José Saramago La zattera di pietra Traduzione di Rita Desti
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José Saramago La zattera di pietra Traduzione di Rita Desti
Einaudi Titolo originale A Jagada de Pedra José Saramago & Editorial Caminho S.RL, 1986. By arrangement with Dr. Ray-Gude Mertin, Literarische Agentur, Bad Homburg, Germany 1997 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino La traduzione di Rita Desti viene pubblicata per gentile concessione dell'editore Feltrinelli ISBN 88-U6-4389-1 Quando Joana Carda segnò il suolo con il suo bastone d'olmo, tutti i cani di Cerbère cominciarono a latrare, seminando panico e terrore fra gli abitanti, visto che da tempi remoti si credeva che quando in quel luogo i canidi, che erano sempre stati muti, avessero cominciato a latrare, tutto l'universo sarebbe stato sul punto di estinguersi. Come si fosse creata una così radicata superstizione, o salda convinzione, che in molti casi è l'espressione alternativa parallela, nessuno oggi lo ricorda, sebbene, ad opera e fortuna di quel noto gioco di udire il racconto e di ripeterlo con una nuova virgola, le nonne francesi fossero solite distrarre i nipotini con la favola secondo cui, in quello stesso luogo, nel comune di Cerbère, dipartimento dei Pirenei Orientali, in epoche greche e mitologiche, aveva abbaiato un cane a tre teste che, se lo chiamava il barcaiolo Caronte, suo padrone, rispondeva appunto al nome di Cerbère. Un'altra cosa che pure non si sa è quali mutazioni organiche avesse subito il famoso e altisonante canide fino alla mutezza storica e comprovata dei suoi discendenti da una testa sola, degenerati.
Eppure, e questo è punto di dottrina che solo pochi ignorano, soprattutto se appartengono alla generazione veterana, il cane Cerbero, ché tale si scrive e deve dirsi nella nostra lingua, montava guardia, terribile, all'entrata dell'inferno perché non osassero uscirne le anime, ma in seguito, fors'anche per misericordia estrema di dèi ormai moribondi, ammutolirono i cani futuri per tutta l'eternità, per vedere se col silenzio si cancellava dalla memoria l'infera landa. Ma non potendo il sempre durare sempre, come ci ha chiaramente insegnato l'età moderna, è bastato che in questi giorni, a centinaia di chilometri da Cerbère, in un posto del Portogallo il cui nome rammenteremo in seguito, è bastato che una donna chiamata Joana Carda segnasse il suolo con il suo bastone d'olmo perché tutti i cani di là si riversassero in strada vociferanti, loro che, lo ripetiamo, non avevano mai abbaiato. Se qualcuno andasse a domandare a Joana Carda che idea fosse mai stata, la sua, di segnare il suolo con un pezzo di legno, un gesto da adolescente lunatica più che da donna adulta, se non avesse pensato alle conseguenze di un atto apparentemente senza senso, e questi, ricordatevelo, sono i più pericolosi, magari lei risponderebbe, Non so che mi è successo, c'era quel legno per terra, l'ho preso e ho fatto il segno, Non ti è venuto in mente che poteva essere una bacchetta magica, Come bacchetta magica mi è parsa grande, e ho sempre sentito dire che le bacchette magiche sono fatte d'oro e di cristallo, risplendenti di luce e con una stella in punta, Sapevi che il bastone era di olmo, Io di alberi ne so ben poco, me l'hanno detto dopo che l'olmo nero è tale e quale l'olmo bianco, tutti e due senza poteri soprannaturali, anche se i nomi cambiano, ma in questo caso penso che un fiammifero avrebbe avuto lo stesso effetto, Perché dici questo, Quel che dev'essere dev'essere, e ha una gran forza, non gli si può resistere, l'ho sentito migliaia di volte dai più vecchi, Credi nella fatalità, Credo in ciò che dev'essere. A Parigi si erano fatti due risate sulle suppliche del sindaco che sembrava stesse telefonando da un canile all'ora del pasto dei cani, e solo in seguito alle reiterate istanze di un deputato della maggioranza, nato e cresciuto in quel comune, e pertanto conoscitore delle leggende e delle storie locali, si era finito per inviare al sud due veterinari qualificati del Deuxième Bureau, con la missione speciale di studiare l'insolito fenomeno e presentarne una relazione con le proposte di intervento. Frattanto, disperati, sulla soglia della sordità, gli abitanti avevano sparso per le strade e le piazze di quella gradevole stazione balneare, adesso luogo infernale, dozzine di bocconi di
carne avvelenati, metodo di estrema semplicità la cui efficacia è stata confermata dall'esperienza in tutti i tempi e in ogni latitudine. Nell'insieme, non morì che un solo cane, ma i sopravvissuti impararono subito la lezione e in un batter d'occhio, latrando, abbaiando e ululando, se la squagliarono nei campi circostanti dove, senza alcun motivo comprensibile, dopo pochi minuti si zittirono. Quando infine giunsero i veterinari fu loro presentato lo sventurato Médor, freddo, gonfio, tanto diverso dal felice animale che accompagnava la padrona a far la spesa e che, essendo ormai vecchio, se la godeva a dormire al sole, senza preoccupazioni. Tuttavia, dato che la giustizia non ha ancora abbandonato completamente questo mondo, volle Iddio, poeticamente, che Médor morisse per il boccone preparato dalla sua beneamata padrona, la quale, è bene che si sappia, aveva in mente una certa cagna del vicinato che non se ne voleva andar via dal suo giardino. Il più anziano dei veterinari, dinanzi alle funebri spoglie, disse, Procediamo con l'autopsia, e in realtà non ne valeva la pena, perché qualsiasi abitante di Cerbère avrebbe potuto, volendolo, testimoniare sulla causa mortis, ma il fine occulto della Facoltà, come la chiamavano nel gergo del servizio segreto, era di procedere, nascostamente, all'esame delle corde vocali di un animale che, tra la mutezza per morte adesso definitiva e il silenzio che era sembrato dover essere di tutta la vita, aveva infine avuto la parola per qualche ora ed era stato così uguale a tutti gli altri cani. Furono sforzi inutili, Médor non aveva neanche le corde vocali. Rimasero i chirurghi stupefatti, ma il sindaco diede la sua opinione, amministrativa e sensata, Non c'è da meravigliarsi, per tanti secoli i cani di Cerbère sono rimasti senza abbaiare che gli si è atrofizzato l'organo, E come mai, allora, all'improvviso, Questo non lo so, non sono un veterinario, ma le nostre preoccupazioni sono finite, i chiens sono spariti, là dove sono adesso non si sentono neppure. Médor, tagliuzzato e mal ricucito, fu consegnato alla padrona in lacrime, come un rimorso vivo, cosa che del resto sono i rimorsi anche dopo morti. Sulla strada per l'aeroporto, dove andavano a prendere l'aereo per Parigi, i veterinari si accordarono di sorvolare, nella relazione, sul compromettente episodio delle corde vocali sparite. E sembra che definitivamente, dato che quella stessa notte si mise a gironzolare per Cerbère un enorme cane a tre teste, alto come un albero, ma silenzioso. Proprio in quei giorni, forse prima, forse dopo che Joana Carda aveva segnato il suolo con il suo bastone d'olmo, un uomo se ne andava a spasso sulla spiaggia verso l'imbrunire, quando il rumore delle onde si ode appena, breve
e trattenuto come un sospiro senza motivo, e quell'uomo, che più tardi dirà di chiamarsi Joaquim Sassa, procedeva camminando su quella linea del mare che distingue le sabbie asciutte dalla sabbia bagnata, e di tanto in tanto si chinava per raccogliere una conchiglia, la pinza di un granchio, un filo di alga verde, non è raro che passiamo così il tempo, questo passeggiatore solitario lo stava passando così. Non avendo né tasche né sacchetti per conservare ciò che trovava, restituiva all'acqua i resti morti quando ne aveva le mani piene, al mare ciò che al mare appartiene, che la terra resti alla terra. Ma ogni regola ha le sue eccezioni, e una pietra che si vedeva più in là, fuori della portata del mare, Joaquim Sassa la raccolse, ed era pesante, larga come un disco, irregolare, magari fosse stata come le altre, aggraziate, dal contorno levigato, come quelle che si adattano comodamente fra il pollice e l'indice, allora Joaquim Sassa l'avrebbe lanciata rasente alla superficie dell'acqua per vederla rimbalzare, puerilmente felice della propria destrezza, e poi affondare, una volta perduta la spinta, una pietra che sembrava avesse il destino segnato, rinsecchita dal sole, dalla pioggia soltanto bagnata, che infine s'immergeva nell'oscura profondità per attendere un migliaio di anni, finché questo mare non sia evaporato o, indietreggiando, non la faccia tornare alla terra per un altro migliaio di anni, dando al tempo il tempo che scenda alla spiaggia un altro Joaquim Sassa che, senza saperlo, ripeterà il gesto e il movimento, che nessuno dica, Non lo farei, non c'è una sola pietra fissa e sicura. Lungo gli arenili del sud, a quest'ora tiepida, c'è chi fa l'ultimo bagno, nuotare, giocare a palla, tuffarsi dentro le onde, o si riposa vogando su di un materassino, oppure, sentendo sulla pelle la prima brezza dell'imbrunire, adagia il proprio corpo per ricevere l'ultima carezza del sole che si poserà sul mare fra un secondo, il più lungo di tutti, perché lo guardiamo e lui si fa guardare. Ma qui, su questa spiaggia del nord dove Joaquim Sassa tiene stretta una pietra, così pesante che le sue mani sono già stanche, il vento soffia freddo e il sole si è già tuffato per metà, neanche i gabbiani volano sull'acqua, Joaquim Sassa ha lanciato la pietra, pensava cadesse a pochi passi di distanza, poco più in là dei suoi piedi, ognuno di noi ha il dovere di conoscere le proprie forze, né c'erano testimoni che potessero ridersela di quel discobolo frustrato, piuttosto era lui pronto a ridere di se stesso, ma non è andata come pensava, scura e pesante la pietra è salita in aria, è scesa e ha battuto sull'acqua di piatto, col colpo è risalita, con un gran volo o salto, e di nuovo si è abbassata, ed è salita, per affondare infine al largo, se è vero che
quel biancore che riusciamo a distinguere non è solo la frangia di spuma dell'onda che si frange. Come mai, ha pensato perplesso Joaquim Sassa, come mai io, che sono tanto poco forte di natura, sono riuscito a lanciare una pietra così pesante tanto lontano, nel mare che sta già scurendo, e non c'è nessuno a dirmi, Molto bene, Joaquim Sassa, sono il tuo testimone per il Guinness dei primati, un'impresa del genere non può rimanere ignorata, che sfortuna, se vado a raccontare quello che è successo, mi daranno del bugiardo. E' arrivata dal largo un'onda alta alta, che si frange spumeggiante, in fondo la pietra è caduta davvero in mare, e questo è l'effetto noto fin dai fiumi dell'infanzia di chi nell'infanzia ha avuto fiumi, l'ondulazione concentrica che provocano le pietre quando si lanciano. Joaquim Sassa si è messo a correre sulla spiaggia e l'onda si è franta sulla sabbia trascinando con sé conchiglie, pinze di granchi, alghe verdi, e non solo quelle, i sargassi, le coralline, le laminarie. E una piccola pietra, maneggevole, di quelle che stanno tra il pollice e l'indice, chissà da quanti anni non vedeva la luce del sole. Atto difficilissimo è quello dello scrivere, una tra le maggiori responsabilità, basti pensare al lavoro estenuante di disporre in ordine cronologico gli avvenimenti, prima questo, poi quello, oppure, se più convenga alle necessità dell'effetto, il fatto di oggi posto prima dell'episodio di ieri, e altre non meno rischiose acrobazie, il passato come fosse avvenuto adesso, il presente come un continuo senza presente né fine, ma per quanto si sforzino gli autori, c'è un virtuosismo che non possono compiere, mettere per iscritto, contemporaneamente, due fatti avvenuti nello stesso tempo. C'è chi ritiene che la difficoltà si risolva dividendo la pagina in due colonne, fianco a fianco, ma l'espediente è ingenuo, perché prima se n'è scritta una e solo dopo l'altra, senza dimenticare che il lettore dovrà leggere prima questa e poi quella, o viceversa, a chi va bene sono i cantanti d'opera, ciascuno con la propria parte nel gran finale, tre quattro cinque sei fra tenori bassi soprani e baritoni, tutti a cantare parole diverse, per esempio il cinico beffeggiante, l'ingenua supplicante, il prim'attore tardo ad accorrere, allo spettatore quello che interessa è la musica, ma per il lettore non è così, lui vuole tutto spiegato, sillaba per sillaba e una dopo l'altra, come si vedono qui. E per questo che, visto che si è parlato per primo di Joaquim Sassa, solo adesso si parlerà di Pedro Orce, mentre Joaquim che lancia una pietra in mare e Pedro che si alza dalla sedia sono due fatti avvenuti in un unico istante, anche se per gli orologi
ci sarebbe stata un'ora di differenza, per via che questi è in Spagna e quello in Portogallo. Si sa che ogni effetto ha una sua causa, e questa è una verità universale, eppure non è possibile evitare certi errori di giudizio, o di semplice identificazione, perché ci capita di giudicare che questo effetto provenga da quella causa, quando invece è stato da un'altra, molto al di là della portata di ciò che comprendiamo e della scienza che credevamo di avere. Per esempio, sembra sia stato dimostrato che i cani di Cerbère hanno abbaiato solo perché Joana Carda ha tracciato una riga per terra con una bacchetta d'olmo, e tuttavia solo un bambino credulone, se ce n'è rimasto qualcuno dai tempi d'oro della credulità, oppure innocente, se il santo nome d'innocenza può esser così invocato invano, un bambino capace di credere che, chiudendo la mano, vi abbia imprigionato la luce del sole, solo un bambino così crederebbe che siano stati capaci di latrare dei cani che non hanno mai latrato prima per ragioni sia di ordine storico che fisiologico. In queste decine e decine di migliaia di paeselli, villaggi, borghi e città, non mancano davvero le persone che giurerebbero di essere causa e cause, tanto dell'abbaiare come del resto che verrà, perché hanno sbattuto una porta, o si son tagliati un'unghia, o hanno colto un frutto, o spostato una tenda, o accesa una sigaretta, o sono morte, oppure, ma non le stesse, sono nate, ipotesi queste, di nascita e morte, che sarebbero più difficili da accettare, tenendo conto che dovremmo essere noi a proporle, perché chi nasce non viene a parlarci della pancia di sua madre e chi muore non parla dopo essere entrato nella pancia della terra. E non serve neppure aggiungere che qualcuno abbia d'avanzo ragioni per ritenersi causa di tutti gli effetti, questi di cui stiamo parlando e, in più, quelli che sono la nostra parte esclusiva per il funzionamento del mondo, ciò che mi piacerebbe tanto sapere è come si ritroverà costui quando non ci saranno più gli uomini e gli effetti che soltanto loro causano, la cosa migliore è non pensarci neppure a tale immensità, che fa venire le vertigini, insomma, basterà che sopravviva qualche animaletto, qualche insetto, e i mondi ci saranno, quello della formica, quello della cicala, non sposteranno certo tende, non si guarderanno in uno specchio, ma questo che c'entra, in fondo l'unica grande verità è che il mondo non può essere morto. Direbbe Pedro Orce, se tanto osasse, che se la terra ha tremato è perché lui ha battuto i piedi sul pavimento alzandosi dalla sedia, una bella presunzione la sua, a meno che non sia nostra, che imprudentemente ne stiamo dubitando, se ognuno lascia nel mondo almeno un segnale, questo potrebbe essere quello di
Pedro Orce, e perciò lui dichiara, Ho messo i piedi per terra e la terra ha tremato. Che scossa straordinaria deve essere stata, nessuno ha mostrato di averla sentita, e anche adesso, dopo due minuti, quando sulla spiaggia l'onda è ormai refluita e Joaquim Sassa dice fra sé e sé, Se lo vado a raccontare mi danno del bugiardo, la terra vibra come continua a vibrare la corda che ormai non si ode più, la sente Pedro Orce sulle piante dei piedi, continua a sentirla quando esce per strada dalla farmacia, e nessuno si accorge di niente, è come stare a guardare una stella, dire, Che bella luce, che splendido astro, e non poter sapere che lei si è spenta nel bel mezzo della frase, i figli e i nipoti dovranno ripetere le parole, poveri loro, parlano di chi è morto e dicono che è vivo, non è solo nella scienza astronomica che s'incorre in questo sbaglio. Qui è il contrario, tutti giurerebbero che la terra è ferma, e solo Pedro Orce affermerebbe che trema, per fortuna ha taciuto e non si è messo a correre spaventato, del resto le pareti non oscillano, i lampadari appesi stanno come un filo a piombo, e gli uccellini della gabbia, che sono di solito i primi a dare l'allarme, dormono tranquilli sul loro posatoio, con la testa sotto l'ala, l'ago del sismografo ha tracciato e continua a tracciare sulla carta millimetrata una linea retta orizzontale. Al mattino del giorno dopo, un uomo attraversava una pianura incolta, fitta di boscaglia e sterpi paludosi, procedeva per viottoli e sentieri fra gli alberi, alti come il nome che gli han dato, pioppi e frassini li chiamano, e arbusti di tamarisco, col loro odore africano, quest'uomo non avrebbe potuto scegliere maggior solitudine e cielo più elevato, e ancor più su, volando con uno strepito inaudito, lo accompagnava un drappello di storni, tanti da creare una nube scura ed enorme, come di tempesta. Quando lui si fermava, gli storni si trattenevano in un volo circolare o calavano fragorosamente su di un albero, scomparivano fra i rami e tutto il fogliame tremava, la cima risuonava di suoni aspri, violenti, sembrava che vi s'impegnasse dentro una ferocissima battaglia. Ricominciava a camminare José Anaiço, era questo il suo nome, e gli storni si levavano a precipizio, tutti allo stesso tempo, vruuuuuuuuuuuuuu. Se ci volessimo mettere a indovinare, non conoscendo quest'uomo, diremmo che forse fa l'uccellaio di mestiere oppure, come il serpente, possiede il potere di incantare e doti d'attrazione, mentre invece è sicuro che José Anaiço è dubbioso quanto noi sulle cause di quel tripudio alato, Che mai vorranno da me queste creature, non meravigliamoci per la parola desueta, ci sono giorni in cui quelle comuni non ci attirano.
Procedeva il viandante da levante a ponente, così gli eran capitati la strada e il tragitto, ma dovendo fiancheggiare un grande stagno, svoltò verso sud proseguendo lungo la riva. Verso la fine della mattina comincerà a intiepidire, per ora c'è una brezza fresca e limpida, peccato non potersela serbare in tasca per quando ce ne potrà esser bisogno all'ora del gran caldo. Questi pensieri andava rimuginando José Anaiço, pensieri vaghi e involontari come se non gli appartenessero, quando si accorse che gli storni erano rimasti indietro, a svolazzare laggiù dove il sentiero fa una curva per seguire la palude, un procedimento senza dubbio straordinario, ma insomma, come si suol dire, chi va va, chi c'è c'è, addio uccellini. José Anaiço finì di fare il giro dello stagno, quasi mezz'ora di passaggio difficile, fra sterpi e rovi, e riprese il suo primo cammino, nella direzione da cui proveniva, da oriente a occidente come il sole, quando all'improvviso, vruuuuuu, rispuntarono gli storni, dove mai si erano ficcati. Per questo fatto, però, non c'è spiegazione. Se uno stormo di uccelli accompagna un uomo nella sua camminata mattutina, come un cane fedele al padrone, gli dà pure il tempo di girare intorno a uno stagno e poi lo segue come faceva prima, non gli si chieda di dire o indagarne i motivi, gli uccelli non hanno ragioni, ma istinti, spesso indefiniti e involontari come se non ci appartenessero, parlavamo degli istinti, ma anche delle ragioni e dei motivi. E non domandiamo neanche più a José Anaiço chi sia e cosa faccia nella vita, da dove venga e dove vada, quel che di lui ci sarà da sapere lo si saprà da lui, e questa descrizione, questa parsimonia informativa dovranno ugualmente contemplare Joana Carda e la sua bacchetta d'olmo, Joaquim Sassa e il sasso che ha lanciato in mare, Pedro Orce e la sedia da cui si è alzato, le vite non cominciano quando le persone nascono, se così fosse ogni giorno sarebbe un giorno in più, le vite cominciano più tardi, spesso troppo tardi, per non parlare di quelle che, non appena iniziate, son già finite, ecco perché qualcuno ha gridato, Ah, chi scriverà mai la storia di quel che avrebbe potuto essere. E adesso questa donna, la chiamano Maria Guavaira, un nome strano anche se non gerundio, che è salita nella soffitta di casa e ha trovato una vecchia calza, una di quelle antiche e genuine che servivano per conservare il danaro come una cassaforte, simbolici peculi, teneri risparmi, e avendola trovata vuota, si è messa a disfarne le maglie, con la noia di chi non ha altro per tener occupate le mani. Sono trascorse un'ora e un'altra e poi un'altra, e il lungo filo di lana turchina non finisce, eppure la calza non sembra rimpicciolirsi, non bastavano i quattro enigmi di cui si è parlato, questo ci dimostra che, almeno
una volta, il contenuto può essere maggiore del contenente. A questa casa silenziosa non giunge il rumore delle onde del mare, del passaggio d'uccelli l'ombra non oscura la finestra, ci sarà pure qualche cane, ma non abbaia, la terra, se ha tremato, non trema. Ai piedi della smagliatrice il filo è la montagna che va aumentando. Maria Guavaira non si chiama Arianna, con questo filo non usciremo dal labirinto, magari finiremo per perderci. Il capo, dov'è? La prima crepa comparve su un gran lastrone naturale, levigato come la tavola dei venti, in qualche punto di questi Monti Alberes che, all'estremità orientale della cordigliera, scendono regolari verso il mare e dove adesso vagano gli sventurati cani di Cerbère, un'allusione che non viene a sproposito nel tempo e nel luogo, perché tutte queste cose, anche quando non lo sembrino, sono fra loro collegate. Espulso, come s'è detto, dalla pietanza domestica e forzato pertanto dalla necessità a ricordare con la memoria incosciente le astuzie dei suoi antenati cacciatori per riuscire ad acchiappare qualche leprotto smarrito, uno di quei cani, di nome Ardent, grazie al finissimo udito di cui è dotata la specie, avrà di certo percepito lo scoppio della pietra e senza uggiolare solo perché non lo può, le si è avvicinato, dilatando le nari, il pelo ritto, con tanta curiosità e altrettanta paura. La crepa, sottile, a un osservatore umano avrebbe potuto ricordare il segno lasciato da un lapis appuntito, molto diverso da quell'altro, dal segno di un bastone sulla terra dura, o nella polvere sparsa e morbida, o nel fango, nel caso che ci mettessimo a perder tempo con queste fantasticherie. Mentre il cane, però, si avvicinava, la crepa si è allargata, s'è fatta profonda ed è avanzata, squarciando la pietra, fino all'estremità del lastrone, e poi di qua e di là, ci sarebbe entrata tutta la mano, e il braccio per lungo e per largo, se ci fosse stato un uomo di coraggio disposto a misurarsi con un simile fenomeno. Il cane Ardent gironzava inquieto, ma non poteva fuggire, attratto da quel serpente di cui non si vedevano più né testa né coda, e d'improvviso sperso, senza sapere da che parte stare, in Francia, dove si trovava, o in Spagna, ormai distante tre palmi. Ma questo cane, grazie a Dio, non è di quelli che si adattano alle situazioni, prova ne sia che con un salto ha superato l'abisso, ci si perdoni l'evidente esagerazione verbale, e s'è trovato dalla parte di qua, ha preferito le regioni infernali, non lo potremo mai sapere che nostalgie muovono l'anima di un cane, che sogni, che tentazioni. La seconda crepa, ma per il mondo la prima, si ebbe a molti chilometri di distanza, sul versante del golfo di Biscaglia, non lontano da un luogo
dolorosamente celebre nella storia di Carlo Magno e dei suoi Dodici Pari, un posto chiamato Roncisvalle, dove morì Orlando soffiando nell'Olifante, senza che Angelica o Durlindana lo potessero aiutare. Lì, scendendo alle falde del monte Abodi, sul versante a nordest, scorre un fiume, l'Irati, che, nato in Francia, va a sfociare nell'Erro, spagnolo, a sua volta affluente dell'Aragón, il quale è tributario dell'Ebro che infine porterà e riverserà nel Mediterraneo le acque di tutti. A fondo valle, sulle rive dell'Irati, c'è una città, chiamata Orbaiceta, e a monte esiste una diga o, come la chiamano là, un embalse. E' tempo di spiegare che quanto qui si racconta o si racconterà è la pura verità e può essere verificato su qualsiasi carta geografica, purché abbastanza minuziosa da contenere informazioni apparentemente tanto insignificanti, dato che la virtù delle mappe è proprio questa, di mostrare la riduttibile disponibilità dello spazio, di pronosticare che tutto vi può succedere. E vi succede. Abbiamo già parlato della bacchetta del destino, abbiamo già provato che una pietra, per quanto lontana dall'orizzonte in alto mare, può andare a cadervi dentro o ritornarvi, adesso è la volta di Orbaiceta, dove, dopo la salutare agitazione provocata dalla costruzione della diga tanti anni fa, era tornata la tranquillità, una cittadina di provincia navarra, assopita tra le montagne, adesso di nuovo in agitazione. Per alcuni giorni Orbaiceta è stata il centro nevralgico d'Europa, fors'anche del mondo, vi si sono riuniti membri di governo, politici, autorità civili e militari, geologi e geografi, giornalisti e mineralogi, fotografi, operatori televisivi e cinematografici, ingegneri di tutte le specie, osservatori e curiosi. Ma la celebrità di Orbaiceta non durerà a lungo pochi giorni, poco più delle rose di Malherbe, e come mai potevano durare se erano di mala erba, ma stiamo parlando di Orbaiceta, che sarebbe durata solo fino a che venne annunciata, altrove, una celebrità maggiore, è sempre così con le celebrità. Nella storia dei fiumi non era mai successo un caso simile, l'acqua che sta scorrendo nel suo eterno corso e d'improvviso non scorre più, come un rubinetto che bruscamente fosse stato chiuso, c'è uno, per esempio, che si sta lavando le mani in un lavandino, toglie il tappo dopo aver chiuso il rubinetto, l'acqua scorre via, scende, sparisce, quanto è rimasto ancora nella conca di smalto in breve tempo evaporerà. Per spiegarci con parole più acconce, l'acqua dell'Irati si è ritirata come l'onda che dalla spiaggia refluisce e si allontana, è rimasto in vista il letto del fiume, sassi, melma, limo, pesci che saltano e boccheggiano e muoiono, il repentino silenzio.
Gli ingegneri non si trovavano sul posto quando avvenne l'incredibile fatto, ma si resero conto che qualcosa di anormale era successo, i quadranti dell'osservatorio indicarono che il fiume non alimentava più il grande bacino acquatico. Andarono con una jeep tre tecnici a controllare l'inghippo e, strada facendo, lungo la riva del bacino, presero in esame le diverse ipotesi possibili, di tempo non gliene mancò in quasi cinque chilometri, e una di quelle ipotesi era che una frana o uno smottamento di terra sulla montagna avesse deviato il corso del fiume, un'altra che fosse opera dei francesi, gallica perfidia, nonostante l'accordo bilaterale sulle acque fluviali e sui loro sfruttamenti idroelettrici, un'altra ancora, la più radicale di tutte, che si fosse esaurita la sorgente, la fonte, la polla, l'eternità che sembrava essere e che in fondo non era. Su questo punto discordavano le opinioni. Uno degli ingegneri, uomo pacato, della specie contemplativa, e a cui piaceva la vita a Orbaiceta, temeva che lo mandassero lontano, gli altri si fregavano le mani per la contentezza, magari li avrebbero trasferiti a una delle dighe sul Tago, possibilmente vicino a Madrid e alla Gran Vía. Dibattendo queste loro preoccupazioni personali giunsero alla punta estrema dell'embalse, dove c'era il canale, ma il fiume lì non c'era, solo un filino d'acqua che ancora trasudava dal terreno molle, un gorgoglio fangoso che neanche per muovere un mulino giocattolo avrebbe avuto forza, Dove diavolo è andato a finire il fiume, questo lo disse l'autista della jeep, e non si poteva essere più espressivi ed esatti. Perplessi, attoniti, sconcertati, e anche inquieti, gli ingegneri ripresero a discutere fra loro le ipotesi già spiegate, dopo di che, verificata l'inutilità pratica di proseguire il dibattito, rientrarono ai loro uffici della diga, poi proseguirono per Orbaiceta dove li aspettavano i capi, già informati della magica sparizione del fiume. Ci furono discussioni aspre, incredulità, chiamate telefoniche a Pamplona e Madrid, e il risultato di quell'estenuante lavoro e di quelle conversazioni finì per essere espresso in un ordine molto semplice, definito in tre parti successive e complementari, Risalite il corso del fiume, scoprite cos'è successo e non dite niente ai francesi. La spedizione partì il giorno dopo, ancor prima del sorgere del sole, diretta alla frontiera, sempre in vista del fiume in secca o costeggiandolo, e quando gli stremati ispettori vi giunsero si resero conto che mai più ci sarebbe stato l'Irati. Attraverso una fenditura che non doveva essere più larga di tre metri le acque si riversavano all'interno della terra, ruggendo come un piccolo Niagara. Dall'altro lato c'era già un assembramento di francesi, che sublime ingenuità pensare che i vicini, astuti e cartesiani, non si sarebbero accorti del
fenomeno, ma almeno si mostravano altrettanto stupefatti e disorientati degli spagnoli da questo lato, e tutti fratelli nell'ignoranza. Finirono le due parti per parlare, ma la conversazione non fu né lunga né proficua, poco più delle esclamazioni di una giustificata sorpresa, un'esitante enunciazione di ipotesi nuove da parte degli spagnoli e infine un'irritazione generale che non trovava contro chi rivolgersi, di lì a poco i francesi sorridevano, in fondo erano sempre i padroni del fiume sino alla frontiera, non ci sarebbe stato bisogno di rifare le mappe. Quel pomeriggio, elicotteri dei due paesi sorvolarono il posto, fecero fotografie, con gli argani scesero osservatori che, sospesi sulla cataratta, guardavano e non vedevano niente, solo l'enorme gola nera e il dorso curvo e lucido dell'acqua. Per accelerare le cose, le autorità municipali di Orbaiceta, da parte spagnola, e di Larrau, da parte francese, si riunirono vicino al fiume, sotto un tendone montato per l'occasione e sormontato dalle tre bandiere, quelle bicolore e tricolore nazionali, più la bandiera di Navarra, con il proposito di studiare le potenzialità turistiche di un fenomeno naturale di certo unico al mondo e le condizioni del suo sfruttamento, nel reciproco interesse. Considerando l'insufficienza e il carattere indubbiamente provvisorio degli elementi di analisi a disposizione, la riunione non produsse alcun documento che definisse gli obblighi e i diritti delle parti, ma fu nominata una commissione mista che, a brevissima scadenza, avrebbe elaborato l'ordine del giorno del prossimo incontro, ufficiale. Intanto, all'ultimo momento, un elemento di disturbo venne a sovvertire il relativo accordo cui si era giunti, e fu l'intervento, quasi simultaneo a Madrid e a Parigi, dei rappresentanti dei due Stati presso la commissione permanente sui limiti di frontiera. Sollevavano costoro un dubbio grave, Che ne sappiamo noi verso dove si apre il buco, sul lato spagnolo o su quello francese. Sembrava un particolare di nessun conto, ma dopo che ne fu spiegata la motivazione, la delicatezza del caso saltava agli occhi di tutti. Era indiscutibile, è chiaro, che l'Irati, a partire da quel momento, apparteneva interamente alla Francia, dipartimento dei Bassi Pirenei, ma se la fenditura si era aperta tutta dalla parte della Spagna, provincia di Navarra, per i negoziati c'era ancora molto da vedere, dato che ambedue i paesi, in un certo senso, avevano contribuito in parte uguale. Se, al contrario, anche la fenditura fosse stata francese, allora l'affare spettava interamente a loro come pure le relative materie prime, il fiume e il vuoto. Di fronte alla nuova situazione, le due autorità, ciascuna mascherando le proprie riserve mentali, s'accordarono di
mantenersi in contatto fintanto che non fosse stata dipanata la gravosa questione. A loro volta, in una dichiarazione congiunta faticosamente elaborata, i Ministeri degli Affari Esteri di entrambi i paesi annunciarono l'intenzione di proseguire consultazioni urgenti nell'ambito della suddetta commissione permanente, assistita, come non poteva non essere, dalle rispettive squadre di tecnici geodetici. Fu a quel punto che, in gran profusione e diversità internazionale, spuntarono i geologi. Fra Orbaiceta e Larrau c'era già di tutto un po', se non molto, come si è enumerato prima, ma adesso arrivavano in forza i sapienti della terra e delle terre, i controllori di movimenti e accidenti, di strati e blocchi erratici, martelletto in mano, a battere su tutto quanto fosse pietra o pietra sembrasse. Un giornalista francese, Michel e cinico, diceva a un suo collega spagnolo, serio e Miguel, che aveva già annunciato a Madrid che la crepa era as-so-lutamen-te spagnola, o, per dirla con precisione geografica e nazionalista, navarrese, Tenetevela voi, ecco ciò che disse quel francese insolente, se vi fa tanto piacere e tanto ne avete bisogno, solo nel Cirque de Gavarnie noi abbiamo una cascata alta quattrocentoventi metri, non abbiamo bisogno di pozzi artesiani girati al contrario. Non gli venne in mente, a Miguel, di rispondergli che anche dalla parte spagnola dei Pirenei le cascate d'acqua non mancano, e fra le più belle e più alte, ma che il problema, lì, era un altro, una cascata a cielo aperto non è un mistero, sempre uguale, a vista di tutti, mentre invece la crepa dell'Irati, se ne vede l'inizio, ma non se ne conosce la fine, è come la vita. Fu tuttavia un altro giornalista, peraltro gallego e di passaggio, come ai galleghi succede spesso, a lanciare la domanda che ancora mancava, Dove va a finire tutta quest'acqua. Era il momento, quello, in cui i geologi delle due parti discutevano, a colpi di scienza brusca e secca, e la domanda, quasi da bambino timido, a stento fu udita da chi ora la riporta. Dato che la voce era gallega, e perciò discreta e misurata, la soffocarono l'impetuoso francese e l'orgoglioso castigliano, ma poi ne vennero altri a ripetere l'affermazione, arrogandosi la boria di primo scopritore, ai popoli piccoli nessuno dà ascolto, non è una mania di persecuzione, ma una evidenza storica. La discussione dei sapienti s'era fatta quasi impenetrabile a intendimenti profani, e tuttavia si poteva vedere che due erano le tesi centrali in discussione, quella dei monoglacialisti e quella dei poliglacialisti, entrambe irriducibili e dopo un po' nemiche, come due religioni antitetiche, monoteista l'una, politeista l'altra. Alcune dichiarazioni potevano sembrare interessanti, come quella che le deformazioni, alcune deformazioni, potessero
essere dovute vuoi a una elevazione tettonica, vuoi a una compensazione isostatica dell'erosione, Tanto più, si aggiungeva, che l'esame delle forme attuali della cordigliera consente di affermare che questa non è antica, geologicamente parlando, è chiaro. Tutto questo poteva aver qualcosa a che vedere con la fenditura. Insomma, una montagna così soggetta a questi giochi di trazione e braccio-di-ferro, non sorprende che arrivi il giorno in cui si vede obbligata a cedere, a rompersi, a sgretolarsi o, come nel caso in questione, a spaccarsi. Non era quello il caso del gran lastrone, inerte sopra i Monti Alberes, ma quello i geologi non lo videro mai, era lontano, su di un eremo desolato, nessuno gli si avvicinò, il cane Ardent se ne fuggì appresso al coniglio per non tornare mai più. Due giorni dopo i membri della commissione sui limiti di frontiera erano al lavoro sul campo, con i teodoliti a misurare, con le tabelle a conferire, con i calcolatori a calcolare, e tutto quanto a confrontare con le fotografie aeree, i francesi poco soddisfatti perché ormai non c'erano quasi più dubbi che la fenditura fosse spagnola, come il giornalista Miguel aveva pionieristicamente sostenuto, quando si ebbe improvvisa notizia di una nuova frattura. Della tranquilla Orbaiceta non si parlò più, né del troncato fiume Irati, sic transit gloria mundi e di Navarra. Di volata gli uomini dell'informazione, alcuni dei quali erano donne, sciamarono sui Pirenei Orientali, che era la regione critica, per fortuna dotata di vie d'accesso migliori, tante e tanto eccellenti che in poche ore vi si riunì il potere del mondo, con gente che era venuta addirittura da Toulouse e Barcelona. S'intasarono le autostrade, quando i poliziotti da una parte e dall'altra tentarono di deviare il flusso del traffico era troppo tardi, chilometri e chilometri di automobili, il caos meccanico, dopo fu necessario prendere provvedimenti drastici, far tornare tutti indietro sull'altra corsia, all'uopo distruggendo le siepi, riempiendo i fossati, un inferno, avevano ragione i greci quando lo misero in questa regione. Utili nell'emergenza furono gli elicotteri, questi artefatti volanti o uccellacci capaci di posarsi quasi dappertutto, e che, quando è del tutto impossibile, procedono a mo' di colibrì, si avvicinano fin quasi a toccare il fiore, i passeggeri non hanno neppure bisogno di scala, un saltino ed è fatta, entrano lì per lì nella corolla, fra stami e pistilli, aspirando gli aromi, non di rado di napalm e carne bruciata. Si mettono a correre, a testa bassa, e vanno a vedere che cosa è successo, alcuni arrivano direttamente dall'Irati, ormai con esperienza tettonica, ma non questa.
La fenditura taglia la strada, tutta la grande area di parcheggio, e si prolunga, assottigliandosi ai due lati, in direzione della valle, dove si perde, serpeggiando su per il costone del monte, fino a scomparire fra gli alberi. Ci troviamo nel punto esatto e preciso della frontiera, quella autentica, la linea di separazione, in questo limbo senza patria fra gli avamposti delle due polizie, la duana e la douane, la bandera e il drapeau. A una distanza prudente, perché non si esclude la probabilità di smottamenti ai bordi della ferita terrestre, autorità e tecnici si scambiano frasi che non hanno senso e tanto meno efficacia, non si può dire sia un dialogo quel brusio di voci,e usano altoparlanti per udirsi meglio, mentre altri personaggi più qualificati, nei padiglioni, parlano al telefono, ora fra di loro, ora con Madrid e Parigi. Appena sbarcati, i giornalisti vanno a indagare su come sia potuto succedere e raccolgono tutti la stessa storia, con qualche elaborata variante, che la loro immaginazione ancor più finirà per arricchire, ma, buttandola sul semplice, chi si è accorto dell'avvenimento è stato un automobilista che, passando quando ormai imbruniva, aveva sentito la macchina dare uno scossone come se le ruote fossero entrate e uscite da un solco trasversale, ed era andato a vedere cos'era, chissà che non ci fossero lavori in corso per migliorare il fondo stradale che avessero imprudentemente dimenticato di segnalare. La spaccatura misurava mezzo palmo di larghezza e almeno quattro metri di lunghezza. L'uomo, che era portoghese, si chiamava Sousa e viaggiava con la moglie e i suoceri, era tornato alla macchina e aveva detto, Sembra quasi che siamo già entrati in Portogallo, pensa, un fosso enorme, mi poteva ammaccare i cerchioni, rompere un semiasse. Non era un fosso, e non era neanche enorme, ma le parole, così come le abbiamo fatte, hanno il gran pregio che aiutano, per il semplice fatto che le diciamo esagerate, ecco che subito ti alleviano i timori e le emozioni, proprio perché li drammatizzano. La moglie, senza prestare molta attenzione alla notizia, aveva risposto, Vedi un po' tu, e lui aveva pensato bene di seguire il consiglio, benché non fosse stata quella l'intenzione, la frase della donna, interiezione più che raccomandazione abbreviata, era di quelle che della risposta fanno solo le veci, lui era sceso di nuovo dalla macchina e andato a controllare i cerchioni, squarci visibili non ce n'erano, per fortuna. Di lì a qualche giorno, ormai nella sua terra portoghese, sarà un eroe, concederà interviste alla televisione, alla radio e alla stampa, Lei è stato il primo a vederlo, signor Sousa, ci parli delle sue impressioni di quel terribile momento. Lui ripeterà a non finire, e sempre la sua arzigogolata storia si concluderà con una domanda ansiosa e retorica, da
far venire i brividi e che lo fa rabbrividire deliziosamente, come un'estasi, Se il buco fosse stato più grande, pensate un po', come dicono che sia ora, ci saremmo caduti dentro, Dio solo sa fino a che profondità, e più o meno questo doveva aver pensato anche il gallego quando aveva domandato, ve ne ricordate, Dove va a finire quest'acqua. Fino a dove, ecco il punto cruciale. Il primo provvedimento oggettivo doveva essere quello di sondare la ferita, verificarne la profondità, e poi studiare, definire e attuare i necessari procedimenti per colmare la breccia, mai espressione alcuna riuscì a essere tanto rigorosa, non per niente è francese, si può addirittura pensare che un giorno qualcuno l'abbia pensata, o inventata proprio perché la si potesse usare, con gran proprietà, quando la terra si fosse spaccata. Il sondaggio, subito fatto, registrò poco più di venti metri, un'inezia per i mezzi della moderna ingegneria dell'edilizia. Dalla Spagna e dalla Francia, da vicino e da lontano, avanzarono le betoniere, le impastatrici, tutte quelle macchine interessanti che, con i loro movimenti simultanei, ricordano la terra nello spazio, rotazione, traslazione, e che giunte sul posto vomitavano il calcestruzzo, torrenziale, all'uopo dosato con grande quantità di pietrisco grosso e di cemento a presa rapida. Si era nel bel mezzo dell'operazione di riempimento quando un fantasioso perito propose di mettere, come un tempo si faceva per le ferite degli uomini, delle grappe, grandi, d'acciaio, che tenessero i bordi, aiutando, per così dire, e accelerando la cicatrizzazione. L'idea fu approvata dalla commissione bilaterale d'emergenza, le siderurgie spagnole e francesi intrapresero immediatamente gli studi necessari, lega, spessore, e taglio del materiale, rapporto fra il gancio che sarebbe stato conficcato nel terreno e l'apertura abbracciata, insomma, tutti i particolari tecnici di competenza degli esperti e che qui si enunciano molto alla buona. La fenditura inghiottiva il torrente di pietre e fango grigio come se fosse il fiume Irati che si riversava dentro la terra, se ne udiva l'eco profonda, si finì per ammettere la possibilità che là sotto ci fosse un vuoto gigantesco, una caverna, una specie di gola insaziabile, Il fatto è che, se così fosse, non varrebbe la pena di continuare, costruiamo invece un passaggio sul buco, magari è la soluzione più facile ed economica, Chiamiamo gli italiani, che sono molto esperti in viadotti. Ma, dopo non so quante tonnellate e metri cubi, la sonda segnalò il fondo a diciassette metri, poi a quindici, a dodici, il livello del calcestruzzo continuava a salire, a salire, la battaglia era vinta. Si abbracciavano i tecnici, gli ingegneri, gli operai, i poliziotti, si sventolavano bandiere, i giornalisti della televisione, nervosi, leggevano l'ultimo
comunicato e davano le proprie opinioni, esaltando la lotta titanica, l'impresa collettiva, la solidarietà internazionale in azione, perfino dal Portogallo, un paese così piccolo, partì un convoglio di dieci betoniere, eccolo in strada, ha un lungo viaggio davanti a sé, più di mille e cinquecento chilometri, uno sforzo straordinario, il cemento che portano non sarà necessario, ma la storia registrerà il simbolico gesto. Quando il riempimento giunse al livello della strada, l'allegria esplose in un delirio collettivo, come in un capodanno, fuochi d'artificio e corsa di San Silvestro. Risuonarono nell'aria i clacson degli automobilisti che non si erano mossi di un millimetro neanche dopo che le strade erano state disostruite, i camion liberavano i muggiti rochi degli avertisseurs e delle bocinas e gli elicotteri aleggiavano gloriosamente sopra le teste, come serafini posseduti da potenze affatto celestiali. Crepitarono incessanti le macchine fotografiche, gli operatori della televisione si avvicinarono, i nervi saldi, e lì, ai bordi della fessura che non lo era più, fecero grandi panoramiche della superficie irregolare del catrame, la prova della vittoria dell'uomo su un capriccio della natura. E fu così che gli spettatori, quelli lontani, nella comodità e nella sicurezza delle loro case, ricevendo in diretta le immagini prese alla frontiera franco-spagnola di Collado de Pertuis, poterono vedere, quando ormai stavano ridendo e battendo le mani, e festeggiavano l'avvenimento come prodezza loro, fu così che poterono vedere, senza voler credere adesso ai propri occhi, videro la superficie del catrame ancora molle muoversi e cominciare a scivolar giù, come se la massa enorme venisse risucchiata dal basso, lentamente, ma irresistibilmente e poi rispuntare la breccia spalancata. La fenditura non si era allargata, e questo poteva significare solo una cosa, che la giunzione delle parti non era più a venti metri di profondità, come prima, ma a molti di più, Dio solo sa a quanti. Gli operatori indietreggiarono spaventati, ma il dovere professionale, divenuto istinto acquisito, mantenne le cineprese in funzione, anche se tremule, e il mondo poté vedere i visi alterati, il panico incontenibile, si udivano le esclamazioni, le grida, ci fu un fuggi fuggi generale, in meno di un minuto tutta la zona circostante apparve deserta, rimasero le betoniere abbandonate, alcune ancora in funzione qua e là, con le impastatrici che giravano piene di un catrame che tre minuti prima non serviva e adesso era diventato inutile. Per la prima volta un brivido di paura percorse la penisola e la vicina Europa. A Cerbère, lì vicino, la gente, correndo per le strade premonitoriamente, come avevano fatto i cani, si diceva a vicenda, Era scritto, quando avessero
abbaiato il mondo sarebbe finito, ma non era proprio così, scritto non lo era mai stato, ma nei grandi momenti abbiamo sempre bisogno di grandi frasi, e questa, Era scritto, non sappiamo che seduzione abbia per occupare il primo posto nei prontuari dello stile fatale. Temendo, con più ragioni che chiunque altro, quello che stava per succedere, gli abitanti di Cerbère cominciarono ad abbandonare la città, migrando in massa verso terre più solide, chissà che la fine del mondo non arrivasse così lontano. A Banyuls-sur-Mer, a PortVendrès e a Collioure, per nominare solo questi paesi della zona rivierasca, non rimase anima viva. Quelle morte, perché erano morte, se ne rimasero lì, con quella loro incrollabile indifferenza che le distingue dal resto dell'umanità, e se qualcuno ha mai detto il contrario, che Fernando è andato a trovare Ricardo, vivo costui mentre l'altro era morto, è stata una fantasia insensata e niente più. Ma uno di questi morti, a Collioure, si mosse un po', come esitando, vado, non vado, ma verso l'interno della Francia mai, lui solo sapeva verso dove, e forse lo verremo a sapere anche noi. Fra le mille notizie, opinioni, commenti e tavole rotonde che il giorno dopo occuparono giornali, televisione e radio, passò quasi ignorato il breve commento di un sismologo ortodosso, Vorrei proprio sapere perché tutto questo succede senza che la terra tremi, al che un altro sismologo, della scuola moderna, pragmatico e flessibile, rispose, A suo tempo lo spiegheremo. A quel punto, in un villaggio del sud della Spagna, un uomo, udendo queste discordanze, se ne partì da casa diretto alla città di Granada, per dire a quei signori della televisione che da più di otto giorni sentiva la terra tremare, che se fino ad allora non aveva parlato era perché pensava che nessuno gli avrebbe creduto, e adesso era lì, in persona, perché si vedesse come un semplice uomo può essere più sensibile di tutti i sismografi del mondo messi insieme. Volle il destino che un giornalista gli prestasse ascolto, o per simpatia benevola, o perché sedotto dall'insolito caso, in quattro righe fu riassunta la novità e la notizia, benché senza immagini, fu data nel telegiornale della notte con divertita riserva. Il giorno dopo la televisione portoghese, per mancanza di materia prima locale, accolse e sviluppò l'argomento, ascoltando in studio un esperto di fenomeni paranormali che non aggiunse nulla alla comprensione del caso, stando a quanto si può concludere dalla sua dichiarazione più importante, Come negli altri casi, tutto dipende dalla sensibilità. Di effetti e di cause qui si è molto parlato, sempre con la massima ponderazione, osservando la logica, rispettando il buon senso, sospendendo il
giudizio, perché a tutti è evidente che da un cubicolo nessuno è capace di tirar fuori una piazza. Si accetterà pertanto, come naturale e legittimo, il dubbio che sia stato quel segno per terra, tracciato da Joana Carda con una bacchetta d'olmo, la causa diretta dello sgretolarsi dei Pirenei, che è quanto si è andato insinuando fin da principio. Ma non si respinga quest'altro fatto, e intera verità, e cioè che si mise in cammino Joaquim Sassa alla ricerca di Pedro Orce, avendo sentito parlare di lui, e di ciò che aveva detto, nel notiziario della notte. Madre amorosa, l'Europa fu addolorata per la sorte delle sue terre estreme, a occidente. Lungo tutta la cordigliera pirenaica i graniti scoppiavano, le fenditure si moltiplicavano, altre strade apparvero tagliate, altri fiumi, altri ruscelli e torrenti sprofondarono nell'invisibile. Sulle cime coperte di neve, viste dall'alto, si apriva una linea nera e rapida come una miccia di polvere, entro cui la neve scivolava e poi scompariva, con un rumore bianco di piccola valanga. Gli elicotteri andavano e venivano senza tregua, osservavano le vette e le valli stracolme di periti e specialisti di tutto quanto sembrasse di una certa utilità, di geologi, ma questi per giusto diritto, malgrado adesso fosse loro vietato il lavoro sul campo, di sismologi, perplessi perché la terra si ostinava a rimanere ferma, senza un tremore, neanche una vibrazione, nonché di vulcanologi, segretamente speranzosi, nonostante il cielo fosse limpido, libero da fumi e fuochi, di un azzurro perfetto e terso d'agosto, la miccia di polvere è stata solo un paragone, è pericoloso prenderlo alla lettera, questo come altri, se prima non impariamo a essere accorti. Nulla poteva la forza umana dinanzi a una cordigliera che si apriva come una melagrana, apparentemente senza dolore, ma solo, chi siamo noi per saperlo, perché era maturata ed era giunto il suo tempo. Soltanto quarantott'ore dopo che Pedro Orce era andato a raccontare alla televisione quel che sappiamo, non era più possibile, dall'Atlantico al Mediterraneo, attraversare la frontiera a piedi o con veicoli terrestri. E nelle terre basse del litorale i mari, ciascuno dalla sua parte, cominciavano a insinuarsi nei nuovi canali, gargami misteriosi, ignoti, sempre più alti, con quelle pareti a picco, rigorosamente nella verticale del pendolo, quel taglio netto che metteva in mostra la disposizione degli strati arcaici e moderni, le sinclinali, le immissioni argillose, i conglomerati, le estese concrezioni di calcari e di arenarie molli, i letti scistosi, le rocce silicee e nere, i graniti e quant'altro non sarebbe possibile aggiungere per insufficienza del relatore e mancanza di tempo. Ormai cominciamo a sapere quale sarebbe dovuta essere la risposta da dare al gallego che aveva
domandato, Dove va a finire quest'acqua, Si va a buttare in mare, gli diremmo, come una pioggia finissima, come pulviscolo, come cascata, dipende dall'altezza da cui precipita e dal torrente, no, no, non stiamo parlando dell'Irati, quello è lontano, ma.ci si può scommettere che tutto finirà, per la nota conformità, in giochi d'acqua, e pure in arcobaleno quando il sole riuscirà a entrare nelle cupe profondità. Per una fascia di un centinaio di chilometri ai due lati della frontiera le popolazioni abbandonarono le loro case, Si rifugiarono nella sicurezza relativa delle terre all'interno, di complicato ci fu solo il caso di Andorra, che imperdonabilmente stavamo dimenticando, è quanto succede ai piccoli paesi, se lo volevano, potevano ingrandirsi. All'inizio non mancarono le incertezze sulla conseguenza finale delle fenditure, ce n'erano su entrambi i lati, alle due frontiere, anche perché, visto che alcuni degli abitanti erano spagnoli, altri francesi e altri andorrani per nazione, ognuno di loro tendeva al proprio nido, oppure Si autodeterminava per ragioni e interessi del momento, col pericolo che si dividessero le famiglie o associazioni di altro tipo. Alla fine, la linea continua di frattura si stabilizzò una volta per tutte alla frontiera con la Francia, le poche migliaia di Francesi furono evacuate per via aerea, con una brillante operazione di salvataggio cui fu dato il nome in codice di Mitre d'Eveque, designazione che dispiacque molto al vescovo di Urgel, suo involontario ispiratore, ma che non gli offuscò la soddisfazione di essere, per il futuro, l'unico signore del principato, sempre che questo, appena abbracciato dalla parte della Spagna, non andasse a finire in mare. Nel deserto così creato dall'evacuazione generale circolavano solo, con grande pericolo o, come si dice, con il credo sulle labbra, alcune pattuglie militari sorvolate di continuo da elicotteri pronti a raccogliere il personale al minimo indizio di instabilità geologica, e quegli inevitabili saccheggiatori, in genere isolati, che le catastrofi fanno sempre uscire dai loro covi o uova serpigne e che, in questo caso, tale e quale ai militari che li fucilavano senza pietà né compassione, giravano anch'essi con il loro rispettivo credo sulle labbra, a seconda della fede professata, ogni essere umano ha diritto all'amore e alla protezione del proprio dio, pur tenendo conto che, in abbuono o a discolpa di quei ladroni, si potrebbe addurre il fatto che chi ha abbandonato la propria casa non merita di vivere la vita e insieme di godersela, come del resto è ben azzeccato il detto che, Tutti gli uccelli beccano il grano, ma chi paga è sempre il passero, decida ciascuno di voi se c'è qualche legame fra la norma generale e il caso particolare.
Qui ci starebbe a fagiolo quel nostro primo rammarico che questo veridico racconto non sia un libretto d'opera, perché se lo fosse faremmo entrare in scena un concertato come non se n'è mai uditi prima, venti cantanti, fra lirici e drammatici di tutte le tonalità, a gorgheggiare le parti, una per una o in coro, e cioè la riunione dei governi spagnolo e portoghese, il crollo delle linee elettriche, la dichiarazione della Comunità Economica Europea, la presa di posizione dell'Organizzazione del Patto del Nord Atlantico, la fuga dei turisti in panico, l'assalto agli aerei, il congestionamento del traffico nelle strade, l'incontro di Joaquim Sassa e José Anaiço, il loro incontro con Pedro Orce, l'agitazione dei tori in Spagna, il nervosismo delle cavalle in Portogallo, l'allarme sulle coste del Mediterraneo, le perturbazioni delle maree, la fuga dei ricchi e dei grossi capitali, fra poco cominceremo a scarseggiare di cantanti. Spiriti curiosi, per non dire scettici, vogliono sapere la causa di tanti e tanto diversi e tanto gravi effetti, che sembra non sia loro sufficiente il fatto che si crepi una cordigliera, pur con i fiumi che diventano cascate e i mari che avanzano nella terra per chilometri, dopo essersene ritirati tante migliaia di anni fa. Il fatto è che, e a questo punto la mano esita, come potrà mai scrivere in maniera plausibile le prossime parole, quelle che finiranno per compromettere tutto irrimediabilmente, tanto più che comincia a diventare ormai molto difficile districarsi, a patto che mai vi si giunga a un certo punto della vita, fra verità e fantasticherie. Il fatto è, concludiamo ciò che è rimasto in sospeso per il grande sforzo di trasformare con la parola quanto forse solo con la parola potrebbe essere trasformato, è giunto il momento di dirlo, adesso è giunto, il fatto è che la Penisola Iberica si allontanò d'improvviso, tutta insieme e compatta, dieci rapidi metri, parola mia, si aprirono i Pirenei da sopra a sotto, come se un'ascia invisibile fosse calata dall'alto, introducendosi nelle fenditure fonde, squarciando pietra e terra fino al mare, adesso sì che potremo vedere l'Irati cadere, mille metri, come l'infinito, in caduta libera, si apre al vento e al sole, ventaglio di cristallo o coda di uccello del paradiso, è il primo arcobaleno in bilico sull'abisso, la prima vertigine del gabbiano che si libra con le ali bagnate, dipinte di sette colori. E vedremmo anche il Visaurin, il Monte Perdido, il Pico Perdiguere, quello di Estats, duemila metri, tremila metri di scarpate che lo sguardo non può sostenere, non se ne vede neppure il fondo, brumoso d'acqua e di distanza, e poi verranno le nubi nuove a mano a mano che questo spazio si andrà allargando, proprio come se avessero una chiara meta.
Passano le stagioni, le memorie si confondono, la verità e le verità, prima tanto chiare e definite, finiscono per non distinguersi quasi più, e allora, se vogliamo appurare quello che ambiziosamente definiamo il rigore dei fatti, andiamo a consultare i testimoni dell'epoca, documenti vari, giornali, film, videoregistrazioni, cronache, diari privati, pergamene, soprattutto i palinsesti, interroghiamo i sopravvissuti, con un po' di buona volontà da entrambe le parti riusciamo persino a credere a quello che dice l'anziano su ciò che ha visto e sentito da bambino, e da tutto dovremo concluderne qualcosa, in mancanza di certezze evidenti si fa finta, ma quello che sembra definitivamente accertato è che fino a che i cavi dell'energia elettrica non saltarono non c'era stata nella penisola un'autentica paura, anche se è già stato detto il contrario, un po' di panico sì, ma non paura, che è sentimento di ben altro calibro. E chiaro che molti conservano un ricordo vivo della drammatica scena di Collado de Pertuis, quando il catrame era scomparso dalla vista di quelli che gridavano, Ce l'abbiamo fatta, ce l'abbiamo fatta, ma l'episodio, in effetti, fu impressionante solo per chi si trovava sul posto, gli altri vi assistettero da lontano, a casa, in quel teatro domestico che è la televisione, nel piccolo rettangolo di vetro, quella corte dei miracoli dove un'immagine spazza via la precedente senza lasciare traccia, tutto in scala ridotta, anche le emozioni. E quegli spettatori sensibili, che ancora ce ne sono, quelli che si mettono a frignare per un nonnulla e a mascherare il nodo in gola, quelli fecero come al solito quando non se ne può più di fronte alla fame in Africa e altre calamità, sviarono lo sguardo. Non dimentichiamo inoltre che in vaste regioni della penisola, nei suoi interni fondi e profondi, dove i giornali non arrivano e la televisione si fa fatica a riceverla, c'erano milioni, si, milioni di persone che non capivano cosa stesse succedendo, o ne avevano una vaga idea, fatta solo di parole il cui significato si era capito a metà, o anche meno, con una tale insicurezza che non si sarebbe trovata grande differenza fra quello che uno credeva di sapere e quello che l'altro ignorava. Ma quando le luci della penisola si spensero tutte insieme, apagón dissero poi in Spagna, negrum in un villaggio portoghese ancora inventivo di parole, quando cinquecentottantunmila chilometri quadrati di terra diventarono invisibili sulla superficie del mondo, allora non ci furono più dubbi, era arrivata la fine di tutto. Per fortuna che l'estinzione totale delle luci non durò più di quindici minuti, finché non furono completati gli allacciamenti d'emergenza che mettevano in azione i generatori elettrici naturali, molto scarsi a quell'epoca dell'anno, in
piena estate, agosto inoltrato, siccità, penuria di stagni, mancanza di centrali termiche, di quelle nucleari maledette, ma fu veramente il pandemonio peninsulare, i diavoli in libertà, la paura fredda, l'aquelarre, un terremoto non avrebbe potuto avere effetti morali peggiori. Era sera, appena all'inizio, quando la maggior parte della gente è già rientrata in casa, c'è chi se ne sta seduto a guardare la televisione, nelle cucine le donne preparano la cena, qualche padre più paziente spiega, incerto, il problema di aritmetica, non sembra che si stia molto allegri, ma ben presto si vide quanto tutto ciò valeva, con questo spavento, questo buio pesto, quest'inchiostro caduto sull'Iberia. Non toglierci la luce, Signore, fa' che ritorni, e prometto che fino alla fine dei miei giorni non ti farò altre suppliche, questo dicevano i peccatori pentiti, che esagerano sempre. Chi viveva nei bassi, poteva credere di trovarsi in un pozzo tappato, chi viveva in alto, saliva in cima e per molte leghe intorno non distingueva una sola luce, era come se la terra avesse cambiato orbita e viaggiasse in uno spazio senza sole. Con mani tremule si accesero nelle case le candele, le pile, i lumi a petrolio tenuti in serbo per qualche mancanza, ma non questa, i candelabri d'argento battuto, quelli di bronzo che servivano solo da soprammobile, le palmatorie di latta, i lumi a olio dimenticati, deboli luci che popolarono di ombre l'ombra e lasciarono intravedere squarci di visi spaventati, scomposti come se riflessi sull'acqua. Tante donne gridarono, tanti uomini tremarono, dei bambini diremo che piansero tutti. Trascorsi quindici minuti, che, come si dice, parvero quindici secoli, benché questi ultimi nessuno li avesse ancora vissuti per poterli paragonare a quelli, la corrente elettrica tornò, a poco a poco, intermittente, le lampade erano come occhi sonnolenti che lanciavano tutt'intorno i loro sguardi torvi, pronti a ricadere nel sonno per poi, finalmente, sopportare la luce che erano, e così la mantennero. Mezz'ora dopo la televisione e la radio ripresero le trasmissioni, diedero notizia dell'avvenimento, e siamo così venuti a sapere che tutti i cavi dell'alta tensione tra la Francia e la Spagna erano saltati, qualche palo era caduto, per un'imperdonabile dimenticanza nessun ingegnere si era ricordato di disattivare le linee, visto che sarebbe stato impossibile staccare i fili. Per fortuna, il fuoco d'artificio dei cortocircuiti non provocò vittime, un modo di dire assai egoista, questo, perché sì, è vero che uomini non ne morirono, ma un lupo almeno non sfuggì alla fulminazione e fu trasformato in carbone fumante. Ma che fossero saltati i cavi era solo metà della spiegazione di quella mancanza di luce, l'altra metà, per quanto enunciata con parole dal
significato di proposito intricato, non tardò molto a farsi intelligibile, mentre i vicini si suggerivano a vicenda, Quello che non vogliono confessare è che non si tratta più solo delle crepe nel suolo, in tal caso non sarebbero saltati i cavi, Allora, cosa pensa che sia successo, Se è bianco lo fa la gallina, ma stavolta non è l'uovo, i cavi si sono rotti perché sono stati divelti, e sono stati divelti perché la terra si è separata, se non è andata così non mi chiamo più col mio nome, Ma non mi dica, Lo dico, lo dico, vedrà che finiranno per confessarlo. Andò proprio così, ma solo il giorno dopo, quando erano ormai tante le dicerie che una notizia in più, per quanto vera, non avrebbe potuto aumentare la confusione, e tuttavia non dissero tutto, né chiaramente, ma solo che, testuali parole, per una alterazione della struttura geologica della cordigliera pirenaica si era verificata una rottura continua, una soluzione di continuità fisica e pertanto sono attualmente interrotte le comunicazioni via terra tra la Francia e la penisola, che le autorità seguono con attenzione l'evolversi della situazione, che sono mantenuti i collegamenti aerei e tutti gli aeroporti sono aperti e in piena attività, si conta che sarà possibile, a partire da domani, raddoppiare i voli. E ce n'era davvero bisogno. Quando fu ormai evidente e inequivocabile che la Penisola Iberica si era separata completamente dall'Europa, si andava dicendo proprio così, Si è separata, centinaia di migliaia di turisti, come sappiamo era alta stagione, abbandonarono a precipizio, lasciando i conti da saldare, gli alberghi, le pensioni, le locande, gli alloggi, gli ostelli, i residence, le case e le camere in affitto, i campeggi, le tende, i caravan, provocando immediatamente per le strade giganteschi ingorghi di traffico, che ancor più si aggravarono quando le automobili cominciarono a essere abbandonate dappertutto, ci volle un po' di tempo ma poi fu come una miccia, in genere la gente ci impiega un po' a capire e ad accettare la gravità delle situazioni, di questa, per esempio, del fatto che l'automobile non serviva a niente se le strade per la Francia erano tagliate. Intorno agli aeroporti, come un'alluvione, dilagava l'enorme massa delle automobili, di tutte le dimensioni, di tutti i modelli, marche e colori, che ingolfavano le strade e gli ingressi, a grappoli, sconvolgendo completamente la vita delle comunità locali. Spagnoli e portoghesi, ripresi ormai dallo spavento dell'apagón e del negrum, assistevano a quel panico, non ne vedevano il motivo, In fin dei conti, finora non è morto nessuno, questi stranieri, quando li fai uscire dalla routine, perdono la testa, ecco il risultato di essere tanto avanti nella scienza e nella tecnica, e dopo questo giudizio di condanna se ne andavano a scegliere,
fra le automobili abbandonate, quella che più soddisfaceva il loro gusto e coronava i loro sogni. Negli aeroporti i banchi delle compagnie aeree erano presi d'assalto dalla folla eccitata, una furiosa babele di gesti e di grida, si tentavano e si praticavano corruzioni mai viste per trovare un posto, si vendeva tutto, si comprava tutto, gioielli, macchine, vestiti, droga, ormai contrattata alla luce del giorno, l'automobile è là fuori, ecco qui le chiavi e i documenti, se non riesce a trovarmi un posto per Bruxelles vado pure a Istanbul, pure all'inferno, questo era uno dei turisti distratti, era nel villaggio e non ha visto le case. Sovraccarichi, con le memorie pletoriche, sature, i computer vacillarono, si moltiplicarono gli errori, fino a che ci fu il blocco totale. Biglietti non se ne vendevano più, gli aerei erano assaliti, che ferocia, prima gli uomini perché erano più forti, poi le fragili donne e gli innocenti bambini, non pochi tra questi e quelle rimasero schiacciati fra la porta del terminal e la scala d'accesso, le prime vittime, e subito dopo le seconde e le terze quando a qualcuno venne la tragica idea di farsi strada pistola in pugno e fu abbattuto dalla polizia. Cominciò la sparatoria, c'erano altre armi tra la folla e spararono, non vale la pena dire in quale aeroporto successe la disgrazia, un evento abominevole occorso in più di due o tre posti, anche se con meno gravi conseguenze, lì ne morirono diciotto. D'improvviso, quando a qualcuno venne in mente che si poteva fuggire anche dai porti di mare, cominciò un'altra corsa per la salvezza. Rifluirono i fuggiaschi, di nuovo alla ricerca delle loro macchine abbandonate, a volte le ritrovarono, a volte no, che importava se le chiavi non c'erano oppure non servivano, in quattro e quattr'otto si faceva un collegamento diretto, chi non lo sapeva, imparò in fretta, il Portogallo e la Spagna si trasformarono nel paradiso dei ladri di macchine. Una volta ai porti, andavano in cerca di qualche battello o qualche canoa che li trasportasse, o, quando andava bene, una paranza, un rimorchio, una chiatta, una barca a vela, e abbandonavano così i loro ultimi averi nella terra maledetta, partivano con quel che avevano indosso o poco più, un fazzoletto da naso ormai sporco, un accendisigari senza valore né gas, una cravatta che non era piaciuta a nessuno, non sta bene che tanto atrocemente abbiamo approfittato della disgrazia altrui, ci siamo comportati come i saccheggiatori della costa che spogliano i naufraghi. Sbarcavano i tapini dove potevano, dove li portavano, certi li abbandonarono a Ibiza, a Maiorca e Minorca, a Formentera, o nelle isole Cabrera e Conejera, in balia del caso, si ritrovavano quei derelitti, per così dire, tra la padella e la
brace, certo è che finora le isole non si sono mosse, ma chi può dire del domani, sembravano solidi per l'eternità i Pirenei, e invece. Migliaia e migliaia, fuggiti sia dall'Algarve che dalla costa spagnola, andarono a finire in Marocco, ed erano quelli che si trovavano al di sotto del capo di Palos, chiunque se ne trovasse al di sopra preferiva essere portato direttamente in Europa, se possibile domandava, Quanto vuoi per portarmi in Europa, e il nostromo s'accigliava, stringeva le labbra, guardava il fuggiasco calcolandone le possibilità, Sa, l'Europa è lontana come un accidenti, è proprio alla fine del mondo, e non valeva neppure la pena rispondergli, Che esagerazione, sono solo dieci metri d'acqua, una volta che un olandese si era azzardato a usare un sofisma che uno svedese aveva poi confermato gli fu risposto crudelmente, Ah, sì, sono solo dieci metri, allora andateci a nuoto, dovettero chiedere scusa e pagarono il doppio. Gli affari fiorirono fino al giorno in cui, di concerto, i paesi istituirono ponti aerei per il trasporto in massa dei loro cittadini, ma anche dopo questo provvedimento umanitario ci fu ancora chi, tra i marinai e i pescatori, fece un sacco di soldi, basti pensare che non tutti quelli che viaggiano lo fanno d'amore e d'accordo con la legalità, questi erano pronti a coprire qualunque tabella di marcia, né potevano far altro, dato che le forze navali del Portogallo e della Spagna pattugliavano assiduamente le coste, tutte all'erta sotto la vigilanza, discreta, delle forze navali delle altre potenze Ma tuttavia ci furono turisti che decisero di non partire, che accettarono come una fatalità inevitabile quella rottura geologica, la presero come un segno imperioso del destino, e scrissero alle famiglie, usarono almeno questa attenzione, dicendo che non li pensassero più che per loro il mondo e la vita erano cambiati, non era colpa loro, si trattava per lo più di persone dalla volontà debole, di quelle che continuano a rimandare le decisioni, non fanno che dire domani, domani, ma questo non significa che i sogni e i desideri non ce li abbiano, il male è che muoiono prima di poterne e di saperne vivere almeno una piccola parte. Altri optarono per il silenzio, erano quelli disperati, semplicemente scomparvero, dimenticarono e si fecero dimenticare, orbene, ognuna di queste vicende umane costituirebbe, di per sé, un romanzo, la storia, insomma, di quello che costoro riuscirono a essere, e anche se fosse niente, di un altro niente, che due uguali non ce ne sono. Ma c'è chi si porta sulle spalle obblighi più pesanti, e non è ammesso che vi sfuggano, tant'è che con gli affari della patria che vanno a catafascio subito ci domandiamo, E allora, loro che cosa fanno, che cosa aspettano, c'è in questa
impazienza una buona parte d'ingiustizia, in fondo, poverini, anche loro non possono sfuggire al destino, al massimo andranno dal presidente a chiedere le dimissioni, ma non in questo caso, ché sarebbe una grande ignominia, la storia giudicherebbe severamente uomini pubblici che prendessero una simile decisione in giorni come questi in cui, per dirla con proprietà di linguaggio, tutto se ne sta andando a quel paese. Ciascuno per suo conto, in Portogallo e in Spagna, i governi finirono per leggere comunicati tranquillizzanti, garantirono formalmente che la situazione non giustifica eccessive preoccupazioni, che strano linguaggio, e che sono inoltre assicurati tutti i mezzi per la salvaguardia di persone e di beni, insomma, andarono alla televisione i capi di governo e poi, per sedare gli animi inquieti, comparvero anche il re di là e il presidente di qua, Friends, Romans, countrymen, lend me your ears, dissero, e i portoghesi e gli spagnoli, riuniti nei loro fori, risposero all'unisono, Eccome, eccome, words, words, nient'altro che words. Dinanzi alla scontentezza dell'opinione pubblica, si riunirono in un luogo segreto i primi ministri dei due paesi, prima da soli, poi con i membri dei rispettivi governi, congiuntamente e in separata sede, furono due giorni di conversazioni esaurienti, e finalmente fu deciso di costituire una commissione paritetica di crisi, il cui principale obiettivo sarebbe stato quello di coordinare le azioni di difesa civile di entrambi i paesi, allo scopo di facilitare il potenziamento reciproco delle risorse e dei mezzi tecnici e umani per affrontare la sfida geologica che aveva già allontanato di dieci metri la penisola dall'Europa, Se non aumenterà, si bisbigliava neicorridoi, non sarà un caso eccessivamente grave, oserei dire che sarebbe una buona partita giocata ai greci, un canale più grande di quello di Corinto, tanto nominato, Tuttavia non possiamo ignorare che i problemi delle nostre comunicazioni con l'Europa, già storicamente tanto complessi, finiranno per diventare esplosivi, Ma no, si costruisce qualche ponte, A me, quello che preoccupa è la possibilità che il canale si allarghi tanto che ci possano navigare le navi, soprattutto le petroliere, sarebbe un duro colpo per i porti iberici, e le conseguenze tanto importanti, mutatis mutandis, è chiaro, come quelle provocate dall'apertura del canale di Suez, vale a dire che il nord dell'Europa e il sud dell'Europa disporrebbero di una comunicazione diretta, trascurando, per così dire, la rotta del Capo, E noi rimarremmo a guardare le navi, commentò un portoghese, gli altri credettero di aver capito che le navi di cui lui parlava erano quelle che potevano passare nel nuovo canale, invece solo noi portoghesi sappiamo che sono molte altre quelle imbarcazioni,
trasportano carichi di ombre, di aneliti, di frustrazioni, di illusioni e disillusioni, ne fanno prova le stive, Uomo in mare, hanno gridato, e nessuno l'ha soccorso. Durante la riunione, come era stato combinato in precedenza, la Comunità Economica Europea rese pubblica una solenne dichiarazione nei cui termini si conveniva che lo spostamento dei paesi iberici a occidente non avrebbe messo in causa gli accordi vigenti, tanto più che si trattava di un allontanamento minimo, pochi metri, a paragone della distanza che separa l'Inghilterra dal continente, per non parlare poi dell'Islanda o della Groenlandia, che di Europa hanno ben poco. Questa dichiarazione, obiettivamente chiara, fu quanto venne fuori da un acceso dibattito in seno alla commissione, in cui alcuni paesi membri arrivarono a manifestare un certo distacco, parola più di tutte esatta, giungendo al punto di insinuare che se la Penisola Iberica se ne voleva uscire, che se ne andasse pure, l'errore era stato di farla entrare. Naturalmente era tutto uno scherzo, un joke, in queste difficili riunioni internazionali c'è anche bisogno di distrarsi, non si potrebbe solo lavorare, lavorare, ma i commissari portoghese e spagnolo respinsero energicamente l'atteggiamento affatto elegante e provocatorio e senza dubbio anticomunitario, citando, ciascuno nella propria lingua, il noto detto iberico, Gli amici si riconoscono nel bisogno. Era stata anche chiesta all'Organizzazione del Patto del Nord Atlantico una dichiarazione di solidarietà atlantica, ma la risposta, pur non essendo negativa, finì con l'essere riassunta in una frase impubblicabile, Wait and see, il che peraltro non esprimeva affatto una verità totale, considerando che, per il sì e per il no, erano state messe in stato di allerta le basi di Beja, Rota, Gibilterra, El Ferrol, Torrejón de Ardoz, Cartagena, San Jurjo de Valenzuela, per non parlare di postazioni minori. Fu allora che la Penisola Iberica si mosse un altro po', un metro, due metri, per provare le forze. Le corde che servivano da testimoni, lanciate da un bordo all'altro, proprio come fanno i pompieri sulle pareti che presentano crepe e minacciano di crollare, saltarono come spaghini, alcune più solide sradicarono gli alberi e i pali a cui erano assicurate. Dopo ci fu una pausa, si sentì passare nell'aria un grande soffio, come il primo respiro profondo di chi si sveglia, e la massa di pietra e terra, coperta di città, villaggi, fiumi, boschi, fabbriche, macchie incolte, campi coltivati, con la sua gente e i suoi animali, cominciò a muoversi, come una barca che si allontana dal porto e punta al mare di nuovo ignoto.
