rovente,» mormorò con un filo di voce distogliendo lo sguardo. «Portaci giù al più presto, Kenjo!» «È stato il vento,» disse Wade Lorenzo alla squadra di soccorso. «Il vento ci ha salvati, ed anche la tempesta. Veniva giù abbondante, ma era acqua, non Fili. No, stiamo benone,» assicurò, accennando ai draghetti appostati sui tetti. «Loro ci hanno salvati, proprio come ho sentito che hanno fatto ad Approdo.» In quel momento i bambini più piccoli furono condotti fuori da uno degli edifici più grandi, con gli occhi spalancati dalla paura mentre ci guardavano attorno. «Non sappiamo però se Jiva e Bahka stanno bene. Erano a pesca.» Con un gesto di speranza accennò ad occidente. «Se sono andati a nordovest hanno avuto delle buone possibilità,» gli disse Jim. «Ma noi siamo rovinati,» aggiunse Athpathis. La faccia dell'agronomo era un quadro di totale disfatta mentre indicava campi e frutteti devastati. «Abbiamo ancora moltissime piante da semina ad Approdo,» lo confortò Pol Nietro, manifestandogli la sua partecipazione con goffe pacche sulle spalle. «E con questo clima si possono ottenere parecchi raccolti in un anno.» «Torneremo più tardi,» disse Paul aiutando a scaricare i lanciafiamme. «Jim, vuoi occuparti tu del rastrellamento qui? Sai cosa fare. Noi dobbiamo seguire la Caduta fino alla sua conclusione. Ecco, prenda, Wade! Carbonizzate quei bastardi!» «Ma Ammiraglio...», cominciò a dire Athpathis, col bianco dei grandi occhi spaventati ancor più luminoso in contrasto col volto imbrunito dal sole. «Ci sono altri due fondi sul percorso di questa Caduta», disse Paul rimontando sulla slitta e serrandone il portello. «Andiamo dritti al tuo podere, Paul?», domandò Kenjo facendo decollare la slitta. «No, voglio andare prima a nord. Vediamo se riusciamo a trovare Jiva e Bahka. E a delimitare i confini della caduta.» Non appena ebbe sollevato la slitta, Kenjo azionò il razzo ausiliario spingendo i passeggeri contro lo schienale dei sedili. Ma, quasi immedia-
tamente, ridusse la velocità alla potenza normale. «Credo che il tuo terreno sia salvo, Paul.» Istantaneamente, l'Ammiraglio incollò gli occhi allo schermo e, con incredibile sollievo, scorse la vegetazione lungo la spiaggia muoversi al vento della bufera. Rassicurato, riuscì a concentrarsi sul da farsi. «Incredibile! Sembra che la Caduta si arresti di colpo,» disse Bay con stupore. «È per via della pioggia, credo,» osservò Pol mentre allungava il collo per guardare fuori dal tettuccio in siliplex. «E, guardate, quella non è una vela arancione?» Paul alzò gli occhi dallo schermo con un sorriso stanco. «Già, e sembra intatta. Segna la posizione, Pilota Fusaiyuki, e voliamo da Caesar a tutta velocità.» Così dicendo, si sistemò più comodamente sul sedile afferrandone saldamente i braccioli. «Sì, subito, Ammiraglio.» Ancora una volta i sei passeggeri subirono gli effetti della velocità e della brusca decelerazione di Kenjo, il quale stavolta compì una virata a babordo tale che la slitta parve avvitarsi sulla sua stessa coda. «Ho segnato la posizione, Ammiraglio. Attendo ordini.» Un fremito involontario corse lungo la schiena di Paul Benden, il quale sperò fosse dovuto più alla manovra inaspettata del pilota che non allo stile militare del suo linguaggio. «Seguiamo la traiettoria e calcoliamo l'ampiezza. Io contatterò gli altri Fondi per avvertire del cessato allarme.» Paul Benden si collegò dapprima con sua moglie per riferirle un breve resoconto dei fatti, approfittandone per fissare bene nella mente i particolari e, al tempo stesso, apprenderne di nuovi da lei. «Devo mandare una squadra in aiuto?», domandò la donna. «La relazione sull'attacco ad Approdo dice che spesso quella roba dev'essere bruciata per morire.» «Fa venire Johnny Greene e Greg Keating con la slitta più veloce. Ci sono altri lanciafiamme da utilizzare.» Altre persone si offrirono di mandare i proprio figli, e Paul accettò la loro collaborazione. Anche Caesar Galliani mandò suo figlio, chiedendo però che rientrasse in tempo per mungere la grande mandria di Roma. «Ho fatto bene, non è vero», disse il veterinario ridacchiando, «a faticare tanto per costruire case e stalle di pietra?» «Hai fatto benissimo, Caesar.»
«Non c'è nulla di meglio dei muri di pietra per sentirti al sicuro. I ragazzi partiranno non appena mi avrai dato la posizione. Ci terrai al corrente, vero, Ammiraglio?» Paul sussultò a quel secondo uso inconscio del grado che fino a qualche anno prima era stato suo. Dopo sette anni vissuti dedicandosi all'agricoltura da civile, non aveva nessuna voglia di riassumere la responsabilità del comando. Poi il suo sguardo fu attratto dai cerchi della distruzione, il cui disegno visto dall'alto si delineava spaventosamente netto sul terreno. Strie di vegetazione intatta li attraversavano laddove la pioggia aveva fatto annegare i Fili prima che toccassero la superficie. La pioggia e i draghetti! Ben fragili alleati contro quella devastazione! Se fosse riuscito a trovare il modo di ... Paul interruppe quella catena di pensieri. Non era al comando, e non desiderava essere obbligato ad assumerlo. C'erano uomini più giovani, idonei a caricarsi di quell'onere. «Secondo i miei calcoli, la Caduta copre un raggio di cinquanta klick, Ammiraglio,» annunciò Kenjo. Paul si accorse che gli altri si stavano consultando silenziosamente sui particolari. «La vegetazione presso i recinti si sta disintegrando,» disse Bay con ansia, incrociando lo sguardo di Paul. «La pioggia non basta.» «Aiuta,» le rispose Tarvi, ma anche lui volse lo sguardo a Paul. «Dei rinforzi stanno arrivando dalla Tessaglia e da Roma. Bruceremo i Fili dove sarà necessario sulla via di ritorno a Sadrid. Atterra dove puoi, Kenjo. Approdo ha bisogno di conoscere i particolari che abbiamo raccolto oggi. Vogliono dei dati, e li avranno.» Quando tutti i cilindri di HNO3 furono esauriti, altrettanto esausti erano gli uomini impegnati nell'operazione. Pol e Bay avevano seguito diligentemente le squadre munite di lanciafiamme, raccogliendo appunti sullo schema di diffusione del materiale filiforme, grati che l'attività meteorologica avesse bene o male limitato la portata della devastazione. Alla fine Paul ringraziò gli uomini giunti da Roma e dalla Provincia della Tessaglia e disse a Kenjo di condurli a Sadrid ad una velocità ragionevole, per passare a prendere Jim Tillek. «Sicché dobbiamo armarci di lingue di fuoco per combattere questa minaccia che incombe sul nostro caro e generoso pianeta,» disse Tarvi a Paul con voce sommessa quando finalmente puntarono a est verso la notte imminente. «Sadrid sarà al sicuro adesso?» «Basandoci sul presupposto che un fulmine non cade mai nello stesso posto?» Il tono di Paul era ironico. «Non possiamo promettere nulla, Tarvi.
Tuttavia spero che Boris e Dieter ci diano presto qualche risposta.» Ciò detto, si rivolse a Pol con aria preoccupata. «Non è possibile che cada così a casaccio, non è vero?» «Preferisci pensare che obbedisca ad un programma predeterminato? No, Paul, abbiamo stabilito che abbiamo a che fare con un organismo irragionevole e dotato di un appetito vorace. È privo di un'intelligenza comprensibile,» disse Pol, stringendo e subito allentando i pugni, sorpreso dal proprio fervore, «né presenta tracce di sensibilità. Personalmente continuo a preferire la teoria di Bay che ipotizza un ciclo vitale costituito da due o tre diversi stadi di evoluzione. E, ammesso che questa tesi corrisponda alla realtà, anche in tal caso vi è una possibilità assai remota che l'intelligenza si sviluppi allo stadio più avanzato.» «Gli wherry?», disse Tarvi scherzosamente. «No, per carità, non essere ridicolo. Sappiamo per certo che discendono da un'anguilla marina, un antenato che dividono con i draghetti.» «I draghetti ci hanno aiutato più di quanto avessi mai potuto immaginare,» ammise Tarvi. «Sallah insiste col dire che sono dotati di un elevato livello d'intelligenza.» «Pol: tu o Bay avete tentato di misurarne il quoziente intellettivo durante il trattamento telepatico?», domandò Paul Benden. «No, non proprio,» replicò Pol. «Non ce n'è stato bisogno una volta dimostrato che un'empatia potenziata li rendeva più docili. Abbiamo dato la precedenza ad altre cose.» «Adesso ogni precedenza va riservata alla conoscenza dei parametri di questa minaccia,» mormorò Paul. «Un po’ di riposo farà bene a tutti.» Dopo che la squadra di soccorso fu rientrata ad Approdo, fu impossibile negare che vi era stata una nuova incursione. Malgrado lo stretto riserbo sul viaggio a Sadrid, la diffusione della notizia fu inevitabile. «L'unica cosa positiva,» disse Paul ad Emily mentre consumavano il pasto preparato in tutta fretta, «è stato il fatto che la Caduta si sia verificata abbastanza lontano da qui.» «Non disponiamo ancora di dati sufficienti per stabilire la frequenza o le probabili traiettorie della Caduta,» annunziò Dieter Clissmann. «I delfini non sono riusciti a scoprire dove e quando sia iniziata. La vita marina non misura il tempo. Boris sta aggiungendo ai dati i fattori casuali rappresentati dalle variazioni di temperatura, le aree di bassa e alta pressione, la frequenza delle piogge e la velocità del vento.» Trasse un lungo sospiro scostandosi dalla fronte le ciocche folte. «Annegano con la pioggia, eh? Il
fuoco e l'acqua li uccidono! È comunque una consolazione.» 7. Pochi erano però quelli ad esserne consolati. Vi erano alcuni coloni ad Approdo i quali erano alquanto sollevati al pensiero che altri settori del continente avessero sofferto per lo stesso disastro. La paura e l'orrore sortirono il benefico effetto di far cessare ogni resistenza della popolazione nei confronti delle misure di emergenza adottate nell'insediamento. Alcuni avevano ritenuto che le precauzioni stabilite da Approdo violassero la loro autonomia, sancita dalla Costituzione. I più ostinati ritirarono ogni obiezione dopo che vennero diffuse le immagini della devastazione abbattutasi sul 'corridoio di Sadrid', così denominato da Pol. Dopo questa seconda ondata di distruzione, Ongola e la sua Squadra addetta alle Comunicazioni furono molto impegnati nell'impartire istruzioni ai possessori dei fondi più lontani. Tarvi assegnò ad una squadra il compito di lavorare in turni di dodici ore al giorno per adattare i cilindri vuoti ai lanciafiamme disponibili e di riempirli con HNO3. L'ossidante ottenuto si era dimostrato assai efficace nel distruggere i Fili, e in più poteva essere sintetizzato a basso costo dall'aria e dall'acqua, usando soltanto idroelettricità, e, oltretutto, non era inquinante. Di grande importanza era poi il fatto che la pelle umana e quella dei draghetti non risultavano mai gravemente danneggiate in caso di fughe di quella miscela infiammabile. Una pezzuola bagnata applicata entro una ventina di secondi evitava brutte ustioni. Kenjo si pose alla guida di un gruppo col compito di installare supporti per i lanciafiamme a bordo delle slitte più pesanti. Era palese che la difesa più efficace fosse l'offesa, e soprattutto quella aerea. Il pilota trovò molti volenterosi sostenitori del suo progetto tra i coloni di Approdo che avevano vissuto l'esperienza della prima Caduta. Nella scelta dell'arma il fuoco godeva della precedenza assoluta. Come qualcuno aveva commentato ironicamente, visto che nessuno era riuscito a trovare il sistema di ottenere la pioggia su ordinazione, il fuoco rimaneva senz'altro l'unica arma di difesa affidabile. Anche i sostenitori più accaniti dei draghetti non desideravano fare affidamento esclusivamente sulla loro costante collaborazione. Ad Approdo non vi erano braccia sufficienti a svolgere tutti i lavori richiesti. Veterinari e agronomi si diedero da fare per rinforzare alla svelta i
ripari del bestiame. Furono esplorate numerose grotte quali possibili sistemazioni alternative. I magazzini vuoti di Approdo furono adibiti a depositi per gli assegnatari di Fondi che desideravano conservarvi le proprie provviste per motivi di sicurezza. Data la carenza di manodopera, Joel Lilienkamp insisteva affinché gli stessi occupanti di tali edifici provvedessero al loro consolidamento, cosa che essi, invece, ritenevano fosse compito di Approdo. Alcuni non intendevano lasciare i propri Fondi fintantoché gli alloggi messi a loro disposizione non fossero stati resi sicuri. In otto anni la popolazione dei coloni era cresciuta al punto che l'insediamento originario poteva ospitarne appena la metà. Porrig Connell rimase nella sua grotta, nella quale aveva scoperto numerose camere intercomunicanti capaci di ospitare l'intera famiglia compreso il bestiame. Oltre alle stalle per le giumente e i puledri, Connell aveva anche costruito un box nel quale Cricket alloggiava comodamente. Generosamente il nomade aveva consentito ai sopravvissuti di altre famiglie di restare nella sua grotta fino a quando non ne avessero trovata una adatta anche loro. Essendo già stati al comando della colonia, Paul Benden ed Emily Boll nonché Jim Tillek, Ezra Keroon e Ongola - si trovarono a dover assumere la maggior parte delle decisioni, malgrado il fatto che si fossero ritirati dai precedenti incarichi amministrativi. «Avrei preferito mille volte che fossero venuti da me piuttosto che da Ted Tubberman,» osservò Paul stancamente volgendosi ad Ongola quando questi gli comunicò le ultimissime richieste urgenti da parte dei Fondi situati in zone distanti e isolate. Paul si rivolse quindi allo psicologo Tom Patrick, il quale era venuto a riferirgli le ultime lagnanze della popolazione. «Tom?» «Non credo che tu possa rimandare ancora per molto una spiegazione chiara,» disse Tom, «altrimenti tu ed Emily perderete tutta la vostra credibilità. E questo sarebbe un grosso errore. Voi due potete anche rifiutarvi di assumere il comando, ma qualcuno dovrà pur prenderlo. Tubberman continua tenacemente ad insidiare gli sforzi e il morale della comunità. E l'effetto che produce è così negativo che dobbiamo esser grati che trascorra la maggior parte del tempo a ripulire il continente dai gusci marci dei Fili. Il dolore ha distorto totalmente le sue percezioni ed il suo giudizio.» «È certo che nessuno dia credito alle sue dissertazioni?» disse Emily. «Con tutti i risentimenti e le lagnanze latenti, e la fifa che stringe le budella, non è difficile dargli ascolto. Specialmente quando mancano versio-
ni ufficiali,» rispose Tom. «Le lamentele di Tubberman hanno un certo fondamento, anche se distorto.» Lo psicologo si strinse nelle spalle, sollevando le mani con i palmi in su. «Col tempo finirà con l'agire contro se stesso... spero. Intanto è riuscito a creare un malcontento sotterraneo che sarebbe meglio disperdere al più presto. Preferibilmente da voi, e da Emily e dagli altri Comandanti. La gente ha ancora fiducia in voi, sapete, malgrado le accuse di Tubberman.» «Sicché bisogna passare di nuovo il Rubicone,» fu il singolare commento di Paul. L'Ammiraglio sospirò, sorprendendosi a strofinare il pollice sinistro sulla pelle insensibile delle dita sostitutive. Abbandonandosi stancamente sullo schienale della sedia, mise entrambe le mani dietro alla testa come se dovesse sorreggere un peso eccedente. 8. «Posso organizzare una riunione, Paul,» disse Cabot quando l'Ammiraglio si mise in contatto con lui su un canale riservato, «ma inconsciamente considerano te ed Emily i loro capi. Forza dell'abitudine.» «La decisione di reinvestirci del comando dev'essere spontanea,» replicò Paul dopo una lunga pausa di riflessione. Emily annuì con lenti cenni del capo. Quegli ultimi giorni avevano gravato non poco sulla resistenza dell'Ammiraglio e della Governatrice. «La cosa va affrontata seguendo alla lettera il protocollo costituzionale. Maledizione! Chi avrebbe mai immaginato di doversi appellare a quelle disposizioni straordinarie!» «Ringrazia il Cielo che le abbiamo,» disse Cabot con fervore. «Mi ci vorrà un'ora o due per organizzare le cose qui. Oh, a proposito, abbiamo ricevuto dei messaggi da oltre il fiume ieri mattina. Li ho notati soltanto oggi verso mezzogiorno. È stato colpito il confine meridionale di Bordeaux. Abbiamo dato una mano a Pat ed alla sua squadra. È tutto in salvo.» Ciò detto, riattaccò, lasciando Paul a bocca aperta. «Dopo il nostro breve incontro con quella roba,» disse Cabot quando vide Paul di persona, «comincio a rendermi conto della gravità della situazione della colonia.» Un sorriso di speranza, privo di riscontro nell'espressione seria degli acuti occhi grigi, gli incurvò la bocca volitiva. «Le cose stanno davvero come si dice in giro?» «Probabilmente. Dipende dalla fonte di queste voci,» rispose Paul con una smorfia. «Dipende dall'ottimismo o dal pessimismo del tuo atteggiamento,» ag-
giunse Jim Tillek. «Personalmente mi sono trovato in guai peggiori durante le corse tra gli asteroidi, e ne sono uscito vivo e vegeto. Preferisco avere un pianeta su cui manovrare. E il mare.» Il sorriso di Cabot si oscurò man mano che il suo sguardo si posava sulle cinque persone riunite segretamente nella torre meteorologica. «Gran parte di ciò che sappiamo,» disse Paul, «è negativo. Ma è improbabile che i Fili siano all'avanguardia di un'invasione aliena. La Caduta non ha colpito esclusivamente quest'area, ma anche altre zone dell'intero pianeta nello stesso modo, in un periodo che, a giudicare dalle rilevazioni dei CEV, risale pressoché a circa duecento anni fa. Esiste la possibilità che i Fili provengano dal pianeta bizzarro che ha un'orbita di duecentocinquant'anni. E, quantunque ignoriamo quale sia il ciclo vitale di questi organismi, se mai ne possiedono uno - teoria che finora è apparsa la più plausibile - i Fili non costituiscono lo stadio iniziale dei serpenti tunnel, i quali vantano un lignaggio ben più rispettabile, né sono gli antenati di altre forme di vita locali di quelle che abbiamo sinora osservato.» «Capisco.» Cabot annuì abbassando lentamente la splendida testa leonina mentre, soprappensiero, con le dita si sfiorava le labbra. «Nessuna previsione rassicurante?» «Non ancora. Come il qui presente Tom raccomanda, è necessario un luogo per esprimere pubblicamente lagnanze e perplessità e chiarire gli equivoci,» continuò Paul. «La Caduta non ha schivato il Fondo sul Fiume Boca solo perché appartiene a Paul Benden, né ha colpito Sadrid perché vi sono gli ultimi insediamenti, o si è arrestata a un passo dalla Tessaglia perché Gyorgy è stato uno dei primi fondatori della colonia a richiedere il terreno che gli spettava. Noi possiamo, e dovremo, sopravvivere a questa minaccia, però non possiamo attuare indiscriminate coscrizioni di tecnici ed operai. E, come risulta palese a chiunque si soffermi a riflettere, non possiamo sopravvivere se tutti se la squagliano in direzioni opposte. Ne tantomeno se alcune delle voci più assurde, comprese quelle di Tubberman, non vengono smentite e il morale risollevato.» «In poche parole, proponi la sospensione dell'autonomia?» «Assolutamente no,» replicò Paul con enfasi e chiarezza, «tuttavia un'amministrazione centralizzata,» Cabot sorrise all'arguta scelta delle parole da parte dell'Ammiraglio, «sarà in grado di organizzare con efficienza la manodopera disponibile, distribuire scorte e materiali, e assicurarsi della sopravvivenza della maggioranza. Oggi Joel Lilienkamp ha chiuso i Magazzini per la necessità di compiere un inventario al fine di evitare richie-
ste dettate dal panico. La gente deve rendersi conto che questa è una situazione di emergenza.» «L'unione fa la forza?» Cabot pronunziò il vecchio proverbio con rispetto. «Esatto.» «Il trucco sta nel far sì che tutti i nostri spiriti indipendenti riconoscano la supremazia del buon senso,» disse Tom Patrick, e Cabot annuì con approvazione. «Devo sottolineare,» proseguì Paul con una rapida occhiata ad Emily che annuiva in segno di approvazione, «che non avrà alcuna importanza chi si assumerà l'onere di tale amministrazione fintantoché gli sarà riconosciuta autorità e obbedienza sì da consentirgli di assicurare la sopravvivenza della colonia.» Dopo una pausa Cabot aggiunse pensieroso, «Anni luce ci separano da chi potrebbe darci una mano. Abbiamo tagliato tutti i ponti?» 9. Un'atmosfera di sorpresa e sollievo pervase Approdo la mattina seguente, quando Cabot Francis Carter, il giurista più anziano della colonia, indisse un'assemblea generale da tenersi la sera successiva. Si contava sulla partecipazione dei rappresentanti dei Fondi principali, dei Fondatori della colonia e dei contrattisti. Per la sera della riunione, gli elettricisti avevano fatto in modo di riattivare l'illuminazione ad un'estremità della Piazza del Falò mediante allacci sotterranei. Laddove i lampioni erano rimasti bui, delle torce erano state fissate alle aste. L'area illuminata fu attrezzata con sedie e panche. Sulla piattaforma, costruita originariamente per gli intrattenimenti musicali che spesso accompagnavano il falò notturno, era stata collocata una lunga tavola e, lungo un lato di essa, si contavano sei sedie. La luce era sufficiente a riconoscere chi vi prendeva posto. Un mormorio di sorpresa si levò dall'assemblea dei presenti non appena fu notata l'assenza di Paul Benden ed Emily Boll. Di fatto, Cabot Francis Carter guidò sul palco Mar Dook, Pol e Bay Harkenon-Nietro, Ezra Keroon e Jim Tillek. «Abbiamo avuto il tempo per piangere i nostri cari,» esordì Cabot, la cui voce risonante raggiunse anche gli scranni più distanti. Anche i bambini prestavano ascolto in silenzio. «E sono stati tanti. Ma sarebbero potuti es-
sere ancora di più, e non può esservi nessuno tra noi che non ringrazi i nostri piccoli alleati, i draghetti sputafuoco. «Le notizie che ho da darvi stasera non sono tutte cattive, anche se avrei desiderato averne di migliori. Innanzitutto, siamo in grado di dare un nome agli organismi che hanno ucciso alcuni dei nostri cari e devastato cinque appezzamenti: si tratta di una forma di vita micorrizoide ad uno stadio molto primitivo. Mar Dook, qui presente, afferma che su altri pianeti, compresa la Terra, funghi di semplicissima struttura si possono trovare con frequenza in associazione simbiotica con alberi. Tutti noi li abbiamo visti attaccare la vegetazione...» «E quasi tutto il resto,» gridò Ted Tubberman dall'ala sinistra del pubblico. «Sì, è tragicamente vero.» Cabot non volse lo sguardo a Tubberman né cercò di riscaldare il tono della riunione, che intendeva tenere sotto controllo. Alzò appena la voce. «Ciò che stiamo cominciando a realizzare è che il fenomeno è esteso a tutto il pianeta e che l'ultima volta si è verificato approssimativamente duecento anni fa.» Si interruppe per far sì che la gente assorbisse appieno quella nozione, poi sollevò flemmaticamente le mani per far tacere il mormorio. «Presto saremo in grado di prevedere con esattezza quando e dove la Caduta colpirà ancora, perché, purtroppo, ciò avverrà. Ma questo è il nostro pianeta,» affermò con un'espressione carica di fiera determinazione, «e quegli stupidi Fili non ci obbligheranno ad andarcene!» «Stupido bastardo che non sei altro! Noi non possiamo andarcene!» Ted Tubberman balzò in piedi agitando in aria con violenza i pugni serrati. «Voi avete fatto in modo che restassimo a marcire qui, risucchiati da quei mostri. Non possiamo andarcene! Moriremo tutti quanti qui!» La sua esplosione suscitò un astioso borbottio tra la folla. Sean, seduto con Sorka ai margini dell'assemblea, era indignato. «Dannato imbecille!», mormorò Sean a Sorka. «Ha sempre saputo che sarebbe stato un viaggio senza ritorno, e soltanto adesso che le cose non sono andate bene deve scaricare la colpa su qualcuno.» Sean sbuffò con disprezzo. «Shhh!», fece Sorka ansiosa di sentire la replica di Cabot. «Io credo che la nostra situazione sia disperata, Tubberman,» cominciò Cabot, soffocando ogni brontolio col tono sicuro e risoluto della voce avvezza alle declamazioni. «Non bisogna mai pensarlo! Preferisco essere ottimista. Ai miei occhi questo disastro appare come una sfida alla nostra in-
genuità, alla nostra adattabilità. Il genere umano è sopravvissuto in ambienti ben più pericolosi di questo. Abbiamo un problema e dobbiamo affrontarlo. Dobbiamo risolverlo per sopravvivere. E siate certi che sopravviveremo!» Quando Cabot vide il grosso botanico prendere fiato, elevò ulteriormente il tono della voce. «Quando abbiamo firmato la Carta Costituzionale, tutti noi sapevamo che non ci sarebbe stato ritorno. Anche se potessimo, io per primo non prenderei neppure in considerazione l'ipotesi di fuggire.» La voce del giurista si fece colma di disprezzo per i codardi, i vigliacchi e i disertori. «Perché per me questo pianeta conta più della Terra o di Prima Centauri! Ed io non permetterò che questo fenomeno mi cacci via dalla casa che mi sono costruito, mi porti via il bestiame che intendo allevare, mi impedisca di condurre quello stile di vita che desidero!» Con un gesto sprezzante della mano allontanò la minaccia come fosse semplicemente un piccolo e fastidioso inconveniente. «Io lo combatterò ogniqualvolta colpirà il mio terreno o quello dei miei vicini, e lo farò impiegando tutta la forza e l'ingegno in mio possesso. «Ora,» continuò in un tono più pacato, «quest'assemblea è stata convocata, secondo la procedura democratica contemplata dalla nostra Costituzione, allo scopo di stabilire dei programmi sul modo migliore di gestire la nostra colonia nell'attuale emergenza. In effetti siamo assediati da questi esseri micorrizoidi. Per questo dobbiamo avviare misure difensive e sviluppare la strategia necessaria per minimizzarne gli effetti sulle nostre, vite e sui nostri beni.» «Stai proponendo la legge marziale, Cabot?», disse Rudi Schwartz alzandosi in piedi, l'espressione attentamente controllata. Cabot sogghignò con una smorfia. «Visto che su Pern non c'è un esercito, Rudi, la legge marziale sarebbe impossibile. Tuttavia le circostanze ci costringono a prendere in considerazione la sospensione dell'attuale autonomia al fine di ridurre il danno che questi Fili potranno arrecare all'ecologia del pianeta ed all'economia di questa colonia. Propongo quindi che, dato lo stato di cose, si discuta il ritorno al governo centralizzato nei termini in cui esso ha operato durante il nostro primo anno di insediamento su Pern.» Le parole che seguirono eguagliarono quasi il fragore di un rombo e soverchiarono ogni protesta. «E che si decidano le misure atte ad assicurare la sopravvivenza della colonia, anche se tali misure ci potranno risultare spiacevoli in quanto individui autonomi.» «E queste misure sono state già decise?», chiese una voce di donna. «Assolutamente no,» la assicurò Cabot. «Non ne sappiamo ancora abba-
stanza sul nostro avversario ma, ciononostante, dobbiamo stabilire adesso dei piani per far fronte a qualsiasi evenienza. Sappiamo che la Caduta interessa tutto il pianeta perciò, prima o poi, ogni territorio ne sarà colpito. È nostro compito minimizzare i danni. Il che, in termini pratici, significa centralizzazione delle scorte di viveri e materiali esistenti, e ritorno all'idroponica. In definitiva, significa che alcuni dei tecnici che sono tra voi saranno invitati a tornare ad Approdo in quanto qui potranno impiegare nella maniera più proficua le loro particolari abilità. Tutti dovremo cioè tornare a lavorare assieme anziché prendere vie separate.» «Quale alternativa abbiamo?», chiese un'altra donna nella breve pausa che seguì all'ultima affermazione. La sua voce era piena di rassegnazione. «Alcuni di voi possiedono appezzamenti molto estesi,» rispose Cabot col più ragionevole dei toni. «È probabile che possiate far di meglio organizzandovi per conto vostro. L'organizzazione centrale di Approdo dovrebbe considerare innanzitutto i bisogni della propria popolazione, ma non per questo si giungerebbe a dire «Non mettete più piede in casa nostra!», e Cabot accennò un sorriso rassicurante nella direzione dalla quale aveva parlato la donna. «È per questo che ci siamo riuniti qui stasera. Per discutere fino in fondo tutte le possibili alternative, allo stesso modo in cui furono inizialmente discusse le condizioni della Costituzione e i programmi della colonia.» «Aspetta un momento!», gridò Ted Tubberman balzando nuovamente in piedi a braccia spiegate e guardandosi attorno col mento aggressivamente protesto in avanti. «Abbiamo un'alternativa sicura e realistica. Possiamo mandare sulla Terra una capsula autoguidata per chiedere aiuto. Questo è uno stato d'emergenza. Abbiamo bisogno di aiuto!» «Te l'avevo detto,» mormorò Sean a Sorka, «strilla come un maiale squartato. Se quelli della Terra vengono qui, ragazza, siamo fottuti!» «Io non ci scommetterei sul fatto che la Terra ci aiuterebbe,» disse Joel Lilienkamp dalla prima fila e le sue parole soffocarono le grida dei coloni concordi con Ted. «Noi non vogliamo che quelli della Terra vengano a gironzolare qui su Pern,» gridò Sean, saltando in piedi e agitando un braccio. «Questo è il nostro pianeta!» Cabot richiamò i presenti all'ordine riuscendovi però solo in minima parte. Ezra Keroon si alzò per cercare di aiutarlo. Infine, accostando le mani alla bocca a mo’ di megafono, lanciò il suo messaggio. «Ora smettetela, amici. Devo ricordare a tutti voi... ascoltatemi... che passerebbero più di
dieci anni prima di avere una risposta. Di qualunque genere.» «Per quanto mi riguarda, io non voglio che la Vecchia Terra,» gridò Jim Tillek sovrastando la fragorosa reazione suscitata dalle parole di Keroon, «o Prima Centauri, vengano a ficcare il naso negli affari nostri. Se pure si prendessero il disturbo di aiutarci, ci salasserebbero ipotecando tutto ciò che abbiamo. E finirebbero con l'appropriarsi dei diritti minerari e della maggior parte della terra coltivabile. O vi siete forse dimenticati di quello che accadde su Ceti III? Io non vedo proprio perché si debba tanto discutere sull'opportunità di una amministrazione centrale durante questa emergenza. Mi sembra la cosa più sensata da farsi. Partecipare tutti ed in ugual misura!» Tra la gente si levò un sommesso mormorio di approvazione, pur se su molte facce si disegnavano espressioni scoraggiate o rabbiose. «Ha ragione, Sorka,» disse Sean ad alta voce, udibile dalla persone che gli sedevano dappresso. «Anche mamma e papà la pensano così,» aggiunse Sorka, indicando i genitori seduti diverse file davanti a loro. «Dobbiamo mandare un messaggio,» gridò Ted Tubberman svincolandosi dalle braccia dei suoi vicini di posto che cercavano di farlo sedere. «Dobbiamo dir loro che siamo in pericolo. Abbiamo il diritto di essere aiutati! Cosa c'è di sbagliato nel mandare un messaggio?» «Cosa c'è di sbagliato?», gridò Wade Lorenzo dal fondo della platea. «Noi abbiamo bisogno di aiuto adesso, Tubberman, non fra dieci anni. Perché, tra dieci anni, con ogni probabilità avremo già sconfitto la minaccia. Una Caduta non è poi una cosa tanto catastrofica,» aggiunse con la sicurezza dell'esperienza, dopodiché si risedette tra i fischi e le grida di protesta provenienti principalmente da coloro che si erano trovati ad Approdo durante la tragedia. «E non dimenticate che ci è voluto mezzo secolo perché la Terra accorresse in aiuto di Ceti III,» disse Betty Musgrave Blake balzando in piedi anche lei. Seguirono altri commenti. «Sì. Il Capitano Tillek ha ragione. Dobbiamo risolvere da soli i nostri problemi. Non possiamo aspettare i comodi della Terra.» «Scordatelo, Tubberman.» «Siediti e chiudi il becco, Tubberman.» «Cabot, richiamalo all'ordine. Andiamo avanti con l'assemblea.» Espressioni simili si levarono da tutti i lati della platea.
Il botanico fu costretto a sedere e, scoraggiato dalla mancanza di sostenitori, si liberò dalle mani che lo trattenevano ed incrociò le braccia sul petto sconfitto. Tarvi Andiyar e Fulmar Stone si spostarono portandosi nelle sue vicinanze. Sallah osservò la mossa con una certa apprensione, benché fosse consapevole della forza che si sprigionava dall'esile figura di Tarvi. Sean richiamò l'attenzione di Sorka. «Lo hanno messo a tacere, così possiamo arrivare al nocciolo della discussione,» disse. «Odio le riunioni come questa: gente che si fa sentire solo per disturbare e mettersi in mostra senza sapere neppure di cosa si parla.» Sollevando una mano per essere visto, Rudi Schwartz si alzò di nuovo. «Se, come tu hai suggerito Cabot, i Fondi più grandi conservassero la loro autonomia amministrativa, in che modo potrebbe essere organizzato un governo centrale? Quei Fondi sarebbero comunque responsabili nei suoi confronti?» «Si tratta più che altro di assicurare una giusta distribuzione del cibo, dei materiali e degli alloggi, Rudi,» disse Joel Lilienkamp alzandosi, «e non tanto di...» «Ciò significa forse che non c'è cibo a sufficienza?», proruppe una voce carica di apprensione. «Per adesso ce la facciamo, ma se questi Fili si estendono a tutto il pianeta ... abbiamo visto tutti quello che è successo ai campi di Approdo,» continuò Joel accennando verso le buie aree devastate, «e se il fenomeno continua a verificarsi, beh...» Tutti udirono il commento costernato di una donna. «Ebbene,» continuò accomodandosi i pantaloni bruscamente, «ognuno merita di ottenere un'equa porzione di ciò che abbiamo. Non vedo nulla di male nel tornare per un po’ di tempo all'idroponica. Quando eravamo a bordo, l'abbiamo utilizzata per ben quindici anni senza problemi, non è forse vero? Accetto qualsiasi scommessa che possiamo utilizzarla di nuovo.» L'allegra provocazione suscitò reazioni opposte, alcune gioviali, altre palesemente preoccupate. «E poi ricordate anche questo, gente: i Fili non attaccano il mare,» disse Jim Tillek, con spontanea allegria. «Possiamo vivere, e vivere bene, anche di solo mare.» «La maggioranza delle prime civiltà hanno vissuto quasi interamente grazie ai prodotti del mare,» gridò Mairi Hanrahan con voce risonante e provocatoria. «Joel ha ragione: dobbiamo impiegare sistemi alternativi di coltivazione. E, fino a quando potremo attingere dal mare proteine fresche,
staremo benissimo. Credo che tutti quanti dovremmo darci da fare anziché crollare dinanzi alla prima piccola difficoltà.» Ciò detto fissò Ted Tubberman significativamente. «Piccola difficoltà?», ruggì il botanico. Se non fosse stato trattenuto dai vicini, avrebbe travolto la folla pur di metterle le mani addosso. Tarvi e Fulmar gli si avvicinarono ulteriormente. «Non si tratta di certo di una piccola difficoltà,» fu pronto a risponderle Mar Dook alzando la voce sull'ondata frammista di proteste e approvazioni. «E sicuramente è stata tragica per molti. Ma non combattiamoci tra di noi. Così com'è inutile sbraitare contro la Squadra dei CEV per non aver compiuto una perlustrazione completa del pianeta col risultato di averci in qualche modo fuorviato. Tuttavia, questo mondo ha già dimostrato di poter sopravvivere ad una tale incursione, e di potersi rigenerare. E noi esseri umani, non siamo forse altrettanto capaci di far fronte alla minaccia con le risorse di cui disponiamo?» Significativamente si diede dei buffetti sulla fronte. «Io non voglio sopravvivere in queste condizioni, vivendo alla giornata,» proruppe Ted Tubberman, il mento proiettato in avanti bellicosamente. «Rinserrato tra quattro mura, a chiedermi se quei cosi stanno arrivando per mangiarmi vivo!» «Ted: in vita mia, non ho mai sentito un mucchio tale di scemenze dette da un adulto come te,» disse Jim Tellek. «Questo nostro nuovo mondo ci ha posto un problema che sono sicuro riusciremo a risolvere. Perciò piantala di sbraitare e cominciamo a pensare alla maniera di affrontarlo. Ormai siamo qui, e vogliamo sopravvivere!» «Anch'io voglio che si chieda aiuto alla Terra,» disse qualcun altro in tono calmo ma risoluto. «Secondo me avremo bisogno degli apparati di difesa che solo una società sofisticata può fornirci, specialmente considerando che abbiamo portato con noi così poca tecnologia. E a maggior ragione se quella roba viene giù così spesso.» «Una volta che avremo chiesto aiuto, dovremo accettare qualunque cosa ci verrà mandata,» disse rapido Cabot. «Lili, io scommetto che la Terra ci manderebbe gli aiuti. Che puntate accetti per questo?», domandò Jim Tillek. Ancora una volta Ted Tubberman balzò in piedi. «Non dovete scommetterci sopra. Bisogna votare! Se l'assemblea è veramente democratica, allora mettiamo ai voti la proposta di lanciare l'allarme alla Confederazione dei Pianeti Senzienti.»
«Approvo la mozione,» disse uno dei medici assieme a molti altri. «Rudi,» disse Cabot, «nomina altri due segretari, e passiamo alla votazione per alzata di mano.» «Però stasera non sono tutti qui,» evidenziò Wade Lorenzo. «Se hanno preferito disertare un'assemblea programmata, vuol dire che obbediranno a qualunque decisione venga presa da coloro che vi hanno partecipato,» replicò Cabot severamente, incontrando numerose grida di consenso. «Votiamo allora sulla mozione appena proposta. Coloro che sono favorevoli all'invio di una capsula autoguidata alla Confederazione dei Pianeti Senzienti per chiedere aiuto, alzino la mano!» Puntualmente si levarono numerose mani che subito furono contate dagli addetti, mentre Rudi Shwartz prendeva nota del totale. Quando Cabot invitò al voto coloro che disapprovavano la proposta di chiedere assistenza, la maggioranza risultò schiacciante. Non appena Cabot annunziò i risultati, Ted Tubberman esplose in una raffica di ingiurie. «Maledetti imbecilli! Non riusciremo a sconfiggere quella roba da soli. Tutto il pianeta ne sarà invaso. Non ricordate i rilievi dei CEV? L'intero pianeta era stato divorato. Ci sono voluti più di duecento anni per rigenerarsi. Che possibilità abbiamo noi?» «Adesso basta, Tubberman,» lo zittì Cabot con un ruggito. «Hai chiesto la votazione. Ebbene è stata fatta sotto gli occhi di tutti, e la maggioranza ha deciso contro l'invio della capsula. Ed anche se la decisione fosse stata a favore, la nostra situazione resta comunque seria al punto da costringerci immediatamente a prendere determinate misure. «Una delle esigenze primarie è la manifattura di lamine metalliche di protezione da applicare agli edifici esistenti, indipendentemente da dove siano situati. La seconda è costituita dalla produzione di cilindri di HNO3 e di componenti di lanciafiamme. Una terza esigenza è la conservazione di tutte le provviste ed i materiali. Un altro problema è ancora la necessità di istituire un'efficiente sorveglianza della parte orientale presso ogni Fondo almeno fino a quando non sarà stato stabilito uno schema di diffusione della Caduta. «Infine chiedo che vengano temporaneamente reintegrati al comando di Pern Emily Boll e Paul Benden. La Governatrice Boll è riuscita a far sì che il suo pianeta disponesse di viveri sufficienti malgrado il lungo embargo spaziale di cinque anni imposto dai Nathi, e l'Ammiraglio Benden è senza alcun dubbio l'uomo più valido nell'organizzare un'efficace strategia difensiva.
«Adesso vi chiedo soltanto di alzare le mani se approvate tale candidatura, dopodiché si passerà ad un referendum vero e proprio non appena avremo saputo quanto durerà ancora esattamente lo stato d'emergenza.» Un'ondata di consensi salutò le dichiarazioni precise e risolute di Cabot. «Rudi, prepara per un altro conteggio.» Attese qualche istante mentre la folla si muoveva impaziente. «Alziamo le mani per l'attuazione delle misure prioritarie or ora elencate e per il conferimento del comando all'Ammiraglio Benden ed alla Governatrice Emily Boll.» Molte mani si sollevarono immediatamente in alto, mentre altre vennero su con esitazione, dato che gli indecisi prendevano coraggio alla vista della determinazione dei vicini di posto. Ancor prima che Rudi gli comunicasse i risultati della votazione, Cabot si era già reso conto che il voto era abbondantemente a favore delle misure d'emergenza. «Governatrice Boll, Ammiraglio Benden, accettate questo mandato?», domandò formalmente. «Era tutto preparato!», gridò Ted Tubberman. «Vi dico che è tutto un trucco. Quei due volevano soltanto tornare al potere.» Le accuse cessarono improvvisamente quando Tarvi e Fulmar lo spinsero con decisione sulla panca. «Governatrice? Ammiraglio?» Cabot ignorò l'interruzione. «Voi due siete certamente i più qualificati ad affrontare i compiti che ci attendono, tuttavia, se intendete declinare l'incarico, accetterò nuove nomine dall'assemblea.» Rimase quindi in attesa senza dar mostra della sua preferenza personale e ignorando il pubblico irrequieto ed il mormorio crescente degli impazienti. Lentamente Emily Boll si alzò in piedi. «Accetto.» «Anch'io,» annunziò Paul Benden, affiancando la Governatrice. «Ma soltanto per la durata dell'emergenza.» «E voi gli credete?», tuonò Tubberman, svincolandosi dai due guardiani. «Stavolta hai oltrepassato ogni limite, Tubberman,» urlò Cabot perdendo il distacco professionale. «La maggioranza sostiene l'assunzione di queste misure temporanee anche contro il tuo parere.» Pian piano il pubblico si calmò. Cabot attese finché non fu tornato completamente il silenzio. «Adesso è giunto il momento di darvi le notizie peggiori che intenzionalmente ho rimandato al momento in cui avrei avuto la certezza che tutti fossimo decisi a collaborare. Grazie a Kenjo ed alla sua squadra di ricognizione, Boris e Dieter credono di aver individuato uno schema di diffusione della Caduta. Se sono nel giusto, dovremo attenderci una Caduta di Fili domani
pomeriggio sul Fiume Malesia. Il fenomeno proseguirà attraverso la Provincia del Catai e fino al Messico, sul Lago Maori.» «Sul Fiume Malesia?» Chuck Kimmage si alzò di scatto mentre la moglie gli si aggrappava ad un braccio, entrambi terrificati. Phas era riuscito a rintracciare ed avvertire tutti gli altri coloni della zona del Malesia e della Provincia Messicana, ma Chuck e Chaila erano arrivati poco prima dell'inizio dell'assemblea, troppo tardi per essere informati in privato. «E tutti noi vi aiuteremo a difendere i vostri territori,» disse Emily Boll con voce ferma e risonante. Con un balzo Paul montò sulla piattaforma alzando le mani e lanciando un'occhiata a Cabot per chiedergli il permesso di avere la parola. «Ho bisogno di volontari per le slitte e i lanciafiamme. Kenjo e Fulmar hanno messo a punto un sistema per installare i lanciafiamme a bordo delle slitte. Alcuni sono già stati montati, e sarà la loro squadra a pilotare quelle slitte. Coloro che possiedono slitte medie e grandi si offrano volontari. Il modo migliore per colpire i Fili è di bersagliarli quando sono ancora in aria, prima che abbiano la possibilità di atterrare. Naturalmente, ci sarà bisogno anche di persone che restino a terra, per annientare i Fili che riescono a superare la barriera aerea.» «E cosa ne dite delle lucertole di fuoco, o draghetti che dir si voglia?», domandò qualcuno. «Ci sono stati di grande aiuto quel giorno ad Approdo,» rispose una donna, la voce rotta da una nota di spaventata preoccupazione. «Ci hanno aiutato anche a Sadrid due giorni fa,» osservò Wade. «Anche la pioggia ci ha aiutato parecchio,» aggiunse Kenjo, non del tutto convinto delle prestazioni di alleati non meccanici. «Chiunque di voi possegga dei draghetti sarà felicemente accolto tra le squadre operanti a terra,» continuò Paul, intenzionato a reclutare il maggior numero di rinforzi. Ma, in verità, anche lui era alquanto scettico; i numerosi impegni gli avevano impedito di affezionarsi a qualcuna di quelle bestiole, a differenza della moglie e del figlio maggiore che ne possedeva due ciascuno. «In particolare ho bisogno di tutti coloro che hanno già avuto esperienze di volo o di combattimento a terra. Stavolta i nostri nemici non sono i Nathi, ma è il nostro pianeta ad essere stato invaso. Fermiamo questa invasione! Domani, ed ogniqualvolta sarà necessario!» Una spontanea esplosione di entusiasmo ed esultanza accompagnò in crescendo le parole dell'Ammiraglio, raddoppiando ancora di volume quando tutti si alzarono in piedi agitando i pugni serrati. Gli uomini sul
palco osservavano con sollievo quella dimostrazione di viva partecipazione. Forse soltanto Ongola si diede la pena di notare coloro che rimasero seduti o in silenzio. 10. Se le previsioni di Dieter e Boris erano esatte, la Caduta imminente avrebbe sfiorato la Penisola di Kahrain, iniziando approssimativamente alle ore 16.30, a circa 120 klick a nordovest della bocca del Fiume Paradiso, 25 gradi a sud. Dieter e Boris non erano però riusciti a calcolare con certezza se, procedendo in direzione del Messico sul Lago Maori; tuttavia le precauzioni non erano mai troppe. Dato il suo rango temporaneo di Comandante, Kenjo Fusaiyuki riunì i suoi squadroni nel punto stabilito. Anche se i Fili cadevano sul mare, sarebbe stata comunque un'occasione per i suoi uomini per fare un po’ di pratica nel bruciare il 'bersaglio reale'. 'Pratica' non si rivelo assolutamente la parola più appropriata a descrivere il caos che ne derivò. Kenjo fu costretto a dettare rabbiosi ordini perentori ringhiando attraverso la radio di bordo ai volenterosi ma inetti piloti che si gettavano in picchiata all'inseguimento dei Fili, bersagliandosi il più delle volte tra di loro con guizzanti fiammate all'HNO3. Combattere i Fili richiedeva evidentemente tecniche totalmente diverse da quelle adottate nella caccia agli wherry o nel mirare a velivoli pilotati da un nemico dotato di intelligenza e raziocinio. I Fili, invece, non possedevano né l'una né l'altro. Essi cadevano e basta - si gettavano stolidamente con moto obliquo verso sudovest, di tanto in tanto attorcigliati in mortali grovigli dalle raffiche di vento. Era proprio l'inesorabilità di quella insensata caduta che irritava, deprimeva, e frustrava, debellando ogni resistenza. Non importava quanti di quei Fili diventassero cenere prima di toccare il suolo, perché altri, per nulla scoraggiati, continuavano a cadere irrefrenabilmente. I piloti, furiosi, si esibivano in pericolosi avvitamenti, rapide virate, vertiginose picchiate. I cannonieri inesperti facevano fuoco su qualsiasi cosa si muovesse nel loro raggio, e spesso e volentieri non si trattava che di un'altra slitta impegnata nell'inseguimento di un viluppo filamentoso. Nove draghetti addomesticati furono vittime di tale inesperienza, e, di conseguenza, si registrò un improvviso e considerevole calo nel numero dei draghetti selvatici aggregatisi alla ressa. Durante la prima mezz'ora dall'inizio della Caduta, sette slitte furono
coinvolte in collisioni a mezz'aria, e tre risultarono malamente danneggiate mentre, in altre due, il tettuccio in siliplex fu squarciato il che le rese inutilizzabili. Anche la slitta di Kenjo riportò segni di bruciature. Quattro braccia, tre clavicole, una gamba e sei mani fratturate o slogate, misero quattordici cannonieri fuori combattimento; molti altri continuarono l'offensiva incuranti di ustioni e lacerazioni. Nessuno aveva pensato all'opportunità di predisporre cinture di sicurezza per i tiratori. Dopo due ore, mentre la Caduta colpiva ancora la superficie marina, fu convocata in fretta e furia una riunione consultiva tra i comandanti degli squadroni di attacco: Kenjo, Sabra Stein-Ongola, Theo Force e Drake Bonneau. Questi - compreso Paul Benden, quale Comandante dei reparti di supporto a terra - decisero di assegnare ad ogni squadrone il proprio livello di quota mantenendo un intervallo dagli altri di cento metri. Lo squadrone avrebbe assunto in volo una formazione a cuneo spostandosi avanti e indietro attraverso i cinquanta klick di estensione del corridoio di Fili. Fattore di massima importanza per ciascun cuneo composto da sette slitte era il rispetto della quota assegnata. Non appena le slitte cominciarono a mantenere le distanze stabilite, le collisioni a mezz'aria e le bruciature accidentali conobbero un calo netto e immediato. Kenjo guidava i piloti più esperti nelle evoluzioni a bassa quota che si prefiggevano di colpire il numero più alto possibile di Fili mancati dalle squadre sovrastanti e, al tempo stesso, informavano i reparti a terra sulla posizione dei pericolosi viluppi scampati ai lanciafiamme. Paul Benden coordinava i movimenti delle veloci squadre impegnate nella distruzione delle scorie servendosi di lanciafiamme portatili. Intanto, i canali di comunicazione con le unità aeree, quelle di terra e Approdo, venivano tenuti aperti per i collegamenti di emergenza. Joel Lilienkamp organizzò un servizio di sostituzione dei cilindri vuoti e delle batterie scariche. Un'équipe medica rimase in attesa nei paraggi. A metà della Caduta, Paul si rese conto che i suoi reparti di supporto in superficie erano troppo dispersi per risultare realmente efficaci. Cionondimeno, fortunatamente, vi erano tratti abbastanza estesi dove i Fili atterravano su terreni pietrosi o privi di vegetazione e, accartocciandosi, trovavano una rapida morte. Verso la fine, quando ormai i piloti stanchi volavano bassi e le batterie delle slitte si erano quasi del tutto esaurite, una pioggia più copiosa di Fili si abbatté su di loro. E stavolta, purtroppo, prese a cadere sulla fitta vegetazione e sulla fattoria del Fondo del Messico. La brusca interruzione della Caduta sulla sponda del Lago Maori e sui
principali edifici del territorio, sopraggiunse come uno shock vero e proprio per coloro che si erano così intensamente concentrati nell'opera di distruzione dei Fili. I comandanti degli squadroni ordinarono ai loro piloti di atterrare nei pressi del lago mentre essi si consultavano con i capì delle squadre operanti a terra. I coloni del Messico che non erano stati impegnati nella difesa di superficie, prepararono una minestra calda e del klah, offrirono pane e frutta fresca ed allestirono un'infermeria presso una delle abitazioni. Tarvi e la squadra di Karachi erano riusciti a completare l'operazione di rivestimento metallico dei tetti appena prima che la Caduta raggiungesse la zona. Puntuale giunse anche la chiatta di rifornimento di Joel Lilienkamp con le batterie cariche e nuovi cilindri di HNO3. La giornata non era però ancora finita. I piloti ripercorsero a velocità di crociera il corridoio della Caduta alla ricerca di Fili 'vivi'. Anche Paul, assieme ai suoi uomini stanchi, grondanti sudore e sporchi di fuliggine, si riportò verso il territorio di Malesia e in direzione della costa, per individuare gli eventuali segni di una seconda infestazione laddove né i gusci né il materiale in dissolvimento fossero visibili. E, di fatto, si riuscì a localizzare due di questi punti che, su suo ordine, furono saturati con dosi consistenti di HNO3. A tal proposito, uno dei componenti dei reparti di terra disse all'Ammiraglio che a suo parere la cosa comportava un inutile spreco di combustibile. «I draghetti non si sono fatti vivi, Ammiraglio. Eppure sono sempre presenti dove si trovano i Fili.» «Allo stadio attuale non abbiamo alternative,» rispose Paul, dissipando con un breve sorriso ogni ombra di rimprovero. Per lui quella pioggia di fuoco non costituiva affatto una misura gratuita o superflua: i draghetti percepivano perfettamente la presenza dei Fili, ma erano altrettanto inconsapevoli della presenza della seconda, e forse ancor più temibile fase del loro ciclo vitale. Tuttavia, il rispetto di Paul Benden per i draghetti fu accresciuto dalla loro diligente ricerca dei Fili caduti di recente. Parecchie volte, durante la Caduta, l'Ammiraglio aveva scorto lo stormo di draghetti che combatteva al fianco di Sean Connell e della fulva Hanrahan. Le creature sembravano obbedire ai loro ordini. Le loro mosse erano disciplinate, mentre altri gruppi svolazzavano intorno in una sorta di caotica frenesia. In moltissime occasioni Paul aveva visto le piccole bestiole sparire all'improvviso proprio nel momento in cui pareva certo che sarebbero state
colpite dall'alito fiammeggiante di qualche loro compagna. E quante volte aveva desiderato che le slitte possedessero quel genere di abilità, o almeno un po’ più di agilità. Quei velivoli non erano affatto l'ideale come unità da combattimento. L'Ammiraglio si ricordò pure della profonda ammirazione che aveva provato per i draghetti durante la loro difesa del pollaio dall'attacco degli wherry e, dal racconto dell'ormai leggendario 'ombrello' formato a difesa di Approdo durante la Prima Caduta, sapeva che centinaia di draghetti selvatici avevano aiutato i loro congeneri addomesticati. Quelle creature potevano essere degli splendidi rinforzi. Paul si domandò quali possibilità vi fossero di riuscire a mobilitare tutti i draghetti perché fossero addestrati da Connell e Hanrahan. L'attuale Caduta aveva lasciato tratti di terreno denudato dai Fili ma, nonostante l'iniziale parapiglia e l'inesperienza delle squadre aeree e di terra, la devastazione non aveva assolutamente eguagliato le proporzioni della prima terrificante Caduta. Buona parte degli uomini stremati preferirono passare la notte nella zona colpita. Pierre de Courci si assunse il compito di chef e la sua squadra si dedicò alla preparazione di pesce e tuberi arrostiti sulla spiaggia. Donne, uomini e ragazzi esausti sedettero attorno ai rassicuranti falò, troppo stanchi per chiacchierare, e felici di essere sopravvissuti alla fatica di quella giornata. Sean e Sorka aprirono una 'clinica' di pronto soccorso sulla spiaggia per curare i draghetti feriti, cospargendo le ali e la pelle ustionata delle creature con erbe anestetiche. «Credete che quando Sira avrà smesso di piangere, il mio bronzeo e il mio marrone torneranno?», domandò Tarrie Chernoff. Era sudicia di grasso nero e macchie d'erba a la tunichetta di pelle di wherry era piena di bruciacchiature, vecchie e nuove; ma, come tutti i possessori di draghetti, la ragazza era in pena per la creatura senza badare alla sua persona. Sean si strinse nelle spalle con indifferenza, mentre Sorka posava una mano rassicurante sul braccio di Tarrie. «In genere ritornano. Soffrono molto quando uno del loro stormo viene ferito, specie se si tratta di una regina. Adesso dormici sopra tranquillamente: ci penserai domani.» «Perché le hai mentito così, Sorka?», disse Sean sottovoce dopo che Tarrie si fu allontanata verso i falò, cullando nella piega del braccio la regina acquietata. «Ormai sai benissimo che se una di loro viene ferita in modo piuttosto grave, le altre lucertole di fuoco non tornano più.» Sean si accigliò. Fino a quel momento lui e Sorka erano stati fortunati, grazie, for-
se, alla disciplina alla quale erano riusciti a sottoporre i loro draghetti. «Ha bisogno di una lunga notte di riposo senza che si debba torturare inutilmente. E poi molti tornano.» Con un sospiro affaticato, Sorka richiuse la cassetta coi medicinali. Curvò quindi la schiena sui muscoli stanchi. «Mi daresti una strofinata, Sean? Alla spalla destra.» Gli volse la schiena e sospirò di sollievo quando le forti dita di lui cominciarono a massaggiarle i muscoli tesi. Le mani di Sean facevano prodigi: sapevano esattamente in che modo sciogliere la tensione. Pian piano le mani risalirono carezzevoli fin sulla nuca infilandosi con amore tra i capelli. Per quanto stanco, il corpo di Sorka rispose prontamente alla silenziosa domanda. La ragazza si svincolò e, sorridendo, si guardò attorno in cerca dei draghetti. «Hanno trovato un nido tranquillo per riposare accoccolati.» La voce bassa di Sean era allusiva. «Allora troviamone uno anche noi.» Sorka gli prese la mano e lo condusse via dalla spiaggia nel folto di un cespuglio di piante dalle foglie cuneiformi che essi stessi avevano contribuito a salvare dalla Caduta dei Fili. 11. Ristorati dal pasto caldo e da un generoso boccale di un amabile quikal fermentato da Chaila Xavior-Kimmage utilizzando frutti locali, Paul ed Emily organizzarono con discrezione una riunione riservata che si tenne nella dependance di uno degli edifici dell'appezzamento. Oltre all'Ammiraglio e alla Governatrice vi presero parte Ongola, Drake, Kenjo, Jim Tillek, Ezra Keroon e Joel Lilienkamp. «Faremo meglio la prossima volta, Ammiraglio,» disse Drake Bonneau con un vistoso saluto. Kenjo, entrato dietro di lui, guardò l'asso di guerra con divertito compiacimento. «L'esperienza di oggi ci ha insegnato che questi Fili richiedono tecniche di volo e di tiro del tutto particolari. Perfezioneremo la manovra a cuneo, dopodiché nulla scamperà al nostro attacco. I piloti devono esercitarsi nel mantenere la quota assegnata dagli schemi di volo. I tiratori devono imparare a controllare la portata e la gittata dei lanci. Non si tratta semplicemente di tenere premuto un pulsante. Abbiamo avuto diversi incontri ravvicinati di potenza non indifferente. Abbiamo anche perso alcuni draghetti. Non possiamo rischiare tante vite, né tantomeno le slitte.» «Le slitte si possono riparare, Drake,» osservò Joel Lilienkamp in tono
secco prima che Paul parlasse, «ma i generatori di energia non dureranno per sempre. Non possiamo permetterci di sfruttarli inutilmente per le esercitazioni. Malgrado il nostro sistema di rifornimento, che ci scommetto riuscirò a migliorare, nove piloti hanno dovuto planare sul Lago Maori. Non è stato facile. La formazione a cuneo, Drake, è economica nel dispendio di energia, ma occorrono comunque dei giorni per ricaricare le batterie scariche. Per quanto tempo continuerà a cadere questa roba, Paul?» Joel alzò gli occhi dal blocchetto coi calcoli. «Non lo abbiamo ancora stabilito,» disse Paul, mentre il pollice sinistro sfregava le nocche delle altre dita. «Boris e Dieter stanno raccogliendo informazioni dai rapporti dei piloti.» «Dannazione! Ma questo non ci dirà quel che abbiamo bisogno di sapere, Paul,» disse Drake, la voce stanza ridotta quasi a un lamento. «Da dove viene quella roba?» «È stata mandata una sonda,» disse Ezra Keroon. «Ci vorranno ancora un paio di giorni per avere qualche dato.» Drake continuò come se non lo avesse neppure sentito. «Io voglio scoprire se questa roba non sia più vulnerabile nella stratosfera. Anche se disponiamo soltanto di dieci slitte pressurizzate, un attacco ad alta quota non sarebbe più efficace? Questi organismi arrivano nell'atmosfera in grappoli, dopodiché si disperdono? Siamo in grado di sviluppare una difesa più agile di quella assicurata dai lanciafiamme? Abbiamo bisogno di saperne di più sul nemico.» «Non batte mai in ritirata,» osservò Ongola, strofinandosi le tempie per alleviare il cerchio alla testa che sempre gli lasciava ogni battaglia. «Questo è vero,» confermò Paul con un sorriso amaro volgendosi verso Kenjo. «Mi chiedo se non otterremmo qualche informazione utile da un volo di ricognizione orbitale. Quanto carburante si trova nei serbatoi della Mariposa?» «Se sono io a pilotarla, abbastanza per tre, forse quattro voli,» rispose Kenjo evitando deliberatamente lo sguardo di Drake. «Dipende dalle manovre richieste e dal numero delle orbite.» «Sei tu l'uomo giusto, Kenjo!», disse Drake con un gesto della mano ed un'espressione dolente. «Tu sei capace di atterrare con un filo di carburante.» Kenjo, sorridendo appena, fece un rapido inchino. «Sappiamo quando, o dove, i Fili ci colpiranno ancora?» «Sì,» rispose Paul in tono distaccato. «Se i dati sono corretti - ed oggi lo sono stati - i possessori di Fondi sono fortunati. Colpirà in due posti: alle
19.30 attraverso la Provincia di Arabia fino al Mar d'Azov,» l'espressione dell'Ammiraglio rifletteva il profondo rammarico per la perdita dei coloni che originariamente avevano occupato quell'area, «e alle 03.30 attraverserà l'estremità di Delta. Entrambe le zone sono disabitate.» «Non possiamo permettere che quella roba cada ovunque senza controllo, Paul,» disse Ezra allarmato. «Lo so, ma, se dobbiamo metter su delle squadre ogni tre giorni, presto saremo tutti esausti.» «Non è necessario proteggere tutte le zone colpite,» disse Drake spiegando la carta di volo. «Ci sono un mucchio di terreni paludosi e fitte boscaglie.» «Ogni Caduta va sempre ostacolata,» disse Paul con determinazione. «Prendila come un'occasione per perfezionare le manovre ed addestrare le squadre, Drake. È sicuramente preferibile distruggere i Fili mentre sono ancora in aria. Oggi non hanno divorato grandi estensioni di vegetazione, ma resta comunque inteso che non possiamo permetterci di perdere vasti corridoi ogniqualvolta ne siamo colpiti.» «Recluta degli altri reparti di draghetti,» suggerì Joel scherzosamente. «A terra sono altrettanto bravi che in aria.» Emily lo guardò con tristezza mentre tutti gli altri sorridevano. «Peccato che non siano abbastanza grandi.» Paul si girò sulla sedia per scrutare a fondo la Governatrice. «Questa è la migliore idea che abbia sentito oggi, Emily.» Drake e Kenjo si scambiarono uno sguardo perplesso, mentre Ongola, Joel ed Ezra Keroon, si tiravano su in attesa, Jim Tillek sorrise. 12. Al largo della costa meridionale dell'Isola Grande vi erano altre cinque grosse isole e numerose piccole prominenze, residui di vulcani che si affacciavano sulla brillante distesa marina verde-azzurra. L'isolotto al quale Avril e Stev si stavano approssimando con bramosa impazienza non era altro che il cratere di un vulcano sommerso. Le pendici digradavano affondando nel mare, e formavano una stretta fascia costiera, eccetto nel versante meridionale dove l'orlo del cratere era più basso. Avril fremeva d'impazienza mentre Stev spingeva la prua della piccola imbarcazione sulla costa settentrionale. «Era impossibile che quell'idiota di Nielsen avesse ragione,» mormorò
mentre saltava giù sulla spiaggia ciottolosa dopo che Kimmer ebbe spento il motore. «Come potevamo farci sfuggire un'intera spiaggia piena di diamanti?» «Avevamo da esplorare luoghi più promettenti, ricordi, Avril?» Stev la vide raccogliere una manciata di pietre nere che prese ad esaminare minuziosamente. Avril tenne solo la più grossa e gliela lanciò. «Prendi! Valutala!» Kimmer inserì la pietra delle dimensioni di un palmo nel misuratore portatile, mentre Avril osservava scossa da una rabbiosa agitazione. «È assurdo. Non possono essere tutti diamanti neri!» «Questo lo è!» Avril riprese la pietra e la sollevò in direzione del sole tenendola per qualche istante sotto i suoi raggi. «E questa?» Raccolse un altro sasso della grandezza di un pugno e lo porse a Kimmer, il quale era stato però abbastanza lesto da vederla infilare il primo diamante nella borsa. «Meno male che Nielsen è soltanto il nostro apprendista. Anche questo è tutto... nostro!» «Noi due - a Stev non era sfuggito l'uso del plurale da parte di Avril dovremo stare attenti a non saturare il mercato.» Introdusse la seconda pietra nel misuratore maneggiandola con dita bramose e non del tutto ferme. «Anche questo è un diamante nero. Circa quattrocento carati e praticamente privo di difetti. Congratulazioni, mia cara, sei ricca sfondata!» Avril reagì con una smorfia al tono beffardo del compagno e gli strappò di mano il diamante, stringendolo a sé con fare quasi protettivo. «Non possono essere tutti diamanti,» mormorò. «Non è vero?» Perché no? Nulla impedisce che dei diamanti vengano espulsi da un vulcano se ci sono gli ingredienti giusti ed una pressione sufficiente in un dato momento nel tempo. Probabilmente questa sarà l'unica spiaggia di diamanti in tutto l'universo, ma ti assicuro che di questo si tratta: hai una spiaggia composta di diamanti.» Il sorriso di Stev era pura malizia. Avril lo guardò con gli occhi stanchi, sforzandosi di sorridere con spontaneità. «Abbiamo, Stev.» Si appoggiò a lui, e la sua pelle era calda contro quella dell'amico. «Questo è il momento più eccitante della mia vita.» Con la mano libera gli cinse il collo e lo baciò con passione, il corpo premuto contro il suo fino a schiacciargli le costole col diamante che stringeva al petto. «Neppure i diamanti devono separarci, amore mio,» mormorò Kimmer, strappandole la pietra dalle dita serrate e lasciandola cadere nella slitta a-
perta alle sue spalle. La mattina seguente Stev non fu eccessivamente sorpreso nel constatare che Avril e la veloce slitta erano sparite dall'accampamento minerario sull'Isola Grande. Un sopralluogo alla cavità nella roccia dove Avril aveva occultato le gemme più spettacolari che avevano rinvenuto insieme gli rivelò anche la sparizione del bottino. Stev sorrise con sarcasmo. Se Avril aveva recepito l'allarme lanciato da Approdo, lui non lo aveva fatto. Era infatti al corrente degli avvenimenti che avevano sconvolto il continente meridionale e teneva sempre d'occhio il cielo orientale ogniqualvolta vi appariva una nube. Aveva anche predisposto un piano d'emergenza. Cosa che sicuramente Avril non aveva fatto. Gli sarebbe piaciuto vedere la sua faccia quando avrebbe scoperto Approdo brulicante di gente indaffarata e la pista di atterraggio gremita di slitte e tecnici. Sennonché, quando una delle apprendiste riferì che non riusciva a trovare Avril da nessuna parte, Kimmer commentò la notizia con un ruggito di piacere. Nabhi Nabol non fu altrettanto compiaciuto. 13. Kenjo entrò in orbita con un dispendio minimo di carburante. Concentrò la mente su quel che stava facendo e, finalmente, sentì l'impennata del docile veicolo spaziale, la gloriosa ebbrezza dell'assenza di gravità. Desiderò che tutte le sue preoccupazioni potessero svanire con altrettanta facilità. La gioia che lo pervadeva non valse però a fargli perdere il contatto con la lancia, e le sue dita, vigili, scivolarono lungo il bordo della consolle. Gli ultimi tre giorni erano stati particolarmente frenetici. Aveva infatti revisionato tutti i sistemi disattivati della Mariposa, controllando ogni possibile usura o malfunzionamento delle sue parti essenziali. Per far ciò aveva persino affidato a Theo Force il comando del suo squadrone quando i Fili erano caduti sulle montagne a sudest di Karachi sfiorando Longwood, sull'Isola Ierne. Era più importante per lui riattivare la Mariposa. Ongola aveva dedicato un po’ di tempo a sintonizzare i circuiti di radiocomunicazione aiutandolo anche a controllare i terminal di bordo. La piccola astronave era stata progettata per rimanere inattiva nello spazio, in assenza di pressione e, benché i circuiti più importanti fossero stati disposti in contenitori sotto vuoto, sussisteva comunque il timore che qualche collegamento minore, ancorché essenziale, non fosse stato verificato a dovere. Infine,
tutti i sistemi si erano dimostrati perfettamente funzionanti, e l'accensione di prova dei motori ne aveva rivelato l'ottimo stato. Sicché, visto che tutto era in ordine, Kenjo aveva protestato quando gli era stato ordinato di riposare nelle dodici ore precedenti il decollo. «Sarai certamente un pilota formidabile, Kenjo, ma su Pern ci sono meccanici più qualificati di te,» gli aveva detto Paul Benden senza mezzi termini. «Adesso hai bisogno di riposare per essere ben sveglio nello spazio dove noi non potremo aiutarti.» Era stato approntato un piano di volo che avrebbe consentito a Kenjo di trovarsi nel punto dal quale - come Boris e Dieter avevano previsto - la prossima Caduta di Fili sarebbe penetrata nell'atmosfera di Pern. Il programma da loro elaborato indicava che i Fili cadevano con raffiche della durata di settantadue ore, con l'approssimazione di un'ora. La missione affidata a Kenjo si proponeva di valutare la correttezza di tale programma, di determinare la composizione dei Fili prima che entrassero nell'atmosfera pernese e, se possibile, di tracciarne la loro traiettoria a ritroso. Infine, e non per questo di scarsa importanza, il pilota doveva cercare di distruggerli prima che colpissero il pianeta. La prossima Caduta era prevista nella Provincia di Kahrain, esattamente nella zona deserta denominata Oslo - la vecchia sede dove erano atterrati i CEV - per poi continuare sul Fondo del Fiume Paradiso e terminare sulle Pianure dell'Arabia. Kenjo si trovava a circa duecento chilometri al di sotto delle astronavi vuote, ancora troppo distante per registrarne la presenza sul monitor. Cionondimeno, cercò di vederle ugualmente ingrandendo al massimo l'immagine sul visore. Poi, sconfitto, si strinse nelle spalle. Le astronavi erano storia passata. Ora stava per offrire un nuovo contributo, un'impresa impareggiabile. Kenjo Fusaiyuki avrebbe scoperto l'origine dei Fili, li avrebbe sradicati una volta per tutte, e sarebbe diventato un eroe planetario. Allora nessuno lo avrebbe condannato per aver 'conservato' tanto carburante per suo uso privato. In tal modo poteva appagare il suo senso dell'onore e soffocare i frequenti seppur fuggevoli palpiti della coscienza. Costruire il suo velivolo extra-leggero era stato estremamente gratificante. Il progetto lo aveva tratto dalla videoteca della Yokohama, nella sezione dedicata alla storia dell'aeronautica. Anche quando ne aveva modificato il motore, il velivolo non consentiva un ottimo rendimento del carburante tuttavia, ciò che era riuscito a risparmiare durante ogni caduta delle navette, gli aveva reso possibile la creazione di questo audace aereo.