Quest'olivo è "cordovil", o "cordovesa", o "cordovia", tant'è, che indifferentemente con questi tre nomi lo chiamano in terra portoghese, e l'oliva che dà, per la dimensione e la bellezza, qui la chiamerebbero "aceituna de la reina", oliva della regina, ma non "cordobesa", anche se ci troviamo più vicini a Cordova che all'altra frontiera. Sembrano particolari inutili, superfluità, vocalizzazioni melismatiche, artifici ornamentali di un canto piatto che sogna ali da musica piena, mentre sarebbe molto più importante parlare di questi tre uomini che sotto l'olivo se ne stan seduti, uno è Pedro Orce, l'altro Joaquim Sassa, il terzo José Anaiço, quali vicende prodigiose o quali deliberate macchinazioni li avranno mai riuniti in questo luogo. Ma dire che l'olivo è "cordovil" servirà almeno a osservare fino a che punto furono negligenti, per esempio, gli evangelisti quando si limitarono a scrivere che Gesù maledisse il fico, sembra che l'informazione dovrebbe bastarci, ma non basta, nossignore, in fondo sono passati venti secoli e ancora non sappiano se il disgraziato albero desse fichi bianchi o neri, fichi fioroni o fichi maturi, brogiotti o dottati, non che di questa mancanza stia soffrendo la scienza cristiana, ma la verità storica sicuramente ne soffre. E "cordovil", comunque, l'olivo, e tre uomini se ne stanno seduti lì sotto. Dietro questi costoni, ma non visibile da qui, c'è il villaggio dove Pedro Orce ha vissuto, e per un caso, primo fra tutti, se lo è, hanno entrambi lo stesso nome, il che non toglie né aggiunge verosimiglianza al racconto, ci si può ben chiamare Testa di Vacca o Maltempo e non essere né mandriano né meterologo. Si è già detto che sono casi, e artefatti, ma in buona fede. Sono seduti per terra, in mezzo a loro si sente la voce nasale di una radio con le pile probabilmente ormai stanche e quello che sta dicendo l'annunciatore è che, Secondo le ultime misurazioni, la velocità di spostamento della penisola si è stabilizzata intorno ai settecentocinquanta metri all'ora, più o meno diciotto chilometri al giorno, non sembra molto, ma se facciamo calcoli più minuziosi, significa che ogni minuto ci allontaniamo dodici metri e mezzo dall'Europa, anche se dobbiamo evitare di abbandonarci ad allarmismi distruttivi, la situazione è davvero preoccupante, E lo sarebbe ancor più se dicessimo che ogni secondo sono due centimetri e qualcosa, commentò José Anaiço, rapido nel calcolo mentale, non riuscì ad arrivare ai decimi e ai centesimi, Joaquim Sassa gli stava chiedendo di star zitto, voleva sentire l'annunciatore, e ne valeva la pena, Secondo informazioni or ora giunte in redazione, è comparsa una grande fenditura tra La lìnea e Gibilterra, ragion per cui ormai si prevede, tenendo conto della conseguenza finora irreversibile
delle fratture, che El Penón si verrà a trovare isolato in mezzo al mare, qualora ciò succedesse non dovremo dare la colpa ai britannici, che invece ce l'abbiamo noi, ce l'ha la Spagna, che non ha saputo recuperare in tempo questa parte sacra della patria, adesso è tardi, è lei che ci abbandona, Quest'uomo è un artista della parola, disse Pedro Orce, ma l'annunciatore aveva già cambiato tono e dominato la commozione, Il gabinetto del primo ministro inglese ha diffuso una nota in cui il governo di Sua Maestà Britannica riafferma quelli che definisce i suoi diritti su Gibilterra, adesso confermati, citiamo, dal fatto indiscutibile che The Rock si stia separando dalla Spagna, e di conseguenza sono unilateralmente e definitivamente sospesi tutti i negoziati in vista di un eventuale, benché problematico, trasferimento di sovranità. E neppure stavolta è finito l'impero britannico, disse José Anaiço. Con una dichiarazione al parlamento, l'opposizione di Sua Maestà hapreteso che il futuro lato nord della nuova isola sia rapidamente fortificato, in modo da rendere la rocca, in tutto il suo perimetro, un bastione inespugnabile, orgogliosamente isolato in mezzo all'Atlantico ora allargato, come simbolo del potere imperituro di Albione, Sono pazzi, mormorò Pedro Orce, guardando dinanzi a sé le vette della serra di Sagra, Da parte sua il governo, per minimizzare l'impatto politico di quella rivendicazione, ha risposto che Gibilterra, nelle nuove condizioni geostrategiche, continuerà a essere uno dei gioielli della corona di Sua Maestà Britannica, una formula che, come la Magna Carta, ha la magna virtù di soddisfare tutti, di quest'ironica conclusione fu responsabile l'annunciatore, che si congedò, Daremo altre notizie, salvo imprevisti, fra un'ora. Un volo di storni passò come un ciclone sulla collina arida, vruuuuuuuu, Sono i tuoi, domandò Joaquim Sassa, e José Anaiço, senza neanche guardare, rispose, sì, ha il dovere di saperlo, fin da quel primo giorno, tra i verdi campi del Ribatejo, non si sono più separati tranne che per mangiare e dormire, un uomo non si ciba di vermi o di granelli sparsi e un uccello dorme sugli alberi, senza lenzuola. Lo stormo fece un giro ampio, fremendo, le ali vibranti, i becchi che bevono l'aria e il sole, e l'azzurro, le poche nuvole, bianche e ammonticchiate, navigano nello spazio come galeoni, gli uomini, questi come tutti gli altri, guardano queste cose diverse e, come al solito, non le intendono bene. Non è certo per ascoltare in compagnia una radio a transistor che, giunti da luoghi così diversi, si sono riuniti qui Pedro Orce, Joaquim Sassa e José Anaiço. Sappiamo da tre minuti che Pedro Orce vive nel paese che rimane
nascosto dietro queste colline, sapevamo fin dall'inizio che Joaquim Sassa viene da un posto di mare nel nord del Portogallo, e José Anaiço, ormai lo sappiamo per cognizione certa, tra i campi del Ribatejo se ne andava a spasso quando ha incontrato gli storni, e lo avremmo saputo subito se avessimo prestato sufficiente attenzione ai particolari del paesaggio. Ora ci resta da sapere come si siano incontrati i tre e perché se ne stiano qui nascosti, sotto un olivo, unico in questo posto, fra rari e confusi alberi nani che si aggrappano al suolo bianco, il sole riverbera sugli altopiani, l'aria vibra, è il caldo andaluso, anche se siamo circondati da montagne, d'improvviso siamo coscienti di queste materialità, siamo entrati nel mondo reale, o forse è stato lui che ci ha forzato la porta. A pensarci bene, non c'è un principio per le cose e le persone, tutto quello che un giorno è cominciato era cominciato prima, la storia di questo foglio di carta, prendiamo l'esempio più a portata di mano, per essere vera e completa, dovrebbe risalire fino agli inizi del mondo, si è usato di proposito il plurale invece che il singolare, e tuttavia quegli inizi, dubitiamo che siano stati inizi, ma solo punti di passaggio, rampe di scorrimento, povera testa nostra, sottoposta a tali pressioni, una testa sorprendente, nonostante tutto, che per tutte le ragioni è capace d'impazzire, tranne che per questa. Non c'è, quindi, un principio, ma c'è stato un momento in cui Joaquim Sassa è partito da dove si trovava, una spiaggia nel nord del Portogallo, forse Afife, quella delle pietre enigmatiche, forse A-Ver-o-Mar, e cioè Vista sul Mare, questa sarebbe meglio, perché ha il nome di spiaggia più perfetto che si possa immaginare, né poeti né romanzieri riuscirebbero a inventarlo. Di lì è venuto Joaquim Sassa, dopo aver sentito dire che un certo Pedro Orce di Spagna si sentiva tremare il suolo sotto i piedi quando il suolo non tremava, è la più che naturale curiosità di chi ha lanciato in mare un sasso con forze che non aveva, tanto più che la penisola si allontanava dall'Europa senza scosse né dolori, come un capello che silenziosamente cade, per la semplice volontà di Dio, a quanto dicono. Si è messo in viaggio, nella sua vecchia Due Cavalli, dalla famiglia non si è congedato, dolorosamente, perché la famiglia non ce l'ha, né ha informato il capufficio presso cui lavora. E' tempo di ferie, può andare e venire senza dover chiedere il permesso, adesso neppure il passaporto vogliono alla frontiera, si mostra semplicemente la carta d'identità e la penisola è nostra. Sul sedile accanto ha una radio a transistor, si distrae ascoltando la musica, il chiacchierio degli annunciatori, soave e dondolante come una culla acustica, all'improvviso irritante, ma questo in tempi normali,
adesso l'etere è solcato da parole febbrili, le notizie che giungono dai Pirenei, l'esodo, il passaggio del Mar Rosso, la ritirata di Napoleone. Qui, nelle strade dell'interno, il traffico è scarso, niente a paragone con l'Algarve, con quella confusione e quella convulsione, e con Lisbona, con le autostrade del sud e del nord, l'aeroporto di Portela sembra piuttosto una piazza assediata, un assalto di formiche, limatura di ferro attratta dalla calamita. Joaquim Sassa procede in tutta tranquillità per le ombrose strade della Beira, e ha come destinazione un paese chiamato Orce, nella provincia di Granada, in quel di Spagna, dove vive il tale di cui si è parlato in televisione, Ci vado perché voglio sapere se esiste qualche legame fra quanto è capitato a me e questa storia di uno che sente la terra tremargli sotto i piedi, quando ci si mette a pensare, si sommano tutte le cose le une alle altre, il più delle volte si sbaglia, talvolta si fa centro, un sasso lanciato in mare, il suolo che trema, una cordigliera spaccata. Joaquim Sassa procede anche fra montagne, sebbene non siano paragonabili a quei titani, ma d'improvviso si agita, E se capitasse anche qui, la Serra de Estrela che si crepa, il Mondego che scompare in profondità, i pioppi autunnali senza uno specchio in cui guardarsi, il pensiero s'è fatto poetico, il pericolo è ormai passato. In quel momento la musica si interruppe, l'annunciatore cominciò a leggere le notizie, che non variavano molto, l'unica novità, si fa per dire, veniva da Londra, il primo ministro si era recato alla Camera dei Comuni per affermare, categoricamente, che la sovranità britannica su Gibilterra non ammetteva discussioni, quale che fosse la distanza intervenuta a separare la Penisola Iberica dall'Europa, al che il leader dell'opposizione aveva aggiunto una formale garanzia e cioè, La più leale collaborazione del nostro schieramento e del nostro partito nel grande momento storico che stiamo vivendo, concludendo il suo discorso solenne con un'ironia che fece ridere tutti i deputati, Il signor primo ministro è incorso in una grave mancanza di precisione lessicale quando ha chiamato penisola quella che ormai oggi è, senza alcun dubbio, un'isola, anche senza la saldezza della nostra, of course. I deputati della maggioranza applaudirono questa conclusione e scambiarono sorrisi compiacenti con gli avversari, per unire i politici non c'è niente come l'interesse della patria, verità incontroversa. Anche Joaquim Sassa sorrise, Che scene, e d'improvviso trattenne il respiro, l'annunciatore aveva fatto il suo nome, Il signor Joaquim Sassa, in viaggio nel paese, ripetiamo, il signor Joaquim Sassa è pregato di presentarsi urgentemente al governatore locale più vicino al luogo in cui si trovi, al fine di collaborare con le autorità per il
chiarimento delle cause della rottura geologica verificatasi nei Pirenei, dato che gli enti competenti sono convinti che il suddetto Joaquim Sassa sia in possesso di informazioni di interesse nazionale, ripetiamo l'appello, Il signor Joaquim Sassa, ma il signor Joaquim Sassa non ascoltava più, aveva dovuto fermare la macchina per recuperare la calma, il sangue freddo, con le mani che tremavano in quel modo non riusciva neppure a guidare, le orecchie gli fischiavano come una conchiglia, Santo cielo, ma come avranno fatto a sapere della pietra, sulla spiaggia non c'era nessuno, almeno che abbia visto io, e io non ho detto niente, mi avrebbero preso per bugiardo, allora ci doveva essere qualcuno nascosto a osservarmi, in genere chi è che si preoccupa di uno che lancia pietre in acqua, invece mi hanno notato subito, che sfortuna, e poi lo sappiamo come vanno a finire queste cose, uno lo dice all'altro e ci aggiunge quello che ha immaginato e non è riuscito a vedere, quando questa storia arriva alle orecchie delle autorità la pietra ormai avrà, come minimo, le mie dimensioni, e adesso che cosa faccio. Non avrebbe risposto all'appello, non si sarebbe presentato a nessun governatore civile o militare, immaginatevi che conversazione assurda, la porta dell'ufficio chiusa, il registratore in funzione, Signor Joaquim Sassa, ha lanciato lei una pietra in mare, sì, Quanto le sembra che pesasse, Non so, forse due chili, o tre, Oppure di più, sì, può darsi, Ecco qui alcune pietre, le provi, e dica quale si avvicina, come peso, a quella che ha lanciato, Questa, Adesso la pesiamo, così, ora la prego di verificare con i suoi occhi, Non pensavo che fosse tanto, cinque chili e seicento grammi, Adesso mi dica, le è capitato altre volte qualcosa di simile, Mai, Ne è sicuro, Assolutamente, Soffre per caso di turbe mentali, o nervose, epilessia, sonnambulismo, mancamenti di vario tipo, Nossignore, E nella sua famiglia ci sono stati casi simili, Nossignore, Dopo faremo un elettroencefalogramma, per ora provi a far forza su questo apparecchio, qui, Che cos'è, Un dinamometro, ci metta tutta la forza di cui è capace, Di più non ce la faccio, Questo solo, Non sono mai stato un uomo dalla muscolatura possente, Signor Joaquim Sassa, lei non avrebbe potuto tirare quella pietra, Sono anch'io della stessa opinione, ma l'ho lanciata, Che l'ha lanciata lo sappiamo, ci sono testimoni, persone di tutta fiducia, perciò deve dirci come ha fatto, L'ho già spiegato, stavo camminando sulla spiaggia quando ho visto la pietra, l'ho presa e l'ho lanciata, Non può essere, Le testimonianze lo confermano, E vero, ma i testimoni non possono sapere da dove le sia venuta tutta quella forza, è lei che lo deve sapere, Le ho già detto che non lo so, La situazione, signor Sassa, è molto grave, dirò di più, gravissima, la rottura dei
Pirenei non si spiega per cause naturali, o altrimenti ci troveremmo nel bel mezzo di una catastrofe planetaria, partendo da questa evidenza abbiamo cominciato a indagare sui casi insoliti avvenuti in questi ultimi giorni, e il suo è uno di quelli, Ho i miei dubbi che lanciare una pietra in mare possa causare la frattura di un continente, Non voglio addentrarmi in inutili filosofie, ma mi risponda se vede qualche collegamento fra il fatto che una scimmia sia scesa da un albero venti milioni di anni fa e la fabbricazione di una bomba atomica, Il legame sono appunto quei venti milioni di anni, Buona risposta, ma adesso immaginiamo che fosse possibile ridurre a ore il tempo fra una causa, che in questo caso sarebbe il lancio della sua pietra, e un effetto, che è stata la separazione dall'Europa, in altre parole, immaginiamo che, in condizioni normali, quella pietra lanciata in mare producesse effetti solo fra venti milioni di anni, ma che in altre condizioni, esattamente quelle di anormalità su cui stiamo investigando, l'effetto si verifichi poche ore, o pochi giorni, dopo, E' pura speculazione, la causa può essere un'altra, O un insieme concomitante di cause, Allora dovrete indagare su altri casi insoliti, E ciò che stiamo facendo, e anche gli spagnoli, come quello dell'uomo che sente la terra tremare, Su questa strada, dopo che avrete esaminato i casi insoliti, dovrete passare ai casi soliti, Casi che, Soliti, Che vuol dire questa parola, Solito è il contrario di insolito, il suo antonimo, Passeremo da quelli insoliti ai soliti, se sarà necessario, dobbiamo scoprire la causa, Avrete un bel po' da esaminare, Cominciamo subito, mi dica dov'è andato a pescare la sua forza. Joaquim Sassa non rispose, fece tacere la fantasia, tanto più che il dialogo rischiava di girare in tondo, adesso avrebbe dovuto ripetere, Non lo so, e il resto sarebbe stato uguale, con qualche sia pur minima variante, soprattutto formale, eppure era proprio lì che si doveva cautelare, perché, come si sa, dalla forma si arriva al fondo, dal contenente al contenuto, dal suono della parola al suo significato. Mise in moto la Due Cavalli, al passo, se così si può dire di un'automobile, voleva pensare, aveva bisogno di pensare sul serio. Ormai non era più un viaggiatore qualunque diretto a una frontiera, un uomo comune senza qualità né importanza, adesso non più, probabilmente in quel momento stavano stampando i manifesti con la sua fotografia, e con la scritta Wanted a grandi lettere rosse, la caccia all'uomo. Guardò nello specchietto retrovisore e vide una macchina della polizia stradale, arrivava così di corsa che sembrava volergli entrare nel lunotto posteriore, Sono fregato, disse, accelerò e rallentò subito dopo, senza frenare, ma tutto era stato inutile, la macchina della
polizia passò come un fulmine, doveva avere una meta, non lo guardarono neanche, se solo avessero immaginato chi c'era lì, quei frettolosi poliziotti, ma Due Cavalli ce ne sono tante, sembra una contraddizione matematica, ma non lo è. Joaquim Sassa tornò a guardare nello specchietto, adesso per vedere se stesso, per riconoscere il sollievo nei propri occhi, e poco di più concedeva il riflesso, un pezzettino di viso, è così difficile sapere a chi appartenga, a Joaquim Sassa, lo sappiamo già, ma chi è Joaquim Sassa, un uomo ancora giovane, coi suoi trent'anni e qualcosa, più vicino ai quaranta che ai trenta, arriva un giorno inevitabile, le sopracciglia sono nere, gli occhi marrone da portoghese, la linea del naso nitida, sono lineamenti davvero comuni, di lui ne sapremo di più quando si volterà verso di noi. Per il momento, pensò, è solo un appello radio, il peggio verrà alla frontiera, e questo mio cognome per giunta, Sassa, oggi mi ci sarebbe voluto di essere un Sousa qualunque, come quel tale di Collado de Pertuis, una volta era perfino andato a guardare sul dizionario se la parola esisteva, Sassa, non Sousa, e quello che significava, era venuto a sapere che si trattava di un albero massiccio della Nubia, un bel nome, da donna, Nubia, dalle parti del Sudan, in Africa Orientale, pagina novantatre dell'atlante. E stasera, dove vado a dormire, un hotel neanche a pensarci, hanno sempre la radio accesa, a quest'ora ormai tutti gli alberghi portoghesi saranno con l'occhio puntato sui candidati a una sola dormita, il rifugio dei perseguitati, immaginate che scena, Ma certo, signore, abbiamo un'eccellente camera libera, al secondo piano, è la duecentouno, Pimenta, accompagna il signor Sassa, e quando lui si fosse sdraiato sul letto a riposare, ancora vestito, il direttore, eccitatissimo, nervoso, al telefono, Il tizio è qua, venite presto. Accostò la Due Cavalli al ciglio della strada, scese per sgranchirsi le gambe e rinfrescare il pensiero, che tuttavia non seppe essere buon consigliere, gli propose un'irregolarità, Fermati in una città più affollata, ma con tutte le comodità, cercati una casa di piacere, passa la notte con una donna, stai tranquillo che non ti chiederanno la carta d'identità, purché paghi, e se, con le preoccupazioni che hai, non ti andrà di sollazzare la carne, almeno potrai dormire, capace che ti costerà meno dell'albergo, Assurdo, rispose Joaquim Sassa alla proposta, la soluzione è quella di dormire in macchina, in qualche strada fuorimano, E se ti spunta qualche malvivente, qualche vagabondo, qualche zingaro, se ti assalgono e ti derubano, se ti ammazzano, Queste sono terre tranquille, E se ti arriva un piromane per mestiere o per mania a dare fuoco alle pinete, siamo nel periodo buono, ti ritrovi circondato dalle fiamme
e muori bruciato, che dev'essere la peggiore delle morti, a quanto ho sentito dire, ricordati dei martiri dell'inquisizione, Assurdo, ripeté Joaquim Sassa, è deciso, dormo in macchina, e il pensiero tacque, tace sempre quando la volontà è ferma. Era ancora presto, poteva fare quaranta o cinquanta chilometri su queste strade tutte curve, si sarebbe accampato vicino a Tomar, o a Santarém, in una di quelle strade di terra battuta che portano ai campi, con quei solchi profondi, un tempo opera di carri e buoi e oggi di trattori, di notte non passa nessuno, da qualche parte si può nascondere la Due Cavalli, potrei anche dormire all'aperto, con il caldo che fa, a questa idea il pensiero non ha risposto, ma disapprova. Non si fermò a Tomar, né arrivò a Santarém, cenò in incognito in una città sulle rive del Tago, qui la gente è curiosa per natura, ma non al punto da indagare a bruciapelo sul primo viaggiatore, Senta un po', come si chiama lei, se si fermasse da queste parti allora si, in breve gli farebbero l'esame della vita passata e della destinazione futura. La televisione era accesa, mentre Joaquim Sassa cenava vide la parte finale di un film sulla vita sottomarina, tanti sciami di pesciolini, razze ondeggianti e murene sinuose, e un'ancora antica, poi ci furono gli annunci pubblicitari, gli uni dalla sequenza incalzante, rapida, gli altri sapientemente lenti, come una voluttà fatta di esperienza, c'erano voci di bambini che gridavano forte, voci di adolescenti dal tono insicuro, oppure di donne un po' roche, gli uomini tutti baritoni e virili, nel retro della casa grugnisce un maiale, tirato su a forza di risciacquatura e di avanzi dei piatti. Finalmente diedero le notizie e Joaquim Sassa cominciò a tremare, sarebbe stato fregato se avessero fatto vedere la sua fotografia. L'appello fu letto, ma la fotografia non comparve, in fin dei conti non stavano mica cercando un criminale, lo si pregava soltanto, con gran sollecitudine e buone maniere, di farsi vivo, ponendosi così al servizio del supremo interesse nazionale, nessun patriota degno di questo nome potrebbe esimersi dal compiere un dovere tanto semplice, presentarsi alle autorità per qualche dichiarazione. C'erano altre tre persone a cena, un'anziana coppia, e a un altro tavolo il solito uomo solo di cui si dice sempre, Dev'essere un commesso viaggiatore. Le conversazioni si interruppero quando si udirono le prime notizie dei Pirenei, il maiale continuava a grugnire ma nessuno lo sentiva, e, tutto in un solo istante, il padrone della rosticceria salì su una sedia per alzare il volume, la ragazza che serviva ai tavoli si fermò con gli occhi sbarrati, i clienti posarono pian piano le posate sul bordo del piatto, e ne valeva la pena, sullo
schermo si vedeva un elicottero filmato da un altro elicottero, e tutti e due si addentravano nel canale spaventoso e mostravano le pareti altissime, tanto alte che a stento si vedeva il cielo lassù, una striscetta di azzurro, Accipicchia, fa addirittura venire le vertigini, disse la ragazza, e il padrone, Sta' zitta, adesso proiettori potentissimi stavano mostrando quella gola famelica, doveva essere stata tale e quale l'entrata dell'inferno greco, ma al posto dell'abbaiare di Cerbero c'era il grugnito di un maiale, le mitologie non sono più quelle di una volta. Queste drammatiche immagini, recitava l'annunciatore, riprese a rischio della vita, la voce si fece pastosa, intermittente, i due elicotteri diventarono quattro, fantasmi di fantasmi, Maledetta antenna, borbottò il padrone della trattoria. Quando il suono e l'immagine si stabilizzarono e tornarono intelligibili, gli elicotteri erano spariti e l'annunciatore stava leggendo il solito appello, adesso esteso a tutta la comunità, Si pregano anche tutti coloro che siano a conoscenza di casi strani, di fenomeni inspiegabili, di segni dubbi, di avvisare prontamente le autorità più vicine. Vedendosi così direttamente interpellata, la ragazza si ricordò allora di quel caso, di cui si parlava tanto dalle sue parti, del capretto che era nato con cinque zampe, quattro nere e una bianca, ma il padrone le rispose, E' successo ormai tanti mesi fa, stupida, capretti con cinque gambe e pulcini con due teste sono cose che capitano tutti i giorni, cose da matti, piuttosto, sono quelle come gli storni del professore, Che storni, che professore, domandò Joaquim Sassa, Il professore di qui, si chiama José Anaiço, sono un po' di giorni che, dovunque vada, lo segue un volo di storni, perlomeno duecento, O più, lo corresse il commesso viaggiatore, ancora stamattina li ho visti quando sono arrivato, continuavano a volare sopra la scuola e facevano un tal chiasso di ali e di grida da non crederci. A quel punto prese la parola il signore anziano per dire, Secondo me, dovremmo informare il presidente della giunta di questo fatto degli storni, Saperlo, già lo sa, osservò il padrone della trattoria, Lo sa, ma non collega una cosa all'altra, il culo alla camicia, se mi è concessa l'espressione, Allora che cosa dobbiamo fare, Gliene accenneremo domani mattina, tanto più che sarebbe importante per il nostro paese che se ne parlasse in televisione, serve al commercio e all'industria, Ma il segreto rimane fra noi, non lo si dice a nessuno, E questo professore, dove abita, domandò Joaquim Sassa come se la risposta gli interessasse poco, perciò il padrone, distratto, non fece in tempo a evitare che la ragazza desse fiato alle trombe, Abita in una casa proprio a fianco della scuola, è la casa dei professori, la sera c'è
sempre luce alla finestra fino a tardi, e sembrava che la sua voce fosse leggermente malinconica. Irritato, il padrone della trattoria strigliò la povera servente, Chiudi il becco, idiota, va' a vedere se il maiale ha fame, ordine quanto mai assurdo perché i maiali, a quest'ora, non mangiano, in genere dormono, se questo protesta tanto deve essere perché è agitato e ansioso, anche in quelle scuderie e in quei recinti di campagna le cavalle nitriscono e scuotono la testa nervose per l'inquietudine, e d'impazienza colpiscono con gli zoccoli le pietre rotolate fin lì, scompaginano la paglia, Sarà la luna, è la diagnosi del capoccia. Joaquim Sassa pagò il conto, diede la buonasera, lasciò una mancia generosa per ricompensare l'informazione che gli aveva dato la ragazza, magari se la intascherà il padrone, per una ripicca del momento, non perché sia sua abitudine, la bontà delle persone non è migliore di quello che sono, soggetta anch'essa a eclissi e contraddizioni, costante solo raramente, e questo è il caso della strapazzata ragazza che, non potendo dar da mangiare al maiale perché non ha fame, gli va a grattare il testuz fra gli occhi, è una parola castigliana che vuol dire più o meno il frontalino e ci tocca usarla in mancanza di una nostra. E' un bell'imbrunire, la Due Cavalli riposa sotto i platani, rinfrescandosi le ruote con l'acqua che scorre, a vuoto, dalla fontana, e Joaquim Sassa la lascia lì, a piedi va a cercare la scuola e la finestra illuminata, la gente non riesce a nascondere i suoi segreti anche se a parole dice di volerli serbare, un improvviso stridore li denuncia, l'attenuarsi improvviso di una vocale li rivela, qualunque osservatore con una certa esperienza di voce e di vita capirebbe subito che la ragazza della trattoria è innamorata. La cittadina è solo un paesone, in meno di mezz'ora si va dall'ingresso alla fine delle case, ma Joaquim Sassa non avrà bisogno di camminare tanto, ha domandato a un ragazzino che passava dove fosse la scuola, non avrebbe potuto trovare guida meglio informata, Continui per questa strada, quando arriva a uno slargo con una chiesa giri a sinistra, poi sempre diritto, non si può sbagliare, la scuola si vede subito, E il professore, abita là, sì, signore, la finestra è illuminata, ma non c'era segno di partecipazione in nessuna di queste parole, probabilmente quel ragazzo è un cattivo alunno e la scuola il suo primo purgatorio di peccatore, ma la voce gli si è fatta all'improvviso allegra, i bambini non portano rancore, è questo che li salva, E gli storni se ne stanno lì, non stanno mai zitti, se non abbandonerà presto gli studi potrà imparare a costruire le frasi in modo da non ripetere così vicine le forme verbali.
C'è ancora un po' di chiarore in una metà del cielo, l'altra metà non si è abbuiata del tutto, l'aria è azzurra come se stesse per albeggiare. Ma nelle case le luci sono già accese, si odono voci pacate, di gente stanca, un pianto discreto in una culla, è proprio vero che gli uomini sono incoscienti, li lanciano in mare su una zattera e loro continuano a comportarsi come se fossero sulla terraferma per tutto il sempre, ciarlieri come Mosè quando discendeva il Nilo nella sua piccola cesta di giunco, giocando con le farfalle, una gran bella fortuna che non lo videro i coccodrilli. Alla fine della stradina, fra mura, c'è la scuola, se Joaquim Sassa non fosse stato avvisato, l'avrebbe giudicata una casa come un'altra, di sera sono tutte scure, alcune di giorno lo sono davvero, intanto s'era fatto buio, ma solo fra un po' si accenderanno i lampioni. Per non smentire la ragazza innamorata e il ragazzino dai sentimenti riservati, la finestra è illuminata, e lì è andato a bussare Joaquim Sassa, in fondo gli storni non fanno poi così tanto rumore, si stanno sistemando per la notte, con le solite dispute, le brighe di vicinanza, ma fra non molto, sotto le larghe foglie del fico dove si sono piazzati, si cheteranno, invisibili, neri in mezzo al nero, solo più tardi sorgerà la luna, allora qualcuno si sveglierà sfiorato dalle bianche dita e si riaddormenterà, non immaginano che dovranno andare tanto lontano. Dall'interno della casa una voce d'uomo ha domandato, Chi è, e Joaquim Sassa ha risposto, La prego, parole magiche che sostituiscono una formale identificazione, il linguaggio è pieno di questi e altri più difficili enigmi. La finestra si è aperta, non è facile così, in controluce, vedere chi viva in questa casa, ma in compenso il viso di Joaquim Sassa appare al completo, di qualche lineamento abbiamo già parlato prima, il resto è come al solito, capelli castano scuro, lisci, le guance magre, il naso molto normale, le labbra sembrano piene solo quando parlano, Perdoni se la disturbo a quest'ora, Non è tardi, ha detto il professore, ma ha dovuto alzare la voce perché gli storni, colti di sorpresa, avevano sollevato un coro di protesta o di allarme, E' appunto di loro che vorrei parlarle, Loro, chi, Gli storni, Ah, E di una pietra che ho lanciato in mare, molto più pesante di quanto potessero le mie forze, Chi è lei, Joaquim Sassa, E' quello di cui parlano alla radio e alla televisione, sì, sono io, Si accomodi. Hanno discusso di pietre e di storni, adesso stanno parlando di decisioni prese. Sono nel giardino dietro la casa, José Anaiço seduto sulla soglia della porta, Joaquim Sassa su una sedia perché è l'ospite, e dato che José Anaiço ha le spalle rivolte alla cucina, da dove viene la luce, ancora non ne conosciamo
i lineamenti, sembra che quest'uomo si nasconda, invece non è vero, quante volte ci è successo di mostrarci come siamo senza che ne valesse la pena dato che non c'era nessuno a vederci. José Anaiço ha versato un altro po' di vino bianco nei bicchieri, lo bevono a temperatura ambiente, come gli intenditori dicono vada bevuto, senza i moderni trucchi della refrigerazione, ma in questo caso solo perché nella casa del professore il frigorifero non c'è, Per me basta, ha detto Joaquim Sassa, col rosso della cena ho già passato la misura, Questo è per brindare al viaggio, ha risposto José Anaiço, e sorrideva, gli si vedevano i denti belli bianchi, un fatto da registrare, Ch'io vada in cerca di Pedro Orce è comprensibile, per ora sono in ferie, non ho impegni di lavoro, Neppure io, e ho più tempo, fino all'inizio delle lezioni, ai primi di ottobre, Sono solo, Lo sono anch'io, Non era nelle mie intenzioni venire qui a spingerla a unirsi a me, non la conoscevo neppure, Sono io che le chiedo di accompagnarla, se mi darà un posto nella sua macchina, ma ormai l'ha promesso, adesso non può rimangiarsi la parola data, Pensi quale sarà l'agitazione quando si accorgeranno della sua mancanza, sono capaci di chiamare all'istante la polizia, penseranno che sia morto e sepolto, infilzato da qualche ramo, o buttato in un fiume, da me, chiaro, è di me che sospetteranno, lo sconosciuto dalla forza misteriosa che è venuto dal nulla, ha fatto qualche domanda ed è sparito, nei libri c'è tutto, Lascerò un biglietto sulla porta del municipio dicendo che sono dovuto partire improvvisamente per Lisbona, spero che a nessuno venga in mente di andare a chiedere alla stazione se mi hanno visto comprare il biglietto. Tacquero per qualche istante, poi José Anaiço si alzò, fece qualche passo verso il fico mentre finiva il suo vino, gli storni non la smettevano di muoversi col loro pissi pissi, qualcuno era stato svegliato dalla conversazione dei due uomini, altri stavano forse sognando, quel terribile incubo della loro specie che è il sentirsi volare, un uccello da solo che ha smarrito lo stormo, in un'atmosfera che fa resistenza, e impedisce di battere le ali come se fosse d'acqua, proprio come capita agli uomini quando, in sogno, la volontà ordina di correre e loro non possono. Partiremo un'ora prima del levar del sole, disse José Anaiço, adesso è tempo di dormire, e Joaquim Sassa si alzò dalla sedia, Rimarrò in macchina, domattina presto verrò a prenderla, Perché non dorme qui, ho solo un letto, ma è largo, a voglia se c'è spazio per due. Il cielo era buio, tutto punteggiato di astri che sembravano vicini come se vi fossero invisibilmente appesi, un pulviscolo di vetro, un velo di latte niveo, e le grandi costellazioni che rifulgevano drammaticamente, il Boote, le Orse, le
Pleiadi, sui visi sollevati dei due uomini cadeva una pioggerella fatta di piccoli cristalli di luce che si appiccicavano alla pelle, rimanevano impigliati fra i capelli, non era la prima volta che succedeva quel fenomeno, ma d'improvviso tacquero tutti i mormorii della notte, spuntò sopra gli alberi il primo chiardiluna, adesso le stelle dovranno spegnersi. Allora Joaquim Sassa disse, Con una notte così potrei anche dormire sotto il fico, se mi presta una coperta, Le faccio compagnia. Ammonticchiarono e poi sistemarono una quantità sufficiente di paglia per i letti, come si fa per il bestiame, distesero le coperte, vi si sdraiarono sopra e con un'altra si coprirono. Gli storni spiavano dai rami le due figure, Chi sarà quello lì, sotto l'albero e fra i rami sono tutti svegli, con un chiardiluna così il sonno dovrà lottare un bel po'. La luna sale, sale in fretta, la cima bassa e tondeggiante del fico si trasforma in un labirinto di nero e di bianco, e José Anaiço dice, Queste ombre non sono più come una volta, Si è mossa tanto poco la penisola, pochi metri, non può aver avuto un grande effetto, ha osservato Joaquim Sassa, felice di aver capito quel commento, Si è mossa, ed è bastato perché tutte le ombre siano diverse, ecco lì qualche ramo che la luce della luna tocca per la prima volta a quest'ora. Trascorsero alcuni minuti, gli storni cominciavano a chetarsi e José Anaiço mormorò, con una voce infine incrinata dal sonno, ogni parola in attesa o alla ricerca dell'altra, Un giorno Giovanni II, nostro re, detto il Perfetto e secondo me umorista perfetto, concesse un'isola immaginaria a un certo nobiluomo, mi dica lei se sa di qualche altro paese in cui poteva accadere una storia del genere, E il nobiluomo, che cosa fece il nobiluomo, prese il mare per andarla a cercare, mi piacerebbe proprio che mi dicessero come si può trovare un'isola immaginaria, A tanto non arriva la mia scienza, ma quest'altra isola, l'isola iberica, che era una penisola e non lo è più, io la vedo come se, con altrettanto umorismo, avesse deciso di mettersi in mare alla ricerca degli uomini immaginari, E' una bella frase, una frase poetica, Allora sappia che in vita mia non ho mai fatto un verso, Lasci perdere, quando gli uomini saranno tutti poeti, si smetterà di scrivere versi, Anche questa frase ha un certo suo che, Stiamo bevendo troppo, Lo credo anch'io. Silenzio, tranquillità, dolcezza infinita, e Joaquim Sassa mormorò, come se stesse già sognando, Che faranno domani gli storni, si fermeranno qui, verranno con noi, Lo sapremo quando partiremo, succede sempre così, disse José Anaiço, la luna si è smarrita fra i rami del fico, passerà tutta la notte in cerca del cammino. Non albeggiava ancora quando Joaquim Sassa si alzò dal suo letto di fieno per andare a prendere la Due Cavalli, lasciata a riposo sotto i platani della piazza,
proprio vicino alla fontana. Per non essere visti insieme da qualche mattiniero, di quelli che non mancano mai nelle campagne, avevano combinato d'incontrarsi all'uscita del paese, un po' dopo le ultime case. José Anaiço avrebbe fatto strade traverse, viottoli e scorciatoie, ombra nell'ombra, Joaquim Sassa, anche se con discrezione, la strada di tutti, come uno di quei viaggiatori che non hanno debiti né paura, come se fosse uscito presto per godersi il fresco del mattino e mettere a profitto la giornata, i turisti mattinieri sono così, in fondo problematici e agitati, soffrono per l'irrimediabile brevità della vita, coricarsi tardi e alzarsi presto salute non ne dà, ma allunga l'esistenza. La Due Cavalli ha un motore discreto, un avviamento di seta, deve averla sentita solo qualche raro abitante insonne e probabilmente ha pensato che stava dormendo e sognando, soltanto adesso, nel silenzio delle prime ore, si avverte il rumore regolare di una pompa d'acqua. Joaquim Sassa è uscito dal paese, ha superato la prima curva, la seconda, poi ha fermato la Due Cavalli e si è messo ad aspettare. Nella profondità argentata dell'uliveto cominciavano ad apparire i tronchi, c'era già nell'aria un alito umido e indefinito come se il mattino stesse uscendo da un pozzo d'acqua fumosa, quand'ecco che cantò un uccello, o forse era stata un'illusione acustica, neanche le calandre cantano così presto. Trascorse un po' di tempo e Joaquim Sassa si ritrovò a mormorare fra sé e sé, Magari se n'è pentito e non viene, ma non mi sembra un tipo del genere, o forse ha dovuto fare un giro più lungo di quanto immaginasse, dev'essere così, e poi c'è la valigia, la valigia pesa, non ci s'è pensato, avrei potuto portarla io in macchina. In quel momento spuntò di fra gli olivi José Anaiço circondato di storni, un delirio di ali in continuo rullio, rumori stridenti, chi ha detto duecento non sa contare, questo mi fa pensare più a uno sciame di api nere, grosse, ma a Joaquim Sassa vennero invece in mente gli Uccelli di Hitchcock, un film classico, ma quelli erano crudeli assassini. José Anaiço si avvicinò alla macchina con la sua corona di creature alate, viene da ridere, visto così sembrerebbe più giovane di Joaquim Sassa, è risaputo che la serietà dà un contegno, ha i denti molto bianchi, come sappiamo dalla scorsa notte, e in tutto il viso non c'è un lineamento che risalti in particolare, ma le sue guance magre hanno una certa armonia, non si ha mica il dovere di essere belli. Mise la valigia in macchina, si sedette accanto a Joaquim Sassa e, prima di chiudere lo sportello, diede uno sguardo fuori, per osservare gli storni. Andiamo, vorrei proprio sapere che faranno, pensa un po', Se avessimo un fucile potremmo tirare qualche colpo, con due pallottole a piombo ne
faremmo una razzia, Lei è cacciatore, No, parlo solo per sentito dire, Ci manca il fucile, Forse c'è un'altra soluzione, metto la Due Cavalli a tavoletta, e quelli resteranno indietro, sono uccelli di poca ala e fiato corto, Provi. La Due Cavalli cambiò velocità, guadagnò terreno su un rettilineo lungo e, approfittando della strada in piano, rapidamente si lasciò indietro gli storni. La penombra del mattino cominciava a tingersi di rosa pallido e rosa acceso, erano colori caduti dal cielo, e l'aria si fece azzurra, l'aria, abbiamo detto bene, non il cielo, come abbiamo avuto modo di osservare anche ieri all'imbrunire, sono due ore molto simili, una all'inizio l'altra alla fine. Joaquim Sassa spense i fari, ridusse la velocità, sa bene che la Due Cavalli non è venuta al mondo per le grandi cavalcate, le manca il pedigree, e poi la gioventù è ormai passata e la mansuetudine del motore altro non è che rinuncia filosofica. Ecco, con gli storni è finita, questo fu quanto disse José Anaiço, ma nella voce gli si notò un tono di dispiacere. Due ore dopo, in terre di Alentejo, si fermarono per un piccolo spuntino, caffelatte, biscotti alla cannella, poi ritornarono alla macchina discutendo le note preoccupazioni, Il peggio sarà se non mi faranno entrare in Spagna, il peggio sarà se mi mettono dentro, Non sei accusato di nessun delitto, Inventeranno qualche pretesto, mi tratterranno per accertamenti, Stai tranquillo, da qui alla frontiera, troveremo un sistema per farti passare, questo fu il dialogo, che nulla aggiunge alla comprensione della storia, probabilmente è stato messo qui perché fossimo messi al corrente del fatto che Joaquim Sassa e José Anaiço si danno del tu, devono averlo combinato lungo la strada, E se ci dessimo del tu, aveva detto uno di loro e l'altro era stato d'accordo, Stavo proprio pensandoci. Joaquim Sassa era sul punto di aprire lo sportello della macchina quando rispuntarono gli storni, quella gran nube, simile più che mai a uno sciame che vola vorticosamente, e facevano un frastuono assordante, si vedeva che erano irritati, la gente si fermava col naso all'insù, indicava il cielo, qualcuno disse, Non ho mai visto in vita mia tanti uccelli messi insieme, dall'età che dimostrava non dovevano essergli mancate questa e altre esperienze, Saranno oltre un migliaio, aggiunse, e ha ragione, almeno milleduecentocinquanta ne saranno stati convocati per l'occasione. Allora ci hanno raggiunto, disse Joaquim Sassa, facciamo un altro tratto a tavoletta e finiamola una volta per tutte. José Anaiço guardava gli storni che volavano in cerchio ampio, trionfanti, li guardava con espressione attenta, concentrata, Rallentiamo, d'ora in poi procederemo lentamente, Perché, Non lo so, un presentimento, per qualche motivo questi
uccelli non ci mollano, E' te che non mollano, Sia pure, allora posso chiederti di andare piano, chissà che cosa starà per succedere. Attraversare l'Alentejo in questo braciere, sotto un cielo più bianco che azzurro, fra una stoppia che brilla, con qualche leccio qua e là nella terra nuda e mucchi di paglia da raccogliere, sotto il frinire incessante delle cicale, sarebbe di per sé una storia completa, magari più rigorosa di quell'altra a suo tempo narrata. Certo è che per chilometri e chilometri di strada non si incontra anima viva, ma le messi le hanno mietute, il grano è trebbiato, e per tanti lavori ci sono voluti uomini e donne, questa volta non avremo notizia né degli uni né delle altre, è proprio vero quel detto che dice, Non dir quattro se non l'hai nel sacco. Il solleone imperversa, soffoca, ma la Due Cavalli non ha fretta, si concede il piacere di fermarsi all'ombra, mentre José Anaiço e Joaquim Sassa scendono a scrutare l'orizzonte, aspettano il tempo necessario e finalmente la vedono, eccola, un'unica nube nel cielo, non ci sarebbe bisogno di queste fermate se gli storni sapessero volare in linea retta, ma sono tanti, e tante le volontà, sia pur gregariamente unite, non si può evitare che si disperdano e distraggano, questi hanno voluto fermarsi, quelli bere un po' d'acqua o assaggiare qualche frutto, fintanto che un unico volere non prevalga si turba l'insieme e si confonde l'itinerario. Lungo la strada, oltre ai nibbi, cacciatori solitari, e ad altri di minor congregazione, erano stati avvistati altri pennuti della loro specie, che non si erano uniti alla compagnia, forse perché non erano neri, ma maculati, o perché avevano un'altra meta nella vita. José Anaiço e Joaquim Sassa rientravano in macchina, la Due Cavalli riprendeva la strada e così, tra una fermata e l'altra, giunsero alla frontiera. Allora Joaquim Sassa disse, E adesso, se non mi fanno passare, Tu vai avanti, può darsi che gli storni. E proprio come in quelle storie di fate, di sortilegi e cavalieri erranti, o nelle altre non meno sorprendenti avventure omeriche, in cui per la prodigalità dell'albero menzognero o per il capriccio degli dèi e di altre potenze accessorie poteva succedere di tutto, non più come ripetizione usuale, ma in maniera non naturale, accadde qui che Joaquim Sassa e José Anaiço si fermarono vicino al casello della polizia, al posto di frontiera in linguaggio tecnico, e Dio solo sa con che ansia nel cuore stavano presentando le loro carte d'identità quando, in un baleno, come uno scroscio violento di pioggia o un ciclone irresistibile scesero dall'alto gli storni, nera meteora, corpi che erano lampi, sibilando, stridendo, e all'altezza delle tettoie si dispersero in tutte le direzioni, non diversamente da un turbine impazzito, le guardie
spaventate agitavano le braccia, correvano cercando rifugio, col risultato che Joaquim Sassa scese dalla macchina a riprendersi i documenti che l'ufficiale aveva lasciato cade re e nessuno si avvide dell'irregolarità doganiera, e fu tutto, per tante strade sono passati i clandestini, ma questo non era mai successo. Hitchcock batte le mani in platea, sono gli applausi di chi è maestro in materia. L'eccellenza del metodo fu ben presto comprovata, con la dimostrazione che la polizia spagnola, tale e quale la portoghese, tiene in debito conto questi eventi di ornitologia generale e di storni neri. I viaggiatori passarono senza alcuna difficoltà, ma rimase sul campo qualche decina di uccelli, il fatto è che nella dogana dei vicini c'era una doppietta carica, perfino un cieco sarebbe stato capace di colpire il bersaglio a naso, bastava sparare in aria, e questa fu l'inutile moria, dato che in Spagna, come sappiamo, nessuno sta cercando Joaquim Sassa. E neppure è sicuro che a comportarsi così fossero state le guardie andaluse, che gli storni erano di nazionalità portoghese, nati e cresciuti in quel del Ribatejo, ed erano andati a morire tanto lontano, se almeno quelle impietose guardie avessero avuto la considerazione di invitare alla bella frittata i loro colleghi alentejani, in un'atmosfera di sana convivenza e di cameratismo d'arme. Ormai procedono in terre oltre frontiera i viaggiatori, con il loro drappello di uccelli al seguito, diretti a Granada e dintorni, e dovranno chiedere aiuto agli incroci, perché la carta che li guida non registra il paese di Orce, è una grande mancanza di sensibilità dei topografi disegnatori, scommettiamo che la loro terra non l'hanno mai dimenticata, che si ricordino in futuro di quanto sia frustrante andare in cerca su una carta del luogo dove si è venuti al mondo e trovare uno spazio bianco, vuoto, è così che si sono creati gravissimi problemi di identità personale e nazionale. Lungo la strada passano le Seat, le Pegaso, si riconoscono subito dal modo di parlare e dalla targa, e i paesi che la Due Cavalli attraversa hanno quell'aria sonnolenta che dicono sia propria delle terre del sud, indolenti le hanno definite le tribù del nord, sono disprezzi facili e soverchierie di casta di chi non ha mai dovuto lavorare con questo sole sulla testa. Ma è vero che ci sono differenze tra mondo e mondo, lo sanno tutti che su Marte gli uomini sono verdi, mentre sulla terra sono di tutti i colori tranne questo. Da un abitante del nord non sentiremmo mai quello che stiamo per sentire, qualora ci fermassimo a domandare a quell'uomo, là, che sta arrancando su un somaro, ciò che pensa dello straordinario fatto che la Penisola Iberica si è separata dall'Europa, tirerà la cavezza dell'asino, Ohoo, e risponderà senza
peli sulla lingua, Que todo es una bufonada. Roque Lozano giudica dalle apparenze, lui se n'è fatta una ragione ed è facile capirla, pensate alla serenità bucolica di questi campi, la pace del cielo, l'equilibrio delle pietre, la serra Morena e la serra Aracena, identiche da quando sono nate, o, almeno, da quando siamo nati noi, Ma la televisione ha fatto vedere a tutto il mondo i Pirenei che si spaccavano come una melagrana, ribattiamo, usando una metafora alla portata della comprensione rustica, Non mi fido della televisione, finché non lo vedrò con i miei occhi, questi occhi che la terra dovrà mangiare, non mi fido, risponde Roque Lozano senza smontare, Che vai a fare, allora, Ho lasciato la mia famiglia a occuparsi di tutto e vado a vedere se è vero, Con i tuoi occhi che la terra dovrà mangiare, Con i miei occhi che la terra non ha ancora mangiato, E conti di arrivarci in groppa a questo somaro, Quando non ce la farà più, andremo a piedi tutti e due, Come si chiama il tuo somaro, Un somaro non si chiama, lo chiamiamo, Allora come chiami il tuo somaro, Platero, E siete in viaggio, Platero e yo, Sai dirci dove rimane Orce, No signore, non lo so, Pare che sia poco più in là di Granada, Ah, allora ne avete ancora molta di strada, e adesso addio, signori portoghesi, molto più lungo è il mio viaggio e io sono in groppa a un somaro, Forse quando arriverai non vedrai più l'Europa, Se non la vedrò sarà perché non è mai esistita, in fondo ha pienamente ragione Roque Lozano, che occorrono due condizioni perché le cose esistano, che l'uomo le veda e dia loro un nome. Joaquim Sassa e José Anaiço dormirono ad Aracena, ripetendo l'impresa di Alfonso Terzo, nostro re, quando la conquistò ai mori, ma fu sole di breve durata, allora era la notte dei tempi. Gli storni si dispersero fra vari alberi perché, numerosi com'erano, non erano riusciti a rimanere uniti, come preferiscono. In albergo, dopo essersi coricati, ciascuno nel proprio letto, José Anaiço e Joaquim Sassa parlano delle minacciose immagini e parole che alla televisione avevano visto e udito, che Venezia è in pericolo, e lo si vedeva chiaramente, Piazza San Marco allagata anche senza l'acqua alta, una distesa liquida e levigata dove si riflettevano, fin nei minimi particolari, il campanile e la facciata della basilica, A mano a mano che la Penisola Iberica si andrà allontanando, diceva l'annunciatore con voce ritmata e lenta, si intensificherà l'effetto destruente delle maree, si prevedono gravi ripercussioni in tutto il bacino mediterraneo, culla di civiltà, bisogna salvare Venezia, è un appello a tutta l'umanità, fate una bomba atomica in meno, fate un sottomarino nucleare in meno, a patto che siamo ancora in tempo. Joaquim Sassa era
come Roque Lozano, non aveva mai visto la perla dell'Adriatico, ma José Anaiço poteva garantire che esisteva, certo, non le aveva mai dato né nome né cognome, ma l'aveva vista proprio con i suoi occhi, l'aveva toccata con le sue mani, Che gran disgrazia se finiremo per perdere Venezia, disse, e queste parole angosciate impressionarono Joaquim Sassa più delle acque agitate nei canali, più delle tumultuose correnti, più dell'infiltrazione della marea nei pianterreni dei palazzi, le banchine allagate, l'impressione di veder affondare irrimediabilmente una città intera, incomparabile Atlantide, cattedrale sommersa, i mori, occhi accecati dell'acqua, che battevano sulla campana con i martelli di bronzo finché le alghe e i molluschi non avessero paralizzato gli ingranaggi, echi liquidi, il Cristo Pantocrator della basilica finalmente in conversazione teologica con gli dèi marini subalterni di Giove, il Nettuno romano, il greco Poseidone, e Venere e Anfitrite, tornate appositamente alle acque da cui erano nate, solo per il dio dei cristiani donne non ce ne sono. Chissà che la colpa non sia mia, mormorò Joaquim Sassa, Non ti reputare così importante da ritenerti colpevole di tutto, Parlo di Venezia, di Venezia che sta morendo, Se Venezia morirà, la colpa sarà di tutti, e antica, stava già morendo per abbandono e speculazione, Non sto parlando di queste cause, per le quali tutto il mondo sta andando in malora, ma di quello che ho fatto, ho lanciato una pietra in mare e c'è chi pensa sia stato il motivo per cui la penisola si è staccata dall'Europa, Se un giorno avrai un figlio, morirà perché tu sei nato, da questo delitto nessuno ti assolverà, le mani che fanno e tessono sono le stesse che disfano, la certezza crea l'errore, l'errore produce la certezza, Magra consolazione, Non esiste consolazione, mio triste amico, l'uomo è un animale inconsolabile. Forse José Anaiço, quello della sentenza, ha ragione, forse l'uomo è quell'animale che non può, o non sa, o non vuole essere consolato, ma certe sue azioni, senz'altro significato che quello di sembrare di non averlo, alimentano la speranza che un giorno l'uomo potrà finalmente piangere sulla spalla dell'uomo, forse troppo tardi, quando ormai non ci sarà più tempo per altro. Di una di queste azioni ha parlato la televisione proprio nel notiziario e domani ne parleranno i giornali, con particolari e testimonianze di storici, critici e poeti, fatto sta che su una spiaggia vicino a Callioure, in Francia, era sbarcato in segreto un commando civile e letterario di spagnoli che, nottetempo, senza paura né per il grido della civetta né per gli ectoplasmi, aveva fatto irruzione nel cimitero dove tanti anni prima era stato sepolto Antonio Machado. Accorsero le guardie, avvisate da qualche nottambulo, e
inseguirono i ladri di tombe, ma non riuscirono ad acciuffarli. Il sacco con le spoglie fu gettato dentro la lancia che li aspettava sulla spiaggia col motore al minimo e cinque minuti dopo la nave pirata era già al largo, mentre sulla sabbia le guardie sparavano in aria, solo per sfogare l'arrabbiatura, non certo per la mancanza che potessero sentire delle poetiche ossa. Parlando alla France-Press, il sindaco di Calioure tentò di screditare l'impresa, insinuando perfino che nessuno avrebbe potuto garantire che le spoglie mortali fossero quelle di Antonio Machado, dopo tutto quel tempo, né vale la pena controllare quanti anni siano passati, solo per un'improbabile dimenticanza dell'amministrazione potevano trovarsi ancora lì, nonostante la particolare benevolenza di solito concessa alle ossa dei poeti. Il giornalista, uomo molto navigato e tanto poco scettico da non sembrare affatto francese, suggerì, a sua volta, che il culto delle reliquie ha solo bisogno di un oggetto adatto, quella che conta meno è l'autenticità, e quanto a verosimiglianza non si richiede altro che una somiglianza pacifica, pensate alla cattedrale di Valenza, dove un tempo si incrementava la fede con quel prolisso reliquiario, vale a dire, il calice usato da Nostro Signore nell'ultima cena, la camiciola che aveva indossato da bambino, qualche goccia del latte della Madonna, un ciuffo dei suoi capelli biondi, e il pettine con cui si pettinava, nonché vari pezzetti della Croce Vera, un mucchietto indefinibile di uno dei Santi Innocenti, due di quei trenta denari, che poi erano d'argento, con i quali Giuda si fece comprare senza averne colpa, e, per concludere, un dente di San Cristoforo, lungo quattro dita e largo tre, dimensioni senza dubbio eccessive, ma che potrebbero sorprendere solo chi non fosse informato della natura gigantesca di quel santo. Dove lo andranno a seppellire gli spagnoli, adesso, il poeta Machado, domandò Joaquim Sassa, che non lo aveva mai letto, e José Anaiço rispose, Se nonostante le stranezze del mondo e gli smacchi della fortuna ogni cosa ha un suo posto e ogni posto reclama ciò che gli appartiene, la cosa che oggi è Antonio Machado sarà sepolta in uno dei campi di Soria, sotto un leccio, che in castigliano si dice encina, senza croce né pietra tombale, tutt'al più un monticello di terra che neppure avrà bisogno di somigliare a un corpo sdraiato, col tempo la terra si livellerà alla terra e tutto sarà uguale, E noi portoghesi, quale poeta dobbiamo andare a cercare in Francia, ammesso che ne sia rimasto qualcuno, Che io sappia, solo Mario de SáCarneiro, ma non vale neppure la pena tentare, primo perché non credo abbia voglia di venire, secondo perché i cimiteri di Parigi sono posti ben guardati, terzo, perché sono passati tanti anni dalla sua
morte e l'amministrazione di una capitale non commetterebbe gli errori di un comune di provincia, che per giunta ha la scusa di essere mediterranea, Oltretutto, a che servirebbe toglierlo da un cimitero per metterlo in un altro, dato che in Portogallo non deve essere autorizzato seppellire i morti fuori posto, all'aria libera, E le sue ossa, poi, neppure troverebbero pace se le lasciassimo all'ombra di qualche olivo nel Parco Eduardo VII, Ma ce ne sono ancora, di olivi, nel Parco Eduardo VII, E una buona domanda, ma non so risponderti, e adesso andiamo a dormire, che domani dobbiamo andare in cerca di Pedro Orce, quello della terra che trema. Spensero la luce, se ne rimasero a occhi aperti ad aspettare il sonno, ma, prima che questo giungesse, Joaquim Sassa domandò ancora, E Venezia, che cosa le starà succedendo, Sappi che la più facile delle cose difficili del mondo sarebbe quella di salvare Venezia, basterebbe chiudere la laguna, unire le isole l'una all'altra in modo che il mare non potesse entrare, se gli italiani non sono capaci di occuparsene da soli, si chiamino gli olandesi, loro sì che riuscirebbero a mettere in secco Venezia nel tempo che il diavolo si stropiccia un occhio, Dovremmo aiutarli, siamo responsabili anche noi, Non siamo più europei, quindi non è del tutto vero, Per il momento siete ancora in acque territoriali, disse la voce sconosciuta. Al mattino, mentre stavano pagando il conto, il direttore prese a sfogare le sue preoccupazioni, l'albergo quasi vuoto in piena alta stagione, un pianto, Joaquim Sassa e José Anaiço, tutti presi dai loro pensieri, non avevano neppure notato che c'erano pochi ospiti, E le grotte, nessuno viene alle grotte, continuava a ripetere l'albergatore costernato, che nessuno andasse alle grotte era la peggiore delle catastrofi. Per la strada c'era una grande agitazione, i giovani di Aracena non avevano mai visto tanti storni tutti insieme, neppure in occasione di qualche istruttiva passeggiata in campagna, ma il sapore del la novità durò ben poco, appena la Due Cavalli si mise in movimento, in direzione di Siviglia, gli storni presero il volo come un sol uccello, fecero due giri di congedo o di ricognizione dell'orizzonte e scomparvero dietro al castello dei templari. E' una mattina luminosa, tanto che la si può toccare con le dita, e la giornata si preannuncia meno calda di ieri, ma il viaggio è lungo, Da qui a Granada ci sono trecento chilometri, e poi dovremo cercare Orce, speriamo che non sia tutto inutile e che troviamo il nostro uomo, questo lo disse José Anaiço, che non lo trovassero era una possibilità che solo allora veniva in mente, E se lo troveremo, che cosa gli diremo, era Joaquim Sassa stavolta a dubitare. D'un tratto, per il chiarore del nuovo giorno o per effetto
della notte cattiva consigliera, tutti questi episodi sembravano assurdi, non poteva essere vero che un continente si spaccasse perché qualcuno aveva lanciato una pietra in mare, una pietra più grande delle forze che l'avevano lanciata, ma la verità incontrovertibile era che la pietra era stata lanciata e il continente si era spaccato, e uno spagnolo che afferma di sentire la terra tremare, e uno stormo di uccelli impazziti che non molla un professore portoghese, e chissà quante altre cose sono successe o stanno per succedere in tutta la penisola, Gli parleremo della tua pietra e dei miei storni, e lui ci parlerà della terra che ha tremato, o che trema ancora, E poi, Poi, se non ci sarà nient'altro da vedere, sentire e sapere, ce ne torneremo a casa, tu al tuo lavoro, io alla mia scuola, faremo finta che sia stato tutto un sogno, ma, a proposito, non mi hai ancora detto che lavoro fai, Sto in un ufficio, Anch'io sto in un ufficio, faccio il professore. Risero e la Due Cavalli, previdente, annunciò che stava per arrivare alla fine della riserva di benzina. Fecero rifornimento alla prima stazione di servizio che trovarono, ma dovettero aspettare più di mezz'ora, c'era una fila di automobili che arrivava alla strada e tutti volevano andarsene con il pieno. Si rimisero in viaggio, Joaquim Sassa adesso inquieto, C'è la corsa alla benzina, fra poco cominceranno a chiudere le pompe, e poi, C'era da aspettarselo, la benzina è un prodotto sensibile, volatile, nei momenti di crisi è la prima a dare il segnale, anni fa c'è stato un embargo di rifornimenti, non so se ti ricordi o ne hai sentito parlare, fu il caos, Mi sto rendendo conto che neppure a Orce riusciremo ad arrivare, Non essere pessimista, Sono fatto così. Attraversarono Siviglia senza fermarsi, solo gli storni si attardarono qualche minuto a festeggiare la Giralda, che non avevano mai visto. Fossero stati una mezza dozzina, avrebbero potuto fare una corona di angeli neri alla statua della Fede, ma erano migliaia e, scendendole sopra a valanga, la trasformarono in una figura indefinibile che poteva essere tanto quello che era quanto il contrario, l'emblema della Miscredenza. Durò poco la metamorfosi, José Anaiço stava già correndo in quel dedalo, seguiamolo, nazione alata. Lungo la strada, la Due Cavalli continuò ad abbeverarsi dove capitava, in qualche stazione di servizio era esposto il cartello di esaurito, ma i benzinai dicevano Manana, erano gli ottimisti per natura, o forse, semplicemente, avevano imparato le regole del quieto vivere. Agli storni, invece, l'acqua non mancava, grazie a Dio, che più attenzione riserva Nostro Signore per gli uccelli che per gli esseri umani, ecco lì gli affluenti del Guadalquivir, gli stagni, i bacini, molto di più di quanto potranno bere becchi
così piccoli in tutta la storia del mondo. E' già pomeriggio inoltrato quando approdano a Granada, ansima la Due Cavalli, fremente per il grande sforzo, mentre Joaquim Sassa e José Anaiço vanno a chiedere informazioni, è come se avessero una lettera sigillata e fosse ora di aprirla, adesso sapremo dove ci attende il destino. Nell'ufficio turistico un'impiegata domandò loro se erano archeologi o antropologi portoghesi, che fossero portoghesi lo si capiva subito, ma antropologi o archeologi perché, Perché a Orce, generalmente, ci vengono solo loro, anni fa è stato scoperto lì nei pressi, a Venta Micena, l'europeo più antico di cui si abbia notizia, Un europeo completo, domandò José Anaiço, Solo un cranio, ma vecchio, di età compresa fra un milione e tre centomila e un milione e quattrocentomila anni, Ed è sicuro che si tratti di un uomo, volle sapere subdolamente Joaquim Sassa, al che Maria Dolores rispose con un sorriso da intenditrice, Quando si trovano vestigia umane antiche, sono sempre di uomini, l'Uomo di Cro-Magnon, l'Uomo di Neanderthal e l'Uomo di Steinheim, l'Uomo di Swanscombe, l'Uomo di Pechino, l'Uomo di Heidelberg, l'Uomo di Giava, a quei tempi donne non ce n'erano, Eva non era stata ancora creata, lo fu dopo, E' ironica, No, sono antropologa per formazione e femminista per rabbia, Invece noi siamo giornalisti, vogliamo intervistare un certo Pedro Orce, quello che ha sentito tremare la terra, Come mai una notizia del genere è arrivata in Portogallo, In Portogallo arriva tutto e noi arriviamo dappertutto, questa parte del dialogo si svolse con José Anaiço, che ha le risposte più pronte, forse per la necessità di combattere con gli alunni. Joaquim Sassa si era allontanato per guardare i manifesti con le fotografie del Patio dei Leoni, dei Giardini di Generalife, delle statue giacenti dei Re Cattolici, osservandole si domandava fra sé e sé se valesse la pena vedere le cose reali dopo averne visto le immagini. Per via di questo suo filosofare sulle percezioni del reale si perse il resto della conversazione, che cosa avrà mai detto José Anaiço per far ridere così di gusto Maria Dolores, se le Dolores non avessero cambiato i loro nomi in Lole, ogni loro risata sarebbe stata uno scandalo. Questa non mostrava neanche l'ombra della rabbia femminista, forse perché quest'Uomo del Ribatejo era qualcosa di più che una mandibola, un molare e una calotta cranica, e anche perché ci sono prove in abbondanza, nel tempo in cui viviamo, che le donne esistono. Maria Dolores, impiegata di agenzia turistica in mancanza di un lavoro come antropologa, traccia sulla carta di José Anaiço la strada che manca, segna con un punto nero il paese di Orce, quello di Venta Micena proprio lì accanto, i
due uomini adesso possono proseguire, ormai la sibilla dell'incrocio ha indicato loro la via, E' come un deserto lunare, ma le si legge negli occhi il dispiacere di non poter andare anche lei, esercitare la sua scienza in compagnia dei giornalisti portoghesi, soprattutto di quello più discreto che si è allontanato per guardare i manifesti, quante volte l'esperienza della vita ci ha insegnato che non dovremmo giudicare dalle apparenze, cosa che invece sta facendo Joaquim Sassa, errore suo, modestia sua, Se ci fermassimo qui ti faresti l'antropologa, perdoniamogli la volgarità dell'espressione, quando sono insieme gli uomini fanno di questi discorsi grossolani, e José Anaiço, presuntuoso, ma anche lui in errore, ha risposto, Chissà. Questo mondo, non ci stancheremo di ripeterlo, è una commedia di sbagli. Altra prova di questa verità è che sia stato dato il nome di Uomo di Orce a un osso ritrovato non esattamente a Orce, ma a Venta Micena, che sarebbe una bella denominazione per la paleontologia, se non fosse per quel nome, Venta, e cioè insegna di commercio grossolano e povero. Com'è strano il destino delle parole. A meno che Micena non fosse un nome di donna, prim'ancora di aver potuto essere di uomo, come quella celebre gallega che in Portogallo diede nome alla città di Golega, chissà che in questi remotissimi paraggi non sia giunto qualche greco di Micene, in fuga dalla follia degli Atridi, doveva pur ristabilirlo altrove il toponimo patrio, gli è capitato di farlo qui, molto più lontano di Cerbère, nel cuore dell'inferno, e mai tanto lontano come adesso, che stiamo navigando. Anche se vi costa molto crederci. In questi luoghi ebbe il diavolo la sua prima dimora, furono i suoi zoccoli a bruciare il suolo per poi calpestarne le ceneri, fra montagne che allora rabbrividirono di paura e fino a oggi sono rimaste così, una landa desertica dove perfino Cristo si sarebbe lasciato tentare se del diavolo in persona non conoscesse ormai le astuzie, a quanto è venuto a sapere dai testi biblici. Joaquim Sassa e José Anaiço guardano, che cosa, il paesaggio, ma questa dolce parola appartiene ad altri mondi, ad altre lingue, non si può definire paesaggio quello che gli occhi vedono qui, l'abbiamo chiamata dimora dell'inferno, ma non ne siamo sicuri, ché in luoghi condannati troveremmo di certo uomini e donne, con le bestie a far loro compagnia, fintanto che non giunga il momento di ammazzarle per sopravvivere a loro spese, fra rupi e dirupi, è in questa landa che deve aver composto il poeta che non è mai andato a Granada. Queste sono le terre di Orce, che devono aver bevuto tanto sangue di musulmani e cristiani, sempre nella notte dei tempi, a che serve
parlare di quelli che sono morti tanti anni fa, se è la terra che è morta, e sepolta. Nel paese di Orce i viaggiatori incontrarono Pedro Orce, di professione farmacista, più vecchio di quanto lo avessero immaginato, nel caso ci avessero pensato, ma non tanto quanto il suo avo milionario, sempre che non sia scorretto usare misure che sono in genere di soldi per paragoni di tempo e tenendo conto che l'uno non può comprare l'altro se questo altera il valore di quello. In televisione Pedro Orce non si è visto, quindi non sapevamo che ha già passato i sessanta, che ha viso e corpo magri, i capelli quasi tutti bianchi, se non fosse per il gusto sobrio che gli fa rifiutare l'artificio, nel segreto del suo laboratorio potrebbe preparare tinture castane e bionde, a sua scelta, visto che di manipolazioni chimiche se ne intende. Quando Joaquim Sassa e José Anaiço varcano la sua soglia, sta riempiendo di chinino in polvere le ostie, arcaica medicina che disdegna le forti concentrazioni dei farmaci moderni, ma che, per un sapiente istinto, ha mantenuto l'effetto psicologico di una deglutizione difficile, subito efficace per magia. A Orce, inevitabile posto di passaggio per Venta Micena, una volta calmato il fermento degli scavi e delle scoperte, i viaggiatori sono rari, il cranio dell'antenato più vecchio non sappiamo neppure dove sia, in qualche museo, in attesa di bacheca ed etichetta, in genere il cliente di passaggio compra aspirina, antidiarroici o pasticche digestive, quelli del posto muoiono forse al primo malanno, così non può davvero arricchirsi un farmacista. Pedro Orce ha finito di pressare le ostie, sembra il lavoro di un prestigiatore, inumidite le parti che saranno da sigillare, si comprimono le due placche di ottone, forate, e così il medicamento è pronto, un'ostia di chinino, e dopo ha chiesto che cosa desiderassero, Siamo portoghesi, dichiarazione inutile, basta sentirli parlare per capire che lo sono, ma in fondo è umano dichiarare chi siamo prima di dire perché siamo venuti, soprattutto in casi tanto importanti, viaggiare per centinaia di chilometri solo per domandare, anche se non proprio con queste drammatiche parole, Pedro Orce, giuri sul tuo onore e sull'osso ritrovato di aver sentito tremare la terra quando tutti i sismografi di Siviglia e Granada tracciavano con l'ago fermo la linea più retta che mai si sia vista, e Pedro Orce ha alzato la mano e ha detto, con la semplicità dei giusti e degli onesti, Lo giuro. Le vorremmo parlare in privato, aggiunse Joaquim Sassa alla dichiarazione di nazionalità, e lì stesso, visto che nella farmacia non c'era altra gente, riferirono le vicende personali e note, la pietra, gli storni, il
passaggio della frontiera, della pietra non potevano portare prova, ma quanto agli uccelli bastava solo affacciarsi alla porta e dare un'occhiata, eccoli là, in quella piazza, o nell'altra accanto, l'immancabile assembramento, tutti gli abitanti col naso per aria, meravigliati per lo spettacolo raro, ecco che i volatili sono spariti in picchiata dietro il Castello delle Sette Torri, arabo. E meglio non parlare qui, disse Pedro Orce, risalite in macchina e uscite dalla città, Da che parte, Continuate diritto, verso Maria, per tre chilometri dopo le ultime case, c'è un ponticello e nei pressi un olivo, aspettatemi lì, arriverò fra poco, a Joaquim Sassa sembrò di rivivere la propria vita, quando aveva aspettato José Anaiço, dopo le ultime case, due giorni prima, all'alba. Sono seduti per terra, sotto un olivo di Cordova, quello che, nel ritornello popolare, fa l'olio giallo, come se tutto l'olio non lo fosse, forse qualcuno è un po' verdastro, e il primo a parlare è stato José Anaiço, che non è riuscito a trattenersi, Sono posti che fanno paura, e Pedro Orce ha risposto, A Venta Micena è anche peggio, io sono nato là, un'ambigua formalità che significa sia quello che sembra quanto il suo contrario, a seconda del lettore più che della lettura, anche se questa dipende in tutto e per tutto da quello, per questo ci risulta tanto difficile conoscere il lettore di quanto è stato letto e com'è rimasto ciò che è stato letto dal lettore, speriamo che, in questo caso, Pedro Orce non pensi che la maledizione della terra provenga dal fatto che lui sia nato là. Poi, entrando in argomento, hanno discusso lungamente le loro esperienze di discobolo, uccelliere e sismologo e, in conclusione, hanno deciso che tutte le vicende erano e continuavano a essere fra loro collegate, tanto più che Pedro Orce afferma che la terra non ha smesso di tremare, La sento anche adesso, e ha teso la mano con un gesto dimostrativo. Spinti dalla curiosità, José Anaiço e Joaquim Sassa hanno toccato la mano che era ancora sollevata e hanno sentito, eccome, lo hanno sentito senza alcun dubbio, il tremore, la vibrazione, il ronzio, poco importa che qualche scettico possa insinuare che sitratta del naturale tremolio dell'età, non è poi così vecchio Pedro Orce, né sono confondibili i tremolii e i tremori, per quanto ne dicano i dizionari. Un osservatore che stia guardando da lontano penserebbe che i tre uomini hanno fatto un patto, certo è che per un momento si sono stretti la mano, niente di più. Intorno le pietre moltiplicano il calore, la terra bianca offusca, il cielo è la bocca alitante di un forno, perfino sotto quest'olivo di Cordova, all'ombra. Le olive sono ancora una promessa, per il momento in salvo dalla voracità degli storni, lasciate che arrivi dicembre e vedrete che razzia, ma
l'olivo è uno solo e perciò gli storni non devono frequentare queste zone. Joaquim Sassa ha acceso la radio, perché all'improvviso nessuno dei tre sapeva più cosa dire, né c'è da meravigliarsi, si conoscono da così poco tempo, si sente la voce dell'annunciatore, nasale per affaticamento professionale e pile scariche, Secondo le ultime misurazioni, la velocità di spostamento della penisola si è stabilizzata sui settecentocinquanta metri all'ora, i tre uomini hanno continuato ad ascoltare le notizie, Secondo informazioni or ora giunte in redazione, è comparsa una grande fenditura fra La lìnea e Gibilterra, bla bla bla bla bla, torneremo a darvi notizie, salvo imprevisti, fra un'ora, proprio in quel momento sono passati a raffica gli storni, vruuuuuuuuuuuu, e Joaquim Sassa ha domandato, Sono i tuoi, José Anaiço non ha avuto bisogno di guardare per rispondere sì, per lui è facile, li conosce, Elementare, Watson, direbbe Sherlock Holmes, non c'è stormo pari al suo da queste parti, e ha ragione, ché rari sono gli uccelli all'inferno, solo quelli notturni per via della tradizione. Pedro Orce accompagna il volo dello stormo, prima senz'altro interesse che quello di una curiosità ben educata, poi gli s'illuminano gli occhi di un azzurro cielo e nubi bianche, e non potendo trattenere le parole improvvise, propone, E se andassimo sulla costa a vedere lo scoglio che passa. Sembra un'assurdità, un controsenso, ma non lo è, anche quando viaggiamo in treno crediamo di veder passare gli alberi che sono aggrappati alla terra con le radici, adesso non stiamo viaggiando in treno, ci muoviamo più lentamente su una zattera di pietra che naviga sul mare, senza remore, l'unica differenza è quella che esiste fra il solido e il liquido. Quante volte, per cambiare vita, abbiamo bisogno della vita intera, pensiamo lungamente, prendiamo la rincorsa e poi esitiamo, poi ricominciamo da capo, pensiamo e ripensiamo, ci spostiamo nei solchi del tempo con un movimento circolare, come quei mulinelli di vento che sui campi sollevano polvere, foglie secche, quisquilie, che per molto di più non gli bastano le forze, sarebbe molto meglio se vivessimo in un paese di tifoni. Ma certe volte una parola basta, Andiamo a vedere lo scoglio che passa, e immediatamente si sono alzati in piedi, pronti per l'avventura, non sentono neppure l'aria cocente, come bambini lasciati in libertà scendono la collina di corsa, e ridono. La Due Cavalli è un tizzone ardente, dopo un minuto sono tutti e tre zuppi di sudore, ma si accorgono a malapena del fastidio, è proprio da queste terre del Sud che un giorno sono partiti per scoprire il nuovo mondo, e anche quelli, uomini duri, feroci, sudati come bestie, procedevano nelle corazze di ferro, elmi di ferro in testa, spade
di ferro in mano, contro la nudità degli indiani, vestiti solo di penne d'uccello e di tinture, che scena idilliaca. Non riattraversarono il paese, ché ci sarebbe stato un bel po' da sospettare se fossero passati in automobile Pedro Orce e quei due estranei, o è stato rapito o sono tutti e tre cospiratori in combutta, è meglio chiamare la polizia, ma un vecchio tra i vecchi di Orce direbbe, Qui la guardia civile non la vogliamo. Presero altre strade, sentieri che la normale carta non conosce, adesso ci manca solo la sfinge del turismo, per tracciare la rotta di queste nuove scoperte, era una sfinge allora, e non una sibilla, che di queste agli incroci non se n'è mai viste, anche se sono peninsulari sia queste che quelle. Disse Pedro Orce, Prima vi farò vedere Venta Micena, il mio paese natale, la frase gli era venuta così, come chi si prende gioco di se stesso o batte di proposito dove il dente duole. Passarono per un villaggio in rovina chiamato Fuente Nueva, se mai c'è stata qui una fonte è invecchiata e si è prosciugata e, più avanti, a una curva della strada, Eccola. Gli occhi guardano e, giacché vedono tanto poco, cercano quello che probabilmente manca e non trovano. lì, domandò José Anaiço, e ha ragione a dubitare, ché le case sono rare e sparse, si confondono con il colore del terreno, la torre di una chiesa in basso, un cimitero inconfondibile, qui sul ciglio della strada, una croce e un muro bianchi. Sotto il sole vulcanico le terre fluttuano come un mare pietrificato coperto di polvere, se era tutto così un milione e quattrocentomila anni fa non c'è bisogno di essere paleontologo per giurare che l'Uomo di Orce è morto di sete, ma quelli erano i tempi della gioventù del mondo, il torrente che scorre laggiù allora doveva essere un largo e generoso fiume, dovevano esserci grandi alberi, cespugli alti più di un uomo, e tutto è successo prima che ci mettessero l'inferno. All'epoca giusta, con la pioggia, un po' di verde si spargerà per questi campi color cenere, le sponde basse adesso sono coltivate a costo di grandi sacrifici, seccano e muoiono le piante, poi rinascono e vivono, solo l'uomo non ha imparato ancora come si ripetono i cicli, per lui c'è una volta e mai più. Pedro Orce fa un gesto che abbraccia il misero villaggio, La casa dove sono nato ormai non esiste più, e indicando poi verso sinistra, in direzione di alcune colline dalla cima piatta, E la Cova dos Rosais, è lì che sono state ritrovate le ossa dell'Uomo di Orce. Joaquim Sassa e José Anaiço guardavano il paesaggio livido, un milione e quattrocentomila anni or sono erano vissuti in questo posto uomini e donne che avevano creato uomini e donne che avevano creato uomini e donne, destino, fatalità, fino a oggi, fra un milione e
quattrocentomila anni qualcuno verrà a scavare in questo povero cimitero, e dato che un Uomo di Orce c'è già, chissà che allora non si restituisca il suo al suo padrone e si chiami Uomo di Venta Micena il cranio ritrovato. Non passa nessuno, non si sente il latrato di un cane, gli storni si sono dileguati, un lungo brivido percorre la schiena di Joaquim Sassa, che non riesce a reprimere un senso di malessere, e José Anaiço domanda, Come si chiama quella montagna laggiù, E' la Sierra di Sagra, E questa alla nostra destra, La Sierra di Maria, Quando l'Uomo di Orce morì, deve essere stata quella l'ultima visione dei suoi occhi, Come l'avrà chiamata parlando con gli altri uomini di Orce, quelli che non hanno lasciato crani, domandò Joaquim Sassa, A quell'epoca ancora niente aveva nome, disse José Anaiço, Come si può guardare una cosa senza metterle un nome, Bisogna aspettare che il nome nasca. Rimasero tutti e tre a guardare, senz'altre parole, alla fine Pedro Orce disse, Andiamo, era tempo di lasciare il passato alla sua pace inquieta. Durante il viaggio Pedro Orce rifece il resoconto delle sue avventure, vi aggiunse qualche particolare, gli scienziati erano arrivati al punto di legarlo, presenti le autorità, a un sismografo, idea disperata, ma fruttuosa, perché poterono così accertarsi della verità che lui affermava, l'ago dello strumento aveva registrato immediatamente il tremore della terra, per poi tornare alla linea retta appena il paziente era stato allontanato dalla macchina. Quello che non ha spiegazione, è già spiegato, disse il sindaco di Granada, lì presente, ma uno dei saggi lo corresse, Ciò che non ha spiegazione, dovrà aspettare ancora un pochettino, aveva parlato senza alcun rigore scientifico, ma tutti lo capirono e gli diedero ragione. Mandarono Pedro Orce a casa, che si tenesse a disposizione della scienza e dell'autorità, e che non parlasse delle sue doti extrasensoriali, una raccomandazione che non differiva molto dalla decisione presa dai veterinari francesi sulla misteriosa questione della sparizione delle corde vocali dei cani di Cerbère. La Due Cavalli punta finalmente a sud, ormai per strade frequentate, da queste parti non sembra esserci mancanza di combustibili, benzina, nafta, ma a poco a poco è stata costretta a ridurre l'andatura allegra, davanti a lei procede, lentamente, una fila interminabile, altre automobili, camion e autobus, moto, biciclette, motorini, vespe, carri tirati da muli, asini con gente in groppa, ma Roque Lozano fra quelli non c'è, e altri a piedi, tanti, chi fa l'autostop, chi disdegna palesemente i trasporti come se stesse compiendo una penitenza, o un voto, è più probabile che sia un voto, né vale la pena domandare a nessuno dove stia andando, non occorre chiamarsi Pedro Orce
per avere lo stesso pensiero e desiderio di veder passare in lontananza Gibilterra alla ventura, basta essere spagnolo, e qui ce ne sono molti. Vengono da Cordova, da Linares, da Jaén, da Guadix, le città principali, ma anche da Higuera de Arajona, da El Tocón, da Bular Bajo, da Alamedilla, da Jesùs del Monte, da Almacegas, sembra che da ogni dove abbiano inviato delegazioni, questi uomini sono stati molto pazienti, dal millesettecentoquattro, fate voi i conti, se Gibilterra non sarà per noi, che ci siamo modellati sul mare, non sia neppure per gli inglesi. Il fiume di gente è così largo che la polizia stradale, dov'era possibile, ha dovuto aprire una terza corsia discendente, ce ne sono pochi che vanno a nord, solo per qualche buona ragione, una morte o una malattia, e purtuttavia li guardano con circospezione, sospetti di anglofilia, magari vogliono nascondere lontano il dolore per questo distacco geologico e strategico. Ma questo giorno, per la gran massa, è giorno di grande festa, settimana santa tanto quanto l'altra, e ci sono camioncini che trasportano cristi, beate vergini e madonne, bande con gli strumenti luccicanti al sole, e sulla groppa degli asini si vedono montagne di fuochi d'artificio e mortaretti, se qualcuno vi avvicinasse un cerino acceso, come Clavileno salterebbero su fino alla seconda e alla terza regione dell'aria, e a quella del fuoco, dove si abbrustolirebbe la barba di Sancho, se, vista la sua solita dabbenaggine, si disponesse a farsi ingannare di nuovo. Le ragazze sono vestite con quanto di meglio hanno in trine e fronzoli, con mantiglie e scialli, e i vecchi, quando non ce la fanno più a camminare, li portano i giovani sulle spalle, figlio tu sei, padre sarai, quanto hai dato, ti sarà ridato, finché si ferma un veicolo, uno qualunque, e prosegue la marcia, alleggerito il corpo stanco, tutti diretti alla costa, alle spiagge, meglio ancora ai punti alti sovrastanti il mare, perché si possa vedere tutta la maledetta scogliera, peccato che non si possano sentire, da questa distanza, gli urli delle scimmie, disorientate perché la terra non è in vista. A mano a mano che il mare si avvicina, il transito si fa difficile, ormai c'è chi abbandona l'automobile e prosegue a piedi, o chiede posto a quelli che vanno con il carro o con l'asino, costoro non possono abbandonare gli animali alla grazia di Dio, devono occuparsene, dar loro da bere, avvicinargli al muso la cesta di paglia e fave, perfino la polizia è al corrente della situazione, è tutta gente di origine campagnola, pertanto gli ordini sono di lasciare sul ciglio della strada i furgoni e le automobili, gli animali possono proseguire, e sono altrettanto autorizzate le moto, le biciclette, le vespe e i motorini, che sono aggeggi con doti di facile penetrazione perché meno ingombranti. Le
bande musicali, appiedate, accennano i primi paso-doble, qualche artificiere più eccitato, o patriota, ha lanciato prematuramente un mortaretto molto potente, ma è stato redarguito dai colleghi che non erano disposti a bruciare i loro fuochi senza vederne il motivo. Anche la Due Cavalli si è fermata, era l'unica auto portoghese in quel corteo, cioè con targa portoghese, vedere Gibilterra alla deriva in mare non le fa né caldo né freddo, la sua pena storica si chiama Olivenca e questa strada, là, non ci porta. Si vede ormai gente smarrita, mogli che chiamano i mariti, bambini che invocano i genitori, ma tutti, per fortuna, finiranno per ritrovarsi, se questa non è giornata di risate, neppure dovrà essere di lacrime, a Dio Padre e al suo Figlio Cucciolo piacendo. C'è pure qualche cane che fiuta, pochi sono quelli che abbaiano, tranne quando si azzuffano, di Cerbère non ce n'è nessuno. E di due asini che erano comparsi lì, senza padrone nei dintorni, imprudentemente ne hanno approfittato Pedro Orce, Joaquim Sassa e José Anaiço, a turno, uno a piedi e due a riposarsi, ma non è durato molto quel riposo, gli asini appartenevano a un gruppo di zingari diretti a nord, gliene importava assai di Gibilterra a loro, e se non fosse che Pedro Orce è spagnolo, e tra i più antichi e dichiarati, si sarebbe versato sangue portoghese. Lungo la costa l'assembramento non ha fine, è un accampamento, migliaia e migliaia di persone con gli occhi fissi sul mare, c'è chi sale sui tetti e sulle cime degli alberi, per non parlare di quegli altri mille che non sono voluti andare così lontano, se ne son rimasti con occhiali e binocoli sulle alture della catena della Contraviesa o sulle falde della Sierra Nevada, qui ci interessano solo i più semplici, quelli che non hanno avuto bisogno di toccare con mano le cose per riconoscerle, tanto vicino costoro non potranno arrivare, ma per questo hanno fatto bene. José Anaiço, Joaquim Sassa e Pedro Orce sono venuti con loro, per spirito entusiasta di Pedro Orce e affettuosa franchezza degli altri, adesso sono seduti su alcune pietre che danno sul mare, siamo all'imbrunire ed è Joaquim Sassa che, pessimista come si è già confessato, dice, Se Gibilterra passerà di notte, saremo venuti inutilmente, Almeno ne vedremo le luci, ha ribattuto Pedro Orce, e sarà anche più bello, vedere la roccia allontanarsi come una nave illuminata, allora sì, saranno giustificati i fuochi d'artificio al completo, con girandole, piogge, cascate, o come le chiamano, mentre la roccia si perde pallidamente in lontananza, si è dissolta nella notte buia, addio, addio, mai più ti rivedrò. Ma José Anaiço aveva aperto la mappa sulle ginocchia, ha fatto calcoli con matita e carta, ripetendoli a uno a uno per esserne del tutto certo, ha ricontrollato la scala, ha
fatto la prova del nove e infine ha dichiarato, Gibilterra, amici miei, ci impiegherà una decina di giorni ad arrivare, sorpresa incredula dei compagni, allora ha mostrato loro i calcoli, non ha avuto neppure bisogno di fare appello alla sua autorità di professore, per fortuna queste scienze sono ormai alla portata degli intelletti più primitivi, Se la penisola, o isola, o quel che sia, si sposta a una velocità di settecentocinquanta metri all'ora, risulta che percorrerà diciotto chilometri al giorno, ora, dalla baia di Algeciras fino a dove ci troviamo in linea retta ci sono quasi duecento chilometri, quindi fate il conto, che è molto facile. Di fronte alla dimostrazione irrefutabile, Pedro Orce ha abbassato la testa sconfitto, E noi siamo venuti insieme a tutta questa gente, di corsa perché era arrivato il giorno di gloria, oggi avremmo schernito la Pietra Cattiva, e finisce che dobbiamo restarcene qui ad aspettare dieci giorni, nessun incendio può durare tanto, E se le andassimo incontro per le strade della costa, questo è venuto in mente a Joaquim Sassa, No, non vale la pena, ha risposto Pedro Orce, per queste cose ci vuole il momento giusto, fino a che non diminuisce l'entusiasmo, è adesso che doveva passare davanti ai nostri occhi, è adesso che siamo esaltati, lo siamo stati, ora non più, Che cosa facciamo, allora, ha domandato José Anaiço, Ce ne andiamo, Non vuoi restare, Non è dopo il sogno che il sogno lo si può vivere, In tal caso, partiamo domani, Così presto, La scuola mi aspetta, E a me l'ufficio, E a me la farmacia, sempre. Si sono messi a cercare la Due Cavalli, ma mentre cercano e tardano a trovarla, è il momento di dire che molte migliaia di persone che non hanno avuto voce né voto in questa storia, neppure sono arrivate a fare le comparse sullo sfondo del palcoscenico, migliaia di persone non si sono mosse di un passo in questi dieci giorni e dieci notti, hanno mangiato le provviste che avevano portato e dopo, il secondo giorno, quando le hanno finite, sono andate a comprare quel che c'era da queste parti, e hanno cucinato all'aria aperta, con grandi falò che erano come roghi di altri tempi, e quelli che avevano finito i soldi purtuttavia non hanno fatto la fame, dove mangiava uno mangiavano tutti, questi sono tempi di nuovi fratelli, se è umanamente possibile esserlo stati e tornare a esserlo. Questa ammirevole fraternità non la sperimenteranno Pedro Orce, José Anaico e Joaquim Sassa, loro hanno voltato le spalle al mare, adesso è il loro turno di essere guardati con sospetto da tutti quelli, e sono tanti, che ancora continuano a scendere. Frattanto è calata la sera, si accendono i primi lumi, Andiamo, ha detto José Anaiço. Pedro Orce viaggerà in silenzio sul sedile posteriore, triste, con gli
occhi chiusi, adesso o mai più, migliore occasione non avremo per ricordare il ritornello portoghese, Dove vai, vado alla festa, Da dove vieni, vengo dalla festa, anche senza l'aiuto dei punti esclamativi e dei puntini di sospensione si vede subito la differenza che c'è fra la gioiosa attesa della prima risposta e la disincantata fatica della seconda, solo nella pagina su cui sono scritte sembrano uguali. Durante tutto il viaggio, solo tre parole sono state pronunciate, Cenate con me, uscite dalla bocca di Pedro Orce, è il suo dovere di ospitalità. José Anaiço e Joaquim Sassa non hanno ritenuto necessario rispondere, qualcuno potrebbe dire che sia stata maleducazione non aprir bocca, ma ne sa poco delle nature umane, qualcun altro più informato giurerebbe che questi tre uomini sono diventati amici. E' notte fonda quando entrano a Orce. Le strade, a quest'ora, sono un deserto di ombre e di silenzio, si può lasciare la Due Cavalli davanti alla porta della farmacia, è bene che la lascino riposare, domani riprenderà la strada portando un carico di tre uomini, come sarà deciso dentro casa intorno alla tavola, con qualcosa di semplice nel piatto, ché anche Pedro Orce vive solo e non c'è stato tempo per migliori gastronomie. Hanno acceso la televisione, adesso le notizie le dànno di ora in ora, e hanno visto Gibilterra, non solo separata dalla Spagna, ma quando ne era ormai lontana un bel po' di chilometri, come un'isola alla deriva in mezzo all'acqua, trasformata, povera lei, in un picco, un pan di zucchero o uno scoglio, con i suoi mille cannoni fuori uso così senza munizioni né bersagli. Anche se insistessero nell'aprire nuove feritoie sul lato nord, ne sarebbe magari stuzzicato l'orgoglio imperiale, ma sarebbero soldi buttati in mare, tanto nel significato proprio come in quello figurato. Furono senza dubbio immagini impressionanti, ma niente a paragone dello shock provocato da una serie di fotografie prese da un satellite che mostravano il progressivo allargamento del canale fra la penisola e la Francia, si aggricciavano la pelle e i capelli nel vedere così grande fatalità, più grande della forza umana, ché ormai non si trattava più di un canale ma di acqua aperta, dove le imbarcazioni navigavano in tutta libertà, in mari, questa volta sì, mai solcati prima. E' chiaro che lo spostamento non si riusciva a cogliere, da quell'altezza una velocità di settecentocinquanta metri all'ora non si può notare a occhio nudo, ma per l'osservatore era come se la grande massa di pietra gli si spostasse dentro la testa, chi era sensibile arrivò al punto di svenire, altri accusavano vertigini. Seguivano poi immagini registrate a bordo degli instancabili elicotteri, la gigantesca scarpata dei Pirenei, tagliata a piombo, e il minuscolo formicaio di gente che si muoveva verso sud, come
una migrazione improvvisa, solo per vedere Gibilterra alla deriva, un'illusione ottica, perché siamo noi a essere trascinati nella corrente, e anche, particolare pittoresco, notizia di cronaca, un volo di storni, migliaia, come una nuvola che si sia intromessa nel campo dell'obiettivo, scurendo il cielo, Perfino gli uccelli rispondono al turbamento degli uomini, fu la parola usata dall'annunciatore, rispondono, mentre quello che si impara dalla storia naturale è che gli uccelli hanno i loro motivi per andare dove gli fa piacere o comodo, non rispondono né a Me, né a Te, al massimo a José, che dice con ingratitudine, Me ne ero già dimenticato. Fecero vedere anche il Portogallo, immagini della costa atlantica, con le onde che si frangevano sulle rocce o rivoltavano la sabbia, e c'era molta gente con lo sguardo fisso sull'orizzonte, con quell'aria tragica di chi si è preparato da secoli all'ignoto e teme che alla fine non venga, o sia uguale a quanto di comune e di banale recano tutte le ore. Adesso eccoli lì, come ha detto Unamuno, la cara morena entre ambas palmas, clavas tus ojos donde el sol se acuesta solo en la mar inmensa, tutti i popoli col mare a ponente fanno la stessa cosa, questo è moreno, non c'è altra differenza, e ha navigato. Lirico, estasiato, l'annunciatore spagnolo declama, Guardate i portoghesi, lungo le loro spiagge dorate, che furono prua dell'Europa e non lo sono più, perché dal molo europeo ci siamo distaccati, ma fendendo di nuovo le onde dell'Atlantico, quale ammiraglio ci guida, quale porto ci attende, l'ultima immagine ha fatto vedere un ragazzino di pochi anni che lanciava un sassolino in mare, con quella maestria del rimbalzo che non abbisogna di apprendistato, e Joaquim Sassa ha detto, Ha la forza della sua età, la pietra non poteva andare più lontano, ma la penisola, o quel che sia, ha dato l'impressione di avanzare con maggior vigore sul mare grosso, tanto fuori della norma in questo periodo estivo. L'ultima notizia l'annunciatore l'ha data di passaggio, come se non vi attribuisse molta importanza, Sembra si noti una certa instabilità tra le popolazioni, molta gente sta abbandonando la propria casa, ma non solo in Andalusia, dove se ne conosce il motivo, e tenendo conto che la maggior parte di loro si dirige verso il mare, si pensa che si tratti di un moto naturale di curiosità, in ogni caso garantiamo ai nostri spettatori che sulla costa non c'è niente da vedere, come abbiamo avuto la possibilità di accertare, tutti quei portoghesi che guardavano guardavano e non vedevano niente, non comportiamoci come loro. Disse allora Pedro Orce, Se avete un posto per me, vengo con voi.