Sorvolando l'isolato Fondo di Honshu nella Prateria della Barriera Occidentale aveva provato una soddisfazione che aveva superato ogni sua immaginazione, anche se aveva dato vita a voci che alludevano ad una grossa, e fino allora ignota, creatura volante. Sua moglie, calma e paziente, non si era mai azzardata ad esprimere opinioni sulla sua impresa, aiutandolo anzi nella costruzione. Ingegnere meccanico, la donna gestiva l'impianto idroelettrico che forniva energia all'altopiano sul quale risiedevano e ad altri tre piccoli Fondi situati nella valle attigua. Dalla loro unione erano nati quattro figli, tre dei quali erano maschi, ed oltre ad occuparsi di loro con le cure accorte di una buona madre, la versatile signora trovava anche il tempo di aiutare il marito nella coltivazione degli alberi da frutto che costituivano per Kenjo motivo di gran vanto. La famiglia non aveva nulla da temere dai Fili in quanto la dimora che la ospitava era stata ricavata direttamente dentro la montagna, usando il legno esclusivamente per i rivestimenti interni. La signora Fusaiyuki era stata ben disposta ad aiutare il marito a creare un hangar per il suo velivolo adoperando gli scalpelli presi in prestito da Drake Bonneau. Ignorava però l'esistenza di una seconda cavità, ben occultata, nella quale Kenjo aveva stipato il carburante liquido accumulato segretamente. Il pilota non era ancora riuscito a trasferircelo per intero prelevandolo dalla grotta nei dintorni di Approdo dove lo teneva nascosto. Sì, Kenjo era sicuro che, quando avrebbe fornito le preziose informazioni sui Fili, nessuno avrebbe avuto da ridire sul suo 'prelievo' di carburante. Inoltre avrebbe fatto di tutto perché occorressero tre o quattro di quei voli per portare a compimento la missione. Quanto gli erano mancate la tranquillità e la stimolante sfida che solo lo spazio profondo sapevano offrirgli! E quanto gli appariva misero il suo piccolo aeromobile in confronto alla splendida e potente Mariposa). La slitta che aveva pilotato come capo dello squadrone nella difesa dai Fili, era poi il massimo della goffaggine! Finalmente era tornato nell'ambiente che gli era più congeniale, lo spazio. Il segnale d'allarme interruppe le sue divagazioni e, dopo pochi secondi, iniziò il fruscio sibilante. Kenjo si trovò in una pioggia di piccoli ovoidi. Col grido furioso che un tempo lontano incitava alla lotta i guerrieri giapponesi, Kenjo attivò i razzi di tribordo e sorrise di piacere quando lo schermo zampillò in una cascata di minuscole stelle di distribuzione. 14.
Avril Bitra era livida di rabbia. Non riusciva a credere al cambiamento avvenuto ad Approdo; secondo i suoi calcoli, il vecchio insediamento doveva essere quasi deserto. Quando Stev l'aveva convinta ad assumere degli apprendisti per non destare sospetti sulle loro attività sull'Isola Grande, la popolazione di Approdo era ridotta a meno di duecento persone. Invece adesso l'insediamento brulicava di gente. Vi erano luci dappertutto e, malgrado l'ora tarda, coloni affaccendati sciamavano lungo vie e piazze. E, quel che era peggio, la pista d'atterraggio era gremita di slitte, grandi, piccole e medie, e di tecnici a non finire... e la Mariposa non c'era! Cosa diavolo era mai accaduto? Avril aveva parcheggiato la slitta ai margini della pista, vicino al punto dove aveva visto l'ultima volta la piccola nave spaziale. La furia impotente per quella delusione le faceva ribollire il sangue. E pensare che aveva con sé una fortuna con la quale tagliare la corda da quella squallida palla di fango! Era pure riuscita a sbarazzarsi di tutti i suoi compagni. E non aveva rimorsi per aver abbandonato Stev Kimmer. Era stato utile, ed anche divertente... fino a quando aveva scoperto il valore di quei diamanti neri. Sì, aveva fatto bene a partire immediatamente, prima che lui avesse pensato a smantellare le slitte o a prendere qualche drastico provvedimento costringendola a portarlo con sé. Ma dove diavolo era finita la Mariposa? Chi stava consumando il carburante che le sarebbe servito per raggiungere le grandi astronavi in orbita? Riusciva a fatica a contenere la furia che la sconvolgeva. Doveva riflettere con lucidità! D'un tratto, tardivamente, si ricordò dell'allarme lanciato da Approdo. Aveva sbagliato a non prestarvi ascolto. Beh, però non doveva trattarsi di qualcosa di molto grave visto che Approdo era praticamente un formicaio di febbrile attività. In fondo quella situazione poteva giocare a suo favore. Con tanta gente intorno, nessuno avrebbe fatto caso ad un operaio che si aggirava in quell'alveare. Un brivido le increspò la pelle; d'improvviso avvertì il freddo pungente della notte sull'altopiano. Si era abituata al clima tropicale dell'Isola Grande. Imprecando con un filo di voce, prese a frugare tra l'equipaggiamento in dotazione alla slitta e trovò una tuta ragionevolmente pulita. La indossò stringendo alla vita la cintura da meccanico che vi aveva trovato sotto. Doveva essere di Stev: lui era sempre ben preparato ad affrontare qualsiasi situazione. Sogghignò. Beh, non sempre. Prima di mettersi a cercare la Mariposa, bisognava nascondere la slitta. Nel buio cercò di localizzare almeno uno dei fitti cespugli che crescevano
ai margini della pista, ma non riuscì a trovarne alcuno. Invece incespicò finendo in un fosso grande abbastanza per nascondervi i sacchi contenenti il suo tesoro di gemme preziose. Quindi prelevato il bottino dalla slitta, lo lasciò cadere nel fosso, vi ammucchiò sopra del terreno e numerosi sassi dopodiché lo inquadrò sotto i raggi della torcia per assicurarsi che fosse ben nascosto. Dopo qualche piccolo accomodamento fu soddisfatta del nascondiglio. Con passi sicuri si incamminò lungo la pista in direzione delle luci e del movimento. 15. Sallah Telgar-Andiyar lanciò uno sguardo fuori dalla finestra del pianterreno della torre di controllo dove Drake Bonneau stava tenendo una lezione di addestramento. No, non era possibile, doveva essersi sbagliata: quella donna somigliava ad Avril Bitra. Indossava una cintura con arnesi da meccanico e si dirigeva con sicurezza verso una slitta smantellata. Eppure Sallah non conosceva nessun altro che incedesse con quel passo arrogante, con quel provocante ondeggiare dei fianchi. La donna con la tuta si fermò e cominciò a lavorare alla slitta. Sallah scosse la testa. Avril era sull'Isola Grande; non aveva neppure risposto al segnale d'allarme, né ai più recenti appelli di Approdo per richiamare in servizio i piloti. Nessuno l'aveva vista, né alcuno si era dato la pena di rintracciarla. Il caso di Stev Kimmer era diverso: lui, genio dei circuiti, sarebbe stato davvero prezioso ad Approdo. Ongola stava cercando di convincere Paul Benden a ordinare il ritorno dei minatori dall'Isola Grande. «Non tenete le dita fisse sul pulsante di espulsione.» La voce penetrante di Drake Bonneau la richiamò all'attenzione. Poveretto, pensò Sallah. Stava tentando di insegnare ai giovani volenterosi come combattere i Fili. Ma, seppure soltanto la metà di ciò che le aveva detto Tarvi sulla minaccia mortale corrispondeva alla verità, allora, combattere quella roba era qualcosa di veramente diabolico. «Tirate sempre da prua a poppa. I Fili cadono in direzione sudoccidentale perciò, se venite a trovarvi sotto il fronte di caduta, riuscite a bruciarne una porzione più grande.» Drake esemplificò la manovra sul tavolo operativo sul quale aveva sparso i diagrammi ed i piani di volo. Sallah non aveva ancora combattuto contro i Fili, e per questo lo aveva seguito con molta attenzione, fino al momento in cui le era parso di riconoscere Avril.
Quel giorno aveva avuto il sapore di una rimpatriata per i piloti delle navette. Tutto il vecchio equipaggio, ad eccezione di Nabhi Nabol e Kenjo, era presente. Sallah sapeva dov'era Kenjo, ed era anche un po’ invidiosa di lui. Dell'assenza di Nabol era invece lieta. Certamente l'avrebbe presa in giro per il fatto di trovarsi in mezzo a tutti quei giovani in possesso del brevetto di volo soltanto da qualche anno. E pensare che alcuni di quei neopiloti li aveva conosciuti quando erano solo degli adolescenti! Stabilirsi a Karachi le aveva portato via un mucchio di tempo; quasi non se n'era accorta. E le aveva portato anche tanti cambiamenti, come quei draghetti appollaiati sulle spalle o aggrappati ai calzoncini di pelle. I suoi tre draghetti - un'aurea e due bronzei - avevano assunto, proprio come i suoi tre figli maggiori, dei comportamenti abitudinari. Adesso erano appollaiati sugli scaffali più alti della grande sala nella torre. Due di essi erano stati 'trattati', e Sallah si domandava se capissero ciò che stava accadendo dinanzi ai loro vigili occhi iridescenti. L'imperiosa raccomandazione di Drake la strappò dalle sue meditazioni. «Non deviate dalla quota assegnata. Stiamo tentando di installare dei dispositivi che avvertiranno i piloti dal grilletto facile quando saranno fuori rotta. È necessario mantenere i livelli stabiliti per evitare collisioni. Abbiamo più gente per farne dei piloti che slitte sulle quali farli volare. Voi,» disse, poi puntando il dito verso il pubblico attento, «potete essere sostituiti. Le slitte no. Ed avremo bisogno di ogni unità che riusciremo a tenere in aria. «Un lancio della durata di un secondo mirando da prua a poppa riesce a carbonizzare tutti i Fili compresi nel raggio di gittata di questi lanciafiamme. Se colpite la fascia terminale della Caduta, la fiammata, risalendo, ne investirà la maggior parte. Non sprecate l'HNO3.» Ancora una volta, Sallah aveva perso la concentrazione. Dannazione! Doveva fare in modo di prestare attenzione. Ma era così abituata ad ascoltare i suoni più che le parole. Ed i silenzi. Quei silenzi che sono tipici dei bambini disubbidienti o impegnati in qualche cosa di proibito. E i suoi bambini ne avevano di fantasia! Avvertì che le labbra si allargavano in un fiero sorriso materno, e subito corresse la sua espressione non appena gli occhi di Drake si fissarono con insistenza su di lei. I suoi tre figli maggiori le mancavano terribilmente. Ram Da, il robusto primogenito di sette anni, un vero ometto, le aveva promesso di badare a Dena e Ben. Sallah aveva portato con sé Cara - ultima nata della tenera età di tre mesi - che aveva sistemato tra i piccoli affidati a Mairi Hanrahan,
sicché non se n'era dovuta privare del tutto. Tarvi, invece, era a Karachi, ad estrarre lamine metalliche lavorando dodici ore al giorno, al pari della gente che era riuscito a trascinare laggiù. «... e fate in modo che ogni cilindro duri il più a lungo possibile,» stava dicendo Drake. «Risparmiate corrente e combustibile e resterete in quota più a lungo. Perché è là che c'è bisogno di voi. La maggior parte dei piloti hanno avuto problemi con la turbolenza. Non sganciate la cintura di sicurezza finché non siete a terra. Le slitte più leggere possono ribaltarsi in fase di atterraggio sotto una raffica di vento, perché i lanciafiamme le appesantiscono sul muso.» Con Tarvi così indaffarato, tanto valeva che anche lei avesse qualcosa da fare. Sallah la pensava così. Suo marito non aveva tempo per lei, e non avrebbe neppure avuto il piacere di dormirgli accanto... né di poterlo svegliare per indurlo a sensuali piaceri antelucani quando era ancora troppo assonnato per resistere alle sue carezze. Ma cos'era che non andava? Sallah se lo chiese per la milionesima volta. Eppure lei non aveva intrappolato Tarvi. Il desiderio e la passione che avevano condiviso quel giorno nella grotta non potevano essere svaniti. Quando da quel rapporto casuale era scaturita una gravidanza, Tarvi le aveva offerto immediatamente di formalizzare la cosa. Lei non aveva insistito, ma aveva provato un gran sollievo per il fatto che l'iniziativa fosse partita da lui. Per tutto l'arco della gestazione, Tarvi era stato tenero e premuroso, e poi sinceramente felice della nascita di un maschio sano e robusto. E così, in seguito, aveva salutato con gioia la nascita degli altri figli, adorandoli e rallegrandosi nel constatare la splendida crescita. Era sua moglie che Tarvi evitava, ignorava. Sallah trasse un sospiro e la sua vecchia amica Barr le lanciò una fulminante occhiata carica di interrogativi. Sallah sorrise ed alzò le spalle dandole ad intendere che quella reazione fosse stata suscitata da Drake. Come sarebbe stata la sua vita insieme a Drake Bonneau, felicemente al sicuro sul suo lago? Svenda sembrava soddisfatta, e si vantava per aver limitato la prole a due figli. In pubblico Drake faceva la parte del disinvolto, sicuro di sé, ma la sera prima era stato docilmente alle costole dell'imperiosa moglie. Sallah era sempre stata dell'idea che Drake facesse 'più fumo che arrosto'. In ogni caso, malgrado le eccentricità di Tarvi, Sallah preferiva il geologo, e custodiva tra i ricordi più gelosi quelle occasioni, sempre più rare, durante le quali riusciva a risvegliarlo alla passione. Forse stava proprio lì il problema: bisognava lasciare che fosse lui a prendere l'iniziativa.
E invece no: aveva provato quella strategia e, dopo un anno di miserabili insuccessi, aveva escogitato la tattica degli 'assalti al'alba'. Da Jivan aveva imparato qualche frase in pashti e con fare ingenuo aveva indagato su eventuali altre donne. Ma, chiunque Tarvi chiamasse quando era all'apice della passione, era certo che non si trattava di un'altra donna. Né di un altro uomo, per quello che le era parso di capire. «Dunque,» annunciò Drake, «ecco il turno di servizio per la prossima Caduta. Ricordate, colpirà in due punti, sul Giordano e sul Dorado. Manderemo avanti gli squadroni del Dorado così avrete il tempo di riposarvi prima di iniziare il combattimento.» Nuovamente lo sguardo aquilino di Drake sfiorò gli allievi assai attenti. «Adesso tornate alle slitte per dare una mano ai tecnici, nei limiti delle vostre capacità ovviamente. A mezzanotte si spegneranno le luci nelle abitazioni. Abbiamo bisogno tutti di riposare,» concluse quindi allegramente lasciandoli liberi di andare con un cenno della mano. Svenda si portò prontamente al suo fianco con il volto accigliato, un ottimo deterrente per coloro che si avvicinavano a Drake con l'intento di rivolgergli qualche domanda in privato. «Quando sei arrivata, Sallah?», le chiese Barr, volgendosi verso di lei col consueto sorriso cordiale. «Io sono arrivata soltanto verso mezzogiorno. Nessuno del vecchio gruppo ha saputo dirmi quando saresti arrivata anche tu. Non mi ero resa conto di quanto fosse seria questa faccenda fino a quando, durante il viaggio, non ho visto quello che ha combinato al suolo.» Sallah sorrise. La spumeggiante personalità di Barr non era cambiata per niente, anche se la sua figura si era un po’ arrotondata. «Quanti figli hai ora, Barr?», le chiese Sallah. «Abbiamo praticamente perso le tracce l'una dell'altra da quando ti sei stabilita dall'altra parte del continente.» «Cinque!» Barr accompagnò la risposta con una risatina fanciullesca ammiccando maliziosamente all'amica. «Gli ultimi due sono gemelli, cosa che non mi sarei mai aspettata. Poi Jess mi ha detto che anche lui è un gemello e che nella sua famiglia le nascite gemellari si verificano di frequente. Lo avrei strozzato.» «Non lo hai fatto però.» «No! È un brav'uomo, un padre adorabile ed un lavoratore instancabile.» Barr sottolineava ciascuna delle virtù del marito annuendo vigorosamente con radiosi sorrisi. Poi, d'un tratto, la sua mutevole espressione si trasformò in quella di una seria preoccupazione. «E a te va tutto bene, Sallah?»
«A me? Ma certo! Ho quattro figli. Ho portato Cara con me: ha soltanto tre mesi.» «Sta da Mairi o da Chris MacArdle-Cooney?» «Da Mairi. Adesso è meglio che diamo un'occhiata al turno di servizio. Che fine ha fatto Sorka?» Sallah aveva perso le tracce della rossa Hanrahan. «Ho visto tutti gli altri.» «Oh, vive con un altro veterinario. Su alla Piazza Irlandese.» «Meglio di così!» Improvvisamente Sallah avvertì un impeto di risentimento, qualcosa che aveva a che fare con la libertà di cui godevano i giovani e con la sua frustrazione per la diffidenza di Tarvi. Ma immediatamente subentrò in lei la coscienza che, in fondo, al momento aveva poche responsabilità cui assolvere e che ancora una volta le veniva chiesto di porre le sue abilità al servizio degli altri. «Forza, andiamo a bere qualcosa ed a brindare alla nostra salute!» 16. Sorka e Sean giunsero al loro comune alloggio da due direzioni opposte: Sean, proveniente da un inatteso incontro con l'Ammiraglio Benden, Sorka dalla stalla. Dall'andatura irregolare dei suoi passi, la ragazza comprese che a stento Sean riusciva a contenere una furiosa esplosione d'ira. E l'esplosione vi fu non appena i due giovani entrarono nell'abitazione. «Maledetto imbecille, pezzo d'idiota,» esordì sbattendo la porta dietro di sé. «Quel buffone, idiota, stupido come un pidocchio!» «L'Ammiraglio Benden?», esclamò Sorka stupefatta. Sean non aveva mai avuto motivo di criticare l'Ammiraglio, ed aveva provato un certo orgoglio nell'essere stato convocato per un colloquio particolare. «Quello stupido Ammiraglio vuole un'unità di cavalleria!» «Cavalleria!» Sorka si interruppe estraendo dal surgelatore il pasto che di lì a poco avrebbe consumato. «Per caricare i Fili con i lanciafiamme attraverso la campagna: te lo immagini?» «Non sa che i cavalli odiano il fuoco?» «Adesso sì.» Sean si avvicinò alla piccola credenza e ne trasse una bottiglia di quikal che sollevò verso Sorka invitandola a dividerne il contenuto. «Sì, grazie. Se non mi scarico un po’ anch'io non riuscirò a mandar niente nello stomaco.» Sorka si sforzò di minimizzare la sua apprensione. Il bisogno di bere indicava quando fosse teso il suo compagno, il quale, soli-
tamente, non prediligeva l'alcool. «Non dobbiamo andare su a mangiare, vero?», le chiese Sean, accennando con un movimento della testa in direzione della cucina comune ripristinata ad Approdo. «No, ho saccheggiato il frigo di mamma.» Pose il contenitore nel forno e lo regolò per il tempo necessario alla preparazione. Sean le porse il bicchiere e sollevò il suo in un brindisi. «Agli Ammiragli idioti che sono il non plus ultra nello spazio, ma non valgono una cicca con gli animali. Come se poi avessimo tanti di quei cavalli da poterci permettere il lusso di sprecarli in un'assurdità simile. Inoltre, devi sapere che, mi immagina anche come allenatore di uno squadrone di lucertole di fuoco - Sean continuava a chiamare le bestiole a modo suo - pronte a gettarsi in picchiata sui Fili a comando. Pensa pure che vorrebbe averne una tutta per sé. Ignora del tutto che la prossima schiusa non si avrà prima dell'estate! Cioè, se quegli 'eroi' non le bruceranno tutte prima!» Sorka non aveva mai visto Sean così furibondo. Con il volto in fiamme, percorreva senza sosta la stanza in lungo e in largo, gesticolando buffamente col braccio sinistro e trangugiando una sorsata di quikal tra un insulto e l'altro mentre sfogava la collera che lo pervadeva. Con uno scatto della testa scostò dagli occhi la frangia di capelli schiariti dal sole. Una smorfia rigidamente scolpita sul volto lo faceva apparire imperscrutabile, quasi terrificante in quell'accesso d'ira. Da una parte Sorka ascoltava le sue parole condividendo le ansie e le opinioni del giovane; dall'altra, si compiaceva di constatare che, sotto l'espressione contenuta, quasi freddamente distaccata che Sean esibiva alla maggioranza dei suoi conoscenti, pulsasse una personalità così passionale, intelligente, critica, una personalità così razionale e nel contempo visceralmente consacrata a qualcosa. Sorka non sapeva bene quando si fosse accorta di amarlo - le pareva di averlo amato da sempre - ma ricordava il giorno nel quale si era accorta che lui l'amava: la prima volta che era esploso in sua presenza per un incidente del tutto banale. Sean non si sarebbe mai concesso quella debolezza se non si fosse sentito totalmente sicuro in sua presenza, e se, inconsciamente, non avesse provato il bisogno dell'assicurazione e dell'acquietante affetto di lei. Nell'osservarlo mentre sfogava tutta la sua collera, Sorka si concesse un sorriso che nascose diplomaticamente dietro al bicchiere. «Beh, Sean, in fondo l'Ammiraglio indirettamente ti ha fatto un complimento,» osservò. Sorrise quindi allo sguardo sorpreso del giovane. «Consultando te. Forse tu non te ne sei accorto, ma io ho notato che ci osserva-
va attentamente quando eravamo sul corridoio di Malesia, ed evidentemente ha apprezzato il comportamento del nostro stormo. E sono sicura che tu sei il più qualificato della colonia a scoprire dove le regine nascondono le uova.» «Hum. Sì, immagino che le cose stiano più o meno così.» Alquanto ammansito, Sean continuò a passeggiare per la stanza mitigando la frenesia che agitava i suoi passi. Sorka amava Sean qualunque fosse il suo umore, ma quelle esplosioni la affascinavano. La furia del compagno non era mai stata diretta contro di lei; Sean raramente criticava, e se capitava lo faceva in un tono freddo e impersonale. Alcune delle sue amiche si domandavano come facesse a sopportare quel suo carattere taciturno, quasi cupo, ma Sorka non lo aveva mai trovato cupo o astioso quand'era in sua compagnia. In genere era riflessivo, restio ad offendere anche se era completamente in disaccordo, ed era certamente un uomo che riusciva a conservare per sé le sue opinioni... a meno che non fosse in gioco la sicurezza dei cavalli. La sua figura agile e slanciata era ricca di grazia anche in quel frenetico andirivieni mentre, pestando i piedi con vigore, imprimeva profonde tacche nel pesante tappeto di lana che Sorka stessa aveva tessuto per la loro casa. La ragazza lasciò che continuasse con la sua tirata, divertita dal colorito linguaggio col quale descriveva i probabili antenati dell'Ammiraglio, che solitamente rispettava, e l'idiozia dell'intera équipe di biologi che si trastullavano nel manipolare creature la cui natura non erano all'altezza di comprendere. «E poi ti sei offerto di trovare per l'Ammiraglio un uovo di draghetto quando sarà il tempo giusto?», gli chiese Sorka cogliendo l'attimo in cui Sean si era interrotto per riprendere fiato prima di scaricare una nuova raffica di considerazioni sulla imbecillità di quegli assi dello spazio. «Ah! Lo farò se mi sarà possibile.» Ruotò sui tacchi e si abbandonò sul divano sdraiandosi accanto a lei. Il volto gli si distese improvvisamente, con la rabbia e la frustrazione ormai dissipate, e i suoi occhi affondarono nel liquido ambrato che gli riempiva il bicchiere. Dalla nuova espressione Sorka intuì che qualcos'altro lo preoccupava intensamente. Attese quindi che ne parlasse. «Tu sai bene come me che non c'è una sola lucertola selvatica qua attorno. Hanno cominciato a scomparire dopo la Caduta di Sadrid. Se ci fosse un luogo sicuro su questo pianeta, loro lo troverebbero!» «Ci sono stati di grande aiuto al corridoio di Malesia.» «Fino a quando qualcuno di quegli eroi dell'aria non ha incenerito anche
loro!» Sean bevve l'ultimo sorso di quikal per affogarvi tutto il suo disgusto. «Le lucertole selvatiche non ci aiuteranno più se la cosa si ripeterà.» Si versò dell'altro quikal. «Dì un po’, dove sono le tue?», le chiese poi notando soltanto allora che i posatoi abituali erano vacanti. «Dove sono le tue: fuori, in giro,» rispose lei con dolcezza. Allora Sean cominciò a ridere; rideva di sé ed al tempo stesso del fatto di non essersi accorto subito che le sue lucertole di fuoco avevano tagliato la corda nel momento in cui era uscito dalla sede amministrativa di Approdo, reduce dal colloquio. «La cosa non ti sorprende, vero?», lo stuzzicò Sorka sorridendogli. Sean la prese per le spalle con un braccio attirandola a sé, e lei, docile, si lasciò andare. «Quando Emmett mi ha detto che Blazer era sotto shock per la tua sacrosanta collera, ho detto ai miei che stasera pensassero da soli a procurarsi da mangiare. In ogni caso sai bene che non vanno matti per i formaggi.» «Non capita spesso che passiamo la notte da soli,» disse piano Sean, con un seducente sussurro all'orecchio di Sorka. «Finisci il tuo quikal, rossa.» Le scompigliò la frangia sulla fronte poi, con una calda carezza, le sfiorò una guancia arrivando al mento. «E spegni il forno,» aggiunse prima di baciarla. Sorka eseguì con piacere. Era imbarazzante dover inventare delle scuse per allontanare i draghetti affidando loro delle commissioni fittizie. Ma, anche quando non erano in amore, le creature gioivano delle forti emozioni e, con un coro di incoraggiamento intonato a tutta voce da tredici draghetti, l'intero vicinato non avrebbe avuto dubbi su quel che accadeva in casa Hanrahan-Connell. Più tardi, quella notte, quando i rumori di quella operosa officina che era Approdo furono cessati, Sorka si chiese se quel rapporto d'amore sarebbe fiorito in un concepimento. Sean le dormiva accanto sereno, le dita leggermente posate sul braccio di lei. Sorka non aveva mai accennato all'evenienza di ufficializzare la loro unione, né gli aveva fatto notare che nella comune opinione della gente di Approdo il loro ménage era più che collaudato. Lei e Sean erano sempre d'accordo qualsiasi cosa facessero, e utilizzavano la loro esperienza di veterinari per allevare robusti cavalli e per trovare i migliori tra la varietà disponibili nelle riserve di sperma o ricavabili dagli stalloni vivi. Tra non molto avrebbero sostenuto l'ultimo esame col quale avrebbero conseguito la specializzazione in medicina veterinaria, ed avevano già individuato un luogo perfetto per mettere su casa: una valle
a mezza strada dalla Prateria della Barriera Orientale. Sean vi aveva condotto Red per mostrargli il posto dove intendevano dar vita al Fondo di Killarney, e quello aveva espresso calorosamente la sua approvazione per l'ottima scelta. Per Sorka ciò aveva assunto anche il significato di una tacita approvazione della loro unione ancora informale. Se i genitori di Sorka si erano mostrati consenzienti, non altrettanto lo erano quelli di Sean e, di fatto, Porrig Connell continuava a trattare la ragazza con modi piuttosto freddi e formali, quasi fosse un ospite che non desiderava vedere molto spesso. La madre di Sean poi non aveva mai abbandonato gli sforzi per riportare il figliolo alla sua gente. Per lui aveva già scelto un'altra moglie, e non di rado metteva in imbarazzo tutti gli interessati proponendo a Sean la ragazza ad ogni occasione. «Non voglio sposarmi con una ragazza così vicina a noi di parentela,» le aveva detto Sean quanto la donna aveva cominciato a tormentarlo con fastidiosa insistenza. «Non promette una buona prole. Il padre di Lally Moorhouse era tuo cugino di primo grado: è necessario allargare il circolo genetico, non restringerlo.» Sorka era stata ad ascoltare in disparte, ma conosceva Sean abbastanza bene da non prendersela per il fatto che il ragazzo non avesse opposto alla madre altre ragioni. Forse allora non sapeva ancora di amare Sorka Hanrahan, la rossa quindicenne che aveva invece già affidato a lui il suo cuore. Aveva già superato i diciassette anni quando Sean la toccò per la prima volta con le carezze della passione, e quella era stata una notte da non dimenticare. I loro ruoli si erano allora ribaltati: lei, la vogliosa, e lui, l'amante tenero ed esitante. L'ardente risposta di Sorka ai timidi approcci del ragazzo aveva stupito e compiaciuto entrambi ma, soltanto dopo che Sorka ebbe compiuto diciotto anni, decisero di andare a vivere sotto lo stesso tetto. Per la loro generazione era invalsa la consuetudine di effettuare una sorta di periodo di prova di convivenza prima di giungere alla dichiarazione formale dinanzi al giudice. Sorka desiderava follemente avere un figlio da Sean. Dopo quel terribile quarto d'ora trascorso assieme a lui sotto la piattaforma rocciosa lottando per non cedere al risucchio dell'acqua, la ragazza aveva acquisito la piena coscienza della loro essenza mortale. Voleva qualcosa di Sean: la vita era così imprevedibile. Non che lui fosse matto o sconsiderato, ma i giovani Lilienkamp non erano stati degli incoscienti, e sicuramente neppure la povera Lucy Tubberman. Tanta gente era stata spazzata via da quella Prima Caduta.
Sorka non voleva restare senza aver nulla di Sean. Prima d'allora non aveva mai provato a concepire perché la gravidanza avrebbe intralciato il loro progetto circa il Fondo di Killarney: per l'acquisto di ogni acro avevano bisogno di crediti sostenuti dal loro lavoro. Sorka temeva quasi che qualcosa non fosse a posto in lei per il fatto che non era mai rimasta incinta nonostante le numerose imprudenze compiute durante i giochi erotici col suo Sean. Ma stavolta non era stato un gioco incauto. Quella notte lo aveva fatto con uno scopo preciso. 17. Wind Blossom aprì la porta a Paul Benden, Emily Boll, Ongola, Pol e Bay Harkenon-Nietro. Inclinando con grazia la testa in segno di benvenuto, la donna li invitò ad entrare. Kitty Ping sedeva su una sedia imbottita che, a giudizio di Paul, doveva essere sollevata dal livello del pavimento e poggiare su una piccola pedana, così da conferirle la sembianza di un trono arcaico. Da quella posizione la donna acquisiva una grande imponenza, cosa che non era di facile realizzazione considerando che Paul era praticamente il doppio della sua statura. Un ampio e splendido scialle di lana intrecciata ammantava la sua fragile figura, ed una tunica a maniche lunghe adorna di elaborati ricami contribuiva a conferirle un aspetto di maggiore autorità. Kitti alzò una mano delicata, non più grande di quella della figlia maggiore dell'Ammiraglio, e fece cenno ai suoi ospiti di sedersi sugli sgabelli disposti davanti a lei in un circolo irregolare. Nel piegare faticosamente le lunghe gambe per sedersi, Paul si rese conto che l'anziana donna possedeva un sottile vantaggio sui suoi visitatori. Divertito da quella tattica, le sorrise, e gli parve di intravedere un pallido accenno di risposta sulle labbra di lei. Soltanto poche tradizioni etniche profondamente radicate erano sopravvissute all'Era delle Religioni, ma i cinesi, i giapponesi, i maori e i kapajan dell'Amazzonia, erano dei popoli che avevano conservato i loro usi più antichi. Nella dimora pernese di Kitti, squisitamente arredata con cimeli di famiglia, Paul si guardò bene dall'infrangere il rito dell'ospitalità. Wind Blossom servì ai visitatori un fragrante tè in raffinatissime tazze di porcellana. La piccola piantagione di tè, coltivata per preservare la perpetuazione di quella gradevole cerimonia, era andata perduta durante la Prima Caduta. Paul era tristemente consapevole che la tazza di tè che sorbiva con gusto
avrebbe potuto essere l'ultima. «Kitti Ping: per caso Mar Dook ti ha informato, che ci sono diverse piante di tè conservate nella serra?», le chiese Paul quando tutti gli altri ebbero finito di assaporare la bevanda. Kitti Ping chinò la testa in un gesto di profonda gratitudine e sorrise. «È un grande conforto.» La blanda risposta non gli diede alcuno spunto per intavolare il discorso. Paul si mosse con irrequietezza per trovare una posizione comoda sullo sgabello, consapevole intanto che Pol e Bay stavano bruciando dall'impazienza di arrivare al punto della questione che li aveva portati in casa dell'anziana Kitti. «Tutti noi vorremmo maggiore conforto, Kit Ping Yung...», esordì bruscamente Paul modulando la voce in maniera tale che essa risuonò fragorosa dopo la soave risposta della donna. «Se avessimo... un aiuto... un mezzo affidabile per combattere questa minaccia...» «Ah?» Le sottili sopracciglia disegnate a matita della donna si inarcarono, e le sue minuscole mani compirono degli incomprensibili gesti attorno ai braccioli. «Sì.» Paul si schiarì la voce, in collera con se stesso per essere così goffo e maldestro, ed ancora più furioso per il fatto che uno scomodo scanno bastasse a metterlo così in imbarazzo. Ma Kitti doveva sapere perché l'Ammiraglio aveva organizzato quell'incontro privato. «La verità è che non siamo in grado di difenderci efficacemente dai Fili. Per dirla senza mezzi termini, nel giro di cinque anni saremo ridotti senza alcuna risorsa di sopravvivenza. Non abbiamo l'attrezzatura che ci consenta di costruire altre slitte, o nuovi generatori di energia per alimentarle quando ne saremo privi. Il tentativo di Kenjo di distruggere i Fili nello spazio ha ottenuto soltanto un successo parziale, e non è rimasto molto carburante per la Mariposa. «Come tu sai, nessuna delle tre astronavi coloniali ha trasportato armi difensive o distruttive. Anche se riuscissimo a costruire dei raggi laser, non disponiamo di carburante sufficiente a spostare una sola nave in una posizione efficace per annientare i bozzoli dei Fili. Ad ogni modo, il sistema migliore per proteggere la superficie del pianeta consiste nella distruzione della minaccia quando è ancora sospesa nell'aria. «Boris e Dieter hanno confermato i nostri timori più terribili: i Fili cadranno su Pern secondo uno schema che devasterà tutto il pianeta se non riusciremo a fermarli. Inoltre, non possiamo nutrire grandi speranze che la sonda inviata da Ezra Keroon ci possa portare delle informazioni utili.»
Paul aprì le mani, rivelando l'intima disperazione che minacciava di sopraffarlo. Kitti sollevò le delicate sopracciglia con sincero stupore. «La stella del mattino ne è l'origine?» Paul sospirò pesantemente. «È la teoria più probabile. Ne sapremo di più quando la sonda rientrerà dall'orbita.» Kitti Ping annuì meditabonda, le dita sottili come giunchi serrate ai braccioli. «La nostra situazione, Kitti Ping Yung,» disse Emily assumendo una posizione ancora più eretta sullo sgabello, «è disperata.» Nel fondo della sua coscienza, Paul Benden fu rincuorato nel constatare che la Governatrice appariva come uno scolaretto intimidito non meno di lui. Pol e Bay annuirono manifestando il loro incoraggiamento. Kitti Ping e Wind Blossom, in piedi al fianco sinistro della donna, attendevano pazienti. «Se solo i draghetti fossero più grandi, Kitti,» proruppe Bay, insolitamente brusca, «e intelligenti abbastanza da obbedire ai comandi, ci sarebbero di immenso aiuto. Io sono riuscita ad usare la sintesi mentale per migliorare la loro empatia latente, ma si tratta di una cosa relativamente semplice. Per generare dei draghetti di dimensioni maggiori - dei veri draghi è necessario che siano grandi...» Bay distese le braccia in tutta la loro lunghezza ed agitò le dita indicando le dimensioni della stanza, «... intelligenti, obbedienti, e forti abbastanza da compiere il lavoro che ci occorre: bruciare i Fili a mezz'aria.» Non andò oltre, sapendo bene come Kitti Ping Yung giudicasse l'ingegneria genetica che si spingeva al di là delle semplici manipolazioni intese ad adattare le creature a nuovi parametri ecologici. Ancora una volta Kitti Ping annuì sotto lo sguardo sorpreso della nipote. «Sì, grandezza, forza e intelligenza: è questo che ci occorre,» disse con la fievole voce appena percettibile. Celando le mani nei polsini delle lunghe maniche e ripiegandole in grembo, la donna chinò quindi la testa e rimase a lungo in silenzio, tanto che i suoi visitatori si domandarono se per caso non fosse scivolata in quel tipico sonno che coglie gli anziani. D'un tratto si sollevò e parlò di nuovo. «Ed anche dedizione, che non è una cosa difficile da instillare in talune creature così com'è possibile per altre. I draghetti possiedono già le caratteristiche che voi desiderate migliorare ed aumentare.» Sorrise; un sorriso delicato, quasi apologetico, pregno di mestizia e compassione. «Nelle Grandi Saie dei Beltrae di Eridani, io sono stata una
semplice allieva, anche se animata da grande volontà e desiderio di apprendere. Lì mi è stato insegnato cosa sarebbe accaduto se avessi fatto questo o quello, se avessi ingrandito o ridotto, se avessi reciso quella sinapsi o avessi modificato quel modello genetico. Nella maggior parte dei casi ciò che mi è stato insegnato ha funzionato, ma, ahimè,» aggiunse sollevando una mano in segno di ammonimento, «non ho mai saputo perché, a volte, la modificazione è fallita e l'organismo è morto. O comunque sarebbe morto. I Beltrae ci insegnavano il come, ma mai il perché.» Paul sospirò profondamente, ormai giunto alla soglia della disperazione. «Ma potrei tentare,» disse Kitti. «E lo farò! Anche se i miei anni sono quasi al termine, bisogna pensare agli altri.» Si volse quindi verso Wind Blossom e le sorrise dolcemente. La nipote chinò la testa con umiltà. Incredulo, Paul scosse il capo. «Lo farai?», esclamò Bay balzando in piedi. A fatica riuscì a trattenersi dal precipitarsi verso l'imponente seggio di Kitti. «Naturalmente sarà un tentativo!» Ancora una volta Kitti alzò una minuscola mano in segno di avvertimento. «Ma devo farvi presente che non vi posso assicurare il successo. Ciò che intendiamo intraprendere è pericoloso per la specie, e potrebbe esserlo per noi. Nulla può essere garantito. È una fortuna inestimabile che i piccoli draghetti già posseggano tante delle qualità richieste negli animali geneticamente modificati che ci proponiamo di ottenere per far fronte alla minaccia incombente. Ciononostante, potremmo non essere in grado di creare la creatura che risponda esattamente alle nostre aspettative, né possiamo esser certi di ottenere un progresso genetico. Non disponiamo di laboratori forniti di sofisticate attrezzature, né di metodiche analitiche che potrebbero alleggerire il nostro grave compito. Siamo costretti a far sì che la ripetizione, il lavoro di molte mani e molti occhi, sostituisca la precisione e la delicatezza. Il compito è appropriato, ma gli strumenti sono primitivi.» «Ma dobbiamo tentare!», esclamò Paul Benden balzando in piedi con i pugni stretti. 18. Tutti i componenti dello staff medico non impegnati nell'infermeria o nel soccorso delle squadre operanti sulla terraferma, nonché i veterinari e i loro allievi, Sean e Sorka compresi, furono reclutati e, suddivisi in turni di
rotazione, prestarono la loro opera a favore del grande progetto di Kitti Ping al quale fu data precedenza assoluta. Tutti coloro che avevano esperienze nell'ambito della biologia, chimica o tecniche di laboratorio di ogni genere - talvolta persino coloro che, dotati di particolare agilità delle dita, si mostravano adatti nel preparare i vetrini, o i feriti nel corso di un Caduta che durante la convalescenza potessero operare ai monitor - tutti gli elementi utilizzabili, insomma, furono chiamati a collaborare in qualche modo alla realizzazione del progetto. Kitti, Wind Blossom, Bay e Pol, estrassero un codice genetico dai cromosomi dei draghetti-lanciafiamme. E, benché quelle creature non provenissero dalla Terra, la loro struttura biologica non si presentò troppo dissimile da quella terrestre, offrendosi così alla manipolazione senza eccessive difficoltà. «Ci riuscimmo con i chirotteroidi di Centauri,» osservò Pol, «e quelli avevano delle catene di siliconi come materiale genetico!» Di pari passo bisognava combattere i Fili che inesorabilmente si abbattevano sulle zone popolate e, reclutare un numero sufficiente di persone per ogni Caduta, rendeva estremamente laboriosa la programmazione dei turni di lavoro. La successione di Cadute stabilita in maniera particolareggiata dalla squadra, ormai alla soglia dell'esaurimento, condotta da Boris Pahlevi e Dieter Clissman, costituiva un imperativo al quale anche il progetto di Kitti era costretto ad obbedire. Il programma di lavoro articolato in quattro turni in successione continua non mancò tuttavia di assicurare a ciascuno un minimo di tempo libero da dedicare al riposo od alla cura dei propri Fondi ma, ciononostante, non pochi furono gli esperti che ignorarono del tutto tali considerazioni al punto che fu necessario ordinare loro di concedersi un po’ di sonno. Tutti i coloni al di sopra dei dodici anni furono impiegati nel combattimento contro i Fili. La speranza che Kenjo, a bordo della Mariposa, potesse deviare il percorso dei bozzoli dei Fili nelle sfere più alte dell'atmosfera, si rivelò vana. La prevista doppia Caduta - su Cardiff nella regione del Giordano, su Bordeaux nella zona di Kahrain, e su Seminole e l'Isola di Ierne - seguì uno schema irregolare ma, per un disegno perverso, le zone risparmiate non compresero in nessun caso siti abitati. Si prevedevano intanto altre Cadute doppie: nel trentunesimo giorno successivo alla Prima Caduta, i Fili avrebbero imperversato sull'accampamento di Karachi e sulla punta estrema della penisola di Kahrain; tre giorni dopo sarebbe stato colpito un corridoio di terra che da Kahrain tagliava attraverso la Tenuta del Fiume Paradiso, mentre una seconda Caduta sa-
rebbe passata senza seminar danno sulla distesa marina sovrastante l'estremità della Provincia di Cibola. Dopo altri tre giorni ancora, una pericolosa Caduta doppia avrebbe bersagliato il Fondo di Boca e le fitte foreste del basso Kahrain e dell'Arabia, minacciando gli alberi il cui legno costituiva una necessità vitale per puntellare i pozzi minerari aperti nel Campo di Karachi e presso il Lago di Drake. Ezra passava ore ed ore rinchiuso nella cabina che ospitava l'unico terminal che era collegato al cervello del calcolatore situato a bordo della Yokohama. Oggetto delle sue attente indagini erano la storia navale e militare dalle quali sperava di trarre qualche strategia o qualche mezzo adatti a combattere la grave minaccia. Con ottimismo di gran lunga minore, cercava pure delle equazioni o dei sistemi complessi che riuscissero ad alterare l'orbita del pianeta. Forse la prossima Caduta si sarebbe potuta evitare. Intanto, però, l'attuale passaggio aveva seminato nell'orbita di Pern spirali di Fili incapsulati, un pericolo che in un modo o nell'altro i coloni si sarebbero trovati a dover affrontare. Ezra operava inoltre continui confronti con i dati che gli pervenivano dal programma di Kitti, scrutando a fondo gli archivi scientifici e ricorrendo al suo Codice di Identificazione riservato per consultare le informazioni d'emergenza più segrete. E, al tempo stesso, attendeva impaziente che le sonde gli trasmettessero nuovi dati. E, giacché tutti sapevano dove trovarlo, spesso il Comandante faceva sue lamentele o questioni di minore importanza caricandosene in modo da risparmiare all'Ammiraglio ed alla Governatrice inutili grattacapi. A Kenjo furono affidate altre tre missioni, ciascuna mirata a scoprire un sistema più efficace per distruggere una quantità rilevante di Fili nello spazio, così da giustificare il consumo del prezioso carburante. Gli indicatori del livello di carburante disponibile si abbassavano però ad ogni viaggio in maniera così irrisoria da far guadagnare a Kenjo calorosi encomi per la sua economia. Cosa che non mancava di risvegliare l'invidia più accesa e manifesta nel collega Drake. «Ehi, vecchio,» commentava questi, «la fai viaggiare col solo fumo!» Kenjo annuiva con modestia senza aggiungere parola. Provava però in cuor suo un grande sollievo al pensiero di non essere riuscito a trasferire tutto il carico di carburante nel nascondiglio di Honshu. Non sarebbe trascorso molto tempo, e di sicuro avrebbe dovuto attingere alla sua riserva per assicurarsi nuovi viaggi nello spazio: soltanto nelle sue profondità riusciva a prendere piena coscienza della sua essenza vitale, solo lì si sentiva vivo in ogni nervo ed in ogni parte del suo corpo.
E poi, ogni volta, tornava su Pern con nuove ed utili informazioni. Si scoprì difatti che i Fili viaggiavano racchiusi in bozzoli che si deterioravano non appena venivano a contatto con l'atmosfera di Pern liberando un capsula interna. A circa 4.500 metri al di sopra della superficie del pianeta, la capsula interna si disgregava in una serie di nastri, alcuni dei quali non erano spessi abbastanza da sopravvivere alle quote più elevate. Ma, come purtroppo tutti ben sapevano ad Approdo, molti di essi cadevano sul suolo di Pern. Gran parte delle slitte non erano pressurizzate, cosicché possedevano un plafond effettivo di 3.000 metri. Esisteva un unico sistema per annientare i Fili che popolavano i cieli: incenerirli con i lanciafiamme. In previsione di una Caduta sulla Tenuta dell'Isola Grande il giorno 40, Paul Benden ordinò ad Avril Bitra e a Stev Kimmer di far ritorno ad Approdo. Quando Stev chiese cosa potesse servire ad Approdo tra i minerali estratti nell'isola, Joel Lilienkamp fu più che felice di fargli un elenco. Sicché, quando giunsero ad Approdo con quattro slitte zeppe fino al tetto di lingotti di metallo, nessuno osò fare la benché minima allusione alla loro lunga assenza. «Non vedo Avril,» commentò Ongola, mentre le slitte venivano scaricate presso i depositi. Stev lo guardò con aria un po’ sorpresa. «È partita diverse settimane fa.» Lanciò un'occhiata alla pista d'atterraggio che si allungava alle sue spalle e colse l'abbacinante luccichio del sole riflesso dallo scafo della Mariposa. «Non si è presentata?» Ongola scrollò lentamente la testa. «Guarda, guarda; chi l'avrebbe mai detto!» Lo sguardo di Stev indugiò pensosamente sulla Mariposa abbastanza a lungo da attirare l'attenzione di Ongola. «Non sarà mica stata divorata dai Fili!» «Lei forse sì, ma non la sua slitta,» replicò Ongola, consapevole del fatto che Avril Bitra era fin troppo abile nel salvarsi la pelle. «Daremo un'occhiata in giro.» Ovunque furono diffuse della mappe con le quali era possibile seguire l'itinerario, continuamente aggiornato, delle Cadute; quelle già avvenute venivano cancellate e si dava notizia delle incursioni previste limitando però l'anticipazione ad un massimo di tre, di modo che la gente avesse una settimana di tempo per organizzarsi in vista degli eventi a venire. Era certo che ad Avril sarebbero bastati una decina di minuti per venire a conoscenza della minaccia incombente dei Fili. Ongola rammentò a se stesso di prelevare assolutamente il chip di guida dai comandi della Mariposa non ap-
pena Kenjo avesse atterrato. Il Comandante sapeva esattamente in che modo il pilota spaziale riusciva a far durare così a lungo il carburante disponibile, e doveva impedire ad ogni costo che qualcun altro - e specialmente Avril Bitra - ne venisse a conoscenza. L'Ammiraglio Benden non si era sbagliato sul conto di Kenjo. Ongola invece si augurava di essersi sbagliato sul conto di Avril! «Dove posso rendermi utile adesso che sono tornato, Ongola?», gli chiese Stev con un sorriso più simile a una smorfia. «Guarda tu stesso dove Fulmar Stone può piazzarti, Kimmer. Mi ha fatto piacere rivederti tutto intero.» 19. Quella sera trascorsa ad Approdo era bastata ad Avril per farle capire che non aveva alcuna voglia di farsi arruolare in una delle numerose squadre che avrebbero potuto vantaggiosamente avvalersi delle sue particolari abilità. Ma l'unica di esse che lei preferiva impiegare - la navigazione spaziale - le era invece impedita. Sicché, prima che l'alba rischiarasse Approdo e prima che qualcuno notasse la presenza di una slitta a disposizione, Avril decollò nuovamente non senza aver caricato il velivolo di cibo e materiali che avrebbero potuto servirle. Atterrò sulla vetta rocciosa che sovrastava la Tenuta devastata di Milano. Da quel punto godeva di una chiarissima visuale di Approdo e, soprattutto, scorgeva nitida la pista illuminata sulla quale si sarebbe posata la Mariposa. Le prime ore del mattino le impiegò a rivestire il tettuccio in siliplex della slitta disponendo a mo’ di ombrello le lamine metalliche che aveva rubato durante il brevissimo soggiorno ad Approdo. Preferiva adottare ogni possibile precauzione contro quella mortale sostanza che veniva giù dal cielo. A metà mattinata aveva finito di camuffare alla meglio la sua postazione, dopodiché orientò il cannocchiale di bordo in direzione del suo obiettivo. La stimolante visione del ritorno di Kenjo la compensò della fatica e della delusione provate. Sintonizzò quindi la radio di bordo su tutti i canali disponibili e, prestando attentamente ascolto, riuscì a scoprire tutto quanto riguardava la missione affidata al pilota ed al suo limitato successo. Trascorsero parecchi giorni senza che si verificasse alcunché di pericoloso, sicché Avril cominciò a sentirsi al sicuro nel suo nascondiglio. Essendoci in quella zona numerosi vulcani, la maggioranza del traffico
aereo evitava di sorvolare la sua postazione passandole di lato. Al mattino l'ombra della vetta più alta si ergeva minacciosa al di sopra del suo eremo e, simile ad un dito gigantesco, pareva indicare direttamente verso di lei. Ciò era già sufficiente a farle venire la pelle d'oca. In effetti non riusciva a valutare appieno la sicurezza della sua roccaforte, sebbene il fatto che lei potesse osservare il corso del Giordano fino al suo perdersi tra i monti, o che riuscisse a controllare la vallata in direzione di Bordeaux, rendesse assai improbabile l'eventualità di essere sorpresa. Cominciò quindi a rilassarsi e ad aspettare. Considerando quale era il premio che l'attendeva, non le risultò facile far appello a tutta la sua pazienza. 20. «Ci sono progressi, Kitti? Di qualsiasi genere?», domandò Paul Benden alla minuta genetista. L'Ammiraglio non era mai stato dell'idea che una serrata sorveglianza servisse a migliorare la realizzazione di un'impresa, tuttavia, in quel caso, qualunque piccolissimo incoraggiamento sarebbe valso ad alleviare la depressione che affliggeva la sua gente. Al secondo mese dall'inizio della Caduta, gli psicologi riferivano un notevole abbassamento del morale tra la popolazione di Pern. L'entusiasmo e la tenace determinazione che inizialmente l'avevano animata, cominciavano ad essere erosi dal ritmo massacrante dei turni di lavoro interrotti da ben poche distrazioni. Le strutture comuni una volta a disposizione dei coloni erano ora gremite dai tecnici che affollavano i laboratori e dalle famiglie di proprietari di tenute lontane ora tornati alla incerta sicurezza del primo insediamento. A nessuno era consentito oziare. Mairi Hanrahan aveva inventato un gioco per i bambini di cinque-sei anni dotati di efficiente controllo motorio: il nuovo gioco consisteva nell'assemblaggio dei pannelli di controllo a seconda dei colori dei circuiti. Anche i più goffi o maldestri davano comunque una mano a raccogliere frutti e verdure dai campi non danneggiati dai Fili, o facevano a gara nel collezionare le alghe dall'insolita colorazione che le maree o le burrasche depositavano sulle spiagge. Ai ragazzini di sette-otto anni era consentito collaborare alla pesca con la lenza sotto gli occhi vigili dei pescatori più esperti. Tuttavia, anche i marmocchi più piccini cominciavano a reagire alla crescente tensione.
Ci fu anche un gran parlare sull'eventualità di rimandare altri coloni alle loro tenute per difendersi da soli dalla Caduta. Ma ciò avrebbe comportato un frazionamento delle riserve nei magazzini e la rinuncia a numerosi tecnici di valore. Paul ed Emily si mostrarono perciò intransigenti sulla necessità della centralizzazione. Quella sera Kitti guardò Paul ed Emily con un sorriso saggio e carico di compassione. Sedeva eretta sullo sgabello posto dinanzi al massiccio apparato microbiologico dalla cui camera di manipolazione i precisissimi laser erano stati allontanati, e non mostrava alcun segno di stanchezza. Soltanto le venuzze di sangue che le striavano gli occhi rivelano lo sforzo al quale era sottoposta. Un programma scorreva sui numerosi monitor sussurrando con piccoli schiocchi ed alterando incomprensibili sequenze di dati. Kitti si soffermò qualche istante ad osservare il grafico apparso su uno degli schermi e la serie di equazioni mostrata contemporaneamente da un altro, dopodiché il suo sguardo tornò a posarsi sui due ansiosi visitatori. «Non c'è modo, Ammiraglio, di accelerare la gestazione. Non se desiderate un esemplare sano e vitale. Neppure i Beltrae sono mai riusciti a ridurre i tempi di questo processo. Come ho accennato nel mio ultimo rapporto, abbiamo individuato con esattezza la causa dei nostri iniziali insuccessi ed abbiamo apportato le opportune correzioni. Ciò ha richiesto un certo tempo, ma ne è valsa la pena. I ventidue prototipi trattati procedono benissimo nel primo semestre. Tutti noi,» la mano delicata compì un gesto circolare colmo di grazia che comprese tutti i tecnici impegnati a lavorare nell'enorme laboratorio, «siamo assai contenti di un numero così notevole di successi.» Volse appena il capo verso una nuova serie di dati lampeggianti sul visore. «Gli esemplari sono sottoposti ad un monitoraggio continuo. Finora hanno mostrato le medesime reazioni dei piccoli serpenti tunnel dei quali ben conosciamo il processo di sviluppo. Abbiamo quindi validi motivi per sperare che tutto proceda senza incidenti. La fortuna fin qui ci è stata amica: adesso è necessario che abbiate pazienza.» «Pazienza!», fece eco Paul con aria afflitta. «Ormai l'abbiamo esaurita quasi tutta.» Kitti sollevò le mani in un gesto di impotenza. «L'embrione cresce giorno per giorno. Wind Blossom e Bay continuano a perfezionare il programma. Tra due giorni daremo inizio ad un nuovo gruppo. Continueremo a perfezionare le manipolazioni e cercheremo sempre di migliorare. Non restiamo fermi: andiamo sempre avanti.
«Il nostro è un compito grande e pieno di responsabilità. Non si può modificare la natura ed il fine dell'esistenza di una qualsiasi creatura senza possedere il senso della responsabilità. Com'è stato detto, la persona dotata d'intelletto fa attenzione alla differenziazione degli esseri affinché ciascuno abbia il suo posto. Prima della realizzazione di un compito, la ponderatezza nelle decisioni e la prudenza sono i prerequisiti del successo.» Con un garbato sorriso, Kitti congedò i due capi e rivolse nuovamente tutta la sua attenzione alle immagini che si susseguivano rapidamente sui monitor. Con eguale garbo, Paul ed Emily rivolsero un inchino di commiato all'esile schiena della donna e lasciarono la stanza. «Beh,» cominciò Paul cercando di scacciare il senso di frustrazione con una scrollata di spalle, «così stanno le cose!» «Qual'è quella città che non fu costruita in un giorno, Paul?», gli chiese Emily di botto. «Roma.» Paul sorrise allo sbigottimento provocatole dalla sua prontezza nel risponderle. «Città della vecchia Terra: Primo Secolo credo. Ottimi guerrieri e urbanisti.» «Militaristi.» «Sì,» approvò Paul. «Hmm... Sapevano anche come fare a tenere la gente allegra. Lo chiamavano circo. Chissà che...» 21. Per il quarantaduesimo giorno successivo alla Prima Caduta - durante il quale i Fili avrebbero attraversato zone disabitate dell'Arabia e del Catai cadendo innocuamente nel Mar del Nord a settentrione del Delta e mancando il promontorio occidentale di Dorado - l'Ammiraglio Benden e la Governatrice Boll decretarono una giornata di riposo e di svago per tutti. La Governatrice chiese ai Capi delle Sezioni di programmare i turni di lavoro in modo da consentire a tutti di partecipare al banchetto del pomeriggio ed al ballo serale. Anche gli abitanti dei Fondi più lontani furono invitati a prendervi parte per tutto il tempo libero di cui potevano disporre. L'Ammiraglio Benden chiese a sua volta che si formassero due squadroni di volontari per annientare i Fili la cui Caduta era prevista per le 9,30 sul corridoio orientale, e che altri due squadroni si tenessero all'erta nelle prime ore della sera per controllare il corridoio occidentale. Il palco eretto nella Piazza del Falò era vivamente addobbato con banderuole e festoni multicolori, ed una nuova bandiera campeggiava sull'asta
sventolando alla brezza frizzante. Tavoli, panche e sedie, erano stati collocati tutt'intorno alla piazza lasciandone sgombra la parte centrale adibita a pista da ballo. Barili di quikal sarebbero stati spillati per tutti, ed Hegelman avrebbe fornito la birra: ognuno cercava di scacciare il pensiero che probabilmente quella sarebbe stata l'ultima birra ad essere consumata per un bel pezzo. Joel Lilienkamp mise a disposizione generose quantità di cibarie senza il minimo grugnito di disapprovazione. «È tutto merito dei ragazzi che le hanno raccolte! Il lavoro dei giovani può essere molto utile,» disse con un sorriso. I pescatori della Baia di Monaco fornirono delle notevoli quantità di pesce e le alghe più succulente, entrambi da arrostire al fuoco dei grandi focolari scavati nel terreno e da lungo tempo in disuso. Venti fattori offrirono altrettanti manzi da infilare con gli spiedi; Pierre de Courci si era dato da fare tutta la notte precedente nel preparare dolci ed altre eccentriche ghiottonerie: «Meglio rimpinzare gli uomini che i Fili!» Era sempre all'apice della felicità quando si trattava di fare le cose in grande. «È bello sentire la musica, i canti e le risa,» bisbigliò Paul ad Ongola mentre si aggiravano tra i festanti spostandosi da un gruppo all'altro. «Credo che sia un'ottima consuetudine,» replicò Ongola. «Una cosa da tenere presente per il futuro. Ricongiunge vecchi amici, migliora i legami tra la gente, dà a tutti l'opportunità di mostrare e confrontare.» Annuì verso il gruppo che comprendeva sua moglie, Sabra, Sallah Telgar Andiyar e Barr Hamil-Jessup, intente a chiacchierare e ridere assieme, ciascuna con un bimbo addormentato in grembo. «Bisogna che ci riuniamo più spesso.» Paul annuì in segno di approvazione, quindi diede un'occhiata all'orologio e, imprecando con un filo di voce, si allontanò per raggiungere i volontari che si apprestava a guidare nella battaglia contro la Caduta occidentale. 22. L'indomani, Ongola non si sentiva esattamente al massimo della prestanza fisica quando raggiunse la Torre di Controllo per montare di guardia. Prima di giungervi si era fermato all'infermeria dove la farmacista gli aveva dato una pillola contro il mal di testa assicurandolo che non era affatto l'unico ad averne avuto bisogno. La donna aveva inoltre espresso un commento sulle vittime della Caduta col risultato di rendergli la cefalea ancor più molesta.
Il rapporto che lo attendeva alla Torre fu poi una sorpresa ed uno shock. Una slitta era andata distrutta e l'equipaggio formato da tre uomini interamente ucciso. Un'altra slitta era stata danneggiata malamente, ed il tiratore di prua ucciso, mentre il pilota ed il tiratore di sinistra erano rimasti gravemente feriti nelle collisione frontale avvenuta in aria. Evidentemente qualcuno non aveva rispettato i livelli di quota assegnati. Un grugnito sortì involontariamente dalla gola di Ongola non appena il Comandante prese a leggere l'elenco delle vittime: Becky Nielson allieva presso il settore minerario, appena tornata dall'Isola Grande... dopotutto con Avril era stata più al sicuro; Bart Nilwan, un giovane meccanico molto promettente; Ben Jepson. Ongola si strofinò gli occhi per ricacciare indietro le lacrime. Bob Jepson era l'altro pilota caduto. Due vittime nella stessa famiglia. Quei due gemelli! Andarsene in giro a ruttare come due somari invece di eseguire gli ordini! Merda! Cosa avrebbe detto ai loro genitori? Una Caduta da niente ed una festa a cui tornare: e invece quelli erano morti! Ongola posò le dita sulla tastiera per chiamare l'amministrazione: proprio in quell'istante, sentì qualcuno bussare alla porta con fare esitante. «Avanti!», gridò. Gli apparve la figura di Catherine Radelin-Doyle bianca in volto, gli occhi sgranati. «Sì, Cathy?» «Signore, Mr. Ongola...» «Come preferisci.» Il Comandante con uno sforzo esibì un sorriso d'incoraggiamento. Considerando la mole di guai nella quale Cathy era solita ficcarsi per la sua sventatezza, si stupì della timida esitazione che adesso mostrava. Finita in una grotta quand'era una ragazzina, andata in moglie al buono a nulla più idiota di tutto il pianeta, insomma, poverina, era una di quelle persone alle quali i guai piovevano addosso in maniera del tutto naturale. «Signore, ho superato una grotta.» «Sì,» la incoraggiò nel vederla esitare. Scoprire grotte continuava ad essere la sua specialità. «Non era vuota.» Ongola si raddrizzò sulla sedia. «Vi erano un mucchio di taniche colme di carburante?», le chiese. Se Catherine l'aveva scoperta, poteva farlo anche Avril? No, Avril Bitra non possedeva lo stesso genere di fortuna che aveva Catherine.
«Come fa a saperlo, Mr. Ongola?» La donna quasi si sentì mancare per il sollievo. «Forse perché sapevo già di quelle taniche.» «Davvero? Quindi non sono stati messe lì da 'loro'?» «No, da noi.» Il Comandante voleva evitare qualsiasi tipo di pubblicità sul tesoro di Kenjo. Aveva controllato il numero di taniche in diminuzione chiedendosi come mai Kenjo appariva così compiaciuto dopo ogni viaggio. Con un'occhiata fulminea, Ongola sbirciò l'angolo dello scaffale in ombra dove i chip prelevati dalla Mariposa erano nascosti nella scatoletta scura. D'improvviso, Catherine si lasciò cadere sulla sedia più vicina. «Oh, Signore, lei non sa che spavento ho provato. Pensare che qualcun altro fosse qui, perché tutti sanno che è rimasto così poco carburante. E invece vedere...» «Ma tu non hai visto nulla, Catherine,» la corresse prontamente Ongola. «Niente di niente. Non c'è alcuna grotta degna di nota in fondo a quel crepaccio, e tu non dirai una sola parola di tutto ciò a nessun altro. Sarò io ad informare personalmente l'Ammiraglio. Ma tu non lo dirai a nessuno.» «Oh, no, Signore.» «Questa informazione non può - ripeto, non può - essere riferita ad altre persone.» «D'accordo, Mr. Ongola.» Annuì solennemente parecchie volte. Poi sorrise amabilmente. «Devo continuare a cercare?» «Sì faresti meglio però a trovare qualcosa di buono!» «Oh, ma io ho già trovato delle altre grotte, e Joel Lilienkamp dice che sono ottime da adibire a magazzini.» Per un istante si rabbuiò in volto. «Ma non ha detto cosa ci avrebbe conservato.» «Va pure, Cathy, e trova qualcosa... d'altro.» La ragazza si allontanò, e Ongola aveva appena ripreso a considerare la prima grave serie di perdite subite quando, con l'irruenza di un uragano, Tarvi fece le scale a quattro a quattro, e raggiunse il Comandante. «Le abbiamo davanti agli occhi, Zi,» disse, agitando le braccia in uno dei suoi gesti più espansivi. Il volto era illuminato dall'entusiasmo nonostante la pelle apparisse ancora un po’ grigiastra per gli eccessi della notte avanti. «Cosa?» Ongola non aveva nessuna voglia di giocare agli indovinelli. «Loro! Laggiù!» Tarvi gesticolava in maniera stravagante verso le finestre settentrionali. «Tutto il tempo!»
Doveva essere colpa del mal di testa, ma Ongola proprio non riusciva a capire di cosa diavolo stesse parlando Tarvi. «Cosa vuoi dire?» «Per tutto questo tempo ci siamo ammazzati di fatica nelle miniere per estrarre il metallo, raffinarlo, forgiarlo, impiegando settimane e settimane di lavoro, mentre ciò che ci serve lo avevamo proprio sotto il naso.» «Basta con gli indovinelli, Tarvi!» Gli occhi espressivi del geologo si allargarono per la sorpresa e la costernazione. «Non è un indovinello quello che ti offro, Zi, amico mio, ma una fonte di metalli e materiali della miglior qualità. Le navette, Zi. Possiamo smantellarle ed usarne i pezzi secondo le attuali esigenze. Ormai hanno assolto al loro compito. Perché lasciare che vadano lentamente in rovina lì sul prato?» Tarvi enfatizzava ogni frase con uno schiocco delle lunghe dita protese verso la finestra ma poi, esasperato dall'incomprensione di Ongola, lo costrinse letteralmente ad alzarsi in piedi e puntò il lunghissimo indice, un po’ insudiciato, direttamente sulle alette di coda delle vecchie navette spaziali. «Ecco. Useremo le navette. Centinaia di circuiti, chilometri di fili e tubi, sei piccole montagne di materiale riciclabile. Hai idea di quanta roba ne possiamo ricavare?» Nel giro di un istante tutta l'esuberanza svanì dal volubile geologo. Posò entrambe le mani sulle spalle di Ongola. «Potremo sostituire la slitta che abbiamo perso oggi, anche se non riusciremo mai a fare altrettanto con quelle meravigliose giovani vite né a confortare le famiglie colpite. Dall'insieme delle varie parti otterremo una nuova unità.» 23. Il lavoro valse in qualche modo a dissipare la nube di mestizia che avvolse Approdo in seguito alla perdita delle quattro giovani vite. I due sopravvissuti ammisero con riluttanza che i gemelli Jepson verso la fine della Caduta si erano lasciati prendere da una fatale sconsideratezza. Per la slitta di Ben era già stata programmata una revisione da effettuarsi dopo la conclusione della Caduta, in quanto il pilota che lo aveva preceduto aveva rilevato una certa lentezza nelle virate a sinistra. Il velivolo era stato ritenuto sicuro per quello che avrebbe dovuto essere un volo di controllo. Anziché impedire altre simili collisioni, le successive Cadute ne conobbero una vera e propria quantità mentre la squadra di Tarvi cominciava a smantellare il primo shuttle e quella di Fulmar revisionava le slitte sosti-
tuendo i pezzi danneggiati con quelli recuperati dalla generosa miniera costituita dalle vecchie navette. Le ore più lunghe erano tuttavia quelle che scandivano il progredire del lavoro di Kitti Ping nel grande laboratorio, dove lo sviluppo degli esemplari era sottoposto a continui monitoraggi al fine di individuare qualsiasi segno di deviazione dal programma. «Bisogna aver pazienza,» era la risposta di Kitti ad ogni domanda. «Tutto procede ottimamente.» Tre giorni dopo la collisione aerea, Wind Blossom scoprì la nonna ancora china sul microscopio elettronico evidentemente intenta ad esaminare l'ennesimo vetrino. Ma, quando Wind Blossom le toccò un braccio, quel movimento produsse un inatteso effetto. Le delicate dita scivolarono dalla loro rilassata posizione andando a posarsi sulla tastiera, mentre il corpo ricadeva in avanti trattenuto soltanto dal sostegno che lo assicurava allo sgabello durante le lunghe sedute al microscopio. Un lieve gemito sfuggì a Wind Blossom che all'istante si piegò in ginocchio, appoggiando una fredda, minuscola mano, sulla fronte della nonna. Bay udì il suo pianto disperato ed accorse per vedere cosa fosse accaduto. Immediatamente chiamò Pol e Kwan, quindi telefonò perché mandassero un medico. Non appena Wind Blossom si fu allontanata al seguito della barella che trasportava il corpo di sua nonna fuori dalla stanza, Bay drizzò le spalle grassocce e si portò davanti alla consolle. Chiese quindi al computer se avesse concluso il programma. PROGRAMMA COMPLETATO, fu la risposta che apparve lampeggiando sullo schermo. Una risposta che alla parte della mente di Bay non sopraffatta dal dolore suonò alquanto fredda. Digitò una nuova richiesta. Lo schermo mostrò allora una complicata serie di calcoli che terminava con l'ammonizione: RIMUOVERE L'UNITA'. PERICOLO. RIMUOVERLA IMMEDIATAMENTE! Stordita, Bay riconobbe l'aggeggio posto sul piano di lavoro accanto al microscopio elettronico. Kitti Ping aveva compiuto una nuova manipolazione genetica, un complicatissimo processo che Bay, al pari di Wind Blossom, guardava con timida riverenza, malgrado gli incoraggiamenti di Kitti. Quindi l'anziana genetista aveva compiuto quelle infinitesimali alterazioni nei cromosomi. Bay fu sopraffatta dal brivido gelido di una terribile inquietudine che le corse lungo tutto il corpo. Serrò le labbra. Non era il momento di cadere in preda al panico. Non dovevano assolutamente perde-
re ciò che Kitti Ping era riuscita a creare dalla rozza materia di Pern. Con mani malferme aprì il microcilindro, ne estrasse la minuscola unità biologica racchiusa in una capsula gelatinosa e la pose nella bacinella di coltura che Kitti aveva predisposto. Uno spasimo, straziante come una pugnalata, trafisse Bay dilaniandola, ma la scienziata combatté contro il dolore e la consapevolezza che Kit Ping Yung era morta per dar vita a quell'ovulo alterato. Ne fu subito preparata l'etichetta: Esperimento 2684/16/M: nucleo =22A, Generazione Mentalsintetica B2, sistema boro/ siliconico 4, dimensioni 2H; 16.204.8 Camminando alla massima velocità consentitale dalle gambe tremanti e ritrovando gradualmente la compostezza, Bay portò l'ultima eredità della geniale scienziata nella camera di gestazione e la pose con estrema cautela accanto alle altre 41 unità biologiche nelle quali erano riposte tutte le speranze di Pern. 24. «Questa è la seconda sonda che non funziona,» disse Ezra a Paul ed Emily, la voce solitamente bassa resa ora stridula dalla scottante delusione. «Quando la prima è scoppiata, o chissà che diavolo le è successo, ho pensato ad uno sfortunato incidente. Persino l'assenza di aria non assicura un isolamento tale da impedire il degrado delle sue apparecchiature. L'accensione dei motori può risultare difettosa, gli strumenti di registrazione possono ostruirsi, e così di seguito. Cosicché ho perfezionato il programma per la seconda sonda. E questa ha coperto esattamente la stessa distanza della prima, dopodiché tutte le luci sono diventate rosse. O l'atmosfera è talmente corrosiva da fondere persino la smaltatura di protezione delle nostre sonde, o il ponte della Yokohama ha qualcosa che non va e provoca dei danni alle sonde. Non so che dire, amici miei.» Ezra non era incline a gesticolare in modo esagitato, ma in quella occasione non riuscì a trattenersi dal percorrere l'ufficio di Paul in lungo ed in largo, camminando impettito ed agitando le braccia attorno a sé come uno spaventapasseri nel mezzo di una bufera di vento. Gli ultimi giorni lo avevano affaticato ed invecchiato. Paul ed Emily si scambiarono sguardi preoccupati. La morte di Kitti Ping era stata un tale shock, e poi a così breve distanza dal disastro aereo! Le genetista era sembrata quasi indistruttibile, malgrado tutti sapessero della sua fragilità fisica. Pareva che da lei promanasse un'aura di immortalità, che soltanto adesso si
era rivelata illusoria. «Chi aveva avanzato l'ipotesi che fossimo bombardati dallo spazio esterno per ridurci alla sottomissione?», domandò Ezra, interrompendo di botto il frenetico andirivieni e fissando i due capi. «Andiamo, Ezra!», esclamò Paul con velata ironia. «Rifletti un istante, vecchio mio! Siamo tutti sottoposti ad una terribile tensione, ma non tale da farci perdere il senno. Sappiamo bene che esistono atmosfere capaci ed è successo - di far fondere le sonde. Inoltre... «a questo punto si interruppe, incerto di riuscire a rassicurare Ezra, e se stesso. «Inoltre, gli organismi che ci stanno attaccando,» proseguì Emily con compostezza, «possiedono una struttura basata su idrocarburi, perciò, se provengono da quel pianeta, evidentemente la sua atmosfera non è corrosiva. Io propendo per un difetto di funzionamento.» «Sono della stessa opinione,» si associò Paul, annuendo con vigore. «Dannazione, Ezra! Non poniamoci più problemi di quanti già ne abbiamo!» «Eppure dobbiamo», Ezra batté i pugni sulla scrivania, «sondare quel pianeta, o non ne sapremo abbastanza per combattere quella roba. La metà dei coloni esigono di conoscerne la fonte per poterla distruggere e tornare a vivere tranquillamente la loro vita. Fare un cumulo delle macerie e dimenticare tutto.» «Cos'è che non ci hai detto, Ezra?», gli chiese Emily, sollevando appena la testa e fissando il Capitano con sguardo fermo. Ezra sostenne quello sguardo per alcuni lunghi istanti, quindi raddrizzò le spalle ancora chine sulla scrivania e prese a sorriderle. «Sei stato rinchiuso nelle cabina dell'interfaccia per ore ed ore, Ezra, e certamente non facevi il gioco della pulce mentre i programmi scorrevano davanti a te,» continuò la donna. «I miei calcoli sono spaventosi,» disse Ezra a bassa voce, voltandosi a sbirciare dietro alle sue spalle. «Se il programma è stato elaborato in maniera esatta, ed io l'ho fatto scorrere per intero ben cinque volte, allora significa che dovremo vedercela con i Fili ancora per un bel pezzo dopo che il pianeta rosso sarà uscito dal sistema interno.» «Per quanto tempo?», chiese Paul mentre le sue dita si aggrappavano ai braccioli. Con uno sforzo riuscì a rilassarle cercando nel medesimo istante di richiamare alla mente qualche rassicurante caratteristica delle orbite planetarie. «Credo per quaranta o cinquanta anni!»
Il volto di Emily si contorse in una smorfia, la bocca spalancata per la sorpresa. La Governatrice espirò quindi lentamente. «Hai detto quaranta o cinquant'anni?» «Sempreché,» aggiunse Ezra cupamente, «la minaccia abbia origine da quel pianeta.» Paul cercò lo sguardo del Capitano e vi lesse una stanchezza incredibile ed un profondo scoramento. «Lo metti in dubbio? Esiste forse un'alternativa?» «Ho notato la presenza di una nebbia, che avvolge il pianeta superandone l'involucro atmosferico. È una massa nebbiosa che si spinge all'interno del sistema serpeggiando vorticosamente lungo un percorso eccentrico. Più di questo il telescopio non può dirmi. Potrebbe trattarsi di detriti spaziali, di una nebulosa, di residui di una coda cometaria, insomma tutto un insieme di cose innocue.» «E se invece dovesse rivelarsi pericolosa?», disse Emily. «Quella coda richiederebbe quasi cinquant'anni per diffondersi all'esterno dell'orbita di Pern, una parte dentro Rukbat... e il resto, chissà!» Seguì un lungo silenzio. «Qualcosa da proporre?», chiese infine Paul. «Sì,» disse Ezra, e con uno scatto raddrizzò le spalle. Quindi sollevò due dita. «Andiamo alla Yokohama: bisogna scoprire cos'è che sta danneggiando le sonde, ed inviarne due verso il pianeta per raccogliere il maggior numero possibile di informazioni. Le altre due sonde dovrebbero invece seguire la scia di quella polvere cometaria e, grazie al potente telescopio spaziale della Yoko, si potrebbe cercare di identificarne l'origine e la composizione.» A quel punto Ezra incrociò le dita e, serrandole con forza, ne fece schioccare le nocche: un'abitudine questa che faceva puntualmente rabbrividire Emily. «Scusa, Em.» «Almeno tu riesci ancora a proporre qualcosa di concreto,» disse Paul. «Il nodo della questione è questo, Paul: abbiamo carburante sufficiente perché qualcuno vada sulla Yoko e faccia ritorno qui su Pern? Kenjo ho già fatto più viaggi di quanti mi era parso possibile.» «È un pilota eccezionale,» osservò Paul. «Comunque ce n'è abbastanza per una missione del genere. Sarà Kenjo a pilotare la lancia: vuoi andare con lui?» Ezra scosse lentamente la testa. «Avril Bitra possiede l'esperienza necessaria per accompagnarlo.» «Avril?», proruppe Paul con un urlo. Scosse quindi la testa con un sorri-
so carico di amarezza. «Avril è l'ultima persona che manderei sulla Mariposa, qualunque fosse il motivo. Anche se sapessimo dov'è.» «Davvero?» Ezra guardò Emily in cerca di una spiegazione, ma la Governatrice si strinse nelle spalle. «Beh, vuol dire che Kenjo farà da solo. No,» si corresse. «Se c'è qualcosa che non va nelle sonde, avremo bisogno di un esperto. Stev Kimmer. È tornato, non è così?» «Chi altri?» Paul segnò in fretta dei nomi sul blocchetto evitando di turbare Ezra con altri sospetti. «Kenjo è un tecnico di grande capacità,» insisté Emily. «È preferibile che alla missione prendano parte due uomini, per motivi di sicurezza,» disse Ezra corrugando la fronte. «Questa missione deve assolutamente fornirci i risultati di cui abbiamo bisogno.» «Zi Ongola,» fu la proposta di Paul. «Sì, è l'uomo giusto,» approvò Ezra. «Se dovesse incappare in qualche difficoltà, ci sarà Stev all'interfaccia per qualunque consiglio esperto.» «Quarant'anni, eh?», disse Emily osservando Paul mentre questi sottolineava i due nomi prescelti sul taccuino. «Più di quanto ci saremmo aspettati, amico mio. Bisognerà cominciare ad addestrare chi ci sostituirà.» Inevitabilmente il suo pensiero corse a Wind Blossom: un così fragile vascello destinato a proseguire il duro viaggio cui sua nonna aveva dato inizio. 25. La natura sospettosa di Avril non fu stuzzicata da qualcosa che la donna aveva captato alla radio della slitta, e il cui ascolto sarebbe certo stato assai interessante. Fu invece ciò che vide nel corso delle noiose perlustrazioni che effettuava col cannocchiale di bordo a destare la sua curiosità. Lo strumento era generalmente orientato in direzione della Mariposa, parcheggiata all'estremità più distante della pista d'atterraggio. Ogniqualvolta Kenjo doveva usare la lancia per le sue scorrazzate spaziali, il pilota non mancava mai di effettuare controlli interni ed esterni la sera precedente alla partenza.. Fussy Fusi! L'uso che Avril faceva di quel soprannome non voleva essere del tutto canzonatorio, in quanto non riusciva proprio a capire come Kenjo avesse fatto a far durare tanto quella irrisoria riserva di carburante esistente a bordo della Mariposa. La sera prima Avril aveva scorto un po’ di movimento attorno al veicolo, ma di Kenjo neanche l'ombra. Nell'oscurità della notte priva di luna era
appena riuscita a distinguere delle ombre che rivelavano un certo fermento attorno alla lancia spaziale. La cosa l'aveva messa un po’ in agitazione. Era stata rassicurata soltanto dal fatto che parecchie persone si aggirassero attorno all'oggetto delle sue mire, senza che nessuno vi salisse a bordo. Il che la rendeva piuttosto perplessa. Alle prime luci dell'alba, quando ancora nessuno aveva iniziato a manovrare i carrelli presso lo scheletro dello shuttle che per tutta la settimana era stato al centro di una febbrile attività, Avril fu notevolmente sorpresa nel vedere Fulmar Stone e Zi Ongola dirigersi alla nave spaziale. L'ansia impaziente, affilata da settimane di attesa, la spronò a rimuovere la copertura di protezione dalla slitta ed apprestarsi ad una rapida partenza. Alla massima velocità sarebbe riuscita a raggiungere la pista in meno di quindici minuti. Il movimentato traffico mattutino di Approdo le avrebbe fornito una valida copertura. Per un istante fu assalita dalla preoccupazione che potesse essere insorto qualche problema alla Mariposa e che stessero smantellando la navetta alla ricerca di qualche pezzo utile. Eppure, soltanto tre giorni prima, Kenjo aveva compiuto una delle sue missioni sfoggiando il solito decollo ed atterraggio in tutta economia. Beh, doveva riconoscerlo: era scivolato sulla pista senza il minimo consumo di energia. Ma dove diavolo prendeva il carburante per il decollo? I tre uomini avanzarono con furtiva velocità verso la Mariposa, vi penetrarono alla svelta, e chiusero il portello della camera di compensazione. Beh, meno male! L'accesso ai motori si guadagnava attraverso i pannelli posteriori; poteva rilassarsi. Gli uomini rimasero all'interno della piccola astronave per tre ore, un tempo sufficiente ad effettuare un controllo completo del sistema interno. La cosa non faceva prevedere un volo come gli altri. Che Kenjo avesse forzato troppo la mano? Maledetto! La Mariposa doveva funzionare alla perfezione. Avril bestemmiò. O forse era successo qualcosa a Kenjo sicché Ongola si apprestava a sostituirlo? Ma come? Non poteva essere rimasto tanto carburante. Ma allora perché stavano controllando il sistema interno? Perché si preparavano ad un nuovo viaggio? Seccata, Avril ultimò i preparativi per il decollo. 26. Sallah Telgar-Andiyar stava dando la colazione alla sua piccola sulla veranda ombreggiata della casa di Mairi Hanrahan in Piazza d'Asia. D'un
tratto, la sua attenzione fu attratta dalla figura di una persona a lei familiare che camminava lungo il sentiero. Indossava una tuta molto larga ed un berretto ben calcato sulla fronte che quasi le copriva la faccia. Ma quel modo di camminare non poteva che essere di Avril; era inconfondibile, specie se guardata da dietro. Non contava che avesse le mani unte, la pipa spenta e ostentata così visibilmente in una mano, mentre l'altra stringeva un arnese da lavoro. Quella era Avril che si era insudiciata le mani per qualche buona ragione. Nessuno l'aveva vista da quando aveva lasciato l'Isola Grande. Sallah continuò ad osservarla fino a che la sua figura non si fu confusa tra la folla che gremiva il deposito principale dove i tecnici facevano a gomitate per procurarsi pezzi e materiali. Fin da quando aveva ascoltato involontariamente la sua conversazione con Kimmer, Sallah si era convinta che Avril volesse tentare di abbandonare Pern. Forse aveva saputo dei 'prelievi' di carburante compiuti da Kenjo? Sallah scrollò la testa rabbiosamente. Cara batté le palpebre degli enormi occhi castani e fissò preoccupata la madre. «Scusa, amore, la mente della mamma è lontana molti klik da qui.» Sallah riempì nuovamente di purè il cucchiaio che infilò nella bocca obbediente di Cara. No, disse a se stessa con vigore volendoci credere ad ogni costo, Avril non aveva scoperto il carburante: era stata troppo occupata a scavare pietre preziose sull'Isola Grande. Ma poi, dov'era andata? Aveva lasciato l'isola almeno tre settimane prima. Era rimasta a guardare mentre Kenjo volava avanti e indietro dalla Mariposa? Certamente la cosa le avrebbe dato da pensare. Tra non molto Sallah avrebbe iniziato il suo turno e, per fortuna, la slitta della quale si stava occupando si trovava sulla pista. Avrebbe avuto un'ottima visuale della Mariposa e di tutti coloro che vi si sarebbero avvicinati. Se Avril fosse stata tra questi, Sallah avrebbe dato immediatamente l'allarme. Non aveva avuto notizia dell'imminenza di un altro tentativo da parte di Kenjo di distruggere i Fili nell'atmosfera. E poi, di solito, le partenze di Kenjo erano stabilite per l'alba, mentre il suo turno iniziava ben oltre quell'ora. Tutto accadde con una certa rapidità. Sallah stava camminando in direzione della slitta della quale si stava occupando quando Ongola e Kenjo, in completa tenuta spaziale, uscirono dalla Torre di Controllo seguiti da Ezra Keroon e Dieter Clissmann oltre ad altre due persone, anch'esse in tuta, nelle quali Sallah, stupita, riconobbe Paul ed Emily. Ongola e Kenjo ave-
vano tutto l'aspetto di due uomini intenti ad ascoltare con la massima attenzione le ultime istruzioni. D'improvviso, staccandosi dagli altri, si incamminarono a passo svelto verso la Mariposa, mentre il gruppetto tornava nelle Torre. D'un tratto, un'altra figura in tenuta spaziale prese ad avanzare attraverso la pista, percorrendo un sentiero che si congiungeva a quello lungo il quale si stavano affrettando Kenjo e Ongola. Persino nella voluminosa tuta spaziale si poteva riconoscere quello sfrontato ancheggiare che poteva appartenere soltanto ad Avril! Sallah afferrò la prima grossa chiave che trovò a portata di mano e si lanciò di corsa attraverso la pista. Ongola e Kenjo sparirono dietro al mucchio di rottami scartati ed ammassati sul bordo del campo. Anche Avril aveva cominciato a correre, e Sallah accelerò ulteriormente il passo. Kenjo e Ongola scomparvero alla sua vista. In quello stesso istante, scorse Avril nell'atto di raccogliere un corto bastone dal mucchio di rottami. Impugnatolo, si allontanò di corsa e scomparve anche lei. Giunta all'estremità del mucchio di ferraglia, Sallah vide Kenjo ed Ongola stesi sul terreno. Il sangue colava dalla nuca di Kenjo ed imbrattava la spalla e il collo di Ongola. Senza un attimo di esitazione, Sallah si lanciò all'inseguimento, abbassandosi in modo da farsi schermo dietro ai mucchi di rottami che la separavano dalla Mariposa. Per un pelo, come si suol dire, riuscì ad infilarsi nel portello della camera di equilibrio che stava per chiudersi. Nella furia sentì qualcosa scorticarle il piede sinistro; seguì un sibilo frastornante e poi tutto attorno a lei diventò buio. 27. Strano che Sallah non si sia fatta sentire all'ora di pranzo per avvertirmi che avrebbe tardato, pensò Mairi Hanrahan. Con tanti bimbi a cui dar da mangiare, tutte le mamme cercavano di essere presenti all'ora dei pasti. Mairi affidò ad una delle figlie maggiori il compito di imboccare Cara pensando che evidentemente qualcosa di molto importante doveva aver assorbito tutta la sua attenzione. Nessuno alla Torre di Controllo o presso il Centro Amministrativo si aspettava un contatto da Ongola o Kenjo mentre la Mariposa procedeva attraverso l'atmosfera ionizzata. Ezra, seduto all'interfaccia, ne seguiva il tragitto grazie ai monitor ancora in funzione a bordo della Yokohama. La
Mariposa vi si stava avvicinando rapidamente ed in breve giunse al portello di agganciamento. «Arrivati sani e salvi,» annunciò Ezra non appena fu in contatto con la Torre ed il Centro Amministrativo. Mezz'ora dopo, un gruppetto di ragazzini che giocavano lungo il margine della pista tornarono gridando dalla maestra recando la notizia dei due morti. In realtà Ongola era ancora vivo. Paul raggiunse la squadra medica all'infermeria. «Vivrà, ma ha perso troppo sangue per i miei gusti,» disse il medico all'Ammiraglio. «Cosa diavolo è successo a lui e a Kenjo?» «Com'è stato ucciso Kenjo?», si informò Paul. «Col solito vecchio corpo contundente. Gli ausiliari hanno trovato un bastone insanguinato nei paraggi. Probabilmente si tratta dell'arma. Kenjo non si è accorto di chi lo ha colpito.» Neppure Paul era certo di saperlo perché, improvvisamente, le gambe gli vennero meno. Con un cenno rabbioso il medico ordinò ad uno degli infermieri di avvicinargli una sedia mentre lui stesso gli versava un bicchiere di quikal. Paul cercò di allontanare le mani premurose. Le implicazioni derivanti da quelle due morti lo turbavano immensamente. Non esisteva un rimedio per la perdita di Kenjo, anche se quel disgustoso quikal alleviò appena la terribile emozione che lo aveva travolto. Mentre scolava il bicchiere, nel fondo della sua mente si chiedeva dove Kenjo avesse nascosto il resto del carburante. Perché, si tormentava, non glielo aveva chiesto prima? Avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento, prima o dopo gli ultimi pochi voli che Kenjo aveva compiuto a bordo della Mariposa. Essendo Ammiraglio, sapeva esattamente quanto carburante era rimasto nei serbatoi della sua lancia. Adesso era troppo tardi! A meno che non lo sapesse Ongola. Una volta gli aveva accennato che non era rimasto un granché di carburante nel nascondiglio originale e che, ciononostante, Kenjo continuava ad alimentare la Mariposa. Le cifre che Sallah aveva riferito inizialmente ad Ongola indicavano una quantità ben maggiore di quella che Paul aveva visto nella grotta la notte precedente. Beh, l'appropriazione indebita - sì, era quella l'espressione giusta - aveva infine conosciuto un debito uso. Poteva darsi che la moglie di Kenjo sapesse dove era stato stipato il resto. Paul riuscì a confortarsi con questo pensiero. Certamente la moglie di Kenjo doveva sapere se vi erano altri sacchi di carburante nella tenuta di Honshu. Si sforzò di concentrare la mente sugli avvenimenti: un uomo era stato assassinato ed un altro era in fin di vita su un pianeta che fino a quel
momento non aveva assistito ad alcun crimine capitale. «Ongola ce la farà,» disse il medico mentre versava a Paul un'altra dose di quikal. «Possiede una magnifica costituzione e lo salveremo a costo di far miracoli. Forse, se li avessimo scoperti prima, avremmo salvato anche Kenjo. Morte cerebrale. Beva adesso... ha una pessima cera.» Paul bevve il liquore e mise giù il bicchiere con un movimento risoluto. Trasse quindi un profondo respiro e si alzò in piedi. «Sto bene, grazie. Occupatevi di Ongola. Abbiamo bisogno di sapere cosa è accaduto quando avrà ripreso conoscenza. Voi, gente, non spandete la notizia!», aggiunse poi rivolgendosi agli altri presenti nella stanza. Si allontanò con passi decisi dall'infermeria e, senza esitare voltò verso l'edificio che ospitava la camera dell'interfaccia e quindi Ezra. Mentre avanzava riesaminò tutto quell'enigma cercando di riordinare il caos che gli rimbombava nella mente. Aveva visto la Mariposa decollare. Chi la pilotava? Passò a prendere Emily dal suo ufficio e la mise rapidamente al corrente della tragedia. Nel vederli arrivare insieme, Ezra fu piuttosto sorpreso, dato che quel volo della Mariposa aveva seguito la consueta routine. «Kenjo è morto e Ongola è ferito gravemente, Ezra,» annunziò Paul non appena ebbe chiuso a chiave la porta dietro di loro. «Chi si trova a bordo della Mariposa?» «Dio del Cielo!» Ezra balzò in piedi ed indicò lo schermo che mostrava chiaramente la Mariposa agganciata alla Yokohama. «Il volo era precalcolato in modo da raggiungere il portello giusto, ma la procedura di agganciamento andava compiuta dal pilota. Ed è stata eseguita alla perfezione. Non è da tutti farla in quel modo.» «Faccio chiamare i piloti all'appello Paul; sapremo se manca qualcuno,» disse Emily e sollevò un ricevitore. Paul lanciò un'occhiata al monitor. «Non credo che sia necessario. Chiama...» Paul stava per dire 'Ongola'. Si strofinò la mano sulla faccia. «Chi si trova alla Torre di Controllo?» «Jake Chernoff e Dieter Clissmann,» riferì Emily. «Allora chiedi a Jake se sulla pista c'è qualche slitta non modificata. Scopri esattamente dove sono Stev Kimmer, Nabol Nahbi e Bart Lemos. E...», Paul sollevò una mano in segno di ammonizione, «... se qualcuno ha visto Avril Bitra da qualche parte.» «Avril?», gli fece eco Ezra, e subito serrò strettamente le labbra. D'improvviso, un torrente di feroci insulti e bestemmie si riversò dalla bocca di Paul lasciando Ezra esterrefatto. Dopodiché l'Ammiraglio uscì
dalla stanza sbattendo la porta. Emily si concentrò sulla localizzazione dei piloti e, prima che Paul tornasse, aveva già completato il controllo. L'Ammiraglio si appoggiò alla porta trattenendo il respiro. «Stev, Nahbi e Lemos sono presenti. Dove sei stato?», gli chiese Emily. «A controllare la tuta di Ongola. Il medico dice che guarirà dalle ferite. Per poco il colpo non gli ha asportato il muscolo della spalla lasciandolo storpio per sempre. Ma...», Paul sollevò un oggetto di cristallo tra l'indice e il pollice, «chiunque si trovi a bordo della Mariposa, non andrà certo molto lontano.» Annuì ferocemente quando Ezra si rese conto dell'oggetto che stringeva tra le dita. «Una delle parte essenziali del sistema di guida! Ongola non lo aveva ancora rimesso a posto.» «Ma allora come ha fatto... Avril?», disse Emily interrompendosi per trovare conferma alla sua intuizione. Paul annuì lentamente. «Sì, dev'essere stata lei, non è così? Ma per quale motivo avrebbe voluto raggiungere la Yoko?» «È il primo passo per lasciare il sistema, Emily. Siamo stati troppo stupidamente tolleranti. Sì, ora lo so,» disse Paul quando Emily indicò il pannello dei circuiti. «Non avremmo dovuto permetterle di andare così lontano, su quell'isola. Sapevamo tutti che razza di donna era. Sallah ci aveva avvertiti, e gli anni...» «Ma i recenti, straordinari avvenimenti,» intervenne Ezra cercando timidamente di impedire che Paul se la prendesse tanto con se stesso. «Avremmo dovuto sorvegliare la Mariposa fino a quando non vi fosse stata più neppure una goccia di carburante nei suoi serbatoi.» «Avremmo anche dovuto avere il buon senso di chiedere a Kenjo dove prendeva tutto quel carburante,» aggiunse Ezra. «Questo lo sapevamo,» disse Emily sorridendo. «Lo sapevate?» Ezra era sbigottito. «Ongola almeno non le ha lasciato vie di scampo,» continuò Paul, sussultando al ricordo del collo e della spalla fracassata dell'amico. «Questa,» e depose con attenzione il chip sullo scaffale sovrastante il piano di lavoro, «era la precauzione di Ongola, presa con la completa collaborazione di Kenjo.» Emily si lasciò cadere pesantemente sulla sedia più vicina. «E adesso a cosa ci porta tutto ciò?» «La prossima mossa dovrebbe spettare ad Avril.» Ezra scosse tristemente la testa. «Ha carburante a sufficienza per tornare quaggiù.» «Non è questa la sua intenzione,» disse Paul.
«Purtroppo,» aggiunse Emily, «ha un ostaggio, e forse non lo sa neppure. Sallah Telgar-Andiyar manca all'appello.» 28. Sallah riprese conoscenza e subito avvertì un grave senso di disagio ed un dolore lancinante al piede sinistro. Era legata saldamente e in una posizione assai scomoda: le mani piegate dietro la schiena erano strettamente assicurate ai piedi anch'essi legati. Col fianco sinistro sfiorava il pavimento dell'astronave all'interno della quale fluttuava priva di peso: l'assenza di gravità le rivelò che non si trovava più su Pern. Un rumore ritmico e sgradevole faceva da sottofondo al suo galleggiare, accompagnato dal tintinnio degli oggetti che le scivolavano dattorno. Poi, in quei suoni monotoni e perversi, riconobbe le imprecazioni di Avril Bitra. «Cosa diavolo hai fatto ai sistemi di guida, Telgar?», le domandò accompagnando la richiesta con un calcio nel costato. Il colpo fece sollevare Sallah dal pavimento che si venne così a trovare a pochi centimetri dalla faccia infuriata di Avril. Probabilmente l'unica ragione per la quale Sallah respirava ancora era il fatto che la cabina della Mariposa possedeva la propria riserva di ossigeno. Kenjo aveva riempito i serbatoi? Sallah si pose questa domanda in un istante di panico mentre seguitava a fluttuare attorno ad Avril. Questa indossava una tuta spaziale; il casco era appoggiato sul ripiano al di sopra della poltrona di pilotaggio, pronto per essere utilizzato. Avril si protese verso di lei e l'agguantò per un braccio. «Cosa sai tu di questo? Spicciati a parlare o ti butto fuori immediatamente, così risparmio l'ossigeno per me!» Sallah non aveva dubbi che Avril fossa capacissima di farlo. «Non ne so niente, Avril. Ti ho vista camminare dietro Ongola e Kenjo, ed ho capito che avevi qualcosa in mente. Così ti ho seguita e sono riuscita ad infilarmi nel portello proprio mentre stavi decollando.» «Tu mi hai seguita?» La colpì rabbiosamente con un pugno. L'impatto fece sobbalzare entrambe. Avril si raddrizzò sorreggendosi ad un sostegno. «Come hai osato?» «Erano mesi che non ti si vedeva, e desideravo sapere come te la passavi; mi è sembrata una buona idea in quel momento.» Ormai non ho più nulla da perdere, pensò Sallah. Non riusciva a stringere le spalle. Cosa le
aveva fatto al piede? Era tutto un dolore. «All'inferno! Tu hai pilotato questa carretta. Come si fa a disinserire il dispositivo automatico? Devi saperlo.» «Potrei dirtelo se mi lasciassi dare un'occhiata alla consolle.» Lesse la speranza e subito dopo il dubbio maniacale negli occhi di Avril. Sallah non era una bugiarda. «Come faccio a dirtelo da quaggiù? Non so dove siamo. Ormai non faccio che pilotare slitte per distruggere i Fili.» Anche ad una paranoica la verità delle parole di Sallah sarebbe apparsa più che ovvia. Sallah raccomandò a se stessa di agire con grande cautela. «Fammi guardare soltanto.» Non le chiese di farsi slegare anche se era la cosa che desiderava maggiormente. Doveva essersi contusa la spalla destra durante la caduta nella cabina, ed aveva tutti i muscoli spasmodicamente contratti. «Non pensare che ti sleghi,» l'avvertì Avril, e la spinse facendola fluttuare velocemente nella cabina. Aggrappandosi ad un sostegno, corresse la traiettoria di Sallah costringendola ad un doloroso arresto contro il pannello dei comandi. «Guarda!» Stare appesa a testa in giù non era certo la posizione ottimale per il compito da svolgere, tuttavia Sallah osservò la consolle concentrandosi sulle proprie mosse: Avril aveva pilotato gli shuttle e conosceva qualcosa dei loro sistemi. Ma la Mariposa, per quanto piccola, era progettata per percorrere distanze interplanetarie, agganciarsi ad una varietà di stazioni o di altre astronavi e disponeva di sofisticati congegni adatti ad eseguire una svariata gamma di manovre nello spazio e sulle superfici planetarie. Sallah nutriva la remota speranza che gran parte di quelle strumentazioni fossero sconosciute ad Avril. «Per scoprire ciò che la nave ha appena fatto,» cominciò Sallah,» premi il pulsante di ritorno posto nella fila in basso di bottoni verdi. No, a sinistra.» Avril le diede uno strattone tirandola per un braccio, e le schiacciò la testa contro lo schermo. I lunghi capelli di Sallah si liberarono completamente dalle forcine rifluendole sul viso. «Non pensare a farti bella!», le urlò Avril con un dito sospeso al di sopra del pulsante indicato. «Questo?» Sallah annuì, allontanandosi nuovamente. Con una mano Avril pigiò il pulsante e con l'altra si mise nella posizione idonea quindi, afferrata una maniglia di sostegno, si tenne ferma davanti al quadro dei comandi. Ogni azione suscita una reazione, pensò Sallah cercando di sgombrare
la mente dal dolore e dalla confusione. Sullo schermo apparve il piano di prevolo. «La Mariposa è stata programmata per agganciarsi alla Yoko.» Per Sallah fu piacevole sapere dove si trovasse. «Una volta azionato il programma, non potrai più cambiare rotta.» «Bene,» disse Avril; il suo tono era considerevolmente mutato. «Volevo venirci comunque. Soltanto intendevo farlo per conto mio.» Sallah, i capelli sciolti sul viso, avvertì un allentarsi della tensione che promanava dalla donna. Un po’ di bellezza tornò a illuminare il volto non più contorto dalla frustrazione. «Allora non mi servi più qua attorno.» Avril allungò un braccio e le inferse una spinta ben calcolata che la spedì all'estremità opposta della cabina, facendola urtare senza danno contro la parete presso la quale si fermò continuando a fluttuare. «Bene, e adesso al lavoro.» Quanto tempo restò sospesa in quel modo? Sallah non riuscì a calcolarlo. Invano cercò di inclinare la testa per liberare gli occhi dai capelli, ma preferì evitare movimenti troppo bruschi: l'azione provocava una reazione, e lei non intendeva affatto attirare su di sé l'attenzione di Avril. Le doleva un po’ dappertutto, ma il dolore che sentiva al piede era pressoché insopportabile. Una nuova tirata di furiose e maligne imprecazioni sgorgò dalla bocca di Avril. «Non riesco a inserire nessun programma. Niente!» Sallah ebbe appena il tempo di abbassare la testa per schivare Avril che le si era scagliata addosso come un proiettile. Il movimento brusco la fece roteare vorticosamente, sempre osservata da Avril che rideva divertita ai suoi conati di vomito. «Puttana!» Avril la fermò prima che spargesse dell'altro vomito nell'aria. «D'accordo! Passiamo ad altri sistemi. Tu sai ciò che io ho bisogno di sapere, e me lo dirai, o altrimenti comincerò a tagliarti pezzo per pezzo.» Un coltello da astronauta, completo degli accessori contenuti nel grosso manico, le passò fulmineo davanti al naso. Poi Sallah sentì la lama recidere non troppo gentilmente le corde che le legavano polsi e caviglie. Il sangue corse rapido ad irrorare le arterie, ed i muscoli contratti, ora liberi, le provocarono degli spasmi di dolore. Se non si fosse trovata a fluttuare in quell'aria priva di gravità, certo sarebbe svenuta per collasso. Singhiozzi e tremiti le scossero il corpo dolorante. «Pulisciti prima da quel vomito,» disse Avril lanciandole un recipiente colmo d'acqua sporca. Sallah obbedì, grata per l'assenza di gravità e per essere stata slegata, ed
intanto continuava a pensare ad un modo per incastrare Avril. Ma purtroppo non ebbe grandi opportunità di godere della nuova libertà perché Avril fu lesta a trovare altri sistemi per assicurarsi la collaborazione della prigioniera. Prima ancora che Sallah si accorgesse di quel che stava accadendo, Avril le aveva legato il piede ferito con uno spesso filo di piombo. Un violento strattone la rese edotta di quel cappio. Penetrante come una scheggia di vetro, il dolore si irradiò dai piedi diffondendosi a tutta gamba e fino all'inguine. Ormai nello stomaco le era rimasto ben poco da vomitare. Tirando impietosamente il filo, Avril la costrinse a portarsi all'altezza della consolle e, tirandola giù di colpo, la fece 'accomodare' sulla poltrona di pilotaggio. La legò quindi alla sedia e, per ricordarle la sua impotenza, continuò a tormentarla con dolorosi strattoni al cappio di piombo che le dilaniava il piede. «Adesso controlla quanto carburante c'è a bordo, e quanto ne è rimasto nei serbatoi della Yoko: è un'operazione che ho già fatto, perciò non tentare di fare la furba.» Uno strattone al cappio rafforzò la minaccia. «Poi inserisci un programma che mi faccia uscire da questo schifoso sistema planetario.» Sallah eseguì l'ordine combattendo contro il feroce mal di testa e il frequente offuscamento della vista. Di fronte ai dati che apparvero sullo schermo non riuscì a reprimere lo stupore suscitatole dall'enorme quantità di carburante presente nei serbatoi della Mariposa. «Sì, qualcuno deve averne sottratto un bel po'. Tu?» La domanda fu accompagnata da uno strattone. «Sospetto che sia opera di Kenjo,» rispose freddamente Sallah, sforzandosi di non gridare. Era decisa a non dare la minima soddisfazione ad Avril. «Fussy Fusi? Sì, tutto quadra. Mi pareva che si fosse arreso con troppa docilità! Dove lo nascondeva?» La pastoia era sempre più tesa. Sallah si morse le labbra con violenza: neppure un singhiozzo doveva uscirne. «Probabilmente nella sua tenuta. È un posto sperduto, e nessuno va laggiù. Vi avrebbe potuto nascondere qualsiasi cosa.» Avril sbuffò e rimase in silenzio. Sallah prese a respirare più profondamente cercando di produrre il massimo possibile di adrenalina che l'avrebbe aiutata a combattere il dolore, la stanchezza e la paura. «Ve bene, adesso programma una rotta per...» Avril consultò il taccuino. «Qui.»
Sallah conosceva già le coordinate, sicché riconobbe quei numeri. Avril voleva recarsi nel sistema più vicina a loro, un sistema che, per quanto disabitato, era più vicino ai settori popolati dello spazio. Se pure Avril avesse attinto ai serbatoi della Yoko, quella rotta le avrebbe fatto consumare tutto il carburante disponibile nella Mariposa. Ma a Sallah il pensiero che la piccola astronave vagasse per secoli alla deriva nello spazio, con Avril salva e immersa nel sonno dell'animazione sospesa, non dava alcuna consolazione. A meno che, ma era molto improbabile, Ongola non avesse sabotato anche le vasche di inanimazione. Quell'idea le piaceva. Ma conosceva Ongola fin troppo bene per sperare che avesse preso anche quella precauzione estrema. Purtroppo le Avril della galassia riuscivano a cavarsela sempre, in ogni tempo ed in ogni situazione. Perciò, se Avril si fosse addormentata, magari alla fine qualcuno, o qualcosa, avrebbe salvato lei e la Mariposa. Sallah sapeva bene, anche senza vederlo coi suoi occhi, che a bordo Avril doveva avere con sé un carico favoloso di gemme e metalli preziosi. Nessuno aveva mai dubitato che avesse scelto l'Isola Grande come sua proprietà per gli immensi tesori che conteneva, ma a nessuno importava di quella ricchezza. Chi avrebbe però immaginato che sarebbe diventata pazza al punto da tentare di lasciare Pern? Nessuno lo avrebbe creduto, persino considerando la minaccia dei Fili. Sallah dettò al computer la rotta desiderata da Avril, non senza chiedersi come mai un'astronauta come lei non fosse riuscita a programmare una rotta così semplice. Beh, in fondo lei aveva più esperienza di Avril col pannello dei comandi della Mariposa. Ma il programma non fu accettato. ERRORE 259 ALLA LINEA 57465534511: fu la risposta del computer. Lo strattone al filo di piombo fu violentissimo, e Sallah emise un lungo sibilo per la fitta bruciante causatale da quel morso di dolore che la distruggeva. «Prova ancora. Ci sono diversi modi per programmare una rotta.» Sallah obbedì. «Dovrò fare a meno dei parametri esistenti.» «Rifai tutto da capo, ma programma quella rotta!», le ordinò Avril. Sallah intraprese la laboriosa operazione nel centro di comando del computer di rotta dell'astronave e, nello stesso istante, si accorse che Avril aveva preso un lungo e stretto cilindro dal ripiano vicino al suo casco. La donna cominciò a giocherellarci, mormorando con un filo di voce e mostrandosi visibilmente deliziata e soddisfatta di sé. Quando infine Sallah pigiò il tasto di ritorno, notò l'intenso interesse di
Avril per la consolle illuminata dal lampeggiare delle luci. Con una rapida e furtiva occhiata, scorse l'oggetto col quale Avril seguitava a trastullarsi. Si trattava di una capsula di fabbricazione rudimentale. Non una radioguida - sarebbe stata più grossa e più lunga - ma qualcosa di più simile ad un radiofaro di segnalazione. Tutt'ad un tratto, il piano di Avril le apparve assai chiaro. Avril avrebbe spinto la Mariposa il più lontano possibile dal sistema di Rukbat, e quindi avrebbe lanciato il segnale di pericolo verso le rotte di navigazione spaziale. Tutti i sistemi planetari che avevano rapporti con la Confederazione dei Pianeti Senzienti, oltre ad alcune forme di vita non vincolate alla Confederazione, erano in grado di rintracciare gli S.O.S. seguendo il segnale fino alla sua origine. Questo tipo di segnale veniva inoltre lanciato automaticamente in caso di distruzione dell'astronave, invitando così coloro che lo rintracciavano ad impossessarsi del relitto. Il piano di Avril non era poi così folle come poteva apparire. Sallah era convinta che Stev Kimmer fosse intenzionato a compiere il viaggio con Avril, ed essere poi salvato insieme a lei grazie al faro di segnalazione che lui stesso aveva approntato. Sullo schermo lampeggiò un nuovo messaggio: IMPOSSIBILE ACCEDERE AL PROGRAMMA SENZA L'FCP/120/GM STANDARD. «Maledizione! Prova ancora, Telgar.» Avril premette il piede di Sallah contro la base del modulo di comando, e il dolore divenne tale che la donna si sentì mancare. Avril le strinse perversamente la mammella sinistra. «Tu non riuscirai a farmela, Telgar!» «Guarda,» disse Sallah, la voce scossa suo malgrado, «ci ho provato due volte, e ci hai provato anche tu. Ho ancora inserito il dispositivo automatico di riparazione guasti come mi è stato insegnato. Qualcuno deve averti preceduta, Avril. Apri quel pannello e sapremo se stiamo sprecando tempo e fatica.» Tremava, e non solo per il dolore, ma per lo sforzo di trattenersi dal concedere libero sfogo alla vescica. Non osava chiedere ad Avril quel genere di favore. Il volto livido dalla rabbia e dalla frustrazione, Avril rimosse abilmente il pannello e, bestemmiando, in preda ad un furioso delirio, prese a calci la consolle. Sallah si scostò, per quanto le fu possibile, sperando di schivare qualche colpo 'fuori programma'. «Come hanno fatto? Cos'hanno preso, Telgar? Parla se non vuoi che cominci a farti qualche graziosa incisione!» Avril schiacciò la mano sinistra di Sallah sui circuiti scoperti e la lama del coltello penetrò nel mignolo
fino ad incontrare la falange. Il dolore e lo shock la squarciarono. «Questo non ti serve a niente!» «Il sangue fluttua nell'aria proprio come il vomito e l'urina, Bitra. E se non la smetti, sarai sommersa da entrambi!» I loro sguardi si scontrarono in uno spietato conflitto di volontà. «Cosa... hanno... tolto?» Ad ogni parola Avril praticava una nuova incisione sul mignolo. Sallah urlò. Urlare le faceva bene, e poi sarebbe servito a completare l'immagine di sé che voleva si formasse nella mente di Avril: l'immagine di una donna debole. E invece Sallah non si era mai sentita più forte in vita sua. «La guida. Hanno preso il chip di guida. Non puoi andare da nessuna parte.» La lama si sollevò dal dito e Sallah rimase a fissare come affascinata le gocce di sangue che ne sgorgavano disperdendosi nell'aria. Quell'assorta contemplazione la distrasse dall'esagitato sfoggio di volgarità che fuoruscivano dalla bocca di Avril, finché questa non la scosse con un improvviso strattone alla spalla. «I pezzi di ricambio sono tutti sul pianeta? Hanno portato via tutto dalla Yoko?» A fatica Sallah distolse l'attenzione dal sangue che fluttuava e dalla terribile sofferenza, concentrandosi sull'unica, più importanze considerazione: come ostacolare il piano di Avril senza che lei se ne accorgesse. «Credo che nel pannello principale siano rimasti dei cristalli che forse potresti utilizzare in sostituzione di quello che manca.» «Augurati che sia così.» Il coltello di Avril recise la corda che legava Sallah alla poltrona. «Okay. Mettiamo la tuta ed andiamo sul ponte.» «Prima ho bisogno di andare al bagno, Avril,» disse Sallah. Accennò quindi alla mano. «Devo fasciarla. Non vorrai che il sangue bagni i circuiti.» Urlò volutamente allo strattone inferto al piede. Era riuscita a recitare alla perfezione la parte della persona timorosa e sottomessa. Avril avrebbe nutrito dei sospetti se avesse mostrato una capitolazione più immediata. «E mi occorre un altro stivale.» Sallah riuscì infine a lanciare un'occhiata spassionata al piede dolorante. Mezzo calcagno le era stato asportato, ed una poltiglia insanguinata rotolava lentamente avanti e indietro, mossa dall'esagitato scalciare di Avril. «Aspetta!» Anche Avril si era accorta della massa di sangue. Galleggiando roteò verso gli armadietti posti presso il portello e ne tornò con una tuta spaziale ed un panno sporco. «Prendi! Spogliati!»
Sallah si fasciò il dito con la striscia di stoffa meno sudicia ed usò il resto della pezzuola per bendarsi il piede. Le faceva molto male, e sentiva conficcarsi nella carne viva frammenti dello stivale da lavoro. Le fu concesso l'uso della toilette mentre Avril la guardava rivolgendole sarcastici commenti sui segni lasciati sul suo corpo dalla maternità. Sallah finse di sentirsi più umiliata di quanto lo fosse in realtà: Avril si sentiva così superiore! Poco male, più alta la vetta, più brutta la caduta, pensò Sallah con ferocia. Prese quindi a indossare la tuta non senza difficoltà. 29. «Ha lasciato l'astronave, Ammiraglio,» disse Ezra all'improvviso, infrangendo il silenzio teso nel quale era piombata la camera di controllo ora gremita. Anche Tarvi era stato chiamato. Lacrime silenziose gli rigavano il volto. «Ha attraversato i sensori posti presso il portellone d'imbarco. No,» si corresse, «due corpi hanno superato i sensori.» Tarvi si lasciò sfuggire un singhiozzo sgomento ma continuò a tacere. A poco a poco, tutti i pezzi del mosaico erano stati messi assieme per risolvere l'enigma della scomparsa di Sallah e della riapparizione di Avril Bitra. Un tecnico, alle prese col montaggio di una slitta parcheggiata proprio vicino a quella di Sallah, ricordava di aver visto la collega interrompere il lavoro ed allontanarsi in direzione dei mucchi di rottami che fiancheggiavano la pista. Aveva anche notato Kenjo e Ongola incamminarsi verso la Mariposa. Non aveva visto nessun altro nei paraggi e, dopo un po’, la Mariposa aveva decollato. Non era stato difficile individuare la slitta di Avril. Essa infatti non recava alcuna delle modifiche apportate a tutte le altre slitte pernesi; era stata lasciata sul bordo della pista, assieme ad altre che attendevano di essere revisionate. Stev Kimmer era stato fatto chiamare per identificarla. Avril aveva eliminato ogni traccia della sua presenza, e Stev Kimmer aveva notato delle scalfitture che gli risultavano nuove. Non fece alcun commento sulla sua ex partner, ma dall'espressione del suo volto non fu difficile per Paul ed Emily sospettare che fosse stato tradito da lei. Per un attimo aveva esitato. Poi, con una scrollata di spalle, aveva risposto a tutte le domande che gli erano state rivolte. «Non andrà da nessuna parte,» disse Emily in tono risoluto sforzandosi
di apparire ottimista. «No,» si associò Paul, con lo sguardo fisso sul chip di guida, senza osare alzare gli occhi su Tarvi. «Non potrebbe sostituirlo prelevandone uno simile dal ponte di comando della Yoko?», chiese Tarvi, il volto smarrito in una strana fissità, le labbra secche, i languidi occhi carichi di tormento. «Non sono della stessa grandezza,» disse Ezra, con un'infinita mestizia nell'espressione. «La Mariposa è più moderna, e dispone di cristalli più piccoli e sofisticati.» «Oltretutto,» aggiunse Paul con voce fiacca, «il cristallo che le serve veramente è stato sostituito da Ongola con uno esaurito. Oh, probabilmente può fissare una rotta che il computer sembrerà accettare. L'astronave si disporrà in posizione di sganciamento ma, non appena si staccherà dal ponte, correrà dritta nello spazio seguendo perpetuamente la stessa direzione.» «Ma Sallah!» Esclamò Tarvi in un urlo angosciato. «Che cosa accadrà a mia moglie?» 30. Sallah attese che Avril avesse invertito la posizione della Mariposa nella grande stiva della Yokohama e che avesse acceso i razzi di coda, dopodiché mise in funzione l'unità di comunicazione. Avril aveva danneggiato tutti i circuiti della consolle sul ponte di volo, ma si era dimenticato del dispositivo automativo di cui era munita la postazione dell'Ammiraglio. Non appena la donna ebbe lasciato il ponte, Sallah chiese il contatto. «Yokohama ad Approdo. Risponda, Ezra. So che è lì!» «Qui Keroon, Telgar! Qual è la sua posizione?» «Seduta,» disse Sallah. «Dannazione, Telgar. Non è il momento di scherzare!», gridò Ezra. «Mi scusi, Signore,» disse Sallah. «Non ho visori.» Era una bugia, ma non desiderava mostrare a nessuno lo stato in cui era. «Sto controllando l'hangar delle sonde. Dal computer non risulta ci sia alcun danno in quel settore. Sono rimaste tre sonde. Come devo programmarle?» «All'inferno le sonde, Telgar! Come faccio a tirarla giù di lì?» «Non credo che riuscirà a farlo, Signore,» disse Sallah allegramente. «Tarvi?» «Sal...lah!» Le due sillabe furono pronunziate in un tono che le fece salire il cuore in gola e le lacrime agli occhi. Perché non l'aveva mai chiamata
in quel modo prima d'allora? Era forse quella la dichiarazione del suo amore che tanto a lungo aveva atteso? L'angoscia che promanava da quella voce rivelava uno spirito torturato e distrutto. «Tarvi, amore mio!» La gola le si stringeva e le parole faticavano ad uscire. «Tarvi, chi c'è lì con te?» «Paul, Emily ed Ezra,» rispose lui con voce spezzata. «Sallah! Devi tornare!» «Sulle ali di una preghiera? No. Va' da Cara! Esci dalla stanza. Ho un lavoro da fare adesso, un lavoro per Pern. Paul, lo faccia uscire. Non riesco a pensare se lui è lì che ascolta.» «Sallah!» Il nome seguitò a riecheggiarle nella mente. «Okay, Ezra, dove devo mandarle?» Keroon si schiarì la voce. «Una sonda dovrà andare fino al corpo della cometa, un'altra dovrà circumnavigarla.» Si schiarì di nuovo la voce. «L'altra seguirà la curva a spirale di quella massa nebulosa. Se il telescopio principale funziona ancora, vorrei delle letture lungo tutta quella dannata cosa. Il telescopio che abbiamo qui non basta: non è abbastanza potente per le definizioni che ci occorrono. Non immaginavamo che ci sarebbe servito quello grande, per questo non lo abbiamo portato giù.» Ezra bisbigliò qualcosa tra sé e sé, e Sallah ricordò con affetto che il Capitano Keroon riusciva in quel modo a ritrovare il controllo. Qualcuno piangeva durante la conversazione? Sì, così le era parso. Sicuramente la Governatrice Boll o l'Ammiraglio Benden erano stati così cortesi da allontanare Tarvi dalla stanza. Bisognava concentrarsi sulle informazioni ricevute da Ezra per codificare i compiti e le destinazioni delle singole sonde. «Le sonde sono partite, Signore,» disse, ricordando l'ultima volta che aveva comunicato quella risposta. Sullo schermo principale le apparve Pern; non avrebbe mai immaginato di rivedere dallo spazio quel pianeta sul quale aveva cercato una nuova casa. «Adesso invierò dei dati che Dieter decifrerà. Avril ha detto di aver ucciso Kenjo e Ongola. È vero?» «Kenjo, sì. Ongola se la caverà.» «I vecchi soldati sono duri a morire. I dati che invio a Dieter riguardano alcuni calcoli che ho eseguito sul carburante disponibile. Ongola sa a cosa mi riferisco. Ho inviato anche la rotta programmata da Avril. È partita nella direzione giusta, ma ho visto un cristallo molto strano nel sistema di guida, di un genere che non ho mai notato sulla Mariposa quando mi è capitato di pilotarla. Ho ragione? Non andrà da nessuna parte?»
«Non appena Bitra accenderà i motori, l'astronave proseguirà in rettilineo nello spazio senza seguire alcuna rotta.» «Benissimo,» disse Sallah con una sensazione di immensa soddisfazione. «Un ottimo lavoro per la nostra cara amica. Ora sto attivando il telescopio. Lo programmo in modo da comunicare i rilievi attraverso l'interfaccia. D'accordo?» «Mi dia lei stessa le letture, Pilota Telgar,» ordinò Ezra bruscamente. «Non credo sia possibile, Capitano,» disse lei, lieta del tono distaccato. Visualizzò quindi l'esile figura di Ezra Keroon chino sull'interfaccia. «Non ho tempo a sufficienza. Ho soltanto l'ossigeno che resta nelle bombole. Erano piene quando Avril me le ha lasciate indossare, ma ha detto che avrebbe disinserito il dispositivo di ossigenazione indipendente del ponte. Non ho motivo di dubitarne. C'è un altro motivo per il quale preferisco passare le informazioni all'interfaccia: i guanti spaziali sono ottimi, ma non permettono di eseguire sintonizzazioni di alta precisione. Sono riuscita a rimettere un po’ d'ordine nel caos che Avril ha procurato alla consolle. Ho dovuto... arrangiarmi... così... quando a qualcuno capiterà di venire quassù, troverà quasi tutti i sistemi funzionanti.» «Quanto tempo hai, Sallah?» «Non lo so.» Sentiva il sangue salire fino al polpaccio nel grosso stivale, mentre il guanto sinistro ne era già colmo. Quanto sangue ha una persona? Si sentiva debole, e cominciava a far fatica a respirare. Le rincresceva di non aver potuto conoscere meglio la sua Cara. «Sallah?» la voce di Ezra suonò immensamente dolce. «Sallah, qui c'è Tarvi. Non riusciamo a tenerlo fuori da qui. È come impazzito. Vuole solo parlare a sua moglie.» «Oh, certo, va bene. Anch'io voglio parlargli,» acconsentì, e la sua voce suonò buffa persino a lei. «Sallah!» Tarvi era infine riuscito a controllare il tono della voce. «Uscite di qui, tutti quanti! Lei è mia adesso. Sallah, gemma della mia notte, ragazza d'oro, principessa dagli occhi di smeraldo, perché non ti ho mai detto prima quanto significassi per me? Ero troppo orgoglioso. Troppo vanitoso. Ma tu mi hai insegnato ad amare, me lo hai insegnato col tuo sacrificio quando ero troppo preso dall'altro mio amore - l'amore per il mio lavoro per riconoscere il dono inestimabile del tuo affetto e della tua dolcezza. Come ho potuto essere tanto stupido? Come ho fatto a non capire che tu eri qualcosa più di un semplice corpo pronto a ricevere il mio seme, più di un orecchio disposto ad ascoltare la voce della mia ambizione, più di due ma-
ni abili a... Sallah? Sallah! Rispondimi, Sallah!» «Tu... mi... amavi?» «Io ti amo, Sallah. Ti amo. Sallah? Sallah! Salllaaaaah!» 31. «Cosa ne pensi, Dieter?», chiese Paul al programmatore intento a consultare le cifre sottopostegli da Ezra. «Beh, dalla prima serie di cifre, risulta una quantità di carburante pari a oltre duemila litri. Le altre offrono invece una stima della quantità di carburante utilizzato presumibilmente da Kenjo durante le quattro missioni compiute oltre a quello impiegato oggi dalla Mariposa. Esiste una considerevole riserva inutilizzata nascosta da qualche parte qui sulla superficie di Pern. La terza sequenza di calcoli si riferisce evidentemente al carburante che era stato lasciato nei serbatoi della Yoko e che ora si trova in quelli della Mariposa. Ma bisogna notare, come del resto ha fatto anche Sallah, che nel serbatoio inferiore della Yoko esiste carburante sufficiente per secoli di correzioni orbitali minori.» Paul annuì bruscamente. «Continua.» «Questa sezione riguarda la rotta che Bitra ha cercato di programmare. La prima correzione sarebbe dovuta iniziare da poco.» Dieter aggrottò le ciglia alla vista delle equazioni che apparvero sul monitor. «La Mariposa vola dritta verso quell'eccentrico pianeta che ci ha procurato tanti guai, e forse questa è la volta buona per scoprire com'è fatta la sua superficie.» «Non credo che Avril sia tipo da comunicarci informazioni utili... come ha fatto Sallah.» Dieter alzò gli occhi udendo il tono selvaggio dell'Ammiraglio. «Scusa. Hai ragione. E se qualcosa non funziona...» Paul non finì la frase e, seguito da Dieter, continuò a percorrere il corridoio in direzione della stanza che ospitava l'interfaccia. Emily era andata via con Tarvi per cercare di dargli conforto, sicché nella stanza era rimasto soltanto Ezra. Dopo le sconvolgenti emozioni di quella giornata, appariva vecchio, proprio come Paul. «Qualche messaggio?» «Nessuno da poter riferire a persone educate,» replicò Ezra sbuffando. «Ha appena scoperto che la prima correzione di rotta non è stata eseguita.» Azionò l'audio e si udì distintamente una roca sequela di imprecazioni vendicative. Paul sorrise maliziosamente a Dieter. «Perfetto, amico mio.» Si volse
quindi verso i microfoni. «Avril, mi senti?» «Benden! Cosa diavolo ha fatto quella puttana? Come ha fatto? Non riesco a disinserire il pilota automatico. Il dispositivo è bloccato. Non riesco neppure a manovrare. Avrei dovuto tagliarglielo tutto quel piede!» Ezra impallidì e Dieter parve sentirsi male, ma il sorriso di Paul era intriso di vendetta. Sicché Avril aveva sottovalutato Sallah. L'Ammiraglio emise un respiro carico di orgoglio per la forza dimostrata dalla valorosa pilota. «Andrai ad esplorare il pianeta plutonico, Avril, cara. Perché per una volta non ti comporti decentemente e non ci trasmetti un resoconto dei dati man mano che ti avvicini all'astro?» «Puoi scordartelo, Benden! Non avrai niente da me. Oh, merda! Oh, merda! non è il... oh, merda!» Il suono del suo ultimo commento fu soffocato da un rombo sibilante che costrinse Ezra ad abbassare immediatamente il volume. «Merda!» fece eco Paul sottovoce.» 'Non è il...' il che? Che possa essere dannata per l'eternità, Avril. Non è il cosa?» 32. Emily e Pierre, in compagnia di Chio-Chio Yoritomol, che sulla Buenos Aires aveva diviso la cabina con la moglie di Kenjo e poi l'alloggio sulla Piazza d'Irlanda, decollarono a bordo di una veloce slitta diretti alla Tenuta di Honshu. Quasi tutti ad Approdo sapevano della morte di Kenjo e delle gravi condizioni in cui versava Ongola, tuttavia non c'era stato un pubblico annuncio della notizia. Ovunque si discuteva dello «sconosciuto» assalitore. Quando quella sera stessa Emily fece ritorno ad Approdo, recava con sé un messaggio sigillato per l'Ammiraglio. «Ci ha detto,» lo informò Emily seccamente, «che preferirebbe restare ad Honshu per occuparsi della tenuta e dei suoi quattro figli. Non ha bisogno di molte cose e ci darebbe ben pochi fastidi.» «È una donna all'antica,» disse Chio-Chio all'Ammiraglio con un filo di voce. «Non mostrerebbe mai il suo dolore, perché ciò offuscherebbe l'immagine dei morti. «Si strinse nelle spalle con gli occhi bassi, mentre i pugni le si serravano e si schiudevano ritmicamente. Poi sollevò lo sguardo, con un atteggiamento reso quasi provocatorio dalla rabbia che la infiam-
mava. «È fatta così! Kenjo la sposò perché sapeva che non avrebbe mai contrastato le sue azioni. Lo propose prima a me, ma io avevo un temperamento diverso, e rifiutai anche se Kenjo era davvero un eroe. Oh!» Alzò un braccio per nascondere il viso. «Ma morire in quel modo! Colpito alle spalle. Una morte ignobile per uno che aveva saputo sfuggire ad ogni sorta di minacce!» A quelle parole Chio-Chio si volse e si allontanò di corsa dalla stanza; si udirono i suoi singhiozzi disperati mentre correva fuori nella notte. Con un cenno Emily invitò Paul ad aprire il biglietto ancora sigillato con la ceralacca. Paul eseguì, spiegando lo spesso foglio di buona carta fatta a mano. Poi, sconcertato, lo porse ad Emily e Pierre. Emily lesse ad alta voce: «Dovevano esserci due grotte a giudicare dalla quantità di carburante usato e dal pietrisco prodotto dal traforo. Una grotta ospitava l'aereo, non so dove sia l'altra.» «Sicché era riuscito a trasportarvi parte del carburante? E quanto?», domandò la Governatrice. «Vedremo se Ezra riuscirà a calcolarlo... oppure Ongola, quando si sarà ripreso. Pierre?» Paul pretese dallo chef una promessa di silenzio. «Naturalmente. La riservatezza è stata coltivata nella mia famiglia per intere generazioni, Ammiraglio.» «Paul,» lo corresse questi. «Per questioni del genere, amico mio, tu sei l'Ammiraglio!» Pierre si mise sull'attenti e si chinò leggermente, sorridendo in maniera rassicurante. «Emily, sei stanca. Ora dovresti riposare. Paul, diglielo tu!» L'Ammiraglio posò una mano sulla spalla di Pierre de Courci e con l'altra prese Emily per un braccio. «Abbiamo ancora un altro dovere da compiere per oggi, Pierre, e sarebbe meglio che tu fossi con noi.» «Il falò!» Emily si ritrasse dall'abbraccio di Paul. «Non sono sicura di potere...» «E chi potrebbe?» Paul fece eco alla sua esitazione. «Tarvi ha chiesto di farlo.» Tutti e tre si incamminarono riluttanti, unendosi agli altri Pernesi che ad uno ad uno avanzavano nella stessa direzione, la buia Piazza del Falò. In ogni abitazione c'era una luce accesa. Le stelle, seppur rade, brillavano nel cielo, e la prima luna, Timor, una falce sottile, si stagliava sull'orizzonte orientale. Presso il cumulo di rovi e sterpi Tarvi stava col capo chino: un uomo
avvizzito come i rami gettati sul mucchio. Improvvisamente, quasi fosse sicuro che tutti erano presenti, accese il tizzone. Il suo bagliore illuminò un volto distrutto dal dolore, i capelli scompigliati, e le guance rigate di lacrime. Tarvi sollevò alto il tizzone, poi lo spostò lentamente in un movimento circolare come se volesse imprimersi indelebilmente nella memoria le facce di tutti coloro che erano lì in attesa solenne. «Da ora in poi,» gridò con voce aspra, «io non sono Tarvi, né Andiyar. Io sono Telgar, perché il suo nome venga pronunziato ogni giorno, e venga ricordato da tutti per aver donato a noi la sua vita in questo giorno. Anche i nostri figli da questo momento porteranno il suo nome. Ram Telgar, Ben Telgar, Dena Telgar e Cara Telgar, la piccola Cara che non conoscerà mai sua madre.» Trasse quindi un profondo respiro che gli gonfiò il petto. «Qual è il mio nome?» «Telgar!», rispose Paul con quanta voce aveva in gola. «Telgar!», gridò Emily accanto a lui, seguita istantaneamente dalla voce baritonale di Pierre. «Telgar!» «Telgar! Telgar! Telgar! Telgar! Telgar!» Quasi tremila voci gridarono quel nome in un mesto canto, agitando le braccia finché Telgar non lanciò la torcia ardente nel cuore del falò. La fiamma divampò con un ruggito tra le felci e i rami secchi, accompagnata dal coro di voci che in crescendo intonavano: «Telgar! Telgar! Telgar!» 33. Lo shock provocato dalla morte di Sallah Telgar si propagò in breve a tutto il continente. Molti la conoscevano sia come pilota di shuttle durante lo sbarco, che come abile direttrice dell'accampamento di Karachi. Il coraggio da lei dimostrato sollevò inaspettatamente il morale dei coloni, e la sua volontà di dedicare gli ultimi momenti della sua vita a vantaggio della colonia, suscitò in tutti la responsabilità di lottare con tutte le forze per vendicare il suo estremo sacrificio. Questa fu l'atmosfera che si respirò negli otto giorni che seguirono alla sua morte, finché cominciarono a circolare voci insidiose. «Ascolta, Paul,» iniziò Joel Lilienkamp prima ancora di chiudersi la porta alle spalle. «Tutti hanno il diritto di accedere ai Magazzini. Ma quel Ted Tubberman continua a prelevare cose insolite per un botanico.» «Ancora Tubberman!», disse Paul appoggiandosi allo schienale della
poltrona con un profondo sospiro di disgusto. «Tarv... Telgar - si corresse prontamente - aveva telefonato il giorno prima chiedendo se Tubberman fosse autorizzato a frugare nella navetta che stavano smantellando.» «Sì,» disse Joel. «Secondo me, gli funzionano soltanto metà dei circuiti, Paul, ma comunque devi sapere cosa fa quel pazzo. Scommetto l'ultima bottiglia di brandy che ha qualcosa in mente.» «Su richiesta di Wind Blossom, Pol gli ha proibito di accedere ai laboratori di biologia,» disse Paul stancamente. «Pareva quasi che fosse lui il responsabile delle operazioni di bioingegneria. Neppure Bay gradisce la sua presenza.» «Non è la sola,» rispose Joel sedendosi mentre si strofinava la faccia. «Voglio il tuo permesso di chiudergli anch'io la porta in faccia. L'ho sorpreso nell'Edificio G, nel quale sono depositate le strumentazioni tecniche più importanti. Non voglio che nessuno ci entri senza la mia autorizzazione. E invece lui stava proprio lì, a spadroneggiare con quell'aria sfrontata come se ne avesse tutto il diritto. Lui e quel Bart Lemos.» «Bart Lemos!» Paul si raddrizzò sulla sedia. «Già. Lui, Bart e Stev Kimmer stanno sempre appiccicati assieme in questi giorni. E non mi piacciono affatto le voci che, stando ai miei informatori, stanno mettendo in giro.» «Stev Kimmer ha a che fare con queste voci?» Paul era sorpreso. Joel alzò le spalle. «Sì. È in rapporti molto stretti con quei due.» Paul si strofinò le nocche con aria meditabonda. Bart Lemos era una stupida mediocrità, ma Stev Kimmer era un tecnico specializzato di grande esperienza. Dopo la fuga di Avril, Paul lo aveva sottoposto ad una discreta sorveglianza. Per tre giorni si era dato ai bagordi ed era stato trovato addormentato nella navetta smantellata. Quando si era ripreso dalla sbornia, era tornato al lavoro, ma Fulmar diceva che gli altri meccanici non desideravano far coppia con lui perché era sempre taciturno, se non proprio sgarbato. Il pensiero che Tubberman potesse giovarsi dell'abilità tecnica di Kimmer, lo rendeva estremamente inquieto. «Cos'hai saputo esattamente, Lili?», chiese infine l'Ammiraglio. «Un mucchio di fesserie,» rispose il piccolo magazziniere incrociando le dita sul petto. «Io credo che nessuna persona dotata di buon senso possa concepire l'idea che Kenjo ed Avril fossero in combutta. O che Ongola abbia ucciso Kenjo per impedire a tutti e due di usare la Mariposa per partire in cerca di aiuto. Sai che ti dico, Paul? Se il programma di bioingegneria elaborato da Kitti non darà risultati positivi, ci troveremo in un mare di
guai. Sono pronto a scommettere che a te e ad Emily verrà proposto di riprendere in considerazione la possibilità di lanciare nello spazio la capsula autoguidata.» Proprio la sera precedente Paul aveva discusso di quella eventualità con Emily, Ezra e Jim. Keroon era stato il più agguerrito nell'opporsi all'invio di una capsula con una richiesta di soccorso, ritenendo la cosa stupida ed inutile. Come Paul aveva osservato, un aiuto tecnologico sarebbe giunto nella migliore delle ipotesi almeno dieci anni dopo. Oltretutto, la speranza che la Confederazione dei Pianeti Senzienti si sarebbe mossa con rapidità per inviare loro una qualche assistenza era miseramente esile. Chiedere aiuto appariva non soltanto come un rifiuto del sacrificio di Sallah, ma costituiva in più una vile ammissione di fallimento del tutto prematura visto che non avevano assolutamente esaurito il patrimonio di ingegnosità ed inventiva che contraddistingueva la loro comunità. «Che genere di materiale viene richiesto da Ted, Lili?», disse Paul. Joel estrasse un foglietto dalla tasca dei pantaloni e, con gesti plateali lo spiegò procedendo quindi alla lettura. «Articoli assai eterogenei: dai materiali isolanti agli utensili per l'idroponica, pali, reticoli d'acciaio, e cristalli per computer che secondo Dieter non gli possono assolutamente servire, né sarebbe mai capace di usare o di capire.» «Hai provato a chiedere a Tubberman cosa vuole farne?» «Sì. Gli ho fatto proprio questa domanda, e lui si è mostrato piuttosto arrogante. Mi ha detto che gli servono per i suoi esperimenti,» Joel appariva visibilmente dubbioso su quella spiegazione, «per sviluppare una difesa più efficace contro i Fili nell'attesa che giungano i soccorsi.» Paul storse la bocca. Lui stesso aveva sentito il botanico dichiarare ferocemente che lui, e non i biologi con le loro lucertole cresciute, avrebbe protetto Pern. «Quella frase... 'nell'attesa che giungano i soccorsi'... non mi va proprio a genio,» mormorò Paul digrignando i denti. «Ed allora dammi il permesso di chiudergli le porte dei depositi, Paul. Se è pur vero che è uno dei Fondatori, è anche vero che ha esaurito abbondantemente il suo credito.» Fece sventolare il foglio. «Ho i documenti che lo dimostrano.» Paul annuì. «Sì, ma la prossima volta che presenterà una lista, lasciagli dire prima cosa vuole, e poi gli chiuderai la porta in faccia. Voglio sapere cos'ha in mente.» «Confinalo nella sua tenuta,» propose Joel; si alzò quindi in piedi, e un'espressione di sincera preoccupazione gli rabbuiò la faccia rotonda.