Tacquero Joaquim Sassa e José Anaiço, non capirono perché mai uno spagnolo così sensato avesse voglia di andare nelle terre e sulle spiagge del Portogallo. La domanda era buona e pertinente, come padrone della Due Cavalli toccò a Joaquim Sassa farla, e Pedro Orce rispose, Non voglio restare qua, con questo suolo che mi trema sempre sotto i piedi, e la gente a ripetermi che sono fantasie della mia testa, Probabilmente sentirai la stessa cosa in Portogallo e la stessa cosa ti dirà la gente di là, disse José Anaiço, e noi abbiamo le nostre occupazioni, Non vi sarò di peso, mi portate fin là, mi lasciate a Lisbona, dove non sono mai stato, prima o poi tornerò, E la tua famiglia, la farmacia, Famiglia avrete ormai capito che non l'ho, sono l'ultimo, per la farmacia si risolve, c'è l'assistente, se ne occupa lui. Non c'era altro da discutere, nessuna ragione per rifiutare, Ci fa molto piacere che ci faccia compagnia, questo disse Joaquim Sassa, La cosa peggiore è se ti prendono alla frontiera, ricordò José Anaiço, Dirò che sono andato a fare un giro per la Spagna, perciò non potevo sapere di essere ricercato, e che mi andrò immediatamente a presentare al governatore civile, ma è più sicuro che non avrò bisogno di dare spiegazioni, staranno più attenti a chi esce che non a chi entra, Passiamo in un altro posto di frontiera, per via degli storni, ricordò José Anaiço, e subito dopo dispiegò sul tavolo la mappa, tutta la Penisola iberica, disegnata e variopinta al tempo in cui era tutta terra ferma e il callo osseo dei Pirenei reprimeva la tentazione vagabonda, in silenzio i tre uomini se ne rimasero a guardare la rappresentazione piana di questa parte del mondo come se non la riconoscessero, Diceva Strabone che la penisola ha la forma di una pelle di bue, queste parole le mormorò intensamente Pedro Orce, e nonostante la notte calda Joaquim Sassa e José Anaico rabbrividirono, come se gli si fosse levata dinanzi agli occhi la bestia ciclopica che stava per essere sacrificata e scuoiata per aggiungere al continente Europa una spoglia che avrebbe continuato a sanguinare per tutti i tempi dei tempi. La mappa dispiegata mostrava le due patrie, il Portogallo frastagliato, sospeso, la Spagna scardinata a sud, e le regioni, le province, i distretti, il grosso pietrisco delle città maggiori, il pulviscolo dei paesi e villaggi, ma neanche tutti, ché molte volte la polvere è invisibile a occhio nudo, Venta Micena ne è stata solo un esempio. Le mani lisciano e sfiorano la mappa, passano sull'Alentejo e continuano verso nord, come se accarezzassero un viso, dalla sinistra alla destra, è il senso delle lancette dell'orologio, il senso del tempo, le Beiras, il Ribatejo davanti, e poi Trás-os-Montes e il Minho, la
Galizia, le Asturie, il Paese Basco e Navarra, Castiglia e León, Aragona, la Catalogna, Valenza, l'Estremadura, la nostra e quella loro, l'Andalusia, dove ancora ci troviamo, l'Algarve, in quella José Anaiço ha messo il dito sulla foce della Guadiana e ha detto, Entriamo da qui. Purificati dalle raffiche di Rosal de la Frontera, di sanguinosa memoria, gli storni, questa volta prudenti, fecero un largo giro a nord e andarono a passare dove l'aria era libera e la circolazione aperta, a circa tre chilometri dal ponte, che ai giorni di cui stiamo parlando era già stato costruito, ed era ora. Alla polizia di parte portoghese non fece specie che si chiamasse Joaquim Sassa uno dei tre viaggiatori, si capiva che ben più gravi preoccupazioni assorbivano l'animo dell'autorità, e quali fossero lo si seppe dal dialogo. Dove volete andare, domandò la guardia, A Lisbona, rispose José Anaiço, che era al volante e domandò, Perché, Troverete posti di blocco per le strade, rispettate alla lettera le istruzioni che vi daranno, non forzate il passaggio né cambiate giro, che vi costerebbe caro. E' successa qualche disgrazia, Dipende, Non ci dica che pure l'Algarve si sta separando, prima o poi doveva succedere, ce l'hanno sempre avuta, loro, quell'idea di essere un regno a parte, Il fatto è un altro, e più grave, vogliono occupare gli alberghi, dicono che se i turisti non ci sono, loro hanno bisogno delle case, Non lo sapevamo, e quando è cominciata l'invasione, Ieri sera. Accipicchia, esclamò José Anaiço, fosse stato francese avrebbe detto, ET, alors, ognuno ha la sua maniera di esprimere la sorpresa che anche l'altro ha sentito, ascoltate quel che, sonoramente, ha detto Pedro Orce, Caramba, quanto a Joaquim Sassa, se n'è sentito appena l'eco, Accipicchia. Il poliziotto li fece proseguire, li avvertì di nuovo, Attenzione ai posti di blocco, e la Due Cavalli poté attraversare Vila Real de Santo António, mentre i passeggeri commentavano quel fatto straordinario, in fondo chi l'avrebbe detto, i portoghesi sono di due specie differenti, ci sono alcuni che se ne vanno sulla spiaggia e sulle dune a contemplare malinconici l'orizzonte, e altri che avanzano intrepidi sulle fortezze alberghiere difese dalla polizia, dalla guardia repubblicana e, a quanto risulta, anche dall'esercito, feriti ce ne sono già, e questo glielo hanno detto segretamente in un caffè dove hanno deciso di fermarsi a prendere qualche informazione. Così sono venuti a sapere che in tre alberghi, di Albufeira di Praia da Rocha e di Lagos, la situazione è critica, al punto che le forze dell'ordine hanno circondato gli edifici in cui gli insorti si sono ammutinati sprangando porte e finestre, tagliando vie d'accesso, sono come mori assediati, infedeli senza remissione
che hanno rinnegato la parola, badano altrettanto poco agli appelli come alle minacce, sanno bene che dopo la bandiera bianca arriverà il gas lacrimogeno, perciò non parlamentano, e non conoscono la parola resa. Pedro Orce ne è impressionato, continua a ripetere sottovoce, Caramba, e gli si legge in faccia un certo dispetto patriottico, la mortificazione che non siano stati gli spagnoli ad avere l'iniziativa. Al primo posto di blocco volevano farli deviare verso Castro Marim, ma José Anaiço ha protestato che aveva un affare importante e improrogabile da trattare a Silves, ha detto Silves per non destare sospetti, D'altronde, ho bisogno di passare per le strade all'interno, E il più all'interno possibile, se volete evitare complicazioni, raccomandò l'ufficiale responsabile, tranquillizzato dall'aria pacifica dei tre passeggeri e dalla rispettabilità provata della Due Cavalli, Ma, signor tenente, in una situazione del genere, con il paese che se ne sta andando alla deriva, e la parola non poteva venire più a proposito, ce ne stiamo qui a preoccuparci per l'occupazione di qualche albergo, non è mica una rivoluzione, per cui si ha bisogno di decretare una mobilitazione generale, a volte le masse sono impazienti, niente di più, il commento fu di Joaquim Sassa, poco diplomatico, per fortuna il tenente era uno di quelli che non si rimangiano la parola, secondo le antiche tradizioni, altrimenti sarebbero dovuti passare davvero per Castro Marim. Però l'impertinente non si poté sottrarre alla ramanzina militare, L'esercito è qui per compiere il suo dovere, secondo lei sarebbe giusto che, per via delle caserme scomode, andassimo a occupare lo Sheraton o il Ritz, deve essere molto disorientato questo ufficiale per condiscendere a dare soddisfazione a uno zotico. Ha pienamente ragione, signor tenente, il mio amico è così, non pensa a quello che dice, per quanto glielo raccomandi, Infatti dovrebbe pensare, ché ormai l'età ce l'ha, concluse perentoriamente l'ufficiale. Con un gesto secco, li fece proseguire, e non udì quello che disse Joaquim Sassa, e meno male, o il tutto si sarebbe concluso in gattabuia. Furono bloccati da altri sbarramenti, quello delle guardie repubblicane, meno benevole, dovettero fare qualche deviazione per certe stradacce fino a poter tornare sulla via principale. Joaquim Sassa era scocciato, e con ragione, era stato rimproverato due volte, Che il tenente abbia fatto la sua parte di duro, passi, ma non c'era bisogno che tu dicessi che non penso a quello che dico, Scusa, è stato per evitare che la discussione si inasprisse, lo stavi trattando con ironia, è uno sbaglio, con le autorità non si deve mai essere ironici, o non capiscono, e allora non ne vale la pena, oppure capiscono, ed è molto peggio.
Pedro Orce chiese che gli spiegassero, lentamente, l'oggetto della discussione, e il necessario cambiamento di tono, le spiegazioni, dimostrarono che non si trattava di una cosa importante, quando Pedro Orce capì tutto, fu tutto capito. Dopo la biforcazione di Boliqueime, in un tratto di strada deserto, José Anaiço, approfittando di una cunetta poco fonda e senza avvisare, entrò con la Due Cavalli per i campi, Dove vai, gridò Joaquim Sassa, Se seguiamo la strada, come bambini ubbidienti, non riusciremo mai ad avvicinarci a uno di quegli alberghi, e noi vogliamo vedere che sta succedendo, sì o no, rispose tra un sobbalzo e l'altro José Anaiço, alle prese con il volante instabile, la macchina saltava come una matta sulla terra arata. Pedro Orce, sul sedile posteriore, era sbattuto da una parte all'altra, senza compassione né pietà, e Joaquim Sassa, che era scoppiato a ridere, rispondeva a singhiozzo, Buona questa, buona questa. Per fortuna, trecento metri più in là trovarono un sentiero nascosto tra i fichi, dietro un muretto diroccato, fatto di pietre una sull'altra, o di pietre che il tempo aveva liberato dalla calce. Erano, per così dire, nel teatro delle operazioni. Usando tutte le cautele, si stavano avvicinando ad Albufeira, appena possibile sceglievano i campi piani, il peggio sono i nuvoloni di polvere che alza la Due Cavalli, è poco esperta come battitore e staffetta, ma la polizia ormai è lontana, a guardia degli incroci, dei nodi stradali più importanti, come si dice nel moderno linguaggio delle comunicazioni, del resto gli effettivi delle forze dell'ordine non sono neppure tanto numerosi da poter coprire strategicamente una provincia così ricca di alberghi, come di carrube, se ci è permesso il paragone. In realtà, chi ha come destinazione prossima la città di Lisbona non avrebbe bisogno di avventurarsi da queste parti dove regna la sovversione, ma vale la pena accertarci della verità delle informazioni, si è visto mille volte che i racconti riportati sono racconti gonfiati, magari c'era stato qualche caso isolato, o due, e i posti di blocco, in fin dei conti, potevano essere l'applicazione pratica di quella prudenza di prassi che fa prevenire per non dover porre rimedio. Ma ormai c'erano infiltrazioni. Tra gli alberi radi avanzavano, calpestando ansiosamente la terra rossa, uomini e donne con sacchi, valigie e fardelli sulle spalle, bambini piccoli in braccio, secondo loro vogliono prendere il posto nell'albergo così, con questi pochi averi e i familiari più stretti a garanzia, la moglie e i figli, poi, se tutto andrà bene, faranno venire gli altri parenti, e il letto, il baule, il tavolo, in mancanza di più ricche varietà, non gli è venuto in mente a nessuno che negli alberghi, se c'è qualcosa che abbonda, sono
proprio i letti e i tavoli, e se di bauli ce ne sono molti di meno, gli armadi ne fanno vantaggiosamente le veci. Alle porte di Albufeira si preparava la battaglia campale. I viaggiatori avevano lasciato la Due Cavalli in retroguardia, tranquillamente all'ombra, in un tal frangente non si può far conto sul suo aiuto, è un'entità meccanica, senza emozioni, dovunque la portino va, dove si trova sta, gliene importa assai che la penisola stia navigando o meno, non sarà certo perché si sposta che le distanze si accorceranno. Ebbe il combattimento un preambolo oratorio, come si usava un tempo, nell'antichità delle guerre, con sfide, esortazioni alle truppe, preci alla Vergine o a San Giacomo, sono sempre buone le parole all'inizio, pessimi i loro risultati, ad Albufeira non servì a niente l'arringa del capo delle truppe popolari d'invasione, eccome, se l'aveva fatta bene, Guardie, soldati, amici, aprite bene le orecchie, concedetemi la vostra attenzione, voi siete, e non dimenticatelo, figli del popolo come noi, di questo popolo tanto sacrificato che fa le case e non ne ha, che costruisce alberghi e non guadagna abbastanza da alloggiarvi, notate che siano venuti qui con i nostri figli e le nostre mogli, ma non siamo venuti certo a chiedere la luna, solo un tetto più degno, un tetto più solido, stanze per dormire con la semplicità e il rispetto che si deve agli esseri umani, noi non siamo animali, e non siamo neppure macchine, abbiamo sentimenti, ebbene questi alberghi, non solo sono vuoti, ma hanno centinaia, migliaia di stanze, abbiamo fatto gli alberghi per i turisti e quelli se ne sono andati, per non tornare più, fintanto che c'erano loro eravamo rassegnati alla nostra grama esistenza, ma adesso, per favore, fateci entrare, pagheremo un affitto uguale a quello che pagavamo per la casa da dove veniamo, non sarebbe giusto chiederci di più, e giuriamo, per quello che c'è di sacro e per quello che non c'è, che tutto sarà sempre pulito e ordinato, quanto a questo non c'è donna che arrivi ai calcagni delle nostre, lo so, lo so, avete ragione, ci sono i bambini, i bambini sporchi sporcano molto, ma i nostri saranno presto tutti lavati e strigliati, è facile, in ogni stanza a quanto pare, c'è il bagno, con doccia o vasca a scelta, acqua calda e fredda, quindi ci vuole poco a essere puliti, e se qualcuno tra i nostri figli, perché già avanti con l'età e con il vizio della sporcizia, non si abituerà all'igiene, i figli suoi, ve lo prometto, saranno i bambini più puliti del mondo, si tratta di dargli un po' di tempo, è solo di questo che hanno bisogno gli uomini, di tempo, ed è soltanto questo che hanno, il resto non è che illusione, questa non se l'aspettava nessuno, che si mettesse a fare il filosofo il capo dei ribelli.
Si vede dai lineamenti del viso, e dalle carte d'identità sarebbe confermato, che i soldati sono veri figli del popolo, ma il loro maggiore o lo è pure lui e ha ripudiato sui banchi della scuola militare l'umile ascendenza, oppure fin dalla nascita appartiene alle classi superiori, per le quali gli alberghi in Algarve sono stati fatti, dalla sua risposta non si può sapere, Fatevi indietro, o vi spacco il muso, questo linguaggio volgare non è solo appannaggio degli strati bassi. Le truppe vedevano in quell'assembramento l'amata figura del padre e della madre, ma il dovere, quando ci chiama, è più forte, Oh, luce dei miei occhi, dice la madre al figlio che sta per darle una randellata. Ma il comandante contadino, scambiando per disperazione l'espressione e il vocativo, esclamò con ira, Razza di lecchini, che non riconoscete il petto che vi ha dato il latte, libertà poetica, accusa di scarso significato e consistenza nulla, visto che non ci sono né figli né figlie che possano ricordarsene, benché abbondino le autorità in materia le quali affermano che, in fondo alla nostra coscienza, segretamente custodiamo queste e ben altre spaventose memorie, e che la nostra vita è tutta fatta di queste e altre paure. Il maggiore non gradì di essere apostrofato come lecchino e, lì per lì, gridò, Carica, mentre, esaltato, il generale degli invasori incitava, A noi, patrioti, e si mischiarono tutti, corpo a corpo, e ci fu un terribile scontro. Fu allora che giunsero sul posto Joaquim Sassa, Pedro Orce e José Anaiço, curiosi ma innocenti, e si trovarono in mezzo ai guai, ché la truppa, perduta la testa, non distingueva fra attori e spettatori, possiamo dire che pur non abbisognando di casa, i tre amici per lei furono costretti a battersi. Pedro Orce, nonostante l'età, combatteva come se questa fosse la sua terra, gli altri facevano del loro meglio, forse un tantino di meno, perché appartenevano alla razza pacifica. C'erano feriti che si trascinavano o erano portati sul ciglio della strada, donne che si lamentavano fra pianti e maledizioni, gli infanti erano stati messi in salvo nei carri, ché battaglie del genere solo medievali e con le parole del tempo. Una pietra lanciata di lontano da un adolescente di nome Davide fece cadere a terra il maggiore Golia, sanguinante da una profonda ferita al mento, non lo ha potuto proteggere l'elmo di ferro, ecco il risultato di aver smesso di usare visiere e nasali, e il peggio fu che nella confusione dell'attacco gli insorti oltrepassarono l'esercito, attraversandolo da parte a parte, per disperdersi subito dopo, con una mossa tattica istintiva ma geniale, per le strade e gli erti vicoli, evitando così che i militari che circondavano l'albergo occupato potessero accorrere, più o meno efficacemente, a rinforzo del battaglione sconfitto, di tale umiliazione non c'era memoria fin dai tempi
delle rivolte contadine del Trecento. Uno degli albergatori, forse con la mente obnubilata, o convertito d'improvviso agli interessi del popolo, spalancò le sue porte dicendo, Entrate, entrate, meglio voi che il deserto. Di fronte a tale facilità di resa, si ritrovarono Pedro Orce, José Anaiço e Joaquim Sassa a occupare una camera per la quale non avevano davvero lottato e che due giorni dopo avrebbero ceduto a una delle famiglie più bisognose, con una nonna rimbambita e tanti feriti da curare. In quella confusione mai vista, ci furono mariti che persero le mogli, figli che persero i genitori, ma il risultato di così drammatici eventi, cosa che nessuno saprebbe inventare, il che prova di per sé l'irriducibile veridicità del racconto, il risultato, dicevamo, fu che una stessa famiglia, dispersa, ma animata da uguale dinamismo nelle sue parti sradicate, si installò in alberghi diversi, visto che era troppo laborioso riunire sotto un unico tetto chi, in fondo, a un unico tetto diceva di aspirare, generalmente finivano per piazzarsi tutti nell'albergo a più stelle. I commissari di polizia, i colonnelli dell'esercito e della guardia repubblicana chiedevano a Lisbona rinforzi, mezzi blindati e istruzioni, il governo, non sapendo come districarsi, mandava ordini e contrordini, minacciava e chiedeva per favore, sembrava addirittura che si fossero già dimessi tre ministri. Frattanto, dalla spiaggia e dalle strade di Albufeira, si potevano vedere le famiglie trionfanti alle finestre degli alberghi, in quelle belle e ampie terrazze con il tavolino per la colazione e le sedie a sdraio imbottite, il capofamiglia piantava i primi chiodi e tendeva i fili su cui sarebbe stato steso il bucato settimanale, che la madre, cantando, aveva già cominciato a lavare dentro, nel bagno. E le piscine fervevano di tuffi e nuotate, nessuno si era ricordato di spiegare ai ragazzi che prima bisogna fare la doccia e solo dopo immergersi nell'acqua azzurra, non sarà affatto facile far dimenticare a questa gente le abitudini del loro quartiere di catapecchie. Molto di più, e molto meglio delle buone lezioni, prosperano e fruttificano sempre i cattivi esempi, e non si sa per quali rapidissime vie si trasmettano, ché in poche ore il movimento popolare di occupazione passò la frontiera, dilagò per tutta la Spagna, immaginatevi che cosa ci sarà stato a Marbella e Torremolinos, dove gli alberghi sono come città e bastano tre a fare una megalopoli. L'Europa, nell'apprendere le allarmanti notizie, cominciò a gridare, Anarchia, Caos Sociale, Attentato alla Proprietà Privata, e un giornale francese, uno di quelli che creano l'opinione pubblica, titolò sibillinamente la prima pagina in tutta la sua ampiezza, Non Si Può Sfuggire Alla Natura. Questa sentenza, benché poco originale, colse nel segno, quando
gli europei parlavano dell'antica penisola iberica, si stringevano nelle spalle e dicevano, Che ci volete fare, loro sono così, non si può sfuggire alla natura, l'unica eccezione a quel coro di condanne venne da quel machiavellico giornaletto napoletano che annunciò, Risolto il problema della casa in Portogallo e in Spagna. Nei giorni in cui i tre amici si trattennero ad Albufeira, il pronto intervento della polizia, appoggiato dalle squadre speciali, tentò di liberare con la forza uno degli alberghi, ma la reazione unanime e concorde dei nuovi ospiti e dei proprietari, quelli decisi a resistere fino all'ultima stanza, questi temendo la solita distruzione lasciata dai salvatori, fece sospendere le operazioni, rimandate ad altra occasione, una volta che il tempo e le promesse avessero allentato la sorveglianza. Quando Pedro Orce, Joaquim Sassa e José Anaico ripresero il viaggio per Lisbona, gli edifici occupati erano ormai pieni di commissioni di inquilini democraticamente elette, che formavano servizi specializzati e cioè, servizi per l'igiene e la conservazione, per la cucina, lavanderia, feste e divertimenti, animazione culturale, educazione e formazione civica, ginnastica e sport, insomma per tutto ciò che è indispensabile all'armonia e al buon funzionamento di ogni comunità. Sugli alberi maestri, veri e improvvisati, sventolavano banderuole e insegne di tutti i colori, tutto serviva all'uopo, bandiere di paesi stranieri, di circoli sportivi, di associazioni varie, sotto l'egida del simbolo della patria issato ancor più su, c'erano persino coperte penzolanti alle finestre, a mo' di sana emulazione decorativa. Ma, congiunzione coordinata avversativa che sempre annuncia opposizione, restrizione o differenza e che, usata qui, ci porta a ricordare che anche le cose buone per qualcuno hanno i loro ma per altri, che si occupassero gli alberghi in questo modo selvaggio fu la goccia che fece traboccare l'agitazione in cui vivevano i ricchi e potenti fin dall'inizio. Per paura che la penisola affondasse con uomini e tenute, molti erano partiti subito, in quella prima fuga di turisti, il che naturalmente non significa che fossero, questi signori, stranieri in terra propria, anche se per ciascuno esistono vari gradi di appartenenza alla patria naturale e amministrativamente sua, come la storia ha dimostrato abbondantemente. Adesso, con la condanna generale delle impudenze sociali, e più che generale, universale, eccezion fatta per il comportamento incongruente del giornalino di Napoli, avveniva una seconda emigrazione, massiccia, al punto che è lecito sospettare fosse stata preparata meticolosamente fin da quando
s'era fatto palese agli occhi di tutti che le ferite di cui, anche allora, era piena l'Europa, non si sarebbero potute cicatrizzare, ché la struttura fisica della penisola, chi poteva immaginarlo, si era spaccata proprio dove sembrava più salda. I grandi conti bancari d'improvviso si erano ridotti al minimo, c'era rimasto un residuo simbolico, un cinquecento scudi in Portogallo, un cinquecento pesetas in Spagna, o poco più, così come erano tagliati i depositi all'ordine, piuttosto pregiudicati quelli vincolati, e tutto il resto, gli ori, gli argenti, le pietre preziose, i gioielli, le opere d'arte, i titoli, tutto fu portato via dal soffio poderoso che spazzò nel mare, nelle trentadue direzioni della rosa dei venti, i beni mobili dei fuggiaschi, con la speranza di recuperare il resto un giorno, con il tempo e con la pazienza. E' chiaro che così grandi mutamenti non poterono avvenire in ventiquattr'ore, ma bastò una settimana perché si modificasse, dall'alto in basso e da sinistra a destra, radicalmente, la fisionomia sociale dei due paesi iberici. Un osservatore all'oscuro dei fatti e delle motivazioni, che si facesse illudere dalle apparenze superficiali, trarrebbe la conclusione che portoghesi e spagnoli si erano impoveriti di botto, da un'ora all'altra, mentre in fin dei conti, a rigor di termini, era successo solo che se n'erano andati via i ricchi, quando mancano loro, la statistica ne risente subito. A quegli osservatori che riescono a vedere un olimpo di dèi e di dee al completo dove altro non c'è che semplici nuvole, o a quelli che, avendo davanti agli occhi Giove Tonante, lo chiamano vapore atmosferico, non ci stancheremo mai di ricordare che non basta parlare di circostanze, con la loro divisione bipolare in precedenti e conseguenze, come si fa per ridurre lo sforzo mentale, ma è necessario considerare invece ciò che infallibilmente si situa fra gli uni e le altre, diciamolo per esteso e nell'ordine, il tempo, il luogo, il motivo, i mezzi, la persona, il fatto, la maniera, se non vi abbiamo messo e non abbiamo ponderato tutto, alla prima prova ci attende l'errore fatale. L'uomo, senza dubbio, è un essere intelligente, ma non quanto sarebbe auspicabile, e questa è una verifica e una confessione di umiltà che sempre dovrà cominciare da noi stessi, come si suol dire per la carità ben intesa, prima che ce la sbattano in faccia. Giunsero a Lisbona sul far della sera, all'ora in cui la dolcezza del cielo infonde nell'anima un tenero struggimento, notate come aveva ragione quel sorprendente intenditore di sensazioni e di impressioni quando ha detto che il paesaggio è uno stato d'animo, anche se non è riuscito a dirci come erano i panorami ai tempi in cui non esistevano al mondo altro che pitecantropi,
ancora con poca anima e, oltre che poca, confusa. Dopo tanti millenni, e grazie ai perfezionamenti, ormai Pedro Orce può riconoscere nella malinconia apparente della città l'immagine fedele della propria tristezza interiore. Si era abituato alla compagnia di questi portoghesi che erano andati a pescarlo nei luoghi inospitali in cui era nato e vissuto, fra poco dovranno separarsi, ognuno per la sua strada, neppure le famiglie resistono all'erosione della necessità, che cosa potrebbero mai fare semplici conoscenti, amici di fresca data e tenere radici. La Due Cavalli attraversa lentamente il ponte alla velocità minima consentita per dare allo spagnolo il tempo di ammirare la bellezza dei paesaggi di terra e di mare, oltre che la grandiosa opera di ingegneria che collega le due rive del fiume, la costruzione, stiamo parlando della frase, è perifrastica, l'abbiamo usata solo per non ripetere la parola ponte, che sarebbe risultato un solecismo, del tipo pleonastico o ridondante. Nelle varie arti, e in quella dello scrivere per eccellenza, la via migliore fra due punti, anche se vicini, non è stata, e non sarà, e non è la linea che si chiama retta, mai e poi mai, un modo, questo, energico ed enfatico di rispondere ai dubbi, mettendoli a tacere. I viaggiatori erano così assorti nelle bellezze dell'urbe e rapiti da quell'opera portentosa, che non si accorsero neppure del terrore che d'improvviso si impossessò degli storni. Ebbri per l'altitudine, sfiorando pericolosamente gli enormi pilastri che sorgevano dall'acqua a sostenere il cielo, da questa parte la città con i suoi vetri infuocati, di là il mare, e il sole e, sotto, il fiume che scorreva come una pigra corrente di lava incandescente sotto la cenere, gli uccelli cambiavano bruscamente direzione, con colpi d'ala rapidi, successivi, ed era come se la terra ruotasse intorno al ponte, il nord diventava est e poi sud, il sud ovest e poi nord, in quale posto del mondo ci ritroveremo mai un giorno, quando altrettanto se non di più dovremo girare. Che gli uomini, anche quando guardano queste cose, non le capiscono lo si è già detto, non le capirono neppure allora. Erano a metà del ponte quando Pedro Orce mormorò, Che bella città, parole gentili come queste non esigono neppure risposta, tranne che un modesto, Eccome. Sarebbe ancora troppo presto per lasciare Pedro Orce in qualche albergo e proseguire il viaggio, almeno fino alla città del Ribatejo dove vive José Anaiço e dove Joaquim Sassa potrebbe, volendo, passare di nuovo la notte sotto il fico, ma non sarebbe corretto abbandonare il forestiero, i portoghesi hanno deciso di comune accordo di trattenersi uno o due giorni, il tempo che lo spagnolo possa familiarizzarsi abbastanza con la città in modo
che, tornando a Orce, possa far suo quel detto della nostra antica e innocente vanità che recita, Chi non ha visto Lisbona, non ha mai visto cosa buona, sia benedetto per le rime il Signore e non ci tolga il suo favore. Joaquim Sassa e José Anaiço non se la passano male quanto a soldi, hanno messo insieme quanto avevano per l'avventura oltre frontiera e ritorno, e hanno persino potuto fare economia, come sappiamo, una volta dormendo al chiar di luna, un'altra a casa di uno speziale andaluso e, in Algarve, con la scusa della situazione di anarchia, il conto del soggiorno non gli è stato presentato. A Lisbona, dove ormai siamo entrati, solo alla periferia della città si è avuto l'assalto per l'occupazione degli alberghi, gli altri, quelli centrali, li ha difesi la convergenza di due fattori di dissuasione, in primo luogo il fatto che la capitale suol essere nei vari paesi il posto in cui si ha più alta concentrazione di forze dell'ordine, o di repressione, in secondo luogo quella timidezza peculiare del cittadino che spesso soffre e si reprime sentendosi osservato dal vicino che lo giudica, e viceversa, il protozoo della goccia d'acqua turba di certo la lente e lo sguardo che da dietro la osserva e la infastidisce. In mancanza di clienti, quasi tutti gli alberghi avevano chiuso i battenti, per lavori di restauro, era questa la scusa, ma alcuni funzionavano ancora, applicando prezzi da bassa stagione, o ribassata, tanto che c'erano già padri di famiglie numerose che stavano considerando l'ipotesi di abbandonare le case in cui vivevano e per le quali pagavano fitti altissimi, per trasferirsi al Méridien, e via dicendo. A un così drastico cambiamento di stato non arrivavano le aspirazioni dei tre viaggiatori, che perciò presero alloggio in un modesto alberghetto in fondo alla Rua do Alecrim, alla sinistra di chi scende, e il cui nome non interessa per capire questo racconto, una volta è bastato e forse se ne poteva fare a meno. Gli storni sono storni, e altrettanto si dice di chi è incostante e avventato, volendo intendere che sono poco inclini a riflettere sulle loro azioni, incapaci di prevedere o immaginare al di là di ciò che è immediato, cosa peraltro non incompatibile con la generosità di certi loro comportamenti, fino al sacrificio della vita, come si è visto nell'episodio della frontiera, quando sono caduti morti tanti teneri corpicini, versando per una causa altrui il prezioso sangue, ricordiamoci che stiamo parlando di uccelli, non di uomini. Ma leggerezza e avventatezza è il minimo che si possa dire di migliaia di uccelli che, imprudentemente, vanno a posarsi sul tetto di un albergo, attirando l'attenzione della gente e della polizia, degli ornitologi e degli amanti di uccelletti fritti, e denunciando così la presenza di tre uomini che, nonostante
non abbiano colpe che gli pesino sulla coscienza, sono infine divenuti bersaglio dello scomodo interesse delle autorità. Fatto sta che la stampa portoghese, cosa ignorata dai viaggiatori, nella pagina che adesso dedica regolarmente ai casi insoliti, aveva riportato l'attacco irresistibile degli storni alle sprovvedute guardie di frontiera, ricordando, come c'era da aspettarsi, benché tutt'altro che originale, il film di Hitchcock sulla vita degli uccelli, da noi già menzionato. Stampa, radio e televisione, immediatamente informati del prodigio che stava avvenendo al Cais do Sodré, inviarono sul posto cronisti, fotografi e cineoperatori, il che forse non avrebbe avuto altra conseguenza se non quella di arricchire il folclore di Lisbona se lo spirito metodico e, perché non dirlo, scientifico, di un giornalista non lo avesse spinto a interrogarsi sulla possibilità di un eventuale rapporto causale fra gli storni che erano là fuori, sul tetto, e i residenti dell'albergo, permanenti o di passaggio, che si trovavano dentro inconsapevoli del pericolo che, letteralmente, si librava sulle loro teste, Joaquim Sassa, José Anaiço e Pedro Orce, ciascuno nella propria camera, stavano sistemando il poco bagaglio con cui viaggiavano, qualche minuto dopo si dovevano trovare in strada per un primo giro della città, fintanto che non fosse giunta l'ora della cena. Ma in quel preciso istante l'arguto giornalista consulta il libro dei clienti legge i nomi che vi sono registrati ed ecco che due di loro gli mettono in movimento gli ingranaggi della memoria, Joaquim Sassa, Pedro Orce, non sarebbe davvero un buon professionista della comunicazione se gli fossero passati inosservati, gli sarebbe successo anche con un altro nome, Ricardo Reis, ma il libro dove questo è stato registrato un giorno, ormai tanti anni fa, si trova nell'archivio in soffitta, coperto di polvere, in una pagina che forse non vedrà mai la luce del giorno, e se la vedrà, forse il nome non si potrà leggere, perché la riga sarà bianca, o bianca tutta la pagina, e questo è uno degli effetti del tempo, cancellare. Fino a oggi era il massimo dell'arte venatoria prendere due piccioni con una fava, da oggi in poi aumenta a tre il numero dei leporidi alla portata dell'abilità umana, quindi vanno corretti i sentenziari, dove c'è due leggasi tre, e forse non ci fermeremo qui. Pregati di scendere in portineria, accomodatisi quindi in soggiorno, di fronte al grande specchio della verità, Joaquim Sassa e Pedro Orce, alle istanze del giornalista non poterono far altro che confermare di essere, rispettivamente, quello del sasso lanciato in mare e il sismografo vivente. Ma ci sono gli storni, non può essere un caso che tanti storni si siano riuniti qui, osservò il
cronista intelligente, fu allora che José Anaiço, solidale con i suoi amici e leale con i fatti, fece la sua dichiarazione, Gli storni viaggiano con me. La maggior parte delle domande rivolte a Joaquim Sassa coincisero, rispettivamente, con il dialogo che fra lui e un sindaco si è immaginato, ragion per cui non si riportano adesso, così come le relative risposte, ma Pedro Orce, che al suo paese non aveva avuto la possibilità di essere vero e proprio profeta, si trattenne a lungo a narrare le ultime vicende della sua vita, certo, sissignore, continuava a sentire il tremore della terra, intenso e profondo, come una vibrazione che gli partisse dalle ossa, e a Granada, Siviglia e Madrid lo avevano sottoposto a molteplici test, sia emotivi che intellettuali, sia sensori che motori, e adesso era lì, disposto ad assoggettarsi a identici o ad altri accertamenti, qualora lo ritenessero opportuno i saggi portoghesi. Intanto si era fatta sera, gli storni responsabili di quell'indagine si erano raccolti in ordine sparso fra gli alberi dei giardini all'intorno, esaurite le domande e la curiosità, se ne andarono giornalisti, cineprese e proiettori, ma neppure così si poté avere un po' di calma nell'albergo, camerieri e impiegati continuavano a inventar pretesti per andare in portineria e poi a spiare nel soggiorno, per vedere che faccia avessero quei fenomeni. Provati dalle incessanti emozioni, i tre amici decisero di non uscire, di cenare in albergo. Pedro Orce era preoccupato per le conseguenze della loquacità da cui si era lasciato trasportare, Eppure mi avevano tanto avvisato di non aprire bocca sul mio caso, in Spagna non lo gradiranno quando si verrà a sapere, ma se mi tratterrò qui qualche giorno, magari finiranno per dimenticarsi di me. José Anaiço aveva qualche dubbio, Domani la nostra storia sarà su tutti i giornali, probabilmente la televisione ne darà notizia già oggi, e quelli della radio non se ne staranno zitti, sono instancabili, e Joaquim Sassa, Eppure, fra noi tre la tua situazione è la migliore, puoi sempre addurre che non è colpa tua se gli storni ti seguono, tu non fischi né dai loro da mangiare, ma noi due siamo incastrati, Pedro Orce lo guardano come fosse una bestia rara, la scienza lusitana non vorrà perdere la sua cavia, e quanto a me, non mi molleranno con questa storia della pietra, Voi avete la macchina, ricordò Pedro Orce, partite domattina presto, oppure questa notte, rimango io, se mi domanderanno dove siete andati, dirò che non lo so, Ormai è troppo tardi, appena comparirò in televisione è certo che qualcuno telefonerà dal mio paese dicendo che mi conosce, che sono professore e che avevano già dei sospetti, sono assetati di gloria, questo lo disse José Anaiço e poi aggiunse, E preferibile restare uniti, parleremo poco, a un certo punto si stancheranno.
Esattamente come si prevedeva, comparvero nell'ultimo notiziario alla televisione, un servizio completo, si vedevano gli storni svolazzanti, la facciata dell'albergo, il direttore che rilasciava dichiarazioni che noi sappiamo false, e lo si può notare subito, E' il primo grande avvenimento nella storia di questo albergo, e infine le tre meraviglie, Pedro, José e Joaquim che rispondevano alle domande. Dato che sempre si ritiene indispensabile un supplemento di autorità convincente, in studio c'era l'esperto, in questo caso uno specialista della moderna disciplina di psicologia dinamica, il quale, fra altre opinioni sul succo del problema, dichiarò che non era da escludere l'ipotesi che si trattasse di veri e propri ciarlatani, E' noto, dichiarò, che in momenti di crisi come questo impostori ne compaiono sempre, individui che raccontano storie e tentano di approfittare della credulità delle masse popolari, spesso con intenti di destabilizzazione politica immediata o per favorire piani di conquista del potere a lungo termine, Se questo punto di vista attecchisce, siamo sistemati, osservò Joaquim Sassa, E gli storni, qual è la sua opinione circa gli storni, domandò il giornalista, Questo è un enigma davvero affascinante, o l'uomo che seguono possiede un richiamo irresistibile, oppure si tratta di un caso di ipnosi collettiva, Ipnotizzare uccelli non deve essere facile, Al contrario, si può ipnotizzare una gallina con un semplice pezzo di gesso, perfino un bambino sarebbe capace di farlo, Ma, due o tremila storni allo stesso tempo, come potrebbero volare se fossero ipnotizzati, Noti che lo stormo, per ogni uccello che ne faccia parte, è già un agente ipnotico, agente e risultato contemporaneamente, Mi scusi se le ricordo che alcuni dei nostri spettatori potrebbero avere difficoltà nel seguire un linguaggio troppo tecnico, Allora, cercando di essere più chiaro, dirò che tutto il gruppo tende a costituirsi in ipnosi omogenea, Non sono sicuro che sia stato più comprensibile, comunque la ringrazio per la sua presenza nei nostri studi, è un argomento che avrà certo un seguito, allora ci sarà occasione per un dibattito più approfondito, Sono a vostra disposizione, sorrise l'esperto. Chi non lo trovò affatto divertente fu Joaquim Sassa, che mormorò, E' un cretino, Veramente l'aspetto ce l'ha, ma in certi momenti perfino i cretini conviene ascoltarli con attenzione, rispose José Anaico, e Pedro Orce, Non ho capito un bel nulla, era questa la prima volta che gli era sfuggita del tutto la parlata lusitana, se prendessimo alla lettera il significato delle parole, che bella conversazione sarebbe stata quella di Viriato e di Nuno Alvares Pereira, eroi della stessa patria, a quanto dicono. Mentre nel soggiorno dell'albergo si discutevano
questi gravi problemi, il direttore, nel suo ufficio privato, riceveva una delegazione di proprietari di ristoranti vicini che andavano a proporgli un affare, Quanto vuole per lasciarci montare delle reti sul tetto, prima o poi gli storni torneranno a posarvisi, non le metteremo sugli alberi, a portata di mano per tutti, sarebbe come fare figli con le mogli altrui, questi uomini credono che l'unico senso intimo delle cose sia quello di non avere alcun senso intimo, il direttore è esitante, ha paura che gli rompano le tegole, ma alla fine si decide, propone una cifra, E' caro, gli dicono gli altri, e si mettono a discutere sul prezzo. Il giorno dopo, al mattino presto, un'altra delegazione di individui, ma dall'aspetto solenne, ben vestiti, tutti cerimoniosi, si presentò a Joaquim Sassa e a Pedro Orce pregandoli di seguirli per ordine del governo, del gruppo impetrante faceva parte anche un consigliere dell'ambasciata spagnola che andò a salutare Pedro Orce, ma con una durezza così ostentata che solo poteva venire dall'orgoglio patriottico ferito. Si voleva procedere a una rapida inchiesta, spiegarono, molto semplice, il tempo di qualche accertamento di prassi da aggiungere al già voluminoso dossier sulla rottura della penisola, a quanto pareva irrimediabile, se si teneva conto del suo spostamento continuo, fatale, per così dire. A José Anaiço non fecero caso, probabilmente si dubitava che avesse doti di seduzione e di attrazione paragonabili solo a quelle del liutaio di Hamelin, del resto gli storni non si vedono più, sono in ricognizione nel cielo della città, tutti insieme, nelle reti proditoriamente montate sul tetto sono caduti solo quattro passeri vagabondi sul punto di avere un'altra fine, ma il destino aveva disposto una conclusione diversa delle loro vite, Quale destino, domanda una voce ironica, e grazie a questo inatteso intervento veniamo a sapere che non c'è un solo destino, al contrario di quanto abbiamo appreso dai fados e dalle canzoni, Nessuno sfugge al suo destino, può sempre succedere che all'improvviso ci capiti il destino di qualcun altro, fu ciò che successe ai passeri, ebbero il destino degli storni. José Anaiço se ne rimase tranquillamente in albergo, aspettando il rientro dei compagni, chiese qualche giornale, le interviste erano tutte in prima pagina, con fotografie esplosive e titoli drammatici, Enigmi Che Sfidano La Scienza, Le Forze Ignote della Mente, Tre Uomini Pericolosi, Il Mistero dell'Hotel Braganca, ci facevamo tanto scrupolo di dirne il nome e, in definitiva, quella stampa infedele, Sarà Estradato lo Spagnolo, interrogativo, Siamo In Un Gran Pasticcio, questo lo pensò José Anaiço, non è un titolo. Passarono ore, giunse il momento del pranzo, di Joaquim Sassa e Pedro Orce né nuove né
messaggi, li hanno presi, imprigionati, si perde l'appetito con tanta agitazione, Non so neppure dove li hanno portati, che stupido, avrei dovuto chiederlo, macché, piuttosto dovevo andare con loro, non abbandonarli, calma, probabilmente, anche volendolo, non mi avrebbero lasciato andare, però non è sicuro, la verità è che ero assai contento che mi avessero lasciato fuori, la vigliaccheria è peggio di un polpo, il polpo stringe e allunga le braccia, la vigliaccheria è solo capace di stringerle, da tale severità si vede fino a che punto José Anaiço sia furioso con se stesso, c'è da capire dove stia la sincerità in questi impulsi e pensieri tanto contraddittori, la cosa migliore sarà, come in tutti i casi della vita, aspettare l'azione. Dapprima andò a interrogare il direttore, se aveva sentito qualche parola rivelatrice, un indirizzo, un nome, ma questi rispose nossignore, non conosco nessuno di quei gentiluomini, era la prima volta che li vedeva, sia i portoghesi che lo spagnolo, in quell'istante a José Anaiço venne un lampo di genio, era ora, andare all'ambasciata, lì di certo lo sanno, e subito lo colse un'altra ispirazione, un'illuminazione non viene mai sola, la stampa, è chiaro, bastava rivolgersi a qualche giornale, in poche ore gli argo, gli holmes e i lupin della redazione avrebbero rastrellato gli scomparsi, la necessità è davvero la madre dell'invenzione, in questo caso il padre Si chiama cruccio, ma non è sempre la stessa cosa. Rapido, José Anaiço salì in camera, andava a cambiarsi le scarpe, a lavarsi i denti, procedimenti normali che non sono incompatibili con lo spirito risoluto, prendete l'esempio di Otello che, raffreddato e senza accorgersi di quello che faceva, ridicolmente si è soffiato il naso prima di ammazzare Desdemona la quale, a sua volta, nonostante i funesti presentimenti, non si era chiusa a chiave, perché una sposa allo sposo non si rifiuta mai, pur sapendo che lui la ucciderà, e oltretutto Desdemona sapeva bene che la stanza aveva tre pareti, ora, in questo nostro dramma, José Anaico si sta sfregando i denti con lo spazzolino e sta sputando quando sente bussare alla porta, Chi è, domandò, anche se la voce non lo dà a vedere c'è un tono di gioiosa aspettativa, adesso Joaquim Sassa gli risponderà, Siamo tornati, ma l'inganno durò un attimo, Permesso, è solo la cameriera, Un momento, finì l'operazione igienica, si sciacquò le mani e la bocca, si asciugò e infine andò ad aprire. La cameriera è una normale cameriera d'albergo, con peculiarità e destino così privati che questo è l'unico momento della sua vita in cui sfiorerà, e solo per il tempo di un messaggio, l'esistenza di José Anaiço e compagni, presenti e futuri, è ciò che succede spesso in teatro e nella vita, ci occorre qualcuno che
venga a bussare alla porta solo per dire, C'è giù una signora che chiede di lei. José Anaiço è sorpreso, dà voce alla sorpresa, Di me, e la cameriera aggiunge quanto aveva creduto non fosse necessario dire, Ha domandato di tre signori, ma dato che gli altri non ci sono, Deve essere una giornalista, pensò José Anaiço e disse, Scendo subito. La cameriera si allontanò come chi dalla vita si ritrae, non ne avremo più bisogno, non c'è nessun motivo per ricordarla, neppure con indifferenza, E' venuta, ha bussato alla porta, ha recato il messaggio che, non Si sa perché, non hanno trasmesso per telefono, forse alla vita piace coltivare, di tanto in tanto, il senso del drammatico, se il telefono squilla pensiamo, Che sarà, se ci bussano alla porta pensiamo, Chi sarà, e diamo voce al pensiero domandando, Chi è. Ormai sappiamo che era la cameriera, ma alla domanda c'è stata solo una mezza risposta, o anche meno, perciò mentre scende le scale José Anaiço continua a pensare, Chi sarà, ha dimenticato l'ipotesi che Si tratti di una giornalista, certi nostri pensieri sono così, servono solo a occupare, precedendoli, il posto di altri che ci darebbero molto più da pensare. Nell'albergo c'è una gran calma, come una casa disabitata da cui si sia ritratta la vita inquieta, ma ancora è presto perché cominci a invecchiare in abbandono, sono rimasti echi di passi e di voci, un pianto, un mormorio di congedo che si prolunga sull'ultimo pianerottolo. Il direttore è in piedi, dietro al bancone c'è l'armadietto delle chiavi con le sue buche per messaggi, corrispondenza e fatture, lui sta scrivendo su un libro o ricopiando numeri su un foglio, è un uomo attivo, anche se il lavoro manca. Mentre José Anaiço passa, gli fa un cenno con la testa in direzione della sala, a cui José Anaiço risponde con un altro cenno, di assenso, Lo so, è questo che vuole dire, mentre il primo significava per esteso, C'è una signora che l'aspetta. José Anaico si è fermato all'ingresso della sala, ha visto una giovane donna, una ragazza, può essere solo lei, qui non c'è nessun altro, benché si trovi nella penombra delle tende della finestra, sembra simpatica, o forse carina, porta pantaloni e giacca turchini, di una tonalità anilina, può essere una giornalista come può non esserlo, ma vicino alla sedia dov'è seduta ha una valigetta e, sulle ginocchia, un bastone né grande né piccolo, un metro, un metro e mezzo forse, l'effetto è conturbante, una donna vestita così non se ne va in giro per la città con un bastone in mano, Probabilmente non è una giornalista, pensò José Anaiço, o perlomeno gli strumenti del mestiere, blocco di carta, penna biro, registratore, non si vedono.
La donna si alzò e quel gesto inatteso, perché si dice che le donne, secondo il manuale dell'etichetta e delle buone maniere, devono aspettare al loro posto che gli uomini si avvicinino a salutarle e solo allora porgere la mano o la guancia, in base alla confidenza, al grado di intimità e alla loro natura, con un sorriso da donna, educato, o insinuante, o complice, o rivelatore, dipende. Quel gesto, insomma, forse non il gesto, ma il fatto che lì, a quattro passi, ci fosse una donna in piedi ad aspettare, oppure la consapevolezza improvvisa che il tempo si era fermato finché non fosse stato fatto il primo passo, è vero che lo specchio ne è testimone, ma di un attimo prima, nello specchio José Anaiço e quella donna sono ancora due estranei, mentre dal lato di qua non più, perché stanno per conoscersi, già si conoscono. Quel gesto, quel gesto di cui prima non si è potuto dire tutto, ha fatto muovere il pavimento di legno come il ponte di una nave, come l'anelito di una barca fra le onde, lento e ampio, un'espressione che non si può confondere con il noto tremore di cui parla Pedro Orce, le ossa non gli hanno vibrato a José Anaico, ma tutto il suo corpo ha sentito, fisicamente e materialmente lo ha sentito, che la penisola, per abitudine e per comodità di espressione così detta, di fatto sta navigando, lui lo sapeva solo perché l'aveva visto dall'esterno, adesso invece lo sa perché lo sente all'interno. Così, per via di questa donna, se non appena di questo istante in cui lei è arrivata, ché più di tutto contano i momenti in cui le cose accadono, José Anaiço non è stato più soltanto l'involontario richiamo di uccelli impazziti. Le va incontro, e questo movimento, lanciato nella stessa direzione, si va a sommare alla forza che spinge, senza rimedio né resistenza, quella specie di zattera di cui l'hotel Braganca, in questo preciso istante, è polena e castello di prua, se ci è permessa la palese improprietà dei termini. Tant'è. I miei amici non ci sono, disse José Anaiço, sono venuti a prenderli stamattina per qualche chiarimento, un gruppo di scienziati, comincio a essere preoccupato del ritardo, anzi, mi accingevo a uscire per andarli a cercare, José Anaiço è consapevole che non ci sarebbe bisogno di tante parole per dire ciò che era importante al momento, ma non è riuscito a trattenersi. Lei risponde, e la voce è piacevole, bassa ma chiara, Ciò che devo dire vale per uno come per tutti e tre, così forse riuscirò a spiegarmi meglio. I suoi occhi hanno il colore di un cielo nuovo, Che cos'è un cielo nuovo, di che colore è, dove sarò mai andata a pescarla questa idea, pensiero di José Anaiço, e a voce alta, Si accomodi, prego, non stia in piedi. Lei si sedette, si sedette lui. Lei si chiama, José Anaiço, Il mio nome è Joana Carda, Molto
piacere. Non si strinsero le mani, sarebbe stato ridicolo adesso che erano seduti, oppure, per farlo, avrebbero dovuto sollevarsi sulle sedie, ancor più ridicolo, oppure alzarsi solo lui, ridicolo a metà, se metà ridicolo non fosse tale e quale al tutto ridicolo. E' davvero graziosa, e i capelli, che sono quasi neri, non dovrebbero andare d'accordo con gli occhi, color di cielo nuovo di giorno, color di cielo nuovo di notte, ma insomma stanno bene, Le posso essere utile in qualcosa, in questa formula di cortesia si tradussero i suoi pensieri intimi. Non so se possiamo parlare qui, mormorò Joana Carda, Siamo soli, nessuno ci ascolta, Ma la curiosità è tanta, badi. Camminando in modo poco naturale, il direttore passava davanti alla porta della sala, passava e ripassava, apparentemente assorto, come chi ha appena finito di inventare un nuovo lavoro, se il primo non serviva più, José Anaiço lo guardò severamente e senza risultato, abbassò la voce, così rendendo più sospetto il dialogo, Non posso invitarla a salire, oltre a sembrare sconveniente, sarà di certo proibito che gli ospiti ricevano visite in camera, A me non importerebbe, non avrei bisogno di difendermi da chi, certamente, non ha nessuna intenzione di saltarmi addosso, Infatti non è questa la mia intenzione, tanto più che la vedo armata. Sorrisero entrambi, ma c'era in quel sorriso qualcosa di forzato, di costretto, una pena improvvisa, in realtà la conversazione si era fatta troppo intima per chi si conosce solo da tre minuti, e solo di nome. In caso di necessità, questo bastone sarebbe utile, disse Joana Carda, ma non è per questo che me lo porto dietro, a essere sinceri è lui che porta me. L'affermazione era talmente insolita che rischiarò l'aria, equilibrò le pressioni, atmosferica e sanguigna. Joana Carda teneva il bastone sulle ginocchia, attendeva la risposta, finalmente José Anaiço, disse, E' meglio uscire, parleremo per strada, in un bar, o in qualche giardino, se vuole. Lei prese la valigia, lui gliela tolse di mano, Possiamo lasciarla in camera mia, con il bastone, Il bastone no, e mi porto anche la valigia, forse non converrà tornare qui, Come vuole, peccato che la sua valigetta sia tanto piccola, ci si poteva mettere dentro il bastone, Non tutte le cose nascono fatte le une per le altre, rispose Joana Carda, il che, sebbene ovvio, comporta non poca filosofia. Uscendo, José Anaiço disse al direttore, Se arrivano i miei amici, dica che non tarderò, Certo, signore, stia tranquillo, rispose quello senza togliere gli occhi di dosso a Joana Carda, ma senza avidità nello sguardo, solo con un vago sospetto, come si può notare in tutti i direttori d'albergo. Scesero le scale, giù in fondo, alla fine del corrimano c'era una statuetta di ferro battuto,
ornamentale, a mo' di gentiluomo o di paggio d'opera, una statua che starebbe proprio bene, con il suo globo elettrico illuminato, su uno dei grandi capi portoghesi o galleghi, il capo di Sao Vicente, l'Espichel, il capo da Roca, il Finisterre, ma anche in altri di minore importanza che peraltro non hanno certo meno lavoro nel rompere i flutti, mentre il destino di questo paggio o gentiluomo è di essere ignorato, magari un giorno qualcuno gli avrà pure messo gli occhi addosso, ma Joana Carda e José Anaiço non lo fecero, forse perché avevano ben più gravi preoccupazioni, anche se, qualora glielo avessero domandato, non avrebbero saputo dire quali. Chi si trova in albergo, al fresco, in quella penombra secolare, non immagina che faccia tanto caldo per la strada. E' agosto, ricordiamocene, il clima non è cambiato perché la penisola ha viaggiato per un'inezia di centocinquanta chilometri, supponendo che la velocità si sia mantenuta costante come informa la radio nazionale spagnola, sono passati solo cinque giorni e già sembra un anno. Disse José Anaiço, come ci si aspettava, Camminare con questo caldo, valigia e bastone in mano, non è piacevole, fra dieci minuti saremo spompati, sarebbe meglio entrare in un bar, prendere qualcosa, E' preferibile un giardino, una panchina isolata, all'ombra, Qui vicino ce n'è uno, a Praca de D. Luìs, la conosce, Non sono di Lisbona, ma la conosco, Ah, non è di Lisbona, ripeté inutilmente José Anaiço. Scendevano per Rua do Alecrim, la borsa e il bastone li portava lui, i passanti avrebbero di certo pensato cose poco lodevoli di lui se non avesse portato la valigia, e cose poco decenti di lei se avesse portato il bastone, perché la verità è che siamo tutti osservatori implacabili, maliziosi quando capita e più del dovuto. All'esclamazione di José Anaiço, Joana Carda si limitò a rispondere che era arrivata quel giorno ed era andata direttamente all'albergo, il resto lo sapremo ora. Si sedettero, fortunatamente sotto l'ombra degli alberi, lui domandò, Cos'è che l'ha condotta a Lisbona, per quale ragione è venuta a cercarci, e lei disse, Perché deve essere vero che lei e i suoi amici abbiate a che fare con ciò che sta accadendo, Accadendo, a chi, Sa bene a cosa mi riferisco, la penisola, lo spaccamento dei Pirenei, questo viaggio che uguale non se n'è mai visti, A volte lo penso anch'io, che sia per causa nostra, altre volte credo che siamo tutti matti, Un pianeta che continua a girare, a girare intorno a una stella, ora giorno, ora notte, ora freddo, ora caldo, e uno spazio quasi vuoto dove ci sono cose gigantesche che non hanno altro nome se non quello che gli diamo noi, e un tempo che nessuno sa veramente che cosa sia, anche tutto questo deve essere roba da matti. E' un'astronoma, lei, domandò José Anaiço,
ricordandosi in quel momento di Maria Dolores, l'antropologa di Granada, Né astronoma, né stupida, Mi scusi per l'impertinenza, siamo tutti nervosi, le parole non esprimono ciò che dovrebbero, sono di più, sono di meno, la prego di scusarmi, Di niente, Le sembrerò forse scettico perché a me non è successo niente tranne gli storni, anche se, Anche se, Poco fa, in albergo, quando l'ho vista nella sala, ho avuto la sensazione di trovarmi in una barca in mezzo al mare, è stata la prima volta, Infatti io l'ho vista come se stesse avvicinandosi da molto lontano, Eppure erano solo tre o quattro passi. Da ogni parte dell'orizzonte arrivavano gli storni che d'improvviso si posarono sugli alberi del giardino. Dalle strade vicine cominciò a spuntare gente che correva, guardava verso l'alto, indicava, Eccoli di nuovo, disse José Anaiço, impaziente, E purtroppo non potremo parlare, con tutte queste persone. In quel momento gli storni spiccarono il volo tutti insieme, coprirono il giardino con una grande macchia nera e vibrante, la gente gridava, chi minaccioso, chi eccitato, chi spaventato, mentre Joana Carda e José Anaiço guardavano senza capire cosa stesse succedendo, allora quella gran massa si assottigliò, si fece a punta, ad ala, a freccia, e dopo tre rapidi giri, gli storni si lanciarono in direzione sud, attraversarono il fiume, scomparvero in lontananza, all'orizzonte. I curiosi, i pavidi, tutti lì riuniti, si buttarono in esclamazioni di sorpresa, e anche di delusione, qualche minuto dopo il giardino era deserto, di nuovo si avvertì il caldo, seduti su una panchina c'erano solo un uomo e una donna, avevano un bastone d'olmo e una borsa da viaggio. José Anaiço disse, Credo che non torneranno più, e Joana Carda, Adesso le racconterò quello che mi è successo. Riconosciuta la gravità dei fatti surriferiti, volle prudenza che Joana Carda non alloggiasse nel celebre albergo, sul cui tetto le reti ancora aspettavano, sebbene invano, che vi si posassero gli storni. Fu una decisione intelligente, evitò per lo meno che venisse confermata, per la seconda volta, la modifica di quel detto sul quattro e l'aver nel sacco, che equivarrebbe a far cadere nel laccio, insieme con i tre sospetti, se non già incriminati, una donna con capacità di schermaglie metafisiche. Per passare a parole meno barocche e a costruzioni di più ampio respiro, quel che fece Joana Carda fu di sistemarsi in un albergo poco più su, all'Hotel Borges, nel cuore dello Chiado, con la sua borsa e il bastone d'olmo, che sfortunatamente non è telescopico, smontabile, per cui la guardano tutti un po' interdetti quando passa, e alla portineria dell' albergo un impiegato, peraltro rispettoso, scherzando per mascherare la curiosità, farà un'allusione discreta a bacchette che non sono bastoni da
passeggio, ma Joana Carda gli ha risposto col silenzio, in fin dei conti non si sa di alcuna legge che proibisca a un cliente di portarsi in camera un rametto di leccio e tantomeno un bastoncino sottile, che non arriva ai due metri di lunghezza, facilmente trasportabile in ascensore e che, messo in un angolo, non dà neppure nell'occhio. José Anaiço e Joana Carda parlarono a lungo, fino a dopo il tramontar del sole, pensate, girarono e rigirarono l'argomento il più possibile, e ogni volta concludevano che, non essendoci niente di naturale, le cose succedevano come se una normalità nuova si fosse venuta a istituire al posto dell'antica, ma senza stravolgimenti, scosse o mutamenti di colore, i quali del resto, anche se ci fossero stati, non avrebbero spiegato nulla. L'errore è solo nostro, con questo gusto del dramma e della tragedia, con questo bisogno di sublime e di teatralità, ci meravigliamo per esempio dinanzi a un parto, a quell'incalzare di sospiri, di gemiti e grida, il corpo che si apre come un fico maturo ed espelle un altro corpo, e questa è sì una meraviglia, ma una meraviglia non minore è stato ciò che non abbiamo potuto vedere, l'eiaculazione ardente dentro la donna, la maratona mortifera, e poi la fabbricazione lentissima di un essere che si fa da solo, sia pur con qualche aiuto, di quello che sarà, per non andare troppo lontano, lo scrivente, irrimediabilmente ignorante di quanto gli è capitato allora e anche, confessiamolo, non molto consapevole di ciò che gli sta capitando adesso. Joana Carda non sa e non può dire di più, Il bastone era lì per terra, l'ho preso e ho fatto un segno, se è perché l'ho fatto che queste cose accadono, chi sono io per giurarlo, bisogna andare sul posto a vedere. Discussero e tornarono a discutere, era già quasi buio quando si separarono, lei diretta al Borges più su, lui al Braganca, più giù, eppure José Anaiço è punto dal rimorso, ché non ha avuto l'ardire di voler sapere cosa fosse successo agli amici, che ingrato, è bastato che gli si presentasse una donna raccontando frottole che lui se n'è rimasto tutto il pomeriggio ad ascoltarla, Bisogna andare a vedere, ripeteva lei, modificando leggermente la frase, forse per convincerlo, spesso è l'unica soluzione, dirlo in maniera diversa. Entrando in albergo José Anaiço alza gli occhi, di storni neanche una penna, quell'ombra alata che è passata, rapida e delicata come un sospiro discreto, era un pipistrello a caccia di zanzare e di falene. Il piccolo gentiluomo del corrimano ha il lume acceso, è lì per dare il benvenuto, ma José Anaiço non gli rivolge neppure uno sguardo distratto, sicuro che sarà una nottataccia se Pedro Orce e Joaquim Sassa non torneranno.