«Vedrai che in questo modo ci risparmierai un sacco di guai. Tubberman è imprevedibile: non si riesce mai a immaginare quali mosse abbia in serbo.» Paul sorrise all'amico magazziniere. «Ne sarei lieto, Lili, ma il mandato che mi è stato conferito non mi autorizza a compiere un atto del genere.» Joel sbuffò derisoriamente, esitò qualche istante e poi, alzando le spalle alla sua inimitabile maniera, uscì dall'ufficio. Paul non si dimenticò di quella conversazione, ma il mattino seguente gli recò nuove e più pressanti preoccupazioni. Nonostante i volenterosi sforzi di Fulmar e delle sue squadre di tecnici specialisti, altre tre slitte erano risultate inidonee a volare. Il che significava un impiego più massiccio delle squadre di terra, l'ultima linea di difesa e sicuramente la più snervante per gente già sovraffaticata fino al limite dell'esaurimento. Né Paul né Emily riconobbero immediatamente l'importanza dei tre distinti rapporti che ricevettero quel mattino: uno proveniva dal laboratorio di veterinaria che informava le autorità di aver subito un furto durante la notte; il secondo lo inviava Pol Nietro, il quale riferiva che, nonostante il divieto, Ted Tubberman era stato visto aggirarsi nei laboratori di bioingegneria; ed il terzo proveniva da Fulmar, dal quale si apprendeva che qualcuno se l'era svignata con uno dei cilindri esauriti della navetta smantellata. Quando infine giunse la rabbiosa chiamata di Joel Lilienkamp, Paul fece fatica ad approdare ad una conclusione. «Che gli si possano congelare tutti gli orifizi e gli cadano tutte le estremità!», gridò Joel col massimo della sua potenza vocale. «Ha preso la capsula autoguidata!» Lo shock fece balzare Paul in piedi sotto gli occhi esterrefatti di Emily ed Ezra. «Ne sei sicuro?» «Certo che lo sono, Paul! Avevo nascosto il cartone tra i tubi da stufa e le unità di riscaldamento. Non è stato messo fuori posto, ma chi diavolo poteva sapere che il cartone 45/879 era in realtà una capsula autoguidata?» «È stato Tubberman a prenderlo?» «Scommetto la mia ultima bottiglia di brandy che è stato lui.» Joel parlava così alla svelta che a stento Paul riusciva a distinguere le parole. «Quel pezzo di mascalzone! Verme schifoso, bastardo!» «Quando hai scoperto che la capsula era sparita?» «In questo momento. Sto chiamando dall'Edificio G. Lo controllo almeno una volta al giorno.»
«È possibile che Tubberman ti abbia seguito?» «Mi consideri tanto idiota?» Quella eventualità lo mandava in bestia quanto la scoperta del furto. «Ogni giorno controllo tutti i depositi e so dirti esattamente cosa è stato prelevato ieri e cosa l'altro ieri, perciò so bene se qualcosa manca!» «Non ho mai dubitato delle tue capacità neppure per un istante, Joel.» Paul si sfregò la mano sulla bocca, ed intanto la sua mente pensava rapida al da farsi. Poi si avvide dell'espressione sgomenta di Emily ed Ezra. «Resta in linea,» disse a Joel, e riferì ai collaboratori ciò che gli era stato appena riferito. «Beh,» rispose Ezra, gli scarni lineamenti rischiarati da uno sguardo di profondo sollievo. «Tubberman non è in grado di lanciare un drago. Riesce soltanto a manovrare una slitta. Non mi preoccuperei troppo di lui.» «Non di lui. Ma mi preoccupa immensamente il fatto che Stev Kimmer e Bart Lemos siano stati visti in sua compagnia ultimamente. Ezra parve titubare, dopodiché si nascose la faccia tra le mani. «Adesso basta con Ted Tubberman,» disse Emily, e subito depose sul tavolo il fascicolo che aveva esaminato. Dopodiché si alzò in piedi. «Non darei un cristallo esaurito per la sua posizione di Fondatore né per il suo diritto ad un Fondo privato. Stiamo perlustrando Calusa.» Diede quindi un colpetto alla spalla di Ezra. «Andiamo, tu sai di quali componenti avrebbe avuto bisogno.» D'un tratto si udì un rumore di piedi che avanzavano di corsa, poi la porta si spalancò e Jake Chernoff irruppe nell'ufficio. «Scusatemi, Signori, vi prego,» gridò il giovane, col volto in fiamme, ed il petto scosso dalla corsa affannosa. «Il telefono...» indicò il ricevitore nella mano dell'Ammiraglio. «È importantissimo! Gli scanner alla torre di controllo... qualcosa ha decollato dalla Pista di Oslo, tre minuti fa... e non si trattava di una slitta, era troppo piccolo per esserlo.» Simultaneamente Paul, Emily ed Ezra guadagnarono l'uscita e corsero alla camera dell'interfaccia. Nella fretta di inserire il programma, Ezra digitò a tentoni sulla tastiera. Sullo schermo apparve chiaramente una scia di fumo prossima ad esaurirsi, estendentesi verso nordovest. Imprecando sommessamente, Ezra si collegò al monitor della Yoko che captava il segnale di ritorno. Per lunghi istanti i tre fissarono lo schermo, irrigiditi dalla collera e dalla frustrazione. Poi Ezra raddrizzò la lunga figura, le mani penzoloni lungo i fianchi. «Beh, ormai è fatta.»
«Non del tutto,» disse Emily; la sua voce risuonò particolarmente aspra nel pronunziare ogni sillaba separatamente in una strana cadenza. La Governatrice si volse quindi verso l'Ammiraglio, con occhi lucenti, le labbra serrate, ed un'espressione implacabile. «La Pista di Oslo, eh? La capsula è stata appena lanciata. Andiamo a prendere quelle canaglie.» Paul ed Emily si allontanarono di corsa lasciando Ezra a seguire sul monitor l'ascesa della capsula. I primi tre uomini prestanti nei quali si imbatterono durante il percorso in direzione della pista furono comandati a dar loro man forte. Paul rintracciò quindi Fulmar e gli ordinò di pilotare la slitta potenziata di Kenjo. «Non fare domande, Fulmar,» disse Paul reclutando perentoriamente altri due tecnici. «Portaci verso il fiume Giordano, ed ognuno tenga gli occhi ben aperti sul traffico aereo.» Si assicurò la cintura di sicurezza e prese il ricevitore. «Chi è nella Torre? Tarrie? Voglio sapere chi sorvola la zona del fiume, dove è diretto e dove è stato.» Fulmar decollò con una potente spinta verticale e per qualche istante il rombo del motore soverchiò ogni risposta di Tarrie Chernoff. «C'è una sola slitta sul Giordano, Signore, oltre a quell'...altro veicolo.» Le parole si smorzarono, ma subito Tarrie ritrovò il distacco impersonale più consono al suo ruolo. «La slitta non risponde.» «Lo farà,» la rassicurò Paul in tono minaccioso. «Continua a controllare tutto il traffico di quella zona.» Tubberman era sciocco abbastanza da comportarsi nella maniera più ovvia, ma Paul non credeva che tale stupidità caratterizzasse anche Stev Kimmer o chiunque altro Ted aveva coinvolto in quella illecita e azzardata impresa che andava contro la decisione democratica di tutta la colonia. Tubberman era solo nella slitta quando Fulmar lo costrinse ad atterrare sulla riva desolata presso la disgraziata Tenuta di Bavaria. Non c'era segno di pentimento sul suo volto mentre li fronteggiava, le braccia conserte sul petto, il mento proteso in modo provocatorio. «Ho fatto ciò che andava fatto,» dichiarò con solennità. «Il primo passo per salvare questa colonia dall'annientamento.» Paul teneva i pugni stretti lungo i fianchi. Accanto a lui, Emily vibrava di una furia intensa quanto quella del suo compagno. «Voglio i nomi dei tuoi complici, Tubberman,» disse Paul a denti stretti, «e li voglio ora, subito!» Tubberman inspirò per farsi forza. «Fa di me quello che vuoi, Benden. Sono uomo abbastanza da sopportare qualsiasi cosa.»
Quel ridicolo atteggiamento di eroismo risultò così assurdo ai presenti, che uno degli uomini alle spalle di Paul non riuscì a frenarsi dall'esplodere in una breve ma fragorosa risata. La cosa sortì l'effetto di ammansire alquanto l'Ammiraglio. «Tubberman, non permetterò che nessuno ti torca un capello,» disse Paul con un sorriso che allentò la tensione. «Esistono provvedimenti appropriati a casi del genere, espressamente previsti dal nostro statuto, e non certo crudeli o barbari come la tortura fisica.» Si rivolse quindi agli uomini. «Voi riportatelo ad Approdo con la sua slitta. Accompagnatelo nel mio ufficio e fate chiamare Joel Lilienkamp. Sarà lui ad occuparsi del prigioniero.» Paul provò la soddisfazione di vedere lo sguardo da martire svanire a poco a poco dagli occhi di Tubberman per essere sostituito da un'espressione frammista di ansia e sorpresa. Quindi Paul fece cenno ad Emily, Fulmar ed agli altri di far ritorno alla loro slitta. Tarrie riferì che non vi erano altri veicoli nella zona indicata e si scusò per non avere altre documentazioni relative al traffico. «Tranne quella specie di razzo, tutto procede normalmente, Signore. Oh, Jake è tornato. Voleva parlargli?» «Sì,» rispose Paul, desiderando che Ongola fosse di nuovo lì al suo posto. «Jake, voglio sapere dove sono Bart Lemos e Stev Kimmer. Ed anche Nabhi Nabol.» Accanto a lui, Emily annuì in segno di approvazione. Intanto, Fulmar aveva già percorso la breve distanza che separava Bavaria dalla Pista di Oslo. I resti della piattaforma di lancio fumavano ancora. E, mentre Paul si incamminava con gli altri per perlustrare la zona alla ricerca di pattini da slitta, Fulmar smosse con attenzione l'anello di braci lasciate dalla capsula fiutandone le esalazioni. «Dall'odore sembrerebbe carburante di shuttle, Paul,» riferì. «Una capsula autoguidata non ne richiede molto.» «Ma richiede abilità tecnica,» disse Paul con amarezza. «Ed esperienza. Io e te sappiamo benissimo quante persone sono in grado di avere questo genere di tecnologia.» Fissò quindi Fulmar dritto negli occhi e questi abbassò le spalle. «Non è colpa tua, Fulmar. Avevo il tuo rapporto. Ed anche gli altri. Non ho messo assieme i pezzi.» «Chi avrebbe mai immaginato che Ted avrebbe fatto una pazzia simile? Nessuno crede a più della metà di quello che dice!», protestò Fulmar. Emily e gli altri tornarono dalla loro infruttuosa perlustrazione. «Ci sono un mucchio di segni di pattini, Paul,» riferì. «E di immondizia.» Indicò un
sacchetto di carburante vuoto ed una quantità di fili e connettori. Lo sguardo desolato di Fulmar si fece più profondo. «Stiamo perdendo tempo qui,» disse Paul soffocando la collera. «Chiamiamo Cherry e Cabot nel mio ufficio,» suggerì Emily in un sussurro mentre montavano sulla slitta. 34. «È fiero di ciò che ha fatto,» urlò furiosamente Joel quando Paul ed Emily lo fecero chiamare nell'ufficio di quest'ultima al loro ritorno. «Dice che era suo dovere salvare la colonia. E aggiunse che ci stupiremo nel constatare quanta gente approverà il suo gesto.» «Sarà lui l'unico a stupirsi,» replicò Emily con le mascelle irrigidite in una risoluta freddezza, e le labbra incurvate in un curioso sorriso che non trovava riscontro negli occhi stanchi. «Sì, Em, ma cosa possiamo fare di lui?», disse Joel sopraffatto dall'impotenza e dall'indignazione. Emily si versò una tazza di fresco Klah e ne bevve un sorso prima di rispondergli. «Sarà evitato da tutti.» «Chi sarà evitato da tutti?», chiese Cherry Duff con la sua voce roca mentre entrava nella stanza. Cabot Carter seguiva dappresso, avendo scortato il magistrato dal suo ufficio fino a quello della Governatrice dove era stato chiamato. «Evitato?» Il volto attraente di Cabot fu ravvivato da un sorriso che si faceva sempre più largo mentre con gli occhi interrogava Paul ed Emily. Il sorriso gli si offuscò un poco quando si avvide della presenza dell'ostinato magazziniere. Paul ricambiò il sorriso. «Evitato!» «Evitato?», esclamò Joel in tono disgustato. Emily fece cenno a Cherry di accomodarsi in una comoda poltrona ed invitò poi tutti gli altri a sedersi. Quindi, ad un cenno di Paul, espose con chiarezza gli ultimi avvenimenti culminanti nell'uso illecito della capsula autoguidata da parte di Tubberman. «Sicché dobbiamo ordinare che Tubberman venga evitato, eh?» Cherry si guardò intorno cercando gli occhi di Carter. «È perfettamente legale, Cherry,» replicò il giurista, «in quanto non comporta una punizione corporale che sarebbe invece illecita in virtù della nostra Costituzione.»
«Rinfrescatemi la memoria sulle modalità di questa procedura,» disse Cherry, in tono vagamente ironico. «Si tratta di un meccanismo,» cominciò Emily, «grazie al quale, anticamente, dei gruppi punivano i loro membri che cadevano in errore. Le comunità religiose vi ricorrevano quando un appartenente alla loro setta trasgrediva le regole che ne disciplinavano il comportamento. Era un rimedio veramente efficace. Gli altri componenti della setta fingevano che il trasgressore non esistesse. Nessuno gli parlava, nessuno si accorgeva della sua presenza, nessuno lo aiutava in alcun modo né mostrava di sapere se lui - o lei - esistesse. Non sembrerebbe una punizione crudele, ma di fatto risultava psicologicamente distruttiva.» «Andrà benissimo!», disse Cherry annuendo con soddisfazione. «È una punizione esemplare per uno come Tubberman. Perfetta!» «E pienamente legale!», si associò Carter. «Mi occupo io della stesura dell'avviso, Emily, o preferisci farlo tu, Cherry?» «Fallo tu, Cabot,» lo invitò Cherry con un cenno della mano. «Sicuramente saprai trovare le parole più adatte. Ma spiega esattamente cosa comporta questa punizione... anche se ne abbiamo tutti abbastanza delle sue prediche insulse e delle sue assurde chiacchiere! Chi non sarà felicissimo di avere una scusa ufficiale per... ah... evitarlo! Evitarlo!» Rovesciò indietro la testa e proruppe in una fragorosa e beffarda risata. «Per tutto ciò che è sacro - e legale - mi piace, Emily. Mi piace un sacco!» Poi con un repentino cambiamento di umore, ma senza abbandonare la vena comica, aggiunse: «Raffredderà parecchie teste calde.» Volse quindi a Paul ed Emily uno sguardo acuto e penetrante. «Tubberman non ha fatto tutto da solo. Chi lo aiutato?» «Non abbiamo prove,» cominciò Paul nel medesimo istante in cui Joel diceva: «Stev Kimmer, Bart Lemos e forse Nabhi Nabol.» «Facciamo isolare anche loro!», gridò Cherry Duff, battendo le vecchie mani sottili sul bracciolo della poltrona. «Dannazione, non abbiamo bisogno di dissensi. Sostegno, collaborazione, lavoro: ecco ciò di cui abbiamo bisogno. O altrimenti non sopravviveremo. Oh, fiamme dell'inferno!» Sollevò in alto le mani. «Cosa faremo se quella capsula ci farà arrivare quelle sanguisughe della Confederazione dei Pianeti Senzienti?» «Non ci scommetterei,» rispose Joel alzando gli occhi. Cherry lo fissò duramente. «Mi fa piacere sapere che esiste qualcosa su cui non scommetteresti, Joel. D'accordo: allora, cosa ne facciamo dei complici di Tubberman?»
Cabot si protese fino a sfiorare il braccio di Cherry. «Prima dobbiamo provare che lo fossero, Cherry.» Volse quindi gli occhi a Paul ed Emily in attesa di un loro intervento. «La Costituzione dice che una persona è innocente fino a quanto non sia dimostrata la sua colpevolezza.» «Li teniamo sotto controllo,» disse Paul. «Li sorvegliamo. Caster, stendi l'avviso per la popolazione, e fa in modo che venga diffuso ovunque ad Approdo, e che tutti i proprietari di Fondi apprendano la notizia. Cherry, emetterai la sentenza a carico di Tubberman?» Paul le tese il braccio per aiutarla ad alzarsi. «Con la più grande soddisfazione. Che maniera superba per sbarazzarci di quel seccatore!», aggiunse poi sottovoce mentre si avviava alla porta. La gioia sadica dipinta sul suo volto rasserenò l'umore di Joel Lilienkamp mentre la seguiva sfregandosi le mani. 35. Il messo fu oltremodo felice di consegnare una copia della notizia ufficiale a Bay e Wind Blossom, di turno nella grande sale dell'incubatrice. La stanza era separata dal laboratorio principale ed isolata dai mutamenti di temperatura e dai rumori. L'incubatrice vera e propria era posta su pesanti ammortizzatori tali da evitare che gli embrioni agli stadi iniziali e più precari subissero vibrazioni dovute allo spostamento di attrezzature nel laboratorio principale. Le uova custodite all'interno dei grembi naturali, o anche in gusci appropriati, sopportavano benissimo traumi di notevole portata, tuttavia l'iniziale processo era troppo delicato per rischiare la seppur minima scossa. Lo sviluppo non era stato ancora canalizzato, né la nuova struttura genetica era stata equilibrata, sicché qualsiasi variazione nell'ambiente dell'embrione avrebbe indubbiamente cagionato dei danni. Successivamente, quando le uova fossero giunte allo stadio nel quale era possibile deporle in un nido per la covata, sarebbero state trasferite in un altro edificio, dove la pavimentazione fatta di sabbia tiepida e lampade a raggi solari artificiali, riproducevano le condizioni naturali nelle quali le uova dei draghetti si schiudevano. Quella tappa distava ancora parecchie settimane. Erano stati creati dei pannelli di osservazione muniti di vetri che filtravano la luce impedendo a questa di penetrare nell'oscurità simile a quella di un grembo naturale, mentre gli osservatori potevano osservare chiaramente il prezioso contenuto dell'incubatrice. Era stato anche approntato un
ingranditore portatile che poteva essere collocato in qualsiasi posizione sui quattro lati dell'incubatrice per effettuare ispezioni generiche di routine. Nei laboratori della Terra o di Prima Centauri, ogni embrione in fase di sviluppo sarebbe stato sottoposto ad un monitoraggio a distanza con la registrazione continua della crescita. Ma, nelle condizioni pernesi relativamente primitive, delle quali Wind Blossom si lamentava ripetutamente, la necessità di evitare la contaminazione con sostanze tossiche di qualsiasi genere vietava l'uso ravvicinato di sensori agli embrioni nelle camere di coltura. Bay stava scrivendo le valutazioni di Wind Blossom quando il messo consegnò la notifica. Il ragazzo si dimostrò particolarmente voglioso di spiegare in dettaglio come applicare la punizione stabilita per Tubberman, ma Bay non esitò a mandarlo via in fretta. «Straordinario,» commentò Bay quando ebbe finito di leggere l'avviso ad alta voce perché anche Wind Blossom ne apprendesse il contenuto. «Ted era diventato una vera seccatura ultimamente. Hai sentito anche tu le voci che ha messo in giro, Blossom? Come se quella canaglia di Avril non avesse in mente nient'altro che i suoi piani quando rubò la Mariposa! Partita per chiedere aiuto, figuriamoci!» Sbirciò con venerazione le quarantadue speranze per il loro futuro che stavano crescendo all'interno dell'incubatrice. «E lui: permettersi di lanciare la capsula autoguidata quando tutta la colonia aveva votato contro una soluzione simile!» «Mi sento risollevata,» disse Wind Blossom con un lieve sospiro. «Lo credo! Cominciava a seccare anche te,» osservò gentilmente Bay. La biologa cercava di convincersi che Wind Blossom soffrisse ancora per la perdita della nonna. Di recente vi erano stati tuttavia dei momenti nei quali Bay avrebbe voluto ricordare alla collega che non era soltanto la famiglia Yung ad aver subito una grave perdita. Ma non lo aveva fatto perché, negli ultimi tempi, Wind Blossom si era mostrata assai volubile, ed avrebbe potuto interpretare un simile commento come un attacco circa la sua abilità di proseguire il programma di ingegneria genetica brillantemente elaborato dalla nonna. Essendone stata la principale assistente, Wind Blossom era adesso tecnicamente responsabile del programma inserito nel computer biologico Mark 42. Anche Bay lo aveva studiato per familiarizzarsi con quella procedura. Kitti Ping aveva lasciato una copiosa quantità di appunti sul modo di procedere, anticipando possibili allineamenti minori, equilibri od altre compensazioni che potevano rivelarsi necessarie. Pareva che la scienziata a-
vesse previsto tutto tranne la sua morte. «Forse mi hai frainteso,» replicò Wind Blossom, inclinando la testa in un gesto che ricordava la nonna quando correggeva un allievo caduto in errore. «Mi sento risollevata per il fatto che la capsula sia stata lanciata. Adesso la responsabilità non è tutta su di noi.» Bay non era sicura di aver sentito bene. «Per amor del Cielo: cosa intendi dire, Blossom?» Questa rivolse a Bay un lungo sguardo accompagnato da un debole sorriso. «Tutte le nostre uova sono in un solo paniere,» disse con un sorriso imperscrutabile, dopodiché orientò la lente in una posizione diversa. Quando Pol e Phas Radamanth arrivarono per sostituirle, Bay si attardò ancora un poco nel laboratorio. Lei e Pol stavano così poco assieme, e poi non la entusiasmava affatto la prospettiva di un'altra monotona cena nella cucina comune. «Vedo che ne hai una copia anche tu,» disse Pol, indicando la notifica del provvedimento contro Tubberman. «È straordinaria.» «Infatti,» approvò Phas alzando gli occhi dagli appunti di Blossom. «Speriamo che come lanciatore non sia altrettanto incompetente che come botanico.» Bay fissò sbigottito lo xenobiologo e questi ebbe la delicatezza di mostrarsi imbarazzato. «Nessuno approva le azioni di Tubberman, mia cara,» la rassicurò Pol. «Sì, ma se verranno...» con un gesto Bay indicò l'incubatrice, il laboratorio, e tutto ciò che i coloni erano riusciti a creare in quel nuovo mondo. «Se la cosa può consolarti,» intervenne Phas, «Joel Lilienkamp non accetta scommesse sull'Ora Stimata di Arrivo.» «Oh!», esclamò Bay. «E cosa è accaduto a Ted Tubberman?» «È stato scortato alla sua tenuta dove gli è stato detto di rimanere.» Bay osservò che Pol sapeva anche apparire spietato se lo voleva. «Cosa ne è stato di Mary e dei bambini?», domandò. Pol si strinse nelle spalle. «Mary può fare come crede: restare o andarsene. La punizione non si estende anche a lei. Ned Tubberman sembrava molto turbato, ma non è mai stato molto vicino a suo padre, e Fulmar Stone ritiene che sia un meccanico assai promettente.» Si strinse nuovamente nelle spalle e rivolse alla moglie un sorriso d'incoraggiamento. Bay si stava apprestando ad allontanarsi quando un tremito scosse il pa-
vimento sotto di loro. Istintivamente, la biologa si lanciò verso l'incubatrice trovandovi Phas e Pol fianco a fianco. Pur senza l'ausilio dell'ingranditore, riuscirono a constatare che il liquido amniotico contenuto nelle sacche non si era riversato per effetto del terremoto. Gli ammortizzatori si erano dimostrati efficienti. «Ci mancava anche questo!», gridò Pol furibondo. Si affrettò quindi all'unità di comunicazione e chiamò la Torre di Controllo. Subito mise giù con violenza il ricevitore. «Occupato! Bay, vai a rassicurarli.» Accennò al primo gruppo di tecnici accorsi al laboratorio. Chiamò quindi di nuovo la Torre, e riuscì ad avere il contatto proprio nell'istante in cui Kwan Marceau irrompeva nella stanza facendosi largo tra i tecnici che ne ingombravano la porta. «Ci saranno altre scosse, Jake?», chiese Pol. «Perché non siamo stati avvertiti?» «È stata una scossa molto leggera,» rispose Jake Chernoff cercando di calmarlo. «Patrice de Broglie mi ha avvertito, ma io sono obbligato a dare la notizia prima dell'infermeria nel caso fosse in atto un intervento chirurgico; dopo ho provato a chiamarvi e risultava occupato.» La spiegazione placò Pol. «Patrice dice che c'è un po’ di attività tettonica verso est, e che nelle prossime settimane potremmo avvertire altre scosse. L'incubatrice è antiurto, non è così? Non hai nulla di cui preoccuparti.» «Nulla di cui preoccuparmi?», ripeté Pol. E subito riattaccò energicamente. 36. Un colpetto discreto risuonò sulla porta dell'ufficio dell'Ammiraglio e, quando Paul rispose con un distratto «Avanti», Jim Tillek apparve sulla soglia. Emily sorrise sollevata. Il Capitano della Baia di Monaco era sempre il benvenuto. Paul si appoggiò allo schienale della poltroncina girevole pronto ad effettuare una gradita interruzione del noioso inventario di slitte in buono stato e lanciafiamme efficienti che stava effettuando. «Ciao, gente,» salutò Jim. «Sono venuto per far riparare la mia lancia.» «E da quando in qua hai bisogno di assistenza per questo genere di lavoro?», gli chiese Paul. «Da quando i pezzi di ricambio che avevo giù a Monaco sono tornati nei depositi di Joel Lilienkamp.» Jim parlava in tono allegro. «E da quando i porci si sono messi a volare?», ribatté Paul. «Oh, davvero? È questo il nuovo progetto?», chiese Jim con un sorriset-
to. Si lasciò quindi cadere sulla sedia più vicina ed incrociò le dita. «A proposito: Maximilian e Teresa hanno eseguito l'ispezione richiesta da Patrice. Riferiscono la presenza di significative colate di lava dal vulcano Illyrian. Si tratta soltanto di un piccolo vulcano, perciò non meravigliatevi se i venti orientali vi porteranno un po’ di polvere nera. Non sono Fili morti, ma soltanto cenere vulcanica. Volevo che lo sapeste prima che si spargesse qualche altra voce.» «Grazie,» rispose Paul seccamente. «Le spiegazioni logiche sono sempre ben accolte,» aggiunse Emily. «Ho anche fatto una capatina dal nostro caro ammalato.» Jim si sistemò più comodamente sulla sedia e fissò Paul dritto negli occhi. «Scalpita, vuole alzarsi, e minaccia di trasferirsi al secondo piano della Torre di Controllo, per inviare i messaggi da lì. Sabra, dal canto suo, minaccia di divorziare se farà qualsiasi cosa prima di aver ottenuto l'autorizzazione dai medici. Personalmente, gli ho detto che non ha motivo di preoccuparsi, perché il giovane Jake Chernoff sta facendo un ottimo lavoro. Il ragazzo non si azzarda a passare una previsione meteorologica se prima non ha controllato due volte le immagini trasmesse dal satellite e non si è affacciato dalla finestra.» Paul ed Emily sorrisero a quel resoconto. «Ongola ha bisogno di tornare al lavoro,» convenne Emily. «È convinto che non riuscirà più ad usare il braccio ferito. Forse, se tornasse ad essere occupato come prima, non penserebbe più cose del genere.» Jim piegò la testa in direzione di Paul. «Secondo i medici,» disse Emily con un sorriso riconoscente, «Ongola userà nuovamente quel braccio, anche se rifiuta di crederci. Resta soltanto da vedere il grado di mobilità dell'arto.» «Tornerà come prima,» disse Jim con estrema dolcezza. «Ehi, c'è qualcosa di vero nella voce secondo la quale Stev Kimmer era complice di Tubberman?» Paul fece una smorfia, ed Emily gli lanciò una velocissima occhiata. «Te l'avevo detto che stava facendo il giro della colonia!», disse la donna. Jim si protese in avanti, con un'espressione bramosa. «E quanto c'è di vero nella notizia che se la sia filata a bordo di quella grande slitta pressurizzata, che è stata avvistata nelle vicinanze della Grande Barriera Occidentale, dove Kenjo ha scelto la sua tenuta? Kimmer è molto più pericoloso di quanto lo fosse Tubberman.» Paul fece correre il pollice sulle dita artificiali, arrestandolo non appena
si accorse che Tillek aveva notato quella nervosa abitudine. «Certo che lo è! Dato che la radio di bordo era in funzione quando ha fatto decollare la slitta che ha rubato, saprà anche che deve tornare qui per sottoporsi ad un interrogatorio.» Jim annuì approvando solennemente. «Ezra è riuscito a cavare qualcosa dai rilevamenti trasmessi dalle sonde che Sallah...» Abbassò le palpebre, gli occhi improvvisamente umidi. «No,» disse Paul, schiarendosi la voce. «Sta ancora tentando di decifrarli. Lo stampato non è chiaro.» «Beh,» disse Jim, «ho qualche ora di tempo da spendere mentre mi riparano la lancia. Prima di trovare un pianeta che mi piacesse, ho esaminato centinaia di relazioni dei Corpi di Esplorazione e Valutazione. Posso essere d'aiuto?» «Due occhi attenti possono essere utili,» accettò Paul. «Ezra è lì che li esamina senza smettere mai.» «Ho capito bene?», chiese Jim con garbo. «La Mariposa si è tuffata direttamente contro il pianeta eccentrico?» Paul annuì. «Avril non ci ha fornito nessuna informazione.» Le ultime criptiche parole della donna, «Non è il...» risuonavano ancora nella mente dell'Ammiraglio, portatrici di un messaggio che Paul sapeva di dover svelare. «Ascolta, Jim, resta qui e guarda se riesci ad aiutare Ezra. Abbiamo bisogno di buone notizie. Il morale è ancora a terra dopo gli omicidi, ed aver dovuto prendere quel provvedimento contro Tubberman e spiegare in che modo è riuscito a mettere le mani su quella capsula autoguidata, non ha certo giovato all'immagine della nostra amministrazione.» «Un giochetto astuto, però,» disse Jim, ridacchiando mentre si alzava. «In questo modo non siete stati costretti ad infrangere l'autonomia dei Fondi, ed allo stesso tempo avete confinato quel pazzo dove non può più fare danni. Beh, ora salgo da Ezra.» Quindi uscì dalla stanza e, senza voltarsi, agitò la mano in segno di saluto ad Emily e Paul. Immensamente rallegrati dalla sua visita, l'Ammiraglio e la Governatrice tornarono ai gravosi compiti di organizzare le squadre che avrebbero dovuto affrontare le imminenti Cadute dei Fili, e al reclutamento del personale addetto alla raccolta di vegetali commestibili destinati all'inseminazione nei luoghi ancora inviolati dall'organismo distruttore. 37.
«Guarda, Jim: non riesco a trovare nessun'altra spiegazione logica alla distruzione delle sonde ed a queste.» Ezra Keroon agitò in aria una manciata di fotografie scattate dalle sonde, così sfuocate da non permettere di distinguere alcun particolare. «Una o forse due sonde potrebbero avere dei difetti di funzionamento. Ma io ne ho lanciate sette! E Sallah...» a quel nome vi fu una breve pausa, durante la quale il volto di Ezra espresse pienamente il dolore che l'uomo ancora provava per la sua scomparsa. «Sallah ci ha comunicato che nell'hangar delle sonde non risultava alcun danno. Poi c'è la Mariposa. Questa non ha toccato la superficie. Qualcosa l'ha colpita pressapoco nello stesso istante in cui una delle sonde è esplosa!» «Sicché preferisci pensare che qualcosa sulla superficie di quel pianeta impedisca un'ispezione?», disse Jim Tillek con una smorfia. Appoggiò le spalle allo schienale della sedia alleviando la tensione dei muscoli provati da ore e ore di osservazione sugli ingranditori. «Non posso proprio credere ad una spiegazione del genere, Ez. Andiamo, vecchio mio! Com'è possibile che su quel pianeta ci sia qualcosa che funzioni? La superficie era congelata, e non può essersi riscaldata in maniera apprezzabile nel breve lasso di tempo durante il quale ha cominciato ad avvicinarsi al sole Rukbat.» «Non ci sono formazioni regolari su una superficie non popolata. Guarda! Non dico che non possano essere naturali, però non lo sembrano affatto. E certamente non sarei capace di azzardare nessun tipo di ipotesi sulla sorta di creatura che avrebbe potuto farle. Dà un'occhiata ai livelli termici qui, qui e qui.» Ezra puntò un dito sulle immagini che stavano esaminando. «Il livello termico è più alto di quanto avrei previsto trattandosi di una superficie congelata fino a poco tempo prima. Queste le abbiamo ottenute da una delle sonde che è riuscita a trasmetterci i dati.» «Un'attività vulcanica al di sotto della crosta potrebbe giustificare il rialzo termico.» «E quelle formazioni regolari convesse - bada non concave - rilevate lungo l'equatore?» Jim era incredulo. «Tu vuoi credere che quel pianeta plutonico sia l'origine di questo attacco?» «Lo preferisco sicuramente alla teoria di Hoyle-Wickramansingh, Jim.» «Se Avril non avesse preso la Mariposa, potremmo scoprire cos'è in realtà quella nebulosa. E così sapremmo di sicuro se dar ragione alla teoria di Hoyle-Wickramansingh o se si tratta di piccole creature blu congelate!» Il tono di Jim era scherzoso. «Abbiamo le navette,» disse Ezra sondando l'opinione del suo interlocu-
tore, e ticchettando con la matita in attesa di una reazione. «Non c'è carburante, né un pilota tra quelli rimasti, al quale affiderei un'impresa così difficoltosa. Si tratterebbe di eguagliare la velocità orbitale del pianeta. Ho visto con i miei occhi le ammaccature sullo scafo della Mariposa nei punti in cui gli scudi di difesa non hanno retto. Oltretutto non abbiamo delle tute idonee a proteggere un uomo allo scoperto in una tempesta di meteoriti. E poi, se la tua teoria è esatta, sarebbe immediatamente abbattuto.» «Soltanto se si avvicina troppo al pianeta,» continuò Ezra cautamente. «Ma non dovrebbe farlo: basterebbe prelevare un campione dalla scia. Se questa risulterà composta soltanto di ghiaccio, polvere e roccia, cioè di normale materiale cometario, allora sapremo per certo che la vera minaccia che incombe su di noi proviene dal pianeta. Giusto?» Jim lo guardò con aria pensierosa. «Sarebbe comunque pericoloso. Ed in ogni caso non c'è carburante a sufficienza per la missione!» Jim spalancò le braccia in un gesto di esasperazione. «Il carburante c'è.» «C'è?» Jim si drizzò di scatto sulla sedia, gli occhi sgranati per la sorpresa. «Ezra gli sorrise obliquamente. «Sono solo in pochi a saperlo.» «Magnifico!» Jim aggrottò le sopracciglia, ma sorrise subito dopo mostrando di non sentirsi offeso per essere stato escluso dal numero di coloro che sapevano. «Quanto?» «Con un pilota di prim'ordine ce n'è abbastanza per effettuare la missione che ci interessa. E forse anche di più, se riusciamo a scoprire il nascondiglio principale di Kenjo.» «Di più?» Jim era stralunato. «Il nascondiglio principale? Ha sottratto del carburante?» «È sempre stato un pilota eccezionale. Ongola dice che è riuscito a risparmiare un'enorme quantità scendendo in caduta libera con le navette.» Jim continuava a guardare Ezra, sbalordito dalla impudenza di Kenjo. «Allora ecco perché Kimmer si aggirava nei dintorni della Barriera Occidentale. Ha in mente di trovare il nascondiglio di Kenjo. Per i suoi fini, o per i nostri?» «Bada però che non dobbiamo attenderci un granché da questa missione,» continuò Ezra sollevando una mano in segno di avvertimento. «Forse non è poi un gran male che Tubberman abbia lanciato la capsula. Perché, se la minaccia proviene veramente dal pianeta, allora non possiamo farcela
da soli: ci occorre un aiuto, ed io personalmente non sono tanto orgoglioso da rifiutarmi di chiederlo.» Ezra sorrise. «Non che Stev Kimmer abbia detto qualcosa a qualcuno quando ha tagliato la corda con la slitta grande carica di viveri e generatori elettrici sufficienti a durare per anni. Joel Lilienkamp era furibondo per il fatto che qualcuno fosse riuscito a rubare nel suo magazzino. Non sappiamo neppure come Stev abbia fatto a sapere del bottino di Kenjo. Sapevamo soltanto che era a conoscenza della quantità di carburante contenuta nei serbatoi della Mariposa otto anni fa. Evidentemente, deve aver immaginato che esistesse una riserva di carburante quando Kenjo ha compiuto quei voli di ricognizione.» Jim fece per aprire la bocca, ma pronto Ezra lo anticipò: «Non preoccuparti! Anche se riuscisse a trovare il carburante, Kimmer non potrebbe decollare. Ongola e Kenjo hanno sabotato le navette un po’ di tempo fa. Kimmer non sa dove conserviamo le taniche di carburante qui ad Approdo. E neppure io lo so.» «Sono onorato... della tua fiducia e dalle responsabilità che hai così attentamente scaricato sulle mie spalle curve.» «Sei venuto qui tre giorni fa ed hai offerto volontariamente i tuoi servigi,» gli ricordò Ezra. «Tre giorni fa? Mi sembrano tre anni. Chissà se hanno riparato la mia lancia.» Si alzò e si stiracchiò finché le ossa della spina dorsale e delle articolazioni non si furono accomodate per bene con sonori schiocchi. «Allora, vogliamo portare questa roba,» accennò alla serie di fotogrammi e veline ordinatamente disposte sul ripiano del tavolo, «giù dai nostri amici che dovranno indovinare cosa possiamo farne?» 38. Paul ed Emily ascoltarono in silenzio fino a quando i due uomini ebbero finito di esprimere i loro opposti punti di vista. «Ma quando il pianeta ci avrà oltrepassati, nei prossimi otto o nove anni, la Caduta si arresterà,» disse Paul saltando subito ad una conclusione. «Dipende dalla teoria che intendi accettare,» disse Jim, sorridendo con bonaria ironia. «O dal grado di progresso degli alieni di Ezra. Adesso, se dài credito a questa teoria, loro si tengono a distanza, mentre i Fili ci ammorbidiscono ben bene.» Paul Benden scartò risolutamente quell'idea. «Io non credo affatto a questa teoria, Ezra. I Fili si sono dimostrati inefficaci nel precedente tentativo. Potrebbe darsi però che il pianeta plutonico debba difendersi. Riconoscerei
la validità della tua teoria solo se fosse dimostrata da prove reali.» Emily guardò Jim dritto negli occhi. «Per quanto tempo quella roba continuerà a cadere se proviene dalla coda cometaria?» «Venti, forse trent'anni. Se conoscessi la lunghezza della coda, potrei fornirti una stima più attendibile.» «Chissà che Avril non si riferisse proprio a questo!», disse Paul lentamente. «Dicendo 'non è il...' forse intendeva dire che non è il pianeta ciò che dobbiamo temere, ma la coda che si è trascinato dalla Nube di Oort.» «Se non si fosse impadronita della Mariposa, avremmo avuto la possibilità di appurarlo.» La voce di Emily suonò tagliente come una lama. «Possiamo sempre farlo,» disse Ezra. «C'è carburante sufficiente per mandar su una navetta. Non sarà un veicolo come la Mariposa, ma è comunque adatto allo scopo!» «Ne sei certo?» chiese Paul col volto teso mentre allungava un braccio verso il blocchetto sul quale prese ad elaborare una serie di equazioni. Meditabondo, appoggiò le spalle allo schienale della poltrona e passò il blocchetto ad Emily e Jim. «Si potrebbe fare.» Incrociò lo sguardo di Emily indugiandovi a lungo. «Dobbiamo sapere. Dobbiamo sapere bene cosa ci aspetta, prima di programmare un piano di difesa.» Ezra sollevò una mano in segno di avvertimento. «Badate!», disse con aria prudente. «Non è possibile avvicinarsi troppo al pianeta! Abbiamo perso sette sonde. Che si tratti di mine, o di missili, il fatto è che sono saltate in aria.» «Chiunque vi andrà saprà esattamente quali rischi dovrà affrontare,» disse Paul. «Andar su è già abbastanza rischioso di per sé,» osservò Ezra con mestizia. «Non vorrei sembrarvi fatuo, ma secondo me c'è un solo pilota disposto ad accettare una sfida simile pur di salvare questo pianeta,» aggiunse Paul. Drake Bonneau fu avvicinato per primo. A suo parere l'impresa era fattibile, lo preoccupava però il rischio che lo shuttle utilizzato si fosse deteriorato dopo otto anni di inattività. Infine mise in evidenza il fatto di essere sposato e di avere quindi delle responsabilità, concludendo che vi erano altri piloti ugualmente qualificati. Paul ed Emily non discussero la sua decisione. «Il matrimonio ed i figli a carico saranno una scusa accampatale praticamente da tutti,» disse Paul ai loro consiglieri privati, Ezra, Jim e Zi Ongola. A quest'ultimo i medici riluttanti avevano consentito quattro ore di
lavoro al giorno. «L'unico a non avere legami di famiglia è Nabhi Nabol.» «È un pilota di buone capacità,» commentò pensosamente Ongola, «anche se non proprio il genere di persona sulla quale è opportuno riporre il futuro di un intero pianeta. Ad ogni modo è il tipo d'uomo che accetterebbe qualsiasi rischio in vista di una ricompensa allettante.» «Di che genere?», chiese Emily con aria scettica. Nabhi era già stato ammonito dozzine di volte e punito da Cherry Duff per indegno comportamento sociale essendo stato sorpreso più volte 'ubriaco ed in atteggiamento scomposti', per avere commesso diverse infrazioni sul lavoro, nonché rivolto 'proposte oscene'. Negli ultimi tempi pareva essersi redento facendosi valere come abile capo degli squadroni di attacco contro i Fili, e guadagnandosi l'ammirazione dei suoi subordinati. «Nabol è un Contrattista,» disse Ongola, «e se gli offrissimo una tenuta sulla quale esercitare i diritti che normalmente spettano ai Fondatori, sono convinto che accetterebbe la proposta. Più volte ha sollevato proteste sulla disparità di diritti circa i terreni. La cosa potrebbe rabbonirlo. E poi si crede un pilota di prim'ordine.» «Abbiamo tanti giovani piloti in gamba,» cominciò Jim. «Che non hanno alcuna esperienza di volo spaziale a bordo di una navetta.» Ongola scartò subito il suggerimento. «Però sceglierne uno per accompagnarlo in veste di secondo pilota potrebbe essere una buona idea. Ad ogni modo ho più fiducia in Nabhi che in un novizio.» «E se gli dessimo ad intendere che la sua candidatura costituisce un'alternativa e non la nostra ultima chance... forse...» osservò Emily. «Purché ci decidiamo!», disse Ezra. «Basta con le ipotesi ed i quesiti irrisolti. Ci occorrono dati ed un campione dei materiali che compongono quella scia. Allora sapremo con certezza quale sarà il nostro futuro.» 39. Le trattative con Nabhi ebbero inizio quel pomeriggio stesso. Il pilota sorrise con aria beffarda alle lusinghe ed all'appello rivolto alla sua competenza, e senza mezzi termini chiese di sapere con esattezza quali vantaggi gli avrebbe recato la missione in termini di possedimenti ed altri diritti. Quando chiese l'intera Provincia di Cibola, Paul ed Emily presero a recitare la loro parte giocando d'astuzia. Nabhi insisté perché gli fosse garantito lo status di Fondatore, ed essi acconsentirono con una dose di riluttanza sufficiente a fargli credere che nella trattativa fosse lui ad avere il coltello
dalla parte del manico. Poi Emily accennò con nonchalance al fatto che l'Isola Grande non fosse più in concessione ad alcuno. Al che Nabol si mostrò immediatamente felicissimo all'idea di occupare la proprietà che era stata di Avril. Paul ed Emily riuscirono splendidamente a dissimulare l'immenso sollievo suscitato da quella scelta. Nabhi pretese di utilizzare la navetta che aveva usato durante l'operazione di traghettaggio e specificò la composizione del personale che, sotto la sua supervisione, avrebbe dovuto occuparsi del riarmo della Falena. Protestò quindi per il fatto che tutti i tecnici da lui indicati fossero già impegnati a tempo pieno in progetti di particolare importanza. Avrebbe accettato di compiere la missione solo a patto che la navetta in disuso da un pezzo fosse sottoposta a rigorosi controlli tecnici. In quanto alla ricompensa promessa, ne volle l'immediata elargizione. Quale aiuto pilota designò Bart Lemos, a condizione che anche questi acquisisse lo status di Fondatore. Paul ed Emily trovarono la cosa particolarmente sgradevole, ma acconsentirono seppur con grande riluttanza. L'atteggiamento di Nabol nei confronti dell'Ammiraglio e della Governatrice mutò immediatamente, divenendo così tronfio e arrogante che Emily dovette faticare non poco per contenere l'antipatia che provava per quell'uomo. Mentre usciva dall'ufficio col documento firmato che faceva di lui un Fondatore della colonia, il suo sorriso di trionfo era quasi un ghigno beffardo. Subito ordinò che gli fosse messa a disposizione una delle slitte veloci, nonostante servisse per una Caduta imminente, e si recò ad ispezionare il suo nuovo possedimento. L'Ammiraglio e la Governatrice annunziarono formalmente l'impresa, specificandone gli scopi e il personale che l'avrebbe condotta. La notizia carpì tutto l'interesse della popolazione distogliendola da argomenti di importanza minore. Con una sola eccezione: il trasferimento delle ventisette uova mature al terreno artificiale approntato per la schiusa. Il contingente veterinario al completo aiutò i biologi nella delicata manovra. Sorka Hanrahan e Sean Connell, forti dell'abilità acquisita quali allievi veterinari di livello avanzato, avevano compiuto alcune delle analisi iniziali ed avevano collaborato alla compilazione della noiosa documentazione per il progetto, sotto la stretta sorveglianza di Kitti Ping. Non occorse molto tempo per espletare l'intera manovra di trasferimento, ma Sorka si accorse che l'atmosfera di sovreccitazione aveva affaticato sensibilmente il suo compagno. Per lui quel progetto rivestiva però un significato tale da
fargli superare l'irritante esasperazione dei biologi preoccupati. Infine, le uova furono deposte con la piena soddisfazione di Wind Blossom, Pol e Bay. Disposte in un doppio anello, diciassette sul circolo interno e venti sull'esterno, furono circondate da alti mucchietti di sabbia tiepida che imitavano l'ambiente naturale dei draghetti. «Tutta l'operazione poteva essere compiuta in un terzo del tempo impiegato,» mormorò cupamente Sean a Sorka. «Tutta questa confusione è negativa per le uova.» Posò gli occhi sui due circoli perfetti ed aggrottò le ciglia. «Sono molto più grandi di quanto avrei immaginato,» disse Sorka dopo un attimo di silenzio. «Molto più grandi di quanto loro avrebbero immaginato,» corresse Sean in tono di scherno. «È stata una fortuna che ne siano sopravvissute così tante fino a questo stadio... in omaggio a Kitti Ping, considerando tutto ciò che si è dovuto fare per crearle.» Sorka sapeva che per Sean, partecipare a quel progetto, era altrettanto importante quanto lo era per lei. Dopotutto erano stati loro i primi a scoprire un nido selvatico. Impaziente ma stanca, si teneva in equilibrio su una delle assi che delimitavano il terreno, evitando così di affondare i piedi nella sabbia fastidiosamente calda. Il trasferimento era stato ultimato, cionondimeno, coloro che vi avevano collaborato, non si erano ancora allontanati. Wind Blossom, Pol e Bay erano profondamente immersi in una discussione con Phas, l'Ammiraglio e la Governatrice, che pure avevano avuto una parte ufficiale nell'operazione. Sorka pensò che Emily Boll aveva l'aspetto di una donna esausta, ma che il suo sorriso rimaneva tuttavia caldo e sincero. Anche i capi sembravano restii ad allontanarsi. Gran parte della popolazione dei draghetti aveva presenziato alla manovra svolazzando in un continuo andirivieni sul Terreno della Schiusa, saettando verso le travi del capannone alla ricerca di uno spazio per posarsi. Sembravano contenti di assistere all'operazione; nessuno di loro era stato audace abbastanza da esaminare le uova da vicino. Sorka interpretò il loro sommesso pigolio come l'espressione di un timore reverenziale. «Pensi che sappiano cosa contengono?», chiese piano a Sean. «E noi lo sappiamo?», ribatté Sean con uno sbuffò divertito. Il giovane, che teneva le braccia incrociate sul petto, ne liberò quindi uno indicando l'uovo più vicino. «Quello è il più grosso. Chissà se appartiene ad un'aurea. Nel trambusto che abbiamo fatto, ho perso di vista la collocazione delle
uova secondo l'appartenenza. Tra quelle perdute c'erano più maschi che femmine, e Lili accetta scommesse su chi di noi ne indovinerà il sesso.» Sorka osservò l'uovo attentamente. Si domandò se si trattasse di un'aurea e decise che non lo era. Era un bronzeo. Ma non esternò a Sean la sua conclusione. Il suo compagno conservava la vecchia tendenza a contraddire simili affermazioni e, in un momento come quello, mentre sorvegliavano la covata, non era certo opportuno mettersi a discutere. Sorka sospirò. Per lei i draghetti erano diventati altrettanto importanti dei cavalli. Riconosceva senza riserve che Sean sapeva addestrare il suo stormo meglio di lei, disciplinandolo per un'azione efficace durante le Cadute. Ma sapeva anche che lei capiva tutte quelle creature - le sue, quelle di Sean o quelle sulle quali qualsiasi altro pernese avesse impresso lo schema di apprendimento - meglio di lui, specie quando riportavano ferite durante le Cadute dei Fili. O forse la sua sensibilità, accentuatasi nell'ultimo paio di mesi in conseguenza della gravidanza, tendeva a mutarsi in affetto materno. Il medico le aveva detto che il suo stato di salute era eccellente non essendovi alcunché di irregolare. Poteva perciò continuare a cavalcare fintantoché la sella non le fosse diventata scomoda. «Te ne accorgerai tu stessa quando non riuscirai più a cavalcare,» le aveva detto con un sorriso. «E potrai far parte delle squadre di difesa a terra fino al quinto mese. Dopodiché, sarà meglio evitare di portare per ore ed ore il peso del lanciafiamme.» Sorka non aveva ancora trovato il momento propizio per informare Sean della imminente paternità. Temeva la sua reazione. Avevano lavorato abbastanza per assicurarsi la Tenuta di Killarney, ma la Caduta dei Fili aveva bloccato la realizzazione del loro progetto. Fin dalla prima Caduta, Sean non aveva mai più accennato a Killarney, anche se ciò non significava certo che non ci pensasse più. Di tanto in tanto, Sorka gli scorgeva uno sguardo distante negli occhi assorti. Si aspettava che il giovane ne avrebbe di nuovo parlato quando suo padre gli avrebbe restituito Cricket dopo averlo utilizzato nella sua scuderia per la monta. Ma non lo aveva fatto. In un momento come quello, nel quale tutti lavoravano il doppio per far sì che i servizi essenziali funzionassero a dovere, pochissime persone avevano il tempo di pensare agli interessi privati. Sean e Sorka trascorrevano il poco tempo libero a disposizione con i loro cavalli, che tenevano in forma con qualche galoppata fino ai pascoli risparmiati dalla devastazione, dove potevano brucare liberamente per qualche ora.
La porta principale del capannone si aprì lasciando entrare uno degli ingegneri dei Reparti di Sicurezza, ed istantaneamente vi fu un'animata reazione dalla galleria di spettatori alati. Sean ridacchiò sommessamente. «Qui la protezione civile non serve,» mormorò a Sorka. «Su, amore, andiamo. Tra cinque minuti dobbiamo essere in chirurgia.» I due allievi si allontanarono con riluttanza voltandosi più volte a guardare le uova maculate. Nell'attraversare uno dei corridoi, scorsero distintamente i carrelli che lentamente trasportavano lo shuttle Falena nella postazione stabilita per il decollo. «Credi che ce la faranno?», chiese Sorka a Sean. «Se la sono spassata abbastanza,» replicò lui acidamente. Nabhi Nabol e Bart Lemos si erano resi piuttosto impopolari dopo l'improvvisa ascesa al rango di Fondatori. «Tuttavia, non vorrei trovarmi nei loro panni!» Sorka sogghignò. «Yvonne, l'Eroina dello Spazio. Ricordi, Sean? Non me lo hai mai detto se ti aiutò a vincere la paura durante la caduta nella navetta.» Sean la scrutò a lungo, mentre un abbozzo di sorriso gli incurvava le labbra. Poi la cinse con un braccio attirandola al suo fianco. Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era dimostrare a te che non ero spaventato. Ma, accidenti se lo ero!» La sua espressione mutò di colpo e, fermatosi, fece voltare con forza la ragazza verso di lui tastandola con entrambe le mani e tendendo la tuta voluminosa sul corpo di lei. La fissò quindi con aria di accusa. «Perché non mi hai detto che sei incinta?» «Beh, mi è stato appena confermato,» rispose Sorka in tono provocatorio. «Lo sanno tutti tranne me?» Era furioso con lei; per la prima volta in tanti anni trascorsi assieme, aveva perso la testa per causa sua. Lampi di furore gli guizzavano negli occhi, e le mani indugiavano con ostinazione sulla vita di lei che già si andava ingrossando. «Nessuno lo sa oltre al medico, il quale mi ha detto che posso lavorare regolarmente almeno per altri tre mesi.» Gli tirò via una mano dal ventre per far sì che la lasciasse andare. «Ma c'è Killarney, e lo so che ci pensi...» «Tua madre lo sa?» «E quando mai ho l'opportunità di vederla? Metà dei bambini di Approdo sono affidati a lei, oltre al fatto che si deve occupare del mio ultimo fratellino. Tu sei l'unico a saperlo, ad eccezione del medico.»
«A volte mi sconcerti, Sorka,» disse Sean mentre la sua collera andava scemando. Scosse quindi la testa. «Perché hai aspettato per dirmelo? Ormai Killarney è qualcosa che appartiene al nostro futuro. Siamo obbligati a restare qui. Credevo lo avessi capito.» Le posò entrambe le mani sulle spalle scrollandola vigorosamente. «Io desidero essere il padre dei tuoi figli. E voglio che tu abbia soltanto i miei. Adesso, Sorka, amore mio! Solo non credevo di avere il diritto di chiederti un figlio da far nascere in un mondo minacciato come lo è ora il nostro.» La sua voce si abbassò a poco a poco in quel tono di speciale tenerezza che sempre la estasiava quando facevano l'amore. «No, questo è il momento migliore per avere un figlio. Qualcosa di nostro che entrambi avremo...» Non aggiunse 'nel caso che', ma Sean sapeva bene quel che pensava la sua donna e la strinse con forza ancora maggiore. Poi cercò il suo sguardo: la furia era stata sostituita dalla determinazione. «Immediatamente dopo il turno in chirurgia, andremo dinanzi a Cherry Duff. Questo sarà il figlio di due genitori, o io non mi chiamo più Sean Connell!» Sorka proruppe in una gioiosa risata che non si arrestò fino a quando non furono entrati nel reparto di chirurgia. 40. Ongola era stato incaricato di fare da arbitro durante le operazioni di revisione della navetta spaziale Falena. Nabhi Nabol dirigeva personalmente la squadra di tecnici richiesti: li interrompeva nei momenti cruciali delle riparazioni, pretendeva di sapere se quel circuito o quel segmento dello scafo erano stati controllati, e così di seguito. Pur possedendo una buona cognizione tecnica dei complicati sistemi di uno shuttle, preferiva demandare ad altri piuttosto che aiutare. La navetta Effimera, posta accanto alla Falena, era stata sezionata ed adibita ad uffici per Ongola, Fulmar e Nabhi. Alla postazione di Ongola confluirono una mezza dozzina di linee di comunicazione per consentire al Comandante di continuare a controllare la rete mentre si occupava della navetta. Fotogrammi trasmessi dalle sonde, mappe di esplorazioni, nonché diversi orari stabiliti per il lancio messi a disposizione di Nabhi, tappezzavano le pareti dell'ufficio. Nabol vi entrava spesso e vi si fermava a fissare meditabondo le orbite, pizzicandosi il labbro inferiore. Ongola lo ignorava. Lo stato di funzionalità della navetta si rivelò sorprendentemente eccel-
lente: in pratica non vi era alcun deterioramento dei circuiti interni. Ma ogni elemento dovette essere sottoposto ad un duplice controllo. Nella qual cosa Ongola fu pienamente d'accordo con Nabhi. La squadra di ingegneri diretti da Fulmar si trovava così ad essere caricata di tutto il peso che tale disposizione comportava, ma non fu proprio questo che irritò Stone. «Non mi opporrei a quello che mi ha chiesto,» disse Fulmar ad Ongola, «se solo lo avesse fatto educatamente. Avresti dovuto sentirlo: pareva che fosse lui a fare un favore a me. Sei proprio sicuro che sia un buon pilota come lui crede di essere?» «È bravo,» ammise Ongola con riluttanza. «Personalmente avrei preferito che la missione fosse affidata a Bonneau,» ribatté Fulmar Stone scuotendo tristemente il capo. «Ma con quella tenuta così vasta, i bambini, e tutto il resto, non posso dargli torto per aver rifiutato. Il fatto è che...» Si interruppe sollevando le grosse mani provate dalla fatica in un gesto di impotenza. «La missione deve riuscire ad ogni costo, Fulmar,» affermò Ongola dando una pacca d'incoraggiamento sulla spalla dell'amico. «E tu sei il più qualificato a garantirne il successo.» Nella tredicesima settimana successiva alla Prima Caduta, lo schema di attacco puntualmente seguito dai Fili, come previsto dagli addetti ai lavori, improvvisamente mutò la sua rotta smentendo i pronostici. Quando gli squadroni raggiunsero il punto previsto, che corrispondeva a dei territori prevalentemente disabitati, soltanto i nuclei di avanguardia scorsero in lontananza il fronte della Caduta. Questa si era abbattuta sulla regione posta molto più a settentrione della loro posizione: fu fin troppo facile avvistare la grigia macchia luccicante sulla linea dell'orizzonte. «Inferno e dannazione!», gridò Theo Force, affrettandosi a chiamare Ongola ad Approdo. «Quella roba maledetta si è spostata a nord, Zi. Occorrono rinforzi.» «Dammi le coordinate,» disse Ongola mentre impartiva rapidamente ordini e faceva cenno a Jake di mettersi in contatto con Dieter o Boris. «Portati in zona. Noi intanto mettiamo su uno squadrone o due per darvi una mano. Do' l'allarme a Drake.» Si riuscì quindi a rintracciare Boris, il quale eseguì alcuni rapidissimi calcoli. «Colpirà Calusa e Bordeaux. Pare che si sia spostata di cinque gradi a nord. È assurdo! Perché diavolo si è modificata così d'improvviso?» Non vi fu risposta alla sua domanda. Ongola interruppe la comunicazio-
ne. Poi, rivolgendosi a Jake, disse: «Hai il turno della settimana qui, Jake? Controlla dove si trova oggi Kwan. Io intanto chiamo Chuck Havers a Calusa.» Fu Sue Havers a rispondere alla chiamata. La notizia non mancò di sconvolgerla, ma la donna si riprese in breve dallo shock. «Allora abbiamo parecchie ore, non è così? E potrebbe anche mancarci? Speriamo! Non so dove lavora Chuck oggi. Grazie, Zi. E,» aggiunse in tono un po’ più preoccupato, «ci pensi tu ad avvertire Mary Tubberman, o la chiamo io?» «Ci manderemo Ned.» Ongola riattaccò. Non era cosa facile 'evitare' un genitore. Ned fu autorizzato ad aiutare sua madre ed i fratelli minori a combattere i Fili; se avesse deciso di aiutare anche suo padre in caso di emergenza, soltanto il resto della famiglia ne sarebbe stata testimone. Tubberman aveva fatto in fretta a rivestire di metallo i suoi edifici, sicché la tenuta poteva ritenersi al sicuro, sempreché le precauzioni adottate si fossero dimostrate efficaci. Non avrebbe comunque ottenuto altri aiuti. Ongola si mise in contatto con Drake e gli disse di non badare al Fondo di Tubberman. Sulle prime il pilota protestò dicendo che non bisognava lasciare un solo Filo su nessun terreno, che fosse vietato o no dalla sentenza contro Tubberman. «Ci sarà Ned a proteggere il Fondo con l'aiuto di sua madre. Drake; noi non possiamo aiutare Ted Tubberman.» «Ehi, ma si tratta dei Fili, Zi!» «Questo è un ordine, Drake!», ribatté Ongola con voce metallica.» «Signorsì!» Ongola informò allora Paul Benden ed Emily Boll del mutamento nello schema della Caduta. «Ezra dirà che questo dimostra che c'è un'intelligenza a dirigere i Fili,» osservò Paul rivolto ad Emily, con la quale andò a consultarsi. «Purtroppo, a quel che mi è parso di capire, questa faccenda ci sfugge di mano in ogni modo,» Emily con un sospiro. «Forse tra non molto ne sapremo di più.» Paul accennò con un movimento del capo alla pista dove il lancio della Falena era ormai al countdown finale. Nessuno dei tecnici era stato reclutato quale membro di rinforzo agli squadroni impegnati nella lotta ai Fili. La sicurezza della navetta era divenuta una questione di importanza primaria.
41. In virtù di una prassi ormai invalsa tra i Pernesi, Drake Bonneau si fermò a dare una controllata alla tenuta degli Havers sulla via del ritorno dalla coda della Caduta che aveva appena lambito Bordeaux aldilà del Giordano. Il pilota atterrò in un punto dal quale scorgeva l'abitazione dei Tubberman. «Ned e Mary erano usciti con i lanciafiamme,» riferì Chuck al capo dello squadrone, «e poi, chissà per quale assurda ragione, Ted li ha trascinati dentro casa. Non devono esserci stati grossi danni, o altrimenti ne avremmo visti gli effetti.» «Bene, vedo che qui è tutto a posto,» disse Drake con sollievo. «La squadra di terra è arrivata con molto anticipo. Ma qualcuno sa perché c'è stata questa modifica nello schema della Caduta?», domandò Sue. Sfinita dal combattimento, aveva bisogno di un po' di sicurezza. «No,» rispose Drake conservando l'allegria nel tono di voce, «ma è probabile che ce lo diranno!» Accettò una tazza della rinfrescante bevanda alla frutta che fu offerta a lui ed alla sua squadra dalla figlia maggiore degli Havers, dopodiché si accomiatò. Drake aveva obbedito all'ordine di Ongola di tralasciare il Fondo di Tubberman durante la Caduta ma, dopo quanto gli avevano detto gli Havers, era stato sopraffatto dalla curiosità. A suo parere tutti i Fili andavano distrutti, anche se cadevano sulla casa di uno che per legge doveva essere 'evitato'. I Fili non badavano ai conflitti umani: essi divoravano e basta. E Drake non voleva che un covo di quegli infernali nemici attecchisse per causa di restrizioni imposte dagli uomini. Sicché, non appena ebbe decollato, compì una lenta ricognizione al di sopra della dimora dei Tubberman. Avvistò Ned in piedi sul prato circostante alla casa. Questi prese a far cenni e a gesticolare con vigore, ma a quel punto Drake si sentì obbligato ad eseguire gli ordini e virò a nordovest, in direzione di Approdo. Si trovava nella sala da pranzo a mangiare un boccone in tutta fretta quando Ned lo trovò. «Tu lo hai visto, Drake, lo so! Devi averlo visto,» lo investì Ned, e in preda all'eccitazione gli tirò una manica per farlo alzare in piedi. «Forza, Drake, devi dir loro cos'hai visto.» Drake liberò il braccio dalla presa di Ned. «Dire cosa e a chi?» La sua forchetta infilzò un altro boccone bollente che subito portò alla bocca. Combattere contro i Fili gli procurava ogni volta un appetito incredibile.
«Dì a Kwan, a Paul e ad Emily, quello che hai visto.» «Io non ho visto niente!» Poi, tutto d'un tratto, un lampo gli illuminò la memoria: Ned in piedi su un quadrato verde circondato completamente da terra bruciata. «Io non credo a quello che ho visto!» Si pulì la bocca, e continuò a masticare automaticamente mentre si sforzava di ricomporre quel ricordo. «Ma i Fili erano appena passati sulla vostra proprietà, e Chuck e Sue hanno visto tuo padre impedirvi di usare i lanciafiamme!» «Esatto!» Il volto di Ned si illuminò di un sorriso esultante e di nuovo il giovane Tubberman diede uno strattone al braccio di Drake. Il capo dello squadrone si alzò e lo seguì fuori della stanza. «Voglio che tu dica loro ciò che hai visto per avvalorare le mie dichiarazione. Io non so cosa papà abbia fatto.» Il sorriso svanì e con esso parte dell'ottimismo di Ned Tubberman. «Lui dice che il suo isolamento agisce nei due sensi. La mamma mi ha detto che passa ore ed ore rinchiuso nel laboratorio senza permettere a nessuno di avvicinarsi. I miei fratelli e mia sorella stanno quasi sempre da Sue, ma la mamma non vuole lasciare papà, anche se non sta mai in casa. È lei che si occupa di far andare avanti la tenuta.» «Tuo padre sta facendo degli esperimenti?» Drake era confuso. «Beh, è un botanico esperto. Una volta ha detto che, nell'attesa dei soccorsi, l'unica difesa era il pianeta stesso.» Ned rallentò il passo. «È - in qualche modo - quel pezzo di terreno deve essersi difeso da solo contro la Caduta di oggi, perché è ancora là, intatto!» Drake riferì tutto quanto a Kwan, Paul ed Emily, nonché a Pol e Bay convocati in fretta e furia. Ned insisté di aver visto i Fili cadere sulle piante tutt'intorno alla casa, ma queste non erano né avvizzite né erano state ingerite; e continuò dicendo che, quando Drake aveva sorvolato il fondo, non vi era la minima traccia del passaggio dei Fili su quel rettangolo di venti metri per dodici. «Non posso avanzare alcuna ipotesi su come abbia fatto,» disse infine Pol, guardando Bay in cerca di approvazione. «Forse è riuscito ad adattare il programma di base elaborato da Kitti Ping a qualche forma di vita meno complessa. Da un punto di vista professionale ho dei dubbi in merito.» «Ma io l'ho visto!», insisté Ned. «Ed anche Drake.» Seguì un lungo silenzio che fu infine Emily ad interrompere. «Ned, noi non nutriamo alcun dubbio su di te, o sulla verifica di Drake ma, proprio come ha detto tuo padre, l'isolamento agisce nei due sensi.» «Siete orgogliosi al punto da non volergli chiedere cos'abbia fatto?», esplose Ned, che era impallidito sotto l'abbronzatura, mentre le narici gli si
allargavano per l'indignazione. «L'orgoglio non c'entra,» disse Emily con garbo. «La sicurezza, quella sì. Tuo padre è stato isolato perché ha violato la volontà della colonia. Se tu sei in grado di affermare sinceramente che abbia cambiato il suo atteggiamento, allora potremmo discutere l'eventualità di una sua riabilitazione.» Ned avvampò in volto, poi abbassò rapidamente gli occhi per sfuggire allo sguardo tollerante della Governatrice. Trasse quindi un profondo sospiro. «Non vuole aver nulla a che fare con Approdo e tutti coloro che vi si trovano.» A quelle parole si aggrappò con forza al bordo del tavolo e si protese verso Emily. «Ma ha fatto qualcosa di incredibile. Drake l'ha visto.» «Sì, è vero. Ho visto il terreno coperto di vegetazione laddove non avrebbe dovuto esserci più nulla,» ammise Drake. «Tua madre potrebbe fornire una testimonianza per conto suo?», domandò Paul cercando una scappatoia onorevole per Ned. «Mamma dice che lui parla soltanto con Petey, il quale ha giurato di mantenere il segreto, e perciò non ha fatto pressione su di lui.» Per un lungo istante la faccia di Ned si contrasse in uno spasmo d'angoscia, poi finalmente si rasserenò. «Glielo chiederò. E lo chiederò anche a Petey. Voglio tentare!» «Non è stato facile neppure per te, Ned,» disse Emily. «Tutti noi desideriamo che questa faccenda si risolva nel migliore dei modi.» Gli toccò la mano che ancora stringeva il bordo del tavolo. «Abbiamo bisogno di tutti in questo momento.» Ned la guardò dritto negli occhi e annuì lentamente. «Le credo, Governatrice Boll.» 42. «A volte i doveri che impone la mia carica sono assai più gravosi dei benefici,» mormorò Emily a Paul mentre il portello della navetta si chiudeva su Nabhi Nabol e Bart Lemos. La Governatrice parlava in tono sommesso poiché tutti i giovani che facevano parte dello squadrone di Nabhi erano venuti a salutare il loro capo. Emily si volse verso di loro sorridendo, dopodiché si allontanò dalla pista seguita dagli altri per raggiungere le più sicure corsie laterali. Lì attese il decollo insieme ai tecnici. L'attesa durò a lungo, e sia Paul che Emily guardarono più volte la Torre
di Controllo con fremente impazienza. Proprio quando entrambi erano giunti alla conclusione che Nabhi avesse deciso di rinunziare alla missione - cosa che avevano già sospettato in precedenza - udirono il rombo dell'accensione e videro la fiamma bianca e gialla fuoriuscire dagli ugelli. «Ottima accensione,» urlò Paul nel fragore assordante. Emily si limitò ad annuire tappandosi le orecchie con le dita. La Governatrice non possedeva molte cognizioni sulla meccanica delle navette spaziali, ma i giovani tecnici lì intorno sorridevano ed agitavano le braccia trionfalmente. L'espressione di sollievo sulla faccia di Fulmar risultava quasi comica. La navetta iniziò allora maestosamente la lunga corsa sul terreno della pista sfrecciando fino a raggiungere una velocità sensazionale. Con uno scatto improvviso ma non per questo privo di grazia, i motori la sollevarono in aria. La fiamma si perse nell'azzurro del cielo mentre gli spettatori si schermavano gli occhi contro il bagliore del sole nascente. Poi, gonfia, sbocciò la scia di condensazione, fluttuando come un tracciante. I tecnici che avevano reso possibile tutto ciò lanciarono grida di esultanza e si congratularono l'un l'altro. «Buon Dio, è bello far volare di nuovo un uccello!», gridò uno degli uomini. «Ehi, cos'hanno quelli?», aggiunse poi, indicando numerosi stormi di draghetti sbucati fuori dal nulla che sorvolavano la pista a bassa quota e cinguettavano curiosamente. «Chi è che sta per avere un bambino?», domandò Fulmar. Lo sguardo di Emily incrociò quello di Paul. «Noi», disse la Governatrice scivolando rapidamente nella slitta. «Vedi? Si dirigono al Terreno della Schiusa.» Alzando gli occhi in direzione di Approdo, non vi era alcun dubbio che gli stormi di draghetti stessero avanzando in quella direzione. Nessuno più rimase sulla pista. Il tetto del capannone che ospitava il Terreno della Schiusa era gremito di creature pigolanti. Ma quella cacofonia non irritava di certo, anzi eccitava ancor più la popolazione. Quando Paul ed Emily giunsero sul posto, dovettero farsi largo tra la folla per guadagnare le doppie porte aperte. «Un benvenuto inneggiato da un coro a novecento voci!», commentò Emily in un sussurro a Paul mentre si avvicinavano al margine della calda distesa di sabbia. Giuntivi, si arrestarono di colpo, intimiditi dalla portata dell'evento che, stava per verificarsi all'interno del recinto. Kitti Ping aveva lasciato precise istruzione su chi dovesse presenziare alla nascita. Sessanta giovani di età compresa tra i diciotto e i trent'anni, i
quali avevano già mostrato un certo feeling con i draghetti, ebbero il privilegio di collocarsi intorno al circolo di uova. Wind Blossom, Pol, Bay e Kwan, si sistemarono invece lateralmente su una piattaforma di legno, con i volti accesi dall'impazienza. Il canto intonato dai draghetti all'esterno del capannone dava un senso di giubilo, mentre il pigolio di quelli che avevano trovato spazio per appollaiarsi all'interno suonava come un sommesso incoraggiamento, quasi riverente. «Non possono sapere ciò che aspettiamo oggi, vero, Paul?» «Il giovane Sean Connell - Paul indicò il punto nel quale il giovane si trovava al fianco della moglie attorno alle uova - preferirebbe che tu credessi il contrario. Ma, in fondo, i draghetti sono sempre stati attratti dalle nascite! Intendono proteggere i piccoli da un eventuale attacco.» Da più punti dell'arena venne chiesto di far silenzio non appena si udì il tipico scricchiolio di un guscio che si incrinava. Un uovo rotolò appena, ed il movimento suscitò sussurri di eccitazione. Emily incrociò le dita in segno di scongiuro nascondendole nelle pieghe dei pantaloni, e non mancò di notare con un sorrisetto che altri stavano facendo la stessa cosa. Quante speranze erano riposte sugli avvenimenti di quel giorno, sulla prima schiusa e sull'impresa che Nabhi Nabol era stato incaricato di portare a termine! Un altro uovo si incrinò ed un terzo dondolò. Il coro dei draghetti si fece particolarmente insistente, facendo vibrare una corda di ansiosa eccitazione nell'animo di ciascuno dei presenti. Poi, tutto d'un tratto, un uovo si infranse e ne emerse una creature madida degli umori della nascita; la creatura scrollò le ali ripiegate e incespicò contro il guscio con un allarmato stridio. I draghetti le risposero con pigolii di assicurazione. I giovani che attorniavano l'anello di uova rimasero immobili al loro posto, ed Emily fu sorpresa dal loro coraggio poiché la goffa creatura non era affatto quell'essere grazioso che si era attesa di vedere, ma una bestia il cui ricordo si perdeva nelle vecchie leggende e nelle illustrazioni conservate nei tesori della biblioteca. Emily trattenne il respiro e quindi espirò alla svelta. La creatura spiegò le ali che si rivelarono più larghe e sottili di quanto avrebbe immaginato. L'essere aveva una forma estremamente affusolata e sgraziata, e gli occhi strutturati in maniera stranissima guizzavano di lampi rossi e giallastri. Emily avvertì un impulso di allarme. La creatura emise un grido disperato al quale fece eco il coro di molteplici voci intese ad ac-
quietarla. Arrancò nell'avanzare con voce implorante, e poi, d'improvviso, il grido si mutò in un'esplosione di gioia manifestata con un dolcissimo acuto. Un altro passo barcollante e la creatura cadde ai piedi di David Catarel, il quale si chinò ad aiutarla. Il giovane alzò gli occhi spalancati dalla meraviglia. «Vuole me!» «Ed allora accettalo!», gridò Pol, e con un cenno invitò uno dei dispensieri a farsi avanti con una scodella di cibo. Dagli da mangiare! No, non farti aiutare da nessuno. Il vincolo va formato adesso!» Inginocchiatosi vicino alla bestiola, David offrì al piccolo drago un pezzo di carne. Questi lo trangugiò all'istante richiedendone subito un altro con stridule grida e premendo imperiosamente la testa contro la gamba di David. «Dice che è molto affamato,» gridò David. «Mi sta parlando. Nella mia testa! È incredibile! Ma come ha fatto, Kitti?» «Allora ha funzionato! C'è il contatto telepatico!», mormorò Emily a Paul, il quale annuì con l'aria di chi non è affatto sorpreso. «Però, accidenti se è brutto!», disse l'Ammiraglio con un filo di voce. «Probabilmente neppure tu eri una bellezza quando sei nato,» disse Emily sorprendendosi di se stessa. Poi sorrise alla rapida occhiata sbigottita dell'uomo. David sospinse il suo nuovo amico fuori dalla cerchia di persone verso il bordo del Terreno della Schiusa, chiedendo ai dispensieri dell'altro cibo. «Polenth dice che non sta morendo di fame.» Bay aveva ordinato un'abbondante quantità di carne rossa, macellata dagli animali che si erano adattati bene ai foraggi pernesi migliorati. I giovani draghetti abbisognavano di molto boro per una crescita regolare nei primi mesi di vita, e la sostanza veniva assorbita principalmente dalla carne bovina. Un altro uovo si schiuse, ed un secondo maschio bronzeo si diresse senza esitare verso Peter Semling. Uno stridulo assolo si levò dallo stormo di draghetti di Peter. Seguì poi un lungo periodo di stasi ed un mormorio preoccupato si diffuse tra gli astanti. Poi, improvvisamente, altre quattro uova si schiusero, e due di queste rivelarono delle creature inaspettatamente deliziose, un'aurea ed un bronzeo, che scelsero quali loro partner rispettivamente Tarrie Chernoff e Shih Lao. Gli altri due neonati erano due marroni dall'aria robusta che andarono ad appaiarsi con Otto Hegelman e Paul Logorides. «Dovrebbero schiudersi tutte oggi?», domandò Emily a Paul.
«Andiamo a consultare Pol e Bay,» suggerì l'Ammiraglio. Insieme si mossero verso destra e, mentre procedevano diretti alla pedana di legno, si fermarono ad ammirare il bronzeo di David Catarel ancora intento ad ingurgitare pezzi di carne con una rapidità tale che pareva li inalasse. David appariva estasiato. «Beh, potrebbero anche schiudersi tutte quante oggi,» rispose Pol quando lo ebbero raggiunto. Il biologo dissimulava bene l'inquietudine che lo turbava. Wind Blossom, invece, appariva totalmente assente, ed a stento accolse il silenzioso saluto dell'Ammiraglio e della Governatrice. «Secondo il programma, dovrebbero schiudersi entro trentasei ore,» spiegò Pol. «Le sei uova che si sono già schiuse appartenevano al primo ed al secondo gruppo. Forse ci sarà da aspettare. Dalle nostre osservazioni sui draghetti selvatici, abbiamo appreso che la deposizione delle uova può richiedere parecchie ore. Sospetto che le verdi e le auree somiglino in questo ad una specie di vipera della Terra che trattiene le uova nel suo corpo finché non trova un luogo appropriato, o il tempo disponibile per deporle. Sappiamo che le uova covate naturalmente si schiudono più o meno simultaneamente. Questo,» disse poi indicando il Terreno della Schiusa, «è un omaggio al rispetto che Kitti Ping nutriva per l'habitat delle specie ancestrali. Ah, se ne sta schiudendo un altro.» Pol consultò la velina che teneva nella mano. «Appartiene al terzo gruppo!» «Sei maschi, ed una sola femmina,» disse piano Bay. «Francamente avrei preferito un maggior numero di femmine. Cosa ne pensi, Blossom?» «Ci basta avere un solo maschio ed una sola femmina perfetti,» disse Wind Blossom con voce controllata. Nascondeva le mani nelle larghe maniche, ma il suo volto appariva solcato da rughe di profonda tensione ed ombre pensierose le offuscavano gli occhi. «Il bronzeo di Peter Semling sembra molto robusto,» disse Emily con ottimismo. Wind Blossom non espresse commenti, e continuò a fissare le uova. «Li immaginava così?», domandò posando gli occhi su Pol e Bay. «No,» ammise quest'ultima, «ma era Kitti ad averne in mente l'immagine. Se soltanto...» Esitò. «Ah, un'altra aurea. Credo che Kitti Ping abbia reso imperative le scelte del partner. Questa è di Nyassa Clissmann. Che creature affascinanti!» Emily non riusciva a scorgere tanto fascino nei piccoli draghi, ma era assai lieta di vederne tanti in vita. Cosa aveva immaginato Kitti Ping quando aveva operato quelle modifiche agli ovuli dei draghetti? Quelle creature non somigliavano a nessun genere di drago che Emily conoscesse. Eppure,
inattesa, le apparve la fulminea visione di un cielo affollato di quelle creature; le vide librarsi in alto ed tuffarsi, ed alitare fuoco. Forse una visione simile aveva illuminato la mente di Kitti Ping? «La navetta!», disse Pol all'improvviso. «L'ho forse sentita decollare?» «Sì, ce l'ha fatta,» rispose Paul. «Ongola ci terrà informati. Non abbiamo carburante sufficiente per un volo diretto. La navetta dovrà procedere per forza di inerzia per una settimana prima di raggiungere la scia.» «Oh, capisco» Pol focalizzò nuovamente la sua attenzione sulle uova. Nella sala ci fu un certo movimento in quanto alcune persone dovettero far ritorno alle loro attività o completare i lavori lasciati incompiuti, mentre nuovi spettatori prendevano posizione al posto loro. Del cibo fu portato ai biologi ed ai due capi, nonché delle panche di legno su cui sedere. Wind Blossom rimase in piedi. Del cibo fu anche distribuito al circolo degli speranzosi cavalieri di draghi. Il coro di incoraggiamento dei draghetti non accennava a scemare, ed Emily si domandò perché i piccoli amici continuavano con la loro melodia. Si era già fatto buio quando vi fu un nuovo movimento, dopodiché, tutto d'un tratto, un marrone e due auree sgusciarono fuori dalle loro uova. Marco Galliani ebbe il marrone, e Kathy Duff e Nora Sjbi le due auree. Entusiasti cinguettii commentarono l'evento. La folla all'ingresso cominciò ad assottigliarsi, mentre i draghetti inamovibili seguitavano ad intonare il canto di incoraggiamento. Emily era stanca e, come lei, anche gli altri accusavano la fatica. Era quasi addormentata quando Catherine Radelin-Doyle impose l'imprinting alla sua aurea. «Le femmine fanno sempre coppia con donne?», chiese Emily a Pol. «E i maschi con gli uomini?» «Giacché ci si aspetta che i maschi si dedichino alla lotta e le femmine alla nidiata, Kitti ha seguito una certa logica.» «Una sua logica,» disse Emily alquanto perplessa. «Non vedo azzurri né verdi tra i draghi,» realizzò d'un tratto. «Kitti ha programmato i maschi più pesanti, ma credo che rechino lo sperma di tutte le varietà della specie. I verdi saranno i più piccoli, più agili nel combattimento; gli azzurri, più robusti, avranno una maggiore resistenza; mentre i marroni, unità d'appoggio, saranno dotati di resistenza ancora superiore. Dovranno combattere dalla quattro alle sei ore, ricordalo! I bronzei saranno al comando e le auree...» «Resteranno a casa a covare le uova.» Pol guardò a lungo Emily, il volto stanco ora esterrefatto per il suo sar-
casmo. «Tra i draghetti selvatici, le verdi non hanno un istinto materno molto sviluppato. Le auree sì,» intervenne Bay con un'occhiata un po’ irritata alla Governatrice. «Kitti Ping ha inteso conservare il più possibile i loro istinti naturali. O almeno, così ci sembra di capire dal suo programma.» 43. «Perfetto!» esclamò Nabhi appoggiandosi allo schienale della poltrona di comando, il volto bruno animato da un'intima soddisfazione. «Kenjo non era il solo pilota capace di risparmiare carburante.» Bart lo guardò sorpreso e confuso, «Risparmiarlo per cosa, Nabhi?» Il tono risultò più aspro di quanto avesse voluto, ma fu un effetto della tensione che lo attanagliava senza accennare ad allentarsi. Non che Nabhi non gli ispirasse fiducia quale pilota: Nabhi era in gamba, o altrimenti Bart non avrebbe mai preso parte a quella folle impresa, neppure per la terra migliore di tutto Pern. «Per manovrare,» disse Nabhi. Il sorriso beffardo del pilota non contribuiva affatto ad alleviare l'inquietudine di Bart. «Dove? Tu non... non sarai mica diventato pazzo al punto da voler atterrare su quel fottuto pianeta?» La mano di Bart corse al meccanismo di sganciamento della cintura di sicurezza, ma l'indolente cenno di diniego di Nabhi fece abortire quel tentativo. «Non è possibile. Sono venuto soltanto a prelevare quei bozzoli o cosa diavolo sono.» Il suo sorriso si allargò e Bart si stupì per l'ironia che vi lesse. «La nostra rotta è fondamentalmente la stessa che ha seguito Avril.» Volse quindi la testa per guardare dritto negli occhi il suo aiuto pilota. «E allora?» «Hanno detto che la Mariposa è saltata in aria.» Il sorriso di Nabhi era adesso pura malignità. «Accendi gli schermi. Dovrebbero apparire dei relitti interessanti. Diamanti, pepite d'oro, e tutto il ben di Dio che Avril si era portata dietro. Nessuno ha bisogno di sapere cos'altro abbiamo raccattato nello spazio. E sicuramente ci conviene prelevare quella roba da soli.» Verso mezzanotte, Pol e Bay decisero di esaminare le uova rimaste, e presero lentamente a fare il giro. Delle pedane di legno erano state portate dentro affinché i candidati vi si riposassero sopra giacché il calore della sabbia era veramente snervante. Nessuno dei giovani selezionati intendeva
perdere l'occasione di imprimersi su un piccolo drago, allontanandosi dal Terreno. Quando i due biologi tornarono alla loro postazione, Pol scuoteva la testa e Bay sembrava abbattuta. Quest'ultima si avvicinò immediatamente a Wind Blossom e le toccò un braccio. «Il resto del primo gruppo non mostra segni di vita. Beh, però i risultati sono già migliori delle previsioni. Nelle altre uova abbiamo rilevato segni vitali. Non ci resta che aspettare. Non sono stati concepiti tutti nello stesso istante.» Wind Blossom rimase in silenzio nella sua statuaria immobilità. 44. La guancia adagiata sul braccio di Sean, Sorka si era addormentata appoggiata a suo marito. Questi le sfiorò il costato per risvegliarla. La ragazza rispose immediatamente alla sollecitazione, subito consapevole della situazione nella quale si trovava. Sean indicò l'uovo più grosso deposto proprio davanti a loro. Il giovane aveva occupato quella posizione fin dall'inizio e finalmente, dopo la lunga veglia, l'uovo cominciava a rotolare lentamente. «Che ore sono?», gli chiese Sorka. «È quasi l'alba. Non ci sono stati altri movimenti. Ma ascolta i draghetti. Ascolta Blaze. Non avrà più voce in gola!» Si erano accorti subito della presenza dei loro draghetti, e Sorka era stata immensamente rincuorata dai costanti incoraggiamenti dei loro amici alati. «Quell'uovo laggiù si sta muovendo spasmodicamente almeno da due ore,» disse Sean con voce calma. «Quell'altro ha dondolato per un po’, poi si è fermato completamente.» Sorka si sforzò di trattenere uno sbadiglio, ma obbedì all'impulso provandone un certo giovamento. Avrebbe voluto stiracchiarsi per bene, ma un altro 'candidato' le stava raggomitolato sulle gambe, in preda ad un sonno profondo. Gli altri giovani più in là cominciavano a svegliarsi. Mentre Sorka si era assopita, l'Ammiraglio e la Governatrice si erano allontanati. Pol e Bay si appoggiavano l'uno all'altra e Kwan sonnecchiava, la testa ciondolante sul petto, le braccia adagiate in grembo. Wind Blossom non si era mossa da quando aveva iniziato la sua vigile guardia. «È incredibile!», disse Sorka distogliendo lo sguardo dalla ferrea genetista.
Uno scricchiolio di singolare intensità fece sobbalzare tutti, e l'uovo davanti a Sean e Sorka si dischiuse separandosi in due metà frastagliate. Il piccolo bronzeo che ne uscì con passo imperioso, sollevò la testa, ed emise un suono simile allo squillo di una tromba che attirò l'attenzione di tutti. Sean era in piedi e Sorka gli spinse le gambe per farlo avanzare verso il drago. Gli occhi di Sean incontrarono quelli della creatura, ed il giovane emise un rauco e incredulo grugnito, quindi si mosse incontro alla bestiola. Lo stormo di draghetti esultava con inni trionfali. «La carne, presto,» gridò Sorka, e fece cenno ad uno dei dispensieri sonnecchianti. Sperando che il caldo del capannone non avesse irrancidito la carne, Sorka corse incontro all'uomo, gli tolse di mano il recipiente e tornò da Sean gettandoglielo tra le mani. Non aveva mai visto quello sguardo letteralmente rapito negli occhi del suo amato. «Dice di chiamarsi Carenath, Sorka. Conosce il suo nome!» Sean trasferì il cibo dal recipienti nella bocca di Carenath con la massima rapidità. «Dell'altra carne. Presto! Occorre dell'altra carne.» Tutti nel Terreno della Schiusa furono ridestati dalla sua voce vibrante. Poi, anche l'altro uovo si aprì, ed una femmina aurea ne emerse cinguettando e guardandosi attorno con premura. Sorka era troppo occupata a passare le ciotole di carne a Sean per accorgersene, fino a quando non fu Betsy a richiamare la sua attenzione con uno strattone al braccio. «Sta cercando te, Sorka. Guardala!» Sorka volse il capo, ed anche lei sentì l'impatto incredibile di un'altra mentre sulla sua, una mente che gioiva nel trovare il suo eguale, la sua compagna per la vita. Sorka fu pervasa da un'esaltazione che fu quasi dolorosa. Sorka, il mio nome è Faranth! 45. «Abbiamo appreso un mucchio di informazioni dalle uova che non si sono schiuse,» riferì Pol ad Emily e Paul quando, due sere dopo, presentò loro la relazione assieme a Bay ed a Wind Blossom. «Fin qui tutto bene?», chiese Paul pieno di speranza. «Oh, sì, tutto è andato benissimo!», rispose Bay con entusiasti sorrisi e vigorosi cenni del capo. Wind Blossom, esibì un sorriso compassato. L'aria di impenetrabilità che l'aveva circondata nel Giorno della Schiusa era stata scambiata per una distante superiorità.
«Allora siete convinti che i diciotto piccoli draghi diverranno tutti adulti sani e robusti?», domandò Paul a Wind Blossom. La donna inclinò la testa da un lato. «Dobbiamo aspettare con pazienza che raggiungano la maturità.» «Ma saranno veramente in grado di produrre fiamme grazie all'ingestione di rocce contenenti fosfina? E sapranno andare nel mezzo come fanno i draghetti?», le chiese ancora Paul. «Io, personalmente, sono molto incoraggiato,» disse Pol, colmando il silenzio di Wind Blossom. «Ed anche Bay lo è, per il fatto che il nostro trattamento ha dato vita ad un forte legame empatico e ad una perfetta comunicazione telepatica.» «Un autentico contatto mentale,» aggiunse Bay con un sorriso di soddisfazione. «Particolarmente forte nel caso di Sorka e Sean.» «I draghi sono stati progettati,» intervenne pomposamente Wind Blossom, «per ricevere lo Schema di Apprendimento da esseri diversi da quelli delle loro specie ancestrali. In questo senso, il programma ha avuto successo.» Sollevò una mano. «Dobbiamo contenere la nostra impazienza ed impiegare tutte le nostre capacità per ottenere un esemplare perfetto.» «L'imposizione dello Schema di Apprendimento costituiva l'aspetto più importante,» disse Pol, corrugando appena le sopracciglia castane. «Per il resto, sappiamo che i draghetti si teletrasportano con la stessa naturalezza con la quale respirano.» «I draghetti,» disse Wind Blossom con freddezza. «Bisogna vedere se anche i draghi ci riusciranno.» «Kitti Ping non ha modificato questa loro abilità. Naturalmente dovranno essere sottoposti a controlli ed eventualmente a perfezionamenti,» continuò Pol. Lo studioso non gradiva l'atteggiamento disfattista di Wind Blossom, e il suo rifiuto nel riconoscere i trionfali successi fin lì conseguiti. «Mi fa molto piacere che i giovani Connell abbiano imposto entrambi lo Schema di Apprendimento. Con la loro esperienza nel campo della veterinaria e la loro competenza generale, per non parlare della comprovata abilità nel disciplinare gli stormi di draghetti, non avremmo potuto chiedere dei partner migliori.» Wind Blossom emise un rumore impercettibile che i presenti interpretarono come un segno di disapprovazione. «Sono molto qualificati,» disse Bay con inatteso calore. «Qualcuno dovrà pur iniziare.» «Il loro progresso dovrà essere controllato costantemente,» disse Wind
Blossom, «in questo modo sapremo quali errori evitare la prossima volta.» «La prossima volta?» Emily strabuzzò gli occhi dalla sorpresa, imitata da Bay e Pol. «Non so ancora se queste creature risponderanno al modello prestabilito, sia che questo sia naturale od elaborato artificialmente.» Il tono sepolcrale, rivelava i seri dubbi della genetista. «Come fai a non provare il minimo entusiasmo...», iniziò Pol in tono acceso. Un gesto deciso lo interruppe, e lo scienziato restò muto a fissare la collega. «Comincerò da capo,» disse Wind Blossom in un tono che quasi implicava il martirio. Pol e Bay la guardavano attoniti. «Da ciò che abbiamo appreso dall'autopsia eseguita sugli esemplari morti, non possiamo essere sicuri che quelli rimasti in vita siano fertili e capaci di riprodursi. Ed è questa la cosa più importante: riprodursi! Devo continuare a provare e a riprovare finché il successo non sarà garantito. Questo esperimento è solo l'inizio.» «Ma, Wind Blossom...», disse Pol confuso. «Venite, voi dovrete aiutarmi.» Con un gesto imperioso uscì dalla stanza. 46. Né i veterinari né gli xenobiologi disponevano di un criterio valido per giudicare lo stato di salute dei diciotto rappresentanti della nuova specie. Ma il vorace appetito dei draghi, il vivido colore della loro pelle camosciata e la disinvoltura con la quale svolgevano le varie attività fisiche - che consistevano principalmente nel trangugiare cibo e nello spiegare le ali furono interpretati come segni di buona salute. Nella prima settimana di vita, ciascun esemplare si era allungato di una ventina di centimetri ed era divenuto più paffuto; adesso i draghi avevano un aspetto assai più consistente. E, mentre le ali trasparenti diventavano via via più dure e solide, coloro che avevano nutrito qualche preoccupazione sulla loro fragilità, provarono un grande sollievo. I componenti dello staff medico di supporto guardavano affascinati i due Connell mentre facevano il bagno ai loro draghi di dieci giorni e con cura ne spalmavano d'olio la pelle. Grosse vasche dal fondo basso costruite in siliplas erano state collocate accanto all'abitazione di tutti i compagni di
draghi. Faranth sentiva su di sé gli sguardi ammirati degli osservatori. «Guarda come si pavoneggia, papà,» disse Sorka divertita mentre versava l'olio emolliente sulla parte di pelle desquamata tra le vertebre che le solcavano il dorso. «È qui che ti prude, Farrie?» Io mi chiamo Faranth ed è proprio lì che mi prude, disse il drago in tono frammisto di rimprovero e sollievo. Adesso comincia a prudermi sulla zampa posteriore. «Non le piace essere chiamata col diminutivo,» spiegò Sorka a suo padre, sorridendo con aria tollerante. «Ma, accidenti, se si gratta!» Una ruvida spazzola di setole era stata approntata per lo scopo, rigida abbastanza da sfregare la pelle e spalmarvi l'olio ma non tanto da irritarla, tenera e delicata com'era. D'improvviso, con una disattenta manovra delle ali luccicanti nella vasca, Carenath, il drago di Sean, fece praticamente la doccia a tutti i presenti. «Carenath, comportati bene!», esclamarono all'unisono Sorka e Sean nel medesimo tono aspro. Ero già pulita, idiota a pois, pensò Faranth in una eccellente imitazione di uno dei rimproveri preferiti di Sorka. Ero quasi asciutta, e adesso mi toccherà farmi spalmare l'olio un'altra volta. Sean e Sorka scoppiarono a ridere, poi si affrettarono a spiegare agli uomini fradici che il loro divertimento era stato suscitato da ciò che aveva detto Faranth, e non dalla birichinata di Carenath. Sean rivolse un cenno ai draghetti appollaiati sul tetto dell'abitazione, attenti osservatori dello spettacolo che si stava svolgendo di sotto. Pressoché istantaneamente, gli ospiti bagnati ebbero a disposizione degli asciugamani. «Sono delle creature servizievoli, Sean,» commentò Red Hanrahan mentre si asciugava le mani e la faccia e si scrollava gli abiti inzuppati. «E anche di grande aiuto per i giovani draghi, Red,» replicò Sean. «Pescano continuamente per questi affamati.» Ti causo tutto questo fastidio? Carenath era addolorato. «Niente affatto, tesorino,» lo rassicurò prontamente Sean carezzandogli amorevolmente la testa che teneva reclinata con aria malinconica. «Non dire sciocchezze. Tu sei giovane: è normale che abbia fame, e spetta a noi nutrirti.» Red cominciava ad abituarsi alle frasi improvvise e apparentemente prive di sequenza logica che spesso sua figlia e suo genero pronunziavano; gli altri però ne erano sconcertati. Faranth urtò Sorka con la testa in cerca di
sicurezza e, quando la sua compagna le dimostrò tutto il suo affetto, i suoi occhi assunsero l'azzurra tonalità della soddisfazione. «Non possono essere ancora cavalcati? E procurarsi il cibo da soli?», domandò Phas Radamanth. «Un puledro non si cavalca, neppure se è bello grosso,» ribatté Sean mentre spandeva l'olio sulla chiazza ruvida che si distingueva sull'ampio dorso di Carenath. «Il programma di Kitti Ping consiglia di aspettare un anno intero prima di provarci.» «Possiamo permetterci di aspettare tanto perché divengano adulti?» La Caduta dei Fili e la necessità di combatterli non abbandonavano mai la mente di nessun pernese. «Io non ho mai forzato un cavallo,» disse Sean, «e non ho intenzione di iniziare adesso col mio drago. Ad ogni modo, vista la velocità con la quale crescono, e se otterremo la certezza che la loro struttura scheletrica - fatta di boro e silicio, quindi molto più solida di quella calcarea che abbiamo noi - si stia sviluppando in maniera appropriata, allora credo che saranno capaci di effettuare voli guidati come previsto dal nostro progetto.» Sean sorrise. «E magari allora saremo già vecchi, non è così?» La tenerezza, la preoccupazione, ed il profondo affetto che si avvertivano nella voce di Sean, erano quasi imbarazzanti. Red osservò sorpreso il giovane genero. Sicché l'imposizione dello Schema di Apprendimento aveva influenzato Sean Connell così com'era accaduto agli altri compagni di draghi. Persino Sorka, che si era sempre dimostrata capace e premurosa, sembrava in un certo qual modo galvanizzata, e trasudava una felicità raggiante che non poteva attribuirsi interamente alla gravidanza. Il giovane David Catarel era cambiato in maniera spettacolare. Profondamente traumatizzato sia mentalmente che fisicamente dalla Prima Caduta e dalla tragica morte di Lucy Tubberman, il giovane si era rinchiuso in un cieco autodisgusto ed in un'ineluttabile senso di colpa. Nessuna terapia intensiva era valsa a penetrare la massiccia barriera del suo isolamento mentale. David combatteva i Fili con una intensità pregna di vendetta che lo rendeva quasi temibile a guardarsi. Soltanto quando si era reso conto di quanto i draghetti fossero utili quale supporto delle squadre di terra, ne aveva tollerato il premuroso attaccamento. La rinascita della sua personalità era iniziata nel momento che Polenth gli aveva urtato il ginocchio. Con un sorriso limpido, David Catarel si era allontanato dalla sabbia tiepida abile e sollecito nell'aiutare il piccolo drago vacillante. Negli altri giovani i mutamenti caratteriali erano stati altrettanto
positivi, anche se l'abitudine che Catherine Radelin-Doyle aveva assunto da un po’ di tempo, e cioè l'abbandonarsi ad incontrollate sghignazzate per qualche muto commento della sua aurea compagna, lasciava tutti perplessi. Shih Lao, il quale aveva impresso lo Schema sul bronzeo Firth, esibiva anche lui frequenti sorrisi che raramente prima gli avevano illuminato il volto pensoso. Tarrie Chernoff aveva smesso di scusarsi per ogni inezia, e la balbuzie di Otto Hegelman era scomparsa completamente. «Vi fanno onore,» disse Caesar Galliani a Sean e Sorka. «Però, devo dire che anche Duluth, il drago di Marco, ha un aspetto altrettanto eccellente.» Sean sorrise al proprietario della Tenuta di Roma. «Già. Fin quando mangiano, dormono...» «Vengono lavati, coccolati, frizionati e grattati, non hanno proprio nulla di cui lamentarsi,» aggiunse Sorka con un'ultima strofinata al naso di Faranth. «E adesso, cara, perché non ti accoccoli e fai la nanna?» Carenath non ha ancora finito, si lamentò Faranth, mentre si spostava verso la piattaforma di cemento sintetico ben riscaldata dal sole e che lei preferiva come giaciglio. Mi piace adagiarmi addosso a lui. Avrei un po’ di languorino. Sorka infilò le dita tra gli incisivi ed emise un fischio penetrante. All'istante i draghetti svanirono. Ora sono tutto pulito, gridò Carenath, sollevandosi di colpo dalla vasca. Ammonito da Sean, non si scrollò a danno del pubblico, ma spiegò con cura le ali luccicanti di goccioline d'acqua e le tenne così, distese ed immobili contro la lieve brezza, mentre Sean, aiutato da Sorka, gli asciugava le parti inferiori. «Hai bisogno di qualcosa, Sean, mentre siamo qui?», domandò Red. «No, no,» disse Sean chino ad asciugare le guaine degli artigli. Il disegno di questi costituiva una delle poche modifiche fisiche apportate da Kitti Ping nella trasformazione dei draghetti in draghi. La forma più simile a quella di dita vere e proprie sarebbe risultata più utile, a parere della genetista, nell'agguantare gli animali in corsa, ed avrebbe consentito senz'altro una prensilità maggiore di quella concessa dalla sorta di chele di cui disponevano i draghetti. «Non appena avranno finito lo spuntino, ce ne concederemo uno anche noi.» «Una coppia favolosa,» osservò Phas Radamath volgendo a Red uno schietto sorriso. «Se quel bronzeo è fertile e l'aurea 'disponibile', potremo contare su una splendida generazione di draghi.» «Non lasciamoci trascinare troppo avanti dalle nostre speranze,» disse
Caesar voltandosi a guardare la scena alle sue spalle. «Wind Blossom raccomanda di essere molto prudenti circa questo primo gruppo di esemplari.» «E stata sua nonna a programmarli.» Phas parlò in tono fermo, arrestando i suoi passi a sottolineare l'intensità. «Però ha anche prodotto degli esemplari imperfetti che sono morti prima della schiusa.» «Diciotto draghi vivi è stato comunque un ottimo risultato e, dalla dissezione degli aborti, abbiamo tratto un mucchio di informazioni utili,» disse Phas. Stavano riprendendo a camminare, quando l'aria si riempì di draghetti, ciascuno con un abbondante carico tra gli artigli. I draghi sollevarono la testa, aprirono la bocca, e ricevettero ciò che veniva loro offerto come fosse un doveroso omaggio. I due uomini sorrisero, e proseguirono il giro mattutino. A spuntino ultimato, Faranth e Carenath si accinsero volentieri al pisolino da schiacciare insieme, Carenath con la testa triangolare adagiata sulle zampe anteriori ben distese e Faranth con la testa ed il collo comodamente appoggiati sulla parte posteriore del corpo di lui. La coda del drago aureo andava a sfiorare di tanto in tanto il muso di Carenath, mentre le ali tendevano a ricadere leggermente sulle terga. Il manto dei due draghi accuratamente unto d'olio luccicava sotto i raggi del sole. «Sai che felicità quando potranno procurarsi il cibo da soli!», mormorò Sean e Sorka mentre prendevano stancamente posto sul terreno all'ombra della parete orientale della loro abitazione. «Intanto,» disse Sorka mentre si allungava a prendere una brocca d'acqua, «non riusciremmo a cavarcela senza l'aiuto del nostro stormo di draghetti.» Con la mente inviò intensi impulsi di gratitudine a Duke, Emmett, Blazer ed agli altri. La loro risposta, silenziosa per rispetto dei draghi sonnecchianti, fu un distinto: 'Non c'è di che.' «Le esigenze dei draghi non sono mai state considerate dagli architetti di Approdo,» osservò Sean prendendo a sua volta la brocca. Lavare i draghi comportava un notevole consumo d'acqua. «Quando saranno cresciuti, bisognerà fare qualcosa. Ad Approdo non ci sono più posti sufficienti ad ospitare la gente, figuriamoci i draghi.» «Credi che le grotte di Catherine potrebbero costituire una sistemazione comoda? Ieri ne ha accennato di nuovo.» «Già, e poi si è messa a sghignazzare.»
I coniugi Connell si scambiarono degli sguardi divertiti e tolleranti. I compagni umani dei draghi si erano improvvisamente ritrovati come appartenenti ad un gruppo a sé stante, separati dagli altri in virtù della cura e della dedizione per quelle creature, nonché per i più intimi mutamenti avvenuti nella loro personalità. Pur fidando sul sostegno e nell'aiuto di tutti i membri delle squadre mediche, biologiche e veterinarie, preferivano discutere tra loro i problemi di minore rilevanza ottenendo, a loro parere, risultati migliori. Bisognava essere il compagno di un drago, per riuscire a valutare realmente i problemi che li riguardavano... e così pure per goderne appieno le gioie! Sorka si era accorta con orgoglio che l'opinione di Sean sembrava essere richiesta con maggiore frequenza dagli altri. Cosa, questa, che lei approvava. Sean aveva sempre dimostrato una sensibilità eccezionale verso gli animali, anche se, in realtà, i draghi non potevano essere chiamati col termine di 'animali'. Essi erano anche... umani. Persino la loro voce lo era. Quella di Carenath sembrava possedere il lieve tono baritonale della voce di Sean che giungesse all'orecchio passando attraverso un lungo tunnel. E Sorka sospettava che la voce di Faranth fosse una versione della sua. Fin dal momento in cui avevano portato i piccoli draghi nella Piazza d'Irlanda, Sorka si era accorta che riusciva a sentire sia Faranth che Carenath, mentre Sean udiva soltanto il suo Carenath. E la cosa pareva non infastidire nessuno dei due draghi. Fintantoché avevano la pancia piena e la pelle oliata, erano ben disposti nei confronti di qualsiasi cosa. Poi col consolidarsi del legame di Sean col suo drago, Sorka riuscì a captare una quantità sempre minore di scambi privati. Del resto, anche lei aveva imparato, come probabilmente tutti i compagni di draghi, a comunicare telepaticamente su una 'frequenza' privata. «Tra una settimana o due dovrebbero essere pronti a cacciare da soli... se riusciremo a rinchiudere gli animali in qualche recinto.» Sean cercò la mano di Sorka e, trovatala, la strinse forte, poi poggiò la sua sul ventre della moglie. «Tutto ciò non farà male al nostro bambino?» Sorka si sentì colpevole. Negli ultimi tempi non aveva mai pensato alla sua condizione: c'era sempre qualcosa da fare per Faranth o per qualcuno degli altri draghi. E, oltretutto, lei e Sean si occupavano ancora dell'assistenza ai draghetti feriti durante i combattimenti contro i Fili. «Il medico mi ha detto che sto bene e non mi ha vietato di cavalcare...», brontolò Sorka. «Credi che riusciremo ad insegnare ai draghi a volare nel mezzo, Sean?» La sua voce era bassa, e la mano ansiosamente avvinghiata
a quella del marito. «Ma, cara, il nostro non è mica un compito così difficile!» L'ignoto evidentemente non turbava più Sean. «Ma, Sean...» «Se noi sappiamo dove stiamo andando, allora lo sapranno anche loro. Lo leggeranno nella nostra mente. Loro vedono tutto. Cosa ti fa credere che sarà difficile comunicare la direzione del volo?» «Ma non sappiamo neppure in che modo lo fanno i draghetti!» Sean si strinse nelle spalle sorridendole. «No, non lo sappiamo ma, se le lucertole di fuoco sanno teletrasportarsi, ci riusciranno anche i draghi. Kitti Ping non ha compiuto alcuna manipolazione su questa facoltà. Non stiamo a preoccuparci inutilmente. E non preoccupiamo anche loro.» Sorka lo guardò con aria minacciosa. «Ed allora smettila anche tu di preoccuparti!», lo ammonì, agitando l'indice contro di lui. Sean rise, ed i suoi occhi azzurri scintillarono per il colpo a sorpresa di Sorka. Le prese quindi la mano e l'attirò stringendola a sé. Sorka si rincantucciò attingendo forza da lui ed offrendogliela al tempo stesso. La giovane non si era mai sentita così sicura di sé, così dinamica come in quel periodo, eppure vi erano dei momenti nei quali si sentiva assalita dal timore di perdere Faranth. Manifestò a Sean questa sua sensazione. «No, non devi temere,» le disse, e con una carezza le liberò il viso dai capelli bagnati di sudore. «Né io perderò Carenath. Sono nostri, e noi apparteniamo a loro.» Le sollevò il viso incrociandone lo sguardo, e con gli occhi le comunicò una carica d'amore e di sicurezza di una intensità tale che Sorka si sentì mozzare il fiato. Sean l'abbracciò di nuovo con forza. «Fin da quando siamo giunti su questo pianeta, Sorka, il nostro destino è stato segnato. O altrimenti, perché mai saremmo stati noi i primi a scoprire le lucertole fiammeggianti? Perché, tra tutta la gente che esplorava il pianeta, le lucertole sarebbero venute proprio da noi? Perché l'ultima creazione di Kitti Ping ha cercato noi tra la folla? No, abbi fiducia in te, in noi e nei nostri draghi.» La trattenne a sé ancora un istante per poi liberarla dalla stretta. «Credo che sia meglio affidare Cricket e Doove a tuo padre. Brian ha un'ottima intesa con Cricket.» Sorka sapeva che era necessario prendere una decisione a proposito dei loro cavalli; entrambi erano stati terrorizzati fin dall'inizio da quei draghi che dondolavano pesantemente. Red e Brian avevano trasferito i cavalli nella scuderia principale. In un breve sprazzo di ricordi, Sorka rivide i magnifici momenti vissuti in groppa alla cavalla baia, la maggior parte dei
quali li aveva condivisi con Sean in groppa al suo Cricket. Ma i draghi avevano la precedenza assoluta. «Sì,» la ragazza si sentì rispondere senza ulteriori rimpianti. «Non avrei mai immaginato che sarebbe giunto un giorno nel quale non avrei avuto più tempo da dedicare ai cavalli.» Guardò con amore la figura addormentata di Faranth e sorrise alla vista del gonfiore che le dilatava la pancia dorata, gonfiore che di lì a poco sarebbe scomparso. «Vedo a preparare qualcosa da mangiare.» Sean la baciò sulla fronte. Questa sua nuova esplicita affettuosità era uno dei vantaggi marginali guadagnati dall'incontro con Carenath, e Sorka sentiva di amare il suo uomo più che mai. Si appoggiò a lui respirandone l'odore virile mescolato all'aroma vegetale dell'olio usato per i draghi. «Prepara dei sandwich, amore,» le consigliò Sean. «Sta arrivando Dave Catarel al trotto. Se Polenth dorme, vedrai che tra un po' verranno anche gli altri.» 47. «Missione compiuta,» annunziò Ongola a Paul non appena l'Ammiraglio si mise in comunicazione col Comandante dall'abitazione di Emily, dove stava pregustando uno degli squisiti pranzetti di Pierre. La Governatrice lo aveva invitato a pranzo in quanto Ju era partita per la loro tenuta di Boca il giorno prima. «Nabhi si è appena messo in contatto. Bart Lemos ha raccolto un campione della sostanza. Però...» «Però cosa?», domandò Paul incrociando lo sguardo di Emily. «Però ci hanno messo un mucchio di tempo,» finì Ongola con un sospiro preoccupato. «Avrebbero dovuto raggiungere la scia già da un pezzo.» Ongola sembrava perplesso. «Ad ogni modo, hanno preso ciò di cui abbiamo bisogno: i bozzoli. E questa è la cosa più importante. Proprio in questo momento i fax stanno arrivando all'interfaccia. Ezra e Jim li analizzeranno domani.» «Sei ancora in contatto con la Falena?», gli chiese Paul aggrottando le ciglia. Ongola non era ancora guarito completamente dalle gravi ferite, e Paul si interessava a buon diritto della sua salute. Ongola sarebbe stato un uomo chiave nell'imminente lotta per l'autonomia e la sopravvivenza. «Sì, ma Sabra mi ha portato qui il pranzo.» Ongola si lasciò sfuggire una delle sue rare risatine, dopodiché si congedò dall'Ammiraglio interrompendo la comunicazione.
«Hanno ciò che ci occorre,» riferì Paul ad Emily mentre riprendeva posto a tavola. «Adesso posso godermi questo appetitoso pranzetto.» I primi boati si udirono all'alba del giorno seguente, abbastanza presto per sorprendere a letto la maggioranza della popolazione. Soltanto i giovani draghi non apparvero per nulla turbati dal fenomeno e continuarono a dormire tra la confusione degli umani agitati e terrorizzati. «Questo pianeta non ci lascerà mai in pace?», proruppe Ongola mentre usciva dal sacco a pelo ed a tentoni cercava la centralina. «È stato un terremoto?», gli chiese Sabra con voce assonnata. Aveva lasciato i bambini da un amica per potersi concedere qualche ora assieme a suo marito. Sabra sentiva il bisogno di un attimo di pace quasi quanto Ongola. E pensare che aveva firmato uno statuto che prometteva ordine e tranquillità! «Torna a dormire,» le disse Ongola mentre digitava. «Cosa dice Patrice, Jake?» domandò poi all'efficiente assistente. «Riferisce che i gravimetri hanno tutti registrato una certa attività nelle camere laviche lungo l'anello insulare. Non sa cosa stia per scoppiare, ma i dati sembrano preannunciare un'esplosione. Sta cercando di prevedere il punto d'uscita più probabile.» Subito dopo, Ongola telefonò a casa di Paul. «Non c'è riposo per chi è stanco, eh?», disse Paul in tono rassegnato. «Attività vulcanica lungo la catena!» «Catena un corno! Quel rombo l'ho sentito proprio sotto le mie orecchie, Ongola. E qui vicino ci sono ben tre vulcani a tenerci compagnia.» Ongola si era talmente abituato alla presenza di quelle vette, che si era dimenticato del tutto della minaccia che potevano costituire; anche se gli esperti erano stati tutti concordi nell'affermare che l'ultima eruzione del Monte Garben si fosse verificata circa un millennio prima. Verso mezzogiorno, Patrice fugò i più pessimistici timori con l'annunzio che un nuovo vulcano stava emergendo dai fondali marini aldilà della punta orientale della Provincia del Giordano. Dal Monte Young, che nei passati otto anni era stato continuamente sottoposto a controlli, stava fuoriuscendo una nuvola di fumo, gas e cenere, ma non si rilevavano aumenti nella pressione del magma. Un secondo scossone sotterraneo sorprese la popolazione a metà pomeriggio. Quando Patrice arrivò e parcheggiò la slitta nella Piazza dell'Amministrazione per andare a consultarsi con Paul ed Emily, una folla di gen-
te agitata ed impaziente si assembrò fuori dell'edificio in attesa di conoscere i risultati di quell'incontro. I due capi della colonia apparvero infine sul portico in compagnia di Patrice, il quale sorrideva ed agitava dei fax in entrambe le mani. «C'è un nuovo vulcano a cui dare un nome. È emerso dalle acque come Afrodite, ma con ciò non voglio insistere su questo nome in particolare,» gridò. «Dov'è?» «Oltre l'estremità orientale della Provincia del Giordano, inoffensivamente lontano da noi, amici.» Sollevò in alto la foto più grande in modo che tutti riuscissero a scorgere il mare agitato e la sommità fumante che ne sporgeva. «Sì, ma c'è sempre l'altopiano vulcanico sul quale siamo noi, ve lo siete scordato?», gridò un uomo tra la folla. Si volse e indicò il picco del Monte Garben alle sue spalle. «Quello potrebbe risvegliarsi. Non è così?» «Oh, certamente!», rispose Patrice con distacco, stringendosi nelle spalle. «Ma, a mio parere, è molto improbabile. Ha eruttato migliaia di anni fa, e non ci sono prove di una successiva attività vulcanica in questa zona. È un vulcano vecchio. Quelli giovani hanno ben più da dire, e lo stanno dicendo. Non fatevi prendere dal panico. Siamo al sicuro qui ad Approdo.» Il suo tono suonò così pieno di certezza che l'agitato mormorio scemò fino a cessare, e la folla si disperse. Durante il resto della giornata, vi furono sporadici brontolii, come Telgar definì i più lievi boati. In giro senza meta lungo le strade e le piazze di Approdo, si era reso disponibile per chiunque avesse bisogno di essere rassicurato. Dopo la morte di Sallah, era la prima volta che Telgar circolava tra la gente. Quella sera, una grossa rappresentanza della popolazione di Approdo si riunì nella Piazza del Falò da dove si levarono fiamme di insolite e quasi provocatorie dimensioni. «La nostra bella terra di Pern si è schiacciata un foruncoletto sul viso,» spiegò Tarvi metaforicamente ad un gruppo di giovani, ritrovando un pizzico dell'antica giovialità. «Poi non è ancora adulta abbastanza da avere una digestione perfetta, e noi l'abbiamo disturbata con i nostri scavi ed i fastidiosi sondaggi.» Quando si allontanò dal gruppetto, uno degli allievi geologi lo seguì. «Tar-Telgar,» lo chiamò il giovane con aria seria. «Approdo non sorge sulla roccia solida.» «È verissimo,» replicò Telgar con un accenno di sorriso. «Ed ecco per-
ché stiamo ballando un pochino. Ma la cosa non mi preoccupa.» L'allievo arrossì. «Nel continente settentrionale, lungo la catena montuosa occidentale, si allunga una striscia vasta ed estesa di un massiccio substrato roccioso.» «Ah, vedo che hai studiato bene le lezioni,» commentò Telgar. Annuì quindi verso Cobber Alhinwa e Ozzie Munson che si erano appena aggregati. «Bevete un bicchiere con noi.» Imbarazzato per aver detto una cosa ovvia, il giovane si affrettò a scusarsi e si allontanò. «Sicché la gente parla dello strato roccioso,» osservò Cobber, ed Ozzie accanto a lui sogghignò. «Io so, tu sai, lui sa, che non siamo in pericolo, ma tutti ci siamo sentiti un po’ insicuri oggi. La roccia solida non si muove. Come voi già sapete, ho riferito la mia opinione a Paul, Emily e Patrice.» Lo sguardo di Telgar apparentemente volto al robusto minatore correva in realtà ad un'immagine distante che solo i suoi occhi vedevano. Cobber ed Ozzie si scambiarono un'occhiata piena di significato. L'espressione sofferta e compassata di Telgar rivelava che l'uomo stava ricordando qualcosa di Sallah. Cobber diede una leggera gomitata ad Ozzie e si protese con aria da cospiratore verso Telgar. «Allora andiamo tutti a dare un'occhiata al substrato roccioso, Telgar?» 48. Il mattino seguente, un brontolio di genere diverso svegliò Paul mentre Ju gli si appoggiava sulla schiena per sollevare il ricevitore. «È per te,» farfugliò con voce assonnata, e lo lasciò cadere sul sacco a pelo raggomitolandosi di nuovo. Paul cercò a tastoni il ricevitore e si schiarì la voce. «Benden.» «Ammiraglio,» disse Ongola con premura, «hanno cominciato il rientro, e Nabhi è su una rotta sbagliata.» Paul tirò con furia i ganci del sacco a pelo e si rizzò a sedere. «E com'è possibile?» «Lui dice che è tutto okay. Le luci sulla sua consolle sono verdi.» «Arrivo!» Paul avvertì l'impulso irrazionale di sbattere giù il ricevitore e tornare a dormire accanto a sua moglie. Invece chiamò Emily, la quale gli disse che lo avrebbe subito raggiunto alla Torre di Controllo. Dopodiché diede l'allarme anche ad Ezra Keroon ed a Jim Tillek.
«Paul?», disse Ju con voce sonnolenta. «Dormi, tesoro. Non è nulla di preoccupante.» Aveva cercato di parlare a bassa voce, e gli dispiaceva di averla disturbata. Nel secondo trimestre di gravidanza, Ju aveva bisogno di dormire di più. Si erano attardati a chiacchierare la sera prima, tristemente consapevoli di dover abbandonare la loro tenuta, dando così un esempio del comportamento più idoneo da adottare in quel frangente. Il costante cadere dei Fili stava producendo conseguenze devastanti sulle provviste e sulle risorse energetiche della popolazione. Joel era particolarmente preoccupato per la diminuita efficienza dei generatori di energia. Stando a Tom Patrick, il profilo psicologico della gente di Approdo era in linea di massima incoraggiante, malgrado l'aumento delle richieste di medicamenti e terapie per la cura dei soggetti affetti da esaurimento nervoso. Pur senza un motivo preciso, Paul era incapace di nutrire la speranza che Nabhi Nabol e Bart Lemos recassero qualcosa di importanza tanto vitale quanto lo era l'incoraggiamento. Il giorno prima, Ezra e Jim avevano mostrato le ultime analisi compiute riguardo all'orbita del pianeta eccentrico. Questa era - riportando il frasario di Jim Tillek - 'strampalata come una puttana ubriaca in una notte di sabato presso un bar spaziale nella Cintura degli Asteroidi'. Quella che era sembrata una ragionevole e prevedibile orbita ellittica attraverso il sistema di Rukbat, si era invece rivelata ancor più bizzarra ad un'angolazione eclittica. Il pianeta si approssimava a Pern ogni duecentocinquant'anni ma, per effetto degli altri pianeti del sistema, come Ezra aveva estrapolato dai suoi calcoli, si verificavano alcune variazioni nella sua rotta. Durante qualcuna delle sue orbite, sembrava che il pianeta erratico e la sua scia di corpi spaziali mancassero di poco Pern. «È il pianeta più singolare che abbia mai cercato di studiare,» aveva detto Ezra quasi scusandosi e grattandosi la testa quando era giunto alla conclusione della sua relazione. «Un'orbita naturale?», aveva chiesto Jim con un sorriso malizioso all'astronomo. Ezra gli aveva lanciato uno sguardo sprezzante. «Non c'è niente di naturale in quel pianeta.» Benché i Fili si fossero spostati di cinque gradi a nord rispetto alle previsioni nell'attuale terza sequenza di Cadute, l'Ammiraglio non riponeva più grande speranza sull'attendibilità della teoria di Ezra secondo la quale le Cadute erano deliberate, essendo parte di una strategia di indebolimento
dell'avversario messa a punto da un'entità pensante. Se così fosse stato arguiva Paul - si sarebbe registrata un'accelerazione nella frequenza e nella intensità allorché il pianeta era venuto a trovarsi nel punto di massima opposizione a Pern. Ma i Fili continuavano a cadere secondo schemi assurdi, e prova ne era quello spostamento settentrionale. I calcoli matematici, visti e rivisti da Boris Pahlevi e Dieter Clissmann, concordavano con la deprimente conclusione di Ezra: il pianeta eccentrico si sarebbe allontanato da Pern e dal sistema interno soltanto per tornarvi dopo duecentocinquant'anni. Il fax che Bart aveva inviato a Pern, mostrava che la scia di detriti era interminabile. «Si estende fino ai confini del sistema,» dichiarò Ezra in tono di totale capitolazione. «Il pianeta penetra la Nube di Oort e ne esce trascinando con sé il materiale. La teoria di Hoyle e Wickramansingh è stata riabilitata nel sistema di Rukbat.» «Non siamo fortunati?», aggiunse Jim. «Quella roba potrebbe essere soltanto ghiaccio e roccia. Non lo sapremo per certo fino a quando non avremo visto cosa ha raccolto Bart Lemos.» Jim non era affatto lieto che la sua teoria fosse quella giusta. Avrebbe preferito aver a che fare con un'intelligenza senziente che in qualche modo fosse riuscita a sopravvivere sul pianeta eccentrico. Con l'intelligenza si poteva sempre ragionare. La sua teoria, invece, rendeva difficile la vita su Pern. Nella fredda luce del nuovo giorno, Paul si vestì alla svelta, infilò i piedi negli stivali, e si agganciò il giubbotto. Si pettinò all'indietro i capelli e, con passo ancora un po’ incerto, uscì nel bagliore antelucano dell'alba non ancora spuntata. Usò la slitta veloce... sarebbe stata meno rumorosa che andare a piedi alla Torre sbuffando e saltellando. Di solito cercava di mettere in pratica ciò che predicava in materia di conservazione della forma fisica, ma quel mattino non voleva che qualcuno lo sentisse passare. Quegli ultimi giorni, con lo shuttle che tardava, erano stati particolarmente gravosi. Aspettare non era mai stato il suo forte: decisione e realizzazione erano le qualità nelle quali brillava. Emily, invece, si era dimostrata ancora una volta incrollabile, tenace e risoluta padrone di se stessa e dei suoi subordinati. Era il completamento ideale sia della forza che della debolezza di Paul. Vi erano delle luci accesi nella Piazza d'Irlanda e, tra le file di abitazioni, Paul intravide il luccichio di ali ondeggianti mentre i giovani Connell da-
vano ai loro draghi il primo pasto del mattino. Nella piazza adiacente anche Dave Catarel era sveglio ed era alle prese con la prima colazione del suo giovane bronzeo. Al pensiero di quei giovani impegnati nell'assicurare la sopravvivenza della gente di Pern, l'Ammiraglio fu pervaso da un'improvvisa sensazione di sicurezza: sì, lui ed Emily avrebbero salvato tutti, ce l'avrebbero fatta! Non aveva forse superato giorni peggiori prima della Battaglia del Settore Purpureo? Ed Emily non aveva forse subito cinque anni di embargo emergendone con una popolazione sana ed attiva malgrado la carenza di materie prime? Nella Torre era ancora tutto buio quando Paul parcheggiò la slitta sul retro dell'edificio. Le imposte delle finestre erano serrate ma la porta principale era socchiusa. L'Ammiraglio salì le scale con la massima silenziosità. Negli ultimi tempi, a causa dell'affollamento nei dormitori, il personale addetto alle comunicazioni dormiva al pianterreno. Tutti gli edifici di Approdo erano gremiti di profughi. Alcuni avevano persino cominciato ad abitare in alcune delle Grotte di Catherine. Il che poteva trovare una motivazione in un impulso atavico, ma, effettivamente, le grotte erano a prova di Fili, e talune anche particolarmente spaziose. Certamente avrebbero potuto costituire degli ottimi alloggiamenti per i draghi in rapida crescita. Non appena Paul ebbe raggiunto il piano superiore, i suoi occhi corsero immediatamente allo schermo principale che mostrava la posizione della Falena nello spazio sovrastante Pern. L'immagine era trasmessa dai ripetitori installati sulla luna. «Non ho ancora corretto la rotta,» disse Ongola facendo girare la poltrona in direzione di Paul. Il Comandante fece cenno a Jake di liberare la poltrona posta dinanzi alla seconda consolle. Gli occhi del giovane erano due buchi neri di profonda stanchezza, ma quello non era il momento di lasciarlo riposare fino a che la navetta spaziale non avesse atterrato senza difficoltà. «Avrebbe dovuto accendere i retrorazzi dieci minuti fa. Lui dice che non ce n'è bisogno.» Paul occupò in fretta la poltrona e chiese il contatto con la navetta. «Torre di Controllo a Falena, mi ricevete? Qui Benden. Falena, rispondete.» «Buon giorno, Ammiraglio Benden,» replicò prontamente Nabhi in tono insolente. «Siamo in rotta di rientro con un'esatta angolazione.» «Gli strumenti di bordo vi danno informazioni errate. Ripeto, i vostri dati sono errati, Nabol. È indispensabile correggere la rotta.» «Non sono d'accordo, Ammiraglio,» replicò Nabhi con baldanzosa sicu-
rezza. «È inutile sprecare carburante. Luci verdi per la nostra discesa.» «Correzione, Falena! Il nostro schermo segnale errore di rotta. Luci rosse ed arancioni sul nostro pannello dei comandi. Cattivo funzionamento nelle vostre strumentazioni. Ti do le coordinate giuste, Nabol.» Paul comunicò i dati letti dal blocchetto portogli da Ongola. Fu certo di udire un sospiro di soprassalto in sottofondo. Ma Nabhi non sembrava per nulla turbato dalla informazioni di Paul, e riferì i dati risultanti dagli strumenti di bordo, dati che effettivamente corrispondevano ad un rientro corretto. «Non riesco a crederci,» disse Ongola. «Sta scendendo sul quadrante sbagliato, con un'angolazione troppo ripida. Si schianterà sul fondo del Mare dell'Anello Insulare. E tra non molto.» «Ripeto, Falena, la vostra angolazione è errata. Arrestare il rientro. Nabol, prendi un'altra orbita. Obbedisci! I vostri strumenti non funzionano correttamente.» Certo che, per non accorgersi dell'errore di angolazione nell'entrare nell'atmosfera, significava che Nabhi Nabol era parecchio lontano dall'essere quel pilota che invece credeva di essere. «Sono io il Capitano di questa nave, Ammiraglio,» riprese Nabol seccamente. «È il vostro schermo che non funziona... Cos'hai detto, Bart? Non ci credo. Ti sbagli. Rompilo! Prendilo a calci!» «Tira su il muso della navetta, Nabol, ed accendi i razzi per tre secondi!», gridò Paul, gli occhi inchiodati sullo schermo e sulla velocità alla quale la navetta spaziale stava cadendo liberamente nell'atmosfera di Pern. «Ci sto provando. Non riesco ad accenderli. Non c'è più carburante!» Un terrore improvviso rese stridula la voce di Nabol. Paul udì le grida di Bart in sottofondo. «Te l'avevo detto io che sembrava sbagliata. Te l'avevo detto! Non avremmo dovuto... Lo getterò in mare. Saranno loro ad averlo!», urlò Bart. «Se quel fottuto dispositivo funziona!» «Usa la leva di scarico manuale, Bart,» gridò Ongola da dietro la spalla di Paul. «Ci sto provando. Ci sto provando... Si sta riscaldando in fretta, Nabhi. Si sta surriscal...» Inorriditi, Paul, Ongola e Jake osservarono la dissoluzione della navetta spaziale. Un'ala si staccò e la navetta cominciò a roteare. La sezione posteriore si spezzò e, procedendo per conto suo, prese fuoco nell'atmosfera. La seconda ala seguì la sorte della prima. «Cadrà in mare?», domandò Paul in un sussurro cercando di calcolare gli effetti di un eventuale impatto del bolide sulla terraferma. Ongola annuì
con un cenno quasi impercettibile. Quasi come un necrologio, lo schermo si illuminò di una miriade di frammenti scintillanti sgorgati attorno ad un più grosso oggetto centrale e subito svaniti in deboli barlumi tremolanti. 49. Una squadra di delfini fu mandata al largo del Mare dell'Anello alla ricerca del relitto. Una settimana dopo, Maximilian e Teresa, stanchi ed afflitti, riferirono che lo scafo giaceva incastrato in una scogliera sottomarina situata ad una profondità tale da non consentire un esame ravvicinato. Tutti gli altri delfini intanto erano ancora impegnati nella perlustrazione dei fondali al fine di ritrovare il carico gettato in mare da Bart. «Dì loro che non si preoccupino,» mormorò Jim severamente. «È improbabile che ci sia ancora qualcosa da analizzare. Sappiamo che quella roba appartiene ad una coda che dura per anni ed anni. Siamo inchiodati. Viva Hoyle e Wickramansingh!» «Ezra?», chiamò il solenne astronomo Emily. Il volto di Keroon pareva aver assunto una tinta grigiastra e vi si leggeva tutta la prostrazione derivante dalle responsabilità che gravavano sull'astronomo. Questi trasse un profondo sospiro e si grattò dietro alla testa. «Devo ammettere che la teoria sostenuta da Jim è esatta. Il contenuto di quei bozzoli avrebbe fornito la prova finale, ma anch'io dubito che il campione prelevato sia sopravvissuto. «Comunque, se così fosse, occorrerebbero anni per trovarlo in un'area così vasta. E tanti durerà anche quella scia, purtroppo! Saremo in grado di stabilirlo soltanto quando l'estremità di quella coda apparirà alla nostra vista.» «Ed allora cosa ci resta da fare?», domandò l'Ammiraglio. «Affrontarla, Ammiraglio, affrontarla,» replicò Jim Tellek con fierezza. Con uno scatto delle spalle robuste aveva scacciato l'espressione affranta e guardava tutti con aria di sfida. «E tra due ore ci sarà la prossima Caduta, perciò faremmo meglio a smetterla di preoccuparci per il futuro ed a pensare invece al presente. Giusto?» Emily rivolse lo sguardo a Paul sforzandosi di abbozzare un sorriso che diresse anche a Zi Ongola il quale li osservava impassibile. «Giusto! La affronteremo!» La voce di Emily suonò ferma e risoluta. Resisteremo certamente una decina d'anni se staremo attenti, pensò. Si
domandò come mai nessuno avesse accennato alla capsula autoguidata. Forse perché nessuno aveva molta fiducia in Ted Tubberman. «Dobbiamo farcela!» «Almeno fino a quando quei draghi non cominceranno a guadagnarsi il cibo e le cure che ricevono,» disse Paul. «Ma questo insediamento dev'essere ristrutturato.» Da diversi giorni ne discuteva con Emily, ed insieme avevano atteso il momento propizio per sottoporre l'argomento all'attenzione degli altri membri del Consiglio informale di Approdo. «No,» disse Ongola tra la sorpresa di tutti. «Dobbiamo dar vita ad un nuovo insediamento. Approdo è diventata invivibile. Questo posto ha assunto il significato di un ultimo legame con le nostre origini, con le astronavi che ci hanno portato qui. Non abbiamo più bisogno di conservare questo senso di continuità.» «E specialmente,» Jim Tillek si agganciò prontamente al discorso, «con questi vulcani che sputano e ballano attorno a noi.» Jim si drizzò sulla sedia accingendosi a discutere alcuni argomenti di importanza fondamentale. «In questi giorni ho avuto modo di sentire i discorsi della gente. Ed anche Ezra. L'idea di Telgar di trasferirci in quel sistema di grotte che sorge su un substrato roccioso nel continente settentrionale, sta guadagnando consensi sempre maggiori. Il complesso di caverne è grande abbastanza da ospitare l'intera popolazione di Approdo... compresi i draghi! Non che siamo a corto di materie prime per produrre plastica e metalli da usare nell'edilizia, ma la loro produzione ci assorbe molto tempo che potremmo dedicare al compito fondamentale di combattere i Fili e garantire la nostra sopravvivenza. Perché allora non utilizzare una struttura naturale? E magari usare la nostra tecnologia per rendere quel sistema di grotte accogliente, confortevole, e completamente sicuro dagli attacchi dei Fili?» Emily non si fermò neppure un istante a prendere fiato prima di intervenire a sua volta sull'argomento. «È proprio ciò di cui io e Paul abbiamo discusso ultimamente. Credo che il carburante a nostra disposizione sia sufficiente per trasportare le attrezzature ed i materiali più pesanti a bordo delle navette. Poi potremo utilizzare il metallo che si trova in situ. Jim, la Flotta di Pern solcherà presto i mari!» Paul sorrise ad Emily. Era tutto più facile quando la gente aveva già deciso nella propria mente di percorrere quella che i suoi capi avevano deciso fosse la via migliore. 50.