Sono tornati. Stanno aspettando in sala, seduti su quelle stesse sedie su cui erano stati Joana Carda e José Anaiço, c'è ancora chi non crede alle coincidenze, mentre le coincidenze sono quanto di più si trovi e si prepari al mondo, a meno che non siano le coincidenze la vera logica del mondo. José Anaiço si ferma sulla soglia del salotto, sembra che tutto stia per ripetersi, no, questa volta no, il pavimento di legno non si è mosso, i quattro passi di distanza sono soltanto una distanza di quattro passi, nessun vuoto interstellare, nessun salto di morte o di vita, le gambe si sono mosse da sole, poi le bocche si sono aperte per dire ciò che si attende, Sei venuto a cercarci, ha domandato Joaquim Sassa, ma a una domanda così semplice José Anaiço non può rispondere con semplicità, Sì o No, sarebbero tutte e due parole vere, tutte e due mentirebbero, ci vorrebbe un bel pezzo per spiegarlo, perciò ha fatto anche lui la sua domanda, altrettanto legittima e naturale, Dove diavolo siete stati tutto questo tempo. Si vede che Pedro Orce è stanco, non c'è da meravigliarsi, l'età, checché ne dicano gli ostinati, pesa, ma perfino un uomo giovane e vigoroso sarebbe uscito distrutto dalle mani dei dottori, esami su esami, analisi, radiografie, questionari, martellatine sui tendini, esami delle orecchie e della retina, elettroencefalogrammi, nessuna meraviglia che le palpebre siano pesanti come piombo, Sono pronto per il letto, dice, questi sapienti portoghesi stavano per farmi fuori. Fu deciso quindi che Pedro Orce se ne sarebbe rimasto in camera fino all'ora di cena, che poi sarebbe sceso per un brodo e un petto di pollo, nonostante non avesse granché appetito, gli sembrava di avere ancora lo stomaco pieno di pappa radiologica, Ma tu non hai fatto nessuna radiografia allo stomaco, osservò Joaquim Sassa, Infatti no, ma è come se le avessi fatte, il sorriso di Pedro Orce era spento come una rosa appassita. Riposati, disse José Anaiço, Joaquim e io andiamo a cena in qualche ristorante, per discutere su quanto è successo, e al ritorno busseremo alla tua porta per sapere come stai, Non bussate, di certo starò dormendo, dormire per dodici ore di fila, fino a domani, è quello che mi andrebbe, e se ne andò strascicando i piedi. Poveraccio, in che pasticci lo abbiamo ficcato, questo lo disse José Anaiço, Pure a me, mi hanno martoriato con esami e domande, ma non c'è paragone con quello che hanno fatto a lui, sai a cosa mi fa pensare tutto questo, a un racconto che ho letto anni fa, Innocente fra i Dottori s'intitolava, Di Rodrigues Miguéis, Esatto. Strada facendo decisero di fare un lungo giro con la Due Cavalli, era ancora presto per cenare e avrebbero potuto parlare tranquillamente. Sono completamente disorientati, cominciò Joaquim Sassa, e si aggrappano tanto a
noi solo perché non hanno altro, o meglio, adesso cominciano ad avere fin troppo, forse per via di tutte quelle notizie alla televisione, ieri, e dei giornali di oggi, hai visto i titoli dei pomeridiani, sono impazziti, gli si è riversata addosso una marea di persone che giurano di sentire anche loro il tremolio della terra e che hanno lanciato sassolini nel fiume da dove è uscita fuori qualche ninfa, e i pappagalli domestici fanno strani rumori, Succede sempre, la notizia fa notizia, i nostri pappagallini, invece, forse non li rivedremo più, Perché, che cosa è successo, Credo se ne siano andati via, Come andati via, così, senza né a né ba, dopo che non ci hanno mollato per una settimana, Pare proprio di sì, Li hai visti, sì, hanno attraversato il fiume in direzione sud e non sono tornati, Come sapevi che stavano andando via, eri affacciato alla finestra, No, ero in un giardino qui vicino, Non potevi, invece, cercare di scoprire dove eravamo noi, Era quella la mia idea, ma poi sono andato nel giardino e ci sono rimasto, A prendere il fresco, A parlare con una donna, Questa poi, che bell'amico, noi a patire le pene dell'inferno e tu a rimorchiare, visto che non sei riuscito a mettere le mani sull'archeologa di Granada, adesso ti prendi la rivincita, Non era archeologa, era antropologa, Fa lo stesso, Questa è un'astronoma, Non scherzare, In realtà non so che cosa sia, che è un'astronoma lo dico io, Bene, sono affari tuoi e io non devo intromettermi affatto nella vita altrui, Invece sì, quello che mi ha raccontato ci riguarda tutti e tre, Ho capito, è anche lei una dei sassolini, No, Allora sente i tremori, Ancora non ci hai colto, Il canarino ha cambiato colore, Con tutta questa tua ironia non ci arriverai, Scusami, è che sono scocciato, non riesco a dimenticare che non ci sei venuto a cercare, Te l'ho già detto che la mia intenzione era quella, ma poi è spuntata lei, proprio mentre mi accingevo a uscire, volevo cominciare dall'ambasciata di Spagna, è spuntata lei con una storia da raccontare, aveva un bastone in mano e una borsa da viaggio, indossava pantaloni e giacca turchini, ha i capelli neri, la pelle bianchissima, gli occhi non so come, è difficile dirlo, Particolari interessanti per la storia della penisola, ci manca solo tu mi dica che è una bella donna, Infatti, Giovane, Diciamo di sì, è giovane, anche se non proprio una ragazzina, Da come ne parli, ti sei innamorato, E' una parola grossa, ma ho sentito oscillare il pavimento dell'albergo, Di questo effetto non ho mai sentito parlare, Tregua, O forse hai bevuto e non te ne ricordi, Tregua, D'accordo, tregua, che cosa voleva la Donna Occhi Non So Come, e che cos'era quel bastone, E' un bastone d'olmetto, Di botanica ne so poco, che cosa sarà l'olmetto, L'olmetto è l'olmo, e se a questo punto mi è permesso un commento a margine, ti dico
che la tua tecnica di interrogatorio è eccellente. Joaquim Sassa rise, Devo averla imparata oggi da quei bravi maestri che mi hanno tartassato, scusa, continua la storia della donna, ha qualche altro nome oltre a Occhi Non So Come, Si chiama Joana Carda, L'hai presentata, adesso veniamo al dunque, Immaginati di trovare un bastone per strada e, per distrazione o senza alcun fine cosciente, di tracciare una riga per terra, Da ragazzino l'ho fatto tante volte, E che cosa è successo, Niente, non è successo niente, davvero, che peccato, Adesso immaginati che quella riga produca, per un effetto magico o qualche causa equivalente, una fenditura nei Pirenei e che i Pirenei si spacchino dall'alto in basso e la penisola iberica cominci a navigare in mare, La tua Joana è matta, Altre ce ne sono già state, ma questa non è venuta a Lisbona per dirci che la penisola si è separata dall'Europa perché lei ha tracciato una riga per terra, Grazie a Dio il senno è ancora di questo mondo, Lei dice che la riga che ha tracciato non sparisce, né con il vento, né versandole sopra acqua, né raschiando, né spazzando con una scopa, né calpestandola, Balle, Proprio come te, che sei il più forte lanciatore di pesi di tutti i tempi, sei chili lanciati a cinquecento metri senza imbrogli, Ercole in persona, anche se dio a metà, non riuscirebbe a battere il tuo record, Vuoi farmi credere che una riga tracciata nella terra, nella terra o chissà dove, vi rimanga nonostante il vento, l'acqua e la scopa, E se ci zappi, si ricrea, Impossibile, Non sei originale, l'ho usata anch'io quella parola, e la piccola Joana dagli Occhi Non So Come si è limitata a rispondere, Solo Andando Là a Vedere, oppure Solo Andando a Vedere Là, non sono sicuro. Tacque Joaquim Sassa, in quel momento erano già arrivati alla Cruz Quebrada, che sacrilegio si occulterà in queste parole oggi innocue, Croce Spezzata, e José Anaiço disse, Tutto sarebbe assurdo se non stesse succedendo, e Joaquim Sassa domandò, Ma lo starà davvero. C'era ancora un po' di luce, non molta, poco più di quanto basta perché si possa vedere il mare fino all'orizzonte, da quassù, da dove si scende verso Caxias si ha la dimensione delle grandi acque, ecco forse perché José Anaiço mormorò, Sono altre, e Joaquim Sassa, che non poteva sapere di che altre si trattasse, domandò, Chi, Le acque, queste acque sono altre, così la vita si trasforma, è cambiata e non ce ne siamo accorti, eravamo tranquilli e credevamo di non essere cambiati, illusione, puro inganno, procedevamo con la vita. Il mare si frangeva con forza contro il parapetto della strada, nessuna meraviglia, anche queste onde sono diverse, abituate ad avere libertà di movimento, senza testimoni, salvo quando passava qualche minuscola
imbarcazione, non questo leviatano che continua a incalzare l'oceano. Disse José Anaiço, Ceniamo qui di fronte, a Paco de Arcos, poi torniamo in albergo a vedere come sta Pedro, Poveraccio, lo stavano facendo fuori. Posteggiarono la Due Cavalli in una strada interna, andarono in cerca di un ristorante ma, prima di entrare, Joaquim Sassa disse, Durante gli esami e gli interrogatori ho udito qualcosa a cui non avevo mai pensato, è stata solo una mezza frase, ma sufficiente, chi si è sbilanciato avrà pensato che neppure me n'ero accorto, Di che si tratta, Finora la penisola, no, non è penisola, ma come diavolo la dobbiamo chiamare, si è spostata praticamente in linea retta, fra i paralleli trentasei e quarantatre, E allora, Sarai pure un bravo professore in tutte le altre materie, ma in geografia sei scarso, Non capisco, Lo capirai subito appena ti ricorderai che le Azzorre si trovano fra i paralleli trentasette e quaranta, Oh, diavolo, Chiamalo pure, chiamalo, La penisola andrà a cozzare contro le isole, Esatto, Sarà la più grande catastrofe della storia, Forse sì, forse no, e, come hai detto poco fa, tutto questo sarebbe assurdo se non stesse succedendo, adesso andiamo a cena. Si sedettero, ordinarono, Joaquim Sassa era affamato, si buttò sul pane, sul burro, sulle olive, sul vino, con una voracità di cui chiedeva scusa con il sorriso, E' l'ultimo pasto del condannato a morte, e solo dopo alcuni minuti domandò, E la maneggiatrice di bastoni, dov'è adesso, All'Hotel Borges, nello Chiado, Credevo abitasse a Lisbona, No, non abita a Lisbona, questo alla fine l'ha detto, ma senza dire dove, né io gliel'ho domandato, deve aver pensato che saremmo andati con lei, A fare che, A vedere la riga per terra, Anche tu hai qualche dubbio, Dubbi non credo di averne, ma voglio vedere con i miei occhi, e toccare con le mie mani, Sei come l'uomo dell'asino Platero, fra le catene di monti Morena e Aracena, Se quello che afferma è vero, vedremo di più che non Roque Lozano, che troverà solo acqua quando giungerà a destinazione, Come sai che si chiamava Roque Lozano, non ricordo che gli abbiamo domandato il nome, quello dell'asino sì, ma non il suo, Devo averlo sognato, E Pedro, vorrà accompagnarci, Uno che si sente tremare la terra sotto i piedi ha bisogno di compagnia, Come chi ha sentito oscillare un pavimento di legno, Pace, La povera Due Cavalli comincia a essere piccola per tanta gente, quattro persone più i bagagli, anche se sono da scout, ed è vecchia, poverina, Nessuno riesce a vivere oltre il suo ultimo giorno, Sei un saggio, Meno male che te ne sei convinto, Sembrava che i nostri viaggi fossero conclusi, che ognuno se ne dovesse tornare a casa sua, alla vita di tutti i giorni, Andiamo alla vita di questi giorni, vediamo cosa ci
riserva, Fintanto che la penisola non sbatterà contro le Azzorre, Se questa è la fine, abbiamo vita garantita fino ad allora. Finirono di cenare, Si rimisero in movimento senza fretta, al piccolo trotto della Due Cavalli, per strada c'era poco traffico, forse per via delle difficoltà di rifornimento di benzina, fortuna loro che il motore era frugale, Ma non è detto che non ci fermeremo da qualche parte, allora sì che il viaggio si concluderà davvero, osservò Joaquim Sassa e, ricordandosene all'improvviso, Perché hai detto che gli storni se ne sono andati per sempre, Chiunque è in grado di capire la differenza fra un addio e un arrivederci, ciò che ho visto io era un addio, Ma perché, Non saprei dirlo, però c'è una coincidenza, gli storni se ne sono andati quando Joana è comparsa, Joana, Si chiama Joana, Potevi dire la tizia, la tipa, la signorina, è così che il pudore maschile fa parlare delle donne quando sarebbe troppo intimo chiamarle per nome, A paragone di quello che sai tu, io sono ancora ai primi rudimenti, ma come hai potuto notare, ho pronunciato il suo nome con naturalezza, a riprova che il mio intimo non ha nulla a che vedere con questa faccenda, Salvo che, in fondo, sei molto più machiavellico di quel che mostri, facendo finta che vuoi provare il contrario di ciò che, di fatto, pensi o senti, così da farmi credere che ciò che senti o pensi è esattamente ciò che solo sembri di voler provare, non so se sono stato chiaro, Per niente, ma non ha importanza, chiarezza e oscurità sono la stessa ombra e la stessa luce, l'oscuro è chiaro, il chiaro è oscuro, e quanto al fatto che qualcuno sia capace di esprimere esattamente ciò che sente o pensa ti supplico di non crederci, non perché non lo si voglia, ma perché non si può, Allora, perché mai la gente parla tanto, Solo questo possiamo fare, parlare, o forse neppure parlare, sono tutti esperimenti e tentativi, Se ne sono andati gli storni, è arrivata Joana, se n'è andata una compagnia, un'altra ne è arrivata, ti puoi vantare di essere un uomo fortunato, Questo è ancora da vedere. In albergo c'era un messaggio di Pedro Orce per Joaquim Sassa, suo compagno di tormenti, No me despierten, un altro telefonico, di Joana Carda per José Anaiço, E' tutto vero, non ha sognato. Dietro le spalle di José Anaiço la voce di Joaquim Sassa parve risuonare beffarda, Donna Occhi Non so Come ti assicura di essere vera, perciò stanotte non perdere tempo a sognarla. Mentre salivano le scale diretti in camera, José Anaiço disse, Domani mattina le telefono per dirle che andremo con lei, se sei d'accordo, Certo, e non far molto caso alle cose che dico, in fondo, ormai si sa, è l'invidia che mi fa parlare, Invidiare ciò che solo sembra esistere in apparenza è fatica sprecata,
Il mio sapere mi sta sussurrando che tutto sembra, nulla esiste, e ci dobbiamo accontentare, Buona notte, uomo saggio, Sogni d'oro, amico. In così gran segreto che dei preamboli le popolazioni non si accorsero, né ebbero il minimo sospetto, i governi e gli istituti scientifici stavano indagando sul leggero movimento che spostava la penisola nel mare, con enigmatica costanza e infallibile stabilità. Sapere come e perché si fossero spaccati i Pirenei era un'idea che ormai avevano lasciato perdere, una speranza dopo pochi giorni abbandonata. Nonostante l'enorme quantità di informazioni raccolta, gli elaboratori, freddamente, chiedevano nuovi dati o davano risposte spropositate, come nel caso del celebre Massachusetts Institute of Technology, dove i programmatori arrossirono di vergogna nel ricevere ai terminali la perentoria sentenza, Troppa Esposizione al Sole, pensate. In Portogallo, forse per l'impossibilità, fino a oggi, di espungere dal linguaggio quotidiano certi arcaismi persistenti, la conclusione più approssimativa che potemmo ottenere fu, Tanto Va La Brocca Alla Fonte Che Il Manico Le Si Rompe, metafora che non fece altro che confondere gli animi, visto che di manico non si trattava, né di fonte, né di brocca, ma nella quale non è difficile scorgere un fattore o principio di ripetizione che, per sua stessa natura, dipendendo dalla periodicità, non si sa mai dove vada a finire, tutto sta nella durata del fenomeno, nell'effetto accumulato delle azioni, qualcosa del tipo La Goccia Scava La Roccia, una formula che, curiosamente, non fu mai espressa dai calcolatori, eppure la possibilità c'era, ché tra l'una e l'altra non mancano le somiglianze a tutti i livelli, nel primo caso il peso dell'acqua nella brocca, nel secondo ancora l'acqua, ma goccia a goccia, in caduta libera, e il tempo, altro ingrediente comune. Sono filosofie popolari sulle quali potremmo discutere all'infinito, ma che agli uomini di scienza, a geologi e oceanologi, poco importano. Nel caso di animi semplici, la questione potrebbe anche essere posta sotto forma di una domanda elementare che, nella sua ingenuità, rammenta quella del gallego di fronte al fiume Irati che sprofondava nella terra, non so se ve ne ricordate, Dove sta andando quest'acqua, voleva sapere costui, adesso diremmo diversamente, Che cosa succede sotto quest'acqua. Qua fuori, con i piedi ben saldi sulla terra, mentre si guarda l'orizzonte, o dall'aria, dove instancabilmente proseguono le osservazioni, la penisola è una massa di terra che sembra, insistiamo sul verbo, sembra fluttuare sulle acque, Ma è evidente che non può fluttuare. Perché fluttuasse, dovrebbe essere sganciata dal fondo, nel qual caso andrebbe inevitabilmente a finire, disfatta in frammenti, su
quello stesso fondo perché, ammettendo pure che nelle circostanze agenti la legge della spinta si realizzasse senza deviazione o vizio maggiore, l'effetto disaggregante dell'acqua e delle correnti marine ridurrebbe progressivamente lo spessore della piattaforma navigante fino a dissolverne completamente lo strato superficiale. Pertanto, e per esclusione, dobbiamo concludere che la penisola scivola su se stessa, a una profondità ignota, come se orizzontalmente fosse divisa in due lamine, di cui l'inferiore fa parte della crosta profonda della terra e quella superiore, come si è già spiegato, scorre lentamente nell'oscurità dell'acque, tra nubi di melma e pesci spaventati, proprio come, forse, sta navigando negli abissi di qualche oceano l'Olandese Volante, di triste memoria. La tesi è seducente e ricca di mistero, con un pizzico in più di fantasia potrebbe fornire il più affascinante capitolo di Ventimila Leghe sotto i Mari. Ma sono altri tempi, la scienza è molto più esigente, e giacché non è stato possibile scoprire che cosa faccia muovere la penisola sul fondo del mare, ecco che c'è qualcuno che, con i propri occhi umani, va a vedere il prodigio, a filmare lo spostamento della grande massa di pietra, a registrare, chissà, quella specie di grido di balena, quello scricchiolio, quella lacerazione interminabile. E' infatti il momento dei sommozzatori. In apnea, ormai si sa, non si può scendere molto in fondo né per molto tempo. Lo fa il pescatore di perle, o di spugne, o di coralli, s'immerge fino a cinquanta metri, e perfino a settanta, secondo fortuna, si può resistere tre o quattro minuti, è tutta questione di allenamento e di bisogno. Qui si tratta di altre profondità, e di acque ben più fredde, anche se si difende il corpo con quegli abiti di gomma che trasformano chiunque, uomo o donna, in un tritone nero a strisce e macchie gialle. Allora si farà ricorso agli scafandri, alle bombole d'aria compressa, e grazie alle più recenti tecniche e apparecchiature, usando mille e una cautela, si potranno raggiungere profondità dell'ordine di due o trecento metri. Di lì in giù sarà meglio non tentare la sorte, si mandano marchingegni senza equipaggio, ben farciti di macchine fotografiche e cineprese, di sensori, sonde tattili e ultrasoniche, tutto l'armamentario adatto agli opportuni scopi. Con discrezione, all'uopo di confrontare i risultati dell'osservazione, diedero inizio alle operazioni sulle coste a nord, a sud e a ovest contemporaneamente, con la scusa di manovre navali nell'ambito dei programmi di addestramento dell'Organizzazione del Patto del Nord Atlantico affinché l'annuncio dell'indagine non suscitasse nuovi moti di panico, visto che, fino a quel
momento, e inspiegabilmente, a nessuno era venuto in mente che la penisola potesse scorrere su quello che era stato il suo zoccolo millenario. E' il momento di rivelare che i sapienti tengono celata un'altra loro angosciante inquietudine, la quale deriva, per così dire fatalmente, da questa stessa tesi che ha suggerito l'ipotesi del taglio orizzontale profondo e che si può riassumere in un'altra domanda di una terribile semplicità, Che succederà quando nel cammino della penisola si frapporrà una fossa abissale e quindi non ci sarà più una superficie continua di scorrimento. Ricorrendo, come è sempre auspicabile per afferrare meglio i fatti, alla nostra personale esperienza, in questo caso di bagnanti, capiremo perfettamente ciò che significa, pensando a quello che succede, in panico e preoccupazione, quando inaspettatamente si perde l'appoggio e la scienza natatoria è insufficiente. Qualora la penisola perdesse l'appoggio, o gli appoggi, sarebbero inevitabili il tuffo, l'affondamento, il soffocamento, l'asfissia, chi l'avrebbe detto che dopo tanti secoli di vita meschina c'era in serbo per noi il destino di Atlantide. Risparmiamoci i particolari che un giorno saranno divulgati a illuminare quanti si interessano di vita sottomarina e che, per adesso in regime di massima segretezza, si trovano in diari di bordo, atti confidenziali e registri vari, taluni in cifra. Limitiamoci a dire che la piattaforma continentale fu esaminata minuziosamente, senza risultato. Non si trovò nessuna fenditura, eccetto quelle originarie, nessuno sfregamento fuori della norma fu percepito dai microfoni. Frustrata questa prima aspettativa, si passò agli abissi. Le gru calarono gli strumenti costruiti per le forti pressioni, i quali, nel mare profondo e silenzioso, cercarono, cercarono e nulla trovarono. L'Archimede, capolavoro della ricerca sottomarina guidato dai francesi suoi proprietari, scese fino alle massime profondità periferiche, dalla zona eufotica a quella pelagica, e da qui alla zona battipelagica, servendosi di fari, di pinze, di scandagli elettronici, di sonde di vario tipo esaminò l'orizzonte subacqueo con il sonar panoramico, invano. Gli estesi versanti, le scarpate in declivio, i precipizi verticali si mostravano nella loro cupa maestosità, nella loro intatta bellezza, gli strumenti continuavano a registrare, fra clic e luci intermittenti, le correnti ascendenti e discendenti, fotografavano i pesci, i banchi di sardine, le colonie di merluzzi, le brigate di tonni e di rombi, le flottiglie di sgombri, le armate di pesci spada, e se l'Archimede avesse avuto nel suo ventre un laboratorio dotato dei necessari reagenti e solventi, oltre che di una rete chimica, avrebbe individuato gli elementi naturali che si trovano disciolti
nelle acque oceaniche, cioè, in ordine decrescente di quantità, e a beneficio culturale di una popolazione che non si sogna neppure l'esistenza di tanta roba nel mare in cui si bagna, cloro, sodio, magnesio, zolfo, calcio, potassio, bromo, carbonio, stronzio, boro, silicio, fluoro, argo, azoto, fosforo, iodio, bario, ferro, zinco, alluminio, piombo, stagno, arsenico, rame, uranio, nichel, manganesio, titanio, argento, tungsteno, oro, che ricchezza, mio Dio, e le carenze che ne abbiamo sulla terraferma, eppure non si riesce a raggiungere la fenditura che spiegherebbe il fenomeno che, agli occhi di tutti, in fondo si produce, si manifesta e si prova. Disperato, uno studioso nordamericano, e tra i più illustri, sul ponte della nave oceanografica giunse al punto di proclamare ai venti e agli orizzonti, Dichiaro che è impossibile che la penisola si stia muovendo, mentre un italiano, ancorché molto meno saggio, ma sostenuto dal precedente storico e scientifico, mormorò, peraltro non tanto sottovoce che non lo udisse quell'essere provvidenziale che tutto ascolta, Eppur si muove. Con le mani vuote, screpolate per il sale, umiliate per la frustrazione, i governi si limitarono a rendere pubblico che, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, si era proceduto a una disamina delle eventuali alterazioni introdotte nell'habitat delle specie ittiche dallo spostamento della penisola. Non era la montagna che aveva partorito un topo, ma l'oceano che aveva dato alla luce una sardina. Udirono i viaggiatori la notizia uscendo da Lisbona e non le diedero importanza, inserita com'era fra le altre che, tali e quali, si riferivano all'allontanamento della penisola e che, di importanza, anch'esse sembravano non averne molta. L'uomo si abitua a tutto, i popoli anche con più facilità e rapidità, in fondo è come se stessimo ancora viaggiando su una nave immensa, talmente grande che ci si potrebbe addirittura vivere il resto della vita senza vederne né prua né poppa, quando era attaccata all'Europa non era ancora nave la penisola e già era tanta la gente che delle terre conosceva solo quella in cui era nata, ditemi allora, per favore, che differenza c'è. Adesso che Joaquim Sassa e Pedro Orce sembrano definitivamente liberi dalla foga analitica della scienza e non dovranno più temere le autorità, potrebbero tornarsene ciascuno a casa propria, e pure José Anaiço, che gli storni inaspettatamente hanno lasciato perdere, ma l'apparizione, per così dire, di questa donna ha riportato tutto all'inizio, come del resto è appannaggio di tutte le donne, anche se non sempre in maniera così radicale. Fu dopo un incontro in quello stesso giardino dov'erano stati il giorno prima Joana Carda e José Anaiço che i quattro decisero, riesaminati i fatti, di unirsi per il viaggio
che li avrebbe condotti al luogo segnato con una riga per terra, una di quelle righe che abbiamo fatto tutti nella vita, ma unica nelle sue caratteristiche, a credere all'agente e alla testimone, coincidenti in una sola persona. Joana Carda non ha rivelato ancora il nome del posto, o almeno di qualche città vicina, si è limitata a indicare genericamente, Andiamo a nord, per l'autostrada, vi dirò poi la via. Discretamente Pedro Orce aveva preso da parte José Anaiço per domandargli se ritenesse giusto andare così alla ventura, ciecamente in balia di una strampalata con un bastone in mano, che non fosse tutta una trappola, un ratto, un'astuta manovra, Di chi, volle sapere José Anaiço, Questo non lo so, magari ci vogliono portare nel laboratorio di qualche scienziato pazzo, come si vede nei film, di un frankenstein, rispose Pedro Orce ormai con un sorriso, Qualche ragione ci sarà per parlare tanto dell'immaginazione andalusa, in poca acqua bolle, commentò José Anaiço, Non è che l'acqua sia poca, ma tanto il fuoco, rispose Pedro Orce, Lascia stare, concluse José Anaiço, ciò che dev'essere sarà, e si riunirono agli altri che avevano iniziato una discussione press'a poco così, Non so com'è successo, la bacchetta era per terra, l'ho presa e ho tracciato la riga, Dopo ha pensato che fosse una bacchetta magica, Come bacchetta mi è parsa grande, e le bacchette magiche ho sempre sentito dire che sono d'argento e di cristallo, con una stella in punta, che brilla, Sapeva che la bacchetta era di olmetto, Di alberi ne so ben poco, ma in questo caso credo che un fiammifero avrebbe provocato lo stesso effetto, Perché dice questo, Ciò che deve essere, deve essere, e ha una grande forza, non vi si può resistere, Crede nella fatalità, Credo in ciò che deve essere, Allora è come José Anaiço, disse Pedro Orce, anche lui ci crede. La mattina, con un venticello che sembrava un soffio giocoso, non preannunciava una giornata calda. Andiamo, domandò José Anaiço, Andiamo, risposero tutti, inclusa Joana Carda, che era andata a cercarli. La vita è piena di piccoli avvenimenti che sembrano di poca importanza, altri ce n'è che a un certo momento hanno attirato tutta l'attenzione e quando, in seguito, alla luce delle loro conseguenze li riesaminiamo, ci si accorge che se n'è smorzato il ricordo, mentre i primi hanno acquistato titolo di fatto decisivo o, almeno, di anello di una catena successiva e significativa di eventi in cui, per dare l'esempio che ci si aspetta, non ci sarà effettivamente questo frenetico metti su e tira lì, in apparenza tanto giustificato di per sé, che è la sistemazione dei bagagli di quattro persone in una mácchina piccola come la Due Cavalli. La difficile operazione assorbe l'attenzione di tutti, ognuno
suggerisce, propone e fa per aiutare, ma il punto cruciale latente di tutta sta agitazione, che magari determina addirittura disposizione casuale dei quattro intorno alla macchina, è quello di sapere accanto a chi Joana Carda viaggerà. Che sia Joaquim Sassa a dover guidare la Due Cavalli sta bene, all'inizio di un viaggio la macchina la deve sempre condurre il proprietario, si tratta di un punto che implica prestigio, prerogativa e senso di possesso. Il conducente alternativo, all'occasione, sarà José Anaiço, visto che Pedro Orce, non tanto per l'età ma perché vive in zone sterrate e il suo mestiere lo tiene dietro a un banco, non si è mai avventurato fra le meccaniche complesse di volante, pedali e cambio, quanto a Joana Carda è troppo presto per chiederle se sa guidare. Presentati così i dati del problema, sembra che dovrebbero sedersi dietro questi ultimi due e davanti, logicamente, pilota e copilota. Ma Pedro Orce è spagnolo, Joana Carda portoghese,nessuno dei due parla la lingua dell'altro e poi si sono appena conosciuti, magari più in là non diremo di no, quando ci sarà più familiarità. Il posto accanto al conducente, anche se per i superstiziosi, sulla base dei fatti di esperienza, è detto il posto della morte, viene generalmente considerato di riguardo e perciò andrebbe offerto a Joana Carda, a cui Joaquim Sassa darebbe la destra mentre andrebbero dietro gli altri uomini, e non si capirebbero male, dopo tante avventure vissute insieme. Ma il bastone d'olmo è troppo grande per entrare davanti e Joana Carda non se ne separerebbe per nulla al mondo, come tutti hanno già capito. Quindi, non essendoci altre alternative, davanti ci andrà Pedro Orce, per due motivi, spiegabili, uno più eccellente dell'altro, primo, come si è già detto, essendo di riguardo il posto, e secondo perché in fondo, visto che Pedro Orce è il più vecchio dei presenti, è anche colui che sarà prossimo a morire, per ciò che con umore nero chiamiamo legge naturale della vita. Ma quel che veramente conta, al di là di queste riflessioni biforcute, è che Joana Carda e José Anaiço vogliono stare dietro insieme, e tra mosse, pause e apparenti distrazioni, qualcosa all'uopo l'hanno fatta. Sediamoci, dunque, e partiamo. Il viaggio non ebbe storia, è ciò che sempre dicono i narratori frettolosi quando ritengono di poterci convincere che nei dieci minuti o nelle dieci ore che faranno sparire non sia successo nulla degno di menzione. Deontologicamente, sarebbe più corretto e ben diversamente fedele dire così, Come in tutti i viaggi, di qualunque direzione e percorso, accaddero mille episodi, mille parole, mille pensieri, si dice mille per dire diecimila, ma siamo già in ritardo con la narrazione, perciò mi prendo la libertà di abbreviare, usando tre righe per percorrere duecento chilometri, facendo finta
che quattro persone in un'automobile abbiano viaggiato in silenzio, non un pensiero né un movimento, fingendo loro, insomma, che del viaggio non abbiano fatto storia. Nel caso nostro, per esempio, sarebbe impossibile non trovare un significato nel fatto che Joana Carda, con la massima naturalezza, abbia seguito José Anaiço quando è andato a prendere il posto di Joaquim Sassa, ben felice di riposarsi dal volante, e che, non si sa per quali acrobazie, sia riuscita a sistemare davanti il bastone di olmetto senza infastidire la guida né pregiudicare la visibilità. Come si rende inutile, adesso, aggiungere che, tornato José Anaiço dietro, Joana Carda l'ha seguito, ed è andata sempre così, dove c'era José, c'era Joana, anche se nessuno dei due, per il momento, sappia dire per che motivo e a che pro, oppure, sapendolo già, forse non osano, ogni momento ha il suo sapore, e questo non l'ha ancora perduto. Poche automobili si vedevano abbandonate per le strade e, invariabilmente, erano tutte incomplete, mancavano le ruote, i fari, gli specchietti, i parabrezza, uno sportello, tutti gli sportelli, i sedili, alcune sembravano ridotte alla semplice càrcassa come granchi senza abitanti. Ma, certo per via delle difficoltà di rifornimento di benzina, il traffico era scarso, solo ogni tanto passava qualche macchina. Come pure saltavano all'occhio certe incongruenze, come il transito in autostrada di un carro tirato da un asino o di una squadra di ciclisti le cui massime velocità possibili sarebbero rimaste molto al di sotto della velocità minima che i relativi segnali invano continuavano a imporre indifferenti al drammatico significato della realtà. E c'era anche chi andava a piedi, generalmente con lo zaino sulle spalle o, rusticamente, con due sacchi legati per i pizzi e collocati in spalla, a guisa di bisaccia, le donne con la cesta sulla testa. Molti viaggiavano da soli, ma c'erano anche famiglie, in apparenza al completo, con vecchi, e giovani, e innocenti. Quando, più avanti, la Due Cavalli dovette uscire dall'autostrada, la frequenza di questi passanti diminuì solo in rapporto alla minore importanza del nodo stradale. Ben tre volte Joaquim Sassa tentò di domandare a qualcuno dove fosse diretto, e da tutti la risposta fu uguale, Andiamo lì, a vedere il mondo. Non ignoravano certo che il mondo, il mondo immediato, a rigore, era adesso più piccolo di quanto era stato, forse proprio per questo era diventato realizzabile il sogno di conoscerlo tutto, e quando José Anaiço domandava, Ma allora, la vostra casa, il vostro lavoro, rispondevano tranquillamente, La casa è sempre là, il lavoro lo troveremo, son cose del vecchio mondo che non devono ostacolare il mondo nuovo E meno male che tutti, perché più discreti o preoccupati delle proprie vite, non
ribaltarono la domanda, sarebbe stato bello dover loro rispondere, Stiamo andando con questa signora a vedere una riga che ha tracciato per terra con questo ramo, e quanto al problema del lavoro, avrebbero fatto una magra figura, forse Pedro Orce avrebbe detto, Ho lasciato nei guai i miei clienti, e Joaquim Sassa, Suvvia, di modesti impiegati ce n'è a bizzeffe, non sentono certo la mia mancanza, e inoltre sono nel pieno di meritate ferie, e José Anaiço, Lo stesso per me, se andassi a scuola adesso, non troverei un solo alunno, da qui a ottobre il tempo appartiene solo a me, e Joana Carda, Di me non parlerò, se fino adesso non ne ho parlato con i miei compagni di viaggio, figuriamoci con degli estranei. Avevano passato la cittadina di Pombal quando Joana Carda disse, più avanti c'è una strada per Soure, prendiamola, dopo aver lasciato Lisbona era questa la prima indicazione di una meta reale, fino ad allora era come se avessero viaggiato nella nebbia o come se, per adattare meglio la situazione particolare alle circostanze, fossero stati antichi e innocenti navigatori, in mezzo al mare siamo, il mare ci porta, dove mai ci porterà il mare. Ormai erano sul punto di saperlo. A Soure non si fermarono, imboccarono certe stradine che si incrociavano, si biforcavano e triforcavano, e talora sembrava girassero in tondo, finché giunsero a un paese che si annunciava all'ingresso con un cartello, Ereira, e Joana Carda disse, E' qui. Di soprassalto José Anaiço, che in quel momento era alla guida della Due Cavalli, pigiò bruscamente sul freno, come se la riga si trovasse lì, in mezzo alla strada, e lui fosse sul punto di calpestarla, non che ci fosse pericolo di distruggere la favolosa prova, a dire di Joana Carda indistruttibile, ma per quella specie di sacro timore che assale persino i più scettici quando la routine si spezza come un filo su cui facevamo scorrere la mano, fiduciosi e senza responsabilità, eccetto quelle di conservare, rafforzare e prolungare per il possibile quel filo, e anche la mano. Joaquím Sassa guardò fuori, vide case, alberi al di sopra dei tetti, campi pianeggianti, s'indovinavano le paludi, le risaie, è il dolce Mondego, meglio quello che una montagna selvaggia. Se fosse questo il pensiero di Pedro Orce, ecco che senza dubbio interverrebbero nella storia Don Chisciotte e la sua trista figura, quella che lui ha e quella che ha fatto, personalmente, saltando come un matto fra i picchi della Sierra Morena, sarebbe uno sproposito comparare simili episodi di cavalleria errante, perciò Pedro Orce, scendendo dalla macchina e ritto in piedi, si limita a confermare che la terra continua a tremare. José Anaiço ha girato intorno alla Due Cavalli, è andato ad aprire, che cavaliere, lo sportello
dall'altro lato, finge di non vedere il sorriso ironico e benevolo di Joaquim Sassa, e dopo aver preso il ramo di olmetto di Joana Carda, le tende la mano per aiutarla a scendere, lei gli porge la sua, le stringono l'una all'altra, più di quanto sia necessario per garantire la saldezza dall'appoggio, ma non è la prima volta, la prima, e finora l'unica, è stata sul sedile posteriore, un impulso, eppure allora non hanno detto, né la dicono ora, una parola a voce più alta o più bassa, che con altrettanta forza si stringa alla parola dell'altro. E' l'ora delle spiegazioni, è vero, ma altre ne richiede la domanda di Joaquim Sassa, come il capitano della nave che, aprendo la lettera sigillata, sospetta sia solo un foglio bianco, E adesso, Adesso andiamo avanti così, rispose Joana Carda, e strada facendo vi racconterò di me ciò che ancora manca, non che sia molto importante per il motivo che ci ha condotti qui, ma perché non avrebbe senso continuare a essere una sconosciuta per chi mi ha accompagnato fin qui, Poteva dircelo prima, a Lisbona, o durante il viaggio, osservò José Anaiço, A che pro, o venivate con me credendo a una sola parola, oppure quella parola ne avrebbe richieste molte altre per convincervi, e allora sarebbe valsa a poco, Come premio per averle creduto, E' a me che spetta scegliere il premio e il momento di darlo. José Anaiço non volle risponderle, fece finta di niente, si mise a guardare un filare di pioppi lontano, ma udì Joaquim Sassa mormorare, Che ragazza. Joana Carda sorrise, Ragazza non lo sono più, né la virago che le sembro, Virago non direi, Autoritaria, sempre sulle sue, presuntuosa, arrogante, Mamma mia, quante cose, dica piuttosto misteriosa e basta, Perché un mistero c'è, ché qui non ci porterei nessuno che non credesse senza vedere, neppure voi, a cui pure non si crede, Adesso ci sta facendo questo favore, più fortunata sono stata io, che ho dovuto pronunciare solo una parola, Speriamo che adesso non gliene servano molte. Il dialogo si svolse tutto fra Joana Carda e Joaquim Sassa, vista la difficoltà di comprensione di Pedro Orce e la mal celata impazienza di José Anaiço, escluso per colpa sua. Ma questa curiosa situazione, notate, non fa che ripetere, con le differenze che sempre distinguono le situazioni che si ripetono, quella di Granada, quando Maria Dolores aveva parlato con un portoghese mentre avrebbe preferito parlare con l'altro, tuttavia nel nostro caso ci sarà tempo per chiarire tutto, assetato non rimarrà chi vera sete ha. Stanno ormai camminando lungo il sentiero, che è angusto, Pedro Orce è costretto a rimanere indietro, dopo gliele spiegheranno gli altri le cose, a patto che a uno spagnolo interessino davvero vite di portoghesi. Non vivo qui, a Ereira, cominciò Joana Carda, la mia casa era a Coimbra, mi trovo qui
solo da quando mi sono separata da mio marito, un mese or sono, i motivi, a che servirebbe parlare di motivi, a volte ne basta uno solo, mentre altre, neppure sommandoli tutti, se le vostre vite non ve lo hanno insegnato, poveri voi, e dico vite, non vita, perché ne abbiamo varie, fortunatamente si fanno fuori a vicenda, altrimenti non potremmo vivere. Oltrepassò con un salto un largo ruscello, gli uomini la seguirono e quando il gruppo si fu ricomposto, adesso camminando su di un terreno soffice e sabbioso, di terra che le alluvioni avevano invaso, Joana Carda riprese a parlare, Abito in casa di parenti, volevo pensare, ma non il solito bilancio, avrò fatto bene, avrò fatto male, quello che è fatto è fatto, volevo semmai pensare alla vita, a cosa serve, a cosa sono servita io, sì, sono giunta a una conclusione e credo che altra non ve ne sia, non so come la vita sia. A José Anaiço e Joaquim Sassa gli si legge in faccia che sono disorientati, la donna che, bastone in mano, se n'è venuta in città a proclamare impossibili azioni di agrimensura, qui fra i campi del Mondego si è rivelata filosofa, e della peggior specie, o, ancor più complicato, di quella particolare categoria che dice sì quando ha detto no, che dirà no dopo aver detto sì. José Anaiço, che ha ricevuto una preparazione da insegnante, è esperto nel cogliere meglio queste contraddizioni, diversamente da Joaquim Sassa, che solo le intuisce e perciò lo disturbano doppiamente. Prosegue Joana Carda, adesso ferma perché è quasi arrivata al luogo dove vuol condurre gli uomini e le manca ancora qualcosa da dire, quant'altro ci sarà, rimarrà per un altro momento, Sono venuta a Lisbona a cercarvi non tanto per via delle stranezze cui siete collegati, ma perché vi ho visto come persone avulse dalla logica apparente del mondo, proprio come mi sento io, sarebbe stata una delusione se non mi aveste seguita fin qui, ma l'avete fatto, può darsi che qualcosa abbia ancora significato, o torni ad averlo dopo averlo perduto tutto, adesso accompagnatemi. E' una radura discosta dal fiume, un cerchio circondato da frassini, che sembra non sia mai stato coltivato, posti del genere sono meno rari di quel che si pensi, basta mettervi piede e il tempo sembra fermarsi, il silenzio tace in maniera diversa, si avverte la brezza sul viso e sulle mani, no, non si tratta di fatture e stregonerie, non è posto da aquelarres o porta d'ingresso per un altro universo, ma è solo per via di quegli alberi in circolo e del terreno che pare intatto fin dall'inizio del mondo, solo la sabbia è arrivata fin qui e lo ha reso soffice, ma, sotto, l'humus pesa, è tutta colpa di chi ha piantato gli alberi così. Joana Carda conclude la sua spiegazione, Era qui che venivo a pensare alla mia vita, non credo vi sia al mondo posto più tranquillo, e insieme
inquieto, non occorre che me lo diciate, ma se non ci foste venuti non avreste potuto capirlo, e un giorno, esattamente due settimane oggi, mentre attraversavo la radura da un capo all'altro per andarmi a sedere all'ombra di un albero, laggiù, ho trovato questo ramo, era per terra, non lo avevo mai visto prima, ero venuta qui anche il giorno avanti e non c'era, sembrava che qualcuno lo avesse posato con cura, ma non si vedevano tracce di passi, le orme che vedete sono le mie, oppure sono vecchie, di qualcuno passato molto tempo fa. Eccoli sul bordo della radura, Joana Carda trattiene ancora gli uomini, sono le ultime parole, Ho preso il ramo da terra, lo sentivo vivo come fosse l'albero da cui era stato tagliato, o forse lo sto sentendo così adesso, mentre lo ricordo, e in quel momento, con un gesto più da bambino che da adulto, ho tracciato una riga che mi separava da Coimbra, dall'uomo con cui ho vissuto, definitivamente, una linea che divideva il mondo in due metà, si vede da qui. Camminarono verso l'interno del circolo, si avvicinarono, la linea era lì, viva, come fosse appena stata tracciata, la terra discosta sui bordi, sotto un po' umida, nonostante il calore del sole. Adesso stanno tutti in silenzio, gli uomini non sanno che dire, Joana Carda non ha altre parole da aggiungere, è il momento di un gesto rischioso che può volgere in motivo di scherno tutta la sua meravigliosa storia. Striscia il piede per terra, spiana la linea come una livella, pesta e calpesta, è come un sacrilegio. Un attimo dopo, davanti agli occhi sgomenti di tutti, la linea si riforma, si ricompone tale e quale a prima, i minuscoli terrapieni, i granelli di sabbia si ricreano, si riorganizzano, riprendono il loro posto e la linea ricompare. Fra la parte che era andata distrutta e il resto, da un lato e dall'altro, non si nota alcun segno né della prima né della seconda separazione. Dice Joana Carda, con una voce un po' stridula per il nervosismo, Ho già spazzato tutta la riga, ci ho versato sopra dell'acqua, riappare sempre, se volete provare, l'ho perfino ricoperta di sassi, ma dopo che li ho tolti, tutto è tornato come prima, provate se non credete. Joaquim Sassa si chinò, affondò le dita nel terreno morbido, prese un pugno di terra, lo lanciò lontano e immediatamente la riga si riassestò. Fu poi la volta di José Anaiço, che però chiese a Joana Carda la bacchetta e tracciò una riga profonda accanto alla prima, poi la calpestò per tutta la lunghezza. La riga non si ricreò. Faccia la stessa cosa lei, disse José Anaiço a Joana Carda. La punta della bacchetta fu conficcata nella terra e poi trascinata, si aprì una lunga ferita che, appena la calpestarono, subito si richiuse come una cicatrice imperfetta e tale rimase. Disse José Anaiço, Non c'entra la bacchetta, non
c'entra la persona, è stato il momento, è il momento che conta. Allora Joaquim Sassa fece ciò che andava fatto, raccolse da terra uno dei sassi di cui Joana Carda si era servita, in peso e forma era simile a quello che aveva lanciato in mare, e con tutta la forza che aveva lo lanciò lontano, il più possibile, ma il sasso cadde dove naturalmente doveva cadere, a pochi passi, questo soltanto può la forza umana. Pedro Orce aveva assistito alle prove e agli esperimenti, ma non aveva voluto prendervi parte, forse perché gli bastava la terra che continuava a tremargli sotto i piedi. Prese dalle mani di Joana Carda la bacchetta di olmo e disse, Può spezzarla, buttarla via, bruciarla, non serve più a niente, la sua bacchetta, il sasso di Joaquim Sassa, gli storni di José Anaiço, sono serviti una volta, non serviranno più, sono come gli uomini e le donne, che anche loro servono una volta sola, ha ragione José Anaiço, ciò che conta è il momento, noi gli serviamo soltanto, Sarà così, rispose Joana Carda, ma questa bacchetta resterà con me per sempre, i momenti non avvertono quando arrivano. Dal lato opposto spuntò dagli alberi un cane. Si dilungò a guardarli, poi attraversò la radura, era un bestione robusto, dal pelo fulvo, e d'improvviso, a un raggio di sole, parve incendiarsi come un fuoco vivo. Nervoso, Joaquim Sassa gli tirò un sasso, uno qualsiasi, Non mi piacciono i cani, ma non lo colpì. Il cane si fermò, per niente spaventato, per niente minaccioso, si fermò solo a guardare, non abbaiò neppure. Giunto vicino agli alberi volse la testa indietro, sembrava più grande visto a distanza, poi si allontanò, al passo, e scomparve. Joaquim Sassa tentò di scherzare, di scaricarsi dalla tensione, Joana, conservi il bastone, può sempre tornare utile se da queste parti girano belve di quelle dimensioni. Dal comportamento, aveva ben poco di belva. Tornarono indietro per lo stesso sentiero, adesso c'erano varie questioni pratiche da risolvere, per esempio dove sarebbero andati gli uomini, visto che si sta facendo tardi per tornare a Lisbona. Ma non è affatto tardi, disse Joaquim Sassa, anche senza andare all'impazzata, possiamo arrivare a Lisbona a un'ora decente per la cena, Per me sarebbe meglio fermarsi a Figueira da Foz, o a Coimbra, e domani ripassare di qua, può darsi che Joana abbia bisogno di qualcosa, disse José Anaiço, e c'era una notevole ansietà nella sua voce, Se preferisci così, sorrise Joaquim Sassa, e il resto della frase passò dalle parole allo sguardo, Ti ho capito bene, vuoi pensarci stanotte, vuoi decidere che cosa dirai domani, i momenti non avvertono quando arrivano. Adesso procedono in testa Pedro Orce e Joaquim Sassa, il pomeriggio è talmente dolce da stringere la gola di commozione, non per
qualcuno, solo per la luce, per il cielo pallido, per gli alberi che non si muovono, per la tranquillità del fiume che si intuisce e poco più avanti appare, uno specchio levigato con gli uccelli che lo attraversano lentamente. José Anaiço tiene per mano Joana Carda e dice, Siamo al di qua della linea, insieme, per quanto tempo, e Joana Carda risponde, Fra non molto lo sapremo. Quando arrivarono vicino all'automobile videro il cane. Joaquim Sassa afferrò di nuovo una pietra, ma non la lanciò. L'animale, nonostante il movimento, non si era mosso. Pedro Orce gli si avvicinò, tese la mano in un gesto di pace, come per accarezzarlo. Il cane se ne rimase quieto, la testa alzata. Dalla bocca gli pendeva un filo di lana turchino, umido. Pedro Orce gli passò la mano sul dorso, poi si rivolse ai compagni, Ci sono momenti che avvertono quando arrivano, la terra sta tremando sotto le zampe di questo cane. L'uomo pone, il cane dispone, un nuovissimo detto che vale quanto l'antico, un nome dovremo pure darlo a chi, in ultima istanza, decide, e non è sempre Dio che ordina, come in genere si crede. Si salutarono lì, gli uomini diretti a Figueira da Foz, che è più vicina, la donna a casa dei parenti ospiti, ma quando la Due Cavalli aveva ormai tolto il freno e cominciava a muoversi, si vide con sorpresa generale il cane mettersi davanti a Joana Carda, bloccandole la strada. Non abbaiò, non mostrò i denti, il gesto col bastone lo lasciò indifferente, ché solo un gesto fu. Il guidatore, José Anaiço, pensò che l'amata fosse in pericolo e, di nuovo cavaliere errante, fermò bruscamente la macchina, balzò fuori e si precipitò in soccorso, drammatica azione del tutto inadatta, come si capì subito, il cane si era semplicemente sdraiato in mezzo alla strada. Si avvicinò Pedro Orce, insieme a Joaquim Sassa che nascondeva l'antipatia con un'espressione di noncuranza, Che vuole quella bestia, domandò, ma nessuno gli sapeva rispondere, tantomeno lui stesso. Come aveva fatto prima, Pedro Orce si avvicinò alla bestia, gli pose la mano sul testone. Il cane chiuse gli occhi alla carezza, in maniera pungente, se la parola è pertinente, stiamo parlando di cani, non di persone sensibili che coltivano la sensibilità, e poi si alzò, fissò gli esseri umani uno dopo l'altro, diede loro il tempo di capirsi e cominciò a camminare. Percorse una decina di metri, si fermò e rimase in attesa. Orbene, l'esperienza ci ha insegnato, ma anche i film e i romanzi abbondano di simili dimostrazioni, Lassie per esempio dominava questa tecnica alla perfezione, insomma ci dice l'esperienza che un cane fa così quando vuole
che lo seguiamo. In questo caso salta agli occhi che ha intralciato il passo a Joana Carda per costringere gli uomini a scendere dalla macchina, e se adesso che sono insieme, indica loro la strada che, nella sua opinione di cane, devono seguire lo fa perché, ci siano perdonate ancora una volta le ripetizioni, vuole che insieme lo seguano. Non occorre essere intelligenti come un uomo per capirlo, se un normalissimo cane lo sa comunicare tanto semplicemente. Ma gli uomini sono stati ingannati tanto spesso che hanno imparato a essere sperimentallsti, Si accertano di tutto, soprattutto attraverso la ripetizione, che è la via più facile, e quando, come in questo caso, hanno raggiunto un livello medio di cultura, non si accontentano di una seconda esperienza uguale alla prima, vi introducono piccole varianti che non modificano radicalmente i dati basilari, facciamo un esempio, José Anaiço e Joana Carda sono saliti in macchina, ne sono scesi Pedro Orce e Joaquim Sassa, vediamo adesso che cosa fa il cane. Diciamo che fece ciò che doveva fare. Il cane, che sa bene di non poter fermare una macchina, a meno di non mettercisi davanti, ma è morte certa e non c'è automobilista che abbia tanto amore per gli animali nostri amici da fermarsi per assisterli nei loro ultimi momenti o da spingere nella cunetta il miserando corpo, il cane taglia il passo a Joaquim Sassa e Pedro Orce, come prima aveva fatto a Joana Carda. Terza e decisiva prova fu che salirono tutti e quattro in automobile e avviarono il motore, e poiché il caso volle che la Due Cavalli si trovasse nella giusta direzione, il cane le si andò a mettere davanti, questa volta non per impedirle di andare, ma per fare strada. Tutte queste manovre sono avvenute senza la presenza di curiosi perché, come è successo altre volte dall'inizio di questo racconto, certi episodi importanti sono accaduti all'entrata o all'uscita di paesi e città, e non dentro, come per lo più succede, il che meriterebbe senza dubbio una spiegazione, ma noi non siamo competenti, pazienza. José Anaiço frenò, il cane si fermò a guardare e infine Joana Carda concluse, Vuole che andiamo con lui. Ci avevano messo un bel pezzo a capire una cosa che era evidente fin da quando l'animale aveva attraversato la radura, diciamo che, allora, il momento aveva dato il suo avvertimento, ma non sempre si presta attenzione ai segnali. E anche quando non c'è più ragione di dubitare, ancora ci si ostina a resistere alla lezione, proprio come sta facendo Joaquim Sassa che domanda, E perché dobbiamo seguirlo, che balordaggine è mai questa di quattro adulti che si mettono dietro a un cane vagabondo, senza neanche un messaggio nel collare, un aiutatemi, o una medaglietta, mi chiamo fido, se qualcuno mi trova, che mi riporti al mio padrone, signor
taldeitali, o signora taldeitali, via eccetera eccetera, Non ti sforzare troppo, disse José Anaiço, questa storia è altrettanto assurda di quelle che sono successe e che sembrava non avessero senso, Dubito ancora che ce l'abbiano del tutto, Non ti preoccupare del senso globale, questo lo disse Pedro Orce, un viaggio non ha altro senso che quello di concludersi, e noi non siamo ancora a metà strada, o forse all'inizio, chi può saperlo, dimmi che fine hai avuto e ti dirò il significato che hai potuto avere, Molto bene, e fintanto che non arriva quel giorno, che cosa decidiamo. A quel punto si fece silenzio. La luce sta scemando, il giorno se ne va e lascia tra gli alberi le ombre, ormai è già diverso il cantare degli uccelli. Il cane si va a sdraiare davanti alla macchina, a tre passi, accomoda la testa fra le zampe anteriori distese, attende senza impazienza. E' allora che Joana Carda dice, Sono pronta ad andare dove lui ci porterà, se è venuto apposta, quando arriveremo a destinazione lo sapremo. José Anaiço fece un respiro profondo, non fu un sospiro, anche se ce ne sono di sollievo, tutto ciò che disse fu, Anch'io, E io pure, aggiunse Pedro Orce, Dal momento che siete tutti d'accordo, non sarò io il guastafeste che vi obbligherà a seguire il pilota a piedi, andremo insieme, a qualcosa dovranno pur servire le vacanze, conclusione di Joaquim Sassa. Decidere significa dire sì o no, tirare fuori il fiato, solo dopo vengono le difficoltà, all'atto pratico, come dice la grande esperienza del popolo, ottenuta col tempo e con la pazienza di sopportarlo, fra poche speranze e tanto meno mutamenti. Seguiamo il cane, sissignore, ma bisogna sapere come, la guida, visto che non si sa spiegare, non può salire in macchina, gira a sinistra, gira a destra, sempre avanti fino al terzo semaforo, e oltre a questo, che è già abbastanza imbarazzante, come potrebbe entrare un animale di queste dimensioni in una macchina i cui posti sono tutti occupati, per non parlare del bagaglio e della bacchetta di olmetto, anche se di quest'ultima quasi non ci s'accorge quando Joana Carda e José Anaiço sono seduti l'uno accanto all'altro. E visto che si parla di Joana Carda, manca ancora il suo bagaglio, e inoltre, prima di riuscire a farlo stare qua dentro, bisogna andare a prenderlo, spiegare ai cugini la repentina partenza, non possono mica affacciarsi alla porta di casa tre uomini, la Due Cavalli e un cane, Io vado con loro, sarebbe la voce della verità innocente, ma una donna che si è separata dal marito da così poco tempo non deve dare altre ragioni al mondo, soprattutto in un ambiente ristretto come Ereira, in un paese, le grandi rotture possono andar bene per la capitale e le grandi città, e comunque Dio solo sa a costo di che lotte e che travaglio di corpo e sentimento.
Il sole è ormai tramontato, la notte non tarderà, non è l'ora per intraprendere un viaggio verso l'ignoto, e Joana Carda farebbe malissimo a scomparire senza né a né ba, aveva detto ai parenti che andava a Lisbona per una certa faccenda, è andata con un treno, è tornata con l'altro. Difficoltà del genere sembrano vicoli ciechi, tanto possono le convenienze della società e della famiglia. Quand'ecco che, d'improvviso, Pedro Orce scende dalla macchina, vedendolo avvicinare, il cane si è alzato e lì, nella penombra scura, si sono messi a chiacchierare, o almeno così si direbbe, anche se sappiamo che questo cane non è capace neppure di abbaiare. Terminato il dialogo, Pedro Orce tornò alla macchina e disse, Credo che Joana possa andare a casa, il cane rimane con noi, decidete voi dove si può andare a dormire e combinate come e dove incontrarci domattina. Nessuno mise in dubbio la garanzia, Joaquim Sassa dispiegò la carta stradale e in tre secondi decisero che si sarebbero fermati a Montemor-o-Velho, alloggiando in qualche modesta pensione, E se non ce ne fossero, domandò Joaquim Sassa, Andremo a Figueira, disse José Anaiço, oppure sarebbe meglio giocare sul sicuro, andiamocene piuttosto a dormire a Figueira, e tu domani prendi la corriera, ti aspetteremo vicino al Casinò, al parcheggio, inutile dire che le indicazioni erano destinate a Joana Carda, la quale le accettò senza questionare sulla competenza di chi le impartiva. Disse Joana, Arrivederci a domani, e all'ultimo momento, con un piede già in terra, si voltò indietro e baciò José Anaiço sulla bocca, dunque è così, non quella finta sulla guancia o all'angolo della bocca, furono due lampi, uno in rapidità e l'altro in schiocco, ma di quest'ultimo si prolungano gli effetti, il che non sarebbe avvenuto se il contatto delle labbra, così dolce, si fosse prolungato. Se sapessero quanto è successo ora, direbbero i cugini di Ereira, In fondo non sei che una frivola, e noi credevamo fosse tuo marito il colpevole, che paziente dev'essere stato, un uomo che hai conosciuto ieri e già te lo baci, almeno avessi lasciato che fosse lui a prendere l'iniziativa, come deve fare sempre una donna, e inoltre avevi detto che andavi e tornavi in giornata, hai dormito a Lisbona, fuori casa, non è bello, no, quello che hai fatto, ma la cugina, quando tutti saranno coricati, si alzerà dal letto e andrà in camera da Joana a domandarle com'è andata, lei dice che bene non lo sa, ed è vero, Perché l'ho fatto, si domanda Joana Carda allontanandosi sotto la cupa penombra degli alberi, ha le mani libere, quindi può avvicinarle alla bocca, come a trattenere l'anima. La valigetta è rimasta in macchina, a tenere il posto per gli altri bagagli, la bacchetta di olmetto è in buone mani, custodita da tre uomini e un cane che al richiamo di Pedro Orce
è entrato in macchina e si è sistemato al posto di Joana Carda, quando tutti staranno dormendo a Figueira da Foz, due donne staranno ancora parlando in una casa di Ereira, nel segreto della notte, Come vorrei venire con te, dice la cugina di Joana, sposata e malmaritata. Il giorno dopo spuntò coperto, non c'è da fidarsi del tempo, ieri quel pomeriggio che sembrava un riflesso del paradiso, limpido e soave, gli alberi che dolcemente facevano ondeggiare il frascame, il Mondego levigato come la pelle del cielo, non si direbbe che sia lo stesso fiume di adesso, sotto le nuvole basse, il mare spumeggiante, ma i vecchi fanno spallucce, Primo di agosto, primo d'inverno, dicono, una gran fortuna che il primo sia arrivato con quasi un mese di ritardo. Joana Carda giunse all'alba, ma José Anaiço la stava già aspettando in macchina, lo avevano deciso gli altri due, perché gli innamorati potessero restare soli e parlare prima di mettersi tutti in viaggio, ma in quale direzione ancora non si sa. Il cane aveva trascorso la notte al riparo nell'automobile, ma adesso stava passeggiando sulla spiaggia con Pedro Orce e Joaquim Sassa, discreto, strofinando la testa contro la gamba dello spagnolo, la cui particolare compagnia palesemente aveva scelto. Nel parcheggio, fra le altre automobili di maggior cilindrata, la Due Cavalli non dà molto nell'occhio, e questa è una, inoltre, come si è già spiegato, nessuno circola da queste parti, e sono due, pertanto niente di più naturale che subito José Anaiço e Joana Carda si siano abbracciati, come se fossero separati da un anno e soffrissero di nostalgia fin dal primo giorno. Si baciarono freneticamente, ansanti, non fu un lampo solo, ma una successione, un po' di meno le parole, è difficile parlare quando ci Si bacia, ma finalmente dopo qualche minuto riuscirono a udirsi, Mi piaci, credo di amarti, disse José Anaiço onestamente, Anche tu mi piaci, e anch'io credo di amarti, ecco perché ieri ti ho baciato, no, non è bello così, non ti avrei baciato se non avessi sentito che ti amavo, ma posso amarti molto di più, Di me non sai nulla, Se per amare una persona si dovesse aspettare di conoscerla, la vita intera non basterebbe, Tu non credi che due esseri possano conoscersi, E tu, ci credi, E' a te che lo domando, Prima di tutto dimmi cosa significa conoscere, Non ho un dizionario, In questo caso, ricorrere al dizionario vuol dire sapere ciò che già si sapeva, I dizionari dicono solo quello che può servire a tutti, Ripeto la domanda, cosa significa conoscere, Non lo so, Eppure puoi amare, sì, Senza conoscermi, A quanto pare, Il tuo cognome, Anaiço, da dove viene, Uno dei miei antenati si chiamava Inácio, ma in paese gli storpiavano il nome, cominciarono a dire Anaiço, col tempo è diventato il
nome della famiglia, e tu, perché ti chiami Carda, Un tempo la famiglia si chiamava Cardo, ma una nonna, che dopo la morte del marito si era trovata la famiglia sulle spalle, cominciarono a chiamarla Carda, e se lo meritava davvero quel nome al femminile, Pensavo che tu fossi davvero una carda, e cioè uno strumento pieno di chiodi per cardare la lana, Forse era così, e magari qualcos'altro, una volta sono andata a cercarmi sul dizionario e ho visto che la carda era anche uno strumento di tortura, fatto per lacerare le carni, poveri martiri, scuoiati, bruciati, sgozzati, cardati, E' questo che mi aspetta, Se riprendessi il nome di cardo, non ci guadagneresti con il cambio, Pungerai sempre così, No, io non sono il nome che porto, Chi sei allora, Io. José Anaiço tese la mano, le sfiorò il viso, mormorò, Tu, lo fece anche lei e a voce bassa ripeté, Tu, mentre gli occhi le si colmavano di lacrime, sarà perché è ancora sensibilizzata per quante ne ha passate nella vita, adesso, inevitabilmente, vorrà sapere della vita di lui, Sei sposato, hai figli, che fai, Ero sposato, figli non ne ho, faccio l'insegnante. Lei respirò profondamente, o forse fu un sospiro, di sollievo, poi disse sorridendo, E' meglio chiamarli, poverini, stanno morendo di freddo. José Anaiço disse, Quando ho raccontato a Joaquim il nostro primo incontro, volevo parlargli del colore dei tuoi occhi, ma non ci sono riuscito, ho detto color di cielo giovane, ho detto un paio d'occhi non so come, e lui ha colto l'espressione, e ha cominciato a chiamarti così, Come, Donna dagli Occhi Non So Come, è chiaro che davanti a te non osa. Questo nome mi piace, Tu mi piaci, e ora dobbiamo chiamarli. Un cenno con un braccio, un altro di lontano che risponde, pian piano ritornarono dalla spiaggia Pedro Orce e Joaquim Sassa, col cane grande e docile fra loro Dal cenno, disse Joaquim Sassa, è andato bene questo incontro, qualunque orecchio con un po' di esperienza di vita non avrebbe difficoltà a riconoscere nel tono di queste parole una certa malinconia contenuta, che è un sentimento nobile, falsata da invidia, o dispetto, per chi preferisce un'espressione più forbita. Piace anche a te quella ragazza, domandò Pedro Orce, comprensivo, No, non è questo, o forse sì, il mio problema è che non so a chi voler bene e come si fa a voler sempre bene. A questa dichiarazione, tutta negativa, Pedro Orce non seppe rispondere. Salirono in macchina, buongiorno, che piacere vederla, benvenuta a bordo, dove mai ci porterà questa avventura, frasi fatte e gioviali, l'ultima sbagliata, più esatto sarebbe stato che l'avessero detta così, Dove ci porterà questo cane. Jose Anaiço mise in moto, visto che è al volante può restarci, fece manovra per uscire dal parcheggio, adesso che faccio, giro a destra, giro a sinistra,
mentre si trovava in questa finta esitazione, per prendere tempo, il cane fece un giro su se stesso e con un trotto contenuto, ma rapido, tanto regolare da sembrare meccanico, cominciò a camminare in direzione nord. Col filo turchino che gli pendeva dalla bocca. Fu quello il famoso giorno in cui l'ormai distante Europa, secondo le ultime misurazioni note era di circa duecento chilometri l'allontanamento, si vide scossa da cima a fondo da uno stravolgimento di natura psicologica e sociale che ne mise drammaticamente in pericolo mortale l'identità, negata, in quel momento decisivo, nelle sue basi particolari e intrinseche, nelle nazionalità così laboriosamente create nel corso di secoli e secoli. Gli europei, dai massimi governanti ai comuni cittadini, si erano abituati in fretta, con un tacito senso di sollievo, si sospetta, alla mancanza delle terre occidentali, e se le nuove carte, rapidamente messe in circolazione per l'aggiornamento culturale delle genti, ancora provocavano a guardarle un certo disagio, è probabile che fosse solo per motivi di ordine estetico, per quell'indefinibile impressione di malessere che a suo tempo deve aver provocato, e che ancora oggi provoca in noi, la mancanza di braccia nella Venere di Milos, che questo è il nome esatto dell'isola dove fu trovata, Allora Milos non è il nome dello scultore, Nossignore, Milos è l'isola dove la poveretta fu scoperta, dove risuscitò dalle profondità come Lazzaro, ma non ci fu un miracolo che le facesse ricrescere le braccia. Con il procedere dei secoli, se procederanno, l'Europa non si ricorderà neppure più del tempo in cui era stata grande e si protendeva nel mare, proprio come noi, oggi, non riusciamo più a immaginare la Venere con le braccia. E' chiaro che non si possono ignorare i danni e gli scempi che continuano a vagare per il Mediterraneo, con le alte maree, le città costiere distrutte nelle loro frange marittime, gli alberghi che avevano scalinate fino alla spiaggia e che adesso non hanno più né spiaggia né scalinate, e Venezia, Venezia è come un pantano, è un villaggio su palafitte in pericolo, è finito il bel turismo, figli miei, ma se gli olandesi lavoreranno in fretta, fra pochi mesi la città dei Dogi, la Aveiro italiana, potrà riaprire le sue porte al pubblico ansioso, molto migliorata, ormai senza pericolo di catastrofiche inondazioni perché i sistemi di equilibrio idraulico comunicante, le dighe, le cateratte, le valvole di riempimento e di scarico assicureranno alle acque un livello costante, adesso spetta agli italiani la responsabilità di rinforzare le strutture sottostanti della città, per non farla sprofondare miseramente nella melma, la cosa più difficile, consentitemi di dirlo, è cosa fatta, ringraziamone i
discendenti di quell'eroico ragazzino che con la sola punta del suo tenero indice, evitò che la città di Harlem scomparisse dalle carte geografiche per allagamento o diluvio. Una volta recuperata Venezia, anche per il resto del Mediterraneo si troverà una soluzione. Quante volte ci sono state pesti e guerre, terremoti e incendi, e sempre questa seducente terra è risorta dalla polvere e dalle ceneri, tramutando l'amara sofferenza in dolcezza di vivere, l'appetito barbarico in civiltà, campi da golf e piscine, barche a vela nel porticciolo e decapottabile al molo, l'uomo è la creatura più adattabile, soprattutto quando si va al meglio. Anche se non è lusinghiero confessarlo, per certi europei, vedersi liberati dagli incomprensibili popoli occidentali, adesso in navigazione senza rotta nell'oceano, da dove non sarebbero mai dovuti venire, è stato già di per sé un beneficio, una promessa di giorni ancor più confortevoli, ciascuno coi suoi pari, finalmente abbiamo cominciato a conoscere l'Europa, a meno che non vi siano ancora particelle spurie che, prima o poi, in qualche modo si staccheranno anch'esse. Scommettiamo che nel nostro ultimo futuro saremo ridotti a un paese solo, quintessenza dello spirito europeo, semplice e perfetta sublimazione, l'Europa, e cioè la Svizzera. Tuttavia, se ci sono quegli europei, ce ne sono anche di questi. La razza degli inquieti, fermento del diavolo, non si estingue facilmente, per quanto si adoprino gli àuguri in pronostici. E lei che segue con gli occhi il treno che passa e si rattrista, nostalgica, per il viaggio che non farà, è lei che non può vedere un uccello nel cielo senza provare la bramosia di un volo alcionio, è lei che, nel dileguarsi di una barca all'orizzonte, libera dall'anima un sospiro tremulo, l'amata ha creduto perché fossero sì vicini, solo lui sapeva perché era sì lontano. Fu dunque uno di quegli insoliti e inquieti uomini che per la prima volta osò scrivere le parole dello scandalo, segnale di una evidente perversione, Nous aussi, nous sommes ibériques, le scrisse su un muro, in un angolino, timidamente, come chi, non potendo ancora proclamare il suo desiderio, non ce la fa più a nasconderlo. Essendo stato scritto, come si può leggere, in francese, si penserà che il fatto sia accaduto in Francia, è il caso di dire, Pensi ciascuno ciò che vuole, poteva esser successo anche in Belgio, o in Lussemburgo. Questa dichiarazione inaugurale dilagò rapidamente, comparve sulle facciate dei palazzi, sui frontoni, sull'asfalto delle strade, nei corridoi della metropolitana, sui ponti e sui viadotti, i fedeli europei conservatori protestavano, Questi anarchici sono pazzi, è sempre così, si fa scontare tutto all'anarchia.
Ma la frase oltrepassò le frontiere e dopo che le ebbe oltrepassate ci si accorse che, alla fin fine, era già comparsa anche negli altri paesi, in tedesco Auch wir sind Iberisch, in inglese We are iberians too, in italiano Anche noi siamo iberici, e di repente fu come una miccia, ardeva dappertutto a lettere rosse, nere, blu, verdi, gialle, viola, un fuoco che sembrava inestinguibile, in olandese e fiammingo Wij zijn ook Iberiers, in svedese Vi ocksa ar iberiska, in finlandese Me myoskin olemme iberialaisia, in norvegese Vi ogsa er iberer, in danese Ogsaa vi er iberiske, in greco Eímaste íberoi ki emeís, in frigio Ek Wv Binne Ibearies, e anche, sebbene con evidente timidezza, in polacco My tez jestes'my iberyjczykami, in bulgaro Nie sachto sme iberiytzi, in ungherese Mi is ibérek vagyunk, in russo My toje iberitsi, in rumeno S,i noi sintem iberici, in slovacco Ai my sme ibercamia. Ma il culmine, l'auge, l'acme, parola rara che non torneremo a usare, fu quando tra le mura del Vaticano, sulle venerabili pareti e sulle colonne della basilica, sullo zoccolo della Pietà di Michelangelo, sulla cupola, a enormi lettere azzurro chiaro sul pavimento di Piazza San Pietro, la stessa identica frase apparve in latino, Nos quoque iberi sumus, come una sentenza divina al plurale majestatis, un manete celfares delle nuove ere, e il papa, dalla finestra dei suoi alloggi, la benediceva con genuino sgomento, faceva in aria il segno della croce, invano, ché questo è uno tra i colori più solidi, non basterebbero dieci congregazioni al completo, armate di paglietta d'acciaio e di liscivia, di pietra pomice e raspini, con l'ausilio di diluenti, qui ci sarà da lavorare fino al prossimo concilio. Dalla sera al mattino l'Europa si svegliò coperta di queste scritte. Ciò che, all'inizio, forse era stato solo il mero e impotente sfogo di un sognatore continuò a dilagare fino a diventare grido, protesta, manifestazione di piazza. Da principio il fenomeno fu sottovalutato, le sue espressioni furono bersaglio di irrisione. Ma ben presto le autorità cominciarono ad agitarsi per un processo che questa volta non poteva essere attribuito a manovre dall'estero, anch'esso campo delle azioni sovversive, e quella circostanza vanificò per lo meno la fatica di appurare di quale estero si trattasse, nominalmente individuato. Era diventato di moda che i sovversivi si riversassero per le strade con gli slogan sul bavero o, più liberamente, appiccicati davanti e dietro, sulle gambe, su tutte le parti del corpo e nelle varie lingue, e anche nei dialetti regionali, nei diversi gerghi, per ultimo in esperanto, ma questo era difficile capirlo. Un'azione di contrattacco decisa dai governi europei consistette nell'organizzare alla televisione dibattiti e tavole rotonde con la
partecipazione massiccia di quanti erano fuggiti dalla penisola quando la rottura era avvenuta e si era fatta irreversibile, non quelli che vi si trovavano da turisti e che, poverini, non ci avevano guadagnato con la paura, ma i nativi propriamente detti, coloro che, nonostante gli stretti vincoli della tradizione e della cultura, dei possedimenti e del potere, avevano girato le spalle alla follia geologica e scelto la stabilità fisica del continente. Quelle persone tracciarono il nero quadro delle realtà iberiche, con grande carità e cognizione di causa diedero consigli agli irrequieti che imprudentemente stavano mettendo in pericolo l'identità europea, e conclusero il loro intervento nel dibattito con una frase definitiva, occhi negli occhi dello spettatore, e un'espressione di grande sincerità, Fai come me, scegli l'Europa. L'effetto non fu particolarmente produttivo, tranne che nelle proteste contro la discriminazione di cui erano stati oggetto i partigiani della penisola i quali, se la neutralità e il pluralismo democratico non fossero parole vane, avrebbero dovuto essere presenti in televisione per esporre le loro ragioni, se le avevano. Una precauzione comprensibile. Armati delle ragioni che il dibattito sulla ragione sempre crea, i giovani, perché erano soprattutto loro che inscenavano le azioni più spettacolari, avrebbero potuto motivare con più convinzione la loro protesta, sia nella scuola sia in strada, e pure in famiglia, non dimentichiamolo. Si può discutere se i giovani, muniti di ragioni, avrebbero lasciato perdere l'azione diretta, nel qual caso se ne dovrebbe concludere per l'effetto pacificatore dell'intelligenza, al contrario di quella che è stata la convinzione fin dall'inizio dei secoli. Si può discutere, ma non ne vale la pena, perché nel frattempo furono prese a sassate le sedi della televisione, saccheggiati i negozi che vendevano televisori, di fronte alla disperazione dei commercianti che proclamavano, Ma non è colpa mia, a niente serviva la loro innocenza relativa, le lampade scoppiavano come petardi, le casse erano ammucchiate in strada, messe al rogo, ridotte in cenere. Arrivava la polizia e caricava, si disperdevano gli insorti, e in questo gioco di forza trascorsero otto giorni, fino all'odierno, quando da Figueira da Foz partono, appresso a un cane, tre uomini e la donna di uno di loro, che lo era non essendolo ancora, o che ancora non essendolo lo era, chi di affari e intrallazzi di cuore ha qualche cognizione capirà l'antifona. Mentre costoro viaggiano diretti a nord e Joaquim Sassa ha già detto, Se passiamo per Porto, fermiamoci tutti a casa mia, centinaia di migliaia, milioni di giovani nel continente si sono riversati tutti contemporaneamente in strada, armati non di ragioni, ma di bastoni, di catene di bicicletta, di cric, di coltelli, di lesine, di
forbici, come se fossero impazziti di rabbia e, insieme, di frustrazione e pena anticipata, e gridavano, Anche noi siamo iberici, con la stessa disperazione che faceva gemere i commercianti, Ma non è colpa nostra. Quando gli animi si saranno placati, da qui a giorni e settimane, verranno gli psicologi e i sociologi a dimostrarci che, in fondo, quei giovani non volevano davvero essere iberici, ma che piuttosto, approfittando di un pretesto offerto dalle circostanze, davano sfogo al sogno irreprimibile che, vivendo tanto quanto dura la vita, in genere fa in gioventù la sua prima irruzione, sentimentale o violenta, o in una maniera o nell'altra. Nel frattempo ci furono battaglie campali, o di strada e di piazza, per dirla con maggior rigore, i feriti si contarono a centinaia, tre o quattro furono i morti, anche se le autorità avevano tentato di nascondere i tristi eventi nella confusione e contraddizione delle notizie, le madri di agosto non riuscirono mai a sapere con esattezza quanti fossero i figli scomparsi, per la semplicissima ragione che non si erano sapute organizzare, ce n'è sempre una parte che rimane fuori, qualcuna era intenta a piangere il suo dolore, oppure a occuparsi del figlio rimasto, o sotto al di lui padre a farne un altro, ecco perché le madri hanno sempre la peggio. Gas lacrimogeni, idranti, bastoni, scudi e visiere, pietre divelte dal selciato, traverse di staccionate, sbarre di inferriate dei giardini, ecco alcune delle armi usate dall'una e dall'altra parte, certe novità dagli effetti più dolorosamente persuasivi le cominciarono a sperimentare qui le varie polizie, le guerre sono come le sventure, non vengono mai sole, la prima serve per provare, la seconda per perfezionare, la terza la si fa per vincere, essendo ciascuna, secondo da dove si cominci a contare, terza, seconda e prima. Agli almanacchi di memorie e di ricordi rimase l'ultima frase di quel grazioso giovane olandese, raggiunto da una palla di gomma che, per difetto di fabbrica, era riuscita più dura dell'acciaio, ma la leggenda si impadronirà immediatamente dell'episodio e ogni paese giurerà che il giovinetto gli apparteneva, mentre la palla, è chiaro, non sarà rivendicata, diversamente dalla frase, non tanto per il suo significato oggettivo, ma perché era bella, romantica, incredibilmente giovane, e questo ai paesi piace, soprattutto quando si tratta di cause perse come questa, In fondo io sono iberico, e dopo averla detto spirò. Questo ragazzo sapeva ciò che voleva, o credeva di saperlo, il che, in mancanza di meglio, ne fa le veci, non era come Joaquim Sassa che non sa a chi volere bene, ma questi è ancora vivo, forse il giorno arriverà se sarà pronto a cogliere il momento.
Il mattino si è fatto pomeriggio, il pomeriggio si farà sera, su questa lunga strada vicinissima al mare procede il cane da guida nel suo trotto sicuro, ma non è veloce levriero, nient'affatto, perfino la Due Cavalli, benché decrepita, sarebbe in grado di andare assai più in fretta, come ha dimostrato negli ultimi tempi. E questa andatura non le fa niente bene, si agita Joaquim Sassa, adesso al volante, se dovesse guastarsi qualcosa nella già provata meccanica, che almeno si trovi in mano sua. La radio, con le pile nuove, ha dato notizia dei catastrofici avvenimenti in Europa e ha riferito di fonti ben informate secondo le quali, a livello internazionale, si stavano facendo pressioni sui governi portoghese e spagnolo per porre fine alla situazione, come se il potere di realizzare simili desiderata fosse in mano loro, come se governare una penisola alla deriva fosse lo stesso che guidare la Due Cavalli. Le pressioni furono dignitosamente respinte, con mascolino orgoglio dagli spagnoli e femminile alterigia dai portoghesi, senza disdoro né vanagloria di sesso, mentre si annunciava che i primi ministri avrebbero parlamentato la sera stessa, ciascuno nella sua terra, è chiaro, ma di concerto. Provocò invece una certa perplessità la prudenza della Casa Bianca, in genere così pronta a intervenire negli affari del mondo, ovunque essa ne tragga vantaggio, anche se, comunque, c'è chi sostiene che i nordamericani non sono disposti a impegnarsi prima di aver visto dove tutto questo, letteralmente parlando, andrà a cozzare. Frattanto è dagli Stati Uniti che arrivano i rifornimenti di carburante, con una certa irregolarità, è vero, ma dobbiamo essergli grati se è ancora possibile, in luoghi così sperduti, trovare benzina un distributore sì e uno no. Non fosse per gli americani, questi viaggiatori dovrebbero andare a piedi, qualora si ostinassero a seguire il cane. Quando si fermarono per il pranzo, la bestia rimase fuori dal ristorante, doveva aver capito che i suoi compagni umani avevano bisogno di nutrirsi. A fine pranzo Pedro Orce uscì prima degli altri con un po' di avanzi, ma il cane non volle mangiare, e subito se ne capì il perché, sul pelo e intorno alla bocca c'erano tracce di sangue fresco. E andato a caccia, disse José Anaiço, Ma ha ancora il filo turchino, osservò Joana Carda, un fatto, quest'ultimo, più singolare dell'altro, in fondo il nostro cane, se è quello che crediamo, vive ormai da due settimane questa vita vagabonda e ha attraversato a piedi tutta la penisola, dai Pirenei fin qui, e chissà fin dove ancora, non avrà certo avuto chi gli riempisse regolarmente il piatto o lo consolasse con un osso. Quanto al filo turchino, lo si può lasciare per terra e poi riprendere, come un cacciatore che trattiene il respiro per sparare e poi lo riprende, naturalmente. Disse
Joaquim Sassa finalmente benevolo, Bel cagnolino, se saprai occuparti di noi come sembra tu lo sappia fare di te stesso, saremo ben affidati alla tua canina competenza. il cane scosse la testa, un movimento che non abbiamo imparato a tradurre. Poi si diresse verso la strada e ricominciò a camminare, senza guardare indietro. Il pomeriggio è più bello del mattino, c'è il sole, e questo diavolo di un cane, o questo cane del diavolo, riprende l'instancabile trotto, la testa bassa, il muso proteso in avanti, la coda ritta sul dorso, il pelo fulvo. Di che razza sarà, domandò José Anaiço, Non fosse per la coda, potrebbe essere figlio di levriero e di pastore, osservò Pedro Orce, Ha aumentato la velocità, osservò Joaquim Sassa, soddisfatto, e Joana Carda, forse solo per non rimanere zitta, Che nome gli avranno dato, prima o poi, è inevitabile, arriviamo sempre al problema dei nomi. Il primo ministro parlò ai portoghesi e disse, Portoghesi, negli ultimi giorni, con repentino intensificarsi nelle ultime ventiquattr'ore, il nostro paese è stato fatto oggetto di pressioni, che senza esagerazioni potrei definire inammissibili, da parte di quasi tutti i paesi europei dove, come è noto, si sono verificate gravi alterazioni dell'ordine pubblico, che improvvisamente si sono aggravate, senza alcuna responsabilità nostra, per la discesa in piazza di grandi masse di manifestanti che, in maniera entusiastica, hanno voluto esprimere la loro solidarietà con i paesi e le genti della penisola, il che ha reso palese la grave contraddizione in cui si dibattono i governi dell'Europa, alla quale non apparteniamo più, di fronte ai profondi mutamenti sociali e culturali di quei paesi che vedono nell'avventura storica in cui siamo lanciati la promessa di un futuro più felice e, per dire tutto in poche parole, la speranza di un ringiovanimento dell'umanità. Orbene, questi governi, invece di appoggiarci, il che sarebbe prova di elementare umanità e di una coscienza culturale effettivamente europea, hanno deciso di renderci i capri espiatori delle loro difficoltà interne, intimandoci assurdamente di trattenere la deriva della penisola, anche se, con più proprietà e rispetto dei fatti, avrebbero dovuto definirla navigazione. Questo atteggiamento è tanto più riprovevole in quanto è noto che ogni ora che passa ci allontaniamo di settecentocinquanta metri da ciò che adesso sono le coste occidentali dell'Europa, mentre i governi europei, che nel passato non hanno mai veramente mostrato di volerci con loro, adesso vengono a intimarci di fare quello che in fondo non desiderano e che, oltre tutto, sanno che non ci è possibile. Luogo indiscusso di storia e di cultura, l'Europa, in questi giorni oscuri, dimostra in fondo di non avere buon senso. A noi, che manteniamo la serenità dei forti e dei giusti,
quale governo legittimo e costituzionale spetta il compito di respingere energicamente le pressioni e le ingerenze di ogni ordine e provenienza, proclamando al mondo che ci faremo guidare solo dall'interesse nazionale e, in senso più ampio, da quello dei popoli e dei paesi della penisola, affermazione che posso fare qui solennemente, e in piena sicurezza, visto che i governi di Portogallo e Spagna hanno operato congiuntamente, e così proseguiranno, nella disamina e nella discussione delle misure necessarie a una felice conclusione degli eventi posti in movimento dalla storica rottura dei Pirenei. Una parola di riconoscimento è dovuta allo spirito umanitario e al realismo politico degli Stati Uniti d'America, grazie ai quali si è mantenuto a livelli ragionevoli il rifornimento tanto di carburante come di generi alimentari che finora, nel quadro delle relazioni comunitarie, importavamo solo dall'Europa. In condizioni di normalità, tali questioni si tratterebbero ovviamente attraverso i canali diplomatici competenti, ma in una situazione di tale gravità, il governo da me presieduto ha capito che doveva mettere immediatamente a conoscenza dei fatti tutta la popolazione, esprimendo così la sua fiducia nella dignità dei portoghesi che sapranno, come in altri momenti storici, serrare le fila intorno ai loro legittimi rappresentanti e al sacro simbolo della patria, offrendo al mondo l'immagine di un popolo unito e determinato, in un momento particolarmente difficile e delicato della sua storia, viva il Portogallo. Fu ormai nelle vicinanze di Porto che i quattro viaggiatori udirono il discorso, entrarono in un bar dove servivano anche qualche spuntino e vi si trattennero quanto bastava per vedere alla televisione le immagini delle grandi manifestazioni e delle cariche di polizia, faceva venire i brividi alla schiena vedere quei generosi giovani inalberare cartelli e striscioni su cui si leggeva, nelle loro lingue, la frase lapidaria. Perché mai, domandava Pedro Orce, si preoccuperanno tanto di noi, e José Anaiço, ripetendo senza rendersene conto, ma più discretamente, la tesi del primo ministro, diceva, Loro si preoccupano di se stessi, probabilmente non avrebbe saputo spiegare meglio ciò che pensava. Finirono di mangiare e uscirono, questa volta il cane accettò gli avanzi che gli aveva portato Pedro Orce e, messa la Due Cavalli in movimento, adesso più piano perché la guida, laggiù, si distingue appena, Joaquim Sassa disse, All'inizio del ponte cerchiamo di convincere il cane a salire in macchina, può stare dietro, in braccio a Joana e José, non possiamo mica girare per la città come siamo arrivati fin qui, e lui, di certo, non vorrà proseguire il viaggio di notte.