«Santi Numi,» mormorò Telgar colpito, e sollevò alta la torcia senza tuttavia riuscire ad illuminare il soffitto. La sua voce riecheggiò ripetutamente nell'immensa caverna rocciosa e lungo i corridoi laterali fino a disperdersi in lontananza. «Oh, secondo me, questa è la grotta di un bonzo.» La voce di Ozzie Munson fu un semplice sussurro, mentre gli occhi sgranati le rilucevano sulla faccia abbronzata e riarsa dal vento. «Diavolo se è bella!», mormorò Cobber Alhinwa. Questi non era affatto tipo da farsi impressionare, eppure era rimasto lì a bocca aperta, intimidito dalla terribile suggestione di quella grotta. Il suo commento non fu più sonoro di quello del compagno Ozzie. «Soltanto in questo complesso di grotte esistono centinaia di camere naturali,» disse Telgar, mentre spiegava il foglio di plastica sul quale otto anni prima lui e la sua adorata Sallah avevano riportato i risultati della loro esplorazione. «Vi sono almeno quattro aperture utilizzabili per la circolazione d'aria. Occorrerebbe creare dei canali che scendessero fino al livello dell'acqua ed installare pompe aspiratrici ed un sistema di tubazioni: ho individuato la presenza di grossi serbatoi di acqua artesiana. Collegando il tutto allo strato termico, questo complesso, grande com'è, disporrebbe di un efficiente sistema di riscaldamento nei mesi invernali.» Si volse poi verso l'ingresso della grotta. «Bloccandone l'apertura con dei macigni, creeremmo una fortezza inespugnabile. Non vi sarebbe luogo più sicuro durante la Caduta. Lungo la valle, poi, ci sono grotte al livello di superficie nelle vicinanze dei terreni da pascolo. Naturalmente andrebbero seminati, ma abbiamo ancora delle scorte di fertilizzanti alfalfa portati per il primo anno di insediamento. «Quando sono venuto qui per la prima volta non vi era l'esigenza di compiere una perlustrazione completa ma, se ben ricordo, nel sorvolare la distesa che si allungava sotto di noi, scoprimmo un cratere di media grandezza contornato da piccoli ammassi rocciosi, situato a circa mezz'ora di volo da qui. Non pensammo però di controllare se fosse accessibile al livello del terreno. Sarebbe l'ideale per ospitare i draghi e, visto che hanno la capacità di volare come i draghetti, l'accessibilità del cratere non dovrebbe costituire un problema.» «Abbiamo visto anche noi un paio di vecchi crateri come quello.» Ozzie consultò il malconcio taccuino che abitualmente portava infilato nella tasca superiore. «Uno sulla costa orientale, e l'altro tra le montagne prospicienti i
Laghi delle Tre Gocce. Li abbiamo scoperti durante le esplorazioni minerarie.» «Sicché,» esordì Cobber essendosi finalmente ripreso dallo sconcerto iniziale, «la prima cosa da farsi è la costruzione di rampe di accesso che raggiungano questo livello.» Si avvicinò all'ingresso della grotta ed esaminò con occhio esperto la facciata della rupe che cadeva a strapiombo fino a valle. «Sì, un piano inclinato, o qualcosa di simile, che faciliti il trasporto di mezzi e materiali quassù. Quella pendenza laggiù e già quasi inclinata.» Indicò un punto alla sua sinistra. «Semplici gradini, se preferite, che raggiungano il livello successivo.» Ozzie scartò subito le proposte del compagno. «No, i signori di Approdo vorranno sicuramente i loro ingegneri e architetti di prim'ordine che elaborino strutture più moderne.» Cobber indossò il casco e ne accese la lampada. «Speriamo solo che qualche poveraccio non diventi claustrofobo. Però sarà assolutamente al sicuro da quella fottutissima roba che gli cade sulla testa ogni momento. Andiamo a fare un giretto, Oz. L'Ammiraglio e la Governatrice contano molto sulla nostra esperienza.» Con un involontario grugnito, si sistemò sulla spalla il pesante scalpello e si incamminò a passo risoluto verso il primo tunnel. Anche Ozzie infilò il casco e prese con sé un rotolo di corda, dei puntelli, ed un martello pneumatico. Rivelatori termici ed ultravioletti, radiotrasmettitore ed altri piccoli arnesi da scavo, erano attaccati a dei ganci fissati alle cinture. Infine si sistemò anche lui sulla spalla uno degli scalpelli più piccoli. «Andiamo a provare un po’ di claustrofobia. Cominciamo con la parte sinistra, va bene? Tra poco sentirai un urlo, Telgar.» Cobber era già scomparso nel primo varco che si apriva sul lato sinistro della grotta, ed Ozzie ne seguì i passi. Rimasto solo, Telgar rimase immobile per un lungo istante, gli occhi chiusi, la testa reclinata all'indietro, le braccia appena distanti dal corpo con i palmi protesi in un gesto di supplica. Gli giungevano all'orecchio i deboli rumori delle creature che abitavano la grotta, disturbate nella loro oscurità, ed il mormorio distorto degli scambi di parole tra Ozzie e Cobber mentre si addentravano nelle profondità del cunicolo. Non vi era nulla che gli parlasse di Sallah in quella grotta, neppure una traccia del piccolo falò che avevano arso insieme. Tutto era stato spazzato via dal pavimento di roccia annerito dal fuoco. Eppure, era in quel luogo che Sallah si era offerta a lui. E lui non aveva capito quale dono aveva ri-
cevuto quella notte! L'improvviso, acuto lamento dello scalpello, lo distolse da quel pensiero riportandolo all'urgente compito che lo attendeva: trasformare quella fortezza naturale in un'abitazione per esseri umani. 51. Un ronzante mormorio svegliò Sorka, la quale cercò di trovare una posizione più comoda per il corpo ormai fastidiosamente ingombrante. Non vedeva l'ora di tornare a dormire bocconi. Il mormorio persisteva; era un suono subliminale che rendeva impossibile il sonno. Ne fu seccata perché, in quelle ultime settimane, aveva dormito pochissimo ed intendeva approfittare di ogni rara occasione di riposo. Irritata, si protese verso la finestra e ne scostò la tendina. Non poteva essere già giorno. Poi, sconcertata, serrò tra le dita il lembo della tenda, perché fuori della casa c'era effettivamente la luce, una luce prodotta dagli occhi di numerosi draghi scintillanti nella penombra antelucana. Alla sua esclamazione di sorpresa, Sean si mosse allungando una mano verso di lei. Sorka gli scrollò una spalla con insistenza. «Svegliati, Sean. Guarda!» D'improvviso, una fitta dolorosa la colse all'inguine, e fu talmente inattesa che gemette involontariamente. Sean si rizzò a sedere accanto a lei cingendola con le braccia. «Che c'è, amore? Il bambino?» «Non può essere altrimenti.» Un riso irrefrenabile le sgorgò dalle labbra mentre indicava fuori dalla finestra. «Mi hanno avvertita!» Non riusciva a trattenersi dal ridere. «Va a vedere se stanno arrivando anche i draghetti! Non vorrei che mancassero in questa occasione: nessuno di loro!» Sean si stropicciò gli occhi assonnati e si sforzò di prendere piena coscienza della situazione. Sulle prime fu alquanto seccato dalla spensieratezza della moglie, ma poi l'irritazione fu sostituita dalla preoccupazione allorché la gaia risata di Sorka si mutò in nuovo ansito per uno spasmo doloroso che le contrasse l'addome teso. «È giunto il momento?» La mano le corse carezzevolmente sul pancione, arrestandosi istintivamente sulla fascia di muscoli contratti. «Sì, è il momento. Cosa c'è di tanto buffo?», aggiunse. Sorka non riusciva a scorgere il volto del marito nella penombra, ma doveva certo avere un'espressione di solennità quasi indignata. «Il comitato di benvenuto, naturalmente! Tutti i draghi. Faranth, amore,
sono tutti presenti e consapevoli della circostanza?» Siamo qui, le rispose Faranth, dov'è giusto che siamo. La cosa ti diverte? «Sì, molto.» Fu colta da un'altra contrazione e si aggrappò a Sean. «Questa non è stata troppo divertente. Forse è meglio che chiami Greta.» «Ma non ne abbiamo mica bisogno! Anch'io sono un buon ostetrico,» mormorò lui, mentre infilava i piedi nelle scarpe sotto il letto. «Sì, Sean, per le cavalle, le mucche, le capre. Ma per le donne... ooooh, Sean, stanno diventando più frequenti.» Il giovane si alzò in piedi e si coprì le spalle con la coperta per proteggersi dal freddo del mattino. Proprio in quel momento, si udì bussare leggermente alla porta. Sean imprecò. «Chi è?», grugnì, per nulla compiaciuto all'idea che qualcuno fosse venuto a chiamarlo per un pronto soccorso veterinario proprio in quel frangente. «Greta!» Sorka riprese a ridere, ma la cosa divenne improvvisamente assai complicata, e la giovane iniziò a praticare il tipo di respirazione che le era stato insegnato sorreggendosi il grosso ventre. «Ma come hai fatto a saperlo, Greta?» La voce di Sean rifletteva lo stupore per quella visita. «Sono stata chiamata.» Il tono di Greta era estremamente dignitoso. Con garbo, l'ostetrica spinse Sean da parte. «Da chi? Sorka si è appena svegliata,» ribatté Sean mentre seguiva nella stanza. «È l'unica che stia per partorire.» «E non sempre la prima a sapere quando stiano iniziando le doglie,» replicò Greta in tono calmo e con fare quasi distaccato. «Non ad Approdo, almeno. E certamente non quando un Drago Regina ascolta tutto ciò che le passa nella mente.» Nell'entrare in camera da letto, accese la luce e depose la borsa da lavoro sulla toeletta. Dalla minuta bambina di un tempo, Greta era diventata una donna dalla corporatura slanciata, con i capelli e l'incarnato dell'identico color caffè, ed una spruzzata di lentiggini sull'incavo del naso. Gli occhi vigili, di un marrone intenso sul viso buono, raramente si lasciavano sfuggire qualche particolare. «È stata Faranth a dirtelo?» Sorka era stupefatta. Un drago che comunicasse con qualcuno al di fuori dei loro gruppo era un'assoluta novità. «Non esattamente.» Greta ridacchiò. «Uno stormo di draghetti è volato dentro casa mia passando dalla finestra, il che mi ha fatto capire inequivo-
cabilmente che da qualche parte necessitava la mia presenza. Una volta uscita di casa, non è stato difficile immaginare chi stesse per avere un bambino. Adesso lasciami un po’ vedere come stanno le cose qui.» Io ho detto loro di andarla a prendere. Il tono di Faranth era timidamente compiaciuto. Tu la volevi. Sorka si distese per consentire a Greta di esaminarla ed intanto cercò di capire bene il significato di quell'intervento da parte del suo drago. Sorka gradiva anche il medico, e non avrebbe avuto nulla da obiettare se ci fosse stato lui ad assisterla durante il parto. Ma come aveva fatto Faranth a percepire che in realtà desiderava la presenza di Greta? Forse la sua aurea aveva avvertito l'amicizia che da sempre l'aveva legata a Greta? O c'era forse qualche connessione col fatto che aveva aiutato l'ostetrica nell'assistere Mairi Hanrahan in occasione della nascita del suo ultimo figlio, il suo fratellino? Ma per Faranth riconoscere una preferenza inconscia... Sean scivolò con cautela sull'altra sponda del letto e cercò la mano di Sorka. Questa gliela strinse e di nuovo le venne da ridere. Aveva tanto detestato quelle ultime settimane di gravidanza durante le quali il suo corpo era sembrato non appartenerle più ed essere completamente sottoposto al controllo di quel feto saltellante, scalciante ed impertinente, che non le concedeva un attimo di riposo. Quella risata era una pura manifestazione della gioia che la pervadeva al pensiero che tutto ciò stava per finire. «Lascia che dia un'occhiata... un'altra contrazione?» Sorka si concentrò sulla respirazione, ma il dolore era assai più intenso di quanto si era immaginato. Poi, d'improvviso, sparì: il dolore e tutto il resto. Sentì il sudore imperlarle la fronte. Sean gliel'asciugò con delicatezza. Ti fa male? La voce di Faranth si fece stridula. «No, no, Faranth. Sto bene, non preoccuparti!», gridò Sorka. «Faranth è inquieta?» Sean le teneva saldamente la mano e, senza lasciargliela, si accovacciò per guardare fuori della finestra dove i draghi attendevano. «Sì, lo è! Gli occhi stanno cominciando a ruotare velocemente e a tingersi d'arancione.» «Come temevo!» Con gli occhi Sorka rivolse a Sean un muto appello. Diverse espressioni si alternarono sul volto di lui, e a Sorka sembrò di leggervi dapprima una certa irritazione nei confronti di Faranth, seguita poi dall'indecisione - evento eccezionale - sul da farsi, ed infine dalla preoccupazione per lei. Ma fu un'immensa tenerezza a predominare nello sguardo che Sean teneva fisso su Sorka, la quale sentì di non avere mai amato il suo uomo così profondamente come in quel momento.
«Peccato che non possiamo mandare il tuo drago a riscaldare una pentola d'acqua per cavarla d'impiccio,» osservò Greta mentre le sue mani forti e capaci terminavano la visita. «Beh, vedrai che adesso la libereremo di tutta questa agitazione.» Diede quindi un colpetto sull'addome teso della partoriente. «Ti puoi girare su di un lato? Sean, dalle una mano.» «Mi sento come se fossi una balena,» si lamentò Sorka mentre tentava faticosamente di voltarsi. Al che Sean, con il tocco più delicato che avesse mai effettuato, l'aiutò a completare la manovra. Aveva appena assunto la nuova posizione, che un'altra violentissima contrazione la colse di sorpresa. Stordita dal dolore, Sorka emise un gemito. Fuori, Faranth le fece eco con un urlo incollerito. «Non vorrai svegliare tutto il vicinato, Faranth. Sto solo avendo un bambino!» Tu stai male! Tu soffri! Faranth era arrabbiata. Sorka avvertì una lieve spinta alla base della spina dorsale, il fresco della siringa pneumatica, e finalmente un provvidenziale torpore alla regione inferiore del corpo. «Oh, che tu sia benedetta, Greta: che meraviglia!» Ora non senti più male. Va meglio. Le grida allarmate di Faranth scemarono fino al curioso mormorio degli altri draghi, ma Sorka riuscì a distinguerne la voce in quel coro man mano che il ronzante sottofondo si faceva più sonoro. Cosa strana, quel mormorio pareva acquietarla, o forse era più rilassata non dovendo aspettare le spasmodiche contrazioni dei muscoli uterini? «E adesso facciamo una passeggiatina, Sorka,» le ordinò l'ostetrica. «Hai già una buona dilatazione. Non credo che il travaglio durerà ancora a lungo, nonostante tu sia una primaria.» «Mi sento intorpidita.» Sorka quasi si giustificò mentre Greta la sollevava aiutata da Sean. Questi era completamente vestito, ma Sorka, cercando di seguire il percorso dei suoi piedi privi di sensibilità nervosa, si accorse che si era dimenticato di mettere i calzini. Provò per lui molta tenerezza. Un altro particolare suscitò le riflessioni di Sorka: le mani di Greta e di suo marito che la sorreggevano erano entrambe gentili e premurose, eppure qualcosa ne differenziava il tocco: amore e preoccupazione trasudavano dalle mani di Sean. «Benissimo,» la incoraggiò Greta. «Procede tutto perfettamente: hai già una dilatazione di tre centimetri. Non c'è da stupirsi che i draghetti fossero in allarme. E, oltretutto, non sei l'unica a metterli in agitazione stanotte.»
Greta ridacchiò, mentre cominciavano a percorrere a ritroso il soggiorno, il corto corridoio e la camera da letto. Camminare è molto importante... ah, un'altra contrazione. Perfetto! Stai respirando correttamente.» «Chi altri ha le doglie?» Sorka intendeva concentrare la mente su cose che la distraessero dagli spasmi muscolari. «Elizabeth Jepson, grazie al Cielo. Un altro figlio l'aiuterà a riprendersi dalla perdita dei gemelli.» Sorka fu sopraffatta da una pena terribile. Nel ricordo rivide i due ragazzini quando a bordo della Yoko si divertivano a farne di tutti i colori in compagnia di suo fratello Brian. Quanto aveva invidiato il fratellino per aver trovato degli amici della sua stessa età. «È buffo, vero?» Sorka parlava in fretta. «Ci sono persone che hanno due famiglie complete appartenenti a generazioni così diverse. Il bambino che sta per nascere avrà uno zio di soli sei mesi più anziano di lui. E farà parte di una generazione completamente diversa.» «Questa è una delle ragioni per le quali è necessario registrare le nascite con assoluta accuratezza,» spiegò Greta. Sean grugnì. «Siamo tutti Pernesi: è questo che conta!» In quel momento, a Sorka si ruppero le acque, e fuori della casa il mormorio si innalzò di qualche nota ed approfondì la sua intensità. «Sarà meglio che dia una controllata, Sorka,» ordinò l'ostetrica. Sean la guardò. «Assisti le partorienti seguendo il canto dei draghi?» Greta sogghignò sommessamente. «Hanno un forte istinto per le nascite, Sean, e so che anche voi veterinari ne siete consapevoli. Riportiamola a letto.» Sorka, impegnata nella seconda fase del travaglio, trovò il canto dei draghi confortante e rilassante: era come se una coltre di suoni luccicasse attorno a lei fino ad avvolgerla in un caldo abbraccio. Il tempo della melodia prese d'improvviso a incalzare fino a raggiungere l'acme. Le mani di Sean si avvinghiarono alle sue trasmettendole forza e coraggio. Ogni volta che Sorka avvertiva una contrazione, indolore per via dell'anestetico, spingeva con tutte le sue forze. Gli spasmi erano divenuti molto più rapidi, quasi costanti, come se ormai nulla potesse più dominarli essendo completamente sfuggiti al suo controllo. Sorka si abbandonò a quei movimenti istintivi, si rilassava quando poteva o, non avendo alternative, si limitava ad assistere. Poi sentì il corpo contorcersi in uno sforzo possente e, quando questo si fu esaurito, avvertì un meraviglioso sollievo a tutte quelle pressioni e contrazioni. Per un istante fuori vi fu il silenzio più totale, poi si udì un suono
nuovo. Il grido di trionfo di Sean si perse negli squilli di esultanza dei diciotto draghi e di chissà quanti draghetti di fuoco! Mio Dio!, pensò Sorka confusa, Sveglieranno tutta Approdo! «Avete un figlio magnifico, miei cari,» annunziò Greta, con la voce risonante di soddisfazione. «Ha una testolina fitta di capelli rossi.» «Un figlio?», esclamò Sean immensamente sorpreso. «Ehi, Sean Connell! Non mi dirai, dopo tutta questa fatica, che volevi una femmina?», esplose Sorka. Sean l'abbracciò pervaso dall'estasi più gioiosa. 52. «A volte mi sento come se tutti gli altri si fossero scordati di noi,» si lamentò David Catarel con Sean, mentre seguivano con lo sguardo i loro bronzei intenti a cacciare per procurarsi da mangiare. Sean, gli occhi fissi su Carenath, non gli rispose. Nonostante i draghi fossero in grado di coprire in volo brevi distanze e si fossero dimostrati capaci di catturare gli wherry selvatici, i loro compagni umani venivano assaliti dall'ansia ogniqualvolta li perdevano di vista. Né tuttavia era sempre possibile usare una slitta per accompagnarli. Quale soluzione di compromesso, Sean aveva persuaso Red ad offrire al suo gruppo gli animali vecchi o feriti delle mandrie principali. Sicché avevano adibito a stalla un rifugio anti-Fili situato in una delle grotte della zona, adatto ad ospitare il bestiame eterogeneo, ed a turno si occupavano della distribuzione del 'pasto' ai draghi. I giovani draghi erano forti, robusti, e capaci di volare. Però, giacché la prudenza non era mai troppa, gli esperti veterinari avevano deciso che i draghi sarebbero stati cavalcati solo dopo aver compiuto un anno di età. Questa cautela era parsa eccessiva a Sean che se n'era lamentato privatamente con Sorka, la quale però lo aveva convinto della sua legittimità rammentandogli cosa rischiavano di perdere nel forzare i giovani draghi. Fortunatamente, la misura cautelativa era stata adottata senza la preventiva consultazione di Wind Blossom, il che rese più facile a Sean accettare quello che a suo dire era un inutile 'temporeggiamento'. Il giovane veterinario non gradiva l'aria di possesso che Wind Blossom mostrava nei confronti dei draghi. In realtà, la genetista si limitava ad applicare il programma elaborato da Kitti Ping, e per di più senza conseguire i medesimi risultati della progenitrice. I suoi primi quattro gruppi di esemplari trattati non
avevano prodotto un solo uovo vitale, ma altri sette sacchi nell'incubatrice sembravano più promettenti. Le scommesse aperte da Joel Lilienkamp davano per favorito il successo della prima Schiusa, ma soltanto marginalmente. Sean era intimamente determinato a ribaltare quei pronostici, ma allo stesso tempo non intendeva rischiare una censura ufficiale né tantomeno mettere a repentaglio la salute dei giovani draghi. «Non mi riesce proprio di riporre in Wind Blossom, la stessa fiducia che nutrivo per Kitti Ping,» aveva rivelato Paul Benden a Sean e Sorka in un incontro privato, «ma saremmo tutti più tranquilli se vedessimo qualche progresso. I vostri draghi mangiano, crescono, volano e vanno a caccia. Ma masticheranno la pietra focaia?» Paul cominciò a snocciolare uno dopo l'altro i punti vitali della questione, enumerandoli con l'aiuto delle dita. «Sosterranno in groppa un cavaliere? Riusciranno a proteggere il loro prezioso manto dai Fili durante le Cadute? I generatori di energia sono agli sgoccioli, Sean. Siamo davvero alle strette!» «Lo so, Ammiraglio,» aveva replicato Sean amareggiato. «E diciotto draghi nel pieno del vigore e della funzionalità non renderanno più facile la lotta contro i Fili.» «Ma le cose saranno assai diverse in futuro, quando i distruttori di Fili saranno in grado di riprodursi e di badare al proprio sostentamento. E, francamente, Sean, Sorka, è quel futuro che mi preoccupa.» Sean ritenne opportuno tenere per sé l'opinione che aveva di Wind Blossom. Da una parte provava un profondo senso di fedeltà nei confronti di Carenath, Faranth e degli altri draghi della prima Schiusa; d'altro canto non riusciva a riporre in Wind Blossom la stessa fiducia che aveva riposto in sua nonna. Del resto, Kitti Ping aveva appreso la sua arte direttamente dai maestri di questa, gli Eridaniti. E, mentre ammirava la grazia di Carenath piombato su un grasso castrato fuggito dalla mandria, la sua fede in quelle fantastiche creature ne risultò rinforzata. «Ehi, ha raggiunto un'ottima quota,» si complimentò David con lui. «Guarda, Polenth ha spiegato le ali. Sta puntando quello laggiù!» «L'ha preso!», ricambiò il complimento Sean. Forse erano tutti troppo prudenti, impauriti dall'idea di mandar giù il boccone e di stare ad attenderne l'effetto. Carenath volava con rapidità e precisione. Il bronzeo era alto quasi quanto Cricket, benché la sua conformazione fosse completamente diversa da quella dell'adorato cavallo di Se-
an. Il corpo di Carenath era molto più lungo e dotato di profondità maggiore, oltre ad essere più possente nella parte posteriore. I draghi erano di fatto assai più forti dei colleghi equini essendo la loro struttura fondamentale molto più resistente. Questa utilizzava il carborundum che conferiva loro potenza ed una straordinaria capacità di ripresa. Pol e Bay avevano collaborato alla progettazione delle caratteristiche dei draghi considerando quelle creature quasi alla stregua di un nuovo modello di slitta, il che in effetti era proprio ciò che essi erano destinati a sostituire. Secondo il programma, le dimensioni dei draghi sarebbero gradualmente aumentate nel corso di numerose generazioni fino a che non avessero raggiunto la stazza ideale. Ma, agli occhi di Sean, Carenath costituiva l'optimum. «Almeno non lasciano in giro rifiuti di cibo,» osservò Dave, e subito distolse gli occhi dai due draghi intenti a strappare la carne dalla carcassa delle loro vittime. «Però preferirei che non mostrassero tanta soddisfazione.» Sean rise. «Educazione cittadina, eh?» Dave annuì e sorrise debolmente. «Con questo non voglio dire che non sarei disposto a fare qualunque cosa per Polenth. Però un conto è l'immagine tridimensionale di un essere, un altro vederlo vivo e sapere che il tuo migliore amico preferisce cacciare gli animali vivi. Cos'hai detto, Polenth?» Gli occhi di Dave assunsero la curiosa espressione assente che tutti i suoi compagni mostravano quando erano interpellati dai loro draghi. Dopodiché rise col suo abituale tono lamentoso. «Allora?», gli chiese Sean. «Dice che qualunque cosa è da preferire al pesce. È stato creato per volare, non per nuotare.» «Meno male che ha due pance,» osservò Sean mentre guardava Polenth che divorava famelicamente il montone, mangiandone le corna, gli zoccoli, la pelliccia e tutto il resto. «Dato il modo in cui si sta ingozzando di lana, potrebbe accendere una fiamma precoce quando comincerà a masticare la pietra focaia.» «Lo farà, vero, Sean?» La domanda di Dave era una seria supplica intesa a ricevere una assicurazione. La cosa crucciò Sean. I compagni dei draghi non potevano dubitare delle loro creature neppure per un istante, per nessun motivo. «Certo che la masticherà.» Sean si alzò. «Basta, Carenath. Due ti riempiono troppo la pancia. Non fare il goloso. Ci sono altri draghi da far man-
giare.» Il bronzeo era stato sul punto di decollare nuovamente puntando verso l'altura che si elevava nella valle contigua, dove il gregge terrorizzato era fuggito all'impazzata. Ne mangerei volentieri un alto. Sono così saporiti! Molto più gustosi del pesce. Adoro cacciare. Il tono di Carenath si era fatto un tantino petulante. «Ora tocca alle Regine, Carenath.» Con uno stizzato ondeggiare della testa, Carenath prese a ridiscendere verso Sean ad ali spiegate in modo da tenersi in equilibrio. I draghi avevano un aspetto curioso quando camminavano, poiché erano costretti ad accovacciarsi sulle più corte zampe anteriori. Alcuni finivano per adottare una sorta di salto triplo, rimbalzando sulla regione anteriore del corpo ogni tre o quattro passi, oppure servendosi delle ali per darsi lo slancio in avanti. A Sean non piaceva che i draghi apparissero così goffi e barcollanti. «Ci vediamo dopo,» salutò David e, assieme a Carenath, si incamminò verso la grotta che li ospitava. I draghi erano cresciuti assai alla svelta, e le strutture costruite sul retro delle abitazioni dei loro compagni erano divenute ben presto inadeguate ad ospitarli. In molti casi, poi, il rumoroso ingombro delle creature alate aveva finito con l'esaurire la pazienza dei vicini, specie di quelli impegnati in turni di lavoro notturno e quindi legittimamente desiderosi di dormire durante il giorno. Per essere una specie incapace di parlare ad alta voce, i draghi erano fin troppo sonori. Sicché, assieme ai loro compagni umani, avevano ispezionato le Grotte di Catherine con l'intenzione di trovarvi una sistemazione più riservata. Sulle prime Sorka si era preoccupata circa la salubrità di una dimora sotterranea per il figlioletto Michael, ma la grotta scelta da Sean era spaziosa e dotata di parecchie camere attigue - in realtà vi era molto più spazio lì che non nella costruzione sulla Piazza d'Irlanda. Faranth e Carenath erano al settimo cielo. Vi era persino un cornicione di terra nuda sovrastante l'ingresso della grotta sul quale avrebbero potuto crogiolarsi al sole, passatempo questo da essi prediletto ed anteposto persino al nuoto. «Qui siamo sistemati molto meglio!» aveva infine capitolato Sorka, dopodiché si era data da fare per rendere più accogliente il nuovo alloggio con lampade, tappeti intessuti a mano, e drappi e quadri che si era procurati nei magazzini di Joel. Ma trasferirsi in quella nuova dimora aveva significato qualcosa di più
di una separazione fisica dal resto della popolazione. Sean lo aveva capito. E Dave Catarel lo aveva chiaramente espresso col suo malinconico commento sul fatto che gli altri si fossero dimenticati di loro. La strada è lunga. Preferirei proseguire in volo, si lamentò Carenath mentre procedeva col suo piccolo salto triplo al fianco di Sean. Ancora una volta questi pensò che il suo adorato e coraggioso amico avesse tutto l'aspetto di un incrocio mal riuscito tra un coniglio ed un canguro. «Sei stato strutturato per volare. Sarò felice quando lo faremo insieme.» «Perché non voli su di me, allora? Sarebbe più facile montare me che non cavalcare quella povera creatura spaventata. Carenath non teneva Cricket in grande considerazione quale cavalcatura per il suo compagno. Povera creatura spaventata, pensò Sean ridacchiando. Sì, povero Cricket! Quanto sarebbe stato facile montare in groppa a Carenath e decollare! Quell'idea gli tolse il respiro. Volare su Carenath anziché scarpinare su quel sentiero polveroso. L'anno di adolescenza dei draghi volgeva quasi alla fine. Sean si guardò attorno scrutando i paraggi con profonda circospezione. Sì, ecco, lasciare che Carenath si gettasse in picchiata dall'altura più elevata, così avrebbe avuto uno spazio sufficiente per sperimentare quel primo, fondamentale spiegamento delle ali... Sean aveva trascorso un mucchio di tempo ad osservare il modo in cui le lucertole di fuoco ed i draghi si muovevamo nell'aria, proprio come un tempo aveva osservato pazientemente i cavalli. Sì, tuffarsi giù da un'altura era il sistema migliore. «Forza, Carenath. Ho fatto bene a non farti rimpinzare. Su, andiamo lassù in cima.» In cima! Sulla cresta! Sean avvertì che la mente di Carenath aveva recepito il messaggio e difatti, senza il minimo indugio, il drago si arrampicò sulla vetta indicata con uno scatto velocissimo che lasciò l'amico a tossire tra la polvere. Presto! Il vento è favorevole! Sean si strofinò gli occhi per liberarli dalle particelle di polvere, dopodiché proruppe in una sonora risata manifestando così la gioiosa ebbrezza che lo colmava accompagnata dal batticuore dell'apprensione. Lo farai adesso, pensò Sean, perché questo è il momento giusto nel luogo giusto. E per Sean era davvero il momento migliore per cavalcare Carenath! Non vi era una sella su cui saltare, né un paio di staffe che lo aiutassero a montare sull'alto groppone. Carenath si abbassò educatamente e Sean, salito con delicatezza sulla zampa anteriore protesa, si aggrappò saldamente alla sporgenza vertebrale del dorso e saltò su, sistemandosi comodamente
nella piega del collo. «Ehi, ma sei stato fatto su misura per me.» Sean rise trionfalmente e carezzò con affetto il collo di Carenath. Si aggrappò quindi alla vertebra che gli stava davanti. Carenath si trovava sul margine estremo della vetta e Sean vedeva estendersi sotto di lui il fondo della spaventosa gola disseminata di rocce. Ingoiò in fretta. Volare su Carenath non somigliava affatto a montare Cricket. Trasse un profondo respiro. Non era il momento di lasciarsi andare ai ripensamenti. Strinse con vigore le gambe rese possenti da anni di cavalcate, e si premette il più possibile sulla sella naturale. «Voliamo, Carenath! Adesso!» Sì, voleremo. La voce di Carenath era ricca di una ineffabile calma. Finalmente si librò in volo staccandosi dalla cresta del monte. Quanti cavalli Sean aveva domato? Su quanti cavalli imbizzarriti, scalcianti, impennati, era rimasto ritto senza farsi disarcionare? Per anni aveva vissuto quelle emozioni. Ma la sensazione che Sean Connell provò in quell'istante che gli parve infinito, fu totalmente diversa e completamente nuova. In uno sprazzo di memoria risentì la voce di una ragazzina che gli suggeriva con insistenza di pensare a Yves, l'Astronauta. Ancora una volta si era lanciato attraverso lo spazio. Uno spazio molto più ridotto. Che razza di scervellato era per aver tentato una cosa simile? Faranth vuol sapere cosa stiamo facendo, lo informò Carenath con voce tranquilla. Prima che la mente stordita di Sean registrasse il messaggio, le ali di Carenath avevano concluso la vertiginosa discesa per ricominciare la risalita. Sean avvertì l'improvviso ritorno della gravità, sentì il collo di Carenath sotto di lui, sentì nuovamente il suo peso e, con esso, il ritorno della sicurezza venutagli completamente meno durante quella caduta iniziale che gli era sembrata interminabile. I potenti colpi delle ali lo fecero sprofondare tra le pieghe del collo del drago che continuava ad issarsi sempre più in alto. Erano giunti all'altezza della vetta successiva a quella dalla quale si erano prima lanciati, e il fondo della gola non appariva più a Sean come la fatale meta della sua rovinosa caduta, tanta era stata la paura di schiantarsi contro. «Dì pure a Faranth che stiamo volando,» rispose Sean. Non avrebbe mai ammesso di fronte a Sorka - e a stento lo ammetteva di fronte a se stesso che per un attimo era stato sopraffatto dal terrore più assoluto. Non ti farò mica cadere, lo rimproverò Carenath.
«Non ho mai pensato una cosa simile.» Sean si sforzò di rilassare i muscoli tesi del corpo, specie quelli delle gambe che cingevano con forza il collo liscio del drago. Mantenne però salda la presa della pelle nella piega del collo di Carenath. «Soltanto non pensavo che ti sarei stato addosso per tutto un minuto.» Le ali di Carenath oscillavano ritmicamente appena dietro il campo visivo di Sean. Il giovane ne sentiva il battito forte e costante anche se non riusciva a vederla. Avvertiva la pressione dell'aria contro la faccia e il petto. Attorno e lui, tutto era aria libera, sconfinata, assolutamente meravigliosa. Sì, non appena ebbe ripreso il controllo delle emozioni, si rese conto che volare in groppa al suo drago era la sensazione più sublime che avesse mai provato. Anche a me piace. Mi piace farti volare. Il tuo corpo si adatta perfettamente al mio. È stupendo! Dove andiamo? Il cielo è nostro. «Sai, Carenath: per questa volta sarà meglio non esagerare. Hai appena mangiato, e dobbiamo studiare bene la cosa. Non basta riuscire a lanciarsi giù da un'altura. Ooooooh...», gridò inavvertitamente Sean allorché Carenath si inclinò nel compiere una virata. Lontano, sotto di sé, vide lo spazio deserto e polveroso del terreno divorato dai Fili. «Raddrizzati!» Non ti avrei fatto cadere! Carenath era quasi indignato, e Sean liberò una mano per accarezzarlo in un gesto di rassicurazione. Poi la riportò subito tra le vertebre del collo del drago. Accidenti, un cavaliere non poteva combattere i Fili stando appiccicato in quel modo alla sua cavalcatura per salvarsi la pelle! «Tu non mi avresti fatto cadere, amico mio, ma sarei caduto io!» Cercando di soffocare il crescente senso di panico, Sean si arrischiò a lanciare un'occhiata di sotto. Stavano sorvolando la zona dove erano situate le grotte che li ospitavano. Sean scorse Faranth sulla piattaforma dove soleva distendersi al sole. Era accovacciata sulle zampe posteriori e teneva le ali semispiegate. Erano bastati pochi colpi delle possenti ali di Carenath per coprire una distanza che normalmente richiedeva mezz'ora di faticoso saliscendi per impervi sentieri. Faranth dice che Sorka vuole che noi scendiamo immediatamente. Hai capito, immediatamente! Il tono di Carenath era provocatoriamente inteso a far sì che Sean contraddicesse il drago aureo e chiunque altro intendesse abbreviare la loro nuova esperienza. Noi stiamo volando insieme. È la cosa più giusta e naturale che un cavaliere ed il suo drago possano fare.
«Sì, Carenath, è una cosa fantastica: ma, visto che siamo arrivati a casa, perché non atterri vicino a Faranth? Così potrai raccontarle come abbiamo fatto!» Sean non si preoccupava di aver potuto suscitare la collera di Sorka per quel suo volo spontaneo e totalmente imprevisto. Ormai lo aveva fatto e con successo. Tutto è bene quel che finisce bene, pensò. I draghi di Pern avevano finalmente i loro cavalieri! La cosa avrebbe modificato le puntate degli scommettitori del 'totodrago' di Joel Lilienkamp. 53. Gli altri diciassette cavalieri, rassicurati da Faranth circa la prodezza di Carenath, furono più che entusiasti per quella spericolata impresa. Dave chiese a Sean perché fosse stato così precipitoso. «Non potevi aspettarmi? Io e Polenth eravamo proprio dietro di te. Per un attimo mi hai fatto gelare il sangue, sai!» Sean diede una pacca sul braccio di Dave in un tacito gesto di scusa. «Ho ripensato a quello che mi avevi appena detto, Dave, al fatto che si sono dimenticati di noi. Dovevo provare, ma non volevo nuocere a nessuno nel caso avessi fallito.» Sean colse lo sguardo accigliato di Sorka e finse di arretrare intimorito. «È andato tutto bene, amore. Tu lo sai! Ma...» uno sguardo ammonitore si posò a turno su ciascuno dei compagni seduti sulle stuoie attorno a lui. «È Necessario agire in maniera logica e sensata, gente. Volare su un drago non è come montare su un cavallo.» Gli occhi di Sean indugiarono su Nora Selby. Questa non era proprio la persona ideale per imprimere lo Schema di Apprendimento su un drago; ma, intanto, Tenneth l'aveva scelta, e bisognava fare in modo che questa unione procedesse nel miglior modo possibile. Il fatto era che Nora aveva una particolare predisposizione per gli incidenti, e Tenneth l'aveva già tirata fuori dal lago e le aveva evitato di finire nei crepacci e nei fossi che ovunque crivellavano le colline che circondavano le Grotte di Catherine. Però - bisognava conoscerlo - la ragazza si era dimostrata un'abile navigatrice nella Baia di Monaco, essendo forte abbastanza da manovrare la barra del timone, oltre che un'affidabile collaudatrice di slitte. «Innanzitutto si è completamente circondati dall'aria. Cadere significa schiantarsi su una superficie dura e sicuramente lesiva,» Sean illustrò il concetto con gesti esplicativi, battendo con forza una mano sul palmo dell'altra e facendo così sussultare Nora per il rumore.
«Ed allora?», intervenne Peter Semling. «Useremo la sella.» «Sul dorso di un drago ci sono le ali,» replicò Sorka seccamente. «Bisogna montare in posizione più avanzata, sistemandosi nell'incavo che si apre tra le due vertebre del collo,» spiegò Sean. Munitosi di un foglio di pellicola opaca e di un evidenziatore, abbozzò rapidamente uno schizzo che riproduceva a grandi linee la conformazione del collo e delle spalle di un drago su cui appose due cinghie. «Il cavaliere indossa una solida cintura, larga quando quelle usate da tecnici ed operai per tenervi gli arnesi da lavoro. Ad essa vengono fissate due cinghie a mo’ di redini, ciascuna su un fianco, che per maggiore prudenza vengono fatte anche passare sulle cosce: ed ecco una vera e propria cintura di sicurezza. Inoltre sarà necessario disporre di uno speciale equipaggiamento da volo e di lenti protettive: il vento mi faceva lacrimare gli occhi, e sono stato in aria soltanto qualche minuto!» «Cosa si prova veramente, Sean?», gli chiese Catherine Radelin, con gli occhi resi lucidi dall'impazienza di sapere. Sean sorrise. «La sensazione più incredibile che abbia mai provato. Niente a che vedere con il volo effettuato a bordo di un mezzo meccanico. Cioè...» Serrò i pugni, accostò al petto le braccia irrigidite da una straordinaria tensione, e dischiuse infine le mani in un gesto di impotenza, essendo incapace di descrivere l'esperienza vissuta in tutta la sua ricchezza. «È... è... qualcosa... tra te e il tuo drago e...», allargò le braccia, «e tutto il mondo.» All'assemblea improvvisata alla quale fu convocato per spiegare i motivi che lo avevano indotto a quella rischiosa iniziativa, Sean offrì una rappresentazione meno drammatica. In verità avrebbe preferito riferire la cosa in privato all'Ammiraglio Benden, o forse a Pol o a Red, e si trovò invece a dover fronteggiare l'intero Consiglio. «Guardi, Signore, il rischio era giustificato,» dichiarò mentre gli occhi correvano rapidi dall'Ammiraglio a Red Hanrahan. Suo suocero era al tempo stesso furioso ed offeso da quello che riteneva un tradimento. Sean non aveva previsto una simile reazione. «Eravamo quasi arrivati in cima alla collina quando ho capito improvvisamente che era giunto il momento di dimostrare che i draghi sono capaci di farci volare. Signore, a tutti i programmi del mondo capita talvolta di sbagliare nel prevedere il momento e l'occasione propizi all'attuazione di un progetto.» L'Ammiraglio annuì giudiziosamente, ma l'espressione di sconcerto sulla faccia franca di Jim Tillek e l'improvvisa attenzione mostrata dal Co-
mandante Ongola rivelarono a Sean che aveva detto qualcosa di sbagliato. «Potrei rischiare soltanto la mia pelle, Signore, non quella degli altri,» continuò, «sicché abbiamo deciso di dedicarci alla preparazione al volo di altri cavalieri. Personalmente ho una lunghissima esperienza di equitazione e di volo in slitta, ma volare in groppa ad un drago non è la stessa cosa, e certamente non monterò più Carenath finché non avrà una cintura di sicurezza su di sé.» Chiamato in causa, Joel Lilienkamp si protese allarmato al di sopra del tavolo al quale sedeva. «E cosa ci vorrà Connell?» Sean sorrise più per il sollievo che per il divertimento. «Non preoccuparti, Lili, ciò che mi occorre abbonda qui su Pern. Ho bisogno di cuoio. Mi sembra di aver trovato una buona utilizzazione per tutta quella pelle conciata di wher che ti ingombra i Magazzini. È più che solida e, sul collo dei draghi, sarà senz'altro preferibile alle fibre sintetiche utilizzate per le cinture di sicurezza montate sulle slitte. Ho preparato dei disegni illustrativi.» Spiegò i fogli con gli schizzi migliorati notevolmente a seguito delle numerose discussioni intavolate sull'argomento con gli altri compagni di draghi; «Questi mostrano il genere di cinghie e cinture che ci occorrono, le tute da volo, e potremo anche usare quegli occhialoni da lavoro in plastica.» «Tute da volo e occhialoni di plastica!», ripeté Joel sporgendosi per raccogliere i disegni, che esaminò con aria via via meno ostile e diffidente. «Non appena sarò riuscito a sistemare le cinghie di sicurezza su Carenath, Ammiraglio, Governatrice, signori,» Sean incluse educatamente tutti i convenuti aggiungendo un timido, sorriso a Cherry Duff, il cui volto era rabbuiato da un torno cipiglio, «vedrete com'è bravo il mio drago a farmi volare.» «Tu sapevi, non è vero,» disse l'Ammiraglio sfregandosi le nocche della mano sinistra, «che ci sono altre uova sulle Sabbie della Schiusa?» Sean annuì. «Come le avevo già detto, Ammiraglio, diciotto draghi non bastano a risolvere i nostri guai. E occorreranno generazioni prima che ce ne siano a sufficienza.» «Generazioni?» la voce aspra di Cherry Duff inveì contro la squadra veterinaria. «Perché non ci è stato detto che sarebbero occorse delle generazioni?» «Generazioni di draghi,» rispose Pol con un debole sorriso per l'equivoco insorto. «Non generazioni umane.» «Beh, quando dura una generazione di draghi?», domandò Cherry Duff ancora indignata, con uno sguardo carico di disgusto e minaccia indirizza-
to a Sean. «Le femmine dovrebbero essere in grado di produrre le prime uova all'età di tre anni. Sean ha dimostrato che un drago maschio può volare a poco meno di un anno...» Cherry sbatté rumorosamente le mani sul tavolo. «Dannazione, Pol! Voglio fatti, non parole!» «Allora, da quattro a cinque anni?» Cherry serrò le labbra infastidita; questa era un'abitudine che, secondo Sean, la faceva somigliare ancor più ad una prugna secca. «Sicché è improbabile che io riuscirò a vedere degli squadroni di draghi attraversare i cieli, non è così? E quand'è che cominceranno a bruciare i Fili? È questa la funzione per la quale sono stati progettati, no? Quando cominceranno a rendersi utili?» Sean ne aveva abbastanza. «Più presto di quanto crede, Cherry Duff. Scommettiamo, Joel?» Ciò detto, si allontanò dalla stanza. Si sentiva rodere fin dentro il midollo al pensiero di dover tornare da Sorka e dagli altri che lo aspettavano per sapere com'era andata. Dieci giorni dopo, quando Joel Lilienkamp in persona portò le cinture, le cinghie, i completi da volo e gli occhiali richiesti, l'addestramento al volo sui Draghi di Pern prese l'avvio con l'impegno e serietà. 54. Dopo un anno e mezzo di tremiti e boati sotterranei, Approdo si era abituata ai capricci del sottosuolo. Nel mattino del secondo giorno del quarto mese di quella nona primavera pernese, i coloni più mattinieri notarono la colonna di fumo ma, ancora assonnati, non ne tennero gran conto. Anche Sean e Sorka la notarono quando uscirono dalla loro grotta assieme a Carenath e Faranth. Perché la montagna fuma?, fu la domanda di Faranth. «La montagna cosa?», ribatté Sorka sforzandosi di schiarirsi la mente in modo da assorbire le parole di Faranth. «Accidenti, Sean, guarda là!» Sean scrutò con attenzione il punto indicato. «Non è il Garben. È il Picchu. Patrice de Broglie non si sbagliava! O forse si?» «Cosa diavolo stai dicendo, Sean?» Sorka lo fissò sbigottita. «Si è fatto un gran parlare del substrato roccioso e della necessità di spostare Approdo in un luogo più idoneo, con una sistemazione speciale per i
draghi e per noi...» Gli occhi di Sean non perdevano di vista la colonna di fumo che languidamente si levava dal picco, minimizzato dalla vicinanza del più imponente Garben, ma sicuramente altrettanto minaccioso. Sean alzò le spalle. «Neppure Paul Benden è capace di far eruttare un vulcano su richiesta. Su, sbrigati, faremo colazione da tua madre. Metti la tuta da volo a Mick e andiamo. Forse tuo padre ha già ricevuto qualche comunicato ufficiale.» Aggrottò le ciglia. «Qui siamo sempre gli ultimi a sapere le cose. Devo assolutamente convincere Joel a consegnarci almeno un'unità di comunicazione da installare qui nelle grotte.» Sorka infilò il piccolo nel sacco imbottito di lana dominandone a fatica le contorsioni, dopodiché indossò il giubbotto e si sistemò il casco e gli occhiali di protezione. Sean portò Mick vicino a Faranth. Con padronanza Sorka si issò sulla zampa anteriore educatamente protesa da Faranth e con un agile movimento le montò in groppa. Sean le porse l'irrequieto fagottino da sistemarsi dietro, e si apprestò a montare il compiacente Carenath. I due draghi si librarono in aria prendendo lo slancio dalla piattaforma antistante la grotta e calcolando lo spazio necessario al primo completo battito delle ali. Nelle ultime settimane, la regione dorsale del corpo dei draghi si era notevolmente irrobustita e rivestita di possenti muscoli. Le creature alate erano riuscite a compiere voli della durata di parecchie ore. Anche l'abilità dei cavalieri aveva fatto registrare notevoli progressi, compresa Nora Selby per la quale Sean aveva approntato uno speciale sistema di cinghie che la facevano sentire sicura in groppa al suo drago. La base teorica di cognizioni fondamentali sulle abilità richieste per il volo, fu acquisita dai cavalieri grazie a lunghe discussioni con Drake Bonneau ed altri piloti che vantavano esperienze belliche durante la Guerra contro i Nathi e la lotta ai Fili. La pratica, poi, li aveva ulteriormente stimolati a far meglio. Tre settimane prima si erano schiuse le uova provenienti dall'ultimo gruppo di esemplari trattati da Wind Blossom. Le quattro creature che erano sopravvissute non avevano ricevuto lo Schema di Apprendimento da alcuno dei candidati che attendevano di essere scelti, e ciononostante avevano mangiato il cibo che era stato loro offerto. Le povere bestiole erano risultate affette da fotofobia, e Wind Blossom, con profondo disprezzo da parte di Pol e Bay, e contro il loro parere, aveva insistito nel tenerle in locali oscurati al fine di continuare a compiere esami su quella variante della specie.
Persino le lucertole di fuoco sono più utili, pensò Sean allorché due stormi apparvero all'improvviso su di loro intonando un dolce buongiorno con le vocette squillanti. Se soltanto i draghi si dimostrassero capaci di quello, pensò Sean con un senso di invidia. Ma come fare ad insegnare ad un drago qualcosa che lui stesso non capiva? I draghi divenivano giorno per giorno più svegli e intelligenti, ed erano rapidi nell'apprendimento, ma era impossibile spiegare loro la telecinesi o chiedere di teletrasportarsi così come facevano le lucertole fiammeggianti. Kitti Ping l'aveva definito come un atto istintivo. In nessun punto del programma di genetica che Sean aveva imparato a memoria aveva trovato una frase od una parola che lo illuminasse sul modo di istruire un drago ad utilizzare il suo istinto innato. E, ovviamente, non si trattava di un genere d'esercizio che poteva essere improvvisato affidandosi all'intuito ed alla spontaneità. Beh, intanto avrebbero pensato alla produzione di aliti di fuoco cominciando a propinare ai draghi la pietra focaia. Sean e gli altri sapevano dove le lucertole di fuoco si procuravano quelle rocce contenenti fosfina; spesso il giovane Connell aveva osservato le sue lucertole marroni ed il bronzeo Duke di Sorka selezionare i pezzi da masticare e concentrarsi intensamente durante la masticazione. Le lucertole di fuoco avevano imparato a produrre fiamme su richiesta, cosicché - per Sean - insegnarlo ai draghi non si presentava come un compito particolarmente difficoltoso. Ma volare nel mezzo teletrasportandosi da un luogo all'altro... quello sì che lo spaventava. 55. Fiamme di un genere diverso ossessionavano i Consiglieri di Approdo tre giorni dopo. «Quel che la gente vuole sapere, Paul, Emily,» sbottò Cherry Duff volgendo lo sguardo penetrante dall'Ammiraglio alla Governatrice, «È quanto sapevate in anticipo sull'attività del Picchu.» «Niente!», replicò Paul in tono fermo. Emily annuì. «I bollettini di Patrice de Broglie non sono per nulla mutati. È in corso una notevole attività vulcanica lungo tutto l'anello, ed essa interessa anche il vulcano di nuova formazione. Le stesse scosse che hai avvertito tu le ho sentite anch'io. Approdo e tutti i proprietari di tenute sono stati mesi al corrente di ogni particolare tecnico. È una brutta sorpresa per te così come lo è per noi!» L'e-
spressione grave di Paul si alleggerì un poco. «Diamine, Cherry! Ieri ho avuto la stessa fifa degli altri quando ci è piovuta addosso tutta quella cenere nera!» «E allora?» Cherry non sembrava rabbonirsi. «Picchu è ufficialmente un vulcano attivo!» Paul allargò le mani guardando Cabot Francis Carter e Rudi Schwartz alle spalle di Cherry. «E, sempre secondo i comunicati ufficiali, è probabile che continui a sputare fumo e cenere. Patrice e la sua squadra sono saliti al cratere. Stasera riferirà pubblicamente i risultati dell'ispezione in maniera esauriente nella Piazza del Falò.» Cherry lo fissò a lungo con occhi neri e penetranti, il volto privo di espressione. Esplose infine in uno sbuffo sprezzante. «Io gli credo, ma ciò non vuol dire che la cosa mi piaccia... né tantomeno l'ovvia prognosi. Approdo si trasferirà, non è vero?» Emily Boll annuì solennemente. «E la tua prossima dichiarazione,» continuò Cherry con voce dura, «è che avete già preparato un posto per noi!» Paul proruppe in una fragorosa risata, imitato da Emily che prontamente cercò di attutirne la sonorità. La Governatrice si era infatti accorta che quella loro ilarità aveva suscitato una certa indignazione in Rudi Schwartz. «Non avevi il diritto,» disse Paul contenendo il riso, «di rubare quella battuta ad Emily, Cherry Duff! Dannazione, stavamo proprio lavorando all'annunzio ufficiale quando tu ti sei intromessa. E sai benissimo che ci stiamo affannando a completare la fortezza settentrionale. Anche se il Picchu non avesse cominciato a sommergerci di cenere, Approdo è comunque diventata insufficiente per le nostre esigenze. Naturalmente questo non significa,» l'Ammiraglio si affrettò ad aggiungere sollevando una mano per bloccare l'intervento esplosivo di Cabot, «che i proprietari dei Fondi saranno obbligati a lasciare i loro terreni. È però d'importanza vitale che l'amministrazione di questo pianeta goda della massima protezione. Ormai è palese che Approdo abbia esaurito la sua funzione. Oltretutto, non è mai stata concepita come un insediamento permanente.» Emily raccolse il filo della discussione mentre passava a ciascuno dei Consiglieri una copia del programma di direttive stilato assieme a Paul. «Il trasferimento sarà organizzato seguendo prevalentemente il sistema adottato per il viaggio spaziale che ci ha condotti fin qui. Disponiamo dei tecnici e delle attrezzature che renderanno la traversata a nord il meno gravosa possibile. Abbiamo carburante a sufficienza per alimentare due navet-
te adibite al trasporto degli equipaggiamenti più ingombranti e pesanti, e quindi inidonei ad essere trasportati via mare sulle navi di Jim. Per le navette sarà un viaggio senza ritorno: una volta sul posto, saranno smantellate per ricavarne materiali e pezzi riutilizzabili. Quando sarà possibile, manderemo indietro una squadra che si occuperà di recuperare le parti utili delle altre tre navette lasciate qui ad Approdo. Joel Lilienkamp si sta occupando della composizione dei carichi da inviare con precedenza assoluta a bordo delle slitte grandi, cercando al tempo stesso di non sottrarre troppo personale alle unità di combattimento anti-Fili.» «A proposito di unità di combattimento, quel giovanotto ha insegnato qualche nuova tattica alle squadre?» Il tono di Cherry era imperioso mentre si chinava a guardare Paul abbassando il lungo naso. «E, visto che si parla di eruzioni, che progressi hanno fatto quelle bestie di Kitti Ping? Le vedo svolazzare qui attorno ogni momento. Sono assai carucci quando volano in formazione, ma sono di utilità nella battaglia?» «Finora,» cominciò Paul con prudenza, «hanno registrato progressi che vanno ben oltre le previsioni. I giovani coniugi Connell si sono dimostrati degli splendidi condottieri.» «Erano i migliori capi delle squadre di terra che avevo,» si lamentò Carter contrariato. «Lo saranno ancor più come combattenti aerei,» continuò Paul incurante dell'atteggiamento tacitamente critico della giurista. «E per di più autoriproducibili, contrariamente alle slitte ed agli altri mezzi meccanici.» «Lo dai per scontato?», gli chiese Cherry con la sua voce aspra. «Gli esperimenti di Blossom, non mi sembrano poi tanto riusciti.» «Quelli di sua nonna sì,» ribatté Paul con una ferma sicurezza intesa a rassicurare Cherry. «Secondo Pol e Bay, i maschi stanno producendo spermatozoi portatori delle medesime caratteristiche dei loro produttori. L'analisi genetica è stata avviata, ma occorrono dei mesi perché venga portata a termine. Allora forse sperimenteremo direttamente la fertilità dei draghi con le loro compagne che, maturando più lentamente dei maschi, dovrebbero essere pronte proprio in quel periodo.» Paul non intendeva apparire come un ostinato difensore del programma biologico relativo ai draghi, ma voleva dissipare almeno in parte quella fitta cortina di ostilità e di pessima fama che da un po’ di tempo a quella parte avvolgeva Wind Blossom e le sue creature. Specie in quella delicata fase che vedeva i giovani cavalieri così impegnati nel perfezionarsi per combat-
tere i Fili. Anche se la cosa non era nota, Sean ed il suo gruppo avevano già svolto la funzione di messaggeri, oltre ad aver trasportato carichi leggeri con la massima efficienza. Tra le carte che ingombravano la scrivania di Paul, vi era una relazione pervenutagli da Telgar e dal suo gruppo. Avevano compiuto un'attenta ispezione del cratere sovrastante il rifugio fortificato che avevano scelto come dimora, e vi avevano scoperto una miriade di grotte e di sinuosi cunicoli giudicandolo infine adatto ad ospitare i draghi ed i loro cavalieri in situ per rendere la sistemazione abitabile sfruttando l'energia ancora disponibile nelle pesanti macchine tagliapietre. Avevano anche provveduto ad arginare con un sistema di dighe un fiume che scorreva nei paraggi in modo da creare un laghetto a 'misura di drago' dove le creature alate potessero bagnarsi. Quel fiume avrebbe anche fornito l'acqua che, attraverso un sistema di condutture, sarebbe stata convogliata nella caverna più grande di quelle poste a livello del suolo. L'acqua sarebbe servita agli usi di cucina, sicché si era provveduto anche alla creazione di un sistema di tiraggio terminante con un fumaiolo. In questo modo il vecchio cratere, nuova dimora dei draghi, avrebbe costituito un grande complesso sviluppato intorno ad un nucleo centrale. Quello sarebbe stato ovviamente il modello delle future abitazioni umane su Pern ma, per alcuni coloni abituati a spazi abitativi più comodi, sarebbe occorso un po’ di sforzo per accettarne l'idea. Ma era l'unico sistema per sopravvivere! 56. «Pol?» Il biologo non riconobbe immediatamente la voce ansiosa che lo chiamava dall'altro capo del telefono. «Mary?», chiese incerto, e contemporaneamente tirò una manica del vestito di Bay per distoglierla dal monitor che stava scrutando accigliata. «Mary Tubberman?» «Ti prego di non licenziare una vecchia amica senza darle neppure l'opportunità di parlare.» «Mary,» la rassicurò Pol con gentilezza, «tu non sei stata isolata.» Spostò quindi leggermente il ricevitore affinché anche Bay potesse sentire. Questa annuì vigorosamente in segno di approvazione. «È come se lo fossi stata.» Il tono della donna era amaro, poi la sua voce assunse una nota tremula che in breve divenne un pianto dirotto. «Ascolta,
Pol, è accaduto qualcosa a Ted. Le sue creature girano liberamente. Ho abbassato le imposte anti-Fili ma le sento ancora aggirarsi qui intorno alla ricerca di una preda. Fanno un rumore terribile.» «Creature? Quali creature?» Pol e Bay si guardarono sbigottiti. I draghetti, fino a poco tempo prima appisolati alle loro spalle, si svegliarono all'improvviso e presero a pigolare per l'apprensione trasmessa loro empaticamente dalla coppia di biologi. «Gli animali che sta allevando.» Mary si esprimeva come se desse per scontato il fatto che Pol fosse a conoscenza di quel che lei stava dicendo e volesse mostrarsi deliberatamente ottuso. «Ted... ha rubato delle colture in vitro congelate dal laboratorio di veterinaria, ed ha utilizzato il programma di Kitti Ping per fare in modo che quegli esseri gli obbedissero. Invece sono rimasti delle stupide... cose. Evidentemente non riesce a far nulla per fermarle.» Di nuovo l'amarezza del suo tono fu tagliente. «Cosa ti fa pensare che sia successo qualcosa a Ted?», le chiese Pol leggendo sulle labbra di Bay le parole che gli suggeriva accompagnandole con gesti insistenti. «Non avrebbe mai lasciato quegli animali in libertà, Pol! Potrebbero far del male a Petey!» «Ora sta calma, Mary. Resta in casa. Arriviamo subito.» «Ned non è ad Approdo!» Il tono della donna divenne accusatorio. «Ho provato a chiamare il suo numero. Lui mi crederebbe!» «Non si tratta di crederti o di non crederti, Mary.» Bay accostò il microtelefono alla bocca per parlarvi direttamente. «E tutti possono venire ad aiutare te.» «Sue e Chuck non mi rispondono.» «Sue e Chuck si sono trasferiti al nord, Mary. Sono partiti subito dopo la prima pioggia di cenere del Picchu.» Bay le rispondeva con pazienza. La donna aveva tutto il diritto di lasciarsi sopraffare dall'isteria, reclusa com'era da così tanto tempo con un marito squilibrato, e per di più quotidianamente allietata da scosse telluriche e boati vulcanici. «Verremo io e Pol, Mary,» disse Bay con fermezza, «e porteremo qualcuno con noi per aiutarti.» Ciò detto, riattaccò. «Chi?», le chiese Pol. «Sean e Sorka. I draghi intimidiscono gli animali. E, oltretutto, in questo modo riusciremo ad evitare i canali ufficiali.» Pol guardò sua moglie lievemente sorpreso. Non aveva mai espresso critiche, implicite o esplicite, sulla condizione amministrativa di Emily e
Paul. «Ho sempre pensato che bisognava indagare sulla relazione presentata da Drake e Ned Tubberman. A volte le cose più urgenti si perdono di vista nel caos generale.» Scrisse quindi in fretta un biglietto che attaccò alla zampa destra del suo draghetto aureo. «Trova la rossa,» disse in tono risoluto mentre teneva ferma tra le mani la testa triangolare della piccola Mariah per rapirne tutta l'attenzione. «Trova la rossa!» Bay si avvicinò alla finestra e l'aprì. Indicò allora nella direzione in cui si trovava Sorka, e nella mente evocò nitida l'immagine della ragazza appoggiata al collo del suo drago Faranth. Mariah cinguettò allegramente. «Adesso, va!» Non appena il draghetto ebbe obbedientemente spiccato il volo, Bay fece scorrere un dito sulla fuliggine nera che nuovamente insudiciava il davanzale appena pulito. «Sarei felice di andare al nord. Sono stanca di questa polvere nera che ci sommerge ovunque, eternamente. Andiamo, Pol, indossiamo qualcosa di pesante.» «Io lo so perché ti sei offerta di andare ad aiutare Mary,» gongolò Pol. «Così hai la possibilità di volare un'altra volta in groppa ad un drago.» «Pol Nietro, tu non sai da quanto tempo sono preoccupata per Mary Tubberman!» Quindici minuti dopo, due draghi scesero in picchiata sull'altopiano di Approdo ed atterrarono sulla strada antistante la casa di Pol e Bay. «Hanno una tale grazia», commentò la biologa, accertandosi di aver la larga sciarpa ben avvolta attorno alla testa, sia per proteggerla dalla polvere che continuava a venir giù dal vulcano, sia nella speranza che di lì a poco sarebbe saltata in groppa al drago per un nuovo, entusiasmante volo. Mentre usciva dall'abitazione, Mariah le svolazzò intorno per posarsi sulla sua spalla grassoccia con soddisfatti cinguettii. «Sei meravigliosa, Mariah, semplicemente meravigliosa,» sussurrò Bay alla piccola Regina mentre avanzava spedita verso Faranth e Carenath. Fu però a Sorka che si rivolse. «Grazie per essere venuta, mia cara. Mary Tubberman si è appena messa in contatto con noi. C'è qualche problema lì a Calusa. Ha parlato di 'creature in libertà' e crede che sia accaduto qualcosa a Ted. Vuoi portarci lì?» «Ufficialmente, o non ufficialmente?», replicò Sean, al quale Sorka aveva rivolto uno sguardo interrogativo. «Non è una cosa illecita aiutare Mary.» Bay cercò sostegno in Pol, il quale si era appena avvicinato ai draghi che osservava ammirato più che mai. «E con chissà quale razza di bestie...» «I draghi sono molto utili in questi casi,» replicò Sorka con un sorriso,
avendo deciso per sé. Fece un cenno d'invito a Bay. «Dà la zampa alla signora, Faranth. Ecco la mia mano.» Con l'aiuto di Faranth, che si era cortesemente accovacciata, Bay riuscì con sufficiente agilità a sistemarsi tranquillamente alle spalle di Sorka. Non avrebbe mai ammesso che si sentiva punzecchiare avanti e indietro dalla sporgenze vertebrali tra le quali era seduta. Mariah emise uno stridio di protesta. «Su, Mariah, in groppa a Faranth sono perfettamente al sicuro.» Si assicurò quindi che Pol si fosse sistemato alle spalle di Sean. Il giovane le rivolse un largo sorriso ammiccando. Beh, stavolta si tratta veramente di un'emergenza, pensò la biologa. Una donna era intrappolata in casa con i suoi bambini, minacciata da esseri non identificabili che si aggiravano fuori della sua abitazione. «Ora tieniti forte,» raccomandò Sean come di consueto quando aveva un viaggiatore a bordo. Sollevò quindi il braccio dando il segnale di partenza. Bay soffocò a stento un'esclamazione allorché l'improvviso slancio verticale di Faranth la spinse dolorosamente contro la dura vertebra dorsale. Il disagio durò soltanto qualche istante perché l'aurea Faranth livellò prontamente la sua posizione e virò delicatamente verso destra. Bay trattenne il respiro. Non si sarebbe mai abituata a quella sensazione; non voleva abituarcisi. Volare in groppa ad un drago era la cosa di gran lunga più eccitante che le fosse accaduta da quando... da quando Mariah aveva compiuto il primo volo nuziale. Calusa non era distante da raggiungere in volo ma, per quanto breve, il viaggio fu tremendamente esilarante. I draghi si imbatterono in una delle numerose correnti d'aria risultanti dall'attività del Picchu, e Bay si aggrappò alla cintura di Sorka infilando le dita nei ganci fino alle nocche. In groppa ad un drago, il volo costituiva un'esperienza assai più immediata rispetto a quella che si provava nel chiuso di una avioslitta. Era assai più esilarante! Bay volse la testa da un lato di modo che il corpo alto e forte di Sorka le facesse da scudo alla corrente più violenta ed alla polvere del Picchu che pareva offuscare l'aria persino a quella altitudine. Il viaggio diede modo a Bay di riflettere su ciò che Mary aveva accennato a proposito degli 'animali'. Red Hanrahan aveva riferito una volta di una incursione nel laboratorio veterinario perpetrata a notte fonda. Successivamente era stata rilevata la mancanza di uno scanner biologico senza che la cosa risultasse dagli appositi registri. Ma, visto che il laboratorio di biologia chiedeva continuamente in prestito le attrezzature del laboratorio di
veterinaria, la cosa era passata inosservata. Successivamente, qualcuno si era accorto di uno strano disordine nella collocazione degli ovuli congelati di una particolare varietà di animali terrestri. Si era pensato allora che lo spostamento fosse avvenuto durante il terremoto. Evidentemente, Ted Tubberman si era dato parecchio da fare per alleviare il suo malcontento. Bay era molto amareggiata. Uno dei dettami più rigidi della sua professione di microbiologa era costituito dalla strettissima limitazione imposta alla manipolazione genetica. Era stata davvero una sorpresa - oltre ad essere un sollievo - che Kitti Ping Yung, la scienziata più anziana della spedizione su Pern, avesse permesso di compiere esperimenti di bio-ingegneria sui draghetti di fuoco. Oh, se solo Kitti Ping avesse potuto avere un'idea di quale dono meraviglioso aveva offerto al popolo di Pern! Ma che Ted Tubberman, botanico mancato, manipolasse gli ovuli - senza averne capito affatto le tecniche o il procedimento - per ottenere alterazioni di sua iniziativa, era un fatto intollerabile per Bay, sia da un punto di vista professionale che personale. Bay sapeva di essere una persona tollerante, cordiale e coscienziosa ma, se Ted Tubberman fosse morto, ne avrebbe provato un gran sollievo. E non sarebbe stata l'unica. Il solo pensiero di quell'uomo le produceva sintomi di furia ed agitazione che le facevano perdere il distacco professionale, il che la seccava ancora di più. E invece, in groppa al drago, doveva godere appieno della meravigliosa opportunità di una riflessione tranquilla e pacifica; sì, era favoloso fluttuare mentre la voce del vento era l'unico suono percepibile con gli orecchi, mentre sotto di lei si stendeva splendida la valle del Giordano. Era assurdo sprecare quei così pochi momenti intimità e totale rilassamento. Come invidiava la giovane Sorka, Sean e gli altri. Nella valle successiva, Calusa apparve ai suoi occhi stupefatti. Un massiccio complesso di costruzioni costituiva il quartier generale che i Tubberman avevano creato per il controllo e la gestione dei loro acri di terra. I tetti zincati degli edifici principali erano diventati di un cupo colore grigio a seguito delle numerose piogge di cenere vulcanica che il Picchu continuava incessantemente a depositarvi quando soffiava il vento. Ma Bay ebbe pochissimo tempo per osservarli perché, improvvisamente, un grido di stupore di Sorka la distolse dalla sua contemplazione. «Mio Dio, quell'edificio è un vero sconquasso!» Sorka indicò alla sua destra, e Faranth virò di scatto obbedendo ad un ordine silenzioso. La vertebra dorsale morse la carne tenera dell'inforcatura del corpo di Bay, la
quale si aggrappò ancor di più saldamente alla cintura di Sorka. «Guarda!» Lo sguardo di Sorka era diretto in basso. A settantacinque metri dall'edificio principale, vi era un'area recintata e coperta, munita di due staccionate separate che fiancheggiavano un corridoio a L formante i due lati del recinto. Una delle pareti esterne e parecchie delle divisioni interne erano state abbattute, ed un angolo della tettoia era sfondato. Bay non riusciva a ricordare se in quella zona fossero state registrate altre scosse di terremoto che avrebbero potuto causare quei danni. Gli altri edifici però erano intatti. Il drago cambiò direzione ancora una volta e Bay si aggrappò a Sorka. La ragazza le toccò le dita per rassicurarla e, in pochi istanti, furono sulla terraferma. «Adoro volare in groppa a Faranth. È così forte ed allo stesso tempo così delicata!» La biologa diede una leggera pacca sulla pelle tiepida del collo di Faranth. «No, non smontare,» disse Sorka. «Faranth dice che c'è qualcosa che si muove qui intorno. I draghetti andranno a dare un'occhiata. Uuuh!» L'aria si riempì improvvisamente dei draghetti e delle loro grida infuriate. Mariah, l'aurea di Bay, garrì sonoramente nell'orecchio della sua compagna. «Su, su, non preoccuparti. Faranth farà in modo che non accada nulla a nessuno di voi.» Bay sollevò il braccio verso Mariah, ma questa si unì allo stormo incaricato delle ricognizione. Bay fu stupita nell'accorgersi che il drago ringhiava minacciosamente, una sensazione che aveva percepito anche durante il contatto corporeo di poco prima. Faranth volse la testa imponente verso il recinto, le numerose sfaccettature degli occhi scintillanti tinte da sfumature rosse ed arancioni. Si udì distintamente un ululato lacerante, seguito poi da un totale silenzio. Lo stormo agitato tornò repentinamente svolazzando sulle teste dei due cavalieri di Faranth e Carenath e, tra garriti e cinguettii rumorosi, riferì le notizie attese. Faranth sollevò gli occhi che roteavano mentre assorbiva le immagini mentali trasmessegli dai draghetti. «Là fuori c'è una grossa belva maculata,» comunicò Sorka a Sean. «E qualcos'altro di ancora più grosso ma silenzioso.» «Allora ci serviranno dei fucili. Sorka, dì a Faranth di chiamare dei rinforzi. Marco e Duluth, se è possibile. Dave, Kathy: potremmo aver bisogno di un medico. Gilgath di Peter è molto robusto. Nyassa non avrà paura, e chiedi anche di Paul o Jerry. Credo che dovremmo far uscire Mary e i
due bambini prima di catturare le belve.» Esaurita ormai tutta la forza fisica e mentale, Mary Tubberman scoppiò a piangere sulla spalla di Bay. Suo figlio Peter, un bimbo di sette anni solitamente allegro, osservava la scena col volto serio e teso dall'ansia. Le sorelline strette assieme sul sofà non rispondevano agli sforzi che Pol compiva per confortarle, esercitando la sua collaudata abilità nel trattare con i bambini. Mary non si oppose alla proposta di trasferirsi in un posto più sicuro. «Papà è morto, vero?» fu la domanda di Petey, che si era avvicinato direttamente a Sean. «Forse è qui fuori a tentare di ricatturare le bestie,» suggerì Bay con gentilezza. Il ragazzo le lanciò uno sguardo carico di disprezzo, ed imboccò il corridoio che conduceva alla sua camera. Proprio allora giunsero i rinforzi con i fucili. Sean fu lieto di vedere i draghi atterrare nella formazione che avevano provato durante le numerose esercitazioni. Sean consegnò le armi a Paul, Jerry e Nyassa, e li incaricò di esplorare la zona in groppa ai loro draghi per trovare e possibilmente rendere inoffensive le belve fuggite. Lasciata Sorka ad aiutare i Tubberman ad organizzare l'improvvisa evacuazione della loro casa, Sean e gli altri, armati dei fucili, si avvicinarono prudentemente al recinto dissestato. All'interno stagnava un pesante puzzo di animale ed il pavimento era disseminato di mucchietti di sterco recente. Il corpo squartato e rosicchiato di Ted Tubberman giaceva sul terreno all'esterno del piccolo laboratorio. «Diamine, niente di ciò che abbiamo su Pern uccide in quel modo!», esclamò David Catarel mentre usciva dal corridoio. Kathy si inginocchiò accanto al cadavere, il volto privo d'espressione. «Qualunque cosa sia, deve avere zanne e artigli affilati,» osservò rialzandosi lentamente. «Ha la schiena spezzata.» Marco afferrò un vecchio camice da laboratorio ed alcune tovaglie che usò per ricoprire il corpo. Raccolse quindi i resti di una sedia costruita con una delle fibre vegetali compresse che venivano usate inizialmente per l'arredamento degli interni. «Questo brucerà. Vediamo se riusciamo a trovare una quantità sufficiente di materiale da ardere per cremarlo qui. Ci risparmierà un grosso problema.» Fece un cenno in direzione dell'edificio principale, poi fu scosso da un brivido e si mostrò chiaramente restio a spostare il cadavere dilaniato. «Era impazzito,» commentò Sean, spingendo via con una sbarra lo ster-
co che imbrattava una delle staccionate. «Sviluppare grandi predatori! Come se non avessimo già abbastanza guai con gli wherry e i serpenti!» «Vado a dirlo a Mary,» mormorò Kathy. Sean le afferrò un braccio mentre stava per allontanarsi. «Dille che è morto all'istante.» La ragazza annuì e se ne andò. «Ehi!» Peter Semling raccolse un contenitore per fogli sottili ricoperti di fitte annotazioni vergate in una grafia contorta. «Si tratta di botanica.» Alzò le spalle e porse il raccoglitore a Kathy, poi si chinò a prenderne un altro. «Questa è... biologia? Humph.» «Preleviamo qualsiasi cosa possa dirci che specie di creature lo hanno ucciso,» ordinò Sean. «Ehi!» esclamò Peter per la terza volta. Richiuse quindi la cartellina che poggiava su uno scanner biologico di tipo portatile, completo di monitor e tastiera. «Questo somiglia a quello che era andato perduto nel laboratorio veterinario qualche tempo fa assieme ad alcuni campioni di AI.» Raccolsero meticolosamente tutto il materiale, compresa una piastra che recava inciso il criptico messaggio Eureka, Micorriza!, e che era inchiodata al bordo del lavabo. Dave portò fuori diversi sacchetti da trasportare ad Approdo. Dopodiché, Sean e Peter raccolsero dei materiali infiammabili da utilizzare per una pira che avrebbero fatto ardere dopo che Mary e i bambini avessero lasciato l'abitazione. «Sean!», chiamò David Catarel. Questi era accovacciato presso una larga striscia d'erba verde che costituiva l'unica cosa viva nel terreno intorno carbonizzato e cosparso di cenere, anche se il colore risultava comunque offuscato dalla onnipresente polvere vulcanica. «Quante Cadute ha subito questa zona?», chiese, guardandosi intorno. La mano di Dave corse quindi sull'erba, un ibrido di consistenza dura che il botanico aveva sviluppato per abbellire il paesaggio residenziale prima che i Fili fossero giunti a deturparlo. «Abbastanza per distruggere questa!», rispose Sean, inginocchiatosi accanto a lui. Il giovane Connell strappò un ciuffo dell'erba superstite ed osservò che il terreno rimasto attaccato alle radici conteneva una nutrita varietà di abitatori del suolo, comprese numerose larve dall'aspetto peloso. «Non ho mai visto questa specie,» commentò Dave, acchiappando abilmente tre di quegli esemplari mentre stavano ricadendo al suolo. Si frugò quindi in tasca e ne estrasse un pezzetto di stoffa che utilizzò per avvolgerci accuratamente le larve. «Ned Tubberman ha parlato con insistenza di
una certa erba sopravvissuta ai Fili. Voglio portare questi esemplari al laboratorio di agraria.» In quell'istante Sorka, Pol, Bay e Peter, ciascuno con le mani cariche di pacchi, uscirono dall'edificio principale. Sean e Dave presero a caricare i pacchi sugli otto draghi. «Torneremo dopo a prendere il resto, Mary,» suggerì Sorka con tatto quando la donna li raggiunse con i due sacchi a pelo stracolmi. «Non possiedo granché oltre ai vestiti.» Lo sguardo di Mary corse rapido al recinto. «Kathy mi ha detto che è morto all'istante. È così?» I suoi occhi ansiosi implorarono una conferma. «Kathy è il medico,» la rassicurò Sean. «Deve andare adesso. Andrà con David su Polenth. Monti su. I suoi bambini hanno mai montato un drago prima d'ora?» Sean cercò di sdrammatizzare il momento con tutto l'imbarazzo e la tristezza che suscitava in loro. Soltanto quando i Tubberman sparirono alla vista, accese assieme a Pol la pira funeraria. Decollarono quindi sommersi da un'ennesima cascata della cenere vulcanica che di quel passo avrebbe finito col seppellire tutta Approdo. 57. «Non riesco a decifrare il codice di Ted!», esclamò Pol in preda ad una furiosa esasperazione. Gettò lo stilo sul piano di lavoro cosparso di cartelline per appunti e mucchi di veline. «Stupido, miserabile uomo!» «Ezra ha una vera passione per i codici, Pol,» suggerì Bay. «A giudicare dal DNA/RNA, stava compiendo esperimenti su dei felini, ma non riesco ad immaginarne il motivo. Ci sono già abbastanza belve randagie qui ad Approdo. A meno che...» Si interruppe, mordendosi il labbro inferiore nervosamente e contorcendo la faccia in una smorfia mentre i suoi pensieri percorrevano impervi sentieri. «Noi sappiamo...», si interruppe ancora colpendo il tavolo per dare enfasi alle sue parole, «che i felini non reagiscono bene ai trattamenti telepatici. E anche lui lo sapeva bene. Perché avrebbe dovuto ripetere l'errore?» «E cosa ne dici dell'altro mazzo di appunti?», gli chiese Bay, indicando il raccoglitore precariamente appoggiato sul bordo del ripiano. «Purtroppo, tutto ciò che riesco a interpretare sono stralci tratti dal programma elaborato da Kitti Ping per i draghi.» «Oh!» Bay storse di lato la bocca per un istante. «Oltre all'anarchico,
giocava anche a fare il creatore?» «Per quale altra ragione avrebbe fatto dei riferimenti alle equazioni genetiche degli Eridaniti?» Pol batté il pugno sul tavolo, frustrato ed inquieto, l'espressione ribelle. «E cosa diavolo sperava di ottenere?» «Credo che dobbiamo ringraziare il Cielo che non si sia messo a fare esperimenti di manipolazione sui draghetti di fuoco, anche se sospetto che stesse armeggiando con gli ovuli sottratti dalle riserve congelate del laboratorio di veterinaria.» Pol si strofinò le mani sugli occhi affaticati. «Ormai dobbiamo ringraziare il Cielo per qualsiasi piccolezza. Specie se consideri quel che ha fatto Blossom. Non avrei dovuto dirlo, cara. Dimenticalo!» Bay si concesse uno sbuffo di sdegno. «Almeno Blossom ha avuto il buon senso di tenere incatenati quei poveri esseri fotofobici. Non riesco proprio a capire perché insista nello studiarli. È l'unica persona che quelle creature gradiscono.» Bay ebbe un brivido di repulsione. «Le dimostrano una vera e propria adorazione.» Pol sbuffò. «Ecco perché li alleva,» aggiunse in tono assente mentre sfogliava gli appunti indecifrabili. «Quel che io non riesco a capire, è perché Tubberman abbia scelto i grossi felini.» «Perché non lo chiediamo a Petey? Lui ha aiutato suo padre a costruire il recinto.» «Tu sei l'essenza stessa della razionalità, mia cara,» esultò Pol. Si alzò quindi alla svelta e si precipitò a baciarle affettuosamente una guancia arruffandole i capelli. Mentre Bay lo ammoniva giocosamente per smorzare il suo impeto, il biologo digitò il codice dell'apparecchio di intercomunicazione collocato nel nuovo alloggio di Mary Tubberman. Ogni giorno, lui e Bay le facevano visita per aiutarli a reinserirsi nella comunità. «Mary, c'è Peter, per favore?» Quando Peter venne all'apparecchio, il tono della sua voce non suonò di particolare incoraggiamento. «Sì?» «Quei gattoni che il tuo papà stava allevando, avevano macchie o striscie?», gli chiese Pol in tono distaccato. «Macchie.» Peter fu colto di sorpresa dalla domanda inaspettata. «Ah, i ghepardi. È così che li chiamava?» «Sì, ghepardi.» «Ma come mai allevava proprio i ghepardi, Peter? So che sono molto veloci, ma non sarebbero d'aiuto nella caccia agli wherry.» «Erano fantastici nella caccia ai serpenti tunnel.» Il tono di Peter si fece
più animato. «E poi si accucciavano e facevano tutto quello che gli diceva papà...» Si interruppe. «Lo credo, Petey. Esistevano diverse società antiche sulla vecchia Terra che praticavano l'allevamento di questi animali perché cacciassero qualsiasi tipo di selvaggina. Sono i più veloci tra i quadrupedi!» «Si sono rivoltati contro di lui?», chiese Peter dopo un attimo di silenzio. «Non lo so, Petey. Verrai al falò stasera?», gli chiese Pol in tono vivace, consapevole di non poter abbandonare la conversazione su quella nota così amara. «A proposito, mi avevi promesso una rivincita. Non riesco a sopportare che tu debba sempre battermi a scacchi.» Il ragazzo gli promise una partita per quella sera stessa, al ché, sollevato, Pol riattaccò. «Da quanto ha detto Petey, sembrerebbe che Tubberman avesse usato la sintesi mentale sui ghepardi per costringerli all'obbedienza. Li usava per cacciare i serpenti tunnel.» «Gli si sono rivoltati contro?» «Sembra l'ipotesi più probabile. Ma perché lo avrebbero fatto? Quanto desidererei sapere il numero esatto degli ovuli sottratti dal laboratorio. E vorrei tanto saper decodificare quegli appunti e scoprire se ha soltanto applicato le tecniche mentali o se ha pure messo in pratica qualche punto del programma di Kitti. In tal caso,» espirò con un pesante senso di frustrazione, «potremmo avere un numero sconosciuto di predatori liberi a Calusa. Belve in libertà a Calusa!» Gli sfuggì una nota di scherno. «Mi domando se Phas Radamanth sia stato più fortunato nel decifrare gli appunti su quelle larve vermiformi. Potrebbero esserci utili.» 58. Patrice de Broglie irruppe all'improvviso nell'ufficio di Emily. «Il Monte Garben si prepara ad esplodere. Dobbiamo evacuare Approdo. Immediatamente!» «Cosa?» Emily balzò in piedi e le veline che stava esaminando le scivolarono dalle dita spargendosi sul pavimento. «Vengo direttamente dai crateri. C'è stato un cambiamento nel rapporto zolfo/cloro. È il Garben che sta per eruttare.» Si colpì la fronte con la mano in un gesto di autoaccusa. «Lo avevo sotto i miei occhi e non riuscivo a vederlo.» Messo in allarme dal grido di Emily, Paul giunse dall'ufficio attiguo. «Il Garben?»
«Bisogna far evacuare Approdo immediatamente,» gli gridò Patrice, con la faccia stravolta. «Ci sono stati aumenti significativi delle quantità di mercurio e radon prodotti da quel dannato cratere. E noi credevamo che fuoriuscissero dal Picchu!» «Ma è il Picchu che sta fumando!» Stordito e confuso, Paul si sforzò di conservare l'abituale freddezza. Si avvicinò al telefono nello stesso istante in cui lo fece Emily. L'Ammiraglio sollevò il ricevitore per primo, ma lo lasciò ad Emily perché si mettesse in contatto con Ongola. «Quel Garben è infido proprio come l'uomo che portava lo stesso nome. La vulcanologia non può dirsi ancora una scienza esatta.» Gli occhi di Patrice roteavano, mentre il vulcanologo, sopraffatto dalla frustrazione, camminava avanti ed indietro nel piccolo ufficio. «Ho mandato su una slitta veloce con lo spettrometro di correlazione per controllare il contenuto delle emissioni delle fumate che si sono aperte nel cratere del Garben.» Patrice non si arrestò. «Ho anche prelevato dei campioni dell'ultima cenere emessa. Ma l'aumento nel rapporto zolfo/cloro significa che il magma è in ascesa.» «Ongola,» disse Emily. «Lancia il segnale d'allarme. Emergenza vulcanica! Richiama alla base tutte le slitte. Sì, lo so che oggi è prevista una Caduta, ma dobbiamo assolutamente evacuare Approdo, subito. Quanto tempo abbiamo, Patrice?» Il vulcanologo si strinse nelle spalle con esasperazione. «Non posso prevedere il momento preciso della catastrofe, amici miei, né su quale versante si riverserà la colata, ma il vento soffia forte in direzione est. La cenere sta già aumentando. Non ve ne siete accorti?» Sbigottiti, l'Ammiraglio e la Governatrice guardarono fuori della finestra e videro che il cielo era ormai diventato completamente grigio per la cenere che oscurava la luce solare. Scorsero anche il pennacchio di fumo giallo che si levava dalla vetta del Picchu, più denso e largo del solito. Una simile aureola cominciava a cingere anche la vetta del Garben. «Ci si può abituare persino a vivere sotto un vulcano,» osservò Paul con amaro umorismo. Patrice si strinse nuovamente nelle spalle ed accennò un sorriso. «Meglio non abituarcisi però. Anche se il flusso piroclastico fosse minimo, Approdo verrà comunque sommersa dalla cenere, data la rapidità con la quale ha preso a cadere. Non appena sarà possibile tracciare i probabili percorsi lavici, vi metterò al corrente, così potrete evacuare prima le zone ad alto rischio.»
È una grande fortuna che già disponiamo di un piano di evacuazione,» osservò Emily selezionando lo schedario giusto e chiamandolo sul terminal «Ecco!» Fece passare la sequenza su tutte le stampanti con precedenza assoluta. «Sarà trasmesso a tutte le stazioni settoriali. L'evacuazione è ufficialmente in atto, signori. Peccato dover sbrigare tutto così alla svelta; qualcosa è comunque destinata a sfuggirci, indipendentemente dall'accuratezza impiegata nell'elaborare il piano.» Addestrata nel corso di ripetute esercitazioni, la popolazione di Approdo reagì prontamente al segnale di allarme portandosi subito nei centri settoriali per ricevere disposizioni. Un debole focolaio di panico fu facilmente soffocato, e l'operazione andò in porto perfettamente. Il cielo intanto continuava ad oscurarsi, mentre dense nuvole di cenere nera si levavano dalle cime dei vulcani in piena attività, da quegli stessi monti che erano sembrati così benigni. Bianchi pennacchi si sollevavano dalle fumate risvegliate del Garben e dai crepacci che si aprivano lungo il pendio orientale. Il mattino divenne crepuscolo mentre l'aria continuava ad essere contaminata dalla cenere nera. Furono distribuite lampade portatili e maschere munite di respiratori. Incaricato di sovrintendere all'evacuazione, stavolta reale, Joel Lilienkamp ne controllava lo svolgimento dall'alto, a bordo di una slitta veloce. Il tettuccio del velivolo era aperto, consentendogli così di urlare ordini ed incitamenti ai gruppetti in azione e di prendere decisioni estemporanee. L'infermeria - ad eccezione dei presidi di pronto soccorso e di emergenza antiustionati - i laboratori ed i depositi situati nelle immediate vicinanze del vulcano in febbrile attività, furono i primi ad essere sgomberati. Ovunque circolavano carrelli elevo-trasportatori, depositando il carico sulla pista o trasportandolo al rifugio temporaneo allestito nelle Grotte di Catherine. La squadra di Patrice aveva già calcolato le aree a basso ed alto rischio piroclastico. L'allarme era stato inviato fino a Cardiff nella zona orientale, ad ovest fino a Bordeaux, e a sud fino a Cambridge. Già interessato da un'abbondante pioggia di cenere, Monaco rientrava nelle aree a moderato rischio piroclastico. Tutte le barche, navi, e chiatte della baia, furono mobilitate per essere caricate e quindi allontanate nella zona di sicurezza stabilita al largo della prima penisola della Regione di Kahrain. Gli ultimi sacchi di carburante furono completamente vuotati nei serbatoi delle due navette rimaste. La maggioranza dei cavalieri di draghi fu utilizzata per scortare il bestiame fino al porto. Per la prima volta nessuno si
preparò ad attendere i Fili che sarebbero caduti di lì a poco sul Lago Maori. Una caduta ancor più mortale minacciava la gente di Approdo. Nessuno ebbe il tempo di lanciare grida di incitamento ed esultanza quando Drake Bonneau fece decollare la vecchia Rondine col suo carico di bambini ed equipaggiamenti poco prima che la luce si offuscasse totalmente sull'altipiano. I tecnici si portarono immediatamente all'altra navetta spaziale, il Parrocchetto. Ongola e Jake, impegnati al monitor nella Torre di Controllo, approfittarono della pausa per mandar giù un boccone del pasto caldo che avevano fatto arrivare. Le apparecchiature di radiocomunicazione erano state sistemate su carrelli, e potevano perciò essere facilmente spostate se la Torre fosse stata in pericolo. «Pare che la Rondine vada su senza problemi,» informò Ezra dalla cabina dell'interfaccia da dove controllava il volo della navetta. Il Capitano Keroon aveva trascorso gran parte della giornata ad erigere uno scudo protettivo di materiale a tenuta termica attorno alla camera; aveva voluto adottare quella misura precauzionale nonostante Patrice de Broglie lo avesse assicurato che la postazione della cabina non attraversava alcuno dei precedenti percorsi lavici. Purtroppo, non era possibile scollegare l'interfaccia con la Yokohama orbitante attorno a Pern, in quanto il ricevitore collocato sull'astronave era sintonizzato su un segnale d'onda fisso. Di fatto, non potendo più modificare la posizione della Yoko, non sarebbe ovviamente sorta l'esigenza di riposizionamento i canali di collegamento con l'interfaccia. Quella sera, le esalazioni sulfuree e le nere particelle sabbiose resero l'aria soffocante, e Patrice avvertì che l'attività vulcanica era quasi giunta al punto critico. Bianchi pennacchi sinistramente aleggianti da una gorgogliante incandescenza si levavano dalla vetta del Picchu e dal cratere del Garben, stagliandosi contro il cielo buio e proiettando una misteriosa fosforescenza sull'insediamento. Drake Bonneau comunicò di essere atterrato sano e salvo dopo un volo particolarmente difficoltoso. «Quella dannata cassa tremava tanto che pareva spaccarsi da un momento all'altro, ma fortunatamente non si è danneggiato niente. I bambini poi si sono buscati solo qualche ammaccatura, però non credo proprio che gli verrà una grande passione per il volo. Anche l'atterraggio è stato una frana. Abbiamo fatto un solco nel terreno, tanto è stato lungo! Ci vorrà il resto della giornata per spianarlo per quando arriverà il Parrocchetto. Dì a Fulmar di controllare i giroscopi ed i monitor. Giurerei che nei nostri c'era una nidiata di serpenti tunnel.» Un flusso costante di veicoli scorreva verso il porto dove le chiatte e le
navi più grosse venivano caricate con gli animali riluttanti, sospinti nei gabbioni eretti sul ponte. Casse piene di galline, anitre ed oche, furono legate a qualsiasi appiglio o superficie disponibile, per essere poi scaricate nella conca di Kahrain, a distanza di sicurezza dalla zona pericolosa. Con un po’ di fortuna si sarebbe riusciti a far evacuare buona parte del bestiame. Sorvolando il porto a bassa quota, Jim Tillek riusciva a coordinare tutta l'operazione con incoraggiamenti e, all'occorrenza, con rimproveri agli equipaggi. Al calar della notte, Sean ordinò che i cavalieri cessassero la loro attività di trasporto di beni e persone nella conca di Kahrain. «Non intendo rischiare di sfiancare i draghi ed i loro cavalieri,» annunziò accalorandosi a Joel Lilienkamp. «È troppo rischioso, ed i draghi sono ancora troppo giovani per reggere ad uno stress simile.» «Al tempo, ragazzo! Non è il momento di delicatezze!», replicò Joel nervosamente. «Tu occupati dell'esodo, Joel, ed io dei miei draghi. I cavalieri lavorerebbero fino allo stremo delle forze, ma è una idiozia mettere sotto sforzo quei giovani draghi. Un'idiozia che non verrà commessa fintantoché riuscirò ad evitarlo.» Joel lo fulminò con uno sguardo carico d'ira e frustrazione. I draghi erano stati immensamente utili, ma anche lui sapeva benissimo quanto fosse sciocco sottoporli ad un rischio simile. Fece decollare in silenzio la slitta, appollaiato dietro alla consolle come una piccola statua ricoperta di cenere. Sean e gli altri cavalieri continuarono a darsi da fare fino a che non furono esausti. Ciascuno drago si rincantucciò arrotolandosi protettivamente dietro al suo compagno addormentato. Nessuno ebbe il tempo di notare l'esiguità dei draghetti lì intorno. Non trascorse molto tempo che Joel fu di ritorno e, dall'aria, prese ad esortare i cavalieri addormentati, che prontamente si riapprestarono alle fatiche che li aspettavano come il resto della gente. Tutto d'un tratto, la sirena squarciò l'aria con un triplo segnale. Ogni attività si arrestò in attesa del messaggio annunziato. «Il vulcano sta per esplodere!» La voce di Patrice de Broglie, dal tono quasi trionfante, riecheggiò per tutta Approdo. Tutti volsero il capo in direzione del Garben, la cui vetta si stagliava nella magica luminosità prodotta dal suo cratere. «Fate decollare il Parrocchetto!» La voce stentorea di Ongola infranse il silenzio pieno di inebetito terrore.
Il rombo dei motori della navetta fu soffocato dal boato del suolo e da un ruggito assordante di immane potenza che proruppe dal vulcano nell'attimo della sua violenta esplosione. La rapita attenzione con la quale gli osservatori paralizzati contemplavano la scena, si interruppe di colpo, ed ognuno si affannò a completare il compito che stava eseguendo prima, gridando a squarciagola per soverchiare il fragore tutt'intorno. In seguito, coloro che videro il picco fratturarsi e la lava fusa ed incandescente cominciare a colare, dissero che tutto pareva essersi svolto come al rallentatore. Videro le fenditure nel cratere delinearsi rosse e arancioni, videro i detriti zampillare dalla bocca, e persino i lapilli levarsi tanto alti da riuscire a seguirne la vorticosa traiettoria. Altri invece dissero che tutto era accaduto così in fretta da non poter essere sicuri dei particolari. Scarlatte lingue di lava si srotolavano paurosamente dalla bocca infuocata del Garben, rifluendo in una colata che, correndo ad una velocità sbalorditiva, si dirigeva verso gli edifici ubicati all'estremità occidentale di Approdo. In quell'alba il vento si era calmato, ed aveva così risparmiato buona parte della sezione orientale dell'insediamento dalla peggiore ondata di lapilli e cenere rovente. I frammenti rocciosi di dimensioni maggiori che Patrice aveva temuto non comparvero. Ciononostante, la lava costituiva una terrificante minaccia. Il Parrocchetto, carico di attrezzature insostituibili, penetrò l'oscurità occidentale, ed il bagliore dei motori, visibili anche se non udibili, ne fece seguire la traiettoria in direzione nordovest, fuori d'ogni pericolo. Al suono del segnale d'allarme, i delfini iniziarono a rimorchiare le piccole imbarcazioni pesantemente caricate al largo della Baia di Monaco, ma si trattava di una flottiglia di vascelli inadatti ad una prolungata navigazione marina. I delfini avevano assicurato agli umani che avrebbero portato il carico intatto al porto protetto che si trovava al di là della prima penisola del Kahrain. La Vergine e il Biancospino, non caricate completamente, salparono per attendere fuori dalla zona di rischio di poter tornare per ultimare l'operazione di carico. Jim, a bordo della Croce del sud, scortava le chiatte ed i bragozzi lungo la costa nel loro lungo viaggio verso Seminoie, da dove avrebbero intrapreso la rotta finale verso il nord. Le slitte facevano la spola tra Approdo e la Tenuta del Fiume Paradiso che costituiva il posto di raduno più sicuro nelle vicinanze. Il traffico lì era divenuto caotico perché, da quel punto, si rendevano disponibili i beni di
importanza vitale e si smistavano i carichi verso le aree designate della spiaggia. Approdo era stata sgombrata di tutto ciò che poteva essere riutilizzato nella nuova fortezza settentrionale. Una spessa coltre di cenere dall'odore sulfureo cominciò a ricoprire gli edifici di Approdo. Alcuni dei tetti più leggeri crollarono sotto il peso, e gli osservatori sentirono gli scricchiolii ed i movimenti dei materiali plastici. L'aria era quasi irrespirabile per le tracce di cloro. Tutti fecero uso delle maschere senza lamentarsi. A metà pomeriggio, un Joel Lilienkamp sull'orlo del collasso, atterrò con la slitta malconcia sul lato riparato della Torre di Controllo dove era parcheggiata la slitta di Ongola. Attese un istante per raccogliere l'energia sufficiente ad accendere il radiotelefono. «Abbiamo recuperato tutto ciò che potevamo,» ansimò, la voce arrochita dalle esalazioni acri. «I carrelli sono parcheggiati nelle Grotte di Catherine e ci rimarranno fino a quando non sarà possibile smantellarli per ricavarne delle attrezzature. Potete partire anche voi adesso.» «Arriviamo,» replicò Ongola. Apparve qualche attimo dopo impegnato a far passare obliquamente dalla porta una pesante apparecchiatura per le telecomunicazioni. Jake gli era alle spalle, ugualmente carico. Paul li seguiva con altri due componenti della delicata attrezzatura. «C'è bisogno di una mano?», chiese Joel automaticamente, anche se il modo in cui si trascinò al pannello di comando rivelava apertamente quanta poca energia gli fosse rimasta. «Ancora un viaggio,» disse Ongola dopo che ebbero sistemato il carico a bordo. «Il gruppo di alimentazione è ancora carico?», chiese a Joel. «Sì. Mi resta un'ultima unità.» Ongola e Jake tornarono nella torre, mentre Paul si avvicinava all'asta della bandiera e, con un'espressione di profonda mestizia, ammainava solennemente i cenci bruciacchiati che una volta erano stati la bandiera della colonia di Pern. Raccolti i brandelli li arrotolò e li infilò sotto al sedile sul quale prese posto nella slitta. Rivolse quindi un lungo sguardo al capo magazziniere. «Vuoi che guidi io, Joel?» «Io ti ho condotto qui, ed io ti porto via!» Paul non osò voltarsi a guardare le rovine di Approdo ma, allorché Joel compì un'ampia virata a est per poi dirigersi a nord, l'Ammiraglio si accorse di non essere l'unico ad avere la faccia rigata di lacrime.
59. Un rigido vento nordorientale ripulì la valle di Kahrain dalla coltre di cenere e dalla acre contaminazione dell'eruzione del Monte Garben. Un drappo nero ammantava l'orizzonte orientale mentre il vulcano continuava a sputare lava e quintali di cenere. Patrice ed una squadra ridotta restarono sul posto a controllare lo sviluppo della situazione dopo che Approdo fu abbandonata. «Stamattina andremo a caccia,» annunziò Sean agli altri cavalieri. Avevano scoperto una tranquilla conca a monte della spiaggia e dell'accampamento principale. Nessuno dei draghi distesi al tiepido sole mostrava una buona colorazione del manto. Dentro di sé Sean era seriamente preoccupato che le creature, ancora in uno stadio di sviluppo, fossero state troppo sovraccaricate. Decise allora senza un attimo di esitazione che un buon pasto sarebbe stato il rimedio ottimale. Si guardò intorno in cerca delle lucertole di fuoco ed imprecò tra i denti. «Maledizione! Ci occorrono tutte quelle che abbiamo. Quattro Regine e dieci bronzei non possono procurare cibo sufficiente a sfamare diciotto draghi! Sicuramente devono aver visto qualche vulcano eruttare in passato.» «Non sulle loro teste,» replicò Alianne Zulueta. «Non sono riuscita a rassicurare i miei. Se ne sono andati via subito!» «La carne rossa farà meglio del pesce, dato che contiene più ferro,» suggerì David Catarel, gli occhi fissi sul pallido bronzeo Polenth. «C'è un gregge quaggiù.» «Ehi, un momento,» intervenne Marco Galliani con voce ferma sollevando le mani. «Mio padre le deve imbarcare per Roma non appena ci saranno slitte disponibili. È un gregge di prima scelta.» «Lo sono anche i draghi.» Sean si alzò, mentre uno strano sorriso gli illuminava il volto. «Peter, Dave, Jerry, venite con me. Sorka, tu occupati delle eventuali interferenze.» «Ehi, aspetta un momento, Sean,» cominciò Marco, diviso tra due doveri in conflitto. Sean gli sorrise poggiandogli un dito sul naso. «Occhio non vede, cuore non duole, Marco.» «È per il bene del tuo drago, uomo,» mormorò Dave, mentre gli passava davanti.
Un'ora dopo, uno stormo di draghi sparì verso ponente sorvolando le cime degli alberi. Gli altri cavalieri erano così presi nello sforzo di aiutare le squadre impegnate a mettere un po’ d'ordine nel caos che imperava sulla spiaggia, da non notare affatto che alcuni dei loro compagni non erano presenti. Verso mezzogiorno, diciassette draghi satolli dal manto vividamente colorato si crogiolavano sulla sabbia. Uno soltanto sedeva pazientemente sul promontorio mentre i draghetti di fuoco si tuffavano in mare per procurargli del pesce fresco. Caesar e Stefano Galliani, impegnati nel contare i capi di bestiame prima dell'imbarco, scoprirono la mancanza di trentasei animali, compreso uno della razza più pregiata. Caesar chiese allora ai cavalieri di setacciare la zona e di ricondurre sulla costa i capi sfuggiti. «Esseri inutili, sempre in giro a vagabondare!», commentò Sean annuendo con partecipazione ai perplessi e delusi Galliani. «Daremo un'occhiata.» Quando Sean si ripresentò un'ora dopo, suggerì a Caesar l'ipotesi che le pecore fossero cadute in uno dei numerosi burroni che si aprivano in quella zona. I Galliani decollarono riluttanti col gregge notevolmente ridotto. Le grandi slitte da trasporto avevano dei programmi da rispettare, e l'imbarco non poteva essere posposto. Quando l'ultima slitta si fu sollevata dal suolo, Emily si accostò a Sean. «I tuoi draghi sono pronti per tornare al lavoro?» «Ai suoi ordini!» Sean acconsentì con una tale amabilità che Emily lo fissò a lungo incuriosita. «Le lucertole fiammeggianti hanno lavorato sodo tutta la mattina per sfamarli.» Il giovane fece un cenno verso la conca dove Duluth continuava a mangiare i pesciolini offertigli da un bronzeo. «Lucertole fiammeggianti?» Emily fu momentaneamente sconcertata dal termine 'lucertole', poi ricordò che Sean preferiva la denominazione che lui stesso aveva attribuito alle piccole creature. «Oh, sì; sicché i vostri stormi sono tornati?» «Non tutti,» si lamentò Sean, poi aggiunse in fretta: «Ma un numero sufficiente di Regine e di bronzei.» «L'eruzione li ha spaventati, vero?» Sean sbuffò. «L'eruzione ci ha spaventati tutti!» «Ma non tanto da farci perdere la testa, o almeno così sembrerebbe.» Emily contorse le labbra in un sorriso sofferto. «Se non altro, nessuno si è comportato così scioccamente come quelle pecore, non ti pare?» Sean non si finse innocente né diede mostra di aver capito; le ricambiò lo sguardo
scrutatore finché non fu lei ad interrompere il contatto. «Se ai tuoi draghi non va più a genio il pesce, allora andate a caccia di wherry. L'eruzione ha già decimato abbastanza il nostro bestiame, grazie.» Sean chinò la testa, conservando l'atteggiamento distaccato. «C'è tanto da fare, ed alla svelta.» La Governatrice consultò il fitto mazzetto di fogli ammucchiati nel raccoglitore, poi si fermò a strofinarsi la fronte... A quel punto gli lanciò uno sguardo pentito. «Scusa, Sean, è un buon apprezzamento.» «Anch'io vorrei tanto che i draghi utilizzassero tutte le loro facoltà, Governatrice,» replicò Sean. «Ma non siamo sicuri di come vada fatto. Non sappiamo neppure cosa dobbiamo dirgli di fare.» Si asciugò la fronte e il collo madidi di sudore, un sudore non dovuto interamente al calore solare. «È una questione importante che dobbiamo considerare con attenzione, ma non qui e non ora. Ascolta, Sean: Joel Lilienkamp è preoccupato per i materiali lasciati ad Approdo. E noi qui stiamo imbarcando roba da mandar via con la massima rapidità possibile.» Indicò con un movimento del braccio i cumuli di casse classificate a seconda del colore e le palette ricoperte di schiuma. «Le casse arancioni contengono materiali che devono essere protetti dai Fili, sicché devono imbarcarsi per il nord con precedenza assoluta per essere stipati nella Rocca di Fort. Allo stesso tempo dobbiamo cercare di salvare ciò che è rimasto ad Approdo prima che la cenere seppellisca tutto quanto.» «Quella cenere brucia, Governatrice. Brucia così facilmente le ali dei draghi come...» Sean si interruppe, lo sguardo fisso verso la spiaggia occidentale, una mano sollevata in un inutile gesto di avvertimento. Emily si voltò per vedere cosa avesse destato la preoccupazione del suo giovane interlocutore. Il grido allarmato del drago si udì debole e sottile nell'aria infuocata. Il pilota della slitta in rotta di collisione con la creatura sembrava non essersi affatto accorto che stava scendendo direttamente su di lei. Poi, soltanto un attimo prima che la slitta si scontrasse con la creatura alata, il drago ed il suo cavaliere scomparvero. «L'istinto è qualcosa di meraviglioso!», esclamò Emily, il volto illuminato dal sollievo per quel lieto fine all'ultimo secondo, e per la gioia di aver visto un drago mostrare finalmente quella sua innata facoltà. La Governatrice tornò con lo sguardo a Sean e la sua espressione mutò di colpo. «Cosa c'è, Sean?» Lanciò quindi una rapida occhiata al cielo, un cielo vuoto sia del drago col suo cavaliere che della slitta, ormai tranquillamente atterrata e confusasi tra l'andirivieni della conca di Kahrain. «Oh no!» La
mano le corse alla gola che pareva serrarsi mentre la paura le attanagliava le budella. «No, oh no! Non riappariranno più? No, Sean? Non dovrebbe essere uno spostamento istantaneo?» Sgomenta, afferrò un braccio di Sean scuotendolo per attirare l'attenzione del giovane. Questi la guardò e l'espressione angosciata dei suoi occhi le diede una risposta che trasformò la sua paura in dolore. La donna mosse lentamente il capo da una parte all'altra sforzandosi di negare a se stessa la terribile verità. In quel momento l'ispettore che sovrintendeva alle operazioni di carico si avvicinò alla Governatrice con un mazzetto di fogli tra le mani ed un'espressione preoccupata. Proprio allora il più straziante dei lamenti riempì l'aria. Il suono era così lacerante che una buona metà della gente sulla spiaggia si coprì le orecchie. Il lamento insopportabile crebbe con potenza uniforme e, nel medesimo istante, l'aria fu colma di draghetti di fuoco, ciascuno che contribuiva col suo stridulo garrito a dilatare ancora più l'intensità del lamento. Gli altri draghi si librarono in volo privi di cavalieri e raggiunsero il punto del cielo nel quale uno di loro ed il suo compagno umano avevano perso la vita. In una complicata acrobazia che in un'occasione diversa avrebbe entusiasmato qualsiasi osservatore, i draghetti di fuoco attorniarono i più grossi cugini e con i loro stridii fecero da controcanto allo straziante lamento funebre intonato dai draghi. «Scopriremo come è potuto accadere. Il pilota di quella slitta...» Emily si arrestò di fronte alla terribile espressione che si era disegnata sul volto di Sean. «Ciò non servirà a riportare in vita Marco Galliani e Duluth.» Con un deciso gesto della mano, il giovane cavaliere chiuse definitivamente l'argomento. «Domani andremo dovunque vorrà, per recuperare tutto ciò che ci verrà richiesto.» Per un lungo istante Emily restò immobile a guardare la figura del giovane che si allontanava, decisa a non distogliere lo sguardo fino a che quell'immagine non le si fosse impressa indelebilmente nella memoria. Nel cielo, le graziose creature volteggiavano, si tuffavano e planavano dirette a ponente, verso la loro spiaggia. Emily si rese conto che il dolore pur grande che essa provava non era nulla al confronto del senso di vuoto che avrebbe schiacciato il gruppo dei cavalieri. La Governatrice si strofinò la faccia ed il mento tremante, poi deglutì con determinazione per sciogliere il terribile groppo che le serrava
la gola, e fece rabbiosamente cenno all'ispettore del carico di avvicinarsi a lei. «Scopra chi pilotava quella slitta e lo conduca nella mia tenda a mezzogiorno. Adesso, cosa voleva dirmi?» 60. «Marco e Duluth sono scomparsi nello stesso modo in cui scompaiono le lucertole di fuoco.» La voce di Sean suonò stranamente gentile. «Loro però non sono tornati,» gridò Nora in tono di protesta. La ragazza ricominciò quindi a piangere, affondando la faccia sulla spalla di Peter Semling. L'emozione prodotta da quelle morti inattese era stata traumatica. Il lamento dei draghi era scemato soltanto nel pomeriggio. Verso sera, i loro compagni li avevano persuasi con dolcezza ad arrotolarsi nella sabbia e a dormire. Poco lontano, i giovani si erano seduti presso un piccolo fuoco, i volti apatici e spiritati. «Dobbiamo scoprire cosa non ha funzionato,» stava dicendo Sean, «così da fare in modo che non si ripeta mai più.» «Sean, noi non sappiamo neppure cosa stavano facendo Marco e Duluth!», gridò David Catarel. «Duluth ha mostrato una reazione istintiva di fronte ad un pericolo,» suggerì un'altra voce. Pol Nietro, con Bay al suo fianco, si fermò nella luce proiettata dal fuoco. «Un istinto che prima o poi avrebbe dovuto manifestare. Siamo qui per porgervi le condoglianze da parte di tutti i tecnici che hanno collaborato alla realizzazione del programma sui draghi. Noi - Bay ed io - siamo qui perché vi consideriamo come persone di famiglia.» Goffamente Pol si asciugò gli occhi e tirò su col naso. «Sedetevi qui con noi, vi prego,» li invitò Sorka con serena dignità. Si alzò e trasse i due biologi nella cerchia illuminata. Altre due casse da imballaggio furono aggiunte a far da sgabelli. «Abbiamo provato a immaginare che cosa sia successo,» continuò Pol, dopo che assieme a Bay si fu messo a sedere pesantemente. «Nessuno ha badato alla sua direzione,» intervenne Sean con un profondo sospiro. «Io li stavo guardando. Marco e Duluth hanno spiccato il volo dalla spiaggia e stavano prendendo quota proprio nel momento in cui il pilota della slitta stava compiendo una virata di avvicinamento. Non sarebbe comunque riuscito a vedere Marco e Duluth in ascesa sotto di lui. I draghi
non sono muniti di dispositivi di segnalazione a stretta vicinanza.» Sean sollevò la mani in un gesto di impotenza. «Da una fonte attendibile, ho appreso che il pilota della slitta aveva spento il dispositivo di allarme perché il rumore costante di tutto quel traffico gli dava sui nervi.» Pol si protese verso di lui. «Quindi è quantomai importante che i tuoi cavalieri insegnino la disciplina ai loro draghi.» Un impeto di rabbioso diniego gli fece sollevare le mani. «Con ciò non vorrei risultare censorio, amici cari. In realtà, la mia intenzione è quella di essere costruttivo. È ovvio che questo è proprio il momento di muovere un altro passo avanti sulla strada dell'addestramento dei draghi. È il momento di addestrarli a fare un uso appropriato di quell'istinto che oggi avrebbe dovuto salvare Marco e Duluth.» Il commento suscitò dei mormorii, alcuni rabbiosi, altri allarmati. Sean alzò la mano chiedendo il silenzio, la faccia stanca, rischiarata dalle saltellanti lingue di fuoco. Sorka, di fianco e lui, avvertiva dolorosamente la tensione che gli contraeva i muscoli delle mascelle e la sofferenza che gli appesantiva lo sguardo. «Credo che i nostri pensieri seguano identici sentieri, Pol.» La voce tesa di Sean rivelò al biologo il tremendo stress cui il giovane cavaliere era sottoposto. «Credo che Marco e Duluth siano stati colti dal panico. Se soltanto fossero ritornati al posto dal quale erano partiti, avrebbero scansato lo stesso quella maledetta slitta!» Il dolore angoscioso di Sean era quasi tangibile. Trasse un lungo respiro e proseguì in un tono uniforme, quasi distaccato. «Tutti noi possediamo delle lucertole di fuoco. Questa è una delle ragioni per le quali Kitti Ping ci scelse come candidati a far coppia coi draghi. A tutti noi è capitato chissà quante volte di affidare dei messaggi alle nostre lucertole, di dir loro dove andare, cosa fare o chi cercare. Dovremmo perciò essere capaci di istruire i draghi a fare lo stesso. Adesso sappiamo con certezza - una certezza pagata a caro prezzo - che i draghi sono capaci di teletrasportarsi, proprio come le lucertole di fuoco. Noi dobbiamo guidare questo loro istinto. Dobbiamo disciplinarlo, come ha suggerito Pol, e fare in modo che il panico non si impadronisca di noi come è accaduto a Marco.» «Perché Marco ha avuto paura?», chiese Tarrie Chernoff con tristezza. «Darei qualunque cosa per saperlo.» L'angoscia era tornata a turbare la voce di Sean. «Ma una cosa so con certezza. Da ora in poi nessun cavaliere decollerà senza aver prima controllato cosa vi sia in aria nelle immediata vicinanze. Dobbiamo volare stando sempre sulla difensiva, cercando di in-
dividuare tutti i possibili pericoli. La prudenza,» Sean si premette l'indice sulla tempia, «deve essere scolpita nelle nostre pupille.» Adesso il suo tono era vivace, e le parole fluivano veloci. «Noi sappiamo che le lucertole di fuoco vanno in un posto che sta nel mezzo tra un luogo e l'altro, perciò smettiamola di dare per scontato questo loro talento ed osserviamo con attenzione cosa fanno esattamente. Scrutiamo i loro arrivi e le loro partenze. Mandiamoli in luoghi specifici, dove non sono stati mai prima, per accertare se sono in grado di seguire le nostre direzioni mentali. I nostri draghi ci ascoltano telepaticamente, e capiscono con esattezza quel che stiamo dicendo - il che non avviene con le lucertole di fuoco - perciò, se ci abituiamo a trasmettere messaggi precisi alle lucertole di fuoco, i draghi dovrebbero dimostrarsi capaci di operare sulla base dello stesso genere di direttive mentali. Quando avremo capito tutto del comportamento delle lucertole di fuoco, allora tenteremo di dirigere i nostri draghi.» Un mormorio si levò tra gli altri cavalieri, sotto gli sguardi fulminei che Sean lanciava ad occhi stretti. «Ciò non sottoporrà i draghetti ad un serio rischio?», domandò Tarrie, mentre accarezzava la piccola aurea che stava accoccolata nella piega del suo braccio. «Meglio rischiare i draghetti che i draghi!», afferrò Peter Semling in tono risoluto. Sean sbuffò in tono derisorio. «Le lucertole di fuoco sono bravissime a badare alla loro pelle. Non fraintendetemi...» Sollevò una mano bloccando l'immediata protesta di Tarrie. «Io le apprezzo immensamente. Si sono dimostrate delle piccole grandi guerriere. E poi, non saremmo mai riusciti a sfamare i draghi appena nati senza il loro aiuto. Quelle creature,» si interruppe per guardare i presenti ad uno ad uno,» possiedono un meccanismo di sopravvivenza eccellentemente sviluppato, altrimenti non avrebbero superato il primo passaggio della Nube di Oort. In qualsiasi epoca possa essere avvenuto. Come ha detto Peter, è di gran lunga più sicuro fare esperimenti con le lucertole di fuoco che non sulla pelle di un drago e del suo cavaliere.» «Il tuo ragionamento è perfetto, Sean,» commentò Pol, acquistando lui stesso il coraggio per avanzare delle proposte. «E confido sul fatto che intenda utilizzare le auree e i bronzei. Bay ed io li abbiamo trovati sempre più affidabili degli altri draghetti.» «Anch'io. Specie se consideriamo che gli azzurri e le verdi hanno tutti tagliato la corda dopo l'eruzione.»
«Io sono pronto a provare,» esordì Dave Catarel raddrizzandosi e lanciando uno sguardo di sfida a tutti gli altri. «Dovrebbero pur provare in qualche modo. Lo faremo con prudenza!» Il suo sguardo corse fulmineo a Sean. Il volto di questi fu rischiarato da un debole sorriso. Al di sopra del piccolo falò, tese la mano a Dave. «Anch'io ci sto,» si offrì Peter Semling. Nora acconsentì timidamente. «Mi sembra una proposta dotata di grande senso logico,» affermò Otto annuendo vigorosamente mentre si guardava attorno. «Dopotutto, è per questo che abbiamo allevato i draghi: eliminare il pericolo dei Fili, quando le slitte meccaniche non ci riescono.» «Grazie, Otto,» replicò Sean. «Tutti noi abbiamo bisogno di pensare in maniera razionale.» «E con prudenza,» aggiunse Otto sollevando un dito in segno di ammonimento. Ridestati dall'apatia, i cavalieri cominciarono a bisbigliare tra loro. «Ti ricordi, Sorka,» la apostrofò Bay protendendosi verso di lei, «quando mandai da te Mariah il giorno in cui fummo chiamati da Calusa?» «La piccola Regina mi portò il tuo messaggio.» «Già. Ma io le dissi soltanto di trovare la rossa delle grotte.» Bay tacque significativamente. «Naturalmente, Mariah ti conosceva da sempre, e non sono molte le rosse ad Approdo e in tutto il pianeta.» Bay si rese conto di balbettare, come solo di rado le accadeva, ed altrettanto raro era che scoppiasse in lacrime. Ma, quando aveva appreso la terribile notizia, aveva pianto per quasi un'ora, malgrado il conforto recatole da Pol. Come questi aveva detto, era stato come perdere uno di famiglia. Privi di un terminal sul quale esaminare le possibili soluzioni, avevano trascorso due ore a frugare freneticamente nella cassa dove avevano stipato tutti i loro appunti sul programma dei draghi, sperando di trovarvi qualche suggerimento positivo col quale confortare i giovani cavalieri. «Mariah ti trovò senza difficoltà quel giorno, e tu arrivasti a casa nostra dopo pochi minuti. Perciò non deve averci messo molto tempo a farlo.» «No,» convenne Sorka meditabonda. Guardò le facce illuminate dal bagliore delle fiamme. «Pensa quante volte abbiamo detto ai draghetti di procurarci del pesce per i piccoli draghi.» «Non c'è modo di sbagliarsi sul pesce,» osservò Peter Semling, frugando assorto nella sabbia con un ramo. «Sì, ma i draghetti sapevano esattamente quali specie i draghi gradivano
di più,» intervenne Kathy Duff. «E poi, non ci mettono niente, dal momento che abbiamo dato l'ordine. Spariscono fulmineamente e, dopo un paio di secondi, tornano con un pesciolino.» «Un paio di secondi,» ripeté Sean, lo sguardo fisso nell'oscurità. «Ci sono voluti più di un paio di secondi ai nostri draghi per accorgersi che Marco e Duluth non sarebbero più tornati indietro. Da ciò possiamo allora dedurre che anche i draghi impiegherebbero un paio di secondi per teletrasportarsi?» «Con una certa prudenza...», ammonì nuovamente Otto con l'indice sollevato. «D'accordo,» concluse Sean senza indugi, «ecco cosa faremo domani alle prime luci del mattino.» Si sporse a prendere il bastoncino che Peter tormentava tra le mani e tracciò sulla sabbia il disegno di una costa frastagliata. «La Governatrice vuole che andiamo a recuperare la roba rimasta ad Approdo. Dave, Kathy, Tarrie, avete tutti e tre delle lucertole auree. Farete voi il primo volo. Quando sarete giunti alla Torre di Controllo, manderete indietro le lucertole di fuoco, qui da me e Sorka. Pol, Bay: avete qualche impegno per domani?» Bay sbuffò con aria di scherno. «Io e Pol saremo degli esseri inutili fino a quando non riattiveremo i nostri circuiti alla Rocca di Fort. Non ci resta che aspettare di essere trasferiti. Saremmo felicissimi di aiutarvi, in qualsiasi modo.» «Cronometreremo la velocità delle lucertole di fuoco. Soltanto, sarà necessario disporre di radiotelefoni per farlo immediatamente sul posto.» «Li procuro io,» si offrì Pol. Sean sorrise, sinceramente divertito. «Ci speravo. Lilienkamp a te non li negherà, non è vero?» Pol scosse il capo con enfasi e si sentì più rinfrancato rispetto al pomeriggio, quando aveva scartabellato invano tra gli appunti fuori posto, stravolto dall'acuto dolore. «Siamo d'accordo allora. Adesso ci congediamo da voi.» Pol si alzò e tese una mano a Bay aiutandola a sollevarsi in piedi. «Radiotelefoni, abbiamo detto. Quanti? Dieci? Ci vediamo qui all'alba con gli apparecchi.» Rivolse un inchino agli altri notando che solo Bay aveva colto quanto aveva detto. «Sì, all'alba, cominceremo le nostre osservazioni scientifiche.» «Adesso andiamo tutti a dormire, cavalieri,» esortò Sean, e cominciò a gettare della sabbia sulle fiamme languenti.
61. Col ricevitore accostato all'orecchio, Pol lasciò cadere il dito quando Bay, Sean e Sorka, diedero il via ai cronometri da polso. Con gli indici sospesi al di sopra del pulsantino d'arresto, tutti e tre scrutavano attenti il cielo ad oriente. Il bagliore solare riflesso sul mare liscio come olio faceva strizzare gli occhi a Bay. «Adesso!», annunziarono quattro voci, e quattro dita si mossero non appena i draghetti di fuoco irruppero nell'aria sulle loro teste, con cinguettii estasiati. «Ancora otto secondi,» esclamò Pol gioiosamente. «Vieni, Kundi,» chiamò Sorka, sollevando il braccio sul quale il draghetto era invitato a posarsi. Il bronzeo di David Catarel pigolò, inclinò da un lato la testolina come se stesse considerando l'opportunità di accettare l'invito, ma con una virata si allontanò obbedendo all'aspra diffida di Duke, il drago bronzeo di Sorka. «Non dare così, Duke.» «Otto secondi,» annunziò Sean con ammirazione. «È quanto impiegano per coprire una distanza di una cinquantina di klick.» «Chissà...», disse Pol, picchiettando con lo stilo sul raccoglitore contenente un'incoraggiante colonna di cifre. «La cifra non cambia indipendentemente da chi mandi in volo il draghetto e verso quale direzione. Quanto impiegherebbero per raggiungere, diciamo... Seminole o la Rocca di Fort su a nord?» Lanciò uno sguardo interrogativo agli altri. Sean scosse la testa, dubbioso, ma Sorka si mostrò più entusiasta. «Mio fratello Brian sta lavorando alla fortezza. Duke lo conosce bene quanto me. Ed io ho visto un mucchio di fax del posto. Lo manderemo da Brian.» Quasi comprendesse di essere l'oggetto della discussione, Duke prese a svolazzare intorno ai quattro per poi posarsi sulla spalla di Sorka. La ragazza si mise a ridere. «Vedete, è d'accordo!» «Duke è capace di raggiungerci quando viene chiamato,» osservò Sean, «ma saprà andare dove viene mandato? Approdo è un'altra cosa: lo conoscono tutti fin troppo bene.» «Non ci resta che provare per scoprirlo,» replicò Pol senza indugi. «E questa è un'ora favorevole per raggiungere Brian alla Rocca di Fort.» Pol estrasse il radiotelefono e provò a mettersi in contatto con la Torre di Controllo. «È una fortuna che la Torre sia ancora funzionante. Ah, sì. Sono Pol Nietro. Ho bisogno di mettermi urgentemente in contatto con Brian Hanrahan... ho detto che è urgente! Sono Pol Nietro. Passatemi Brian! Idioti!»,
mormorò sottovoce. «È una chiamata importante?» Si riuscì a rintracciare Brian, il quale fu sorpreso di sentire la sorella. «Ehi, ma cosa succede? Non è il caso di fare tutto questo chiasso. Posso assicurarti che mamma si sta occupando di Mick nel migliore dei modi. Lo adora.» La voce di Brian, leggermente irritata, giunse distintamente agli altri, e Sorka rimase un po’ perplessa per la freddezza del fratello. Sean allora le tolse l'apparecchio di mano. «Brian, sono Sean. Marco Galliani ed il suo drago Duluth sono morti ieri in uno sfortunato incidente. Stiamo cercando di evitare il ripetersi di un episodio simile. Ti chiediamo soltanto pochi minuti del tuo tempo. Ed è un'esigenza prioritaria.» «Marco e Duluth?» Il tono di Brian era avvilito. «Maledizione, qui non abbiamo saputo niente. Mi dispiace. Cosa posso fare?» «Sei in un luogo all'aperto? Un posto dove puoi essere facilmente individuato dall'alto?» «Sì, sono fuori. Perché?» «Allora spiega a Sorka dove ti trovi esattamente. Te la passo.» «Dannazione, Sorka, mi dispiace di averti risposto male prima. Allora, mi trovo all'aperto. Hai visto gli ultimi fax? Bene, sono approssimativamente a venti metri dalla nuova rampa. Alle grotte dei veterinari. Finalmente si sono decisi a procurarci un'altra sede e, ad un paio di passi da me, c'è un mucchio enorme di massi alto quasi un metro. Cosa devo fare adesso?» «Sta lì e non muoverti. Io mando Duke da te. Quando ti darò il via, tu farai partire il cronometro.» «Andiamo, sorellina,» cominciò il ragazzo palesemente incredulo, «tu sei nella Valle di Kahrain, non è così?» «Brian! Per una volta nella vita, non discutere quello che ti dico!» «D'accordo. Sono pronto a misurare il tempo.» Il tono era ancora leggermente irritato. Sorka sollevò alto il braccio, pronta a dare il via a Duke. «Va da Brian, Duke. È nella nuova casa. Qui!» Serrò gli occhi con forza e si concentrò sull'immagine di Brian in piedi nel luogo da lui descritto. «Vai, Duke!» Con un rauco grido di sorpresa, Duke si lanciò nell'aria e svanì. «Via!», gridò Sorka al fratello. «Ehi, ti sento forte e chiaro, sorellina. Non c'è bisogno di urlare in quel
modo. Non riesco a capire che vantaggio potrà darvi questa cosa. Neppure per un istante è possibile immaginare che un draghetto di fuoco sia capace... accidenti!» La voce di Brian tremò, presa dallo sbigottimento. «Non credo ai miei occhi. Dannazione! Ho dimenticato di controllare il tempo.» «Non importa,» lo assicurò Sorka, annuendo con gioia, «abbiamo usato il tuo 'accidenti' per segnarlo!» Pol saltellava letteralmente dalla felicità tenendo saldamente il cronometro da polso e gridando: «Otto secondi! Otto secondi!». Lo scienziato afferrò Bay per la vita e prese a danzarle intorno. Sean sollevò Sorka in braccio e la baciò sonoramente, mentre Mariah e Blazer comandavano una squadriglia di inneggianti draghetti di fuoco in una vertiginosa evoluzione aerea. «Otto secondi per raggiungere la fortezza: solamente otto secondi!», ansimò Pol, ondeggiando ancora con Bay aggrappata a lui. «Sembra così illogico,» osservò Bay in un ansito, una mano poggiata sul petto rigonfio per le frequenti pulsazioni. «Lo stesso tempo per percorrere cinquanta o quasi tremila klick!» «Ehi, Sorka,» si udì la voce lamentosa di Brian. La ragazza accostò nuovamente il ricevitore all'orecchio, asciugandosi la fronte sudata con la manica della veste. «Ora dovrei andare: cosa pensi che debba farne di Duke adesso che è qui?» «Digli di tornare da me. E dacci il via nel momento in cui sparirà.» «Okay, perfetto! Pronti, allora... Duke, trova Sorka! Sorka! Trovala... è sparito. Dannazione! Via!» Sulla spiaggia della Conca di Kahrain, quattro dita premevano sui polsi, quattro paia d'occhi fissavano il cieli del torrido pomeriggio e quattro voci contavano i secondi. «Sei... sette... otto... Ce l'ha fatta!» La loro gioiosa esultanza trovò nuova sicurezza quando Duke si posò sulla spalla di Sorka tra felici cinguettii e sfregò il muso gelido sulla guancia di lei. «Bene, è stato un esperimento altamente soddisfacente e significativo,» commentò Bay con un sorriso raggiante. «Riferisci tu a Emily, vuoi, Bay?», le chiese Sean, infilando la mano sotto al braccio di Sorka. «Adesso è meglio che andiamo a fare la nostra parte di lavoro quotidiano.» 62.
«Sicché la morte di Marco Galliani si è dimostrata un elemento catalizzatore?», chiese Paul Benden ad Emily quella sera quando si sentirono al telefono. «Pol e Bay nutrono molta fiducia,» replicò Emily, ancora immensamente triste per la tragedia occorsa. Era molto stanca, e lo sapeva e, mentre parlava a Paul con la speranza di trarre la pur minima consolazione da qualche buona notizia proveniente dal nord, metà della sua mente era concentrata sulle cose che bisognava ancora organizzare. «Il gruppo di Telgar ha fatto un lavoro grandioso, Em. Gli alloggi sono magnifici. Non ti sembrerà affatto di trovarti a sette, otto, metri di profondità nella roccia solida. Cobber e Ozzie sono scesi a parecchie decine di metri collegando sette tunnel. Abbiamo trovato anche una postazione ideale per l'apparecchiatura di radiotelecomunicazione di Ongola: un vano scavato nella facciata della rupe ad una notevole altezza. Tutto il complesso di grotte è sufficiente ad ospitare l'intera popolazione di Approdo.» «Non a tutti sorride l'idea di andare ad abitare in un fosso nel terreno, Paul.» Emily parlava anche per sé. «Ci sono soltanto poche grotte situate a livello superficiale con accesso immediato.» Il tono dell'Ammiraglio voleva infonderle fiducia e tranquillità. «Aspetta e vedrai. Ma quando viene su? Devo assolutamente fare un'apparizione alla prossima Caduta, o altrimenti mi spareranno!» «Non ci sperare!» «Emily.» Il tono brioso di Paul si fece serio. «Lascia che Ezra prenda il tuo posto. Lui e Jim possono occuparsi delle operazioni di carico. Altri si occuperanno del trasporto e del controllo sulle slitte. Pierre dovrebbe venire a fare un'ispezione dei servizi di ristorazione. Avrà la cucina più grande di tutto Pern!» «Beh, allora sarà un cambiamento più che benvenuto, considerando quell'unico barbecue che abbiamo qui! Ascolta, Paul: è dei draghi che mi preoccupo.» «Non pensarci, Emily, vedrai che se la caveranno da soli: da quello che mi ha riferito, ne sono più che sicuro.» «Grazie, Paul,» rispose Emily con fervore, rincuorata dalla assoluta sicurezza della sua voce. «Prenoterò un posto sulla slitta che parte domani sera.» 63.
Dopo l'eccitazione provata dall'aver mandato Duke fino al continente settentrionale, dirigere i draghetti di fuoco avanti e indietro tra Kahrain ed Approdo risultava poco entusiasmante, ma se non altro serviva ad ammazzare la noia del lungo viaggio. Sulla via del ritorno, Sean fece esercitare gli altri cavalieri in formazioni di volo libero e sincronizzato e, cosa ancor più importante, li istruì a riconoscere e trarre vantaggio dalle utili correnti d'aria. Quella sera, il fuoco dell'accampamento fu più grande, e Pol e Bay scivolarono nella cerchia illuminata per discutere alcune osservazioni relative ai draghetti di fuoco e circa la loro applicazione ai draghi. In realtà non c'era alcun bisogno che Sean promuovesse la 'prudenza' come motto del loro gruppo: nella mente di tutti i cavalieri, Marco e Duluth erano vividamente presenti. Per evitare nella maniera più assoluta il verificarsi di altri infortuni, Sean suggerì che il giorno successivo sarebbe stato opportuno allenarsi ulteriormente nelle formazioni di volo, così da affrontare la prossima Caduta col vantaggio di un'ottima preparazione. «Se si conosce perfettamente la propria posizione rispetto agli altri cavalieri alati, si saprà sempre dove ritornare.» Sean pronunziò con maggiore enfasi l'ultima frase. «I vostri draghi sono così giovani!», continuò Pol, incoraggiato dalla reazione favorevole. «I draghetti sembrano non subire alcuna degenerazione. In altri termini, non soffrono di un invecchiamento fisiologico come avviene a noi.» «Vuoi dire che potrebbero sopravvivere alla nostra morte?», chiese Tarrie sbigottita. Si guardò intorno in cerca della sua Porth, una massa più sicura della fitta e buia vegetazione. «Da quel che abbiamo capito, devo risponderti di sì, Tarrie.» «I nostri organi principali degenerano,» proseguì Bay, «anche se la moderna tecnologia è in grado di effettuare ricostruzioni o trapianti, consentendoci una più lunga durata di vita efficiente.» «Sicché è improbabile che si ammalino o soffrano?» Tarrie si illuminò a tale prospettiva. «È quanto pensiamo,» rispose Pol sollevando un dito ammonitore. «Però non abbiamo visto draghetti anziani.» Sean sbuffò, e Sorka rise. «In realtà abbiamo soltanto la nostra generazione per giudicare. E, quando ci è capitato, abbiamo curato soltanto i nostri draghetti, che si fidavano di noi, e quasi sempre per piccole ferite o u-
stioni, o per qualche occasionale lesione cutanea. È di grande conforto sapere che i draghi sono così longevi.» «Fintantoché noi non commettiamo degli errori,» intervenne tristemente Otto Hegelman. «E perciò non ne faremo!» Il tono di Sean fu granitico. «E, visto che non dobbiamo più fare errori, domani ci divideremo in tre gruppi. Sei, sei... e cinque. C'è bisogno di tre capi.» Sean lasciò libera la scelta ma, ciononostante, fu il primo ad essere nominato. Dave e Sorka furono scelti dopo una brevissima discussione. Più tardi, i coniugi Connell si distesero comodamente sulla sabbia tra Faranth e Carenath, e Sorka abbracciò a lungo Sean baciandogli la guancia. «Perché questo bacio?» «Per averci dato la speranza. Però, Sean, io sono preoccupata.» «Perché?» Sean si scostò delicatamente i capelli di Sorka dalla bocca, e spinse la spalla sinistra in un nuovo infossamento della sabbia. «Credo che non dovremmo aspettare troppo a lungo per tentare di teletrasportarci.» «Sono pienamente d'accordo, e sono grato a Pol e Bay per i loro commenti sulla longevità dei draghi. Hanno dato coraggio anche me.» «Sicché, fin quando avremo l'uso della ragione, terremo con noi i nostri draghi.» Sorka si strinse al corpo di lui. «Vorrei che portassi i capelli lunghi, Sorka,» mormorò Sean, estraendo un altra ciocca dalla bocca. «Non ne ho mangiato ancora abbastanza!» «I capelli corti sono più comodi da infilare sotto il casco da volo,» replicò Sorka, biascicando nel sonno incalzante. Poi, si addormentarono insieme. 64. La quantità di pacchi ed attrezzature protette da custodie di plastica in attesa ad Approdo diminuiva costantemente ma, cionondimeno, le operazioni di carico alla Conca di Kahrain procedevano con avvilente lentezza. Quella seconda sera, Sean stava aiutando a scaricare i suoi cavalieri alati quando avvistò uno degli Ispettori di Carico seduto ad una scrivania improvvisata, intento a scrutare il piccolo schermo di una unità portatile. «Entro domani, finiremo di trasportare la roba da Approdo, Desi,» lo assicurò Sean.
«Ottimo, Sean, ottimo!», tagliò corto Desi con un cenno che invitava Sean a congedarsi da lui. «Cosa diavolo ti prende, Desi?», gli chiese Sean. Il tono tagliente del giovane indusse Desi ad alzare gli occhi con stupore. «Cosa mi prende? Ho una spiaggia zeppa di roba da imbarcare, e neppure l'ombra di un mezzo di trasporto.» La faccia di Desi era talmente stravolta dall'ansia, che tutto il rancore provato poco prima da Sean si dissolse all'istante. «Credevo che le slitte grandi stessero tornando.» «Torneranno soltanto quando saranno stati ricaricati gli alimentatori ed effettuati tutti i controlli tecnici necessari. Avrebbero dovuto dirmelo prima.» La voce di Desi era scossa dalla frustrazione. «Tutti i miei programmi d'imbarco... sono sfumati. Cosa devo fare, Sean? Tra non molto saremo di nuovo bersagliati dai Fili e tutta questa roba... e», sventolò un cencio intriso di sudore in direzione del carico contrassegnato dal colore arancione, «è insostituibile. Se soltanto...» Si interruppe, ma Sean capì perfettamente che cosa l'uomo era stato sul punto di dire. «Hai fatto un ottimo lavoro, Sean, ottimo! L'ho apprezzato veramente. Quanta roba ancora hai detto che dev'essere trasferita?» «Domani faremo piazza pulita lì ad Approdo.» «Poi, il giorno dopo...» Desi si strofinò nuovamente la faccia, sforzandosi di nascondere l'imbarazzo. «Ho sentito Paul, Sean. Vuole che voi cavalieri cominciate a dirigervi a Seminole, e da lì facciate la traversata verso il nord. E...» Desi si sfregò di nuovo la faccia. «Tu vorresti che noi portassimo quei pacchi arancioni fuori pericolo?» Sean avvertì un nuovo moto di risentimento. «Beh, tutto sommato, credo che sia meglio di niente.» Si allontanò quindi a lunghi passi prima che la collera si impadronisse di lui. Stanno arrivando Faranth e Sorka, lo avvertì Carenath in tono sommesso. Sean cambiò direzione avviandosi verso il punto dove avrebbero atterrato. Certamente non poteva ingannare Sorka circa il suo stato d'animo ma, durante lo scarico delle merci trasportate dal drago, sarebbe riuscito a soffocare almeno una parte della furia che lo dominava. «Va bene, dimmi cosa è successo.» Sorka lo trasse da un lato della Regina aurea riparandosi dagli altri cavalieri che stavano ancora sistemando i pacchi nelle aree distinte per colore. Sean pigiò forte il pugno nel palmo dell'altra mano colpendola ripetutamente prima di rivelare verbalmente il suo senso di umiliazione.