Si rivelarono giusti i pronostici e furono soddisfatti i desideri di Joaquim Sassa, appena il cane capì ciò che volevano da lui, salì in macchina, lento e pesante, e si sdraiò dietro, sulle gambe dei viaggiatori, posò la testa sull'avambraccio di Joana Carda, ma non si addormentò, teneva gli occhi aperti, le luci della città vi si riflettevano come su una superficie di cristallo nero. Fermiamoci a casa mia, disse Joaquim Sassa, ho un letto grande e un divano letto dove possono sistemarsi alla meno peggio due persone purché non siano grasse, uno di noi tre, si riferiva agli uomini, è chiaro, dovrà invece dormire su una sedia, d'accordo, ci dormo io, che sono il padrone di casa, oppure vado in una piccola pensione lì vicino. Gli altri non risposero, come a dimostrare, in taciturno rispetto, che erano d'accordo, o che magari preferivano risolvere più tardi, discretamente, la delicata questione, adesso si avvertiva nell'aria una certa costrizione, un imbarazzo nei movimenti, come se Joaquim Sassa l'avesse fatto apposta, e ne sarebbe stato capace, tanto per divertirsi. Ma non erano ancora trascorsi due minuti che Joana Carda stava già dicendo, con voce chiara, Noi rimaniamo insieme, è davvero perduto il mondo se le donne prendono ormai iniziative di questa portata, anticamente c'erano regole, si cominciava sempre dall'inizio, sguardi focosi e seducenti da parte di lui, lo scivolare soave delle palpebre di lei che insinuava l'occhiata fugace fra le ciglia, e poi, fino al primo sfiorar di mani, le cose andavano avanti piano piano a furia di parole, c'erano lettere, bisticci, riconciliazioni, cenni di fazzoletto, tossi diplomatiche, è chiaro che alla fine il risultato era lo stesso, a letto di spalle la damigella e sopra lo stallone, con matrimonio o senza, ma per niente al mondo c'era questo sbracamento, questa mancanza di rispetto di fronte a un uomo di una certa età, e poi dicono che le andaluse hanno il sangue caldo, guardate questa portoghese, al qui presente Pedro Orce nessuna gli ha mai detto così, papale papale, Noi rimaniamo insieme. Ma i tempi sono molto cambiati, eccome se lo sono, se Joaquim Sassa aveva intenzione di scherzare con i sentimenti altrui gli è uscito fuori un discorso serio, e forse Pedro Orce ha capito male, la parola insieme non si dice allo stesso modo in castigliano e in portoghese. José Anaiço non ha aperto bocca, e che doveva dire, avrebbe fatto una pessima figura se avesse palesato certi sussieghi da corteggiatore o, peggio ancora, avesse assunto un'aria scandalizzata, meglio ha fatto a starsene zitto, non bisogna riflettere molto per capire che solo Joana Carda avrebbe potuto pronunciare quelle parole impegnative, pensate che cafonaggine se le avesse dette lui senza prima averla consultata, e tuttavia, anche se le avesse domandato se era d'accordo,
certi atteggiamenti solo una donna può assumerli, dipende dalla circostanza e dal momento, da quel preciso momento, da quel secondo che si trova fra gli altri due che condurrebbero a un errore o a un patatrac. Sul dorso del cane si uniscono le mani di Joana Carda e di José Anaico, dallo specchietto retrovisore Joaquin Sassa li guarda discretamente, stanno sorridendo, in fondo lo scherzo è finito bene, Ha stoffa la nostra Joana, e Joaquim Sassa avverte di nuovo quella puntura dell'invidia, ma la colpa, ormai confessata, è sua, che non sa a chi volere bene. La casa non è davvero un palazzo, c'è una piccola camera da letto, interna, una saletta ancor più piccola con il divano letto, la cucina, il bagno, è l'abitazione di uno scapolo, pur sempre fortunato, che non deve andarsene in camera ammobiliata. La dispensa è vuota, ma l'appetito si è consolato durante l'ultima sosta. Guardano la televisione in attesa di altre notizie, per ora reazioni delle cancellerie europee non ce ne sono, ma perché non facciano finta di non aver capito, il primo ministro è comparso di nuovo nell'ultimo notiziario, Portoghesi, ha detto, e il resto lo conosciamo. Prima che andassero a letto, ci fu consiglio di guerra, non che vi fossero decisioni da prendere, quelle spettavano al cane che se la dormicchiava ai piedi di Pedro Orce, ma ognuno avanzava una supposizione, Chissà che la fine del viaggio non sia qui, diceva Joaquim Sassa, interessato, O più a nord, supponeva José Anaiço pensando ad altro, Credo che sarà più a nord, aggiunse Joana Carda, che stava pensando la stessa cosa, ma fu Pedro Orce a dirla giusta, Lo sa lui, poi sbadigliò e disse, Ho sonno. Ormai non serviva più la controdanza di questi che va a dormire con quello o con quell'altro, Joaquim Sassa aprì il divano letto con l'aiuto di Pedro Orce, Joana Carda si ritirò discretamente e José Anaiço si trattenne qualche minuto ancora, distrattamente, fingendo di non provare nulla, ma il cuore gli batteva in petto come un tamburo d'allarme, risuonava nella bocca dello stomaco, scuoteva tutto l'edificio fino alle fondamenta, anche se questo tremore non assomiglia affatto all'altro, infine disse, Buonanotte, a domani, e si ritirò, è proprio vero che le parole non sono mai all'altezza della grandiosità dei momenti. La camera è lì accanto, vicino al soffitto c'è una finestrella, come per prolungare la luce del giorno, senza neppure una tenda, è comprensibile ciò che sembra essere mancanza d'intimità, è la casa di una persona sola, anche se Joaquim Sassa fosse un uomo dai gusti perversi, non potrebbe spiare se stesso, diciamo comunque che sarebbe molto interessante, oltre che educativo, che una volta o l'altra fossimo spettatori di noi stessi,
probabilmente non ci piaceremmo. Con tali riserve verbali non vogliamo insinuare che Joaquim Sassa e Pedro Orce stiano pensando di compiere una ragazzata così grave, ma quella finestra, adesso solo un fantasma di finestra, a stento visibile nel buio della saletta, turba, rivolge il sangue, come se fosse tutto un unico locale, una camerata, una promiscuità, e Joaquim Sassa, supino, non vuole pensare, ma solleva la testa dal cuscino per creare un'aura di silenzio e poter udire meglio, ha la bocca asciutta e resiste eroicamente alla tentazione di alzarsi per andare in cucina a bere un po' d'acqua e, strada facendo, spiare i mormorii. Pedro Orce, lui, tant'era stanco, si è addormentato di colpo, si è girato sul fianco verso l'esterno, ha abbandonato il braccio sul dorso del cane che era andato a sdraiarsi vicino a lui, il tremore dell'uno è il tremore dell'altro, il sonno forse lo stesso. Dalla camera non arriva il minimo rumore, né una sola parola, neppure un sospiro, o un gemito soffocato. Che silenzio, pensa Joaquim Sassa, e lo trova strano, ma non immagina neppure fino a che punto strano sia, né lo saprà mai o mai lo immaginerà, ché queste sono cose che di solito rimangono nel segreto di chi le ha vissute, José Anaiço è penetrato in Joana Carda e lei lo ha accolto, senz'altro movimento, duro lui, soavissima lei, e sono rimasti così, le dita intrecciate, le bocche a succhiarsi in silenzio, mentre l'onda violenta scuote i loro corpi nell'intimo, senza rumore, fino all'ultima vibrazione, all'ultimo gocciolare penetrante, diciamolo così, con discrezione, perché non ci accusino di esibizionismo smodato di scene di coito, una brutta parola, oggi per fortuna quasi dimenticata. Domani, quando Joaquim Sassa si sveglierà, penserà che i due di là abbiano avuto la pazienza di aspettare, Dio solo sa con che fatica, ammesso che Dio sia al corrente di queste sublimazioni della carne, che abbiano aspettato che i due di qua si addormentassero, ma si sbaglia, ché nell'attimo stesso in cui lui si abbandona al sonno Joana Carda accoglierà di nuovo José Anaiço, adesso non saranno tanto silenziosi come prima, certe imprese sono irripetibili, Ormai staranno dormendo, ha detto uno di loro, e quindi i corpi hanno potuto sfogarsi, e se l'erano ben meritato. Pedro Orce fu il primo a svegliarsi, da una sottile fessura della finestra il dito grigiastro del mattino gli sfiorò le labbra, allora sognò che una donna lo baciava, ah, come lottò per fare durare e continuare il sogno, ma gli occhi si aprirono e le labbra erano asciutte, nessuna bocca aveva lasciato sulla sua bocca la verità della saliva, la fertile umidità. Il cane alzò la testa, la sollevò fra le mani di Pedro Orce e lo guardò fisso nella fitta penombra della camera, impossibile scoprire da dove potesse venire la luce che gli si rifletteva nelle
pupille. Pedro Orce accarezzò la bestia e questa, una sola volta, gli leccò la mano magra. A quei movimenti Joaquim Sassa si svegliò, dapprima senza orientarsi su dove si trovasse, anche se era casa sua, forse per via del letto in cui aveva dormito raramente, e del vicino. Coricato supino, con la testa del cane posata sul suo petto, Pedro Orce disse, Comincia un nuovo giorno, che succederà, e Joaquim Sassa, Forse lui ha cambiato idea, forse ha perduto l'orientamento dopo aver dormito, succede spesso, uno dorme, e questo solo ha cambiato le cose, siamo gli stessi, ma non ci riconosciamo. In questo caso non sembrava fossero cambiate. Il cane si era alzato, eretto, grande, corpulento, e si era diretto verso la porta chiusa. Se ne vedeva la figura imprecisa, la sagoma, lo scintillio dello sguardo, Aspetta noi, disse Joaquim Sassa, è meglio richiamarlo, è ancora presto per alzarci. Il cane rispose alla voce di Pedro Orce, si sdraiò senza opporre resistenza, ora gli uomini parlavano sottovoce, diceva Joaquim Sassa, Ritirerò i soldi dalla banca, non è molto, e ne chiederò un po' in prestito, E quando sarà tutto finito, Può darsi che l'avventura finisca prima che finiscano i soldi, Non lo sappiamo mica quello che ci aspetta, Troveremo la maniera di vivere, se necessario si ruberà, queste parole le disse Joaquim Sassa sorridendo. Ma forse non sarà necessario giungere a tali estremi di illegalità, qui a Porto anche José Anaiço andrà all'agenzia della banca dove tiene i risparmi, Pedro Orce ha portato tutte le sue pesetas, di Joana Carda invece non sappiamo nulla quanto al particolare di mezzi, per lo meno abbiamo già visto che non è donna da vivere di carità o a spese del maschio. Mentre c'è qualche dubbio che i quattro riescano a trovare lavoro, visto che un lavoro richiede permanenza, stabilità, residenza abituale, quando il loro destino immediato è di seguire un cane che del proprio destino speriamo ne sappia qualcosa, ma non è questo il tempo in cui gli animali, perché parlanti, potrebbero dire dove vogliono andare, se non mancassero di corde vocali. Nella camera accanto, gli amanti dormivano stanchi, l'uno nelle braccia dell'altra, un'estasi che sfortunatamente non può durare sempre, ed è ovvio, un corpo è questo corpo e non quello, un corpo ha un principio e una fine, comincia con la pelle e con la pelle finisce, ciò che vi è dentro gli appartiene, ma ha bisogno di quiete, indipendenza, autonomia di funzionamento, per dormire abbracciati ci vuole un'armonia di incastri che il sonno di ciascuno scompone, ci si sveglia con le braccia intorpidite, un gomito piantato nelle costole, e allora diciamo sottovoce, facendo appello a tutte le tenerezze possibili, Amor mio, fatti più in là. Dormono stanchi Joana Carda e José
Anaiço, che a metà notte per la terza volta Si erano uniti, sono all'inizio, ecco perché rispettano la buona regola di non rifiutare al corpo ciò che il corpo, per suoi motivi, reclama. Muovendosi in punta di piedi, Joaquim Sassa e Pedro Orce sono usciti con il cane, sono andati a cercare qualcosa per la prima colazione, Joaquim Sassa la chiama dejejum, alla francese Pedro Orce desayuno, ma l'appetito comune concilierà la diversità linguistica. Al loro ritorno Joana Carda e José Anaiço saranno già in piedi, li sentiamo nel bagno, l'acqua della doccia scorre, beati loro, e che grandi camminatori, che in così poco tempo sono stati capaci di fare tanta strada. Al momento di partire, ancora in casa, si misero tutti e quattro a guardare il cane con l'aria di chi, aspettando ordini, dubita sia della loro affidabilità sia della sensatezza di obbedirvi. Speriamo che per uscire da Porto si affidi a noi come ha fatto per entrarvi, disse Joaquim Sassa e gli altri afferrarono il perché dell'osservazione, immaginate se al cane Fido, fido al suo istinto di dirigersi a nord, gli fosse venuto di infilarsi, qui in città, in qualche strada a senso unico dove il nord fosse proprio la direzione vietata, non sarebbero mancati gli scontri con la polizia, gli incidenti, gli ingorghi, con tutta la popolazione di Porto riunita a ridere dello spettacolo. Ma questo cane non è un pastore qualsiasi, di paternità sospetta o clandestina, le radici del suo albero genealogico sono all'inferno che, come sappiamo, è il luogo dove va a finire tutta la saggezza, quella antica che c'è già, quella moderna e quella futura che dovranno seguire la stessa strada. Perciò, e forse anche perché Pedro Orce ripeté la manovra di sussurrargli all'orecchio parole che finora non siamo riusciti ad appurare, il cane salì in macchina con l'aria più naturale del mondo, l'aria di chi ha viaggiato per tutta la vita sempre così. Ma, attenzione, adesso non ha posato la testa sull'avambraccio di Joana Carda, adesso è vigile, mentre Joaquim Sassa guida la Due Cavalli fra le curve e i gomiti delle strade, in tutte le direzioni, uno che fosse lì, attento, a osservare, vedendoli direbbe, Vanno a sud, per correggersi subito dopo, Vanno a occidente, oppure, Vanno a oriente, e queste sono le direzioni principali, o cardinali, se menzionassimo la rosa dei venti al completo, non riusciremmo a uscire da Porto e dalla confusione. C'è un accordo fra questo cane e queste persone, quattro esseri razionali accettano di farsi guidare dall'istinto animale, a meno che non siano attratti tutti da una calamita piazzata a nord o tirati dall'altro capo di un filo turchino, gemello di questo che il cane non abbandona. Sono usciti dalla città, si sa che la strada, nonostante le curve, procede nella direzione giusta, il cane dà segni
di voler scendere, gli aprono lo sportello e lui via, rinvigorito dal riposo della notte e dal sostanzioso pasto che gli hanno dato a casa. La sua andatura è velocissima, la Due Cavalli lo accompagna allegramente, non ha bisogno di mordere la cavezza d'impazienza. Adesso la strada non si snoda vicino al mare, ma all'interno, solo per questo non vedremo la spiaggia dove Joaquim Sassa, a un certo punto della sua vita, è stato più forte di Sansone. L'ha detto lui stesso, Peccato che il cane non sia voluto passare lungo la costa, vi avrei fatto vedere il posto dove mi è successo il fatto della pietra, neppure il biblico Sansone sarebbe stato capace di fare quello che ho fatto io, ma per modestia avrebbe dovuto tacere, ché prodigio ancor più grande è stato quello di Joana Carda, là, nella campagna di Ereira, più enigmatico è il tremore che sente Pedro Orce, e se qui ci fa da guida terrestre un cane di lì, che dire delle migliaia di storni che hanno seguito per tanto tempo José Anaiço per lasciarlo solo al momento di spiccare un altro volo. La strada sale, scende, e poi di nuovo sale, e continua sempre a salire, e quando scende è solo per riposarsi un po, non sono mica tanto alti questi monti, ma affaticano il cuore della Due Cavalli che ansima sulle mulattiere, e il cane va avanti, di vedetta. Si fermarono a pranzo in una piccola trattoria lungo la strada, il cane sparì di nuovo per andarsi a occupare del proprio cibo e, al ritorno, aveva un po' di sangue sulla bocca, ma il motivo ormai lo conosciamo, nessun mistero, se non c'è chi ti riempie la ciotola, arrangiati con quel che capita. Di nuovo in marcia, sempre verso nord, a un certo punto José Anaiço disse, rivolto a Pedro Orce, Continuando così ci ritroveremo in Spagna, torneremo nella tua terra, La mia terra è l'Andalusia, Terra e paese sono lo stesso, Nient'affatto, possiamo non conoscere il nostro paese, ma conosciamo la nostra terra, Sei già stato in Galizia, No, mai, la Galizia è la terra di altri. Se vi entreranno, questo lo vedremo, perché stanotte dormiranno ancora in Portogallo. Nella pensione José Anauco e Joana Carda si registrarono come marito e moglie, per economia avrebbero occupato la stessa camera Pedro Orce e Joaquim Sassa, mentre il cane dovette dormire con la Due Cavalli, una bestia così grande incuteva paura alla padrona, Un fantasma del genere in casa non ce lo voglio, se ne rimanga in strada, nel salotto dei cani, ci mancherebbe altro che mi riempisse la casa di pulci, Questo cane non ha pulci, protestò Joana Carda, invano, ché il punto essenziale non era quello. In piena notte Pedro Orce si alzò dal letto, sperando che la porta esterna non fosse chiusa a chiave, e infatti non lo era, e andò a dormire in macchina un
paio d'ore, abbracciato al cane, quando non si può essere amante, in questo caso per ovvi impedimenti di natura, l'amicizia ne farà le veci. Quando montò in macchina, parve a Pedro Orce che il cane guaisse piano piano, ma doveva essere stata un'allucinazione, ce ne succedono tante quando desideriamo molto una cosa, il saggio corpo s'impietosisce di noi, simula da solo la soddisfazione dei desideri, il sogno non è altro che questo, cosa credete, se non lo fosse, ditemi un po' voi, come potremmo affrontare questa vita d'insoddisfazione, è il commento della voce sconosciuta che ogni tanto parla. Quando Pedro Orce fece per tornare in camera, il cane gli andò dietro, ma, essendogli vietato l'ingresso, si sdraiò sui gradini d'entrata e lì rimase, non ci sono parole per descrivere lo spavento e le grida alle prime luci dell'alba, quando la mattiniera padrona di casa andando a inaugurare il nuovo giorno di lavoro, apre i battenti al fresco dell'alba ed ecco che dallo stuoino, fauci spalancate, si leva il leone di Nemea, era soltanto lo sbadiglio di chi non ha finito il sonno, ma perfino degli sbadigli c'è da diffidare quando mostrano certi denti enormi e una lingua che, tanto è rossa, sembra gocciolante di sangue. Tale fu lo scompiglio che la partenza degli ospiti parve più una cacciata che una ritirata pacifica, la Due Cavalli era ormai lontana, quasi sul punto di svoltare l'angolo, e ancora la padrona della pensione sbraitava dalla soglia contro la belva taciturna, che sono queste le peggiori, a credere al detto che recita, Can che abbaia non morde, certo è che il nostro ancora non ha morso, ma se la potenza delle proteste stesse nella ragione diretta del silenzio, che Dio ce ne liberi. Lungo la strada i viaggiatori continuano a ridere dell'episodio, Joana Carda, per solidarietà femminile, s'immedesimava, Fossi stata al suo posto, anch'io mi sarei presa un grande spavento, e voi non fate gli spacconi, soprattutto non siate coraggiosi per dovere, l'osservazione colse nel segno, ciascuno dei gentiluomini soppesò in segreto le proprie viltà, il caso più interessante fu quello di José Anaiço che decise di parlarne a Joana Carda alla prima occasione, che razza di amore è se non ci si dice tutto, la cosa peggiore è quando l'amore finisce, il confesso si pente, e non è raro che il confessore abusi della confidenza, che se la sbrighino Joana Carda e José Anaiço perché stavolta non vada a finire così. La frontiera ormai non è lontana. Abituati come sono alle doti scoutistiche della guida, i viaggiatori non hanno notato la maniera spedita, senza ombra di esitazione o per lo meno di prudente ponderatezza, in cui Fido o Pilota, uno di questi due nomi bisognerà darglielo prima o poi, sceglie il ramo di biforcazione per cui proseguire e, peggio della biforcazione, dell'incrocio.
Ammesso che l'esperto animale sia venuto da nord a sud per questa stessa strada, e la certezza nessuno la può avere, a poco gli servirà l'esperienza se teniamo conto delle diversità del punto di vista in cui, come per fortuna non ignoriamo, tutto risiede. E' anche vero che gli uomini vivono accanto ai prodigi, ma non ne arrivano a conoscere neppure la metà, e quanto alla metà nota di norma si sbagliano, soprattutto perché vogliono con tutte le loro forze, come Dio Nostro Signore, che costui e gli altri mondi siano fatti a loro immagine e somiglianza, poco importando all'uopo chi li ha creati. L'istinto spinge questo cane, ma non sappiamo cosa o chi spinga l'istinto, e se uno di questi giorni avessimo per questo strano caso una prima spiegazione, è molto probabile che sarebbe solo apparenza, a meno che della spiegazione non potessimo dare una spiegazione e così via, fino a quell'ultimo istante in cui non ci sarà nulla da spiegare a monte di ciò che è spiegato, supponiamo che da allora in poi sarebbe il regno del caos, comunque non è della creazione dell'universo che stiamo parlando, che ne sappiamo noi, qui si tratta solo di cani. E di persone. Di queste che vanno dietro a un cane dirette a una frontiera ormai vicina. Usciranno dal suolo portoghese al tramonto, e d'improvviso, forse per via dell'imbrunire che si avvicina, si rendono conto che l'animale è sparito, ecco che si ritrovano come bambini smarriti nel bosco, adesso che facciamo, Joaquim Sassa ne approfitta per disprezzare la fedeltà canina, utile è invece l'esperienza di vita con cui Pedro Orce ha costruito il suo sereno sapere, Probabilmente è andato ad attraversare il fiume a nuoto e ci aspetta sull'altra riva, se gli uomini fossero davvero attenti ai vincoli e alle valenze che legano le vite e le chimiche, l'avrebbero capito subito, ci riferiamo a José Anaiço e a Joaquim Sassa, che le ragioni di un cane possono essere le stesse di mille storni, se Fido è venuto da nord passando di qui, forse non vuole ripetere l'esperienza, senza collare né museruola, magari sospetto di rabbia, chissà che non l'abbiano preso a schioppettate. I doganieri guardano distrattamente i documenti, li fanno proseguire, si vede che non sono sovraccarichi di lavoro questi funzionari, è vero che, come abbiamo già avuto modo di appurare, si viaggia molto, ma per adesso entro le frontiere, come se si avesse paura di perdere la casa più grande, cioè il paese, pur avendo abbandonato la casa piccola, quella della propria vita di stenti. Dall'altro lato del Minho non è diverso il tedio, si nota solo un piccolo barlume di debole curiosità, perché insieme a questi portoghesi c'è uno spagnolo d'altri tempi, fossimo stati in un momento di entrate e uscite più
numerose neppure questo si sarebbe notato. Dopo un chilometro Joaquim Sassa accostò la Due Cavalli al ciglio della carreggiata, si fermò, Aspetteremo qui, se il cane, come dice Pedro, sa quel che fa, ci verrà a cercare. Non ebbero neppure il tempo di spazientirsi. Dieci minuti dopo il cane spuntava davanti alla macchina, col pelo ancora bagnato. Pedro Orce aveva ragione, e noi, se non avessimo avuto qualche dubbio, ce ne saremmo rimasti sulla riva del fiume ad assistere all'audace traversata che avremmo descritto col massimo piacere, invece di quel banale passaggio di frontiera con guardie diverse solo nelle uniformi, Passi, Pase, a tanto si è ridotto l'episodio, perfino il barlume di curiosità è stato solo una povera invenzione per rimpolpare l'argomento. Altre, e ben migliori invenzioni ci vorrebbero adesso per abbellire ciò che del viaggio ancora resta, con due notti e due giorni in mezzo, quelle passate in rustiche pensioni, questi trascorsi su strade di una volta in direzione nord, sempre nord, fra terre di Galizia e bruma, fra spruzzi di pioggia che annunciano l'autunno, solo questo ci va di dire, e non c'è stato bisogno di inventare. Il resto sarebbero gli amplessi notturni di Joana Carda e José Anaiço, l'insonnia intermittente di Joaquim Sassa, la mano di Pedro Orce sul dorso del cane, qui l'hanno fatto entrare a dormire in camera. E i giorni sulle strade, verso un orizzonte che non si lascia avvicinare. Joaquim Sassa ha ripetuto che è tutta una follia, andare appresso a un cane idiota fino alla fine del mondo, senza sapere perché né a che pro, al che Pedro Orce ha risposto con una certa durezza e suscettibilità, Sino alla fine del mondo no, prima arriveremmo al mare. Si vede che il cane ormai è stanco, tiene la testa bassa, è scesa la bandiera della coda, e i cuscinetti delle zampe, nonostante la pelle dura, saranno ormai dolenti per lo sfregare contro terra e pietre, la sera stessa Pedro Orce le esaminerà e troverà piene di graffi sanguinanti, non c'è da meravigliarsi che abbia risposto tanto duramente a Joaquim Sassa, il quale osserva in disparte e dice, come chi tenta di scusarsi, Qualche impacco di acqua ossigenata gli farebbe bene, è come insegnare il paternostro al vicario, ché l'arte farmaceutica la conosce Pedro Orce, non c'è bisogno che gli diano l'imbeccata. Ma bastò così poco che la pace fu fatta. Dalle parti di Santiago de Compostela il cane deviò verso nord-ovest. Doveva esser vicina la sua meta, lo si capiva dal rinnovato vigore con cui trottava adesso, dalla sicurezza dei garretti, dalla posa della testa, dalla fermezza della coda. Joaquim Sassa dovette accelerare un po' la Due Cavalli per seguirne l'andatura e giacché si erano avvicinati, quasi a toccare la bestia, Joana Carda
esclamò, Guardate, guardate, il filo turchino. Lo videro tutti. Il filo turchino non sembra lo stesso. L'altro era tanto sporco che, ormai, poteva essere stato turchino o marrone o nero, ma questo brillava nel suo vero colore, un turchino né del cielo né del mare, chi poteva averlo tinto e dipanato così, chi l'aveva lavato, ammesso che fosse lo stesso, e rimesso in bocca al cane dicendo, Vai. La strada si è ristretta, è quasi solo un sentiero che costeggia le colline. Il sole sta per calare sul mare che da qui ancora non si vede, la natura è maestra nel comporre scenari adatti all'umana circostanza, in mattinata e per tutto il pomeriggio il cielo era stato coperto e triste, spruzzando la pioggerella gallega e adesso una luce fulva si spande sui campi, il cane è come un gioiello che brilla, un animale d'oro. Perfino la Due Cavalli non sembra l'affaticata macchina che conosciamo e, dentro, i passeggeri sono tutte creature belle, la luce li colpisce e sono come dei beati. José Anaiço guarda Joana Carda e rabbrividisce nel vederla così bella, Joaquim Sassa abbassa lo specchietto per guardarsi gli occhi splendenti, e Pedro Orce si contempla le vecchie mani, non sono vecchie, no, sono uscite da un'operazione di alchimia, sono diventate immortali, anche se il resto del suo corpo deve morire. Improvvisamente il cane si ferma. Il sole sfiora le cime dei monti, al di là si indovina il mare. La strada scende tutta curve, laggiù due colline sembrano strozzarla, ma è un'illusione degli occhi e della distanza. Di fronte, a mezza costa, c'è una casa grande, di architettura semplice, ha un'aria abbandonata, triste, benché vi siano segni di coltivazione nei campi che la circondano. Parte della casa è già nell'ombra, la luce sta scemando, sembra che tutto il mondo sprofondi in deliquio e solitudine. Joaquim Sassa si è fermato. Sono scesi tutti. Il silenzio si sente, vibra come un'eco finale, forse non è che il battere distante delle onde contro gli scogli, è sempre la spiegazione migliore, perfino nelle buccine il ricordo interminabile delle onde risuona, ma non in questo caso, ciò che si sente qui è il silenzio, nessuno dovrebbe morire prima di averlo conosciuto, il silenzio, l'hai sentito, allora puoi andare, ormai lo sai com'è. Ma quell'ora non è ancora giunta per nessuno dei quattro. Sanno che la loro meta è quella casa, qui li ha condotti il cane prodigioso, sereno come una statua, in attesa. José Anaiço è accanto a Joana Carda, ma non la tocca, capisce che non deve toccarla, lo capisce anche lei, ci sono momenti in cui pure l'amore deve adattarsi a essere insignificante, perdonateci se riduciamo così quasi a niente il più grande dei sentimenti, lui che in altre occasioni è quasi tutto. Pedro Orce è stato l'ultimo a scendere dalla macchina, posa i
piedi per terra e la sente vibrare con un'intensità spaventosa, qui salterebbero tutti gli aghi dei sismografi, e queste colline sembrano ondeggiare al movimento delle onde che, altrove, nel mare, si accavallano una sull'altra, sospinte da questa zattera di pietra, lanciandovisi contro nel riflusso delle vigorose correnti che stiamo tagliando. Il sole si è nascosto. Allora un filo turchino ondeggiò nell'aria, quasi invisibile nella trasparenza, come se cercasse appoggio, sfiorò le mani e i visi, Joaquim Sassa lo afferrò, fu un caso, fu il destino lasciamo pure così queste ipotesi anche se ci sono varie ragioni per non credere né all'una né all'altra, e adesso che farà Joaquim Sassa, non può mica stare in automobile e, con la mano fuori, tenere e seguire il filo, un filo sollevato e spinto dal vento non segue certo obbediente il tragitto della strada, Che ci faccio, domandò, ma gli altri non potevano rispondere, mentre il cane sì, abbandonò la strada e cominciò a scendere lungo il dolce pendio, Joaquim Sassa lo seguì, la sua mano sollevata seguiva il filo turchino come se sfiorasse le ali o il petto di un uccello sopra la testa. José Anaiço tornò alla macchina con Joana Carda, Pedro Orce mise in moto e, pian piano, accompagnando sempre con gli occhi Joaquim Sassa, cominciò a scendere lungo la strada, non voleva arrivare prima, e neppure molto dopo, l'eventuale armonia delle cose dipende dal loro equilibrio e dal momento in cui accadono, non troppo presto, non troppo tardi, ecco perché ci è tanto difficile raggiungere la perfezione. Quando si fermarono su di uno spiazzo di fronte alla casa, Joaquim Sassa si trovava a dieci passi dalla porta, che era aperta. Il cane tirò un sospiro che sembrava umano e si sdraiò, allungando il collo sulle zampe. Con le unghie si tolse di bocca il pezzo di filo, lo lasciò cadere in terra. Dall'interno buio della casa spuntò una donna. Teneva in mano un filo, lo stesso che Joaquim stringeva ancora. La donna scese l'unico gradino della soglia, Entrate, sarete stanchi, disse. Joaquim Sassa fu il primo a farsi avanti, un capo del filo turchino era arrotolato intorno al suo polso. Un giorno, raccontò Maria Guavaira, a un'ora tipo questa e con la luce tale e quale adesso, comparve il cane, con l'aria di chi viene da molto lontano, aveva il pelo sporco, le zampe sanguinavano, arrivò e bussò alla porta con la testa e quando andai ad aprire, pensando fosse uno di quei mendicanti che girano di paese in paese, che arrivando bussano con il bordone e dicono, Un'elemosina a un poverello, mia signora, che cosa vedo, il cane, ansimava come fosse venuto correndo d'in capo al mondo e il sangue sporcava la terra sotto le zampe, la cosa più sorprendente fu che non mi spaventai, e ce n'era
ben donde, chi non sapesse che pace dell'anima è, penserebbe di trovarsi di fronte la più terribile delle fiere, poverino, appena mi vide si abbandonò fra le mie mani, come se stesse aspettando solo me per riposare, e pareva piangesse, tale e quale uno che tentasse di parlare senza riuscirci, per tutto il tempo che è stato qui non l'ho mai udito abbaiare, E con noi da sei giorni e non ha mai abbaiato, disse Joana Carda, Lo feci entrare in casa, lo curai, mi occupai di lui, non è un cane randagio, lo si nota dal pelo, e si vede anche che i padroni lo nutrivano bene, gli prestavano cure e attenzione, per capire la differenza basta paragonarlo ai cani galleghi, che nascono affamati e muoiono affamati dopo aver vissuto affamati, e sono trattati a sassi e a bastonate, ecco perché il cane gallego non è capace di alzare la coda, se la nasconde fra le gambe sperando di passare inosservato, la sua vendetta, quando ce la fa, è mordere, Questo non morde, disse Pedro Orce, Sapere da dove viene, probabilmente non lo sapremo mai, disse José Anaiço, e forse poco importa, quello che mi fa specie è che sia venuto a cercarci per portarci qui, non si può fare a meno di domandarsi il perché, Non so, io so soltanto che un giorno se n'è andato con un pezzetto di filo tra i denti, mi ha guardato come se volesse dirmi, Non te ne andare finché non ritorno, e si è diretto verso quel monte, lassù, da dove adesso è sceso allora salì, Che filo è mai questo, domandò Joaquim Sassa mentre si arrotolava e srotolava dal polso il capo che ancora lo teneva legato a Maria Guavaira, Magari lo sapessi, rispose lei intrecciandosi fra le dita il capo in suo possesso e tirando quindi il filo come una corda di chitarra tesissima, ma né lui né lei sembravano notare di essere legati, gli altri, invece, guardavano, quali pensieri avessero li celarono, anche se non è tanto difficile indovinarli, Perché io non ho fatto altro che scucire un calzerotto vecchio, di quelli che servivano per custodire i soldi, ma il calzerotto che ho scucito darebbe un pugnetto di lana, mentre quello che ho qui corrisponde alla lana di cento pecore, cento per dire centomila, come si può spiegare questo fatto, Per giorni e giorni mi hanno seguito duemila storni, disse José Anaiço, Io ho lanciato in mare una pietra che pesava quasi quanto me ed è andata a cadere lontano, aggiunse Joaquim Sassa, consapevole che stava esagerando, e Pedro Orce disse solo, La terra trema e ha tremato. Maria Guavaira si alzò e andò ad aprire una porta, disse, Guardate, le era accanto Joaquim Sassa, ma non lo aveva tirato il filo, e ciò che videro fu una nuvola turchina, di un colore turchino che diventava denso e quasi nero al centro, Se lascio la porta aperta, c'è sempre qualche capo che scappa via,
come quello che è venuto fin da voi e vi ha trascinati qui, disse Maria Guavaira a Joaquim Sassa, e la cucina dov'erano tutti riuniti parve deserta, solo loro due, legati dal filo turchino, e la nube turchina che pareva respirasse, si udiva il crepitio della legna nel focolare su cui bolliva una zuppa di cavolo insaporita con pezzettini di carne, press'a poco alla moda gallega. Joaquim Sassa e Maria Guavaira non possono rimanersene così legati più del tempo sufficiente perché non acquisti equivoco significato quel legame, perciò lei arrotola il filo, arrivando al polso di lui ve lo gira intorno come se, invisibilmente, lo legasse di nuovo, e poi si accosta il piccolo gomitolo al petto, sul significato di questo gesto solo uno stupido avrebbe qualche dubbio, ma bisognerebbe che fosse molto stupido per averlo. José Anaiço si discostò dal fuoco che ardeva, Anche se sembra assurdo, siamo arrivati a credere che esista un rapporto fra quanto ci è successo e la separazione di Spagna e Portogallo dall'Europa, ne avrà sentito parlare, sì, ma qui, da queste parti, non ci si è accorti di nulla, se oltrepassiamo i monti e scendiamo sulla costa il mare è sempre lo stesso, La televisione l'ha fatto vedere, Non ho televisione, La radio ne ha dato notizia, Le notizie sono parole, non si riesce mai a sapere bene se le parole siano notizie. Con questa scettica sentenza si interruppe per alcuni minuti la conversazione. Maria Guavaira andò a prendere qualche scodella dalla credenza, ci versò dentro il brodo, la penultima per Joaquim Sassa, l'ultima per sé, d'improvviso sembrò che mancasse un cucchiaio, invece no, bastavano per tutti, così Maria Guavaira non dovette attendere che Joaquim Sassa finisse di mangiare. Poi lui volle sapere se viveva sola, perché fino a quel momento non si era visto nessuno in casa, e lei rispose che era vedova da tre anni, che per la terra venivano certi lavoranti, Io mi trovo fra il mare e i monti, senza figli né altri familiari, i miei fratelli sono emigrati in Argentina, mio padre è morto, mia madre è in manicomio a La Coruna, più soli di me ce ne saranno pochi al mondo, Poteva risposarsi, soggiunse Joana Carda, ma subito se ne pentì, non aveva il diritto di parlare così, lei che solo pochi giorni prima aveva rotto un matrimonio e si era già messa con un altro, Ero stanca e una donna, alla mia età, se si risposa è per le terre che possiede, gli uomini vanno a sposare la terra, non la donna, E ancora così giovane, Lo sono stata, e ormai non ricordo quasi più il tempo in cui lo sono stata, e dopo aver parlato si chinò sul focolare, perché il fuoco la mettesse in mostra meglio, al di sopra delle fiamme guardava Joaquim Sassa ed era come se stesse dicendogli, E' così che
io sono, osservami bene, sei arrivato alla mia porta aggrappato a un filo che era in mano mia, se volessi potrei attirarti nel mio letto e tu verresti, ne sono certa, ma bella non sarò mai, a meno che non sia tu a trasformarmi nella donna più attraente che sia mai esistita, ché solo gli uomini sono capaci di farlo, e lo fanno, peccato non possa durare per sempre. Joaquim Sassa la guardava al di sopra del fuoco e pensò che le fiamme, danzando, le modificavano continuamente il viso, adesso scavando superfici, poi levigando ombre, ma ciò che non si alterava era il luccichio di quegli occhi scuri, forse che una lacrima in bilico si era fatta pellicola di luce pura. Non è bella, pensò, ma neppure brutta, le sue mani sono sciupate e stanche, non c'è paragone con le mie, che sono mani da impiegato nel bel mezzo delle ferie, e a proposito, domani, se non ho perso il conto, è l'ultimo giorno del mese, dopodomani dovrò tornare al lavoro, ma invece no, non può essere, come potrei lasciare qui José e Joana, Pedro e il Cane, non c'è alcun motivo per cui vogliano accompagnarmi, e se porto via la Due Cavalli sarà per loro molto difficile tornare alle rispettive case, ma probabilmente non lo vogliono, l'unica cosa vera che esiste sulla terra in questo momento è il fatto che siamo qui insieme, Joana Carda e José Anaiço a parlare sottovoce, forse delle loro vite forse della vita di ciascuno di loro, Pedro Orce con la mano sul capo di Pilota, magari stanno misurando vibrazioni e sismi che nessun altro avverte mentre io guardo e continuo a guardare questa Maria Guavaira che a sua volta, ha una maniera di guardare che non è un guardare, ma un mostrare gli occhi, veste di scuro, una vedova che il tempo ormai ha consolato ma che il costume e la tradizione anneriscono ancora, per foltuna gli occhi le brillano, e poi c'è quella nuvola turchina che non sembra appartenere a questa casa, ha i capelli castani, e il mento arrotondato, e le labbra carnose e i denti, li ho visti poco fa, sono bianchi grazie a Dio, in fondo è una bella donna e non ci avevo fatto caso, ero legato a lei senza sapere a chi, devo decidere se rientrare o rimanere qui, anche se torno in ufficio con qualche giorno di ritardo mi giustificheranno, con tutta questa confusione nella penisola chi mai si accorgerà del ritardo degli impiegati che rientrano, si può dare la colpa alla difficoltà dei trasporti, adesso è diventata banale, ora più bella, e in questo preciso istante, a fianco di Maria Guavaira, Joana Carda non vale niente, la mia è molto più bella, mio caro José Anaiço, vediamo se si può paragonare la tua donna cittadina e sofisticata con questa creatura silvestre che, certo, avrà il sapore del sale portato dal vento al di sopra dei monti e il corpo bianco sotto quegli abiti, mio caro Pedro Orce, se lo potessi, adesso ti direi una cosa,
Che cosa mi diresti, Che ormai io so chi amare, Congratulazioni, c'è chi ha tardato anche molto di più, o chi non arriva mai a saperlo, Ne conosci qualcuno, Io, per esempio, e dopo aver risposto così, disse Pedro Orce a voce alta, Vado a fare un giro con il cane. Non è ancora del tutto buio, ma fa freddo. In direzione del monte che nasconde il mare c'è un sentiero che, poco più avanti, comincia a salire, un tornante dietro l'altro, a sinistra e a destra, come un arcolaio, fino a disperdersi in qualcosa che gli occhi non sono più in grado di penetrare. Poco ci manca che ci si trovi in questa valle come nella notte dell'apagón, o forse sarebbe più esatto dire che nella valle dove vive Maria Guavaira tutte le notti sono come un apagón, non c'era bisogno che saltassero tutte le linee elettriche dell'Europa colta e civilizzata. Pedro Orce era uscito di casa perché di lui non c'era alcun bisogno. Procede senza guardare indietro, prima rapidamente quando glielo consentono le forze, poi, dato che gli cominciano a venir meno, lentamente. Non prova alcuna sensazione di paura, in questo silenzio, fra le grandi pareti costituite dai monti, è un uomo nato e vissuto in un deserto, su polvere e sassi, dove senza alcuna sorpresa è possibile imbattersi nel teschio di un cavallo, in uno zoccolo ancora con il suo ferro, c'è chi dice che neppure i ginnetti dell'Apocalisse vi siano sopravvissuti, che sia morto in guerra il cavallo guerriero, che sia morto di peste il cavallo appestato, che sia morto di fame il cavallo affamato, la morte è la ragione somma di tutte le cose e la loro inevitabile conclusione, quello che ci fa illudere è questa linea di vivi nella quale ci troviamo, che avanza verso ciò che chiamiamo futuro solo perché un nome siamo stati costretti a darglielo, traendone incessantemente i nuovi esseri, abbandonando incessantemente gli esseri vecchi che abbiamo dovuto chiamare morti perché non emergano dal passato. Vecchio e stanco ormai si va facendo il cuore di Pedro Orce. Adesso l'uomo deve riposare spesso e ogni volta più a lungo, ma non desiste, lo conforta la presenza del cane. Si scambiano segnali, come un codice di comunicazioni che, anche se indecifrato, è sufficiente perché è sufficiente il semplice fatto di esistere, il dorso dell'animale sfiora la coscia dell'uomo, la mano dell'uomo accarezza la pelle morbida dell'orecchio del cane, il mondo si popola di un brusio di passi, di respiri, di attriti, ed ecco che, finalmente, al di là della cresta si sente il sordo clamore del mare, sempre più forte, sempre più chiaro, fino a che gli appare davanti agli occhi l'immensa superficie, appena scintillante nella notte senza luna e con poche stelle, e laggiù, come la linea viva che separa notte e morte, il violento candore della spuma che si
distrugge e si rinnova continuamente. Le rocce contro cui le onde battono sono più scure, come se la pietra, lì, fosse più densa o intrisa d'acqua fin da tempi remoti. Il vento viene dal mare, in parte è il soffio naturale, in parte, un minimo, sarà dovuto allo spostamento della penisola sulle acque, non è più che un alito, lo sappiamo bene, eppure non c'è mai stato un tifone simile da che mondo è mondo. Pedro Orce valuta le dimensioni dell'oceano e in quel momento lo trova piccolo, ché quando inspira profondamente i polmoni gli si dilatano tanto che vi potrebbero entrare d'impeto tutti gli abissi liquidi e ancora ci sarebbe spazio per quella zattera che con i suoi spunzoni di pietra si va facendo strada contro le onde. Pedro Orce non sa se sia un uomo o un pesce. Scende verso il mare, il cane lo precede per riconoscere e scegliere la strada, e c'era proprio bisogno di un battitore prudente ed esperto, prima che facesse giorno Pedro Orce, da solo, non avrebbe di certo trovato l'entrata e l'uscita di questo labirinto di pietre. Giunsero finalmente alle grandi rocce levigate che scendono in mare, dove il rimbombo dei flutti è assordante. Sotto questo cielo scurissimo e con le grida del mare, se nascesse anche la luna, si potrebbe morire di felicità, pensando di morire di angoscia, di paura, di solitudine. Pedro Orce non avvertiva più il freddo. La notte si schiarì, spuntarono altre stelle e il cane, che si era allontanato un minuto, tornò di corsa, a tirare il padrone per i pantaloni non gliel'hanno insegnato, ma ormai lo conosciamo abbastanza per sapere che sa benissimo come comunicare ciò che vuole, e adesso Pedro Orce dovrà accompagnarlo alla scoperta, un naufrago approdato alla costa, un tesoro, una traccia di Atlantide, la sconfitta dell'Olandese Volante, ossessiva memoria, e quando giunse vide che non si trattava altro che di pietre fra pietre, ma questo non è un cane che si sbagli, qualcosa di singolare dovrà pur esserci, fu allora che si accorse di starvi proprio sopra con i piedi, sulla cosa, una pietra enorme, con una vaga forma di barca, ed eccone lì un'altra, lunga e stretta come un albero maestro, e un'altra ancora, che poteva essere il timone con la sua barra, quantunque spezzato. Credendo di ingannarsi per la pochissima luce girò intorno alle pietre, toccandole e palpandole, e così non ebbe più dubbi, questo lato, alto e aguzzo, è la prua, quest'altro, a rombo, la poppa, l'inconfondibile albero maestro, mentre il timone avrebbe potuto essere solo, per esempio, il remo di un gigante se tutto ciò non fosse, davvero, dov'è, una barca di pietra. Certamente un fenomeno geologico, Pedro Orce conosce la chimica più di quanto basti per potersi spiegare la scoperta, un'antica barca di legno portata
dalle onde o abbandonata da qualche navigatore, incagliata su queste rocce da tempi immemorabili, poi le terre l'hanno ricoperta, la materia organica si è mineralizzata, le terre si sono ritirate di nuovo, fino a oggi, ci vorranno migliaia di anni perché si smussino i contorni e si riducano i volumi, il vento, la pioggia, la lima del freddo e del caldo, un giorno non si distinguerà la pietra dalla pietra. Pedro Orce si sedette dentro la barca, nella posizione in cui si trova non vede altro che il cielo e il mare distante, se la nave dondolasse un po' potrebbe pensare di essere in navigazione, e allora, potenza dell'immaginazione, gli venne un'idea assurda, che questa barca pietrificata stesse navigando sul serio, al punto da essere lei a trascinarsi a rimorchio la penisola, non c'è da fidarsi dei deliri della fantasia, è chiaro che non sarebbe impossibile che accadesse, altre e ben più difficili acrobazie si sono viste, ma si dà il caso, ironico, che la barca abbia la poppa rivolta al mare, nessuna imbarcazione che si rispetti navigherebbe mai a marcia indietro. Pedro Orce si alzò, adesso aveva freddo, e il cane saltò sul parapetto, è ora di tornare a casa, mio caro padrone, non hai l'età per fare le ore piccole, se non le hai vissute da giovane, adesso è tardi. Quando raggiunsero la cima dei monti, Pedro Orce ce la faceva appena con le gambe, e i suoi poveri polmoni, che ancora poco prima erano capaci di respirare tutto l'oceano, ansimavano come mantici bucati, l'aria pungente gli graffiava le narici, gli seccava la gola, queste avventure montane non sono adatte a un farmacista di una certa età. Si accasciò su una pietra, per riposare, con i gomiti piantati sui ginocchi, la testa china fra le mani, il sudore gli fa brillare la fronte, il vento gli scuote le ciocche di capelli, è un disastro d'uomo, stanco e triste, sfortunatamente non hanno ancora inventato un procedimento per mineralizzare un essere nel fiore della gioventù e trasformarlo in statua eterna. Il respiro si va calmando, l'aria Si è addolcita, entra ed esce senza strofinare come una carta vetrata. Rendendosi conto di questi cambiamenti il cane, che aveva atteso sdraiato, fece per alzarsi. Pedro Orce sollevò la testa, guardò in basso, verso la valle dove c'era la casa. Sembrava che vi si librasse sopra un alone, un fulgore diffuso, una specie di luce non luminosa, se questa frase, come tutte le altre, si può comporre solo di parole, verrà capita in senso univoco. A Pedro Orce venne in mente quell'epilettico di Orce il quale, dopo gli accessi che lo coglievano, tentava di spiegare le sensazioni confuse che li preannunciavano come una vibrazione delle particelle invisibili dell'aria, come l'irradiarsi di una energia quale il calore a distanza, come la distorsione dei raggi luminosi al limite della loro
portata, questa notte si è davvero popolata di incubi, il filo e la nube turchina, la barca di pietra incagliata sulle rocce della costa, adesso una casa che prodigiosamente freme, o così diremmo a guardarla da qui. L'immagine oscilla, si sfumano i contorni, d'improvviso sembra allontanarsi fino a diventare a un certo punto invisibile, poi ritorna, pulsando lentamente. Per un istante Pedro Orce temette di essere stato abbandonato in quest'altro deserto, ma la paura passò, giusto il tempo di capire che, laggiù, Maria Guavaira e Joaquim Sassa si erano uniti, i tempi sono molto cambiati, adesso si tratta di riempire, legare e mettere nella cappa ad affumicare, se mi è concesso il paragone rozzo, plebeo e arcaico. Pedro Orce si era alzato per cominciare a scendere in costa, ma si sedette di nuovo, in paziente attesa, infreddolito, che la casa riguadagnasse il suo aspetto di casa, dove non ci fossero altre fiamme che quella, finale, ancora ardente nel focolare, se dovesse trattenersi molto a lungo, sicuro che troverebbe solo ceneri al posto del fuoco. Maria Guavaira si svegliò alle prime luci dell'alba. Era nella sua camera, nel suo letto, e c'era un uomo che le dormiva accanto. Lo udiva respirare, profondamente, come se stesse estraendo forze rinnovate dal midollo delle ossa e, semincosciente, desiderò che il suo proprio respiro accompagnasse quello di lui. Fu il movimento diverso del petto che le fece avvertire di essere nuda. Sfiorò con le mani il corpo, dall'interno delle cosce, intorno al pube, poi lungo il ventre fino ai seni, e d'improvviso le sovvenne il proprio grido di meraviglia quando il piacere le era esploso dentro come un sole. Adesso completamente sveglia, si morse le dita per non gridare lo stesso grido, ma nel suono represso avrebbe voluto riconoscere le sensazioni, renderle inseparabili per sempre, o forse era il desiderio che si risvegliava, o magari il rimorso, l'angoscia che pronuncia la solita frase, Adesso che ne sarà di me, i pensieri non si possono distinguere da altri pensieri, le impressioni non sono pure da altre impressioni, questa donna vive in campagna, lontana dalle arti amatorie della civiltà, e fra poco arriveranno i due uomini che vengono a lavorare nelle terre di Maria Guavaira, che cosa dirà loro, con la casa piena di estranei, non c'è niente come la luce del giorno per cambiare la fisionomia delle cose. Ma quest'uomo che sta dormendo ha lanciato uno scoglio nel mare, e Joana Carda ha tagliato la terra in due, e José Anaiço è stato il re degli storni, e Pedro Orce fa tremare la terra con i piedi, e il Cane è venuto non si sa da dove per riunirli. E più che agli altri mi ha riunito a te, ho tirato il filo e sei venuto alla mia porta, fin nel mio letto, fino all'interno del mio corpo, fino alla mia anima,
che solo lì può essere nato il grido che ho lanciato. Per alcuni minuti gli occhi le si chiusero, quando li aprì vide che Joaquim Sassa si era svegliato, ne sentì il corpo sodo, e singhiozzando d'ansia gli si aprì, non gridò, ma pianse ridendo, e Si fece giorno. Ciò che dissero non vale la pena farne oggetto di narrazione indiscreta, dica ciascuno la sua, tenti con la propria immaginazione, è molto probabile che non indovini, anche se sembra tanto limitato il vocabolario dell'amore. Si è alzata Maria Guavaira e il suo corpo è bianco come Joaquim Sassa aveva sognato, dice lei, Non vorrei mettere questi vestiti scuri, ma adesso non ho tempo di cercarne altri, gli uomini saranno qui fra poco. Si vestì, tornò vicino al letto, coprì con i capelli il viso di Joaquim Sassa e lo baciò, poi scappò via, uscì dalla camera. Joaquim Sassa si voltò nel letto, chiuse gli occhi, sta per addormentarsi. C'è una lacrima su una delle sue guance, che può essere di Maria Guavaira oppure sua, anche gli uomini piangono, non è affatto una vergogna e fa solo bene. Questa è la camera dove si trovano Joana Carda e José Anaiço, hanno la porta chiusa, dormono ancora. Quest'altra porta è socchiusa, il cane è andato a guardare Maria Guavaira, poi è ritornato dentro, si è sdraiato, vigile sul sonno di Pedro Orce che riposa dopo le avventure e le scoperte. Che Oggi sarà una giornata calda, lo si intuisce nell'aria. Le nuvole vengono dal mare e sembrano correre più veloci del vento. Accanto alla Due Cavalli ci sono due uomini, sono i salariati venuti a lavorare, stanno parlottando, dicono che la vedova, che si lamenta tanto dei risultati del raccolto, alla fin fine ha comprato una macchina, Quando il marito muore, loro se la cavano sempre, una sentenza sarcastica pronunciata dal più vecchio. Maria Guavaira li chiamò e, mentre accendeva il fuoco e scaldava il caffè, spiegò che aveva dato ospitalità a dei viaggiatori smarriti, tre sono portoghesi, ma c'è uno spagnolo, dormono ancora, poverini. Lei, signora, qui da sola, è molto esposta, disse il più giovane, ma questa frase, tanto umana e solidale, è solo una variante di molte altre che sono state dette con ben diverso significato, Lei dovrebbe risposarsi, ha bisogno di un uomo che le guardi la casa, Dove lo trova, e non faccio per vantarmi, un uomo più capace di me, sia nel lavoro che nel resto, Mi creda, lei mi piace molto, Uno di questi giorni mi vedrà varcare la soglia e badi che sarà per restare, Lei mi fa perdere la testa, crede che un uomo sia fatto di legno, Non lo so, ma posso accertarmene, se ti avvicini ti prendi un bel tizzone in faccia, fu quanto disse una volta Maria Guavaira, e il giovane non poté far altro che riprendere quella prima frase,
modificandola un po', Ha bisogno di un uomo che badi a lei, ma fino a ora neppure così è riuscito a raggiungere il suo scopo. Gli uomini si avviarono nei campi e Maria Guavaira tornò in camera, Joaquim Sassa dormiva. Pian piano, per non svegliarlo, aprì il baule e cominciò a scegliere qualche vestito dei tempi chiari, tonalità di rosa, di verde, di azzurro, il bianco e il rosso, l'arancione e il lilla, i più svariati colori femminili, non che abbia un guardaroba da teatro o sia una contadina benestante, ma lo sanno tutti che due vestiti da donna fanno allegria e con due gonne e due camicette ecco pronto un arcobaleno. I vestiti odorano di naftalina e di chiuso, Maria Guavaira andrà a stenderli al sole perché svaporino i miasmi della chimica e del tempo morto, e mentre scende con le braccia cariche di colori, incontra Joana Carda, che pure lei ha lasciato il suo uomo al calduccio tra le lenzuola e che, capendo immediatamente cosa sta succedendo, la vuole aiutare. Ridono dinanzi a quella esposizione, il vento scompiglia loro i capelli, i vestiti schioccano e sventolano come bandiere, verrebbe voglia di gridare viva la libertà. Tornano in cucina per preparare la colazione, c'è odore di caffè fresco, c'è latte, pane raffermo ma saporito, formaggio, crostata, tutti questi aromi insieme finiranno per svegliare gli uomini, spuntò per primo José Anaiço, poi Joaquim Sassa, il terzo non fu un uomo ma il cane, che si affacciò sulla soglia, guardò e se ne andò via, E' andato a chiamare il padrone, disse Maria Guavaira che, teoricamente, ha più diritti di proprietà, ma vi ha già fatto rinuncia. Infine comparve Pedro Orce, salutò con un buongiorno e si sedette in silenzio, gli si nota una certa irritazione nello sguardo mentre osserva i gesti, benché molto discreti, di tenerezza che si manifestano quei quattro, non solo a due a due, ma anche tutti insieme, nel mondo della soddisfazione c'è un sole tutto particolare. Non sarà cosa conveniente il risentimento di Pedro Orce, che sa di essere vecchio, ma sarà nostro dovere capirlo, se ancora non si è rassegnato. José Anaiço lo vuole rendere partecipe della conversazione e gli domanda se gli è piaciuta la passeggiata notturna, se il cane gli aveva fatto buona compagnia, e Pedro Orce, ormai pacificato, ringrazia dentro di sé per la mano tesa, è arrivata al momento giusto, prima che l'amarezza complichi ancor più quel senso di privazione, Sono arrivato fino al mare, disse, e tutti si meravigliarono, specialmente Maria Guavaira, che conosce molto bene dov'è il mare e la difficoltà di arrivarci. Ma se non avessi portato con me il cane, non ce l'avrei fatta, spiegò Pedro Orce e d'improvviso gli venne in mente la
barca di pietra, ne fu turbato, per alcuni secondi non riuscì a capire se era stata solo un sogno oppure vera e reale, Se non ho sognato, se non è stata tutta una visione sognata, esiste, Si trova là in questo preciso istante, io sono qui seduto a bere il caffè e la barca è là, e nonostante l'avesse vista solo sotto la fioca luce di qualche stella, potenza dell'immaginazione, adesso se la raffigurava dentro la testa in pieno giorno, con il sole e l'azzurro del cielo, la roccia nera sotto la barca pietrificata, Ho trovato una barca, disse, e senza pensare che poteva essersi sbagliato sviluppò la sua teoria, espose il procedimento chimico, magari con qualche imprecisione di termini, ma poco alla volta le parole cominciarono a mancargli, lo aveva reso inquieto l'espressione di disapprovazione di Maria Guavaira e per precauzione concluse con un'altra ipotesi, Potrebbe anche trattarsi di uno straordinario effetto dell'erosione, è chiaro. Joana Carda disse che voleva andare a vedere, José Anaiço e Joaquim Sassa si dichiararono subito d'accordo, solo Maria Guavaira non parlava, lei e Pedro Orce si guardavano. A poco a poco gli altri tacquero, capivano che l'ultima parola non era ancora stata detta, ammesso che esista davvero un'ultima parola per tutte le cose, il che solleva la delicata questione di sapere come queste cose resteranno dopo che, su di esse, sarà stato detto tutto. Maria Guavaira prese la mano di Joaquim Sassa come se fosse in procinto di prestar giuramento, E' una barca di pietra, dichiarò, E' quel che ho detto, si è trasformata in pietra con il tempo, può essere successo per mineralizzazione, ma è altrettanto possibile che sia opera del caso e che la sua forma attuale sia stata modellata dal vento e da altri agenti atmosferici, la pioggia, per esempio, e il mare stesso, ci sarà stato un periodo in cui il livello del mare era più alto, E' una barca di pietra e lo è sempre stata, è una barca venuta da molto lontano che è rimasta lì dopo che furono sbarcati quelli che vi viaggiavano, Quelli chi, domandò José Anaiço, Oppure quello, non posso darne la certezza, E di ciò che si dice di averne la certezza, che certezza si può avere, domandò dubbioso Pedro Orce, Dicevano gli antichi, che glielo avevano detto i più antichi, e a costoro altri più antichi ancora, che sbarcarono su questa costa, da barche di pietra, provenienti dai deserti all'altro capo del mondo, dei santi, alcuni giunsero vivi, altri morti, come per esempio San Giacomo, da allora le barche sono rimaste incagliate là e questa è una di quelle, Crede davvero a ciò che sta dicendo, domandò Pedro Orce, Non si tratta di credere o non credere, tutto ciò che noi continuiamo a dire si aggiunge a ciò che è, a ciò che esiste, prima ho detto granito, poi dico barca,
quando arrivo alla fine, anche se non credo a ciò che ho detto, devo credere al fatto di averlo detto, spesso basta questo, anche l'acqua, la farina e il lievito fanno il pane. Per Joaquim Sassa fu la rivelazione di una pastora erudita, una minerva dei monti di Galizia, in genere non ce ne accorgiamo, ma la verità è che la gente ne sa molto più di quanto crediamo, la maggior parte non se lo sogna neppure quanta scienza possiede, il male sta nel voler passare per ciò che non si è, si perdono il sapere e l'arguzia, bisognerebbe piuttosto fare come Maria Guavaira che si limita a dire, Ho letto qualche libro nella mia vita, è sorprendente che ne abbia tratto profitto, non che questa donna sia tanto presuntuosa da averlo detto di se stessa, ma è il narratore che, amante della giustizia, non ha potuto resistere al commento. Joana Carda adesso sta per domandare quando andranno a vedere la barca di pietra, ma in quel momento Maria Guavaira, forse per non far dilungare la conversazione su campi che non saranno più di sua competenza, dicevamo che in quel momento Maria Guavaira ha acceso la radio che tiene in cucina, il mondo avrà pure qualche notizia da dare, è così tutte le mattine, e sono notizie da far paura, anche se se ne perdono le prime parole, poco dopo ricostituite, Da ieri sera, inesplicabilmente, la velocità di spostamento della penisola si è modificata, l'ultima misurazione registra più di duemila metri all'ora, praticamente cinquanta chilometri ogni giorno, cioè il triplo di quella in atto da quando è cominciata la deriva. In questo momento dev'esserci nella penisola un silenzio generale, le notizie riecheggiano nelle case e nelle piazze, anche se c'è pure qualcuno che ne verrà a conoscenza più tardi, come quei due uomini che lavorano per Maria Guavaira, si trovano nei campi, distanti, scommettiamo che il più giovane porrà da parte corteggiamenti e galanterie e non penserà ad altro che alla propria vita e sicurezza. Ma il peggio non è ancora venuto, ecco che l'annunciatore legge una notizia da Lisbona, prima o poi si doveva sapere, è durato fin troppo il segreto, C'è grande preoccupazione negli ambienti ufficiali e scientifici portoghesi, perché l'arcipelago delle Azzorre si trova esattamente sulla rotta che la penisola sta seguendo, già si notano i primi indizi di inquietudine fra le popolazioni, per il momento non si può parlare di panico, ma è prevedibile che nelle prossime ore sarà messo in atto un piano di evacuazione delle città e degli altri insediamenti del litorale più direttamente minacciati dall'urto, quanto a noi, spagnoli, possiamo considerarci al riparo da conseguenze immediate in quanto, vista la
distribuzione delle Azzorre fra i paralleli trentasette e quaranta, e la posizione di tutta la Galizia a nord del parallelo quarantadue, è facile notare che, se non ci saranno modifiche nella rotta, solo il paese nostro fratello, sempre sfortunato, subirà l'impatto diretto, senza dimenticare, è chiaro, quelle stesse e non meno sfortunate isole che, per la loro dimensione ridotta, corrono il rischio di scomparire sotto la grande massa di pietra che si sta spostando, come abbiamo detto, all'impressionante velocità di cinquanta chilometri al giorno, anche se, peraltro, potrebbe anche succedere che le isole costituiscano il freno provvidenziale che trattenga questa marcia finora inusitata, siamo tutti nelle mani di Dio, giacché non basterebbero le forze umane per evitare la catastrofe qualora dovesse avvenire, ma per fortuna, lo ripetiamo, noi spagnoli siamo più o meno in salvo, tuttavia non esageriamo con gli ottimismi, c'è sempre da temere per le conseguenze secondarie dell'urto, e quindi si raccomanda la massima vigilanza, pertanto devono rimanere vicino alla costa della Galizia solo coloro che, per la natura dei loro incarichi e doveri, non possano rifugiarsi nell'entroterra. Tacque la voce, sostituita da una musica adatta ad altre occasioni, e José Anaiço, ricordandosene, disse a Joaquim Sassa, Avevi ragione quando parlavi delle Azzorre, e Joaquim Sassa, fino a che punto arriva l'umana vanità, anche in questo imminente pericolo di vita, fu ben contento che fosse pubblicamente riconosciuta, davanti a Maria Guavaira, una delle ragioni che lui aveva addotto, benché senza alcun merito dato che l'aveva colta entrando e uscendo dai laboratori dove era stato portato con Pedro Orce. Come in un sogno rinnovato, José Anaico faceva conti, aveva chiesto carta e penna, stavolta non avrebbe detto quanti giorni ci sarebbero voluti perché Gibilterra passasse davanti ai fari della Sierra di Gádor, allora era tempo di festa, adesso bisognava appurare quanti giorni mancavano allo scontro del Cabo da Roca con l'isola Terceira, rabbrividiscono le carni e i capelli al solo pensiero dello spaventoso momento, dopo che l'isola di Sao Miguel si sarà piantata come uno spiedo nelle tenere terre dell'Alentejo, in verità, in verità vi dico, non c'è mal che non gliene incolga. Finiti i calcoli, dice José Anaiço, Finora abbiamo percorso circa trecento chilometri, ebbene, visto che la distanza fra Lisbona e le Azzorre è, più o meno, di mille e duecento chilometri, dobbiamo ancora percorrerne novecento, e novecento chilometri a cinquanta chilometri al giorno, arrotondando, fa diciotto giorni, cioè verso il venti di settembre, forse prima, saremo quasi alle Azzorre. La neutralità della conclusione era una forzata e amara ironia che non fece ridere nessuno. A
Maria Guavaira venne in mente, Ma noi ci troviamo in Galizia, fuori zona, Non c'è da fidarsi, la avvisò Pedro Orce, basta che la rotta si alteri di poco, verso sud, e saremo noi a cozzare in pieno, la cosa migliore, l'unica da fare è fuggire verso l'interno, come hanno detto alla radio, e comunque non c'è niente di sicuro, Lasciare la casa e le terre, Se accadrà ciò che si annuncia, non ci saranno più casa né terre. Erano seduti, per ora potevano stare seduti, potevano stare seduti per diciotto giorni. Il fuoco ardeva nel focolare, il pane era in tavola, insieme ad altre cose, latte, caffè, formaggio, ma era il pane che attirava gli sguardi di tutti, una mezza pagnotta con la crosta spessa e la mollica compatta ancora ne sentivano il sapore in bocca, dopo tanto tempo, ma la lingua riconosceva le briciole che erano rimaste dopo la masticazione, quando arriverà il giorno della fine del mondo, guarderemo l'ultima formica nel doloroso silenzio di chi sa che prende congedo per sempre. Joaquim Sassa disse, Le mie ferie finiscono oggi, perchè tutto fili diritto, domattina dovrei tornare a Porto in ufficio, queste parole oggettive furono solo il principio di una dichiarazione, Non so se proseguiremo insieme, è una questione che dovremo risolvere adesso, ma quanto a me voglio stare con Maria, se anche lei lo accetta e lo desidera. Orbene, poiché ogni cosa dovrà esser detta a suo tempo, poiché ogni tassello dovrà essere inserito in ordine e in sequenza, attesero che Maria Guavaira, chiamata in causa, parlasse per prima e lei disse, Lo voglio, senz'altre inutili perifrasi. José Anaiço disse, Se la penisola andrà a sbattere contro le Azzorre, le scuole non apriranno tanto presto, o forse non apriranno mai più, resterò con Joana e con voi se anche lei deciderà così. Adesso era la volta di Joana Carda, che come Maria Guavaira disse solo tre parole, le donne sono poco loquaci, Rimango con te, furono queste perché lo stava guardando direttamente, ma tutti capirono il resto. Infine, ultimo perché qualcuno doveva esserlo, Pedro Orce disse, Dove andremo, andrò io, e questa frase, che ovviamente offende la grammatica e la logica per eccesso di logica e forse di grammatica, dovrà rimanere senza correzione, tale e quale fu detta, magari se ne troverà un significato particolare che la giustifichi e la assolva, chi di parole sia esperto sa che da esse ci si può aspettare di tutto. I cani, si sa, non parlano, e il qui presente non può emettere neppure un sonoro latrato, a mo' di approvazione gioiosa. Quel giorno andarono fino alla costa a vedere la barca di pietra. Maria Guavaira indossava i suoi abiti colorati, non aveva fatto neppure la fatica di stirarli, il vento e la luce avrebbero attenuato i segni della lunga dimora nel limbo profondo. Innanzi al gruppo procedeva Pedro Orce, guida emerita,
benché si affidi più all'istinto e al senso canino che ai propri occhi, per i quali in verità, al chiarore del giorno, la strada è completamente nuova. Da Maria Guavaira, intanto, non ci si può attendere un orientamento, la sua rotta è un'altra, in cui tutto è pretesto per prendere la mano di Joaquim Sassa e farsi abbracciare, col corpo accostato al corpo il tempo di un bacio, una misura che sappiamo varia, ecco perché rimangono indietro alla spedizione, anziché accompagnarla. José Anaiço e Joana Carda sono più discreti, sono insieme da una settimana, hanno saziato la prima fame, ammazzato la prima sete, diciamo che l'eccitazione viene se la stuzzicano e, a dir la verità, non la risparmiano. Anche la notte scorsa, quando Pedro Orce ha visto in lontananza lo splendore, non è che avessero fatto l'amore solo Joaquim Sassa e Maria Guavaira, se dieci coppie avessero dormito in quella casa, avrebbero fatto l'amore contemporaneamente. Le nuvole vengono dal mare e corrono veloci, si formano e sfilacciano rapidamente, come se ogni minuto non durasse più di un secondo o di una sua frazione, e tutti i gesti di questi uomini e queste donne sono, o sembrano essere, lenti e rapidi in uno stesso e identico istante, si direbbe che il mondo vada alla rovescia, se si riesce a capire il significato di una espressione povera e popolare. Giungono in cima al monte e il mare è in tumulto. Pedro Orce riconosce a stento i posti, i giganteschi massi della frana che si ammucchiano, il sentiero quasi invisibile che scende a gradoni, com'è possibile che ci sia passato di notte, anche se con l'aiuto del cane, un'impresa che non è capace di spiegare neppure a se stesso. Cerca con gli occhi la barca di pietra e non la vede, ma adesso è Maria Guavaira che si mette in testa al gruppo, finalmente, che meglio di lei nessuno conosce queste strade. Arrivano sul posto e Pedro Orce sta per aprir bocca e dire, Non è qui, ma si ferma, ecco davanti ai suoi occhi la pietra del timone, con la barra spezzata, il grande albero maestro che alla luce sembra più grande, e la barca, ma questa gli appare molto diversa, come se l'erosione di cui aveva parlato al mattino avesse compiuto in una notte il lavoro di migliaia di anni, dov'è, che non la vedo, la prua alta e aguzza, il ventre concavo, certo è che la pietra, nell'insieme, ha la forma di una barca, ma neppure il più bravo dei santi riuscirebbe a compiere il miracolo di mantenere tra i flutti un'imbarcazione così precaria, senza murate, il dubbio non è perché sia di pietra, il dubbio sorge perché è quasi svanita la forma di barca, in fondo un uccello vola solo perché somiglia a un uccello, pensa Pedro Orce, ma adesso Maria Guavaira sta dicendo, E' la barca su cui è arrivato dall'oriente un santo, qui si vedono
ancora le impronte dei suoi piedi di quando è sbarcato e si è incamminato sulla terra, le impronte erano certe cavità della roccia, adesso piccole pozze che il flusso dell'onda, con l'alta marea, avrebbe rinnovato continuamente, è chiaro che siano dubbi legittimi, ma le cose dipendono da ciò che si accetta o si nega, se un santo è arrivato da lontano navigando su un pietrone, non si capisce perché dovrebbe essere impossibile che i suoi piedi di fuoco abbiano fuso la roccia fino al giorno d'oggi. Pedro Orce non può far altro che accettare e confermare, ma custodisce per sé il ricordo di un'altra barca che ha visto solo lui, nella notte quasi senza stelle e popolata, tuttavia, di visioni eccelse. Il mare salta sugli scogli come se stesse lottando contro l'avanzare di questa irresistibile marea di pietre e terre. Ormai non guardano più la barca mitica, guardano le onde che si accavallano, e José Anaiço dice, Siamo sulla strada, lo sappiamo e non lo avvertiamo. E Joana Carda, Verso dove. Allora Joaquim Sassa disse, Siamo cinque persone e un cane, nella Due Cavalli tutti non ci stiamo, è un problema che dovremo risolvere, un'ipotesi sarebbe che noi due, José e io, andassimo in cerca di una macchina più grande, che ce ne sono dappertutto abbandonate, il difficile sarà trovarne una in buono stato, mancava sempre qualcosa a quelle che abbiamo visto, Quando saremo a casa decideremo il da farsi, disse José Anaiço, abbiamo tempo, Ma la casa, le terre, mormorava Maria Guavaira, Non c'è scelta, o andiamo via di qui, o moriremo tutti, queste parole le disse Pedro Orce, ed erano quelle definitive. Dopo pranzo Joaquim Sassa e José Anaiço andarono con la Due Cavalli in cerca di una macchina più grande, preferibilmente una jeep, una dell'esercito sarebbe stata l'ideale, o meglio ancora uno di quei mezzi di trasporto, un furgone chiuso, da poter trasformare in casa ambulante e dormitorio, ma, proprio come Joaquim Sassa aveva più o meno previsto, non trovarono nulla che potesse servire, tanto più che la regione in cui ci troviamo non è ben provvista quanto a parco macchine. Rientrarono nel pomeriggio tardi per strade che a poco a poco si cominciavano a riempire di un gran traffico, da ponente a levante, era l'inizio della fuga delle popolazioni che vivevano sulla costa, c'erano automobili, carri, di nuovo gli immemorabili asini stracarichi, e biciclette, anche se poche in zone così accidentate, e moto e corriere, con una cinquantina e passa di posti, che trasportavano paesi interi, era la più grande migrazione nella storia della Galizia. Alcuni guardavano con curiosità i viaggiatori che procedevano in senso contrario, arrivarono anche a fermarli, forse non sapevano cos'era successo, Lo sappiamo, molte grazie, andiamo
solo a prendere qualcuno, fintanto che non c'è ancora pericolo, e poi José Anaiço disse, Se qui è così, che cosa sarà in Portogallo, e d'improvviso a tutti venne in mente l'idea salvatrice, Che stupidi che siamo, la soluzione è semplicissima, facciamo il viaggio due, tre volte, quante ce ne sarà bisogno, scegliamo un posto nell'interno dove sistemarci, una casa, non sarà difficile, stanno abbandonando tutto. Fu questa la buona nuova che portarono, festeggiata come meritava, il giorno dopo avrebbero cominciato a scegliere e a mettere da parte tutto l'indispensabile da trasportare, e per buttarsi avanti col lavoro tennero, dopo cena, una sessione plenaria, si fece l'inventario dei bisogni, si prepararono liste, si tolse, si aggiunse, la Due Cavalli avrebbe avuto un bel po' da camminare e trasportare. Il mattino dopo i braccianti non si fecero vedere e il motore della Due Cavalli non si accese. Detta così, sembra si voglia insinuare che ci sia una qualche relazione fra i due fatti, che gli assenti, per esempio, avessero rubato qualche pezzo essenziale dell'automobile, per un bisogno urgente o repentina malvagità. Non è così. Sia il più vecchio che il più giovane erano stati trascinati via nell'esodo che stava spopolando in men che non si dica la fascia costiera per una profondità di oltre cinquanta chilometri, ma in capo a tre giorni, quando ormai gli abitanti della casa saranno partiti, qui tornerà il più giovane, quello che faceva la corte a Maria Guavaira e alle terre di Maria Guavaira, in quest'ordine o nell'inverso, e noi non sapremo mai se tornerà per esaudire il sogno di vedersi possidente di proprietà terriere, foss'anche per pochi giorni prima di morire in un sovvertimento geologico che porterà via con sé le terre e, insieme, il sogno, oppure se abbia deciso di montare la guardia, lottando contro la solitudine e la paura, rischiando tutto per poter avere tutto, la mano di Maria Guavaira e il suo gruzzolo, qualora la spaventosa minaccia non dovesse realizzarsi, chissà. Se un giorno Maria Guavaira tornasse, se tornerà, troverebbe un uomo a zappare la terra, o a dormire, stanco del lavoro, in una nuvola di lana turchina. Per tutto il giorno Joaquim Sassa combatté con la meccanica renitente, José Anaiço fece il possibile per aiutarlo, ma la scienza di entrambi non bastò a risolvere il problema. Pezzi non ne mancavano, energia non ne mancava, ma nel più profondo del motore qualcosa si era affaticato ed era saltato, oppure si era esaurito lentamente, capita alla gente, può capitare anche alle macchine, un giorno, quando nulla lo fa prevedere, il corpo dice, No, o l'anima, o lo spirito, o la volontà, e non c'è niente che lo possa smuovere, a quel punto era giunta anche la Due Cavalli, ha portato Joaquim Sassa e José Anaiço fin qui,
non li ha mica lasciati in mezzo alla strada, che almeno la ringrazino, che non s'infurino, i pugni non risolvono, tantomeno i calci, la Due Cavalli è morta. Quando rientrarono in casa avviliti, sporchi di grasso, con le mani graffiate per aver lottato, quasi senza strumenti, contro viti, madreviti e ingranaggi, e si andarono a lavare, dolcemente assistiti dalle loro donne, c'era un'aria da funerale, Adesso come faremo per andarcene, domandava Joaquim Sassa, che in quanto padrone dell'automobile si sentiva non solo responsabile, ma colpevole, gli sembrava un'ingratitudine del destino, un'offesa personale, certi pruriti d'onore non prudono certo meno perché sono assurdi. Poi fu convocato il consiglio di famiglia, la riunione si preannunciava animata, ma Maria Guavaira prese subito la parola per fare una proposta, Ho qui un vecchio carro che forse può servire, e un cavallo non più giovane, ma se lo tratteremo con cura, magari riuscirà a trainarci. Ci fu qualche secondo di perplessità, una reazione normale in gente abituata a muoversi in automobile e che d'improvviso si vede costretta dalla difficoltà delle circostanze della vita a ritornare alle vecchie abitudini. E il carro è coperto, domandò Pedro Orce, pratico e della vecchia generazione, Il telone non è in buono stato, ma si può rammendare dove ce n'è bisogno, ho della stoffa pesante che può servire per le prime toppe, E se ce ne sarà bisogno, si prende la capotta della Due Cavalli, ormai non saprebbe che farsene e sarà l'ultimo favore che le devo. Sono tutti in piedi, felici, sembra una grande avventura, con il carro in giro per il mondo, mondo si fa per dire, e dicono, Andiamo a vedere il cavallo, andiamo a vedere la carrozza, bisogna che Maria Guavaira gli spieghi che un carro non è una carrozza, ha quattro ruote, davanti un'asse di conduzione e, sotto il telone che li riparerà dalle intemperie, spazio sufficiente per la famiglia, con un po' d'ordine e una buona amministrazione delle risorse ci sarà poca differenza dallo stare in casa. Il cavallo è vecchio, li vide entrare nella scuderia e volse verso di loro i suoi grandi occhi neri, spaventato dalla luce e dall'abbaglio. E' proprio vero ciò che dice il saggio, finché non arriva la tua ultima ora, tutto può ancora succedere, non disperare. Stando lontano, poco sappiamo delle gherminelle e delle sorprese della crisi che, latente fin dal distacco della penisola, si era andata aggravando fra i governi, soprattutto dopo la famosa invasione degli alberghi, quando le masse ignare l'avevano avuta vinta sulla legge e sull'ordine, tanto che era impossibile prevedere come risolvere in un futuro prossimo la situazione, restituendo ai proprietari il loro, come prescrivono i superiori interessi della
morale e della giustizia. Soprattutto perché non si sa se ci sarà un futuro prossimo. Della notizia che la penisola si sta precipitando contro le Azzorre alla velocità di due chilometri l'ora, ha approfittato il governo portoghese per presentare le dimissioni, basandole sull'evidente gravità della congiuntura e sull'imminente pericolo collettivo, il che ci fa pensare che i governi sono capaci ed efficaci solo nei momenti in cui non vi siano forti motivazioni che richiedano tutta la loro efficacia e capacità. Nel discorso al paese, il primo ministro ha indicato il carattere monopartitico del suo governo come ostacolo a un consenso nazionale ampio che, nella situazione di terribile incubo in cui viviamo, riteneva indispensabile al ripristino della normalità. In quest'ordine di idee aveva proposto al presidente della Repubblica la formazione di un governo di salvezza nazionale, con la partecipazione di tutte le forze politiche, con o senza rappresentanza parlamentare, ché tanto si sarebbe trovato sempre un posto da sottosegretario aggiunto di un qualche ministro aggiunto da assegnare a quei partiti che, in situazione normale, non li si sarebbe chiamati neppure per aprire una porta. E non si è dimenticato di mettere bene in chiaro che tanto lui come i suoi ministri si consideravano al servizio del paese per collaborare, con nuovi e diversi incarichi, per la salvezza della patria e per contribuire alla felicità del popolo. Il presidente della Repubblica ha accettato la richiesta di dimissioni e in obbedienza alla costituzione e alle norme operative democratiche delle istituzioni ha invitato il primo ministro dimissionario, come massimo dirigente del partito più votato e il quale, fino ad allora, aveva governato senza alleanze, lo ha invitato, dicevamo, a formare il proposto governo di salvezza nazionale. Perché, su questo è bene che nessuno abbia dubbi, i governi di salvezza nazionale sono anche molto buoni, si può addirittura affermare che siano i migliori, peccato che le patrie ne abbiano bisogno solo di tanto in tanto, ecco perché, di solito, non abbiamo governi che sappiano governare a livello nazionale. Su questo argomento, delicato quant'altri mai, si sono avute discussioni a non finire fra costituzionalisti, politologi ed esperti vari, e in tanti anni non si è potuto aggiungere granché all'evidente significato delle parole, cioè che un governo di salvezza nazionale, in quanto nazionale e di salvezza, è per la salvezza della nazione. Così direbbe Bertoldo, e bene. Ma la cosa più interessante della faccenda è che, appena annunciata la formazione del nuovo governo, le popolazioni si sono sentite in salvo, o come se poco ci mancasse, pur non potendosi evitare certe manifestazioni di scetticismo congenito quando viene reso noto l'elenco
ufficiale dei ministri e se ne vedono le fotografie sui giornali e alla televisione, Sono sempre le stesse facce, ma che cosa ci aspettavamo, se siamo tanto restii a impegnare le nostre. Si è parlato dei pericoli che il Portogallo corre nel caso di un impatto con le Azzorre, nonché degli effetti secondari, se addirittura non saranno diretti, di cui è minacciata la Galizia, ma è certo molto più grave la situazione della popolazione delle isole. In fondo, che cos'è un'isola. Un'isola, in questo caso un intero arcipelago, non è che l'emergere di cordigliere sottomarine, non di rado solo i picchi acuti di guglie rocciose che per miracolo si tengono in piedi su fondali di migliaia di metri, un'isola, insomma, è un evento fra i più contingenti. E adesso ecco qualcosa che, anche se nient'altro che isola, è così grande e veloce che c'è il pericolo di assistere, speriamo da lontano, alla decapitazione, una dopo l'altra, di Sao Miguel, dell'isola Terceira, di Sao Jorge e di Faial, ben come delle altre isole Azzorre, con generale perdita di vite, se il governo di salvezza nazionale che si insedierà domani non troverà una soluzione per trasferire, in tempi brevi, centinaia di migliaia e milioni di persone in altre regioni sicure, qualora ce ne siano. Il presidente della Repubblica, prim'ancora dell'entrata in funzione del nuovo governo, ha già fatto appello alla solidarietà internazionale, grazie alla quale, come ben ricordiamo, e questo è solo uno dei molti esempi che potremmo portare, si è evitata la fame in Africa. I paesi dell'Europa, dove per fortuna si è avuto un certo abbassamento di tono nel linguaggio quando si parla di Portogallo e Spagna, dopo la grave crisi di identità che hanno dovuto affrontare quando milioni di europei avevano deciso di dichiararsi iberici, hanno accolto con simpatia l'appello e hanno già voluto sapere com'è che vogliamo essere aiutati, benché tutto dipenda, come al solito, dalla possibilità che i nostri bisogni siano soddisfatti con ciò di cui loro dispongono in eccedenza. Quanto agli Stati Uniti dell'America del Nord, che sempre li si dovrebbe nominare per esteso, nonostante abbiano mandato a dire che la formula di un governo di salvezza nazionale non sia di loro gradimento, alla fin fine, date le circostanze, si sono dichiarati disposti a evacuare tutta la popolazione delle Azzorre, che non arriva a duecentocinquantamila persone, lasciando tuttavia in sospeso dove le si potrà installare, negli stati salvatori neppure a pensarlo, per via delle leggi sull'immigrazione, l'ideale, se volete che ve lo dica, ed è questo il sogno segreto del Dipartimento di Stato e del Pentagono, sarebbe che le isole arrestassero, sia pur con qualche danno, la penisola che si verrebbe così a trovare fissa in mezzo all'Atlantico, a beneficio della pace del
mondo, della civiltà occidentale e di ovvie utilità strategiche. Al volgo sarà comunicato che tutte le squadre nordamericane hanno avuto l'ordine di convergere nell'area delle Azzorre, immediatamente affluiranno nello stesso punto migliaia e migliaia di azzorriani, mentre per il resto ci sarà il ponte aereo, la cui organizzazione è in corso. Portogallo e Spagna dovranno risolvere i loro problemi locali, gli spagnoli un po' meno di noi, ché la storia e il destino, loro, li hanno sempre trattati con più che palese parzialità. Eccetto il caso della Galizia, un caso e una regione puramente periferici, o, con altro rigore, appendicolari, la Spagna è al riparo dalle conseguenze più nefaste dell'investimento visto che, in sostanza, il Portogallo le fa da tampone o paraurti. Ci sono problemi di una certa complessità logistica da risolvere, come le importanti città di Vigo, Pontevedra, Santiago de Compostela e La Coruna, ma quanto al resto la gente dei paesi è talmente abituata a governarsi la vita in maniera precaria che, quasi senza attendere ordini, consigli e opinioni, si è messa in marcia verso l'interno, pacifica e rassegnata, con i mezzi di cui si è detto, e altri ancora, a cominciare dal più primitivo, le proprie gambe. Ma in Portogallo la situazione è radicalmente diversa. Si noti che tutta la costa, eccezion fatta per la parte meridionale dell'Algarve, si trova esposta alla sassaiola delle isole Azzorre, una parola, sassaiola, che usiamo perché, in fondo, non c'è gran differenza, negli effetti, fra un sasso che ci colpisce e noi che colpiamo un sasso, è tutta questione di velocità e di inerzia, pur non dimenticando che, nel caso in questione, la testa, benché ferita e spaccata, ridurrà tutti quei sassi in schegge. Orbene, con una costa simile, quasi tutta di terre pianeggianti e con le città principali sulle rive del mare, e tenendo conto dell'impreparazione dei portoghesi alle più insignificanti calamità pubbliche, un terremoto, un'alluvione, un incendio nella foresta, una siccità costante, ci si chiede se il governo di salvezza nazionale saprà compiere il proprio dovere. La soluzione sarebbe addirittura quella di fomentare il panico, spingere la gente ad abbandonare a precipizio le case e a rifugiarsi nelle campagne dell'entroterra. La cosa peggiore è se queste persone, nel viaggio o al momento di insediarsi, si vedono private del cibo, non ci s'immagina neppure a che estremi potrebbero arrivare l'indignazione e la rivolta. Tutto questo, naturalmente, ci preoccupa ma, confessiamolo, ci preoccuperebbe molto di più se non ci trovassimo per un caso in Galizia a osservare i preparativi per il viaggio di Maria Guavaira e Joaquim Sassa, di Joana Carda e José Anaiço, di Pedro Orce e del Cane, l'importanza relativa degli
argomenti è varia, dipende dal punto di vista, dall'umore del momento, dalla simpatia personale, l'obiettività del narratore è un'invenzione moderna, basta vedere che neppure il Signore Dio Nostro l'ha voluta nel suo Libro. Sono passati due giorni, il cavallo ha ricevuto doppia razione di cibo, avena e fave a discrezione, lui che era tenuto a stecchetto, Joaquim Sassa ha proposto addirittura una zuppa col vino, e il carro, una volta rappezzati i buchi del telone con la capotta della Due Cavalli, oltre a essere più confortevole all'interno, proteggerà dalla pioggia quando verrà più costante che non gli ultimi spruzzi, perché settembre è alle porte e ci troviamo in una terra piuttosto acquatica. In questo frattempo, si calcola che la penisola avrà navigato per un centocinquanta chilometri da quando José Anaiço ha fatto con perizia i conti. Ci mancheranno, quindi, ancora un settecentocinquanta chilometri da percorrere, o quindici giorni, per chi preferisca misure più empiriche, in capo ai quali, minuto più, minuto meno, ci sarà il primo urto, Gesù Giuseppe e Maria, poveracci quelli dell'Alentejo, meno male che ci sono abituati, sono come i galleghi, hanno la pelle tanto dura che sarebbe giustificato tornare alle vecchie parole, chiamiamo la pelle cuoio ed evitiamo altre spiegazioni. Qui, nelle zone settentrionali, in questa paradisiaca valle della Galizia, il tempo basta e avanza perché si metta in salvo la compagnia. Nel carro ci sono già coperte, lenzuola e copriletti, ci sono i bagagli di tutti e una batteria da cucina essenziale, piatti pronti per i primi giorni, frittate, qualora fosse necessario specificare, e viveri vari, fra quelli rustici e caserecci, fagioli bianchi e borlotti, riso e patate, un barile d'acqua, uno di vino, due galline da uova, di cui una screziata e dal collo pelato, baccalà, la boccia dell'olio, il fiasco dell'aceto, il sale, che senza non si può vivere, a meno che non si sfugga al battesimo, il pepe e lo zafferano, tutto il pane che c'era in casa, la farina in un sacco, avena e fave per il cavallo, per il cane non ci sono problemi, se la sa sbrigare senza aiuto, quando lo accetta è solo per compiacenza. Maria Guavaira, senza dire perché, ma forse non lo saprebbe spiegare se glielo domandassero, col filo turchino ha fatto per tutti braccialetti e collari per il cavallo e il cane. Il mucchio di lana è tanto grande che non ci s'è accorti della differenza. D'altronde, anche se lo volessero portar via, non entrerebbe nel carro, né del resto era previsto che lo facessero, altrimenti dove si coricherebbe il bracciante più giovane che dovrà venire qui. L'ultima notte che trascorsero nella casa andarono a letto tardi, parlarono per ore, come se il giorno dopo fosse un giorno di congedi dolorosi, ognuno per
la sua strada. Ma stare insieme così era anche un modo per farsi coraggio, lo sanno tutti che i ramoscelli cominciano a spezzarsi nel momento in cui si separano dalla fascina, tutto ciò che è frangibile, ormai è infranto. Dispiegarono sul tavolo della cucina la carta della penisola, raffigurata lì ancora attaccata alla Francia, e segnarono l'itinerario del primo giorno di viaggio, inaugurale, avendo cura di scegliere i percorsi meno accidentati, per via delle poche forze del lazzaro equino. Ma avrebbero dovuto fare una deviazione a nord, fino alla cittadina di La Coruna, dov'era ricoverata la madre pazza di Maria Guavaira, il puro e semplice amore di una figlia che andava a toglierla da quel pandemonio, immaginiamo il panico in quel manicomio, un'isola che gli si infilava dentro, che si slanciava sulla città spingendo innanzi le barche ancorate, e tutte quelle vetrate che si infrangevano nello stesso istante, e i pazzi a credere, ammesso che ancora lo possano nella loro pazzia, che fosse arrivato il giorno del giudizio. Maria Guavaira avrà la lealtà di dire, Non so come potrà essere la nostra vita con mia madre nel carro, anche se, per la verità, non è violenta, sarà giusto il tempo di arrivare in un posto sicuro, abbiate pazienza. Risposero che l'avrebbero avuta, che non si desse pensiero, che tutto si sarebbe sistemato per il meglio, ma noi sappiamo bene che neppure il grande amore resiste intatto alla propria follia, che farà mai, costretto a vivere con la follia altrui, in questo caso la madre folle di uno dei folli. Fu utile invece che José Anaiço avesse avuto la felice idea di telefonare dal primo posto dove era possibile, poteva anche darsi che le autorità sanitarie avessero già trasferito o stessero per trasferire al sicuro gli alienati, ché qui non si tratta di un naufragio classico, prima si salvano coloro che sono già perduti. Infine le coppie si ritirarono nelle camere, fecero ciò che si fa sempre in occasioni del genere, chissà se torneremo un giorno, che allora restino gli echi dell'umano amor carnale, quello che non ha uguali fra le specie, perché è fatto di sospiri, di mormorii, di parole impossibili, di saliva e sudore, di agonia, di martirio implorato, Ancora no, si muore di sete e si rifiuta l'acqua che ti libera, Adesso, adesso, amore mio, ed è questo che la vecchiaia e la morte ci ruberanno. Pedro Orce, che è vecchio e della morte ha già il primo segnale, la solitudine, uscì di nuovo di casa per andare a vedere la barca di pietra, insieme a lui andò il cane che ha tutti i nomi e nessuno, e se per caso qualcuno mi viene a dire che Pedro Orce non sta andando solo perché insieme a lui c'è il cane, costui dimentica l'origine remota della bestia, i cani infernali hanno già visto tutto, e avendo vita così lunga, non sono loro a
essere compagni di qualcuno, ma sono gli esseri umani, che tanto poco vivono, ad accompagnare i cani. La barca di pietra è là, con la prua alta e appuntita come la prima sera, Pedro Orce non si sorprende, ciascuno di noi vede il mondo con gli occhi che ha, e gli occhi vedono ciò che vogliono, gli occhi fanno il mondo diverso e creano i prodigi, anche se di pietra, e le alte prue, anche se per illusione. Il mattino si destò coperto, piovigginoso, un modo di dire che, seppure in uso, non è esatto, perché i mattini non si destano, ma siamo noi che ci destiamo e, andando alla finestra, vediamo che il cielo è denso di nuvole basse e cade una pioggerellina sottile, bagna-gonzi, ma la forza della tradizione è tale che, se in questo nostro viaggio ci fosse un diario di bordo, di certo lo scrivano della nave canterebbe così la sua prima laude, Il mattino si destò coperto e piovigginoso, come se i cieli disapprovassero l'impresa, in questi casi si invocano sempre i cieli, tant'è che piova o splenda il sole. La Due Cavalli, a spinta, andò a prendere il posto del carro, sotto le tegole, o meglio, sotto la paglia, ché non si tratta di un garage ma di una tettoia, aperta ai venti. Abbandonata così, senza la copertura della capotta che è servita per riparare il telone del carro, sembra già un rudere, il che succede sia alle cose sia alle persone, quando non servono più finiscono, finiscono se non servono più. Il carro, al contrario, nonostante la vetustà, è ringiovanito uscendo all'aria aperta, e la pioggia che cade lo bagna di novità, ha sempre avuto un effetto sorprendente, osservate il cavallo, sotto la cerata che gli protegge i lombi vien voglia di immaginarlo quale destriero di un torneo, ingualdrappato per la battaglia. Non dovrebbe sembrare strano questo indugiare nelle descrizioni, è un modo per mostrare quanto sia duro staccarsi dai luoghi dove si è stati felici, tanto più che queste persone non stanno fuggendo in preda al panico, ecco Maria Guavaira che chiude accuratamente la porta, libera le galline che rimangono, i conigli dalla conigliera, il maiale dal porcile, sono animali abituati al mangiare bello e pronto che adesso rimangono così alla mercè di Dio, o forse alle arti del diavolo, ché il maiale è capace, se gli prende la voglia, di far perfino razzia delle altre bestie. Quando il più giovane dei braccianti si farà vivo, dovrà forzare una finestra per entrare in casa, per miglia tutt'intorno non c'è anima viva che possa testimoniare dello scasso, Se l'ho fatto, è stato a fin di bene, sono parole sue, e magari è la verità. Maria Guavaira salì a cassetta, accanto le si sedette Joaquim Sassa con l'ombrello aperto, è suo dovere, accompagnare la donna amata e difenderla
dai cattivi tempi, quello che non può fare, invece, è assumere il suo compito, ché tra questi cinque solo Maria Guavaira sa come guidare un carro e un cavallo. Verso sera, quando il cielo si schiarirà, faranno lezione, Pedro Orce si impunterà nel voler essere lui il primo a ricevere i rudimenti, bontà sua, così le due coppie potranno riposarsi subito sotto il telone, senza indesiderate separazioni, e visto quanto è spazioso il posto del cocchiere, vi possono viaggiare in tre, una soluzione ideale per l'intimità degli altri, foss'anche solo per starsene zitti, buoni e vicini. Maria Guavaira agitò le redini, il cavallo, legato all'asta del carro, senza compagno accanto, diede un primo strattone, sentì la resistenza dei tiranti e poi il peso del carico, la memoria tornò al}e vecchie ossa e ai vecchi muscoli, e il suono quasi dimenticato si ripeté, la terra solcata dalle ruote ferrate. Tutto si impara, si dimentica e si impara di nuovo, in caso di necessità. Per un centinaio di metri il cane seguì il carro sotto la pioggia. Poi capì che poteva continuare, anche se con le proprie gambe, al riparo da quel fastidio. Si ficcò sotto il carro, regolò la sua andatura su quella del cavallo, e così lo vedremo per tutto il tempo che durerà il viaggio, che piova o splenda il sole, dal momento che non lo alletta l'idea di fare il battitore o di distrarsi in quell'andirivieni senza alcun senso apparente che rende tanto simili gli uomini e i cani. Quel giorno non fecero molta strada. Bisognava risparmiare il cavallo, tanto più che il terreno accidentato gli richiedeva continui sforzi, vuoi a salire, tirando, vuoi a scendere, frenando. Fin dove giungeva lo sguardo non si vedeva anima viva, Dobbiamo essere stati gli ultimi a partire da questo posto, disse Maria Guavaira, e il cielo coperto, l'aria grigia, il paesaggio triste, erano ormai l'esalazione di un mondo alla sua fine, spopolato, miserando dopo tante sofferenze e tanta stanchezza, dopo tanto vivere e morire, tanta vita cocciuta e successiva morte. Ma in questo carro in marcia ci sono amori giovani, e gli amori giovani, come gli osservatori non ignorano, sono la cosa più forte che esista al mondo, ecco perché non temono gli accidenti, dato che sono essi stessi, gli amori, per eccellenza, la massima rappresentazione dell'accidente, il fulmine, il sorridente abbandono, l'ansioso sconvolgimento. Quindi non ci si deve fidare del tutto delle prime impressioni, di questo congedo quasi funereo da un paese deserto, sotto una pioggia malinconica, se non fossimo tanto discreti, sarebbe meglio prestare ascolto alle conversazioni di Joana Carda e José Anaiço, di Maria Guavaira e Joaquim Sassa, il silenzio di Pedro Orce è ancora più discreto, di lui si potrebbe dire che non sia neppure qui.