«Non siete considerati altro che delle fottute bestie da soma: dei carri con le ali!», esplose alla fine. Pur ribollendo dall'ira, ricordò di tenere bassa la voce. Faranth volse la testa verso i due cavalieri, e sprazzi di rosso cominciarono a balenare nell'azzurro dei suoi occhi. Carenath urtò con la testa il dorso del Drago Regina. Sean udì alle loro spalle il mormorio degli altri draghi e, subito dopo, lui e Sorka si ritrovarono circondati dallo squadrone al completo, compresi i cavalieri che man mano stavano giungendo sul luogo. «Guarda cos'hai combinato!», sospirò Sorka. «Cosa sta succedendo, Sean?», domandò Dave, schiacciandosi contro il corpo del suo Polenth per farsi strada verso Sean. Questi trasse un profondo respiro soffocando rabbia e risentimento. Se non riusciva a controllare se stesso, non sarebbe mai riuscito a controllare gli altri. Gialli lampi di allarme guizzavano negli occhi dei draghi rivolti verso di lui. Doveva quietarli, calmare se stesso, e gli altri cavalieri. Sorka aveva ragione. Aveva attizzato un fuoco che doveva spegnere al più presto. «Sembra che siamo rimasti gli unici mezzi di trasporto aereo disponibili,» cominciò, abbozzando una sorta di sorriso. «Desi dice che tutte le slitte grandi sono ferme a terra per essere revisionate.» «Ehi, Sean,» protestò Peter Semling, con uno scatto del pollice in direzione della massa enorme di materiale ammucchiato sulla spiaggia. «Noi non possiamo trasportare tutta quella roba!» «Impossibile!» Sean compì un gesto deciso con entrambe le mani. «Non spetta a noi farlo. Quando avremo ripulito Approdo, faremo ciò che ordina Paul: raggiungeremo Seminole e da lì effettueremo la traversata finale per il nord. Questo ci va bene.» Esibì allora un sorriso sinceramente dolente. «Ma Desi vorrebbe che portassimo con noi alcuni dei materiali insostituibili.» «Nessuno vuol capire che non siamo una ditta di trasporti!», esclamò Peter con un risentimento che collimava perfettamente con quello di Sean. «Questo è fuori discussione, Pete,» dichiarò Sean con fermezza. «Noi siamo cavalieri di draghi, e faremo onore alla nostra categoria. Ma Desi si trova in una situazione senza uscita, ed ha bisogno di noi.» «Io vorrei che gli altri avessero bisogno di noi solo per quello che è il fine della nostra esistenza,» osservò Tarrie. «Una volta che avremo assolto i nostri doveri qui, ci concentreremo sul compito che ci è proprio, e su quello soltanto. Conto che ci saremo tutti te-
letrasportati entro la data in cui dovremo raggiungere Seminole.» «Verso luoghi che non abbiamo mai visto?», chiese il pratico Otto. «No, in luoghi dove siamo appena stati. Il nostro volo verso Seminole ci offrirà l'opportunità di vedere le tenute più importanti del sud,» replicò Sean, rinvigorito nel tono. Si stupì della fiducia che lui stesso riponeva in quel progetto. «Avremo bisogno di punti di riferimento simili per teletrasportarci quando combatteremo contro i Fili.» Il volto di Sorka era radioso d'orgoglio mentre il suo uomo non solo riusciva a controllare la propria collera, ma riaffermava splendidamente la dignità del loro futuro. Il giallo dell'ira stava sfumando lentamente dagli occhi dei draghi fissi sulle loro teste. «Sento un odorino appetitoso. Mi è venuta fame. Andiamo a mangiare: ce lo siamo guadagnato!» «Dovremo procurare del cibo per i draghi prima di solcare i cieli di tutto il continente.» Peter puntò il mento in direzione dei recinti del bestiame. Sean scosse il capo sorridendo al ricordo del velato ammonimento di Emily. «Non ci può andare bene due volte, Pete; domani andremo a caccia dei capi sfuggiti alla mandria nella zona di Approdo.» Cominciò a farsi largo tra la cerchia dei draghi. «Domani si mangia, Carenath,» annunziò, dando una pacca affettuosa al suo bronzeo mentre gli passava accanto. Pesce? si informò Carenath con un tono alquanto contrariato. «Carne. Carne rossa,» lo rassicurò Sean. Rise agli schiamazzi grati degli altri draghi. «Però stavolta non rapiremo le bestie per voi.» Quindi cinse Sorka con un braccio e, assieme a lei, si incamminò alla volta della cucina da campo. 65. Il giorno seguente, non appena ebbero attraversato il Fiume Giordano, le tre squadre dei cavalieri volanti si allontanarono in tre diverse direzioni, sorvolando l'insediamento ammantato di cenere e dirigendosi a sud e ad est, ma mantenendosi a bassi livelli di quota. Faranth dice di aver avvistato della carne che corre, riferì Carenath al suo cavaliere. E noi? Sean teneva il binocolo puntato su una piccola valle. Si trovavano a settentrione della zona devastata da due Cadute, sicché vi era vegetazione a sufficienza da attirare erbivori in cerca di foraggio. «Dille che anche noi abbiamo beccato qualcosa.» Non carne?, chiese Carenath deluso.
Sean sorrise e diede una pacca sulla spalla del drago. «Sì, stai tranquillo. Devi accontentarti di ciò che troveremo,» aggiunse poi, mentre il piccolo branco misto di pecore e mucche si disperdeva disordinatamente allarmato da quell'incursione aerea. Sean fece delle segnalazioni agli altri due componenti della sua squadra gesticolando platealmente con le braccia come stabilito per precauzione durante le esercitazioni. Visto che i draghi potevano comunicare tra loro, i cavalieri avevano deciso di non ricorrere ai radiotelefoni portatili. Sean però aveva trattenuto quelli procurati da Pol. Per quanto fosse impensabile rischiare di cadere da un'altezza così elevata, gli apparecchi erano tuttavia troppo utili per essere abbandonati definitivamente. «Atterriamo su quella sporgenza rocciosa, Carenath. C'è spazio sufficiente anche per gli altri.» Porth dice che hanno abbastanza da sfamarci tutti, riferì Carenath, mentre toccava con delicatezza la superficie di roccia ed abbassava la spalla per consentire a Sean di smontare. «Dì a Porth che gliene siamo grati. Ad ogni modo è meglio che ti affretti a inseguire quel branco,» lo consigliò Sean. La piccola mandria stava discendendo lungo la valle alla massima velocità possibile. Sean dovette ripararsi la faccia dalla ghiaia e dalla onnipresente cenere sollevata dalla repentina partenza di Carenath. Vivide strie seguirono il bronzeo. «Bentornati,» li salutò Sean ironicamente, quando distinse gli azzurri ed i verdi tra i piccoli corpi colorati delle lucertole di fuoco al comando di Blazer. Gli altri componenti della sua pattuglia in breve si unirono a lui. Persino Nora Selby riuscì a compiere un atterraggio decente in groppa alla sua Tenneth; migliorava di volta in volta. In verità, Sean si preoccupava maggiormente di Catherine Radelin-Doyle: da quando si era verificata la tragedia, aveva smesso di sghignazzare ai commenti muti di Singlath. Nyassa, Otto e Jerry Mercer, completavano la sua squadra. Quando tutti i draghi si furono lanciati all'inseguimento della preda, Sean orientò il binocolo su Carenath, giusto in tempo per ammirarlo mentre si tuffava in picchiata ed agguantava un manzo senza neppure rallentare la veloce spinta in avanti. «Bel colpo, Carenath!» Sean passò quindi il binocolo a Nyassa perché controllasse la sua Milath. «Mi pareva che ci fossero molti bovini in quel branco.» Jerry si tolse il casco e si scompigliò i capelli bagnati di sudore. «Cosa ne sarà di loro?» Sean alzò le spalle. «I migliori sono andati a nord. Di questi, alcuni so-
pravviveranno, altri no.» «Sean, guarda un po’ chi sta venendo a pranzo!» Nyassa indicò un punto a nord dove si delineò l'inequivocabile sagoma di cinque wherry. «Addosso!», aggiunse poi, con una sbirciatala ai draghetti di fuoco pronti a lanciarsi all'attacco. «Ehi, voi! Aspettate il vostro turno!» «Ho portato qualcosa da sgranocchiare,» annunziò Catherine districandosi dallo zaino. «Possiamo concederci anche noi una pausa per uno spuntino.» Sean ordinò di interrompere la caccia dopo che ogni drago ebbe mangiato due animali. Carenath si lamentò per averne mangiato soltanto uno grosso, e disse che perciò ne desiderava altri due di piccolo taglio. Sean ribatté che, se lo avesse accontentato, la sua pancia si sarebbe riempita al punto da impedirgli di volare, mentre avevano ancora un mucchio di lavoro da sbrigare. I draghi brontolavano, e Carenath riferì ingenuamente che anche Faranth desiderava dell'altro cibo, ma Sean fu inflessibile, ed ai draghi non rimase che obbedire. Quando furono nuovamente in aria, Sean ricompose la formazione. «Allora, Carenath,» disse Sean, pensando con sollievo agli ultimi carichi che lo attendevano ad Approdo. «Torniamo alla Torre nel più breve tempo possibile e facciamola finita!» Sean sollevò il braccio e poi lo lasciò ricadere. Un attimo dopo, lui e Carenath furono avvolti da un'oscurità così assoluta che Sean fu certo che il cuore gli si fosse fermato. Non avrò paura! pensò con fierezza, ricacciando il ricordo di Marco e Duluth nel fondo della sua mente. Le pulsazioni accelerarono e Sean ebbe coscienza del gelo immane del nero nulla. Sono qui! Dove siamo, Carenath? Ma Sean lo sapeva. Erano nel mezzo. Concentrò i pensieri sulla loro destinazione: disegnò nella mente l'immagine della strana luce cinerea che avvolgeva Approdo, la forma delle Torre di Controllo, la distesa della pista dietro di essa, ed i pacchi da caricare che li attendevano sul terreno piano. Siamo alla Torre, annunziò Carenath, anche lui alquanto sorpreso. In quello stesso istante videro la Torre sotto di loro. Sean gridò con tutta la sua voce per l'incredibile sollievo. Ma, immediatamente dopo, gli occhi gli si sgranarono per l'improvviso terrore. «Maledizione! Cos'ho fatto?», urlò. «Dove sono gli altri, Carenath? Parla con loro!»
Stanno arrivando, replicò il bronzeo con la massima tranquillità e sicurezza, mentre sorvolava la Torre. Dinanzi agli occhi increduli di Sean, il resto della pattuglia si materializzò improvvisamente dietro di loro, ancora schierato in perfetta formazione di volo. «Atterra, Carenath, ti prego! Prima che cada,» sussurrò Sean annichilito dall'indicibile sollievo che lo pervadeva. Mentre gli altri si disponevano in circolo per atterrare, Sean rimase immobile su Carenath a ripensare a tutto ciò che era accaduto. Rivisse nella mente la stupefacente esperienza di qualche attimo prima, e ne provò al tempo stesso meraviglia e terrore per il rischio incalcolabile che aveva appena impensabilmente superato. «Yuuuuhuuuuu!» Il grido di trionfo di Nyassa lo riportò al presente. La ragazza agitava il casco da volo al di sopra della testa, mentre Milath planava per atterrare al fianco di Carenath. Catherine e Singlath si posarono dall'altro lato, Jerry Mercer e Manooth dietro di loro, Otto e Shoth accanto a Nora e Tenneth. «Hip, hip, urrà!», urlò Jerry mentre Sean li fissava, senza sapere cosa dire. È stato facile, sai. Tu mi hai detto col pensiero dove dovevo andare, ed io ci sono andato. Mi hai detto di andare il più velocemente possibile. Nel tono di Carenath c'era una nota di biasimo. «Tutto qui? E ci abbiamo messo tanto?», esclamò Otto. «Qualcuno ha un paio di pantaloni in più?», chiese Nora lamentosamente. «Dalla fifa me la sono fatta addosso. Ma ce l'abbiamo fatta!» Catherine ridacchiò. Quel suono riscosse Sean, che si concesse anche lui un sorriso. «Eravamo pronti per provare!», gridò ed alzò le spalle con noncuranza mentre sganciava le cinghie di sicurezza. Poi si accorse che anche lui avrebbe avuto bisogno di un altro paio di pantaloni. 66. «Ho detto che manterremo il silenzio sulle condizioni di Emily.» Il tono di Paul fu estremamente deciso. Guardò con severità Ongola, Ezra Keroon e l'accigliato Joel Lilienkamp. Non voleva nella maniera più assoluta che Joel aprisse le scommesse sulle possibilità che Emily Boll aveva di guarire dalle fratture multiple che si era procurata. L'Ammiraglio mitigò appena la
rigida espressione quando i suoi occhi si posarono sulla testa china di Fulmar Stone che tormentava nervosamente tra le mani una pezza sudicia di grasso. «Per quanto attiene alla Rocca di Fort, si dirà che la Governatrice sta riposando comodamente. Il che corrisponde alla verità, stando al parere del medico ed alle rivelazioni delle apparecchiature che la tengono costantemente sotto controllo. Per quanto attiene invece alle richieste esterne, si dirà che è impegnata: smistare ogni chiamata ad Ezra.» Con uno scatto improvviso, l'Ammiraglio balzò in piedi e prese a camminare nel nuovo ufficio, il primo locale posto sul piano sovrastante la Grande Sala. Le finestre fornivano una libera vista delle file ordinate di carichi e provviste che occupavano quella estremità della valle. Tutti quei beni erano destinati ad essere stipati nelle vaste grotte sotterranee di Fort. C'era ancora così tanto da fare, ed a Paul mancava immensamente la fattiva presenza di Emily. Si scoprì a tormentare le sue dita artificiali, ed allora infilò di botto le mani nelle tasche. La carica che ricopriva lo obbligava a celare la preoccupazione che lo torturava per non allarmare persone già sottoposte ad una tensione considerevole. Ma, alla presenza dei suoi amici più intimi e fidati, gli era permesso di dare sfogo alle ansie che con essi condivideva. La disastrosa avaria dei giroscopi della slitta ed il conseguente atterraggio precipitoso, erano stati visibili per tutti gli abitanti della Fortezza, ma pochi sapevano che quella sera la Governatrice era a bordo del velivolo. Non era stata taciuta la gravità delle condizioni del pilota, che comunque se la sarebbe cavata dalle fratture alle braccia e dalle numerose lacerazioni. Nessuno degli altri passeggeri aveva riportato ferite gravi, e coloro che avevano effettuato il soccorso non avevano riconosciuto Emily, il cui volto era coperto di sangue per la ferita alla bocca. Almeno fino a quando non fosse passata in fase di convalescenza, Paul intendeva mantenere il riserbo sulla cosa. Seguito a così breve distanza all'esodo improvviso da Approdo, l'incidente, che era costato la perdita di insostituibili attrezzature mediche oltre che della slitta, doveva essere opportunamente minimizzato onde evitare un crollo del già provato morale. «Pierre è d'accordo,» continuò Paul. Avvertiva la resistenza degli amici, e la taciuta opinione che nascondere la verità avrebbe minacciato la sua credibilità. «Insiste anche sull'opportunità di questa condotta. È ciò che la stessa Emily vorrebbe.» Mentre continuava a camminare, lo sguardo gli corse inavvertitamente fuori della finestra profondamente incassata nella
parete di roccia. Subito l'Ammiraglio distolse gli occhi dal solco che la slitta aveva prodotto nel terreno due giorni prima. «Ezra, manda qualcuno a spianare il terreno laggiù. Quel solco mi appare davanti agli occhi ogni volta che guardo fuori.» Ezra mormorò qualcosa in risposta ed annotò l'ordine. «Per quanto tempo ancora si prevede che dovremo tenere segreto lo stato di Emily?», chiese Ongola, la faccia solcata da nuove rughe. «Per tutto il tempo che sarà necessario! Dannazione, Ongola! Possiamo almeno risparmiare alla gente una preoccupazione in più, specialmente senza una prognosi favorevole.» Paul trasse un profondo respiro. «La ferita alla testa non è stata grave - non c'è frattura cranica - ma è passato un bel po’ di tempo prima che venisse estratta dalla slitta. Il trauma non è stato trattato con sufficiente tempestività, e non disponiamo della sofisticata attrezzatura idonea a curare uno shock da fratture multiple. È necessario darle tempo e riposo. Fulmar,» Paul si voltò verso l'ingegnere, «una slitta da trasporto sarà pronta per andare giù a sud oggi, non è così? Non riesco più a tenere a bada Desi.» «Tutta quella roba con i contrassegni arancioni è insostituibile,» aggiunse Joel, sistemandosi meglio nella poltrona. «Anche se qui non siamo ancora riusciti ad immagazzinare tutto, è sempre preferibile tenere quella roba qui fuori sotto i nostri occhi piuttosto che saperla ammonticchiata su quella spiaggia a mezzo mondo di distanza. Altrimenti dovrai mandare indietro Keroon a prenderla. Io intanto appronterò un nuovo programma di carichi da effettuare con priorità. Non ce la faresti a rimettere in volo quelle due slitte, Fulmar?» L'ingegnere alzò verso di lui gli occhi arrossati dalla fatica e dal dolore, e persino l'incrollabile Joel si arrese allo sgomento. Sapeva bene che le squadre di Stone stavano facendo l'impossibile per mettere a punto le grandi slitte da trasporto. Soltanto con se stesso Joel sarebbe riuscito ad ammettere che per l'incidente occorso alla slitta le responsabilità non ricadevano sulla manutenzione ma sul Settore Magazzini che vi aveva sistemato il carico. Ma cosa gli restava da fare assalito com'era da un'emergenza dopo l'altra? «Quando potrai, Fulmar.» Il tono di Joel si era fatto più mite. «Quando saranno pronte.» Il magazziniere uscì dalla stanza senza voltarsi indietro. «Stiamo facendo del nostro meglio, Ammiraglio.» Stancamente Fulmar si rimise in piedi. Lanciò uno sguardo alla pezzuola che aveva tra le mani, sorpreso nel vederla ridotta a brandelli, e la infilò nella tasca laterale dei
pantaloni. «Lo so, vecchio mio, lo so.» Posando il braccio sulle spalle curve di Fulmar, Paul lo accompagnò alla porta dove gli diede una stretta finale di stima. «Se ti riesce nel poco tempo libero che ti resta, Fulmar, compila un calendario per la revisione delle slitte più piccole. Devo sapere quante ne avrò a disposizione per la prossima Caduta.» «Nessuno ha colpa di quell'incidente,» dichiarò l'Ammiraglio mentre tornava alla scrivania. Crollò quindi sulla poltrona. «Fulmar si sta dannando per non aver insistito nel sottoporre la slitta a revisione, prima. Dal canto mio, non avrei dovuto insistere perché Emily venisse qui a nord. Il carico poi non era adeguatamente assicurato nella cabina. Tuttavia, signori, è una follia voler scovare in questo incidente qualcosa che vada aldilà di un errato calcolo dei tempi e di una maledetta concomitanza di circostanze. Abbiamo evacuato Approdo secondo un ordine più che ragionevole. Un luogo per ospitarci era già pronto, e disponiamo di personale e mezzi sufficienti da mobilitare per combattere i Fili.» L'Ammiraglio non riponeva più alcuna speranza sull'aiuto dei draghetti o dei grandi draghi. 67. «Tu hai fatto cosa?», urlò Sorka, dapprima impallidendo, quindi divampando dalla collera. Faranth abbassò la testa, gli occhi guizzanti di lampi color arancio in sintonia con le pulsioni d'ira che animavano la sua compagna. Carenath borbottò allarmato. Sean agguantò Sorka per le braccia, oscuramente irritato dalla sua reazione. Aveva fatto in modo che gli altri aspettassero l'arrivo di Sorka e della sua pattuglia per proclamare l'avvenuta impresa. «Sta a sentire, Sorka! Non lo avevo affatto programmato, diamine! Era l'ultima cosa che mi sarebbe passata per la testa. Ho soltanto detto a Carenath di tornare ad Approdo il più velocemente possibile. E lui lo ha fatto!» È stato veramente semplice, osservò Carenath con modestia. L'ho detto anche a Faranth. Lei mi crede. Il drago roteò la testa in direzione di Sorka lanciandole un'occhiata di biasimo. «E come... come... hanno fatto gli altri a saperlo?» La paura tornò ad adombrarle gli occhi. Non fece caso al tripudio generale attorno a lei, ai cavalieri di Sean che saltavano dalla gioia e chiacchieravano con i suoi, spolmonandosi a raccontare fino al minimo dettaglio. È stato lui a dirglielo, la informò Faranth con una punta di amarezza
nella voce. «Abbiamo trascorso due ore ad immaginarcelo.» Sean sorrise, sperando che lei lo imitasse. Le cinse le spalle con un braccio e la trasse verso gli altri. «Io credo,» Sean fece molta attenzione alla scelta della parole, «che tutti fossimo spaventati a morte da quanto era successo a Marco e a Duluth. Adesso sappiamo, per esperienza diretta, perché Marco si è fatto prendere dal panico. Sorka: è diverso da qualsiasi altra cosa tu abbia mai visto, e non riesci a sentire nulla, neppure il drago tra le tue gambe. Otto l'ha definita totale privazione sensoria.» Così è nel mezzo, il tono di Carenath fu quasi didattico. Lui e Faranth seguirono i cavalieri fino alla massa di pacchi che costituivano il loro carico finale. I draghi della pattuglia di Sean erano accovacciati in un circolo irregolare, e di tanto in tanto si scrollavano di dosso la cenere trasportata dal vento. Un rumore sordo nella gola di Faranth fece sorridere Sean. La Regina Aurea era scettica quanto la sua amazzone. «Faranth sa dirmi a che distanza si trova la pattuglia di Dave?», chiese Sean a Sorka. Eccoli che arrivano, riferì Carenath proprio nell'istante in cui Sorka rispondeva: «Faranth dice che stanno arrivando.» La ragazza indicò a nordest. «Polenth dice cha hanno fatto buona caccia. Carne!» Sorka accennò un sorriso, e Sean capì che era sulla buona strada per ottenere il suo perdono. Ovviamente vi fu del nuovo stupore e delle amare congratulazioni quando Dave ed i componenti della sua pattuglia appresero la notizia. «Okay,» cominciò Sean, montando su una cassa per rivolgersi a tutti. «Ecco cosa faremo, cavalieri. Ci teletrasporteremo alla Conca di Kahrain. Conosciamo il suo aspetto aereo altrettanto bene quanto quello di Approdo. Perciò è l'ideale per un test di verifica. Carenath insiste che è stato lui a dire agli altri draghi dove andare, ma io preferirei che foste voi cavalieri a dare la direzione ai vostri draghi. Credo che ciò debba far parte delle esercitazioni di prevolo allo stesso modo del controllo delle cinghie e dello spazio aereo circostante.» Sean sorrise ai cavalieri. «Cosa diremo a loro?», chiese Dave, puntando il pollice in direzione nord. «Emily è partita per raggiungere l'Ammiraglio. Pol e Bay dovrebbero imbarcarsi sulla prima slitta di ritorno a Kahrain.» Sean si arrestò per guardarsi intorno, indugiando a lungo su Sorka. Questa annuì in segno di approvazione. «Credo che per il momento sarà meglio tenere la cosa per noi. A loro presenteremo il prodotto finito; i draghi da combattimento!
Una cosa è mandare a nord una lucertola di fuoco affidandoci all'immagine di un fax, un'altra è rischiare di mandare Carenath in un luogo dove io non sono mai stato.» Sean trasse un altro respiro, sollevato dalla reazione favorevole dei suoi cavalieri. «Desi dice che dovremo procedere lungo la costa fino a Seminole. Ciò ci darà il tempo di esercitarci a teletrasportarci tra il luogo in cui ci troveremo e quelli dove saremo già stati. In questo modo sapremo esattamente come fare a tornare ad una qualsiasi delle tenute maggiori allorché sarà necessario combattere i Fili sopra di esse.» «Sì, ma i draghi non alitano ancora fiamme,» evidenziò Peter Semling. «Lungo la costa è pieno di rocce contenenti fosfina. Tutti noi abbiamo visto le lucertole di fuoco masticare quelle pietre. Questa è la parte più facile di tutta l'impresa,» replicò Sean in tono conclusivo. «Una cosa è andare da un posto all'altro,» cominciò Jerry lentamente. «Lo abbiamo fatto adesso. Andiamo da qui,» puntò l'indice sinistro, «a lì». Sollevò l'indice destro. «E i draghi obbediscono alla perfezione. Ma scansare i Fili, o schivare una slitta, è tutta un'altra cosa...» Si interruppe. «Duluth ha colto Marco di sorpresa. E lui si è fatto prendere dal panico.» Sean parlava rapidamente con ferma sicurezza. «Devo essere franco, Jerry: andare nel mezzo ha terrorizzato anche me, ed io scommetto qualsiasi somma che tutti gli altri hanno provato la stessa cosa. Ma adesso sappiamo cosa ci aspetta: ci adatteremo. Escogiteremo delle tattiche evasive d'emergenza.» Sean tirò il coltello fuori dallo stivale e si accovacciò. «La maggioranza di noi ha pilotato slitte durante le Cadute, sicché abbiamo visto in che modo i Fili vengono giù... il più delle volte.» Tracciò una serie di lunghe striscie diagonali nella cenere. «Un cavaliere si accorge di essere in rotta di collisione con i Fili... qui,» scavò un foro per segnalare il punto, «e pensa di spostarsi di un salto più avanti.» Disegnò un altro punto della cenere. «Dobbiamo esercitarci a balzare avanti in questo modo. Occorrerà prontezza di riflessi. Le lucertole di fuoco adoperano sempre questo tipo di tattica: appaiono e scompaiono fulmineamente per riapparire nello spazio successivo. È così che combattono i Fili assieme alle squadre di terra. Se loro possono, potranno anche i draghi!» Un mormorio si levò dai ranghi dei draghi in risposta alla sfida lanciata da Sean. Questi esibì un largo sorriso. «Giusto?», risposero tutti con entusiasmo, serrando i pugni per far mostra della loro granitica determinazione. «Perfetto!» Sean si rizzò ed unì le mani con un battito sonoro. La cenere gli ricadde dalle spalle. «Cerchiamo i draghi e teletrasportiamoci a Ka-
hrain.» «E se qualcuno ci vede, Sean? Cosa penserà?», chiese Tarrie con ansia. «Cosa potrà pensare? Che i carri volanti stanno facendo ciò che gli compete!», replicò Sean sarcasticamente. 68. «Ovviamente,» disse Paul ai piloti preoccupati, «non saremo in grado di proteggere una zona molto vasta con le esigue unità aeree che avremo a disposizione.» «Dannazione, Ammiraglio!» Drake Bonneau aggrottò le ciglia. «Secondo le previsioni, i generatori di energia avrebbero dovuto durarci ben cinquant'anni!» «Esatto.» Joel Lilienkamp balzò nuovamente in piedi. «In un regime di consumo regolare. Invece, quello a cui sono stati sottoposti, non può essere in alcun modo definito un uso normale, né tantomeno si sono avvantaggiati di una normale manutenzione. E con questo non voglio assolutamente accusare Fulmar Stone e la sua squadra. Credo che ormai siano mesi che non dormono per un'intera notte. I migliori meccanici del mondo non riuscirebbero mai a far funzionare delle slitte con batterie semicariche o mal caricate.» Guardandosi bellicosamente attorno, si risedette pesantemente e la sedia dondolò sul pavimento di pietra. «Sicché è veramente il caso di prenderci la massima cura delle slitte che ci restano, se non vogliamo rimanere sprovvisti di veicoli aerei nel giro di un anno!», osservò lamentosamente Drake. Nessuno replicò immediatamente alla sua considerazione. «E così, Drake,» si decise infine a rispondere Paul. «Bisognerà bruciare una striscia di terra attorno alle abitazioni ed a tutti i vegetali conservati, sgombrare la tenuta... e ringraziare qualsivoglia Dio per la disponibilità di colture idroponiche.» «Che fine hanno fatto quei draghi? Ce n'erano diciotto», intervenne Chaila. «Diciassette,» la corresse Ongola. «Marco Galliani è morto a Kahrain col suo marrone, Duluth.» «Scusate, me n'ero dimenticata,» mormorò Chaila. «E gli altri? Dove sono? Credevo che sarebbero intervenuti quando i veicoli fossero venuti a mancare!» «Sono in viaggio da Kahrain,» replicò Paul.
«E allora?», continuò la donna significativamente. «I draghi non hanno ancora compiuto un anno d'età. Secondo Wind Blossom,» Paul notò la sottile disapprovazione provocata nei presenti alla menzione di quel nome, «e secondo Pol e Bay, i draghi non saranno maturi abbastanza per essere pienamente... funzionali... se non tra due o tre mesi.» «Tra due o tre mesi,» fece eco qualcuno con tono amaro, «avremo subito una ventina di Cadute del tutto incontrastate!» Fulmar si alzò e si voltò verso il fondo della sala. «Tra tre settimane avremo tre slitte completamente a posto, pronte a decollare.» «Ho sentito dire che c'è stata una nuova Schiusa, è vero Ammiraglio?», chiese Drake. «Sì, è vero.» «Ed ha avuto un buon esito?» «Altri sei draghi!» Il tono di Paul suonò volutamente eccitato. «Il che significa sottrarre altri sei giovani alle nostre forze di difesa!» «Significa guadagnare altri sei combattenti che si autosostengono e autoriproducono!» Paul si alzò in piedi. «Considerate il progetto nella giusta prospettiva. Dobbiamo assolutamente disporre di una difesa aerea da opporre ai Fili. Grazie all'ingegneria genetica, abbiamo modificato una forma di vita indigena capace di sopperire a questa esigenza vitale. I draghi ce la faranno! Tra poche generazioni...» «Generazioni?» Il grido suscitò mormorii rabbiosi in un pubblico già snervato da ritmi insostenibili e da notizie sconfortanti. «Generazioni di draghi,» precisò Paul, alzando la voce per coprire i contrariati rimbrotti. «Le femmine fertili sono mature per la riproduzione all'età di due anni e mezzo, al massimo tre anni. Una generazione di draghi dura quindi tre anni. Le Regine depongono da dieci a venti uova. Dalla prima Schiusa abbiamo ottenuto dieci Regine, e tre dalla seconda. Nel giro di cinque, dieci anni, vanteremo un invincibile sistema di difesa aerea per combattere l'invasore.» «Sì, Ammiraglio, e tra cento anni non ci sarà più spazio per gli esseri umani su questo pianeta!» La battuta fu accolta da uno scroscio di risate nervose, e Paul sorrise, grato allo spiritoso anonimo. «Non si arriverà a questo,» replicò, «ma, ciò che è certo, è che disporremo di un sistema di difesa unico, modellato biologicamente secondo le nostre esigenze. E utile anche per altri versi. Desi mi ha riferito che i cavalieri volanti stanno scaricando una quantità di approvvigionamenti nei Fondi che incontrano lungo la via verso Fort. Bene, intanto eseguite gli ordini ri-
cevuti.» Paul Benden si alzò e si allontanò alla svelta, seguito immediatamente da Ongola. «Dannazione, Ongola, ma dove sono finiti?», proruppe Paul quando furono soli. «Si mettono in contatto ogni mattina, e procedono in maniera soddisfacente. Non possiamo pretendere di più da una specie ancora immatura. Ho sentito Bay e Pol parlarti della loro preoccupazione per lo stress eccessivo cui i draghi sono stati sottoposti durante l'evacuazione.» Paul sospirò. «Beh, vista la situazione dei trasporti, non esiste altro modo per farli venire qui.» Prese a scendere lungo la sinuosa scala di ferro che dal livello che ospitava gli uffici dell'esecutivo conduceva al complesso di laboratori sotterranei. «Lo staff di Wind Blossom dev'essere sciolto. Non abbiamo tempo, né personale o risorse per ulteriori sperimentazioni, checché ne dica lei!» «Ha intenzione di fare appello ad Emily!», replicò Ongola. «Speriamo che possa farlo! Notizie da Jim stamattina?» Ormai Paul aveva raggiunto lo status mentale di una tale saturazione di cattive notizie che incassava i colpi addizionali senza più risentirne acutamente. La notizia giunta il giorno precedente relativa alla tempesta tropicale che aveva sorpreso il convoglio di Jim Keroon al largo di Boca facendo capovolgere nove unità, gli era sembrata quasi irrilevante. «Non ci sono vittime,» lo rassicurò Ongola, «e tutte le barche, tranne due, sono state rimesse a galla e potranno essere riparate. I delfini stanno recuperando il carico. C'è però della roba pesante che dovrà essere localizzata dai sub. Fortunatamente, navigano in acque poco profonde e la tempesta non è durata a lungo.» Ongola esitò. «Bene, fai portare qui tutto,» ordinò Paul, arrestandosi su un pianerottolo. «Non vi erano note di carico, perciò non c'è modo di controllare se recupereranno tutto.» Paul guardò Ongola flemmaticamente. «Ha un'idea di quanto tempo gli porterà via tutto questo?» Ongola scosse il capo. «Bene, a maggior ragione, è necessario usare il personale di Wind Blossom. Dopodiché scambierò due chiacchiere con Jim. È incredibile! Come avrà fatto a portare fin lì una flottiglia così male assortita, tra la nebbia, le tempeste e le Cadute?» Ongola approvò caldamente.
69. Mentre Carenath si stava concentrando attentamente sulla masticazione, Sean gli stava accanto sforzandosi di non lasciarsi prendere dall'ansia. I draghetti di fuoco svolazzavano attorno ai draghi con cinguettii che volevano essere d'incoraggiamento. Duke ed altri bronzei avevano trovato dei ciottoli che masticavano a scopo dimostrativo. I draghi ed i cavalieri avevano localizzato una quantità sufficiente di rocce ad alto contenuto di fosfina su un altipiano della regione montagnosa interna situata tra il Fiume Malesia e Sadrid. Negli ultimi giorni, i cavalieri avevano acquisito una sicurezza sempre maggiore nella loro capacità di teletrasportarsi tra due punti stabiliti. Otto Hegelman aveva proposto che ciascun cavaliere tenesse una sorta di giornale di bordo, annotandovi i punti di riferimento per successive identificazioni. Il suggerimento era stato messo in pratica con grande entusiasmo, anche se per la sua attenzione era stato necessario richiedere del materiale da scrittura alla Tenuta del Fiume Malesia. E trovare nel Fondo soltanto dei bambini affidati alla figlia sedicenne di Phas Radamanth, era stata una vera sorpresa. «Sono tutti a combattere i Fili,» spiegò la ragazza, sollevando altezzosamente la testa in un atteggiamento che più tardi Tarrie considerò di pura insolenza. «Desi ci ha dato delle provviste per voi,» replicò Sean, scacciando il risentimento suscitatogli dall'implicita critica mossagli dalla ragazza e dalla condizione servile alla quale erano soggetti i cavalieri in quel momento. Fece quindi cenno a Jerry e ad Otto di portare il carico direttamente nell'abitazione. «Avresti dei taccuini da darci?» «Per farne cosa?» «Stiamo effettuando un'esplorazione di tutta la fascia costiera,» rispose con sussiego Otto. La ragazza apparve sorpresa, poi il viso le si rilassò in un'espressione meno ostile. «Credo di sì. Nella scuola laggiù c'è un mucchio di roba del genere. Chi ha tempo di studiare coi tempi che corrono?» «Sei molto gentile.» Jerry le sorrise, e le rivolse un rapido inchino, dopodiché si avviò con Otto verso la casa. L'episodio aveva rinforzato la determinazione dei cavalieri nel raggiungere il loro scopo nel corso del lungo viaggio verso occidente. «Non puoi masticare le pietre al posto suo, Sean» gli disse Sorka mentre porgeva un altro pezzo di roccia a Faranth. «Ma quante ne dovranno man-
giare?» «Chissà quante ne occorrono per produrre degli aliti di fuoco!», si chiese allegramente Tarrie. «Questa, per esempio,» e soppesò la pietra, «corrisponde in proporzione ai sassolini che usavo per il mio draghetto aureo. Non è così, Porth?» La Regina abbassò obbediente la testa, ed accolse l'offerta. «I draghetti ne masticano una manciata prima di riuscire ad emettere del fuoco,» spiegò Dave Catarel, ma guardava dubbiosamente Polenth intento a sgranocchiare con la medesima espressione contemplativa dipinta sulla faccia degli altri draghi. «Guarda, Sorka, il tuo stormo sta dando l'esempio!» Dalla bocca di Duke fuoriuscì una lunga e perfetta lingua di fuoco che suscitò l'ira di Blazer, costretto ad involarsi istantaneamente. Porth allora garrì sonoramente e dalla sua bocca aperta cadde una pietra chiazzata di verde che finì sul terreno mancando di poco il piede di Tarrie. Porth chiuse la bocca di colpo ed emise un gemito di dolore. «Cos'ha fatto?», chiese Dave. «Si è morsa la lingua,» replicò Tarrie. La ragazza diede una pacca di conforto sulla spalla del drago mostrandole tutta la sua comprensione. «Dev'essersi fatta male sul serio!» L'icore verdino luccicava sulla roccia illuminata dal sole. «Faccio bene a dare un'occhiata, Sorka? Potrebbe essersi procurata un danno.» «Cosa dice Porth?», chiese Sorka con distacco professionale. Non ricordava di aver mai dovuto trattare lesioni prodotte da morsicature nei draghetti. «Dice che le fa male, e non masticherà le rocce fino a quando il dolore non le sarà passato.» Tarrie riprese la pietra colpevole dell'incidente e la rimise sul mucchio che avevano raccolto. Subito dopo seguì un'altra esclamazione di dolore, e Tenneth di Nora seguì il cattivo esempio di Porth. Sean e Sorka si scambiarono degli sguardi crucciati e continuarono ad offrire le pietre focaie ai loro draghi. D'improvviso, Polenth ruttò, ed una minuscola fiammella guizzò oltre il suo naso. Il bronzeo, impressionato, arretrò con un balzo. «Ehi, ce l'ha fatta!», gridò Dave con orgoglio. «Phew!», aggiunse poi, scuotendo via l'aria da sotto il naso. «State controvento, gente! Accidenti se puzza!» «Attenzione!» Sean balzò da un lato mentre Carenath eruttava, sorprendendo tutti con una rispettabile lingua di fuoco che per poco non andò a
colpire il suo stesso cavaliere. Dall'alto, le lucertole di fuoco svolazzavano in circolo congratulandosi con cinguettii alternati a vivide fiammelle, mentre i loro occhietti rifulgevano di azzurri lampi di approvazione. «Controvento e a lato dei draghi, cavalieri!», corresse Sean. «Provaci ancora, Carenath!», aggiunse poi offrendogli un boccone più grosso. «Ehi, è terribile!» esclamò Tarrie quando il vento le soffiò direttamente in faccia il puzzo asfissiante delle pietre focaie. Dato che soffocava, si abbassò, riparandosi dietro al corpo del suo drago. «Dove c'è il fuoco, c'è anche la puzza,» motteggiò Jerry. «No, da bravo, Manooth, gira la testa da quella parte!» Il marrone obbedì e, proprio in quell'istante, una fiammata possente eruppe dalla sua bocca e carbonizzò uno degli scarni cespugli che punteggiavano l'altipiano. Jerry colpì esultante la spalla del suo drago con pacche affettuose. «Ce l'hai fatta! Manooth l'Incendiario!» Gli altri tornarono a rimpinzare i loro draghi con rinnovato entusiasmo. Un'ora dopo, tutti i maschi avevano prodotto dei getti di fuoco, ma nessuna delle femmine ci era riuscita; le auree avevano continuato a masticare finché, una dopo l'altra, avevano rigurgitato una sgradevolissima sostanza pastosa di colore grigio. «Se ben ricordo il programma,» disse Sean mentre le compagne delle auree ciondolavano qua e là sconsolatamente, «le Regine raggiungono la maturità a circa tre anni. I maschi sono... beh...» Sean si sforzò di trovare una scappatoia diplomatica. «Funzionali già adesso.» Tarrie completò la frase per lui, senza troppo compiacimento. «Sette reclute saranno comunque ben accolte a Fort,» osservò Otto, cercando per una volta di fare a meno dell'abituale tono enfatico. Sorka se ne stava in disparte con un'espressione corrucciata che indusse Tarrie a chiedergliene spiegazione. «Stavo pensando. Kit Ping era così tradizionalista...» Sorka guardò a lungo suo marito fino a che questi abbassò la testa, incapace di sostenere lo sguardo di lei. «Sean, tu conosci ogni simbolo di quel programma. Kit Ping ha introdotto una discriminazione per genere?» «Una che?», chiese Tarrie. Le altre compagne delle Regine fecero cerchio attorno a lei, mentre gli uomini si allontanavano con passi discreti. «Un fattore inibitorio basato sul genere... in base al quale le Regine dovrebbero deporre le uova, mentre gli altri colori si occuperebbero della lot-
ta!» Sorka era disgustata. «Può darsi invece che le Regine non siano ancora mature abbastanza.» Sean temporeggiava. «In verità non sono riuscito ad interpretare alcune equazioni di Kit Ping. Forse la produzione di fiamme è un'abilità dell'età matura. Non so perché tutte le Regine hanno vomitato. Lo chiederemo a Pol e Bay quando saremo giunti a Fort. Però voglio dirti una cosa: non c'è motivo perché voi ragazze non possiate usare i lanciafiamme. Basterà allungare le lance di emissione e così non ci sarà pericolo di colpire per errore il proprio drago.» Il suggerimento di Sean rabbonì alquanto le amazzoni, almeno per il momento. Ma il giovane sperava con ardore che Pol e Bay avrebbero emesso un verdetto più accettabile. Diciassette draghi costituivano uno spiegamento di forze ben più imponente di quello che potevano offrire soltanto sette elementi. E Sean era fermamente deciso a creare un grande effetto quando sarebbero entrati in volo nella Rocca di Fort. L'unico genere di carico che i draghi avrebbero trasportato in futuro sarebbero stati i loro cavalieri e le pietre focaie! 70. «Effettivamente, Paul,» spiegò Telgar, lanciando una rapida occhiata ad Ozzie ed a Cobber, «quei draghi fotofobici di Wind Blossom si sono dimostrati di estrema utilità nelle esplorazioni sotterranee. Il loro istinto per i pericoli nascosti - tunnel ciechi e voragini occulte - è veramente infallibile.» Il geologo esibì uno dei suoi sorrisi spenti. «Vorrei tenerli io, adesso che Wind Blossom li ha, per così dire, abbandonati.» Telgar si volse quindi verso Pol e Bay. «È un sollievo sapere che abbiano una qualche utilità.» Pol sospirò pesantemente. Lui e sua moglie avevano cercato di ragionare con l'indignata Wind Blossom quando questa era stata invitata a sospendere il programma sui draghi. La scienziata sosteneva che il trasferimento di emergenza da Approdo a Fort aveva danneggiato molte uova della covata che lei aveva manipolato. Ma Pol e Bay avevano esaminato i risultati dell'autopsia che smentivano quella dichiarazione. Era stata una fortuna che sei creature fossero riuscite a sopravvivere. «Una volta che riesci a guadagnare la loro fiducia, diventano assolutamente inoffensivi,» continuò Telgar. «Cara adora l'ultimo nato, e non se ne priverebbe mai a meno che non fosse costretta a lasciare la Fortezza.» Sor-
rise ancora tristemente. «Di notte fa la guardia fuori della sua porta.» «Non possiamo allevare quelle creature senza un controllo,» affermò Paul rapidamente. «Ce ne occuperemo noi, Ammiraglio.» Il tono di Ozzie suonò alquanto solenne. «Ci sono veramente utili.» «E sono forti anche. Portano carichi più pesanti di loro stessi fuori dalle miniere,» aggiunse Cobber. «D'accordo, d'accordo. Soltanto, non devono riprodursi.» «E poi mangiano di tutto,» continuò Ozzie. «Di tutto, così mantengono i posti puliti.» Paul seguitava ad annuire in segno di approvazione. «Desidero soltanto che, per qualsiasi ulteriore propagazione, vengano consultati Pol e Bay del Dipartimento di Biologia.» «Ne siamo felici, ti assicuro,» rispose Bay. «Non approvavo l'esistenza di quelle creature, ma tantomeno potrei approvare l'esecuzione sommaria di qualsiasi creatura vivente che possa dimostrarsi utile.» Telgar si alzò di botto e Bay, domandandosi se le sue parole non gli avessero richiamato alla mente la morte di Sallah, si rimproverò mentalmente per non aver riflettuto prima di parlare. Anche Ozzie e Cobber balzarono in piedi. «Ora che avete completato i rilievi dell'intero complesso della Fortezza,» intervenne Paul colmando con destrezza quel momento di muto imbarazzo, «quali sono i tuoi progetti, Telgar?» Un lampo di entusiasmo illuminò per un istante la faccia del geologo. «Le sonde hanno rilevato la presenza di depositi minerari nel Grande Pascolo Occidentale. Bisognerebbe saggiare i metalli che vi sono contenuti per valutare la possibilità di estrarli in alternativa alle dispendiose estrazioni compiute nel Campo di Karachi. È sempre meglio avere le materie prime a portata di mano.» Telgar chinò la testa prendendo così improvvisamente commiato e si allontanò dalla stanza, seguito da Ozzie e Cobber che farfugliarono alcuni convenevoli. «Com'è cambiato quell'uomo!», mormorò Bay, col volto tondo rattristato. Paul osservò un rispettoso silenzio. «Penso che siamo cambiati tutti, Bay. Beh, si può tentare qualcosa per ammorbidire l'intransigenza di Wind Blossom?» «Niente. Almeno fino a quando non avrà ottenuto un colloquio con Emily,» rispose Pol, con un'espressione freddamente neutrale. Per necessità
i due scienziati erano stati informati delle reali condizioni della Governatrice, che erano tuttora immutate dopo dodici giorni dall'incidente. «Non so perché non vuole accettare la tua decisione, Paul,» disse Bay con una certa agitazione. «Tom Patrick dice che Wind Blossom diffida della componente maschile del nostro governo.» Paul sorrise. In effetti trovava quella situazione estremamente ridicola ma, visto che Wind Blossom si era praticamente murata nel suo alloggio rifiutandosi di uscirne fino a quando non avesse ottenuto una «giusta udienza», l'Ammiraglio aveva colto l'occasione per trasferire il personale del laboratorio ad attività più produttive. Molti dei componenti gliene erano stati grati. «Naturalmente continuerete a controllare strettamente i draghi appena nati.» «Certo. Che notizie ci sono da Sean e dagli altri?», chiese Pol con una punta di ansia. Lui e Bay avevano notato la loro prolungata assenza, e si erano chiesti se non fosse deliberata. I due biologi sapevano bene che Sean non ricopriva con entusiasmo la carica di messaggero dei cavalieri dei draghi. Ma cos'altro poteva aspettarsi? Ognuno doveva fare ciò che gli era possibile. Certamente gli stessi Pol e Bay non morivano di gioia all'idea di realizzare il progetto di Kwan Marceau studiando le larve vermiformi prelevate dall'erba di Calusa. Ma, in quel modo, avrebbero svolto un servizio di pubblica utilità. «Dovrebbero essere qui tra non molto.» La voce e l'espressione di Paul assunsero un certo distacco. «Per quando si prevede un esperimento settentrionale su quei vermi di Kwan?» «Sono più larve che vermi,» lo corresse Pol in tono didattico. «Si sono propagati a sufficienza per tentare di metterli a coltura nel terreno di queste zone.» «Beh, è una buona notizia.» Rincuorato, Paul si alzò in piedi. «Ricordate però, che domani sarà una giornata poco adatta a qualsiasi genere di esperimento!» Pol e Bay si scambiarono alcune occhiate significative. «È vero, Ammiraglio,» domandò Pol, «che non si combatterà contro l'intero fronte della Caduta oltre le montagne?» «È così, Pol. Non abbiamo né il personale, né le batterie, e neppure le slitte, per estendere la protezione a zone che vadano oltre la nostra area immediata. Perciò, se quelle larve possono essere in qualche modo d'aiuto, ve ne saremo tutti grati.» Quando Pol e Bay furono usciti dalla stanza, l'Ammiraglio si lasciò an-
dare stancamente nella poltrona girevole, orientandola in direzione della finestra, verso la notte stellata. Il clima del nord era più freddo di quello del sud, ma l'aria frizzante rendeva terso il cielo mostrandone con chiarezza cristallina le costellazioni già divenutegli familiari. A volte riusciva persino a immaginare di trovarsi nuovamente a navigare nello spazio. Sospirò pesantemente ed accese lo schermo del terminal. Tra il deprimente inventario che Joel gli aveva sottoposto, doveva riuscire a portare alla luce delle tenui vestigia di speranza. Se avessero adottato un'accortezza estrema nell'usare le slitte soltanto per le esigenze indispensabili, sarebbero riusciti a farle durare per tutto il periodo del passaggio di Pern attraverso la materia trasportata dalla Nube di Oort. Ma quando il problema si sarebbe ripresentato, cosa avrebbero potuto fare? Paul sussultò al ricordo della sfrontatezza di Ted Tubberman nell'arrogarsi il diritto di lanciare la capsula autoguidata. Ma il botanico era stato capace di attivarla in maniera appropriata? Ironia della sorte! Sarebbe mai arrivata a destinazione? E la richiesta d'aiuto sarebbe stata accolta? Con l'aiuto della società tecnologica che avevano rinnegato, i suoi discendenti avrebbero avuto la possibilità di sopravvivere. Ma lui voleva davvero che venissero? Avevano delle alternative? Grazie all'ausilio di una tecnologia adeguata, il problema dei Fili avrebbe trovato probabilmente una soluzione. Fino a quel momento bisognava riconoscere che l'ingenuità e le risorse naturali avevano fallito miseramente. I draghi che alitavano fuoco: questa poi! Era un concetto ridicolo, degno dei più ingenui racconti popolari. E poi... Con determinazione Paul cominciò a scorrere le cifre relative agli approvvigionamenti della colonia in inesorabile calo. 71. «Tarrie!» Peter Chernoff corse incontro alla sorella precipitandosi fuori dalla grotta-deposito situata al limite orientale del centro di comando della Tenuta di Seminole. Alto di statura, abbassò gli occhi sui cavalieri che lo circondavano. «Ehi, ma dove vi eravate cacciati?» «Ci teniamo in contatto con Fort ogni giorno,» rispose Sean alquanto sorpreso. «Ho presentato io il rapporto ieri, ed ho anche parlato con nostro fratello Jake,» aggiunse Tarrie con aria ansiosa. «Cosa c'è, Petey?»
Riluttante a dare spiegazioni, Peter pigiava il terreno con i piedi con fare elusivo. «Le cose si mettono sempre peggio. Potremo usare le slitte soltanto nei casi di emergenza assoluta.» «Ah, ecco perché abbiamo visto delle zone così ampie devastate dai Fili,» osservò Otto impressionato. Peter annuì solennemente. «C'è una Caduta oggi alla Rocca di Fort, e non interverrà nessuno.» «Senza neppure tentare...» Dave Catarel era allibito. «Trasferire Approdo al nord è costato parecchio in termini di consumo di energia ed usura delle slitte.» Peter li guardò di sbieco per saggiarne la reazione. «E la Governatrice è ferita, sapete? Nessuno l'ha più vista da settimane.» «Oh, no!» Sorka si appoggiò a Sean in cerca di conforto. Nora Selby cominciò a piangere sommessamente. Peter annuì di nuovo con solennità. «È un brutto affare. Veramente un brutto affare.» D'improvviso tutti si ritrovarono a chiedere notizie dei loro familiari e parenti, e Peter fece del suo meglio per rispondere a tutti. «Ehi, amici, io non sto seduto all'unità per le comunicazioni dalla mattina alla sera. Abbiamo l'ordine di tenere duro e di ripulire la tenuta dalle colture con le squadre di terra. C'è un mucchio di HNO3 ed è facile manovrare i serbatoi e le lance di emissione.» «Ma non è facile rinunciare alla terra.» Sean alzò il tono della voce con autorità. I mormorii si interruppero di colpo, ed i cavalieri si voltarono a guardarlo. «Hai detto che c'è una Caduta a Fort oggi. Quando?» «Proprio adesso!», rispose Peter. «Beh, inizia al largo della baia...» «Ed hai dei lanciafiamme qui? Dieci pronti per l'uso?», gli chiese Sean. «Per l'uso? Beh, dovresti chiederlo a Cos: solo che adesso non è qui. E a cosa ti servono dieci lanciafiamme?» Con un largo sorriso Sean si voltò e fece un cenno in direzione delle amazzoni delle auree. «Servono alle ragazze per combattere i Fili! E dobbiamo fare in fretta se vogliamo fare in tempo!» «Cosa intendi dire?» Peter era esterrefatto. «La Caduta ormai è già iniziata. Non riusciresti neppure ad attraversare il mare, che sarebbe già terminata. E, oltretutto, avresti dovuto metterti in contatto con Fort quando sei arrivato qui!» «Peter, fai il bravo ragazzo, e non metterti a discutere. Mostra alle ragazze dove sono i lanciafiamme e fammi vedere l'ultimo fax della Rocca di
Fort. O meglio il fax del porto che hanno appena costruito a Fort. I draghi sono un tantino più veloci di quella flotta che Jim Keroon sta conducendo come se fosse un gregge di pecore. Non hanno ancora oltrepassato il Promontorio Occidentale del Delta.» Sean non concesse a Peter il tempo di pensare o di protestare. Mandò immediatamente Otto a far stampare delle copie del fax che mostrava l'installazione posta alla bocca del fiume. Tarrie sollecitò il fratello a mostrarle dove fossero conservati i lanciafiamme e ad aiutare le ragazze a controllare il contenuto dei serbatoi. In un turbine frusciante di ali dorate, le Regine atterrarono nei pressi del magazzino consentendo a Sean, Dave e Shih, di caricare i serbatoi di riserva sulle loro groppe. Sean gridò a Jerry ed a Peter Semling di controllare le reti da carico ricolme di pietre focaie fissate in groppa ai marroni ed ai bronzei. Peter Chernoff faceva la spola da un cavaliere all'altro implorandoli di fermarsi. Cosa doveva fare? Che spiegazione avrebbe dato agli altri? E quando avrebbero riportato indietro tutto l'equipaggiamento? Non si poteva lasciare Seminole indifesa. Infine, quei frenetici preparativi furono portati a termine, ed intanto i draghi bronzei e marroni avevano masticato tutte le pietre focaie che erano riusciti a mandar giù. «Controllate le cinghie di sicurezza!», ringhiò Sean. Il suo vociare diveniva via via più possente. Non che avesse bisogno di urlare, perché tutti i draghi davano ascolto a Carenath, ma in quel modo riusciva a scaricare una buona dose di adrenalina e, al tempo stesso, incoraggiava quei valenti cavalieri che di lì a poco lo avrebbero seguito incontro al pericolo. «Cinghie di sicurezza controllate!», giunse pronta la risposta. «Sappiamo dove dobbiamo andare!» Dando lui stesso l'esempio, Sean spiegò il fax svolazzante per un'ultima lunga occhiata all'installazione situata di fronte al mare, col molo e la gru simile ad una goffa specie aliena ricurva sui bagli metallici che una volta erano appartenuti alla struttura di una nave spaziale. «Lo sappiamo!» «Avete controllato lo spazio aereo circostante?» Volse la testa a destra e a sinistra di Carenath, che smaniava dalla voglia di spiccare il volo. «Controllato!» «Ricordatevi di saltare! Andiamo!» Sollevandosi dal collo di Carenath nei limiti consentitigli dalle cinghie,
Sean alzò in alto il braccio, fece roteare la mano poi di colpo lo abbassò: era il segnale che dava il via al decollo. Diciassette draghi si lanciarono nell'aria, sfrecciando in alto nella brillante azzurrità del cielo tropicale e schierandosi in una doppia formazione a V. Poi, davanti agli occhi sgranati dello sbigottito ed incredulo Peter Chernoff, le due V sparirono. Peter rimase a fissare il cielo a bocca aperta per un lungo istante. Fece quindi dietro-front e si precipitò verso l'ufficio, gettandosi letteralmente sull'unità per le comunicazioni. «Fort, Fort, qui è Seminole. Fort, mi ricevete? Rispondete» «Peter, sei tu?» giunse la voce di suo fratello Jake. «Tarrie era qui, ma se n'è andata con un lanciafiamme.» «Sono venuti tutti. Hanno preso i nostri lanciafiamme, metà dei serbatoi di combustibile, e se ne sono andati. Tutti quanti. Tutto d'un tratto.» «Peter, calmati: ragiona!» «Come faccio a ragionare se non credo a quello che ho visto!» «Chi è venuto lì? Tarrie e chi altri?» «Loro. Quelli che cavalcano i draghi. Sono andati a Fort. A combattere i Fili!» 72. Paul accese l'unità per le comunicazioni. Qualsiasi occupazione era preferibile allo starsene seduto, come un cirripede appiccicato allo scafo di una nave, in quella stanza sprangata, mentre fuori un organismo vorace pioveva giù dal cielo. «Ammiraglio?» Un'immensa eccitazione promanò da quell'unica parola pronunziata da Ongola. «Ci è stato comunicato che i cavalieri ed i loro draghi stanno per arrivare qui a Fort.» «Sean ed il suo gruppo?» Paul si chiese perché mai quella notizia avrebbe dovuto entusiasmare Ongola. «Quando sono partiti?» «Questo non lo so, ma il fatto è che sono già qui.» Paul si domandò se la delusione non avesse avuto la meglio sull'equilibrio mentale del suo imperturbabile braccio destro, perché, per quanto assurdo, il Comandante stava ridendo. «La Capitaneria di Porto chiede se devono unirsi alla difesa aerea di stanza lì. E, Ammiraglio, li ho visti sui miei schermi! I nostri draghi stanno combattendo contro i Fili! Passo l'immagine sullo schermo, Paul!» L'Ammiraglio rimase in attesa finché l'immagine sul monitor si fece ni-
tida e la messa a fuoco fu regolata per mostrargli l'incredibile visione di minuscole creature volanti che inequivocabilmente sputavano fiamme dalle bocche, carbonizzando la pioggia argentea che calava come una mortale cortina sul porto. Fu l'unica immagine a vedere perché, d'improvviso, la trasmissione fu interrotta dall'abbattersi di un fitto velo di Fili. Non indugiò oltre. Successivamente, Paul si meravigliò per non essersi rotto l'osso del collo mentre si precipitava giù per la scala scendendone tre gradini alla volta. Veloce come un fulmine, attraversò la Grande Sala dalla quale si lanciò giù per la scala metallica che conduceva al garage dove erano parcheggiate le slitte. Fulmar ed uno dei meccanici erano chini su di un giroscopio, e rimasero stupiti a fissarlo. «Ehi tu, apri le porte. Fulmar, tu vieni con me. Potrebbero aver bisogno di aiuto.» Paul balzò nella slitta più vicina ed immediatamente prese ad armeggiare con l'unità per le comunicazioni. «Ongola, dì a Emily, a Pol e a Bay, che i loro protetti ce l'hanno fatta. Registra tutto, e passa su pellicola tutto quello che ti riesce.» Paul accese il motore della slitta prima ancora che Fulmar ne avesse richiuso il tettuccio. Il veicolo scivolò fuori dalle porte ancora semichiuse, una manovra questa per la quale l'Ammiraglio avrebbe ripreso chiunque ci avesse provato. Una volta fuori, la slitta sfrecciò dritta come un razzo superando la vallata. Oltrepassate le scogliere di Fort, Paul avvistò la sinistra pioggia di Fili. «È impazzito, Ammiraglio?» Fulmar era sbigottito. «Usa lo schermo al massimo ingrandimento. Maledizione, non ne hai bisogno, Fulmar: lo puoi vedere con le tue pupille!» Paul indicò davanti a loro con fervore. «Vedi? Le fiamme! Gli scoppi! Conto quattordici, quindici lingue di fuoco. I draghi stanno combattendo contro i Fili!» 73. È stato spaventoso, pensò Sean. Ma era stato anche meraviglioso! Il momento più bello della sua vita, e ne era ancora terrorizzato. Tutti i draghi erano emersi esattamente nel punto richiesto, precisamente al di sopra del porto, ad una buona distanza davanti ai Fili. Carenath iniziò subito ad emettere lingue di fuoco e, nel momento in cui un viluppo di Fili stava per colpirli, drago e cavaliere balzavano avanti. Gli altri stanno bene? chiese Sean con ansia mentre Carenath lo riporta-
va nello spazio reale. Stanno benone. Emettono fiamme alla perfezione e balzano correttamente, lo rassicurò Carenath con tranquilla dignità mentre compiva una leggera virata per alitare una nuova fiammata volgendo la testa da una parte all'altra per carbonizzare i Fili che gli cadevano davanti. Sean lanciò una fulminea occhiata intorno e vide il resto della sua pattuglia che lo seguiva nella formazione a gradini ideata da Kenjo per le slitte e che loro avevano adottato. Quel tipo di formazione consentiva il più ampio raggio di distruzione. Sean vide Jerry ed il suo Manooth sparire e subito riapparire con una splendida manovra evasiva. Poi, anche lui e Carenath saltarono per schivare i grappoli mortali. A trecento metri sotto di loro, scorse la pattuglia di Sorka composta da cinque elementi, seguita dalla pattuglia di Tarrie che guidava le rimanenti Regine. Ancora! L'ordine di Carenath fu imperioso. Il drago sfrecciò in alto tra due viluppi di Fili. Volse poi la testa all'indietro con la bocca spalancata. Sean frugò nella rete traendone un pezzo di pietra focaia. Questa è una cosa su cui dovremo esercitarci, pensò. Carenath saltò ancora. Snoth è stato colpito ad un'ala, annunziò Carenath. Ma continuerà a volare. Questo servirà a fargli perfezionare le manovre! ribatté Sean. Le cinghie di sicurezza si tesero all'altezza della cintura di Sean per una subitanea manovra di Carenath, costretto in posizione completamente eretta da un ammasso di Fili che prontamente bersagliò col getto di fuoco. Ritorna in formazione!, ordinò Sean. Ci mancava solo che i draghi si bruciassero le ali tra di loro! Gli altri draghi avevano mantenuto le posizioni assegnate, e Carenath obbedì ritornando nella sua. Dopo il primo entusiasmante scontro con i Fili, tutti si diedero da fare finché l'emissione di fiamme ed i salti divennero istintivi. Carenath volò nel mezzo parecchie volte per scansare dei Fili che si erano pericolosamente avviluppati attorno alle sue ali. Sean strinse i denti tutte le volte che Carenath provava il dolore delle ferite. Tutti i marroni ed i bronzei avevano subito ferite di poco conto. Le Regine li incoraggiavano costantemente. Poi Faranth riferì dell'arrivo di una slitta, ed ancora che le squadre di terra erano disseminate nella zona del porto impegnate a distruggere i gusci dei Fili che erano riusciti a raggiungere il suolo. Le ragazze che montavano le Regine avevano consumato tutto il combustibile presente nei serbatoi dei lanciafiamme che avevano preso a Seminole. Sorka se ne sarebbe procura-
to dell'altro dal deposito portuale. Faranth chiede per guanto ancora dobbiamo combattere, disse Carenath. Fintantoché avremo le pietre focaie! rispose Sean con ferocia. I getti infuocati gli avevano ustionato la faccia che gli bruciava dolorosamente. Delle maschere sarebbero risultate molto utili, e si ripromise di considerarne l'opportunità. Manooth dice che hanno finito la scorta di pietre!, annunziò Carenath improvvisamente dopo aver combattuto per un tempo la cui nozione Sean aveva quasi perso. Devono chiedere se ne hanno delle altre alla Rocca di Fort? Sean non si era accorto che la battaglia li aveva portati verso l'interno, e che si trovavano direttamente sugli imponenti bastioni della Fortezza. Rimase stralunato per un attimo, d'un tratto cosciente del freddo e della fatica. Il corpo gli doleva per le contusioni prodotte dalle cinghie che lo legavano, la faccia gli bruciava, e le dita delle mani e dei piedi, come le ginocchia, erano intorpidite. Digli di atterrare a Fort! I Fili stanno risalendo verso le montagne. Per oggi non possiamo fare di più! Bene! Carenath gli rispose con un tale entusiasmo che Sean dimenticò il bruciore della faccia e sorrise. Con una pacca affettuosa sulla spalla del drago, il cavaliere si congratulò per l'ottimo lavoro, mentre la formazione compiva una virata a destra per poi discendere a spirale verso il suolo. 74. «Emily!» Pierre irruppe nella stanza di sua moglie. «Emily, non ci crederai mai!» «Credere cosa?», disse lei con la voce stanca che ormai riusciva a modulare solo in quel tono da quando aveva subito l'incidente. La Governatrice volse la testa che teneva appoggiata allo schienale imbottito della sedia e gli sorrise debolmente. «Sono arrivati! Me lo avevano detto, ma dovevo vederli per crederci davvero. I draghi e i cavalieri sono tutti qui a Fort. È stato un trionfo! Hanno combattuto contro i Fili, proprio come tu sognavi, e come Kit Ping aveva stabilito nel suo programma!» Le prese la mano che Emily aveva sollevato, unica parte del suo corpo a non aver subito lesioni nel tremendo incidente. «Tutti e diciassette quei giovani coraggiosi! E Paul dice che ci
hanno dato dentro splendidamente.» Pierre si ritrovò a sorridere raggiante e, nello stesso istante, delle lacrime gli luccicarono negli occhi alla vista del roseo colorito che apparve sulle guance di lei, del moto che le animava il petto, del lampo di interesse che le balenò negli occhi. Emily sollevò la testa, e Pierre continuò in un profluvio di parole. «Paul li ha visti bruciare i Fili che cadevano dal cielo. Naturalmente non hanno combattuto per tutto il tempo della Caduta; sai, una parte dei Fili si sono gettati in mare, ed altri cadranno sulle montagne, dove non faranno grandi danni. «Paul ha detto che è stata la cosa più straordinaria che abbia mai visto. Più esaltante dell'arrivo dei rinforzi a Cygnus. Hanno anche registrato l'impresa, così dopo potrai vederla.» Pierre si chinò a baciarle la mano. I suoi occhi erano velati dalle lacrime, per Emily e per quei giovani valorosi che si erano schierati contro quella minaccia così terribile che si profilava nei cieli del loro stupendo e terrificante nuovo mondo. «Paul è andato giù ad accoglierli. È stato un arrivo trionfale. Ti giuro: ci infonde una nuova speranza. Tutti sono giù ad esultare, a gridare di gioia; Pol e Bay stanno piangendo, il che è certamente molto poco scientifico per una coppia come la loro. Sono convinto che considerino i cavalieri dei draghi come delle loro creazioni. E forse hanno ragione, non sei d'accordo?» Emily compì uno sforzo immane per sollevare il busto dalla sedia mentre si aggrappava con le dita al corpo del marito. «Aiutami ad andare alla finestra, Pierre! Devo vederli. Devo vederli con i miei occhi!» 75. La maggior parte degli abitanti della Rocca di Fort volsero gli occhi al cielo per salutarli. Sventolavano banderuole di stoffa colorata e gridavano tumultuosamente mentre i draghi planavano verso la distesa di terra per atterrare sui campi dove, a tratti, le squadre di terra avevano distrutto i Fili scampati alla offensiva aerea dei draghi. La folla si riversò compatta verso di loro; attorniarono i cavalieri, e tutti, desiderosi di toccare i draghi, trascurarono sulle prime gli striduli appelli dei giovani perché fossero medicate le ali trapassate dai Fili e le ustioni sulla pelle dei draghi. Con sollievo Sean scorse una slitta, ed udì l'altoparlante ordinare alla gente di fare spazio ai draghi perché i medici si potessero avvicinare. Il frastuono scemò di uno o due decibel. La folla si aprì per consentire l'accesso ai medici e fare spazio ai cavalieri per smontare. Sussurri di
compenetrazione si levarono quando le grida di esultanza si furono smorzate così da far udire i gemiti di dolore dei draghi feriti. Alcune delle persone radunate attorno a Carenath aiutarono di buon grado Sean a medicarlo. Sono tutti qui a vederci? Chiese Carenath timidamente. Il bronzeo girò l'ala sinistra in modo che Sean potesse raggiungerne un punto dove la lesione era particolarmente estesa. Con un sonoro sospiro di sollievo, il drago accolse il balsamo anestetico che Sean prese a spalmargli sopra. «Non so come abbiamo fatto ad avere tanta fortuna,» mormorò Sean quando fu certo che tutte le ferite di Carenath erano state medicate. Si guardò intorno per accertarsi che tutti gli altri draghi fossero stati soccorsi. Sorka sollevò i pollici e gli sorrise con la faccia macchiata di sangue e di fuliggine. Sean rispose al segnale della moglie sollevando i pugni serrati. «È una vera fortuna che ce la siamo cavata soltanto con qualche scottatura. Non sapevamo neppure cosa stavamo facendo. La fortuna è proprio cieca!» La sua mente stava già lavorando sui sistemi da adottare per evitare ogni sorta di ustioni e sulle esercitazioni da compiere per perfezionare il raggio per distruggere i Fili da incenerire con una sola fiammata. Dopotutto, quella era stata soltanto la prima breve schermaglia di una lunga, lunghissima guerra. «Ehi, Sean, anche tu hai bisogno di qualche medicazione,» osservò uno dei medici, mentre gli toglieva il casco per ungergli le guance ustionate. «Devi farti bello. L'Ammiraglio ti sta aspettando!» A quelle parole, quasi fossero la battuta d'entrata di una scena teatrale, un silenzio fatto di sommessi bisbigli avvolse la pianura. I cavalieri si radunarono e, assieme, si incamminarono verso il fondo della rampa dove Paul Benden, nell'alta uniforme di Ammiraglio di Flotta, fiancheggiato da Ongola ed Ezra Keroon, anch'essi nella tenuta delle grandi occasioni, aspettava i diciassette giovani eroi. I cavalieri avanzavano al passo davanti alla gente che sorrideva al culmine dell'orgoglio. Sean riconobbe molti volti: Pol e Bay, che pareva stessero per scoppiare tanto era l'orgoglio che li pervadeva; Telgar, le guance rigate dalle lacrime, con Ozzie e Cobber ai suoi fianchi; Cherry Duff sorretta dai due figli, gli occhi neri rifulgenti di gioia. Scorse anche gli Hanrahan, con Mairi che sollevava il piccoletto perché vedesse la sfilata. Non vi era traccia della Governatrice Emily Boll, e Sean si sentì stringere il cuore. Allora quel che gli aveva detto Peter Chernoff era vero. Con la sua
presenza, quel momento sarebbe stato ancor più gioioso. Quando i giovani raggiunsero la rampa, le ragazze, compagne delle Regine, erano rimaste un passo indietro agli altri, al centro dei quali stava Sean. Quando si fermarono, questi avanzò di un passo e salutò. Gli sembrò la cosa più corretta da farsi. L'Ammiraglio Benden, con gli occhi colmi di lacrime, ricambiò con fierezza il saluto. «Ammiraglio Benden,» disse Sean, cavaliere del bronzeo Carenath, «mi è permesso presentarle i Dragonieri di Pern?» FINE