Il primo paese che attraversarono non era stato abbandonato da tutti i suoi abitanti. Alcuni vecchi avevano dichiarato ai loro inquieti figli e parenti che, morire per morire, meglio così che di fame o di un male incurabile, se una persona è stata scelta tanto gloriosamente da morire col proprio mondo, anche se non è un eroe wagneriano, lo attende il Valalla supremo dove vanno a finire tutte le grandi catastrofi. Vecchi galleghi o portoghesi, che è tutta la stessa famiglia, non sanno niente di queste cose, ma per qualche inesplicabile ragione hanno avuto la forza di dire, Di qui non me ne vado, andate voi se avete paura, e questo non significa che siano coraggiosissimi, ma solo che in questo momento della vita finalmente hanno capito che il coraggio e la paura sono semplicemente i due piatti oscillanti di una bilancia il cui perno rimane immobile, paralizzato dallo sgomento dell'inutile invenzione delle emozioni e dei sentimenti. Mentre il carro attraversava il paese, la curiosità, che probabilmente è l'ultima qualità che si perde, spinse in strada gli anziani, che salutarono lentamente, ed era come se stessero congedandosi da loro stessi. Allora José Anaiço disse che sarebbe stato opportuno approfittare di qualche casa disabitata per dormire, qui o in un altro villaggio, oppure in un eremo, potevano trovare dei letti, un po' più comodi del carro, ma Maria Guavaira decretò che non avrebbe mai messo piede in una casa senza il consenso dei proprietari, c'è gente fatta così, scrupolosa, e altra che, se vede una finestra chiusa, la forza e poi dice, E' stato a fin di bene, e che il bene sia suo o altrui rimarrà sempre il dubbio sul primo e l'ultimo motivo. José Anaiço si pentì di quell'idea, non perché fosse cattiva, ma piuttosto assurda, erano bastate le parole di Maria Guavaira per definire una norma di dignità, Basta a te stesso fin che ce la fai, poi affidati a chi meriti, meglio a qualcuno che ti meriti. Da come vanno le cose, sembra che queste cinque persone si meritino a vicenda, reciprocamente o in modo complementare, se ne rimangano dunque nel carro a mangiare le frittate, a parlare del viaggio fatto e di quello da fare, Maria Guavaira rafforzerà con la teoria le lezioni pratiche di guida che ha già dato, sotto un albero il cavallo mastica e rimastica la sua razione di fieno, il cane, questa volta, si è accontentato del rifornimento domestico e adesso se ne gironzola fiutando e spaventando i caprimulgi. Ha smesso di piovere. Una lanterna illumina l'interno del carro, se passasse qualcuno direbbe, Guarda, un teatro, è vero che sono personaggi, ma non figuranti. Quando l'indomani, finalmente, Maria Guavaira potrà telefonare a La Coruna, le diranno che sua madre e gli altri ricoverati sono già stati trasferiti
nell'interno, E lei come sta, Matta come sempre, ma la risposta serve. Continueranno il viaggio finché la terra sarà di nuovo popolata. lì resteranno ad aspettare. Fu costituito in Portogallo il governo di salvezza nazionale che si mise subito al lavoro e il primo ministro in persona andò alla televisione a pronunciare una frase che la storia di certo riporterà, una cosa sul tipo, Sangue, sudore e lacrime, oppure, Seppellire i morti e occuparsi dei vivi, o ancora, Onorate la patria, che la patria vi guarda, o, Il sacrificio dei martiri farà nascere le messi del futuro. Nel nostro caso, e tenendo conto dei particolari del momento, il primo ministro ritenne di dire solo, Portoghesi, la salvezza è nella ritirata. Ma ospitare nelle retrolinee i milioni di persone che popolano la fascia litoranea era un'impresa talmente complessa che nessuno ebbe la pretesa, non meno che stolta, di presentare qualche piano di evacuazione nazionale in grado di integrare le iniziative locali. Riguardo, per esempio, alla città e al circondario di Lisbona, l'analisi della situazione e le misure che ne derivavano partivano da un presupposto, oggettivo e soggettivo, che Si potrebbe riassumere come segue, La grande maggioranza, e perché non dirlo, la stragrande maggioranza degli abitanti di Lisbona non vi sono nati, e quelli che vi sono nati sono legati ai primi da vincoli di parentela. Le conseguenze di un tale fatto sono vaste e decisive, prima fra tutte che gli uni e gli altri dovrebbero trasferirsi nei luoghi d'origine, dove, in genere, hanno ancora qualche parente, anche se alcuni glieli hanno fatti perdere di vista le circostanze della vita, approfittandosi così dell'occasione forzata per riportare l'armonia nelle famiglie e per sanare antiche incomprensioni, odi causati da eredità non buone e divisioni pessime, e maldicenze, questa grande sventura che ci cade addosso avrà per lo meno il merito di avvicinare i cuori. La seconda conseguenza, che deriva naturalmente dalla prima, tocca il problema di come dar da mangiare alla gente trasferita. Quindi anche lì, e senza che lo Stato sarà obbligato a intervenire, la comunità familiare avrà un grande ruolo che, tradotto in cifre, si potrebbe esprimere con un aggiornamento macroeconomico del vecchio detto, Dove mangiano due, mangiano tre, la nota rassegnazione aritmetica e familiare di quando si aspetta un figlio, adesso si dirà, con tono di maggiore autorità, dove mangiano cinque milioni, vi mangino dieci, e con un accenno di sorriso, Un paese non è che una grande famiglia. Non ci sarebbe rimedio per i solitari, per i senza famiglia, per i misantropi, ma tuttavia anche costoro non saranno automaticamente esclusi dalla società,
c'è da confidare nelle solidarietà spontanee, in quell'irrefrenabile amore per il prossimo che sempre si manifesta, prendete per esempio i viaggi in treno, specie in seconda classe, quando arriva l'ora di aprire il cestino, la madre non si dimentica mai di invitare i viaggiatori sconosciuti che occupano i posti vicini, volete favorire, domanda lei, se qualcuno accetta pazienza, anche se si fa conto che tutti rispondano in coro, Grazie, buon appetito. Il più difficile sarà l'alloggio, una cosa è offrire un po' di baccalà fritto e un bicchiere di vino, un'altra, ben diversa, sarebbe cedere metà del letto dove andiamo a dormire, ma se riusciremo a ficcare nella testa della gente che questi solitari e diseredati sono una reincarnazione di Nostro Signore, come al tempo in cui girava per il mondo nelle vesti di un poverello per provare la bontà degli uomini, allora per loro si troverà sempre un sottoscala, un angolo in soffitta o, ruralmente parlando, una tettoia e un covone di paglia. Dio, questa volta, per quanto si moltiplichi, sarà trattato come si merita chi ha creato l'umanità. Abbiamo detto di Lisbona, con qualche differenza solo nella quantità dei termini potremmo aver parlato di Porto o di Coimbra, di Setubal e Aveiro, di Viana o Figueira, senza dimenticare quella miriade di paesi e villaggi sparsi dappertutto, benché in alcuni casi si sollevi il conturbante problema di sapere dove debbano andare quelli che vivono nello stesso posto in cui sono nati, e anche coloro che, vivendo in un luogo del litorale, sono nati in un altro posto del litorale. Portati i busillis al consiglio dei ministri, ha recato il portavoce la risposta, Il governo ha fiducia che lo spirito di iniziativa privata risolva, magari in maniera originale e a ulteriore vantaggio generale, le situazioni che non rientrino nello schema nazionale di evacuazione e reinsediamento delle popolazioni. Autorizzati così, dall'alto, a tralasciare questi destini, in quanto personali, ci limitiamo a riportare, quanto a Porto, il caso dei superiori e dei colleghi di Joaquim Sassa. Basterà dire che se lui, per un imperativo di disciplina e di coscienza professionale, se ne fosse andato via a tambur battente dai monti della Galizia, abbandonando alla sorte amore e amici, avrebbe trovato l'ufficio chiuso e, affisso sulla porta, un cartello con l'ultimo avviso della direzione, Gli impiegati di ritorno dalle ferie dovranno presentarsi presso le nuove sedi che abbiamo aperto a Penafiel, dove speriamo di continuare a ricevere i graditi ordini dei nostri egregi clienti. E i cugini di Joana Carda, quelli di Ereira, adesso si trovano a Coimbra, a casa del cugino abbandonato, che non ha fatto loro buon viso, si capisce, in fondo è lui a essere addolorato, aveva avuto ancora un barlume di speranza pensando che i cugini fossero andati in avanscoperta a preparare il ritorno
della fuggiasca, ma quando, con il prolungarsi del soggiorno, ha domandato, E Joana, la cugina, contrita, ha confessato, Non ne sappiamo niente, è stata da noi, è vero, ma è sparita ancor prima di questo scompiglio, non ne abbiamo più avuto notizie, di quant'altro sa della storia si guarda bene dal parlarne, ma se per tanto poco si è meravigliata, che direbbe se la conoscesse tutta. Il mondo è dunque in sospeso e aspetta ansiosamente, che sarà, che non sarà, che cosa succederà alle spiagge lusitane e galleghe, quelle occidentali. Ma, ancora una volta lo ripetiamo, benché stancamente, non tutto il male vien per nuocere, è questo per lo meno il punto di vista dei governi d'Europa, perché da un'ora all'altra, al pari dei salutari risultati della repressione di cui si è parlato a suo tempo, hanno visto diminuire e quasi del tutto spegnersi l'entusiasmo rivoluzionario dei giovani, ai quali i giudiziosi paesi adesso dicono, Vedi, figlio mio, il pericolo in cui ti andavi a ficcare se continuavi a ostinarti nel voler essere iberico, e il ragazzo, infine ravveduto, risponde, sì, papà. Mentre avvengono queste scene di riconciliazione familiare e di pacificazione sociale, i satelliti geostazionari, regolati per mantenere una posizione relativa costante, trasmettono a terra fotografie e misurazioni, le prime ovviamente invariate quanto alla forma dell'oggetto in movimento, le seconde che registrano ogni minuto che passa una riduzione di circa trentacinque metri della distanza che separa l'isola grande da quelle piccole. In un'epoca come la nostra, di accelerazione di particelle, trentacinque metri al minuto come fattore di preoccupazione sarebbe roba da ridere, ma se pensiamo che dietro queste gradevoli e soffici spiagge, dietro questi pittoreschi litorali frastagliati, dietro queste terrazze a strapiombo sul mare vengono cinquecentottantamila chilometri quadrati di superficie e un numero incalcolabile, astronomico, di milioni di tonnellate, se, per parlare solo di monti, cordigliere e montagne, tentiamo di raffigurarci quale sarà l'inerzia di tutti i sistemi orografici della penisola adesso posti in movimento, senza dimenticare i Pirenei, benché ridotti alla metà della loro antica grandezza, allora non possiamo far altro che ammirare il coraggio di questi popoli dai tanti sangui incrociati, e insieme elogiare il loro senso fatalista dell'esistenza che, con l'esperienza dei secoli, ha finito per condensarsi in quella notevolissima formula che dice, Tra morti e feriti, qualcuno dovrà pur farcela. Lisbona è una città deserta. Girano ancora pattuglie dell'esercito, con un appoggio aereo di elicotteri, come è avvenuto in Spagna e in Francia al momento della rottura e durante i conturbanti giorni che le hanno fatto
seguito. Fintanto che non saranno richiamati, il che si prevede sarà fatto ventiquattr'ore prima del momento previsto per l'urto, i soldati hanno l'ordine di vegliare e vigilare, anche se, veramente, non ne varrebbe la pena dato che tutti i valori sono stati a suo tempo ritirati dalle banche. Ma nessuno la perdonerebbe a un governo che abbandonasse una città come questa, bella, armoniosa, di proporzioni perfette e felice, come è inevitabile che se ne parlerà dopo che sarà stata distrutta. Perciò i soldati sono qui a rappresentare simbolicamente il popolo assente, come guardia d'onore che sparerebbe le salve di ordinanza se all'uopo ci fosse ancora tempo nell'istante supremo in cui la città sprofonderà nell'acqua. Nel frattempo i soldati sparano ogni tanto su ladri e scassinatori, consigliano e orientano le rare persone che si ostinano nel non voler abbandonare la propria casa e quelle che, finalmente, si son decise a partire, e quando incontrano, come talora capita, qualche matto che vagabonda per le strade, del tipo tranquillo che, avendo ottenuto per sua poca buona sorte la libera uscita dal manicomio il giorno della grande fuga e non avendo saputo, o capito, dell'ordine di rientrare, ha finito per trovarsi allo sbaraglio, di solito si comportano in due modi. Certi graduati ritengono che il matto sia sempre più pericoloso del ladro, tenuto conto che quest'ultimo, almeno, ha ancora un po' di giudizio come loro. In tal caso non ci pensano due volte e fanno aprire il fuoco. Altri, meno intolleranti, e soprattutto consapevoli della necessità vitale di sfogare i nervi in tempo di guerra o similari, autorizzano i loro subordinati a divertirsi alle spalle del povero svitato, solo un pochino, per lasciarlo poi proseguire in pace, a meno che non si tratti invece di una svitata, nello stesso identico stato, e ciò si deve al fatto che non manca nell'esercito, e non solo lì, chi abusi della verifica elementare e ovvia che il sesso, strumentalmente parlando, non sta nella testa. Ma quando nella città, per viali, strade e piazze, per quartieri e giardini non si vedrà più una sola persona, quando non si vedrà spuntare più nessuno alle finestre, quando i canarini non ancora morti di fame e di sete canteranno nel silenzio assoluto della casa o sul balcone verso i giardini deserti, quando le acque delle fontane e dei fontanili brilleranno al sole e non una mano verrà a bagnarvisi, quando gli occhi delle statue, morti, si volgeranno intorno alla ricerca di occhi che li guardino, quando i portoni aperti dei cimiteri mostreranno che non c'è differenza fra l'una o l'altra assenza, quando, infine, la città si troverà nel suo ultimo minuto di agonia, aspettando che un'isola del
mare la distrugga, è allora che accadrà la storia meravigliosa e il miracoloso salvataggio del navigatore solitario. Erano più di vent'anni che il navigatore solitario vagava per i mari del mondo. Aveva ereditato una nave, o l'aveva comprata, o gli era stata data da un altro navigatore che vi aveva navigato anch'egli per vent'anni, e prima di lui, se i ricordi non finiscono per confondersi dopo tanto tempo, sembra che per altri venti anni un primo navigatore vi avesse solcato solitario gli oceani. La storia delle navi e dei marinai che le governano è piena di peripezie, con tempeste terribili e bonacce spaventose come il peggior tifone, e perché non manchi un pizzico di romanticismo, si suole dire, e tante sono le canzoni in materia, che in ogni porto c'è sempre una donna in attesa del suo marinaio, un modo particolarmente ottimista di immaginare la vita, ma che i fatti della vita e le azioni della donna per lo più smentiscono. Quando il navigatore solitario sbarca, è solo per fare provvista d'acqua, comprare tabacco e pezzi di ricambio, o per rifornirsi di olio e carburante, di medicine, aghi per le vele, una gabbana di plastica contro la pioggia e gli spruzzi, ami, lenza, il giornale del giorno per controllare quanto già conosce, che non ne vale la pena, ma mai, per nulla al mondo, il navigatore solitario ha messo piede a terra con l'intenzione di portarsi dietro una donna come compagna di navigazione. Se capita davvero che nel porto ce ne sia qualcuna ad aspettare, sarebbe assurdo che la respingesse, ma in genere è la donna che prende l'iniziativa e per il tempo che crede, il navigatore solitario non le ha mai detto, Aspettami che un giorno tornerò, non è richiesta che si permetterebbe di fare, Aspettami, né potrebbe garantirle di esser di ritorno quel giorno o un altro e, tornando, quante volte gli capiterebbe di trovare il molo deserto oppure con qualche donna, si, ma in attesa di un altro marinaio, pur non essendo raro che, mancando questi, ella si adopri per quello che s'è fatto vivo. La colpa, se bisogna dirlo, non è delle donne né dei navigatori, la colpa è di questa solitudine che a volte non si sopporta, la stessa solitudine che può condurre il navigatore in porto e la donna al molo. Ma queste sono considerazioni spirituali e metafisiche, non abbiamo resistito al farle né prima né dopo i singolari fatti, che non sempre contribuiscono a rendere più chiari. Parlando con semplicità, diciamo che molto al largo di questa penisola che è diventata un'isola ambulante, il navigatore solitario navigava con la sua vela e il suo motore, la sua radio e il suo binocolo, e con quella pazienza infinita di chi un giorno ha deciso di dividere la propria vita a metà fra cielo e mare. Improvvisamente il vento è cessato e lui ha raccolto la
vela, la brezza è caduta di colpo, e l'onda lunga in cui l'imbarcazione si muoveva comincia a perdere il suo impeto, abbassa il dorso e prima ancora che sia passata un'ora il mare sarà piatto e calmo, ci sembra perfino impossibile che questo abisso d'acqua, profondo migliaia di metri, si possa mantenere in equilibrio su se stesso, senza inclinarsi da una parte o dall'altra, un'osservazione che potrà sembrare stupida solo a chi crede che tutte le cose di questo mondo si spieghino per il semplice fatto che sono come sono, il che evidentemente si può accettare, ma non basta. Il motore continua a funzionare, tunctunc, tunc-tunc, il mare, fin dove giungono gli occhi, corrisponde in ogni suo luccichio alla classica immagine dello specchio e il navigatore, benché abituato da molti anni a regolare il sonno e la veglia, chiude gli occhi intorpidito dal sole e Si addormenta, credendo forse per qualche minuto o qualche ora, ma in realtà solo per pochi secondi, si è risvegliato scosso da qualcosa come un grande frastuono, nell'attimo di sonno ha sognato di aver investito un relitto animale, una balena. Rintronato, col cuore che batteva all'impazzata, ha cercato l'origine del suono, non riuscendo subito a capire che il motore si era spento. Il repentino silenzio lo aveva svegliato, ma il corpo, per potersi svegliare in modo naturale, aveva inventato un leviatano, un urto, un tuono. Di motori in panne, in mare e sulla terra, se ne trovano a bizzeffe, ne conosciamo uno per cui non c'è rimedio, gli si è spezzata l'anima e lo hanno messo sotto una tettoia in balia di tutti i venti, lassù nel nord, dove si sta coprendo di ruggine. Ma questo navigatore non è come quegli automobilisti, è furbo ed esperto, l'ultima volta che ha toccato terra e donna si è munito di pezzi di ricambio, adesso lo smonterà per quanto gli sarà possibile e ne esaminerà il meccanismo. Fatica sprecata. Il guasto è alle bielle e nell'interno, i cavalli di questo motore sono feriti a morte. La disperazione, lo sappiamo tutti, è umana, non risulta dalla storia naturale che gli animali si disperino. Eppure l'uomo, inseparabile dalla sua disperazione, si è abituato a viverci insieme, la sopporta fino all'ultimo limite di frontiera e non sarà certo per un motore in avaria in mezzo al mare che il navigatore si strapperà i capelli, che implorerà i cieli o gli lancerà maledizioni e improperi, azioni tutte e due altrettanto inutili, l'unica è aspettare, chi ha portato via il vento lo ricondurrà. Ma il vento, che se n'era andato, non tornò. Trascorsero le ore, venne la notte limpidissima, un altro giorno sorse, il mare non si muove, un sottile filo di lana sospeso in aria cadrebbe come se fosse piombo, non un minimo movimento dell'acqua, è una barca di pietra su una lastra di pietra. Il navigatore non è molto preoccupato,
questa non è la sua prima bonaccia, ma adesso anche la radio, inspiegabilmente, non funziona più, non si sente altro che un ronzio, l'onda di alimentazione, ammesso che ancora ci sia, trasporta solo il silenzio, come se al di là di questo cerchio d'acqua densa il mondo si fosse zittito per assistere, invisibile, all'inquietudine crescente del navigatore, alla follia, forse alla morte del mare. Non gli manca da mangiare né acqua da bere, ma le ore passano, sempre più lunghe, il silenzio si stringe intorno alla barca come gli anelli di un viscido serpente, ogni tanto il navigatore batte con un rampino sul bordo, vuole sentire un suono che non sia quello del sangue che gli pulsa nelle vene, denso, o del cuore di cui talora si dimentica, e allora si risveglia dopo aver creduto di essersi svegliato, perché sognava di essere morto. La vela è issata contro il sole, ma l'aria immobile trattiene il caldo, il navigatore solitario ha la pelle bruciata, le labbra riarse. Quel giorno è passato e il seguente si è ripetuto tale e quale. Il navigatore si rifugia nel sonno, è sceso nella piccola cabina anche se è un forno, c'è un solo letto, stretto, a riprova che si tratta davvero di un navigatore solitario, e completamente nudo, in un bagno di sudore prima, poi con la pelle arida, percorsa dai brividi, lotta con i sogni, con una fila di alberi altissimi oscillanti sotto un vento che spinge le foglie da un lato e dall'altro e dopo averle abbandonate torna e le riafferra, senza fine. Il navigatore si sveglia per bere un po' di acqua e l'acqua finisce. Ripiomba nel sonno, gli alberi non si muovono più, ma un gabbiano è venuto a posarsi sull'albero maestro. Dall'orizzonte avanza una massa immensa e scura. Quando sarà più vicina si distingueranno le case lungo le spiagge, i fari come bianche dita sollevate, una lunga linea di spuma e laggiù, oltre la larga imboccatura di un fiume, una grande città costruita sulle colline, un ponte rosso che collega le due sponde, a questa distanza sembra un disegno tracciato con una penna sottile. Il navigatore continua a dormire, è sprofondato nell'ultimo torpore, ma il sogno tornò all'improvviso, una brezza repentina agitò i rami degli alberi, l'imbarcazione oscillò nella maretta della foce e, ingoiata dal fiume, s'addentrò nella terra, in salvo dal mare, ancora immobile, contrariamente alla terra. Il navigatore solitario avvertì nelle ossa e nei muscoli l'oscillazione, aprì gli occhi e pensò, Il vento, è tornato il vento, e quasi senza forze si lasciò scivolar giù dalla cuccetta, si trascinò fuori, gli sembrava che a ogni istante stesse morendo e a ogni istante potesse ancora rinascere, la luce del sole lo colpí sugli occhi, ma era luce di terra, carica di tutto ciò che aveva potuto carpire al verde degli alberi, alla profonda oscurità dei campi, ai tenui colori
delle case. Era salvo e non sapeva come, l'aria non si muoveva, quel soffio di vento era stato un'illusione. Ci mise tempo a capire che lo aveva salvato un'isola intera, la vecchia penisola che gli era andata incontro e gli aveva aperto le braccia di un fiume. Tutto gli deve sembrare talmente impossibile che al navigatore solitario, che tanti giorni prima aveva udito le notizie del distacco geologico, benché sapesse di trovarsi sulla rotta della nave terrestre, non gli era mai venuto in mente di poter essere salvato in questa maniera, per la prima volta da che ci sono naufraghi e dispersi in mare. Ma a terra non si vedeva nessuno, sulla tolda delle imbarcazioni ancorate o attraccate non c'era figura umana, il silenzio era di nuovo quello del mare crudele, E' Lisbona, mormorò il navigatore, ma le persone dove sono. Brillano le finestre della città, si vedono automobili e camion fermi, una grande piazza circondata da arcate, laggiù un arco trionfale con statue di pietra e corone di bronzo, dovrebbe essere bronzo, dal colore. Il navigatore solitario, che conosce le Azzorre e le sa trovare sia sulla carta sia in mare, si ricordò allora che le isole si trovavano su una rotta di collisione, ciò che aveva salvato lui avrebbe distrutto loro, ciò che le avrebbe distrutte, avrebbe distrutto anche lui, se non si allontanava in fretta da quei posti. Senza vento, con il motore fermo non può risalire il fiume, l'unica via d'uscita è gonfiare il canotto di gomma, gettare l'ancora per fissare l'imbarcazione, gesto inutile, andare a terra a remi. Le forze tornano sempre quando la speranza torna. Il navigatore solitario si era preparato per sbarcare, pantaloni, casacca, un berretto in testa, sandali, tutto bianco come la neve, è il punto d'onore dei marinai. Tirò il canotto su per i gradini inclinati del molo, rimase immobile per alcuni istanti a guardare aspettando anche che gli tornassero le forze, ma soprattutto per dare tempo a qualcuno di spuntare dall'ombra delle arcate, o alle automobili e ai camion di rimettersi improvvisamente in movimento, e alla piazza di riempirsi di gente, magari qualche donna si sarebbe avvicinata sorridendo, dimenando lievemente i fianchi, senza esagerare, come un impercettibile e insinuante richiamo che turba lo sguardo e le parole dell'uomo, soprattutto se ha appena messo piede a terra. Ma ciò che deserto era, deserto rimase. Infine il navigatore capì quel che c'era da capire, Sono andati via tutti per paura dello scontro con le isole. Si guardò alle spalle, vide la sua nave in mezzo al fiume, era l'ultima volta, ne era certo, neppure una corazzata si sarebbe salvata con il tremendo impatto, che mai poteva fare un guscio di noce con la sua vela, abbandonato dal padrone. Il navigatore attraversò la piazza, ancora zoppicante per la lunga immobilità, sembra uno
spaventapasseri con quella pelle bruciata, i capelli dritti che spuntano fuori dal berretto, i sandali ciondolanti ai piedi. Avvicinandosi al grande arco, alza gli occhi, vede le lettere latine, Virtutibus Majorum ut sit omnibus documentum P.P.D., il latino non l'ha mai studiato, ma capisce vagamente che il monumento è dedicato alle virtù degli antenati di questo popolo, e si incammina per una strada stretta, fiancheggiata da palazzi uguali, fino a sboccare in un'altra piazza, più piccola, con un edificio greco o romano sullo sfondo, e al centro due fontane con donne nude, di ferro, l'acqua scorre e, d'improvviso, lui avverte la gran sete, il desiderio di immergere la bocca in quell'acqua e il corpo in quella nudità. Si avvicina con le braccia tese, come in un delirio, o in sogno, o in trance, cammina mormorando, non sa ciò che dice, ma solo ciò che vuole. La pattuglia spuntò dietro l'angolo, cinque soldati al comando di un tenente. Videro il matto che si comportava proprio come un matto, lo udirono pronunciare sillabe sconclusionate da matto, non ci fu neppure bisogno di dare l'ordine. Il navigatore solitario rimase lì stecchito a terra, aveva ancora tanta strada da fare per arrivare all'acqua. Le donne, come sappiamo, sono di ferro. Quei giorni furono anche i giorni del terzo esodo. Il primo, di cui a tempo debito si è data notizia, era stato quello dei turisti stranieri, quando erano fuggiti terrorizzati di fronte a ciò che allora, come passa il tempo, sembrava ancora la semplice minaccia che sui monti pirenaici si aprisse una crepa fino al livello del mare, e peccato che l'inopinato incidente non si sia fermato lì pensate quale sarebbe stato l'orgoglio dell'Europa, disporre a tutti gli effetti di un canyon geologico tale che, a paragone, quello del Colorado non avrebbe fatto miglior figura di un ruscello d'acqua. Il secondo esodo era stato quello dei ricchi e dei potenti, quando era divenuta irreparabile la frattura e la deriva della penisola, benché ancora un po' indolente, come se stesse prendendo la rincorsa, aveva messo in luce, in modo secondo noi definitivo, la precarietà delle strutture e delle idee costituite. Fu allora evidente che l'edificio sociale, con tutta la sua complessità, non è che un castello di carta, solo in apparenza solido, se diamo uno scossone al tavolo su cui è costruito, crolla. E il tavolo, in questo caso, e per la prima volta nella storia, si era mosso da solo, mio Dio, mio Dio, per mettere in salvo i preziosi beni e le vite preziose, scappiamo. Il terzo esodo, di cui parlavamo prima di ricordare i primi due, ebbe per così dire due componenti, o parti, le quali, tenendo conto delle differenze
essenziali che le distinguono, secondo alcuni dovrebbero essere designate come terzo e quarto esodo. Un domani, vale a dire in un lontano futuro, gli storici che si dedicheranno allo studio di eventi che, in senso non soltanto allegorico, ma letterale, hanno cambiato la superficie del mondo, decideranno, speriamo con la ponderatezza e l'imparzialità di chi osserva spassionatamente i fenomeni del passato, se dovrà o non dovrà essere fatto lo sdoppiamento che già oggi taluni difendono. Dicono questi che è segno di grande mancanza di senso critico e di cognizione delle proporzioni mettere sullo stesso piatto della bilancia la ritirata di milioni di persone dalle zone costiere verso l'interno e la fuga all'estero di poche migliaia solo perché fra l'uno e l'altro esodo c'è stata un'innegabile coincidenza nel tempo. Pur non essendo nostra intenzione prendere posizione nel dibattito e tanto meno avanzare giudizi, tuttavia non ci costa niente riconoscere che, nonostante la stessa paura degli uni e degli altri, non altrettanto uguali erano i metodi e i sistemi atti a porvi rimedio. Nel primo caso, si trattava generalmente di gente con scarsi mezzi che, obbligata dalle autorità e dai duri eventi a trasferirsi in altri luoghi, si aspettava, al massimo, di salvare la pelle per le vie tradizionali, miracolo, fortuna, caso, buona sorte, buona stella, preghiera, fede nello Spirito Santo, scongiuri, amuleti e cornetti attaccati al collo, medaglie benedette, e quant'altro per economia di spazio qui si omette, ma che si può riassumere nella formula, celebre fra le celeberrime, Ancora non è giunta la mia ora. Nel secondo caso i fuggiaschi erano persone di medie o alte possibilità, e disponibilità rapide, erano rimaste per vedere come andavano a finire le cose, ma adesso non c'era posto per i dubbi, si riempirono gli aeroplani del nuovo ponte aereo, partirono al massimo carico i piroscafi, i carghi e le altre imbarcazioni di minor stazza, stendiamo un pietoso velo sugli episodi occorsi, ment'affatto edificanti, le corruzioni, le liti, i tradimenti, addirittura i delitti, gente assassinata solo per un biglietto di andata, un quadro ignominioso, ma dato che il mondo è quello che è, saremmo ingenui se ci aspettassimo qualcos'altro. Insomma, visto e considerato tutto, la cosa più probabile è che i libri di storia registreranno quattro esodi e non tre, non perché troppo rigorosi nel classificare, ma perché non si arrivi a mescolare capre e cavoli. Sia fatta eccezione, tuttavia, per ciò che, nella sommaria analisi che qui rimane, potrebbe riflettere, anche se involontariamente, un certo atteggiamento mentale infetto di manicheismo, vale a dire la tendenza a una
visione idealizzante delle classi basse e alla condanna superficiale delle classi alte, subito indicate con acrimonia con l'etichetta, non sempre adatta, di ricchi e potenti, il che naturalmente suscita odi e antipatie, al pari di quel meschino sentimento che è l'invidia, fonte di tutti i mali. Senza dubbio i poveri esistono, è un'evidenza difficile da negare, ma non li si deve sopravvalutare. Tanto più che non sono, né sono stati, come sarebbe convenuto in questa congiuntura, un modello di pazienza, di rassegnazione, di disciplina liberamente accettata. Chi, trovandosi lontano da questi avvenimenti e luoghi, ha pensato che i fuggiaschi iberici, ammucchiati nelle case, negli ospizi, negli ospedali, nelle caserme, nei depositi, nei baracconi, o nelle tende e baracche da campo che fu possibile requisire, oltre che in quelle offerte e montate dagli eserciti, e che tutta quell'altra gente, anche più numerosa, che non ha trovato alloggio e vive sotto i ponti, al riparo degli alberi, nelle macchine abbandonate, o addirittura in mezzo alla strada, chi ha pensato che Dio sia venuto fra questi angeli, sarà pure esperto di angeli e di Dio, ma degli uomini non conosce neanche la prima lettera. Si può dire, senza nessuna esagerazione, che l'inferno, ai tempi mitologici distribuito uniformemente su tutta la penisola, come si è ricordato all'inizio di questa narrazione, adesso è concentrato in una fascia verticale di più o meno trenta chilometri di larghezza, dal nord della Galizia fino all'Algarve, a est delle zone disabitate al cui effetto come paraurti poche persone credono davvero. Per esempio, se il governo spagnolo non ha avuto bisogno di lasciare Madrid, ben al sicuro nell'interno, già quello portoghese, chi lo volesse trovare dovrebbe andare a Elvas, che è la città più distante dalla costa, tirando una linea retta più o meno orizzontale e meridiana a partire da Lisbona. Fra i rifugiati, mal nutriti, mal riposati, fra vecchi che muoiono, bambini che gridano e piangono, gli uomini senza lavoro, le donne che si trascinano sulle spalle tutta la famiglia, è un continuo di liti, di parolacce, disordini e aggressioni, furti di vestiti e di cibo, espulsioni, assalti, e inoltre, chi l'avrebbe immaginato, si è instaurata una tale sregolatezza di costumi che ha trasformato questi accampamenti in lupanari collettivi, una vergogna, un cattivo esempio per i figli grandi, che se ancora sanno chi sono il padre e la madre, non sanno affatto che figli faranno loro stessi, né dove né con chi. E' chiaro che l'importanza di questo aspetto del problema è minore di quanto sembri a prima vista, si veda la scarsa attenzione che gli storici odierni concedono a periodi che, per una ragione o per l'altra, hanno qualche punto di somiglianza, nei particolari, con questo. In fin dei conti, il libero esercizio
della carne, nei momenti di crisi probabilmente è ciò che maggiormente conviene agli interessi profondi dell'umanità e dell'uomo, entrambi solitamente tormentati dalla morale. Ma essendo l'ipotesi controversa, sorvoliamo, la semplice allusione ha soddisfatto lo scrupolo dell'osservatore imparziale. In questa babele e in questa confusione esiste, tuttavia, un'oasi di pace, queste sette creature che vivono nell'armonia più perfetta, due donne, tre uomini, un cane e un cavallo, anche se quest'ultimo deve tacere alcuni dei motivi di lamentela per ciò che riguarda la distribuzione dei compiti, deve trainare da solo un carro carico, ma per questo si troverà pure rimedio uno di questi giorni. Le due donne e i due uomini costituiscono due coppie, mentre il terzo uomo non ha compagnia, magari non gli pesa affatto la privazione, data l'età che ha, o per lo meno fino a questo momento non si sono notati quegli inconfondibili segni di nervosismo che denunciano la pletora delle ghiandole. Quanto al cane, se nei momenti in cui va alla ricerca di cibo, incontra e trova altre soddisfazioni, non lo sappiamo, il cane, pur essendo sotto questo aspetto del comportamento il più esibizionista degli animali, in certi rappresentanti della specie è discreto, speriamo che a nessuno gli venga in mente di seguire questo, certe curiosità malsane è ben più igienico frustrarle. Forse queste considerazioni sui rapporti e sul comportamento non sarebbero così marcate dalla sessualità se le coppie che si sono formate, per effetto dell'intensità della passione o della sua recente data, non si mostrassero così esuberanti nelle effusioni, il che, sia detto prima che mal si pensi, non significa che si sbaciucchino e si abbraccino dappertutto, sobri fin lì lo sono, mentre non possono nascondere quell'aura che li avvolge o che emanano, ancora pochi giorni fa, in cima a una montagna, Pedro Orce ha potuto vedere l'accendersi della fiamma. Qui, al limite del bosco dove adesso vivono, abbastanza lontani dall'abitato per immaginarsi soli, ma vicini quanto basta perché il rifornimento di viveri non si traduca in un rompicapo, potrebbero credere alla felicità se non stessero vivendo, chissà per quanti giorni ancora, sotto la minaccia del cataclisma. Ma ne approfittano, direbbero loro, come ha consigliato quel poeta, Carpe diem, il merito di queste antiche citazioni latine sta nel fatto che contengono un mondo di seconde e terze significazioni, senza contare quelle velate e indefinite, che quando si va a tradurre, per esempio, Goditi la vita, ne viene fuori una cosuccia debole, insulsa, che neppure merita lo sforzo di tentarla. Ecco perché insistiamo nel dire, Carpe
diem, e ci sentiamo come dèi che avessero deciso di non essere eterni per poter approfittare del tempo, nel significato esatto dell'espressione. Quanto tempo ci sarà ancora, non si sa. Le radio e le televisioni funzionano ormai ventiquattr'ore al giorno, i notiziari non sono più a orari stabiliti, ogni momento si interrompe il programma per leggere l'ultimo bollettino, e le informazioni si susseguono, siamo a trecentocinquanta chilometri di distanza, siamo a trecentoventisette, possiamo informarvi che le isole di Santa Maria e di Sao Miguel sono state completamente evacuate, prosegue a ritmo accelerato l'evacuazione delle altre, siamo a trecentododici chilometri, nella base di Lajes è rimasto un piccolo gruppo di scienziati nordamericani che si ritireranno solo, via aerea, è chiaro, negli ultimi minuti, per poter assistere dall'aria alla collisione, diciamo solo collisione, senza aggettivi, non è stata accolta una richiesta del governo del Portogallo di inserire uno scienziato portoghese nel suddetto gruppo a titolo di osservatore, mancano trecentoquattro chilometri, i responsabili dei programmi ricreativi e culturali della televisione e della radio discutono su cosa trasmettere, musica classica, dicono alcuni, data la gravità della situazione, ma la musica classica è deprimente, sostengono altri, sarebbe meglio un po' di musica leggera, canzoni francesi degli anni trenta, fados portoghesi, malaguenas spagnole e canti sivigliani, e un bel po' di rock, e di folk, i vincitori dell'Eurovisione, ma queste musiche allegre andranno a urtare e offendere la gente che sta vivendo ore veramente cruciali, rispondono i classici, peggio ancora sarebbe mettergli la marcia funebre, adducono i moderni, e non se ne viene fuori, tira di qua, tira di là, mancano duecentottantacinque chilometri La radio di Joaquim Sassa è stata usata con parsimonia, pile di riserva ce ne sono, ma conviene risparmiarle, non Si sa che cosa ci riserverà il domani, è una frase popolare, di quelle che si ripetono spesso, qui ci potremmo quasi scommettere su quello che sarà il domani, morte e distruzione, milioni di cadaveri, lo sprofondamento di metà della penisola. Ma i minuti in cui la radio è spenta diventano presto insopportabili, il tempo si fa palpabile, vischioso, stringe la gola, sembra che a ogni istante si debba sentire l'urto anche se ancora siamo lontani, chi mai potrebbe sopportare una simile tensione, Joaquim Sassa accende la radio, E' una casa portoghese con certezza, con certezza è una casa portoghese, canta la deliziosa voce della vita, Donde vás de manton de Manila donde vás con el rojo clavel, la stessa delizia, la vita, ma in un'altra lingua, allora tutti tirano un sospiro di sollievo, sono più vicini alla morte di
venti chilometri, ma che importa, ancora la morte non è stata annunciata, le Azzorre non sono in vista, Canta ragazza canta. Se ne stanno seduti sotto l'ombra di un albero, hanno finito di mangiare e sembrano dei nomadi nei modi e nell'abbigliamento, che grande trasformazione in così poco tempo, è il risultato della mancanza di comodità, gli abiti sgualciti e sporchi, gli uomini con la barba lunga, non c'è da biasimarli, e le donne neppure, che ormai sulle labbra usano solo il colore naturale, adesso pallido per le preoccupazioni, chissà che all'ultimo si trucchino e si preparino a ricevere degnamente la morte, la vita che finisce non merita tanto. Maria Guavaira si appoggia sulla spalla di Joaquim Sassa, gli ha preso la mano, due lacrime le spuntano fra le ciglia, ma non per paura di ciò che sta per accadere, è l'amore che le è salito così fino agli occhi. E José Anaiço stringe fra le braccia Joana Carda, la bacia sulla fronte, poi le palpebre si abbassano, se almeno questo momento potesse venire con me là dove andrò, non chiedo altro, un momento solo, questo, be', non proprio questo in cui sto parlando, ma l'altro, il precedente, e quello ancora prima, che ormai si distingue appena, non l'ho colto mentre lo stavo vivendo e adesso è tardi. Pedro Orce si è alzato e si allontana, i capelli bianchi risplendono sotto il sole, anche lui con la sua aura di fuoco gelido. Il cane lo ha seguito, a testa bassa. Ma non andranno molto lontano. Adesso stanno insieme più che possono, nessuno dei due vuole trovarsi solo quando succederà il disastro. Il cavallo, che come affermano i saggi è l'unico animale a non sapere che morirà, si sente felice, nonostante le traversie passate durante il lunghissimo viaggio. Continua a masticare la sua paglia, fa fremere la pelle per scacciare le mosche, spazza con i lunghi crini della coda il fianco grigio pezzato e probabilmente non si rende neppure conto di aver rischiato di porre fine ai suoi giorni nella penombra di una scuderia in rovina, fra ragnatele ed escrementi, a rantolare di polmonite, è proprio vero che ciò che per alcuni è male, per altri è bene, anche se sarà per breve tempo. Il giorno è passato, un altro ne è venuto e se n'è andato, mancano centocinquanta chilometri. Si avverte la paura che aumenta come un'ombra nera, il panico è un'alluvione alla ricerca dei punti deboli della diga, che corrode le fondamenta in profondità e che alla fine scoppia, e la gente che fino allora si era mantenuta più o meno calma negli accampamenti che erano stati organizzati, ha cominciato a spostarsi verso est, infine consapevole di essere troppo vicina alla costa, a soli settanta, ottanta chilometri, e cominciava a immaginare che le isole avrebbero squarciato la terra fin lì e il
mare avrebbe invaso tutto, il monte di Pico come un fantasma, e chissà se il vulcano, con l'urto, non sarebbe magari entrato in attività, Ma non c'è nessun vulcano nell'isola di Pico, nessuno però dava ascolto a questa e altre spiegazioni. Le strade, è ovvio, sono intasate, ogni incrocio è diventato un nodo impossibile da sciogliere, a un certo punto non si è più potuti andare avanti, né tornare indietro, tutti intrappolati come topi, ma sono stati pochi quelli che hanno rinunciato ai miseri averi che trasportavano per salvare la pelle lanciandosi a gambe levate per i campi. Per trattenere l'ondata con il buon esempio, il governo portoghese ha abbandonato il posto sicuro che era Elvas per installarsi a Évora, mentre quello di Spagna, più comodamente, si è insediato a León, e da lì hanno diffuso comunicati, sottoscritti pure dal presidente della Repubblica di qua e dal sovrano della Monarchia di là, ciascuno il suo, è deplorevole, ma abbiamo dimenticato di dire che il presidente e il re avevano seguito in tutti gli spostamenti i rispettivi esecutivi, se non correggessimo l'omissione, come potremmo spiegare adesso che l'uno e l'altro si sono offerti di andare incontro alle folle deliranti e, sacrificando in olocausto le loro vite, di nuovo Friends, Romans, countrymen, and so, and so, no, maestà, no, signor presidente, la massa in panico, e per giunta ignara, non capirebbe, bisogna essere molto colti e civili per vedere un re o un presidente a braccia aperte in mezzo a una strada e fermarsi per sapere che cosa vuole. Ma ci fu anche chi, in un impeto di collera, si è volto indietro urlando, Un po' di vita in più non vale niente, finiamola con questa storia, e quelli si sono fermati ad aspettare, guardando le placide montagne all'orizzonte, il roseo mattino, il blu intenso del pomeriggio caldo, la notte stellata, forse l'ultima, ma quando l'ora arriverà, non svierò lo sguardo. Fu allora che accadde. A circa settantacinque chilometri di distanza dall'estremità orientale dell'isola di Santa Maria, senza che nulla lo preannunciasse, senza che si avvertisse la minima scossa, la penisola cominciò a navigare in direzione nord. Per alcuni minuti, mentre in tutti gli istituti geografici dell'Europa e dell'America del Nord gli osservatori analizzavano increduli i dati ricevuti dai satelliti ed esitavano a renderli pubblici, in Portogallo e in Spagna, milioni di uomini terrorizzati erano ormai in salvo dalla morte e non lo sapevano. In quei minuti, tragicamente, ci fu chi si mise a litigare sperando di morire e fu esaudito, e chi, non potendo più sopportare la paura, si suicidò. Ci fu chi chiese perdono dei suoi peccati e chi, pensando che non vi fosse più tempo per pentirsi, domandò a Dio e al Diavolo di suggerirgli quali altri peccati poteva commettere. Ci furono donne
che partorirono, desiderando che i figli nascessero morti e altre che seppero di essere incinte di figli che, loro pensavano, non avrebbero mai avuto. E quando un grido universale risuonò in tutto il mondo, Sono salvi, sono salvi, ci fu chi non ci credette e continuò a piangere la fine prossima, finché non vi poterono essere più dubbi, i governi lo giuravano e lo spergiuravano, gli esperti andavano a dare spiegazioni, si diceva che la salvezza fosse dovuta a una forte corrente marina prodotta artificialmente, non si faceva che discutere se fossero stati gli americani o i sovietici. La gioia fu una miccia che riempì di risa e di danze tutta la penisola, specialmente la larga fascia in cui si erano concentrati i milioni di persone trasferite. Per fortuna, il tutto accadde in pieno giorno, verso l'ora del pranzo per coloro che dovevano mangiare, altrimenti la confusione e il caos sarebbero stati tremendi, dicevano le autorità responsabili, ma ben presto si pentirono del giudizio affrettato perché, non appena ci fu la certezza che la notizia era vera, migliaia e migliaia di persone intrapresero il viaggio di ritorno verso casa, fu necessario far circolare, con una certa crudeltà, l'ipotesi che la penisola potesse riprendere la traiettoria iniziale, adesso un po' più a nord. Non tutti vi credettero, soprattutto perché una nuova inquietudine si era introdotta subdolamente nell'animo della gente, che immaginava le città, i paesi e i villaggi abbandonati, la città, il paese o il villaggio dove aveva vissuto, la strada dove abitava, e la casa, la casa saccheggiata da gente senza scrupoli che non credeva alle frottole e accettava l'eventuale rischio con la naturalezza di chi, per mestiere, doveva fare tutte le sere un triplo salto mortale, e non si trattava di fantasie di un'immaginazione malata, perché dappertutto, in quelle lande deserte, cominciavano a insinuarsi, ancora cauti, ma con in mente il disonesto scopo, tutti i delinquenti, i ladri e i farabutti antichi e moderni, fra i quali serpeggiava la parola d'ordine della corporazione, Il primo che arriva si serva, quello dopo cerchi un'altra casa, non litigate che ce n'è per tutti. Che nessuno si faccia tentare, diciamo noi, dalla casa di Maria Guavaira, sarà meglio per lui, perché l'uomo che vi si è piazzato dentro ha un fucile da caccia carico e solo alla padrona di casa aprirà la porta, per dirle, Ho fatto la guardia ai tuoi beni, adesso sposami, a meno che, stralunato per le veglie e solo per stanchezza, non si sia addormentato sul mucchio di lana turchina, e avrà sprecato così la sua vita d'uomo. Per prudenza, gli azzorriani non sono ancora tornati alle loro isole e case, immaginiamoci al posto loro, è vero che il pericolo imminente si è allontanato, ma è sempre lì nei pressi, in agguato, questa sembra la nuova
versione della storia della pentola di ferro e della pentola di coccio, con la differenza fondamentale che con questa creta si è riusciti a fare solo i boccali dell'isola, perché non è bastata per la pentola di un continente il quale, se davvero è esistito, è andato a fondo, si chiamava Atlantide, saremmo proprio stupidi se non l'avessimo imparato, con l'esperienza o con la sua memoria, benché siano false tanto l'una quanto l'altra. Ma il sentimento che trattiene sotto l'albero le cinque persone che vi si trovano non è la prudenza, adesso che tutti si sono messi in movimento diretti alle coste del Portogallo e della Galizia, in un rientro per così dire trionfale, fra ramoscelli e fiori, con le bande che suonano, i petardi che scoppiano, e le campane a rintoccare al loro passaggio, le famiglie ritornano a casa, forse manca loro qualcosa, ma hanno riacquistato la vita, è questo che conta, la vita, la tavola dove mangiamo, il letto dove dormiamo e dove stanotte, per puro giubilo, si farà l'amore più allegro del mondo. Sotto l'albero, con il carro in attesa e il cavallo ormai di nuovo in forze, i cinque che sono rimasti indietro guardano il cane come se da lui dovesse arrivare l'ordine o il consiglio, Tu che sei venuto non sappiamo da dove, tu che mi sei apparso un giorno venendo da lontano, tanto stanco da cadermi fra le braccia, tu, che mentre mostravo a questi uomini il posto dove ho segnato il suolo con una bacchetta, sei passato e hai guardato, tu che ci aspettavi accanto all'automobile che abbiamo abbandonato sotto la tettoia, tu che tieni in bocca un filo di lana turchina, tu che ci hai guidato fra tante strade e tanti cammini, tu che sei venuto con me fino al mare e hai trovato la barca di pietra, diccelo tu, con un movimento, un gesto, un segnale, giacché non sai neppure abbaiare, dicci dove dobbiamo andare, ché nessuno di noi vuole tornare alla casa nella valle, sarebbe per tutti l'inizio dell'ultimo ritorno, mi direbbe l'uomo che vuole sposarmi sposami, mi direbbe il capo dell'ufficio dove lavoro mi serve questa fattura, mi direbbe mio marito alla fine sei tornata, mi direbbe il padre del peggior alunno professore gli dia qualche ceffone, mi direbbe la moglie del notaio che accusa mal di testa mi dia qualche pillola per il mal di testa, diccelo tu, allora, dove dobbiamo andare, alzati e cammina, sarà quella la nostra meta. Il cane, che se ne stava sdraiato sotto il carro, sollevò la testa come se avesse udito delle voci, si alzò bruscamente e corse da Pedro Orce che gli prese la testa fra le mani, Se vuoi ti porto con me, disse, le uniche parole a essere pronunciate. Maria Guavaira è la padrona del cavallo e del carro e non ha ancora deciso, ma Joana Carda ha guardato José Anaiço, che l'ha capita al volo, Decidete quel che volete, io non torno indietro, fu allora che Maria
Guavaira disse a voce alta e chiara, C'è un tempo per fermarsi e uno per partire, ancora non è arrivato il tempo di tornare indietro, e Joaquim Sassa domandò, Dove vogliamo andare, Non c'è una meta, Andiamo all'altro capo della penisola, propose Pedro Orce, non ho mai visto i Pirenei, Neppure adesso li vedrai, una metà è rimasta nell'Europa, ricordò José Anaiço, Non importa, dal dito si conosce il gigante. Stavano festeggiando la decisione quando Maria Guavaira disse, Il cavallo ci ha condotti fin qui da solo, ma non ce la farà da solo per il resto del viaggio, è vecchio, e un carro è fatto per essere trainato da due cavalli, con un cavallo solo è un carro monco, E allora, domandò Joaquim Sassa, Dobbiamo trovarne un altro, Non sarà facile scoprirne uno da queste parti, oltretutto un cavallo, io credo, è una bestia cara, forse non abbiamo abbastanza denaro. Alla complicazione sembra non esserci rimedio, eppure adesso avremo un'ulteriore dimostrazione della duttilità dell'animo umano, anche se giorni addietro Maria Guavaira ha respinto, senza mezzi termini, l'idea di andare a dormire in una casa disabitata, la lezione risuona ancora nelle orecchie di chi ne ha avuto memoria e adesso, tanto può la necessità, Maria Guavaira sta per condannare tutta una vita di pulizia morale, speriamo che nessuno le rinfacci questo lassismo, Non lo compriamo, lo rubiamo, sono le testuali parole, e adesso è Joana Carda che tenta di aggiustarla, in maniera indiretta per non ferire la suscettibilità, Non ho mai rubato niente in vita mia. Si è creato un silenzio di imbarazzo, ai nuovi codici morali bisogna farci l'abitudine, in questo caso il primo passo lo ha fatto Pedro Orce, contrariamente alla norma che i vecchi siano osservatori incalliti della vecchia legge, In vita nostra non abbiamo mai rubato niente, si tratta sempre della vita altrui, potrebbe essere la massima di un filosofo cinico, ma è solo un dato di fatto, Pedro Orce accennò un sorriso, ma le parole erano state pronunciate. Molto bene, è deciso, rubiamo un cavallo, e come facciamo, tiriamo a sorte per sapere chi farà la spedizione, io dovrò esserci, disse Maria Guavaira, che ne capite voi di cavalli, non riuscireste a portarlo fin qui, Vengo con te, disse Joaquim Sassa, ma sarebbe bene che venisse anche il cane, potrebbe difenderci dai cattivi incontri. Quella notte partirono i tre dall'accampamento, diretti a est dove forse, dato che era una regione che aveva mantenuto una relativa calma, c'era più probabilità di trovare ciò che volevano. Prima di muoversi Joaquim Sassa disse, Non sappiamo quanto tempo ci vorrà, aspettateci qui, Forse, a ben pensare, sarebbe meglio prendere una macchina grande, dove poterci stare
tutti, con i bagagli e il cane, disse José Anaico, Non esistono macchine del genere, ci vorrebbe un camion, inoltre ricordati che non ne abbiamo trovato uno intero, funzionante, e c'è il cavallo, non lo possiamo abbandonare così, Uno per tutti e tutti per uno, avevano gridato a suo tempo i moschettieri, che erano quattro e adesso sono cinque, per tacere del cane. E del cavallo. Si misero in cammino Maria Guavaira e Joaquim Sassa, la bestia procedeva in testa annusando i venti ed esaminando le ombre. C'è un che di assurdo nella spedizione, trovare un cavallo, Anche una mula va bene, aveva detto Maria Guavaira, senza sapere se ci potesse essere un animale simile per cinque miglia intorno, magari sarebbe più facile trovare un bue, ma non si attaccano a un carro bue e cavallo insieme, oppure un asino, in questo caso per esempio, con un carico del genere sarebbe come accoppiare due debolezze per farne una forza, il che può accadere solo nelle parabole, come in quella dei giunchi, già citata. Camminarono, camminarono, abbandonando la strada appena vedevano nei campi abitazioni e case di contadini, se cavalli c'erano dovevano trovarsi lì, perché è di bestie da tiro che c'è bisogno, non di corsieri da parata o trottatori da pista. Appena si avvicinavano, i cani attaccavano ad abbaiare, ma poco dopo si zittivano, non si è mai riusciti a sapere quali fossero le arti del Cane, eppure anche il più fragoroso e frenetico dei cani da guardia ammutoliva d'improvviso, e non perché lo avesse ucciso la belva venuta di lontano, si sarebbero uditi rumori di lotta, guaiti di dolore, no, non è un silenzio sepolcrale perché, di fatto, non muore nessuno. Erano le prime ore del mattino, Maria Guavaira e Joaquim Sassa a stento riuscivano a muovere i piedi per la stanchezza, lui aveva detto, Dobbiamo trovare un posto per riposare, ma lei insisteva, Cerchiamo, cerchiamo, e tanto cercarono che trovarono, fu più un trovare che scoprire, e accadde nella maniera più semplice del mondo, il cielo si stava ormai schiarendo, la notte nera si era fatta di un blu scuro verso oriente, quando in un avvallamento della strada udirono un nitrito soffocato, un dolce miracolo, eccomi qua, andarono a vedere ed era un cavallo alla pastoia, non era stato Dio Nostro Signore a piazzarlo lì per arricchire il catalogo dei suoi miracoli, ma il legittimo proprietario della bestia a cui il maniscalco aveva detto, Gli metta questo unguento sulla bruciatura e lo lasci all'umidità della notte, lo faccia per tre notti di seguito a cominciare da un venerdì, e se il cavallo non guarisce le restituisco il denaro e mi gioco il nome. Un cavallo legato, se non si trova subito un coltello per tagliare la corda, non è animale che si possa trasportare sulle spalle, ma Maria Guavaira sa come parlare a queste bestie e,
nonostante il nervosismo di questa, che non conosce chi la sta guidando, riesce a condurla sotto gli alberi e lì, rischiando di farsi calpestare o di prendersi qualche violenta zoccolata, a sciogliere il nodo della corda dura, in genere in questi casi si fa un nodo semplice facile da slegare, ma forse non è scienza che si pratichi da queste parti. Inoltre il cavallo aveva capito che lo volevano liberare, è sempre bella la libertà pure quando andiamo verso l'ignoto. Tornarono indietro per strade molto fuori mano, confidando più che mai nel cane per prevenire incontri sospetti o evitare avvicinamenti inopportuni. Quando fu giorno fatto, ormai lontani dal luogo del furto, cominciarono a incontrare gente nei campi e per le strade, ma nessuno conosceva il cavallo e anche se, conoscendolo, avesse potuto riconoscerlo, magari non gli avrebbe prestato attenzione, tanto era bella e innocente la visione, per così dire medievale, la damigella seduta all'amazzone in groppa alla chinea e il cavaliere errante in testa, pedestremente in cammino, tenendo il cavallo per la briglia, che per fortuna non si erano dimenticati di portare. Il dogo completava la visione d'incanto, che ad alcuni parve un sogno, ad altri un segno del mutamento di vita, mentre non sanno né gli uni né gli altri che si tratta solo di due malvagi ladri di cavalli, è proprio vero che le apparenze ingannano, ciò che generalmente si ignora è che ingannano due volte, ragion per cui forse la cosa migliore sarà ancora quella di confidare nelle prime impressioni e non procedere con l'indagine. Ecco perché oggi non mancherà chi dica, Stamattina ho visto Amadis e Oriana, lei a cavallo, lui a piedi, li accompagnava un cane, Amadis e Oriana non potevano essere, ché non si è mai visto un cane insieme a loro, L'ho visto, e basta, un testimone vale quanto cento, Ma nella vita, negli amori e nelle avventure di questi due non si parla di un cane, Allora se ne riscriva la vita, e tante volte quante ce ne sarà bisogno perché alla fine c'entri tutto, Tutto, Insomma, il più possibile. Nel primo pomeriggio giunsero all'accampamento e furono accolti con abbracci e sorrisi. Il cavallo grigio guardò di sghimbescio il baio che ansimava, Ha una bruciatura su un fianco, quasi secca, gli avranno messo un unguento e l'avranno lasciato all'aria aperta per tre notti, a partire da un venerdì, è un rimedio infallibile. La terza tesi propone l'ipotesi dell'esistenza nella penisola di un campo magnetico, o di una forza simile, che all'avvicinarsi di un corpo estraneo abbastanza voluminoso reagisce e scatena un processo di repulsione di natura molto particolare, dato che la repulsione, come si è visto, non procede in
direzione inversa alla direzione del movimento iniziale, o ultimo, ma bensì, per usare un paragone tratto dalla prassi della guida automobilistica, derapando, sul perché verso nord o verso sud la proposta dimentica di contemplarlo. Infine la quarta tesi, più eterodossa, fa ricorso alle potenze che definisce metapsichiche e afferma che la penisola è stata deviata dalla rotta di collisione da un vettore creato dalla concentrazione, in un decimo di secondo, dei desideri di salvezza e dei terrori delle popolazioni colpite. Questa spiegazione ha acquistato grande popolarità, soprattutto quando, per renderla accessibile ai cervelli del volgo impreparato, il suo difensore ha usato una similitudine tratta dal campo della fisica, mostrando come l'incidenza dei raggi solari su una lente biconvessa fa convergere quei raggi in un punto o fuoco reale, con i ben noti risultati, calore, bruciatura, fuoco, ecco per tanto e per conseguenza che l'effetto d'intensificazione della lente presenta un ovvio parallelo nella forza della mente collettiva, che sarebbe il caotico sole, stimolata, concentrata e potenziata in un momento di crisi, fino al parossismo. L'incongruenza della spiegazione non ha sfiorato nessuno, anzi, c'è stato pure chi è andato a proporre che d'ora in avanti tutti i fenomeni della psiche, dello spirito, dell'anima, della volontà, della creazione li si cominci a spiegare in termini fisici, anche se per semplice analogia o induzione imperfetta. La tesi è in esame ed elaborazione nel senso di una applicazione dei suoi principi fondamentali alla vita quotidiana, con particolare riguardo al funzionamento dei partiti politici e alle competizioni sportive, per citare appena due banali esempi. Controbattono, però, alcuni scettici che la prova reale di tutte queste ipotesi, dato che altro non sono, la si avrà fra qualche settimana, qualora la penisola proseguisse nella sua rotta attuale che la farebbe incastrare fra la Groenlandia e l'Islanda, terre inospitali per portoghesi e spagnoli, generalmente abituati alle dolcezze e alle effusioni di un clima temperato, tendente al caldo per la maggior parte dell'anno. Se questo succederà, l'unica conclusione logica da trarre da tutto ciò che si è visto finora sarà che, in fondo, di fare il viaggio non ne valeva proprio la pena. Il che, peraltro, sarebbe, o sarà, una maniera troppo semplificata di affrontare il problema, perché nessun viaggio è quel viaggio solo, e se ce n'è uno che sembra possedere in apparenza così poco significato da farci sentire autorizzati ad affermare, Non ne valeva la pena, ci direbbe il buonsenso, se spesso non lo obliterassimo per preconcetto o per pigrizia, di controllare se i viaggi di cui quello è stato contenuto o contenente
non siano per caso abbastanza meritevoli perché, in fondo, ne sia valsa la pena o le pene. Tutte queste considerazioni insieme ci consigliano di sospendere i giudizi definitivi e altre ipotesi. I viaggi si susseguono, e si accumulano come le generazioni, fra il nipote che sei stato e il nonno che sarai, il padre che sei stato, Insomma, anche se cattivo, necessario. José Anaiço ha fatto i calcoli del viaggio che li attende, per strade che non dovranno essere dirette se vogliono evitare le salite ripide dei monti Cantabrici, e ha comunicato i risultati, Da Palas de Rei, dove più o meno ci troviamo adesso, a Valladolid saranno un quattrocento chilometri, e di lì fino alla frontiera, scusate, su questa carta c'è ancora una frontiera, sono altri quattrocento, in tutto ottocento chilometri, un gran bel viaggio a passo di cavallo, No, non di cavallo, ora non più, e non sarà a passo, ma a trotto, corresse Maria Guavaira. Allora Joaquim Sassa disse, Con due cavalli a tirare, e a quel punto della frase si interruppe, con l'espressione di chi si vede una luce brillare nel cervello, e scoppiò a ridere, Vedete come vanno le cose, abbiamo lasciato una Due Cavalli e adesso viaggeremo con un Due Cavalli, propongo che d'ora in poi il carro si chiami Due Cavalli, de facto et de jure, come credo si dovrebbe dire in latino, che io, il latino, non l'ho studiato, solo per sentito dire, come diceva un mio nonno che neanche lui conosceva la lingua dei suoi antenati. Due Cavalli sta mangiando il suo fieno, dietro al carro, la bruciatura del baio è ormai cicatrizzata e il grigio, anche se non è ringiovanito, d'aspetto e di forze è migliorato, tiene la testa meno eretta dell'altro, ma non sfigurerà nella pariglia. Riprese il discorso Joaquim Sassa, dopo la risata generale, Stavo dicendo, quanti chilometri potremmo fare all'ora con due cavalli, e Maria Guavaira, Circa tre leghe, Pertanto quindici chilometri, secondo la misurazione moderna, Esattamente, Dieci ore a quindici chilometri fa centocinquanta, in meno di tre giorni saremo a Valladolid, con altri tre arriviamo ai Pirenei, è presto fatto. Maria Guavaira assunse un'espressione costernata e rispose, E un buon programma, soprattutto se vogliamo far schiattare le bestie in poco tempo, Ma tu hai detto, Io ho detto quindici chilometri, ma su un terreno pianeggiante, in ogni caso i cavalli non possono camminare dieci ore al giorno, Con un po' di riposo, Meno male che non hai dimenticato il riposo, dal tono ironico Si capiva che Maria Guavaira stava per arrabbiarsi. In occasioni del genere, anche se i cavalli non c'entrano, gli uomini diventano umili, è una verità che le donne generalmente ignorano, notano solo ciò che sembra essere il risentimento mascolino, la reazione dell'autorità contrariata,
ecco come nascono gli equivoci e i malintesi, probabilmente la causa di tutto sta nell'insufficienza dell'apparato uditivo degli esseri umani, e delle donne in particolare, sebbene si vantino di avere l'orecchio fino, In realtà, io di cavalli non ne so nulla, sono della fanteria, borbottò Joaquim Sassa. Gli altri assistono al duello verbale, sorridono perché non è una cosa seria, il filo turchino è il vincolo più forte del mondo, come vedremo fra poco. Maria Guavaira disse, Al massimo sei ore al giorno, al massimo riusciremo a fare tre leghe all'ora, altrimenti sarà quel che potranno i cavalli, Partiamo domani, domandò José Anaiço, Se siete tutti d'accordo, rispose Maria Guavaira e poi, con una voce tutta femminile, rivolta a Joaquim Sassa, Ti va bene, e lui, d'improvviso smontato, sì, e sorrise. Quella sera fecero l'inventario delle disponibilità economiche, tanti scudi, tante pesetas, un po' di soldi stranieri di Joaquim Sassa, che li aveva presi quando avevano lasciato Porto, or sono pochi giorni e sembra siano trascorsi secoli, una riflessione affatto originale, ma ce n'è forse qualcuna che lo sia, e tuttavia irresistibile come tante altre banalità. I viveri che hanno portato da casa di Maria Guavaira stanno per finire, bisognerà rimpolpare la dispensa, e non sarà facile, con tutto questo scombussolamento nei rifornimenti, quella massa di gente divoratrice che, ovunque, non si lasciava dietro al suo passaggio neppure una pianta d'insalata, per non dire del saccheggio dei pollai, anch'esso conseguenza dell'indignazione dei bisognosi, ai quali si chiedeva una fortuna per una gallina tutta pelle e ossa. Quando la situazione cominciò a normalizzarsi, i prezzi si abbassarono un po', ma non tornarono a quelli di prima, ormai si sa, non ci tornano mai. E adesso il problema è che manca tutto, perfino rubare sarebbe difficile qualora volessero continuare su questa strada perversa, la faccenda del cavallo è stata tutta particolare, non fosse per quella bruciatura, sarebbe ancora a far bella mostra nella scuderia e ad aiutare nel lavoro il suo antico padrone, il quale della bestia sa solo che l'hanno portata via due vagabondi con un cane, c'erano le orme. Diciamo, e insistiamo a dirlo, che non tutti i mali vengono per nuocere, è tanta la gente che lo afferma, tanta che lo ha affermato, che potrebbe anche essere una verità universale, purché ci impegniamo a distinguere accuratamente la parte del male da quella del bene e coloro cui sono capitate in sorte. Dopo, Pedro Orce disse, Dovremo lavorare per guadagnare qualcosa, l'idea sembrò logica ma, dopo l'inventario dei mestieri, si giunse alla sconsolante conclusione che ci si aspettava, insomma, pur con la sua laurea in lettere Joana Carda non ha mai insegnato, da quando ha sposato è sempre stata padrona della sua casa e
qui, in Spagna, non c'è granché interesse per la letteratura portoghese, senza considerare che, in questo momento, gli spagnoli hanno ben altro cui pensare, Joaquim Sassa, lo ha già detto piuttosto irritato, è della fanteria, il che, in bocca a lui, significava che appartiene al popolino dei modesti impiegati, attività preziosa, nessuno lo mette in dubbio, ma in condizioni di calma sociale e di normali affari, Pedro Orce ha passato la vita a preparare medicine, quando lo abbiamo conosciuto stava facendo ostie ripiene di chinino, peccato non abbia pensato di portarsi dietro la farmacia, adesso avrebbe potuto dare consulenze pubbliche e guadagnare un bel po di soldi, visto che in zone rurali come queste quando Si dìce farmacista si dice medico, José Anaiço è professore di scuola media, e con ciò abbiamo detto tutto, senza considerare che si trova in un paese con altra geografia e altra storia, come potrebbe spiegare ai ragazzi spagnoli che Aljubarrota è stata una vittoria, quando sono abituati a dimenticare che è stata una sconfitta, c'è da parlare ancora solo di Maria Guavaira, è l'unica che può andare a chiedere lavoro in questi poderi e che può farlo, secondo le sue forze e conoscenze, che non arrivano a tutto. Si sono guardati l'un l'altro e non sanno che svolta dare alla loro vita, quando Joaquim Sassa, esitante, dice, Se dovremo fermarci in continuazione per guadagnare un po' di soldi, non arriveremo mai ai Pirenei, i soldi guadagnati così non durano, hanno le ali, ci sarebbe la soluzione di fare come gli zingari, intendo dire quelli che girano di terra in terra, di qualcosa dovranno pur vivere, era una domanda, era un dubbio, forse che gli cadeva la manna giu dal cielo, agli zingari. Fu Pedro Orce a rispondere, perché viene dal sud, dove la specie è più numerosa, Ce ne sono che commerciano in cavalli, che vendono vestiti nelle fiere, altri che girano di porta in porta, le donne leggono la sorte, Di cavalli non ne vogliamo più sapere, quest'onta ci basta, e poi è un lavoro di cui non capiamo niente, e quanto a leggere la sorte, speriamo che la nostra non ci dia pensiero, Senza contare che per vendere cavalli bisogna cominciare col comprarli, non ci basterebbero davvero i soldi, tant'è che perfino quello là c'è stato bisogno di rubarlo. Si fece silenzio, come riuscì a farsi non si sa, e quando fu fatto, disse Joaquim Sassa, che si stava rivelando uno spirito molto pratico, vedo solo una via d'uscita a questa situazione, compriamo roba d'abbigliamento in uno di quei magazzini all'ingrosso, ce ne sarà certo qualcuno nella prima grossa città che attraverseremo, e vendiamola poi nei paesi, a prezzi ragionevoli, della contabilità mi occupo io. In mancanza di una migliore, l'idea parve buona, si poteva provare, giacché non
potevano fare gli agricoltori, né i farmacisti, né i professori, né gli affittacavalli, avrebbero fatto i mercanti e i venditori ambulanti, con capi da uomo, donna e bambino, non è mica un disonore, e con una buona amministrazione avrebbe reso di che vivere. Definito così un programma di vita, se ne andarono a letto, e quindi è arrivato il momento di dire come si dispongono i cinque nel carro che adesso si chiama Due Cavalli, e cioè, Pedro Orce davanti, di traverso, su un materasso stretto che gli sta appena appena giusto, poi Joana Carda e José Anaiço, per lungo, nello spazio lasciato libero da una parte della roba che si portano dietro, esattamente come Maria Guavaira e Joaquim Sassa, ma un po' più arretrati. A mo' di simbolici divisori hanno appeso dei teli, c'è un grande rispetto, se Joana Carda e José Anaiço, che occupano il centro del carro, hanno bisogno di uscire all'aria aperta nel corso della notte, passano dalla parte di Pedro Orce, che non si lagna, qui la scomodità si condivide, come si condivide il resto. E i baci e gli abbracci, gli amplessi carnali, quand'è che si praticano e si compiono, si chiederanno i curiosi che la natura ha dotato di un particolare spirito malizioso. Diciamo che gli amanti hanno due maniere per soddisfare i dolci impulsi naturali, o se ne vanno nei campi in cerca di qualche posto piacevole e isolato, oppure approfittano dell'allontanamento temporaneo e mirato dei compagni, per la qual cosa non c'è neppure bisogno di parole, i segnali sono molto eloquenti, dovremmo proprio essere disattenti, e qui magari farà difetto il denaro, ma non l'intendimento. Non partirono ai primi chiarori dell'alba, come suggerirebbe la poetica, a che pro fare un'alzataccia adesso che hanno tutto il tempo dalla loro, ma questa non fu l'unica ragione né la più forte, in realtà si attardarono nei preparativi materiali, sbarbati gli uomini, lustre le donne, e gli abiti spazzolati, in un canto nel fitto degli alberi, dove avevano trasportato a secchi l'acqua del ruscello, Si lavarono le coppie a una a una, non si sa se completamente nude, perché testimoni non ce ne furono. Pedro Orce fu l'ultimo a fare il bagno, insieme al cane, sembravano due bestie stupide, val la pena di dire che una rideva tale e quale l'altra, mentre il cane spingeva Pedro Orce e Pedro Orce lanciava spruzzi d'acqua al cane, un uomo di quell'età non dovrebbe esporsi tanto alla pubblica irrisione, disse un passante, dovrebbe farsi rispettare di più, che ormai ne ha l'età. Dell'accampamento quasi non rimasero tracce, solo il terreno calpestato, la fanghiglia del bagno sotto gli alberi, le ceneri fra pietre annerite, il primo vento spazzerà via tutto, il primo acquazzone
levigherà la terra sollevata, diluirà le ceneri, solo le pietre segnaleranno il passaggio di qualcuno, in caso di bisogno serviranno per qualche altro falò. E' una giornata buona per viaggiare. Per il declivio del cocuzzolo dove si erano fermati scendono fino alla strada, a cassetta c'è Maria Guavaira che non affida le redini a nessuno, bisogna saper parlare ai cavalli, ci sono sassi, spunzoni, metti che si rompe un asse ed è la fine di tutti i travagli, va a farsi benedire ogni presagio. Il baio e il grigio ancora non si capiscono bene, Al pare sospettoso della sicurezza dei garretti di Pig, e Pig, quando è attaccato in pariglia, tende a tirare all'esterno, come se volesse allontanarsi dal compagno, obbligandolo a uno sforzo supplementare di compensazione. Maria Guavaira nota queste incomprensioni, quando saranno in strada richiamerà all'ordine Pig, con dosi equilibrate di buone maniere, frusta e redini ne correggerà il difetto. I nomi di Pig e Al li aveva inventati Joaquim Sassa, tenendo conto che questi Due Cavalli non sono come quelli della macchina che, vivendo tanto uniti, non si distinguevano e tutti e due volevano la stessa cosa allo stesso tempo, mentre questi sono diversi in tutto, nel colore, nell'età, nella forza, nell'andatura, nel temperamento, quindi è giustificato, anzi opportuno, che ognuno abbia un proprio nome, Ma Pig, in inglese, vuol dire maiale, e Al può essere l'abbreviazione di Alfred, protestò José Anaiço, al che Joaquim Sassa rispose, Ma noi non siamo in terra inglese, Pig sta per pigarco, cioè grigio pezzato in portoghese, Al per alazao, cioè baio, e io sono il padrino. Joana Carda e Maria Guavaira si scambiano un sorriso di fronte alla puerilità dei loro uomini. E Pedro Orce, inaspettatamente, Se fossero un cavallo e una cavalla e avessero un figlio lo potremmo chiamare Pigal, sorpresi, lo guardarono i più informati sulla cultura europea, come diamine gli sarà venuto in mente Pigalle a Pedro Orce, ma erano loro in equivoco, le coincidenze sono sempre esistite e certi giochi di parole ben riusciti sono l'involontario frutto di un momento. Pedro Orce, di Pigalle, non ne sa nulla. Quel primo giorno non fecero più di settanta chilometri, in primo luogo perché non sarebbe stato affatto giusto forzare i cavalli dopo il lungo riposo, l'uno per via del male, l'altro in attesa di decisioni che tardavano, e in secondo luogo perché fu necessario passare per la città di Lugo, che rimaneva un po' fuori mano, a nordest, dove andarono a rifornirsi di mercanzie per il lavoro su cui contavano di campare. Comprarono un giornale locale per avere le ultime notizie, ciò che di più eloquente vi trovarono fu una fotografia della penisola, con un giorno di ritardo, era visibile lo spostamento a nord dalla rotta precedente, didatticamente indicata dalla redazione con un tratteggio.
Non c'erano dubbi, l'angolo non poteva essere più retto di così. Ma quanto alle famose tesi in discussione, che abbiamo già riassunto, si aggiungeva poco, e quanto alla posizione del giornale si notava, magari frutto di antiche delusioni, un certo scetticismo, forse salutare, ma che si poteva attribuire anche alla ben nota limitatezza di vedute dei piccoli centri urbani di provincia. Nelle fabbriche di moda pronta, le donne, ché spetta a loro naturalmente la scelta della collezione, con accanto Joaquim Sassa a fare conti, furono molto in dubbio sui criteri da seguire, fra capi per l'inverno che si avvicinava oppure, lavorando nel medio termine, per la successiva primavera, Credo che non si dica nel medio termine, ma a medio termine, corresse Joana Carda e Joaquim Sassa, seccamente, le rispose, In ufficio si dice così, nel breve, nel medio e nel lungo termine. Per la decisione finale furono determinanti le loro stesse esigenze, erano evidentemente tutti mal vestiti, con abiti da mezza stagione, e inoltre Maria Guavaira e Joana Carda non poterono fare a meno di cedere a qualche tentazione personale. Armonizzando tutto, si riuscì a concludere l'acquisto delle mercanzie in termini di buone prospettive per il futuro, se la richiesta fosse stata all'altezza dell'offerta. Joaquim Sassa manifestava la sua inquietudine, Abbiamo investito più della metà dei soldi che avevamo, se non recuperiamo metà della metà entro una settimana, avremo qualche problema, in casi come il nostro, senza un fondo di gestione e senza la possibilità di ricorrere al prestito bancario, la buona amministrazione della merce è fondamentale, un'armonia perfetta fra uscite ed entrate, senza strozzature, né a monte né a valle. Questo discorso lo fece Joaquim Sassa alla prima fermata dopo la partenza da Lugo, con un'autorità da amministratore benevolmente accetta dagli altri. Che non sarebbe stato un mare di rose e fiori lo capirono tutti quando le doti di contrattazione di un'acquirente li portò ad abbassare il prezzo di due gonne fino ad annullare il guadagno. Per caso le aveva vendute Joana Carda che, dopo, chiese scusa alla società e promise che, in futuro, sarebbe stata la più feroce dei commercianti in attività sulla penisola, Il fatto è che se non siamo prudenti fin da ora, finiamo a carte quarantotto, ci ritroviamo senza soldi e senza merce, li avvertì una volta Joaquim Sassa, non si tratta solo della nostra sussistenza, abbiamo anche tre bocche da sfamare, il cane e i cavalli, Il cane si amministra da solo, disse Pedro Orce, Finora lo ha fatto, ma se un giorno la caccia gli andasse male tornerebbe da noi con la coda fra le gambe, e se non avremo niente da dargli da mangiare, come faremo, metà di quanto spetterà a
me sarà per lui, E' un bel gesto, il tuo, ma la nostra preoccupazione non dovrà essere di condividere la povertà, bensì aumentare la ricchezza, Ricchezza e povertà, in questo caso, osservò José Anaiço, sono modi di dire ma in questo momento della nostra vita ci ritroviamo più poveri di quanto lo siamo veramente, è una situazione strana, stiamo vivendo come se avessimo scelto di essere poveri, Se si trattasse di una scelta, credo che non sarebbe in buona fede, sono state le circostanze, di cui ne abbiamo accettato solo alcune, quelle che servivano ai nostri scopi personali, noi siamo come attori, oppure siamo soltanto personaggi, se per esempio io tornassi da mio marito, chi sarei, l'attore fuori del suo personaggio, oppure un personaggio nel ruolo di attore, e tra l'uno e l'altro dove sarei io, questo lo disse e lo domandò Joana Carda. Maria Guavaira era rimasta in silenzio ad ascoltare e adesso, come chi inizia una nuova discussione, forse non aveva capito bene che cosa avevano detto gli altri, stava dicendo, Gli uomini nascono ogni giorno, dipende solo da loro se continuare a vivere il giorno di ieri o cominciare di sana pianta il nuovo giorno, l'oggi, Ma c'è l'esperienza, tutto ciò che abbiamo imparato, rammentò Pedro Orce, sì, hai ragione, disse José Anaiço, Ma la vita, generalmente, la conduciamo come se non avessimo alcuna esperienza precedente, oppure ci serviamo solo di quella parte che ci consente di persistere nell'errore, adducendo spiegazioni e lezioni dell'esperienza, ma ecco che mi sta venendo un'idea che forse vi sembrerà assurda, un controsenso, che l'effetto dell'esperienza potrebbe essere, nell'insieme della società, molto maggiore che non in ciascuno dei suoi membri, la società mette a profitto l'esperienza di tutti, mentre nessuno vuole, sa o può mettere a profitto per intero la propria esperienza. Discutono questi interessanti problemi sotto l'ombra di un albero, all'ora del pranzo, frugale come si conviene a viaggiatori che ancora non hanno concluso il viaggio, e se qualcuno ritenesse che la disamina sia inadatta, tanto al luogo come alle circostanze, dovremo ricordargli che, nell'insieme, l'istruzione e la cultura dei pellegrini consentono, senza alcuna stridente improprietà, una conversazione il cui tenore, dall'esclusivo punto di vista di una composizione letteraria in cerca di un'altrettanto esclusiva verosimiglianza, presenterebbe di fatto qualche deficienza. Tuttavia ognuno di noi, indipendentemente dalle proprie capacità, almeno una volta in vita sua avrà fatto o detto cose molto al di sopra della sua natura e condizione, e se costui noi lo potessimo far emergere dal quotidiano spento in cui va perdendo i contorni, oppure se egli stesso, con un atto di violenza Si tirasse fuori da reti
e prigioni, quante meravigliose cose sarebbe capace di fare, quali profonde conoscenze saprebbe comunicare! perché ciascuno di noi conosce infinitamente di più di quanto creda e ciascuno degli altri infinitamente di più di quanto noi accettiamo di riconoscere in loro. Cinque individui si trovano qui per motivi straordinari, lo strano sarebbe se non riuscissero a dire qualcosa un po fuori del comune. E' raro trovare da queste parti un'automobile. Ogni tanto passa qualche grosso camion con i rifornimenti per la popolazione, soprattutto munizioni per la bocca, con tutti questi avvenimenti è naturale che il commercio locale dei viveri ne sia sconvolto, qualcosa manca, e d'improvviso ce n'è troppa, ma a tutto c'è una scusa, ricordiamoci che l'umanità non si è mai trovata in una situazione del genere, quanto a navigare, ha sempre navigato, ma con imbarcazioni piccole. Molti vanno a piedi, altri in groppa a un asino, se il terreno non fosse così accidentato, si vedrebbe pure qualche bicicletta. In genere, la gente di questa zona è d'indole buona, pacifica, ma il sentimento dell'invidia è forse l'unico che non sceglie le classi sociali e che più di tutti si manifesta nell'animo umano, ecco perché non una, né due volte, nell'apparire all'orizzonte in un periodo di tale difficoltà nei trasporti, Due Cavalli ha risvegliato avidi desideri. Un gruppetto qualsiasi, deciso e violento, in men che non si dica avrebbe la meglio sui suoi occupanti, uno degli uomini è vecchio, gli altri non sono certo sansoni o ercoli, e quanto alle donne, sarebbero preda facile una volta sopraffatti i compagni, è vero che Maria Guavaira sarebbe in grado di affrontare un uomo, ma le serve un tizzone ardente. Quindi poteva anche succedere che i viaggiatori non sfuggissero a qualche scellerato assalto e che poi fossero abbandonati lì, alla mercè di Dio, meschine e violate le donne, feriti e bastonati gli uomini, ma c'era il cane che, quando vedeva avvicinarsi gente, usciva da sotto il carro e, più avanti o più indietro, fermo o in movimento, col muso abbassato come un lupo, piantava quei suoi occhi di fuoco gelido sui passanti, quasi sempre innocenti, ma che si terrorizzavano quasi quanto si spaventavano i facinorosi. Questo cane, considerato tutto ciò che ha fatto fino a oggi, meriterebbe il titolo di angelo custode, nonostante le costanti insinuazioni che si continuano a fare sulla sua pretesa origine infernale. Si obietterà, adducendo l'autorità della tradizione cristiana e non cristiana, che gli angeli sono rappresentati sempre con le ali, ma nei casi in cui, e sono molti, l'angelo richiesto non avesse bisogno di volare, che male ci sarebbe se apparisse, familiarmente, sotto le spoglie di un cane, senza l'obbligo di abbaiare, il che, peraltro, non si adatterebbe affatto
all'entità spirituale. Ammettiamo pertanto, e perlomeno, che i cani che non abbaiano siano angeli in servizio. Sul far della sera si accamparono sulle rive del fiume Minho, nei pressi di un villaggio che si chiama Portomarìn. Mentre José Anaiço e Joaquim Sassa si davano da fare a staccare e governare i cavalli, a preparare il fuoco, a sbucciare le patate e tagliare la verdura, le donne, accompagnate da Pedro Orce e dal suo angelo custode, approfittavano dell'ultima luce del crepuscolo per andare in paese a bussare alle porte. Per via della lingua Joana Carda non apriva bocca, era magari per le difficoltà di comunicazione che si era sbagliata quella volta, ma adesso sta imparando per il futuro, che in fondo è l'unico posto dove si possono emendare gli errori. Gli affari non andarono male, ciò che vendettero fu al prezzo giusto. Quando rientrarono, l'accampamento sembrava un focolare domestico, il fuoco scoppiettava fra le pietre, il lume appeso al carro creava un semicerchio di luce nello spazio aperto, e il profumino della pentola era come la presenza di Nostro Signore. Dopo cena, mentre chiacchieravano intorno al fuoco, Joaquim Sassa ebbe un'improvvisa ispirazione e domandò, Da dove viene il tuo nome Guavaira, cosa significa, e Maria Guavaira rispose, Che io sappia, il nome Guavaira non ce l'ha nessuno, lo sognò mia madre quardo ero ancora dentro di lei, voleva che mi chiamassi Guavaira, solo così, ma mio padre si impuntò per darmi anche quello di Maria e adesso me lo trovo come non sarebbe dovuto essere, Maria Guavaira, Allora non lo sai, che cosa voglia dire, Il mio nome proviene da un sogno, I sogni hanno sempre qualche significato, Ma non il nome che vi comparisse, adesso ditemi dei vostri nomi. Ne parlarono, ciascuno del proprio, uno alla volta. Allora Maria Guavaira, smuovendo il fuoco con un tizzone, disse, I nostri nomi sono sogni, chi sognerei se sognassi il tuo nome. Il tempo è cambiato, formula di una concisione esemplare che, in maniera addolcita o obiettivamente neutra, ci informa che, essendo cambiato, è cambiato in peggio. Piove, una pioggerella sottile, tipica dell'inizio d'autunno, che fino a quando non inzupperà la terra ci farà venir voglia di andare a spasso per la campagna, con impermeabile e stivali, a prenderci sul viso il lievissimo pulviscolo d'acqua e a goderci la malinconia delle brume distanti, i primi alberi che perdono le foglie e sembrano nudi, infreddoliti, come se stessero chiedendoci riparo, qualcuno lo si vorrebbe stringere al petto con tenera pietà, avviciniamo il volto alla corteccia umida, sembra una guancia bagnata di lacrime.
Ma la copertura del carro risale ai primordi di tutti i teloni, la tecnologia, solida quanto a ordito e trama, non si preoccupava granché dell'impermeabilità, erano il secolo e il posto in cui la gente era capace di asciugarsi i vestiti addosso con l'unica protezione, e non sempre, di un bicchiere di acquavite. Aggiungiamoci l'effetto delle stagioni, l'inaridimento delle fibre, la sgranatura delle cuciture e sarà facile capire come mai la capotta dell'automobile non abbia potuto rimediare a tutti i danni. Ecco perché all'interno di Due Cavalli comincia a gocciolare, e non la smette, contrariamente all'idea di Joaquim Sassa, il quale sosteneva che l'inzupparsi e il rigonfiarsi dei fili, riducendo di conseguenza gli spazi fra di loro, pure avrebbero avuto il loro lato positivo, purché si avesse la pazienza di aspettare. Teoricamente, nulla di più esatto, ma all'atto pratico è diverso, se non avessero preso la precauzione di arrotolare e proteggere i materassi, ben presto non avrebbe potuto più dormirci nessuno. Quando la pioggia rinforza e se ne presenta l'opportunità, i viaggiatori si riparano sotto i viadotti, ma su questa strada sono rari, è solo una provinciale, lontana dagli importanti nodi stradali, da quelli che, per evitare incroci e consentire forti velocità, fanno passare al di sopra le vie secondarie. Uno di questi giorni a José Anaiço verrà in mente di comprare un po' di vernice o di impermeabilizzante e lo farà, ma l'unico colore adatto che ha trovato, un rosso stridente, non basterà neppure per la quarta parte del telone. Se Joana Carda non avesse avuto un'idea migliore, e più ragionevole, cucire l'uno all'altro larghi fogli di plastica per farne una copertura completa, e strada facendo un'altra per i cavalli, e immaginando che non sarebbe probabile poter trovare, trenta chilometri più avanti, una vernice impermeabile dello stesso colore e tonalità, poteva anche darsi che il carro si ritrovasse a vagabondare per il vasto mondo con un telone da arlecchino, a strisce, cerchi e quadri, secondo l'ispirazione dell'artista, in verde e giallo, arancione e azzurro, violetto, bianco su bianco, marrone, e forse nero. Intanto piove. Dopo il breve e inconcluso dialogo sul senso dei nomi e sul significato dei sogni, oggetto di discussione è stato quale nome dare al sogno che questo cane è. Si dividono le opinioni, le quali, e ormai dovremmo saperlo, sono una semplice questione di gusto, si può addirittura affermare che l'opinione sia l'espressione apparentemente razionalizzata del gusto. Pedro Orce propone e sostiene un nome rustico e tradizionale, Fido o Pilota, tutti e due molto pertinenti considerando le caratteristiche morali della bestia, guida infallibile e di una lealtà senza macchia. Joana Carda è esitante fra Sentinella e
Combattente, nomi di bellica risonanza che non sembrano adatti alla personalità di chi li suggerisce, ma nell'animo femminile esistono profondità insondabili, Margherita che tesse lotterà tutta la vita per reprimere gli impulsi da Lady Macbeth che cova dentro di sé, e fino all'ultimo momento non sarà sicura di aver vinto. Quanto a Maria Guavaira, anche se non ne sa spiegare il perché, e non è la prima volta che le capita, ha proposto, vergognandosi un po' di quell'idea, di chiamarlo Angelo Custode, e mentre lo diceva arrossiva, capiva benissimo quanto sarebbe stato ridicolo, soprattutto in pubblico, chiamare l'angelo custode e anziché un essere lucente, con indosso una tunica immacolata, annunciato da un fruscio di ali, veder spuntare, sporco di fango e del sangue dell'ultimo coniglio, un terrore canino che rispetta solo i padroni, ammesso che questi lo siano. Con l'intento di spegnere il fragore delle risate che il suggerimento di Maria Guavaira aveva sollevato, José Anaiço ha proposto di dare al cane il nome di Costante, si ricordava di averlo letto in qualche libro, Adesso non ricordo, ma Costante, se intendo bene la parola, contiene tutte le parole finora suggerite, Fido, Pilota, Sentinella, Combattente, e perfino Angelo Custode, perché se nessuno di questi fosse costante non ci sarebbe più fedeltà, si disorienterebbe il pilota, la sentinella abbandonerebbe il suo posto, il combattente consegnerebbe le armi e l'angelo custode si lascerebbe sedurre dalla giovane che avrebbe dovuto difendere dalle tentazioni. Tutti hanno applaudito, sebbene Joaquim Sassa fosse del parere che meglio ancora sarebbe stato chiamarlo semplicemente Cane, perché, essendoci solo lui, non c'era alcuna possibilità che si confondessero gli appelli e le risposte. Lo chiameranno dunque Costante, ma in realtà non sarebbe valsa la pena di darsi tanto da fare per un battesimo, giacché l'animale risponde a tutti i nomi che gli dànno se capisce che la parola, qualunque essa sia, è rivolta a lui, benché a volte gli frulli nella testa un altro nome, Ardent, ma questo non è venuto in mente a nessuno. aveva ben ragione chi una volta ha detto, contrariamente all'opinione di Maria Guavaira, che un nome non è nulla, neppure un sogno. Seguono, senza saperlo, il vecchio cammino di Santiago, hanno attraversato terre che portano nomi di speranze o di brutti ricordi, secondo gli episodi che vi hanno vissuto i viaggiatori di quei tempi, Sarriá, Samos, o la privilegiata Villafranca del Bierzo, dove il pellegrino sofferente o stanco che fosse andato a bussare alla porta della chiesa dell'apostolo veniva dispensato dal raggiungere Santiago de Compostela, ottenendo le indulgenze come se vi fosse andato. Già allora la fede aveva i suoi compromessi, ma niente a
paragone con i nostri giorni, quando i compromessi sono più fruttuosi della stessa fede, di questa o una qualsiasi. Almeno questi viaggiatori sanno che, se vogliono vedere i Pirenei, dovranno proprio andarci, posarvi sopra la mano, ché il piede, essendo meno sensibile, non basta, e gli occhi si lasciano ingannare molto più di quanto non si creda. La pioggia, a poco a poco, ha cominciato a diminuire, qualche goccia ogni tanto, fino a cessare del tutto. Il cielo non si è aperto, la notte scende più in fretta. Si accampano sotto gli alberi per proteggersi da altri possibili acquazzoni, anche se Pedro Orce cita il ritornello iberico, Chi si mette sotto la frasca, prende due volte la burrasca, che è la versione nazionale modificata. Non fu facile accendere il fuoco, ma le arti di Maria Guavaira finirono per avere la meglio sulla riluttanza della legna bagnata, che sulle punte scoppiettava e friggeva come se stesse riversando fuori la sua linfa. Mangiarono alla bell'e meglio, quanto bastava perché durante la notte lo stomaco non cominciasse a reclamare per la fame, visto che, come insegna quell'altro detto, Chi va a letto senza cena, tutta notte si dimena, versione autentica. Mangiarono dentro il carro, alla luce del fuoco che fumava, in un'atmosfera pesante, con i vestiti umidi, i materassi arrotolati e messi uno sull'altro, e tutte le altre cose sopra, per una brava massaia sarebbe una pugnalata questo spettacolo. Ma visto che non c'è male che per sempre duri e pioggia che non cessi, aspettiamo che si apra uno spicchio di cielo e subito si farà il gran bucato, i materassi srotolati perché si asciughino bene, fino all'ultimo filo di paglia, e la biancheria stesa sui cespugli e sui sassi, quando andremo a ritirarla avrà quel buon profumo caldo che il sole lascia dove passa, e tutto avverrà mentre le donne, formando un bel quadretto di famiglia, riparano e cuciono le larghe strisce di plastica che dovranno risolvere tutti i problemi acquatici, benedetto sia chi ha inventato il progresso. Sono rimasti a chiacchierare con l'indolenza e la svogliatezza di chi deve passare il tempo fin che arrivi l'ora di andare a letto, quand'ecco che Pedro Orce interrompe ciò che stava dicendo e comincia, Una volta ho letto non so dove che la galassia cui appartiene il nostro sistema solare si dirige verso una costellazione di cui adesso non ricordo il nome, e questa costellazione si dirige, a sua volta, verso un certo punto dello spazio, vorrei essere piu preciso, ma i particolari mi sfuggono, insomma, ciò che volevo dire è questo, notate che noi stiamo procedendo sulla penisola, la penisola naviga sul mare, il mare ruota con la terra cui appartiene, e la terra continua a ruotare su se stessa, e mentre ruota su se stessa, ruota anche intorno al sole, e anche il sole
gira su se stesso, e tutto questo, insieme, si avvia verso quella costellazione, allora io mi domando, se noi non siamo l'estremità più piccola di questa catena di movimenti nei movimenti, vorrei proprio sapere che cos'è che si muove dentro di noi e dove va, no, non mi riferisco a vermi, microbi e batteri, quegli esseri viventi che vivono dentro di noi, sto parlando d'altro, di una cosa che si muove e che forse ci muove, come si muovono e ci muovono costellazione, galassia, sistema solare, sole, terra, mare, penisola, Due Cavalli, che nome ha ciò che, in fondo, muove tutto, da un'estremità all'altra della catena, oppure magari non esiste nessuna catena e forse l'universo è un anello, talmente sottile da far sembrare che solo noi, e ciò che in noi rientra, vi rientriamo, e insieme talmente grosso da poter contenere la massima dimensione dell'universo che è l'anello stesso, che nome ha ciò che viene dopo di noi, Con l'uomo comincia il non visibile, fu l'inattesa risposta di José Anaiço, che la diede senza pensare. Cadono sul telone, a intervalli, i goccioloni d'acqua che scivolano di foglia in foglia, fuori si sentono i movimenti di Pig e Al sotto le incerate che non li coprono completamente, ecco a che cosa serve in realtà il silenzio, a farci sentire ciò che si dice non abbia importanza. Ciascuno di questi individui ritiene suo dovere contribuire con il proprio sapere a un concilio di tale levatura, ma tutti temono che, aprendo bocca, ne possano uscir fuori, se non i rospi della leggenda, banalità varie sull'essere, ontologiche, anche se c'è qualche dubbio sulla pertinenza di tale parola in un contesto di base costituito da carro, gocce d'acqua e cavalli, senza dimenticare il cane, che sta dormendo. Maria Guavaira, meno istruita, fu la prima a parlare, Il non visibile lo chiameremmo Dio, ma curiosamente fu introdotto nella frase un certo tono interlocutorio, O volontà, fu la proposta di Joaquim Sassa, O intelligenza, aggiunse Joana Carda, O storia, e questa fu la conclusione di José Anaiço, Pedro Orce non aveva alcun suggerimento da dare, si era limitato a porre la domanda, chi pensa che sia la cosa più facile si sbaglia di grosso, non calcola il numero di risposte che sono lì solo in attesa delle domande. Detta prudenza che l'esame di materie così complicate vada sospeso prima che ciascun intervenente cominci a dire cose diverse da quelle sostenute prima, non perché sia necessariamente sbagliato cambiare opinione, ma perché, se le differenze sono grandi, può succedere, e in genere succede, che la discussione torni al punto di partenza senza accorgersene. In questo caso, quella prima frase ispirata di José Anaiço, dopo aver fatto il giro degli amici,
ha finito per concludersi banalmente con l'evidenza più che ovvia dell'invisibilità di Dio, o della volontà, o dell'intelligenza e, forse un po' meno banale e un po' meno evidente, della storia. Mentre stringe a sé Joana Carda, che si lagna per il freddo, José Anaico tenta di non addormentarsi, vuole riflettere su quell'idea, se la storia sia veramente invisibile, se le visibili testimonianze della storia le conferiscano una visibilità sufficiente, se la visibilità così relativa della storia non sia altro che una mera copertura, come i vestiti che indossava l'uomo invisibile, che tuttavia rimaneva invisibile. Non ha retto granché a questi funambolismi cerebrali, e meno male, perché negli ultimi istanti prima di piombare nel sonno, il suo pensiero si era concentrato, assurdamente, a sceverare la differenza che c'è fra ciò che è visibile e ciò che non è visibile, la qual cosa, palese a chi si fermi a pensarci sopra un po', non era particolarmente pertinente al caso. Alla luce del giorno, tutti i garbugli diventano molto meno importanti, Dio, l'esempio più illustre, ha creato il mondo perché era notte quando gli venne in mente, in quel supremo istante sentì che non ce la faceva più a sopportare le tenebre, se fosse stato giorno, Dio avrebbe lasciato tutto come stava. Ma stamattina il cielo è libero e scoperto e il sole è sorto senza l'ostacolo delle nuvole, e tale si è mantenuto, quindi si è dissipato tutto quel notturno filosofare e adesso l'attenzione è tutta volta al buon procedere di Due Cavalli su una penisola, tant'è che voghi o no, anche se la rotta della mia vita mi condurrà a una stella, mica per questo sono stato esentato dal percorrere le vie del mondo. Quel pomeriggio, mentre erano affaccendati nel lavoro, vennero a sapere che la penisola, dopo aver raggiunto un punto immediatamente a nord dell'isola più settentrionale delle Azzorre, l'isola di Corvo, in linea retta, e da questa descrizione sommaria ne consegue che l'estremo nord della penisola, la Punta de Tarifa, si trovava, su un altro meridiano a est, al nord dell'estremo nord di Corvo, la Punta dos Tarsais, insomma che la penisola, dopo ciò che abbiamo tentato di spiegare, aveva ripreso immediatamente il suo spostamento verso occidente, in una direzione parallela alla sua prima rotta, e cioè, vediamo se ci capiamo subito, proseguendola qualche grado più su. Con questo avvenimento trionfarono gli autori e i difensori della tesi della dislocazione in linea retta, frazionata in angoli retti, e se fino ad allora non si era verificato alcun movimento che avvalorasse l'ipotesi di un ritorno al punto di partenza, enunciata peraltro più come dimostrazione del sublime che come prevedibile conferma della tesi generale, ciò non significava che non ci fosse la probabilità di qualche rinculo, e anzi, c'era persino da considerare che la
penisola avrebbe potuto non fermarsi mai più continuando a vagare in eterno per i mari del mondo, come il più volte citato Olandese Volante, e adesso anche la penisola, con altro nome, non indicato qui per prudenza, onde evitare esplosioni nazionalistiche e xenofobe, che sarebbero tragiche nelle circostanze attuali. Nel villaggio dov'erano i viaggiatori non giunsero notizie di queste faccende, ma solo che gli Stati Uniti d'America avevano annunciato, per bocca dello stesso presidente. che i paesi in viaggio potevano contare sul sostegno e sulla solidarietà morale e materiale della nazione americana, Se continueranno a navigare verso di noi saranno accolti a braccia aperte. Ma questa dichiarazione, di straordinaria portata tanto dal punto di vista umanitario che geostrategico, fu un po' attenuata dall'improvviso scompiglio nelle agenzie turistiche di tutto il mondo, assediate dai clienti che volevano partire per Corvo il più presto possibile, senza badare a mezzi né a spese, e perché, Perché, se non ci saranno modifiche di rotta, la penisola passerà davanti all'isola di Corvo, uno spettacolo impossibile da paragonare all'insignificante sfilata della rocca di Gibilterra, quando la penisola si era sganciata dalla roccia e l'aveva lasciata lì in balia delle onde. Adesso è una massa immensa che passerà davanti agli occhi dei privilegiati che troveranno un posticino nella metà settentrionale dell'isola, ma l'avvenimento, nonostante la vastità della penisola, durerà solo poche ore, due giorni al massimo, perché, tenendo conto della particolare configurazione di questa zattera, solo l'estremità sud si potrà osservare, e solo se il tempo sarà favorevole. Il resto, per la curvatura della terra, passerà fuori vista, pensate cosa sarebbe se, invece di quella forma obliqua, la penisola avesse a sud una costa tutta dritta, non so se ne seguite il disegno, ci vorrebbero sedici giorni per vedere la sfilata, le ferie, qualora si mantenesse costante la velocità di cinquanta chilometri all'ora. Comunque sia, ci sono forti probabilità che si verifichi un afflusso di denaro all'isola di Corvo come non se n'è mai visti, il che ha già costretto gli abitanti a far venire serrature per le porte e fabbri per montarle, con spranghe e dispositivi di allarme. Ogni tanto c'è ancora qualche spruzzo di pioggia, quando va male un rapido acquazzone, ma i giorni sono per lo più pieni di sole, cielo azzurro e nubi alte. La grande copertura di plastica è stata montata, cucita e rinforzata, e adesso, quando minaccia di piovere, si sospende la marcia e in tre tempi, primo si dispiega, secondo si tende, terzo si lega, il tendone è protetto. Dentro al carro, i materassi sono asciutti come non mai, l'odore di muffa e di umidità
non c'è più e l'interno, pulito e ordinato, è veramente un focolare. Ma solo adesso si può notare quanto abbia piovuto da queste parti. Le campagne sono zuppe, bisogna fare attenzione con il carro e non passare, senza previo sondaggio, sui terreni soffici del ciglio della strada, altrimenti sarebbe il non plus ultra del lavoro tirarlo fuori, due cavalli, tre uomini e due donne non valgono un trattore. Il paesaggio è cambiato, laggiù sono rimaste montagne e monti, gli ultimi colli si stanno attenuando e ciò che comincia ad apparire davanti agli occhi è una pianura che sembra non aver fine e, sopra, un cielo così grande che, per la meraviglia, c'è da chiedersi se il cielo non sia tutt'uno, certo è che ogni luogo, se non ogni persona, ha un cielo tutto suo, più grande o più piccolo, più alto o più basso, e questa è stata una grande scoperta, sissignore, il cielo come un'infinità di cupole successive e incastonate, la contraddizione nei termini è solo apparente, basta guardare. Quando Due Cavalli raggiunge la sommità dell'ultima collina si pensa che mai più, sino alla fine del mondo, la terra si risolleverà e visto che è normalissimo che cause diverse abbiano lo stesso effetto, qui non riusciamo più a respirare, come se ci avessero portato sulla vetta dell'Everest, lo dica chi c'è stato se non gli è capitata la stessa cosa che è successa a noi su questo suolo pianeggiante. Ha fatto i conti il nostro Pedro, ma li ha fatti senza l'oste. Va subito detto tuttavia che questo Pedro non è Orce, né il narratore sa chi sia, anche se ammette che dietro al suddetto vi possa essere quell'omonimo apostolo che rinnegò tre volte Cristo, e questi sono gli stessi calcoli che fece Dio, probabilmente perché era trino e non molto forte in aritmetica. Si suole dire in portoghese che Pedro fa bene i conti quando i conti che fanno i Pedri risultano sbagliati, è un modo popolare e ironico di intendere che non si dovrebbe decidere su ciò che solo ad altri spetta fare, vale a dire che se Joaquim Sassa ha sbagliato nel fissare i centocinquanta chilometri al giorno di marcia, anche Maria Guavaira non ci ha colto rettificandoli a novanta. Di mercanzie ne sa il commerciante, di tirare ne sanno i cavalli, ecco come siamo si diceva, che la moneta falsa elimina quella buona e così l'andatura del cavallo vecchio ha ridotto l'andatura del cavallo giovane, a meno che non sia successo per misericordia di quest'ultimo, per bontà d'animo, rispetto umano, ché per il forte è segno di perversione morale sbandierare le proprie forze davanti al debole. Tutte queste parole le abbiamo ritenute necessarie per spiegare che ci siamo mossi più lentamente del previsto, ma la concisione non è una virtù definitiva, talora si perde perché si parla molto, d'accordo, ma
quanto si è guadagnato per aver detto di più del necessario. I cavalli tengono il passo che vogliono, li hanno messi al trotto e quelli obbediscono al capriccio o alle necessità del cocchiere, ma a poco a poco, in maniera talmente impercettibile che neppure si nota, Pig e Al riducono l'andatura, come riescano a farlo tanto armoniosamente è un mistero, non si è sentito uno dire all'altro, più piano, né l'altro rispondere, Dopo quell'albero. Per fortuna i viaggiatori non hanno fretta. All'inizio, appena partiti dalle terre galleghe ormai distanti, sembrava che avessero scadenze fisse e itinerari da rispettare, c'era addirittura un certo senso di urgenza, come se ognuno di loro dovesse andare a salvare il padre dalla forca e giungere al patibolo prima che il boia facesse cadere la mannaia. Qui non si tratta di padre o di madre, ché non sappiamo niente né degli uni né delle altre, eccetto della madre di Maria Guavaira che è matta e non è più a La Coruna, o forse, passato il pericolo, vi è ritornata. Di altre madri e di altri padri, antichi e moderni, nulla è stato rivelato, quando i figli tacciono è bene tacere anche le domande e sospendere le indagini, in fondo ognuno di noi dà inizio e fine al mondo, speriamo che questa dichiarazione non offenda a morte lo spirito di famiglia, l'interesse dell'eredità e l'integrità del nome. La strada, in pochi giorni, è diventata un mondo fuori dal mondo, come un uomo che, trovandosi nel mondo, scopre di essere egli stesso un mondo, non è mica tanto difficile, basta che gli si faccia intorno un po' di solitudine, come questi viaggiatori che, pur essendo insieme, procedono da soli. Ecco perché non hanno fretta, ecco perché non calcolano più la strada fatta, le soste sono dedicate agli affari e al riposo, e non è raro che desiderino fermarsi senz'altro motivo che non sia quello stesso appetito per il quale, se ne esistono sempre i motivi, in genere non perdiamo tempo a cercarli. Tutti finiamo per arrivare dove vogliamo, è solo questione di tempo e di pazienza, la lepre è più veloce della tartaruga, arriverà prima, a patto che non s'imbatta per via in un cacciatore e nella sua doppietta. Abbiamo lasciato le lande dell'antico regno di León, siamo entrati e ci troviamo nella Tierra de Campos, dove è nato e cresciuto quel famoso predicatore che era Fra Gerúndio de Campazes, le cui parole e gesta ha minuziosamente raccontato il non meno celebre padre Isla, a reprensione di oratori prolissi, citatori impenitenti, rimatori incessanti e scrittori melensi, peccato che noi si sia messa a frutto così poco la lezione, che pure era tanto chiara. Tagliamo, però, alla nascita il divagante esordio e diciamo, con retta semplicità, che questa notte i viaggiatori andranno a dormire in un paese che si chiama Villalar, non lontano da Toro, Tordesilhas e Simancas, tutti luoghi
che toccano da vicino la storia portoghese, con una battaglia, un trattato e un archivio. José Anaiço è professore di mestiere e quindi sono nomi che in lui risvegliano facili evocazioni, ma non molto approfondite, visto che la sua scienza storica, essendo generale, si ferma ai rudimenti, poco più infarcita di particolari di quella del suo pubblico, spagnolo e portoghese, ché qualcosa dovranno pur averla imparata, e non dimenticata, riguardo a Simancas, Toro e Tordesilhas, a seconda della prodigalità informativa e dell'interesse nazionale dei manuali di storie patrie dell'una e dell'altra parte. Ma di Villalar nessuno qui ne sa niente, salvo Pedro Orce che, sebbene sia oriundo andaluso, possiede i lumi di chi, un tempo, ha percorso tutte le vie della penisola, il fatto che abbia detto di non conoscere Lisbona, quando due mesi fa vi è entrato, non depone contro tale ipotesi, potrebbe semplicemente non averla riconosciuta, come non la riconoscerebbero oggi i fondatori fenici, i conquistatori romani, i dominatori visigoti, forse con qualche sprazzo di luce i musulmani, e sempre più confusamente i portoghesi. Sono seduti intorno al fuoco, disposti a coppie, Joaquim e Maria, José e Joana, Pedro e Costante, la sera è piuttosto fredda, ma il cielo sereno e limpido, stelle quasi non se ne vedono perché la luna, che è sorta presto, inonda del suo chiarore i campi pianeggianti e i vicini tetti di Villalar, il cui sindaco, un uomo di buona indole, non ha fatto alcuna obiezione a che si accampassero tanto vicino all'abitato gli uomini della carovana ispanoportoghese, nonostante il mestiere che esercitano, da nomadi e venditori ambulanti di abbigliamento, e quindi concorrenti in questa specialità mercantile del commercio locale. La luna non è piena, ma ha già quasi l'aspetto con cui più ci compiaciamo di ammirarla, un disco luminoso, fonte d'ispirazione per versi banali e sentimenti banalissimi, uno straccio di seta che spolverizza di candida farina il paesaggio immobile. Allora diciamo, Che bel chiaro di luna, e cerchiamo di dimenticare il brivido di paura che ci percorre quando l'astro, enorme, rosso, minaccioso, si affaccia sulla curva della terra. Dopo tanti e tanti millenni la luna nascente continua a sorgere ancora oggi come una minaccia, come un segnale della fine, fortuna nostra che l'ansia dura pochi minuti, l'astro è ormai lassù, si è fatto piccolo e bianco, possiamo respirare rilassati. E pure gli animali si agitano, anche poco fa, quando è sorta la luna, il cane se n'è rimasto a guardarla teso, all'erta, forse avrebbe ululato se non gli mancassero le corde vocali, ma si aggricciava tutto come se una mano gelata gli stesse sfiorando il dorso contropelo. Sono momenti in cui il mondo fuoriesce dagli assi, avvertiamo che non c'è niente
di sicuro e se potessimo dar voce a ciò che sentiamo, diremmo, con palese assenza di retorica, C'è mancato poco. Che storie di Villalar conosca Pedro Orce lo sapremo adesso, finita la cena, mentre le fiamme continuano a danzare nell'aria immobile, le guardano pensosi i viaggiatori, vi tendono le mani come se le imponessero o al fuoco si arrendessero, c'è un antico mistero in questo rapporto fra noi e il fuoco, anche sotto il cielo, è come se noi e loro ci trovassimo nell'interno della caverna originale, grotta o matrice. Il lavaggio dei piatti, oggi, spetta a José Anaiço, ma non c'è fretta, è un'ora tranquilla, quasi dolce, il luccichio delle fiamme si riflette sui visi abbronzati dall'aria aperta, hanno il colore che conferisce il sole quando nasce, il sole è di un'altra natura ed è vivo, non morto come la luna, ecco qual è la differenza. E Pedro Orce dice, Forse non lo sapete, ma tanti e tanti anni fa, nel millecinquecentoventuno ci fu, qui nei dintorni di Villalar, una grande battaglia, più grande per le sue conseguenze che per i morti, che se fosse stata vinta da chi la perse, ben altro mondo avremmo ereditato noi, i viventi di oggi. Di grandi battaglie passate alla storia è abbastanza informato José Anaiço e se glielo chiedessero a bruciapelo, reciterebbe senza esitare una decina di nomi, cominciando, è classico, da Maratona e le Termopili, e senza preoccupazioni di cronologia, Austerlitz e Borodino, Marne e Montecassino, le Ardenne e el-Alamein, Poitiers e Alcácer Quibir, e pure Aljubarrota, che per il mondo è niente e per noi è tutto, le altre sono venute appaiate senza alcuna particolare ragione. Ma la battaglia di Villalar non l'ho mai sentita, concluse José Anaiço. Questa battaglia, spiegò Pedro Orce, fu quando i comuni di Spagna si sollevarono contro l'imperatore Carlo V, straniero, ma non tanto perché fosse straniero, ché nei secoli passati era la cosa più normale nella vita che i popoli si vedessero entrare dentro casa un re che parlava un'altra lingua, era una faccenda fra le case reali che si giocavano i propri e gli altrui paesi, ai dadi o alle carte non direi, ma per interessi dinastici, con intrallazzi di alleanze e matrimoni, ecco perché non si può dire che contro il re iroso si sollevarono i comuni, né si può pensare che sia stata la grande guerra dei poveri contro i ricchi, magari tutte le cose, queste e le altre, fossero tanto semplici com'è semplice dirle, il fatto è che i nobili spagnoli non gradirono affatto, ma proprio per niente, che agli stranieri dell'imperatore fossero state distribuite tante cariche, e una delle prime risoluzioni dei nuovi signori era stata di aumentare le imposte, è il rimedio infallibile per pagarsi i lussi e le
avventure, orbene, la prima città ribelle fu Toledo, e subito altre ne seguirono l'esempio, Toro, Madrid, Avila, Soria, Burgos, Salamanca, e altre e altre ancora, ma i motivi non erano per tutte gli stessi, talora coincidevano, sissignore, ma talaltra si contraddicevano, e se era così per le città, molto di più lo era per gli individui che vi abitavano, c'erano cavalieri che difendevano solo i propri interessi e le proprie ambizioni, e perciò cambiavano bandiera in base a come soffiava il vento e veniva il profitto, insomma, come sempre succede, il popolo si trovava in mezzo a tutto questo, per motivi propri, ma soprattutto per quelli altrui, è così da che mondo è mondo, niente male se il popolo fosse tutt'uno, ma il popolo non è tutto uno, questa è un'idea che non riesce a entrare nella testa della gente, per non dire che i popoli vivono generalmente nell'inganno, quante volte i loro procuratori hanno portato un voto in parlamento e poi, una volta arrivati, per corruzione o per minaccia, i deputati hanno votato al contrario della volontà di chi ve li ha mandati, la cosa strana è che, nonostante queste divergenze e contraddizioni, le comunità riuscirono a organizzare milizie e ad andare in guerra contro l'esercito del re, né vale la pena dire che ci furono battaglie vinte e perse, l'ultima fu perduta qui a Villalar, e perché, il costume, gli errori, le incompetenze, i tradimenti, gente che si era stancata di aspettare la paga e se n'era andata via, ci fu la battaglia, chi vinse e chi perse, non si riuscì mai a sapere esattamente quanti comuneros vi morirono, secondo i calcoli moderni non furono molti, ci fu chi disse duemila, chi giurò non più di un migliaio, e addirittura che erano stati solo duecento, non si sa, né si riuscirà a sapere, a meno che, un giorno, non venga in mente a qualcuno di smuovere queste terre cimiteriali e contare i crani sepolti, ché contare le altre ossa servirebbe solo ad aumentare la confusione, tre fra i condottieri dei comuni furono processati, condannati e decapitati nella piazza di Villalar il giorno dopo, si chiamavano Juan de Padilla di Toledo, Juan Bravo di Segovia e Francisco Maldonado di Salamanca, questa fu la battaglia di Villalar che, se fosse stata vinta da chi la perse, avrebbe cambiato il destino della Spagna, con un chiaro di luna come questo, si può immaginare cosa saranno stati la notte e il giorno della battaglia, pioveva, i campi erano un lago, si combatteva immersi nel fango, indubbiamente, secondo i calcoli moderni di morti ce ne furono pochi, ma vien voglia di dire che la poca gente morta nelle guerre di una volta ha avuto nella storia molto più peso delle centinaia di migliaia e dei milioni del ventesimo secolo, è il chiaro di luna che non cambia, e inonda Villalar come Austerlitz o Maratona, oppure, Oppure Alcácer Quibir, disse José Anaic, o,
Che battaglia è stata, domandò Maria Guavaira, Se anche questa fosse stata vinta anziché persa, non riesco a immaginare come sarebbe oggi il Portogallo, rispose José Anaiço, Una volta ho letto in un libro che il vostro re Dom Manuel è entrato in questa guerra, disse Pedro Orce, Nei compendi del posto dove insegno io non si dice che i portoghesi siano entrati in guerra contro la Spagna in quegli anni, Non vi andarono portoghesi in carne e ossa, ma cinquantamila crociati che il vostro re prestò all'imperatore, Ah, allora, disse Joaquim Sassa, cinquantamila crociati per l'esercito reale, i comuni dovevano perdere, i crociati vincono sempre. Quella notte cane Costante sognò che andava a dissotterrare le ossa nel campo di battaglia. Aveva già riunito centoventiquattro crani quando la luna tramontò e la terra Si fece buia. Allora il cane tornò a dormire. Due giorni dopo, un gruppo di ràgazzini che nel campo ci andava a giocare alla guerra corse dal sindaco a dire di aver trovato un mucchio di teschi in un campo di grano, non si riuscì mai a sapere come fossero spuntati lì, tutti insieme. Ma di quei portoghesi che erano arrivati su un carro e ormai sono partiti, le donne di Villalar non fanno che dir bene, Quanto a prezzi e qualità sono i più onesti che siano passati da queste parti. Fai bene, che male te ne viene, dicevano gli antichi, e avevano ragione, almeno hanno messo a frutto il loro tempo per giudicare i fatti allora nuovi alla luce di quelli allora vecchi, il nostro errore contemporaneo è di persistere in un atteggiamento scettico riguardo alle lezioni dell'antichità. Ha detto il presidente degli Stati Uniti d'America che la penisola era la benvenuta e il Canada, guarda un po', non ha gradito. Il fatto è, osservano i canadesi, che se la rotta non cambierà, saremo noi gli anfitrioni e finirà che ci saranno due Terranove anziché una, e non lo sanno mica i peninsulari, poveri loro, che cosa li aspetta, freddo da morire, ghiaccio, l'unico vantaggio sarà che i portoghesi si troveranno più vicini al baccalà che tanto amano, il sole manca, la razione è tanta. Il portavoce della Casa Bianca si è affrettato subito a spiegare che la dichiarazione del presidente era stata dettata, fondamentalmente, da ragioni umanitarie, senza alcun intento di prevaricazione politica, tanto più che i paesi peninsulari non è che non fossero più sovrani e indipendenti per il semplice fatto di fluttuare nell'acqua, un giorno si dovranno pur fermare ed essere uguali agli altri, e ha aggiunto, Quanto a noi, diamo la garanzia solenne che il tradizionale spirito di buon vicinato fra gli Stati Uniti e il Canada non sarà intaccato da nessuna circostanza, e come dimostrazione
della volontà americana di preservare l'amicizia con la grande nazione canadese, proponiamo la realizzazione di una conferenza bilaterale per l'esame dei diversi aspetti che, nell'ambito di questa drammatica trasformazione della fisionomia politica e strategica del mondo, costituirà certamente il primo passo per il sorgere di una nuova comunità internazionale costituita dagli Stati Uniti, dal Canada e dai due paesi iberici, che saranno invitati a partecipare alla riunione a titolo di osservatori, visto che non è ancora consumato l'avvicinamento fisico nè una distanza ridotta perché, fin da ora, si possa delineare qualche prospettiva di integrazione. Il Canada, pubblicamente, si è dichiarato soddisfatto delle spiegazioni, ma ha fatto sapere che non riteneva opportuna la realizzazione immediata della conferenza che, nei termini in cui era stata proposta, avrebbe potuto offendere il sentimento patriottico del Portogallo e della Spagna, suggerendo, in alternativa, una conferenza quadripartita per studiare i provvedimenti da prendere in caso di impatto violento, quando la penisola fosse approdata alle coste del Canada. Gli Stati Uniti concordarono subito e, in privato, i loro capi rendettero grazie a Dio per aver creato le Azzorre. Il fatto è che se la penisola non avesse deviato verso nord, se il movimento fosse proseguito in linea retta fin dalla separazione dall'Europa, la città di Lisbona si sarebbe trovata realmente con le finestre rivolte verso Atlantic City, e di riflessione in riflessione, ne conclusero che quanto più a nord deviava, tanto meglio era, pensate cosa sarebbe stato per New York, Boston, Providence, Filadelfia, Baltimora, ritrovarsi come città dell'interno, con il conseguente abbassamento del livello di vita, non c'è dubbio che il presidente era stato avventato in quella sua prima dichiarazione. In un successivo scambio di note diplomatiche confidenziali, cui fecero seguito incontri segreti fra le autorità dei due governi, il Canada e gli Stati Uniti concordarono che la soluzione preferibile sarebbe stata, potendolo, di bloccare la penisola in un punto della sua rotta vicino abbastanza da rimanere fuori dall'area d'influenza europea e lontano quanto bastava per non provocare danni immediati, o mediati, agli interessi canadesi e statunitensi, ma che si doveva peraltro dare immediato inizio a uno studio mirante a introdurre modifiche adeguate nelle rispettive leggi sull'immigrazione, rafforzandone soprattutto le disposizioni cautelative, che non pensassero gli spagnoli e i portoghesi di poterci entrare dentro casa senza neanche dircelo, con la scusa che siamo diventati vicini di pianerottolo. Protestarono i governi del Portogallo e della Spagna per la scortesia delle potenze che pretendevano così di disporre dei loro interessi e destini, il
governo portoghese con più veemenza, visto che ne aveva il dovere, essendo di salvezza nazionale. Grazie a un'iniziativa del governo spagnolo, prenderanno contatti i governi peninsulari per definire di concerto una politica tendente a trarre il miglior partito possibile dalla nuova situazione, ma a Madrid si sospetta che il governo portoghese si presenterà ai negoziati con una riserva mentale, quella cioè di pretendere per il futuro di trarre particolari benefici dalla maggiore vicinanza in cui si troverà alle coste canadesi o statunitensi, dipende. E si sa, o si crede di sapere, che in certi ambienti politici portoghesi circola un movimento favorevole a un intendimento bilaterale, anche se a carattere non ufficiale, con la Galizia, il che evidentemente non sarà gradito al potere centrale spagnolo, poco disposto a tollerare irredentismi, per quanto mascherati si presentino, anche se c'è pure qualcuno che, con acida ironia, afferma e ha messo in giro la voce che niente di tutto ciò sarebbe successo se il Portogallo si fosse trovato dalla parte dei Pirenei e, meglio ancora, vi fosse rimasto aggrappato quando c'era stata la rottura, sarebbe stato un modo di finirla una buona volta, ridotti a un sol paese, con questa difficoltà di essere iberici, ma è qui che gli spagnoli si sbagliano, ché la difficoltà sussisterebbe, e altro non diremo. Si calcolano i giorni che mancano per arrivare in vista delle coste del Nuovo Mondo, si studiano piani d'azione per esercitare appieno la forza negoziale al momento giusto, né troppo presto, né troppo tardi, il che del resto è la regola d'oro dell'arte diplomatica. Estranea a queste quinte della politica, la penisola continua a navigare verso occidente, tanto e talmente bene che ormai si sono ritirati dall'isola di Corvo gli osservatori di varia specie, milionaria o scientifica, che si erano andati a mettere, per così dire, in prima fila per assistere al passaggio. E' stato uno spettacolo terrificante, basti dire che l'estremità della penisola è passata a poco più di cinquecento metri da Corvo, con un gran ribollire d'acqua, sembra un peunioera wagneriana, ma i1 paragone migliore sarebbe ancora un altro, mettiamo di trovarci in mare, su di un piccolo battello, e a pochi metri da noi vediamo passare la massa enorme di una petroliera scarica, con la chiglia quasi tutta fuori dall'acqua, insomma una vertigine, una cosa stupefacente, per poco non cadiamo in ginocchio e, mille volte pentiti delle bestemmie e delle malefatte, proclamiamo, Dio esiste, a tanto arrivano gli effetti della natura bruta sullo spirito degli uomini, benché civili. Ma mentre la penisola compie così la sua parte nei movimenti dell'universo, i viaggiatori hanno ormai oltrepassato Burgos, tanto fiorenti negli affari che
hanno deciso di immettersi con Due Cavalli nell'autostrada, che è sempre la via migliore. più avanti, dopo aver passato Gasteiz, torneranno alle carrozzabili che servono i piccoli abitati, là dove il carro si troverà nel suo elemento naturale, un carro coi cavalli in mezzo ai campi, non questa insolita e inusitata esibizione di lentezza su di una strada a scorrimento veloce, il trotto indolente di quindici chilometri all'ora, se non si è in salita e sono di buon umore gli animali. Il mondo iberico è talmente cambiato che la polizia stradale, che assiste a tutto questo, non li ferma, non li multa, seduti sulle loro potenti moto i poliziotti fanno qualche cenno di buon viaggio, al massimo domandano cosa voglia dire quel telone dipinto di rosso, a patto che si trovino dal lato dove si vede il quadrato. Il tempo è bello, sono giorni che non piove, potremmo pensare di essere tornati all'estate se non fosse per il vento, talora freddo, da autunno legittimo, soprattutto visto che ci troviamo così vicini alle montagne alte. José Anaiço, giacché le donne si lagnavano della rigidità dell'aria, ha fatto qualche allusione di passaggio alle conseguenze di un eccessivo avvicinamento alle alte latitudini, dicendo perfino, Se andremo a fermarci a Terranova, sarà bello che finito il viaggio, per vivere all'aria aperta con quel clima bisogna essere esquimesi, ma loro non vi hanno prestato attenzione, forse perché non stavano guardando la carta geografica. E forse perché stavano parlando non del freddo che sentivano, ma di un freddo più grande che qualcun altro, ma chi, potesse sentire, non loro stesse che, in verità, avevano il conforto dei loro uomini tutte le notti, e se le circostanze erano favorevoli anche durante il giorno, spesso una coppia faceva compagnia a cassetta a Pedro Orce mentre l'altra, coricata dentro, si lasciava cullare dall'andatura di Due Cavalli dopo che, seminudi, l'uomo e la donna avevano appagato un'esigenza improvvisa, o rimandata, del desiderio. Sapendo che in quel carro viaggiavano cinque persone così ripartite per sesso, chiunque, con un po' di esperienza di vita, avrebbe potuto indovinare che cosa stava succedendo sotto il telone, basandosi sulla composizione del gruppo a cassetta, se per esempio c'erano i tre uomini, ci puoi scommettere che le donne erano affaccendate nei lavori domestici, soprattutto di cucito, oppure se, come abbiamo già detto, c'erano due uomini e una donna, che l'altra donna e l'altro uomo se ne stavano in intimità, magari vestiti, e solo a chiacchierare. E' chiaro che non erano queste le uniche combinazioni possibili, ma di una sola non c'è alcun ricordo, che si trovasse a cassetta una donna con un uomo che non fosse il suo, giacché la stessa cosa sarebbe accaduta sotto il telone, e questo si doveva evitare, per non far sparlare.
Queste accortezze sono scaturite da sole, non c'è stato bisogno di riunire il consiglio di famiglia per deliberare su come salvaguardare la morale all'interno e all'esterno del telone, e l'inevitabile risultato matematico è che Pedro Orce viaggiava quasi sempre a cassetta, salvo in quelle rare occasioni in cui i tre uomini riposavano contemporaneamente, mentre le donne guidavano, o quando, pacificati tutti i sensi, poteva andare davanti una coppia mentre l'altra,dentro, nell'intimità adesso ridotta, non commetteva atti che potessero mettere in imbarazzo, offendere o disturbare Pedro Orce, che se ne stava disteso sul suo stretto giaciglio, messo di sbieco, Povero Pedro Orce, diceva Maria Guavaira a Joana Carda mentre José Anaiço stava parlando del freddo di Terranova e del vantaggio di essere esquimesi, e Joana Carda ha annuito, Povero Pedro Orce. Si accampavano quasi sempre prima dell'imbrunire, preferivano scegliere un buon posto, vicino all'acqua, se possibile in vista di un abitato, e se ce n'era qualccuno che gli piaceva tanto, vi si fermavano anche se c'erano ancora due, tre ore di sole. La lezione dei cavalli, finalmente, l'avevano imparata, a beneficio di tutti, degli animali che adesso si riposavano di più, e degli esseri umani che avevano perduto l'umano vizio della fretta e dell'impazienza. Ma dal giorno in cui Maria Guavaira ha detto, Povero Pedro Orce, un'atmosfera diversa aleggia sul carro in viaggio e su coloro che su di esso si spostano. Tutto ciò fa riflettere, se rammentiamo che solo Joana Carda ha udito quelle parole e che, ripetute, le ha udite a sua volta solo Maria Guavaira, e visto che noi sappiamo che tutte e due se le tengono dentro, ché certo non era argomento per un dialogo sentimentale, dobbiamo concludere che una parola, una volta pronunciata, dura più del suono e dei suoni che l'hanno prodotta, rimane lì, invisibile e inudibile per mantenere il suo segreto, una specie di occulta semente sotto terra che germoglia lontano dagli occhi, finché all'improvviso sposta la zolla e viene alla luce, uno stelo arrotolato, una foglia gualcita che pian piano si dispiega. Si accampavano, staccavano i cavalli, li liberavano dai finimenti, accendevano il fuoco, azioni e gesti quotidiani che, ormai, tutti eseguivano con la stessa competenza, secondo gli incarichi a ciascuno assegnati giornalmente. Ma contrariamente a ciò che all'inizio era abitudine, non parlavano molto e, certo, si sarebbero sorpresi essi stessi se fossimo andati a dire, Sono più di dieci minuti che nessuno di voi dice una parola, allora si sarebbero resi conto della natura particolare di quel silenzio, o avrebbero risposto come chi non vuole riconoscere un fatto evidente e cerca inutilmente una giustificazione, Alle volte capita, e
veramente non si può stare sempre a parlare. Ma se l'un l'altro in quel momento si guardassero, nel viso di ciascuno, come in uno specchio, vedrebbero la propria timidezza, l'imbarazzo di chi sa che le spiegazioni sono parole vuote. Ma tuttavia c'è da notare che gli sguardi che si scambiavano Maria Guavaira e Joana Carda hanno un significato per loro esplicito, tant'è che non riescono a mantenere a lungo lo sguardo e sviano gli occhi. Era solito Pedro Orce, finito il lavoro che gli spettava, allontanarsi dall'accampamento con il cane Costante, per riconoscere i dintorni, diceva lui. Sempre si tratteneva fuori molto, forse perché camminava lentamente, forse perché faceva larghi giri, forse perché se ne restava seduto su un sasso a guardare il concludersi del giorno, lontano dagli sguardi dei compagni. Una volta, qualche giorno prima, Joaquim Sassa aveva detto, Vuole rimanere solo, magari è triste, e José Anaic, lo aveva commentato, Se fossi al posto suo, probabilmente farei lo stesso. Le donne avevano finito di lavare i panni e li stavano stendendo su una corda tesa fra l'arco del telone e il ramo di un albero, udirono e tacquero, ché la conversazione non le riguardava. Era successo pochi giorni dopo che Maria Guavaira, per il freddo di Terranova, aveva detto a Joana Carda, Povero Pedro Orce. Sono soli, strano che quattro persone diano l'impressione di essere sole, aspettano che la minestra sia pronta, c'è ancora molta luce e José Anaiço e Joaquim Sassa ne approfittano per controllare lo stato dei finimenti, mentre le donne rifanno e registrano i conti degli affari odierni, che in seguito Joaquim Sassa, contabile, trasferirà sui libri. Pedro Orce si è allontanato, è sparito fra quegli alberi una decina di minuti fa, il cane Costante lo ha seguito, come al solito. Adesso il freddo non si avverte e la brezza che spira sarà forse l'ultimo soffio tiepido dell'autunno, o magari siamo noi che l'avvertiamo così, paragonata a questi giorni ormai rigidi. Maria Guavaira dice, C'è da comprare grembiuli, ne abbiamo pochi di riserva, e dopo averlo detto ha alzato la testa e guardato gli alberi, il corpo seduto ha accennato un movimento, come un impulso dapprima represso e poi liberato, altro non si udiva che il ruminare secco dei cavalli, allora Maria Guavaira si è alzata e si è avviata verso gli alberi, dov'era andato Pedro Orce. Non si voltò, neppure quando Joaquim Sassa le domandò, Dove vai, ma è anche vero che la domanda non fu conclusa, diciamo che rimase sospesa a metà, perché la risposta era già stata data in anticipo e non contemplava modifiche. Qualche minuto dopo apparve il cane che andò a sdraiarsi sotto il carro. Joaquim Sassa si era spostato di
qualche metro, sembrava stesse studiando con attenzione le colline distanti. José Anaiço e Joana Carda non si guardavano. Finalmente Maria Guavaira tornò, con le prime ombre della sera. Era sola. Si avvicinò a Joaquim Sassa, ma lui le volse bruscamente le spalle. Il cane uscì da sotto il carro e sparì. Joana Carda accese il lume. Maria Guavaira tolse dal fuoco la minestra, versò un po' d'olio in una padella, che poi mise su un treppiede, attese che l'olio friggesse, intanto vi aveva rotto dentro qualche uovo, che mescolò, vi aggiunse rotelline di salsiccia e poco dopo si spandeva per l'aria un profumino che in altre occasioni avrebbe fatto venire l'acquolina in bocca. Ma Joaquim Sassa non andò a mangiare, Maria Guavaira lo chiamò, ma lui non andò. Avanzò qualcosa. Joana Carda e José Anaiço avevano poco appetito e quando Pedro Orce tornò, ormai l'accampamento era immerso nel buio, soltanto il fuoco stava consumando gli ultimi ceppi. Joaquim Sassa si andò a coricare vicino al carro, ma di notte rinfrescava molto, dalle montagne arrivava, senza vento, una corrente d'aria fredda. Allora Joaquim Sassa chiese a Joana Carda di andarsi a coricare con Maria Guavaira, non disse il nome, ma solo, Coricati con lei, io rimango con José, e visto che gli sembrava il momento adatto per un po' di sarcasmo, aggiunse, Non c'è pericolo, siamo tutti gente seria, niente promiscuità. Pedro Orce, al suo ritorno, salì a cassetta, non si sa perché ma il cane Costante trovò il modo di salire insieme a lui, era la prima volta. Il giorno dopo Pedro Orce viaggiò sempre a cassetta. Accanto al lui c'erano José Anaiço e Joana Carda, dentro il carro, sola, Maria Guavaira. I cavalli furono messi al passo. Quando tentavano, perché gli andava e ne avevano voglia, di mettersi al trotto, José Anaiço ne moderava l'impeto eccessivo. Joaquim Sassa andava a piedi, un bel po' dietro il carro. Fecero pochi chilometri quel giorno. Si era ancora a metà pomeriggio quando José Anaiço fermò Due Cavalli in un posto che sembrava gemello dell'altro, era come se non fossero mai partiti o avessero descritto un circolo completo, perfino gli alberi sembravano gli stessi. Joaquim Sassa si fece vivo solo molto più tardi, quando il sole stava tramontando all'orizzonte. Vedendolo avvicinarsi, Pedro Orce si allontanò, gli alberi lo nascosero subito, e il cane gli andò dietro. Il fuoco aveva preso bene, ma era ancora presto per preparare la cena, del resto la minestra era pronta e c'erano gli avanzi delle uova con salsiccia. Joana Carda disse a Maria Guavaira, Non abbiamo comprato i grembiuli, ormai ce ne restano solo due. Joaquim Sassa disse a José Anaiço, domani me ne vado, prendo la mia parte dei soldi, fammi vedere sulla carta dove siamo, ci sarà
pure da queste parti una ferrovia. Allora Joana Carda si alzò e si avviò verso gli alberi, dove era andato Pedro Orce con il cane. José Anaiço non domandò, Dove vai. Il cane spuntò di lì a pochi minuti e andò a sdraiarsi sotto il carro. Passò del tempo e Joana Carda tornò, insieme a lei c'era Pedro Orce, che faceva resistenza, ma lei lo tirava dolcemente, come se non avesse bisogno di fare molta forza, o forse era una forza diversa. Giunsero davanti al fuoco, Pedro Orce a testa bassa, con quei suoi bianchi capelli scarmigliati che alla luce instabile delle fiamme sembravano danzargli sulla testa, e Joana Carda, che aveva la camicia in parte sbottonata, fuori dai pantaloni, disse, e mentre parlava si accorse di essere in disordine, e sempre parlando si ricompose, senzanascondersi, con naturalezza, La bacchetta con cui ho segnato il suolo non ha più la sua virtù, ma può ancora servire per tracciare un'altra riga qui, così sapremo chi resta da una parte e chi dall'altra, se non possiamo rimanere tutti insieme dallo stesso lato, Per me fa lo stesso, me ne vado domani, disse Joaquim Sassa, Sono io che me ne andrò, disse Pedro Orce, Come ci siamo riuniti, potremo separarci, disse Joana Carda, ma se per giustificare la separazione sarà necessario trovare un colpevole, non cercatelo in Pedro Orce, le colpevoli, se così si deve dire, siamo noi due, io e Maria Guavaira, e se credete che ciò che abbiamo fatto dovrà essere spiegato, allora abbiamo equivocato fin dal giorno che ci siamo conosciuti, Io parto domani, disse Pedro Orce, Non partire, disse Maria Guavaira, e se partirai, allora di certo ci separeremo tutti, perché loro non saranno capaci di rimanere con noi né noi con loro, e non perché non ci amiamo, ma perché non sapremo capire. José Anaiço guardò Joana Carda, tese d'improvviso le mani sul fuoco come se d'improvviso si fossero gelate e disse, Rimango. Maria Guavaira domandò, E tu, vuoi andartene o rimani. Joaquim Sassa non rispose subito, accarezzò la testa del cane che si era avvicinato, poi con la punta delle dita sfiorò il collare di lana turchina, lo stesso fece con il braccialetto che portava al polso, infine disse, Rimarrò, ma a una condizione. Non ci fu bisogno che dicesse quale, Pedro Orce aveva iniziato a parlare, Sono un uomo vecchio, o quasi vecchio, sono in quell'età incerta, ma più vecchio che giovane, A quanto pare, mica tanto, sorrise José Anaiço e il suo sorriso era malinconico, Nella vita succedono tante cose e a volte non si possono ripetere, sembrava sul punto di proseguire, ma capì di aver già detto tutto, scosse la testa e si allontanò per poter piangere. Se tanto, o poco, non si può sapere, per piangere doveva starsene da solo. Quella notte dormirono tutti nel carro, ma le ferite sanguinavano ancora, si misero vicine le due donne, vicini gli uomini traditi,
e Pedro Orce, tant'era stanco che fece tutto un sonno, avrebbe voluto punirsi con l'insonnia, ma fu più forte la natura. Si svegliarono presto come gli uccellini, per primo, quand'ancora non albeggiava, uscì Pedro Orce dalla parte anteriore del carro, poi Joaquim Sassa e José Anaiço dal retro, e infine le donne, come se provenissero tutti da mondi diversi e s'incontrassero qui per la prima volta. Dapprima si guardarono a malapena, di sottecchi, come se la visione di un viso intero fosse insopportabile, eccessiva per le deboli forze con cui erano usciti dalla crisi di quei giorni. Dopo il caffé del mattino cominciò a udirsi qualche parola ogni tanto, una raccomandazione, una richiesta, un ordine timidamente formulato, ma il primo, delicato problema stava per nascere adesso, come si sarebbero disposti nel carro i viaggiatori, tenendo conto delle complesse varianti nell'organizzazione dei gruppi, che abbiamo già avuto modo di spiegare poc'anzi. Non c'era dubbio che Pedro Orce andasse a cassetta, ma gli uomini e le donne in pieno litigio non potevano continuare a rimanere separati, pensate che situazione sgradevole ed equivoca, se Joaquim Sassa e José Anaiço andavano davanti con Pedro Orce, di cosa avrebbero potuto parlare, oppure, ancor più imbarazzante, se a cassetta ci fossero andate Joana Carda e Maria Guavaira, cosa potevano dire al cocchiere, cosa evocare, e intanto, sotto il telone, che rosicchiare d'unghie, e i due mariti a domandarsi, cosa staranno dicendo. Sono situazioni che fanno ridere se le guardiamo dall'esterno, ma la voglia di ridere passa subito se immaginiamo di trovarci noi stessi nell'angoscioso frangente in cui si trovano loro. Per fortuna a tutto c'è rimedio, solo alla morte ancora no. Pedro Orce era già seduto al suo posto, con le redini in mano, in attesa che gli altri si decidessero, quando José Anaiço, come rivolgendosi agli spiriti invisibili dell'aria, disse, Andate avanti con il carro, io e Joana facciamo un pezzo a piedi, Anche noi, disse Joaquim Sassa. Pedro Orce scosse le redini, i cavalli diedero il primo strattone, un secondo con più convinzione, ma neppure volendolo questa volta potrebbero andare in fretta, la strada è tutta in salita, fra montagne che s'innalzano sulla sinistra, Siamo sui contrafforti dei Pirenei, pensa Pedro Orce, ma c'è una tale serenità a queste altezze che non sembra neppure il luogo delle drammatiche rotture di cui si è detto. Laggiù, più indietro, procedono due coppie, non insieme, è chiaro, ciò che devono discutere sono questioni fra uomo e donna, senza testimoni. Le montagne non sono adatte per gli affari e queste ancor meno di qualunque altra. Allo scarso popolamento che in genere distingue queste increspate
orografie si aggiunge, in questo caso, la paura della gente che ancora non Si è abituata all'idea che ai Pirenei di qua manca il sostegno e il complemento di quelli di là. I paesi sono semideserti, alcuni completamente abbandonati, è lugubre l'impressione che provoca il rumore delle ruote di Due Cavalli sul selciato delle strade, fra porte e finestre che non si aprono, Preferirei trovarmi sulla Sierra Nevada, pensa Pedro Orce, e queste magiche parole incantate gli hanno colmato il petto di nostalgia o, per usare il vernacolo castigliano, di anoranza. Se qualche vantaggio si potrà trarre da simile desolazione, sarà quello che i viaggiatori dormiranno, dopo tante notti di disagio e di una certa promiscuità, non ci riferiamo a una sua recente e particolare manifestazione, sulla quale i giudizi si dividono e di cui hanno giusto appunto discusso i principali interessati, il vantaggio sarà, dicevamo, che potranno dormire in queste case abbandonate dai loro abitanti, beni e valori sono stati portati via durante l'esodo, ma i letti, in genere, sono rimasti. Come siamo lontani da quel giorno in cui Maria Guavaira ha respinto energicamente la proposta di dormire in casa altrui, speriamo che questa facile condiscendenza non sia indizio di un infiacchimento della morale, ma il semplice effetto delle Iezioni della dura esperienza. Pedro Orce si tratterrà da solo in una di queste case, a scelta, in compagnia del cane, qualora gli venisse voglia di una passeggiata notturna potrà uscire a suo piacimento e tornare quando vuole, e questa volta non dormiranno separati gli uomini dalle loro donne, finalmente si coricheranno insieme Joaquim Sassa e Maria Guavaira, e José Anaiço e Joana Carda, forse si son già detti tutto ciò che c'era da dire, forse rimarranno a parlare tutta la notte, ma se la natura umana continua a essere quella che è sempre stata, è naturale che per stanchezza e dispiacere, per comprensiva tenerezza o pressante amore, uomo e donna si avvicinino, che si scambino timorosamente un primo bacio, dopo di che, benedetto colui che ci ha fatto, il corpo si risveglia e vuole un altro corpo, sarà una follia, sì, le cicatrici pulsano ancora, ma l'aura monta, se Pedro Orce è in giro tra i vicoli vedrà risplendere due case nel paese, forse sarà geloso, forse gli occhi gli si riempiranno di nuovo di lacrime, ma non saprà che in quel momento gli amanti riconciliati stanno singhiozzando di dolore felice e di passione esplosa. Domani sarà veramente un altro giorno, più non avrà importanza decidere chi dovrà viaggiare dentro al carro e chi a cassetta, tutte le combinazioni sono possibili e nessuna sarà sospetta.
I cavalli sono stanchi, le strade non finiscono mai e sono tutte in salita, José Anaiço e Joaquim Sassa andarono a parlare a Pedro Orce, con molto tatto e cautela per non confondere i motivi, volevano domandargli se gli bastava quello che si era visto dei Pirenei o se voleva proseguire fino alle vette più alte, e Pedro Orce rispose che non erano tanto le vette ad attirarlo, bensì la fine delle terre, sebbene non ignorasse che dalla fine delle terre si vede sempre lo stesso mare, Ecco perché non siamo andati verso Donostia, che gusto c'era a vedere una spiaggia tagliata di netto, trovarsi su una punta di spiaggia con l'acqua da una parte e dall'altra, Ma per vedere il mare da quell'altezza, non so se i cavalli ce la faranno, disse José Anaiço, Non ci sarebbe bisogno di salire a due o tremila metri, ammesso che lassù ci siano strade, ma in realtà mi piacerebbe che continuassimo, fino a vederlo. Aprirono la carta, Joaquim Sassa disse, Dovremmo essere qui, il dito vagò fra Navascués e Burgui, poi si spostò verso la frontiera, Da questo lato non sembra che ci siano monti granché alti, la strada corre lungo il fiume, l'Esca, poi lo abbandona e riprende a salire, ma qui le cose si complicano, dall'altro lato c'è una vetta alta più di mille e settecento metri, Non c'è più, c'era, disse José Anaiço, sì, chiaro, c'era, concordò Joaquim Sassa, voglio chiedere una forbice a Maria per tagliare la carta lungo la frontiera, Potremmo tentare questa strada, se diventerà troppo faticoso per i cavalli torneremo indietro, disse Pedro Orce. Ci misero due giorni per arrivare dove volevano. Di notte sentivano i lupi ululare sulle colline, ed ebbero paura. Loro che venivano dalle pianure capirono infine il pericolo che correvano, se le belve fossero arrivate fino all'accampamento avrebbero cominciato con l'ammazzare i cavalli, poi sarebbe stata la volta degli uomini, privi perfino di un'arma da fuoco con cui potersi difendere. Pedro Orce disse, Stiamo correndo rischi per causa mia, torniamo indietro, ma Maria Guavaira rispose, Proseguiamo, c'è il cane che ci difende, Un cane non può far fronte a tutto un branco, soggiunse Joaquim Sassa, Questo sì, e per quanto possa sembrare straordinario a chi ne sappia più del narratore in questo campo, Maria Guavaira aveva ragione, che una notte i lupi si spinsero più vicino, i cavalli cominciarono a nitrire terrorizzati, una pena, e a dare strattoni alle corde che li tenevano legati, gli uomini e le donne cercavano dove potersi mettere in salvo dall'assalto, solo Maria Guavaira, benché tremante, continuava a dire, Non verranno, e ripeteva, Non verranno, il fuoco ardeva, ché tale lo mantenevano nella notte insonne, e i lupi non si avvicinarono più, il cane sembrava immenso nel cerchio di luce,
per effetto delle ombre tremolanti era come se gli si moltiplicassero le teste, le lingue, i denti, tutte illusioni ottiche, e il corpo s'ingrandiva, si gonfiava a dismisura, i lupi continuavano a ululare, sì, ma per la loro paura da lupi. La strada era tagliata, proprio tagliata, nel senso letterale della parola. A sinistra e a destra i monti e le valli si interrompevano improvvisamente, in linea netta, come un taglio di rasoio o un ritaglio di cielo. I viaggiatori avevano lasciato il carro poco più indietro, con il cane a guardia, e procedevano timorosi e prudenti. A un centinaio di metri dal taglio c'era un casotto doganale. Entrarono. Erano ancora lì due macchine da scrivere, una con un foglio di carta inserito nel rullo, un formulario della Dogana con qualche parola scarabocchiata. Il vento freddo entrava da una finestra aperta e sollevava i fogli sparpagliati per terra. C'era qualche penna di uccello. E' la fine del mondo, disse Joana Carda, Andiamo dunque a vedere com'è finito, disse Pedro Orce. Uscirono. Camminavano in punta di piedi, preoccupati che si potesse aprire qualche fenditura sul suolo a indicare una certa instabilità del terreno, a questo era José Anaiço che aveva pensato, ma la strada si presentava piana e continua, con qualche irregolarità dovuta solo all'uso. A dieci metri dal taglio, Joaquim Sassa disse, Conviene non avvicinarci stando in piedi, per le vertigini, io procedo gattoni. Si chinarono e avanzarono, dapprima appoggiandosi sulle mani e sulle ginocchia, poi strisciando, sentivano il cuore battere per la paura e l'ansia, il corpo si copriva di sudore nonostante il freddo intenso, fra sé e sé si chiedevano se sarebbero stati capaci di spingersi fino al ciglio dell'abisso, ma nessuno voleva darsi per vinto, e in una specie di sogno si ritrovarono a guardare il mare, a quasi mille e ottocento metri di altitudine, la scarpata tagliata di netto, in verticale, e il mare che luccicava, in lontananza le onde minuscole e la spuma bianca, una linea di spuma, la spuma delle onde oceaniche che si frangevano contro la montagna come se volessero spingerla. Pedro Orce, esaltato, gridò con doloroso giubilo, E' la fine del mondo, ripetendo le parole di Joana Carda, le ripetevano tutti, Mio Dio, la felicità esiste, disse la voce sconosciuta, e non può essere altro che questo, mare, luce e vertigine, Il mondo è pieno di coincidenze, e se una cosa non coincide con un'altra che le sta vicino, non per questo neghiamo le coincidenze, vuol dire solo che la cosa coincidente non è in vista. Nel preciso istante in cui i viaggiatori si sporgevano sul mare, la penisola si fermò. Nessuno di loro si accorse di ciò che era successo, per la frenata rimbalzi non ce ne furono, né improvvisi segnali di equilibrio instabile, né impressioni di rigidità. Solo dopo due giorni, ormai discesi da
quelle vette eccelse, giungendo al primo luogo abitato, furono informati della stupenda notizia. Ma Pedro Orce disse, Se affermano che si è fermata, sarà vero, ma che la terra continua a tremare, questo ve lo giuro, per me e per questo cane. La mano di Pedro Orce era posata sul dorso del cane Costante. I giornali di tutto il mondo, alcuni in tutta la larghezza della prima pagina, pubblicarono la storica fotografia che mostrava la penisola, a meno che non dobbiamo cominciare a chiamarla definitivamente isola, immobile in mezzo all'oceano, che manteneva, millimetro più millimetro meno, la sua posizione rispetto ai punti cardinali su cui si regge e si orienta l'orbe, la città di Porto a nord di Lisbona come sempre, Granada a sud di Madrid fin dai tempi in cui sorse Madrid, e il resto nella solita conformazione nota. La potenza immaginativa dei giornalisti si riversò quasi esclusivamente sull'apparato stentoreo dei titoli, in quanto i segreti della dislocazione geologica o, per meglio dire, l'enigma tettonico, erano ancora da svelare, indecifrabili oggi tale e quale il primo giorno. Per fortuna, la pressione della cosiddetta opinione pubblica si era attenuata, il volgo aveva smesso di fare domande, gli bastava lo stimolo dei suggerimenti diretti e indiretti suscitati dagli straordinari paragoni, Nata La Nuova Atlantide, Nella Scacchiera Mondiale Si E Mossa Una Pietra, Un Tratto d'Unione Fra L'America e L'Europa, Fra L'Europa e L'America Un Pomo Della Discordia, Un Campo Di Battaglia Per Il Futuro, ma il titolo che fece più impressione lo pubblicò un giornale portoghese, diceva così, Necessario un Nuovo Trattato Di Tordesillas, è veramente la felicità del genio, l'autore dell'idea guardò la carta e scorse che, miglia più miglia meno, la penisola doveva trovarsi su quella che era stata la linea che, ai tempi gloriosi, aveva diviso il mondo in due parti, uno a me, unoa te, uno a me. In un editoriale non firmato si proponeva l'adozione, da parte dei due paesi peninsulari, di una strategia congiunta e complementare che li facesse diventare l'ago della bilancia nella politica mondiale, il Portogallo rivolto a occidente, verso gli Stati Uniti, la Spagna girata a oriente, verso l'Europa. Un giornale spagnolo, solo per non rimanere indietro quanto a originalità, sostenne una tesi amministrativa che faceva di Madrid il centro politico di tutta questa macchinazione, con il pretesto che la capitale spagnola si trova, per così dire, nel centro geometrico della penisola, il che, peraltro, non è neppure vero, basta guardare, ma c'è gente che non bada ai mezzi per raggiungere i propri scopi. Il coro delle proteste non fu limitato al Portogallo, anche le regioni autonome spagnole insorsero contro la proposta, considerata
una nuova manifestazione del centralismo castigliano. Da parte portoghese successe quello che c'era da aspettarsi, una improvvisa recrudescenza degli studi occultistici ed esoterici, che non andò oltre solo perché la situazione finì per modificarsi radicalmente, purtuttavia ci fu abbastanza tempo perché si esaurissero tutte le edizioni della Storia del Futuro del Padre Antonio Jieira e delle Profezie del Bandarra, oltre che di Mensagem di Fernando Pessoa, ma questo non c'era neppure bisogno di dirlo. Da un punto di vista di politica pratica, il problema che si discuteva nelle cancellerie europee e americane riguardava le zone di influenza, cioè, se la penisola, o isola, nonostante la distanza avrebbe dovuto mantenere i suoi legami naturali con l'Europa oppure se, pur non tagliandoli di netto, orientarsi preferibilmente verso i piani e il destino della grande nazione nordamericana. Benché senza speranze di influire in maniera decisiva sulla questione, l'Unione Sovietica non faceva che rammentare che nulla si poteva risolvere senza la sua partecipazione nelle discussioni, e nel frattempo rinforzò la squadra che fin dall'inizio aveva accompagnato l'errante viaggio, sorvegliata, è ovvio, dalle squadre delle altre potenze, quella nordamericana, quella britannica e quella francese. Fu nell'ambito di questi negoziati che gli Stati Uniti fecero sapere al Portogallo, durante un'udienza richiesta con urgenza dall'ambasciatore Charles Dickens al presidente della repubblica, che non aveva più alcun senso il permanere di un governo di salvezza nazionale, visto che non sussistevano più le ragioni che, Molto discutibilmente, signor presidente, se mi consente l'opinione, avevano condotto alla sua costituzione. Di questa sollecitudine tutt'altro che politica si venne a conoscenza per vie traverse, non perché i servizi competenti della presidenza avessero reso pubblico qualche comunicato, o tramite dichiarazioni rilasciate dall'ambasciatore alla partenza da Belém, di fatto egli si limitò a dichiarare che aveva avuto con il presidente una conversazione molto franca e costruttiva. Ma fu sufficiente perché i partiti che, in caso di un suo rimodellamento o di elezioni generali, avrebbero dovuto inevitabilmente uscire dal governo, si coalizzassero contro l'intollerabile ingerenza identificata nell'imperioso intervento dell'ambasciatore. I problemi interni dei portoghesi, si diceva, spetta ai portoghesi risolverli, e aggiungevano con spietata ironia, il fatto che l'ambasciatore abbia scritto il David Copperfield non lo autorizza di certo a venire a dare ordini nella patria di Camoes e dei Lusiadi. Si era a questo punto quando la penisola, senza alcuna avvisaglia, si mosse di nuovo.
Aveva ragione Pedro Orce quando là, alle falde dei Pirenei, aveva detto, Si sarà pure fermata, sissignore, ma continua a tremare, e per non essere l'unico ad affermarlo aveva posato la mano sul dorso del cane Costante, anche la bestia tremava, come subito avevano potuto comprovare i due uomini e le due donne, ripetendo l'esperimento che fra Orce e Venta Micena, sotto un olivo di Cordova, l'unico, avevano fatto Joaquim Sassa e José Anaiço. Ma adesso, e lo sgomento fu generale e mondiale, il movimento non era verso occidente o verso oriente, verso sud o verso nord. La penisola girava su se stessa, in senso diabolico, cioè contrario alle lancette dell'orologio, la qual cosa, appena divulgata, provocò immediatamente vertigini fra la popolazione portoghese e quella spagnola, sebbene la velocità di rotazione fosse tutto tranne che vertiginosa. Di fronte al fenomeno decisamente insolito che metteva in causa, adesso in maniera assoluta, tutte le leggi fisiche, soprattutto della meccanica, su cui la terra si è retta, si interruppero i negoziati politici, i progetti di gabinetto e di corridoio, le manovre diplomatiche a bruciapelo o a goccia d'acqua. Siamo d'accordo, peraltro, che non sarebbe stato facile mantenere la calma, il sangue freddo, quando si sapeva, per esempio, che il tavolo del consiglio dei ministri, con il palazzo, e la strada, e la città, e il paese e la penisola intera erano come una giostra che continuava a girare lentamente, come in sogno. I più sensibili giuravano di avvertire questa dislocazione circolare, benché ammettessero che non si accorgevano di quella della terra nello spazio, tuttavia, per dimostrarlo, tendevano le braccia avanti per aggrapparsi, spesso non ci riuscivano, cadevano e restavano lì, sdraiati per terra, a guardare il cielo che ruotava lentamente, di notte a guardare le stelle e la luna, o durante il giorno il sole, con lenti affumicate, secondo certi medici si trattava solo di manifestazioni isteriche. Chiaro che non mancarono certi scettici più radicali, Ma va là, la penisola che gira su se stessa, assolutamente impossibile, che stia scivolando, ancora passi, lo sappiamo tutti che cosa sono questi scorrimenti di terra, ciò che succede a una scarpata quando piove molto può succedere a una penisola anche se non piove affatto, ma questa rotazione di cui si parla tanto significherebbe che la penisola si sta torcendo sul proprio asse, e, oltre al fatto che sarebbe obiettivamente impossibile, e forse lo sarebbe altrettanto anche soggettivamente, il risultato sarebbe che prima o poi il nucleo centrale si dovrebbe spezzare, e allora sì che ci troveremmo alla deriva senza ormeggi, in preda ai su e giù della fortuna. Dimenticavano costoro che, magari, la rotazione avveniva semplicemente come una piastra può ruotare su un'altra
piastra, questo scisto lamellare, notate, costituito come dice il nome stesso da lamine sovrapposte, se l'adesione fra due lamelle si indebolisse, una potrebbe benissimo ruotare sull'altra, pur rimanendovi, teoricamente, è ovvio, un certo grado di unione fra di esse in modo da impedire il distacco totale, Sta accadendo proprio questo, affermavano i difensori di tale ipotesi. E perché la si potesse confermare, di nuovo mandarono i sommozzatori in fondo al mare, il più profondo possibile in questa regione abissale dell'oceano, e vi riandarono anche l'Archimede, il Cyana e uno strumento giapponese dal nome difficile, il risultato di tutti questi sforzi fu che lo studioso italiano ripeté quella famosa frase, emerse dall'acqua, aprì il boccaporto e disse ai microfoni delle televisioni di tutto il mondo, Non si può muovere, eppur si muove. Non esisteva alcun asse centrale ritorto come una corda, non esistevano piastre, ma la penisola ruotava maestosamente in mezzo all'Atlantico, e a mano a mano che ruotava diventava sempre meno riconoscibile ai nostri occhi, Ma è veramente qui che abbiamo vissuto, ci si domandava, la costa portoghese tutta inclinata a sudovest, quella che un tempo era l'antica estremità orientale dei Pirenei puntata verso l'Irlanda. Era divenuta parte obbligata dei voli commerciali transatlantici un'osservazione della penisola, anche se, a dire il vero, non se ne ricavava granché, perché mancava l'indispensabile punto di riferimento fisso a cui poter rapportare il movimento. In verità, niente poteva sostituire l'immagine ripresa e trasmessa via satellite, la fotografia da grande altitudine, allora sì che ci si poteva fare una certa idea della magnificenza del fenomeno. Durò un mese questo movimento. Visto dalla penisola l'universo si trasformava a poco a poco. Tutti i giorni il sole nasceva in un punto diverso dell'orizzonte, e la luna e le stelle bisognava cercarle nel cielo, non bastava più il loro movimento proprio, quello di traslazione intorno al centro del sistema della Via Lattea, adesso c'era anche quest'altro che trasformava lo spazio in un delirio di luci instabili, come se l'universo fosse in fase di riorganizzazione da un capo all'altro, forse perché si era scoperto che il primo non aveva dato risultato. Fino a che, un giorno, il sole tramontò nello stesso punto dove normalmente sorgeva, e non serviva a niente dire che non era vero, che si trattava solo di apparenza, che il sole aveva la stessa solita traiettoria e altra non poteva averne, la gente ribatteva semplicemente, Mi scusi, mio caro signore, una volta la mattina il sole mi entrava dalla finestra sul davanti e adesso mi entra in casa da quelle del retro, me lo spieghi lei, per favore, in modo ch'io capisca. Quanto a spiegarlo, lo spiegava l'esperto,
mostrava fotografie, faceva disegni, apriva una carta del cielo, ma il discente non si dava per vinto e alla fine della lezione chiedeva che, per favore, facessero in modo che il sole, nascendo, gli illuminasse di nuovo la facciata del palazzo. Senza appiglio di causa e di scienza, diceva il professore, Lasci perdere, se la penisola farà un giro completo, lei vedrà il sole come lo vedeva prima, ma l'alunno, sospettoso, rispose, Allora lei pensa che questo sta succedendo perché tutto rimanga uguale. Ma in realtà non ci rimase. Ormai doveva essere inverno, ma l'inverno, che sembrava alle porte, aveva fatto marcia indietro, non si può dire altrimenti. Non era inverno, autunno non era, primavera neppure a pensarci, né poteva essere estate. Era una stagione in sospeso, senza data, come se fossimo stati all'inizio del mondo e ancora non avessimo deciso le stagioni e i loro tempi. Due Cavalli procedeva lentamente lungo le falde inferiori dei monti, adesso i viaggiatori si attardavano nei vari posti, si meravigliavano soprattutto davanti allo spettacolo del sole, che ormai non spuntava più al di sopra dei Pirenei ma sorgeva dal mare, lanciando i suoi primi raggi sui contrafforti altissimi della montagna fino alle cime innevate. Fu qui, in uno di questi paesi, che Maria Guavaira e Joana Carda si accorsero di essere incinte. Tutte e due. Non c'era niente di stupefacente, potremmo addirittura dire che finalmente queste donne ce l'avevano fatta dopo tanti mesi e settimane che si concedevano ai loro uomini con sana spontaneità, senza la minima precauzione, né da parte degli uni né delle altre. Ma neppure la simultaneità di questi fatti dovrebbe sorprendere, si trattò solo di un'altra di quelle coincidenze che organizzano la vita del mondo, è bene che, ogni tanto, se ne possa individuare qualcuna con chiarezza, a illuminazione degli scettici. Ma la situazione è imbarazzante, questo salta agli occhi, e l'imbarazzo deriva dalla difficoltà di appurare due paternità dubbie. Il fatto è che se non fosse per il passo falso compiuto da Joana Carda e Maria Guavaira, che, mosse da pietà o da qualche più complesso sentimento, si sono addentrate fra boschi e cespugli alla ricerca dell'uomo solo, che quasi quasi hanno dovuto supplicare affinché, paralizzato dalla commozione e dall'ansia, le penetrasse e le inondasse coi suoi penultimi semi, se non fosse per questo lirico e così poco erotico episodio, non ci sarebbe alcun dubbio che il figlio di Maria Guavaira sia di Joaquim Sassa e che il figlio di Joana Carda abbia come efficace autore José Anaiço. Ma ecco che spunta sul cammino Pedro Orce, o forse sarebbe più esatto dire che sul cammino di Pedro Orce spuntarono le tentatrici, e la normalità, piena di vergogna, si nasconde il viso. Non so chi è il padre, disse Maria Guavaira,
che ha dato l'esempio, Neppure io, disse Joana Carda, che dopo l'ha seguita per due ragioni, primo per non essere da meno quanto ad atti eroici e, secondo, per emendare l'errore con l'errore, tramutando in regola l'eccezione. Ma questa disquisizione, o qualcun'altra più sottile, non elude il problema adesso principale, cioè quello di dover informare José Anaiço e Joaquim Sassa, come reagiranno quando le rispettive donne diranno, e con che faccia, Sono incinta. Nei momenti di armonia, sarebbero, come di solito si dice, pazzi di gioia, e può darsi che a prima botta lo sguardo e il viso rivelino il repentino giubilo che percorre loro l'anima, ma subito dopo si acciglieranno, gli occhi si fanno tenebrosi, una terribile scenata si preannuncia. Joana Carda propose di non dire niente, con il passare del tempo e l'aumentare della pancia, la forza del fatto consumato si incaricherà di attenuare le suscettibilità, l'onore offeso, l'irritazione risvegliata, ma della stessa opinione non fu Maria Guavaira, le sembrava brutto che i comportamenti di un tempo, di coraggio e generosità da tutte le parti, dovessero ridursi all'insulsa vigliaccheria della finzione, a una vigliaccheria peggiore della compiacenza tacita. Hai ragione, riconobbe Joana Carda, è più utile prendere il bue per le corna, e lo disse senza far caso a ciò che diceva, è questo il pericolo delle frasi fatte, quando non prestiamo abbastanza attenzione al contesto. Quello stesso giorno le due donne chiamarono da parte i loro uomini, insieme si allontanarono fra i campi, laddove i vasti spazi riducono a mormorii le grida più colleriche o laceranti, ecco qual è la triste ragione per cui le voci degli uomini non raggiungono il cielo, e lì, senza tergiversare glielo dissero, Sono incinta, non so se di te o di Pedro Orce. Reagirono come ci aspettavamo Joaquim Sassa e José Anaiço, un accesso di collera, un'agitazione violenta, un dolore pungente, fra loro non si vedevano, ma i gesti si ripetevano, le parole amare erano le stesse, Non ti basta quello che è successo, mi vieni pure a dire che sei incinta e non sai chi è il padre, Come vuoi che lo sappia, ma il giorno che nascerà il bambino non ci saranno più dubbi, Perché, Ci sarà qualche somiglianza Certo, ma pensa se somiglia solo a te, Se somiglierà solo a me, sarà perché è figlio solo mio e di nessun altro, Oltretutto mi prendi in giro, Nient'affatto, è una cosa che non so fare, E adesso, come la risolviamo questa situazione, Se hai potuto accettare che sono stata una volta con Pedro Orce, adesso accetta di aspettare nove mesi prima di prendere una decisione, se il bambino ti somiglierà è figlio tuo, se somiglierà a Pedro Orce è figlio suo e tu lo respingerai, insieme a me, se questa sarà la tua volontà, e quanto al somigliare solo a me, non crederci, c'è sempre qualche lineamento del viso
che appartiene a un altro stampo, E con Pedro Orce, come ci comporteremo, glielo dici, No, nei primi due mesi non si noterà, e forse anche oltre, con i vestiti che portiamo, con queste camicie larghe, queste casacche blusanti, Penso sia meglio non parlarne, confesso che mi irriterebbe molto vedere Pedro Orce che ti guarda, che vi guarda, con aria da emerito riproduttore, questa frase l'ha detta José Anaiço che ha una maggiore padronanza del linguaggio, Joaquim Sassa si espresse terra terra, M'incavolerei a vedere quel signore con le sue arie da gallo nel pollaio. In questo modo, alla fin fine pacifico, accettarono gli uomini l'ignominioso fatto, sorretti dalla speranza che forse non lo sarebbe stato più il giorno in cui l'enigma, oggi ancora senza contorni, si sarebbe risolto naturalmente. A Pedro Orce, che non ha mai saputo cosa significhi avere figli, non gli passa neppure per la testa che nel ventre delle due donne sta forse germogliando ciò che lui ha fecondato, è proprio vero che l'uomo non arriva mai a conoscere tutte le conseguenze dei suoi atti, eccone un buon esempio, si va smorzando il ricordo dei momenti felici goduti, e il loro possibile effetto fecondante, ancora infimo, ma di per sé più importante di tutto il resto, se a termine arriverà e sarà confermato, è invisibile ai suoi occhi, celato alla sua conoscenza, anche Dio ha creato gli uomini e non li vede. Pedro Orce, comunque, non è del tutto cieco, gli sembra che l'armonia delle due coppie abbia subito una scossa, c'è in loro un certo distacco, per non dire un po' di freddezza, anzi, una specie di riserva priva di ostilità, ma causa di lunghi silenzi, il viaggio era cominciato così bene e adesso sembrava fossero finite le parole o non si osasse pronunciare le uniche che avrebbero avuto senso, E finita, ciò che viveva è morto, a patto che di ciò si tratti. Può anche darsi che il fuoco delle prime gelosie si sia riacceso, forse con il passar del tempo, E forse con il passare inosservato io, perciò Pedro Orce ha ripreso le sue lunghe passeggiate nei dintorni appena si accampavano, sembra addirittura incredibile che quest'uomo riesca a camminare tanto. Un giorno che Pedro Orce, questo succedeva quando ormai si erano lasciati indietro le prime ondulazioni orografiche che già da lontano annunciavano i Pirenei, un giorno che Pedro Orce si era spinto per strade appartate, poco mancava che cedesse alla tentazione di non tornare più all'accampamento, sono idee che vengono in mente quando si è esauriti, incontrò, seduto sul ciglio della strada, a riposarsi, un uomo che poteva avere la sua età, o forse poco più, malato e stanco sembrava. Vicino a lui c'era un asino, con basto e soma che ruminava con i denti gialli l'erba grigiastra, ché il periodo, come
abbiamo detto, non è propizio a nuovi germogli, oppure li fa nascere fuori posto e tempo, la natura ha smarrito la strada, direbbe l'amante di metafore. L'uomo sbocconcellava un tozzo di pane duro, senza companatico, doveva essere ridotto all'osso, vagabondo, senza tavolo né tetto, ma aveva un'aria rassicurante, non pericolosa, del resto Pedro Orce non è un pauroso, e lo ha dimostrato abbastanza con queste lunghe camminate solitarie, certo è che il cane non lo abbandona neppure per un istante, o meglio, lo ha lasciato due volte, ma in miglior compagnia e solo per discrezione. Pedro Orce rivolse all'uomo il suo saluto, Buonasera, e l'altro rispose, Buonasera, le orecchie di tutti e due registrarono la pronuncia familiare, l'accento del sud, per dirla con una parola, andaluso. Ma parve all'uomo dal pane duro motivo di sospetto vedere in questi luoghi, distanti dall'abitato, un uomo e un cane che avevano l'aria di essere stati abbandonati lì da un disco volante, e per precauzione, ma senza nasconderlo, si avvicinò un bastone dalla punta di ferro che si trovava in terra. Pedro Orce si accorse di quel gesto e dell'inquietudine dell'altro, certo doveva essere preoccupato per il cane che, a testa bassa, immobile, lo fissava, Non gli badi, è docile, o meglio, docile non è, ma non attacca nessuno che non pensi di far del male, Come fa lui a sapere che cosa pensa la gente, Questa sì che è una buona domanda, vorrei proprio poterle rispondere, ma né io né i miei compagni siamo riusciti a capire chi sia e da dove venga questo cane, Pensavo lei fosse solo o vivesse qui vicino, Sono in giro con amici, abbiamo un carro, per quei fatti che sono successi ci siamo messi in strada e ancora non l'abbiamo abbandonata, Vossignoria è andaluso, ne riconosco la parlata, Vengo da Orce, che si trova nella provincia di Granada, Io sono di Zufre, che si trova nella provincia di Huelva, Piacere di conoscerla, Il piacere è tutto mio, Mi consente di sedermi accanto a lei, Si accomodi pure, ma non posso offrirle altro che quello che ho, pane secco, La ringrazio come se avessi accettato, ho mangiato con i miei compagni, Chi sono, Due amici e le rispettive donne, loro due e una delle donne sono portoghesi, l'altra donna è gallega, E come mai vi siete ritrovati insieme, Ah, è una storia troppo lunga per potergliela raccontare adesso. L'altro non insistette, capì che non era il caso e disse, Probabilmente starà chiedendosi perché mai, visto che sono della provincia di Huelva, mi trovi qui, Con i tempi che corrono è difficile trovare qualcuno là dove sempre è stato, Sono originario di Zufre, dove ho famiglia, sperando che ci sia ancora, ma quando si è cominciato a dire che la Spagna si stava separando dalla Francia ho deciso di andare a vedere con i miei occhi, No, non la Spagna, la
penisola iberica, Esattamente, E non è dalla Francia che la penisola si è separata, ma dall'Europa, sembra la stessa cosa, ma c'è una bella differenza, Di queste formalità non me ne intendo, io volevo solo andare a vedere, E che cosa ha visto, Niente, sono arrivato ai Pirenei e ho visto solo il mare, Anche noi non abbiamo visto altro che mare, La Francia non c'era, l'Europa non c'era, ora, secondo me, se una cosa non c'è è come se non ci fosse mai stata, tutta fatica sprecata, quella di aver camminato per tante e tante leghe alla ricerca di ciò che non esisteva, Veramente, c'è uno sbaglio, Che sbaglio, Prima che la penisola si separasse dall'Europa, l'Europa era là, c'era una frontiera, è ovvio, si andava da una parte all'altra, passavano gli spagnoli, passavano i portoghesi, venivano gli stranieri, non ha mai visto turisti nella sua zona, Ogni tanto, ma lì non c'era niente da vedere, Erano turisti che venivano dall'Europa, Ma se quando vivevo a Zufre non ho mai visto l'Europa, e adesso che ho lasciato Zufre l'Europa non l'ho vista lo stesso, allora la differenza dov'è, Ma neanche è andato sulla luna, eppure la luna esiste, Ma la vedo, adesso è fuori rotta, ma la vedo, Come si chiama lei, Mi chiamano Roque Lozano, per servirla, Io mi chiamo Pedro Orce, Ha il nome del paese dove è nato, Non sono nato a Orce, ma lì vicino, a Venta Micena, Ricordo che all'inizio del mio viaggio ho incontrato due portoghesi diretti a Orce, Chi lo sa se saranno gli stessi, Mi piacerebbe saperlo, Venga con me e si toglierà ogni dubbio, Se mi invita, vengo, sono solo ormai da tanto tempo, Si alzi lentamente, perché il cane non creda che mi vuole fare del male, le porgo io il bastone. Roque Lozano si mise il fagotto in spalla, si tirò dietro l'asino e si avviarono tutti insieme, il cane accanto a Pedro Orce, forse dovrebbe essere sempre così, dove ci fosse un uomo dovrebbe esserci con lui un animale, un pappagallo posato sulla spalla, un serpente avvolto intorno al polso, uno scarafaggio nel bavero, uno scorpione arrotolato, potremmo persino dire un pidocchio in testa se l'anopluro non appartenesse all'aborrita specie dei parassiti, che neppure negli insetti si sopporta, benché, poverini, loro non ne abbiano colpa, è stata la volontà divina. Girando senza meta come hanno fatto finora, si sono addentrati in Catalogna. Gli affari prosperavano, era stata veramente un'idea brillante l'essersi lanciati in questo ramo del commercio. Adesso, per le strade si vede meno gente, il che significa che nonostante la penisola prosegua nel suo movimento di rotazione, gli uomini riprendono le abitudini e i comportamenti soliti, se è così che dobbiamo definire le vecchie abitudini e i vecchi comportamenti di un tempo. Villaggi deserti non se ne incontrano più, ma non si può
scommettere che ogni casa abbia accolto di nuovo i suoi primitivi occupanti, ci sono uomini con altre donne e donne con altri uomini, i figli sono mescolati, che sempre questi sono stati i risultati delle grandi guerre e delle grandi migrazioni. Proprio questa mattina José Anaiço, di punto in bianco, ha detto che bisognava decidere del futuro del gruppo, visto che sembrava non esserci più pericolo di possibili scontri. Secondo lui, la cosa più sicura, o almeno l'ipotesi più plausibile, era che la penisola avrebbe continuato a girare senza spostarsi da quel luogo, il che non avrebbe recato alcun inconveniente alla vita quotidiana della gente, salvo che non sarebbe stato mai più possibile sapere dove fossero i punti cardinali, cosa peraltro di poca importanza, non c'è nessuna legge che dica che non si può vivere senza nord. Ma adesso i Pirenei li avevano visti, ed era stata una grande felicità, il mare da tale altezza, E come trovarsi su un aeroplano, aveva detto Maria Guavaira, e José Anaiço aveva ribattuto, come chi la sa lunga, Non c'è paragone, basta dire che al finestrino di un aereo le vertigini non si avvertono, mentre qui, se non ce l'avessimo messa tutta, avremmo avuto voglia di slanciarci in mare. Prima o poi, concluse José Anaiço quel suo mattutino avvertimento, dovremo decidere le nostre mete, certo è che non intendiamo trascorrere in cammino il resto della nostra vita. Joaquim Sassa si dichiarò d'accordo, le donne non vollero esprimere alcuna opinione, sospettano vi sia qualche ragione nascosta in questa repentina fretta, solo Pedro Orce ricordò timidamente che la terra continuava a tremare, e se questo non era segno che il viaggio non era giunto alla fine, allora voleva che gli spiegassero perché mai lo avevano cominciato. In altri momenti la saggezza dell'osservazione, seppure ipotetica, avrebbe impressionato gli animi, ma c'è da tener conto che le ferite dell'anima sono profonde, oppure non sarebbero dell'anima, adesso in tutto ciò che Pedro Orce dice c'è il sospetto che vi sia qualche secondo fine, questo pensiero lo si può leggere negli occhi di José Anaiço mentre dice, Subito dopo cena ognuno di noi dirà ciò che ha pensato in merito, se dobbiamo tornare a casa o proseguire come abbiamo fatto finora, e Joana Carda ha domandato solo, Quale casa. Ecco che sta arrivando Pedro Orce e porta con sé un altro uomo, a questa distanza sembra vecchio, e meno male, quanto a problemi di coabitazione sono già d'avanzo quelli che abbiamo. L'uomo trascina un asino munito di basto e soma, un asino all'antica come tanti, ma questo è di un colore argenteo raro, se si chiamasse Platero farebbe onore al nome, come quel Ronzinante che, da buon ronzino, non smentirebbe il suo. Pedro Orce si
ferma sulla linea invisibile che delimita il territorio dell'accampamento, deve assolvere alle formalità di presentare e introdurre il visitatore, cosa che va sempre fatta al di là della soglia, sono regole che non c'è bisogno di imparare, è l'uomo storico dentro di noi che le rispetta, un giorno siamo voluti entrare nel castello senza autorizzazione e ci è servito da lezione. Dice con enfasi Pedro Orce, Ho incontrato questo mio conterraneo e l'ho condotto qui a mangiare un piatto di minestra con noi, c'è una palese esagerazione nella parola conterraneo, ma è scusabile, in questo momento, in Europa, un portoghese del Minho e uno dell'Alentejo hanno nostalgia della stessa patria, eppure cinquecento chilometri li separavano l'uno dall'altro, adesso sono seimila che li separano da essa. Joaquim Sassa e José Anaiço non riconoscono l'uomo, mentre dell'asino non potrebbero dire altrettanto, c'è in lui qualcosa di noto e familiare, a quanto pare, del resto non sorprende, un asino non cambia in così pochi mesi, mentre un uomo, se è sporco e scarmigliato, se ha lasciato crescere la barba, se è dimagrito o ingrassato, se da capelluto si è fatto calvo, perfino sua moglie dovrebbe spogliarlo per vedere se quel particolare segno si trova sempre lì, talvolta troppo tardi, quando tutto si è consumato e il pentimento non coglierà il frutto del perdono. Disse José Anaiço, secondo la buona regola dell'ospitalità, Sia il benvenuto, si accomodi qui accanto a noi, e se vuole dissellare l'asino, faccia pure, di paglia ce n'è abbastanza per lui e per i cavalli. Senza la soma e il basto l'asino sembrava un po' più giovane, adesso si vedeva bene che era di due tonalità d'argento, una scura, l'altra chiara, entrambe di pregio. L'uomo andò a legare la bestia, i cavalli lanciarono al nuovo arrivato un'occhiata di traverso e si domandarono come avrebbe potuto essere loro di aiuto, con quel fisico scarso e tanto difficile da bardare. L'uomo tornò vicino al fuoco e, prima di avvicinare il sasso che doveva fargli da sedile, si presentò, Mi chiamo Roque Lozano, il resto lo prescrivono le tecniche elementari di una narrazione che sia esente da ripetizioni. José Anaiço stava per domandare se avesse un nome l'asino, se, magari, si chiamasse Platero, ma le ultime parole di Roque Lozano, che in definitiva si ripetono sempre, Sono andato a vedere l'Europa, lo fecero tacere, un improvviso ricordo gli puntò un dito nella memoria e mormorò, Quest'uomo lo conosco, e per fortuna fece in tempo, sarebbe stato perlomeno offensivo che ci volesse un asino per riconoscere la gente. Gli stessi movimenti dovevano frullare anche nella testa di Joaquim Sassa che, esitante, dice, Ho l'impressione che ci siamo già visti, Anche io, ha risposto Roque Lozano, mi
ricordate due portoghesi che ho incontrato all'inizio del viaggio, ma quelli andavano in macchina e non avevano donne con loro, Il mondo fa tanti giri, mio caro signore, ed è parecchio ciò che vi si ottiene e vi si perde, tant'è che può succedere di perdere un'automobile Due Cavalli e trovare un carro con due cavalli, due donne e un altro uomo, disse Maria Guavaira, Sarà stato ciò che avremo modo di vedere, la frase era di Joana Carda, né Pedro Orce né Roque Lozano sapevano di che cosa lei stesse parlando, ma lo sapevano José Anaiço e Joaquim Sassa e non gradirono l'allusione ai segreti dell'organismo umano, particolarmente di quello femminile. Il riconoscimento era fatto, fugati i dubbi, Roque Lozano era quel viaggiatore che avevano incontrato fra i monti Morena e Aracena in cammino con il suo asino Platero verso l'Europa, che alla fin fine non aveva visto, ma l'intenzione c'era, sempre salvatrice, E adesso, dove va, domandò Joana Carda, Adesso torno a casa, non sarà certo per via di tutte queste giravolte della terra che non sarà più nello stesso posto, La terra, No, la casa, la casa rimane sempre dov'è il paese. Maria Guavaira cominciò a riempire le scodelle di minestra, allungata con un po' d'acqua per farla bastare per tutti, mangiarono in silenzio, tranne il cane, che triturava metodicamente un osso, e le bestie da tiro e da soma che masticavano e rimasticavano la paglia, di tanto in tanto si sentiva lo schiocco di una fava secca, non possono certo lamentarsi, questi animali, di un cattivo vitto, considerando le difficoltà del momento. Alcune di queste difficoltà, ma private, tenterà di risolverle il consiglio di famiglia convocato per questa sera, non sarà di impedimento la presenza di un estraneo, al contrario, abbiamo detto che Roque Lozano sta ritornando a casa, e noi, che cosa faremo noi, continueremo a girare come zingari, comprando e vendendo capi di abbigliamento, oppure torneremo a casa, al lavoro, alla normalità della vita, visto che, pur se la penisola non dovesse mai più fermarsi, tutti finiranno per abituarsi, come l'umanità si è abituata a vivere su una terra che è sempre in movimento, non possiamo neppure immaginare come deve essere stato pesante per l'equilibrio di ciascuno vivere in una trottola che ronza e gira intorno a un acquario con dentro un pescesole, Perdoni se la correggo, disse la voce sconosciuta, ma il pesce-sole non esiste, c'è il pesceluna, il pesce-sole no, Allora guardi, non voglio insistere con lei, ma se non c'è, se ne sente la mancanza, Sfortunatamente non si può avere tutto, concluse José Anaiço, comodità e libertà sono incompatibili, questa vita errabonda ha un suo fascino, ma quattro solide pareti, con un tetto sopra, proteggono meglio di un telone tutto buchi, tra uno scossone e l'altro.
Disse Joaquim Sassa, Cominciamo con il portare a casa Pedro Orce e poi, lasciò la frase in sospeso, non sapeva come concluderla, fu allora che intervenne Maria Guavaira, disse chiaramente ciò che era necessario dire, Molto bene, lasciamo Pedro Orce alla sua farmacia, dopo proseguiamo per il Portogallo, José Anaiço si fermerà nella sua scuola, in un paese di cui non conosco neppure il nome, continuiamo in direzione di quel posto che si chiamava nord, Joana Carda dovrà scegliere se rimanere a Ereira, con i cugini, o tornare fra le braccia del marito a Coimbra, risolto questo problema facciamo rotta verso Porto e andiamo a lasciare Joaquim Sassa sulla soglia dell'ufficio, i capi saranno ormai tornati da Penafiel, e infine io rientrerò da sola a casa mia, dove c'è un uomo in attesa di potermi sposare, dirà che ha fatto la guardia ai miei beni mentre ero assente, Adesso, signora mia, mi sposi, e io con un tizzone brucerò questo carro come si brucia un sogno e chissà che, dopo, io non riesca a spingere in mare quella barca di pietra e con lei partire. Un discorso così, di filato, toglie il respiro a chi parla e non lascia respirare chi lo ascolta. Per un minuto rimasero tutti zitti, infine José Anaiço soggiunse, Siamo già su di una zattera di pietra, E' troppo grande per sentirci marinai, rispose Maria Guavaira, e Joaquim Sassa, sorridendo, osservò, Ben detto, mica ci ha trasformato in astronauti il fatto di viaggiare nello spazio, al di sopra del mondo. Altro silenzio, adesso era la volta di Pedro Orce che disse, Facciamo una cosa per volta, Roque Lozano può unirsi a noi, lo ricondurremo alla famiglia, che sarà a Zufre ad aspettarlo, e poi decideremo della nostra vita, Ma a dormire nel carro, un'altra persona non c'entra, disse José Anaiço, Che non sia questo il dubbio, se altri non ne avete a che io v'accompagni, sono abituato a stare all'aria aperta, basta che non piova, e adesso, con il carro, dormendoci sotto, è come se avessi tutte le notti un tetto, cominciavo a stancarmi della solitudine, se volete che ve lo dica, confessò Roque Lozano. Il giorno seguente ripresero il viaggio. Pig e Al borbottano contro la fortuna degli asini, questo se ne trotta dietro al carro, legato appena e senza carico, libero come è venuto al mondo, con quel suo bel luccichio d'argento, il suo padrone, a cassetta, parla della vita con Pedro Orce, le due coppie stanno chiacchierando sotto il telone, il cane procede in testa, a mo' di vedetta. Da un momento all'altro, quasi per miracolo, è ritornata l'armonia nella spedizione. Ieri, dopo l'ultima delibera, hanno tracciato un itinerario, niente di molto rigido, solo per non procedere alla cieca, dapprima scendere fino possibilità
di ricorso logico e topografico, del suo più amato titolo di capitale del nord, e se il riferimento, agli occhi di qualche cosmopolita, pecca di provincialismo e vista corta, immagini allora costui che cosa significherebbe per Milano ritrovarsi all'improvviso nel sud dell'Italia, in Calabria, con tutti i calabresi a prosperare nel commercio e nell'industria del nord, trasformazioni non del tutto impossibili, se teniamo conto di quanto è successo alla Penisola Iberica. Ma, come abbiamo detto, si trattò di un minuto solo. Cadeva la penisola, ma la rotazione non si interruppe. Tuttavia, prima di proseguire, converrà spiegare qual è il significato che dobbiamo attribuire, in questo contesto, al verbo cadere, non certo il suo senso immediato, quello della caduta dei gravi, che, alla lettera, vorrebbe dire che la penisola aveva cominciato ad affondare. Ora, se in tanti giorni di navigazione, non poche volte tribolata e con il rischio imminente di una catastrofe, una tale calamità, o un'altra di portata simile non si è avuta, sarebbe il massimo della sfortuna che l'odissea si concludesse ora con un affondamento completo. Anche se ci costa molto, ormai siamo rassegnati a che Ulisse non approdi alla spiaggia in tempo per incontrare la dolce Nausicaa, ma almeno sia consentito che il navigatore stanco raggiunga la costa nell'isola dei Feaci, o un'altra qualsiasi se quella non può essere, basta che possa posare la testa sull'avambraccio se non c'è un seno femminile ad attenderlo, in dono. Tranquillizziamoci, dunque. La penisola, lo giuriamo, non sta affondando nel mare crudele dove, se tale cataclisma si verificasse, scomparirebbe tutta, senza lasciare in vista neppure la vetta più alta dei Pirenei, ché tale è la profondità di questi abissi. La penisola cade, sì, non c'è altro modo di dirlo, ma verso sud, perché parlando in maniera figurata il planisfero noi lo dividiamo così, in alto e in basso, in superiore e inferiore, in bianco e nero, quantunque provochi certo un po' di sgomento il fatto che i paesi al di sotto dell'equatore non usino le carte geografiche al contrario, le quali giustamente darebbero del mondo l'immagine complementare che manca. Ma le cose sono quelle che sono, possiedono quell'irresistibile virtù, e perfino uno scolaro impara la lezione di primo acchito, senz'altre spiegazioni, lo stesso dizionario dei sinonimi, con tanta leggerezza disprezzato, ce lo confermerebbe, verso il basso si scende, si cade, e per nostra grande fortuna questa zattera di pietra non sta affondando, gorgogliando con cento milioni di polmoni, mescolando le dolci acque del Tago e del Guadalquivir nell'onda amara del mare infinito. Non manca peraltro, né è mancato mai, chi affermi che i poeti, in realtà, non sono indispensabili, e io domando che cosa ne sarebbe di noi tutti se non ci
fosse la poesia ad aiutarci a comprendere quanto poco chiare siano le cose che definiamo tali. Fino a questo momento, dopo tante pagine scritte, la materia narrativa si può riassumere nella descrizione di un viaggio oceanico, anche se non del tutto usuale, e perfino in questo drammatico istante in cui la penisola si rimette in cammino, adesso in direzione sud, pur continuando a ruotare intorno al suo asse immaginario, è certo che non riusciremmo a superare e ad arricchire la semplice enunciazione dei fatti se non ci venisse in aiuto l'ispirazione di quel poeta portoghese che ha paragonato la rivoluzione e la discesa della penisola al bambino che nel ventre della madre fa il primo capitombolo della sua vita. La similitudine è eccellente, sebbene dobbiamo censurarne il cedimento alle tentazioni dell'antropomorfismo che tutto vede e tutto giudica in rapporto obbligatorio con l'uomo, come se, di fatto, la natura non avesse altro da fare che pensare a noi. Sarebbe tutto più facile da capire se avessimo confessato, semplicemente, la nostra infinita paura, quella paura che ci spinge a popolare il mondo di immagini a somiglianza di ciò che siamo o riteniamo di essere, a meno che, al contrario, questo sforzo così ossessivo non sia un'invenzione del coraggio, o la semplice ostinazione di chi rifiuta di non trovarsi dove si trova il vuoto, di non dare senso a ciò che senso non avrà. Probabilmente il vuoto non può essere colmato da noi, e ciò che definiamo senso non sarà altro che un insieme fugace di immagini che a un certo momento sono sembrate armoniose, o dove l'intelligenza in panico ha tentato di introdurre ragione, ordine, coerenza. Nella maggioranza dei casi, la voce dei poeti è una voce incompresa, il che, essendo una regola, presenta tuttavia qualche eccezione, come si vede in questo episodio lirico, quando la felice metafora è stata chiosata in tutte le maniere e ripetuta da tutte le bocche, anche se, tuttavia, non si possono includere in questo entusiasmo popolare tutti gli altri poeti, ma non c'è da meravigliarsene, se teniamo presente che non sono certo esenti dagli umanissimi sentimenti del dispetto e dell'invidia. Una delle conseguenze più interessanti dell'ispirato paragone è stata la rinascita, benché attenuata dalle trasformazioni che la modernità ha trasferito alla vita familiare, dello spirito materno, dell'influsso maternale del quale, a rivedere i fatti noti, molte ragioni esistono per pensare che Joana Carda e Maria Guavaira siano state le antesignane per i loro modi sottili e per natura, non di proposito e volontariamente. Le donne, decisamente, trionfavano. I loro organi genitali, scusate la crudezza anatomica, erano in fondo l'espressione, ridotta e insieme ampliata, della meccanica espulsoria dell'universo, tutto quel meccanismo
che procede per estrazione, quel nulla che sarà tutto, quell'ininterrotto passaggio dal piccolo al grande, dal finito all'infinito. Su questo punto, è bene notarlo, i chiosatori e gli ermeneuti perdevano il passo, né c'è da sorprendersi, perché fin troppo ci ha insegnato l'esperienza quanto siano insufficienti le parole a mano a mano che ci avviciniamo alle frontiere dell'ineffabile, vogliamo dire amore e la lingua non ci basta, vogliamo dire voglio e diciamo non posso, vogliamo pronunciare la parola finale e capiamo di essere già tornati all'inizio. Ma nell'azione reciproca delle cause e degli effetti un'altra conseguenza, al tempo stesso fatto e fattore, venne ad alleggerire la gravità delle discussioni e a spingere, per così dire, la gente a sorridere e ad abbracciarsi. Fatto sta che, da un'ora all'altra, a prescindere dall'esagerazione che queste semplici formulette comportano, tutte o quasi tutte le donne fertili si dichiararono incinte, nonostante non ci fosse stata alcuna modifica di una certa importanza nei metodi contraccettivi né loro né degli uomini, ci riferiamo, è chiaro, agli uomini con cui vivevano, in modo regolare o casuale. Al punto in cui stanno le cose, la gente non si meraviglia più. Sono passati alcuni mesi da che la penisola si è separata dall'Europa, abbiamo percorso migliaia di chilometri su questo mare violentemente aperto, per poco non si scontrava il leviatano con le spaventate isole Azzorre, o forse non si doveva scontrare, come si è visto dopo, ma gli uomini e le donne che da una parte e dall' altra erano stati costretti a scappare non lo sapevano, sono accadute queste e tante altre cose, aspettarsi il sole a sinistra e vederlo sorgere a destra, e la luna, come se non le bastasse l'incostanza che ha da quando si è staccata dalla terra, e poi i venti che spirano da ogni parte, e le nubi che arrivano da tutti gli orizzonti e volteggiano sopra le nostre teste abbagliate, sì, abbagliate, perché sopra di noi c'è un fuoco vivo, come se l'uomo, in definitiva, non dovesse emergere con storica lentezza dall'animalità e potesse di nuovo essere messo, completo e consapevole, in un mondo nuovamente creato, limpido e di una bellezza intatta. Ma tutto questo è accaduto e visto che quel poeta portoghese ha detto che la penisola è un bambino che nel viaggio si è creato e adesso nel mare si rivolta per nascere, come fosse dentro un utero acquatico, che motivi avremmo di meravigliarci se gli uteri umani delle donne generassero, magari li ha fecondati la grande pietra che scende verso sud, mica lo sappiamo, noi, se sono veramente figlie degli uomini queste nuove creature, o se, piuttosto, il padre non sia quel gigantesco rompimare che spinge innanzi le onde, penetrandole, acque mormoranti, il soffio e il sospiro dei venti.
Di questo ingravidamento collettivo furono informati i viaggiatori dalla radio e dai giornali, e la televisione non faceva che battere sull'argomento, appena pescava qualche donna per la strada, le piazzava il microfono davanti, l'assaliva di domande, com'è successo e quando, e che nome darà al bambino, e la povera tapina, mentre la cinepresa la mangiava viva, arrossiva, balbettava, non invocava la costituzione solo perché non l'avrebbero presa sul serio. Tra i viaggiatori del carro si notava di nuovo una certa tensione, in fondo, se tutte le donne della penisola erano incinte, le nostre due non aprono bocca sui fatti loro, e possiamo capire bene questo silenzio, se dichiarassero la loro gravidanza, inevitabilmente Pedro Orce si includerebbe nelle liste di paternità e l'armonia, così penosamente ristabilita una prima volta, non sopravviverebbe a un secondo colpo. Ecco perché una sera, mentre servivano la cena agli uomini, Joana Carda e Maria Guavaira dissero in tono di sorridente stizza, Pensate, in Spagna e in Portogallo tutte le donne incinte e noi, qui, senza speranze. Passi questo minuto di finzione, passi che fingano José Anaiço e Joaquim Sassa la propria stizza, come chi vede messo in dubbio dalla donna il proprio potere fecondante, ma la cosa peggiore è che non è improbabile che il simulato scherzo abbia colto nel segno, perché se è vero che le due donne sono incinte, è pure vero che nessuno sa di chi. Con tanti se, l'atmosfera non l'ha certo alleggerita questa messinscena, con il passar del tempo si vedrà che invece erano proprio incinte Maria Guavaira e Joana Carda quando hanno negato di esserlo, e allora che spiegazioni daranno, la verità è sempre lì ad aspettarci, arriva il giorno che non possiamo sfuggirle. Visibilmente imbarazzati, apparvero in televisione i primi ministri dei due paesi, non che dovesse essere motivo d'obbligo parlare dell'esplosione demografica che si sarebbe verificata nella penisola in capo a nove mesi, dodici o quindici milioni di bambini a nascere praticamente nello stesso momento, gridando in coro alla luce, la penisola trasformata in maternità, le madri felici, i padri sorridenti, nei casi in cui sembrino sufficienti le certezze. Considerando il problema sotto questo aspetto, è possibile trarne addirittura qualche risultato politico, esibire la carta demografica, fare appello all'austerità in nome del futuro dei nostri figli, dissertare sull'unione nazionale, contrapporre questa fertilità alla sterilità del resto del mondo occidentale, ma ciascuno di noi non può fare a meno di compiacersi al pensiero che, se c'è questa esplosione demografica, ci sarà pure stata un'esplosione genetica, visto che nessuno crede che la fecondazione collettiva
sia stata di ordine soprannaturale. Il primo ministro sta parlando delle misure sanitarie da prendere, del piano nazionale di assistenza ostetrica, dell'assunzione e distribuzione, quando sarà il momento, di brigate di medici e levatrici, e gli si leggono in faccia sentimenti contraddittori, la serietà dell'espressione ufficiale lotta contro la voglia di ridere, sembra che ogni momento stia per dire, Portoghesi, sarà per noi un grande beneficio, spero non sia stato minore il piacere, ché fare figli senza la sana allegria della carne è la peggiore delle condanne. Gli uomini e le donne ascoltano, si scambiano sorrisi e sguardi, sanno bene che in questo momento stanno ricordando quella notte, quel giorno, quell'ora in cui, spinti da un repentino impulso si sono avvicinati e hanno fatto ciò che dovevano fare, sotto un cielo che continuava a ruotare lentamente o sotto un pazzo sole, una luna pazza, e sotto le stelle turbinanti. A prima vista si direbbe che è tutta un'illusione e un sogno, ma quando le donne spunteranno con i pancioni, allora ci renderemo conto di non aver dormito. Anche il presidente dell'America del Nord si rivolse al mondo, dicendo che nonostante il cambiamento di rotta della penisola, in direzione di un punto sconosciuto a sud, giammai gli Stati Uniti avrebbero declinato le loro responsabilità verso la civiltà, la libertà e la pace, ma che i popoli della penisola non potevano contare, adesso che si stavano addentrando in aree di influenza controversa, Non possono contare, ripeto, su un aiuto uguale a quello che li attendeva quando sembrava che il loro futuro sarebbe stato indissolubile da quello della nazione americana. Furono queste, troppo più troppo meno, le dichiarazioni al mondo. Tuttavia in privato, nel segreto del suo studio ovale, e mentre agitava un cubetto di ghiaccio nel bourbon, il presidente avrebbe detto ai suoi consiglieri, Se si dovessero incagliare nell'Antartide, non ci dovremmo più preoccupare, dove mai andremmo a finire con il mondo che se ne va a spasso da una parte all'altra, non ci sarebbero strategie che funzionino, per esempio, a che cosa ci possono servire adesso le basi che abbiamo ancora sulla penisola, solo a sparare qualche scarica di missili sui pinguini. Uno dei consiglieri, allora, osservò che la nuova rotta, a ben vedere, non era poi così male, Stanno scendendo tra l'Africa e l'America Latina, signor presidente, sì, è una rotta che può presentare qualche vantaggio, ma può anche aggravare le indiscipline della regione, e forse per via di questo ricordo irritante, il presidente picchiò un pugno sul tavolo facendo saltare il sorridente ritratto della first lady. Un vecchio consigliere balzò su per lo spavento, volse gli occhi intorno e disse,
Attenzione, signor presidente, un pugno del genere, chi lo sa che conseguenze potrà avere. Non è più la pelle scuoiata del toro, ma un ciottolo gigantesco, con la forma di uno di quei manufatti di silice che usavano gli uomini preistorici, scolpito a forza di colpi pazienti, uno dopo l'altro, fino a renderlo strumento di lavoro, la parte superiore piena e compatta per accogliere la conca della mano, quella inferiore a punta per raschiare, scavare, tagliare, delimitare, disegnare, e perché no, visto che fino a oggi non abbiamo imparato a sfuggire alla tentazione, per ferire e uccidere. La penisola ha cessato il suo movimento di rotazione, adesso sta scendendo a piombo, in direzione sud, tra l'Africa e l'America Centrale, come dovrebbe aver detto il consigliere del presidente, e la sua forma, sorprendentemente per chi avesse ancora negli occhi e nella carta geografica la vecchia posizione, sembra gemella dei due continenti che la fiancheggiano, ecco il Portogallo e la Galizia a nord, che occupano tutta la larghezza, da occidente a oriente, poi la grande massa comincia a restringersi, ma sempre con un rigonfiamento prominente, alla sinistra, Andalusia e Valenza, alla destra la costa cantabrica e, sulla stessa linea, la catena dei Pirenei. La punta della pietra, la prua tagliente, è il capo Creus, portato dalle acque mediterranee in questi minacciosi mari, tanto lontano dal cielo natale, lui che è stato vicino di Cerbère, di quella piccola città francese di cui si è tanto parlato all'inizio di questo racconto. Scende la penisola, ma scende lentamente. I saggi, seppure con molta prudenza, prevedono che il movimento stia per cessare, fiduciosi nell'evidenza universale che se il tutto, in quanto tale, non si ferma mai, le parti che lo compongono devono pur fermarsi una volta, e la dimostrazione di questo assioma è la vita umana, ricchissima, come si sa, di possibilità comparative. A tale annuncio della scienza nacque il gioco del secolo, un'idea che deve essere sorta contemporaneamente in tutto il mondo, e che consistette nell'istituzione di un sistema di scommessa doppia sul momento e sul luogo in cui il movimento sarebbe cessato, mettiamo, per far capire meglio, alle ore diciassette, trentatre minuti e quarantanove secondi, ora locale dello scommettitore, è ovvio, con il giorno, mese e anno, e le coordinate, limitate all'inclinazione del meridiano, con gradi, minuti e secondi, tenendo come punto di riferimento fisso il suddetto capo Creus C'erano in gioco miliardi di dollari e se uno avesse indovinato i risultati, cioè il momento preciso e il luogo esatto, il che, secondo il calcolo delle probabilità era assolutamente impensabile, quest'uomo dalla previsione quasi
divina Si sarebbe trovato in possesso della più gran ricchezza che sia mai stato possibile mettere insieme sulla faccia della terra, che pure ne ha viste tante. Capite bene che non c'è mai stato gioco più terribile di questo, perché ogni minuto che passa, ogni miglio percorso, si riduce il numero dei giocatori con probabilità di vincere, ma notate pure che molti degli esclusi tornano a scommettere, facendo COSÌ salire il monte premi a cifre che ormai sono astronomiche. E' chiaro che non tutti riescono a trovare i soldi per altre scommesse, è chiaro che molti non hanno altra via d'uscita che il suicidio per le rovinose condizioni in cui sono precipitati. La penisola scende verso sud lasciandosi dietro una scia di morti di cui è innocente, mentre nel ventre delle sue donne continuano a crescere quei milioni di bambini che innocentemente ha generato. Pedro Orce è agitato, inquieto. Parla poco, passa ore fuori dall'accampamento, rientra esausto e non mangia, i compagni gli domandano se sia malato e lui risponde, No, non sono malato, senza altre spiegazioni. Le poche parole le riserva per Roque Lozano, sono sempre discorsi sul paese dell'uno o dell'altro, come se non conoscessero altro argomento. Il cane lo accompagna dappertutto, si sente che l'agitazione dell'uomo ha contagiato la bestia, prima tanto placida. José Anaiço aveva già avvertito Joana Carda, Se crede di ripetere la storia, il pover'uomo solo e derelitto, l'affettuosa donna che consola e allevia i turgori delle ghiandole, si sbaglia di grosso, e lei ha risposto con un sorriso, Sei tu che ti stai sbagliando, il male di Pedro Orce, se ce l'ha, è un altro, Quale, Non lo so, ma ti garantisco che non si tratta di sedurci di nuovo, una donna non ha dubbi, Allora dobbiamo parlargli, costringerlo a dircelo, forse è davvero malato, Forse, ma neppure questo è sicuro. Procedono lungo la montagna di Alcaraz, oggi si accamperanno nei dintorni di un paese che si chiama, come informa la mappa, Bienservida, per lo meno nel nome lo è. Seduti a cassetta, Pedro Orce dice a Roque Lozano, Da dove ci troviamo non mancherebbe molto per entrare nella provincia di Granada, se vi fossimo diretti. Ma casa mia è ancora lontana, Alla fine ci arriverai, sì, ma mi piacerebbe sapere se ne varrà la pena, Queste sono le cose che sappiamo solo dopo, da un colpetto al grigio che non va al passo. Roque Lozano diede uno strattone alle redini, toccò con la punta della frusta i lombi del cavallo, quasi una carezza, e Pig, obbediente, modificò il suo trotto. Dentro al carro procedono le coppie, parlano a bassa voce, e dice Maria Guavaira, Forse gli piacerebbe essere già a casa e non lo vuole dire, ha paura che ci offendiamo,
Può darsi, ammise Joaquim Sassa, dobbiamo dirglielo francamente, che lo capiamo e che non ce ne avremo a male, in fondo non c'è mica un giuramento o un contratto per il resto della vita, amici come prima, un giorno torneremo a trovarlo, Speriamo sia solo questo, mormorò Joana Carda, Hai un'altra idea, No, non ce l'ho, è solo un presentimento, Che presentimento, domandò Maria Guavaira, Pedro Orce sta per morire, Tutti stiamo sempre per morire, Ma lui sarà il primo. Bienservida rimane fuori dalla strada principale. Andarono là a vendere qualcosa, comprarono del cibo, rinnovarono le riserve d'acqua e dopo, visto cke ancora era presto, si rimisero in cammino. Ma non si allontanarono molto. Poco più avanti c'era una cappella, detta di Turruchel, un luogo ameno per passarvi la notte, si fermarono. Pedro Orce smontò e, contrariamente al solito, andarono ad aiutarlo José Anaiço e Joaquim Sassa, che erano balzati giù dal carro appena si era fermato, e disse, mentre si afferrava alle mani che gli venivano tese, Che c'è, amici, ancora non sono invalido, senza notare che la parola amici aveva improvvisamente colmato di lacrime gli occhi dei due, di questi uomini che serbano nel petto il dolore di un sospetto, ma che accolgono fra le braccia il corpo stanco che a loro si abbandona nonostante l'orgogliosa dichiarazione, c'è sempre un momento in cui l'orgoglio non ha altro che parole, non è altro che parole. Pedro Orce posa il piede per terra, fa qualche passo e Si ferma, con una espressione di sgomento sul viso, in tutto il suo aspetto, come se una luce intensa lo immobilizzasse e lo offuscasse, Che c'è, domandò Maria Guavaira che si era avvicinata, Niente, non è niente, Si sente male, domandò Joana Carda, No, è qualcos'altro. Si chinò, poggiò per terra tutte e due le mani, poi chiamò il cane Costante, gli mise la mano sulla testa, sfiorò con le dita il collo, la schiena, il dorso, la groppa, il cane non si muoveva, premeva sul suolo come se volesse affondarvi le zampe. Adesso Pedro Orce si era sdraiato per terra, la testa bianca posata su un ciuffo d'erba da cui spuntava qualche stelo fiorito, che c'entrano i fiori se doveva essere inverno, Joana Carda e Maria Guavaira gli si inginocchiarono accanto, tenendogli le mani, Che hai, di' se hai qualche dolore, e ce l'aveva, aveva un dolore molto grande se era quella l'espressione del suo viso, teneva gli occhi spalancati e fissava il cielo, le nuvole che passavano, per vederle non c'era bisogno che Maria Guavaira e Joana Carda sollevassero la testa, fluttuavano lentamente negli occhi di Pedro Orce come le luci delle strade di Porto si riflettevano negli occhi del cane, tanto tempo prima, un giorno lontano, e adesso sono insieme, riuniti, con Roque Lozano, che è esperto sia di vita sia
di morte, il cane sembra ipnotizzato dallo sguardo di Pedro Orce, lo fissa, a testa bassa e con il pelo ritto come se stesse per affrontare tutti i branchi di lupi del mondo, e allora ecco che Pedro Orce ha detto distintamente, parola per parola, Non la sento più, la terra, non la sento più, gli occhi si scurirono, una nuvola grigia, color del piombo, stava passando in cielo lentamente, molto lentamente, con dita lievissime Maria Guavaira abbassò le palpebre di Pedro Orce, disse, E' morto, fu allora che il cane si avvicinò e gridò, come si dice che un uomo ulula. Un uomo muore, e poi. Piangono i quattro amici che ha, perfino Roque Lozano, da così poco tempo conosciuto, strofina furiosamente gli occhi con i pugni chiusi, il cane ha gridato una volta sola, adesso se ne sta immobile accanto al corpo, fra poco si sdraierà e poserà quel suo testone enorme sul petto di Pedro Orce, ma bisogna pensare e decidere cosa faremo del cadavere, dice José Anaiço, Portiamolo a Bienservida, comunichiamolo alle autorità, non possiamo fare altro per lui, e Joaquim Sassa ha rammentato, Un giorno mi avete detto che la tomba del poeta Machado avrebbe dovuto essere sotto un leccio, facciamola a Pedro Orce, ma fu di Joana Carda l'ultima parola, Né a Bienservida né sotto un albero, portiamolo a Venta Micena, seppelliamolo nel posto dove è nato. Nel suo giaciglio messo di traverso è Pedro Orce. Accanto a lui ci sono le due donne, gli tengono le mani fredde, le stesse che, ansiose, hanno conosciuto appena i loro corpi, mentre a cassetta sono seduti gli uomini. Roque Lozano guida i cavalli, credevano di riposare e invece si ritrovano in cammino, in piena notte, come non gli era mai successo, forse il baio ricorda un'altra notte, o forse dormiva e quindi sognava, che era impastoiato per curare con unguento e umidità una dolorosa bruciatura, che erano andati a prenderlo una donna e un uomo, e il cane, l'avevano liberato dalle corde, non sapeva se il sogno cominciasse o finisse lì. Il cane cammina sotto il carro e sotto Pedro Orce, come se lo trasportasse, ché tale è il peso che si sente sul capestro. C'è un lume acceso, fissato sull'arco di ferro che tiene la tenda, davanti. Hanno più di centocinquanta chilometri da percorrere. I cavalli sentono la morte dietro di loro, non hanno bisogno di altra frusta. Il silenzio della notte è talmente denso che il rumore delle ruote sul terreno accidentato delle vecchie strade si ode appena, e il trotto dei cavalli risuona soffocato come se avessero gli zoccoli avvolti negli stracci. Non ci sarà luna. Viaggiano nelle tenebre, è l'apagón, il negrum, la prima di tutte le notti prima che fosse detto, il sole sia, nessuna grande meraviglia, infatti Dio sapeva che
il diurno astro doveva nascere per forza di lì a due ore. Da quando è cominciato il viaggio, Joana Carda e Maria Guavaira non fanno che piangere. A quest'uomo, che ora è morto, hanno dato tutte e due il loro corpo misericordioso, con le loro stesse mani lo hanno stretto a sé, lo hanno aiutato, e forse sono figli suoi le creature che si stanno generando dentro quei ventri che i singhiozzi fanno tremare, mio Dio mio Dio, come sono collegate tutte le cose di questo mondo, e noi che pensiamo di tagliarle o di annodarle quando vogliamo, unicamente per nostra volontà, ecco qual è il più grosso errore, e quante lezioni abbiamo avuto del contrario, una riga per terra, migliaia di storni, un sasso lanciato in mare, un calzerotto di lana turchina, ma a ciechi mostriamo, a gente incallita e sorda predichiamo. Il cielo era ancora scuro quando arrivarono a Venta Micena. Lungo tutta la strada, per quasi trenta leghe, non avevano incontrato anima viva. E Orce, addormentata, era un fantasma, le case sembravano pareti di un labirinto, finestre e porte chiuse, il Castello dalle Sette Torri, al di sopra dei tetti, era come un'apparizione inconsistente. I lampioni dell'illuminazione pubblica tremolavano come stelle sul punto di spegnersi, gli alberi della piazza, ridotti a tronco e rami grossi, potevano essere quanto restava di una foresta pietrificata. Passarono davanti alla farmacia, questa volta non avevano bisogno di fermarsi, le indicazioni del percorso erano ancora fresche nella memoria. Proseguite diritto, in direzione di Maria, fate tre chilometri dopo le ultime case, c'è un ponticello e, accanto, un olivo, fra poco vi raggiungerò. Ormai è arrivato. Dopo l'ultima curva videro il cimitero, i muri bianchi, l'enorme croce. Il portone era chiuso, dovevano forzarlo. José Anaiço andò a cercare una spranga, ne inserì la punta fra i battenti, ma Maria Guavaira lo trattenne per il braccio, Non lo seppelliremo qui. Indicò le colline bianche dalla parte di Cova dos Rosais, dove era stato ritrovato il cranio dell'europeo più antico, quello vissuto più di un migliaio di anni fa, e disse, Resterà là, è forse il posto che avrebbe scelto lui. Spinsero il carro fin dove fu possibile, i cavalli non ce la facevano più, trascinavano gli zoccoli nella polvere. A Venta Micena non vive nessuno che venga ad assistere al funerale, tutte le case sono state abbandonate, quasi tutte sono in rovina. All'orizzonte si distingue la sagoma dei monti, quelli che l'uomo di Orce ha visto morendo, adesso è ancora buio, Pedro Orce è morto, nei suoi occhi è rimasta solo una nuvola scura, nient'altro. Quando il carro non poté più proseguire, i tre uomini sollevarono il corpo. Maria Guavaira lo sostiene da un lato, Joana Carda ha in mano la bacchetta
d'olmo. Salgono su una collina, piana nella parte superiore, la terra secca si sbriciola sotto i loro piedi, scivola giù lungo il pendio, il corpo di Pedro Orce oscilla, quasi sbilancia e fa scivolare i trasportatori, ma riescono a issarlo fin lassù, lo depongono per terra, sono in un bagno di sudore, bianchi di polvere. E' Roque Lozano che scaverà la fossa, ha chiesto che gli lasciassero fare questo lavoro, la terra si apre facilmente, la spranga fa da zappa, le mani fungono da pala. A oriente, il cielo si sta schiarendo, il contorno impreciso della montagna si è fatto nero. Roque Lozano esce dalla buca, scuote le mani, si inginocchia e le passa sotto il corpo, José Anaiço tiene Pedro Orce per le braccia, lo solleva Joaquim Sassa per i piedi, e piano piano lo calano nella terra, la fossa non è profonda, se in questi posti torneranno un giorno gli antropologi non sarà difficile trovarlo, dirà Maria Dolores, Qui c'è un cranio, e il capogruppo degli scavi lancerà un'occhiata, Niente di interessante, di questi ne abbiamo tanti. Hanno ricoperto il corpo, hanno lisciato la terra perché si confondesse con quella intorno, ma hanno dovuto allontanare il cane che, con le unghie, voleva scavare nella fossa. Poi Joana Carda ha conficcato la bacchetta d'olmo all'altezza della testa di Pedro Orce. Non è una croce, come vedete bene, non è un segno funebre, è solo una bacchetta che ha perduto la virtù che possedeva, ma può ancora avere questa semplice funzione, essere l'orologio solare di un deserto arido, forse albero rinato, se un ramo secco, conficcato nel suolo, può fare miracoli, creare radici, liberare gli occhi di Pedro Orce dalla nuvola scura, domani pioverà su questi campi. La penisola si è fermata. I viaggiatori riposeranno qui stasera, la notte e il giorno dopo. Piove quando partono. Hanno chiamato il cane, che durante tutte queste ore non si è allontanato dalla fossa, ma lui non è venuto. E' normale, ha detto José Anaiço, i cani fanno resistenza a separarsi dal padrone, talvolta si lasciano morire. Si sbagliava. Il cane Ardent ha guardato José Anaiço, poi si è allontanato lentamente, a testa bassa. Non lo hanno più rivisto. Il viaggio continua. Roque Lozano si fermerà a Zufre, andrà a bussare alla porta di casa sua, Sono tornato, è la sua storia, qualcuno dovrà raccontarla un giorno. Gli uomini e le donne, questi, proseguiranno per la loro strada, con che futuro, in che tempo, con che meta. La bacchetta d'olmo è verde, chi sa se fiorirà l'anno che Stampato nel marzo 1997 per conto della Casa editrice presso Milano stampa s.p.a., Fangliano (Cuneo)